tO” RI NOA»; mirato aiar —_ ee Ca "i LI PIL jegq : c- ada ,4y x » È . Ù muiàti DSC LI v P LI h fl ne dî ? ' ila i ) 3 . miti : ‘ x vi NU: é n b=iip9 dub a ì i Ù n fi | sì A ori po ? ’ Da i dis) da è: CORIIURZI AZIO ’ pei ì : DETTATA "n Fida Ù Vises tread rado A . ba ' ae tar) \ l e pisi " de ip'i è si o Ra: ni # I , ; } he i ) r ‘ A i sel i è LU vefosda i Ti: 54 ‘ Li ì h i o ' ] one: fr , 4 A LI " Va i) R i PRIN] i è s l ' ì : bi leo Reni | My (ai ' ‘ 3 sel t*:5 (2 Ù ‘ hi . 1 ri È ì % i to vi so: 4° i 0g ’ il x Ù Ù ì x i h Legale tte s à ° : î : : . . Ù Ù , î ‘ zi» î { 4 7 ’ ‘ » ' 13, o E) i A H 4 ’ So Y L] y . : ti ; î1 fi Li ‘ } A vi y U [PI ì P LI s - Ù - Ù L) Ù . Ù 4 ‘ MICALI Ù Ù ‘ LA l ì ‘ } ' 4 ' a b 4 * i] % DI î î ’ i î i ', , i i i DES] z l a If si x i « Li f) ' » { l i p ' = ' Ve ‘ Re ‘ alia i - PI il i è darti a! CALC » . è po 4 . ' ) Ng sa RI Ù Ù LI È fe è è ii Ù C] Ù | ati n #40 00, o ®4 CSI TITANI * be uri pio de g 1 % daagtagi di » ‘ pa ti dip RA ai LULA. n 4 , * COCCROA Può è apegrityzi DEE % dit NEO) Ha ‘ nie Pa. ‘ , SI I das % (n) wa è 14 trp Ale . PARTI » qess1 RIENTRO ? INAZEPILZATTTTÀ x î E d' Nabatei, del x ROCOONT o A si LEIDA SI ZIA L00 v a a titut spogli PT l î CICAICA LUESI NI ZIA PAR ETTI (IE l mal NA ie E Pale hi ® i De) puesgtgit t s la A se ni peas e, Ni ATRRRISIIOZAO : perda + ‘ ' 4-4 Di # Of Sciences COUAETI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME TRENTESIMOSETTIMO 1901-902 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 ‘ouIisoT IA ITAOLICAI (22440 sto CAMELI cri fina I DAG 31-)32$35- 0d% PROPRIETÀ LETTERARIA i hi cente OMITTHCOMICI TRAAT AMUIOV Goe.1001 . | OMISOT MA 39 4 IO Qst 40 osanisà lf pria Ri aflob olemfi Torino — Stabilimento rafico ao Bona E ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI aL 17 Novemsre 1901. —_ NB. — La prima data è quella dell'elezione, la seconda quella del R. Decreto che approva l'elezione. PRESIDENTE Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola e di Chimica mi- nerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Ita- liana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio ordinario non residente dell’Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Socio della Reale Accademia di Agricoltura di Torino e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio onorario del- l'Accademia Olimpica di Vicenza, Socio corrispondente della Società di scienze naturali di Cherbourg, Socio effettivo della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, Comm. *, e, e dell'O. d’Is. Catt. di Sp. 29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 16 gennaio 1879. IV VIcE-P RESIDENTE Peyron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. *, Uffiz. e. 15 Gennaio 1863 - 18 gennaio 1863. — Pensionato 28 novembre 1869. TESORIERE JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geo- metria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri, Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli e della Società degli Ingegneri Civili di Lisbona, Uff. es. 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore SaLvaporI (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chi- rurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica. di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della So- cietà dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, V Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell'American Ornithologist's Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della So- cietà Ornitologica tedesca, Uffiz. «», Cav. dell'O. di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). 29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. Segretario D’Ovripro (Enrico), Dottore in Matematica, Professore or- dinario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche — e naturali nella R. Università di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ono- rario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, ecc., Uffiz. *&, Comm. «es. 29 Dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 1° aprile 1889. ACCADEMICI RESIDENTI SaLvaporI (Conte Tommaso), predetto. Cossa (Alfonso), predetto. BeRrruTI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita- liano a.r. e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Gr. Uffiz. «3; Comm. *, dell'O, di Francesco Giuseppe d'Austria, della L. d’O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. 25 Giugno 1871 - 27 luglio 1871. — Pensionato 1° maggio 1879. D'Ovipio (Enrico), predetto. Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Uno dei XL VI della Società Italiana delle Scienze, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Acca- demia dei Lincei, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania e dell’Accademia Pontaniana, Uffiz. £, ©&. 5 Dicembre 1880 - 23 dicembre 1880. — Pensionato 8 giugno 1893. Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’Isti- tuto di Francia (Accademia delle Scienze), della R. Accademia di Medicina di Torino, Uno dei XL della Società italiana delle Scienze, L. L. D. dell’Università di Worcester, Socio onorario della R. Accademia medica di Roma, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia medica di Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bo- logna, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze mediche e naturali di Bruxelles, della Società fisico-medica di Erlangen, Socio stra- niero della R. Accademia delle Scienze di Svezia, Socio corrispon- . dente della Società Reale di Napoli, Socio corrispondente della Società di Biologia di Parigi, ecc. ecc., &, Comm. es. 11 Dicembre 1881 - 25 dicembre 1881. — Pensionato 17 agosto 1894. Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Direttore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, e:. 15 Giugno 1884 - 6 luglio 1884. — Pensionato 5 settembre 1895. CamerANO (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol- tura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro della Società Zoologica di Francia, Membro corrispondente del Museo Civico di Rovereto, della Società Scientifica del Cile, della Società Spagnuola di Storia naturale e della Società Zoologica di Londra. 10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. VII SeeRE (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geo- metria superiore nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle Scienze (dei XL), Corrispondente della Società Fisico-Matematica di Erlangen. e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e. 10 Gennaio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898, Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Cal- colo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della “ Sociedad Cientifica , del Messico, Socio del Circolo Matematico di Palermo es. 25 Gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. JADANZA (Nicodemo), predetto. Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Nazio- nale della R. Accademia dei Lincei, Membro del Consiglio Su- periore della Pubblica Istruzione, Comm. «sm. 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895 GuarescHI (Icilio), Dottore in Scienze Naturali, Professore e Direttore dell'Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella R. Università di Torino, Direttore della Scuola di Far- macia, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Membro della Società Chimica di Berlino, ecc., em. 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. Gurpi (Camillo), Ingegnere, Professore ordinario di Statica grafica e scienza delle costruzioni e Direttore dell’annesso Labo- ratorio sperimentale nella R. Scuola di Applicazione per gl’In- gegneri in Torino, es. 31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. FrLeri (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario di Chimica generale e Rettore della R. Università di Torino, es. 31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. Parona (Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Pro- fessore e Direttore del Museo di Geologia della R. Università VIII di Torino, Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti e Corrispondente dell’I. R. Istituto Geologico di Vienna, ecc. 15 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. MartIRoLo (Oreste), Dottore in Medicina e Chirurgia e Scienze naturali, Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’Istituto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazio- nale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Me- dicina e della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bologna, della Società Imperiale di scienze naturali di Mosca, della Società Veneto Trentina, ecc. 10 Marzo 1901 - 16 marzo 1901. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI CANNIZZARO (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Acca- demia dei Lincei e della Società Reale di Napoli, Socio Cor- rispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio Corri- spondente dell'Istituto di Francia, Socio Corrispondente dell’Ac- cademia delle Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera, della Società Reale di Londra, della Società Reale di Edimburgo e della Società letteraria e filosofica di Manchester, Socio ono- rario della Società chimica tedesca, di Londra e Americana, Comm. *&, Gr. Uffiz. e», ©. 8 Luglio 1864 - 11 luglio 1864. SCRIAPARELLI (Giovanni), Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio IX Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Naturalisti di Mosca, della Società Reale e della Società astronomica di Londra, delle Società filosofiche di Filadelfia e di Manchester, e di altre Società scientifiche na- zionali e straniere, Gr. Cord. es, Comm. *&; hi, 16 Gennaio 1870 - 30 gennaio 1870. Stacci (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Arti- glieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, e dell’Accademia Pontaniana, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Uff. &, Comm. ess. 11 Giugno 1876 - 11 luglio 1876. — Pensionato 3 giugno 1884. Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Mate- matica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edimburgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi, di Svezia e di Cope- naghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Dublino, di Amsterdam e di Monaco, Membro onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luca, della Società Fisico-medica di Erlangen, della Società Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britan- nica pel progresso delle Scienze, Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), dell’Imperiale Accademia di Vienna, delle Reali Accademie di Berlino, del Belgio e di Lisbona, X e dell’Accademia Pontaniana in Napoli, Dottore (LL. D.) del- l’Università di Edimburgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di Du- blino, Professore emerito nell'Università di Bologna, Gr. Uffiz. *, Gr. Cord. es, Cav. e Cons. £. 1° Dicembre 1889 - 15 dicembre 1889. VoLrerRA (Vito), Dottore in Fisica, Professore di Fisica ma- tematica e di Meccanica celeste nella R. Università di Roma, Vicepresidente della Società Italiana di Fisica, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, Accademico corrispondente della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, Membro nazionale della Società degli Spettroscopisti italiani, Membro titolare corrispondente della Società di scienze fisiche e naturali di Bordeaux, ess. 3 Febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. FercoLA (Emanuele), Professore di Astronomia nella R. Uni- versità di Napoli, Socio ordinario residente della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della Società italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei, e dell’Accademia Pontaniana, Socio ordinario del R. Istituto d’in- coraggiamento alle Scienze naturali, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto, Comm. *, e. 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. FeLici (Riccardo), Professore Emerito della R. Università di Pisa, Socio ordinario della Società italiana delle Scienze detta dei XL e della R. Accademia dei Lincei, Presidente onorario della Società di Fisica Italiana, Socio Corrispondente della Società Fisico-medica di Wiirzburg, Socio onorario della Società Fisica di Londra, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere in Milano, della R. Ac- cademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, &, Gr. Uff. ea, © 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. XI BrancHi (Luigi), Professore di Geometria analitica nella R. Università di Pisa, Socio ordinagio della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle Scienze, detta dei XL; Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matema- tiche di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere in Milano, *, em. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi Superiore nella R. Università di Pisa, Direttore della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, Socio della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana detta dei XL, Corrispondente della R. Società delle Scienze di Gottinga, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, Membro straniero della London mathematical Society, Uff. *, Cav. es. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. GoLeI (Camillo), Senatore del Regno, membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei di Roma, Dottore in Scienze ad honorem dell’ Uni- versità di Cambridge, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Membro della Società per la medicina interna di Berlino, Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, della Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corri- spondente onorario della Newrological Society di Londra, Membro corrispondente della Société de Biologie di Parigi, Membro del- l’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina, Socio della R. Società delle Scienze di Gottinga e delle Società Fisico-Mediche di Wiirzburg, di Erlangen, di Gand, Membro della Società Anato- mica, Socio nazionale della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di medicina di Torino, Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Medico- Fisica Fiorentina, della R. Accademia delle Scienze mediche di Palermo, della Società Medico-Chirurgica di Bologna, Socio onorario della R. Accademia Medica di Roma, Socio ono- rario della R. Accademia Medico-chirurgica di Genova, Socio corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, dell’Acca- XII demia Medico-Chirurgica di Perugia, della Societas medicorum Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell’ American Neuro- logical. Association di New York, Socio onorario della Royal microscopical Society di Londra, Membro corrispondente della R. Accademia di medicina del Belgio, Membro onorario della So- cietà freniatrica italiana e dell’Associazione Medico-Lombarda, Socio onorario del Comizio agrario di Pavia, Professore ordi- nario di Patologia generale e di Istologia nella R. Università di Pavia, Cav. &, Comm. e. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. ACCADEMICI STRANIERI KeLvin (Guglielmo Thomson, Lord), Professore nell’Univer- sità di Glasgow. 31 Dicembre 1882 - 1° febbraio 1883. GecenBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. 31 Dicembre 1882 - 1° febbraio 1883. VircHow (Rodolfo), Professore nell'Università di Berlino. 1° Dicembre 1889 - 15 dicembre 1889. KoeLLIKER (Alberto von), Professore nell'Università di Wiirzburg. 11 Giugno 1893 . 25 giugno 1893. KLEIN (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. 10 Gennaio 1897 - 24 gennaio 1897. HAECKEL (Ernesto), Professore nella Università di Jena. 13 Febbraio 1998 - 24 febbraio 1898. BertHELOT (Marcellino), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto, Parigi. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Sroges (Giorgio Gabriele), Professore nell’ Università di Cambridge (Inghilterra). 14 Gennaio 1900 - 28 gennaio 1900. XIII CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICHE PURE Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova 16 Luglio 1864. Cantor (Maurizio), Professore nell’Univer- sità di . 25 Giugno 1876. Scnwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di . 19 Dicembre 1880. BertINI (Eugenio), Professore nella Regia Università di . 9 Marzo 1890. DaRBOouXx (G. Gastone), dell'Istituto di Francia 9 Marzo 1890. Porncaré.(G. Enrico), dell’Istituto di Francia 15 Maggio 1892. NorrHER (Massimiliano), Professore nell’ Uni- versità di 3 Dicembre 1893. Jorpan (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto 12 Gennaio 1896. Firenze Heidelberg Berlino Pisa Parigi Parigi Erlangen Parigi XIV Mrrrag-LeFFLER (Gustavo), Professore a 12 Gennaio 1896. Picarp (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell'Istituto di Francia . 10 Gennaio 1897. Cesàro (Ernesto), Professore nella R. Uni- versità di : 17 Aprile 1898. CasreLNUOvo(Guido), Professore nella R.. Uni- versità di 17 Aprile 1898. VERONESE (Giuseppe), Professore nella Regia Università di . 17 Aprile 1898. SEZIONE Stoccolma Pa rigi / Napoli Roma Padova DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE TaccHini (Pietro), Direttore dell’Osserva- torio del Collegio Romano 14 Dicembre 1884. FaseLLA (Felice) 14 Dicembre 1884. ZeuneR (Gustavo), Prof. nel Politecnico di 8 Dicembre 1893. Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nel- l’Università di . 27 Maggio 1894. LoreNZONI (Giuseppe), Professore nella Regia Università di 3 Febbraio 1895. Roma Torino Dresda Cambridge Padova XV CeLorIA (Giovanni), Astronomo all’Osser- Mo e e 0. id ortite lapo Hilaoa 12 Gennaio 1896. HeLmeRT (F. Roberto), Direttore del R. Isti- io Geodetico di Prussia. . . . . . . .’ Potsdam 12 Gennaio 1896. Favero (Giambattista), Professore nella R. Scuola di Applicazione degli Ingegneri in . Roma 10 Gennaio 1897. SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di . . . . . . Roma 30 Novembre 1873. KonLRrauscH (Federico), Presidente dell’Isti- tuto Fisico-Tecnico in... ..... . Charlottenburg 2 Gennaio 1881. Cornu(Maria Alfredo), dell'Istituto di Francia Parigi 2 Gennaio 1881. ViLLari (Emilio), Professore nella R. Uni- ie ro) . - gl > na 28 Aprile 1895. SEZIONE DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE KreHL (Ludolfo), Professore nell’ Univer- ee dal I ARA 25 Giugno 1857. Sourinpro MoHun Tagore . . . .. . Calcutta 18 Gennaio 1880. WeseR (Alberto), Professore nell’ Univer- sità di . <.. sii sile Redi < leer 20 Marzo 1881. KeRBAKER(Michele), Professore nella R. Uni- verata dica: - hood st-1 sonia appli 17 Giugno 1883. Mare (Aristide) rin. tto fate aueneagoe (Francia) 1° Febbraio 1885. OpPERT (Giulio), Professore nel Collegio di Francia . 4 osuslil-ieb atotioli@ -(ogiioT) Pesio 3 Marzo 1889. Gui (Ignazio), Professore nella R. Uni- versità "gle I ART. (sgalie 3 Marzo 1889. XXXIII AxeLINEAU (Emilio), Professore nella “ École Me digutes Eiudes dio Asha, po inati hà Parigi 28 Aprile 1895. FoersteR (Wendelin), Professore nell’Uni- i arcata lo paria cin ti CN © Sì Di = i a) to + CS » 2 3 Ms ") (70) (A) è ) D) [p) 65 :£ pes (cp) ,lracod. A) alosmastiaci O , CAPEDER - © ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO, MILANO FEDERIGO ENRIQUES — INTORNO AI FONDAMENTI, ECC. 19 Intorno ai fondamenti della Geometria sopra le superficie algebriche. Nota di FEDERIGO ENRIQUES. In un corso tenuto all’Università di Bologna, l’anno 1898-99, ebbi occasione di riprendere in esame i principii generali della Geometria sopra le superficie algebriche, svolti in due memorie del 1893 e del 1896 (*), e di dare alla teoria un assetto nuovo, conforme alle esigenze didattiche dell’insegnamento. Si tratta, anzitutto, di un rimaneggiamento dei primi teo- remi relativi ai sistemi lineari completi e alle operazioni ele- mentari sopra di essi, teoremi che vengono dati ormai con tutta la semplicità desiderabile. In secondo luogo di un modo nuovo d’introdurre le curve aggiunte ad un sistema lineare, ricorrendo alla considerazione della jacobiana di una rete. Si è condotti di qui a dimostrare molto facilmente quella proprietà fondamentale delle curve aggiunte, che domina tutta la teoria di esse, e per- mette di determinare i sistemi e i caratteri invarianti della su- perficie. Nella presente Nota mi propongo di esporre i principii della Geometria sopra una superficie, seguendo il piano del corso dianzi accennato. Ma, costretto da varie ragioni ad essere breve, mi limito ad indicare soltanto la traccia delle dimostrazioni. Il let- tore che ha qualche familiarità coll’argomento riuscirà facilmente a ricostruire tutti i minuti particolari. Oltre alle mie citate Memorie, e segnatamente alla seconda di esse, ho tenuto sott’occhio il recente lavoro pubblicato in col- (*) Ricerche di Geometria sulle superficie algebriche, “ Memorie dell’Ac- cademia delle scienze di Torino ,, serie II, t. XLiV. — Introduzione alla Geometria sopra le superficie algebriche, È Memorie della Società italiana delle Scienze detta dei XL ,, serie III, t. X. 20 FEDERIGO ENKIQUES laborazione col sig. Castelnuovo: Sopra alcune questioni fonda- mentali nella teoria delle superficie algebriche (*), sicchè la presente Nota potrebbe riguardarsi come lo sviluppo del $ I e di una parte del $ II del suddetto lavoro. Nel quale è pur contenuta un’idea che mi ha guidato durante l’attuale redazione come cri- terio semplificatore, e mi ha permesso di eliminare tante minute difficoltà inerenti agli sviluppi della mia Introduzione. Notoriamente è precipua cagione di difficoltà, nello studio delle superficie, il fatto che un punto (semplice) possa mutarsi per effetto di una trasformazione birazionale in una linea (ecce- zionale); cosa che non ha alcun riscontro nella teoria delle curve. Fino dal 1893 io intravidi il modo di superare la difficoltà accennata “ Trasformare la superficie data in un’altra, priva di curve eccezionali ,. Questa trasformazione non è possibile per le superficie razionali e per le rigate, ma è ormai dimostrata pos- sibile per tutte le altre superficie (**). Io ebbi sempre la convin- zione di questo resultato che ha costato molta fatica, sebbene non riuscissi a giustificarlo che sotto restrizioni superflue (***). Questa convinzione mi ha indotto, nella Introduzione del 96, a porre innanzi il concetto dell'ente algebrico doppiamente infinito, in modo rispondente ad una superficie senza curve eccezionali. Ma per piegare a questo concetto la teoria delle superficie, fino dal principio, in modo da abbracciare anche il caso del piano e delle rigate, si è costretti a porre delle convenzioni, che rie- scono un po’ sforzate. A dir il vero, queste convenzioni avevano lo scopo di dare fino dal principio alla teoria un significato invariante, in senso assoluto, rispetto alle trasformazioni birazionali. La nuova idea semplificatrice è che conviene studiare dapprima le proprietà dei sistemi lineari, sopra una superficie, che permangono in ogni trasformazione birazionale di essa non producente nuove curve eccezionali. Si tratta dunque di considerare un’invarianza relativa invece di un’invarianza assoluta; ma è poi facile passare dalle proprietà invarianti in senso relativo ad altre proprietà inva- rianti in senso assoluto. (*) “ Annali di Matematica ,, serie HI, t. VI. (**) CasreLnuovo e ExriQuEs, loc. cit. (*##*) Introduzione....., $ 42. INTORNO Al FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 21 Dirò in fine che riferisco sempre il mio studio a superficie affatto prive di singolarità (appartenenti ad uno spazio con un numero qualunque di dimensioni), il che non costituisce, come è noto, una restrizione essenziale. Quando la superficie data si trasformi in un’altra con punti singolari, occorre considerare questi come sciolti, in modo opportuno, secondo risulta dall'esame di ciò che corrisponde ad essi sopra la superficie primitiva. Quanto ai sistemi lineari di curve tracciate sopra una su- perficie (senza singolarità), considero i punti base di essi, nei casi di singolarità straordinarie, come la riunione di punti mul- tipli ordinari infinitamente vicini, precisamente come nella teoria delle curve piane. Ciò è pienamente giustificato dal fatto che si può sempre rimpiazzare l’intorno d’ordine » di un punto sem- plice, sopra una superficie di $3, coll’intorno del punto stesso sopra il paraboloide d’ordine n, osculatore in esso alla super- ficie stessa. 1. — Sia / la superficie, affatto priva di singolarità, cui rife- riamo il nostro studio. Un sistema lineare 0° (r20) di curve (algebriche) C sopra £, si può definire mediante un sistema lineare di varietà a & — 1 dimensioni dello spazio S, cui F appartiene: fi +. + pifra = 0. Le suddette varietà segano sopra le curve C, all'infuori di qualche curva fissa X, comune a tutte le varietà fi=0 ...fra=0, la quale non voglia considerarsi come appartenente alle curve C. Il sistema delle C si designerà con |C|. Le C possono contenere, del resto, qualche componente fissa, che insieme alla KX costituisca l’intiera curva comune alla super- ficie F e alle varietà et dd Le €, anche all’infuori delle loro eventuali componenti fisse, possono avere qualche punto fisso comune, avente per esse una 22 FEDERIGO ENRIQUES certa molteplicità i, che si dirà un punto base pel sistema |C|. Un punto qualunque appartenente ad una componente fissa delle C' può anche riguardarsi come un punto base di |], ma non viene riguardato come tale salvo un’esplicita convenzione relativa a qualche punto particolare della suddetta curva. 2. — Quando si trasforma birazionalmente la superficie F° in una superficie 7}, il sistema lineare |C| di F si trasforma in un sistema lineare |C,| sopra £1. Un punto base di |C}, iplo per le C, che non sia fondamen- tale per la trasformazione, si muta in un punto base di |C|, iplo per le C,. Un punto base A di |C|, fondamentale per la trasforma- zione, ha come corrispondente su F, una curva a, che dicesi eccezionale. Siamo liberi di convenire che la a debba riguardarsi come parte fissa delle C,, oppur no; occorre però che adottiamo una convenzione uniforme relativamente al sistema !C|, considerato rispetto ad una qualsiasi trasformazione della superficie F. Questa convenzione si riflette in un carattere invariante che attribuiamo al sistema lineare | C |. Esprimeremo la suddetta convenzione nel modo seguente: Un punto A base iplo pel sistema |C|, verrà riguardato come un punto base accidentale o virtualmente non esistente, allorchè si convenga che la curva eccezionale a, nascente da A per una trasformazione dove A sia punto fondamentale, non debba con- siderarsi come parte fissa delle curve Ci, trasformate delle C. All’opposto un punto base iplo (£>0) pel sistema |C| (in particolare un punto della eventuale componente fissa delle C), verrà riguardato come un punto base assegnato di molteplicità virtuale i, allorchè la nominata curva a nascente da A si com- puti, contata î volte, come parte fissa delle Ci. Finalmente un punto base iplo per |C|, potrà riguardarsi anche come un punto base assegnato di molteplicità virtuale j0), e di molteplicità accidentale i (punto base ipermultiplo) quando si convenga di contare la a, come parte fissa delle C., soltanto j volte. INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 23 3. — Un sistema lineare |C|, virtualmente privo di punti base sopra F, si dirà completo (o normale) (*), quando esso non sia contenuto in un sistema lineare più ampio di curve del me- desimo ordine. | Una curva C, data su F, appartiene ad un determinato si- stema lineare completo di curve dello stesso ordine, virtualmente privo di punti base. Questo teorema si dimostra nel seguente modo. Anzitutto la C appartiene a qualche sistema lineare 00”, con r20. Ed inoltre la dimensione r di un sistema contenente C non può superare il numero delle intersezioni delle curve C con una curva d’ ordine superiore a quello delle C, tracciata sulla superficie. Perciò partendo da un sistema lineare di curve dello stesso ordine contenente C, ed ampliandolo successivamente, si dovrà giungere ad un sistema completo cui C' appartiene. Per mostrare che tale sistema è unico, basta far vedere che due sistemi lineari di curve dello stesso ordine, contenenti la €, sono contenuti in un medesimo sistema lineare di curve ancora dello stesso ordine. Se i due sistemi dati sono tali che l’uno non contenga l’altro, il nuovo sistema costruito sarà più ampio di entrambi, e perciò nessuno dei due sistemi suddetti potrà essere completo. Si abbiano dunque due sistemi lineari |C,],'C,| di curve dello stesso ordine, contenenti la (. Essi vengono segati rispettivamente da due sistemi lineari di varietà Z\fi=0, zug;= 0, il primo dei quali potrà avere su Y una certa curva base K comune alle f;= 0, non computata come parte fissa delle C,, e il secondo una certa curva L comune alle ®, = 0, non compu- tata come parte fissa delle Ch. Sieno p. e. (14 (*) La parola cfr. n° 9. normale , è usata ordinariamente nella Introduzione..., 24 FEDERIGO ENRIQUES le. varietà, appartenenti rispettivamente ai due sistemi, che de- terminano la curva C. Costruiamo allora il sistema lineare di varietà PEXf +fnThP = 0. Questo determina sopra / un sistema lineare di curve, che ha come curve fisse le C, K, L, giacchè i punti di C si trovano contemporaneamente su p, = 0, fy1= 0, i punti di X apparten- gono a f,=0 ed a tutte le altre ffl=0, ed i punti di L alle pi = 0 (21). Sopprimendo le nominate componenti fisse C, K, L, il sistema delle varietà che abbiamo costruito determina su un sistema lineare di curve dello stesso ordine di C, contenente ambedue i sistemi | C,| e | Cs]. Con ciò il teorema è dimostrato. 4. — Un sistema lineare di curve C avente, sopra la su- perficie /, dei punti base assegnati con date molteplicità vir- tuali, si dirà completo, se non è contenuto in un sistema lineare più ampio di curve del medesimo ordine, avente gli stessi punti base assegnati colle molteplicità loro attribuite (non è escluso che il sistema abbia altri punti base accidentali, di cui non si tien conto, ecc.). Sta C una qualunque curva data sopra la superficie F, e sì assegnino su C dei punti (in numero finito) come punti base di un sistema lineare, attribuendo a ciascuno di essi una molteplicità vir- tuale non superiore alla molteplicità effettiva di esso per la C; esiste allora un determinato sistema lineare completo, avente i punti base assegnati, cui C appartiene. Vale la stessa dimostrazione sviluppata nel n° precedente. Nel seguito considereremo sempre sistemi lineari completi, ed allorchè un sistema completo verrà definito mediante qualche curva contenuta in esso, avremo cura di dichiarare quali punti base vengano assegnati per definire il completamento. Quando non si dica nulla in proposito sarà sottinteso che nessun punto della curva venga assegnato come punto base. INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 25 5. — In ogni trasformazione birazionale della superficie F, un sistema lineare completo si trasforma in un sistema lineare completo. Questa è una conseguenza immediata delle nostre definizioni. Si avverta che un sistema |C|, virtualmente privo di punti base sopra la superficie /, non si trasforma sempre in un si- stema ugualmente privo di punto base. Se infatti la trasformazione birazionale che fa passare da / ad una nuova superficie F,, muta una curva eccezionale a di F in un punto (fondamentale) 4 di Y,, e se la « non entra come parte fissa nelle curve C ed ha con esse un certo numero d’in- tersezioni î>0, il punto A di F, sarà un punto base pel sistema |C,| trasformato di |C |, avente una molteplicità virtuale î, eguale alla molteplicità effettiva di esso per le C,. 6. — Dati sopra la superficie F due sistemi lineuri completi | C \K|, esiste un determinato sistema lineare completo |C + K| conte- nente tutte le curve composte C + K. È il sistema completo definito da una qualunque delle curve C+ K. Ove i sistemi |C| e |K| abbiano dei punti base assegnati, questi dovranno riguardarsi come punti base assegnati anche per |C + K|; precisamente ogni punto di molteplicità virtuale è per |C| e j per |K|, sarà per |C+ K| un punto di molteplicità virtuale è + /. Giova osservare che se ad es. |C| ha un punto base acci- dentale, questo non sarà in generale un punto base per |C+- £ |, anzi si può sempre sceglier | XK} per modo da far sì che le curve del sistema completo |C + X| non passino per quel punto. Un punto di Y, che non sia un punto base accidentale per uno dei due sistemi |C|, | K|, non potrà mai essere un punto base accidentale pel sistema somma. 7. — Steno |C| e |K| due sistemi lineari completi sopra la superficie F, tali che il sistema |K| non possegga alcun punto base avente una molteplicità virtuale superiore a quella del punto stesso per |C|. Se |C| contiene parzialmente una curva K per modo che esista almeno una curva residua X, la quale presa insieme con K 26 FEDERIGO ENRIQUES costituisca una curva (totale) del sistema |C|, allora tutte le curve K sono contenute parzialmente in |C|, e le loro curve residue appar- tengono al sistema lineare completo |X| definito dalla X. Questo sistema si chiamerà differenza di |C|,|K| e si designerà con XII]. Il teorema enunciato si dimostra osservando che la X ap- partiene ad un sistema lineare completo |_X], il quale sommato a |K| dà luogo al sistema completo IK+X]|=|C1. Le molteplicità virtuali dei punti base, che debbono riguar- darsi come assegnati per |C— K], si desumono per differenza da quelle dei punti stessi per |C| e | XK]. Nella sottrazione di | K| da |C|, possono nascere dei nuovi punti base accidentali, 1 quali sono da riguardarsi virtualmente come inesistenti. Per effetto di queste convenzioni, dipendenti da quelle già stabilite, il teorema enunciato non subisce alcuna eccezione o limitazione. 8. — Le curve di un sistema lineare possono essere irri- ducibili o riducibili. Questo secondo caso dà luogo al teorema: Se le curve di un sistema lineare sono riducibili, ogni curva generica di esso si compone di qualche parte fissa (comune a tutte) e di una parte variabile irriducibile, oppure di parti fisse e di una parte variabile composta con più curve di un fascio razionale 0 no. S'intende per “ fascio , una serie 00’ di curve, tale che per ogni punto generico della superficie vi sia una curva della serie. Notoriamente la serie può essere razionale, nel qual caso essa costituisce un sistema lineare 00’, oppure irrazionale come avviene, ad es., per la serie delle generatrici di una rigata di genere p>0. Per la dimostrazione del teorema cfr. la Introduzione..., num. 5. La irriducibilità di un sistema lineare |C| appartenente alla superficie ”, non ha sempre carattere invariante (in senso asso- luto) rispetto alle trasformazioni birazionali, se |C| ha dei punti INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 27 base accidentali o dei punti base assegnati, accidentalmente iper- multipli. Infatti un punto base siffatto si può trasformare in una curva fissa comune alle trasformate delle C. È invariante la irriducibilità di un sistema privo di punti base ipermultipli. 9. — Sommando due sistemi lineari irriducibili, che non coincidano in un unico fascio, si ottengono sempre sistemi irri- ducibili. Sottraendo una curva (o un sistema) da un sistema lineare irriducibile, si può ottenere talvolta un sistema differenza ridu- cibile. 10. — Ad un sistema lineare 00”, |C|, dato sopra la super- ficie F, appartengono, oltre la dimensione r,j due caratteri inva- rianti per trasformazioni birazionali della superficie: 1) il genere ni; 2) e il grado n. Il significato di questi caratteri è chiaro anzitutto per i sistemi lineari irriducibili, non aventi dei punti base accidentali o ipermultipli. Allora dicesi genere di |C|, il genere della curva generica C; e dicesi grado di |C|, il numero delle intersezioni variabili di due © generiche. Se |C|, pur essendo irriducibile sopra Y, ha dei punti base accidentali, il genere (effettivo) p delle C deve essere aumentato di sel in corrispondenza ad ogni punto base, iplo per esse ; si definirà quindi il genere (genere virtuale) di |C|, mediante la formula i(i—-1) DRTRA: n=pt+% dove la sommatoria è estesa ai punti base accidentali. Il grado (virtuale) di |C| è il numero v delle intersezioni variabili di due C (grado effettivo) aumentato del numero delle intersezioni fisse assorbite dai punti base; esso vale dunque: n=V+Zi?. 28 FEDERIGO ENRIQUES Se poi il sistema irriducibile |C| è dotato anche di punti base assegnati (ipermultipli) ove si hanno molteplicità acciden- tali s, s,... superiori a quelle virtuali j, j;..., il genere virtuale di |C| verrà dato dalla formula TA Li 4eR ln il grado virtuale di |C| verrà definito ponendo n=v+2i? | X(s°— }2) (3). Intanto restano così definiti il genere e il grado, virtuali, per ogni sistema lineare irriducibile appartenente alla super- ficie F. 11. — Per passare al caso dei sistemi lineari riducibili, conviene premettere il seguente lemma: Si abbiano su F due sistemi lineari irriducibili |C,| |Col, di dimensione 21, non coincidenti in un unico fascio, e sieno tt, Tra, n, ns è loro rispettivi generi e gradi (virtuali); sia i il numero delle intersezioni virtuali di una C, e di una Cz, cioè il numero delle intersezioni di C,, C., valutato contando debitamente le solu- zioni multiple, ma defalcando il prodotto i, i. per ogni punto base avente per |C,|, |Cs| le rispettive molteplicità virtuali i, i; allora o sistema irriducibile |C, + C.| ha il genere n= + n 4 2i. La seconda di queste due formole si giustifica subito in base alle definizioni date. Per giustificare la prima si può ricorrere ad alcune considerazioni della teoria della connessione come nella mia “ Introduzione... ,, n° 16, oppure ad una proiezione dei si- stemi |C| e | K| sopra un piano, come ha indicato il sig. Picard (Cfr. Picarp et Simart, Théorie des fonctions algébriques de deux variables indépendantes, t. II, p. 106) (**). e il grado (*) Qui interverrebbe qualche minuta considerazione pel caso in cui il sistema |C| abbia dei punti base infinitamente vicini; ma possiamo dispen- sarcene. (#*) Paris, Gauthier-Villars, 1900. INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 29 12. — Ora possiamo definire il genere e il grado virtuale per un sistema lineare |C|, comunque riducibile, dato sopra la superficie F. Anzitutto scegliamo un ordine m così elevato, che vi sieno delle varietà d’ordine m dello spazio S, cui / appartiene, pas- santi per una curva C ed aventi un sistema di curve residue K, irriducibili, senza punti base. Innalzando se occorre ancora l’ordine wm, possiamo ottenere che il sistema lineare |C +4 XK], dotato dei medesimi punti base assegnati di |C|, sia irriducibile, ed anche, se si vuole, che esso non abbia punti base accidentali o ipermultipli. Sieno ora , » il genere e il grado di |K|; TT, N i carat- teri analoghi di |C + X|, ed è il numero delle intersezioni di una C e di una KX generiche. Definiamo il genere « e il grado y (virtuali) di |C{[, rispettivamente mediante le equazioni t4+x+iT-1=Il n+y+2i=N. Tale definizione fa dipendere apparentemente i caratteri di |C| dalla scelta del sistema ausiliario | K|. È facile però di- mostrare, che i suddetti caratteri riescono indipendenti da tale scelta. Perciò si consideri invece di|K|un qualsiasi sistema lineare irriducibile |K,|, di genere e grado m,, n;, non avente punti base su F, il quale sommato a |C| dia un sistema |C+ XK] irridu- cibile. Detti TT, N; il genere e il grado di |C + K,|, e detto i, il numero (virtuale) delle intersezioni di una C e di una K,, è facile provare che le equazioni t+xax+i-1=Tl t+xax+àa—-1=Tl,, e le nt+y+26=N nt+y+2a=N, conducono ai medesimi valori di x, y. Basta a tal fine applicare le formule del n° 11, al sistema |C+K+K]|=[|[(C+K)+K|=[|(C+K)+K|. 30 FEDERIGO ENRIQUES Riesce quindi perfettamente agevole di estendere le formule citate al caso in cui sì sommino due sistemi lineari comunque riducibili. Si arriva pertanto alla conclusione seguente: Per ogni sistema lineare, comunque riducibile, di dimensione 2 0, appartenente alla superficie F, sono definiti due caratteri virtuali, detti genere e grado, invarianti rispetto alle trasformazioni bira- zionali della superficie. La definizione è tale che ricade nella defini- zione del genere e del grado effettivi per ogni sistema irriducibile non avente dei punti base dotati di molteplicità accidentale su- periore alla rispettiva molteplicità virtuale. Essa è inoltre tale che sommando due qualunque sistemi lineari \C,| |Cx} rispettivamente di genere virtuale n, T e di grado n, ns, dove il numero virtuale delle intersezioni di una C, con una C, sia i, sì ottiene un sistema lineare |C, + C3| di genere qe=mt+mdti-1 e di grado n= tnt 2t. 13. — Sia |C| un sistema lineare irriducibile, 0? almeno, sopra la superficie Y (che per ipotesi non ha alcuna singolarità). Consideriamo entro | C| un qualsiasi sistema lineare co? (rete). Il luogo dei punti della superficie che sono doppi per una curva della rete, è generalmente una linea (algebrica) che diremo jaco- biana della rete. Fa eccezione il caso in cui la rete di cui si tratta contenga come parti variabili delle curve composte colle curve di un fascio, giacchè allora la jacobiana diviene indeterminata. Volendo esclu- dere questo caso, considereremo, entro |C|, reti generiche per cui le parti variabili sieno irriducibili. Questa restrizione verrà sottintesa nel seguito, ove parlando della jacobiana di una rete, s’intenderà naturalmente di supporre che essa sia una curva determinata. Avremo ora: Le jacobiane delle reti appartenenti al sistema lineare |C}, stanno tutte in un medesimo sistema lineare. Anzitutto l’enunciato è evidentemente soddisfatto se |C| è una rete. INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. A Se |C| è un sistema lineare 003, si trasformi la superficie F in una F, dello spazio $3, sopra cui le C vengano segate dai piani; la trasformazione riesce generalmente birazionale, e sup- porremo appunto che ciò avvenga, riservandoci a mostrare più tardi che si tratta di una restrizione non essenziale. * Le jacobiane delle reti contenute in |C| vengono rappre- sentate sopra F, dalle sezioni di Y, colle superficie prime polari di essa; perciò le suddette jacobiane appartengono ad un sistema lineare 003. Se la dimensione di |C| è superiore a 3, date in esso due reti, è facile costruire entro |C} tre sistemi lineari co° a, 8, Y, il primo dei quali contenga una delle due reti, il terzo l’altra, e siffatti che il sistema intermedio B abbia comune una rete con ciascuno dei due nominati a, y. Per il teorema del n° 4, i sistemi jacobiani di @, 8, y, saranno quindi contenuti in un me- desimo sistema lineare completo di curve dello stesso ordine, a cui appartengono tutte le jacobiane delle reti contenute in |C|. Il teorema enunciato resta così dimostrato completamente salvo un'ipotesi restrittiva che abbiamo fatto per via intorno ai sistemi lineari 00°, la quale restrizione si può esprimere dicendo che “ le curve del sistema passanti per un punto generico non passino in conseguenza per altri punti della superficie, variabili col primo ,. Avendosi ora un sistema lineare |C| co°, per cui tale restri- zione non fosse soddisfatta, la trasformazione eseguita innanzi non ci condurrebbe più da F ad una superficie semplice F, in corrispondenza birazionale con essa, ma ad una superficie mul- tipla, composta di una superficie F, contata un certo numero di volte. La corrispondenza tra Y, Y, sarebbe allora razionale in un senso solo. In tal caso le jacobiane delle reti contenute in |C1 avrebbero come corrispondenti su /,, non le sezioni di F, colle sue polari, ma queste sezioni aumentate della curva di dirama- zione della superficie multipla Y. Pertanto la conclusione che le jacobiane delle reti suddette appartengano ad un sistema lineare, permane anche in questo caso. K così la restrizione introdotta nel corso della precedente dimostrazione resta eliminata. 32 FEDERIGO ENRIQUES 14. — Dato sopra F un sistema lineare irriducibile |C|, 00? almeno, virtualmente privo di punti base, le curve jaco- biane delle reti contenute in |C|, appartengono come si è detto ad un sistema lineare. Le suddette jacobiane potranno avere sopra dei punti fissi comuni; ciò accade anzi generalmente se | C| è 00'; si hanno allora come punti fissi quei punti che sono doppi per co! curve C. Noi renderemo completo il sistema, senza tener conto dei punti suddetti, riguardandoli cioè come virtualmente inesistenti. Definiremo per tal modo il sistema completo jacobiano di | C|, che verrà generalmente designato con |C;|. 15. — Ora possiamo estendere la definizione precedente al caso in cui si abbia sopra Y un sistema lineare irriducibile | C|, c° almeno, dotato di punti base assegnati. Osserveremo anzitutto che un punto base iplo per le C, è generalmente (3î — 1) plo per la jacobiana di una rete conte- nuta in |C|, come si verifica facilmente. Ciò posto definiremo il sistema lineare completo |C;| jacobiano di |C|, come quel sistema completo che contiene tutte le jacobiane delle reti appartenenti a |C|, ed è dotato di un punto di moltepli- cità virtuale 3i — 1 in ogni punto base di molteplicità vir- tuale è per |C|. È inutile insistere sul significato di tale definizione : le jaco- biane delle reti contenute in |C}| potrebbero ben avere in un punto A, base per |C| di molteplicità virtuale 2, una molteplicità effettiva superiore a 3i — 1, sia perchè il punto A stesso abbia già per |C| una molteplicità effettiva superiore ad î, sia anche per la presenza di altri punti base di |C| infinitamente vicini ad A; ma le curve generiche del sistema completo |C;| avranno generalmente, anche in questi casi, in A, la molteplicità effettiva = virtuale 3° — 1, e solo per condizioni particolarissime esse avranno nel detto punto A una molteplicità accidentale supe- riore alla virtuale 3° — 1. 16. — Si abbia sopra la superficie F un sistema lineare irri- ducibile |C}, c0° almeno, virtualmente privo di punti base; e som- mando ad esso una curva K, sulla quale non vengano assegnati dei punti base, si ottenga un sistema irriducibile |C + K|. Il si- INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 39 stema jacobiano di questo si potrà ottenere sommando allo jaco- biano del sistema |C| la curva K contata 3 volte: (C+ K};j=]G+3K]. Si prenda entro il sistema |C + X]| una rete di curve com- poste di una curva X fissa, e di 00° €. La jacobiana di questa rete, consta evidentemente della jaco- biana della rete costituita dalle C, e della curva X contata un certo numero di volte, giacchè ogni punto della X è doppio per co! curve K + C. Ora è facile valutare quante volte la K entri a costituire la jacobiana suddetta e mostrare che deve en- trarvi 3 volte. Basta per ciò calcolare (virtualmente) il numero delle intersezioni delle C; e delle |(K+- C);| colle C. Questo calcolo virtuale si effettua in ogni caso come quando |G|.e |K + C| sieno affatto privi di punti base accidentali. Indi- cando con m il genere di |C|, e con # il suo grado, la serie (ca- ratteristica) segata sopra una C dalle rimanenti curve C di una rete cui C appartiene, sarà una g,', dotata di 2n 42m — 2 punti doppi; questi punti sono le intersezioni di C colla jacobiana C; della rete. Si consideri poi una rete irriducibile contenuta in | C+ K], a cui appartenga una curva composta C+ KX. Questa rete se- gherà sopra la C suddetta una serie g’;;,, designando con è il numero delle intersezioni di X con C. Ora la g/.., ha 2(i+ n) + + 2m—2 punti doppi i quali presi insieme colle è intersezioni della X con C, costituiscono le 34 4 2n 42m — 2 interse- zioni di C colla jacobiana della rete considerata. Il numero delle intersezioni delle curve di |[(C + £);| con C, supera dunque di 3% il numero delle intersezioni delle C; con C; e poichè abbiamo già veduto che |(C + X),| si ottiene da |C| sommando a questo sistema la KX contata un certo numero di volte, si conclude ora che questo numero è 3, cioè: (C+ E);|=|0 +3]. edd. 17. — Dato sopra F un sistema lineare |C| irriducibile, 00° almeno, diremo curve aggiunte a |C| e designeremo con (", Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 3 94 FEDERIGO ENRIQUES le curve residue di |2C| rispetto al sistema jacobiano |C;|, sup- poste esistenti. Le curve Cl", se esistono, compongono un sistema lineare com- pleto |C'| che dicesi aggiunto a |C|, ed è definito dalla rela- zione simbolica |0"|=|C; — 2C|. Le curve aggiunte a |C| hanno per la definizione, un punto base di molteplicità virtuale i — 1 in ogni punto base di molteplicità virtuale i per |C| (n° 15). 18. — Seul sistema irriducibile |C|, di genere (virtuale = ef- fettivo) 7 (>1) non ha punti base dotati di ipermolteplicità ac- cidentali, le curve C' aggiunte ad esso segano, sopra una © gene- rica, gruppi della serie canonica gTy Infatti, designando con » il grado di |C|, una rete gene- rica di curve contenuta in |C|, sega sopra una € generica della rete stessa una serie (caratteristica) g',, i cui 2wn + 2n — 2 punti doppi sono le intersezioni della jacobiana della rete colla sud- detta C; ora il gruppo dei 2n +27 — 2 punti individua una serie lineare completa g3rt77% che contiene, se m >I, il dop- pio 9» della serie g',; e la residua serie Ga-2 = Yn+2n-2 — Y2n; è la serie canonica di € (*). Il teorema ora dimostrato è invertibile solo condizionata- mente, cioè quando il sistema |C'|, supposto di dimensione r 22, non contenga 00"! curve spezzate. Nel n° 28 dell’Introduzione . .. tale inversione è data nel- l'ipotesi = 3. Non ce ne occuperemo qui, poichè essa non è essenziale per il seguito. 19. — Si abbia sopra la superficie F, un sistema lineare ir- riducibile |C|, co? almeno, virtualmente privo di punti base; e som- mando ad esso una curva K, sulla quale non vengano assegnati dei punti base, si ottenga un sistema irriducibile |C+ K|. Il si- (*) Il lemma sulle curve qui adoperato, si giustifica molto facilmente e conduce alla più semplice dimostrazione diretta del teorema d’invarianza della serie canonica. Ho sviluppato questa dimostrazione nelle mie lezioni sulle curve, tenute all’Università di Bologna l’anno 1897-98. INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. ha stema aggiunto di questo si potrà ottenere sommando la curva K al sistema aggiunto a |C| (supposto esistente) : MORI]. Infatti, se esiste |C"|, si ha ci=|G- 2c] (C+ Ky|=]|(C+K)_—2C—-2K,, e per il n° 16 (C+); =|]G+3K], quindi i | +K|=]|(C+ K)| cdd. Il teorema esposto esprime la proprietà fondamentale delle curve aggiunte. 20. — Esso permette di estendere la definizione delle curve aggiunte relativamente ad un qualsiasi sistema lineare, di dimen- sione Z 0, irriducibile 0 no. Anzitutto se |C| è un qualsiasi sistema lineare virtualmente privo di punti base sopra la superficie /, si può sempre som- mare a |C| un sistema lineare irriducibile | K|, di dimensione 2 r, senza punti base su Y, per modo che |C-| K| riesca irriduci- bile. Allora le curve C° aggiunte a |C|j supposte esistenti, ver- ranno definite dalla relazione simbolica |C'1=|[|[(C+A)— K|. È importante osservare che tale definizione risulta indipen- dente dall’arbitrarietà che compare nella scelta del sistema au- siliario | K], perciocchè se a | K]si sostituisce con altro sistema | L|, nelle medesime condizioni, si ha |(C+ K)"+ L!=|(C+ L)'+ K]=|(C+K+ L)'|, e quindi KE E|=[(C+T)- LI 36 FEDERIGO ENRIQUES Se poi |Cj ha dei punti base assegnati, le curve aggiunte ad esso (supposte esistenti) si otterranno dalle aggiunte al si- stema stesso in cui i punti base si considerino come inesistenti, assegnando ad esse la molteplicità virtuale è — 1 in corrispon- denza ad ogni punto base di molteplicità virtuale è per |C|. Questa ultima definizione relativa ai sistemi |C| dotati di punti base assegnati, è d’accordo con ciò che abbiamo detto alan 21. — Se due superficie F, F.,, prive di singolarità, sono in corrispondenza birazionale luna coll’altra, e |C| |Cx| sono due si- stemi lineari che si corrispondono sopra di esse; le curve C' ag- giunte a |C; (supposte esistenti) hanno come corrispondenti le curve 0", aggiunte a |C,!, aumentate di quelle curve eccezionali fisse, che cor- rispondano a punti di F, fondamentali per la trasformazione, e non base per |C|. Stante il modo in cui sono state introdotte le curve ag- giunte, ed in particolare tenendo presente il n° 20, basterà dimostrare il teorema nell’ipotesi che |C| sia un sistema lineare irriducibile, c0° almeno, distinguendo i due casi in cui esso sia privo di punti base sopra F, o abbia invece un punto base (as- segnato) in un punto fondamentale 4A cui corrisponda su #, una curva eccezionale a. Pel primo caso osserviamo che la jacobiana di una rete con- tenuta in |C| si muta, per effetto della trasformazione, in una parte della jacobiana della rete omologa di |C|, la quale deve essere completata aggiungendovi le curve eccezionali analoghe ad a. È chiaro infatti che un qualunque punto di « (o di ogni altra curva eccezionale analoga, trasformata di un punto di F), appartiene alla jacobiana di ogni rete contenuta in |C,], poichè vi è nella rete una curva spezzata nella a e in una curva re- sidua per il punto. Ora tenendo conto della definizione delle curve aggiunte del ue EG |C'| AU, si deduce appunto che le trasformate delle C' sopra Y,, prese insieme alle curve eccezionali predette, costituiscono le curve C4/, aggiunte a |Cl. INTORNO Al FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 37 Relativamente al 2° caso in cui |C| abbia in A un punto base, che potremo supporre, per semplicità, di molteplicità vir- tuale eguale alla effettiva, si può ripetere il ragionamento pre- cedente, salvo che la a non presenta più una sola condizione alle C. che debbano contenerla, per modo che un punto di « non è in generale un punto doppio per una €; spezzata nella « e in una curva residua (come avveniva nel caso precedente). In questo caso dunque la a non fa parte delle curve jacobiane di |C,|, e quindi neppure delle curve aggiunte ad esso. Il teorema dimostrato stabilisce che l'operazione di aggiun- zione (facente passare da un sistema lineare al suo aggiunto) ha carattere invariante relativo nelle trasformazioni birazionali della superficie, ossia ha carattere invariante @ meno di curve eccezio- nali fondamentali per la trasformazione. Perciò i sistemi e i caratteri invarianti di una superficie, che si desumono a partire da un qualsiasi sistema lineare di essa operando per aggiunzione, per somma, e per sottrazione, in quanto possano venire influenzati dalla presenza delle suddette curve eccezionali, sono invarianti relativi (cfr. i ni 23, 24, 25). 22. — La superficie / priva di singolarità, supposta appar- tenente ad uno spazio S, con 423, può proiettarsi in una su- perficie dello spazio ordinario Ss. Eseguendo la proiezione da punti esterni generici, si avrà in S3 una 7,, dello stesso ordine x, dotata soltanto di una curva doppia, nodale, con un numero finito di punti tripli (tripli per la curva e per la superficie), sulla quale curva si troveranno inoltre un numero finito di punti uniplanari (pinch-points). Rispetto alla suddetta superficie F, di S3, considereremo le superficie aggiunte, definite dalla proprietà di passare semplice- mente per la curva doppia. Avremo anzitutto il teorema: Le superficie ®n-ss1r d'ordine n—-4+r (rZ1), aggiunte alla F,, segano sopra F, (fuori della curva doppia) curve aggiunte al sistema lineare determinato su F, dalle superficie generali d'ordine r. Stante la proprietà fondamentale del n° 19, basterà stabi- lire il teorema per le superficie aggiunte di un dato ordine, ad es., per le @,_3 (supposte esistenti). E per ciò è sufficiente os- servare che una ,_3, presa insieme a due piani qualunque, sega su F, una curva appartenente al sistema lineare segato dalle 38 FEDERIGO ENRIQUES superficie polari p,_1, ove quest’ultimo sistema (jacobiano di quello delle sezioni piane di Y,) s’intenda completato col prescindere dai punti base che esso possiede nei punti uniplanari della curva doppia di /, (n° 14). 28. — Viceversa: Una curva K della superficie F,, aggiunta al sistema lineare determinato dalle superficie generali d’ordine r (Z 1), è intersezione di F, con una superficie aggiunta (@r-14+) d'ordinen—-4+r. Ossia: Le superficie aggiunte ad F,, segano sopra la super- ficie un sistema lineare completo (data la proprietà per r 2 1, segue che essa sussiste anche per r <1). Si prova che la X, di cui si parla nell’enunciato, appar- tiene ad una @,-41,, nel modo seguente: Il gruppo di punti comune a X e ad una sezione piana di F,, appartiene ad una curva C,_,., aggiunta d'ordine n—4+r. Se r > 3 vi sono infinite C,_,., siffatte; ma in ogni caso se ne può determinare una per modo che facendo variare il piano in un fascio, questa curva C;_4, generi una @,_+, aggiunta ad. F,. Occorre soltanto considerare in modo speciale il caso in cui la F, sia una rigata (Cfr. Introduzione... ni 18, 32) o una super- ficie di Steiner. 24. — Alla superficie F di S,, o alla sua proiezione #,; appartengono dei sistemi e dei caratteri invarianti. Si giunge a determinarli nel modo che rapidamente accenniamo: Anzitutto sieno |C| e |K] due sistemi lineari virtualmente privi di punti base su 7, o su F,. Sussiste la relazione fonda- mentale: (C+ £Y|=1C+E|=]|C'+ KI], da cui, formalmente |C— Cl=|K—- KI. Quindi: Se un sistema lineare |C|, virtualmente privo di punti base su F (0 su F,), è contenuto nel proprio sistema aggiunto, al- trettanto avviene per ogni altro sistema analogo, ed il sistema re- siduo |C' — C| è indipendente dalla scelta arbitraria di |C|. La INTORNO AI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA, ECC. 39 stessa proprietà vale anche per un sistema dotato di punti base assegnati. Prendendo come sistema |C| quello segato su , dai piani, si ha che |C" — C| viene segato dalle superficie Dn aggiunte d’or- dine n — 4. E quindi per il n° 20: Le sezioni delle P,_i sono in- varianti, in senso relativo, per trasformazioni birazionali della su- perficie, cioè invarianti a meno di curve eccezionali (NOETHER). Spogliate delle curve eccezionali della superficie, che entrano in esse come componenti fisse, le sezioni di F, colle @,_, hanno carattere invariante in senso assoluto, e diconsi curve canoniche. Le curve canoniche si possono definire mediante la seguente proprietà caratteristica, che mette in evidenza come esse sieno invarianti in senso assoluto: Una curva canonica della superficie F, presa insieme alle curve eccezionali di F, e a tre curve di una qualunque rete irriducibile, senza punti base su F, costituisce una curva appartenente al sistema lineare completo determinato dalla jacobiana della rete (*). Il numero delle curve canoniche (d'ordine = 0) linearmente in- dipendenti, che appartengono alla superficie F, costituisce il suo genere geometrico superficiale p,, che è un invariante assoluto. 25. — Se | C'l non contiene |C| può darsi tuttavia che |é C°| contenga |2C| (i > 1), e si ha egualmente l’invarianza relativa di léC' —iC|. Così si trovano le curve pluricanoniche (bicano- niche...) e i plurigeneri (bigenere...) della superficie N. (Cfr. In- troduzione... n° 39). 26. — Coi caratteri virtuali (genere t e grado ) di un sistema lineare |C|, virtualmente privo di punti base su 7, e con quelli m’, n’, del sistema aggiunto |C"|, si formino le espressioni wa=t_-3(—-1)+n w=n —4(m—-1)+ n. Si prova che queste espressioni non variano ove esse sieno (*) Tale proprietà delle curve canoniche è implicitamente contenuta nella dimostrazione algebrica dell’invarianza di esse data dal sig. NorrHER nel Bd. 8 dei “ Mathematische Annalen ,. 40 FEDERIGO ENRIQUES — INTORNO AI FONDAMENTI, ECC. calcolate partendo invece che da |C|, da un qualunque altro sistema lineare | K], virtualmente privo di punti base su /. Basta per ciò calcolare il genere e il grado del sistema |(C+- K)'| colle formule del n° 11, tenendo conto che (C+ A|= C+ K']=|10+K1 Si dimostra così che w,, ws sono invarianti relativi della su- perficie. Tra di essi sussiste la relazione w,=w, — 1. (Cfr. In- troduzione... n° 41, e CasteLNUOvo e ENRIQUES, l. c., n° 5). Se, come nel n° 41 della Introduzione... citata, si pone la restrizione che la superficie F possegga un numero finito di curve eccezionali, pl = w, + è è un invariante assoluto, il quale nel- l'ipotesi p, > 0, esprime il genere virtuale delle curve canoniche (genere lineare della superficie, Curvengeschlecht di NoETHER). (Cfr. CasteLNUOvo e EnRIQUES, l. c., ni 20, 21). 27. — Finalmente si arriva a stabilire il significato inva- riante, in senso assoluto, del genere numerico o aritmetico della su- perficie F, o di F,, nel modo seguente: Si definisca (con ZeuTHEN e NoETHER) il genere aritmetico Da di F,, come il numero virtuale ( p, — p.) Sega sulla curva C, gene- rica una serie ( — Pa. Si prova ancora .che la deficienza analoga, calcolata per un sistema lineare irriducibile | K | contenuto in | C,|, vale d(K)<>(C). Poichè prendendo r assai alto, ogni sistema | K | si può sup- porre contenuto in | €,|, si giunge al seguente teorema, che mette in luce l’invarianza, in senso assoluto, della differenza p, — Pa: Per la superficie F, la differenza p, — pa è la deficienza massima della serie (canonica) segata sopra la curva generica di un suo sistema lineare irriducibile (senza ipermoltiplicità accidentali mei punti base), dal proprio sistema aggiunto. GIOVANNI MARRO — SULLA SORTE DELLE SOSTANZE, ECC. 41 Sulla sorte delle sostanze finamente granulari introdotte in circolo l*). Ricerche sperimentali del Dott. GIOVANNI MARRO. (Con una tavola). La sorte delle sostanze finamente granulari, introdotte in circolo, fu già da lungo tempo scopo di studio da parte di molti osservatori. Fin dal 1869 datano infatti le belle e fondamentali ricerche in proposito del Ponfick (1) e quelle dell’Hoffmann e del Langerhans (2); successivamente poi comparvero su tale argo- mento numerosi altri lavori che, nel corso di questa memoria, mi riuscirà opportuno di citare. Però, nonostante le numerose ed interessanti osservazioni, ricavate sperimentalmente, lo studio degli organi e degli ele- menti che concorrono a depurare il circolo delle particelle inerti iniettatevi, appariva ancora degno di ulteriore studio; per con- siglio del Prof. Bizzozero io intrapresi precisamente alcune ri- cerche in proposito. Imponevasi anzitutto una buona scelta delle sostanze da adottarsi quale materiale di iniezione. I sopracitati osservatori sì servirono del cinabro, del carmino, dell’inchiostro di China. Poco adatto giudicai il cinabro per le dimensioni piuttosto ri- levanti dei suoi granuli, e per il fatto che questi facilmente si raccolgono in blocchi, i quali sarebbero stati, senza dubbio, causa di numerosi trombi ed emboli. Per le stesse ragioni esclusi il carmino, tale quale si ha semplicemente dal commercio, come pare l'abbiano usato gli osservatori che di esso si valsero per queste ricerche. Il Kupffer otteneva la sospensione dell'inchiostro di China, soffregando sopra una superficie piana i soliti baston- cini del commercio, dopo averli lasciati opportunamente ram- mollire nell'acqua; per altro io ho osservato che con questo (*) Di questo lavoro venne presentata memoria preliminare alla R. Ac- cademia di Medicina di Torino nella seduta del 6 luglio 1900. (1) Pownercx, “ Virchow's Arch. ,, 1869. (2) Horrmann u. LancerHans, “ Virchow's Arch. ,, 1869. 42 GIOVANNI MARRO metodo si ottengono, insieme a minuti granuli, anche degli am- massi di discreta grossezza. Del carmino e dell'inchiostro di China mi valsi pur io. Ritenendo però molto importante l’uso di sostanze finamente granulari, i cui granuli fossero bene isolati, mi servii di quel- l'inchiostro di China che mette in commercio, liquido, la casa Bourgeois Aîné di Parigi. Esso corrispose ai miei desiderì, poichè i granuli, bene isolati, sono di estrema piccolezza: ap- pena percettibili con ingrandimento di 600 diametri. La sospen- sione da iniettare la ottenevo diluendo 1-2 parti di tale in- chiostro su 100 em? di soluzione di cloruro di sodio al 0,60 9/o, previamente sterilizzata. Del carmino poi il seguente processo mi fornì una omogenea sospensione di fini granuli: preparava dapprima una soluzione ammoniacale di buon carmino Naccarat (gr. 2 di carmino, cm? 5 di ammoniaca, cm? 100 di acqua) ed una acquosa di acido acetico al 10 °/,; versando poi lentamente la seconda nella prima, agitando di continuo con una bacchetta di vetro, il carmino a poco a poco precipitava in finissimi gra- nuli; filtrata la sospensione ottenuta, risospendeva infine il car- mino che rimaneva sul filtro in soluzione pure sterilizzata di cloruro di sodio al 0,60 °/, procurando che il materiale granu- lare fosse nella proporzione di 1gr. su 100 em? di veicolo. Agitando fortemente questa sospensione, i fini granuli presenta- vansi bene isolati e così avevo del carmino pronto per l’iniezione : questi granuli però sono sempre notevolmente più grossi di quelli di carbone dell’inchiostro di China. Cani, conigli, cavie, polli furono i miei animali da esperi- mento; mi valsi però a preferenza dei conigli, che offrono una disposizione favorevole per queste esperienze, dacchè le vene marginali delle loro orecchie si prestano benissimo all’introdu- zione nel sangue delle sospensioni granulari. Per iniettare le cavie ed i polli, isolavo ed aprivo la vena giugulare o femorale rispettivamente; nei cani l'iniezione veniva fatta in una qualsiasi vena sotto-cutanea delle gambe. Il peso dei conigli da me adoperati variava fra grammi 1000 e 2000, ed iniettavo in essi, generalmente in una sol volta, 15, 20, 30 cm3 di una delle due accennate sospensioni granulari. Ho avuto cura che il liquido fosse di una tempera- tura oscillante fra 36-38°, ed ho eseguito l'operazione mediante SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. 483 un apparecchio a mercurio a pressione costante; l'operazione durava circa 10-15 minuti. Se il materiale iniettato era di carmino, i conigli dopo l'operazione non davano segni di sofferenza, ad eccezione di un po’ di affanno nel respiro; se invece erasi iniettato inchiostro di China, molte volte si mostravano, dopo un certo tempo, ab- battuti, anzi parecchi soccombettero dopo un’ora, un'ora e mezza; alcuni invece non risentivano apparente danno sensibile, nè im- mediatamente dopo l’iniezione, nè in seguito. Più delicate dei conigli riscontrai le cavie, meno i cani; i polli, in cui iniettavo una quantità di sospensione granulare, proporzionatamente al loro peso, superiore a quella iniettata negli altri animali, sop- portavano sempre benissimo l’operazione. È noto che le fine particelle inerti, circolanti nel sangue, vengono agglùtinate in blocchi di differente grossezza, per opera dei liquidi organici. Il Salvioli (1) poi ha dimostrato, in vitro, che il siero del sangue di cane ha grande potere agglutinante sui granuli di carmino e di inchiostro, mentrechè quello di co- niglio ne è quasi privo. Dall'esame del sangue di alcuni animali, tolto da una qual? siasi vena periferica, mi risulta che il materiale iniettato non compare così presto tutto in circolo, come potrebbe parer logico il pensare, conoscendo le leggi fisiologiche della contrazione cardiaca e della velocità della corrente sanguigna; la mas- sima parte solo si riscontra dopo 10-15 minuti dalla fine del- l'iniezione, in parte libero, in parte inglobato da leucociti. Mi sono poi convinto che questo materiale granulare, por- tato che sia in circolo, rapidamente ne viene eliminato: in un lasso di tempo variante fra qualche minuto a mezz'ora o un’ora circa. E quest’osservazione trova un riscontro nella ra- pida scomparsa dal sangue dei bacteri iniettati, come p. e., lo dimostrano le ricerche del Fodor (2) e del Wyssokovitsch (3). Werigo (4), che pure ha constatato rapida diminuzione dei gra- nuli di carmino, dà di questi fatti la spiegazione dicendo, che (1) G. Sarvrori, “ Giorn. della R. Accad. di Torino ,, 1899. (2) Fopor, “ Deuts. Medic. Wochenschrift ,, 1887. (3) Wrssogrovirsca, “ Zeitschrift fiir Igiene ,, Band I. 4) Werico, “ Annales de l’Institut Pasteur ,, 1892. 44 GIOVANNI MARRO l'iniezione dei bacteri o di carmino induce una diminuzione immediata e molto considerevole dei globuli bianchi, i quali scompaiono dal sangue, perchè inglobano i bacteri ed i granuli e li trasportano negli organi. Pronta assunzione dei granuli di cinabro, da parte dei leucociti circolanti, già era stata notata dal Ponfick, che aveva pure ammesso la consecutiva cessione dei granuli da parte dei leucociti agli elementi degli organi. Da alcuni conteggi di globuli bianchi, fatti (nei cani) coll’appa- recchio del Thoma-Zeiss, mi risulta che la diminuzione dei leucociti, in circolo, non è immediata, verificandosi essa solo 10-20 minuti dopo l'iniezione, e non è così notevole come rilevasi dai dati di Werigo. Senza potermene rendere ragione, io ho no- tato che, all’iniezione dell’inchiostro di China, segue poi una note- volissima leucocitosi, che si protrae per più giorni. Ho infine osservato che traccie dei granuli iniettati si possono ancora trovare in circolo 24 ore dopo l'iniezione e più tardi ancora. Di questo fatto, da altri constatato, come pure della non immediata comparsa in circolo della maggior parte dei granuli iniettati, darò io, più tardi, una interpretazione. Gli animali venivano sacrificati a vario intervallo di tempo dall’iniezione; alcuni dopo mezz'ora, dopo 1, 12, 24, 48 ore; altri dopo 20-30 giorni. La morte veniva loro procurata mediante inalazione di cloroformio, cui aggiungevo un po’ di etere amil- nitroso, per la cui azione vaso-dilatatrice si poteva osservare, in seguito nelle sezioni molto bene, il decorso dei capillari dilatati pieni di sangue. Io facevo un immediato esame degli organi colla dilace- razione a fresco in cloruro di sodio al 0,60 per 100 di acqua. Pezzi dei varî organi fissavo poi in differenti liquidi e successi- vamente includevo in paraffina. Ritenendo molto opportuna la conservazione del sangue, quali liquidi fissatori io usai a prefe- renza quello del Zenker, per gli organi di animali in cui era stato iniettato inchiostro, e la soluzione acquosa concentrata di acido picrico, quando l’iniezione era stata fatta con carmino. Il liquido del Zenker, che non ha alcun’azione sopra i granuli di carbone, altera e fa scomparire quelli di carmino, che vengono invece assai bene conservati dall’acido picrico. Le colorazioni che io ho adottate per le sezioni furono : l'’ematossilina coll’eosina, il picrocarmino, ed il metodo dei tre SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. 45 colori di Ramon, o l’ematossilina semplice a seconda che si trat- tava di granuli neri o rossi. In ogni caso però, preparati molto dimostrativi, mi fornì una tenue colorazione avuta dal verde di metile Gribler, in semplice soluzione acquosa all’1 °/o. Esporrò ora il risultato dell'esame dei varî organi apparte- nenti agli animali da me iniettati. Fegato. — Estratto il fegato dalla cavità addominale, questo appariva in tutti i casi lievemente tumido, con una tinta uni- forme: rosso-intensa o grigio-nerastra, a seconda della sostanza iniettata; la superficie dei tagli presentava eguale ed uniforme colorito. Le indagini microscopiche mi condussero anzitutto alla conclusione, cui erano già concordemente giunti gli altri os- servatori : il fegato è l’ organo che più lavora a depurare il circolo delle sostanze granulari introdottevi. Ho poi osservato che tale attività depuratrice epatica si esplica in modo rapidis- simo, tantochè la quantità di sostanza granulare, che nel fegato si osserva mezz'ora dopo l'iniezione, è pressochè eguale a quella che si riscontra 1, 12, 24 ore dopo. Però, come dice anche Riiti- meyer (1), nei primissimi tempi, i granuli sono prevalentemente raccolti alla periferia dell’acino epatico; in seguito, invece, mo- stransi uniformemente distribuiti nelle sue diverse zone. Ponfick aveva ammesso essere elementi estravascolari quelli inglobanti il cinabro iniettato nelle vene, ed i granuli verrebbero loro ceduti dai leucociti circolanti. Secondo il Siebel (2), i gra- nuli vengono assunti dai leucociti, che migrano poi nel connet- tivo intralobulare ed, in parte, vi permangono come elementi fissi ed, in parte, vengono trasportati ai gangli linfatici. Werigo invece concluse che l’ attività epatica depuratrice del circolo spetta all’endotelio dei capillari, i cui elementi hanno la pro- prietà di inglobare, sia direttamente i granuli circolanti, sia i leucociti che di tali granuli subito si impadroniscono e che in gran numero poi sammassano nei capillari e li trombizzano. Più recentemente Kupffer (3), nel lavoro in cui dimostrò essere ele- menti endoteliali dei capillari portali le cellule note sotto il (1) Rimimerer, “ Arch. f. exp. Pathologie u. Pharmakologie ,, 1881. (2) Sreser, “ Wirchow's Arch. ,, 1886. (3) Kurrrer, “ Arch. f. Mikrose. Anatomie ,, 1899. 46 GIOVANNI MARRO nome di cellule stellate del Kupffer, pur venne alla conclusione che sia precisamente tale endotelio capillare quello che trattiene, nel fegato, i granuli stati iniettati nelle vene. Il Salvioli (loc. cit.), ha poi dimostrato, con opportune cir- colazioni artificiali, che, non solo indipendentemente dai leu- cociti circolanti, ma anche senza l’endotelio capillare, il fegato può trattenere i granuli che vi si facciano circolare. In questi casi, secondo tale autore, i granuli verrebbero trattenuti perchè agglutinandosi nell'interno dell'organo ne trombizzano i capil- lari; nell’ animale vivo tali fenomeni di agglutinazione prece- derebbero e faciliterebbero l'assunzione dei granuli da parte dei leucociti e degli endotelî vasali. Dall'esame dei miei preparati, una gran parte dei granuli rilevasi per l'appunto contenuta negli elementi endoteliali dei capillari epatici. In alcuni punti dei preparati i granuli, che entrati nel protoplasma di un elemento si fondono insieme in blocchi, mascherano completamente il nucleo cellulare e talvolta tutto il protoplasma dell'elemento stesso ; ciò dimostrerebbe che i fenomeni di agglutinazione avvengono non solo nel lume vasale, ma anche negli stessi elementi endoteliali, i quali trasformano in ammassi più grossi i blocchi già risultanti dall’agglutinamento di più granuli. Ed appunto per questo agglutinarsi dei granuli in blocchi ed ammassi, riesce difficile il determinare, se sempre essi siano contenuti solo nell’endotelio capillare o se anche ne vengono, in parte, raccolti da elementi estravascolari. Discreta abbondanza del materiale iniettato si riscontra ancora nel fegato dopo 20-30 giorni dall’iniezione. Milza. — Macroscopicamente la milza non presentava sempre un medesimo aspetto. Il suo volume alcune volte era affatto normale, talvolta invece appariva essa molto ingrossata, colla capsula tesa. Non sempre potei stabilire proporzionale all'aumento di volume, la quantità di sostanza granulare che vi si riscon- trava microscopicamente. La polpa appariva di una tinta uni- forme, anche qui come nel fegato rossa o nerastra. I corpuscoli malpighiani, biancastri, erano generalmente aumentati in volume e più nettamente spiccavano sulla superficie di sezione. Discordi appaiono i dati ed i pareri dei varî autori, riguardo alla facoltà depuratrice della milza per le particelle inerti cir- colanti nel sangue. Werigo, che non lasciava vivere gli animali SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. 47 più di tre ore dopo l’iniezione, riscontrò nella milza assai pochi granuli, inglobati, dice egli, dalle grandi e piccole cellule della polpa (1); così pure Kupffer, in animali uccisi dopo 24 ore, trovò scarsi granuli, specialmente raccolti alla periferia dei corpuscoli malpighiani; Riitimeyer invece ne osservò in questo organo una quantità pari a quella riscontrata nel fegato; questo autore uc- cideva gli animali a vario intervallo di tempo dalla iniezione ; alcuni dopo poche ore, altri dopo qualche giorno; e coi dati di Riitimeyer s’accordano generalmente quelli degli osservatori che, primi, si occuparono dell'argomento. Questa notevole discordanza però è più apparente che reale. Dai dati complessivi dei miei esperimenti ho potuto rilevare che l’attività depuratrice splenica si manifesta più gradatamente della epatica; e così se il materiale iniettato è scarso, esso viene per la maggior parte prontamente arrestato dal fegato e poco se ne raccoglie nella milza; se invece esso è abbondante, perma- nendone una discreta quantità più a lungo in circolo, rapida- mente va pur nella milza aumentando il contenuto granulare, e dopo qualche ora può essa presentarsi altrettanto zeppa di granuli che il fegato. Pur molto ricca di granuli presentasi la milza, anche dopo un’ora, se cospicua fu la dose del materiale iniettato. Variando la quantità della sostanza di iniezione, varia poi non solo la quantità di granuli che nella milza si raccoglie, ma pure alquanto la loro distribuzione nel suo parenchima. Se piuttosto scarsa infatti è la sostanza granulare iniettata, si rileva che essa ha tendenza a disporsi in linee curve special- mente alla parte periferica dei corpuscoli di Malpighi, che ne pos- sono rimanere anche completamente circondati come da un anello, restandone però essi stessi affatto privi. Se invece una grande quantità delle preparate sospensioni poi immettiamo in circolo, osserviamo che, nei primissimi tempi dopo l’iniezione, la milza ci offre un quadro eguale a quello sopra descritto, con- secutivamente però, si nota che i granuli invadono diffusamente ed in grande quantità, raccolti talvolta insieme in grandi blocchi più o meno regolarmente rotondeggianti, tutta la polpa splenica, (1) Quest'ultimo reperto concorda con quello già ottenuto da Ponfick, Siebel, ecc. 48 GIOVANNI MARRO rimanendone sempre del tutto privi i corpuscoli di Malpighi. Solo dopo venti giorni, una discreta quantità presentasi pure raccolta in essi. A parità di condizioni la milza di coniglio mi risulta sia quella che più assume i granuli iniettati. Nella milza di polli, lungamente digiunanti, riscontrai minor quantità di granuli di quella osservata nel pollo ben nutrito. Sia nelle sezioni montate in balsamo, sia nei preparati per dilacerazione, parrebbe che parte dei granuli si trovi affatto libera nel parenchima splenico (Werigo). Dalle dilacerazioni poi a fresco, molto meglio che dalle sezioni, io determinai che buona parte dei granuli è inglobata dai leucociti mono e polinucleari ed in più grandi fagociti, di varia e talvolta strana forma, con- tenenti spesso, insieme ai granuli iniettati, pigmento ematico, goccioline fortemente risplendenti e presentanti pure spesso vacuoli nel loro protoplasma. Non mi è riuscito di dimostrare la presenza di granuli nelle caratteristiche cellule falciformi en- doteliali della milza. Midollo osseo. — Nel midollo osseo l'indagine microscopica mi permise di mettere in evidenza dei fatti finora mai riscon- trati, e di venire a conclusioni cui non erano giunti gli altri osservatori. E fu precisamente nel midollo osseo del coniglio, animale stato generalmente adottato, per le esperienze in pro- posito, dagli autori che mi precedettero nello studio dell’argo- mento, che ebbi la ventura di fare osservazioni nuove ed in- teressanti. Gli studi del Ponfick tendono a precisare che i granuli vengono, nel midollo, inglobati da elementi estravascolari, conte- nuti nel tessuto linfoide. L’Hoyer (1), iniettando, per puntura, del cinabro nel tessuto midollare, dice di averne poi riscontrato i granuli nelle cellule midollari e non nei vasi, e su ciò si fonda per negare la esistenza di membrana nelle vene del midollo. L’Arnold (2), iniettando pur esso direttamente nel midollo delle diafisi le sospensioni granulari, asserisce che i granuli iniettati vengono racchiusi da piccoli e grandi elementi con nucleo ro- tondo o polimorfo ed anche dai megacariociti. Il Siebel dice che, (1) Hovyer, “ Centr. f. med. Wissensch. ,, 1869. (2) Armorp, “ Virchow’s Arch. ,, 1895. SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. 49 delle cellule inglobanti i granuli iniettati, molte si presentano già dopo 2 ore contenute negli spazi estravascolari; dopo qualche giorno esse, quasi tutte, hanno abbandonato i vasi ed appaiono come elementi della polpa midollare. Kupffer poi, nel suo lavoro recentissimo, avendo pure investigato il midollo osseo dopo l'iniezione di inchiostro di China, confessa di non essere riu- scito a determinare la natura degli elementi, che vi trattengono i granuli di carbone. Nessun altro lavoro, per quanto mi consta, venne in proposito a conclusioni nuove o più precise. Dei conigli io esaminai quasi esclusivamente il midollo osseo della diafisi femorale. Macroscopicamente il cilindro mi- dollare presentava sempre uniforme variazione di colorito, con tinta però meno accentuata di quella rilevata nel fegato e nella milza corrispondenti. I più evidenti risultati che, per primo, mi riuscì di assodare, li ho ottenuti sul midollo osseo di conigli, in cui avevo iniet- tato inchiostro di China; e questo io attribuisco esclusivamente alla maggiore piccolezza dei granuli di carbone di fronte a quelli di carmino. Del midollo osseo di questi conigli, fissato in Zenker ed incluso in paraffina, io feci sezioni parallele e per- pendicolari ai suoi grossi vasi, più o meno centrali, ottenendone di quelle molto sottili, di 3-4 micromillimetri. Dall'esame dei preparati risulta costante nel midollo osseo la presenza dei granuli iniettati, omogeneamente dispersi su tutto l'ambito delle sezioni longitudinali e trasversali, dimostrando questa osservazione che la zona periferica media e centrale in cui viene dagli istologi diviso il midollo delle diafisi, non diffe- riscono sensibilmente l’una dall'altra, rispetto all’attitudine di trattenere le particelle inerti circolanti nel sangue. La quantità però dei granuli contenuta nel midollo osseo è sempre inferiore alla quantità presentata dal fegato e dalla milza; inoltre, anche a piccolo ingrandimento, spicca il fatto che i granuli di carbone qui non si agglutinano insieme, sì da for- mare dei blocchi più o meno grossi, come si riscontra nei sopra- detti organi. Parte di questi granuli sono evidentemente contenuti in elementi estravascolari; di tali elementi mi occuperò più avanti. In gran numero però i granuli si vedono, con obbiettivi di media potenza, decorrere in serie longitudinali, qua e là interrotte, Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 4 50 GIOVANNI MARRO lungo la parete dei fini capillari e degli ampi capillari venosi; talvolta poi, quando questi risultano tagliati trasversalmente, la loro parete appare più spiccata per l’esistenza di un cerchietto di granuli neri. Nei punti dei preparati dove sono evidenti gli appiattiti nuclei endoteliali dei capillari, si vedono, con forti ob- biettivi, i fini granuli raccolti specialmente in mucchietti ai loro poli, evidentemente contenuti nel sottil velo protoplasmatico degli elementi. Tale osservazione, dimostrando attività speciale dell’endo- telio capillare del midollo di trattenere i granuli inerti intro- dotti in circolo, stabilisce analogia di funzione fra questo endotelio e quello dei capillari epatici. Però, gli elementi endoteliali del midollo non presentano una così grande quantità di granuli, come generalmente si osserva in quelli del fegato. Inoltre a differenza ancora di quanto si osserva in questi, i granuli, pe- netrati in un elemento endoteliale, non si fondono insieme in blocchi, nè mascherano mai completamente il nucleo, che appare anzi per lo più molto evidente; non avviene cioè, in tale endo- telio, agglutinamento dei granuli penetrativi e di ciò non credo si possa dare altra interpretazione che ammettendo, o una dif- ferente composizione chimica, o una differente attività biologica, fra l’endotelio capillare epatico e quello midollare. Il corpo cellulare degli elementi endoteliali, contenenti gra- nuli, appare di regola alquanto aumentato in volume, con leggera sporgenza sul lume vasale; esso conserva però la forma nor- male; si riscontrano però anche qua e là cellule endoteliali, affatto gremite di granuli, globose, molto ingrossate. Mai mi fu dato di osservare figure di rapporti speciali fra questo endo- telio ed i leucociti circolanti, come afferma di aver riscon- trato Werigo nei capillari epatici; onde io credo che, nel midollo, l’endotelio inglobi direttamente i granuli, liberamente circolanti nel sangue, favorito in ciò dal grande rallentamento della cir- colazione, che vi deve esistere per la sproporzione del diametro e del numero delle vene col diametro e col numero dei capillari (Bizzozero) (1). Pressochè immediata manifestasi l'assunzione del materiale granulare, sia esso di carmino o di inchiostro, da parte dell’en- (1) Bizzozero, Napoli, 1869. SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. Ddl dotelio midollare, rilevandosi già mezz'ora sola dopo l'iniezione numerosi elementi endoteliali della rete venosa contenenti gra- nuli. D'altra parte, non solo dopo 24, 48 ore, ma anche dopo 20, 30 giorni, si riscontrano elementi endoteliali dei capillari con- tenenti ancora granuli di carbone. Dai dati complessivi delle mie ricerche risulterebbe che la quantità dei granuli contenuta negli elementi endoteliali del midollo va crescendo da mezz'ora, a un'ora, un’ora e mezzo: ed in questi primi tempi il decorso dei capillari spicca nettissimo per la esistenza dei granuli sca- glionati lungo la loro parete; i quali granuli, essendo contenuti negli elementi endoteliali, servono bene a mettere in rilievo la presenza ed il grande numero dei medesimi (Fig. 1); dopo 24, 48 ore comincerebbe lievemente a diminuire il contenuto granulare dell’endotelio; certo è che dopo 20, 30 giorni la quan- tità dei granuli contenutavi è molto più scarsa. Un altro fatto, che non trova riscontro nelle osservazioni fatte da precedenti autori in altri organi, mi fu dato di rilevare nel midollo di conigli uccisi poco dopo l'iniezione. In questi casi si vede talvolta che anche alcuni elementi endoteliali dei più grossi tronchi venosi ed eziandio dell’ampia vena centrale, con- tengono nel loro protoplasma granuli di carbone. E che qui si tratti di vera penetrazione di granuli nell’interno degli endotelî e non di semplici fenomeni di adesione ai medesimi, dimostrano pa- recchi fatti: anzitutto i granuli cadono veramente a fuoco quando lo sono pure perfettamente il protoplasma ed il nucleo degli ele- menti; il corpo cellulare appare pure alquanto ingrossato e la distribuzione dei granuli è uguale a quella sopra descritta per l’endotelio capillare, si riscontrano cioè aggruppati in maggior quantità intorno ai poli dei nuclei; inoltre, mentre si riscon- trano di questi elementi con molti granuli, ne intercedono altri che ne sono affatto privi. Notevoli variazioni si riscontrano poi, rispetto all’attitudine di trattenere le particelle iniettate, fra il midollo del coniglio e quello degli altri animali. Anzitutto la quantità di granuli contenuta nel midollo di quello, appare superiore alla quantità riscontrata nel midollo di questi. Non è facile fornire spiega- zioni di tale differenza; certo è che le cause le quali concorrono a produrla appaiono complesse. In certi casi, questa relativa scarsità di granuli, sembra stia in rapporto colla maggiore ric- 52 GIOVANNI MARRO chezza di grasso del midollo, per cui scarseggiano gli elementi. attivi del parenchima e meno abbondante è l’irrorazione san- guigna, come si riscontra infatti nel midollo delle diafisi del cane e del pollo. Nel cane esaminai, in dilacerazioni a fresco, anche il midollo costale, eminentemente funzionante; vi ris- contrai una quantità di granuli, che mi parve bensì maggiore di quella contenuta sul midollo delle corrispondenti diafisi, ma pure inferiore a quella contenuta nel midollo del coniglio. Nel coniglio stesso poi, una minor quantità di granuli è contenuta nel midollo della parte inferiore della diafisi femorale e in quello di tutta la diafisi tibiale, in cui, generalmente, è conte- nuta una maggior quantità di grasso. Nel midollo della diafisi tibiale del pollo rarissimi sono i granuli iniettati. All’adiposi però del midollo non si può dare un valore assoluto, poichè in polli lungamente digiunanti ed iniettati dopo il digiuno, il mi- dollo osseo, pur essendosi riassorbito una grande quantità di grasso, presentò sempre scarso il contenuto granulare. La pre- senza di una grande quantità di grasso non può poi anche in- vocarsi per spiegare la scarsità di granuli riscontrata nel midollo della cavia; nella quale, infatti, il midollo osseo è meno ricco di grasso di quello del coniglio e più abbondano gli elementi attivi, e pur tuttavia sono scarsi i granuli. Nel cane, nella cavia, nel pollo, non mi riuscì di accertare la presenza di granuli nell’endotelio vasale del midollo. Non ho argomenti a spiegazione di questa differenza di comportamento, rispetto ai granuli iniettati, fra il midollo del coniglio e quello degli altri animali; noto che la rete vasale del midollo, nei miei preparati, risulta più evidente nel coniglio che negli altri animali. Espongo in ultimo alcune osservazioni, non prive di inte- resse, riguardanti quella parte dei granuli iniettati che nel mi- dollo osseo pur viene trattenuta negli spazi estravascolari. Noto anzitutto che, scarsissima nei primi tempi dopo l’iniezione, essa va, in seguito, alquanto aumentando; cosicchè venti giorni dopo negli elementi estravascolari è contenuta una maggiore quantità di granuli di quella che ancor ci presenta il rivestimento endo- teliale della rete vascolare. Qualora non sia trascorso molto tempo dall’iniezione, questi elementi ci si presentano come cel- lule rotondeggianti, più o meno grandi, a protoplasma granuloso, SULLÀ SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. 53 con nucleo evidente; si tratta qui o di leucociti che direttamente assumono dal sangue i granuli iniettati e che poi migrano nel parenchima, o di elementi midollari ai quali pervengono, nel tessuto, i granuli iniettati nel sangue. Se esaminiamo invece il midollo di animali sacrificati dopo un più lungo intervallo di tempo dall’iniezione, riscontriamo che, fra i più numerosi elementi contenenti granuli, alcuni ricordano ancora i precedenti, dai quali generalmente differiscono per il maggior numero dei granuli in loro racchiusi e per il fatto che questi granuli, essendo anche generalmente più grossi, masche- rano talvolta completamente il corpo cellulare ed il nucleo degli elementi. Il maggior numero però di questi elementi estra- vascolari ci appare di differente e fra loro anche svariata con- figurazione: sono infatti cellule ora più o meno regolarmente ovali e più o meno allungate, ora fusiformi, ora stellate con nucleo centrale da cui si dipartono tre od anche quattro pro- lungamenti gremiti di granuli. Tutti questi ultimi elementi descritti non credo che altrimenti si possano interpretare che come elementi connettivi adulti (Fig. 2). Nei primi tempi dall’iniezione, il materiale granulare trovasi uniformemente sparso nei differenti campi microscopici delle sezioni, dopo 20 giorni invece, a seconda dei varì punti di una medesima sezione, si riscontra una variabile quantità di granuli. La diminuzione della quantità di sostanza granulare nelle cellule endoteliali, che, a parecchi giorni di distanza dall’inie- zione, si riscontra compagna all'aumento di quella osservata negli elementi estravascolari, potrebbe fare supporre che avvenga una cessione di granuli da parte degli endotelî a questi elementi estravascolari. Non ho però potuto raccogliere alcun fatto che mi autorizzi a pronunciarmi sul modo con cui avverrebbe tale cessione. Mai io vidi granuli negli elementi giganti col nucleo cen- trale in gemmazione. Questo reperto, discordante da quello di Arnold, trova conferma nei dati raccolti da Ponfick, Hoffmann e Langerhans, Reclinghausen. Non credo però che questo fatto possa invocarsi per negar loro, in via assoluta, un'attitudine fago- citaria, come tenderebbe ad ammettere Heidenhain (1), esistendo (1) HrrpenHarn, “ Arch. fiir Mikr. Anat. ,, 1894. 54 GIOVANNI MARRO molte osservazioni in contrario di Metschnikoff, van der Stricht, Denys, Loewit, Freiberg, H. F. Miiller, Eliasberg e Foà. Quest’ul- timo Autore ammette che l’unica funzione anatomicamente di- mostrabile in queste cellule gigantesche sia la distruzione dei leucociti fuori d’uso; in molte circostanze egli è infatti riuscito a provocare abbondante fagocitosi di leucociti in tali elementi. Anche io ho potuto più volte osservare, nei miei preparati, un numero variabile di globuli bianchi inglobati dai megacariociti. Nei miei casi, questo fatto può, almeno in parte, ritenersi come conseguenza della leucocitosi susseguente alla iniezione. Sempre a proposito poi di tali elementi noto che nei primi tempi dopo l'iniezione ne ho riscontrati alcuni nella rete venosa; tale fatto non può recare meraviglia, spiegandosi facilmente col perturbamento apportato al circolo midollare dal materiale iniettato. Sono note infatti le ricerche del Lubarsch (1), dell’ Aschoff (2) e del Foà (3) che, in varie contingenze morbose, alteranti il circolo midollare, hanno riscontrato la penetrazione in circolo di questi megacariociti. Polmone. — Già è stato dimostrato che il polmone deve anche considerarsi come organo in cui avviene la distruzione di elementi che, vi vengono portati dalla corrente sanguigna. L’Aschoff ed il Foà infatti, nei lavori sopra citati, hanno osser- vato che i megacariociti penetrati in circolo vanno ad embo- lizzare i capillari polmonari; secondo il Foà poi, che ammette il prodursi di tali fenomeni in minime proporzioni anche normal- mente, tali elementi subirebbero nel polmone un processo di fram- mentazione e vi si distruggerebbero. Ribbert (4) iniettando nelle vene del coniglio un’emulsione di spore di aspergillus flavescens, ha visto nei capillari e negli alveoli polmonari i leucociti cir- condare queste spore, che più tardi venivano assorbite da cel- lule giganti. Werigo riferisce di aver trovato in conigli uccisi poco dopo l’iniezione di colture bacteriche in gran numero dei bacteri iniettati nei capillari polmonari. Più direttamente atti- Lusarsca, “ Fortschr. d. Med. ,, 1893. Ascnorer, “ Virchow's Arch. ,, Bd. 134. Foà, © Giorn. della R. Acc. di Med. di Torino ,, 1698. RisserT, Bonn, 1887. SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. DD nenti col mio studio sono le esperienze dello Slavianski (1) prima e poi quelle del Thistovitsch (2) che, iniettando cinabro e carmino nelle vene di conigli, hanno osservato negli alveoli polmonari leucociti carichi dei granuli iniettati. Il Siebel infine trovò nei capillari del polmone una grande quantità dei gra- nuli immessi in circolo, inglobati dai leucociti; questi, passe- rebbero poi in parte nel connettivo interstiziale, in parte negli alveoli polmonari. All'esame macroscopico dei polmoni di animali uccisi im- mediatamente o poco dopo l'iniezione solita, io rilevai che, special- mente nel lobo inferiore, la loro superficie esterna, come pure la loro superficie di sezione, presentava delle vaste chiazze, a con- torno irregolare, confluenti anche fra loro, nere o rosse a se- conda del materiale iniettato. Nei polmoni poi di animali sacri- ficati dopo un più lungo intervallo di tempo dall’ iniezione, osservai che tali chiazze hanno tendenza a ridursi ed a circo- scriversi e talvolta, anche prima che sia trascorso uno o due giorni, più non riscontrasene traccia. All’esame microscopico, mentrechè nelle rimanenti parti dei polmoni non vedonsi gene- ralmente granuli, in corrispondenza di queste chiazze osserviamo invece i capillari polmonari dilatati e zaffati da granuli neri o rossi a seconda dei casi. Gran parte di questi granuli appare libera nel lume vasale; il rimanente qua e là si riscontra in- globato da leucociti. Anche negli alveoli polmonari stessi si trovano leucociti contenenti i granuli colorati. Non mi fu mai dato di rilevare rapporti speciali fra questi granuli e l’endotelio dei capillari. Evidentemente, il materiale iniettato, spinto dal cuore destro, a cui subito arriva, nel piccolo circolo, vi si arresta in gran parte zaffandone i capillari e solo gradatamente ne viene asportato dal sangue ed immesso nel circolo generale. Tali fatti sono probabilmente da riferirsi, in parte, alla quantità piuttosto rilevante di sostanza granulare iniettata ed alla discreta rapi- dità della sua immissione in circolo. Si deve però anche qui ammettere che entrino in scena fenomeni di agglutinazione, simili a quelli che avvengono nel fegato, nel quale i granuli (1) Sraviansgi, “ Virchow's Arch. ,, 1869. (2) Tamsrovirsca, “ Annales de l’Inst. de Pasteur ,, 1889. 56 GIOVANNI MARRO inerti, prima di venire inglobati dai leucociti e dall’endotelio capillare epatico, s'ammassano nei capillari e ne ostruiscono il lume, come precisamente pure si rileva nei capillari polmonari ; poichè se tale agglutinazione non avvenisse ben non si compren- derebbe come i granuli, inferiori di diametro al lume dei capil- lari, vi sì arrestino in notevole quantità. Questi fatti permettono di spiegare la non immediata com- parsa in circolo di buona parte dei granuli iniettati, come pure il fatto, che, nonostante l’esplicarsi rapidissimo dell'attività de- puratrice epatica, midollare, splenica, si possano ancora riscon- trare granuli in circolo 24 ore dopo l'iniezione e più tardi ancora. E si può pure ammettere che i primi fenomeni di assunzione del materiale granulare da parte dei leucociti avvengano preci- samente nel polmone. Rene. — Più volte mi è occorso di osservare nei reni e specialmente nei glomeruli malpighiani, una quantità variabile di granuli iniettati, e veramente il Ponfick propende nell’attri- buire a tale organo facoltà di trattenerli. Dai dati complessivi però delle mie ricerche mi sono potuto convincere che: se non è soverchia la quantità del materiale iniettato e se ben sono eseguite tutte le varie modalità dell'esperienza, riuscendosi così ad evitare la formazione di trombi ed emboli, non si rilevano nei reni traccie dei granuli iniettati, escludendone ben inteso la parte contenuta nel sangue, parte che va man mano scompa- rendo coll’aumentare del tempo intercorrente fra l’iniezione e la morte dell’animale. Le osservazioni fatte per il rene possono pure ripetersi per altri organi (tiroide, timo, ghiandole salivari, pancreas, capsule suprarenali, stomaco, intestino, mesenterio) che furono pure sog- getto di diligente ricerca da parte mia. Nel rene dei polli, in cui avevo iniettato carmino, ebbi la ventura di fare un'osservazione che credo interessante, poichè fornisce, a parer mio, una bella dimostrazione dell’attività spe- cifica dell'epitelio dei canalicoli contorti. Nel rene di ‘questi animali io rilevai infatti che tale epitelio presenta dei minutis- simi granuli rossi, i quali appaiono più minuti di quelli che eransi iniettati. Non tutti i canalicoli presentano un eguale contenuto granulare rosso, in alcuni anzi non rilevasene traccia; nei singoli elementi però di un medesimo canalicolo ne è all’in- SULLA SORTE DELLE SOSTANZE FINAMENTE GRANULARI, ECC. 57 circa raccolta una medesima quantità. Dove scarseggiano, le particelle di carmino si vedono qua e là distribuite in tutto il corpo cellulare degli elementi, specialmente però in vicinanza del nucleo; dove invece sono molto abbondanti, molto più spic- catamente gremiscono quella porzione dell’epitelio compresa fra il nucleo ed il lume del canalicolo, ed allora nella sezione tras- versale di questo spicca evidentissimo un anello rosso, imme- diatamente concentrico al lume del canalicolo stesso. Gli elementi epiteliali contenenti granuli hanno tendenza a sfaldarsi e quelli del tratto immediatamente seguente al glomerulo si possono riscontrare sfaldati nella capsula del Bowmann (Fig. 3). A spiegazione di questi fatti, mi par logico ammettere che i granuli di carmino iniettati in circolo vi si sciolgano in parte per l’alcalinità del sangue, ed, eliminandosi per mezzo dell’epi- telio dei canalicoli contorti, riprecipitino, per un processo chi- mico-fisiologico, nel protoplasma delle cellule epiteliali. La reazione che avviene nel tessuto renale, analoga, ma molto più delicata di quella che mi fornisce la sospensione carminosa, precipita molto più finemente il carmino, i cui granuli man mano che si formano vengono avviati verso la parte dell’ele- mento riguardante il lume canalicolare per essere eliminati. Con queste deduzioni Je mie ricerche si connettono direttamente colle note e classiche esperienze eseguite dall’Heidenhain (1) sui cani e sui conigli col solfoindigotato di soda. Sapendo poi che il carmino, solubile in un mezzo alcalino precipita in un mezzo acido, la sua precipitazione nell’ epitelio dei canalicoli contorti dei polli, costituisce pure una delicata dimostrazione della rea- zione acida di tale epitelio. Nel rene dei conigli mai io riscontrai traccie del carmino iniettato nei canalicoli contorti. In questi animali il carmino, che pur viene disciolto nel sangue, viene precisamente eliminato sotto forma sciolta dall’orina, che già appare tinta in rosso poche ore dopo l’iniezione. Le conclusioni che si possono trarre da queste mie ricerche sono in breve le seguenti: Parte delle sostanze granulari, introdotte nelle vene, si ferma e si agglutina nei capillari polmonari, da cui viene, in seguito, (1) Heipenzarn, “ Arch. f. Mikr. Anat. ,, 1873. 58 GIOVANNI MARRO — SULLA SORTE DELLE SOSTANZE, ECC. asportata. — Rapidamente avviene l'eliminazione dal circolo dei granuli penetrativi, e l'organo che più attivamente concorre ‘a depurarlo è il fegato, col rivestimento endoteliale della sua estesa rete capillare. — Più gradualmente che nel fegato avviene nella milza l'assunzione di notevole quantità di granuli, da parte degli elementi della sua polpa. — Speciale attitudine rilevasi pure negli elementi endoteliali di tutta la rete venosa del midollo osseo, compresa la vena centrale, di sottrarre al circolo le particelle inerti immessevi. Coll’andare del tempo diminuisce il contenuto granulare dell’endotelio midollare, aumentando invece la quantità di granuli che, in elementi estravascolari, pur viene trattenuta nel midollo; di questi elementi, alcuni sarebbero leucociti 0 cel- lule midollari, altri, e sono i più numerosi, appaiono come ele- menti connettivi adulti. Nel midoilo delle ossa il materiale granulare presentasi più minutamente diviso che nel fegato e nella milza. — Negativo fu il reperto di elementi speciali del rene inglobanti le sostanze granulari. Se il materiale di iniezione fu di carmino, in parte viene sciolto nel sangue; nel coniglio, tale parte la troviamo precisamente sotto forma sciolta nel- l’orina, senza che si riscontri traccie del suo passaggio attraverso il tessuto renale. Nel pollo invece; di cui non ho esaminato l’orina, il carmino sciolto, riprecipita sotto forma di minutissimi granuli nell’epitelio dei canalicoli contorti. Alla memoria del Gran Maestro, Prof. Bizzozero, che con- sigliò e diresse queste mie ricerche, dopo avermi posto, coi suoi insegnamenti, in grado di compierle, mi è grato di attestare la mia alta riconoscenza. — Sentiti ringraziamenti porgo poi al Dott. Sacerdotti che mi fu sempre prodigo di consiglio e di aiuto. Laboratorio di Patologia generale della R. Univ. di Torino. È SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Ingrandimento di circa 600 diam. (Koristka, imm. om. 4/1, oc. 4 compens.). Fig. 1. — Midollo osseo di coniglio 1 ora dopo l’iniezione di inchiostro di China: endotelio capillare venoso con granuli di carbone. Fig. 2. — Midollo osseo di coniglio 20 giorni dopo l’iniezione di inchiostro di China: endotelio, elementi midollari e connettivi con granuli di carbone. Fig. 3. — Rene di pollo 30 ore dopo l’iniezione di carmino: epitelio dei canalicoli contorti più o meno gremito di granuli rossi di carmino. L’ Accademico Segretario Enrico D’Ovipro. $ Me “DEGIOVANNI MARRO- Sulla sorte delle sostanze Atti R.Accad.delle Se. di Torino Vol ALTVZ __‘’‘’fimamente granulari introdotte in circolo. Ricerche sperimentali QUESNACIA + rid io y LI ar SL ” È Ù\\ i À Pal A ® T) @) i CI ® | ® $ » delie È \ i; 4 Pi A Lit.Salussolia Torino È 59 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 24 Novembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: PevRron, Vice-Presidente dell’Acca- demia, Ferrero, Direttore della Classe, Rossi, MANNo, BOLLATI DI SAINT-PreRRE, CARLE, CrpoLLa, Brusa, Pizzi, RENIER, Segre- tario. — È scusata l'assenza del Socio GrAr. È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente , 23 giugno 1901. Il Presidente, dopo aver salutato i colleghi ed augurato loro proficui i lavori del corrente anno accademico, dà lettura d’una lettera del Socio Savio, nella quale egli si scusa di poter pren- dere parte solo di raro alle tornate dell’Accademia, per essere ora occupato lungi da Torino a compiere le sue ricerche in- torno ai vescovi della Lombardia. Il Presidente prende atto di questa dichiarazione, ed in nome proprio e della Classe s'augura di vedere il Socio Savio all'Accademia quanto più spesso gli sarà possibile. Sono comunicati: 1°, l’invito della Commissione amministrativa della Biblio- teca Negroni in Novara di intervenire il giorno 29 ottobre u. s. all’inaugurazione di un busto in bronzo del compianto Senatore 60 Avv. Carlo NEGRONI, già Socio corrispondente dell’ Accademia, invito al quale il Presidente ha già risposto ringraziando e pro- curando che l'Accademia fosse rappresentata alla cerimonia; 2°, i programmi di concorso banditi dal “ R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti ,, dall’ “ Académie des sciences, belles- lettres et arts de Savoie ,, e dall’ “ Académie de Stanislas è Nancy ,. È dato conto delle seguenti pubblicazioni pervenute durante le ferie alla Segreteria dell’Accademia, per le quali furono già debitamente ringraziati i donatori: 1°. Domenico CompareETTI, Prefazione all’ opera Homeri Ilias cum scholiis, codex Venetus Marcianus 454 phototypice editus, Lugduni Batavorum, 1901 (dall’autore); 2°. G. DALLA Vepova, I progressi della geografia nel sec. XIX, Roma, 1901 (dall’autore); 3°. March. De NApartLac, Les Séris, Paris, 1901 (dal- l’autore); 4°. A. WeBER, Vedische Beitrige, Berlin, 1901 (dall’autore); 5°. Cenni biografici di Carlo Negroni, Novara, 1901 (dalla Commissione amministrativa della Biblioteca Negroni di Novara). 6°. Biagio CarANTI, La Certosa di Pesio, Torino, 1900, 2 volumi (dalla signora Luigia CARANTI SuAUT AVENA). Di quest’ ultimo dono rileva la particolare importanza il Socio FerrERO, facendo notare la molta benemerenza della signora CARANTI per aver fatto condurre a termine la pubbli- cazione del rimpianto suo consorte. Indi lo stesso Socio FerRERO, Direttore della Classe, offre in nome del Socio corrispondente comm. Vittorio Poi il suo recente volume Series rectorum reipublicae Genuensis, Augustae Taurinorum, 1901. Il Socio Manno fa omaggio dell’opuscolo del conte CoLonna De Cesari Rocca, Recherches sur la Corse au moyen dge: ori- gine de la rivalité des Pisans et des Génois en Corse, Genova, 1901. 61 Il medesimo Socio Manno offre in nome del sig. Giovanni GaLLo un vecchio volume: M. AntonINI Imperatoris, De seipso seu vita sua libri XII, Tiguri, 1558, con postille a penna, rico- nosciute autografe del grecista Luigi OrnaTo. Poichè il volume reca l’ex-libris dell’Accademia, il sig. GALLO volle ch’esso ritor- nasse alla sua primitiva sede, e di questo gentile pensiero e del dono sarà ringraziato. A nome della signora Camilla TrogLiA vedova PeERRERO, il Socio Manno presenta 421 volumi e 50 opuscoli, già apparte- nuti al defunto Socio Domenico PerrERO. Questi volumi furono scelti in modo nella libreria del defunto Socio PeRRERO da schi- vare i duplicati con i libri dell’Accademia. — Il Presidente, facendosi interprete dei sentimenti dell’intera Classe, ringrazia vivamente il Socio Manno per la sua gentile mediazione, che rese possibile un dono così prezioso per la biblioteca accade- mica e si propone di ringraziare direttamente la generosa do- natrice. Il Segretario presenta, a nome del Socio GRAF, una mono- grafia del Dr. Ferdinando NERI, Federico Asinari conte di Came- rano, poeta del secolo XVI. — Il Presidente, designa a riferirne in una prossima adunanza i Soci Grar e RENIER, trattandosi di lavoro da inserirsi nelle Memorie. Per l’inserzione negli Atti sono presentate: 1°, dal Socio CiporLa alcune sue Nuove briciole Nova- liciensi ; 2°, dal Socio RENIER, Quattro note dantesche del prof. Pietro GAMBÈRA. 62 CARLO CIPOLLA LETTURE Nuove briciole Novaliciensi. Nota del Socio CARLO CIPOLLA. Colle annotazioni pubblicate nel fasc. 22 del “ Bollettino dell’Istituto storico , (Roma, 1901, p. 7-34) (1), credevo di avere abbandonato in modo definitivo la storia dell’ abbazia Novali- ciense. Ma invece per cortesia di amici mi trovo ancora indotto a ritornare sopra di questo argomento, e a comunicare a quelli che si occupano di tali studî, anche le poche annotazioni che qui raccolgo distribuite in tre paragrafi. k Per la storia della biblioteca monastica. Alcuni manoscritti dell'Archivio Comunale della Novalesa erano ricoperti da fogli pergamenacei, che mi furono mostrati dal sig. dott. Pietro Regis. Questi scarsi frammenti spettano a due libri liturgici e ad un libro giuridico. C'è un foglio doppio che aveva fatto parte di un Antifonario del sec. XIII, colla scala musicale, coi neumi, colle rubriche in rosso. Ne trascrivo in nota le prime fra le antifone che si rife- (1) A p. 84 sotto la rubrica ultimi ritocchi, rr. 16-17 si legga: “ proponendo l’identificazione con S. Pietro di Rivetta presso Riva e Poirino ,. NUOVE BRICIOLE NOVALICIENSI 63 riscono alla festa di S. Medardo: (1), venerato in modo particolare nell'abbazia Novaliciense (2). L'altro frammento liturgico è alquanto più moderno. È un frammento di Breviario del sec. XIV, con iniziali azzurre ornate in rosso. Il carattere è francese. Da un libro giuridico legale, del sec. XIII, di fabbrica fran- cese, sono stati ritagliati pochi e piccoli frammenti, nei quali il testo è circondato da annotazioni, di varie mani, ma tutte, come pare, del medesimo sec. XIII. II. Un nuovo codice contenente l’epistola di S. Floro. In Intra si conserva una Bibbia, di grande formato, a due colonne (alt. mm. 522, largh. mm. 356), membranacea, scritta da più mani, secondo la migliore probabilità, nel sec. X. Le lettere di maggior dimensione sono miniate a vari colori. I libri del V. e del N. T. vi sono disposti disordinatamente, così che al primo posto troviamo i Paralipomeni, ai quali fa seguito l’ Ecclesiaste, ecc. Il Salterio tiene il 29° posto, ed è preceduto da varie prefazioni. Fra queste si trova, senza titolo, la lettera di S. Floro a S. Eldrado, che ho dato sopra due mss. nei Monumenta Novali- ciensa (II, 208-16). (1) “In vigilia saneti Medardi ad vesperum. Beatus Me- “ dardus sacerdos extitit pretiosus martirum confessor. implevit pervenit “ vietor meritis ad coronam. Evovae. In laudibus antiphona Inter “ Christicolas quas accio vexit in astris pars tibi pro meritis, magne Me- “ darde, pater. Evovae. Antiphona. Quidam cecus ad eum venit rapuit “ palpando salutem in mediis tenebris fulgit aperta dies. Evovae. Anti- “phona Alius quidam veniens dum veherentur menbra sancta feretro “ subtractum meruit cecus habere lumen. Evovae ,. Quanto segue è molto sciupato dall’uso, avendo il foglio, in tarda età, servito di guardia ad un libro, siccome si è detto. (2) Cfr. Mon. Novalic., I, 66; II, 168, 195, 196. Al tempo del cronista sì usavano ancora cantare le antifone di S. Medardo “ composite per ab- “ batiam Novaliciensis , (p. 195). 64 CARLO CIPOLLA Il codice, di cui ora discorro, vennemi segnalato dal ch. dottor sac. Giovanni Mercati, scrittore della Vaticana, il quale ebbe anche la squisita bontà di collazionare, in mio servizio, la let- tera di S. Floro. Questo ms. fa parte di una collezione privata di codici, dei quali forse presto darà notizia. il Mercati stesso. Il nuovo testo non corrisponde esattamente nè al ms. Vaticano (A), nè al codice Casanatense (B), ma partecipa dell’uno e dell’altro testo. Perchè il lettore possa farsi un qualche approssimativo concetto della natura e del valore del nuovo testo, aggiungo alle varianti la rispettiva corrispondenza con A o con B, dove ci sia motivo d’avvertirla. Se non c’è identità, ma soltanto so- miglianza di lezione, in luogo del segno di eguaglianza =, ado- pero quello di somiglianza —. La corrispondenza fra il presente testo, e i due già noti, non si appalesa in modo completo dalla seguente tavola; poichè anche i casi in cui esso concorda colla lezione da me già accolta, e che quindi qui sfuggono, possono offrir campo a considerazioni sulla reciproca relazione fra i tre codici. Il nuovo manoscritto fornisce alcune nuove lezioni impor- tanti. Tali sono p. e. “ ymnus , (p. 210, r. 4), “ propheticis sex , (p. 215, rr. 20-1), “ Rome dudum , (p. 216, r. 7). Il codice con- ferma lezioni dapprima insufficientemente confortate di prova (p. 211, r.2 “ hebraicum ,; p.215, r. 15 “ hymni ,). Serve a con- fermare l’esistenza di un comma dato da A, soppresso da 5 (p. 213, fr. 125) (1). Nella sua sostanza la lettera di S. Floro mantiene intera- mente la sua fisonomia, anche dopo la scoperta della nuova fonte. Tuttavia, siccome qualche cosa di nuovo, e di utile se ne può ricavare, così la stampa della sua collazione può a qualche cosa giovare. Il codice Vaticano A è tutto al più del sec. XI, e ad esso contemporaneo è anche il ms. Casanatense. Il nuovo ms., essendo probabilmente del sec. X, supera per antichità l’uno e l’altro dei codici finora conosciuti. Contraddistinguo il nuovo codice colla lettera C. (1) Mi piace rilevare che la lezione congetturale “ quo , (p. 215, r. 22) di fronte a “ quod , di A e B viene adesso confermata dal presente ms. Essa era stata proposta dal Mai, primo editore dell’epistola di S. Floro. NUOVE BRICIOLE NOVALICIENSI 65 Confrontando le lezioni del cod. C' con quelli A e B esa- minati nei Mon. Noval., il segno = indica identità di lezione; il segno — indica somiglianza. Pag. 208: r. 1, omette (= £); r. 2, Diu iam est (= B); rr. 2-8, uolui; r. 4, quod et ego (= 5); r. 5, uestre (=A); michi (= B); r. 6, ac mendosa (= B); que (= A); r. 7, ingnauia; ac (= 5); r. 8, negotium (= 5); r.9, hebraicam (= 5). Pag. 209: rr. 1, 3, 18, septuaginta; rr. 1,3, quid] quod; r. 2, minus corr. da munus di m'; quodue; magis; r. 3, quod; om. él segno dell’asterisco; pnotato; r. 4, obelo (= 5); om. il segno dell’obelo; vr. 5, sollerti (= 5); inherat] inerat; r.6, hebraica (=); scriptorum] scripturorum; r.7,esset (= B); r. 8, notissimi (= B); r. 9, Sumam; r. 10, adiunxi (= 5); r. 12, asteriscos et obelos suis (= Bb); r. 15, queque (= 4); rr. 13-4, uix tpr ingenti; r. 15, quam et (= A); uestre; r. 16, esse (= 5); r. 17, que (= 4); om. dupplici r. m. (= B); r. 18, in- terpretrum; r. 20, quid|quod; rr.20-1, annotaui (= B); r. 22, vigesimononi. Pag. 210: r. 1, tricesimo tertio (-— A); rr. 1-2, Achimelec; r. 3, quinquagesimo; Bersabee (= B); Bethsabee (= 5); r. 4, sexagesimo; ymnus; r. 6, sexagesimo quarto (— A); r.8, septuagesimo quarto (+ 4); om. melius “ cantici , (= B); rr. 9-10, In septuagesimo sexto psalmus David canticum in hebreo non habet; r. 11, centesimo septimo (+ A); r. 12, tricesimo octauo; exemplariis; r.13) qué (=); r. 15, sexagesimo primo (— B); Deo] dno; r. 16, om. non est; r. 17, sexagesimo secundo: videret| uideat; rr. 19-20, In quinquagesimo quarto ut auerteret mala ini- micis meis, in aliis auerte, et sic in hebreo; r. 21, se- ptuagesimo septimo (> 4); om. Deus. Pag. 211: r. 1, septuagesimo sexto (— A); r. 2, hebraicum superiori (== A); r. 3, dicit (=); r. 4, non] nocte (= 4); r. 5, septuagesimo septimo (> 4); r. 7, se- ptuagesimo octauo; 0m. seruorum (= B); r. 10, c. su- periori conn-;r. 11, octogesimo; r. 12, Iacob (= 8); r. 13, octogesimo tertio; r. 14, tuae; r. 15, om. et; Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 5 66 CARLO CIPOLLA hebraicam; terre (= A); r. 16, octogesimo octauo (+ A); generacione et generacione; r. 17, sic et] sicut et; r. 18, ebreo; auertes (= A); r. 19, sicut] sic; rr. 19-20, aduersus; r. 21, octogesimo nono (+ A); r. 22, sicut] sic; in nostris] nostris; r. 23, asterisco (= A); r. 24, nonagesimo; r. 25, om. sic; ebreo. Pag. 212: r. 1, nonagesimo quinto; r. 2, et sic] sic et; r. 4, nonagesimo septimo ; r. 5, hebraicum (= 5); priori] superiori; r.7,nonagesimo nono (— 4); om. Deus; r. 8, consonat| sic sonat;. . r. 9, centesimo sexto; con- teptio in aliis contentio; r. 10, «-LXxx-] xx; r. 12, cen- tesimo octauo (— B); turbatum] conturbatum; r. 13, cont- est in me utroque; r. 14, centesimo octauo decimo; r. 16, om. illius; rr. 18-19, sed et in septuagesimo secundo ; r. 19, centesimo quadragesimo sexto; r. 21, om. eum; aliud (= £); r. 23, centesimo uice- simo secundo; manibus dominorum; r. 24, ancille (= A). Pag. 213: r. 1, centesimo uicesimo quarto (+ A); r. 3, cen- tesimo tricesimo tertio (> A); ccce (= 8); audimus; 0m. in Kufr-; r. 4, audimus; r.:6, :lacob\(e=}B):; r. 7, est generis] generis est; r. 8, apud (= 5); r.10, om. recte (= A); r. 11, centesimo tricesimo octauo ; r. 12, superioribus inheret (= 2); priori] superiori; r. 14, centesimo tricesimo nono; om. in igne- aliis; r. 16, centesimo quadragesimo tertio (> B); populi (= A); hec (= A); r. 18, centesimo quadragesimo quinto; filiis (= A). Pag. 214: r. 1, centesimo secundo; r. 4, hebreis] hebreorum; om. minime (== B); rr. 5-6, In uicesimo quarto et tri- cesimo sexto et in centesimo decimo et centesimo sexa- gesimo quarto littarum; r. 7, a nobis] nobis; impssa; r. 8, que; parvum (= A); r. 9, interpretaciones; dis- cutiat'‘(='B); r. 10, qua (forse svanì il segno d'abbre- viazione); r. 11, connexui; r. 12, otiose (= B); in- serta] inferre; que; r. 13, spuali, 2 che non può leg- gersi che spirituali; r. 14, tricesimo sexto (= 5); r, 15, centesimo octauo decimo; octenos (= B);. ;r.16, cen- tesimo decimo et undecimo (+ 5); r. 17, dividi (= 5); litteris semper (= B);- ..r. 18, quoque designatum est] NUOVE BRICIOLE NOVALICIENSI 67 usque signatum; r.20, ac (= B); hec (= A); r. 21, dyapsalmata. Pag. 215: rr. 1-2, numerum istorum psalmorum; r. 3, alios- que] aliquos (= B); rr. 3-4, conscribite] conseribi; r. 4, om. quoque (= .); r.5, que(= 4); r.7, aste- riscos (= A); omette le figure; r. 8, spatiose; impri- mantur (= dB); rr.4,9,13,23 ae. (BR r. 10, que (ott r. 11, annotationem; rr. 11-2, assignentur, dove i è corr. da u; r. 12, nouitius (= B); r.15,hymni (= Bb); rr. 15-6, copotù; r. 16, oraciones; altero, dove o è corr.da a; r.17,simbolum (= A); r. 18, evvan- gelica; sunt (= B); r.19, superstitiosa; r.20, centum quinquaginta; rr. 20-1, c- propheticis sex; r.21, que; r. 22, commemorati. Pag. 216: r. 1, corpus corr. da corporis di m'; parum; r. 2, ni- tidumque (= B), colla d corr. da t; rr. 2-3, omeliola, corr. da omelia; r.4, Secunda hec epistola; r. 5, meam (= B) commemoracionem; r. 6, hyeronimi; prefatiun- cula (= B); r.7, Rome dudum; tum; r. 8, et ce- tera (= A); omnium; CRI, MICHI (e OSIO probetur (= B); r. 13, itaque te; r. 17, questo rigo è scritto interamente in lettere capitali. III. A proposito di Waltario. Il Cronista, essendosi imbattuto nel poema sopra Waltarius, se ne compiacque, e lo inserì, compendiato, nel suo Chronicon, accostato e non fuso con altre leggende, con altre tradizioni, riguardanti il monaco Waltario. A me pare si tratti di un sem- plice ravvicinamento, consigliato soltanto dalla omonimia. Lo storico Novaliciense, che apprezzava le ricordanze storiche e che si compiaceva eziandio della poesia e della leggenda, trovò qui una buona occasione per far sfoggio della sua erudizione. Perciò non mi è cosa dubbia, ch'egli trovasse, probabilmente nella biblio- teca della sua abbazia, il poema di Waltario, senza l’accompa- gnamento di qualsiasi narrazione speciale, e che se ne giovasse Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 0” 68 CARLU CIPOLLA — NUOVE BRICIOLE NOVALICIENSI per abbellire la sua esposizione, e per dilucidare, a suo modo, la storia del monastero. Se ora ripubblicassi il Chronicon dovrei giovarmi della edi- zione del poema fatta da E. Althof ( Waltharii Poesis; das Walthar- lied Ekkerhards I von St. Gallen, parte I, Lipsia, Dieterich, 1899), uscita troppo tardi, perchè potessi avvantaggiarmene nella mia edizione del Chronicon. Il valore di questa edizione e delle illu- strazioni che l accompagnano, venne posto in bella luce dal prof. R. ReNIER (1) in una amichevole bibliografia, ch'egli dedicò ai miei Monumenta Novaliciensia. TW. Un nuovo codice del carme di S. Floro. In questi ultimi giorni fu pubblicato un nuovo testo del carme “ David citharista puer liricis concedimus ymnos , (Monum. Notvalic., II, 220-21) trovato in un ms. del 1055, che costituisce il più prezioso tesoro dell’Università di Compostella (gabdinete de reservados, codice, n° 1). Veggasi, M. FÉRITON, Deux manuscrits, ecc., in “ Bibliothèque de l’école des chartes ,, LXII (1901), pp. 377-78. (1) “ Giorn. stor. letter. ital. ,, XXXVIII, 187 sgg., Torino, 1901. . PIETRO GAMBEÈERA — QUATTRO NOTE DANTESCHE 69 Quattro note dantesche del Prot. PIETRO GAMBÈRA. IL Le predizioni di Ciacco e Farinata. Dante fa durare l’azione della Divina Commedia dalla sera del 7 al mattino del 16 aprile 1300 (v. la mia Cronografia del mistico viaggio di Dante, inserita nel vol. XXXVI degli “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,); e quindi egli, per accennare ad avvenimenti posteriori, ricorre al poetico artificio di farli predire dalle anime dei morti. Così, giunto al terzo cerchio dell’Inferno, dove trova Ciacco, punito per la dannosa colpa della gola, lo interroga sulla sorte dei Bianchi e dei Neri, partiti che nel 1300 erano causa di tanta discordia a Firenze. Ciacco risponde: : Dopo lunga tenzone Viminko al sangue, e la parte selvaggia Caccerà l’altra con molta offensione. Poi appresso convien che questa caggia Infra tre soli, e che l’altra sormonti Con la forza di tal che testè piaggia. (Inf., VI, 64-69). È noto (v. capitoli IX e X del vol. 2° della Storia di Firenze di P. Villari), che i due partiti si azzuffarono (vennero al sangue) in piazza S. Trinità la sera del 1° maggio 1300 e che poi le zuffe continuarono. Perciò la Signoria della Repubblica, che era di parte Bianca, il 24 giugno mandò ai confini i caporioni dei Neri e, per ristabilire la concordia dei cittadini, anche alcuni capi dei Bianchi, lasciati poi ritornare. Ma i Neri, capitanati dai Donati e protetti da papa Bonifazio VIII che piaggiava ossia mal dissimulava il proposito fatto di dominare Firenze, otten- 70 PIETRO GAMBÈERA nero nel gennaio 1302, con l’aiuto di Carlo di Valois, che fos- sero esiliati i Bianchi (la parte selvaggia), capitanati dai Cerchi. Questi erano detti selvatichi, perchè di modesta origine, mentre i Donati erano chiamati gentili, perchè nobili di nascita. Il 27 gennaio 1302 fu esiliato anche Dante, come parti- giano dei Bianchi, e perchè era stato dei Do che avevano sbanditi i capi dei Neri e si era opposto alle male arti di Boni- fazio, che aveva chiamato Carlo di Valois. Ciò posto, se i Bianchi ebbero il sopravento durante il prio- rato di Dante e poi hanno avuto la peggio nel gennaio 1302, come va che il divin Poeta, si fa predire da Ciacco che la parte dei Bianchi sarebbe caduta infra tre soli dopo la cacciata dei Neri (24 giugno 1300), mentre essa cadde meno di due anni dopo? I commentatori della Divina Commedia rilevano quest’ ap- parente contradizione, perchè credono erroneamente che la frase infra tre soli significhi fra tre anni. Ma quella frase si deve in- terpretare astronomicamente. E così risulta che lo spazio di tempo, che decorse dal 24 giugno 1300 (data della cacciata dei Neri) ai primi mesi del 1302 (esilio de’ capi dei Bianchi), com- prendeva parte del sole del 1300, il sole del 1301 e parte del sole del 1302. E però fu ben detto che quello spazio di tempo stava infra tre soli e sbagliano lo Scartazzini ed altri dicendo che invece stava infra DUE sole. I commentatori interpretano più o meno male anche la pre- dizione fatta a Dante da Farinata: Ma non cinquanta volte fia raccesa La faccia della donna che qui regge, Che tu saprai quanto quell’arte pesa. (Inf., X, 79-81). Questa profezia, fatta nell’Inferno il 9 aprile 1300, significa che dopo sarebbero passati 49 e non 50 novilunii, quando Dante, già esiliato, avrebbe compreso quanto fosse difficile l’arte di . rimpatriare. La luna, il 5 aprile 1300, era piena (v. la Cronografia già citata); e per conseguenza il primo novilunio cadde il 20 aprile ed il cinquantesimo novilunio cadde giorni 29,5 X 49 ossia 1445 giorni dopo il 20 aprile, perchè l'intervallo di tempo fra due novilunii successivi si può ritenere di giorni 29 e mezzo, QUATTRO NOTE DANTESCHE 71 come ben sapevano anche gli astronomi antichi. Ma 1445 giorni fanno 4 anni meno 16 giorni; epperciò il cinquantesimo novilunio avvenne il 4 aprile 1304 ed il quarantanovesimo il 5 marzo precedente. Adunque la predizione di Farinata doveva verificarsi tra il 5 marzo ed il 4 aprile 1304. E così fu, perchè il Cardinale Nic- colò da Prato, venuto a Firenze il 10 marzo di quell’anno col mandato, avuto da Benedetto XI (succeduto a Bonifazio), di pa- cificare i cittadini e farvi rientrare gli esuli, non potè riuscire nell’intento e anzi, dopo altre inutili trattative, se ne partì ma- ledicendo e lasciando interdetta la città. Nessun altro fatto più di questo potè convincere Dante che assai difficilmente sarebbe ritornato dall’esilio. Nè vale il dire che egli avrebbe dovuto, a preferenza, quasi disperare del suo ritorno a Firenze dopo il combattimento alla Lastra, riuscito disastroso ai Bianchi. Infatti, fra il 9 aprile 1300, data della predizione di Farinata, ed il 20 luglio 1304 (combatti- mento alla Lastra), la faccia che la luna rivolge alla terra, si riaccese, non cinquanta volte, ma bensì cinquantatre volte. Del resto alla Lastra Dante non andò, perchè già si era separato sdegnosamente dai suoi compagni di sventura, come si rileva dalla profezia del suo trisavolo Cacciaguida, il quale, dopo di avergli predetto l’esilio, soggiunge: E quel che più ti graverà le spalle Sarà la compagnia malvagia e scempia, Con la qual tu cadrai in questa valle, Che tutta ingrata, tutta matta ed empia Si farà contro te; ma poco appresso Ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. Di sua bestialitate il suo processo Farà la prova, sì che a te fia bello Averti fatto parte per te stesso. (Parad., XVII, 61-69). Conchiudo che niuna discordanza cronologica esiste fra le predizioni di Ciacco e Farinata, ed i fatti ai quali il Poeta in- tese di riferirle; e che anche queste predizioni confermano che l’anno della visione dantesca è il 1300 e non il 1301. 72 PIETRO GAMBERA LE Il freddo del nono cerchio dell’Inferno. Dante dice al conte Ugolino: quando sarò ritornato su nel mondo, riferirò le ragioni del tuo feroce odio contro l’arcivescovo Ruggieri: Se quella con ch'io parlo non si secca. (Inf., XXXII, 139). I commentatori interpretano questo verso in modo sconve- niente alla serietà del Poeta, dicendo che egli volle significare: Se non muoto (prima che io ritorni su nel mondo). Il Poeta, che si trovava su lo stagno ghiacciato di Cocito, ed era tutto tre- mante per l'intenso freddo, intese invece con quel verso signi- ficare: Se la mia lingua, mentre parlo, non si congela, non diventa dura (secca) per il freddo. Infatti se, mentre parlava, gli si fosse gelata la lingua, non gli sarebbe rimasto altro rimedio che l’ amputazione. E così reso muto, non avrebbe più potuto mantenere la promessa fatta al conte Ugolino. III Dell’ora in cui Dante salì al cielo. Il sig. G. Agnelli, opponendosi nuovamente a me ed anche all’astronomo Schiaparelli (v. Giornale dantesco, a. IX, pag. 183), ritorna a sostenere la stranissima opinione del Benassuti, che Dante sia salito al cielo a mezzogiorno, allorchè invece si recò al fiume Eunoè, e non il mattino seguente, al sorger del sole, cioè quando questo fatto avea mane al Paradiso terrestre. Egli richiama l’attenzione del lettore sui versi: Surge ai mortali per diverse foci La lucerna del mondo; ma da quella, Che quattro cerchi giunge con tre croci, Con miglior corso e con migliore stella Esce congiunta, e la mondana cera Più a suo modo tempera e suggella. QUATTRO NOTE DANTESCHE 73 Fatto avea di là mane e di qua sera Tal foce quasi; e tutto era là bianco Quello emisferio, e l’altra parte nera, Quando Beatrice in sul sinistro fianco Vidi rivolta a riguardar nel sole. (Parad., I, 37-47). Poi osa dire che, fatto avea di là mane, significa che era compiuto il mattino al Purgatorio ossia che là era mezzogiorno; e che, fatto avea di qua sera, significa che era finita la sera a Gerusalemme ed era quindi mezzanotte. Ammettendo queste interpretazioni, la frase, ha fatto giorno, dovrebbe significare che il giorno è compiuto e sorge la notte; e la frase, ha fatto notte, significherebbe che la notte è finita e sta per sorgere il sole! L’A. interpreta pure male la proposizione, tutto era là bianco quello emisferio e l'altra parte nera, perchè non ha compreso che Dante volle accennare, come ha dimostrato lo Schiaparelli, all’emi- sfero celeste che egli vedeva dalla sommità del monte del Pur- gatorio, e non già all’emisfero terrestre che ha per vertice quel monte. Dall’Eden soprastante, sebbene altissimo, il Poeta non poteva vedere di quell’ emisfero terrestre che una piccolissima parte. Invece vide l'emisfero celeste, tutto dianco, perchè bianco, e non azzurro, si mostra il cielo quando sorge il sole. Tutta l’altra parte del cielo non era visibile che dall’ antipoda Geru- salemme e doveva mostrarsi nera perchè il sole era tramontato. Inoltre l’A., per non contradirsi, ricusa la mia spiegazione del lungo indugio di Dante a salire dall’Eden alla luna (v. “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXV e XXXVI). E dice che Dante avrebbe fatto cosa semplicemente puerile, se avesse, dopo mezzogiorno, ritardata la sua salita sino al mat- tino seguente, per attendere che la luna passasse di sopra al monte del Purgatorio. Ma io rispondo che è invece assurdo il supporre che il Poeta, trascurando nel momento meno oppor- tuno la sua scienza astronomica, sia salito al cielo poco dopo che ebbe bevuto di Eunoè, cioè quando non poteva congiungersi con la luna, perchè essa era per tramontare. Anzi, osservo che, siccome il Poeta, a mezzogiorno, andò a quel fiume per /o dolce ber che mai non lo avria sazio, quando ritornò a Beatrice il me- riggio doveva essere già passato da non poco tempo. 74 PIETRO GAMBERA Finalmente l'A. dice: se Dante e Beatrice, già rivolti ad Oriente, fossero saliti al cielo, al sorger del sole, “ quel voltarsi “ in sul sinistro fianco che significato avrebbe? il sole nascente “ non sarebbe stato di fronte? che necessità volgersi a sinistra “ per riguardarlo? , Con queste obiezioni l’Agnelli prova solamente di non sapere che chi, da qualsiasi luogo della superficie terrestre, sta volto ad Oriente, ossia sta disposto in modo da avere a sinistra il Nord ed a destra il Sud, vedrà spuntare il sole di fronte, sol- tanto in occasione degli equinozi; e lo vedrà invece spuntare verso sinistra dopo il nostro equinozio di Primavera, e verso destra dopo il nostro equinozio d’Autunno. Dante e Beatrice salirono dall’Eden al cielo la mattina del 14 aprile 1300 (stile giuliano); cioè, quando il sole era già no- tevolmente declinato a Nord rispetto all’Equatore. Perciò essi, che nel Paradiso terrestre erano rivolti ad Est, dovettero gi- rarsi alquanto a sinistra per fissare gli occhi al sole nascente e acquistare così la virtù di fare l’ascensione sino a congiun- gersi con la luna, che si avvicinava al loro zenit. IV. Il verace speglio. Dante nell’ottavo cielo dice ad Adamo (Parad., XXVI, 94-96): Devoto quanto posso a te supplico Perchè mi parli; tu vedi mia voglia, E, per udirti tosto, non la dico. Adamo risponde (vv. 103-108): Senz’essermi proferta Da te) la voglia tua discerno meglio Che tu qualunque cosa t’'è più certa; Perch’io la veggio nel verace speglio Che fa di sè pareglie l'altre cose E nulla face lui di sè pareglio. Quest'ultima terzina fu dallo Scartazzini giudicata una delle più pesanti croci degl’interpreti. Ma io osservo che se costoro ne QUATTRO NOTE DANTESCHE 75 avessero interpretato il senso letterale, prima di tentarne il senso allegorico, non avrebbero sostenute inutilmente le fatiche del Cireneo. i Il senso letterale di quella terzina diventa chiarissimo, in- tercalandovi due pleonasmi come segue: Perch’io la veggio nel verace speglio Che fa di sè (stesse) pareglie l’altre cose, E nulla face lui di sè (stesso) pareglio. Infatti è noto che uno specchio piano (verace) ci dà degli altri oggetti le immagini eguali (pareglie) agli oggetti stessi; ma nessun oggetto può darci l’immagine di uno specchio. E però Dante volle significare; per bocca di Adamo, che Dio (il verace speglio) comprende (ritrae) ogni cosa, anche i nostri pensieri; ma che nessuna cosa, nemmeno il nostro pensiero, può compren- dere (ritrarre) Dio. L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. — _*<- l'orino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. è de' RR. Princip) i SII Poggio : cori Loi & ' i) ta lai dieta pete Cina denso BART -Rp; mi “pla set: I, 1 Met: sE sorda ito icantoslg e0 la: i gua | È n quasto obitoita mini "dogs pe cm siete di nor CN È scan >) if sita oa NIAZANE h, ‘o b vi, dir sf x ne EDI, da | I nta‘ og BILAI Spe) sa jb tit gporià, fi pg, de d A NT gob db ro todo) vena biàriga ron disdiorì Lot ia e by fi i sibenian idù UEROo spit ta | stes n “vpagprafoana ’ iolissasto mi vado: Pa) ic.) Térsq Mnottdooegnporo irc bintaleidug atta agoAnt un ssi Vip. odor gb Arhe na A! 29 somgtingia allov® Vos ‘italiano intdden frsdorinlianios datati mò colino sro cis j dnoiggioo IG) 0sbiknag dida :[ivonartnostazo anicert a ì à ] LE Li "i HI TILAADEL \° ran x Pea \ : ut Invattàtà pu DE TISIO" TI, sà GM SII , vb i” i | ÙU ì P L Uh TTM Ni AT ( ni Lo LA . % A No i È Academy Of Sciences CLASSI UNITE Adunanza del 1° Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: BerRruTI, D’Ovipio, NaccarI, Spezia, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, Foà, GuarEscHI, Gurpi, FrLeri, PARONA e MarTTIROLO. della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: . Pevron, Vice Presidente dell’Accademia, Rossi, FERRERO, GRAF, CrpoLLa e Brusa. — Scusano la loro assenza i Soci CARLE, Manno e RENIER. Funge da Segretario il Socio D’OvIpro. Si legge e si approva l’atto verbale della precedente adu- nanza (21 aprile). Il Socio CrproLLa dà lettura della relazione sul premio di Fondazione Gautieri, che questa volta tocca alle discipline sto- riche, a nome della Commissione composta dai Soci FERRERO, SAVIO e CIPOLLA. OnoREVOLI COLLEGHI, I sottoscritti, per esaurire l’incarico onorevole che l’Acca- demia ha loro affidato, non solo considerarono quei libri che dagli autori vennero inviati coll’intendimento di aspirare al premio, ma estesero molto più in là le loro indagini. Si rivol- Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 6 78 sero per consiglio ai colleghi, e fecero per conto proprio quelle più larghe ricerche che fu loro possibile. L’officio loro era quello di esaminare e di proporre al voto dell’Accademia l’ “ opera di storia politica e civile in senso lato , che può riguardarsi come la “ migliore fra quelle pubblicate negli anni 1898-1900 , da autore italiano e in lingua italiana. Le difficoltà che i sottoscritti incontrarono nella esecuzione del loro mandato erano gravi assai, poichè numerosissime sono. le opere che di anno in anno si pubblicano dai nostri eruditi nel vastissimo campo della storia, e molte sono quelle che meritano per diversi rispetti di essere giudicate come pregevoli. È diffi- cile comparare fra loro tante e tante opere, pesarne i meriti, vagliarne i difetti, bilanciarne il valore. Molte volte gli argo- menti ch’ esse trattano sono così disparati, che anche di qui sorgono nuove difficoltà per coloro che hanno il mandato di metterle rispettivamente in confronto. Non pare necessario parlare qui di tutti i libri esaminati, essendo sufficiente discorrere di quelli che maggiormente richia- marono l’attenzione degli scriventi e che, sia per il valore in- trinseco, sia per l’utilità che la scienza ne ricevette, sembrarono degni di speciale menzione. Alfabeticamente disposti, gli autori di dette pubblicazioni sono i seguenti: Besta Enrico, CALIisse Carlo, De SANcTIS Gaetano, GaBorTO Ferdinando, GHERARDI Alessandro, Manrroni Camillo, Pars Et- tore, Rossi Agostino, SALvemIini Gaetano, SANTINI Pietro. — Fra questi, i signori Gabotto, Manfroni, Salvemini, Santini pre- sentarono essi stessi i loro lavori. Il prof. Enrico BestA, con parecchie pubblicazioni si rese benemerito della storia della giurisprudenza Veneziana, la quale ha intime attinenze colla storia politica, senza tuttavia identifi- carsi con essa. La natura strettamente giuridica della trattazione, c'impedisce di considerare come libri storici le sue pubblicazioni sugli Statuti del dogado Veneziano (“ Arch. giur. ,, LXII, a. 1899), 1 Diritti e leggi civili di Venezia fino al dogado di Enrico Dandolo (“ Ateneo Veneto ,, t. XXII, a. 1899), ecc. Meglio entra nel nostro campo il volume, nel quale il Besta espose l’origine, la storia, le attribuzioni del Senato Veneziano (Venezia, 1899), an- 79 corchè anche in questo ]’ intento giuridico dell'autore si faccia manifesto. Ma siccome il diritto pubblico ha colla storia politica un vincolo strettissimo, così la Commissione si fermò a conside- rare questo lavoro come cosa di sua piena spettanza, e volentieri ne riconobbe il non mediocre valore. L'autore si giovò assai di quanto gli scrittori nostrani e forestieri avevano esposto sugli argomenti da lui diffusamente trattati. Nè contento di questo, fece spesse volte ricorso anche alle fonti manoscritte. Sicchè il suo lavoro, ancorchè a quando a quando abbia l’aspetto di una compilazione, presenta molta originalità, sia in parecchie delle sue parti, sia nel disegno generale. Infatti prima d’ora non esi- steva una speciale monografia sul Senato, che fu il principale tra i Consigli Veneziani, e il cardine della costituzione di quella Repubblica. Il prot. Carlo Carisse pubblicò la Storia di Civitavecchia (Firenze, 1898) dalle origini sino ai giorni nostri. È un volume seritto con mirabile lucidità e con ordine lodevolissimo, da uno storico, che si dimostra abile nel trattare così la storia antica, come la moderna di una città, che ebbe non mediocre impor- tanza. Le ricerche. critiche minute non mancano; l'Autore op- portunamente ricorse più volte a fonti inedite, se anche forse non sempre e non completamente questo gli fu possibile. Del prof. Gaetano De SanctIs c'è la Storia della repubblica Ateniese dalle origini alla riforma di Clistene (Roma, 1898), frutto di lunghi studi, condotti con serenità e originalità di pensiero. Non tutti forse accoglieranno interamente la restituzione della più antica storia ateniese tentata dall’ Autore; ma tutti do- vranno riconoscere e lodare in lui una dottrina vasta e sicura, un ottimo uso delle fonti, una grande finezza di critica. Di tali doti l'Autore ha già dato prova in altri precedenti lavori di storia greca: questo poi, per l’importanza dell'argomento e per l'ampiezza della trattazione, è il più notevole del De Sanctis, il quale, in giovane età, ha già conquistato un posto alto fra i cultori della storia antica, studiata in Italia meno di quello che si dovrebbe. Il prof. Ferdinando GaBorTO, presentò al premio Gautieri varie opere, che si distribuiscono in tre gruppi. C'è una storia compen- 80 diosa di Cuneo dalle origini fino ai nostri giorni (Cuneo, 1898). Due volumi riguardano Pinerolo, uno di essi contenendo il cartario dell'Abbazia, e l’ altro, di minor mole, offrendoci l’ esposizione degli avvenimenti pinerolesi, sino alla metà del sec. XIII. Di gran lunga più notevole è il terzo gruppo, che si riferisce alla storia d’ Ivrea. Esso consta di due volumi, in cui si pubblicano le carte di detta Chiesa fino al 1313 (Pinerolo, 1900), nonchè di un altro volume di carattere espositivo, arricchito peraltro di un’ appendice di documenti, il quale si intitola Un millennio di storia Eporediese, 356-1357 (Pinerolo, 1900). Il cartario con- tiene per la massima parte documenti del XIII secolo, accom- pagnati in scarsa misura da notizie paleografiche, archivistiche, | storiche. È un codice diplomatico, che pure nei modesti limiti della storia regionale, reca vantaggio agli studì, e dimostra quanta sia l’operosità del prof. Gabotto, il quale attese a questa pubblicazione con zelo. Ma forse lo zelo talvolta lo vinse. Chè si può sospettare esservi stata troppa fretta nella compilazione, quando si bada allo strano equivoco in cui lA. cadde, datando il documento 115; ad esso egli attribuisce l’anno 1226, preten- dendo di avvertire anche una sconcordanza nelle note cronolo- giche, mentre il testo da lui stesso ivi prodotto nel rigo suc- cessivo, da apertamente il 1224, colla indizione e col giorno che pienamente concordano. Altrove il Gabotto esita nella datazione di varî documenti, perchè non affrontò direttamente quelle que- stioni sulle formule di datazione, che sarebbe stato necessario discutere a fondo. Per recare un esempio, una teoria sulla da- tazione, diversa da quella presupposta dal Gabotto, avrebbe spostato di giorno e di anno i due documenti, ch’egli produce sotto il n. 152. . Nel volume di carattere espositivo, l'Autore comincia dal dichiarare che nè vuole nè può esser completo, sia perchè in al- cune parti la ricerca dei documenti è tuttora deficiente, sia perchè intende di non occupare il campo che altri studiosi si sono ri- serbati. Nonostante queste dichiarazioni, vasta assai dimostrasi l’erudizione del Gabotto, nelle cui pagine fatti si succedono a fatti, persone a persone, citazioni a citazioni, così che ne appa- risce evidente il molto studio ch’ egli premise alla estensione del suo lavoro. Tuttavia non è facile dire se l’ erudizione sia pareggiata dalla meditazione. Infatti, sotto il cumulo dei parti- 81 colari si cela, sparsa qua e colà, la storia delle trasformazioni subìte dagli organismi amministrativi e dalle condizioni sociali. Nè le cause dei fatti, appaiono quindi così distinte, come i fatti stessi. Non è ben chiaro il motivo, per cui qualche periodo glo- rioso della storia d’Ivrea, sia stato troppo succintamente nar- rato. L'età di Warmondo, che fu vescovo d’Ivrea tra il sec. X e l'XI, offriva pur campo a mostrare che ci è stato un momento in cui Ivrea risplendette come uno dei fari più luminosi, che fecero brillare il raggio della cultura nell'Italia superiore. Cer- tamente il Gabotto accenna, e più volte, a questo, ma ciò ch’egli dice è troppo poco in paragone della importanza dell’argomento, tanto più ch’ egli non dichiarò espressamente di aver in mira soltanto la storia politica in senso stretto. Vuolsi anche notare che l’azione da Ivrea esercitata lungo il medioevo nella storia d’Italia, non fu tanto grande da gareg- giare con quella di altre città, alle quali altri studiosi, tra cui alcuni di cui parla la presente Relazione, rivolsero le loro ri- cerche. Sicchè tanto più si rendeva conveniente che l'A. mettesse in piena luce quei pochi periodi, nei quali la storia eporediese presenta un interesse veramente generale. Alessandro GHERARDI pubblicò in due grossi volumi in-4° le così dette Consulte della Repubblica di Firenze. È una pub- blicazione di lunga lena, che al Gherardi costò moltissimi anni di fatica e di studio. Il primo volume uscì nel 1896, ma il se- condo essendo del 1898, tutta l’ opera rientra nel triennio, al quale si riferisce il premio attuale. Queste Consulte ci dànno gli atti dei Consigli di Firenze, le discussioni e le deliberazioni, fra il 1280 e il 1298, vale a dire riproducono la storia interna ed esterna, civile e politica di Firenze, in uno dei più impor- tanti periodi della sua storia comunale. Chi ha preso in mano, pure una volta sola, i mss. delle Consulte, sa quali e quante diffi- coltà presenti la loro lezione, così danneggiati e disordinati e manomessi essi furono dagli uomini e dal tempo, e così confuso n'è il testo, a causa di ritocchi e di pentimenti. Chi quei mss. non vide mai, può formarsene un concetto esaminando i due fac- simili, che adornano l’edizione del Gherardi. Il Gherardi si dimostrò valente paleografo nella lettura di quei codici, ed interpretò assai bene le necessità degli storici, ri- 82 volgendo il suo studio a quell’ argomento. Per tale maniera le Consulte del Gherardi divennero il capo saldo al quale si rife- rirono e da cui mossero quelli che, dopo di lui, ritentarono la. storia di Firenze nel periodo citato. Ma il Gherardi non si limitò a disimpegnare, in modo ve= ramente perfetto, la parte di paleografo. Egli premise alle Consulte una Introduzione, nella quale spiega che cosa siano le Consulte, dilucida tutto l inviluppato congegno dei Consigli di Firenze, chiarisce quali materie vi si discutessero, e come la discussione avesse luogo. Questa Introduzione, che dai compe- tenti fu giudicata, ed è veramente, una monografia degna di ogni encomio, sì per la sostanza, che per la forma, chiudesi colla espo- sizione dello stato dei codici e della loro storia. Sotto il titolo di Appendici ai due volumi, a corredo delle Consulte, il Gherardi raccolse varî manipoli di documenti. Gli Indici finali, condotti colla maggior cura, sono il necessario complemento di un’opera, che rimarrà fondamentale nella storia. di Firenze ai tempi di Giano della Bella. Il Gherardi, che per mille altre maniere è benemerito alta- mente dell'Archivio di Firenze e della storia di quella città, accrebbe d’assai, con questa pubblicazione, il dovere di gratitu- dine che gli debbono gli studiosi di storia. N prof. Camillo MANFRONI fece speciale oggetto ai suoi studî la storia della marina, e già in occasione del conferimento del- l’antecedente premio Gautieri per la storia, questa Accademia. si occupò del volume (Roma, 1897), in cui egli espose la storia della marina italiana dal 1453 al 1572. Nel 1899 il Manfroni pubblicò un nuovo volume, in cui si occupa del periodo che dalla caduta dell'Impero Occidentale giunge sino al 1261. Questo nuovo volume ha presso a poco gli stessi pregi e gli stessi difetti del precedente. Ciò vuol dire che abbondanti sono le no- tizie di fatto, ancorchè in questa occasione l'Autore non siasi trovato in grado di recare innanzi molti documenti nuovi. Non sempre sfuggì dal pericolo di cadere in abbagli. Ma il maggior danno viene all'opera da ciò, ch’essa è piuttosto la storia delle imprese marittime, che non quella della marina. La perizia tecnica vi è troppo manchevole. 83 Al prof. Ettore Pais, per la sua Storia della Sicilia e della Magna Grecia, la nostra Accademia conferì altra volta il premio Gautieri. Negli ultimi anni (Torino, 1898, 1899) questo instancabile lavoratore pubblicò due tomi di Storia Romana, nei quali critica le tradizioni riguardanti la storia romana nei primi secoli, giun- gendo a risultati completamente negativi rispetto alla sua cre- dibilità. Anzi egli non ammette neppure l’esistenza di una vera e propria leggenda nazionale. Secondo la sua teoria, i racconti sono spessissimo anticipazioni o duplicazioni di fatti veri, ma di tarda età; ovvero imitazioni e copie di narrazioni greche; quando invece non rispondono a concetti religiosi indipendenti dalla realtà storica. Il Pais, come critico, è acuto, anzi a parecchi potrà spesso sembrare troppo acuto; come conoscitore delle fonti, è padrone della materia. I due tomi della sua Storia non costituiscono peraltro un’opera completa. In essi l'Autore non di rado rimanda al tomo di complemento, in cui discuterà degli annalisti e delle altre fonti della storia Romana. Oltre a questo, è a notare che manca finora la restaurazione storica, che il Pais vorrà far seguire alla sua opera di demolizione. La parte negativa non può intendersi in modo pieno e completo senza la parte positiva, tanto più in questa opera, in cui così sottil- . mente ingegnosi sono gli argomenti della critica demolitrice. Al punto in cui siamo, non sembra che il lettore sia ancora in grado di concepire nella sua ampiezza tutto il vasto disegno del Pais e di pesarlo convenientemente nel suo insieme e nelle sue parti, nelle sue basi e nelle sue conseguenze. L’opera apparisce come un grande edificio in costruzione, che impone colla maestà delle sue pareti e delle sue colonne; ma ancora mancano gli archi che devono innalzarsi su di queste, e sostenere le parti superiori della fabbrica. Nella monografia del prof. Agostino Rossi su Francesco Guie- ciardini (Bologna, 1896, 1899; 2 voll.), è grande la diligenza delle ricerche; i giudizî sono parchi ed assennati; la narrazione è oggettiva. Fine assai è 1 esame psicologico del Guicciardini, e lo studio dei motivi per i quali egli parteggiò per i Medici, e favorì la loro restaurazione in Firenze. Il periodo storico al quale si estendono le pagine del Rossi non è molto grande, e il gruppo dei fatti ch’ egli studia non è molto complesso. Ma se 84 al Rossi non vogliamo chiedere più di quello ch’egli ha voluto darci, riconosceremo facilmente che il suo libro è fuor di dubbio da annoverarsi fra quelle opere storiche che veramente giovano al progresso degli studi. Il prof. Gaetano SALVEMINI, col suo volume Magnati e popolani (Firenze, 1899), ha portato un prezioso contributo di dati nuovi e di considerazioni argute sulla lotta politico-economica com- battutasi entro le mura di Firenze dal 1280 al 1295. È un’opera a base di ricerche originali; l'esposizione è in generale chiara, vivace ed elegante. Egli prende le mosse dalle Consulte edite dal Gherardi, e le completa, per quanto riguarda il suo scopo, con documenti inediti. Ma non sempre le sue argomentazioni riescono del tutto convincenti. Così p. e. i suoi risultati positivi sulla distribuzione delle ricchezze rispetto ai diversi ordini della cittadinanza, non paiono completamente sviluppati. Alcuni difetti si possono agevolmente riconoscere in questo libro, sia nell’uso delle fonti, che talvolta è incerto, sia in alcuni dati di fatto, sia nello studio delle cause degli avvenimenti. Il prof. Pietro SANTINI pubblicò nel 1900 nell’“ Archivio Sto- rico Italiano ,, e più tardi raccolse in un volume (Firenze, 1901) le sue indagini sul contado e la politica esteriore di Firenze nel sec. XII, che servono di continuazione ad altri suoi studi, nei quali egli aveva dilucidato la storia costituzionale e sociale di Firenze, nel secolo predetto. La parte più importante di questo nuovo volume è quella che riguarda la resistenza da Firenze opposta agli Svevi, e la costituzione della lega di S. Genesio; qui senza dubbio egli giunge a risultati succosi e bene asso- dati, che interessano non solo la storia di Firenze, ma quella di tutta la Toscana. Il Santini fece largo uso di documenti , e svolse la tela della sua narrazione attenendosi ad essi strettamente. Ma l'esposizione lascia qualche desiderio insoddisfatto, poichè il Santini è un po’ oscuro, nè riesce a padroneggiare sempre la ma- teria, dalla quale invece talora sembra dominato ed oppresso. EcrEGI COLLEGHI, La Commissione, fra i lavori ch’essa esaminò, e intorno ai quali espresse il suo parere, è d’avviso che le Consulte del 85 Gherardi possano fermare in modo particolare la vostra atten- zione. E ciò non solo per il valore ch’esse hanno in sè stesse, ma anche per l'impulso gagliardo ch’esse diedero agli studi sto- rici fra di noi. Dalle Consulte del Gherardi muovono infatti i più recenti storici di Firenze, ad esse facendo capo, siccome a sicuro punto di partenza, anche gli studi del Salvemini e del Santini. Il Gherardi è un uomo rispettato e apprezzato per le sue grandi benemerenze verso la storia fiorentina, per la lar- ghezza colla quale egli aiuta gli studi altrui, per l’importanza delle pubblicazioni sue proprie. Concedendo a lui il premio Gautieri, la nostra Accademia renderà onore ad un illustre veterano della scienza storica e della paleografia, che i dotti nostrani e fore- stieri stimano e venerano da lunghissimi anni. E. FERRERO, F. SAVIO, C. CIPOLLA, relatore. Il Presidente ringrazia il relatore e la Commissione del- l’opera loro diligente. Gli Accademici Segretari Enrico D’OvipIo RopoLro RENIER. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 1° Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NACcARI, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, Pravo, JADANZA, Foà, GuARESscHI, Guipi, FiLeTi, PARONA, MaT- TtIRoLo e D’Ovipro Segretario. È letto ed approvato l’atto verbale dell’ adunanza ante- cedente. Il Segretario dà lettura di una cortese lettera del Socio straniero E. HAECKEL, con la quale questi accompagna il dono di due suoi recenti libri: Kunstformen der Natur, e Aus Insul- inde Malayische Reisebriefe. Fanno inoltre omaggio di loro pubblicazioni: Il Socio corrispondente F. R. HeLmERT: Zur Bestimmung kleiner Fliichenstiicke des Geoids aus Lothabweichungen mit Riick- sicht auf Lothkriimmung. Sua Altezza Serenissima il Principe Alberto I di Monaco: Résultats des campagnes scientifiques accomplies sur son yacht, fascicoli 19 e 20 con 3 grandi carte. La Società di Storia naturale di Norimberga: Saecular- Feier der Naturhistorischen Gesellschaft in Niirnberg, 1801-1901. Il Dr. Luigi CoLompa: Sopra una Jadeitite di Cassine (Acqui), presentata dal Socio SPEZIA. La Classe ringrazia i donatori. 87 Il Socio GuarEscHI riferisce sulle feste in onore del Socio straniero M. BerrHELOT, nelle quali egli ha rappresentato l’Acca- demia; e comunica il discorso da lui pronunciato a Parigi, il quale sarà pubblicato negli Atti. Il Presidente ringrazia il Socio GuaAREScHI di avere degnamente rappresentato l’ Accademia. Il Socio Guipi, anche a nome del Socio SEGRE, legge la re- lazione sulla Memoria del Dr. Ing. Modesto PANETTI: Contributo alla trattazione grafica dell'arco continuo su appoggi elastici. La Classe, approvando la relazione, ammette la Memoria alla let- tura, e poscia con votazione segreta unanime l’accoglie per l’in- serzione nei suoi volumi. Da ultimo la Classe provvede a farsi rappresentare alle prossime feste cinquantenarie della Società di scienze matema- tiche e naturali di Cherbourg, per mezzo del sig. H. JouAN Pre- sidente della Società. 88 LETTURE NELLA CELEBRAZIONE DEL CINQUANTENARIO DELLA PRIMA PUBBLICAZIONE DI MARCELLINO BERTHELOT sotto la Presidenza del Signor Presidente della Repubblica Francese. DISCORSO PRONUNCIATO ALLA SORBONNE il 24 Wovembre 1901 dal Socio ICILIO GUARESCHI Rappresentante della R. Accademia delle Scienze di Torino. ILLustre MAESTRO, Permettete che, quantunque ammiratore della bella lingua francese, a cui ricorro ogni giorno per i miei studi, io vi rechi un saluto riverente nella favella della mia patria, l’Italia; a Voi, che nutriste di vasti e profondi studi classici la vostra mente e che dopo quarant'anni, come, con nobile modestia, avete detto voi stesso, ritrovaste nella vostra memoria la lingua greca e ve ne faceste stromento fecondo di preziose ricerche storiche, non sarà discaro forse che oggi, nell’inno che s’innalza per Voi, si unisca un suono di accento italico. Io vi reco il saluto e l’omaggio augurale della R. Acca- demia delle Scienze di Torino che si onora di avervi fra i suoi più illustri soci, ammirando in voi il grande campione della Scienza francese; e sono lieto ed orgoglioso di tale incarico; l'Accademia, che ebbe fra i suoi membri nazionali Lagrange, Spallanzani, Volta, Avogadro e Plana, e che riconosce in voi il 89 decano venerato e glorioso della chimica, unisce per mezzo mio il suo plauso a quello dei corpi scientifici di tutte le Nazioni. Ecco la lettera che Essa mi ha incaricato di presentarvi: IMustre Collega, L'Accademia delle Scienze di Torino, che si onora di annove- rare la S. V. Chiariss"" fra i suoi socì stranieri, non vuol mancare alle solenni e ben meritate onoranze, che il mondo scientifico si appresta a tributarle nel compiersi di un mezzo secolo, da che Ella con lavoro indefesso e con geniale alacrità di mente intende ad arricchire il patrimonio delle scienze chimiche. I socì dell’ Accademia vanno a gara nell’inviarle cordiali augurî di felice e operosa longevità, e nell’esprimerle vivissima gratitudine per quanto Ella ha operato a pro della scienza. Dei loro sentimenti sarà competente interprete il socio I. Gua- reschi, il quale sì reca a Parigi a tale scopo. Gradisca, illustre e venerato Collega, il nostro profondo ed affettuoso ossequio. Torino, 20 Novembre 1901. Il socio Segretario Il V. Presidente dell’ Accademia Enrico D’Ovipio BerNnARDINO PerRoN Non vi è nessun grande ramo della chimica e della fisica che non porti glorioso il vostro nome; la sintesi dei composti organici, le immense ricerche sugli idrocarburi, gli studi sulle affinità e l’eterificazione, la termochimica, il metodo generale di riduzione, le ricerche sull’effluvio elettrico e sull’ozono, la scoperta dei perossidi acidi, le ricerche sulle fermentazioni e gli idrati di carbonio, lo studio delle materie esplosive, gli studi di chimica fisiologica vegetale ed animale, ed infine le vostre ricerche storiche sull’alchimia e Ja chimica del medio evo, monumenti grandiosi della vostra coltura scientifica e letteraria, sono vere colonne miliari pel progresso della scienza, sono insomma lavori ognuno dei quali basterebbe alla gloria di un uomo. Già colle ricerche sull'azione del color rosso sull’alcol e sul- l'acido acetico, pubblicate cinquant'anni or sono, inauguraste la 90 lunga serie delle vostre esperienze sulla sintesi dei composti organici e lo studio delle reazioni pirogeniche. Colla sintesi del metano, il più semplice degli idrocarburi, e che fu scoperto da Volta, avete reso possibile la sintesi di tutti i composti organici e quindi la distruzione dell’antica ipo- tesi di una forza vitale. Dal metano, e dal carbonio ed idrogeno, otteneste l’acetilene, e la vostra brillante sintesi del benzene per mezzo di quest’ul- timo contribuì potentemente a dare consistenza alla ipotesi che poco prima aveva emesso il Kekulé sulla costituzione del benzene. Le vostre grandi ricerche sulle affinità e sull’eterificazione servirono brillantemente per stabilire la teoria generale delle affinità. Il vostro nome emerge anche in tutti i Trattati di fisica- chimica, fra i nomi di coloro che più hanno contribuito allo sviluppo di questa scienza, fondata dal Berthollet. E, quanto non deve a Voi l’insegnamento? Colle vostre lezioni alla Scuola Superiore di Farmacia prima e poi al Collegio di Francia, colla legge sulla riorganizzazione dell’insegnamento primario laico, col vostro alto ufficio di Ispet- tore Generale dell’Insegnamento Superiore, come capo della Scuola degli alti Studi alla Sorbonne, e con altre cariche pub- bliche avete potentemente contribuito al progresso del sapere nella vostra Patria e contemporaneamente colle vostre nume- rose e varie ricerche scientifiche avete dato l’ammirabile esempio di una attività senza pari. Voi, come Lavoisier, come Gay-Lussac, come Dalton e Fa- raday, come Bunsen, avete luminosamente mostrato come si possa essere ad un tempo e grande chimico e grande fisico. E che dire della vostra opera come patriota? Nel 1870 voi foste Presidente del Comitato scientifico per la difesa Nazionale; la fabbricazione dei cannoni, della nitroglicerina, delle polveri da guerra, ebbe da voi immenso impulso. Da ciò nacquero le vostre grandi ricerche sulle materie esplosive. Ed opera genialmente patriottica fu pure il vostro magni- fico studio su Lavoisier (La Révolution chimique) seritto appunto l’anno stesso in cui si celebrava il centenario della Rivoluzione politica che ha rinnovato la vita civile dei popoli. Io provo un vivissimo compiacimento pensando che Voi 91 siete il primo inscritto nel Comitato per il monumento ad Augusto Laurent, a questo chimico geniale, tanto sfortunato quanto co- stante e tenace nella sua fede scientifica e repubblicana. In Voi è quella intima fusione dello scienziato, del filosofo e dell’uomo di Stato che completa in tutto il suo splendore la mente umana. La Francia nell’ora del pericolo vi ebbe fra i suoi più strenui e più validi difensori; la scienza vi annovera fra i suoi cultori più eletti e a Voi si inchinano, onorandovi, quanti hanno sacre le più alte idealità della vita: l’amore della patria e l’a- more del sapere. Nel nome della Scienza e nel nome Vostro si ‘ riuniscono oggi intorno a Voi i rappresentanti di tutte Ie Na- zioni, che riveriscono in Voi il sapere e la virtù, il lavoro assiduo e l'integrità della vita; grazie a Voi, noi godiamo oggi lo spet- tacolo di una fratellanza gioconda, spettacolo grande e bello che ci dà la visione di un avvenire ideale, e forse non lontano. Gloria a Voi, dunque, illustre Maestro, gloria alla Francia che sa così nobilmente riconoscere i meriti dei grandi suoi Figli. 92 Relazione sulla Memoria del Dr. Ing. M. Pawerm: (Con- tributo alla trattazione grafica dell'arco ‘continuo su appoggi elastici. In questo lavoro che il Panetti ha sviluppato, durante. le trascorse vacanze autunnali, nel Politecnico di Zurigo, sotto la direzione dell’illustre prof. W. Ritter, si estende la teoria geo- metrica Culmann-Ritter dei sistemi elastici alla trattazione di un viadotto in muratura a tre arcate, riguardato come un arco continuo su sostegni elastici. È questa una -primizia dell’argomento che verrà trattato dal sullodato Professore nella Parte IV delle sue Anwendungen der graphischen Statik di prossima pubblicazione. Considerate da prima isolatamente le spalle, le pile e le arcate, si costruiscono col noto metodo Culmann-Ritter le rispet- tive ellissi di elasticità; quindi si passa alla loro composizione progressiva, procedendo da un capo all’altro del manufatto, una volta in un senso e poi in senso inverso. Di questa operazione l'Autore dà anche un’interpretazione geometrica originale. Dopo tale lavoro preparatorio, si è in grado di studiare l’equilibrio statico elastico di un’arcata qualunque, considerandola come impostata a due sostegni elastici, 1 quali sono rispettivamente rappresentati dal complesso spalla, pile e arcate precedente e da quello seguente l’arcata che si studia. Si possono cioè tracciare da prima le linee d’influenza delle componenti delle reazioni d’im- posta (nella quale ricerca, comportandosi l’arco, preso in esame, non più come un sistema elastico simmetrico, ha dovuto l’Autore modificare il noto procedimento Culmann-Ritter) e si può poi passare alla determinazione delle dette reazioni prodotte dal peso proprio di tutta la costruzione, con che restano definite le conseguenti curve delle pressioni; come pure si può proce- dere al tracciamento delle linee d’influenza delle sollecitazioni per un giunto qualunque dell’arcata. Si accenna anche al modo di tener conto, quando ne sia il caso, dell’elasticità delle fon- dazioni. 93 La ricerca grafica è riprodotta nel modo più completo in tre tavole; in essa si giunge appunto, come risultato finale, al tracciamento delle linee d’influenza per le compressioni unitarie massime in due giunti dell'arco continuo, le quali vengono con- - frontate, per sovrapposizione, con quelle dell'arco rigidamente incastrato. Da tale confronto, e meglio dai valori numerici dedotti per l’arco incastrato da altri metodi grafici di rapida esecuzione, risulta che i procedimenti comunemente adottati nella pratica conducono a sollecitazioni di poco superiori alle reali per quanto riguarda il peso proprio; ma notevolmente inferiori per il carico accidentale mobile. Si conclude pertanto suggerendo di abbondare alquanto nella scelta dei carichi uni- formemente ripartiti fittizî, estesi a tutto od a metà arco, che nelle dette ricerche pratiche si è soliti a sostituire agli effettivi carichi mobili. Lo studio svolto dal Panetti rappresenta la soluzione com- pleta e rigorosa di uno dei più ardui problemi della moderna scienza delle costruzioni. Avendo pertanto riguardo alla sua grande importanza teorico-pratica, ed alle ricerche originali che vi si contengono, credono i sottoscritti che il suddetto lavoro meriti di essere ammesso alla lettura. C. SEGRE, , C. Guipi, Relatore. L’Accademico Segretario Enrico D’OvipIo. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 7 94 CLASSI UNITE Adunanza dell’8 Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: BerrutI, D’Ovipio, NAccarI, Mosso, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, FoA, GuAREScHI, Guipi, PARONA e MATTIROLO; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: PeyRron, Vice Presidente dell’Accademia, FeRRERO, Direttore della Classe, Rossi, BoLLati Di SaInt-PrerrE, Pezzi, GrAF; CIPOLLA; Brusa, Pizzi, Caironi e RenieR Segretario. — Il Socio Manno scusa la sua assenza. ‘Approvasi l’atto verbale dell'adunanza a Classi Unite, te- nuta il 1° dicembre 1901. Si passa a votare a schede segrete il nome della persona a cui sarà conferito il premio di Fondazione Gautieri per la Storia (anni 1898-1900). Il Presidente proclama vincitore del premio il cav. Ales- sandro GHERARDI dell'Archivio di Stato in Firenze, già proposto con votazione unanime dalla Commissione. Gli Accademici Segretari Enrico D’Ovipro. RopoLro RENIER. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza dell’8 Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. BERNARDINO PEYRON VICE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, BoLLatI DI Saint-Pierre, Pezzi, GrAF, CipoLLa, Brusa, Pizzi, CÒironi e RenIER Segretario. — Il Socio MANNO scusa l'assenza. Si approva l'atto verbale dell’adunanza antecedente, 24 no- vembre 1901. È letta una lettera del Presidente della Scuola di Archeo- logia della R. Università di Roma, che accompagna sei copie di una nuova relazione pubblicata dalla Missione Archeologica ita- liana in Creta. La relazione è del Dr. Luigi PERNIER e riguarda i Lavori eseguiti in Festos dal 15 febbraio al 28 giugno u. s. Il Segretario presenta un opuscolo del Dr. Giuseppe FLECHIA, Poesie giovamili inedite del prof. Giovanni Flechia, Torino, 1901, accompagnandolo «con alcune parole di sempre vivo rimpianto per l’insigne glottologo, che onorò l'Accademia nostra. Il Socio Grar, designato col Socio RENIER a riferire intorno alla memoria del Dr. Ferdinando NerI, Federico Asinari conte di Camerano poeta del secolo XVI, legge la relazione che propone la lettura della monografia alla Classe. La relazione è appro- vata con pienezza di suffragi e comparirà negli Atti. Presa notizia dell’elaborato scritto del Dr. Neri, la Classe con votazione segreta, unanimamente ne approva l’ inserzione nelle Memorie accademiche. 96 LETTURE Relazione sopra una memoria manoscritta del dott. Fer- dinando Neri, intitolata: Federico Asinari conte di Camerano, poeta del secolo XVI. ONOREVOLI COLLEGHI, Prendemmo in esame, come fu vostro desiderio, lo scritto del Dott. Ferdinando Neri, intitolato Federico Asinari conte di Camerano, poeta del secolo XVI, scritto presentato e proposto alla Classe per la inserzione nei volumi delle Memorie. L’autore si rifà dalle oramai antiche ricerche del Vernazza e del Napione sopra questo argomento medesimo, ed esplorato, con nuova diligenza, l'Archivio di Stato di Torino, e spogliata la Raccolta Cossilla, riordina le notizie della vita del suo autore, dove aggiungendo, dove correggendo. Passa, dopo di ciò, a considerare l’opera poetica del Came- rano, non senza aver premesso un rapido esame dei manoscritti e delle stampe che l’accolgono, e si sofferma più di proposito sulla tragedia IZ Tancredi Principe, assai strettamente derivata dalla novella 18 della IV giornata del Decamerone. Analizzatala, ne discute la composizione e il carattere, osservando come sì armonizzino o contrastino in essa due elementi e due modi a dir vero mal conciliabili, il drammatico e il narrativo. Qui l’autore, che già da qualche anno attende a studiare la tragedia italiana del secolo XVI, con animo di farne argomento, quando che sia, di particolar trattazione, introduce alcune considera- zioni generali sull’indole di quella tragedia, e fa ricordo di più componimenti drammatici tratti da quella fonte medesima onde trasse il Camerano il suo, e propriamente della Pamfila di Antonio da Pistoja, della Gismonda di Girolamo Razzi, del Tan- credi di Pomponio Torelli e del Tancredi di Rodolfo Campeggi 97 In tale materia non sarebbe riuscita oziosa, crediamo, anche qualche indagine nelle letterature straniere. La inglese, per esempio, ha per lo meno due drammi che trattano quello stesso soggetto: l’uno, Tancred and Sigismunda, composto da cinque scolari d’Inner Temple, rappresentato in cospetto della re- gina Elisabetta nel 1568, rifatto poi dall’uno dei cinque autori nel 1596 (ed è forse il più antico dramma inglese derivato da una novella italiana); l’altro, egualmente intitolato Tancred and Sigismunda, opera di Giacomo Thompson, rappresentato con felice esito, l’anno 1745, nel teatro di Drury Lane. Dopo la tragedia, l’autore prende in esame le rime del Camerano, ne ripristina l'ordine, quale fu dal poeta voluto, rac- costa il poeta alla società colta di Parma, e mette in luce alcuni riferimenti alla celebre Barbara Sanseverini. E con qualche cenno sui due poemi L’Ira d'Orlando e Le Trasformazioni pone termine al suo lavoro. Il quale è, senza dubbio, contributo pregevole alla storia della letteratura nostra, più particolarmente nel Piemonte, e però degno che la Classe ne ascolti la lettura. R. RENIER, A. GRAF, relatore. L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. 98 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 15 Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SaLvapori, Direttore della Classe, Spezia, Seere, Prano, JADANZA, Gurpi, PARONA, MATTIROLO e NACCARI. Essendo assente il Socio D’Ovipro, Segretario della Classe, il Presidente invita il Socio NaccariI a farne le veci. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente adunanza. Il Segretario presenta le opere seguenti inviate in dono dagli Autori all’ Accademia: Charles HermTE, biografia scritta dal Socio corrispondente NoerHER; Revue de Mathématiques, publiée par G. PrANno, Tome VII. Il Presidente ringrazia il Socio PrANO del dono cortese. Il Socio SEGRE presenta una nota del Prof. Giacinto MoRERA, la quale ha per titolo: Sulla definizione di funzione di una va- riabile complessa. | Sarà inserita negli Atti. È SL GIACINTO MORERA — SULLA DEFINIZIONE DI FUNZIONE, ECC. 99 LETTURE Sulla definizione di funzione di una variabile complessa. Nota del prof. GIACINTO MORERA. In una breve mia nota, nel 1886 presentata al R. Istituto Lombardo (“ Rend. del R. Ist. Lomb. ,, S.II, V. XIX), io di- mostrai la proposizione seguente: Se una variabile complessa w dipende in tal quisa da un’altra z che al variare di questa entro un dato campo T la prima varti con continuità e resti monodroma e finita, e se inoltre l'integrale {wdz esteso all'intero contorno di qualsivoglia porzione di T ri- sulta sempre nullo, la w è necessariamente funzione della z. (nel senso di Riemann). Questa proposizione dà luogo ad una nuova definizione di funzione di una variabile complessa, la quale, sebbene in fondo equivalga alla definizione di Riemann, mi sembra meritare l’at- tenzione dell’Accademia perchè essa introduce direttamente l’uso di quei fecondi procedimenti dei quali CAucHY con tanta ele- ganza si servì per stabilire la teoria delle funzioni di una va- riabile complessa. Nè sembrerà strano che si ricorra all'integrazione curvi- linea per riconoscere se una variabile / sia funzione di un'altra f, ove si rifletta che, qualunque sia il numero delle variabili da cui entrambe dipendono, essendo / determinata in corrispon- denza a ciascun valore della f, l’espressione differenziale Fdf dev'essere un differenziale esatto. Ciò premesso io stabilisco la definizione seguente. Una va- riabile complessa w=u+iv, uniforme, continua e finita in un campo connesso T del piano x,y sî dice che quivi è funzione della variabile indipendente z=x+iy, quando l'integrale {wdz esteso al contorno di qualsiasi porzione semplicemente connessa di T è uguale a zero. 100 GIACINTO MORERA Si osservi che se @ è una porzione qualunque di 7° e o' è quell'area che da o si ottiene rendendola semplicemente con- nessa con dei tagli, sarà {(wwd2z=0 qualora l'integrazione si estenda all'intero contorno di 0'; ma i due margini di uno stesso taglio essendo percorsi per versi contrarii e la w essendo continua attraverso al taglio, la somma dei contributi recati all'integrazione dai due margini di ciascun taglio è nulla: dunque la relazione {wda=0 sussiste ancora quando l’integrazione si estenda all'intero con- torno della porzione 0 percorso in verso positivo o negativo, ossia in guisa che l’area racchiusa sia sempre dalla stessa parte dell’osservatore. Per ciò nella definizione si può dire che w è funzione di 2 quando si abbia sempre: (1) fwda=0, essendo l’integrazione estesa all’intero contorno di una qualsiasi porzione di 7. L’unico svantaggio che a primo aspetto presenta la nostra definizione è che indicata con w, un’ altra funzione di 2 in 7° non segue immediatamente, come avviene colla definizione di RieMANN, che 22 prodotto ww, è pure funzione di 2 in T. 1. — Se le funzioni reali «, v hanno le derivate parziali prime determinate ed integrabili nell’ area 0, dalla (1), mercè l’impiego della notissima formula: "data o Lid > SIQIAO @) (e ay) 90 {dr + Td) 09, seguono le relazioni: (3) du — de, ideate e reciprocamente. . (*) Per dimostrare questa formula senza introdurre inutili ipotesi re- strittive conviene ricorrere al procedimento da me indicato nel mio arti- colo: Dimostrazione di una formula di calcolo integrale, inserito nella “ Rivista di matematica , del prof. Peano (anno 1896). SULLA DEFINIZIONE DI FUNZIONE DI UNA VARIABILE, Ecc. 101 Queste relazioni si compendiano nell’unica ! d(ut io) __1 dlutio) 8) darti A ci dy , la quale, detto z£ + în il comune valore dei due membri, dà immediatamente : ” (4) du+t+iv=(z+in)d(a + dy). Dunque allora w=w+ iv ha rispettoa a«=x + iy la de- rivata. Reciprocamente ammessa questa proprietà, ossia la rela- zione (4), da questa seguono le (3) e poscia, mercè la (2), si ottiene la (1): dunque allora w è funzione di z secondo la nostra definizione. Inoltre supposto che la derivata £ + in di w sia continua e finita in 7, essendo (z-| in)d2 il differenziale esatto della funzione uniforme, continua e finita w, il suo integrale esteso a qualunque linea rientrante è nullo: e per conseguenza la deri- vata è pure funzione di 2. 2. — In una regione semplicemente connessa 0 del campo 7° si scelga un punto fisso 2, ed un punto mobile 2: integrando lungo una qualunque linea che in 0 va da 2, in 2 e ponendo z W=| wda, Z0 la W sarà in 0 uniforme, continua e finita ed inoltre avrà ov- viamente rispetto a 2 la derivata w; sicchè in base a quanto sopra si è veduto concludiamo che W è in o una funzione di e. Sia ora w, un’altra funzione di 2 in 7, la quale ammetta quivi la derivata prima w,', pure finita e continua, ed anche la derivata seconda. Considerata come precedentemente una qualunque porzione semplicemente connessa o, si ha quivi: wude=d(W.u)T- Wujdz; e siccome Ww,' ha la derivata rispetto a 2 sarà funzione di 2. 102 GIACINTO MORERA — SULLA DEFINIZIONE DI FUNZIONE, ECC. Adunque integrando lungo l’intero contorno di una qual- siasi porzione di o risulterà: Swwda=0, ossia WWw, è funzione di z in T. Di qui segue in particolare, con un ben noto ragionamento, la celebre formula di Cauchy: (2) È 1 pe O ioz_ > ove l'integrazione va estesa in senso positivo lungo l’intero con- torno di una qualsiasi porzione del piano x,y, nel cui interno cade 2 ed ove la funzione w si conserva uniforme, continua e finita, ossia segue che w è in tal campo una funzione analitica. Inoltre se nell’integrale di Cauchy si prende per w(Z) una funzione complessa, comunque data lungo il contorno del campo considerato in guisa però che il suo modulo sia integrabile lungo il contorno stesso, si vede subito mercè la nostra detinizione che l'integrale rappresenta sempre una funzione della variabile complessa 2, la quale però al contorno non assume in generale i valori w(Z). L’ Accademico Segretario Enrico D'Ovipro. 105 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 22 Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Pevron, Vice Presidente dell’Acca- demia, Ferrero, Direttore della Classe, CrpoLLa, ALLIEvo, SAVIO e ReNIER Segretario. — Il Socio Brusa scusa l’assenza. È approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 8 dicembre 1901. Il Socio SAvio espone il contenuto d’una sua nota, che è inserita negli Atti, riguardante / vescovi di Salerno nei secoli IX e X. Il Socio RENIER presenta una nota del Dr. Santorre DEBE- NEDETTI, Benedetto Varchi provenzalista. Essa figura negli Atti. In adunanza privata fu eletta la Commissione per il premio di letteratura di fondazione Gautieri, che sarà conferito nel 1902. La Commissione riuscì composta dei Soci Pevron, GrAF e RENIER. 104 FEDELE SAVIO LETTURE I vescovi di Salerno nei secoli IX e X. Nota del Socio FEDELE SAVIO; Cercando degli elementi per fissare l’età dell’ agiografo Pietro suddiacono, e di altri scrittori che fiorirono a Napoli verso il suo tempo, fui condotto ad esaminare la serie dei ve- scovi di Salerno nei secoli IX e X. Quella che si trova presso l’Ughelli è molto scorretta; ma, per buona sorte, può essere emendata con l’aiuto di documenti e di autori editi dopo di lui. Tali sono l’Anonimo Salernitano, che verso il 978 scrisse una cronaca della città e dei principi di Salerno, e le carte dell’ab- bazia della Cava. Secondo l’Anonimo Salernitano, dopo Radoaldo resse la chiesa Pietro, ch'era vescovo di Canosa, quando questa città fu invasa dai Saraceni. A Pietro succedettero Rattulo, Maginaldo, un ve- scovo anonimo, ed Alone. Se si dovesse attendere ad una lista data da un certo Ga- spare Mosca, citato dal Paesano (1), il vescovo, di cui nella cro- naca dell’Anonimo Salernitano manca il nome per una lacuna del codice, si sarebbe chiamato Teupo. Qualunque ne fosse il nome, la sua esistenza è attestata dall’Anonimo, onde il Paesano sì meraviglia a torto che il Mosca ammettesse un vescovo tra Maginaldo e Alone. Un documento, edito già dal Muratori, Antiquit. Ital., II, 77 e citato dallo Schipa, ci insegna che Alone era vescovo nel 841. Vennero poi Laudemario, e Bernardo che fu vescovo per 10 anni (1) Parsano can. Giuseppe, Memorie per servire alla storia della Chiesa salernitana, 1846, vol. I, pag. 41. ro I VESCOVI DI SALERNO NEI SECOLI IX E X 105 e mezzo. Questi due si succedettero mentre Siconolfo era prin- cipe di Salerno (840-849) (1). Dopo Bernardo fu elevato alla dignità vescovile Pietro, figlio del principe Ademario (853-861). Egli fu imprigionato e forse ucciso dal principe Guaiferio (861-880), che gli sostituì Rachenaldo (2). Tutte queste notizie ci son date dall’Anonimo, il quale, dopo Rachenaldo, non menziona più che un vescovo del se- colo X,.cioè Pietro, di cui narra che, mentre era chierico e medico, diede un consiglio al principe Gisolfo, in occasione d’una guerra tra Gisolfo e Adenolfo gastaldo di Aquino (8). Questa guerra, come provano il Di Meo e il Paesano, cominciò dopo il 950, perciò l’elevazione di Pietro alla dignità vescovile ac- cadde alcuni anni dopo il 950. Narra di più l’Anonimo che Pietro reggeva ancora la diocesi di Salerno, quando Gisolfo nel 964 andò a Capua per far visita all'imperatore Ottone I AI silenzio dell’Anonimo, per quanto riguarda i vescovi del secolo X, suppliscono in parte i documenti dell’abbazia della Cava, ed alcuni altri, dai quali si ricava la seguente lista: i PIETRO. rr To 11: (43 SLOT RAT nt PRE NE SEE RETRO A e 170 925, novi. ..;. i «Grovanni.. .... PaAFSANO, I, 56 (5) Seba Lal Le PrEFRA IAP cn Gavoto206 Mallanogci:cr PRLICA PRESO i; a 217 942, aprile... .. PRETE MESI SOT ; x 219 946, giugno . . $i naked SHIA, XL, 746,(6) ie ee cei BERNARDO i eo CA) Oi iper REPETBO., Liuzzi aSIBA 2747 (8) (1) Monum. Germ. Hist., Script. III, 516, 518. (2) Op. cit., pagg. 519, 520. Dacchè l’elezione di questo Pietro accadde dopo la morte di Bernardo, come attesta l’Anonimo, non veggo per qual ragione il Paesano lo consideri come intruso. (3) Ibid., pag. 552. (4) Codex diplomaticus Cavensis, Napoli, 1873. (5) Il Paesano cita qui un documento come esistente tra le carte della badia della Cava, e come tale già citato dal Di Meo. (6) In “ Archivio storico per le provincie napoletane ,, t. XII. (7) Acta SS., tomo VI di settembre, pag. 212. (8) Loco cit. 106 FEDELE SAVIO 966, giugno . . Prerro. . .. Cod. Cav., II, 37 967, agosto 15. 6, Gi ; ì 50 974, aprile... î . otave ; a 11, 83 974, agosto. . % GG) 0 Di E 84, 86 977, novembre . GrovANNI . . . 4 A 109 978,.agosto. ........ ; ici È N 117 979, settembre . 9 ai n ‘ 197 981, giugno . . x dia F S 211 982, aprile 18. P .. +. MuratoRrI, Antig., I, 191 982, ottobre . . Amaro, vescovo Cod. Cav., II, 175 983, giugno... 9 ” 4 È 188 989, ottobre . . AMATO, arcivesc. 7 7 272 Questa serie corregge, come dissi, e modifica la lista del- l’Ughelli. Un Bernardo, ch'egli pone nel 909, dicendolo vescovo per 32 anni, si deve espungere, se pure non lo si voglia iden- tificare o col Bernardo che visse nel secolo precedente, o con quello che fu vescovo in questo stesso secolo X. A Rachenaldo non si può assegnare, com’egli fa, l’anno 942. Probabilmente lo si deve identificare col vescovo omonimo vissuto al {empo del principe Guaiferio (861-880). Nel secolo X l’Ughelli registra ancora: Pietro III (947-950), Pietro IV (950-954), Bernardo (954-958), Pietro V, che prima era medico (958-969), Giovanni (969-981). . Lascio all’Ughelli la responsabilità della distinzione tra Pietro III e Pietro IV, e delle loro date. Di tal distinzione ebbe pure molti dubbi il Paesano. Di Bernardo fa menzione il racconto dell'invenzione e del trasporto del corpo di S. Matteo da Pesto a Salerno nel 954 (1). In esso si dice che il corpo fu trovato a Pesto, mentre ivi era vescovo (Giovanni, e un documento cavense ci assicura che questi era vescovo nel 957 (I, 253). Dai due documenti, riferiti dallo Schipa, risulterebbe che un Pietro era vescovo di Salerno nel 946 ed un altro Pietro nel 958. Cosicchè l’episcopato di Bernardo tra il 946 ed il 958 non solo non ripugna ai docu- menti che conosciamo, ma da essi viene in qualche modo con- fermato. (1) Acta SS., loco cit. è asi Abele eten I VESCOVI DI SALERNO NEI SECOLI IX E X 107 Ciò posto, e tenendo conto di quanto afferma l’Anonimo Salernitano, si può credere che Pietro, dall’Ughelli chiamato V, sia quel vescovo, il quale figura nei documenti dal 958 al 974 (1). Contro queste date dell’episcopato di Pietro V può far dif- ficoltà il fatto che in quel medesimo tempo figura come pre- sente in Roma ad un concilio un Johannes episcopus ecelesiae Salernitanae. In detto concilio, che si tenne a Roma nel feb- braio del 964 per annullare l'elezione dell’antipapa Leone VIII ed il conciliabolo ch’erasi radunato per opera di Ottone I nel precedente dicembre del 963, Giovanni comparisce l’ultimo dei vescovi colà presenti. Un Giovanni vescovo di Salerno si legge ancora tra i ve- scovi, che sottoscrissero la bolla, con cui nel 969 Giovanni XIII conferì a Benevento la dignità metropolitica (2). Perciò il Paesano distinse nella seconda metà del secolo X due Pietro e due Gio- vanni, cioè Pietro V successore di Bernardo, Giovanni II nel 964 e 969, Pietro VI nel 971 e Giovanni II nel 977 e seguenti. Quanto a Pietro VI nel 971 la sua esistenza non ha per fon- damento che un grave abbaglio del Paesano, poichè la carta cavense (II, 67, n. CCLXV) sulla cui fede egli ammise questo vescovo, parla non di un vescovo ma di un Pietro gastaldo. D'altra parte lo Schipa, ritenendo che vescovo di Salerno nel 969 fosse un Pietro, dubitò fortemente dell’autenticità della bolla per la dignità metropolitica di Benevento, perchè la vide sottoscritta da Giovanni vescovo di Salerno. Tutte queste confusioni e difficoltà svaniscono nei docu- menti già detti e in qualch’ altro, di cui parlerò qualora alla parola Salernitane si sostituisca la parola Falaritane, come pa- recchi indizii suggeriscono doversi fare. Si tratterebbe cioè non di Giovanni vescovo di Salerno, ma di Giovanni vescovo Falari- tano, ossia di Falleri, l'antica Faleria, o Falerii, donde poco dopo il 964 la sede vescovile fu trasferita a Civita Castellana. In ef- fetto, per quel che riguarda il concilio romano del febbraio 964 (1) H Paesano erroneamente crede che il Pietro medico vivesse nel 946 e fosse antecessore di Bernardo. Come dissi, Pietro medico fu eletto vescovo dopo il 950 e non mi par dubbio ch'egli sia il medesimo che era ancor vescovo nel 963; onde sarebbe non antecessore di Bernardo, ma suo suce- cessore. (2) Mansi, Concilia, Firenze; 1759, XIX, 19. 108 FEDELE SAVIO è da notarsi che gli altri vescovi presenti erano tutti delle vicinanze di Roma. Essi erano (non parlando di Giovanni vescovo della chiesa Salernitana, 0, come credo, Falaritana), i vescovi di Gallese, Anagni, Narni, Mentana, Veroli, Selva Candida, Albano, Labico, Ferentino, Martarano, Terracina (1), Sabina, Nepi, Trevi, Sezze (2). In tutto 16 vescovi. Si osservi inoltre che di questi 16 vescovi presenti al concilio del 964 ben 11 avevano assistito al conciliabolo del 963, ossia i vescovi di Gallese, d’Anagni,.di Narni, di Veroli, di Selva Candida, di Albano, di Ferentino, di Terracina, di Sabina, di Nepi e di Trevi. Oltre a questi Liutprando, che ci trasmise quasi tutti i loro nomi proprii, registra ancora, sebbene col solo nome della sede, il vescovo Falarensis; il quale non v’ha dubbio che deve identificarsi col vescovo di Falleri o Civita Castellana. Tanto è vero che costui fu creduto vescovo di Falleri, che nelle liste dei vescovi Falaritani si trova registrato con questa desi- gnazione: “ Anonimo presente al conciliabolo del 963 , (3), ossia a quello che si tenne in Roma nel dicembre del 963. È quindi sommamente probabile che il vescovo di Falleri, il quale aveva partecipato con altri suoi colleghi del Lazio al conciliabolo del 963, si trovasse presente altresì con loro al con- cilio regolare del febbraio 964, e che quivi il nome della sua chiesa Falaritana siasi per isbaglio di copisti cambiato in Salernitana. Come vedesi presso l’Ughelli, I, 597, e prima e dopo il trasporto della sede vescovile a Civita Castellana, i vescovi di Falleri sì dissero episcopi ecclesiae Falaritanae. (1) Nelle edizioni antiche dei concilii in luogo di Tarracinensis si legge Ferrariensis, ma il Mansi, XVIII, 471 osserva che deve leggersi Terracinensis, tanto più sapendosi che a Ferrara dal 954 al 967 fu vescovo Martino. (2) Uno dei sedici vescovi sarebbe Zacchaeus Gentianae. Non dubito punto che questi sia quel vescovo Zaccheo, del quale si trova menzione presso Liutprando, De gestis Ottonis magni, in Pertz, Script., III, 341. Tra i varii motivi di querela che Ottone I accampa contro il papa Giovanni XII v'è pur questo di aver mandato un certo Saleco ed il vescovo Zaccheo ambasciatori agli Ungheri per eccitarli contro di lui. Egli lo dice Zacheum virum reprobatum divinarum atque humanarum inscium litterarun a domino Papa noviter episcopum consecratum. Quanto al nome della sua sede, conget- turo che Gentianae sia un travisamento di Setianae, ossia della sede vesco- vile di Sezze, che non molto dopo fu unita a quella di Terracina. (3) Coleti nel supplemento; UcrELtI, X, 91. I VESCOVI DI SALERNO NEI SECOLI IX E X 109 Quanto alla sottoscrizione di un Johannes ep. s. Salerni- tanae ecclesiae che trovasi tra i vescovi sottoscritti al concilio romano del 969 ed alla bolla, con cui Benevento fu elevata alla dignità metropolitica, nulla c'impedisce di credere che nelle copie di quell’antico concilio siasi introdotto il medesimo sbaglio, e che un copista in luogo dell’ignota sede Falaritana abbia scritto Salernitana. Con questa rettificazione cadrebbe perciò il più forte motivo, che ebbero lo Schipa (1) ed altri, allorchè dubitarono dell’au- tenticità della bolla per Benevento, considerando che nel 969 era vescovo di Salerno non Giovanni ma Pietro. Lo stesso sbaglio pare che s’introducesse ancora in certe copie di alcuni atti del papa Benedetto VII, nei quali compa- risce come datario un Giovanni vescovo S. Salernitanae ecclesiae. Questo secondo sbaglio fu tanto più facile a commettersi, e difficile a riconoscersi, per la circostanza che sotto il pontificato di Benedetto VII (974-983) vi fu veramente a Salerno un vescovo Giovanni dal 977 al 981 almeno. Il Jaffè registra tre bolle di Benedetto VII, come date da Giovanni vescovo di Salerno, e sono: a) del 12 dicembre 975 per Vézelay; n. 3786 (2898); 5) del 22 aprile 978 per Cluny; n. 3796 (2906); c) del dì 8 maggio 979 per Besalu; n. 3800 (2909). Il fatto se non impossibile, certo molto improbabile, che un vescovo di Salerno fosse datario pontificio, mi spinse ad esaminare accuratamente tutte le opere, citate dallo stesso Jaffè, come contenenti gli atti suddetti di Benedetto VII. Ed ecco il frutto delle mie ricerche: a) Quanto alla bolla per il monastero di Vézelay, nè il D’Acmery Spicilegium II, 504, nò le altre due opere che ne di- pendono, cioè Recweil, IX, 245, e Migne, P. L., CXXXVII, 323, non recano affatto la parola Salernitanae ecclesiae, come sup- pose il Jaffè, ma solo per manum Johannis episcopi (2); (1) “ Archivio storico per le provincie napoletane ,, XII, 243. (2) Questi potrebbe essere o il vescovo Giovanni di Falleri, di cui discor- riamo, oppure quel Giovanni vescovo e bibliotecario della S. Sede, che fu da- tario di tre bolle di Giovanni XII (nel 961 e 962), e d’una dell’ antipapa Leone VIII. Vedi Jarré, I, pag. 480 e numeri 3688, 3824. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 8 110 FEDELE SAVIO 5) Quanto alla bolla per S. Maiolo di Cluny, parecchie delle opere citate dal Jaffè, come Gioffredo in Mon. Hist. Patriae, Script. II, 191, la Gallia christiana, III, inst. 191, Bouquet e Migne, portano veramente: Datum per manum Johannis episcopi Salernitanae ecclesiae. Ma è da osservarsi che il Migne dipende dal Bouquet, questi dalla Gallia christiana e la Gallia (nel tomo III stampato nel 1725), sebbene non citi la fonte, dipende dal Bullarium Cluniacense, stampato a Lione nel 1680. Dal medesimo bollario (anch’ esso citato dal Jaffè) dipende pure o direttamente o indirettamente Gioffredo. Ora il bollario cluniacense a pag. 6 ha chiarissimamente: per manum Joannis episcopî Falaritane ecclesie. Questa lezione del bollario cluniacense è ancora confer- mata da una copia manoscritta della bolla, che si conserva nella biblioteca nazionale di Parigi (vol. 77 della collezione di Borgogna), la quale già era stata citata dal Delisle (1) ed ap- partiene al secolo XI. Il Jaffè, preoccupato dal pensiero che si dovesse leggere Salernitanae, trascurò la lezione stampata del bollario, e quanto alla lezione della copia parigina se ne sbrigò con un perperam, quasi dovesse badarsi più ad una fonte molto secondaria, com'è nel presente caso la Gallia christiana, che al bollario e ad una copia del secolo XI. Il ch."° Delisle, il quale ebbe per me la gentilezza, di cui sommamente lo ringrazio, di confrontare la copia suddetta mss. col bollario stampato (2), mi avverte ancora che alla stessa copia e non ad altro documento allude il Bruel in una nota alla bolla di Benedetto VII, ch’egli avrebbe dovuto pubblicare nel suo Recueil des chartes de Cluny, vol. I (nei Documents inédits pour (1) In una nota alla vita di Orderico Vitale, nel tomo V delle opere di quest’autore, edizione le Provost, pag. rx. (2) La clausola della bolla nella copia ms. mi venne così trascritta dal Delisle: Scriptum per manum Stephani notarii regionarii Archiscrinij sanctae Romanae ecclesiae, in mense maio, indicione VI. Datum X kal. maias, per manum Johannis episcopi Falaritane ecelesie anno quarto pontificatus domini nostri Benedicti sanctissimi septimi pape, im- perante domino nostro Ottone a Deo coronato magno et pacifico imperatore anno XI, in mense maio et indictione sexta. Nel bollario in luogo di XI fu stampato II con evidente errore. = Un lr Perri Ta I VESCOVI DI SALERNO NEI SECOLI IX E X 111 l Histoire de France), ma che si contentò di citare; ed inoltre che falsamente il Bruel la credette l'originale della bolla. Sicchè anche per questa bolla di Benedetto VII in favore di Cluny, noi possiamo stare sicuri, ch’essa non fu data da un vescovo di Salerno, anzi piuttosto che fu data da Giovanni ve- scovo Falaritano. Infine per ciò che spetta alla bolla per Besalu, alcune delle opere citate dal Jaffè non contengono altro che il Datum se- guìto dall'indicazione cronologica, ma senza nome del datario. Tali sono MarrtènE e Duranp, Veter. Seript. I, 328, da cui di- pendono CocqueLines, I, 279, e MansIi, XXX, 71, come pure il Mione, CXXXVII, 334, che prese dal Mansi. Questi potei leg- gere e vedere io stesso. Quanto all’Acurrre, Concilia, IV, 384, ed al PursapEs, Cro- nica de Cataluna, VII, 228, non avendo io modo di riscontrarili, pregai che per me li riscontrasse il rev. P. Cecilio Gomez Ro- deles, editore dei Monumenta Historica Societatis Jesu, il quale gentilmente mi scrisse, che avendo verificato le due opere non trovò nè nell’una nè nell'altra il nome del datario, e così nep- pure nel JePrs, Historia de la Orden de S. Benito, Valladolid, 1615, tomo V, pag. 443, che è la fonte da cui tolse l’Aguirre che la cita, e da cui forse tolse anche il Pujades, che però non la cita. L’unico autore pertanto citato dal Jaffè, che riporti la bolla con il nome del vescovo Giovanni è il MARINI, che nel- l’opera / Papiri, 56, la reca con queste parole: Datum per manus Johannis Episcopi S. Salernitane Ecclesie anno Pontificatus Do- mini nostri Benedicti Sanctissimi PP. VII. Il Marini trasse que- st'atto pontificio da un codice vaticano contenente le bolle di Innocenzo IV, in una delle quali in data del 22 giugno 1252, essa è inserita e trascritta integralmente. Al Marini stesso parve tanto straordinario ed incredibile, che l’ ufficio di datario fosse tenuto nel secolo X da un vescovo di Salerno, che sospettò in luogo di Salernitane vi fosse nella bolla originale Lavicane. A questo sospetto gli diede maggior ansa l’aver visto un’altra bolla dello stesso papa Benedetto VII, in favore della chiesa di Tivoli, in cui leggesi, che fu data da Giovanni vescovo di Labico. Però il sospetto del Marini non è giustificato dalla bolla per Tivoli, sapendosi che questa è una bolla falsificata, e come 112 FEDELE SAVIO tale venne già ritenuta dal Jaffè (1). Quindi essa non si può addurre in prova che il vescovo Giovanni di Labico fosse datario di Benedetto VII. Da quanto finora si è detto parmi aver ragione di conchiu- dere: 1° che in tutti i documenti dal 964 al 979, nei quali ora si legge il nome di Giovanni vescovo Salernitano, si deve leg- gere Falaritano; 2° e che quindi non v'è nulla da opporre a quegli altri documenti, dai quali risulta che nel periodo 964-974 vescovo di Salerno fu Pietro, detto dall’Ughelli Pietro V; 3° che il suddetto vescovo Falaritano fu datario di Benedetto VII e diede non tre ma due bolle di lui, cioè una per Cluny, l’altra per Besalu negli anni 978, 979, e che solo per errore il Jaffè lo credette vescovo di Salerno. Aggiungo in fine una parola sulla questione del tempo, nel quale il vescovo di Salerno fu elevato alla dignità arci- vescovile. L’Ughelli, VII, 363, dice, che il creatore della metropoli salernitana fu Benedetto VII con bolla del 984 e che il primo arcivescovo fu Amato. Di questa seconda asserzione non vi può esser dubbio, poichè essa trovasi espressa nella bolla di Gio- vanni XV all'arcivescovo Grimoaldo, riportata dall’Ughelli, ib., 376. Ma quanto alla data del 984, che il medesimo assegna alla bolla di Benedetto VII, non può accettarsi, perchè Benedetto VII morì nell’ottobre del 983. Riguardo ad Amato sappiamo che la prima memoria di lui, come vescovo di Salerno, è dell'ottobre 982 e che nell’aprile del 983 s’intitolava ancora vescovo. La memoria più antica di Amato come arcivescovo è in un frammento d'una bolla di Gio- vanni XV, edita dal Pflugk-Harttung, con la data del 12 luglio 989 e indirizzata allo stesso Amato. Ivi il papa conferma appunto i diritti metropolitici della sede salernitana. Però essa non è certamente la bolla che elevò per la prima volta Salerno alla dignità arcivescovile. In effetto il papa ricordando la concessione dei diritti metropolitici usa (1) Il Bruzza, che annotò il Regesto della Chiesa di Tivoli, la credette sincera; ma è da osservarsi che il Bruzza, prevenuto dalla morte, non potè dar l’ultima mano al suo lavoro, che venne pubblicato da altri, nello stato in cui egli l’aveva lasciato. | | | i I VESCOVI DI SALERNO NEI SECOLI IX E X 113 la parola generica concessa est (1), mentre se egli fosse stato il primo a concederli, avrebbe dovuto dire concessimus oppure a Nobis concessa est. Così neppure si dichiara autore di quella concessione nella bolla all’arcivescovo Grimoaldo del 993. Anzi in questa, Giovanni XV parla in plurale dei papi, che concedet- . tero la dignità metropolitica ad Amato: sicuti quondam Amati, cui primitus vestrae sedis archiepiscopatus Salernitanus a nostra Sede nostrorum Pontificum concessa est. Alla quale affermazione sembra far riscontro l’inciso, con cui principia il frammento del 989: Vobis ab antecessoribus nostris incognitum non est. Questa fine di periodo sembra essa pure riferirsi alla con- cessione della dignità arcivescovile, fatta dagli antecessori di Giovanni XV. Gli antecessori di Giovanni XV, contemporanei di Amato, furono solamente due, Benedetto VII che fu papa dall'ottobre del 974 all’ottobre incirca del 983 e Giovanni XIV dall'ottobre incirca del 983 all’agosto del 984. Dal fatto che Giovanni XV parla in plurale de’ suoi ante- cessori si può dedurre che entrambi i papi Benedetto VII e Giovanni XIV fecero qualche atto relativo alla dignità metro- politica di Salerno, e che quindi molto probabilmente Bene- detto VII fu il primo autore di quella dignità, come già asserì l’Ughelli. Questi avrebbe errato solo nell’anno 984, il quale si deve correggere in 983. Nel qual caso la creazione della metropoli di Salerno dovrebbe porsi nel periodo aprile-ottobre 983, poichè in aprile Amato si intitolava soltanto vescovo, e nell’ottobre incirca dello stesso anno morì Benedetto VII. (1) “ Sicuti vestra iam concessio continet, que in ecclesia sancte Dei Geni- tricis et b. Mathei apostoli et evangeliste, cuius corpus detinetis, Vobis vestrisque successoribus concessa est ,. Acta Pontif. t. II. 52; Jarré, 3833 e ADDENDA, II, pag. 707. 114 SANTORRE DEBENEDETTI Benedetto Varchi provenzalista. Nota di SANTORRE DEBENEDETTI. Per questa ricerca tornerebbe in primo luogo opportuno indagare qual concetto Benedetto Varchi si fosse formato della lingua provenzale; ma per isvolgere compiutamente la tesi, ognuno vede come sia necessario addentrarsi, e considerare gli aspetti che assunse fra noi la quistione della Lingua nel sec. XVI, alla quale tante altre si annodano, e da cui tante impensate sor- gono, il che mi porterebbe lontano dai limiti modesti di una postilla. Ognuno infatti sa, che l'argomento è multiforme, che per aprirsi la via è urgente anzitutto che si denudi e chiarisca l’intimo carat- tere della lotta del Volgare e del Latino, ma di quale Volgare? Forse della Lingua Cortigiana? O dell’Italiano, o del Toscano, o del Fiorentino, o di quale città? — Perchè prima ancora che il Volgare vincesse erano scoppiate nel suo seno quelle dissen- sioni, che poi durarono a lungo, le quali, sebbene siano state specialmente teoriche, hanno tuttavia grande importanza nella . valutazione d’alcuni fenomeni letterarî. Ma, risolti questi dubbî, che si affollano, allo studioso incombe un’altra necessità: Fra le disquisizioni letterarie, si insinuarono le teorie scientifiche, che, non essendo spassionate, anzi dipendendo dal concetto ge- nerale sulla lingua migliore da usare nelle scritture, non si possono esaminare in sè, disgiungendole dall’altro argomento. Tuttavia, pur non illuminando il pensiero del Varchi, come si converrebbe, non posso non accennarlo. $ 1. — Dopo aver definito Lingua, ovvero Linguaggio “un favellare d’uno o più popoli, il quale o i quali usano, “ nello sprimere i loro concetti, i medesimi vocaboli, nelle mede- “ sime significazioni e co’ medesimi accidenti , (1), egli tenta una (1) L’Hercolano. Dialogo di Messer Benedetto Varchi, In Fiorenza, nella Stamperia di Filippo Giunti e Fratelli, MDLXX, p. 106. ORE AV, nn nn BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 115 classificazione, che pone la lingua di Provenza nella categoria delle mezze vive, le quali, “ sebbene non si favellano natural- “ mente da alcun popolo in modo nessuno, si possono nondimeno “ imparare o da’ maestri o da’ libri e poi favellarle o scriverle , (1). E qui manifestamente lA. allude alla lingua letteraria, sebbene, desumendo dal Bembo o dal Castiglione, si dimostri men cauto del primo e meno acuto del secondo, Ora, per quanto ci si scaltrisca nelle sottili distinzioni dell’Ercolano, non si trova nessun appiglio a conchiudere intorno al quesito che avevo posto in principio, e non è a stupire, perchè, se nel ’500 molti alludono alla favella di Provenza, pochissimi, per vero, osano delimitarne i confini e tanto meno indagare le varietà di essa, o stabilire le distinzioni che la dividono dalla Francese, distin- zioni che erano oscure agli stessi eruditi di Francia (2). Onde noi dovremo domandare piuttosto al Varchi, qual posto spetti al Provenzale nella compagine delle lingue conosciute, ed egli ci dirà che la Lingua nostra si compone di due principalmente, della Latina e della Provenzale (3). Come dovremo interpre- tare le sue parole? Per fortuna, s’egli non si spiega di più, in compenso dichiara in modo esplicito di seguire a questo pro- posito la teoria del Bembo, perciò a noi è lecito integrare le lacune dell’Ercolano coi pensieri espressi nelle solenni Prose della Volgar Lingua, integrazione che ai contemporanei veniva spontanea. M. Federigo a M. Ercole che gli domanda quando ed in che modo nacque la Lingua volgare risponde: “ Il quando... “ sapere appunto che io mi creda, non si può, se non si dice “ che ella cominciamento pigliasse infino da quel tempo, nel “ quale incominciarono i Barbari ad entrare nella Italia, e ad (1) Op. cit., p. 113. (2) Gian Vincenzo Pinelli chiede ai suoi amici d’oltre monti, per qual differenza erano distinte le lingue provenzale, limosina e catalana, e Claudio Fauchet gli risponde: “je ne pense point avoir jamais veu livre en limosin. “ Il me souvient en avoir veu un (?) eserit a Befrers avant l’an 1300, mais “ je ne scai si c'est en Provengal ou Catalan. Monsieur vous presumez trop “ de mes forces... , (Crescini, Per gli studi romanzi, Padova, 1892, pp. 185-186). Però a questo quesito in progresso di tempo il Pinelli trovò risposta, come si desume da uno de’ suoi memoriali che si trova in Ambrosiana colla se- gnatura P. 266, inf. e spetta al novembre del 1593 (V. spec. a c. 88). (3) Pagg. 155 e 599. 116 SANTORRE DEBENEDETTI “ occuparla: e secondochè essi vi dimorarono, e tenner piè; così “ ella crescesse, e venisse in istato. Del come, non si può errare “a dire, che essendo la Romana lingua, e quelle de Barbari “tra sè lontanissime; essi a poco a poco della nostra ora une, “ ora altre voci, e queste troncamente e imperfettamente pi- “ gliando; e noi apprendendo similmente delle loro, sene for- “ masse in processo di tempo, e nascesse una nuova, la quale “ alcuno odore e dell’una e dell’altra ritenesse, che questa Vol- “ gare è, che ora usiamo , (1). Sin qui non vediamo che un punto della teoria del Bembo, che, esposta così, e senza ombra di dimostrazione, viene subito abbandonata, con trapasso irra- gionevole dirà il Castelvetro, per toccare un altro quesito: l’ori- gine del verseggiare. Cui risponde M. Federigo, e non per caso, chè avendo passati molti anni in Provenza, può ricordare nu- merosi argomenti, perchè trionfi nella lotta della precedenza del verso e della rima, contro il Siciliano il Provenzale. A questo punto si vede come il trapasso non fosse così irragionevole come poteva parere, per l’importanza gravissima di questa con- clusione, perchè il Bembo correndo col pensiero dalla Poesia alla Lingua, e quasi trasvolando gli schemi e gli accenti, si affretta a dichiarare: “ Presero oltracciò medesimamente molte “ voci i fiorentini uomini da questi e la loro lingua ancora e “ rozza, e povera iscaltrirono, e arricchirono dell’altrui , (2) e seguita con un’ampia dimostrazione che occupa gran parte del - L. I, e sempre più persuadendosi conchiude: “ Nè solamente “ molte voci, come si vede, o pure alquanti modi del dire pre- “ sero dalla Provenza i Toscani; anzi essi ancora molte figure “ del parlare, molte sentenze, molti argomenti di Canzoni, molti “ versi medesimi le furarono , (3). Se ora ci richiamiamo alla mente la sentenza del Varchi, ci avvediamo che essa riproduce questo pensiero. In altre parole entrambi non dicono come sì sia originata la Lingua Provenzale, ma, molto probabilmente le dànno un'origine non diversa dalla Volgare nostra, salvo che quella avendo prima sortita una grande fioritura letteraria, dandoci la rima, ci avrebbe pure trasmessa gran parte del lin- 1) Le Prose di M. Pietro Bembo, In Napoli, MDCCXIV, T. I, pp. 32-33. 2) Pag. 50. ( (2) (3) Pagg. 73-74. BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 117 guaggio poetico; ma mentre il Bembo tempera le sue parole, il Varchi che pur avendo innanzi altri sistemi voleva esemplare il suo pensiero su quello Bembino, pur non mutandone la base lo esagera. Pertanto è certo che rispetto al posto occupato dal Provenzale fra le lingue conosciute, Benedetto Varchi non è per nulla originale. $ 2. — Le sue conoscenze letterarie non sono tali da mu- tare questo giudizio. A chi osserva la storia degli studî pro- venzali nel ’500 si affaccia un’osservazione singolare. Mentre fra i primi ricercatori, il Bembo, il Colocci, l’Equicola, l’antica letteratura è studiata con amore, di cui esistono prove suffi- cienti, procedendo nel secolo, fatta eccezione pel Barbieri (che per moltissimi rispetti è veramente un’eccezione alla età sua), molto si sente ancora ragionare di mss. e di lezioni varianti, pochissimo di antica poesia. E se ne persuade ciascuno che paragoni gli eruditi citati col Varchi, il Borghini, il Salviati, F. Orsini, V. Pinelli, P. del Nero, che nelle loro indagini hanno uno scopo filologico (inteso il vocabolo con molta discrezione), scopo irraggiungibile, per la mancanza del Metodo non solo, ma eziandio dei mezzi stessi di conoscere esattamente la Lingua, la quale dovevasi imparare “ con il farci un poco di pratica ,, ma non questo solo, perchè sovente mentre noi crediamo di trovare l’ erudito, ci si affaccia il bibliofilo. È grande fortuna per noi che Piero del Nero, sulla prima carta di un suo codice, proprio al finire del secolo, abbia scritto alcuni suoi pensieri, che paiono una sintesi; e per il valore di queste parole e per la fedele conferma che offrono del mio asserto, credo cosa oppor- tuna riferirle. 1594 Questo libro fatto copiare da uno di M. Marcello Adriani in cartapecora di carattere assai antico; et ri- veduto et corretto da me con molta fatica, prego cia- scuno è chi perverrà nelle mani dopo me è tenerlo in pregio, poiche hoggi i libri de Poeti antichi provenzali etiamdio nell’istessa Provenza sono quasi spenti, però chi non sì dilettasse di Poesia, o non si volesse affaticare 118 SANTORRE DEBENEDETTI in intendere tal linguaggio, tengane conto almeno per conservarlo è gli eredi soi, che quanto per l’ avvenire andrà acquistando più antichità, tanto in maggiore stima sarà dà tenere; et avegna che è chi giugnerà nuovo tal idioma da prima li parrà oscuro, non si disperi che con il farci un poco di pratica andrà di mano in mano acquistando più intelligenza, di maniera che ne intenderà gran parte si come è intervenuto a me Piero di Simon del Nero, con molta mia satisfatione, quando non fusse per altro, per molte voci che sono in Dante, et ne gli altri buoni autori di que tempi; et la maggior mia fa- tica è stata nel trovare i libri et nel corrigerli (1). B. Varchi, quantunque possedesse monumenti notevoli del- l'antica letteratura di Provenza, non esprime nessun giudizio, che dimostri ch’egli l’abbia studiata con intelletto d’arte, non dico con discernimento critico, perchè in tal caso gli farei colpa d’una colpa comune a tutti i provenzalisti del ‘500. Ma un gruppo di lettere poco conosciute dimostra ch'egli fu in rela- zione di studì provenzali con altri eruditi, e che essi gli tri- butarono larga stima. Nella prima Lodovico Castelvetro gli invia la sestina d’Arnaldo tradotta forse dal Barbieri (2) e lo prega di un giudizio. “Io ho per aventura alquanto piu tardato a mandarvi la “ sestina d’Arnaldo Daniello che non pensavate. Ma non sono “ molto prima d’hora giunto in Modona essendomi fermato in “ Pisa et in Lucca piu che non m’imaginava quando mi parti “ di Firenze. Hora quasi in ammenda della tardanza vi mando “non solamente la sestina et la traslatione stretta, et non tra- “ viante dalle orme come si suol dire del traslatato, di quel nostro (1) Il Codice trovasi alla Riccardiana ed ha il n° 2981. Cfr. Grurz4AcARE, in “ Archiv fiir das Studium der neueren Sprachen ,, vol. XXXIII, p. 425; SrenceL, Die prov. Blumenlese d. Chigiana. Marburg, 1878. (2) Questa sestina si trova tuttavia nel cod. 1290 dell’ Università di Bologna (g°), che noi sappiamo essere stato studiato da G. M. Barbieri. Vedi Mussaria, in “ Sitzungsber. d. phil.-ist. Cl. d. k. Akad. d. Wiss. zu Wien ,, LV, 447. BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 119 « giovane commendatovi da me per intendente del provenzale sì “ come v'havea promesso di fare ma una tralatione mia anchora “alquanto larga et allontanantesi in tanto da vestigi della “ stretta che si puo chiamare anzi che no spositione. Hora «“ quantunque esso, peroche non è meno modesto che intendente, “ deliberando Ms. Antonio Anselmo pure di publicare un volu- “ metto di queste canzoni provenzali (1) le quali a sua instanzia (1) Sul disegno di una edizione di Testi provenzali nel ’500 noi posse- diamo buon numero di testimonianze. In una lettera del 12 novembre 1530, il Bembo scriveva al Tebaldeo: “ Io fo pensiero di fare imprimere un dì “ tutte le rime dei poeti provenzali insieme con le loro Vite , (Foscarini, Della Letterat. Veneziana, Padova, 1752, p. 453 n.; Cian, Un decennio della Vita di M. Pietro Bembo, Torino, 1885, p. 73), e in un’altra lettera al Castel- vetro mostrava di non permettere che si traesse dal suo volume copia di canzoni provenzali “ dovendo in breve tempo pubblicare quelle canzoni “ con tutte le altre provenzali accompagnate da certe mie sposizioni , (Opere Critiche inedite di Lod. Castelvetro, Lione, MDCCXXVII, p. 103). Il tentativo del poeta non condolto a termine, fu ripreso da Lod. Castelvetro aiutato da un nobile collaboratore, G. M. Barbieri; in una biografia del primo, pubblicata dal "Tiraboschi, sono queste parole: “ Nella lingua pro- “ venzale nella quale s'era avanzato tanto che egli sicuramente intendeva “ tutti i libri scritti in quella hebbe per dottore e guida il sopranominato “ Gio. Maria Barbiero, il quale si crede che solo fra tutti gli letterati “huomini Italiani sappia perfettamente detta lingua; in compagnia del “ quale tradusse una grammatica di questa lingua, e l’havevano trasportata “in lingua Italiana con molte altre cose degne d’essere vedute per utilità “ di coloro che si dilettano della lingua volgare, le quali volevano far “ stampare..... ,. Tale testimonianza, tuttochè anonima, ha un notevole va- lore in quanto spetta ad un tempo di poco posteriore alla morte del Castel- vetro, potendosi assegnare i limiti della sua composizione fra il 1571 e il 1574. Le “ingegnose fatiche , del Barbieri (l'Autore anonimo non allude certo all'Arte del Rimare composta solo in fin di vita nel 1574) andarono in gran parte, per non dir tutte, perdute. Lodovico suo figlio si sforzò di pubblicare quest'opera, ma non riuscì (V. Lettere citate nella prefazione al libro Dell’origine della Poesia Rimata, pubblicato dal Tiraboschi; è inutile avvertire che il titolo è arbitrario non corrispondendo nè al carattere del frammento, nè al disegno generale che l’Autore aveva del suo lavoro, nè in fine alle testimonianze di Lodovico e di Giammaria stesso, la quale ul- tima (a p. 169 dell’edizione del Tiraboschi) ho creduto opportuno di seguire. Evidentemente il Tiraboschi volle additare ai lettori un particolare aspetto della scrittura del Barbieri, la quale, uscendo in luce nel tempo ch’ erano più vive le lotte fra l’Andres e l’Arteaga, diveniva un'arma di polemica per far propendere la bilancia in favore del primo, che noi sappiamo avere avuto parte in questa edizione). Una notizia inavvertita dagli studiosi ci 120 SANTORRE DEBENEDETTI “ha tralatate nella guisa predetta, non addomandi gloria della “ sua fatica, ne voglia per niun partito esser nominato, inten- “ derebbe nondimeno volentieri inanzi tratto qual sia il giudicio “ vostro cioè se pensate che le canzoni et le tralationi così- “ fatte debbano essere gratiosamente ricevute et prezzate dagli “amatori della lingua nostra, o pure sprezzate et poco havute “ care. Laonde non vi gravera di mandarmi una breve lettera “ di cio col volume delle canzoni provenzali, che la vostra mercè “ mi prometteste di recare a Ms. Bartolomeo Grilenzone Audi- “ tore di Rota nostro Modonese che et sicuramente et tosto mel “ fara pervenire nelle mani. Io vi porto grandissima invidia, o “ piutosto desidero ardentissimamente di potere insieme con voi - ‘ godere la piacevole et bene insegnata compagnia de Mirandoli, de Vittori, de Capelli con gli altri tutti a quali se mi racco- “ manderete mi farete piacere grande. State sano. In Modona. “ Il dì xv di Dicembre wpti, tutto vostro Lodovico Castelvetro ,. Il Castelvetro non potè colorire col suo amico il disegno di pubblicare i testi provenzali, ma altre volte ancora fa do- manda del codice al Varchi come si vede nel seguente biglietto: “Io non vorrei gia che mi reputaste noioso riscotitore delle “ promesse fattemi da voi per vostra sola liberalita quantunque “ desideri oltre modo che tosto le attegniate, ma non mi posso “ ritenere conoscendo la gentil natura di Ms. Lodovico del Monte “ nostro cittadino et carissimo amico vaga di compiacere voi “ et me in ogni cosa possibile che non vi significhi che egli “sene viene a Firenze, et che a lui subito dovendo tornare a “ Modona potrete sicuramente affidare il volume delle canzoni “ provenzali promessomi il quale Ms. L. portera et io vel ri- “ mandero come prima l’habbiamo raffrontato co volumi che ci “ troviamo havere nelle mani per persona medesimamente di- viene offerta da alcune lettere inedite all’Ambrosiana. Fulvio Orsini meditò pure il disegno di un'edizione di testi provenzali: “ Et tanto più che ‘ potria un giorno venirne voglia di concederne una scelta (di poesie pro- “ venzali) ad alcuni curiosi acciocchè la stampassero..... per ora non ci è “ pensamento alcuno; ma quando ci venisse non potria se non giovare il “ rimario congionto con la Grammatica per notarne la varietà de lettioni , (c. 122°). La notizia che qui è dubitosa, viene confermata da un’altra let- tera, che è nello stesso ms. Ambros. D. 422, inf., c. 123%, e spetta al 30 luglio 1583. e. BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 12410 “ secreta. Non ci risparmiate se possiamo qui cosa alcuna o “ per voi o per gli amici vostri. A dio. Il di primo di Fe- “ braio mp. Tutto vostro Lodovico Castelvetro ,. Dalla terza lettera (1) noi apprendiamo come il codice del Varchi sia giunto a Modena; il Castelvetro ringraziandolo lo avverte che tutte le poesie di esso trovavansi già fra i suoi mss., però gli servono per la differenza delle lezioni; ogni affer- mazione sopra questo codice di cui non abbiamo che queste notizie sarebbe inopportuna. $ 3. — Piero Simon del Nero nelle memorabili parole citate, non allude per nulla alle due Grammatichette provenzali come mezzo di conoscenza dell’antica lingua; e noi stessi siamo ben convinti che, senza altri sussidî, tale conoscenza non può riu- scire che imperfettissima. Gli studiosi del ‘500 non ebbero altra cura che di tradurle e farne estratti, ma in tutto il secolo, ch'io mi sappia, nessun Italiano compose una grammatica originale (2). (1) Le prime due lettere mi furono cortesemente comunicate dal sig. Guido Manacorda che attende ad un lavoro sul Varchi, la terza fu pubblicata dal Casini (Riv. Crit. d. Lett. It., II, 114). Esse trovansi alla Na- zionale di Firenze (Lettere autografe scritte a B. Varchi. Cassetta Palatina, Torrini T 79074): (2) Sarebbe da desiderarsi un lavoro intorno alla fortuna delle gram- matiche provenzali in Italia, e certo giungendo al ’500, molto vi sarebbe a dire e con notevole interesse per gli studiosi. Pertanto valgano queste poche notizie. Per i primi provenzalisti del sec. XVI, cioè il Bembo, il Colocci e l’Equicola, non abbiamo prove sufficienti che ci inducano ad affermare ch’essi conoscessero le grammatiche. La cognizione delle grammatiche si incomincia ad intravvedere verso la metà del secolo, quando se ne fanno traduzioni ed estratti; non mai lavori originali, se si eccettui il Trattato di Onorato Drago (P. Raswna, “ Giorn. di Filol. rom. ,, N. 7) che è in servigio d’Italiani, ma non ebbe la fortuna di una grande diffusione. Giammaria Barbieri conobbe Las Rasos de Trobar e molto probabilmente egli è il primo italiano che le menzioni (SrenceL, Die beiden ecc., Marburg, 1878, p. xrv); ma, ancorchè direttamente non ce l’attesti, credo si possa dimostrare ch’ egli abbia pure studiato Lo Donatz. Lodovico Barbieri ci parla della traduzione di una grammatica provenzale composta dal padre suo insieme col Castelvetro, la quale rimase ignorata alcun tempo; in realtà dalle mani di Domenico Veniero era pas- sata in quelle di G. V. Pinelli, presso il quale vide l’ autografo Lodovico trovandosi in Padova (Vita di Giammaria Barbieri scritta dal figlio di lui Lodovico, Parma, Pietro Fiaccadori, MDCCCXLIII, pp. xtn-xrv). Di questa Vita che il Mussafia credeva inedita (Ueder die Provenzalischen Lieder- Handschriften des G. M. Barbieri, Wien, 1874, dell’Estratto, p. 8), esiste in- 122 SANTORRE DEBENEDETTI Anche sotto questo rispetto il Varchi ha alcune benemerenze, pur non eccellendo. Nel Catalogo dei Codici del fondo Libri vece una stampa, che è quella citata; di più, non uno ma 3 mss. ce la conservano, cioè : I) Estense I, H, 2 (edito); II) 6180 della Hof-Bibliotek di Vienna (Mussaria, Op. cit., loc. cit.); III) in Archivio Muratoriano (V. Archivio Muratoriano per cura di L. V., Modena, Zanichelli, 1872, p. 262) di cui si servì il Muratori per la Vita premessa alle Opere varie critiche del Castel- vetro, Lione, 1727, p. 28 (VanpeLui, “ Rassegna Emiliana ,, vol. II, p. 485). Che d'altra parte il Veniero possedesse Lo Donatz pare fuor di dubbio, per una postilla Pinelliana (Rayna, Art. cit., p. 36, n. 1) arriechita d’un ac- cenno prezioso: “ Il med.° ha un ditt.° latino provenzale et e contra. item “le regole di detta lingua. le quali già comunicò a M. Corn. Barbiero ,. Il Barbieri non fu conosciuto dal Pinelli che assai tardi. Ancora nel 1581 per dare di lui alcune notizie a J. Corbinelli doveva informarsi presso G. Castelvetro (V. Ambros., T. 17, Sup., c. 72 e 77°) “ seg.° di Modana, per “ stamparle con gll’ autori ,. — In fine per comune consenso una delle 2 versioni di Lo Donatz contenute nella Miscellanea Ambrosiana D. 465, inf. sarebbe da attribuire al Barbieri per quanto una dimostrazione sicura non sia ancora stata data (Mussarra, Op. cit., p. 8, n. 1 e RAJNA, Art. cit., loc. cit.). In questa schiera che vanta i nomi di G. M. Barbieri, B. Varchi, D. Veniero, Lod. Castelvetro e G. V. Pinelli, merita di essere posto F. Orsini. Le notizie scarse date da Pierre de Nolhac (Op. cit., p. 323) a questo riguardo, pos- sono essere notevolmente accresciute. L'11 giugno 1583 l’Orsini scrive al Pinelli: “ Desidero ancora sapere se lei crede che scrivendo io una lettera “al Magnifico et chiedendoli in dono quel fragmento di Ugo Faidito in “ lingua provenzale fosse per donarmelo... , (Ambros., D. 422, inf., c. 116*; per altri particolari, vedi dello stesso codice cc. 118*, 119*, 120*, 121, 1222). L'acquisto non fu possibile: F. O. dovette accontentarsi di tenere a prestito per un mese il frammento, che egli riceveva l’8 ottobre 1583, senza. pro- varne un'impressione molto gradita; tuttavia non avrebbe sdegnato di ar- ricchirne la propria biblioteca “ poichè l’ espositione di quelle coble a lui “non serveno ma a chi è patrone di quel libro dove sono le canzoni di “ quelle coble ,, tant'è che esclama: “ ma sappia che quelle 16 carte pro- “ venzali a lui non serveno, perchè sono espositioni di certe canzoni ,! (c. 133°). Sappiamo che l’amico suo e corrispondente, non molto dopo gli inviò pure una traduzione della grammatica che il 22 ottobre era già per- venuta al destinatario. Il quale, dal canto suo, prima di restituirle s’ era fatta rilevare una copia sì della grammatica come delle esposizioni delle cobbole (c. 138*). Nel ritorno il ms. passò dalle mani di Jacopo Contarini a quelle di G. V. Pinelli che lo trasmise ad Alvise Mocenigo (Jacopo Con- tarini vuole pure essere posto fra gli studiosi di provenzale, o meglio di catalano, nel '500. Il cod. Ambros., D, 465, Inf., reca Alcuni proverbii tratti da un esemplare di Jac Contarini cioè il ‘p.° foglio del libro (e. 346%), che si identifica con un noto codice della Marciana contenente i Proverbi di Guglielmo di Cerveyra, pubblicati dal Thomas, “ Romania ,, XV, 25). Dalle BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 123 che appartenevano a Lord Ashburnham e che acquistati dal- l’Italia ora trovansi alla Laurenziana, al N. 1812 è registrata una Grammatica della Lingua Provenzale di B. V. autografa ed inedita. Di questo arido sunto non m'è bisogno spendere altre parole, perchè esso fu illustrato e in parte edito da Leandro Biadene nel 1885 (1). $ 4. — Ho alluso ‘in principio ad una teoria sull’origine della Lingua nostra, che esposta dal Bembo, per l’autorità del suo nome, ebbe nel ’500 rari oppositori e numerosissimi seguaci, ed ho ricordato fra questi ultimi B. Varchi. A convalidare tale dottrina, come già aveva fatto il Bembo, egli cita buon numero di esempî, che, riferendosi alcune volte a mss. di sua proprietà, ci porgono un notevole aiuto per la storia esterna dei codici | provenzali. Nell’Ercolano adunque, egli scrive (2): x “ Rancuro, donde si venga è verbo provenzale e significa “ attristarsi e dolersi, come si vede in quel verso d’una canzone “ di Folchetto di Genova, benchè egli si chiamò e volle essere “ chiamato da Marsilia (3); la quale canzone comincia: Per deu amors ben sabez veramen cose dette si vede come la grammatica di cui parla F. O. non sia quella di Leonardo Provenzale (Norzac, Op. cit., p. 323). Ma troncando quest’ipotesi cadiamo in un altro dubbio, perchè i dati fornitici dall’Orsini sono troppo indeterminati perchè si possa identificare il codice del Magnifico. Un debole filo ci potrebbe guidare. F. O. dice che il frammento constava di 16 fogli; il ms. Landau è mutilo e consta di 17 carte; come si vede c'è qualche proba- bilità, ma sarebbe insolito il caso di un ms. provenzale arricchito di carte in progresso di tempo. (1) Las Rasos e Lo Donatz, © Studj di Filol. Rom. ,, I, pp. 400-402. (2) Pag. 65. (3) Con questa affermazione il Varchi si riattacca al Bembo, là ove questi cerca di spiegarsi la ragione onde Folchetto fu chiamato di Marsiglia; “ il che avvenne, non perchè egli avesse origine da quella città (che fu di “ padre Genovese figliuolo) ma perchè vi dimorò gran tempo , (Op. cit., e. VIII). Vanno dietro le sue tracce i commentatori della Commedia e del Canzoniere e lo stesso Castelvetro “ quel buon huomo che ha per fine cheche “ se ne avvisa dire il contrario di lui ,, come si esprime V. Borghini con giudizio che certo ha molto di vero (v. ms. II, X, 102 del Fondo Rinuccini passato alla Nazionale di Firenze). Però M. Equicola (Libro di natura d’ Amore, Vinegia, per Giovanniantonio et Fratelli da Sabbio, M.DXXVI, che è la 2* edizione come dimostrò R. Renrer, Per la cronologia e la composizione del 124 SANTORRE DEBENEDETTI “ ove dice dolendosi della sua donna: Cum plus vos serf chascuns plus se rancura; cioè, per tradurlo così alla grossa in un verso: x Com più si serve alcun più se ne duole. “ Usalo ancora Arnaldo di Miroil in una sua canzone che “ comincia: Sim destringues donna vos et amor “ da questo discende ‘rancura’ cioè tristizia e doglienza: nome “usato da Dante, che disse una volta: La qual fa del non ver “ vera rancura, ma molte dai Provenzali come si può vedere “ nella medesima canzone, del medesimo Folchetto; e Pietro “ Beumonte nella canzone che comincia: Al pariscen de las flors “ cioè: All’apparir dei fiori: Qui la en paez ses rancura, cioè: “ Chi l’ha in pace senza tristezza, o, dolore ,. Questa sicurezza di citare e tradurre nel ‘500 dovette stu- pire assai, e parere audacissima (1), mentre lo stesso Barbieri “ Libro di natura d’ Amore ,, in “ Giorn. Stor. d. Lett. It. ,, XIV, p. 212 e sgg.) a c. 173-174, e G. M. Barbieri (Op. cit.) a p. 103, paiono prestare maggior fede alla testimonianza delle “ razos , che alle parole del Petrarca inter- pretate nel modo più ovvio. In realtà le parole del Poeta possono essere intese come una specie di rimpianto che Folchetto, nascendo in una terra che non era quella dei suoi padri avesse dato a lei quella gloria di cui Genova sarebbe andata superba, come dice felicemente N. Zingarelli (La personalità storica di Folchetto di Marsiglia nella Commedia di Dante, Bo- logna, Zanichelli, 1899) facendo sua un’opinione già emessa dal Portirelli (III, 116). La quale interpretazione si impone tanto più in quanto pare ormai fuori di dubbio che la patria del poeta sia stata Marsiglia (Oscar ScuuLrz, Die Lebensverhiltnisse d. italien. Troub., Berlin. Dissert. 1883, e “ Gròber's Zeitschrift ,, VII, 179). (1) Nella Chronica di Mantua dell’Equicola (1521) trovasi la nota ten- zone fra Sordello e Peire Gilhem (p. 74), il cui testo non corrisponde a, nessuno dei conosciuti. De Loris (Vita e poesie di Sordello di Goito, pp. 121-122), accompagnata da traduzione. Nel Libro di Natura d'Amore (loc. cit.) sono tradotti molti versi da poeti provenzali, senza che ne sia dato il testo. — Vedi pure Novelle di bel parlar gentile a p. 65 della Giuntina del MDLXXII, che è la quarta edizione (cfr. Braci, Le novelle antiche, Firenze, 1880, p. LxIv). L’esemplare che trovasi alla Nazionale di Firenze (Pal., c. 1055) è provve- duto di note mss. che derivano forse dal Castelvetro. — Nei Marmi di Ant. Fr. Doni è stampata e tradotta la nota sestina d’Arnaldo, arricchita della bio- grafia del nostro trovatore “ secondo la redazione seriore , (CAneLLO, pp. 66-67). BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 125 nel suo trattato aveva abbandonati i versi provenzali scevri di traduzione (1), ma fuori di questo aspetto, le parole riferite non (1) La versione che nel 1500 era considerata indispensabile per l’intel- ligenza dell’opera del Barbieri (v. Lettera di Giammaria Castelvetro a Lo- dovico Barbieri, Origine della Poesia Rimata, pp. 21-22; v. anche della stessa prefazione, pp. 24-26) non fu effettuata che due secoli dopo per incarico del Tiraboschi che pubblicò l'Arte del Rimare nel 1790. La storia di quest’ediz. si lega col passaggio dei Gesuiti Spagnuoli in Italia. G. Tiraboschi al tempo della prima edizione del vol. 8° della sua Storia Letteraria (1773) non aveva ancora in animo questo disegno, che noi vediamo solo comparire nella pri- mavera del 1785, in una lettera all’Andres, “ confessandogli, a quanto ci è “dato arguire, l'imbarazzo in cui sì trovava di fronte a quei testi proven- “ zali,. L’Andres gli rispondeva il 12 maggio di quell’anno mostrandosi pronto a servirlo, ed il 20 del mese seguente la versione era a buon punto, pur rimanendo alcune difficoltà (Cran, L'immigrazione dei Gesuiti Spagnuoli Letterati in Italia, Torino, 1895, pp. 28-31). Per le relazioni di G. Andres col Tiraboschi cfr. p. 255 n., 299, 317, 340 e n. 3, 348 di C. Frari, Lettere di Girolamo Tiraboschi al padre Ireneo Affò, Modena, Vincenzi, 1895. A su- perarle chiese l’aiuto del Pla, che il 18 novembre 1787 gli scriveva da Fer- rara: “ Vi mando finalmente la mia traduzione de’ Frammenti di Poesie Pro- “ venzali, la quale ho giudicato anch'io letterale il più che si è potuto, “ acciò che si vedano meglio i sentimenti dei nostri antichi poeti e le pa- “ role che passate sono dalla Lingua Provenzale nella Italiana... ,. Il 13 di- cembre G. Andres spediva la versione al Tiraboschi accompagnandola con una lettera spedita da Mantova: “ Eccole la traduzione dei versi provenzali “ fatta per la maggior parte dal Sig. Ab. Pla 2° o 3° bibliotecario di Fer- “ rara, colle sue annotazioni: desidero che possano essere del suo aggradi- “ mento. Non molto ma pur ha servito la traduzione spagnuola del Signor “ Mayans ,. In un’altra lettera, del 24 dicembre, scrive: “ Vi unisco anche “ la lettera con cui l’Ab. Pla accompagnò la sua traduzione: di questa e “ delle note fara ella quell’uso che le piacerà, ma potrà nominare realmente “ detto Ab.* per traduttore , (Bibl. Estense, Schede Cavedoniane, Filza XI, n° II, 4,3, 11). Il Tiraboschi infatti pubblicando l’opera non allude che al Pla “il più dotto e il più profondo poliglotto per avventura che abbia ora “in Italia... , (p. 23), cui si affretta a mandare due esemplari della pubbli- cazione. L’Ab° Pla ringraziandolo (26 luglio 1790) si ripromette gran gio- vamento dalle erudite note del Tiraboschi, a perfezionare certe sue versioni, e soggiunge: “ Le vite poi che di essi poeti ne adduce il Barbieri si accor- “ dano a maraviglia col mio codice a penna. Bensì restai sorpreso nell’os- “ servare che nella mia traduzione dei Frammenti aveva indovinato per lo “ più la mente dell’erudito Autore, senza il di lui ms., che certamente mi “ avrebbe agevolato assai la fatica ,. — Il 23 agosto 1790 annunzia al Ti- raboschi una prossima sua visita a Modena, allo scopo di confrontare un suo ms. con un altro esistente colà, appartenuto al Barbieri. — Queste due Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 9 126 SANTORRE DEBENEDETTI hanno per noi grande valore, perchè non ci avviano alla ricerca di nessun manoscritto ignoto, potendosi con sicurezza riferire al Canzoniere Laurenz. Pluteo 90 Inf. 26 (c) passato dalle mani del Varchi a quelle di Carlo Strozzi, che, cancellato il nome del precedente possessore, vi appose il suo (1), codice di cuì pos- sediamo eziandio una copia di mano di Piero Simon del Nero (che la arricchì delle varianti di 37 canzoni contenute in a) la quale acquistata nel 1872 in Firenze da Ed. Stengel fu da lui edita nel 1899 (2). Esiste ancora di questo ms. un indice com- posto da Piero stesso, che trovasi inedito in un codice dell’Estense, ma dall'esame diretto di questa Tavola, mi sono convinto che essa non porta nessun contributo alla storia della composizione intima di c, di cui mi occupo da alcun tempo, per la originalità ed importanza delle quistioni che desta (3). Ma un altro accenno trovasi nell’Ercolano, che, per il suo valore attrasse presto l’attenzione di C. Chabaneau, il quale, postosi innanzi il quesito, ed esaminatolo con acutezza da diverse parti lo giudicava insolubile; di poi, ch'io mi sappia, nessuno ritornò sull'argomento. Trovasi nell’Ercolano (4). “Io ho in un libro provenzalmente scritto molte vite di “ Poeti provenzali e la prima è quella di Giraldo chiamato di “ Bornello, che è quegli, di cui favella Dante in questo luogo ultime lettere che trovansi pure fra le carte del Cavedoni (Estense, Filza XI) appariscono scritte di sua mano. A quali traduzioni alludesse il Pla, noi sap- piamo per dati sicuri. La Bibl. Barberiniana possiede un ms. (XLV-59) che contiene Poesie Provenzali tradotte in Lingua Italiana dall’ Ab. Dr. Gioacchino Pla Prefetto della Biblioteca Barberina (cfr. © Jahrbuch ,, XI, 37); sappiamo inoltre ch'egli compose un vocabolario delle voci più difficili della lingua provenzale, voltate in italiano-spagnuolo-latino (Cran, Op. cit., p. 33 e n. 4). Intorno ai Gesuiti Spagnuoli in Italia, spero fra non molto di arricchire le belle e numerose notizie date dal prof. Cian, valendomi di un ricco carteggio inedito, che trovasi alla Marucelliana. (1) M. Peraxz, Il canzoniere Provenzale c, in “ Studj di Filol. Rom. ,, fase. 20. (2) C. SrenceL, Die altprovenzalische Liedersammlung c, Leipzig, 1899. (3) Questo Indice è annesso al Cod. Y, N. 8, 4; 11, 12, 13 scoperto ed illustrato dal mio ottimo amico G. Bertoni, che me ne favorì la copia tratta da lui dal ms. Estense citato, della quale cortesia qui pubblicamente lo ringrazio. (4) Pag. 160. i N A A N Tz=>‘o‘|tN -.» BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 127 “ e di che intese il Petrarca quando nella rassegna che egli fa “ dei poeti provenzali nel quarto capitolo d'Amore scrisse: E "1 vecchio Pier d’Alvernia con Giraldo. “ La qual vita io tradussi già in volgare Fiorentino, havendo “ animo di seguitare di tradurre tutte l’altre, il che poi non mi venne fatto, ancora che sieno molto brevi ,. Sin qui nulla di strano: le parole del Varchi ci possono far pensare così ad un ms. come ad un volume a stampa, per l'estensione che aveva il significato del vocabolo “ libro , nel ’500, ma dalla prima opinione ci stacca recisamente il Crescimbeni, nella sua edizione delle Vite del Nostradamus tradotte (1), ove, riferendo in una nota a p. 107 questo passo, credeva opportuno di aggiungere qualche cenno, e completava la presunta allu- sione del Varchi ad un libro stampato, con queste parole, chiuse però in parentesi: “ questo libro è impresso e l’abbiamo veduto “ anche noi ,. C. Chabaneau (2) prendeva in esame i mss. che paiono a tutta prima rispondere alle indicazioni del Varchi, cioè, i due della Nazionale di Parigi 1592 e 22543, e il Riccardiano 2814, e tutti li escludeva con ragioni ottime, mostrandosi d’altra parte proclive, in mancanza d’altre vie, ad ammettere un “ im- “ primé , che, per ragioni che non è qui il caso d’indagare, dopo di essere passato sotto gli occhi del Crescimbeni, sarebbe sparito. Il Riccardiano 2814 (8) si può considerare diviso in 3 parti : le due prime per la grafia e per l'ordine delle poesie sono inti- mamente unite e seguono l'ordine della Tavola che sta in fine e corrisponde al contenuto del Canzoniere di Bernart Amoros. = (1) Le Vite de’ più celebri Poeti provenzali, Roma, 1722 (2° edizione). (2) Revues des Langues Romanes, XXIII, pp. 14-15. (3) “ Archiv. dell’Herrig ,, XXXIII, p. 427 e sgg.; “ Jahrbuch f. roman. u.’ “ engl. Spr. u. Litt. ,, XI, p. 11 e sgg., però il Bartsch attribuisce l’ aned- doto Riccardiano al sec. XVII (v. pure Gròser, Die Liedersammlungen der Troubadours. R. Studien, II, p. 504) senza valevoli ragioni; esso spetta in- vece al precedente, di più porta alcune note, che secondo il Rajna, ch'io ringrazio di gran cuore d'aver voluto per me rivedere il codice, spettano a Piero stesso, la cui morte avvenne nel 1598 (Casini, “ Propugnatore ,, XIV, p. 292, n. 2); Revue des Langues Romanes, agosto-settembre 1898 (ediz. diplomatica). 128 SANTORRE DEBENEDETTI x La terza parte è di mano e di formato diverso, ed ha un’an- tica numerazione che la isola dal rimanente del Codice. Essa contiene: C. 1-158 Lo Donatz; 15%-28° Las Rasos; cui segue imme- diatamente una serie di biografie accompagnata dalla ben nota prefazione di Bernart Amoros, dal cui Canzoniere, che molto probabilmente non conteneva che queste, le viterelle son tolte e riferite nell'ordine seguente: Giraut de Bornelh, 29* [p. 2]; Arnautz Daniel 30° [p. 104]; Folgetz de Marseilla 30*° [p. 167]; Peire Vidals 30-31? [p. 114]; Gaucelms Faiditz 31%-32? [p. 167]; Peirols 32**; Gaubertz de Poicibot 32°-33" [p. 208]; Pons de Capduell 33%-33? [p. 213] || Gui d'Uissel 342 [p. 256]; Guillems de Saint Leidier 34° [p. 263]; Raimonz de Miraval 34%-352[p.312]; Raembautz de Vacheiras 35*> [p. 324]; Huc Brunec 35°-36% [p. 355]; Guillem de Monta- gnagout 36 |[p. 379]; Sordels 36*> [p. 379]; Lanfrane Cigala 36%-372 | p. 382]; Blachassetz 37? [p. 427]; Perdigos 37°° [p. 494]; Arnautz de Marueil 37°-38?. i Finalmente a c. 382: “ D’aissi enam son escrichas tenzos de donas e de cavaliers e comenza la tenzos den folc e de siegnher narnaut e den Guillem ,; c. 38°-40° “ Aissi son eserig li nom dels trobadors j son enagest libre e van luns apres lautre aissi ‘con eill son escrig ,. Dal paragone di queste biografie con quelle contenute nel Canzoniere di Bernart Amoros, si vede ch’esse corrispondono perfettamente nell’ordine, e di più viene qui offerta la copia di due vite ch’erano state trascurate dal copista di Piero del Nero. La mancanza di due di queste viterelle dal codice aa! ci allon- tana subito dall’opinione che il nostro fascicoletto dipenda dal precedente ed il trovarne ripetuta la maggior parte, e nell’uno, e nell’altro dei mss., ci fa d’altra parte pensare che il codicetto non fu eseguito in servigio di Piero del Nero. La scrittura inoltre non è quella di lui, nè per fermo è dovuta alla mano del suo copista o meglio dei suoi copisti, che noi conosciamo. Dopo questa digressione un po’ lunga, ma suggerita e resa ne- cessaria dal fatto che la terza parte del Riccardiano 2814 non era sinora stata descritta con diligenza, mi si permetta di ritor- nare alla quistione principale. B. Varchi nelle parole citate, in nessun modo ci obbliga a rr —_r_— ——_—mmo | ——_—r r_r_—_— —_—__m—m_u& sinti BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA 129 credere ch’egli avesse un canzoniere provenzale, ma tende piut- tosto a persuaderci: 1) che egli possedesse un libro di vite trobadoriche, che s’'apriva con quella di Giraldo di Bornello; 2) che egli ne avesse intrapresa la versione senza compierla. Il ms. di cui ho parlato lungamente, dopo la acuta esclu- sione dello Chabaneau, è l’unico che corrisponda alla prima delle due premesse, ma io credo che risolvendo la seconda, anche la prima acquisterà ai nostri occhi maggiore verisimiglianza. Ora, tra le opere di B. V. che passarono dalle mani di B. Valori alla Rinucciniana, una porta questo titolo: Vite di Giraldo di Bornello e di Arnaldo Daniello poeti provenzali, tradotte da quella lingua in volgare fiorentino (1). Queste versioni, che pur sarebbero di qualche interesse, oggidì si considerano perdute, pure, anche la sommaria indica- zione, qualcosa ci dice; alla vita di Giraldo segue immediata- mente quella d’Arnaldo, come in nessun altro codice che qui sia il caso di citare, se si eccettui il fascicolo aggiunto al Riccar- diano 2814, e poichè questo quadernetto risponde perfettamente alle conseguenze logiche che si traggono dal noto passo dell’Er- colano, credo sia lecito conchiudere, ch’esso sia stato in possesso del Varchi. Ancora, il fascicolo deriva dal Canzoniere di Bernart Amoros, che a quel tempo trovavasi in Italia ed in particolare in Firenze, onde si potrebbe avanzare l'ipotesi che B. V. abbia pur conosciuto questo grande Canzoniere, ma è ipotesi di poco profitto. Alle prove che ho addotto per dimostrare come il fasci- colo accodato al Rice. 2814 sia stato del Varchi, una, credo, se ne può aggiungere non indifferente. Il ms. si apre con il testo delle Grammatiche Provenzali, secondo la lezione del manoscritto Landau cioè di quel ms. sul quale è condotta la traduzione Laurenziana (2). Perchè il Varchi abbia raccolto tanti documenti provenzali, non possiamo dire con sicurezza; certo vi ebbe parte non poca un pensiero, che è conseguenza della teoria esposta in principio sull’origine della Lingua nostra, pensiero che egli stesso rife- (1) Catalogo delle Opere di B. V. che si trovano mss. nella Rinucciniana, t. I, p. xxxvn delle Lezioni sul Dante e Prose varie di B. V. per la maggior parte inedite, per cura di G. Aiazzi e L. Arbib. Firenze, 1841. (2) Brapene, Art. cit., p. 402. 130 SANTORRE DEBENEDETTI — BENEDETTO VARCHI PROVENZALISTA risce nell’Elogio del Bembo: “ Se a bene intendere la latina “ (lingua) gli fu bisogno apprendere la greca, a bene appren- “ dere la toscana gli bisognò apparare la provenzale poco meno “ che del tutto spenta ancora in quei tempi , (1); ma se noi esaminiamo il particolare aspetto che assumono le sue ricerche, si fa anche più probabile ch'egli mirasse ad eseguire il disegno di una edizione di testi provenzali accompagnati da biografie e forse dalle grammatiche, il qual disegno noi vediamo lungo tutto il ’500 apparire e scomparire senza avere però mai esecuzione. (1) Raccolta di diverse orationi volgarm. scritte da molti huom. ill. del Sansovino, Venetia, appresso Jac. Sansovino Veneto, MDLXIX, c. 53”. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. ———— ——_ @ *® 131 PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI L'Accademia Reale delle Scienze conferirà nel 1902 un premio di fondazione Gautieri all'opera di Letteratura, Storia letteraria, Critica letteraria, che sarà giudicata migliore fra quelle pubblicate negli anni 1899-1901. Il premio sarà di L. 2500, e sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in italiano. Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblica- zioni l’attenzione dell’Accademia, possono inviarle a questa. Essa però non farà restituzione delle opere ricevute. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. TAI i )) guak a fa binario. appa Ì, rota: foacana ii dina iaò dpr e prvienale (MA ’ A y “art DITA e de i è na it% vee DD. & eta i MA TRE. . 234 a z pi bi» (ti : . 9 " miri Và, dread 5 *t: COIDI Fo Lt uLa7 k IMI 1) he dd PATTI ha în i ‘ 4 era r r'égl. Ù j Di ni dt 4 No # nà IAMITUAD UNIONE NOE RULLO ————dfig®- -— — Ù è iù i to Sogni 1 &rim0în00 asasis® ollob a[gafi sismroi mode mignsttoI ib siogo' Ta roartunò anojsabgol ib a 4 è { Ù ae ‘ . vr” © "n n x_0 ui . woilai rtaoibura s1se sro , singuottal fr viti Bra ‘ j . , nndr‘inma Haber AS } 11) sw }e OISMIO'T fl IO 1-08 [ARR 119 10 ott i iegyloga) omrifati stoiur bea cis ‘90684 | 1900 "5g (simrobaonA'‘Ifeb itaabiast mom 9 an bi 5 3 ap € soil ol otly iamusisori oasishisob oro Od 10) E A fil & n ” ” ioesog .gimobhass A'oh amoixistta ino tOf : î ; i ) go Db LOLRILH O SUS E i I 7 R A f «i i vogT A i V st ur Pe I RE Of Sciences CLASSI UNITE Adunanza del 29 Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: BerrutI, D'Ovipio, NaccarI, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, GuaREscHI, Gui, FiLeti, PARONA, MATTIROLO; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: Peyrrox, Vice Presidente dell’Accademia, Rossi, CarLE, BRUSA, Crironi, Savio e ReNIER Segretario. Approvasi l’atto verbale dell'adunanza antecedente a Classi unite, 8 dicembre 1901. È comunicata la lettera con cui il dott. Alessandro Gue- RARDI ringrazia l Accademia per il premio Gautieri recentemente conferitogli. il Poscia il Socio D’Ovipro dà lettura della seguente Relazione della 2% Giunta per il conferimento del XII premio Bressa per il quadriennio 1897-1900. CHIARISSIMI COLLEGHI, La seconda Giunta per il duodecimo premio di fondazione Bressa, dedicato questa volta ad opere e scoperte italiane, ha l'onore di riferire alle Classi unite dell’Accademia il resultato dei proprì lavori. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 10 134 Già la prima Giunta, nell'adunanza delle Classi unite tenuta il 31 marzo, presentò la relazione degli studì da essa instituiti per iscegliere quelle fra le opere inviate dai concorrenti, ovvero proposte dai Soci, che meritassero di esser prese in considera- zione pel conseguimento del premio. Ma di tali opere la prima Giunta non ne trovò se non una sola, e nella detta adunanza nessun'altra opera o scoperta venne proposta dai Soci. Pertanto il compito della presente relazione si riduce a sottoporre alla vostra attenzione i pregi di quell’unica opera che fu indicata dalla prima Giunta. Essa è la Forma urbis Romae del prof. Rodolfo LANCIANI dell’Università di Roma; lavoro importantissimo, dovuto a lunghe, laboriose ed illuminate ricerche di vario genere, e consistente in una raccolta di 46 tavole. L’Autore merita la più ampia lode, per aver recato con questa monumentale pubblicazione archeologica un contributo notevolissimo alla conoscenza della topografia dell'antica Roma. A compiere un'opera cosiffatta nessuno era preparato meglio di lui, architetto, archeologo e da molti anni intento a studiare i monumenti romani; del che fa testimonianza una copiosa serie di pregevoli lavori, così monografici come d’ indole ge- nerale, i quali avevano reso il prof. Lanciani ben noto in Italia e fuori come la maggiore autorità vivente in fatto di topografia romana. Ed infatti dotti d’indiscussa competenza dichiarano di non conoscere nel campo degli studiî dell’antichità alcun’altra opera recente che questa superi, e neppur che a questa si accosti, per grandiosità, novità e valore scientifico; ed affermano che essa altamente onora la scienza italiana. Convinta della grande importanza di quest’opera storico- topografica, l'Accademia dei Lincei ne favorì la pubblicazione, nell’intento di contribuire con essa agl’incrementi della scienza. E la nostra Accademia alla sua volta non esitò a prenderla in considerazione nel 1897 pel decimo premio Bressa, sebbene allora la stampa fosse tuttavia incompleta. È vero che l’opera è composta soltanto di tavole; ma tale qual'è, essa fu ed è dai dotti stimata degna di un premio così cospicuo come questo di fondazione Bressa. Il conseguimento del quale contribuirebbe inoltre ad accrescer la speranza di veder presto intrapresa la pubblicazione del testo illustrativo delle Sit = re, a SIT ST RT I a 155 46 tavole, cioè della Storia degli scavi di Roma, vasto lavoro in sei volumi da lungo tempo desiderato ed aspettato, il quale ci porrebbe in possesso di un tesoro d’informazioni topografiche, antiquarie e storiche, che ora pur troppo rimangono sconosciute al pubblico. La seconda Giunta pertanto compie il mandato affidatole, indicando la Forma urbis Romae come meritevole del premio, che a Voi, chiarissimi Colleghi, spetta di aggiudicare. Il Socio MartIRoLo invita i Colleghi ad assistere all’ inau- gurazione del busto del rimpianto Socio prof. Giuseppe GIBELLI, la quale avrà luogo nei locali del KR. Istituto Botanico dell’ Uni- ld versità il giorno 5 gennaio 1902. Gli Accademici Segretari Enrico D’OvipIo RopoLro RENIER. —___n iQ ° TTT 136 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 29 Dicembre 1901. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Berruti, NAccARI, CAMERANO, SEGRE, Peano, JADANZA, GuaRrEscHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MATTIROLO e D’Ovipio Segretario. \ Si legge e si approva l’ atto verbale dell’ adunanza pre- cedente. Il Presidente presenta il secondo fascicolo dell’opera: Orga- nographie der Pflanzen, insbesondere der Archegoniaten und Semen- pflanzen, inviato in omaggio dal Socio corrispondente prof. Carlo GoeseL. La Classe ringrazia l'Autore. Il Socio GuarEscHI presenta per l’inserzione negli Atti una nota del Dr. Ludovico Beccari intitolata: Sulle idramidi e sulle loro reazioni con l'etere cianacetico. LODOVICO BECCARI — IDRAMIDI E LORO REAZIONI, ECC. 137 LETTURE Sulle idramidi e sulle loro reazioni con Vetere cianacetico. Nota del Dott. LODOVICO BECCARI. Il gruppo delle idramidi fu iniziato dal Laurent (1) con la scoperta dell’idrobenzamide, che egli ottenne per azione dell’am- moniaca sulla essenza di mandorle amare o benzaldeide, e della quale descrisse perfettamente i caratteri fondamentali fisici e chimici. Riconobbe che l’ NH? combinandosi con l’aldeide ben- zoica perde tutto il suo idrogeno, che si elimina, sotto forma di acqua, con l'ossigeno dell’aldeide, e definì i rapporti di com- binazione delle due sostanze, per cui due molecole di NH? rea- giscono con 3 di aldeide benzoica per formare 1 molecola di idrobenzamide. All’idrobenzamide si vennero mano mano aggiungendo le idramidi omologhe, ottenute con lo stesso metodo generale per azione dell'’ammoniaca sulle principali aldeidi aromatiche; esse corrispondono perfettamente nella composizione e nel compor- tamento generale all’idrobenzamide, che costituisce il primo ter- mine della serie. Esse sono, in ordine di tempo della loro sco- perta: l’ idrosalicilamide (Ettling, 1840) (2), l’ idrocinnamide (Laurent, 1842) (3), la furfuramide (Fownes, 1845) (4), V'anisi- dramide (Cahours, 1845) (5), la trimitroidrobenzamide (Berta- (1) “ Ann. de Ch. et de Phys. ,, T.62, p. 23, 1836. (2) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 35, S. 261, 1840, (3) “ Revue scientifique ,, T. X, 119, 1842, (4) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 54, S. 55, 1845. (5) “ Ann. d. Ch. et d. Phys. ,, 3° Sér., T. 14, p. 487, 1845. 138 LODOVICO BECCARI gnini, 1851) (1), la idro(iso)naftamide (Battershall, 1873) (2), la idrocuminamide (Borodin, 1873) (3), l’idramide del piperonal (Lorenz, 1881) (4) e la :?drobenzamidtrialdeide (Oppenheimer, 1886) (5). Le conoscenze sulle proprietà generali delle idramidi e sulla loro costituzione, si devono in gran parte allo studio dell’idro- benzamide, intorno alla quale esiste una copiosa letteratura. Alcuni lavori hanno ormai solo un interesse storico; così quello di Rochleder (6) sull'azione del KOH sull’idrobenzamide, ripetuto più di recente dal Rau (7); quelli del Wicke (8) e dell’ Engel- hardt (9) sull’azione dell’ NH? sull’etere benzilidenacetico e sul cloruro di benzilidene; del Miller (10) sull’azione del cloro sulla idrobenzamide; di Ekman (11), di Kijhn (12) intorno all’ azione del HCI sull’idrobenzamide, di Liecke (13) e di Otto (14). Molto più interessanti sono le ricerche più recenti di O. Fischer, 1887 (15) e dei suoi scolari sui prodotti di riduzione delle idramidi con Na metallico. Trattando i derivati benzili- denici delle amine con amalgama di Na in condizioni conve- nienti, O. Fischer ottenne i corrispondenti benzilderivati; così dalla benzilidenanilina ottenne la benzilanilina. Dalla idrobenza- mide ottenne analogamente una miscela di denzilamina (primaria) ‘e dibenzilamina (secondaria) secondo l'equazione: C©H°. CH=N\ CH, CH? CH. C*H*+3H*—C©H>, CH?, NH?_L DINE. C6H5. CH=N C6H5. CH? (1) * Liebig's Ann. ,, Bd. 79, S. 272, ‘1851. (2) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 168, S. 114, 1873. (3) “ Ber. ,; Bd. 6, S. 1258, 1873. (4) “© Ber. ,, Bd. 14, S. 785, 1881. (5) “ Ber. ,, Bd. 19, S. 575, 1886. (6) © Liebig's Ann. ,, Bd. 41, S. 89, 1842. (7) “ Ber. ,, Bd. 14, S. 443, 1881. (8) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 102, S. 357, 1857. (9) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 110, S. 77, 1859. (10) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 111, S. 144, 1859. (11) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 112, S. 151, 1859. (12) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 122, S. 308, 1862. (13) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 112, S. 303, 1859. (14) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 112, S. 305, 1859. (15) “ Liebig's Ann. ,; Bd. 241, S. 328, 1887. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L’ETERE CIANACETICO 139 Steinhart (1) similmente trovò che l’anisidramide ridotta con Na si scinde in anisilamina e dianisilamina: C5H*(0CH?).CH=N\ DOH. 00H*(00H*) + 3H?= C6H4(0CH?).CH=N C6H‘(00H?). CH? — C6H4(0CH3).CH?, NH? + ONE. C©H4(OCH3). CH? Emmerich (2) poi trattando nello stesso modo l’idrosalicil- C6H*4(0H). CH?_ amide ottenne la diossibenzilamina C6H4(0H) . CH?” la instabilità della ossibenzilamina primaria, la quale nell’ atto di sua formazione si scompone in diossibenzilamina e NH?. A completare la conoscenza della struttura delle idramidi, Busch, 1896 (3) riescì ad ottenere direttamente dalla idrobenza- mide la benzilidenimide sotto forma dei suoi sali con I’ HCI e l’ H?2S0*4. Trattando l’idrobenzamide in soluzione benzenica con HCI gasoso secco in presenza di alcol etilico, Busch ottenne la scissione dell’idramide in due molecole di benzilidenimide (clo- ridrato) ed una di etere benzilidendietilico: NH, forse per C*Hs. CH=N CH. CSHs + 2C2H?, OH + 2HC1 = CH, CH =N7 0. 0°H5 — 2C5H®, CH = NH. HCI + C©H3, CHK 0.0°H5. La benzilidenimide (cloridrato, solfato) è instabilissima e in presenza di acqua si scinde tosto in aldeide benzoica e cloruro (risp. solfato) ammonico. Un'altra serie di ricerche giova qui ricordare, riguardanti l’azione dell’ HCN sulle idramidi. (1) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 241, S. 332. (2) £ Liebig's Ann. ,, Bd. 241, S. 343. (3) “ Ber. ,, Bd. 29, S. 2143, 1896. 140 i LODOVICO BECCARI Laurent dall'azione dell’ammoniaca sull’essenza di mandorle amare ottenne diversi composti dovuti alla presenza contem- poranea dell’acido cianidrico e dell’ aldeide benzoica. Reinecke e Beilstein (1) nel 1865 per chiarire la genesi di questi com- posti, studiarono l’ azione diretta dell’ HCN sull’ idrobenzamide in soluzione alcoolica in presenza dell’ HCl; essi ottennero un composto che denominarono Hydrocyanbenzid (e che ritennero identico alla benzoylazotide di Laurent) della composizione C?*H!7N3; esso si formerebbe secondo l’equazione: C?1H18N2 + 2HCN + HC1 = C*H!N3 + NH*CI. Analoghi risultati ottennero dalla anisidramide e dall’idro- salicilamide. Tali risultati però, oltre a non recar molta luce sulla questione, non vennero confermati posteriormente da Erlenmeyer e da Plòchl, i quali giunsero a conclusioni diverse e degne di nota. Erlenmeyer e Schàuffelen (1877) (2) dimostra- rono che l’anisidramide fissa due molecole di HCN passando nel diimidodinitrile: C6H4(0CH?). CHA—CN > C©H4(0CH3) . CH{ pa NH CsH*(0CH*) . CH—CN che per azione dell’ HCl si scinde in aldeide anisica ed in un acido amidato C°H!!NO?, Plòchl (1880) (3) ottenne dall’idrobenzamide l’omologo di- imidodinitrile C?23H?°N4, che dà un cloridrato facilmente scom- ponibile dall'acqua, e che per addizione di 1 mol. H?O si scinde in benzaldeide e nel cloridrato dell’amidonitrile : C5H5. CH(CN)NH?. HC]; questo poi per saponificazione con HCl fumante dà l'acido fenil- amidoacetico. (1) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 136, S. 169, 1865. (2) “ Ber. ,, Bd. 11, S. 149, 1878. (3) “ Ber. ,, Bd. 13, S. 2118, 1880. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 141 Il comportamento suddetto delle idramidi ha una certa im- portanza, perchè si connette con ciò che hanno più di recente trovato W. v. Miller e Plòchl (1892) (1); questi autori hanno osservato che nei derivati anilici delle aldeidi aromatiche e di alcune aldeidi alifatiche il gruppo azometinico addiziona HCN per formare a-anilidonitrili, secondo lo schema generale: H H DA Va C°H5..N = C-R + HON = C5H5, N7CCR | H CN. Ora nell'azione dell’ HCN sulle idramidi si avvera l’ iden- tico fatto di addizione: 20N C6H>. CH — C5H>. CH N N | N-H. / VA Le idramidi infine presentano alcune reazioni studiate da Lachowicz, le quali sono pure degne di nota. Lachowiez (2) ha osservato che le amine aromatiche ed alifatiche (primarie e se- condarie) possono spostare l’azoto delle idramidi sotto forma di ammoniaca e ad esso sostituirsi dando i composti benzilidenici corrispondenti. La reazione avviene assai facilmente a + 50°, secondo le seguenti equazioni: (C*H5.CH)*N? + 3NH?. R = 2NH* + 3C°H5, CH =N.R (C5H5.CH)8N? + 6NH: R = 2NH8+- 3C°H5,. CH =(N:R)?. L’A. ha così fatto reagire sull’ idrobenzamide l’ anilina, e diversi derivati cloro e nitrosostituiti, l’o-toluidina, @ e Bnaftil- amina, piperidina, benzilamina, ecc. Ed ha verificato che anche le amidi degli acidi possono comportarsi nella stessa maniera, ma ad una temperatura molto superiore e tale da non potersi escludere l’influenza diretta del calore sulla scomposizione del- (1) “ Ber. ,, Bd. 25, S. 2020, 1892. (2) “ Monatsh. f. Ch. ;, Bd. 9, S. 695, 1888. 142 LODOVICO BECCARI l’idramide. Nulla di ciò potò ottenere dalla amarina e dalla lofina anche per riscaldamento sotto pressione. Lo stesso autore (1) ha messo in evidenza un altro modo di reagire dell’idrobenzamide con l’etere acetacetico. Studiando il meccanismo della reazione di Schiff e Puliti (condensazione dell’aldeide benzoica con etere acetacetico in presenza di NH?), Lachowicz riescì a dimostrare l’esistenza di un composto inter- medio della formula C?°H?2N?0?, che trattato con eccesso di etere acetacetico dava poi l’ etere idrofenillutidindicarbonico. Questo composto intermedio poteva ottenersi facilmente dal- l’idrobenzamide e per azione diretta di 1 mol. di etere acetacetico in soluzione alcoolica a freddo, secondo la seguente equazione: C6H5. CHy C#H5. CHx A CH?. CO?. C?H5 7N C°H?. CHC Sia =C*H5.CHO + C©H°. CH\ xy “N00 CH° È. C6H5. CH7 C?H5.C0?.CH=C — CH* e fu denominato da Lachowicz imide dell’etere idrobenzaceta- cetico. In questa reazione l’O del carbonile scinde uno dei gruppi azometinici dell’idramide e separa aldeide benzoica, mentre av- viene la condensazione del residuo acetacetico con quello idra- midico. Ho ricordato questa reazione perchè essa presenta, fino a un certo grado, analogia con le reazioni che avvengono tra l'etere cianacetico e le idramidi e di cui mi sono occupato nella parte sperimentale. Un gruppo speciale di ricerche sulle idramidi, che va con- siderato a parte e che ha una importanza tutta speciale, si è quello che riguarda le trasformazioni di queste sostanze in com- posti isomeri molto stabili di carattere basico assai spiccato e di costituzione pure molto diversa. Il Laurent (1844) (2) stesso ottenne dall’essenza di mandorle amare il primo di tali com- posti, isomero dell’idrobenzamide, e lo denominò amarina. Nel- l’anno medesimo studiando i prodotti di distillazione dell’ idro- benzamide scoprì una seconda base, la lofina, descrivendo così i due tipi fondamentali di composti, che possono derivarsi dalle (1) “ Monatsh. f. Ch. ,, Bd. 17, S. 343, 1896. (2) “ Journ. d. Pharm. et d' Ch.',, 3° sér., T. 6, p. 178. I Lo n ng è “e 3 PIP IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L’ETERE CIANACETICO 143 idramidi. Spetta però al Bertagnini (1) il merito di avere dimo- strato la trasformazione diretta della idrobenzamide in amarina per riscaldamento di quella a temperatura superiore a quella di fusione. Egli ottenne per primo tale metamorfosi nella tri- nitroidrobenzamide, che convertì in trinitroamarina, ed estese poi il metodo ad altre idramidi, ottenendo così l’ amarina dal- l’idrobenzamide. Queste sostanze hanno, a differenza delle idra- midi da cui provengono, reazione basica assai spiccata, sono molto stabili e formano sali bene caratterizzati. La loro costi- tuzione e le trasformazioni molecolari, che subiscono le idramidi nel dare origine a tali basi, furono per molto tempo un pro- blema assai oscuro per i chimici. Borodine (2), fondandosi sul- l’azione del joduro di etile da lui studiata sull’idrobenzamide e sull’amarina, aveva già riconosciuto che nella prima tutto 1’ H è fissato al carbonio, mentre nella seconda vi sono diversi (due) atomi di H legati all’azoto; secondo questo autore la trasfor- mazione dell’ una nell’ altra sarebbe un fatto analogo a quello che avviene nelle amine terziarie (ad es. la dimetilanilina), che secondo Hofmann e Martius si trasformano in amine secondarie e primarie, con la differenza che la trasposizione dell’ H_ nel primo caso si farebbe con molto maggiore facilità. U. Schiff (3) in uno studio sulla isomeria della serie etilenica (glicolica) ed etilidenica, che egli estese ai composti aminici preparando dalle aldeidi diverse di-amine etilideniche, considerava giustamente l’idrobenzamide e i suoi omologhi come di-amine terziarie della serie etilidenica, ed ammetteva poi che le basi isomere (amarina, anisina, ecc.) rappresentassero precisamente le corrispondenti di-amine terziarie etileniche. E. Fischer (1882) (4) a proposito di ricerche sul furfurolo e sulle analogie fra questo e l’aldeide benzoica (per le rispet- tive idramidi e per il passaggio di queste nelle basi isomere amarina e furfurina) portò la sua attenzione sulla costituzione dell’amarina, venendo alla conclusione che la genesi di questa base, e delle omologhe, fosse dovuta ad un processo di conden- (1) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 88, S. 127, 1853. (2) Loc. cit. (8) “ Liebig's Ann. ,, Suppl, Bd. III, S. 848, 1864. (4) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 211, S. 216, 1882. 144 LODOVICO BECCARI sazione più particolare delle aldeidi aromatiche, analogo a quello di formazione della benzoina. Per i rapporti dell’amarina con la lofina, e per la scissione di quest’ultima, mercè l'ossidazione con acido cromico, in benzamide e dibenzamide, Fischer ammise che ambedue le sostanze contenessero l’aggruppamento : e che l’idrobenzamide si trasformasse nel modo seguente: C°H°,CH=N, C6H°, CH-NH YCH. C6H5 — I CH . C*H3 C°H5. CH = N CHC=N7 I C6H3. € NHL ò 7 )OH. (6° C°H5. € — NH II non pronunciandosi recisamente per la formula I o la II, non ritenendo (V. ricerche di Borodine) ancora definito se nell’ama- rina sì contenessero uno o due gruppi imidici. Anche nella tras- formazione dell’amarina in lofina per perdita di 2H, l'A. vedeva un processo analogo a quello della formazione del benzile dal benzoino. Le vedute del Fischer ricevettero in gran parte con- ferma dagli studii posteriori. Le conoscenze sulla costituzione delle gliossaline o imidazoli, e dei loro rapporti colla lofina (Japp, 1882) permettono di considerare l’amarina come appar- tenente a questo gruppo di composti, cioè come una diidrogli- ossalina: C6H5, C — NH —2H (C5H5.C — N | CH (HB, — | ba . C5H? C*H>.C — NH C5H5. C — NH amarina lofina o a, B, u trifenildiidrogliossalina o a, 8, « trifenilgliossalina. La trasformazione dell’ idrobenzamide in amarina avviene per migrazione dell’ H mobile del gruppo azometinico, con for- mazione di un doppio legame fra carbonio. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L’ETERE CIANACETICO 145 Riassumendo, il concetto odierno sulle idramidi si può così brevemente enunciare: i derivati ammoniacali delle aldeidi aro- matiche devono essi pure considerarsi come derivati di un ra- dicale 7 R.CH N residuo bivalente dei glicoli ipotetici corrispondenti, ed entrano così nella serie, che dal suo primo termine C6H?, CHÉ S il nome di benzilidenica. Il modo di reagire delle aldeidi aro- matiche (che possono riguardarsi come anidridi del glicole ben- zilidenico ed omologhi) con l’ NH?, è costante e può riferirsi alla seguente regola generale: prende HH H SR. C< 42HlN= (R:0HPN® + 3H20. No. H) Perciò i composti che si originano (idramidi) sono da con- siderarsi come amine terziarie della serie etilidenica ; così l’idro- benzamide = tribenzilidendiamina; l’anisidramide == tri(p)metos- sibenzilidendiamina; la furfuramide= trifurfurilidendiamina, ecc. Questo comportamento generale è riferito in genere come peculiare delle aldeidi aromatiche, e le idramidi perciò come proprie della serie aromatica; in contrapposto alle aldeidi ali- fatiche il cui comportamento generale con l’ NH? si è di dare 708 composti di addizione diretta R .CH , le ammonialdeidi. NE? Queste leggi però non sono così assolute come appare dalla loro enunciazione, giacchè non mancano nella serie alifatica esempi di idramidi analoghe a quelle generalmente con tal nome qua- lificate, e che mi pare utile ricordare. Già nel lavoro citato di U. Schiff (1), questo autore portava la sua attenzione sulla differenza di risultati ottenuti fino allora dalle aldeidi aromatiche e dalle grasse con 1° NH?, dirigendo le sue ricerche ad ottenere da queste ultime, diamine terziarie ana- loghe alle idramidi già note. E partendo da pochi dati incerti (1) Loc. cit. e ibid., Suppl., Bd. VI, S. 1. 146 LODOVICO BECCARI a lui anteriori, riescì alla preparazione della idroenantilamide 0 trienantilidendiamina (C°H!4)8N?2 dall’ enantolo, e poco appresso della idracetamide o trietilidendiamina (CH?. CH)8N? dall’ acetal- deide. Oltre queste, più importanti e meglio studiate, Schiff crede sì sia ottenuta anche la idrovaleramide o triamilidendiamina dalla valeraldeide (Parkinson). Alla quale può aggiungersi anche la triisobutilidendiamina (C*H8)8N? dalla isobutilaldeide (Lipp) (1). L'esistenza di queste idramidi alifatiche o diamine etili- deniche dimostra che la diversità di comportamento delle aldeidi aromatiche ed alifatiche non è così sostanziale. Piuttosto trovo che una differenza più precisa si trova nel fatto che mentre l’ NH? dà facilmente con le aldeidi alifatiche semplici composti di addizione, questi non si conoscono per le aromatiche, in cui l’ipotetica ammonialdeide, che potrebbe ammettersi come com- binazione primitiva ed intermedia, si condenserebbe tosto con perdita di acqua nell’idramide, che rappresenta il prodotto ca- ratteristico delle aldeidi aromatiche. Azione dell'etere cianacetico sulle idramidi. Alle presenti ricerche, che riguardano 1’ azione dell’.etere cianacetico sulle idramidi, fui condotto da uno studio intrapreso per consiglio del prof. Guareschi, sulla reazione dell’etere a ciano- propionico e dell’aldeide benzoica in presenza dell’ NH® acquosa concentrata, e sul quale spero di riferire fra breve. In tale studio essendo sorta l’ ipotesi della formazione intermedia di idrobenzamide, divenne logicamente interessante studiare l’azione diretta dell’etere a cianopropionico, ed analogamente dell’ etere cianacetico sulla idrobenzamide e sui suoi omologhi. Potei così osservare che l’etere cianacetico reagisce in una maniera gene- rale e caratteristica sulle diverse idramidi che presi in esame. Trattando a freddo le idramidi sciolte in alcol con etere cianacetico, si nota più o meno rapidamente un ingiallimento della soluzione con sviluppo di NH? e la formazione più o meno pronta di prodotti cristallizzati. Questi diversificano a seconda dei rapporti di etere e di idramide insieme reagenti; e pure (1) “ Liebig*s Ann. ,, Bd, 211, S. 345. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 147 variando per certi rispetti i composti provenienti dalle singole idramidi, in tutti i casi però la reazione risponde ad uno schema generale, secondo il quale l’ H metilenico dell’etere cianacetico, sposta tutto o parte dell’ N dell’idramide sotto forma di NH?, e il residuo mono- o bi-valente dell’ etere cianacetico si sosti- tuisce al N eliminato, saturando le valenze libere dei radicali aldeidici; in alcuni casi l'architettura della molecola dell’idra- mide pare conservata, in altri questa si risolve nei suoi elementi e scompare. È Idrobenzamide ed etere cianacetico. Se ad una molecola di idrobenzamide, disciolta in alcol concentrato freddo, si aggiungono due molecole di etere ciana- cetico e si lascia a sè la miscela in vaso chiuso, dopo qualche minuto si nota un manifesto svolgimento di ammoniaca (che rivelasi tanto alla carta rossa di tornasole, che all’odorato), poi un lieve ingiallimento della soluzione che va progressivamente aumentando; dopo 3 o 4 ore cominciano a depositarsi bei cri- stalli aghiformi, bianchi. La preparazione del prodotto dà i migliori rendimenti se fatta a piccole porzioni nel seguente modo: si mescolano gr. 5 di idrobenzamide finamente polverata con gr. 50 di alcol a 95° in vasetto a tappo smerigliato, e si agita per qualche minuto a fine di sciogliere buona parte dell’idramide (a cagione della non grande solubilità dell’idrobenzamide nell’alcol, la quantità di questo necessaria a discioglierla a freddo sarebbe troppo grande, e renderebbe meno pronta la separazione del prodotto); gr. 3,8 di etere cianacetico, pesati esattamente e disciolti in pochi cme. di alcol a 95° vengono aggiunti a piccole porzioni alla miscela, ad intervalli piuttosto lunghi ed agitando di con- tinuo; in tal modo, mano mano che la idrobenzamide disciolta reagisce coll’etere, nuova idramide solida si discioglie, evitando in tal modo che l’ etere cianacetico si trovi in eccesso sulla idramide sciolta; il liquido si colora in giallo pallido e svolge ammoniaca; quando tutta l’idrobenzamide è disciolta si aggiun- gono le ultime porzioni di etere. L'operazione si compie in due ore circa, e dopo poco tempo comincia a separarsi il pro- dotto in piccoli cristalli aghiformi bianchi, che vanno man mano 148 LODOVICO BECCARI aumentando, finchè dopo 24 ore tutta la miscela è trasformata in una massa cristallina compatta. Si raccoglie il prodotto alla pompa, si lava con alcol a 50° finchè questo passa incoloro e neutro e si secca rapidamente. Il prodotto greggio pesa circa 5 gr. Esso può purificarsi per ripetute cristallizzazioni dell’alcol, meglio ancora dal benzene. Si discioglie nel benzene bollente, si filtra e si aggiunge un egual volume di alcol assoluto; si separano per raffreddamento abbondanti cristalli prismatici, in- colori, splendenti, che vengono raccolti, lavati rapidamente con alcol freddo e seccati. Insolubile in acqua, negli alcali ed acidi diluiti, solubile alquanto in alcol, meno nell’etere, solubilissimo in benzene. Fonde a 197° decomponendosi con "sviluppo di bollicine gasose e vapori ammoniacali. Tenuta alla stufa a 100° non perde di peso. Composizione: Gr. 0,1286 diedero gr. 0,3448 CO? e gr. 0,0695 H?0. Gr. 0,1547 K gr. 0,4144 CO? e gr. 0,0846 H?0. Gr. 0,2057 n cc, 15,1 N a 130,5 e 742,5 mm. Gr. 0,1510 = cc. 11,6 N a 199,5 e. 719 mm. I II IMI IV G 9o 713,12 73,06 Tal Tio H.:%/ 6,05 6,11 — — N00 — se 8,45 8,58 Tali rapporti si accordano abbastanza bene con quelli della formula C81H2°N30*4 per la quale si calcola: C 73,32 La gr 9,76 N %o 8,3 Il peso molecolare del prodotto, determinato col metodo ebullioscopico in soluzione benzenica, conferma la predetta for- mula bruta. Infatti, servendomi dell'apparecchio di Mc Coy (1) ho avuto i seguenti risultati: Solvente benzene. : — Gr. 0,9904 di sostanza, in cc. 25,8 di soluzione, diedero A = 00,24. Gr. 0,9904 di sostanza, in cc. 29,5 di soluzione, diedero PAN (1) “ Am. Chem. Journ. ,, 1900, t. 23, p. 356 (v. Suppl. Ann., vol. 16, p. 415). IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 149 Peso molecolare: trovato calcolato per C*#H?°N?0* II I 524 500 507 Senza entrare per ora in più minuti particolari sulla strut- tura del composto ottenuto, è probabile intanto ch’esso risulti dalla condensazione di una molecola di idrobenzamide con due di etere cianacetico secondo l’equazione: C21H18N? + 2CH?(CN) . CO?C®H5 = C31H?9N304 + NH?, In tal caso nel composto C31H?°N304 si dovrebbero conte- nere due gruppi — OC?H5. La determinazione degli etossili col metodo di Zeisel ha per l’ appunto confermata questa ipotesi. Infatti: gr. 0,2124 di sostanza diedero gr. 0,1880 di AgJ cor- rispondenti a gr. 0,036 di OC?H5 trovato calcolato O68Hs dY;oin 16,94 i 17,68 Il composto in discorso ha le proprietà seguenti: Esso è perfettamente stabile, a differenza dell’ idramide da cui prende origine, negli ordinari solventi dai quali cristallizza senza de- composizione. È un corpo neutro, insolubile oltre che in acqua, come si disse, negli alcali e negli acidi diluiti. Alla temperatura di fusione si scompone dando svolgimento di bollicine di gas ammoniacale. Eseguendo con cautela la fusione della sostanza in bagno ad olio, portato a temperatura non superiore ai 200°, oltre a piccole quantità di NH?, si ottiene un residuo oleoso, con odore spiccato di aldeide benzoica, dal quale per raftredda- mento si separa una parte solida, cristallina. Questa, separata dall'olio per espressione, è insolubile in acqua, solubile in alcol e in etere, dal quale ultimo si ottiene in bei cristalli lunghi, prismatici, aventi il p. f. 51°, e però riconosciuta come l’ etere Bfenilacianacrilico (Carrick (1), Fiquet (2)): 20N C°EP.i CH = Cc CO . OC?HS, (1) “Journ. f. pr. Ch. ,; Bd. 42, S. 159, 1890. (2) “ Ann. Chim. et Phys. ,, 6° Sér., T. 29, p. 433, 18983. Atti della R. Accadenia — Vol. XXXVII. 11 150 LODOVICO BECCARI Anche verso gli alcali ed acidi concentrati il composto (31H29N304 si mostra assai resistente. Soltanto con KOH a 60 9% a caldo esso si discioglie scomponendosi e svolgendo NH? e odore di mandorle amare. L'acido cloridrico d= 1,12, e quello concentrato non lo attaccano: infatti bollito per più ore (4 ore) con l’uno e con l’altro non si scioglie ed ho potuto integralmente riottenerlo allo stato di purezza e col suo p. f. 197°. Dall’ acido solforico, a determinata concentrazione, viene intaccato e scisso all’ebollizione e riporto il risultato di una esperienza relativa, la quale dà anche conferma della composi- zione supposta e desunta da altri dati. L’H?S0* a 50 °/, a caldo non attacca sensibilmente la so- stanza; per contro alla concentrazione del 70 °/, dopo pochi minuti di ebollizione la discioglie ed altera carbonizzandola. Ho usato un acido di concentrazione intermedia: gr. 2 di sostanza furono posti a bollire in apparecchio a ricadere con 25 cc. di acido solforico a 54 °/. Assai lentamente si ebbe soluzione del prodotto, che fu completa in capo a ore 4 !/, con lieve ingial- limento del liquido e separazione di una parte oleosa galleg- giante e liquida anche a freddo. Durante la reazione si ebbe svolgimento di anidride carbonica in copia non grande ma con- tinua. Dopo raffreddamento, diluii la miscela con due volumi d’acqua, ma non n’ebbi separazione di alcun prodotto solido. L'olio sovrastante, giallo ranciato e di caratteristico odore di benzaldeide, venne separato totalmente estraendo il liquido con cloroformio, disidratando la soluzione cloroformica con Call? fuso e svaporandola in un matraccino tarato; il residuo, seccato. sull’ac. solforico, pesava gr. 1,28. L’aldeide fu identificata, oltre che per i suoi caratteri, mediante il suo punto di ebollizione. Nella soluzione acquosa acida si determinò poi la quantità di NH? formatasi nella scissione della molecola del composto ori- ginario, prendendo una parte aliquota di tale soluzione portata al volume di 100 cc., alcalizzandola col latte di magnesia, distil- lando e raccogliendo 1’ NH* in H?S04 "i 20 ce. di soluzione diedero gr. 0,0392 NH? da cui si cal- cola l’ NH? totale proveniente da 2 gr. di prodotto = gr. 0,1963. Dai dati riferiti risulta che la scissione del composto C31H?9N30* IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L’ETERE CIANACETICO 151 per azione dell'acido solforico è completa: aldeide benzoica, am- moniaca, anidride carbonica e probabilmente alcol ed ac. acetico dovuti a scissione dell’ etere cianacetico e che non vennero ri- cercati perchè d'importanza secondaria nella presente ricerca. La quantità di aldeide benzoica corrisponde assai bene a quella ammessa teoricamente nel composto predetto come residuo benzilidenico, cioè a 3 molecole di C5H5.CHO per una molecola di C31H?9N304, Infatti da gr. 2 di sostanza si ebbero gr. 1,28 di aldeide, mentre si calcola gr. 1,25. L'NH? trovata poi corrisponde pure a tutto 1l’N contenuto nel composto primitivo. Infatti da essa si calcola 1’8,08 °/ di N (teorico 8,3 °/o). Questa NH? ha due origini diverse; per ?/3 essa proviene dalla saponificazione dei due CN appartenenti ai due re- sidui dell’etere cianacetico facenti parte della molecola C31H?9N304 e ciò riceve conferma dalla constatata produzione di anidride carbonica durante la ebollizione con H?S04; per !/3 proviene dal restante atomo di N, che può ritenersi residuo di quello origi- nariamente contenuto nell’idrobenzamide, ed il cui modo di col- legamento con le altre parti della molecola forma ormai l’ultimo quesito da risolvere. i II Azione dell’etere cianacetico in eccesso sulla idrobenzamide. Se si tratta l’idrobenzamide, pure disciolta in alcol cone. a freddo, con un eccesso di etere cianacetico (4 mol.), il risultato della reazione cangia; la miscela si colora più rapidamente in giallo, svolgesi NH? con sviluppo moderato di calore, e il pro- dotto cristallino, che si ottiene, ha proprietà e composizione diversa da quello precedente. Eseguii la preparazione nel se- guente modo: Gr. 6 di idrobenzamide, polverizzata finamente, in 80 gr. circa di alcol a 90°, sono trattati direttamente con gr. 9 di etere cia- nacetico in vaso chiuso a tappo smerigliato agitando fino a so- luzione completa dell’idramide. Quasi istantaneamente la miscela prende un colorito giallo chiaro e svolge vapori ammoniacali ; nel tempo stesso si nota una lieve produzione di calore resa 152 LODOVICO BECCARI manifesta da un termometro immerso nel liquido. Dopo 8-4 ore cominciano a depositarsi gruppi di sottili cristalli aghiformi, incolori, che in breve crescono e convertono la miscela in una massa compatta. Dopo 24 ore, il prodotto è raccolto alla pompa e lavato con alcol a 50° freddo, e seccato; la soluzione madre, diluita con acqua, lascia depositare nuovi cristalli che vengono raccolti e lavati come sopra. Il prodotto greggio pesa gr. 8,3. Esso viene purificato con successive cristallizzazioni dall’ alcol a 90°. Si presenta in forma di sottilissimi aghi setacei, bianchi, leggerissimi, simili a bambagia; ha p. f. 168° senza decom- posizione o svolgimento di vapori alcalini. Insolubile in acqua, assai solubile in alcol, meno in etere e benzene. L'analisi del prodotto ha fornito i seguenti dati: Gr. 0,1546 di sostanza diedero gr. 0,3985 CO? e gr. 0,0768 H?0 3 0,1747 ; , © gr. 0,4502 CO? e gr. 0,0870 H20 s 0,1486 5 i cc. 15'N a 179,5 e ‘730,8 mm! , 0,1808 ù sce. 17,8 Na 1699 e 744 mm. I II III IV C°%/ 70,30 70,28 8° pò H% 5,55 5,57 sa 6. i ter va 11,41 11,22 L'aspetto, il p. f. e la composizione centesimale del prodotto in discorso si accordano assai bene con quelli del composto otte- nuti da Carrick (1) per l’azione dell’ammoniaca alcoolica sul- l’etere fenilacianacrilico, ed al quale questi attribuisce la formula C22H19N808, per cui si calcola: C/o 70,70 H°/, 5,10 N° 11,26. Lo stesso prodotto è stato ottenuto pure da Fiquet (2) e da Guareschi (3). Secondo il Carrick questo composto risulterebbe (1) “ Journ. f. pr. Ch. ,, Bd. 45, S. 510, 1892. (2) Loc. cit. (3) Sulle diciandiossipiridine, * Atti R. Acc. di Torino ,, 1899. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 153 dalla combinazione di una mol. di etere fenilcianacrilico e di una dell’amide corrispondente: C©H5.CH = C(CN).CO?C?H5 C6H5.CH = C(CN).CONH? che meglio potrebbe rappresentarsi, come propone Bertini (1), con la seguente formula: C6H>.CH -- C(CN).CO?C?H5 | | C5H5.CH — C(CN)CONH?, Senza entrare per ora in un esame più minuto della atten- dibilità di tale formula, debbo però avvertire che la determi- nazione dell’OC?H° col metodo Zeisel si accorda con la presenza di un solo etossile nel composto predetto. Infatti: Gr. 0,2811 di sost. diedero gr. 0,1744 di AgJ, corrispon- denti a gr. 0,0334 — OC?H5 trovato calcolato — 0C?2H5 °/, 11,88 12,06. Lo studio dell’azione dell’etere cianacetico sopra altre idra- midi si presentava interessante sia per vedere se questi com- posti omologhi offrivano un contegno simile o in qualche punto diverso, sia per chiarire la struttura di eventuali prodotti omo- loghi e il meccanismo di reazione con l’etere cianacetico. Rife- risco perciò 1 risultati ottenuti con le seguenti idramidi. Anisidramide (paraossimetilbenzidramide) ed etere cianacetico. Anche l’anisidramide reagisce a freddo con l’etere cianace- tico in soluzione alcoolica, dando prodotti che sono diversi a seconda delle proporzioni di etere impiegato. E Se si fa reagire una mol. di anisidramide, disciolta in alcol a 90° freddo, con due mol. di etere cianacetico, si osserva un (1) © Gazz. Chim. ,, p. 265, 1901. 154 LODOVICO BECCARI rapido ingiallimento della soluzione con svolgimento di ammo- niaca, e dopo qualche ora cominciano a depositarsi gruppi di bei cristalli bianchi, aghiformi, che vanno mano mano aumen- tando. Dopo 24 ore il prodotto si raccoglie su filtro, si lava con alcol a 50° freddo; dalla soluzione madre, per diluizione con acqua si ottengono nuovi cristalli. Da gr. 3 di anisidramide e 1,8 di etere cianacetico ottenni gr. 2,8 di prodotto secco greggio. Questo è insolubile in acqua, abbastanza solubile in alcol, etere, molto solubile in benzene. Purificato con successive cristalliz- zazioni dall’ alcol, fonde a 174° decomponendosi e svolgendo bollicine di gas NH?. L’analisi del composto ha dato i seguenti risultati : Gr. 0,1540 di sostanza diedero gr. 0,3856 CO? e gr. 0,0861H20. Gr. 0,1819 L s cc. 11,8 di N a 16° e :743 mm: Da cui: I II Co 68,29 — 9 6,25 — N %o — fera L’omologo del composto C*1H?9N804, ottenuto dall’idroben- zamide ed etere cianacetico, corrispondente all’ anisidramide, avrebbe la formula C*4H85N307, supponendo sempre che in esso tre residui dell’aldeide si trovino combinati con due dell’etere cianacetico, e per essa si calcola: | CY 68,34 Ho ‘5,86 N° _.7,08 che si accordano bene con quelli trovati all'analisi. Anche il peso molecolare trovato col metodo ebulliometrico in soluzione benzenica risponde alla precedente formula: Solvente-Benzene — Apparecchio di Me Coy. Gr. 0,7536 di sostanza in cc. 31 di soluzione diedero A = 09,126 Gr. 0,7536 5 - 34 x ù As 09124 a attra dit ai sl IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 155 da cui si calcola: trovato calcolato per C*H®5N?07 I I Peso molecolare 632 586 597. Posta, come credo, fuori di dubbio l’omologia di costituzione di questo prodotto e di quello ottenuto dall’idrobenzamide, rie- sciva di molto interesse la determinazione dei metossili ed etos- sili contenuti nel composto C84H35N30", potendo essa dimostrare se realmente in tale combinazione entrino a far parte tre residui aldeidici; infatti in tale supposizione, oltre ai due etossili appar- tenenti all’etere cianacetico, debbono aversi tre metossili pro- venienti dai tre residui dell’aldeide anisica. La determinazione simultanea degli ossialchili fatta col metodo Zeisel ha fornito i dati seguenti: Gr. 0,2144 di sostanza diedero gr. 0,4172 di AgJ; se di tale quantità si attribuiscono i ?/; all’etossile e i 3/, al metos- sile, si ha che: Gr. 0,1662 Ag.J corrispondono a gr. 0,0318 — OC?H5 Gr. 0,2493 ? a n. 0,0329 — OCH3 e però: trovato calcolato per C*#*H®N?07 — 0C?2H5 9, 15,39 15,57 — 0CH3°%/ 14,90 1607 I_I Se si fa agire sull’anisidramide un eccesso di etere ciana- cetico la reazione si fa più rapida, la miscela ingiallisce pron- tamente, svolgesi ammoniaca e dopo 15 min. si ha separazione del prodotto in cristalli prismatici leggermente colorati in giallo. Ho eseguito la preparazione come segue: Agr. 6 (1 mol.) di anisidramide polverata in 30 ce. alcol a 90° si aggiungono gr. 7,95 (4 mol.) di etere cianacetico; mescolando, in pochi minuti, mano mano che il liquido ingiallisce e svolge ammoniaca, l’idramide passa tutta in soluzione e reagisce e dopo un quarto d’ora eo- minciano a depositarsi cristalli prismatici giallognoli; dopo 24 ore 156 LODOVICO BECCARI di riposo il prodotto è raccolto e lavato con alcol diluito freddo; pesa gr. 9,6 secco. Ricristallizzato dall’alcol più volte si pre- senta in cristalli prismatici, incolori, p. f. 86°, insolubili in acqua, solubili in alcol, etere, benzene. L'analisi del prodotto ha dato: Gr. 0,1600 di sostanza diedero gr. 0,3964 CO? e gr. 0,0858 H?0 Gr. 0,1722 e 4 cc. 9,9 Na 19° e 722,6 mm. . I II Co (67,57 — H°/ ‘5,9 —_ N%“ — 639° La composizione e i caratteri del composto rispondono per- fettamente a quelli dell’etere p. metossifenilacianacrilico ottenuto e studiato da Bechert (1), p. f. 85° e per il quale si calcola: CY; 67,53 Ho 5,63 N 6,06. Il risultato della reazione mostra che per azione dell'etere cianacetico in eccesso l’anisidramide subisce una completa scis- sione; tutto il suo N si separa sotto forma di ammoniaca con l’H metilenico dell’etere cianacetico e i residui dell’aldeide ani- sica (metossibenzilidenico) e dell’etere stesso si combinano in un prodotto di condensazione molto stabile: C*H*(0CH?).CH SN. _CH?.CN AN CSH4(0CHS).CH{ +8. —305H4(0CH3).CH=C -2NH3, N CO?C?H5 \C02C2H5 C©H4(0CH?).CH7 È interessante il fatto della formazione di questo prodotto di condensazione dell’aldeide anisica e dell’etere cianacetico in tali condizioni, cioè a freddo e con rendimento quasi quantita- tivo, mentre la condensazione diretta dell’aldeide coll’etere non è stata ottenuta dai vari autori se non mercè una elevata tem- peratura o con mezzi speciali di condensazione (etilato sodico, (1) “ Journ. f. pr. Ch. ,, Bd. 50, S. 1, 1894. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'EVERE CIANACETICO 157 piperidina). La preparazione descritta diede infatti gr. 9,6 di prodotto, essendo il teorico gr. 10,5, cioè un rendimento del 90 °/o. Come appare evidente dalla equazione precedente, tre sole mol. di etere cianacetico debbono intervenire nella reazione con l’idramide, ed infatti una prova eseguita in queste proporzioni ha dimostrato che così avviene. A gr. 2 di anisidramide (1 mol.) in gr. 25 di alcol a 90° freddo si aggiungono gr. 1,7 (3 mol.) di etere cianacetico; la reazione si svolge come sopra e il pro- dotto che pesa gr. 3,1 è identico al precedente: cristalli prisma- tici incolori, p. f. 86°. Il rendimento di questa preparazione è stato dell’88,5 °/,, cioè quasi identico a quello in cui si fecero agire 4 mol. di etere su una di idramide. In queste condizioni di esperienza, anche lasciando a lungo la miscela a sè in vasetto chiuso, non ho potuto mai ottenere un prodotto omologo a quello descritto per l’idrobenzamide, della formola C?2H!9N80?, Furfuramide (furfuridramide) ed etere cianacetico. Anche l’idramide furfurica reagisce facilmente a freddo con l'etere cianacetico, col comportamento generale delle altre idra- midi, cioè con svolgimento del N sotto forma di ammoniaca e condensazione del residuo aldeidico con quello dell’etere ciana- cetico. Essa si differenzia però dalle altre perchè, qualunque sia il rapporto di etere e di idramide che insieme reagiscono, non si ha che un unico prodotto terminale di condensazione, man- cando gli omologhi più complessi ottenuti dall’idrobenzamide e dall’anisidramide. i A gr.2 (1 mol.) di furfuramide finamente polverizzata in ce. 60 di alcol a 90° freddo si aggiungono gr. 1,68 (2 mol.) di etere cianacetico a piccole porzioni agitando di continuo per avere una rapida soluzione dell’idramide ancora indisciolta. La miscela si colora in pochi minuti in rosso violaceo, che va mano mano aumentando, e svolge ammoniaca. Dopo 3-4 ore cominciano a depositarsi dei cristalli prismatici lunghi, che vengono separati; dalla soluzione madre si ha nuovo prodotto cristallino diluendo 158 LODOVICO BECCARI con acqua. Il prodotto raccolto è lavato con alcol a 50° freddo, è colorato in giallo pallido e pesa secco gr. 1,8. Ricristallizzato dall’aicol a 90° si presenta in bei cristalli prismatici bianchi, p. f. 94°, che è appunto quello dell’ etere furfuracianacrilico preparato e descritto da Bechert (1): A vi C4H30 . CH=C0C CO?2C02H35, La determinazione dell’azoto ha dato: Gr. 0,2406 di sostanza diedero cc. 16,5 N a 229,5 e 718,8 mm. trovato calcolato per C!°H°NO? Ni Ugo 149 (90% Inoltre esso dà la reazione di Heuck (2) (bella. colorazione viola-azzurro intensa per azione della KOH ‘alcoolica) caratte ristica di questo etere. Tutte le prove fatte con ogni cautela, massime evitando che l’etere cianacetico potesse nella reazione agire in eccesso sull’idramide, mi hanno sempre fornito il solo etere furfuraciana- crilico, e non mai prodotti intermedi più complessi corrispon- denti a quelli avuti dall’idrobenzamide e dall’ anisidramide. Il rendimento della preparazione, che rappresenta il 69 °/, del pro- dotto teorico, fa supporre che esista qualche altro prodotto della reazione, che fino ad ora però non ho potuto identificare. TI L'azione dell'etere cianacetico in eccesso sulla furfuramide, com'è facile supporre, non ha per effetto che una scissione più rapida e completa dell’idramide con produzione di etere furfura- cianacrilico in rapporti poco meno che quantitativi, secondo la equazione: CH?.CN CN (COH40)N2 + 31 — 3C4H80. cH=0{ + 2NE?, CO?C?2H5 CO?C2H5 (1) Loc. cit. (2) “ Ber. ,, Bd. 27, S. 2624, 1894. IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 159 Infatti da gr. 1,7 di furfuramide in 30 cc. di alcol a 90° * freddo e gr. 2,9 di etere cianacetico, ottenni gr. 3 di etere fur- furacianacrilico, che rappresentano circa 184° del teorico. Nemmeno in questo caso potei ottener alcun composto simile a quello dato dall’idrobenzamide con etere cianacetico in eccesso. Salicilidramide (o-ossibenzidramide) ed etere cianacetico. Trattando la salicilidramide con etere cianacetico in varie proporzioni ho sempre avuto reazione più o meno pronta con svolgimento di ammoniaca e coloramento in giallo ranciato della soluzione. Ho potuto separare due prodotti, in uno dei quali potei riconoscere con certezza l’etere o-ossibenzaldicianacetico preparato e descritto da Bechert (1), p. f. 140°: ,0H(ON)CO?C*H C*H4(0H) . CH{ “CH(ON)CO?C®H5. Tenendo conto di questo fatto e delle ricerche di Bechert, che dimostrano che la condensazione di una mol. di aldeide sa- licilica si fa con due di etere cianacetico, variai conveniente- mente le proporzioni molecolari di etere e di salicilidramide insieme reagenti. La scissione completa di questa appare possi- bile soltanto quando per una mol. di idramide si pongono a reagire 6 mol. di etere cianacetico secondo l’equazione: C21H18N20* + 6CH?(CN) , CO?C?H5 = = 8C©H40H) . CH :(CH(CN) . CO?C?H5)® + 2NH?. L'esperienza ha corrisposto appieno. Feci reagire a freddo in vasetto chiuso gr. 2 di salicidramide in 30 ce. di alcol a 90° con gr. 4,3 di etere cianacetico. Agitando, in poco tempo tutta l’idramide si scioglie, svolgesi ammoniaca e il colorito giallo chiaro della soluzione si fa ranciato. Dopo 12 ore cominciano a depositarsi cristalli prismatici incolori, che vengono raccolti dopo 48 ore ed accuratamente lavati con alcol a 50° freddo. Il pro- dotto greggio pesa gr. 5 (circa 80%, del teorico). Il prodotto (1) Loc. cit. 160 LODOVICO BECCARI è insolubile in acqua, solubile in alcol, etere e. benzene; ricri- stallizzato dall’alcol presenta p. f. 140°. La determinazione del- l'azoto ha dato: Gr. 0,2260 di sostanza diedero cc. 17,5 N a 24° e 724 mm. trovato calcolato per C'"H!8N"05+ '/,H?0 N% 8,47 8,26 Una precauzione da osservarsi nella separazione dell’ etere suddetto si è di lavare il prodotto accuratamente fino ad elimi- nazione completa dell’ammoniaca; giacchè disciogliendolo poi nell’alcol bollente per la cristallizzazione, per poca ammoniaca che si trovi presente, formasi tosto una certa quantità dell’imide corrispondente (Bechert), la quale potrebbe comparire come pro- dotto diretto della reazione fra la salicilidramide e l’etere ciana- cetico, mentre ciò non avviene affatto, come ho potuto accertare. Trattando poi la salicidramide con una, con due, con tre mol. di etere cianacetico ho sempre riconosciuto la formazione di etere o-ossibenzaldicianacetico in quantità variabile, ed ho anche otte- nuto piccole quantità di un secondo composto : ma non ho potuto, per la scarsezza del materiale, accertare se esso rappresentasse un prodotto di condensazione analogo a quelli ottenuti dall’idro- benzamide e dall’anisidramide. Meccanismo di azione dell’etere cianacetico sulle idramidi. Dai fatti riferiti si può attribuire all’etere cianacetico un modo unico e fondamentale di agire sulle idramidi, per cui l’H A Ri del gruppo CC agendo sui gruppi N delle idramidi, ne NON RI7 stacca l’azoto sotto forma di ammoniaca dando prodotti di con- densazione dell’aldeide corrispondente con l’ etere cianacetico. Questa azione, che è completa e assai evidente in alcuni casi (es. anisidramide, furfuramide), può essere rappresentata dal se- guente schema: RIN Lia CN CN sè " SS ve ST: " cd Ria. — 2NH3 +3R"=C R”" Li N né XC02C2H5 \002C?H5 vega re nti rn IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L'ETERE CIANACETICO 161 e si può assai bene paragonare alla scissione idrolitica che su- biscono le idramidi per opera dell'umidità, degli acidi diluiti in NH? e aldeide: R.CHsa N H. 20 .R +8 70 = 2NH° + 3R, CH : 0. R.CH=N H I composti più complessi, che si ottengono da alcune idra- midi per azione dell’etere cianacetico in quantità ridotta, si pos- sono nel modo più semplice considerare come dovuti ad una scissione parziale dell’idramide, con eliminazione di una parte del suo N sotto forma di ammoniaca e introduzione nel suo posto di uno o più radicali cianacetici, conservandosi così in parte l’ar- chitettura dell’idramide originaria. Così peril composto C31H?9N304 ottenuto dall’idrobenzamide e dall’etere cianacetico nei rapporti di 1:2 molecole si potrebbe ammettere la formola desunta dal- l'equazione seguente: O©H5. cH, 06H5 . CHL C5H5 CH + 20H?(CN)CO?C®Hs= C5H5 , CHK SN )C(CN)CO?C?H? C©H5 . CH? C6H5. CH-CH(CN)CO?C?H5 E similmente potrebbe farsi per l'’omologo ottenuto dall’anis- idramide: C*H*(0CH3) . CA; C“H4(0CH?) . CH< >C(ON)CO?2C2H? C*H4(0CH3) . CH -CH(CN)CO?C?Hs, Per chiarire questo punto ho fatto diverse prove intese a determinare la quantità di ammoniaca formata nella reazione in varie condizioni. A tal uopo eseguii una serie di preparazioni di detti prodotti in un ampio vaso a chiusura ermetica nel quale ponevo contemporaneamente soluzioni titolate di acido solforico per assorbire e determinare l’ammoniaca sviluppata dalla rea- zione. Il termine di questa era indicato da una cartina di tor- nasole posta nell’interno del vaso. \ NH? formata nella reazione di una mol. di idrobenzamide e due mol. di etere cianacetico : 162 LODOVICO BECCARI Gr. 0,5 idrobenzamide sciolta in alcol a 90° freddo + gr.0,379 etere cianacetico — Soluzione A di ac. solforico cc. 40. — Dopo 60 ore non vi ha più sviluppo di ammoniaca. Il prodotto cristal- _ lino formatosi ricristallizzato dall’alcol fonde a 197° con svolgi- mento di bollicine di ammoniaca. Soluzione “i ac. solforico saturata da NH®—= ce. 18. NH? svolta gr. 0,0306, corrispondenti al 53,5 °/ del N con- tenuto nell’idrobenzamide. Il risultato pare concordi con la teoria, poichè circa metà del N dell’idrobenzamide si è svolta come ammoniaca. Bisogna però osservare che tale concordanza è solo apparente, poichè il rendimento del prodotto nelle varie preparazioni non ha mai superato, nelle migliori circostanze, il 60 °/, del teorico, mentre la quantità di azoto svolto in questo caso risponderebbe ad un rendimento di troppo superiore, al 93 °/o. NH? svolta nella reazione fra anisidramide 1 mol. ed etere cianacetico 2 mol.: Gr. 0,54 anisidramide in 20 cc. alcol a 90° +- gr. 0,29 etere . . . n . . cianacetico. — Soluzione 0 acido solforico cc. 40; dopo 48 ore l’ammoniaca svolta è tutta assorbita. Soluzione te saturata da NH? ce. 27,8. NH? svolta gr. 0,0472, corrispondenti al 100,6 °/, del N con- tenuto nell’anisidramide. Questo risultato, alquanto strano a primo aspetto, cioè la scissione completa dell’idramide, viene confermato dall'esame del prodotto della reazione. In questo infatti non potei identificare se non la presenza di un olio dell’odore distinto e caratteristico di anisaldeide e un prodotto solido in lunghi aghi con p. f. 86°= etere p-metossifenilacianacrilico. Adunque in luogo del pro- dotto di condensazione C34H35N307 si ottiene dalle stesse propor- zioni di idramide e d’etere cianacetico aldeide anisica ed etere p-metossifenilocianacrilico. Tale risultato m’indusse a cercare se non avvenisse lo stesso fatto per l’idrobenzamide in opportune condizioni di preparazione. Infatti ho potuto dimostrare che si ha un risultato simile se si adopera come solvente il benzene in IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L’ETERE CIANACETICO 163 luogo dell’alcol. Anzitutto debbo avvertire che anche in solu- zione benzenica l’idrobenzamide reagisce con l’etere cianacetico svolgendo ammoniaca; però vi sono alcune particolarità degne di nota. Se infatti si fa reagire 1 mol. d’idrobenzamide sciolta in benzene con 2 mol. di etere cianacetico in un vasetto a tappo smerigliato si ha svolgimento di ammoniaca; se dopo 12 ore si lascia svaporare spontaneamente la soluzione si ottiene un liquido oleoso, incolore, che non cristallizza; se questo vien trattato con poco alcol a 90° tosto si forma un precipitato cristallino abbon- dante che fonde a 197° con sviluppo di bollicine di ammoniaca e corrisponde al prodotto C*1H??9N®04 già noto. Se la stessa pre- parazione si eseguisce in un vaso chiuso ma in presenza di so- luzione titolata di ac. solforico, per fissare l’ammoniaca, che si svolge, il risultato è un po’ diverso, come dimostra il seguente esempio : Gr. 0,5 idrobenzamide in benzene + gr. 0,38 etere cianace- tico — Soluzione Sn ac. solforico cc. 50. Lo svolgimento del- l’ammoniaca è assai lento e solo dopo tre giorni la carta di tornasole nell’interno del vaso non rivela più reazione alcalina. "i ac. solforico saturata da NH ce. 29,9. NH? svolta gr. 0,0508=90 °/ circa del N totale dell’idramide. L'esame del prodotto della reazione dimostrò che non tutta l'’NH* erasi ancora svolta e spiega questo piccolo deficit di N nè scema il valore dell’esperienza. Il residuo della reazione è liquido; trattato con poco etere etilico svolge ancora piccole quantità di NH? riconoscibili (che non potei determinare quan- titativamente), e per evaporazione spontanea lascia un residuo cristallino mescolato ad un olio giallo di odore distinto di al- deide benzoica; separato il prodotto solido e purificato dall’alcol si riconosce dal p. f. 51° come l’etere fenilacianacrilico. Soluzione Adunque, nonostante che i rapporti stechiometrici si sieno mantenuti esattamente quali furono nella preparazione dei due principali composti di condensazione C3!H?°N®04 e C35H84N807, esistono condizioni di reazione che mutano i risultati, e preci- samente conducono a prodotti più semplici, che dimostrano una scissione completa della mol. dell’idramide. Tenendo conto di questi fatti e delle proprietà dei due complessi prodotti citati, 164 LODOVICO BECCARI tra le quali va in primo luogo la loro notevole stabilità, sorge il dubbio che essi non rappresentino prodotti intermedi dovuti a scissione parziale dell’idramide secondo la semplice equazione prima ammessa, ma che la reazione sia più complessa e più pro- fonda la scissione dell’idramide. Intanto dai fatti finora descritti mi pare seguano alcune considerazioni, che possono essere guida a ricerche ulteriori. La quantità di etere cianacetico adoperato nelle due ultime esperienze (coll’anisidramide e coll’idrobenzamide in sol. benze- nica) non può fornire tutto l’H necessario a trasformare i due atomi di azoto dell’idramide in NH?; quindi non si può ammet- tere una scissione diretta dell’idramide in NH? ed eteriaciana- crilici8 sostituiti come si ha quando si adoperino tre mol. di etere cianacetico per una di idramide; bisogna perciò ammettere la formazione di qualche composto intermedio instabile, che venga scisso poi probabilmente per assunzione degli elementi dell’acqua. A tale concetto si adatterebbe l'ipotesi, che le idramidi subis- sero per opera dell’etere cianacetico una scissione analoga a quella riscontrata da Busch (1), e cioè che da una mol. di idra- mide per azione di due di etere cianacetico si formassero due mol. di etere fenilacianacrilico, una di NH? ed una di benzili- denimina: (HU N. CH?CN CH . C6R5 +2. = C©H5. CH =N7 CO?0?H5 ZON = 20°H°. CAH=CC + NH? + C6H°. CH=NH CO?2C2H5 e che quest’ultima, per azione dell’H?0, con la facilità dimo- strata dal Busch, si trasformasse a sua volta in aldeide ben- zoica e NH?3: C6H5.CH = NH + H?0 = C6H>.CH:0 + NH3. Ho tentato in più modi di dare una base sperimentale a questa ipotesi, ricercando la benzilidenimina fra i prodotti inter- medi di reazione; ma finora non sono riuscito. Se la costituzione prima ammessa lascia sorgere qualche dubbio, vi ha però qualche altro fatto che parla in suo favore. (1) Loc. cit. è isti IDRAMIDI E LORO REAZIONI CON L’ETERE CIANACETICO 165 Feci agire l'anidride acetica sul composto (81H?29N804 per vedere se la formazione di un derivato acetilico dimostrasse la presenza dell’N non terziario; il composto si discioglie alla tem- peratura di ebollizione nel reattivo, ma si scinde dando etere fenilacianacrilico e benzaldeide. Infine provai l’azione dell'etere cianacetico in eccesso sullo stesso composto. Sciolto in alcol concentrato e trattato con più di una mol. di etere a freddo non reagisce, ma scaldato a bh. m. a ricadere svolge ammoniaca e; svaporato in solvente, lascia un residuo cristallino, misto ad un po’ di etere in eccesso, che pu- rificato riconobbi certamente come l’ etere fenilacianacrilico, p. f. 51°, N° 7,09 (calcolato 6,96). Ciò si può interpretare fa- cilmente pensando che l’etere cianacetico scomponga il restante | CHL gruppo SN del composto C31H?®N?04 demolendone completa- CH\, mente la compagine che conservava l'architettura dell’idramide. Soltanto bisogna ammettere che la sostituzione dei radicali cia- nacetici ad uno degli N terziari della idramide, renda molto più resistente agli ordinari reattivi il restante gruppo azometinico. Ho tentato infine di rivelare la presenza di questo N ter- ziario mediante l’azione del ioduro di etile. A tal proposito giova rammentare che il Borodine (1) facendo agire il ioduro di etile sull’idrobenzamide avrebbe ottenuto un prodotto amorfo, che egli descrive come la corrispondente base d’ammonio alchilata. Feci agire il ioduro di etile sul composto C3!H?°N®04 nei rapporti di due molecole di C?H?J per una del prodotto, in tubo chiuso a + 100° per più ore: a 1 gr. di sostanza aggiunsi gr. 0,6. di C2H5J e gr. 10 di alcol assoluto in tubo chiuso che mantenni per 8 ore in bagno d’acqua bollente. Dopo raffreddamento si separò una sostanza cristallina, che separata e purificata per cristal- lizzazione dell'alcol riconobbi per il prodotto primitivo invariato. Ripetei l’esperienza a temperatura più alta, negli stessi rap- porti. A 2 gr. del composto C*!H°*N®0* aggiunsi gr. 1,2 di C?H5J e gr. 15 di alcol assoluto, in tubo chiuso, che portai a + 140° per 4 ore. Dopo raffreddamento non si separò nessun pro- dotto. Dalla miscela scacciai il ioduro di etile e l’aleol per di- (1) “ Liebig's Ann. ,, Bd. 110, S. 77, 1859. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 12 166 LODOVICO BECCARI — IDRAMIDI E LORO REAZIONI, ECC. stillazione a b. m., ed ottenni un residuo in parte oleoso, bruno, contenente iodo, e in parte cristallino. Trattando a più riprese questo residuo con etere etilico si discioglie la parte oleosa, e resta separato il prodotto solido in minuti cristallini incolori. Questo è solubile in acqua ed in alcol, dà le reazioni generali dei ioduri, riscaldato rapidamente sublima, e trattato con alcali caustici svolge a freddo NH*; si tratta evidentemente di NH4J. La soluzione eterea è lavata con acqua contenente piccole quan- tità di SO? per togliere il iodo disciolto, indi seccata con cloruro di calcio fuso e lasciata evaporare spontaneamente all’aria : resta un residuo oleoso giallo pallido, con intenso odore di benzal- deide, dal quale si separa una sostanza solida in bei cristalli incolori; si raccoglie questo prodotto cristallino, si spreme fra carta bibula, si ricristallizza dall’alcol diluito; puro fonde a 51°, p. f. dell'etere fenilocianacrilico. Si ha così per azione del ioduro di etile a temperatura elevata la scissione completa del prodotto in aldeide benzoica, ammoniaca ed etere fenilacianacrilico. Per vedere se tale scissione fosse dovuta soltanto all’azione del ioduro di etile od anche a quella dell’alcol alla temperatura impiegata, ripetei la stessa prova nelle medesime condizioni po- nendo il prodotto C#!H?*N®04 con solo alcol assoluto in tubo chiuso a 140° per lo stesso tempo. Dopo raffreddamento si separò una sostanza cristallina costituita dalla maggior parte del prodotto indecomposto; tuttavia evaporando l'alcol ottenni un residuo in parte oleoso con odore manifesto di aldeide ben- zoica e dal quale potei isolare piccole quantità di etere fenilacia- nacrilico riconoscibile al suo p. f. 51°. Quindi anche col solo alcol a 140° il composto si scinde analogamente, sebbene in misura molto minore. Il risultato di queste prove viene così a confermare la co- stituzione ammessa come più probabile per il composto C31H?9N304 — e nel tempo stesso fa sorgere il dubbio che l’azione del ioduro di etile sulla idrobenzamide stessa, che è tanto più instabile del predetto suo derivato, sia accompagnata da una scissione della sua molecola. Torino. Dal laboratorio di Chimica farm. e tossicologica della R. Università. Dicembre 1901. L’ Accademico Segretario Enrico D’Ovipio. . 167 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 5 Gennaio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Pevron, Vice-Presidente dell’Acca- demia, Rossi, Manno, BoLLati DI SAInT-PrerRRE, BoseLLI, Pizzi e ReNIER Segretario. È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente , 22 dicembre 1901. Il Presidente presenta: 1° Un opuscolo del Socio Savio: Il culto di S. Vittore a Ravenna; 2° Una nuova relazione inviata dal Presidente della Scuola d’Archeologia dell’Università di Roma, intorno ai Lavori eseguiti dalla Missione archeologica italiana a Gortyna ed a Lebena, relazione dovuta al Dr. Federico HALBHERR. Da parte dell’ autore prof. Isidoro DeL Lun6o, Socio cor- rispondente, il Socio Manno offre i seguenti volumi: Florentia, uomini e cose del Quattrocento (Firenze, 1897); Dal secolo e dal poema di Dante (Bologna, 1898); Da Bonifacio VIII ad Ar- rigo VII (Milano, 1899); Conferenze fiorentine (Milano, 1901), nonchè parecchi opuscoli, di soggetto specialmente dantesco. Il Socio FERRERO presenta una nota del prof. Carlo Pascat, La dottrina epicurea nell’egloga VI di Vergilio, che è inserita negli Atti. 168 CARLO PASCAL LETTURE La dottrina epicurea nell’egloga VI di Vergilio. Nota di CARLO PASCAL. Egl. VI, vv. 31 e segg.: Namque canebat uti magnum per inane coacta Semina terrarumque animaeque marisque fuissent Et liquidi simul ignis, ut his exordia primis Omnia et ipse tener mundi concreverit orbis; Tum durare solum et discludere Nerea ponto Coeperit, et rerum paullatim sumere formas; lamque novum terrae stupeant lucescere solem, Altius atque cadant submotis nubibus imbres, Incipiant silvae quom primum surgere, quomque Rara per ignaros errent animalia montes. A quale dottrina filosofica si riferiscono questi versi? È tra- dizione costante che qui Vergilio voglia spiegare la teoria epi- curea sull'origine del mondo. “ Ganz in der Weise der Epikureer , afferma il Glaser (Bucolica, Halle, 1876, p. 77); e così il For- biger (Verg. Opp. 1 p. 106), il Benoist (V. Eucres, I p. 58), il Ladewig (V. Ged. I, 1850, p. 26), il Wagner (V. Carmina?, 1861, p. 22), il Kappes (Verg. Bucolica, Leipzig, 1876, p. 26), il Kors (Vergils Eklogen, Leipzig, 1882, p. 119), il Cartault (ZÉ. sur les Bucol. de V., Paris, 1897, p. 273), per non citare i minori. L’interpretazione è anche antica. Basti citare Servio, ad ecl. VI via (ediz. Thilo p. 69), che così spiega la teoria epicurea: “ Epi- “curei vero quos nunc sequitur |Vergilius]... dicunt duo esse rerum principia, corpus et inane: omne enim quod est aut continet aut continetur et corpus volunt esse atomos, id est quasdam minutissimas partes quae topriv, id est sectio- nem, non recipiunt, unde et atomi dictae sunt; quas Lu- ‘ cretius minutiores dixit esse illis corpusculis quae in infusis LA DOTTRINA EPICUREA NELL'EGLOGA VI DI VERGILIO 169 “ per fenestram radiis solis videmus: dicit enim illas nec visum “ posse recipere. Inane verum dicunt spatium in quo sunt “atomi. De his itaque duobus principiis volunt quattuor ista “ procreari, ignem, aerem, aquam, terram, et ex his cetera, “ ut illa duo elementa atomi et inane sint, haec vero quattuor “ syntheta, id est composita ex illis duobus, praestent originem “ aliis omnibus rebus, , Però un esame particolare della dot- trina qui esposta da Vergilio, in confronto con la teoria epi- curea, non è stato, crediamo, ancor fatto. Noi ci proponiamo ora di esaminare i versi di Vergilio con la scorta di due teorie filosofiche, la empedoclea e la epicurea, il che ci darà pure oc- casione di mostrare quanta parte dell’una, per quel che riguarda il problema cosmogonico, sia rifluita nell’altra. Servio spiega che i quattro syntheta (composita), acqua, aria, terra e fuoco, risulterebbero dall'unione di due elementi primi, atomi e vuoto. Ma per Vergilio i semina dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco vagano per l’inane immenso. Che cosa vuol dire il poeta? Che vi fossero atomi di aria ed atomi di acqua e così via? Atomi, insomma, già differenziati? Intendendo così, gli atomi avrebbero le quattro nature diverse dell’aria, del- l’acqua, della terra e del fuoco, e cioè gli elementi primordiali sarebbero appunto questi quattro. Ora non c’è niente di più con- trario alla teoria epicurea che questo concetto dei quattro ele- menti primordiali. Lucrezio, nel libro I vv. 715 e segg. disserta a lungo contro coloro “ qui quattuor ex rebus posse omnia rentur “ Ex terra igni atque anima procrescere et imbri , (vv. 715-716). Tale era appunto la dottrina di Empedocle, che da Lucrezio è nominato, benchè con molto rispetto (vv. 717 e segg.). Empe- docle infatti ad enunciare i principii generatori delle cose, non ebbe a fare altro se non che sommare quelli che erano stati pro- posti dai filosofi anteriori: l’acqua da Talete, l’aria da Anassi- mene, il fuoco da Eraclito, la terra da Esiodo e dagli Orfici. Ed egli immaginò che questi quattro elementi si mescolassero o si repellessero per virtù di due fofze, che miticamente chiamò Amore ed Odio. L'azione di un corpo sopra un altro egli ammise avvenisse per effetto di emanazioni di particelle invisibili dell'uno nei pori dell’altro; e il miscuglio delle sostanze fosse appunto questa mutua penetrazione (cfr. Arist. De gen. et corr. I, 8; Platone, Meno, 76c ed Empedocle stesso, v. 337 Mullach: 170 CARLO PASCAL dò @ , vd GT. mAvTwY eioiv dmtoppoai d00° érévovto). Ma Epicuro negò invece che vi fossero differenze sostanziali negli elementi primi; negò cioè che vi fossero atomi di acqua o di terra, atomi in- somma già differenziati. Gli atomi di Epicuro non avevano qua- lità (mora owpata, Plut. ade. Col. 8, 1111*), erano cioè tutti della medesima natura (eadem est natura omnium, Lattanzio, div. inst. III, 17, 22); cfr. i passi in Usener, Epicurea, p. 205-206; le varietà fenomeniche, e cioè le qualità dei composti risulta- vano dal vario modo, posizione e forma dei componenti; cfr. Ales- sandro Afrod., de mixtione, f. 140", Sesto, adv. dogm., IV (math. X), 42; Galeno, de elem. sec. Hipp., 1, 9, 1, p. 483 K. Senonchè è da notare che l’espressione semina terrarum, animae, maris, ignis, non significa necessariamente che nel concetto dell'A. gli atomi primitivi fossero differenziati. Sono bensì differenziati i risultati dell’accozzo atomico, e differenziati a cagione della varia forma e collocazione degli atomi componenti. Gli atomi, che sono tutti della medesima natura, sono semina rerum; e le res che ne risultano sono diverse l’una dall’altra. Non altrimenti si esprime Lucrezio nei versi (V, 430-3): Tandem conveniant ea (primordia) quae convecta repente Magnarum rerum fiant exordia saepe Terrae, maris et caeli generisque animantum. La menzione, fatta da Vergilio, dei quattro elementi po- trebbe far pensare alla teoria empedoclea (cfr. infatti Ranzoli, La religione e la filosofia in Vergilio, Torino, 1900, p. 68) (1). Senonchè Empedocle non professava l’esistenza nè degli atomi nè del vuoto (Aristot., De coelo, NI, 6, 305; Lucrezio I, 746-748; Empedocle, vv. 95, 166; Mullach); ora di atomi (semina) e di vuoto (inane) parla invece Vergilio. È però da notare che inane potrebbe significare altresì ‘spazio’ anzichè ‘vuoto’; presso Lu- crezio infatti inane è alcuna volta nel significato di ‘spazio’, senza distinguere se occupato o no, cfr. I 420 segg. (sicchè in I 509 Lucr. determina “ vacuum inane ,); cfr. Hoòrschelmann, Observat. Lucret. alterae, Lipsiae, Teubner, 1877, e Giussani, (1) I Ranzoli esclude però l'ipotesi della derivazione empedoclea, e con- clude (p. 70) che Vergilio fece una contaminatio di dottrine tolte a scuole diverse. I I | | LA DOTTRINA EPICUREA NELL'EGLOGA VI DI VERGILIO 171 Studii Lucreziani, p. 21 e segg.; e che se disdice al concetto empedocleo il pensiero di vuoto che sia interno nelle cose (Lucr. I 743 “ exempto rebus inani ,) non disdice quello dello spazio immenso occupato dalla sua nebulosa primitiva, dal suo 0paîpog. Ma e i semina? Finchè ci fermiamo al significato di ‘atomi’, ci riuscirà impossibile ravvisare alcun rapporto con la dottrina empedoclea. Ma semina potrebbe pur dire senz'altro “ principii o elementi generatori ,, si concepiscano o no dotati della indivi- sibilità (1); e questi semina potrebbero quindi pure essere quelli empedoclei, e cioè le particelle di acqua, aria, terra o fuoco, che si aggregano per Amore(®u\étng) e si disgregano per Odio (Neîkog). Queste particelle sostanziali rimangono immutate, e con i vicen- devoli moti e miscugli generano tutte le cose (Emped. 96 seg. Mullach): GIN alt’ éoTIv TAdTA, dl dAXANAWwYV dé Béovta yiyverar dAMofev diia dinverég, aièév éuoîa. Sicchè di nulla v'ha nascita o morte, ma solo v'ha aggre- gazione e disgregazione di elementi (98 M.): dia dEÉ TOI ÈEpéw: quois oùdevog éoTiv àTavTwW OvnTùy, oùdé TIG odAouévou davdatolo TEXEUTN, aMà udvov uîzig Te didAiatzig TE urfévTwy ÉOTi, puorg d’ Èmrì Toîs òvoudzetar dvApwrorow. (Cfr. anche Galeno, De elem. sec. Hipp., 1, 9, 1, 483 K). A rigor di termini dunque, quanto all’ inane e quanto al semina, converrebbero i versi di Vergilio tanto alla teoria em- pedoclea quanto alla epicurea: non si può però negare che es- sendosi ormai fissato in un significato tecnico, per virtù dei versi lucreziani, la parola semina, sarebbe molto più stentata una in- terpretazione diversa. Il confronto anzi dei versi di Vergilio con la cosmogonia lucreziana V, 417 e segg., di cui toccheremo in (1) Così pensò l’ Heyne (4* ediz. Vol. I, a V. ecl. VI, 31, p. 175), che così scrisse: “ Semina sunt elementa, non atomi Epicureae, ad quas ea re- “ vocant grammatici, inducti per voc. inane; sed sunt elementa per chaos “ sparsa ,. Ma osserva il Kolster, Verg. Eklog., p. 119: “ sagt ja Vergil “ Vers 83 es seien aus diesen semina die exordia omnia, die erste Gestaltung “ der Dinge, die Urformen, nicht res ipsae, hervorgegangen ,. 172 CARLO PASCAL seguito, non lascia dubbio che Vergilio abbia voluto qui esporre dottrina epicurea. Ma d’altra parte noi ora mostreremo come la esposizione vergiliana si accordi mirabilmente, punto per punto, con quella di Empedocle. Come mai ciò ? Gli è che, salvo il con- cetto diverso degli elementi primordiali, la dottrina cosmogonica di Empedocle passò di peso in quella epicurea. Di quella empe- — doclea abbiamo più testimonianze, che tosto apporteremo in nota; di quella epicurea abbiamo Lucrezio, V, 417-506 e [Plut.] De placitis philos., I, 4 (1); mostrare questa derivazione sarà uno degli assunti del presente lavoro. Esaminiamo dunque, anzitutto, le fasi cosmogoniche esposte da Vergilio, ponendole in riscontro con la dottrina di Empedocle. — Vergilio (v. 31) rappresenta i suoi semina generatori dell’u- niverso come coacta, così come Lucrezio aveva addensato i suoi primordia rerum in un coniectus materiai (V, 417). Ma pure Em- pedocle aveva immaginato un addensamento primordiale di ma- teria, il suo ogaîpos, nel quale erano congiunte e confuse le particelle dei quattro elementi. Lo opaîpog occupava il tutto e non lasciava adito nè ad aumento nè a diminuzione di materia. Non ad aumento, giacchè onde verrebbe questa nuova materia? Non a diminuzione, giacchè ove andrebbe a finire la materia, se ogni parte è piena? (2). Gli elementi dunque, indistruttibili, ‘sì trovano tutti insieme coacta, per virtù di ®ué6mng nella uni- versale nebulosa primitiva. Da questi semina coacta, e cioè da questa xpaois degli elementi, cominciano a formarsi le prime CuUrKpiges, coneriones, e cioè gli accozzamenti di tutte le parti della medesima natura. Sono questi gli erordia vergiliani: “ ut his erordia primis (concreverint) ,. Raggruppatisi dunque gli ele- menti ignei, e gli aerei, e gli acquei ed i terrei, dalla primitiva nebulosa si distaccò primamente l’etere, di poi il fuoco, e dopo la terra, la quale andò poco a poco indurendosi, e cioè potè secernere da sè l’acqua; e da questa poi vaporò l’aria. Dall’etere si formò il cielo, dal fuoco il sole. Sicchè, secondo Empedocle, (1) Oltre alla esposizione che è in Epifanio, Adv. haer., I, 8 (= Diels, Doxogr., p. 589), la quale però è di poco valore. (2) Empedocle, 166. 94 M. : OUdE TI TOÒ mavtòc Keveòv Téier oÙUdE TEPLodÒv..... TOÙTO d’ érauEngdere TÒ mav TI ke kai modev éi06v; mi) dé ke kai dmoroiat'; ÈEmel TUVdD® oùdeév Epnuov. yy ie n LA DOTTRINA EPICUREA NELL'EGLOGA VI DI VERGILIO 173 si formò prima il cielo, indi il sole, indi la terra, il mare, l’aria (1). Vediamo se questa successione cosmogonica si riscontri pure in Vergilio. £# ipse tener mundi concreverit orbis (v. 34) con- tinua il poeta. Mundi orbis è il cielo (Wagner, Forbiger, ecc.), efr. ecl. IV, 50. Ed ecco appunto la prima formazione empe- doclea. E continua poi: tum durare solum. Il poeta passa alla terza formazione, la terra, omettendo per ora la seconda, il sole, la cui menzione è però implicita in quel durare; chè appunto per azione del sole s’indura la terra (v. Lucr. V, 485). E siamo già alla quarta formazione: la terra nell’indurarsi secerne le acque, o, come dice il poeta, le dischiude nel ponto: et disclu- dere Nerea ponto; Empedocle chiamava il mare “ sudor della terra , (yîfig Idpòta Bé4Nagcavy, v. 258 M.). E quando le acque son dischiuse, e le terre sono indurite, ed assumono le configurazioni varie (rerum sumere formas), esse veggono una strana meraviglia, il sole (novum terrae stupeant lucescere solem), il quale è indicato quindi come già preesistente, giacchè le terre, tostochè escono alla luce, il veggono. E poi? Neppure l’ultima formazione empe- doclea manca in Vergilio. Dal mare vapora l’aria: Vergilio, re- stringendo però il concetto, dice che si spingono in alto le nubi, (1) [Plut.] pr. Euseb. praep. I, 8, 10 èk mpwrns gnoi T“g TÙY oTOANXEIWV xpdoewcs dokpidevta TÒv dépa Tepixv0fivar kUkAw” uerà dè TÒv dépa tò TOP èxdpapuòdyv kai oùk éxov ÉTÉEPav yxpay, dvw ÈKkTpÉXEIV UTÒ T00 Tepì tòv dépa mdyov. Plac. philos. II, 6, 4 ’Eum. tòv uèv aidépa mpùòTov diaxpiofivar, deb- Tepov dé TÒ TOP, gp Ww TiV YMv, ÈE fig diyav Tepiogpiffouevns tf fuun T‘g Teprpopàcg dvaBivoar Tò Udwp, té oÙ Buuia0fjvar TÒv dépa* kai yevéodar TÒv uèv oùUpavòv Èk Tod aidépoc, Tèv dé fiMiov ÈK Tod Tmupoc, minafivar d Èk TV di\wy tà Tepiyera. Arist, gen. et corr. II, 6; Emp. (v. 233 e seg. M.): ci d’ de vov Tor èfù Xézw TpPòé° BAouv dpyrv, éE uv è éfévovto tà vbv Èéocopwueva, mavTta, Yaîd Te Kkal movTtog ToXluxbuwv Ad° UÙypòg dnp Titàv Mò ai0)p oqirfwyv mépi kùk\ov dava. Titàv soprannome dell’etere, Zeller*, I, p. 637. È da notare pure che se nei Placita philosophorum si dice dal fuoco essere generato il Sole, nel pseudo-Plutarco, Stromateon fragm. 10 (presso Eusebio, Praep. evang. I, 8 = Diels, Doxogr., p.582) si determina tal concetto così: 6 dé fog tiv Pùow oùk EoTi TÙP, dMd TOÒ mupòc dvravdk\aorg duoia TI dp” idatog Yivouévn. Cfr. HaLLier, Lucreti carmina e fragmentis Empedoclis adumbrata, Jenae, 1857, p. 30. V. pure l’Epist. II di Epicuro, pr. Diog. Laert., X, 1, 90 e Usener, Epicurea, framm. 343, 344, 346. 174 CARLO PASCAL le quali poi ricadono in pioggia: Altius atque cadant submotis nubibus imbres (cfr. Luer. V, 490-3). - Ritrasse direttamente da Empedocle Vergilio questi versi suoi? L'ispirazione di essi gli venne certamente da Apollonio Rodio, che in Argon. I, 496 segg. così espose un po’ all’ingrosso la teoria empedoclea: medev è ws faîa kai oùpavòc Nd 0diacca, TO mpiv è dilnAoror pu cuvapnpéta uop@f. Neikeog èz dNooîo diékpidev dui Ékaota. mò ws Eumedov aiév Èv aigépi TÉEKUAp Exouvow doTpa ceinvain Te kai MeMforo KÉXEvBor oUpea 0° uc dverene, kai uc motauoì keXddovTEG aÙTfiow voupnor kai épretà mavt' èfévovto. In questi versi di Apollonio la derivazione da Empedocle è evidente, e non nel solo riguardo della dottrina, bensì anche in quello formale; cfr. ad es. Neikeog éE 6oNooîo con Empedocle 80 M. Neîkòg T° oùi6pevov. — Vergilio, pure prendendo da A pol- lonio l’ispirazione a cantare siffatto argomento (1), volle dare però determinazione maggiore al suo pensiero. E, se la prima ispi- razione gli venne da Apollonio, tale determinazione maggiore egli apprese da Empedocle e da Lucrezio. È probabile infatti che pure alla fonte empedoclea egli abbia voluto accedere, giacchè qualche concetto speciale ad Empedocle egli conserva, cfr. ad es. stupeant v. 37, dadua idéogar Emp. v. 205 Mill. — Verisimilmente dunque Vergilio si accorse della identità tra le due dottrine; e vide pure con quanto felice esito Lucrezio avesse superato le difficoltà formali nel tradurre i concetti di Empe- docle e nell’adattarli alla dottrina epicurea: adottò quindi la nomenclatura lucreziana (cfr. inane, semina coacta, animae, liquidi ignis, erordia). La simiglianza formale infatti tra Lucrezio e Ver- gilio nei versi che trattano della cosmogonia è grande, e fu giustamente osservata da Macrobio, VI, 2, 23. Solo resta che noi accenniamo brevemente all'esposizione dottrinale di Lucrezio in confronto con quella di Empedocle. (1) Male il Cartault, £#. sur les Buc., p. 273: “ Virgile s'est inspiré de © Lucrèce et il ne s'est inspiré que de lui ,. LA DOTTRINA EPICUREA NELL'’EGLOGA VI DI VERGILIO L75 Lucrezio in V, 417-509 si è certamente ispirato ad Empe- docle. Basta infatti mettere a riscontro alcuni versi, dove la derivazione è evidente, ad es.: Empedocle, 172 seg. M.: év0” oùt’ MeNMioro dedioketar (= deikvutai) d'yiadv eidoc oùdeé uèev oùd’ alng Adorov uévog oùude ediagca. Lucrezio, V, 433 segg.: Hic neque tum solis rota cerni lumine largo Altivolans poterat, neque magni sidera mundi, Nec mare nec caelum nec denique terra neque aer. Circa alla parte dottrinale Lucrezio trovava nelle sue fonti epicuree notevoli vestigia della teoria di Empedocle. L'ordine e la successione dei rivolgimenti cosmici e dei varii distacchi dei corpi dal primitivo accozzo di materia, vi era passata tutta (1). Ed infatti anche Lucrezio parte da una specie di nebulosa ato- mica, un coniectus materiai (V, 417), nel quale però gli atomi non sono naturalmente differenziati, non sono cioè aria, acqua, terra, fuoco. Col ripetersi all’infinito degli urti e degli accozza- menti atomici, andarono formandosi delle masse corporee, diffe- renti l'una dall’ altra a causa e della forma e della diversa collocazione atomica: furono questi gli erordia della terra, del mare, del cielo e delle specie viventi (431-2). Di poi, per nuovi rivolgimenti in quel coniectus materiai, cominciarono le parti si- mili a unirsi con le simili; e cioè tutti gli exordia di terra in- sieme ed insieme quelli di acqua, e così via (438-446). Indi, poichè tutti gli exordia della medesima specie ebbero formata una massa sola, si divisero da quelli di specie diversa. La prima a ragunarsi ed addensarsi in quella nebulosa fu la massa terrea, la quale, perchè più pesante, prese la sede infima (450 segg.); dopo, l’etere, che essendo più fluido e leggiero, si era insinuato in tutti i meati della massa terrea, eruppe da essa (458 e segg.). Dipoi si distaccarono il sole e la luna, e si fermarono in sede (1) Troppo lontano ci porterebbe l’accennare ai rapporti della cosmo- gonia di Epicuro con quella di Leucippo e Democrito; cfr. per la cosmo- gonia democritea Zeller, Gr. Philos. 18, p. 715, 718 e segg.; e per il con- fronto con la epicurea, Goedeckemeyer, Epikurs Verhaltnis zu Demokrit, Strassburg, 1897, p. 137 sgg. 176 CARLO PASCAL media tra l'etere e la terra (472 segg.). Quando da tutta la massa terrea si furono distaccati tanti corpi, la terra ebbe degli incavi profondi; e per l’azione del sole, che ne secerneva tutto il liquido, questo andò a condensarsi in quegl’incavi (481 segg.); e per l’azione stessa del sole le particelle di aria vaporavano (491). In tal cosmogonia la terra è veramente genitrice delle cose tutte, come altrove dice Lucrezio (II 598-600). Ma il porre come prima formazione la terra importa una differenza con la teoria empe- doclea? Se si guarda bene, la differenza è solo in una illusione di linguaggio (1). La successione dei distacchi è per Empedocle come per Lucrezio la seguente: etere che forma il cielo, fuoco che forma gli astri, acqua che forma il mare, e poi, dall'acqua, va- pore che forma l’aria; solo che Lucrezio invece di rappresentare tali distacchi come effettuantisi successivamente dal coniectus ma- teriai (come Empedocle li rappresenta effettuantisi dallo cpaîpos), li rappresenta, e più logicamente forse, come effettuantisi da quella materia che infine rimane sola, la terra (v. anche libro II, vv. 589-597); il che non vuol dire che la terra si sia formata prima delle altre materie, giacchè anche per lui, come per Em- pedocle, la formazione della terra non è compiuta, fino a che da essa non si secerna il mare, e cioè fino a che non possa durare solum. La cosmogonia di Empedocle passò dunque, almeno ‘nelle sue linee generali, nella teoria. epicurea. L'esposizione cosmogonica che troviamo in [Plutarco], De placitis philos., I, 4 p. 289 Diels (= Usener, Epicurea, n. 308, p. 215), esposizione che è così conforme alla lucreziana, è tratta certamente da un trattato epicureo (non empedocleo, giacchè vi si parla di atomi); cfr. Diels, Dorographi, pag. 58, Woltjer, Lucreti philosophia, p. 115 seg. (2). — Ne segue che teoria epicurea è quella esposta (1) Illusione che trasse in errore chiari critici: ad es. Reisacker, Quaest. Lucretianae, p. 57; Hallier, Lucr. carmina e fragmentis Empedoclis adum- brata, p. 29. (2) Altre esposizioni di cosmogonia epicurea troviamo in Epifanio, ad». haeres. I, 8 (= Diels, Doxogr., p. 589). Tale esposizione contiene elementi genuini, ma è sospetta d’interpolazioni desunte dall’orfismo, a cagione della forma cosmica dell’uovo, cfr. Diels, Doxogr. (Prolegg.), p. 175. Notiamo solo di passaggio che la dottrina ivi accennata dei due emisferi cosmici, si ri- trova pure nella esposizione che della dottrina di Empedocle fa il pseudo- LA DOTTRINA EPICUREA NELL’EGLOGA DI VERGILIO 177 da Vergilio, e che egli volle in brevi tratti riassumere Lucrezio, così come Apollonio Rodio aveva fatto per Empedocle; e che Vergilio ebbe l’occhio pure ad Empedocle, e ravvisò la deriva- zione, che noi abbiam cercato d'illustrare, della teoria cosmo- gonica epicurea da Empedocle stesso. Plutarco, Stromateon fragmenta, 10 (Euseb. Praep. evang. 1, 8 = Diels, Doxogr. p. 582). L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. è de -Ofi 60 PI { fr (A LETI 3up* voga x MOR VA si PR IL di Sodi) j i i 9bonaginti 8b HEHSTA pELGE della cm —_ mir E: 4 fsi. b i 2 I° 4 » ‘ ; OTTO, of wa avo $ La NTR, 0 odi sabbia N wc prot a MO | X (0D Mo È ACRIGLA, Of Sciences tra CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 12 Gennaio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SaLvanori, Direttore della Classe, Berruti, NAccarI, Mosso, SPezIA, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, Foà, GuaRESscHI, Gurpi, FiLeri, PARONA, MATTIROLO e D’'Ovipio Segretario. Si legge l’atto verbale della seduta precedente, il quale viene approvato. Il Segretario, a nome dell'autore Prof. Gabriele ToRELLI, dell’Università di Palermo, fa omaggio della monografia: Sulla totalità dei numeri primi fino ad un limite assegnato, premiata dall'Accademia delle Scienze di Napoli. Ed a nome del Socio non residente Sracci fa omaggio dell’opuscolo: Alcune nuove forme di resistenza che riducono il problema balistico alle quadrature. Il Socio Mosso presenta, a nome dell'autore P. ViGnoN, l’opu- scolo: Causeries scientifiques de la Société zoologique de France. La Classe ringrazia i donatori. Il Socio Naccari, anche a nome del Socio SEGRE, legge la relazione sulla Memoria dei signori BattELLI e MAGRI: Sulle scariche oscillatorie. La Classe, approvando la relazione, ammette Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 13 180 la Memoria alla lettura; indi a voti unanimi l’accoglie nei suoi volumi. Vengono ammesse alla inserzione negli Atti le seguenti Note presentate dal Socio JADANZA: Un esaminatore di livelle del costruttore Bamberg, del Dottor Cesare AIMONETTI; Le condizioni climatiche di Torino durante l’anno 1901, del Dott. Vittorio BALBI (1); i Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1903, calcolate dal medesimo Dott. BALBI; Riassunto delle registrazioni geodinamiche del grande sismo- metrografo Agamennone nell’Osservatorio astronomico della R. Uni- versità di Torino, del Dott. Luigi VoLra. Lo stesso Socio JADANZA presenta e la Classe ammette alla pubblicazione le Osservazioni meteorologiche fatte nell'anno 1901 all'Osservatorio della R. Università di Torino, calcolate dal Dottor V. BALBI. Infine la Classe delibera d’iniziare il procedimento per la . elezione di due Socii nazionali residenti. (1) Questa Nota comparirà in un prossimo fascicolo. CESARE AIMONETTI — UN ESAMINATORE DI LIVELLE, ECC. 181 LETTURE pn PEA Un esaminatore di livelle del costruttore Bamberg. Nota del Dott. CESARE AIMONETTI. Nel corrente anno l’egregio Prof. Jadanza, Direttore del Gabinetto di Geodesia, acquistava dalla casa Bamberg un esa- minatore di livelle. Volendo destinarlo a determinare la sensi- bilità di alcune livelle di precisione, ne esaminai la vite micro- metrica per determinarne, oltre al valore del passo, anche gli eventuali errori periodici e progressivi. E, siccome questo stru- mento è dello stesso tipo di quelli costruiti abitualmente da quella casa, e che trovasi descritto nei suoi cataloghi, così, prima di esporre il metodo seguìto, ed i risultati ottenuti in questo studio, mi limito a darne una sommaria descrizione. Esso consta di due robuste e larghe lastre di ferro dello spessore di mm. 8, aventi la forma di T, rinforzate inferiormente da una forte nervatura. La lastra inferiore fissa, o base, è mu- 182 CESARE AIMONETTI nita di tre piedi, uno fisso e due a vite per livellarla, ed ha le dimensioni di cm. 46 di lunghezza, e cm. 11,6 di larghezza, mi- surate sul triangolo avente per vertici i tre piedi. La lastra superiore, mobile (banco dell’esaminatore), porta ad un'estremità la madrevite, in cui gira la vite micrometrica. Questa è lavorata per la lunghezza di mm. 20, e per due terzi è abbracciata dalla madrevite: termina inferiormente in una superficie sferica che si appoggia su di una cavità conica colla quale termina superiormente un apposito pilastrino, alto mm. 51, fisso alla base. La testa graduata, in alluminio, ha il diametro di cm. 10 ed è divisa in 120 parti, di cui si può stimare facil- mente il decimo. L'indice è formato da una lastrina di allu- minio, della larghezza di 2 a 3 cm., disposta secondo un dia- metro della testa graduata, e sporgente dalle due estremità. Dall’una parte termina in una finestra, il cui orlo anteriore, abbassato in modo da risultare nel medesimo piano del lembo graduato e da combaciare con esso, porta una tacca in corri- spondenza della quale si fanno le letture. Dall'altra parte porta un’asta verticale che scorre entro apposita guida praticata in un pezzo metallico fisso al banco dell’esaminatore; cosicchè, mentre gira la vite micrometrica, quest’indice, che può soltanto muo- . versi in senso verticale, rimane fisso, e sempre a contatto col lembo graduato. All’altra estremità il banco è girevole attorno ad un sistema di due assi orizzontali disposti in un piano press’a poco verti- cale e distanti fra di loro di 38 mm. La distanza poi tra l’asse superiore di rotazione e l’asse della vite micrometrica (lunghezza del banco) è di mm. 425. Per questi particolari di costruzione, potendo il banco avere, oltre al movimento in altezza, anche un piccolo movimento lon- gitudinale, ne segue che, girando la vite micrometrica, il centro della superficie sferica, che ne termina l’estremità inferiore ri- mane fisso, e non si esercita nessuna pressione anormale della vite contro la madrevite. Il banco è lavorato superiormente in modo da presentare una superficie perfettamente piana con una scanalatura longi- tudinale: su di essa sono scorrevoli due pezzi metallici termi- nati a V per sostenere la livella da esaminarsi. Di questi pezzi uno è suscettibile di un piccolo movimento trasversale per mezzo UN ESAMINATORE DI LIVELLE DEL COSTRUTTORE BAMBERG 183 di vite micrometrica, allo scopo di rendere l’asse della livella da esaminarsi parallelo all’asse longitudinale dell’ esaminatore. La base porta ancora una livelletta trasversale per livellare gli assi di rotazione del banco, e, verso il mezzo, un sostegno a molla, destinato a sostenere in parte il peso del banco, affinchè questo non graviti totalmente sulla vite micrometrica. A questa base feci inoltre fissare un’asticina metallica verticale portante un segno che corrisponde ad un segno simile praticato all’estre- mità mobile del banco quando la madrevite trovasi circa alla metà della vite. Stabilii di assumere questa posizione come po- sizione normale del comparatore, e di indicare coi numeri 0, 1, 2, 3, ecc. e — 1, — 2, — 3, ecc. le rivoluzioni della vite che corrispondono rispettivamente al disopra ed al disotto di quella posizione. Tutto l’istrumento poi è collocato sotto apposita vetrina munita di sportelli, e si può manovrare dall’esterno la vite mi- crometrica per mezzo di un grosso bottone unito alla vite stessa con un giunto cardanico. i Se indichiamo con / la lunghezza del banco dell’ esamina- tore, con d l'altezza dell’estremità inferiore della vite sul piano orizzontale passante per l’asse di rotazione inferiore, ho, la parte di vite che trovasi al disotto del banco dell’esaminatore, quando questo è orizzontale, e con a =d5+-4 la distanza tra i due assi di rotazione, la relazione tra l’ angolo 9 di cui è inclinato il banco, e la quantità % di cui corrispondentemente si è girata la vite micrometrica, è data dalla formola: h? + 2h(ho — lsen8 + dc080) + + 2[(2? — d4o) (1 — cosò) — Zsen0(0 4- ho)] = 0. Sviluppando colla serie di Taylor, e ponendo, come è pos- sibile ottenere in pratica, 4h, = 0, si ottiene: a Mi hi hi ; ea (1-45 + +) E" Facendo 4 = m. 0,001 (corrispondente a circa 4 giri della vite micrometrica), ed / = 0,425 si ha: h3 ga R'=0",00016 184 CESARE AIMONETTI quantità affatto trascurabile. Onde, non adoperandosi general- mente l’esaminatore che nelle vicinanze della posizione normale, si può ritenere: 0" RT e'=4R", quindi h= Per fare l’esame della vite micrometrica, fissai l’esamina- tore su di un pilastrino situato nel Gabinetto di Geometria Pra- tica della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, all'estremità di una base misurata nel Gabinetto stesso. Sui due sostegni delle livelle fissai solidamente un cannoc- chiale astronomico munito di reticolo, con ingrandimento 60 ed avente l'obbiettivo di distanza focale cm. 88, ed apertura mm. 57. All’altra estremità della base collocai una mira formata da una lastrina di vetro bianco sulla quale erano tracciati tre segni bianchi fra grosse righe nere. Le loro distanze erano state de- terminate in modo che si poteva col cannocchiale collimare ad essi successivamente girando la vite micrometrica rispettivamente di circa !/,o di giro, e di un giro intiero. La mira era situata press’a poco al medesimo livello del cannocchiale, e la sua di- stanza dall’asse di rotazione dell’esaminatore risultò di m. 44,229. La piccola lunghezza di questa base era compensata dalla maggior precisione colla quale era determinata, e dalle migliori condi- zioni nelle quali si fecero le misure. Da una serie di 20 osser- vazioni fatte puntando sempre allo stesso segno, ne risultò come error medio di un’osservazione il valore: 07,20 = 0”,20 essendo il valore di 1? di 1”,0136 come si è trovato in seguito. Ricerca dell'errore periodico. Per determinare l'errore periodico della vite, misurai l’in- tervallo costante corrispondente circa ad !/,0 di giro, in dieci parti uniformemente distribuite lungo la graduazione del lembo, e nelle rivoluzioni — 3, — 1, 1, 3. Ogni misura è la media di cinque osservazioni, e siccome in ogni rivoluzione gli scosta- _ lottò tea ein UN ESAMINATORE DI LIVELLE DEL COSTRUTTORE BAMBERG 185 menti di ciascuna misura dalle medie hanno quasi lo stesso an- damento periodico, ed inoltre ebbi cura che le letture iniziali e finali corrispondenti a ciascun intervallo fossero quasi le mede- sime, feci le medie dei valori corrispondenti per le quattro ri- voluzioni studiate, e ne risultarono i valori numerici seguenti: doltine! Lettura iniziale | Lettura finale | Intervali | Correzioni 1 | 119,78 19?,64 137,86 — 0954 9 11,48 25,70 14,22 _ 0,90 3 23,53 37,01 13,48 — 0,16 4 39,70 48,63 12,93 + 0,39 5) 47,37 60,07 12,70 + 0,62 6 60,16 73,16 13,00 + 0,32 7 71,98 85,78 13,80 — 0,48 83,63 96,39 13,26 + 0,06 9 95,60 108,66 13,06 + 0,26 10 107,84 120,70 12,86 + 0,46 Media 13,32. Per esprimere la correzione periodica si può adoperare la formola: Correz.=4,6089 +4,c0082p9+a3c083p+d,senp +d2sen2p+b3sen3® di cui possono determinarsi i coefficienti nel seguente modo: Siano L ed L' le letture iniziale e finale corrispondenti ad un dato intervallo, corrette dell'errore di collimazione; l’inter- vallo misurato è sarà espresso da: d= L'+ a;cosp' + a, c0s2P'’ + az cos3p' + + bd, senp' + db, sen2p'’ + 833 sen3p' — (L+ a; cosp + + 4300829 + a3c0s39 + bd, senp + ds sen29 + dz sen39) 186 CESARE AIMONETTI da cui: L'-—L=%+?2a;sen Gost sen Baia +2a,sen(9' — p)sen(p'+ ©) +2assen 8079 sen Li _ — 2b,sen È Loop Et? — 2bssen(9' — p)cos(p' + gp) — — 2bysen ici) sue (flat, Assumendo come valore approssimato di òè la media è, si può scrivere: de" do + k ed indicando con v l’errore residuo (corrispondente all’imper- fetta collimazione) in ciascun intervallo, e con / ed /' le letture fatte, sarà: L'-L=l'-1%4%. Onde: v=k+ 2a,sen o sen da + 2a,sen(p'— p)sen(p' + 9) + + 2azsen _- sen Meta) — 2b,sen =" cos? ni Lr — 2bs sen(g' — 9)cos(p' +) —233 sen Fidi È 1 8(—9) ___3(@+9) i oionitoio spetti Si hanno così tante equazioni come la precedente, quante sono le osservazioni fatte. Risolvendole colla condizione: [ve] = min. si ottengono i valori delle incognite. Sostituendo i valori numerici trovati si hanno le seguenti equazioni: din sint nn UN ESAMINATORE DI LIVELLE DEL COSTRUTTORE BAMBERG 187 vi =k+ 0,2430@, + 0,8537 as + 1,5210 a; — — 0,6639 5, — 1,0102 5, — 0,8675 0; — 0,54 v=k+ 0,5986a, + 1,2547 a, + 0,39100; — — 0,40685, + 0,4968 bs + 1,74905, — 0,90 e =k+ 0,6922a, — 0,03402, — 1,7437 az + + 0,00915, + 1,29845, — 0,0685 83 — 0,16 vy=k+ 0,53300, — 1,1952as + 0,562343 + + 0,3937 b; + 0,3677 ds — 1,6012583 + 0,39 v;=k+ 0,2098a, — 0,7513a, + 1,3970453 + + 0,61815, — 0,9791585 + 0,9833583 + 0,62 vw =k—0,2294a; + 0,812405 — 1,4818303 + + 0,6270d; — 0,96133, + 0,8449585 + 0,32 va = k — 0,5909a, + 1,2139a, — 0,3010 ag + + 0,38828, + 0,5253 da — 1,7248853 — 0,48 ng =k— 0,6823a, — 0,033643 + 1,72814; — — 0,00895, + 1,28255, + 0,06795, + 0,06 va = k — 0,5410a, — 1,2107a, — 0,5677 a; — — 0,39965, + 0,3725 8, + 1,6167553 + 0,26 vio =%— 0,1965a, — 0,7083 a, — 1,3327 ag — — 0,63295, — 1,0306 d, — 1,0506853 + 0,46. Da cui si hanno i seguenti valori delle incognite: k= — 0,02 a, = + 0,1878 b,= — 0,3908 az = + 0,3980 bo = + 0,1788 az = + 0,0347 b3 = — 0,0080 ed i seguenti errori residui: vi — 0,04 = + 0,10 va = — 0,06 va = — 0,18 v = + 0,10 v = + 0,19 vy = — 0,06 vy= — 0,16 vs = — 0,04 vo=+.0,14. Quindi la formola che dà la correzione periodica può essere scritta sotto la forma: Correz. = 0,434sen(154°20’' + ©) + 0,436 sen(65°49’ + 29) + + 0,036 sen(102° 59’ + 39). 188 CESARE AIMONETTI — UN ESAMINATORE DI LIVELLE, ECC. Con questa formola furono calcolate le correzioni periodiche qui sono ripor- per le singole parti del lembo graduato, di cui tati i valori di 5 in 5 parti: Lettura 5) 10 15 20 25 Correzione Lettura + 0P,62 0,53 0,81 + 0,01 — 0,32 — 0,60 30 35 40 45 50 DÒ Correzione Lettura Correzione = 78 "60 IIS 0,83. 65 0,34 0,75. 70 0,40 0,57 75 0,35 0,82 80 0,24 — 0,06 85 + 0,09 Ricerca dell’errore progressivo e determinazione del valore di una parte della vite micrometrica. Lettura Correzione 90 95 100 105 110 115 — 0,04 + 0,04 0,21 0,41 + 0,57 Per eseguire questa ricerca, misurai l’ intervallo compreso tra i due segni più distanti della mira mediante la vite micro- metrica, e per le rivoluzioni — 3, — 2, ca 17 I risultati ottenuti sono registrati nella tavola seguente, in cui ogni misura è la media di 10 osservazioni e le letture ini- ziale e finale sono già corrette dell’errore periodico: Rivoluz. — 3 — 2 —1 0 H> 0 ID li di errore progressivo. 42,05 3,36 3,20 4,34 4,53 6,72 5,97 4,38 Lett. iniziale Lettura finale 116P,36 115,68 115,68 116,56 116,68 119,11 118,15 116,31 Intervalli Scostamento 112?,81 — 0,05 112,32 — 0,06 112,48 — 0,22 112,22 + 0,04 112,15 + 0,09 112,39 — 0,13 112,28 — 0,02 111,98 + 0,33 Media 112,26 + 0,06. Esaminando gli scostamenti dalla media, non appare traccia Essendo la distanza fra i due tratti della mira di mm. 24,40 e la distanza della mira di m. 44,229, l’angolo 8 corrispondente a 112?,26 era di 113,79, onde se ne deduce per Valore angolare di 1 parte: 1”,0136 + 0”,00053 121",63 + 0,06. » n »s 1 giro: LUIGI VOLTA — REGISTRAZIONI GEODINAMICHE, ECC. 189 Riassunto delle registrazioni Geodinamiche del grande Sismo- metrografo Agamennone dell’Osservatorio Astronomico della R. Università di Torino durante l’anno 1901, Nota del Dott. LUIGI VOLTA. Il Sismometrografo di questo R. Osservatorio è del tipo pendolo verticale, imaginato dal prof. Giovanni Agamennone, ora Direttore dell’Osservatorio Geodinamico di Rocca di Papa (Frascati), e designato nelle relazioni sismologiche col nome di: Grande Sismometrografo Agamennone a doppia velocità. Presentato dapprima all'Esposizione di Torino del 1898, col principio dell’anno seguente, detto istrumento fu adibito ad un servizio sistematico, ed a tale scopo montato in una piccola camera posta alla base di una delle torri romane di Palazzo Madama, di quella, precisamente, a cui sovrasta la cupola dell’E- quatoriale di Merz. La piattaforma di fondazione costituisce, della detta camera il suolo, e le fondamenta stesse le pareti: il soffitto è una vòlta sferica, più recente, tagliata per lasciar adito ad una scaletta sospesa che non tocca il pavimento. La sua messa in opera nel locale descritto dei sotterranei di Pa- lazzo Madama fu compiuta sotto la direzione del prof. Porro, e giusta le norme ed i consigli gentilmente comunicati dal prof. Tacchini e dall’inventore stesso. Questo Sismografo consiste, sostanzialmente, di un grande pendolo, e di un congegno registrante gli spostamenti relativi di questo in uno al tempo fornito da un cronometro. La massa pen- dolare è costituita da dischi di piombo del peso complessivo di Kg. 200, sospesa ad un filo d’acciaio della lunghezza di m. 24, che attraversa, in tutto il suo percorso, l’anima della scala a chiocciola di Palazzo Madama, attaccandosi poi poco al di sotto del pilastro su cui poggia l’Equatoriale dell’Osservatorio. 190 LUIGI VOLTA Mentre la ragguardevole lunghezza della sospensione costi- tuisce un pregio dello strumento, la massa sospesa è invece insufficiente a dare tutta quella sensibilità che dal tipo dello strumento stesso si potrebbe ottenere: il prof. Agamennone infatti più volte ebbe a consigliare l'aumento del peso a 500 od almeno 400 Kg.: il grande Sismometrografo di Catania, il cui pendolo ha una lunghezza di m. 25, ha una massa di Kg. 300. Il periodo di oscillazione completa del nostro pendolo si deduce essere di quasi esattamente 105. La proprietà sismoscopica del sistema descritto è dovuta al fatto che un pendolo è posto in oscillazione soltanto dalle oscillazioni del suolo di periodo assai vicino al suo: di guisa che, data la rapidità delle vibrazioni sismiche, se si stabi- lisce pel pendolo sismico la lentezza del periodo con la lun- ghezza della sospensione, e di più l'inerzia al movimento con la cospicuità della massa, questa si potrà riguardare come fissa nello spazio e non partecipe delle vibrazioni del suolo circo- stante. Gli spostamenti relativi allora di questo rispetto a quella che un'illusione ovvia ci fa reciprocamente apparire come spo- stamenti relativi del pendolo rispetto al suolo, in misura oppor- tuna ingranditi ed in modo conveniente registrati saranno i rive- latori dei moti sismici stessi. . Il congegno destinato a quest’ultima funzione risulta di due asole che, collegate a due leve scriventi, abbracciano, ben vicino alla massa, epperò al centro di gravità del sistema, il filo di sospensione, e sono prossimamente disposte nelle dire- zioni NS ed EW (astronomiche): con maggior precisione par- lando, l’asola NS si scosta col suo asse di 17° circa dal meri- diano astronomico, essendo la sua estremità N spostata verso W; l'asola EW si scosta di 23° circa dal primo verticale, es- sendo la sua estremità E spostata verso S: le due asole quindi non sono esattamente ortogonali, ma le loro due estremità N e W distano di 96°. Le due leve ad esse collegate sono di al- luminio, leggerissime e disposte orizzontalmente e parallelamente tra loro, prolungantisi d’ambe le parti del filo d’acciaio in modo da oltrepassare la larghezza dei dischi di piombo, per far capo ai rotoli di carta di registrazione che li fiancheggiano, sulla quale le loro penne terminali poggiano con attrito lievissimo. Dei due rotoli nominati corrispondenti ad una doppia registra- REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, ECC. 191 zione, uno solo, svolge, girando, il suo nastro, con una velocità media di circa 24 cm. all'ora: su di questo le due penne, che sono ad un capo delle due leve, lasciano due tracce rettilinee, in caso di quiete sismica, ed una terza traccia è descritta da una terza penna la quale, comandata elettricamente da un cerono- metro, ad ogni minuto, lungo la traccia stessa segna un dente. Per chi guardi un tratto di sismogramma, mantenendo la zona dinnanzi a sè coll’ asse nella direzione del suo corpo ed in quel senso per cui, alzando gli occhi, crescano i tempi dei minuti segnati, la traccia registrante le ore è presso l’orlo si- nistro: segue la traccia comandata dalla leva connessa all’asola NS, a destra si trova quella dipendente dall’asola EW. E poichè evidentemente l’ asola NS non può muoversi che nella dire- zione EW, così la traccia mediana, ossia la più vicina a quella della registrazione dell’ora, segnerà siffatti spostamenti, e sarà sempre chiamata per lo avanti traccia EW: per l’analoga ra- gione l’altra traccia, più lontana da quella del tempo, risentirà solo di spostamenti che abbiano componente nella direzione NS, e sarà detta traccia NS. L’altro congegno di registrazione, a cui farebbero capo le altre estremità delle leve, è destinato a muovere con velocità assai maggiore il rispettivo tamburo, in modo che il sismogramma risultante sia assai più esteso, e le oscillazioni per così dire più ampiamente risolte e segnalate; il congegno stesso non funziona che in caso di notevoli perturbazioni, dalle quali automatica- mente è provocato ad entrare in azione : questo sistema più ve- loce di registrazione non è stato, finora, usufruito. L’ingrandimento delle leve amplificatrici e scriventi è 12 volte. Descritto così brevemente l’istrumento (*), si tratta ora di dar relazione della sua attività durante l’anno 1901, cosa non inutile nè inopportuna quando si consideri che ora in Italia, per opera dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, esiste una vasta, ricca e moderna Rete Sismologica, per cui le osser- (*) In una Nota del Prof. Agamennone, Nuovo tipo di Sismometrografo, “ Rendic. della R. Acc. dei Lincei ,, vol. IX, 2° sem., serie 5°, fasc. 2°, pag. 31, si trova la minuta descrizione di uno strumento dello stesso tipo, ma che ne rappresenta un notevole perfezionamento. 192 LUIGI VOLTA vazioni di questa natura formano oramai parte integrante ed importante delle sistematiche e continue osservazioni di fisica terrestre, e che a Torino si trova uno dei buoni campioni di questa categoria di strumenti registratori. È necessario però di chiarire prima i criterì con cui la de- scrizione e l’elencazione dei sismogrammi è fatta, perchè se ne comprenda la portata ed il significato. Naturalmente l'estensione e la minuziosità delle relazioni è commisurata all'importanza dei fenomeni via via registrati: ma, anche delle segnalazioni di lieve intensità, sarebbe stato troppo lungo talora ed inutile for- nire descrizione adeguata, sopratutto per quelle tra di esse che presentavano un certo carattere di periodicità e di permanenza ripetuta. In questi casì il criterio adottato per tenerne nota fu di darne con una certa larghezza e precisione le ore ed i ca- ratteri al loro primo presentarsi, e di citarne solo poi la pre- senza e le eventuali modificazioni al loro ripetersi. L'esistenza di periodi relativamente lunghi e frequenti, in cui i sismogrammi si presentarono inquieti non era, d’altra parte, un fatto che, per non essere facilmente spiegabile, dovesse ta- cersi; tra le cause probabili di queste segnalazioni dubbie si potrebbero, a volta a volta, suggerire: il ripercotimento dei fe- nomeni meteorici lontani o vicini, come i venti, le pioggie, le nevicate, i mutamenti bruschi di pressione e di temperatura, sotto il triplice aspetto di agenti sul suolo, sull’aria circondante il Sismografo, sull’edifizio di custodia — e quindi in questa ca- tegoria sarebbero comprese le deformazioni elastiche dei muri prossimamente collegati al sostegno del pendolo, inoltre l’umi- dità dell'ambiente in cui questo si trova e del tubo attraver- sato dal filo d’acciaio, la quale, collo stillicidio dovuto al suo condensarsi, può benissimo perturbare lo stato di quiete della massa sospesa — e finalmente: gli urti del terreno circostante dovuti al movimento cittadino, i difetti nello svolgimento della carta e le deformità di questa, la presenza di qualche insetto, come si ebbe talora a trovarne, e tante e tant’altre cause im- previste od imprevedibili. Ma, ammessa appunto la probabilità che siffatti periodi di lievi perturbazioni abbiano, anche solo raramente, una relazione sia coi fenomeni meteorici di cui sa- rebbero a volta un presagio, a volta la registrazione, sia con effettivi periodi di permanenti ondulazioni sismiche di natura REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, Ecc. 193 endogena — constatati per avventura in altre stazioni geodina- miche — meritano pur sempre di essere tenuti in qualche conto. Tanto più questo modo di vedere è giustificato, ove si osservi che una sola delle registrazioni — che, se per lunga serie di tempo ripetute, rivelano uno di siffatti periodi — presentandosi isolata in un tempo di quiete sismica, non passa inosservata mai, e non è considerata, in generale, come un fatto insignificante: con quest’osservazione resta pure spiegato e giustificato l'aspetto di apparente sproporzione che le note seguenti potessero eventual- mente offrire. Un altro fatto che emerge immediatamente dalla lettura di esse è quello di una frequenza spiccatamente superiore dei moti del pendolo sismico nella direzione NS rispetto a quelli verificatisi nella direzione ortogonale: questo fatto certo meri- terebbe uno studio accurato della sua origine, allo scopo di to- gliere il dubbio che questa vada ricercata nel modo di sospen- sione od in una disposizione speciale dei muri di sostegno, il che costituirebbe, in ambo i casi, un grave difetto dello stru- mento. Noto finalmente che le ore delle registrazioni sono espresse in tempo medio dell'Europa Centrale. Registrazioni sismiche. Gennaio 3. — Lievissima e brusca deviazione delle due tracce sismografiche, a foggia d’un piccolo dente alle 17° 5®, Non è possibile apprezzare se e quando le due linee tornino al percorso normale, data la piccolezza della deviazione, come pure assegnare la causa del fenomeno. In Italia si ebbero lo stesso giorno segnalazioni sismiche, ma ad ore diverse dalla citata. Gennaio 5. — Traccia lievissimamente mossa in ambedue le componenti verso le 17% 50"; gli ingrossamenti sono però irregolari e di apparenza sospetta: fanno supporre piuttosto una deviazione del pendolo verso NE, od uno spostamento accidentale della carta in senso trasversale, verso il lato della segnalazione dell’ora. Brusca deviazione, dell’ampiezza di circa !/, di mm., della traccia NS, nel senso d’un allontanamento dalla linea di 194 LUIGI VOLTA segnalazione dell’ora (corrispondente ad uno spostamento del pendolo da S verso N) e rapido ritorno al percorso nor- male, verso le 18° 7m 205: nessuna perturbazione sull’altra traccia. Anche questa segnalazione probabilmente accenna ad una causa estranea ad ogni fenomeno geodinamico. Gennaio 11. — Numerose deviazioni di ambedue le traccie nel senso d’un allontanamento dalla segnalazione dell’ora, e senza accenno ad un vicino o sensibile ritorno alla po- | sizione iniziale. Queste deviazioni, della natura di quella notata il 5 corr., hanno diversa ampiezza, non mai supe- riore a qualche decimo di mm. e non presentano affatto l'apparenza di oscillazioni pendolari: i diagrammi corrispon- denti cioè, piuttosto che di affusature, hanno l’aspetto di traslazioni, di natura dubbia: le ore cui esse si verifica- rono sono, approssimativamente, le seguenti: 2% 11®; 5° 9w, 622; 12% 14%; 15° 15%; 17% 14%; le più distinte tra queste sono le: 2°, 4%, 5%. Si ebbero pure registrazioni geodina- miche nei principali Osservatorii del Regno. Gennaio 12. — Una traslazione di piccola ampiezza, ma ben distinta, della natura di quelle descritte testà, visibile solo sulla traccia NS, alle 23° 45m 408, Gennaio 13. — Una assai tenue perturbazione istrumentale che | non si saprebbe con sicurezza assegnare alla categoria delle deviazioni notate nei giorni 11 e 12 corr., od a quella dei debolissimi diagrammi sismici, registrata fra le 0° 33m 458 e le 0° 35 453, Gennaio 14. — Due leggerissime deviazioni d’allontanamento dalla segnalazione dell’ora su ambedue le tracce, della na- tura di quelle dell’11 corr.: la prima verso le 5% 59%, la seconda, più distinta, verso le 6° 59m, Gennaio 18. — Una deviazione dello stesso tipo verso le 122 30%: le segnalazioni fornite in questo giorno dalle prin- cipali stazioni del Regno non concordano con questa per l’ora. Gennaio 23. — La sola traccia NS presenta, verso le 1° 12% 308, un’affusatura abbastanza regolare, di assai lieve ampiezza, che accenna ad oscillazioni, press’a poco simmetriche ri- spetto alla traccia stessa, occupante circa 1”. L'Istituto Geo- fisico di Pavia segnala pure ad 1° una scossa di II grado REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, Ecc. 195 della scala sismica Mercalli (leggerissima): una scossa di grado IV (sensibile) fu avvertita a Novi Ligure, Tortona e presso Alessandria, e registrata pure a Padova. Gennaio 25. — La componente NS è frequentemente mossa da lunghe e tenuissime perturbazioni, tra cui si distinguono numerosi ingrossamenti di larghezza quasi insignificante: siffatte registrazioni sono sparse lungo tutto il nastro. Gennaio 26. — Lo stesso. Queste lievissime e frequenti scosse strumentali, inesplicabili con cause endogene, fanno pensare ad una possibile relazione di esse col forte vento di W, avvertito poi anche a Torino in questo giorno. Gennaio 27. — La traccia NS dalle 8" 31" in avanti è frequen- temente mossa: le perturbazioni, talora assai lunghe, sono lievissime: i loro tratti più salienti si preSentano come esili ed abbastanza regolari affusature, più o meno allungate: per registrare solo qualcheduna delle più notevoli, si citano le ore seguenti: 8° 32; 9047, 12%25m. 14h 59m. 292° 96m, Gennaio 28. — La traccia NS è perturbata come il giorno pre- cedente: si dànno alcune ore: 6" 6; 9.22m. 11834; 12% 10, Si noti la coincidenza di queste perturbazioni col vento vio- lentissimo di W del 28 Gennaio a Torino, di cui le ondu- lazioni del giorno precedente avrebbero potuto costituire il prodromo. Lo stesso giorno però, poco dopo le 10° si ebbe presso Siena una scossa di 4° grado (sensibile). Febbraio 1. — La zona è quasi interamente perturbata sulle due componenti in misura assai lieve, e nel senso di nume- rose e lunghe deviazioni della massa pendolare dalla posi- zione normale di quiete: un'emergenza tenuissima, che pur tuttavia è a ritenersi come un massimo d'energia ed a defi- nirsi come un indizio di scossa, si rileva verso le 15° 182, Febbraio 3. — Numerose deviazioni sulle due tracce, nel senso d'un allontanamento dalla registrazione dell’ora, accennanti cioè, presumibilmente, a spostamenti del pendolo verso NE, senza che un pronto ritorno alla posizione iniziale si possa rilevare. Si tratta degli stessi fenomeni registrati prece- dentemente, sopratutto l’ 11 Gennaio, ma con anche minore intensità, e meno distinti. Diamo qualcheduna delle ore, alle quali le due tracce si presentano più spiccatamente mosse: 10% 30; 12% 9m; 14% gm; 15° 400; 18° 160, 19% 48m. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 14 196 LUIGI VOLTA 21° gu; 21. 23m; 21472; 21%59m; 23.290. È a notarsi che queste lievissime deviazioni, aventi propriamente l'aspetto di brusche traslazioni sono più distinte sulla EW, e tra di esse più che tutte quella avvertita alle 21%8®: si ha pure un’assai esile affusatura, regolare e breve, percettibile sol- tanto sulla traccia NS, alle 17° 21 circa. Lo stesso giorno, alle 1° !/, circa s'ebbe una scossa sensibile a Sarzana. Febbraio 4. — Le identiche irregolarità del giorno precedente nei diagrammi, delle quali si registrano le ore per le meglio rilevabili: 0° Qu. 1. 54m, 9° 44m. 3881. 4h 27m; 6237, 9029. 10° 15; 142369: 16° 881: 11:8%15m 19% 4. Verso le 17220" se ne notano ben tre a distanza di pochi minuti, ma non molto distinte, e tra le 18%15" e le 20"27" se ne con- tano sei. Febbraio 5. — Anche questa zona è quasi interamente pertur- bata, alla stessa guisa: i denti, le traslazioni, le gobbe di piccolissima curvatura, d’ampiezza variabile, tenue sempre, le irregolarità delle tracce, paragonabili talora a quelle che può lasciare sulla carta una penna guasta, sono anche più numerose. Si omette di registrarne le ore, non potendosi giustificatamente ricercare in siffatte perturbazioni alcuna causa endogena od esogena soddisfacente, nè riscontrare una regolarità di periodo che escluda invece una causa accidentale permanente di squilibrio, come lo stillicidio del- l’umidità condensata od altro. La notte del 27 Febbraio, essendosi, nell’interno della torre attraversata dal filo di sospensione della massa pendolare, rotto un tubo dell’acqua potabile, il locale del Sismometrografo ne fu interamente inondato, e con esso l’istrumento che dovette essere smontato. Mercè un opportuno, continuo riscaldamento il sotter- raneo potè ritenersi asciutto ed atto a ricevere il Sismometro- grafo solo il 30 Aprile, per modo che il servizio geodinamico fu ripreso col 1° Maggio. Maggio 3. — Lieve perturbazione sismica rivelata da un ingros- samento fusiforme di segno, abbastanza regolare, che occupa la sola traccia NS tra le 0"2" 365 e le 0%4" 353, con un massimo alle 0%3" 365. REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, ECC. 197 Maggio 21. — Verso le 16" 22” la traccia EW presenta una de- viazione brusca nel senso di un avvicinamento alla segna- lazione dell'ora (spostamento relativo della massa pendolare verso W), la traccia NS una deviazione in senso opposto (spostamento relativo del pendolo verso N), a foggia d’un dente: ambedue le deviazioni non superano l’ ampiezza di qualche decimo di mm. Il fenomeno è della natura di quelli così spesso verificatisi l'11 Gennaio, il 3, 4, 5 Feb- braio. Le segnalazioni d’altre stazioni geodinamiche non s'accordano con questa per l’ora. Maggio 25. — Alle 4°59" 205 le tracce deviano bruscamente dal percorso rettolineare: la NS di circa 0,8 mm., allon- tanandosi dalla registrazione dell’ora, la EW di circa 2 mm., avvicinandovisi. La prima rivela quindi uno spostamento verso N, la seconda uno spostamento verso W, più ampio, della massa pendolare; il moto sismico avrebbe quindi una provenienza da ESE. Le oscillazioni succedenti a questa prima disegnate dal diagramma della componente NS vanno rapidamente facendosi più ampie, e toccano un massimo di mm. 15 dopo 5 oscillazioni, per poi decrescere, meno rapi- damente, e spegnersi dopo 7 oscillazioni: le escursioni di questo diagramma sono quasi per intero dalla sola banda destra, rispetto all’osservatore disposto come altra volta s'è detto, della linea di quiete: in altre parole la massa pendolare non ha oltrepassato mai che di pochissimo, oscil- lando, la posizione di riposo, nella direzione S. Il diagramma descritto dalla traccia EW è invece assai più regolare : dopo la prima, brusca, di sensibile ampiezza, le successive escursioni, press’a poco d’ampiezza eguale d’ambo le bande dalla linea di quiete, vanno gradatamente allargandosi e restringendosi poi con regolarità anche maggiore, ad ecce- zione d'una ripresa verso la fine, rivelata da uno scosta- mento d’ampiezza quasi pari al massimo verso la sinistra dell'osservatore (spostamento verso W della massa). L'am- piezza massima delle oscillazioni è di mm. 7,5. Confron- tando quindi i due sismogrammi si rileva che i due massimi, caduti verso le 4% 59" 455 non sono però assoluta- mente sincroni, per quanto l'incertezza derivante dalla non costante e non rigorosamente misurabile parallasse delle 198 LUIGI VOLTA penne, non permetta un raffronto più scrupoloso. Le tracce cessano d’essere mosse alle 5% 1"155: il moto sismico durò adunque 1” 558 circa, avendo i due sismogrammi press’a poco la stessa durata: le escursioni massime del pendolo furono verso N, le minime verso $, di ampiezza intermedia e circa eguali, ad E e W: le oscillazioni sono pendolari, di periodo eguale a 105 per ogni oscillazione completa, cioè alla costante addietro citata dell’istrumento. Questa scossa è stata stimata del 4° grado nella scala sismica Mercalli, cioè come sensibile 0 mediocre: essa fu avvertita pure da tutti i sismografi dell’Italia Settentrionale e Cen- trale, e dalle persone in molti luoghi del Piemonte e della Liguria specialmente. Il servizio geodinamico rimase nuovamente sospeso tra il 1° ed il 21 Giugno, per poter togliere l'umidità del locale; la quale, man mano accumulandosi e condensandosi, aveva formato un deposito d’acqua nei congegni d’orologeria del sismografo, arre- standoli. Giugno 22. — La zona è quasi continuamente perturbata da fitte, numerose ondulazioni, assai meglio distinte sulla. traccia NS, dove le emergenze hanno in generale forma abbastanza regolare: le più deboli di allungatissime affusa- ture simmetriche, le più intense (che non raggiungono però mai la larghezza di 1 mm.) sono anche meno regolari e più brevi. Questi ingrossamenti fusiformi di segno sono ancora più frequenti, più numerosi e più corti durante il pomeriggio. Una siffatta registrazione non suggerisce nes- suna causa endogena probabile, per quanto gli strumenti di Rocca di Papa e di Roma abbiano fornito segnalazioni, e nell’Umbria si sia avvertita una scossa sensibile. Giugno 23. — Il fenomeno del 22 corr. si ripete con quasi gli stessi caratteri, e con intensità maggiore: le due tracce non tennero mai durevolmente nella giornata la posizione di riposo: la NS è sempre assai più mossa della EW, rag- giungendo le escursioni di quella il millimetro d’ampiezza: nel pomeriggio lo stato di perturbazione si intensifica. Per quanto dubbie queste registrazioni potrebbero trovare un REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, ECc. 199 riscontro in quelle di Rocca di Papa, Roma, Padova, Ca- tania, Pavia, Firenze. — Giugno 24. — Tra le 9%" 40" e le 10% 30% circa le due tracce sono mosse da oscillazioni pendolari del periodo di 18-205 circa, deboli, ma ben distinte, che incominciano insensibil- mente, amplificandosi poi con certa regolarità, e gradata- mente infine si spengono. Le oscillazioni sono assai più ampie sulla componente NS, e nel punto di massima. in- tensità, che cade verso le 9" 1" 305, raggiungono l’ampiezza di circa 4 mm.; sulla EW appena quella di 1 mm. Fanno eccezione alla regolarità suddetta del sismogramma il tratto, della lunghezza di circa 1 mm., nei pressi del massimo, dove le oscillazioni rapidamente crescono e decrescono, e qualche ripresa abbastanza distinta specialmente sulla traccia NS. Su di questa, anche oltre l'ora segnata come estrema della perturbazione, si notano, per qualche tempo, lievissimi ingrossamenti fusiformi. I sismogrammi deseritti, approssimatamente simmetrici rispetto la direzione rettilinea di percorso normale, rilevano una perturbazione da apprez- zarsi come molto leggera (2° grado della scala Mercalli): della provenienza sua nulla può dirsi, premessa la natura graduale d’inizio delle oscillazioni pendolari provocate: se ne ebbero registrazioni a Pavia e Firenze. Perdurano poi le solite perturbazioni dei giorni precedenti, meno frequenti però, e meno intense. Giugno 25, 26, 27 e 28. — Le lunghe e frequenti perturba- zioni perdurano ancora, palesate dagli ingrossamenti fusi- formi di segno descritti, sempre più distinti sulla traccia NS che sulla EW. Il diagramma del 26 è il più perturbato dei tre, paragonabile a quello del 23 corr.: è notevole poi che il fenomeno è sempre più intenso nelle ore del pomeriggio : la zona del 23, che è meno mossa, presenta appunto delle emergenze durante questo periodo delle giornate. Luglio 1. — Verso le 15° 16" la traccia NS presenta delle deviazioni distinte, regolari, a foggia di denti di sega, tutte della stessa ampiezza, che, colla massima probabilità, non possono altrimenti spiegarsi che coll’intervento d’una causa accidentale. Luglio 3. ..... 12. — Durante questo intervallo di tempo i sismo- 200 LUIGI VOLTA grammi sono ancora lungamente e frequentemente ondulati, nella stessa guisa di quelli testè descritti:11 periodo 9...12 Luglio. corrisponde alla maggior intensità del fenomeno. Luglio 21. — Durante tutto il giorno, per un lieve guasto, che non si potè prontamente riparare, il movimento d’ orolo- geria non funzionò. Luglio 31. — Perturbazione strumentale assai lieve, distinta specialmente sulla traccia NS tra le 11° 32” e le 11% 44, con un massimo spiccato alle 11° 38": i sismogrammi sono piuttosto irregolari: presentano l'aspetto di due affusature seghettate: quella della traccia NS è la più lunga. Le escur- sioni non hanno un crescendo ed uno smorzamento graduale, ma sono press'a poco in misura eguale distribuite da ambo le bande di ciascuna traccia. La perturbazione può aver relazione colla forte scossa avvertitasi ad Avezzano e re- gistrata a Rocca di Papa, Roma, Padova, Firenze, Casamic- ciola, ed il cui epicentro sarebbe stato tra Sora ed Isernia. Agosto 1, 2, 3. — Le ondulazioni registrate con esili affusature sì sono ripresentate in questi giorni, intensificandosi il secondo e decrescendo notevolmente il terzo: al solito la traccia EW si mantenne ferma o quasi. Si ebbe una nuova interruzione del servizio tra il 4 e il 15 Agosto per un piccolo guasto del congegno d’orologeria, indi un periodo di quiete sismica: il 10 Settembre si smontò nuo- vamente l’istrumento per riparare in modo definitivo il locale, ed impedire che l’umidità man mano condensandosi avesse in avvenire ad interrompere più, ad intervalli, la continuità del servizio geodinamico, che fu ripreso l°8 Ottobre. Ottobre 15 ..... 259. — Nuovo periodo di frequenti perturbazioni del carattere solito, già più volte descritte: le quali, pre- sentatesi prima debolissime, si andarono accentuando tra il 20 ed il 22, e smorzando il 23: quasi unicamente proprie alla componente NS, solo il 22 sono appena percettibili sulla EW. In questo lasso di tempo, si noti, si ebbero fre- quenti giorni di pioggia forte e qualcheduno anche di forte vento: furono però anche numerose le registrazioni sismiche delle principali stazioni geodinamiche. Ottobre 30. — Tra le 15° 51” e le 15° 59" 305 una. sensibile REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, Ecc. 201 scossa tellurica (IV° grado della scala Mercalli), avvertita anche dalle persone ed accompagnata da tremito d’infissi, perturbò notevolmente le tracce sismografiche. Le escursioni delle penne dalla direzione rettilinea del riposo incomin- ciano brevissime, di guisa che sarebbe arrischiato assegnare una provenienza all’onda sismica, ma rapidamente si fanno più ampie, e dopo circa 305, cioè alle 15° 51" 305, raggiungono l'ampiezza massima di circa 6,8 mm. su ambo le tracce. Decrescono esse poi in modo abbastanza regolare, non senza qualche lieve ripresa, annullandosi all'ora segnata. Le oscil- lazioni hanno circa eguale ampiezza sulle due tracce, e, per ciascuna traccia, lo scostamento dalla posizione normale di quiete e prossimamente eguale d’ambo. le bande di essa: sono pendolari ed hanno un periodo di 108 circa. Nelle vici- nanze del sismogramma descritto le tracce sono assoluta- mente ferme. Essendo edotto il personale dell’Osservatorio che in questo giorno sarebbe stata accesa una grossissima mina nelle cave di Baveno, tra le 14% e le 16% il Sismo- grafo ed il Barometro normale furono oggetto di sorve- glianza continua: quest’ultimo diede segno di vivissima com- mozione nell’ora sopracitata. La scossa avvertita, per quanto sembrasse troppo forte per esser dovuta ad una causa arti- ficiale così lontana, fece a tutta prima pensare allo scoppio avvenuto: la partecipazione tosto sopravvenuta dell’ora di esso però tolse ogni dubbio in proposito. La scossa, rovinosa (VIII° grado della scala Mercalli) nei pressi di Salò, fu avvertita in quasi tutta la valle del Po e nella Liguria, e registrata anche dalle stazioni geodinamiche dell’Italia Centrale. Novembre 21. — Tra le 19% 2” e le 19° 15" circa le due tracce sono lievissimamente mosse: su di esse sono manifesti in- grossamenti quasi insignificanti, di apparenza diversa nelle due linee: nella EW l’ingrossamento è un’affusatura esile, della lunghezza sopradetta, lievemente più larga in prin- cipio: nella NS si distinguono una gobba piccolissima e tre ingrossamenti fusiformi, ed il segno torna rettolineare alle 19° 9": si tratta di una scossa istrumentale, avvertita anche nei principali Osservatorî dagli strumenti geodinamici, ed a Trapani anche dalle persone. 202 LUIGI VOLTA Novembre 25. — Perturbazione istrumentale percettibile solo sulla traccia NS, che si presenta mossa tra le 17% 42” e le 17° 51": il debolissimo sismogramma è costituito da due affusature regolari ed assai esili, l’una in principio, l’altra in fine, e dà rigonfiamenti di segno appena visibili nel tratto intermedio. Novembre 26..... Dicembre 4. — Durante questo periodo le tracce, con qualche frequenza, si presentano perturbate in misura assai tenue; gli ingrossamenti di segno sono sempre più evidenti sulla traccia NS; non raggiungono però mai l’in- tensità e la frequenza altre volte registrate. Dicembre 5. — Perturbazione istrumentale d’origine dubbia, se- gnalata dalla traccia NS tra le 15° 46” 155 e le 16% 50m a mezzo d’un rigonfiamento di poca entità, piuttosto irrego- lare, in cui si distinguono due ventri. Dicembre 6. — Perturbazione analoga alla precedente, di minor durata e più regolare tra le 21% 18" e le 21% 21" circa. Dicembre 7 ed 8. — Si ha ancora qualche lieve perturbazione di natura dubbia: di qualche conto sono quelle dell’8, visi- bili sulla traccia NS, una alle 6° 30", tre fra le 13° e le 13° 45", un’altra verso le 21" 29”, Dicembre 9. — Altre scosse, sempre da assegnarsi alla cate- goria delle istrumentali, ma un po’ più intense delle prece- denti, che potrebbero anche esser dovute al forte vento che, nella notte tra il 9 ed il 10, raggiunse a Torino la velocità di circa 60 km. all’ora. Notevoli tra esse una fra le 12° 32" e le 13% 42", con qualche intervallo di quiete e numerosi ventri: il massimo di emergenza cade alle 13* 38": il tratto più intenso della perturbazione è tra le 13° 30” e le 13° 42”: l’altra fra le 21%" 13" e le 21° 18", costituente una sola affusatura. Gli istrumenti geodinamici di Roma, Rocca di Papa, Firenze e Pavia ebbero registrazioni verso le 5°. Dicembre 10. — Come sopra: le emergenze, percettibili solo sulla componente NS, sono però meno intense: le pertur- bazioni più distinte sono: tra le 21" 0” e le 21% 9", e le 21% 20% e le 21" 84. Fra il 12 ed il 13 si ebbe qualche interruzione nello svolgi- mento della carta registrante pel difetto del rotolo male avvolto. REGISTRAZIONI GEODINAMICHE DEL SISMOMETROGRAFO, Ecc. 203 Dicembre 16. — Lievissima perturbazione del diagramma NS verso le 23° 52", forse in relazione colla leggera scossa, avvertita pressa poco all’istessa ora ad Aquila. Dicembre 17. — Tre deboli emergenze della durata di qualche minuto, più notevoli della precedente, sulla traccia NS alle: 12% 47”, alle 13% 37”, alle 24% 10. | Dicembre 21. — Lo stesso, verso le 24° 13”, Dicembre 22. — Varie leggerissime scosse istrumentali, pale- sate dalla traccia NS, verso sera: non si può quindi asse- gnare a qualcheduna di esse una relazione colla leggera scossa avvertita a Bergamo verso le 11 1/,. Dicembre 23. — Lo stesso: notiamo, come più evidenti, una. prima avutasi tra le 6° 5” e le 6° 10", una seconda tra le 6" 21” e le 6° 25”, una terza, più lunga, tra le 21° 105 e le 22% 405, una quarta fra le 23° 29 e le 23% 37m, Dicembre 24. — Zona analoga alle precedenti, anche per la parziale corrispondenza delle ore: le più notevoli emer- genze cadono infatti verso le 6% 13" e le 6° 25. Le frequenti perturbazioni di questi giorni, potrebbero, con qualche lontana probabilità, aver relazione colle abbondanti piogge contemporanee. Dicembre 25. — I sismogrammi registrano due lievissime scosse alle 1" 8" ed alle 6° 238", di cui la prima, a differenza di quelle rilevate di questi giorni, è percettibile su ambe le componenti ed ha un riscontro in quelle segnalate a Pavia, Roma, Messina, Reggio, Catania, Mineo, nella quale ultima città la scossa fu avvertita da qualche persona. Altre per- turbazioni di natura incerta si hanno tra le 22° e le 22° 30”, Dicembre 28 e 29. — Si notano ancora sulla traccia NS alcune lievissime perturbazioni di natura incerta: bisogna avvertire però che presso Foggia il 28 si ebbe una sensibile scossa. Riassumendo le perturbazioni segnalate durante l’anno 1901 sul grande Sismometrografo Agamennone si potrebbero elencare come segue: Sensibili o mediocri — (IV° grado della scala Mercalli): quella del 25 Maggio e quella del 30 Ottobre. 204 LUIGI VOLTA — REGISTRAZIONI GEODINAMICHE, ECC. Molto leggere — (II° grado della stessa): quelle del 3 Maggio e del 24 Giugno. Istrumentali — (I° grado): tutte le altre citate, per le quali la maggior parte delle volte è più difficile assegnare una natura endogena della causa, che supporle provocate da perturbazioni climateriche od accidentalità esterne di varie specie. Sono notevoli poi i periodi di continue ondulazioni regi- strate nei sismogrammi di fin di Gennaio, principio di Febbraio, fin di Giugno, prima decade di Luglio, primi giorni d’Agosto, principio della seconda metà d’Ottobre, fine di Novembre, fine di Dicembre, ai quali raramente si può contrapporre con qualche verisimiglianza uno spiccato fenomeno atmosferico. Scosse che varcassero il 4° grado della Scala Mercalli, appartenenti cioè alla categoria delle scosse forti, fortissime, ecc., non si sentirono a Torino, nemmeno nei periodi di inattività del Sismografo, al quale le principali perturbazioni dell’annata, casualmente, non isfuggirono. Gli altri strumenti sismoscopici, custoditi nel locale stesso del grande Sismometrografo Agamen- none, la cui funzione è semplicemente quella di avvisatori di forti scosse, a cagione appunto della mancanza di queste, non sì posero mai in movimento. — —_ VITTORIO BALBI — EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA, ECC. 205 EFFEMERIDI del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1903 calcolate dal Dottore VITTORIO BALBI Astronomo aggiunto all'Osservatorio della R. ‘Università di Torino. AVVERTENZA Queste effemeridi furono calcolate valendosi dei dati della Connaissance des Temps di Parigi, del Nautical Almanac di Green- wich e del Berliner Astronomisches Jahrbuch: delle norme con- tenute nelle Istruzioni e tavole numeriche per la compilazione del calendario del Dott. Michele Rajna (Milano, Hoepli, 1887): e finalmente delle tavole ausiliarie contenute nelle Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1889 del Prof. Francesco Porro (Torino, Loescher, 1888). Le ore, i minuti ed i secondi sono espressi in tempo medio civile del meridiano di 15° all’Est di quello passante per Green- wich, cioè in tempo medio civile dell'Europa centrale. Posizione Geografica del R. Osservatorio Astronomico di Torino. Latitudine bbpreale. ic... a. 45° 4.779 Longitudine da Greenwich . . . . 7°41'48”2 Est =Q0b 30®47521 E ‘ da Berlino . .°. . . ‘5°41,54/.9 Ovest =0" 22m 475.66 W È ma Pamgi re 60 ASSISI — e 26,21 È 3 da Roma (Coll. Romano) 4°47 578 Ovest=0h 19" 85.35 W È da Milano . ... ... 1°2941"”1 Ovest= 0h. 5" 585.74 W A dal meridiano dell’ Eu- ropa centrale. . . 7°18’ 117.8 Ovest=0h 29% 12579 W Altitudine sul livello del mare (al pozzetto del barometro) 276,4. PRINCIPALI ARTICOLI DEL CALENDARIO PER L'ANNO coMmunE 1903 Relazioni cronologiche. L’anno 1903, del calendario Gregoriano, stabilito nell’Ottobre 1582, incomincia Giovedì 1° Gennaio e corrisponde all'anno: 6616, del periodo Giuliano; 2679, delle olimpiadi (od al III anno della 670% olimpiade) comincia in Luglio 1903, essendo assunta l’ èra delle olimpiadi verso il 1° Luglio dell’anno 3938 del periodo Giuliano; ossia 775,5 anni a. G. C.; 206 VITTORIO BALBI 2656, della fondazione di Roma secondo Varrone; 2650, dopo l’éra di Nabonassar, fissata il mercoledì 26 Feb- braio dell’anno 3967, del periodo Giuliano, o 747 anni avanti G. C. secondo i cronologisti, e 746, secondo gli astronomi; 1903, del calendario Giuliano o russo, il quale comincia 13 giorni più tardi, il 14 Gennaio, del calendario Gregoriano; 111, del calendario Repubblicano francese, il quale in- comincia il 24 Settembre 1902, e l’anno 112, comincia il 24 Settembre 1903; 5663, dell’ éra Israelitica, il quale incomincia il 2 Ot- tobre 1902, e l’anno 5664 comincia il 22 Set- tembre 1903; 1320, dell'era Maomettana (Egira), il quale comincia. il 10 Aprile 1902, e l’anno 1321 comincia il 30 Marzo 1903, seguendo l’uso di Costantinopoli. 39, del 76° ciclo del calendario Chinese, il quale co- mincia all’8 Febbraio 1902, e l’anno 40 comincia il 29 Gennaio 1903. Computo Ecclesiastico. Numero d’Oro 4 Epatta . 2 Ciclo Solare 8 Indizione Romana . 1 Lettera Domenicale D Quattro Tempora. Di primavera. . . . 4,6e 7 Marzo Weskate. <.<... x 9,960 Giusno D'auvunno —.. ., -.-.. (10, L5 e 19 Settembre D'inverno . . . . 16, 18 e 19 Dicembre Feste Mobili. Settuagesima . . . . . 8 Febbraio Le Ceneri . . . 25 Febbraio Pasqua di Risurrezione. . 12 Aprile Rogazioni . . . . . . 18,19 e 20 Maggio Ascensione mor ti Abevonei SuoMagpio Pentecoste... .. ..° .... :. ‘31:Mabpo SS. Trinità . . . _FOSSENro 70 8nO Corpus Domini. . 11 Giugno 12 Domenica dell’ AR aio: 29 Novembre Lie ae) EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 207 ECLISSI Nell’ anno 1903 avranno luogo due Eclissi di Sole e due di Luna. I. Eclisse annulare di SoLe: 29 Marzo 1903 invisibile a Torino. II. Eclisse parziale di Luna: 11-12 Aprile 1903 visibile a Torino. Grandezza dell’eclisse: 0,973, assumendo come uno il dia- metro lunare. Primo contatto con la penombra Aprile 11 22% 28" z coll’ombra (prince. dell’ecl.) , 11 23 34 nia medio 300,3 2 ian arlo Ultimo contatto coll’ ut bra (fine dell’ ecl.) » LAMPO? N È colla penombra a 1294 (98158 L’11 Aprile la Luna nasce a 18° 47%; passa al meridiano a 0° 29% e tramonta alle 6° 4% del giorno 12. Il primo contatto con l'ombra avviene a 135° dal punto N del lembo verso Est, l’ultimo contatto a 258° verso Est (ima- gine diritta). III. Eclisse totale di SoLe: 21 Settembre 1903 invisibile a Torino. IV. Eclisse parziale di Luna: 6 Ottobre 1903 in parte visibile a Torino. Grandezza dell’eclisse: 0,869, assumendosi eguale ad uno il diametro lunare. Primo contatto colla penombra . 13° 29m y coll’ombra (principio ‘dell eclisse) 14 41 Istante medio . .- 16 18 Ultimo contatto coll’ ombra (fino dell’ eclisse) . ri 4455 È a colla penombra... ... . . Mpeata 1: 19: Il 6 Ottobre a Torino, la Luna nasce alle 18% 5 bm, Nota. — Le particolarità degli eclissi, si trovano in appendice alle “ Effemeridi dei pianeti principali calcolate per l’ orizzonte di Torino, per l'anno 1903 ,. 208 VITTORIO BALBI Gennaio 1903. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È cole. gf ll SOLE La LUNA È SS sa = 8 se E passa 5 passa 3 |a * [nasce al E nasce al tramonta| .8 Ue; e, D meridiano È meridiano A | hm|)hnm s hm h m h nm h m 1] 1| G |8 10|12 32 €30,02 [1656 9 19 | 14 30,8 19 45 3 DI 10 32 58,58 | 57 951 | 15 14,6 | 20 45 i 3 ded 8 10 38 26,82 58|| 10 21 | 15 .59,0 21 44 5 4| 4| D 9 33. 54,69 59|| 10 49 | 16 43,3 | 22 46 6 ll + Rep ia 9 34 22,15 17 O|l 11 17 | 17,288 23 49 DI | 840 GLAM 9 34 49,17 1] 1148 | 18 15,0 dida 8 | #9C0%R M 9 385 15,72 2 12 17. |19, 4,0 0 54 9 8 8 G 9 55 41,78 3 12 52 19 56,1 did 10 cl ee pel se 9 36. 6,32 4| 1333 | 20 52,0 3 10 11 10 | 10 S 8 36 32,31 6| 14 21 21 51,4 4 19 12 1156115) D 8 36 56,73 7| 15 18 | 22 53,4 5 26 13 12.| 12 L 7 37 20,58 8| 16 23. | 23 56,3 6 29 14 13|13| M 7 37 43,82 9| 17 35 — 725 15 14|14|) M 6 38. 6,44 10) 18 49 0 58,0 8 13 16 15|15| G 6 38 28,48 12|1..20 4 157,3 8 56 17 16 | 16.1 +% 5 38 49,76 13° IT 2 53,2 993 18 17 | 17 S 5) 39 10,43 14|| 22 27 3 46,1 10 5 19 18|18| D d 39 30,44 16) 23 34 4 36,4 10 37 20 19"0°19 L 3 39 49,75 17 —— 5 24,7 LOOSE 21 20|20|) M 3 40 8,34 18| 039 6 12,0 11 38 22 21 | 21 M 2 40 26,22 20) 141 6 58,8 12 11 23 22 | 22 G 1 40. 43,36 21 2 41 7 45,5 12 46 24 23|23| V 0 40 59,76 2200 S°BI 8 32,6 13 25 25 24 | 24 Sd DI 41. 15,98 24 4 30 9 19,9 14 8 26 25/25] D 58 41 50.24 25 5 20 to 7,9 14 55 27 26 | 26| L 57 41 44,82 27 6,5 10 54,6 15 46 28 2727 | 57 41 57,60 28 6 45 11 41,4 16 41 29 28128) M 56 42. 10,08 29 722 12 27,6 17 38 30 29 | 29] G 54 42 21,75 31 7 50° .| 49 1390 18 37 1 30 |.30 |. V 53 42. 32,60 32 825 | 13 57,9 19 38 2 81|31]|.S 52 42 42,62 34 8 54 | 14 42,5 20 39 3 Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 0h 56m 6 Primo quarto alle 22h 57m Tpiosm & 18°LEbupiona - 158 17m 13 La Luna è in Perigeo alle + 20 Ultimo quarto , 12% 49m Da ta: Apogeo, = 28 28 Luna nuova —, 172 39m Il Sole entra nel segno Acquario il giorno 21 alle ore 6 min. 14. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Febbraio 1903. 209 27 Luna nuova, 11° 20% Il Sole entra nel segno Pesci il giorno 19 alle ore 20 min. 41. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È n n 9 © i Il SOLE La LUNA EE fs © | ge = - s |A E passa È passa | n = |a ll # [nasce al, È | nasce al tramonta | -£ n = DD meridiano £ | meridiano | K him|] hm h,ml h m \.h m h m 82| 4|\eD |751|12 42 51,81 |17.35 9 22. (015 27,5 21 41 4 33 | 2 |rL 50 43. 0,17 37 9 50. | 16 13,2 22 45 5 | 84| 8| M 49 43-- 7,69 |} 88]|-10. 20, | 17-0,5 23 50 6 35 | 4| M 47 43. 14,48 89,10 53. | 17 50,1 sd 7 86) 5| G 46 43. 20,12 |. 41] (11 80. | 18 42,5 0 54 8 Sf V 45 43 25,24 42) 12 13. | 19 38,0 2 8 9 88| 7) S 44 43 29,42 44 13 4 | 20 36,4 3 8 10 89| 8| D 42 43 32,78 |. 45). 14 3, | 21 86,7 4 11 11 40| 9 L 41 43 35,36 |. 47.15 9, | 22 375 5 9 12 41/10) M 39 43. 37,05 48 ||. 16 21. | 23 37,2 6 0 13 42\|11| M 88 43. 37,99 |. 49 17 834 da 6 45 14 43|12| G 37 43. 38,13 51|| 18 49 0 35,0 725 15 44|13| V 85 43. 37,54 521.20 3 1 30,2 81 16 45|14| S 83 43. 36,19 54|| 21 13 2 22,9 8 34 17 46|15| D 82| 43 34,09 55 || 22 21.| 3.139 9 5 18 47 |16| L 30 43, 31,23 |. 57]. 23 26.| 4,3,2 9 38 19 48|17) M 29 43 27,75 58h | ‘4,51,6 10 11 20 49/18) M 27 43 23,54 59 0 29. | 589,6 10 46 21 50 | 19 |. G 26 43 18,64 (18 1 128 6 27,4 11 24 22 51|20| V 24 43 13,08 2 2 23 7 15,1 12 b 923 | 52 |21| .S 22 43. 6,85 4 8 14 82,7 12 51 24 53 | 22 | D 21) “42. 59,98 5 40 8 50,0 13 40 25 5423 | L 19 42. 52,50 ! pi 4 43 986,9 14 34 26 55 | 24| M 17 42 44,39 8 5 20. | 10.:23,8 15 30 27 56 | 25| M 15 42. 35,68 10||}c 5 55. | 11,:9,2 16 29 28 571 26| G 14 42. 26,39 11 |bi «6 200 11'64,6 17 29 29 58|27|.V 12 49 16,51 |. 12] 6 57. | 12,398 |..18 30 1i| 59 | 28|S 10 42 6,08 14 7 26. | 13 25,8 19 33 2 | | | | Fasi della Luna. | Il giorno nel mese cresce di 1h 22m "j h m Il sano Li spe eil) | 10 La Luna è in Perigeo alle 14% 12 Luna piena = 1h 58m | 99 Id. Apogeo , 14h 19 Ultimo quarto , 7° 23m | — —— VITTORIO BALBI Marzo 1903. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE © È Ss II SOLE La LUNA 5 © a [and | —__’tt———__-_—__ gn _ < |A ri: passa È passa a |a | [nasce al È nasce al tramonta 3 =] D meridiano £ meridiano hm|j hm S hm him h m h m 60 1 D |7 9/12 41 55,10 [1815 7 54 14 11,4 20 37 61 2 L 7 41 43,59 7 8 24 14 58,8 21 42 62 5) M 5) 41 31,56 18 8 57 15 47,9 22 49 63 4 M 1a) 41 19,08 19 9 32 16 39,3 23 54 64 5 G 1 41 6,01 21|--10 13 17 33,0 5 65 | 6 V 0 40. 52,52 22 (PIG 18 29,1 de: 66 7 S 1/6 58 40 38,58 23 ||- 11-58 19 26,7 Pi 67 8 D 56 40 24,21 24| 12 55 20 25,2 2 59 65 9 L d4 40. 9,42 26 | 2 21 23,2 Ss 52 69 | 10 M 52 39 54,25 27 15 12 22 20,0 4 37 70 | 11 M DI 89 38,70 28) 16 25 23 15,0 5 19 71: ||\d2 G 49 89° 22,81 80||- 17 37 _—_ 5 55 98 LS IV: 47 89 ‘6,61 s1| 18 49 0 8,3 6 29 "5 | 14 S 45 88 49,11 82 || 19 59 MIRRZIONE, TRO? 74 | 15 D 43 38 33,24 84| 21 6 1 50,6 734 TERE L 41 08 ‘1093 89 || 0929: 12 2 40,3 SPA7 7.61 017 M 89 87 59,09 86| 23 14 3 29,7 8 42 TERNI S; M 37 97 41,65 38 ol 4 18,6 9 20 78 | 19 G 36 387 24,00 39 (Gama MR BiMAT,S 10 0 79 | 20 V 84 87° 6,28 40 Lo 5 55,6 10 45 80 | 21 S 82 86 48,38 41 1 54 6 43,4 11 33 81 | 22 D 30 86 30,37 43 2 39 7 30,6 12 25 82 | 23 L 29 86 12,26 44 8 18 8 17,2 1320 83 | 24 M 26 85 54,08 45 9 DI FItI 14 18 84 | 25 M 24 95 V35,94 46 4 26 9 48,5 LO9LZ 85 | 26 G 22 85° 17,57 48 4 56 10 33,8 16 18 86 | 27 V 21 984 59,28 49 5 26 11 19,2 17721 87 | 28 S 19 84 40,98 50 5 55 12,9 18 25 88 | 29 D 17 84 23,70 52 6 26 12 53,6 19 81 89 | 30 L 15 84 4,45 58 6057 13 43,0 20 37 90 | 31 M 13 99. 46,25 D4 78938 14 34,7 21 45 Età della Luna Fasi della Luna. 6 Primo quarto alle 20h 14m 13 Luna piena » 138 13m 21 Ultimo quarto , 8% $8m 29 Luna nuova n 22 26m Il giorno nel mese cresce di 1h 37m 10 La Luna è in Perigeo alle 14 22 Id. Apogeo , 10h Il Sole entra nel segno Ariete il giorno 21 alle ore 20 min. 15. =, "——__ mm coito EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Aprile 1908. 211 GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È tei pierre HH 9 la È Il SOLE La LUNA & dA |&O|esl- n © i ae passa É passa ti a |a nasce al È nasce al tramonta| £ [n= = D meridiano F- meridiano A hìmj hm È hm h m h m h m 91 1 M |6 11/1233 28,10 [1855 8 13 15 27,7 22 52 4 92 2 G 9 38 10,08 57 8 58 16 24,7 23 56 b) 93 3 V 7 32 52,00 58 9 50 1'7-224 ca 6 94 4 S 6 82 84,18 59 10 48 18 19,8 0 55 7 95 5 D 4 32 16,44 [19 0] 11 52 19 16,9 148 8 96 6 L 2 81 58,84 Dili 1310 20 12,6 2 35 9 97 7 M 0 81 41,41 S| 14/10 21 6,6 8 16 10 98 8 M |5 58 Sl €23;17 4| 15 20 21 58,9 s 53 11 99 9 G 56 81 ‘7,18 6] 16 30 22 49,8 427 12 100 | 10 V 55 80. 50,82 7 17 40 23 39,9 5 0 13 101 | 11 S 53 30 .33;75 8| 18 47 o 5 81 14 102 | 12 D 51 80 17,46 9 19 54 0 29,4 6 4 15 103 | 13 L 49 80 1,46 11| 20 58 1 183,9 6 38 16 104 | 14 M 47 29 45,76 12) 21 58 2089 14 17 105 | 15 M 46 29 30,40 13] 22:55 2 57,7 7 54 18 106 | 16 G 44 29 è 15,40 14] 23 46 3 46,9 8 37 19 107 | ‘17 V 42 201075 16 a 4 35,5 9 25 20 108 | 18 S 41 28 46,49 17 032 o 23,4 10 15 21 109 | 19 D 39 28 32,63 18 114 6 10,3 11 9 22 110 | 20 L 37 28 19,18 19 152 6 56,2 12 6 23 160 21 M 85 28 6,12 21 225 741,9 13 4 24 112 | 22 M 34 27 53,38 22 2 56 8 26,4 14 3 25 113 | 23 G 32 27 41,46 23 3 26 9 11,4 15 5 26 114 | 24 V 81 27 29,80 24 3 54 9 57,1 16 8 27 115 | 25 S 29 27 13,61 26 4 24 10 44,2 17 14 28 116 | 26 D 27 27 ©8791 20 4 55 11 33,3 18 21 29 117 | 27 L 26 26 57,70 28 5 30 12 24,9 19 30 30 118 | 28 M 24 26 47,98 29 6 8 19192 20 39 1 119 | 29 M 23 26 38,76 30 6 52 14 16,1 21 45 2 120 | 30| G 21 26 30,05 32 743 15 14,7 22 48 3 Fasi della Luna. 5 Primo quarto alle 2h 51® 12 Luna piena so 1° 18m 19 Ultimo quarto , 22% 30m 27 Luna nuova ,, 14 81m Il giorno nel mese cresce di 1° 30m 5 La Luna è in Perigeo alle 20h 19 Id. Apogeo , 6% Il Sole entra nel segno Toro il giorno 21 alle ore 7 min. 59. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 15 212 VITTORIO BALBI Maggio 1908: GIORNO © TEMPO MEDIO! DELL'EUROPA. CENTRALE È ra ai lio | CSI Ml. SOLE La LUNA L= Ri KS a a — e — | OT = = | È passa a passa fio = | gi | [nasce al Ei nasce al. |tramonta| & (=) = D meridiano E meridiano Ri lh ml] hl m s him hi gni h m h m 121 1 V |5 2012/26 21,84 |19.33 8 41 16 13,9 23 45 122 2 S 18 26 14,15 4 9 44 17 1233 Li 123 ||3|-D 17 26 6,98 85 ||| 10.652 (|€18 (8,9 0 34 124 | 4:| L 15 26 0,33 37 ||| 1242 19 3,2 1.17 125 | © M 14 25 54,21 38) 18:11 19 55,3 156 126 | 6 M 12 25 48,61 39| 14 19 20 45,5 2 30 127 7) G 11 25 43,57 40| 15 28 | 21 347 8 2 128 | 8 V 10. 25 39,08 42 || 16‘35 22 23,3 8 32 129 | 9 S 9 25 35,14 43 || 17 41 23 11,8 4 4 130 | 10|| D 7 25 31,77 44] 18 44 i 4 36 131 | 11 L 6 25 29596 45| 19/45 0 0,5 5 11 132 | 12!. M 5 25 26,73 46) 20 44 0 49,5 o 49! | 183 | 13! M 3 25 25,08 48) 21 38 1 38,8 6 31. 134 | 14:|. G 2 25 24,01 49] 22:27 2 27,9 717 185 | 15 V 1 25 23,51 50 || 2311 3 16,4 8 6: 136 | 16 S 0 25 23,61 51 ‘23150 4 3,9 9 0i 137 | 17 D 459 25 24,29 DO eee 4 50,3 9 54 138 | 18 L 58 25 25/50 53 0 25 5 35,6 10 51 139 | 194{ M 57 25 27,88 54 056 6 20,3 11 50! 140 | 20 M 56 25 (29,79 55 126 7 4 12 50! 141 | 21 G 05 25 32/77 56 1.54 7 489 13 52 142 | 22 V 54 25 36,32 58 2/23 8 345 14 55 143 | 23 S 53 25 40,41 59 253 9 219 6a 144 | 24! D 52 25 45,04 |20:0 3 24 10 11,8 uN 8 145 | 25 I || SÌ 25 20,21 1 4 1 11 48 18 18 146 | 261 M| 51 (025 5589] 2 4438 |12 13 | 1927. 147 | 27 M 50 26 2,07 3 d '32 13 0,5 20 33° 148 | 28 G 49 26 8,73 3 6:27 14 14 21 35 149 | 294 V 49 26 15,86 4 7.31 15 2,4 22 29 150 | 30 S 48 26 23,43 6) 8/40 16 1,7 23 16 151 | 31 D 47 26 31,43 6 9 50 16 58,4 23 58 Fas dea Tina: Il giorno nel: mese cresce: di 1h 8m 4 Primo quarto alle’ 8h 926% 1 La Luna è in Perigeo alle 6h 11 Luna piena =, 144 18m 17 Id. Apogeo , 0h 19;Ultimo quarto, 16h 181 28 Id. Perigeo , 22% 26 Luna muova: |, 234/500 Il Sole entra nel segno Gemelli il giorno 22 ad ore 7 min. 4b. nnt EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Giugno 1903. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE © = S II SOLE La LUNA E do | gi e- 3 = FE aSsa È passa dh b S 3) a % |nasce al E nasce al tramonta u=} (=) D meridiano È meridiano h m hm hm h m h m h m 152 1 L |447]|12 26. 39,85 (20 7.11. 2 1,7. 52,9 dei da 153 2 M 46 26. 48,66 Sil all 18 43,5 0 34 154 3 M 46 26. 57,85 9 13 20 19 33,0 J'PX6 155 4 G 45 Dro 4,99 9114 27 20: 21,2 RG 156 5) V 45 27 011,29 10] -.15..32 219,0 Pi Aa 157 6 S 44 27-.27,52 1l 16 35 21 56,8 2 39 158 7 D 44 27. 38,06 11 IARSiz 22 45,0 3 12 159 8 L 44 27. 4891 12||. 18 36 29) 99,0 3 48 160 9 M 43 28... 0,04 19 ad9 cont 4 28 161 | 10 M 48 28. 11,44 192022 0 22,5 5.112 162 | 11 G 43 28. 23,09 14 nela 8 TSO 60 163 | 12 Ve 43 28... 35,97 14||, 21 49 1 59,0 6 51 164 | 13 S 45 28. 47,07 15. a:22006 2 45,9 7 46 165 | 14 D 43 28. 59,37 15] 22.59 8 81,6 8 42 166 | 15 L 43 29. 11,83 16). 23 29 4 16,4 9 40 167 | 16 M 43 29. 24,46 16 ||. 23.57 5 0,8 10 39 168 | 17 M 43 29. - 317,22 17 —— 5 43,9 11 189 169 | 18 G 43 29 50,00 17 0 24 6 28,0 12 39 170 | 19 V 43 30». 3,05 17 0 53 7 139 13 48 171 | 20 S 43 80. 16,08 18 1.23 80,7 14 47 ba | 21 D 483 30. 29,16 18 1.56 ‘8 51,0 15 55 ds | 22 L 44 30, 42,25 18 234 9 44,7 7a 174 | 23 M 44 80. 55,83 18 8 18 10 42,1 18 12 175 | 24 M 44 81. 8,37 18 4 10 11 42,6 19:17 176 | 25 G 44 ln 21,94 18 bell 12 44,8 20 17 d77 | 26 V 45 81. 34,22 18 6 19 13 46,7 2118 178 | 27 S 45 81. 46,97 18 Yao 14 46,7 21 54 179 | 28 D 46 81. 58,56 18 8 44 15 43,9 2239 180 | 29 L 46 32, ; 11;98 18 9 57 16 38,0 991*8 181 | 30 M 47 32, 24,19 18|| 11 9 17 29,2 23 40 2153 Età della Luna Fasi della Luna. i ? 2 Primo quarto alle 14h 24m 10 Luna piena n 4h 8m 18 Ultimo quarto , 72 44m 25 Luna nuova sg 71» Il giorno nel mese cresce di 0% 12m 13 La Luna è in Apogeo alle 14h 26 Id. Perigeo, 4h Il Sole entra nel segno Cancro il giorno 22 ad ore 16 min. 5. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 15° 214 VITTORIO BALBI Luglio 1903. Età della Luna GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE ° = i I SOLE La LUNA s n 2 = ® | s È i, sla passa È assa u=ie=) S b a "a 4 |nasce al = nasce al tramonta =) =] DN meridiano È meridiano hm hm Ss hm h m h m ho 182 | 1| M |447|12 32_ 86,17 |2018| 12 18 | 18 19,0 = 183 | 2|.G 48 32 47,88 18| 13 24 | 19 7,4 0 ll 184 | 38|.V 48 32 59,34 17] 14 29 | 19 559,2 0 43 185 | 4|.S 49 33 10,49 17) 1581 | 20 43,0 115 186 | 5| D 50 88 21,33 17] "203901-)] 21.981 150 bi - <( OI PI 50 38. 31,84 16|| ‘17-27. | 22 19,4 2 29 188 | 7| M 51 33. 42,01 |1: 16]| 18-19. | 23 7,7 3 10 189 | Gol. M 52 33. 51,80 16| 19 6 | 23 59,7 3 56 590 | 8.|,G 52 34 1,23 15) 19 49 x 5È. 4 46 I9L-| 19°)..V 53 84-*10;26 |* 1 20 27 0 42,9 5 39 98 | IP:1.5 54 34 18,89 14|_21 1 1 29,1 6 35 193 | 12|.D 55 84. 27,09 | 13] 21 32 2 14,2 7 32 194 | 133 | L 56 34 34,86 13) 22 1 |. 258,4 8 31 195 | 14| M 57 34 42,18 | 12) 22 28 3 41,9 9 30 196 | 15) M 58 34 48,94 11] 22 57 4 25,4 10 29 197 | 16.) G 59 84 55,43 | 11) 23 25 5 9,8 11 31 198 | 10 .V 59 85 1,94 10) 23 55 5 54,6 12 34 199 | 13./0S (|8,0 35. 6,76 LT PS 6 42,3 13 38 200 | 19 | D 1 85 11,68 8 0 30 7 32,7 14 44 201 | 20.| L 2|-. 185. 16,08 7 110 8 26,6 15 51 202 | 21| M 3 35. 19,95 | 6 156 9 24,1 16 57 203 | 22| M 4 35. 23,28 | 5 2 51 10 24,5 17 58 204 | 23.| G 5 35 26,07 | 4 3 54 | 11 26,5 18 54 205 | 24| V 6 85 28,28 3 5. 5i0| 121 28,8 19 44 206 | 25 | S 8 35. 29,92 |} 26-20: | 13 28,0 20 28 207 | 26.| D 9 35 30,96 | 1 735 | 14 24,3 21.08 208 | 27| L 10 35. 31,42 0 8 49 | 15 19,9 21 40 209 | 28| M 11 35. 31,26 (1959 10 1 16 11,9 22 13 210 | 29| M 12 35. 30,48 58 SI 17 02,3 22 42 211 |30| G 13 35 29,09 57||°'12 18*<| 17 51,5 23 18 212|8381| V 14 85 27,06 55 13 23 | 18 40,1 23 52 Fasi della Luna. Il pino nel mese diminuisce di oh 50m, 1 Primo quarto alle 22h 2m LE 9tuna piena;*, 18h/4gm 10 La Luna è in Apogeo alle 22h 17 Ultimo quarto , 20% 24m PL del PE e ia i A” ps “ Il Sole entra nel segno Leone il 81 Primo quarto , 8h 15m giorno 23 alle ore 2 min. 59. - tas PPT critica EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 215 Agosto 1903. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È © HH © ni a II SOLE La LUNA a di n s P —_ GI ci Kc; È | i " __———___sswr — __ | < |a ds passa È passa E Fi |g| PE nasce al E nasce al tramonta| £ di Lo] DN meridiano £ meridiano [ca] hm] hm S h m h m h m h m 213 | 1 S_|515]|12 35 24,41 [1954] 14 24 | 19 285 a 8 | 214 | 2| D 16 35 21,15 53 || 15 21 20 16,8 0 30 9 #5 | S| L 17 35 17,26 52 || 1614 | 21 5,0 110 10 216 | 4| M 18 35. 12.75 50| 17 8 | 21 529 155 tl 817 | 5. M 20 35 7,63 49] 17 48 | 22403 | 2 48 12 #18 | 6, G | 221 35 1,90 48] 18 28 | 23 26,8 3 35 13 SIN) VV 22 84 55,56 46| 19 83 Ro 4 29 14 A80 1 SUS 23 34 47,63 45 || 19 35 0 12,3 5 27 15 | ali SD 25 34 41,12 43) 20 5 0 57,0 6 25 16 222 | 10) ‘L 26 34 33,02 42) 20 534 1 40,9 7 23 17 223 | 1) M| 27 34 24,85 40] 21 1 2 24,5 8 23 18 224 | 12) M 28 34 15,11 39| 21 29 3 8,9 9 24 19 | 225 |13| G 29 34 5,94 37| 21 58 3 42,8 10 25 20! | 226 | 14, V 31 33 55,02 86|| 22 81 4 38,9 11 28 21 227 | 19, S 32 59 44,17 34] 23 8 5 27,1 12 32 22 | 328 | 16 D 33 33 32,79 32|| 23 50 6 18,2 13 37 23 229 | 17: L 34 88 20,91 81 du 7 12,2 14 40 24 230 | 18) M 35 33 8,53 29 GIZ9YC4) 18) 493 15 42 25 | 21 |19| M| 37 32 55,65 28 1 36 9 8,6 16 39 26 | 232 | 209| G 38 32 42,30 26 242 | 10 8,9 17 31 M' | 233 | 21 V 39 32 28,47 24] ‘(353 tl 90 18 17 28 234 | 22 S 40 32 14,17 22 ri «Ti 12 7,6 18 58 29 235 | 23| D 41 81 59,42 21 6 23 13 41 | 19 35 L| 236 | 24| L 43 31 44,21 19] 738 13 58,6 | 20 9 2 237 | 25) M dl 31 28,57 17 8 51 14 51,2 | 209 43 3 238 | 26| M 45 31 12,49 16| 10 1 15 42,5 | 21 17 4 239 | 27) G 46 30 55,99 14| 11 8 16 32,8 | 21 51 5 240 | 28) V 47 30 39.08 12|| 12.12 17 22,6 22 28 6 MET 9 149 30. 21,76 10| 13 12 18 11,8 23 8 LS 242 | 30| D 50 30 4,08 8| l4 8 19 0,8 23 52 8 243 | 31 L 51 29 46,03 Gil 1459 | 19/491. —=— 9 - I là Fasì della Luna. i Il giorno nel mese diminuisce di I | 1h 26m, : h 54m | * ki PRIA INIAdA a Pla 90 | 7 La Luna è in Apogeo alle 0 16 Ultimo quarto 5 6h 29m | 21 TA, Perigeo o 99h 22 Luna nuova » 20% 51m 29 Primo quart gi 94m | Il Sole entra nel segno Vergine il rimo quarto , || giorno 24 alle ore 0 min. 42. 216 VITTORIO BALBI Settembre 1903. Fasi della Luna. 7 Luna piena alle 1. 20m 14 Ultimo quarto , 14° 14m 21 Luna nuova a, dì 31m 28 Primo quarto , i4h gm Id. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE ai PE 2 Il SOLE La LUNA [i (a) Ss gd ® |a E = Si Pi DES) PU È passa = Tu D poni RR E Fav ME hm hm Ss hi im h m 244 1 M |5 52|12 29. 27,64 15 45 20 36,7 245 2 M 59 29 8,91 16 26 21 23,4 246 3 G 55 28. 49,88 du:P4 22.179,38 247 4 V 56 28. 30,56 17 37 22 54,3 248 bj S* Rod 28 10,96 18 8 23 38,7 1249] 6| D | -58| © 27 51,13 189740 Le 250 Mm L 59 27. 31,06 19 5 0 22,8 251 8 M 1654 27 ;110;79 19 33 1 6,8 252 9 M 2 26. 50,33 20:83 1 51,5 258 | 10 G Bb) 26. 29,70 20 84 2 37,4 254 | 11 V 4 26. 8,95 21.9 3261 255 | 12 S D 25. 48,06 21 49 4 14,8 256 | 13 D 6 25. 27,08 22 34 5 (931 257 | 14 L 8 25. 6,08 23 27 6 MST 258 | 15 M 9 24 45,32 Sua 6 58,4 259 | 16 M 10 24. 23,77 0:27 7 56,8 260 | 17 G 11 24 __ 2,61 1.33 8 54,4 261 | 18 V 12 23. 41,45 2 44 9 51,9 262 | 19 S 14 23 20,30 3 58 10 48,1 263 | 20 D 15 22 59,19 5.12 11 42,9 264 | 21 L 16 22 1.898,13 6 25 12 36,5 265 | 22 M 17 PI gi 7 38 13 29,0 266 | 23 M 19 21. 57,22 8 47 14 20,7 267 | 24 G 20 21 135,39 9 50 15 12,0 268 | 25 V 21 21 14,68 10 58 16 (2,7 269 | 26 S 22 20. 54,10 LL 57 16 52,9 270 | 24 D 28 20% 42,67 12.51 17 42,4 271 | 28 L 25 20. 18,41 13 39 18 30,9 272 | 29 M 26 19. 53,35 14 23 19 18,2 73 | 380 M 27 19: 33,49 là 2 20 4,5 Il giorno nel mese diminuisce di 1h 32m. 8 La Luna è in Apogeo alle 8h Perigeo Il Sole entra nel segno Libra il giorno 24 alle ore 6 min. 44. Età della Luna O 0-1 LL _ EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 217 Ottobre 1903. I GIORNO | TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È | eun ei 9 ® S Il SOLE La LUNA e CRESEE ella -| E SARE passa È passa 4 “fd |a | [nasce al È nasce al tramonta| £ i) Tu DN meridiano a meridiano R hm] hm S hm im h m h m 274 | 1) G |6 28|12 19 13,87 |[18:8|| 15 37 | 20 49,7 111 11 ,|275| 2) V 30 18. 54,50 6| 16 9 |21 34,3 2 8 12 276 8| S 81 18 35,41 4|| ‘16 38 | 22 18,5 8 6 13 | Meli 20 Dl -gal (18° 166691! cgil #:| 23.02,7 | 4 6 | "14 278 | 5| L 33 17 58,16 1| 1736 | 23 47,6 5 6 15 279 | 6| M 35 17 40,03 [1759] 18 5 —— 6 8 16 | 280 | 7) M 36 17! 22/29 57| 18 36 0 33,7 7:12 17 281 8 G 37 17. 4,93 55 19 10 1 21,6 8 16 18 | 282| 9| V 38 16 47,99 53|| 19 48 2 11,3 9 21 19 I 283 | 10) S 40 16 31,49 52|| 20 832 3 9,5 10 25 20 | 284 | 11| D 41 16 15,46 50|| 21 28 3 57,8 11 27 21 | 285 | 12| L 42 15 59,91 48| 22 20 4 53,7 12 25 22 286 | 13] M 44 15 44,87 46) 23 23 5 50,7 13 18 2 I 287 | 14) M 45 15 30,44 da lade 6 47,3 14 6 24 288 | 15) G 46 15 16,36 43 0 30 7 43,2 14 48 25 289 | 16). V 47 15 2,95 41 141 8 38,0 15 26 26 290 | 17) S 49 14 50,12 39942) 52 9 31,7 16 51 27 291 | 18| D 50 14 37,88 38 4 5 | 10 24,2 16 35 28 {292 | 19) L 52 14 26,23 36 5» 167:| Il to,l 171 -S 29 | 293 | 20) M 53 14 15,21 34 6*264* 19 7 17 42 30 294 | 21| M 54 14 4,82 32 735° | 12 59,2 18 17 1 | 295 | 22| G 56 13 55,07 31 840 | 13 50,7 18 56 2 296 | 23| V 57 13 45,98 29 943 | 14 42,0 19 38 3 297 | 24| S 58 13 37,54 27 1041 | 15 832,7 20 23 4 298 | 25 D[7S0 13% 29,79 26 11 32 16 22,5 21 13 5 299 | 26 L 1 13° 22,72 24. || 12° 19 DA PIO 22 6 6 300 | 27| M 2 13 16,36 23|| 12 58 | 17 58,0 23 0 Ò 301 | 28| M 4 13 10,71 21) 13 35 | 18 43,7 23 56 8 302 | 29) G 5 135,80 20|| 14 8 | 19 28,4 — 9 303 | 30| Vv 7 18% 1,61 18|| 1438 | 20 12,4 0 54 10 | 304 | 31 | S 8 12 58,18 17] 15 7 | 20 56,3 1 58 11 | Fasi della Luna. i Il giorno nel mese diminuisce di 1h 34m, 6 Luna piena alle 16% 24m | asa © | (| 18 Ultimo quarto , 20% 56m API 20 Luna nuova —, 16% 30m | 28 Id. Apogeo , 19h i h m pranzo lan 088 Il Sole entra nel segno Scorpione il giorno 24 alle ore 5 min. 23. Re n 218 VITTORIO BALBI Novembre 1903. —_—_n1n1nR——_———_——-—-r——F #———— È E Eez ani e Ss |a DR passa = passa ic a l'al [nasce al È nasce al tramonta | =] =] D meridiano sE meridiano [ca hmj hm 8 h m h m hace h m 385 | 1| M |7 49/12 18. 0,01 [1647] 15 4 | 21 514 3 43 13 336 | 2| M 50 18 22,17 47 15 40 | 22 42,7 4 48 14 337 | 8| G 51 18 44,97 47] 16 20 | 23 37,0 5 55 15 338.| 4] V 52 19 7,98 46| 17.7 = CSR 16 USS O | 53 19 32,33 46) 18 1 0 34,4 wr 17 340 | 6) D 55 19 56,96 46| 19 8 1 33,8 907 18 SALUZZO L 56 20 22,10 46] 20 10 2 33,6 10 0 19 342 | 8| M 57 20 47,77 46) 21 21 8 32,7 10 48 20 343 | 9| M 58 21 13,95 46) 22 32 4 29,6 11 30 21 344 | 10| G 59 21 40,63 46) 23 42 5 24,1 12 6 22 345 | 11| V 59 227,76 AD, 6 16,3 12 40 23 346 | 12| S /8 0 22 35,94 46 0 53 7 6,9 13 11 24 347 |13| D 1 23 9,91 46 il 7 56,4 13 43 25 848 | 14| L 2 23 31,65 46 8 8 8 45,7 14 15 26 3849 | 15| M 3 23 59,32 46 4 14 9 35,1 14 51 27 350 | 16| M 3 24 29,30 46 5 17 | 10 24,9 15 28 28 351 | 17] G 4 24 58,56 47 DIO LI 10;8 16 10 29 352 | 18| V 5 25 27,99 47 714 | 12 5,4 16 55 30 353 | 19) S 5 25. 57,69 47 8 6.| 12 55,3 17 45 1 354 | 20) D 6 26 27,43 48 852 | 13 44,2 18 38 2 355 | 21| L 6 26 57,394 48 933 | 14 31,6 19 34 3 356 | 22) M 7 27, 27,32 49 10 9 | 15 17,4 20 31 4 357 | 23| M i 27 57,34 490 10 4° 16 1,9 21 28 6) 358 | 24| G 8 28 27,36 50] 11 10 | 16 45,2 22 26 6 359 {25| V 8 28 57,34 50. 11.38. | 17 28,1 23 25 7 360 | 26 | S 9 29 27,25 Si Is 6 ds di, —: 8 361|27) D 9 29. 57,05 51) 1233 | 18 54,9 0 24 9 362 | 28 | L 9 80. 26,72 52 || 13. 2 | 19 40,7 125 10 363 | 29| M 9 80 56,20 58 | 13 34 | 20 28,1 2 28 11 364 | 30| M 9 381 25,51 54] 1411 |21 20,9 8 33 12 365 | 31 | G 9 81 54,52 55| 1454 | 22 16,1 4 39 13 Fasi della Luna. Il giorno nel mese diminuisce di oh 14m, 4 Luna piena alle 19% 13m =; ; 7 La Luna è in Perigeo alle 10h 11 Ultimo quarto , 11° 53m 23 Id. Apogeo , 11h 18 Luna nuova —, 22% 26 Il Sole entra nel segno Capricorno 27 Primo quarto , 8h 28m il giorno 23 alle ore 11 min. 20. 220 Relazione sulla Memoria del Prof. Angelo BamteLLI e Dr. Luigi Maeri, intitolata: Sulle scariche oscillatorie. La memoria del Prof. Angelo BartELLI e del Dr. Luigi Mari, che fummo incaricati di esaminare, tratta delle scariche oscillatorie e contiene uno studio principalmente diretto a veri- ficare con l’esperienza e per oscillazioni elettriche di brevissima durata, la formula teorica del Thomson, che dà il valore del periodo in funzione della resistenza, della capacità e dell’auto- induzione del circuito. La misura del periodo fu fatta col metodo dello specchio girante e della fotografia delle scintille. I periodi delle oscil- lazioni nelle varie esperienze furono compresi tra 5,5 e 1,2 mi- lionesimi di secondo, e per ottenere con tale frequenza di scariche delle fotografie così nitide da trarne delle buone misure del periodo gli AA. dovettero superare grandi difficoltà e far uso di apparecchi speciali costosi e complicati. Le varie grandezze che la formula contiene furono anch'esse studiate con molta cura. Inoltre fu esaminato dagli Autori se l'energia disponibile nel condensatore fosse eguale a quella che si manifestava poi nella scarica e come si distribuisse questa energia nei conduttori metallici e nella scintilla. Tanto per l’importanza dell'argomento quanto per l’abilità e l'accuratezza, con le quali fu condotto il lavoro sperimentale, noi proponiamo alla Classe la lettura della memoria. C. SEGRE, A. NACcARI, relatore. L’ Accademico Segretario Enrico D’OvIpro. 221 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 19 Gennaio 1902 (1). PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: PevrRon, Vice Presidente dell’Acca- demia, Rossi, CARLE, BoseLtI, CipoLLa, Brusa, ALLIEVO e RENIER Segretario. — Il Socio Ferrero, Direttore della Classe, ed il Socio BoLLatI DI SAINT PieRRE scusano l’assenza. È approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 5 gen- naio 1902. Il Socio Brusa desidera di essere scusato per l’assenza nel- l’ultima adunanza, essendo impedito da motivi d’ufficio. Il Presidente legge un telegramma col quale il Prof. LAan- CIANI ringrazia pel conferitogli premio Bressa. Il Socio CrpoLLA espone il contenuto d’una sua Memoria intitolata: Studio toponomastico riguardante le colonie tedesche nel Veronese. Con votazione segreta unanime la Classe la accoglie nelle Memorie accademiche. È inserita negli Atti una Nota del Prof. Luigi VAaLmaGGI, Osservazioni sul Libro X di Quintiliano, presentata dal Segre- tario a nome del Socio FerrEROo, Direttore della Classe. (1) Nel verbale dell'adunanza antecedente si è omesso per isvista nel novero degli intervenuti il nome del Socio Ferrero, Direttore della Classe. rara aaa an en! DPI LUIGI VALMAGGI LETTURE Osservazioni sul libro X di Quintiliano. Nota di LUIGI VALMAGGI. 1, 9. Nam scriptores quidem iamborum veterisque comoediae etiam in illis saepe laudantur, sed nobis nostrum opus intueri sat est. Qui opus s’interpreta generalmente per “ proposito ,, o “ fine , (“ l’éducation de l’orateur ,, Hild). Ma poiché il vocabolo si contrappone ai giambi e alla commedia antica, sarà pit proba- bilmente “ genere ,, come mostra d’intendere anche il Peterson. Appena occorre ricordare che opus “ genere , è d’uso frequen- tissimo in Quintiliano: in questo solo libro X se ne annoverano dodici esempi (agli undici, citati dal Peterson, è da aggiungere 1, 67 Sed longe clarius illustraverunt hoc opus Sophocles atque Euripides). 4 LE 1,91. Quem praesidentes studiis deae propius audirent? La lezione della maggior parte dei codd. è propius: solo qualche manoscritto ha proprius. Halm, Wélfflin e altri proposero emen- damenti, ma senza ragione: propius è “ più benevolmente ,, e oltre e meglio che negli esempi di Virgilio (Aem. I, 526 propius res aspice nostras) e di Ovidio (Trist. I, 2, 7 Oderat Aenean propior Saturnia Turno) citati dal Becher (Philol. XXXIX, 189 sg. e Jahresber. del Bursian LI, 12 e 36), il passo di Quintiliano ha perfetto riscontro nel seguente luogo di Marziale (I, 70, 15): Nec propior quam Phoebus amet doctaeque sorores. * * * 1, 95. Alterum illud etiam prius saturae genus, sed non sola carminum varietate mixtum condidit Terentius Varro, vir Roma- norum eruditissimus. La lezione prius dei codd. è assolutamente OSSERVAZIONI SUL LIBRO X DI QUINTILIANO 223 insostenibile. Tentarono difenderla, anche recentemente, l’ Hild e soprattutto il Peterson col confronto del noto passo di Diomede p. 485 K.: “ Satira dicitur carmen apud Romanos nunc quidem “ maledicum et ad carpenda hominum vitia archaeae comoediae “ charactere compositum, quale scripserunt Lucilius et Horatius :“ et Persius; at olim carmen quod ex variis poematibus con- “ stabat satira vocabatur, quale scripserunt Pacuvius et Ennius ,. Ma questo passo non ha che vedere nella questione. Dio- mede distingue due periodi nella storia del medesimo genere, cioè della satira propriamente detta; Quintiliano invece distingue la satira propriamente detta dal genere affine della satira menippea. Diomede pone tra quei due periodi una differenza essenzialmente di sostanza, poi che alla piti recente satira mo- rale, il cui ufficio e fine principalissimo è colpire il malcostume e i vizì degli uomini, contrappone la satira antica, che non ha per sé quanto a contenenza nessun contrassegno speciale, ma è semplicemente miscellanea di argomenti e metri svariatis- simi; Quintiliano per contro alla satira propriamente detta, non soltanto a un suo periodo 0 a una sua parte, contrappone sotto l’aspetto puramente formale la satira menippea, che a quella si accosta per la varietà delle forme, se non che non è varietà esclusivamente di metri (genus ...non sola carminum varietate mixtum), ma anche mescolanza di versi e di prosa. È chiaro adunque che i due luoghi non hanno fra loro niente di comune, né la testimonianza di Diomede serve punto a togliere di mezzo le due difficoltà gravissime in cui vanno a intoppare le parole di Quintiliano, se si accetta la lezione dei codici. In primo luogo, dacché il preteso prius saturae genus, ossia il genere di satira ante- riore a Lucilio, non può essere che la satira menippea (genus... con- didit Terentius Varro), ne verrebbe per conseguente che Ennio, il quale appunto compose satire prima di Lucilio, sarebbe stato autore di menippee, cioè, che torna ad un medesimo, avrebbe scritto anche in prosa, il che non è affatto dimostrato, anzi pare escluso assolutamente dal luogo sopra citato di Diomede, che parla soltanto di carmen quod ex variis poematibus constabat. Oltre a ciò, ed è difficoltà anche più grave, dalla lezione dei codici sorge una contraddizione palese e stridente con quanto Quintiliano ha poco prima affermato circa l’ originalità della satira latina. La menippea, come ognuno sa, è di origine greca: 224 LUIGI VALMAGGI come adunque Quintiliano avrebbe potuto chiamarla alterum. etiam prius saturae genus, se la satira, secondo dianzi aveva affermato, è cosa tutta ed esclusivamente romana ($ 93: satura quidem tota nostra est)? Non già alterum etiam prius doveva dire, ma piuttosto alterum etiam Graecum saturae genus, dacché, stando al modo di vedere dello scrittore, il genere menippeo si con- trapporrebbe all’altro non punto per essere sorto prima (s’intende, nella letteratura romana), ma bensi per essere derivato dalla Grecia. La quale contraddizione fu tra i vecchi interpreti bene avvertita da Giovanni Mattia Gesner: salvoché il rimedio da lui escogitato è anche peggiore del difetto che si proponeva di sa- nare, giacché non so chi vorrebbe consentirgli che prius sia “quasi dictum pro praestantius ,. Né l'emendamento posterius, che egli suggeriva dubitativamente, parrebbe più accettabile; come non soddisfa pienamente nessuno degli altri, che in buon numero vennero messi innanzi da editori e critici posteriori. Per parte mia, a conchiudere, propongo alterum illud etiam propius saturae genus, facendo saturae dativo e dando a propius il valore di comparativo di discrezione (“ alquanto affine ,). Diplomatica- mente la congettura non ha d’uopo di essere difesa: quanto a genus usato così in assoluto non è niente piu ardito che ad esempio in hoc genere di 7,31, e simili. * ** 1, 99. licet Terentii scripta ad Scipionem Africanum refe- rantur (quae tamen sunt in hoc genere elegantissima et plus adhue habitura gratiae, si intra versus trimetros stetissent). Le parole si intra versus trimetros stetissent hanno dato un po’ da pensare agli interpreti. Lascio stare i commentatori meno recenti, se- condo i quali l'opinione di Quintiliano sarebbe che la commedia non dovesse scriversi che in trimetri giambici, e perciò Terenzio avrebbe fatto male a servirsi anche di altri metri. Ma venne a buon diritto osservato che non può assolutamente ammettersi che al poeta latino Quintiliano abbia voluto negare quella libertà nella scelta delle forme metriche, che fu concessa ai comici greci; onde alquanto confusamente l’ Hild (che tra l’altro erra riferendo il giudizio di Quintiliano anche a Plauto), e pi chia- ramente il Peterson e il Bassi espressero l’avviso che Quinti- d, LTT DIL n nm-—_———_rmr—r—r———_ wu wo ES e IO A e PA OSSERVAZIONI SUL LIBRO X DI QUINTILIANO 225 liano, pure spiegandosi poco felicemente, avesse in animo di pronunziare un giudizio analogo a quello di Cicerone, Or. 184: “ Comicorum senarii propter similitudinem sermonis sic saepe “ sunt abiecti, ut nonnunquam vix in’ eis numerus et versus in- “ tellegi possit ,. Se non che Cicerone dice proprio l'opposto di ciò che si vorrebbe far dire a Quintiliano, e le sue parole suo- nano condanna aperta del trimetro comico, almeno sotto l’aspetto del ritmo e del verso. Per quanto a me pare, con le parole in questione Quinti- liano intende semplicemente affermare che i trimetri giambici sono le parti meglio riuscite delle commedie di Terenzio, e che le commedie stesse godrebbero perciò di maggior favore (plus adhue habitura gratiue), se il poeta si fosse esclusivamente ser- vito di siffatto metro. * ** 2, 13. plerique, cum verba quaedam ex orationibus excer- pserunt aut aliquos composttionis certos pedes, mire a se quae le- gerunt effingi arbitrantur. L'espressione compositionis pedes è stata fraintesa da qualche commentatore, come dal Bassi, che attri- tribuisce a pedes (nella 2* edizione: la nota non si legge nel- l'edizione precedente) il valore di “ modi , o “ forme ,. Meno inesattamente, benché un po’ vagamente, il Rigutini aveva inter- pretato “ le parti del numero, del periodo ,. L’Hild (mi restringo a ricordare qualcuno dei commentatori principali) si contenta di spiegare compositio come “ un agencement de mots harmonieux ,, citando a raffronto 2, 1 componendi ratio. Meglio in ogni caso il Peterson, che traduce “ particular cadences in the arran- gement ,. Qui infatti si tratta veramente di caratteri metrici, e pedes sono i “ piedi , nel senso stretto e usuale del vocabolo, in quanto erano elemento essenziale della compositio: la quale è collocazione metrica delle parole, secondo insegna, non dico la teoria, che non è sua, ma la nomenclatura stessa di Quinti- liano, come può vedersi nella trattazione che ne è fatta di pro- posito nel noto capitolo quarto del libro IX. Ed è del resto accezione comune (1) nel linguaggio retorico, secondo si può (1) Non però costante: altro è ad esempio la compositio per l’autore della Rhet. ad Her. IV, 12, 18. 226 LUIGI VALMAGGI desumere da Cicerone Or. 228: “ Hanc igitur, sive composi- “ tionem sive perfectionem sive numerum vocari placet, adhibere “ necesse est ,, o per citare qualche esempio dello stesso secolo di Quintiliano, da Seneca, Epp. 100, 6: “ de compositione non “ constat: .....quidam usque eo aspera gaudent, ut etiam quae mollius casus explicuit, ex industria dissipent et clausulas abrumpant (1).... Lege Ciceronem: compositio eius una est, pedem servat lenta , etc.; e 114, 15: “ quorundam non est com- positio, modulatio est: adeo blanditur et molliter labitur ,; cfr. anche 114,8; 115, 1. “K “ K “ pics 5, 8. Quid quod auctores maximi sic diligentius cognoscuntur? Non enim scripta lectione secura transcurrimus, sed tractamus sin- gula et necessario introspicimus e. q. s. A secura dai commen- tatori e in genere nei lessici viene solitamente attribuito il significato di “ sbadata ,, “ trascurata ,, o simile; ossia il vo- cabolo è preso come pretto equivalente di neglegens. Se non che securus e neglegens pure nell’uso del tempo non sono precisa- mente la stessa cosa, e la differenza è posta in chiaro. rilievo dal seguente luogo di Seneca il filosofo (Epp. 100, 5): Fabianus non erat neglegens in oratione, sed securus. Securus esprime dunque una sfumatura più blanda di neglegens, che in italiano dovrà rendersi in vario modo secondo il contesto. Propriamente sarà “ senza sufficiente attenzione ,, come in Quintiliano stesso VIII, 3, 51: in quod saepe incidit Cicero, securus tam parvae observa- tionîs; o anche, in senso buono, “ senza sottigliezze ,, come in Tacito Agr. 9: castrensis iurisdictio secura et obtusior ac’ plura manu agens calliditatem fori non erercet (dove secura si oppone appunto a calliditatem: il luogo non è rettamente spiegato nel Lex. Tac. di Gerber e Greef, s. v.). Nel caso nostro il senso si accosta piuttosto al primo esempio, e lectione secura potrà tra- dursi con “ lettura superficiale ,. L'esercizio del parafrasare, di cui Quintiliano discorre in questa parte del libro decimo, obbliga appunto a non leggere superficialmente, ma si a fermarsi su (1) Ha perciò piena ragione il Thomas, Pétrone?, Parigi 1902, p. 189, intendendo qui designata col vocabolo compositio la prosa metrica. OSSERVAZIONI SUL LIBRO X DI QUINTILIANO 227 ogni particolare (tractamus singula), penetrando bene addentro (introspicimus) ad ogni piti recondito senso dello scrittore che si ha fra mano, ed evitando il capire all’ incirca e l’ ammirare e anche imparare a memoria non si sa bene che cosa (1), come spesso accade ai lettori frettolosi. L’avvertenza del resto non vuole riferirsi esclusivamente all’aggettivo securus, poiché il sostantivo corrispondente può parimenti assumere le stesse varietà di significato: cosi, per citare un esempio affine al nostro, anche securitas è molto vero- similmente “ superficialità , in questo passo del dialogo De ora- toribus (35, 9), per lo piti frainteso dai commentatori: în condi- scipulis nihl profectus, cum pueri inter pueros et adulescentuli inter adulescentulos pari securitate et dicant et audiantur. * * * 6, 6. Nam ut primum est domo afferre paratum dicendi copiam et certam, ita refutare temporis munera longe stultissimum est. Gli interpreti non hanno afferrato il senso preciso della frase domo afferre, che nel linguaggio retorico vale propriamente “ prepa- rare ,, in opposizione all’ improvvisare, come appare bene dal passo di Cicerone, Or. 89: Vitabit, parla delle facezie, etiam quaesita nec ex tempore ficta, sed domo adlata, quae plerumque sunt frigida. E Quintiliano stesso, più innanzi (7, 30): Plerumque autem multa agentibus accidit ut maxime necessaria et utique initia scribant, cetera, quae domo afferunt, cogi- tatione complectantur, subitis ex tempore occurrant. La frase era cosî corrente, che si usò elitticamente anche il solo afferre, come in Seneca Controv. III praef. 4: vir ...maioris ingemi quam studiî magis placebat in his, quae inveniebat (improv- ‘visava), quam în his, quae attulerat. (1) Queste parole non sono mie, ma di Domenico Gnoli, il quale a proposito di letture poetiche confessava (Studi letterari, Bologna 1883, p. 180 sg.) cid essere accaduto a lui e a molti altri; e non soltanto per ragion della rima, come egli mostra di credere, ma bensi e pit per difetto di questo esercizio del parafrasare. 228 LUIGI VALMAGGI 7,32. IMlud, quod Laenas praecipit, displicet mihi, in his, quae scripserimus, velut summas în commentarium et capita conferre. Cosi leggono, col Bonnell, parecchi editori moderni. Ma è passo molto controverso. I codd. oscillano tra vel in summas in (0 sine bH o sive Harl. 4995) commentarium (Bn, Bg e altri), o velin summas cet commentarium (N, ma sopra et è aggiunto in), o vel insinuamus sine commentarios (M); l’ Harleiano 4950. ha commentariorum et capita; l’Ambrosiano 3 collazionato dal Bassi vel in summas commentarium, con cui concorda, come spesso, la vecchia volgata, trasportando vel innanzi a in his. Altri emen- damenti, più o meno arbitrari, puoi vederli registrati dal Peterson p. 220 e dal Bassi p. 136°, il quale, pure accettando la lezione del Bonnell, crede, con I Hild, che Quintiliano non si sia espresso chiaramente, e che abbia citato solo in parte o riassunto inesat- tamente il passo di Lenate. Anche a me la lezione del Bonnell pare preferibile; ma non vedo che dia luogo a oscurità o dubbî. Quintiliano parla qui dell’uso di parlare su appunti, e l’ammette quando su tali appunti si improvvisi il discorso continuato ($ 31; ‘in hoc genere, cioè improvvisando, prorsus recipio hane brevem annotationem libellosque, qui vel manu teneantur et ad quos interim respicere fas sit); mas disapprova, ciò che il retore Lenate in- vece consigliava, di scrivere prima il discorso e di ridurlo poi ad appunti da tenere dinanzi. Infatti, soggiunge, ciò facit..... ediscendi neglegentiam ...et lacerat ac deformat orationem: d'altra banda, egli séguita, non si deve scrivere se non quando si è in grado di ricordare a memoria quanto si è scritto (ego autem ne scribendum quidem puto, quod non simus memoria persecuturi), per evitare di uscir fuori dalla falsariga dello scritto senza essere preparati a improvvisare (anceps inter utrumque animus aestuat, cum et scripta perdidit et non quaerit nova). Insomma il precetto di Quintiliano è questo, che occorre o recitare a memoria o im- provvisare sia pure su appunti presi meditando il discorso, ma è d'uopo evitare assolutamente una miscela dei due sistemi. Ciò posto, l’espressione incriminata summas in commentarium et capita conferre viene ad assumere senza sforzo il suo proprio OSSERVAZIONI SUL LIBRO X DI QUINTILIANO 229 significato. Invero summae sono, già nella prosa classica (1), i “ punti principali ,, e commentarium, o commentarius, al singo- lare, una traccia o abbozzo di appunti (2), più o meno estesi secondo i casi, come si desume apertamente da Seneca Controv. III, praef. 6: sine commentario nunquam dixit, nec hoc commentario contentus erat, in quo nùdae res ponuntur, sed ex marima parte perscribebatur actio. Ora si avverta che commentarium e capita formano un’endiadi, e s’ intenderà di leggeri che tutta la frase summas in commentarium et capita conferre (3) è da rendere con “ ridurre i punti principali ad una traccia schematica , 0, se l aggettivo non piace, “ in forma di schema , o “sommario , (capita). Il che dà ragione anche delle seguenti parole lacerat et deformat orationem, che altrimenti riuscirebbero poco chiare. (1) Cfr. Cicerone, Legg. II, 7, 18: leges a me edentur non perfectae, nam esset infinitum, sed ipsae summae rerum atque sententiae. Anche Livio (XL, 29, 11) ha lVectis rerum summis, che suggeri al Jeep l’ emendamento vel in his quae scripsimus rerum summas in commentarios conferre; ma qui il com- plemento non è punto necessario, ricavandosi agevolmente dall'inciso, che precede, in his quae scripsimus. (2) Non abbiamo in italiano un vocabolo che esattamente corrisponda al latino. Vi si accostano ciascuno per una parte “ memoriale , e “ abbozzo ,, ma in sostanza esprimono altro. Forse il men lontano è “ traccia ,, ovvero . ci si potrà contentare del generico “ appunti ,. (3) La quale è da confrontare col noto luogo di Cicerone, Brut. 164: Ipsa illa censoria contra Cn. Domitium collegam non est oratio, sed quasi capita rerum et orationis commentarium paulo plenius. L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. = To_______ a | Torino, Vincenzo Bowa, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. sognia Îa > arumenani0 pia ca all ilegioning i isoeo omom 0 .iiq E) itnnqga ib. ossodda 0 Ri0oatà. (A LUI JI sosti Wado2 ebbtdamatioge ssmgzal is pimoò tend, of ciente isa agendo monasgicni asrrtresanatoi cogiia?: trpct | Patente al Sozgtabinaprs ro% apiosne casco: ‘as! a mm somhtinabitsstunto9: id trabuaria ero Lodi nindadin aaatt Bi atinftoso simogga! ib Srobuetai ae (ibi Doo au 4 | me sb a. » 119 %fsro NE LISISO qa sorurirenzi stico: st & Lasitaoodozssivontranutpa ian iaia coisaasoario «i amorosa ibà wirtoti ni ‘0051 non ‘ovilleg sioni rolorag itreogon olfsb agfone estoigst #b oo IZ moo e3abi i LO, DAY onsddari ante. itaomiti ia arl) FINI {gatost vo! d ) \ È , ot "ad i ent rotaia da daR OD, fsi ralas HDRENZSd TETTO] nol SY dick odrloni, dotinninst depha- avlazat) rapatatiua an? nb ae ovasdi init 3A Y 1 roca D vague deg Ah IRLPTAIT EST radon adi ti i Lon sol rplimmaszon ni RIDANMIVIAT A PGALUSA amirimaginia. rc i , Y lindvpsti fune 9001 otasig 9 è oa vintage a Bai A ha sf fio nibaogaretos strati agio tot 8909 I ‘petsif ladinilotmiidaa ro” » + 'algiromoni * atisrano rg oibsginrone ir09d8 rigxi / È euro . - giova * 4 caataot usar Lago odia, « vorrei 1929 ss1,8Ì808) 3 co FIA 1g ". GOLIASIST ah 161194100. sog ri iù ogogi 0101 nd (ETRE ia00 BD $ olanp “AI si Parcàk CataatTon' srttintd OL A INTENTI dicon 4 i riga Suna meaitpinsanto «morbyro.$ ina "nd 5 M 8 ib oteipogi? amo orxzoniY .onmoT N. Y.ACcadeay Of Sciences CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 26 Gennaio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO: COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NAccarI, Mosso, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, PrANO, JADANZA, Foà, GuaAREscHI, Gurpi, FILETI, PARONA, MartIRoLo e D’Ovipio Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica un telegramma di ringraziamento del Prof. R. LANcIANI, vincitore del XII premio Bressa. Per mezzo del Socio Parona il Prof. Federico Sacco fa omaggio all'Accademia del volume intitolato: La Valle Padana; schema geologico, e di parecchi altri suoi opuscoli di argomento geologico. La Classe ringrazia il Prof. Sacco. Il Socio SEGRE presenta una Memoria del D" Francesco SEVERI intitolata: Sulle intersezioni di varietà algebriche e sopra i loro caratteri e le singolarità protettive. Il Presidente incarica i Soci Sere e D’Ovipro di esaminare questo lavoro, del quale l’autore domanda l’inserzione nei volumi delle Memorie. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 16 232 Il Socio Foà presenta per la pubblicazione nei volumi mede- simi un lavoro del D' Alfonso Bovero: Ricerche morfologiche sul “ musculus cutaneo-mucosus labii ,; ed il Presidente delega i Soci Foà e CameRANO a riferire su di esso. Una Nota del Prof. Cesare Burati-Forti, dal titolo: Le for- mole di Frenet per le superfici, viene presentata dal Socio PrANO ed accolta per l'inserzione negli Atti. BURALI-FORTI — LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 233 LETTURE Le formule di Frenet per le superfici. Nota di C. BURALI-FORTI. Sia Pun punto, funzione continua, insieme alle sue derivate, di una variabile numerica. Se: ds mod dP è l'elemento d'arco, in P, della curva descritta da P; queen modi Ba IN ds ds s sono i vettori unità (vettori di Grassmanx) paralleli alla tan- gente, normale principale e binormale in P; 1 1 dB 1 _ mod S* ino p ds T ds la flessione e la torsione in P; è noto che aD iù daN 1 1.00 0dBrotgl [1] FRA de | ni 7 B: ar e queste sono le formule di FrENET (comunemente dette di SERRET). Se m è un numero reale (una costante) e x, y, 2 sono nu- meri funzioni di s, allora M=mP+ xT + yN + 2B è una forma di prisma specie di massa m, la cui derivata rispetto ad s è, per le [1], M_ (de Y (dg ®LE de 4). RT anto] A e la forma M ha posizione fissa solamente quando [2] deu dy x 2 dz... Y : —m zz — — — a ds p ? ds p T ds 234 C. BURALI-FORTI Dalle [2] si ottengono le [1] e quindi le [1], [2] sono equi- valenti. Però le [1], [2] si comportano in modo essenzialmente diverso quando si applicano allo studio di una curva gobba. Le [1] contengono elementi tutti appartenenti alla curva e quindi le formule ottenute per mezzo di esse sono degli invarianti asso- luti. Le [2] contengono elementi estranei alla curva e non for- niscono quindi sempre degli invarianti. — Di più le [2] si comportano assai diversamente secondo che m=0 o m=1. Per m= 0, M è un vettore e le [2] si ottengono dalle [1] ponendo M|T, M|N, M|B al posto di 7, N, B, e dànno così, come le ordinarie formule di SerRET, le derivate dei coseni degli angoli che le direzioni variabili 7, N, B, fanno con una direzione fissa; quindi per lo studio della curva mediante esse occorre conside- rare in ogni punto P ben quindici numeri (tre coordinate di P, nove coseni di direzione, i numeri s, p, t). Per m= 1, invece, M è un punto e le [2] contengono, come le [1], sei soli elementi; però tre di questi sono estranei alla curva. Il Prof. CrsÀro, nelle sue Lezioni di Geometria intrinseca, si è valso delle [2], per m= 1 (condizioni d’immobilità), per otte- nere in modo rapido ed elegante le proprietà delle curve piane e gobbe (p. 20, 125). Di formule analoghe si vale, e con egual semplicità, per lo studio delle superfici (p. 153). Le precedenti osservazioni provano che tale metodo è suscettibile di un'ulteriore semplificazione. Tale semplificazione è già stata ottenuta per le curve (*) mediante l’uso sistematico delle formule di FRENET. Per le superfici la si può ottenere sostituendo alle condizioni di immobilità di un punto estraneo alla superficie (**), formule ana- (*) G. Prano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, a. 1887; Lezioni di analisi infinitesimale, a. 1893. — C. Burari-Forri, Introduction è la Géometrie différentielle suivant la méthode de H. Grassmann, a. 1397. (**) È da notarsi che il metodo delle condizioni di immobilità è ana- logo a quello che si ottiene applicando i quaternioni allo studio della linea o della superficie descritta dal punto P. Invero non avendosi per i quater- nioni la somma di un punto con un vettore, lo studio dell’ ente descritto da P si riduce allo studio di un vettore di origine fissa M e di estremo variabile P (Cfr. ad es., MaxweLL, Électricité et Magnétisme, e la Nota di M. Sarrav sulla Théorie des quaternions, a. 1899). Quindi, mentre il metodo delle coordinate vincola il punto a tre piani, quello dei quaternioni, e delle condizioni d’immobilità, vincola il punto ad un solo punto, e quello di Grassmann lascia il punto libero da qualsiasi vincolo. Chiarezza Tn LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 235 loghe a quelle di FRENET: ciò mi propongo appunto di dimostrare in questa nota (n° 2, formule I, II), oltre far vedere che definito il parametro differenziale come vettore (secondo HamILToN) questo si presta meglio del numero di Law allo studio intrinseco delle superfici (n° 4). Mi valgo (ni 1, 3) di parte dei resultati già ot- tenuti nella mia nota Sopra alcune questioni di geometria diffe- renziale “ Circolo di Palermo ,, anno 1898 (*). Le indicazioni (p. )si riferiscono alle citate Lezioni di Geometria intrinseca del Prof. Cesàro, alle quali rimando il lettore sia per le applicazioni delle formule che espongo, sia per il confronto del metodo vet- toriale col metodo delle condizioni d’immobilità. 1. — Sia P(9,9') un punto funzione continua, insieme alle sue derivate, delle variabili numeriche 9g, g' e nel campo di va- riabilità di queste sia Il punto P descrive, col variare di q e g', una superficie: per un valore fisso di g/, e variando g nel campo dato, P de- scrive una curva della superficie la cui tangente in P è la retta dP SE uti Erg analogamente per 9g costante e g' variabile: il piano tan- È o ato dP dP gente in P alla superficie è il piano Pra = Il vettore | oo APR dq_ dg Ur — date \ dq ag) è vettore unità (cioè di modulo uno) che ha la direzione della normale alla superficie in P. (*) Le condizioni di immobilità sono pure applicate dal Cesàro per le Congruenze di rette (p. 202) e per i sistemi tripli ortogonali (p. 211). A questi ultimi il lettore può facilmente estendere le mie formule (4) e quindi le (1), (II) essendo 7, 7, U i vettori unità normali in P alle tre superfici. Per le congruenze è facile trasformare le condizioni d’ immobilità (p. 203) in formule vettoriali: però credo che lo studio diretto della forma di seconda specie @(9,9) ad invariante nullo (aa = 0) conduca più rapidamente ai re- sultati, come il lettore può facilmente persuadersene esaminando quanto ho esposto nel n° 6 della mia nota ora citata (Palermo). 236 C. BURALI-FORTI Data una condizione /(9,9g')= 0 fra q e g' il punto P de- scrive sulla superficie una linea, la cui tangente in P è parallela al vettore RADI DeL dn dP'= di dq + di dq essendo gli incrementi no dq' legati dalla relazione Lag +4 af =0. Se poniamo ds = mod dP, è l'arco della curva individuata dalla condizione f(g, 9) = 0, . dha- nea È ST È il vettore En vettore unità ed è quindi lo stesso, in P, a meno del senso, per tutte le f che dànno curve che si toccano in P. Stando per f le ipotesi precedenti sia x un numero, o una forma geometrica, qualsiasi funzione della posizione di P. Spo- standosi P di ds sulla curva individuata da f, vu subisce l’inere- mento du; du:ds dipende dalla funzione f, e lo indicheremo, col CesAro (p. 107), con la notazione È chiamandolo quoziente diff'e- x renziale di u nella direzione dello spostamento ds. Il simbolo è ò CA dunque relativo ad una data direzione e ad un dato spostamento ds; per un’altra direzione e spostamento ds’ il simbolo di quo- , vie : ae n; ziente differenziale lo indicheremo con rFÀ 2. — Consideriamo due linee della superficie uscenti da P ove si taglino ad angolo retto. Se ds, ds' sono gli spostamenti nelle due direzioni, poniamo = did (1) De gra TE;sz: i due vettori 7, 7" sono vettori unità tangenti in P alle due linee considerate. Se fissiamo i versi dei due spostamenti ds, ds' in modo che U=|TT',i vettori 7, 7’, U soddisfano alle condizioni | Teadl''edii&si (2) Ce aa EN T=|T'U; T'=|UT, U=|TT. LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 237 Poniamo Pig gd Psa pian 2 2 (8) ( = RU s ds __ d°PdP vali vi Db de Girone Dong Ina dr |. I numeri ©, 27,,@ e i numeri ©’, 97/, @' diconsi rispet- tivamente torsione geodetica, curvatura normale e curvatura geo- detica delle curve s e s' in P (*). Le condizioni G=0, %=0, G=0 verificate rispettivamente in tutti i punti di una linea, indivi- duano le linee di curvatura, le asintotiche, le geodetiche, poichè le equazioni differenziali di tali linee sono appunto (mia nota, l. c.) dP.dU=0 (**), dP)U=0, d°P.dP.U=0. Se I J sono vettori ortogonali, cioè /|/= 0 si ha diffe- renziando dI|.J=—d@JI, (*) I numeri © e G si sono ottenuti da © e G cambiando s in s' e U in —U, passando così dal sistema 7, 7", U al sistema di egual senso T', T, — U. Invece 97 si è ottenuto da 27 cambiando solamente s in s, e ciò abbiamo fatto per uniformarci all'uso comune ed ottenere, ad es., DT + 90, e non 97 — O7, come valore della curvatura media in P. (**) Risulta subito da questa condizione il teorema di Tereuem sulle superfici che si tagliano secondo linee di curvatura. Se U, U, sono i vettori unità normali alle due superfici nel punto P che hanno a comune, e dP è la direzione della tangente in P alla linea d’intersezione, si ha d(U| U,)= =QdU|U,+ U|dU,;: ora, se la linea è di curvatura per entrambe le super- fici, AU e AU, sono paralleli a dP e quindi d(U|U,)=0, cioè le due su perfici si tagliano sotto angolo costante; se d4(U| U,)=0 e dU è parallelo a dP allora anche 4dU, è parallelo a dP e la linea comune è di curvatura per entrambe le superfici. 238 C. BURALI-FURTI e quindi dalle (1), (2), (3) si ha immediatamente — DU 1 dI (Sar T AU O ate. av (4) otti = LA HA g=xr=gro Se I è un vettore di modulo costante, 1? = cost, allora I|dI=0, e quindi i vettori dI dr dU ds ds’ ds sono paralleli ai bivettori T'U, UT, PE (*) Da queste formule, o anche dalle (8), si ricavano ©, 297, G in funzione dei numeri p, t relativi alla curva s nel punto P, e l’angolo @ che la normale principale in P alla curva s fa con la normale PU alla super- ficie. Posto, infatti, (a) U= cosgpN— seng B, avendo N, B il significato indicato nelle formule di Frener, si ha dalle (2) T'=— cospB— sengN: \ dT 1 A ma per le formule di FRENET, dan pi N e quindi dalle (4) gd N u=00%, p=— i N mt? (p. 152). p SLA p p Dalla (a), in virtù delle formule di FreneT si ha dU _[d@ 1 , COS@ ds (3° da T ‘4 di che per la prima delle (3), dà od UA 2 Ly dp 1 (gir L'E sì (p. 152). 1 LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 9239 ricordando allora che se /, /, K sono vettori complanari e /, J sono ortogonali e di modulo uno, — (K|DI+(K]9)J, si ha immediatamente dalle (4) tree (1) (dI = gr - GU | de 26m LT (p. 153) che sono le formule analoghe a quelle di FRENET. Operando nello stesso modo per ©’, 977, G', e tenendo conto (n° 3) che ©'= — ©, si ha dT FAREI noi (1) Me 900 @'T | =CI-90€. I primi membri delle (1), (II) sono i minori delle matrici . vi saint I DI + a 7; formano due terne di vettori complanari, poichè, ad es., 0; 2 dT dT° dU __ i no. do © G O. OLII = = DE © 0 che stanno sui piani dei bivettori ETULPIUTYGIT, ITULSUT+GIT, 240 C. BURALI-FORTI cioè sui piani normali ai vettori I=6T+>T+GU, I=90T+ST+@U. Si osservi che T- (el'audi Mele DENE DI ©. ff! e quindi il determinante da cui si tolgono le due precedenti matrici dà il vettore direzione della retta comune ai due piani contenenti i primi membri delle (I), (II). 3. — L'omografia, tra vettori, nel piano tangente in P, aU aU\ [30 dU PRE dq dq ui ds. ds trasforma dP in dU e ha (mia nota l. c. n° 2) per elementi uniti le direzioni delle linee di curvatura. Se è è l'operazione che, nel piano tangente in P, trasforma 7'in 7", si ha per le (1), (ID), quando nelle (II) si supponga scritto — ©' al posto di © come si ottiene dalla determinazione diretta (n° 2) delle (Il), + — CT- UT -ST+2>'T ig ; 54 ro" ma i0 è un'involuzione (l. c.) e quindi l’invariante di 0, che vale — (© + ©') è nullo, cioè si ha ©'= — ©, che esprime un noto teorema di Bonner relativo alle torsioni geodetiche. Per l’omografia o, si ha pure dalle (I), (11) determinante o = 9797 — © invariante o=—(974 97) che dànno la curvatura totale (di Gauss) e media (mia nota, l. c. n° 4) espresse mediante 27, 2, @ (p. 167). ha eee e. diem A x > Vl LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 241 4. — Occupiamoci ora del parametro differenziale. Sia u un numero funzione di P. Chiameremo PARAMETRO DIFFERENZIALE DI % SULLA SUPERFICIE, e lo indicheremo con y%, il verrorE parallelo al piano tangente in P e tale che (5) du = yu|dP. Il vettore wu esiste ed è univocamente determinato. Esiste; perchè se in tutto il campo di variazione di 9g e 9’ (il che nulla toglie alla generalità) i vettori Fi $$ sono orto- gonali (| # =0) e si pone MR A 1 dé&é}ar dq q , sì ha appunto vu|dP=yu|(% da + = dg )= du. È univocamente determinato perchè se I, J sono vettori del piano tangente in P e tali che du=I/|dP, du=J|dP, deve essere (Z—/)|dP=0 per ogni direzione dP, cioè deve essere I-J=0. Per «= cost, P descrive una linea, ed essendo du= 0, la (5) dice che yu è un vettore o nullo o normale a tale linea nel punto P. Proprietà analoga si ha per il parametro differenziale (vettore) nel piano e nello spazio. Se «, v sono numeri funzioni di P, e f(«, v) è un numero funzione di «, v si ha dalla (5), d, | d, d, d af = Sl vu dP + vo |ap= (4 gu+% ve)|ap, e poichè wf è determinato univocamente si ha dalla (5) d d vf= 4! qu DA SL VLE che dà il modo di ottenere il wf mediante il gu e il ye. In particolare si ha V(uto)=vutyo, y(u)=uyrteyu, y(u/)=(vyu—uyo)/1?, ecc. 2492 C. BURALI-FORTÌ 5. — Abbiano s, s', 7, T' il significato stabilito nel n° 2. Dalla (5) si ha per il quoziente differenziale (n° 1), del numero « nelle direzioni s, s', (7) Se — vu “H Se vu p° e si ha così il significato geometrico dell’ operazione ad appli- cata ad un numero. Essendo yu un vettore del piano 77”, si ha identicamente yu= (vu|1)T+ (vu|T)T" e quindi per le (7) __ dp _| dU Mm ®) Vita 36 DK I per qualunque coppia ortogonale s, s'. Consideriamo un’altra coppia ortogonale s,,s', e sieno 7, 1", i vettori analoghi ai vettori 7, 7". Se 6 è l'angolo che 7’ fa con 7 e precisamente se T,= cos0 7 +4 seno 7”, ‘allora T',=-— send 7 + così 7”. Ciò posto si ha, per qualunque numero v funzione di P, 2 Re du du da, 7 0089 da + sen0 sg (9) : } o i POGUDIN u U dei _ sen 0 a, - coso dI (p. 162) poichè i secondi membri (cfr. le (7)) valgono appunto gu|T, vulTi. Le (9) esprimono i quozienti differenziali relativi a due di- rezioni ortogonali mediante i quozienti differenziali di altre due direzioni ortogonali qualunque. È notevole il fatto che le (9) dimostrate quando « è numero funzione di P valgono quando v è forma geometrica qualsiasi funzione di P. Per provarlo basta nelle (9) scrivere mu al posto i L f [ LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 243 di v ove m è forma geometrica costante (ma arbitraria) e tale che mu è numero (*). Per mezzo delle (9) si verifica facilmente che i numeri Ivi T+SF di T' , Tm. T_T non mutano col mutare della coppia ortogonale s, s'. Il primo di tali numeri è quello che comunemente chiamasi parametro differenziale secondo di u (p. 165) (**); il secondo numero è co- stantemente nullo, cioè si ha sempre (10) nta: (*) Questa proprietà permette di esprimere le curvature DA, Sie delle linee s;, 51 mediante quelle di s, s' (p. 158, 159, 162): basta applicare le (9) alle (4) e far uso delle % (II); così, ad es., si ha cos 937 "+ sen 05 CI cos0T' + sen®87" = qT ci +30 di seno 57.|r= D7 0899 — Gsen20 + pe ’sen?0. In particolare per esprimere Gi si ha Gt jo = Geo — @' sen0; de allora se le linee s, s' sono geodetiche, Gr 0, G =0 si ha Ga dd, che definisce la curvatura geodetica come la curvatura di una linea piana. È È) A questo resultato il Cesàro (p. 162) giunge considerando l'operazione ri che è precisamente l'operazione che devesi applicare alle coordinate vetto- riali del punto (m= 1) o del vettore (m = 0), M=mP+xT+yT +2U per ottenere ((1), (II)) il vettore + (d: +r97-y@)v (**) Il parametro differenziale misto di u, v (p. 108) è il numero Vu | yo, che col suo annullarsi esprime che le due linee u= cost, v= cost si ta- gliano in P ad angolo retto. 244 C. BURALI-FORTI Infatti: dalle (7) e dalle (1), (II) si-ha dò du — gra ie T ds da: ò du x ds ds 2g; ds da qT'. ’ (11) | ora noi possiamo scegliere il sistema g, g" in modo che nel punto speciale P che consideriamo, le linee 9g, g' che vi passano sieno geodetiche ortogonali e g e 9g" ne sieno gli archi s, s'; in con- seguenza nelle (11), per il punto P considerato, è diviene d, i primi membri sono eguali e l'eguaglianza dei secondi dimostra la (10) poichè GF=G'=0. Dalle (10), (11) si ha d du du __d du de, A) TIA Lod (p 155) e questa formula dimostrata quando v è numero vale anche per «u forma geometrica, come si è provato per le (9). Applicando ai primi membri delle (I), (II) le operazioni DI 0 ds’ ds’ di 7, T', U si ottengono dodici relazioni delle quali tre sole sono distinte e sono precisamente le formule di Copazzi (p. 158). Queste si riducono all’unica seguente che contiene i vettori /, /" definiti al n° 2, tenendo conto della (12) ed eguagliando i coefficienti D+ +9I+91+|1"=0 (p. 253) (9) poichè, in questa, devono annullarsi i coefficienti di 7, 7", U che si ottengono mediante le (1), (Il). È e rs Nd 1 i db (*) Se il sistema qd9 è ortogonale (cioè in ogni punto dg | dg sì pone dP est dP (a) N A gie CTR 295 LE FORMULE DI FRENET PER LE SUPERFICI 245 6. — Diamo termine a questa nota esponendo un’ altra semplice applicazione del parametro differenziale definito come vettore. La condizione necessaria e sufficiente affinchè la linea g sia una geodetica (@ = 0) è che mod si sia funzione della sola 9 (cfr. la (c) della nota precedente). Prendiamo allora come linee g le geodetiche uscenti da un punto fisso o normali ad una linea fissa; i numeri gq sieno gli archi di queste linee contati dal punto fisso o dalla linea fissa; le linee g' sieno le traiettorie ortogo- nali delle linee g. In tali ipotesi mod A =1e la (6) dà pri, gli elementi di archi delle linee 9, g" sono Qdg, Qdg. Se questi sono quelli prima indicati con ds, ds' si ha dalle (6), (7) ds @ dq' ds @ dq' Da queste e dall'ultima delle (4) si ha (3 DO d di lab 4. G= ds ds] | ds — Qu da | Qdq Q dqadg\dq' a dE de indi OL PP |dP e a dad da | G= 35 TE= L5 = ro e analogamente (c) ,__1 dQ __1dQ _dlogg Pena oa pre Rai Dalle (a) e (c) risulta subito la (12) e quindi la (10) resta nuovamente dimostrata mediante le linee 9g, 9g Operando come si è fatto per ottenere le (c) si ha 1 dP|dU 1 aP|\dU OV — — nti SI ona psn DM Q ui dq ’ DU o” dq \dq' ' 1 aP\aU 1 dP su, ©C= an ear. I © =— SUA rari QQ dq | dq QQ dq e dalle ultime due si trae ancora A =0 come è facile verificare de- rivando rispetto a g' e gq le eguaglianze È A U=0, ag | U= 0. 246 C. BURALI-FORTI — LE FORMULE DI FRENET, ECC. cioè: il parametro differenziale della DISTANZA GEODETICA del punto Pda un punto fisso o da una linea fissa è un VETTORE UNITÀ tangente alla geodetica in P e diretto dall'ente fisso all'ente varia- bile (senso crescente di 9). Tale proprietà è analoga a quella del parametro differen- ziale nel piano o nello spazio. Segue immediatamente che: se u, v sono le distanze di P da due punti fissi della superficie le ellissi e le iperboli geodetiche u += cost formano un doppio sistema ortogonale perchè il vettore gu + wv ha la direzione della bisettrice interna o esterna dei due vettori yu, yv: se « è la distanza di P da un punto fisso 0, v la distanza di P da una linea fissa m, e 4 è un numero costante, la normale in P alla linea w:v=% si costruisce come la normale alle coniche di fuoco 0, direttrice m ed eccentricità h, perchè yh=(vygu—uqgv|o=(gu—hV0|]v, ecc. Torino, Dicembre 1901. L’ Accademico Segretario Enrico D’OvipIo. 247 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 2 Febbraio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Pevron, Vice Presidente dell’Acca- demia, Rossi, BoLLAatI DI SArnT-PrieRRE, BoseLti, CrpoLLa, CHI- RONI e ReNIER Segretario. È approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 19 gennaio 1902. Il Socio CrpoLLA presenta una nota del prof. P. Giuseppe Borrito: D'un altro frammento di Breviario del secolo XI conte- nuto in un codice di Claudio della Nazionale di Parigi, che è ac- colta negli Atti. Offre in dono all'Accademia il medesimo Socio CrpoLra le seguenti pubblicazioni del prof. Agostino Maria MarHIS: Rutilio Claudio Namaziano, del ritorno, esame di due libri, Torino, 1900; Pollenzo nel medio evo e nei tempi moderni, Bra, 1901; I signori di Pocapaglia, Bra, 1901. NNNANNS ANNA ANININSNI Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII 17 248 GIUSEPPE BOFFITO LETTURE D'un altro frammento di Breviario del secolo X-XI contenuto in un codice di Claudio della Nazionale di Parigi. Nota di GIUSEPPE BOFFITO. Di un primo frammento di Breviario del secolo X-XI, da me casualmente rinvenuto in un codice di Claudio vescovo di Torino che si conserva nella biblioteca Vallicelliana di Roma, feci parola anni or sono in una nota che ebbe l’onore di venir accolta in questi Atti accademici (1). Ma anche un altro codice, e pur esso claudiano, offre, per una strana e al certo fortuita coincidenza, lo stesso fenomeno. Si tratta del ms. lat. 2395 che, con gli altri numerosi manoscritti claudiani, io ebbi l’agio di studiare l’autunno scorso nella Biblioteca Nazionale di Parigi (2); e il frammento concerne l’ufficiatura ch’era in uso a quel tempo per la festa di san Dionigi, patrono della Francia. Il codice, pergamenaceo, del secolo XI, scritto a una sola colonna in minuscolo carolino, misura mm. 245 X 318 ed è rile- gato, non diversamente di altri molti codici dell’antica biblio- teca Regia, in tutta pelle rossa con le armi reali impresse in oro dalle due parti. Appartenne già al fondo Colbert, dove por- tava il numero 3271. Una leggenda marginale acrostica che si legge nella c. 30 e si trova ripetuta alla c. 92v ne dice la pro- venienza: “ Hunc librum dedit Heliseus archidiaconus Saneto “ Germano pro vita aeterna ,. Io mi passo per ora del contenuto del codice: ne riparlerò quando potranno veder la luce le indagini già da parecchio (1) Il codice Vallicelliano C 1II, ecc., in “ Atti ,, vol. XXXIV, pag. 208. (2) Ringrazio vivamente l'illustre amministratore della Biblioteca, Leopoldo Delisle, e gli altri impiegati, della cortesia usatami in questa cir- costanza, e i RR. PP. Enrico Abbondati e Salesio Canobbio, miei amatissimi e stimatissimi confratelli, che mi diedero modo di recarmi in quella città. D'UN ALTRO FRAMMENTO DI BREVIARIO DEL SECOLO X-XI, ECC. 249 tempo da me intraprese intorno a Claudio e agli eretici pie- montesi più antichi, che non giudico siano ancora sufficiente- mente mature. Aprendo il codice, mi fermo al recto della prima delle 93 carte, che serviva già di guardia. È qui che trovo trascritto da mano del sec. XI, se non anteriore, l’ accennato frammento che ricopio tale qual è, sciogliendo solamente i nessi: 1° co. De sancto Dionisio; CSO (1; Pretiosus .....Abdleta (2), .. A. 8) Insignes preconii; Super- uenite; Ant. Sanctus Dionisi- us; A. Quo amplius gentes; A. Non ueri- tus; uere A. Ecclesias illisque A. Cinctus ergo; A. Miroque modo; A. Tantas per illum deus; A. Dum sacrum misterium; A. Dansque illi sancta; A. Mecum est maxima;, A. Nunc. faciet f...;. A. Ad hanc vocem; PR. (4 Post Passionem Domini; V. 6) Qui cum innumerum; R. Gratias ti- bi Domine; V. Quinimo; PR. Beatissimus Dioni.; V. Et Parisius domino; PR. Dum sacrum misterium; V. Mecum est max.; . ì stereo dt» Lantas, per. llum. Dominus V. In quo lux; £. Mecum enim est max. dilectio et ben... /. Idest namque V. Quem dicit per apostolos; PR. Vir inclitus V. Cuius intercessio PR. Tres viri isti tri. V. Beatus Dionisius R. Hi sancti vi (1) Mi riesce indecifrabile questa abbreviazione. Nel Dictionnaire del Prov (Manuel de Pal., Paris, 1892, pag. 220) si registra un’abbreviazione si- mile come equivalente a Crisostomo; ma non mi pare che qui ne sia il caso. (2) Athleta. (3) Antiphona. (4) Responsorium. (5) Versiculus. 250 GIUSEPPE BOFFITO — D’'UN ALTRO FRAMMENTO, ECC. ri V. Terrore subiun.; A. Pretiosus domini. V. Adhleta domini AR. Beatus Dionisi. V. Beatorum anime Ad ct 1) A. Eli- gi.....In Matutinis Laudibus Hi sancti viri ... A. Tali nam- que domine A. In hac ergo 2° col. A. Beata nimium A. Et facta est comes In Evangelio A. Adest namque Ad Vesperas O beate Dionisio. Dal confronto di questo col frammento precedente io prendo animo ad avventurarmi a qualche congettura. È chiaro, se non m’inganno, che fin dal secolo X-XI si mostra la tendenza ad abbreviare l’ Uffizio divino. Se i primi o più antichi codici che ci sian pervenuti del Breviario, sono tutti, come giustamente nota il Batiffol (1), del secolo dodicesimo, nulla vieta che sin dal tempo di Gregorio VII, come suppone il Biumer (2), e prima ancora, come i due frammenti pubblicati par che vengano a dirci, si mirasse inconsapevolmente verso quella meta. Si sarebbe cominciato dapprima ad abbreviare gli Antifonari e i Responsoriali dell’uffizio delle grandi solennità; indi a poco a poco l’uso si sarebbe esteso al resto dell’ufficio e a tutte le so- lennità grandi e piccole. E in tal guisa si sarebbe venuto for- mando man mano quello che si disse propriamente Breviario. (1) Completorium. (2) Histoire du Bréviaire Romain, Paris, 1893, pag. 197 sgg. (3) Geschichte des Breviers, Freiburg im Breisgau, 1895. Cfr. le diligenti recensioni del Minocchi a questa dotta storia nell’ © Arch. Stor. Ital. ,, serie V, t. XVIII, 1896, pag. 400, e alla precedente, dotta anch'essa ma più popolare, nella “ Riv. Bibl. Ital. ,, a. I, vol. I, 1896, n° 17, pag. 263. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. —— > fho>oe__ 251 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Febbraio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Berruti, NAccARI, Mosso, CAMERANO, Seere, PeANO, JADANZA, Foà, GuaRrEScHI, GuIpi, FiLETI, PARONA, MamtiRoLo e D’Ovipio Segretario. — Scusano l’ assenza i Soci SALVADORI e SPEZIA. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. La Classe accoglie con grato animo il dono, inviato dal Governo della Repubblica Francese, dell’opera in tre volumi del Socio straniero prof. M. BertHELOT, intitolata: Les cardures d’hydrogène (1851-1901). Il Socio SeGrE, anche a nome del Socio D’Ovipro, legge la relazione sulla Memoria del Dr. Francesco Severi, Sulle inter- sezioni di varietà algebriche, e sopra i loro caratteri e le loro sin- golarità proiettive. La relazione conclude proponendo che la Memoria sia ammessa alla lettura, e la Classe approva la pro- posta e poscia con voto unanime accoglie il lavoro del Dr. SEVERI nei volumi delle Memorie. Il Socio Foà, anche a nome del Socio CAMERANO, dà lettura della relazione sulla Memoria del Dr. Alfonso Bovero, Ricerche morfologiche sul “ musculus cutaneo-mucosus labii ,, proponendo 252 di ammetterla alla lettura, il che la Classe approva, accogliendo poscia unanime il detto lavoro nei volumi delle Memorie. Per l'inserzione negli Atti vengono finalmente accolte le seguenti Note: Proposta di un nuovo tipo di livello a cannocchiale atto ad eliminare qualsiasi errore strumentale, dell'Ing. Vittorio BAGGI, presentata dal Socio JADANZA; Sulla riduzione dei dinitroidrocarburi primarii R.CH(N30,) con amalgama di alluminio, del Dr. Giacomo Ponzio, presentata dal Socio FILETI. Raccoltasi poi la Classe in seduta privata, procede alla vo- tazione per l’ elezione di due Soci residenti. Risultano eletti, salvo l'approvazione sovrana, i signori: Prof. Giacinto MorERA della R. Università di Torino, e Prof. Guido Grassi del R. Museo - Industriale italiano di Torino. VITTORIO BAGGI — DI UN NUOVO TIPO DI LIVELLO, ECC. 253 E ——______—_*0eTr_ LETTURE Proposta di un nuovo tipo di livello a cannocchiale atto ad eliminare qualsiasi errore strumentale. Nota dell'Ing. VITTORIO BAGGI. T. 1.— Allorchè devesi rilevare il profilo longitudinale di una strada o di un canale da progettare in terreni accidentati di collina o di montagna, è di molta importanza la scelta di uno strumento il quale si presti in modo facile, spedito e sicuro, a raggiungerne lo scopo. Per quanto si riferisce al rilevamento planimetrico, il me- todo più spiccio è quello della celerimensura, applicato sia con gli ordinarì tacheometri, oppure con i più noti strumenti speciali di celerimensura. Però le operazioni di celerimensura vanno sempre accompa- gnate da una buona livellazione fatta con apposito livello a can- nocchiale, onde ottenere in modo esatto la quota di ciascuna stazione tacheometrica. I livelli a cannocchiale possono presentarsi sotto varie forme, ed il modo di adoperarli nelle operazioni pratiche, varia a se- conda dello strumento che si adopera, e del metodo scelto per eseguire la livellazione. Per quanto si riferisce al metodo, è noto che in pratica si cerca sempre di applicare quello così detto per equidistanza (detto anche metodo dal mezzo), operando cioè in modo che i punti scelti fra la battuta e controbattuta siano ugualmente distanti da cia- scuna stazione. Per non frapporre poi che brevissimo tempo dalle due letture, è utile operare con due stadie, praticando le let- ture intermedie, se occorrono, dopo eseguite le estreme corri- spondenti a ciascuna stazione. Quando il terreno permette di procedere con questo metodo, qualunque sia il tipo di livello adot- 254 VITTORIO BAGGI tato, corrisponde bene allo scopo, purchè la sensibilità della bolla della livella annessa allo strumento sia conveniente; e sic- come fra i molti tipi di livelli il più semplice è il così detto inglese a cannocchiale fisso e livella fissa, .così si spiega perchè presso i pratici sono molto in uso livelli di questo tipo. 2. — Quando però non sia possibile procedere nel modo sopra accennato, il che succede appunto soventissimo nello studio dei tracciati in collinà ed in montagna, i livelli a cannocchiale fisso e livella fissa sono assolutamente i più irrazionali fra i varî tipi noti di livelli, perchè non offrono garanzia di sufficiente esattezza. Infatti, volendo eseguire una livellazione con un livello a cannocchiale fisso e livella fissa, nell'ipotesi che non si possa procedere per equidistanze, è assolutamente necessario correg- gere dapprima lo strumento con molto scrupolo. A tal fine, si centra dapprima la bolla della livella, si rende verticale l’asse di rotazione dell’alidada e poscia, applicando il noto metodo della livellazione reciproca, si rende l’asse ottico del cannocchiale parallelo all'asse della livella. È pur noto che la livellazione reciproca deve essere eseguita alla massima distanza alla quale è possibile leggere distintamente sulla stadia (non oltre i 100 metri). Fatte queste correzioni, l’asse ottico del cannocchiale sarà bensì orizzontale a bolla centrata, e si potrà eseguire una livel- lazione composta anche col metodo da un estremo colla sicurezza di ottenere buoni risultati, purchè si abbia cura di non toccare per tutta la durata dell’operazione la vite che sposta il tubo porta-oculare. La pratica però insegna che in terreni accidentati non è possibile procedere sempre con questa norma, e voler mantenere costante la distanza delle battute è un vincolo che porta mag- giori soggezioni di quanto si verifica applicando il metodo dal mezzo. Si è quindi costretti fare le successive battute a distanze variabili, per il che si deve manovrare la vite che sposta il tubo porta-oculare affinchè il piano del reticolo risulti coincidente col piano dell'immagine della stadia. In causa di questo scorrimento del tubo porta-oculare, non si è sicuri che l’asse ottico si con- servi costantemente parallelo all'asse della livella, od almeno si DI UN NUOVO TIPO DI LIVELLO A CANNOCCHIALE 255 mantenga, a bolla centrata, sopra un piano orizzontale. Anzi, da esperienze eseguite in proposito sopra livelli appartenenti a questa categoria e di costruttori rinomati, risulta che effettiva- mente l’asse ottico si sposta di quantità considerevoli dalla po- sizione orizzontale allorchè si fanno battute a distanze variabili, e l'errore è tanto più sensibile quanto più lo strumento ha già parecchi anni d’uso. Nè vale scusare questo inconveniente col dire che appunto quando si fa uso dello scorrimento del tubo oculare si è per col- limare a punti più vicini della distanza alla quale si fece la li- vellazione reciproca di correzione, onde se da una parte l’errore angolarmente cresce coll’ allungamento di pochi centimetri del cannocchiale, dall’altra, l’effetto, in misura assoluta, sulla posi- zione del punto battuto diventa sempre minore. Il fatto solo che l’asse ottico non si conserva orizzontale, nè si è certi che ritorni tale quando si ribattono punti distanti, è la condanna dello strumento, specialmente quando lo sposta- mento del tubo oculare avviene, come si verifica generalmente in pratica, mediante rocchetti che sviluppano forze inclinate al- l’orizzonte. Ed il peggio si è che l'operatore non ha modo di accorgersi di questi dannosi spostamenti se non rifacendo nuovamente la livellazione reciproca per differenti distanze, e non ha poi nessun modo di correggere strumentalmente l’errore che proviene dallo spostamento del tubo oculare. E notisi che qualche volta non basta essere garantiti del buon esito di una livellazione longitudinale solo pel fatto che i risultati fra l'andata ed il ritorno si corrispondono, perchè in terreni accidentati l'andata ed il ritorno avviene generalmente lungo la stessa linea, battendo presso a poco agli stessi punti, perciò le stesse cause d’errore si possono riprodurre nei due sensi della livellazione. 8. — Come conseguenza dei livelli a cannocchiale fisso e livella fissa possiamo citare quelli muniti di vite di elevazione costruiti dallo Starke. Questi livelli, di maneggio molto più sem- plice dei precedenti, non vanno però esenti dall’ inconveniente capitale dei livelli prima considerati, perciò stanno anche per essi le osservazioni fatte precedentemente. 256 VITTORIO BAGGI L'operatore che eseguisce una livellazione longitudinale in montagna con un livello a cannocchiale fisso e livella fissa, è perciò in continua apprensione, perchè deve fidarsi esclusiva- mente della perfetta costruzione meccanica dello strumento. 4. — Si è appunto per l’inconveniente sopra ricordato che i pratici idearono diversi tipi di livelli a cannocchiale. mobile, con livella fissa o mobile, quali sono i livelli tipo Egault e Le- noir, che sono in generale più d’ogni altro adoperati nella pra- tica corrente. Questi livelli, mediante una doppia lettura, elimi- nano i principali errori strumentali, ma richiedono molta cura nell’inversione e nella rotazione del cannocchiale, il che è causa di guasti ai sostegni e collari del cannocchiale, inoltre presen- tano un’altra causa d’errore che non si verifica per i livelli prima considerati, ed è quella che proviene da una possibile disuguaglianza dei diametri dei collari o prismi d'appoggio del cannocchiale. Reputiamo inutile prendere qui in esame tutti gli altri tipi di livelli proposti, come, ad esempio, i livelli a cannocchiale mo- bile e livella fissa al cannocchiale; quelli a cannocchiale mobile e livella mobile, tipo Barthélemy (usato in Francia ed in Italia per le livellazioni di precisione) e che lo scrivente ebbe già a dichiarare essere, fra tutti, il migliore anche per operazioni correnti. Come pure non è il caso di spendere parola sui livelli spe- ciali proposti allo scopo di eliminare gli effetti di una residua disuguaglianza nel diametro dei collari, quali sono, ad esempio, i livelli con livella a doppia graduazione, il livello a compensa- zione di Breithaupt e quello di Brito-Limpo. Questi livelli, per la loro complicazione o per il loro costo, non entrarono nella pra- tica corrente. Di essi, il più semplice è quello con livello a doppia graduazione, ma occorre che i due assi della livella siano paral- leli, il che deve essere garantito dal costruttore. Cosicchè, in questi livelli svanisce apparentemente ogni preoccupazione per il possibile errore dovuto a disuguaglianza dei collari, ma ne subentra un’altra per una possibile insufficienza di parallelismo degli assi della livella a doppia graduazione, cosicchè la causa d’errore non fa che cambiar sede: se per essi si deve ammettere che il costruttore abbia ben fatta la livella a doppia graduazione, DI UN NUOVO TIPO DI LIVELLO A CANNOCCHIALE 257 tanto vale ammettere che abbia ben torniti i due collari in modo da ridurli di ugual diametro; il che riesce meccanicamente anche più facile. Notisi però che mediante una livella a doppia gra- duazione si può verificare se i collari sono di ugual diametro: essa offre cioè un metodo di verifica dei collari, ma anche per ciò si richiede una serie di operazioni molto delicate. DI: 5. — Scopo nostro si è di additare un nuovo tipo di livello, il quale risulti effettivamente pratico come lo sono i livelli a cannocchiale fisso e livella fissa, ma elimini l’ inconveniente do- vuto allo spostamento dell’asse ottico in causa dello scorrimento del tubo oculare, senza però introdurre altre cause d'errore, proprie a tutti gli ordinari livelli a cannocchiale mobile (disu- guaglianza dei perni d'appoggio). Principio sul quale è fondato il nuovo tipo di livello proposto. 6. — Supponiamo di avere un livello a cannocchiale non invertibile, ma che possa rotare facilmente intorno al proprio asse meccanico, come si verifica pel cannocchiale del livello a compensazione di Breithaupt. Fisse al cannocchiale si abbiano due livelle /, 2, simmetriche al tubo del cannocchiale C e situate nello stesso piano verticale che passa per il suo asse mecca- nico, come indica la fig. 1*, e le loro graduazioni siano capovolte l’una rispetto all’altra (*). L’istru- mento sia munito di una vite di elevazione, che indicheremo con E, la quale è in questo caso assolutamente indispensabile per raggiungere lo scopo che ci proponiamo. Se supponiamo che gli assi delle due livelle Z, I, siano paralleli fra loro e giacenti su di uno stesso piano col- (*) Le due livelle potrebbero essere situate anche lateralmente al can- nocchiale, cioè nello stesso piano orizzontale che passa per l’asse meccanico di esso cannocchiale, ma una tale disposizione riesce meno opportuna perchè obbliga l'osservatore a spostarsi or dall’una, or dall'altra parte dello stru- mento per osservare la bolla di ciascuna livella. 258 VITTORIO BAGGI l’asse meccanico del cannocchiale, è chiaro che comunque risulti si- tuato l’asse ottico rispetto a quello meccanico, esso assumerà due posizioni simmetriche all’orizzontale allorchè il cannocchiale viene rotato di 180° intorno al proprio asse meccanico e con la vite di elevazione È si centra, per ciascuna posizione del cannocchiale, la bolla della livella che risulta visibile. E ciò accadrà quan- d’anche i due collari, che supponiamo circolari, non siano uguali. Cosicchè la media delle due letture fatte sulla stadia col can- nocchiale nelle sue due posizioni a 180° risulta in ogni caso la lettura che corrisponde alla bisettrice dell’angolo formato dalle due posizioni dell'asse meccanico del cannocchiale, e tale biset- trice risulta in ogni caso orizzontale. Vediamo ora come si raggiungano facilmente le condizioni fin qui ammesse. Correzioni generali del livello proposto. 7. Illivello proposto si corregge nello stesso modo che sì pratica per gli ordinarî livelli a cannocchiale fisso e livella fissa muniti di vite di elevazione, e precisamente nel modo se- guente: a) Situato l’ indice della vite di elevazione in posizione normale, si renda verticale l’asse VV' di rotazione dell’alidada mediante una delle due livelle, per es. la Z, manovrando wrica- mente le viti del basamento e la vite di elevazione E (*). 5) Situata una stadia alla distanza di circa 100 metri dallo strumento, si muovano le viti del reticolo in modo che l’asse ottico colpisca la stadia sempre nello stesso punto co- munque si roti il cannocchiale attorno al proprio asse mecca- nico. Come è noto, ciò è sempre possibile quand’anche i collari, che supponiamo circolari, non siano uguali. Con questa correzione (*) (a) Fatta la correzione (a), conviene, una volta per sempre, cullare di poco la livella ed osservare se la bolla si sposta sempre da una stessa parte dell’osservatore o si mantiene centrata: qualora si sposti or da una parte or dall’altra, si muovano le viti laterali della livella finchè la bolla si sposti sempre da una stessa parte oppure rimanga centrata: dopo ciò l’asse della livella giace nello stesso piano dell’asse di rotazione del can- nocchiale, perchè è ridotto ad una generatrice del cono, oppure del cilindro, avente per asse l’asse stesso del tubo del cannocchiale. DI UN NUOVO TIPO DI LIVELLO A CANNCCCHIALE 259 abbiamo ridotto l’asse ottico e quello meccanico del cannocchiale a giacere sopra uno stesso piano. c) Lasciando fissa la stadia di cui sopra, applicando il noto metodo della Vvellazione reciproca si renda l’asse ottico perfet- tamente orizzontale manovrando la vite E (e non quelle del reti- colo); si prenda nota della lettura m che si fa sulla stadia col- l’asse ottico orizzontale e si centri la bolla della livella Z mediante le viti che correggono in altezza le sue braccia. Dopo ciò l’asse ottico Am (fig. 2) e l’asse della livella { stanno sopra due piani orizzontali che per semplicità di ragionamento possiamo sup- porre coincidenti nel piano di traccia Am. Indichiamo con a l’an- golo che questo piano forma coll’ asse meccanico Mm del can- nocchiale. d) Rotato il cannocchiale di 180° intorno al proprio asse meccanico Mm, quest’ultimo conserverà ancora la sua posizione primitiva, e potremo accorgerci se nel movimento di rotazione Fig.2. Fig. 3. si produsse qualche sforzo nocivo, osservando se la collimazione sulla stadia persiste sum, e se ciò non fosse, basterà muovere di pochissimo la vite di elevazione finchè l’asse ottico ritorni sulla lettura m. La livella 7, sarà ora situata colla sua graduazione in alto, e se centrassimo la sua bolla mediante le proprie viti di corre- zione, il suo asse farebbe coll’asse meccanico Mm lo stesso an- golo a che l’asse di / fa con l’asse Mm (fig. 3); cioè gli assi delle due livelle 7, /,, in generale sarebbero ridotti ad essere le ge- neratrici di uno stesso cono avente per asse quello meccanico Mm del cannocchiale. Noi vogliamo però ridurci al caso di rendere paralleli fra loro i due assi di / ed /,, perciò: 260 VITTORIO BAGGI e) Fatta nuovamente la livellazione reciproca in questa posizione del cannocchiale servendoci della livella 2, (senza toc- care le viti del reticolo, ma soltanto quelle del basamento e la E), l’asse ottico si ridurrà nuovamente orizzontale e sia esso An (fig. 4); centrando la bolla di 2, colle viti che correggono le sue braccia in altezza, avremo reso l’asse di /, orizzontale, cioè esso giacerà in un piano parallelo al piano orizzontale che passa per An, e per semplicità supponiamo questi due piani coinci- denti con An (*). (*) Effettivamente non occorre eseguire la doppia livellazione reciproca, perchè durante l’ operazione ec si possono, colla massima facilità, prendere gli elementi occorrenti anche per la correzione e, di cui qui si tratta, ro- tando il cannocchiale e ripetendo per la livella 7, ciò che sì è fatto per la /. Infatti, se supponiamo di situare il foro oculare del cannocchiale sulla ver- ticale di un punto determinato B del terreno e mandiamo una stadia sopra un punto A che disti da B della massima distanza alla quale si può leg- gere distintamente su di esso col cannocchiale (all'incirca 100 metri) e fatte le correzioni a) e d) diciamo: ma la lettura fatta su di essa col cannocchiale a bolla 2 perfettamente centrata ed in riposo; ma, quella fatta sulla stessa stadia col cannocchiale rotato intorno al proprio asse meccanico di 180° e colla bolla della livella Z, perfettamente centrata ed in riposo; s» l’altezza del foro oculare del cannocchiale sul punto A allorchè si fa la lettura ma; s la detta altezza quando si fa la lettura ma,. Trasportato lo strumento sul punto A e la stadia su B, si facciano sulla stadia le letture m3, m2; colle bolle di Z ed 7, centrate ed in riposo e siano sa, s'a le rispettive altezze del foro oculare su B. Come è noto si ha: \ x =} [(222a + mov) — (sa + s5)] (1) ) | x= 3 (mart md) — (s'a4-s5%)] nelle quali x ed x, rappresentano rispettivamente la differenza fra letture Ma; Mb; may, mb, e quelle che si sarebbero fatte se l’asse ottico fosse oriz- zontale. Perciò stando collo strumento in A, moveremo la vite di elevazione in modo da fare sulla stadia situata in B la lettura corretta mv7z e cen- treremo la bolla di / unicamente colle proprie viti di correzione. Poscia roteremo il cannocchiale di 180° e colla stessa vite di elevazione E ci ridur- remo a fare la lettura mò,7z, e centreremo la 7, unicamente colle proprie viti di correzione come si è fatto per la /. I valori di x e di x, dovranno essere sottratti od aggiunti ad 223 ed md; secondochè i secondi membri delle formole (1) risultano positivi o negativi. Nelle formole (1) si ha generalmente sa = 5a; s0 = ss"; è però necessario, DI UN NUOVO TIPO DI LIVELLO A CANNOCCHIALE 261 Siamo così ridotti ad avere gli assi delle due livelle / ed /, pa- ralleli fra loro, e per la correzione (a') di cullamento fatta alle due livelle, questi due assi stanno in uno stesso piano coll’asse meccanico MN del cannocchiale, il quale farà quindi con entrambi lo stesso angolo a (fig. 5). Dopo ciò lo strumento risulta corretto, e qualunque posizione abbia l’asse ottico RE;* rispetto all'asse meccanico del cannoc- .chiale, siccome per ciascun punto battuto dobbiamo prendere per Fig. 4. Fig. 5. valore della battuta la media delle due letture fatte sulla stadia con il cannocchiale girato intorno al suo asse meccanico di 180°, per ogni coppia di letture l’asse ottico si disporrà simmetrico al- l’asse meccanico e perciò la sua inclinazione non influirà affatto sull’esattezza del risultato. Ciò è reso evidente dal fatto che, se in una prima posizione l’asse meccanico ha la direzione MN (fig. 5), dopo aver rotato il cannocchiale di 180° intorno ad MN, le livelle led l, prenderanno la posizione /' l’,, e centrando la bolla di /", con la vite di elevazione del cannocchiale, la /", si disporrà oriz- zontale e l’asse meccanico del cannocchiale prenderà la posizione M,N, risultando inclinato all'orizzonte ancora dell'angolo a. Notisi che a questo risultato siamo pervenuti senza fare alcuna ipotesi nè sull’ eguaglianza dei collari del cannocchiale, nè sulla centratura della lente obbiettiva, appunto perchè tutti questi errori vengono eliminati dalla media delle due letture fatte nel modo ora detto. specialmente la prima volta che si corregge lo strumento, tener conto esat- tamente della differente altezza dello strumento dal punto a terra nelle due posizioni del cannocchiale. 262 VITTORIO BAGGI — DI UN NUOVO TIPO DI LIVELLO, ECC. 8. — Si capisce che fatte una volta le correzioni necessarie per rendere paralleli gli assi delle livelle 2 ed /, non occorrerà in generale ripeterle che a lungo intervallo di tempo, precisa- mente come si pratica per gli ordinarî livelli a cannocchiale fisso e livella fissa. Si capisce inoltre che per i punti di dettaglio, o battute inter- medie, non sarà sempre necessario eseguire le due letture, ma basterà una sola lettura fatta con una qualunque delle due posi- zioni che può assumere il cannocchiale. III. Non è inutile avvertire che il tipo di livello da noi pro- posto non può considerarsi come un derivato del tipo di livello a cannocchiale mobile con livella a doppia graduazione, perchè il procedimento di correzione che si pratica per quest’ ultimo, non potrebbe essere esteso al nostro tipo di livello, e, come già avvertimmo, la livella a doppia graduazione deve considerarsi unicamente come un mezzo strumentale per la verifica dei dia- metri di un cannocchiale mobile. La livellazione reciproca, che nel caso nostro deve essere applicata come correzione preliminare dello strumento, quan- tunque risulti per sè un’ operazione delicata, è pur sempre quella che offre direttamente maggior garanzia sull’ esattezza di un livello qualsiasi, eliminando essa ogni piccolo errore dovuto ad imperfezione dello strumento. In conclusione il tipo di livello da noi proposto mentre non complica affatto le correzioni che si fanno per gli ordinari livelli a cannocchiale fisso ed a livella fissa, anzi li semplifica perchè non obbliga a toccare le viti del reticolo del cannocchiale quando si fa la livellazione reciproca, e senza introdurre nuove cause d’errore, elimina in modo semplicissimo l’errore dovuto allo ir- regolare scorrimento del tubo porta-oculare, che è la causa unica per cui l’ordinario livello a cannocchiale fisso e livella fissa non deve essere accettato nelle livellazioni per le quali si richiede una grande precisione. Torino, dicembre 1901. GIACOMO PONZIO — SULLA RIDUZIONE, ECC. 263 Sulla riduzione dei dinitroidrocarburi primarî R.CH(N30,) con amalgama d'alluminio. Nota del Dottor GIACOMO PONZIO. Si ammette generalmente che riducendo i dinitroidrocarburi primari R.CH(N;0,) con stagno ed acido cloridrico si formi l’aldeide allo stesso numero di atomi di carbonio del dinitrocom- posto ed idrossilamina: R.CH(N,0,)+4H,=R.CHO +2NH,0H + H30 le quali reagendo poi l’una sull'altra darebbero origine all’acido corrispondente e ad ammoniaca: R.CHO + NH,0H = R. COOH + NH; che sono realmente i prodotti riscontrati nei varî casi. Così ter Meer (1) dal dinitroetano ottenne acido acetico; Chancel (2) dal dinitrobutano, dal dinitropentano e dal dinitro- esano ottenne rispettivamente acido butirico, valerianico e ca- pronico; ed infine Worstall (3) dal dinitroottano e dal dinitro- nonano ottenne gli acidi ottilico e nonilico. Per contro recentemente riducendo in modo analogo il fenil- dinitrometano (4) io ottenni aldeide benzoica, il che però si può spiegare colla minore ossidabilità di questa aldeide in confronto di quelle alifatiche. Questi fatti non gettano molta luce sulla costituzione dei cosidetti dinitroidrocarburi primarî, solo rendono poco probabili (1) “ Annalen ,, 1827, 9 (1876). (2) “ Comptes Rendus ,, 94, 399 (1882). (3) “ Am. Chem. Journ. ,, 20, 211, 214 (1898). (4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 32, II, 133 (1901). Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 18 264 GIACOMO PONZIO le formole di struttura finora proposte da ter Meer (1), Chancel (2), Meyer (3) e Nef (4): ZN0, X\NO, /Z0N0 NONO 70H /ZN0 Sono, B0 RC SNO0H. R.CH R.CH Ho pensato che un utile contributo alla conoscenza della costituzione dei dinitroidrocarburi primari, si potesse avere dalla loro riduzione in mezzo neutro con amalgama d’alluminio, e dalle esperienze che qui riferisco, risulta che in tali condizioni si forma sempre, oltre ad ammoniaca, l’ amina primaria allo stesso numero di atomi di carbonio del dinitrocomposto. Siccome poi nel caso del dinitrononano ho riscontrato anche la presenza di nonilaldossima, così è probabile che questa rap- presenti un prodotto intermedio di riduzione del dinitroidrocar- buro in amina. Parrebbe adunque che nei dinitroidrocarburi primarî R.CH(N0,) un solo atomo d’azoto sia legato direttamente al carbonio, il che si accorda coi risultati di un mio recente lavoro sul fenil- dinitrometano C;Hg . CH(N0;) (loc. cit.) i quali mi avevano in- dotto a concludere che in esso vi fosse un solo gruppo NO; e che almeno un atomo di ossigeno fosse direttamente legato al carbonio. Ad ogni modo sta il fatto che come le monoamine sono il prodotto finale di riduzione dei mononitro- così lo sono anche dei dinitroidrocarburi primarî. Nel caso dei mononitroidrocarburi si ottengono come prodotti intermedì le alchilidrossilamine (5): R.CH,(NO), —* R.CH,.NHOH —-+ R.CH,.NHy; nel caso invece dei dinitroidrocarburi si formano le aldossime corrispondenti: R.CH(N;0,) => R.CH(NOH) —» R.CH,.NHy. (1) “ Annalen ,, 181, 1 (1876). (2) “ Comptes Rendus ,, 86, 1407 (1878). (3) £ Lehrbuch , I, 633 (1893). (4) “ Annalen ,, 280, 282 (1894). (5) Meyer, “ Berichte ,, 24, 3558 (1891). SULLA RIDUZIONE DEI DINITROIDROCARBURI PRIMARI, ECC. ‘265 Dinitropropano.— Gr.5 di dinitropropano CH3.CHs. CH(N30,) sciolti in etere furon versati a poco a poco su gr. 20 di allu- minio amalgamato e ricoperto di uno strato di etere. La ridu- zione si inizia da sè e diventa tosto così energica che occorre moderarla raffreddando con acqua. Quando è completa, si distilla l’etere col quale passano pure l’ammoniaca, l’aldeide propionica e la propilamina. Agitando l’ etere con acido cloridrico diluito e svaporando a bagno maria la soluzione acida, si ottiene una mescolanza di cloruro d’ammonio e di cloridrato di propilamina, dalla quale si isola il primo mediante successivi trattamenti con alcool assoluto. Grammi 0,2626 di sostanza fornirono gr. 0,6956 di cloruro d’argento. Cioè su cento parti: trovato calcolato per NH,Cl Cloro 66,50 66,95. Il cloridrato di propilamina CH3.CHy.CH,.NH, . HCI si tratta con tetracloruro di platino ed il cloroplatinato risultante si cri- stallizza dall’acqua. Gr. 0,3646 di sostanza fornirono gr. 0,1348 di platino. Cioè su cento parti: trovato calcolato per (C3HgN . HC1),PtC], Platino 36,94 37,00. Nell’ etere rimane l’ aldeide propionica CHy.CH,.CHO la quale si riconosce colla reazione di Fischer (1) trattando con fenilidrazina e trasformando l’idrazone così ottenuto in scatolo, mediante riscaldamento in bagno d’ olio con cloruro di zinco a 130°. Dinitrononano CHy.(CH,)7.CH(N30,). — Si fa la riduzione come nel caso precedente, poi si distilla l'etere (col quale passa l’ammoniaca) ed il residuo si assoggetta alla distillazione col vapore. La sostanza volatile è formata da nonilamina e da nonil- (1) “ Berichte ,, 22, 104 (1889). 266 GIACOMO PONZIO aldossima: trattata con acido cloridrico diluito l’amina si scioglie, mentre l’ossima si solidifica e si può poi purificare per cristal- lizzazione dall'alcool acquoso. L'ossima dell’ aldeide nonilica CH3.(CHs);.CH(NOH) così ot- tenuta, non si trova finora descritta nella letteratura chimica, e costituisce delle laminette bianche, splendenti, fusibili a 63°, volatili col vapore e solubili negli ordinarî solventi organici. I. Gr. 0.1306 di sostanza fornirono gr. 0,3303 di anidride carbonica e gr. 0,1468 di acqua. II. Gr. 0,1680 di sostanza fornirono cc. 12,5 di azoto (Ho= 747,75, t= 7°), ossia gr, 0,011973. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CsHigN0 Et . Carbonio 68,98 _ 68,79 Idrogeno 12,45 —_ 12,10 Azoto _ 8,90 cal. La soluzione cloridrica svaporata a bagno maria lascia per residuo unicamente del cloridrato di nonilamina €©H3.(CHs),. CHs.NH..HCI che, fu trasformato nel corrispondente cloropla- tinato, cristallizzabile dall'alcool in laminette gialle. I. Gr. 0,4145 di sostanza fornirono gr. 0,4717 di anidride carbonica e gr. 0,2458 di acqua. II. Gr. 0,4379 di sostanza fornirono ce. 13,5 di azoto (Ho = 753,5, #= 8°) ossia gr. 0,016226. III. Gr. 0,4348 di sostanza fornirono gr. 0,1220 di platino. Cioè su cento parti: trovato calcolato I II III per (CsHa,N.HC1)PtC], Carbonio 30,81 — ss 31,09 Idrogeno 6,53 —_ _ 6,33 Azoto _ 3,70 — 4,03 Platino "i — (028,08 97,91. SULLA RIDUZIONE DEI DINITROIDROCARBURI PRIMARI, ECC. 267 Fenildinitrometano C}H5.CH(N30,). — Questo dinitroidro- carburo ridotto come i precedenti dà ammoniaca e benzilamina, la quale si isola per distillazione col vapore e si trasforma poi in cloridrato C;H;.CHs.NH;.HCI. Quest’ ultimo, separato dal cloruro d’ ammonio per la sua solubilità in alcool assoluto, fu trattato con tetracloruro di platino, ed il cloroplatinato così ottenuto fu cristallizzato dall’acqua. Gr. 0,5186 di sostanza fornirono gr. 0,1603 di platino. Cioè su cento parti: trovato calcolato per (CHsN . HC1)3PtC], Platino 30,91 Ole FO. Torino, Istituto Chimico della R. Università. Febbraio 1902. Relazione sulla Memoria del Dr. Francesco Severi, inti- tolata: Sulle ‘intersezioni delle varietà algebriche, e sopra è loro caratteri e singolarità projettive. I problemi della geometria numerativa si possono spesso riportare a questa forma: “ Son date, in uno spazio conve- niente S,, due o più varietà algebriche V, W,..., le cui dimen- sioni dànno per somma r: trovare il numero dei punti comuni a queste varietà, all’infuori eventualmente di alcune linee, su- perficie, ecc. che siano già date e giacciano su V, W, ..., Fu appunto nel dare questa forma ai problemi numerativi dello spazio ordinario che taluni geometri (come CayLey e HALPHEN) furon condotti a considerare gl’iperspazì come nuovi ambienti per le ricerche geometriche. D'altra parte l’interesse algebrico di quel problema d’inter- sezioni è evidente: si tratta in fatti delle soluzioni comuni ad un sistema di equazioni algebriche, come nel teorema di Bézourt, ma in ipotesi molto più generali! Ciò spiega il comparire di 268 alcuni casi del detto problema nel classico trattato d’Algebra del SALMON (*). Si è anche condotti per necessità, dallo studio della que- stione, ad estenderla ulteriormente, col supporre che la somma s delle dimensioni di V, W, ... sia maggiore di r; cosicchè l’inter- sezione di queste sarà generalmente una M,_,, insieme, even- tualmente, ad una o più altre varietà date: e di quella M._, si dovranno ricercare i caratteri, in funzione dei caratteri delle varietà date. Sono questi i problemi d’intersezioni di cui tratta il Dr. Severi nella sua Memoria, ottenendo risultati molto più ampi che quelli dei suoi predecessori. Egli fissa da prima una serie di caratteri che son da considerare in ogni varietà alge- brica V,: cioè gli ordini dei luoghi di quei punti della varietà stessa, i cui S, tangenti verificano una condizione fondamentale. Poi, per una varietà V' giacente nella V,, definisce un’analoga serie di caratteri d’immersione: considerando quei soli Sx che son tangenti alla V, in punti di V'. Tali caratteri, e più special- mente quelli che vengon chiamati classi e ceti, caratterizzano le varietà nelle questioni di cui qui si tratta. Si possono allora determinare i caratteri di una varietà, intersezione completa di altre, per mezzo dei caratteri di queste. Così pure, osservando che una V, di S,, se 2%=r, ha in generale una varietà doppia di dimensione 2% — r, si può esprimere l’ ordine di questa in funzione dei ceti della V,. E qui rileviamo ancora l'osservazione, che fa il SEVERI, che una varietà obbligata a passare per un’altra può, da questo solo fatto, esser costretta ad avere dei punti doppî in punti semplici di quella: l'A. calcola l’ordine del luogo di questi punti doppî. Quanto ai problemi d’intersezioni prima accennati, l'elenco dei casi in cui l'A. riesce a risolverli si ha nell’indice del lavoro, sicchè crediamo superfluo il riportarlo qui. Citeremo solo, fra (*) Se, invece di supporre date le varietà V, W,... în uno S;, si sup- pongono în una varietà algebrica qualsiasi di dimensione 7, si avrà un pro- blema d’intersezioni, più generale, al quale si potranno ridurre i problemi numerativi, quando la classe degli enti a cui si riferiscono costituisca una varietà qualunque (cioè non necessariamente lineare o razionale). A questo problema più generale d’intersezioni converrà pur che si rivolgano presto le ricerche dei geometri (fissandone convenientemente i dati). 269 essi, la determinazione del numero dei punti comuni ad r forme di S,, fuori di una V, comune (2% < r). Sebbene quei casi non abbiano ancora la massima generalità, pure ne hanno già tanta da prestarsi a numerose ed utili applicazioni. In complesso, la Memoria del Dr. Severi riesce a fornire parecchi risultati, realmente nuovi ed importanti, alla teoria generale delle varietà algebriche e delle loro intersezioni. Noi quindi proponiamo che essa venga accolta nei volumi acca- demici. E. D’OvIpro, C. SEGRE, relatore. Relazione sulla Memoria del Dr. Alfonso Bovero intito- “ lata: Ricerche morfologiche sul “ Musculus cutaneo- mucosus labîi ,. Il Dott. Alfonso Bovero, settore capo nell’Istituto Anato- mico di Torino, ha eseguito, servendosi di sezioni microscopiche, una serie numerosa di ricerche morfologiche sul sistema di fibre muscolari descritte primieramente da KLern, che nel labbro col- legano direttamente la cute alla mucosa e pel quale lA. pro- pone appunto la denominazione di Musculus cutaneo-mucosus labii. Le conoscenze che finora si avevano di tale sistema musco- lare, il quale nell'uomo giuocherebbe un ufficio importante nel- l’atto del succhiamento, erano quasi esclusive alla specie nostra e principalmente al bambino: solo nozioni scarse e contraddit- torie esistono nella letteratura attorno al detto muscolo nelle labbra dell’uomo adulto e nelle labbra di mammiferi inferiori al- l’uomo. Nello studio del muscolo cutaneo-mucoso del labbro il dot- tore Bovero ha tenuto conto del suo comportamento nelle varie classi di mammiferi e dei rapporti che esso contrae coi diversi muscoli costituenti il labbro, della sua costanza o meno nella nostra specie, dello sviluppo relativo nelle varie età e nelle diverse forme del labbro, nelle differenti razze e nelle singole 270 regioni: subordinatamente si è proposto di rischiararne l'origine filogenetica, e. di vedere se anche per il complesso di tale si- stema valga: pure la legge enunciata da GeGENBAUR, che la ge- nerale differenziazione ed il perfezionamento della muscolatura facciale vada aumentando col progredire nella scala zoologica. L’A. riporta minutamente nel suo lavoro i reperti ottenuti dall'esame di un grandissimo numero di sezioni microscopiche per lo più sagittali, talvolta orizzontali, frontali o variamente oblique delle varie regioni delle due labbra, nei differenti ordini (Primati, Chirotteri, Insettivori, Carnivori, Roditori, Artiodattili e Perissodattili) di mammiferi esaminati. Dal suo studio con- clude per la esistenza costante del muscolo cutaneo-mucoso del labbro come formazione più o meno sviluppata o rudimentale in tutta la serie dei mammiferi, dall'uomo agli artiodattili. Esso assume il suo sviluppo maggiore nell'uomo e negli Antropoidi: nell'uomo non vi hanno differenze sensibili per la sua robustezza nelle due labbra; invece negli altri mammiferi, anche nelle scimmie antropomorfe, si manifesta e va vieppiù accentuandosi la preponderanza del muscolo cutaneo-mucoso del labbro infe- riore per rispetto a quello del labbro superiore. Il muscolo è pure potentemente sviluppato, per quanto modificato morfologi- camente, nei Carnivori e Roditori, rudimentale invece e con spe- ciali modalità di comportamento negli Ungulati, Insettivori e Chirotteri. Il muscolo assume disposizioni più semplici nell’età giovane e ciò nei varî ordini di mammiferi; non vi ha però una pre- ponderanza di sviluppo per rispetto all’età adulta: il comporta- mento più regolare delle fibre che lo costituiscono è solo relativo al non ancora completo differenziamento degli altri sistemi. È da notarsi ancora che nella razza negra il muscolo pei suoi caratteri si avvicina assai più a quello delle scimmie An- tropoidi, che non il muscolo corrispondente delle razze umane superiori. In quanto all’origine l'A. dimostra la provenienza del mu- scolo studiato dallo strato superficiale (platysma) della musco- latura sottocutanea primitiva del collo, conformemente a quanto, però senza osservazioni dirette, aveva affermato digià RueE; esclude ad ogni modo si tratti di una formazione autoctona o di una dipendenza delle fibre orbicolari del labbro. 271 Il lavoro del dott. Bovero è accompagnato da una tavola con 8 figure. Per l’importanza e per l’estensione delle ricerche 1 due sottoscritti propongono che il lavoro del dott. Bovero sia inserito nel volume delle Memorie della nostra Accademia. L. CAMERANO. Pro Foà, relatore. L’Accademico Segretario Enrico D’OvipIo. 272 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 16 Febbraio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Peyron, Vice-Presidente dell’Acca- demia, Ferrero, Direttore della Classe, Rossi, MANNO, BOLLATI pI SAarnT-PierrRE, CARrLE, BoseLLI, CrpoLLa, CHIRONI, RENIER Se- gretario. — Il Socio Brusa scusa l’assenza. È approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 2 febbraio 1902. Il Presidente offre da parte degli Autori le seguenti pub- blicazioni: 1° Due discorsi del Socio CARLE: Il pensiero civile e poli- tico di Vincenzo Gioberti, Torino, 1901; Vincenzo Gioberti e il secolo ventesimo, Torino, 1902; 2° Un Discorso pronunziato nell’inaugurazione della Pina- coteca Civica di Savona, Savona, 1902, del Socio corrispondente Vittorio PoGGI; 3° Due opuscoli del Socio corrispondente Marchese DE Naparrac: L’Irlande préhistorique, Louvain, 1901, e Vers le pole nord, Louvain, 1902. Il Socio Manno fa omaggio di un opuscolo del Marchese David InvreA: I Collegio Invrea, cenno storico, statuto e regola- mento, documenti, Genova, 1901. 273 Il Socio RossI presenta sotto la sua responsabilità una Nota del Prof. Armando TaLLone, Appunti sulle relazioni tra Inno- cenzo IV e il Comune di Vercelli (1243-1254), che è inserita negli Atte. Il Socio Caironi dà lettura d’una sua Memoria intorno Il movimento pel divorzio in Italia. Con votazione segreta la Classe accoglie questo scritto nelle Memorie accademiche. Il Socio FER- RERO, pur encomiando il lavoro, dichiara di astenersi dal voto perchè non gli sembra che la discussione d’un disegno di legge presentato al Parlamento sia conforme alle tradizioni dell’Ac- cademia. 274 ARMANDO TALLONE LETTURE Appunti sulle relazioni tra Innocenzo IV e il Comune di Vercelli (1243-1254). Nota di ARMANDO TALLONE. Gli avvenimenti succedutisi nella città di Vercelli dal 1243 al 1254, cioè dall’elezione alla morte del Pontefice Innocenzo IV, o, per esser più esatto, dagli ultimi mesi del conclave in cui questi fu eletto, alla pace generale del 1254 tra i fuorusciti e gli intrinseci vercellesi, non sono che una scena del dramma grandioso svoltosi al di qua ed al di là delle Alpi durante l’epica lotta fra la podestà pontificia e la casa degli Hohenstaufen. Nei casi del Comune di Vercelli vediamo come rispecchiati i casi degli altri Comuni e signori di quel tempo; nei frequenti passaggi di quelli all'una od all’altra parte vediamo quanto debole fosse l'’assegnamento che questa o quella potevano fare sui loro ade- renti. Per quel che riguarda Vercelli, tutto quanto può riferirsi alle relazioni tra questa città ed il Pontefice Innocenzo IV, ci fu con grande abbondanza di particolari narrato dal diligente storico vercellese Vittorio Mandelli (1), e, in tempi a noi più vicini da Giovanni Battista Adriani, nella prefazione e nelle note alla pubblicazione da lui fatta nei Monumenti di Storia patria degli Statuti e Monumenti Storici del Comune di Vercelli (2). Ma una gran parte di quelli avvenimenti, benchè il racconto ne sia stato condotto con diligenza grandissima su quanti documenti allora potevano essere consultati sull'argomento, rimasero avvolti, se non nell’oscurità, in qualche incertezza; cui non potevasi por- tare rimedio se non col soccorso di nuovi e decisivi documenti. Mi è parso perciò prezzo dell’opera, con l’aiuto specialmente (1) IZ Comune di Vercelli nel Medio Evo, 1, Vercelli, 1857. (2) Hist. P. Mon., XVI (Leges Municipales, II, 1) e, a parte, Torino, 1887. Per le citazioni mi riferisco a questa edizione. SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 275 della pubblicazione recentemente avvenuta dei Registri di papa Innocenzo IV (1), riprenderne in queste pagine la narrazione, e ripassando uno per uno i documenti che gli altri conobbero, e con la scorta principalmente degli altri che quelli non poterono aver per le mani, vedere quanto di nuovo o di meno oscuro potevasi ancora dire sull’argomento. L Sul principio del 1243 avveniva un grande rivolgimento nella città di Vercelli. Questo Comune, che già fino dal 1288, poco dopo la battaglia di Cortenuova, era ritornato nella grazia e nella sottomissione di Federico II; in quest'anno, mentre an- cora eran vacanti la sedia pontificia e la propria vescovile, seguendo l'esempio dei marchesi del Carretto di Ceva e del Mon- ferrato, abbandonava la parte imperiale, nei primi giorni del gennaio eleggevasi da sè stesso in seno delle Società di San- t'Eusebio e di Santo Stefano i due Podestà Ruffino Avogadro ed Ardizzone di Biandrate e ritornava alla devozione della Chiesa Romana. L’atto importante aveva potuto effettuarsi, secondo il cronista di Genova, mercè l’intromissione del marchese di Mon- ferrato (2); ma, più specialmente ancora, per l’abilità e la lar- ghezza usate coi Vercellesi dal legato pontificio Gregorio da Montelongo. Già da lungo tempo il Comune vercellese agognava di im- possessarsi della giurisdizione temporale sulle terre della sua diocesi, fino allora appartenuta al suo vescovo; e ultimamente ancora, nel 1241, un articolo speciale aggiunto negli Statuti trattava di ricercarla presso l'Imperatore, ‘o in qualunque altro modo (3). Qual esca migliore poteva offrire il legato al Comune (1) BercEr, Les Registres d’Innocent IV; Paris, 1884-1897; ed in parte anche per la pubblicazione fatta in Mon. Ger. Hist., Epistolae saeculi XIII. (2) B. Scrisar, Annales; in M. G. H., SS., XVIII, 209 (1243). (3) “ Item statutum est quod potestas infra XV dies in principio sui “ regiminis debeat facere credenciam ubi vocentur credenciarii omnes et ‘ ducentum paratici ore ad os.in quo consilio ponat de habenda iurisdie- “tione ab Imperatore uel alio modo hominum laycorum habitantium in “ episcopatu inter Padum et Duriam, Sicidam et costam Caramazi ,. Apriani, 307-308, $ cccoxxxrv — Manpetti, I, 807. 276 ARMANDO TALLONE se non l’ambita cessione? Elesse egli quindi a suoi delegati in Vercelli l'abate di San Genuario, quello di Santo Stefano ed il preposto di Faenza, i quali, muniti di ampi poteri, trattarono con la Credenza ed i Podestà intorno alle domande che il Comune faceva al Legato. Dopo varîì congressi, dopo aver dibattuto e discusso l’una e l’altra parte le varie clausole del trattato concernenti le domande dal Comune inoltrate, Gregorio da Montelongo, previa l'assoluzione in favore dei Vercellesi dalla scomunica in cui erano incorsi per aver tenuto le parti di Federico, con quattro atti separati del 21 di aprile, prometteva al Comune solenne- mente che la Chiesa Romana non avrebbe fatto pace alcuna con l'Imperatore senza inchiudervi anche il Comune; che avrebbe procurato con tutto il suo potere di impetrar dal Pontefice — allora non per anco creato — che il Comune non potesse venire scomunicato se prima la causa non ne. fosse riconosciuta legit- tima in un consiglio di savî e che non potessero i Vercellesi essere tratti a piatire in giudizio fuori del proprio distretto; infine che verrebbero appianate le differenze col monastero di San Sillano di Romagnano (1). Non mancava dunque più. che la stipulazione dell’atto importante che doveva concedere ai Vercellesi la tanto desiderata giurisdizione: già il 6 aprile il legato aveva richiesto della sua approvazione il Capitolo, che l’accordava (2), presente e consenziente come preposto lo stesso Martino Avogadro di Quaregna che in seguito fu eletto vescovo di Vercelli; e finalmente il 22 aprile 1243, nel palazzo vesco- vile, veniva stipulato l’atto di acquisto da parte dei Vercellesi della temporale giurisdizione già spettante al vescovo, per la somma di 9000 lire pavesi (3), promettendo infine il legato Gregorio di Montelongo di far tutto il possibile perchè il nuovo Pontefice, non appena fosse creato, approvasse e ratificasse tale cessione (4). Poco tempo dipoi vennero rogati gli atti di immis- (1) Manperni, I, 243-244 — AprianI, 576, 577, 579, 580. (2) Manpetti, I, 239 — AprIANI, 561. (3) Manpenni, I, 247-248 — Aprrani, 583 — Irici, Historiae Tridinensis, 91-92, con la falsa data IX kalendas madii. (4) “ Item predictus Dominus legatus promisit se daturum operam pro “ posse bona fide et curaturum, quod Cardinales Romanae ecclesiae et SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 277 sione in possesso dei varî luoghi, atti di cui ci rimasero quelli per Flecchia, Mosso, Bioglio, Andorno, Chiavazza, Ronco e Zu- maglia dell’8, 9, 10 e 17 di maggio del medesimo anno. Tale era dunque la posizione dei Vercellesi di fronte alla Chiesa Romana quando alla fine di giugno del 1243 aveva prin- cipio il pontificato di Sinibaldo dei Fieschi, Innocenzo IV. Ma non tuttii cittadini di Vercelli erano passati alla parte guelfa; chè anzi una piccola ma non ispregevole minoranza ancora teneva per le parti di Federico, e minoranza composta di tali che non sarebbero indietreggiati neppure di fronte alla rovina o ad un grave danno della patria loro per raggiunger lo scopo. Erano questi capita- nati da Pietro Bicchieri, nipote del celebre cardinale, e ne face- vano parte: il primo abate di Sant'Andrea, Tomaso, dalla sua patria chiamato Gallo, ed il suo priore, che poi gli successe nel- l’abaziale autorità, Anfosso di Montechiaro; l’abate di Santo Ste- fano Pietro Bondoni, il cantore Ruffino da Asti (1), il tesoriere Vialardi e molti altri canonici regolari e secolari. * >» Passato il Comune al partito guelfo, pare che Pietro Bic- chieri non avesse tardato a manifestare i sentimenti suoi ghi- bellini: mandato ambasciator del Comune a Milano con Ruffino Avogadro, Guglielmo Arborio e Nicolò Alzato dopo che già era stato stipulato il trattato col Montelongo, giunto appena in Val Sesia rifiutò reiteratamente di proceder più oltre; non solo, ma guernì e fortificò i luoghi di San Germano, Alice, Viverone, Roppolo e Azeglio della cui metà era signore (2), ricusando di “ Suammus Pontifex, qui cito fuerit in Ecclesia Romana, praedictam ven- € ditionem et datum approbent confirment et ratam habeant ,. (1) “ Rufinus de Ast huius ecelesie sacerdos Cardinalis cantor egregius , morto nel 1264: CoLomso, I necrologî eusebiani, in Bollett. stor. bibliogr. su- balpino, II, 216; Torino, 1897. (2) Del luglio 1194 abbiamo una investitura di Gaido, vescovo d’Ivrea, in favore di Pietro Bicchieri della metà di un mulino e di una pezza di terreno in Azeglio: Gasorto, Le carte dell’Archivio vescovile d'Ivrea, I, 42, in Bibl. della Soc. stor. sub., Vj; Pinerolo, 1900. Del 1240 abbiamo il con- segnamento per parte del medesimo al podestà di Vercelli della metà di alcuni beni tra cui del castello di Azeglio : CoLomso, Documenti vercellesi re- lativi ad Ivrea, 199; Ibid., VIII; Pinerolo, 1901. 278 ARMANDO TALLONE consegnarli nelle mani del podestà di Vercelli; ed infine col re Enzo e con Manfredi II Lancia avea preso parte alle scorrerie fatte sul territorio di Vercelli (1). Federico II infatti non poteva aver ricevuto senza grandissimo sdegno la notizia della defezione dei Vercellesi: anzi Manfredi Lancia e il re Enzo furono l’istru- mento della sua vendetta; ma invano, perchè i Ghibellini non poterono entrare nella città (2) ed il re Enzo, dopo essersi allontanato una prima volta e poi ritornato mettendo il terri- torio a ferro ed a fuoco (3), si allontanò definitivamente vol- gendosi contro del Monferrato (4). Tanto dovettero sopportare quei di Vercelli in punizione del loro passaggio alla parte guelfa; ma nei primi tempi del pontificato di papa Innocenzo IV invano si cercherebbe in favore di essi un provvedimento che in certo qual modo avesse potuto renderli indenni di tanta iattura. Dopo di una sua raccoman- dazione al legato Gregorio da Montelongo, del 23 settembre 1243 ut fideles Ecclesiae in Lombardiae partibus constituti in ipsius devotione stabiliter perseverent (5), troviamo soltanto, del 18 gen- naio 1244, la riserva di una prebenda nella chiesa di Vercelli (6), del 10 maggio, l'ordine al Montelongo di preporre alla Chiesa torinese l’abate di S. Genuario Giovanni Arborio (7); del 27 di maggio, ad un abate della diocesi di Asti, un ordine con- cernente una bolla di Gregorio IX intorno alla nomina di ca- nonici nel Capitolo vercellese (8); ed infine, del 9 giugno, un importantissimo provvedimento concernente il vescovo di Ver- celli, che vedremo a suo tempo. (1) ManpeLti, 255 n. — CoLomo, Documenti, 201. (2) Annales Placentini Gibellini, 486, (M. G. H., XVIII). (3) Una sua lettera al podestà di Cremona del 4 settembre 1243 è data in castris in depopulatione vercellarum: Hurraro-BrénoLLes, Historia diplomatica Friderici II, VI, I, 119; Parisiis, MDCCCLXI. (4) Merker, Manfredi I e Manfredi II Lancia, 101; Torino, 1886. (5) Registres, n. 127 e M. G. H., Leg., II, 344; donde PorrHAST, Regesta Pontificum Romanorum, n. 11185. (6) Registres, n. 388. (7) Registres, n. 675. L'ordine di mettere in possesso del vescovado il medesimo, dato ad Artaldo preposto di Biella, del 18 nov. 1244, è in H. P. M. Chart., I, 1365. Cfr. ManpeLLi, I, 263. (8) Registres, n. 735. SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 279 * * * Frattanto continuava la lotta tra il Comune ed i fuorusciti : quello il 10 gennaio del 1244 riconfermava il bando pronunziato il 10 del luglio precedente contro di Pietro Bicchieri, confiscava in modo speciale i beni da lui posseduti sul territorio di Pive- rone (1); ed infine, sperando con l’aiuto dell’autorità pontificia porre termine più facilmente ad una guerra così disastrosa, deputò alcuni suoi delegati presso del Papa perchè vi si faces- sero eco delle sue lagnanze contro dei fuorusciti e degli altri aderenti al partito imperiale; non solo, ma anche e principal mente, per ottenere l'approvazione della vendita fatta dal Mon- telongo secondo le promesse fatte da questo nei quattro atti del 21 di aprile ed in quello del 22. La pergamena contenente le istruzioni a questi legati conservasi nell’ Archivio civico di Vercelli, ed è senza data; ma tanto il Mandelli quanto l’Adriani poterono, senza che gravi dubbî possano elevarsi in contrario, assegnarla alla metà circa dell’anno 1244, poichè vi si legge che da 14 mesi l’abate di Sant'Andrea erasi allontanato dalla città per unirsi alla parte imperiale (2). Con quell’atto il Comune di Vercelli ordinava ai suoi dele- gati che procurassero di ottener dal Pontefice la conferma della vendita ed i privilegi e le altre domande già l’anno prima pre- sentate al legato; ed inoltre, in modo speciale, che Pietro Bic- chieri e tuttii suoi aderenti ed i loro eredi venissero scomu- nicati e non potessero più entrare nella città; che venissero deposti gli abati di Santo Stefano e di Sant'Andrea e gli altri canonici rei dello stesso delitto; che fosse dall'Imperatore annul- lato ogni bando pronunciato contro della città; che il vescovo eletto venisse confermato (3); che il Pontefice concedesse il sussidio della crociata al Comune in caso d’assedio per parte di Federico; che l'Imperatore rilasciasse i soldati vercellesi da lui condotti in Puglia, e che infine non venissero tolte le fiere, segnatamente quella di Sant'Eusebio. (1) Manpecti, I, 263. (2) Manpetti, I, 265 — Apriani, 605. (3) A questo punto il Mandelli confessa di non comprendere chi possa essere questo eletto, e dubita possa trattarsi di Martino Avogadro. Vedremo in seguito che solo a questo poteva alludere il Comune. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 19 280 ARMANDO TALLONE Le accuse mosse contro di Pietro Bicchieri erano: essersi arricchito coi beni della Chiesa; aver ricusato di eseguir l’am- basciata a Milano; aver fortificato le sue castella ; aver chiamato alla distruzione del territorio il re Enzo ed il marchese Lancia. L’abate poi della chiesa di Sant'Andrea, quello di Santo Stefano ed il canonico Giovanni Bondoni (1) erano fatti segno a un dipresso alle medesime accuse: avere cioè favorito Pietro Bic- chieri e gli altri nemici della Chiesa Romana ed aver obbligato gli uomini delle loro chiese a fare altrettanto; ma contro del- l'abate di Sant'Andrea trovansi a tergo della medesima perga- mena accuse più specificate: aver cioè donato a Pietro Bicchieri una somma di danaro dovuta alla sua chiesa; consegnato agli altri nemici i quattro castelli di Costanzana, San Germano, Alice e Viverone; donato un cavallo e altre cose al vicario del- l'Imperatore; fatto numerosi altri doni ai Bicchieri e donato un carro di vino alla moglie del marchese Manfredi Lancia (2). Non ci furono conservati in alcun documento nè il nome degli ambasciatori nè il modo con cui disimpegnarono il loro mandato; tuttavia negli effetti in seguito potè vedersi come ad alcune delle loro domande — benchè assai lentamente e a lunghi intervalli tra un atto e l’altro — abbia poi il Pontefice cor- risposto, e come rispetto ad alcune altre abbia bensì assecondato le mire di quel Comune; ma solo quando altri avvenimenti gra- vissimi gli diedero, a farlo, l’ultima spinta. Sul primo e più importante capo della domanda, la con- ferma cioè della vendita fatta dal Montelongo, torneremo più tardi; per ora vediamo gli altri provvedimenti presi dal Papa in favore dei Vercellesi. * * * Un anno dopo all’incirca, il 5 maggio 1245 (3), il papa Innocenzo IV riceveva i Vercellesi sotto la protezione sua e di San Pietro, riconfermava loro in modo speciale le fiere di Ognis- (1) Di questo il necrologio dà la morte al 1258; ma ricorda di lui sol- tanto il testamento, con cui beneficava la chiesa di Sant'Eusebio, non i suoi demeriti: CoLomso, Necrologî, IV, 351. (2) ManpeLLi — AprIAnI, loc. cit. — Merket, 101-102. (3) Registres, n. 1291; e M. G. H., Epistolae, II, n. 112. . = siti DI SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 281 santi e di Sant'Eusebio benchè l’Imperatore scomunicato le avesse trasportate a Torino (1), e con altro atto del medesimo giorno ordinava al vescovo di Tortona, ai preposti di San Cristoforo e di San Graziano, entrambi della diocesi vercellese, di non per- mettere, secondo il tenore dell’atto precedente, che il Comune ed il podestà venissero molestati (2). Un altro anno dopo, il 25 di giugno del 1246, concedeva al vescovo eletto, Martino degli Avogadri (3), facoltà di prendere a prestito fino alla somma di 100 marche d’argento, dando in garanzia ai creditori i beni della sua chiesa, per poterne fortificare i castelli in quei tumulti di guerra e contro i nemici della medesima (4). Alla distanza di un altro anno all'incirca, cioè il 7 maggio 1247, concedeva quel già conosciuto privilegio per cui non poteva il Comune per il triennio seguente venire scomunicato da alcun delegato della Chiesa Romana, se prima la causa non fosse stata dichiarata legittima in un consiglio di savî (5). Infine, benchè documento espresso non ci rimanga, ad un’altra delle domande dei Vercellesi — e per le circostanze speciali che accompagnarono il fatto una delle più rilevanti — fu dal Pontefice data piena soddi- (1) A questo accenna il Rainaldi, sotto l’anno 1245 (Cfr. Manpetta, I, 271) dicendo appunto che Innocenzo “ loro restituì i mercati solenni ossiano le fiere che da Federico erano stati tolti con editti ,. (2) Registres, n. 1292: Et ratio postulat. Lugduni, III nonas maii, anno II. Entrambi questi due atti vennero alla luce soltanto per le due citate pub- blicazioni. (3) Questo provvedimento, che riguardava unicamente la Chiesa di Vercelli e la Diocesi, non era stato invocato dal Comune in quelle domande. A favore dello stesso vescovo eletto il Pontefice più tardi prese un altro provvedimento, dando ordine il 28 dicembre 1248 al Montelongo di sovve- nire con una sufficiente somma annuale quell’eletto “ quem oportet hoc tempore magna subire onera expensarum. , Registres, n. 4280. — M. G. H., Epistolae, II, n. 628: Quanta et qualia. Lugduni, V kalendas iamuarii, anno VI. (4) Registres, n. 1941. M. G. H., Epistolae, II, n. 198: Cum sicut asseris. Lugduni, VII kalendas Iulii, anno IMI. Il 19 aprile 1247 poi “ Electo Ver- “ cellensi indulget quod consecrationis munus ex nune per annum non “ teneatur suscipere ,. Registres, n. 2540: Angustiis et pressuris. Lugduni, XII kalendas maii, anno IV. (5) Registres, n. 2716. — M. G. H., Epistolae, II, n. 345. Ed. in MaNpELLI, I, 245. Ivi però la pagina, per errore di stampa porta il numero 145, donde Porrnasr, n. 12509, con tale indicazione. Cfr. AprIanI, 577. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 19* 282 ARMANDO TALLONE sfazione. Voglio dire la conferma del vescovo eletto, per cui è qui necessario fare una piccola digressione. Rimasta vacante la cattedra vescovile di Vercelli per la morte del vescovo Giacomo de Carnario, avvenuta il 15 di feb- braio del 1241 (1), il Capitolo non tardò a nominargli un. suc- cessore nella persona dell’arcidiacono W. o V.; a cui però il legato Gregorio da Montelongo mai non volle accordare la sua approvazione o conferma, non curando neppure l'appello inter- posto dagli interessati presso della Sede Apostolica. Non è ben chiaro, e la bolla di Innocenzo IV nol dice, se questa nomina avvenne ancora negli ultimi mesi di vita di Gregorio IX, o nei pochi giorni del pontificato di Celestino IV, o, a dirittura, du- rante le vacanze della Santa Sede; poichè le parole della bolla citata lasciano il campo libero a tutte quante le ipotesi; ma il fatto da solo della mancata approvazione da parte del legato apostolico, dovette costituire un ostacolo insormontabile pel rico- noscimento di questo vescovo intruso, di cui non risulta che in atto alcuno abbia assunto i titoli spettanti alla dignità episco- pale (2). Quanto a questo intruso, che la bolla pontificia designa soltanto con la iniziale W. o V., egli non può esser altri che quel Vercellinus Scutarius che compare come teste già in un atto del 23 luglio 1219 nella sua qualità di arcidiacono (3); che era ancor tale nel 1241, come mostra una carta. dell’Ar- chivio capitolare di Vercelli del 6 settembre; e di cui il necro- logio segna la morte al 2 di settembre del 1243 (4). Si era nei giorni in cui da poco tempo era avvenuto nel Comune quel famoso rivolgimento per cui la parte popolare arrivava al go- (1) XIII exeunte mense februario, come dice il necrologio. Cfr. Co- Lomo, Necrologî, Il, 213, cit. pure dal Savro; Gli antichi vescovi d’Italia. Il Piemonte, 491; Torino, 1899, che ne riporta le parole, ma pone la morte del vescovo al 14 febbraio. Per questi avvenimenti cfr. pure FrANKFURTH; Gregorius de Montelongo. Ein Beitrag zur Geschichte Oberitaliens in den Jahren 1238-1269; Marburg, 1898; pag. 46. (2) Infatti al tempo della vendita della giurisdizione; nell’aprile del 1243, la sede vescovile era considerata vacante. (3) [BescapÈ], Novaria seu de Ecclesia Novariensi, 382 ;. Novariae MDCXIIT. (4) “ Decessit dominus vercellinus scutarius huius eccelesie archidia- “ conus ,: Coromso, Necrologi, VI, 1. Il Frankfurth e il Savio non cercano di identificarlo. SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 283 verno, ed il Comune stesso ritornava alla parte guelfa: Gregorio da Montelongo, che aveva venduto al Comune la giurisdizione spettante al vescovo, per mezzo dell’abate di San Genuario che aveva trattato della vendita, sorretto con la forza dell’armi dal podestà, faceva nominare a vescovo il preposto M., i cui pro- genitori erano stati da lungo tempo nemici di quella Chiesa ed egli stesso colpito dalla scomunica. Ma preposto allora era per l'appunto Martino degli Avogadri, che aveva dato il suo consenso alla vendita della giurisdizione, che trovavasi in pieno accordo con gli uomini che erano allora al potere, ed al quale conven- gono pure tutte le altre circostanze riguardanti la sua famiglia. Accennasi altresì nella bolla di papa Innocenzo IV a maltrat- tamenti toccati per opera del podestà all'abate di Santo Stefano, quello stesso che era stato delegato dal Montelongo. Forse i maltrattamenti furon dovuti al passaggio che, probabilmente appunto in quel tempo, egli fece alla parte avversaria; forse invece, come altri pensa (1), questi maltrattamenti — usatigli per aver egli avversato la nomina di Martino -- furon quelli che il mossero a passare al partito dei Ghibellini. Comunque sia di ciò, qui va rettificata la cronologia dei vescovi di Ver- celli: morto Giacomo de Carnario il 15 febbraio 1241, nello stesso anno o nel seguente è nominato uno pseudo vescovo nella per- sona dell’arcidiacono Vercellino che muore il 2 di settembre 1243; alla sua morte, cioè alla fine del ‘43, 0 al più tardi nel principio del ‘44, viene eletto Martino Avogadro che regge poi la Chiesa fino al 1268 (2). Informato Innocenzo di tutte le difficoltà in cui trovavasi la Chiesa di Vercelli, con ordine dato da Civita Castellana il 9 di giugno 1244 intimava a un abate della diocesi di Milano di far comparire al suo cospetto le parti litiganti, volendo giu- (1) FrankrurTH, 51. (2) Cfr. Savio, 492, che alla morte di Giacomo pone la nomina di un W. arcidiacono, poi, alla morte di questo, quella di uno pseudo vescovo, M., e poi infine quella di Martino Avogadro, di cui non può dar l'elezione se non al tempo in cui la diede il Ferrero, deducendola dal sinodo, cioè alla fine del 1244. E neppure, come abbiamo veduto, può quel W. essere identificato con quel Willelmus posto dal Bonomi, dal Ferrero e poi dal- l’Ughelli tra i vescovi Aliprando ed Ugo. Ibid., 489. 284 ARMANDO TALLONE dicare della questione in persona (1); proprio nello stesso tempo a un dipresso che il Comune di Vercelli incaricava i suoi dele- gati di implorare presso di lui la conferma del vescovo eletto. La domanda infatti dei Vercellesi, di cui non si conosce esattamente la data, potrebbe considerarsi indifferentemente o causa od effetto di questo provvedimento del Papa — e nel primo caso bisognerebbe assegnarle una data anteriore al 9 giugno, nel secondo posteriore — ma potrebbe anche considerarsi affatto indipendente da esso; poichè poteva benissimo il Comune do- mandar la conferma senza sapere che il Papa aveva digià ema- nato ordine di comparizione in proposito; come a sua volta il Pontefice poteva aver dato quest'ordine senza nulla sapere della domanda dei Vercellesi. Comunque sia di ciò, quantunque Mar- tino Avogadro fosse stato antecedentemente colpito dalla sco- munica, la sua famiglia fosse stata anticamente nemica di quella chiesa e la sua elezione fosse avvenuta colla violenza, tutto questo non impedì che il Papa ne riconoscesse legittima l’ele- zione, come risulta evidente da una lunga serie di anni di non turbato possesso. * *_*E Col riconoscimento adunque del vescovo eletto — benchè, come dissi, documento esplicito non abbiamo — hanno termine i provvedimenti presi dal Papa in ordine alle domande presen- tategli dai Vercellesi nell'ultima loro ambasciata; i fulmini invocati contro gli abati di Santo Stefano e di Sant'Andrea non ci risulta che siano stati per allora scagliati; ma non è però meno significativo il silenzio tenuto da Papa Innocenzo IV ri- guardo alla famosa abazia, la quale sotto il pontificato di questo non vide riconfermato alcuno dei privilegì ottenuti dai suoi predecessori (2). E che difatti contro di quelli abati nulla sia (1) Registres, n. 736. (2) L'abazia di Sant'Andrea, arricchita in modo speciale dalla munifi- cenza del re Enrico Ill di Inghilterra, doveva la sua esistenza al cardinale Guala Bicchieri e la sua storia già porse argomento a parecchie opere, stampate e manoscritte. L'ultima uscita alle stampe è quella del Pasrè, Storia documentata dell’Abazia di Sant'Andrea di Vercelli (1219-1466); To- rino, 1901; in Miscellanea di Storia Italiana, S. INI, t. VII. La chiesa parroc- a ER e e "O SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 285 stato per allora dal Pontefice decretato, si prova da ciò che la Serie degli abati di Sant'Andrea — la quale pure fa cenno della deposizione del successore — non parla affatto della deposizione dell'abate Tomaso (1). Siccome però questo mancato provvedi- mento contro di lui era stato invocato dai Vercellesi, così vollero alcuni dedurne che la legazione citata non fosse mai stata da essi spedita al Pontefice; ma se lo stesso diligentissimo Mandelli ha creduto di poter asserire il contrario basandosi solamente sui pochi provvedimenti — da lui conosciuti — presi dal Papa in ordine alle domande mosse dai Vercellesi; a noi che per le ultime pubblicazioni ne conosciamo ancor qualcun altro, credo non resti che confermare l'opinione di lui. Però, come abbiamo veduto, le risposte soddisfacenti si fecero alquanto desiderare e non furon concesse che ad una ad una e separate l’una dall’altra da lunghi intervalli di tempo; ma quel che più apparirà strano sì è questo, che una parte di esse fu poi ancora accordata, ma proprio allorquando non avevano i Vercellesi certo più alcuna ragione per aspettarselo. chiale di Sant'Andrea, eretta nel 1169 (V. Append. n. I), fu donata dal vescovo Ugo di Sesso e dal Capitolo Eusebiano al cardinale Guala Bicchieri, perchè vi istituisse canonici regolari, nel 1215, il 10 od il 21 di aprile. (Il documento, pubblicato dal Frova e conservato attualmente nella Biblioteca di S. M., Pergamene patrie, n. 90, porta la data 1215 “die martis decimo. intrante aprilis,. Ma il 10 aprile 1215 era venerdì, non martedì; forse per errore materiale della mano del notaio fu scritto intrante invece di ezeunte, cioè 21, che era appunto di martedì). Oltre i varî privilegî conosciuti di Onorio III e di Gregorio IX, devono esser notati, di quest’ultimo, spe- cialmente due: uno, del 31 maggio 1281 (Auvray, Les Registres de Gré- goire IX, n. 653), dal quale risultano altri due nipoti del cardinale Guala Bicchieri, non ricordati finora in alcun albero genealogico ed in nessun altro documento, cioè un J. (Johannes o Jacobus) ed un Ph[ilippus], entrambi chierici beneficiati; ed un secondo, del 12 giugno 1231, ancora inedito e scono- sciuto, che conservasi, in originale, nell'Archivio dell'Ospedale di Sant'Andrea di Vercelli (Appendice n. II). Innocenzo IV, a nostra notizia, non concesse alcun privilegio a detto Ospedale. (1) Pasri, 35. 286 ARMANDO TALLONE II I gravi rivolgimenti avvenuti nella costituzione del governo della città in questi anni ed il seguito della lotta coi fuorusciti ghibellini, capitanati da Pietro Bicchieri e dagli altri, non può formare argomento di questo racconto, che solo riguarda le relazioni tra il Papa Innocenzo IV e Vercelli; solo ricorderò la rinnovazione del bando pronunciato contro di essi nel 1246 (1); e poco dipoi, quando per il gravissimo scacco toccato sotto di Parma la fortuna di Federico Il trovavasi tanto in basso che i suoi aderenti più deboli difficilmente potevano sperarne valido aiuto, la pace fatta coi fuorusciti verso la metà del 1248 (2), e, come naturale sua conseguenza, la revoca del bando medesimo, avvenuta subito dopo, il 31 di luglio (3). Ma di questa pace doveva fare suo pro Federico. Certo i fuorusciti riammessi nella città non desistettero dai loro maneggi per ridurre il Comune alla parte imperiale (4), allora tanto più che l'Imperatore trovavasi poco lontano (5); anzi, in sul prin- cipio di ottobre, accontatisi col marchese Manfredi Lancia, in- trodussero quest’ultimo con la milizia pavese a dirittura nella città (6), della quale, non appena poterono essere certi del vento che vi spirava, apersero le porte all'Imperatore, che veniva in (1) Manpetti, I, 289. — Apriani, 443. (2) Di questa pace non ci fu conservato l’atto; però il 19 marzo 1248 in Ivrea si stipulò quella tra Vercelli e il conte di Masino che era stato alleato del Bicchieri: CoLomso, Documenti, 203 (correggi però la data 18 marzo in 19 marzo); e il 7 aprile si fece il compromesso per la pace generale. ManpeLLi, I, 304. (3) Manpetti, I, 304. — Coromso, Documenti, 203. (4) Muzio di Monza mette in istretta relazione alcuni atti di Federico con quelli di Pietro Bicchieri: “ Im proximo mense Iulii imperator volens “ ad partes Montisferrati accedere, quia Petrus Beccherius ciyitate Vercel- “lensem intraverat... ,. Annales Placentini Gibellini, in Mon. Ger. Hist., SS., XVIII, 497; e HurrLaro Brégotes, VI, 11, 687. (5) In agosto era in Casale, donde confermava i privilegi al monastero di Casanova: Arch. di Stato di Torino, Abazia Casanova, mazzo I. — Wix- KELMANN, Acta Imperii, I, n. 403; anzi vi era già il 24 di luglio: HurLLarp BrégoLLEs, VI, 11, 688. (6) Annales Plac. Gib., 497. — HurrLarn Brémorres, VI, II, 655. — Merxet, 111-112. SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 287 questo modo a ricever gli omaggi di questi nuovi aderenti ag- giuntisi al suo pericolante partito. Rimase Federico in Vercelli per qualche tempo, come ci appare da alcuni suoi atti datati da questa città e le cui date estreme vanno dal 3 di novembre (1) al 2 di gennaio (2); ma il 12 di questo mese già lo vediamo in Pavia, dove concede investitura di notariato a Martino di S. Epifanio (3). Quando la notizia di simile rivolgimento avvenuto nella città di Vercelli giunse alle orecchie del Papa, certo dovette sentirne irritazione grandissima; e prova palese ne offre la sol- lecitudine con cui volle infliggere ai Vercellesi la pena adeguata, col toglier loro gli stessi beneficì ottenuti quand’erano passati alla parte sua. Già 1’8 dicembre 1248 troviamo ch'egli mandava ordine al vescovo eletto di Vercelli di privare dei loro feudi i vassalli della Chiesa che entro 15 giorni avvertiti da lui o da un suo legato non tornassero alla debita devozione (4); ma un altro documento assai più importante, venuto alla luce anch’esso per ia pubblicazione dei suoi Registri, è la bolla con cui il pon- tefice Innocenzo IV, il 5 gennaio 1249 — nel giorno medesimo in cui dava incarico al preposto di Biella di assolvere Uberto di Borgaro da ogni obbligazione o debito da lui contratto verso di Pietro Bicchieri (5) — revocava compiutamente la vendita della giurisdizione fatta da Gregorio da Montelongo; documento che mi par troppo grave e importante per non riprodurlo qui per intero (6). Electo Vercellensi. De Vercellensis ecclesie indempnitate sollicitus nobis humiliter supplicasti ut, cum olim dilectus filius G[regorius] de Montelongo subdiaconus et notarius noster Apostolice Sedis legatus, (1) WinkeLmans, I, 350. (2) Manpetti, I, 308. — Pasrì, 39. (3) WinkeLmann, I, 417. (4) Registres, n. 4279. Cum ad presens. Dat. Lugduni, VI idus decem- bris, anno VI. M. G. H., Epistolae, II, n. 614. (5) Registres, n. 4277. Inter promerentes. Dat. Lugduni, nonis Januarii anno VI. Già edita in parte dal HurLrarp BrégoLLes, VI, rr, 683-684, donde Porrnasr, n. 13156 a; ma è la stessa che trovasi citata #0:4., n. 13155, tratta da un’opera tedesca che citerò più avanti. Edita anche in M. G. H., Epi stolae, II, n. 633. (6) Registres, n. 4278. — M. G. H., Epistolae, II, n. 634, 288 ARMANDO TALLONE commune ac homines civitatis Vercellensis ad sinum matris Ecelesie et devotionem ipsius revocare desiderans F[rederico] tunc Romano Impe- ratori dampnabiliter adherentes sue auctoritate legationis eis cum in- stantia hoc ab ipso petentibus pro certa pecunie summa vendiderit et concesserit temporalem jurisdictionem quam in quibusdam burgis, castris, villis, locisque aliis et hominibus a tempore cuius non extat memoria obtinuerunt episcopi et ecclesia vercellen[ses], providere super hoc paterna diligentia curaremus. Volentes igitur indempnitati tue in hac parte ac enormi dicte ecclesie lesioni auctoritate apostolica precavere, quicquid ab eodem legato per modum venditionis, donationis aut alterius alie- nationis seu cuiuscumque contractus de jurisdictione ipsa eiusque per- tinentiis factum esse dinoscitur de fratrum nostrorum consilio revocamus penitus, cassamus, irritamus seu irritum nuntiamus, munimenta omnia exinde confecta carere omnino viribus decernentes non obstante quod consensus capituli ipsius ecclesie te tune eiusdem preposito existente alienationi huiusmodi dicitur accessisse. Nulli ergo ete. Datum Lugduni nonis lIanuarii anno VI. >* *_* È qui venuto il momento di trattar la famosa questione se abbia o no il papa Innocenzo IV approvato la vendita del Montelongo. Uno fra gli argomenti, l'argomento ex silentio addotto da quelli che non credono che una conferma da parte dell’au- torità pontificia sia intervenuta — cioè che l’atto non si trova in nessun archivio — non può aver valore. Non ne aveva, come ognuno può ben pensarlo, al tempo in cui scriveva il Mandelli, poichè più recenti pubblicazioni ne misero in luce molti che allora non si conoscevano; e non può averne neppure per noi, non ostante la pubblicazione dei Registri di quel Pontefice; poichè come in quelli ci mancano alcuni atti importanti che pure ebbero luogo poichè li possediamo altrimenti (come ad esempio la scomunica del 1251 e le due bolle del 1254 assol- venti i chierici privati dei beneficì); così potrebbe benissimo mancarci anche questo. Ciò non ostante io credo effettivamente che una esplicita approvazione o conferma della vendita fatta dal Montelongo da parte del Papa non sia stata emanata, ed allora cade senz'altro l'affermazione di chi, senza addurre altre prove asserì che la conferma ebbe luogo (1). Se conferma. vi (1) Per es. DuranpI, Dell’antica condizione del Vercellese e dell’ antico borgo di Santià, 143-144; Torino, 1776. — Arsorio MeLLa, Cenni istorici SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 289 fosse stata antecedentemente, nell'atto di revoca il Papa non avrebbe mancato di ricordarla, perchè, in virtù di questo se- condo atto, il primo s’intendesse annullato: ed è bensì vero che in esso trovansi le parole: “ munimenta omnia exinde confecta carere omnino viribus decernentes ,, ma esse, più che alludere ad una conferma da parte sua, devono invece intendersi come riferite a tutti quelli atti che il Montelongo stesso aveva potuto fare per guarentirne al Comune il possesso ed assicurarlo sulla validità della vendita. Ma se contraria al vero deve considerarsi l’affermazione del Durandi, cadono del pari anche quelli argo- menti medesimi che furon portati in appoggio dell’altra opinione, che cioè il Pontefice non abbia approvato nè confermato la ven- dita; poichè essi non sono una prova della mancata conferma, bensì solamente una prova della revoca posteriormente avvenuta. Quelli argomenti infatti altro non sono che gli atti autentici del 1° gennaio 1313 (1) che contengono la rinnovazione dell’in- vestitura della giurisdizione vercellese concessa al Comune dal nuovo vescovo Uberto Avogadro di Valdengo; investitura con relativo giuramento di fedeltà da parte dei Vercellesi, alla quale certo questi non avrebbero acconsentito, se avessero avuto giusto titolo di possesso su quella giurisdizione. Ma la mancanza di questo titolo nel 1313, come abbiamo provato, è dovuta non tanto alla non avvenuta conferma, quanto alla revoca fattane dal medesimo Papa nel 1249. L’aver però detto il Pontefice alla fine della sua bolla che egli revocava la vendita non obstante quod consensus capituli ipsius ecelesie te tune ciusdem preposito eristente alienationi huiusmodi dicitur accessisse, deve invece farci sospet- tare che egli medesimo l’avesse prima d’allora considerata per valida essendovi intervenuto il consenso del Capitolo in sede vacante; e questo ci appare ancora più manifesto se si pone attenzione alle parole inserte nel privilegio del 1245, in cui per l'appunto egli confermava le ville, i beni e le giurisdizioni fino allora possedute dai Vercellesi. sull’abazia di Sant'Andrea in Vercelli, 58; Torino, Litografia Giordana, 1856. — Il Fraxkrorta, p. 81, crede senz'altro che la conferma non abbia avuto luogo; anzi accoglie l'opinione, che in fondo è anche quella del Mandelli e dell’Adriani, che il passaggio del 1243 al partito imperiale fosse in gran parte dovuto alla non avvenuta confermazione. (1) Manpenti, I, 272. 290 ARMANDO TALLONE Per conchiudere adunque, vera e propria confermazione per parte di Innocenzo IV non intervenne; la vendita del Montelongo poteva ritenersi per valida, dato l'intervento favorevole del Ca- pitolo e dello stesso Martino Avogadro, tanto più che con un altro suo atto il Pontefice aveva preso sotto la sua protezione il Comune di Vercelli confermandone tutte le possessioni e giu- risdizioni; infine il vescovo Martino Avogadro, quantunque in seguito sia ricorso presso della Sede Apostolica, tuttavia fece veri atti di opposizione sol quando la revoca di Innocenzo IV gliene diede il diritto. * *_* Non a questo soltanto si limitarono i provvedimenti di Papa Innocenzo IV contro dei Vercellesi, i quali si videro, ma a titolo di punizione, applicati quei provvedimenti medesimi che avevano essi stessi invocati pochi anni innanzi: la deposizione degli abati di Santo Stefano e di Sant'Andrea nonchè degli altri canonici resisi rei del delitto di parteggiare per Federico. Il 1° gen- naio 1249, per dare esempio solenne a tutti coloro che abban- donassero le sue parti ed aderissero a quella dei suoi nemici, Innocenzo IV ingiungeva al vescovo eletto di Vercelli di spo- gliare della loro dignità e di tutti i beneficî gli abati suddetti e gli altri canonici (1). Dieci anni prima che Vittorio Mandelli licenziasse alle stampe la storia della sua città, questa bolla era già stata’'se- gnalata col relativo sommario in un’opera pubblicata in Ger- mania (2); ma egli non la conobbe che per l’accenno che il (1) Registres, n. 4276. — M. G. H., Epistolae, II, n. 634. Electo Ver- cellensi. “ Inter promerentes ,. Dat. Lugduni VII idus Januarii, anno VI. (2) HòrLer, Albert von Beham und Regesten Pabst Innocenz IV, 172; in Bibliotek des Literarischen Vereins in Stuttgart; Stuttgart, 1847. In quest’o- pera si trovano anche citate le seguenti, relative a Vercelli: Al preposto di Biella, 5 gennaio 1249; donde le due citazioni del Potthast già accen- nate. All’Eletto di Vercelli, 8 dicembre 1248: facoltà di privar dei feudi i vassalli aderenti di Federico, donde PorrHAst, n. 18109. Al Montelongo, 28 dicembre 1248; perchè provveda di una somma sufficiente l’Eletto (M. G. H., Epistolae, II, 628). Un'altra indirizzata al medesimo Eletto, senza indicazione di data e di contenuto, ma posta tra quella del 5 gennaio 1249 e quella dell’8 dicembre 1248 è la revoca della vendita del Montelongo che nei Registres occupa appunto quel posto (Cfr. PorrHAsT, n. 13504 tra quelle date da Lione, anno VI del pontificato). SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 291‘ Pontefice stesso ne fece in quelle emanate nel 1254 quando le necessità di una pace gli fecero poi revocare anche questi prov- vedimenti. In seguito a quest'ordine perentorio i colpevoli furono deposti: cioè l'abate di Santo Stefano Pietro Bondoni, il teso- riere Vialardi, il cantore Ruffino e altri molti, e segnatamente l'abate di Sant'Andrea frà Anfosso di Montechiaro, verisimil- mente nel gennaio stesso del 1249 (1). Ma a quest'ordine del Pontefice rispondevano i Vercellesi del nuovo partito pronun- ciando il 17 gennaio contro gli Avogadri e gli altri guelfi bando di morte, adattando a quest’ultimo quello stesso — mu- tatis mutandis — che pochi anni prima era già stato compilato contro i Bicchieri (2); e il 14 febbraio seguente Pietro Bicchieri ed il canonico Bongiovanni Bondoni si dichiararono protettori dell'Ospedale di Sant'Andrea e dello stesso Anfosso, mettendo in non cale naturalmente la deposizione avvenuta. Pare del resto che il deposto medesimo si sia considerato sempre in possesso della sua dignità e non si sia neppure allontanato dall’abazia, poichè nella sua qualità di abate ve lo troviamo ancora sulla fine del 1250 (3). Alla deposizione di quelli ecclesiastici doveva seguir tra non molto un provvedimento non meno grave. Alla fine dell’anno seguente Federico II moriva ed Innocenzo IV, nell’incomposta esultanza provatane, s'apparecchiò a ritornare in Italia dive- nuta ormai sicura per lui. Partitosi da Lione il 19 di aprile, e per la via di Marsiglia e di Genova giunto pel 29 di giugno (1) Non quindi nel 1248 come in Pasrè, 94. Il Mandelli naturalmente non dà alcuna data per questa bolla e ne cita alcune frasi perchè si tro- vano ripetute in quelle emanate nel 1254 per reintegrare i medesimi nei loro beneficì. Il Pastè non conobbe i Registres e le Epistolae, perciò cita soltanto il Mandelli. i (2) Manpecni, I, 309. — ADRIANI, 892. (3) Archivio di Stato di Torino, Abazia di Sant’ Andrea, mazzo II. Per- muta di un sedime e sue pertinenze sul territorio di Cavaglià con un altro sedime, sullo stesso territorio, di Rainero conte di Cavaglià. “ (S. T.). Anno “ Dominice Incarnationis. Millesimo . Ducentesimo . Quinquagesimo . Indicione . “Nona. die lune quartodecimo mensis Nouembris.In nomine domini Ca- € pitulum et conuentus ecclesie beati Andree vercellensis silicet Dominus “ Anfusus dei gratia illius ecclesie abbas voluntate et consensu canonicorum “ ipsius ecclesie..... Actum In loquutorio Canonicorum eiusdem ecclesie beati “ Andree Vercellensis ,. 292 ARMANDO TALLONE in Alessandria, vennergli incontro fino a Pontestura le solda- tesche di Milano e Novara per difenderlo da ogni insidia della città di Vercelli quae adhuc se tenebat pro parte Federici (1); cosicchè giunto sano e salvo in Milano il 7 di luglio, come vide che invano avrebbe tentato di ridurre alla parte sua i Vercel- lesi, ne fulminò la scomunica con atto del 23 di agosto di quell’anno medesimo (2). In questo, premesso che i persecutori della Chiesa devono essere colpiti da punizione degna del loro misfatto; e che i Vercellesi, dati in reprobum sensum, dopo avere prestato orecchio alle lusinghe di Federico olim impera- toris (3), per quanto egli abbia aspettato nella speranza di ve- derli ritornare alla devozione della Chiesa, quasi iumenta com- puttuerunt in stercore suo; et sicut aspides surde obturantes aures suas non hanno voluto ascoltare le sue parole; non isperando ormai più che il male quo sunt infecti possit ex aliquo fomento absque incisionis ferro recipere sanitatem, e non volendo che, ex contagione ovis morbide, grex inficiatur dominicus, dà ordine al preposto di Novara di tenere i Vercellesi ed i loro fautori per iscomunicati, e di pronunciare sentenza di scomunica anche contro di quelli che prestassero loro aiuto specialmente contro del vescovo eletto e degli Avogadri. Questa sentenza doveva poi pubblicarsi ogni giorno festivo in tutti i luoghi che al preposto di Novara fossero sembrati più convenienti, pulsatis campanis et candelis accensis, non ostante qualunque indulto, da quelli impetrato dalla Sede Apostolica, per cui non potessero venire scomunicati. (1) Nic. pe Corio, Vita Innocentii papae IV, in Muratori, R. I. S., IL rr, 592; riportato dall’Irrco, 93 e dal Manpetti, I, 316. (2) Archivio Capitolare di Vercelli, Bolle. Il documento, originale, con bolla di piombo pendente ed assai lacero nella parte superiore è indiriz- zato Dilecto filio.., Preposito ecclesie Nouariensis. Dat. Mediolani X. kalendas septembris, non quindi 1° settembre (kalendis septembris) come in Pasrè, 40; in Manpetti, I, 817, che ne pubblica con inesattezze una parte riportandola dal Fileppi, e in Aprrani, 662, il quale la riporta, pur egli con inesattezze ed incompiuta, dal medesimo autore; così abbiamo Porraasr, n. 14395. (3) Olin imperatoris e non alias imperatoris come nelle due edizioni citate dalle quali abbiamo il regesto del Potthast che naturalmente alla parola alias fa seguire un punto esclamativo. SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 293 * * * Il grave provvedimento non valse di certo ad ismuovere i Vercellesi dal loro parteggiare pei Ghibellini, chè anzi la lotta continuò più accanita che mai ed estendendosi anche alle terre circonvicine ed intrecciandosi alle guerre del resto d’Italia andò svolgendosi per alcun tempo ancora con varia vicenda, finchè il 3 di ottobre del 1253 la città stessa corse pericolo di esser presa d'assalto dal marchese Manfredi Lancia, passato alla parte guelfa, che capitanava le soldatesche di Milano e Novara. Il tentativo falli e Manfredi Lancia fu costretto ad allontanarsi lasciando nelle mani dei suoi nemici alcuni prigioni; ma il suo competitore Uberto Pallavicino, al quale egli stesso poco ad- dietro aveva procurato la pace dopo la spedizione di Mortara, pare che adesso abbia procurato la pace a lui (1). Questa fu finalmente conchiusa nella prima quindicina dell’anno seguente tra gli intrinseci ghibellini e i fuorusciti guelfi della città di Vercelli, e una gran parte dei capi di essa ci vennero per buona ventura serbati nel secondo volume dei patti e convenzioni del- l'Archivio civico vercellese, in un grande foglio di pergamena. Manca questo bensì di data e di attestazioni autentiche di notai; ma sulla sua autenticità non può cader dubbio, per le ragioni esposte dal Mandelli e dall’Adriani (2). Uno dei capitoli di questa pace, che non leggesi in quel documento ma che trovasi conservato in un altro dell'Archivio dell'Ospedale di Sant'Andrea, portava che il vescovo eletto e gli Avogadri dovessero prestare la efficace opera loro acciocchè venissero cassate e rese di niun valore tutte le sentenze pro- nunciate contro di quelli che avevano sostenuto le parti dei Vercellesi ghibellini; ed allora il Pontefice, mosso appunto dalle preghiere degli Avogadri, il 17 di aprile 1254 mandava ordine al vescovo d'Ivrea Giovanni di Barone, di ripristinare nelle loro dignità e benefizi gli abati, il tesoriere, il cantore e gli altri canonici che ne erano stati privati, assolvendoli anche dalle scomuniche in cui per avventura fossero incorsi per quel mo- (1) Merket, 139. (2) Mawnpetti, I, 323-324. — Aprrani, 658 segg. 294 ARMANDO TALLONE tivo (1). Il vescovo d'Ivrea sollecitamente ubbidi all'ordine rice- vuto, e il 22 o 23 maggio seguente (2), nella chiesa di S. Silano di Romagnano, faceva rogare l'atto relativo. Con esso il vescovo «Giovanni, premessa la clausola della pace in cui era detto che l’eletto di Vercelli e gli Avogadri dovevano procurare di otte- nere dal Pontefice la revoca della deposizione (3); premessa la bolla papale per cui ciò gli veniva ordinato; volens ac intendens exequi mandatum domini pape, ac bono statui et Reformacioni Civitatis vercellarum, auctoritate predicta cupiens providere, assol- veva l'abate Anfosso e gli altri chierici della diocesi da ogni scomunica pronunciata dal vescovo di Vercelli e da. Gregorio (1) Archivio dell’Ospedale di Sant’ Andrea. L'originale manca ma sonvene due copie autentiche: una contenuta nell’originale dell'atto con cui il ve- scovo d'Ivrea dava esecuzione agli ordini del pontefice; l’altra in una copia autentica del medesimo atto. Edito parzialmente da MawnpeLLI, I, 335-336. (2) Non 15 giugno come in Manpetti, I, 336. La data del documento, tanto nell'originale quanto nella copia è: Anno Dominice Incarnationis . Millesimo . Ducentesimo . Quinquagesimo quarto. Indicione xi)®. die veneris decimo ante kalendas Junij. Siccome però il 23 maggio (X kalendas Iunij) era sabato e non venerdì, così la data di questo documento è incerta tra il 22 e il 23 di maggio. (3) Questo appunto è il capitolo della pace, il quale manca nel docu- mento pubblicato integralmente dal Mandelli. È bensì vero che questi ri- corda siffatta clausola, ma la deduce soltanto dalle parole espresse nell’atto vescovile, e non nell’originale di questo, bensì della copia autentica. La clau- sola invece ci è conservata per intero ed è precisamente in un estratto autentico di detta pace, citato dallo stesso Mandelli come esistente nel- l'Archivio dell'Ospedale di Sant'Andrea, e corrispondente ai numeri 307 e 308 del documento del Vol. II dei Pacta che contiene quasi tutti gli articoli della pace. Siccome però in questi due numeri, da lui pubblicati a pag. 327, non compare affatto tale clausola, così dò per intero il documento in Ap- pendice al numero III Esso è scritto su pergamena e cucito con la copia autentica del 1305 dell'atto vescovile di Giovanni del 1254, ed è, come si vede, una copia autentica del 1306 di un’altra copia autentica del 1305 di quell’estratto citato dal Mandelli. Quanto poi all’atto vescovile di Giovanni è da notare che la sua copia autentica — che è quella appunto di cui si servì il Mandelli per riportarne le parole e specialmente la clausola della pace — porta nella motivazione maggior numero di particolari che non il primo originale, e la citata clausola che in questo manca completamente. Ma la ragione di questo fatto sta in ciò che esso è l’autentico di uno “ Instrumentum abreuiatum in protocollo per quondam Johannem Calderiam notarium yporiensen, ed è noto come dal breve del notaio il più delle volte si estraesse un originale assai più ampio. SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 295 da Montelongo, cassava e dichiarava nulle e di niun valore tutte le collazioni dei beneficì ad essi appartenuti in favore di altre persone, ed infine li restituiva nelle loro dignità e nelle loro prebende. La quiete finalmente era ritornata nella città: allora gli Avogadri e gli altri loro aderenti invocarono dal Pon- tefice la conferma di quanto il vescovo eporediese aveva operato dietro suo ordine; conferma che Innocenzo IV da Anagni pie- namente accordava il 20 agosto di quell’anno medesimo, pochi mesi prima della sua morte, e con quest'atto può dirsi abbiano termine le relazioni passate tra quel Pontefice e il Comune di Vercelli. Un ultimo documento può però ancora citarsi, riguardante il celebre maestro di Frà Dolcino: Simone o Syon che chiamare si voglia e del quale si hanno ancora scarse notizie (1). È questa una concessione di Papa Innocenzo IV del 29 maggio 1254, per cui: “ Magistro Symoni de Vercellis, scriptori suo indulget ut non obstante quod in sacris ordinibus non est constitutus, beneficium cum cura possit recipere, presentibus post quinquennium minime valituris , (2). Oltre il valore suo intrinseco per la notizia che esso ci dà, questo documento ha per noi anche un’altra impor- tanza, poichè con tutta probabilità è il più antico che faccia menzione del gramatico vercellese, essendo assai dubbio che abbia mai esistito quello del 7 gennaio 1253 citato da Vittorio Mandelli nel terzo volume della sua storia (8). ‘(1) Cfr. Coromso, Il testamento di Maestro Syon, in Boll. stor. bibl. sub., I, 41; Torino, 1896. — DronisortI, Studì di storia patria subalpina, 100; '['orino, 1896. (2) Registres, n. 7585; Tuis inclinati precibus. Dat. Assisii INNI kalendas Junii anno XI. (3) Cfr. Coromo, ibid. p. 47. 296 ARMANDO TALLONE APPENDICE io Il vescovo Uguccione erige in parrocchia la chiesa di Sant Andrea di Vercelli (18 marzo 1169). Orig. in Arch. Stato Tor., Abazia Sant Andrea, mazzo I. (S. T.). Anno dominice Incarnationis millesimo centesimo sexagesimo nono. quintodecimo kalendas aprilis. Indicione secunda . donnus vvicio dei Gratia ecclesie uercellensis episcopus consensu et conscilio suorum fratrum ‘ silicet archipresbiteri . et vvalonis prepositi . sacerdotis vvilielmi de ongaro. atque otoboni de sapienti. necnon sacerdotis ambroxii . Ma- gistri petri. Vvalonis capelle . atque manduli nec non et bocacij.et alioram multorum et presencia (1) tam clericoram quam laicorum In dedicatione ecclesie sancti andree eidem ecclesie hanc donationem attribuit. et eaM parrochiali beneficio dotauit sicut hic inferius legitur. et eandem plebi (1) per archipresbiteraM ita Assignauit. vt totum burgum ciglanum a furno ciglani uersus predictam ecclesiam ueniat ad predictam ecclesiam et faciat illam wicinitatem quam propinquiores uicini faciunt. A domo raze uersus ipsam ecclesiam illud inde faciant. A parte sancti bernardi a puteo Jacobi de bellesenda ab utraque parte omnes qui sunt infra eandem ecclesiam ueniant. et faciant uicinitatem. sicut uicini faciunt. Actum Ibidem in eadem ecelesia; Interfuerunt Iacobus de adalaxa . bartholomeus . de fontaneto . Vyliel- mus vercluus . vercellinus . et multi alij; (S.T.). [E]Go (2) eurardus notarius sacri palacij hanc cartam ex precepto donni vvicionis episcopi scripsi et interfui; (1) Lo spaziato è în sopralinea. — (2) La E di EGO manca, ma forse ne fa le veci la parte inferiore del ($. T.). Li Papa Gregorio IX conferma i beni e privilegi dell’Ospedale di San- t Andrea di Vercelli (12 giugno 1281). Orig. in Arch. Ospedale di Sant Andrea in Vercelli. GrEGORIUS episcopus seruus seruorum dei. Dilectis filiis . Ministro et fratribus Hospitalis Sancti Andree vercellensis. Salutem et aposto- licam benedictionem . Sacrosaneta romana ecclesia deuotos et humiles filios ex assuete pietatis officio propensius diligere consueuit; et ne prauoram hominum molestiis agitentur eos tanquam pia mater sue pro- tectionis munimine confouere. Quapropter dilecti in domino filij uestris iustis postulationibus grato concurrentes assensu personas uestras. et hospitale in quo diuino estis obsequio mancipati cuius bone memorie unt c'e SULLE RELAZIONI TRA INNOCENZO IV E IL COMUNE DI VERCELLI 297 G[uala].tituli Sancti Martini presbiter Cardinalis fundator extitit et donator cum omnibus bonis que in presentiarum rationabiliter possidet aut in futurum iustis modis prestante domino poterit adipisci; sub beati Petri et nostra protectione suscipimus . Specialiter autem locum in quo dietum hospitale uestrum situm est . terras . redditus possessiones et alia bona muestra sicut ea omnia iuste ac pacifice possidetis uobis et per uos eidem hospitali uestro auctoritate apostolica confirmamus et presentis seripti patrocinio communimus . Prohibemus insuper ne quis de noua- libus que propriis manibus aut sumptibus colitis decimas de quibus hactenus aliquis non percepit; ortis et uirgultis et uestrorum animalium nutrimentis, a uobis exigere uel extorquere uel uos aut hospitale pre- dictum . tallis. collectis seu aliis exactionibus indebitis aggrauare pre- sumat . Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre prote- etionis; confirmationis; et inhibitionis infringere; uel ej ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presumpserit indignationem omnipotentis dei et beatoram Petri et Pauli Apostolorum eius se nouerit incursurum. Datum Reate ij Idus Iunij Pontificatus nostrj. Anno Quinto. TEL. Estratto autentico della pace fatta nel 1254 tra gli intrinseci Vercellesi ed i fuorusciti. Archivio dell'Ospedale di Sant'Andrea in Vercelli. In xpisti nomine. Anno eiusdem . Natiuitatis. Millesimo . cce . sexto Indietione . 111)* . die Iouis.xx . mensis Ianuarij . venerabilis in xpisto pater dominus frater albertus permissione diuina Episcopus yporiensis et Comes precepit mihi Vberto notario infrascripto presentibus testibus in- frascriptis, ad hoc uocatis et rogatis, quatenus infrascriptum instrumentum scriptum et autenticatum per infrascriptos vlricam de Marcho et ver- cellinum de bucia notarios, exemplarem et transcriberem in formam publicam . Actum in palacio Episcopali yporiensi iuxta cameram dicti domini Episcopi. presentibus testibus domino antonio archipresbitero de bagno vicario domini Episcopi.domino aloysio de Gonzaga potestate yporiensi. domino Guidone de Gonzaga . Tenor cuius instrumenti infe- rius continetur. Anno dominice Incarnationis. Millesimo. cce. v . Indic- tione . 11)". die Iouis . xt). mensis decembris. Actum in broleto comunis vercellensis . coram testibus Iohanne de Guascapo . antonio roba notario iusticie vercellensi. dominus Philippus de landriano Iudex et consul Tusticie vercellensis precepit mihi notario infraseripto quatenus infraseri- ptum instrumentum autenticarem et in formam publicam redigerem . Tenor cuius talis est . Anno dominice incarnationis . Millesimo . ec . LITI) . Indictione . xij . die . xv] . mensis marci). dominus Rufinus tricius Iudex et assessor domini Roglerij Zorcij potestatis vercellensis precepit mihi notario infrascripto infrascripta quedam capitula pacis concordiarum 298 ARMANDO TALLONE — SULLE RELAZIONI, ECC. factaruam tam inter vercellenses intrinsecos quam forenses eiusdem ciui- tatis Episcopatus et districtus eius. autenticarem et in publicam formam redigerem . Tenor quorum capitulorum talis est. Item fiat pax et finis atque remissio predictis Communi et hominibus vercellensibus tam cle- ricis quam laycis de omni eo quantocumque habuerint uel perceperint ipsum comune uel aliquis de ciuitate uel distrietu vercellensi . uel quiuis alius quicumque fuerit et undecumque clericos uel laycos qui partem comuni vercellensi fouerit uel qui cum ciuitate steterit uel tenuerit de fructibus godimentis, redditibus seu quibuscumque obuentionibus ex terris uel possessionibus seu iuribus alicuius forensium clericorum uel laycorum ecclesiarum hospitalium uel domorum religiosaraum auctoritate alicuius rescripti uel priuilegii uel alterius iuris. Illud idem fiat Electo Vercellensi et aduocatis et eorum sequacibus seu qui illis adhereunt . Et si aliqua debita hine inde exacta forent per alios quam creditores habeant creditores iura salua.sicut habebant ante exactiones . Item fiat finis et remissio communi et hominibus vercellensibus et cuilibet tam collegio siue societati quam singulari persone laycali uel clericali ab omnibus et singulis forensibus rebellibus cum quibus presens pax facienda est, de omnibus iniuris offensionibus dampnis datis ablatis habitis seu quoquo modo perceptis et de predictis robariis ullo modo factis per totum tempus presentis guerre in personas uel res predictorum rebellium uel alicuius ex ipsis comuniter uel separatim secundum tenorem pacis facte inter comunia papie et mediolani apud mortariam . Item fiat Electo vercellensi et suis hominibus et aduocatis et eorum sequacibus remanente capitulo creditorum saluo . Item teneatur Electus et aduocati et eorum sequaces dare operam efficacem quod omnia priuilegia et rescripta ob- tenta a papa.uel aliquo eius legato. et omnes sententie late per ipsum papam uel aliquem eius legatum contra comune vercellarum uel contra aliquod collegium uel societatem uel universitatem uel contra aliquam singularem personam laycalem uel clericalem seu religiosam que exti- terit cum ciuitate vercellarum . aliqua occasione . et que cum ciuitate vercellarum tenuerit . cassentur irritentur et ad nichilum deducantur per papam . Item fiat Electo et eius hominibus et aduocatis et eorum sequacibus de eo quod contra ipsos impetratum esset per commune vercellensem uel aliquam singularem personam ab imperatore uel rege uel vicario aliquo. Actum fuit hoc preceptum auctenticandi predicta capitula in hospicio predicte (sic) potestatis prope becchariam . presen- tibus testibus domino Iordano de Guidalardis canonico .et Guillelmo scutario , canonicis vercellensibus . et domino Bonifacio de Zorcio milite supradicte (sic) potestatis. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. N. ; da Acade xy Qf Sciences CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 23 Febbraio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SALVADORI, Direttore della Classe, BerruTI, NAccaRI, CAMERANO, PrANO, JADANZA, Foà, GUARESCHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MaTtTIROLO e D'Ovipio Segretario. È approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente segnala i seguenti doni: Dall’Istituto di Studi Superiori di Firenze: IZ Museo e lOrto botanico di Firenze durante il triennio 1898-1900, relazione del Socio MATTIROLO; Dal Socio Foà il volume: Lavori dell'Istituto di Anatomia patologica di Torino, il quale volume è dedicato alla memoria del compianto Socio BrzzozeRro. La Classe ringrazia i donatori. Il Socio CAmeRANO presenta una Memoria del Prof. Daniele Rosa intitolata: Cloragogo tipico degli Oligocheti, per la pubbli- cazione nei volumi accademici. Il Presidente incarica i Soci SAL- vapoRrI e CAmreRANO di riferire su di essa. A nome del Socio non residente VoLrerRA il Segretario presenta e la Classe accoglie negli Atti una Nota del Dr. Aldo Finzi dal titolo: Sulle varietà a tre dimensioni le cui geodetiche ammettono caratteristiche indipendenti. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 20 300 ALDO FINZI LETTURE Sulle varietà a tre dimensioni, le cui geodetiche ammettono caratteristiche indipendenti. Nota del Dott. ALDO FINZI. Sia 1 mag 1=35 rs Us 050; l’espressione della forza viva d’un sistema materiale a legami indipendenti dal tempo e non soggetto a forze. Essendomi proposto di studiare le condizioni cui deve sod- disfare l’espressione di 7, perchè il moto del sistema ora detto si possa classificare fra quelli che il Volterra ha denominato a caratteristiche indipendenti (*), ho seguito nella ricerca i metodi e le notazioni del Calcolo Differenziale Assoluto, assumendo come fondamentale la varietà ad » dimensioni V,, la cui espressione del quadrato dell'elemento lineare è ds*=27"4t?, ed ho rivolto la mia attenzione all'aspetto geometrico del problema. Sono pervenuto così ad un primo risultato (nel caso di n= 8) che qui espongo brevemente. Siano \ (intendo qui, come innanzi, che gli indici possano assumere i valori 1, 2, ... ) i sistemi coordinati di una n-pla ge- nerica di congruenze ortogonali di V,, per cui Ars = dn Mil, Ma, , Na = È; My, Ml) ’ Tigre 2, Ki) NOA: Ponendo cp (1) (1) Cfr. VorterrA, Sopra una classe di equazioni dinamiche, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIII, 1898. SULLE VARIETÀ A TRE DIMENSIONI, ECC. 301 definisco. le caratteristiche pi del moto e con la loro introduzione trasformo le equazioni lagrangiane + (eLaesi ( Risulta tosto i e A MII; Vi Urra (32) = Za ae Dn + Za Pai Es a dr dari == Zi Pa Pr ki \(a) & CUis,r Vi ' e però le (A) assumono la forma a Male D'n + Zak Pa Pr B N Mis = 0, da cui si traggono le seguenti: Di = Yuij Pi Di + (2) Le (1) e (2) sostituiscono opportunamente le (A), e sono integrabili indipendentemente le une dalle altre allora e solo che i coefficienti Y,;; sono costanti. Per n= 3, si può supporre che la terna di riferimento sia quella delle congruenze principali. Ricordando un notevole teorema di Ricci (?), per cui tutte e sole le varietà V; che hanno costanti i coefficienti di rota- zione relativi alle congruenze principali ammettono un gruppo transitivo di movimenti rigidi 008, risulta che all'espressione del quadrato dell'elemento lineare di tali varietà corrispondono tipi di forze vive, relativi a moti a caratteristiche indipendenti. (!) Cfr. Rrccr e Levi-Crvira, Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications, “ Mathematische Annalen ,, LIV Band, I Heft, 1900. (2) Cfr. Ricci, Sui gruppi continui di movimenti di una varietà qualunque a tre dimensioni, © Memorie della Società italiana delle Scienze ,, serie III, tomo XII, 1899. L’Accademico Segretario Enrico D’'Ovipro. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 2 Marzo 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Ross, Manno, BoLLatI DI SAINT-PreRRE, CrpoLra, Brusa, ALLIEVO, Pizzi, CATtRONI e RenIER Segretario. — Il Vice Presidente PerRoN scusa la propria assenza per lutto domestico. Approvasi l'atto verbale dell'adunanza antecedente, 16 feb- braio 1902. Su proposta del Presidente, che la Classe approva una- nime, si delibera d’inviare condoglianze vivissime al Vice Pre- sidente PevRow per la sciagura domestica che lo ha colpito, privandolo d’un suo benamato fratello. Il Socio CrpoLLa presenta una Memoria del Dott. Paolo UBaLDI, intitolata: La sinodo “ ad Quercum , dell'anno 403. Il Presidente designa a riferirne in una prossima adunanza il pro- ponente Socio CrpoLLa insieme col Vice Presidente PeyRoN. Il Direttore della Classe Socio FERRERO presenta una nota del Prof. Giuseppe FrAccAROLI, Le armi nellIliade, che è inse- rita negli Atti. RAR rare GIUSEPPE FRACCAROLI — LE ARMI NELL’ « ILIADE » 303 LETTURE Le armi nell’ Iliade. Nota del Prof. GIUSEPPE FRACCAROLI. Gli studi del Reichel (1) e del Robert (2) hanno fatto constare che nell’ Iliade sono rappresentate due specie di armi apparte- nenti a due diversi periodi storici, le une più antiche, micenee, le altre joniche e più recenti. Le armi micenee, per limitarci alle diversità capitali, constano di un immenso scudo di cuojo, grande come un paravento, che copre la persona dai piedi alla testa, la quale è difesa da un elmo, pure di cuojo: il rame nello scudo e nell’elmo ci stanno solo come accessorio. Le armi jo- niche constano invece di uno scudo di rame assai più piccolo e più maneggevole, elmo pure di rame, corazza e schinieri. Stu- diando le rappresentazioni di queste diverse specie di armi da capo a fondo in tutto il poema, il Reichel tentò di mostrare l'assoluta preponderanza delle prime; il Robert invece, riducendo la tesi a limiti più ristretti e più ragionevoli, credette con questo di poter anche determinare e sceverare il primo nucleo dell’epopea, contrassegnato, secondo lui, dalla caratteristica del solo ed esclusivo costume miceneo, e di seguirne poi le succes- sive interpolazioni attraverso a un'periodo di transizione fino alla totale trasformazione nel costume jonico. To non credo che neppure in questi modesti limiti la tesi sia sostenibile, ma per confutarla per filo e per segno mi occor- rerebbero per lo meno tante pagine quante ne conta il libro del Robert, che sono quasi seicento, e non so se il Signore Iddio mi vorrebbe concedere tanta vita da poter giungere in fondo, o se fors’ anco non vorrebbe chiedermi ragione di non averla spesa in occupazioni più utili. D'altra parte il prof. Zuretti, nel (1) Ueber homerische Waffen, Archaeologische Untersuchungen, Wien, 1894. (2) Studien zur Ilias, Berlin, 1901. 304 GIUSEPPE FRACCAROLI primo fascicolo della “ Rivista di Filologia , di questo stesso anno, ha già messe innanzi contro di essa molte buone ragioni e considerazioni di carattere tecnico, le quali è inutile che io qui ripeta o con le stesse o con altre parole. Mi limiterò per- tanto a quelle poche note ed aggiunte particolari, che mi pajono più decisive; e per essere più chiaro e sbrigativo, premetterò, innanzi tutto, ciò che ne penso io. Ed io penso questo, — che il Robert ha pienamente ra- gione nel segnalare questi diversi strati e nel determinare così la serie cronologica delle idee e delle forme, alle quali risal- gono nella loro origine le diverse rappresentazioni: dissento in ciò, che io ritengo che il poeta nostro, il vero autore dell'Iliade, il vero Omero, sia da cercarsi alla fine dell’ evoluzione del- l'epopea, anzichè nel principio, ed appartenga alla razza jonica, anzichè alla micenea od all’eolica che dir si voglia. Io dico che questo poeta non conosce per propria esperienza diretta che le armi joniche, che a queste egli pensa e queste rappresenta, e che le armi micenee sono nell’Iliade soltanto un motivo tradi- zionale, leggendario, e in massima parte non più inteso dal poeta stesso. Innanzi tutto, il fraseggiare e l’epitetare dell'Iliade intorno alle cose di guerra presuppone di necessità le armi joniche, e non dà prova certa della presenza delle armi micenee. Il verbo gwpnoceodai, che si trova 41 volte, presuppone il Bwpng, e anzi un lungo uso del Qwpnz, se ne poteva essere derivato già il verbo, e se del verbo si era già svolto il significato dal cin- gersi la corazza al vestirsi le armi in generale. Facciamo un po’ di conti. L’Ilade sale a circa 15.700 versi; il Robert riduce ciò che rimane in essa, secondo lui, del nucleo primo o miceneo a versi 2146, dunque a poco più d’un ottavo: ebbene, non ostante tutti gli sforzi per eliminare il verbo incriminato, in questa ot- tava parte del poema esso si infiltra in una proporzione anche maggiore che nel poema intero: abbiamo infatti in A. 226 awpnxefvai, in B. 11, 28 e 65 0wpfizar, in B. 72 Owpnzopev, in TT, 155 Qwpnzey, tutti versi ammessi dal Robert, che però è co- stretto ad alterarli, sostituendo rispettivamente òpud@nuev, xé- Cunoa, xocunoouev e x6cuncev, come in Z. 322, dove a Bwpnka sostituisce m)Maxa. Non parlo poi delle esclusioni di versi o di squarci determinate solo dal rappresentarsi le armi joniche LE ARMI NELL’ « ILIADE » 305 anzichè le micenee, come il principio di M, dove il Robert stesso non sa trovare jonismi di lingua fino al v. 160, e lo ri- conosce un brano di origine antica, ma lo crede rimaneggiato per il solo ed esclusivo indizio degli accenni alle armi joniche, tra i quali un Qwpnx0évteg al v. 77. Ed evidentemente solo per escludere un Qwpnxgfivar escluse il Robert in TT il v. 40 e i due che ne dipendono, dove Patroclo chiede ad Achille che gli presti le armi, acciò i Trojani lo credano lui e ne abbiano maggior paura. Afferma il Robert (pag. 94) che il v.40 è in contraddi- zione col v. 64, ove Achille dice a Patroclo: TÙvn è’ Wuounv uèv èuà KAUTÀ TeUxea ddl, perchè qui Achille offre ciò che là Patroclo chiede: io non ca- pisco questa ragione, e parmi che la risposta di Achille sia anzi perfettamente a tono con la richiesta. E se non ci fosse stata la richiesta, per qual ragione Achille gli avrebbe offerte le armi? Se è per fare che lo piglino in iscambio, l’idea sta molto meglio a Patroclo che a lui, e non mi pare occorra spender parole per dimostrarlo. E se non è per questo, perchè gliele offrirebbe? o Patroclo aveva lasciate a casa le proprie? Vero è che il Robert (pag. 355 sgg.) afferma che Patroclo nell’Iliade primitiva era l’auriga di Achille, e lo deduce dall’epiteto imro- xé\eudog: la ragione mi pare assai debole: dei personaggi del- l’Iliade solo Nestore è detto imméota (gli altri inmétar ivi nomi- nati sono estranei all’azione); sarà dunque anche lui un auriga? Ma fosse Patroclo auriga o no, mi è indifferente. È vero che l’auriga appare nell’ Iliade normalmente senz’armi; ad ogni modo, se Patroclo vuole andare a combattere, è segno che sa far del- l’altro, oltre che il cocchiere, e lo si vede bene alla prova; — di ciò Achille è tanto persuaso, che lo lascia andare in vece sua: in nessun modo pertanto egli poteva esser venuto a Troja senz’armi. Analoghe osservazioni si possono fare per gli epiteti eùkvi- udes e xaAkoxitwveg (1), che si hanno ciascuno 31 volte, e altri (1) Lo spiegare il yxirùw per lo scudo miceneo è un'aberrazione pari a quell’altra che Bwpnt in origine volesse significare le armi in generale, e, come furono rigettate poi dal Robert, non meritavano che il Perrot ne te- nesse alcun conto nella sua buona recensione del libro del Reichel in “ Journal des Savants ,, Déc. 1895-Janv. 1896. Il ritenere poi che gli schinieri 306 GIUSEPPE FRACCAROLI meno frequenti, che pure non si possono eliminare, anche dalle parti che si vorrebbero più propriamente micenee, se non sosti- tuendoli arbitrariamente. Così per esempio in B. 47 ad ’Ayanòv xa\koxiTtwvwy il Robert sostituisce ’Ayaiwv dotiIoTtàwv ovvero aixuntawy, uscita di verso che non ha alcun riscontro nell’ Iliade, dove domIOTAWwv 0 aixuntdwyv neppur si trova mai come epiteto di ’Axauùv, ma spesso di Aavaùv e una volta di ’Apreiwv. Del pari se in A. 149 il sostituire dpmior vieg “Ayaiwv ad eùkwiudeg Axouoi è semplicemente arbitrario, anche più dubbio è il sosti- tuire alla stessa formula in A. 17 dpiotmeg Tavayxaiwyv, e lo dico più dubbio, ammesso il principio del Robert di ricomporre un primitivo poema miceneo: infatti potremmo, per salvare queste ipotetiche armi, cadere in anacronismi più sostanziali; chè il il concetto di Tlavayaioi si trova solo (nove volte) in parti del poema che a quell’antico nucleo non si potrebbero mai far ri- salire, e che il Robert non accetta nella sua Iliade primitiva: è un concetto che prepara quello dei TTavéMnves, che troviamo una volta sola nel Catalogo (B. 550), per il quale credo che siamo tutti d'accordo nel ritenerlo una tarda superfetazione del poema. Che se questi accenni incidentali alla nuova foggia sono un po’ difficili ad eliminarsi, si capisce da sè che gli accenni diretti sieno per questo effetto più comodi: lì non è la parola incrimi- nabile, ma è la cosa, e premesso che la cosa non ci debba essere, la si leva senz’altro: secondo il presupposto essa porta in se stessa il contrassegno dell’interpolazione senza bisogno di dimo- strarlo altrimenti. Ma all'atto pratico anche qui il taglio non riesce sempre così facile come apparisce in teoria; è facile quando si tratta di squarci lunghi, in cui la nuova foggia sia sola ed esclusiva; è difficile dove c'è mistione di foggia nuova e di an- tica, sia in misura press’a poco uguale, sia in misura differente. dell'Iliade possano essere spesso, non quelli di metallo delle armi joniche, ma certe uose di cuoio che si possono attribuire ai micenei, per ciò che solo di rado si accenna alla resistenza degli schinieri quando si parla di ferite agli stinchi o al ginocchio, parmi escluso assolutamente dalla ragione che con lo scudo miceneo quelle ferite non sono possibili. Le uose micenee non erano difesa contro i colpi nemici, ma protezione contro l’urto dello scudo nel camminare. D'altra parte il silenzio sulla resistenza degli schinieri è analogo al silenzio in altri luoghi per quella dello scudo o della corazza, come vedremo più oltre. LE ARMI NELL’ « ILIADE » 307 Se le proporzioni sono uguali e difficilmente sceverabili tra di loro, in tal caso il Robert ammette che il motivo possa essere antico, ma sia stato rifuso da un poeta nuovo; e poichè questa conclusione si accosta molto al mio modo di vedere, non perderò tempo a discutere su divergenze sottili. Se invece le proporzioni sono prevalenti per l'una o per l’altra maniera e il taglio appa- risce possibile, allora o si assolve lo squarcio levandone le pre- sunte interpolazioni, o lo si condanna, salvandone quelle poche reminiscenze di antico che si trovano sparse come massi erratici nelle fiorite praterie della Jonia. Ma anche qui l’arbitrio apparisce evidente, per poco che si facciano i conti. L’epiteto mdvtoo’ èion indubbiamente, come è d'accordo anche il Robert, non conviene che allo scudo jonico. Se pertanto potessimo dire che tutte le 17 volte, in cui questo epiteto si riscontra nell’Iliade, sono interpolazioni, la cosa an- drebbe d'incanto. Ma disgraziatamente il Robert è costretto a ritenere i versi incriminati sette volte su diciasette, cioè in H. 250, A. 434, N. 157, 160, 405, 8083, P. 517; il che vuol dire che mentre nell’Iliade nostra l'epiteto si ha poco più che una volta ogni 1000 versi, nell’Iliade primitiva del Robert ogni 1000 versi si avrebbe tre volte, rimanendo nelle altre parti, secondo lui spurie, soltanto circa 0,7. Vero è ch'egli si sbriga sostituendo in tutti e sette i luoghi accennati all’epiteto jonico il miceneo Tepuideoca (ovvero dupaXdecca), il che, pare a me, è precorrere la dimostrazione presupponendone già i risultati che si voglion provare. Nè a questa primitiva Iliade soltanto si dovrebbe limi- tare la sostituzione del tepudeoca al mavtoo? ion, ma secondo il Robert si dovrebbe estendere anche ad altri luoghi, quale T. 356, che è uguale ad H. 250, e così ad E. 300 e ad Y. 274 (1), che apparterrebbero alle prime amplificazioni del nucleo ori- ginale. Che se poi analizziamo a parte a parte i singoli tagli, ci toccherà assistere ad altri guasti forse peggiori di quelli che si vorrebbero sanare. Esaminiamo T. 356-60 che è uguale ad H. (1) Roserr, l. c., pagg. 5, 58, 84 e 111. Egli computa le sostituzioni a sei su diciasette, ma evidentemente prende abbaglio, perchè tra queste e le prime sarebbero undici. 308 GIUSEPPE FRACCAROLI 250-54. Nel primo luogo è Menelao che colpisce Paride, nel se- condo Ajace che colpisce Ettore: kai Bale TTpiauidao kat’ dormida mavtoo” èionv diù uev doridog AE Paerwfig Oppiruov Èfxog, kai diù Owpnkog morudarddiov Mpnpero to - dvTIKpù dé mapai Aatdpnv didunoe xiTtòva érxog: è è’ ÈkMivOn kai dievato xkfjpa uéiarvav. Quando abbiamo levato il màvtoo” éionv, non abbiamo corretto che un accessorio; insanabile invece è il terzo verso e bisogna torglielo via: leviamolo adunque e leggiamo gli altri: dà utv dotidoc MAE maevilg ppiuov Eé1x0g, àvtiKxpù dé Tmapai \amdpnv didunoce xiTt®va érxos (1). Ora che c'entra questo secondo èrxog? È strano che il Robert non si sia accorto di questa intollerabile ripetizione, cui non si può riparare se non con un’ altra soppressione e un’altra sosti- tuzione. Ma perchè ci deve essere qui proprio una rappresenta- zione micenea? Forse perchè nell’ultimo verso c’è la parata mi- cenea è è’ ékAivon? O quella dell’ultimo verso la si vuol dire parata micenea, perchè è miceneo tutto il resto? Il guerriero jonico, dice il Robert, quando è colpito sullo scudo, lo allontana da sè; il guerriero miceneo si cansa. Ora io non vedo affatto perchè il cansarsi non deva esser proprio in certi casi anche del guerriero jonico. Quando mi esercitavo a tirar di fioretto, a ogni botta che pigliavo, sentivo che il cansarmi era atto istintivo, benchè non avessi, anzi perchè non avevo dinanzi a me uno scudo miceneo (2). Nè può essere equivoco sull’ékAivOn: non è forato lo scudo soltanto, da poter difendersi con l’ allontanarlo; ma è rotta anche la veste, così che la ferita non si cansa col fare un passo da una parte, ma solo col piegare il corpo. C'è anzi di più: il piegarsi, in questo caso, tanto meglio può gio- vare a schivar la ferita, se la lancia si è impigliata nella co- razza: la corazza, perchè rigida, si allontana dal corpo mentre il corpo si piega, e così allontana insieme la lancia che è in- fitta in essa. Se non paresse una sgarberia, io direi dunque che (1) Rogert, Op. cit., p. 21. (2) Cfr. ZuremtI, l. c., pag. 26. LE ARMI NELL’ « ILIADE » 309 questo è anzi uno dei casi più tipici della parata jonica, anzichè della micenea. Vediamo un altro esempio. In N. 404-10 (1), Idomeneo è preso di mira da Deifobo: GAN 6 uev divta iduv Miedato xdikeov Èfxoc ’Idbouevedg* xpùp@n yàp ùm' doridi mAvTOo? éion, Tiv dp’ é Ye frvoîor Roy kai vwpori xaXk® divwTHYV gopéeoke, duw Kavoveoo” dpapuîav * tf Uro mag édin, Tò d’ ùtépmtaTto Ydikeov ÈYX06, kap@aréov dé oi donìs èmopezavtog duoev éTXeog. ‘ Per salvare questo luogo e restituirlo alla primitiva redazione, il Robert (pag. 10) lo pota e lo accomoda così: . KpU@pon yàp dm’ dotidi Tepuroéoon * Ti) Umo mag édin x. T. À. Ma, senza contare l’inutile tautologia che ne nasce, neanche in questo rabberciamento io saprei trovarci l'evidenza delle armi micenee, ch'egli ci vede. I due tratti che si tagliarono via, l’aomìig mavtoo” tion e divwii, erano per la rappresentazione j0- nica caratteristiche evidentissime: i due tratti che restano, xpù@@n e tf Uno mag èédin, non sono tanto micenei da non potersi adat- tare eccellentemente anche alle armi joniche. Lo scudo infatti, grande o piccolo, è fatto a posta per coprire, e perciò, se si dice che Idomeneo era coperto dallo scudo, non vuol dir altro se non ch'egli sapeva maneggiarlo, e lo scudo si prestava bene a parare, perchè era divwti. E a indicare l'abilità della parata sta tf) Umo mag édin, e notisi édMn e non più xpu@@n, che per il verso andava egualmente bene. Il raccogliersi sotto lo scudo è più proprio di chi ne ha uno piccolo, che non di chi ha il grande, e nella scelta del verbo è rappresentata l’abilità schermistica di Idomeneo. Vuolsi di più? Questo verbo, in questa forma e in questo stesso senso, si trova ancora in Y. 278, a proposito di Enea colpito da Achille: Aîveiag è’ édin kai àrò É0ev dotid’ dvéoxe deigag* èyxein è’ dp’ bmép vwrou vi Yain éotn feuévn, dià d' dugpotépoug Éie kUkAoug aotidog dupiBpotng © (1) Cfr. Zurermi, l. c., pag. 33. 310 GIUSEPPE FRACCAROLI Ora lo scudo di Enea è per il Robert (pagg. 22 e 224) senza dubbio jonico, e la parata è da lui addotta come tipo di parata jonica. Se dunque éGMn conviene allo scudo jonico ed alla parata jonica di Enea, perchè, quando si tratta di Idomeneo, diverrà con- trassegno di parata micenea? Ma viceversa, tuttochè le armi di Enea sieno joniche, abbiamo l’epiteto dugifpotn dato al suo scudo, che evidentemente è appropriato solo alla foggia più an- tica. Se pertanto qui dobbiamo riconoscere col Robert che il poeta usò della parola come di una formula tradizionale, senza sentirne più il vero significato, io non vedo che cosa vieti più di affermare che questa conclusione si possa estendere indefini- tamente anche a molti altri casi. Dico infatti che le rappresentazioni delle armi micenee nel- l’Iliade sono confuse, frammentarie e fantastiche, come quelle che sono concepite senza attingere alla realtà. E valga il vero. Ajace può passare per il tipo più perfetto e più integro del guerriero miceneo: forse con allusione alla co- reggia dello scudo egli è figlio di Telamone (1), e per eccellenza e a preferenza degli altri si chiama €pkog ’Ayauùv. Il suo scudo è come una torre, gépwv odkog mute muprov (H. 219, A. 485, P. 128), è di sette pelli di cuoio, fabbricato da Tichio il migliore dei cuojai (H. 219-24); e nei luoghi dove Ajace ha parte note- vole comparisce insieme questo scudo famoso. E con lo scudo miceneo si nota insieme la lentezza dei movimenti, impediti dal suo peso e dalla sua estensione, lentezza notata espressamente solo per Ajace; mentre per gli altri, e per Achille in ispecie, si nota la celerità, che, come osserva a proposito lo Zuretti (I. c., pag. 35), non è compatibile che con le armi joniche. Ma il Robert stesso conviene che questo scudo d’Ajace non è che uno scudo fantastico; infatti non avrebbe pesato meno di centoquaranta chilogrammi, e perciò anche per Ajace sarebbe stato molto inco- modo a maneggiarsi. Così nota ancora lo stesso Robert (pa- gine 24-25) che se in O. 267 sgg. Teucro si ricovera' sotto ‘lo scudo di Ajace, questo non doveva essere rappresentato più come uno scudo miceneo (2). (1) Wiramowirz, Hom. Unt., pag. 246. (2) Veramente ciò che dice qui il Robert mi persuade poco; ma se LE ARMI NELL’ « ILIADE » S1a Certo è che lo scudo d’Ajace nell’/liade è uno scudo singo- larissimo, unico, anzichè uno tra molti dello stesso genere. Achille, quando ha perduto le armi, non saprebbe trovarne lì per lì altre, se non lo scudo d’Ajace, X. 193: ei um Alavtòs Ye cdkog Te\auwwddao, cioè le armi degli altri non gli si adattavano bene, e per tro- vare un riparo, non c’era che lo scudo d’Ajace, appunto perchè era il solo che potesse coprire tutta la persona. E notisi che Ajace ci è descritto di misure colossali (forse per proporzionarlo al suo scudo), è chiamato abitualmente uérag o meXwpiog (cfr. p. es., B. 528, F. 229, E. 610, H. 211, I. 169, M. 364, N. 321, =. 409, ecc.), mentre invece non consta affatto che Achille su- perasse la misura comune. Lo scudo d’Ajace pertanto non avrebbe meritato la preferenza d’Achille, per il quale rischiava d’essere anche troppo grande, se nel campo greco vi fossero stati molti scudi micenei. Sarebbe poi un ben strano accidente, se attri- buendosi in un’/liade primitiva armi micenee a tutti i combat- tenti, nei successivi rimaneggiamenti ne fossero rimasti superstiti principalmente quei brandelli che dovean terminare col segna- larle come la specialità di uno solo. C'è dell’altro. La rappresentazione di Ajace come guerriero miceneo, non solo è idealizzata, come abbiamo veduto, ma in- sieme è rammodernata. Che infatti il poeta jonico abbia inter- polato con le nuove fogge le altre rappresentazioni micenee, di cui egli non avea più conscienza, non può far meraviglia; ma più strano di molto sarebbe, se gli riconoscessimo questa consa- egli stesso ammette questa inconseguenza, non istà a me il rifiutarla. Del resto anche Tirteo in 11, vv. 23-24: Unpoùg TE KyMUuag TE KATW Kai oTépva kai Wuovc dotidog eUpeing YAOTPÌ ka\uwdpevog, rappresenta uno scudo che, se non è miceneo, al miceneo ha da invidiar poco: eppure sotto di questo scudo si ricoverano i ginneti appunto come Teucro sotto lo scudo d’Ajace: idid., 35-86: vueîg, dè’, D yuuvfiteg, èm’ doridog dAXodev dXXog miwodovtes uerdiorg RAXXeTE Yepuadiors. Probabilmente quando Tirteo componeva questi versi aveva in mente O. 267 sgg. 312 GIUSEPPE FRACCAROLI pevolezza per il caso di Ajace, e lo cogliessimo mentre si permette di aggiungergli anche le caratteristiche nuove, che ne guastano il tipo. Se per lo contrario ammettiamo che il poeta componesse tutto di suo, pigliando solo dai canti più antichi la tradizione e la frase, parrà invece naturalissimo che, rappresentando egli cose di cui non aveva più innanzi il modello nè l’esperienza, non sapesse differenziarle dalla realtà quotidiana quanto, razio- nalmente e scientificamente operando, noi ci proporremmo di fare. E questo rientra in quel principio, che io pongo tra i canoni dell’estetica, e che mi propongo di dimostrare in altro luogo con prove della maggiore evidenza, che cioè in arte i presup- posti che contraddicono all’esperienza non si reggono nè si man- tengono al di là del caso e del momento in servizio del quale dovettero essere introdotti. — Così il poeta nel duello tra Ajace ed Ettore si è ricordato benissimo la caratteristica dello scudo, tipica ed esclusiva di Ajace; ed Ajace è colpito soltanto sullo scudo, e la rappresentazione di lui potrebbe essere citata come veramente propria del guerriero miceneo. Eppure non manca la concessione alla muova armatura, dove sì accenna alla vesti- zione delle armi, H. 206-7: is dp épav, Alag dé Kopuogeto vwpori xaikd, aùtàp èmei di) mAvTa Tepì xpoì Éocato Tebyea..... Tutte le armi? Dunque la corazza e gli schinieri. E parmi che il poeta sia benissimo scusabile: in un tempo nel quale si usava andare in battaglia tutti vestiti di rame, non gli poteva passar per la mente che il suo eroe dovesse presentarsi in farsetto. E notisi ancora: la concessione, che fa il poeta alla tradizione mi- cenea per Ajace, è ch’egli riceva tutti i colpi sullo scudo: non si parlerà della corazza d’Ajace, ma nè per Ajace nè per altro presunto guerriero miceneo c'è mai espressa menzione ch’essi sieno senza corazza e senza schinieri: che sieno senza, lo si può dedurre soltanto dal silenzio del poeta, argomento per sè molto debole e molto pericoloso. Parlo, s'intende, dei guerrieri più segnalati. Che se anche poi si potesse provare che pochi o molti dei combattenti del- l’Iliade sono senza corazza, non ne verrebbe che questi dovessero essere tutti guerrieri micenei. Che proprio tutti i fantaccini fos- sero armati fino ai denti, mi pare uno sciupo inutile ad ammet- ] LE ARMI NELL’ « ILIADE » 313 tersi, e non crederei niente fuor di proposito il ritenere che per molti bastasse soltanto lo scudo, ancorchè scudo jonico: mi pare ciò tanto più ragionevole, quando vedo notato che c’eran di quelli che anche dello scudo facevano senza. Tali sono i Lo- cresi, che non combattono da vicino, N. 713 sgg. oÙ yàp éxov Kk6pudag xaXknpeac ittodadeiac, oùòd’ Exov dotidacg eÙkÙKkAovg kai ueidlva dodpa. Ma notisi bene che nella mancanza degli scudi rotondi è segna- lata una differenza non con le armi micenee, ma con le joniche. Che poi costoro fossero anche senza corazza di rame, è detto in B. 529. — Che se crediamo a Pausania, Omero avrebbe notato anche un’altra volta la mancanza dello scudo. Nel descrivere infatti le pitture di Polignoto nella lesche di Delfo (X, 26, 5), ricordando la rappresentazione d’un’ antica corazza a due pia- stroni, uno davanti e uno dietro, continua: acgdalerav dè àro- xpùoayv édoker Tapéyeodar kai dotidog Xwpig® mi TOÙTO Kai “Ounpog Déopkuva Tòv ®pura oùk Èxovta dotida Emoingcev, dti autò yua\oQwpaz fiv. Ora questo oscuro Forcino muore in P. 312 sgg. ferito da Ajace attraverso la corazza: è vero pertanto che non si parla ivi dello scudo, ma ciò succede tante altre volte per tanti altri guerrieri, A. 133, E. 99, 189, A. 234, N. 371, 397, 507, 587, 591, P. 606, Y. 415, cioè nella maggior parte dei casi in cui si descrivono tali colpi: se pertanto Pausania ha po- tuto notare espressamente questa mancanza soltanto per costui, ciò vuol dire che egli aveva sott'occhio un’altra redazione, che di tale singolarità faceva menzione espressa, o in questo luogo stesso, o più probabilmente in B. 862, dove pure Forcino è no- minato. — Or bene, e in questo caso ed in quello è la mancanza dello scudo quella che vien sempre notata, ma viceversa non v'è luogo alcuno, dove in modo diretto o indiretto si dica o sì lasci capire che il guerriero non ha corazza, perchè lo scudo lo difende abbastanza, dove insomma si metta in rilievo la carat- teristica essenziale delle armi micenee, come qui si nota quella delle armi joniche. Così quando i caduti vengono spogliati delle armi, si parla bensì di teuyea in generale, il che malamente si può tirare ad intendere anche le armi micenee; ma effettivamente non c’è alcun luogo ove si accenni espressamente allo scudo come unica spoglia 314 GIUSEPPE FRACCAROLI da difendere o da rapire (1). Ho detto che la parola teùyea male si può intendere dello scudo: il concetto di plurale indica piut- tosto le varie parti dell’ armatura. E col nome sta il verbo: dudeo Tevuxea 0G00ov, dice per esempio in TT. 129, Achille a Pa- troclo ; e il concetto di duw è più proprio senza dubbio delle armi che si indossano, che non dello scudo che si appende alla spalla. Nè soltanto queste e altre espressioni proprie e adatte alle armi joniche malamente e a stento si possono estendere alle armi micenee; ma viceversa le espressioni, che si citano come proprie delle armi micenee, o non sono tali veramente, o si adat- tano con uguale comodità anche alle armi joniche. — Lo scudo miceneo si appendeva alla spalla. Ebbene, in T. 372-74 Achille sl arma: dupi dè’ dp° Wuoor BAXETO Eipoc apruponiov xdikeov* aùTàp émelta 0dkog uéfa TE OTIRBApov TE elNeTo. E queste anche per il Robert sono armi joniche. In T. 334-835 e TT. 135-36 leggiamo invece: Gupì è’ dp° Wuoror Pareto Eipoc dprupondov xdikeov, aÙùTÒàp Èterta odkoc uéra Te oTIRapov Te. E qui secondo il Robert abbiamo invece lo. scudo miceneo. È possibile ciò? Per me non ci vedo che una differenza gramma- ticale; nel primo luogo il costrutto è pieno; nel secondo abbiamo uno zeugma; e se la prima formula è la più antica, questa po- teva benissimo venire abbreviata nella seconda; e se la più an- tica è la seconda, l'imitazione fatta nella prima dimostra che solo in quel senso essa era intesa. Tutt’al più si può concedere che una frase simile abbia avuto origine dalle armi micenee, e abbia poi perduto o modificato il senso suò proprio, quando si adattò alle armi joniche. Anche ciò che il Robert deduce dalle ferite per istabilire se l'armatura fosse jonica o micenea, mi pare troppo sottile. Le ferite alla spalla, se con le armi micenee saranno le più frequenti, (1) O. 191-93 esprime solo un’ipotesi lontana: lo scudo di Nestore poi non è ivi rappresentato come spoglia gloriosa solamente per la difficoltà di conquistarla, ma come un lauto bottino di guerra. LE ARMI NELL’ <« ILIADE » 315 possibili e facilissime sono pure con le armi joniche; così in Omero non si può mai mettere in rilievo una distinzione tra guerrieri jonici e micenei per le ferite nella schiena. Si potrebbe dire anzi che lo scudo miceneo le ferite nella schiena le esclude, o almeno che non si può ferire la schiena di un fuggitivo, se non attraverso allo scudo, quando ammettiamo che in marcia o in ritirata il guerriero miceneo si getti lo scudo sulle spalle, come in Z. 117, A. 115 (1). Ora in E. 39-42 (cfr. A. 447-49) Aga- mennone : dipxov A\iZwwwy ’Odiov uérav ékBare dippou » TPHWTW YÙùp oTpe@BÉvTI ueTta@pevw èv dopu mizev Uuwyv ueconfuc, diù dé OTNAECPv É\acoe, doumnoev dì meowy, dpafnoe dè TeUXe' È ada. Questo per il Robert (pagg. 64-65) è un guerriero miceneo; è colpito nella schiena, perchè stava voltandosi e non s'era ancora voltato, perciò non si era ancora gettato lo scudo sulle spalle. E questi versi pertanto sono ritenuti appartenere al più antico nucleo dell’/liade. Il guerriero veramente qui è miceneo soltanto perchè il Robert ha trovato la scappatoja per lo scudo. Ma pochi versi dopo, 56-58, Menelao uccide un altro allo stesso modo, Tpoodev É0ev pevfovta uerdappevov oùTadE douvpì UWuwv uegonyug, did dé oTNAECQlv éilaocgev, Tipite dé mpnvnc, dpdfnoe dé Tevye' è’ ada. E per costui non va più il ragionamento di prima, perchè egli non si volge in fuga, ma fugge di già. Può darsi, dice il Robert, che questi sia armato di corazza, e che il poeta l’abbia passata sotto silenzio, come tante volte succede: e allora perchè non si può fare la medesima ipotesi anche per il caso precedente? Il fatto si è che nell’Iliade non si trova mai che un guerriero sia ferito nella schiena attraverso lo scudo, che sarebbe proprio la caratteristica chiara e' precisa del costume più antico. Il Robert non può negare che in parecchi luoghi si devano riconoscere rispetto alle armi delle omissioni e delle incongruenze; e allora come si fa a distinguere nettamente dove sia da far constare la negligenza del poeta e dove il guasto prodotto dal- l’interpolatore? Del resto le incongruenze anche rispetto alle (1) Rosert, Op. c., p. 19. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 21 316 GIUSEPPE FRACCAROLI armi non sono una specialità dell'Iliade, e se leggiamo gli altri poemi epici e cavallereschi, fino ai più tardi, troveremo sempre le stesse questioni. Veggasi per esempio nella Gerusalemme il duello d’Argante con Tancredi (VI. st. 40-49). All’infuori di un cenno sommario, st. 48: Sempre che scende il ferro, o fora o parte O piastra o maglia, e colpo invan non esce, che, se fosse nei poemi omerici, la critica troverebbe modo di espungere, in tutti gli altri settanta versi, per nessuno degli altri colpi ben determinati e diretti si accenna a corazze o maglie che si forino, talchè anche Argante e Tancredi potrebbero he- nissimo passare per micenei. Similmente nel duello fra Tancredì e Clorinda (XII. st. 58-65), all'infuori d’un cenno indeterminato, st. 62: Oh che sanguigna e spaziosa porta Fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna, Nell’armi e nelle carni! di corazza o di maglia non si parla affatto. Anche nel colpo de- cisivo la corazza pare soppressa, st. 64: Ma ecco omai l’ora fatale è giunta Che il viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta, Che vi si immerge, e ’1 sangue avido beve: E la veste, che d’or vago trapunta Le mammelle stringea tenera e leve, L’empie d’un caldo fiume. Ella già sente Morirsi; e ’1 pie’ le manca egro e languente. Eppure il Tasso era poeta di riflessione, e nella riflessione anzi eccessivo, e insieme era dottissimo nell’arte della scherma: Con la penna e con la spada Nessun val quanto Torquato; come dimostra appunto la precisione tecnica dei duelli ch'egli descrive. E perchè dunque quella libertà, che pare legittima per il Tasso, vorremo negarla ad Omero? Io credo che se facessimo la statistica dei luoghi del Tasso e dell’Ariosto in cui di corazza LE ARMI NELL’ « ILIADE » 317 o di maglia forata non si fa menzione (1), e li paragonassimo coi luoghi analoghi dell'Iliade, si vedrebbe con quanto poca ra- gione si presuma popolare di guerrieri micenei le battaglie ome- riche. L’arte concepisce le cose in modo diverso dalla realtà; tanto è vero, che certe diversità sono costanti per tutti gli ar- tisti e per tutte le letterature, senza che ci abbiano ragionato sopra, o si siano passata la parola. Ne vogliamo un esempio? La corazza è formata di due pia- stroni, uno davanti al petto, l’altro dietro la schiena: dunque quando un guerriero è infilzato attraverso il corpo, bisogna bene che i piastroni sieno forati tutt'e due. Ora io non ricordo una volta sola in cui sia notata questa circostanza; — certo se qualche esempio se ne trovasse, saranno eccezioni; mentre tanti e tanti casi potrei ricordare, in cui, pur menzionandosi l’una delle due piastre, dell’ altra. si tace. Prendiamo la Chanson de Roland, vv. 1494-97: Si vait ferir Engelier de Guascuigne ; Ne l’ poet guarir sis escuz ne sa brunie: De sun espiet el’ cors li met l’amure, Empeint le bien, tut le fer li mist ultre. Qui si nota come la piastra davanti è forata, non ostante la re- sistenza che opponeva; quella di dietro è come non ci fosse stata. Ai vv. 1945-47 Oliviero invece è ferito nella schiena: Fiert Olivier derere, en mi le dos, Le blanc osbere li ad desclos el’ cors, Par mi le piz sun espiet li mist fors. E non si parla di alcuna resistenza fatta dalla piastra davanti. Per conchiudere, come in Omero mancano per le rappresen- tazioni delle armi micenee i contrassegni più caratteristici e si- curi e le indicazioni non equivoche, così è più che arbitrario ciò (1) Per esempio, O. F., 21, st. 10: Ruppe lo scudo e sì la spalla prese, Che la forò dall’uno all’altro lato: e 42, st. 11 (parla di Gradasso): Orlando lo ferì nel destro fianco Sotto l’ultima costa; e il ferro immerso Nel ventre, un palmo uscì dal lato manco. 318 GIUSEPPE FRACCAROLI che se ine vuol dedurre da accenni indiretti. Se la critica del Robert fosse su questo ‘punto essa stessa consentanea e severa, senza concessioni e senza sostituzioni, probabilmente i suoi 2000 versi dell’IZiade primitiva, ancorchè pescati di qua e di là e com- binati come gli faceva più comodo, si ridurrebbero a metà della metà. Le armi micenee nella Iliade entrano solo come remini- scenza; la tradizione aveva perpetuato con le parole anche al- . l’ingrosso le cose. Conscieritemente quella foggia si conserva per uno ‘solo, per Ajace, e anche qui idealizzata, fantastica: ‘negli altri casi sono parole che hanno perduto il significato, o l'hanno modificato; sono frasi 0 luoghi comuni divenuti tradizionali; sono tutt'al più motivi desunti da canti più antichi e&-elaborati, per quanto era possibile, nello stesso spirito: ma è tutta materia sporadica, inorganica. Così tipo miceneo ha per il Robert N. 601- 21, e ne convengo. Ivi Pisandro, essendo alle prese con Menelao, ùm’ dotidoc eletto ka)ny àzivnv eUyarkov, È\aîvw dupì Terékkw, uakpù EuztoTy * La frase im dotidog ecc. conviene allo scudo miceneo, e poniamo pure che sia; ma quando avremo concesso tutto ciò che vuole il Robert, resterà sempre che quest’ascia è esempio unico nei duelli omerici (1),-e che da quest’unico esempio non si' può risalire ad un modo generale di combattere in un nucleo primo del poema; re- sterà che, o il motivo dell’ascia è derivato storicamente e per via di tradizione continua dall’epoca micenea, e abbiamo la prova che di quel costume non resta oramai nell’IZiade che una remi- niscenza del tutto frammentaria; o l’ascia è introdotta solo oc- casionalmente ed ex novo dal poeta, e vuol dire che egli delle reminiscenze degli antichi costumi si serve per dare il volo alla propria fantasia, il che non poteva fare con le armi joniche, per le quali facilmente sarebbe stato smentito dalla pratica quoti- diana. (1) L’ascia e la scure ricompaiono un’altra volta sola nella mischia generale. O. 711: oEgor dé melékecoi Kai azivnor udyovto, che il Robert ritiene pure appartenere al. primo nueleo. LE ARMI NELL’ « ILIADE » 819 Rimane dunque assodato ed indubitato, che prima vi furono armi micenee, poi armi joniche; i monumenti archeologici ci dimo- strano il fatto, la critica dei poemi omerici ce lo conferma; e fino a qui sono d'accordo colrRobert, il'quale è tra i più beneme- riti della critica omerica appunto per aver posto fuori di dubbio questa conclusione. Ma il confronto tra la rappresentazione scarsa, frammentaria, confusa, fantastica delle une e la rappresentazione chiara e precisa delle altre per me dimostra, che in queste è la realtà e l’esperienza dello scrittore, in quelle è la tradizione, che ondeggia tra il meraviglioso e la formula. Il concetto dunque e la formula e, potrei aggiungere, anche spesso la parola, la frase, l’emistichio e talora anche il verso, potranno risalire ad uno stadio più antico; ma non la composizione: la composizione anche da queste ricerche risulta tutta una, tutta nel suo grande complesso del nostro Omero e della nostra Iliade, tutta, tranne poche su- perfetazioni, concepita e rifusa in uno spirito solo. Il che mi riserbo di dimostrare distesamente anche per altra via tra non molto in un libro apposito. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. 320 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Marzo 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presentii Soci: BerruTI, NACCARI, SPEZIA, CAMERANO, Secre, PeANO, JADANZA, Foà, GuAREScHI, Gurpi, FiLETI, PARONA, MartIRoLOo e D’Ovipio Segretario. È letto ed approvato l'atto verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica una circolare del Comitato promo- tore per un ricordo in onore del compianto Prof. Giulio Bizzozero. Comunica inoltre una lettera del Comitato esecutivo della Esposizione Generale del 1898, che notifica l’apertura di un nuovo concorso al premio di L. 15.000 intitolato a Galileo Ferraris, in occasione delle imminenti Esposizioni di Torino, notando che l'Accademia è rappresentata nella Commissione aggiudicatrice del premio. La Classe riceve indi in omaggio i seguenti opuscoli invia- tile da tre suoi Soci corrispondenti: Dr. Hecker's Bestimmung der Schwerkraft aus dem atlan- . tischen Ocean, di F. R. HELMERT; Optische Studien II, di C. KLEIN; Studien im Gneissgebirge des Schwarzwaldes. II. Die Kalk- silikatfelse im Rench- und Kinzigitgneiss, di H. RosENBUSCH. — La Classe ringrazia i donatori. 321 A nome anche del Socio SALVADORI, il Socio CAaMmeRANO legge la relazione intorno al lavoro del Prof. D. Rosa: I Cloragogo tipico degli Oligocheti, concludendo-per l’ammessione alla lettura. La Classe approva e con voto unanime accoglie il lavoro nei volumi delle Memorie. Il Socio Seere presenta una Nota del Dr. A. TANTURRI, in- titolata: Intorno ad alcune semplici infinità di spazi e sopra un teorema del Prof. Castelnuovo, la quale sarà inserita negli Atti. 322 ALBERTO TANTURRI LETTURE Intorno ad alcune semplici infimtà di spazi, e sopra un teorema del Prof. Castelnuovo. Nota di ALBERTO TANTURRI. Consideriamo una rigata piana, d’ordine #m (ossia un invi- luppo piano di classe m) e di genere p: ed, inoltre, una curva piana, pure di ordine m e di genere p. In generale, il primo di questi due enti ha un numero finito di rette doppie, ed il secondo un numero finito di punti doppi: numeri, i quali — come è noto — sono dati entrambi da (iii, i Basil i ale de i e possono dirsi, a priori, eguali tra loro, in virtù della legge di dualità nel piano. Così sono eguali tra loro: il numero dei piani, ognuno dei quali contiene tre generatrici di una ri- gata, d'ordine m e di genere p, appartenente ad uno spazio ordinario; ed il numero delle rette, ognuna delle quali triseca una curva, d’ ordine m e di genere p, appartenente ad uno spazio di quattro dimensioni: numeri questi che sono noti, ed espressi entrambi da = 57 Stilete Rot) al Sac) Però, qui, la eguaglianza tra i numeri stessi non si vede, immediatamente, a priori, come nel caso precedente. In generale, indicando — come si usa —, con [9g], uno spazio di q dimensioni, ha luogo il seguente teorema, il quale trovasi in CasreLNUOvo, Una applicazione della geometria enu- a dure e Arr Ainett INTORNO AD ALCUNE SEMPLICI INFINITÀ DI SPAZI, ECC. 323 merativa, ecc. (“ Rendie. del Circ. mat. di Palermo ,, t. 3°, 1889): e da cui sì ottengono le due precedenti eguaglianze, supponendo, rispettivamente, q=2 e qg=3. Il numero dei [qg—1], ognuno dei quali contiene q genera- trici di una superficie rigata, d'ordine m e di genere p, apparte- nente ad un [q], è eguale al numero dei |[q —2], ognuno dei quali contiene q punti di una curva, pure di ordine m e di ge- nere p, appartenente ad un [2q — 2]. Lo stesso Autore dimostra pure che entrambi essi numeri sono dati dalla somma camogp dara la quale si intende estesa sino ad un termine nullo; ovvero, come io scrivo, dalla somma 2 sagre ia pn i oi & ky, 0 Ora, per q=2, l'eguaglianza, espressa dal teorema sopra enunciato, riguarda enti di un piano, e — come si è notato — può dirsi immediata: ma come si dimostra essa, in generale? Si può dire, in sostanza, che il Prof. Castelnuovo proceda, separatamente, alla ricerca delle due funzioni di m, p e 9g, di cui nell’enunciato. Difatti, dopo averne individuata una, mediante alcune equazioni funzionali di riduzione (che si dimostrano per via geometrica), e mediante la conoscenza dei valori da essa funzione assunti, per alcuni valori particolari attribuiti agl’ in- dici m, pe g, conclude che l’altra è eguale alla prima, visto che soddisfa alle stesse equazioni funzionali (dimostrate ancora per via geometrica), e che vi è coincidenza effettiva dei valori as- sunti da essa, nelle stesse ipotesi particolari, relative agl’indici. La presente Nota 1° dà un teorema più generale di quello del Prof. Castel- nuovo: più generale, nel senso che esprime l'eguaglianza tra i) numero degli spazi, di conveniente dimensione, ognuno dei quali contiene il massimo numero di spazi generatori di una varietà, d'ordine m e di genere p, luogo di co! (#41), e l'analogo nu- 324 ALBERTO TANTURRI mero, per una varietà, pure di ordine m e di genere p, luogo di co! [AK]. Sicchè, dal mio risultato, discende, subito, quello del Prof. Castelnuovo, ponendo h= 0. Qui, inoltre, la eguaglianza, più generale, ora accennata, si dimostra @ priori, vale a dire indipendentemente dalla cono- scenza dei due numeri che si affermano eguali. Dimodochè, essendo noto — in virtù di anteriori ricerche — uno dei ter- mini della eguaglianza stessa, si viene a scrivere, immediata- mente, il valore dell’altro: e, quindi, questa Nota 2° risolve un nuovo caso, assai comprensivo, del problema del numero degli spazi contenenti il massimo numero possibile di spazi generatori di una varietà algebrica, luogo di co! spazi. 1. — Una varietà algebrica, luogo di co! [K], la quale sia di ordine m e di genere p, si indica con [7 [K 4-1]. Data, in un [n], una [7 [K + 1], il passare per qualcuno dei suoi [X] generatori, è, per un [n — s], condizione multipla se- condo (£+-1)s—1; e, — poichè gli [ns] di [n] sono co-*H! _ esisterà, in generale, un numero finito di [n — s], ognuno dei quali contiene un dato numero intero è di [X] generatori della F[K+ 1], se #, s, i e X soddisfano alla eguaglianza (n-s+1)s=i;}(kK+1)s_- 1}. In particolare, questa eguaglianza è soddisfatta, ponendo n=q(h+ 1), s=1, i=gqg, k=4h+41; ovvero ponendo n=q(h+1)+q—-2,s=g i=q, k=%. Orbene, dico che i numeri corrispondenti sono eguali tra di loro. Si ha, cioè, questa proposizione: In un [t=g9 (4 + 1)]; esiste un numero, in generale finito, di [ft — 1], ognuno dei quali contiene 9g [kh + 1] generatori di una [7 |[h.+- 2], appartenente ad esso [ft]: e questo numero eguaglia quello, in generale anche esso finito, il quale, in un it+9g— 2], esprime quanti sono i [ft — 2], ognuno dei quali contiene 9g |] generatori di una [7 [K+- 1], appartenente ad esso |t +9 — 2]. Si suppone 420, q9 22. Per q=2, ved. n° 8. INTORNO AD ALCUNE SEMPLICI INFINITÀ DI SPAZI, ECC. 325 2. — Cominciamo dall’osservare, che, in virtù della legge di dualità, applicata, rispettivamente, al [t] ed al [t-+gqg— 2] di cui si parla, i due numeri sopradetti esprimono anche: il 1°, il numero dei punti, in ognuno dei quali concor- rono 9g [t—%h— 2] generatori di una [7 [t—X— 1], apparte- nente ad un [t]; il 2°, quello dei [9g — 1], in ognuno dei quali concorrono q[t+qg—h— 3] generatori di una [7 [t+g—-hXk—2], appar- tenente ad un [t-+qg— 2]. Dimostreremo, per comodità, l'eguaglianza tra i due numeri qui scritti, partendo da una generica f? [ft —%— 1], e dedu- cendo, da essa, una 7? [t+g—%— 2], tale che vi sia corri- spondenza biunivoca tra i punti g-pli della prima varietà, ed i [gq — 1], in ognuno dei quali concorrono 9g spazi generatori della seconda. 8. — Perciò, in un [t+g9— 2], che si considererà come spazio ambiente, assumansi 9g [t], i quali, in un determinato ordine, indicheremo con 31, 2; 23; ..., >, Supporremo che essì spazi abbiano ognuno un [t—1| a comune col seguente, es- sendo del resto generici. Prendasi, dopo ciò, in 3;, una generica [7 [ft — 4 —1], che chiameremo F;; e la si proietti, su 33, da un generico [9 — 8] del [t+49— 2] ambiente. Si otterrà, in 3», una [7 [t-%—-1], la quale diremo 3, e proietteremo, su 33, da un altro gene- rico [g — 3]. Si otterrà, in 33, un’altra [7 [t—/X—1]:F;. E così si continui, sino ad avere, in >,, una [7 [t—X— 1], che si dirà F,. In tal modo, un generico spazio G,, di t—%—2 dimensioni, il quale sia spazio generatore di l,, dà luogo, — per via delle successive proiezioni —, ai [t—-n—2] Gs, G3, ..., Gy; e G; e G hanno a comune il [{—%— 8], loro traccia sul [t— 1], intersezione di >, con ®,: come G, e G3 hanno a comune il |t—h—3], loro traccia sul [{—1], intersezione di 73 con 23: ece. Sicchè, in conclusione, ognuno dei |t—/X—2] G;, Gs, G3, ..., Gy, ha un [t—X— 3] a comune col seguente: donde deriva, che lo spazio Pi, il quale congiunge gli spazi G,, Gs, G3, 4, Gy è un [(t-—%X—2)+(g-1)=t+9—A— 3]. Ed, al variare di G, su F;, — con che variano i successivi G sulle corrispon- denti [ — varia P;, descrivendo, nel |[t+g9— 2] ambiente una 326 ALBERTO TANTURRI varietà algebrica, luogo di 001 [t+q—%—3], la quale noi chiameremo IT. E questa la [7 [t#-+g9g— X— 2]; che vedremo legata alla F, dalla relazione di cui alla fine del num° preced. 4. — Dico, anzitutto, che TT è di ordine wm e di genere p. Per dimostrarlo, immaginiamo un [% + 2], che diremo ®; preso, genericamente, nel [tf — q + 2], intersezione di 3, con >, Lo spazio , sta, con G, (spazio di dimensione t — } — 2), in un [t], che è 3 : e quindi taglia G, secondo un [(h+2)+(#—A—2)-4=0], vale a dire secondo un punto, che diremo D,. Allo stesso modo, S taglia G, in un punto, che diremo D,. D' altra parte, nello ambiente [f+g— 2], Pg, che ha per dimensione #4-gq—kh—+3, taglia £, secondo un [(f-+9g—-RT-3)+(h+2)—(#+q—2)=1] ossia secondo una retta f, la quale sarà la retta che unisce D, con D,, visto che Pe contiene G, e G,. Ciò premesso, facciamo variare G, su {,. Varierà allora pe descrivendo una curva A,: la quale è di ordine w e di genere p, essendo la traccia di T, su £. Varierà, di conseguenza, lo spazio G,, e quindi il punto D,: descrivendo una curva A,, d’ordine m e di genere p, traccia di F, su £. Varierà, infine, lo spazio P, e quindi la retta f, sua traccia su 2: descrivendo una superficie rigata ©, che è la sezione di TT, fatta con lo spazio £. L’ordine ed il genere richiesti, sono, evidentemente, quelli di @. Ora, questi due. numeri, relativi a ©, si hanno: presto, se consideriamo le due curve A; e 4,, entrambe d’ordine m e di genere p; e riferite tra loro, a punto a punto, in modo che siano omologhi due punti, D; e D,, quando sono tracce, su Q, di due spazi G, e G,, di cui il secondo è ottenuto dal primo, per via delle successive proiezioni del num° 3. La rigata @ è costituita dalle rette, ognuna delle quali unisce due punti omo- loghi nelle due curve: ed è, perciò, di genere p e di ordine m-+m-— a, a essendo il numero degli eventuali punti uniti nella corrispondenza. Questi punti uniti esistono effettivamente, e sono in numero, di m. Difatti, — per le condizioni assegnate agli spazi ® —, : ® >» hanno a comune un [t— 1]: 3; 2» e >3 hanno a. comune un [f — 2] :...:31, Za, 33; -... e >, hanno a comune un [ft —g+ 1], il quale giace, evidentemente, nel [t—g+ 2], intersezione di 3, con ©, Esso [ft — 9 +- 1] taglia INTORNO AD ALCUNE SEMPLICI INFINITÀ DI SPAZI, ECC. 327 quindi A, in m punti, che sono i soli punti uniti. E dunque a=m; e la rigata @ (e, di conseguenza, la varietà TT) è di or- dine m e di genere p, c. v. d. 5. — Sia ora M, un punto g-plo di 1 ossia un punto nel quale concorrono i g spazi generatori Gi, Gi, Gî,..., Gf. E siano M,, Mg, ...,M,, i punti ottenuti da M,, in virtù delle successive proiezioni del num. 3. Sarà M, g-plo per ls: ed in esso concor- reranno gli spazi G}, Gì, Gì,...,Gî, proiezioni dei precedenti spazi G,; come anche sarà M; g-plo per [3: ed in esso concor- reranno gli spazi G;, Gj, Gî,..., Gi, proiezioni dei precedenti G,; e così via, sino a giungere al punto M,, nel quale concorrono gli spazi G}, G;, Gì,...,Gî, generatori di f,, e proiezioni di spazi G,-, di f,_r. Dicasi allora Pa lo spazio che unisce Gi, G3, G3},..., Gi: 2 2 2 2 Par ” ” ly Gs, Gi, “009 Gi: hi Pea ” ” Gi, Gi, GI, DEDE] fig: Si avrà che i qg spazi Pai, Per, Pes, ..., Pea, generatori di TT, concorrono nello spazio individuato dai punti M,,-Ms, M3,..., M, Ora è facile far vedere che ognuno dei punti come M, dà luogo, in virtù delle proiezioni del n° 3, a punti M.,, IM}, ....M, individuanti, con esso, un [9 — 1]. — Si può, difatti, pensare, anzitutto, che nessuno dei punti come M, stia nel:[f#— 1], che sì è imposto comune a =, ed.a >: come anche, che nessuno dei punti come M, stia nel [f— 1] comune ia 3: ed a 33: e così via. Allora, dei punti Ms, M;, ..., M,;, risultanti per le proie- zioni dette da un generico punto M, g-plo per F,, nessuno coinciderà col precedente, allo stesso modo che M, è distinto da M,. In particolare, quindi, ogni M, individua, col corrispon- dente M,, una retta. Si prenda allora il [7-3], da cui si proietta F, in >}, in modo da non incontrare nessuna delle rette congiungenti un M, col corrispondente M,. Allora, ogni terna M,M,M; individua un piano; non potendo M; stare sulla retta MM; (che unisce .M, con M), perchè altrimenti le rette M.M, ed M,M, coinciderebbero: mentre la prima incontra il [9 — 3] scelto ora (perchè .M; è proiezione di M,, da esso [9 — 3], su 3), 328 ALBERTO TANTURRI e l’altra no. Così continuando, si prenda il [9 — 3], da cui si proietta f3 in X,, in modo da non incontrare nessuno dei piani come M,M,M;. Allora, ogni quaterna MM; .M; M, individua un [3], non potendo M, stare nel piano M, MM}, perchè altri- menti la retta M;M, giacerebbe in quel piano: il che è impos- sibile, perchè essa retta incontra il |[9 — 8] ora scelto, ed il piano M, M, Mz no. E così si proceda, sino a prendere il [g— 3], da cui si proietta T,_, su %;, in modo da non incontrare nes- suno dei |g — 2], dei quali ognuno unisce un M; coi corrispon- denti Ms, M3,..., M,-1. Cid è possibile, perchè è sempre d-3+9-2, sono 007; ed, appoggiarsi ad un [t —-%— 2], è, per una di esse, condizione multipla secondo h4-1. Ne segue che agli spazi G,, sopradetti (supposti non concorrenti in un punto), si appoggiano 0081 dh+1)=A1)t=t-2 rette r,: ognuna delle quali darà luogo ad una catena 77273... 77. Una, generica, di esse catene individua, come spazio congiun- gente, un [9g]; e, se si vuole che individui un [g — 1], debbono essere soddisfatte C+9-29-G-1)=0-2)+1 condizioni: tante, cioè, quante ce ne vogliono, per esprimere — nello ambiente [#-+ 9g — 2]. — che un punto appartiene ad un [91], 0, che è lo stesso, per esprimere che la retta r, di una catena, sta nel [y—1] individuata dalle rimanenti rette della catena stessa. Si vede, dunque, che, se i q spazi G, non. concorrono, giammai si viene alla esistenza di un |g — 1], nel quale con- corrano q spazi generatori di TT — (Osserviamo che se, invece, i gq spazi G, concorrono, in M,, le rette r,, appoggiate ad essi spazi sono tutte e sole le rette di >,, per M.: sono cioè co ecc.). 7. — Possiamo dunque enunciare la seguente proposizione. Per h=20, q> 2 (ed anche per q= 2, come risulta dal num® 8), posto t=q(h + 1), i numero dei |t — 1] di un [t], ognuno dei quali contiene q |h + 1] generatori di una varietà d'ordine m e di genere p, luogo di 2! |h-+ 1] (il quale numero, per dualità nel [t], coincide col numero dei punti multipli secondo g, di una varietà, d'ordine m e di genere p, luogo di co! [t — 4 — 2]) è eguale al numero dei |t—2] di un [t+q— 2], ognuno dei quali contiene q [h| generatori di una varietà, d'ordine m e di genere p, luogo di co! [h] (il quale numero, per dualità nel [t + q — 2], coincide con quello dei |7-— 1], in ognuno dei quali concorrono qlt-+9g—-%-—3] generatori di una varietà, d'ordine m e di genere p, luogo di co! |[t+q-hT—-3]). 330 ALBERTO TANTURRI — INTORNO AD ALCUNE SEMPLICI, ECC. La proposizione si può completare, aggiungendo che è noto il primo dei quattro numeri ora scritti (ved. la mia Nota: Un problema di geometria numerativa ece., “ Atti della ‘R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Vol. XXXV, 1900), e scrivendo il loro valore comune Dip (MT ad ì 0 8. — In particolare, per k=0, si ha il teorema del Prof. Castelnuovo. Per g= 2, i ragionamenti precedenti non hanno luogo (perchè, ad es., al num° 3, si sono fatte proiezioni da [g—3]); ma l’ eguaglianza sopra affermata risulta dalla sola legge di dualità. Basta, difatti, osservare, che, per q= 2, il primo dei quattro numeri scritti al num° 7, è il numero dei [24 + 1] di un [2% + 2], ognuno dei quali contiene due [h + 1] generatori di una [7 [|[h-+ 2]: e che condizione necessaria e sufficiente perchè due [Ah + 1] generatori di essa varietà, appartenente al [24 + 2], stiano in un [24 + 1], è che abbiano a comune una retta. Dal che segue, che il numero, ora detto, è eguale a quello delle rette, in ognuna delle quali concorrono due [X +1] gene- ratori della stessa [2 [X-+ 2]: ossia è eguale al quarto dei numeri scritti al num° 7. 331 Relazione intorno alla memoria del Prof. Daniele Rosa, intitolata: Il cloragogo tipico degli Oligocheti. È noto che negli Oligocheti, come in molti altri anellidi l'intestino e certi vasi sono coperti da uno strato cellulare gial- lognolo detto cloragogeno 0 cloragogo. Già in due lavori che ebbero l’onore di essere pubblicati uno nelle Memorie (1896) e l’altro negli Atti (1898) della nostra Accademia. L'A. si era occupato di questo strato dimostrando errate tanto la teoria che considerava il cloragogo come pro- duttore dei linfociti, quanto l’altra, più sparsa, che riteneva che il cloragogo risultasse da linfociti: fissatisi sulle pareti dell’in- testino e dei vasi. Intorno a questo argomento, oggi ancora molto discusso, il Prof. Rosa ha compiuto una serie di ricerche i risultati delle quali ha riunito nel lavoro che Il Accademia ha affidato al nostro esame. Le principali conclusioni alle quali è giunto il Prof. Rosa, sono le seguenti: Il cloragogo non ha relazioni di sorta coi linfociti: esso è un vero peritoneo e solo per adattamenti secondari può perdere la continuità fra le sue cellule. Le cellule in questione aderi- scono direttamente alle pareti dei vasi della rete intestinale o dei vasi liberi che più immediatamente ricevono sangue da essa inframettendosi in tutto o in parte fra le fibre muscolari even- tualmente interposte. Tali cellule elaborano con elementi tolti al sangue, mate- riali di riserva e materiali di escrezione. I primi sono talora così abbondanti che la funzione di escrezione, che è normal- mente l'essenziale, passa in seconda linea. I materiali d’eserezione sono globuli liquidi che vengono accumulandosi lentamente nelle cellule stesse, nelle quali rimangono immagazzinati e, solo acci- dentalmente forse, cadono nel celoma per distacco o rottura delle cellule che li contengono. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 92 332 Il lavoro del Prof. Rosa fatto, come tutti i lavori di questo Autore, con molta cura non solo getta molta luce sulla natura del cloragogo negli Oligocheti, ma costituisce un buon punto di partenza per lo studio del cloragogo in quegli altri gruppi di animali, come ad esempio gli Oligocheti e gli Irudinei, che pure lo presentano. I vostri commissari credono che il lavoro del Prof. Rosa meriti di essere letto alla Classe e di essere stampato nei vo- lumi accademici. T. SALVADORI, L. CAMERANO, Relatore. L’ Accademico Segretario Enrico D’Ovipro. ->- e 393 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 16 Marzo 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Rossi, Manno, Borrari DI SAINT- PrerRE, CARLE, Brusa, ALLievo, Pizzi, SAvIO e RENIER Segretario. — Il Socio Ferrero, Direttore della Classe, scusa la propria assenza. Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 2 marzo 1902. Il Presidente legge la lettera con cui il Vice Presidente PryRon ringrazia la Classe per le condoglianze a lui inviate. A nome del Socio FeRRERO, il Segretario fa omaggio alla Classe di un opuscolo del prof. G. BarerLLI intitolato: Una disfida storica e î discorsi militari del Duca d’ Urbino. Roma, 1902. Il Socio Przzr presenta una nota di Giuseppe FLECHIA, Un apologo indiano tradotto da Giovanni Flechia. La nota compare negli Atti. 334 GIUSEPPE FLECHIA LETTURE Un apologo indiano tradotto da Giovanni Flechia. Nota di GIUSEPPE FLECHIA. ' Tra i varj racconti, o miti o leggende che dir si vogliano, che Giovanni Flechia tradusse dal Ramajaza, dal Mahabharata e dal Pancatantra negli anni 1848-55 (1) e che, pubblicati, val- sero al traduttore la nomina a Professore di grammatica san- scrita nell’Ateneo torinese e l’incarico, da parte del Ministro Mamiani, della compilazione di quella Grammatica dell’antico indiano che doveva riscuotere le lodi più incondizionate di Teo- doro Benfey e di Max Miiller (2), va posto, senza alcun dubbio, per ragion di data, l’apologo inedito che qui si riferisce. Esso fa parte, come l'argomento dimostra, della serie delle leggende buddhistiche innestatesi nel Mahabharata, la grande epopea nazionale dell’India, ed appartiene propriamente all’ Anwu- sîisanaparva 0 ‘Libro dei moniti’, che è il XIII del gigantesco poema, e che dapprima, col titolo di Déànaparva 0 ‘ Libro del- l'elemosina ’, faceva parte, come avverte il Kerbaker, del XII libro. Il testo sanscrito di questo apologo è riportato, come eser- cizio di lettura, a pp. 13-17 della Grammatica sanscrita del (1) Giatajù: frammento del Ramajana, in © Antologia Ital. ,, febbr. 1848. — Morte di Vaco: episodio del Mahabhàrata, Torino, 1848. — L'’uccellatore e le colombe: favola del Panciatantra, in “ Il Cimento ,, fasc. VII, 1852. — La colomba e lo sparviero: leggenda del Mahabharata, in “ L'album delle famiglie ,, genn. 1852. — Sampati e Anumante, traduzione dal Mahabharata, in “ Il Cimento ,, fasc. IX e X, 1855. (2) Cfr. Dom. Pezzi, La vita scientifica di Giov. Flechia, in “ Memorie dell’Acc. delle Scienze di Torino ,, serie II, t. XLIII, 1893, p. 141. UN APOLOGO INDIANO TRADOTTO DA GIOVANNI FLECHIA 335 Flechia (Torino, 1856) dove è seguìto da una fedele traduzione latina; ed è pure riportato, con un utile sussidio di note, nel pregevole Limen Indicum del Fumi (1). Aggiungasi, infine, che del nostro apologo ci ha dato testè una bella versione in ottava rima il lodato traduttore di “ Nala e Damayanti =, Michele Kerbaker (2). Giuseppe FLECHIA. Colloquio del dio Indro e del pappagallo. Nella provincia del re dei Kasj un cacciatore, pigliate al- cune sue saette avvelenate, uscì dal villaggio e andossene a caccia di fiere. E come fu giunto in una gran selva, avendo veduto poco lunge alcune gazzelle, pose una saetta in sull’arco. E perchè l’arco era mal teso e in lui era soverchio desi- derio d’uccider fiere, scoccò con mal garbo il quadrello e per- cosse in quella vece un grande albero della foresta. Il quale, offeso grandemente da quella saetta imbiutata di veleno, perdette i frutti ed i fiori, e seccò. Ora nella cavità di quell’albero abitava da lunga pezza un pappagallo, il quale, non ostante quello appassirsi, non volle per amore dell’albero abbandonare quella dimora. E così senza punto muoversi nè pigliar cibo, accasciato sopra sè stesso, con voce debole e morente, quel pio e ricono- scente augello si venne appassendo insieme con quell’albero. Il dio Indro, veduto quel grande e nobile uccello, che, in- tento ad opera sovrumana, non si curava nè del piacere nè del dolore, ébbene maraviglia. Ed entrò in questo pensiero: “ Donde avviene egli mai che in questo uccello sia nata una pietà che negli animali bruti non suole avvenire? , E, pigliata umana forma, discese in terra sotto la sem- (1) Milano, Hoepli, 1892, 2* ediz., pp. 22-29 e 218-836. (2) M. KerBaKER, Leggende buddhistiche del Mahabharata, letture fatte nell’Accad. Pontaniana. Napoli, 1900, pp. 25-80. 336 i GIUSEPPE FLECHIA bianza di un Bramano, e come tale fecesi ad interrogar quel- l'uccello. “— 0 pappagallo, il migliore d’infra gli uccelli! I pappa- galli sono veramente una nobilissima razza di uccelli. Or ri- spondi alla mia domanda: perchè non abbandoni quest’albero? , A siffatte parole il pappagallo, inchinatoglisi colla testa, rispose: “ Salve, o re degli déi! perocchè io t'ho conosciuto mediante la mia santità ,. Allora il dio dai mille occhi diceva: “ Bene! Bene! Questa è sapienza! , ed in cuor suo facevagli onore. E quantunque il dio sapesse tutto, pur volle interrogare circa quella affezione il piissimo pappagallo intento a quell’opera maravigliosa : “ — Perchè continui pur sempre ad abitare su quell’albero senza frondi, senza frutti, seccatosi e diventato inabitabile dagli uccelli? “ Ben sono in questa gran selva molti altri alberi felici, i quali han cavità e recessi coperti di fronde. “Con tua buona pace e saviamente adoperando lascia dunque questa vecchia pianta venuta in fin di vita, fatta dis- utile, senza sugo e senza bellezza ,. Udito il parere del dio, quell’infelice pappagallo, dopo di aver gittato lunghi e profondi sospiri, così disse: “— 0 marito di Saci! Ai numi devesi aver gran riguardo; abbiti dunque contezza, o il migliore fra gli déi, di quanto mi venisti domandando. “ In quest'albergo io sono nato; in esso io fui fornito di buone qualità; in esso protetto nella mia fanciullezza; e in esso ho trovato uno schermo contro le offese de’ nimici. “ Or perchè, o incolpabile, me ne vieni tu mettendo innanzi la miserevole infruttuosità, a me che lo amo e sonogli affezio- nato, e non ne cerco altro? “ Perchè gran segno di virtù è la misericordia de’ buoni, i quali sempre ne riportano contentezza. “ Nelle dubbiezze loro gli déi tutti ricorrono a te per con- siglio, e perciò a te fu data la suprema signoria de’ celesti. “ Egli non è conveniente, o dio dai mille occhi, che tu mi faccia abbandonare quest’albero dopo sì lungo tempo. Avendolo io goduto intanto ch'egli era utile, come potrei ora lasciarlo? , feta UN APOLOGO INDIANO TRADOTTO DA GIUVANNI FLECHIA d97 Rallegrato il dio Indro da queste belle parole e resosi pro- pizio a quel pappagallo, così gli diceva: “ Scegliti una grazia ,. E il pappagallo, affezionato pur sempre a quell’albero, domandò che quello fosse richiamato a novella vita. E subito il dio, veduto il saldissimo amore del pappagallo, tutto lieto asperse d’ambrosia quell’albero. Il quale, per cortese amore del pappagallo, tornò ad avere frutti e foglie e rami giocondi, e tutta l’avvenentezza di prima. E il pappagallo, come venne alla fine de’ suoi giorni, in merito di quell’opera e di quella pietà, ottenne di essere fatto partecipe del cielo d’Indro. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. PMR “orgia sc = X I i; gintteg cao fig p:rooib ila faoo ;0llss#ggag | bastano Sradlipillampia di casina viNoTRE nol 1 ealli. sc Do vers mentestivanifovalte salvodommicoiit a20Ì. allor sella uni a vom erimnibian li otuboa,dib; ili tig LUCI A salfatto \nofbdba Honp: ‘siaordana ARTAYESOS gta ia: Pr tod: « ittica [abi atrotonae. GBOPIOS TOTI; «pla perio an O è A imp o ‘itgot ottabisnzebd . if brinoite» Ren uiiana na (NI Piet dop ta n i dio sm \uoab sl b dite ‘lobi Lima dix 0 1 AREA osiitesboo SAMI a otiot Sgt © ——__—— 1% ;:paM il CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 28 Marzo 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO: COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NAccarI, Mosso, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, Foà, GuAREScHI, Gui, PARONA, MATTIROLO e D’OvipIO Segretario. Approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, il Segre- tario legge la lettera del Ministro della Pubblica Istruzione ac- compagnante gli estratti del R° Decreto 23 febbraio che approva la nomina dei Professori Giacinto Morera e Guido Grassi a Soci nazionali residenti dell’Accademia, e comunica una lettera di ringraziamento del Prof. MoRERA. I nuovi Soci MorERA e Grassi sono quindi introdotti nel- l'aula, ed il Presidente dà loro il benvenuto, al quale essi rispon- dono ringraziando il Presidente ed i Colleghi di averli eletti ed accolti benevolmente. Il Segretario comunica una lettera del Socio non residente VoLtERRA, con la quale questi prega di sostituirgli altro Socio nella Commissione del premio Galileo Ferraris bandito dal Comi- tato esecutivo dell’Esposizione generale del 1898, non potendo egli attendere ai lavori della Commissione dopo aver trasferito la propria dimora in Roma. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 23 340 Il Socio Grassi viene delegato a sostituire il Socio VoLTERRA. Il Socio NaccaRI presenta per l'inserzione nel volume delle Memorie, un lavoro del Dr. Antonio GaRBASsO intitolato: Su le correnti di scarica dei condensatori secondo due circuiti derivati. Il Presidente nomina una Commissione con incarico di riferire sul medesimo. o Si accoglie per l'inserzione negli Atti la nota del Dr. Valen- tino GRANDIS: Sulle proprietà elettriche dei nervi in rapporto alla loro funzione, presentata dal Socio Mosso. e è ii ERRORE E, —_ n LT VALENTINO GRANDIS — SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE, Ecc. 341 LETTURE Sulle proprietà elettriche dei nervi in rapporto colla loro funzione. Ricerche del Dott. VALENTINO GRANDIS Nella seduta del 10 marzo 1901 ho presentato a questa illa Accademia il risultato di alcune ricerche dirette a stabi- lire l’azione che un circuito elettrico esercita sopra un nervo, quando corre vicino ad esso. In quella comunicazione mi limitai a riferire le modifica- zioni fisiologiche osservate, trascurando le condizioni fisiche dalle quali esse dipendono. Durante lo scorso anno rivolsi la mia attenzione a questa seconda parte della questione e comu- nico ora i risultati ai quali fui condotto. In una lunga serie di esperimenti potei constatare che è condizione indispensabile, perchè il passaggio di una corrente nelle vicinanze del nervo dia luogo ad una eccitazione, che il nervo stesso sia in comunicazione diretta col suolo. Ciò modificò sostanzialmente l’interpretazione che io credetti doversi dare al fenomeno. Mentre prima la ritenevo un'azione elettromagnetica, credo ora la si debba considerare dovuta ad un fenomeno d’in- fluenza. Mi aveva condotto a quella interpretazione il fatto che gli ordinarî apparecchi di contenzione dell’animale, adoperati nelle ricerche fisiologiche sulla funzione dei nervi, non permettono un isolamento sufficiente, e perciò l’animale poteva comunicare col suolo per mezzo degli apparecchi impiegati anche quando io non stabiliva appositamente una comunicazione diretta. Dopo che ebbi riconosciuta questa causa di errore, e la difficoltà colla quale essa si può eliminare, provvidi perchè essa non potesse ulteriormente alterare il risultato delle mie ricerche. Descriverò nel lavoro completo il metodo adottato. 342 VALENTINO GRANDIS In appoggio della nuova interpretazione dirò solamente che potei ottenere gli stessi risultati descritti in quella nota come dipendenti dall'azione magnetica della corrente elettrica, ponendo il nervo tra due lamine di mica costituenti il coibente di un condensatore di Franklin, mentre un punto qualunque del corpo dell'animale sta in diretta comunicazione col suolo. Nel corso di queste ricerche potei constatare che non è in- differente, per il risultato che si vuole ottenere, il nome della carica che si dà a quell’armatura del condensatore, che si trova essere posta più vicina al nervo. Quando si dispone l'esperimento in modo che il nervo ri- ceva una carica d’elettricità di nome positivo non è mai possi- bile riscontrare alcun segno di eccitamento nel nervo, sebbene un elettrometro capillare posto in comunicazione col nervo stesso indichi in modo non dubbio che il nervo si è caricato con elet- tricità positiva. Se invece si carica il nervo con la stessa quan- tità d’elettricità negativa il nervo ne risente una modificazione potente la quale si manifesta con una vivace contrazione mu- scolare. Non istarò ora a descrivere tutti i numerosi tentativi fatti per stabilire il fenomeno in modo irrefutabile. Io non potei mai riscontrare alcuna eccezione a questo modo di comportarsi del nervo rispetto alla natura della carica elettrica, che gli viene comunicata, purchè il valore della carica stessa non ecceda un limite d'altezza abbastanza grande. Questo stesso risultato era già stato ottenuto dal Galvani nelle sue prime ricerche sopra l’elettricità animale, e dopo quel tempo era stato completamente trascurato dai fisiologi. Galvani descrisse il risultato nel capitolo de viridus electricitatis animalis in motu musculari, pag. 382. Il fatto curioso chiamò l’attenzione dell’Oettinger quando curò la traduzione del lavoro del Galvani per la biblioteca degli “ Ostwald’s Klassiker der exacten Wissenschaften ,, e lo in- dusse a far controllare l'esperimento da V. Frey ed E. Harnack. I due autori confermarono essi pure l’esistenza del fenomeno, ma non vi fissarono oltre la loro attenzione. Nelle prove da me fatte vidi che è indifferente per la pro- duzione del fenomeno che il nervo sia caricato di elettricità mediante contatto diretto con un corpo elettrizzato, oppure venga SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE DEI NERVI IN RAPPORTO Ecc. 343 caricato per influenza. Quando si raggiunge un grado sufficiente d'isolamento del preparato di leptodactylus, oppure di dufo, si può colla maggior facilità verificare il risultato unendo sempli- cemente il nervo, comunicante col suolo, ad un polo di una sor- gente elettrica, di cui l’altro polo comunichi col suolo. Disponendo l'esperimento in questo modo si vede che ogni azione la quale sia capace di modificare la carica negativa del nervo dà luogo ad una contrazione muscolare, mentre le modi- ficazioni della carica positiva passano inavvertite. Non è indifferente il modo col quale si produce la modi- ficazione della carica. Secondo che la variazione dà luogo ad un aumento oppure ad una diminuzione della carica comunicata al nervo, si ha una contrazione nell’atto in cui si produce la carica oppure nell'istante in cui si produce la scarica del nervo. Riserbo la descrizione dettagliata dei risultati quando co- municherò in extenso gli esperimenti fatti ed il metodo adope- rato. Il farlo ora mi obbligherebbe ad oltrepassare i limiti di tempo e di spazio che mi son concessi per questa comunicazione preventiva. Quando si raggiunge il grado necessario d’isolamento del preparato, si vede che il muscolo si carica in modo differente dal nervo, da cui è innervato, e la contrazione che si ottiene ha caratteri differenti, secondo che le variazioni della carica elettrica sono prodotte direttamente sul nervo, oppure sul muscolo. I fenomeni precedenti da me attribuiti all’azione delle linee di forza del campo magnetico si possono riprodurre sostituendo una capacità al piccolo rocchetto da cui emanano le linee di forza. Perciò sono portato alla conclusione che gli effetti del rocchetto adoperato negli esperimenti descritti nella nota pre- cedente erano da ritenersi dovuti alla carica statica che assu- meva il conduttore del rocchetto nell’istante in cui veniva messo in comunicazione con l’accumulatore. La carica agiva per in- fluenza sul nervo trovantesi in comunicazione col suolo per mezzo degli apparecchi di sostegno imperfettamente isolati, e soffriva perciò una variazione nel suo stato elettrico. Quando si pone il nervo di una preparazione fresca in co- municazione con un elettrometro capillare, se l’istrumento è abbastanza sensibile si osserva frequentemente che il nervo ha 344 VALENTINO GRANDIS una carica elettrica speciale, e che questa carica non ha valore uguale in tutti i punti della lunghezza del tratto di nervo, così che si può notare una differenza di potenziale tra due punti distanti fra di loro di pochi millimetri. Nell’atto in cui due punti di un nervo sono messi in comunicazione attraverso l’e- lettrometro, si nota una contrazione del muscolo cui il nervo si distribuisce perchè si produce così una variazione nelle condi- zioni elettriche dei due punti del nervo comunicanti coll’elet- trometro. Generalmente si nota una contrazione muscolare solamente nel primo istante in cui si chiude il circuito attraverso dell’e- lettrometro. Soltanto in casi eccezionali si può osservare che le contrazioni si ripetano due o tre volte di seguito per successive chiusure del circuito che si stabilisce attraverso all’elettrometro ed al tratto di nervo compreso tra i due fili dell’elettrometro stesso. Per lo più la differenza di potenziale esistente tra i due punti del nervo si equilibra completamente col primo contatto, cosichè nei successivi non si produce più una variazione nello stato elettrico del nervo e non può aver luogo alcuna eccitazione. Nel maggior numero dei casi, se si lascia decorrere un certo intervallo di tempo di parecchi minuti tra le successive chiusure della comunicazione del nervo coll’elettrometro, allora ad ogni chiusura si produce una contrazione del muscolo inner- vato dal nervo. Ciò non si può interpretare altrimenti che am- mettendo nel nervo la proprietà di produrre delle cariche elet- triche variabili nei suoi differenti punti. Dati questi fatti conviene ammettere che il nervo sia da considerarsi come un dielettrico, e che perciò le cariche elet- triche di un punto non si possono trasmettere ai punti vicini se non con una certa lentezza, come avviene nei corpi dielet- trici. Così solamente è possibile che due punti dello stesso nervo abbiano potenziali differenti, i quali dànno luogo ad un eccita- mento quando vengono repentinamente equilibrati attraverso all’elettrometro, oppure ad un arco conduttore alla Galvani. Quando si carica un punto di un nervo ponendolo in con- tatto con un polo di una sorgente elettrica, mentre un altro punto del medesimo nervo o del medesimo preparato comunica col suolo, e dopo di aver interrotta la comunicazione col suolo e quella colla sorgente elettrica, si fanno comunicare fra di loro SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE DEI NERVI IN RAPPORTO ECC. 345 i due punti del nervo attraverso all’elettrometro, le cariche dei due punti tendono ad equilibrarsi. Ciò dà luogo ad un’eccita- zione manifestantesi con una contrazione muscolare quando la carica data al nervo è di natura tale che possa essere risentita dal nervo. Se la carica data al nervo è abbastanza grande, e la du- rata della comunicazione dei due punti del nervo attraverso all’elettrometro è molto breve, l’eccitamento del nervo si può ripetere per parecchie chiusure successive rapidamente susse- guentisi. Questo comportamento è analogo a quanto succede nella scarica dei condensatori. In un caso potei ottenere in questo modo 140 contrazioni gradatamente decrescenti in ampiezza, ed accompagnate da corrispondenti movimenti dell’elettrometro. Secondo l’esperienza fatta, questo rappresenta un caso ecce- zionale; per lo più ottenni in media solamente una trentina di contrazioni successive, corrispondenti ad altrettante chiusure del circuito dell’elettrometro sopra due punti di un nervo preceden- temente caricato. I risultati sopra esposti mi indussero a studiare se vera- mente il nervo si debba considerare come un conduttore, come sì ritiene generalmente dai fisiclogi che si occuparono dello studio delle funzioni nervose, oppure se la resistenza che esso offre al passaggio della corrente elettrica non sia tale da farlo ritenere come un dielettrico. Le determinazioni della resistenza dei nervi avevano dimostrato che essa raggiunge il valore con- siderevole di 70000 ohms per centimetro. Io limitai per ora le mie ricerche a prove qualitative, riservandomi di ripetere le misure sopra dette dopo di aver studiato un metodo che mi metta al riparo da tutte le cause di errore. Ripetei perciò l’e- sperimento semplicissimo, col quale Du Bois-Reymond tentò di ottenere la scomposizione del ioduro di potassio per dimostrare la corrente propria del nervo. Disposi l'esperimento in modo che si dovesse produrre una scomposizione del ioduro di potassio, qualora una corrente possa circolare attraverso ad un tratto di nervo della lunghezza di cinque millimetri. Adoprai valori di corrente uguali a quelli di cui si fa comunemente uso nelle ri- cerche fisiologiche, ed il risultato fu in ogni caso negativo. Ciò si accorda molto bene coi risultati delle osservazioni accen- nate sopra. 346 VALENTINO GRANDIS — SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE, ECC. Ho desiderato comunicare ora questi risultati di 150 espe- rimenti perchè essi conducono ad una interpretazione inaspettata del modo col quale è possibile concepire il funzionamento dei nervi. Non ho bisogno di far notare che questi dati sperimentali mi posero sulla via di cercare la ragione delle leggi di Pfliiger sulla contrazione muscolare e sull’elettrotono. Di questo tratterò nella memoria che sto preparando sull’argomento, oggetto della presente nota. Laboratorio di Fisiologia della Facoltà di Medicina di Buenos Ayres. VITTORIO BALBI — LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO, ECC. 347 Le condizioni climatiche di Torino durante l’anno 1901. Nota del Dott. VITTORIO BALBI. Il presente riassunto venne composto sui dati delle osser- vazioni fatte, come per lo addietro, alle ore 9, 15 e 21. I ri- sultati di queste sono pubblicati nelle Osservazioni Meteorologiche edite negli “ Atti della R. Accademia delle Scienze ,, e si rife- riscono sempre ad ore di Tempo medio dell’Europa Centrale. Non si tenne qui conto delle osservazioni delle 7 e delle 12, che vengono trasmesse telegraficamente all'Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma, Amburgo, Budapest, Pa- rigi, Pietroburgo, Sofia, Trieste, Vienna e Zurigo, per il servizio dei Presagi. 4 Dal lato meteorologico, l’anno or ora decorso ha presen- tato due caratteristiche speciali, quella di essere molto umido, e quella di aver interrotto la serie d’anni in cui la temperatura si mantenne notevolmente al disopra dei valori normali. Pressione atmosferica. (L’unità adottata è il mm.). Esaminiamo ora i vari elementi meteorologici in particolare, incominciando dalla pressione atmosferica. La sua media annua, a differenza dei tre anni precedenti, nei quali raggiunse valori superiori, fu di 0,36 inferiore al suo valore normale corrispon- dente. Nella tabella che segue sono dati la media, gli estremi e l’escursione annua della pressione atmosferica dell'ultimo de- cennio, nonchè la data nella quale caddero gli estremi. 348 1 VITTORIO BALBI Media, estremi ed escursione annua della pressione atmosferica osservati negli ultimi dieci anni. Massimo Data Minimo Data Anno Media osservato |dell’osser-| osservato |dell’osser-| M-m M vazione m vazione 1892 | 736.54 750.25 |17 XII| 714.37 17 II | 35.88 1893 7.49 93.22 9 XII 16.65 22 Il | 36.57 1894 1.72 50.44 |26 XII 18.13 30 XII | 32.31 1895 6.06 51.74 2 XI 18.00 16 V | 33.74 1896 7.40 54.74 |30I 189,17 6 XII | 36.57 1897 7.08 59.64 |22 XI 10.15 23 I 43.49 1898 7.55 539.96 |29I 14.51 4 II | 39.45 1899 8.21 DON 1 SA IO 14 XII | 831.10 1900 8.21 50.60 |10 II 15.14 28 I 35.46 1901| 6.73 51.18 (241 15.02 | 20 II | 36.16 Se consideriamo poi le deviazioni delle medie mensili dai valori normali corrispondenti (vedi Tabella A), troviamo che le maggiori depressioni si verificarono in Dicembre, dove la deviazione P" — P", tra la media mensile osservata ed il suo corrispondente valore normale, raggiunse il valore — 4.43; ven- gono in seguito Marzo, nel quale P"— P” = — 3.12, poi Febbraio e Settembre con la stessa deviazione — 1.69, indi Ottobre, Giugno e Luglio, poco differenti dai valori normali corrispondenti. Le più alte pressioni si osservarono in' Novembre ed Aprile per i quali le deviazioni furono rispettivamente di + 2.67 e +- 2.59; in seguito, con una deviazione di poco superiore al mm., Gen- naio e Maggio, in ultimo Agosto con una deviazione positiva di poco differente dal valore normale corrispondente. Prendiamo ora in esame l’andamento diurno della pressione rispetto all'andamento dei corrispondenti valori normali. Le deviazioni giornaliere P— P, della media pressione barometrica dai corrispondenti valori normali, si trovano nelle finche della Tabella B, essendo contrassegnate con carattere grasso le massime e minime deviazioni mensili. Da questa Tabella appare che le massime deviazioni, la positiva e la negativa, si verificarono: la prima, + 12.65, il Se; _ _ ___—_rrr_+—_ ron LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1901 349 8 Aprile, la seconda, — 19.88, il 20 Marzo; il giorno in cui si osservò il valore meno discosto dal normale fu il 3 Agosto. Tra i periodi nei quali la pressione si mantenne perma- nentemente al disopra dei corrispondenti valori normali, è no- tevole quello compreso tra il 7 e 25 Gennaio, al quale corrispose in generale un periodo di belle giornate. Simile corrispondenza non si verificò nel periodo limitato tra il 29 Marzo e il 9 Aprile, nel quale alle permanenti elevate pressioni corrispose invece un regime misto; la corrispondenza di belle giornate alle pressioni elevate riscontrasi nuovamente nel periodo compreso tra il 29 Novembre e 18 Dicembre. Tra i periodi nei quali invece la pressione si mantenne ininterrottamente al disotto dei corrispondenti valori normali, mi limito a ricordare i due più notevoli, quello tra il 26 Gennaio e 1°8 Febbraio, e quello tra il 9 ed il 29 Dicembre, che, pre- cedenti o contemporanei nel principio a forti venti di Ovest, corrisposero a cospicue precipitazioni. Esaminando poi le deviazioni più repentine, noto quella tra il 6 e 7 Marzo, in cui la pressione media diminuì di 10.38, e quella tra il 17 e il 19, in cui la deviazione fu di — 17.69; la prima depressione fu precorritrice di forte vento di SW, la se- conda centro di abbondanti precipitazioni. Accennato alle deviazioni negative più emergenti, noto le due principali deviazioni positive: quella di 10.76, tra il 16 e 17 Novembre, e quella di 10.77 tra il 29 e 30 Dicembre; la prima non mutò sensibilmente lo stato atmosferico preesistente, la seconda, invece, fu sull’estinzione di un periodo lungo di pre- cipitazioni, al quale susseguì il periodo di bellissime giornate che al 12 Gennaio 1902 permaneva ancora. I valori massimo e minimo, 751.18 e 715.02, furono rispet- tivamente osservati il 24 Gennaio ed il 20 Marzo. Dal 1787, anno in cui si cominciò a tenere regolare registro della pressione atmosferica, troviamo che la massima media annua si ebbe nel 1790 col valore 740.8, e la minima media annua nel 1842 col valore 735.1. Nella Serie dei massimi annui osservati, troviamo un estremo 759.9 osservato il 16 Gennaio 1882, e l’altro 744.6 os- servato il 26 Gennaio 1812. 350 VITTORIO BALBI Esaminando invece la serie dei minimi annui osservati, troviamo un estremo 709.4 osservato il 19 Marzo 1797 e l’altro 726.5 osservato il 14 Gennaio 1832. Tenuto conto dell’interru- zione di un anno nel periodo 1787-1901, il massimo annuo ba- rometrico si riscontrò 39 volte in Gennaio, 21 in Febbraio, 16 in marzo, 1 in Aprile, 2 in Settembre, 6 in Ottobre, 10 in Novembre, 19 in Dicembre; la medesima indagine portata sulla formazione del minimo annuo barometrico, ci dà che questo minimo sul periodo 1787-1901, senza alcuna interruzione, si fermò 25 volte in Gennaio, 23 in Febbraio, 19 in Marzo, 5 in Aprile, 1 in Maggio, 1 in Settembre, 6 in Ottobre, 9 in No- vembre, 26 in Dicembre. Temperatura centigrada. La media temperatura annua 7 (calcolata sulle osservazioni di 9", 21°, massima e minima) del 1901 risultò, a differenza dei 9 anni precedenti che si identificarono per la loro media note- volmente e costantemente superiore al normale, 4 11.7, con la deviazione — 0.5. Per quanto riguarda gli estremi termometrici osservati e le loro deviazioni dalla media delle minime e delle massime annuali nell’ ultimo decennio, vedasi la tabella seguente, osser- vando che per Torino si hanno i seguenti valori normali: medie;amnuale. ei ns, 11.72 ‘ media delle minime annuali. — 10.5 ‘ media delle massime annuali DdOLI Estremi termometrici e temperature medie annue osservate nell'ultimo decennio, e deviazione dei valori normali. (ua Temper. massima Temper. minima Temper. media M M - Mn m m_—Mn Tm Tm Tn 1892 32.8 — 0.9 — 6.8 +3.7 12.1 + 0.4 1893 31.6 — 2.1 | — 15.0 — 4.5 12.3 + 0.6 1894. 32h cei 1028) 1226 e 1895 33.4 — 0.3 | — 10.8 — 0.3 11.8 + 0.1 1896 34.2 + 0.5 — 7,9 + 3.0 11.8 + 0.1 1897 32.1 — 1.6 — 5.9 + 4.0 12.8 + 1.1 1898 31.8 = — 3.8 + 6.7 12.6 + 0.9 1899 30.2 — 3.5 — 7.5 + 3.0 12.5 + 0.8 1900: > 88; 06 Limana] (Salita bog A 1901 30.5 | — 8.2 | — 10.4 + 0.1 11.2 — 0.5 LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1901 351 Ho calcolato in seguito le temperature medie di ogni sta- gione per l’anno 1901, e per ognuno degli altri anni del de- cennio ora decorso, e confrontandole con 1 rispettivi valori normali, ne ho desunto le corrispondenti deviazioni. Però prima si deve definire i limiti entro i quali sono comprese le stagioni; poichè, se molti fanno corrispondere le stagioni ai successivi trimestri dell’anno meteorologico, questo sistema non è generalmente applicabile in tutti i nostri climi, perchè, come dice il Bortolotti (1), la ripartizione dei mesi in stagione, dovrebbe dipendere dagli scostamenti che in un clima determinato subiscono le temperature mensili dell’anno, nell’anno — normale. Seguendo il Bortolotti, per fare tale ripartizione in modo razionale, ho incominciato a calcolare, nell’anno normale, la media aritmetica delle deviazioni prese in valore assoluto, tra le medie mensuali e quella annuale. Questa media: la mutabilità media delle temperature mensili nell’anno normale, secondo il Dove, rappresenterà quel numero di riferimento per cui si assegneranno all'inverno ed all’estate quei mesi che hanno deviazioni superiori al suo valore, e nella primavera ed autunno i rimanenti. Per Torino, la mutabilità media essendo 6°.79, le stagioni risulteranno così composte: Mesi Scartamenti Mesi Scartamenti Dicembre | — 10.52 \ Giugno + 8.53 Inverno | Gennaio — 11.28 | Estate ‘ Luglio + 10.91 | Febbraio | — 8.64 l'Agosto | + 10.13 | Marzo — 446 | Settembre + 6.24 Primavera | Aprile + 0.01 \Autunnos Ottobre + 0.23 Maggio + 4.44 | l'Kowbribrà — 6.07 Questo quadro rende manifesto che, per Torino, l’ordinario modo di fare corrispondere le stagioni ai successivi trimestri (1) E. BorroLortI, Sulla variazione annua della temperatura nel clima di Roma, “ Rend. R. Ace. dei Lincei ,, vol. II, 1° sem., serie 5°, 352 VITTORIO BALBI dell’anno meteorologico, è perfettamente in accordo col principio . applicato della mutabilità media. Per Roma, invece, ad es., il mese di Settembre va consi- derato come estivo. La tabella che segue è chiaramente spiegata dalla sua in- testazione, quando si osservi che per Torino i valori normali per le temperature dell’Inverno, Primavera, Estate, Autunno, sono rispettivamente 1.6; 11.7; 21.6; 11.9. Temperature medie osservate nell’Inverno, nella Primavera, nel- V Estate e nell’ Autunno e deviazione loro dai valori normali. Temp. invernale | Temp. primaver.| Temp. estiva | Temp. autunn. Anno “media media media media 5 4) TP - OLIO. TP. Pa Te Te ia 1892 |-+2.2/+ 0.6| 11.9 |+0.2| 22.7|+11|12.3|+04 1893 | — 0.2|— 1.8| 13.4 |4+-1.7| 22.1/4+- 0.5] 12.9/+1.0 1894 | +1.2}—0.4| 12.8 |+411| 22.7|4-_1.1| 12.614-0.7 1895 | —14|— 3.0] 11.5 |—0.2| 22.1/+0.5| 14.0/4- 2.1 1896 |-4+-2.2|-+-0.6| 12.6 |+0.9| 21.0|—0.6| 12.0|+0.1 1897 |+3.7|+2.1| 13.0 |+1.3| 22.8|4+1.2| 1Lo5/—0.4 1898 | +3.0|+1.4| 113 | —0.4| 21.5| —0.1| 14.3/+-2.4 1899 | +42|-+2.6| 121 |+0.4| 21.9]+0.3| 12.8|4 0.9 1900 |+-2,6|-+-1.0] 11.0 |— 0.7] 21.9] +0.3| 13.5/4-1.6 1901 |4+-0.9|— 0.7] 11,1|—0.6| 22.114 0.5| IL4/—0.5 Dall’esame della Tabella A si desume che i mesi di Aprile, Maggio ed Ottobre offrono temperature medie pressochè nor- mali, Gennaio al disopra, Febbraio e Marzo invece, notevolmente inferiori ai corrispondenti valori normali. Dalla tabella in dis- corso, e dalla € si scorge che il mese di Febbraio fu rigidis- simo: la deviazione della temperatura media dal suo valore nor- male corrispondente fu di — 5.6, e per tutto il mese, tranne alcuni giorni (il 2, il 5, 18), la media giornaliera si mantenne sotto zero, con una media minima di — 6.5 il 17, ed un minimo di — 10.4 il 21. I mesi di Giugno, Luglio sono rispettivamente di + 1.8 e — 0.6 differenti dai loro omologhi normali; Settembre, Novembre e Dicembre dànno le deviazioni — 0.4 — 1.0, + 0.5. Scendendo più in particolare a studiare l'andamento della temperatura osservata, in corrispondenza al suo rispettivo an- LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1901 353 damento normale, troviamo che il mese di Gennaio dopo devia- zioni alternate, presenta, tra il 18 ed il 30, un periodo di persi- stenti deviazioni positive, subito susseguito dall’ altro notevole periodo limitato dal 31 Gennaio e dal 3 Marzo, nel quale riscon- trasi un costante scostamento negativo rispetto all'andamento normale. Tutto il mese di Marzo si mantenne con deviazioni ne- gative che si protrassero fino al 2 Aprile: in questo mese poi è manifesta una decisa serie di deviazioni positive nella prima quin- dicina, ed una altrettanto decisa serie di deviazioni negative nella seconda; Maggio presenta periodi alternati a quasi eguale escur- sione. Dal 27 Maggio al 13 Giugno, e dal 20 Giugno al 1° Luglio abbiamo due periodi di deviazioni positive, nettamente separati da un periodo di deviazioni negative. Il mese di Luglio offre un distinto periodo a deviazioni positive, compreso tra due periodi a deviazioni negative, il secondo dei quali si protrae sino al 2 Agosto; questi tre periodi dividono l’ intervallo in porzioni quasi eguali. Agosto, Settembre hanno periodi alternati, senza alcuna notevole durata; la prima metà del mese di Ottobre identifica un periodo di deviazioni negative, la seconda un pe- riodo di deviazioni positive; Novembre presenta due periodi a deviazioni negative separati da un periodo di minore estensione, di deviazioni positive, e infine Dicembre presenta periodi alter- nati di non notevole estensione, tranne quello a deviazioni po- sitive che corre tra il 17 e il 26. La Tabella D ci dà le escursioni diurne osservate nel- l’anno 1901 e le differenze loro dall’ escursione normale: in generale esse furono minori dei corrispondenti valori normali (109 deviazioni positive). La massima si verificò il 20 Giugno e fu di 13°.2, la minima 0.8, il 26 Dicembre. Riassumendo: Media escursione della temperatura diurna nell’anno 1901 6.3 Escursione normale della temperatura... . .. 7.5 Wafferenza.|(Zi=% Ei)e. ohio town panna, vigono 12 La massima annuale osservata raggiunse il valore 30.5 al 10 Luglio, e la minima annuale si verificò il 21 e 22 Febbraio con il valore — 10.4. Esaminando i massimi annui osservati a Torino, nel pe- riodo 1753-1901, troviamo come estremi i due valori 38°.1 e 354 VITTORIO BALBI 27°.0, verificatisi rispettivamente, il primo il 29 Agosto 1771, ed il secondo al 14 Giugno 1824. Non sarà inutile notare che nel periodo indicato, tranne quattro anni pei quali manca l’in- dicazione in esame, la massima si formò 21 volte in Giugno, 85 in Luglio, 38 in Agosto, ed 1 volta in Settembre. Analogamente operando per le temperature minime annuali, troviamo che nel periodo 1753-1901, senza interruzione alcuna, gli estremi si verificarono il 3 Febbraio 1754 con il valore —17°.7, ed il 30 Gennaio 1756 con il valore — 3°.1. La minima annuale si formò 80 volte in Gennaio, 29 in Febbraio, 2 in Marzo e 38 in Dicembre. Tensione del Vapor acqueo ed Umidità relativa. Per il 1901, la tensione media del vapore acqueo T'= 7.9 è di 0.2 inferiore alla rispettiva tensione normale 7,; l'umidità relativa U invece, paragonata colla normale annua U,="8.1, dà U—U;=43. | Tensione del vapore 0 Umidità relativa Anno : St, irrita Lernia, SO Massima | Minima | Media È | Massima | Minima Media 1892 | 18.2 i bat 8.0 DL 1004] 13 68 =D 1893 | 17.9 14 8.2 + 0.1 98 17 |! 68 — 3 1894 I 16.8 1.2 7.8 | — 0.8] 100 10 70 — 1 1895.) 16.7 hd 8.0 | —0.1 100 11 62 —_ 9 1896| 18.3 0.8 8.1 0.0 100 7 74 +3 1897 | 18.6 1.8 8.9 + 0.2 100 13 69 2 1898 | 16.9 1.2 8.9 + 0.2 99 10 69 —_ 2 1899| 17.1 13 7.9 — 0.2 100 du 67 — 4 1900| 17.0.| 1.3 8.2 | + 0.1 100 12 | 69 22 1901| 17.8 D2| 1.9 >= (2 00 Ari: | 14 + 3 In generale l’anno fu molto umido, e la Tabella precedente, comparando i valori medii di quest'anno con quelli degli anni del precedente decennio, ci mostra chiaramente doversi consiì- derare il 1901 come uno dei più umidi. Ci fu infatti un solo anno nel decennio trascorso, in cui l’umidità relativa media rag- giunse il valore di 74 —. Però, se l’anno fu generalmente umido, devesi notare l'eccezionale deviazione negativa (—10) del mese di Gennaio. LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1901 355 Le Tabelle E ed F ci dànno le deviazioni dei valori medii della tensione del vapore e dell’umidità relativa dai valori normali. La prima seguì quasi costantemente le stesse vicende della temperatura; invece l’umidità relativa si mantenne su un re- gime medio. Direzione e forza del vento. La tabella seguente ci rappresenta la distribuzione della fre- quenza dei venti. Numero delle volte EDS in cui fu osservato il vento da e Mesi O e ® 5 N|\|NE\|E|SsE|s|sw|w|nwz° Gennaio... .| 11{ 8|13 1 7 |022 8 i 72 Febbraio... . BA allo 10 4| 19 | 17 1) 63 mero. . . 42 E 9 3 8/15 | 10 Ai |iahd ela | 14 18°/10.0) 3] 12 Sil ade Mito ITTTIE 9 RE 3 S| 602 Giugno . ...|.20| 10 9 ol 12.0 2 4 Pi 04 OOO. ria 3 15 5 2 bici 1 4 59 Mento 3... .31 (14| 191) 834, 3 Tio: (681 db 62 Settembre . .| 22| 12 7 LI DAT 3 Zyh -68 Wibonpres. 2 .5| 12) 7 4 Pi Bi 2 5 4° 56 Novembre . .| 15) 7 1 Pil 91 h) 2| 62 Dicembre... -.| 121 7 SULLO dea DD 173 | 135 | 88 | 26 |168| 77 | 73 | 30 [770 Compenetrando nei quattro venti principali le cifre di questo quadro, relative all'intero anno, ed instituendo le proporzioni per 1000, ne risulta come dall’unito specchietto, il predominio del vento da N, cui segue l’opposto da S a distanza non grande. N E S ! W Totale seg vaginali An 392 | 218 | 284 166 | 1000 Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 24 356 VITTORIO BALBI Eseguendo analoga operazione sui venti stessi, raggruppati nei quattro quadranti denominati secondo l’uso universale (cioè 1° quadrante quello compreso tra N ed E, 2° il susseguente tra E, S, e così via), ne consegue la manifesta prevalenza del 1° quadrante, poi del 3°. 1° Quadrante | 2° Quadrante | 3° Quadrante | 4° Quadrante N-E | E-S SW | W-N Totale 345 200 256 199 1000 Stato dell’atmosfera, precipitazioni d’ogni forma, fenomeni meteorici diversi. La Tabella che segue offre i dati relativi allo stato di ne- bulosità media mensile, osservato nelle varie ore, per i diversi mesi dell’anno, e le medie relative. : Decimi di cielo coperto nel Ore «< (\bIGr ter e i te EN E di a Po S| | 8 IR osservazione E ska. a a S| S| 8 E È E E È 5| S| S&S 3 ®| & #|£| S|SlE SO|&|S|< Sal Mn MNM 0 DULI O ° NO MONITSLOTLIMAONMINIeTannoo o N aio A Rat a a | Ae tà, di [asd n = Pere i Rare tt | #1+ MLIETT © 00 i 00 ODO NONNI DOTI MO D2 ID IH S mR FIN FINE IAN I at 090 5 IONE YO È Wedeei pa ci Dog O SI) et BILI O TN CI SO $ PEREZ SEA A 1 14 Wan die 70 — 4.35 + 2.00 | +0.24 LE:9.92 T4-4.00 + 3.61 + 1.78 —L 1.75) ‘4081 = #80 — 2.66 PRI — 5.07 + 5.51 0.35 + 1:71 — 2.46 — 1.12 — 4.59 — 7.86 + 0.04 — 8:87 | (1.429 2 #92) LE-R91 + 0.50 + 9.13 + 4.36 + 9.20 + 2.84 Ottobre 82 bPPtt+++4+ Da © 1 00 0 nu iS i» ho vo 2 1) do do © do le} pr Novembre | Dicembre | .S D + 8.53 + 4.68 | 1 + H.01 + 5.95 2 + 9.03 #-9:07 143 + 7.29 +3.23 |1 4 -W66/|24-5771/0 5 + 8.46 +4.36 | 6 + 6.28 08.17 + 4.60 +3.12 | 8 — 0.64 — 447 | 9 + 8.54 — 8.37 | 10 — 0.11 — 7.50 | 11 — 0.63 + 0.02 | 12 — 4.18 — 9.08 | 13 — 9.63 | — 13.04 | 14 — 9.00 — 8.26 | 15 — 6.28 — 3.95 | 16 + 4.49 — 6.47 | 17 + 5.93 — 8.52 | 18 | 7.50 | —13.23 | 19 + 1.75 | — 12.99 | 20 + 0.66 — 8.80 | 21 — 0.89 — 8.53 | 22 — 2.02 — 7.84 | 23 +3.77 — 7.90 | 24 4 9.99 | —-1427 | 25 + 2.78 | — 15.56 | 26, + 2.19 — 9.58 | 27 — 0.10 — 2.58 | 28 + 1.54 — 3:63 | ‘29 + 5.32 + 3.74 | 30 + 8.77 | 31 VITTORIO BALBI 364 TABELLA 0. — Deviazione della media temperatura diurna T dalla normale Le differenze Y' — Tn sono espresse Giugno | Maggio SRP RERE PR II] TITERRPEEF EER 9 ad 019 I QIOMLI II HOOHHk Fa Iuav DINI HOID a3toedqdrtatsttrigcdiccsoadaqdaiczicsisocitcacarnagrgiaoe [I++#+PKEETKt4+++1L#++1+11+#++++ Aprile ORARIE LIENS OAGCHASA I 00 GI DM E*faestat tek F+thbtddhbd dk Marzo CARINI THTHTINNIAMHASAINIVINOFTNAY0 Lai er e eo E E RA E + ch debt ema Febbraio Gennaio Pla ipa e e de I e pe e dee dI Lr de e e SERA IP db pae dd deals oe ao 19.7 RONONGONONKHAAHHM0OFITHMPNOHA DILLON gqiostdtdrcsscsoicHtoaicircsrssgssiaqdizgaogbioatz 4HHT IAA TH+ LAI A+++++4+++++++4| IUI016) TH I = (nel S DI = | = < XX a [cal = < i U & S s d s S ‘tv (al & S ° la] d e, lun] > d S d = S) ‘a ® Ss *@ 2 D IS) d x = e SI » S [SI = d (la) al SÌ S d ho 8 RSI 2 «ri mo a pan [ele] ‘E [o] (e) (>) «n re sd pia (lo) [=| «ri (cò) n mM DdD bei La (7) ® (©) =) ©) n € Di Q (cò) N d (cò) par D h=i ro D — Marzo rad tAnanmnrnnonnao 92 RR LQNINMITOIKNKn PRIZE ISTE CI ipeo paegogely L'IUASoratfetà d II RGB strstàt SI Qui dogr0a DN YO 0 VIVIANE LOA isiioioioncitrirgiczsrionocircioeginitaororai =2,b 5.1 GI GIM MM Mn FT + da 0 Mm Mo DLOLOnnEanEKKKKKnQQRQ$LPASA DS SNSNNIENRELEESEEESEEEEEEEEESSNESENSEESSSESN Febbraio Dr 00 # OMO FI N 0 #0 OIL MIO MTMmOaO n Mmoeornrninr D_I MMM MIAMI FW IMIO [IFPILI LT I4++1+++++1++++++++. o Oman nrdtdt- An NnORNONONONTHLS SE ae Gr Se Sh © 5 DI SO Re +90 0 le due ruote girano nello stesso senso; se a/p<0 girano in senso contrario; se a/g = 0 la ruota A rimane ferma durante il tempo considerato. ‘Dando i numeri ©, w, 0, il che equivale, i numeri a, B come funzioni di #, si fissa la legge del moto. Se per p=t (cioè a co- stante) si dà yw come funzione continua oscillante tra due dati limiti (fissi o variabili col tempo) si trasforma un moto rotatorio continuo in uno oscillatorio di rotazione intorno a B. Il lettore può ottenere notevoli casi particolari dai procedimenti esposti nei n! 2-7: ne diamo un esempio alla fine del n° 2. Per a=+-8 ha speciale importanza il punto baricentro dei punti A, B con le masse a, — f. Il punto C' sta sempre sulla retta AB ed è fisso solo per a/B costante: è interno o esterno ad AB secondochè a/8 è negativo o positivo; in tali casi si dice, usualmente, che l'ingranaggio è esterno o interno, denominazione che pare impropria, sia perchè inverte la deno- .minazione relativa alla posizione di C, sia perchè se una ruota ha moto oscillatorio l’ingranaggio ora è interno ora esterno. Se poniamo pu Re a 260 (3) rara nes pon si ha (4) C=A-+aI=B+bI sì considerano ordinariamente per la velocità, cioè, grandezza, direzione e verso. Per la rotazione di P,) intorno ad A si ha (nota precedente) dP _ do iQ j . dt dt Pi(Pird); quindi cs è la grandezza della velocità dei punti alla distanza uno da A ed è ciò che ordinariamente chiamasi velocità angolare del moto rotatorio. 396 C. BURALI-FURTI con le relazioni (5) o-ba=cyota=tn= 7: Sieno P, Q due punti, del piano considerato, funzioni di una stessa variabile numerica w. Le linee descritte, col variare di «, da P, Q diconsi profili coniugati delle ruote di centri A, B, e, per uno stesso valore di v, i punti P, @ diconsi corrispondenti nei due profili, quando: sì può stabilire tra t ed u una corrispon- denza tale che, 1° La posizione acquistata da P dopo la rotazione @ intorno ad A, coincide con la posizione acquistata da Q dopo la rota- zione w intorno a Bi 2° Le tangenti ai due profili nel loro punto comune (in ogni tempo t) coincidono. Le posizioni acquistate da P e @ dopo le suindicate rota- zioni sono A+ e0(P_ A), B+ evQ— B); le tangenti in P e Q sono parallele ai vettori dP, dQ e questi dopo le rotazioni 9, y assumono le direzioni e'PdP, @W4V4OQ; quindi le due condizioni necessarie e sufficienti perchè P, @ sieno punti corrispondenti di due profili coniugati, sono O A+ d(P—4)=B+ e(9— B) (11) (e‘PAP) (e'PadQ) = 0. Da queste due formule, semplicissime, discende, come ve- dremo, tutta la teoria degli ingranaggi e la loro effettiva costru- zione grafica. Porremo (6) M= A+ e9(P— 4)=B+ e(Q — B) e quindi: 22 punto M descrive la linea luogo dei punti di contatto dei due profili coniugati. INGRANAGGI PIANI 397 Differenziando la (I) si ha (7) e'PdP+- e'ri(P — A)do = e#dQ + e'vi(Q — B)dw, la quale, a causa della (II) e delle (2), dice che la mormale co- mune ai due profili nel punto M ha la direzione del vettore ae'P(P— A) — ge'P(Q — B)=a(M— 4) —8(M— B)= i (a — R)M — (04 — 8B) che per a +8 è parallelo al vettore M—C; quindi: per a=f la normale nel punto di contatto dei due denti è parallela alla retta AB e per a==B passa per il punto ©. 2. Ingranaggi a punti (o a fusi o a lanterna). — I denti della ruota B si riducano ciascuno ad un punto (#). Se nella (I) trasportiamo A nel secondo membro, teniamo conto della (4) e moltiplichiamo i due membri per e-‘? abbiamo (8) P= A+ ce'9I+ eW-P(Q— B). Dato il punto Q e i numeri ©, w (la legge del moto) la (8) determina da sola il profilo coniugato al punto @ poichè essa DS equivale alla (1) ed essendo dQ costantemente nullo la (II) è sempre verificata. La (8) fornisce pure una costruzione grafica molto semplice dei punti P dati i numeri 9, w, poichè mediante questi si otten- gono facilmente i due vettori rotanti che aggiunti ad A dànno il punto P (**). La normale, e quindi la tangente, in P si ottiene subito osservando che la normale in M, per a==f, passa per C. (*) Praticamente ogni dente di B ha per profilo una circonferenza, e il dente è un cilindxo ad asse normale al piano di B. Costruito il profilo P quando Q è un punto, una curva parallela ad esso dà il profilo per la cir- conferenza di centro @ e raggio r, come dimostriamo nel n° 3. (**) Le funzioni @, w sono talvolta date in modo che è conveniente costruire le due curve di ascisse # e ordinate @ e w rispettivamente. Si hanno così p e w mediante segmenti e si può passare agli angoli di @ e w radianti, necessari per la costruzione dei vettori rotanti, facendo uso della squadra cicloidale. 398 C. BURALI-FORTI Dalla (6) risulta subito che il luogo dei punti M è la circonfe- renza che passa per Q ed ha 5 per centro, il che, del resto, è evidente. Se si pone Q=B+ke0I, allora la (8) assume la forma (9) P= A+ ce-'PI+ keW-®+DI, Sep—y= cost (0, il che equivale, a=8) per ogni valore di t, allora il profilo P è una circonferenza di centro A+ Ke'W-P+9J e di raggio c. Si ha così un notevole ingranaggio indicato dal ReuLEAUX (Le Constructeur, a. 1890, p. 542) e la cui possibilità è negata, a torto, da qualche autore. Se a/B è costante, ma diverso da 1, allora dalla (9) risulta immediatamente che il profilo P è una epicicloide, della quale: il cerchio fisso ha centro A e raggio a; il cerchio mobile ha raggio —b, e il punto generatore dista dal centro del cerchio mobile di %. Se si descrive l’epicicloide prendendo in B il centro del cerchio mobile (che tocca quindi in C quello fisso) e pren- dendo B+ XI come punto generatore si ottiene la curva Pa meno di una rotazione intorno ad A (*). (#) Ecco una di quelle nozioni di cinematica che è interessante far ve- dere come si riduca ad un elementare esercizio di calcolo vettoriale. Sieno R,r,h numeri reali non nulli. Si considerino le due circonferenze di centri A, A+(R+7)I, e di raggi R, r, che si toccano nel punto A+ RI. Si faccia muovere la circonferenza » in modo da rimanere sempre tangente alla cir- conferenza R. essendo eguali gli archi venuti a contatto. Tl punto AH(R-+r+M)I descrive, durante questo moto, una linea P che è un epicicloide qualunque (o ipocicloide, con o senza cuspidi). L'espressione di P è Re (a) pA= osp gl ge ala age dî come immediatamente si verifica osservando che con l’arco R® della cir- cita R i, conferenza PR viene a contatto l’arco ESA) della circonferenza 7. Dalla (a) si ha subito A R+r i F Spa \ ret the r sr fto ;P_(4-+ Re) ® : INGRANAGGI PIANI 399 Se, ad es., poniamo yw= msenr@, essendo m, n numeri reali, la ruota B fa oscillazioni di ampiezza 2wm radianti per ogni rotazione di 2r/n radianti della ruota A e B/a assume tutti i valori da —mn a +mn. La (9) diviene P= A+ e-'®}cI + kemsennp44)T{ , e quindi: Za normale in P passa per il punto di contatto, corrispondente, della circonferenza mobile con la fissa. Dalla (a) risulta pure che l’espressione generale del punto che descrive una epicicloide è (b) P= A+ aeîim 1+- beim) I ove a, db, m, n sono numeri non nulli. La forma (8) si identifica alla (a) ponendo (e) Rifodo ainoballo; elio 7 Mm ovvero (e) Riba, smo pa x e quindi: ogni epicieloide è epicicloide in due modi. Da (ec) o da (c’) si ricava R, »,} in funzione di a, d, m#, n (come si è fatto per la (9)) cioè per mezzo della (8) si ottiene il cerchio fisso, il cerchio mobile e la posizione iniziale del punto generatore. Il caso R=2, r=—1 dà P= A+ e01+ he-#0.I; per h== 1, P de- serive un diametro della circonferenza R e si ha il moto, detto usualmente, Cardanico; per % diverso in valore assoluto da 1, P descrive un ellisse. L'espressione (d) P= A+ ae'(9+2) [4- bei(n9+9) I, ove p, g sono costanti, si riduce (per m==x) alla (5), ponendo nella (d), al posto 9, 9+60, con 0, == a .I numeri R,x,% si ricavano ancora dalle o (e) o (c') poichè sono indipendenti da p e g: il centro del cerchio fisso è A; il centro del cerchio mobile è A-+(R+- »)e'(Mfo+2) I e il punto generatore della curva Pè A+-(R+r4+ h)eimio+HP) I. Alla (4) si può sempre dare la forma generica P= A+ em J+ ei K ove J, K sono vettori del piano e quindi: ogni epicicloide si ottiene mediante due veTTORI ROTANTI 4 rapporto di velocità costante. Per i punti singolari e per altre proprietà delle epicicloidi, Cfr. For- mulaire mathématique publié par G. Peano, a. 1902. 400 C. BURALI-FORTI costruito il segmento di lunghezza msenn@ si ottiene mediante la squadra cicloidale l'angolo di msenn@ radianti e quindi il vet- tore e''sennp+9I; questo si aggiunge a c/, la somma ottenuta si fa ruotare dell'angolo —®@ e il vettore, che così si trova, aggiunto ad A fornisce il punto P della linea coniugato al punto Q. La costruzione ora fatta dà anche i punti M corrispondenti ad ogni valore considerato di ©. Se invece si pone, ad es., p=msenny allora la (9) dà P= A + grani) è GI keiP+4)I} che si costruisce in modo analogo al precedente. A resultati analoghi si giunge facendo uso della (8) in luogo della (9). 3. Ingranaggi ordinari. — Il dente, che si considera, della ruota B, abbia per profilo una linea descritta da un punto Q(u) che è dato come funzione di una variabile numerica w. La (8) dà il punto P come funzione di due variabili #, v, e la stessa (8) darà il profilo coniugato di Q quando tra # ed x sussista una relazione tale che P e @ soddisfino alla condizione (II) (la (1) essendo già verificata perchè equivalente alla (8)). Determiniamo questa relazione fra # ed w. 1 Se osserviamo che dP dP= © dt+ © du, dg = 5 du, e che, per la (8), TE AA) oe dQ ISMORO: + oe ui) E * — g'(P_w) — E du? ciaPa du E du la (II) diviene (e'Pd P) (e'/dQ) = ep i dt + e'v - — du fe e'‘lP_w) & du se mila Ad dP AP ide de) didu= = du cioè diviene dP daP 10 SA E ( ) dt du INGRANAGGI PIANI 401 Confrontando la (10) con l’espressione di 4P risulta imme- diatamente che la linea descritta da P(t,u) quando fra t ed « sussiste la relazione (10) è formata dall’inviluppo dei due sistemi di linee P(t,v) per #= cost o «= cost, e dai punti singolari di ud È di dP : tali linee nei quali —- = 0 0 Pri In conseguenza: dato il profilo Q si ottiene il profilo coniugato P come inviluppo dei profili della ruota A coniugati ai punti () considerati come profili di denti della ruota B (n° 2). Per la costruzione degli ingranaggi a fusi è utile la pro- prietà seguente: Se il profilo Q è una circonferenza di centro Qi e raggio r, e se P, è il profilo coniugato al punto Q, (n° 2) allora il profilo P coniugato alla circonferenza Q è una delle curve paral- lele a P, e distanti da questa di r. Infatti: Posto Q= Q, + reI si ha dalla (8) P=A+-ce-'9I4 eW-P(Q,—B)+reW-PetI=P, + re'W_Pe I, cioè il profilo P deve esser l’inviluppo, o parte di esso, delle circonferenze di centri P, e raggio costante r; ora tale invi- luppo è evidentemente formato da due curve parallele a P, alla distanza r (*). La proprietà ora enunciata è, del resto, un caso partico- lare della seguente: Se P, Q sono profili coniugati allora le curve parallele a Pe Q alla distanza r formano due coppie di profili coniugati. Infatti, quando P e Q sono in MW, i profili hanno per normale comune MC e in questa retta vengono pure a coinci- dere due punti delle curve parallele a P e Q che evidentemente si toccano in quel punto. (*) La dimostrazione è, del resto, assai semplice. Sia s l'arco della curva P,. L’inviluppo considerato è quello del sistema di linee , GE H(s,v)= P,+ re ta ed è determinato dalla condizione dH dH _ _aP, (eni), (5+%)=- osev=0 n i » tiaf Ws ao 9 ="rc = che dà o=+3; cioè H=p4rith, Cad xd. 402 C. BURALI-FORTI Se vogliamo applicare la (10) al caso prima considerato, quando cioè Q= 0, + re“! e Q, = B+ KI, allora, per a=+B, la (10) diviene bsen(yw + v) = ksenu che determina «. Se a/f è costante e X=b, allora si può pren- dere u= — y/2 ovvero u= — y/2 e per il punto M si ha M=B4 beWIF réÈ che è un epicicloide e precisamente una lumaca di Pascal (*). Un'altra notevole applicazione del procedimento indicato dalla (10) si ha per gli ingranaggi detti a fianco-retto. In tal caso il punto Q@ descrive una retta e si può porre (11) Q=B+kI+ ue I, ed essendo £,9 costanti e « variabile, Q descrive la retta che passa per il punto B + I e fa con I l’angolo 0. Dalle (8), (11) si ha (12) P(t,u)= A+ ce-PI+ keW-DI4 ue00-®+9I, e la condizione (10) diviene cacos(y + 0) — X(8 — a)cos0 — (B — a)u=0, che per a==B dà u = beos(y + 0) — Kcos®. Se sostituiamo questo valore di « nella (12) dopo avere (*) Una lumaca di Pascal (concoide di una circonferenza rispetto ad un suo punto) è descritta dal punto P=0+ (2rcosp. + h)eWI; esprimendo cos@ mediante gli esponenziali si ha P=(0+r1)+he08I14+re28I. INGRANAGGI PIANI 403 espresso cos(w + 0) mediante gli esponenziali e ridotti i due ter- mini aventi % per coefficiente, si ha (13) P=A+ | quel 5) e®I+ 5 ei @p-p+0I — ksen0e'(#-P+8:I. La costruzione di P si fa facilmente mediante tre vettori rotanti, uno dei quali ha lunghezza sempre costante (£sen@) e gli altri due lunghezza variabile o costante secondochè è variabile o costante a/B. Per il luogo M dei punti di contatto dei due profili si ha dalla (13) Meg (a Ly 3) I+3 22040 I— ksen0eilW+)] che per a/B costante è un epicicloide (lumaca di Pascal) o una cir- conferenza secondochè Xsen8=#0 o ksend9=0. Per a/B costante e Xseng = 0, P descrive un epicicloide o una circonferenza secondo che 2a==d o 2a = d. Per l’epicicloide il raggio del cerchio fisso è a, il raggio del cerchio mobile — 8/2 e la distanza del punto generatore dal centro del cerchio mo- bile è 8/2. Che ciò debba avvenire resta confermato dal fatto che i due profili coniugati P, Q sono trocoidi generate da un punto collegato invariabilmente con una linea alla quale si dà, successivamente, moto di sviluppo sulle linee primitive delle due ruote (Cfr. n° 5). 4. Ingranaggi a pressione data. — La pressione eserci- tata nell'istante # (e, in conseguenza, nel punto M) dalla ruota motrice sulla ruota condotta, dato il momento della potenza e supposto l'equilibrio, è funzione dell’angolo 6 che la normale in M ai due profili fa con la retta AB (*). Il problema: Dati i punti A, B e le funzioni ®, y, 9 di t, determinare due profili coniugati P, Q, è praticamente importante perchè permette di costruire ingranaggi a pressione costante in (*) Essendo dati A, B, 9, w l'angolo 0 resta determinato da o_ (M-Q)il 008° 7 mod (M— 0) © 404 C. BURALI-FORTI ogni istante, o anche a pressione variabile con qualsiasi legge. Ci proponiamo ora di risolverlo în generale, la qual cosa, cre- diamo, non è ancora stata fatta. Possiamo porre (14) M=C+ hesI e dovrà essere 4 una funzione di # tale che per P e Q sussi- stano le condizioni (1), (11). Dalle (4), (6), (14) si ha immediatamente P_ A=ae9I4 he8-DI (*) e quindi dP= dae-*PI— adpe-'ViI + dhe'8-9I 4 hd(0 — Q)e'A-PkI, e'vAP= dal — ad@iI + dhe'8.14- hd(0 — Q)etil; » ma essendo MC la normale in M al profilo P si deve avere (e'vdP) (e8:1) = cosdda — asen8dp + dh =0 cioè (15) dh=asen0dg — cosdda. Se si ripete lo stesso caleolo per @ si trova dh = bsen0dy — così db; ma per le (5) adg = bddy, da=@ e quindi il valore di dh dato dalla (15) determina due linee P, Q che soddisfano alle condi- zioni (I), (II); vale a dire i punti | P= A+ ae-PI4- he'5-®I (16) Q=B4+ dbeV14 he0-w) con hi== [}asen0d9 — cos? da| (*) Questa formula risolve, incidentalmente, il problema: Data la legge del moto (i numeri ®, y) i punti A, B e il luogo dei punti M di contatto dei denti, costruire due profili coniugati. INGRANAGGI PIANI 405 descrivono profili coniugati in un ingranaggio in cui la pres- sione per ogni valore di # dipende dalla funzione data 0. Tutti gli ingranaggi dipendenti dai dati @, w, 0 si ottengono dalle (16), che ne indicano anche la costruzione grafica. Per 0 costante abbiamo gli ingranaggi a pressione costante; essa è massima per 8 = t/2; in questo caso si ottengono note- voli ingranaggi per a/B non costante e che il lettore può facil- mente costruire fissando, ad es., la legge con la quale deve muoversi C sulla retta A5. Se a/B e 0 sono costanti, allora dalla (15) si ha (se ammet- tiamo che per p=0 sia A=0) h=a@®sen9; calcoliamo, mediante la prima delle (16), e-i(P — A); al posto di e, nel secondo membro, poniamo poi cosd — isen@, e rica- viamo di nuovo P P=A— asende-PI4 (agsen0 + acosì)e'0-MI, e analogamente per Q, Q= B — bsen0e'0-W4T+- (byseno + dcos0)e0-wWI; quindi: i profili P,Q sono (come è già noto) le evolventi, passanti per C, delle circonferenze (*) di centri A, B e tangenti alla retta uscente da C che fa angolo 0 con la retta AB. (*#) Le evolventi di una linea qualunque P, di arco s, sono le traiettorie ortogonali delle sue tangenti cioè le linee descritte dai punti H= P+x È ove x è tal funzione di s che dH | dP da ESSO SR ui ds | ds = ds di si ha quindi «= —(s+c) e le evolventi sono descritte dai punti dP H=P—- (ste) va: La linea H è evidentemente descritta da un punto H, della tangente in Py (per s=0) quando a tale tangente si dà un moto di sviluppo (Cfr. la nota a pag. 408) sulla curva P. Segue che se X è un punto distante di 7 dalla tangente in P e se lo consideriamo invariabilmente collegato con la 406 C. BURALI-FORTI 5. Ruote di sviluppo. — Due profili coniugati P, @ di- consi primitivi o di frizione o di sviluppo quando gli archi che vengono a contatto durante il moto sono eguali, cioè l'attrito di scorrimento è nullo. Le linee P, Q saranno dunque primitive quando soddisfano alla condizione (I) e alla seguente (17) eivdP= e'vdQ che non è conseguenza della (II) ma della quale la (II) è con- seguenza. Dalle (7) e (17) si ha aev(P— A)= Be#(Q— B):; moltiplicando la (I) per f e tenendo conto delle convenzioni fatte nel n° 1, si ha per la formula precedente (18) M=-0, vale a dire: durante il moto delle due ruote il punto di contatto delle due linee primitive è il punto C. Si intende che supponiamo a=- fp. Data la legge del moto, cioè date le funzioni ®, y, sono deter- minati è profili di sviluppo. Infatti, posti nella (18) i valori (6) in luogo di M si ha immediatamente, risolvendo rispetto a P o a Q, (19) P=A+ae-9I, Q=B-+ be-W1I. Viceversa: data una delle linee primitive si può determinare l’altra e la legge del moto. Sia, ad es., data la linea P della ruota A. tangente in Pr, esso, durante il moto di sviluppo di questa, descrive la linea dP . AP K-P=eto gg 1 de la normale in X passa per P, come si verifica subito derivando X rispetto ad s. i In particolare se P descrive una circonferenza, P= A+ re'PI si ha H= A+ reiPpI—-(r@+ ce)eiPilI. K=A+(r+Ah)ePI-(rp+ 0ePiI ela curva A può chiamarsi evolvente allungata o accorciata della circonferenza. INGRANAGGI PIANI 407 Il punto P sarà dato come funzione di una variabile « e si potrà quindi determinare la distanza r di A da P. di r= mod(P— A) e l'angolo —@ di cui si deve far ruotare r/ per ottenere P—A con questi elementi, funzioni di wu, si ha P= A+re-®I e dovrà essere Q=B+(r—c)e-I con w funzione tale di p che ra 0 — eBla. _ cduldp — B—@6, BA—-1 dulap =1' cioè tale che MQ sl ovvero = V'imprti rcvo rio d@ rY_- Cc r_- e che deternriina w, con una quadratura, cioè determina la linea Q e la legge del moto (*). Se la quadratura che dà yw non si sa fare con le funzioni ordinarie, si può ottenere un segmento avente lunghezza yw mediante l’integratore di ABDANK-ABAKANOWICZ, e ot- tenere poi l’angolo di y radianti mediante la squadra cicloidale. Le tangenti nei punti corrispondenti P, Q di due profili di sviluppo fanno con le rette AP, BQ, angoli equali 0 supplementari secondochè il punto C è esterno o interno al segmento AB. Infatti dalla (19) si ha e quindi per la Liu dPi che dimostra quanto abbiamo affermato. Segue immediatamente da questo e dall’essere a — d = e che: Se diamo al profilo di sviluppo P (0 Q) un moto di sviluppo sul profilo coniugato (0 P), allora il punto A (0 B) descrive una circonferenza avente B (0 A) per centro. È appunto questo il moto relativo delle due ruote che si (*) Il lettore può applicare quanto abbiamo ora fatto agli ordinari pro- fili di sviluppo, ellittici, iperbolici, a spirale logaritmica, ecc. Si applica pure immediatamente il principio della espansione e contrazione degli angoli per ottenere, non mutando le lunghezze a, d, nuovi profili di sviluppo da due già noti. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 27 408 C. BURALI FORTI prende per punto di partenza nei trattati ordinari: noi abbiamo già ottenuti tutti gli ingranaggi piani senza farne uso, nè ne fa- remo uso in seguito (*). (*) Anche il moto di sviluppo, in generale, si riduce, come tutte le proprietà cinematiche, ad un elementare esercizio di calcolo geometrico. Sieno Pe Q due linee complanari che si toccano nel punto fisso Cp: i punti P, Q@ si corrispondano in modo che gli archi CP, Cr sieno eguali, e sia s il loro valore comune: sia X, un punto invariabilmente collegato con la linea Q. Se poniamo È () Ko=@+ re 02, r è la distanza di A, da Q e 0 l'angolo che Kn @ fa con la tangente in Q. Diremo che: alla linea ( si dà moto di sviluppo sulla linea P_quando la linea X (trocoide) descritta dal punto X, è definita dalla funzione (8) K=P+ re D. Esaminiamo alcune proprietà di questo moto, un cui caso particolare si è già considerato per le epicicloidi. Da (a) e (0) si ha (Kn Q°=(K—P); differenziando ed osservando che (Kn — Q)idQ=(K— P)idP si ha (K— P)idK=0 la quale prova che: Za normale alla trocoide in K passa per il punto di con- tatto della curva mobile con la curva fissa. Se deriviamo la (a) rispetto ad s si ricava subito, essendo p; il raggio di curvatura in %, do 1 1 dr (e) dora e datip, È pr ue che, secondo il Cesàro, sono le condizioni di immobilità del punto £,. Da (0) e (c) si ricava, se p è il raggio di curvatura in P, dK * D) o E (3 1 r\- — —|eWi—= —_ \ p ds PP che dimostra ancora il teorema precedente e contiene la formula di Savary. Le formule (a), (9) determinano la traiettoria di X, dato il moto di sviluppo mediante le linee P, Q; ma ci possiamo proporre di determinare la linea Q date le linee P, K. Essendo data X si può dare al punto K la forma (0); » e 0 sono funzioni di s tali che |i&a-P dK dr jp —_ — 10 —— = — 0 (i ds (K— P)=0, cioè de cos che è la seconda delle condizioni (c). In conseguenza la linea Q sarà deter- INGRANAGGI PIANI 409 Le linee primitive coniugate possono talvolta essere utiliz- zate per costruire due profili coniugati non di sviluppo. A ciò serve la proprietà seguente: Se ad una linea H tangente ai pro- fili di sviluppo P, Q nel punto ©, (posizione di C per t = 0) ‘si dà moto di sviluppo in P e Q (verso eguale o contrario a quello dei due archi di P_e Q), allora un punto O invariabilmente col- legato con H descrive, nei due moti, due profili coniugati R, S. Infatti. Sia s il valore comune degli archi CH, CP, 060, sia 0 l’an- golo che 0—H fa con ca e sia » = mod(0 — H). Allora, es- sendo È, S le due linee descritte da O, se R= PH re ; S=Q+ ret 0 e quindi A+ e9(R— A)=}A+ e(P— A} + res si, | B+ e'W(S— 4) =)B+ eW(Q— B){+ red (et Ti! ma essendo P, Q linee di sviluppo i secondi membri sono eguali cioè per R e S è vera la (I). È pur vera la (II) perchè (nota precedente) le normali in È e S sono RP, SQ e queste dopo le rotazioni @, y passano per C. Il teorema è quindi dimostrato. Per a/B costante si ottengono i profili ordinari epi-ipoci- minata dal suo arco s e dalla sua curvatura 1/p, soddisfacente alla prima delle (ce). Dovendo essere Foe ; dQ ds* Pi ds : wie. 2 dP £ ” sì avrà, indicando con 7 il vettore 1a e con ® il valore di 6 per s=0 (punto Co), .(_ ds .({ /senfds d il sen@ds ind aiccheiint ”) MMiaL ao _ ho. psn = )) bia) ‘(6 fol °r_p ds e quindi per la (a) o) pl LT Q=IK reo ® e Ti. 410 C. BURALI-FORTI cloidali per le ruote di assortimento. In tal caso per il profilo È si ha (a meno di una rotazione intorno ad A) R= A+ he-0I4-.ke-im® I e quindi il luogo dei punti di contatto di due profili coniugati A+eiP(R— A)=A+h14 ke-M-Lb@I è una circonferenza. 6. Cremaliere. — Alla rotazione ®@ intorno ad A, corri- sponda la traslazione y parallela al vettore . K=A4+%I che per a/8 costante è fisso. INGRANAGGI PIANI 411 5) Il profilo P si riduca al punto P= A4+- ke?/; allora dalla (I°) si ha Q= A+ ke@+0I — pil che per a/8 costante è una cieloide (*). Se è invece il profilo @ che si riduce al punto Q= A+- ke'#/, allora P= A+ ke6-DI+ ye ®iI che per a/B costante si costruisce facilmente mediante una evol- vente di circonferenza. È poi facile vedere che P è la curva de- scritta dal punto @; invariabilmente collegato con la retta Ki/, quando a questa si dà moto di sviluppo sulla circonferenza di centro A e di raggio AK, cioè è un’evolvente propria o allungata o accorciata della circonferenza di centro A e raggio AK. c) Dato il profilo Q, con Q funzione di v, si ottiene per determinare P la stessa condizione (10) del n° 3. Lo stesso di- casi se è dato P. Per gli ingranaggi a fianco retto si deve porre Q= A+kI4+ ue8I ovvero P—= A+4kI4+ ue9I con È, 6 costanti e w variabile. In entrambi i casi conviene stu- diare gli ingranaggi per a/B costante, non dimenticando il caso k= f/a. Lo studio, molto interessante, non presenta difficoltà, e fornisce nuovi ingranaggi. d) Essendo dato l’angolo 0 che MK fa con I si ha M=K4 he8I e h deve essere tale funzione di f che (evdP)(e8il)=0, (d0)(etiI1)=0; (*) La cicloide, propria allungata o accorciata, è descritta da un punto invariabilmente collegato con una circonferenza, alla quale si dà moto di sviluppo in una sua tangente. Se 0= A+ ril è il centro della circonfe- renza, HH= A--(r+4)îl il punto generatore, AI la retta su cui si svi- luppa la circonferenza si ha H= A+ r®I+ ri[+ he-'® iI; H assume forme diverse secondo la posizione di A e secondo la posizione iniziale del punto generatore; è però facile passare dall'una all'altra. 412 C. BURALI-FORTI — INGRANAGGI PIANI queste dànno l’unica condizione di sen0d@ — cosdd la (04 (04 e si ottengono così tutti gli ingranaggi a pressione data. e) La condizione e'PAP=dQ individua gli ingranaggi di sviluppo, per i quali si ha dalla (21) M_-A+ ICK. Si ricava pure RR ren o che determina le linee di sviluppo data la legge del moto. È pure facile data P o Q costruire Q o P e determinare la legge del moto. Le altre cose dette nel n° 5 si estendono pure facilmente alle cremaliere. 7. Doppia traslazione. — Alle rotazioni @, y considerate nel n° 1 sostituiamo due traslazioni parallele ai vettori uni- tari /, J del piano nel quale si considera l’ingranaggio. Le condizioni (I), (Il) divengono in tal caso a”) P+9I=0+ yy (11) (dP)(d0)=0. Il luogo dei punti di contatto è descritto dal punto M=P+9I= + yJ. Differenziando da (I) si ha dP+ doI=d0+dyJ, e quindi, per la (II), la normale ini .M:ai:due profili è parallela al vettore i(aI_—- BJ). Se il profilo Q si riduce ad un punto si ha P=Q—-@9I+4yJ ALBERTO TANTURRI — IN QUAL MODO ALCUNI NUMERI, Ecc. 413 e —@, yw sono le coordinate cartesiane del punto P essendo @ l’origine e QI, QJ gli assi, nell'ipotesi [/== 0. Per Q funzione di « si ritrova ancora la condizione (10) che determina il profilo P. Ecc. Lasciamo al lettore la cura di esaminare i casi par- ticolari ed estendere agli ingranaggi che trasformano un moto di traslazione in un altro di traslazione le considerazioni fatte nei n! 2-5. In qual modo alcuni numeri, relativi ad infinità ellittiche di spazi, si deducano dagli analoghi, relativi ad infi- nità razionali. Nota di ALBERTO TANTURRI,. In uno spazio di n dimensioni — 0, come scriveremo, in un [n] — consideriamo una semplice infinità, algebrica, di [7]. Gli [n — s], ognuno dei quali contiene il massimo numero pos- sibile di quegli [7], sono, in molti casi, in numero finito. E pos- siamo quindi chiederci: quanto vale esso numero? Recentemente, il Dr. Severi ha data una formola, che ri- solve questo problema, per tutte le varietà razionali. Nella pre- sente Nota, io mi propongo di dedurre da essa formola quella relativa alle varietà ellittiche. A ciò giungo con un procedi- mento applicabile a molte altre quistioni. Così, per fare qualche esempio, — sempre considerando una semplice infinità algebrica di [f] —, gli [ns], ognuno dei quali ne contiene il massimo numero, possono costituire infinità semplici o multiple; e si può chiedere l'ordine di esse: ed un problema analogo si presenta allorchè si considerano degli [n — s], ognuno dei quali contiene meno di quel massimo numero. Orbene, il mio procedimento dà le formole risolutive per le 00! ellittiche di [X], quando siano note quelle per le co! razionali. La stessa cosa si può ripetere per problemi analoghi: ad es., allorchè si cerca il numero finito, o l'ordine della varietà, degli spazi, ognuno dei quali seca più spazi generatori della stessa varietà data secondo spazi di di- mensione maggiore di quella richiesta dalle dimensioni relative e dalla dimensione dello spazio ambiente; ovvero quando si 414 ALBERTO TANTURRI viene a problemi della stessa natura per spazi aventi una re- lazione assegnata con più [A] della 00, e soddisfacenti, inoltre, a date altre condizioni qualunque; ece., ecc. — Si può, anzi, dire che il nostro metodo trova pure applicazione alle infimità multiple di [X], per le quali siano legittimi gli spezzamenti che qui adopero per le infinità semplici. 1. — Indico con f [K4- 1] una co! di [4], la quale sia di ordine m e di genere p. Gli [n — s], dell'ambiente [x], sono co!#!": e si impone, ad uno di essi, una condizione multipla secondo (h.4+-1)s— 1, se si vuole che passi per un [X], generatore di una data F?[h+1]. Ne segue, che, se sta la (a) (n—-s+1)s=i}(f+4+1)s_- 1}, esiste, in generale, un numero finito di [n —s], ognuno dei quali contiene un numero intero è di |] generatori. Quanto vale esso numero? Poniamo n_-s+1 (5) 34 = q; ossia, per la (a), Fe-+ Daga = q. Sarà 9g intero: perchè, se s=1, gqg=i; se s è diverso da 1, esso è primo con (h + 1)s— 1, e divide quindi i, visto che — in virtù della (a) — divide il prodotto è2}(£ -+1)s — 1{. Orbene, con la (a) e con la (2), esprimiamo ? ed » in fun- zione di À, g, s. Avremo Ep! n=qg}h+1)s—-1{-1+s; ed il nostro problema può enunciarsi così: Dati i numeri interi 4, 9g, s, quanti [n—s=g}(k+1)s-1{—1] contengono ognuno sq [f] generatori di una F7 [h 4-1], appar- tenente ad un [n =g9g)(h+1)s—1{—1+ s]? Indicheremo questo numero con W7 (4, 9g, s). Per dualità in [n], tanti sono pure gli [s— 1], in ognuno dei quali concor- rono sq [n —hk—1] generatori di una F7 [n — A], appartenente allo stesso |n]. IN QUAL MODO ALCUNI NUMERI RELATIVI AD INFINITÀ, ECC. 415 Riguardo agl’indici 4, g, s, deve, evidentemente, ritenersi h20, q71, s2 1. Non può, però, porsi, ad un tempo, A =0 ed s=1; perchè, se 4=0, si parla di [n — s] plurisecanti di una curva algebrica: e gl’iperpiani, ossia gli [n —1], non dànno luogo a quistione. Si può, invece, porre, contemporanea- mente, 4 —=0 e g=1; ed anche, se si vuole, contemporaneamente, q=1 ed s=1. In tal ultimo caso, si supporrà 4 > 0, visto che è s=1: ed a Y7 (4, s, 1) si attribuirà il valore conven- zionale m (Ved. al num. 9 della mia Nota Un problema di geo- metria numerativa ecc., in questi “ Atti ,, vol. XXXV, 1900). 2. — In particolare, per le varietà razionali, si ha: rela puts 1) (Affetto) w poirinaimana di Near Ss Ss s (SITI age EP PRETE I 8 8 Mes ove n» sta invece di g}(h +1)s—1{-—14+s. Ved. Severi, Sugli spazi plurisecanti, ece., “ Rend. Acc. Lincei ,, vol. XI, 1902. Altre formole notevoli si hanno per i valori di Y7(A4, 1, s) e di Y7(4, 9,1); e si vedano, in proposito, la mia Nota Intorno ad alcune semplici infinità di spazi, ecc. (in questo vol.), e l’altra, già citata al n. 1. Come anche per il valore di Y7 (0, 9, 2), che è dato in CasteLNUOvo, Una applicazione della geometria enume- rativa ecc. (“ Rendic. del Circolo Mat. di Palermo ,, t. III, 1889), con un metodo, il quale si presta alla ricerca di Y7 (4, 9, 2). Infine, aggiungiamo che si ha un modo di giungere alla espres- sione di Y7' (0, 2, s) nelle mie Ricerche sugli spazi plurisecanti, ecc. (“ Annali di Mat. ,, t. IV, serie III, 1900): modo, che si presta anche alla ricerca di Y7 (4,2, s). was) = 3. — Veniamo ora alla ricerca di YT (k, 9, s). Per como- dità di linguaggio, supponiamo, anzitutto, R = 0: occupiamoci, cioè, degli spazi plurisecanti (i-secanti) di una data curva ellit- tica, d'ordine m. In virtù dei principî dello spezzamento totale, — che ho esposti al num, 2 della Nota già citata al num. 1 di questo lavoro —, si può sostituire, alla data curva, un emma- gono gobbo semplice di rette: ossia un sistema di m rette, la 416 ALBERTO TANTURRI cui posizione generica, nello spazio ambiente, è limitata solo dall’esistenza di m punti, in ognuno dei quali si tagliano due consecutive di esse rette. Perciò, occorre concepire esse m rette in un dato ordine di successione, di guisa che all'ultima segua di nuovo la prima. Fatta questa sostituzione, per avere YT (0, 9, s), basta cer- care quanti sono gli spazi della dimensione voluta, ognuno dei quali si appoggia ad è lati dell’emmagono, senza contenere nessun vertice. La ricerca analoga, fatta per l’emmagono, privo di uno qualunque dei lati, ad es. del primo, dà ‘57 (0, 9, 3). E questo, sempre in virtù dei principî dello spezzamento totale. Ciò premesso, siano N, quelli degli spazi così plurisecanti il dato emmagono, i quali si appoggiano al primo lato; N., quelli che si appoggiano al secondo; ecc. Sarà M=aeM=€#7=%4y: donde mN,=N+N+...+ Nn Ora entrambi i membri di questa eguaglianza si esprimono, facilmente, con le introdotte Y. Difatti, se consideriamo tutti gli Y7 (0,9, s) spazi plurisecanti dell’ emmagono, essi, o si ap- poggiano al primo lato, o no: ed è dunque, per quel che si è detto sopra, Hr (0,9, 8) = N + Y6 (0,98). Inoltre, nella somma N, + Na+... + N,, si considerano tutti gli YT (0, 9, s) spazi plurisecanti dell’ emmagono, ognuno però contato tante volte quanti sono i lati a cui si appoggia. È dunque Ni 4 Net... +. Na = (0, 9, 8). Ne segue che mi Wi (0,9, 5) — Ye (0,49, 8) =? (0,7,3); donde Org 8) = Mm MER DET) m i E poichè Yr- (0, 9, s) è noto, ed è î = sg, si ha n (Bratt Ra? (tar) n (ro {Prostata 1 Yr0,G9=3I ; da > i - s s Allo sio saponi). dio 9a i nigoe odio 8 s s IN QUAL MODO ALCUNI NUMERI RELATIVI AD INFINITÀ, ECC. 417 Ed è la stessa espressione che appare nelle mie già citate Ricerche sugli spazi plurisecanti, ecc.; ove la ho scritta per in- duzione, dopo aver assegnato un metodo, che permetteva di giungere ad essa, ogni volta che 9g ed s fossero dati numeri- camente. 4. — Il metodo sopra adoperato si estende alla ricerca di YT(X,9,s), nel caso di h > 0. Anche qui, in virtù dei principî dello spezzamento totale, si potrà sostituire alla ff [X + 1], che si considera, un sistema di m fasci di [/], in un ordine determinato, e tali che la loro posizione generica, nello spazio ambiente, sia limitata solo dal- l'avere, ognuno, un elemento [7] a comune col seguente; l’ul- timo avendo pure un elemento [/k] a comune col primo. Diremo TT? questo sistema. Occorre, in seguito, aver riguardo agli [RX — 1], i quali sono assi di quei fasci; ed alle loro intersezioni. Perciò, indi- chiamo con AZMO, KISS, quegli assi, nell’ ordine assegnato. Gli spazi A, ed A, stanno in un [4]: in quello, cioè, che è comune ai primi due fasci; essi si taglieranno, quindi, secondo un | — 2], che noi rappre- senteremo con A, As. Così A, ed 43 hanno a comune un [hf —2];...; e così pure A,, ed A;. Si hanno dunque gli m [f—2] AAg;} AgA3z; «i. And: Analogamente, i due [hf —2] A, A, ed A,/43 stanno in A», ossia in un |A — 1]: ed hanno, quindi, a comune un [hf — 8]. E si hanno così gli m |h — 3] A;A343, A>AzA4,, 200.3 Anbids. E così via. Si giunge, in tal modo, sino ad avere gli #m punti A,Ag sce Ans AsAz cos Anti, see 4 Andi DR, Ari. Ciò premesso, chiameremo TT? il sistema che si ottiene 418 ALBERTO TANTURRI dal precedente TI, togliendo i primi X+ 1 fasci. Esso sistema è sostituibile alla generale [7_*[K.+ 1]: e ciò, sempre, in virtù dei principì dello spezzamento totale. Ed anche qui, dalla figura TT, e dalla figura TT? _*, si hanno, rispettivamente, WI (2,48) e WE" (4, 9, 5), quando si contino gli |r — s], ognuno dei quali contiene è |/], senza però contenere mai un [}] comune a due fasci. Questa ultima condizione ne permette di affermare che, nel calcolo di Y7 (4, g, s), non si presentano [n — s], i quali conten- gano, ad un tempo, due degli assi A, Ag, ..., Ang» Consideriamo, difatti, un qualunque [n — s], — che chia- meremo £ +—, il quale contenga, ad es., A;, e, con esso, anche soltanto A,,1. Allora £ contiene lo |X—- 1] di A,, il quale fu indicato con 4,43; ed, inoltre, il punto di A,..;, il quale fu in- dicato con 4343... Ax. Contiene cioè, — dello spazio As —, l’iperpiano 4; A, ed il punto 4343... A,.,. Contiene quindi tutto 4; e, perciò, anche lo [4] comune ad A; e ad A». £ non è dunque tra gli spazi il cui numero fu indicato con Y7 (f,9,5); c.v.d. E se ne trae che questi ultimi spazi si dividono in due gruppi: il primo costituito da quelli, ognuno dei quali contiene qualcuno degli A: il secondo da quelli che non contengono nessun A, e che quindi sono gli W7- (4,g,s) spazi, relativi a Il". Vale a dire, che, — se sono N; quelli dei YT (4, 9, 5) spazi, che noi consideriamo, i quali contengono un [kR] del primo fascio; Ns quelli che ne contengono uno del secondo; ecc. —, si ha (A, 9,8) = (NaSfelN, +e Mg A (gg Ma, evidentemente, na ehi quindi , WI Mg) =(A+1)N + Yi (4, 9, 8). E poichè, accanto a questa, si può porre l’altra N+N+..+ Nn=(mN,=)iY? (4,95), sì avrà ee m_—i(h +1) IN QUAL MODO ALCUNI NUMERI RELATIVI AD INFINITÀ, Ecc. 419 Dalla quale, con la formola del Severi, si ha YT (4,9, s). E si conclude: Data una semplice infinità ellittica di spazi, ognuno di h dimensioni, la quale sia immersa în uno spazio di n dimensioni, ed abbia per ordine m, esiste un numero, în generale finito, di spazi, din —s dimensioni, ognuno dei quali contiene i spazi ge- neratori di essa, se, — essendo i=sq —, èn=q}(h+1)s—1{—1+-s. Ed esso numero è dato da ut (+e) pres ni (13) 3] Ss [ s s \8s i m_-(n—-s)—3 n | Lita | ridera Per dualità nello spazio ambiente, tanti sono pure gli spazi di s— 1 dimensioni, in ognuno dei quali concorrono i spazi generatori di una semplice infinità, — ellittica, d'ordine m —, di spazi, ognuno di n —% — 1 dimensioni. 5. — Aggiungiamo alcune parole di complemento. Togliendo, dal sistema TTT, i primi XR+-1 fasci, abbiamo ottenuto il sistema Tg _*—, il quale è sostituibile alla generale Fo! [kK-+ 1]. Allo stesso modo, togliendo, ad es., i primi R+4+-2, od i primi # + 3,..., fasci, si hanno, rispettivamente, dei si- stemi, sostituibili alle generali Fg? [K+ 1), MO =*[h41),.. Ma non si ha la WR (A, g, 5) = N + No +... + Naso + W8*® (kh, 9,5), o la analoga per 4 + 3, 0 per h + 4, ...; perchè, — riferendoci, ad es., alla eguaglianza scritta —, tra i nostri W?" (4, 9, 8) [ns], occorre considerare anche quelli, i quali contengono un [h] del primo fascio, ed un [7] dello (X + 2)-mo fascio. Dico che non si ha — in generale — neppure la Yr(A, 9,5) = NN ++ M+ 07 (9, 3), o qualcuna delle analoghe per valori minori di È. Ciò deriva dal fatto che, se si tolgono, da TT, meno di ‘ h+1 fasci, non si hanno — in generale — sistemi sostituibili alle generali f, [A + 1]. Occupiamoci, per es., solo del caso, 420 ALBERTO TANTURRI — IN QUAL MODO ALCUNI NUMERI, ECC. nel quale si tolgono i primi A fasci. E sia TT’ il sistema così ottenuto. Gli [XK + 1] contenenti i fasci estremi — ossia il fascio di asse A,., ed il fascio di asse An — hanno a comune il punto A,As ... An: perchè questo punto sta in A4,, e quindi nello [h+-1] del fascio A,.1; e sta in A), e quindi nello [h4-+-1] del fascio Am. Nel caso più generale, — nel caso cioè che la dimensione x dello spazio ambiente sia tale che, in esso, due [AK 4 1] generici non abbiano un punto comune —, i fasci estremi non sono dunque in posizione generica, e quindi TT’ non è sostituibile alla generale [7 [h + 1). Una ulteriore indagine è ora affatto inutile. Tuttavia, 0s- serviamo che, dal nostro ragionamento, risulta — eventual- mente — vera l’ultima eguaglianza scritta, e quindi la conse- guente relazione TI ad = 19h soltanto se si ha an<%kR+1+Ah+41. Così, ad es., sta essa relazione per 4h=1, g=3, s= 1: si tratta allora dei piani, ognuno dei quali contiene tre gene- ratrici di una rigata di uno spazio ordinario. Ed è, in tal caso, n<2(h+1). È invece n=2(f + 1), per 4=1, 9= 1, s=2. Si tratta allora dei piani, ognuno dei quali contiene due gene- ratrici di una rigata in uno spazio di quattro dimensioni. Ma la precedente relazione nòn ha luogo, pur essendo 4=2(h+ 1). Si può, cioè, dire che la generale Fy7 [2] di un [3], presa col fascio individuato da due qualunque generatrici incidenti (in uno degli infiniti punti della linea doppia), dà un sistema sostituibile alla generale ff [2] di esso [3]; mentre il. sistema costituito da una fy_![2] di un [4], e dal fascio individuato da due generatrici incidenti (in uno dei punti doppi, che sono in numero finito), non è sostituibile, senza inconvenienti, alla ge- nerale [7 [2] di esso [4]. Ciò perchè, nel [4], nasce la quistione se il piano del fascio aggiunto va, o no, compreso nel numero richiesto: ed, in caso affermativo, anche la quistione della sua moltiplicità. In modo analogo, nello spezzare curve in un [3], è lecito introdurre rette trisecanti; mentre ciò porta ad incon- venienti in un [4], dove una generica curva ha rette trisecanti in numero finito. ELIA OVAZZA — CONTRIBUTO ALLA TEORIA, ECC. 121 Contributo alla teoria delle molle pneumatiche. Nota dell'Ing. ELIA OVAZZA. (Con una Tavola). 1. — Taluni inconvenienti offerti dalle molle metalliche quando sono soggette a frequenti o continue deformazioni non si verificano adoperando le molle pneumatiche, che appunto perciò si trovano non di rado sostituite alle metalliche. Può in- teressare il paragone fra i modi in cui funzionano le une o le altre, e questo è l’argomento della presente nota. 2. Molla pneumatica semplice. — In un cilindro chiuso ad un estremo (fig. 1) scorra a perfetta tenuta uno stantuffo, sicchè fra questo ed il fondo rimanga sempre la stessa massa d’aria o di altro fluido, cui sieno applicabili le leggi d’elasticità dei gas perfetti. Sia l la distanza fra il fondo e la faccia interna dello stantuffo quando la tensione dell’aria rinchiusa sia eguale alla pressione esterna po; la distanza / può dirsi la lunghezza naturale della molla pneumatica. Lo stantuffo si sposti di A/ verso l’esterno e corrispondentemente la tensione dell’aria in- terna discenda al valore po(1 — 0). Se trascuriamo la deforma- zione delle pareti e supponiamo politropica la trasformazione fisica subìta dall’aria interna, essendo ) costante, avremo Pol = po(1 — 0)(14- Al. (1) Sarà \=1 se la trasformazione è isotermica; \= 1,41=rap- porto fra i calori specifici del fluido a pressione costante ed a volume costante, se la trasformazione è adiabatica; in generale sì può ammettere 1 —e” e la molla pneumatica accumula maggior quantità di energia agendo per allungamento che per compressione del cilindro di aria rinchiuso. 6. — Qualora a monte ed a valle dello stantuffo, anzichè aria, fosse vapore saturo ed umido a differenti temperature, qua- lunque spostamento, entro i limiti ai quali il titolo del vapore raggiunge i valori 0 od 1, non produce variazione della pres- sione risentita dallo stantuffo su ciascuna delle sue due faccie; è come se 0 fosse indipendente da e (fig. 3, linea a'd'), e perciò si verificherebbero le condizioni di una molla elastica metallica con modulo di elasticità infinitamente piccolo. Questo spiega come urti non sempre evitabili fra i membri cinematici del manovellismo di trasmissione di una macchina a vapore a stantuffo (urti dovuti a giuochi imperfettamente col- mati dai lubrificanti alle articolazioni ed all’elasticità del mate- riale), sugli sforzi interni cimentanti detti organi non abbiano CONTRIBUTO ALLA TEORIA DELLE MOLLE PNEUMATICHE 425 che l’effetto di carichi subitamente applicati in tutta la loro intensità, qualunque sia la velocità relativa dei corpi urtantisi (*). 7. Molla pneumatica a doppio stantuffo. —— Con la dis- posizione a doppio stantuffo applicata al maglio atmosferico Chenot è almeno possibile ottenere una condizione di simmetria analoga a quella suaccennata per le molle metalliche, oltre ad aumentare notevolmente la capacità di accumulare energia. È noto che in tale maglio la mazza battente M è solidale ad un cilindro € (fig. 4), guidato prismaticamente da altro ci- lindro cavo G; il cilindro C è aperto ad ambo le estremità e provvisto a metà lunghezza di un diaframma D. Attraverso a questo diaframma scorre a tenuta d’aria il gambo di connessione di due stantuffi S, ed S, eguali, scorrevoli a tenuta d’aria entro le due camere C; e 0, determinate nel cilindro C dal diaframma. Il complesso dei due stantufti riceve moto rettilineo alterno da un albero mediante un manovellismo. Suppongasi che per la posizione in cui i due stantuffi sono ad eguale distanza / dal diaframma (fig. 4) sieno eguali a po le tensioni dell’aria rinchiusa nelle due camere C, e Cs. Spostato il complesso dei due stantuffi di AZ in un verso, la tensione nella camera C,, p. es., diminuirà di 0,p, mentre in ©, aumen- terà di 0.p,; onde, se F è l’area comune delle due faccie del diaframma, questo ed il cilindro C saranno spinti nel verso del moto degli stantuffi da una forza P= F(0, 4 02)po (11) Se adunque la curva «d della fig. 2 si ribalta attorno al- l’asse delle o in «'d' (fig. 5), la figura compresa fra le curve ad, a'b' può assumersi a diagramma della legge di variazione di P in funzione di e. Siccome per e = ‘ 1 risulta P= co, questo diagramma non ha senso che per pera 2 1 (12) (*) Cfr. E. Ovazza — Influenza delle molle sul cimento massimo per carichi dinamici — Periodico “ L’Ingegneria Civile e le Arti Industriali ,. Torino, Camilla e Bertolero, 1902. 426 ELIA OVAZZA 8. — Sviluppata in serie ordinata secondo le potenze di e l’espressione di 0,1 + 03, si ha X+1)+4+2 X+-1)(A-+2)A+3)1-+4 Gi +9,=2Ae|1 ee i toe I (13) Per \= 1 (evoluzione isotermica): 0, +0 Dell + et et pz (14) Per XN= 1,41 (evoluzione adiabatica): gi + 0,=2,82e(1 4 18724 1,63 e%4...). (15) Potendosi l'evoluzione fisica dell’aria ammettere compresa fra la isotermica e l’adiabatica, per valori di e abbastanza pic- coli si può ritenere che la molla a doppio stantuffo funzioni come una molla metallica cui corrisponda l’equazione P=a.Fpye Î ove Di (16) a=92-2,82 | Che se la (16) non si vuole assumere come abbastanza ap- prossimata, certo è però raggiunta la condizione di simmetria, per la quale a valori eguali e di segno contrario di e eorrispon- dono valori eguali e di segno contrario della reazione P della molla. Perciò la molla a doppio stantuffo considerata può dirsi simmetrica. 9. Molla a doppio stantuffo asimmetrica. — Suppongasi ora che le capacità delle due camere Cj e Cs non sieno eguali quando in esse regna eguale pressione po. Potremo sempre ri- durre questo caso a quello in cui sieno eguali le aree delle due faccie del diaframma, mentre differenti sieno le distanze /, ed ly degli stantuffi S, ed S, dal diaframma medesimo (fig. 6). Se il complesso dei due stantuffi si sposta di A/ rispetto al cilindro C in modo da diminuire l’altezza 2, della camera Ci, le tensioni dell’aria in C, e Cs diventeranno certe (14 0)po ed (1— 0,)p,, le quali, ammettendo al solito politropica la CONTRIBUTO ALLA TEORIA DELLE MOLLE PNEUMATICHE 427 trasformazione fisica dell’aria, fatto A/:/, = €, devono soddis- fare alle l=(1+0)(1—-e} ..., \ |. 17 1=(1—-0)(1+et) | Li, È E perciò la forza / sollecitante il cilindro a spostarsi, nel verso stesso in cui muovesi il doppio stantuffo, sarà ancora data dalla (11), quando vi si faccia oto (1461). (18) Tracciata la iperbole «5 diagramma delle 07 (fig. 5), alla a'd' va sostituita la curva a'd'' ad essa affine nel rapporto / :l nella direzione dell'asse € con asse di affinità l’asse delle P; la figura compresa fra le curve ad ed a''d'" può assumersi come diagramma della legge di variazione della forza P in funzione di €. Questo diagramma ha senso soltanto per lil, >e>—1 (19) Il funzionamento della molla non è più simmetrico rispetto alla posizione per la quale è P= 0; per /,:/ poco diverso dal- l’unità e per valori di e abbastanza piccoli come tale si può ammettere e la molla paragonarsi ad una metallica. 10. — Anche per la molla pneumatica a doppio stantuffo la quantità massima di energia che vi si può accumulare come lavoro di deformazione dipende dalla resistenza delle pareti. Non può però dirsi @ priori che le sezioni meridiane sieno più cimen- tate che le trasversali, perchè mentre quelle devono resistere alla massima pressione effettiva 0, p, 0 02po producentesi in ùna delle camere, e sono in ciò aiutate dalla resistenza del diaframma, le sezioni trasversali devono stabilmente trasmettere il totale sforzo max(0, + 03)po F, essendo 7 l’area comune delle due faccie del diaframma. Con le notazioni precedenti dovrà essere insieme, assunto x —u"2-x: HI90A o +0,%£4-—=0' LÀ é Lg na o’. (20) vo] 428 ELIA OVAZZA Per la molla simmetrica, poichè insieme si verificano max 0; e maxo, in valore assoluto, indicando di esse con 0 la maggiore, le (20) sono soddisfatte insieme quando abbiasi O< 091, come per la molla pneumatica semplice. Dal valor limite di o ricavati i valori limiti di e, la fig. 5 ovvero formule desunte dalle (10) e (10’) forniscono il valor massimo della quantità di energia accumulabile nella molla come lavoro di deformazione. Per la molla asimmetrica la capacità di accumulare energia a parità di condizioni è minore che per la simmetrica, perchè a valori eguali di o corrispondono ascisse e minori in valore asso- luto per la curva «’5"” che per la ad od a'd'. 11. Applicazione. — Una importante applicazione delle molle pneumatiche vien fatta nei magli a trasmissione detti atmosferici. Se la mazza battente si ponesse in moto rettilineo alterno me- diante un manovellismo, come lo stantuffo di una pompa, e l’at- tacco allo stelo di comando fosse rigido, qualora la mazza col- pisse trovandosi in posizione differente dalle estremità della sua corsa, verrebbe perciò impedito il moto del meccanismo di tras- missione con urto e grave pericolo di rottura. Per altro inefficace sarebbe un colpo in fin di corsa, perchè nulla è allora la velocità di traslazione della mazza, astraendosi dalle vibrazioni dovute all’ elasticità degli organi di trasmissione. Ma se l’attacco avviene mercè una molla elastica BC (fig. 7), la tensione di questa va variando per l’inerzia della mazza, la quale perciò si muove con legge ben differente da. quella. che avrebbesi con trasmissione rigida, ed in corrispondenza dei punti morti del manovellismo può avere una forza viva utilizzabile per il colpo; a ciò aggiungasi che la capacità della molla di accu- mulare in sè buona quantità di energia sotto forma di lavoro di deformazione elastica rende le azioni d’urto pressochè insen- sibili pel meccanismo di trasmissione. La frequenza notevole dei colpi, che raggiungono qualche centinaio al minuto primo, determina rapido deterioramento delle molle se metalliche; di più la regolazione dei colpi a seconda dello spessore del pezzo da fucinare, mentre richiede di arrestare il maglio se la molla è metallica, può avvenire automaticamente CONTRIBUTO ALLA TEORIA DELLE MOLLE PNEUMATICHE 429 se la molla è pneumatica; così spiegasi la preferenza data aj cosidetti magli atmosferici: Chenot, Schmid, Arns, Longworth, ecc. 12. — Se la molla pneumatica è simmetrica e le sue de- formazioni avvengono fra limiti stretti abbastanza perchè la si possa ritenere funzionante come una molla metallica, torna facile studiare l’influenza della molla inserita nel meccanismo di tras- missione. Sia OABC la posizione del manovellismo alla fine del tempo # contato dall’istante in cui il meccanismo, in riposo nella posi- zione 04,BoC al punto morto inferiore A,, comincia a muoversi. Detta M la massa del martello, 7% e 7 rispettivamente le ten- sioni della molla nelle posizioni B;) 0 e BC, fatto mici sarà, indicando con g l'accelerazione dovuta alla gravità: To == Mg; j (21) epperciò l'equazione del movimento del martello può scriversi: MIE Mg PI Py, (22) Nelle ipotesi fatte si può porre, essendo 8% una costante positiva: T_T =62M(BC— B,0) = Mx — y—XLo + Yo): 11(23) Per B°(Y + xo — vo) = f0) (24) la (23) riducesi alla 2 Si =— Be +/0) 5) che, integrata, dà x = Acosft + BsenBt (26) dove A e B sono funzioni di t tali che sia 24 sent dB cospt È dt =— f(t) B ’ “& dra * (27) 430 i ELIA OVAZZA Integrate le (27), la (26) fornisce la legge del moto del martello. 13. — Ad evitare integrazioni complicate, suppongasi il rapporto fra le lunghezze 7 della biella ed » della manovella sì grande che errori piccolissimi si generino facendo senz'altro l:r=%, suppongasi cioè il manovellismo a glifo rettilineo (fig. 8). Con ciò la molla può immaginarsi attaccata direttamente al glifo e si può scrivere: y= rcosy = rcoswf, ‘ (28) detta w la velocità angolare della manovella, che la efficacia di opportuno volante ci permette di ritenere costante. Ricavansi di conseguenza: A= (xo — Yo)cospt + 3 a de mefl —w) i +6, (29) = (x — yo)senBt Ls 7 | sa + en aula. rl + 03 i=lo- Wta -rcoswt + CosenBt +4 Cicosft, (30) le costanti d'integrazione C, e Cs dovendosi determinare mercè le condizioni iniziali del moto. Per t=0 essendo a=% e de; dt= 0, ricavasi: 2 di srgsni è; Leggpisyione” — (31) B8°— w epperciò e=(0— + (wr) css +7 pi gp COS wÌ. (32) Il moto del martello sarebbe risultante di due moti armo- nici spostati di fase e di diversa ampiezza in generale. La velocità della mazza sarà quindi d | ; o== = B\w_r Fi )sen (dv) — pla Sen (33) e per seny= 0, cioè pei punti morti del manovellismo | esclusi valori specialissimi di li concludesi che è v = 0; ciò che im- porta per le applicazioni. VI ' LI LI ! i ' ' % DD -Biote- ' il ' '' i] ' ' --.-., -yNN Po (1-0)P, wWVY(MOEZEETTà al CONTRIBUTO ALLA TEORIA DELLE MOLLE PNEUMATICHE 431 14. — Pel caso speciale in cui sia B=w, la (32) va sosti- tuita con la seguente : x=t0-—y + 5 risentt + Yy,cosBt (34) e la (33) con quest'altra : rela 5r| Brcosy + (1 24) seny | (35) Onde ancora per seny= 0 si ha generalmente v=z0. (36) 15. — Quando la deformazione della molla pneumatica du- rante il moto sia sì grande che più non si possa ammettere la (23), secondo la quale il funzionamento della molla si considera come quello di una molla metallica, le integrazioni riescono troppo complicate perchè meriti di pur tentarle. Non però senza fondamento si può ritenere generalmente soddisfatta la (36), cui siamo giunti mediante ipotesi sempli- ficative. Palermo, marzo 1902. 482 LUIGI COGNETTI Un nuovo genere della Fam. “ Glossoscolecidae ,. Ricerche anatomiche e zoologiche del Dr. LUIGI COGNETTI, Assistente all’Ist. Zool. della R. Univ. di Modena. (Con una Tavola). L’oligochete del quale tratto in questo mio. lavoro venne raccolto dal Dr. Cav. ALrrepo BoreLLi a San Lorenzo, località della provincia di Jujuy nella. Repubblica, Argentina. Di esso ho già dato una diagnosi preventiva sotto il nome di Enantio- drilus Borellii nov. gen.,, nov, spec., in una mia precedente pub- blicazione (1). L'interesse speciale che presenta l’oligochete in discorso mi spinse a studiarne la struttura, e a pubblicare i risultati, ottenuti nel presente lavoro. CARATTERI ESTERNI (2). Per le sue dimensioni lE. Borellii non può collocarsi ac- canto alle forme relativamente gigantesche, lunghe qualche cen- tinaio di millimetri, così numerose nel gruppo di cui fa parte, poichè in media supera di poco i 100 mm. in lunghezza quando non è troppo contratto. Gli esemplari più corti misurano 60 mm. Il numero dei segmenti non è molto variabile oscillando tra 200 e 250 0 poco più. Non sempre questo numero corrisponde alla lunghezza del corpo: così mentre in un esemplare lungo 70 mm. contai 275 segmenti, in un altro lungo 150 mm. ne contai sol- tanto 217. (1) Terricoli Boliviani ed Argentini (Viaggio del Dott. A. Borelli nel Chaco Boliviano e nell’Argentina, XVII, “-Boll. Mus. di Zool. e Anat. comp. di Torino ,, vol. XVII, N. 420). (2) Gli esemplari studiati erano tutti conservati nell’alcool. UN NUOVO GENERE DELLA FAM. « GLOSSOSCOLECIDAE » 433 Il diametro è ‘di circa 5 mm., esso diminuisce gradatamente all'estremità anteriore che è conica; misurato in senso laterale è un po’ maggiore in corrispondenza dei segmenti 19° e 20° che agli altri punti del corpo. La forma è cilindrica, leggermente appiattita nel tratto posteriore. Spesso gli esemplari adulti si presentano ripiegati ad an- golo con vertice in corrispondenza degli ultimi segmenti cli- telliani e concavità alla faccia ventrale. Ivarî segmenti possono presentare alcune particolarità nella loro struttura esterna. Così quelli compresi tra il 10° ed il 14° esclusi, sono più o meno marcatamente triannulati, e più avanti, fino al 4° o al 3° si osserva su ciascuno una carena circolare su cui stanno infitte le setole. Dietro al clitello i segmenti sono quasi sempre leggermente biannulati. In molti esemplari, ma specialmente in quelli adulti, è di- stinguibile una coda caratterizzata dall'essere i segmenti che la compongono biannulati in modo che l’anello posteriore di ogni segmento si presenta più sporgente dell’anteriore. Tale coda ha un'estensione che varia tra i 25 e i 60 segmenti, i quali si pre- sentano inoltre. meno ravvicinati. di. quelli. del tratto medio del corpo. La lunghezza massima è raggiunta dai segmenti dell’estre- mità anteriore (1-10); di questi il primo presenta delle rughe longitudinali. Il prostomio esiste, ed è breve, in forma di calotta, ma quasi sempre non appare. all’esterno, potendo esser ritirato ’ entro il primo segmento dal quale è tuttavia assai nettamente separato mediante un profondo solco dorsale [Kopf prolobisch, MrcHaELsEN (5)|. L'ultimo segmento è quasi completamente diviso in due da un’ampia fessura dorso-ventrale: l’apertura anale. Il colore degli esemplari studiati, giacenti nell’alcool. già da qualche anno, è cinereo oppure bruno-giallognolo, e costan- temente più chiaro al clitello. L’estremità anteriore mostra un leggero riflesso madreperlaceo. Le setole in numero di 8 per segmento incominciano al 29, e sono strettamente geminate. Gli intervalli tra una setola e 434 LUIGI COGNETTI e l’altra hanno i valori numerici seguenti, misurati verso la metà del corpo (1): aa = 90; ab="3; be="30; cd = 3pdd=34B0 aa + 2 ab + 2be 4 2ed + da = circonferenza = 342 (2). Da queste cifre si deduce essere: aa =3be; dd =2aa; dd > 1], circonferenza. La forma delle setole è sigmoide, con nodulo evidente. Ai segmenti posteriori le setole sono più robuste. Presso l’estre- mità distale si osserva un’ornamentazione data da minute in- cisioni semilunari disposte senz’ordine. Fanno eccezione, sia per la forma che per l’ornatura, le setole ventrali dell’8° segmento. Esse sono trasformate in setole copulatrici, distinte per avere la porzione libera diritta e munita di più archi chitinosi, simili a quelli già descritti per altre specie della fam. G/ossoscolecidae. Nei pressi delle aperture maschili le setole si conservano identiche alle normali (V. tav. figg. 5 e 6). Il clitello sì estende sui segmenti 14-22 (= 9), ed è com- pleto nei primi cinque; ai quattro ultimi manca sulla faccia ventrale negli intervalli aa (V. tav. fig. 1). Ai lati di quest'area in cui non v'ha ispessimento ghiando- lare clitelliano, e precisamente subito dopo Ja linea occupata (1) Onde ottenere la massima esattezza ho adottato il metodo seguente nella determinazione dei valori numerici sopra riferiti. Asporto da un esem- plare un tratto del corpo composto di pochi segmenti, avendo cura di sce- glierlo verso la metà dell’animale, indi con un taglio netto lungo la linea mediana dorsale lo apro, e sotto la lente tolgo l'intestino ed i nefridî. Dopo immersione per qualche minuto in acqua trasporto l'oggetto così preparato nella glicerina, tra i vetrini, e lo sottopongo all'osservazione microscopica in modo che la faccia esterna della parete del corpo prospetti la lente esterna dell’obbiettivo. Usando allora l’oculare mierometrico riesce facile misurare i valori numerici dei varì intervalli, esprimendo per brevità ognuno di essi col numero delle divisioni del micrometro in cui è compreso anzichè in micromillimetri. È ovvio aggiungere che tutte le misure deb- bono essere fatte lasciando invariati l’ obbiettivo, l’oculare e la lunghezza del tubo porta-oculare. (2) Sono trascurabili i diametri delle singole setole. UN NUOVO GENERE DELLA FAM. « GLOSSOSCOLECIDAE » 435 dalla seconda serie di setole ventrali, si trovano due profonde invaginazioni della parete del corpo, vere tasche dermo-muscolari, estese sui segmenti 19° e 20°, e in parte sul 18° (V. tav. figg. 162). Tra gli esemplari studiati essendovene di quelli giovani e di quelli adulti, così potei assodare il modo di formazione di tali tasche, già visibili in quegli individui che, pur non presen- tando ancora traccia alcuna di clitello, sono tuttavia prossimi a maturità sessuale. Anzitutto nei giovani ancora mancanti di quegli organi si vedono le linee occupate dalle setole ventrali di ciascun lato ai segmenti 16°, 17°, 18°, 19°, 20°, convergere leggermente verso la linea mediana ventrale, dimodochè l'intervallo «a al 20° seg- mento è un tantino minore del medesimo intervallo misurato ‘ sul segmento 15°; ma in seguito sì scostano di bel nuovo, e a partire dal 25° segmento riprendono la direzione primitiva. Inoltre il segmento 20° mostra alla sua faccia ventrale, fino a metà degli intervalli de, una colorazione più scura; lo stesso dicasi pel segmento 19°. Frattanto essi nel tratto suddetto si affondano un po’ verso l'interno del corpo, e contemporanea- mente s'iniziano negli intervalli de due ripiegature dello strato dermo-muscolare, estese anche in minima parte sul segmento 189; le quali a completo sviluppo appaiono sotto forma di invagina- zioni profonde, allungate in senso antero-posteriore. Il labbro superiore (dorsale) di ciascuna è rigonfio e presenta una mar- cata curvatura a concavità rivolta ventralmente. Le aperture maschili, minutissime, e visibili soltanto al mi- croscopio nelle sezioni, stanno al 19° se&mento, in fondo alle due invaginazioni, e quindi alquanto esternamente alle setole è. Le aperture femminili, sono in due paia ai segmenti 13° e 14°. Esse pure sono fori assai minuti, collocati a fianco della prima setola ventrale, internamente ad essa. Le aperture delle spermateche, in forma di fessure trasversali, non sempre visibili esternamente, si trovano in due paia agli intersegmenti 7-8 ed 8-9, in direzione delle setole ventrali. Queste all’8° segmento sono trasformate, come ho detto sopra, in setole copulatrici, e negli esemplari affatto adulti sono por- tate da due papille chiare, rilevate, le quali talvolta si ripetono, nella medesima posizione, al 9° segmento, dove però le setole ventrali si conservano normali (V. tav. fig. 1). 4536 LUIGI COGNETTI I nefridiopori si trovano presso il margine anteriore di ogni segmento a cominciare dal 3°, Ai primi 14 0 15 segmenti varia la loro posizione rispetto alle linee occupate dalle setole: dal 3° all’8° inelusivi sono esternamente (dorsalmente) alla linea occu- pata dalle seconde setole dorsali (4); al 9° invece si trovano su quella linea. Al 10° sono spostati sulla linea delle prime setole dorsali (c), all’11° ventralmente ad essa, e al 12° si trovano sulla linea che divide a metà l'intervallo laterale bc, come pure al 13°, Ai segmenti 14° e 15° subiscono ancora un leggero spo- stamento verso il ventre, senza però raggiungere la linea delle seconde setole ventrali (0), dopo di che si mantengono in. due serie longitudinali equidistanti. In un individuo notai un'anomalia: al 10° segmento si pre- sentavano sul lato destro due nefridiopori l'uno accanto all’altro sulla stessa linea trasversale. I pori dorsali sono assenti. CARATTERI INTERNI La segmentazione interna risponde esattamente all’esterna, vale a dire i singoli dissepimenti s'inseriscono su tutta la peri- feria in corrispondenza ai rispettivi intersegmenti. Il primo setto nettamente visibile è il 6-7, alquanto ispes- sito, e come quello sono pure ispessiti i due consecutivi 7-8 ed 8-9; più ancora lo sono il 9-10 e il 10-11. Quest'ultimo però si assottiglia alla regione ventrale nei pressi della catena gangliare. Tutti i sepimenti. suddetti sono marcatamente infondibu- liformi. Quelli che seguono sono sottili, e fino al 14-15, talvolta al 19-20, sono pure foggiati a imbuto, ma in modo affatto diverso dai precedenti: di essi vedasi più innanzi a proposito delle ghiandole calcifere. Nella parete del corpo è a notarsi ai segmenti anteriori (19-10°) una disposizione dei fasci muscolari circolari, tutto al- l’ingiro del margine anteriore di ogni segmento, in un plesso spugnoso a cavità ampie e irregolari, del tipo di quella descritta e disegnata dall’Ersen (1) pel Pontoscolex corethrurus (Fr. Miill.). SISTEMA DIGERENTE. — La cavità boccale mediocre presenta alla sua parete dorsale un epitelio costituito da cellule alte e UN NUOVO GENERE DELLA FAM. <« GLOSSOSCOLECIDAE » 437 sottili cui non dev'essere del tutto estranea una funzione ghian- dolare. Dopo un leggero strozzamento si trova dapprima il bulbo furingeo il cui epitelio è ampiamente ripiegato. Vi penetrano i prolungamenti delle ghiandole che riunite in ammasso racemoso non attraversano il dissepimento 6-7. Frammisti ai detti pro- lungamenti si scorgono i retrattori del bulbo i quali con l’altra estremità s’inseriscono alla parete del corpo non più indietro del 6° segmento. Al bulbo faringeo segue il primo tratto dell'esofago, ampio, e a parete sottile. Questo, dopo una riduzione del proprio lume, sì continua in un robusto ventriglio muscoloso limitato all'indietro dal dissepimento 6-7 che lo riveste, essendo, come ho detto sopra, conformato ad imbuto. Sulla parete esterna del ventriglio sì scorgono numerosi piccoli vasi sanguigni derivati in parte (?) per ramificazione del vaso dorsale all'estremità anteriore. Il secondo tratto esofageo, a lume più ristretto che il pre- cedente, s’inizia già nel 6° segmento dietro al ventriglio, e si protende fino nel 15° segmento. In esso sono a notarsi le ghiandole calcifere collocate dietro all'ultimo dissepimento ispessito, il 10-11. Aprendo l’animale dal dorso esse appaiono sotto forma di due organi piuttosto voluminosi, turgidi, piriformi, allungati, i quali poggiano sull’esofago entrando in comunicazione con quello mediante la porzione rigonfia che sta anteriormente, e protraen- dosi all'indietro per 4 o 5 segmenti, talvolta anche più (secon- dochè l’animale è più o meno contratto), sempre appoggiate al- l’ esofago, lateralmente o dorso-lateralmente ad esso. Il loro colore (negli esemplari in alcool) è bianchiccio. Sebbene estese per parecchi segmenti pure le ghiandole calcifere non attraversano alcun dissepimento, sicchè in realtà esse sono nell’11° segmento. I sepimenti 11-12, ... 15-16 (...19-20) ne seguono l’estensione conformandosi ad imbuto in ciascun lato della cavità celomica, ma serbando invariata l'inserzione ai ri- spettivi intersegmenti ed alle corrispondenti strozzature inter- segmentali dell’intestino (V. tav. fig. 12). In una sezione perpendicolare all’ asse longitudinale del corpo che tagli le due ghiandole calcifere al punto in cui comu- nicano coll’esofago appare chiaramente la costruttura delle ghian- dole stesse. Queste presentano un lume piuttosto ampio é la 438 LUIGI COGNETTI parete, molto assottigliata nella regione dorsale, percorsa, nella porzione ispessita, da un intreccio complicato di follicoli. Lo spessore della parete diminuisce pure procedendo all’indietro verso l’apice delle ghiandole dove il lume si conserva invariato. Dall’estremità posteriore delle ghiandole calcifere, che è a fondo cieco, non si origina. alcun vaso sanguigno. Il sangue che irrora i follicoli è in relazione con quello del vaso dorsale mediante due paia di tronchi, siti l’uno al 12° l’altro al 15° segmento. Questi due paia di tronchi per entrare nelle ghiandole cal- cifere debbono attraversare il primo il dissepimento 11-12, il secondo i due dissepimenti 11-12 e 12-13, entrambi assai sottili come ho già detto sopra (1). Noto inoltre che quei due sepi- menti là dove rivestono la faccia dorsale delle ghiandole calci- fere contraggono delle aderenze tra di loro e con la parete delle ghiandole stesse, mentre in corrispondenza della faccia ventrale sono del tutto staccati, chè qui s’interpongono gli ampî padi- glioni dei vasi deferenti e degli ovidotti. Nel lume delle ghiandole calcifere riscontrai, nella regione più vicina all'apertura di comunicazione con l’esofago, dei eri- stalli arrotondati; più all’ indietro non rinvenni nel lume so- stanze solide. Al secondo tratto esofageo segue l’ampio intestino propria- mente detto, il quale s’imizia al 15° segmento. Nel suo interno pende dalla parete dorsale il typhlosotis, si- mile a quello disegnato da MicHAELSsEN (3) pel Glossoscolex pere- grinus Mchlsn, ma costituito da una lamina più sottile e più sviluppata che in quella specie. Lo strato delle cellule clo- ragogene non si affonda nel typhlosolis. Verso l'estremità poste- riore del corpo la lamina typhlosolare si riduce gradatamente, (1) Anche in altri G/ossoscolecinae sì avvera questo fatto di vasi san- guigni che, originandosiî dal vaso dorsale o da altri vasi in un dato segmento, entrano nelle ghiandole calcifere in corrispondenza di un segmento ante- riore. Così in Glossoscolex peregrinus Mehlsn, dove le ghiandole calcifere pur occupando, i segmenti 11° e 12°, ricevono posteriormenre dei vasi san- guigni i quali traggono origine dal vaso dorsale nel 13°, e in G7. Bergi Rosa con ghiandole calcifere al 12°, connesse ciascuna ai grossi cuori dell’11° mediante un brevissimo ramo sanguigno il quale attraversa il setto 11-12: cfr. Micmartsen (3) e Rosa (6). UN NUOVO GENERE DELLA FAM. « GLOSSOSCOLECIDAE » 439 finchè a partire circa dal 50° ultimo segmento non se ne scorge più traccia alcuna. Sistema cIRcoLaTORIO, — L’Enantiodrilus Borelliù presenta quattro tronchi sanguigni longitudinali: il vaso dorsale, il vaso ventrale, il vaso sopraintestinale, e il vaso subintestinale. I due primi persistono anche nella regione mediana e posteriore del corpo, mentre invece i due ultimi appaiono soltanto nella regione anteriore, giacchè all’indietro sì continuano col cosidetto seno sanguigno intestinale. Dal vaso dorsale si staccano tre paia di cuori laterali col- locati rispettivamente nel 7°, 8° e 9° segmento, e aprentisi nel vaso ventrale. I segmenti 10° e 11° contengono ciascuno un paio di cuori intestinali; quello dell’11° abbraccia le ghiandole cal- cifere alla loro estremità anteriore (V. tav. fig. 12, c. è.). I cuori intestinali si dividono dorsalmente in due rami, dei quali l'uno s’apre nel vaso sopraintestinale, l’altro nel vaso dorsale. Ventralmente detti cuori sboccano nel vaso ventrale. Ai segmenti 12° e 13° si dipartono ancora dal vaso dorsale i due tronchi che s'internano e si suddividono nella parete delle ghiandole calcifere, Alle strozzature dei cuori e del vaso dorsale corrispondono internamente degli apparecchi valvolari costituiti da ammassi di cellule allungate, riunite lassamente fra loro, e attaccate per un estremo alla parete del vaso. Ammassi di cellule s'incontrano con frequenza entro le am- polle sanguigne disposte fra i tubuli dei nefridì. SISTEMA RIPRODUTTORE. — La caratteristica più importante dell’Enantiodrilus Borellii è data dal numero e dalla disposizione delle gonadi sessuali. Mentre in tutti quanti gli altri Terricoli finora noti i testes sono normalmente in numero superiore o al- meno pari agli ovarî qui ciò non si avvera, bensì gli ovarî su- perano in numero i testes (1). Questi sono in un sol paio all’11° contro il dissepimento ispessito 10-11, gli ovarìî costantemente in due paia, il primo al segmento 12° contro il setto 11-12, il secondo al 13° contro il setto 12-13 (V. tav. fig. 12). Apparato maschile. — I testes non sono massicci ma costi- (1) Questo fatto mi spinse a stabilire il nome generico Enantiodrilus, dal greco evuvtios = contrapposto. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 29 440 LUIGI COGNETTI tuiti da una porzione basale da cui si partono dei diverticoli digitiformi più o meno allungati. Circa la loro struttura mi fu dato vedere, nei varî esemplari che sezionai ed osservai al mi- croscopio, alcune particolarità non prive d’interesse che credo opportuno riferire, ancorchè fatte su materiale non preventi- vamente fissato a dovere. Come già ebbe occasione di osservare il Hesse (2) in altri Oligocheti, così osservai io pure qui le cellule germinative in via di dividersi sparse irregolarmente nei testes. Esse sono vo- luminose, misurando un diametro di 60-75 u, e presentano un fuso cromatico con due sfere di attrazione. Attorno al fuso si scorge una regione più chiara; nel resto della cellula il plasma mostra una struttura spiccatamente alveolare (V. tav. fig. 10). Nelle cellule in cui non appaiono ancora le figure cariocinetiche il plasma è granulare. Ogni testes è rivestito dalle cellule peri- toneali i cui nuclei sono evidentissimi. Rimpetto ai testes, nello stesso segmento, stanno i padi- glioni cigliati con l'ampia apertura protratta all'indietro assieme al dissepimento 11-12 contro il quale si appoggiano. Manca una capsula seminale, e sono pure del tutto assenti le vescicole se- minali. Lo sperma si accumula dunque nella cavità dell’11° seg- mento che è amplificata dalla disposizione delle ghiandole calcifere site esse pure in questo segmento. Tuttavia in nessuno degli esemplari esaminati appositamente mi fu dato scorgere sperma- tozoi liberi in quel segmento, e ciò molto probabilmente sta in relazione con la presenza nei testes degli spermatociti in via di divisione, il qual fatto prova non esser giunti quegli esemplari a completa maturità sessuale. I canali deferenti si originano dietro al dissepimento 11-12 ed hanno un lume discretamente ampio, con parete sottile. De- corrono ventralmente per i segmenti 12-18, e dopo aver attra- versato il dissepimento 18-19 penetrano subito nelle invaginazioni della parete del corpo estese ai due segmenti 19° e 20° di cui ho detto sopra descrivendo i caratteri esterni. Queste invaginazioni viste dall’interno dell'animale appaiono assai di rado in numero di due allungate, bensì in corrispon- denza dell’intersegmento 19-20 presentano un’interruzione in cui penetra il dissepimento omonimo, talchè si vedono in realtà quattro tasche disposte in due paia. Quelle del 19° sono al- UN NUOVO GENERE DELLA FAM. « GLOSSOSCOLECIDAE » 441 quanto più voluminose e in esse penetrano i vasi deferenti (V. tav. figg. 7 e 8, 0. d.). Nella parete di ciascuna tasca si ritrovano tutti gli strati della parete del corpo compreso l’ispessimento ghiandolare proprio del clitello (quando questo è presente). Lo strato muscolare vi è alquanto attenuato (V.tav. figg. 8 e 9). Abbiamo dunque nell’'Enantiodrilus Borelli una formazione del tutto differente dalle borse copulatrici e dai bulbi muscolari descritti in altre specie della famiglia G/ossoscolecidae in cui tali organi risultano da un differenziamento della porzione terminale del vaso deferente, ed hanno probabilmente l’ufficio di produrre un'ejaculazione del liquido spermatico. Qui all'incontro le tasche del 19° e 20° hanno forse lo scopo di accumulare durante l’ac- coppiamento una certa quantità di sperma rimpetto alle aper- ture delle spermateche degli individui accoppiantisi. Apparato femminile. — Sia gli ovarî del 12° segmento che quelli del 18° raggiungono normalmente un completo sviluppo. Anch’essi come i testes sono divisi in ramificazioni digitiformi ed allungate, rivestite dalla membrana peritoneale. Nella por- zione distale contengono le uova prossime a maturazione e quindi in via di dividersi. Queste hanno un diametro di 60 a 90 u; il fuso cromatico è del tutto simile a quello che sì scorge entro le grosse cellule descritte sopra a proposito dei testes, e quanto ho detto pel plasma di quelle può ripetersi qui (V. tav. fig. 11). Le tube degli ovidotti sono anch’esse in due paia comple- tamente sviluppate e disposte contro la parete anteriore dei se- pimenti 12-13 e 13-14. Questi essendo come il precedente pro- tratti all'indietro, così le tube, alla stessa guisa che i padiglioni dei vasi deferenti, sono allungate in senso antero-posteriore. Ogni tuba si continua, dietro al dissepimento cui è attaccata, coll’ovidotto il quale presenta un lume sempre più ristretto, specialmente nella porzione distale internata nella parete del corpo. Gli ovidotti presentano esternamente un tenue strato di fibre muscolari longitudinali, e internamente un epitelio cigliato il quale si appiattisce a mano a mano che si procede verso l'apertura esterna, mentre le sue cellule si fanno più rade. I pori femminili sono costituiti da una breve invaginazione dello strato epidermico che risulta qui formato da cellule prismatiche, 442 LUIGI COGNETTI brevissime, e serrate l'una contro l’altra. Attorno agli ovidotti, presso i pori femminili, si scorgono i fascetti muscolari desti- nati a spingere e ritrarre le setole ventrali dei segmenti 13° e 14° (V. tav. fig. 4). Negli esemplari appositamente studiati trovai delle cellule germinali in via di maturazione contemporaneamente sia nei testes che negli ovarî in uno stesso individuo (1). Spermateche: — Questi organi sono in numero di due paia rispettivamente ai segmenti 8° e 9°. Si presentano sotto forma di sacchi allungati, cilindrici o appiattiti, con superficie mamil- lonare, i quali presso la parete del corpo si restringono brusca- mente in un breve canale a parete fortemente muscolare. Quasi sempre notai nelle spermateche del primo paio un volume al- quanto inferiore a quello delle spermateche del secondo paio (V. tav. fig. 3). La diversità di volume delle due paia di spermateche è probabilmente in relazione con la diversità di volume delle tasche copulatrici dermo-muscolari dei segmenti 19° e 20°. Le sperma- teche del 9° segmento, le quali durante la copula si trovano con le aperture rimpetto alle tasche del 19°, assumono forse un vo- lume e quindi una. capacità maggiore onde poter accogliere in sè il seme che in queste si accumula in maggior copia, ed affluisce direttamente dal vaso deferente; mentre le spermateche dell’8° segmento, destinate a raccogliere specialmente il seme che si riversa nelle tasche meno capaci del 20° segmento, assumono una grossezza proporzionale a quella di queste ultime tasche. Il lume di ogni spermateca presenta delle cavità alternate con strozzamenti: ciò è in rapporto con l'andamento irregolare della parete. Noto che in nessun esemplare riscontrai spermatozoi entro le spermateche, e questo fatto trova riscontro nell’assenza di spermatozoi entro la cavità dell’11° segmento anche negli esemplari che presentavano il clitello (2). SISTEMA ESCRETORE. — Il primo paio di nefridî corrisponde al 3° segmento. Sia questo che i due seguenti hanno i tubi (1) Gli esemplari furono raccolti dal Dott. BoreLLI nei mesi di maggio e giugno, e quindi in inverno. (2) Vedasi anche quanto ho detto sopra a proposito dell'apparato ri- produttore maschile. UN NUOVO GENERE DELLA FAM. « GLOSSOSCOLECIDAR » 443 aggrovigliati irregolarmente. A partire dal 7° segmento i nefridîi accennano a prendere una disposizione allungata trasversalmente, ben distinguibile ai segmenti medì e posteriori. Qui la loro struttura è consimile a quella descritta e raffigurata dal MrcHAELsEN (8) pel Glossoscolex peregrinus, Mchlsn. Essi presentano cioè nella porzione postseptale il tubulo disposto in due anse l’ una più lunga dell’ altra, dirette verso il dorso ed appoggiate contro un’ampia vescicola terminale la cui parete è fornita di fibre mu- scolari. Un tubo più ampio unisce il tubulo alla vescicola che a sua volta mediante un breve canale comunica coll’esterno attra- verso al nefridioporo. SIGNIFICATO DEI CARATTERI FORNITI DAL SISTEMA RIPRODUTTORE. — L'’oligochete che ho descritto nelle pagine precedenti mostra nell'insieme dei suoi caratteri una grande attinenza con le forme che il MicHaeLsen (5) ha raggruppate nella sottofamiglia Glosso- scolecinae, e senza esitazione alcuna tra quelle l'ho classificato. L'organizzazione alquanto complicata che si osserva nei Glos- soscolecinae è prova evidente che si tratta là di un insieme di forme piuttosto elevate, le quali tutte hanno percorso un lungo tratto del proprio phylwn, differenziandosi parecchio dalle forme archetipe; e ciò si deve ammettere anche per l’ Enantiodrilus Borelli. Le forme archetipe dei Terricoli sì ritiene dalla. maggior parte degli autori che fossero simili a quelle attualmente com- prese nel genere. Haplotaxis (= Phreoryetes), o almeno che il loro apparato riproduttore (di così grande importanza nella si- stematica degli Oligocheti) presentasse uno schema pari a quello che si osserva normalmente in quel genere, che il MicHAFLSEN (5) ha appunto collocato alla base del gruppo dei Terricoli. Le gonadi maschili e femminili sono là in numero di due paia rispettivamente, e disposte in segmenti consecutivi, avanti i testes dietro gli ovarî. Il passaggio da questo schema primi- tivo alle disposizioni che oggidì si osservano nei varì Terricoli riesce facile quando si ammetta essersi effettuata, e in seguito conservata, una riduzione parziale delle gonadi maschili o delle femminili (con gli organi annessi), o di entrambe simultanea- mente. Si noti tuttavia che nei Terricoli la riduzione di un paio di ovarî è un fatto costante, essendosene conservato un solo paio, 444 LUIGI COGNETTI localizzato quasi sempre nel 13° segmento (1); dei testes invece si sono conservate in molte forme entrambe le paia. Ciò conduce a credere che nella filogenesi dei Terricoli la riduzione di un paio d'ovarì abbia cominciato ad avverarsi al- quanto precedentemente alla riduzione. di uno o dell’altro paio di testes, giacchè questa è ancora molto saltuaria, e la si in- contra in forme strettamente affini ad altre con tutti e quattro i testes completamente sviluppati. E allorquando in un Terri- colo, specialmente se di organizzazione superiore, si presenta un paio d’ovarî in soprannumero, ritengo si debba ammettere là un fenomeno di atavismo il quale si è manifestato nella ri- comparsa di quel paio d’ovarî. Ciò sarà tanto più ammissibile in una forma in cui i testes sono in un solo paio, fatto che già di per sè solo attesta un distacco dallo schema originario del sistema riproduttore che ancora sussiste nel genere Haplotaxis. E questo è appunto il caso dell’Enantiodrilus Borellii, 1 unico terricolo, fra quelli finora noti, in cui si presentino normalmente due paia di gonadi femminili del tutto sviluppate e funzionanti (2). Quale sia la causa occasionale di quel fenomeno atavico riesce difficile appurare, tuttavia credo di non essere in errore ammettendo che l’ assenza di vescicole seminali al 12° abbia almeno favorito la ricomparsa degli ovarî in quello stesso segmento. AFFINITÀ E DIAGNOSI DEL GENERE Enantiodrilus. — Il genere Glossoscoler è quello cui maggiormente si avvicina l Enantio- drilus. Il carattere dato dalle due paia di ovarî, sebbene al- quanto interessante, non sarebbe tuttavia di per sè solo della massima importanza, ma un valore sistematico rilevante lo acquista quando si consideri che ad esso vanno uniti anche altri caratteri, e cioè: assenza di vescicole e di capsule seminali, e di vere tasche copulatrici (Kopulationstaschen) dovute a diffe- renziamento dell'ultimo tratto dei vasi deferenti, o di cuscini ghiandolari (Driisenpolster) in corrispondenza dello sbocco dei (1) Fanno eccezione i generi Momiligaster, Eupolygaster e Drawida efr. MricHaAELSsEN' (5). (2) Tutti quanti i casi di ovarî soprannumerarî notificati fino ad oggi dai varî autori nei Terricoli sono annoverabili tra le anomalie individuali, quali eccezioni alla regola nelle specie stesse in cui furono riscontrate. Dippiù quasi (?) mai essi sono funzionanti. L.COGNETTI-Un nuovo genere della Fam. Glossoscolecidae. L.Cognetti dis. Atu R.Accad.delle Se. di Torino = VoZ_LLTVZ. Sy $ > 2 vasto ratti Lit.Salussolia-Torino. UN NUOVO GENERE DELLA FAM. « GLOSSOSCOLECIDAE » 445 vasi deferenti all’esterno. Infine per avere le aperture maschili spostate esternamente alle linee occupate dalle seconde setole ventrali. Conoscendosi finora una specie sola a far parte del gen. Enan- tiodrilus riesce difficile formulare per esso genere una vera dia- gnosi; tuttavia credo possa dirsi fin d’ora che tra le caratteri- stiche sue principali sono da annoverarsi: un paio di testes e di padiglioni nell'11 segmento, non avvolti da capsule seminali (Samensicke). Aperture maschili esternamente alla linea occupata dalle setole b. Presenza (almeno in una specie: E. Borelli, Cogn.) di un paio di ovarì e di ovidotti soprannu- merarì al 12° segmento, e di un paio di aperture femminili pure soprannumerarie al 13°. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Enantiodrilus Borellii, CoGNETTI. Fig. 1. — Estremità anteriore.’ 2. — Tasche dermo-muscolari. s 8. — Spermateche. 4. — Sezione longitudinale della parete del corpo in direzione dei pori femminili (ingrandimento 34 diametri). s 5. — Setole normali (ingrandimento 150 diametri): a ventrale del 18° segmento, b_n vr 10% 1i1a c setola di un segmento mediano. n 6. — Setole ventrali dell’8° segmento (ingrandimento 150 diametri). s 7. — Tasche dermo-muscolari viste dall'interno del corpo. » 8. — Sezione orizzontale longitudinale attraverso alle tasche dermo- muscolari (ingrandimento 34 diametri). » 9. — Sezione trasyersa, perpendicolare all’asse longitudinale del corpo, di una tasca dermo-muscolare (ingrandimento 34 diametri). » 10. — Spermatocito in via di dividersi (ingrandimento 370 diametri). s 11. — Oocito in via di dividersi (ingrandimento 370 diametri). »s 12. — Sezione longitudinale semischematica onde mostrare la disposi- zione dell'apparato sessuale ed i suoi rapporti coi varì segmenti. 446 LUIGI COGNETTI — UN NUOVO GENERE, ECC. ABBREVIAZIONI c.î. — cuore intestinale. cel. — clitello. dsp. — dissepimento. ep. — epidermide, gh. — strato ghiandolare. gh. c. — ghiandole calcifere. int. — intestino. m.c. — muscoli circolari. m. tl. — muscoli longitudinali. m.s. — muscoli motori delle setole. nef. — condotto terminale di un nefridio. ov. — ovario del 1° paio. ov. — ovario del 2° paio. p. — nuclei delle cellule peritoneali. p. v. d. — padiglione del vaso deferente. t. — testis (per semplicità sono omessi gli spermatociti). v. d. — vaso deferente. 9? — aperture femminili. OPERE CITATE (1) Ersen G., Researches in American Oligochaeta with especial reference ‘to those of the Pacific coast and adjacent islands, “ Proceedings of the Cali- fornia Academy of Science ,, III series, vol. II, n° 2, 1900. (2) Hesse R., Zur vergleichende Anatomie der Oligochaeten, “ Zeitschrift fir wissenschaftliche Zoologie ,, LVIII Bd., 1894. (3) Micnaersen W., Organisation einiger neuer oder wenig bekannter Regen- wiirmer von Westindien und Siidamerika, “ Zoologischen Jahrbichern, Abth. f. Anat. u. Ont. der Thiere ,, X Bd., 1897. (4) MicnarLsen W., Die Terricolen-Fauna Columbiens, “ Archiv fir Natur- geschichte ,, LXVI Bd., I Heft, 1900. (5) MiczaeLsen W., Oligochaeta, “ Das Tierreich ,, 10 Lief., Berlin, 1900. (6) Rosa D., Geoscolex Bergi, n. sp., “ Comunicaciones del Museo Nacional de Buenos Aires ,, T.I, n. 6, 1900. 447 Relazione sulla Memoria del Dr. Antonio Garpasso: Su le correnti di scarica dei condensatori secondo due cir- cuiti derivati. Il Dottor Garbasso studia le correnti cui dà luogo la scarica di un condensatore lungo un conduttore filiforme biforcato. Egli discute accuratamente la soluzione rigorosa da lui otte- nuta e fra altro pone in rilievo che la corrente di scarica risulta in generale dalla sovrapposizione di due altre, l’una delle quali è di verso costante mentre l’altra, a seconda delle circostanze, può essere alternativa. Il lavoro è opportunamente corredato dei risultati di espe- rienze atte a verificare le conclusioni teoriche. Tenuto conto dell'importanza dell'argomento e dell’ abilità colla quale l'Autore ne ha svolto la soluzione analitica ed ha con dati sperimentali confermato i risultati della teoria, i sot- toscritti propongono alla Classe la lettura della Memoria del Dottor Garbasso. A. NACCARI, (G. GRASSI, G. MorERA, relatore. L’ Accademico Segretario Enrico D’Ovipro. 448 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE \ Adunanza del 20 Aprile 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: PevRon, Vice-Presidente dell’Acca- demia, FeRrRERO, Direttore della Classe, Rossi, MANNO, BOLLATI pi Saint-Pierre, Pezzi, CARLE, GRAF, CrpoLLA, Brusa, ALLIEVO, Pizzi, CHIRONI, SAvio e RENIER Segretario. È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente, 6 aprile 1902. Si comunica che l'Accademia Olimpica di Vicenza apre il concorso al premio Formenton (L. 3160) sul tema: “ Gli Ita- liani nel continente Sud-Americano ,. Il termine utile per la presentazione dei lavori scade col 31 dicembre 1906. Il Presidente. fa omaggio all'Accademia, da parte della Direzione della Scuola di Archeologia di Roma, del volume di Luigi SavienonI e Gaetano De Sanctis, Esplorazione archeologica delle provincie occidentali di Creta, Roma, tip. dei Lincei, 1901. Il Socio Savio presenta il volume del conte SANMINIATELLI- ZABARELLA, Lo assedio di Malta: 18 maggio a 8 settembre 1565, Torino, tip. Salesiana, 1902, e pronunzia su di esso la seguente relazione: Il libro, che ho l’onore di presentare all'Accademia, contiene la narrazione d’un episodio guerresco tra i più insigni che la storia rammenti. i i init it d nine ni ii 449 I Cavalieri dell'Ospedale avevano perduta l’isola di Rodi, e da poco tempo Carlo V, come re di Napoli, avea loro ceduta l'isola di Malta, ed essi ancora attendevano all'opera di forti- ficarla, quando si videro sul punto di perderla. Solimano il magnifico, come lo dissero i suoi, che li aveva discacciati da Rodi, li volle pure discacciare da Malta. Una flotta numerosa, montata da circa 30 mila soldati, ben fornita di artiglierie e di vettovaglie, comandata da tre dei più valenti capitani al servizio della Sublime Porta, il 18 maggio del 1565 si accostò a Malta per occuparla. I difensori, sparpa- gliati nei varii punti più importanti del territorio, non ascende- vano a diecimila; ma un nobile ardore di fede e di gloria li animava, e l'esempio e la sapiente direzione del prode Gran Maestro Giovanni de la Valette accresceva la loro fiducia. L’e- sito felice coronò le fatiche, gli sforzi, le angosce ed i sacrifizii di molte vite, che per il corso di tre mesi e mezzo fecero i Cavalieri, ed i Turchi avviliti e stanchi dovettero alla fine di- partirsi dall’assedio e lasciar liberi i cristiani. L'autore di questa narrazione è un valente ufficiale supe- riore del nostro esercito, che ama: con passione la sua nobile carriera. Dimorando sulle aduste arene della nostra Colonia Eritrea non gli mancarono occasioni di mostrare la sua bravura e la sua esperienza nelle armi combattendo contro. i barbari nostri vicini. Intanto col pensiero ricorreva alle geste gloriose dei tra- passati, ed in particolare l'assedio e la difesa di Malta del 1565 attirò la sua attenzione. Onde, appena gli fu concesso, consacrò allo studio di quel fatto tutto il tempo, che per lo spazio di sei anni gli rimase libero dai doveri della milizia. Frutto della sua diligenza è il libro, che presento. Con esso l'Autore protesta di non aver voluto comporre un'opera per quei dotti, ai quali piacciono solo le ricerche ori- ginali ed i documenti inediti. Egli ha scritto per il gran pub- blico, e particolarmente ha inteso rivolgersi ai suoi compagni d’arme. Ma ciò non toglie, che anche per i dotti di professione, per gli specialisti, la narrazione di un fatto militare, scritta da un militare, esperimentato nella vita e nel linguaggio della milizia, abbia un pregio, che è ben lungi dall’essere comune. Inoltre 450 credo che essi, non dirò al pari, ma più degli altri, siano pronti a lodare le storie, scritte, come questa, con diligenza, esattezza, ed imparzialità. Che se talora il discorso è alquanto vibrato, e si scorge che chi scrive è un soldato ed un credente, il quale nutre gli stessi sentimenti, che rendevano forti i Cavalieri crociati, nessuno tema che questo, se deve dirsi difetto e non piuttosto atto di civile coraggio, tolga niente a quell’oggettività, che dev'essere sempre il primo scopo d'uno storico sincero, e ch'egli pure si prefisse. Per tutte queste ragioni son persuaso che l'Accademia gra- dirà l’opera del bravo Colonnello Sanminiatelli, e plaudirà al nobile esempio ch’ egli ha dato ai nostri militari, occupandosi con sì felice risultato in uno studio tanto utile e tanto con- forme alla sua professione. Il Socio CHIRoNI presenta le seguenti due pubblicazioni: BonrantE, La progressiva diversificazione del diritto pubblico e privato, Roma, 1902 e Nani, Storia del diritto privato italiano, pubblicata per cura del prof. Ruffini, Torino, 1902, Di quest’ul- tima opera, dovuta ad un benemerito e rimpianto membro del- l'Accademia, il socio CHTRONI pronunzia parole di elogio. Il Socio CrpoLra incaricato col Vice-Presidente Peyrow di riferire intorno alla Memoria del Dr. Paolo UBALDI, La sinodo “ad Quercum , dell'anno 403, legge la relazione che è inserita negli Atti. La relazione è approvata a voti unanimi. Presa co- gnizione dello scritto, la Classe ne approva con votazione se- greta unanime l’inserzione nelle Memorie accademiche. 451 Relazione sulla Memoria del Dr. Paolo Usarpi: La sinodo “ad Quercum , dell'anno 403. I sottoscritti hanno preso in esame la Memoria del dottor Paolo Ubaldi sulla Sinodo “ad Quercum , dell'anno 408. È questa la Sinodo in cui, per opera di Teofilo, e coll’appoggio e il consiglio di Arcadio e di Eudossia, si pronunciò giudizio sfavorevole contro S. Giovanni Grisostomo. Il dott. Ubaldi studia ampiamente la materia, risalendo fino ai primi inizi della lotta fra il Grisostomo e Teofilo, parlando anche delle condizioni di Costantinopoli in quel momento, illustrando le lotte religiose continuamente ripullulanti a Bisanzio, in Asia, ad Alessandria, e chiarendo ia varia condotta della Corte imperiale. Mercè di questo ampio e profondo esame della società ec- clesiastica e civile, l’Ubaldi riesce a mettere in luce le cause della lotta, le fasi che essa attraversò, le condizioni in cui essa si svolse. Come corollario di tutto questo, viene l'esame delle accuse sostenute da Teofilo contro il Grisostomo nella Sinodo “ad Quercum ,, le quali si riducono, almeno sostanzialmente, all’intrigo e alla malevolenza. La monografia del dott. Ubaldi, come è pregevole per la sostanza, così è lodevole anche per la forma, chiara e per- suasiva. I sottoscritti non esitano quindi a proporre che essa sia letta alla Classe. B. PEYRON, _ €. CrpoLLa, Relatore. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Forino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. ta = È » > sco (AT COSO n et poi ef ì IT > Costi E ; pari 1) RR “Da fi ro” aa sari le storie, ri a} cotne'e ql area b ret, parzi Short Pt of (os, 10 ah sno is ghi serivé È un'soldato’$0%n omstlisio, è mete 8 à: sentimenti, Cai PRA rende: ano “Burt i evalien crotiati, SUM Gato 166; sito ts Pila Genio ni GaSAf osssuif Dada t pr: me. due "ito Here UO ist abbi; alfoa pera UU 'bigadaga TOSO tI 101000" HP Rroqoog iis ehi obionià n oisibi fg Gin bia! ROTA ify'‘8" dibadr lib corta dute sbiao 1909" RI sortrodeisint) ie e Wizado 1 15h area ein ini a osti ‘obito Laet rhisdibinte! 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Concludiamo perciò: La nostra congruenza (3,3) IRR i due fasci di rette ap- partenenti rispett. ai piani x,="0 e xg=0 e aventi è centri nei punti x: =X,=X,=0 e x,=x3 =x3=0. Ogni retta”sta del l’uno che dell’altro fascio ha la proprietà di contare come DUE fra le tre rette della congruenza che stanno in un qualsiasi piano per essa. E dualmente: Gli altri due fasci di rette contenuti nella congruenza appar- tengono rispett. aî piani x3= 0 e x4 = 0 e hanno per centri rispet- tivi i punti x, = x3 =Xx,=0ex,=xg3=X,=0. Ciascuna retta sia dell'uno che dell'altro di questi fasci conta come DuE fra le tre rette della congruenza uscenti da un suo punto qualunque. I piani xx =0 e x,=0 fanno dunque parte della super- ficie luogo dei fuochi della congruenza (cioè luogo dei punti pei. quali passano due rette infinitamente vicine della congruenza). Benchè la congruenza sia definita come insieme delle tangenti principali (del 2° sistema) della rigata È., pure la sua superficie focale non è tutta data da £?; ma abbraccia anche quei due piani come luoghi, e (similmente) i due punti x;=x,= 23=0 e x,=2x,=x%,=0 come inviluppi. Quei piani (questi punti) sono precisamente luoghi (inviluppi) di co! raggi della congruenza, ciascuno dei quali ha co! fuochi (piani focali). Questa congruenza (3,3) ha il. genere sezionale p= 2 (*). Infatti, nella rigata costituita dalle rette della congruenza che si appoggiano a una retta generica r dello spazio, le terne di generatrici uscenti dai singoli punti di » formano una serie li- neare 9g; con tre elementi tripli (corrispondenti alle intersezioni di r con 3) ciascuno dei quali conta come due elementi doppi, (*) Con questo nome ho già indicato nella mia Mem. cit. il genere della rigata intersezione di una data congruenza con un complesso lineare gene- rico, e quindi anche della rigata formata dalle rette della congruenza che sì appoggiano a una retta generica dello spazio. LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 505 e con due ulteriori elementi doppi (corrispondenti alle intersezioni di r coi piani x3=0 e x, =0). Sarà dunque, per una nota formola: 23+p—1)=3242=8 .(*) da cui appunto p= 2. Segue altresì da quanto si è detto che da un punto gene- rico del piano x3=0, 0 x4=0, esce un solo raggio della con- gruenza non contenuto in questo piano. La congruenza risulta così rappresentata birazionalmente sopra ciascuno di questi piani. Alle rigate sestiche sue intersezioni coi complessi lineari di rette corrispondono, ad es. nel piano x, = 0, le quartiche del sistema lineare 00°, di grado 6 e genere 2: ax,0 + (bei t cart deo tea) es +-faros=0 aventi nel punto x, =.= 0 una cuspide colla tangente xx=0, nel punto x. = 3 =0 un flesso colla tangente x; = 0, e pas- santi ancora semplicemente per il punto x, = x3 =0. 4.— L'equazione di una “ rigata di Cayley , (£?) avente per retta doppia la retta x; = x,= 0, e come punto uniplanare il punto xr.=x3=x,=0 col piano tangente x, = 0, si può met- tere sotto la forma (**): (1) eci + c0030, = a. Le quadriche osculatrici a questa rigata lungo le singole sue generatrici avranno tutte a comune con essa le due direttrici rettilinee infinitamente vicine; saranno cioè raccordate ad essa lungo l’intera retta x; =x,=0. E precisamente la quadrica osculatrice a R* lungo la generatrice contenuta nel piano X3 + Xx,=0 avrà per equazione: (2) 14 + 0223 +3X2 +3 3024 +Nai=0. (*) La superficie focale-luogo complessiva deve infatti considerarsi come di 8° ordine, comprendendo la R? contata due volte, e i piani x3=0 e x,=0. Il ragionamento fatto di sopra equivale appunto a questa consi- derazione. (**) Sanxwon-FrepLER, Op. cit., pag. 369. 506 GINO FANO La congruenza (3,3) formata dalle tangenti alle asintotiche del secondo sistema sulla rigata £ (*) si comporrà delle genera- trici di tutte queste quadriche appartenenti al sistema di xg = x,= 0. Fra le co! quadriche (2) una soltanto è degenere (\= +00) e si compone del piano x,=0 contato due volte. Corrispondentemente, la congruenza (3,3) contiene un unico fascio di rette, che ha per centro il punto uniplanare della rigata £3 e sta nel relativo piano tangente. Ogni retta di questo fascio conta come due fra le tre che appartengono ad ogni suo punto e ad ogni suo piano, ed è perciò raggio doppio della con- gruenza (**). Il piano e il centro del fascio (contati due volte) appartengono alla superficie focale, risp. luogo e inviluppo, della congruenza. All’infuori di quel fascio, non vi sono nella con- gruenza altri coni od inviluppi piani. La congruenza si rappresenta birazionalmente sul piano singolare x, = 0, facendo corrispondere a ogni suo raggio la propria traccia su questo piano. Alle rigate sestiche intersezioni di essa cogli 005 complessi lineari dello spazio corrispondono le curve di 4° ordine del sistema lineare: a}x: + 9x, ar +27 xi} (3) + brad +car +daxa +eco +faxi=0 aventi a comune un tacnodo (xx =%;= 0) colla relativa tan- gente (23 = 0), e un punto semplice consecutivo al tacnodo su ciascuno dei due rami di curva passanti pel tacnodo stesso. Queste quartiche sono di genere uno; e perciò: L'attuale con- gruenza (3,3) ha il genere sezionale p= 1. — Il trinomio fra pa- rentesi nell'equazione (3) si spezza, a meno del fattore nume- rico 27, nel prodotto di due fattori quadratici (distinti): (21.23 +_m 3) (21.23 + n 3), (*) Queste asintotiche sono cubiche sghembe passanti per il punto cuspi- dale della rigata ?, e ivi tangenti alla retta doppia di questa rigata e oscu- latrici al suo piano cuspidale. Cfr. i lavori citati di Cressca (pag. 22) e Cremona (pag. 23). (**) Cfr. la mia Mem. cit., n. 10 e relativa nota. LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 8° ORDINE, ECC. 507 E la trasformazione quadratica: ci: do: da = XX — mXî: XX: Xi. coi tre punti fondamentali tutti infinitamente vicini (come anche l’analoga, che si ottiene sostituendo a m l’altro coefficiente n) muta il sistema lineare (3) di quartiche nel sistema di cu- biche (*): (4) + BA X5 +e A+ (A— mb) XXX +eX XX 4+fX3=0 27 a Xx} XX3 +4 (n — m) X3{ aventi a comune tre punti semplici consecutivi nella posizione X=X3=0, lungo la conica X X3+(n—-mX3=0; vale a dire i tre punti base della rete di coniche: In quest’ultima rappresentazione piana a ognuno degli oo! raggi doppi della congruenza (3,3) corrisponde una coppia di punti semplici distinti: uno sulla retta X3 =0, e l’altro consecutivo ai tre punti basi. Infatti la terza intersezione della cubica ge- nerica (4) colla retta X: =0 (che è tangente comune nel punto X.= X3=0) dipende dall’equazione: 27an—-m)X, +e X}=0 e perciò soltanto dal rapporto pr (al quale si può anzi dire che corrisponde proiettivamente). D'altra parte, la condizione perchè la cubica (4) contenga un determinato punto consecutivo ai tre punti basi, p. e. quello che appartiene alla conica generica (5) — ossia la condizione perchè le curve (4) e (5) abbiano non soltanto tre, ma quattro intersezioni coincidenti in X3==X3=0 — si trova essere: 27a\(n-m)t+e=0 (*) I due sistemi lineari 00° (3) e (4) non sono però completi (ossia in- dividuati dai soli punti basi); quindi l’attuale congruenza (3, 3), come su- perficie dello spazio S;, non è normale: ma è invece normale per Sg. 508 GINO FANO e dipende perciò anche dal solo valore di st Sicchè tutte le cubiche del sistema (4) che incontrano la retta X3 =0 (fuori di X3= X3=0) in un medesimo punto avranno a comune al- tresì un ulteriore punto consecutivo ai tre punti basi, e viceversa. Questi due punti semplici saranno perciò le immagini di un medesimo raggio doppio improprio della congruenza (3,9). 5. — Si abbia ora una superficie cubica #3 non rigata, sulla quale le asintotiche si ripartiscano in due fasci distinti, e le tangenti principali perciò in due congruenze pure distinte F,el,, ciascuna del 3° ordine. Sia a una retta qualunque con- tenuta in 3; dico che i punti di a devono essere tutti, per la superficie, punti parabolici. Infatti, se così non fosse, ad ogni punto generico P di a apparterrebbero due tangenti principali della superficie, una dellee quali sarebbe a stessa, mentre l’altra p ne sarebbe distinta. Una di queste due rette, e sia ad es. a, apparterrebbe alla congruenza F,; l’altra alla congruenza f.. Però sopra a vi sarà certo qualche punto parabolico (il quale potrebbe essere, eventualmente anche: un punto doppio della superficie, oppure un punto semplice dal quale escano tre rette della superficie contenute in un piano, e perciò infinite tangenti principali). Facendo avvicinare P inde- finitamente, sopra a, a un tal punto, le due tangenti principali uscenti da esso dovranno tendere a coincidere; ossia p tenderà a coincidere con a. La retta a sarà dunque, in ogni caso, una posi- zione limite della p, al variare di questa in modo opportuno entro la congruenza F,: sarà perciò anch'essa una retta di quest’ultima congruenza. Da ogni punto P di a escirebbero così almeno quattro rette della congruenza 3: @ stessa, e la p che va contata tre volte; quel punto sarebbe dunque singolare, e dovrebbe perciò appartenere a infinite rette della congruenza T,; vale a. dire ogni tangente in P dovrebbe essere tangente tripunta. Ora, se la superficie F* non è rigata, ciò non può avvenire per tutti i punti di a, a meno che non vi sia lungo questa retta un unico piano tangente che incontri 3 secondo a stessa contata tre volte. E allora i punti di a sarebbero tutti parabolici, contro LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 5° ORDINE, ECC. 509 l'ipotesi fatta (e sarebbe anzi questo un caso particolarissimo di una retta luogo di punti parabolici). Di qui si deduce facilmente che la retta a — essendo luogo di punti parabolici — deve contenere due punti doppi della su- perficie F* (distinti, od infinitamente vicini); poichè, se non ne contenesse alcuno, oppure ne contenesse uno soltanto, sempre il piano tangente a F? in un punto generico P di a incontrerebbe £*, all'infuori di « stessa, secondo una conica passante per P e non tangente ad a; sicchè l’intersezione complessiva avrebbe in P un punto doppio con tangenti distinte. Se invece sopra 4 stanno due punti doppi della superficie, questa ammetterà lungo a stessa un unico piano tangente, che l’incontrerà secondo « contata due volte e in un’altra retta 2, distinta in generale da @; e ogni punto di a sarà allora parabolico. — I due punti doppi di /? esi- stenti sulla retta « potrebbero anche essere infinitamente vicini: allora sulla retta a vi sarebbe, sostanzialmente, un unico punto doppio biplanare (o uniplanare), i cui due piani tangenti con- terrebbero entrambi la @ (*). Concludiamo pertanto: Ogni retta esistente sulla superficie F* deve contenere due punti doppi distinti di questa superficie, oppure un punto doppio almeno biplanare del quale essa sia l’asse. Inoltre F° sarà toccata lungo quell’intera retta da un medesimo piano tangente. 6. — In una importante Memoria di ScnLaAErLI (**) sono enumerati tutti i varî casi che può presentare una superficie cubica non rigata a seconda del numero e tipo dei suoi punti doppi. E se ne hanno in tutto 21 casi diversi (*#**) (#***). Ora è facile riconoscere che le condizioni enunciate alla fine del n° prec. riguardo alle rette contenute nella superficie /® (*) Cfr. C. Segre, Sulla scomposizione dei punti singolari delle superficie algebriche (£ Ann. di Matem. ,, ser. 2*, t. 25°, pag. 12). (**) On the distribution of surfaces of the third order into Species....., “ Phil. Trans. ,, 1863, pag. 193 e seg. (#**) A noi interessano qui soltanto le “ famiglie , (da ScnraerLI distinte con numeri romani) e non le “ specie ,, le quali dipendono soltanto dalla realtà o meno di certi elementi (nell'ipotesi che sia reale la superficie). (#***) Cfr. anche SaLmon-FrepLer, Op. cit., pag. 374. 510 GINO FANO sono soddisfatte per tre soltanto (le tre ultime) delle 21 famiglie di SCHLAEFLI. E infatti: 1) Vanno escluse anzitutto le superficie prive di punti doppi, o che contengono soltanto punti doppi conici; poichè vi è sempre qualche retta che non contiene nessuno di questi punti doppi (Famiglie I, II, IV, VII, XVI); 2) Tra le superficie che contengono uno o più punti doppi biplanari e eventualmente anche qualche punto doppio conico — in numero complessivo di i “3 —, vanno escluse tutte quelle che contengono altre rette all’infuori delle | È che congiungono i punti doppi a due a due, e di quelle che fossero eventual- mente assi dei punti doppi biplanari — cioè intersezioni dei relativi piani tangenti —, avvertendo che quest’ultimo caso si presenta soltanto per quei punti doppi che producono un abbas- samento di almeno quattro unità nella classe della superficie. Si eliminano così anche le Famiglie III, V, VI, VII, IX, X, XI, XII, XIV, XVII, XVII; 3) Infine, tra le superficie aventi un punto doppio uni- planare, vanno escluse quelle che contengono qualche retta non passante per questo punto (Famiglie XII e XV). Rimangono invece i tre tipi seguenti: 1) La superficie XIX di equazione: Carole (21 Ea %3) con un punto doppio biplanare (rr =.= %3= 0) e un punto doppio conico (x, = x3 = x,="0), la quale contiene due rette: la congiungente dei due punti doppi (x. = «3 = 0), e l’asse del punto biplanare (x, =.= 0); 2) La superficie XX di equazione: xÌ = Xa (co LA + x3) col punto doppio uniplanare x =x.= x3=0 e la sola retta aj tal, = 0 3) La superficie XXI di equazione: vi Sava LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 511 contenente tre punti doppi biplanari e le (sole) tre rette che congiungono questi punti a due a due. Fra queste dovranno trovarsi le /*® che noi andiamo: cer- cando. Ciascuna di queste superficie contiene una retta (xx = x,= 0) tale che il piano tangente lungo di essa (xx5=0) la incontra se- condo la medesima retta soltanto, contata tre volte. Su questa sola proprietà si fonda la discussione ulteriore che faremo nei n' segg. Però, anche senza ricorrere all’enumerazione di SCHLAEFLI, si può dedurre facilmente dall’ultimo enunciato del n° prec. che le #3 ivi considerate contengono tutte almeno una retta la quale, contata tre volte, forma la loro intersezione col piano tangente lungo di essa. E dico anzi che, supposto che vi sia una retta a (quale ad es. la x =x3=0 del caso XIX di ScaLaerL1) tale che il piano IT, tangente lungo di essa incontri ulteriormente F® secondo una retta è distinta da @, dovrà il piano tangente a #? lungo d essere osculatore alla superficie come a noi occorre: non potrà cioè quest'ultimo piano contenere un'ulteriore retta c della super- ficie distinta da d. Infatti la retta 5 non può contenere altri punti doppi di F* all’infuori del punto ad (perchè altri non ne contiene, sopra d, la sezione a?> determinata dal piano TT,); e similmente la retta c, se distinta da 5, non potrebbe contenerne altri all’in- fuori di de. Di qui si trae che il punto de non può essere di- stinto da «5; vale a dire che anche c passerà per il punto ad (senza stare nel piano ad). È allora, al pari 2, anche e dovrebbe essere asse del punto doppio biplanare (e non uniplanare) ade: il che non è possibile, se c è distinta da bd. 7. — Sia dunque a una retta, certo esistente sulla super- ficie F,, tale che il relativo piano tangente non incontri ulte- riormente questa superficie. Assumendo a come retta x=x=0 e il piano tangente lungo di essa come piano x, = 0, l'equazione della superficie sarà della forma: (1) cd —c.g=0 dove g è una forma quadratica nelle x,.. Allora le quadriche del sistema lineare 008; (2) Pi+ax + Beet ra=0 512 GINO FANO (dove a, 8, y sono i tre parametri) segheranno sopra #? le 003 terne di coniche contenute nei piani per a; poichè, eliminando @ fra‘ le equazioni (1) e (2), si ha la nuova equazione, conse- guenza delle precedenti: (3) xi+axa. + Bag +vyxì}=0 che può rappresentare ogni terna di piani per la retta a,=x=0 (ossia a). In particolare, quando la (3) rappresenti un unico piano per a, e sia il piano x, + kx, = 0, contato tre volte, la qua- drica (2) corrispondente, vale a dire: (25) pH 3h ei + 34? 2 0 +- kai = 0 sarà osculatrice a /? lungo la conica contenuta nel piano sud- detto x, + %kx:=" 0. E perciò, in un punto qualunque di questa conica, le due tangenti principali di F? non saranno altro che le generatrici della quadrica (2’') uscenti dal punto stesso. La congruenza delle tangenti principali della superficie F* si comporrà dunque delle generatrici di ambo i sistemi delle co! quadriche (2') (e, eventualmente, di qualche parte singolare, come sarebbe ad es. il piano rigato x, ==0). | Perchè dunque la congruenza delle tangenti principali di #* si spezzi in due parti distinte, ciascuna del 3° ordine, è neces- sario e sufficiente che le due schiere di generatrici della qua- drica (2’) descrivano, al variare di %, sistemi di rette distinti. Ora, il sistema oo! di quadriche (2’) può considerarsi come una curva razionale, c precisamente una cubica sghemba, nello spazio Ss costituito dal sistema lineare (2): allora l’insieme delle schiere rigate di tutte queste 008 quadriche apparirà come un $S3 doppio, la cui varietà di diramazione è data dalla va- rietà 00? dei coni contenuti in (2); e noi domandiamo che la cubica suddetta (2’) sia immagine, in questo spazio doppio, di una coppia di curve razionali distinte. Perciò è necessario e sufficiente (*) che questa cubica sia tangente alla varietà di (*) Cfr. anche il ragionamento analogo, più dettagliato, nella mia Mem. cit., n° 61. IE, TE SETA ET LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 5° ORDINE, ECC. 513 diramazione dello spazio doppio in ogni sua intersezione con essa; vale a dire che il sistema o! di quadriche (2’) sia tan- gente al sistema co? dei coni contenuti in (2) in ogni elemento il quale sia comune ad essi. 8. — La varietà 00? dei coni contenuti nel sistema li- neare (2) è di quarto grado. Ma da essa si stacca la rete di coppie di piani: ari + Ba, e + vas=0 che va contata due volte; sicchè di questa non occorre occu- parsi ulteriormente. Rimane, come parte residua, una varietà quadratica (M) di coni. Si ponga ora p@=%Z ax x; xx, dove, al solito, @x =@;; e si indichino con A il discriminante di @, con A, i subdeterminanti dei singoli elementi a,. Se noi for- miamo il discriminante dell'equazione (2°) e lo ‘eguagliamo a zero, l'equazione (di 4° grado) in % che ne risulta, vale a dire: (4) I (433044 — ask + Axgk3+ 3 Ak?+ SAnk + MEA ci determinerà i quattro coni contenuti nel sistema (2’) — in- tersezioni cioè di questo sistema cubico colla varietà quadra- tica M — all'infuori del piano doppio «= 0, che corrisponde al valore X =+%, e che è già un elemento di contatto di quei due sistemi di quadriche (*). Tutto si riduce adunque a doman- {*) Lo prova il fatto che l'equazione (4), la quale avrebbe dovuto essere di 6° grado, si è abbassata al 49 ma si può anche riconoscerlo diretta- mente. — Infatti il sistema (2') è tangente nell'elemento x2°= 0 al fascio x + \x,x2= 0; e la varietà M, la quale entro il sistema (2) avrebbe per equazione (nei parametri a, f, y): : 2, ! bar * È \(agsant (3°) + 0A,1-+ BA19-+-YA9 + A=0 / è tangente in quello stesso elemento alla rete: (04 (43944 sera 43,3) + Agg = 0 la cui equazione nelle x; è: D. | pa — x + Berg t Yax ==(1) 2 A33444, — A34 E quel fascio è evidentemente contenuto in questa rete. 514 GINO FANO dare che l’equazione (4), di 4° grado in %, abbia due radici doppie. Per semplificare la ricerca e l’interpretazione delle con- dizioni a ciò necessarie, possiamo valerci dell’osservazione se- guente. Non essendosi fatta sinora alcuna ipotesi sulla posi- zione del piano x, =0 nel fascio di asse a (ossia a, =x,=0), noi possiamo sostituirgli qualsiasi altro piano x, + %xa = 0 (di- stinto dal piano x = 0 tangente a /° lungo a), sostituendo in pari tempo alla quadrica p=0 quella quadrica (2') che cor- risponde al medesimo valore di %. Pertanto, se nel sistema (2°) oltre al piano doppio «= 0 vi è qualche altra quadrica dege- nere (cono o coppia di piani), noi potremo supporre che sia questa stessa la p=0 (e sia quindi A=0), bastando perciò prendere come nuovo piano x, = 0 il piano della conica lungo cui tale quadrica è osculatrice a F?. Ora è facile riconoscere che nel detto sistema (2’) vi è certo questa ulteriore quadrica degenere. Infatti, se vi fosse soltanto il piano doppio x: = 0, l'equazione (4) non dovrebbe essere sod- disfatta da nessun valore finito di k; dovrebbe dunque essere: ass ag = Ur = Al Ag ='AN=0 A 0 Allora nel determinante aggiunto di A: B = | Ain I — Aù = 0 sarebbero nulli i subdeterminanti dei tre elementi A33, 434, 444; e siccome questi sono rispett. eguali a d33 A; a3g4 4°; Gu A° così, essendo 4=+-0, ne seguirebbe 433 = a34=4u4=0. La retta x, = x, = 0 apparterrebbe quindi alla quadrica g = 0, e sarebbe di conseguenza retta doppia per la superficie data ? (che ha l'equazione xî — x» @ =0). E ciò non può essere, se la 7 non è rigata. 9. — Sia dunque p=0 una quadrica degenere, e perciò A=0. L'equazione (4) ammetterà allora la radice X= 0; e, poichè ogni sua radice deve essere doppia (o quadrupla), sarà SIE TSE I nc LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 515 pure A,= 0. Ora, per una nota proprietà dei determinanti, essendo 4A= 4,=0, sarà altresì Ag =VA;.Ag=0: la ra- dice #= 0 dell’equazione (4) è dunque almeno tripla, e perciò certo quadrupla; quindi 4,» = 0. E di qui si vede subito che la quadrica g=0 è una coppia di piani; perchè, se fosse un cono propriamente detto, il suo vertice avrebbe le coordinate x, e x2 (rispett. = An,VA4y) nulle, starebbe cioè sulla retta a,=2x:;=0; e assumendo allora questo come punto x, = x, == 0, man- cherebbe in ©, e quindi in tutta l'equazione di 3, la coordi- nata x,; sicchè > sarebbe un cono. Questa stessa osservazione mostra altresì che i due piani componenti la quadrica p=0 sono certo distinti e s’intersecano secondo una retta non inci- dente alla x =x.=0: assumendoli pertanto come piani x3=0 e x,=0, sarà @=%3%, (a meno di un fattore numerico, dal quale si può prescindere). E l'equazione della superficie /* sarà di conseguenza: rift? 15% PREDE Questa è la superficie XXI di ScHLAEFLI (*): la sola superficie di 3° ordine non rigata la quale sia pure di 3* classe. Essa ha tre punti doppi biplanari distinti, e contiene soltanto le tre rette che congiungono questi punti doppi a due a due: ciascuna delle tre rette, contata tre volte, è l’intersezione completa della su- perficie col piano tangente lungo di essa. In questo caso, eîn questo caso soltanto, — essendo verificate le condizioni di cui ai prec. n.° 7 e 8 — le tangenti principali della superficie sì ripartiranno fra due distinte congruenze del 3° ordine (come verificheremo anche direttamente al n° seg.). E precisamente dalla congruenza complessiva (6,9) delle tangenti principali si staccheranno i tre piani rigati tangenti rispett. lungo le tre rette della superficie (ossia i piani 2,=0, x3= 0, x4=0); e la parte residua si spezzerà in due congruenze (3,3). Ciascuna di queste congruenze (3,3) contiene tre sistemi oo! d’indice tre di rigate quadriche: le superficie sostegni di queste (#) Per le superficie XIX e XX di Scararrti (cfr. n° 6) l'equazione (4) del n° 8 avrebbe X=0 come radice rispett. tripla, e semplice: è perciò che anche questi due casi risultano ora esclusi. 516 GINO FANO rigate sono le stesse per entrambe le congruenze. Di questi si- stemi co' di quadriche, uno ha l'equazione: (2/) x3 + Bkai + 3% 2, 0° + 43x05 =0; e le equazioni degli altri due si ottengono da questa permu- tando i tre indici 2, 3, 4 (due dei quali compaiono simmetri- camente). Le quadriche ad es. del sistema (2') sono tangenti ai piani x3=0 e x,=0 nelle loro intersezioni colla retta x == 0; sul piano x».=0 esse segano il fascio di coniche cgco4 + kai = 0. I se? fasci di rette che hanno per centri, a due a due, i tre punti doppi della superficie F® e stanno nei relativi piani tan- genti, appartengono tutti a entrambe le congruenze (3,3). Per ogni punto generico di ciascuno dei tre piani x, = 0, x =0,x,=0 passa una sola retta sì dell'una che dell’altra congruenza non contenuta in quel piano. Ne seguono delle rap- presentazioni birazionali delle due congruenze sopra quei piani, nelle quali alle rigate sestiche intersezioni delle congruenze coi complessi lineari di rette corrispondono curve di 4° ordine e di genere uno, aventi a comune due punti doppi e una tangente in ciascuno di questi punti. 10. — La superficie %î = x, #3 x, è (al pari delle rigate cubiche considerate ai n' 3 e 4) una superficie-W di K1erx- Lie (*). Essa è trasformata in sè stessa da un gruppo con- tinuo co° di omografie permutabili, nel quale sono contenuti due sottogruppi pure continui co' aventi per traiettorie sulla super- ficie rispett. i due fasci di asintotiche. Questa proprietà, comune a tutte le superficie-W e già notata da KLreIin e Lie, basta per affermare che le asintotiche devono ripartirsi in due fasci distinti. È anche nota la forma semplicissima delle equazioni delle linee asintotiche sopra una superficie-W. Nel caso attuale (**), (#) Sur une certaine famille de courbes et de surfaces (£ Compt. Rend. de l’Ac. d. Sc. ,, vol. LXX, 1870; pagg. 1222 e 1275). Cfr. anche altri lavori più recenti sì dell’uno che dell’altro di quei due geometri (p. e. Lre-ScHEFFERS, Geometrie der Beriihrungstransformationen, Leipzig, 1896; pagg. 334 e 361). (**) Per questo caso, la ricerca delle equazioni delle linee asintotiehe è proposta come esercizio nell’op. più volte cit. di SaLmon-FIEDLER, @ p. 74. LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 517 riferendoci, per maggior comodità, a coordinate cartesiane x, y, 2, e supponendo che x, = 0 sia il piano all’infinito, possiamo scri- vere l'equazione della nostra superficie sotto la forma: Co) 0 Aa "n E Vini ei Formando allora le derivate parziali prime e seconde di = ri- spetto a x, y (? Se , si trova come equazione diffe- renziale delle linee asintotiche : da dady du” >. ay + y SE ey — 0 che si riduce alla forma: ie Culi So ? «dy \ aedy Di qui, risolvendo, si ricava: ana aedy dove con e indichiamo una determinata — l'una o l'altra indifferentemente — delle due radici cubiche immaginarie del- 3 OO AN bee E ì l’unità (e SS AH ). Possiamo anche scrivere : \ hl x Y e quindi, integrando e passando dai logaritmi ai numeri: | = Cy® dove C è la costante arbitraria. Valendoci ora della relazione %ye = 1, ricaviamo per 2: ga=> L= 1 Lt Li, XY "e Cy£+1 ci Oy Fis i Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 34 518 GINO FANO E scambiando ancora, per maggior comodità, le variabili y e 2, potremo rappresentare analiticamente ogni asintotica della nostra superficie colle due equazioni: = Ge a È 25 soddisfacenti identicamente la xy2 = 1. Ai due valori di .€ cor- rispondono rispett. i due fasci di asintotiche: agli co! valori della costante C le singole asintotiche di ciascun fascio. Una sostituzione pari (circolare) sulle variabili x,y, non altera questo sistema di equazioni: una sostituzione dispari equivale a cambiare e in e?, cioè allo scambio dei due valori di e (*). Le equazioni della tangente alla curva suddetta in un suo punto qualunque — ossia di una retta generica dell’una o del- l’altra congruenza (3,3) —- saranno: Nece alli Kay o 0 Ceto LL diga car e si riducono facilmente alla forma: Kobe =» €Y e'z Ciascuna delle due congruenze (3,3) è contenuta in un complesso tetraedrale, poichè è trasformata in sè stessa da un gruppo 0° di omografie permutabili, col medesimo tetraedro fondamentale della superficie. La stessa proprietà sussiste pure (per la mede- sima ragione) per le congruenze considerate ai n' 3 e 4: soltanto (*) Se la superficie considerata è reale, e sono pure reali tutti tre i suoi punti doppi (e quindi il nostro sistema di coordinate), le linee asin- totiche saranno immaginarie, e saranno perciò ellittici tutti i punti della superficie (all'infuori delle tre rette, che sono luogo di punti parabolici). Però la nostra superficie, pur essendo reale, potrebbe avere un solo punto doppio reale, e gli altri due immaginari coniugati; allora la sua equazione, riferita a un sistema di coordinate reali, sarebbe del tipo 2 = sein 1 questo caso i punti della superficie sarebbero iperbolici, e quindi reali le asintotiche e le tangenti principali. LE CONGRUENZE DI RETTE DEL 8° ORDINE, ECC. 519 in quest’ultimo caso (n° 4) il complesso tetraedrale avrà i suoi punti e i suoi piani fondamentali tutti coincidenti. Concludiamo dunque, come risultato della presente Nota: Le congruenze di rette irriducibili del 3° ordine composte di tangenti principali di una superficie sono tutte di 3° classe, rap- presentabili sul piano, e contenute în complessi tetraedrali. E i soli casi possibili sono i seguenti: 1) La congruenza delle tangenti alle asintotiche del secondo sistema sopra una rigata cubica (a direttrici rettilinee distinte, o anche coincidenti). 2) La congruenza delle tangenti alle asintotiche dell'uno 0 dell'altro sistema sopra una superficie cubica non rigata con tre punti doppi biplanari (e perciò di 3° classe). Torino, maggio 1902. L’ Accademico Segretario Enrico D’OvIpio. 520 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 18 Maggio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Pevron, Vice Presidente dell’ Acca- demia, Rossi, Brusa, CHTRONI e RENIER Segretario. Sì approva l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 4 mag- gio 1902. Il Presidente comunica: 1°, il programma del premio Hoeufftiano bandito per concorso dalla R. Accademia delle Scienze di Amsterdam; 2°, il programma delle onoranze che si tributeranno in Parigi a Leopoldo DeLIsLE per solennizzare il 50° anniversario della sua entrata in quella Biblioteca Nazionale. Tra le pubblicazioni inviate in dono, il Presidente segnala l’opera postuma di un rimpianto nostro Socio corrispondente: I libri delle leggi di M. T. Cicerone, editi nel volgarizzamento di Carlo Negroni dal Comune di Novara; Novara, 1902. Il Socio CHIRONI presenta una nota propria sul tema: Del matrimonio celebrato tra cittadini all’estero davanti agli agenti di- plomatici e consolari, ed una nota di Mario Ricca-BARBERIS, 921 L'imperizia professionale nelle sue conseguenze civili. Entrambe compaiono negli Atti. Il Socio ReNIER presenta una seconda Memoria del prof, Giu- seppe Borrito, Intorno alla “ Quaestio de aqua et terra , attri- buita a Dante. — Il Presidente designa a riferirne il Socio proponente insieme col Socio CrpoLLa. 522 GIAMPIETRO CHIRONI LETTURE Del matrimonio celebrato all’estero fra cittadini italiani davanti agli agenti diplomatici 0 consolari. Nota del Socio GIAMPIETRO CHIRONI. Una questione grave, abbenchè la gravità sua si riduca quasi per intero alla dichiarazione di un punto della legge ci- vile (1), si è venuta or agitando, intorno la validità del matri- monio che cittadini italiani avessero celebrato davanti ad agenti diplomatici, in luoghi ove gli interessi nazionali sian pur curati da agenti consolari. Per una parte si è pensato, che la lettera della legge sia tale da costringere a dismettere ogni dubbio sul poter dei cittadini di volgersi a lor posta all'agente diplomatico oppure al console (1): ben chiaramente “ ai cittadini che si tro- “ vano fuori del regno , è concessa “ facoltà di far ricevere gli “ atti di nascita, matrimonio o morte dai regi agenti diplomatici “o consolari, purchè si osservino le forme stabilite dal co- “ dice (2) ,. Al qual ordinamento della legge civile si fa rispon- dere quello ch'è specialmente fissato nella legge consolare (3), e nel r. d. sullo stato civile (4): perchè contenendosi in questi atti legislativi l’attribuzione della qualità di uffiziale dello stato civile così ai consoli come agli agenti diplomatici, senza che sia essa temperata in particolar maniera per ognuna delle due specie di agenti, si verrebbe al risultato che si possa ricorrere a chiunque di loro si voglia per la celebrazione del matrimonio. Non altri son gli argomenti cui si ricorre a sostenere la dottrina ch’ebbe pure il suffragio di recenti decisioni giudi- ziarie (5): riducendosi tutto l’esser suo a ciò: che la legge civile (1) V. sugli Atti di matrimonio ricevuti all’estero dagli agenti diplomatici o consolari, gli studî dei proff. PrerAanToNI (Roma, 1901) e Frore (Roma, 1902). (2) Cod. civ., a. 368. (3) L. consol., 28 genn. 1866, a. 42. (4) R. D. 15 nov. 1865 per l’ordin. dello stato civile, a. 10. (5) C. d’app. di Roma, 4 marzo 1902, in Legge, 1902, I, pag. 515. DEL MATRIMONIO CELEBRATO ALL'ESTERO, ECC. 523 ha conferito egualmente agli agenti diplomatici e consolari una certa potestà, e non avendo in alcuna guisa dato ad essi un limite di competenza; l’attribuzion del potere è pari in entrambi. Alla qual teoria si è validamente obbiettato, che, accogliendola, si verrebbe, in contraddizione a tutta l'armonia della legge sullo stato civile, a questo risultato: che nello stesso luogo due auto- rità dipendenti dal governo nazionale, sarebbero in egual modo investite della qualità di uffiziale di stato civile, che invece, a ragion del fine che l'istituto ha, spetta sempre ad un solo fun- zionario; e si è pur opposto, che il decreto intorno l’ordinamento delle legazioni (1), dispone rispetto agli uffiziali diplomatici, che “ oltre alle attribuzioni d’indole politica ad essi specialmente “ affidate, se richiesti, ed in assenza di un uffiziale consolare nel “ luogo di loro residenza, disimpegnano altresì funzioni ammi- “ nistrative, e quelle di notai ed uffiziale di stato civile rispetto “ ai nazionali ,. Or parrebbe che tal provvisione contraddica in- timamente a ciò che si pretende sia ordinato dalla legge civile, l’eguale cioè ed indipendente conferimento della funzione di uf- fiziale di stato civile agli agenti diplomatici e consolari (2). Le due osservazioni son gravi: e in particolar modo l’ul- tima, sebbene sia processo delicato molto, quello che occorre a coordinare la legge intorno l'ordinamento delle legazioni, e la civile. Ha importanza grande la prima delle due considerazioni descritte, risultando in modo certo che si è voluto sempre at- tribuire ad un solo funzionario il còmpito di uffiziale di stato civile: e consta, sì per la ragion del fine ch'è nell’ufficio vòlto al pubblico interesse, perchè a soverchia e dannosa incertezza, in argomento di tanto interesse per la persona e pei terzi, darebbe causa l’essere nella medesima sede attribuita la funzione a più individui in modo egualmente integro: sia, pel diritto che in taluni casi, e in ispecial modo per gli atti di matrimonio, l’uf- fiziale di stato civile ha di conoscere delle condizioni occorrenti a procedervi: la possibilità di ottenere da uno dei due funzionari ciò che nega l’altro, renderebbe la legge di mal sicura inter- pretazione, e potrebbe dare, con pregiudizio grave, opportunità a non rispettarne gli ordinamenti. E consta poi, per via della (1) R. D. 29 nov. 1870, sull’ordin. del corpo diplomatico, a. 46. (2) Fusinaro, sugli Atti, ecc. Roma, 1901-1902. 524 GIAMPIETRO CHIRONI tecnica seguita nell'ordinamento del servizio stesso: non vi è esempio che nel medesimo luogo esistano più uffici di stato civile, contraddicendo ciò alla corretta pubblicità e sincerità delle informazioni riferentisi allo stato delle persone: nè si può quindi ammettere che gli archivi distinti degli agenti diploma- tici e consolari siano due distinti archivi di stato civile, come non può ammettersi che l’agente diplomatico che abbia funzio- nato da uffiziale di stato civile debba trasmettere l’atto o no- tizia di esso al console. Nulla di ciò è nella legge. Vero è, che a tal considerazione in più maniere si è ob- biettato: e tutte concludono poco: o meglio non concludono affatto. S'è pensato, che una stessa funzione può essere affidata a più persone: e sia; e la cosa non è nuova, perchè nella legge ge- nerale sullo stato civile, e nelle leggi particolari, l’officio è dato ad una certa pubblica persona, od a chi ne fa le veci. Ma la risposta non tocca, nè sfiora le difficoltà, perchè altro è dire che la stessa funzione si possa attribuire a più individui, altro dire che un solo funzionario possa tenerla, ed in uno stesso uffizio : ora l'ordinamento generale dello stato civile statuisce nettamente che un solo funzionario abbia qualità di uffiziale di stato civile, e che uno solo sia l’uffizio in cui egli agisce: nè importa se più sezioni sì possono a ciò coordinare, distribuite nel luogo a seconda di circoscrizioni territoriali determinate (1). La legge particolare sui consolati, si riferisce in materia di stato civile, alla legge generale, eccezion fatta per alcuno spe- ciale ordinamento suo: ma questo non tocca punto quell’unicità di funzione, che s’è or descritta; e dovendosi perciò intenderla in buon rapporto alla legge generale, non si può tenere che su tal punto delicatissimo, del chi sia l’uffiziale di stato civile, sia informata a diverso concetto. Si ribatte ancora, affermando che il temuto pericolo di opposizione tra i due uffiziali che sa- rebbero l’agente diplomatico ed il consolare, non esista in realtà, disponendosi nel regolamento consolare (2), che l'agente diplo- matico abbia competenza di risolvere ogni conflitto che sorga nelle materie ‘per cui abbia attribuzioni comuni coi consoli: e perchè comune è la funzione di uffiziale di stato civile, così nel (1) R. D. 15 nov. 1865, cit. a. 3. (2) Regol. 7 giugno 1866, a. 75, 76. ce citi dn nta DEL MATRIMONIO CELEBRATO ALL'ESTERO, ECC. 525 caso di opinione opposta nell’esercitarla, prevarrà l'avviso del- l’agente diplomatico. Argomento errato: in questo caso si dà come risoluta la difficoltà intorno a cui sì studia, e che consiste appunto nel sapere se tal funzione sia davvero comune all'agente diplomatico ed al consolare, oppure sia propria a questo soltanto. E vien soggiunto ancora, che l’invocata unicità della funzione contrasta letteralmente alla legge: che asserisce anzitutto (1) in materia di forma della celebrazion dei matrimonî la regola locus regit actum, statuendo poi (2) la facoltà ai nazionali di valersi dell'ufficio degli agenti diplomatici o consolari: cosicchè parrebbe che nel medesimo luogo l’officio a due funzionari egual- mente spetti, e.cioè a quelli che secondo la legge del luogo attendono al servizio dello stato civile, ed agli agenti cui la legge nazionale attribuisce tale incombenza. Osservazione pur questa, che non può convincere: la legge dà l’officio ad un solo funzionario, l’agente diplomatico o consolare, perchè rico- noscere il potere dell’uffiziale che tiene la sua incombenza dallo Stato e dalla legge territoriale straniera, non potrebbe essere atto legittimo suo: quando essa ha potuto attribuir l’officio, lo attribuì ad un solo. e se anche il funzionario straniero esercita l’identica funzione, egli lo fa secondo la legge sua, il cui im- pero in materia di forma degli atti la legge nazionale rispetta. La concomitanza deriva qui dal concorso dell’attribuzione del- l’officio che la legge italiana fa, con la regola ricordata del locus regit actum; e che la legge voglia l’unicità della funzione si rivela pure nel fatto, che lo stesso decreto intorno l’ordina- mento consolare, dove determina gli offici degli agenti diplo- matici, la descrive col dire che “ disimpegnano altresì funzioni ammnistrative e quelle di notai ed uffiziale di stato civile ,. Dove si vedrà, che la funzione di notaio è ricordata al plurale, perchè giusta l'ordinamento notarile del Regno è possibile a più per- sone di esercitarla nel medesimo luogo, senza circoscrizioni terri- toriali che valgano in ciò di misura, mentre al singolare vi è detto della funzione di uffiziale di stato civile. E come si rileva pel modo stesso di porre le considerazioni per cui si vorrebbe tenere l’eguale attribuzione dell’uffizio di (1) Cod. civ., a. 367. (2) Cod. civ., a. 368. 526 GIAMPIETRO CHIRONI cui si discorre agli agenti diplomatici ed ai consolari, la ragione vera, determinante, vien fatta consistere nella legge civile; è questa, si dice, che così volle, disponendo nei termini su riportati. Ma, e il decreto intorno l'ordinamento consolare, che attribuisce agli agenti diplomatici la funzione di uffiziale di stato civile, solo in assenza di un uffiziale consolare nel luogo di loro residenza? Per scansare che lo si faccia, è questo il punto vivo del dibattito: quando s’afferma che la legge civile ha senza dubbio investito sì gli agenti diplomatici che i consolari dell’attribu- zione descritta, bisogna ben che si prenda un partito netto di fronte all'ordinamento speciale; che, s'è chiara la legge civile, è pur esso non meno chiaro. E se quella afferma, come si pre- tende, quest’ultimo limita Vaffermazione: e allora, in che modo comporre le due regole? La questione, ridotta così, è assai malagevole appunto & chi sostiene che la legge civile asserisca senz'altro la compe- tenza uguale, non limitata, agli agenti diplomatici ed ai consoli: perchè non v'è che una sola via di uscita: negare cioè che l’or- dinamento onde hanno legge le attribuzioni degli agenti diplo- matici e dei consoli, modifichi in veruna sua parte ciò che la legge civile avrebbe ordinato. Ma altro dal negare è il negar bene: ora, di fronte alla lettera di quest’ordinamento, che con- ferisce agli agenti diplomatici l’attribuzione di uffiziale dello stato civile in assenza del console, com’è possibile negare con costrutto? Non rimane, o meglio non rimarrebbe per buona condotta di ragionamento, che liberarsi dall’ostacolo asserendo che dove la norma regolamentare speciale contraddice ‘alla legge generale, è viziato d’incostituzionalità: e si dovrebbe così dar taccia d’incostituzionale alla disposizione riferita dell’ ordina- mento consolare. Ed è curioso il fatto, che alla legge civile si vuol mantenere l’importanza e il valore che le si asserisce, e d’incostituzionalità del regolamento non si parla: cosicchè la dottrina composta con tali elementi, par costruzione logica assai strana. Ma quando non si voglia ‘accoglierla, in qual modo si potrà coordinarli? (1). (1) Già, dire come alcuno fa (Fiore, l. cit.), che il regolamento è distri- buzione puramente interna degli offici, non sta: non si tratta d’ istruzioni date agli agenti, sibbene d’un ordinamento di pubbliche funzioni, ch’è legge agli ufficiali che le tengono, ed ai cittadini che ne reclamino l’esercizio. DEL MATRIMONIO CELEBRATO ALL'ESTERO, ECC. 527 È con facile processo che s’arriva a cid: basta dire che il regolamento, secondo la funzione sua, determina ciò che la legge in modo specifico non ha fatto. Lascisi da banda l'argomento di cui si vale chi afferma sia la legge civile attributiva del- l’uffizio discusso così agli agenti diplomatici come ai consoli, e ch'è impostato sulle parole è in facoltà con cui s'apre la dispo- sizione (1): per dimostrare che con quei termini non s'è lasciato in arbitrio dei nazionali di rivolgersi a lor posta all’agente di- plomatico od al console, basti riflettere che per essi s'ha un legame logico connettente il pensiero ch’è in quella disposizione alla norma precedente (2). La quale fissa rispetto agli atti dello stato civile il valor della regola locus regit actum: e dopo di essa vien la facoltà lasciata ai cittadini residenti all’estero: co- sicchè la facoltà non si riferisce alla scelta tra l’uffiziale diplo- matico ed il consolare, sibbene allo scegliere tra la legge del luogo e la legge nazionale. Si dirà: e sia; chè ciò non toglie l’attribuzione dell'uffizio che par fatta in egual guisa dalla legge agli agenti diplomatici ed ai consoli. Ora è appunto questo che la legge non fa, onde l'opportuno uffizio del regolamento su ricordato: essa cioè di- chiara soltanto, che la funzione di ufficiale di stato civile potrà essere tenuta dall’agente diplomatico o dal consolare, ma non investe senz'altro questi ufficiali di tal funzione: nè poteva farlo, poichè non si riferisce qui a persone cui normalmente spetti la qualità di ufficiale di stato civile, bensì a funzionari che, per eccezione giustificata da ragioni speciali, possono avere tra le funzioni loro pur questa di ufficiale di stato civile. Co- sicchè, la legge civile, quanto all’attribuzione effettuale di tal funzione, s'è dovuta rimettere alle leggi speciali che discipli- nano le incombenze particolarmente affidate a quelle persone, in ragion del servizio pubblico ch'è loro commesso: dispone cioè; come se dicesse che gli agenti diplomatici ed i consolari eser- citano la funzione di uffiziale di stato civile a seconda degli ordinamenti speciali che governano il loro uffizio di agente di- plomatico o di console. (1) Cod. civ., a. cit. (2) Cod. civ., a. 367. 528 GIAMPIETRO CHIRONI Per alcuni atti speciali, è difatti imposta ai capitani e pa- droni la funzione di uffiziale dello stato civile, ma il codice e il regolamento di marina mercantile determinano in che modo tra le altre incombenze riferentisi al comando di cui sono inve- stiti, abbiano pur questa (1); è pure imposta per gli atti dello stato civile dei militari in campagna (2), ma sono i regolamenti speciali (3) che dichiarano a quali impiegati essa spetti (4). Nè altrimenti s'è fatto per gli agenti diplomatici e consolari: la legge attribuisce loro la funzione di uffiziale dello stato civile in quei termini che nella designazione generale dell’uffizio particolare che tengono, sia essa regolata: questo mostra la stessa particella adoperata (agenti diplomatici o consolari): e s'intende: non il codice civile, ma la legge consolare è quella che fissa le attribuzioni dei consoli, come le disposizioni sul- l'ordinamento diplomatico dichiarano le funzioni degli agenti diplomatici. Ora, nelle leggi regolanti lo speciale servizio cui questi agenti son destinati, s'osserva la distinzione netta tra le fun- zioni politiche propriamente dette, e le amministrative: tra le quali entra quella di uffiziale di stato civile. La legge conso- lare affida queste ultime principalmente ai consoli: tant'è, che dopo averne disposto, pone un articolo (5) in cui è detto che le disposizioni relative alle funzioni di uffiziale di stato civile sono pure applicabili agli agenti diplomatici. Dal che si rileva, esister già nella legge una distinzione in rispetto all’investitura effettiva dell’uffizio, tra gli agenti diplomatici e i consolari: e il decreto sull'ordinamento del corpo diplomatico dètte forma concreta a tal concetto, separando le attribuzioni, e imponendo all'agente diplomatico le funzioni di uffiziale dello stato civile solo in assenza del console (6). Cosiechè, il decreto risponde benissimo alla legge, nè della sua costituzionalità si può dubi- (1) Cod. civ., a. 380; Regol. della mar. mercant., a. 588 e segg.; C. di comm., a. 361. (2) C. civ., a. 398. (3) R. D. 26 nov. 1882 sul Regol. dei servizi in guerra, append. II. (4) Cod. civ., art. 398 in f. (5) L. consol. cit., a. 42. (6) R. D. 29 nov. 1870, cit. a. 46. Ve .T_'_r_———r —_—r vr “ Ta «iii aaa dilata è DEL MATRIMONIO CELEBRATO ALL'ESTERO, ECC. 529 tare; e badisi, che dicendo in assenza del console, s'intendono pur quegli uffiziali che tengono le veci del console, e quindi anche i cancellieri che fossero nominati con real decreto presso le regie legazioni all’estero (1). E per le cose dette fin qui, apparisce ancora, che l’ordina- mento del corpo diplomatico non determina una semplice que- stione di competenza, per cui si possa dire che il matrimonio celebrato dall’agente diplomatico in luogo dove vi fosse un con- sole, o chi ne facesse le veci, sia sol viziato d’incompetenza. No: esso attribuisce l’effettualità della funzione, dichiara quando l'agente diplomatico sia investito della funzione che, in modo generico, riferentesi di necessità agli ordinamenti speciali, la legge civile affida agli agenti diplomatici o consolari: non è questione di misura dunque, ma di attribuzione effettiva, reale, di potere. E quando questo difetti, non si ha un uffiziale incom- petente, sibbene la mancanza dell’uffiziale di stato civile: ed il matrimonio non sarà annullabile, ma inesistente. (1) L. consol., cit. a. 62. 530 MARIO RICCA-BARBERIS L'imperizia professionale nelle sue conseguenze civili. Nota del Dr. MARIO RICCA-BARBERIS Assistente all'Istituto giuridico presso la R. Univ. di Torino. La grave questione della responsabilità professionale scese in campo ancora una volta attraverso i casi sottoposti al parere del Prof. Oppenheim dal Prof. Kòrner (1). Ivi però non è in giuoco la diversa natura della responsabilità o il diverso grado di colpa che si vuole far assorgere a sua ragion d’essere. La questione si agita piuttosto sotto un altro aspetto, che è pure quello in cui si presenta più comunemente: l’imperizia deter- mina l'obbligo di risarcire i danni di cui fu causa? Questa è sostanzialmente la domanda che, in varie forme e con varii quesiti, il Redattore della Rivista otojatrica di Wies- baden mosse al Giureconsulto dell’Università di Basilea. Prima però egli (2) nota come gli errori assai frequenti dei medici nel campo delle malattie d’orecchio siano dovuti al fatto, che negli esami universitari ancora oggi non si esige alcuna co- gnizione speciale rispetto ad esse. Il pubblico invece, presumendo i medici istruiti in tutto quanto riguarda la loro professione, ne richiede l’opera in ogni evenienza e quindi anche in quella di un'affezione auricolare. In tali casi molti han l’abitudine di ri- volgersi ai colleghi specialisti, ma alcuni, per la distanza dei luoghi in cui risiedono dai grandi centri, sono nell’impossibilità di farlo. D'altra parte, spesso è necessario un provvedimento immediato, e l’urgenza costringe così ad operare medici non (1) Fahrlissige Behandlung und fahrlissige Begutachtung von Ohren- kranken; “ Zeitschrift fir Ohrenheilkunde mit besonderer Beriicksichtigung der Rhinologie und der ilbrigen Grenzgebiete ,, herausgegeben von Prof.®® Kxapp, KòrnER, HARTMANN, PrircHARD. Wiesbaden, 1899, 35 Band, pag. 225-259. (2) Einleitung von Prof. Dr. med. Orro Kòrner in Rostock; loc. cit., pagg. 225-228. L'IMPERIZIA PROFESSIONALE NELLE SUE CONSEGUENZE CIVILI 531 sufficientemente esperti. Talora poi gli stessi medici più filan- tropi e più valenti ricusano di chiamare a consulto uno specia- lista, perchè nell’otoiatria non posseggono nemmeno le cognizioni necessarie per poter rilevare la propria ignoranza. La trascura- tezza verso questa parte della medicina è inerente alla loro educazione scientifica, e proviene dall'ordinamento degli esami, dove non si tiene parola delle malattie d’orecchio. Lo Stato dovrebbe nell’interesse stesso dei medici colmare questa lacuna nella loro coltura. Ma intanto, siccome si rilascia il diploma dottorale senza accertare l’attitudine alla. diagnosi ed alla cura delle suddette malattie, siccome l’esperienza insegna come gran parte dei me- dici siano lungi dal possederla, e come ciò sia causa di gravis- simi danni, è di sommo interesse il sapere: 1° Quale sia la responsabilità di un medico non specia- lista quando rechi danno col compiere delle operazioni non opportune o col tralasciare di prendere i provvedimenti richiesti dal caso (1); 2° 0 quando curi il malato d’orecchie, soltanto perchè nelle vicinanze non si trovi alcun specialista e detto malato non potrebbe tollerare il trasporto (2); 3° 0 quando manifesti per ignoranza un falso apprezza- mento sul suo stato (3); 4° 0 quando, come perito giudiziario, trasmetta al giu- dice un parere erroneo (4); 5° Se lo Stato che ammise alcuno all’esercizio della pro- fessione medica, senza pretendere da lui cognizioni speciali nell’otoiatria, possa essere responsabile per il danno che egli ca- gioni colla sua ignoranza (5). A ciascuno di questi cinque quesiti risponde l’Oppenheim, risalendo ai principii generali che reggono l'argomento ed ap- plicandoli in seguito al caso concreto delle malattie d’orecchio. Nei quattro primi dominano gli stessi principii, anzi si po- (1) Pag. 228. (2) Pag. 240. (8) Pag. 242 (4) Pag. 245 (5) Pag. 250. 52 MARIO RICCA-BARBERIS trebbe aggiungere, unico è il criterio direttivo, che si delinea nettamente nei responsi del Professore di Basilea. Però nel primo e nel secondo il danno è corporale, nel terzo e nel quarto è economico. Che gli atti dei medici che ledono il corpo e pongono a repentaglio l’esistenza, dice egli affrontando la questione nella sua origine, siano impuniti e permessi, è fatto costantemente riconosciuto dalla teoria e dalla pratica. Non così si è d'accordo nello spiegarne la legittimità, che si fece risalire ora al consenso del paziente, ora allo scopo mo- rale dell’atto, ora all'ufficio del medico riconosciuto dallo Stato, ora alla consuetudine. Comunque si risolva questo problema più teorico che pratico, certo è che regna pieno accordo sulle tre regole seguenti: 1° Le operazioni dei medici possono soltanto avere a scopo la prevenzione e la cura delle malattie, la mitigazione delle sofferenze che cagionano e la correzione dei difetti; 2° Devono generalmente aver luogo su persone consen- zienti: soltanto in via d'eccezione sono ammessibili senza od anche contro la volontà del paziente; 3° Devono eseguirsi con tutta l’arte e la diligenza ne- cessaria a paralizzarne, finchè si può,i pericoli. Accanto a quest’ultima regola, che vale per l’atto positivo del medico, sta quella che rende il medico stesso responsabile dell’omissione, ogniqualvolta l’agire era richiesto dalle circo- stanze del caso e l’omissione gli può essere imputata a colpa. Agisce colposamente chi compie un atto contrario al suo dovere e di cui potrebbe e dovrebbe sapere che costituisce un pericolo. Nel caso concreto è assai difficile accertare la negli- genza colposa, come quella che dipende da momenti tanto oggettivi quanto soggettivi. Se ogni errore di diagnosi o di cura fosse col- pito dalla legge, non vi sarebbe alcun medico immune dalle sue sanzioni. Quando l’errore si sarebbe potuto evitare, è cosa da deci- dersi non già rigidamente in via di principio, ma in considerazione di tutte le circostanze individuali. V'ha gran differenza tra l’o- perazione compiuta dal medico condotto, coi pochi mezzi di cui dispone, e quella fatta dallo specialista nella sua clinica con tutte le risorse che gli offrono gli apparecchi più moderni, la sua esperienza ed il suo personale. Il generalizzare non è quindi L'IMPERIZIA PROFESSIONALE NELLE SUE CONSEGUENZE CIVILI 5989 possibile dal punto di vista giuridico più che da quello tecnico, più che da quello umano, Lo stesso dicasi del medico interrogato come perito. Anche qui non può pretendersi che la sua scienza abbracci quella di tutti gli specialisti nelle singole materie della medicina. D'altra parte, appena gli viene affidato un caso, è precipuo suo dovere di accertarsi se possiede le cognizioni necessarie a quel pro- posito. Se non le ha, egli deve procurarsele: ad esempio può dare un'occhiata alla letteratura della materia e consultarsi con chi è in particolar modo versato nell'argomento. Che egli abbia ab imitio la dottrina occorrente per il retto esaurimento dell’in- carieo, o che se la sia procurata in seguito, è cosa affatto in- differente, allorchè il parere venga dato colla competenza ne- cessaria. Anche qui l’errore è sempre possibile malgrado la massima diligenza; ma l’intervento di questa lo rende scusabile. Nè si può dire falso un apprezzamento per ciò che contrasta ad un altro. Spesso dopo un diligente esame del soggetto le persone com- petenti giungono a conseguenze contradditorie. Il perito è in colpa solo quando non manifesti quella dot- trina e quell’esperienza che avrebbe potuto e dovuto procurarsi. Ciò malgrado, potrà forse qualche volta indovinare casualmente, ed ‘allora, mancato il danno, si dileguerà ogni responsabilità a suo carico; ma se l'evento dannoso si avvera, egli ne deve ri- spondere. L'errore è colpa quando si sarebbe potuto evitare. I medici credono che la concessione del diploma, loro at- tribuisca piena libertà ed insindacabilità d’azione. Ma l’abilita- zione non può costituire la franchigia .dell’ignoranza, dell’inet- titudine, della negligenza. La società, riconoscendo il medico come tale, non lo autorizza per ciò ad intraprendere, senza il provvido aiuto dello specialista, la cura di un caso, rispetto a cui non sia al corrente colle ultime scoperte della scienza. Di fronte ad una tale concezione è affatto indifferente che l'ordi- namento degli studi esiga o no la prova .di particolari .cogni- zioni in quella parte della terapeutica, la cui imperfetta cono- scenza fu causa di danno. Da una parte v’ha la specializzazione, quale portato necessario dell’ampliarsi della scienza. Dall'altra si pretende in ogni medico pratico quella misura di cognizioni che lo rende conscio delle proprie forze, eliminando così il pe- Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 39 594 MARIO RICCA-BARBERIS ricolo che egli possa recare nocumento: quando il caso richiegga una dottrina ed una pratica speciale, egli, che deve saperne giudicare la maggiore o minore opportunità, dovrà rivolgersi a chi la possiede. Ma per un simile apprezzamento è necessario tenersi al corrente delle innovazioni che si vanno rapidamente e gloriosa- mente introducendo nell’arte d’Ippocrate. La scoperta di nuovi metodi può condurre alla responsabilità del medico, che, seguendo un metodo antico, nuoce al paziente. Nè a paralizzare un tale obbligo vale addurre l’offrirsi in cura da parte dell’ammalato, perchè esso cesserà solo allorchè il medico, costretto ad operare dall’urgenza (1), manifesti ai parenti dell'’ammalato stesso la propria incompetenza. Ma se egli erra nel valutare la necessità immediata del provvedimento o la tollerabilità di quel trasporto che avrebbe resa possibile l'operazione salvatrice, sorge la sua responsabilità, perchè l'aver confessato la mancanza di una col- tura specifica non lo esime dagli obblighi a lui inerenti, come medico, quando, come tale, avrebbe potuto e dovuto sapere. Lasciamo che l’Oppenheim faccia letterale applicazione di questi principii all’otojatria per rispondere categoricamente ai quattro primi quesiti del Prof. Kòrner, ed esaminiamo piuttosto il valore della sua concezione. L’imperizia, come tale, determina l’obbligo di risarcire il danno da essa cagionato? La soluzione affermativa indusse molti scrittori (2) ed anche qualche legislatore (3) a porre l’ignoranza tra i momenti generatori della responsabilità, al pari della colpa. Altra volta si disse che l’ignoranza di per sè è colpa: l’antico broccardo Gaiano “ imperitia culpae adnumeratur , (4) sarebbe (1) Frepericx. PoLLoca, The Law of Torts. London, 1887, pag. 25: ... in emergency, and to avoid imminent risk, the conduct of something “ generally entrusted to skilled persons is taken by an unskilled person ,. (2) Lauren, XX, 466, 471, 482; DeLvirTo, Comm. teorico-pratico del Cod. Civ., art. 1152; Cfr. Giorci, Obbligaz., V, 154, il quale ne fa una specie della colpa. (3) Codice Musulmano (traduz. Seignette; sez. 2* dei quasi delitti), art. 2086: “ Le médecin sera responsable pécunièrement par l’injure qu'il aura causée soit par ignorance, soit par négligence des préceptes de son art ,. (4) 132 D. de verborum significatione, 50, 17. Cfr. L. 8 par. 1. D. ad legem Aquiliam, 9, 2. L'IMPERIZIA PROFESSIONALE NELLE SUE CONSEGUENZE CIVILI 535 appunto espressione di questo concetto. Ma con che stregua dovrà essa valutarsi? Nella medicina, ad esempio, si misurerà essa colle cognizioni dello specialista 0 con quelle del medico comune? È come si determinerà il tipo normale e medio dei seguaci d’Esculapio di fronte a studi, a coltura, ad ambiente, e a vicissitudini, a mezzi d'istruzione cotanto diversi? Ecco la pratica impossibilità d'ogni criterio oggettivo, il cui esplicito accoglimento non farebbe che trasportare nella legge un errore della dottrina. E col dire che l'ignoranza è colpa si pone da una parte una rigida presunzione, che conduce alla creazione fittizia di ciò che si dà come esistente, dall’altra si determina una vera e propria responsabilità oggettiva. È quindi evidente come la questione debba porsi in rela- zione al soggetto: rispetto alle sue condizioni particolari deve essere valutata l'ignoranza, ed allora invece di dire che l’igno- ranza è colpa, si deve cercare quando l’una equivalga all'altra. Non si può asserire senz'altro che i due fatti si corrispondono; l'ignoranza esiste di per sè come fatto, ma perchè induca delle conseguenze giuridiche, deve derivare da un comportamento col- poso del soggetto. Ecco il vecchio concetto della giurisprudenza romana classica, che Jehring (1) delineava magistralmente e che ispirava il nuovo codice civile germanico! Esso, quale fu accolto e tracciato in Italia dal Chironi già nel 1886 (2), in Inghilterra dal Pollock (3) nel 1887, viene applicato ad una serie di casi dall’Oppenheim. Risponde della propria ignoranza chi deve sapere. Ora colui che si presenta al pubblico esercitando una data professione, il medico, che senza far riserve, si offre ai terzi dicendo di fare il medico, deve possedere tutto il bagaglio scientifico a ciò ne- cessario (4). È questa una inevitabile conseguenza della posi- (1) Vermischte Schriften. Das Schuldmoment im ròmischen Recht, pag. 178: “ Der Schuldbegriff ist der allgemeine Haftungsmassstab des entwickelten ròmischen Privatrechts ,. (2) Colpa extracontrattuale. Torino, 1886, vol. 1, pag. 84. (3) The Law of Torts. London, 1887, pag. 24 e 25. (4) Carroni, op. e loc. cit.: “ Il medico non potrà scusare il danno che “ avrà recato al malato, sostenendo d’aver posto quella cura permessa dalla “ estensione delle sue cognizioni, giacchè prima di mettersi attorno ad un “ dato affare, bisogna conoscere se si abbiano le cognizioni, da cui deriva “ l'idoneità a ben condurlo..... Se l’imperizia è colpa, l'errore professionale Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 397 536 MARIO RICCA-BARBERIS zione volontariamente assunta. Il vecchio motto “ noblesse oblige ;; riferito alla dignità alta della professione e trasportato dal campo puramente morale a quello giuridico, ci delinea uno dei prin- cipii più profondi e più veri che si possano trarre dalla natura dei rapporti sociali! Le parole di Hasse, per cui nessuno è ex- tracontrattualmente obbligato a fatti positivi, rispondono ad una concezione assiomatica ed esattissima nella sua entità astratta. Ma nella vita sociale, siccome ciascuno agisce mosso da un fine economico o morale, sorgono fatalmente degli obblighi, che, anzichè venir sanciti im modo espresso dalla legge, sono il frutto delle nostre azioni precedenti. A tali obblighi non si può con- travvenire senza pericolo proprio e dei'terzi. E merito del Sa- leilles (1) l’aver posto in luce questo concetto, e della giurispru- denza anteriore alle leggi sugli infortunit (2) l'aver ad esso “ derivato da essa è fatto valevole a dar nascita al quasi delitto (quando “ concorrono i dovuti elementi). Tale è il principio; decidere quando vi sìa colpa è poi questione di fatto ,. — PoLLocx, op. e loc. cit.: “ ..... if the party has taken in hand the conduct of anything requiring special skill and knowledge, we require of him a competent measure of the skill and knowledge usually found in persons who undertake such matters. And this is hardly an addition to the general rule; for a man of common sense knows wherein he is competent and wherein not, and does not take on himself things in which he is incompetent. If a man will drive a carriage, he is bound to have the ordinary competence of a coachman; if he will handle a ship, of a seaman; if he will treat a wound, of a surgeon...; and so in every case that can be put. Whoever takes on himself to exer- cise a craft holds himself out as possessing at least the common skill ot that craft, and is answerable accordingly. If he fails, it is no excuse that, he did the best he, being unskilled, actually could. He must be reason- “able skilled at his peril,. — L. 8, par. 2 D. Ad legem Aquiliam, 9, 2: ©... Nec videtur iniquum si infirmitas culpae adnumeretur: cum affectare quisque non debeat in quo vel intelligit, vel intelligere debet infirmitatem suam alii periculosam futuram. Idem juris est in persona ejus, qui im- petum equi, quo vehebatur, propter imperitiam vel infirmitatem retinere non poterit ,. — M. Vira Levi, Locazione d'opera, vol. I, pag. 62, n. 76: “ Il locatore d'opera deve di regola essere abile e capace ,. — Cfr. Sar- ratti, Contributo alla teoria della responsabilità professionale del medico (estratto dal giornale “ La Legge ,, anno XL, vol. I, n. 12, 13, 14), pag. 13. (1) Les accidents du travail et la responsabilité civile. Essai d'une théorie objective de la responsabilité délictuelle. Paris, 1897, cap. VII. (2) Era l’interpretazione larga dell’art. 1152 Cod. civ. it. (1383 Cod. frane.) che veniva in soccorso; in questo modo vil damni causam praebere forniva giustamente la ragion, della responsabilità. “ [SI » tai u “ (04 L'IMPERIZIA PROFESSIONALE NELLE SUE CONSEGUENZE CIVILI 537 ricondotto la responsabilità dell’industriale per la vita e l’inte- grità corporale degli operai. Così, dopochè Planiol proclamò giustamente l'inesistenza del quasi delitto d’astensione, si resero non meno giustamente responsabili delle persone, perchè, senza un’espressa disposizione di legge, si ritennero obbligate ad agire! Come nel campo extracontrattuale può esistere un obbligo imposto dall’equità, quale conseguenza di un atto, anche senza un’esplicita sanzione legislativa, così nel campo contrattuale può esistere un obbligo imposto dalla buona fede, quale conseguenza dell'assunzione di certe qualità, anche senza un’apposita clausola del contratto. Ecco come il concetto d’un obbligo inerente al fatto volon- tario dell'individuo si delinei nel caso nostro: il medico viene chiamato, vale a dire, si stipula un contratto, perchè egli, pa- lesandosi tale di fronte al pubblico (ecco l’affectare di Gaio!), dimostra per ciò stesso d’aver le cognizioni necessarie per l’e- sercizio della professione: chi si è spontaneamente dato ad essa deve porsi in grado di esercitarla secondo il fine suo: è ciò ri- chiesto dalla buona fede dei terzi, per cui la professione importa l’implicita garanzia dell’attitudine ad esercitarla. Nè vale allegare, giustamente rileva l’Oppenheim (1), che il malato si è offerto spontaneamente in cura al medico, perchè ciò non è che conseguenza della fiducia legittimata dal pubblico esercizio della professione. Non è quindi possibile — e non sa- rebbe nemmeno onorifico per l’arte d’Ippocrate, per quanto i “ Fliegende Blétter , lo possano trovare opportuno — applicare il broccardo “ volenti non fit injuria , a chi chiede al medico, come ha ragion di chiedere, data la sua qualità, la guarigione e la salute in quei limiti in cui è dato alle armi della scienza di riconquistarle (2). (1) Pag. 240. (2) Ad un tale concetto sembrava ciò nondimeno avvicinarsi una deci- sione del Parlamento di Parigi del mese di giugno 1896 (“ Répertoire gé- néral du droit frangais ,, vol. 27, pag. 718, n. 296), affermante “ que les “ chirurgiens n’étaient pas garants et responsables de leurs remèdes tant “ qu'il n'y avait que de l’ignorance ou de l’impéritie de leur part, quia “ aegrotus debet sibi imputare, cur talem elegerit ,. 538 MARIO RICCA-BARBERIS L’aver espressamente declinato la propria incompetenza di fronte al caso specifico scemerà la responsabilità del medico che ha fatto l'operazione, quando vi sia stata urgenza (1) ed impossibilità di trasportare il malato. Non perciò verrà tolta la responsabilità del medico, come tale (2), nél valutare la con- correnza di questi due estremi. La clausola speciale, giustificata dalle circostanze (senza di che non avrebbe valore di fronte al compimento dell’ operazione), non fa che alleggerire l’obbligo imposto dal contratto. E diciamo il contratto non a caso, perchè l’Oppenheim non sdegna far rientrare l'esercizio della profes- sione medica nella locazione d’ opera (Dienstvertrag, $ 611, B. G. B.) (3). Non è la figura giuridica, che degradi o nobiliti gli atti degli uomini: sono questi piuttosto, che nei loro mo- venti psichici e nelle loro finalità sociali, additano le alte fun- zioni che con quella si compiono ed a cui quella serve. Molti di coloro che credono elevare la dignità della pro- fessione portandola al di fuori del contratto (4), non temono poi di abbassarla con un altro errore di diritto, col limitarne cioè la responsabilità alla colpa grave. Ma una tale restrizione diventa tanto più gratuita ed arbitraria di fronte al principio che “in lege Aquilia et culpa levissima venit ,. Perchè se la legge non sentì pietà, la può, la deve sentire l’interprete? Nè contro le giuste e necessarie conseguenze dell’ignoranza (1) Frepericg PoLLocx, The Law of Torts. London 1887, pag. 26: “ ... a person who is present at an accident requiring immediate .provisional treatment, no skilled aid being on the spot, must act reasonably according “to common knowledge if he acts at all; but he cannot be answerable “ to the same extent that a surgeon would be. There does not seem to be “ apy distincet authority for such cases; but we may assume it to be law “ that no more is required of a person in this kind of situation than to “ make a prudent and reasonable use of such skill, be it much or little, “as he actually has ,. (2) Cfr. sovracitato passo del Pollock.. (3) Pagg. 236, 242: “ Suivant le Cod. fédéral des obligations (art. 348) “ les rapports entre le malade et le médecin doivent ètre appréciés d’après “ les règles rélatives au contrat de louage de services; en conséquence le “ médecin est obligé par contrat è agir avec soin et il est responsable de ‘ sa faute ,. Trib. féd. suisse, 10 juin 1892, Dormann (S. et P., 92, 4, 38), V. © Répertoire général du droit frangais ,, vol. 27, pag. 721, n. 322. (4) Cfr. Camroni, op. cit., I, pag. 88. (14 L'IMPERIZIA PROFESSIONALE NELLE SUE CONSEGUENZE CIVILI 539 . colposa è possibile trincerarsi dietro il concetto del riconosci- mento per parte della società. Infatti l'essere abilitato all’eser- cizio d'una professione non dispensa dallo studio e dalla dili- genza necessaria nel caso concreto. Se lo Stato coll’autorizzazione presenta al pubblico l’individuo come colui che può sapere, questi si presenta come chi sa e promette di far valere la sua scienza nel caso concreto. Riservandoci di vedere tra poco quale sia il valore del di- ploma conferito dallo Stato per ciò che attiene alla dottrina ed all'abilità (e anche sotto questo aspetto è lungi dal fornire una garanzia), certo è che nulla v'ha in esso rispetto alla volontà che può avere l’individuo di richiamare la sua dottrina e di farne applicazione. Se l'ignoranza ‘genera la responsabilità in quanto è colpa, non è possibile scindere l’una dall'altra. È dunque indefettibile il principio che dichiara l'obbligo del pro- fessionista di rispondere della propria imperizia, quando essa provenga da un comportamento colposo (1). (1) Ciò non toglie che esso sia stato spesso disconosciuto. Cfr. “ Réper- “ toire général du droit francais ,, vol. 27, pag. 719, n. 300: “ Mais dans “ quel cas aura-t-il faute, négligence, imprudence, de nature à motiver la responsabilité soit civile soit pénale? Un des membres les plus distingués de l’Académie de médecine, M. Double, disait, le 29 sept. 1829, dans un rapport relatif à une affaire renvoyée à l’Académie par les tribunaux civils (aff. Hélie): L’Académie croit de son devoir de protester contre l’in- terprétation foreée et application abusive, dans certains cas, des art. 1382 et 1383 Cod. civ. Nul doute que les médecins ne demeurent légalement responsables des dommages qu’ils causent è autrui par la coupable appli- cation des moyens de l’art, faite sciemment avec préméditation et dans des perfides desseins ou des criminelles intentions; mais la responsabilité des médecins dans l’exercice consciencieux de leur profession ne saurait étre justiciable de la loi. Les erreurs involontaires, les fautes hors de prévoyance, les résultats fàcheux hors de calcul, ne doivent relever que de l’opinion publique. Si l’on veut qu'il en soit autrement, c’en est fait de la médecine, C'est un mandat illimité qu'il faut auprès des malades; l’art de guérir ne peut devenir profitable qu’è cette condition. En fait done de médecine pratique, de mème qu’en matière de justice distribu- tive, les médecins, non plus que les juges, ne sauraient devenir légalement passibles des erreurs qu'il peuvent commettre de bonne foi dans l’exer- cice de leurs fonctions. Là, comme ici, la responsabilité est toute morale, “ toute de conscience; nulle action juridique ne peut étre légalement in- “ x Lai r pai La LU LI 54U MARIO RICCA-BARBERIS A questo punto sorge naturale il domandarci se non si dovrà mai tener conto della buona fede. Ad esempio, se il medico sa, ma, pur sapendo, erra o nella diagnosi o nella cura, deve risponderne ? L'errore è fatalmente connesso alle umane azioni. L'abilità dell'individuo non consiste già nell’evitarlo sempre, ma nell’e- vitarlo il maggior numero di volte. Tanto l'avvocato quanto il medico più colto ed esperimentato possono sbagliare. Talora da un complesso di circostanze di fatto non è facile desumere il rapporto giuridico dominante; talora i fenomeni morbosi sono così intrecciati da non sapere a quale di essi convenga dare la prevalenza per definire la malattia. In tutti questi casì, in cui dal complesso delle circostanze soggettive ed oggettive risulti giustificata l’esistenza della buona fede, non c’è colpa e quindi non c'è responsabilità. L'errore è soltanto of judgement (di giu- dizio), come dicono gli Inglesi e gli Americani. Un tale carattere si accerta con questo criterio: Se un altro individuo colto ed esperimentato, nelle medesime contingenze, avrebbe operato in quel modo, l’errore è umano e quindi scusabile. Ora, ritornando al parere dell’Oppenheim, non ci resta che trattenerci un istante sul quinto ed ultimo quesito a lui sotto- posto. Esso riguarda la responsabilità dello Stato, che aprì la via all’esercizio professionale (operae liberales, liberales artes vel disciplinae, come dicevano i Romani), senza prima pretendere la prova di cognizioni in certi rami speciali della scienza. Alla domanda, che il Kérner rivolge per l’ otojatria, l’Oppenheim risponde recisamente in senso negativo. L'approvazione non con- tiene per nulla l'assunzione della garanzia da parte dello Stato, che l’approvato possegga tutta la scienza necessaria all’esercizio di un’arte liberale. Siccome questa richiede certe cognizioni e certe attitudini, la legge la subordina a determinati presupposti, senza di cui la persona può ad esempio esercitare la medicina, “ tentée si ce n’est en cas de captation, de dol, de fraude ou de prévari- “ cation. Ainsi le veut la juste intelligence des intéréts privés ,. Gli stessi principii furono enfaticamente svolti dal Dott. Baune (° Gaz. des Trib. ,, 30 maggio e 29 luglio 1835): “ Dans ces cas graves et terribles, “ entre la conscience du médecin et le patient, il n'y a que l’honneur; “ entre eux, pour juge, il n'y a que Dieu ,. O, O n, A rr. —_ rr _—_—-'r—_—_—— rc: rr L'IMPERIZIA PROFESSIONALE NELLE SUE CONSEGUENZE CIVILI 541 ma non può venire designata come medico. Lo Stato, abilitando alla professione, compie un atto amministrativo, che ha solo per scopo di riconoscere l'adempimento di certe condizioni; ma con ciò non garantisce affatto di fronte al pubblico l’idoneità dell’iniziato. Qui giova notare come la questione s’aggravi non poco per la legislazione italiana, che vieta l’esercizio della professione medica a chi non ha conseguito il diploma dottorale. La diffe- renza si riduce sostanzialmente a ciò che quelle condizioni che sono altrove imprescindibilmente necessarie soltanto per titolo, lo sono in Italia anche per l’esercizio. Ma se lo Stato pone delle condizioni all’esercizio, non intende con questo garantire la scienza e la capacità di chi le ha adempite. Con tale rigore non è affatto mutata la natura dell’atto, nè cessa quindi d’essere accettabile il parere dell’Oppenheim. È quindi superfluo argomentare an- cora dal valore pratico del diploma, che, se forniva un tempo l'accertamento materiale ed oggettivo della conoscenza di tutta una materia, costituisce oggi soltanto più un titolo accademico, o meglio una dichiarazione di studi seguiti all’Università a norma dei regolamenti. È questo frutto inevitabile dello svolgersi del- l'umano sapere. I “ clerici vagantes , i quali nel medioevo col- tivavano il diritto, non avevano innanzi agli occhi che le Pan- dette da una parte, le Decretali dall’altra. Ai nostri giorni le facoltà di giurisprudenza ridondano di materie: mentre il diritto privato, varcando i confini segnati ad ogni nazione, pare voglia con nuove creazioni stringere tutti i popoli in una sola “ com- munitas gentium ,;, si va formando un nuovo organismo, che sarà forse il precipuo vanto che la civiltà moderna contrapporrà all'antica: il diritto pubblico, poggiato sul concetto dello Stato, quale ente razionale e morale, vindice del diritto e soggetto alla legge. Orbene, quando si pensi eziandio agli studi accessorî di carat- tere economico e sociologico, come si potrà ancora pretendere che la laurea importi l'integrale conoscenza anche di una sola delle materie insegnate? Ma abbandonando il punto di vista giu- ridico ed esaminando la questione sotto quello morale, non si può negare che il motivo per cui lo Stato vieta di chiamarsi medico o senz'altro di fare il medico a chi non ha adempito le condizioni prescritte, sta appunto nell’intendimento di difendere 542 MARIO RICCA-BARBERIS — L’IMPERIZIA PROFESSIONALE, ECC. il pubblico dal pericolo a cui si espone, ricorrendo per opera medica a chi non è in grado di prestarla. Conseguentemente non si può disconoscere che il conferimento del diploma contiene fino ad un certo punto la garanzia morale di un complesso di cogni- zioni da parte di chi l’ha conseguito (1). Se tale è lo scopo dello Stato nello stabilire l'ordinamento degli studi e degli esami, è evidente la necessità di tenere l’or- dinamento stesso sempre al corrente colle innovazioni della scienza. Quindi se rami speciali della medicina, coi metodi di diagnosi e di cura loro proprii, riescono ad interessare qualunque medico pratico, devono per ciò stesso divenire oggetto di studio: è còmpito dello Stato completare in tale senso la serie degli esami. Questo esige pure l’interesse di chi esercita l’arte liberale su cui incombe la grave responsabilità che delineammo. Il pub- blico, che ricorre all'opera del medico, fidando nel valore di tale titolo, parte dalla legittima presupposizione, che egli abbia dato prove sufficienti in tutte le parti della medicina. E lo Stato conferma questa fiducia, vietando che possa chiamarsi medico chi non subì quel dato esame. Astrazione fatta dal caso specifico, che preoccupa non meno il Kérner che l’Oppenheim, è certo che da una parte è interesse dello Stato meritare la fiducia dei cittadini, perchè in ciò sta la sua grande forza morale, dall’altra è dovere e diritto dei cittadini di scorgere nello Stato la naturale protezione della loro buona fede. Se, come uomini, non possiamo che anelare al progresso della scienza, come giuristi, non possiamo che additare l’alto dovere morale che incombe allo Stato di fronte alla legittima fiducia del pubblico. E per l’una e per l’altra ragione, mentre Kérner ed Oppenheim invocano l'accoglimento della scienza, otoiatrica tra gli studi ufficialmente richiesti per l'esercizio del- l’arte di Galeno, facciamo voti che l'Ateneo tenga ognora spa- lancate le porte all’incalzante movimento del sapere e risponda così sempre alle esigenze delle nuove società. (1) L’essere il diploma conditio sine qua non della professione, pur ace- centuando l’obbligo morale dello Stato, non basta, come vedemmo, a ren- derlo giuridico. L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. fg e N.Y.Acadexzy Qf£ Sciances CLASSI. UNITE Adunanza del 25 Maggio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: BerrutI, D’Ovipio, NaccarIi, Mosso, Spezia, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, Foà, GuaRrESscHI, Guipi, FiLeri, PARONA, MATTIROLO e MoRERA; i della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: Pryron, Vice-Presidente dell’Accademia, FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, Manwno, Prezzi, CARLE, Brusa e ReNTER Segretario. — Il Socio CipoLLa scusa l’assenza. Si approva l'atto verbale dell'adunanza antecedente 12 gen- naio 1902. L'Accademia invitata da S. E. il Ministro dell’Istruzione Pubblica designa come suo rappresentante al Congresso Storico internazionale, che si terrà in Roma nel mese di ottobre pros- simo, il Socio CIPOLLA. Il Socio JADANZA, invitato dal Presidente, procede all’espo- sizione finanziaria per il passato esercizio dell’anno 1901, e presenta il bilancio preventivo dell’anno in corso. L'Accademia approva tanto il conto consuntivo, quanto il bilancio preventivo. Approva pure i resoconti delle gestioni delle eredità Bressa, Gautieri e Vallauri, scarica il Tesoriere d'ogni contabilità passata e gli dà carico per l'esercizio in corso dell’anno corrente 1902. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 36 544 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 25 Maggio 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Berruti, NaccarI, Mosso, SPEZIA, CamerANO, SEGRE, JADANZA, Foà, GuaAREScHI, Gumi, FILETI, Parona, MartIRoLo, MoreRA e D’Ovipro. Segretario. E letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente. Per mezzo del Socio CameRANO il Socio corrispondente Faro di Ginevra fa omaggio alla Classe di 5 opuscoli di argo- mento zoologico. Il Socio GuarEscHI presenta una Memoria del Prof. Luigi SABBATANI, intitolata: Funzione biologica del calcio. Parte 2%: Il calcio-ione nella coagulazione del sangue, da inserire nei volumi accademici, e il Presidente affida l'esame di essa ai Socî Gua- rescni e Mosso. Il Socio Seere presenta del pari la Memoria del Dr. Zeno GraMmBELLI: L'isoluzione del problema degli spazi secanti, a rife- rire sulla quale vengono delegati i Socì Seere e D’Ovipro. Per la pubblicazione negli Atti si accolgono le seguenti note: Sul modo di eliminare l'errore dovuto alla disuguaglianza dei diametri dei collari nei livelli a cannocchiale mobile, dell’inge- gnere Vittorio BaGGI, presentata dal Socio JADANZA; Sopra una varietà di ptilolite dell’isola Principe Rodolfo, del Dr. Luigi CoLomBA, presentata dal Socio SPuzZIA. VR I I Tu IR I OO VITTORIO BAGGI — SUL MODO DI ELIMINARE L'ERRORE, Ecc. 545 LETTURE Sul modo di eliminare errore dovuto alla disuguaglianza dei diametri dei collari mei livelli a cannocchiale mobile. Nota dell’Ing. Prof. VITTORIO BAGGI. I 1. — In una precedente Nota (*) ho proposto un tipo di livello atto ad eliminare gli errori residui che si riscontrano negli ordinari livelli tanto a cannocchiale fisso quanto a can- nocchiale mobile. Tale livello venne costruito dal meccanico Collo dell’Os- servatorio Astronomico di Torino, e corrisponde pienamente alle mie aspettazioni, perchè dopo che lo si è corretto, permette di eliminare l’errore dovuto allo irregolare scorrimento del tubo oculare e quello dovuto alla non perfetta uguaglianza dei dia- metri dei collari d'appoggio del cannocchiale, mediante due sole letture fatte sulla stadia. Scopo della presente Nota si è di suggerire un altro tipo semplice di livello il quale permette di raggiungere lo stesso scopo del livello descritto nella precedente Nota, senza però ricorrere alla livellazione reciproca per eseguirne la correzione. Come è noto, il livello a compensazione di Breithaupt soddisfa appunto a questa condizione, cioè lo si può correggere senza far uso della stadia, per il che è però necessario applicare pro- cedimenti di correzioni molto diversi da quelli che si seguono negli ordinari livelli a cannocchiale, e talmente delicati da ri- chiedere l’opera del meccanico anzichè quella dell'operatore. Il Breithaupt ha col suo livello a compensazione risolto elegante- mente la questione che si riferisce all’eliminazione dell’errore dovuto alla disuguaglianza dei collari, con un metodo però che non esito a dichiarare poco pratico. (*) “ Atti della R. Accademia delle Scienze ,, vol. XXXVII. 546 VITTORIO BAGGI LI 2. — Il nuovo livello è rappresentato dalla Fig. 1% con linee schematiche. Esso è a cannocchiale mobile, con vite di elevazione V, e consta di due livelle, di cui una / fissa al can- nocchiale e l’altra l" mobile sui collari del cannocchiale stesso. Fig. 1. Come è ben noto, in tutti i livelli a cannocchiale mobile l'errore più delicato e difficile da eliminare è quello che pro- viene da una non perfetta uguaglianza fra i diametri dei due Fig. 2. collari d'appoggio del cannocchiale: per maggior chiarezza sup- poniamo che i diametri dei detti collari siano notevolmente disuguali, cosicchè la superficie che li avvolge sia il cono ACB (Figura 22). Per non complicare la figura supponiamo che le forcelle fisse alla traversa 7 che sostengono i collari del canrfocchiale siano foggiate ad arco di cerchio. Riesce allora facile, mediante la livella / fissa al cannocchiale, rendere orizzontale la genera- trice CB d'appoggio dei collari sulle forcelle, e portare l’asse della livella 2 a trovarsi in uno stesso piano coll’asse mecca- SUL MODO DI ELIMINARE L'ERRORE, ECC. 547 nico CM dei collari. A tal fine basta procedere nell’identico modo col quale si corregge un ordinario livello a cannocchiale mobile e livella fissa al cannocchiale, e precisamente: Disposto il cannocchiale nella direzione di una delle tre viti del basamento, si centra con essa la bolla della livella Z, poscia s'inverte il cannocchiale lasciando fissa la traversa 7, e lo spo- stamento della bolla della livella si corregge metà colla stessa vite del basamento, e la rimanente metà colla vite propria della 2. Tale correzione si ripete finchè la bolla della livella / rimane centrata nelle due posizioni del cannocchiale. Ciò fatto la generatrice inferiore CB d’appoggio dei collari risulta orizzontale, e volendo rendere di uguale altezza i mon- tanti del cannocchiale che si elevano alle estremità della tra- versa 7’, basta ruotare quest’ ultima in azimut di 180° e lo spostamento della bolla della livella { correggerlo per metà colla vite di elevazione V e per l’altra metà ancora colla stessa vite del basamento fin qui considerata. Ruotando infine la tra- versa 7 di 90° in azimut si centra la bolla di 2 mediante le altre due viti del basamento: con ciò anche l’asse di rotazione dell’alidada è reso verticale. Se ora indichiamo con a l’angolo che l’asse meccanico CM forma colle generatrici del cono che avvolge i collari, e con e l’angolo che l’asse ottico. PQ forma coll’asse meccanico CM, si ha che l’asse ottico PQ colpisce una stadia situata alla distanza D dallo strumento, in un punto che differisce da quello che corrisponde al prolungamento della oriz- zontale CB di una quantità: +Dtang(a + e). Il segno + corrisponde al caso considerato in figura in cui il vertice C del cono si trova dalla parte dell’oculare, ed il segno — al caso opposto. L'angolo a è dovuto alla disugua- glianza dei diametri. dei due collari, ed è costante per un dato cannocchiale; l’angolo e è dovuto alla non coincidenza dell'asse ottico PQ coll’asse meccanico CM, e tale angolo varia general- mente per uno stesso strumento ad ogni spostamento del tubo oculare o della lente obbiettiva. Si giri ora il cannocchiale di 180° intorno al proprio asse meccanico CM senza invertirlo, lasciando fissa la traversa 7, 548 VITTORIO BAGGI e sovrapposta la livella /' sui collari si centri la sua bolla colla vite di elevazione V. Per non complicare la figura supponiamo che anche le forcelle d’appoggio della livella ?’ siano circolari. Invertendo ora la sola livella 7, se essa è corretta la sua bolla si manterrà centrata anche in questa seconda posizione, ed in caso diverso si correggerà il suo spostamento per metà col mezzo della vite V e l’altra metà mediante le viti proprie della livella /'. Ciò fatto sarà orizzontale la generatrice superiore C5' d’appoggio della livella (Fig. 3°) e per la rotazione di 180° fatta subire al Fig. 3. cannocchiale, l’asse ottico prenderà la posizione P'Q' in modo da fare colla orizzontale CB' l’angolo (a + e) uguale e di segno contrario a quello prima considerato, e colpirà la stadia in un punto distante da quello che corrisponde al prolungamento della orizzontale CB' di una quantità: + Dtang(a+ e). Cosicchè se indichiamo con m ed wm' le letture fatte rispet- tivamente sulla stadia nel caso delle Figure 2° e 3*, e con v la lettura che corrisponderebbe alla orizzontale vera allorchè fossero nulli gli angoli a ed e si ha: m=v + Dtang (a + e) m'=v— Dtang(0+ e) quindi: PA Mec i (1) Ne segue che la media delle letture m ed wm' elimina contempo- raneamente l'errore dovuto alla non coincidenza dell’asse ottico SUL MODO DI ELIMINARE L'ERRORE, ECC. 549 con quello meccanico del cannocchiale, e quello dovuto alla dis- uguaglianza dei diametri dei suoi due collari. Dopo le correzioni ora esposte, è conveniente far seguire quella che si riferisce allo spostamento laterale delle due livelle ? ed /', cioè bisogna portare gli assi di queste livelle a giacere in uno stesso piano coll’asse meccanico CM del cannoc- chiale. Tale correzione si fa manovrando le viti laterali di dette livelle, nel modo stesso che si pratica negli ordinari livelli a cannocchiale mobile. 8. — Lo strumento ora descritto permette di eliminare gli errori provenienti dagli angoli @ ed e anche senza correggere la livella mobile /, purchè sia corretta la l che è fissa al can- nocchiale. Infatti, dopo di aver corretta quest’ultima livella si legga sulla stadia e sia m la lettura fatta; si ruoti il cannoc- chiale di 180° intorno al proprio asse meccanico, si sovrapponga su di esso la livella 7, si centri la sua bolla colla vite di ele- vazione V, e sia m' la lettura fatta sulla solita stadia. Si in- verta la livella mobile /" senza toccare il cannocchiale, si centri nuovamente la sua bolla mediante la vite di elevazione V e sia w'' la nuova lettura fatta. La quantità se 2mn + 2 + an" (2) rappresenta evidentemente la lettura che si farebbe qualora i.collari fossero uguali e qualora l’asse ottico coincidesse coll’asse meccanico del cannocchiale. Se invece la livella /' è corretta, si ottiene la lettura con due sole osservazioni, nel modo detto nel ricavare la (1). 4. — Da quanto si è esposto risulta che lo strumento de- scritto lo si può usare nella pratica colle identiche modalità con cui si adopera il livello a compensazione di Breithaupt, avendosi però su quest’ultimo il vantaggio della semplicità e maggior speditezza nelle correzioni dello strumento. 550 VITTORIO BAGGI III. Il livello con due livelle fisse al cannocchiale descritto nella Nota già citata, si può con facilità correggere senza ricorrere all’ordinaria livellazione reciproca, la quale richiede due stazioni dello strumento e la misura in ciascuna di esse dell’altezza del- l’asse ottico del cannocchiale sul punto a terra. Si segnino sul terreno tre punti R, 4, B situati sopra uno stesso allineamento e posti ad una stessa distanza D l’uno dal- l’altro (Fig. 42). Ricorrendo ad una qualunque delle due livelle fisse al can- nocchiale, si determini la differenza di livello % fra A e B si- tuando lo strumento ad eguale distanza da questi punti. Dette @ e b le letture fatte sulle stadie A e B in queste condizioni, si ha: h=a—D. (3) Determinato in tal modo il valore di 4, si porti lo strumento sul punto È, e si renda verticale il suo asse generale mediante una qualunque delle due Jivelle che sono fisse al cannocchiale, per esempio colla livella 2. Colla bolla di questa livella perfettamente centrata si legga sulla stadia situata sul punto A e sia d'la lettura fatta: si ruoti il cannocchiale dolcemente intorno al proprio asse meccanico di 180° e senza preoccuparsi della livella /" che attualmente presenta la sua bolla all’osservatore, si legga an- cora sulla stessa stadia e sia «la nuova lettura. La media __d+a" 2 SUL MODO DI ELIMINARE L'ERRORE, ECC. 51 corrisponde al punto N in cui l’asse meccanico del cannocchiale incontra la stadia ora considerata. Si porti ora la stadia sul punto 5, si ruoti il cannocchiale di 180° e si sposti il tubo oculare fino a che si legga distinta- mente sulla stadia B. La bolla della livella Z sarà ancora cen- trata, e qualora non lo fosse in causa di uno spostamento fatto subire al cannocchiale nel manovrare la vite che muove il tubo oculare, la si centri ancora perfettamente servendosi unicamente della vite di elevazione. Ciò fatto si legga sulla stadia 5 e sia d' la lettura fatta; si ruoti il cannocchiale di 180°, si rilegga nuo- vamente sulla stessa stadia e sia 2' la lettura che ne risulta, La media corrisponde al punto M in cui lo stesso asse meccanico CN del cannocchiale incontra la stadia situata in B. Se il detto asse meccanico fosse orizzontale, incontrerebbe le stadie A e B ri- spettivamente nei punti Pe Q. Posto NP=%, risulta MQ =2x e per essere AP=IQ si ha: n-ax=h+m— 2x quindi ; a=h+4m— n. (4) Si ruoti ora il cannocchiale di 180° intorno al proprio asse meccanico: l’asse ottico colpirà la stadia B in corrispondenza della lettura 5' e la bolla della livella / risulterà centrata: si muova la vite di elevazione del cannocchiale finchè l’asse ottico del cannocchiale colpisca la stadia 5 in corrispondenza della lettura d' 4 2x a seconda del segno di x dato dalla (4) e con ciò si sarà reso orizzontale l’asse ottico. Basterà quindi centrare perfet- tamente la bolla della livella 2 unicamente colla sua vite di cor- rezione per rendere il suo asse parallelo all’asse ottico. Ruotato il cannocchiale di 180° intorno al proprio asse meccanico e ri- portatolo mediante la vite di elevazione a fare sulla stessa stadia B ancora la lettura d' + 2, cioè disposto nuovamente orizzontale l’asse ottico, si centri la bolla della livella 7 unica- mente colle proprie viti di correzione: dopo di ciò gli assi delle due livelle /,/" giaceranno sopra due piani paralleli, per conse- 552 VITTORIO BAGGI -— SUL MODO DI ELIMINARE L'ERRORE, ECC. guenza l’asse meccanico del cannocchiale formerà con essi lo stesso angolo, e la media delle due letture fatte su di una stadia colle bolle delle due livelle rispettivamente centrate risulterà indipendente dalla disuguaglianza dei diametri dei due collari nonchè dall’errore dovuto alla non coincidenza dell’asse ottico coll’asse meccanico del cannocchiale. TE L'argomento che si riferisce all’eliminazione dell’errore do- vuto alla disuguaglianza dei diametri dei collari di un livello a cannocchiale ammette quindi le due soluzioni semplicissime da me indicate. Il livello proposto al paragrafo I, al quale si riferisce prin- cipalmente la presente Nota, permette di correggere lo strumento senza ricorrere alla stadia. Invece il livello già descritto nella precedente Nota e di cui è qui fatto cenno al paragrafo II, ri- chiede bensì l’uso della stadia per la sua correzione, ma è di maneggio più facile e meno delicato del precedente nelle ope- razioni pratiche. Entrambi i livelli proposti presentano notevoli semplifica- zioni di correzione rispetto a quelli fin qui ideati per eliminare l'errore dovuto alla disuguaglianza dei diametri dei collari del cannocchiale. Torino, 18 maggio 1902. LUIGI COLOMBA — SOPRA UNA VARIETÀ DI PTILOLITE, ECC. 553 Sopra una varietà di ptilolite dell'Isola Principe Rodolfo. Nota del Dott. LUIGI COLOMBA Assistente presso il Museo di Mineralogia dell'Università di Torino. Fra i campioni di minerali raccolti alla Baia di Teplitz, nell’ isola Principe Rodolfo, dalla spedizione di S. A. KR. il Duca degli Abbruzzi, trovasi un grosso frammento di calcite gialliccia che evidentemente costituiva lo riempimento d'una geode nel basalto, portando ancora aderenti alla periferia delle piccole traccie della roccia incassante. In questa calcite è inclusa una sostanza che separata me- diante l’azione dell’acido cloridrico diluito, si presenta in lunghi e finissimi aghi incolori, flessibili e dotati di lucentezza setacea ; quelli più grossi sono striati parallelamente all'asse di allunga- mento ed in alcuni è possibile di vedere una faccia terminale perpendicolare al detto asse. Questa sostanza non trovasi uniformemente diffusa in tutta la massa della calcite ma bensì occupa sotto forma di incrosta- zione la parte periferica del frammento, quella parte cioè che formava la zona di contatto colle pareti della geode, onde si può dedurre che essa rappresentasse un deposito anteriore a quello della calcite. Essa è difficilmente decomposta dall’acido cloridrico anche concentrato e bollente; è pure difficilmente fusibile con ribolli- mento e si nota che se nei punti in cui la fusione fu completa essa appare trasformata in un vetro incoloro, dove invece essa non fu completa i singoli individui aciculari compariscono ancora indipendenti e cambiati in cilindri, incolori, isotropi e contorti. La quantità di acqua contenuta in essa è assai grande; dalle ricerche istituite a questo scopo ebbi che essa giunge sino al 15,24 ‘lo, ma però, siccome da alcune osservazioni pre- 554 LUIGI COLOMBA liminari risultò come la sua separazione incominciasse a tem- peratura poco elevata, essendomi limitato ad essiccare la so- stanza usata per queste ricerche a temperatura ordinaria, è presumibile che piccole quantità dell’acqua trovata debbano con- siderarsi come acqua igroscopica; ed invero avendo lasciato una porzione di sostanza in un essiccatore con cloruro calcico per aleuni giorni ebbi una perdita pari a 0,81 °, onde si può am- mettere che la quantità di acqua realmente contenuta nel mine- rale della Baia di Teplitz sia pari a 14,43 9/0. Quest’'acqua si elimina completamente ad una temperatura di 350°-400°; a temperature meno elevate la sua eliminazione avviene gradualmente, essendo già più che sensibile anche ad una temperatura di poco superiorea 100°; invero io ottenni a 1059-1109 una perdita di 5,46 °/,. Notevole è la facilità con cui quest’'acqua in tal modo eli- ‘minata può venire riassorbita parzialmente o totalmente, a se- conda della temperatura a cui venne anteriormente portata la sostanza stessa. Averido scaldato una porzione di essa a 105°-110° ottenni, dopo aver lasciato che la sostanza si raffreddasse al- l’aria, una perdita insignificante pari a 0,38 mentre invece nel già accennato saggio, nel quale avevo collocato la sostanza ancora calda in un essiccatore contenente cloruro calcico, la per- dita fu, come dissi, di 5,46 °/o- Nè quest’acqua in tal modo riassorbita poteva considerarsi puramente come igroscopica, poichè non solo non mi fu possi- bile di scacciarla lasciando anche per varî giorni la sostanza stessa in un essiccatore in presenza a cloruro calcieo, ma per essere completamente riespulsa richiese che la sostanza venisse nuovamente portata alla primitiva temperatura di 1059-1109; ed infatti avendo in un saggio elevato la temperatura solo fino ad 85° ebbi una perdita inferiore e pari solo a 4,28 °o- Portando la sostanza a temperature più elevate il riassor- bimento dell’acqua è solo più parziale, poichè avendo scaldato una porzione di sostanza a 350°-400° ed avendo dopo lasciato che si raffreddasse all’aria ebbi solo più una perdita oscillante fra 10,61 e 10,71% invece di 15,24; il riassorbimento poi fu pressochè nullo quando la sostanza venne portata fino alla tem- peratura di fusione. Le ricerche analitiche compiute sul minerale in questione SOPRA UNA VARIETÀ DI PTILOLITE, ECC. 900 stabilirono che esso deve considerarsi come un idrosilicato di alluminio, calcio, potassio e sodio, riferibile al gruppo delle zeo- liti e corrispondente alla formola seguente: (Ca, K,, Na») Als Sia Oxg + 8H.0 in cui Ca: K,: Na»::3:1:1 come risulta dal seguente specchio in cui a fianco dei valori da me ottenuti sono espressi quelli teoricamente necessarì per la suddetta formola: Valori teorici Valori ottenuti Rapporti molecolari Si» 67,97 67,52 1,125 1,12 11 A1,03 10,55 10,76 0,105 0,10 1 Cao 3,45 3,51 0,059 0,06 | K;0 1,98 1,69. 0,018 0,02 1 Nas0 1,27 1,19 0,019 0,02 \ H;0 14,82 14,43 = 0,802 0,80 8 99,99 99,90 Tale composizione chimica associata al fatto della costante presenza di estinzioni rette, indica come il minerale della Baia di Teplitz sia molto prossimo alla ptilolite, idrosilicato scoperto da Cross e da Eakins (1) nel Colorado, dapprima a Green Moun- tains e poscia a Silver Cliff, e la cui composizione chimica cor- risponde rispettivamente alle seguenti formole: (Ca, K., Na») Al, Sito O, + 5H,0 Ca 5 K, è Na» DIA © IAC | (Ca, Na», K:) Als Siro O + 6H30 Ca : Nas: K3::8,5:6:1. Può quindi considerarsi come una varietà di ptilolite che dif- ferisce da quelle già note per la sua maggiore acidità e per la maggiore ricchezza in acqua. (1) On Ptilolite a new Mineral, “ Amer. Journ. of Science , (1886), 32, pag. 117; New occurrence of Ptilolite, È Amer. Journ. of Science , (1892), 42, pag. 96. 556 LUIGI COLOMBA II. Notevoli sono i caratteri ottici di questa ptilolite per il fatto che subiscono delle sensibili variazioni col variare delle con- dizioni fisiche nelle quali vengono esaminati i suoi cristalli. Come già ho detto, essi presentano costantemente estinzioni rette; però analogamente a quanto già notarono Cross ed Eakins la birifrangenza è solo sensibilmente riconoscibile nei cristalli più voluminosi, mancando od essendo quasi impercettibile in quelli più esili e più sottili. Dalle mie osservazioni però risulta che essa può subire delle notevoli variazioni in seguito a riscaldamento anche entro a limiti molto ristretti. Infatti ottenni di rendere molto sensi- bile la birifrangenza anche in quelli più minuti, scaldandoli ad una temperatura di 120°-125°; a tale temperatura tutti gli in- dividui di ptilolite, anche quelli che ad ordinaria temperatura apparivano completamente isotropi, divenivano fortemente biri- frangenti, conservando sempre il carattere delle estinzioni rette. Lasciandoli in seguito nuovamente raffreddare l’intensità della birifrangenza tornava a diminuire ed a temperatura ordinaria essi riacquistavano i caratteri posseduti prima di essere stati riscaldati; e tali modificazioni nella intensità della birifrangenza potevano ripetersi a volontà sottoponendo nuovamente i cristalli stessi all’azione del calore. Ora tenendo conto della grande loro ricchezza in acqua e della facilità con cui essa viene eliminata ed, almeno in parte, riassorbita per ulteriore raffreddamento all’aria, si poteva sup- porre che le variazioni notate nei suoi caratteri ottici fossero inti- mamente collegate alle quantità di acqua in essi contenute, concordemente a quanto Klein ammise avvenire nell’analcite (1). Ed invero se si considerano delle temperature di poco su- periori a 100°, si potrebbe stabilire una corrispondenza diretta fra le modificazioni dei caratteri ottici e le variazioni del tenore in acqua, quando si ammettesse che l’aumentare della birifran- (1) Mineralogische Mittheilungen, “ Neues Jahrb. fir Miner. ,, ecc., XI, Beil. Bd. (1897-98), pag. 475. SOPRA UNA VARIETÀ DI PTILOLITE, ECC. 557 genza fosse dovuto alla parziale eliminazione dell’acqua e la sua tendenza a scomparire in seguito a raffreddamento dipendesse invece dal successivo riassorbimento dell’acqua stessa. Contro a questa supposizione stanno i risultati di una mia esperienza. Presi un certo numero di cristalli e collocatili sopra un vetrino li scaldai fino a che fosse ben viva la loro birifran- genza, poscia li coprii parzialmente con una goccia di balsamo del Canadà e continuai a scaldare fino a che questo avesse acqui- stato il carattere di indurire prontamente. Osservati poscia al microscopio i detti cristalli, osservai che mentre quelli scoperti in brevissimo tempo perdevano la birifrangenza, invece quelli coperti dal balsamo la conservavano per un tempo più lungo, ma tuttavia a poco a poco anche in essi andava diminuendo fino a scomparire per modo che la differenza esistente fra gli uni e gli altri consisteva solo nella molto maggior lentezza con la quale quelli coperti dal balsamo tornavano nelle condizioni primitive. È evidente che se l’aumentare della birifrangenza fosse do- vuto alla parziale eliminazione dell’acqua, i cristalli inclusi nel balsamo e quindi sottratti completamente dal contatto con l’u- midità atmosferica, dovevano trovarsi nella impossibilità di idra- tarsi nuovamente per raffreddamento e quindi avrebbero dovuto mantenere la birifrangenza acquistata. Un altro fatto pure osservai, il quale, oltre a confermare la impossibilità di ammettere l’influenza dell’acqua sul comporta- mento ottico dei cristalli di ptilolite, servirebbe pure a dimo- strare che i detti cristalli posseggono un assettamento molecolare molto instabile, cosa del resto che pure si può ricavare dalla rapidità con cui aumenta o diminuisce in essi la birifrangenza. Il fatto a cui alludo consiste in ciò che avendo osservato alcuni cristalli appena separati mediante l’azione dell’acido cloridrico diluito dalla calcite includente, essi sembravano presentare, spe- cialmente quelli più grossi, una birifrangenza più sensibile di quella presentata dai cristalli che da lungo tempo erano isolati; il che d’altra parte poteva anche osservarsi in quei cristalli che comparivano in alcune sezioni microscopiche ottenute dalla cal- cite. Lasciati però a sè anche in essi però la birifrangenza an- dava scemando di intensità per modo che dopo un certo periodo di tempo presentavano un contegno ottico perfettamente para- 558 LUIGI COLOMBA gonabile a quello caratteristico dei cristalli da lungo tempo isolati dalla calcite. Scaldati questi cristalli, riacquistavano la forte birifrangenza, la quale però tornava a scomparire col raffreddamento, compor- tandosi quindi in modo perfettamente analogo ai cristalli da lungo tempo isolati dalla calcite includente. Ora avendo io osservato come l'assorbimento dell’acqua an- teriormente espulsa avveniva solo quando i cristalli di ptilolite si lasciavano raffreddare all’aria e mancava invece quando veni- vano esposti all'aria di già raffreddati, il che si otteneva col- locandoli ancora caldi in un essiccatore, mentre invece la scom- parsa della birifrangenza si manifestava in tutti, rimarrebbe escluso che la tendenza alla scomparsa della birifrazione nei cristalli isolati dalla calcite possa derivare da un assorbimento d’acqua. Essa indica piuttosto la comparsa in essi d’una modi- ficazione nell’assettamento molecolare. Il che facilmente, a mio parere, si potrebbe spiegare am- mettendo l’ipotesi di Friedel (1) che, cioè, nelle zeoliti le varia- zioni nei caratteri ottici dipendano da variazioni di volume. Invero, supponendo che nella ptilolite, analogamente a quanto Friedel constatò nella analcite, si abbia una contrazione di volume coll’aumentare della temperatura e quindi si abbia una dilatazione col diminuire di essa, basterebbe ammettere che la ptilolite si sia formata a temperatura sufficientemente ele- vata perchè essa presentasse una forte birifrazione ed in tali condizioni sia rimasta inclusa nella calcite per modo che anche in seguito ad un ulteriore raffreddamento, i cristalli i quali, essendo inclusi nella calcite, non potevano subire dilatazione alcuna nel loro volume, avrebbero mantenuto i loro caratteri primitivi, salvo a perderli quando, isolati dalla calcite includente, venivano a ‘ trovarsi in condizione di obbedire alle leggi che determinavano in essi una variazione nell’assettamento molecolare, accompa- gnata da un aumento di volume, e resa appunto evidente da una diminuzione nel carattere della birifrangenza. Un tale modo di interpretare i fenomeni osservati nella ptilolite della Baia (1) Sur quelques propriétés nouvelles des 2éolithes, “ Bull. de la Soc. frang. de Minér. ; (1896), XIX, pag. 94. SOPRA UNA VARIETÀ DI PTILOLITE, ECC. 559 di Teplitz, spiegherebbe pure perchè i cristalli inclusi nel bal- samo impiegarono un tempo molto più lungo a perdere la biri- frangenza acquistata per effetto del calore, occorrendo un certo tempo appunto perchè potessero riuscire a vincere la resistenza opposta dal balsamo alla loro. dilatazione. Ma queste variazioni nell’assettamento molecolare rappre- senterebbero nella ptilolite un fenomeno ben differente da quello osservato nell’analcite, perchè ammettendo che il diminuire in essa della birifrangenza rappresenti una tendenza verso la mo- norifrangenza, si avrebbe la concordanza fra i caratteri ottici e l’abito dei cristalli non già a bassa temperatura, ma bensì almeno a 120°, quando cioè essi cominciano a divenire fortemente biri- frangenti, poichè la struttura fibrosa che essi presentano ed il complesso dei loro caratteri morfologici si addicono di più ad un minerale trimetrico che non ad uno monometrico. Sarebbe quindi un fenomeno inverso di quello osservato nell’a- nalcite, nella quale invece, coll’aumentare della temperatura, tende a crescere la discordanza fra i caratteri cristallografici ed ottici dei suoi cristalli, essendo in essi la perturbazione molecolare rap- presentata dalla contrazione di volume subìta durante il riscal- damento, mentre in quelli di ptilolite la perturbazione sarebbe rappresentata dalla dilatazione subita durante il raffreddamento. Ciò che è certo ad ogni modo si è che considerando i limiti assai ristretti di temperatura entro i quali si manifestano queste modificazioni strutturali ed anche la piccola intensità delle cause atte a produrle, devesi indubbiamente ammettere per la ptilolite una eccezionale instabilità nell’ equilibrio molecolare, ‘superiore certo a quelle osservate in qualsiasi altra specie minerale. Ed il fatto che Cross ed Eakins trovarono la loro ptilolite sotto forma di piccoli aggregati fibrosi occupanti delle cavità nella calcedonia, cioè in condizioni di giacitura tali da rendere possibile nei suoi cristalli ogni fenomeno di dilatazione richiesto dal loro assettamento molecolare a temperatura ordinaria, spieghe- rebbe perchè essi non abbiano osservato le differenze di contegno ottico che io invece ebbi modo di notare nella ptilolite della Baia di Teplitz. La possibilità poi di fenomeni consimili a quelli da me ammessi per la ptilolite, sarebbe pure confermata dalla curiosa Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 37 560. LUIGI COLOMBA — SOPRA UNA VARIETÀ DI PTILOLITE, ECC. osservazione compiuta da L. Bombicci (1) sulla sagenite che tro- vasi inclusa nel quarzo del Brasile e consistente in ciò che i cristalli aciculari di sagenite avrebbero subìto un allungamento all'estremità rimasta libera in seguito alla levigazione dei fram- menti di quarzo che li contenevano inclusi, essendo con tutta probabilità questo allungamento una tendenza dei cristalli stessi a vincere la contrazione di volume a cui erano stati sottoposti durante la consolidazione della massa quarzosa avvolgente. Istituto Mineralogico dell’Università di Torino. 20 maggio 1902, (1) Di un sensibile aumento di volume negli aghetti di rutilo, ecc., * Mem, della R. Ace. delle Scienze dell’Istit. di Bologna ,, serie V, tomo IX (1901). L’ Accademico Segretario Enrico D’OvipIo, 561 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza dell’8 Giugno 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Pevron, Vice-Presidente dell’Acca- demia, FerrERO, Direttore della Classe, Rossr, Manno, ALLIEVO, Pizzi, SAvio e CHiRONI, che funge da Segretario per giustificata assenza del Socio RenieR. — Scusa la sua non presenza il Socio Brusa. Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 18 maggio 1902. Il Presidente dà notizia alla Classe, che non avendo il Socio CrpoLLA potuto in verun modo aderire al fattogli invito di rap- presentar l'Accademia nel Comitato esecutivo pel Congresso sto- rico internazionale che si terrà prossimamente in Roma, pregò di tal officio il Socio Bosectr, il quale accettò. Dà lettura alla Classe della lettera del BoseLLr che ringrazia del commes- sogli incarico, e di un telegramma del Ministro della P. I. cui venne partecipata la nomina del nuovo Delegato. Comunica poi un programma ed un invito dell’ Associazione letteraria artistica internazionale, che terrà prossimamente un suo Congresso in Napoli; e la Classe delibera che si risponda ringraziando. E pur all'invito del Congresso storico internazio- nale degli Orientalisti di Hzinoi, che si terrà nel dicembre 1902, delibera si risponda ringraziando, e delegando a rappresentarla il Socio BréaL. 562 Presenta poi, a nome della famiglia, l’ ultimo lavoro del compianto Socio CoexnetTI pe MaRTIS, ch'è: La mano d'opera nel sistema economico; lavoro ‘che l'illustre Autore, ‘sorpreso dalla malattia che lo condusse a morte, non potè compiere. La Classe accoglie con speciale compiacenza l’omaggio, e delibera .l’invio di ringraziamenti alla famiglia offerente. i Il Socio CatroNI presenta, a nome dell'autore, prof. CoccHIA, Presidente della -R. Accademia di Napoli, tre lavori: due volumi di Saggi filosofici; un volume ‘intitolato: Grammatica elementare della lingua latina; ed ‘una’ monografia, Sul? esilio di Ovidio a Tomi; pubblicati ch’ è poco tempo a Napoli; e nel presentarli ricorda. il favore speciale con. cui gli studiosi. li accolsero. La Classe delibera si rendano grazie al donatore. . Vioiendh Lo stesso Socio presenta, pure qual omaggio dell’ autore, un. lavoro -del prof. Manara dell’ Università di Genova, intorno:, Le società e le associazioni commerciali (vol. I, Torino, 1902); e su di esso pronuncia le seguenti parole:, Non esce dai termini in cui s’esplica. l’azione dell’Accademia, l’avvertire, e, quando ne sia il caso, dare incoraggiamenti al, buoni studî onde una o più parti delle nostre discipline giuri- diche ricevano maggiore virtù o perfezione: chè anzi, per essere il diritto ‘la più alta tra le scienze sociali constituite sotto la ragione dell’etica, l'Accademia ben compie all’ufficio suo segna- lando quei lavori, che, o ricercando e componendo i. fini ed'i concetti generali degli ordinamenti legislativi, o scrutandone le. più riposte parti a fin di tenerli in costante rapporto all’ambiente in cui si svolgono, arricchiscono il patrimonio scientifico della nazione. Di quarto s'avanzi ora da quel ch'era pochi amni è, lo studio delle altre discipline onde consta il pubblico ed il privato: diritto, s'avrà nuova occasione di osservare: pel momento; l’os- servazione vien ristretta alla vita feconda, che, per le opere dei nostri commercialisti, allieta di seconda giovinezza il diritto classico mercantile italiano. Mercantile diciamo: perchè, chi pensi lo svolgimento che dai nostri antichi ebbe la ragion com- 563 merciale, s'accorgerà di leggieri come lo studio loro, per giusto consenso, alle circostanze in cui s’esplicava, fosse visto a dare ben più che non fosse la semplice conoscenza tecnica, per quanto profonda, della legge: senza l'apparato, allora neppur possibile, di materiali dedotti dall’ economia e da altre scienze .sociali ch’ebbero più tardi insigne. aumento, al: fine economico di, ogni singolo istituto si dette sempre quel rilievo che si potesse mag- giore. Chè anzi, questa finalità economica, di cui i nostri antichi, come formatori del diritto, avevano nettissima visione, era tem- perata in guisa coi concetti giuridici, da assurgere, secondo oggi si direbbe, alle costruzioni più ardite: delle quali non poche vennero riprese, mutando talvolta la tecnica soltanto nei nomi, dalla scienza giuridica odierna. Cosiechè, lo studio dei commercialisti classici italiani era perciò. mezzo. idoneo ed efficacissimo di formare il carattere dell’uomo mercante, e di prepararlo a maggiore perfezione: e per questa sua virtù ben meritava e merita che sia richiamato da noi all’onore che gli è dovuto, oggi che la risorta attività economica-industriale del paese domanda, esige tal rinnovamento nella coltura e nell’educazione, che a lei seriamente corrisponda. Fra gli studi, per parecchi aspetti notevoli, del Bolaffio, dello Sraffa, del Vivante, ben venga dunque il nuovo lavoro del Manara, intorno la società e le associazioni commerciali: dove la ricerca storica paziente e rigorosa, le considerazioni econo- miche condotte con opportunità e giustezza di misura, là sotti- gliezza elegante della costruzione giuridica, la ricchezza dei particolari per cui il concetto astratto s’ anima e si diffonde nella pratica della vita, la perspicuità della: forma, conferiscono armonicamente al risultato ch’è questa monografia, nobilmente pensata e condotta. Certo, se vi è argomento, nel quale la figura dei nostri antichi commercialisti, ed in particolar modo del Casa- regis, possa oggi rifulgere, e dalla opera loro si possano attin- gere concetti che noi, ingiustamente obliosi, dimenticammo per lungo tempo, rievocandoli poi, per l’opera di dotti stranieri, investigatori curiosi meglio che noi, delle cose nostre: se vi è argomento in cui queste opere vivano della vita scientifica mo- derna, è appunto quello che dalle società ed associazioni ha con- tenuto e nome. Ed il Manara ben sentì questa giusta ammi- razione pei nostri antichi, e dei loro grandi insegnamenti con 564 corretto scrupolo si vale: perchè non tutto vi è egualmente vivo, non ogni parte consente in pari modo al movimento ed alla ragion giuridico-commerciale odierna. La prima parte dell’opera sua, ch'è or pubblicata, contiene le linee generali degli istituti: ma ripromette in maniera egregia dell’opera intera, che tornerà certo a grande onore della letteratura giuridica nazionale. Il Socio MAnNo presenta, a nome degli autori, quattro mo- nografie dell’ab. Leone BoucHAGE, su vari argomenti, pubblicate a Chambéry nel 1902, ed una del can. Ducis sulla Sapaudia, pub- blicata parimenti a Chambéry, rilevandone i meriti. La Classe ringrazia. Il Socio CHIRONI presenta per l’inserzione negli Atti una nota del dott. SARFATTI, La ragione ed il contenuto del “tort , nel diritto inglese. Presenta pure, chiedendone la pubblicazione nel volume delle Memorie, un lavoro del dott. Ricca-BARBERIS, intitolato: Il contratto per altri nella sua formazione storica, e nella sua funzione economico-giuridica odierna; e sono nominati a riferirne lo stesso Socio, ed il Socio CARLE. Presenta infine, a nome del Socio CARLE, una monografia del prof. Bosa dell’Università di Torino, intitolata: Esame storico-critico delle “ idee-immagini , attribuite da Haurtau a S. Tommaso; e vengono designati a rife- rirne, i Soci ALLiEvo e CARLE. Il Socio FERRERO presenta la notizia intorno il compianto Socio PeRRERO e la Classe la accoglie (*). (*) Questa Nota sarà inserita nel fascicolo prossimo. _—_—Pr___re—_rr, 3 ru MARIO SARFATTI — LA RAGIONE ED IL CONTENUTO, Ecc. 565 LETTURE La ragione ed il contenuto del tort nel diritto inglese. Nota del Dott. MARIO SARFATTI Assistente all'Istituto giuridico della R. Univ. di Torino. I. In questi tempi febbrilmente agitati, nei quali la com- plessità del viver civile ha fatto delle relazioni economiche un’in- tricata matassa difficile a dipanarsi, ed il sempre crescente progresso della scienza ha centuplicato 1 pericoli della circola- zione stradale e dell’uso delle macchine, applicate ormai in tutte le aziende agricole e industriali, il tema che più interessa i giuristi della nostra e delle altre nazioni è certamente quello della responsabilità civile extracontrattuale. L’esercizio di qua- lunque mestiere o professione è reso sempre più difficile per l'estrema cura che richiede affinchè una minima disattenzione non rechi a taluno enormi danni, i quali, una volta prodotti, creano nuovi diritti come trasformazione di quelli violati, che sì manifestano sotto la forma di riparazione o risarcimento (1). Infiniti sono ormai i casi nei quali l’esplicazione dell’intera attività individuale danneggia altri individui nei loro fondamen- tali diritti e facile riescirebbe l’opera del magistrato se si limi- tasse a condannare al risarcimento gli autori degli atti dannosi a favore delle vittime di questi. Repugnerebbe però alla ragione naturale ed agli stessi principii etico-giuridici, la sanzione d'una pena, la condanna a risarcimento per il solo fatto considerato nella sua oggettività senza un esame minuto e per lo più assai difficile dell'elemento soggettivo, perchè darebbe luogo a gravi ingiustizie la sentenza che fosse emanata in base all’osserva= zione del risultato ultimo dei fatti senza lo studio della causa- lità loro. (1) Brackstone, Commentaires sur les lois anglaises (Trad. Chompré). Paris, 1823, IV, 189. 566 MARIO SARFATTI Il concetto del risarcimento appare come un fenomeno giu- ridico primordiale il quale ha preceduto ogni altro segno di vita del diritto (1) e siccome prima a dare una disposizione siste- matica alla teorica del danno e del risarcimento extracontrat- tuale fu la dottrina inglese, validamente aiutata dall’opera legislativa in continua evoluzione e dalla corrispondente giuris- prudenza, è cosa non inutile, pur professando pel Diritto romano con tutti i suoi derivati la nostra più grande ammirazione, il non disdegnare di tener conto del Diritto anglo-sassone nonostante la sua inferiore elaborazione scientifica. Quello che è difetto nel sistema generale inglese e che ha caratteristica comune al Diritto romano (2), di avere cioè se- parato assai tardi ed imperfettamente il Diritto civile dal Di- ritto penale (3), può nell'argomento che adesso prendiamo in esame esser considerato un vantaggio per studiare nel suo com- plesso la teorica del torto. Mentre la maggior parte dei romanisti tratta del risarcimento in genere, sia esso dovuto per delitto o in conseguenza a violazion di contratto (4) e il codice di Napo- leone nel capitolo de l’effet des obligations (Lib. III, cap. II, tit. II), dia regole generali sul risarcimento del danno, applicabili solo in piccola parte al rapporti extracontrattuali ed il codice nostro nel capo degli effetti delle obbligazioni (Lib. II, tit. IV, cap. 39), voglia porre dei principii comuni alle obbligazioni contrattuali e extracontrattuali, ma che si posson quasi tutti applicare solo alle prime, il Diritto inglese comprende la teorica del danno e del risarcimento nel concetto generale di torto, del quale risalta l'autonomia in tutti i trattati e nelle monografie che numerose sì seguirono in questo trentennio. II. — La migliore e la più completa fra queste è l’opera del Pollock (5), che ci dà del torto il concetto preciso pur limi- (1) Venezian, Danno e risarcimento fuori dei contratti, pag. 3. (2) JaeRrING, L’esprit du droit romain. Trad., 2% ed. Paris, 1880, vol. I, pag. 140. — Ferrini, Pandette. Milano, 1900, pag. 721. — PapeLeTTI, Storia del D. R. Firenze, 1886, pag. 280. — Bonranre, Diritto Romano. Firenze, 1900, pag. 401. (3) PoLLocx, The law of torts. London, 1887, pag. 3. (4) Roma, Ist. di D. R. Torino, 1899, II, 23. — Waw Werrer, Les oblig. en D. R. Gand, 1883, vol. I, pag. 68. — Arnprs-SerArINI, Pandette. Bologna, 1880, II, 23 (Vedi nelle note l'ampia bibliografia). (5) The law of torts. London, 1887. LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL <« TORT », ECC. 567 tandolo ad una nozione negativa di esso ; è torto; egli dice, è nel comune. linguaggio, ogni opposizione al diritto, e consiste in un'azione od omissione che dà origine a un risarcimento civile indipendente da vincolo contrattuale; accortamente egli oppo- nendo così l’uno all’altro i termini torto e diritto per escludere da risarcibilità i danni leciti, detti dal Bracton (1) just muisances, consistenti in quegli atti coi quali taluno, nel pieno esercizio dei proprii diritti, viola diritti altrui e che, nonostante la scam- bievole tolleranza necessaria nei comuni rapporti sociali (2), vanno, in omaggio alle necessità economiche odierne, gradata- mente diminuendo col passare dal campo della liceità a quello della illiceità, mostrando attinenza grandissima nel diritto nostro con i jura vicinitatis (3). In mancanza d’una buona definizione si era in antico ricorso alla classificazione dei torti, oscillando la dottrina tra una in- determinatezza eccessiva ed una minuziosa casistica, col gran merito però di agevolare così l’opera del giudice per i casi che nelle classificazioni erano contemplati, col rischio è vero di pri- vare di adeguato risarcimento chi fosse stato danneggiato da fatti precedentemente non considerati illeciti, ma anche con la quasi certezza che l’acume dei magistrati riescisse a estendere la comprensività di tali categorie a tutti i possibili delitti e quasi delitti. Si cominciò dal distinguere solamente gli atti violenti dai non violenti specificando poi, pur sempre insufficientemente, gli atti illeciti nelle tre categorie di non-feazance: omissione degli atti che un uomo è costretto per legge a compiere, misfeazance: cattiva esecuzione di atti leciti, e malfeazance: esecuzione di atti in sè illeciti (4) e giungendo presto ad una sequela di classi (1) Citato in GarreT, The law of nuisances. London, 1897, pag. 3. (2) Vedi Carron, L’individualismo e la funzione sociale. Discorso inau- gurale, 1898. (3) Quistioni di dir. civile. GABBA, vol. I. Torino, Bocca, 1897, pp. 175-81. (4) Srernen, New commentaries of the Laws of England. London, 1874, vol. III, pag. 368. Questa classificazione è usata ancora per la responsa- bilità delle pubbliche amministrazioni; vedi cause: Smith C. West Derby local Board (IV, 31) — Borough of Bathurst c. Macpherson (IV, 121) — Hermitt c. Nothingham Tram (IX, 32). — La giurisprudenza citata è tolta dal “ Law Magazine and Review ,, quando non vi sian le lettere L. Q. R. per indicare la * Law Quarterly Review ,; il numero romano indicy il vo- / | 508 MARIO SARFATTI e sottoclassi di danni (1) talmente concatenate tra loro, che trovato il nomen juris d’un danno era improbo lavoro il risalire da quello al gruppo suo primordiale. La dottrina non tardò a correggersi su questo punto e le classificazioni poste dal Pollock (2) e dal Garrett (3) ridussero nei giusti limiti l’enumerazione dei possibili danni, distinguendo il primo: I danni alla persona, i danni alla proprietà, i danni alla persona ed alla proprietà, raggruppandoli il secondo: 1° nella violazione di diritti pubblici mediante un atto od omissione da parte d'uno o di più individui di fronte a un pubblico dovere; . 2° nella corruzione della pubblica moralità; 3° nell’abuso dei proprii diritti personali e di proprietà in odio ai diritti del vicino; e dando entrambi gli autori le suddivisioni delle varie categorie a semplice titolo di esempli- ficazione (4). Perchè se le classificazioni di danni risarcibili erano tassative nell’antico Diritto anglosassone, adesso la dottrina e la legislazione, pur continuando ad escogitarne sempre delle nuove, partono dal principio generale che ognuno debba osservare nelle varie circostanze, nella debita misura, la prudenza necessaria per evitar di recar danno ad altri (5) così che come trovano pro- tezione non solo determinati contratti nominati, ma tutte le convenzioni che rispondono ad alcune condizioni essenziali, sian risarciti tutti i danni ingiustamente recati. E può dirsi che teo- ricamente ormai il Diritto inglese sia incamminato sui principii della lex aquilia (6) con lo svolgimento ad essa dato dagli studi lume, il successivo la pagina del “ Quarterly Digest ,, che si trova in fine ad ogni volume. (1) SrerHEN, Op. cit., pagg. 372-445 (vedi appendice I a pag. 17). (2) Pag. 7 (vedi appendice II). (3) Pag. 4 (vedi appendice III). (4) Vedi appendice II e III a pag. 18 e 19. (5) PoLLocx, Op. cit., pag. 22. (6) La giurisprudenza inglese, come la nostra, riscontrato il danno, ri- cerca l'elemento soggettivo (colpa), per stabilire la responsabilità: Sentenze affermanti la responsabilità per la coesistenza dei due ele- menti si ebbero nelle cause: Ackton c. Stock (Ch. Div., III, 19) — Atkinson c. Newcastle (C. A., III, 20) — West Cumberland Coal C.° e. Kenyon (Ch. Div., F. G., III, 57) — Fletcher c. Smith (H. L., III, 57) — Health c. Pardon (Ch. Div., V. C. B., III, 50) — Hurdmann c. N. E. Railway C.° (III, 93) — Geddis LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL « TORT », ECC. 569 moderni, ma tanto è nell’uso del giurista inglese di volere enu- merare i possibili danni da risarcirsi, che all'opera della dot- trina supplisce quella legislativa e continuamente vengono ema- nati regolamenti speciali, che proibendo taluni atti e prescrivendo le precauzioni da prendersi nei vari casi, come fa pure il nostro codice, che trattando delle servitù legali dei terreni e delle acque, contiene altrettante limitazioni e diminuzioni della libertà giuridica del proprietario (1), determinano la colpa in chi ad essi contravviene anche se il danno che intendono prevenire non sia tale da poter essere previsto e prevenuto da un uomo di normale diligenza. In caso di mancanza di disposizioni espresse, il giudice (2), e. Proprietor of the Ban reservoir (III, 145) — Sandys c. Florence (IV, 21) — West Cumberland Iron C.° e. Renyon (0. A., IV, 137) — Lax c. Mayor of Darlington (V, 59) — Livingstone c. Rawyards Coal C.° (V, 95) — Pewell e. Frall (VI, 55) — Torry ce. Great Western Rail C.° (VI, 104) — Heaven c. Pender (C. A., IX, 10) — R. c. Local government Board (C. A., X, 99) — Weeks e. King (XI, 18) — Ford c. Metropolitan Rail C.° (C. A., XI, 94) — Jenkins c. Jackson (XIV, 45) — Charman c. South Fast Rail C.° (XIV, 49) — Reinhardt c. Mentasi (XV, 50) — Filbrun c. People's palace C.° (XVI, 1) — Lee c. Nixey (XVI, 51) — Cox ce. Vostry of Paddington (XVI, 128) — Black e. Cristchurch Finance C.° (XIX, 91) — Grosvenor hòtel e. Hamilton (XX, 11) — Fylde e. Waterworks (XX, 16) — Halestrap c. Gregory (XX, 80) — Engehardt ec. Farraut (XXII, 63) — New Harlston Collinies C.° e. Earl of Westmorband (XXVI, 101) — Field c. Field (L. Q. R., XVII, 6) — Reinhardt c. Mentan e Ball ce. Ray (XXVI, 102) — Cristie e. Carper (XXVI, 105). Negarono la responsabilità per mancanza di colpa nel convenuto, le sentenze nelle cause: Mayor of Birmingham c. Allen (III, 20) — Blakley c. Baker (IV, 57) — Bryant c. Lefever (IV, 115) — Wakelin c. Land S. W. Rail C.° (XII) — Hardin c. Barker (XIV, 41) — Smith c. Bailey (XVII, 18) — Ogilrie c. Blything Sanitary authority (XVII, 54) — Chirstie c. Davy (XVIII, 89) — Porting c. Noakes (XIX, 144) — ed altre che rico- noscono | esistenza di una forza maggiore: River Wear Commissioners c. Adamson (III, 70) — Osborne ce. S. W. Rail C.° (XIV, 20) — Simkim c. L. N. W. Rail C°. (XIV, 20) — Stanley c. Rowell (XVI, 65). Chiara espo- sizione di questa legge in rapporto colla dottrina inglese è nel “ Law Mag. and Review ,, vol. X, pag. 47, The roman law of damage, di Brittiffe C. Skottowe. (1) Ganga, Contributo alla teoria del danno e del risarcimento in materia di danno incolpevole, © Giurispr. ital. ;, vol. LI (pag. 15 dell’estratto). (2) Alcuni danni sono di tal natura da esigere un rimedio più pronto di quello che si otterrebbe per le vie legali, e perciò la parte lesa prov- vede da sè mediante: 1° Defence, difesa personale o di chi è in rapporto 570 0 è MARIO SARFATTI. solo non potendo applicarne altre. per analogia, ricorre ai prins cipii generali sulla colpa indagando se fu l’azione o l’omissione del convenuto la causa del danno (1) e se questo ne fu ‘con- seguenza naturale e probabile, cioè tale che anche una persona di comune competenza e diligenza, trovandosi in circostanze eguali a quelle nelle quali siasi trovata la persona: accusata e avendo eguali mezzi di osservazione, avrebbe potuto prevedere e prevenire; non facendo quindi applicazione di ‘principii diversi circa alla minorata o inesistente responsabilità dei minori e degli alienati, ma determinandola caso per caso con l'osservazione di fatto del grado di diligenza alla quale può essere tenuto il convenuto (2). INIL — Ligio il Diritto inglese al concetto che 1’ azione di risarcimento di danni valesse solo a reintegrare il patrimonio del danneggiato, con la morte di questo nei tempi antichi faceva cessare ogni azione contro l’autore del danno, e’ se adesso si è fatto qualche strappo alla severa regola ‘compresa nel detto: actio personalis. moritur cum persona (3), non si è giunti a questo di parentela o di servizio; 2° Recaption o reprisal, recupero dei beni mobili rubati o della moglie e dei figli rapiti; 3° Entry, occupazione dei beni im- mobili da altri illegalmente posseduti; 4° Abate, distruzione di quanto viola un diritto preesistente; 5° Distresse, ritenzione dei beni del locatario pel pagamento del fitto; 6° L'occupazione da parte del proprietario di Heriot, cioè di quanto pur appartenendogli gli sia stato sottratto, ad esempio in caso d'incendio, d’inondazione. Vedi SrePHEN, Op. cit., p. 241. (1) Anderson c. Offenheimer (V, 126). (2) Lunacy in relation. to contract, tort, and crime. Rankine Wilson. “ Law Quarterly Review ,, XVIII, 21-30. (3) Per questa severa regola dell’antico diritto anglosassone era stato negato risarcimento alla vedova d’un individuo rimasto schiacciato da un treno ad un passaggio a livello ed egualmente era stato negato il diritto di star in giudizio alla vedova della vittima, che prima di morire avea iniziato l’azione (vedi Redd c. G. E. Rail C.° — Griffith c. Dudley — Haigh c. Mail, XXIV, 39). Poi in applicazione alle nuove leggi, la giurisprudenza cambiò e nella causa Hetherington c. N. E. Rail C.° fu accordata azion di danni al padre per l'investimento del figlio (VII, 92), e più tardi non solo fu ammesso che ‘gli eredi avessero diritto a risarcimento per la morte della vittima, ma si estese tal diritto a tutti i danni generali, che comprendono tutte le spese alle quali il fatto colposo dette origine. Così il Banco della Regina in occasione d’un ricorso presentato contro una sentenza di Corte d’appello, in questa materia dichiarò “ esser danni generali, il male recato direttamente alla persona, la malattia sofferta, gli effetti del male a seconda LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL <« TORT », ECC. 571 risultato modificando la legge, ma introducendovi soltanto alcune eccezioni, dapprima con uno statuto di Edoardo III nel 1330, accordando agli esecutori testamentari contro gli invasori dei beni immobili del defunto e contro chi avesse asportato i beni e gli effetti di lui l’azione che sarebbe spettata al proprietario stesso se fosse restato in vita, estendendo cinque secoli dopo per opera di Guglielmo IV nel 1833 questa facoltà, con alcune limitazioni di termini procedurali, agli esecutori testamentari per i danni recati ai beni immobili. Restavano ancora privi di risarcimento tutti i danni recati dal fatto stesso della uccisione di un individuo indipendentemente dalla violazione della sua pro- prietà, finchè anche questo punto fu regolato, a imitazione della legislazione scozzese, con legge promossa da Lord Campbell nel 1846 (1) allo scopo di indennizzare le famiglie delle persone uccise negli infortuni, comprendendo in questo termine (accident) non i danni recati da caso fortuito, come a prima vista potrebbe sembrare, ma da atti colposi o dolosi; questa conferisce un’azione agli esecutori testamentari della persona, la morte della quale sia stata prodotta da un'azione od omissione tale che, se non fosse sopravvenuta la morte, la vittima stessa avrebbe potuto agire in giudizio. Questo diritto non è conferito a favore del patrimonio del defunto, ma piuttosto del coniuge, degli ascendenti o dei discendenti della vittima e per l'emendamento del 1864 (2) in mancanza di esecutori testamentari possono queste persone, della durata, le spese fatte per tentare una cura, la perdita subìta per l’in- terruzione dell’ esercizio della professione , (vedi “ Law Mag. and Rev. ,, XXIV, p. 39). — Tra i molti esempi che valgono a dimostrare che perchè l'erede potesse intentare e sostenere l’azion dei danni, occorreva che il fatto illecito avesse colpito la proprietà e non solo la persona del defunto, si cita quello dei creditori d’un tale che, ferito, fu mal curato dal chirurgo: essi chiesero a questi risarcimento dei danni e nulla ottennero, perchè trat- tavasi di danni recati alla persona del paziente, mentre invece i creditori del chirurgo avrebbero potuto obbligare il ferito a pagare il prezzo della cura, perchè in quel caso si sarebbe trattato di proprietà. La dottrina inglese in questo ha seguìto la stessa via del D. Romano, che per correggere la severità della Zex aquilia introdusse le actiones utiles e in factun. (1) Lord Campbell’s act. (9-10 viet., c. 98 a d. 1846). (2) 27-28 vict., c. 95. 572 MARIO SARFATTI a favore delle quali fu emanata la legge, agire in nome proprio (1). E non possono i convenuti, per lo più società di tras- porti, eccepire il vincolo contrattuale che li legava al defunto, perchè queste azioni di danni intentate dalla famiglia sono, con- forme tutta la giurisprudenza inglese, sempre fondate sulla responsabilità per delitto anche se di fronte al contraente fosse stato il convenuto tenuto per contratto a garantire l'incolumità, tanto che alcune sentenze osservano che in pratica il fondamento della responsabilità è sempre la mancanza al proprio dovere e non la forma della domanda giudiziale, ma la vera essenza del danno stabilisce il diritto a risarcimento. IV. — Molti dibattiti vi sono stati per stabilire il fonda- mento della responsabilità per fatto altrui (2), ma adesso può dirsi pacifica la dottrina sul concetto della facoltà di controllo, che analogo alla teorica classica della culpa in vigilando, ma più razionale di quella, per eludere l’obiezione che provata la im- (1) Questo concetto del diretto passaggio della somma di risarcimento nel patrimonio degli eredi è accolto dalla nostra giurisprudenza, che anche con recentissime sentenze esclude dalla massa creditoria del fallito quanto sia stato pagato per l’uccisione di lui alla sua vedova o ai figli (Cassaz. Torino, 9 dic. 1901, Monit. Trib., 1902, 285). Così la legge inglese sulla bancarotta stabilisce che tutti i diritti, com- preso quello d’agire in giudizio, passino nei creditori, escluso quello di chie- dere risarcimento dei danni personali sofferti dal bancarottiere. (2) Vedi PoLrocx, Op. cit., pag. 71. Indiscussa è la responsabilità del committente per le malefatte del commesso e il convenuto è assolto solo in caso di mancanza di rapporto di commissione coll’autore del.danno o per mancanza di colpa in questo: Fu assolto il convenuto per mancanza dî rapporto di commissione, nelle cause: Rayner c. Mitchell (II, 19) — Jones c. Corporation of Liverpool (X, 104) — Welch c. London and N. W. Rail C.° (XI, 57) — Charlston e. London Tram C.° (XIII, 78) — Strauss c. County Hotel (IX, 33) — Wild c. Waygood (XVII, 52) — Colb. c. G. W. Rail C.° (XVIII, 58) — London general omnibus C.° e. Booth (XIX, 91). Fu sancita la responsabilità pei fatti colposi del commesso nelle cause: Berringer c. C. E. Rail C.° (IV, 119) — Hooper e. N. W. Rail C.° (VI, 68) — Clarke c. Midland Rail C.° (VI, 68) — Goldsmith ce. Great Eastern Rail C.° (VI, 103) — Gordon c. W. Rail C.° (VII, 37) — Percival e. Hughes (VII, 99) — Welch c. London N. W. Rail C.° (XI, 57) — Ruddimon ce. Smith (XIV, 114) — Crisp. c. Thomas (XVI, 87) — Hardeastle c. Beilly (XVII, 127) — William c. Turist (XX, 79) — Smith c. S. E. Rail C.° (XX, 67) — Maning c. Adams (IX, 71). — (Il numero romano è il volume del “ Law Magazine and Review ,, il successivo è la pagina del “ Quarterly Digest , ivi compreso). | À PR LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL « TORT », ECC. 575 possibilità di controllare dovrebbe venir meno la responsabilità del padrone, yiene a dare una speciale interpretazione a queste parole intendendole nel senso non di una capacità fisica imme- diata, ma considerando questa facoltà nello stesso rapporto con la vigilanza diretta, di quello che intercede nella teorica del possesso tra l’animus domini e la materiale detenzione (1). Val- gono le regole del diritto nostro per la modalità di questa re- sponsabilità; dovendo cioè l’atto del terzo essere colposo ed ese- guito in occasione della funzione di commesso, sia che si tratti di diligente esecuzione di atti illeciti specificatamente ordinati dal padrone, o di negligenza nell'esecuzione di atti che di per sè sarebbero leciti, con danno a terzi estranei o ad altri com- messi compagni di lavoro. Per quest’ultimo caso speciale, per esonerare dalla difficile prova della colpa le vittime d’infortuni sul lavoro, fu emanata la legge del 1880 (2), la quale fondan- dosi su colpa presunta nel padrone accordava indennità all’ope- raio danneggiato: 1° per difetto di materiale impiegato; 2° per colpa d'altro operaio sottoposto allo stesso padrone; 3° per ne- gligenza d'un sorvegliante dei lavori; 4° per colpa di chiunque fosse sottoposto allo stesso padrone e agisse in conformità di regolamenti fatti da lui. Era escluso nel padrone l'obbligo di risarcimento quando egli non avesse potuto prevedere il fatto dannoso o quando l’operaio, conoscendo il pericolo, non ne lo avesse avvertito. Seguì nel 1897 altra legge sugli infortuni (3) che vige tutt'ora e che fu nel 1900 (4) estesa a beneficio dei (1) Potrock, Op. eit., pag. 72. (2) “ Anact to extend and regulate liability of employers... ,, 7 sett. '80. — Vedi sentenze nelle cause Hesche c. Samuelson (IX, 35) — Morgan e. London Omnibus C.° (IX, 71) — Millward c. Mid. Rail C.° (X, 71). (3) Workmen's compensation act 1897 (60-61 vict. 37, 6 agosto): © An “ act to amend the law with respect to compensation to workmen for “ accidental injuries suffered in the course of the employment , (in vigore 1° luglio 1898). Questa legge è interpretata largamente a favore dei lavo- ratori e più che alla lettera la giurisprudenza si fonda sullo spirito di essa. Vedi Boardmen c, Scott — Field c. Longden — Knigt c. Cubit — Ayres c. Buckeribge — Bartelett c. Tutton — Ellis c. Wory (° Law Quarterly Rewiev ,, aprile 1902, pag. 106, vol. 18). (4) Workmen's compensation act 1900 (30 luglio, 63-64 vict. 22): “ An “ act to extend the benefit of the Workmen's compensation act 1897 to “ Workmen's in agriculture , (in vigore 1° luglio 1901). 574 MARIO SARFATTI lavoratori dell’agricoltura: essa provvede a che il padrone risar- cisca i danni prodotti dall’infortunio avvenuto per causa e nel corso del lavoro (I, ?) qualora ne consegua inabilità nel lavoro per almeno due settimane (I, 2 a). A differenza del concetto dell’ assicurazione obbligatoria prescritta dalla nostra legge 17 marzo 1898, il legislatore inglese preferì addirittura derogare dai principii generali della colpa, stabilendo che non occorra, perchè l’operaio possa essere indennizzato, l’esistenza della colpa nel padrone o in qualche compagno di lavoro, ma che basti l’assenza di un’azione seriamente e volontariamente illecita in lui stesso (I, 2c). Rimane poi libero l’operaio di seguire la via del diritto comune rinunziando all’applicazione di questa legge nel caso di colpa nel padrone, a differenza della legge nostra che con l’art. 22 preclude ogni ricorso al diritto comune quando il pa- drone, avendo assicurato gli operai, non sia stato assoggettato . a condanna penale pel fatto dal quale l’infortunio è derivato. Lo spirito di questa legge è di limitare le indagini delle con- dizioni di fatto, togliendo, da una parte, all’operaio l’onere della prova, concedendo, dall’altra, al padrone di esimersi da respon- sabilità dimostrando che il fatto dell’operaio pur non essendo volontariamente illecito, non sorga a cagione o nel corso del la- voro commessogli; e per rendere meno costosi i giudizii le con- troversie in questa materia sono decise da un arbitro scelto dalle parti o in mancanza dell’ accordo, dal giudice locale e l'ammontare delle indennità viene stabilito da regole fisse date dalla legge. V.— Con questi brevi accenni abbiamo scorso le fonda- mentali differenze che intercedono fra il Diritto inglese ed il nostro e crediamo opportuno indugiarci ad esaminare adesso una teorica che non è diversa da quanto è pure accettato dalla più autorevole dottrina nostra (1), ma che anzi ne è lo svolgimento e la più completa applicazione (2). Vogliamo cioè ricordare il (1) Catroni, Colpa extracontrattuale, Torino, 1887, vol. II, pag. 395. — Vedi nel “ Law Mag. and Rev. ,, XXIV, pag. 291; The doctrine of contri butory negligence di Keogh. (2) La nostra giurisprudenza finora timida ad accettare la teorica della compensazione delle colpe agli effetti della liquidazione dei danni, senza attribuire alla lieve colpa dei danneggiati l'efficacia di eliminare la colpa ben più grave dai veri responsabili (App. Palermo, 3 giugno 1901; App. 3 + LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL « TORT », ECC. va principio della compensazione delle colpe: i magistrati inglesi si studiano sempre di evitare che siano inceppate le manifestazioni dell’industria, che è la vita del loro paese, e prima di colpire con grave sentenza chi fu causa d’un danno, ricercano se e quanta responsabilità si riscontri nella vittima del danno stesso, sino a qual punto cioè sia essa tenuta a usare di diligenza nel calcolare le conseguenze ingiuriose prevedibili del proprio fatto e della pro- pria omissione, attribuendo essi sempre un aumento di intensità di grado della colpa, proporzionale all’attività sociale che fatal- mente cresce collo svolgersi dei tempi, tanto che la stessa im- prudenza considerata oggi colpa lieve potrà da quelli stessi magistrati domani essere giudicata colpa grave, senza forse aver nemmeno costituito un atto colposo nei tempi passati. Essi attri- buiscono la responsabilità alla quantità complessiva di colpa riscontrata nelle due parti e poi scindendo la responsabilità dell'una da quella dell'altra le dichiarano compensate per la quantità corrispondente nelle due e condannano al risarcimento il danneggiante nel caso che in lui tale elemento sopravanzi e in proporzione di questo, lo assolvono se il danneggiato ha. dato direttamente occasione al danno per propria colpa. Può darsi così che vi sia eguale responsabilità nelle due parti e quindi nessuno sia tenuto a risarcimento del danno, che la responsabilità, pur esistendo in entrambi, sia superiore nel danneggiante e in tal caso questi deve risarcire il danno, de- tratto però quanto dipese dalla colpa dell’attore; infine può la colpa del danneggiato stesso superare quella del danneggiante e allora pur essendo dichiarati entrambi responsabili, nessuno è tenuto al risarcimento, essendo la conseguenza d’una semplice imprudenza assorbita completamente da quella dell’imprudenza più grave della parte lesa (1). Torino, 31 ottobre 1901: “ Monitore ,, n. 15, 1902), dichiara che la misura del risarcimento debba esser affermata in proporzione del concorso che a determinare il pregiudizio abbia apportato la parte lesa (App. Torino, 22 marzo 1902; “ Giur. Tor. ,, n. 20, 1902). (1) Fanno applicazione della colpa concorrente le sentenze nelle cause: Spice c. Bacon (C. A., III, 18) — Radley c. L. N. E. Rail C.° (III, 29) — Burchell c. Hickson (VI, 95) — Bunker c. Midland Rail C.° (VIII, 35) — Stuard c. Ivans (VIII, 100) — Darey ce. L. S. W. Rail C.° (IX,.14) — Weblin c. Ballard (XI, 84). Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 38 576 MARIO SARFATTI L'applicazione della teorica della compensazione vale a con- trobilanciare la facilità e leggerezza con la quale talora si sa- rebbe intentata azione di danni da persone a loro volta impru- denti e colpevolmente temerarie; per essa il giudice accerta se il danno sia stato prodotto dalla colpa del danneggiato o dalla colpa comune delle due parti, esulando nel primo caso ogni re- sponsabilità dell’autore del danno (1) per il noto detto: qui ex culpa sua damnum sentit, non intellegitur damnum sentire (Dig., De reg. iuris, L, XVII, 203), compensandosi nel secondo le colpe ed ognuno subendo le conseguenze della parte di danno al quale ha concorso, in modo che: 1° è negato il diritto a risarcimento nell’attore quando la sua colpa sia tale, che senza di essa, non sarebbe avvenuto il danno; 2° è ammesso invece il risarcimento nonostante la colpa dell’attore: a) quando il danno sarebbe potuto accadere anche (1) La dottrina inglese modera la portata del precetto “ volenti non fit inturia , e ne esclude addirittura l’ applicazione ogni volta che il con- venuto abbia recato danno all’attore trascurando di prendere le cautele imposte per legge. Si può riassumere in queste tre regole, seguìte dalla giurisprudenza: : 1° Nei casi normali quando un commesso abbia cognizione dei rischi che corre, eguale a quella che ne ha il padrone, vale la regola “ volenti non fit iniuria ,, e nasce una presunzione contro di lui che deve essere combattuta con prova contraria; 2° Nel caso di inosservanza di cautele imposte dalla legge per parte del padrone, la presunzione è contro di questi il quale non può difendersi neppure provando che il commesso conosceva il rischio del lavoro al quale era addetto; 8° Nel caso di inosservanza di cautele imposte dalla legge, infine, il padrone può liberarsi dalla presunzione che sta contro di lui, provando non solo che il commesso conoscesse l'infrazione alla legge da lui compiuta, ma anche che lo avesse esonerato dal subirne le conseguenze (Vedi questa teorica in tutto il suo svolgimento nel vol. XIII, £ Law Magaz. and Rev. ,, pag. 19 e segg.: “© Volenti non fit iniuria , in relation to statutary obligations, THomas Beven). Giurisprudenza; corrispondente al n° 1°: Griffith c. London and S. Docks (IX, 103) — Jarmauth c. France (XIII, 45) — Thrussel c. Handyside (XIII, 80) — Church c. Appleby (XIV, 78) — Walsch c. Whiteby (XIV, 14) — Bilke c. Roper (XVI, 49) — Smith c. Baker (XVII, 51); corrispondente ai n' 2° e 8°: Baddley c. Earls Granville (XIII, 13) — Morgan c. Hutchins (XV, 84). LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL <« TORT », ECC. 577 senza di essa, o: è) quando il convenuto avrebbe potuto evitare la disgrazia con la propria diligenza. La compensazione che si avvera nel risarcimento deve ricer- carsi non nell'elemento materiale del danno, ma nel concetto della colpa, potendo darsi che pur avendo entrambi concorso in egual modo al danno, prevalga nell’uno la colpa sull’altro e sia quello condannato. VI. — Alla teorica della compensazione vien fatta una deroga nel caso che vittima della disgrazia sia un fanciullo non accompa- gnato da persona adulta, perchè vien per lo più equiparata la te- nera età a una circostanza speciale, a uno stato di mente inferiore che esoneri in parte o in tutto da responsabilità e che può venir integrato dalla piena responsabilità di chi sia in compagnia del fanciullo. I giuristi inglesi, eminentemente individualisti partono dal principio generale (al quale fa eccezione il solo rapporto di padrone e commesso), che uno possa essere chiamato a rispon- dere di un danno solo se questo fu direttamente da lui prodotto. Noi, seguaci del Diritto romano, ispirandoci di preferenza all’an- tica actio noralis abbiamo stabilito nell’art. 1153 che il padre e in sua mancanza la madre sono obbligati per i danni cagio- nati dai loro figli minori abitanti con essi, i tutori pei danni cagionati dai loro amministrati abitanti con essi. Non che l’azione concessa nel diritto nostro a chi è danneggiato da un minore abbia carattere eguale a quella che in Diritto romano si poteva esercitare contro il padre per i danni recati dai figli di famiglia: nell’actio noxalis si guardava al danno e non alla colpa; unicamente perchè il figlio di famiglia non aveva di che pagare, era costretto il padre a scegliere fra il pagamento del- l'indennità e la consegna dell’autore del danno (1). Il nostro codice più razionale in questo, ammette con l’articolo 1306 una responsabilità nei minori stessi, che va scontata per l'art. 1153 dai genitori, i quali però hanno diritto di farsi restituire quanto pagano come civilmente responsabili, e possono far cadere nel nulla la presunzione di colpa che la legge esige contro di loro, allorchè provano di non aver potuto impedire il fatto di cui dovrebbero essere responsabili. Da una responsabilità per fatto altrui si è trasformata in responsabilità per fatto proprio, perchè (1) Ferrrnr, Op. cit., pag. 730. 578 MARIO SARFATTI è la culpa in vigilando presunta nel genitore che l’obbliga al risarcimento, pur essendo ammessa la prova contraria. Nel Diritto inglese non basta stabilire che al danno con- tribuì il minore per dichiarare fino a prova contraria responsa- bile il genitore, siasi il fanciullo trovato solo o in compagnia al momento della disgrazia; esso vuole che per negare o rico- noscere la responsabilità dei minori, prima si accerti se erano soli o assieme a persona adulta e se questa persona ne aveva assunta la custodia, sostituendo così alla responsabilità indiretta pel rapporto di famiglia, una responsabilità diretta per colpa nel custode del fanciullo. Dall’osservazione di queste principali concordanze e discor- danze tra Diritto inglese e Diritto italiano, non possiamo affer- mare che un sistema sia assolutamente migliore dell’altro: è fatta bene e con criterio una legge, è buona una giurisprudenza ogni volta che corrisponde al sentimento del popolo in mezzo al quale se ne fa applicazione; quando una sentenza è emanata non solo per obbedienza al freddo e ragionato precetto del legi- slatore, ma anche e sopratutto perchè così l’ha imposta la co- scienza nazionale, si può esser sicuri che produrrà benefico e duraturo effetto. Occorre perciò che più che alla lettera della legge, i giu- dici si attengano allo spirito di essa in modo da non urtare le idee predominanti, frutto della evoluzione sociale, così che sempre possano le leggi apparire non avanzo antiquato di una scom- parsa legislazione, ma elaborazione di quella e assimilazione dei migliori principii giuridici successivamente svolgentisi col- l'umano progresso. 579 LA RAGIONE ED IL CONTENUTO DEL <« TORT », ECC. ‘ToIgsowIOp a IWOIped Ip x ‘Tudnd © 1107N7 tp n ‘9g a mogruad Ip È ‘Imesniuo9 T710ddvi 19U ‘QUOSIOTBA Tp IYZLITP 17199 Ip 9AL[0F17 Te opuewmipadmwa - 292928 ‘ogmuag eqqeres oun mo vIado,] IegsoId Tp Oqugia - 201790.679Ng "QUOIZEIO] B] QFUBINP OLIEVFVIO] [EP TPRA][O} O IPRODI IUUVP - 2782 4{ ‘ESOd[00 @UOISSITIO O QUOIZE - 22UNSINU ‘MIqge 0uoII9) ms 018sessed - ss0ds247 ‘a10ssassod ep eqqez Ipuoj IP QUOIZEUAI[B - 20UMNNULZUOISIP SOgIp9 Tp O TUSIIOZ Tp, ew) -piSa]r QUOIZU8GAP - 224629.00fop ‘a10ssassod 0uII9Y -X.So] [ep @uorspndsa - w2822882p *Imeroads ITOOuIA UOO “PI ‘PI ‘QUOISNIZUI - vOLSH.L7U2 "IH? pe tup -219 UT 0I19qqaroggods ago IUSI -193 IP @UOIZEdNI90 - 7720270 QV ‘eLIBIO IO] 0 a7mpuofui apasanb "TRUE TRIP QINSY ‘TIRIIOS - 7992) ‘OUOIZBUIBHIP - 2870/ "BOIpo wai 991, [[®P OIZIOTAS -o,I${0u vzumnioubi 0 nzuabibau "0Fe HO, IT9U Li qnjusui a143snpur 1 012194989 “usonb iquauigo 1p vapuaa ‘ezuoS “ITip Ip _ezugoueui - 220261762 N ‘e00BIq ‘aquies ‘so fapewosiad ESejIp è[[e 0qqR eIquiewa Ip QUOIZI]SIP qua[ora - 2424/07 ‘opua aria; - buzpuno 44 ‘assodIed - /i.t2770g ‘osso010d Ip 2I0OBUIUI - 77N0SSP "0FUQUITI9] TP QIOOVUIUI = 8702.4047 I]IQOUIIII TP _QUOISVAUI - 97SN0 . . . 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PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Berruti, NaAccaRI, Mosso, SPEZIA; CameRrANO, SEGRE, JADANZA, Foà, GuarEscHI, Guipi; FILETI, Parona, MaTtTIROLo, MorEeRA, Grassi e D’Ovipio Segretario. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica una lettera della sig.* Alice Cornu, ringraziante per le condoglianze inviatele dall'Accademia, della quale il compianto suo marito era Socio corrispondente. A rappresentare l'Accademia alle feste del centenario di H. AseL in Cristiania, viene delegato il Socio non residente VOLTERRA. Il Presidente segnala le seguenti opere ricevute in dono dall'Accademia, ringraziando i donatori: Cinquantenaire scientifique de M." M. Berthelot, inviato dal Comitato delle onoranze al suddetto ; Opere complete del Dott. Serafino Biffi, in 5 volumi, in- viate dai fratelli del compianto autore; Catalogue of Scientifie Papers (1880-1883), vol. XII, in- viato dalla Royal Society di Londra. Il Socio SeGrE, anche a nome del Socio D’Ovipio, legge la relazione sulla Memoria del Dr. G. Z. GramBELLI: Risoluzione del problema degli spazi secanti. La relazione è approvata, e la Memoria è accolta con voto unanime nei volumi accademici. Il Socio GuaREscHI, anche a nome del Socio Mosso, legge la relazione sulla Memoria del Prof. L. SABBATANI, intitolata: Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 39 584 Sulla funzione biologica del calcio; Parte 2%: Il calcio-ione nella coagulazione del sangue. Anche questa relazione è approvata, ed a voti unanimi la Memoria è ammessa nei volumi accademici. Vengono presentate per la inserzione negli Atti le seguenti note di Socî: Spezia, Sulla trasformazione dell’opale xiloide in quarzo xiloide ; GuarEscHI, Condensazione delle aldeidi con Vetere cian- acetico; CameRANO, Materiali per lo studio delle zebre. Indi vengono accolte per la inserzione negli Atti le seguenti note di estranei: Dr. F. SeverI, Il genere aritmetico e il genere lineare în re- lazione alle reti di curve tracciate sopra una superficie algebrica, presentata dal Socio SEGRE; Dr. G. Furini, Sulle funzioni armoniche che ammettono un gruppo discontinuo, e Prof. 0. NiccoLeTTI, Sulle matrici associate ad una matrice data, presentate dal Socio non residente BiANcHI per mezzo del Socio SEGRE; Dr. G. ProLtI, Pirosseniti, glaucofanite, eclogiti ed anfiboliti dei dintorni di Mocchie in Val di Susa, presentata dal Socio SPEZIA; Ing. A. Artom, Ricerche sulle proprietà elettriche del diamante, presentata dal Socio GRASSI; Ing. M. PANETTI, Ciclo teorico e ciclo pratico delle locomotive Compound, presentata dal Socio GuIpi; Dr. A. FaBRIS, Sulla patogenesi degli aneurismi dell'aorta (aortite gommosa), presentata dal Socio Foà; A. Accazzotti, Sulla terminazione nervosa motrice nei muscoli striati degli insetti, presentata dal Socio Mosso. La tornata, ultima dell’ anno accademico, è chiusa con un saluto del Presidente ai colleghi. GIORGIO SPEZIA — SULLA TRASFORMAZIONE DELL'OPALE, Ecc. 585 LETTURE Contribuzioni di Geologia chimica. Sulla trasformazione dell’opale xiloide in quarzo xilorde. Nota del Socio GIORGIO SPEZIA Professore di Mineralogia nell'Università di Torino. (Con una Tavola). In un altro scritto (1) io dimostrai come si possa. mutare l’opale in quarzo per via acquea e come tale metamorfosi, do- vuta ad un movimento atomico o molecolare, trovi la sua causa nel calore e non nella pressione statica. Ora indico altre esperienze eseguite sulla trasformazione dell’opale xiloide in quarzo xiloide, le quali servono sia allo scopo generale di aumentare il numero dei dati sperimentali neces- sarii per lo studio del dinamometamorfismo delle roccie quarzi- fere schistose, sia, nel caso particolare, per dimostrare che, se in natura i quarzi xiloidi provengono talvolta dalle opali xiloidi come già suppose Felix (2), dalle cause efficienti della trasfor- mazione debba escludersi la pressione. Nei vegetali silicizzati la silice si trova o come opale 0 come quarzo e sovente nei due stati. Nel primo caso la struttura vegetale è perfettamente con- servata anche se la sostanza organica sia totalmente scomparsa. Nel secondo caso, quando cioè la materia silicizzante è tutta quarzosa, questa, con un’orientazione molecolare sua propria ed indipendente dalla struttura vegetale, presenta i varii assetti degli aggregati quarzosi, pei quali può scomparire affatto la struttura caratteristica del vegetale sempre quando non vi sia più sostanza (1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIII, pag. 876. (2) “ Zeit. der deut. geol. Gesellschaft ,,, vol. XLIX, pag. 190. 586 GIORGIO SPEZIA organica che la raffiguri; ed allorchè questa esiste, ma venga tolta con un processo ossidante, rimane l’aggregato quarzoso dal quale non si palesa o difficilmente si ravvisa la struttura vegetale. Quando poi nel vegetale silicizzato si trovano insieme opale e quarzo, appare, secondo la distribuzione e relativa quantità di essi, la struttura vegetale nel complesso, ma meno delineata nei suoi particolari in quelle parti dove si ha la sostanza quarzosa. Per agevolezza di espressione nel distinguere i due casi estremi di silicizzazione adotto i nomi di opale xiloide e quarzo xiloide. S'intende che, nel caso in cui la sostanza organica rap- presentante la struttura vegetale sia scomparsa per un naturale processo di ossidazione, il nome di quarzo xiloide abbisogni tal- volta per essere applicato, che l’esemplare di studio possegga una residua forma esterna indicatrice della preesistenza di un vegetale ; perchè, nel detto caso, se l'esemplare è di opale xiloide in qualunque frammento di esso è sempre visibile la struttura vegetale, invece un frammento di quarzo xiloide si può confon- dere con un frammento di quarzite. L’indicato vario modo di presentarsi della silice si osserva anche nei carboni fossili silicizzati, nei quali anzi l’opale xiloide ed il quarzo xiloide sembrano corrispondenti ad un diverso stadio di carbonizzazione. Per es. in una lignite silicizzata, la cui sostanza organica, isolata con l’acido fluoridrico, si scioglieva nell’idrato potassico con intenso colore bruno, trovai che una sezione di essa, deco- lorata con la miscela ossidante di acido nitrico e clorato po- tassico, conteneva pochissimo quarzo e molta opale rappresen- tante perfettamente la struttura vegetale. Invece avendo eseguito, a scopo di altro studio che sarà pubblicato più tardi, analogo trattamento ed osservazioni sopra parecchi carboni fossili silicizzati provenienti dall'isola Principe Rodolfo e donati al Museo mineralogico dell’Università di Torino da S. A. R. il Duca degli Abruzzi, trovai molto diverso il com- portamento di essi. i La sostanza organica carboniosa, raffigurante nelle sezioni la perfetta struttura vegetale, separata con acido fluoridrico, dava appena traccia di colore alla soluzione d’idrato potassico, anzi quella di un esemplare del Capo Germania lasciava la so- luzione incolora. SULLA TRASFORMAZIONE DELL'OPALE XILOIDE, ECC. 587 Ora nei detti carboni fossili che contenevano un residuo di sostanza organica la cui natura chimica si avvicinava, per la reazione coll’idrato alcalino, più a quella del litantrace che non della lignite, la silice era tutta allo stato di quarzo. E. nelle sezioni sottili nelle quali per la sostanza organica era ben di- stinta la struttura vegetale, questa scompariva affatto dopo il trattamento della sezione con la miscela ossidante. Le figg. 1 e 2 rappresentano, coll’ingrandimento di 217 dia- metri, rispettivamente a luce naturale e fra i Nicol incrociati la sezione di un carbone fossile silicizzato, del Capo Fligely, la cui sostanza organica, delineante la struttura vegetale, si compor- tava con l’idrato potassico come il litantrace di Oberkirchen appartenente alla formazione del Weald; e la fig. 3 rappresenta collo stesso ingrandimento e vista fra i Nicol incrociati, una sezione sottile tagliata parallelamente ed attigua alla prima e trattata con la miscela ossidante che tolse la sostanza organica, lasciando l’aggregato quarzoso senza traccia di struttura vegetale. Tale deficienza o anche assoluta mancanza di correlazione fra la struttura vegetale e quella della silice quando questa è allo stato di quarzo, fu già osservata da altri che si occupa- rono di vegetali silicizzati, sia dal lato paleontologico sia dal lato chimico della silicizzazione, come Goppert (1) e Petzholdt (2); ma più attentamente fu considerata da Felix (3), il quale, in un interessante lavoro sulla silicizzazione dei vegetali, asserisce che fra le centinaia di esemplari studiati sia di opale xiloide che di quarzo xiloide, non vide alcun esemplare di opale xiloide che provenisse da strati più antichi dell’eocene; mentre i quarzi xiloidi si trovano in terreni sia antichi che recenti. Lo stesso autore poi crede che parte dei quarzi xiloidi preterziari proven- gano da opali xiloidi ed altri invece, massime quelli dei terreni terziari, si siano formati direttamente. Troppo difficile sarebbe il trattare l'argomento di studio offerto dalle riferite supposizioni del Felix concernenti la forma- zione diretta del quarzo xiloide in relazione coll’epoca geologica. Perchè, se per tale formazione sarà senza dubbio necessaria una (1) Middendorff’s Reise in Sibiriens, 1848, vol. TI, parte I, pag. 230. (2) Silification organischer Kbòrper. 1853. Halle, pag. 22. (3) Loc. cit. 588 GIORGIO SPEZIA grande lentezza nel processo chimico la quale è rappresentata dal tempo, non si possono tuttavia escludere l’influenza che avrebbero la diversa struttura e la diversa composizione chimica dei vegetali e delle parti di essi, sia per le azioni fisiche sia per quelle chimiche, le quali debbono entrare in funzione nella silicizzazione dei vegetali per mezzo di soluzioni o di silice pura o di silicati solubili. Perciò mi limito ad indicare il risultato delle esperienze le quali hanno soltanto lo scopo di dimostrare che nel caso della trasformazione dell’opale xiloide in quarzo xiloide, essa si può ottenere mediante soluzioni e che la pressione non ha influenza alcuna nell’inerente processo metamorfosante. Per le esperienze scelsi un pezzo di opale xiloide di Tokay, nella quale vi erano già zone anisotrope di quarzo ed altre di opale perfettamente isotrope; ed una sezione trasversale di detta opale si presentava alla luce naturale come nella fig. 4 ed alla luce polarizzata fra i Nicol incrociati come nella fig. 5, con in- grandimento di 35 diametri per entrambe. Trattando tale opale con soluzione d’idrato potassico a caldo si scioglieva la parte isotropa mentre rimaneva quella anisotropa. Dallo stesso pezzo di opale xiloide, dal quale fu segata la suddetta sezione, staccai un frammento foggiandolo a prisma a base quadrata di circa 10 mill. di lato e 13 di altezza. Tale prisma immerso in una soluzione contenente traccie di silicato sodico con molta silice gelatinosa fu, nei soliti apparecchi de- scritti in altri miei lavori, mantenuto per 15 giorni alla tempe- ratura da 280° a 300°. Il risultato di tale esperienza è figurato con ingrandimento di 35 diametri nella fig. 6 che rappresenta una sezione trasver- sale tagliata dal prisma dopo l'esperimento ed osservata fra i Nicol incrociati. Come si scorge la trasformazione dello strato isotropo di opale in quarzo fu completa, e la struttura vegetale rimane appena tracciata dalle zone di quarzo preesistente. In altre esperienze ebbi per risultato sempre la scomparsa dell’opale e la formazione del quarzo; ma le cellule non erano perfettamente riempite da quarzo, talchè apparivano come geodi, palesando così nelle sezioni un complesso di struttura apparente vegetale. Da alcune esperienze di diversa durata e soluzione mi SULLA TRASFORMAZIONE DELL’OPALE XILOIDE, ECC. 589 parve che il completo riempimento dipendesse sia dalla maggior durata dell’esperienza sia dalla maggior ricchezza in silice della soluzione. Per le ricerche se la pressione potesse influire sulla tras- formazione dell’opale xiloide in quarzo xiloide feci due esperienze, una per via secca e l’altra per via umida. Per entrambe feci uso di due prismi a base quadrata di 6 mill. di lato e 10 di altezza e tagliati dallo stesso esemplare di opale di Tokay, e pure per ambidue le prove usai l’apparecchio di compressione descritto in altro lavoro (1). Nell’esperienza per via secca il prisma fu rinchiuso nel recipiente in mezzo ad argilla ridotta in polvere impalpabile ed asciutta e dopo averla ben pigiata sottoposi il recipiente alla pressione entro il cilindro d’acciaio, così che la pressione tras- messa dall’argilla al prisma era analoga alla pressione alla quale in natura rimane sottoposto un vegetale od un corpo qualsiasi sepolto a grande profondità in un terreno argilloso, colla sola differenza che non vi era l’umidità rappresentata dalla così detta acqua di cava. La pressione continua mantenuta per 5 mesi fu di 6000 at- mosfere, la temperatura da 10° a 15°. Per risultato ottenni che l’argilla divenne compattissima costituendo un blocco tenace, rotto il quale trovai nessuna traccia esterna di alterazione sulle faccie del prisma, che erano previa- mente state levigate. Una sezione sottile preparata segando il prisma ed osser- vata al microscopio, sia con luce naturale sia fra i Nicol in- crociati, non dimostrò traccia alcuna nè di alterazione nella struttura nè di trasformazione dell’opale e le due figg. 4 e 5 eseguite sull’opale xiloide naturale servono perfettamente per rappresentare anche l’opale sottoposta alla pressione. Tale risultato si accorda con quello ottenuto da un’esperienza fatta per un altro lavoro, la quale aveva per scopo di conoscere se la pressione da sola poteva cementare i granuli di opale re- sinite ridotta in polvere. La pressione di 6000 atmosfere con- tinua per 4 mesi lasciò i granuli perfettamente isotropi riuniti in una massa friabilissima; non essendovi stata cementazione. (1) “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXV, pag. 750. 590 GIORGIO SPEZIA L'esperienza per via umida fu eseguita sottoponendo alla pressione l’altro prisma di opale xiloide immerso in una solu- zione eguale a quella adoperata per l’esperienza ad alta tem- peratura. La pressione fu di 6000 atmosfere per 4 mesi, e la temperatura da 12° a 16°. Per risultato ebbi che il prisma divenne friabile, talchè per farne una sezione dovetti imbeverlo di balsamo di Canadà, ma al microscopio si presentavano ancora gli strati isotropi di opale; ossia la pressione produsse l’effetto fisico di far infiltrare la so- luzione nell'interno del prisma in modo da alterarne la coesione, ma non ebbe azione chimica per la trasformazione dell’opale in quarzo. Le due ultime esperienze sono prove evidenti che, nel caso di una trasformazione dell’opale xiloide in quarzo xiloide, la pressione non avrebbe influenza alcuna sul movimento atomico o molecolare che deve necessariamente accompagnare sia la disidratazione dell’opale, sia il passaggio, contemporaneo 0 sus- seguente, dell’ anidride silicica all’equilibrio cristallino proprio del quarzo; nè si può supporre che l’effetto della pressione com- paia soltanto dopo lunghissimo tempo; perchè nelle due espe- rienze durate rispettivamente 5 e 4 mesi con 6000 atmosfere di pressione non si ebbe traccia di trasformazione, la quale si ottenne invece completa in 15 giorni nell’esperienza a caldo. Questa esperienza invece dimostrò l'influenza della tempe- ratura nella trasformazione. Ma, sia l'osservazione geologica della giacitura dell’opale xiloide e del quarzo xiloide, sia la fre- quente presenza in quest’ultimo di sostanza organica indicante ancora la struttura vegetale e facilmente alterabile al calore, non permettono di supporre che in natura la trasformazione avvenga con l’alta temperatura, che fu adoperata nell’esperienza soltanto per aumentare la velocità di trasformazione, ossia in sostituzione del tempo. Finora la ehimica non ha indicato, e non sarà facile stabi- lirlo, il limite di temperatura : necessaria per trasformare la silice idrata in quarzo, come cominciò Van’t Hoff, per composti chimici di altra natura, a determinare quello della trasforma- zione del gesso in anidrite. Certamente tale temperatura limite, sarà assai bassa en- trando in funzione il tempo e potrà variare per altre cause concomitanti nella trasformazione, come la varia idratazione SULLA TRASFORMAZIONE DELL’OPALE XILOIDE, ECC. 591 dell’opale xiloide, l’ambiente litologico in cui essa si trova, la natura chimica delle soluzioni agenti, la loro concentrazione, ecc. L'osservazione poi del Felix soprariferita, che cioè l’opale xiloide non sia mai stata trovata in terreni più antichi del- l’eocene, corrisponderebbe al fatto che finora non furono mai, che io sappia, osservati banchi o strati di opale di formazione contemporanea con rocce antiche od inchiusi in esse; infatti nei gneiss, e negli schisti cristallini si trovano strati di quarziti ma non di opale. E non essendovi ragioni per supporre che nelle epoche pre- terziarie vi fossero condizioni contrarie alla formazione e depo- siti di opale, bisogna dedurre che la silice idrata debba con un lentissimo processo non soltanto disidratarsi ma anche assumere l’orientazione molecolare del quarzo. Ciò posto si potrebbe in altro modo spiegare la formazione di quei banchi o strati di quarzite inchiusi in rocce schistose antiche, pei quali lo studio litologico non appoggia l’ipotesi, troppo generalizzata, che essi sieno strati di arenaria metamor: fosati. E la spiegazione si avrebbe ritenendo come ipotesi assai probabile, che detti giacimenti di quarzite possano anche con- siderarsi come una trasformazione in quarzo di banchi di opale depositata, o direttamente da sorgenti silicee, o col concorso di organismi come avviene pei tripoli. E l'ipotesi della trasforma- zione dei tripoli in quarzo, che si ottiene anche artificialmente, ha la stessa probabilità di quella della trasformazione di un calcare zoogenico in un calcare cristallino. Considerando poi il risultato delle esperienze eseguite, sulla trasformazione dell’opale xiloide, si può ammettere, che la me- tamorfosi dei banchi o strati di opale si effettuerebbe per via acquea e senza concorso diretto della pressione, s'intende sempre statica, la quale non può produrre un movimento negli atomi ossia un effetto chimico. L'esperienza ad alta pressione eseguita per via secca serve anche, a mio avviso, per combattere l'ipotesi di Heim (1) che un corpo solido e duro sottoposto ad una pressione uniforme (1) Untersuchungen iber den Mechanismus des Gebirgsbildung. Vol. IL, pag. 84. 592. GIORGIO SPEZIA — SULLA TRASFORMAZIONE DELL’OPALE, ECC. in tutti i sensi diventi plastico; ipotesi per la quale lo stesso autore poi (1) asserisce, che alla profondità da 1100 a 1800 metri pel calcare e da 1800 a 2900 metri pel granito ed il porfido, non vi sarebbero più vani, nè geodi, nè litoclasi, e le calotte dovrebbero chiudersi. Il prisma di opale xiloide fu mantenuto per 5 mesi alla pressione di 6000 atmosfere, la quale poteva ritenersi come agente in modo uniforme in tutti i sensi sul prisma essendo trasmessa dall’argilla che lo circondava; quindi se il prisma fosse diventato plastico, l'osservazione microscopica doveva cer- tamente trovare una differenza di struttura nell’interno del prisma fra quella primitiva e quella dopo l’esperienza, perchè la plasticità porta la deformazione permanente; ora di tale dif- ferenza non eravi traccia. Perciò la mia esperienza si unisce a quella eseguita da Pfaff sul calcare per dimostrare insostenibile l'ipotesi di Heim, la quale d’altronde può essere invalidata anche senza ricorrere alle esperienze. } La plasticità di un corpo deve considerarsi come uno stato di aggregazione intermedio fra quello dei liquidi e ‘quello dei solidi. Perciò i corpi i quali, come il quarzo ed i silicati, aumen- tano di volume passando dallo stato solido a quello liquido, aumenteranno pure di volume passando dallo stato solido a quello plastico. Quindi ammettendo l'ipotesi di Heim che la pressione uni- forme in tutti sensi esercitata su corpi come il quarzo ed i silicati costituenti le roccie li renderebbe plastici, si ‘verrebbe alla conclusione che la pressione uniforme in tutti i sensi su i detti minerali ne aumenterebbe il volume! A me pare che per quanto grandi siano gli effetti mecca- nici della pressione nei fenomeni geologici, non si possa rite- nerla causa di effetti soprannaturali. (1) Loc. cit., pag. 91. ade Ran TT IA TE een IT PE G. SPEZIA. Trasformazicne dell'Opale. Uti R. Accad. delle Scienze di Sozino . Vol. XXXVII. È 4È “i ® f e È: 6’ hg ì ps Z “ j sen a ei È RU DÀ ICILIO GUARESCHI — CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI, ECC. 593 Condensazione delle aldeidi con letere cianacetico. Nota I del Socio ICILIO GUARESCHI. In una mia nota: Sulle Diciandiossipiridine (1), ho dimo- strato che le aldeidi: benzoica, anisica, furfurolica, etilica, ecc. agiscono sull’etere cianacetico nel senso della equazione gene- rale seguente: R R | | CHO C # CNH?C CH?CN CNHC C.CN | | = 2C°H5,0H+ H?°0 +H°+ | | (A) C°H°0.C0 C0.0C?H° CO. CO i 2NH3 N.NH*' Avrebbe però dovuto formarsi il composto piperidinico: R | CH / BNHO CH.CN | CO Co INA N.NH* Allora non riuscii a conoscere dove vada quell’idrogeno che veramente si stacca dalla molecola piperidinica (B) per dare il composto (A). Ammisi, come nella reazione di Michael (2), che quest'idrogeno non sviluppandosi allo stato libero, andasse a formare dei prodotti secondari. Continuando queste mie ricerche colle aldeidi m.toluica, cuminica, butilica normale, ecc. sono (1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, 1899, XXXIV. (2) “ Berichte ,, XVIII, p. 2021; DoesxnER e MicLeR, “ Ber. ,, XVI, p. 2464. 594 ICILIO GUARESCHI ® arrivato ad un risultato, secondo me, molto importante; ho cioè potuto riconoscere dove va quell’idrogeno e a quali prodotti dà origine. Nella reazione fra aldeide, etere cianacetico e ammo- niaca non solamente si forma una diciandiossipiridina ed alle volte un composto condensato simile a quello di Carrick, ma sempre anche un altro prodotto, una amide satura cianurata, una cianacetamide sostituita: ? ca/ CN R. CH?. CH£ CONE? che senza dubbio formasi per idrogenazione della cianacetamide non satura BH cnore che si produce prima per l’azione dell'etere cianacetico sull’aldeide in presenza di ammoniaca. Esperimentando coll’aldeide metatoluica credetti dapprima ! Me scatcti sa di aver per le mani l’amide non satura CH*C H*.CH=C< GcoNH? mala concordanza delle analisi e le proprietà non mi lasciarono più dubbio trattarsi invece dell’amide satura CH*O*R*CH*CH( CONE Visto questo, ho esaminato meglio i prodotti che si formano dall’aldeide benzoica ed in realtà ho trovato nelle acque madri da cui si cristallizza il sale ammonico della fenildicianglutaconimide una sostanza solubile nell’etere e che può estrarsi dal prodotto primitivo mediante l’etere. Questa sostanza, si ha in stupendi cristalli fusibili 132°.5-133°.5; anche qui invece di aver per le mani l’amide C*H°CH*=CHC)ygs Mi accorsi trattarsi del- l’amide satura C©HSCH?CH< DA va. Sostanza questa identica colla benzilcianacetamide preparata in altro modo da Hessler (1). Questo chimico trova il punto di fusione 130°; non dubito però dell'identità dei due prodotti. La differenza nel punto di fusione dipende molto probabilmente dall'avere avuto io la sostanza molto pura. Dopo questi risultati si può dunque ammettere che la rea- zione fra aldeide, etere cianacetico ed ammoniaca abbia luogo secondo le quattro equazioni seguenti: (1) “ Am. Chem. Journ. ,, XXII, p. 180. MS, e Pai - CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L'’ETERE CIANACETICO 595 R R | | CHO C ZN CN.H°C _CH?.CN CNHC._ C.CN 1) | — | | + 2C2H5. 0H + H?0 + H? C*H'0.CO CO.0C?H5 co. CO ea 2NH? N.NH* Come prodotto intermedio deve formarsi un etere dician- glutarico oppure un etere dicianglutaconico : | } ZN CN. HC us” C°H*0.CO. C00C?. HÈ che non ho ancora potuto ottenere, e che per l’azione dell’am- moniaca si trasforma subito in imide. 2) R.CHO+CH “00 0ce4s+NE°—C*H'08+H"0+R.CH=C Oi yp: e 6 ON /CN 8) R.CH=C cong + E° =R.CH?, . CHX GONE? 4) bio cH= c< Gone: + R.CH= cc CNadta = composto di Carrick. Quest'ultimo composto colle aldeidi grasse o aromatiche non sempre sì forma. È dunque questo un metodo molto generale non solamente per ottenere le diciandiossipiridine ma anche le cianacetamidi _ monoalchilsostituite. I Aldeide m.toluica ed etere cianacetico. Circa 12 gr. di aldeide metatoluica sono mescolati con 25 em? di etere cianacetico poi con 30 cm} di ammoniaca acquosa al 22 °/ circa. La mescolanza reagisce subito, si colora in giallo ranciato, si fa limpidissima per un istante poi quasi subito in- 596 ICILIO GUARESCHI torbida e deposita un liquido pesante. Però dibattendo bene, la miscela ridiventa tutta omogenea e limpida e dopo 24 ore tutta la massa è cristallizzata. Dopo 2 o 5 giorni diluisco con due o tre volte il suo volume di acqua, lascio a sè 12-24 ore, poi rac- colgo il precipitato bianco, che lavo con acqua e asciugo. Dal filtrato si ha ancora un poco di prodotto cristallino. Ottengo così 12 a 13 gr. di prodotto che cristallizzato dall'acqua bol- lente lascia un residuo insolubile (circa 2 a 2.5 gr.) fusibile a 194°-198° e dal liquido filtrato si deposita circa 1.6-1.7 di un prodotto che fonde a 105°-107°. Il prodotto che cristallizza dopo concentrando il liquido è costituito dal sale ammoniaco della metatolildicianglutaconimide, che deve essere quando è secco esaurito con etere per togliere un poco di prodotto che fonde a 105°-107°. Ottengo così tre prodotti: uno insolubile, o quasi, nell'acqua anche bollente e che grezzo fonde a 194°-198°; due solubili nell'acqua, ma uno di questi solubile nell’etere (fusibile grezzo a 105°-107°) e l’altro insolubile nell’etere, e che è il sale ammoniaco della m.tolildicianglutaconimide, non fonde nemmeno a 290°. MeraToLILDICIANGLUTACONIMIDE. — Il sale di ammonio di questo composto, che è il prodotto principale della reazione, si ha puro lavandolo bene con etere e poi ricristallizzandolo dall’acqua. Questo sale ammonico | C*H*. CH? RA N.NH* cristallizza bene dall’acqua in aghi incolori anidri che non fon- dono nemmeno a 290°. E solubile in piridina. Gr. 0.1530 di sostanza secca a 100° fornirono 28.2 cm? di N a 21° e 723.6. Cioè: trovato calcolato per C'H*(NH*)N°0? No 20.38 20.88 AE PIEDE I RI CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L'ETERE CIANACETICO 597 Riscaldato con acido solforico a 60° fornisce l’acido8- metatolilY cianvinilacetico: C*H*. CH? C=CH.CN Ho COOH che sarà descritto in un’altra nota. La soluzione acquosa del sale ammonico dà le reazioni se- guenti: | Col solfato di rame dà abbondante precipitato giallo-ver- dastro, aghiforme. Col cloruro ferrico precipitato giallo-rossastro. Col solfato ferroso precipitato bianco-cristallino: Col cloruro di potassio, anche in soluzione diluita dà ab- bondante precipitato cristallino. I sali dî sodio non precipitano. Dà precipitati abbondanti coi sali di chinina, cinconina e altri alcaloidi. Col cloridrato di nicotina in soluzione all’ !/o0 dà precipitato cristallino; in soluzione a 1:2000 precipita ancora, ma debol- mente. Anche col bromidrato di conina si ha, lentamente e in soluzione non troppo diluita, un precipitato cristallino bianco, bellissimo. | Sale di argento. — Il sale di ammonio della m. toluildi- cianglutaconimide dà col nitrato d’argento un precipitato bianco microcristallino, poco solubile: Gr. 0.2269 di sale, seccato a 110°, diedero 0.0688 di Ag. Cioè: trovato calcolato per C!*H*AgN?0? ———->-' "< \;m}__ rh. Ag % 30.30 30.18 Sale di rame (C'4HSN302}?Cu+6H?0. — È in bei cristalli aghiformi di color giallo che si precipitano dalla soluzione del sale ammonico con solfato di rame. Gr. 0.4494 del sale secco all'aria, scaldati a 100° prima, poi a 120°, perdettero 0.0738. Il sale così anidro è di color rosso mattone; lasciato all’aria, dopo alcuni giorni riprende un colore giallo-ranciato e tutta 598 ICILIO GUARESCHI l’acqua che conteneva; infatti 0.4397 del sale che ha ripreso l’acqua all'aria, scaldati a 120°-130° perdettero 0.0719 e bruciati fornirono 0.0500 di Cu0. Da cui: trovato calcolato per 6H?0 H?0 % 1en0'a 16. gtftbdutfo. ppiggima, trovato calcolato per (C'*HSN30*?Cu Cu % “10.88” ci rg). METATOLILCIANACETAMIDE. — Il prodotto estratto con etere, e che grezzo fonde a 105°-107°, quando è ricristallizzato dal- l’acqua fonde costantemente a 108°.5-109°.5. Questo prodotto solubile nell’etere cristallizza dall’acqua in larghe lamine ma- dreperlacee; cristallizza bene anche dall'alcool. È solubilissimo in piridina. Ha reazione neutra. Non precipita coi sali metallici. Con idrato di magnesio non dà ammoniaca se non dopo lungo tempo. Colla potassa a caldo sviluppa subito ammoniaca. Non assorbe il bromo. All’analisi diede i risultati seguenti : I. Gr. 0.1646 di sostanza secca a 95° diedero 0.4218 di CO? e 0.0958 di H20. II. Gr. 0.1455 diedero 0.3740 di CO? e 0.0884 di H20. : III. Gr. 0.2138 diedero 28.4 cm? di N a 15.°5 e 727.7 mm. Da cui: Per la formola C!'H'°N20 si calcola I II III C= 69.88 70.10 _ 70.21 H= 647 6.8 — 6.30 N= — — 15.06 14.9 La composizione, le proprietà e il modo di formazione con- ducono a considerare questo corpo come metatolilacianacetamide : N x\H?2 / CN CH?, GUHE, CH . HC GONE? Dre dA" di i he CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L’ETERE CIANACETICO 599 Per un composto non saturo C!1H10N?0 cioè: CH?, C*H*.CH = dr si calcola: C—= 70.87 Mez DI N=M53 05. II. Aldeide cuminica ed etere cianacetico. Mescolo 15 gr. di cuminol con 25 cm di etere cianacetico metilico, poi aggiungo 30 cm* di ammoniaca acquosa, a 0.900. La miscela si fa quasi subito omogenea e limpida, di color ran- ciato, poi poco dopo intorbida di nuovo, sviluppa molto calore, e dibattendo si trasforma in massa solida, compatta, gialla. Dopo 48 ore tratto la massa con due o tre volumi di acqua, dibatto, lascio a sè circa 12-18 ore, poi filtro e lavo bene il prodotto, che pesa circa 27 gr. Trattando questo prodotto con acqua bollente si scioglie quasi tutto, ma rimane una parte poco solubile, che ripresa con acqua bollente si scioglie in parte, dando una sostanza bianca cristallina, solubile nell’etere, fusibile a 144°, ed un residuo fusibile 137°-138°, poco solubile nell'acqua. Però questo residuo, che sembrava contenere un composto ana- logo a quello di Carrick, si scioglie nell’ etere, e ripreso con molta acqua bollente si scioglie anch’esso e cristallizza in aghi leggieri fusibili 143°-144°, che hanno anch'essi le proprietà e la composizione della cimilcianacetamide. . Tutta la parte cristallizzata dall'acqua, sino dapprincipio esaurisco bene con etere, che toglie altra quantità di sostanza fusibile a 144° che era mescolata col sale ammonico della ycumil BBdicianglutaconimide. Ottengo dunque solamente due prodotti: uno pochissimo solubile nell’acqua, non solubile nell’etere e fusibile a 144°, che è la cimilcianacetamide, e l’altro insolubile nell’etere, ed è il sale ammonico della propilfenilB8dicianglutaconimide. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 40 600 ICILIO GUARESCHI PROPILFENIL 8A DICIANGLUTACONIMIDE. — Ho ottenuto il suo sale di ammonio: C°H°. C*H" C ZN CNHC. C.CN Pat CO Co ATÉ N.NH* nel modo indicato. Si purifica esaurendolo bene con etere e ri- cristallizzandolo dall’acqua bollente. Gr. 0.5055 di sostanza, secca a 100°, distillati con idrato di magnesio diedero 0.030 di NH?. Da cui: trovato calcolato per C'*H!°(NH*)N°0? NH 5.93 9.72 Cristallizza in sottili aghi leggieri, giallognoli, che non fon- dono a 290°, insolubili nell’etere, solubili nell’alcool, che a 100°-105° non perdono di peso. È solubile nella piridina e resta sciolto anche diluendo con acqua. Questo sale ammonico fatto bollire con acido solforico al 60 °/, fornisce l'acido BpropilfenilYcianvimilacetico 0 cumilYcian- vinilacetico : CHA dia CHCN H°C G00H che descriverò in un’altra memoria insieme ad altri acidi simili. i Il sale di rame (C'*H12N30?)?+8H20 (?). — Ottenuto dal sale ammonico col solfato di rame è un precipitato in aghi sottili di color giallognolo un po’ verdastro. Gr. 0.7453 di sale secco all’aria fornirono a 110°-115° 0.0733 di acqua che riprende tutta stando all’aria e poi perde ne II ie CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L'’ETERE CIANACETICO 601 scaldando di nuovo a 110°-120°; gr. 0.6696 del sale secco a 120° fornirono 0.0811 di Cu0. Da cui: trovato calcolato per (C'°H!2N*0?)?Cu+8H?°0 — ro PF ——— "=> €/}, Cu %o 8.5 8.3 trovato calcolato per eliminazione di 4H?0 ——_——— I -—'_rr- H?0. 9/5-@ 120° 9.7 9.43 Il sale di argento ottenuto dal sale ammonico con nitrato di argento è un precipitato bianco-giallognolo cristallino che disseceato nel vuoto e a 100°-102° non perde di peso. Gr. 0.4182 del sale fornirono 0.1170 di Ag. Cioè: trovato calcolato per C'°H'°AgN°0? Ag % 27.97 27.98 La soluzione acquosa del sale ammonico ha reazione neutra o lievissimamente acida, non precipita coll’acido cloridrico diluito, bensì col concentrato. Col cloruro ferrico dà precipitato bruno-rossastro. Coll’acqua di bromo precipita e alla ebollizione non si colora in violetto. Col cloruro di calcio dà precipitato bianco, solubile in acqua bollente in cui cristallizza benissimo. Così pure col cloruro di bario. Col solfato di magnesio dà, un poco più lentamente, un pre- cipitato bianco cristallizzato in aghetti lunghi. Col solfato di zinco, pure. Col cloruro di potassio anche in soluzione diluita dà un pre- cipitato cristallino pesante. Coi salì di sodio invece non preci- pita. Le soluzioni all’1 °/o di KCI. precipitano ancora colla soluzione di questo sale ammonico, dibattendo bene come si fa pel fosfato ammonico-magnesico. Questo sale di potassio è in aghetti giallognoli quasi sempre simili a fasci o a ventaglio, di aspetto caratteristico. Il potassio con questo reattivo ppripra meglio che non coll’acido picrico. Col nitrato di cobalto dà abbondante precipitato roseo. 602 ICILIO GUARESCHI La soluzione ammoniacale del sale ammonico trattata con soluzione di solfato di rame ammoniacale ‘dà un bel sale cuproam- monico in polvere cristallina di color azzurro d’oltremare che assomiglia alla asparagina rameica. Precipita bene le soluzioni anche diluite dei sali di chinina, di cinconina e di altri alcaloidi. La soluzione del bromidrato di conina dà precipitato bianco formato da prismetti rombici riuniti a gruppi. In soluzione molto diluita non precipita. Preparai una certa quantità di questo sale di conina, che si precipita in prismi più o meno grossi od in aghi secondo la rapi- dità con cui si precipita. È perfettamente incoloro e tale si mantiene all'aria ed anche a 100°-105°, temperatura a cui non perde di peso. È affatto inodoro. Con potassa o per l’azione del calore sviluppa odore di conina. Fonde a 251°-252°. Gr. 0.6747 di sale, seccato all’aria, lasciati sul cloruro di calcio e poi scaldati a 100°-105° non perdettero di peso. Gr. 0.1846 diedero 22.9 cm? di N a 19°.5 e 724.4 mm. Da cui: trovato N % ty 18.81 Per il sale di conina: C*H*. C*H | C 77% SIE C.CN | CO Co N NH.C*H!"N si calcola: IN 1045 139 To credo. che questo sia il sale di conina più stabile che si conosca. Farò preparare altri sali simili con composti avuti da altre aldeidi. Questo sale ammonico reagisce bene anche colle soluzioni di cloridrato di nicotina; la soluzione al 1°/v di nicotina dà un precipitato abbondante bianco, pesante, formato da cristalli mi- CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L’ETERE CIANACETICO 603 nuti, separati, a forma allungata quasi aghiforme, piatti; anche la soluzione a 1:4000 dà ancora precipitato cristallino e ancora con soluzioni a 1:5000 si ha lieve precipitato. Si colora verso 290°, a 295° dà segni di fusione e fonde completamente verso 300° in liquido scuro. L'aspetto del precipitato osservato al microscopio, tanto se ottenuto da soluzione all’1°/ o all’1 per 4000, è identico. L’ aspetto del precipitato fornito dai sali di conina è affatto diverso; le soluzioni diluite di conina non pre- cipitano. Questo reattivo potrà forse essere utilizzato per distin- guere la nicotina dalla conina. Questo sale di nicotina è quasi insolubile nell’acqua. 0.2 gr. di nicotina trasformata in C!°H!4N?2,2HCI con acido cloridrico 4 e sciolti in circa 20 cm? trattati con soluzione di circa 0.7-0.8 di sale ammonico precedente fornirono un sale che secco sul cloruro di calcio e poi a 100° pesava 0.84; per la formazione del sale neutro: (C!5H'3N302)?. C10H!*N? se ne avrebbe dovuto ottenere 0.88. In un’ altra esperienza da 0.2 di nicotina, incolora, ridistillata e bollente a 245°-246°9, ottenni 0.86 del sale precedente, lasciando in riposo la miscela per circa 12 ore. Ricristallizzato da moltissima acqua bollente cristallizza in piccoli, ma bei cristalli trasparenti, isolati, bril- lanti, prismatici, che ricordano nell’ aspetto i cristalli del tar- trato di calcio. AMIDE0 CIANPROPILFENILIDROCINNAMICA 0 CIMILCIANACETAMIDE. — Estratta mediante l’etere come fu detto cristallizza bene dal- l’acqua bollente in lunghi aghi incolori, setacei, solubili nell’alcool. - E poco solubile nell'acqua fredda, 1 p. in circa 4000 p. di acqua a 15°. È solubilissima nella piridina. Fonde a 144°-144°.5. Su- blima, ma in parte scomponendosi. La soluzione è neutra e non dà ammoniaca con latte di magnesia. Con potassa anche diluita, ma a caldo, sviluppa ammoniaca. Con soluzione alcoolica di potassa anche a caldo non si colora. La soluzione acquosa non precipita col nitrato di argento, col cloruro ferrico nè con altri sali me- tallici. 604 ICILIO GUARESCHI I. Gr. 0.1952 di sostanza essiccata a 100° diedero 22.4 cm? di N a 12°.5 e 733.3 mm. IT. 0.2228 diedero 0.5941 di CO? e 0.1500 di H?20. Da cui: trovato calcolato per î n C'E. CE*.CH?. CES GO NE* e _ (2.71 12.22 His — 7.48 7.40 Na 13.24 _ 13.00 Anche il residuo poco solubile nell’ acqua e fusibile allo stato grezzo a 137°-138° per ricristallizzazione l’ottenni in aghi fusibili a 144° colle proprietà e la composizione della cumil- cianacetamide. II, Aldeide butilica normale ed etere cianacetico. 10 gr. di aldeide butilica normale fornitami da Kahlbaum furono mescolati con 27 cm di etere cianacetico metilico (circa 2 mol.) poi con 35 cm3 di ammoniaca acquosa a 0.900. Bisogna aggiungere adagio l’ammoniaca perchè la reazione è vivissima; si sviluppa molto calore ed il liquido diventa omogeneo e gial- lognolo. Bisogna raffreddare con acqua; ma dopo pochi istanti si ha una massa solida, compatta, bianca. Dopo 24 ore aggiungo due o tre volumi d’acqua, lascio a sè, poi filtro e lavo bene la massa sul filtro. Questo prodotto è totalmente solubile nell’acqua calda da cui cristallizza, però contiene un prodotto solubile in etere e perciò la esaurisco con questo solvente. Ottengo così due prodotti, uno solubile nell’acqua ed insolubile nell’etere, che è il sale ammonico della propildicianglutaconimide, e l’altro solubile nell'acqua e nell’etere ed è la n. dutilcianacetamide. Non si forma in queste condizioni un prodotto insolubile analogo & quello di Carrick. Gli stessi due prodotti solamente si ottennero adoperando l’etere cianacetico etilico. n I E E I CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L'ETERE CIANACETICO 605 n. PROPILDICIANGLUTACONIMIDE. — Il suo sale ammonico : CH°CH°CH* | C 7 N CNHC _C.CN CO CO \ ed N.NH* si ottiene purissimo, bianco, con alcune ricristallizzazioni dal- Pacqua. Cristallizza in begli aghi leggieri, incolori, setacei. Solubili nell'acqua fredda ma molto più a caldo. Solubilissimo nella piri- dina. Ha sapore amarissimo che ricorda insieme il chinino ed il solfato di magnesio. Scaldato a 125° non perde di peso. Gr. 0.7024 diedero 0.0547 di ammoniaca per distillazione con citrato di magnesio. Da cui: trovato calcolato per C‘°H*(NH*)N®0? nl _— rr NH 9/5 7.78 7.90 Scaldato con acido solforico al 60 °/; si trasforma in acido Bpropily cianvinilacetico : CH°CH?CH* I C=C.CN H?C COOH che descriverò in altra nota. La soluzione acquosa del sale ammonico dà delle bellissime reazioni coi diversi sali metallici e coi sali degli alcaloidi. Col percloruro di ferro si colora in rossastro, poi lentamente deposita dei bei cristalli aghiformi, a rosetta o a ciuffi, che a caldo si sciolgono in parte, e dopo raffreddamento si hanno bei cristalli ma più colorati. Col solfato ferroso dà lentamente una massa cristallina for- mata da aghi bianchi. 606 ICILIO GUARESCHI Col nitrato di cobalto dà bellissimi aghi color rosa. Col solfato di rame fornisce bellissimi aghi lunghi, di color giallo-verdognolo. Col cloruro di calcio dà pure precipitato cristallino bianco, aghiforme, solubile a caldo. Il sale di bario è in cristalli prismatici incolori. Col cloruro di potassio dà una massa compatta di cristalli in aghi bianchi, assai poco solubili a freddo, solubili a caldo. Invece coi sali di sodio non dà nessun precipitato, nemmeno in soluzione concentrata. Coi sali di cinconina e di chinina dà un abbondante preci- pitato bianco. Il sale di cinconina lentamente cristallizza in begli aghi riuniti in mammelloni o a ciuffi. La soluzione acquosa di questo sale ammonico precipita abbondantemente le soluzioni di cloridrato di nicotina all’1°%/ ed anche 1/0; colle soluzioni a 1:2000 dà ancora precipitato ma debole. Il precipitato è costituito in ogni caso da prismi lunghi, sottili, incrociati, che ricordano l’aspetto dei cristalli di lattato di zinco. La soluzione ammoniacale del sale ammonico trattata con soluzione di solfato di rame ammoniacale dà un bel sale cupro- ammonico in cristalli prismatici di color azzurro-violaceo. Col nitrato di argento dà un bel precipitato bianco cristal- lino solubile nell'acqua bollente. Però pare che si scomponga un poco coll’acqua perchè nel sale sciolto dall'acqua bollente e la- sciato cristallizzare trovai 33.4 °/ di argento e nel sale rimasto non sciolto, se l’acqua è insufficiente, trovai 36.3 °/, di argento; mentre pel sale si calcola 34.83 °/, di Ag. CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L’ETERE CIANACETICO 607 n. BUTILCIANACETAMIDE C*H'.CH?.CH CA cr (Bpropilacian- propionamide). — Il prodotto estratto coll’etere e che allo stato grezzo fonde a 125°-126° fu ricristallizzato dall'acqua e l’ottenni in magnifiche lamine, larghe, sottili, madreperlacee, fusibili a 125°.5-126°.5. Solubilissima anche nella piridina. Gr. 0.1600 di sostanza secca a 100° fornirono 0.3518 di CO? e 0.1258 di acqua. Da cui: trovato calcolato per C'H!*N°0 Ci 5993 60.00 i 8.73 8.57 Quest’amide fonde a 125°.5-126°.5 e sublima in lamelle den- tellate iridescenti; la sua soluzione acquosa è neutra, non pre- cipita col nitrato di argento. Scaldata con potassa anche diluita dà ammoniaca. Scaldata con acqua di bromo non si colora; come non si colora coll’acido nitroso. Per spiegare la formazione di questo composto bisogna am- mettere che si formi la amide non satura: = c/ CN che non ho potuto trovare, nemmeno nelle prime acque madri, e la quale per idrogenazione dà l’amide satura: /CN CIC: HCK CONH' coll’idrogeno che proviene dalla reazione primitiva: C*H' C*H' | CHO C / N CNH°C CH.CN CNHC C.CN locgsoil = | + 2C*H5. OH + H°0 + H* C*H°0.CO COOC*H‘ co co hI L 2NH° N.NH' 608 ICILIO GUARESCHI IV. Aldeide benzoica ed etere cianacetico. Visti i risultati precedenti, ho fatto reagire l’aldeide ben- zoica sull’etere cianacetico in presenza di ammoniaca nel modo da me descritto nella nota sulle diciandiossipiridine (1) e trovai che esaurendo il prodotto grezzo con etere, questo esporta una sostanza che si purifica per ricristallizzazione dall'acqua o dal- l’alcool e che riconobbi essere la benzileianacetamide. L’ottenni in bellissimi cristalli aghiformi brillanti, fusibili a 133°-1330.5. All’analisi diede i risultati seguenti: Gr. 0.1746 fornirono 0.4432 di CO? e 0.0950 di H?0, Gr. 0.2004 diedero 28.4 cm? di N a 17° e 729 mm. Da cui: trovato calcolato per C!°H'!°N20 I II = 69.21 — 69.00 Ho 6.08 — 5.74 N — 15.64 ° 16.08 Questa sostanza è solubile in etere, alcool e nell'acqua spe- cialmente se calda. La soluzione è neutra. Col latte di magnesia non dà ammoniaca, bensì colla potassa a caldo, anche se diluita. Sublima inalterata. La composizione ed i caratteri corrispondono come dissi più sopra alla denzilcianacetamide di Hessler. Dunque nel caso dell’aldeide benzoica si formano tre prodotti: il sale ammonico della fenildiciandiossipiridina, la benzilcianacetamide e un com- posto insolubile nell'acqua che probabilmente è identico col com- posto detto di Carrick. (1) Sulle diciandiossipiridine, “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1899, T. XXXIV. CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L’ETERE CIANACETICO 609 V. Aldeide anisica ed etere cianacetico. Anche fra i prodotti dell’azione dell’etere cianacetico sul- l’aldeide anisica in presenza dell’ammoniaca (1) trovai una sostanza solubile nell’etere, incolora, cristallizzata in aghi setacei sottilissimi, solubili in acqua bollente, nell’alcool e nell’etere, che fonde a 172° e che senza dubbio è: CHO . CSH*.CE?, RR come lo dimostra anche l’analisi seguente: Gr. 0.1135 di sostanza secca a 100°, fornirono 0.2722 di CO? e 0.0638 di H?20. Da cui: trovato calcolato per C'H'°N?0? c= 65.38 64.70 H'Ss 6.28 5.98 VI. Aldeide enantilica normale ed etere cianacetico. L’aldeide enantilica od enantolo CH*(CH?)5. CHO si com- porta come l’aldeide butilica normale. Fornisce due prodotti: il sale ammonico della ‘essi B8 diciandiossipiridina : CH*(CH*)*CH? CO Co i N.NH* e l’eptilacianacetamide: DE CN (1) Loc. cit. 610 ICILIO GUARESCHI che descriverò insieme ai prodotti ottenuti da altre aldeidi, in una seconda nota. La reazione da me indicata tra le aldeidi, l’etere cianacetico e l'ammoniaca è dunque una reazione molto generale; serve a preparare le dicianglutaconimidi: e le cianacetamidi monoalchiliche sature: s GIRN/EN Adoperando le aldeidi aromatiche si hanno, ma non sempre, anche dei prodotti insolubili nell'acqua che sono simili al così detto composto di Carrick e sui quali ritornerò in un altro lavoro. Nelle reazioni sopraindicate io ho dunque ottenuto, oltre le diciandiossipiridine, le cinque cianacetamidi alchilsostituite se- guenti: Punto fusione / CN Benzilcianacetamide C°H°. CH?. HCK CONA? 133°-133°,5 m. tolilcianacetamide CH?.C8H*. CH?. HCK CONE 108°-109°.5 n. propilfenilcianacetamide C*H°. C°H*. CH. Bacone 172°.5 anisilcianacetamide CH?0 . C*H*. CH?, Ri 1445 n. butilcianacetamide OH". CH?. HOC CONE? 126°-126°.5 Da cui si otterranno poi gli acidi a cianurati: /CN R . CH* HC< COOH In un’altra memoria descriverò i prodotti che si hanno con altre aldeidi tra le quali l’aldeide formica ed il citrale. Coll’al- deide formica ho ottenuto un composto giallo, di non facile CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI CON L’ETERE CIANACETICO 611 purificazione, e che molto probabilmente è il sale ammonico della BR dicianglutaconimide: HB. .B Ta CH Cc / N ARR CNHC C.CN CNHC CHCON LITI oppure (0,0 OLO) CO Co > PA n N.NH' N.NH* Nel primo caso dovrò ottenere l'acido ycianvinilacetico: CH 1 pa CH.CN COOH e nel secondo l’acido glutarico: CH? È Lea HOCO. H°C CH?. COOH Queste ricerche poi non avevano tanto per iscopo di otte- nere i composti della forma suaccennata e di spiegare dove vada l'idrogeno che si stacca dalla molecola dicianpiperidinica, quanto di ottenere gli acidi a e Balchilycianvinilacetici nelle tre forme: R C= CHCN 2) R. HC Pe 3) R.HC COOH Ho già preparato molti di questi acidi, che descriverò in una prossima memoria. Torino, R. Università, Giugno 1902. 612 LORENZO CAMERANO . Materiali per lo studio delle Zebre. Nota del Socio LORENZO CAMERANO (Con una Tavola). Alle due specie più anticamente conosciute del genere Hip- potigris, H. Smith: a) l' H. zebra, Linn, “ Syst. Nat. ,, ed. X, p. 74 (1758), colla sottospecie var. zebra 9 F. Cuvier (nec Linn.) (fide Prazak in Trouessart); 5) e H. quagga, Gmelin, “ Linn. Syst. Nat. ,, I, p. 213 (1788), venne aggiunta nei catalogi sistematici, nella prima metà del secolo scorso, una terza specie: l’H. c) Burchelli (Gray), “ Zool. Journ. ,, I, p. 247, tav. IV (1825). Nell'anno 1882 una quarta specie di zebra spiccatamente diversa dalle precedenti — d) l’H. Grevyi, Oustalet “ La Nature ,, X, p. 12 (1882) — venne fatta conoscere da Oustalet e da Milne Edward. A questo si attribuisce l’ H. Grewyi, var. Faurei Prazak (?) Wild. Horses— non ancora pubblicato — (confr. anche Matschie “ Sitzb. Gesel. Fr. ,, Berlin, 1898, p. 180). Nella seconda metà del secolo scorso varii autori assegna- rono all’H. Burchelli numerose sottospecie: 1° Subsp. antiquorum H. Smith “ Jardine’s Natural histor. Library ,, Horses, p. 327, tav. XXII (1841). 2° Subsp. Chapmanni (Layard), “ Proc. Zool. Soc. ,, (1865, p. 417). 3° Subsp. Boòhmi, Matschie “ S. B. Ges. Naturf. Fr. ,, Berlin, p. 131 (1892). 4° Subsp. Crawshayi (De Witon), “ Ann. et Mag. Nat. Hist.., (6); XVII, p. 919 (1596). 5° Subsp. Grantii (De Witon) ibidem, pag. 319. MATERIALI PER LO STUDIO DELLE ZEBRE 613 6° Subsp. Wallbergi (Pocock) “ Ann. et Mag. Nat. Hist. ,, (6), vol. XX, p. 44 (1897). » 7° Subsp. Seloustî (Pocock) ibidem, p. 45. 8° Subsp. transvaalensis Ewart. “ Veter. ,, p.622(1897). 9° Subsp. Mariae Prazak (frase diagnostica in Troues- sart, “ Catalogus Mammalium ,; p. 799, nota (1898). 10° Subsp. 2eambesiensis Prazak (in Trouessart, Var. nouvelle du Zèbre de Burchell. “ Bull. Mus. Hist. Nat. ,, Paris, 1898, 2, pag. 64, fig. pag. 65). Altre specie di Zebre vennero descritte recentemente, come: e) H. Hartmannae Matschie, “ Sitzb. Ges. Naturf. Fr. ,, (Berlin, 1898, n. 9, p. 174). f) H. Foai (Prazak e Trouessart) “ Bull. Mus. Hist. Nat. ,, (Paris, 1899, n. 7, p. 352, fig. p. 353). 9g) H. Penricei Thomas “ Ann. and Mag. Nat. Hist. , (7), vol. 6, pag. 465 (1900). È d’uopo motare che molte delle specie e sottospecie sopra indicate vennero descritte sopra un solo esemplare, non rara- mente incompleto, di cui non è nota con precisione la prove- nienza e tanto meno si conosce l’area di diffusione della forma . che esso rappresenta. Si aggiunga ancora che il materiale con- servato per lo studio delle zebre è scarso assai ed è disperso nei varì musei. Lo studio delle zebre è per tali ragioni oggi assai difficile. Uno sguardo generale sul gruppo venne dato dal Matschie (1) considerando come specie distinte le seguenti: Equus zebra, E. quagga, E. Burchelli, E. Chapmanni, E. antiquorum, E. Boehmi, E. Grevyi. Una revisione dell’intero gruppo venne fatta da R. I. Po- cock (2) il quale così raggruppava le specie conosciute al suo tempo: 1* specie: Equus zebra, Linn. 2*.-0; » Qquagga, Gmelin. > Re” » Burchelli (Gray). (1) Die Afrikanischen Wildpferde als Vertreter zoogeographischer Sub- regionen, ° Zool. Garten ,, XXXV, pag. 37, 1894. (2) The Species and Subspecies of Zebras, È Ann. a. Mag. Nat. Hist. , (6), vol. XX, pag. 33 (1897). 614 LORENZO CAMERANO a) sottospecie: antiquorum (H. Smith). b) lee Chapmanni, Layard. c) 3 Wahlbergi, Pocock. d) : Selousti, Pocock. e) } Crawshayi, De Winton. f) K Grantii, De Winton. 4° specie: Equus Grevyi, Oustalet. Considerazioni generali sulle zebre si trovano pure in un lavoro del Matschie (1), nel quale egli descrive una nuova specie, lE. Hartmannae. Il Trouessart (2) accolse le idee del Pocock e del Prazak disponendo le forme di zebre conosciute nel modo seguente: H. Grevyi con due varietà (fide Prazak). H. zebra Linn. con una sottospecie la zebra 9 F. Cuvier (estinta, fide Prazak). H. Burchelli, Gray (estinto nella forma tipica) colle sotto- specie seguenti: Walbergi, Pocock. antiquorum, H. Smith. Chapmanni, Layard. transvaalensis, Ewart. Selousti, Pocock. Bohmi, Matschie. zambesiensis, Prazak (in Trouess.) Crawshayi, De Witon. Grantii, De Witon. Mariae, Prazak. H. quagga Gmel. (estinto). Nell'anno 1899 lo stesso Trouessart in unione col Prazak (3) considera le specie di zebra in un modo diverso. “ Le sous- (1) Ueber die geographische Verbreitung der Tigerpferde und des Zebra des Kaoho-Feldes in Deutsch-Siidwest-Afrika, “ Sitz. Gesel. Nat. Fr. ,. Berlin, 1898, p. 169. (2) Catalogus mammalium. Berolini, 1898, pag. 797. (3) Description d’une espèce nouvelle de Zèbre (Equus Foai), “ Bull. Mus. Hist. nat. ,. Paris, 1899, pag. 350. MATERIALI PER LO STUDIO DELLE ZEBRE 615 “genre Hippotigris (Hamilton Smith) renferme jusqu’àè présent “ cinq espèces, qui sont: 1° le véritable Zèbre (E. zebra L. 1758) “ confiné dans le sud-ouest de l’Afrique; 2° le Quagga (E. quagga “ Gmel. 1788); 3° le Zèbre de Burchell (E. Burchelli Gray, 1825); “ 4° le Zèbre de Chapmann (E. Chapmanni Layard, 1865); 5° enfin “le Zèbre de Grévy (E. Grevyi A. M. Edw. et Oust. 1882) qui “est l’espèce la plus septentrionale du groupe, puisqu’elle ha- “ bite le Somali. “De ces cinq espèces, deux (E. quagga et E. Burchelli) sont “ complètement éteintes (Prazak): les trois autres vivent encore. “L. E. Chapmann présente une distribution géographique très “ étendue et qui explique le grand nombre de sous-espèces créées “à ses dépens par les naturalistes modernes ,. Recentemente Matschie, “ Sitz. Gesel. Nat. Fr. , (Berlin, 1900, p. 231), ritiene come sinonimo della sua specie E. Hartmannae lE. Penricei descritto da Oldf. Thomas. Le incertezze grandi in cui si è oggi intorno al valore tas- sonomico delle numerose forme di zebre state descritte ‘fanno desiderare un lavoro monografico generale intorno a questo gruppo di animali, in cui sia studiato e vagliato tutto il materiale ‘che la scienza possiede (1). A rendere possibile tale lavoro sarebbe necessario che ve- nissero descritti gli esemplari di zebre montati, le pelli, gli sche- letri conservati dai varìî musei, accompagnandone la descrizione con opportune riproduzioni fotografiche. (1) Pare che il Prazak si sia accinto ad un lavoro di questo genere; il Trovessart, “ Bull. Mus. Hist. Nat. ,, Paris, 1898, pag. 64, dice in nota: “ M. Prazak se dispose à publier une monographie des Chevaux africains “qui paraîtra sous ce titre: The Wild Horses of. the Ethiopian Region, “ Londres, 1898, avec 28 pl. coloriées (sous presse) ,. Nel suo Catalogus mammalium (Berlino, 1898, pag. 797), lo stesso Trouessart cita senz’altro come pubblicato il lavoro del Prazak indicando la data 1898 e dicendo che contiene 30 tavole colorate. Egli indica pure le singole ‘tavole a proposito delle varie specie e sottospecie. Pure il TrovessarT, “ Bull. Mus. Hist. nat. ,, Paris, 1899, pag. 350, nota, dice: “ M. Prazak dans son livre (actuellement “ sous presse pour paraître en février 1900) intitulé: Wild Horses of Africa “ (Monograph of Zebras), in-4°, avec 40 pl. color., ete. ,. Fino al momento in cui scrivo (maggio 1902) il lavoro del Prazak non è stato pubblicato. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 41 616 LORENZO CAMERANO Ciò è opportuno fare senza indugio poichè dell’interessan- tissimo gruppo delle zebre alcune specie sono oramai estinte ed altre sono sulla via di estinguersi pel rapido avanzarsi degli europei nell’interno del continente africano. Hippotigris Grevyi (M. Edw.) Oustalet. Ho avuto occasione di osservare recentemente tredici pelli della specie sopradetta spedite da Assab a Torino e provenienti dall'interno del paese senza più precisa indicazione, ed una pelle avuta da Senafè pur senza indicazione precisa di località. Dodici appartengono ad individui adulti e due ad individui giovani. La meno incompleta di queste pelli appartiene ora al Museo di Torino. L’Hippotigris Grevyi venne, a quanto pare, diviso dal Pra- zak (1) in due varietà. Il Matschie ha a questo proposito le pa- role seguenti (2): “...... und in diesen Tagen (Novembre 1898) “lauft eine Nachricht durch die Zeitungen, dass ein vom Kénige “ Menelik an der Prisidenten der franzòsischen Republik ge- “schenktes Zebra sich als neu Equus Faurei erwiesen habe... , “E. Grevyi wird sowohl fir das Somali-Plateau als auch fiir “das Rudolf-See-Gebiet erwihnt. Wahrscheinlich wird E. Faurei “ mit weisser Schwanzpitze sich von E. Grevyî mit schwarzer “ Schwanzpitze gut unterscheiden und letzteres die Somali-Lénder, “ ersteres die von mir als Rudolf-See-Gebiet zusammengefassten “Gegenden bewohnen, zu welchen auch Schoa und das siidliche “ Abessynien zu rechnen ist ,. Dell’esemplare sopracitato inviato in Francia dal Re Menelik parla anche lo Sclater (3) col nome di E. Grevyi, ma senza ag- giunger nulla intorno ai suoi caratteri nè al suo possibile ap- partenere ad una nuova forma. Nell’anno seguente lo stesso Sclater (4) parla di nuovo dello stesso individuo e ne dà una riproduzione fotografica senza met- tere in dubbio che esso non appartenga alla stessa specie alla (1) A proposito del lavoro del Prazak ripetutamente citato, confr. nota precedente. — Confr. TrovessarT, Catal. mamm. (op. cit.), pag. 797. (2) Op. cit., “ Sitz. Ges. F. ,. Berlin, 1898, pagg. 169 e 180. (3) “ Proc. Zool. Soc. ,. 1898, pag. 588. (4) “ Proc. Zool. Soc. ,. 1899, pagg. 713, 714. E PT MATERIALI PER LO STUDIO DELLE ZEBRE 617 quale appartiene l'esemplare tipico descritto nel 1882 dall’Ou- stalet col nome di E. Grevyi. i Lo Sclater nel 1890 (1) dà la figura di una pelle di E. Grevyi della Somalia senz’altra osservazione intorno alla questione che ci occupa. Per dir la cosa brevemente, io non sono riuscito a trovare altra indicazione intorno alla supposta distinta forma di zebra (E. Faurei) all'infuori dei cenni sopra riferiti del Matschie. Prazak e Trouessart stessi nel loro lavoro del 1899 (2) non ne parlano. Forse questa forma sarà descritta e figurata nel lavoro mono- grafico del Prazak (3), ma questo lavoro annunziato dal Troues- sart fino dal 1898, non è stato, come sopra ho detto, pubblicato fino ad ora. L’esame delle pelli sopra indicate, delle figure e delle descri- zioni date dagli autori dell’E. Grevyî fa riconoscere realmente due forme diverse nel colore dell’estremità della coda. In una, E. Grevyi tipico, l'estremità del ciuffo terminale è nera con qualche gruppo di peli bianchi; nell'altra, E. Faure, è bianca nella parte superiore e al disotto ha un gruppo più o meno abbondante di peli neri. Alla prima forma sono da ascriversi le figure e descrizioni seguenti: Oustalet, “ La Nature ,, X ann., 1882, pagg. 12-13 (4). Selater, “ Proceed. Zool. Soc. ,, 1882, pag. 721. La figura è tolta da una fotografia. Sclater, “ Proceed. Zool. Soc. ,, 1890, pag. 413, fig. 1, figura di una pelle distesa, incompleta. Pocock, “ Ann. a. Mag. Nat. Hist. , (6), XX, 1897, p. 48 (5). (1) “ Proc. Zool. Soc. ,. 1890, p. 413. (2) “ Bull. Mus. Hist. Nat. ,. Paris, p. 350. (3) Confr. Marscaie (op. cit., “ Sitz. Gesel. F. ,, Berlin, 1898, pag. 170: “ Bei E. Grevyi bemerkt er (Trouessart) dass Prazak in einem ibrigens (1898) “ noch nicht erschienenen Werke zwei Varietàiten des Somali-Zebra annehme; “ eine davon wird wohl mit dem £. Faurei der Tageszeitungen iber ein- “ stimmen ,. (4) L'A. dice: “ L'extrémité (de la queue) porte une touffe de longs “ poils noirs et blancs ,. (5) L’A. dice: “ The tail is not striped at the sides, but spotted, and “ his tuft is composed of black and white hairs ,. 618 LORENZO CAMERANO Prazak e Trouessart, “ Bull. Mus. Hiîst. Nat. ,, Paris, 1899, p. 351, fig. d. Alla seconda ‘forma si possono rip per quanto si può giudicare dalle figure: Sclater, “ Proceed. Zool. Soc. ,, 1899, pag. 114, e forse la fivura a pag. 825 dello stesso volume. Delle pelli da me esaminate, quelle che presentano il ciuffo terminale (in parecchie la coda è incompleta) lo hanno bianco superiormente con più o meno abbondanti peli neri inferior- mente. Nei due esemplari (una femmina adulta ed un individuo molto giovane) di E. Grevyi ricevuti dal Museo Civico di Storia Naturale di Genova da Let-Marefia (Scioa) e menzionati dallo Sclater(1), secondo quanto mi scrive gentilmente il dott. R. Gestro, il ciufto terminale della ‘coda è bianco con un gruppo di peli neri inferiormente ed è simile ‘a quello delle pelli più complete da me esaminate. TI confronto fra le pelli con ciuffo caudale terminale supe- riormente bianco e le figure di quelle a ciuffo terminale nero non porta a stabilire differenze importanti e ‘costanti per quanto ri- guarda la distribuzione, il numero, e la forma delle striature nere. E alquanto variabile nelle pelli da me ricevute la forma della linea mera longitudinale mediana ‘del dorso: essendo in al- cune stretta e a margini quasi paralleli nel mezzo del dorso ed in altre più larga e ad ovale allungato. Variabile è pure il nu- mero delle striscie nere laterali che si uniscono sul dorso col primo tratto della linea nera mediana. Le pelli dei due esem- plari giovani sono ‘simili fra loro nella colorazione del ‘ciuffo terminale della coda; quella avuta da Senafè è di colorazione più chiara e rossiccia sul dorso e sui fianchi; le striscie scure e la linea mediana longitudinale del dorso è bruno-rossiccia chiara ‘e ‘così pure le strie delle coscie e delle spalle: mentre le strie del collo e ‘quelle delle zampe verso il pastorale sono nere: le strie del capo sono bruno-rossiccie chiare. Nell’ altra pelle le strie del dorso e delle zampe sono bruno-scure. Tutti questi caratteri non mi paiono uscire dai limiti delle variazioni specifiche. (1) “ Proc. Zool. Soc. ,. London, 1890, pag. 413. MATERIALI PER LO STUDIO. DELLE ZEBRE 619 In quanto al carattere della colorazione del ciuffo terminale della coda, pare dubbio che, se non è accompagnato da altri ca- ratteri nelle parti dell'animale le quali non sono conservate nelle pelli da me esaminate, possa consigliare da solo la separazione specifica fra E. Grevyi e E. Faurei, come accenna il Matschie. Sarà in ogni caso opportuno esaminare prima i giovani delle zebre nelle varie zone dell’area di distribuzione geografica del- lE. Grevyi ed anche esaminare il carattere in questione dal punto di vista delle possibili variazioni di età o delle differenze sessuali. Ad ogni modo se questo carattere è buono per differen- ziare due forme di zebra, le pelli da me esaminate che è pro- babile provengano dal paese dei Danakali o da qualche regione dell’Abissinia meridionale (e quelle ricevute dal Museo Civico di Genova da Let-Marefia), appartengono alla forma Faurei. Ne ver- rebbe confermata così l’idea sopra riferita del Matschie che l’E. Grevyi tipico abiterebbe l’altipiano somalico, mentre la forma E. Faurei si troverebbe nella regione zoologica del Lago Rodolfo intesa nel senso del Matschie stesso, cioè comprendente lo Scioa e il sud dell’Abissinia. Hippotigris Chapmanni (Layard) subspec. Jallae mihi. La pelle di zebra di cui segue la descrizione e che è ripro- dotta colla fotografia nella tavola unita a questo lavoro mi venne inviata da Keren (colonia Eritrea), dove pervenne molto proba- bilmente da qualche regione dell’Abissinia meridionale senza in- dicazione precisa di località. L'insieme della sua colorazione mostra che essa appartiene al gruppo di zebre di cui è tipo VE. Chapmanni Layard. Molto più difficile è il dire a quale delle numerose sotto- specie state descritte dell’E. Chapmanni, e sopra menzionate, debba essere ascritta. La forma colla quale ha maggiore affinità è a mio avviso quella descritta da W. E. de Witon col nome di sottospecie Grantti (1). (1) Questo autore considera l’E. Grantiî come sottospecie dell’E. Bur- chelli Gray. È noto ora come il tipico E. Burchelli Gray (forma estinta, sia da ritenersi come specie distinta dall’E. Chapmani (Confr. Pocoxg, © Ann. a. Mag. Nat. Hist. , (6), vol. XX, 1897. Prazag e Trousssart, “ Bull. Mus. hist. nat. ,. Paris, 1899, p. 350, nota). 620 LORENZO CAMERANO È tuttavia questione non risolta se l’E. Grantii sia da con- siderarsi come sottospecie dell’ E. Chapmanni o se debba invece ritenersi specie distinta. Recentemente lo Sclater (1) ha dato la figura di una zebra proveniente dall’Abissinia (senza indicazione precisa di località) che egli crede corrisponda all’ E. Grantii descritto da De Witon (op. citata). “Iregret — egli dice — that I have not been able to ascer- “tain from Col. Harrington or Capt. Duff in what part of Abys- “sinian dominions this beautiful animal was obtained; but I “have little doubt that it is from Lake Rudolf, in which dis- “ trict it has been stated by several observers that herds of “the larger and smaller Zebras are in some spots found inter- “mixed. I have also been informed that in the bales of flat “native Zebra’ skins lately imported from Abyssinia or Soma- “ liland, examples of the skins of these two (2) species may be “found in the same bale, showing that they inhabit the same “ Country ,. Dalle ricerche del Trouessart e del Prazak (in Trouessart) appare che lE. Chapmanni “ est caractérisé par son pelage, qui “porte des bandes alternativement noires et brun clair sur un “fond d’un jaune isabelle plus ou moins foncé. Ces raies inter- “ médiaires plus étroites et plus claires (shadow stripes ou raies “ombrées des Anglais) sont surtout visibles sur la croupe et, “chez certains individus, elles se distinguent à peine de la teinte “isabelle qui forme le fond du pelage. Les jambes ne sont rayées “ que jusqu’au jarret; la partie inférieure est blanche ou porte “ quelques taches è demi effacées, comme un reste des bandes qui “ forment des anneaux complets sur d’autres variétés de la méme “espèce plus récemment deécrites ,. Aggiungerò che l'esemplare tipico (3) porta sulla parte po- steriore e distale delle orecchie una spiccata macchia nera che lo osservo anche nelle fotografie di varii esemplari della specie in discorso viventi, o che hanno vissuto in parecchi giardini zoo- logici. (1) © Proc. Zool. Soc. ,. Londra, 1901, pag. 508, tav. XXIX e fig. 55. (2) L’altra specie alla quale l'A. allude è lE. Grevyi. (3) Layarp, “ Proc. Zool. Soc. ,. 1865, pag. 417, tav. XXII (questa ta- vola porta scritto: E. Buschelli). III een I OTT MATERIALI PER LO STUDIO DELLE ZEBRE 621 Nell’esemplare di E. Grantii figurato dallo Sclater e nella pelle da me ricevuta non vi è alcuna traccia delle striscie brune intercalate fra le striscie nere. Le striature nere delle zampe sono inoltre ben spiccate e si estendono fino al pastorale che è bruno scuro similmente a quanto si osserva nella sotto-specie zambesiensis Prazak (in Trouessart). Nell’E. Chapmanni tipica ed anche nell’E. Bòhmi Matsch. vanno poco oltre il garretto dimi- nuendo di sviluppo e di intensità. L’E. Grantii appare dalla figura sopracitata privo di mac- chie nere all'estremità delle orecchie. Anche lE. Bohmi nella figura data dal Matschie (1) appare privo di queste macchie. Disgraziatamente non è possibile nello stato presente delle nostre conoscenze intorno alle Zebre di poter dare la conve- niente importanza a questo carattere. Risulta dalle descrizioni date dai varî autori che le striscie bruno chiare intercalate fra le striscie nere sono più o meno spiccate nelle forme seguenti del gruppo di Zebre che ora ci occupa: Sp. Chapmanni, Layard (Damaraland, Matabeleland). 1° s. sp. antiquorum (H. Smith) — regione del Congo. 2° s. sp. Wahlbergi, Pock — Zululand. 3° s. sp. Selousti, Pock — Mashunaland. 4° s. sp. eambestensis, Prazak — Morotzé. 5° s. sp. transvaalensis, Ewart — Matabele. Scrivo dubitativamente qui questa sottospecie perchè non ho potuto consultare il lavoro dell’ Ewart. 6° s. sp. Bohmi Matsch. — Africa orientale tedesca, Ugogo, Uganda ecc. Non hanno striscie brune intercalate fra le striscie nere le forme seguenti: 1° s. sp. Crawshayi De Winton — Africa centrale me- ridionale dal Lago Tanganica al Lago Moéru. 2° s. sp. Grantiù De Winton — Africa orientale dal Lago Rodolfo e dal Lago Stefania a Kenia. La pelle che io ho ricevuto è priva delle striscie brune fra le striscie nere e si avvicina per questo carattere a queste due (1) Die Siugcthiere Deutsch.-Ost.- Afrika. Berlino, 1895, pag. 95, fig. 52. 622 LORENZO CAMERANO ultime forme; si distingue dall’ E. Crawshayi per essere la parte superiore della coda con striscie trasversali bruno nerastre e non semplicemente con macchie scure isolate, essendo simile a questo riguardo all’E. Grantii. Come già sopra ho detto, la pelle in discorso si è con que- st’ultima forma di zebra che ha la maggiore affinità; confron- tandola colla figura sopra citata pubblicata recentemente dallo Sclater, osservo le differenze seguenti: 1° La colorazione generale delle striscie scure del dorso e dei fianchi è più schiettamente nera e la colorazione delle striscie chiare della regione del dorso, della groppa, della ceri- niera e anche della parte superiore dei fianchi non è bianca come nell’ E. Grantii, ma bianco brunastro chiaro. 2° Le orecchie hanno all’apice nella loro faccia posteriore una spiccata macchia bruno nerastra. 3° Dalla stria scura scapolare (biforcata inferiormente) alla fascia scura dei fianchi che è in rapporto colla cosidetta mac- chia selliforme (1) o sella si contano quattro fascie sub paratie mentre nell’ E. Grantii ve ne sono tre. 4° Dalla fascia scura della sella che discende sui fianchi alla fascia scura che viene nella regione inguinale si hanno tre fascie scure larghe mentre nell’E. Grantiî se ne contano due soltanto. 5° La fascia scura obliqua che fa capo alla regione in- guinale è più stretta e più lunga posteriormente che non nel- lE. Grantii. 6° Dalla stria scapolare (biforcata) alla fascia inguinale si contano (complessivamente nel mezzo dei fianchi) otto fascie dorso-ventrali scure, mentre nell’ E. Grantiî ve ne sono sei sol- tanto. 7° La striatura scura delle zampe anteriori e posteriori è meno scura che non nell’E. Grantiî e tende, procedendo verso il pastorale, a divenire bruna. Il pastorale (per quanto posso giudicare da ciò che rimane attaccato alla pelle) è bruno scuro, anzichè nero. (1) Confr. Prazax e Trovessart, “ Bull. Mus. Hist. Nat. ,. Paris, 1899, pag. 350. MATERIALI PER LO STUDIO DELLE ZEBRE 623 Tenendo conto di tutte le cose ora dette la pelle da me ricevuta non può a mio avviso ascriversi esattamente alla sot- tospecie E. Grantii (sopratutto se il carattere della mancanza della macchia nera delle orecchie in quest’ultima è esatto): non può neppure ascriversi alla s. sp. Crawshayi a giudicare dalla descrizione del De Winton e del Pocock. D'altra parte essa non rientra soddisfacentemente in nessuna delle altre forme legate all’E. Chapmanni state descritte. Essa appartiene ad una forma di zebra affine a quest’ul- tima specie per la macchiettatura delle orecchie, per la distri- buzione delle fascie nere sul dorso e sui fianchi e pel loro nu- mero, per la presenza della sella, per un residuo di colorazione bruno fulvo sul dorso e sui fianchi; ma se ne distingue per la mancanza delle striscie brune fra le fascie nere, per l'estensione delle striscie nere sulle estremità. Si potrebbe dire che essa rappresenta una delle forme di passaggio, fra lE. Crawshayi e lE. Grantii e V E. Chapmanni, dato che questa derivazione possa ammettersi. È probabile che essa appartenga ad una forma di zebra di qualche regione meridionale dell’Abissinia collocata più al nord del paese abitato dall’E. Grant, pur entrando a far parte della regione zoologica del Lago Rodolfo stabilita dal Matschie (1). Credo opportuno, per comodità di linguaggio, di dare prov- visoriamente un nome alla forma ora descritta, e la chiamerò subspec. Jallae dal nome del Rev. Luigi Jalla, Missionario Evan- gelico, dal quale il Museo Zoologico di Torino ha ricevuto molti interessanti esemplari della fauna Africana meridionale. Fino a tanto che il valore tassonomico delle diverse sotto- specie dell’E. Chapmanni Layard non sia stato stabilito soddi- sfacentemente io credo si possa ritenere la forma ora descritta come una sottospecie di quest’ultima e sia da collocarsi vicino alla subsp. Crawshayi De Winton e alla subsp. Grantiù De Winton. (1) Ueber die zoogeographischen Gebiete der aethiopischen Region, “ Sitz. Gesel. Fr. ,. Berlin, 1898, pag. 91. 624 LORENZO CAMERANO — MATERIALI PER LO STUDIO DELLE ZEBRE Hippotigris Chapmanni (Layard) Subsp. cambesiensis (Prazak in Trouessart). Il Museo di Torino ha ricevuto recentemente dal sig. Luigi Jalla una testa col cranio (privo della mandibola) che appartenne ad un individuo preso nel paese dei Barotze. Per quanto posso giudicare dalla figura del Trouessart (1) e da fotografie delle zebre catturate dal compianto Dott. E. Holub nella regione dello Zam- bese e da quest’ ultimo gentilmente favoritemi, ritengo che la testa sopradetta sia da ‘ascriversi alla s. specie zambesiensis. Credo utile dare nella tavola unita a questo lavoro la fotografia del cranio. Il Museo Zoologico di Torino possiede inoltre un esemplare di E. quagga Gmel. Esso lo ebbe nel 1827. Questo esemplare presenta i caratteri tipici della specie. Il Museo possiede pure il cranio di questo individuo, di cui credo opportuno unire la fo- tografia. Nella collezione Torinese esiste anche un esemplare è di E. zebra Linn. e che il Museo stesso ricevette nel 1831 come proveniente dal Capo di Buona Speranza. Nell'anno 10° della Repubblica Francese (2) il cittadino Albi aveva a Torino una raccolta di animali vivi esotici e rari e fra essi un maschio ed una femmina di zebra del Capo di Buona Speranza. Egli fece coprire la zebra femmina da un asino ma- schio di Ungheria dal pelo nero. Il meticcio nato da questo in- crocio venne descritto e figurato dal Giorna nella pubblicazione sopra menzionata e si conserva nel Museo Zoologico di Torino. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Figg. 1-2-3-4-5 — Hippotigris Grevyi (Mil. Edw.) Oustalet, subspec. (?) Faurei — La figura 5 rappresenta la pelle di un individuo giovane. 6 — Hippotigris Chapmanni (Layard) subspec. Jallae Camer. 7-8-9-10 — H. quagga Gmelin — Cranio. 11-12-18-14 — H. Chapmanni (Layard) subspec. cambesiensis (Prazak in Trouessart), cranio. n (1) “ Bull. Mus. Hist. Nat. ,. Paris, 1898, pag. 65. (2) Grorna, Obs. sur un zèbre métis, È Mém. de l’Ac. des Sciences de Turin ,. Années X et XI (calend. repubbl.). Uti R. Accad. delle Scienze di Sozino . Vol. XXXVII. » FRANCESCO SEVERI — IL GENERE ARITMETICO, ECC. 625 Il genere aritmetico ed il genere lineare, in relazione alle reti di curve tracciate sopra una superficie algebrica. Nota di FRANCESCO SEVERI, a Torino. Nella teoria delle superficie algebriche si suol dare due defi- nizioni del genere aritmetico superficiale: l’una dovuta a ZEUTREN e NorHER e l’altra dovuta a Exnriques. Ma nè l’una nè l’altra sono analoghe a quella definizione del genere di una curva che ricorre al confronto di due serie lineari, semplicemente infinite, contenute in essa (*); nella quale, si può dire, è contenuta anche la proprietà d’invarianza del genere nelle trasformazioni bira- zionali della curva. Nella presente Nota mi propongo appunto di dare una defi- nizione del genere aritmetico d’una superficie ricorrendo al con- fronto di due reti di curve tracciate sulla superficie stessa: definizione che al tempo stesso conterrà in sè la proprietà d’in- varianza del genere aritmetico rispetto ad ogni trasformazione birazionale della superficie (**). Attorno a questa definizione raggrupperò altri resultati, relativi al genere lineare d’ una superficie, e, alla fine, alcuni resultati numerativi sulle reti di curve (***). Già fin dal 1893 il prof. SeerE aveva pensato di ottenere caratteri di una superficie ricorrendo al confronto di due reti contenute in essa, proseguendo nell’ordine di idee che per le curve svolse nella Introduzione e per le superficie aveva iniziato (*) Cfr. Seare, Introduzione alla geometria sopra un ente algebrico sem- plicemente infinito (‘ Annali di Mat. , (2), 22, 1894). (**) Ved. per il confronto di questa definizione con quella di ZeurHEN e NéorHER, il n° 9 di questa Nota. (***) L'unico strumento di ricerca usato in questa Nota è il principio di corrispondenza di Chasles. Si presuppone la definizione del genere di una curva. E 626 FRANCESCO SEVERI con le ricerche che pubblicò poi nella Nota: Intorno ad un carattere delle superficie, ecc. (“ Atti della R. Accademia di To- rino ,, 1896). E quando, pochi mesi or sono, dette a me il con- siglio di studiare le reti di curve sopra una superficie algebrica, mi comunicò alcuni fogli manoscritti, datati dal ‘93, nei quali, come naturale estensione della definizione già rammentata del genere di una curva, egli iniziava la ricerca del n° delle coppie comuni alle due involuzioni che due reti determinano sopra una superficie. Io però, nella presente Nota, non giungo alla nuova defi- nizione del genere aritmetico proseguendo la ricerca del pro- fessore Segre; ma adottando un metodo che poggia essenzialmente sulla considerazione delle curve di una rete dotate di cuspide (*). 1. — Sulla superficie / che, per semplicità, supponiamo dotata di sole singolarità ordinarie (**), consideriamo una rete di curve, cioè una co? di curve segnate su F da un sistema lineare 0? di forme passanti, eventualmente, per qualche curva fissa. Se la parte variabile della curva generica è irriducibile, vi è da considerare la jacobiana della rete (***), ossia il luogo dei punti semplici di F ognun dei quali è doppio per qualche curva della rete: il punto generico di questo luogo è anche definito dalla condizione di esser punto di contatto (proprio) delle co! curve della rete per esso. (*) Nelle sue Lezioni di quest'anno scolastico (1901-02) il prof. Segre ha esposto i principali resultati che avevo ottenuto nello studio da lui consigliatomi; e li ha esposti con alcune modificazioni d’' indole didattica, delle quali io qua e là ho profittato nella attuale redazione. (**) Cioè una linea doppia con un n° finito di punti tripli se F è nello S3; un n° finito di punti doppi improprî se è nello S,; senza punti multipli se è in uno spazio superiore. — La dimensione dello spazio am- biente non ha, dopo ciò, influenza sul nostro studio. — Nel seguito quando ci avverrà di considerare una trasformata birazionale di 7) supporremo che anch’essa abbia singolarità ordinarie. Questa ipotesi, come si sa, non è restrittiva. Così facendo su ciascuna delle due superficie le curve fonda- mentali saranno eccezionali. (***) Nei fogli manoscritti del prof. Segre già trovavasi considerato questo luogo. — Il prof. Enriques nella sua Nota: Intorno ai fondamenti della geo- metria sopra le superficie algebriche (“ Atti della R. Acc. di Torino », 1901), ha introdotto la jacobiana di una rete per semplificare notevolmente la teoria dei sistemi aggiunti “ad un dato sistema di curve. IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 627 Siano |C| e |C"| due reti di curve tracciate su Y, e le parti variabili delle loro curve generiche siano irriducibili; sia poi K una curva di 7, che non passi per alcuno degli eventuali punti base di |C| e |C'|. Fissato entro alla rete |C un fascio |C|, per un punto A di K passerà una C e vi sarà una C’, che chiameremo C',, tan- gente a quella C nel punto suddetto, ed una C', che diremo C',, tangente a K nel punto medesimo. Variando A su KX avremo entro alla rete |l"| una semplice infinità di coppie C';C",. Due curve di una stessa coppia vengono certamente a coincidere quando, variando A su K, la C per A tocca ivi K; ma non possiamo esimerci dall’esaminare se una coincidenza si abbia in corrispondenza ad un punto A di X nel quale non c’è contatto fra K e la © passante per quello. Allora la C’ nella quale dò- vrebbe aversi la coincidenza avrebbe punto doppio in A, e quindi A sarebbe uno dei (K,J') punti comuni a K e alla jacobiana .J' di |C'| (*): effettivamente in corrispondenza a un tal punto di K si ha una coincidenza. Se indichiamo con p il genere di X, giacchè sono 2(C, K) + 2p — 2 i punti nei quali X è toccata da una 0, potremo dire che nella co! di coppie C',C", si presentano 2(C, K) + (7, K)+2p—2 comcidenze. — Lo stesso numero si ‘può calcolare per altra via, mediante l'applicazione del principio di Chasles. Infatti la rete |C'| è assimilabile ad un piano di cui le C' sono gli elementi (punti); sicchè tenendo conto di una forma ben nota del principio di cor- rispondenza (**) si avrà che il n° delle coincidenze C';0", è uguale alla somma del n° delle coppie la cui C', appartiene ad un dato fascio (di |C'|) e del n° delle coppie la cui C', appartiene ad (*) D’ordinario con la notazione (H, K) denoteremo il n° dei punti co- muni alle due curve H e K. (**) Avendosi nel piano una co! algebrica di coppie PP' di punti, si trova facilmente mediante l'applicazione del principio di corrispondenza nel fascio dei raggi che da un punto del piano projettano i P e i P', che il n° delle coincidenze PP' è uguale alla somma del n° delle coppie il cui P sta in una data retta e del n° delle coppie il cui P' sta in una data retta, diminuita del n° delle coppie la cui retta PP' passa per un dato punto. 628 FRANCESCO SEVERI un dato fascio, diminuita del n° delle coppie che stanno in un fascio con una data l'. Se diciamo 0 il n° delle curve C' di un fascio che toccano le curve C in punti di K, numero che è definito simmetricamente rispetto alle due reti, avremo dunque: 04 j2(0, E) +2p9p—2{—(0,K) come altra espressione del n° delle coincidenze C',C':. Se ne deduce: 6+(C,K)=2(0,K)+(7,K). Mutando le veci delle due reti verrà: 0-4 (0,K)= 2(0', K)+- (JE), ove J denota la jacobiana di |C|. E sottraendo membro a membro: (J, K) — 8(C,K)=(7", K) — 3(C°, K). Possiamo dunque dire: Data su F una curva K ed una rete qualsiasi, il numero delle intersezioni di K con la jacobiana della rete diminuito di tre volte il numero delle intersezioni di K. con una curva generica della rete, non muta al mutar della rete su F (*). Questa differenza è dunque un carattere relativo alla curva K in quanto è tracciata sopra F: lo diremo perciò il carattere di immersione di K su F(**). È utile aggiungere alcune osservazioni sulla precedente pro- posizione. Anzitutto si ricordi che noi siamo partiti dall’ipotesi che nè |C| nè |C'| avessero punti base su K. Non è che questa (*) Nello esporre questa proposizione nelle sue Lezioni, il prof. SeerE ne ha dato una dimostrazione diversa, poggiandosi sulla considerazione della jacobiana di quattro superficie. — Si noti l'intimo nesso che corre fra la proposizione del testo e quella data dal prof. Exriques al n° 16 della Nota citata. (*) Dal punto di vista projettivo ho considerati i caratteri d’'immer- sione di una varietà in un’altra, nella mia Memoria: Sulle intersezioni delle varietà algebriche e sopra i loro caratteri e singolarità projettive (‘ Memorie della R. Acc. di Torino ,, (2), t. 52, 1902). Dalla proposizione del testo si può facilmente dedurre l'ordine della jacobiana J di [C]. IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 629 ipotesi sia necessaria pel ragionamento, ma noi l’abbiamo fatta per evitare l'esame, un po’ minuto, delle coincidenze C’',C che avrebbero avuto luogo in corrispondenza ai punti base di |C'| su £; tanto più poi che possedendo il resultato precedente in quella ipotesi, facilmente si dimostra la sua validità in ogni caso. Difatti se la curva X contiene dei punti base della rete |C|, è certo che si può sempre costruire un fascio lineare |L| di curve, che non abbia punti base comuni con |C|, e del quale una curva sì spezzi in K e in una parte residua X, (che potrebbe anche mancare) non contenente punti base di | C|. Sarà evidentemente: Iii LK)L (OK), purchè fra le intersezioni della curva composta K+ XK, con la curva generica C o con la jacobiana J/, non si tralasci di con- tare quelle che cadono nei punti base di |C|. La precedente relazione può anche scriversi (JK) — 3(C,K) = (J, L) — 3(C, L) — (J, K;) 4 8(6, K3). E poichè, in virtù di quanto prima s'è stabilito, (/,L) — 3(0,1) ed (J, K,)— 3(C,K,) non mutano mutando la rete |C|, ne viene che il carattere d’immersione di K può anche calcolarsi col sus- sidio di una rete avente dei punti base su XK, purchè si tenga conto anche delle intersezioni che cadono nei punti base. Il medesimo artifizio ora usato, di considerare cioè il fascio |L che contenga parzialmente / e soddisfi a certe condizioni rispetto ai punti base di |C|, serve per provare che se la curva X è una €, il carattere d’immersione di X si potrà calcolare col sus- sidio della rete |C|, purchè al solito si tenga conto delle inter- sezioni di K con un'altra 0 o con J, le quali cadono nei punti base di |C|. Ancora un'osservazione. Se la superficie F, dotata di sin- golarità ordinarie, è nello Ss, si potrà calcolare facilmente il carattere d’immersione della curva KX su F,in funzione del n° X dei punti in cui KX incontra la linea doppia di 7, dell’ordine » di e dell'ordine m di K. Infatti il carattere d’immersione di X calcolato col sussidio di una rete di sezioni piane di Y, viene uguale a (K,/J) — 3m, ove J denota la curva di contatto del cono circoscritto a F da un punto O dello spazio. E poichè la J 630 FRANCESCO SEVERI è segata su 7, fuori della linea doppia, dalla prima polare di 0, avremo (K,J)= mn — 1) —A, e quindi il carattere d’immer- sione di K sarà espresso da m(n — 4) — À. Se dunque esistono superficie d'ordine n—4 aggiunte a F, il carattere d’immersione di K esprime precisamente il n° delle ‘inter- sezioni di K con un'aggiunta d'ordine n—4, fuori della linea doppia (*). 2. — Quando Y trasformasi birazionalmente nella 7* la jacobiana Y della rete |C| generica rispetto agli elementi fon- damentali della trasformazione, si muta in una parte della jaco- biana della rete trasformata, la quale deve completarsi aggiun- gendovi le curve che corrispondono ai punti fondamentali di F (**). Da ciò segue che se una curva KX di F passa con i(2 0) rami complessivamente per punti fondamentali di F, e incontra in ‘*(= 0) punti complessivamente le curve fondamentali esistenti su F, dicendo K* la sua trasformata si avrà i* + caratt. d’imm. K* = î + caratt. d’imm. K, la qual relazione prova che il carattere d’immersione di una curva su 7 è un wmwvariante relativo nelle trasformazioni birazio- nali di F(***). (*) Si può anche dire ‘che il carattere d’immersione di X esprime il n° complessivo delle intersezioni di X con una curva canonica e con le curve eccezionali di F. (**) Ora e nel seguito parlando di punti fondamentali su Y o su F*, intenderemo che siano ordinarî. L'ipotesi non è restrittiva, perchè ogni trasformazione birazionale fra 7 e Y* può sempre riguardarsi come pro- dotto di un n° finito di trasformazioni birazionali operate in una catena di superficie delle quali la prima sia F, l’ultima F*, e tali che la trasforma zione fra due successive non abbia in esse che punti fondamentali ordinarî. (***) Un’applicazione di quest'invarianza relativa può farsì a determinare la molteplicità della jacobiana J di |C| in un punto base s-plo O. Trasfor- miamo con una trasformazione birazionale che abbia su essa come unico elemento fondamentale 0. La |C| darà una rete |C*| nella superficie tras- formata F°*, e la jacobiana J* di |C*| sarà in generale la trasformata della jacobiana J (ma potrebbe in casi particolari contenere anche una curva addizionale). Una curva generica X per 0 si muterà in una curva K* di carattere d'immersione superiore d’un’unità a quello di XK. Dicendo « il n° delle intersezioni di X con J in 0, e calcolando il carattere di X* col sus- IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 631 3. — Supponiamo adesso che la rete |C| sia irriducibile, priva di punti base e di curve fondamentali (*). Dicasi » il grado di |C|, p il suo genere, e n il genere della sua jacobiana J. Rappresentando projettivamente le C' con le rette di un piano F*, la superficie F verrà rappresentata sul piano n-plo F* (privo di punti fondamentali) e la curva di diramazione /* di questo piano sarà la omologa della jacobiana J. L'ordine di /* sarà "uguale al numero N dei punti in cui J è tagliata da una 6; ossia N=2n+2p—2; e la classe di /* uguaglierà il n° delle C dotate di punti doppi (staccati (**)) appartenenti ad un fascio di |C|, numero che è espresso da è = + 4p + I, essendo I l’invariante di ZeutHEN-SEGRE relativo a F (Ved. la Nota citata di Segre). — Con la considerazione di due convenienti serie lineari su J* (o con le formole di Pliicker) si ha: x+N=20+2r-2 x= 6p + 2n 4-21 ossia: (1) t+òdò=2N+42n—-2 t=38n+2n-1—6, ove x denota il numero dei flessi, e t il n° delle cuspidi della curva J*. Sia A* un flesso di J*. La tangente d’inflessione a* rappre- senterà una 0, e sia C, con punto doppio nel punto A di J (omo- logo di A* nella corrispondenza fra J e J*), e come J* ha in A* punto semplice, così la J avrà in A un punto semplice. sidio di |C*[| avremo: caratt. X*=[(J,X)— x]—3[(CK)— s], ossia: caratt. K*= caratt. K—x-{ 3s. e poichè caratt. X*= caratt. X +1 verrà e=3s— Il, ossia tale sarà in generale la moltiplicità di J in 0. Se il punto O è punto base s-plo ordinario, con una trasformazione quadratica si vede analogamente che / ha in 0 punto (3s — 1)-plo ordi- nario, e che le sue tangenti ivi, se s > 1, sono le tangenti comuni ad al- trettante coppie di rami lineari tali che ciascuna coppia appartiene ad una C. Se s=1 le tangenti di / sono le due tangenti alla C con punto doppio in. 0. (*) La ipotesi che facciamo relativa alla non esistenza dei punti base non sarebbe necessaria. Estenderemo poi i resultati anche a reti con punti base. Avvertiamo che siccome da questo momento considereremo sempre reti irriducibili, cì dispenseremo dal ripetere l'aggettivo. (**) Cioè fuori della eventuale linea doppia di F. Nel seguito si sottin- tenderà quest’avvertenza. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII, 42 632 FRANCESCO SEVERI Di più come la a* conta due volte fra le tangenti condotte ad J* per un punto generico di a*, mentre conta tre volte fra le tan- genti condotte ad J* per A*, un fascio generico per la C con- terrà all’infuori di C ancora dè — 2 curve con punto doppio, e vi sarà un particolar fascio per C che all’ infuori di C conterrà solo d—3 curve con punto doppio. Tutto ciò non può accadere se la C ha in A un nodo; d’altronde, se la rete |C| non pre- senta particolarità, l’unica ipotesi possibile è ormai che la C abbia in A una cuspide ordinaria: se così è il punto A* sarà effettivamente un flesso di /* (Ved. Segre, Nota cit.; fine della pag. 5). Sia adesso A* una cuspide di J* e a* la relativa tangente cuspidale. Rappresenterà una C, e sia 0, con punto doppio nel punto A omologo di J, e come una retta generica per A* taglia altrove J* in N—2 punti, e la sola a* taglia altrove J* in N—3 punti, così una curva generica fra quelle pas- santi per A dovrà contenere solo N—2 ulteriori punti di J e soltanto la C ne conterrà N— 3. Siccome il punto A è sem- plice per J (chè l’ipotesi contraria porterebbe ad una particola- rità nella rete |C|) si conclude che tutte le C per A toccano ivi J e che anche la C ha uno dei due rami uscenti da A, tan- genti ad J. Ne viene che la C e un’altra C per A si secano, fuori di A, in n —3 punti e quindi che A è punto base d’osculazione di un fascio di curve C. Sicchè concludendo x e t denotano rispettivamente il n° delle curve cuspidate della rete |C|, e il n° dei fasci di curve C che si osculano. 4. — Se la C, che indichiamo con 0, avente punto doppio in un certo punto A di J, tocca ivi J (la quale, se la rete |C| è generica, non ha punti multipli), due casi possono darsi: o tutte le C per A toccano ivi J, oppure non c’è altra C per A che tocchi ivi J. Nel primo caso A sarà evidentemente punto base d’osculazione di un fascio di curve C; nel secondo caso la serie caratteristica sulla C, che è di genere p—1, avrà wno de’ suoi 2n + 2(p — 1) — 2 punti doppi, coincidenti con A, e poichè una generica 0 per A non ha un contatto (proprio) con C, chè al- IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 633 trimenti si cadrebbe nel caso precedente, due dei punti d’inter- sezione con C di una C tendente a passare per A, tendono ad A sopra C in un ramo di 2° ordine: ossia A è una cuspide ordi- naria per C. — Ma dunque il n° dei punti per ciascun dei quali accade che la C avente in esso punto doppio abbia un ramo tan- gente ad J, è precisamente uguale a x + T. 5. — Or consideriamo su Y, oltre alla rete |C|, un’altra rete |C"| analoga a |C|, ma indipendente da questa, e dicia- mone »' il grado, p' il genere, e t' il genere della jacobiana /”. Per ogni punto A di J escono due curve C', e siano C',C',, che toccano ciascuna un ramo della C con punto doppio in A, e una C', e sia C"), che tocca pure in Ala J. Variando A su J si ottengono co! coppie C';C", e co! coppie C',0',. Calcoleremo prima il n° delle coincidenze C',C'3, eppoi il n° delle coinci- denze C'00',. Per calcolare quante sono le coincidenze l',0', possiamo applicare entro alla rete |C"|, della quale si riguardino le C° come elementi, il principio di Chasles sotto la forma usata al n°.1. — Il n° delle coppie C‘,C's la cui C',, o la cui C'», ap- partiene a un dato fascio, uguaglia il n° a delle curve C' di un fascio ognuna delle quali tocca uno dei due rami uscenti dal punto doppio di una qualche C; e il n° delle coppie l',0', che stanno in un medesimo fascio con una data Cl", è uguale al doppio del n° delle intersezioni di ./ con questa Cl’, atteso che, a causa della simmetria della corrispondenza considerata fra le C', per ogni punto di .J si hanno due coppie Cl’,C',. Ma dunque sono 2a — 2(0, 7) le coincidenze. — È certo che quando col variare di A su J la € avente punto doppio in. A tende ad una Cl cuspidata, le due curve l',C'> tendono a coincidere; ma non possiamo escludere che una coincidenza l’,0', avvenga anche corrispondentemente ad un punto A di J che sia nodo per una C. Allora la C°, in cui avverrebbe la coincidenza dovrebbe avere punto doppio in A, e quindi A sarebbe uno degli (/, J') punti comuni alle jacobiane di |C| e |C'|. Effettivamente nella C0" avente punto doppio in un punto B comune a J e .' avviene una coincidenza, che anzi nel n° complessivo dovrà contarsi due volte, perchè la C' sod- 634 FRANCESCO SEVERI disfa in due modi alla condizione di toccare in B uno dei due rami della C dotata di nodo nel punto stesso. Sicchè avremo la relazione; (2) Za — 2(0',J)=2I, IT) + x Per calcolare quante sono le coincidenze C",0', procederemo allo stesso modo, col principio di corrispondenza. Il n° delle coppie C°,0', la cui €", sta in un dato fascio è uguale al doppio del n° delle C' di quel fascio, tangenti ad /, perchè per ogni punto. di J si hanno due coppie C"€l°,; ossia è uguale a 2[2(C", J) +27 — 2], visto che le C' di quel fascio segnano su J una serie lineare d’ordine (C’; /). Il n° delle coppie C'C la cui €", sta in un dato fascio è uguale evidentemente ad a; e infine il n° delle coppie CC‘, che stanno in un fascio con una data l' uguaglia il doppio del n° delle intersezioni di questa l' con J, sempre perchè per ogni punto di J si hanno due coppie C'90',. E quindi sono a+ 2(2(0,J) + 2r— 2]— 2(0,J)=a4+2(0,J)+4n-4 le coincidenze. — Si avranno coincidenze Cl", corrispondente- mente ai punti in ciascun dei quali Y è toccata da un ramo della C avente punto doppio in quello, che sono in numero di yx+T (ved. al n° 4); ma dobbiamo pure esaminare se possono aversi coincidenze C';C';, in modo diverso. Sia dunque, se è possibile, C', una C' in cui avviene una coincidenza diversa dalle prece- denti: evidentemente Cl", dovrà avere punto doppio nel punto corrispondente di /, ossia questo punto dovrà esser comune ad J e .J'. Effettivamente per ciascuno di tali punti sì ha una coin- cidenza, e, come prima, si vede che deve contarsi due volte. Potremo dunque scrivere la relazione: (3) a+ 2(0,JJ+4n-4=yx+Tt+204,7). Se fra (2) e (8) eliminiamo a col sottrarre la (2) dalla (3) moltiplicata per 2, verrà: 6(0,J)+8n-8=x+214 2(4, 7), ossia: (4) 3(C,J)+4n-4= 3 fd TALIA IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 635 Si osservi ora che il carattere d’immersione d’una gene- rica C' calcolato una volta col sussidio della rete |C|, e una volta col sussidio di | C"| (ved. al n° 1), dà luogo all’uguaglianza; (CJ) — 3(0°, C)=(C',J')— 3n', od anche: (C',.J) = 3(C', 0) +(C,J')— 3w', e poichè (C°,J') = 2n' + 2p' — 2, verrà: (0, J) =3(C',C)+2p —2— n. Sostituendo nella (4) avremo: 9(C, 0) + 6p' — 3n' +4n— 10=Gx+1+(47) Mutando le veci delle due reti otterremo analogamente: 9(C, 0) + 6p—3n +47 — 10= 5 v+tv4 (7,7). E sottraendo membro a membro questa e la precedente, verrà: 3nt4n—6p— gi ot=8n + in 6-3 xt. Sicchè 3n+4nt 66-ix—t, che è un’espressione nella quale compajono solo caratteri di 'C|, non muta al mutar della rete su F. Se poniamo (5) Q=3n+d4n—6—x-T+3, potremo dire che 2 è un carattere di F. Se fra le (1) del n° 3 e la precedente eliminiamo x e T, avremo: Qt 949, e potremo enunciare ;- 636 FRANCESCO SEVERI Data su F una rete prira di punti base e di curve fonda- mentali, se p è il suo genere e n il genere della sua jacobiana, l’espressione nT—-9p+t+9 non muta al mutar della rete; è cioè un carattere di F. Eliminando n e t fra le (1) e la (5), si ha: 1 ossia : jx-12p=2+41-9, dal che si deduce che anche l’espressione 3 x— 12p è un ca- rattere di F. Noi porremo 1 24 } dir p a T5A , dimodochè verrà: (6) QUTI=-19P49 e si potrà enunciare: Data su F una rete priva di punti base e di curve fonda- mentali, se p è il suo genere e X il numero delle sue curve dotate di cuspide, l’espressione ri ag XP non muta al mutar della rete su F. Questo nuovo carattere della superficie F lo chiameremo il suo genere aritmetico. 6. — Dalla definizione precedente segue subito che il P, non varia in quelle trasformazioni birazionali che non hanno nè su F, nè sulle trasformate punti fondamentali. Proveremo adesso l’in- varianza del P, per tutte le trasformazioni birazionali. La rete |C| priva di punti base e di linee fondamentali, che noi consideravamo poc'anzi su Y, per effetto di una trasfor- mazione birazionale di F in F*, la quale abbia su F un sol IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 637 punto fondamentale U situato fuori di ./, ma nessuno su £*, si muta in una rete |C*| pure irriducibile, priva di punti base, ma avente una curva fondamentale nella u* omologa del punto U. La rete |C*| sarà, come |C|, del grado n, genere p, e la sua jacobiana si spezzerà nella trasformata /* di /, e nella curva w*. Le x cuspidi di curve C* cadranno in punti di J* e così pure i t punti base d’osculazione di fasci irriducibili di curve C*. Il resultato del n° precedente non si può senz'altro appli- care al calcolo del carattere ®* di /*, analogo ad £ e del ge- nere aritmetico P,* di F*, col sussidio della rete |C*|[, perchè essa possiede la curva fondamentale «*; ma vedremo che di poco occorre modificare il procedimento. Si assuma su F* una seconda rete |C"|, priva di punti base e di curve fondamentali, dicasi J' la sua jacobiana, e #', p',T', x, T' i caratteri di |C"| analoghi a quelli di |C*|. Considereremo un punto A variabile sulla curva J*, parte della jacobiana di |C*|, e le due coppie C';C',, C'o0', relative a questo punto, costruite come al n° 5. Allora il ragionamento fatto al n° pre- cedente non soffre eccezioni, e si ha la relazione analoga alla (4); cioè: 30,3) +4nt4=gx+r+ (79. Ora si osservi che: (C',J* + u*) — 3(C', C*)=(C',J')—3n' =2p —2—n', e quindi (0°, J*) = 3(0°,C*) + 2p —2—n'—(C0',u*). Essendo inoltre (S,Jt+ ww) = (7, I9)+ (3, #89), avremo: 9(C", C*) + 6p" — 3n' + 4m — 10 — 3(0', w) = =rtr4+ 0,3 +e) (709, 638 FRANCESCO SEVERI ossia giacchè (JI, u*) — 3(C,w*)=—_1 (8), Verrà: 90,04) 4 6p' — sn + dn 11 =t+ I Y+ (MI 4 Si potrà poi senz'altro scrivere: AC, C*) + 6p — 3n+4m —10=7+ ix +(7,J+w9, appunto perchè la |0'"| considerata su /* si trova nelle condi- zioni che rendono applicabile il procedimento del n° 5. Sottraendo membro a membro questa e la precedente, otterremo: antdm—6p— pxot_1=3a 446" dx _r, od anche: In'+an—6p—jy-v4+3=2-1 Ma per definizione il primo membro di questa uguaglianza non è altro che *, e dunque: =QQ- 1 Siccome il carattere I* di F* è legato ad / dalla relazione: PIL, otterremo: O +E=Q+1 (*) Si dimostra facilmente che il carattere d’immersione di u* su F* è — 1. Difatti per la jacobiana di una rete di curve del sistema lineare trasformante che si ha su Y, il punto U è (3s — 1)-plo, se il sistema stesso ha in U punto base s-plo: ciò equivale a dire che la curva «* è d'ordine s, e che la jacobiana di una rete di sezioni iperpiane di /°* la taglia in 8s — 1 punti. Da ciò segue subito l’asserto. — Si noti che ne risulta, in virtù dell’ultima proposizione del n° 1, che le curve eccezionali di una su- perficie d'ordine n che ammette aggiunte d’ordine n — 4, stanno su queste aggiunte. IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 639 Il genere P,* di F* in virtù della (6), soddisfa all’uguaglianza: QQ+IE=12P,5+9, e dunque, sarà: RifsPa Se ora su / consideriamo una rete irriducibile |C| di ge- nere p, dotata di 1 punto base ordinario U, e di x curve cuspi- date (*), ma priva di linee fondamentali, con una trasformazione che abbia su F 1 punto fondamentale in U, ma non linee fonda- mentali, si passa alla superficie F* di ugual genere aritmetico P., e alla rete |C*| irriducibile, sprovvista di punti base e di curve fondamentali, il cui genere è p e di cui il n° delle curve cuspidate è x. Ma dunque su /* avremo P,=37% + p; e ciò prova che anche su #, in relazione alla rete |C|, si ha ia % XD. Considerando una trasformazione di Y nella /*, e suppo- nendo che su si abbiano 2 soli punti fondamentali U, V, ma non linee fondamentali, una rete |C[ di genere p e con y curve cuspidate, avente un sol punto base in U, ma senza curve fon- damentali, dà su F* una rete | C*| irriducibile senza punti base, e con una curva fondamentale, che è la omologa v* del punto V. In virtù di quanto prima si è stabilito il genere aritmetico di /* sì potrà ciò nonostante calcolare col sussidio di |C*|, e verrà precisamente 1 ita; di cana P; ma d’altronde il genere aritmetico P, di F calcolato col sus- sidio di |C'|, il che è ormai lecito, è espresso da 3,x—p, onde: VAN Così proseguendo si arriverà a provare che il P, è inva- riante per quelle trasformazioni che hanno su / un n° qualsiasi (*) Fuori del punto base. D'ora in poi sottintenderemo la restrizione analoga per reti dotate di punti base ordinarî. 640 FRANCESCO SEVERI di punti fondamentali, ma non linee fondamentali, e contempo- raneamente si proverà che: Data su F, di genere aritmetico P,, una rete irriducibile do- tata di punti base ordinarî, ma non di linee fondamentali, se p è il suo genere e X il n° delle sue curve cuspidate, si ha Parodi Pi" XD Adesso si dimostra agevolmente l’invarianza assoluta del P,. Difatti considerando una rete |C| di F, priva di linee fonda- mentali, ed avente punti base ordinarì nei punti che son fon- damentali per una certa trasformazione birazionale della Y, per effetto di questa trasformazione essa rete dà luogo ad una rete irriducibile priva di curve fondamentali, dotata di punti base ordinarì nei punti fondamentali esistenti sulla superficie trasfor- mata, ma il cui genere e il cui numero di curve cuspidate ugua- gliano gli analoghi caratteri di |C|. Ciò basta per concludere che le due superficie di cui si parla hanno lo stesso genere aritmetico. Dunque: Il genere aritmetico P, è invariante per tutte le trasformazioni birazionali di F. 7. — Dalla relazione (6) segue che è un invariante rela- tivo che varia in senso contrario ad I, cioè se F trasformasi nella F* e su si hanno /* punti fondamentali ed / linee fon- damentali, otteniamo : CAN Q4,=9 +7 Ciò posto se su / si ha una rete |C| irriducibile, dotata di o punti base ordinarì, ma sprovvista di curve fondamentali, trasformando F nella F* con una trasformazione che abbia su F co punti fondamentali nei punti base di |C|, ma non linee fondamentali, la rete |C| darà una rete |C*|, la quale ci offrirà il mezzo di trovare l’espressione di Q*: *an_-9p+9, e poichè Q — Q* + 0, potremo dire che: IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 641 Data su F una rete irriducibile di genere p, con 0 punti base ordinarî, ma senza curve fondamentali, se m è il genere della sua jacobiana Qu=n-9Pto0+9 (A), ove S è il carattere di F già definito col sussidio di reti senza punti base. 8. — Se la superficie / possiede un n° finito e di curve eccezionali, il n° e è evidentemente un invariante relativo, che varia in senso opposto ad £. Sicchè Q-+ e è un invariante asso- luto. Lo chiameremo il genere lineare P® di F. 9. — La definizione da noi data di genere aritmetico di una superficie concorda con le note definizioni. Basta per mo- strare ciò calcolare il P, col sussidio di una rete di sezioni piane: allora si ricade nella espressione già incontrata da ZEUTHEN e NérHER (**). La (6) ci dice che l’invariante £ da noi incon- trato non è che l’invariante già considerato da CASTELNUOVO- Enriques al n° 5 della loro importante Memoria: Sopra alcune questioni fondamentali nella teoria delle superficie algebriche (£ An- nali di Matematica ,, (3), t. VI, 1901) (*#**). Del resto, come ho già accennato, si può verificare direttamente che £ non diffe- risce dall’invariante considerato da CaseLNUOvo-ENRIQUES, pro- (*) Introducendo il genere virtuale p della rete, e il genere virtuale della sua jacobiana, in armonia con la convenzione di riguardare come inesistenti i punti base della rete, si trova, mercè la formola del testo Q=T—9p+9. Il fatto che l’espressione t — 99 +9 è un carattere di F si sarebbe potuto più rapidamente provare usando dei metodi di CasreL- nuovo-Enriques. Se non l'ho fatto, è stato per esporre la cosa nel modo più elementare possibile. (**) La definizione del Pa con una rete qualunque di curve, anzichè con una rete di sezioni piane, si sarebbe potuta dedurre dalla definizione dei citati Autori, presupponendo dimostrata la invarianza del Pa. La definizione ex novo con una rete qualsiasi, ha il vantaggio di contenere in sè questa proprietà d’invarianza, ed è perciò che abbiamo voluto stabilirla in modo autonomo. (***) I citati Autori indicano con w il suddetto invariante. Per evitar confusioni, in questa Nota ho fatto uso di lettere maiuscole pei caratteri della superficie. 642 FRANCESCO SEVERI fittando delle proposizioni stabilite dal prof. Enriques nei Fon- damenti citati, le quali pongono una relazione fra la jacobiana di una rete e il sistema aggiunto alle curve della rete stessa, — Ne segue che l’invariante assoluto P‘ ottenuto al n° pre- cedente, è proprio quello che già si considerava sotto il nome di genere lineare, per le superficie con un n° finito di curve eccezionali. 10. — Ed ora, per terminare, due parole di applicazione ai problemi numerativi sulle reti di curve tracciate sopra una superficie. Sulla F di caratteri /, P,, abbiasi la rete !C| irriducibile priva di curve fondamentali e dotata di o punti base ordinari. Ne sia n il grado, p il genere, x il n° delle curve cuspidate, t il n° dei fasci di curve che si osculano, u il n° delle curve dotate di due punti doppi, v il n° dei fasci di curve che hanno fra loro doppio contatto. Rappresentando le |C| con le rette di un piano F*, la F verrà rappresentata sul piano n-plo F*, privo di punti fonda- mentali, e la cui curva di diramazione /* di genere , sarà la trasformata della jacobiana / di |C|. Ragionando come al n° 3 si giunge a stabilire che i flessi di /* rispondono alle cuspidi di curve C, e le cuspidi di ./* ai punti base d’osculazione dei fasci di C che si osculano; e inoltre che a ciascuno dei punti doppi di J* rispondono su Ji due punti di contatto dei fasci di C con doppio contatto, e a ciascuna delle coppie di punti di contatto delle tangenti doppie di /* due punti che son doppi per una medesima curva € (*). Applicando allora alla /* le formole di Plicker, e tenendo presenti i precedenti risultati, si esprime- ranno X, v; «,T in funzione di n,p,0,P,, 1, e si potrà enunciare; Data sopra una superficie di caratteri P., I una rete irridu- cibile di grado n, genere p, priva di curve fondamentali, e dotata di 0 punti base ordinarì, vi sono in essa rete 24(p+ Pò) (*) Se però |C| ha punti base semplici, ad ognuno di questi risponde una tangente doppia di J*. Ai punti base semplici in questioni di questa natura bisogna badare in un modo speciale. Ved. CaroraLi, Sopra è sistemi lineari triplamente infiniti di curve algebriche piane (* Collect. math., in mem. Cneuini ,, 1881). IL GENERE ARITMETICO ED IL GENERE LINEARE, ECC. 643 curve dotate di cuspide, 8n+6p_-o—-I+8P,— 2) fasci di curve che si osculano, "I [00 IR anna zap Lin 72P,+2| (A) curve dotate di due punti Vania e 2[(n+p) — 17p—5n+20+21— 18P.+.6] fasci di curve che hanno fra loro doppio contatto. Per P,=0, [=—1 si ricade nelle formole date dal CApo- RALI per le reti di curve piane (loc. cit., ni 14, 15). Maggio, 1902. (*) Risulta dall’ osservazione già fatta pei punti base semplici, che ognuno di tali punti abbassa d’un’unità il numero delle curve con due punti doppî. — Nel caso che ogni curva della rete |C| sia la completa intersezione della superficie data Y con una superficie d'ordine m, variabile in una rete situata genericamente rispetto ad F, il n° delle curve cuspidate e il n° delle curve con due punti doppi uguagliano rispettivamente il n° delle superficie della rete ‘che hanno con Y contatto stazionario o doppio contatto. — In una Nota di ZeurnÙev (C. R., t. 89, pagg. 899-901; 1879, 2° semestre) si trova la formola che esprime il n° delle superficie di un sistema 00° qualunque, che hanno contatto stazionario, e la formola che esprime il n° di quelle che hanno doppio contatto con 7. L’A. perviene a queste formole col metodo delle degenerazioni. Ponendo nell’ultima formola di Zeutfien [uv]=1, [mv] =3(m— 1), C=0, C'=12(m— 1)(m — 2), E=3(m —2) e introducendo il genere aritmetico di Y e il genere della sezione di F' con una superficie della rete, si ha una formola concordante con l'analoga del testo. Similmente si può trasformare la penultima for- mola di Zeuthen. 644 GUIDO FUBINI Sulle funzioni armoniche che ammettono un gruppo discontinuo. Nota del Dott. GUIDO* FUBINI. Immaginiamo un gruppo discontinuo di movimenti di uno spazio a due o a tre dimensioni (mi limito a questi casi non perchè non creda il processo generalizzabile agli altri, ma perchè questi sono i casi più interessanti) a curvatura costante, posi- tiva, negativa o nulla, e che abbia un poligono o un poliedro generatore. E noi ci chiediamo se esisterà una funzione armo- nica che il gruppo trasformi in sè. Io darò in questa nota un procedimento che, almeno quando il poligono o il poliedro non ha elementi a distanza infinita, dimostra l’esistenza di tali fun- zioni armoniche “w, con singolarità prefisse a piacere. Natu- ralmente, quando noi diremo funzione armonica, intenderemo che la funzione sia armonica nella metrica ambiente, perchè naturalmente è necessario che anche l'equazione Asu=0 sia invariante per il gruppo citato di movimenti. Il nostro pro- cedimento vale senz'altro per la sfera e per lo spazio ellittico (che non ha punti a distanza infinita), cioè serve a dimostrare l’esistenza di funzioni armoniche sulla sfera invarianti per i gruppi dei poliedri regolari (cosa ben nota) e di funzioni armo- niche in uno spazio ellittico invarianti per i gruppi discontinui di movimenti di tali spazii scoperti da Goursat (*) e poi ritro- vati da Bagnera (**). Ricordiamo ora che una funzione armonica nel piano di curvatura costante negativa o positiva è anche ar- monica nel piano Euclideo; il nostro procedimento ci dimostrerà (*) Sur les substitutions orthogonales ete., “ Annales de l'École normale supérieure ,, 3° série, t. VI, 1889 (pp. 9-102). (**) “ Rendiconti del Circolo di Palermo , (1901), pag. 161 e seg. SULLE FUNZIONI ARMONICHE, ECC. 645 perciò l’esistenza di funzioni armoniche (nel senso abituale della parola) «(xy) trasformate in sè da un gruppo impropriamente discontinuo di sostituzioni lineari fratte sulla variabile com- plessa = = + è, nel caso che esso ammetta un poligono ge- neratore, di cui nessun vertice cada sul cerchio fondamentale, du e quindi anche di funzioni (automorfe) dI della variabile complessa “ 2 , trasformate in sè dal gruppo con una dimostra- zione forse più semplice di quella di Poincaré e in un certo senso più generale, perchè insieme dimostrerà l’esistenza di tali funzioni automorfe con singolarità prefisse a piacere (aree lacunari, ecc.). Noi tratteremo ora un esempio; ma per maggiore chiarezza noi dovremo dapprima riportare qui una facile modificazione al processo alternato, che io ho già dato altrove (*). Immaginiamo di avere due campi X, Z' finiti aventi una porzione comune, p. es., due campi sferici intersecantisi, due cerchi che si taglino, ecc. Sia a la porzione di contorno di X interna a Z' e sia B la porzione del contorno di Z' interna a X. Immaginiamo che un pezzo 8' del residuo contorno di X sia in corrispondenza biunivoca con 8, p. es., che 8" e 8 siano uguali hella metrica dello spazio ambiente e che a' sia in una analoga corrispondenza con a. Sia y la parte residua del contorno di X e sia è la parte residua del contorno di Z’. Noi ci proponiamo la costruzione di una funzione armonica esistente in tutto il campo X + Z' assumente in Y, è valori T, A assegnati “ a priori , e tali che in punti corrispondenti di 8,8", come pure in punti corrispondenti di a,o' riprenda gli stessi valori. È ben chiaro che una tale funzione, se esiste, è unica, perchè se ve ne fos- sero due, la loro differenza sarebbe una funzione armonica in X 4 Z', nulla in y,ò e riprendente su a, a’ e su f, B' gli stessi valori. Se essa non fosse identicamente nulla, dovrebbe in un punto di 8’ o di a' assumere un massimo positivo o un minimo negativo, che dovrebbe pure assumere nel punto corrispondente di 8 o di 0 evidentemente interno al campo; ciò che è assurdo. Veniamo ora alla sua costruzione. Si costruisca in X' una fun- zione “ o, armonica che su è assuma i valori prefissati A e (*) Sui principii fondamentali della teoria delle funzioni armoniche negli spazi a curvatura costante, “È Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa, (1902). 646 GUIDO FUBINI costruiamo quindi in Z una funzione armonica v; tale che su a assuma i valori stessi che uo, su 8" i valori che w assume nei punti di B e su yi valori prefissati F. Avremo con le solite notazioni di Neumann che: ud A : v = uol® : v (N ul) . AE e ’ Costruiamo quindi in 2' una funzione «, tale che: uP= vl); u, (0) = v,(0) . uzlò) — A. ; Quindi in Z costruiamo una funzione vs, tale che: vw; vl; v0= Quindi in X’' una funzione v, tale che: us) = vs); ug) — vg(@) > usd= A e così via. Dico che esistono lim «,, lim v,, che essi coincidono nel n= n=% campo comune a X, Z' e che nel campo X + 2’ rappresentano perciò un’unica funzione (armonica), soddisfacente alle condi- zioni volute. Osserveremo perciò che: (1) ud — ud, = 0 (2) vv) 0) =0 (3) li agi ula) led ul@) ì (4) UP), — v(B) = ul) — uh, 6) di a — (6) UD UP. Sia ora A la più grande delle costanti di posizione relative ad a in Z' ed a 8 in X (*); e sia A una quantità maggiore od uguale al massimo modulo delle differenze u,®—uy® e u_u}. (*) Ossia il più grande valore che una funzione armonica nulla in Y, uguale a 1 in a e in 8' prende su f$, oppure che una funzione armonica nulla su è e uguale a 1 su f e su a' prende su a (Cfr. mia Mem. loc. cit.). SULLE FUNZIONI ARMONICHE, ECC. 647 Ricordando le (1), (2), (3), (4); (5), (6) otterremo che: (7) |ol@— 0, @|" in BARRE pifdchea biunivoca con a, B, p. es., uguali nella metrica dello spazio ambiente. Indicheremo oi con 0, t quelle porzioni del contorno di X'"4+"' e di x + Y' interne rispettivamente a X + X' e a X"+ 2" (e che possono anche constare ciascuna di due parti distinte); e siano o’ e T' due pezzi del residuo contorno di X + 2’ e X'"+" in corri- spondenza biunivoca con 0, t, p. es., a loro uguali nella nostra metrica. Immaginiamo che i tratti a, B, a’, 8" a, B, a, 80,0, t,1 non abbiano alcuna porzione comune. Sia y la porzione residua del contorno di X 4 2' e è la porzione residua del contorno di 2'"+4 X'. Dico che esiste ed è unica una funzione armonica in tutto il campo Y+4-Z2'+ "4-2" che in punti corrispondenti di a, a’, B, 8", a, a’, B, B',0,0",t,t' riprende gli stessi valori, mentre su Y e su è prende dei valori T, A prefissati “ a priori ,. Che questa funzione, se esiste, sia unica, si dimostra con un procedimento già usato precedentemente; per costruirla si ri- corre di nuovo, come sopra, al procedimento alternato oppor- tunamente modificato. Si prende cioè in £ + Y' una funzione % armonica qualunque che su y ha i valori , mentre in punti corrispondenti di a, a' o di 8,8" prende valori uguali; quindi in X"+ >" si costruisce una funzione v, che su 0 e t' prende rispettivamente i valori che « ha in 0,t, mentre su è assume i valori A ed assume valori uguali in punti corrispondenti di a, a’, 8, 8. Cosicchè si ha: pyigrea ul9) vil = ul) o (da A Quindi in Z + Z' si costruisce una funzione v; tale che al contorno soddisfi alle solite condizioni, mentre: ul) = (9) uz(0) = v,(9) TAZZA Quindi in 2'"+ 2” una funzione v, soddisfacente alle solite condizioni al contorno in guisa che: = (9 vl®)= u,l® — v0=A, ecc. ecc. 650 GUIDO FUBINI Procederemo ora in modo analogo al precedente. Sia A una quantità maggiore o uguale al massimo modulo di w;(% — w® e di u,(9— us). E sia \ la più grande ‘delle costanti di posi- zione (*) relative a o in Z+2' ed atin2"+" Di più notiamo che v,11— © è nulla su (ò), mentre nei pezzi a', 8' del contorno del campo X"-+ Z'', dove essa è definita, riprende i valori che assume sulle linee a, interne al campo stesso; essa prenderà perciò il suo massimo valore assoluto su 0 e su ©’. Quindi anche qui continueranno a sussistere le (7), (8), (7‘), (8), ...(@9; e si può senz'altro completare la dimostrazione con le stesse precedenti considerazioni. Io ho svolto il metodo precedente, che si riduce in sostanza al processo alternato, in due casi particolari; è ben chiaro però che esso è generale e ci serve a costruire funzioni armoniche in un campo tali che su certi pezzi del contorno esse prendano certi dati valori, mentre negli altri esse riprendono lo stesso valore, che hanno in tratti interni opportunamente disposti. E il metodo si estende anche agli spazi curvi, perchè, come io ho dimostrato nella Memoria citata, i teoremi necessari alla vali- dità del metodo valgono anche in questi spazii. Ora tratterò un esempio particolare, dimostrando l’esistenza delle funzioni armoniche (di Appell), che sono trasformate in sè dal gruppo di movimenti Kuclidei (traslazioni) definito dalle: x = + ma, y.—yY + na, 2 =2+ pa dove m,n,p sono interi variabili, « è un costante reale, le @, Y,z sono coordinate cartesiane ortogonali. Prendiamo il cubo di lato «a che gli può servire come poliedro fondamentale. E siano A, B, C, Di vertici di una faccia, A', B', C', D' quelli della faccia opposta. Costruiamo delle sfere di raggio un po’ più grande di si coi centri in questi vertici. Sui contorni di queste sfere prefis- siamo delle catene di valori tali che in punti corrispondenti per il nostro gruppo esse siano identiche, cosicchè appena data la catena di valori al contorno di una di queste sfere, è data in- sieme la catena di valori al contorno delle altre sette sfere. (*) Definite in modo analogo al precedente (Cfr. Mem. cit.). (**) Dove naturalmente qui 0, t fanno l’ufficio che a, 8 facevano allora. SULLE FUNZIONI ARMONICHE, ECC. 651 Per brevità indicheremo tutte queste sfere col nome del loro centro. Le sfere successive C, B evidentemente si tagliano e sia a la parte del contorno di Cl interna a B, Bla parte del contorno di B interna a C e siano a', f' i pezzi corrispondenti rispettivamente ad a e 8 del contorno di B, C. Applicando il procedimento precedente noi potremo costruire una funzione ar- monica in tutto il campo B+C che in a' abbia i valori che assume in @« e in 8' i valori che assume in f, mentre nella porzione residua del contorno di B + assume i valori prima fissati. Analogamente si proceda nei campi A+ D, B'+ 0, A'4 D'. Applichiamo ora il procedimento alternato alle fun- zioni così costruite nei campi A + D, B + C in guisa da otte- nere una funzione armonica esistente in tutto il campo A + B + +C+D tale che inun punto £' del contorno di questo campo corrispondente, per il nostro gruppo, a un punto £ del contorno di una delle sfere A, B, C, D interno al campo A+B+0+D riprenda lo stesso valore, che assume in £. Questa funzione armonica allora prenderà lo stesso valore in punti corrispon- denti del campo in cui esiste, perchè funzioni armoniche in due sfere uguali, che assumano la stessa catena di valori al con- torno, coincidono all’interno. Analogamente si proceda per il «campo 4/4 B'+C'+ D'. Si applichi quindi il procedimento alternato alle funzioni così costruite nei campi A +4+B + C+ D, A'4+ B'4+C'+ D'. Otterremo una funzione armonica esistente in tutto il campo METE gi A RE pf pe Pg I che in punti corrispondenti del campo prende gli stessi valori: e, come si vede dal nostro procedimento, restano ancora arbitrarii i valori di detta funzione su quella parte del contorno di Aste Ban Gin DaetiAlodnib'ata ad! che è interna al cubo fondamentale. La faccia ABCD non è tutta coperta da queste sfere, perchè vi resta scoperto un qua- drilatero a lati circolari. Costruiamo una sfera che abbia il centro nel centro di questa faccia, e la cui sezione col piano ABCD sia interna al quadrato ABCD, ma contenga nel suo interno il 652 GUIDO FUBINI quadrilatero suddetto; e costruiamo una sfera uguale (che evi- dentemente riuscirà tutta esterna alla precedente) col centro nel centro della faccia A' + B'+ C' + D' (*). Chiamiamo L il campo formato da queste due sfere (che perciò risulta di due pezzi distinti) e consideriamo le funzioni V tali che siano armo- niche nel campo L e che in due punti corrispondenti del campo L riprendono lo stesso valore. Una di queste funzioni V è deter- minata dai valori che assume al contorno di una delle sfere. Chiaramente potremo applicare alle funzioni V e alle U prece- dentemente definite nel campo A +B + ... + C'+4 D' il proce- dimento alternato; perchè la differenza di due funzioni U che si ottengono successivamente con questo processo è tale che in un punto del contorno del suo campo (non interno al campo L) in cui essa non si annulla, riprende lo stesso valore che ha in un punto interno al campo. Otterremo così una funzione in tutto il campo A #1Bj45! (43 1Di 432454 B' YEN DINE, soddisfacente alle solite condizioni; e di nuovo si osservi che essa può assumere valori arbitrarii in quella parte del contorno di questo campo che è interna a P. Analogamente si operi per le altre coppie di faccie opposte. Otterremo così un campo, contenente all’interno tutto il con- torno di P, in cui sappiamo costruire funzioni armoniche W che riprendono lo stesso valore in punti corrispondenti, e di cui si possono prefissare a piacere i valori su quella parte del contorno che è interna a P, e che noi chiameremo pw. Ora immaginiamo entro a P un campo M, per cui si sappia risolvere il problema di Dirichlet e che racchiuda entro di sè il contorno u. Consi- deriamo le funzioni armoniche Z esistenti nel campo M, ma con una singolarità prefissata, p. es., quella di avere un’area lacu- nare. Ricordo che questa singolarità ha l’unico scopo di assicu- rare che la funzione che otterremo non è costante. Alle funzioni W e alle Z applichiamo il processo alternato: che è dimostrato lecito dalla solita considerazione. La funzione, cui arriveremo, esisterà (*) Ciò corrisponde a considerare come due vertici ausiliari i centri delle faccie ABCD, A4'B'C'D. SULLE FUNZIONI ARMONICHE, ECC. 653 in tutto il poliedro fondamentale, sarà prolungabile al di fuori del poliedro in guisa che nei punti dei poliedri consecutivi a P e abbastanza vicini al contorno di P riprenderà lo stesso valore che nei punti corrispondenti di P. Ma poichè tutti i poliedri sono uguali e i valori di una funzione armonica sono definiti da quelli in un campo piccolo a piacere, la nostra funzione si può pro- lungare in tutto lo spazio, e prenderà valori uguali in punti corrispondenti. Di più essa avrà in ciascun poliedro fondamentale singolarità prefisse a piacere. Il procedimento, che io ho cercato di esprimere nel modo più chiaro in questo caso particolare, è evidentemente generale. Esso consiste nel costruire dapprima un campo, anche a più pezzi, in cui si sappia risolvere il problema di trovare una fun- zione armonica, che in punti corrispondenti per il nostro gruppo riprenda gli stessi valori. Poi con successive applicazioni del processo alternato si cerca, ampliando questo campo, di otte- nere funzioni armoniche soddisfacenti alla premessa condizione, e si prosegue fino a che il campo ultimo, a cui si perviene, con- tiene nel suo interno il poliedro o il poligono fondamentale. Ciò che è possibile, perchè il processo alternato da me modificato è applicabile, come notammo, generalmente. E si sceglie, p. es., come primo campo da studiare un insieme di sfere (*) (nel senso de- finito dalla metrica ambiente) coi centri nei vertici del poliedro fondamentale in modo che vertici corrispondenti siano centri di sfere uguali. Io ho già risoluto esplicitamente per queste sfere il problema di Dirichlet (**). Una di queste sfere sarà ricondotta in sè da quei movimenti G del gruppo (se pure ne esistono, oltre l'identità) (***) che lasciano fisso il suo centro, e che formeranno un sottogruppo 9g del gruppo dato. Le trasformazioni di 9g ope- rando in modo propriamente discontinuo al contorno o della nostra sfera, noi potremo perciò immaginare questo contorno diviso in parti congruenti (nella metrica ambiente) ciascuna delle quali serva a y come campo fondamentale. Se su 0 prendiamo (*) Nel caso del piano, sceglieremo invece dei cerchi: le seguenti con- siderazioni restano ancora, in sostanza, valide, come il lettore può ricono- scere senz'altro. (**) Sulle proprietà fondamentali, ecc., loc. cit. (***) Nell'esempio precedente non vi era che l’identità. 654 GUIDO FUBINI — SULLE FUNZIONI ARMONICHE, ECC. una catena di valori, che sia identica in queste varie porzioni, allora per il teorema di univocità la funzione armonica nella sfera considerata, che su o prende questi valori anche in punti corrispondenti interni alla sfera, prenderà gli stessi valori. E così pure se di più in punti corrispondenti dei contorni di sfere corrispondenti prefissiamo valori uguali, allora in tutto il campo formato da queste sfere, la funzione armonica soddisfa alle con- dizioni volute, come avvenne nel caso del cubo. Si aggiungono poi altre sfere ausiliarie coi centri sulle faccie del poliedro, tali che quelle con centri in punti corrispondenti abbiano raggio uguale fino a coprire tutta la superficie del poliedro, e si applica ripetutamente il processo alternato con la generalizzazione da me datavi. Un'ultima applicazione del processo alternato basta allora, come nel caso testò esaminato, a costruire la nostra fun- zione armonica con singolarità prefissate. Potrebbe darsi però che per i gruppi dello spazio iperbolico esistessero di tali fun- zioni senza singolarità e non costanti (*); io non sono però riu- scito a riconoscere se questo fatto si possa o no verificare (**). (*) Il prof. Bianchi dimostrò l’esistenza di funzioni armoniche in un tale spazio, senza singolarità nè a distanza finita, nè a distanza infinita. (**) Probabilmente (io però non l’ho verificato in generale) la dimo- strazione continua a valere anche se alcuni vertici sono a distanza infinita senza molte modificazioni. Se il poliedro ammette delle faccie all'infinito, il problema perde ogni importanza e si può spesso trattare in modo più semplice. ONORATO NICCOLETTI — SULLE MATRICI ASSOCIATE, ECC. 655 Sulle matrici associate ad una matrice data. Nota di ONORATO NICCOLETTI a Pisa. 1. — Sia una matrice di m righe ed n» colonne: dix 413 013 +. din A, 439 d33 +... dan (1) pas Um Um Am3 «0. Amn e si indichi col simbolo Qirinipi big. il minore di ordine p della A, formato colle righe i1î2...io, colle colonne %,&s...ko- I minori Qirizi..«i;yhyko...k, possono distribuirsi în una matrice AQ di (o) righe ed (0) colonne, ponendo in una stessa riga (colonna) i minori corrispondenti ad una stessa combinazione i, î2...io(k1%2...ko) dei numeri 1,2... m(1,2...n). Questa matrice Al si dirà associata della A di rango P. Se la matrice A ha la caratteristica r, la AS ha la carat- teristica (0). Ricordiamo chiamarsi caratteristica di una matrice l'ordine massimo dei minori non nulli della matrice stessa. Sia per fissare le idee mr; le corrispondenti matrici A‘ hanno tutti i loro elementi nulli e quindi anche una caratteristica nulla, o se si vuole anche uguale ad ( n che è nullo poichè r&X contiene M, quando delle sue righe e colonne faccian parte le righe e le colonne di M. Diremo anche (*) Cfr. CapeLri e GargierI, Corso di Analisi Algebrica. Padova, 1886, pag. 275. SULLE MATRICI ASSOCIATE AD UNA MATRICE DATA 657 che la matrice A ha rispetto al minore M la caratteristica r', quando tutti i minori di A di ordine p contenenti M sian nulli per p>r', non lo siano invece tutti quelli di ordine 7’. Si ha evidentemente 7" < r. I minori di A di ordine p contenenti M possono distribuirsi in una matrice A‘0) di (0%) righe ed pe î) colonne, ponendo an- cora in una stessa riga (colonna) i minori SENT) alla stessa — combinazione della classe p —% degli indici 4-+-1,...m(X+1,...1). Questa matrice A‘9, che è evidentemente una parte della ma- trice A‘2, si dirà associata della A di rango p rispetto al minore M. Se la caratteristica di A rispetto al minore M è uguale ad r', la caratteristica di AO è minore od uguale ad lo bn Questo teorema si dimostra in modo affatto analogo al pre- cedente. Se 7"=wm (essendo sempre m r'; per p<7" si osservi che vi è in A un determinante di ordine r' conte- nente M e diverso da zero: e si può ancora supporre sia il de- terminante An = È 43099... dre delle prime r' righe e colonne. Ripetendo allora le considera- zioni. del n° 1 sotto una forma affatto simile, è chiaro che la caratteristica della matrice A‘9 è uguale a quella della matrice analoga A"®, associata rispetto ad M alla matrice A' formata con tutte le righe e colle prime r' colonne di A. Ma poichè la A' è diversa da zero, la A" ha una caratteristica minore od uguale ad lo- 7); tale è dunque anche quella di A‘, come si era af- fermato. 3. — a)Il teorema che precede dà soltanto un limite supe- riore per la caratteristica della matrice A‘; nè il segno di di- suguaglianza può togliersi in generale. Basta, per persuadersene, l'esempio seguente: 658 ONORATO NICCOLETTI Sia un determinante del 3° ordine non nullo; | Ax, 413 043 SN Agr 492 423 |; A31. A32 dA la sua caratteristica rispetto all'elemento @,; è ancora uguale a 3. I suoi minori’ del 2° ordine che contengono @;;j sono, coi noti simboli, Ass, 4s3; 439, 433; ed il loro determinante: As9 A33 — Agg Ago = Aa; è nullo per aj, = 0; in questo caso adunque la sua caratteri- stica è minore di ($_1) = 2. 6) Nel teorema del n° 1 poniamo p=r; si ha ()=1 e quindi: Se la matrice A ha la caratteristica r, nella sua associata Al di rango r gli elementi di due linee parallele qualunque sono pro- porzionali. c) Analogamente nel teorema del n° 2 poniamo p='; e allora (Ge) = 1, e poichè la matrice 44% non ha tutti gli elementi nulli si ha: Se la matrice A ha rispetto al minore M la caratteristica r', nella sua associata AG di rango r' rispetto ad M, gli elementi di due linee parallele qualunque sono proporzionali. In questo caso adunque vale nel teorema del n° 2 il segno di uguaglianza. Il teorema 5) è noto per m=n, r=n — 1 e si riduce al teorema sui minori del 2° ordine del determinante reciproco di un determinante nullo. 4. — Gli elementi della matrice A siano i coefficienti di una forma bilineare: m n Az z, ù UbixLi Yi; in due serie, l'una di m variabili 13...» l’altra di nm y1Y2.Ya: I minori dii, ..i,, tyts...4, possono allora pensarsi come coefficienti SULLE MATRICI ASSOCIATE AD UNA MATRICE DATA 659 di un’altra forma bilineare in due serie di (0) ed (0) varia- bili Liriz...ip Yhako.kp: Al Atari Rakgkp Tirigsip Ykikzk; ia tp Mk P La A‘9 si dirà associata della A di rango p: essa è cova- riante alla A, quando, operando sulle x (e sulle y) una sostitu- zione lineare, sulle «,,..ì, (Yx...1,) sì eseguisca la sostituzione as- sociata od indotta (*). Affatto analogamente si definisce la forma ) 401: PRI AQ sti 2 z Uircipak ki vkpk Liy.dp_r Ya selipok t--to_-k Ri.kp_k associata della A di rango p rispetto al minore M. Chiamando inoltre classe di una forma bilineare la caratte- ristica della sua matrice, i teoremi dimostrati al n° 1 e 2 pos- sono allora enunciarsi: Se la forma bilineare m n A= 2 ZaxXiyi è di classe r (di classe r' rispetto ad un minore M di ordine k) la sua associata di rango p A‘® (l’associata di rango p AS ri- spetto ad M) ha la classe fa) (minore od uguale ad (5 n). In particolare per p=r(p=r') si ha: Nelle stesse ipotesi la A" (la A‘) si decompone nel prodotto di due forme lineari, l'una nelle (1) variabili Xizis.. i, (Melle (7R)Xiria..i, 4}, l’altra nelle (1) Yr..4, (nelle (IT) Yintk,_x). Questa proprietà della A” (od A) è stata appunto quella che mi ha condotto alle considerazioni precedenti: esse possono evidentemente riguardarsi come un complemento al teorema di Sylvester già ricordato. Pisa, li 12 giugno 1902. (*) Per sostituzione associata (di rango p) di una sost. lineare:S inten- diamo quella i cui coefficienti sono ì minori di ordine p del modulo della S. ' 660 GIUSEPPE PIOLTI Pirosseniti, glaucofanùte, eclogiti ed anfiboliti dei dintorni di Mocchie (Val di Susa). Osservazioni del Dr. GIUSEPPE PIOLTI Libero Docente ed Assistente al Museo Min. dell’Univ. di Torino. Il risveglio della questione della iadeite fece sorgere la necessità di stabilire in modo ben esatto e preciso le località in cui si trovano le rocce iadeitoidi, perchè ogniqualvolta ven- gono alla luce manufatti preistorici costituiti dalle dette rocce, si può fare il confronto tra i varì materiali e talora dedurre importanti dati paletnologici. Siccome poi non tutte le armi od altri oggetti litici sono di rocce iadeitoidi, così è anche utile l’indicare le località in cui si trovano rocce che per loro speciali caratteri hanno potuto servire a trarne manufatti. E credo che in tale ricerca sia opportuno eziandio tener conto non solo delle rocce in posto, ma bensì anche di quelle che si trovano nelle alluvioni o nelle antiche morene, per un motivo già da me accennato altrove (1), che cioè è evidente come gli uomini dell’età preistorica, paleolitici o neolitici, non traessero certamente i loro manufatti dalle rocce in posto, bensì solo da frammenti isolati più o meno voluminosi. Per cui fece opera utile il Franchi (2) indicando varie lo- calità delle Alpi e degli Appennini in cui si trovano rocce iadei- toidi, non solo in posto ma anche erratiche. In varie escursioni fatte nei dintorni di Mocchie, in diverse epoche, ebbi campo di raccogliere un certo numero di rocce che a mio avviso meritano un cenno speciale, per le ragioni dette più sopra. (1) Sulla presenza della iadeite nella Valle di Susa, È Atti della R. Ace. delle Sc. di Torino ,, Vol. XXXIV, adunanza del 30 aprile 1899. (2) Sopra alcuni giacimenti di rocce giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell’ Appennino ligure, “ Boll. del R. Comitato Geologico ,, 1900, N. 2. PIROSSENITI, GLAUCOFANITE, ECLOGITI ED ANFIBOLITI, ECC. 661 Pirosseniti. Chi uscendo dall’abitato di Mocchie si dirige verso Frassi- nere ad un certo punto si trova dinnanzi ad un bivio: il sen- tiero a sinistra conduce alla piccola borgata detta Le Sinette, la strada mulattiera a destra conduce a Frassinere. Orbene, a pochi passi dal bivio, sulla destra, in un muro a secco trovansi grossi frammenti di due rocce pirosseniche che certamente non sono residui della morena, perchè il morenico è alquanto più in basso, ma debbono provenire da qualcuno degli innumerevoli spuntoni rocciosi che qua e là si vedono a sporgere dai prati circostanti, o sono il residuo dei lavori compiutisi allorchè si tracciò la mulattiera Mocchie-Frassinere. Ad avvalorare tali ipotesi sta il fatto che una delle due rocce summentovate tro- vasi in posto un po’ più in alto, come vedremo in seguito. Dette rocce differiscono l’una dall’altra già ad occhio nudo, poichè una è d’un bel verde-erba chiaro con numerosissime e piccole macchiette bianche; l’altra invece è d’un verde più scuro uniforme. Un preparato microscopico dell'ultima dimostra trattarsi d'una cloromelanitite assolutamente identica a quella descritta dal Franchi sotto l’indicazione cloromelamitite di Mocchie (1) e dico assolutamente identica perchè il Franchi avendo gentilmente offerto al Museo di Mineralogia dell’Università di Torino un campione della roccia da lui descritta potei staccarne un fram- mento, farne un preparato e procedere ad un minuto confronto. L’altra pirossenite esaminata al microscopio dimostrasi al- quanto diversa dalla già descritta. La roccia è un aggregato cristallino di parti verdi e parti bianche quasi equipollenti in quantità, predominando però le prime sulle seconde. Degli aggregati verdi la massima parte sono di pirosseno pleocroico, con tinte dal giallognolo chiaro, al giallo, al verde; gli angoli d’estinzione oscillano da 31° a 38°. Notasi inoltre un anfibolo verde, con pleocroismo dal verde, al verde chiaro, al quasi incoloro. Le parti bianche ad occhio nudo sono di zoisîte: questa talora contiene inclusi di 2ircone. (1) Nota citata, pag. 25 dell'estratto. 662 GIUSEPPE PIOLTI Raramente incontrasi l’a/bite. Elemento accessorio frequente è l’epidoto. La roccia può quindi considerarsi come una pirossenite con molta zoisite. Certamente qualche petrografo amante di novità penserebbe forse a dare un nome nuovo a questa roccia. Ma se si pon mente che la zoisite è un minerale accessorio frequente nelle pirosse- niti, è naturale il conchiudere che trattasi qui d’un’accidenta- lità qualsiasi e nulla più. Questa seconda pirossenite trovata pure nel muro a secco è identica ad altre due pirosseniti che io incontrai in posto, una salendo verso Frassinmere a pochi passi dal bivio suaccennato ed un’altra più in su a circa metri trentuno dal detto bivio. Glaucofanite. Da Mocchie salendo verso la borgata Gagnor dopo un certo tratto incontrasi un pilone che segna un bivio: invece di con- tinuare a salire si piglia a sinistra la mulattiera che conduce a Ravoire. Poco oltre e sulla destra havvi un gran numero di rupi sporgenti, di cui alcune attrassero la mia attenzione per il loro colore scurissimo, quasi nero. In una trovai un minerale d’un bel color giallo, che riconobbi più tardi per sfeno, così in- castrato nella roccia e così deformato da non prestarsi a mi- sure goniometriche. Rimane così aggiunta un’altra località per questo minerale (nella Valle di Susa) a quella già indicata dal Barelli (1) dell'Alpe della Portia. La roccia racchiudente lo sfeno esaminata al microscopio appalesasi per una vera glaucofanite e do a questo nome il si- gnificato che gli attribuisce il Rosenbusch (2), cioè di una roccia da porsi parallela alle anfiboliti e costituita essenzialmente da glaucofane. I minerali accessorì che incontrai, disposti per ordine di frequenza, sono i seguenti: granato roseo, sfeno (circondato da (1) Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Torino, 1885, pag. 68. (2) Elemente der Gesteinslehre. Stuttgart, 1898, pag. 523. elit ii PIROSSENITI, GLAUCOFANITE, ECLOGITI ED ANFIBOLITI, ECC. 663 ilmenite), attinoto, epidoto, tremolite, rutilo, magnetite, pirite alte- rata e quarzo. Ora il granato è incluso nella glaucofane, ora questa nel granato. . Tal ultimo minerale non presenta anomalìe ottiche; rara- mente incontrasi in scheletri. La glaucofane è spesso circondata da un bordo verde che appare come un prodotto d’alterazione, perchè sovente vi è un graduale passaggio, una specie di sfumatura dall’azzurro del detto minerale al verde. Polverizzando la roccia ed esaminando poscia i varîì granuli al microscopio, potei avere dati più esatti intorno alla forma degli elementi accessorì. Riconobbi che la magnetite è in ot- taedri spesso pseudosimmetrici, che i granati raggiungono al massimo le dimensioni di mm. 0,12 e che oltre alla forma del rombododecaedro presentano non di rado quella dell’icositetraedro; finalmente che la pirite è in pentagonododecaedri. Coloro i quali non ammettono che la glaucofane possa anche essere originaria, considererebbero probabilmente questa roccia, in causa della grande abbondanza del granato, come un’eclogite glaucofanica, ritenendo la glaucofane come una trasformazione del pirosseno. Io non mi so adattare a tale concetto perchè non vedo nessuna ragione chimica per cui la glaucofane non possa essere anche originaria. D'altronde la sua individualità e la sua stabilità furono molto bene dimostrate dal Colomba (1) aleuni anni or sono. Per condizioni speciali che noi ignoriamo invece di venire a giorno una massa d’anfibolo, venne a giorno una massa di glaucofane: ecco tutto. Eclogiti. Fra le varie rupi della località indicata per la roccia an- .tecedente, parecchie sono di eclogite a grana finissima, tanto che ad occhio è quasi impossibile nella maggior parte dei casi di discernere il granato. Tutte contengono come abbondante ele- (1) Sulla glaucofane della Beaume, “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Vol. XXIX, adunanza delli 11 marzo 1894, pag. 19 dell’estratto. Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 44 664 URI GIUSEPPE PIOLTI mento accessorio la glaucofane; ben di rado tale minerale è scarso, per cui queste eclogiti si possono chiamare eclogiti glau- cofaniche. Il pirosseno talora è geminato secondo 100. Elementi accessori frequenti sono: l’attinoto, l’arfvedsonite, lo sfeno circondato da ilmenite, il rutilo, la pirite e raramente il quarzo. L'epidoto talora è abbondante, talora manca affatto. In qualche raro caso la glaucofane presentasi geminata. Nel torrente, a monte di Mocchie, si trovano anche altri tipi di eclogite, che certamente provengono dagli innumerevoli spuntoni rocciosi che fiancheggiano la sponda sinistra del rio salendo verso Ravoire. Una è a grana grossa ed i granati sono visibili ad occhio nudo. Anfiboliti. Sul percorso Mocchie-Frassinere, appena oltrepassato il mu- lino, s'incontrano sul fianco sinistro della strada molte rupi sporgenti dal terreno. Varie di esse sono costituite da anfiboliti compatte, il cui anfibolo è attinoto. Come elementi accessorî si trovano: epidoto, siderite, pirite, magnetite, zircone. Il secondo di detti minerali è certamente d’origine secondaria. Eziandio sul percorso Mocchie-Ravoire si trovano anfiboliti ma alquanto diverse da quelle dette e situate sulla sponda op- posta del torrente. Trattasi di anfiboliti glaucofaniche aventi come elementi accessori molto epidoto, sfeno circondato da elmemite, qualche granato e talora quarzo. In queste anfiboliti scorgesi talora macroscopicamente lo sfeno. Altre ‘hanno moltissima magnetite e pochissima glaucofane in parte alterata ed avente per prodotto d’alterazione la limo- nite, alterazione già notata dal Colomba (1) nella glaucofane della Beaume. (1) Nota citata, pag. 16. PIROSSENITI, GLAUCOFANITE, ECLOGITI ED ANFIBOLITI, ECC. 665 CONCLUSIONE Dal fin qui esposto risulta che! nei dintorni di Mocchie tro- vasi in posto un complesso di rocce pirosseniche ed anfiboliche (poichè anche la glaucofanite dev'essere inclusa nella serie delle rocce anfiboliche) collegate da un nesso comune e quindi ap- partenenti verosimilmente ad un’unica formazione. Ed in verità da una pirossenite tipica avente come mine- rale accessorio qualche granato, si fa passaggio ad altre piros- seniti che per la copia del granato meritano quindi il nome di eclogiti. Così pure dalle eclogiti glaucofaniche, diminuendo il pi- rosseno, si fa gradatamente passaggio a vere e tipiche glauco- faniti. Ed a queste rocce si giunge anche dalle anfiboliti glau- cofaniche, bastando supporre che l'elemento accessorio granato, talora abbondante nelle anfiboliti, aumenti in quantità e dimi- nuisca l’anfibolo. Da tali considerazioni parmi risulti anche l’esattezza del concetto del Rosenbusch (4), secondo cui le rocce pirosseniche costituiscono una specie d’appendice alle varie rocce anfiboliche. Tutti i materiali menzionati, per la loro tenacità e com- pattezza hanno potuto servire a trarne manufatti e se nella Valle di Susa alcuni ciottoli di rocce pirosseniche od anfiboliche, o glaciali o del cono di deiezione della Dora Riparia possono derivare dalla parte alta della valle, come appare dalle osser- vazioni del Franchi (2), certamente un’altra considerevole parte può provenire dai dintorni di Mocchie come dimostrai col pre- sente scritto e come risulta eziandio da altre osservazioni del detto autore (3). APPENDICE Nel compilare questa nota mi accadde parecchie volte di meditare sull’incertezza regnante nella nomenclatura litologica (1) Opera citata, pag. 507. (2) Appunti geologici e petrografici sui monti di Bussoleno nel versante destro della Dora Riparia, “ Bollettino del R. Comitato geologico ,, anno 1897, N. 1. (3) Prima nota citata. 666 GIUSEPPE PIOLTI — PIROSSENITI; GLAUCOFANITE, ECC, rispetto alle rocce granatifere. Basti a tal riguardo l’osservare che alcuni autori citati dallo Zirkel (1) non si peritarono di chiamare col nome di eclogiti glaucofaniche rocce che non con- tenevano pirosseno, falsando così completamente il significato della parola eclogite, nome che indica essenzialmente un aggre- gato di granato e pirosseno. E discorrendo di ciò col Prof. Spezia, questi espresse l’idea che si potrebbe semplificare la nomenclatura con un mezzo molto semplice, cioè ritenendo il nome di granatite per una roccia in cui l'elemento granato sia prevalente ed aggiungendo, per in- dicare i varî minerali essenziali cui può associarsi il granato per costituire varie rocce, un appellativo che indichi quale sia il minerale essenziale associato, nello stesso modo con cui, a cagion d’esempio, si distinguono le andesiti pirosseniche dalle anfiboliche, secondochè predomina in tali rocce il pirosseno 0 l’anfibolo. Ed in verità benchè in fatto di nomenclatura convenga essere molto prudenti prima di proporre mutamenti, tuttavia non pare logico che mentre chiamasi yranatite un aggregato di granato ed anfibolo, si debba poi ricorrere alla curiosa nomen- clatura di Haiiy per indicare còl nome di eclogite un aggregato di granato e pirosseno. Quindi sarebbe forse molto più chiara e molto più seevra dal pericolo di malintesi una nomenclatura secondo la quale le varie rocce granatifere venissero indicate coi nomi seguenti: Granatite anfibolica Granato ed anfibolo. Granatite pirossenica Granato e pirosseno. Granatite micacea Granato e mica. Così verrebbero soppressi 1 due nomi eclogite e kinzigite, dei quali il primo principalmente non fu sempre interpretato dai varî autori in un solo ed unico senso. (1) Zrrxe, Lehrbych der Petrographie. Zweite Auflage, Dritter Band. Leipzig, 1894, pag. 368. ALESSANDRO ARTOM — RICERCHE SULLA PROPRIETÀ, Ecc. 667 Ricerche sulle proprietà elettriche del diamante. Nota dell'Ing. ALESSANDRO ARTOM. Le proprietà del diamante vennero finora studiate sotto l'aspetto chimico geologico, termico, ottico, dal Berthelot (1), dal Moissan (2), dal Wiillner (3), dal De Cloiseaux (4), dal Voller e. Valter (5), e vennero anche proposti metodi di ripro- duzione per sintesi da Hannay (6), dal Moissan, dal Maiorana (7). H Moissan, seguendo il Berthelot, definisce il diamante come un corpo semplice, di durezza massima, di densità 3,5, che brucia nell’ossigeno al disopra di 700° e di cui 1 gramma pro- duce, bruciando nell’ossigeno, gr. 3.666 di acido carbonico. Il Moissan osserva però che anche altri corpi preparati nei forni elettrici come i carbo-boruri, i carbo-siliciuri, possiedono l'una 0 l’altra delle proprietà fisiche ricordate, e che solo la coesistenza delle tre proprietà accennate, densità, durezza, combinazione quantitativa per combustione nell’ossigeno, possono caratterizzare il diamante. Orbene, negli studi ricordati, ed in molti altri che qui non occorre accennare, non vien fatta menzione delle costanti elet- triche di tale corpo e di alcune proprietà elettriche che le espe- rienze dimostrano essere assai caratteristiche. Oggetto di questo studio si è appunto di riferire i risultati di misure elettriche eseguite sopra un grande numero di diamanti accuratamente scelti fra i più nitidi, e di cui in precedenza fu (1) BerrAELOT, Sn les différents états du carbone, “ Ann. de Chimie e de Physique ,, t. XIX, p. 392. (2) H. Morssan, Le four électrique. Paris, 1897. (3) WiiLuwer, Lehrbuch der Experimentalphysick. (4) De CLorseaux, Annuaire du Bureau des Longitudes, 1900. (5) Vorcer e Vacrer, “ Wied. Annalen ,, t. LXI, 1897. (6) Hawxay, “ Proceedings Roy. Soc. ,, p. 188. Edimburgo, 1880. (7) Marorana, Sulla riproduzione del diamante, * R. Acc. Lincei x, 1897. 668 ALESSANDRO ARTOM verificata la densità e la perfetta trasparenza alla luce ed ai raggi di Réontgen. Le osservazioni vennero per la maggior parte eseguite sopra lamine tagliate abbastanza regolarmente per modo che era pos- sibile il rilevarne con esattezza le dimensioni, le quali furono misurate coll’aiuto di uno sferometro e con un’approssimazione di !/5oo0 di millimetro. Le misure eseguite (1) riguardano : 1° La determinazione della resistività elettrica e la sua variazione sotto l’azione dei raggi di Rontgen; 2° La determinazione della costante dielettrica; ;8° Le rotazioni in un campo elettrostatico rotante e la conseguente misura della, perdita per isteresi elettrostatica. Inoltre ho ricercato, pure se i diamanti in esame possede- vano proprietà piezoelettriche,. piroelettriche e, magnetiche. Resistività elettrica. Alcune esperienze preliminari mi fecero subito rilevare l’alta resistenza specifica del diamante. Per .valutarla. con esattezza” ho scelto il metodo della misura diretta dell’intensità di. cor- rente, e per raggiungere condizioni di buona sensibilità, ho do- vuto ricorrere all'uso di una f. e. m. di circa 1000 volt forni- tami da una batteria di 500 piccoli accumulatori. Il galvanometro pure era di notevole sensibilità, ogni divi- sione corrispondendo ad una corrente di 0.013 Xx 107° ampère e le condizioni permisero di effettuare le misure con errore non superiore al 0.05 della resistenza misurata. Il diamante presentando in modo assai sensibile i fenomeni della. polarizzazione residua, le letture delle deviazioni venivano. fatte solo quando l’equipaggio mobile del galvanometro aveva raggiunta la posizione stabile di equilibrio. Ciascuna inversione di corrente era preceduta da un lungo periodo di chiusura in corto circuito della resistenza da misurare, onde annullare completamente gli errori a cui avrebbero potuto dar luogo i fenomeni di polarizzazione residua. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio della Scuola Elettrotecnica Galileo Ferraris. RICERCHE SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE DEL DIAMANTE 669 Le misure furono eseguite sopra una serie di trenta cam- pioni ed i risultati ottenuti per la resistenza specifica a 15° con- cordano nei due valori seguenti che rappresentano le minime e le massime resistività medie misurate sopra trenta campioni. Media fra i minimi valori: 0,183 .177 x 101? Ohm cm. Media fra i massimi valori: 1,280 .370 X 1012 Ohm cm. I valori ottenuti sono quindi dell'ordine di grandezza di quelli determinati pel vetro ordinario 0,76 X 101? Ohm cm. (Fousserau). La proprietà di possedere quest’alta resistività specifica parmi quindi potrebbe con vantaggio servire a ‘meglio ricono- scere i prodotti ottenuti nelle ricerche sulla formazione artifi- ciale del diamante. Il diamante infatti avendo comune, col car- bonio amorfo e colla grafite la proprietà di essere trasparente ai raggi di Rontgen questa proprietà non potrebbe venire utiliz- zata in tali ricerche. Per meglio far rilevare l’alta resistività caratteristica del diamante stimo non inutile il riferire qui i valori misurati delle resistività elettriche presentati da cristalli di grafite naturale purissima (1). Le ricerche del Moissan concludono col ritenere che alla pressione ordinaria ogni varietà di carbonio amorfo per effetto della temperatura elevata si trasforma in grafite. Se alla tem- peratura elevata si aggiunge l’effetto della elevata pressione per cui si ottenga il passaggio dallo stato solido allo stato liquido il carbonio amorfo o la grafite possono generare il diamante. Il diamante alla pressione ordinaria ma a temperatura ele- vata si trasforma in grafite. Onde possono il diamante e la grafite ritenersi come due stati fisici diversi dello stesso corpo semplice, il carbonio. Ecco i risultati delle misure eseguite: Grafite della Groenlandia 406 x 107° Ohm cem. Grafite del Cumberland 1835 Xx 1076 Ohm em. Grafite della Siberia 1225 x 1075 Ohm cem. (1) I campioni di grafite mi furono dati dal ch.®° prof. Spezia, Diret- tore del R. Museo di Mineralogia, al quale porgo i più vivi ringraziamenti. 670 ALESSANDRO ARTOM La grafite può quindi considerarsi come corpo buon con- duttore, mentre il diamante è buon isolante, e le misure fatte permettono di attribuirgli una resistenza specifica media di un ordine di grandezza 10! volte superiore a quella della grafite naturale. Resistività elettrica del diamante sotto l’azione dei raggi di Réòntgen. Pel diamante si verifica in modo sensibile la diminuzione di resistività sotto l’azione dei raggi di Ròntgen, riconosciuta da J. J. Thomson (1) per diversi isolanti. Collocati i diamanti fra due lamine conduttrici in circuito con una f. e. m. di èirca 1000 volt, la sorgente di raggi X a pochi decimetri dal diamante, in modo da attraversarlo normalmente alla direzione della cor- rente, la deviazione al galvanometro generalmente si raddoppia. La resistività quindi si riduce in media alla metà del va- lore primitivo, ma ritorna istantaneamente al valore iniziale appena cessata l’azione dei raggi di Réòntgen. Misura della costante dielettrica. In questa ricerca si presentarono gravi difficoltà sperimen- tali, poichè le dimensioni relativamente limitate delle lamine di diamante permettevano di esperimentare sopra capacità elettro- statiche assai piccole e precisamente dell’ordine di grandezza tra 1075 e 1076 microfarad. Per aumentare il valore delle capacità in esame e quindi raggiungere migliori condizioni sperimentali trovai talvolta utile di riunire in parallelo diversi condensatori elementari costituiti da lamine di identico spessore. Per alcune lamine di dimensioni maggiori ritenni inutile il ricorrere all’artificio enunciato, poichè la misura della capacità riuscì possibile coll'’impiego di f. e. m. piuttosto elevate dai 500 al 1000 volt. Le misure della costante dielettrica vennero eseguite con f. e. m. costanti, valutando le quantità di elettricità con un gal- vanometro balistico, di notevole sensibilità. (1) “ Proceedings Royal Society ,, 1896. RICERCHE SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE DEL DIAMANTE 671 Venne pure misurata la capacità servendosi di f. e. m. al- ternative. $ Il metodo adottato fu quello di Gordon (1) che I. Sahulka ha pure ritenuto conveniente per potenziali alternativi. Il condensatore campione ad aria, di capacità variabile, e di volta in volta verificato mediante confronto con condensatori campioni di 0.001 di m. f., veniva posto im serie col condensa- tore incognito a lamina di diamante e l'uguaglianza delle cadute di potenziale era constatata mediante l’uso di voltometri elettro- statici multi-cellulari Thomson. Con tale metodo si evitano gli errori che la capacità del voltometro, variabile a seconda della posizione dell’ago e che trovai dell'ordine di grandezza da 0.000.03 a 0.000.06 m. f. per un voltometro di 240 volt, avrebbe potuto introdurre in una semplice misura di rapporti fra potenziali. Questo metodo presenta pure il vantaggio che il valore ricavato dalla capacità risulta indipendente dalla forma della f. e. m. (2) alternativa adoperata, essendo trascurabile la selfin- duzione dei conduttori di collegamento. - Le lamine di diamante presentarono costantemente in modo rilevante i fenomeni della polarizzazione residua. L’assorbimento della carica nel diamante si rende d’altra parte evidente coll’attrazione di corpi leggeri, e colle deviazioni all’elettroscopio anche quando piccole cariche elettriche gli sono comunicate per sfregamento ed è anzi notevole la proprietà di elettrizzarsi fortemente quando il diamante viene sfregato contro superfici metalliche, di argento, alluminio, ferro, acciaio. Comunicando cariche elevate, si nota generalmente nella curva di scarica una polarizzazione residua di oltre un terzo della iniziale, dopo trenta secondi di isolamento. Orbene tali fenomeni ordinariamente non vanno disgiunti da quelli dovuti alla istéresi elettrostatica. Questi furono infatti sperimentalmente riconosciuti colle rotazioni nel campo elettrico di cui si farà in seguito cenno. Nella seguente tabella sono riportati i valori delle costanti dielettriche ricavate da tre misure che possono bene rappresen- (1) Gorpon, “ Phylosop. Transactions ,, 1879. (2) Lomsarpr, Sull'impiego dei condensatori. Torino, 1899. 672 ALESSANDRO ARTOM tare i valori minimi, medì e massimi fra quelli avuti in una lunghissima serie di misure eseguite alla temperatura media di 15°. S em? d em. C mf. Ke 0 L) 0,25...:|.,-.0,0715 _:|..800.x:107 9,77 0,23 0,065 |385X10-#| 12,12 0,78 0,072 | 159X107| 16,74 Occorre però notare che il valore di K = 16 fu riscontrato in molti campioni, e le misure fatte permettono di affermare che accade pel diamante ciò che si verifica pel ghiaccio (K = 78), pel quarzo (K= 8), pel topazio (K = 6.56), per la tormalina (‘4 = 7.10) in cui il numero che rappresenta la costante dielet- trica è di assai superiore al quadrato dell’indice di rifrazione. Nel caso del diamante l’indice di rifrazione è assai più elevato che quello dei corpi accennati e vale 2,469, per i raggi verdi, la costante dielettrica dovrebbe avere circa il valore 7. Una legge empirica indicata dal Thwing (1) e verificata per molti corpi so- lidi farebbe attribuire alla costante dielettrica di un corpo un valore numericamente uguale a 2,6 volte la densità del corpo stesso e nel caso del diamante per cui d = 3,50, tale legge gli assegnerebbe il valore di K = 9,10. Ma l'avere la costante dielettrica del diamante generalmente un valore elevato; come le misure fatte provarono, potrebbe chiarire alcune questioni riguardanti la costituzione fisica e chi- mica di tale corpo. È ad esempio possibile che come àvviene per l’acqua e pel ghiaccio il diamante conservi allo stato solido la costante die- lettrica che aveva allo stato liquido e che con tutta probabilità era elevata. Si avrebbe quindi una conferma, che nella genesi di formazione il diamante ebbe a passare per lo stato liquido. Così pure è stato dal Moissan ritenuto come assai proba- (1) C. B. Tawine, “ Zeits. Physa Chem. ,, vol. XIV, 1894. RICERCHE SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE DEL DIAMANTE 675 bile, che, come avviene generalmente nelle grafiti, nel diamante si trovi dell’idrogeno alla cui presenza si dovrebbe appunto la fluorescenza di detto corpo. Seguendo le leggi enunciate dal Thwing la presenza del- l'idrogeno sotto forma di carburi (CH, oppure CH;) avrebbe per conseguenza di elevare il valore della costante dielettrica onde sarebbe questa l’interpretazione da dass ai valori piuttosto alti trovati per molti campioni. i Inoltre applicando al caso del diamante le relazioni di Clau- sius-Mossotti fra la costante dielettrica e la condensazione re- lativa della materia, e quelle di Guye (1) che riguardano lo spazio realmente occupato dal peso molecolare si potrebbero trarre im- portanti deduzioni per verificare le ipotesi generali sulla costi- tuzione fisica e chimica della materia. Rotazioni elettrostatiche. Le esperienze precedenti, avevano fatto rilevare nel com- portamento dei diamanti il fenomeno della polarizzazione ‘residua in grado elevato. Ho quindi ricercato se tale corpo possedeva pure i fenomeni dell’isteresi elettrostatica, proponendomi di mi- surare la conseguente perdita di energia. Le leggi di tale feno- meno non sono ancora perfettamente conosciute, ma le esperienze provano definitivamente che i due fenomeni della polarizzazione residua e della dissipazione di energia del dielettrico sono in generale coesistenti. Questa dissipazione di energia nel caso del diamante non era sufficientemente bene osservabile e misurabile, nè col me- todi calorimetrici, nè coi metodi della determinazione per punti della curva di carica, in funzione dei potenziali varianti secondo cicli chiusi. Ho quindi osservato e misurato la dissipazione di energia nel diamante servendomi del campo elettrico rotante. Invero l’esperienza, che per tale corpo non fu mai eseguita, prova chiaramente l’esistenza dei fenomeni dell’isteresi elettro- statica. Se si sospende in un campo elettrico rotante un dia- mante tagliato a forma simmetrica, esso prende a rotare, ed invertendo il senso del campo si inverte pure il senso della ro- (1) Van't Horr, “ Phys. Chemie ;, 1900. 674 ALESSANDRO' ARTOM tazione. Anche pel ghiaccio purissimo con cui il diamante pre- senta grandi analogie, avevo osservato rotazioni elettrostatiche (1). Però la dissipazione di energia appare minore nel diamante’ che! nel ghiaccio. Per osservare le rotazioni elettrostatiche nel diamante ho dovuto ricorrere a sospensioni presentanti minime coppie diret- trici, e precisamente a sospensioni bifilari di seta, di lunghezza non minore ai 90 centimetri ed aventi distanze fra i' due' fili inferiori ai 5 mm. Com queste piccole coppie direttrici ho potuto osservare net tamente le rotazioni a differenze di potenziale di circa 4000 volt, in diamanti del peso poco’ inferiore al mezzo gramma. Ho quindi calcolato (2) la dissipazione dî energia per isteresi elettrostatica facendo le letture con specchio e scala delle de- viazioni che sotto l’azione di campi rotanti non troppo elevati assumevano i diamanti in essi sospesi. Se P è il peso in grammi sostenuto dalla sospensione bifi- lare, 2 la lunghezza in cm., a, d la distanza in centimetri supe- riore ed inferiore tra i fili, x la frequenza della corrente al- ternativa, è la deviazione, l’espressione dell’ energia dissipata’ espressa in’ erg è data dalla a — Tio È Ora. il campo elettrostatico rotante adoperato essendo bifa- sico il valore dell'intensità costante del campo è dato da Vv F=, dove V è espresso in u. e. s. e X è la distanza fra due lastre opposte del campo. Poichè si misuravano i potenziali V, in Volt ai primari dei rocchetti generanti il campo, essendo N il rapporto di trasfor- mazione avremo di = cri ie a fre (1) A. Artom, La formazione della grandine dovuta a movimenti rotatori. Torino, 1900. (2) R. Arnò, Sulla dissipazione di energia in un campo elettrico rotante e sulla isteresi elettrostatica, “ R. Acc. Lincei ,, 1893. RICERCHE SULLE PROPRIETÀ ELETTRICHE DEL DIAMANTE 675 Citerò fra le numerose esperienze eseguite i risultati otte- nuti osservando le deviazioni impresse dal campo elettrostatico rotante ad un diamante di forma simmetrica di perfetta traspa- renza alla luce ed ai raggi di Réòntgen e del peso di gr. 0,735. Tenendo conto del peso del filo di rame che sosteneva il diamante, il peso totale sostenuto dalla sospensione era di un gramma. I risultati stanno raccolti nella tabella seguente, in cui: V.= NV, indica la differenza di potenziale fra due lastre opposte del campo bifasico; = deviazione in radianti; W = energia dissipata in ery riferita al cc* di diamante; F=intensità del campo elettrostatico rotante; \= cm. 3,9 = distanza fra le lastre. N VW DI W F 1). 2000 0,0058 1,363 | 1,904 9 2250 0,0087 2,045 9,142 3 2500 0,0174 0 4,090 2,380 4 2750 0,0358 8,180 2,619 5 3000 0,0783 18,459 2,761 6 3250 0,1305 30,700 3,095 Eseguii inoltre esperienze comparative sostituendo al dia- mante, pezzi di ebanite, di vetro, di forme e dimensioni iden- tiche ai diamanti sperimentati, compensando mediante contrap- . pesi le differenze dovute alle diverse densità. Le deviazioni a parità di valori di campo risultarono maggiori per l’ebanite e pel vetro. Si può quindi concludere che la dissipazione di energia per isteresi elettrostatica risulta minore pel diamante di quella che si verifica nell’ebanite e nel vetro. 676 ALESSANDRO ARTOM — RICERCHE SULLE PROPRIETÀ, ECC. * * * Ho inoltre ricercato in via qualitativa, servendomi di un elettroscopio assai sensibile se le lamine di diamante presenta- vano fenomeni di piezoelettricità e di piroelettricità, fenomeni che Curie e Blondlot avevano rispettivamente: constatato per il quarzo e per la tormalina. Il primo ordine di fenomeni non fu osservato che in pochis- simi esemplari ed in misura appena sensibile: fenomeni di pi- roelettricità furono invece riconosciuti in maggior numero di lamine di diamanti: ma nemmeno può dichiararsi tale proprietà generalmente posseduta dal diamante. Constatai per contro che i diamanti possedevano general- mente la proprietà di essere debolmente magnetici. Sospese in- fatti fra i poli di un potente elettromagnete di Weiss le lamine si orientavano disponendo le loro maggiori dimensioni secondo la direzione del campo. Anzi dopo aver soggiornato nel campo i diamanti conservavano per un tempo abbastanza lungo pro- prietà magnetiche in grado abbastanza notevole. Orbene, se come generalmente si ritiene, il diamante nel periodo di formazione ebbe a passare per lo stato liquido, le proprietà debolmente magnetiche riscontrate, potrebbero essere originate dal fatto che la roccia entro cui si è formato posse- deva proprietà diamagnetiche (1). Un esteso esame comparativo fra le proprietà magnetiche della roccia racchiudente i diamanti, e quelle presentate dai diamanti stessi, potrebbe fornire utili indizi sulla genesi di tale corpo. es Inoltre la proprietà recentemente constatata del diamante di rendersi vivamente luminoso in presenza delle sostanze ra- dioattive (2), quella di presentare colorazione verde sotto l’azione dei raggi catodici (3), i fenomeni assai marcati di fluorescenza per assorbimento di luce, la polarizzazione ellittica della luce (1) Epm. BecquereL, “ Ann. de Chim. et de Phys. ,, 8° serie, t. XXXII. (2) H. BecquerEL, Rayonnement de l’Uranium, Congrès International de Physique, 1900. (3) P. ViuLarp, Les rayons cathodiques. Paris, 1900. Loreti heal Gene MODESTO PANETTI — CICLO TEORICO E CICLO PRATICO, Ecc. 677 per riflessione, e molte altre proprietà ottiche, permettono di considerare il diamante come un corpo di proprietà fisiche no- tevolissime. Perciò ho raccolto in questo studio i risultati di alcune misure ed esperienze eseguite sul diamante, parendomi oppor- tuno completarne l’esame in relazione coi fenomeni elettrici. e magnetici. In queste ricerche mi furono di prezioso aiuto i sapienti consigli del Prof. Guido Grassi, a cui esprimo la: più profonda gratitudine. Scuola elettrotecnica G. Ferraris. Maggio 1902. —e Ciclo teorico e ciclo pratico delle locomotive compound. Nota dell’Ing. MODESTO PANETTI (Con una Tavola). 1. — L'espansione multipla nelle locomotive, che, dalle prime applicazioni veramente pratiche dovute al Mallet nel 1876 fino ad oggi, si è divulgata in modo inatteso fra una gara in- tensa per migliorare il funzionamento dei meccanismi sussidiari, che occorrono per metterla in opera, ha invece progredito assai meno in tutto ciò che riguarda il suo problema termico. Eppure in esso consiste l’unico vantaggio del sistema: van- taggio che si traduce nell'economia d’acqua e di combustibile, riconosciuta da molte società ferroviarie, che adoperano promi- scuamente locomotive di entrambi i tipi, e valutata con espe- rienze di paragone da molti tecnici, quali il Borodine, il Pulin, il Worthington e il Barbier (*). Sotto ogni altro punto di vista l'espansione semplice è più vantaggiosa, evitando la maggior complicazione dei particolari costruttivi, ed assicurando l’uguale ripartizione del lavoro mo- tore trasmesso dai due meccanismi propellenti, nella quale con- siste una difficoltà che è quasi impossibile superare in modo per- fetto, per qualsiasi regime di marcia, nelle locomotive compound. (*) Cfr. “ Mémoires de la Société des Ingénieurs civils ,, 1886 e ’89; “ Proceedings of the Institution of civil engineers ,, vol. XCVI; e “ Revue générale des Chemins de fer ,, 1898. 678 MODESTO PANETTI Soltanto le macchine a quattro cilindri costituite da due gruppi Woolf identici e collocati simmetricamente rispetto al piano medio del carro permettono una soluzione di questo pro- blema altrettanto sicura quanto le locomotive a cilindri gemelli, ma la pratica dei tipi inglesi Nishet, e degli americani Vauclain, in cui detto sistema è applicato, ha rivelato l'inconveniente da cui esso non può andar disgiunto: la maggiore importanza dei moti perturbatori. Finalmente i forti gradi di introduzione che l’uso dell’espan- sione multipla rende possibili in ogni cilindro, e nei quali con- siste una parte del vantaggio termico del sistema, limitano il grado di adattabilità del motore nella produzione di lavori assai più grandi del lavoro medio. E ciò costituisce per la locomotiva un difetto tanto più grave quanto più la via su cui presta ser- vizio è accidentata, quanto maggiori sono le minime velocità am- messe e quanto più breve è il tempo prescritto per raggiungerle. La minore attitudine della locomotiva compound ad aumen- tare in determinati periodi la sua potenza ha costretto spesso i costruttori ad esagerare nelle dimensioni dei cilindri, ovvero a ricorrere a meccanismi ausiliarî, che permettono di farla ope- rare come una macchina gemella, sia per mezzo di apparecchi comandabili a volontà, sia con disposizioni che trasformano au- tomaticamente il suo modo di agire quando ha luogo un’intro- duzione assai prolungata, come nei tipi austriaci Goòlsdorf o negli americani Small, o quando la velocità di marcia è molto ridotta, come in alcune macchine dello Stato Sassone studiate da Lindner. Ma in questo indirizzo non si può sperare un ulteriore pro- gresso, poichè esso corregge il difetto essenziale della locomo- tiva compound, peggiorandone gravemente il rendimento nei pe- riodi di massimo consumo. La vera soluzione del problema si deve cercare nel miglioramento del ciclo termico, che, oltre al vantaggio economico, permetterà di aumentare la prestazione della locomotiva senza accrescere le dimensioni dei cilindri, la- vorando normalmente con rapporti di espansione più bassi. In quest'ordine di idee sono degni di menzione i tentativi già antichi di adottare distribuzioni più perfette come la Strong americana con cassetti separati per l'introduzione e lo scarico, colla quale si ottenne l’economia dell’87 °/0, come la Bonnefond, e sopra tutto la Durand e Lencauchez con robinetti Corliss, nonchè CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE COMPOUND 679 l’uso di corse molto grandi (da 16 a 19°"), sperimentate con sue- cesso in America sulla Philadelphia and Reading R.R. Assai notevole è pure l’idea recente di applicarvi i surri» sealdatori del vapore, che la Ditta Borsig introdusse in un suo tipo nuovo di locomotiva con cilindri gemelli, presentato all’ul- tima esposizione mondiale. L’amministrazione delle ferrovie te- desche constatò negli esemplari costruiti un vantaggio parago- nabile a quello del sistema compound con due cilindri, e molti ritengono che l’uso simultaneo della doppia espansione e del vapore surriscaldato debba fra poco segnare un passo nuovo nel perfezionamento della locomotiva. Ma il surriscaldamento iniziale non può esaurire i miglio- ramenti possibili in un ciclo, il cui difetto più grave consiste nella forte perdita di pressione che avviene nel passaggio del vapore dal cilindro piecolo al cilindro grande. In vero lo stroz- zamento del getto di vapore effluente dalle luci dello specchio, la resistenza di attrito che si oppone al suo movimento assai rapido entro il condotto di comunicazione fra i due cilindri, che costituisce il receiver della macchina compound, e la forte con- densazione sulle pareti del cilindro grande provocano una per- dita di rendimento ehe può raggiungere il 20°/, del lavoro otte- nibile in una macchina, in cui la caduta di pressione fra i due cilindri fosse uguale a zero. È dunque più giustificata la ricerca di mezzi che attenuino l’importanza della perdita predetta, fra i quali, oltre allo studio più razionale della distribuzione, deve riuscire efficacissimo l’uso di condotti di comunicazione aventi gran volume ed ampia se- zione, collocati per intero nell'interno della cassa a fumo e mu niti di alette per trarre tutto il vantaggio possibile dalla loro posizione razionale, che permette di utilizzare il calore residuo dei prodotti della combustione per surriscaldare il vapore che si dirige al cilindro B.P. Si potrebbe anzi domandare se, insieme col surriscaldamento, non sia opportuno l’inviluppo esteso almeno ai fondi del cilindro a B.P. per rendervi meno attiva la condensazione, che vi ha la sua sede principale, essendo il salto di temperatura prossima- mente uguale a quello del cilindro A.P., ma l’area delle pareti tipo coperchio assai maggiore. La risposta a questi quesiti non può essere che il risultato Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 45 680 MODESTO PANETTI di appositi studî sperimentali; però allo scopo di renderli fecondi di ben fondate conclusioni è necessaria un’analisi preliminare dei cicli che si vorrebbe migliorare colle’ disposizioni enumerate. Il contributo che qui si vuol portare a tali ricerche verrà illu- strato cogli elementi ‘pratici che si hanno a disposizione; ma l’uso delle formole dedotte richiederebbe dati che d’ordinario non si ricavano, e che tuttavia occorrono per la soluzione rigorosa del problema. 2. Tracciamento del ciclo teorico. — Lo studio delle fasi della distribuzione nelle macchine compound fisse non sì può estendere alle locomotive, perchè le anticipazioni trascura- bili nelle prime diventano di molta importanza nelle seconde, sopra tutto per ciò che riguarda lo scarico del cilindro A.P. In fatti nelle locomotive compound il ricoprimento interno del cassetto per l'alta pressione sì fissa o assai piccolo, o nullo, 0 anche negativo; in primo luogo per favorire con una forte an- ticipazione allo scarico l’eguale ripartizione del lavoro motore nei due cilindri, dei quali quello ad A.P. dà sempre in pratica un lavoro maggiore; in secondo luogo per non raggiungere nella fase di compressione pressioni esagerate, come è facile, dato il piccolo rapporto fra la pressione di introduzione e quella. di scarico. Se il ricoprimento interno del cilindro A.P. è positivo, esiste una fase nella quale il receiver è chiuso, ed è quella compresa fra l'istante in cui principia la compressione in una delle camere del cilindro A.P. e quello in cui termina l’espansione nell'altro. Se detto ricoprimento è nullo queste due posizioni coincidono. Se è negativo la seconda precede la prima, e nell’intervallo di tempo che passa fra l’una e l’altra le due camere del cilindro A.P. comunicano fra loro per mezzo del receiver. Cominciando da quest’ultimo caso, che per le ragioni dette è il più frequente, e supponendo che il movimento del mecca- nismo avvenga con estrema lentezza per modo che l’angustia delle luci di passaggio non produca un laminaggio sensibile del vapore, si possono determinare successivamente le pressioni alla fine delle singole fasi della distribuzione, valutando i volumi che vi corrispondono, e supponendo, come si è soliti a fare, che ogni evoluzione avvenga secondo la legge pv= costante. CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE COMPOUND 681 Fissato come unità di volume il cilindro A.P. (*), i volumi del cilindro B.P. e del receiver si indicheranno coi loro rap- porti v ed r al primo; gli spazîì nocivi coi numeri m, ed mv, essendo m, ed mm, i rapporti dei loro volumi a quelli dei cor- rispondenti cilindri; i volumi corrispondenti alle singole fasi per mezzo delle frazioni di corsa esprimenti i gradi di anticipazione all'introduzione è e di introduzione e, di anticipazione allo sca- rico s e di compressione c segnati nella Fig. 1. In essa poi, preso il diametro orizzontale come asse del mo- vimento, i raggi numerati rappresentano le posizioni della mano- vella motrice del cilindro A.P. in corrispondenza dei punti sin- golari del ciclo della Fig. 2. Nella posizione 1 la camera del cilindro A.P., in cui regna la pressione finale dell'espansione p con un volume 14m, — s1 viene in comunicazione improvvisa con una capacità costituita: 1° dall’altra camera del cilindro A.P. che si trova nella fase di scarico, e il cui volume è m, + s;; 2° dal receiver; 3° dalla camera del cilindro B.P. in cui avviene l’intro- duzione, di volume uguale a e[ms + 0,5 — V s;(1— s;)]. Se indichiamo con p; la pressione preesistente in questa capacità di volume totale Vi=m4+s1+r + 0[m +0,5—Vs(1— 5]; la pressione p', che risulterà dalla mescolanza dei due pesi di vapore sarà tale che: PAI+m—-s)t+pVi=pa1+m_-s14+ Vl. A questo brusco cambiamento di pressione corrispondono nel diagramma i tratti CD, HD', H,D, di evoluzioni che fanno capo al medesimo valore della pressione finale p',. In seguito le fasi si succedono nell’ordine seguente: Fase 1-2, dalla fine dell’espansione in una camera del ci- lindro A.P. al principio della compressione nell’altra; volume finale V:=1+2m,+r+e[m3+ 0,5 — Ve, (1— ci)]; equazione di passaggio p'1(1+m — si + V.)= psVa. (*) Per brevità diremo volume di ‘un cilindro il volume generato dallo stantuffo che esso contiene. 682 MODESTO PANETTI Fase 2-3, dal principio della compressione nella seconda camera del cilindro A.P. alla fine dell’introduzione nella prima camera del cilindro B.P.: volume iniziale V',=14+m,—c+r+0m,+0,5—Ve,(1— 61); volume finale: Vi =m, +0,5.+ Ves(1— e) +r+ (mat c9); equazione. di passaggio pa V'a =p3V3. Fase 3-4, dalla fine dell’introduzione nella prima camera del cilindro B.P. al principio dell’anticipazione all’ introduzione nell’altra camera dello stesso cilindro: volume iniziale V, = m, +0,5+Ve1— e) +%; volume: finale. V, =, +0,54+Vi(1—-d) +; equazione di ‘passaggio p3 V'3 = pyuVi. Fase 4-5, dal principio dell’ anticipazione all'introduzione nella seconda camera del cilindro B.P. (in cui supponiamo che al momento dell’ apertura esista la stessa pressione p,) (*) alla fine dell'espansione nella prima camera del cilindro A,P.: volume iniziale V'j=m;+0,5+V is(—i)+r+ mt i): volume finale V, già calcolato; equazione di passaggio piV',= psV.. Combinando fra loro le uguaglianze scritte si ha: Via Vial! 1 4.myi.s (1) DI STA pete Ad Si noti però che a partire dalla posizione 5 le fasi debbono riprodursi periodicamente nell'ordine descritto, se, come abbiamo già tacitamente supposto, si trascura l’effetto dell’obliquità della biella. Quindi a. regime non solo i volumi, ma anche le pressioni debbono riprendere ad ogni mezzo giro di manovella gli stessi valori. In vero, dovendo essere la pressione p sempre la stessa, se non varia il grado di introduzione nel cilindro A.P., la rela- zione (1) che lega pz a p, è della forma: Prot kpi, (*) Se questa condizione non fosse soddisfatta l'errore commesso sarebbe però assai piccolo, dato il volume minimo occupato dal vapore nel ci- lindro B.P. rispetto a quello del receiver e di più di metà del cilindro A.P. col quale viene messo improvvisamente in comunicazione. CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE COMPOUND 683 ove c e % sono due costanti pr Quindi se p,< a dla sarà Ps>P1; ma al tempo stesso P5< F_7 cioè i successivi valori o ’ pei quali passa la pressione nel receiver alla fine di ogni nuovo mezzo giro andranno crescendo, pur conservandosi costantemente minori del valore limite re # Così pure, se pi > po” sarà ps dei due titoli; donde si 1 deduce POSSIUOTI (7) X VE ad, Ciò premesso, si applichi al caso presente l’espressione ge- nerale della portata dell’efflusso P,.= w, w d'’,, essendo w, l’area della luce ristretta, w la velocità, è," la densità del fluido in corrispondenza della luce w,, dove si ammette che regni la pres- sione dell’ ambiente che riceve il getto. Nel caso del vapor d’acqua saturo, se la differenza delle temperature 7, e Tr delle due capacità, fra le quali avviene l’efflusso, è abbastanza pic- Ti Tr primi termini del suo sviluppo in serie secondo le potenze ARCENaGnti "gi Perni TR l'espansione del fluido adiabatica, fornisce: Ti Troie — 9 41 1 10) (0) y 9 si T, cola, in modo che a log si possano sostituire i due soli , l’equazione delle forze vive, supposta Si ricavi poi il titolo x", del vapore nella luce di efflusso come titolo finale dell'espansione adiabatica che compie il vapore del cilindro A.P. dirigendosi allo scarico: lisi ME 2) alia a E, Tr ag TR La densità è, del fluido nella luce ristretta sarà espressa x da dlloth; e quindi la portata varrà: 1 V 2g ue 41 — TR A Pila’ e TR A Ti 1=" . , 1 TR TICA Ti T, + clog Ta Per rendere possibile la soluzione del problema occorrono alcune semplificazioni. Si divida numeratore e denominatore della Ud ° YyX . . . . . frazione per nr e si osservi che il binomio 1 SW ego 1 > log +e log |”, CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE comPoUuNnD 693 anche nella fase di anticipazione allo scarico, in cui il salto di pressione fra il cilindro piccolo ed il receiver è massimo, ha il suo secondo termine minore di 0,02; quindi sì può con sufficiente approssimazione sostituirvi i due primi termini dello sviluppo in serie e, in luogo del valore variabile ’, del titolo, porre un valor medio n. In vece sotto il segno Y bisogna sostituire ad x’, il suo valore (7), nel quale la densità media è, dell’intermediario con- tenuto nel cilindro è uguale al rapporto del peso M, di vapore, che vi è presente in ogni istante, al volume V, compreso fra lo stantuffo ed il fondo. Con queste sostituzioni si ottiene: toa adr [RAV anch T(T, — TR) i AS (1 OT A Nel tempo dt il peso del vapore effluito è dunque P,dt. Uguagliando questo peso all'incremento negativo — dM,, che in detto intervallo di tempo subisce il vapore M, contenuto nel ci- lindro, si ottiene l’equazione differenziale dell’efflusso, che por- remo sotto la forma: VA Va ati poca Mai (8) I) i y © o W, OLALA (1 Ci loggi) dt ove V, indica il volume generato dall’intera corsa dello stan- tuffo nel cilindro A.P. Il secondo membro della (8) è una funzione del tempo, nota soltanto in quanto per ogni posizione della manovella mo- trice si conoscono i valori delle pressioni nei due ambienti fra i quali avviene l’efflusso. Ma queste pressioni non variano se- condo una legge, che si sappia esprimere analiticamente; quindi, per integrare la (8) bisogna ricorrere ad un procedimento grafico, cioè tracciare una curva le cui ascisse siano proporzionali al tempo decorso durante lo scarico (*) e le ordinate ai valori [TT — Ta) y=W YRTR / T:(T,— Tr) | eT’ TR Til: Vil Vip rtm e costruirne in seguito la linea integrale. (*) Non sembri a chi legge che possa essere più opportuno eseguire un cambiamento di variabile, assumendo come variabile indipendente il vo- 694 MODESTO PANETTI Il procedimento è illustrato dalla Fig. 8, in cui si svolse la ricerca predetta per il diagramma della Fig. 7. Il tempo du- rante il quale ha luogo lo scarico, che corrisponde a un mezzo giro dell'albero motore, trattandosi di un cassetto con rico- primenti irulit nulli, fu frazionato in intervalli uguali cia» scuno ad 7; -—- dell’intera rivoluzione; e pei punti dividenti sì trac- ciarono do Da pigli una delle quali, la u, corrisponde al punto morto della manovella, e divide la fase di anticipazione Xu da quella di scarico uz. Per 12 di queste verticali, scelte più vi- cine nei tratti in cui la funzione y passa per i suoi valori mas- simi, e indicate con numeri progressivi sull’asse delle ascisse, si calcolarono con apposite tabelle i valori delle y, prendendo come unità il m. il Kg. e la caloria, e facendo, in mancanza di dati sperimentali, un'ipotesi sui valori simultanei della pressione nel receiver. Le % si portarono come ordinate (dopo averle moltiplicate per 1000) nella scala di 4®" per unità, deducendo così la curva i cui punti forniti dal calcolo sono segnati con circoletti, e le cui ordinate correnti indicheremo con Y. L'equazione (8) diventa: A AM, : — 2000 Vi Vi lx == YVadr, lume V, in vece del tempo. Ciò si potrebbe fare ricorrendo alla seguente espressione che lega il volume V, all'angolo W formato dalla manovella motrice con una delle posizioni dei punti morti (nell'ipotesi che sia trascu- rabile l’obliquità della biella) e al volume totale Vp generato dallo stantuffo Vi = Vp [1 + 2my > E cosw] 3 e deducendone la derivata rispetto al tempo dvi — Tin | regina giT De vo y(14+2m da) r, —.my( Ares; che permette di eliminare il tempo nel secondo membro della (8). Ma in tal caso la funzione da integrarsi diventerebbe co fra i limiti di integra- Di zione, e precisamente al termine della corsa, cioè per —--==1+wm. È fa- cile dimostrare che l’integrale avrebbe tuttavia un > dei finito, come del resto il significato fisico dell'equazione ci assicura; ma, dovendosi procedere per via grafica, questo fatto costituirebbe un grave inconveniente, poichè oc- correrebbe valutare l’area di un tratto di curva, che ha in un punto l’ordi- nata infinitamente grande, pur racchiudendo area finita. CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE COMPOUND 695 e, integrando dal principio dello scarico, quando il peso M, vale M, + M?, fino ad un istante qualunque T, si ha: O 20004 7. vanta vami=va [var Nell’eseguire l’integrazione grafica indicata nel secondo membro conviene prendere come distanza polare un segmento, che misuri la quantità H = 2000 1 V, in una scala conve- nientemente scelta. Ora nelle costruzioni premesse si è già fissata: 1° la scala dei tempi; nella Fig. 8, data la velocità an- golare di 111 giri al l'e la lunghezza del segmento XE che rap- presenta la durata di una mezza rivoluzione, si ha 1'' = 355,2"; 2° la scala delle y, le cui dimensioni, come si deduce dalla 1 loro espressione analitica, sono (m.) (caloria), e per le quali, nell'esempio numerico, l’unità si rappresentò con 4". Vglendo quindi che le ordinate 2 della linea integrale che si cerca, e che esprimono (Kg), sl leggano per esempio nella scala di 200%" per unità, si dovrà portare la distanza polare H, le' cui’ dimensioni: sono 11" X (1m.}® X (caloria)? X (Kg), nella 355,2 X 4 200 Così appunto fu fatto. In tanto, in virtù della (9), sappiamo che l’ordinata estrema Z della curva integrale misura scala di mm. = 7,104 per ogni unità. VU +M° — VM, Va \ quindi, essendo noto in seguito alle ricerche enumerate a pag. 15 il valore del numeratore di detta frazione, si ricaverà subito il coefficiente a, che è uno degli scopi della presente ricerca. Nel- l'esempio svolto, supposto il titolo finale dell'espansione 0,70 e quello al principio della compressione 0,90, si dedusse a=0, 887, che esprime il valor medio del rapporto fra il titolo del peso totale. di vapore contenuto nel cilindro e quello del vapore che sì dirigo all’efflusso. Tl numero qui ottenuto non ha alcuna i im- Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 46 696 MODESTO PANETTI portanza, essendo il risultato di ipotesi, rese necessarie dalla mancanza di dati sperimentali. Lo si è citato al solo scopo di far notare che non si potrà sempre assumere questo valore medio come valore costante del rapporto anzidetto, senza cadere, come qui, nell’assurdo che il titolo del vapore che prende parte al- l’efflusso riesca, verso la fine dello scarico, superiore all’unità. Per evitare questo inconveniente basterà decomporre l’intera fase in due periodi, uno assai breve verso il termine, in cui sì potrà supporre a= 1, mentre per l’altro verrà determinato il valore di a in modo che sia soddisfatta la (9). Premessi questi calcoli, sarà nota la scala in cui bisogna leggere le ordinate della curva 2 per dedurre in ogni istante il valore di Y M,+M? — VM;; quindi, rammentando l’espres- sione dell’ordinata estrema Z, si ha: ZA VM VM cioè le ordinate della. curva 2, contate a partire dall’orizzontale passante pel suo punto estremo, permettono di valutare facil- mente i corrispondenti valori del peso M,, essendo noto il peso di vapore Mî? compresso nello spazio nocivo. La curva punteg- giata della Fig. 8 è il risultato di questa ricerca. Da. essa, col noto procedimento grafico per tracciare il diagramma derivato, si potrà dedurre la linea delle portate P,. Sulla conoscenza dei valori di M, e P, si fonda il metodo di risoluzione del problema che ci siamo proposti. 9. Calcolo del calore Q'", restituito durante lo scarico. — Nelle locomotive sarebbe difficilissimo calcolare Q,", dedu- cendolo per differenza fra la quantità nota 0," + Qi e il ca- lore Qi disperso all’esterno; che, sull'esempio dell’Hirn, si valuta sperimentalmente nelle macchine fisse. In vero, allo scopo di mantenere i cilindri nelle condizioni di ventilazione, in cui essi si trovano effettivamente durante la marcia, e conservare al tempo stesso gli stantuffi immobili, come è richiesto, bisogne- rebbe creare intorno alla macchina ferma una corrente d’aria artificiale; oppure, tolti alla locomotiva i meccanismi propellenti, pur conservando la caldaia in pressione, trascinarla colla velo- cità di regime per un certo tratto di via, per dedurre dal peso CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE COMPOUND 697 di vapore condensatosi nei cilindri, il coefficiente di trasmissione per ciascuno di essi. Esperienze di questa specie non furono ancor fatte. Solo l’ing. Nadal, discutendo i risultati ottenuti da See sul raffred- damento di tubi contenenti vapore e lambiti all’esterno da aria a velocità diverse, costruì delle tavole grafiche (*) per dedurre il coefficiente di trasmissione in funzione del diametro del tubo e della velocità dell’aria. Ma l’applicazione al caso che ci in- teressa non merita troppa fiducia, avendo il See sperimentato su tubi di diametro assai piccolo. "Essa potrà servire al più come controllo del seguente me- todo, che il calcolo svolto nel precedente paragrafo ha reso possibile. Si applichi in un istante qualunque dello scarico, essendo M, il peso residuo di vapore a pressione p, contenuto nel cilindro, l'equazione di Mayer: dl Mdq, H- M;d(p101) + ApyMdv, . L’ultimo termine, in virtù della relazione V, = My, si può porre sotto la forma: ApyVi x, dM,. Ap,d Vi Poe Inoltre, data la piccolezza delle variazioni di temperatura, si può sostituire a dg, = cd7,, essendo e il calore specifico medio del liquido nell’intervallo considerato. Fatte queste sostituzioni si integri per tutta la durata dello scarico da C in E' (Fig. 2), ricorrendo al procedimento di inte- grazione per parti; allo scopo di raggruppare gli integrali, che non si possono eseguire analiticamente, in un termine unico, sul quale si dovrà operare per via grafica. Il risultato delle tras- formazioni è il seguente: E 4 , = [ (T+% (pit+A4p)| Par + (Vip) — (Vip)? — c[((M +M)Tf -MT?]}+L. (*) £ Annales des Mines ,, 1894, 7° fascicolo. 698 MODESTO PANETTI Nel dedurlo si tenne presente che Lu = ; "agg ac CHE e cogli apici E' e Cl" si intese di rappresentare i yalori delle | grandezze considerate in corrispondenza degli estremi dell’inter- vallo. L poi indica l'equivalente termico del layoro esterno com- piuto nella fase di scarico, il quale risulta di una parte positiva fatta nel periodo di anticipazione e di una negativa nella corsa di ritorno, che si ricavano immediatamente dal diagramma. La prima quadratura si farà costruendo la curya integrale” del diagramma, di ascisse proporzionali ai tempi e di ordinate uguali a: Ise Bit Teorie Api) P iù 1: mM Pi 2) | l; che si calcoleranno immediatamente, essendo tutti i termini del- l’espressione noti, anzi già registrati nella tabella che servì a costruire i diagrammi dei pesi M, e delle portate P,. 10. Calcolo del peso di vapore contenuto nel receiver, e della quantità di calore che gli è trasmessa dalle pa- reti. — Sia Mx il peso di vapore contenuto‘in un dato istante nel receiver, sia xx il suo titolo. Nel tempo dt che segue giun- gerà .dal cilindro piccolo un peso di vapore P.dt, che è già disceso alla pressione del nuovo ambiente ed ha un titolo x," deducibile dal corrispondente valore x’, della (7), applicando all’intermediario che passa.da una capacità all’altra, il pringipio della conservazione dell'energia totale. Incominciamo dal supporre che il receiver sia di sezione abbastanza ampia, per modo che riesca assai piccola la differenza di pressione fra le sue estremità. Allora il peso P,dt si mescolerà col peso Mr, mentre dalle pareti verrà ceduta una quantità di calore udt, se u è il calore trasmesso nell'unità di tempo, che, data la piccolezza delle va- riazioni dello stato fisico del vapore nell’interno del receiver, sì può ritenere costante. Separiamo nel calcolo i due fenomeni per poterli valutare più facilmente. Per effetto della mescolanza dei due pesi di va- CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE comPounDp 699 pore Mx con titolo cr e Pidt con titolo x", che supponiamo abbiano ugual pressione e siano sottratti ad ogni azione, ter- mica esterna, il titolo sopporta un primo incremento d'er= PSE di. In seguito avrà luogo la comunicazione della quantità di calore udt, mentre il peso di vapore contenuto nel receiver su- bisce una variazione di volume specifico dv dovuta all’incre- mento dMr, che risulta dall’arrivo e dall’uscita simultanea di nuovo vapore dall’A.P. e verso la B.P.; quindi in virtù del prin- cipio di Mayer: (10) udt = Mxdgr + Mrd(prer) + AMrprdvr : Facendo le stesse trasformazioni del caso precedente, pos- siamo porre: dgr = caTn Mrdin = #7 dMa, e dedurre poi dalla (10) il secondo incremento del titolo «7 d Vh yn ua de ee don} Arda. MRPR PR MR PR fin? > Per VrYR x Ma ii Cosicchè, siccome er = Mi ® il volume del receiver Vr è invariabile, l'equazione differenziale del fenomeno è: donde, sostituendo nel primo membro i valori trovati, ed ordi- nando i termini, con facili trasformazioni si ottiene: dr dpà dMR u+ Apre; Pidt 11 nia IRE OI A STARE E SOIN DO ( ) YR I PR MR VRPRYIR Mr ui Trt pRMRYR dMr. Proponiamoci «di integrare la precedente equazione per la durata di mezzo giro di manovella, a cui, come abbiamo sup- 700 MODESTO PANETTI posto, corrisponde il periodo, e scegliamo per comodità la mezza rotazione, durante la quale ha luogo lo scarico. Il valore finale del peso di vapore contenuto nel receiver, e le coordinate del suo stato fisico, saranno quindi uguali ai valori iniziali; . dunque gli integrali definiti dei tre termini del primo membro sono nulli. Non si può dire altrettanto degli ultimi due termini del secondo membro; poichè, variando il tempo nella durata del periodo, Mr non riprende di necessità un medesimo valore, ogni qual volta Tr, e quindi pr, Yr e pr, ripassano per un va- lore già assunto. Però allo scopo di risolvere, sia pure appros- simativamente l’ equazione, si rammenti quanto è già stato detto, che le variazioni delle grandezze enumerate devono es- sere assai piccole, e che quindi non può condurre ad un errore troppo grave il supporre verificata la condizione predetta, come sì potrà accertare in ogni caso speciale. In tale ipotesi l’equa- zione (11) integrata diventa: port dr ia i 7A E P,dt (12) VR È: an Vr [ P,îtdr=|. MR Le prime due quadrature si possono eseguire col metodo grafico più volte descritto, ma l’ultima non si può risolvere che per approssimazione, sostituendo ad Mr incognita il suo valore medio. Anche qui l'errore non è grave per le ragioni dette. Il peso di vapore contenuto nel receiver raggiungerà il suo valor minimo -M°x alla fine dell’ introduzione in una delle camere della B.P.; a partire da questo istante andrà crescendo pel fatto che dall’A.P. giunge vapore di scarico, senza che simul- taneamente ne esca dell’altro, cosicchè, nell'istante in cui sta per aprirsi l’altra camera della B.P., detto peso sarà aumentato della quantità M," trasportatavi dal cilindro piccolo, e fornita dal diagramma dei valori M, costruito nella Fig. 8. M%k+M!' sarà dunque verosimilmente il massimo valore I ti de M;' di Mr. Potremo quindi assumere come valor medio Mk+ e risolvere l’equazione (12), ottenendo: "E E TÀ (13) 2a cina | Pl VR }C PRYR C : ® 2 CICLO TEORICO E CICLO PRATICO DELLE LOCOMOTIVE COMPOUND 701 Dedotta così una prima equazione fra le due incognite u ed M°, si integri una seconda volta l'equazione (11) nell’inter- vallo che decorre dalla fine dell’introduzione in una camera della B.P. al principio dell’anticipazione nell’altra. In questo periodo detta equazione è assolutamente rigorosa qualunque sieno le dimensioni del receiver, poichè, essendo in- tercettato il passaggio al cilindro grande, la velocità del vapore che efflnisce dal cilindro piccolo deve spegnersi per intero. Al- lora, controsegnando cogli apici " " ed" i valori corrispondenti ai limiti inferiore e superiore di integrazione, ed i valori in- termedî introdotti per eseguire le quadrature per approssima- zione, e sopprimendo per semplicità di scrittura gli indici È, si ha: f M° A m Yp" DT! a-24 T" M, LAN log alii dr tc Eli di) 08 ? M° + M, per Yp c Vp"{” sa 92 ia 1 ("ut Pipa; i polari come è facile dedurre, se si tiene presente che in questa fase Pdt = dMr. Il valore dell'ultimo integrale si ricava subito dalle opera- zioni grafiche fatte per eseguire i primi due integrali della (13); si hanno così due equazioni fra le incognite M% e u, che per- mettono di dedurle col metodo dei tentativi ripetuti. Se, in vece, come accadrà nelle locomotive costruite con receiver molto lunghi e di piccola sezione trasversale, la pres- sione all’estremità comunicante col cilindro piccolo presenta una notevole differenza da quella che si verifica all’attacco del ci- lindro grande, la (13) non è più applicabile. Bisognerà quindi determinare sperimentalmente il calore u ceduto nell’ unità di tempo dalle pareti del receiver al vapore, il che deve riuscire abbastanza semplice nei tipi con receiver interamente racchiuso nella camera a fumo. Noto u e quindi Q= Sh, ove n è il numero dei giri dell'asse motore al minuto primo, si dedurrà dai risultati del N° 7 il calore Q', sottratto al vapore di introduzione nel ci- lindro grande. Per conoscere poi come si suddivida detto calore nei due tempi in cui avviene l’introduzione, si ricavi dal valor medio di Mx, di cui trovammo l’espressione approssimata, il 702 MODESTO PANETTI — CICLO TEORICO E CICLO PRATICO, ECC. titolo medio nel receiver, col quale sì Ta speditamente il cal- colo dell’efflusso al cilindro grande, determinando come si ripar- tisce il peso totale .M, di vapore nei due tempi in cui avviene l'introduzione, e valutando in conseguenza l’entità delle conden- sazioni per ciascuno di essi. L'importanza di questa ricerca e le conclusioni pratiche, che essa permette . di dedurre relativamente all’ efficacia dei ri- medi enumerati nella discussione preliminare, non possono risul- tare che da un applicazione numerica del procedimento discusso ad un caso reale studiato con apposite esperienze. Chi scrive sì propone quindi di valersi delle prove che la Società delle Ferrovie del Mediterraneo sta intraprendendo sulle sue loco- motive compound, per presentare sulla traccia di questa analisi uno studio sperimentale, dal quale intanto riuscirà certo meglio chiarita l'influenza dei singoli elementi, che concorrono a pro- durre la caduta di pressione del vapore nel passaggio dall'uno all’altro cilindro. Atti R.Accad.delle Se.di Torino- Vol XXXVII. M.P. str'0= i PA (7) (2) ERA >: N EZA MP E Su! z Su x sp: ES SS "i CS 9 3 UAN S; DS Moss x ' NS = i SÒ 9 vr v' SN e Do]. p Ò--X ® bA A si ù O — — — 1 N N z das SE è % 3 n = S06a. Lo e) e RI — Rx » i M.PANETTI- Ciclo teorico e K2 FO EZ4 12 Locomotiva sperimentata MW°3075 Dali A my= 0,14 Velocita di marcia IE ira DENZA 170,=0,06 Mi giri alt 1 LARA ALDO FABRIS — SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI, ECC. 703 Sulla patogenesi degli uneurismi dell'aorta (aortite gommosa). Osservazioni del Dott. ALDO FABRIS 1° Assistente di Anatomia patologica in Torino. (Con una Tavola). Esistono nel campo delle affezioni arteriose che accompa- gnano la sifilide costituzionale, parecchie controversie fra le osservazioni dei singoli autori. In generale alcuni avvicinano le alterazioni sifilitiche delle arterie alle forme comuni della arterio-sclerosi, mentre altri ten- dono a considerare il quadro macro e microscopico delle altera- zioni vasali sifilitiche come qualche cosa di nettamente specifico. Se il problema della specificità tende per il consenso di buon numero di ricercatori a risolversi in quest’ultimo senso, vi sono però delle aitre questioni, d’indole più particolare, ma non meno importanti scientificamente, su cui non esiste una uniformità di opinioni e dei dati generali applicabili ad ogni singolo caso. Intendo con ciò riferirmi in primo luogo al quesito che riguarda la determinazione del punto di origine dell’affezione sifilitica nelle diverse tonache arteriose. È ammesso, cioè, da ta- luni che il processo incominci dall’ intima (opinione primiera- mente sostenuta da Heubner) e che di qua si estenda successiva- mente alla media ed all’avventizia. Altri invece ammettono che l’affezione sifilitica nelle sue fasi iniziali abbia sede esclusiva- mente nella tonaca esterna e che si estenda poi secondariamente all’intima, con compartecipazione più o meno accentuata della media (Baumgarten, Koòster, I. Nagano). Infine, come mezzo di conciliazione fra queste due opposte maniere di vedere, è stato supposto (Rumpf, Orlowsky, Backhaus) che la sede primitiva della alterazione si trovi nella tonaca media, da. dove poi il pro- cesso potrebbe dirigersi prevalentemente o verso l’ intima o verso l’avventizia. 704 ALDO FABRIS Un'altra questione di non poca importanza è data dalla determinazione della qualità della alterazione specifica, se cioè essa corrisponda più ad un processo di natura irritativa che di natura gommosa, e quale la relativa frequenza delle due forme a seconda della qualità e grandezza del vaso. Secondo Virchow in generale le alterazioni sifilitiche delle arterie sarebbero il risultato di un processo di natura irritativa, come lo fa supporre la tendenza alla sclerosi e non al rammolli- mento ed alla caseosi. L’arterite fibrosa sclerosante di Virchow cor- risponderebbe alla forma irritativa della sifilide. Ma per quanto sì possa ammettere che cotesto processo terminale non sia che l'esito ultimo di una infiltrazione semplicemente irritativa della parete vascolare, non si può escludere che nelle fasi iniziali ed intermedie, il processo possa presentare i caratteri della infiltra- zione gommosa. I reperti riscontrati qua e colà (Heubner, Rumpf, Rasch) di piccoli noduli grigio-giallastri simili a tubercoli, spe- cialmente nell’avventizia ma però anche nella media e nell’in- tima, depongono in favore di parziali degenerazioni gommose delle pareti vascolari. Pure volendo concedere il predominio alla forma irritativa della sifilide vascolare, bisogna ammettere che esistono anche delle forme miste con neoformazioni gommose. Un altro problema importante, di cui ci occuperemo più spe- cialmente nel presente studio, è dato dal rapporto causale am- messo fra le affezioni sifilitiche delle arterie e certe conseguenze che ne derivano. È oramai generalmente ammesso lo stretto rap- porto etiologico esistente fra la sifilide costituzionale e la for- mazione dell’aneurisma dei grossi vasi ed in modo particolare dell’ aorta. Oggidì non si può più supporre che soltanto le piccole arterie, e con predilezione le arterie del sistema nervoso centrale, sieno soggette ad alterazioni sifilitiche, e che ne sieno rispettati i grossi tronchi arteriosi. Se la grande frequenza con cui si può dimostrare la sifilide nei casi di aneurisma dell’aorta (Malmstend S0 °/,) può far escludere una pura coincidenza di fatti, non tutti gli autori sono d’accordo nell’ interpretazione del modo di svolgersi e della natura istopatologica della lesione arteriosa, che conduce alla formazione dell’aneurisma. In generale l’anatomia patologica inclinò sempre a non ammettere una aortite sifilitica a sè ed ancora in questi ultimi tempi è prevalso, come osservò Heller (“ Verh. der deutsch. path. SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 705 Gesell. ,, 1900), il concetto, che gli aneurismi non siano se non una conseguenza della comune endoarterite cronica. Infatti pa- recchi autori considerano la sifilide come causa dell’ aneurisma dell'aorta solo in quanto trovano nella medesima un momento predisponente alla endoarterite cronica, che poi secondariamente diventerebbe la vera causa diretta dell’aneurisma. Questa sup- posizione viene avvalorata dal fatto, che negli individui giovani (nella cui aorta per lo più non si trovano traccie di endoarte- rite cronica) affetti da sifilide costituzionale, si trovano nella loro aorta alterazioni aventi analogia con la endoarterite cronica della età senile. Ma a parte le note anatomiche differenziali macro e microscopiche, che contraddistinguono cotesta aortite della età giovane e media ne’ soggetti sifilitici dalla endoaor- tite cronica ateromatosa, vi sono altri fatti contraddittorî. In vero esistono dei casi in cui la endoarterite cronica è assai mo- derata e nondimeno ci troviamo in presenza di un aneurisma. In altri casi invece, ed è un fatto abbastanza comune ad osser- varsi, si rinvengono, in soggetti per lo più di età avanzata, delle gravissime ed estese alterazioni della parete arteriosa, senza che vi sia il più piccolo accenno alla formazione di aneurisma. Così che il voler assegnare una parte principalissima nella patogenesi degli aneurismi aortici alla endoarterite cronica pri- mitiva, non corrisponde ai risultati delle comuni osservazioni anatomiche. Il quadro datoci primieramente da Dohle (“ Dissert. , Kiel, 1885) per la sifilide aortica tende a spiegare l'insorgenza degli aneurismi nei sifilitici e quindi la patogenesi della gran parte degli aneurismi. Altri autori in seguito descrissero dei fatti ana- loghi, il che fa supporre che sebbene le interpretazioni fossero state differenti, si fosse però sostanzialmente trattato del me- desimo processo morboso. Già Késter (1) aveva riconosciuto l’in- sufficienza della dottrina che interpretava l’origine degli aneu- rismi come una conseguenza dell’arterio-sclerosi e dell’ateroma ed aveva dimostrato nella tonaca media la presenza di numerosi e piccoli focolai, che definì come focolai infiammatorî con proli- ferazione connettiva. (1) Ueber Entstehung der spontanen Aneurysmen und die kronische Mesar- teriitis, “ Sitzsb. d. Ges. f. Natur und Heilkunde in Bonn ,, 1875). 706 ALDO FABRIS Tale infiltrazione che incomincia dall’avventizia, si esten- derebbe lungo i vasa vasorum alla tonaca media, arrivando talora sino all’intima. Le alterazioni della media sarebbero causa della formazione dell’aneurisma. In sostanza dalla descrizione dataci da Koster si rileva RI tarsi di un processo patologico speciale, avente sede prevalen- temente nella tonaca media e che non ha quindi un rapporto intimo con la comune endoarterite cronica. Kéòster però non determinò il carattere specifico della lesione, così che gli sfuggì il rapporto etiologico con la sifilide costituzionale. Le osserva- zioni di Koster e della sua scuola (Kraft, “ Ueber die Entste- hung der wahren Aneurysmen LI », Bonn, 1877) servirono ad ogni modo di fondamento alla dottrina infiammatoria circa la patogenesi degli aneurismi. Il lavoro di Malmstend (Stockholm, 1888) sulle malattie dell’ aorta e sulla formazione degli aneurismi porta dei reperti molto simili & quelli descritti da Dohle. Sopra un assai ricco materiale di osservazione egli pote dimostrare la sifilide nell'80 °; 9/0 dei casi di aneurisma. Negli aneurismi sviluppatisi in bp. con sifilide costituzionale, trovò modificate specialmente la media e l’intima. L’intima era ispessita, e nella media riscontrò spe- cialmente intorno ai vasa vasorum una notevole iperplasia con- nettiva e qua e là degli abbondanti accumuli cellulari. Malmstend dal risultato delle sue osservazioni non venne tuttavia alla ‘conclusione, che si fosse trattato di alterazioni carat- teristiche della sifilide. Però l’aver egli definito tali alterazioni con il nome di forme sclero-gommose e l’aver fatto risaltare la differenza loro con la degenerazione senile delle arterie, fa pen- sare che cotesto autore avesse supposto il nesso etiologico intimo con la sifilide. Va ricordato inoltre il lavoro di Puppe (1) che trovò in aorte appartenenti a sifilitici forte infiltrazione dei vasa va- sorum, con focolai di tessuto di granulazione e cicatriziale nella tonaca media. In qualche punto la media non presentava colo- razione nucleare ed in queste parti assumeva come un aspetto necrotico. Puppe suppose che l'alterazione primitiva avesse sede (1) “ Deutsche med. Woch. ,, 1894, di rn SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 707 nella avventizia e nella media e che solo secondariamente com- partecipasse l’intima con parziale proliferazione ed ispessimento. Backhaus (1) considerando criticamente i risultati dei lavori che precedettero la sua pubblicazione, è venuto nel convinci- mento che fondamentalmente le osseryazioni degli autori sieno ‘ concordi per quanto riguarda le alterazioni dell'aorta, che nei sifilitici conducono all’ aneurisma. La lesione aortica prima di tutto sarebbe di natura infiammatoria, in secondo luogo avrebbe la sua sede prevalente nella tonaca mediana con moderata par- tecipazione dell’avventizia. Da questi processi solo secondaria- mente si manifesterebbero alterazioni dell’intima, le ‘quali non avrebbero nulla di comune con la solita endoarterite cronica ateromatosa. Backhaus ammette che quest’ultima forma possa in taluni casi associarsi alla flogosi sifilitica e dare dei processi misti. Ma poichè il quadro patologico dianzi accennato è stato riscontrato solo nei sifilitici e decorrendo l'infiammazione ana- logamente ad alcune forme di sifilide, egli condivide l’opinione di Doòhle, che dichiarò cotesta infiammazione della media come caratteristica della sifilide. Dalle sue osservazioni personali B. so- stiene, che la diversità di situazione e di estensione del processo, come le varianti istologiche che esistono nei singoli casi, oscil- lino in limiti abbastanza ristretti così da non menomare ciò che nel processo vi ha di caratteristico. Tali diversità di reperto possono rappresentare i varî stadi in cui si trova l’alterazione specifica. B. determina macroscopicamente il quadro morboso nella maniera seguente. Sulla superficie interna dell'aorta, spe- cialmente sulla porzione ascendente, compaiono delle solcature e delle retrazioni; per l’unione di parecchie insieme può for- marsi una specie di infossamento, che prendendo una certa estensione in un dato punto, rende possibile che in quel posto venga a formarsi una ectasia circoscritta della: parete aortica. L’intima spesso è liscia, senza traccia di ispessimenti, degene- razione grassa, rammollimenti e calcificazione. Per quanto riguarda le alterazioni microscopiche B. ammette, che sotto lo stimolo del virus sifilitico insorgano da prima delle (1) Ueber Mesarteriitis syphilitica und deren Beziehung zur Aneurysmen- bildung der Aorta, “ Ziegler's Beitriige ,, Bd. XXII, 1897. 708 ALDO FABRIS proliferazioni nella parete dei vasa vasorum, che possono con- durre alla loro obliterazione, sebbene anche nelle ultime fasi del processo si trovino dei vasi con lume pervio quantunque ristretto. Per questa alterazione vascolare devono insorgere dei disordini nutritivi nella parete aortica, aventi per conse- guenza una più o meno intensa necrosi dei tessuti. Nelle parti necrotiche emigrano dei leucociti, che unitamente agli elementi fissi proliferati, vengono a formare delle piccole infiltrazioni cir- coscritte, le quali possono venir considerate come minuscole neo- formazioni @ommose. Dopo un certo tempo l’infiltrato si trasforma in un tessuto di granulazione, da cui si origina del connettivo, da prima ricco di nuclei, dei quali viene successivamente im- poverendosi. In alcuni punti notò la mortificazione e la scomposizione delle parti centrali dell’infiltrazione, fatto a cui B. annette una grande importanza, quale comprova della natura luetica della malattia. Quando nelle fasi ulteriori succedono nel connettivo dei processi di sclerosi, viene a determinarsi una trazione sulle parti vicine della media ancora abbastanza integre e ne risul- tano degli infossamenti già accennati nel reperto macroscopico. B. dai risultati delle sue ricerche viene alla conclusione, che nell’aorta esiste una infiammazione della media, rappresen- tata da infiltrazioni parvicellulari circoscritte, che poi si trasfor- mano in un connettivo scarsamente provvisto di nuclei. La par- tecipazione dell’intima è secondaria e consiste in un ispessimento parziale autoctono o pure viene ad essere invasa successivamente dal tessuto cicatriziale della media. L’avventizia presenta pure qua e là delle infiltrazioni parvicellulari con neoformazione connettiva che non ha però tendenza alla sclerosi. Poichè tale processo patologico dell’aorta è stato osservato solo in persone sifilitiche e poichè nelle sue manifestazioni e nel suo decorso ha grande analogia con certe forme di flogosi luetica, B. ritiene lo si debba considerare come una nuova forma di infiamma- zione specifica sifilitica. Date le alterazioni da questa prodotte e la facile concomitanza degli aneurismi aortici, è assai proba- bile che essa sia la causa efficiente degli aneurismi aortici nei sifilitici. Non ostante le pregevoli osservazioni che abbiamo citato, ancor oggi è discussa l’influenza diretta specifica della sifilide SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 709 sulla genesi dell’aneurisma aortico. L'azione sua indiretta può essere messa in dubbio assai più difficilmente, poichè tutte le statistiche dànno una percentuale assai grande di aneurisma con infezione sifilitica accertata. Tuttavia Virchow (1) in una seduta della società medica di Berlino asserì che gli aneurismi non hanno nulla a che fare con la sifilide, come la tabe e la paralisi generale progressiva. I. Nagano (2) in un recente lavoro ese- guito nell'Istituto patologico di Berlino giunge alla conclusione che l'ipotesi, assegnante alla sifilide una parte importante nella etiologia dell’aneurisma, non è sufficientemente giustificata dalle alterazioni che si trovano nelle arterie veramente affette da sifilide. Senza entrare nel merito delle diverse dottrine che cercano di spiegare la patogenesi degli aneurismi, e senza menomare il valore dei dati statistici e delle diligenti osservazioni cliniche anche nel rapporto etiologico fra aneurisma e sifilide, conviene ammettere che solo la ricerca istologica ed anatomo-patologica possono fornirci la prova sicura della patogenesi e la possibile determinazione del momento etiologico che ne è stato l'efficiente diretto. Al fine di portare un contributo anatomico su questa im- portante e discussa questione, ho creduto utile di occuparmi dello studio di alcuni casi di aneurisma aortico in individui sifi- litici e con alterazioni aortiche simili a quelle descritte dagli autori citati, come caratteristiche per la sifilide. Il materiale, cortesemente cedutomi dal Prof. Foà, fu raccolto nel presente anno scolastico, essendosi avverata la rara combinazione di se- zionare ed osservare diversi di tali casi in un periodo di tempo relativamente breve. Caso I. — B. Giuseppe, d’anni 42, contadino, celibe. — L’autopsia fu eseguita il 24 novembre nell'Istituto di Anatomia pat. di Torino. Diagnosi clinica. — Aneurisma dell'aorta? Mediastinite ? Reperto anatomico. — Congestione della sostanza cerebrale. Cuore di volume normale senza lesioni alle valvole ed orifizîi. Due aneurismi sacciformi dell’arco aortico di cui uno perforato e comunicante col cavo (1) £ Lang e Ullmann in Lubarsch Ergebnisse ,, 1900. (2) I. Nagano, Die syphilitische Erkrankung der Gehirnarterien, “ Vir- chow’s Arch. ,, Bd. 164, 1901. 710 ALDO FABRIS tracheale. L’aorta ascendente e l’arco aortico sono sede di un processo cronico, produttivo, che ha dato un irregolare ispessimento della parete; qualche limitatissima placca di degenerazione grassa sull’intima. Nel- l’aorta discendente non si trovano alterazioni di rilievo. Grumi di sangue in trachea, aspirazione di sangue nel parenchima polmonare che del resto non presenta alterazioni. Leggera congestione della milza e dei reni. Nulla di noteyole negli altri organi. L’aorta ascendente e l’arco aortico si trovano in totalità ispessiti e lesgermente dilatati. Un tale ispessimento si estende pure per un bre- vissimo tratto ai grossi tronchi arteriosi che si distaccano dall’arco. L’intima dell’aorta è di un colorito grigio opaco, solo in qualche punto circoscrittissimo notansi delle chiazzature giallastre. La superficie del- l’intima non è liscia, ma formata da rilevatezze assai irregolari, pianeg- gianti, intercalate da solcature non molto profonde. Tali rilevatezze spie- cano maggiormente per il colorito loro più intensamente bianco- grigiastro, e la loro consistenza è notevole. Non si trovano segni di calcificazione e di usura anche superficiale in tutta questa zona di aortite. Una dilatazione aneurismatica sacciforme ha sede sull’arco aortico ed è della grandezza di un piccolo uovo; un’ altra dilatazione pure sac- ciforme ma di minor dimensione trovasi sull’aorta ascendente nella sua porzione anteriore. A parte la diversa grandezza, le due dilatazioni aneu- rismatiche di questa aorta hanno gli identici caratteri macroscopici. La estroflessione del vaso comincia cioè in una maniera brusca e l'ingresso nella sacca dell’aneurisma viene come ad essere limitato da un cercine robusto circolare formato in toto dalla parete aortica in quel punto ancora maggiormente spessa. Le pareti del sacco sono invece assottigliate, fibrose e ricoperte da masse trombotiche abbastanza facilmente rimovi- bili. Il foro d’ingresso nel sacco ha un diametro inferiore al diametro massimo del sacco, così che quest’ultimo sporge all’esterno a guisa di un diverticolo della parete aortica con il collo più ristretto. Per l’esame istologico furono raccolti dei pezzi di parete aortica lon- tani dall’aneurisma, e dei pezzi del tratto aneurismatico; questi ultimi furono raccolti in modo da poter conservare intatti il più possibile i rapporti delle diverse parti tra di loro, onde potersi fare un concetto d'insieme di tutto il processo istopatologico. La parete aortica presen- tava in tutta l'estensione del processo aortitico delle alterazioni, che hanno sede su tutte e.tre le tonache del vaso. Nell’avventizia notiamo assai spesso degli accumuli cellulari rotondeggianti, formati da elementi pic- coli con nucleo picnotico e scarsissimo protoplasma (linfociti). Tali ac- cumuli linfocitici arrivano talora fino al confine della tonaca media ed in alcuni casi s’innestano nella medesima. I vasi della tonaca avv. sono più numerosi che di regola, presentano delle pareti ispessite ed abbon- è ‘oto SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 711 danza di elementi nella loro parte periteliale. Il loro calibro è spesso ri- stretto a paragone dello spessore delle pareti, e ciò avviene anche per parziali iperplasie della tonaca intima. Nella tonaca media dell’aorta si rinvengono alterazioni molto simili a quelle descritte dagli autori citati più sopra. Le fibre elastiche si presentano meno numerose e compatte che in una aorta normale, e risaltano di conseguenza maggiormente i nuclei muscolari e connettivi. Inoltre esse si presentano in varie fasi. degenerative, che vanno dal semplice spezzettamento alla dissoluzione granulare della elastina. Talora non si trova traccia di elastica interna, talora questa si osserva come suddivisa in parecchi strati. Oltre a queste alterazioni dell'elemento elastico, risaltano nella tonaca media dei focolai di infiltrazione parvicellulare, che risultano formati da piccoli elementi rotondi simili ai linfociti. Tali focolai seguono l'andamento dei vasa vasorum e in qualche punto sembrano stare in rapporto con gli identici focolai dell’avventizia. La forma del focolaio d’infiltrazione è piuttosto irregolare, esiste tuttavia una tal quale tendenza ad assumere una forma rotondeggiante. General- mente tali focolai sono circoscritti e non portano alla distruzione della media in tutto il suo spessore. Come si può prevedere, in tali punti le fibre elastiche e muscolari della media sono completamente scomparse e nelle zone di confine si può osservare l’azione dissolvente esercitata dal focolaio flogistico sugli elementi specifici della media. La tonaca intima presentasi ispessita in tutta la sua estensione, ma tale ispessi- mento è completamente irregolare nel senso, che in alcuni punti lo spes- sore dell’intima è notevolissimo, mentre altrove presentasi assai moderato. Così è variante la quantità dei nuclei dell’intima, trovandosi delle zone in cui il connettivo di questa membrana ha un aspetto omogeneo quasi jalino con scarsissimi elementi nucleari. In generale, quantunque non come fatto costante, si osserva che l’intima è più spessa là dove le alte- razioni della media sono di maggiore rilievo. Di più grande interesse per il nostro argomento sono le alterazioni nel territorio della parte aneurismatica. I pezzi da studiare furono rac- colti in modo da poter avere nello stesso taglio microscopico ed in di- rezione trasversa una piccola parte di parete aortica ed il più possibile di sacco aneurismatico. La parete aortica, che ha l'aspetto più sopra de- scritto, giunta al confine del sacco aneurismatico subisce delle alterazioni notevolissime. Queste risaltano in modo speciale nella tonaca media, dove si ve- dono disorganizzate ed in via di distruzione le lamelle elastiche su tutto lo spessore della parete. La tonaca intima ha un aspetto necrotico, non lascia scorgere colorazione nucleare e sul suo strato più interno notasi qualche deposizione granulosa, come di massa trombotica parietale. L’av- Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 47 712 ALDO FABRIS ventizia su questo punto di confine è pure notevolmente infiltrata e l’in- filtrazione sta in rapporto con un tessuto di nuova formazione occu- pante questa zona. Tale tessuto di granulazione proviene dal connettivo periaortico e dall’avventizia dove lo troviamo bene ed abbondantemente sviluppato. Di qua esso viene ad invadere e ad occupare il posto della tonaca media ed arriva fino al limite estremo dell’intima. In tal modo viene a, distruggere ed a sostituire completamente la parete arteriosa, di cui non resta che qualche traccia sotto forma di piccole isole di sostanza elastica in evidente metamorfosi regressiva. Tali residui appaiono colorati diffusamente in blex con il metodo di Weigert, hanno un aspetto omogeneo senza la disposizione lamellare che troviamo nell’aorta normale. In altri punti troviamo qualche fibra isolata ed in via di disfacimento granulare. Il granuloma mostrasi ab- bastanza ricco di vasi, che sono evidentemente neoformati data la tenuità delle loro pareti in rapporto con il calibro talora abbastanza ampio. Abbondano per lo più gli elementi fissi con nuclei ovali ed abbondante citoplasma, qua e là si rinvengono gruppi di linfociti nonchè leueociti a nucleo polimorfo, questi ultimi però non mai in grande quantità. In tale connettivo giovane non si rinvennero che raramente degli elementi giganteschi, e qualche cellula con due o tre nuclei. Spesso i fibroblasti seguono la direzione dei vasi neoformati e formano delle spesse infiltrazioni attorno ai medesimi. In questa parte, che segna il limite del sacco con l’aorta, il connettivo neoformato è costituito pre- valentemente da elementi cellulari con poca sostanza intercellulare. Di mano in mano che ci allontaniamo da questo confine, il connettivo che sostituisce la parete aortica ha assunto un aspetto più fibroso ed in qualche punto cicatriziale. Tale processo di sclerosi non è uniforme, ma saltuario, poichè qua e là compaiono delle zone dove l'elemento cellulare è in grande preva- lenza sull’elemento fibroso. Lungo tutta la parete del sacco si trova qualche raro residuo di sostanza elastica, e blocchi di pigmento giallo che attestano l’esistenza di piccole emorragie avvenute nello spessore della parete. Il tessuto, che ha così notevolmente trasformato la parete aortica, si trova spesso in rapporto con infiltrazioni circoscritte o diffuse del tessuto periaortico, in cui oltre a processi di sclerosi sì nota la fre- quente comparsa di focolai d’infiltrazione linfocitica. Caso IL — F. Giovanni, d’anni 36, falegname, morto il 15 gennaio 1902 (Osped. S. Giovanni, divisione medica del Dott. Mercandino). — L’autopsia fu eseguita il giorno 16 gennaio. Diagnosi clinica. — Polmonite, cardiopatia, aortite. — A 15 anni soffrì di reumatismo articolare, a 23 contrasse infezione sifilitica. VE 04 PR. | SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 713 Reperto anatomico in compendio. — Nulla di notevole alle meningi ed al cervello. Leggero aumento di volume del cuore; integre la mitrale e semilunari aortiche. Endocardite recente con deposizione fibrinosa su di un cuspide della valvola tricuspidale. Scarsa essudazione fibrinosa sulle pleure viscerali. Focolai sparsi di bronco-pneumonite. Qua e là nei due polmoni si rinvengono degli infarti necrotico-emorragici con rammollimento centrale. La parte rammollita non manda alcun odore. Trombosi dell'arteria polmonare destra. La milza ha un volume doppio del normale, la polpa è assai abbondante, grigio-rosea. Nefrite parenchi- matosa acuta e piccolo ascesso obsoleto nella sostanza corticale del rene destro. Iperemia della mucosa intestinale. Angioma cavernoso del fegato. — L’aorta è in preda ad una grave infiammazione produttiva, senza de- generazione grassa e calcificazione; tale processo, che si inizia all’origine dell'aorta, viene diminuendo dall’alto al basso e cessa nella parte addo- minale. Nella porzione toracica dell’aorta esistono 4 piccoli aneurismi sacciformi, uno dei quali più voluminoso ha determinato un’ usura pro- fonda di due corpi vertebrali. Aumentati di volume ed in sclerosi jalina i gangli dell’inguine, cicatrice evidente del glande. La causa della morte in questo caso fu dovuta ad una setticoemia da stafilococeo con loca- lizzazioni sull’ endocardio del cuor destro, sulla pleura e nei polmoni. Infatti dalla milza si potè isolare lo stafilococco piogene aureo in coltura pura, e lo si riscontrò bacterioscopicamente in grande quantità negli altri visceri. — Questo fatto acutissimo per noi non ha che un’impor- tanza episodica, concentrandosi tutto il nostro interesse sull’ affezione cronica dell’aorta. Dal lato macroscopico e qualitativo l'alterazione ha la più grande analogia con l’aorta del caso dianzi descritto. Il processo aortitico si estende . per tutta l’aorta toracica e cessa abbastanza nettamente nell’aorta addo- minale. Mancano anche in questo caso le note della degenerazione grassa, del rammollimento e della calcificazione. Si notano ancora più evidenti che nella aortite precedente le solcature esistenti fra i sollevamenti fi- brosi dell’intima; tali rientramenti lineari hanno una direzione in pre- valenza longitudinale. Pure le sacche aneurismatiche hanno gli identici caratteri macero- scopici degli aneurismi del primo caso. Hanno sede in diversi punti dell’aorta, due di essi nella parte alta dell’aorta toracica, due altri verso il basso. Tutti presentano una forma saccata, il più piccolo ha la gran- dezza di una noce, il più voluminoso quella di un uovo di gallina, Quest'ultimo è quello che si trova più in basso al limite fra aorta to- racica e addominale. Esso ha dato una notevole usura dei due corpi vertebrali corrispondenti, avendo sede sulla parte posteriore del vaso. 714 ALDO FABRIS La parete posteriore del sacco era abbastanza tenacemente aderente alla colonna ed ai tessuti #icini. A proposito di questo fatto Rasch (1) am- mette, che le usure del periostio e dell’osso, come pure le aderenze con parti vicine e le ulcerazioni e perforazioni in altri organi, p. es. in tra- chea, sieno una prova della natura luetica del processo che ha cagionato l’aneurisma. Infatti egli crede più ragionevole interpretare tali fatti come una conseguenza di una propagazione del processo sifilitico a quelle parti, anzi che ritenerli come l’espressione di una semplice usura mec- canica da compressione. In questo secondo caso era assai evidente una infiltrazione infiam- matoria, che aveva sede prevalente nel tessuto periarterioso arrivando fino al sacco ed ai suoi limiti con l’aorta non ectasica. Tale circostanza imponevasi specialmente nell’aneurisma più voluminoso, dove l’infiltra- zione estendevasi notevolmente nel tessuto periaortico ed in vicinanza dell’ectasia. La parte centrale dell’infiltrato trovavasi in uno stato di rammollimento, al di fuori del quale macroscopicamente spiccavano delle aree gialle, solide, rotondeggianti, di aspetto manifestamente caseoso. Interessava vedere il modo di comportarsi delle pareti arteriose e del sacco rispetto alla alterazione descritta. I pezzi furono raccolti con i eri- teri precedenti e trattati secondo le norme tecniche d’uso. Evidentemente l’infiltrazione proveniva dal connettivo periaortico sotto forma di un granuloma compatto, assai ricco di elementi cellulari e di vasi di nuova formazione. La disposizione di questi anche relativa- mente agli elementi cellulari che li circondavano accennavano ad una progressione dall’esterno verso l’interno del connettivo neoformato. In pre- valenza gli elementi cellulari, specie nella parte periferica di questo tessuto avevano l’aspetto degli elementi fissi del connettivo giovane e circondavano i vasi in denso strato, come suole avvenire nei granulomi sifilitici. Oltre a tali elementi esistevano pure, sia isolatamente, sia a cumuli, elementi linfocitici abbastanza numerosi e rari leucociti a nucleo polimorfo. Mancavano evidenti cellule gigantesche; assai rare apparivano delle forme nucleari accennanti a processi di scissione indiretta. In mezzo a questo tessuto di granulazione ed in prevalenza verso la sua parte esterna, riscontravansi dei vasi di un certo calibro obliterati per un pro- cesso di endo e perivasculite. Ad attestare la natura di tali formazioni, oltre alla disposizione caratteristica degli elementi obliteranti, residua- vano parti di fibre elastiche disposte circolarmente, sebbene in maniera interrotta. Verso la parte centrale la neoformazione presentava un ram- mollimento circondato da una zona di necrosi, dove apparivano residui (1) Rasca, Ueber die Beziehungen der Aortaaneurysmen zur Syphilis, “ Archiv f. Dermat. S. Syphilis ,, Bd. 47, 1899. ni diri n nni SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 715 di elementi cellulari con abbondante detrito granulare e fatti manifesti di cario e cromatolisi. Tutta cotesta infiltrazione, che non esiteremo a chiamarla infiltra- zione gommosa, ha cagionato nelle pareti aortiche che corrispondono all’aneurisma delle alterazioni istologiche assai gravi. Queste consistono nel fatto, che il granuloma arrivando nello spessore del vaso, determina delle alterazioni necrotiche e necrobiotiche della parete stessa. Le fibre elastiche della media come pure i suoi nuclei connettivi e muscolari tendono rapidamente a scomparire ed a cedere il posto al granuloma, che sembra avanzare dall’esterno e sostituire gli elementi specifici delle tonache vascolari. Nelle parti più alterate non residua che qualche pic- colo blocco di elastina e sui confini del sacco si possono osservare tutte le fasi regressive delle fibre elastiche. Anche l’intima in corrispondenza del sacco e nelle sue parti immediatamente vicine, presenta delle meta- morfosì regressive, con scomparsa della colorabilità dei nuclei, omoge- neizzazione completa della sostanza intercellulare, che reagisce alle so- stanze coloranti come i tessuti in necrobiosi. Trattandosi di un soggetto sindubbiamente sifilitico, la cui aorta presenta tutti i caratteri della cosidetta aortite sifilitica, appare logico ammettere che l’infiltrazione periaortica in corrispondenza degli aneurismi non rappresenti se non un granuloma sifilitico localizzato da prima nel connettivo periaortico. Da questo connettivo il tessuto di granulazione specifico si è diffuso alle pareti della aorta che ha profondamente alte- rato, e quindi ha potuto generare direttamente lo sviluppo degli aneu- rismi sacciformi che abbiamo descritto. La natura istologica stessa del granuloma depone in favore della sua specificità; così il rammolli- mento e la caseosi, l’infiltrazione attorno ai vasi, la perivasculite e l’en- dovasculite obliteranti, i cumuli linfocitici e l’aspetto alquanto fusato degli elementi connettivi sono delle note istologiche, più proprie che di altri, dei granulomi sifilitici. 1 Caso III. — B. Carlo, d’anni 33, celibe, di professione meccanico. Morì il giorno 17 aprile nella Clinica del Prof. Silva. Diagnosi clinica. — Pericardite acuta. — Dall’anamnesi risulta che a 17 anni contrasse sifilide che curò in seguito con frizioni mercuriali e ioduro di potassio. Reperto anatomico in compendio. — Area cardiaca scoperta, i margini anteriori dei due polmoni non protendono sulla linea mediana. Pericardite sierofibrimosa emorragica intensa, nessuna lesione sull’endocardio. Note- vole aortite produttiva dell'aorta ascendente e dell’arco e per breve tratto dell’aorta discendente. Il resto dell'aorta non oftre alterazioni di rilievo. 716 ALDO FABRIS ‘Sulla porzione ascendente dell’aorta verso la sua parte posteriore esiste un aneurisma sacciforme della grandezza di un uovo di gallina. Ade- renze pleuriche tenaci, moderata pleurite fibrinosa, nessuna alterazione sensibile del parenchima polmonare. Milza indifferente con follicoli lin- fatici visibili. Congestione dei reni e del fegato. Nulla di notevole ai genitali ed all’apparato digerente. L’alterazione dell’aorta per l'aspetto macroscopico presenta grande analogia con i due casi precedenti, anche riguardo all’estensione del pro- cesso, che si arresta sul principio dell’aorta toracica. La degenerazione grassa è limitatissima e circoscritta a qualche piccola chiazza insignifi- cante. Difetta qualunque precipitazione di sali di calce sia sull'intima sia nello spessore delle pareti. L’aneurisma ha sede sulla porzione poste- riore del vaso a metà circa dello spazio compreso fra i seni di Valsalva e l'arco. L'apertura che mette nella cavità aneurismatica è piuttosto ristretta ed anche in questo caso ben limitata come da cercine sollevato dovuto all’iperplasia dell’intima. La cavità del sacco ha un diametro su- periore al diametro dell’apertura, che forma la comunicazione con la ca- vità aortica, e le sue pareti sono coperte da dense e tenaci masse trom- botiche che limitano notevolmente la capacità del sacco. Miceroscopicamente l’aorta presenta una notevole identità di reperto con i due casi già descritti. L’iperplasia dell’intima è notevole; i nuelei però sono scarsi, sottili, allungati, disposti su molti piani ed il tessuto intercellulare è formato da un connettivo molto compatto, d’aspetto quasi jalino. In generale si incontra scarsissima neoformazione elastica dell’in- tima, tanto che in molti tratti non si può mettere in evidenza con le reazioni coloranti specifiche la più tenue fibrilla di elastina. Le fibre ela- stiche della media non si presentano compatte come di norma, ma di- radate e con vari segni di processi regressivi. Anche in questo caso notiamo dei focolai di infiltrazione parvicellulare della media decorrenti lungo i vasa vasorum. Questi focolai per lo più non si estendono tanto, da comprendere tutto lo spessore della tonaca media, ma restano limitati ad una parte di essa. Nei punti, sede di tale infiltrazione, l’ elemento elastico e muscolare viene ad essere disorganizzato ed a scomparire. Le infiltrazioni della media, come del resto pure nei casi precedenti, sono fatte di elementi rotondi a nucleo intensamente colorabile, con poco protoplasma e mostrano poca tendenza alla trasformazione connettiva ed alla sclerosi. Più estesi focolai di infiltrazione parvicellulare trovansi sparsi qua e là nell’avventizia e nel tessuto periavventiziale. Essi sono talora in rapporto di continuità con i focolai della media, che si dimo- strano in tal modo direttamente dipendenti da quelli. Nell’avventizia TTT. SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 717 notansi pure delle vasculiti produttive con tendenza alla obliterazione e con proliferazioni periteliali. Nel territorio dell’aneurisma troviamo delle alterazioni quasi del tutto simili a quelle riscontrate negli aneurismi dei casi già descritti, così che ne compendieremo in forma breve il reperto. Sul confine del sacco con l’aorta troviamo le tonache di questa e specie la media com- pletamente disorganizzate da un tessuto di granulazione proveniente dal- Vesterno. Tale tessuto infiltra abbondantemente i tessuti periavventiziali e l’avventizia, e nell’àmbito del sacco ha completamente invaso, distrutto e sostituito la parete aortica. Il granuloma è sufficientemente provvisto di vasi, che però dimostrano una tendenza all’occlusione per endovascu- lite, mentre all’esterno notasi un’ abbondante proliferazione di elementi circondanti il vaso. Il tessuto è ricco di elementi connettivi giovani piuttosto grandi con tendenza alla forma fusata; discretamente abbon- danti sono le figure cariocinetiche. Gli elementi linfocitici compaiono pure in discreta quantità, sparsi isolatamente nella compagine del gra- nuloma o pure spesso riuniti a cumuli di forma irregolare e talora di dimensioni abbastanza considerevoli. In ispecial modo verso la parete aortica notansi delle zone di mortificazione comprendenti tanto il tessuto di granulazione che la parete aortica invasa. Come dissi, solo sul confine del sacco si può bene osservare il processo di disintegrazione delle pa- reti aortiche da parte del tessuto neoplastico, che viene ad infiltrare le tonache arteriose mortificando e distruggendo gli elementi specifici. Lon- tano da questo punto non troviamo che pochi residui di tonaca media sotto forma di qualche bloeco compatto di elastina ; il rimanente è tutto un tessuto di sranulazione che in qualche punto mostra già la tendenza ad una trasformazione fibrosa. Per le considerazioni fatte precedente- nente è da ritenere anche nel caso presente, che il granuloma prove- niente dal connettivo periaortico ed avventiziale e che ha cagionato, me- diante la gravissima lesione della parete del vaso, l’aneurisma saeciforme, sia d’origine specifica sifilitica. Caso IV. — B. Giovanna, di anni 27, morta il 23 gennaio 1902 all’Ospe- dale di S. Giovanni (divisione medica del Dott. Pescarolo). Diagnosi clinica. — Tumore retro-peritoneale (aneurisma dell'aorta). — Dalla storia clinica risulta accertata la presenza di una infezione sifilitica. Durante la degenza all'ospedale soffrì di condilomi piatti peri- anali e perigenitali. Reperto anatomico. — Anemia delle meningi e della sostanza ce- rebrale. Miocardio consistente, di volume normale. Integre le valvole e gli orifizî. Aortite produttiva dell'arco aortico con iperplasia dell’intima 718 ALDO FABRIS e qualche piccola chiazza di degenerazione grassa. Edema acuto del pol- mone sinistro, aderenze fibrose al polmone destro. Leggero aumento di volume della milza con perisplenite cronica fibrosa, normali i rapporti fra la polpa e l'apparato di sostegno. Anemia dei reni e del fegato. Peri e parametriti croniche con aderenze e deformazione delle tube. I gangli linfatici inguinali sono aumentati di volume e presentano una consistenza assai notevole. Vasta emorragia recente retroperitoneale in corrispondenza del principio dell’aorta addominale, dovuta a rottura di una voluminosa sacca aneurismatica di forma irregolarmente cilindrica che ha determinato un’ usura da compressione sulle vertebre sottostanti. L’aorta toracica presenta lo stesso processo produttivo dell'arco, ma a zone circoscritte e non diffuso come in quella porzione. Tonsille ingros- sate con ascessi centrali. Quest’ ultimo caso si differenzia alquanto dagli altri, specialmente per le qualità macroscopiche dell’aneurisma e per la natura istologica delle alterazioni delle sue pareti. Come nei casi precedenti tuttavia si nota la tendenza nel processo aortitico di svolgersi dall’alto verso il basso. Difatti la lesione aortitica più uniforme e più diffusa la troviamo nell’aorta ascen- dente, nell’arco aortico e nella prima porzione dell’aorta toracica. Il pro- cesso aortitico si estende fino al limite superiore del sacco e per breve tratto anche in questo; nel territorio del sacco propriamente detto le pareti del vaso hanno cambiato del tutto il loro aspetto, e sono in buona parte coperte da tenaci masse trombotiche. La porzione di aorta che sta inferiormente all’aneurisma presentasi del tutto normale. Questo non è sacciforme come gli aneurismi già descritti, ha invece una configurazione irregolarmente cilindrica ed il volume di un grosso pugno. Il foro d’in- gresso nel sacco tanto superiormente che inferiormente è piuttosto ri- stretto, così che l’intima in questo punto mostrasi considerevolmente ispessita. L’aortite istologicamente ha tutti caratteri che furono già notati negli altri casi. Le alterazioni diffuse delle lamelle elastiche della media sono forse un po’ maggiormente accentuate che in quelli; nell’intima, oltre alla notevole iperplasia si nota spesso una evidente neoformazione di fibrille e lamelle elastiche. Nel territorio aneurismatico le alterazioni microscopiche cambiano sensibilmente di aspetto. L’intima non è da per tutto individualizzabile. Dove esiste presenta un notevole spessore ed ha l’aspetto di un tessuto jalino con scarsi nuclei. Altrove invece non si può distinguere una tonaca intima, e la parete del sacco coperta da coa- guli presenta un aspetto fibroso, come di connettivo denso, compatto. Esiste solo qua e là qualche piccola traccia di elastina a blocchi amorfi, come residuo evidente della tonaca media scomparsa. L’avventizia è pure SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 719 ‘notevolmente alterata, tanto che non ne rimane se non un tessuto fibroso compatto con pochi nuclei e senza elementi elastici. Essa talora confina direttamente con l’intima, quando questa è dimostrabile e non vi sia alcun residuo di tonaca media. Al posto dell’avventizia notansi ancora, sparsi irregolarmente, dei cumuli di infiltrazione parvicellulare, formati esclusivamente da linfociti. Anche più verso l’interno nel posto della media e fino nell’intima si possono ritrovare dei residui di infiltrazione parvicellulare sotto forma di piccoli focolai costituiti spesso da elementi linfocitici, misti talora ad elementi connettivi propriamente detti. Il fatto predominante è però la sclerosi fibrosa delle pareti del sacco e dei tessuti perianeurismatici e la mancanza delle note di una flogosi recente e in atto. Se ora noi facciamo seguire qualche breve considerazione sui fatti anatomici esposti, conviene subito mettere in rilievo la grande analogia di forma e di sostanza nei tre primi casi descritti. In due di essi è accertata in maniera assoluta la sifilide costituzionale; dell'altro caso non si poterono avere che notizie cliniche assai incomplete. Tuttavia l’aortite esistente era di tale aspetto e natura che non si poteva fare a meno di pensare alla sua origine sifilitica. Al tavolo anatomico fu trovata una cica- trice antica sul glande, la cui presenza non fu notata nel reperto, ma della cui esistenza ne ho esatto ricordo. È superfluo soffer- marsi sulle note anatomiche ed istologiche di coteste aortiti sifilitiche. Esse rispondono ai quadri descritti da, Déòhle, Késter, Malmstend, Puppe, Backhaus, Rasch. Della medesima natura si rivela anche l’aortite del caso descritto per ultimo e l’individuo a cui apparteneva era pure un sifilitico. Non è mio còmpito di entrare in minute considerazioni, onde determinare il modo di sviluppo di tale infiammazione cronica della parete aortica. Dal- l'esame però di molti preparati dei casi in trattazione e di altre aortiti produttive di probabile origine sifilitica studiati istologi- camente, credo di essermi potuto convincere, che non si possa parlare esclusivamente di una mesoarterite sifilitica come fatto primitivo e predominante. Infatti si trova che l’avventizia e anche il tessuto connettivo periavventiziale sono tanto e forse in grado ancor maggiore della tonaca media sede di focolai di infiammazione cronica. % 720 ALDO FABRIS Così che giova ammettere tutto al più che la flogosi delle due tonache sia contemporanea e dovuta all’azione dello stesso virus, con probabilità agente per la via dei vasi avventiziali e dei Vasa VASOVUM. Vi sono però dei punti in cui appare assai giustificata la supposizione, che il processo si localizzi primitivamente nella avventizia, poichè i focolai avventiziali sono di solito più estesi che i focolai della media; inoltre in taluni preparati si può no- tare la continuità esistente tra l’infiltrazione parvicellulare pro- veniente dall’esterno ed i nodi flogistici della tonaca media. Questi ultimi hanno tutto l'aspetto di essere solo una propaga- zione della flogosi avventiziale alla tonaca media lungo il decorso dei vasa vasorum. — L’iperplasia dell’intima appare come un fatto secondario, probabilmente reattivo alla anelasticità della parete arteriosa, ia quale ha per conseguenza una dilatazione passiva della medesima (nel senso di Thoma). Bisogna però supporre, vista la differenza sensibile con l’endoaortite che accompagna l’arterio-sclerosi, che oltre alla causa meccanica si faccia sentire nell’intima anche la stessa causa tossica che originò le altera- ‘zioni nelle due altre tonache, ma in via indiretta, attraverso direi quasi alle alterazioni della media. Dalle alterazioni aortiche che definiscono l’aortite sifilitica quale l'abbiamo descritta, alle alterazioni che conducono alla formazione dell’aneurisma, esiste una notevole differenza non solo di grado ma anche di qualità. I tre primi casi dimostrano in modo chiaro l’alterazione isto- patologica, che ha condotto alla formazione dell’aneurisma sacci- forme. Su di una porzione determinata dell’avventizia e dei tessuti peri-avventiziali viene a svilupparsi un granuloma, che per la sua analogia morfologica con i granulomi sifilitici, per la presenza di una infezione sifilitica costituzionale e la concomitanza del- l’aortite sifilitica, va ritenuto di natura specifica. Tale granuloma, che non rappresenta una semplice infiltrazione parvicellulare circoscritta, ma bensì un vero connettivo di nuova formazione in forma diffusa ed infiltrante, invade compatto la parete arte- riosa in una parte abbastanza estesa della sua periferia. L'effetto immediato di cotesta invasione è la necrosi e necrobiosi degli elementi che primitivamente formavano la parete del vaso. Tale mortificazione non si limita solo alla tonaca media, ma si estende SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 721 anche all’intima su cui si formano con facilità delle deposizioni trombotiche. Evidentemente tutta la porzione di parete vascolare così pro- fondamente alterata e quasi sostituita in totalità da un tessuto assai meno resistente, deve cedere alla pressione del sangue e dilatarsi dando luogo allo sviluppo dell’aneurisma sacciforme. Questo meccanismo isto-patologico ci dà ragione pure della forma macroscopica degli aneurismi descritti. Essi confinano con l’aorta non ectasica con un limite netto, che appunto corrisponde al luogo dove cessa l'invasione del tessuto di granulazione e l’aorta presenta solamente le alterazioni più semplici della aor- tite sifilitica. Così pure si spiega la molteplicità degli aneurismi, quando il granuloma gommoso viene a svilupparsi in punti di- versi della parete arteriosa. Il processo nei tre primi casi di nostra osservazione tro- vasi in un periodo di sviluppo relativamente recente, come lo dimostra la poca tendenza alla sclerosi fibrosa talora anche nelle parti del sacco lontane dal limite con l’aorta non ectasica. Ad ogni modo in queste parti del sacco si trova già in qualche punto una relativa scarsezza di nuclei ed un certo pre- dominio di tessuto fibroso, alla cui formazione sembra compar- tecipare anche il connettivo avventiziale e periaortico, di guisa che si nota un avviamento alla ricostituzione fibrosa della parete aortica. Difetta quasi completamente una neoformazione di ele- menti elastici anche in queste parti del tessuto di granulazione in cui esiste già una sclerosi fibrosa. La scarsa presenza di ela- stina evidentemente è data specialmente da residui della seom- parsa tonaca media. In punti circoscritti il granuloma presenta delle piccole aree di mortificazione, talora anche abbastanza estese e con rammollimento del tessuto nella loro parte centrale. Il connettivo circostante però mostra tendenza a far riassorbire e ad occupare con un tessuto più vitale tali punti in necrobiosi. Nel caso ultimo in nessuna parte delle pareti aneurismatiche esaminate troviamo indizi di una flogosi attiva. Come risulta dalla decrizione che ne abbiamo data, in gran parte la parete del sacco appare assottigliata e costituita da un tessuto connettivo denso, fibroso, compatto, scarsamente provvisto di nuclei, senza fibre elastiche ed elementi muscolari. Tale reperto non ricorda più in nessun modo la primitiva struttura della parete arteriosa. In 722 ALDO FABRIS qualche altro punto invece ancora si può riconoscere, sebbene molto alterata, la parete aortica. Qui notiamo l’intima ispessita e sclerosata senza fibre elastiche, residui della media assai ri- dotta e riconoscibile per la presenza delle lamelle elastiche molto alterate, discontinue ed assottigliate, e finalmente una sclerosi notevole dell’avventizia. In questo caso non possiamo con assoluta certezza stabilire il modo di sviluppo dell’aneurisma, poichè ci troviamo già di- nanzi ad un fatto compiuto e definitivo. Non è però ingiustificato supporre che le alterazioni anatomiche che abbiamo qui riscon- trate, non sieno se non la fase ultima dello stesso processo isto- patologico, che abbiamo visto causare gli aneurismi nei tre primi casi studiati. Il periodo attivo dell’infiltrazione sifilitica ha ce- duto il campo alla sclerosi fibrosa totale quale l'abbiamo trovata parzialmente negli altri aneurismi. Certo non si può immaginare che la parete arteriosa si sia venuta così lentamente trasfor- mando senza l’intervento di un processo flogistico di una certa intensità, i cui caratteri sì possono logicamente supporre essere analoghi nel loro andamento sostanziale all’infiltrazione granulo- matosa osservata nei casi più recenti. Considerando l'ampiezza di quest’ultimo aneurisma e la parziale persistenza delle tonache arteriose, ancora individualizzabili, sebbene profondamente alte- rate, è probabile che l’alterazione sifilitica o si sia manifestata in più punti della parete arteriosa contemporaneamente o pure siasi diffusa saltuariamente in modo da dar luogo non ad un aneurisma sacciforme come negli altri casi, ma ad una sacca irregolarmente cilindrica. Per ultimo voglio far semplicemente notare l’analogia di reperto e di decorso in questi aneurismi spontanei con degli aneurismi che ottenni sperimentalmente negli animali provocando alterazioni degenerative e flogistiche nelle pareti arteriose. Anche qui alla necrobiosi delle tonache vasali segue una neoformazione connettiva, che in gran parte si origina dall’esterno e che viene a sostituire la parete del vaso, la quale in ultimo resta formata da un semplice tessuto fibroso (1). (1) Fasris, Experimentelle Untersuchungen iiber die Entstehung der Aneu- rysmen, © Virchow's Archiv ,, Bd. 165. cea ai i Pato: MRS - Sulla patogenesi degli Aneurismi dell’ Aorta.. Atti R.Accad.delle Se. di Tormo-VoZ I Da 2‘ tell sue inn L'A SULLA PATOGENESI DEGLI ANEURISMI DELL'AORTA 723 I casi che abbiamo avuto opportunità di studiare nel pre- sente lavoro ci insegnano dunque, che sul fondo di un’ aortite sifilitica si può sviluppare un aneurisma per lo più sacciforme, allorquando un granuloma specifico venga a distruggere una porzione sufficiente di parete arteriosa nella sua totalità. Tale granuloma ha tutti i caratteri del granuloma sifilitico, si inizia nel connettivo periavventiziale e nell’avventizia e di qua dif- fondendosi compattamente alla media, determina necrosi e ne- crobiosi di quest’ultima ed anche della tonaca intima. Con tutta probabilità è da ammettersi che in questo periodo avvenga l’ectasia sacciforme del vaso. Il tessuto di nuova formazione dopo aver fatto scomparire ed aver sostituito del tutto gli elementi dell’antica parete arteriosa può volgere alla sclerosi fibrosa, ed un tessuto connettivo fibroso povero di nuclei costi- tuisce definitivamente la parete del sacco. È pure da ammettersi che quelle porzioni di parete arteriosa, che si possono ancora distinguere negli aneurismi di maggior volume, siano state ri- spettate dall’infiltrazione sifilitica o per lo meno che non sieno state del tutto invase e sostituite dal granuloma proveniente dall’avventizia e dal connettivo periavventiziale. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. I. — Infiltrazione granulomatosa (4) che invade la parete aortica (5), a (avventizia), m (media), i (intima). Fig. II. — Parete fibrosa del sacco aneurismatico (caso IV): a, deposizioni di fibrina nell’interno del sacco; d, residui di elastina. -I1 LO rag ALBERTO AGGAZZOTTI Sulla terminazione nervosa motrice ner muscoli striati degli insetti. Nota preventiva di ALBERTO AGGAZZOTTI Laureando in medicina e chirurgia. (Con una Tavola). La terminazione nervosa motrice nei muscoli striati degli insetti fu oggetto di studio di molti istologi quali Rouget (1), Ranvier (2), Foettinger (3), v. Thanhoffer (4), Ciaccio (5), Bie- dermann (6), Ramon y Cayal (7), R. Monti (8), ecc. I risultati ottenuti da questi divérsi autori sono in molti punti fra loro discordi e ciò è probabilmente dovuto: per una parte ai diversi metodi di esame e di colorazione rispettivamente da essi impiegati, e d’altra parte al fatto che i ricercatori più recenti ebbero a loro disposizione, mercò i progressi dell’ottica applicata alla microscopia, dei mezzi di indagine che non erano consentiti agli istologi anteriori. Le scoperte di Ramon y Cayal riguardo la struttura gene- rale del sistema nervoso, e quelle non meno importanti di Apathy, che colle predette di Cayal stanno fondamentalmente in contrad- ditorio, nella parte almeno che riguarda il sistema nervoso peri- ferico di certi invertebrati, hanno resa necessaria la ripresa dello studio delle terminazioni nervose, allo scopo di control- lare .;i reperti degli antichi autori con nuove osservazioni fatte per mezzo dei recenti metodi di colorazione. Colla presente nota preliminare mi propongo di riferire sommariamente le mie osservazioni microscopiche, praticate sui muscoli di alcuni insetti (Hydrophilus piceus e Melolonta vul- garis); le quali oso sperare valgano a portare un modesto contri- buto al capitolo tuttora molto controverso della terminazione nervosa motrice nei muscoli degli insetti. Per le mie ricerche io mi sono valso del ‘metodo di colo- razione a fresco, proposto dal D' C. Negro fin dal 1889 colla ematossilina Delafield (9). SULLA TERMINAZIONE NERVOSA MOTRICE NEI MUSCOLI, ECC. 725 I muscoli delle zampe posteriori e rispettivamente delle ali tolti dall’animale vivente venivano immersi per 24-48 ore nella ematossilina, lavati poi diligentemente in acqua ed eventualmente decolorati con una debole miscela acida di glicerina, acqua e acido cloridrico. Successivamente, previa diligente lavatura, i pezzi venivano dilacerati sul portaoggetti e montati in una mi- scela a parti uguali di glicerina e acqua. Allo scopo di ottenere una maggiore dissociazione delle fibre muscolari striate e di fa- vorirne in tal modo lo studio istologico, usavo in molti casi percuotere leggermente il preparato attraverso il eoprioggetti con un comune martelletto. da percussione, siccome già adottò Mays (10). Prima di illustrare i preparati che con tale’ metodo ho ot- tenuto, credo opportuno esporre a grandi linee i più notevoli risultati ottenuti dai ricercatori che mi precedettero. Ranvier nell’ultima edizione del suo trattato tecnico d’isto- logia così scrive a proposito delle terminazioni nervose motrici nei muscoli striati dell’Hydrophilus: “ I loro nervi (motori) sono costituiti da una o parecchie fibre nervose amieliniche, le quali sono per parte loro composte da un certo numero di fibrille rag- gruppate in fasci ed avviluppate da una guaina comune, .....esse fibre nervose mettono capo nei fasci muscolari ad eminenze for- mate da una sostanza granulosa nella quale esse sembrano per- dersi..... Esaminando un’eminenza terminale che si presenta di profilo sul margine di una fibra muscolare, si vede la fibra nervosa che vi termina, allungarsi, e la sua guaina confondersi col sar- colemma, mentre che la parte cilindrassile si decompone nelle sue fibrille costitutive. Queste ultime si allontanano le une dalle altre e si espandono in un cono di sostanza granulosa. Tali fibrille si possono seguire fino alla base del cono stesso, ma non è possibile più distinguerle al di là di esso. Alla base del- l’eminenza esistono molto spesso, siccome hanno osservato Kiihne e Margo, dei nuclei in abbondanza. Il numero di questi non è costante; e vi hanno terminazioni nervose motrici in corrispon- denza delle quali non riesce d’osservarne alcuno ,. Il cono granuloso descritto da Ranvier non corrisponde ad altro che alla cosidetta collina di Doyère, quale questo ultimo autore per primo descrisse nel Mil/nesium Tardigradum. Mentre Ranvier non potè seguire le fibrille cilindrassili oltre 726 ALBERTO AGGAZZOTTI l’eminenza di Doyère, Charles Rouget invece (1. c.) ottenne il seguente reperto: “ Le fibrille risultanti dalla biforcazione della fibra nervosa terminale a livello dell’apice del cono, attraversano la sostanza granulosa che lo costituisce e, dopo aver raggiunto la superficie della fibra muscolare, ora vi si terminano quasi immediatamente (nei crostacei ad esempio), ora per contro, prima di terminare, esse camminano in senso opposto l’una dell’altra applicandosi alla superficie della fibra contrattile per l’esten- sione di quattro o cinque strie trasversali, e ciò principalmente nei coleotteri. La loro estremità terminale non presenta nè placche, nè nuclei, nè vi si trova alcuna traccia di un organo terminale speciale analogo a quello che io feci conoscere nei vertebrati superiori ;..... la sostanza del cilindrasse si mette in rapporto immediato (insetti) colle sostanze contrattili muscolari, senza confondersi, nè continuarsi ,. Foettinger vide qualche cosa di più. Pure accordandosi cogli altri istologi sulla esistenza della collina di Doyère e dei nuclei più o meno numerosi in essa contenuti, e sulla giacitura sotto- sarcolemmatica od ipolemmale della medesima, va più oltre nel- l’ammettere rapporti nelle tibrille nervose colla sostanza musco- lare. Le fibrille cioè provenienti dalla fibra nervosa terminale, secondo Foettinger, attraversano la sostanza granulosa proto- plasmatica che costituisce la collina di Doyère, dove divergono in numero variabile di cinque a sette, ed in forma raggiata vanno a continuarsi e rispettivamente a confondersi coi dischi isotro- pici o intermediarii della fibra muscolare. Secondo Foettinger adunque, esisterebbe una diretta conti- nuità anatomica fra il nervo ed il muscolo e ne verrebbe così confermata l'ipotesi di Engelmann (11), secondo la quale la placca nervosa avrebbe un rapporto intimo di aderenza col muscolo. E qui debbo notare che i metodi di ricerca seguiti dai tre succitati autori non sono gli stessi. Ranvier si è valso dell'esame a fresco delle fibre muscolari degli insetti, dilacerate in poche goccie di linfa tolta dall’animale stesso, e rispettivamente del- l'esame della fibra muscolare dissociata, previo trattamento con alcool. Rouget esaminò parimenti le fibre muscolari fresche; Foettinger invece colorò i preparati con una soluzione all’1 ° di acido osmico, trattandole successivamente con alcool forte e È SULLA TERMINAZIONE NERVOSA MOTRICE NEI MUSCOLI, ECC. 727 montando i preparati in glicerina. Non è improbabile quindi che la discordanza dei. risultati ottenuti da questi diversi autori riguardo principalmente al modo con cui le fibrille del cilin- drasse si terminano nel muscolo, sia riferibile alla tecnica ri- spettivamente impiegata. Thanhoffer, operando su muscoli di insetti, ora allo stato fresco, ora invece trattati con acido iperosmico o con sali d’oro, osservò che il cilindrasse della fibra nervosa si risolve in una sorta di reticolo nell'interno della collina di Doyère, dal quale poi partono dei filamenti che vanno a contrarre con la sostanza isotropica gli stessi rapporti trovati da Foettinger. Per amore di brevità non espongo qui i reperti degli altri ricercatori che vennero di poi, tanto più che fondamentalmente essi si dividono in due schiere: alcuni di essi cioè, ammettono il diretto rapporto delle fibrille nervose assili colla sostanza mu- scolare, come pel primo ha osservato Foettinger; altri invece ritengono che esse fibrille si espandano e si arrestino nella collina di Doyère. Non mi fu dato trovare nella letteratura dati precisi che riguardino gli eventuali rapporti di una o più fibrille. nervose assili terminali con altre più o meno lontane; e tanto meno intorno all’esistenza di fibre nervose così dette ultra terminali, come descrisse Apathy negli Irudinei e come più recentemente Ruffini ha creduto di riconoscere nei rettili comparandole con queste di Apathy. Nei Coleotteri da me studiati una fibra nervosa motoria, arrivata in vicinanza di una fibra muscolare primitiva, presenta per lo più una divisione dicotomica del cordone assile. I due rami originatisi da questa divisione appaiono divergenti ad an- golo più o meno acuto e si immettono in un ammasso di sostanza finamente granulosa, che vista di profilo si presenta per lo più sotto forma di cono, il quale si eleva sopra il profilo della fibra muscolare stessa. Nell’interno di questa sostanza granulosa, colo- rato più o meno intensamente in violetto, sono sparsi in numero per lo più di tre o quattro dei nuclei, pur essi a struttura granu- losa e con intensa colorazione, i quali ricordano molto da vicino i così detti nuclei del telolemma che Kiihne ha descritto nella placca nervosa motrice dei vertebrati e segnatamente dei rettili. Non ho potuto, anche con forti ingrandimenti, riconoscere nelle Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 48 # 728 ALBERTO AGGAZZOTTI colline di Doyère altri nuclei più grossi, o meno intensamente colorati, che potessero rassomigliarsìi ai cosidetti muclei della suola descritti parimente da Kiihne nelle placche motriei degli animali vertebrati. La sostanza granulosa costituente l’eminenza di Doyère termina con una linea netta direttamente sul mar- gine delle fibre muscolari e non manda propaggini verso le parti sottostanti. Questa constatazione ha conferma nelle figure nelle quali la collina di Doyère non è più vista di profilo, sibbene dall’alto e giacente sopra le fibre muscolari. La collina di Doyère appare in alcuni preparati limitata alla sola periferia da una membrana che evidentemente non è altro che la guaina di Schwann della fibra nervosa preterminale, la quale membrana continua sui lati per fondersi col sarcolemma. Coi miei preparati non mi fu possibile stabilire se even- tualmente la collina di Doyère abbia per rispetto alla fibra muscolare cui è destinata, una giacitura sottosarcolemmatica ; per cui debbo riservare ad ulteriori ricerche la soluzione di questo importante quesito di topografia. Non sono riuscito mai a seguire il cilindro assile nell’interno della massa granulosa, come hanno visto alcuni dei ricercatori sopra ricordati. Per contro ho ripetutamente constatato che da essa massa granulosa non raramente si dipartono delle fibrille le quali hanno tutto l’aspetto di fibrille nervose, e decorrono talora per un tra- gitto molto lungo sopra la stessa fibra muscolare suddividendosi spesso in numerose altre fibrille, le quali, o terminano rispetti- vamente con un bottoncino d’aspetto nucleare, oppure sfumano senza contrarre visibili rapporti colle striature delle fibre mu- scolari; in alcuni casi le fibrille nervose staccatesi dalla detta massa granulosa seguono una strada molto più lunga e vanno a terminare a distanza, per mezzo di successive divisioni, in altre fibre muscolari. Fibrille nervose congeneri non raramente si di- partono dal cordone ciliîndrassile della fibra nervosa prima che questo raggiunga la collina di Doyère, e si comportano, sia per le loro divisioni che per le loro terminazioni, come le fibrille nervose poc’ anzi descritte. Alcune di esse alla loro estremità visibile si risolvono in tenuissime fibrille divergenti a forma di pennacchio e irregolarmente disposte sulla superficie della fibra muscolare. In una stessa fibra muscolare le colline di Doyère raramente sono uniche, trovandosene due e talora tre nei limiti delle lunghezze della fibra compresa nel campo del microscopio. SULLA TERMINAZIONE NERVOSA MOTRICE NEI MUSCOLI, ECC. 729 In altri preparati ho potuto osservare che fibrille nervose staccatesi dal cordone nervoso assile delle fibre, o rispettiva- mente dalla massa granulosa di Doyère, dopo un decorso più o meno lungo, terminano in un’altra placca, comportandosi così press’a poco come i cilindrassi di certe fibre nervose descritte da Ruffini (12) e osservate pure da Aldo Perroncito (13) nei rettili. In altri preparati infine ho osservato che la fibra nervosa at- traversa una collina di Doyère e ne esce munita tuttavia della guaina di Schwann per mettere capo ad una nuova placca. Questi in riassunto i risultati ottenuti finora colle mie ri- cerche, i quali da una parte confermano per mezzo di un nuovo metodo di colorazione l’esistenza della collina di Doyère coi suoi nuclei e che nulla di più dicon di quanto sia stato detto riguardo alla struttura di essa. I miei risultati dissentono da quelli di Foettinger in quanto che nulla dimostrano dei rapporti delle fibrille nervose colle linee isotropiche della fibra muscolare, ra- gione per cui i rapporti di continuità di esse fibrille nervose col muscolo non hanno qui conferma. Interessante in particolar modo mi sembrano i miei reperti, a proposito delle fibrille emer- genti dalla fibra nervosa preterminale e rispettivamente dalla placca, in quanto che tenderebbero a dimostrare che il cilindrasse di una fibra nervosa non ha propriamente la sua ultima ter- minazione nella collina di Doyère, ma nella massima parte dei casi si prolunga oltre la stessa suddividendosi in altre nume- rose fibrille che o finiscono in un piccolo ammasso granulare nella stessa fibra muscolare o in fibre muscolari contigue, o si risolve invece in pennacchi fibrillari che si perdono nella so- stanza del muscolo. Questi miei ultimi risultati ricordano fino ad un certo punto quelli ottenuti da Apathy per gli Irudinei. Sopra un ultimo punto di importanza morfologica non tra- scurabile, cioè sulla esistenza di eventuali arborizzazioni (Geweih) nell'interno della collina di Doyère, quali Kihne ha descritto nei vertebrati, i miei preparati non riuscirono a fornire una dimo- strazione positiva. Riservo ad ulteriori ricerche collo stesso metodo di colo- razione o con sezioni microtomiche l’inchiesta più precisa intorno agli eventuali rapporti delle fibrille colla sostanza muscolare. Premesso ciò, espongo in riassunto la descrizione delle figure incominciando dalle più semplici. - 730 ALBERTO AGGAZZOTTI Nel preparato 1 si vede la fibra nervosa limitata da una membrana anista avvicinarsi alla superficie di una fibra musco- lare; nella parte assile della fibra è distintissimo il cilindrasse che a poca distanza dal margine della fibra muscolare si sud- divide in due ramuscoli che vanno perdendosi in una sostanza granulosa (collina di Doyère) senza contrarre visibili rapporti coi dischi muscolari sottostanti. Nell’interno della massa gra- nulosa, poco accentuata in questo preparato, giacciono due nuclei colorati fortemente in violetto. Nell’interno della massa proto- plasmatica, ed in diretto rapporto col margine della fibra mu- scolare, giace un altro nucleo che ha lo stesso aspetto dei due sopradetti. La guaina di Schwann della fibra nervosa circonda espandendosi in forma conica la massa granulosa della collina di Doyère e pare continuarsi col sarcolemma. Nel preparato 2 si notano le stesse particolarità, in modo anche più distinto, essendo la massa granulosa anche più accen- tuata. Il cilindrasse è tutto spezzettato in fine granulazioni. Nel preparato 3 una divisione del cilindrasse esce dalla guaina di Schwann un po’ prima che il nervo si sia risolto nella placca terminale; nel resto non differisce dall’ 1 e 2. Nel preparato 4 una placca terminale è completamente stac- cata dalla sostanza contrattile, però solo una metà è conservata. Nel preparato 5, nel quale la fibra nervosa e rispettiva- mente la placca non sono più viste di profilo, come nei due preparati antecedenti, ma giacciono direttamente alla superficie convessa delle fibre muscolari, il cilindrasse della fibra nervosa sì perde dopo un breve decorso nella sostanza protoplasmatica della placca; nè si riesce a trovare verun altro rapporto negli elementi contigui. È notevole il fatto che, il cilindrasse della fibra nervosa a una certa distanza dal suo ingresso nella placca manda un prolungamento laterale, il quale dopo un certo de- corso sinuoso per una estensione di sei o sette dischi di sostanza muscolare, sembra confondersi con una linea isotropica della tibra muscolare. Nel preparato 6 una placca vista di profilo non presenta particolarità diverse da quelle dei preparati 1 e 2. Un'altra invece giacente sulla stessa fibra muscolare offre tutte le par- ticolarità 5; e dal cilindrasse prima della sua entrata nella placca sì dipartono due fibrille delle quali l’una dopo un certo tratto SULLA TERMINAZIONE NERVOSA MOTRICE NEI MUSCOLI, Ecc. 731 pare terminare in un piccolo rigonfiamento claviforme e l’altra pare confondersi con una linea isotropica del muscolo. La placca non ha un contorno netto, ma sfumato, e verso il centro è costituita da tanti segmenti cubici ravvicinati, in alcuni dei quali pare vedere un nucleo chiaro al centro. La parte su- periore della placca manca. In questo preparato poi devo sotto- lineare la particolarità riscontrata con grandissima frequenza nei muscoli degli insetti, dell’esistenza cioè di due o più termina- zioni indipendenti, almeno apparentemente, le une dalle altre, nella stessa .fibra muscolare; fatto questo notato da quasi tutti gli autori che si occuparono della ricerca delle fibre nervose negli insetti. Nel preparato 7 si nota un fatto analogo per rapporto al distacco di fibrille nervose dal cilindrasse delle fibre pretermi- nali con terminazione di una di esse in una placca granulosa. Nel preparato 8 v'è da osservare come una delle fibrille si diparta dalla sostanza granulosa della placca e vada a metter capo in una placca rudimentale formata da un nodo della fibrilla stessa in una fibra muscolare vicina. Nel preparato 9 è interessante il fatto che dalla prima placca si origina non una semplice fibrilla ma un nervo che pur a sua volta dà luogo ad una nuova placca; anche qui dal nervo preterminale e dalla seconda placca si originano le solite fibrille. Nel preparato 11 il nervo dopo essersi diviso terminava in due placche distinte su due fibre muscolari vicine, la figura 11 ne rappresenta una; avendo fatto una pressione sul coprioggetti le due fibre muscolari si allontanarono e il nervo che veniva così stirato staccò quasi completamente una delle placche, come si vede dalla figura 10 in cui è disegnata la stessa placca della figura 11. Il preparato 12 finalmente serve a dimostrare come talora da uno stesso tronco nervoso si dipartano numerose fibrille, le quali dopo un certo decorso o mettono capo ad un piccolo ri- gonfiamento a forma quasi di nucleo, come è stato già sopra notato, oppure si risolvono in un pennacchio di fibrille, il cui decorso non si può seguire. Fibrille nervose oltre che dal tronco si vedono dipartirsi dalla sostanza granulosa della placca e dif- fondersi sulla stessa fibra muscolare e su quella vicina. Istituto di Fisiologia dell'Università di Torino. ‘ 732 ALBERTO AGGAZZOTTI — SULLA TERMINAZIONE, ECC. Le figure vennero tutte disegnate dal vero (ob. Zeiss, apoc. — oc. 4 comp.), con lo “ Zeichenapparat nach Abbe d. Zeiss ,, e furono ridotte di scala per esigenze tipografiche. (1) Ca. Roucer, Note sur la terminaison des nerfs moteurs chez les Crustacés et les Insectes, È Comptes Rendus ,, 1864, Vol. 59, pag. 851. (2) L. Ranvier, Lecons sur l'histologie du système nerveua, T.II, pag. 277. (3) Arex. FoerTINGER, Sur les terminaisons des nerfs dans les muscles des insectes, “ Arch. de Biologie ,, T.I, 1880, pag. 279. (4) L. v. TranHorrer, Beitrige zur Histologie und Nervenendigung der querge- streiften Muskelfasern, “ Archiv ftir mikrosk. Anat. ,, Vol. 21, 1882, pag. 26, (5) V. G. Craccro, Della notomia minuta di quei muscoli che negli insetti muo- vono le ali, È Rendic. della R. Ace. delle Scienze di Bologna ,, 1882. (6) Wira. Brepermann, Zur Kenntniss der Nerven und Nervenendigungen in den quergestreiften Muskeln der Wirbellosen, “ Akad. der Wissenschaften Wien ,, Vol. 96, 1887, pag. 8. (7) Ramon y Cayat, Sobre la terminacion de los nervios y triqueas en los muscolos de las alas de los insectos. Barcellona, 1890. (8) R. Monri, Ricerche microscopiche sul sistema nervoso degli insetti, * R. Ist. Lombardo - Rendiconti ,, 1892, pag. 533. (9) C. Neero, La terminazione nervosa motrice nei muscoli striati (Metodo di colorazione), “ R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Vol. XXV, 1889, adunanza del 17 novembre. (10) KarL Mays, Ueber die Entwickelung der motorischen Nervenendigung, “ Zeitschrift fir Biologie ,, anno 1892, pag. 41. (11) Wira. EnceLmann, Mikroscopische Untersuchungen tiber die quergestreifte Muskelsubstanz, “ Pfliger's Arch. ;, Bd. VII, 1878, pag. 47. (12) Ance. Rurrini, Sulle fibrille nervose ultraterminali nelle piastre motriei dell’uomo, “ Riv. di patologia nervosa e mentale ,, Vol. V, fasc. 10. Firenze, 1900. (13) Arno Perroncito, Sulla terminazione dei nervi nelle fibre muscolari striate, ‘ Archives italiennes de Biologie ,, Tome XXXVI, fase. II. nn MT ETTI EA NILE TPRSTECIRZI ere ea vano dov GT Fig. 4 ‘Aggazzotti dis. cai BELL leale o SR dia ATE piani e ari ei A A aa Atti R.Accad.delle Se. di Torino=VoZ_LYTV7/ Fig 9 store pt io) ro niieregionli D,: die PL god E STO ATI GITA bi a FA639, pica IN $ DISPO ‘ uses e e A Paini) ' PA ; ' Îi È sE È hi ® A 3? 1 PRESE a RETI 733 Relazione intorno alla Memoria di G. Z. GrameeLui, inti- tolata: Aisoluzione del problema degli spazi secanti. Il sig. Scnusert ha dimostrato che per gli spazi [s] (di dimensione s), contenuti in un dato [w, esistono delle condizioni fondamentali o caratteristiche, per mezzo delle quali si può espri- mere ogni altra condizione algebrica imposta a tali spazi. Ne segue che tutti i problemi numerativi sugli |s|] si riducono alla determinazione del numero degli [s] che verificano delle condi- zioni fondamentali assegnate; ossia alla espressione del prodotto di più condizioni fondamentali mediante la sommd di altre con- dizioni fondamentali. È questo, in sostanza, il così detto problema degli spazi secanti. Di esso si sono occupati successivamente, per varî casi particolari, ScnuBerT, CAsTELNUOVO, PrerI, PALATINI e GiampeLLI. La risoluzione del problema in generale appariva difficile, e costituiva tuttora un desiderio dei geometri. Essa è data in questa Memoria dal D" GramBELLI, con una formola, che, grazie ad un ingegnoso simbolismo, e per quanto lo permette la natura complicata del problema, riesce relativamente semplice ed elegante. La cosa è evidentemente di tale importanza che noi crediamo di poterci dispensare da altre considerazioni, e vi proponiamo senz'altro l'accoglimento di questo lavoro fra le Memorie dell’Accademia. E. D’'OvipIO, O. SEGRE, relatore. 734 Relazione sulla Memoria del Prof. Luigi Sasparani: Hun- zione biologica del calcio. Parte 2°: Il calcio-ione nella coagulazione del sanque. Le ricerche descritte in questa Memoria sono la continua- zione di altre ricerche simili pubblicate dallo stesso Autore. In questo lavoro Sabbatani prende in esame da un lato tutti i reattivi che in chimica analitica hanno interesse nella ricerca qualitativa e quantitativa del calcio, o come precipitanti o come sostanze la cui presenza è d’ostacolo alle reazioni del calcio: fluoruro di sodio, fosfato bisodico, solfato, ossalato, meta- fosfato, citrato, pirofosfato sodico, ecc. — Dall'altro lato esa- mina le sostanze che servono a produrre incoagulabità del sangue. Fa notare che si tratta sempre degli stessi sali, ed è condotto a prevedere e dimostrare l’azione anticoagulante del cromato potassico, del metafosfato e pirofosfato sodico. Dimostra per i singoli sali che la ragione dell’azione anti- coagulante sta nella tendenza che hanno i relativi anioni a dare col calcio composti poco dissociabili, poco solubili, sì che in pre- senza di tutti questi sali sempre si ha una diminuzione della concentrazione ionica del calcio. Così, mentre viene a graduare comparativamente l'intensità dell’azione anticoagulante per tutti questi sali, da considerazioni generali è condotto a dimostrare che per la coagulazione del sangue è indispensabile una determinata concentrazione ionica del calcio, e ciò perchè la dose minima anticoagulante dei diversi sali è in istretta relazione colla solubilità dei corrispondenti sali di calcio. Che poi per la coagulazione del sangue sia indispensabile la presenza del calcio-ione viene dimostrato anche dallo studio comparativo del citrato e metafosfato sodico, dal comportamento del metafosfato stesso che rende incoagulabile il sangue sia a piccole, che a dosi maggiori, mentre nel primo caso precipita (come l’ossalato) e nel secondo mantiene sciolti i sali di calcio (come il citrato). e. 1 ‘n’ _r_r_o e_ -—_ 735 Sono interessanti le ricerche e considerazioni critiche sul contegno dell’acido carbonico e dei carbonati neutro e acido di sodio, relativamente alla dissociazione loro elettrolitica; come pure quelle comparative fra gli acidi orto, meta e pirofosforico in tfapporto alle trasformazioni chimiche dall'uno all’altro, alle nucleine ed al fosfato calcico. L'Autore, che in principio del lavoro accenna all’ impor- tanza che per l’economia animale debbono avere determinati equilibrì molecolari, crede di aver dimostrato, che, almeno nel- l’atto della coagulazione, esiste veramente nel sangue il calcio allo stato di ione; il che si connette coi suoi lavori precedenti sulla funzione biologica del calcio, e si propone di completare, per alcuni di questi sali ad azione anticoagulante, ricerche pa- rallele a quelle già fatte col citrato sui centri nervosi e sui muscoli. Fa notare intanto che l’azione dell’ossalato, citrato, sa- poni, pirofosfato, metasfosfato, ecc., è fondamentalmente la stessa: eccitante per la corteccia, per il midollo, per i muscoli, confer- mandosi così l'ipotesi sua sulla funzione biologica moderatrice del calcio-ione normalmente esistente nei centri nervosi, nei muscoli ecc. È un lavoro ben condotto che dimostra nell’autore abilità a sviscerare una questione complessa. Anche in questa memoria dimostra una buona conoscenza dei fenomeni chimici, che sa ap- plicare a reazioni d’ordine biologico. Perciò i sottoscritti pro- pongono alla Classe la lettura della Memoria. A. Mosso, I. GuARESGHI, relatore. L’ Accademico Segretario Enrico D’OvipIo. ———e_-___———-@-@ 736 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 22 Giugno 1902. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Peyron, Vice-Presidente dell’ Acca- demia, CARLE, CrpoLLa, Brusa, ALLIEVo, CHTRONI e RENIER Segre- tario. — Scusa l’assenza il Direttore di Classe FeRRERO. È approvato l’atto verbale dell'adunanza 8 giugno 1902. Il Presidente presenta all’ Accademia il vol. 38 della Miscel- lanea di Storia italiana, ed il vol. VII della Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, del Socio Manno (To- rino, 1902). Il Segretario ReNtER, a nome del Direttore di Classe FER- RERO, fa omaggio del volume di Cesare Faccio, Giov. Antonio Bazzi detto il Sodoma, pittore vercellese del sec. XVI, Vercelli, 1902. Il Socio CHIRONI presenta l’opera di Carlo ARrnò, Le obbli- . gazioni divisibili ed indivisibili, Modena, 1901, rilevandone i pregi. Il Socio RENIER, incaricato col Socio CipoLLa di riferire in- torno alla seconda Memoria di Giuseppe Borriro, Sull’autenticità della “ Quaestio de aqua et terra ,, attribuita a Dante, legge la relazione, che è unanimamente approvata. La Classe, presa co- gnizione della Memoria del Borrito, con votazione segreta una- nime ne approva l’inserzione nelle Memorie accademiche. 737 Parimenti sono accolti con pienezza di voti nelle Memorie gli scritti di Romualdo BoBBa, Esame storico-critico delle “ idee- immagini ,, attribuite dall’ Hauréau a S. Tommaso, e del Dr. Ricca- BARBERIS, Il contratto per altri nella sua formazione storica e nella sua funzione economico-giuridica odierna. Sul primo riferisce il Socio ALLievo, delegato insieme col Socio CARLE} sul secondo riferisce il Socio CHTRONI, delegato insieme col Socio CARLE. Tutte tre le relazioni compaiono negli Atti. Il Presidente augura felici le ferie accademiche ai presenti, ed il Vice-Presidente, in nome della Classe, ricambia l’augurio. 738 ERMANNO FERRERO LETTURE DOMENICO PERRERO NOTIZIA BIOGRAFICA E BIBLIOGRAFICA DATA DAL SOCIO ERMANNO FERRERO La vita di Domenico Perrero (1) è presto narrata. Fu la vita tranquilla di uno studioso, che ebbe la fortuna, negata a molti altri studiosi, di essere padrone di tutto il suo tempo. Nacque il 14 di gennaio 1820 nella frazione San Prè, del comune di Rocca Canavese, da Carlo e da Vittoria Gaita. Fece 1 suoi primi studii a Cuorgnè nel collegio di uno zio paterno. Nell’autunno del 1834 entrò nel seminario di Torino, e vi stette sino al 1840, non per divenir sacerdote, ma per poter meglio ‘attendere agli studii alacremente proseguiti. Frequentò i corsi di teologia, di lettere e di leggi, conseguendo in quest’ultima Facoltà la laurea dottorale il 3 di giugno 1845. Fin dal 1841 cominciò a pubblicare novelle, poesie ed altri lavoretti letterarii nel periodico, che, col titolo di Museo scienti- fico, letterario ed artistico, era dato alla luce da un operoso e benemerito editore torinese, Alessandro Fontana. Un viaggio in Ispagna ed in Portogallo gli fornì materia per non pochi articoli, che uscirono pure in questo Museo (2). Insieme con Domenico Capellina stampò un volumetto di traduzioni di (1) La commemorazione del Perrero era stata affidata dal Presidente dell’Accademia delle scienze a Gaudenzio Claretta. Pochi mesi dopo per- devamo pure questo collega, ed io, nel ricevere l’incarico di ricordarne la vita nei volumi accademici, ebbi pur quello di fare altrettanto per il Perrero. (2) N: 1-5, 7-24 del nostro elenco degli scritti del Perrero. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 739 poesie moderne francesi, inglesi, spagnuole (1). Non risulta quali traduzioni spettino all’uno od all’altro collaboratore : tutte però sono fatte con garbo e con eleganza. Quando un soffio di nuova vita cominciò a spirare sul Piemonte con le riforme di Carlo Alberto del 1847, il Perrero, sincero amico di libertà, ne salutò co’ suoi versi la venuta (2): altri versi compose più tardi quando, conseguita l’unità della patria (3), gravi questioni politiche agitavano il nuovo regno. Non crediamo che al Per- rero possa esser dato il nome di poeta; ma ci sembra verseg- giasse con discreta facilità e con una certa abilità, la quale spe- cialmente si manifesta nelle traduzioni. Di esse la più cospicua, frutto di lungo studio e di accurato lavoro di lima, quella di Orazio, licenziata alla stampa, col testo a fronte, nel 1876 e nel 1881 (4). Dopo le lettere il Perrero prese gusto agli studii sulla storia della nostra regione, e lasciata l'avvocatura, alla quale aveva atteso per più anni con coscienza e con intelligenza, si diede tutto ad essi. Diuturne, pazientissime ricerche egli fece negli ar- chivii torinesi (5), leggendo uno sterminato numero’ di carte, ricavandone una congerie di notizie, che furono il fondamento di molti lavori pubblicati a parte o in periodici storici e lette- rarii ed anche in giornali politici quotidiani. Formare l'elenco compiuto degli scritti del Perrero non è impresa agevole; nè pretendo esservi riuscito, anche avendo avuto il sussidio di un espertissimo nella bibliografia patria, il signor Vincenzo Ar- mando, al quale mi è caro rendere le grazie dovute. Nel volume, che vide la luce nel 1884 e nel quale sono date le note biblio- grafiche dei deputati sovra gli studii di storia patria, quella del Perrero comprende 64 numeri (6); ma tale lista, benchè co- municata od almeno riveduta dall'autore, non è intera: l’ultimo numero corrisponde al 111 del nostro elenco, e chissà quanti 192. stese anche queste ricerche a qualche altro archivio (v. p. es. il n. 29 del LIAN elenco bibliografico). (6) Manno, L’opera cinquantenaria della R. Deputazione di storia patria di Torino, p. 330 e segg. ) ) 3) 4) 1 5) le 740 ERMANNO FERRERO articoletti di giornali ci saranno rimasti ignorati: ad aumentare la difficoltà di rintracciarli si aggiunge che il Perrero talora non firmava i suoi lavori o vi apponeva solo iniziali. Nelle ricerche storiche egli preferì i tempi moderni. Non tentò narrare in grosse opere lunghi periodi di storia, pur avendo, con la profonda cognizione del materiale archivistico e bibliogra- fico, critica sagace e chiara intelligenza dei tempi, degli uomini, degli ufficii della storia, del modo, con cui questa va composta: qualità che certamente non tutti i nostri storiografi possedet- tero in grado uguale al suo. Sempre si restrinse ad argomenti monografici, portandovi nel trattarli la ferma volontà di sco- prire la verità e di rappresentarla, di mettere in luce aspetti e particolari sconosciuti di storia. politica, amministrativa, eco- nomica, letteraria e della vita di personaggi celebri, di sciogliere dubbii, di dissipare leggende entrate od in procinto di entrare nel patrimonio della storia narrata, di confutare errori, giu- dizii dati con leggerezza o falsati ad arte. Ogni soggetto da lui tolto ad esame era scrutato con cura minuziosa: forse parrà che talora egli s’indugii più del ne- cessario a provare il suo asserto ovvero prolunghi od allarghi troppo le sue deduzioni; ma non gli si potrà mai rimproverare fretta o negligenza nel ricercare i documenti utili al suo scopo e nel darli alla luce. La lunga familiarità coi classici latini ed italiani diede al Perrero lingua e stile corretti: più agile, più rapido si potrà talora desiderare lo stile, da cui non sempre è scomparso il ricordo delle scritture forensi, alle quali per assai tempo fu uso il nostro scrittore. Non infrequenti citazioni classiche bene appropriate sono sparse nelle sue pagine, delle quali certamente le più vivaci e le più gustate sono quelle di critica e di polemica. Nella prima il Perrero era un inquisitore inesorabile, in questa uno schermidore formidabile, non sempre calmo, ma sempre coraggioso e leale, sempre spinto a combat- tere solo per amore del vero e dell’onesto. Questo fu il solo amore della sua vita. Lontano dai pubblici ufficii, non si curò di ciò che dicono onori: non la menoma in- segna cavalleresca, non diplomi accademici, salvo dalla Deputa- zione di storia patria nel 1880 (1) e, un po’ tardi, dalla nostra (1) Elezione del 10 maggio, approvata con R. decreto del 20 di detto mese. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 741 Accademia nel 1895 (1). Ricordiamo quanto grata gli è riuscita l'aggregazione alla nostra Società e come prendeva parte as- sidua ai nostri lavori ed alle nostre adunanze. Conservò mente fresca sino alla fine della vita, che si approssimò agli ottanta anni, e fu troncata da violenta malattia, il 20 di ottobre 1899, nella sua villa di Luserna San Giovanni. La signora Camilla Troglia, per quarant'anni tenera compagna del Perrero, volle dare un’altra prova del suo rispetto per la memoria del consorte, disponendo che le carte da lui lasciate fossero custodite dalla Deputazione di storia patria e la ricca libreria si dividesse fra questa, la nostra Accademia e la Biblio- teca Nazionale (2). Scritti di DOMENICO PERRERO. L’asterisco indica i lavori anonimi o firmati con sole iniziali. 1. Maso e Menicuccio. Novella. (Museo scientifico, letterario ed artistico, anno III, Torino, Fontana, 1841, p. 42-44). i 2. Alla mente umana. Ode. (Id., p. 246-247). 3. Alla giovane donzella Milliani Teresina da Fossano genti- lissima compositrice di versi. (14. p. 350). 4. Una donna. Canzone. (Id., p. 381-382). 5. Il martirio di S. Stefano. Sonetto. (Id., p. 416). © 6. Fiori di poesia straniera contemporanea. Torino, tip. Zecchi e Bona, 1843; 16°, pp. 112. Traduzioni di D. Capellina e del Perrero. Sono poesie del Lamar- tine, dell’Hugo, del Millevoye, del Musset, del Sainte-Beuve, della Tastu, della Gay, del Byron, del Melendez Valdez, di Leandro Fernandez Moratin, di Nicasio Cienfuegos e di altri. (1) Elezione del 13 gennaio, approvata con R. decreto del 3 febbraio. (2) Negli Atti dell’Accademia, vol. XXXVII, p. ux1 e segg., è dato l'elenco dei libri del Perrero entrati nella biblioteca accademica. 742 dre 10. tl, 12. 13. . 14. 15. 16. 17 18. 19, 20. 21. ERMANNO FERRERO Gibilterra. (Mus. scient., anno V, 1843, p. 35-36, 52-54). Memorie di un viaggio in Ispagna. . La cattedrale di Cordova. (Id., p. 69-70, 95-96, 98-100). . Teatro d'Oriente e palazzo delle Corti in Madrid. (Id., p. 108-109). Morte di Camoens. (Id., p. 126-128). Traduzione in versi di un .brano di un poema, allora pubblicato, di un autore portoghese anonimo. Due parole sulla Spagna in generale. (Id., p. 131-132). Della sicurezza pubblica in Ispagna. (Id., p. 138-140, 162-164). Teatri in Lisbona. (Id., p. 145-147). Costumi spagnuoli. (Id., p. 190-192). Con la traduzione di una novella: Un vecchio mantello. Torquato Tasso all'ospedale di Sant'Anna in Ferrara. (Zd., p. 204-206). Versi sopra un quadro di Gallo Gallina da Cremona, nella mostra di belle arti in Torino, di quell’anno. Trafalgar o la madre. Novella spagnuola tradotta. (Id., p. 213-216). Rimembranze della Mancia spagnuola. (Id., p. 218-219). Costumi spagnuoli — Una passeggiata per Madrid. (Id., p. 230-232). Ernesto. Novella tradotta. (Id., p. 237-288). Pietro Navarro e l'invenzione delle mine. (Jd., p. 243). In questo paese! . (Id., p. 267-269). 22. 29. 24. 25. 26. 27. 28. 29. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 743 Alcune parole sui principali monumenti di Siviglia. (Id., p. 285-286). Che cosa vuol dire essere amico d’un poeta. (Zd., p. 299-300). La casa di Cervantes a Madrid. (Zd., p. 364-366). *Voti di un popolano. Torino, tip. Ceresole e Panizza, 1847;f.v. Poesia. Inno ciriacese cantato in Teatro dai Dilettanti la sera del 81 ottobre e per le vie nella sera del 4 novembre. (Raccolta delle varie poesie pubblicate în Piemonte nell’ oc- casione delle nuove riforme giudiziarie ed amministrative accor- date da S. M. il Re Carlo Alberto, Torino, per gli eredi Botta, 1847, disp. II. Ristampato in Dono nazionale. Scelte prose e poesie in esultanza e gratitudine per le riforme accor- date da S. M. Carlo Alberto re di Sardegna, Torino, Tipo- grafia e Litografia Canfari (1847), p. 240). * Un anno di vita italiana. Impressioni di un solitario. Sonetti. Torino, tip. V. Vercellino, 1863; 8°, pp. 79, ed. per uso pri- vato di 150 esemplari. Sono passati in rassegna in altrettanti sonetti gli avvenimenti politici del 1862. * Voti e speranze di un solitario torinesé. (Torino), tip. V. Ver- cellino (1865); 8°, pp. 8 s. n. (A. D. P.). Sestine che portano la data 10 febbraio 1865, e si riferiscono a ciò che accadde la sera del 30 di gennaio in piazza Castello nel- l'occasione di un ballo alla corte. Il conte Fulvio Testi alla corte di Torino negli anni 1628 e 1635. Documenti inediti, raccolti ed illustrati. Milano, G. Daelli e C. editori, 1865; 32°, pp. 292. Fa parte della Biblioteca rara del Daelli (n. 62). L'autore trasse i documenti dall’ archivio, già segreto, poi palatino di Modena. Essi concernono due legazioni del Testi, la prima a Carlo Ema- nuele I, la seconda a Vittorio Amedeo I. Lettere del Testi di altri anni, oltre agli indicati, si trovano nella prefazione e nelle estese annotazioni alla fine del libro. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXVII. 49 744 ERMANNO FERRERO 30. La casa, del Tasso in Torino non fu mai abitata dal Tasso — Lettera al professore Michele Lessona. (Il Conte Cavour, anno IV, n. 344; Torino, 14 dic. 1868). Dimostra che la casa, in via della Basilica, ove una lapide con l’effigie del Tasso ne ricorda il breve soggiorno nel 1577, non fu l'abitazione del Tasso. La casa degli Estensi, in cui il poeta fw ospitato, ora scomparsa, si trovava nell’attuale piazza reale. 31. Restaurazione della facciata di. S. Giovanni di Ciriè. Torino, tip;,iG..B.:Paravia e C., 1870; 8°, pp. 12. 32: * Degli archivi di Stato delle provincie subalpine. Pensieri e voti. Torino, tip. V. Vercellino, 1871; 8°, pp. 50: (Edizione fuori. commercio). Quest’opuscolo fu suggerito: al Perrero dal riordinamento degli archivii di Stato piemontesi, che: si stava iniziando sotto la dire- zione di Nicomede Bianchi, preposto alla direzione di. questi ar- chivii. L'autore insiste sulla necessità di riordinare e di rendere accessibili gli archivii dell’antico Senato di Piemonte, di aprire agli studiosi, senza obblighi fiscali, gli archivii dell’insinuazione, di cui mette in luce l’importanza storica: fa altre. proposte; sopra tutto circa l'opportunità che non si stabilisca una categoria di carte segrete contraria alle esigenze della vera storia. 38. Law e Vittorio Amedeo II di Savoia. (Curiosità e ricerche di storia subalpina, vol. I, Torino, 1874, p. 24-71). Dimostra. non esser vero che Vittorio Amedeo.II. abbia respinto: subito il piano propostogli dal Law per la creazione di una banca; ma che le relazioni fra il finanziere scozzese ed il principe sabaudo, cominciate nel 1711, durarono sino al 1716, quando il sistema del Law trovò accoglienza presso il reggente di Francia. Sono date notizie intorno allo svolgimento del credito, a quel tempo, in Piemonte. 34. * Un falso inviato del duca di Savoia nella corte di Vienna (1685) (Xx). (Id., p. 133-142). È pubblicata una curiosa relazione di ciò che fece a Vienna un tale, spacciatosi per il marchese Carretto di Gorzegno, inviato straordinario: del duca di Savoia. presso l’imperatore e. l’ elettore di Baviera. V. n. 38, 109. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 745 35. * Il testamento di M. R. Cristina di Francia ed il conte Fi- lippo d’Agliè (A. D. P.). (Id. p. 369-372). Riferisce un brano del testamento di Madama Reale (1662), che, insieme con altri, contiene un legato in favore del conte d’Agliè espresso in modo da dissimulare le relazioni, che furono tra lei e il suo favorito. 36. Singolare preponderanza dell’elemento democratico nei tre Stati del ducato d'Aosta. (Id., p. 473-504). 37. Là prepotenza di Luigi XIV ed il matrimonio del principe Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano 1682-85. (Id., p. 585-648). Con la scorta di documenti inediti narra la storia del matri- monio di questo principe con Maria Caterina d'Este, compiuto subitamente' (1684), non ostante il divieto di Luigi XIV, che obbligò il duca di Savoia a bandire da’ suoi Stati il cugino, relegato a Bologna. Racconta poscia come il principé si è rappattumato col re di Francia ed è rientrato negli Stati di Savoia. 38. * Ancora del falso inviato del duca di Savoia alla Corte di Vienna (X). (Id., p. 722-723). _ V. n. 34. Pubblica una lettera del principe Eugenio di Savoia a Vittorio Amedeo II, che lo ragguaglia del poco che si era sco- perto su questo falso inviato. 39. Le odi di Orazio. Versione poetica col testo a fronte. To- rino, fratelli Bocca, 1876; 32°, pp. 446. V.R. 92, 40. La duchessa Ortensia Mazzarino e la principessa Maria Co- lonna;. sorelle Mancini ed il duca: Carlo Emanuele II di Sa- voia 1672-75. (Cur. e ric. di st. sub., vol. II, 1876, p. 1-95, 381-443). Corregge errori del Renée, Les nidees de Mazarin (Paris, 1858), ed illustra le relazioni fra queste due principesse Mancini ed il duca Carlo Emanuele II 41. L'abbate di Saint-Réal, istoriografo, cortigiano e politico. Rivelazioni autobiografiche 1663-92. (Id., p. 205-260, 774-776). 746 ERMANNO FERRERO 42. Aggiunte e correzioni agli storici piemontesi — La condotta di Vittorio Amedeo II di Savoia verso la Francia, prima e dopo il trattato di alleanza del 6 aprile 1701 illustrata e difesa sopra nuovi documenti. (Id., p. 581-634). Mostra come Vittorio Amedeo II fu costretto a conchiudere il trattato del 1701 e come gli atti degli alleati lo indussero a rom- perlo nel 1703. 43. Aggiunte e correzioni agli storici piemontesi. Pirro Ligorio - cav. Cassiano Dal Pozzo - Niccolò Pussino - Cardinale di Richelieu - Mazzarino - Madama Reale Cristina di Francia - Sua reggenza 1641-44. (ZA 01. A 11875 (1), p., 1-39) Narra come Cassiano Dal Pozzo, per ingraziarsi il Richelieu, sia stato colui, che suggerì al cardinale, per. mezzo del Poussin, suo amico, di chiedere alla duchessa Cristina i manoscritti di Pirro Ligorio per farli stampare a Parigi. La trasmissione di questi mano- scritti fu vanamente patrocinata a Torino dal Mazzarini : la duchessa Cristina fu irremovibile nel non volerli concedere: nè i suoi consi- glieri riuscirono a persuaderla a cedere al Richelieu, che s’'impun- tava a volere i manoscritti, dei quali la duchessa consentiva solo a far trarre una copia. La questione, sorta nel 1641, non ebbe se- guito dopo la morte del Richelieu (1642). Il Perrero, dopo aver esposto questo tratto di fermezza di Madama Reale, mostra l’in- giustizia di giudizii, che recentemente erano stati pronunciati in- torno ad essa. 44, * Una discendente di*Pietro Micca? (D. si (Id., p. 77-80). Anna Micca vedova Bricca n. a Carignano nel 1775, morta pro- babilmente nel 1846, che si qualificava come discendente di Pietro Micca. 45. Un carceriere vercellese del tempo antico a proposito del- l'acquisto per parte della casa di Savoia del feudo di De- sana 1683-1701. (Id., p. 236-260). Di un prevosto di giustizia (capo carceriere) di Vercelli, che rifiutò al governatore della città di lasciar fuggire un carcerato. Questo carcerato era un tal Viano, autore di disordini a Desana, (1) La prima puntata del volume uscì nel 1877; il frontispizio, distri- buito con l’ultima, porta la data del 1879. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 747 per l'unione di questo feudo (di cui s'era spento l’ultimo signore di casa Tizzone) a casa Savoia. La duchessa Maria Giovanna Bat- tista aveva fatto imprigionare il Viano, ma voleva che lo si la- sciasse fuggire. Questo prevosto fu incarcerato a sua volta. 46. * Adelaide di Savoia duchessa di Baviera e i suoì tempi. Nar- razione storica scritta su documenti inediti da Gaudenzio Claretta. — Stamperia Reale di Torino di G. B. Paravia e Comp., 1877 [Recensione] (P.). (12 Risorgimento, anno II, n. 85, 86, 87, 90; Torino, 26, 27, 28, 31 marzo 1877). 47.*Di alcuni predicatori quaresimali di Torino del 1877 — Rivista retrospettiva (P.). (ton? 1051061077 10} "17) 18° aprile 1377). 48. * L’Alba di Giuseppina Spilmann, scene famigliari. — Una scintilla della stessa, nuove scene. Due volumi in-8° grande. Torino, libreria L. Romano, editore. — Letture per le bam- bine della prima classe elementare, di Olimpia Gianoglio e Ildegarde Trinchero, parte 1%, 1877, Stamperia Reale di G. B. Paravia e Comp. — Dell’avvenire dei popoli cattolici, del bar. Hauleville, traduzione del conte Prospero Liberati Tagliaferri. Torino, libreria L. Romano, editore, 1877, un volume in-8° | Recensioni] (P.). (Zd., n. 115, 26 aprile 1877). 49. * Una risposta all’ Unità Cattolica a proposito della Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861 del Comm. Ni- comede Bianchi (P.). (Jd., n. 135, 136; 16, 17 maggio 1877). 50. * Il duca Alberto di Broglie, il potere temporale del papato e l’unità italiana — Rivista retrospettiva (P.). (IZ Risorgimento, anno II, n. 165, 166, 167, 171, 173; 16, 17, 18, 22, 24 giugno 1877). 51. Risposta provvisoria ad una promessa rettificazione storica. (Gazzetta piemontese, a. XI, n.168; Torino, 20 giugno 1877). Risposta a Giacomo Lumbroso (Gazz. piem., 15 giugno 1877), che gli rimproverò aver accusato Cassiano Dal Pozzo del tentativo di far avere alla Francia i manoscritti ligoriani (v. n. 48). 748 02., 99. D4. ERMANNO FERRERO * Istoria del venerabile Alessandro Ceva, fondatore dell’ Eremo di Torino, narrata da un sacerdote torinese. — Torino, 1877, Collegio degli Artigianelli [Recensione] (P.). (IZ Risorgimento, anno II, n. 171; 22 giugno 1877). Memorie e lettere inedite di Santorre Santa-Rosa con appen- dice di lettere inedite di Gian Carlo Sismondi, pubblicate ed illustrate da Nicomede Bianchi, frat. Bocca, 1877 [Re- censione] (P.). (Jd., n. 192, 193; 13, 14 luglio 1877). * L’Alberoni e la sua dipartita dalla Spagna. — Saggio di studio critico, per Vincenzo Papa. Torino, tip. eredi Batta, 1876. La Corte di Torino nel 1708. — Relazione del conte Orazio 99. 56. GYB 58. Guicciardi, inviato straordinario di Rinaldo duca di Modena a Vittorio Amedeo II di Savoia, per Giuseppe Campori. — Negli Atti e memorie ‘delle deputazioni di storia patria del- Emilia, vol. 1, Modena, Vincenzi, 1877 [Recensione] (P.). (Td.}''n196, 197; 017; 18*Iuglio ‘1°877). * La chiesa cattolica e l’Italia. Storia ecclesiastica e civile dalla venuta di San Pietro, principe degli Apostoli, a Roma, sino all'anno 30 del fortunato pontificato di Pio IX, pel Teo- logo Cerruti Giuseppe, Canonico Penitenziere della Catte- drale di Novara — vol. 2 — Torino, Tip. Cavour, 1877 [Recensione] (P.). (IJd., n. 315, 316; 14, 15 novembre 1877). Madama di Warens. Appunti storici a schiarimento della vita di lei e dei libri II e ITI delle Confessioni di G.G. Rousseau, tratti da documenti inediti (1726-1762). (Cur. e ric. di st. sub., vol. III, p. 385-411). Storia della monarchia Piemontese dal 1773 sino al 1861, di Nicomede Bianchi, volume secondo 1878, Bocca [ Recensione]. (Gazzetta letteraria, anno II, Torino, 1878, n. 8, p. 61-63). Il violinista Gaetano Pugnani — Correzione ed aggiunte di notizie. (Gaza. piem., anno XII, n. 59; 28 febbraio 1878). V..11899; DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 749 59. Aggiunte e correzioni agli storici piemontesi — Il taccuino del cavaliere di Bellisle ucciso alla battaglia dell’ Assietta — M. R. di Francia. Il principe Maurizio di Savoia ed il padre Alberto Bally — Il marchese Ferrero d’Ormea e le sue aspirazioni al cardinalato. (Cur. e ric. di st. sub., vol. II, p. 525-536). 60. Come avvenne che il Piemonte perdette Giuseppe Luigi La- grange. (Gazz. piem., anno XII, n. 87; 28 marzo 1878). 61. L’abate Tommaso Valperga di Caluso patriota e repubblicano. (Id., n. 101; 11 aprile 1878). Pubblica una petizione del Valperga di Caluso al governo prov- visorio costituito dopo la partenza di Carlo Emanuele TV, circa la abazia ed i benefizii,- di cui era provvisto. La petizione è del 29 di- cembre 1798, cioè di ‘appena venti giorni posteriore alla caduta della monarchia, ed è scritta con parole di devozione per il nuovo governo. 62. Degli antichi cantonieri della città di Torino, a proposito delle nuove Guardie notturne. (Gazz. piem., anno XII, n. 113; 24 aprile 1878). 63. Memorie torinesi — L'antica torre della città di Torino — Trasporto di essa proposto dal celebre Serra da Crescentino. (Id., n. 132, 13 maggio 1878). 64. Il fatto di Pietro Micca davanti alla critica storica. (Gazz. letteraria, anno II, 1878, n. 20, p. 153-156). A proposito della pubblicazione di A. Manno, Relazione e docu- menti sull’assedio di Torino nel 1706, Torino, 1878 (Misc. di st. it., t. XVII). L’autore crede che il Manno dia troppa fede al Journal historique du siège de Turin, in cui vede trasparire malanimo verso il Mieca e proponimento di menomarne l’azione: ha dubbii circa l’attribuzione di questo Journal al conte Solaro della Margherita, v. n. 69. 65. Appunti di storia subalpina. Ancora del cav. Cassiano Dal Pozzo e dei manoscritti Ligoriani. (Gazz, piem., anno XJI, n. 162; 13 giugno 1878). A proposito di aleune affermazioni di Domenico Carutti nel la- voro: Degli ultimi tempi, dell'ultima opera degli antichi Lincei e del risorgimento dell’Accademia, contrarie all’ opinione del Perrero, v. n. 43, dl. 750 66. 67. 68. 69. ERMANNO FERRERO Storia del Regno e dei tempi di Carlo Emanuele II Duca di Savoia, scritta su documenti inediti da Gaudenzio Claretta. Tomo I, Genova, tipografia del R. Istituto de’ Sordo- Muti, 1877 [Recensione]. (Gazz. letteraria, anno II, 1878, n. 27, p. 212-214; n. 28, p. 221-223). Un documento di Carlo Emanuele I a proposito dell’atten- tato contro il Re. (Id., n. 48, p. 383-384). Lettera di Carlo Emanuele I alla figlia Isabella duchessa di Mo- dena (Arch. di St. di Modena) del 7 giugno 1611, circa la com- mozione sorta in Torino per la voce, sparsasi il dì prima, che il duca fosse stato ucciso con un’archibugiata dei Francesi. Memorie torinesi — Antichità secolare della vera prima idea della derivazione della Ceronda. (Gazz. piem., anno XIII, n. 14; 14 gennaio 1879). Ancora sul fatto di Pietro Micca. (Gazz. letteraria, anno II, 1879, n. 4, p. 31). Le osservazioni sul fatto del Micca (n. 64) indussero a ricercare il manoscritto originale del Journal. La scoperta di questo mano- scritto, che prova esserne stato autore il Solaro della Margherita, fu annunciata dal Manno (Gazz. lett., anno III, n. 3, p. 23). Di essa si compiace il Perrero, raccomandando nuova rigorosa disa- mina della narrazione del fatto. V. Manno, Pietro Micca ed il ge- nerale conte Solaro della Margherita, Torino, 1888, p. 13, 27 e segg. (Misc. di st. îit., t. XXI). 70. Uno sguardo retrospettivo sull’antico ordinamento munici- pale della città di Torino per ciò che spetta ai Sindaci ed alla libera loro elezione, considerata nelle lotte per essa so- stenute contro alcuni principi della casa di Savoia (1639-1676). (Cur. e ric. di st. sub., vol. III, p. 593-640). 71. M. de La Fayette e la Princesse de Clèves. (Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti, vol. III, Roma, 1879, n. 65, p. 249-250). In una lettera al cav. Giuseppe de Lescheraine, segretario della duchessa Maria Giovanna Battista (senza data, ma da assegnarsi al 1679), madama de La Fayette nega di essere l’autrice del ro- manzo. Il Perrero pubblica la lettera conservata nell'Archivio di Stato di Torino. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 751 Madame de La Fayette e la Princesse de Clèves. (Id., n. 67, p. 289-290). Combatte i dubbii sollevati nella Revue portique et littéraire del 5 aprile 1879 circa l’attribuzione della lettera non firmata, di cui nel precedente articolo, a madama de La Fayette. Ricorda le rela- , zioni tra questa e la duchessa di Savoia. Madame de La Fayette e La Princesse de Clèves. (Id., n. 71, p. 367). Ritorna sul medesimo argomento a proposito di un altro articolo contro la sua opinione inserito nella Revue politique et littéraire del 5 maggio. * Cenni sui restauri del Duomo di Alessandria (A. D. P.). (IZ Risorgimento, anno IV, n. 160; 12 giugno 1879). Prima carovana de’ cavalieri della Sacra Religione e milizia de’ SS. Maurizio e Lazzaro — Documenti inediti per servire alla storia degli armamenti navali e fatti marittimi della R. Casa di Savoia 1573. (Cur. e ric. di st. sub., vol. IV, 1880, p. 112-189). Il presidente Giuseppe de Lescheraine corrispondente di Ma- dama di La Fayette. (Id., p. 359-402). Notizie biografiche su questo personaggio, come introduzione alla pubblicazione delle lettere di madama de La Fayette, v. n. seg. Lettere inedite di Madama de La Fayette e sue relazioni colla Corte di Torino. (Id., p. 409-525). V. n. 71-73, 76. Le lettere conservate nell'archivio di Stato di Torino non sono firmate: il Perrero adduce argomenti a favore della sua opinione, che esse siano della La Fayette, e combatte i dubbii addotti contro questa attribuzione. Memorie torinesi — Una pagina da aggiungersi alla storia della Biblioteca civica di Torino. (Id., vol. IV, p. 712-718). Un tal Favre, che nel 1791 aveva ereditato il patrimonio del conte Felice Nicolò Durando di Villa, aveva intenzione di lasciare la ricca libreria compresa in questa eredità alla città di Torino perchè fosse aperta al pubblico. ll re Vittorio Amedeo III si oppose per l’aggravio, che ne sarebbe venuto alla città. 752 ERMANNO FERRERO 79. Origine e vicende della disgrazia incorsa dall'abate (Carlo Denina per la sua opera: Dell’impiego delle persone(1777-1789). (Id., p. 722-738). Ricerea da chi Vittorio Amedeo III fu informato del libro del Denina, e quindi spinto a punirlo. Mostra che chi segnalò il libro fu il conte Pietro Giuseppe Graneri, ministro sardo a Roma, il quale, passando per Firenze, ne ebbe notizia da un P. Bruni delle Scuole pie. 80. La figlia di Vittorio Amedeo II e Lord Peterborough. 81. 82. 89. 84. (Fanfulla della domenica, a. Il, n.20; Roma, 16 maggio 1880). Sul mancato matrimonio di lord Peterborough con Vittoria Ma- rianna di Savoia, detta madamigella di Susa, figlia legittimata di Vittorio Amedeo II e della contessa di Verrua. Pubblica una let- tera della principessa al padre (21 giugno 1714), per ragguagliarlo del colloquio avuto col diplomatico inglese. Contrariamente quindi a ciò che fu scritto, la mancata conclusione del matrimonio non si deve attribuire al Peterborough, e verosimilmente sin dal prin- cipio Vittorio Amedeo e la figlia non recitarono che una com- media. Enrico Arnaud. Notizie da documenti inediti. (Rassegna settimanale, vol. VI, 1880, n. 137, p. 104-106). Aggiunte ad un articolo di Ernesto Masi su questo ministro val- dese, che ricondusse i suoi correligionarii nelle loro valli nel 1689-90 (Rass. cit., 1880, n. 117). Le tribolazioni di un prete piemontese a Roma — Episodio della causa di beatificazione del Venerabile Labre (1785-86). (Id., n. 147, p. 266-268). Questo prete è un tale Ludovico Gibellini, che a Roma condusse vita di mortificazione e di carità, e fu in relazioni amichevoli col Labre. Le notizie sono tratte dal carteggio del conte Valperga di Maglione, ambasciatore sardo a Roma. Il vino ed il rosolio nella diplomazia di Vittorio Amedeo II. (Id., n. 249, p. 298-300). Sui regali di questi prodotti, che il principe sabaudo voleva fare a personaggi stranieri. Appunti in risposta ad una memoria del Barone Comm. Do- menico Carutti intitolata: Di un punto di storia arcana (in- serita nella disp, 3° del 1879 dell’ Archivio storico, a p.400-411). (Archivio storico italiano, serie IV, vol, V, Firenze, 1880, p. 61-74). Non crede fondata l’accusa mossa a Cristina di Francia di aver fatto proporre nel 1641 dall'abate Mondino, suo agente, al Ri- DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 753 chelieu, il cambio del padre Monod, ch’essa aveva dovuto far rin- chiudere nel castello di Miolans, col conte Filippo d’Agliè, tratte- nuto prigioniero in Francia. La proposta del cambio fu fatta dal Mondino di proprio capo: la duchessa anzi ne fu scontenta. 85. L'arresto e la morte del conte Fulvio Testi spiegati sulla scorta di documenti inediti. (Rivista europea - Rivista internazionale, nuova serie, anno XI, vol. XIX, Firenze, 1880, p. 465-480). L'arresto del Testi si deve all’aver egli, all'insaputa del duca di Modena, chiesto ed ottenuto ufficii e favori dalla Francia. La morte del Testi è stata naturale. 86. Il matrimonio del margravio Carlo Filippo di Brandeburgo. (Rassegna settimanale, vol. VII, 1881, n. 169, p. 197-198). Pubblica una relazione del parroco della Venaria, da cui si di- ceva essere stati uniti in matrimonio, nel 1695, il margravio con la gentildonna piemontese Caterina de’ marchesi di Balbiano, ve- dova del conte di Salmour. Da questo documento risulta che non vi fu celebrazione di matrimonio regolare. 87. Gli ultimi Stuardi e Vittorio Alfieri, sul fondamento di do- cumenti inediti (1782-83). (Rivista europea - Rivista internazionale, n. s., anno XII, XXIV, 1881, p. 683-701). 88, * Sulla supposta fucilazione dell’avvocato Angelo Paroletti (1798) (P). (12 Risorgimento, anno VI, n. 141; 22 maggio 1881). Pubblica una lettera del conte di Chialamberto, inviato sardo presso il papa, al cavaliere di Prioeca, e la risposta di questo ministro di Carlo Emanuele IV intorno al Paroletti, le quali mo- strano sentimenti di benevolenza per questo giovane sebbene ne- mico del governo regio. Il Paroletti non fu fucilato a Domodossola (e tanto meno nella cittadella di Torino); ma perì nel combatti. mento fra i regii e i repubblicani avvenuto presso la prima città. 89. Ancora del Padre Giambattista Beccaria — Cenni biografici inediti. (Id., n. 193; 14 luglio 1881). Aggiunte ad una commemorazione del Beccaria scritta da Ca- simiro Danna e stampata nel n. 145 del giornale. 90. I vini piemontesi nel secolo passato. Commemorazione del- l’enologo G. Benedetto Core. (IJd., n. 217; 8 agosto 1881). 754 ERMANNO FERRERO 91. Della biblioteca del seminario di Torino e del sac. D. Ga- spare Antonio Giordano suo fondatore. (Id., n. 258; 19 settembre 1881). 92. Le satire, le epistole e l’arte poetica di Orazio, versione poetica col testo a fronte. Torino, fratelli Bocca, 1881; 32°, pp. 447. V..1/99%% 93. La caccia dei tartufi (1723-1751). (Fanfulla della domenica, anno HI, n. 50; 11 dic. 1881). Su richieste di uomini e di cani abili nella caccia dei tartufi fatte dalle corti francese ed inglese. 94. Un principe Ruspoli a Torino (1738-39). (Rassegna settimanale, vol. VIII, 1881, n. 208, p. 408-410). 95. Correzioni ed aggiunte agli storici piemontesi — La lotta e la conciliazione del proselitismo cattolico colla patria po- testà, giusta la legislazione inglese, dibattuta fra le corti di Torino, di Londra e di Roma — Episodio diplomatico del regno di Vittorio Amedeo III (1773-1774). (Cur. e ric. di st. sub., vol. V, 1883, p. 88-112, 186-212). Racconta particolareggiatamente il fatto brevemente ed infedel- mente riferito dal Denina (Ist. dell’Italia occid., lib. XVIII, c. III) della grave vertenza diplomatica suscitata per la conversione al cattolicismo della figlinola di un costruttore di navi inglese a Nizza. 96. * Del Cagliostro e dei liberi muratori in Roma, secondo i documenti diplomatici sardi (1790) (D. P.). (Id., p. 231-241). 97. L’arresto in Savoia del capo-contrabbandiere Luigi Mandrin — Vertenza tra la corte di Torino e quella di Francia (1755). (Id., p. 337-367). Per l’arresto di questo contrabbandiere fatto in Savoia da un corpo di soldati francesi, che commise ancora prepotenze nel paese, la corte di Torino volle una soddisfazione, che la Francia dovette acconciarsi a dare. La storia di questa vertenza, finita con una vittoria della diplomazia piemontese, fu taciuta dagli scrittori stra- nieri ed inesattamente toccata da uno de’ nostri, il quale male pure si appose nel giudicare la condotta del conte di Sartirana, ambasciatore sardo a Parigi. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 755 * Alcune dimostrazioni antisemitiche subalpine nel secolo passato (D. P.). (Id., p. 373-392). A Casale nel 1728, ad Alessandria nel 1754. Il Perrero dà pure notizie sullo stato degli Ebrei in Piemonte, e riferisce certe istanze contro gli Ebrei fatte a. Vercelli da Giovanni Antonio Ranza nel 1791. * Correzioni ed aggiunte agli storici piemontesi. Gaetano Pugnani (P.). (Jd., p. 416-420). Sul luogo di nascita e sulla pretesa povertà nella vecchiaia di questo celebre sonatore di violino. V. n. 58. Memorie torinesi — Una visita dell’imperatore Giuseppe II d'Austria alla corte di Torino nel 1769. (Gazz. letteraria, anno VI, 1882, n. 2, p. 9-11). Il primo ambasciatore prussiano presso la Corte di Torino — Suo duello con un ufficiale piemontese (1774-78). (Id., n. 4, p. 26-28). L’inviato prussiano era il barone di Keit, che, senza ragione, aveva insultato il cavaliere Ignazio Fresia d’Oglianico. Il duello, che levò non poco rumore, si fece a Mantova. Papa Pio VI e l’opera dello Spedalieri “ I diritti del- l’uomo ,. (Id., n. 8, p. 60-61). A proposito di uno scritto del Cimbali (Fanf. della dom., 29 gen- naio 1882), il quale parla di minaccia di scomunica contro lo Spedalieri. Il Perrero mostra l’insussistenza di questa minaccia e l’inesattezza dell’affermazione che l’opera dello Spedalieri abbia destato grandi ire e rumori. Le prime compagnie comiche francesi in Italia furono nel Piemonte due secoli fa. (Id., n. 12, p. 96). L’Ademollo (Opin. lett., 16 marzo 1882) aveva scritto che la prima compagnia comica francese in Italia fu a Venezia nel 1772, la- sciando però trasparire il dubbio che altre siano state anteceden- temente a Torino. Il Perrero fornisce memorie di compagnie fran- cesi in Piemonte un secolo prima. Memorie torinesi — Un po’ di storia della vecchia chiesa parrocchiale del Borgo Dora, a proposito dell’inaugurazione della nuova. (Id., anno VII, 1883, n. 3, p. 17-19). 756 ERMANNO FERRERO 105. Memorie torinesi. — Il duomo di Torino e il maresciallo Villars. (Id., n. 5, p. 37-88). Notizie sul deposito del corpo del maresciallo Villars, morto a Torino il 17 giùsno 1734, nei sotterranei del duomo di questa città. La famiglia aveva intenzione di dargli stabile sepoltura in questa chiesa, e perciò chiese una cappella; i disegni di ricostru- zione della Metropolitana, che si avevano allora, lasciarono in so- speso la cosa. Il Perrero cercò inutilmente quale sia stata la sorte del cadavere del maresciallo. 106. Memorie torinesi. — La maledizione delle gatte. (Id., n. 8, p. 61-62). Maledizione dei bruchi'(gatfe) che si faceva con solennità reli- giosa, ancora in uso nella seconda metà: del secolo XVII. 107. Un antecessore di David Lazzaretti. (Jd., n. 26, p. 206). Rettificazioni ad un articolo di P. L. Bruzzone sul medico Fran- cesco Giuseppe Borri, morto in Castel Sant’ Angelo nel 1695, il quale, meglio che del Lazzaretti, può esser detto precursore del Cagliostro (ibid., n. 25). 108. Della famiglia di Giuseppe Baretti. Notizie tratte da do- cumenti inediti. (Cur. e ric. di st. sub., vol. V, p. 524-540). 109. * Ancora del falso inviato di Savoia alla corte di Vienna — Prime sue imprese (1684) (D. P.). (Id., p. 548-561). Costui, come scoprì il Carutti (Cur., II, p. 656), era un certo Carlo Caruffi, di Mondovì. Prima di recarsi alla corte imperiale era stato a quella del granduca di Toscana, spacciandosi per il marchese di. Bagnasco, inviato del duca di Savoia. V.n. 34; 38. 110. L'Istituto del Soccorso e Crosa Tommaso Andrea. (Gazz. piemontese, anno XVII, n. 227; 18 agosto 1883). 111. * Memorie torinesi — Carlino l’ Arlecchino (Carl Antonio Bertinazzi) 1710-1783 (A. D. P.). (Gazz. lett., anno VII, n. 48, p. 383). Artista drammatico applaudito in Italia e a Parigi. DOMENICO PERRERO +—— NOTIZIA BIOGRAFICA 757 112. A proposito di una recente pubblicazione del comm. Nico- mede Bianchi. (Id., anno VIII, 1884, n. 38, p. 301-302). Ribatte certe osservazioni fatte, citcea la lingua, all'opera del Bianchi: I plebisciti italiani. 113. La principessa Vittoria Marianna di Savoia-Carignano. (Jd., anno IX, 1885, n. 46, p. 365-367). Notizie sull’andata e sulla dimora (1720) a Parigî di questa principessa, calunniata dal Saint-Simon e da altri. 114. * La casa di Savoia e Pio VI negli anni 1792-93 (A. D.P). (Id., anno X, 1886, n. 15, p. 114-115). 115. Di Nicola Spedalieri e delle sue dottrine a proposito del- l'opuscolo L'arte di governare. (Zd., n. 30, p. 241-242). 116. Una leggenda sul conte &. B. Lorenzo Bogino ridotta a verità storica (1730-35). (Id., n. 39, 40, p. 813-314, 321-322). La leggenda trovasi in Cibrario, St. di Tor., vol. II, p. 732 e seg. ed ampliata in Carutti, Storia del regno di Vittorio Amedeo II, pag. 500 e segg. 117. *I genitori del re Carlo Alberto. (It Filotecnico, rivista mensile di scienze, lettere ed arti, anno I, Torino, 1886, p. 56-63, 102-109, 151-163) (A. D. P.). Ritornò sull'argomento nel libro segnato al n. 125, p. 1 e segg. 118. Le prime pazzie del prof. Gio. Antonio Ranza in Vercelli (1790-91). (Id., p. 315-325, 382-396). 119. Il principe italiano in Carlo Emanuele I di Savoia — Nuovi documenti diplomatici. (Id., anno II, 1887, p. 76-87). A proposito delle relazioni del duca con Traiano Bocctalini. 120. Una rettifica a proposito delle relazioni corse fra la Corte di Savoia e lo storico Castruccio Buonamici. (La Letteratura, anno II, n. 13; Torino, 1° luglio 1887). Rettifica ad un’asserzione di G. Sforza (Arch. stor. it., s. IV, t. XIX 1887, p. 222 e segg.). 758 ERMANNO FERRERO 121. La casa di Savoia negli Studi diplomatici del duca di 122. 123. Broglie a proposito di Carlo Emanuele II e della succes- sione austriaca (1740). (Il Filotecnico, anno II, p. 210-221; II, 1888, p. 7-24). Contro le ingiuste affermazioni del duca e la sua ostilità verso la casa di Savoia. Il rimpatrio dei Valdesi del 1689 e i suoi cooperatori. Saggio storico su documenti inediti. Torino, Francesco Ca- sanova, editore, 1889; 16°; pp. 102. Enrico Arnaud non fu il capo della spedizione dei Valdesi rim- patrianti, nè a lui spetta esclusivamente il merito di tale rimpatrio. [Risposta ad osservazioni sul libro precedente pubblicate nel giornale: L’ Avvisatore alpino, anno VIII, n. 383; Torre Pellice, 4 ottobre 1889]. (L’Avvisatore alpino, anno VIII, n. 384; 11 ottobre 1889). 124. [Replica ad osservazioni alla risposta precedente pubblicate nel medesimo giornale, n. 385, 18 ottobre 1889]. (Ibid., n. 386; 25 ott. 1889). 125. Gli ultimi Reali di Savoia del ramo primogenito ed il prin- cipe Carlo Alberto di Carignano. Studio storico su documenti inediti. Torino, Francesco Casanova editore, 1889; 8°, pp. xx-463. Questo libro contiene una serie di capitoli su Vittorio Ema- nuele I, Carlo Felice, Carlo Alberto e la sua famiglia. Col sussidio di nuovi documenti l’autore vuol mostrare quanto siano poco fe- deli i ritratti di Vittorio Emanuele e della sua consorte Maria Teresa d’Austria, dati da molti storici ed accolti, caricandone an- cora le tinte, dal Costa de Beauregard nel libro: Prologue d’un rògne. La jeunesse du roi Charles-Albert (Paris, 1889); quanto sia ingiusto attribuire alla regina un’acre inimicizia contro il principe di Carignano e la brama di escluderlo dalla successione al trono. Fra gli argomenti toccati dal Perrero ve ne sono anche che hanno tratto alla rivoluzione del 1821, come l’abdicazione di Vittorio Emanuele (il quale negò la costituzione per propria convinzione non per timore dell'Austria, contro cui egli mostrò sentimenti d'indipendenza), sulla partecipazione del principe di Carignano alla guerra di Spagna, sugli emigrati dal Piemonte. In un’ appendice discorre della condotta politica e militare di Vittorio Emanuele I fra il 1795 e il 1799, dimostrando non esser vero ch'egli sia stato favorevole alla Francia e fautore del trattato di alleanza tra il Piemonte e la Repubblica ed abbia sperato, con l’aiuto di questa, di salire sul trono del fratello Carlo Emanuele IV. 126. 127. 128. 129. DOMENICO PERRERO — NOTIZIA BIOGRAFICA 759 Gli ultimi Reali di Savoia del ramo primogenito ed il prin- cipe Carlo Alberto di Carignano — Replica al marchese Costa di Beauregard — Nuovi appunti e documenti — To- rino, Francesco Casanova editore, 1890; 8°, pp. 232. Combatte il Costa, che aveva pubblicato una Réponse à M. Dome- nico Perrero à propos de son livre “ Gli ultimi Reali di Savoia , (Paris, 1889). Combatte anche Enrico Poggi, che aveva inserito nella Rassegna nazionale (16 sett. 1889) osservazioni al libro del Perrero. Baretti e la Frusta letteraria — Nuovi ragguagli tratti da documenti inediti (1765-66). (La Letteratura, anno VI, 1891, serie seconda, vol. I, p. 132-141). La casa di Savoia-Carignano e la Sardegna relativamente alla legge salica a proposito del matrimonio della princi- pessa Beatrice di Savoia coll’arciduca Francesco d'Austria d'Este (1812). Note storico-critiche documentate ad una re- cente storia della Corte di Savoia con un cenno sulla ri- surrezione di un archivio segreto. Torino, tip. S. Giuseppe - Collegio degli Artigianelli, 1893; 8°, pp. 46 (Edizione privata di 150 esemplari). Combatte l’interpretazione data dal Carutti (St. della Corte di Savoia durante la riv. e limp. francese, vol. II, pag. 178 e segg.) alle convenzioni stipulate il 17 giugno 1812 in occasione del ma- trimonio della principessa Beatrice, figlia primogenita del re Vit- torio Emanuele I, con l'arciduca Francesco d'Este, nel senso che con esse sì abbia avuto in mira di spogliare Carlo Alberto del diritto di successione alla corona di Sardegna. Disapprova nella prefazione la disposizione, che ebbe per effetto di togliere carte dall'archivio di Stato per costituire um privato archivio di Corte. La regina Maria Teresa d'Austria e la dimissione del conte di Vallesa. Contro-note storico-critiche sopra nuovi docu- menti alle note storiche del comm. Paolo Boselli intitolate “Il ministro Vallesa e l’ ambasciatore Dalberg ,. Torino, tip. S. Giuseppe - Collegio degli Artigianelli, 1893; 8°, pp. 48 (Edizione privata di 150 esemplari). — Argomento già trattato nel libro n. 125, p. 134 e segg., e nel- l'opuscolo n. 126, p. 202 e segg. Dopo aver oppugnato le asser- zioni del Boselli circa Maria Teresa, riprende ad esaminare la Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 50 760 ERMANNO FERRERO rinuncia ‘al ministero fatta nel 1817 dal conte di Vallesa, e né trova la causa non già in un urto con la regina, ma per la posi- zione intollerabile, in cui si trovava per l’intrigante ambasciatore francese, il duca di Dalberg, del quale la corte di Torino aveva indarno tentato di ottenere il richiamo. 130. Sullo sventramento di un archivio pubblico a benefizio di 131. un risorto archivio segreto. Seconda edizione con aggiunte e con appendice contenente i relativi giudizi della pubblica opinione. Torino, tip. S. Giuseppe - Collegio degli Artigia- nelli, ;1893,; 8°; pp. 72. Ripubblica la prefazione al n. 128, con molte note e con una appendice contenente le interrogazioni alla Camera dei deputati ed al Consiglio comunale di Torino e gli articoli dei giornali sopra la questione. 1 Note ed aggiunte alla Vita di Vittorio Alfieri sopra nuovi documenti. (Gazz. lett.; anno XVII, 1894, n. 10, p. 112-114). Con le lettere del conte di Scarnafigi, ambasciatore di Sardegna a Londra, al ministro degli affari esteri a Torino, illustra il fatto narrato dall’Alfieri nella Vita, epoca II, cap. X e XI. L’eroina anonima di questo fatto era lady Ligonier, figlia di Giorgio Pitt, poi lord Rivers, il quale, alcuni anniì prima, era stato inviato alla corte torinese. Il Perrero fa notare in questo ed in altri casi l’ingiu- stizia e l’ingratitudine dell’Alfieri verso i ministri sardi residenti all’estero, che gli furono larghi di cortesie e di favori. 182. La diplomazia piemontese nel primo smembramento della Polonia. Studio storico su documenti inediti. Torino, tip. S. Giuseppe degli Artigianelli, 1894; 8°, pp. 66. L'Austria, benchè avesse riconosciuto nel 1765 il re Stanislao Poniatowski, non aveva una legazione presso di lui. Le relazioni fra essa e questo re si tenevano per mezzo dell’ambasciatore sardo a Vienna, il conte Luigi Girolamo Malabaila di Canale, molto ben visto da Maria Teresa. Dai dispacci, con cui questo ambasciatore ragguaglia il suo sovrano intorno ai negoziati fra le corti austriaca e polacca, che si facevano col suo mezzo; il Perrero ‘mostra come la parte del Canale non fu solo passiva, ma com’egli si è adoprato, per quanto ha potuto, in favore della Polonia. 133. Il matrimonio della principessa Maria Elisabetta di Savoia- Carignano, sorella di Carlo Alberto, coll’ arciduca Ranieri d'Austria (1820). Studio storico su documenti inediti. Torino, tip. S. Giuseppe degli Artigianelli, 1894; 8°, pp. 68. Carlo Alberto fu estraneo alle nozze della. sorella, la cui mano N LT e_ — _—_' '"v—- DOMENICO PERRERO —— NOTIZIA BIOGRAFICA 761 dapprima era stata chiesta dal re Guglielmo di Wiirttemberg. Mentre si stava cercando, alla corte di Torino, di superare le diffi- coltà del matrimonio misto, la corte austriaca, che vedeva di malo occhio queste nozze, proponeva l’arciduca Ranieri, facendo in modo che il re Guglielmo rinunciasse al suo disegno. 134. Disegno d’una scalata della città di Ginevra da aggiungersi alla storia di Carlo Emanuele II di Savoia. (Attiî della KR. Acc. delle scienze di Torino, vol. XXX, 1894-95, p. 568-582). Disegno suggerito al duca nel 1668 da un avventuriero inglese, dopochè Luigi XIV aveva impedito scoppiasse guerra aperta fra Savoia e Ginevra. Dal carteggio del conte Catalano Alfieri di Ma- gliano, che doveva essere il capo della spedizione, il Perrero trasse notizie sulla preparazione di essa e sul suo abbandono. 135. I regali di prodotti nazionali invalsi nella diplomazia pie- montese dei secoli XVII e XVIII. (Ia., vol. XXXI, 1895-96, p. 411-432). Erano questi prodotti i vini, il rosolio, il tabacco, i tartufi. V. nn. 83, 93. 136. Il generale conte Alessandro di Gifflenga e la congiura mi- litare lombarda del 1814. (Rivista storica del risorgimento italiano, vol. I, Torino, 1895, p. 295-304). Da documenti dell’archivio di Stato di Torino si viene a sapere come l’Austria ebbe conoscenza, sullo scorcio del 1814, della cospi- razione militare intesa a rovesciare la sua dominazione in Lom- bardia, e come ha potuto sventarla subito. Il rivelatore di questa cospirazione fu il Gifflenga, da cui fu informato il ministro sardo, il conte di Vallesa, che, a sua volta, ne avvertì il maresciallo di Bellegarde. 137. Un segreto episodio della vita ministeriale del Marchese d’Ormea e del Cav. Ossorio (1740-1750). (Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, vol. XXXI, p. 592-611). Fin dal 1740 il marchese d’Ormea aveva pensato di lasciare l'ufficio di ministro degli affari esteri e proposto al re Carlo Ema- nuele III come suo successore il cavaliere Ossorio, allora ambascia- tore a Londra. Nell’ ottobre di quest’ anno egli avvertiva di ciò l’Ossorio, chiedendogli il suo assenso. Ma intanto avveniva la morte dell’imperatore Carlo VI, foriera di gravi fatti. Il ritiro dell'’Ormea fu procrastinato. Alla sua morte (1745) non era ancor finita la guerra Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 50* 762 E. FERRERO — DOMENICO PERRERO = NOTIZIA BIOGRAFICA di successione austriaca: Carlo Emanuele promosse al posto di mi- nistro degli affari esteri il marchese di Gorzegno, dal 1732 primo ufficiale in questa Segreteria di Stato, e sì scusò di questa nomina con l’Ossorio anche per i servizii che questi poteva continuare @ rendere a Londra. L’Ossorio fu poi assunto all’ufficio di ministro degli affari esteri nel 1750, quando il Gorzegno fu fatto gran ciam- bellano. 138. I Reali di Savoia nell’esiglio (1799-1806). Narrazione sto- rica su documenti inediti. Torino, fratelli Bocca editori, 1898; 8°, pp. VIII-328. 139. Asti ricuperata e la cittadella d’ Alessandria liberata (1745-46). Studio storico-diplomatico su documenti ufficiali inediti. Torino, tipogr. S. Giuseppe degli Artigianelli, 1898; 16°, pp. 226. Confuta il duca di Broglie (Maurice de Saxe et le marquis d’Ar- genson), il quale aveva posto in mala luce come un tranello la ripresa delle ostilità da parte di Carlo Emanuele Ill, che con- dussero al ricupero di Asti occupata dai Francesi, ed alla libe- razione della cittadella di Alessandria bloccata dagli Spagnuoli e ridotta agli estremi. L'autore dimostra che le trattative fra il re di Sardegna e la Francia erano rotte, quando quegli riprese le operazioni militari, e fa vedere quanto sia inesatto il racconto dello scrittore francese ed ispirato dalla sua acrimonia verso i principi di Savoia. 140. Una lettera della madre di Carlo Alberto. (Riv. stor. del risorg. it., vol. III, 1899, p. 832-834). AI figlio, del 20 marzo 1814. 141. Le due prime Filippiche sono opera di Alessandro Tassoni. (Giornale storico della letteratura italiana, vol. XXXV, To- rino, 1900, p. 34-52). Il Rua (Giorn., vol. XXXII, p. 281 e segg.) aveva cercato di ne- gare che queste due Filippiche siano del Tassoni. Il Rua sostenne la propria opinione nel Giorn., XXXVI, p. 79 e segg. 763 Relazione sulla seconda Memoria di Giuseppe Borrtrro: Intorno alla “ Quaestio de aqua et terra , attribuita a Dante. Nel giudicare di questa seconda monografia del prof. Giu- seppe Borriro intorno al De aqua et terra, la Commissione deve riferirsi a quanto già disse della prima, nella relazione inserita negli Atti, vol. XXXVI, p. 996. Questa seconda dissertazione infatti è complemento della prima, che già vide la luce nel- l’ultimo volume delle nostre Memorie accademiche. Servendosi dell’ esemplare perugino dell’ edizione principe rarissima del 1508, che ripubblica criticamente, il Boffito qui indaga le fonti particolari della Quaestio, già accennate gene- ricamente nella Memoria prima. Secondo l’opinione del Boffito, il nuovo esame non fa che confermare le risultanze di cui diede conto l’altra nostra relazione. L'autore della Quaestio ci si rivela sempre meglio, non già un fido seguace di Aristotele, di Alberto Magno, di San Tommaso, ecc., ma un discepolo di Egidio Colonna, un teologo agostiniano, quindi, e per giunta astrologo e matematico. Pare al nostro studioso, che con Dante non abbia niente di comune anche in altro: non l’ordine della trattazione, non la determinazione dei confini della terra emersa, non la precisione di certi vocaboli, non la ruvidezza dello stile, non la serietà del soggetto. Qualche tratto di somiglianza ha invece, oltrechè con alcuni scrittori famigliari a Dante, con autori ed opere che l’Alighieri non conobbe o almeno non mostra di conoscere: il Centiloquio, opera astrologica di Tolomeo, il De is quae in humido vehuntur di Archimede, l’Opus maius di Bacone, l’ Herameron e il Commento alle Sentenze del Colonna, ecc. Inoltre il primo e l’ ultimo paragrafo, in grazia dei quali la Quaestio assume, secondo il Boffito, tutta l'apparenza d’un do- cumento, dànno molto da pensare. La Quaestio appare infatti al critico una trattazione filosofica, che si vuol far passare per 764 una «disputa autentica cominciata da Dante in Mantova e tenuta in Verona. Ora dei documenti di tal sorta ha tutti ìi requisiti (inscriptio, salutatio, promulgatio, corroboratio, data), fuorchè per avventura quello che potrebbe solo darne l'autenticazione. Così crede il Boffito, e noi ben sappiamo che su questo punto parecchie obiezioni si potrebbero muovere. Falsificatore sarebbe stato il Moncetti, se è vero che “ is fecit cui prodest ,; ed egli pure potrebbe essere stato l’autore della trattazione, giacchè gli errori del testo principe non sono tali da dover attribuire la paternità della Quaestio ad altri. Tutt'al più si sarebbe giovato dell’ opera anteriore di qualche altro agostiniano, probabilmente di Paolo Veneto. Avvenuta la scoperta dell'America, il Moncetti non poteva fare di meglio (per ingraziarsi gli Estensi a cui dedicava l’edizione) che pub- blicare uno scritto, mancante ormai d’opportunità, sotto il nome venerato dell’Alighieri. Queste le conclusioni del Boffito: frutto d’un esame dili- gente, in cui vanno di pari passo dottrina ed acume. Nel campo degli studi danteschi oggi coltivati da tanti e con tanto amore, - l'indagine del Boffito solleverà certo nuove e proficue discus- sioni. A noi sembra ch’essa meriti d’ esser tenuta in altissimo conto, e certamente sinora nessun dantologo aveva approfondito l’arduo problema con uguale serietà e competenza. Stimiamo, pertanto, utile che la Classe prenda cognizione anche di questa seconda monografia, e ci lusinghiamo che al pari della prima essa verrà accolta nelle Memorie accademiche. C. CIPOLLA, R. RENIER, Relatore. Relazione intorno la Memoria presentata dal prof. Ro- mualdo Bossa: Esame storico-critico della teoria delle idee-immagini attribuita da B. Haurtau a S. Tom- maso nell’ opera: “ Singularités historiques et litté- FACS' n. La teoria delle specie sensibili ed intelligibili tiene gran campo nel sistema filosofico di Aristotele. Essa attraversò i se- coli suscitando intorno a sè un mondo di commentatori e di critici, di avversarii e di seguaci, esercitò le menti di tutta la Scolastica e forma ancora oggidì oggetto di studî e discussioni speciali. Giovanni Bartolomeo Hauréau, autore di un pregiato lavoro storico critico intorno la filosofia scolastica, pubblicava nel 1864 un volume intitolato Singularités historiques et littéraires, dove fra i molti argomenti discorsi è sostenuta la tesi, che i filosofi scolastici in generale e S. Tommaso in particolare attinsero la dottrina delle idee immagini non da Aristotele, ma dai filosofi arabi e che essa venne introdotta in filosofia nel secolo XIII sotto gli auspicii dei filosofi arabi Averroé, Avicenna, Algazel. Il Prof. Romualdo Bobba prese ad impugnare la tesi dello scrittore francese raccogliendo le sue considerazioni critiche in questa Memoria, che viene presentata all'Accademia. A tale intendimento egli espone anzitutto in forma com- pendiosa la teoria di Aristotele intorno le specie sensibili ed intelligibili, poi presenta nei suoi punti fondamentali la dottrina gnoseologica dei filosofi arabi Averroé, Avicenna, Algazel, po- nendo in chiaro come essa siasi svolta dalla teoria aristotelica; quindi passa ad una esposizione analitica della gnoseologia degli Scolastici e segnatamente di S. Tommaso, rilevando i punti, che essi attinsero da Aristotele ed i nuovi concetti, che vi aggiun- sero, rispetto all’essenza dell'anima ed al suo congiungimento coll’organismo corporeo, alla natura dell’uomo, all'origine ed alla forma della cognizione da prima sensitiva, poi intellettuale. 766 Tutto questo studio espositivo critico lo conduce a questa finale conclusione: l’accusa mossa dall’Hauréau riguardo all’infedeltà di S. Tommaso nell’interpretare e far sua la teoria aristotelica delle specie non regge, ed è altresì infondata la sua pretesa giustificazione di Aristotele contro la critica di Tommaso Reid. Il Prof. Bobba rileva un altro abbaglio preso dall’Hauréau, il quale attribuisce a Guglielmo d’Occam la gloria di avere por- tato i primi colpi alla dottrina delle idee immagini, mentre Gu- glielmo, e prima di lui Durando di S. Pourgain, hanno impu- gnato non già le specie sensibili ed intelligibili di Aristotele e di S. Tommaso, bensì le idee immagini quali erano intese ed ammesse da Democrito e da Epicuro. Veramente mal si possono ancora pretendere lavori origi- nali intorno ad una teoria gnoseologica, la quale già sviscerata intus et in cute, vagliata, vessata dalla critica, può omai apparire ad alcuni siccome una specie di caput mortuum, sepolto nella storia del passato. Ma la Memoria presentata su questo punto dell'Autore, considerata come lavoro storico analitico ha il suo valore scientifico. Egli ha discorso l'argomento con ordine e chia- rezza, ha attinto con fedeltà ed accuratezza alle fonti storiche, ha scelto e coordinato col conveniente criterio i passi citati, ha lumeggiato i punti di contatto tra le diverse e contrarie dottrine prese in esame. In grazia di questi pregi la Commissione avvisa che la Memoria del Prof. Bobba sia meritevole di essere am- messa alla lettura e la sottopone al giudizio dell’Accademia. C. CARLE, G. ALLievo, Relatore. 767 Relazione sulla Memoria presentata dal Dott. Mario Ricca-BarserIs, intitolata: I “ contratto per altri , nella sua formazione storica, e nella sua funzione eco- nomico-qiuridica odierna. La possibilità giuridica del “ contrattare per altri , è ar- gomento a ricerche gravi, e dispute molte nel diritto odierno: in particolar modo lo è agli studiosi delle legislazioni cui dal- l’antica legge sia derivato il concetto alteri stipulari nemo potest. Per una parte, la struttura tradizionale dell’ obbligazione e la lettera della legge par costringano la libertà dell’interprete nella cerchia non superabile segnata da questo principio: per l’altra, è l'esempio di altre legislazioni che dallo studio della volontà di obbligarsi altro concetto fissarono, sono necessità economiche nuove, che consigliano maggiore larghezza di movimento nella dichiarazione della legge. Di questo conflitto, e del modo di superarlo, la memoria presentata dal Dr. Ricca-Barberis dà notizia ampia, condotta su materiali coscienziosamente studiati; notevole è la costruzione che fa, e acutamente proposti sono i risultati cui giunge. Pro- pongono perciò i sottoscritti sia ammessa alla lettura davanti alla Classe. C. CARLE, CHiroNnI, Relatore. L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. 768 INDICE DEL VOLUME XXXVII ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti al 17 Novembre 1901. ; È . Pag. mi Associazione elettrotecnica di Torino, chiede all'Accademia il nulla osta per la ristampa dei lavori del compianto Socio G. FeRRARIS } 2 CaraLoo internazionale di letteratura scientifica da pubblicarsi dalla Società Reale di Londra . i; À E , ò 2 Comunicazione dei programmi dei concorsi INCETEE dal R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti . 3 : » 2:60 dall’Académie des sciences, belles lettres et arts de Savoie; dal- l’Académie de Stanislas è Naney . 4 Av A6R dalla R. Accad. della Crusca per il premio io ltanit Rezzi , 376 dall’Accademia Olimpica di Vicenza al premio FormeENTON . s 448 dall'Accademia R. delle scienze di Amsterdam per il premio Houefftiano . È »s 920 Dono del Governo della Hopobblick Hatidese dell'opera del pros M. (Bi tHELOT: Les carbures d’hydrogène (1851-1901) . ; ; s 251 ELezioni a cariche accademiche: Nomina della Commissione per il premio di fondazione Gautieri (Letteratura) 1899-1901 : i è ; 2 AUS Nomina della 1* Giunta per il XII premio ai qua- driennio 1899-1902 . S : vi LIB ELezioni di Soci della Classe di scienze Bach, salini che e > mistral Di 252 Invito al Congresso internazionale di Zoologia tenutosi in Berlino , 1 Invito al Congresso britannico per la tubercolosi tenutosi in Londra , 1 Inviro al V Congresso internazionale di Fisiologia tenutosi in Torino , 1 Inviro al XIV Congresso internazionale di Medicina che si terrà in Madrid nel 1903 . È : é 1 Inviro del Comitato per le onoranze SÌ de ie di Viel ‘ 2 Inviro della Società di scienze naturali di Norimberga alle feste cen- tenarie di sua fondazione . î s 2 Inviro della Società di scienze naturali e RETI di Chestont alle feste cinquantenarie di sua fondazione . : 2 DO Inviro del Comitato per l'offerta di una medaglia al prof. Birsanni Ù INDICE DEL VOLUME XXXVII 769 Invito della Commissione della Biblioteca Negroni in Novara di in- tervenire all'inaugurazione di un busto in bronzo al sanata o Senatore C. NeGronI . î + Pag” ‘"09 Inviro del Comitato per le onoranze a »Glilen Fitalia in Livorno Vercellese . } n° 459 Inviro dell'Università Pedeficidia “di Christian alle feste sonia in onore di N. H. Abel } È : 453 n Inviro del Ministero dell'Istruzione Pubblica di aodilanrer un rappre- sentante dell’Accademia al Congresso storico internazionale da tenersi in Roma . . ; . 543, 561 Inviro dell’Associazione letteraria ditibtaa titti nale al tota che si terrà in Napoli. Inviro al Congresso internazionale degli ORidiitatieti na si tesi in Hanoiî . È e DOL Mrxistero dell’ Tico Pubblica di Filiticia: Anitiblata L'invio del- l’opera in 3 volumi del prof. M. BertHELOT: Les cardbures d’hy- , 561 drogène (1851-1901) s kei Partecipazione della morte del Socio dr prata iaitnlo A. F. NorpENSKIOLD i 3 7 È } : : E À È 2 Premio Bressa: Relazione della 2* Giunta per il conferimento del XII premio per il quadriennio 1897-1900 ° 2 T9S Conferimento del XII premio Bressa . : ; 4 si LS Nomina della 1* Giunta per il XIII premio Bassi quadriennio 1899-1902 VO Premio DI Fonpazione GAUTIERI: Relazione della Commissione per il conferimento del premio di Storia pel triennio 1898-1900. : È € 4 4 717. Conferimento del premio di Storia d DIRE Nomina della Commissione per il premio di Besa, 1899. 1901, ‘103 Programma del premio di Letteratura (1899-1901) z 1 ta Provvepesi dalla Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali a farsi rappresentare alle feste cinquantenarie della Società di scienze matematiche e naturali di Cherbourg . 3 Pili, PussLIcAzIONI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino durante l’Anno accademico 1901-1902 | È 7 XXXVII Sunri degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di seta fisiche, matematiche e naturali . E 1 86, 98, 136, 179, 231, 251, 299, 390, 339, ‘391, 458, 468, 544, 583. Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche . - 59 95, 103, 167, 221, 247, 272, 302, 333, 1376, 451, ‘465, 520, 561, 736. Sunti degli Atti verbali delle Classi Unite È 77, 94, 133, 178, 543 770 INDICE DEL VOL. XXXVII Agcazzorti (Alberto) — Sulla terminazione nervosa motrice nei muscoli striati degli insetti x P . Pag. 724 Armonerti (Cesare) — Un esaminatore di livello del parintit;- Bamberg » 181 AuLievo (Giuseppe) e rata te aa — Relazione intorno alla Memoria presentata dal Prof. Romualdo Bossa: Esame storico- critico della teoria delle idee-immagini attribuita da B. Hauréau a S. Tommaso nell'opera: “ Singularités historiques et littéraires , , 765 Arrom (Alessandro) — Ricerche sulle proprietà elettriche del dia- mante . - ; i i , > 6607 Avocanro (Amedeo) — V. OM Cieilio): Bassi (Vittorio) — Proposta di un nuovo tipo di livello a cannoe- chiale atto ad eliminare qualsiasi errore strumentale. . n 1258 — Sul modo di eliminare l’errore dovuto alla disuguaglianza dei diametri dei collari nei livelli a cannocchiale mobile... s 545 Bargi (Vittorio) — Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte di Torino e per l’anno 1903 x ; A » 205 — Le condizioni climatiche di Torino durante dra 1901 6 n 847 Beccari (Lodovico) — Sulle idramidi e sulle loro reazioni con l’etere | cianacetico . . , À ; È . S n l87 BertHELor (Marcellino) — V. Pr Bossa (Romualdo) — V. ALLievo (Giuseppe) e Carre (Giuseppe). Borriro (Giuseppe) -- D'un altro frammento di Breviario del se- colo X-XI contenuto in un codice di Claudio della Nazionale di Parigi, ) 7 ) 5 b » 248 — V. Renier (Rodolfo) e REC (Gao). BoseLLi (Paolo) — Designato a rappresentare l'Accademia al Congresso storico internazionale di Roma in sostituzione del Socio Cipolla, 561 Bovero (Alfonso) — V. Foà (Pio) e Camerano (Lorenzo). Briar (Michele) — Delegato a rappresentare l'Accademia al Con- gresso internazionale degli Orientalisti che si terrà in Hanoî, 561 Burari-Forti (Cesare) — Le formule di Frenet per le superfici, 233 — Ingranaggi piani . : j » 393 CameRrANO (Lorenzo) — Tisana, per vr inserzione nei river dela Memorie accademiche uno scritto del Prof. Daniele Rosa, in- titolato: Il cloragogo tipico degli Oligocheti ì 2 299 — e Sarvapori (Tommaso) — Relazione intorno alla alici del Prof. Daniele Rosa, intitolata: Il cloragogo tipico degli Oligocheti , 331 — Contributo alla storia delle teorie Lamarckiane in Italia. Il corso di Zoologia di Franco Andrea Bonelli , % È . , 400 —. Materiali per lo studio delle Zebre , : ? , x AR — V. Foà (Pio) e Camerano (Lorenzo). CapeDER (Giuseppe) — Contribuzione allo studio degli Entomostraci Ostracodi dei terreni miocenici del Piemonte . , pre ò Carre (Giuseppe) — V. ALtievo (Giuseppe) e CarLE ieiaaipao — V. Caironi (Giampietro). — V. Carroni (Giampietro) e Carre (Giuseppe). INDICE DEL VOL. XXXVII 771 Camroni (Giampietro) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un suo scritto intitolato: IZ movimento pel divorzio in. Italia . . : . Pag. 273 — Del matrimonio solatichtà al'aiero ti cittagmti renda: davanti agli agenti diplomatici o consolari — Parole pronunziate presentando l’opera del Prof. ‘vita atta dell’Università di Genova, intitolata: Le Società e le associa- zioni commerciali . È ” n 962 — Presenta per l'inserzione nei Volti iano srolhori ie doRmienktnk uno scritto del Dr. Mario Ricca-BarBERIS, intitolato: 1 con- tratto per altri nella sua formazione storica, e nella sua fun- zione economico-giuridica odierna 7 , 064 — A nome del Socio Giuseppe Carte, PERITI] per Pilvaftigni nei volumi delle Memorie accademiche una Monografia del Prof. Ro- mualdo BoBBa, intitolata: Esame storico critico della teoria delle idee-immagini attribuita da Hauréau a S. Tommaso n 964 — e Carte (Giuseppe) — Relazione sulla Memoria presentata dal Dr. Mario Rrcca-BarseRIS, intitolata: IZ “ contratto per altri ,, nella sua formazione storica e nella sua funzione economico- giuridica odierna . ) Ade (1); CreoLca (Carlo) — Nuove briciole Novalitvnai E : I — Ferrero (Ermanno) e Savio (Fedele) — Relazione per il cGiirla mento del premio di fondazione Gautieri Storia (1899-1900) , 77 — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un suo scritto, intitolato: Studio toponomastico riguardante le colonie tedesche nel Veronese È ne RAZIONI — e Prerron (Bernardino) — Relazione aftotioi gita Meltaita del Dott. Paolo UsaLpi: La Sinodo “ Ad Quercum ,, dell’anno 403, 451 — e Ferrero (Ermanno) — Relazione intorno alla Memoria del Prof. Arturo SeGrE, intitolata: Le sventure di un Duca sabaudo. Carlo II di Savoia, le sue relazioni con Francia e Spagna e le guerre piemontesi dal 1536 al 1545 . : n 466 — Designato rappresentante dell’Accademia al rara TREO ; 522 internazionale di Roma sn 948 — V. Cossa (Alfonso). — V. Rexter (Rodolfo) e Crporra (Carlo). Coanerti (Luigi) — Un nuovo genere della famiglia “ Glossosco- lecidae , : 432 CoLoMmBA (Luigi) —_ Sulla Mohisite” della mentite (Alta valle eta Dora Riparia) ) A » 491 .- Sopra una varietà di MRI dell’ Du II TRTONE ‘Rodolfo n 558 Cornu (Alfredo) — V. Cossa (Alfonso). Cossa (Alfonso) — Comunica una lettera del Socio Savio, il quale si scusa di non poter che di rado prender parte alle adunanze , 59 — Propone e la Classe approva d’inviare condoglianze al Vice Pre- sidente Bernardino Perron per la sciagura domestica che lo ha colpito . : è 5 : : c 7 7 È n 302 712 INDICE DEL VOL. XXXVII Cossa, (Alfonso) — Comunica una circolare del Comitato promotore per un ricordo al compianto Socio Giulio Bizzozero .. Pag. 320 — Comunica l’apertura di un nuovo concorso al premio intitolato a Galileo FerRARIS . » 820 — Comunica un telegramma Da lui digli al Nr, Fa Hoxdei per associarsi in nome dell’Accademia alle onoranze tributate a Giulio Bizzozero % 5 > 891 — Comunica l’invito del Gamitato per de onoranze a Galia FERRARIS in Livorno Vercellese . î si 391 — Partecipa la morte del Socio ona. Alfredo dada sn 453 — Comunica l'invito del Comitato per le onoranze a Galileo Fer- RARIS, @ incarica il Socio Naccari a rappresentarlo . è » 453 — Comunica l’invito dell’Università Federiciana di Christiania di partecipare alle feste centenarie in onore di N. H. Aser. » 453 — Comunica il programma delle onoranze che si tributeranno in Parigi al signor Leopoldo DeLlisLe . » 520 — Invita la Classe ad eleggere un Socio a vierctalenpdinte: l'Agani demia al Congresso storico internazionale di Roma in sosti- tuzione del Socio CrpoLra . ; 561 —. Presenta a nome della famiglia del Serene Sa Salati Coenerti pe Martus l’opera postuma: La mano d'opera nel sistema economico . 5 4 È 7 è i È ì s 562 — V. Caracoso. — V. Comunicazioni. — V. Inv. DeseNEDETTI (Santorre) — Benedetto Varchi provenzalista . è ‘14 D’Ovipio (Enrico) — Relazione della 2* Giunta per il conferimento del XII premio Bressa per il quadriennio 1897-1900 ; s 133 — V. Seere (Corrado) e D’Ovipro (Enrico). Enriqurs (Federigo) — Intorno ai fondamenti della Geometria sopra le superficie algebriche S i 19 Fagris (Aldo) — Sulla patogenesi degli aneurismi dalla abeti, gommosa) . ni 703 Fano (Gino) — Le congruenze di cnr del 30 Pesinesd ahricoaialii i tan- genti principali di una superficie } ; » 501 Ferrero (Ermanno) — Rileva l’importanza del da fatto dell sig.* Luigia Caranti Suaut-Avena dell’opera di CARI CARANTI: La Certosa di Pesio . ? 4 100 — Si astiene dal voto, GTA per isbn azione dell'inasò zione nei volumi delle Memorie accademiche, dello scritto del Socio Giampietro Carroni: I movimento pel divorzio in Italia, 273 — Domenico Perrero. Notizia biografica e bibliografica . ? » 788 —. V. Crrotra (Carlo) e Ferrero (Ermanno). — V. Cirorra (Carlo), Ferrero (Ermanno) e Savio (Fedele). — V. Renier (Rodolfo). Finzi (Aldo) — Sulle varietà a tre dimensioni le cui geodetiche am- mettono caratteristiche indipendenti . E È 4 7 a 300 INDICE DEL VOL. XXXVII To FLeciA (Giovanni) — V. FrecHia (Giuseppe). FrLecHIA (Giuseppe) — Un apologo indiano tradotto da Giovanni Flechia . ì Ì . Pag. 334 Foà (Pio) — Presenta per l'iraenitone nei 1a Wpolirini delle Memorie accademiche uno scritto del Dr. Alfonso Bovero, intitolato: Ricerche morfologiche sul “ Musculus cutaneo-mucosus labii ,, , 262 — e Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Dr. Alfonso Bovero, intitolata: Ricerche morfologiche sul “ Musculus cutaneo- mucosus labii , . È \ . ; ) : 9 , n 209 FraccaroLI (Giuseppe) — Le armi nell’Iliade . ; 7 ; » 303 Fusini (Guido) — Sulle funzioni armoniche che ammettono un gruppo discontinuo . x ; : 2 ì , talea) . , 644 Gamsèra (Pietro) — Quattro note dantesche . s : ° a _s69 Garsasso (Antonio) — V. Morera (Giacinto), Naccari (Andrea) e Grassi (Guido). GrerarDI (Alessandro) — Gli è conferito il premio di fondazione Gautieri per la Storia. i ì ) 7 È DAMA. — Ringrazia del conferitogli premio Giodtieti : 9 È i » 133 GrameeLLi (G. Zeno) — V. Segre (Corrado) e D’Ovipio (Enrico). Grar (Arturo) e Rewier (Rodolfo) — Relazione sopra una memoria manoscritta del Dr. Ferdinando Neri, intitolata: Federico Asinari conte di Camerano, poeta del secolo XVI. . Md: o — VV. Renier (Rodolfo). Granpis (Valentino) — Sulle proprietà elettriche dei nervi in rap- porto colla loro funzione . , è , 7 i è » 841 Grassi (Guido) — Eletto Socio residente . o s 252 — Nominato membro della Commissione del premio Galileo Lasi bandito dal Comitato esecutivo dell’ Esposizione generale del 1898 . ‘ È + ; ? 7 : ; 5 » 340 —. V. Morera (Giacinto), Naccari (Andrea) e Grassi (Guido). GuarescHi (Icilio) — Incaricato di rappresentare l'Accademia al con- ferimento della medaglia al Prof. M. Berthelot , \ 2 — Accompagna con alcune parole l'omaggio dell’opera di «4; Avogapro: La teoria molecolare; tradotta in italiano a 3 3 —. Riferisce sulle feste in onore del Socio Berthelot, celebrate a Parigi . i : x x E pa SIG = | — Nella celebrazione del ARROSTO della prima Sip li divine di Marcellino BerraELoT. Discorso pronunciato alla Sorbonne il 24 novembre 1901 . z * y 88 — Pronunzia alcune parole presentando Geni opuscoli “a Sdéio corrispondente Ugo Scurr . 3 n 454 — Presenta per l’inserzione nei volumi della Mfesitori ie anali uno scritto del Prof. Luigi SAaBBATANI, intitolato: Funzione dio- logica del calcio. Parte 2*: Il calcio-ione nella coagulazione del sangue . ) a ì : so D44 — Condensazione dello: aldeidi con llbicre nanallico 7 ì , 598 774 INDICE DEL VOL. XXXVII Guaresc®i (Icilio) e Mosso (Angelo) — Relazione sulla Memoria del | Prof. Luigi Sasparani: Funzione biologica del calcio; Parte 2*: Il calcio-ione nella coagulazione del sangue . : : . Pag. 734 Guipi (Camillo) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie accademiche uno scritto dell'Ing. Dr. Modesto PanemmI, inti- tolato: Contributo alla trattazione so dell’arco continuo su appoggi elastici . , È 4 — e Secre (Corrado) — Usliizan sella memoria dal Dr. us Mo- desto PanertI: Contributo alla trattazione ps: dell'arco con- tinuo su appoggi elastici ‘ sE Japanza (Nicodemo) — Esposizione ira per de pasto esercizio dell’anno 1901 e bilancio preventivo per l’anno in corso n 548 — Comunicazione delle gestioni delle eredità Bressa, Gautieri e Vallauri : s 5483 n Lancrani (Rodolfo) — bigtradit tai drain ai XII premio suli 221, 231 Laura (Ernesto) — Sul moto parallelo ad un piano di un fluido in cui vi sono n vortici elementari ° » 469 Manno (Antonio) — Omaggio di un vecchio errata già “ipa aoiarges all'Accademia per parte del sig. G. GALLO . 7 si nani — Per parte della signora Camilla TrogLia vedova Puiioina pre- senta 421 volumi e 50 opuscoli già appartenuti al. defunto Socio Domenico PerRERO . ; s DAOL Marro (Giovanni) — Sulla sorte delle dn Fogtgnnie SE introdotte in circolo . i . ; n Si MartIRoLo (Oreste) — Invito ad ra allinaugurazione di un busto al rimpianto Socio Giuseppe GiseLLI . » 135 Morera (Giacinto) — Sulla definizione di funzione di una panini complessa . é i $ 3 ; i x = : 234.199 — Eletto Socio residente . : î n 252 — Naccari (Andrea) e Grassi (Guido) — Reludisno ani mei del Dott. Antonio GarBasso: Su le correnti db scarica dei con- densatori secondo due circuiti derivati . : , 447 Mosso (Angelo) — Ritira la Nota presentata per glio Atti dal signor CusHINn@.. : ; ; * 4 ì 2 — V. Guarescni (Icilio) e iii (Aiipelol: Naccari (Andrea) e Seere (Corrado) — Relazione sulla Memoria del Prof. A. BarteLLi e L. MaGrI: Sulle scariche oscillatorie . si 220 — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche uno scritto del Dr. Antonio Garsasso: Su le correnti di scarica dei condensatori secondo due circuiti derivati . { ) 340 — V. Cossa (Alfonso). — V. Morra (Giacinto), Naccari (Andrea) e Grassi (Guido). Neri (Ferdinando) — V. Grar (Arturo) e Renier (Rodolfo). NiccoLerti (Onorato) — Sulle matrici associate ad una matrice data , 655 NorpensxiòLD (Adolfo Enrico) — V. PARTECIPAZIONE. Ovazza (Elia) —- Contributo alla teoria delle molle pneumatiche Panerti (Modesto) — V. Guipi (Camillo) e Secre (Corrado). — (Ciclo teorico e ciclo pratico delle locomotive Compound » 421 3) 677 INDICE DEL VOL. XXXVII 775 Pascar (Carlo) — La dottrina epicurea nell’egloga VI di Vergilio Pag. 168 Perron (Bernardino) — V. Crportca (Carlo) e Peyron (Bernardino). Prot (Giuseppe) — I manufatti litici del riparo sotto roccia di Vayes (Val di Susa) — Pirosseniti, glaucofanite, eclogiti 6a anfiboliti dei assim di Mocchie in Val di Susa . , l È È s 660 Ponzio (Giacomo) — Sulla riduzione dei Bitti catari primarî R.CH(N:0,) con amalgama d’alluminio . È an Renier (Rodolfo) — Presenta, a nome del Socio Arturo (OSO per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche uno scritto del Dr. Ferdinando Neri, intitolato: Federico Asinari conte di Camerano, poeta del secolo XVI . J : } STO — A nome del Socio Ermanno Ferrero presenta per linsollignie nei volumi delle Memorie accademiche uno scritto del Prof. Arturo SeGRrE, intitolato: Le sventure di un Duca sabaudo, Carlo II di Savoia, le sue relazioni con Francia e Spagna e le guerre piemontesi dal 1536 al 1565 — Presenta per l’inserzione nei volumi delle TIembria idendomiahe una seconda Memoria del Prof. Giuseppe Borriro: Intorno alla “ Quaestio de aqua et terra ,, attribuita a Dante î »s 521 — e Crirotra (Carlo) — Relazione sulla seconda Memoria di Giuseppe Borrrro: Intorno alla “ Quaestio de aqua et terra ,, attribuita a Dante . - 3 : I ; i 765 — V. Grar (Arturo) e Rifilek (Rodolfo). Ricca-Barseris (Mario) — dle professionale nelle sue conse- n 377 guenze civili 2 ; È E n 980 — VV. CaIronI (Giampidbéi | e cs (Cindia) Rosa (Daniele) — V. Camerano (Lorenzo) e SaLvAporI (Tommaso). SassaranI (Luigi) — V. Guarescri (Icilio) e Mosso (Angelo). SaLvapori (Tommaso) — V. Camerano (Lorenzo) e SaLvapori (Tommaso). SagrartI (Mario) — La ragione ed il contenuto del “ tort , nel di- ritto inglese. o : } i : ; Savio (Fedele) — I vescovi di Salerno nei secoli IX e X . . s 104 — Parole pronunziate presentando il volume del conte SANMINIATELLI- ZasareLLa: L'assedio di Malta: 18 maggio a 8 settembre 1565 , 448 — V. Cirora (Carlo), Ferrero (Ermanno) e Savio (Fedele). — V. Cossa (Alfonso). ScHIrr (Ugo) — V. GuarescHi (Icilio). Segre (Arturo) — V. CreorLca (Carlo) e Ferrero (Ermanno). Segre (Corrado) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie accademiche uno scritto del Dr. Francesco Severi, intitolato : Sulle intersezioni di varietà algebriche e sopra i loro caratteri e singolarità protettive . a , 231 — e D’Ovipro (Enrico) — Relazione sila nia del Dr. ripiano SeverI, intitolata: Sulle intersezioni delle varietà algebriche, e sopra îi loro caratteri e singolarità projettive 776 INDICE DEL VOL. XXXVII Sere (Corrado) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche uno scritto del Dr. Zeno GrameeLti, intitolato: Risoluzione del problema degli spazi secanti H . Pag. 544 —. Relazione intorno alla Memoria del Dr. Zeno ei, intito- lata: Risoluzione del problema degli spazi secanti —. , s 733 —. V. Naccari (Andrea) e Segre (Corrado). Severi (Francesco) — Il genere aritmetico e il genere lineare in re- lazione alle reti di curve tracciate sopra una superficie alge- bricaj, ai r , : i È n» 625 — V. SeerE omnia e D’ dr MinfimY SracnoLo (Antonio) — Un diploma di Berengario I e una Giberao: riguardante la serie dei vescovi di Verona : » 878 Spezia (Giorgio) — Sulla trasformazione dell’opale sian in quarzo xiloide . i 4 6 » 585 TarLone (Armando) — pil sulla iaia tra neo IV e il Comune di Vercelli (1243-1254) . A A - o 2NE TanrurrI (Alberto) — Intorno ad alcune semplici darei di spazi, e sopra un teorema del Prof. Castelnuovo . È n 322 — In qual modo alcuni numeri, relativi ad infinità pitti di spazî, si deducano dagli analoghi, relativi ad infinità razionali, 413 Varmagci (Luigi) — Osservazioni sul libro X di Quintiliano . . ”» 222 Vorra (Luigi) — Riassunto delle registrazioni Geodinamiche del grande Sismometrografo Agamennone dell’Osservatorio Astronomico della R. Università di Torino durante l’anno 1901 . à s7 189 VoLrerra (Vito) — Rassegna le dimissioni da membro della Com- missione del premio Galileo Ferraris bandito dal Comitato esecutivo dell’Esposizione generale del 1898. ; » 8339 — Delegato a rappresentare l'Accademia alle feste conti di H. N. Aert in Christlania . 9 à 5 È 7 : , 983 — ‘ooo ——— Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. ATTI ui si I R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Pil ragno DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Von. XXXVII, Disp. f°, 1901-+902. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 prreercircsccororcc cre DISTRIBUZIONE DELLE SEDUTE. \ ‘DELL A R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE | DI TORINO nell'anno 1901- Dog divise per Classi 4 ; Fin AL des EARLE AO 2 Classo di Scienze Classe di Solenze 23 is © fisiche, matematiche |: morali, storiche «e naturali e fialogicha 1901 = 17 Novembre | 1901 - 24 SREETaa » - 1 Dicembre » - 8 Dicembre 3 » - 15 » Si MC JI Spi A. 1902 - 5 Gennaio vw 1902 - 12 Gennaio n= 19» Se E re pren @B ta » - 2 Febbraio - 9 Febbraio » - 16» è ». = 23.» » - 2 Marzo » - _9 Marzo ». = 1 » » = 23. » » - 6 Aprile » - o, Aprile dica i »_ ae pì 2A aggio ». -_Hl Maggio » - ». IRE » - 8 Giugno » - 15 Giugno © PRINNC” » rr’rrrcerrcircQqorciomrti (ca | Ostracodi dei terreni miocenici del Piemonte 5 i 1 Enrrques (Federigo) — Intorno ai fondamenti della Geomensa. sopì le: superficie sigebwehe;: aa rn e Marro (Giovanni) — Sulla sorte delle sostanze. finamente. fe introdotte in circolo —. x a sE EE E du Classe di Scienze Morali, Storiche e Fi ADUNANZA del 24 Novembre 1901 . er. Creotra (Carlo) — Nuove briciole Novaliciensi Gamsèra (Pietro) — Quattro note dantesche —.. Tip. Wincenze Bona - Torina ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI TORINO CARLO CLAUSEN . Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 re ori dad Figi De SOMMARIO Classi Unite. ADUNANZA del 1° Dicembre 1901... +. |; Pag. | Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 1° Dicembre 1901 . 3 5 È . Pag. GuarescnI (Icilio) — Discorso pronunciato alla Sorbonne il 24 no- vembre 1901 È 5 È > : SATIRO a Gurpi (Camillo) — Relazione sulla memoria del dott. Ing. Modesto . Pawerm: Contributo alla trattazione grafica dell'arco continuo su i appoggi elastici . o È ) ; : - È e” Classi Unite. È ADUNANZA qdell’8 Dicembre 1901 . È A 3 .. Pag. * 3 Classe di Scienze®Morali, Storiche e Filologiche.. È dr ADUNANZA dell’8 Dicembre 1901... Pago Grar (Arturo) — Relazione sulla memoria del dott. Ferdinando Neri: ; Federico Asinari conte di:.Camerano, poeta del secolo XVI» - Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 15 Dicembre 1901... —». —». —. Pag. 98 3 Morera (Giacinto) — Sulla definizione di funzione di una variabile -_ complessa . 3 7 ; ; i ; È , Re ava . Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. : = ADUNANZA del 22 Dicembre 1901... . —. —. Pag.1 Savio (Fedele)P— I vescovi di Salerno nei secoli IX e X . 3 53 DesenepETTI (Santorre) — Benedetto Varchi provenzalista ) Ù Premii di Fondazione GaurIERI. . : È : È 3 È 4 È >. ARIETE Tip. Vincenzo Bona — Torino DELLA EE ERO RTN O PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 x A x gd ° Fota DI Ma Dt SOMMARIO Classi Unite. ADUNANZA del 29 Dicembre 1901 . 7 È LEPRI Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 29 Dicembre 1901... /.° |. Pag. (i WIE UO Beccari (Lodovico) — Sulle idramidi e sulle loro reazioni con l'etere cianacetico . i è ì ; Î ; : i Re Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 5 Gennaio 1902... .. Pag Pascar (Carlo) — La dottrina epicurea nell’egloga VI di Vergilio ; Tip. Vincenzo Bona — Torino \CCADEMTA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natura ADUNANZA del 12 Gennaio 1902. 0. 0; Amonerti (Cesare) — Un esaminatore di livelle del costruttore Bamberg . È : EE i RI AD LANA, ARI COEN Vorra (Luigi) — Kiassunto delle registrazioni Geodinamiche del ande Sismometrografo Agamennone dell’Osservatorio Astronomico DE della R. Università di Torino durante l’anno 1901 . x ne: z Barsi (Vittorio) — Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte HO di ‘l'orimo;e-per, l’amno1908 vor ttt Da Te pics Naccari (Andrea) — Relazione sulla Memoria del Prof. A. BarrELLI. e L. Magri: Sulle scariche oscillatorie ——. i : Bra n, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. SS La ADUNANZA Slel 19 Gennaio 1902. Ù E > î = Ji (Luigi £ f Osservazioni sul libro X di Quintiliano . (IS gra tire } Tip. Vincenzo Bona — Torino PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO Z a n D < - O ©, N z < O 0 2 5) n s s È È mu Ss ° in) 3) ii _ ® mu 2 £ e -_ (ni ci (esi = ta Ha ADUNANZA del 26 Gennaio 1902 ©». Burati-Forti (Cesare) — Le formule di Frenet per le superfici Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 2 Febbraio 1902. PCS AI SEEZ ae Pag. 247 Borriro (Giuseppe) — D'un ‘altro frammento di Breviario del se- colo X-XI contenuto in un codice di Claudio della Nazionale. di Parigi . } ; à Ì i 3 ; i, - 37 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali ADUNANZA del 9 Febbraio 1902 — . E 5 J $ Pag. Bagei (Vittorio) — Proposta di un nuovo tipo di livello a cannoe- | chiale atto ad eliminare qualsiasi errore strumentale |. ©, 258 Ponzio (Giacomo) — Sulla riduzione dei dinitroidrocarburi primarî | R.CH(N30;) con amalgama d’alluminio . i Sure Segre (Corrado) — Relazione sulla Memoria del Dr. Pronto Severi, - : intitolata: Sulle intersezioni delle varietà algebriche, e sopra î RE loro caratteri e singolarità projettive . ; 3 ; 3 a Foà (Pio) — Relazione sulla, Memoria del Dr. Alfonso Bovero, inti- tolata: Ricerche morfologiche sul “ Musculus cutaneo-mucosus di labii, . È È 4 ; È È ; 3 i s È d: Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. | > ADUNANZA del 16 Febbraio 1902 . . . . —. Pag. TarLone (Armando) — Appunti sulle relazioni tra Innocenzo IV e il Comune di Vercelli (1243-1254) . i ; i Ù ; Tip. Vincenzo Bona - Torino DI TORINO PUBBLICATI TORINO OARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 a UNI SOMMARIO fe ADUNANZA del 23 Febbraio 1902... . Finzi (Aldo) — Sulle varietà a tre dimensioni le cui geodetiche am- ; mettono caratteristiche indipendenti . ‘ i ; i Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 2 Marzo 1902 . ‘ 7 ? “i «Pag; FraccarotLi (Giuseppe) — Le armi nell’Iliade ADUNANZA del 9 Marzo 1902 . - : ì 1 ; Pag Tanrurri (Alberto) — Intorno ad alcune semplici infinità di spazi, e Res “4%. sopra un teorema del Prof. Castelnuovo . È ; ” Camersho (Lorenzo) — Relazione intorno alla Memoria del Prof. Daniele Cada R65a, intitolata: Il cloragogo tipico degli Oligocheti . È TE ; ie Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Pasta ADENANZA del 16 Marzo 1902... +. +... . Pag.8 “pad Poni) Un apologo indiano pinduito da Giovanni. Veg FI . . . . . n To PI ha; Ta <$ Tip. Vincenzo Bona — Torino ACCADEMIA DELLE SCIENZE — DICTOTRTIN:© PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 di d e. po Perth A agio È Ni sn AE LO de EPIC SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natur: ADUNANZA del 23 Marzo 1902. n n k È 5 Granpis (Valentino) — Sulle proprietà elettriche dei nervi in i porto colla loro funzione è È x i ; 4 E; Tip. Vincenzo Bona - Torino DI TORINO PUBBLICATI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 SOMMARIO di A ADUNANZA del 13 Aprile 1902 ì : ? o 3 Burari-Forti (Cesare) — Ingranaggi piani. /. .°. Tanrurri (Alberto) — In qual modo alcuni numeri, relativi ad infi- nità ellittiche di spazi, si deducano dagli analoghi, relativi ad infinità razionali . ; î - a È È < ; i Ovazza (Elia) —- Contributo alla teoria delle molle pneumatiche e CoenertI (Luigi) — Un nuovo genere della famiglia “ Glossosco- di lepidag ce REID e Re 2, — Morzra (Giacinto) — Relazione sulla Memoria del Dott. Antonio Garsasso: Su le correnti di scarica dei CORICIOneTE sori du circuiti derivati . 4 A > 5 5 È 3 , ADUNANZA del 20 Aprile 1902... | Ciporza (Carlo) — Relazione sulla Memoria del Dott. Paolo Usatpr: La Sinodo “ Ad Quercum, dell’anno 403 . È 3 AZZ: Su MERE, Tip. Vincenzo Bona -— Torina PUBBLICATI — DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 SOMMARIO” Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 27 Aprile 1902... /(.//.0 0.0. Pag. Camerano (Lorenzo) — Contributo alla storia delle ione Lair sr in Italia. Il corso di zoologia di Franco Andrea Bonelli. , Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 4 Maggio 1902 È SUS i . Pag. CipoLLa (Carlo) — Relazione intorno alla Memoria del Prof. Arturo SeGRrE, intitolata: Le sventure di un Duca sabaudo. Carlo II di Savoia, le sue relazioni con Francia e Spagna e le guerre pie- | montesi dal 1536 al 1545 . i } È 3 3 . È Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA dell’11 Maggio 1902. ‘ 3 a Laura (Ernesto) — Sul moto parallelo ad un piano di un fluido in — È cui vi sono n vortici elementari dA È da ProLri (Giuseppe) — I manufatti litici del riparo RE roccia va Vayes CER i (Val di Susa) 47 n CoLomsa (Luigi) — Sulla Mobsite. della Beaume (Alta valle dello Z > Dora Riparia) . alare apr» Fano (Gino) — Le congruenze di iaia ‘ad 30 Ladiné pon ai tan- i —.— genti principali di una superficie ; : \ 4 È o L D' i Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ta. : ADUNANZA del 18 Maggio 1902. | î ; .. Pag. Cnrowi (Giampietro) — Del matrimonio celebrato all’estero fra cit- tadini italiani davanti agli agenti diplomatici o consolari , sa Ricca-Barseris (Mario) — L’imperizia professionale nelle sue conse- guenze civili ; ; : . 3 P ; ; ‘ 2 >< Tip. Vincenzo Bana Torino. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXXVII, Disp. 4°, 190-902. TORINO. 5 < + SOI ni CARLO CLAUSEN TRN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 PRidano fa 04 SOMMARIO Classi Unite. A del 25 Maggio 1902 ; & i ; uguaglianza dei diametri dei collari nei si livelli a SR mobile . ; i 5 SERRE 5 SA ; CoLomra (Luigi) —- Sopra una sanelà di ptilolite dell'isola Principe Rodolfo ; ILA i $ : 3 Tip. Vincenza Bona — Tenne ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXXVII, Disp. f5*, 1901-902. TP ce*: TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 15 Giugno 1902. . ì ; pi; Pag. 58: Spezia (Giorgio) — Contribuzioni di Geologia chimica. Sulla trasfor- mazione dell’opale xiloide in quarzo xiloide . Ri. GuarrescHi (Icilio) fo piera te delle aldeidi con l'etere cianace- tico. Nota 1 . È ; CN Camerano (Lorenzo) — Materiali per lo dala delle di LC Severi (Francesco) — Il genere aritmetico ed il genere lineare, in relazione alle reti di curve tracciate a una superficie algebrica. ° ipa Bepi: $ Fusini (Guido) — Sulie AOC alisbniche se Lager un gruppo : discontinuo . 5 64 NiccoLertI (Onorato) — Sulle iii abcoriale sa una sa Pe Priori (Giuseppe) — Pirosseniti, glaucofanite, eclogiti ed anfiboliti dei dintorni di Mocechie (Val di Susa) : , È fi Artom (Alessandro) — Ricerche sulle proprietà elettriche del dig Panerri (Modesto) -- Ciclo teorico e ciclo cea delle locomotive compound È di FaBris (Aldo) — Sulla Daloeanti dati aneurismi dell cai tonni gommosa) . ; i i È x - “ Accazzorti (Alberto) — Sulla beralifimono nervosa motrice: nei muscoli striati degli insetti Seere (Corrado) — Relazione intorno alla Minira di c. Zi Ci intitolata: Risoluzione del problema degli spazi secanti GuarescHi (Icilio) — Relazione sulla Memoria del Prof. Luigi Saspa- TANI: Funzione biologica del calcio. Parte 2%: Il calcio-ione nella coagulazione del sangue » n 1 RE Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 22 Giugno 1902 ; A i . Pag. 136 Ferrero (Ermanno) — Domenico Perrero. Notizia biografica e biblio- grafica . x Po si «£86 Renier (Rodolfo) ‘= «Relazione a soma Winona di Giuseppe Borrito : Intorno alla * IRGRE de ana et terra , attribuita a DAIneE3 E, 768 n ALLIEVO (Giuseppe) da Holasioni imbatto la Mengoni PRESSI dal Prof. Romualdo Bossa: Esame storico-critico della teoria delle : idee immagini attribuita da B. Hauréau a S. Tommaso nell’ ARE “ Singularités historiques et littéraires ,. » 765 Chironi (Giampietro) — Relazione sulla Memoria Desegia lt dal Dott. Mario Ricca-Barerrrs, intitolata: 1 “ contratto per altri , nella sua formazione storica, e nella sua funzione economico- % giuridica odierna . i; ; 2 ETA, ; c 0128 InpICE . i ; . s i 5 ; 4 E ; " 36808 Tip. Vincenzo Bona Torino vi