pa Li di agi Ho si n 1A ERNIA i i i pod) PI] nei pu Î n c. . TISTSI È - osi E _= z === as =; aa TT. : w * . li i i ti ti i Ni i So HER E . 0 | 4 n MATT pt) nt î Îl SHIA perni LS RIERETRA trai nine) si Library Di A ted pl e 15 A rt do SLI ® \ ZI P ni cin ‘ i È ù (RO UE. ULI sie i toi LE ; SROCRE i MAAUNUDI PU BU/LI fi DELLA REALE ACCADENIA DELLE ba» ASI PD:I IO RERO c; #0 PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME CINQUANTUNESIMO 1915-1916 TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto, 8. 1916,,.; 1016 int ù Torino — Stabilimento Tipografico Vincenzo Bosa. ELENCO IR DEGLI - ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI È; - STRANIERI E CORRISPONDENTI ERRATA-CORRIGE all a Nota del Dr. Ing. C. L. RICCI: L’equilibramento delle masse rotanti a grande velocità, | Tomo LI, Anno 1915-1916, Disp. 2* e 82. ;2A8 errata corrige Pag. 98, linea 24 del dal = 102, , 4 dal basso . denominatore p'ssÈ P'asÈ £ s 3 dal basso 2 denominatore aggiungere i Bi 1 (1 > Sali ultima formola, i 9 ue, denominatore ( ta ) ( sd. ) =» 104, , 13 dal basso della dalla MEGiOn,i.. 5. Gi N, .GeNa GiN,.GeNa iO... 16 della dalla mills, , 3 R HA Me CK K o 115, MIE 7 dal basso B He) eos, . 6 B BB 5 0A È 4 dal basso degli ; dagli î 197, ” 1% ” ” d; 4 dl ue203;. .. 14. ._, è la fase è quella della fase i 211, s penultima Pim — Pom= 25 cos? n A = pim — Paem= 25 c08° si î iz4 2, è DI RI = 216, , 8 dal basso fascie faccie P Ri A PRENDE Soa della dalla meal, “< 16 steccato staccato ) fiero is del dal D MEG» 16 del dal % Sa » 13 d aa ù "aa Le "eci Perù i ù Ris À Pa , ; , i $ Aa CASE e 0 +0 da, / a i ste, RAT e fi.» O sn e i ne Die Age” 3%} A I» a — ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI aL Sl Dicempre 1915. NB. — La prima data è quella dell’elezione, la seconda quella del R. Decreto che approva l'elezione. PRESIDENTE Boselli (S. E. Paolo), P.° Segretario di S. M. per l'Ordine Mauriziano e Cancelliere dell'Ordine della Corona d'Italia, Dottore aggregato alla Facoltà di (Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Pro- fessore nella R. Università di Roma, Professore onorario della R. Uni- versità di Bologna, Presidente dell'Istituto Storico Italiano, Presidente del Consiglio degli Archivi, Socio corrispondente del R. Istituto Ve- neto di Scienze, Lettere ed Arti, della Classe di scienze morali della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lom- bardia, Socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente : della Società di Storia Patria di Savona, Socio onorario della Società È Ligure di Storia Patria, Socio onorario dell’Accademia di Massa, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Corrispondente dell’ Accademia | Dafnica di Acireale, Presidente onorario della Società di Storia Patria degli Abruzzi in Aquila, Presidente del Consiglio Centrale della So- cietà Dante Alighieri, Presidente del Consiglio di Amministrazione del R. Politecnico di Torino, Presidente del Consiglio Superiore della Marina Mercantile, Membro del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Deputato al Parlamento nazionale, Presidente del Consiglio Provinciale di Torino, Presidente del Comitato Nazionale per la Storia del Risor- gimento, Cav. O. S. SS. A., Gr. Cord. & e €25, Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia, dell’Ord. di Ber- i toldo I di Ziihringen (Baden), e dell'Ordine del Sole Levante del Giap- pone, Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d°O. di Francia, e C. 0. della Concezione del Portogallo. — Torino, Piazza Maria Teresa, 3. i Rieletto alla carica il 18 maggio 1913 — 5 giugno 19158. ” siti Vice-PRESIDENTE Camerano (Lorenzo), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia com- parata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Presidente del Club Alpino Italiano, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro della Società Zoologica di Francia, Socio corrispon- dente del Museo Civico di Rovereto, della Società Scientifica del Cile, della Società Spagnuola di Storia naturale, Socio straniero della Società Zoologica di Londra, Socio onorario della Società scientifica del Mes- sico, Socio onorario della Società zoologica italiana, Socio onorario del- l'Accademia dei Zelanti di Acireale, Uff. &, Comm. €. — Torino, Museo Zoologico della R. Università, Palazzo Carignano. Rieletto alla carica il 22 giugno 1913 — 11 luglio 1913. TESORIERE Einaudi (Luigi), Dottore in legge, Professore di Scienza delle finanze e Diritto finanziario della R. Università di Torino ed incaricato di Eco- nomia e Legislazione industriale nel R. Politecnieo di Torino, Membro della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e di quella dei Georgofili, Socio onorario del Cobden Club di Londra, Membro del Comitato centrale e della Commissione esecu- tiva del Consorzio nazionale. — Torino, Piazza Statuto, 16. Eletto alla carica l’11 gennaio 1914 — 5 febbraio 1914. Astri) sa DIA s ALE È A eb Zi ii a deli Direttore D’'Ovidio (Enrico), Senatore del Regno, Dottore in Matematica, Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Torino, incaricato di Geometria analitica e proiettiva e Direttore del R. Poli- teenico di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio ordinario non residente della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere e dell'Ateneo di Brescia, onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio del- l'Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, Comm. *#, e e. — Torino, Via Lagrange, 2. Eletto alla carica l’8 febbraio 1914 — 12 marzo 1914. Segretario Segre (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geometria superiore nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), Membro onorario della Società Filosofica di Cambridge e delle Società Mate- matiche di Londra e di Calcutta, Socio straniero dell’Accademia delle Scienze del Belgio e di quella di Danimarca, Socio corrispondente della Società Fisico-Medica di Erlangen, dell’Accademia delle Scienze di Bologna, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Isti- tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, &, €, — Torino, Corso Vit- torio Emanuele, 85. Rieletto alla carica il 16 novembre 1918 — 21 dicembre 1913. LU ACCADEMICI RESIDENTI Salvadori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Diret- tore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze naturali delle Indie Neerlandesi e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio straniero della British Ornithological Union, Socio straniero onorario del Nuttall Orni- thological Club, Socio straniero dell'American Ornithologists®” Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordi- nario della Società Ornitologica tedesca, Comm. #88, Cav. dell’O. di $. Gia- como del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). — Torino, DI Via Principe Tommaso, 17. w 29 gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. a b'Ovidio (Enrico), predetto. 29 dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 28 novembre 1889. ii SIN x « i } Naceari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale ® nella R. Università di Torino, uno dei XL della Società Italiana delle , Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispon- î dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia DI Gioenia di Scienze naturali di Catania e dell’Accademia Pontaniana, #0 È Uffiz. &, Comm. ess. — Torino, Via Sant’ Anselmo, 6. bi Ò vo 5 dicembre 1880 - 23 dicembre 1880. — Pensionato 8 giugno 1893. "I Camerano (Lorenzo), predetto. 10 febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. Segre (Corrado), predetto. 10 febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Calcolo infinitesi- male nella R. Università di Torino, Socio della Sociedad Cientifica del Messico, Socio del Circolo matematico di Palermo, della Società ma- tematica di Kasan, della Società filosofica di Ginevra, corrispondente ARA della R. Accademia dei Lincei, @5. — Torino, Via Barbaroux, 4. MESE 25 gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. Jadanza (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geometria pratica nel R. Politecnico, Socio dell’ Accademia Pontaniana di Napoli, del Circolo matematico di Palermo, dell’Accademia Dafnica di Acireale e della Società degli Ingegneri Civili di Lisbona, Membro effettivo della R. Commissione Geodetica italiana, Comm. es. — Torino, Via Madama Cristina, 11. 3 febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 17 ottobre 1902. VII Foà (Pio), Senatore del Regno, Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore _ di Anatomia Patologica nella R. Università di ‘Torino, Socio nazionale __—della R. Accademia dei Lincei, uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Presidente della Commissione Reale per l'educazione fisica, Assessore per l’Igiene al Municipio di Torino, ecc., ece., Uff. &, Comm. &&. — Torino, Corso Valentino, 40. 3 febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 9 novembre 1902. Guareschi (Icilio), Dottore in Scienze naturali, Professore ordinario e Di- si rettore dell'Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica ed incari- cato di Chimica bromatologica nella R. Università dì Torino, Direttore _ della Scuola di Farmacia, Socio corrispondente della R. Accademia dei È Lincei, Socio della R. Accademia di Medicina e Vice-Presidente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici. di Siena, Socio onorario della Società di Farmacia di b Torino, già Membro anziano del Consiglio Sanitario Provinciale, Citta- È dino onorario di Crespellano (Bologna), Socio onorario dell’Associazione chimico-farm. toscana, Membro corrispondente dell’Accademia di Medi- 4 cina di Parigi, Membro corrispondente della Società di Farmacia di Parigi, Membro d'onore della R. Accademia delle Scienze di Romenia FE (Bucarest); Membro onorario della Verein Chemikér- Coloristen; Membro onorario della Società chimica portoghese; Socio onorario dell’Asso- } ciazione Chimica Industriale di Torino; Socio della Deutsche Gesellschaft f. Geschichte d. Medizin und Naturwissenschaften, Membro della Società Chimica di Berlino, della Berliner Gesellschaft f. Gesch. Ad. Naturwiss., ecc., ri: Comm. «2, %. — Torino, Corso Valentino, 11. 12 gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. — Pensionato 28 maggio 1903. _ Gaidi (Camillo), Ingegnere, Professore ordinario di Statica grafica e Scienza delle costruzioni e Direttore dell’annesso Laboratorio sperimentale dei P materiali da costruzione nel R. Politecnico in Torino, Uff. #, Comm. €». le. — Torino, Corso Valentino, 7. "O 31 maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 11 giugno 1903. Parona (Nob. Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Professore di Geologia e Direttore del Museo di Geologia e di Paleontologia della R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, _ Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio cor- a rispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Isti- _ tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Ateneo di Brescia e dell’Accademia degli Agiati in Rovereto, Socio onorario dell'Accademia di Verona, Membro del R. Comitato Geologico, ece., Comm. *, €23, — Torino, Palazzo Carignano. 15 gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 21 gennaio 1909. | Mattirolo (Oreste), Dottore in Medicina, Chirurgia e Scienze naturali, i, Professore ordinario di Botanica e Direttore dell'Istituto botanico della "I È —_R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Ù E e VESTITO: ce VII Socio della R. Accademia di Medicina, Presidente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell'Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bo- logna, della Società Imperiale di Scienze naturali di Mosca, della Roya! Botanical Society Qi Edinburgh, della Società Veneto-Trentina, della Società Antonio Alzate di Mexico, ecc., Comm. &%, Officier du mérite agricole. — Torino, Orto Botanico della R. Università (al Valentino). 10 marzo 1901 - 16 marzo 1901. — Pensionato 15 dicembre 1910. Grassi (Guido), Professore ordinario di Elettrotecnica e Direttore della scuola Galileo Ferraris nel R. Politecnico di Torino, Socio ordinario della R. Accademia di Scienze fisiche e matematiche di Napoli, del- l'Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli, Corrispondente della R..Accademia dei Lincei, Membro della Commis- sione superiore metrica al Ministero di Agricoltura, Industr. e Comm., Membro del Consiglio Superiore dei servizi elettrici al Ministero delle Poste e Telegrafi, Consigliere comunale, Uff. #, Comm. «2, — Torino, Via Cernaia, 40. 9 febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. — Pensionato 30 novembre 1911. Somigliana (nob. Carlo), Dottore in Matematiche, Professore ordinario di Fisica matematica e incaricato di Meccanica razionale nella R. Uni- versità di Torino, rappresentante dell’Accademia nel Consiglio ammi- nistrativo del R. Politecnico di Torino, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, Socio nazionale della Società italiana delle Scienze (detta dei XL) e corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Comm. @&. — Corso Vinzaglio, 10. 5 marzo 1905 - 27 aprile 1905. — Pensionato 20 luglio 1913. Fusari (Romeo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore ordinario di Anatomia umana, descrittiva e topografica e Direttore dell'Istituto anatomico della R. Università di Torino, Socio dell’Accademia di Me- dicina di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Fon- datore della Società medico-chirurgica di Pavia, Onorario dell’Accademia delle Scienze mediche e naturali di Ferrara, & e Comm. esa. — Via Baretti, 45. ò5 marzo 1905 - 27 aprile 1905. — Pensionato 17 gennaio 1915. Balbiano (Luigi), Dottore in chimica, Professore ordinario di Chimica organica nel R. Politecnico di Torino, Socio corrispondente della R. Ac- cademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di medicina di Roma, Socio onorario delle Società di Farmacia di Torino, di Parigi e di Liegi, Uff. &. — Via dei Mille, 7. 15 maggio 1910 - 12 giugno 1910. Panetti (Modesto), Dottore in Matematica, Ingegnere, Professore di mec- canica applicata alle macchine nel R. Politecnico di Torino, Uff. es. — Via S. Francesco da Paola, 36. 24 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Volterra (Vito), Senatore del Regno, Tenente del Genio, Dottore in Fisica, Dottore onorario in Matematiche della Università Fridericiana di Chri- stiania, Dottore onorario in Scienze della Università di Cambridge, Dot- tore onorario in Filosofia della Università di Stockholm, Dottore onorario in Fisica della Clark Umiversity di Worcester (Mass.), Professore di Fisica matematica, incaricato di Meccanica superiore, Direttore del Seminario Matematico e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Roma, Professore d’un Corso d’analisi all’Università di Stockholm (1906), Professeur agrégé à la Sorbonne (1912), Louis Clark Vanuxem lecturer (1912) all’Università di Princeton N. J., uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Accademico corrispondente della R. Acca- demia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, Membro nazio- nale della Società degli Spettroscopisti italiani, Membro straniero della Società Reale di Londra, Socio corrispondente nella Sezione di Geo- metria dell’Accademia delle Scienze di Parigi, Membro straniero nell Classe di Matematica pura della Reale Accademia Svedese delle scienze, Membro onorario straniero della Società Reale di Edimburgo, Membro straniero dell’Accademia nazionale delle Scienze (Stati Uniti d'America, Washington), Membro straniero della American Philosophical Society for Promoting Useful Knowledge di Philadelphia (Pa), Membro corrispon- dente dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Pietrogrado, Membro onorario dell’Accademia Rumena di Bucarest, Membre du Bureau della Società matematica di Francia, Membro onorario della Società Mate- matica di Londra, Membro onorario della Società matematica di Kharkow, Membro onorario della Società matematica di Calcutta, Membro onorario della Società di Scienze fisiche e naturali di Bordeaux, Membro corrispondente della Società Scientifica di Buenos Aires, Membro onorario dell’ Harvard Mathematical Ciub in Cambridge (Mass.), Vice- Presidente del R. Comitato Talassografico italiano, Presidente della Commissione tecnica per gl’Istituti di Previdenza, ecc., &, &, 5. — Roma, Via in Lucina, 17. 3 febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. Bianchi (Luigi), Professore di Geometria analitica nella R. Università di Pisa, Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei e della Società Ita- liana delle Scienze, detta dei XL; Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere in Milano, &, @5, ©. — Pisa, Via Manzoni, 3. 13 febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. aa Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi superiore nella R. Università di Pisa e incaricato di Analisi infinitesimale, Direttore della R. Scuola Normalé Superiore di Pisa, Socio della ‘R. Accademia dei Lincei e Presidente della Società Italiana detta dei XL, Corrispon- dente dell'Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, lettere ed arti, Socio ordinario non residente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche della Società Reale di Napoli nella BNS Sezione di Scienze matematiche, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania e della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli vi ù Zelanti di Acireale, Membro del Consiglio Direttivo del Circolo mate- | matico di Palermo, Socio della Società italiana per il progresso delle : ù Scienze (Roma), della R. Società delle Scienze di Gottinga, Membro stra- Rep | niero della London mathemat. Society, Dottore onorario delle Università È di Christiania e di Glasgow, Comm. *, Gr. Uff. 2, =. — Via S. Mar- Î tino, 32. Pisa. 13 febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Golgi (Camillo), Senatore del Regno, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, Dottore in Scienze «4 honorem dell’Università di Cambridge, Membro onorario dell’Università Imperiale di Charkoff, uno dei Y.L della Società Italiana delle Scienze, Membro della Società per la Medicina interna di Berlino, Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, della Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corrispondente onorario della Newrological Society di Londra, Membro corrispondente della Société de Biologie di Parigi, Membro dell’Academia Caesarea Leo- poldino-Carolina, Socio della R. Società delle Scienze di Gottinga e delle Società Fisico-mediche di Wiirzburg, di Erlangen, di Gand, Membro della Società Anatomica, Socio nazionale della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di Medicina di Torino, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Medico-fisica Fiorentina, della R. Accademia delle Scienze mediche di Palermo, della Società Medico-chirurgica di Bologna, Socio onorario della R. Accademia Me- dica di Roma, Socio onorario della R. Accademia Medico-chirurgica di Genova, Socio corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, del- l'Accademia Medico-chirurgica di Perugia, della Societas medicorum Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell’ American Neurological Asso - ciation di New-York, Socio onorario della Royal Microscopical Society di Londra, Membro corrispondente della R. Accademia di Medicina del Belgio, Membro onorario della Società Freniatrica italiana e dell’Asso- ciazione Medico-Lombarda, Socio onorario del Comizio Agrario di Pavia, Professore ordinario di Patologia generale e di Istologia nella R. Uni- versità di Pavia, Membro effettivo della Società Italiana d’Igiene e dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Membro onorario dell’Uni- XI versità di Dublino, Socio corrispondente della Società Medica di Batavia, Membro straniero dell’Accademia di Medicina di Parigi, Membro ono- rario dell'Imperiale Società degli alienisti e neurologi di Kazan, Socio emerito della R. Accademia Medico-Chirurgica di Napoli, Socio corri- spondente dell’Imp. Accademia delle Scienze di Vienna, Socio onorario della R. Società dei Medici in Vienna, Comm. * €25, Cav. n. 13 febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Righi (Augusto), Dottore, Senatore del Regno, Professore ordinario di Fisica, Incaricato dell’insegnamento della Fisica per i Medici, Farmacisti e Veterinari nella R. Università di Bologna, Membro (Benedettino) della Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bologna, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia di Padova, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, dell’Accademia di Scienze naturali ed eco- nomiche di Palermo, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, Membro della Società degli Spettroscopisti Italiani, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Dottore in Filosofia honoris causa dell’Università di Gottinga, di Erlangen, Membro corrispondente della I. Accademia delle Scienze di Petrogrado, di Lund e della Società Reale delle Scienze di Upsala, Membro onorario della Philosophical Society di Cambridge, della Società Reale di Edinburgo, della Royal Institution della Gran Bretagna, della Società Antonio Alzate del Messico, della Società di Scienze naturali di Mosca, della Società di Fisica di Ginevra, Uno dei 12 Soci onorari della Società Fisica di Londra, Membro stra- niero della R. Società delle Scienze di Gottinga, Comm. &, Gr. Uff, es3_ iQ — Bologna, Via Irnerio, 46. 24 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. Taramelli (Torquato), Dottore, Professore ordinario di Geologia e Incari- cato di Paleontologia nella R. Università di Pavia, Membro del R. Co- mitato Geologico e del R. Consiglio di Meteorologia e Geodinamica, Socio ordinario del Comizio Agrario di Pavia, Membro effettivo del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio degli Atenei di Brescia e Bergamo, delle Accademie di Udine, di Verona e di Spoleto, della Società Agraria Istriana, della Società dei Naturalisti di Modena, della R. Accademia dei Georgofili di Firenze, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, dell’Ac- cademia delle Scienze della Società Reale di Napoli, dell’Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bologna, dell’I. R. Accademia delle Scienze di Rovereto, Socio onorario delle Società Alpine di Udine e di Trento, dell’I. R. Istituto geologico di Vienna, della Società Reale delle Scienze del Belgio, della Società Elvetica di Scienze naturali, della Società di Scienze naturali di Filadelfia, #, Comm. €, Cav. sb. — Pavia, Via Volta, 24. 24 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. { } LI ” 1A U te i pra , ù, Da LR 5 da 4 è e” UE 2. he XII Bertini (Fugenio), Dottore, Preside della Facoltà di Scienze fisiche e ma- tematiche e Professore ordinario di Geometria superiore nella R. Uni- versità di Pisa, Professore onorario dell’ Università di Pavia, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Membro effettivo del R. Isti- stuto Lombardo di Scienze e Lettere, uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Lucca, #, €. — Pisa, Lungarno Mediceo, Palazzo Schiff. 24 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. Pirotta (Romualdo), Dottore, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Professore ordinario di Botanica e Direttore del R. Istituto e Orto Botanico dell'Università di Roma, Comm. «2. — Roma, Via Panisperna, 89. 24 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. Roiti (Antonio), Dottore, Professore emerito del R. Istituto di Studi supe- riori di Firenze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. — Firenze, Via Gino Capponi, 3. 24 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. ACCADEMICI STRANIERI Klein (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. — 10 gennaio 1897 - 24 gennaio 1897. Haeckel (Ernesto), Professore nella Università di Jena. — 13 febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Darboux (Giovanni Gastone), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 14 giugno 1903 - 28 giugno 1903. Helmert (Federico Roberto), Direttore del R. Istituto Geodetico di Prussia, Potsdam. — 14 giugno 1903 - 28 giugno 1903. Noether (Massimiliano), Prof. nell'Università di Erlangen. — 15 maggio 1910 - 12 giugno 1910. Baeyer (Adolfo v.), Professore nell'Università di Miinchen. — Id. id. Thomson (John Joseph), Professore nell'Università di Cambridge. — Id. id. XIII CORRISPONDENTI Sezione di Matematiche pure. Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di Heidelberg. — 25 giugno 1876. Schwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di Berlino. — 19 di- cembre 1880. Jordan (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 12 gennaio 1896. Mittag-Leffler (Gustavo), Professore all’Università di Stoccolma. — 12 gen- naio 1896. Picard (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 10 gennaio 1897. Castelnuovo (Guido), Prof. nella R. Università di Roma. — 17 aprile 1898. Yeronese (Giuseppe), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Padova. — 17 aprile 1898. Zeuthen (Gerolamo Giorgio), Professore nella Università di Copenhagen. — 14 giugno 1905. Hilbert (Davide), Prof. nell'Università di Gòttingen. — 14 giugno 1903. Enriques (Federico), Prof. nell'Università di Bologna. — 15 maggio 1910. Sezione di Matematiche applicate, Astronomia e Scienza dell'ingegnere civile e militare. Ewing (Giovanni Alfredo), Professore nell’ Università di Cambridge. — 27 maggio 1894. Celoria (Giovanni), Senatore del Regno, Direttore dell’Osservatorio di Mi- lano. — 12 gennaio 1896. Pizzetti (Paolo), Professore nella R. Università di Pisa. — 14 giugno 1903. Cerulli (Vincenzo), Direttore dell’ Osservatorio Collurania, Teramo. — 15 maggio 1910. Boussinesq (Valentino), Membro dell’ Istituto di Francia, Professore nella. Università di Parigi. — Id. id. Levi-Civita (Tullio), Professore nella R. Università di Padova. — Id. id. Sezione di Fisica generale e sperimentale. Blaserna (Pietro), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 30 novembre 1873. Lippmann (Gabriele), dell’Istitato di Francia (Parigi). — 15 maggio 1892. Rayleigh (Lord Giovanni Guglielmo), Professore nella Royal Institution di Londra. — 3 febbraio 1895. ner NIV Réintgen (Guglielmo Corrado), Professore nell'Università di Miinchen. — 14 giugno 1903. Lorentz (Enrico), Professore dell’Università e Curatore del Laboratorio Teyler di Haarlem. — 14 giugno 1903. Battelli (Angelo), Professore nell'Università di Pisa. — 15 maggio 1910. Garbasso (Antonio), Professore nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze. — Id. id. Neumann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — Id. id. Zeeman (P.), Professore nell'Università di Amsterdam. — Id. id. Cantone (Michele), Professore nell'Università di Napoli. — Id. id. Sezione di Chimica generale ed applicata. Paternò (Emanuele), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 2 gennaio 1881. Kérner (Guglielmo), Professore nella R. Scuola superiore d'Agricoltura in Milano. — 2 gennaio 1881. Fischer (Emilio), Professore nell'Università di Berlino. — 24 gennaio 1897. Ramsay (Guglielmo), Professore nell'Università di Londra. — Id. id. Dewar (Giacomo), Professore nell'Università di Cambridge. — 14 giugno 1903. Ciamician(Giacomo), Senatore del Regno, Professore nell'Università di Bo- logna. — 14 giugno 1903. Ostwald (Dr. Guglielmo), Gross Bothen (Sachsen). — 5 marzo 1905. Arrhenius (Svante Augusto), Professore e Direttore dell’ Istituto Fisico del- l’Università di Stoccolma. — 5 marzo 1905. Nernst (Walter), Professore nell’ Università di Berlino. — 5 marzo 1905. Haller (Albin), Membro dell'Istituto di Francia, Professore nell'Università di Parigi. — 15 maggio 1910. Willstitter (Richard). Professore, Kaiser Wilhelm Institut, Berlin. — Id. id. Engler (Carlo), Professore nella Scuola superiore tecnica di Karlsruhe. — Id. id. Meyer (Ernesto v.), Professore nella R. Scuola superiore tecnica in Dresda. — .ld..2d- Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia. Capellini (Giovanni), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di. Bologna. — 12 marzo 1882. Tschermak (Gustavo), Professore nell'Università di Vienna. — 8 febbraio 1885. Geikie (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica, Londra. — 8 dicembre 1893. ‘Groth (Paolo Enrico), Professore nell'Università di Monaco. — 13 febbraio 1898. Liebisch (Teodoro), Professore nell'Università di Gottinga. — Id. id. Bassani (Francesco), Professore nella R. Univ. di Napoli. — 14 giugno 1903. Issel (Arturo), Professore nella R. Università di Genova. — Id. id. {roldsehmidt (Viktor), Professore nell’Univ. di Heidelberg. — 5 marzo 1905. Suess (Frane. Edoardo), Professore nella “ Deutsche Technische Hochschule, di Praga. — 5 marzo 1905. Haug (Emilio), Professore nell'Università di Parigi. — Id. id. Lacroix (Alfredo), Membro dell'Istituto di Francia, Professore al Museo di Storia naturale di Parigi. — 15 maggio 1910. Kilian (Carlo), Professore nell’ Università di Grenoble. — Id. id. Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale. pocardo (Andrea), Professore nella R. Università di A — 8 feb- - braio 1885. Goebel (Carlo), Professore nell’ Università di Monaco. — 18 febbraio 1898. Penzig (Ottone), Professore nell'Università di Genova. — Id. id. Mino: (Simone), Professore nell’Univ. di Berlino. — Id. id. Wiesner (Giulio), Professore nell’Univ. di Vienna. — 14 giugno 1903, Klebs (Giorgio), Professore nell'Università di Halle. — Id. id. | Belli (Saverio), Professore, Torino. — Id. id. Baccarini (Pasquale), Professore nell’ Istituto di Studi superiori in Firenze. —_ — 15 maggio 1910. Mangin (Luigi), Membro dell’ Istitato di Francia, Professore al Museo di Storia naturale di Parigi. — Id. id. Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. Chauveau (G. B. Augusto), Membro dell’Istituto di Francia, Professore alla Scuola di Medicina gi Parigi. — 1° dicembre 1889. — Waldeyer (Guglielmo), Professore nell'Università di Berlino. — Id. id. Roux (Guglielmo), Professore nell'Università di Halle. — 13 febbraio 1898. D: not (Carlo Sedgwick), Professore nell’ “ Harvard Medical School, di Boston (Mass.) (S. U. A.) — 28 gennaio 1900. B oulenger (Giorgio Alberto), Assistente al Museo di Storia naturale di Londra. — Id. id. M Marchand (Felice), Professore nell'Università di Leipzig. — 14 giugno 1903. È) Veismann (Augusto), Professore nell'Università di Freiburg i. Br. (Baden). — "A 5 marzo 1905. Lankester (Edwin Ray), Direttore del British Museum of Natural History. s — Id.id. Dastre (Alberto Giulio), Membro dell’ Istituto di Francia, Professore nel- l’Università di Parigi. — Id. id. Ramòn y Cajal (Santiago), Professore nell’ Università di Madrid. — 15 maggio 1910. Metehnikoff (Elia), Vice-Direttore dell'Istituto Pasteur in Parigi. — Id. id. K ossel (Albrecht), Professore nell'Università di Heidelberg. — Id. id. Atti della R. Accademia — Vol. LI. B Chironi (Dott. Giampietro), Senatore del Regno, Professore ordinario di Stampini (Ettore), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore ordinario CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE BR FILOLOGICHE Direttore. $i Diritto Civile nella R. Università di Torino, Dottore aggregato della Facoltà di Giurisprudenza nella R. Università di Cagliari, Socio della R. Accademia delle Scienze di Napoli, della R. Accademia Peloritana di Messina, Socio corrispondente dell’Accademia di Legislazione di To- losa (Francia), dell’Associazione internazionale di Berlino per lo studio | del Diritto comparato, dell’Accademia Americana di Scienze sociali e bi politiche di Filadelfia, della Società di studi legislativi di Parigi, » Membro della Commissione Reale per l'ordinamento dell’ istruzione superiore, Comm. #&, Grand'Uff. e». — Torino, Via Monte di Pietà, 26. Eletto alla carica il 18 maggio 1913 — 5 giugno 1913. Segretario. di Letteratura latina e Direttore della Biblioteca della Facoltà di Filo- sofia e Lettere nella R. Università di Torino, Socio corrispondente del | Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia Pelo- î ritana di Messina, dell'Ateneo di Brescia, dell’Accademia Virgiliana di Scienze, Lettere ed Arti di Mantova e della R. Accademia di prg Lettere ed Arti di Padova, Direttore della Rivista di Filologia e d’Istru- | zione classica, già Membro del Consiglio e della Giunta Superiore della Istruz. Pubblica, Decorato della Medaglia del Merito Civile di 1* Classe della Repubblica di S. Marino, Uff. *, Comm. &8, — Piazza V. ittorio Emanuele I, 10. ai Eletto alla carica il 17 gennaio 1913 — 21 febbraio 1913. A i ‘ a ACCADEMICI RESIDENTI N Manno (Barone D. Antonio), Senatore del Regno, Membro e » Segretario della . R. Deputazione sovra gli Studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi e dell'Istituto storico italiano, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Bibliotecario e Conservatore del Medagliere di ___S.M. (Incaricato), Dottore honoris causa della R. Università di Tiibingen, __ Gr. Uffiz. & e Gr. Cord. e, Balì Gr. Cr. d'on. e devoz. del S. M. O. di | Malta, decorato di Ordini stranieri. — Torino, Via Ospedale, 19. 17 giugno 1877 - 11 luglio 1877. — Pensionato 28 febbraio 1886. Carle (Giuseppe), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di i; Giurisprudenza e Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di «Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei pipes ©, Comm. *, ee». i — Torino, Via Principi d’Acaia, 5. i: 7 dicembre 1879 - 1° gennaio 1880. — reo 4 agosto 1892. Boselli (Paolo), predetto. 15 gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 13 ottobre 1897. ( Cipolla (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore emerito nella R. Uni- | versità di Torino, Prof. di Storia moderna nel R. Istituto di Studi Supe- riori in Firenze, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia | patria perle Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. De- putazione Veneta di Storia patria e della R. Deputazione Toscana, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’Ae- cademia delle Scienze di Monaco (Baviera), del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Artie della Società Storica Friulana, Comm. €. — Firenze, Via Lorenzo il Magnifico, 10. 15 febbraio 1891 - 15 marzo 1891. — Pensionato 4 marzo 1900. sulv Pizzi (Nobile Italo), Dottore in Lettere, Professore di Persiano e Sanserito | nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della Società Colom- | baria di Firenze, Dottore onorario dell’Università di Lovanio, Socio cor- rispondente dell'Ateneo Veneto, dell’Accademia Petrarchesca di Arezzo, . dell’Accademia Dafnica di Acireale, dell’ Accademia dell'Arcadia di _ Roma, dell’Accademia Reale di Napoli, dell’Accademia delle Scienze 5 dell’Istituto di Bologna, &, 2. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 16. 8 gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 16 giugno 1907. 0 ironi (Dott. Giampietro, predetto). 20 maggio 1900 - 31 maggio 1900. — Pensionato 20 maggio 1897. | Atti della R. Accademia — Vol. LI. La XVIII De Sanctis (Gaetano), Dottore in Lettere, Professore di Storia antica nella _ R. Università di Torino, Socio ordinario della Pontificia Accademia romana di Archeologia, ee». — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 44. 21 giugno 1903 - 8 luglio 1903. - Pensionato 15 febbraio 1912. Ruffini (Francesco), Dottore in Leggi, Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Professore di diritto ecclesiastico, Uff. dar Comm. es. — Torino, Via Principe Amedeo, 22. 21 giugno 1903 - 8 luglio 1903. — Pensionato 19 giugno 1913. Stampini (Ettore), predetto. 20 maggio 1906 - 9 giugno 1906. — Pensionato 24 gennaio 1915. D’Ercole (Pasquale), Dottore in Filosofia, Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di Torino, Membro della Società Filosofica di Ber- lino, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze morali e politiche di Napoli, Professore emerito, Uff. &, Gr. Uff. esa. — Corso vi Siccardi, 26. i 1 : 17 febbraio 1907 - 19 aprile 1907. Brondi (Vittorio), Dottore in Legge, Professore di Diritto amministrativo e Scienza déll’Amministrazione nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore di assistenza e beneficenza pubblica, Socio corrispon- si dente onorario del Circolo di Studi sociali di Firenze, Uff. $, Comm. €28, — Torino, Via Montebello, 26. 4. 17 febbraio 1907 - 19 aprile 1907. Sforza (Conte Giovanni), Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia patria di Modena per la Sotto-Sezione di Massa e Carrara, Socio effettivo di | quelle delle antiche Provincie e della Lombardia, di Parma e Piacenza, e ; della Toscana, Socio onorario della R. Deputazione Veneta di Storia. patria, Corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, dell'Ateneo di Brescia, della Società Ligure di Storia patria, della R. Accademia Lucchese, Socio onorario della R. Accademia di Belle 30) Arti di Carrara, Membro' d'onore dell'Académie Chablaisienne di Thonon- les-Bains, Membro aggregato dell'Académie des Sciences, Belles Lettres et Arts de Savoie, Socio della R. Commissione per i testi di lingua, Membro della Commissione Araldica Piemontese, della Società di Storia | patria di Vignola, della Commissione municipale di Storia patria e’ "i | belle arti della Mirandola, della Commissione Senese di Storia patria hi e della Società storica di Carpi, Corrispondente della R. Accademia Valdarnese del Poggio in Montevarchi, della Società Georgica di Treia, e della Colombaria di Firenze, e del Comitato nazionale per la Storia | 3 del Risorgimento, Consigliere del Comitato Piemontese per la Storia del Risorgimento italiano, Presidente onorario della R. Accademia dei Rinnovati di Massa, Soprintendente del R. Archivio di Stato di Torino, . Gr. Uff. dell'Ordine del Medjidiè, Comm. * e Comm. e. — ul S. Dalmazzo, 24. 17 febbraio 1907 - 19 aprile 1907. s fi. pandi (Luigi), predetto. 10 aprile 1910 - 1° maggio 1910. Baudi di Vesme (Alessandro dei conti), Dottore in Legge, Suprintendente alle Gallerie ed ai Musei medioevali, ecc. del Piemonte e della Liguria, Direttore della R. Pinacoteca di Torino, Vice Presidente della Regia _ Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche provincie. «__— Via dei Mille, 54. 10 aprile 1910 - 1° maggio 1910. Schiaparelli (Ernesto), Dottore in lettere, Socio nazionale della R. Acca- _ demia dei Lincei, Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Let- tere ed Arti, dell’Accademia. delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Membro onorario dell'Istituto Khediviale egiziano e della Società Asia- tica di Francia, della Società di Archeologia biblica di Londra, Direttore del R. Museo di Antichità di Torino, Uff. %, Comm. es. 10 aprile 1910 - 1° maggio 1910. Patetta (Federico), Dottore in legge, Professore di Storia del Diritto italiano nella R. Università di Torino, Socio effettivo della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria e della R. Deputazione di Storia patria per le provincie modenesi, Socio fondatore della Commissione Senese di Storia patria, Socio effettivo della Società piemontese di Archeologia e Belle Arti, Uft. &=. — Via S. Mas- _ simo, 44. a 3 maggio 1914 — 11 giugno 1914. ì) Vidari (Giovanni), Dottore in Lettere e Filosofia, Professore ordinario di Pe- dagogia e già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Uni- versità di Torino, Membro delia Sezione di Giunta del Consiglio supe- riore per l'istruzione primaria, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Presidente della Società Filosofica italiana, Direttore del Corso di Perfezionamento per i laureati delle Scuole normali, %, Uff. es». — Via Valeggio, 15. 31 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. Prato (Giuseppe), Dottore in Giurisprudenza, Professore ordinario di Eco- nomia politica e Scienza delle finanze ne] R. Istituto superiore di Studi commerciali di Torino, Professore incaricato di Diritto industriale nella R. Università di Torino, Membro effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, Socio ordinario della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio . corrispondente della R. Accademia Economico-Agraria dei Georgofili in Firenze, €, — Via Bertola, 37. — 31 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Villari (S. E. Pasquale), Senatore del Regno, Socio dell'Istituto Storico di Roma, Presidente onorario del Consiglio degli Archivi, Professore emerito e Presidente onorario della Sezione di Filosofia e Lettere nell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio residente della R. Accademia della Crusca, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, della Pontaniana di Napoli, Presidente della R. Deputazione di Storia patria per la Toscana, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio straordinario del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Baviera, di Vienna, Socio dell’Accademia di Berlino, dell’Accademia di Scienze di Gottinga, della R. Accademia Ungherese, Socio straniero dell'Istituto di Francia (Scienze morali e politiche), Dott. on. in Legge della Università di Edimburgo, Membro della Royal Society of Literature di Londra, di Halle, Dott. on. in Fi- losofia dell’Università di Budapest, dell'American Academy of Arts and Sciences di Boston, Professore emerito della R. Università di Pisa, Cav. dell'Ordine supremo della SS. Annunziata, Gr. Uffiz. * e Gr. Cord. €, Cav. 2, Cav. del Merito di Prussia, Membro del Consiglio dell’Ord. Civile di Savoia e del Consiglio dell’ Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, ece. 16 marzo 1890 - 30 marzo 1890. “Comparetti (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’ Uni- versità di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezio- namento in Firenze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio corrispondente del- l'Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di Vienna, di Copenhagen e di Pietroburgo, Dottore ad honorem delle Università di Oxford, di Cracovia e di Atene, Uff. #, Comm. @®, Cav. &. — Firenze, Via Lamarmora, 20. 20 marzo 1892 - 26 marzo 1892. Savio (Sacerdote Fedele), Professore di Storia ecclesiastica nella Pontificia Università Gregoriana, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, Socio della Società Storica Lombarda. — Roma, Via del Seminario, 120. 20 maggio 1900 - 31 maggio 1900. XXI Seialoja (Vittorio), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Professore ordi- nario di Diritto romano nella R. Università di Roma, Professore onorario della Università di Camerino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e delle RR. Accademie di Napoli, di Bologna, di Modena e di Messina, Socio onorario della R. Accademia di Palermo, ecec., Gr. Uffiz. *, ©. — Roma, Piazza Grazioli, 5. 29 marzo 1903 - 9 aprile 1903. Rajna (Pio), Dottore in Lettere, Dottore honoris causa dell’Università di Giessen, Professore ordinario di Lingue e Letterature neo-latine nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze, Socio nazionale della R. Ae- cademia dei Lincei, Accademico residente della Crusca, Socio ordi- nario non residente della Società Reale di Napoli, Socio ordinario della R. Deputazione di Storia patria per la ‘l'oscana, Socio Urbano della Società Colombaria, Socio onorario della R. Accademia di Padova, della Società Dantesca americana, della New Language Association of America, della Société néophilologique dell'Università di Pietroburgo, ì Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, P del R. Istituto Veneto, dell'Ateneo Veneto, della R. Accademia di Pa- lermo, della R. Accademia delle Scienze di Berlino, della R. Società delle Scienze di Gòttingen, dell'Istituto di Francia (Académie des Ins- criptions et Belles-Lettres), della Società Reale di Scienze e Lettere A di Goteborg, dell’Accademia R. Lucchese, &, Uff. &, Gr. Uff. ©, — Firenze, Piazza d’Azeglio, 13. 29 marzo 1903 - 9 aprile 1903. Guidi (Ignazio), Dottore, Senatore del Regno, Professore di Ebraico e di Lingue semitiche comparate nella R. Università, di Roma, Socio e Segretario della Classe di scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia dei Lincei, ©, Uff. &, €, C. O. St. P. di Svezia. — Roma, Botteghe Oscure, 24. 12 aprile 1908 - 14 maggio 1908. pra Pigorini (Luigi), Senatore del Regno, Direttore dei Musei Preistorico e Etnografico, Professore nella R. Università di Roma, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei ©, Comm. *, €. — Via del Collegio Romano, 26. 12 aprile 1908 - 14 maggio 1908. . D’Ovidio (Francesco), Senatore del Regno, Professore di Storia comparata delle letterature neo-latine nella R. Università di Napoli, Socio ordi- nario della Società Reale di Napoli, Socio nazionale e Vice-Presidente della R. Accademia dei Lincei, Accademico della Crusca, Socio corri- spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Isti- tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell'Ateneo di Brescia, Socio straniero della Dante Society d'America, &, Comm. *, Comm. ©, — Napoli, Largo Latilla, 6. 1 31 gennaio 1915 — 14 febbraio 1915. RE n Le TE SI ST PN SLI PITTI E IE Dr: Fraccaroli (Giuseppe), Professore di letteratura greca nella R. Università | di Pavia, Socio corrispondente del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere, della R. Accademia Peloritana di Messina, della R. Acca- © demia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova e dell’Accademia di Agri- coltura, Scienze, ecc. di Verona, @9, — Milano, Via Lazzaretto, 16. È 31 gennaio 1915 - 14 febbraio 1915. i ACCADEMICI STRANIERI Meyer (Paolo), Membro dell’ Istituto, Professore nel Collegio di Francia, di Direttore dell’ Ecole des Chartes (Parigi). — 4 febbraio 1883 - 15 feb- braio 1883. I Maspero (Gastone), Membro dell'Istituto, Professore nel Collegio di Francia È | (Parigi). — 26 febbraio 1898 - 16 marzo 1893. x Brugmann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — 31 gennaio 1997 A - 14 febbraio 1897. È Wundt (Guglielmo), Professore nell'Università di Lipsia. — 29 marzo 1903 di — 9 aprile 1903. Duchesne (Luigi), Membro dell'Istituto di Francia, Direttore della. Scuola A Francese in Roma. — 12 aprile 1908 - 14 maggio 1908. . Di: CORRISPONDENTI Sezione di Scienze Filosofiche, Pinloche (Augusto), Prof. nel Liceo Carlomagno di Parigi. — 15 marzo 1896. Chiappelli (Alessandro), Senatore del Regno, Professore emerito della R. Università di Napoli. — 15 marzo 1896. Masci (Filippo), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Na- poli. — 14 giugno 1903. Zuccante (Giuseppe), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 31 maggio 1908. «Gentile (Giovanni). Prof. nella R. Università di Pisa. — 17 maggio 1914. he Martinetti (Pietro). Prof. nella R. Accademia scientifico-letteraria di Mi- do: lano. — Id. id. Fi Bergson {Enrico Luigi), Membro dell'Istituto di Francia. — Id. id. sE Sezione di Scienze Giuridiche e Sociali. SI i Schupfer (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di È } Roma. — 14 marzo 1886. 7a J Gabba (Carlo Francesco), Senatore del Regno, Prof. nella R. Univ. di Pisa. te E — 3 marzo 1889. È; j Buonamici (Francesco), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di tes È Pisa. — 16 marzo 1890. sE, Bonfante (Pietro), Prof. nella R. Università di Pavia. — 21 giugno 1903. Toniolo (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Pisa. — 10 giugno 1906. A ; Brandileone (Francesco), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. pra Brini (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. vi, Fadda (Carlo), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Napoli. — K: Id. id. ù) 1 Filomusi-Guelfi (Francesco), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università = Bi di Roma. — ld. id. 5 - Polacco (Vittorio), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Padova. H bi — Id. id. “ll È Stoppato (Alessandro), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. 3 A Simoncelli (Vincenzo), Prof. nella R. Università di Roma. — Id. id. «_Tannaccone (Pasquale), Prof. nella R. Univ. di Padova. — 17 maggio 1914. Montalcini (Camillo), Prof., Segretario generale degli uffizi amministrativi po della Camera dei Deputati. — Id. id. i 9 Sezione di Scienze Storiche. j Birch (Walter de Gray), del Museo Britannico di Londra. — 14 marzo 1886. i Chevalier (Canonico Ulisse), Romans. — 26 febbraio 1893. Bryce (Giacomo), Londra. — 15 marzo 1896. È Venturi (Adolfo), Professore nella k. Università di Roma. — 31 maggio 1908. È. i x 9 Se 0 = ra È: A a }, sr. ERO XXIV Luzio (Alessandro), Direttore del R. Archivio di Stato in Mantova. — 31 maggio 1908. Davidsohn (Roberto), Socio della R. Accademia dei Lincei e della R. Ac- cademia della Crusca. — 17 maggio 1914. Meyer (Edoardo), Prof. nell'Università di Berlino. — Id. id. Lippi (Silvio), Direttore dell'Archivio di Stato di Cagliari. — Id. id. Sezione di Archeologia ed Etnografia. Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, | Milano. — 14 marzo 1886. Barnabei (Felice), Roma. — 28 aprile 1895. Orsi (Paolo), Professore, Direttore del Museo Archeologico di Siracusa. — 31 maggio 1908. Patroni (Giovanni), Professore nella R. Università di Pavia. — Id. id. Sezione di Geografia. Dalla Vedova (Giuseppe), Senatore del Regno, Professore nella R. Uni- versità di Roma. — 28 aprile 1895. Bertacechi (Cosimo), Professore nella R. Univ. di Torino. — 21 giugno 1903. Sezione di Linguistica e Filologia orientale. Marre (Aristide), Vaucresson (Francia). — 1° febbraio 1885. Salvioni (Carlo), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 31 maggio 1908. Parodi (Ernesto Giacomo), Professore nel R. Istituto di Studi superiori e di perfezionamento in Firenze. — Id. id. Schiaparelli (Celestino), Professore nella R. Università di Roma. — Id. id. Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia. Del Lungo (Isidoro), Senatore del Regno, Socio residente della R. Acca- demia della Crusca (Firenze). — 16 marzo 1890. Rossi (Vittorio), Professore nella R. Università di Roma. — Id. id. Boffito (Giuseppe), Professore nel Collegio delle Querce in Firenze. — Id. id. Biadego (Giuseppe), Bibliotecario della Biblioteca Civica di Verona. — Id. id. Cian (Vittorio), Professore nella R. Università di Torino. — Id. id. Vitelli (Gerolamo), Professore emerito nel R. Istituto di Studi superiori e di perfezionamento in Firenze. — 31 maggio 1908. Flamini (Francesco), Professore nella R. Università di Pisa. — Id. id. Gorra (Egidio), Professore nella R. Università di Torino. — Id. id. Sabbadini (Remigio), Professore nella R. Accademia scientifico letteraria di Milano. — Id. id. Zuretti (Carlo Oreste), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano — ld. id. MUTAZIONI avvenute nel Corpo Accademico dal 31 Dicembre 1914 al 31 Dicembre 1915. ELEZIONI SOCI Raffini (Francesco) . Eletti nell'adunanza del 17 gennaio 1915 della ? \forza (Giovanni). . Classe di scienze morali, storiche e filologiche Patetta (Federico) \ per comporre la Giunta per il premio Pollini. Raffini (Francesco), eletto nell'adunanza del 17 gennaio 1915 nella Com- missione del premio Gautieri per la Letteratura in sostituzione del Prof. Renier. 7 Stampini (Ettore), eletto a Segretario della Classe di scienze morali, sto- riche e filologiche nell'adunanza del 17 gennaio 1915 e approvata la : elezione con R. Decreto 21 febbraio 1915. Panetti (Modesto), Professore nel R. Politecnico di Torino, eletto Socio nazionale residente nell'adunanza del 24 gennaio 1915 della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, e approvata la elezione con __—R. Decreto del 14 febbraio 1915. Righi (Augusto), Professore nella R. Università di Bologna. Taramelli (Torquato), , A a di Pavia. - Bertini (Fugenio), A x ri di Pisa Pirotta (Romualdo), |, di Roma. Roiti (Antonio), Professore saette del R Istituto di Studi Superiori di Firenze. Eletti Soci nazionali non residenti nell'adunanza del 24 gennaio 1915 della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, e approvata la _ elezione con R. Decreto 14 febbraio 1915. Vidari (Giovanni), Professore nella R. Università di Torino. Prato (Giuseppe), Professore ‘nella R. Scuola superiore di commercio di — Torino. Eletti Soci nazionali residenti nell'adunanza del 31 gennaio 1915 della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, e approvata la elezione con R. Decreto 14 febbraio 1915. D'Ovidio (Francesco), Professore nella R. Università di Napoli. Fi accaroli (Giuseppe), Professore nella R. Università di Pavia. Eletti Soci nazionali non residenti nell'adunanza del 31 gennaio 1915 «della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, e approvata la ke elezione con R. Decreto 14 febbraio 1915. » è gp i » XXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA México. Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Anuario para el ano de 1915. * Milano. R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, vol. XLVII, 17-20; XLVIII, 1-17. — Memorie. Classe di scienze matematiche e na- turali, vol. XXI, fasc. 7; Classe di lettere e scienze morali e storiche, vol. XXIII, fasc. 2-5. — Società Italiana di Scienze naturali e Museo Civico di Storia natu- rale. Atti, vol. LIII, fasc. 3-4; LIV, 1. — Memorie, vol. VIII, fase. 1, parte 1°. — R. Osservatorio Astronomico di Brera. Pubblicazioni, n. LII (La Cometa, 1909, I). — Articoli generali del Calendario ed effemeridi del sole e della luna per l'orizzonte di Milano per l’anno bisestile 1916. — R. Commissione Geodetica italiana. Prima campagna con la bilancia di Eotvéòs nei dintorni di Padova (Mandria-Montemerlo). — Relazione delle osservazioni gravimetriche compiute nell'estate 1913 col bipen- dolo Mioni. — La latitudine astronomica dell’Osservatorio Vesuviano determinata nel 1914. — R. Commissione Geodetica italiana. Determi- nazioni di latitudine astronomica e di gravità relativa eseguite in Umbria e in Toscana nel 1913. — Università commerciale Luigi Bocconi. Annuario per l’anno scolastico 1913-1914, an. XII. — (città). Bollettino municipale mensile di cronaca amministrativa e di statistica, an. XXX,1914, novembre-dicembre; 1915, an. XXXI, gennaio- dicembre. * Minneapolis. University of Minnesota. Agricultural Experiment station. — Bulletin, 122, 130, 132, 134-141, 143-147 (University Farm., St.-Paul). — Minnesota Plant Studies. V Guide to the-Autumn Flowers of Min- nesota Field und Garden. — Studies in the Physical sciences and Ma- thematies, n.2. — Contribution from the Department of Anatomy, vol. I (1909-1911); II (1912-1913). — Studies in Language and Lite- rature, n. 1. — Studies in Engineering, n. 1. — Studies in the Social Sciences, n. 4. — Courrent Problems, n. 2-4. — Minnesota Geological Survey. Bulletin, n. 11-12. — Minnesota School of Mines-Experiment Station. Bulletin, 1, 3. — Geological and Natural History Survey of Minnesota. Minnesota Bota- nical Studies, vol. IV, parte 3*. * Modena. Società dei Naturalisti e Matematici. Atti, ser. 5*, vol. I. Monaco. Institut Océanographique. Bulletin, n° 298-300. Table des ma- tieres par ordre alphabétique, n°5 279-313. — Table des matières, n, 301-313. * Moncalieri. Osservatorio del Real Collegio Carlo Alberto. Osservazioni meteorologiche, 1214 dicembre; 1915 gennaio-aprile. — Osservazioni sismiche, 1914, n. 9; 1915, 1-2. * Montecassino (Badia di). Codicum Casinensium manuscriptorum Cata- logus cura et studio Monachorum $S. Benedieti Archicoenobii Montis Ca- sini, vel. I, pars 1, Cod. 1-100. * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA XXXIII — Montevideo. Instituto Nacional Fisico-Climatolégico. Boletin mensual, aîio 1918, vol. XI, n. 125-182; 1914, XII, 133-144 (in un fasc.). — Si- nopsis Meteorolégiea del aîio 1913. — Synopsis Météorologique des années 1901-1913. * Montpellier. Académie des Sciences. et Lettres. Bulletin mensuel, 1914, 8-12; 1915, 1-12. * Napoli. Società Reale. Annuario 1915. — Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti: Rendiconto delle Tornate e dei Lavori, N. S., an. XXVIII. Atti, N. S., vol. III. — Accademia delle scienze fisiche e matematiche: Rendiconto, Ser. 3*, vol. XX, fasc. 7-12; XXI, 1-6. — Ac- cademia di scienze morali e politiche: Rendiconto, an. LIII, 1914. Atti, vol. XXIII. * — R. Istituto d’Imcoraggiamento. Atti, Ser. 6*, 1914. — Accademia Pontaniana. Atti, vol. XLIV. * — R. Osservatorio di Capodimonte. Memorie, 1. Contributi geofisici, 1. — Contributi astronomici, 7-13. * — Società di Naturalisti. Bollettino, vol. XXVII (an. XXVIII). New-York. American Mathematical Society. List of Officers and Members, 1915. — Bulletin, vol. XXI, 4-10; XXII, 1-3. — Transactions, vol. XVT, 1-4. * — New York Publie Library. Astor Lenox and Tilden Foundation. Bu]- letin, vol. XVIII, 11-12; XIX, 1-12. * — New York Academy of Sciences. Annals, vol. XXIII, pp. 145-353. — The Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching. The case method in American Law Schools. Bulletin, n. VIII, 1914. — Ninth Annual Report of the President and the Treasurer, 1914. * Ottawa. Royal Society of Canada. Proceedings and "Transactions, 3* Ser., vol. VII, VIII, IX. * — Canada. Department of Mines. Geological Survey. Museum Bulletin, 5, 7, 12, 17, 20, 21, 22, 37, 43. — Mémoires, n. 1, 2, 5, 19, 21, 23, 28, 29-E, 33, 34, 52; n. 1362. Moose Mountain, Alta; n. 1393. La Tel- kewa, C. B. — Rapport annuel sur les industries minérales du Canada pour l'année 1905. — Rapport sur une partie des Districts miniers de Conrad et Whitehorse, Yukon. — Manuel du Prospecteur, n. 1. — Rapport sur la Géologie d'une partie de l'Est d'Ontario. — Cartes du Rapport, Moose Mountain. Rapport préliminaire district Similkameen. — Summary Report... for the Calendar Year, 1914. — Rapport sur le Terrain Houiller de Preton, N. È. — Ministère des Mines-Division des Mines. Bulletin, n. 2-3. — Catalogue des publications en frangais de la Commission Géologique et de la Division des Mines au 1° juillet 1914. — Mica, gisements, exploitation et emplois, 2°me édition. — Summary Report of the Geological Survey Department of Mines for the Calendar Year 1913. — Gypsum in Ca- nada, its occurrence, exploitation und Technology. — Recherches sur les charbons du Canada, vol. I. II, III. — Report on the Building and Ornamental Stones of Canada, vol. III. — The physical properties of the metal Cobalt, part II. — Economie mineral and mining industries s me ? pa” n » = METTURI Mugi se 3 “ a XXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA of Canada. — Pyrites au Canada. — Sables ferrugineux magnétiques. < — Les gisements de fer d’Austin Brook au Nouveau-Brunswick. — Products and By-Products of Coal. — Eleetro-Plating with Cobalt, part III. — Rapport sommaire de 1913 (n. 266). * Padova. R. Università degli Studi. Annuario per l’anno accadem. 1914-15. * —- R. Accademia di scienze, lettere ed arti. Atti e Memorie, nuova ser., vol. XXX, XXXI. — Accademia scientifica veneto-trentina-istriana. Atti, 8* ser., vol. VII. * — Museo Civico. Bollettino, an. XVII, 1912; an. XVI, 1913. * Palermo. R. Accademia Peloritana. Atti, vol. XXVI. * — Circolo Matematico. Rendiconti, t. XXXVIII, 2,3; XXXIX, 1-3. Paris. Ministère de l’Instruction Publique. Inventaire-sommaire des Ar- chives départementales: Vaucluse, Sér. C et D. — Répertoire numé- rique: Ariège, Sér. E et Sér. V; Creuse, Sér. L; Gironde (6-B et 7-B), Sér. N; Haute-Garonne, Sér. U; Hautes Pyrénées, Sér. I; Loire Inférieure, Sér. V; Lozère, Sér. U et V; Manche, sér. Y. — Institut de France. Séance publique annuelle des cinq Académies du lundi 26 octobre 1914 présidée par M. Paul Appell. — Académie des Sciences: Procès-Verbaux des Séances de l’Académie tenues depuis la fondation de l’Institut jusqu'au mois d’aoùt 1835. Tome V. * — Muséum National d'Histoire naturelle. Bulletin, an. 1914, n. 3-6. * — Société Nationale des Antiquaires de France. Bulletin, 1914, 1°"-4"*© tri- mestre; 1915, 17°. * — Société de Géographie. La Géographie. Bullet., XXIX, n.6; XXX, 1-6, DI * — Société Mathématique de France. Bulletin, t. XLII, 3-4; XLII, 1-2. — Comptes rendus des Séances de l'année 1915. * — Société Zoologique de France. Mémoires, an. 1913, t. XXVI. * — École Polytechnique. Journal, 2° Sér., 18° cahier. * * — Bureau des longitudes. Annuaire 1915. * Perugia. Università. Annali. Facoltà di Medicina, ser. 4*, 1914, vol. VI, 2-3. — R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria. Bollettino, vol. XIX, P. 1%; XX, 2,3; XXI, 1-2. * Philadelphia. Academy of Natural Sciences. Proceedings, vol. LXVI, p.d-3; LAVO — American Philosophical Society. Proceedings, vol. LIII, 215-216. — Wagner Free Institute of Science. Annual Announcement, 1914-15. — Transactions, vol. VII, p. 3. * Pinerolo. Biblioteca Municipale Alliandi e Museo Civico. Bollettino an- nuale, an. 1914. Pisa. R. Università. Annuario per l’anno accademico 1911-1915. * — Università toscane. Annali, t. XXXIII. * — R. Scuola normale superiore. Annali: Filosofia e Filologia, vol. XXVI, * — Società Toscana di scienze. Processi verbali, vol. XXIII, 3-5. * Portici. R. Scuola Superiore di Agricoltura. Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale agraria, vol. IX. * Portland. Portland Society of Natural History. Proceedings, vol. III, p. 1. * de PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA XXXV * Porto. Academia Polytecnica. Annaes scientificos, vol. IX, 3-4. * Prag. Kgl. Bòhmischen Gesellschaft der Wissenschaften. Jahresbericht fir das Jahr 1913. — Mathematisch- Naturwissenschaftliche Classe. Sitzungsberichte, 1913. — Classe fir Philosophie, Geschichte u. Phi- lologie. Sitzungsberichte, 1913. Princeton. Princeton University Observatory, n. 3. A Study of the Orbits of Eclipsing binaries by Harlow Shapley. — Princeton, n. 1, published by the Observatory. * Pusa. Agricultural Research Institut. Memoirs of the Department of Agri- culture of India. Bacteriological Ser., vol. I, 3-4. — Botanical Ser., vol. VI, 8; vol: VII, 1-5, 8. —' Chemical Ser., vol. IV, 1, 2, 3. — Report on the. Progress of Agriculture in India, for 1913-14. — Report (Ineluding the Report of the Imperial Cotton specialist), 1913-14. * Riga. Naturforscher-Verein. Correspondenzblatt, LVII. Rio de Janeiro. Annaes, 1909-1910, vol. XXXI, XXXII. tà-txa hu-ni-ku-î a lingua dos Caxinauis do Rio Ibuagu affluente do Muru (Prefeitura de Tarauaca) por J. Capistrano de Abreu. Rio de Janeiro, 1914, 1 vol,-8°. — Relatorio que ao Sr. Dr. Augusto Tavares de Lyra Ministro da Justiga e Negocios Interiores apresentou o Director Dr. Manoel Cicero Pere- grino da Silva, 8°. — Relatorio que ao Sr. Dr. Esmeraldino Olimpio de Torres Bandeira Ministro da Justiga e Negocio Interior apresentou o Director Dr Manoel Cicero Peregrino da Silva. — Museu Nacional. Archivos, vol. XVI. — Observatorio Nacional. Anuario para o aîîo de 1915 (an. XXXI). Roma. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Statistica della emigrazione italiana per l'estero negli anni 1912 e 1913. — Movimento della popolazione secondo gli atti dello Stato civile nell’anno 1913. — Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti. Statistica Giudiziaria penale per l’anno 1911; 1 vol. 8°. — Atti della Commissione di sta- tistica e legislazione. Relazioni e verbali delle discussioni deHa Ses- sione del gennaio 1914; 1 vol. 8°. — Statistica Giudiziaria civile e commerciale per l’anno 1910; 1 vol. 8°. — Statistica della criminalità per l’anno 1910. — Notizie complementari alla Statistica giudiziaria penale. 1 vol. 4°. — Ministero delle Finanze. Statistica del Commercio speciale di importa- zione e di esportazione, 1914 novembre-dicembre; 1915 gennaio-set- tembre. — Bollettino di legislazione e statistica doganale e commer- ciale, an. XXXI, 1914 giugno-dicembre; 1915 gennaio-ottobre. — Mo- vimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1913, vol. II, p. 2*, 3*; 1914, p. 1°. — Movimento della Navigazione del Regno d’Italia nel- l'anno 1914, vol. I; vol. II (Tavole riassuntive). — Ministero dell'Interno. ** Calendario generale del Regno d’Italia pel 1915. — Statistica dei Riformatorì, an. 1913. — Statistica delle carceri e delle Colonie per domiciliati coatti, an. 1913. — Senato del Regno. Biblioteca. Bollettino delle pubblicazioni di recente acquisto, 1914, 1.6. ; * * ar XXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Roma. Biblioteca centrale Nazionale “ Vittorio Emanuele ,. Elenco delle pub- licazioni periodiche e straniere acquistate dalle Biblioteche pubbliche governative del Regno, an. 1918, Roma, 1915, 8°. — Bollettino delle opere moderne e straniere acquistate dalle Biblioteche pubbliche e governative del Regno d’Italia, an. 1914, Roma, 1915. * — Biblioteca Vaticana. Studi e Testi, n. 25-28. * — R. Ufficio Geologico. Carta geologica di Roma. — Catalogo della Bi- blioteca: 7° e 8°. Supplemento 1907-1912. * — Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei. Atti, an. 1914-15, Sessioni 1-7 (20 dicembre 1914, 20 giugno 1915). — Memorie, vol. XXXII. — R. Accademia dei Lincei. Annuario 1915. — Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: Rendiconti, vol. XXIII, 1° e 2° semestre 1915. — Memorie, ser. 5%, vol. X, 12-17;. XI, 1-2. — Classe di scienze morali storiche e filologiche: Rendiconti, Memorie, Ser. 5°, vol. XV, fasc. 1-2. — Notizie degli scavi vol. XI, 7-12; vol. XII, 1-6. * — Istituto di Diritto Romano. Bullettino, an. XXVII, fasce. 1-4. * — R. Comitato Geologico italiano. Bollettino, vol. XLIV, 2-4. — I. Istituto Archeologico Germanico. Sezione Romana. Bull., vol. XXIX. — Società degli Agricoltori italiani. Bollettino quindicinale, an. XX, 1-24. * Rovereto. I. R. Accademia Roveretana degli Agiati, Atti, Ser. IV, vol. IV. * Saint-Louis, Mo. Missouri Botanical Garden. Annals, vol. 1, 4; 11, 1,2. * — Washington University. Published Quarterly, vol. II, p. I; n. 1. * San Francisco. California Academy of Sciences. Proceedings, Fourth ser., vol. II, p. 1; IV, 3-6; V, 1. — Proceedings Zoology, 3* Ser., vol. IV. 4, 5. Sendai. Tohoku Imperial University. The Science Reports: Second Series (Geology), vol. II, 1-2; II, 1; IV, 1. — Second Series (Mathematics, Physics, Chemistry), vol. III, 6; IV, 1-4. Siena. Università degli Studi. Annuario accademico, 1914-1915. — R. Archivio di Stato. Inventario del R. Archivio di Stato in Siena, parte seconda, Consiglio generale, Siena, 1915, 8°. — Libri dell’en- trata e dell’uscita della Repubblica di Siena, detti del Camerlingo e dei quattro Provveditori della Biecherna. Libri primo e secondo. Siena, 1914, 1 vol. 8°. * — Circolo Giuridico della R. Università. Studi Senesi, vol. XXX, 1-5; XXXI, 1-3. * Stockholm. Académie Royale Suédoise des Sciences. Arsbok for Ar 1914. — Archiv for matematik, astronomi och fysik, Bd. IX, 3-4; X, 1-3. — Archiv for kemi, mineralogi och geologi, Bd. V, 3-6. — Archiv fòr botanik, Bd. XIII, 2-4; XIV, 1. — Archiv fòr zoologi, Bd. VIII, 2-4; IX, 1-2. — Meteorologiska iakttagelser i Sverige, (Observations météo- rologiques Suédoises, Bd. LlII, LIV, LV). — Meddelanden frin K. Ve- tenskapsakad Nobelinstitut, Bd. ]II, 1-2. — Les Prix Nobel, 1913. — Tac. Berzelius Bref., I, 3; 1I. 1. * — Bibliothèque Royale. Sveriges offentliga Bibliotek Stockolm, Uppsala, Lund. Goteborg. Accensions-Katalog, 28, 29, 1913, 1914. Stonyhurst. Stonyhurst College Observatory. Results of Meteorological, Ma- gnetical and Seismological Observations, 1914. * * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA XXXVII * Strassburg. Internationale Kommission fiir wissenschaftliche Luftschif- fahrt. Veròffentlichungen, Jahrg. 1912, 7. ; Sydney. Royal Society of New South Wales. Journal and Proceedings, vol. XLVIII, p. 2. Royal Zoological Society of New South Wales. The Australian Zoologist, vol. I, p. 1-2. * Tananarive. Académie Malgache. Bulletin, vol. XI. Teddington. National Physical Laboratory. Report for the Year 1914-15. Thonon. Académie Chablaisienne. Mémoires et Documents, t. XXVII. * Tokyo. Tokyo Imperial University. Calendar, 2573-2574 (1918-1914). — Imperial University. College of Science. Journal, vol. XXXV, art. 3; MXXXVI, 5, 6; XXXVII l;; XXXIX, 1. Medizinische Fakultàt der K. Universitàt. Mitteilungen, XIII Bd., Heft 1-3; Mv; —- Imperial Academy. Proceedings, vol. I, n. 4. * Torino. R. Accademia di Agricoltura. Annali, vol. LVII, 1914. — R. Accademia di Medicina. Giornale, an. 1914, n. 9-12; 1915, 1-4. — R. Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche pro- a vincie e la Lombardia. Miscellanea di Storia italiana, 3% Ser., t. XVII. * — Club Alpino italiano. Rivista mensile, vol. XXXIII, 12; XXXIV, 1-12. — Istituto Giuridico della R. Università. M. Carpoxe, La dichiarazione del- l’enfiteuta di voler affrancare e il perfezionamento dell’affrancazione. — A. Casreccari, Sul fondamento delle competenze locali instituite nell’art. 91 c. p. ce. — G. P. Caironi, Colpa e risarcimento. —- V. A. Cor- mino, L’inadempienza del “ Modo, nel Codice civile germanico. — C. M. Franzero, Il Sommo Pontefice e la Santa Sede nella legge delle guarentigie. — M. Ricca-Barseris, Sull'estensione della clausola * esente da ogui peso , nella compra-vendita. — Ip., Sulla responsabilità del venditore per le iscrizioni a titolo di separazione di patrimonio esistenti sul fondo venduto. — M. SarrartI, Per una migliore tutela delle ob- bligazioni di “fare, e di “ non fare ,. — A. Srarra e P. Bonrante, Solidarietà o mutua fideiussione. -_ — Società degli Ingegneri ed Architetti. Atti, an. 1914, fase. 5-7; 1915, 1. i — Supplemento al Catalogo della Biblioteca. % — Società Meteorologica italiana. Bollettino bimensile, Ser. III, vol. XXXIII, i 6-12; XXXIV, 1-4. i — Osservatorio Astronomico della R. Università. Annuario Astronomico, L pel 1916, pubblicato dall’Osservatorio di Pino Torinese. — R. Politecnico. Annuario per l’anno scolastico 1913-1914, i Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università. Bollettino, ‘ vol. XXIX, 1914. LS — Comitato glaciologico italiano. Bollettino, n. 1. î ; — Biblioteca civica. Cataloghi. Sezione: Risorgimento italiano, 1 vol. 8°. Consiglio Provinciale. Atti, an. 1914. * — Municipio. Consiglio Comunale. Atti, annata 1914, 2 vol. 4°. Verbali delle sedute, n. I-XXXIII, 1915. — Città. Servizi d’igiene e sanità. sii Hi de i SMR PAR 12 x ù . Ya pe e pe Ra XXXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Bollettino statistico. ann. XLIII (1915), 1-13. — Statistica demografica sanitaria, 1913-1914. — Il Comune di Torino nel quinquennio 1909-1914; vol. III Torino. Camera di Commercio e d’Industria. Industrie e Commerci del Distretto dell’ann. 1913. — Cassa di Risparmio. Resoconto dell’anno 1914. * Toronto. University. Studies: Review of historical publications relating to Canada, vol. XIX. Public. of the Year 1914. — Philological Series, n. 3. Philosophy. * — R. Canadian Institute. Transactions, vol. X, 2. * Tortosa. Observatorio del Ebro. Boletin mensual, vol. V, 2-11. * Toulon. Académie du Var. Bulletin, an: LXXXI, 1913. é * — Tufts College. Tufts College Studies. Scientific Ser., vol. III, n. 8-4; VI, 1-2. È * Uppsala. Uppsala Universitets Arsskrift, 1918, Bd. I, II. Upsal. Observatoire météorologique de l’ Université. Bulletin mensuel, vol. XLVI, 1914. * Upsala. Regiae Societatis scientiarum Upsaliensis Nova Acta. Ser. 48, VOLSRLINISStasAsze 4 * Urbana. Illinois State Laboratory of Natural History. Bulletin, vol. X, art. 6-8; XI, 1. Utrecht. Konink. Nederlandsch Meteorologisch Institut n. 106. — Ergebnisse Aerologischer Beobachtungen, 3, 1914 und SÉrginzung 1912-1913. Valle di Pompei. Santuario. Calendario, 1915. * Venezia. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Atti, t. LXXIII, — 9, 10; LXXIV, 1-10. —- Memorie, vol. XXVIII, 8-10. — Parole dette dal Presidente Senatore P. Molmenti nelle adunanze del 23 e 30 maggio 1915. — Concorsi a premio proclamati nell'adunanza del 30 maggio 1915. _ — R. Comitato Talassografico Italiano. Bollettino bimestrale, n. 31-32, 5° e 6° del vol. IV. * — Ufficio idrografico del R. Magistrato delle Acque. — Bollettino men- sile, 1914, 9-12; 1915, 1-8. — Pubblicazioni, n. 38, 52, 57, 62, 64, 65. — Livellazione di precisione, 53, 54, 59. * Vercelli. Società Vercellese di Storia e d'Arte. Archivio. — Memorie e Studi, an. VI, 4; VII, 1915, 1-3. * Verona. Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere. Regolamento in- terno, 1913. — Atti e Memorie, vol. XIV, XV. — Osservazioni meteo- # riche dell’anno 1913, 1914. * — Museo civico. Madonna Verona. — Bollettino del Museo civico, an. VIII, 1914, fasc. 33; IX, 1915, 34-35. * Vicenza. Accademia Olimpica. Atti, n. Ser. vol. IV. Washington. Library of Congress. Report of the Librarian of Congress and Report of the Superintendent, of the Library Building and Grounds for the fiscal year ending June 30, 1914. — Publications issued by the Library since 1897. January 1915. — Department of Commerce. U. S. Coast and Geodetic Survey. — Hypso- PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA XXXIX metry. Special publication 18, 19, 22. — Report (Annual) of the su- perintendent ... to the Secretary of Commerce for the fiscal year ended June, 30, 1914. Washington. Department of Commerce. Bureau of Standards. Bulletin, vol. X, 4; XI, 1.4. — Decennal Index, vol. I to X inclusive (1904-1914). i — Circular, N. 24. Publications of the Bureau of Standards. — Department of the Interior. United States Geological Survey. — 35° An- nual Report of the Director Geological Survey to the Secretary of the Interior. — Bulletin 540, 543, 546-554, 556-563, 570-580, 580 A-P, 581, 581 A-G, 582-590, 592, 594, 596, 599, 600, 620, 620 A. — Water Supply Papers, 309, 312, 321-331, 336, 338-340 A-J, 340 F-I, 343, 344, 345, 345 A-H, 346, 347, 349, 350, 353, 354, 365, 367, 368, 375 A. — Professional Paper, 81-84, 85-D, E, 8688, 90 B-L, 95 A. — Mineral re- sources. Calendar Year 1912, part. I, Metals, I, A; II, Nonmetals; Ca- lendar Year 1913, I; 1-12, 14-26; II, 1-35; Calendar 1914, part. II; p. 1-7, H:1. — Geological Atlas of the United States, fol. 190-194. — The Publications of the Geological Survey (March 1915), 1 fase. 8°. — U. S. Department of Labor Bureau of Labor statistics. Reail prices, 1890, october, 1913. * — Smithsonian Institution. Smithsonian Miscellaneous Collections, vol. 57, 13, Index; vol. 67, 18, 24. 25; vol. 62, 2-3; vol. 63, 2-6, 8-10; vol. 64, 1-2; vol. 65, 1, 4, 6, S. — Opinions rendered by the International Commission on Zoological Nomenclature-Opinions, 57 to 65, 66. * — Smithsonian Institution. Bureau of American Ethnology. Bulletin, n. 56. — Smithsonian Institution. United States National Museum. — Contri- butions from the U. S. National Herbarium, vol. XVII, P. 6; vol. XIX. * — Smithsonian Institution. Annual Report of the Board of Regents... June 30, 1913. ® — Smithsonian Institution. United States National Museum. Report on the progress and condition of the United States National Museum for the Year ending. June 30, 1913; June, 30, 1914. — Bulletin, n. 50, p. iv: 71, 72, p.I, vol. I, 84-90. — Proceedings, vol. XLVI, XLVII. — Special Bulletin. American Hydrois, part III. * — The Carnegie Institution of Washington founded by Andrew Carnegie. “ To encourage in the Troadest and most liberal manner investi- gation, research, and discovery, and the application of knowledge to the improvent of mankind ,. Publications, 27, III, 90 A, B, 149 III, 165, 182 V, 183 VI, 185 I, 191, 192, 193, 194, 196, 197, 198, 199, 201, 203, 204, 205, 210. — Year Book, n. 18, 1914. — Reports upon the present condition and future needs of the science of Antropology. * — National Academy of Sciences. Proceedings, vol. I (1915). — Memoirs, E vol. XII (First Memoir). * — Naval Observatory U.S. A. Annual Report of the Chief of the Bureau of Navigation, 1914. — Appendix, n. 2. — Publications, 2* ser., vol. VIII. — American (The) Ephemeris and Nautical Almanac for the Year 1916. — The America Ephemeris and Almanac for the Year 1917. re "26 hair: N i 9” a = le ri vidi a ud asta SA Li ISEE ; h È | " ; Se i; è "Ii dI A x Po; agk, - PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA * Wien. K. Akademie der Wissenschaften. Almanach, Jahrg. LXHI, 1913. — ; Mathematisch-Naturwissenschaftliche Klasse: Sitzungsberichte, 1913. 4 7 CXXII Bd. Abth. I, 8-10. Abht. Il a, 9-10; Abth. IIb, 9-10; 1914, CKXIII Bd., Abht. I, 1-5; Abth. IIa, 1-6; Abth. IIb, 1-6; Abth. III, 1-7. — è è Denkschriften, LXXXIX, XC. — Philosophisch-historische Klasse. Sitz- di de ungsberichte, 169 Bd., Abth. 2; 171 Bd., 2; 173, 5; 174, 5; 175, 2, 3; ue 176, 1, 3, 4,5, 6, 8; 177, 2, 3; 178, 5. — Denkschriften, 57 Bd., Abhn. A Rge-CRÙ 1, 2, 58, Abhn. 2, 3, 4. — Erdbeben-Kommission. Mitteilungen, N. F. N., COS XLVII, XLVII. Coe * — K. K. Geologische Reichsanstalt. Jahrbuch, LXIV Bd.. — Abhandlungen, pic: Bd. XXII, 4; XXIII, 1. — Verhandlungen, 1914, 8-18; 1915, 1. deli * Wiirtzburg. Physikalisch-Medicinische Gesellschaft. Sitzungsberichte, 1914, 1-2. — Verhandlungen, N. F., Bd. XLIII, 2-3. * Zagreb. Jugoslavenska Akademije znanosti i umjetnosti. Ljetopis, 1913. | — Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, vol. XXXV. A — Rad. Razredi historitko-filologicki i filosofiéko-juridicki, 85, 86 (Ruj, 201, 203). — Zbornik za narodni Zivot i obicaje juznih slavena. A Kng. XIX, Svez. 1. Di * — Società archeologica Croata. Vjesnik, Nove Ser, Sveska, XIII, 1913. Le i 1914. ND, ; — Hrvatsko prirodoslovno druStvo (Societas scientiarum naturalium croatica). (I Glasnik, Godina XXVI, Svez. 4. * — K. Hrvatsko-Slavonsko-Dalmatinskoga. Zemaljskog Arkiva. Vjesnik, Godina XVI. * Zurich. Société Helvetique des Sciences naturelles. Nouveaux Mémoires, vol. II. — Schweiz geologischen Kommission. Matériaux pour la Carte géologique i de la Suisse. N. Sér. 34° et XL®° livrs, 1 carte au 1:100.000, ì feuille VIII. Carte spéciale, n. 55 et 73. Texte explicatif, n. 17. * — Naturforschende Gesellschaft. Vierte]jahrsschrift, 58 Jahrg. 3 u. 4 Heft, 1913; 59 Jahrg., 1-4 Heft, 1914. \ PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA XLI PERIODICI 1915. ** Almanacco italiano. Piccola enciclopedia popolare della vita pratica. Firenze; 16°. American Journal of Mathematics. Baltimore; 8°. American Journal of Philology. Baltimore; 8°. ** Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. ** Annales de Chimie et de Physique. Paris; 8°. #** Annales scientifiques de l'École Normale supérieure. Paris; 4°. * Annals and Magazine of Natural History. London; 8°. * Annals of Mathematics. Charlottesville; 4°. ** Antologia (Nuova). Rivista di scienze, lettere ed arti. Roma; 8°. ** Archiv fir Entwickelungsmechanik der Organismen. Leipzig; 8°. /** Archiv fur Protistenkunde. Jena; 8°. ** Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève; 8°. #** Archivio bibliografico coloniale. Firenze; 8° ** Archivio storico italiano. Firenze; 8°. _* Archivio storico lombardo. Milano; 8°. * Archivio storico sardo. Edito dalla Società storica sarda. Cagliari; 8°. * Archivio storico per la Sicilia orientale. Catania; 8°. .* Archivum Franciscanum historicum. Ad Claras Aquas; 8°. * Ateneo veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Venezia; 8°. ** Athenaeum (The). Journal of English and Foreign Literature, Science, the Fine Arts, Music and the Drama. London; 4°. * Athenaeum: Studi periodici di letteratura e storia. Direttore Carlo Pascal. Pavia; 8°. _ * Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. ** Berliner philologische Wochenschrift. Berlin; 8°. _* Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Firenze; 8°. n Bibliothèque de l’École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé- cialement è l’étude du moyen age, ete. Paris; 8°. ** Bibliothèque universelle et Revue suisse. Lausanne; 8°. ** Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica. Roma; 8°. * Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di Studi e documenti per la Storia Ecclesiastica bresciana. Brescia; 8°. ** Bullettino (Nuovo) di Archeologia cristiana. Roma; 8°. ** Centralblatt fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie in Verbindung mit dem neuen Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie. Stuttgart; 8°. * Cimento (Il nuovo). Pisa; 8°. = IP v XLII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Comptes rendus hebdomadaires des Séances de l’Académie des sciences. Bariss 4° * Conferenze e Prolusioni. Periodico quindicinale. Roma; 4°. * Elettricista (L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma; 4°. Eranos. Acta philologica Suecana. Goteborg; 8°. Felix Ravenna. Bollettino Storico 13 RENO edito da un gruppo di studiosi. Ravenna; 8°. ** Fortschritte der Physik. Braunschweig; 8°. * Gazzetta chimica italiana. Roma; 8°. * Gazzetta Ufficiale del Regno. Roma; 4°. * Gegenbaurs Morphologisches Jahrbuch. Leipzig; 8°. Geografia (La), Comunicazioni dell'Istituto geografico De Agostini. No- vara; 8°. | * Giornale del Genio civile. Roma; 8°. ** Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini. Milano; 8°. ** Giornale storico della Letteratura italiana. Torino; 8°. Giornale storico della Lunigiana. Spezia; 8°. ** Guida commerciale ed amministrativa di Torino. 8°. * Historische Zeitschrift. Miinchen; 8°. *Jahrbueh iber die Fortschritte der Mathematik. Berlin; 8°. ** Jahrbuch (Neues) fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, ete. 1909, I. II. Beil. Bd. VIII, 1, 2. Stuttgart; 8°. * Journal (The American) of Science. Edit. Edward S. Dana. New-Haven; 8°. ** Journal des Savants. Paris; 8°. ** Journal fir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin; 4°. * Journal of Physical Chemistry. Ithaca; 8°. #* Minerva. Jahrbuch d. gelehrten Welt. Strassburg; 16°. * Modern language notes. Baltimore; 4°, ** Nature, a weekly illustrated Journal of Science. London; 8°. * Nieuw Archieff voor Wirskunde. Uitgegeven door hel Wiskundig Genoot- schap te Amsterdam; 8°. ** Petermanns-Mitteiluangen aus Justus Perthes' Geographisch. Anstalt. Gotha; 4°. * Physical Review (The); a journal of experimental and theoretical physic. Published for Cornell University Ithaca. New-York; 8°. * Prace matematycezno fizyezne. Warzawa; 8°. *#* Quarterly Journal of pure and applied Mathematies. London; 8°. ** Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia. Roma; 8°. ** Revue archéologique. Paris; 8°. ** Revue des Deux Mondes. Paris; 8°. ** Revue du Mois. Paris; 8°. ** Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris; 8°. ** Revue numismatique. Paris; 8°. ** Revue politique et littéraire, revue bleue. Paris; 4°. ** Revue scientifique. Paris; 4°. [ue Met” PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Keo è Revue semestrielle des publications mathématiques. Amsterdam ; 8°. Riforma (La) Sociale. Rassegna di questioni economiche, finanziarie e sociali (Dono del Socio Prof. Finaudi). * Risorgimento italiano. Rivista storica. Torino ; 8°. * Rivista di Artiglieria e Genio. Roma; 8°. * Rivista di Filologia e d'Istruzione classica. Torino; 8°. Rivista d'Italia. Roma; 8°. Rivista di filosofia. Continuazione della Rivista Filosofica, Pavia; 8°. * Rivista internaz. di scienze sociali e discipline ausiliarie. Roma; 8°. * Rivista italiana di Aeronautica. Roma; 8°. * Rivista italiana di Sociologia. Roma; 8°. * Rivista storica benedettina. Roma; 8°. * Rivista storica italiana. Torino; 8°. Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Valle di Pompei; 8°. Science. New-York; 8°. * Science Abstracts. Physics and Electrical Engineering. London; 8°. * Seientia. Rivista di scienza. Organo internazionale di sintesi scientifica. | Bologna, 8°. * Sperimentale (Lo). Archivio di Biologia. Firenze; 8°. ** Stampa (La). Gazzetta Piemontese. Torino; f°. Tòhoku (The) Mathematical Journal. Edited by T. Hayashi. * Wiskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig Genootschap. Amsterdam; 8°. 4 a XLIII Yale Review. New Series. Edited by Wilbur L. Cross. New Haven; 8° - (dono del Socio Prof. Einaudi). * Zeitschrift fir physikalische Chemie. Leipzig; 8°. Ù urea + n “_f Sal dl i II »- ra h. na i È, ze. ‘no Fao di SE lu DI TATA, Re: PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA i 1 E 3 NB. Le pubblicazioni segnate con * si hanno in cambio; ; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in deno Dal 13 Giugno al 14 Novembre 1915. Antoniazzi (A. M.). Commemorazione di Giuseppe Lorenzoni. Padova, 1915; 8° (dall’A.). Cassinis (G). L'influenza della oscillazione del supporto sulle misure di gra- i vità relativa, compiute a $S. Pietro in Vincoli coll’apparato di Sterneck a tripode. Roma, 1915; 8° (Zd.). A Celoria (G.). Sulla eclisse totale di sole del 21 agosto 1914 e sul passaggio 10 GC di Mercurio sul disco solare, avvenuto il 7 novembre 1914. Milano, 1915; 8° (dall’A., Socio corrispondente dell’Accademia). Delgrosso (M.). Note mineralogiche sulla Valle di Cogne. Roma, 1915; 8° (dall’A.). Favaro (A.). Quarant'anni di Studi Galileiani. Venezia, 1916; 8° (Jd.). Gay (F. P.) and Claypole (E. J.). I. Studies in typhoid immunization. Chi- cago, 1913; 8°. Gay (PF. P.) and Foree (J. N.). III. Studies in typhoid immunization. Chi- cago, 1914; 8°. Jorge (R.). A guerra e o pensamento medico. Lisboa, 1915; 4°. SON margem duma revista alemà. Lisboa, 1915; 4° (dall’A.). 2% Kilian (W.). Sur les brèches polygéniques de 1’ Éocène du Briangonnais. tape Paris, 1915; 8°. pr — Les formations fluvio-glacières de la région du Faucigny (Haute-Savoie). Paris, 1915; 8°. 2 ; Kilian (W.) et Pussenot (Ch.). Nouvelles données relatives à la tectonique È des environs de Briangon. Paris, 1918; 4°. — — Analyse detaillée des dislocations du Briangonnais oriental. Paris, _ esatte “INA PUBBLICAZIONI RICEVUTE DAT.L’ACCADEMIA Sacco (F.). Considérations cosmogoniques sur la nebuleuse M. 51 Canum Venaticorum. Torino, 1915; 8° (id.). — Universo. Torino, 1916; 1 vol. 8° (id.). Taramelli (T.). Ferdinando Sordelli. Milano, 1916; $° (dall'A. Socio nazio- nale dell’Accademia). — Di Giovanni Maironi da Ponte e di altri naturalisti bergamaschi del secolo scorso. Milano, 1916; 8° (#d.). Vecellio (A.). Equilibrio cosmico. Parte I: L'equilibrio nel mondo fisico, Feltre, 1916; 8° (dall’A.). Dal 9 Aprile al 18 Giugno 1916. Biadego (G.). Medici Veronesi e una libreria medica del sec. XIV. Venezia, 1916; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). — Borgolecco. Verona, 1916; 8° (id.). — Bibliografia Aleardiana. Verona, 1916; 1 vol. 8° (id.). Boffi (F.). Su le tracce della guerra. Lanciano, 1916; 8° (dall'A.). Bonelli (G.). L'Archivio dell'Ospedale di Brescia. — Notizie e Inventario. Brescia, 1916; 8° (dall’A.). Boselli (P.). Bonaventura Zumbini. Parole dette il 10 aprile 1916 nell’adu- nanza del Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento. Roma, 1916: 8° (dal Comitato stesso). ** Cambridge (The) Medieval history planned by J. B. Bury. Cambridge, 1911-1913; 2 vol. Testo e 2 Atl. Carbonelli (G.). Dieci consigli medici dettati da Maestro Gerardo de Ber- neriis Medico Alessandrino Lettore nello Studio di Pavia nel sec. XV. Roma, 1916; 1 vol. 8° (dall’A.). Da Como (U.). Mentre si combatte. Brescia, 1916; 8° (dall’A.). Ferrara (F.). Teoria delle persone giuridiche. Napoli-Torino, 1915; 1 vol. 8° (dall’A.). Gattuso di Brancaccio (G. B.). Il Sogno di un pazzo. Romanzo. Giarre, 1913; 3 fascicoli 8° (dall’A. per il premio Gautieri per la Letteratura (triennio 1914-1916)). Machiavelli (N.). Il Principe e altri scritti minori a cura di Michele Sche- rillo. Milano, 1916; 1 vol. 8° (dal Prof. M. Scherillo). Orsi (Pietro). Gli ultimi cento anni di Storia Universale 1815-1915. Vol. 1°, Torino, 1915; 1 vol. 8° (dall’A. per il premio Gautieri per la Storia). Prato (G.). L’Occupation militaire dans le passé et dans le présent. 2° édit. Traduction de M. P. B., revue par G. Bourgin. Paris, 1916; 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). Schiaparelli (E.). La geografia dell’Africa orientale secondo le indicazioni dei monumenti egiziani. Note. Roma, 1916; 1 vol. 4° (dall'A. Socio residente dell’ Accademia). Stampini (E.). Il pittore Marcus Plautius. Torino, 1915; 8° (dall'A. Socio residente dell’Accademia). — Pubblicazioni (1879-1916). Torino, 1916: 8° (id.). Zuccante (G.). Antistene. Milano, 1916 (dall’A. Socio corrispondente del- l’ Accademia). dai Asi rc ni ib nm netti nn ctr Ct PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA LI Dono di S. E. il Presidente BOSELLI : Abbiate (M). Per l’amore tra le classi sociali. Vercelli, 1901; 8°. A. F. Un nuovo gabinetto glottologico. Firenze, 1897; 8°. Agudio (T.). Il sistema Agudio per vincere le forti pendenze coi treni or- dinari. Roma, 1879; 8°. — Conferenza sui sistemi Agudio e Fell. Torino, 1885; 16°. — Una pronta succursale dei Giovi. Torino, 1887; 4°. Airoli (G. F.). Zola e Bovio. Firenze, 1894; 8°. Antonelli (R.). L'idea guelfa e l’idea ghibellina. Roma, 1895; 8°. Archivio (R.) di Stato in Lucca. Regesti. Vol. I, parte II. Lucca, 1911; 4°. Ardy (L. F.). Jacopo Stellini. Udine, 1899; 8°. Arietti (A.). Ricordanze della guerra per l'indipendenza italiana 1860-61. Firenze, 1895; 8°. Artuffo (G. B.). Il sac. prof. Lorenzo Prinotti. Torino, 1899; 16°. Atti del X Congresso naz. fra industriali. Torino, 1911; 8°. Baccarini (A.). La direttissima Roma-Napoli. Firenze, 1888; 8°. Basile (A.). Delle due scuole economiche in Italia. Roma, 1875; 8°. Basletta (A.). Cuori e fucili. Roma, 1896; 16°. Battaglia (G.), Le donazioni dei Merovingi e le precarie ecclesiastiche. Palermo, 1896; 8°. — La difesa nei giudizi sotto la Monarchia dei Franchi. Palermo, 1900; 8°. Beltrami (L.). Per la difesa di Roma. Roma, 1902; 8°. Beltrami-Scalia (M.). Colonie e deportazione. Roma, 1874; 8°. — Il sistema penitenziario. Roma, 1875; 8°. — Il lavoro dei condannati all’aperto. Civitavecchia, 1880; 8°. Benassi (U.). Codice diplomatico parmense. Vol. I. Parma, 1910; 4°. Berruti (FE.). L'inno nazionale argentino. Cordoba, 1906; 8°. Bertoni (G.). Nozze Segre-Zamorani. Modena, 1909; 8°. Bodratti (R.). Er me paîse, ossia monografia di Piampaludo. Acqui, 1897; 8°. Bonanni (T.). L'antica epigrafia della regione dei Marsi. Aquila, 1890; 8°. Bonazzi (G.). Nozze G. Giovannini-M. Fiorini. Roma, 1915; 8°. Bonfigli (F.). Cenno biografico di Giuseppe Bonomi. Roma, 1878; 8°. Bonito Garofalo (duca di). Narciso e la sua allegoria secondo i Neopla- tonici. Roma, 1904; 8°. Bordoni (A.). Note ed appunti sull'ordinamento delle Società anonime in Italia. Bologna, 1899; 8°. Borzi (A.). Di Pietro Castelli botanico. Messina, 1888; 4°. Boselli (P.). Raffaello Giovagnoli. Roma, 1915; 8°. Brentari (0.). Della vita e degli scritti dell’ab. G. J. Ferrazzi. Bassano, 1887; 8°. Brini (G.). Commemorazione di Giuseppe Ceneri. Bologna, 1899; 8°. Brioschi (F.). Lo sbocco occidentale della ferrovia faentina. Roma, 1881; 8°. Broccoli (A.). Il Museo Campano. S. i., 1902; 4°. a tieniti MI. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Rruzzone (P. L.). Fatti accaduti nel convento di S. Croce di Bosco. Ales- sandria, 1905; 8°. Calderini (G.). Gli archeologi, gl’ingegneri e gli architetti dinanzi ai mo- numenti dell’arte. Roma, 1901; 4°. Calenda (A.). L'ex prefetto di Roma innanzi alla Commissione d'inchiesta. Napoli, 1893; 8°. Calenda di Tavani (V.). I discorsi inaugurali. Napoli, 1900; 8°. Canavari (M.). Commemorazione del prof. G. Meneghini. Pisa, 1889: 4°. Canevari (A.). Sulla economia agricola dell’Astigiano. Milano, 1875: 8°. Canini (M. A.). La questione dell'Epiro. Roma, 1879; 8°. Cannizzaro (M. E.). Descrizione del laboratorio chimico centrale delle ga- belle. S. i., 190...; 4 Cantalamessa (G.). Di alcune forme dell’arte contemporanea. Venezia, 1903; 8°. Cappelli (A.). Aveja. Roma, 1905; 8°. — Carteggio inedito’ di L. A. Antinori con C. Amaduzzi. Roma, 1905; 8°. Capra (G.). La Nuova Zelanda. S. Benigno C., 1913; 8°. Carlevaris (P.). Il programma da attuarsi in Italia e Giusto Liebig. Torino, 1874; 8°. Carmi (J.J.). All’assemblea ed al sinedrio di Parigi, 1806-1807. Reggio nell'Emilia, 1905; 8°. Carpi (L.). La lotta contro la tubercolosi nel Belgio. Napoli, 1900; 8°. Catalogue d'une très grande vente è Turin composte de tout le mobilier d’un palais princier. Rome, 1899; 8°. Centenario (11) di V. Hugo a Roma. Roma, 1902; 8°. — (Primo) dell'Ateneo di Palermo. Palermo, 1906; 4°. — (Nel primo) della dedicazione del duomo di Ceva. Savona, 1905; 4°. Cerlogne (J. B.). Les étapes de la vie. Aoste, 1902; 8°. — Dictionnaire du patois Valdòtain. Aoste, 1907; 8°. Cerruti (G. E.). Della deportazione come base fondamentale delle riforme carcerarie. Torino, 1872; 8°. Ciccone (A.). Del progresso economico intellettuale e sociale. Napoli, 1874; 8°. Cini (A.). La grande mistificazione del sig. Chamberlain. Malta, 1902; 8°. Cinquini (A.). Il Codice Vaticano-Urbinate latino 1193: Aosta, 1905; 8°. — De uita et morte illustris. D. Baptistae Sfortiae Comitissae Urbini. Roma, 1905; 8°. Concini (L.). Innocente Pittoni. Conegliano, 1906; 8°. Consegna della nave Stella polare alla R. Marina. La Spezia, 1901; 8°. Conti (V.). Dell’impronta che segna nel diritto amministrativo il sonici e l'educazione dei popoli. Roma, 1876; 8°. Controversia (La) di S. Girolamo degli Schiavoni. Roma, 1901; 8°. Contuzzi (F. P.), La protezione dei naufraghi e dei feriti nelle guerre ma- rittime. Napoli, 1904; 8°. — La telegrafia marittima nei rapporti del diritto penale. Napoli, 1904; 8°. — Il contrabbando di guerra. Napoli, 1905; 8°. — Dei naufragi e dei ricuperi. Napoli, 1905; 8°. — Le funzioni dei consoli. Napoli, 1905; 8°. | PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA LIII | Corazza (C.). Il nuovo ponte sul Po lungo la strada Verrua-Crescentino. Torino, 1900; 8°. Correggio (Il) nei libri. Parma, 1894; 16°. Corsi (A.). L'autonomia dei porti in Italia. Torino, 1899; 8°. Corte (La) dei conti nel suo cinquantenario. Roma, 1912; 8°. Cosentino (G.). La cartha memoriae di Riesi. Palermo, 1907; 4°. [Crispi (F.)]. Cronistoria [1848]. Roma, 1890; 8°. Cuniberti (F.). Discorso letto nell'occasione della commemorazione del ge- nerale (. E. Arimondi. Savigliano, 1896; 8°. Dallolio (A.). Le colonie scolastiche bolognesi. Bologna, 1913; 8°. De Blasi (L.) e Russo Travali (G.). Esame batteriologico dell’aria e del suolo dei vecchi cimiteri di Palermo. Palermo, 1889; 8°, De Gregorio (G.). Risposta alla critica del testo dei capitoli dei discipli- nati di S. Nicolò di W. Férster. Palermo, 1892; 8°. — Cenni di glottologia bantu. Torino, 1882; 8°. — It. otta; It. bazza, sp. daza, cat. basa. Halle, s. a.; 8°. — Il codice De Cruyllis-Spatafora in antico siciliano. Halle, s. a.; 8°. — Sopra una forma d’infinito attivo nelle lingue classiche. Palermo, 1896; 8°. — Ultima parola sulla varia origine del Sanfratellano, Nicosiano e Piaz- zese. Paris, 1899; 8°. — Fonetica dei dialetti gallo-italici di Sicilia. Torino, 1884; 8°. — Affinità del dialetto di San Fratello con quelli dell'Emilia. Torino, 1886; 8°. — Ancora sulle cosidette “Colonie lombarde ,. Palermo, 1900; 8°. — Elenco delle [sue] opere. Palermo, 1906; 8°. — De Isocratis vita, scriptis et discipulis. Panormi, 1884; 4°. -— Capitoli della prima Compagnia di disciplina di San Nicolò in Palermo del sec. XIV. Palermo, 1891; 8°. — Per la storia comparata delle letterature neo-latine. Palermo, 1893; 8°, — Relazione sul Congresso degli Orientalisti tenuto a Roma nel 1899. Pa- lermo, 1900; 8°. — Scoperta di una iscrizione fenicia. Palermo, 1902; 8°. — It. (A) bizzeffe. Paris, 1902; 8°. — Notizia di un trattato di mascaleia in dialetto siciliano del sec. XIV. Paris, 1904; 8°. — Relazione sui risultati generali e sugli studi egiziani ed africani del XIV Congresso degli Orientalisti. Roma, 1905; 8°. — Relazione sul XIII Congresso internazionale degli Orientalisti. Palermo, 1904; 4°. De Gubernatis (A.). Il romanzo di una poetessa. Roma, 1901; 8°. Delarue (G.). Projet d'un nouveau code de commerce maritime. Paris, 1903; 8°. Della Bona (G.). Delle crisi economiche. Torino, 1888; 8°. De Lorenzo (F.). Ancora sulla colonizzazione dello Sciotel.. Alessandria, 1899; 4°. Del Yecchio (P.).. Adamo Ferraris. Mondovì, 1872; 8°, nn © aule TORA LIT LIV PUBBLICAZIONI] RICEVUTE DALL'ACCADEMIA De Martini (A.). Di Salvatore Tommasi e dell'indirizzo moderno della medicina. Napoli, 1888; 8°. — Periodi storici della scoperta della circolazione del sangue. Napoli, 1889; 16°. De Nino (A.). Discorso inaugurale della mostra di quadri di artisti Vastesi. Vasto, 1899; 12°. — Saggio archeologico sulla ubicazione di alcuni oppidi, pagi e vici. Sul- mona, 1905; 8°. — Bassorilievi medioevali di Castel di Sangro. Castel di S., 1901; 16°. — Centenario di Francesco Domenico Guerrazzi. Sulmona, 1904; 8°. De Toni (G. B.). Di una interessante scoperta del modenese Giambattista Amici. Modena, 1906; 8°. Drocco (F.). Paolo Gorini. Torino, 1889; 8°. Erpen (T. van). Grammatica araba. Pavia, 1913; 8°. Esposizione internazionale delle forze vive dell’operaio. Programma. Torino, 1893; 8°. Faccio (C.). Carlo Diomisotti. Vercelli, 1899; 8°. Falchi (I... Replica alle osservazioni del p. De Cara sul libro Vetulonia. Firenze, 1892; 8°. Faldella (G.). Cenni biografici di Giovanni Scovazzi. Nizza M., 1890; 8°. — Ricordo di Giovanni Boglietti. Biella, 1901; 8°. — La vita popolare di Antonio Fontanesi. Torino, 1902; 4°. — La stella dell’amor patrio. Vercelli, 1903; 8°. Fani (C.). Commemorazione in onore di Ruggero Bonghi. Assisi, 1896; 8°. Fascie (C.). Studio sui capitolari dei Re Carolingi. Milano, [189..]; 8°. Fassini (S.). Il ritorno del Rolli dall’ Inghilterra e il suo ritiro in Umbria. Perugia, 1908; 8°. Fava (R.). Gli ebrei in Romania. Bucuresci, 1895; 89. Federici (C.). Patologia e clinica. Firenze, 1888; 8°. Ferraris (M.). Di alcuni principii di economia ferroviaria. Pisa, 1879; 8°. — Sulla base principale della economia ferroviaria. Torino, 1880; 8°. Ferro (A. A.). La critica della conoscenza in Kant e Spencer. Savona, 1900; 8°. Fighiera (A.). La R. Scuola tecnica C. Cavour di Ventimiglia nel cinquan- tenario del Regno. Sanremo, 1912; 8°. Fontana (B.). Sommario del processo di Aonio Paleario. Roma, 1896; 8°. Foresio (G.). Relazione della scuola popolare di Cava dei Tirreni. Salerno, 1894; 8°. Fornaciari (G.). Il frenocomio di S. Lazzaro presso Reggio nell’ Emilia. Reggio E., 1882; 4°. Fornara (D.). Sugli esperimenti biologici. Genova, 1884; 8°. Frank (L.). Collisions at sea. London, 1896; 8°. Frati (C.). Pietro Metastasio e L. A. Muratori. Bologna, 1893; 8°. Gadaleta (A.). L'acquisto d'Arezzo nel 1384. Trani, 1903; 8°. Galimberti (L.). Pensieri sopra un corso di storia ecclesiastica. Roma, 1894; 8°. Gallet (A. E.). Cenni sull’Osservatorio meteorico-sismico della fortezza di Altare. Torino, 1891; 4°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA LV — Gamberale (E.). Sulla riforma del Consiglio superiore della pubblica istru- zione. Città di Castello, 1898; 8°. Garlanda (F.). Versi. Torino, 1915; 12°. Garofalo (P.). Acrisia Vichiana nella “ Scienza nuova ,. Napoli, 1909; 8°. Gassisi Ieromonaco (S.). I manoscritti autografi di San Nilo iuniore. Roma, 1905; 8°. Giantureo (E.). Commemorazione di R. Bonghi. Roma, 1896; 8°. Gioda (C.). L'ultimo ambasciatore di Venezia a Roma. Carmagnola, 1904; 4°. Ginrlanda (V.). Studio critico sugli anni sacri greci. I. Catania, 1905; 8°. fori (P.). La biblioteca della R. Accademia di belle arti di Firenze, 1906; 12°. Grita (S.). L'on. M. R. Imbriani e il monumento a G. Mazzini in Roma. Roma, 1897; 8°. Guala (L.). Lezioni di economia domestica. Vercelli, 1869; 8°. Hue (T.). Le code civil italien et le code Napoléon. Paris, 1868; 2 vol. 8°. Inaugurazione del monumento ad Antonio Scialoja. Città di Castello, 1897; 8°. — del monumento di Matteo Pescatore. Torino, 1883; 8°. — del ricordo marmoreo in Belluno a S. Barozzi. Belluno, 1888; 8°. — di un ricordo marmoreo a L. C. Farini in Saluggia. Vercelli, 1894; 8°. Intra (G. B.). La basilica di S. Andrea. Mantova, 1901; 8°. — Nozze Gobio-Resti-Ferrari. Bergamo, 1904; 8°. — Il cenobio di S. Benedetto Po. Mantova, 1897; 8°. Jona (G.). Delle istituzioni in erede di corpi morali. Bergamo, 1901; 8°. La Mantia (G.). Documenti inediti in lingua spagnuola in Sicilia. Palermo, 1899; 8°. — Sul testo antico delle Consuetudini di Messina. Palermo, 1900. Lampugnani (G.). Sulla vita di Guala Bicchieri. Vercelli, 1842; 4°. Lessona (C.). L'indirizzo scientifico della procedura civile. Torino, 1898; 8°. Levi (C. A.). Il vero segreto di Dante e Marco Polo. Treviso, 1905; 8°. — Dante a Torcello e il Musaico del Giudizio universale. Treviso, 1906; 8°. Lisini (A.). Indice di due antichi libri di imbreviature notarili. Siena, 1912; 8°. Loevinson (E.). Sulle condizioni religiose della diocesi d’Aiaccio al prim- cipio del sec. XVIII. Roma, 1904; 8°. Losio (C.). Sull’ampliamento del R. Museo industriale. Torino, 1897; 8°. Lozzi (C.). La magistratura dinanzi al nuovo Parlamento. Bologna, 1883; 8°. Luchi (L.). Il comm. Egisto P. Fabbri di Firenze. Firenze, 1890; 4°. Luciani (L.). Lo svolgimento storico della fisiologia. Torino, 1894; 8°. Lugaresi (V.). La costituzione di un nuovo comune nell’isola d’Elba. Por- toferraio, 1882; 4°. Lumbroso (A.). Nuovi documenti sul Murat nel 1815. Pinerolo, 1901; 4°. — Dei principali repertori bibliografici per la storia del Direttorio, del Consolato e dell'Impero. Firenze, 1901; 8°. — La Société bibliographique italienne et son cinquième Congrès. Be- sangon, 1902; 8°. Mac Coll (M.). La responsabilità dell'Inghilterra verso l'Armenia. Napoli, 1896; 8°. > «al e nn mo LVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Magaldi (V.). La cassa nazionale di previdenza per la invalidità degli operai. Roma, 1899; 8°. Magliano (R.). Boschi e corsi d’acqua. Torino, 1899; 16°. Malagola (C.). Programma pel corso di paleografia e diplomatica. Bologna, 1889; 8°. Malagazzi Valeri (I.). L'archivio di Stato in Modena nel 1891. Modena, 1893; 8°. — La Costituzione e gli Statuti dell’Apennino modenese dal secolo VIII al XVI. Rocca S. Casciano, 1895; 8°. — I sigilli dei comuni dell’Apennino modenese. Bologna, 1897; 8°. Malgarini (A.). Del valore. Milano, 1874; 8°. Malossi (F.). Nel primo centenario della nascita di F. S. Gabelsberger. Udine, 1889; 12°. Malvezzi (N.). Elogio di Giovanni Veronesi. Bologna, 1896; 8°. — Una scorsa al libro J delle Istorie fiorentine del Machiavelli. Firenze, 1893; 8°. Manara (U.). Il diritto ferroviario. Bologna, 1888; 8°. Manasia (C.). Cenno storico statistico della biblioteca comunale di Calta- nissetta. Caltanissetta, 1904; f°. Marcelli (F. N.). In difesa del patrimonio artistico nazionale. Firenze, 1901; 8°. Mariani (F.). L'evoluzione delle artiglierie nel sec. XIX. Roma, 1901; 8°. — La questione di Genova. Roma, 1902; 8°. Martello (C.). Gli spezzati d’argento italiani e il sistema monetario della lega greco-latina. Bassano, 1899; 12°. Mascarello (D.). Scoperta sulla vera origine della mosca olearia. Genova, 1873; 8°. Massa (C.). Modena a Lazzaro Spallanzani. Modena, 1888; 4°. Matteotti (L.). Il campanile di S. Marco e i suoi piccioni. Firenze, 1906; 8°. Mayer (M.). Breve guida del Museo provinciale di Bari. Bari, 1899; 16°. Mazzini (C.). Cenni storici e descrittivi della stazione idrometrica speri- mentale di Santhià. Torino, 1911; 8°. Memoria (In) di Giovanni Finardi. Bergamo, 1905; 4°. — del senatore Enrico Poggi. Firenze, 1890; 8°. — di Gian Carlo Desimoni. Genova, 1897; 8°. Memoriale al Ministro della marina delle Società degli operai del porto di Savona. Savona, 1904; 4°. Menghini (M.). Mazzini e Madame d’Agoult. Imola, 1915; 8°. Merlino (G.). Saggio di una novissima traduzione delle favole greche. To- rino, 1899; 8°. Milani (L. A.). La Bibbia prebabelica. Firenze, 1906; 8°. Mino (G. E.). Nuove osservazioni sulla peste bubonica. Torino, 1887; 8°. Montanari (A.). La teoria matematica del valore. Reggio Emilia, 1891; 8°. Montel (E. de). Principii di teoria e d’applicazioni dell'interesse variabile. Milano, 1906; 8°. Monti (C.). Sistema delle strade ferrate italiane. Roma, 1880; 8°. Morana (G. B.). Il colera in Italia negli anni 1884 e 1885. Roma, 1885; 8°, : | ì ì | } dtt PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA LVII Morelli (M.) e Conforti (L.). La cappella del Monte di Pietà. Napoli, 1899; 8°. Morelli Dardana (M.). Un letterato piacentino del sec. XVIII. Piacenza, 1914; 8°. Nathan (E.). L'opera massonica nel triennio 1896-1899. Roma, 1899; 8°. Neri (A.). Versi. Genova, 1897; 16°. Nicolini (F.). I manoscritti dell'abate Galiani. Napoli, 1908; 8°, Norsa (A.). Enrico Poggi. Firenze, 1890; 8°. Nulli (R.). Visita all'ergastolo di Volterra. Firenze, 1888; 8°. Occoferri (G.). L'istituto Leardi dal 1858 al 1909. Casale, 1909; 8°. | 0ehl (F.). 11 lavoro. Milano, 1867; 8°. Ohlsen (C.). Il sistema penitenziario di Mettray. Torino, s. a., 12°. Olivari (L.). La Marsiheso dei Latini. Genova, 1894; 8°. Ondei (D.). Un poeta bresciano. Brescia, 1906; 8°. Orano (D.). Lettere di P. C. Decembrio, frate Simone da Camerino e Lo- drisio Crivelli a Francesco Sforza. Firenze, 1901; 8°. Orano (G.). La riduzione scientifica del problema dell’ergastolo. Roma, - 1901; 8°, Orsi (D.). Il villaggio ideale. Torino, 1897; 16°. Orsier (J.). Henri Cornélis Agrippa. Paris, 1911; 8°. — Notes et documents inédits pour servir à l’histoire d'Eustache Chapuys. Paris, 1912; 8°. Ottolenghi (C.). La misura delle variazioni dello stato economico delle popolazioni. Torino, 1900; 8°. Pagliaini. Notizie storiche, bibliogr. e statist. della R. Biblioteca Univer- sitaria di Genova nel 1898. Roma, 1900; 8°. Pagliani (L.). Relazione intorno all’epidemia di colera in Italia nel 1893. Roma, 1894; 8°, — La profilassi europea contro i morbi epidemici esotici. Roma, 1894; 8°. Palazzo (Il) delle assicurazioni generali in Roma. Roma, 1906; 4°. Palladino (P.). Sur l’unité des forces et de la matière. Turin, 1906; 8°. Palomba (G.). Studi economico-sociali. Cagliari, 1896; 8°. Panattoni (C.). Alla ricerca di un furto. Roma, 1887; 8°. Paniè (A.). Memorie sul corpo di musica della Associazione generale degli operai di Torino. Torino, 1900; 4°. Pantanelli (G.). Un documento relativo alla moglie di Guido Novello da Polenta. Bologna, 1912; 4°. Papa (U.). Una questione d’arte per la loggia di Brescia. Roma, 1898; 8°. — Camillo Tarello agronomo bresciano del sec. XVI. Firenze, 1899; 8°. — L’Etiopia nella storia. Firenze, 1899; 8°. Pasquali (E.). A Ferdinanda Pasquali-Calamari, omaggio dei suoi figli. Torino, 1886; 8°. Patania (C.). Profilassi delle malattie veneree-sifilitiche. Napoli, 1890; 8°. Paternò Castello (A.). Sulla ferrovia cireumetnea. Catania, 1882; 4°. Patrono (C. M.). Noterelle di storia del risorgimento italiano. Palermo, 1916; 8°. al LVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Pavesi (P.). Il Ponte Lusertino. Pavia, 1895; 8°. — Un'altra pagina di storia dell'Università pavese. Pavia, 1906; 8°. Peborgh (L. van). Historique des règles d’York et d’Anvers. Anvers, 1904; 8°. Pelicelli (N.). Del culto dell’Immacolata in Parma. Parma, 1904; 8°. Pellizzari (G.) e Ferro (A.). Trasformazione dei derivati urazolici in com- posti triazolici. Genova, 1896; 8°. Perreau (P.). Intorno la vita e le opere del rabbi Jona Ibn Ganah. Trieste, 1888; 8°. Pettorelli (A.). Un'opera ignota di Antonio Van Dyck? Milano, 1914; 4°. Piecolomini N. B. (F.). Il palazzo Pientino di Pio II. Siena, 1905; 8°. Piccolomini (F. B.). Nozze Piccolomini-Clementini-Cinughi. Siena, 1902; 12°. — Nozze Piccolomini-Clementini-D'Harcourt di Fiano. Siena, 1902; 129. Pizzini (A.). Una pagina d’arte greca. Mantova, 1901; 8°. Plautus. Miles gloriosus. Trad. da G. Galati. Palermo, 1906; 8°. Pozzi (F.). Le ordinanze del Senato sul procedimento Breda. Roma, 1899; 8°. Pozzi (T.). Métope equestri. Torino, 1900; 8°. Pratesi (P.). Sul vero luogo della battaglia di Gubbio o di Tagina (A. 552). Torino, 1897; 8°. Prato (S.). Il concetto del lavoro nella mitologia vedica. Palermo, 1885; 8°. Profeta (G.). Sulla prostituzione. Palermo, 1888; 8°. Pullé (F. L.). Pietro Merlo. Milano, 1890; 8°. Question (La) bulgare. Paris, 1888; 8°. Rada (G. de). Poesie albanesi. Vol. II. Napoli, 1898; 8°. — Autobiologia. Cosenza, 1898-99; 8°. — Caratteri della lingua albanese. Catanzaro, 1899; 8°. Rampoldi (R.). Inaugurandosi in Pavia il monumento a Cairoli. Milano, 1900; 8°. Rangoni (D.). Dopo un viaggio in Italia. S. Paulo, 1903; 8°. Ratto (L.). Note a sentenze. Roma, 1898; 8°. — Il neo-scetticismo nella filosofia del diritto. Napoli; 8°. Rava (L.). A proposito della Rhodesia. Roma, 1899; 8°. — Iaugurazione della conferenza dei delegati degli Stati per la fonda- zione di un Istituto di agricoltura. Roma, 1905; 4°. — Dal Codice civile al Codice del lavoro. Bologna, 1913; 8°. Rebandi (G.). Dell’individualismo. Genova, 1873; 8°. Relazione ed atti riguardanti il monumento a Paolo Caliari. Verona, 1888; 8°. Ricordi biografici dell'avv. Paolo Massa. Torino, 1888; 8°. Ricordo per Biagio Miraglia. Nocera, 1888; 8°. — di Angelo Beccaria. Torino, 1899; 8°. Rinaudo (C.). Ricordi della vita di Nicolò Coletti. Torino, 1893; 8°. Rosa (G.). I boschi e le selve della provincia di Brescia. Brescia, 1870; 8°. Rosano (P.). In difesa del Comm. Roberto Cattaneo. Torino, 1903; 8°. Rossi (L.). Sulla eleggibilità del deputato di un collegio in un altro col- legio. Verona, 1903; 8°. Ruata (C.). Contro la rivaccinazione obbligatoria. Città di Castello, 1899; 8°. Ruggeri (G. B.). Venti anni di accentramento amministrativo in Italia. Mi- lano, 1880; 8°. nil be 3 ba PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA LIX Russo (A.). Sulla vita e sugli scritti del prof. &. Carnazza- Amari. Catania, 1900; 8°. Russo (F.) e Verdinois (F.). Il frontone della nuova Università degli studi di Napoli. Milano, 1911; 4°. Sanminiatelli (D.). Aetas Parentum Pejor Avis. Roma, 1894; 8°. Sartori-Montecroce (T.). Corso di storia del diritto pubblico germanico. Trento-Venezia, 1908; 8°. Seala-Rizza (G.). La questione universitaria. Torino, 1894; 8°. Scalzi (F.). La seconda rivendicazione del Cesalpino. Arezzo, 1885; 8°. — Quando il 29 agosto 1888 si inaugurava il monumento a Gir. Fabrizio in Acquapendente, Acquapendente, 1888; 8°. Scarpa (V.G.). La lingua tedesca e i suoi dialetti. Torino, 1900; 8°. Schettini (F. X.). Ad seternam Christophori Columbi memoriam, epigram- mata. Neapoli, 1892; 8°. — Scholarum piarum quarto ineunte saeculo. Neapoli, 1897; 8°. Scotto (R.). Notizie ed appunti sulla pesca del tonno. Savona, 1900; 8°. Scuola (R.). super. di applicazione agli studi commerciali in Genova. Cenni storico-statistici. Genova, 1899; 8°. Sede (La S.) e l’Italia alla conferenza dell’Aja. Firenze, 1899; 8°. Senato (11) italiano e Giacomo Leopardi. Roma, 1899; 4°. Serafini (P.). Aufidena nei Caraceni. Sulmona, 1902; 8°. — Intorno a Sulmona del Lazio. Sulmona, 1901; 8°. Sipione (C.). Profezia di un abate francese (1748) intorno alla Casa di Sa- voia. Ascoli, 1902; 4°. Spedalieri (Nicola) (1740-1795). Numero unico. Roma, 1903; 4°. Sperandeo (F.). La forma innata. Napoli, 1898; 16°. Spinelli (F.). Sistema razionale automatico destinato ad evitare le collisioni dei treni. Oneglia, 1900; 8°. Spinelli (A. G.). Mattoni manubriati nell’agro modenese. Modena, 1908: 8°. — Bio-bibliografia dei due Vignola. Bologna, 1908; 8°. Spinelli (Al). Versi del 400 e del 600 attinenti a pittori od a cose d’arte. Carpi, 1892; 8°. Tarasi (M.). La fine dei Vardarelli, secondo Pietro Colletta. Teramo, 1904; 8°. Tenerelli (F.). Sulla riforma delle amministrazioni locali. Catania, 1877; 8°. Tiberi L. Il Palazzo del popolo in Perugia. Perugia, 1902; 8°. Tibone (D.). Inaugurazione del busto di Ambrogio Bertrandi. Torino, 1889; 8°. Tonni-Bazza (V.). L'assedio di Cattaro del 1657. Roma, 1915; 8°. Tononi (A. G.). Giovanni Losi nell'Africa centrale. Firenze, 1900; 8°. Torrigiani (P.). Intorno all'influenza della economia politica sulle leggi civili. Pisa, 1872; 8°. — La storia e la economia politica. Firenze, 1375; 8°. — Sui rapporti fra i principii della popolazione e quelli di economia po- litica. Pisa, 1873; 8°. — Lo studio della economia politica. Napoli, 1878; 8°. Trotto (P.). La scuola elementare a Padova. Firenze, 1909; 8°. Uhagon (F. R. de). La patria di Colombo. Savona, 1892; 8°. Valetta (I.). Chopin. La vita; le opere. Torino, 1910; 16°. io." È __T_Mn. nas me a LX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Vegezzi-Ruscalla (G.). Del riformatorio di Parkhurst nell’Inghilterra. To- rino; 8°. Virgili (F.). L'applicazione della matematica all'economia politica. Firenze, 1890; 8°. Vittani (G.). Matrimoni principeschi proposti a G. Piccinino nel 1460. Mi- lano, 1912; 4°. Vivanet (F.). Cagliari per Vittorio Hugo. Cagliari, 1902; 8°. Volpicella (L.). Primo contributo alla conoscenza delle filigrane nelle carte antiche di Lucca. Lucca, 1911; 4°. — Repertorio gentilizio per ]a città e lo stato di Lucca. Lucca, 1910; 8°. Zdekauer (L.). Un inventario della libreria capitolare di Pistoia del sec. XV. Pistoia, 1902; 8°. — Sulla compilazione di un codice diplomatico della Marca d’Ancona. Fano, 1903; 8°. — La dogana del porto di Recanati nei secoli XIII e XIV. Fano, 1904; 8°. — Sugli Statuti più antichi del comune di Montolino. Roma, 1909; 8°. Zucchelli (G.). Relazione che accompagna il progetto di una nuova inal- veazione del Tevere attraverso i Prati di Castello. Roma, 1879; 4°. Annuario della R. Università di Genova. 1907-1908 — 1911-1912. Genova, 1908-1912; 5 voll. 8°. Bollettino dell'emigrazione (Ministero degli aftari esteri). Roma, 1907-1914; 8 voll. 8°. Bollettino del Ministero degli affari esteri. 1907-1914. Roma; 8 voll. 8°. Bollettino di statistica e di legislazione comparata. Ann. XI-XIV. Roma, 1910-1914; 4 voll. 8°. Bullettino della R. Deputaz. abruzzese di storia patria. Ann. I-II, III 1-2, IV. Aquila, 1910-13; 8°. Comité maritime international. Bulletin. N. 1, 3-6, 8, 20, 21, 24-27, 30-40. Anvers, 1897-1913; 8°. France-Italie. Revue mensuelle. Année I. Paris, 1913-14; 8°. Revue de Savoie. Tomes I, II, V. Paris 1912-14. 3 voll. 8°. Rivista degli studi orientali. Annate I-IV, V 1, VI. Roma, 1907-1915; 6 vo- lumi 8°. Valentino (Il). Rivista tecnica mensile. Torino, 1911-14; 4 voll. 8°. ì CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 14 Novembre 1915. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente Camerano, il Direttore della Classe D’OvIpio, e i Soci SarLvapori, NaccarI, PEANO, JADANZA, GuaRrEscHI, Guipi, PARONA, MaTTIROLO, GRASSI, SomMI- GLIANA, FusaRI, PANETTI e SEGRE, Segretario. — Scusa l’assenza il Socio Foà. Letto e approvato il verbale dell'adunanza precedente, il Presidente, nel dare il saluto ai colleghi, pronuncia le seguenti parole : “Il nuovo anno accademico comincia mentre ancora la guerra domina, si estende, percote per le terre e sui mari tanti popoli furiosamente. «“ Noi salutiamo con viva commozione i meravigliosi soldati d’Italia, noi ci rivolgiamo con ammirazione devota al Re, che con tanto valore impersona le glorie e le vittorie della Patria. “ Pur troppo il momento è tale che sembra sospesa la fra- ternità fra gli scienziati: ma nulla può infrangere l'universalità della scienza. i “ Oggi ogni Nazione, con un senso nuovo e repentino di particolarismo e quasi d’esclusivismo scientifico, esalta se stessa e pare voglia appartarsi dall’eterno consorzio del pensiero umano. Però in questa illusione, in questo movimento di lotta fra le Atti della R. Accademia — Vol. LI. 1 e .- PP uttm_ PB. | 2 varie civiltà, ciascuna Nazione afforza il proprio vigore scien- tifico, stimola la propria operosità intellettuale investigatrice, creatrice, rinnovatrice; e poichè sarà lotta passeggiera ed è . indistruttibile l'unione della vita scientifica fra tutti i popoli, il presente movimento onde ciascuna Nazione vuole affrancarsi e primeggiare si risolverà a vantaggio del progresso comune di tutte le genti. “ Che così avverrà è certo. “ Che ciò avvenga presto instaurandosi il diritto della ci- viltà e della nazionalità fra tutti 1 popoli è voto nostro arden- tissimo e concorde ,. Durante le ferie accademiche la Classe ha fatto la grave perdita del Socio corrispondente Ugo ScHIrF, morto a Firenze l'8 settembre. Apparteneva all'Accademia dal 28 gennaio 1900. Si dà incarico al Socio GuarEscHI di commemorarlo in una prossima adunanza. Sono giunti, fra gli altri, i seguenti opuscoli, in omaggio dai loro Autori: Dal Socio nazionale TARAMELLI: Osservazioni circa la frana di Clauzetto, e Come si vennero formando i confini naturali della penisola italiana nella catena alpina. Dal Socio corrispondente KiLran cinque Note d’argomento geologico. Dal Prof. G. BoccarpI: l’Annuario astronomico pel 1916 pub- blicato dal RE. Osservatorio di Pino Torinese, e una Nota su La variazione delle latitudini e le osservazioni di Pino Torinese. Dal Prof. L. CoLomBa: Sopra una reazione del diamante, e Sopra alcune relazioni esistenti fra i caratteri strutturali della leucite e le sue giaciture. Inoltre vanno rilevati due nuovi volumi di corrispondenza del Berzelius, gentilmente inviati dal Prof. H. G. Sé6pERBAUM. Il Socio GuaRrEScHI mette in luce l’importanza di questi volumi, contenenti la corrispondenza scientifica fra Berzelius e Alex. Marcet, e fra Berzelius e Dulong; discorre brevemente dei pregi che ha tutta quanta la corrispondenza scientifica di Berzelius e fa notare le nuove benemerenze che, con questa pubblicazione, viene ad avere il Prof. SòpeRBAUM per la storia della scienza. Lo stesso Socio GuarEscHI offre in omaggio tre suoi opu- scoli: Lavoisier e Berzelius nella storia della scienza, La calce so-. data quale energico reagente generale e sua grande attività chimica, e La chimica dei gas velenosi e la querra. Il Socio MartIRoLo presenta in dono un ritratto dell’illustre ‘botanico Gianpietro Maria Dana (1736-1801) che fu Socio della nostra Accademia: dono che proviene da un nipote del DANA. Il Socio GuarEscHI presenta, per la stampa negli Atti, un suo scritto intitolato: Delle singolari proprietà della calce sodata, Nota I: e così il Socio Prano una Nota di S. Catania: Sulle condizioni che caratterizzano una classe di grandezze. Il Socio Segretario, per incarico del Socio Foì, presenta una Memoria di lui col titolo: ficerche ematologiche. Sulla pro- duzione delle piastrine del sangue, e sulla patogenesi delle trasfor- mazioni fibroadenoidee nella milza. È un lavoro che già era stato accolto per gli Atti, e che l'Autore preferisce pubblicare fra e Memorie. Con votazione unanime la Classe approva questo passaggio. bi Di è deo, 4 ICILIO GUARESCHI LETTURE Delle singolari proprietà della calce sodata. Nota I del Socio ICILIO GUARESCHI. Introduzione. Già da alcuni mesi io ho fatto un cenno più o meno esteso (!). intorno alle singolari proprietà della calce sodata; di questo umi- lissimo prodotto chimico, ben pochi chimici si sono occupati, se si eccettui per dosare l'azoto nelle sostanze organiche col metodo Varrentrapp e Will, e per disseccare l’aria. Io ho trovato che molte reazioni le quali colla potassa, la soda o la calce avvengono a temperatura più o meno elevata, colla calce sodata hanno luogo a temperatura ordinaria; e molte reazioni che cogli alcali caustici o cogli alcali terrosi non av- vengono quando questi agenti si usano separatamente, hanno luogo invece, e talora violentemente, colla calce sodata. La calce sodata dovrà, a mio parere, quind’innanzi sostituire in molteplici casi gli alcali caustici, specialmente quando questi debbano essere usati allo stato solido od allo stato di fusione. E il migliore reattivo contro i gas detti asfissianti. Questa sostanza è assai importante sia come agente assor- bente, sia come agente decomponente, idrolizzante, ecc., e come agente sintetizzante. In questi ultimi anni io ne ho consumato molta per de- purare e disseccare l’aria che doveva servire per determinazioni (4) I. Guarescni, La chimica dei gas velenosi e la querra: Conferenza tenuta il 14 giugno 1915 all'Associazione Chimica di Torino (Vedi anche in “ Conferenze e Prolusioni,, anno VIII, N. 17). E più ampiamente in un articolo: La calce sodata quale energico reagente generale e sua grande atti- vità chimica, in ° Supplem. Ann. Encicl. di Chim. ,, agosto 1915. I I DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA D d’acqua di cristallizzazione; e da più mesi l’adopro per effettuare p pro p molte reazioni chimiche, alcune delle quali non erano facilmente prevedibili, e per assorbire i gas velenosi e non velenosi. Come sì vedrà nei seguenti capitoli di questo lavoro, la calce sodata assorbe, fissa, o decompone un gran numero di gas o di vapori, di liquidi evaporabili a temperatura più o meno elevata; rea- | gisce anche, a temperatura ordinaria, con sostanze solide, ecc. Assorbe molti dei prodotti della putrefazione. Il numero de’ gas o vapori velenosi, irritanti o lacrimogeni che la calce sodata può assorbire, fissare o decomporre è vera- mente grandissimo, straordinario: cloro, bromo, acidi alogenici (cloridrico, bromidrico, iodidrico, fluoridrico); anidridi carbo- nica e solforosa, fosgeno od ossicloruro di carbonio; cianogeno, acido cianidrico o prussico, cloruro di cianogeno, bromuro e joduro di cianogeno, cloruro di solfo SCI, cloruro di tionile, i cloruri di nitrosile, iponitride, idrogeno arsenicale e antimo- niale; gli acidi solfidrico e selenidrico, mercaptani, acido sol- focianico, indolo, scatolo, aldeidi, eteri clorocarbonici, derivati aromatici bromurati e clorurati nelle catene laterali (bromuro di benzile, bromuro di xilene (!) o di w«zlile), eteri monobromo- acetico e cloroacetacetico, monocloracetone, w-monobromaceto- fenone, anidride acetica, e tante altre sostanze che saranno accennate nelle note seguenti. Io non conosco nessun'altra sostanza che praticamente possa sostituire la calce sodata in questa magnifica funzione. (') Il collega Albin Haller, professore di chimica alla Sorbonne e membro della Commissione dei prodotti asfissianti, istituita dal Ministero della guerra francese, mi scriveva il 14 settembre p. p. che sul fronte francese avevano trovato delle bombe contenenti del bromuro di xilene (0 più pro- ‘73 ‘Py priamente C°H4 sing e C°H* RD e vari isomeri) o bromuro di xilile ‘142 o di xililene, e del clorocarbonato di metile clorurato COCA cl Io di- mostrai poco dopo che il bromuro di xilene o bromuro di xilile è assor- bito e fissato dalla calce sodata; e così lo sarà, con quasi certezza, il / OCH*CI “Gl ; , - 1a “OC*HSC. ì logie coll’etere clorocarbonico etilico CO< ui hi , il quale, come pure di- a i clorocarbonato di metile monoclornrato CO , date le grandi ana- mostrai, è fissato avidamente dalla calce sodata. ug” nen nce. OT 6 ICILIO GUARESCHI Dei derivati bromurati o clorurati aromatici sono fissati specialmente quelli che contengono l’alogeno nelle catene late- rali, non quelli che contengono l’alogeno nel nucleo centrale. Sempre a temperatura ordinaria, s'intende; ma sì faranno delle esperienze anche a temperatura più o meno elevata. La calce sodata fissa, oltre ad un gran numero di gas ve- nefici, anche tutti quei composti inorganici od organici che contengono gruppi acidi o gruppi elettronegativi, quali: R.COBr e COCIÌ R.COCH?Br e R. COCH?C] R.CH?Br, ecc., ecc. e quelli a funzione eterea, di aldeidi e talora di imidi o di fenoli ed altri corpi dei quali terrò parola più avanti. La calce sodata è dunque la sostanza che coscienziosamente si può proporre come mezzo, anche economico, per preservare il nostro soldato dal maggior numero di prodotti chimici wvenefici (lacrimogeni, ecc.) che possono essere usati dai nemici in guerra. Tutti i gas detti asfissianti sino ad ora usati in guerra sono as- sorbiti o decomposti dalla calce sodata; come assorbe e decompone un gran numero di altre sostanze venefiche non ancora usate in querra. Può servire, come vedremo, a depurare l'idrogeno che si sviluppa dal ferro coll’acido cloridrico diluito o dallo zinco im- puro (specialmente di zolfo e di antimonio) con acido solforico. Come pure potrà essere utilizzata a separare rapidamente l’idro- geno solforato, l'idrogeno antimoniale e l'idrogeno arsenicale dall’idrogeno fosforato e da altri gas. Ho già detto che la calce sodata ha un grande valore come agente assorbente, decomponente e sintetizzante; può in mol- tissimi casi sostituire la potassa e la soda caustiche nella pre- parazione di composti chimici. Ho fiducia che sotto questo ri- guardo sarà adoperata anche nella preparazione industriale di molti composti. Potrà sostituire gli alcali caustici nella prepa- razione di fenoli, in molte reazioni sintetiche sia fra gas diversi, sia fra gas e liquidi oppure fra solidi. La calce sodata ben granulata ha il notevole vantaggio di presentare una grande DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA superficie reagente e di potere essere scaldata ad alta tempe- It ratura senza fondere; inoltre, intacca poco il vetro. : Può servire, come vedremo, a preparare dei nitrili, degli isonitrili, delle aldeidi aromatiche, materie coloranti, ecc. È un agente energico di idrolisi; la maggior parte dei ‘ nitrili sono saponificati a temperatura ordinaria. In certi casi la reazione è tanto viva che ha luogo quasi un'esplosione a temperatura ordinaria; tale è il caso del bromuro di cianogeno, il quale, mescolato con calce sodata e dibattendo entro una boccia, dà luogo a violenta reazione con uno sviluppo di calore. Fra i casì di sintesi posso ricordare la formazione rapida di acido cianidrico (e forse di isocianidrico) 0 di cianuri per l’azione della calce sodata, anche a temperatura ordinaria, su un mi- scuglio di ammoniaca concentrata e di cloroformio. Come pure della metilcarbilamina, sostituendo la metilamina all’ ammo- niaca, ecc. A temperatura ordinaria si formano la carbilamina dall’etilendiamina, dall’ anilina e simili, dalla benzilamina, ecc. Con facilità sì forma l’indigotina per l’azione della calce sodata | su una soluzione acquosa-acetonica di ortonitrobenzaldeide. : ] À Tutte queste reazioni ed altre numerose saranno esposte nelle mie comunicazioni successive. Può servire, come è già noto, per assorbire e dosare l’anidride carbonica, invece della soluzione concentrata di potassa caustica. Può essere utilizzata per depurare l’idrogeno, specialmente quando si tratta di quantità, relativamente piccole, che si usano in laboratorio. Come pure il gas illuminante. Con apparecchietto adatto la calce sodata potrà essere praticamente utilizzata per respirare liberamente in certe mi- niere o pozzi, o nelle fogne od altri ambienti ove siano gas 0 vapori nocivi; come ad esempio nelle gallerie ferroviarie ove sia molto gas solforoso (1). Vedremo con quale e quanta rapi- dità assorbe il gas solforoso. (4) Secondo Serper e Meserve (“ Am. Journ. Pharm. ,, 1914, t. LKXXVI, pag. 481, e “J. Pharm. Chim, ,, 1915, pag. 88), i risultati ottenuti nell’ana- lisi di 88 campioni d’aria dimostrano che i tunnels che servono per mac- chine a vapore contengono circa cinque volte più gas solforoso e ossido di carbonio che non i tunnels percorsi da macchine elettriche; l’aria dei primi su 100.000 p. contiene p. 1,5 di SO? e p. 26,7 di ossido di carbonio; e quella dei secondi p. 0,29 di SO? e p. 2,5 di CO. eee sasa: IP} + er tggon PA . Bromo. — (Col bromo si hanno risultati simili ai prece- denti; il vapore di bromo è evidentemente assorbito dalla calce sodata con sviluppo di molto calore. Si può fare gorgogliare l’aria in corrente rapidissima attraverso al bromo liquido e poi per un tubo di 1.8 mm. e lungo 25-30 cm. contenente 55-60 gr. di calce sodata e in breve tempo si assorbono 13 a 15 gr. di bromo. L’assorbimento è rapidissimo. La temperatura si innalza molto, ma meno che col cloro. Ho fatto un esperimento di respirazione nel modo seguente: in 9 litri di aria ho messo circa 4 gr. di bromo; il miscuglio era di color rosso vivo. Io respirai attraverso un tubo conte- nente 127 gr. di calce sodata in modo da far passare una ra- pida corrente di circa 26 litri d’aria nei miei polmoni senza sentire traccia di bromo. La calce sodata per 100 gr. può assor- bire comodamente 25 gr. e più di bromo. La calce sodata è dunque un eccellente assorbente del cloro e del bromo. Acidi cloridrico, bromidrico, e jodidrico. — Sono avidamente assorbiti con sviluppo di molto calore. Acido fluoridrico. — Riguardo l’acido fluoridrico non ho fatto esperienze, ma indubbiamente deve essere facilmente assor- bito, date le analogie cogli altri idracidi. Per il cloro, per il bromo e per molti dei corpi a netta funzione acida non ha molta importanza che la calce sodata sia o no recente. Della calce sodata vecchia di molti anni, in pic- coli granuli, assorbì benissimo il cloro, il bromo, ecc., ma assor- biva poco acido carbonico e non diventava incandescente con acido solfidrico in corrente d’aria, come vedremo. Un apparecchietto a calce sodata potrebbe essere usato in quelle officine nelle quali gli operai sono obbligati a respirare aria più o meno inquinata da cloro o da vapori di cloro, 0 di acidi. Calce sodata e carbonato sodico. — Anche la miscela di 20 p. di calce sodata e 5-10 p. di carbonato sodico con- tenente 2 H?0, è una eccellente assorbente dei vapori acidi, del cloro, bromo, ecc. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 23 2) Ossicloruro di carbonio o fosgeno COCI?. Il fosgeno od ossicloruro di carbonio o cloruro di carbo- nile fu scoperto da John Davy nel 1812 (1!) e non da Humphry Davy come alcuni erroneamente hanno scritto. L’ottenne espo- nendo alla luce solare un miscuglio di volumi eguali di ossido di carbonio e di cloro. Da ciò il suo nome di gas generato dalla luce. Si fabbrica ora in grande quantità e si comprime entro bombe o cilindri metallici, e per piccole quantità in tubi di vetro. Per ricerche scientifiche e molto puro si usa quello sciolto nel toluene al 20%; io ho usato questo gas, spostandolo con aria. 1 Questo gas, incoloro, ha odore irritante, eccita la lacrima- zione; respirato, dà senso di soffocazione ed è assai pericoloso. Il Lewin nel suo Trattato di tossicologia (?) scrive: “ Io ho fatto inalare agli animali il fosgene gasoso il quale, in presenza del- l’acqua si trasforma in acido cloridrico e acido carbonico (*). Tutti morirono con convulsioni, dispnea e fenomeni di irrita- zione delle mucose; ma nel sangue io non ho mai osservato dei fenomeni spettroscopici attribuibili all’azione dell’ossido ,. È noto che questo gas non è assorbito nè decomposto dai carbonati alcalini, nemmeno se questi sono in soluzione satura. È assorbito, e pure questo è noto, dagli alcali caustici, ma meno bene che non la calce sodata; questa l’assorbe con grande avidità. Feci una prima esperienza col gas contenuto in 10 cm? di soluzione toluenica al 20 °/ e lo feci passare attraverso a 70 gr. di calce sodata. Venne immediatamente assorbito, istantanea- mente, con sviluppo di calore. La carta reattiva, l’acqua di ba- rite, la soluzione di anilina, l’odore, ecc., non diedero il minimo segno di ossicloruro dalla parte opposta del tubo. (4) “ Philos. Trans. ,, 1812, p. 144. (®) Traité de toricologie, trad. fr., p. 400. (3) L. Lewin, “Arch f. pathol. Anat. ,, 1879, vol. LXXVI. \ : 4 i 7 21 voiga e ve r 24 ICILIO GUARESCHI E si noti che in questa, come in altre esperienze, la cor- rente d’aria era rapida ed abbondante, come sarebbe nella in- spirazione, cioè 200 a 300 cm? per minuto secondo. Tutto rimane fissato, e probabilmente secondo l'equazione : COCI + 2Na0H = 2NaC1-- C02 + H20 od anche 70 COCL4+20a. = 2NaCI + CaC08 + Ca(0H)?. \Na0H Comunque sia, l'anidride carbonica non sì sviluppa, e nel primo caso rimane fissata dall'eccesso di calce sodata. Operando nello stesso modo con 70 grammi di cristallini di carbonato sodio Na?CO? . 10 H?0, il gas passa subito, inalterato, e così fece colla soluzione satura di carbonati alcalini e anche in cristalli e con la soluzione di iposolfito di sodio; in questi casi non si fissa nemmeno se il gas passa lentamente. Anche se l’aria che passa per trascinare il gas ossicloruro e ben secca passando attraverso ad acido solforico o ad un tubo grosso con calce sodata, l’ossicloruro viene fissato benissimo. Se invece della calce sodata recentemente preparata e ben conservata si adopera della calce sodata Kanlbaum, già prepa- rata da lungo tempo ma conservata in boccie chiuse con tappo di sughero, il gas si assorbe pure bene, con sviluppo di calore. Vedremo però che vi è differenza nella quantità assorbita. Nelle stesse condizioni in un tubo simile ai precedenti con- tenente 100 gr. di idrato sodico NaOH in pezzetti (e parte in polvere) l’ossicloruro si assorbe e sviluppa molto calore, ma si nota l'inconveniente che la parte di NaOH che ha assorbito COC]? diventa durissima, sì attacca al vetro e può ostruire, anzi ostruisce, il tubo; il che non accade colla calce sodata anche in piccoli granuli. Ho voluto fare l'esperimento anche coll’idrato di potassio KOH. Circa 62 gr. di potassa in pezzetti, misti a poca polvere, furono posti in tubo simile al precedente, ma più piccolo. Il gas COC]? si assorbe con sviluppo di molto calore, ma poi ? tubo si ostruisce. Allora cambio la potassa e ne metto di quella in pezzetti più 2 RM i È Po er. È dali. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 25 grossi; ma in questo caso, dopo poco istanti il gas COCI? passa inalterato ed il tubo rimane in parte ostruito. Comunque sia dunque, nè la soda nè la potassa caustica possono convenientemente sostituire Ja calce sodata. Ho rifatta l’esperienza con la calce sodata in grani grossi. In un tubo del diametro di 1.8 mm. ho messo 43 gr. di calce sodata Kahlbaum detta Pfefferkorngròsse. Ho fatto passare velo- cemente del COCI?; tutto, e rapidamente, veniva assorbito. A1]- l'occhio non appariva nessuna modificazione dei grani, il tubo non restava ostruito, ecc. Risultato ottimo. Dunque la calce so- data anche in granuli grossi, ed anche non recente, assorbe bene l'ossicloruro. Ho esperimentato il COC]? anche colla calce sodata prepa- rata con 1 p. di CaO e 1 p. di NaOH. Su 50 gr. di questa in tubo di 1.6 mm. e lungo in totale 30-35 cm. si fece passare l’ossicloruro; si riscaldò molto e la calce sodata fissò bene COCI?, 29 grammi di calce sodata preparata con Ca0O dal marmo, fissarono del COCI?, ma poco; si scalda meno della precedente, poi dopo breve tempo il COCI? sfugge. Ho fatto esperimento anche con calce sodata Erba (molto simile a quella di Kahlbaum) in grani grossi come quelli del pepe, di circa 5-6 mm. L’assorbì bene e si scaldò. La stessa calce sodata Erba lasciata all'aria umida per 9 ore a temp. 18°-20° (giornata nuvolosa) assorbì 7.4 °/, di acqua e anidride carbonica. Poi posta in tubo e fattovi passare l’ossi- cloruro, anche in questo caso venne assorbito bene, benchè la corrente d’aria fosse molto energica; sviluppò però meno calore. Dunque anche in queste condizioni la calce sodata serve benis- simo come assorbente dell’ossicloruro di carbonio. Della calce sodata buona recente, lasciata all’aria, in strato sottile per 48 ore (tempo nuvoloso, temperatura 18°-20°), as- sorbì 38 °/, del proprio peso. Questa calce sodata, che era di- ventata rossastra, assorbiva ancora l’ossicloruro ma molto in- completamente e dopo poco tempo lo lasciava passare inalterato. Dunque la calce sodata molto umida serve poco bene. Della calce sodata recentemente preparata, ma stata dentro un vaso di latta, analogo a quello ora proposto per i soldati, ma che era mal chiuso e per cui la calce sodata aveva attirato l'umidità come si scorgeva al colore, dopo 3 mesi, assorbiva adi » LIE napo PITT pren # RR i iii 26 ICILIO GUARESCHI — DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ, ECC. ancora abbastanza bene l’ossicloruro di carbonio. 21 gr. di questa calce sodata mal conservata posta in un piccolo tubo ad U del diametro di 1 cm. e lunghezza totale di 20-25 em, assorbirono rapidamente l’ossicloruro fatto passare con rapida corrente d’aria e sviluppò tanta calce da produrre dell’acqua nella parte op- posta del tubo. Tutto l’ossicloruro (circa 40 a 50 cm?) fu assor- bito. Dunque anche in queste condizioni poco buone la calce sodata assorbe bene il fosgeno. Che il gas fosgeno sia avidamente assorbito dalla calce so- data si può dimostrare anche coll’esperimento seguente : nel fondo di un boccione ad apertura molto larga, della capacità di 10 litri, misi 30 gr. di calce sodata in istrato sottile e poi un cristallizzatore con 4 a 5 cm? di soluzione toluenica al 20 %, di ossicloruro. L'odore acutissimo di questo e la reazione acida erano evidenti. Chiuso il boccione e lasciato a sè circa 2 ore, non vi era più gas fosgeno libero; tutto era stato assorbito; rea- zione neutra e odore di toluene. Torino, R. Università, ottobre 1915. —T—o atto — i . la Beet"! g pad vi ia SEB. CATANIA — SULLE CONDIZIONI CHE CARATTERIZZANO, ECC. 27 Sulle condizioni che caratterizzano una classe di grandezze. Nota di SEBASTIANO CATANIA. Il contenuto di questa Nota presuppone la conoscenza di | due Note del Prof. €. Burali-Forti e d’un mio recentissimo opuscolo (*). In (°) è stabilito che v è una “ classe di grandezze omo- genea rispetto all'operazione + per gli x ,, 0, brevemente, “è una Grand + ,, quando per x e + sono sodisfatte (°) otto condizioni I-VII, tra le quali non è compresa la proprietà Comm + per gli « (**). (*) Note ed opuscolo che indicherò con (°), (°), (°), cioè: (9) C. Burari-Forti, Sulla teoria generale delle grandezze e dei numeri. “ R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1904. (è) In., I numeri reali come operatori per le grandezze. © R. Accad. dei Lincei,, marzo 1915. (2) S. Carania, Grandezze e numeri. Niccolò Giannotta, Catania, maggio 1915. (*#*) Nel 1904 il Prof. C. Burari-Forrr pubblicò negli “ Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino , un lavoro intitolato: Sulla teoria generale delle grandezze e dei numeri. Egli così comincia il suo lavoro: “ Il sig. E. V. Honerinaron ha recentemente pubblicati alcuni interes- “ santi e notevoli articoli in “ Transactions of the American Mathematical “ Society , (1902, 1908), nei quali dà i sistemi di postulati atti a definire, “ rispettivamente, le grandezze, gli interi, i razionali, i numeri reali. I po- © stulati per le grandezze non nulle, e dei quali è dimostrata l’assoluta in- dipendenza, sono in numero di sei, e tra essi non è compresa la proprietà commutativa della somma, che VA. dimostra, valendosi dei numeri interi e del postulato della continuità, il che costituisce un notevole progresso “ sui lavori precedenti relativi allo stesso argomento ,. Qui il Burari-Forri cita un altro suo lavoro: Propriétés formales des opérations algébriques, pubblicato nella © Rivista di Matematica , di G. Peano, nel quale dice: “ In questo lavoro i postulati per le grandezze, compresa “la grandezza nulla, sono nove, tra i quali si trova la proprietà commutativa. “Il sistema di condizioni I-VIII (che più sotto riporto per comodo del let- “ tore) coincide col sistema di postulati ora indicato da cui si tolga la pro- “ prietà commutativa; differisce da quello del sig. Huxerineron in quanto è “ anche atto a individuare la grandezza. nulla, ed esprime il postulato della SEBASTIANO CATANIA Occorre tenere presente (’) che l'elemento nullo di « (unico, ; per le I-VIII), lo zero, 0, è caratterizzato da 0+4+<=, qua- 5 lunque sia l'e di u, e se x ed y sono «, la relazione 2 > y si- gnifica * = + y, dove &# è un w non nullo (*). i u continuità indipendentemente dal concetto di successione e, quindi, di nu- | “ mero intero ,. — Io aggiungerò che il numero totale dei postulati dell’Hune- rINGTON è superiore ad otto e anche a nove, numero delle condizioni (non y più postulati!) dalle quali non solo la teoria delle grandezze ma anche quella dei numeri derivano totalmente. Si ha dunque un notevole progresso scientifico (per non parlare di quello didattico) rispetto all’HuxerINGTON. Va da sè che essendo il Burari-Forti in (*) riuscito a far precedere la i definizione dei Q, (classe generale dei numeri) a quelle delle classi (par- ziali) No, Ro, è venuta fuori una teoria nuova di Grandezze e Numeri, accennata in (°), completamente sviluppata in (°). Ed ecco ora le prop. I-VIII delle quali si deve spesso far uso. Premesso che -+ (somma) è un’operazione per una classe w, cioè che j — posto fra due « produce un determinato «, dice che “x è una classe di grandezze omogenee rispetto all'operazione + per gli x ,, se per « e ‘ re & per + sono soddisfatte le seguenti I-VIII condizioni: A [1] x,y,zeu.xke=y+2:9.0=y. {II] 4 Nul (uv, +). “ Esiste in v almeno un elemento nullo rispetto a + ,. Cioè un ele- mento x tale che se y è un «, si abbia, qualunque sia y. + y=y- [IH] Ta > Nul (u, 4). “ Esiste in x almeno un elemento non nullo rispetto a + ,. [IV] reu> Nul(u, +).yeu.I.r +yeu—Nul(u, +). “ Non è nulla la somma d'un « non nullo con un « qualunque ,. [V] c,y,zeu.d.(er+y)+2a=x+(y42). [VI] r,yeu.I.ceyt+tu.v.yert+u. “ Se x ed y sono «, 0 x è la somma di y con un &, 0 y è la somma di x con un w,. [VII] reu= Nul (u, IT EA ya “ Se x è un w non nullo, esiste almeno un « non nullo minore di esso ,. [VIII] ve Cls Lim (vr +).9.Huo c3[0(u, +)r=0(4,+) ov] “ Se v è una classe di v limitata superiormente (rispetto a +), esiste un %, x, tale che ogni x minore di x è minore di qualche r, e ogni « minore di qualche v è minore di x (rispetto a +, sempre sottinteso). (*) Nella (‘) invece la 7 > y equivale a =y + £, * essendo un « non nullo. In tal caso però poche proprietà dell'operazione + si possono otte- 3 nere senza fare uso di Comm +, come è indicato in (*), pag. 490, 2* nota a pie’ di pagina. SULLE CONDIZIONI CHE CARATTERIZZANO UNA CLASSE, ECC. dd Come risulta dalla (*), le condizioni I-VIII sono assoluta- mente indipendenti. Però, come mi è accaduto di constatare (°) sviluppando le proprietà fondamentali degli x e dei Q,, le dette condizioni non sono sufficienti a fondare una teoria generale delle grandezze e dei numeri: al gruppo I-VIII occorre unire o la proposizione [a] c,yeuo10.y£, oppure la Comm +. Ciò dimostro subito, ed inoltre provo che il gruppo formato con le [I-VII] e la [a], ovvero la Comm +, è costituito da proposizioni assolutamente indipendenti. In questa Nota è dimostrato che con il gruppo di condizioni [A] = [VINI] [a] sì ottengono tutte le ordinarie proprietà delle grandezze e dei numeri. In (°) è dimostrato che le stesse proprietà si ottengono pure dal gruppo [B] = [I-VII] [Comm +. Da questa Nota risulta che da |A| si deduce il principio di Archimede, il quale si deduce pure (°) da [B]. Indicando con [Ar] il principio di Archimede, si ha dunque che : [-VII] [a] 9 [Ar], [I-VII] [Comm 4] p [Ar]. Ovvero, esportando: (1) [-VI] . o . [a] p [Ar], (2) HI-VII].9.[Comm +]9 [Ar]. Si ammettano ora il gruppo [I-VIII] ed [Ar]. Si dimostra (°) (9) che se a è un Q, si ha 0+a=a. Allora, se m è un No, si ha 0+-m=m. Definiti gli N, come in (*), si dimostra la Comm+ per gli N, come al n. 8 di questa Nota. Come in (°), n. 20, sostituendo 1 m invece di m-{- 1, si dimostra l’esistenza del massimo di una classe Lal | "SS 30 SEBASTIANO CATANIA di N, sotto determinate condizioni. Tutti questi risultati sono ottenuti con il solo gruppo I-VIII. In (°), n. 20, si dimostra che se v è una classe limitata di N, allora max v è un No. Per tale dimostrazione si fa uso di [Ar] che afferma che le condizioni del massimo sono soddi- sfatte. Segue che con le I-VIII e la [Ar] si deduce che una classe limitata di N, ammette il massimo. Ciò posto, siano x ed y degli « non nulli. Per |Ar] ope- rando su y con tutti gli N, si ottengono degli x maggiori od eguali ad x. Così la classe degli No, 2, tali che 2yZ%, è li- mitata e quindi ammette il massimo. Tanto significa che esiste un N, w#, tale che myZI<1+ m)y. Da my=x si deduce [(°), nn. 2, 8] myt+yZa, e quindi r + y>%, cioè la [a]. Questo risultato, come si è fatto osservare, risulta esclu- sivamente da [1-VIII] e da [Ar]. Da questa Nota risulta che dal sistema [I-VIII] [a] si de- duce [Ar] e [Comm +]. Così abbiamo dimostrato che [I-VII] [Ar] 9 [o], [I-VIII] [Ar] o [Comm +]. Esportando si ha: (3) [-VI] . 9 . [Ar]o [a], (4) [I-VIN].9.[Ar]o [Comm +]. Da (1), (2), (3), (4) si deduce che, rispetto al sistema I-VIII, si ha: (I-VIII] .9.[o]=[Ar]={Comm +], cioè è indifferente unire al gruppo I-VIII una qualunque di queste tre ultime proposizioni per istituire una teoria di “ grandezze e numeri ,. r’'——___e 3 —— SULLE CONDIZIONI CHE CARATTERIZZANO UNA CLASSE, ECC. 31 Considerando la classe degli infinitesimi dei diversi ordini (*) per gli « si riconosce che per essi sussistono le I-VIII, ma non è verificata la [Ar]. Dunque [Ar], e perciò anche [a] e [Comm + | sono indipendenti dalle I-VII. In altri termini, i gruppi |A] e [B] sono formati da proposizioni assolutamente indipendenti, e quindi è necessario al sistema I-VIII aggiungere o la [a], o la [Comm]. Da (°) e da questa Nota risulta che la trattazione d’una teoria di “ grandezze e numeri , riesce più semplice con il gruppo [B] anzichè con il gruppo [A]: ed è quindi naturale che in (°), pubblicazione di carattere didattico, io abbia dato la pre- ferenza al gruppo [B], tanto più che la Comm + è così gene- ralmente nota che non sarebbe stato giustificato l’escluderla. 1. — La [a] vale anche per y=x e per y>x. Cioè, in simboli: [1] cyeucn10.y32r.9.r+y>r. a) Se x=y si deduce x{4-y=y+y%>y, e quindi Wry >. b) Se y>x, siccome x --y>y, segue ax |-yD> x. Da a) e b) si deduce il teorema. 2. — Sexedy sono u non nulli arbitrarii, si hax+yD>X. In simboli: [2] c,yeu o 10.9xyT+ty3>&®: Risulta subito dalla [a] e dalla [1]. 8. — Se x, y sono u qualunque e z e k sono u non nulli, sarà (Z+k)+y>z+ y. In simboli: [3] e,yeu.z,keuco10.9.(@+4)+y>e+ y. Infatti, dalle ipotesi e dalla [2] si ha z-4-%>e. Oper 4 y si ha (C+ 4)+y>2+ y, cioè la tesi. (*) Cfr. ad es.: V. Mago, Teoria degli ordini, * Mem. R. Ace, Torino ,,1913. lati i | oto n "4 32 SEBASTIANO CATANIA ' 4. — Se x, y, z sono u qualunque, da x>yY si deduce z4+x>z+y. In simboli: [4] I, y/zeuia>y i+ abi ty Infatti, dalle ipotesi, se 2=0 si ha 0+x=%z, x>y, y=0+y e quindi 0+x>0+y. ; Se 2 non è nullo, siccome da x > y si trae x = & --y, dove & è un « non nullo, segue dalla [3] che (+47) +gy>2z+y(1). Dalla x =%+-y aggiungendo 2 a sinistra si ha z+ax=2+ +(k+y). Ovvero, Assoc+, 2 +x=(2+4)+y. Da quesia e dalla (1) si ha z4-x >2+ y, cioè la tesi. Sa 5. — Segue pure, come per le eguaglianze, che sommando membro a membro più diseguaglianze dello stesso senso si ha una ì diseguaglianza pure dello stesso senso. In simboli: [5] Cyriyvent>riy>YViO.aFy> 4g Risulta dalla [4] e dall’altro teorema che dice che (°) se x>y, st ha xr+4+2>y+-2. 6. — Nella Nota (°) la classe N, è definita nel seguente modo: No="1[Cls‘Q00 v3}0ev:14+- 09 0v:weCls ‘0.00.14 w9Ww.9w.0=0|. pis Cioè: si chiama “ numero intero ,, e si indica con No, quella SÌ classe di numeri reali tale che: ERI] 1° contiene lo 0; SÉ li, 2° contiene la somma di 1 con ogni Ny; % tai: 3° se una classe w di N, contiene lo 0 e contiene pure A la somma di 1 con ogni w, allora w coincide con No. va Nel mio opuscolo (°) invece, seguendo l’uso comune, si è Dev scritto v + 1 invece di 1-v, N, + 1 invece di 1-4 No. DA Questo mutamento, che non porta conseguenze quando si PR fa uso di Comm +, non può essere fatto quando di tale pro- > prietà si voglia fare a meno, e si voglia invece adottare la [a]. SER Secondo la (’) gli Ny sono Di» der (a) MM 00 1 LIO 140 4 ;i LATE if . La ” PA T, * » ba da ca Ò Ri n Sea SAP A ta Ci ns h) veg» » "? y RT S ‘ f n il PVI CA a KA” Mu» o sotte sai CHE CARATTERIZZANO U A CLASSE, ECC. 330 Sora si "ha 0+1=1, perchè, come è rato in (°), a È $i se a è un Q qualimane, si ha 0+a=a; ma non può dirsi, ua «senza la Comm +, che 1+0= 1. Relativamente alle proprietà fondamentali degli N, le cose (24 devono essere condotte nel seguente modo, intendendo che se È è un No, 1-4 m è il suo successivo. de ì fed x "Frpa fe 7.— Semè un N, sarà m+0=m. In simboli: ‘n "Jo N 0 >) [6] meNo.d.mt0=wm. BE i 158 a) Se m=0, si ha 04+0=0, che è vera. 19 b) La [6] si supponga vera. Siccome ®, è una Grand -+, Vi «quando per definire una Grand + si adotta il gruppo di condi- | zioni [A] (*), da [6] e da [4] si deduce 1+(m+0)=1+ wm. O anche, Assoc +, (14m) + 0=14m. Da a), 6) e Induct si deduce la tesi. da Gli (a) ora si possono rappresentare con 4 Ra (a) eeeh cod Lom! | 44, I are Bi Provato, come in (°), che 1 >0, risulta che nella (4'), e ‘ASSE quindi nella (a), ogni elemento è maggiore del precedente, e -DOzà quindi tutti gli (a) sono diversi fra loro. 6 È 8. — Come nel numero precedente, cioè con il metodo di

az. 0 anche (a+ 8)x > ar, pet al e quindi (9) a4+-B>a, ; si fi Atti della R. Accademia — Vol. LI. 3 i af $! VE 20° 34 SEBASTIANO CATANIA È 34, 2, Ù _ la die 9. — Il principio di Archimede sì dimostra come segue. Esso si enuncia: Se a e b sono u e a non è nullo, esiste un No non nullo, x, tale che xa > b. In simboli: [10] a, beu.a > =0.9-HNon c3(ca > d. Infatti, ove si ammetta l’ipotesi e si neghi la tesi, Noa sarà una classe limitata di «, e quindi esiste (2) (9) l'(Noa), che è un determinato v. Intanto l'(Noa) è maggiore di a, e quindi esiste un « non nullo, %, tale che l'(Nnaà=%+@(1). Essendo %# ed a non nulli, da [2] si ha 4X+a >&, e quindi, per la (1), l'(Noa)>%. Essendo % minore di l'(Nya), sarà mi- nore di qualche Noa, ad es. K< ma, dove m è un N, non nullo. Aggiungendo a a destra si ha X + a < ma + a, o anche (°) (°), k+al'(Noa). D'altra parte, essendo (m +1) un Noa, esso è eguale a l'(No@) 0 è minore, ciò che contraddice alla (2). Non può darsi dunque che operando su a con tutti gli Ny non si ottengano w superiori a b.. 10. — Come in (°) si dimostra che [11] aeQ. I. HNon na (nZa 1. Da questa si deduce che esiste SULLE CONDIZIONI CHE CARATTERIZZANO UNA CLASSE, ECC. 51 un Q, non nullo, 4, tale che mk = #- 1 (2). Da (1), operando con m si ha ma=mk | mB. Sostituendo in (2) si ha ma = =(h+1)+m8; o anche, Assoc+, ma=l%+(14 mB), e quindi (3) ma >1 4 mB. Dalla [11] si ha che esiste un No, », tale che nzmB14- n. Ma da [9] si deduce che 14n=n+1, talchè racco- gliendo si ha ma>n4+1en+1>wmB, cioè mB; e l'argomento T(p) è l’arco di È 1 È Ù ee e sen (B. loga) de ; tangente = -5t___________ i da, Î x% e-® cos (8. loge) de È 0 Chiameremo i due integrali : | %v | 7a sa in re. e084B,loge)de è | x*1, e sen (B.loga) de Mer RI (') V. “ Comptes Rendus ,, 22 février 1915, che contiene un cenno di queste formole. : Io b i al s* cat 1 F.'TAVANI NOIT ALTA OO A SR tate See x gl’integrali coordinate di F(p), e come tali essi possono espri- mersi mediante il modulo e l'argomento di f(p), ossia si {i avrà: (111) ao .e?.cos (B.loge) de =|F(p)|. cos arg.M(p) er e (IV) arr e-=sen(B.loga)de =|F(p)|.senarg.F(p). Passiamo a procurarci le espressioni di |T(p)] e arg.T(p). Partiamo dall'espressione esponenziale di l(p): f 1 1 VARPIDE l (0) SA T EP LAP ap +... in cui C è la costante euleriana e noli MI +; Se st RL: A ) a Mettendo questa espressione sotto forma di prodotto e so- ; È stituendovi i ri kan i Î a p=(a+:8)° l’espressione Y(n)} a" (8) "I k=0 i È s’ottiene : i | ST monte) SALT 4-1), HA (ig) j e) I mati = n+1), a"t1-k(; "= - SAS PE PNR) *q nella quale % assume tutti i valori: 0, 1, 2, 3 ... n; e poichè _ ——1tutti questi valori possono rappresentarsi con: 4m, 4im+t 1, 4imt2, 4m+4 3 i sa Pr > ol RE dando ad m tutti i valori da zero ad cinta , perciò l’espres- sN sione anzidetta si converte in quest'altra : 4 << SLIDE dee d Maxo Nu LLA sonia i + ala poni bart: ECZO FT (), È pi e CIGHAVTT ) gr neo (am am do) ro)=—l (0) to” (a * i8) n pari n-(fm+1) cig)tm+ti A Xx ia, E Mami i; eat S, 4 ' X Io) DSi (ms an mE) agito »I n-3 ti Mi TATE 1 n-4m ;. 4% hi e "+! meo (MED m 9 (i8) X fi =) Sntl |, î x gni É (M+1)4m ara a (£m+1) (jg)îmt+? ( A rai Sn41 ea IN a i DA (n+1)jm42 qn-(fm+2) (ig)fm+? ' Ln=3 È Sn si n—(4m+3) (; a dm+3 oi ricordando che; dl, (ami; it’ bh jin+s — =—i l’espressione suddetta diviene : (V) m=t® n= S - —4 d Ao LR) pa Ma 5 . (a+ 18) n pari be a i) a i , 7} a 4 | e E pi Zi (np RI ITENTÌ : ) } Vist - i ù POSI RIA La 3 e no (mia SI, np Sn È X Fort; do (04m +3 apt) (g)fn+® . * BAD Spa $ n z (n+1)gm41 rai gimti SA We HH roi 3 A ft pe _In+ Li; (0+1)m90 aft1--(im+2) gim+2 n+] n_-3 na” Ca (n4-1) 448 qtt1- (4m+-%) AS Ea ‘nl Questa espressione può seriversi sotto la forma seguente ì più breve: 4 n-3 F(pj= 7 1__g-0(a+8) T{ VE ito, Jie RA p yi (a “iù iB) u=l (ezo” Li x 1 r=2 i _n_3 sla (ITErTE ia DOS, X TT e n nio (8) Am+r AMARE in cui i segni + nel secondo simbolo di prodotto TT indicano che gli esponenti dei fattori esponenziali devono prendersi suc- cessivamente l’uno col segno positivo l’altro col negativo, ossia col segno positivo gli esponenti nei quali » ha i valori 0 e 1, e negativamente quelli in cui » ha i valori 2 e 3. Dall’ultima espressione di (p) segue immediatamente quella del suo modulo, cioè : È pens el cu) o n—(im+r) 5 4m+r | "(0) i Va? + p2 2 > B? eva RE s; m=0 ()tmtr a; R Per ottenere l’espressione dell'argomento di [(p) non avremo — che da introdurre le due espressioni già illa] di F(p) e |F(p)] nella formola : i \ Tp) TUA 1 log e : e A Id e Ss 0A ioonliatazioniali INTORNO ALLA TEORIA DELLA FUNZIONE D" (ol; * peo. . di matt ta on mento T(p)= =_-P_- CR LS v cr £ ( N) imt1 an(imtl). genti ‘ino n-3 ui (n ) FAP ann 9). pimt3 n_-3 m="— A Vv n—4m 4m+1__ nplio (+ 1)amp1 1; TSE Sn n_4m mt Sin x (0 +-1)em+s MTinTE. p' °( in cui @ è l'argomento di p, e C la costante Euleriana. Anche quest’espressione dell'argomento si può mettere sotto una forma più condensata scrivendo : (VI) na Argomento F(p,= —® — CB nr i SI (10) ema MEI pimdr L ee | È Sn vi — (4m+3) Qim+3 i, 1) dad (72) tm 43 a” Mie B | . N. m=0 . Possiamo dunque esprimere gl’integrali coordinate di [(p) direttamente in funzione delle coordinate a e B di p; queste espressioni sono : n no ; | x%-1e-* cos(8.logx) dx, | e “+0. cos(8.2) dx, : 0 wi Di PA = aid | sk | e-9+% cosa dr rai A x - che risultano dal primo ponendo e”, ed eé invece di x; sono tutti — tre uguali a: n_3 Ò TON api i LRD IRE — Ca n TT | = E > abbaini genere) pr) Va? + p? 3 Lu A € m=0 im+ \ | ai Pig A Pera si (al Ri (A) ant), pini —_ ma n_3 a — ——- v 2 (2)mbs qn(4m+3) gres . \ \- + N46 F. TAVANI Le uguaglianze che sussistono fra quest’ultima espressione — e ciascuno dei tre integrali suddetti continuano a sussistere | qualora si cambi in esse la funzione coseno in seno, ottenendo | così l’espressione di altri tre nuovi integrali analoghi ai pre- mezzo della relazione : cedenti : Passiamo a considerare la funzione 2(p) legata a T(p} per | (VII (= [a È 1 Lim Joe A La funzione 2(p) è rappresentata dalla serie : | "i HRR | 20)=1+5 a RUDE rt dat È in cui la parte reale della variabile complessa p resti superiore all'unità. S'ottiene l’espressione di 2(p) sotto forma di vettore con x un procedimento analogo a quello adoperato per T(p), cioè scrivendo : n ee È (cos(—Blogr)+isin(—fplogn)) ossia a 1 __ cos(—B.logn) . sen(— B.logn) 3 ne n # u n° 1 onde : I A 00 1 — BR. log CORR] i (1X) e(0)= » cos ( E, ogn) +13 sen ( sen (E L0gR) SERIA, (ei ne na ì a ì dove si osservi che l'acersusa me io dei termini col fattore é È è lecito in virtù della convergenza assoluta della serie: Li CA (ablosa), dicano la E loan). 0 P n% (1) Rramanx, Ueber die Anzahl der Primzahlen unter einer gegebenen Grenze "o (£ Gesammelte Werke ,, p. 145-153, 2 edizione). ag ted tell AR Le 4 ECC. 45 Ora la relazione (VIII) succitata ci fornisce ancora un’altra espressione di =(p) sotto forma di vettore. Infatti riducendo a o PI, pr na n a, tire ia INTORNO ALLA TEORIA DELLA roNzioNaE questa forma l'integrale fa 2 da sl ottiene : i x“ cos (8. loga) x — sen(B.log@) po) lg 2 de=[, FL PTT ‘onde sostituendo nella (VIII) l’espressione vettoriale dell’ultimo integrale e quella di F(p) si ottiene : o (e.°) (F xl e" cos(B.loga)da —i li x*—! e” sen (B. log@) ) da) fo, oe MUONI: sal 2 *-! cos(B.loga) a*7 sen (B.loga) ) i e — aiar le samba iii ossia : (x) sa vb O i x*e-sen(8.logx)dx fa een LELE) ie sE + ([,e9-te-esen(B.1oga)d2)(['® 8 sh i ((|[e&-te-"cos(8.10g.#)d2) (EE son og) gg) Mlivondinta b ali. Su; (f. ate sen(B.loga)d2)(| “a 4 Uguagliando le parti reali e le parti e di questa | ultima espressione rispettivamente colle parti reali e quelle immaginarie dell’altra espressione vettoriale (IX) di 2(P), si | ottiene: i $ dea cos C B logn) = TTRITE " (5 688 e-5c0s(8.log2) da)X x((? pra So al eg) CA )| sù (| .e&-e-2sen (8 .l0g2) da)X x (Geena a -— eibaaze - Cu gt F. TAVANI c sen (-— Rlogn 1 agata gni > (XII) Da DI; OE )— LIOIIG i[((, girl e cos (B.log:) dx)X w x*— sen (B.loga) dx )}- [(f x%-le-*sen(8. log) de)X "\Jo e —-1 <((® 2*1.c0s(B.loga) x Nea e—1 ci JE Non sarebbe difficile moltiplicare il numero di queste rela- zioni, il cui principale vantaggio è quello di contenere in un membro integrali legati fra loro per mezzo d’operazioni alge- briche e nell’altro membro espressioni libere dal segno d’inte- grazione; per ora non insisteremo su tal punto e ci limiteremo a far notare che le relazioni dianzi accennate, sebbene a prima vista possano parere complicate, si semplificano mediante l’uso delle funzioni trigonometriche degli argomenti di T(p) e (p). Passiamo a stabilire le espressioni di altri integrali definiti — che hanno una parte importante nella teoria delle funzioni F(p) e 2(p). Introducendo nella formula di Riemann le espressioni vet- toriali di F(p) e z(p) assegnate di sopra, si ba: (pra 4i Mg lla a- ! 6-5 cos (8 log.2) da) n ; (1+itangarg.F(p)) = ___ {[® 2% cos(B.loga) ° x*-1sen(B.loga) i se er = de sti | gia da. Sostituendo all’integrale del primo membro il suo valore: iF(p)|. cos arg.T(p) sì ottiene : }|F(p)i. cos argf(p) + è|F(p)|senargT(p){ \ cos (— sb Blogw) sen en £ B logn) [= e ca di Xi 1 cos(— Blogn) —_ =|F() |. cosarg (9). 3 ni — |F(p)|.senargT(p) po senl- fi logn) Pi 1 INTORNO ALLA TEORIA DELLA FUNZIONE NON ECC. 47 + i}100)].senargl(0) dr ICE ; + |F(p)|. cos arg lp). pieelAloegl logn) = ne 1 11 (lett 608 (Bilogx) + [° x! sen (B.logz) = [een leo) de+i | - ——_ Sl da. eo — e—- 1 _ Uguagliando fra loro le parti reali e quelle immaginarie dei due membri dell'ultima relazione s'ottiene : (XII) 1 © 24! cos (B.log@) b, c < cos(— Blogn) ee de TI) cos arg l(p) >) pig E° — sen argl'(p). da se iP lega) Re j 1 IV) TE erS) de = |F)1] sen arg (0). VETTA sen C È Bloga) 1 + cos arg f (p) . bè 1 e poichè |[(p)| ed arg(p) possono esprimersi direttamente per . mezzo delle coordinate a e 8 di p, senza implicare l'operazione d’integrazione, perciò i detti integrali restano così espressi sotto forma libera dal segno f. Ciascuno dei due ultimi integrali dà luogo ad altri due ot- tenuti dai primi mediante le sostituzioni di loga=y e loga6=y. In tutto si hanno così le espressioni dei sei nuovi integrali, Hi: Sii 00) sli 0 ciascuna coppia di essi rappresenta le coordinate di f 3 1 da, ossia della funzione 2(p) T(p). Avendo così ottenute le espressioni degl'integrali coordi- nate di F(p) e di F(9).2(p), per mezzo della sostituzione di queste espressioni nella formola fondamentale : pesa 8 Kind Sme sù, > > Parti A ® PUT! pina i > Di ES VP dt î ii La (w Do po IO Ra F. TAVANI si ottengono altre relazioni fra i medesimi; de queste relazioni. O si farà menzione solo della seguente : Î( [and e- cos (Boga) da) (1-4 i tang arg F(0))| Pd \ (d ton 61489) (14- itangarg 2(p) ) | = a n : RIT on li de ind fi x“ sen (B. log@) da ossia : (XV) (fresa e" cos (B.loge) da) 9 pgieali asl (1- i tang argl(p) (14 itang arg 2(p)= S[ O di dei | gf en = log x) EP: eo — e — ed uguagliando le parti reali e quelle immaginarie di quest’ul- — tima uguaglianza s’ottiene : (XVI) ( yy eerl Hlognl Fai e-* cos (B. log x) de " A [1 — tangarg 2(p). tangargT(p)) = __ [® #*-ccs(B.log'@) = aa (XVI (DI cel hora) 1 [ a e-® 6088. log@) de 1 [tang arg 2(p) + tang arg [(p)|= so 1 x271 sen (B.loge) gni 0 ee-l Queste formole esprimono una semplice relazione fra le | coordinate di (0) e quelle di 2(p).T(p) mediante la funzione | tang arg 2(p). vid Per completare la trattazione di =(p) come vettore resta 13 a trovare un'espressione dell’argomento di =(p), in funzione | della variabile' principale p. î INTORNO ALLA TEORIA DELLA FUNZIONE l (p), ECC. 49 Ci servireme a tal uopo della seguente relazione di Eulero (v. Formulario mathem., ed. V, pag. 230, Prop. 37 * 6) Il upp= Lat per-T lie in cui p rappresenta tutti i numeri primi positivi, e 2(p) è definita dalla solita serie Y n-2, come detto sopra. 1 Per calcolare |=(p)| facciamo le seguenti trasformazioni d’indole molto elementare : eden ____I i us no) i 1 = e (4-46) logpii | n. 1 O ARCANA) x 1— pz (cos(—B logp) +isen(— Blogn)) I è: i Il sal j1- co8(— Blog FMI, log p) onde: alii il a Bi ( Vi SE SRO cos(— Blogp) «da cui seguono: (VM |z(o)|=M = V+A È cos (— B log) | (XIX) DI cos SI PL ui sen (SEE |— 1 PL + — TE meo Ora siamo in grado di poterci servire dell'espressione : per esprimere l'argomento di 2(p). Atti della R. Accademia — Vol. LI. 4 i ra ki ae? NT "ae ed n Sag 50 F. TAVANI — INTORNO ALLA TEORIA, ECC. Si avrà quindi: (XX) \V/1+J2 21 cos(-p10gn)! a log \ Argomento 2(p) = m) tr = { I 1 \(1 ped pig cos (— Blogn))f} =; Zlog] ci P Heetida dp 1T—- pf ) La convergenza dell’ultimo prodotto infinito e quindi della serie di logaritmi che gli è uguale può stabilirsi in varii modi, fra i quali ci basti accennare che il detto prodotto 1A 21 cost-pogn | TR è il quoziente di due altri simili prodotti entrambi convergenti e diversi da zero. Si può anche osservare che il modulo del prodotto in parola è l’unità. Concludendo, i risultati che formano oggetto di questa Nota sì riducono principalmente alle espressioni di un gruppo di nuovi integrali strettamente legati alla teoria delle funzioni F(p) e 2(p), e perciò d’un interesse speciale nel campo della mate- matica pura. Oltre a ciò siccome questi integrali presentano nella loro forma una certa analogia con quelli impiegati nella rappresentazione analitica di fenomeni fisici periodici, la loro importanza potrebbe anche estendersi al di là dei limiti della pura matematica. Londra, 15 aprile 1915. L’Accademico Segretario CorraDo SEGRE. ra E PO nre ace _____—_ i CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 21 Novembre 1915. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CHIRONI, Direttore della Classe, Pizzi, D’ ErcoLe, Bronpr, ErnAaupr, BauDI DI VESME, SCHIAPARELLI, ParertA, ViparI, Prato, e SrAMPINI Segretario della Classe. È scusata l'assenza dei Soci Manno, CarLe, RUFFINI e SFORZA. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 20 giugno. Indi il Presidente S. E. BosELLI pronuncia le seguenti parole: “ La nostra Accademia indirizzò sempre il magistero scien- tifico a promuovere quell’avanzamento civile che deve essere benefizio comune per tutte le genti, e dai migliori anni del Regno di Carlo Alberto in poi divenne focolare d’italianità. “ Qui sedette Cesare Balbo, che proclamò l’indipendenza dagli stranieri come supremo diritto, come supremo dovere del popolo italiano: fu socio Vincenzo Gioberti che intorno al corso della civiltà cristiana dettò pagine di insuperabili sapienza ed eloquenza: qui presiedette Federigo Sclopis, che congiunse il nome dell’Italia a quell’arbitrato che parve promessa di una n e 52 nuova vita fra le nazioni e del quale egli legò a noi i luminosi documenti. “La guerra che oggi l’Italia combatte coll’ardimento su- blime e vittorioso dei suoi figli, col valore mirabile del suo Re, compirà la liberazione nazionale e noi salutiamo con commo- zione e con orgoglio i nuovi miracoli dell’italiana virtù. “ Ma rispetto alle sorti della civiltà umana, oggi tanto mal- vagiamente oscurata ed offesa, noi rimarremmo sconfortati ed incerti, se la fede costante nel progresso non vincesse le tenebre passeggiere: ma da ogni parte dove si pensa e si crede nella verità e nella fraternità umana deve sorgere un grido che sia anatema al presente, invocazione di un prossimo giorno di re- staurazione civile, in cui cessi di essere gloria il non aver pietà; in un prossimo giorno in cui le conquiste della scienza tornino ad accrescere la felicità dell’umana famiglia e non proseguano ancora ad essere istrumento di barbariche distruzioni. “ E con quale animo rammenteremmo le nostre tradizioni, e come si custodirebbe qui il retaggio di Federigo Sclopis se non si levasse alta e solenne la parola nostra contro tante per- fidie che straziano il diritto delle genti, il senso civile e la ra- gione umana per le terre, dall’aria, sulle acque e orrendamente sotto le acque dei mari? “ I trattati a pezzi, debellate le città indifese, bombardate le città lontane dalla guerra, uccisi gli inermi, devastata come preda la proprietà privata, atterrati i monumenti, sepolte le opere dell’arte, le biblioteche disperse, e rese con incredibili eccidî infeste e micidiali le vie destinate a collegare i commerci, i pensieri, i cuori fra i popoli lontani, così da infrangere il cor- rere di quella spola che creò e ravviva la civiltà. “ E nella mia gioventù imparai in questa Torino da Pa- squale Stanislao Mancini il diritto internazionale dell’èra nuova! E intesi Terenzio Mamiani ad annunziare il nuovo diritto pub- blico europeo « Considerate, chiarissimi Colleghi, se non sia giunta l’ora in cui ci si appartenga di rivolgere la nostra parola rivendica- trice della scienza, del diritto, dell'umanità ai sodalizi scientifici e ai nostri soci d'ogni nazione e colà dove si serbano le spe- ranze della pace ed anche colà dove prevalgono le cieche furie della guerra. ves iati. dinette in sa ia 9 (9) “ Considerate se a noi giovi inaugurando il nuovo anno accademico trarre simile aspirazione dal nostro passato, gettare sull’avvenire questo raggio di fede e di propaganda civile. , Il discorso del Presidente termina fra gli unanimi applausi, ed il Socio STAMPINI presenta il seguente ordine del giorno, che è ad unanimità approvato: “ La Classe di scienze morali, sto- riche e filologiche della Reale Accademia delle Scienze, udite e applaudite le parole del Presidente S. E. BoseLLI, è sicura di rendersi interprete del sentimento di tutta l'Accademia, delibe- rando che del discorso di lui sia inviata copia a tutti i nostri Soci di ogni paese e alle Accademie scientifiche di ogni nazione ,,. Il Presidente dà poscia comunicazione alla Classe delle deli- berazioni prese dal Consiglio d’amministrazione relativamente alla pubblicazione degli Atti e delle Memorie accademiche, e la Classe ne prende atto. Inoltre comunica il programma a stampa del Comitato Nazionale per la storia del risorgimento, relativo alla “ Raccolta di testimonianze e di documenti storici sull’attuale Guerra Italo- Austriaca ,, inviato da Roma il 1° agosto u. s. Il Socio Segretario StAmPINI dà notizia dell’estratto di ver- bale dell'adunanza del 9 agosto u.s. del Consiglio Provinciale di Torino, nella quale S. E. BoseLLi commemorò il compianto Senatore S. E. Villa. Dopo di che dà lettura della lettera mandata alla nostra Accademia, con data 8 luglio u. s., dalla Presidenza della Académie Chablaisienne di Thonon-Les-Bains (H'**-Savoie), ricordante i vincoli antichi che legano i Savoiardi all'Italia e l'amicizia delle due Nazioni latine, già consacrata col sangue sparso nelle giornate gloriose di Palestro, Magenta e Solferino, e auspicante la vittoria del domani che “ affirmera l’intégrité entière d'une Italie plus grande encore réalisant désormais le but de ses aspirations séculaires ,. Legge in seguito la risposta fatta a questa lettera dalla nostra Presidenza che, rendendosi interprete del pensiero dei Colleghi, esprime vivi ringraziamenti per l’atto squisitamente gentile, e, rievocando i nomi di illustri 54 Savoiardi che furono ornamento della nostra Accademia, sog- giunge: “ Noi abbiamo incrollabile fede nel trionfo delle armi che combattono per il diritto, per la giustizia, per l’ umanità; e siamo lieti che in questa lotta si trovino uniti a noi i discen- denti di quei Savoiardi che già furono prodighi del loro sangue per la causa degli Italiani. Ora la causa, che stringe in patto fraterno le genti latine della Francia e dell’Italia, trascende i limiti d’una guerra nazionale: è la causa dell'umanità che sì sente colpita in ciò che essa ha di più rispettabile e di più sacro, e vuole a tutti i costi ristabilito l'impero della giustizia, del rispetto ai diritti delle genti. Fermi in questo volere, noi Italiani stringiamo la mano a Voi, forti figli di quella terra il cui nome è tuttora il grido glorioso de’ nostri soldati, quando sereni e baldi corrono alla gloria e alla morte nell’ assalto al nostro comune nemico ,. Il Socio EinAuDI presenta un suo opuscolo intitolato Il Bi- lancio italiano. Quali difficoltà esso ha superate in passato; come è divenuto migliore e quale nuovo sforzo esso è capace di compiere. L'opuscolo è stato pubblicato dalla Società Italiana per il pro- gresso delle scienze. La Classe ringrazia. Dopo la presentazione fatta dal Presidente, con parole di vivo encomio, del catalogo a stampa Sezione risorgimento italiano della Biblioteca civica di Torino, recentemente pubblicato, il Socio STAMPINI presenta il volume I, comprendente il Testo, del- l’Epistolario di Guarino Veronese raccolto ordinato illustrato dal nostro Socio corrispondente Remigio SABBADINI, che volle farne omaggio all'Accademia, e pubblicato dalla R. Deputazione Ve- neta di storia patria. Il Socio SrampINI nota la grande impor- tanza di questa nuova pubblicazione del Sabbadini, anche se sia soltanto giudicata dal presente volume, così per la storia del- l’umanesimo e della coltura del sec. XV, come per rispetto a quella delle letterature classiche, e mette in rilievo il metodo severo con cui l’epistolario è stato diviso e criticamente pub- ten fi fi ” 55 gi blicato, utilizzando per il testo tutti i numerosissimi codici Gua- riniani (circa 120) che trovansi sparsi nelle biblioteche d’Italia, non solo, ma altresì, e sono molti, nelle straniere, di Francia, Belgio, Inghilterra, Svizzera, Danimarca, Germania, Austria; e conclude ricordando le altissime benemerenze del Sabbadini ri- guardo a questi studi e auspicando dall’attuale volume l’insigne contributo che sarà dato alla scienza dalla seconda parte della pubblicazione, la quale comprenderà le introduzioni e gl’indici. — La Classe ringrazia e si rallegra con l’illustre donatore. L’ Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 28 Novembre 1915. L] PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D’Ovipro, e i Soci SaLvapori, Naccari, PeANo, JADANZA, Foà, GuARESCHI, GUIDI, Parona, MartIRoLo, Grassi, SomieLiAaNA, FuSARI e SEGRE, Se- gretario. Letto ed approvato il verbale della precedente adunanza, vien presentato un opuscolo inviato in dono dall’autore Pro- fessor CeLORIA, Socio corrispondente, Sulla eclisse totale di Sole del 21 agosto 1914 e sul passaggio di Mercurio sul disco solare avvenuto il 7 novembre 1914. Il Socio Grassi offre in omaggio la 3% edizione dei suoi Principii scientifici della Elettrotecnica, e quella del 2° volume del suo Corso di Elettrotecnica. Il Socio GuaRrESscHI presenta, per la stampa negli Atti, un suo scritto: Delle singolari proprietà della calce sodata, Nota II. Ed anche per gli Atti vengono presentati i lavori seguenti: G. CoLonnertI, Elasticità e resistenza degli acciai ad alto tenore di nickel. Nota I. dal Socio GuIpr; Atti della R. Accademia — Vol. LI. ha) ri ® Gi sn - C. L. Riocr, L’equilibramento delle masse rotanti a grande È, velocità. Nota I, dallo stesso Socio Guipi, per incarico del Socio f 4 PANETTI; i. F. CanteLLI, Resti nelle formole di quadratura, dal Socio PEANO; É (1. VirALI, I teoremi della media e di Rolle, dal Socio SEGRE. Hi Raccoltasi poscia la Classe in adunanza privata, procede alla nomina di due delegati presso il Consiglio di amministra- zione dell’Accademia: riescono riconfermati per un nuovo triennio i Soci JADANZA e SALVADORI. ICILIO GUARESCHI — DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ, ECC. 59 LETTURE Delle singolari proprietà della calce sodata. Nota Il del Socio I. GUARESCHI. Nella Nota precedente su questo stesso argomento ho esposto le generalità che riguardano le curiose proprietà da me osser- vate nella calce sodata, ed ho fatto vedere come sia un agente assorbente, decomponente, idrolizzante e sintetizzante molto ener- gico. Ho esposto le esperienze .fatte con elementi e composti alogenici, e coll’ossicloruro di carbonio o fosgeno. Ora espongo le esperienze fatte con molti altri gas e specialmente con quelli del gruppo dello solfo, del carbonio, del cianogeno, ecc. 2) Ossicloruro di carbonio o fosgeno COCì* (contin.) (1). Alle notizie date nella mia Nota l: Delle singolari proprietà della calce sodata, pag. 4, aggiungo ora le seguenti: Determinazione della quantità di COC? assorbito dalla calce sodata. — Per stabilire la quantità in peso di ossicloruro di carbonio assorbito dalla calce sodata ho usato un tubo ad U la cui curvatura fosse un poco allungata orizzontalmente come l’in- dica la figura a pagina seguente. Nel mezzo della parte orizzontalmente mettevo una carta di tornasole asciutta e piegata compresa fra due batuffoletti di cotone ; si pesava così il tubo vuoto munito dei suoi tappi; poi riempivo la branca sinistra del tubo con la calce sodata da esa- minare, il cui peso poteva variare da 10 a 14 grammi; si pe- sava di nuovo, poi riempivo l’altra branca, a destra, con calce (!) “ Atti R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1915, vol. LI pag. 4. ne 60 ICILIO GUARESCHI sodata e si tornava a pesare il tubo così caricato. Ciò fatto, fa- cevo passare il gas con corrente più o meno lenta di aria ; il gas si fissa tutto nella prima branca, la calce sodata si scalda, si formano delle goccioline d’acqua e quando tutta questa calce sodata è saturata da COCI? allora il gas umido e a reazione acida arrossa la carta di tornasole e andrebbe ad essere fissato nella seconda branca. L'acqua che si produce nella reazione viene assorbita dalla calce sodata della branca a destra e così nulla si perde. A questo punto si cessa. Se il gas proviene da soluzione toluenica, in ultimo si fa passare un poco d’aria secca depurata attraverso un tubo a calce sodata. Si pesa il tubo; la differenza fra la terza e la quarta pesata ci dà l’ossicloruro assorbito. In questo modo ho stabilito che la calce sodata recentemente preparata e a granelli medi di 1 a 4 mm. assorbe per 100 gr. circa 1000 cm3 di COCIÌ? ; in una prima esperienza in cui il gas passò un po’ troppo in fretta ottenni 1097 cm e nella seconda DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 6I in cui si colpì giusto il punto di assorbimento, se ne assorbi- rono 1007 cmì, Vedremo poi in un altro capitolo le differenze che vi sono sotto questo riguardo secondo le varie calci sodate. Esaminai un campione di calce sodata recentemente prepa- rata e in granelli piccoli da 0.5 a 1 mm. Gr. 10.854 assorbono gr. 0.697 di ossicloruro di carbonio cioè 158 cm e 100 gr. di calce sodata ne assorbirono 1453 em? Non sono che numeri approssimativi perchè in queste espe- rienze ha grande influenza la velocità colla quale passa il gas, la grossezza dei granuli e l'essere la calce sodata più o meno recente. Ed invero gr. 10.077 di un campione della stessa calce so- data che ha assorbito 1.453 cm*, ma in granelli un poco più piccoli ed usando una corrente molto lenta di ossicloruro di car- bonio assorbirono gr. 1.003 di COCI? cioè 226.9 cm vale a dire per 100 gr. = 2251 cmî. Dunque con calce sodata in granelli piccoli e corrente lenta di COCI? se ne assorbono, per 100 gr., da 1500 a 2250 cm?. Un campione di calce sodata Kahlbaum, buona, ma vecchia, conservata in vaso di vetro con tappo di sughero, pesante, che non faceva incandescenza coll’acido solfidrico, assorbì per 100 gr. S04 cm di COCÌ?. La calce sodata preparata dal Ca0 ottenuto dal marmo as- sorbe molto meno ossicloruro; 100 gr. ne assorbirono 545 em'. Della calce sodata che era stata preparata con calce e soda nel rapporto di 1:1 diede pure buoni risultati: gr. 12.455 as- sorbirono gr. 0.9954 di COC? cioè 225.4 cm, ossia per 100 gr., 1809 cm?. L'esperienza durò 15 minuti usando una lenta cor- rente d’aria secca. Della buona e recente calce sodata stata in un tubo di latta per circa tre mesi, come quelli proposti per i soldati, si era conservata bene; faceva ancora incandescenza col gas solti- drico e 100 gr. assorbirono 797 em? di COCIÌ?, Come invece era prevedibile, la calce sodata quando è satu- rata con acido carbonico ancorchè non abbia assorbito dell’acqua, non fissa più il fosgeno. Io ho saturato della calce sodata in fini granuli con gas anidride carbonica secca, poi vi ho fatto pas- sare del gas fosgeno ; questo passava tutto inalterato. uaar "sei PA 62 ICILIO GUARESCHI Dunque se la calce sodata ha assorbito dell’acqua e poco 0 punto di acido carbonico è ancora attiva sul fosgeno, ma non lo è più se saturata con gas carbonico. Ho fatto passare il gas fosgeno attraverso a molte materie organiche solide e di natura diversa, quali: il £ naftolo, la p. toluidina, l’acetanilide, la difenilamina, l’ossalato di diaceta- namina, la resorcina, la benzamide, ecc. ecc., ma non veniva assorbito. Veniva assorbito bene dall’anilina e da altre sostanze. Di altre esperienze fatte recentemente col gas fosgeno dirò in un’altra nota. Conelusione. — L'unica sostanza praticamente utile per l’as- sorbimento del fosgeno è dunque la calce sodata. 3) Idruri del gruppo dell’ossigeno e dello zolfo. Vapor d’acqua, acidi: solfidrico, selenidrico e telluridrico. I composti H?0, H?S, H?Se vengono assorbiti con grande rapidità dalla calce sodata. Restano da fare delle esperienze coll’acido telluridrico, ma non vi è dubbio che date le sue grandi analogie cogli acidi solfidrico e selenidrico anch’esso verrà assorbito. Il massimo di velenosità di questi corpi sì trova nell’acido selenidrico : H20 inattivo, H?S velenoso. H?Se velenosissimo. H?Te poco velenoso. L'acido telluridrico ha odore meno forte di quello degli acidi solfidrico e selenidrico, ricorda un poco quello dell’idro- geno arsenicale; la sua azione sull'economia animale, scrive il Moissan, è pure assai minore, non provoca nè la tosse, nè la lacrimazione, ecc.; ciò dipende dalla sua facile decomposizione e dalla poca solubilità dell’acido telluroso proveniente dall’ os- sidazione del tellurio entro l'organismo (Moissan). Che la calce sodata possa servire ad assorbire il vapore d’acqua e quindi a disseccare l’aria è noto da lungo tempo. -———————x©=@» E SS . DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 63 A suo tempo esporrò le esperienze fatte sulla energia colla quale la calce sodata assorbe il vapor d’acqua dell’aria e sulla perdita di peso per riscaldamento. Acido solfidrico. — L'acido solfidrico è il gas che meglio serve in alto grado a dimostrare il singolare modo di agire della calce sodata, assai diverso da quello della calce, della soda e potassa caustica, prese separatamente. Era presumibile che l'acido solfidrico fosse assorbito dalla calce sodata, ma non con quei fenomeni che ho osservato io. Sulla calce sodata di recente preparata l'acido solfidrico pro- duce una reazione straordinariamente energica ; è assorbito colla più grande avidità e rapidità e con sviluppo di moltissimo ca- lore, anche quando lo si fa passare insieme ad una rapidissima corrente d’aria. La reazione è tanto viva, che in un certo mo- mento la calce sodata, quando passa l’aria in seguito all’acido solfidrico, diventa incandescente e manda viva luce. Ecco alcune delle tante esperienze che ho fatto. Intorno all’azione della calce sodata sull’acido solfidrico non ho trovato nessun lavoro, precedente a queste mie ricerche. Senza nessun pericolo, anche coll’ossigeno si può ottenere l’incandescenza nel modo seguente: 32 gr. di calce sodata buona furono posti in un tubo ad U di 1.8 mm. e ne fu riempito un tratto di solamente 14-16 em. Il tubo a destra era munito di un tappo a due fori, uno pel gas solfidrico e l’altro per l’aria o l'ossigeno. Si fece passare una corrente regolare ma rapida di acido solfidrico puro, dis- seccato o no col cloruro di calcio, sino a che l’annerimento fosse visibile per 10 a 12 cm. Allora si fece passare, chiusa la con- duttura dell'acido solfidrico, una corrente di aria, oppure di aria che passava per una boccia contenente un litro di gas ossigeno, poi si accelerò la corrente; dopo pochi minuti si manifesta viva incandescenza e formazione di fumi o nebbia bianca che passa anche nell’aspiratore. Nessun pericolo di esplosione. Attraverso a 24 gr. di calce sodata recentemente preparata ho fatto passare per spostamento con soluzione satura di cloruro di sodio 1 litro di gas H?S puro e disseccato attraverso il clo- ruro di calcio. La calce sodata annerì, sì scaldò, ma non divenne incandescente. Passato il litro di gas solfidrico, feci passare una en an 64 ICILIO GUARESCHI corrente d’aria, l'’annerimento diminuì, ma Ja calce sodata nor divenne incandescente. Ma la reazione ha un andamento ben di- verso se si fa passare insieme l’acido solfidrico e l’aria nel modo segzuente: Attraverso un tubo ad U del diametro di poco più di 1,5 cm. contenente 40 gr. di calce sodata di recente preparata feci ra- pidamente passare un litro di acido solfidrico insieme a corrente d'aria. Il gas solfidrico fu rapidissimamente assorbito e la carta d'acetato di piombo posta nella parte opposta del tubo non dava segno di acido solfidrico. La calce sodata si colora subito in bruno-scuro e rosso, e in alcuni punti in ranciato; si sviluppa molto calore, al punto che non si può toccare il tubo, e dopo pochi momenti, nel punto ove sarebbe il sesto o l’ottavo cen- timetro della calce sodata, questa diventa incandescente, manda viva luce, e nel tempo stesso nella boccia Habermann di aspi- razione si notano abbondanti fumi o nebbia bianca, che va sino entro alla pompa ad acqua (!). L’incandescenza si propaga per cinque o sei centimetri, poi cessa, e nella parte ove si è avuta l’incandescenza tutta la massa diventa bianca: l’aria ha ossidato i solfuri. Cessata la viva reazione, si fece assorbire nello stesso modo un secondo litro di gas acido solfidrico e l’incandescenza della calce sodata ebbe luogo verso la curva del tubo e si pro- pagò per 5-6 cm. ancora, con formazione di densi fumi bianchi; nulla di acido solfidrico passò. La velocità del passaggio del- l'acido solfidrico e dell’aria era pressochè quella della inspira- zione. Si fece agire un terzo litro di gas acido soltidrico, e nella seconda branca del tubo, a destra, si manifestò per la terza volta l’incandescenza (però senza fumi), ma prima un poco di acido solfidrico era passato ed annerì la carta di acetato di piombo. (') Cosa siano questi fumi bianchi, o questa intensa ed abbondante nebbia, non ho potuto ancora determinare. Questa nebbia non arrossa il tornasole e passa facilmente attraverso all'acqua. Dubitai fosse dell'anidride solforica, ma non sono riuscito, lasciandola in contatto dell’acqua, ad avere dell'acido solforico. Pare anzi che l’acqua assuma reazione alcalina; dubitai fosse della finissima polvere di calce sodata o anidride che trascina un poco di calce sodata. Spero di potere meglio studiare questa reazione qualora altri non entri in questo nuovo campo di studi. Ho costruito anche un apparecchio sem- plice per la formazione degli anelli di Tait. F 3 4 x bit EE A PE DELLE SINGOLARI PROPRIETA DELLA CALCE SODATA 65 L'acido solfidrico e l’aria disseccati col farli passare attra- verso a un tubo con cloruro di calcio, producono ugualmente l’incandescenza come quando non sono disseccati. Se nel far passare il gas solfidrico lo si fa precedere da una boccia contenente l’aria, allora non ha luogo l’incandescenza. L'aria deve seguire al passaggio del solfidrico, affinchè prima si formino i solfuri che poi coll’aria producono l’incandescenza. La parte in cui è avvenuta l’incandescenza rimane perfettamente bianca da quasi nera (solfuro di ferro?) che era prima. Invece la calce sola, in pezzetti, non fissa affatto l'acido solfidrico; l’idrato di sodio e l'idrato potassico in grani o in piccoli pezzi assorbono l’acido solfidrico, ma molto meno avi- damente e con sviluppo di poco calore; la potassa ingiallisce e a poco a poco si liquefa. La KOH e NaOH allo stato solido sì prestano meno bene della calce sodata anche per assorbire il cloro ed il bromo. Il fenomeno che osservai colla calce sodata e l’acido solfi- drico in corrente d’aria mi pare nuovo; non ho trovato nessuna notizia in proposito. Su questo straordinario fenomeno hanno influenza varie con- dizioni. Innanzi tutto, per chi volesse ripetere questa esperienza e modificarla col far passare l’ossigeno invece dell’aria, dirò su- bito che cadrebbe in errore ed in pericolo. Se nella esperienza precedente si sostituisce all'aria una bottiglia di un litro di os- sigeno che preceda quello di un litro di gas solfidrico, poco dopo il passaggio dei gas si scorge l'incandescenza, molto più rapida, ma dopo pochi istanti ha luogo una detonazione come una can- nonata e tutto l'apparecchio è distrutto. lo questo prevedevo, ma ho voluto fare l'esperimento ugualmente munendomi di una grossa maschera di rete metallica e lamine di mica per gli occhi. Alcuni pezzi di vetro caddero alla distanza di 10 a 15 metri. Rimasi quasi sordo per tre o quattro ore. Naturalmente, appena manifestatasi l’incandescenza, questa si comunicò al miscuglio detonante di ossigeno e acido solfidrico. Il solo tubo contenente la calce sodata rimase per caso intatto. Probabilmente in questo punto il miscuglio di H?S e di O nella bottiglia vicina al tubo era arrivato ad essere nel rapporto di 1 a 3, ossia H?S + 03, ed allora nell’istante che cominciava l’incandescenza questa de- terminò l'enorme esplosione del miscuglio. Dalle esperienze di 66 ICILIO GUARESCHI Freyer e V. Meyer (') si sa che scaldando a 250°-270° un mi- scuglio di H?S e O nel rapporto 1:3 ha luogo esplosione. Ho fatto delle esperienze facendo passare separatamente l’acido sol- fidrico e l'ossigeno (vedi sopra). (Questa esperienza coll’aria io l'ho ripetuta moltissime volte e non ho mai avuto esplosione. È una elegante e bella espe- rienza di lezione che si può eseguire nel modo seguente: in un tubo di vetro poco fusibile lungo trenta centimetri circa e del diametro di 1.2 a 1.5 cm. sì mette della buona calce sodata tenuta in posto fra due batuffoli d’amianto; segue al tubo una boccia di Habermann con acqua e un’altra boccia anche molto grande vuota, poi la pompa aspirante. Si fa passare 1 litro di acido solfidrico insieme ad aria, la calce sodata imbrunisce e dopo pochi momenti diventa incandescente e l’'incandescenza si propaga mano a mano dove prima era l’annerimento per solfuro e la calce ridiventa bianca; i fumi o nebbia riempiono la boccia di Habermann, la grossa boccia vuota e vanno nella pompa. Passano attraverso l’acqua come una vera nebbia. Ma per questa esperienza di lezione serve benissimo l’ap- parecchio rappresentato dalla figura A nella mia Nota I; anzi col tubo a forma di U l’esperienza riesce più elegante. Sul fenomeno della incandescenza coll’acido solfidrico e l’aria vi ha influenza anche la grossezza dei granuli della calce sodata. La calce sodata in granuli grossi da 4 a 6 mm. o più se anche recentemente preparata non divenne incandescente, e nemmeno se i granuli sono molto piccoli. In queste condizioni sviluppa pure molto calore, ma non arriva all’incandescenza come quando i granuli sono di grossezza media da 1 a 3 mm. misti. Il fenomeno dell’incandescenza non si produce se non colla calce sodata di recente preparazione. Non l’ho avuto con calce sodata Kahlbaum, con quella detta di Merck, di Erba, di Mar- quardt, ecc. (*). Nè l’osservai colla calce sodata preparata con (4) “ Zeit. f. physik. Ch. , (1898), XI, p. 81. (2) Ad esempio, 22 gr. di calce sodata Kahlbaum, ricevuta in vasi ben chiusi da circa 8 mesi (e preparata forse molto tempo prima), trattata nello stesso modo sopraccennato con 1 litro di gas solfidrico e corrente d’aria, arrossa, sviluppa poco calore, ed il gas passa subito inalterato e DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DEILA CALCE SODATA 67 proporzioni di calce e soda nel rapporto di 1:1, mentre |’ os- servai con calce sodata preparata col metodo di Fresenius spe- gnendo la calce colla soluzione di soda e calcinando, ma recente. Neppure colla pomice imbevuta di calce sodata e nemmeno con calce sodata recente preparata nel rapporto di 2:1 ma con calce viva dal marmo, cioè purissima. Tutte le calci sodate vecchie, anche se state ricalcinate, non dànno più l'incandescenza col gas solfidrico. L'essere pre- parata di recente ha l'influenza principale. Se della calce sodata recente, che dà l’incandescenza, si lascia su cartoncino all’aria per 7 a S ore, non produce più il fenomeno dell’incandescenza, per quanto sviluppi molto calore. Ecco come ho fatto l’esperi- mento. Circa 60 gr. di calce sodata recentissima e che dava l'incandescenza coll’acido solfidrico furono lasciati all'aria per circa 8 ore. Dopo questo tempo, metà della calce sodata fu sag- giata coll’acido solfidrico e non dava più incandescenza, come non la dava l’altra metà dopo che fu calcinata. Così pure, attraverso a calce sodata recentemente preparata e che diventava incandescente coll’acido solfidrico, feci passare una rapida corrente d’aria del laboratorio, per circa 20 minuti (e un’altra volta 10 minuti), e l’incandescenza coll’acido solfi- drico non ebbe più luogo. Come si scorge, l'acido solfidrico è un buon mezzo per giu- dicare se la calce sodata è preparata di recente e ben conservata. Non osservai differenza fra l’acido solfidrico nelle condizioni ordinarie e l’acido solfidrico disseccato. 1 litro di questo gas non disseccato, in corrente d’aria attraversò la calce sodata e produsse l’incandescenza con fumi, come fu detto più sopra. 1 litro di acido solfidrico disseccato passando con aria attraverso cloruro di calcio produsse pure incandescenza con fumi bianchi. Un fenomeno analogo, ma meno bello, si ha quando si fa passare del gas solforoso puro sul biossido di piombo, ma non si hanno i fumi bianchi o la nebbia come nel caso della mia reazione. tanto meno fa incandescenza. Così presso a poco si comportarono le calci sodate fornite dalle Case Merck, Marquart, Erba (molto simile a quella di Kahlbaum), ecc. Invece nelle stesse condizioni la calce sodata, recente- mente preparata e fornitami dal dott. Rotta, produce subito l’incandescenza. 68 ICILIO GUARESCHI Ho fatto passare separatamente l’aria o l’ossigeno e il gas solfidrico attraverso Ja calce sodata, mediante condutture sepa- rate. Allora anche coll’ossigeno, come è naturale, non si ha esplosione, ma solamente l'incandescenza. Nella branca a sinistra del tubo ad U si mette un tappo a due fori per uno dei quali passa un tubo che conduce l'acido solfidrico e per l’altro l’aria o l'ossigeno; quando è passato tanto solfidrico da annerire metà della calce sodata, si comincia con un aspiratore a far passare l’aria o l'ossigeno; dopo alcuni minuti ha luogo l’incandescenza, che si propaga sino a bruciare tutto il solfuro. La calce che ho adoperato in alcune di queste esperienze, di recente preparata, conteneva delle piccole quantità di rame; io volli vedere se aumentando la quantità di rame si facilitava l’incandescenza. A circa 25 gr. di calce sodata aggiunsi circa 0.3 di solfato di rame. Poi coll’acido solfidrico si è proceduto come al solito, ma non osservai la incandescenza, benchè fosse calce sodata che per se stessa produceva col solfidrico intensa la incandescenza. Ponendo il gas solfidrico puro e secco sul mercurio in cam- panella graduata ho determinato, con approssimazione, la quan- tità di gas solfidrico che viene assorbito. In una prima esperienza gr. 0.095 di calce sodata recente in grani medi, da 1 a 2 mm., dopo 1 minuto assorbirono 22.5 em? di gas. cioè per 100 gr. sarebbero 26300 cm8. Dopo 2 minuti == 27560 cm*, dopo 20 minuti = 29000 em} e dopo 26 ore — 85260 cm$. In una seconda esperienza gr. 0.174 di calce sodata anche essa recente dopo 2 minuti assorbirono 30 cm? di H?S cioè % = 17200 cem}, dopo 10 minuti 20640 em}. dopo 24 ore = 29240 cm3 e dopo 47 ore = 31000 emì. In una terza esperienza con calce sodata Kahlbaum gr. 0.2282 in granuli introdotti in 96 cm di gas dopo 2 minuti ne assor- birono 15 cem', cioè per 100 gr. = 5700 ecm}, dopo 20 minuti = 7880 cm, dopo 18 ore = 15780 em3; dopo 22 ore s’arrivò a 20590 cm, dopo 25 ore = 24540 em? e dopo 40 ore =°30000%em?. Come sì scorge, in questo campione di calce sodata l’assor- bimento si fa lentamente in principio e più rapidamente dopo. La calce sodata più attiva, più recente assorbe la maggior | | ec -—__reat-zr--_-isi 55: I B6}>bòPtPbPERPEPECOo_—- DELLE SINGOLARI PROPRIETA DELLA CALCE SODATA 69 parte del gas nei primi minuti e molto lentamente dopo. Ecco perchè facendo passare rapidamente una corrente d’aria con gas solfidrico la calce sodata recente e quella che annerisce molto col gas solfidrico lo fissa subito e non ne passa oltre nemmeno una traccia; mentre la calce sodata Kahlbaum bianca, e che col solfidrico appena imbrunisce, nelle stesse condizioni di ra- pidità di corrente, lascia passare il gas solfidrico. In questo caso dunque è più questione di differenza nella rapidità dell’as- sorbimento che non nella quantità di gas assorbito. Mediante moderata corrente di gas solfidrieo ho voluto vedere quanto se ne assorbiva dalla calce sodata nell’apparec- chietto sopra cennato. Gr. 10.40 di calce sodata assorbirono 2.48 gr. di gas H?S, ossia 1616 cm, e per 100 gr. = 15540 emì. L'esperienza durò 16 minuti. Come si scorge, in questo caso si assorbe meno acido sol- fidrico (però sempre molto relativamente ad altri gas) che non ponendo la calce sodata entro il gas. Come avvenga l'assorbimento non ho potuto stabilire. Se O ammettiamo l’esistenza del composto Car e che su questo NaOH agiscano due molecole di acido solfidrico, allora si avrebbe: 20 70H Car + 2H?S = Ca, + NaSH + H°0 “NaOH SH ossia per 100 gr. = 46500 em? di H?S, si assorbirebbero. Ma 20) x sì troverebbe me- NaOH scolato all'eccesso di calce e di carbonato, si può capire come praticamente 100 gr. di calce sodata possano assorbirne nei primi 2 minuti da 20 a 27000 cm? e nelle 24 ore da 30 a 35000 cmì. Se invece si ammette la reazione fra idrato di sodio e acido solfidrico, ossia: se si tiene conto che il composto Ca 2Na0H + 2H?S — 2 NaSH + 2H?0, allora per 100 gr. si assorbirebbero 55870 em3 di H?S, cioè molto più di quello trovato. e + pu pe" i, b A î » uc! Le Je 70) ICILIO GUARESCHI 2() l'esistenza del composto Ca, nella calce sodata ‘NaOH fresca o ben conservata spiegherebbe la grande energia che ha questo corpo verso H?S. Invece nella calce sodata vecchia 70) | Na0H posto dall'acqua e dall’acido carbonico assorbiti, e quindi si spiegherebbe come l’assorbimento in principio sia minore e come questa calce non produca incandescenza. La proprietà che ha la calce sodata di assorbire così avi- damente l'acido solfidrico ed altri gas (fra i quali l'idrogeno (Kahlbaum) il composto Ca sarebbe già in parte decom- arsenicale e antimoniale) fa sì che può essere utilizzata, come dirò più avanti, per depurare l'idrogeno proveniente da zinco impuro per solfo, antimonio e arsenico. Spero di fare delle ricerche con altri composti che reagi- scono vivamente coll’acido solfidrico e di trovare le condizioni per osservare il fenomeno dell’incandescenza. Berzelius (7raz86, Il, p. 276) osservò un fenomeno di propagazione luminosa istan- tanea durante la calcinazione di certi composti antimoniali. Ma questo fenomeno deve essere di natura molto diversa. Idrogeno seleniato o acido selenidrico. — L’idrogeno seleniato, analogo all'idrogeno solforato, fu scoperto nel 1817 da Berzelius. E un gas incoloro molto velenoso ed è fissato rapidamente dalla calce sodata al punto che facendo passare il gas attra- verso un piccolo tubo contenente calce sodata, dalla parte op- posta all'entrata del gas nulla si sente dell’odore acutissimo di questo gas. La calce sodata si colora in bruno rossastro o per seleniuro metallico o anche per selenio svoltosi in libertà. Data la grande velenosità di questo gas poco conosciuto, credo op- portuno esporre le mie osservazioni seguenti. Quando l’acido selenidrico è diluito con molta aria ha un odore analogo a quello dell'acido solfidrico o anche del cavolo marcio, ma quando è concentrato o schietto, e se ne fiuti anche solamente qualche bolla, produce nelle narici un intenso e acuto bruciore, molto doloroso, e pare quasi che la mucosa del naso sia forata da spilli. E ST SR E e e al di; nane eee PT Va e” pera Pe I DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 71 Berzelius per il primo s'accorse che l'acido selenidrico è un veleno potentissimo e ne descrisse l’azione fisiologica. Credo non privo d'interesse riprodurre qui quanto io ho scritto nel mio lavoro intorno alla vita ed alle opere di Ber- zelius (1). L'esattezza di Berzelius nella descrizione dei fenomeni che osservava era insuperabile; io ne ho avuto una prova evidente nell'azione fisiologica dell'idrogeno seleniato. In quasi tutti i Trattati si accenna all’azione dell'acido selenidrico come ana- loga a quella dell'acido solfidrico, coll’aggiunta che l'odore è più irritante e che eccita la lacrimazione. Anche nei Trattati di chimica tossicologica si trova ben poco riguardo all’acido selenidrico. ll Lewin dice solamente che 1'H?Se irrita le mucose sino all’infiammazione e che dall’inalazione prolungata di questo gas nell'uomo risulta un avvelenamento di lunga durata. Nel giorno 3 di agosto di quest'anno 1915 io volli vedere e provare se l'idrogeno seleniato, come era facilmente preve- dibile. fosse fissato bene dalla calce sodata. Preparai un poco di questo gas con seleniuro di ferro e acido cloridrico; durante questa preparazione sentii come un odore di acido solfidrico, ma per accertarmi meglio fiutai qualche bollicina di gas quasi schietto. Al primo momento pareva acido solfidrico, ma dopo pochi istanti sentii nella narice destra, colla quale avevo fiutato, un dolore, un bruciore acutissimo, orribile, come di minuti spilli che si infiggessero nella mucosa, bruciore che eccitava la lacri- mazione; la saliva diventava filante e dopo qualche tempo provai dolore forte al lobo frontale destro; il senso dell’odorato diminuì assai al punto che il cotone imbevuto di ammoniaca non mi dava noia; dopo 5 ore cominciò a prodursi una noiosa coriza, acquosa, che mi impedì il sonno per una notte intera e che mi durò più di quattro giorni. Non prevedevo tutta questa serie di sintomi poco gradevoli. Ero in quei giorni appunto oc- cupato intorno ai lavori di Berzelius, e lessi attentamente quanto egli diceva dell’azione di questo gas potentemente venefico, e vi trovai ampie notizie che non ritrovai più in altri libri. Ecco quanto egli scrive nel suo 7’raité, ed. frane., 1845, t. I, pag. 201: mr . (') I Guarescni, J. SJ. Berzelins e la sua opera scientifica. Torino, U. I Ed. T., 1915, 1 vol. in-4° di pagg. 160, dal © Supplem. Ann. 1915 ,, 72 ICILIO GUARESCHI “ Le gaz acide sélénhydrique est incolore: et s'il est mélé de beaucoup d’air atmosphérique, il présente une odeur tel- lement semblable à celle du sulfide hydrique, qu’il est difficile de l'en distinguer; mais lorsqu@on respire ce gaz dans un état plus concentré, on remarque une différence dans l'odeur; ce ‘ n'est plus alors, à vrai dire, une odeur; c'est la sensation “ d'une douleur brùlante qu'on éprouve dans le nez. qu'on dirait irrité par un pinceau de pointes d’'aiguilles fines. 1l est dan- “ gereux à respirer; et la membrane muqueuse des fosses na- ‘ sales, méme après n’en avoir été frappée que d’une quantité insignifiante, est bientòt atteinte de sécheresse; la conjonctive ‘ méme s’injecte, et les yeux rougissent. En manipulant ce gaz, il faut donc se garder d’en respirer les moindres traces. Ce ‘ gaz produit sur la trachée-artère et les organes respiratoires les effets les plus violents, qui, a ce qu'il paraît. peuvent fa- ‘ cilement devenir dangereux. En agissant sur l’organe olfactif, “il fait d'abord naîitre une odeur parfaitement semblable à celle du gaz sulfide hydrique; mais à peine a-t-on pergu cette odeur, qu'on éprouve sur tous les points des fosses nasales, frappés par le gaz, une sensation douloureuse de picotement et de “ constriction. Cette sensation rappelle assez celle que produit le gaz fluoride silicique, mais elle est infiniment plus vive. Les ‘ yeux deviennent instantanément rouges; l’odorat disparaît complètement. Dans la première expérience que je fis pour ‘ apprécier l’odeur de ce gaz, après n’avoir inspiré par l’une des narices qu'une bulle de gaz de la grosseur d’un pois, je perdis tellement la faculté olfactive pour plusieurs heures, que je pouvais flairer l’ammoniaque la plus concentrée sans éprouver la moindre sensation. L’odorat se rétablit au but “ de cinq à six heures, mais il resta un coryza violent et in- commode, qui dura 14 jours. La cause de ces effets tenaces réside en ce que la sélénide hydrique se décompose avec une facilité extreme, par l’air qui se trouve en contact avec la membrane muqueuse du nez et des organes respiratoires:; le sélénium se précipite, et s’y fixe aussi solidement que les ma- tièeres colorantes sur les étoffes; et les symptòmes du coryza ne cessent que lorsque la matière étrangère, fixée sur la mem- brane muqueuse, est complètement éloignée, ce qui ne s’effectue que très-lentement ,. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA #3 Io penso che anche qui il Berzelius abbia ragione. Secondo me la materia estranea, in questo caso il selenio ridotto, sarebbe, non quasi allo stato colloidale come supponeva Berzelius, ma in piccolissimi e microscopici aghetti infitti nel tessuto della mucosa, da ciò il dolore acutissimo. L'osservazione microscopica sarebbe utilissima. Il selenio con facilità cristallizza. L'acido selenidrico in contatto dell’aria umida, e tanto più di materia organica, è decomposto con deposito di selenio rosso cristallino. I corpi porosi facilitano la decomposizione dell’acido selenidrico. lo pertanto ho avuto il piacere, per quanto doloroso, di confermare ciò che ha scritto il Berzelius da quasi 100 anni sull’idrogeno seleniato. Per alcuni altri particolari si vegga anche la sua classica Memoria sul selenio (1). Dopo ciò che ha scritto Berzelius sull'azione fisiologica del- l'idrogeno seleniato poco si è aggiunto. La sua azione, scrive Moissan, si porta sovratutto sulle mucose del naso e dei bronchi e produce una coriza tenace e una tosse insistente è dolorosa (?). I vecchi Trattati di Chimica facevano cenno di quest’azione speciale dell'idrogeno seleniato, ed il Pelouze e Frémy nel loro Traité de Chimie. 2% ediz., 1854, t. I, pag. 433, scrivono: “ Il possède une odeur qui rappelle entièrement celle de l’acide sulphydrique:; il est encore plus vénéneux que ce dernier acide. Lorsqu'on en respire une certaine quantité, il irrite fortement la muqueuse des fosses nasales; le sens de l'’odorat est méme complètement paralysé et ne revient qu'au bout de plusieurs heures, sonvent méme au bout de plusieurs “ jours ,. s” ® Pressoche come scriveva Berzelius. Anche il nostro Gazzeri nel suo lodevole Compendio di un Trattato elementare di Chimica, Firenze, 1828, t. 1, pag. 180, ricorda le proprietà fisiologiche e l’azione venefica dell'idrogeno seleniato, quasi colle stesse parole di Berzelius. L'acido selenidrico è fissato rapidamente dalla calce sodata, trasformandosi in seleniuro e credo anche in parte riducendosi (!) Recherches sur un nouveau corps minéral trouvé dans le soufre fabriqué à Fahlun (° A. Ch. ,, 1818 [2], t. IX. pag. 233-234). (2) Traité de Chim. min., t. I, pag. 469. l Atti della R. Accademia — Vol. LI. 6 dii Cera 74 ICILIO GUARESCHI a selenio libero che rimane aderente. Nella parte opposta del tubo pel quale passa l'acido selenidrico non si ha il minimo indizio della sua presenza. Dunque dato il caso che si costruissero delle bombe con- tenenti di questo gas, anch'esse riescirebbero inefficaci perchè la calce sodata fissa il gas; ma il rimedio deve essere pronto, perchè l’azione di questo gas si fa sentire istantaneamente. 4) Anidride solforosa o acido solforoso. Il gas solforoso viene assorbito dagli alcali e dai carbonati alcalini, come è noto a tutti. Quando si fa passare il gas solforoso per un tubo conte- nente, ad esempio, 117 gr. di Na?C0.10 H20 in minuti cristalli, viene facilmente assorbito ed il carbonato si liquefà: non si sviluppa calore. Anche facendo passare 2 litri di SO? schietto, tutto rimane ‘fissato, e solo la metà del carbonato rimane in- taccata. Facendo passare il gas solforoso attraverso la calce sodata viene immediatamente, rapidissimamente assorbito con sviluppo di molto calore; la temperatura può salire oltre i 150°. L’aria contenente molto gas solforoso può essere facilmente e con si- curezza respirata se passa attraverso calce sodata, la quale ha il vantaggio di restare solida e granulosa e di non lasciar sfuggire l'acido carbonico. In una esperienza io respirai 18 litri di aria che conteneva 3° di SO? senza nessun inconveniente ; in questo caso dunque la calce sodata può servire benissimo per respirare l’aria infetta da acido solforoso. In queste condi- zioni il tubo non sì scalda a più di 50°-60°. Con un tubo contenente 200 gr. di calce sodata si possono assorbire rapidissimamente sei litri di gas solforoso puro tra- scinato da rapida corrente d’aria. Ho voluto vedere quanto gas si assorbiva dalla calce so- data sia in peso, sia in volume. Il gas solforoso sul mercurio è assorbito rapidamente, sul principio, e poi mano a mano più lentamente: Gr. 0.188 di buona calce sodata in 3 granelli dopo 2 mi- nuti assorbirono 9.5 cm3 di SO?, e riferiti a 100 gr. di calce ,— 9 ————p_Gr — —— DELLE SINGOLARI PROPRIETA DELLA CALCE SODATA 75 sodata sarebbero 5050 em’; dopo 20 minuti 6900 em*; dopo 1°.45 furono 10400 em3; dopo 6".15: 14900 em; dopo 24 ore 17200 cemì, In un'altra esperienza gr. 0.30 di calce sodata pure recen- temente preparata assorbirono 19.5 em? di SO? cioè 100 gr. = 6500 em’. Gr. 0.0698 di calce sodata identica alla precedente furono messi in contatto con 23.7 em* di SO?, dopo 2-3 minuti se ne assorbirono 6.1 em?, cioè per 100 gr. di calce sodata 8600 em? e dopo 20 minuti 10400 em* e dopo 24 ore 15900 cm. L'assor- bimento continuò sino ad arrivare a 20770 em5 dopo 6 giorni. In un’altra esperienza con gr. 0.197 di calce sodata e 86 em? di gas dopo 2 minuti si ebbe un assorbimento di 6080 em? per 100 gr., dopo 20 minuti 8950 em’ e dopo 6 ore 15480 em?. Poi l'assorbimento si fa sempre più lento e dopo 10 giorni ar- rivò a 26640 cem?. Ciò che importa qui osservare, come in altri casì, non è tanto la quantità totale assorbita dopo più o meno lungo tempo, quanto la rapidità colla quale si assorbe il gas nei primi due minuti, cioè appena viene in contatto colla calce sodata. Questo è appunto ciò che succede quando si fa passare con corrente d’aria, anche rapidissima e mista con più o meno di gas solforoso, attraverso la calce sodata; il gas viene subito assorbito con sviluppo di calore. Col mio apparecchietto ho dosato, con una certa approssi- mazione, la quantità di questo gas quando passa attraverso la calce sodata insieme a corrente d’aria. 5) Iponitride (NO?) L’iponitride, preparata dal biossido di azoto in presenza di ossigeno, fatta passare mediante una rapidissima corrente d’aria attraverso ad un tubo ad U contenente 45 gr. di calce sodata recentemente preparata, viene subito assorbita con sviluppo di calore (benchè non molto). Anche se mista con altri gas, l’ipo- nitride rimane rapidamente fissata. La calce sodata è dunque un eccellente assorbente di (N0?)?. - — Rn: PIC ra dg 76 ICILIO GUARESCHI 6) Gas dell’acqua regia, cloruro di nitrosile NOCI e cloruro di nitrile NOCI?. I gas sviluppati dall'acqua regia, preparata con 1 p. di HNO? a 1.40 e 3 p. di HCI a 1.29, costituiti da un miscuglio di HCI, NOCI, NOCI?, C1 (Gay-Lussac) (!) vengono rapidamente assorbiti dalla calce sodata, con sviluppo di calore. In una delle espe- rienze mescolai 10 cm} di HNO? a 1.40 e 36 cem? di acido clo- ridrico a 1.19. Scaldai entro largo pallone sino a che incomin- ciasse regolarmente lo sviluppo di gas e questi mediante rapida corrente d’aria furono fatti passare attraverso un tubo con 45 gr. di calce sodata. Si notò subito sviluppo di molto calore, ma nulla passò che reagisse colle carte reattive nè che coll’acqua desse una soluzione acida. 7) Biossido di azoto NO. Questo gas viene discretamente assorbito dalla calce sodata, ma lentamente. Gr. 0.58 di calce sodata dopo 45 minuti assorbirono 1 cm? di gas e dopo 24 ore 5 cm}; l'assorbimento continua anche dopo moltissimi giorni, dopo qualche mese. Così fu pure osservato colla potassa da Gay-Lussac, da Russel e Lapraìk e da altri. Si trasforma, almeno in parte, in N?0 e nitrito. Sono esperienze che richieggono lungo tempo e sulle quali riferirò in un’altra Nota. Praticamente la calce sodata è un eccellente reattivo as- sorbente anche del biossido di azoto qualora questo gas vele- nosissimo fosse usato per delle bombe, perchè esso all'aria sì trasforma istantaneamente in perossido di azoto o iponitride e questo viene rapidamente fissato dalla calce sodata. (4) Gay-Lussac, Mém. sur l'eau régale, in “È A. Ch. ,, 1848 (3), t. 23, p. 203. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 17 8) Cianogeno. i Era importante verificare se a temperatura ordinaria questo | gas venefico viene oppure no assorbito, fissato, dalla calce sodata. | Il cianogeno è un gas che colora il sangue defibrinato in scuro (metemoglobina). Negli animali a sangue caldo provoca irritazione od infiammazione delle mucose e provoca delle con- - vulsioni, dispnea, cianosi e paralisi (Lewin). E però meno tos- | sico dell'acido cianidrico. Il cianogeno ha odore piccante, e taluni dicono abbia odore di mandorle amare. Gay-Lussac nella sua celebre Memoria: /te- cherches sur l’acide prussique, présenté à l'Institut le 18 sept. 1515 (?) scriveva: “ Son odeur, qu'il n'est point possible de définir, est “ extréemement vive et pénétrante: son dissolution dans l’eau a “ une saveur très-piquante ,. Il vero è che quando è schietto l'odore è piccante ed irri- tantissimo; irrita la mucosa del naso in modo analogo a quello dell'acido selenidrico, ma in grado minore; quando è diluito con aria ha odore di mandorle amare. Dunque anche qui come per . l'acido selenidrico si osserva che l'odore è diverso secondo che (CN)? è puro, concentrato, oppure diluito con aria. o In 50 cm di cianogeno sul mercurio furono introdotti 0.18 di calce sodata, buona ma non freschissima, in 5-6 granelli. . Dopo 2 minuti erano assorbiti 8 cm*, che riferiti a 100 gr. di calce sodata sono 4440 cem.; dopo 20 minuti sono assorbiti 10 cm, cioè per 100 sarebbero 5550 cm°, e ancora dopo 3-4 ore _in totale furono 12 cm, cioè per 100 sì avrebbero 6660 cm?. La calce sodata sino dal principio diventò bruna e poi quasi nera. Gr. 0.1460 di calce sodata recentemente preparata e stata | per 10 a 12 giorni in scatola di latta chiusa con tappo a vite, messi in 86 cm” di cianogeno alla temperatura di 15°-18° e pres- sione di 740 mm., assorbirono dopo 1 minuto 6 em* di gas, cioè 100 gr. — 4100 cm8. I granelli di calce sodata annerirono subito. RISFALCh U9L9 (1); 6.90, p. 177. Mea zara 4 78 ICILIO GUARESCHI Dopo 20 minuti 8 cm* ossia 3460 cm' per 100 gr., e dopo 24 ore 11 cm? ossia 7510 cm? per 100 gr. Non se ne assorbì . quasi più o con grande lentezza. In un’altra esperienza in 37 cm? di cianogeno furono in- trodotti 0.30 di calce sodata in due grossi grani; dopo 2 mi- nuti si assorbirono 15.5 cm' e per 100 gr. 5100 em8; dopo 20 minuti si arrivo a 5830 cm? (per 100 gr.), dopo circa 4 ore 6500 cm? e dopo ancora 4 ore si arrivò per 100 gr. a 6600 em8. Il che corrisponde alla prima esperienza. Come si scorge, l’as- sorbimento rapido è in principio. L’imbrunimento o annerimento osservato corrisponde a quanto già il Gay-Lussac aveva notato colla potassa (1): “ Lorsqu'on introduit une solution de potasse bien pure dans “ce gaz, l’absorption en est rapide; si l’alcali n'est trop con- “ centré et qu'on ne le sature pas entièrement, il se colorera “ à peine en jaune-citrin. Si au contraire le cyanogène est en “ excès, on obtiendra une dissolution brune, et comme char- bonnée ,. Ho fatto poi l’esperienza di far passare il gas con rapida corrente d’aria attraverso la calce sodata, 40 gr. di calce so- data erano contenuti in tubo di 1.5 mm. e per una lunghezza di 35 em. Mediante corrente d’aria feci passare circa 70 cm? di gas cianogeno e subito, sin da principio, si sviluppò molto calore e la calce sodata non si colorò in bruno. Rimase coll’a- spetto di prima. Il riscaldamento ebbe luogo per una lunghezza di 8 a 10 cm. di calce sodata; dalla parte opposta non passò traccia di cianogeno. Lo dimostrò in modo evidente non solo l'odore ma più ancora perchè un poco della calce sodata della branca per la quale entrava il gas trattato con acqua, filtrata, ecc., — dava intensissima la reazione del bleu di Prussia, mentre non la diede la calce sodata della branca opposta. La reazione po- trebbe essere la seguente : O / i (CN)? + 2 Car = CNNa + CONNa + Ca(0H)? + Ca0. NaOH (4) Loc. cit., p. 188. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 79 Non ho cercato l'isocianato che potrebbe formarsi. Non sì produsse dell’ammoniaca, la quale invece fu osser- vata dal Gay-Lussac quando metteva il cianogeno in presenza della potassa. Il cianogeno è dunque fissato come cianuro. La calce sodata potrebbe forse servire a fissare dl cianogeno dei gas degli alti forni? Il cianogeno fu trovato libero nei gas che si sviluppano dagli alti forni, da Bunsen e Playfair (!); in un'analisi ne trovarono 1.34 %. Ho voluto vedere come si comportasse il gas cianogeno attraversando la soda caustica solida. In un tubo analogo al precedente contenente 54 gr. di NaOH in pezzetti fu fatto passare il cianogeno insieme a corrente d’aria; si nota sviluppo di calore, ma minore che colla calce sodata. Ad ogni modo il cianogeno è fissato bene. Praticamente è più utile usare la calce sodata per assorbire il clanogeno. 9) Cloruro, bromuro e joduro di cianogeno. Cloruro di cianogeno CNC]. — Il gas cloruro di ciano- geno fu preparato col metodo descritto da Dumas nel suo Traité de chimie, mediante l’azione del cloro sul cloruro mercurico, :de- purazione col mercurio, ecc. Questo gas è incoloro, di odore insopportabile, acuto, irritante e che eccita la lacrimazione. Secondo alcuni produce un vivo dolore quando lo si mette in contatto colla pelle, la quale rimane intaccata. E molto vele- noso, anche se sciolto in acqua. Gr. 0.050 a 0.100 di soluzione (satura?) bastano per uccidere un coniglio (?). Gli animali che hanno respirato in una atmosfera conte- nente 0.3°, (in volume) di CNCI sono colpiti da asfissia e muo- lono dopo 3 minuti in preda a convulsioni. Si svela il cianogeno nel sangue. L'acqua ne scioglie 20 volte il suo volume e l’alcol 100 volte. (63: pri0h! 1847 (1), 4.42, p. 266 (*) Vedi Lew, Traité de Toxicologie. it. uit tt e sno siii da ni w è 80 ICILIO GUARESCHI Colla potassa da cloruro e cianato e successivamente dell’am- moniaca : CNCI + 2KOH = KC1 + CNOK + H?0 CNOK + KOH + H20 = K2C03 + NH?, Il gas da me esperimentato aveva tutti i caratteri indicati; | il suo odore era acutissimo, irritante specialmente gli occhi; se È diluito con aria, pare abbia un poco l'odore di mandorle amare. Fatto passare con corrente d'aria attraverso un tubo di 1.5 X 35 contenente 42 gr. di calce sodata, viene immediatamente assor- bito, con sviluppo intenso di calore; l'assorbimento è rapidis- simo. Dalla parte opposta del tubo non si ha traccia di cloruro di cianogeno, ma bensì dell’ammoniaca. La calce sodata non dà, dopo l’esperienza, la reazione dei cianuri. E tanto il calore svi- luppato che dalla parte opposta del tubo esce il vapore d’acqua. In un’altra esperienza circa 1 litro di questo gas fu fatto passare con corrente rapida di aria attraverso 62 gr. di calce sodata recente contenuta in un tubo 1.8 X 835. Nella branca ove entra il gas misi un termometro e la temperatura salì a 170°-180°. Anche qui si sviluppò ammoniaca riconoscibile anche i allo stato di cloroplatinato. ; Dunque la calce sodata può servire utilmente ad assorbire questo gas. La reazione potrebbe avvenire nel modo seguente: a epc 0) (CN)?-+ 2 pa = CNONa +4 NaCI + Ca(0H)? + Ca0 “NaOH e poi: CNONa + 2H?20 = NaHC03+ NH?3, La rapidità colla quale il cloruro ed il bromuro di cianogeno danno dell’ammoniaca e non dei cianuri, mentre il gas cianogeno dà i cianuri, farebbe dubitare che il cloro ed il bromo in questi composti esistessero combinati all’azoto e fossero in realtà degli ISOCIANUri : CEN e BEN=% e non dei veri cianuri: LC =N e CILE N. La DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 8] Ho voluto anche vedere quanto cloruro di cianogeno si assorbe quando si mette la calce sodata in contatto col gas puro sul mercurio. In una prima esperienza: gr. ().192 di calce sodata in 51 cm$ di gas ne assorbirono dopo 2 minuti 7.5 cm5, cioè per 100 gr. 3900 em*; dopo 10 minuti 4937 cm?; dopo 20 minuti 5990 cm3; dopo 1 ora 9374 cem* (sempre per 100 gr.); dopo 1°.30 10880 em® e dopo 48 ore 15500 em. Anche qui si scorge che la maggiore rapidità di assorbi- mento è nei primi minuti. In una seconda esperienza: gr. 0.1946 della stessa calce sodata, in granuli forse un poco più piccoli, assorbirono dopo 1 minuto 7 cm? di gas, ossia per 100 gr. di calce sodata 3596 cm8 di gas; dopo 2 minuti 4110 cm*; dopo 20 minuti 5650 cmi; dopo 1 ora 8776 em}; dopo 5 ore 12300 cm? e dopo, 48 ore 12800 cmì. In un'altra esperienza con calce sodata più recente e in piccoli grani, gr. 0.183 assorbirono dopo 2 minuti 4100 ecm? di gas per 100 gr. di calce sodata e dopo 10 minuti 5200 cmì. E in un’altra esperienza sì ebbero analoghi risultati. Dunque anche questo gas è assorbito e decomposto benis- simo dalla calce sodata, a temperatura ordinaria. Esperienze di confronto fatte con altre calci sodate, come quella bianchissima di Kahlbaum, hanno dimostrato che queste hanno anche pel cloruro di cianogeno un potere assorbente assai minore. Bromuro e joduro di cianogeno. — Il bromuro di ciano- geno anche allo stato solido è prontamente intaccato dalla calce sodata. 2.7 gr. di bromuro di cianogeno puro in bei cristalli, fusi- bili 50°-51°, di odore acutissimo ed irritantissimo, furono me- scolati con 10 gr. di calce sodata buona; dopo pochi istanti si manifesta una violenta reazione con sviluppo notevole di calore e produzione di grande quantità di ammoniaca. Sulla parete della boccia si depositarono dei lunghi aghi incolori piatti, che poi scomparirono; non li ho esaminati. Naturalmente che anche allo stato gasoso questo corpo avrebbe dovuto essere assorbite dalla calce sodata ed invero: o } \ i } 82 ICILIO GUARESCHI — DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ, ECC. _ Feci passare il gas attraverso 50 gr. di calce sodata con- tenuta in un tubo di 1.6 mm. di diametro e lunghezza di 30-35 em. in comunicazione col mio apparecchio per la ricerca del bromo. Il bromuro di cianogeno era contenuto in un pallone di circa 6 litri. Fatto passare insieme ad una corrente d’aria, venne subito assorbito con sviluppo di calore e attraverso all’acido cromico caldo non passò traccia di composto bromurato; ma appena ebbi rimosso il tubo a calce sodata il bromo sì mani- festava subito. Probabilmente anche in questo caso la reazione ha luogo così (1): 0 CNBr + 3 Cal — NaBr + NH®+ Na?2C03+ 3Ca0. NaOH In modo analogo si comporta il joduro di cianogeno, il quale però agisce meno vivamente colla calce sodata. Seguiranno poi in una Nota III le esperienze che ho fatto con altri gas e specialmente coll’anidride carbonica, coll’ossido e coll'ossisolfuro di carbonio e quelli del gruppo dell’idrogeno arsenicale ed antimoniale. Torino, R. Università, Dicembre 1915. (1) Dopo queste ricerche ho fatto delle esperienze con calce ordinaria bruna in granelli, con calce ordinaria quasi bianca e con calce dal marmo, mescolate semplicemente con potassa o soda caustiche in frammenti misti a polvere. I miscugli erano fatti in rapporti diversi: 2a 1; 4a 1; 6a 1; 15 a 1, ed in ogni caso col gas solfidrico e corrente d’aria si osservava l’incandescenza. Però il gas solfidrico sino da principio passava in parte senza essere fissato. Ora studierò il potere assorbente di questi miscugli su altri gas. Descriverò le esperienze quando disenterò la questione del come agisca la calce sodata. ere ve. G. COLONNETTI — ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI, ECC. 98 Elasticità e Pesistenza degli acciai ad alto tenore di nickel. Nota di: GUSTAVO. COLONNE TDI (Con una Tavola). (Gli acciai al nickel, di cui l'industria utilizza oggi così lar- gamente le belle proprietà fisiche e meccaniche, si possono no- toriamente distinguere in tre grandi categorie, a seconda che sì presentano con struttura perlitica, martensitica, ovvero po- liedrica. Gli acciai della prima categoria, per la loro resistenza, a parità del tenore di carbonio, alquanto più elevata di quella dei corrispondenti acciai comuni, vengono a questi preferiti nella costruzione dei cannoni, dei pezzi fucinati o stampati che deb- bono sopportare energiche sollecitazioni dinamiche, degli assi, degli alberi a gomito, degli alberi per macchine o per trasmis- sioni molto caricati; se dolci, essi si prestano assai bene per cementazione. Cogli acciai della seconda categoria si possono facilmente ottenere carichi di rottura e durezze elevatissime senza incorrere nella fragilità propria degli acciai comuni temprati. La loro ri- marchevole resistenza all’ossidazione contribuisce a renderli apprezzati, malgrado le difficoltà sovente non lievi di lavorazione ed il prezzo di costo relativamente elevato. Gli acciai della terza categoria sono invece caratterizzati da allungamenti di rottura e da strizioni molto superiori a quelli degli acciai comuni di pari resistenza: pel loro ottimo compor- tamento a caldo sono ormai universalmente adottati nella co- struzione di tubi per caldaie, di valvole per motori ad esplo- sione, ecc. pn a 4 Ò è a Hi LÌ i 84 GUSTAVO COLONNETTI La loro inossidabilità è tanto più grande quanto maggiore è la percentuale di nickel. In determinate condizioni esse possono presentare certe proprietà fisiche speciali (come quella di essere non magnetici alla temperatura ordinaria, ovvero quella di possedere una resi- stenza elettrica che può perfino essere decupla di quella del ferro) che li rendono indicatissimi anche nella costruzione di strumenti di misura e di apparecchi di precisione. A questa categoria appartengono l'invar (C = 0,20 %o, Ni = 6 °o), che ha un coefficiente di dilatazione termica bassis- simo, e la platinite (C= 0,15%, Ni = 469), il cui coefficiente di dilatazione termica eguaglia quello del vetro. Delle proprietà resistenti di questi acciai si sono occupati diffusamente molti autori: basti citare, fra i più noti, Hadfield, ‘ Dumas, Guillaume, Guillet (1). Poco note sono tuttavia le caratteristiche elastiche di questi materiali: quasi tutti i trattati avvertono che il modulo di ela- sticità degli acciai al nickel è sensibilmente inferiore a quello degli acciai comuni: ma dati precisi mancano o sono discordanti fra di loro. Avendo avuto in questi ultimi mesi frequenti occasioni di studiare gli acciai al nickel prodotti nelle acciaierie al crogiuolo della Società Italiana per la Fabbricazione dei Proiettili, ho costantemente osservato che l'influenza del nickel si rende ma- nifesta non soltanto per l'abbassamento del modulo. ma ancor più per la sua variabilità, il comportamento elastico del mate- riale differendo tanto più sensibilmente dalle condizioni teoriche (1) HaprieLp, A//oys of iron and nickel, * Proceedings of the Instit. of civil Engin. ,, t. CXXXVIII (1900). Dumas, Recherches sur les aciers an nickel à hautes teneurs, * Annales des mines ,, 1902. GuiLLaume, Applications scientifiques des aciers au nickel, Gauthier-Vil- lars, 1904. Gurruer, Etude industrielle des alliages métalliques, H. Dunod et E. Pinat, 1906. Por CP E E n nn È ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI ECC. 85 espresse dalla classica legge di Hooke, quanto più alto è il suo tenore di nickel. Credo pertanto di poter portare il mio modesto contributo alla conoscenza di questi interessantissimi materiali riferendo alcune delle mie osservazioni; osservazioni che per brevità limi- terò a tre soli tipi di acciai, scelti rispettivamente tra gli appar- tenenti alie tre categorie sopra ricordate, ed aventi le seguenti caratteristiche : Composizione chimica Struttura Ù Mn Si Ni Perhitiea” .... - 0,24 /0 0460 0,21%/o 5,08 9/0 Martensitica . . 10 aa gg dro 0,20, 12,19 Poliedrica . . . 0,24, 00650, 0.20, 26,08 I lingottini destinati alle esperienze, del peso di cirea 50 kgr. (2 crogiuoli), vennero tirati al maglio in barre quadre di mm. 20 X 20. Da queste barre, previi i trattamenti che saranno indicati caso per caso, si ricavarono le varie provette, tonde, del diametro di mm. 10 (sezione resistente F = 78,54 mm?). Le esperienze vennero eseguite nel laboratorio per le prove sui materiali della Società Italiana per la Fabbricazione dei Proiettili mediante macchine di costruzione Amsler, munite di misuratore degli sforzi a pendolo. Due di queste macchine, una di cinque e l’altra di cinquanta tonnellate di potenza, hanno servito per le prove di elasticità e di resistenza. Una terza era destimata alle determinazioni di durezza, di cui si farà cenno a proposito degli acciai della terza categoria. Delle indagini tendenti alla determinazione delle caratteri- stiche elastiche mi riservo di occuparmi in una seconda Nota. » ada enni 86 GUSTAVO COLONNETTI Qui mi limiterò a riferire brevemente 1 risultati delle prove di resistenza mettendoli in relazione coi trattamenti termici che si sono rivelati più vantaggiosi. A questo proposito poco o nulla c'è da dire sull’acciaio al 5°, di nickel, le cui proprietà non differiscono da quelle di un acciaio comune egualmente ricco in carbonio, se non per una maggiore resistenza. Il materiale, allo stato ricotto, presenta un vantaggio che si può stimare in circa 10 kgr/mm?; questo vantaggio può però. mediante tempera, essere sensibilmente ac- cresciuto. Ben diverse sono le caratteristiche degli acciai che conten- gono il nickel in maggior proporzione. L'acciaio al 12 °/, di nickel presenta. dopo semplice ricot- tura a 800°, una resistenza elevatissima, de'l’ordine di gran- dezza di quelle degli acciai duri temprati, dai quali però, come vedremo a suo tempo, esso si differenzia nettamente nel com- portamento elastico. Per eftetto della tempera la resistenza non cresce che di 5 o 6 kgr min?; si può quindi ritenere che la maggiore o minore rapidità di raffreddamento sia quasi senza influenza sulla pro- prietà del materiale. Ciò va messo in relazione col fatto ben noto che tutti i materiali di questa categoria subiscono la trasformazione al raf- freddamento anche lentissimo ad una temperatura molto inferiore a quella a cui avviene la trasformazione al riscaldamento. L'unico modo di diminuire la durezza e la resistenza del materiale, acerescendone insieme l'allungamento e la strizione, è pertanto quello di ricuocerlo ad una temperatura di poco infe- riore a quella di trasformazione al riscaldamento ; l’effetto è tanto più sentito quanto più tale ricottura si prolunga. L'operazione è però alquanto delicata perchè bisogna avvi- cinarsi il più possibile alla temperatura di trasformazione senza raggiungerla, inquantochè, ove ciò avvenisse, l’effetto sarebbe assolutamente negativo, e bisognerebbe ricominciare daccapo a raffreddamento completo. L'acciaio al 26°, di nickel, previa la solita ricottura SI TI an ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCiAI ECC. 87 a 800°, presenta invece una resistenza abbastanza modesta ed una durezza relativamente ancor minore (1), ma accompagnata da allungamenti enormi a fronte di quelli che, a pari resistenza, potrebbe avere un acciaio comune. Tali allungamenti si possono anzi ulteriormente aumentare mediante tempera, la resistenza restando quasi invariata. Ciò dipende dal fatto che i materiali di questa terza cate- goria hanno il punto di trasformazione al raffreddamento al AÙ 100) Aree delle Sezioni in mn UCLIEAE: d . 80 - — -—_—.———._—yeziane prime iLiva SUN 0a 05 00 0 5 10 15 20 25 dislanza dalla sezione di tollura in millimetzi disotto della temperatura ordinaria: alla quale temperatura essi si trovano perciò nello stato stabile a caldo, sempre quando, s'intende, non siano stati preventivamente portati a temperature sufficientemente basse. Sempre a proposito degli allungamenti si può osservare che (1) Le misure da me eseguite su buon numero di campioni di questo acciaio hanno concordemente dimostrato che il coefficiente di Brinell si mantiene assai prossimo a 0,45. 88 GUSTAVO COLONNETTI il modo con cui questi si presentano mette in evidenza la grande attitudine che questo materiale offre all’inecrudimento. Questa attitudine, che le esperienze di elasticità conferme- iena Li ranno ampiamente, si rende qui manifesta per la grande preva- lenza dell’allungamento uniforme sull'allungamento locale che precede immediatamente la rottura del saggio. Ciò appare chia- i ramente a chi osservi la forma dei diagrammi di deformazione | riprodotti nelle pagine che seguono: si vede anche meglio nel diagramma delle strizioni, specie se, come si è fatto nella presente figura, tale diagramma vien messo in paragone con iron quello relativo ad un acciaio meno ricco in nickel, il quale, J anche a parità o quasi di strizione nella sezione di rottura, $ presenta sempre allungamenti uniformi di gran lunga inferiori. Del resto il fenomeno è così marcato che si rileva anche da un esame sommario delle provette strappate a trazione, le quali sono sempre sensibilmente deformate perfino in corrispon- denza dei tronchi conici e delle teste. Ciò si vede assai bene nella fotografia che riproduce l’aspetto dopo rottura di tre pro- vette inizialmente identiche per forma e dimensioni. All’energico inerudimento a cui va soggetto l’acciaio al 26 °/, di nickel è da attribuirsi l'aspetto opaco del saggio, che ha perduta completa- mente la sua primitiva lucentezza: lucentezza che l’acciaio al 12°/, di nickel conserva invece quasi inalterata, eccezion fatta soltanto per la regione immediatamente adiacente alla sezione di rottura. ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI io. 100 figr/mm® 30 0 È | b) | a) Fucinato, | | ricotto a 800°, Acciaio al 5% di nickel Fucinato 2 POI G e ricotto agi Ò a ° im ohio a 800 e rinvenuto È a 525° Carico di snervamento riferito alla sezione primitiva... F8"/mm 424 | 89.0 . Resistenza massima riferita alla sezione primitiva . +8 58.6 96.4 Carico di rottura nitenito alla | ®. sezione di rottura . . . SA 106.7 183.5 Lavoro di deformazione Piro | misurato su dieci diametri . 4 12.3 1,9 Allungamento di rottura su dieci | Bametri DE Nlogesi 22.6 13,2 — Strizione nella sezione di tura d | 60.0 64.0 “ Nora. — I diagrammi di deformazione riprodotti in questa e nelle pa- | gine seguenti sono stati disegnati direttamente dall’apparecchio registra- tore della macchina Amsler e rappresentano colle loro ordinate gli sforzi applicati al saggio, e colle ascisse le variazioni di lunghezza del suo tratto utile (inizialmente eguale a dieci diametri). Atti della R. Accademia — Vol. LI. î 7 i, - DI dar = n 16 J “ai è » P- ) pe i, 97 Ma] sm “A a ù n ni kh Li ra di # A > DA %; KAI ter III gt ca » 4 A À PN pa a ind sia RM) da 9) GUSTAVO COLONNETTI fgrfun P 150 100 b/ a) b) 19) b) Fucinato, a) ricotto a 800°, sell Arne poi ricotto Acciaio al 12 °/ di nickel Liu nuovamente e ricotto in bagno a 800° di piombo al5250 per 10 ore (‘(arico di snervamento riferito alla sezione primitiva. . . F8"/mm? — — Resistenza massima riferita alla sezione primitiva . P 162.0 95.6 Carico di rottura dino alla sezione di rottura . . . 5 228.0 167.0 Lavoro di deformazione io misurato su dieci diametri . ° 5,0 11.4 Allungamento di rottura su dieci stri IE 9/o 8.8 12.5 Strizione nella sezione di rottura “ 36.0 Dist d'eta. ‘|a yqoru Ip 90:94 | OIBIO)E : OSSBq UT ‘o Xyolu Ip Ual [| OIBIDIB ‘ OZz9U1 U] = [o you Ip Snia [e OTEINIB :0}]B U] ‘(IUOISU9WMITPp 9 BUIO] 10d QY9IZU?pI QZua Ur pRIZIUI oggaaoId) 0008 è 1}} 091 I|ElI9} BUI ns QUOIZP.1} P_ B.N}}oJ Ip 9dA0dd ‘TT "OA 101120), 1 22ta10G afjap 2219 ‘18 P]joP MO “(I RION) ‘200 re1008 I|BOp EZUe]sIseI 0 VIONSE]3 - ‘IL LINNOTOO ‘D ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI ECC. 91 a) b) 7) 20 V4/044 b) a) Fucinato, Pic: ricotto a 800°, Acciaio al 26% di nickel tig e e ricotto | temprato a 200° | 900° in olio tai e rinvenuto a 525° (‘arico di snervamento riferito | alla sezione primitiva... F8/mm — | —_ Resistenza massima riferita alla sezione primitiva _. . . . , 56.8 | 56.4 Carico di rottura riferito alla sezione di rottura . . . . 3 139:6Unhr 1998 Lavoro di deformazione unitario misurato su dieci diametri . i 18.3 | 20.1 Allungamento di rottura su dieci | deumefrionie Sala api... lo 38.5 42.8 Strizione nella sezione di rottura Ù 66.3. | 64.0 vit 92 CARLO LUIGI RICCI 13 L'equilibramento delle masse rotanti a grande velocità. 3 9 Nota I* del Dr. Ing. CARLO LUIGI RICCI Ù (Con 1 tavola). Introduzione — Generalità. 1 $ 1. — L'apparecchio equilibratore per masse rotanti, viene impiegato per correggere gli organi meccanici destinati a rotare | a velocità molto elevate, particolarmente i rotori delle turbine | a vapore, o delle turbo-dinamo. | Tali masse rotanti devono soddisfare alla condizione che il sistema delle forze centrifughe sviluppate nella rotazione sia in equilibrio; ciò che si ottiene soltanto se l’asse di rotazione è i asse principale centrale d’inerzia per la distribuzione delle masse. Questa condizione è necessaria per la buona conservazione dei sopporti e dei perni, e per evitare dannose azioni dinamiche sui basamenti, le quali possono essere molto considerevoli, se è grande la velocità angolare, anche perchè in tal caso si pre- senta facilmente il pericolo noto della risonanza, pur con so- stegni relativamente molto robusti. L'apparecchio che è oggetto di questo studio, serve anzi- tutto a verificare se la condizione dell’equilibrio è soddisfatta, ed ove ciò non sia, per inevitabili imperfezioni di costruzione, serve a determinare la posizione e l'entità delle azioni pertur- batrici, per potere quindi correggerle coll’aggiunta di opportune masse addizionali. Questo argomento fu già studiato dallo Stodola (!) e dal- l’Appel (*), i quali però si riferiscono all’uso di due diversi ap- parecchi ch'essi descrivono nei loro lavori citati. (4) SropoLa, Die Dampfturbinen, 1910, cap. V, N. 86, pagg. 278-283. (*) Apper, Machine à déterminer les balouras, * Journal de l'École Po- lytechnique ,, Paris, 1904, II° série, IX° Cahier, pagg. 151-162. à : L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 99 L'apparecchio descritto dallo Stodola, che è quello più lar- gamente usato, e del quale perciò più diffusamente ci occupe- remo, consta essenzialmente di due sopporti mobili orizzontal- mente su sostegni a sfere e trattenuti nella posizione media da apposite molle fissate al basamento; in questi sopporti è impe- gnato l'albero della massa rotante da sperimentare, la quale vien messa in rotazione mediante un tiro di cinghia verticale (privo perciò di azione diretta sui sopporti), facendo variare gra- dualmente la velocità di rotazione. Se la massa è equilibrata, per qualunque valore della ve- locità il sistema non subisce alcuno spostamento orizzontale, e l’asse di rotazione che chiameremo x si mantiene fisso; se in- vece si hanno delle masse perturbatrici (che i tecnici francesi chiamano bdalourds), ossia se si sviluppano delle forze centrifughe libere, il sistema della massa coi sopporti vincolati da molle, assume un moto oscillatorio forzato orizzontale, e studiando questo moto si possono analizzare le masse perturbatrici. Le molle sono di solito situate alle estremità di due espan- sioni rigide solidali a ciascun sopporto, disposte col loro asse orizzontale e normale all'asse di rotazione, e possono essere molle di torsione ad elica ad asse orizzontale, normale all’asse x, oppure molle di flessione ad asse verticale. $ 2. — Lo Stodola nell’opera citata suggerisce di far pre- cedere l’uso dell'apparecchio da una correzione statica della massa rotante, in modo che questa, poggiata coi suoi perni su regoli orizzontali, stia in equilibrio indifferente in ogni posi- zione ; ciò che si verifica se il baricentro del sistema rotante si trova sull’asse di rotazione. Ora questa operazione riesce sempre affetta da qualche er- rore dovuto all’insensibilità della sospensione (attrito volvente), che può essere piuttosto rilevante, dato il peso considerevole che spesso presentano tali organi rotanti. In questo studio mi propongo di dimostrare come anche tale correzione (del baricentro) si possa fare per via dinamica coll’uso dell'apparecchio equilibratore, con una sensibilità che il calcolo fa prevedere e l’esperienza conferma notevolmente su- periore a quella che è possibile ottenere per via statica. Inoltre nella teoria citata si presuppone una completa sim- da e 4, n ì ni? CEI ) DI Dita 1) «gu; a Ma; % Ù L MA RISI ago & ; NAT he; hi URAS CARLO LUIGI RICCI RTRT Ng CIRO metria del sistema, ossia si ammette che il baricentro della massa rotante coincida col baricentro elastico del sistema di molle trattenenti i sopporti. Ora è ovvia l'opportunità di non introdurre questa ipotesi restrittiva, sia per maggiore genera- lità, sia per la probabilità che nei casi concreti detta condizione non possa agevolmente essere realizzata. E qui mi propongo appunto di trattare la questione nel modo più generale, e di esporre una teoria che permetta di analizzare in modo completo il sistema delle forze centrifughe. In questa prima Nota mi limiterò ad esporre la teoria del- l'apparecchio a molle, riservandomi di studiare in principio di una seconda Nota l'analisi delle forze perturbatrici. Per la correzione poi delle masse perturbatrici si usa pro- cedere per tentativi, e questi di solito vanno a più riprese ri- petuti; vedremo invece nel seguito come introducendo opportu- namente apposite perturbazioni note, si possa completamente m2- surare con molta approssimazione l'entità delle perturbazioni preesistenti, eliminando così, od almeno riducendo assai di nu- mero i tentativi. i Per quanto riguarda poi lo studio sperimentale del moto oscillatorio, esporrò un metodo di osservazione stroboscopica ba- sato sull'uso di un apparecchio che chiamo fasometro strobosco- pico (*), il quale permette di realizzare qualche vantaggio per la comodità e l'esattezza delle misure, rispetto ai sistemi comu- nemente usati. Dirò poi di alcune ricerche, che sulla guida delle teorie svolte ebbi occasione di eseguire su un modello dell'apparecchio equilibratore che il Prof. Panetti fece eseguire per il Labora- torio di Meccanica applicata alle macchine da lui diretto nel R. Politecnico di Torino (*), dove egli mise a mia disposizione i mezzi sperimentali occorrenti a questo studio ed alla realizza- zione del citato apparecchio stroboscopico. (4) Brevetto N. 130, vol. 449, Reg. gen. N. 148978, 30 giugno 1915. (2) Questo modello è rappresentato nella tavola 1°. i an nn SR TI I e, E % « si. Co » ‘ CLAS Vi » a. A o a e “MRI | °—‘’‘.EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 95 CapITOLO |. Teoria meccanica dell’apparecchio a molle. $ 1. — La massa rotante si riterrà nel seguito, tale e così disposta che il suo ellissoide centrale d'inerzia sia di rotazione rispetto all'asse orizzontale x, intorno a cui ruota la massa, in modo che il suo momento d'inerzia rispetto ad un asse verti- cale sia indipendente dalle posizioni che la massa può assumere rotando intorno all'asse x, e si mantenga perciò costante; tali sono quasi tutte le masse che si sperimentano su questi appa- recchi. Inoltre riterremo che detto momento d'inerzia non venga alterato dalle masse perturbatrici, nè dalle correzioni intro- dotte in seguito coll'aggiunta o collo spostamento di masse ad- dizionali. Quest'ipotesi non rigorosa, ma pure opportuna ad evitare soverchie complicazioni di calcolo, ci conduce però a risultati grandemente approssimati, poichè le variazioni del detto mo- mento d'inerzia che con tale ipotesi si trascurano, sono sempre piccolissime in confronto del momento d'inerzia totale, e non possono quindi influire in modo sensibile su quei calcoli che valutano gli effetti dell’inerzia tangenziale dovuta ad eventual oscillazioni della massa intorno ad assi verticali, nei quali cal- coli compare appunto detto momento d'inerzia totale. Notiamo invece che nei fenomeni dovuti alle forze centrifughe sviluppate nella rotazione intorno all'asse x, le masse perturbatrici o quelle di correzione compaiono da sole, poichè l’azione centrifuga della massa supposta da esse liberata è nulla; quindi esse che pure nel primo caso scompaiono di fronte alla massa totale, nel se- condo si rivelano invece direttamente. La determinazione sperimentale del detto momento d'inerzia si può fare col noto metodo delle oscillazioni, sospendendo la massa intorno ad un asse normale ed incidente all'asse x. Poichè i sopporti durante l'esperienza del moto forzato prendono parte alle oscillazioni del sistema, il momento d'inerzia che si consi- dera deve comprendere pure quello dei sopporti, i quali quindi nella determinazione sperimentale del momento d'inerzia devono rimanere uniti alla massa, nelle posizioni che essi occupano du- ran —# & 96 CARLO LUIGI RICCI rante il funzionamento dell'apparecchio, e disposti coll’asse delle espansioni laterali normale all'asse di sospensione. $ 2. — Passiamo ora ad esaminare il comportamento ela- stico del sistema vincolato delle molle. Durante l'esperimento la massa rotante si trova soggetta all’azione delle forze cen- trifughe, le quali sono normali all'asse di rotazione 2; quindi interessa studiare come si comporti il sistema sotto l’azione di forze normali al detto asse. Poichè i sopporti sostenuti da cuscinetti a sfere possono muoversi in un piano orizzontale, e poichè detti cuscinetti colle loro reazioni eliminano le azioni verticali, basterà considerare le relazioni tra le componenti orizzontali delle forze applicate alla massa e gli spostamenti pure orizzontali da esse prodotti. ]l comportamento elastico di ciascuno dei sopporti vinco- lati da molle, nel piano orizzontale in cui gli è consentita la mobilità, si può rappresentare al solito con una ellisse longitu- dinale di elasticità e con un peso elastico, i quali elementi si ot- tengono componendo in parallelo l'elasticità delle singole molle w, in modo analogo a quanto si fa nello studio dei sistemi ela- stici solidali col noto procedimento del Ritter. Comincieremo a considerare il caso già indicato delle molle di torsione, ad elica, ad asse orizzontale normale all'asse «. Il comportamento di una di queste molle, la quale, serrata tra i due manicotti di estremità, sì deve considerare come in questi rigidamente incastrata, fu da me studiato in una recente nota pubblicata negli “ Atti della R. Accademia delle Scienze , di To- rino col titolo: Le deformazioni delle molle ad elica. Ivi si di- mostra come il peso elastico della molla sia: Il it bi = nr dr | TANTA A essendo » il numero delle spire, £ il raggio del cilindro medio, E e G i soliti moduli di elasticità, /, il momento di inerzia della sezione della verga costituente la molla rispetto all’ asse principale a normale all'asse della molla che chiamiamo 2, J, il momento d'inerzia polare, Y il fattore del lavoro di deformazione . 4° (04 Jo E) I a torsione. Si ha: Y — i i essendo .J;, l’altro momento di - LI Lat; do tag ia, ue pula no VARI MILANI Lot i Mi * RI ug > tn Ni eguitIBRA MENTO DELLE MASSE. Rotgnti ECC. 97 i | inerzia dala ed a un coefficiente (1.18 +1) dipendente dalla “00 - forma della sezione (1 per il cerchio, 1.18 per il rettangolo non a molto allungato: Saint Venant). ti Il centro elastico poi è situato sull'asse dell'elica a metà ” lunghezza. L’ellisse di elasticità ha un semiasse pxo disposto sG lungo l’asse dell’elica, che per una sola spira è dato dalla re- lazione (!): iL 1 Xi R° eroi FE si GF Taù n seri O V «Al a A w è, ove X, è il fattore del lavoro di deformazione a taglio; e po- ks Di nendo G=T E ed in luogo di Y il suo valore, ed introdu- Mi. cendo i raggi d'inerzia si ha: RIT. MEO 5 R° anti» 1+ 9 i LOLA : sd ti so, Ra RMERRTTIa VE | e per n spire di passo 4, indicando con p,, è espresso per Sp n pari da: i Va n rad è # v D) i 2h? 1 2 n ia 0 = be PV (7 +») (v=0, D, AM piero 3) @ LI . . val " e per n dispari: Di: pp VIE 3 è Mi D) 2 TA +9? P,” = Pao + : ZA = 12,9 33) di: n 2 me: IVES: "| L'altra semiasse p, normale all'asse dell'elica è data da: SP Fa X, yR° 5 5 kpr ; pera x cd dD_ 9 Sa SPIA IIZIA ter. at 808 bb | a 1 QUnE rta 1 hi 5a Pp° ° Ela * GI pa? * Bpa® pi ta Si noti che nella prima espressione di p.*? i due termini al : » «numeratore sono i lavori di deformazione, rispettivamente a fi” th) DA (') V. detta mia nota pagg. 6 e 10. Sa ® de CARLO LUIGI RICCI taglio e torsione, di un tratto di verga di lunghezza 2 per una forza 1 agente lungo l’asse della molla; e i due termini a de- nominatore sono i lavori di deformazione rispettivamente a flessione e torsione dello stesso tratto di verga lungo 2 per un momento flettente ed uno torcente pure ugvali ad 1. Consideriamo ora l’altro caso, già più sopra accennato, in cui ai sopporti sono applicate le molle di flessione, molle cioè di forma prismatica, le quali sono disposte ad asse verticale, e sono incastrate per un loro estremo ad un'espansione di uno dei sopporti, e per l'altro estremo al basamento, esse hanno per lo più gli assi principali della loro sezione trasversale rispetti- vamente paralleli e normali all’asse x. Occorrerà anzitutto stabilire la corrispondenza tra forze e spostamenti, e quindi la relativa ellisse di elasticità per una sola molla; poi si farà al modo solito la composizione. Questa corrispondenza per il sopporto costretto dai vincoli ad un moto piano orizzontale, e soggetto a forze giacenti nel piano orizzontale m passante per l'asse x di rotazione, è quella stessa che si avrebbe per il sopporto libero da vincoli rigidi e soggetto a forze giacenti nel piano orizzontale m° passante per il punto di mezzo dell'asse della molla (o più in generale per il suo baricentro elastico): invero nell’uno e nell'altro caso gli spostamenti prodotti sono vrizzontali; ed inoltre se si trasporta verticalmente una forza del piano m' al piano m, ne nasce una coppia verticale la quale viene equilibrata dalle reazioni verti- cali sviluppate dai vincoli, e non interessa quindi le molle. Coi soliti simboli (!) si ottiene per questa corrispondenza : Peso elastico per una molla di lunghezza ?: liga Li CAI ove a è il coefficiente citato più sopra. Semiassi dell’ellisse di elasticità : p.=1}/;5 Ja ST ETTI 3Ea - x 3 Ea Ip (Ricordiamo che si ha: JS= JI +43). (4) Per essi vedi, p. e., GuIpi, Lezioni sulla Scienza delle Costruzioni, P® II* 4 P- PRO Ca DELLE MASSE ROTANTI, ECC. | — Essendo poi: _ abbiamo: Si noti che introducendo i raggi d'inerzia della sezione trasversale della molla: Pix; Pi: . Pip (Py == V pì, Sul pî,) sì ha: i l Pir 1 Pi: ini Visa Pip Paper Visa Pip ® quindi la cercata ellisse di elasticità è omotetica dell’ellisse di inerzia della sezione trasversale della molla con rapporto di omotetica cia =, V15a pi, $ 3. — Poichè dunque in ambi i casi le ellissi relative alle due molle vincolanti il sopporto, hanno ciascuna un asse . disteso sull'asse 2 comune alle due molle, questo sarà pure uno degli assi dell’ellisse complessiva relativa al sopporto. Indichiamo con d la distanza dei baricentri elastici G, e Gy delle due molle; supponiamo per maggior generalità che le due molle siano di- | verse e distinguiamone cogli indici 1 e 2 le grandezze relative. Il baricentro elastico del complesso dista da G, e Gs rispet- - tivamente delle distanze: de 2a pont DIA Pr Led e DB part + Da poi data ; PB Pani + DIS Pira” Il peso elastico sarà: W, Pa di W, Pao” PILA = 77 1 i d° + 2+(d + sh) 8 1 pa + Wa coli L'ellisse relativa al sopporto avrà il semiasse disteso sul- l’asse del sopporto: SDA DIVADILA Par TA VB, DB, pa + part) | ROTTE: al Rd 100 CARLO LUIGI RICCI }? L'altro semiasse parallelo all'asse di rotazione sarà: : "RIDER PSR $ p =| nie Rc AO > “ _YWel 1 pa? + W, Pie? Nel caso speciale di simmetria, in cui Gj e (Gy sono equi- distanti dall’asse di rotazione e le due molle uguali, il baricentro elastico del sopporto sta sull’asse di rotazione e si ha: è ® O NR DILA == pr Sal CE d° 4 4pr1° 0. Li chiameremo i punti nodali. Indicheremo con e, ed e, le loro distanze dal punto (G, e con i, e ‘è le loro distanze dal punto (,, ossia porremo : CX = Lo — L= 69 dici 1 Xo-d = ig $ 7. Le oscillazioni proprie. — Immaginiamo ora che il si- stema subisca una rotazione, sempre nel piano orizzontale, in- torno ad uno di questi punti nodali, per esempio N; se 3 è lo spostamento angolare della posizione media, la reazione elastica provocata da esso, è normale all’asse x e passa per N, perchè questo è coniugato di N, nell’involuzione d’elasticità; la sua in- tensità è: Per il moto si sviluppa pure una forza d’inerzia tangen- ziale ‘sg, normale all'asse x, ed applicata pure in N, perchè questo punto è coniugato di N, pure nell’involuzione d'inerzia ; la sua intensità è: ds ssh PRA, Po (poichè: p,° = è ia) 108 CARLO LUIGI RICCI Ue, essendo l'accelerazione angolare del moto rotatorio intorno ; ad N,, ed M la massa totale del rotore e dei sopporti. Quindi, facendo per ora astrazione da resistenze passive (do- vute all’attrito dei cuscinetti a sfere, alla resistenza dell’aria, all’imperfetta elasticità delle molle), il sistema può continuare a rotare intorno ad N, se è verificato in ogni istante l’equi- librio tra le due forze £, ed /s (principio di D'Alembert), ossia se esse sono uguali ed opposte; e poichè già sappiamo ch'esse hanno la stessa linea d’azione, basta che sia verificata la re- lazione : 7 CISMAI) Es +t ls ==) ossia Mi, di a o — (). Questa è la nota equazione del moto armonico senza smor- zamento; ed è notorio che essa è soddisfatta dall'integrale ge- nerale : 3= Osen(wst + a) ove si ha: 1 W, = be IM.B i, 09 ed essendo © (ampiezza) ed a (fase) due costanti dipendenti dalle condizioni iniziali. Il sistema che consideriamo, spostato dalla posizione media di equilibrio con una rotazione intorno al punto nodale N, e lasciato libero, senza smorzamento, oscilla di moto armonico rotatorio intorno allo stesso N,; le reazioni d'inerzia ed ela- stica provocate dal moto sono entrambe applicate in Ns e si fanno in ogni istante equilibrio. Allo stesso modo si riconosce che il sistema può oscillare liberamente intorno al punto nodale N,, nel qual caso le due forze provocate dal moto si fanno equilibrio in N;; ed il moto ha l'equazione : += Osen(w,t+ a) LR: ONE Ù RI ERE” PAf e Sat pi: }! de o ana. o P SOSTE 4 aaa Ci ì L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 109 Questi due moti vibratorî si possono chiamare le oscilla | zioni proprie del sistema ('); ognuna di esse ha per centro il | rispettivo punto nodale. Le due quantità w, ed wy sono le pulsazioni dei dune moti | armonici; i periodi di questi sono : | Pre PIRO Tae dn w, wy Le w, ed ws si possono pure interpretare come le velocità angolari dei moti rotatorîì di cui i detti moti armonici si pos- sono riguardare come proiezioni. Potrà essere utile considerare pure le forze elastica e d'inerzia come proiezioni di forze ro- tanti colle stesse rispettive velocità angolari, e facentisi in ogni istante equilibrio. Un caso speciale è frequente nelle applicazioni, ed è quello che solo contemplano le usuali teorie dell'apparecchio, il caso cioè in cui i due baricentri G, e G; coincidono in un unico punto G; allora i due punti nodali sono lo stesso G ed il punto all'infinito X» dell'asse x. Le due oscillazioni proprie sono RS agi quindi una rotazione intorno al baricentro G, di pulsazione: Hat: di 1 1 Wi, sare "= - === = avaro scossi 0 IMI p,° pi VM IV À ed una traslazione normale all’asse # (rotazione intorno ad X,) la cui pulsazione è: 1 1 Uls = g==%= —

N asta 20 EEA ‘ ur» L È w. La derivata seconda dell'espressione precedente è positiva | ER, LA Di per w=W, Se è: da TRES IRA e 670 i ul do: i relazione che è sempre verificata nei casi pratici, nei quali, per — il piccolo valore dello smorzamento. è soddisfatta con molta larghezza la condizione nota per le oscillazioni libere periodiche: a | "arr Pub K? <4Cm. 1 so Per K3>0 si ba. Ww, > wi; cioè dla pulsazione. de corri- sponde alla massima ampiezza supera la pulsazione dell'oscilla- zione propria (di risonanza), tanto più. quanto più grande è lo smor- zamento K; anzi per K° =2Cm si ha tn =, per K° > 20m sarebbe poi w, immaginario, ossia non c'è pulsazione di massima ampiezza, ma questa cresce sempre col crescere di quella. A Ri La massima ampiezza S, dello spostamento è data da: o B sg! dra == mentre alla pulsazione di risonanza w, corrisponde l'ampiezza: = -1 NITTI ui pri Xeno. - Vol. LI, PAR rino ti ra Td Ch fe a I et ia Atti della Reale Accad. delle Scienze di “y MENSILE, "e ae "5 masse. (Tav. 1). 6 L RICCI - Equilibramento delle b + + i A em. 0 10 e) 30 40 SO L EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 117 Può essere opportuna la considerazione della curva di riso- nanza descritta da un punto di coordinate w ed S; essa è del 6° ordine e la sua equazione è la precedente espressione di S in funzione di w; può tornare utile confrontarla con l’analog: curva dedotta sperimentalmente e ciò vedremo nella Nota Tl?. Per w=0 nasce tangente all'asse delle w, raggiunge la massima ordinata per W= Wm; e per W== % tende asintotica- - . Bla mente alla retta parallela all'asse delle wa distanza = —, Si m scosta dalla curva di risonanza del moto forzato che di solito si considera nella meccanica razionale supponendo costante l’in- tensità della forza eccitatrice, giacchè nel caso nostro la forza stessa è proporzionale al quadrato di w. Se lo smorzamento è molto piccolo, le ampiezze del moto hanno valori notevoli solo in un breve intervallo adiacente alla pulsazione di risonanza; per valori delle pulsazioni anche rela- tivamente poco differenti da quello della risonanza, l'ampiezza è piccolissima e praticamente insensibile. Perciò nel moto forzato della massa rotante montata sul nostro apparecchio, se i valori delle due pulsazioni (o velocità angolari) di risonanza w, ed wy corrispondenti ai due punti no- dali N, ed N, sono abbastanza differenti tra loro, quando una delle due oscillazioni semplici componenti intorno ad N od N, ha ampiezza ragguardevole, prossima alla massima per essere w prossimo al valore di risonanza (0 ad w,), l’altra oscillazione semplice intorno all’altro punto nodale ha ampiezza trascura- bile ed insensibile anche se la forza eccitatrice corrispondente ha notevole valore. Così ciascuna delle due oscillazioni forzate semplici nell’in- tervallo delle ampiezze apprezzabili, compare da sola, indipen- dentemente dall'altra; ciò si può pure esprimere dicendo che le due oscillazioni semplici non si influenzano mutuamente ; esse quindi sì possono anche coll’esperimento studiare separatamente. 118 FRANCESCO CANTELLI Resti nelle formole di quadratura. Nota di FRANCESCO CANTELLI. 1. — L'uso delle formule di quadratura si rende neces- sario, come è noto, in molte applicazioni; in particolare, ad esempio, quando si applichi il metodo dei momenti o quello delle aree (!) alla determinazione dei parametri di una espressione Rai Mi CA CERI c,) perchè questa rappresenti una serie di misure o di osservazioni. Di tali formole se ne conoscono molte e, nelle pratiche applicazioni, occorre non di rado di dovere escogitarne qualcuna che si adatti al caso speciale che si considera. Ma le formole stesse, di molte delle quali non si conoscono ancora le espres- sioni dei resti, non si saprebbero considerare come complete quando queste espressioni mancassero e, per tanto, indico una regola che permette di scrivere il resto di una formola di qua- dratura, che sia stata dedotta dalla considerazione di una fun- zione intera di grado », in base all'esame della formola stessa e in una forma che, per le applicazioni, mi sembra più conve- niente di quella che non risulti per deduzione dalle note for- mole interpolatorie di Lagrange o di Newton col resto sotto forma di derivata. (') Cfr. K. Pearson, On the systematic fitting of curves to observations and measurements, Biometrika, vol. 1 e vol. II; F. CanteLLI, Sul? adattamento delle curve ad una serie di misure 0 di osservazioni, Roma, tip. Bodoni e Bolognesi, 1905; Em. Ozuser, Wahrscheinlichkeitsrechnung, ete. vol. II, Leipzig. Zerlin, 1910. RESTI NELLE FORMOLE DI QUADRATURA 119 Tale regola ho ottenuto per mezzo di considerazioni ele- mentari, ponendo a base di esse la nota formola di Taylor col resto sotto forma di integrale. L'indagine di essa mi è stata consigliata dalla lettura di una recente Nota (') del Prof. Peano, nella quale l'A. stesso, movendo dalla formola indicata. perviene i in modo diretto e con considerazioni elementari a determinare il resto della formola di quadratura di Simpson la quale, come è noto, si ricava dalla considerazione di una funzione intera di grado non superiore al terzo. Aggiungo che avendo esaminato in seguito una regola «generale proposta dal Peano (*), per determinare i resti delle formole di quadratura, ho potuto riconoscere che essa, pur dif- ferendo da quella qui proposta nella forma e nelle considera- zioni sulle quali è fondata, non ne differisce nei risultati. 2. — Consideriamo la formola di Taylor col resto sotto forma di integrale: (1) OE iO re +È i f (a) + È Î ME — y)f®#" (y) dy. Da essa si deduce, trasportando f(a) nel primo membro, . Fa nf ‘/ . . » n / . » scrivendo | f (x) in luogo di f(x) — f(a), sostituendo f(x) a a f (x), cambiando » in n-4- 1 e considerando l'integrale, prece- dentemente scritto, tra i limiti *r — a e rx = bd: È (b0—- a) a (2) | f(a)de=(b—a)f(a) + 3: — F (@) FER De bi == n+ 1 INNI 1 "b i (+1), an n Di fl (a) + n+ 1! |, 6) ed !(y)dy, formola che potrebbe dedursi direttamente mediante l'integra- zione per parti. (!) Resto nella formola di quadratura di Cavalieri-Simpson, * Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, anno 1914-1915. (*) Resto nelle formole di quadratura, espresso con un integrale definito, “ Rendic. Accademia Lincei ,, 1913. x "ali Pr ud » É e 0 Da PN pr go # e n di al TI x w n Pdl 120 FRANCESCO CANTELLI F Indicando con P,(x) il polinomio che figura nel secondo membro della (1), le (1) e (2) possono scriversi: i 1 (£ RE OTOT i ? a al ENT dy= Pelati +.. + | l f(a)dx ct fo DT) di did I A (3) Ja Ri n+ 1! a e y, + ET } ‘b i | P.(a)dr = a,(b— a) + 2 a(6° — a?) 4... 3 Ja * tai | De be: An n+li _ +1 i ' n+1 Ù spdesl | nelle quali alcuni dei coefficienti 49, 43, 48, .... 4, potrebbero supporsi nulli coerentemente a presupposte assegnate forme della f (2). i Se supponiamo che ?P,(x) si componga di 4 + 1 termini, k R. I termini della formola di quadratura (13) potranno porsi, nelle pratiche appiicazioni, anche sotto forme più convenienti; in quanto al resto È, potrà ad esso darsi la forma di un unico integrale definito e se è (15) R,= Af"4 (E), essendo &, un valore compreso tra a, e 4,1, potrà pure scriversi: x WPCES] (E) R= a 1 onde sarà pure, come è noto, tra i limiti =, e 7=, indicando con È un valore compreso tra i limiti stessi: (16) R=A(0--1)f*®). e DEANVERA CANTELLI p 5. — In questo paragrafo. sarà fatta qualche soplicazione della teoria accennata. 3 Funzione intera di 2° grado. Si consideri la funzione intera di 2° grado: (17) FA=f@+f(- = +42 dalla quale si ha: (18) [E @ de= | f (adr =a0 + 4%. La conoscenza dei valori F(1) e #(0) permette di ricavare dalle precedenti : (19) [F@d=| f@de=3F0+4F0 | = LIf(-1)+4f0)+/(M]. Ciò premesso, ponendo : (20) la seconda delle quali formole si deduce dalla prima, si ha: 1) [fee (rat+ la lia (= b PF a iglao )dy, avendo posto : anali Pa Meer NELLE FORMOLE DI QUADRATURA 125 i R i dr a na b , SIR Ora, se F(î7 -y+ aa È è una funzione intera di 2° grado Meroe “in y essa sarà iper eo, (17) e, pertanto, si potrà scrivere n | per la (19): la ic È, bT—a at d 2 “ad e) [ef )ent Ato A \utk \ IRE) si deduce ancora agevolmente, tenute presenti le (21) e (22): quale il Peano ha rivendicato la priorità a B. Cavalieri che per ma primo l'ha pubblicata, sotto forma geometrica, nel 1639. ; Mr Nel caso che f(x) sia una funzione intera di grado supe- vi SR riore al 3° o una funzione qualunque, la (24) avrà un resto. Ora, da è noto che quando si tenti di esprimere questo resto per mezzo della derivata terza di f(x), ricorrendo alle formole interpola- torie di Lagrange o di Newton col resto sotto forma di deri- vata, si incontrano delle difficoltà (*). Risulta, infatti, per la | espressione del resto: (@— a) (e _ E ea) (£) da (25) in cui è & un valore compreso nell'intervallo (a 6) e in cui il polinomio sotto l'integrale cambia segno nell'intervallo stesso. Applichiamo il procedimento indicato in questo seritto per esaminare se sia possibile evitare gli inconvenienti che presenta l'applicazione delle formole indicate. Determiniamo, in primo luogo, il resto della (23) ricordando che essa è dedotta dalla considerazione di una funzione intera di 2° grado; per le formole generali (7) e (8) si può dunque scrivere: 1 Ao=-3; Ai=3zi N sd wuN (26) | ey) | 70-nr0+301—-yr(1)]|, (!) Cfr. E. Pascat, Calcolo delle variazioni e delle differenze finite, p. 265» Hoepli, Milano, 1897. sa 126 FRANCESCO CANTELLI e poichè nell’ intervallo (0,1), nel quale è considerata la (23), è costantemente Y(0)= 0, Y(1)==1, sì può scrivere: E; \ 1 / 5 (27) Pre Tarld—-y e per il resto della (23): y(1—- pe (ey + ay. de af! (28) 1 6 lo Ritornando, adesso, alla variabile x, per mezzo delle (20), e tenendo presente la (22), si deduce agevolmente: Il I \o + CALI III " sha le HE "4a, 9 (29) RE=— per cui, tenute presenti le (21), (23), (24): (30) [, fl ar= [Fla) +ar(“i è) +50) fe, 30/ a+ db ri ri \ (be (e +) [f (+f." (a+b—a)] de. Ja+b 2 Ora, poichè nella (30) il polinomio che si trova sotto il se- condo integrale non cambia segno, tra i limiti dell’integrale stesso, si deduce agevolmente per l’espressione del resto, quando f(x) si mantenga finita nell’intervallo (a, db): © > bT- a) TT ui a) 1) gear +" +=, Qui et Li a essendo & un valore compreso tra =" Se f(x) è una funzione intera di 3° grado, l’espressione f(@+f2"(a+d—2) è identicamente nulla e risulta, quindi, che la formola di Cava- lieri-Simpson è rigorosa anche per una funzione intera di tale grado. tntirnteteltet tnt fa Me a i, è DI So; “LEN sr % Wool Da 2 BA ant 9 î. cui nesti ‘NEDLE FORMOLE DI FRS Funzione intera di 3° grado. a) La funzione Fa)=f@)+f(—2)=a4 +42? può considerarsi come una funzione intera di 3° grado nella quale è nullo il coefficiente del termine di 3° grado, cioè /" (0). Ricordando che è: (82). [[f@ar= 2" Le y+ 4°) ay COTE Fot Fy- +2) | e tenendo presenti le formole (7) e (8), si ha per la determina- zione del resto R, della formola di quadratura: f='a9 (83) e@)=/ (1 9*r(1)—3|300-y*r0)+40—y7(1] — 1 ) i Ed, atta fol ptt) NO Poichè il polinomio sotto l'integrale si mantiene positivo, 0), tra i limiti y=0 e y="I, si può scrivere, nel caso che f,! sia finita nell'intervallo y= — 1, y= +1 e indicando con n un valore compreso tra y=0 e y=l: SR ia 2 (07 a y+ “D+ n na | 0 xs (+ a) Vul”. ati PE en FRANCESCO CANTELLA PE Se, ora, indichiamo con ny un valore compreso tra — 1 EI SES) (— e y+ alle = arto (4) ol . b_- 3 MEA ma risultando allora - 3 coni + ati compreso tra a e d si avrà, indicando con € un valore compreso nell’intervallo indicato: - a+ db bat arm (t+ ali (a) In definitiva risulta: Vel as rD(E (34) Rae (ie. Il resto sotto la precedente forma è stato pubblicato dal Peano sin dal 1887 (1); sotto la forma di integrale e di de- rivata, oltre che nella sua più recente Nota, già citata, è stato dedotto dall'A. stesso dalla applicazione della regola generale da lui proposta (?). tra due valori successivi Chiamando % la differenza bT_-a 2 della variabile x, ai quali corrispondono i valori di f(x) che figurano nella formola di quadratura, si può scrivere : vw 65) (ef de= LA) ++ TO (1) Cfr. Applicazioni geometriche del Calcolo infinitesimale, Torino, Fra- telli Bocca, 1887. (*) Mem. cit., “ Accademia Lincei ,, 1913. 4 LA VAEZEIO DI FE "MERA ALLE FonmoLe DI “quapi Ra: ana SA: sì actagea! applicando il metodo dic cui è stato detto I 4: GI) [ferlgae= AP +2 If T-.. + co] + f 2) +4) Po) ++ fa] + 2, essendo: O (36) R=-ptfea, Lo < E a, Lap. b) Consideriamo ancora: (87) È; dalla quale si deduce: Fa)=f@+f(-2)=a, + 430? 4 1 i 1 ; 1 Noti i valori F(0), F(1), si ottiene dalle precedenti: 69) [F@ee=( fel F0+£ FA) = If 1+22/0)+/1M] 0 la: (0 e, posto: È = (60 -a)y + E° (40) sì ricava: SEA fi (‘) Per le applicazioni statistiche di questa formola cfr. ELverron W. P., Frequency curves and correlation, London, Charles and Edwin Layton. 130 FRANCESCO CANTELLI Determiniamo il resto della (41) nell'ipotesi che f(x) sia una funzione intera di grado superiore al terzo oppure una funzione qualunque. In tal caso sarà: L pipe ast ll.n lm 42) |, (b- ay + dy=3 Pit Fa4+P e il resto della (41) sarà espresso da (43) Ri=(0—a)R. Si ha per la determinazione di /, tenendo presenti le (7), (8): 11 1 i dorato AT MiE=55 (44) Loi ESSI a È Lis oM)= (3-9) Y sla la 0-9 10)+ 24 A—y1(1)] e però: È Sana RA Leni Vide di I (45) I y)? a r(3)| XA IC — ay + «el dy. Si può dimostrare facilmente che la espressione dm griglia) (1) si mantiene positiva tra i limiti y=0 e y=1. Infatti, poichè Y Î L) è nulla tra i limiti y= ; e y= 1, è ovvio che la (46) si man- tiene positiva tra questi ultimi limiti ; tra i limiti y==0 e y= 3 : essa può scriversi, a meno del fattore De 144° Ù n Sa 4 i 3 \ (47) (ep y)e_:6 | gi v) NR a Fa (1—-2y)f, ed essendo: 1_-y2=>1--2y=>0, Paget nio) dd a, TRA N "op 3a Re Se Sus lati di di psi; NELLE FORMOLE DI. QUADRATI PURA ie la (47) acquista valori non inferiori a È Li 3 vaf di 3 (1-29 — (1-2yt=(1-29*(7 +3 y)\=0 Indicando con € un valore di x compreso tra « e b, si ricava agevolmente, alle solite condizioni, per il resto della (41): di @ ( a) (b — af (E). (48) R,=— Chiamando /% la differenza costante % — @ tra due valori successivi della variabile x, ai quali corrispondono i valori di f() che si trovano nella formola di quadratura, si può scrivere: (9) (pae E 100) +22) + 0] ZO) e, applicando il metodo di generalizzazione del $ 4: (60) (PL) +24 [fe +f (+. (52) to+}h + f (€,-)] + 23f(@_)+f(@){+R, essendo : (51) R=—- Fa e— 1) A5 fl° (£) To Esta c) Dalla considerazione di F(a)=f(@+f(-a=@+d@®, [' Fa)de=a04 4 a 0 noti che siano i valori F(4) F(1), si ricava: (53) [r@de=([ lf) ar= 3 F(4)+4 FM = (04 3(-1)+3() +10] Pe la & simp de e e sua n SI DEA Ausl LO? In x one DI È fe Lo: * a a iegta bi «J pe [aa = £ + » 18900 e, posto ancora: (54) sì può pure scrivere: id î o Si DA UTO 6) [f@de= [+ e = | rar $)499(24) 70], che è la formola di quadratura di Newton. Determiniamo, nelle solite ipotesi, il resto /, di questa. formola. Osservando al solito che è: 66) | FAty+ tt) y=i 4 +] ha +8, determinato che sia / sarà: (57) Per la determinazione di & si ha. tenute presenti le (7), (8): 3 Ao ===, xd , Ài = ca (58) oM= 1-9 gt (3 e quindi: 09 neo i flirt XI posa 7 ga ; fg SE, reo QUAI #00 n Lita i d, ; date RESTI |ONELLE. FORMOLE DI qua RATURA A Ù esaminare se la funzione iù @ sie mantenga lo stesso segno tra i limiti y=0 e y=1. Ora è «chiaro che la precedente si mantiene positiva tra i limiti y == È e y= 1, perchè, tra tali limiti, si riduce a (61) (1-y*—(1--y'=y(1—- y}, e che si mantiene pure positiva tra i limiti y=0 e y= La ; perchè, tra questi limiti, si riduce alla (61) aumentata del ter- mine sempre positivo: s(i-,). Indicando, al solito, con & un valore compreso tra « e b, | sì ricava agevolmente per il resto della (55): (62) R,= — # (274) fo (E) (Questo resto è stato dedotto dalla D.5* Paolina Quarra (!) dalla regola generale indicata dal Peano. Introducendo la solita differenza 4 che, nel caso esaminato, x bT_-a CON sa . e uguale a s Sl puo scrivere : 3 (63) e) da = È h{f(xo) 4+-3f (21) +3f (2) + f(23)] — fo (') Cfr. Dr. P. Quarra, Resto in alcune formole di quadratura, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, anno 1913. 134 FRANCESCO CANTELLI e generalizzando: (64) (25) da = 3 h}f(x)+3[f(2) +f(2) +f(2,) +f(e) +f(e)+ fe) +...) + f (230) +2 [f (23) + fee) + ...+ 7 (c39-3)]{ + &, essendo : (65) PEZZI nel pihe:f4 (E), Ki lETàp: Funzione intera di 5° grado. Determiniamo i resti di due formole di quadratura, delle quali la prima di quelle esaminate è riportata da G. Boole nel suo Trattato sul calcolo delle differenze finite e Valtra è indicata da W. P. Elderton nel lavoro già citato. Tali formole possono anche ricavarsi dalla considerazione di un polinomio di 4° grado. a) Da (66) Fa)=f(@)+f(-—2)=a0+ ar + a,24, che può considerarsi come una funzione intera di 5° grado nella quale sono nulli i coefficienti dei termini di primo, terzo e quinto grado in x, si ricava: (67) li Fade =a, + = ag + - di. Noti i valori / (0), F(). F'(1), sì ottiene dalle precedenti: i +1 pe, da ro n (68) n Fa)da=[' f(@dr= i SU errali (3 )+ 45 =. If 1) +825(— 3)+ 12(0)-+32/(4) de 7f(1)] F(1) e, posto ancora: (69) cia i fica PESO fia n 1g i Ci a aa Co st VELLE FORMOLE DI quaDiAT URA + LS è ri y sì i deduee:: = [fl 9400 (® 49) 4 105(23) +326(2°7*)+770)]. Per la determinazione del resto £, della (70) determiniamo prima, come al solito, il resto / della seguente: 1 al b 32 71) fePoty+ )uy=i Fy-ot ta (1—-y, la (74) si mantiene maggiore di o; È 15 00, (77) Sedi ir che non diventa negativa tra y=0 e y= ; ma perchè la (76) 15° sia soddisfatta è necessario e sufficiente che sia: 1 1\5 (1 —2yP> ke ui dB. 9 mi CATIA Ah 2.31. 180 la quale è ovviamente soddisfatta tra i limiti y= 0 e y=%- 4 Indicando, allora, con £ un valore compreso tra a e 8, si ricava agevolmente per il resto della (70): (79) Ri= 23° R=- (0) FO (E). Essendo nel caso esaminato: Mita: bT_-a ‘SaR PIE reni ito, sì può scrivere : (80) |"f(ar= È A[7f (20) +32f (2) + 127 (1a) + 32f (ra) + fe) O c «CA E ii. î i È È Za 4.000 Va BT 33) gl e è È Cr uf È \ nia i or bito CE RI LLE > FORMOLE DI QUA DE ATURA © e eo do: (1 (Ef@ar= E AT) + 14[f(e)+f(2) + fa) +... A f (c4p-4)] + 7f (219) +32 [f(2) +f (e) +f (23) +. Aff) + 12[f (ca) + fc) + f (210) +... +7 (c4-2)]{ + È, essendo : puUbte, (82) BP, so 8$: e 0) {Oda f+/ 0) + 291 [f (21) + f (2,-)] + 5469 [f (23) + f (ey) + 5777 [f (3) +f(x,-9)] + 5760 [7 (24) 4 f (23) AIR 1-7 (a) essendo : 97) R= IAS (p— 3) hf E), co dx . w(r) Jax— xi Supponiamo, adesso, che siano %0, 1, %2, . .., %, radici della (102); allora è noto come si dimostri che sono nulli i valori Asi; Avo 11014 M3f+1; Je come valori 4/14, Aree restino indipendenti dai valori X,;1, Xn493 - <«-, Zan41; In altri termini: la formola di quadratura di Gauss determinata per mezzo dei valori f (0), f (#1), -... f(%,) è pure deducibile dalla considerazione di funzioni intere di grado n +1, n-+ 2, .... 2n41. La prima delle (108) fornisce il resto delle formole di qua- dratura di Gauss per mezzo di un integrale definito. Il resto di queste formole di quadratura è stato espresso dal Prof. P. Mansion (!) per mezzo di f”*® (£), essendo un valore compreso nell'intervallo (a, 8). Roma, Novembre 1915. (') Cfr. © Bulletin de l’Académie Royale de Belgique ,, 1886; G. Peano, Applicazioni geometriche etc. —1r1’—-*‘’‘Tr—.om— —_——_——— I TEOREMI DELLA MEDIA E DI ROLLE 143 I teoremi della media e di Rolle, Nota del Prof. GIUSEPPE VITALI (Da una lettera al Prof. Guipo Fusini). Nella tua Nota: Esiste un corpo a densità nulla ?(!) ti do- mandi se alle funzioni additive f(t) possedenti in ogni punto derivata finita si possono estendere i teoremi di Rolle e della media, e dimostri questi teoremi facendo un'ipotesi lievemente restrittiva per le funzioni di cui ti occupi e precisamente sup- poni che, se ./ è il campo d’esistenza di f(t) e della sua deri- vata e t è quel pezzo di ./ che è compreso fra due rette paral- lele poste alla distanza 4% una dall'altra, sia limf(m1) = 0. h=0 Successivamente nella tua Nota // teorema del valor medio (?) tornando sull'argomento, dimostri, senza fare ipotesi restrittive sulla funzione additiva, un teorema (#) che può sostituire quello della media nella dimostrazione della uguaglianza di funzioni additive che hanno la medesima derivata, ma che non ha tutta la portata del teorema della media. (4) “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. L, a..1914-15, pag. 293 e seg. (*) “ Rendie. Reale Accad. dei Lincei ,, vol. XXIV, serie 5*, 1° sem., fasc. 7°, 1915, pag. 69 e seg. (3) Se f(t) è funzione additiva e derivabile dei dominî t parziali di un dominio finito e misurabile ./ e se L,/ sono i limiti superiore ed inferiore 9 : k } : Ji dei valori f/(A4) della derivata f’ nei punti A di J allora L = ai Ei ASI Ed anzi se L>| è proprio L > - ) - 144 GIUSEPPE VITALI Ebbene, anche senza fare ipotesi restrittive sulla funzione additiva, i teoremi di Rolle e della media possono essere di- mostrati purchè si limiti convenientemente la natura del campo in cui la funzione si considera. Dimostro il seguente teorema: Se J è un rettangolo ABCD e se f(t) è una funzione addi- tiva definita in ogni campo t di J, che ammette derivata finita in ogni punto di J e se £(J)=0, esiste un punto P_di J in cui "ii fg 0 Per ogni numero » intero e maggiore di zero si divida ciascuno dei lati AB e BC in 2” parti uguali e per i punti di divisione si tirino le parallele rispettivamente a BC ed AB.I1 rettangolo / resta allora diviso in un sistema di 4" rettangoli a due a due uguali, che indicheremo con S,. Qualunque sia x ciascun rettangolo del sistema S, è costituito esattamente di 4 rettangoli del sistema S,.1. Poichè f(J) = 0, esisteranno due rettangoli t,', t;"” di S; consecutivi (cioè con un lato comune) per cui \ fa) >0 fm) 0. Poniamo Te een — —_ —____ rt LÀ "I =t. pt. Per le disuguaglianze precedenti esisteranno due rettan- goli ts, ta!" di S, consecutivi e contenuti in t, per cui re en. Poniamo TQ=t kt. Per le disuguaglianze precedenti esisteranno due rettan- goli tz, tg" di Sy consecutivi e contenuti in t, per cui f(18)>0 f(13)<0. Poniamo ,’ II Tg= Tg + 13 e così via di seguito. Pos Mico ala » ti DELLA aneori E DI RO x Ti rettangoli Si Wise Va, Lg n - l essendo ciascuno contenuto nel precedente avranno un punto comune P. Esisteranno infiniti ©,’ o infiniti 1,"". p.es. infiniti t,, che ontengono P. Siano essi Ti, . Ty . Ti, ’ f (Pz lim f0#) r=@ îr (e e poichè per ogni r è b f (1) =0 sì ha (1) ) DIPI=0 È poi pie) “sù (tir) _ 2f(tà) f (77) ; Ti” a Tin Tà; TRA pan = Ma è ; "D 7 fra 7 Sr) e lima » r= e quindi è anche lim É&) E fl) _9e(P)—f'(P)=f'(P); r=% e poichè per ogni r è hi fit Ss 0 ’ f'(P)=0. 146 GIUSEPPE VITALI Dalle disuguaglianze (1) e (2) consegue che f'(P)=0. Esiste dunque un punto P di J per-cui PAPI =10 c.d. di Il teorema ora dimostrato si può considerare come la na- turale estensione del teorema di Rolle, se si pensa il rettan- golo come la naturale estensione del segmento. Dal teorema di Rolle consegue subito quello della media con noti procedimenti. Ma i teoremi di Rolle e della media valgono per campi più generali. Così se per es. ./ fosse un cerchio e se f(J) = 0, si potrebbe con una parallela all'asse delle x dividerlo in due parti di ugual area. Se esse sono t,' 1,", si può sempre supporre che fa )=0 fan =o0. Dividiamo ciascuna di queste parti in due parti di ugual area con una parallela all’asse y. Delle 4 parti risultanti ve ne saranno due consecutive (cioè con parte del contorno in co- mune) t,' ts" per cui f(1) 20 fn) 0. Dividiamo ciascuna di queste parti in due parti di ugual area con una parallela all’asse delle x. Delle 4 parti che risul- tano ve ne saranno due consecutive t,' 13" per cui f (138) >0 f(13) 0 e così via di seguito. Così procedendo si può accompagnare tutto il ragionamento fatto quando ./ era supposto un rettangolo, e quindi venire alla stessa conclusione. ee.) Mn CLI | i IRE VAR PRA via, | i: PMBONEE —_°°»—’— TEOREMI DELLA MEDIA E DI ROLLE © 147 I | Lo stesso ragionamento si può ripetere tal quale se .J è un ellisse o qualche altra area del genere. Il ragionamento varrebbe anche se ./ fosse una corona cir- colare, e quindi dunque anche per aree non semplicemente con- nesse. Sarebbe possibile fissare i caratteri dei campi per cui si può ripetere il nostro ragionamento. Ma l'elenco di questi ca- ratteri, che sarebbe facile desumere dalla dimostrazione stessa, «non potrebbe concentrarsi in poche parole, e d'altra parte la poca importanza che, a mio parere, avrebbe questa generalità sconsiglia dal farlo seguire qui per disteso. Si noti che qui la derivata in un punto A è definita come il lim A) quando T è t=0 un campo tale che A sia interno o sul contorno di t. » Genova, 10 Novembre 1915. L' Accademico Segretario ‘ Corrapo SEGRE, CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 5 Dicembre 1915. PRESIDENZA DEL SENATORE GIAMPIETRO CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci Carne, D’Ercore, ErnAaupI, BAUDI DI Vesme, PatETTA, VipaRrI, Prato, e SramPINI Segretario della Classe. E scusata l'assenza di S. E. BoseLLi, Presidente dell’Acca- demia, e dei Soci Manno, Rurrini, BronDI e SFORZA. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 21 novembre. Il Socio Segretario Srampini dà lettura di una lettera del Socio nazionale non residente Pio Rana che plaude “ di lon- “tano calorosamente alle parole alte, vigorose, sapienti del “ venerato Presidente dell’Accademia: parole alle quali accre- “scono efficacia il passato e il presente di Chi le ha profferite, “e l’aver risonato nella nobile città che fu massima officina “ del nostro riscatto nazionale. , Il Socio SrAMPINI presenta per la stampa negli Atti una sua Nota col titolo I{ Codice Bresciano di Catullo. Osservazioni e confronti. Fd L'ala ‘”. LE a b ni) A 7 tx À 7 Ù ci i ; l « Sci) z Ò «" d i ra i, 9 » = # Vba bi PALE Te SPERI nh \ x [ay IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO — 149 - t_ ———_rr————_——_r———__—_—————_#—____È uu o LETTURE Il Codice Bresciano di Catullo, Osservazioni e confronti. Nota I di ETTORE STAMPINI, Socio nazionale residente. Robinson Ellis, nell'ultima pagina della /raefatio che si - legge nella edizione dei Catulli carmina pubblicata ad Oxford nel 1904 (1), nomina il codice Bresciano A.VII.7. fra i codici _“ minoris aestimandos , che egli adoperò soltanto “ rarius ,. . Di fatto solo in via veramente eccezionale lo menziona (p. e., a ce. XXXIX, 11. LXVI, 83.84. LXXIX,4.), e molto meno an- cora del Caesenas e del Carpentoractensis 357 che egli pur cita di rado e che mette nella stessa categoria dei codd. di minor valore. Bisogna credere che l’ Ellis non abbia esaminato il co- dice di Brescia, nell’anno 1901 in cui visitò la biblioteca ci- vica Queriniana (2), se non molto superficialmente, quasi di sfuggita e senza aver davanti a sè la sua seconda edizione (1) L’edizione non porta data, secondo un pessimo costume che pur troppo è stato esteso a tutta la Scriptorum classicorum Bibliotheca Oxro- miensis, di cui l’edizione fa parte; ma A. E. Housman, che ne fece una re- censione in Classical Review, vol. XIX, 1905, fase. di marzo, pp. 121-123, aggiunge al titolo: “ Published 29 Iuly 1904 ,. Fu pertanto in errore lo Schanz che diede come data l'anno 1906 (G. d. ròm. Lit., I, 25, p. 84). (2) Devo questa indicazione alla cortesia dell’attuale direttore della Queriniana Nob. Antonio Soncini, il quale, oltre ad altre notizie sul fondo dei mss. di quella biblioteca, mi comunicò che il cod. A.VII,7. fu pure esaminato il 27 marzo 1905 da U. H. Beeson !Chicago), e il 18 giugno dello stesso anno da L. Richmond (Cambridge). E qui colgo l'occasione per por- gere altri vivi ringraziamenti all’egregio Bibliotecario, il quale permise | che io studiassi con tutta comodità il codice nella Biblioteca nazionale * universitaria di Torino. > P| 5. mutante) 150 EITORE STAMPINI del 1878 (che chiamerò editio maior), perchè indubbiamente si sarebbe accorto, ai primi confronti anche dei soli titoli premessi ai carmi di Catullo, che egli aveva sotto gli occhi un fratello gemello di quel codice Harleianus 2574, da lui indicato con 4, del quale l'apparato critico di quella edizione dà uno spoglio accurato e assai particolareggiato, spoglio che si ripete con la medesima minuziosa diligenza e quasi con la medesima fre- quenza nella editto minor (chè così chiamerò l’ed. del 1904). Ora, dato il fatto che il Brizianus A.VII.7, che designerò con Br, coincide con A, e che questi due codd. hanno un numero note- vole di lezioni, fra cui alenne buone e sicure, che non sì riscon- trano negli altri codd., e moltissime le quali si trovano sola- mente in singoli altri codd., o in pochissimi, o in pochi, parmi non meritasse d’essere così trascurato, come fu sinora, non fosse per altro che per un avviamento ad ulteriori ricerche sulla pa- ternità di essi, cioè sull'esistenza di un codice catulliano che non è un semplice trascurabile assecla di O (1), ma che ha una sua individualità distinta pur nelle lezioni corrotte, le quali appaiono in numero alquanto maggiore di quello che si verifica in alcuni dei mss. più apprezzati, ma, rispondendo ad una tradi- zione sincera del testo, devono senza dubbio attribuirsi alla imperizia e all'ignoranza dell’amanuense che trascrisse il mano- scritto da cui fu a sua volta derivato, specialmente, ma non solamente, a causa dei compendia scripturae, come può essere agevolmente provato. Ma del manoscritto, donde provennero Br,h, ed altresì di quello da cui esso manoscritto a sua volta fu copiato, sarà discorso più sotto al luogo opportuno. Diamo qui. invece, la descrizione dei due codici completi, i quali io ho chiamato gemelli nella semplice considerazione del testo ca- tulliano, chè, lasciando da banda il testo di Tibullo e di Pro- perzio, quanto alla materiale fattura e alla stessa intera con- tenenza di Br,h, pur troppo mi mancano parecchi elementi per venire ad una recisa affermazione; sebbene le cose che dirò (1) Cfr. la diss. di Alph. Morgenthaler De Catulli codicibus, Argentorati, MCMIX, p. 12. Egli così chiama /%, mettendolo ° deteriorum in numero ,, quantunque in esso “ nonnulla reperiuntur in quibus mirum in modum (p. 58). cum 0 concinere videatur , IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 151 possano inclinare, almeno parzialmente, a ritenere molto simili anche sotto tale rispetto i due mss. La ragione di questa mia dubbiezza sta nelle scarse, anzi scarsissime indicazioni che | Elis ha fornito del suo cod. %. Ecco le sue parole (1): “ h. Harlelanus 2574. Cartaceus forma octonaria erassiore. Habet folia 214; singulae paginae plerumque 30 uersus compre- hendunt. Scriptus est nitidissime, manu Italica tenui ac rotun- diore. Ff. 1-34 Tibullus, 34°-102" Propertins, 103-141% Catullus, ceteris Epigrammata et poemata waria, Italorum praecipue saec. XV, scripta sunt. , Più manchevoli ancora sono le indicazioni che a tal riguardo troviamo nel catalogo del Museo Britannico (2), salvo in un particolare, cioè che la quarta parte del cod. comprende: “ Epi- grammata et Poemata varia, Maffei Vegii, Joviani Pontani, et aliorum ,. Finisce la magra descrizione con le parole: “ Codex cartaceus, elegans ,. Per altro sono sempre indicazioni preziose, perchè Br, come ognuno può rilevare dalla particolareggiata descrizione del suo contenuto fattane da Achille Beltrami (3), dopo i tre poeti (prima è Properzio, poi Catullo, terzo viene Ti- bullo), seguìti da parecchi epigrammata, ete., contiene precisa- mente carmi di Maffeo Veggio. ai quali tengon dietro molti di Gioviano Pontano ed altri. Anche il formato di Br, che è un cartaceo di 0,205 X 0,146, corrisponde alla “ forma octonaria crassior , di /%. Tuttavia Vin- tero codice Bresciano consta di fogli 220, mentre % ne ha 6 di meno, cioè 214. Se non che la cosa non deve meravigliare, dato che, come scrisse l’Ellis, sono per lo più 530 versi per pagina, mentre le pagine di Br portano tracciate 29 linee, di cui la scrittura ne occupa 28, a cominciare dalla seconda, compresi i titoli dei carmi i quali sono scritti normalmente in una sola riga fra carme e carme, ad eccezione, quanto a Catullo, del ti- (1) Ed. maior, Proleg., p. riv. (2) A catalogue of the Harleian manuscripts, in the British Museum. Vol. II, 1808, p. 701. (3) Nel suo Index codicum classicorum latinorum qui in bybliotheca Qui- riniana Bririensi adservantur (negli Studi it. di Filol. class., Vol. XIV, 1906, pp. 56-66. « pe =» Ì 152 ETTORE STAMPINI tolo premesso a c. I, che è di due righe. Il solo foglio 83* ha 29 righe scritte, trovandosi il titolo Ad viberium al di sopra della prima linea vuota; ma questo titolo fu evidentemente aggiunto dopo che era stato copiato il primo verso del carme (XXXIII). Si vede che l’amanuense tenne a conservare la scrittura su 28 righe, perchè, p. e., il f. 80" fu fatto terminare col titolo Ad varrum poetam, mentre il primo verso del carme (XXII) fu scritto nel f. 80"; lo stesso avvenne del titolo Ad aurelium et Furium, che leggesi in fine del f. 79", laddove il principio del carme (XVI) è nel f. 79*. Così ci è dato di comprendere la ra- gione del minor numero di fogli di %, come si capisce che, se il contenuto di % che tien dietro ai carmi di Catullo si estende da f. 141" sino a f. 214, cioè occupa 73 fogli interi, e se Br dopo le elegie del Corpus Tibullianum da f. 152‘ va sino a f. 220 abbracciandone 79, se ne può in qualche maniera inferire che l'identità della materia compresa ne’ due codici non è esclusa. Ma questa è per noi cosa di secondaria importanza, l’es- senziale essendo qui il dimostrare l’identica fonte di Br,% per riguardo al testo catulliano. Del resto, per terminare la descri- zione di Br sotto questo punto di veduta, va notato che la sua scrittura è nitidissima, come quella di 4, ma presenta non pochi cambiamenti di carattere, dal più grande e più pesante al più piccolo e più leggero, e parecchie volte il più piccolo e più leg- gero sì presenta più fitto senza che vi sia alcuna ragione di spazio a ciò render necessario. Lo stesso carattere più piccolo varia talora in leggerezza: ma jo esiterei a parlare di mani diverse, pur non escludendone la possibilità. Certo nelle rare correzioni e aggiunte interlineari o marginali il sottilissimo ca- rattere che talvolta si scorge e la conformazione differente di certe lettere induce a sospettare un’altra mano; ma, come ve- dremo, trattasi di pochi casi e non c'è da farne gran conto. Ignoro quanta parte dia 4 alle abbreviature di vocaboli. A giudicare dalle numerose lezioni radunate nell’apparato cri- tico dell’Ellis, si direbbe quasi che non ve ne sono; ma son sicuro che l’Ellis avrà fatto ciò che farò io per Br, vale a dire avrà trascritto il vocabolo nella sua interezza quando non giu- dicava necessario, per ragioni speciali, riprodurre esattamente la parola compendiata. Quanto a Br, le abbreviature sono molte, indubbiamente più numerose che in G, di cui ho avuto alla IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 158 mano la riproduzione fotolitografica (1): non parlo di M, che tutti sanno quanto poche abbreviazioni presenti (2) in confronto di G (3). Pochi esempi ne daranno la dimostrazione (4). X,18. Br Non ing, tm m fuit maligne G Non ing, michi tam fuit maligne 192: Br Vtor ta bì q, mihi pararim G. Utor tam bene % michi pararim XX,23. Br Ntuc eù uolo de tuo pote mittè pnum G Ntuùc eu; uolo de tuo ponte mittere pronu; L,18. Br Nîìc audax caùis: peesqz nfas G Nunc audax caueris precesqz nostras LXII,61. Br Ipe pr cù mre qbus pare necesse est G Ipse pater cuz matre quib: parere necesse est LXIV,167. Br Ile autè ppe ià medijs ùsat’ in undis G Ile autem prope iam mediis uersatur in undis s 169.Br Sic nimis insultàs exmo tpre seua G Sic nimis insultans extremo tepore seua E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Ma veniamo alle correzioni e alle varie lezioni di Br (5). (1) Catulle. Manuscrit de S'-Germain-des-Prés (Bibliothèque Nationale, n° 14137) précédé d’une étude de M. Émile Chatelain. Photolithographie de MM. Lumière. Paris, 1890. (2) Ho anche sempre avuto presente il Liber Catulli bibliothecae Mar- cianae Venetiarum pubblicato heliotypica arte in 30 esemplari numerati da Costantino Nigra nell'aprile del 1893. Io lo indico col segno M: (3) Di O non posso parlare, chè non ho potuto fare alcun confronto, non conoscendone un numero sufficiente di fogli in fototipia. (4) La numerazione dei carmi e dei versi da me data è quella che si ha nella editio minor dell’Ellis. (5) A proposito di lezioni, non deve essere taciuto il fatto che in Br manca sempre la prima lettera della parola con cui il carme incomincia, salvo per quei carmi di Catullo che si continuano senza titoli e senza spazî intermedì. Quella lettera doveva essere scritta in proporzioni più grandi da estendersi sino alla riga del secondo verso, così che i primi due versi sono sempre allineati più in dentro: nel margine a sinistra poi vedesi quasi sempre una sottilissima lettera minuscola (sembra d'altra mano) per Atti della R. Accademia — Vol. LI 11 LR "ene ME 154 ETTORE STAMPINI Le correzioni o varie lezioni in margine sono pochissime e si riducono alle seguenti, o a poche più: I, l. modo marg. dono 5. tum ma.th a.m. (1) III, 10. pipillabat ma.pipiabat a.m. 18. tument wma.rubent a.m. VIII, 2. ducas ma.latet XII, 12. extimatione ma.expectatione XVII, 1. ligno ma.lungo 26. mula ma.nulla XXIII, 16. salina ma.saliua XXXIX,12. lamininus ma.flaminus XLVIII, 4. sacer ma.satur LX, 3. tetra ma.cetra 5. uero corde ma.fere LXI, 225. boltiei ma.al. bonci (0 bonti?) a.m. LXII, 36. multis ma.nuptii LXIII, 18. here citatis ma.excitatis 27. atris ma.actis LXIV, 298. na- tisque ma.gnatis LXV, 7. Cidia ma.troia a.m. LXVI, 12. sedes ma.fines 74. uestre ma.uere LXVIII, 42. Inuenit ma.ivuerit LXXVI, 6. amittere ma.amore tibi LXXXIV, 2. arrius insidias ma.anus infida h° COSV amictu ma.aica (= amica). Nel testo le correzioni sono del pari in picciol numero, e, fatta la debita riserva per qualche possibile omissione, si limitano pressochè al seguente elenco : o° as u nec q II, 12. auleolum VI, 1. tuo a.m. (2) VIII, 4. docebat 10. Neg; È to) X,19. que (vale a dire quod sopra scritto; e cfr. la lezione di h que) ui id mus q o i XI, 23. ultimi XII, 7. quia uel 14. sethaba XIV, 23. Seculi n (si osservi che Siculi è la lezione di Harleianus 4094 XV, 11. moueto u sti t 17. tn (=tamen sopra scritto tam) XXI, 12. desinat a.m. XXIII. 27. desine tale t 8 a XXV, 4. tulle 10. lacuscalum —XXXII, 4. irriserit XXXVII,15. indignu n 16. semitarii a.m. LXI, 8. hùc (Za c deriva da correzione di altra lettera (6) e a che non ho distinto bene, forse i) 145. patet LXII,55. coluere LXIII, indicare la lettera mancante da aggiungere alla seconda, la quale è anche quasi sempre in carattere maiuscolo. Per il solo carme I la lettera iniziale doveva toccare la linea del terzo verso. (1) Con a.m. (altra mano) non intendo fare un’ affermazione assoluta: voglio solo dire che muta la proporzione o la finezza o la rotondità del carattere, talora anche l'inchiostro. (2) Si deve intendere che a.m. in questo elenco si riferisce alla corre- zione scritta sopra alla parola del testo. "a IBS PORT E dia e ga "tir. CODICE BRESCIANO DI cart 9° S Pete, r DE 2 linguis repete (col segno 7 messo sopra ciascuna parola per correggere lu » pthi Pia Li pinta repente linguis) 77. Renumque Puri 35. RAYANISE am. sydere È 319. calachiti ad.m. 329. coniuge sale Lang oi (o corr. da e) RE 839. iui a.m. (d corr. da t) LXV, 7. letheo 24. orbe LXVI,3. obscu- »: tecti "b n retur 27. Rae btte 39. DARI 70. tethi a.m. 2. libet a.m. 87. uras ) r i (già u era stato corr. in n dalla stessa mano) a.m. LXVIII,3. eiectum a.m. { o Li ì 4 ei : - 4 Subleue a.m, 63. uentis nautis 76. herus (Za lettera sopra u è incerta; pare un? piuttosto che uno) 113. Dopo PR leggonsi punteggiate le parole certa figura; segue dont sagitta 115. Sedia) 153. Sulla t di temis un 1 u segno a.m. che sembra quasi F LXX, 1. male LXXIV, 3. ipsam a b ri LXXIX, 4. notorum LXXXI,3. pisaurum LXXXIX, 6. Dopo sit leygesi sic puntegg. E veniamo ai confronti di Br con A, che valgono a stabi- lire la loro parentela in rapporto al testo catulliano. La stretta cognazione tra Br e /% si manifesta subito anche solo esaminando i titoli in rosso premessi ai carmi, molti de’ quali differiscono notevolmente da quelli che si leggono negli altri codd. Cominciamo dunque da questi titoli, tralasciando, naturalmente, quanti non presentino un divario meritevole di nota nel confronto coi titoli corrispondenti o di tutti o di pa- recchi degli altri manoscritti (1) che fanno parte dell’apparato | critico dell’Ellis. (1) Indico qui, nell'ordine che generalmente terrò, i mss., cominciando dai principali: 0= Oxoniensis Bodl. Canon. Lat. 30 — G= Sangerma- nensis, Paris. 14137 — R= Romanus (Vat. Ottob. 1829) — M= Marcianus (Cod. Lat. LXXX Class. XII) — D=Datanus Bibl. Berol. (Diez. B. Santen. 37). De’ secondari (così li chiamo per conformarmi all'uso, chè, secondo me, alcuni valgon più di D, del quale è tuttora esagerata l’importanza) indico con lettere, quasi per ordine di parentela con Br, 4, i seguenti: «= Brit. Mus. Add. 11915 — H= Hamburgensis, cod. Philolog. Scrin. L. 189 —- B= Bononiensis 2621 — A4= Ambrosianus M. 38 — P=: Perusinus = Cu- iacianus Scaligeri (anche codex Alani, Ellis Proleg. ed. mui. LIV segg.) — C = Colbertinus, Paris. 8234 — 5 = Mus. Brit. Add. Mss. 12005 -- e = Mus. Brit. Add. Mss. 11674. A questi aggiungo, senza sigle, i seguenti: Vicen- tinus — Phillippicus (si indica il Phil!. segnato con 9591 = Bodl. Lat. Class. Atti della R. Accademia — Vol. LI. < a fg 9 d a 4 156 ETTORE STAMPINI I. Clarissimi poete catulli veronensis liber quintus (1) mcipit. Ad cor- nelium Br Clarissimi poetae Catulli Veronensis liber incipit ad Cor- nelium V XIl. Ad Matrucinum asinium (con Laur.XXX1I]I,12,Laur. XXXIII13; nella maggior parte dei codd. si legge asinum) XIII. Ad Fa- bulum (con a AA Fabullum £) XVI. Ad anrelium et Furium Br, (negli altri codd. il carme è senza titolo e si continua senza intervallo col carme prec.) XVII. Ad amicum quendam Br,hk, con B (mancano intervallo e titolo in 0,G; varia il titolo negli altri codd.) XXII. Ad varrum poetam Br,k (Ad Varum opp. Ad Varinm 2 Ad Varum (Varrum a) laus suffeni poetae «,H) XXVII. Ad furium B7,k (Ad Pincernam suum 8) XXVII. Ad veranium {Verannium 4) et Fabulum Br,%, con a (Ad Veran(n)ium et Fabullum £) XXIX. Ad romulum (manca in Br Catamithum che leggesi in hA Ad Ro- mulum Chata mittam H In Romulum Cathamitum £) XXXII. Ad ipsi-. thilam Br,h (varia il nome negli altri codd.) XXXIII Ad vibenium Br In Vibennium %# (In Vibennum a In Vibennium Furium P; mancano in- tervallo e titolo in SL) XXXIV. Ad dianam de eius laudibus B7r,% (Carmen Dianae et eius laus a Hymnus (Hinnus Burneianus 133) in dianam P, Burn. Carmen Dianae £) XXXV. Ad cecilium libellum loqui iubet B7,% (Ad Cecilium (Celum D) inbet libellum (libello G,,2,D) loqui (loquere a) 2 Ad libellum suum de Cicilio A iubet libello suo loqui ad Cecilium Lawr. XXXIII,12 Coecilium (Cecilium P) rogat ut ueniat Veronam (Romam P) P,Burn.), XXXVI. Ad lusicam catham (catam 4) cartham Br,% (Ad Lusi- cacatam (Lusicatam Cl) £; altre variazioni in H,B,P,Burn.) XL. Ad Ra- nidum Br,/ (In Rauidum P_ In Ravidam Burn. Ad Ravidam £) XLIX. Ad M. T. Ciceronem Br con B. Ad Mar. Tul. Ciceronem % (Ad M. (Marcum H) Tullium Ciceronem H, Laur.XXX1II,13 Ad Marcum opp. M. opp. Mar. e. 17) — Burneianus 133 (Mus. Brit.) — Vaticanus 1630 — Ricardianus 606 — Harleianus 4094 — Laurentianus XXXIII, 12 — Laurentianus XXXIII, 18 — Santenianus, e qualche altro, come i già menzionati Caesenas e Carpen- toractensis(Carpentras) 357, il Codex Ashburneri, il Dresdensis, ecc. Il segno £ vale, come nell’ed. min. dell’Ellis, a indicare il consenso dei codd. principali insieme coi più fra i secondarî. Ricordo poi di nuovo che trascrivo le lezioni di By sciogliendo le abbreviature. E siccome Br solo rarissimamente usa i dittonghi de ed oe, adoperando la e semplice, così nel confronto con % trascuro la differenza che può intercedere fra i due codd. a tal riguardo: la stessa avvertenza devo fare circa le iniziali maiuscole o minuscole delle parole. (1) Ricordo che in Br il liber di Catullo fa seguito al lib. }V di Pro- perzio: di qui lo sproposito dell'amanuense che aggiunse la parola quintus. # Pu + c (PCS si) À ? I a È APRI] È a w . fa ; Ad A veti I ALP (i x r « . Tr a, ? È i © Ù a P - |--IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO — 157 Tullium A,P,Santen.,Laur.XXX1II,12 Ad Ciceronem GG Ad Tallium € Ad Romulum R,M prima della corr. in AA Ciceronem) L. AA ly(i 2)cinum Br,h (Ad Licimum H Ad Licinium R,a,B,A4,0,Sant.,Laur.XXX1I1I,13 Ad Ly- - cinium Lar. XX X/1I,12 Ad Lucinium G,M che ha in marg. ad licinium Ad licinium Caluum P) LIII,4. Tra questo v. e il v. 5 intervallo e titolo De othonis capite in Br,h; lo stesso spazio e titolo con qualche variante gra- fica si ha in M,a,H,B,A, ete.; il titolo è scritto al marg. del v. 5 in G,R,C; tra il v. de ilv. 1 del carm. seg. più nessun intervallo e titolo LIV,5. Tra questo e il v. 6 spazio e titolo In camerium Br con B,Sant., Laur.XXX1II,12 Ad Camerium 4k,H (In Camerum 4,C0,Burn. In Camertuma Ad amicum suum P; #/ titolo è in G scritto in marg.) LVI. Ad M. Ca. porcium Br Ad Mar. Ca. Portium # (Ad Catonem (Cathonem 4) 2) LVIII. Ad Ce- lium Br con P_Ad Caelium # (Ad Coelum Burn.; nella maggior parte dei codd. con O,G nessun titolo e nessun intervallo) LIX. Ad ruftfam Br, (In Ruffum a,H In Rufum £ In Rafam bononiensem P) LXI. Iulie et manlii Laudes Br. de Iuliae et Manli laudibus 4 (Epythalamius Iunie et Mallii opp. Epithalamus Tuliae et Malii 2, con altre variazioni dello stesso la titolo in alcuni codd.) LXIV. Argonauta thesei et adriane Br Argo- mautica 'lhesei et Adrianae 4 (Argonautia 2 Argonautica exametrum a) Rig: LXIV,322. Dopo questo v. intervallo d'una riga in Br,h,R,M,a,H,B,A,Sant., Laur.XXX1II,12,13, con titolo che è in rosso Epithalamium thethidis (the- tidis 4) et pelei in Br.h: variazioni dello stesso tit. negli altri codd. LXV.Ad hortalem Br,A, con H (Ad Ortalem G, R,M,A,C,Sant.,Laur.NXX1II,12 Ad Orientalem «) LXVII. Ad ianuam Br,h, con a,P, Burn. (gli altri codd. continuano senza intervallo e titolo) LXVIII. Ad manlium pre tristicia sui fratris non posse consolari alterum Br Ad Manlium prae tristitia non posse consolari alterum # (Ad Manlium P_ Ad Malium a Ad Mallium £) LXIX. Ad ruffam immondiciam suam ei obiciendo Br ad Rufum immun- diciam suam ei obiciendo #4 (In Ruffum opp. in Rufum L; manca tutto il carme in D, Ric.606) LXXX. Ad gelium Br, h (Ad Gellium £ Ad Celinm a In Gellium P.Burn.) LXXXIX. Ad gelium ironica laudatio Br Ad Gellium Ironica Laudatio 4 (In Gellium £ Ad Gellium H) XCII. Ad lesbiam de ipsa conquerens in amore Br,% (In Cesarem £ in Caesarem B Ad Cesarem H) C. Ad celium Quintum Br Ad Celium Quintium % (In Celium et Quintium £ De celio (Coelio Burn.) et quintio P, Burn. Ad Celium a) CI. Carmen pro morte fratris Br,% (Fletus de morte amore D) fratris marg.G, R,M,D,H,A,B, Laur.XXX1III,12,13 Elegi de morte fratris a) CII. Ad cornelium Br.,/, con D corr.,a,P,Burn. (nessuno spazio nè titolo negli altri codd.). 4 SSN e N ap x "ge te, STAM ETTORE Mor PINI O bi i A proposito di intervalli tra carme e carme e di titoli, non ” “in va taciuto, nel confronto di Br,% con altri codd., che in D.a,P_ chit i e Burn. si trova un numero più o meno grande di carmi segnati da distacco e da titoli varianti, o anche da un semplice inter- vallo, mentre in Br,% v'è continuazione di versi senza spazi in- , termedi e senza iscrizione di sorta. Così P e Burn. hanno titoli > in principio dei carmi 45, 70, 73, 74, 75, 76, 79, 86, 91, 94, 95, 98; DA P solo prefigge un titolo a 46, 57,112; P.Dcorr..a,Burn. pre- She mettono titoli diversi a 81,82, 83, 88, tra il v.2 e il v. 3 di di c. 92, a 96, 97; P,marg.D,a,Burn. ‘al e. 105; P.,a,Burn.'al 78. wi P, Dcorr.,Burn. ai carmi 87,99, 103, 107, 108, 109, 111, 116: x” È P,D corr. ai carmi 106,110, 113) 114; P,a ‘al c. 44; (e Doorr. 1 ARSA solo al 104; mentre inoltre in a solo v'è semplice spazio vuoto. Va: che separa dai precedenti i carmi 86, 99, 103, 104, 107, 108, — 109, 114, 116; e parimente c’è puro intervallo di distacco prima di c. 71 in P,Burr.; prima di c. 110 in a,Burn.; e prima È: di c. 115 in Da. 5 Sono entrato in questi particolari, perchè sin d'ora mi preme si Bi; richiamare l’attenzione sui codd. D,a,P,Burn., come quelli che, * per certi rispetti, dimostrano più o meno notevoli affinità con de Br.h.; ma, come sarà provato con la massima evidenza anche } in seguito, vanno invece nettamente da essi distinti, e confer- uri. mano, con quegli altri elementi che saranno messi in rilievo, che, nonostante parziali coincidenze e perciò una cotale paren- tela, non possono mettere capo, come indubitabilmente mettono capo Br,h, ad un unico esemplare. E passiamo all’esame del testo catulliano propriamente detto in Br,h, cominciando da ciò che appare esclusivamente proprio di questi due codici e ad entrambi comune, sia riguardo alle lezioni, sia anche per rispetto a qualche lacuna o trasposizione che essi soltanto presentano. I1I,3. est mortuus 10. pipillabat marg. pipiabat 15. mihi bellum V,8. Deinde mille altera da secunda centum 10. multa alia mille VII, 6. uerteris "VIII 14. Aut ta X,7. In bithinia quo modo possem 9. nihil neque nune ipsis 17. Manca il verso. 19. que con quod sopra. scritto. 28. non invece di modo 33. tu insulsa XII,7, quia (qui sopra scritto) tu inv. di tua id inv. di vel (anche H; in Br id scritto sopra uel) | À vi LÌ Pe, i Ù Li (tie UE die Lo PAT Catp.i Lee î “ic 'itREA TAR Lo ali A 1) «SEP ; 159 LCRAT Mi di SUITE | SMR. (°==- IL CODIC& BRESCIANO DI CATULLO io pes 2. extimatione marg. expectatione X1II,3. bona XVII,1. ligno marg. longo (lungo Br) 3. rediuiuis (om. in) 6. sali sub scyli 10. latus (ine. di lacus) 22. sit om. dopo utrum 24. potes XXI,12. desinat (ma sti scritto sopra sì) XXV, 1. talle 4. tulle (ma sopra scritto tale Br) XXVIII, 13. Fati . XXIX,15. aut XXX,3. perdére 7. iubeas 8. quasi tuta omnia XXXI.5. thimina - XXXIV,6. proles 8. oliriam 23. Ancique XXXVI, 14. alchos XXXVII, 12 lla XXXVIII, 3 magis magisque XXXIX, 11. porcus XL, 1. ranide XLII.5. Pueilaria 13. olidum XLIV, 11. minatium 13. grando 20. sentio XLV,4. assiduo 12. Ila 15. macrior . XLVI,3. locundum L,5. hos invece di hoc 13. simul utque . leeto 17. prospiciens (prospitiens 4) LV, 1. molestum est (5%) huie VI, 7. cendi LVIIT,2 tu catullus 5. Glulit LX, 5. uero corde fere LXI,21. Floridus 36. ite insimul 104. ad tnum 107. rubile 115. Flameum 134. At davanti a diceres 151. siue seruit 174-178. Mancano questi vv. 196. Inuerit 202. uestri LXII, 9. cauent quo uiscere parent 12. Aspice ut 22. Manca il v. 40. Manca il ». LXIII, 5. letas (laetas #) 7. recenti 9. tu mater invece di tubam 12. galli 19. cadat 27. atris marg. actis 31. omina gens 46. sine que is 49. est ista uoce miseriter maiestates 56. pupilla 67 solum LXIV,27. contempsit 61. heu he 71. miser 89. flamina myrtos 101. esse invece di contra 109. late cum (qum A) eius 119. gnata 135. ac deuota 165. mala 208. Conscius 224. infesto 228. troni 246. ingressa 247. Monte 252. Et invece di Cum 258. intin- e ebant 271. exurgente 283. colores invece di corollis (ma i sopra e in Br) 285. penitus 294. prosequitur 304. mensa 312. sub ipsis invece di supinis 316. Lanaque 317. leni 821. facta 331. parat 344. tergo invece di tenero 360. permntata 376-378. Mancano 391. hesit (ma in marg. egit A) LXV,1. assidue defecit 7. Cidia marg. troia quam 8. Erreptus (ma reptus 4) 16 bacchiade (ma bachiade marg. bactiade #) 21. ligatum LXVI, 3. et invece di ut 15. Et ne 18. geniù iunerunt 43. mos quam 47. faciant 67. bootem 72. Nam 83. iure 84. Sed que si 86. ego om. 187. o neptune 90. numinibus 93. uti inr. di utinam —LXVII, 15. est om. 28. Quo 40. aperire invece di operire 45. addebit 47. que invece di cui LXVIII, 3. erectum (eiectum con r sopra i Br) $. oblectat 22. nostra est tota 27. quod hic 31. me 39. postea est 46. curua 52. Sitis 69,70. 1 Ù 70 è messo prima del 69. 85. abiisse 93. frater 101. quem 108. abduetum 115. et celsi 116. fuit invece di foret 117. altius 121. in uetus (inuetus 4) 125. illa 132. sic invece di se 133. cireum uersans 151. tangit 155. uice i LXX,3. cupit invece di cupido —LXXI,2. sequar 3. nostrum (anche G corr.) LXXII, 5. nxor invece di uror 6 ita me ne 7. inquit quem LXXIV,4. ad ADS A è vr eli PM A, Le 160 ETTORE STAMPINI invece di et LXXV, 3. tot si LXXVI, 4. Durum 6. amittere marg. amore tibi 12. deis 16. Nec 26. mi om. LXXX,2. fient 3. exissem cum (qum #) 8. Ulic te mulso LXXXI,1. Nemo te 5. quam invece di quem LXXXIV,8. Audiebam 12. isse LXXXVI, 6. unus LXXXVIII, 1. geli più 5. geli LXXXIX,5. ut om. XC,1. gelii XCI,1. geli 4. mete(mete A) ni invece di mentem XCTI,3. signa XCIIIT, 1. studio 2. nirum invece di s-- Pe utrum XCV,3. Dopo questo v. ne mancano due. Segue senza intervallo il v. At uolusi ete. XCVI, 6. Quintille XCVII, 6. ploxino 11. illa XCIX, 53. nanque 7. simul hoc factum est 8. abstersis 14. heleboro (ma helleboro 4) 16. bassia (così sempre Br) C, 6. Profecta CI, 7. que $ prisco (priscoque £) CHI, 1. sillo 3. nummi CIV,2. mihi messo da- vanti a carior CVI, 1. precone CVII,2. gratum om. CVIII,3. duorum CX,5. pudica CXI. 4. mater, e spazio tra mater e fratres CXVI,6. Geli 7. Dopo amictu è scritto aica (amictu anche in P,Vat. 1630 soli)» 8. nobis. È Come si vede, abbiamo qui oltre a 220 esempi di peculia- rita comuni a Br,k e solo proprie di essi due, peculiarità le quali sono, ad un tempo, prove e di strettissima parentela e di distinta individualità di fronte a tutti gli altri codici catulliani presi in esame nelle due edizioni dell’Ellis. Sì aggiunga che questa individualità, invece di essere attenuata, piglia una figura più spiccata ancora dalle lezioni e dalle altre particolarità che Br.h hanno comuni con singoli o con pochissimi o con pochi altri codici. E la ragione va cercata nel fatto che, mentre dal confronto con gli altri codd. si ricava una veramente note- 3 vole quantità di lezioni (fra le quali, si noti bene, parecchie ì buone e accettabili), che Br,k hanno in comune or con questo si or con quel codice singolo, oppure, caso per caso, or con o SR pochissimi (due o tre) or con pochi (1), si osserva invece PS che all'accordo costante di Br,fh non corrisponde quello degli di PIE altri codd., i quali variano continuamente nelle loro concordanze ; A di guisa che avviene che un codice, il quale in una lezione con- Ne suona con Br,k e con qualche altro, discordi poi in un'altra A lezione o da tutti o da alcuni, e così di seguito in altre lezioni VA, " LORA (1) Non menziono in generale i codici quando il loro numero è supe- riore ai quattro. Se faccio eccezioni, lo si deve a speciali motivi che il lettore esperto può facilmente comprendere. PA $i e e me sa dpi i "RM RR da Ent sia ti i pa | IL CODICE BRESCIA < À nia È NO DI CATULLO LE ora convenga ora no, vuoi con tutti, vuoi con parte di essi, come è eloquentemente dimostrato dal seguente prospetto: I,1 (Qui (con D,A,Prill.) 5. tum es (con d) II, 11. puelle ferunt III, 14. Orcique (con 0,M,C) 1V,24. Nouisse (con Vat.1630) V,7. mihi VI,9. et hic et illic (con a) VII,10. etiam (con H) VIII 4 uetitabas (con H) 9. impotens (con Vie.,marg.Burneianus133) IX,4. uno animo sanamque X.8. habere invece di aere 20. cito in luogo di octo (con D) XI, 7. qui (con B,Phill.) 9.latas 15. ferre (con D.H) X1I,13. nemo sinunt 15. fabulus 16. almeni (con Vat.1630,Phil!) 17. fabulum XII. fa- bule 6. Nec XIV,5. perdere (con B,H,Hurl.4094) 16. Non non hec XV.10. bonis malisque (con 6). 11. ut inbet XVI,7. tum (con D) 9. pruria (con D) XXI,l1. esuritionum 5. et iocaris 8. irrumatione. 13. irrumatus (con a, Vat.1630) XXII,4. Puto ego esse 6. nouem. 15. uel — neque nec idem (con 0) 16. ac XXIII,2 nec araneus (con Sant.) 3. est pater (manca il primo et) 6.linea (con B) 7. Nimirum (con D) 19. cullus Miconi a) XXIV,1. inuentiorum 5. cui nec (con D) XXV,5. ostendet (con 0,D) 6. palium (con a,A4) 8. Inepteque (con 0,H) 12. minuta (con Caesen.) XXVII,5. Ad uos (con 0). XXVIII,3. Veranni (con Sunt.) | fabule 11. pari fuistis 14. nobis XXIX,20. timent (con A,Sant.) XXX,9 Idem XXXI,4. libenter. 5. bithinos (con Burn.) XXXII,8. futuitiones 11. paliumque (con A) XXXIII,5. oras (con a,P,Sant.) XXXIV, 5. latona. 12. Omniumque sonantium XXXV, 6. suique meique DWEXNI, 1. tradipedi (con. €) 16. reditumque (con a, B, Vat. 1630) XXXVII5. esse duvanti hyrcos (con B,Vat.1630, ma hircos A) 10. scipio- nibus 18. celtiberie -XXXIX,2. sed (con H, Vic.) 4e5. Mancano (con D) 12. acer (con H,Phill.), 13. ut 19. rufam (con A,Sant., Ashburn.) 20. deus 21. lotum XLII,12. Manca il verso (con D,H) 15. tamen hoc satis (corr. da hoc tamen satis Br) XLIV,5. sen nerius (con D) 7. expulsus sum _ (con D) 8. mens weretur (con a) 11. Oratione (con 0) petitorem ‘con 0) XLV,7. Cessio 19. hospitio 21: septimius.. 23. septimo (con Hpr.m.,a,0) - XLVI,3. aureis 5. estuore — XLVIII,1. uwinenti (con a,H,B) 4. Nec un- quam inde ero !con Vie.) XLIX,7. patronus L, 5. illos (con 0) 20. ne- _mesis (con A,P,Sant.) reposcat (con G,D) LI, 5. que per quod 11. Tin- . tinat (con Laur.XXXIII,12) 12. Lumina (con 0,D,a) LII,3. peierat LIII, 5. salapputium LIV, 2. Et en (con Vie.) 7. Immerentibus LV, 4. id — circo (con 0) 8. sereno (con Phill.,Burn.) 9. Ah uelte (con P) (4°). niuee (con G,D,a) (7%). ninetos (9%) perseus (con bd) 19. proiicies —LVII1. cy- nedis LIX,1. ruffa (con a,H,P) 2. memini (con B) LNX,1. libissinis e de SA r Wa. Pe web > Cesa Ce Ù > n » Or e . Le Lai o CS 162. ETTORE STAMPINI © ei sa pag LP plt (con 0,a,Burn.) 5. Contentam (con 0,D) LX1I,12. concinens (corr. da con- Ki tinens, lezione di 2, in Br.) 16. Nanque iulia manlio (con P,PWill.) 33. rewinciens (con a,P) 63. ac (con H,P) 104. Legyesi complexnm anche in fine di questo v. (con B,Harl.4094) 108. leti 129. uilice (con 0) 187. uelut (con 0,C,Paris.7989) LXII,12. meditamine querunt (con. Paris.7989) 45. dum cara 60.equum (aequum 7) — LXIII, 16. pelasgi (con P) 18. animum non preceduto da an (con Bodl. Lat. Class. e. 15 = Phill. 5364) 28. Thiasis (con O) 32. athis (con A,Sunt.) 42. athim (con D) 43. recipit (con a) 47. extuanter usum (con Sant.) 53. Ut apud (con a,b,e) stabilia (con 0) 56. ad te (con bd) 81. terga (con 0,b) $&. athim (con Vat.1630,Sant.) LXIV,4. leti (leti 4) 10. texta (con 0,H,P,c) 11. prima (con D,a,P) 22. Omnis (con H) 25.thethidis (thetidis 4) 26. iupiter 28. neptune (cow H) 35. schyros 48. que (con D) 52. Nanque 56. tune (con 0) 77. androgeane. (con O,Vat.1630) 89. progignunt (con P,Vat. 1630) 92. pectore invece di corpore (con a,b,c) 96. Queque (con P) 106. fundanti (con O,Gpr.m.) - 108. Erruit (con a) radicibus 109. obuia 116. in primo (con Cerpentor.) 121. ut dopo Aut om. (con 0,P) 130. hec 182. oris 133. littore (con 0,a,P) 136. crudeles mentes 137. dementia (con B,P) 138. Immite 139. blanda invece di nobis 140. non hec (haec X) 142. aerei discerpunt 150. Erripui (con a,B) 165. Externata (con 0) 172. littora 174. imcertam (con H) 183. Qui me (con A) lentos (con O,marg.Sant.,Carp.) 193. anguineo 196.nune da- vanti a misera (con Vic... 201. funescet 203. fatis (con c) 208. demisit (con b) 219. nundum (con A) 224. Caniciem 231. Tum 239. seu 249. tum prospectans (con Ric.2242) 253. Et invece di Te (con 0,A4,0,Sant.) 260. pro- phani (con 0,B,A) 263. efflabant 271. sub limina ;nrece di sublimia (con @) 274. increbrescunt (con «,P,Burn.) 276. tum (con a,P,b) 288. illa (con H) 291. Flammati (con D,a,5) 296. cathena 312. cum (con H, ma qum A) 322. Dopo questo v. spazio d’una riga ove è scritto in rosso Epithàlamium thethidis (thetidis 7) et pelei 324. tu tamen 326. sequuntur 331.somnos 341. peruertet (con O,a) 344. trunci invece di campi (con Vie; tenen 0pp tenen 2) 350. Cum in cinerem 353. Nanque messor (con 0,Rie.2242, marg.Sant.) 355. prosternet (con 0,P.b,Burn.) 857. squamandri 370. sub- misso 383. cecinerunt 386. nundum. 388. cum (con -Vic.; ma qum 4) uenissent (con D,P,b,Burn.) 393. lacti (con O,Gpr.m.,Phill.) 395. ranusia 407. dignatur LXV, 2. hortale (con P,Burn.) 3. fletus (con a) 5. Nanque (con P,C) 7. littore (con 0,a,0) 12. carmina (con D,a) 15. hortale (con P, Burn.) LXVI,5. sub lamia (con B,Paris.7989) 6. clino (con Vie.). 12. Va- statum 18. divi 21. Et 25. atque ego 27. adeptùs (con Vie.) 30. Iupiter 35. autem (con Vic.) 44. phytie 45. cumque (con 0,D,a) 48. scelerum Li i Fx N È. di -SEA bol: AMan el ul CODICE BRESCIANO DI CATULLO 1 165 (e on Vie.; ; celerum 0) da terras (conc) 50. ferris frangere (con H) 54. elo- TS (con Vic.) 59. in lumine (con Burn.) 66. lycaonia 81. detecta (con D,Ric.606) 83. colitis (con 0,G,marg.Sant.) 86. Nanque (con €) indi- di «gnis 94. o arion (con D) LXVII,1. iocunda ... iocunda 5. maligne (con 0,Dresd.) S. ueterem (con O,Sunt.) 20. attigerat (con Vic., Burn.) 30. nati (con D,H.Burn.) 31. non solum hoc dicit se (con 0) 87. Dixerat 38. lumine 39. hoc (con H,Laur.XXXIII,12) 44. sperent (con 0, Vic.) 4%. mendatii (con R,B) LXVIII, 2. mittis (con 0,D,a,Rie.606) 3. spiran- tibus (con Vic.) 13. Aspice (con D) miser (con Sant.pr.m.) 16. locundum -30 manli icon P,Rie.606) BS. ingenuo 41. fallimus (con D,Vic.,Lic.606) 44. hec (con H,B) 50. alii (con M,Puris.7989) 54. oetheis (con a,e, Ric.606) 55. nummula (con O,marg.Ric.606) 57. aerei (con D,a,P,c) 63. Flet in luogo ) di Hic (con Vic.) 64. Lenius (con «,P,Burn.) 65. implorata (con P, Burn.) 69. comunes 81. uouit 89. nephas 91. Que uetet (om. id con P) 91. frater (con 0,G, Lanr.XXX11I,13) 93. iocundamque (con 0) 101. puppes (con Vie.) 104. paccato (con 0,H) 105. cum invece di tum (con Burn.) 119. nec tam 124. uolantarium (con H,B) 147. uobis (con Vat. 1630) id 151. nostrum _ (con M,D,a,Vat.1630,Ric.606) 159.ipse (con M,D) LXXII,1. nosce (con H, A) LXX11I,4. Imo LXXIV, 1. Gelius (con H) LXXV,2. prodidit (con D) MEXXVI; 11 tui inv. di tu (con 0,G) instineteque (con O, mu instineteque 7) 14. officias (con 0,H) 21. subrepens 26. pro pietate (propietate 7) LXXVII, SI amice (con 0) 4.Si 5.Erripuisti (con a,B) 6. Una sola volta heu (anche O, Vic.) 9. Verum id non (con 0,P, Bin.) 10. qui sis. famuloque tanus LXXX,3. domum (con D) 5. uerum (con a,e) 6. tenta (con D, Ric.606.Laur. XX.XIII,12,Paris.7989) LXXX1,3. ab —LXXXIV,3. Et com (con D,H, Burn.) ©. Hoc (con Da) requierunt (con Sant.) 8. et leniter (con H, Vat.1630,c) LXXXV,2. sì ine. di sed (con 0) excrutior (con a, H,Sant., Burn.) LXXXVI,6. subripuit (con 0,D, Vut.1630) LXXXIX, 1. Gelius ([g})Elius Br; con @) XC, 6. Omentum (con D,a, P.c,Burn.,Ric.606) XOI, 3. cognoscam (con a) constantemue (con 0,G) XCII,2. amo 3, 4. Questi ov. sono în Br,h,0,Ambr.1,67,Carp.,Sant.sqe.m. 3. ea (con O,Sunt., Ambr.1,67, Carp.) 4. non (con Ambr.I,67) invece di verum (nero 0,Sant.) XOV.I «nouam (con H) 2. nouamque icon D,H,c,Ric.606) XCVI,1. gratum non prec. da et 5. dolori est (con Dc, Burn.) XCVII,9. facit XOoG.l. ul - uenti (con A,Paris.7989pr.m.) 2. ambrosia (con D,a,c,Burn..Ric.606) 7. dil- luta (con B) 9. Ne (con D,P.e,Vat.1630, Burn.,Ric.606) nostrum (con Ric.606) manaret (con 0) 10. committi (con Vie., che ha in marg. commictae) .C,2. neronensium 6 exigitur «(con D,P,c,Vat. 1630, Ric.606) CI, 7. interea — hec (con 0,P) CV,2 furcillis (con P,Bura.,Laur.XXX1I1,12) CVI, da È ca mes AIR i Cite, a Se ag 164 ETTORE STAMPINI “a esse (con 0,G,marg.Sant.) 2. Qui (con Burn.,Ric.606) CVII, 1. quicquam 7. hac est (0, Vic.) CX,5. ingenue (con a,H,Burn.) CXI,1. Aufilenam CXII,1. homo est (con a,P,Burn.) in fine CXIV,1. mentula (con P,c, Burn.) 3. An cupiam (con 0). 4. Nec quiequam (con 0,D,a,H,P,c) CXV,4. tot modo (con a, H) CXVI,7. euitamus (con D,P,Burn.,Ric.606). Sarebbe senza dubbio non solo cosa meravigliosa, ma ad- dirittura portentosa, che due codici, per quanto trascritti dallo stesso esemplare, presentassero una identità assoluta; sta in- vece il fatto che sempre un numero più o meno grande di cause produce delle differenze negli apografi dello stesso ms. Mi basti rilevare, p. es., la. preferenza che un amanuense dia ad una sola lezione fra due o più che l'esemplare presenti o in margine o fra le linee, mentre un altro traseriva esattamente quanto legge nel cod.; e ciò spiegherà non pochi divari nei due apografi. Un copista, data la speciale peculiarità della grafia dell’esem- plare, può leggere p. e. #, dove un altro legge c; x dove un altro legge n; #4 può essere da lui interpretato per 2, oppure per 7%; ni può essere interpretato per nm anzichè per ni; ci (1) co per 4 (cfr. LXIV,212. moenico in Br, moenia in h (2); LX{,225. bonci oppure bdonti in marg. Br, bona in marg. 4), come per ti 0 to; un punto sotto una lettera, per indicare che questa deve conside- rarsi come cancellata, visto da un copista può determinarlo a non trascriverla, ma può essere che un altro la trascriva tale e quale con o senza il punto. Così un copista trascurerà, p. e.. il segno 7, poniamo, sopra e (€), e trascriverà, p. e., haeres in luogo di haerens (cfr. sotto, XXI,6 (3)); un copista interpreterà in una ma- niera una abbreviatura, un altro in un’altra (cfr. XLII,6. Perse quamur in Br e Prosequamur h, per lo scambio dell’abbrevia- tura di per (p) con quella di pro (3), come è provato da Br in LX,3. con la lezione pcereauif, che non è già percreawit, bensi (1) Per lo scambio di ci con n, efr. la lezione cendi (LVI,7) invece di cecilìi, in Br,h. L'errore erà già stato commesso dal copista del loro esemplare. (2) Cfr. LXVIII, 80. amisso in Br, ma comisso in h. (3) Più curiosa ancora è la lezione mete di Br, me te di A, in XCI, 4, derivata dall’aver trascurato il segno - in mete= mentem. Si vede che già l'esemplare dei due codd. mancava del duplice segno. da $ i | puro e semplice di %. Viceversa in LXIV,259. la lez. di % è SA LXIV, 63. mitram in Br crinem marg. mitram in h; LXVI,12. sedes marg. ‘2528 (© IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 165 procreauit) (1); uno avrà, in fatto di grafia, le sue predilezioni. per le consonanti doppie, altri no; l'uno avrà l'abitudine di scrivere, supponiamo, con l’y una parola, pur avendo una è nell'esemplare, l'altro invece trascriverà fedelmente la 7; insomma, dati due 3 copisti — peggio poi se si tratti di tempi, di luoghi, di coltura, di condizioni differenti —, necessariamente i loro apografi de- vono riuscire qua e là con differenze che qualche volta possono ù sembrare, ma tali non sono, sostanziali. Così in XXII,13. sì com- prenderà che il tritius di 4 e il tristius di Br son dovuti alla IR circostanza che il copista di /% soppresse la s che nell’esemplare | 408 doveva essere stata espunta, laddove il copista di Br la con- si servò trascurando il punto. Può esserne prova la lezione patet (46 (LXI,145.) di Br (ove la e è della stessa mano) di fronte al patet i SIA e quella di Br semplicemente cistis. Parimente, se in LX,3. Mi Br ha tetra, ed 4h ha cetra, la cosa si spiega, in quanto che il copista di X deve aver copiato la parola che si leggeva nel margine dell'esemplare, quando quello di Br avrebbe trascritto per intero l'originale, mettendo ]a lezione tetra nel testo e cetra Mete. in margine. E si comprende come sia successo, p. e., che Br n abbia wiro e 4 abbia virgo in LXVIII,80. L'esemplare poteva be- nissimo avere, come ha G, xirgo nel testo e wiro in margine: l'amanuense di Br avrebbe copiato la sola lezione del margine, e quello di % si sarebbe attenuto semplicemente a quella del testo (2); come anche potè darsi che nell’esemplare il y di wirg0 (1) Caratteristico è l'esempio di LXIV,97, dove Br ha Qualiby= Qua- libus, mentre 4 ha Qualibet, per iscambio della desinenza contratta equiva- lente a bus con quella rispondente a det, causato dalla somiglianza delle due contrazioni. È efr. XV,11, ove in Br leggesi pure qualib) (il segno quasi uguale a quello di 0), che può essere interpretato per qualibet (così /) e anche per qualibus. È così sì comprende che il copista di Br abbia scritto nò(= non) in XCVII, 6. in luogo di wero, la cui abbreviatura (mo con un segno sopra) può dar luogo all’equivoco. Per analoga ragione si ha non invece di modo (X,28) in Br, A. (2) Nell'elenco che vien più sotto se ne troveranno parecchie di queste spiegabilissime differenze. Veggasi, p.e., LXII,30. hora in Br urde marg. hora in h; LXIII, 18. here citatis marg. ercitatis in Br aere citatis in h; fines in Br fines in h; 74. uestre marg. uere in Br uere in h; ete. Va “iù ef A Ò port DI fa SU TLA ti La ETTORE STAMPINI — — Lr I > fosse cancellato con un tratto di traverso 0 segnato con un si punto sotto, tratto o punto negletto da uno dei due copisti. MI Così del pari in un apografo entra talora a far parte del testo. una glossa o una lezione arbitraria interlineare dell'esemplare in luogo della parola sottoposta. che è la lezione autentica: nessuna meraviglia pertanto che, p. e.. in LXIV,286. Br abbia cingunt, che è la vera lez., e solo in % leggasi fegunt. ve lo ho parlato di due copisti diversi, facendo persino la. d ipotesi di condizioni diverse di tempo. di luogo. di coltura. Ma SI anche il medesimo copista, dopo di aver tratto un apografo da un cod., può, ricopiandolo di muovo, incorrere in diversità di trascrizione, in quelle stesse diversità che sono state segnalate e in tant'altre ancora. A quale filologo de’ nostri tempi non è. o mai capitato di trascrivere una lezione erroneamente, e di ac- es: corgersi, in una nuova lettura del cod., di essersi sbagliato ? Se Î] RA a AS » ” . SA ciò accade al moderno filologo, al dotto, al paleografo, che si vi dovrà dire di quegli amanuensi ignoranti o. peggio ancora, semi- mf | dotti? Conseguentemente tutto ciò che ho detto nella ipotesi di due copisti, sta sempre in piedi anche nella supposizione che i . due codici siano usciti dalla stessa fabbrica, vergati dalla mano va della stessa persona. Non ho sufficienti elementi per attenermi risolutamente all'una piuttosto che all'altra delle due spiega- zioni che si possono dare, chè, come s'è veduto. troppo scarse e troppo poco particolareggiate sono le indicazioni fornite dal- l'Ellis a proposito di 4, perchè sia lecito stabilire l'identità della fabbrica, tanto meno della mano (1), per quanto le cose dette nella esposizione sommaria del suo contenuto e di quello di Br : potrebbero inclinare a non escludere come inverosimile l’opi- nione di un'unica origine altresì per la composizione materiale dei due manoscritti. Ma noi atteniamoci qui alle sole prove che riguardano l’unicità dell'esemplare donde scaturirono Br e A, la quale dalle differenze del testo fra i due codici, che io pre- (1) Poichè, come s'è notato, in Br s'impiega sempre, salvo rarissimi È casi, la e in funzione di «e, ve, ed invece l'Ellis adduce alquante lezioni di 4 col dittongo, ciò potrebbe essere, se la trascrizione dell’Ellis è stata esatta, un indizio serio di diversità d’amanuense. Ma la diversità dell’ama- nuense non contrasterebbe. del resto, con la identità della fabbrica, come è ovvio. i RE o. CERI ZA RO SULA i it RR i pai Rd ds E d VA Î ii. CODICE: BRESCIANO | DI CATULLO Ero 07 ito qui sotto raccolte con la massima cura, mi pro non possa tevere come che sia infirmata, quando si abbia ognora presente Wicquali criteri debbansi considerare le varianti di un testo in manoscritti che han pur tanta parte di mirabili concordanze fra loro. 11,3. Quoi Br Cui % III.6. mellitus Br melitus #18. tument marg. rubent Br tument % IV,8. tracem Br solo tracam 4 solo 11. citeorio Br eitrorio A sol. 22. littoribus Br littoralibus /#. 26. Se nec Br sol. Sed nec A sol. V,11. Conturbemus Br sol. Conturbabemus 4 sol. VI, 1. delicias Br delitias® 8. Sertis Br Sertis con c soprascritto all'r has | syrio Br asyrio 153. panda Br pandas % VIII, 7. nollebat Br. nol- lebat con u scritto sopra alla n h X,1. Varios Br Varrus A 26. com- «moda Br comoda È XI,10. uisens Br uidens & pr.m. 23. Ultimi (mus seritto sopra mi) Br. Ultimus 4 sol. © XIL6. credis Br credas 4 sol. (XIII, 6. unquam Br nunquam % sol. 8. sacculus Br saculus % XIV; n]}E Br Ni 1l.dispererint Br sol. dispereant 4 so. 19. Suffe/nam Br Suffenam A 20. Ac Br sol. At XV,9 tuoque Br tuo A sol. 11. qua- lib) Br qualibet &__ XVI,9. quod Br que A sol. XVII, 1. ledere Br ludere 4 sol. 26. Ferream Br Fercam % XXI,6. Herens Br. Haeres h sol. XXII[, 10. capri mulgris Br capri mulgaus & 13. tristius Br. tri- stiush XXIII,S. concoquitis Br conquitisA sol. 24. commoda Br comoda » XXIV,4. Mallem Br Malem %__9.abiice Br abice XXV,2. innula Br sol. inula % sol. moricula Br morcula 4 sol. 5. aues Br alios marg. h 13. Deprehensa Br Deprensa % XXVII,3. postumie Br. posthumiae % XXVIII, 10. Tota Br. Tosta % so. XXIX,4. cum te et Br qum te et % sol. XXX,10. Vento Br VentosA 12. facti Br facta % XXXI, 14. cachin- norum Br cachinorum XXXII, 1. ipsitilla Br sol. ipsithilla A sol. XXXIII,2. Vibenni Br Vibeni % XXXV,10. iniciens Br initiens % 18. ellegit Br elegit 4. 15. interiorem Br interiores » XXXVI]J,1. -[fAllax Br Falax A sol. 5. hyrcos Br hircos% 6. quid Br sol. qui _h sol. XXXIX,11. et thuscus Br sol. et tuscus 4 sol. 12. lamininus (mary. faminus) Br sol. fiaminus A sol. 17. celtiber celtiberia Br cel- tiber in celtiberia A XLI,1. A me an a Br A me an & XLII, 4. reddituram Br redituram % 6. Persequamur Br Prosequamur A _ 8. in- cedere Br incidere % sol. XLI]I,6. prouincia Br. prouintia”® 8. insi- piens Br inscipiens & XLIV,8. immerenti Br. imerenti &_15. ocio Br otio A_18. nefaria Br nephariah =—XLV,14. uni Br uno % 18. Dexte- ram Br Dextramà 21. Unus Br sol. Unum A 24. delicias Br delitias 4 LI . LI ve 4 pe IR, TORE AVVISO ORIEO, » \al 4, ATRIA VIA fi TUA i pi9o Node tal nl, he _ PU a Y ha Mi ep. 168 ETTORE STAMPINI PEA ge XLVII,3. uerraniolo Br sol. mneraniolo #. XLVIII,1. Mellitos Br Melitos,& È: L.8. laceni Br laceti » LII,2. curruli Br enrrullià LV,49) rhesi Br resi 4 17. Nunc Br Num è» _ 20. loguela Br loquella X__22. Tum Br Va % LVI.7. rigida mea Br mea rigida % LVII,7. erruditili Br eruditili / LX,}. mente Br. monte X_ tetra (marg. cetra) Br sol. cetra h sol. LXI,1. hellicomi Br sol. heliconii % sol. 40. Manca questo rerso in h (la lezione è O hymenee hymen in Br) 49,50. Tra questi due vv. in Br non leggesi Compararier * quod correctum est in h_, (Ellis) 50. O hymenee hymen Br hymen o hymenee % 56. inueni Br inuem % 60. Manca il v. in Br 62. Fama Br Phama % 66-70. Mancano in h 120. Fessennina Br sol. Fesscemina 4 sol. 139. licent Br liceret % sol. 145. patet con un punto sotto ed una e sopra a Br patet 4 146. Ne Br Ni A 155. annilis etas Br anilis aetas XA 198. rememorare Br remo- rare » 222. thelamaco Br telamaco % sol. 225. boltiei marg. bonci (opp. bonti?) Br sol. boltiei marg. bona % sol. LX1I,15. dimisimus Br diuisimus corr. in dimisimus con m seritta sopra la prima u h sol. 30. hora Br urbe marg. hora #37. quam Br quem 7% 39. ortus con un punto sotto la seconda asta di n Br sol. ortis #55. coluere con ac sorrapposto a e Br coluere X 56. dum intaeta manet Br dum inculta manet marg. intacta W 57. connubium Br coniugiun % 63. Tercia Br ’l'ertia #4 patri data (om. est) Br patri data est % LXIII,18. here citatis marg. excitatis Br sol. aere citatis / sol. 64. synnasit Br gymnasii #71. colibus Br sol. col- libus 4 sol. LXIV,20. Cum Br Qum % 29. thethis Br neptis 4 sol. 35. phyotica con pthi sovrapposto a phy Br pthiotica 4 36. Gramno- nisque Br Graninonisque 63. mitram Br crinem marg. mitram & 65. strophio Br straphyo # 69. te om. % 71. exterminauit Br sol. ex- ternauit R 89. Quales Br Qualis #90. producit Br producit con ed sovrapp. a 0d h 97. Qualib) Br Qualibet A 100. expalluit Br expa- luit X_ 125. Clarisonas Br Clarissonas #4 141. connubia Br conubia % 146. nihil Br nil 149. ego te Br te ego % 1583. incacta B.pr.m. (la stessa mano corresse c in t) intacta % con L 156. caribdis Br ca- rybdis 4 158. connubia Br conubia # 192. uindice (uîdice) Br uide & 210. sustollens Br sustolens X 211. erreptum Br ereptum % 212. moe- nico Br moenia X_ 259. cistis Br cistis con e sovrapp. alla prima i h 285. ut om. A 286. cingunt Br tegunt % 298. natisque marg. gnatis Br gnatisque #4 300. idri Br hydri # 301. Palea con e soprascritto al primo a Br Palea # 304. multiplici constructe sunt Br sunt multi- plici constructae #4 320. Hec Br Hae % sol. 342. Il secondo currite è stato om. davanti a fusi Rn 363. excelso Br aduerso marg. excelso % ” Cai i 3 a ga ei «a ì dgr‘) 5 0A # So vi - È i " it; ed "i (°-°: IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO” 169 368. polixenia Br polisenia # 397. nefando Br nephando X_ 401. pri- meni Br primeno con una i soprascritta allo ho funera Br funera con e scritta sulla h LXV,7. letheo con r sopraseritta all’1 Br rheteo % sol. 14. Baddas Br sol. Baiulas #_ assumpti Br asumpti 4% sol. 18. Efflu- xisse Br Ffluxisse % LXVI,2. habitus Br abitus #4. sidera Br _ sydera % 12. sedes marg. fines Br fines / 24. tune Br nunc % 28. quod Br quo % 41. adiuraret Br adiurarit % sol. 57. ziphiritis Br ziphiricis #_ 59. Hi dii neu ibi Br sol. Ni dii neu ibi % sol. 68. nix Br uis #70. tethi sopruser. tecti Br theti 4 71. ranusia Br ranusia % 72. nullo Br ullo X__74. uestre marg. uere Br uere #4 euolue Br euo- "luere 482. libet con b sorrapp. a | Br bibet % (con Burneianus 133) 92. effice Br efflue % LXVII, Il. a me om. #14. culpa tua est Br tua culpa est A 17. Quid Br Qui % LXVIIT,1. [q]Vod Br Quid % 10. et om.A hine Br huie & 11. mali Br manli #29. tepefacit Br tepefecit 4 39. utriusque Br (con £L) uirtusque % solo. 42. Imnenit marg. iuuerit Br Inuenit 4 (con 0 sol) 46-49. Dopo il vr. 46 non v'è nessun intervallo in Br che, come gli altri codici, dopo il v. 49 inserisce il v. 16 del medesimo carme in questa forma: locundum cum etas florida uer (così anche h,a,P) ageret. 54. manlia Br maulia 7% (manlia con u soprascritto a n Vic.) 61. in sudore Br in subdoie 463. uentis punteggiato (uentis) prima di nautis Br 71. tuto Br (con P,Burn.133) lento 4 sol. 74. Prothesilaeam Br Prothesileam #75. nondum Br nundum % 80. amisso Br comisso % sol. laudomia Br laodomia #4 uiro Br uirgo 4 84. ut innupto Br sol. abin- «nupto A (con 0 sol.) 86. iliacos Br illiacos #89. sepulerum Br sepul- chrum &__101. defertur undique Br sol. fertur undique X_ 103. Nec Br Hec A 109. graii Br grai X 114. Pertulit Br Perculit X_ 115. feretur con t soprascr. a f Br teretur %&_ 121. auitis Br aiutis 4 124. Seu sitata invece di Suscitata Br sol. Seu suscitata % sol. cano om.h 131. paulo Br paruo X 139. quotidiana Br quottidiana #_ 147. nimis invece di unis Br h ininis ? LXIX.8. qui cum Br cui cum % LXXI,1. hircus Br hyreus % LXXII,3. Dilexi Br Dillexi % LXXIV,3. ipsam con u seritta sopra all’a dalla stessa mano Br ipsum % sol. LXXVI,5. manent Br manenti % longa om. h 10. excrucies Br excruties #25. hunc om. % LXXVII,2. imo Br uno} 3. subrepti Br surrepti % 5. te heu Br heu % LXXIX, 1. gm 4 Br quid ni quem LXXXII,2. aliud Br aliquid h 4. quid Br quod % LXXX1II,3. nihil invece di nostri Br sol. non » sol. 5. res om.h 6. loquitur Br obloquitur % LXXXIV,1. Com- moda Br Comoda % 2. insidias marg. anus infida h‘ Br insidias A LXXXVIII,5.thethis Br thetis 4 XC,1. nefando Br nephando& XCV,2. Ri Pai + SIE A Y ; ae 7/0 20 i p” ARI L'RSS hiemem Br hymen 4 XOVI,4. amicitias Br amicicias & XCVIII: © quiequid Br quicquid marg. quicquam % C.6. amicitia Br. amicicia A CII,4. esse pnta Br puta esse A sol. CIV,4. cum tapone Br euncta pone CV,2. eiiciunt Br eiciunt % CVI,1. obelio Br oebelio #_ qui Br quid #4. CVILI. cupido optantique Br. cupido optantique cupido % CIX,1. amorem (amore) Br amore. A 6. amicitiae Br amiciciae / CXIII,2. Mecilia Br Metilia #3. milia Br. millia #. CXW,4. posse-. derat corr. da possiderat Br. possiderat % (con O sol.) CXVI,5. Hune Br Nunc 48. Afflissus Br (cfr. Afflixus M) Br Affixus % (1). (1) Tanto l'elenco delle concordanze di Br,% quanto quello delle diffe- renze fra loro e, parimente, la lista della varia loro consonanza con altri codd. non possono dirsi completi, perchè ho ritenuto prudente tener conto delle lezioni di % soltanto quando % è espressamente citato dall’Ellis. Perciò un buon numero di lezioni di Br resta senza confronto, non avendo io la prova provata della loro rispondenza alle lezioni di 4. Così, nonostante la grande probabilità di non errare — data la scrupolosa diligenza del- l’Ellis in tal materia — ricavando da altri elementi, come fu osservato, sif- fatta rispondenza, devo riferirmi al solo Br in tutti i casi di mancanza della detta prova. Per averne un'idea più precisa, basterà esaminare la varia lectio, che sarà tosto presentata, di alcuni carmi catulliani in rapporto con Br. Nel c. 1, p. e., troviamo queste lezioni, per Te quali manca l'espresso confronto con A: 2. Arido 4. aliquid tu ©. iupiter. 10. tibi habe. Nel c. II sì ha: 2. Qui cum 6. Carum .... libet ©. solatiolum. 9.ludere 12. auleolum, Nel c. III notiamo: 4. delitie 7. Ipsam 11. tenebrosum 12. IMlud 14. de- uorantis (che si trova pure in Harl. 4094) 16. bonus. passer ille. Si com- prenderà pertanto che dal presente lavoro comparativo non può risultare per intero la figura di Br, sia nelle lezioni buone, sia nelle corrotte e nelle corrette. Fra queste ultime qui cito una sola, della stessa mano e interessan- tissima, cioè LXIV, 67. allidebant (sulla è è scritto, non %, ma v che si trova adoperato di rado nel cod., p. e. vno in e. I, 10). Quale delle due lezioni — è propria di 4? P) L’Accademico Segretario # ErtoRE STAMPINI CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunan@aBidoli 19) Dibémhte 1915. PRESIDENZA DEL SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D’Ovipro, e î Soci Naccari, Peano, JADANZA, Foà, GuaRrEscHI, Gurpi, PARONA, MartIRoLo, Grassi, PaneTTI e Segre, Segretario. — Scusa l’as- senza il Socio SOMIGLIANA. Si legge e si approva il verbale della precedente adunanza. Indi i Soci Parona, Guipi, PaneTTI e SEGRE (a nome di Somr- | GLIANA) presentano per la pubblicazione negli Atti, rispettiva- — mente, le seguenti Note: F. Sacco, Apparati dentali di “ Labrodon , e di “ Chry- sophrys , del Pliocene italiano. G. CoLonnetTI, Elasticità e resistenza degli acciai ad alto tenore di nickel. Nota ILL C. L. Riccr, L'equilibramento delle masse rotanti a grande velocità. Il fasometro stroboscopico a ciò destinato. Nota II. A. Vereerio, Sull’equazione integrale di Fredholm di se- conda specie. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 12 P) 172 FEDERICO SACCO LETTURE Apparati dentali di “ Labrodon,, e di “ Chrysophrys,, del Pliocene italiano. Nota di FEDERICO SACCO. (Con una tavola). Mentre è relativamente frequente l’incontro di resti isolati di denti di Pesce fra i terreni terziarii, è invece assai raro il trovarne gli apparati dentali un po’ completi. Orbene, siccome i denti variano spesso moltissimo di forma in una stessa specie a seconda della loro posizione, ne deriva che si è talora indotti a creare specie diverse per denti, effettivamente assai diversi, ma che in realtà appartengono ad una sola specie; inoltre talora non si conosce la precisa posizione naturale di certi denti tro- vati sempre isolati. E perciò che, avendo avuto la fortuna di venire in possesso di due bei resti dentari di Actinopterigi, parvemi opportuno di brevemente illustrarli, nello stesso tempo accennando anche a qualche resto analogo stato raccolto, più di mezzo secolo fa, dal (Capitano Pisani a Pianosa. Quest'ultimo materiale, della già (‘ollezione Pisani, acquistata nel 1861 dal Prof.B. Gastaldi pel Museo della Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino e poi ceduta al Museo geologico universitario della stessa città, fu gia esaminato, pei resti ittiolitici, dal Prof. O. G. Costa (1863, De- scrizione di alcuni fossili dell'Isola di Pianosa); potei ora riesa- minarlo per gentile concessione dell’amico Prof. C. F. Parona, Direttore di detto Museo universitario, nel quale sono anche con- servati gli altri resti ittiolitici qui illustrati, già da me posseduti ed ora naturalmente donati al Museo stesso. CT nn TT Le TT TT n rr". T_T | — APPARATI DENTALI DI « LABRODON » E DI « CHRYSOPHRYS>», ECC. 173 Chrysophrys cincta (Ag.). (1845, Sphaerodus cinctus Ag. -—- Agassiz, Poiss. foss., p. 214, tav. 72, fig. 68-70). Questa specie fu stabilita dall'Agassiz sopra alcuni denti solati del Neogene della Stiria. In seguito denti analoghi furono brovati non raramente in diversi terreni terziari d'Europa in generale e moltissimi nell’ Italia continentale ed insulare, ma sempre isolati; salvo pero l'apparato mascellare quasi completo del Pliocene volterrano stato illustrato dal Lawley (1875, Os- servaz. sopra una mascella foss. del gen. “ Sphaerodus ,) ed a cui poco dopo il Gervais (1875, Observ. mach. foss. genr. “ Sphae- odus ,, Addit.), riproducendone la figura, credette di poter dare in nuovo nome specifico (Lawleyi), ciò che può forse solo accet- tarsi come distinzione di varietà. Chr. cincta (Lawl.) var. astensis Sace. (Fig. 148), Il fossile in esame proviene dal Pliocene superiore marino di Montegrosso d’Asti ed è rappresentato dal mascellare infe- riore sinistro, mancante però della sua parte anteriore, mentre è quasi completa la sua parte posteriore montante. Il suo mas- simo diametro trasversale è di 34 millim.; il suo sviluppo antero- posteriore, quando completo, doveva essere di circa 13 centim., indicandoci così una forma assai grande rispetto alle attuali viventi. I denticini che giacciono sul montante sono tre, disposti irregolarmente, ed hanno un diametro da 1 a 3 millim. I Si susseguono, disposti in modo alterno abbastanza rego- lare, i denti molari, cioè: primo posteriore-interno, piccolo, ro- tondo, elevato 3 millim., largo 6 millim.: primo posteriore-esterno, ” piccolo, rotondo, alto 5 millim., largo 7 millim.: secondo poste- riore-interno, subrotondo, alto 11 millim., largo 5 millim.; primo dio-esterno, subovale, alto 8 millim., con larghezza massima antero-posteriore) di 13 millim. e minima (trasversale) di 11 millim.; primo medio-interno (il maggiore), subrotondo, alto 7 millim., largo 16 millim.; secondo medio-esterno irregolarmente rotondeggiante, largo 12 millim., alto 9 millim. e largo circa 14; 174 FEDERICO SACCO secondo medio-interno subrotondo, emisferico, assai elevato, cioè circa 10 millim., largo 12 millim., con anello bruno basale molto alto. I molari anteriori mancano, ma dalle loro impronte basali risulta che erano rotondeggianti e larghi circa 1 centim. Se paragoniamo questa mandibola con quella del Pliocene volterrano (Lawleyi) si constata che vi sono alcune differenze, ma non molto forti e che del resto esistono anche, un po’ ana- loghe, se si confrontano le due mandibole, destra e sinistra, dell'esemplare Lawleyi, indicandoci la variabilità della forma e della disposizione dei denti anche in uno stesso individuo. Ad ogni modo notandosi nella mandibola astese in esame: a) una relativa povertà di denti nella sua parte posteriore mon- tante, giacchè ivi manca affatto il piccolo molare posteriore esterno, ed inoltre i denticolini invece di nove o dieci sono ap- pena tre; 4) una qualche maggiore irregolarità ed un maggior isolamento dei molari medio-posteriori, si può distinguere la forma esaminata come una semplice var. astensis della Chrysophrys cincta (Ag.). Astiano. — Montegrosso d'Asti, in terreno giallastro. Labrodon pavimentatum (Gerv.). (1857, P. GeRrvars, “ Mém. Acad. Montpellier ,, Sect. Sc., vo]. II, piblo, PL W, fig. 6) Questa specie che il Gervais ha stabilita nel 1857 e poco dopo ancor meglio descritta nella “ Zool. et Paléont. franc. ,, pp. 511 e 512, 1859, fu già incontrata in diversi giacimenti, specialmente pliocenici, del Bacino mediterraneo. Purtroppo queste placche dentali faringee sono molto varia- bili, per cui si è spesso tentati di stabilire specie diverse sopra semplici varietà di una stessa specie. Così ha fatto il Cocchi. nella sua Memoria sopra una “ Nuova famiglia di Pesci la- broidi ,, 1864, dove vedesi, p. es., proposto un Pharyngodopilus alsinensis che non rappresenta assolutamente altro che una sem- plice varietà del L. pavimentatum; può forse dirsi qualcosa di analogo pel Ph. dilatatus e pel Ph. crassus. Così pure il Sauvage nella sua “ Note sur le genre Num- mopalatus, etc. ,, 1875, istituì numerose specie nuove che credo Sil | APPARATI DENTALI DI «LABRODON » E DI « CHRYSOPHRYS>», ECC. 175 ‘dovranno in parte considerarsi solo come varietà di specie già prima stabilite, come p. e. il Nummopalatus Chantrei, che è in- erpretabile come una forma miocenica del L. pavimentatum. Se a queste considerazioni fondate sulle placche faringee inferiori si aggiungono quelle derivanti dall'esame delle due placche faringee superiori, risulta evidente che, allorquando si potrà esaminare e comparare un materiale più completo e più abbondante che non ora, dovrà ridursi di molto il numero delle vere specie di Labrodon terziari. Labr. pavimentatum Gerv., var. ligustica Sace. (Pag, 26/026), Si tratta di un quasi completo osso faringeo inferiore assai ben conservato, avente una larghezza massima, trasversale, di circa 70 millim. (mentre la sua placca dentale ha solo una lar- ghezza trasversa di 50 millim.) ed uno sviluppo massimo, antero-posteriore, di circa 29 millim.; la sua altezza è di circa 8 millim. Le sue branche laterali sono robuste, subarcuate, taglienti verso l’alto, subsuleate verso l'esterno, pianeggianti nella parte infero-posteriore. Inferiormente l’osso è compatto, subrotondo- levigato, quantunque trasversalmente si presenti fibrilloso per sovrapposizione di piccolissime laminette ossee. Se ora paragoniamo la piastra dentale del faringeo in esame con quella (che è l’unica parte conservata) del £. pavi- entatum tipico di Montpellier, vi notiamo le seguenti differenze principali : Forma meno triangolare, più sviluppata trasversalmente; estremità anteriore più individualizzata, meno triangola; bordo basale un po’ più rettilineo ; i grandi denti molari (della regione media e posteriore) un po’ più numerosi e naturalmente un ’ diversi e diversamente distribuiti, data la loro grande va- ‘iabilità da individuo ad individuo; la superficie masticante pre- senta due leggiere depressioni, una più accentuata mediana o medio-posteriore fra i grandi molari, e due laterali (una per parte) poco spiccate, nella regione dei piccoli dentini subrotondi che sono già parzialmente smussati per l’uso. è ; mm 7 der "sl #3 ut Mea: da ATA n pae” CR e nt di 176 i FEDERICO SACCO Il numero dei denti è di circa 140 piccoli ed una trentini un po’ più grandi, fra cui sette oblunghi sul margine posteriore Nella parte posteriore della placca faringea i denti appaiont meno numerosi e più irregolarmente disposti; nella loro parte marginale superiore presentano una ondulazione che è in rap porto coll’ondulazione sovraccennata della superficie triturante. Piacenziano. — Zinola presso Savona, nella marna grigia È Labrodon multidens (Miinst.). 1% x n x: (1846, Phyllodus multidens. — Vox Miinsrer, “ Beitrige zur i Petrefacten-Kunde ,, parte VII, p. 7, tav. I, fig. 5). SR 3 E una specie non rara nel Miocene eda cui parmi debbasi Ra riferire la forma seguente: L. multidens, var. Pisanii (Costa). (Fig. 3%, 3°). 1863, Plinthodus Pisanii Costa. — 0.G. Cosra, Descrizione di alcuni fossili dell’isola Pianosa presso quella d’ Elba (“ Atti R. Istituto Incoragg. delle Scienze Nat. di Napoli ,, tomo XI, p. 39, tav. I°, fig. A e B (fantum)). 1889, Nummopalatus pavimentatum P. Gervais. — SIMONELLI, Terreni e fossili di Pianosa nel mar Tirreno (“ Bollettino R. Comit. geol. ital. ,, X, p. 212). L La placca faringea inferiore in esame si distingue da quella SPA tipica del Miinster pei seguenti caratteri principali: | bh Dimensioni minori, cioè circa 20 millim. di diametro tras- i versale per 12 millim. di sviluppo antero-posteriore. Forma com- plessiva meno triangola. Estremità anteriore più prominen e Estremità laterali più allargate, non angolose. Denti più adden- sati, contigui. È Pliocene (sup.?). — Isola di Pianosa ; nel calcare un po’ tra- vertinoide, ma essenzialmente organogenico. do € Labrodon superbum (Cocchi). # 1864, Pharyngodopilus superbus Cocc. — Cocconi, Nuova famig ia di Pesci labroidi, p. 72, tav. IV, fig. 16 (Firenze, 4°). La 1 ?. SACCO - Apparati dentali di Labrodon Atti R, Accad, I, Scienze di Sozino Vol, LI e di Chrysophrys L. Malfettani phot. Officina Fototecnica Ing. G. Molfese. Torino si «ta / va” e APPARATI DENTALI DI « LABRODON » E DI « CHRYSOPHRYS», ECC. 177 L. superbum, var. ex Pisanii Sacco. (Fig. 4°, 4°). 1863, Plintodus Pisanii Costa. O). (1. Costa, Descrizione di al- cuni fossili dell’isola di Pianosa presso quella dell'Elba (‘ R. Ist. Incoragg. alle Sc. Nat. di Napoli ,, XI, p. 39, dev iero BUCO): Il nome Pisanizi dovendo già utilizzarsi come fu sovrade- scritto per una varietà di L. multidens, propongo a sostituirlo il nome erPisanti. Si tratta di una placca faringea superiore sinistra proba- bilmente di forma affine al L. superdbum; siccome però il tipo di quest'ultima specie è rappresentato da una placca faringea inferiore, non riesce sicura l’identificazione specifica delle placche inferiori. Il Cocchi riferì al suo Ph. superbus varie placche faringee superiori analoghe a quella in esame (tav. V, fig. 6%, 7 e tav. VI, fig. 7, 8), ma propose pure il nome di P%. Soldanti per forme un po’ simili e che paiono identificabili specificamente col L. superbum. Pliocene (sup.). — Isola di Pianosa (ut supra). Nella Collezione Pisani, conservata ora nel Museo geologico dell’Università di Torino, sonvi molti altri resti di placche fa- ringee di Labrodon (specialmente del L. superdbum) provenienti da Pianosa; ma, essendo incompleti, sembra più opportuno at- tendere a descriverli quando si potrà avere sottomano più co- pioso materiale, per non complicare ulteriormente uno studio che fu reso forse già troppo complesso da troppe denominazioni specifiche. 178 GUSTAVO COLONNETTI Elasticità e resistenza degli acciai ad alto tenore di nickel. Nota II di GUSTAVO COLONNETTI (Con una Tavola). Nel riprendere la descrizione delle caratteristiche proprie degli acciai al nickel, mi restano da illustrare quelle tra le mie esperienze che hanno avuto per iscopo di precisare la legge di dipendenza delle deformazioni piccolissime dalle forze che le producono. i Come ho gia accennato nella Nota precedente, non è la prima volta che si istituiscono ricerche intese alla determina- î zione del modulo di elasticità delle leghe di ferro e nickel. Già $ sì sapeva da tempo che questo modulo varia sensibilmente colla composizione della lega, assumendo valori sempre inferiori a quelli che spettano ai due metalli costituenti presi allo stato puro. Si sapeva anche che il minimo valore del modulo si verifica È: presso a poco per quelle medesime leghe che presentano il mi- ur è. nimo coefficiente di dilatazione termica. y "UE Ma i risultati citati dai varii Autori, anche i più recenti, ‘ZO sono assai discordanti fra loro. La grande variabilità che il modulo di questi materiali presenta dipendentemente dall’in- tensità del carico a cui si sperimenta, variabilità che ho già annunciata e che metterò qui in luce in tutta la sua importanza, può far pensare che i valori medii ottenuti dai varii sperimen- tatori differiscano a volte soltanto per i diversi limiti di carico da essi adottati; ma le esperienze in discorso sono in genere così scarsamente documentate che riesce difficile precisare con sicurezza quale può essere stata la causa delle discordanze. Del resto il problema di cui io ho inteso occuparmi è in un certo senso assai più limitato: io non mi sono proposto di ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI ECC. 179 tracciare le curve delle variazioni dei moduli al variare della composizione chimica, ma soltanto di precisare il comportamento elastico di quei pochi tipi di acciai che più frequentemente trovano impiego nelle applicazioni tecniche. Lasciando dunque da parte le leghe che vengono utilizzate soltanto nella costruzione degli strumenti e degli apparecchi speciali, e limitandomi agli acciai descritti nella Nota I, io pas- serò senz'altro a documentare nel modo più completo le mie esperienze, rappresentandone anche in parte graficamente l’an- damento nella Tavola che accompagna questo scritto. Tale rappresentazione grafica verrà limitata agli acciai quali si presentano dopo ricottura ad 800°: nelle tabelle nume- riche però trovansi raccolti anche i risultati delle osservazioni eseguite sugli stessi acciai diversamente trattati, così come sì è fatto nella Nota I a proposito delle loro proprietà resistenti. Le misure di deformazione sono state eseguite per mezzo di un estensimetro tipo Ewing (1) appartenente al Laboratorio sperimentale dei materiali da costruzione della R. Università di Pisa. Questo apparecchio, costruito in modo veramente inappun- tabile dalla “ Cambridge Scientific Instrument Company , per- mette di apprezzare per lettura diretta mediante microscopio micrometrico di millimetro. 1 2000 Le due sezioni che limitano il tronco utile della provetta distano inizialmente tra loro di 200 mm.; di questo tronco si possono pertanto misurare le variazioni di lunghezza con una approssimazione pari ad della lunghezza primitiva. Il 400 000 Una vite micrometrica opportunamente disposta permette di ricondurre il traguardo nell'interno del campo del microscopio quando all’accrescersi della deformazione esso ne fosse uscito. Si può così con questo apparecchio seguire l'andamento della deformazione assai più a lungo di quanto non lo consentano la maggior parte degli strumenti che posseggono una eguale ap- prossimazione. (1) Cfr. J. A. Ewine, The Strength of Materials, Cambridge, 1899. Sforzo di DE | trazione | G = - N in kgr. | | ‘Tensione! | unitaria | N: F | in kgr/mm? i N | DI DO SR Pa D I [aert 00 (3) « se è, dp de; i A n Da LT NT ARIA TAN dici "3000 0 DIE RAC IEGA O GUSTAVO COLONNETTI ||. °°. Mii i ’ ; %, rari %% hi: PRI TABELLA I. Acciaio al 5° di nickel, fucinato e ricotto a 800°, Modulo di elasticità Allungamento Incremento s As sulla dell’allungam. lunghezza per un AN.I I utile ineremento F_&s .. |T=200mm. AN=250kgr a in 2000 mm. ! in DIRI mm. kgr/mm? 0 | 61 20 883 61 ! 61 | 20883 122 | È 62 i 20546 184 | 62 20 546 246 65 309 65 372 | 65 ! 455 64 499 64 565. 65 628 | 65 693 65 | 758 | | 66 8245 Studi | (valor medio) in kgr/mm?® 1 TABELLA II. Acciaio al 5 °/, di nickel, fucinato, ricotto a 800°, poi temprato a 900° in olio e rinvenuto a 925°. E [ENRNNEELEE:R:N:R:NRN:E:: NN: ER: EN: ZI | j il Tensione A lungamento Incremento Modulo di elasticità Sforzo! UN s As TA VA di | Unitaria, a ‘dell’allungam. I II Al unghezza per un A "511 N.l razione rai utile | incremento | + A; | FI ae a i 1= 200 mm. | AN=250 kgr| ago DI ga Di in (valor medio) in kgr. (gl. orta aa Pn La TIR e EIA in 300) PD: | in 500) PT kgr/mm | in kgr/mm' | | | | | | | 0 cati I MPN Se EROI O: Co 3.18" 62 | | 62 20546 | 6.37 | 124 | | 62 20 546 9.55. |0Uri86 | | | | o ag® Meran468.| PES:79x\ a (248. | | 20546 ! 62 15.92) 310 | i 08 19.10 378 ! varia 2228.| ‘4385. | | 65 ! 25.46 498 | I CE RESI 28.65) 561 | | LIS |381.88| 624 | | | MERI SISAZA | 35.01 687. | ! 63 | 38.20 | 750 | 63 |4138| 813 | 68 44.56| 876 | | | 68 47175) 939 | | | ‘(6à | 50.93 1003 | | Ì i Mia 1 sì n Petr da Life » ; Ji Ri aa PEV PST SS II GUSTAVO COLONNETTI Mio TaBELLA III. Acciaio al 12 °, di nickel, fucinato e ricotto a 800°. Ad ‘Tensione Allungamento ani Modulo di elasticità . | unitaria pia ‘dell’allungam. E N | lunghezza | er un | Sla PA RO] OT sue fieno GE Pai È N | ..° 1=200mm. AN=250kgr| £#:9* pai Ta tn kit i ini BEST Vigo È ca | gr/mm | m 2000 Pm In 3000 mm. | kgr/mm in kgr/mm | Oi 0 | 59 21 580 3.18, 59 65 | 19588 6.37 124 | 67 19 003 9.55. | 191 | 69 18462 12.73. | 260 | 19 658 | 71 15.92 Sal 72 [LIO 408 | | 15) 22.28 | 478 | | 79 | 25.46] 557 | | 81 | 28.65 | 638 | ! 85 | 31.83 723 | 93 35.01 | 816 1 38.20 | 912 100 41.38 | . ‘1012 110 | 44.56 1122 7 ono , sa EN “ Ù ì hi Sa x i So » E A ; è | e è i, ò x » | ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI ECC. 183 TaseuLa IV. Acciaio al 12 °/, di nickel, fucinato, ricotto a 800°, poi nuovamente ricotto in bagno di piombo a 525° per 10 ore. I (Tensione| Allungamento Incremento Modulo di elasticità Sforzo a A As | unitaria | sulla dell'allunpami.li > 7 et È | N lunghezza bisino| a 32 |, Votghonme | eran, | ANI [vo Miu N ;n |=200mm. AN=250kgr ce fini: inkgr., ali la, dee in (va or medio) \kgr/mm® in 5000 Pm. | in spo) Rm | kgr/mm® | in kgr/mm? | i 0 0) 59 21 580 3.18 59 | 61 20 883 6.37, 120 64 19 904 9354 elise 66 PIRLO A910 01 ! 67 15.92 317 i! 67 19.10 384. | 68 22.28 452 68 25.46 520) 68 28.65 | 988 | 70 31.83 658 70 35.01 728 | 70 | 38.20 | 798 At 41.38) 869 71 44,56 940 ranza 47.75 1014 79. 50.93 1089 GUSTAVO COLONNETTI (GG - TABELLA V. Acciaio al 26°, di nickel, fucinato e ricotto a 800°, sn Pensione] A lluneamente| incrementa | Modulo di elasticità È indi unitaria sulla dell’allungam. dp & I N. lunghezza per un | AN.I N.l trazione, 0 = PF DIS | incremento | FA F N. | ;,, | t=200mm. ]AN=+250kgr «di Ma STO IE 1 I | in (valor medio) ò 'kgr/mm? in 3000 DD a 2000 Dm. i kgr/mm? | in kgr/mm® 0 0 QU Pa 63 20 220 250 3.18 63 e | 68 [018.759 500 6.37 I3L | 70) {- (18 198 750 9.59 | 201 Pari ! 82 | 150595 1000 | 12.73 283 ni | 18171 5 ! 1250 ‘P15.92 440 I | 592 1500 | L9.A10 1032 68 | 1250 | 15.92, 964 69 1000 | 12.73 895 69 750) 9.DD | 826 ni ! 500 6.37 | 755 — 72 250) 3.18 683 — 76 | 0 OA 607 ! 64 .19 904 250 3.18 671 | 69° |. 18462 500 6.37 | 740) | 7A 6 i ! 70) 18 198 9.50 81 bo, | 70 18 198 1000 | 12.73 | 880 79 18 690 1250 | 15.92 952 | 80 | 1500 | 19.10. 1032 Re pt I pit "POM “o? PRC ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI ECC. 185 «Come si vede, già nella proporzione del 5 °/ il nickel basta a determinare una variabilità del modulo di elasticità sensibile nel materiale allo stato ricotto; però per effetto della tempera il modulo decresce leggermente per carichi molto bassi, mentre si alza notevolmente per carichi maggiori: si ottiene così un com- portamento praticamente conforme alla classica legge di Hooke. : La variabilità del modulo diviene ben netta ed evidente x nell’acciaio al 12°, di nickel: le deformazioni crescono sempre n più rapidamente quando cresce il carico, in modo che non è più x fi e a- assolutamente possibile parlare qui di limite di proporzionalità. È notevole il fatto, da numerose riprove costantemente confermatomi, che una specie di inerudimento, cioè di innalza- mento del valor medio del modulo, sì ottiene proprio per mezzo di quella certa ricottura molto prolungata sui 525° che nella Nota I si è indicata come l’unica capace di ridurre la resistenza e la durezza proprie del materiale. Tale inerudimento non può / poi distruggersi se non mediante una ricottura spinta al di sopra della temperatura di trasformazione al riscaldamento, ricottura la quale, s'intende, restituirà però al materiale la durezza e la resistenza primitive. Finalmente nel comportamento dell’acciaio al 26 °/ di nickel hanno un'influenza, non trascurabile neppure per sollecitazioni molto limitate, le deformazioni permanenti che immancabilmente le accompagnano. Il processo di incrudimento appare assai net- tamente delineato nell’esperienza a cui si riferisce la tabella V; è degno di nota il fatto che, anche ad incrudimento avvenuto, la variabilità del modulo continua a mantenersi notevole ed accompagnata da un'evidentissima irreversibilità dei processi di deformazione. A riprova di ciò ho rappresentato nella figura a pagina seguente, servendomi di un metodo di rappresenta- zione che hp già utilizzato altre volte (1), il ciclo di deforma- zione descritto dal saggio su cui io ho sperimentato, al variare del carico da 1500 kgr. a 0, e successivamente da 0 di nuovo fino a 1500 kgr. (1) Cfr. le mie Note intitolate: Esperienze sull'elasticità a trazione del rame e Nuove esperienze sull’elasticità del rame, pubblicate nei “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, serie 5*, vol. XXIII e XXIV. : “LE ei vir Lao GUSTAVO COLONNETTI — SINNI DI) Pa L’irreversibilità è qui molto più Lera di qu od i osserva studiando il comportamento elastico del rame: è per tanto da credersi che questo materiale si presterebbe egregia- mente per lo studio delle leggi dell’isteresi elastica. 7 AI I — 18500 o SES epiteto, Bano Ae: ah G ma vs: in Roc mn? aac ICE (0) Xe Del resto, anche prescindendo dall’interesse che queste leggi. possono presentare pel fisico, e mettendosi dal punto di vista puramente tecnico dell'ingegnere, appare ben chiaro da quanto J son venuto esponendo che l’influenza del diverso tenore di nickel. È, pr dial Mino VOLI nto Atti R.Accad.delle Se.di È i sa) È pià “= COLONNETTI G. — Elasticità e resistenza degli acciai e i 1 1 i il, Lt 1 rl 1_|_Lt__t.i = S o Q x ©” oxpaponb osjrurgziri sd LULULOLI OZZY? (I PIMIILUT FUOLUZZ S = D 1,5 Allungamento in pit della tmghezza iniziale CÀ 2 È E e 2 2 a = s d a Pi. nl î # fre impenna #Y 14 «_ —‘’ELASTICITÀ E RESISTENZA DEGLI ACCIAI ECC. La det 1) 197 ogli acciai speciali non si limita a quelle sole caratteristiche he si possono determinare mediante un’ordinaria prova a rot- bura per trazione, ma si manifesta anche nell'ambito delle de- formazioni piccolissime che il materiale subisce quando è solle- citato da forze esterne, siano pure esse di intensità convenien- temente limitata. Di questa influenza si dovrà dunque tener conto nella scelta Pi del materiale più adatto in ogni singola applicazione, non sol- santo per ciò che si riferisce alla determinazione del carico di sicurezza, ma anche e sopratutto perchè da essa dipende il com- portamento del materiale durante l’uso. È pertanto da augurarsi che lo studio delle proprietà ela- { stiche degli acciai speciali, sia nei riguardi della loro dipendenza ; dai singoli componenti, sia per ciò che concerne l’influenza dei trattamenti meccanici e termici, riceva in avvenire quello svi- a, luppo che solo può dare una base veramente razionale all’uso is che di questi materiali si va facendo sempre più diffusamente nella fabbricazione degli organi più delicati e vitali così delle costruzioni come delle macchine. hi Atti dellu R. Accademia. — Vol. LI. 188 CARLO LUIGI RICCI L'equilibramento delle masse rotanti a grande velocità. Il *fasometro stroboscopico.. a ciò destinato. Nota II* del Dr. Ing. CARLO LUIGI RICCI (con 2 tavole). Proseguendo lo studio iniziato nella 18 nota dallo stesso titolo, nella quale si trattò del moto forzato di una massa ro- tante montata sopra un apparecchio equilibratore, passeremo ora ad esporre come dallo studio di tale moto forzato si possa ricavare l’analisi delle azioni perturbatrici, e le indicazioni dei mezzi per correggerle od eliminarle. Esporrò poi la descrizione e l’uso di un apparecchio stroboseopico che può servire bene a questo scopo. CapitoLo II. Analisi e correzione delle masse perturbatrici. $ 1. — Lo studio delle oscillazioni forzate, di cui si parla nella nota 1%, può servire ad analizzare il sistema delle forze momenti statici degli elementi della massa rotante rispetto al- l’asse di rotazione ; infatti questo sistema di forze (normali ed incidenti all'asse 7) si può sempre scomporre in due compo- nenti B, e B, (normali all'asse ed in generale sghembe) pas- santi per i punti nodali N, ed N, rispettivamente. Studiando il moto forzato, da ciascuna di queste eccitato, possiamo deter- minare queste componenti, e precisamente di ognuna possiamo trovare la direzione e l’intensità. Occorre per questo un mezzo sperimentale che permetta di ricavare la fase del moto forzato in un punto generico del- l’asse 7, ossia l’orientazione, rispetto alla massa rotante del vettore-spostamento massimo; in altri termini l'angolo @ che ii £4 di “ A, ec ” ed dre: sola Aa L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 189 questo forma con un raggio normale all'asse x scelto come ri- ferimento. Deseriveremo in appresso alcuni mezzi sperimentali atti all'uopo. Abbiamo visto più sopra che lo sfasamento a in ri- # tardo del moto forzato rispetto al moto della forza eccitatrice La è funzione della pulsazione (o velocità angolare); esso, a parità i Pea. di altre condizioni, si mantiene lo stesso, se resta costante la velocità angolare. Sia dunque B la fase della forza eccitatrice e/, ossia l’an- golo ch'essa forma col raggio scelto come riferimento; faremo og sa MAX + un esperimento con una velocità w prossima a quella di riso- "n nanza, e determineremo col mezzo sperimentale suddetto la a fase p del moto oscillatorio ; se il verso di rotazione coincide È; con quello nel quale si contano gli angoli, sarà : È. pot == B =. 4 4 essendo lo sfasamento in ritardo. Ora se facciamo un altro espe- rimento con velocità angolare uguale alla precedente, ma in verso opposto, si avrà evidentemente : =a+B e quindi si avrà: get e£9.) ossia la direzione di e/ biseca l'angolo compreso tra i due vet- tori spostamenti massimi corrispondenti a due rotazioni della massa in versi opposti, ma colla stessa velocità angolare w, e dal verso positivo di uno di questi vettori si passa al verso po- sitivo di e/ percorrendo l’angolo a (< ©) nel senso della rota- zione corrispondente. Ciò conduce al così detto metodo di Beyer, citato pure dallo Stodola ('), destinato a determinare la posizione delle masse perturbatrici. (4) V. loco citato. 190 CARLO LUIG1 RICCI Ricavato B si trova subito a, e se nel fare l’ esperimento. si è pure misurata l'ampiezza S del moto oscillatorio, dalle re- lazioni più sopra esposte si ottiene : S(C— mw?) = Bw? cosa da cul: , C-mw? S, se pe ge tanga. Si ha modo così, collo stesso esperimento, di determinare oltre che la fase R, anche l’intensità B della forza momento statico eccitatrice, e il coefficiente X di smorzamento. $ 2. — È ovvio che per raggiungere una buona approssi- mazione, conviene fare ripetute esperienze a velocità diverse e trovare i valori più probabili di B, B e di X; poichè le equa- A zioni determinatrici sono già risolte rispetto a B, B e X, basterà fare semplicemente la media aritmetica dei rispettivi valori. Se però non si fosse fatta preventivamente la taratura delle molle e lo studio delle proprietà elastiche del sistema, l’accennata serie di esperienze a velocità diverse ci permetterebbe di rica- vare anche il valore più probabile della costante elastica C; in. tal caso ogni esperienza ci fornisce fra le tre incognite B, C | e K le due equazioni : 2 —S_B-0+mw=0, wK — tanga.C+ mw? tanga= 0. Poichè B è sempre dato direttamente dalla peter il suo valore più probabile si ottiene dalla media aritmetica dei valori dati dalle varie esperienze; in conseguenza si possono calcolare i vari valori di a = f — Q@, e per » esperienze tra B, C e K si hanno 2n equazioni, delle quali i valori delle incognite sì possono dedurre col metodo di minimi quadrati (osservazioni mediate). ' Mn. L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 191 w* così a w° cosa muw' cosa ; 7 tai e 1 S + X - e eÙ, KXw? — CZw tanga + Zmw tanga = 0, BI Li + KZwtanga — CX (1-4 tang? a) + + Xmw? (14 tang*a)= 0. Un analogo calcolo si può fare per ciascuno dei moti oscil- latorii proprii intorno ai due punti nodali; sì ottengono così, oltre alle intensità B, e B, ed alle fasi B, e Bs delle due componenti del sistema delle forze-momenti statici rispetto all'asse di ro- tazione x, anche i coefficienti di smorzamento X, e 3 e le due costanti elastiche C;, e C,; le quali si possono pure calcolare direttamente, come abbiamo visto sopra; e si ha così modo di ‘ottenere una verifica di questi valori. $ 3. — Può presentarsi il caso di cui non sia verificata con sufficiente approssimazione l'indipendenza delle due vibra- zioni proprie forzate; ciò succede quando, essendo abbastanza prossime le due pulsazioni di risonanza w, ed ws ('), i due in- tervalli di risonanza corrispondenti risultino in parte sovrap- posti, di modo che le ampiezze delle due vibrazioni forzate pos- sano assumere contemporaneamente valori entrambi apprezzabili e dello stesso ordine di grandezza. In tal caso il moto oscilla- torio forzato di un punto dell’asse, è risultante dei due moti proprii intorno ai due punti nodali N, ed Ny, e si può rappre- sentare con un vettore rotante somma geometrica dei due vet- tori rotanti rappresentativi dei moti semplici. Però ognuno dei due punti nodali N, ed N, si muove soltanto in virtù dell’oscil- (4) Si noti che abbiamo w, = wy quando sia ein = e9Î,, e ciò equivale ad essere p;= p, com'è facile verificare. Se inoltre coincidono i due bari- centri G, e G; le due involuzioni d’elasticità e d'inerzia coincidono, ed ogni coppia di questa involuzione gode delle proprietà dei punti nodali. PT I eg DO 192 CARLO LUIGI RICCI : oscillazioni compaiono separate, e per studiarle separatamente occorre rilevare coll’esperienza le caratteristiche (fase ed am-. piezza) dei moti di questi due punti; in corrispondenza di essi dovranno collocarsi quei dispositivi sperimentali che descrive- remo più innanzi. Qualora non fosse possibile realizzare sperimentalmente questa condizione, ma si dovesse investigare coll’ esperienza il moto di punti dell'asse # diversi dai punti nodali, si dovrebbe ricorrere ad un’ analisi che si presenta numericamente un po’ complessa, e che indicheremo per sommi ‘capi limitandoci ad accennare la possibilità di risolvere il problema per questa via l’esperienza ci consente dunque di determinare per un dato valore w gli elementi del moto di un punto M distante di /,,; ed 2,» dai due punti nodali N, ed Ns, di cui indichiamo con / la distanza mutua. Per il moto oscillatorio intorno ad N,, i cui elementi sono contrassegnati coll’indice 1, il punto M assume moto caratte- rizzato dalla fase @; (contata da un riferimento arbitrario) uguale alla fase del moto di N, e da un'ampiezza S,,, uguale all’am- piezza S, del moto di N, moltiplicato per il rapporto tm; e così per effetto del moto 2, intorno ad N,, M assume un moto dm ur Il moto risultante di M avrà SERALI S,, ed una fase yw,,, le quali ci vengono rivelate direttamente dall'esperienza. Se ora si fa un’altra esperienza facendo rotare la massa in senso contrario, ma colla stessa velocità angolare w, si trova M | animato da un moto di ampiezza S,,' e di fase w,,," risultante dei due moti (S,,,, @;/) ed (S,,, ®s') dovuti alle oscillazioni proprie intorno ad N, ed N; le ampiezze sono le stesse di quelle della prima esperienza, poichè la velocità w è la stessa. Indichiamo poi ancora con B,, Bs, Bi, Bs, le componenti per N, ed N, delle forze momenti statici, e le rispettive fasi contate dall’origine scelta. Delle quantità qui nominate Lenna ci rende note di-- rettamente soltanto S,,, w,, Sn, Wn ; le altre sono tutte inco- gnite e ad esse bisogna aggiungere i coefficienti di smorzamento Move kh. di fase @» e di ampiezza S,3 = Ss x b ) : ASTI 4 È ( | —L’EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 193 Riassumendo, le incognite sono : Bi, B., Bi, Bs, Set Sms Pi, Pa, Pi, Po", Ki, Ka, Tra queste la teoria suesposta stabilisce le seguenti re- lazioni : E b, w° n. la È Y ni _ Bg w? li L VC ny w+ Kw ! i = 18 ma — 7/3 Pi +9 Pa + Po ei nn Uci mg wP +} Ki w TRO pi N i, tang (Bs — 9.) = DSS Gm 6° Co — ma w? ° Inoltre tra i moti componenti ed i moti risultanti di M stanno le relazioni: Sn C0SP1+- Sn COSPI=Sm COSYn: Sn SENP1+- Sme SENP=S, SeNYy ; Sa OSP Sn cospi=Sh, cosyn: Sm Seni +-S, senps=Sh Senyy . Abbiamo quindi soltanto 10 equazioni, che non bastano a "determinarci tutte le 12 incognite; si può però fare un'altra kr esperienza completa, coi due versi di rotazione con un altro Là . . CI % _ valore di w abbastanza diverso dal primo, per poter avere buona | approssimazione, ottenendo nuovi elementi del moto S,,*, w,*, ; SÉ. 4,7: s'introducono così altre 10 equazioni analoghe alle a precedenti, ma sono nuove incognite soltanto le 6 seguenti : CO Sn Snof, Pif, Po, P' 17, p'3*, restando evidentemente gli stessi «valori delle B, f e X. . . Ò A Complessivamente dunque le due esperienze complete con due Li . È . . É è È . P È he diversi valori di w, ciascuna coi due versi di rotazione ci for- ca niscono 20 equazioni tra 18 incognite; il problema è quindi "3 risolubile : e due tra le 20 equazioni risulteranno conseguenza delle altre 18, e potranno fornire una verifica dell’esattezza dei pai calcoli numerici. Gi Più semplicemente durante la stessa prima esperienza, mentre sì misurano S,, Sn, Wmny Wn si potranno pure misurare gli elementi del moto di un altro punto P dell'asse # distante È HAT TRO Leo î Vice RR 1) SPSE La CARLO LUIGI RICCI 180" TROIA : È E, TRE di 2,, ed /,, dai punti nodali, i quali indicheremo con $,, S, “i w,, w,: analizzando il moto di P si introducono altre due in- i cognite S,, ed S,», ampiezze di moti componenti, dovuti alle pae oscillazioni proprie intorno ad Ns ed N,. Tra queste nuove incognite, le antiche, e le grandezze mi- surate si hanno le equazioni : > b, w° S USA <& B3 w° lo, n VG mE 1 wi! PO VG mE Rd LA Sn 0814 Spe C0SP>= SS, c0SY,; Sn senPi + Se senpo=S,50NY,; Cc , , TÀ I, 7 d ARA TÀ ! f Sc08P1+ Se cospo=S,cosy,; S, sen + S.senpo=S,seny,. 4 Perciò in complesso lo studio del moto di M e di P ci for- bai nisce 16 equazioni tra 14 incognite; il problema è risolubile ; Er e 2 tra le equazioni saranno conseguenza delle altre 14, ser- vendo di verifica numerica. Si potrà anche qui fare una serie di esperienze e compen-_ sare 1 risultati secondo i dettami della teoria degli errori. Questo costituisce, per così dire, la generalizzazione del metodo di Beyer. Non ostante la forma semplice di alcune tra le equazioni, che permette di eliminare facilmente talune incognite, questo metodo si presenta, come gia dicemmo, piuttosto laborioso ; nella pratica conviene perciò mettersi nelle condizioni esposte più sopra per poter studiare separatamente le due oscillazioni semplici; ciò si può ottenere scegliendo convenientemente le molle colle quali si vincolano i sopporti, e, se è possibile va- riarle, le posizioni dei sopporti stessi sull'asse 2; oppure con- viene disporre, in corrispondenza dei punti nodali, i mezzi d’in- vestigazione sperimentale del moto oscillatorio. $ 4. — Questi mezzi, che studieremo tra poco, consentono un'approssimazione molto maggiore per la fase che non per l'ampiezza; specialmente quando questa è molto piccola (ossia quando la massa è già quasi equilibrata). Perciò sarebbe con- veniente un metodo di ricerca delle c/ che fosse basato sulla misura della sola fase. Nel caso ora citato in cui i due moti oscillatori intorno ai due punti nodali si possano investigare STR ir RIO I es tI arnd a Ra‘ ARENA n 1 eni 4a du ed 4 si | n Jia E fe d i à a) wi de [Ta art i; PIRLA ) i AL | L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 19 separatamente, per ciascuno di essi la lettura della fase @ del moto, coi due versi della rotazione, ci permette di ricavare la fase B della rispettiva componente e/ delle forze momenti sta- tici. Si possono così avere con sole letture di fase i due an- coli Bj e Bs che ci dànno le direzioni delle 4, e e4,. Volendo ora determinare l'intensità delle B mediante altre misure di fase, sì potrà variare artificialmente il sistema delle forze momenti statici; aggiungendo, togliendo o spostando al- cune tra le masse addizionali mobili, che sono unite alla massa otante, e destinate al suo equilibramento, si potrà introdurre un nuovo e noto sistema di forze momenti statici e/, le cui componenti in N; ed Ns, 49 e9 abbiano fasi By; e Boo ben distinte da quelle B, e Bs del sistema precedente; il sistema complessivo sarà il risultante di e? e di e, e lo indicheremo brevemente con e/*., Ulteriori esperienze dinamiche sulle oscil- lazioni intorno ad N; ed N, con letture di fase ci possono de- terminare le fasi B}f e 8,* delle componenti e/}* e e/* del si- stema e/*. Allora della e4},* e della e/, sono date le linee d’a- +78 zione, della 4; la linea d'azione e l’intensità, risultano quindi # determinate con un semplice triangolo di composizione le intensità -È delle e/, e e#,#; dovendo la e/0,* essere la risultante delle e, È e 3: lo stesso si dica per la determinazione delle intensità ni di e, e e/,*. Essendo il sistema e4, del tutto arbitrario, potrà È: tornar comodo sceglierlo ridotto ad un'unica forza, cioè ad una È sola massa eccentrica ; in questo caso sarà Boi = Bos o Giova osservare che ad individuare il sistema delle forze e. momenti statici sono necessari 4 parametri (anzichè 6, poichè vai dette forze sono normali ed incidenti all'asse x); due di questi io: sono noti quando siano misurati 8, e Bs. Possiamo ora imma- ui ginare di variare l’involuzione di elasticità, modificando il si- 3 stema dei vincoli elastici. Se per esempio nella prima serie di I esperienze i due sopporti son vincolati da due coppie di molle Ss di pesi elastici notevolmente diversi, basterà scambiare tra di loro le due coppie di molle per dar luogo ad una involuzione d'elasticità simmetrica della precedente rispetto al punto medio DI; del segmento staccato sull'asse x degli assi delle due gi di CP molle. Avremo così una nuova coppia di punti nodali N;' ed Ny' distinta dalla precedente. Nuove esperienze con lettura di fase, eseguite relativamente alle oscillazioni proprie intorno ai nuovi 4 I e e DIR rea RR MT | 196 CARLO LUIGI RICCI È - punti nodali, ci danno le B,' e B»' fasi delle nuove componenti 256 e e/' del sistema, passanti per i punti N,' ed Ny'; però dei 4 pa- rametri B,, Bs, B1, Bs tre soli sono indipendenti, ed uno di essi (per esempio Bs) è determinato quando siano noti gli altri tre, come è facile verificare con semplici considerazioni di decom- posizione e composizione di forze. Dunque colle letture di fase nelle esperienze relative ai due diversi sistemi di vincoli ela-. stici, vengono determinati 3 dei 4 parametri necessarì ad in- dividuare il sistema; d'altra parte, è ovvio che le fasi del moto forzato non devono dipendere dalle intensità delle e/, ma solo dalle direzioni e dai mutui rapporti, e quindi con le dette let- ture di fase, della diname costituita dalle forze momenti statici B, verrà determinata la cosidetta vite ma non l'intensità: in altri. termini, delle componenti e/9, e e, vengono determinate le fasi B; 3 7 7 By Bi e Bs e rapporto -?, e così per le BR, By e —. b, . b, $ 5. Uso delle masse addizionali. — Determinata nel modo suesposto l’intensità delle forze momenti statici e/*, con opportuni spostamenti delle masse addizionali si potrà equili- brare completamente la massa rotante, introducendo un nuovo sistema di forze momenti statici uguale e contrario a e/*. Le masse addizionali mobili per lo più sono situate in cor- rispondenza di due diversi piani normali all'asse x che incon- trano questo in due punti che diremo U e V: allora il dato sistema di forze momenti statici da introdurre si scomporrà in due componenti per UV e V, ed ognuna delle componenti si rea- lizzerà mediante spostamenti delle masse contenute nel piano re- lativo. In ciascuno poi di questi piani le masse addizionali di correzione, costituite da blocchetti metallici, sono mobili in ap- posite scanalature di guida che possono essere radiali ed equi- distanti in numero di 3 o più, oppure circonferenziali; nel mo- dello che ci ha servito per questo studio sono realizzate entrambe le disposizioni, come dalla tavola I risulta; nella pratica però è più largamente applicata la seconda, come quella che permette. di utilizzare dei piani normali all'asse per UV e V, anche una striscia (corona circolare) di limitata larghezza radiale, mentre la prima richiede che siano consentiti alle masse spostamenti radiali di discreta lunghezza. DI L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 197 | Vediamo come coll’una o coll’altra disposizione si possano colare gli spostamenti da attribuire ai blocchetti per ottenere la come quasi sempre si verifica, che i blocchetti abbiano ugual massa; diviso allora il momento (p. e. 4) per tale massa, si tiene un segmento che deve essere lo spostamento risultante degli spostamenti da attribuire alle varie masse. Occorre e basta in generale spostare due soli blocchetti; operando con più di due, lo spostamento di uno o più di essi risulta arbitrario. Nel caso di scanalature radiali basta scomporre lo sposta- mento risultante è, considerato come una forza incidente al- 'asse x, secondo gli assi delle scanalature; il problema risulta eterminato se si scelgono solo due tra queste; le componenti trovate sono gli spostamenti che si devono far subire ai varii blocchetti. Se si ha una seanalatura circonferenziale, col centro sul- l'asse, lo spostamento è, da attribuire ad ogni blocchetto, co- stituente una corda del cerchio asse della scanalatura, si potrà considerare come somma geometrica degli spostamenti rappre- sentati da due raggi che vanno dall'origine di è; al centro (d;), dal centro al termine di è, (è;’). Scelti i blocchetti coi quali si vuole operare, risultano fissate le componenti è, le quali sono i raggi che vanno al baricentro di ciascun blocchetto, e la loro somma geometrica Zòè;', e quindi la somma geometrica delle è; (Zò,') risulta determinata dalla relazione (differenza geo- metrica) Ld;'=d — Db/. Le è;' devono quindi essere vettori uguali in lunghezza al raggio della circonferenza asse della scanalatura, e tali che la loro somma geometrica risulti quella indicata; naturalmente anche qui il problema è determinato solo se si opera con due soli blocchetti: per ogni blocchetto scelto in più viene intro- dotto un elemento di arbitrarietà. Nell’esecuzione pratica della correzione di una massa ro- tante può convenire, mentre si studia sperimentalmente il moto intorno ad uno dei punti nodali, eliminare subito questo moto forzato, mediante gli spostamenti dei soli blocchetti del sistema U o VW più lontano dal detto punto nodale; così il momento sta- ate i a i Mec LU de De RALE STA SNO og ; ge DA) ». E , ja CARLO LUIGI RICCIO — ? bip Cee? + | È6 tico è ridotto ad una forza passante per questo stesso ‘punto î facendo poi l’esperienza del moto intorno all’altro punto nodale, occorrerà annullare questo moto coll’ introdurre una forza mo: mento statico agente esattamente nel primo punto nodale; ossia bisognerà operare coi blocchetti di entrambi i sistemi attri- buendo a questo simultaneamente degli spostamenti tali che le forze momenti statici che ne derivano ammettano risultante pas- sante per il primo punto nodale. Il metodo basato sulla lettura della fase e sull’ introduzione delle forze momenti statici ausiliarie e/ ha su quello basato sulla deduzione delle ©/? dall’ampiezza dell’oscillazione, oltre al vantaggio già accennato di una maggiore esattezza, anche quello Me di evitare dei calcoli numerici, e di poter essere eseguito con sole operazioni gratiche di composizione e decomposizione di segmenti. fer: $ 6. — La suesposta analisi delle componenti c/9, e e/ del 1 sistema dei momenti statici e/, basata svlle proprietà dei punti. nodali, vale, come si è detto, nel caso in cui le reazioni elastiche dei vincoli non ammettano componente secondo l’asse «x di ro- tazione. Si è pure più sopra accennato al caso opposto, meno frequente nelle applicazioni, nel quale il comportamento elastico è rappresentabile con un’ellisse di elasticità, ed il grado di li-_ bertà elastica del sistema è tre; vogliamo qui accennare, solo nelle linee generali, data la minor importanza pratica, al modo con cui si potrebbe condurre l’analisi delle forze momenti sta- tici mediante lo studio del moto forzato, giungendo così alla ge- neralizzazione del metodo suesposto. Le due antipolarità rispetto al cerchio d'inerzia ed all’el- lisse di elasticità ammettono un triangolo autopolare comune, di cui indicheremo con Nj, Ns, N; i tre vertici. Ora è ovvio che le oscillazioni proprie del sistema (nel senso che fu attribuito più sopra a questa espressione, analogamente a quanto fece l’Helmholtz nel caso generalissimo) sono le oscil- lazioni rotatorie intorno ai tre punti ora nominati, i quali per. analogia si possono pure qui chiamare punti nodali. Ed invero, oscillando il sistema intorno ad uno dei tre punti suddetti, la reazione elastica, e la forza tangenziale d’inerzia alternate avranno entrambe per linea d'azione la congiungente gli altri. . Anche qui stanno in tutto le condizioni di applicabilità del \rincipio della sovrapposizione lineare dei piccoli movimenti già sposte più sopra, di modo che si può senz'altro affermare che moto vibratorio libero non smorzato più generale del sistema la sovrapposizione di tre oscillazioni proprie rotatorie intorno vi tre punti N, N, Ng, con ampiezze e fasi che dipendono iolo dalle condizioni iniziali. Indichiamo con 4%; ks Ag le tre altezze del triangolo (le quali si intersecano nel baricentro G,, entro del cerchio d’inerzia), i, is 73 e, 0 63 le rispettive di- tanze dei lati opposti ad N, Ns, N3, dai centri G, e G,; sarà i(h1—i)=p; e due analoghe, e le pulsazioni delle tre oscil- azioni proprie saranno : =: V WMe, (f1— i) e due analoghe. Pure il moto forzato generale sarà risultante dalla sovrap- posizione dei tre moti proprii forzati; ognuno dei moti compo- nenti non viene influenzato dalle forze passanti per il suo centro ; indi data nel piano in cui è mobile il sistema una forza ec- Itatrice, si potrà scomporre questa in tre componenti agenti secondo i tre lati del triangolo autopolare; ciascuna componente aeciterà un moto oscillatorio intorno al vertice opposto. Anche qui se si ha lo smorzamento che limiti il campo di risonanza di ogni singolo moto, e se le pulsazioni sono abba- anza diverse perchè i varii campi di risonanza risultino esterni, e tre oscillazioni forzate nell'esperienza compariranno separate & permetteranno di analizzare le varie componenti delle forze ccitatrici. Se il sistema delle e? non ammette una risultante nica, si potrà scomporre in due componenti (sghembe) c/} e 4, ;assanti per due punti .M, ed M, scelti a piacere sull’asse #; lascuna di queste si scomporrà secondo i tre lati del triangolo, ecciterà tre moti forzati; in questo caso, analizzando le forze ediante lo studio sperimentale dei moti forzati, occorre osser- e che le forze eccitatrici agenti secondo i tre lati del trian- golo si presentano in generale con fasi diverse; ed il vettore pe” ret sete uf pi 7 pi . id 9 ; 200 CARLO LUIGI RICCI rappresentante ciascuna di esse, è risultante dei vettori rappre- sentanti le componenti secondo lo stesso lato delle 4, e e/,. Ci dispensiamo dall’entrare in particolari sui procedimenti di calcolo che qui si presenterebbero, anche perchè, come già dicemmo, questo caso raramente si riscontra nell’ applicazione, e ad esso abbiamo voluto accennare solo perchè ci parve non privo d’interesse il far vedere il fenomeno meccanico sotto un punto di vista più generale. Si noti che se sull'asse + giace uno degli assi dell’ellisse di elasticità, il triangolo autopolare comune ha un lato in x ed il vertice opposto all’infinito in direzione normale; d’altra parte le forze centrifughe, passando sempre per detto vertice, non pos- sono eccitare moto intorno ad esso, ossia traslazione secondo l’asse 2; e quindi agli effetti dei moti forzati prodotti da queste forze siamo ridotti al caso particolare prima trattato, con due soli gradi di libertà elastica. î CapiroLo IIK. L’apparecchio senza molie. $ 1. — Mi pare opportuno dire ora brevemente dell’altro apparecchio equilibratore, studiato dall’Appel nella memoria già citata più sopra: esso è basato su un principio alquanto diverso, si poichè la massa rotante ed oscillante sotto l'influenza delle ; azioni perturbatrici, non è soggetta a vincoli elastici, ma è i lasciata libera di rotare intorno ad un asse verticale fisso. Soa Questo apparecchio è particolarmente usato per equilibrare TÀ gli assi delle carrozze ferroviarie. In esso la massa rotante intorno al suo asse x orizzontale è sostenuta da due sopporti solidali ad un telaio girevole in- n torno ad un asse verticale 2 fisso, incidente all'asse di rotazione della massa. In corrispondenza di questo asse la massa rotante porta una puleggia (negli assi ferroviarii si utilizza come tale una delle ruote) per mezzo della quale si comunica alla massa il moto rotatorio mediante un tiro di cinghia verticale; se la massa è equilibrata, la sua marcia è tranquilla, e l’asse di ro- tazione resta immobile; se vi sono invece delle masse pertur- x Ds s L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 201 batrici, la massa rotante, e con essa il telaio, prende ad oscil- are intorno all'asse 2 di sospensione del telaio, con un moto rmonieo sincrono col moto rotatorio. $ 2. — L'equazione di questo moto si può stabilire appli- cando il principio del momento delle quantità di moto, rispetto all'asse di oscillazione 2. Trascurando gli attriti, e poichè le tensioni dei due rami della cinghia sono incidenti all'asse di oscillazione, sul sistema non agiscono forze esterne che abbiano momento rispetto all’asse 2, perciò la somma dei momenti delle quantità di moto della massa rispetto a questo asse deve essere costante, ed anzi uguale a zero se prima che si mettesse in rotazione la massa, il telaio stava in riposo. Indichiamo con ./ il momento d'inerzia del sistema rispetto all'asse 2; inoltre, del sistema delle forze momenti statici della massa rotante rispetto all'asse x, consideriamo il vettore mo- mento rispetto al punto O comune agli assi x e 2, e chiamiamo NM la grandezza scalare di questo vettore; in altri termini M sia l] massimo tra i momenti centrifughi della massa rotante ri- spetto al piano per 0 normale all’asse x e ad uno dei piani assanti per l’asse #; sia poi 3 lo spostamento angolare della massa intorno a dalla posizione media e contiamo il tempo da un passaggio del vettore % per la posizione orizzontale; il citato principio del momento della quantità di moto ci fornisce 'equazione differenziale del moto : J È -|<- Mw cos (wi) =0 che integrata ci dà: DI >= — 7 Sen (wi). La costante d'integrazione è zero, poichè per t= 0 la velo- cità angolare assume il massimo valore, e quindi il mobile deve ovarsi nella posizione media dalla quale contiamo gli angoli +, M SI (indipendente da w); il moto oscillatorio si può rappresentare con un vettore di lunghezza proporzionale a © e rotante colla ossia dev'essere +*=0. L'ampiezza dell’oscillazione è 0 = — r% Z A ; i usi BRIGA x Seli Rip” 202 CARLO LUIGI RICCIO [lor 209 $ LARA | è i i. massa, il quale ci darà colla sua proiezione sull’asse e il valore istantaneo del vettore rappresentativo della rotazione 3. L’equa zione del moto ci dice che il vettore rotazione © ed il vettore momento centrifugo M sono in opposizione di fase; in altri ter mini, in ogni istante si fanno equilibrio nel sistema le forze d'inerzia tangenziali sviluppate nell’oscillazione + e le forze cen- trifughe eccitatrici dovute alla rotazione w. Se ora vogliamo tener conto delle resistenze al moto, po- tremo, come nel moto smorzato studiato più sopra, ritenerle pro- porzionali alla velocità, e così, adottando la rappresentazione vettoriale del moto già usata più sopra, siamo condotti a con- siderare l'equilibrio tra le forze (o i loro vettori momenti ri- spetto al punto 0) centrifuga, d’inerzia tangenziale, e smorzante. ba” Fig. 3. Si trova in tal modo, che il moto oscillatorio è sfasato in ritardo rispetto al moto dell’azione centrifuga eccitatrice di un angolo a sempre >3 dato dalla relazione : tangga= 5: si ha inoltre in valore assoluto : 2 pos Si ottengono, come dev'essere, le formole già ricavate più sopra per il moto elastico forzato, nelle quali si sia annullata = iva gi RR e I Aa Dai ; no 19 Li I è) 4 f “ Li Ù, uri» Adi i % x x L’EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 2083 i costante del vincolo elastico. Conforme a quanto già si vide er il moto elastico forzato, l'ampiezza O cresce sempre al cre- è gere della volocità w, e tende per w= o al valore ch’essa ha I procedimenti sperimentali da impiegarsi per dedurre dalle proprietà del moto oscillatorio le caratteristiche del sistema lelle forze momenti statici, e per equilibrare la massa, sono perfettamente analoghi a quelli sopra esposti per l’altro appa- recchio; e ad essi rimandiamo. Metodi sperimentali di misura della fase e dell'’ampiezza del moto armonico. CapitoLo IV. Metodi grafici. $ 1. — Abbiamo visto nella teoria che la determinazione sperimentale più importante per lo studio delle masse pertur- batrici è la fase $ di quella componente e? delle forze momenti statici, la quale eccita il moto forzato che si studia; e che per dedurre 8 col metodo di Beyer occorre misurare la fase @ del moto, ossia l’angolo che il vettore spostamento massimo forma on un piano radiale fisso alla massa. Inoltre occorre misurare l'ampiezza del moto oscillatorio. Per la misura della fase @ del moto, lo Stodola (!) descrive questo procedimento: si abbia una corona cilindrica solidale olla massa rotante, ed avente per asse quello x di rotazione; si abbia poi una punta scrivente (matita, gesso) situata nel piano orizzontale per l’asse x, di fronte alla detta corona cilin- drica (non a contatto). Mentre la massa vibra sincronamente a rotazione intorno ad x, si avvicini gradatamente la punta Ila fascia cilindrica, finchè questa oscillando la tocchi; la (') Loco citato. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 14 204 CARLO LUIGI RICCI quel semipiano radiale che passa per la posizione orizzontale dalla parte della punta quando è massimo lo spostamento dalla ) posizione media, e dalla stessa parte, di quel punto dell’asse x - che è proiezione normale su questo di detta traccia; tale semi- piano contiene il vettore spostamento massimo di cui lo spo- stamento istantaneo è la proiezione orizzontale; l'angolo che questo semipiano forma con l'origine degli angoli solidale alla massa, è la fase @ del moto della quale si disse più sopra. Però nel realizzare questa disposizione si riscontra qualche causa di errore che può compromettere notevolmente l'esattezza della misura. Anzi tutto le traccie lasciate dalla punta scrivente hanno sempre una lunghezza considerevole; infatti all’istante del con- tatto tra la punta e la fascia cilindrica, quando cioè si verifica la massima ampiezza dell’oscillazione, la velocità dell’oscillazione si annulla cambiando di segno, mentre la velocità periferica di rotazione della fascia conserva sempre un notevole valore ; traccia lasciata dalla punta sulla fascia rotante è situata su. i » ì 3 perciò la piccola deformazione elastica o plastica che necessa- 7 riamente deve accompagnare il contatto della punta scrivente, È perchè questa lasci una traccia visibile, dura per un intervallo > di tempo relativamente lungo, essendo prossima a zero la ve- 3 locità con cui detta deformazione si produce e si annulla; in AE questo tempo la fascia si sposta sotto la punta colla velocità pil: periferica piuttosto elevata, e quindi la lunghezza della traccia "A risulta notevole. 3 Inoltre questa traccia non sarà simmetrica rispetto al piano A radiale del massimo spostamento; poichè l'inevitabile consumo della punta scrivente farà sì che il contatto terminerà in un punto più vicino a detto piano che non il punto dove il con- tatto era cominciato. Mancandoci gli elementi per sottoporre a calcolo queste considerazioni qualitative, i fatti ora ‘accennati. producono una notevole incertezza sul valore di @, incertezza che è tanto più grave quanto più piccola è la velocità (e quindi l'ampiezza) dell’oscillazione. Per conoscere poi questa ampiezza converrà eseguirne la misura diretta su un punto situato su uno dei sopporti. $ 2. — Un'altra disposizione per queste misure è la se- guente: si ha un disco piano, normale all’asse di rotazione, e 4 i I ft Pialle. — È + % È b; Me sti e; ‘ 19 % ] La CT vi 1, A *, tu . Ho" L’EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 205 ella massa si appoggia una punta fissa scrivente, in modo che uesta iasci traccia sul disco almeno per un giro di questo: 0 tale traccia è la traiettoria nel moto relativo della punta fissa rispetto al disco rotante ed oscillante. Questo moto relativo dell'estremo P della punta si può con- siderare come risultante del moto di rotazione intorno al centro 0 del disco (situato sull'asse x), e di un moto armonico sincrono colla rotazione, intorno alla posizione media P,, su una retta per P, facente un angolo costante col raggio vettore OP), e perciò rotante insieme con questa intorno ad O (V. fig. 4). Il «diagramma polare dello spostamento istantaneo PP è notoria- mente un cerchio avente per diametro il vettore spostamento massimo S (ampiezza), che noi potremo disporre coll’origine in O. Supponiamo che la minima distanza della punta dalla posizione media dell'asse x sia r e sia inclinata all’orizzontale di un an- golo e. Il punto P corrispondente ad una rotazione * intorno ad O, si otterrà dunque conducendo da O una retta inclinata Ì di * sul diametro 0S, fino ad incontrare in /' il cerchio, e 206 CARLO LUIGI RICCI infine portando da P' un segmento uguale ad r inclinato alla OP dell'angolo €; l’altro estremo di questo segmento sarà il punto P cercato. Ed invero, portato OP, equipollente a PP', risulterà: Po P='0OPIZ'0Boaet uguale cioè allo spostamento istantaneo che per effetto del moto oscillatorio, in corrispondenza della rotazione 3, il punto P as- sume dalla posizione media P, ch’esso assumerebbe per la sola | rotazione intorno ad 0. La traiettoria di P è dunque la concoide del cerchio di diametro OS, rispetto al punto 0, con distanza costante r e de- viazione e; essa però si può considerare come concoide dello stesso cerchio, colla stessa distanza costante r, e senza devia- zione, rispetto al punto 0' ulteriore intersezione del cerchio stesso colla retta PP’, poichè questa al variare di 3 ruota appunto ad O'. Si noti che risulta l’angolo 0S0'= e. La concoide in- contra il cerchio luogo di P, in due punti P, e P. situati sulla congiungente i punti 0 ed 0‘, che è inclinata di e alla normale ad OS. È facile verificare che se lo spostamento massimo 0S è assai piccolo rispetto alla distanza r, detta concoide risulta molto prossima al cerchio di raggio r avente il centro nel punto 0” diametralmente opposto ad 0' nel cerchio di dia- metro OS. In particolare per e = x; il punto O' cade in S e quindi 0” va in 0; perciò la concoide non differisce sensibil- mente dal cerchio luogo di P,, che la punta descrive se la ro- tazione non è accompagnata dall’oscillazione. Perchè detta con- coide si scosti il più possibile da questo cerchio, conviene fare e= 0, ossia situare la punta scrivente sul piano orizzontale per l’asse x. In tal modo le intersezioni P, e P; della concoide col cerchio luogo di P, stanno sulla normale per O al dia- metro OS; il vettore spostamento massimo è diretto dalla parte del minore dei due raggi vettori della concoide situati sul dia- metro 05; l'ampiezza risulta uguale al segmento compreso su questo diametro tra la concoide ed il cerchio descritto da P,. Per tracciare sperimentalmente la concoide occorre che la punta sia spostabile nella direzione dell'asse x in modo da poter a piacere stabilire 0 sopprimere il contatto col disco. Si trac- i L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, EUC. 207 ierà preventivamente il cerchio /, facendo rotare il disco senza scillazioni; poi per il tracciamento della concoide si accosterà la punta al disco solo quando la massa rotante abbia assunto, a regime, il moto oscillatorio. _ Se si fanno due esperienze colla stessa velocità e con versi contrarii, le due concoidi relative si tagliano sulla bisettrice del- l'angolo compreso tra i versi positivi dei vettori spostamenti massimi, ossia sulla divisione di 5. I punti P, e P, vengono però determinati con un’esattezza tanto minore quanto più piccola è l'ampiezza del moto, giacchè con questa diminuisce l'angolo che in ciascuno di detti punti la concoide forma col cerchio. CapiroLo V. Metodi stroboscopici. $ 1. — Inoltre questo metodo e quello prima citato per- mettono di rilevare il risultato dell’esperienza solo dopo avere arrestato la massa; mentre, data l’importanza delle curve di ri- sonanza e l’opportunità di fare esperienze a diverse velocità er avere una buona approssimazione nella determinazione delle varie grandezze, s'intuisce come possa riuscire molto comodo un sistema che permetta di leggere subito fase ed ampiezza colla macchina in movimento. Ciò anche perchè, essendo, come sì vide più sopra, la fase funzione della velocità, e non essendo escluso che il motore che comanda l'apparecchio subisca dei sensibili scarti di velocità nel corso di una stessa esperienza, è bene poter seguire le variazioni istantanee di fase, simultanee alle variazioni di velocità verificate al tachimetro. Questa condizione di lettura istantanea colla macchina in moto può essere soddi- sfatta se si utilizzano all'uopo i noti fenomeni stroboscopici. Consideriamo anzitutto sul disco di cui si è testè parlato n punto generico Q segnato in modo ben visibile a distanza r lal centro. Durante il moto rotatorio ed oscillatorio, la traiet- ria assoluta di Q per effetto stroboscopico apparirà continua ll’occhio di un osservatore che guardi il disco; essa è un’el- isse ; e difatti il moto relativo di una punta fissa rispetto al CARLO LUIGI RICCIO OE i moto assoluto del disco) è un moto ellittico. da D'altra parte, se prendiamo come origine degli angoli di. fase il raggio 00, cd indichiamo con @ la fase del moto armo- nico, ossia l’angolo compreso tra 0Q ed il vettore spostamento Tal Fig. 5. massimo (di lunghezza S), avremo che la traiettoria assoluta di Q riferita all'asse y orizzontale, e all’asse 2 verticale per la posizione media di O (V. fig. 5), e contando i tempi # dal pas a saggio del raggio 0Q per la posizione verticale verso l’alto ossia per la parte positiva dell’asse, è definita dalle equazioni parame- triche : y= (r + S cos g) sen (wt) — S sen g cos (wi), =r cos(wt), da cui eliminando # si ricava: (y + SS22 224 (1 peer Va = (r+ S coso), che è appunto l’equazione d’un’ellisse. ‘ N 4 . (11°% x RAMA : Ro! nf è Reid AP A 5a LEM # ri < L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 209 Il punto @' diametralmente opposto di @, descrive pure in'ellisse di equazioni: y= (r — S cos) sen (wt) + Sseng cos (wt), e=rcos(wt), (y a Sano. 24 (1 Ment S er ) 22 — (7 — Scosp)?, contando anche qui i tempi dal passaggio di 09’ per l’asse 2 Ù Dea positivo. Queste due ellissi hanno dei punti comuni che corrispon- i dono sull’una e sull’altra a valori del tempo ? e #' soddisfa- centi alle relazioni: y= (r + $S cos ©) sen (wt) — S sen @cos (wi) = = (r — S cos) sen (wt") + S seng cos (wt'), z=rcos(wt)= r cos(wi'). La seconda è soddisfatta per due sole condizioni: î ea da cui risulta sen (w?')= sen (wt"), “oppure: atea da cui sen (w?') = — sen (w#"). sù Nel primo caso la prima delle precedenti relazioni dà: tang (wt')= tang@ da cui wt' = ed ut =T+@ a cui corrispondono due punti di intersezione diametralmente opposti / e /' di coordinate: y=rsen@ 2=TY C09®, y= —r senQ z= —FrcC08SQ. Essi si trovano sul cerchio di raggio r, e corrispondono alle posizioni di spostamento nullo. Nel secondo caso si ha: y=(r+ Scos®)sen(w?)— Sseng cos (wt') = = —(r — Scos®)sen(w?#)+ Sseng cos (wt), Questa \ è la massima larghezza degli altri due tra i quattro segmenti ellittici compresi tra le due traiettorie. La misura diretta di \° sulla scala potrà servire come ve- rifica per la determinazione di S e q. i Per la nitidezza della visione di questa traiettoria occor- rerà che i punti che la descrivono vengano segnati con brevi tratti d'arco circolare estesi per un'ampiezza angolare di circa 15°, Lo sfondo del disco deve essere ben chiaro, e si dovrà illumi- nare intensamente. $ 3. Il fasometro stroboscopico a spirale d’ Archimede. — Descriverò ora un’altra disposizione sperimentale basata pure su fenomeni stroboscopici, per la quale ho ottenuto recente- mente l'attestato di privativa industriale col titolo : Fasometro stroboscopico a spirale d’ Archimede da applicarsi ull'apparecchio equilibratore per masse rotanti (Reg. gen. N° 148978 — N° 150 vol. 449. — 30 giugno 1915). Si ha un disco circolare 4 sottile ed opaco (di cartone 0 lamierino) (V.tav. II) calettato sull'albero della massa rotante, col suo piano normale all’asse x di rotazione, e col suo centro A sullo stesso asse; attraverso il disco è praticata una feritoia a spirale d’Archimede; e precisamente i due bordi della feritoia sono due spirali uguali, dello stesso passo, aventi il polo nel centro A del disco, e rotate l’una rispetto all’altra di un pic- colo angolo p. Poichè attraverso a questo disco, quando ruota, si devono osservare dei punti oscillanti, che devono apparire fissi per l’ef- fetto stroboscopico, affinchè l’immagine stroboscopica di questi punti risulti nitida, occorre che l’angolo u sia assai piccolo ; infatti l’immagine stroboscopica di un indice traguardato attra- verso il disco, apparirà colle dimensioni nel senso del moto, aumentate dello spazio percorso dall’indice stesso mentre la feritoia rotante ne permette la visione; questo spazio raggiunge ni # LI L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 213 il valore massimo uS (ove S è l'ampiezza dell’oscillazione del- l'indice), se il punto traguardato passa per la posizione media, poichè allora ha la velocità massima wS. D'altra parte si noti che se u è troppo piccola, l’immagine stroboscopica non è abbastanza chiara. Per conciliare queste esigenze occorre un'intensa illuminazione dell'oggetto osservato. Nelle esperienze fatte sul modello descritto si trovò conveniente illuminare da vicino l'indice con una lampada da 50 candele, e dare alla feritoia l'ampiezza: u = 15° (= con Il passo OH della spirale è diviso in 36 parti uguali; e poichè nella spirale d’Archimede gli spostamenti angelari del raggio vettore sono proporzionali alle sue corrispondenti varia- zioni di lunghezza, a ciascuna di quelle 536 divisioni corrisponde un angolo di 10°. I tratti di divisione sono cerchi concentrici col disco, e di- stinti gli uni dagli altri con diversa grossezza, o con diverso colore; per esempio, si possono far neri marcati i cerchi divi- denti i quadranti, neri sottili quelli di 30 in 30 gradi, e rossi gli altri di 10 in 10 gradi. In Ossi ha lorigine della gra- duazione. E utile che la feritoia e la relativa graduazione si pro- lunghi di un breve tratto (corrispondente a 40°) oltre gli estremi del passo 0H, perchè possano comodamente eseguirsi le letture alle estremità della scala 0°+360, che, per fissare le idee, sup- porremo numerata in senso crescente dai più piccoli cerchi ai più grandi. Per evitare che il disco abbia a subire eccessive deforma- zioni fuori del suo piano medio, la feritoia non si farà continua, ma in diversi tratti, per es., quattro di uguale ampiezza ango- lare, separati da un breve tratto pieno di circa 3°; queste in- terruzioni della feritoia non hanno influenza sensibile sul feno- meno stroboscopico, per la loro limitata ampiezza. Il disco si caletterà poi in modo che il raggio AOH che sì assume come origine degli angoli stia in un determinato piano assiale della massa rotante. Durante il moto rotatorio il disco apparirà come traspa- rente; e se un osservatore traguarda attraverso a questo un indice / collegato con uno dei sopporti, che diremo 5, mentre 214 CARLO LUIGI RICCI iti: x sl di: la massa oscilla con moto armonico sincrono con quello rota- torio, egli vedrà l’indice stesso fermo in quella posizione ch'esso. occupa quando la feritoia a spirale lo ssopre al suo occhio; tale posizione dipende quindi dal punto in cui la visuale che va all'indice traguardato /, incontra il disco. Si consideri ora uno schermo s piano normale all'asse x, solidale ad uno dei sopporti, ed affacciato al disco strobosco- pico attraverso al quale si traguarda (V. tav. III): per evitare possibili errori di parallasse, occorre anzi che lo schermo sia proprio a contatto col disco rotante; e la faccia dello schermo adiacente al disco non può quindi essere illuminata diretta- mente che attraverso il disco, e perciò con un'intensità lumi- del: 24 anteriore del disco, mentre per la chiarezza della visione oc- corre che entrambe dette superficie appaiano ugualmente (o quasi) illuminate. Perciò occorre che lo schermo s sia traslucido (vetro smerigliato, porcellana, celluloide, cartone oliato) e che dalla faccia posteriore non adiacente al disco, esso venga in- tensamente illuminato da apposita lampada. Sulla faccia ante- riore del disco sia segnata bene distinta in nero su fondo bianco una retta verticale i, incidente all'asse 4 (e coincidente quindi con un diametro del disco rotante). Durante il moto rotatorio ed oscillatorio della massa, la retta i traguardata attraverso al diametro verticale del disco, appare sotto forma di sinusoide, ossia del diagramma spazi- tempi del moto armonico. Infatti ogni punto si vede nella posizione ch’esso occupa quando viene scoperto dalla feritoia; ed un punto P dell’im- magine ha un’ascissa che, misurata sulla posizione media di equilibrio della retta i (verticale), a partire da un'origine P, e proporzionale all'angolo compreso tra i due raggi vettori che dal centro del disco proiettano quei due punti della spirale asse della feritoia che durante la rotazione vengono a coinci- dere con P, e con P rispettivamente; e quindi tale ascissa è proporzionale al tempo che separa i due istanti in cui vengono visti P) e P; le ordinate orizzontali poi sono proprio uguali agli spostamenti subìti dai varì punti negli istanti in cui sono osservati. Se invece sullo schermo s si ha una retta verticale . u . è A . nosa media uguale dis di quella che illumina la faccia fo Pai e” 7 Sr) Fida ib dd » UM © $ Cd > AM tisi ie L'SNROA ] n, LA RESO pa PR L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANT ECC. 215 on incidente all'asse 7, ma distante da questo di è, essa du- ‘ante il moto si vedrà deformata in una curva che si può otte- re dalla precedente sinusoide facendo scorrere ogni suo punto lungo la spirale disposta in modo da contenere il punto stesso, ed attribuendo al punto uno spostamento orizzontale uguale a ò. Si abbia ora pure una seconda feritoia a spirale d’Archi- mede praticata attraverso al disco, uguale alla prima, e rotata rispetto a questa di 180° intorno al polo. L'osservatore, tra- guardando attraverso al disco in queste condizioni, vedrà una seconda immagine stroboscopica della retta i sotto forma di una sinusoide uguale alla prima e spostata rispetto a questa lungo l’asse verticale di una lunghezza uguale alla metà del passo OH delle spirali (mezza lunghezza d’onda corrispondente alla rotazione di n della seconda spirale rispetto alla prima). Le due sinusoidi si tagliano quindi nei punti di spostamento nullo (nodi); l'ampiezza poi dei ventri tra esse compresi è doppia del massimo spostamento. Questi fenomeni stroboscopici, caratterizzati dalla forma a spirale della feritoia, possono venire utilizzati per la misura della fase e dell’ampiezza del moto armonico. $ 4. — Col disco ad una sola feritoia (V. tav. Il) si tra- guarda l'indice / segnato su una piastrina riunita mediante viti al sopporto B nel suo piano medio; l'indice è adiacente ad una scala graduata in mm tracciata su di un regolo r fisso al basamento; nella posizione media l’indice / coincide col punto di mezzo della scala graduata. Il regolo e l'indice sono inten- samente illuminati, come già si disse, da apposita lampada, che lascia in ombra il disco. 1 L’osservatore traguarderà attraverso al semidiametro ver- ticale superiore del disco, e spostando verticalmente l'occhio, ricercherà un punto di vista dal quale l’immagine stroboscopica dell'indice / gli appaia fissa nella posizione media di equilibrio, coincidente cioè col tratto centrale della scala. Allora l’immagine di / si proietta sul raggio verticale del disco in un punto P, che individua una lettura angolare sulla scala graduata di cerchi concentrici segnata sul disco. Percorrendo colla visuale l’intero passo OH della spirale, ‘osservatore trova due punti come P (di spostamento nullo), PL RT è el, pi CARLO LUIGI RICCI 1,0/0,17 SPAR distanti dalla metà del passo, in modo che le letture fatte in corrispondenza di essi differiscono di 180°. Mentre l'osservatore. sposta l'occhio verso l'alto, l’immagine stroboscopica di /, in. corrispondenza di uno di quei punti di spostamento nullo, si. sposta verso destra, in corrispondenza dell'altro, verso sinistra. Se la spirale d'Archimede asse della feritoia è destra ri- spetto all’osservatore, la fase @ del moto armonico contata a partire dal raggio A0H (ossia l'angolo compreso tra questo raggio ed il vettore spostamento massimo contato nel verso destrogiro) è uguale alla lettura fatta sul disco in corrispon- denza di quel punto di spostamento nullo, per il quale l’osser- vatore spostando l'occhio verso l'alto vede l’immagine di / mo- versi verso sinistra. L'opposto si verifica se la spirale è sinistra. Questa regola si giustifica osservando che il moto appa- rente dell'immagine di I ha lo stesso verso del moto effettivo (proiezione del moto rotatorio del vettore spostamento massimo), se lo spostamento del punto di vista avviene in verso tale che l'osservatore veda successivamente delle posizioni che si susse- guano nel periodo nel senso crescente dei tempi, quando cioè il movimento dell'occhio si produce nel senso in cui si muove la retta che dall’indice / proietta un punto della spirale situato sul raggio verticale superiore del disco, mentre questo ruota. Occorre considerare spirali destra e sinistra, poichè, quando si facciano osservazioni con due dischi disposti alle due estre- mità dell'albero, sarà bene che le due spirali sui due dischi siano uguali ed ugualmente disposte; e quindi rispetto all’os- servatore che traguarda all'uno o all’altro disco dall’ esterno l'una spirale apparirà destra, l’altra sinistra. Uno stesso disco potrà servire nell’una o nell'altra posi- zione se porterà la graduazione a cerchi concentrici segnata su ambe le fascie. Dopo aver letto la fase g, se l'osservatore dispone l'occhio in modo che in corrispondenza della proiezione dell’indice sul semidiametro verticale superiore del disco si faccia una lettura | che differisca di 90° dalla fase @ stessa, l’immagine dell’in- dice / avrà assunto il massimo spostamento della posizione media, la cui ampiezza si potrà direttamente leggere sulla graduazione del regolo r. pl < Me — CA A be 7 È pi Li EV) tà ò N) 5 L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 217 $ 5. — Vediamo ora come si possa utilizzare il disco con due spirali a 180°, più sopra descritto, che permette di otte- nere i due diagrammi del moto armonico simmetrici rispetto all'asse dei tempi. (V. tav. III). Le due feritoie a spirale devono avere diffe- rente estensione alle due estremità affinchè l'osservatore possa, per questo carattere, distinguere l’una dall’altra le due sinu- soidi dovute alle feritoie stesse. La prima di esse a, alla quale viene riferita la graduazione del disco, sia estesa di circa 40° all'interno del cerchio 0° (origine della graduazione) e di — 130° all’esterno del cerchio 360°; la seconda «@’ invece sia estesa «di — 130° all’interno del cerchio 0°, e di > 40° all’esterno del cerchio 360°. Così, durante il moto rotatorio accompagnato dall’oscilla- zione forzata, la sinusoide, immagine stroboscopica della retta è dello schermo s, dovuta alla spirale «, apparirà estesa tra i cerchi — 40° e + 490° (più estesa verso l'alto); mentre quella dovuta alla spirale @' apparirà compresa tra i cerchi — 130° e + 400° (più estesa verso il basso). Supponendo destre le spi- rali, la fase @ del moto armonico (contata al solito dall'origine degli angoli AOH) sarà la lettura fatta sulla graduazione del disco in quel modo dell'immagine stroboscopica completa della retta i, in cui la sinusoide dovuta alla spirale a (riferita alla graduazione) discende da sinistra a destra; l'opposto natural- mente se le spirali sono sinistre. Questa regola corrisponde perfettamente a quella data più «sopra per la scelta del punto P (di spostamento nullo) nel caso di un disco con una sola spirale. Allo scopo di misurare l'ampiezza dell’oscillazione, sulla faccia anteriore dello schermo s, accanto alla retta î, e da una sola parte, per esempio a destra, sono tracciate altre rette pa- rallele ad essa, ed equidistanti, di mm. in mm., costituenti una graduazione, per un'estensione un po’ maggiore del doppio del- l'ampiezza prevista, o consentita dai vincoli della massa; tali rette si possono distinguere tra loro e dalla è per diverse tinte, o diverse grossezze di tratto ; p. es.: la 7? sia più marcata delle altre. Le immagini stroboscopiche di queste altre rette hanno la forma prossimamente sinusoidale già più sopra descritta. *% p ì ì 3 e A A \ ; cd ti Lreh LL Lal & n 4 pey De a uio- ti Et, e di 220 20 4 CARLO LUIGI RICCI Marene. ha CA Durante il moto oscillatorio quei tratti 7 dell'immagine di i i quali volgono la convessità a destra, si vedranno proiet- tarsi su quei tratti delle altre immagini sinusoidali, i quali vol- gono la convessità verso sinistra, e costituiscono come una scala, e nei punti di spostamento massimo si potrà fare una. lettura, su questa scala in corrispondenza della detta imma- gine i’, rappresentante l’indice. | A rigore, data la forma già vista che assumono le imma- gini delle rette della graduazione, parallele ad i, occorrerebbe considerare la scala costituita dalle tangenti verticali ai suddetti. tratti, convessi a sinistra, delle immagini di dette rette; e ri- guardare come indice la tangente verticale al tratto, convesso a destra, dell'immagine di 7. Però, data la piccola ampiezza degli spostamenti massimi, dette curve nei ventri si avvicinano molto alle loro tangenti; inoltre se è piccola l'inclinazione della spi- rale destra sui cerchi della graduazione, se piccola è pure l’ec- centricità è di una delle rette parallele ad è, situate alla destra di questa, l’immagine di una di tali rette si scosta pochissimo dalla forma sinusoidale dell'immagine di è spostata orizzontal- mente di dò, e tale deformazione ha sulla esattezza della misura dell’ampiezza eseguita nel modo suddetto, un’influenza assoluta- mente trascurabile. Colla spirale sinistra conviene che le rette della graduazione siano segnate alla sinistra di &. E ovvio che la lettura fatta sulla graduazione è il doppio dell’ampiezza del moto armonico della retta è (1). $ 6. — La seconda disposizione dell'apparecchio strobo- scopico (colle due spirali nel disco, e collo schermo adiacente al disco), ha sulla prima il vantaggio di mettere sott’occhio al- l'osservatore il diagramma del moto, permettendo di constatare se questo è eventualmente perturbato da azioni estranee; inoltre di permettere una lettura molto più comoda e spedita; infine, essendo adiacenti schermo e disco, vengono eliminati tutti i pos- i sibili errori di parallasse, e la visione dell'indice i e della gra- duazione del disco richiede lo stesso adattamento visivo; e viene (!) Nella tavola III è pure disegnata l'immagine stroboscopica delle rette é, per S= mm. 3,0 e p= 120°. i L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 219 sì eliminata ogni incertezza di lettura che si può avere quando r osservare l'indice / e la graduazione del disco occorrono due diversi adattamenti, essendo diverse le distanze che supe- rano l’oechio dell'osservatore dall’indice e dal disco. Già abbiamo enumerati i vantaggi che il metodo stroho- scopico presenta sugli altri sistemi; il fasometro qui descritto, colla graduazione divisa di 10 in 10 gradi, consentendo di sti- mare comodamente la mezza divisione, ci permette facilmente un'approssimazione di circa 5°, la quale non si può certo rag- giungere col metodo delle traccie lasciate da una punta su una fascia cilindrica, poichè queste traccie risultano molto estese, come già si disse. Credo opportuno accennare qui alla possibilità di impiegare utilmente questi metodi stroboscopici in ricerche sulla flessione degli alberi rotanti ad alta velocità (Laval). APPENDICE Cenni sulle esperienze eseguite. La buona approssimazione ottenuta col fasometro ho po- tuto direttamente constatarla nelle già citate esperienze fatte sul modello esistente nel R. Politecnico di Torino; nelle quali «con non più di due tentativi eseguiti, come si disse sopra, col- l'introduzione di note perturbazioni mi era dato di equilibrare la massa. Nel modello suddetto, ognuno dei due sopporti, disposti come si disse più sopra, è sostenuto da un piedestallo, al quale sono riunite le molle, e che è scorrevole su apposite guide praticate nel basamento, in direzione dell'asse x, in modo da poter variare secondo il bisogno la distanza D tra i sopporti (V. tav. 1). La massa rotante da equilibrare, è in questo modello rap- presentata da un albero sul quale sono iufilati con accoppia- ‘mento prismatico e fissabili mediante apposite viti di pressione a puleggia che serve al comando mediante cinghia, e due Atti della R. Accademia — Vol. LI. 15 AR e CRM 220 CARLO LUIGI RICCI dischi laterali. Ciascuno di questi porta sulla faccia rivolta al- l'esterno (opposta alla puleggia) tre scanalature radiali (a 120°) in ognuna delle quali scorre un blocchetto di ferro infilato a coda di rondine, spostabile con vite di richiamo e fissabile me- diante viti di pressione; altri blocchetti si possono far scorrere e fissare lungo una scanalatura circonferenziale nel modo più sopra descritto : anche la puleggia porta una tale scanalatura ad esse circolare coi relativi blocchetti. Detta massa insieme coi due sopporti pesa Kg. 140,3; a questo peso corrisponde la massa M= 0,143 (essendo unità di forza il Kg. e di lunghezza il cm.; g=" 981 ©2/e). Il momento d'inerzia di massa ./ rispetto all'asse baricen- trico verticale varia colla posizione dei dischi e dei sopporti ; nella posizione simmetrica colla quale si fecero le esperienze (coi dischi distanti di cm. 58,5 tra le faccie interne, ed i rap- porti distanti di 89 cm. tra gli assi) il momento d'inerzia di massa J, ricavato sperimentalmente colle oscillazioni, è espresso da J=122,744 Kg.cm. s?. Ad esso corrisponde un raggio d'inerzia p, = 29°",2. I vincoli elastici sono costituiti da molle ad elica a sezione circolare o rettangolare: esse furono tarate direttamente cari- candole con pesi. Inoltre anche fu verificata sperimentalmente l’azione secondaria delle molle, di cui si parlò più sopra, e che fu studiata nel mio lavoro citato: Le deformazioni delle molle ad elica. Ciò si fece liberando uno dei sopporti delle molle, vin- colando solo l’altro, e misurando direttamente con un dinamo- metro una forza deviatrice normale all'asse x e la corrispon- dente deviazione prodotta. Si trovò così buon accordo tra i valori dati dalla teoria e quelli sperimentali. Per le molle a sezione circolare si ha : d=-:00::0,7 R=cem.3,15 passo = cm. 1,4 a molla scarica spire libere — 3 si fa lavorare con 6" di freccia iniziale ossia col passo ridotto a cm.1,2. Colle notazioni più sopra usate si ha: p.= cm. 2,9 p.="cm..3,33 —. + L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 221 HI La taratura diretta diede una costante: 1 ; #.È C= VW, p.È n 37,9 Te cm da cui sì ricava: W,= 0,002415 (a cui corrisponde £ = 2250 t/m). Per le molle a sezione rettangolare si ha: a= cm. 0,8 (normale all'asse) d=cm. 0,85 R= cm. 31 passo a molla scarica cm 1,6, in carico cm 1,4; spire libere > 3. D, == CM. Z,a6: cv Pad 0 (ostante tarata: 1 p > = 113,25 Leica 1 Pa | ‘= da cui si ricava: W,= 0,0007422 — (E= 2230 t/m). Vincolando i sopporti colle 4 molle a sezione circolare i baricentri elastici delle molle di un sopporto distano di 31 em. > il baricentro elastico coincide con quello di massa nel punto edio del segmento dell'asse + steccato tra gli assi dei sop- porti; inoltre si ha: W = 0,00000302 p.= cm. 46,3. Le velocità di risonanza sono in giri al minuto: n, = 310 (traslazione) no = 495 (rotaz.* baricent.*). (Non valutando l’azione secondaria della molla sarebbe: = 0,00000337 — p.==cm.445; (n, come sopra; na = 470). Colle 4 molle a sezione rettangolare i baricentri delle molle di uno stesso sopporto distano di cm. 32 >; si ha pure la coin- idenza dei baricentri elastico e di massa, ed inoltre: WD = 0,000000993 p.= 46,4 ni = 538 na = 860. 2 PR SCAAZZA uil VM ci ST IO, 222 CARLO LUIGI RICCI (Non valutando l’azione secondaria della molla sarebbe: M=0,000001115 > p,=445 n=8170). Se uno dei sopporti B, è vincolato con due molle a se- zione circolare e l’altro B, con due molle a sezione rettango- lare (caso della fig. 1*), allora il baricentro elastico non coin- cide più con quello di massa, ma è situato dai punti B, e Bs alle due distanze: D,= cm. 66,90; D,=cem.22,10 (D,+D,=89cm.). Si ottiene poi nel modo indicato nella teoria svolta: | W = 0,00000193 — p,= cmi41;5. Si ricavano poi i punti nodali N, ed N; colla costruzione della figura 1°, o colle formole a suo tempo esposte, e colle notazioni già usate si hanno le distanze dei punti nodali del baricentro d’inerzia G;: i, = cm. 11,8 is==/19,9 distanze dei punti nodali del baricentro elastico G,: e= 934 eg = 51,3 (0). Le masse e le costanti delle molle che collocate nei punti nodali possono sostituire il sistema, colla riduzione più sopra esposta, sono: Ù, 78,5 Ma = 0,143 85,5 = 0,1233, di TC 509 my = 0,143 358, — 0,0197, 1 de = ssa 31000000198 = 179 > Gres ud eoinatioi angie pgiflo — 85,3 X51 X0,00000193 (4) Nella fig. 1 si segnarono pure le ellissi di elasticità delle 4 molle, ij dei due sopporti e del complesso, ed inoltre il cerchio d’inerzia della massa. L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. 223 La velocità di risonanza per i moti di N, e di N, sono rispettivamente : C; FE ni va 9,99 Gi ing 766 RE min 1 viti MOI No =— 9,55 y va 313 14 Mo min 2 Questi valori delle velocità di risonanza furono confermati dall'esperienza, rivelandosi in essa prossimamente colla massima ampiezza dell’oscillazione. Anche la posizione dei punti nodali trovò la sua conferma sperimentale, poichè si fecero osservazioni simultanee con due stroboscopi situati alle due estremità dell’albero; rilevando fase ed ampiezza del moto e risalendo da questi elementi, nel modo ovvio, al centro di oscillazione, si ritrovarono con buona ap- prossimazione i punti nodali previsti dal calcolo. Quanto alla maggiore sensibilità della correzione del bari- centro fatta per via dinamica anzichè per via statica, come già si ebbe occasione di accennare più sopra, fu fatta l’esperienza seguente. Anzitutto si eseguì la correzione statica, nel modo indicato, fino cioè ad avere la massa poggiata coi perni su regoli oriz- zontali in equilibrio indifferente; si ebbe cura di determinare ‘insensibilità di questa misura, trovando, coll’aggiunta di pesi agenti con un certo braccio, il momento necessario a mettere in rotazione la massa; -si trovò un momento di circa 0,9 Kg.em. Montata la massa sui sopporti, colle 4 molle a sezione cir- colare, sperimentando a velocità prossime alla risonanza del- l'oscillazione traslatoria (310), si trovò un'ampiezza di — cm.0,19 ancora sensibilissima. Si passò poi alla correzione completa della assa, anche alle vibrazioni rotatorie. Eseguita questa, si introdusse una forza momento statico passante il baricentro, corrispondente all’insensibilità statica constatata nella sospensione = OI —= 0,000917, e sperimen- ndo a 310 giri sì trovò un'ampiezza di cm. 0,28. Si scorge dunque di qui la maggior sensibilità della corre- ione dinamica. Detto valore fu confermato dal calcolo, giacchè : M pi Pò 224 CARLO LUIGI RICCI sperimentando sempre a 310 giri con ampiezze di oscillazione maggiori (— cm. 0,5) con masse perturbatrici note, si calcolò. il valore del coefficiente di smorzamento che a questo caso. compete, e si trovò > K=0,102; e per B= 0,000917 K=0,102 e w = 32,5 la formola a pag. 116, Nota I8, che dà l'ampiezza alla velocità di risonanza, ci fa ottenere: RE A valore molto prossimo a quello misurato direttamente. Nella fig. 6 si hanno le curve di risonanza per l’oscillazione rotatoria intorno al baricentro, colle molle a sezione circolare n= 495; l’esperienza fu fatta con un momento centrifugo pertur- batore B= 0,0141 Kg.cm. s2. Si trovò un'ampiezza lineare massima di mm. 3,5 all'estremità dell'albero, a 600 mm. dal bari- co —= (,00584 radianti; si trova quindi uno smorzamento K= = 125 Kg.cm. s. Presi come ascisse i numeri di giri al minuto », si porta- rono come ordinate le ampiezze S, ottenendo la curva segnata a tratto pieno; della quale a destra si accennò l’asintoto (Vedi pag..dli,, Nota FP). Si portarono pure delle ordinate proporzionali al seno dello sfasamento sen a, ottenendo la curva segnata a tratti; dalla quale si scorge, ciò che già si sa dalla teoria, che cioè il moto forzato per n molto minore di »,, è in fase col moto eccita- tore, e per n molto maggiore di n, è in opposizione, mentre per n=; è in quadratura (V. pag. 115, Nota I°). Da entrambe le curve si rileva come la variazione sì di S, che di a, è molto rapida in prossimità della velocità di riso- nanza n,; ciò potrebbe consigliare di fare le letture su cui si basa il calcolo per velocità non troppo vicine a quella di riso- nanza, per avere una maggiore stabilità nel regime del moto oscillatorio ed una maggior sicurezza nella corrispondenza fra le tre grandezze misurate n, $, da. I valori sperimentali riassunti nelle due curve si riscontra- rono rispondenti con ottima approssimazione ai valori diretta- mente calcolati. centro, ossia un'ampiezza angolare massima di SSE ROTANTI, E P. NTO DELLE MA & ed Pi È CSR Br n FERRO 4 dl $@ Ù ") ce. JUILIBRAME Lita Wi” : pe——=—=== ‘49910000 = ee Iodazi 056 '‘ . - 111 — — —> fia 009 > St; n Di" I 226 c.L. RICCI — L'EQUILIBRAMENTO DELLE MASSE ROTANTI, ECC. La fig. 7 riproduce una fotografia dell'immagine strobosco- | pica delle rette è segnate sullo schermo s; la nitidezza dell’im- magine fotografica, eseguita con un tempo di posa (— 3s) circa 38 volte più grande del periodo del moto oscillatorio (->s 0,0784), dimostra che questo aveva assunto un regime nel quale rima- Taro nevano costanti S e @; e appunto su detta immagine si può È leggere: S= mm. 3,0 e gp= 280°. Torino, luglio 1915. alal ar A a old dodbti e del Ai a ajap ojuewwsigqijinba - TDDOIU TI SILUIOA — covnoa, vp ammorog «)pep “puos1g 270219 0)}}*P_1M1G Ratti ; ‘ Ri A a Ri: ATTILIO VERGERIO — SULL’ EQUAZIONE INTEGRALE; ECC. 227 Sull’equazione integrale di Fredholm di seconda specie. Nota di ATTILIO VERGERIO. 1. — In questa Nota ci serviremo dei risultati ottenuti in ltre precedenti, relativi all’equazione integrale di prima specie, per risolvere quella di seconda a limiti costanti. Considereremo dapprima un caso particolare piuttosto esteso, riservandoci di trattare più avanti un caso molto più generale. 2. — Abbiasi l’equazione integrale di seconda specie 1) u9=IA+X|E6910d, nella quale supporremo che il nucleo K (st) sia finito ed inoltre the esista per esso un numero finito n tale che, tra i suoi nuclei terati d'ordine < », passi la seguente relazione lineare a coef- icienti costanti: 2) ao K, (st) + a, K,-1(8t) +03 K,.a(st) +... ] .+ ans K3 (st) +a,_1K(st)}=0. Sappiamo (*) che, sotto quest’ipotesi, Za condizione neces- 4 saria e sufficiente affinchè l'equazione negli g(9) = |. E60% (1) de ammetta soluzione è che sia de) 8) 9 (8 )=—- la Ao In-1(8) + @1 gn-a (8) + --- + @n-2 91 (8)]. Me(*) Vercerio, Sulla risolubilità dll'endligzione integrale di 1* specie, * Rend. della R. Acc. dei Lincei ,; agosto 1915. è ‘ SIR VAPORI I i io SAINTE, sa Met 1 AR SRO D'NI IR A E) 4 o , Lal e tape PE) i e < "A O “G £ VA Pa \c ur. uliesa > x f # è @ 4 bi (Ti ; o / Delo edite PZA ti "va 28 BADTIRIO VERGBEIO , VASTA AAA Supposto che la (1) ammetta soluzione, si ponga b (A) g(= | KG9n0d: con ciò la (1) potrà scriversi u (8) = A (8) +-Xg (8). Nella (1), dopo aver mutato s in r, si moltiplichino sue- cessivamente ambo i membri per K(sr)dr e si integri. Indicando rispettivamente con w14 (8), ws (5), ... 91(8), 9a(8), «+. le funzioni iterate di v(s) e g(s) ottenute operando su di esse col nucleo £ (st), dopo n — 1 integrazioni, otterremo le se- guenti n — 1 uguaglianze (4) | Un-1 (8) = In-2 (8) "a NYn-a (8) ; All di le quali, quando vi si aggiunga la (8) e si riguardino le g, (8), 93 (8), ... 9n-1(5) come incognite, formano un sistema di n equa- zioni ad n — 1 incognite. Per la nota condizione di coesistenza, dovrà perciò aversi Dî g(s) — u, (8) I 0 0 00 — uz (8) 0 1 ì LURIN O 6) | | | ì si | = 4: (5) IDO I lata An-19(5) (zh dillo ato i eg » ; È o i 1” dd ide î a IR e PRI (RNA + “te 4 JA ur ivi RIN UNU 1 AGE va | SUI'EQUAZIONE INTEGRALE DI FREDHOLM, ECC. 229 È Posto | OTO 0 0 0) 0 0. | 0 1 i 0 0 0) 0 0 1 .\ 0 0) 0 0 0 1 00 =? | —‘’‘’‘’SULL’EQUAZIONE INTEGRALE DI FREDHOLM, ECC. 233 precedente per 4” e si passi al limite per 4= 0. Si avranno :osì le soluzioni n_l ia 1 Mec: n_-2 MÈ ha Urp (t) Ì | p Un—-r-1 \ p Lee | p An-r-2 ),\ p 2 LL Mi _______ valo (" DI ) MERE A PO Ù Vi Ù Ang \"-P_? + AIA tor) DE IE VIE) DIVANI GI N 2 p dove le cy sono delle costanti arbitrarie e le @y(t) le qg solu- zioni linearmente indipendenti dell’equazione (7). Possiamo pertanto affermare che se A,=-0, la (1) ammette sempre soluzione e che questa è unica ; se invece A,=0, la (1) ammetterà soluzione soltanto nel caso che, essendo nulli i coeffi- cienti di h, h®,... /P-' (pn 1) nel denominatore del rap- porto della (11), lo siano anche quelli corrispondenti nel numera- tore. La (1), in quest'ultimo caso, avrà un numero infinito di soluzioni. 5. — Lasciamo cadere l'ipotesi (2), fatta precedentemente sul nucleo K (st), e poniamo soltanto la condizione che K (st) sia una funzione finita simmetrica ed in generale continua, senza però escludere che possa presentare delle discontinuità della natura ammessa dallo Schmidt (*). Ci proporremo ora di trovare una nuova formula risolu- tiva (**) per l'equazione (1), servendoci di alcuni risultati esposti in una mia Nota precedente (***), alla quale rimandiamo il let- tore per l’intelligenza di quanto andremo esponendo. i (*) “ Math. Ann. ,, Bd. LXIII. (**) Un’altra formula risolutiva, sotto le stesse condizioni per A (st), è stata da me data, per via affatto diversa, in una Nota inserita nei “ Rend. dell’Ist. lomb. di se. e lettere ,, vol. XLVIII, fasc. 16-17. — (***) Vercerio, Sulla condizione Picard-Lauricella per l’esistenza di so- luzioni nell'equazione integrale di 1% specie, * Rend. della R. Accademia dei Lincei ,, 2° sem., 1915, fase. 11. > i P p ° i “& A Pa i MANA 7) + 04 £ , sv; hei SIC IRIO E MPEOTAAE VAI SSR (* Med, AP 29 doh, RI * 04, IRR RR e AA, fi e ‘ ” È crd E i sa (de20) "i AA RAAR34 ATTILIO VERGERIO |<} |/U/U © 0°. e - F È METE * tan ; Ricorderemo soltanto qualche risultato, che servirà a far 1 avremo ». 1 lim Fr, = Fy; © la n=% dr "WE (*) Scampr, loc. cit. Livo 4 x 4 $ meglio comprendere il significato dei simboli che qui dovremo usare. È Posto b (6 SS, x U2zn+2 greta | ; [Kn (st)]? ds dit= Ua,; * iaia nni Pa) è noto (*) che esiste finito e positivo il bk = come pure quello delle funzioni Kan (st) ì Kan +1 (st) pa ’ Fat t) che indicheremo rispettivamente con H° (st) ed HH," (st). Similmente, indicando con F," le costanti del nucleo sim- metrico FO (st) = K (st) —H (st), sarà ia AR = Da ed anche . F® SEL Te I =H"(s); lim Sco e BETA (0) (sf). Lo stesso ripetasi per F® (st) = K (st) — Hx® (st) — H® (st). In generale, se f,” indicano le costanti del nucleo FO (st) = K(st) — H" (st) —- H® (st) —...—H©-(st), . PS de P MT, Y "a ra to Ù ae per I. : dò; sin LP Mt dotte; | 206 SOC di d Mar | —‘’SULL’EQUAZIONE INTEGRALE DI PREDHOLM, ECC. 235 ed anche Meli Se CHO); lim AH CL Es). Mu n=% Fry" n= Fry” Porremo poi genericamente, indicando con g(s) una fun- zione qualunque, G"(= [Agi OSH la seconda delle quali può anche scriversi : (12) GU(9= lì f PO (sr) H (rt) g (0) dt= |" K(sr) G() dr. 6. — Ciò premesso, si ponga (13) h (s)= w (8) + 9 (8); con ciò, la (1) diventa (dopo avervi cambiato X in —)) (14) 9 (8)=A |" E (56) [u() + 9 (0] dt; e poichè quest'equazione ammette soluzione, dovrà essere (**) (15) g(s)= X.G" (8). , v — Si moltiplichino i membri della (14) per H® (sr) dr, dopo avervi mutato s in r; avremo GY) (8) IND (s) + AG, (8), cioè (16) GO (8) — X1G,M (9 = AU (3). —__________ (*) Per l'intelligenza, si osservi che le autofunzioni linearmente indi- pendenti di uno qualunque dei nuclei H!!(st) sono diverse da quelle di tutti gli altri: si ha quindi, per ogni u=E v, i b dà fato HU) (1) dr=0; ed anche j b i H (sr) HM (i)dr= 0. (**) Vercerio, Nota cit. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 16 » I (en a $ C; 4 è Sa : LA di eat War Min + _ 236 ATTILIO VERGERIO \ STO i iù Piibri per K doi e si integri; otterremo (7) 6,0 (6) —ATy GW ()=A0, VO (6) (4) Supposto che, per ogni v, sia | 1—-XTF,=#0, dalle (16) e (17) si ricava IRANZI G)EsIr, ul) (8) rca EIA, e quindi, per la (15), IU (+A1y 0 (9) 103; i v dove la serie del secondo membro sarà uniformemente conver- gente, tale essendo quella della (15). Avremo così, per la (13), U:® (6) +Ary UM (18) ROOT. Si verifica subito che questa soddisfa la (1), osservando che l'equazione dio [£60 u (0) dt ammette soluzione e che quindi dev'essere u (9) = Y VU; (3). v La soluzione, come sappiamo, è unica, A non essendo un autovalore di K (st). (*) È infatti È K (st) GI (6) dt= | [ FO (sr) dr i H (r6)g (0) dt= ._r (0 Fav+2” (66) = lim Fy È 7 fedi (8) vie= Fy GY) (s). AL, = 0: , in altre parole, che \ sia uno degli autovalori di K (st). ia, Dalle (16) e (17) si vede intanto che dovrà necessariamente Ù ORE. 5 versi, affinchè tale sistema sia ancora possibile per v= , Vas XU, (9) + UW (9)=0 Supposta soddisfatta questa condizione, si dia a X un incre- _— (A+ 2,0. Tenuto conto delle (19) e (20), il termine, che, nella (18) per v=», si presentava sotto forma indeterminata, diviene + £) Ul (8) + (A+ Pa UM (5) _E[U:® (8) + 2102 U® (8)] +42 0, U® (8). IO A+RT, —kRAM+ Ea] i .( anche, dividendo i termini del rapporto per % e passando al limite per 4=0, — UM(+2XMU() ___U®() 2XF, im Fi dns Avremo quindi le soluzioni n) DM O+xry 00), x =ult) — dh a Al 3 dr STIA 24 epy); val dove v nella sommatoria può assumere tutti i valori da 1 in su, il solo valore n eccettuato; e le cy e Py (t) hanno il solito snificato. L’Accademico Segretario CorraDo SEGRE. dee vu: o Marta vid t0° Ca iP. Wes Piave eg c x w % ate ‘ Ma * è lo DI DI & A @ do wr è LI A DO ri ” ; , ei 238 Le ira. 19 ee 5 "ta Me @ CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 19 Dicembre 1915. PRESIDENZA DEL SOCIO ANZIANO ITALO PIZZI Sono presenti i Soci De Sanctis, ErnaupI, BauDI DI VESME, ScniapareLLi, ParertA, VipaRrI, e Stampini Segretario della Classe. È scusata l'assenza di S. E. BoseLLi, Presidente dell’ Acca- demia, e dei Soci CArLE, CHironi, Rurrini, D’ ErcoLE, SFORZA, BroxnpI e Prato. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 5 corrente. Il Presidente legge un telegramma del Presidente della Reale Accademia Napoletana di Archeologia, Lettere e Belle Arti che “ aderisce ed applaude con unanime consenso alle nobi- lissime parole di S. E. Paolo Boselli ,. Il Socio SrAMPINI presenta per la stampa negli Atti una sua seconda Nota su I Codice Bresciano di Catullo. Osservazioni e confronti. Dopo di che il Presidente, augurato il buon anno ai Soci presenti e assenti, scioglie l'adunanza. | ETTORE STAMPINI — IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 259 LETTURE Il Codice Bresciano di Catullo. Osservazioni e confronti. Nota II di ETTORE STAMPINI, Socio nazionale residente. Ma sia che fra Br e % si abbia il pieno accordo, sia che alcun divario fra essi interceda, i rapporti di concordanza e di differenza con gli altri codd. non possono essere ancora suffi- cientemente chiariti dal materiale finora qui da me fornito: bi- sognerà inoltre vedere, almeno in piccola parte, quale sia la elazione che corre fra Br,%, da un lato, e quei codd., dall'altro, ai quali non si riferisce il raffronto di sopra instituito, o che non furono espressamente menzionati nelle eventuali concordanze delle loro lezioni con quelle di Br,/%, avendo io espressamente menzionato i codd. quasi soltanto in caso di accordo di Br, con singoli o con pochissimi o pochi di essi. E poi, ancorchè avessi ognora fatta menzione espressa di tutti i codd. concordanti, sa- rebbe rimasta pur sempre intatta la parte del divario di Br,/ dagli altri mss.; nè sarebbe stata messa sufficientemente in mostra la posizione di Br, di fronte ai principalissimi codd., come 0,G,R ed anche M, ed alla massa intera, o quasi, dei mss. finora studiati, espressa, come abbiamo indicato, con la sigla 2. Gioverà pertanto, facendo, per brevità, una scelta di pochi carmi catulliani, dare il prospetto della loro varia lectio, comprendendo, quasi sempre, pressochè tutti i codd. dell’Ellis, sia nel dissenso sia nel consenso con Br,h (1). (1) In questa raccolta di lezioni, come già nella precedente, non uso lella sigla, che sarà appresso adottata, g = esempl. di Br,% per designare l'accordo dei due codici, perchè, come già ho notato, non menziono mai %, se non quando la lezione di % è stata espressamente indicata dall'Ellis. ETTORE STAMPINI. Pa > ne: ia } * i i I, 1. ui Br (Qui 4,D,A,c,Phill. Cui 0,G,R,B,C, Laur.XXXII1,13) ‘mode (in marg. dono) Br dono £ i 2. Arido Br, i 4. aliquid tu Br 5. tum (in marg. tamen) Br tum 4,H in marg., be (tamen L) es Br,h,b (est 2) 7. iupiter Br 8. tibi habe Br, hoc Br, (haec 0) libelli Br (libelli al. mei G,M) 9. quod Br,7,2 (quidem D,R in marg., Laur.XXXIII,13sec.m.) 0 om. Br, (aggiunto in P) ,2. Qui cum Br, 0,B,C,Laur.XXX1II,12,Harl 4094 3. Quoi Br, C,b (Cui A, marg. O,R corr.,a Qui 0,G,M,D,B,Laur. XXXIIl,13pr.m.) ac petenti Br,7,Bpr.m.,C,Sant. (at petenti 0 x at petenti al. patenti G (ove patenti è corr. în parenti), Mac appetenti D appetenti R,a) 5. Carum Br,2 (ma Karum 0,G rarum a,H) libet Br, (iubet marg. 0) . solatiolum Br,M (solaciolum G, etc.) -1 . Credo ut cum grauis acquiescet ardor Br,7,2 (ma cum om. 4,B) . ludere Br,M, ete. (ludere al. luderem G luderem D) 11. puelle ferunt Br,h,B, Vat.1630,Laur.XXXIII,13 (ferunt puelle 2, ma fuerunt H.A) j 12. auleolum corr. in aureolum Br 13. ligatam Br,h,D,a,H,B,A,C,b,c,Sant.,Laur.XXX1II,13 (ligatam marg. negatam R,M negatam al. ligatam G negatam 0) o 0 . Varius Br,0,G,R,M, ete. (Varras h,a,H Varus C, Vie. Verannius D) . ociosum Br,C,c (occiosum 0) } . tum Br,G (tune, 0, R,M,Laur.XXXIII,12) . In bithinia Br,} (Iam bithinia G_ Iam bithynia M lIarbithinia DÌ quo modo possem haberet Br,h (quomodo posse haberet ) 8. Et quoniam Br,h,0,D,a,H,A,C,b,Burn. (Et quoniam al. quonam GA R,M) habere Br,h,H,B,Burn. (here 0,G,M,D,A,c,Vat.1630,Laur. XXXIII,13 aere a,b,Sant.) 9. neque nunc ipsis Br,h (tutti gli altri variano) ot INI RI O 10. Nec davanti a pretoribus Br, £ (om. a, A4,C,c,Sant.; agg. in marg. R,M) 11. referet Br (referret 2) 13. non Br (non al. nec G,R,M nec 0,a,b,c,Laur.XXXIII,12) cl Br, (facerent D,a) si IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 241 ve LIE $ 17. Manca il v. in Brh 18. tam mihi fuit Br 19. que, ma sopra scritto quod, Br,h (quod ) 20. cito Br,k,D (oeto L) 21. neque hic neque illie Br (nec hic neque illice 0,G, R,M, H, B, Vat.1630) WAS i 22 Fractumque Br,h,2 (Fractum qui D,b,Burn.) SA 24. docuit Br, (decuit a,Burn.) cynediorem Br PO) 26. Istos commoda nam uolo ad serapim Br, (ma comoda 7,4, Burn. - RA comoda 0 serapim R,M serapini 0. sarapim al. serapim G sarapim D) 27. Deferri Br,D ete. (Deserti al. deferri G,R,M,B Deserti 0) mane LPÙI me inquit Br, Q 2 28. quod non Br, (quod modo £) 30. Cuma est grauis Br, 31. ad me Br,h,Rceorr.,D,a,Burn. (a me £L) 33. tu insulsa Br, (tu insula L) et Br,2 (hac D ac a, Burn.) 34. negligentem Br, __XI,2. penetrauit Br, | 3. Littus Br ubi Br, quasi tutti (ut 0,G,Caesen., Vic.) eoa Br, codd. (ma coa O,Harl.4094) L 5. arabesque Br,R,M, ete. (arabaes que G arabasue 0,Harl.4094) Siue Br, (Seu db,c,Burn.) sagas Br,h,D,B, A,Burn., Vat.1630,Laur. XXXI11I,13,Sant. (sagax 0,G,R,M,a,H,C,b) sagittiferosque Br,D (sagittiferosue G,M,H sagitiferos ue 0) i 7. qui Br,h,B,Phill. (que G, ete. q M qua Vic.) 8. nylus Br 9. latas Br,h,B,Burn.,Vat.,1630 (altas 2) 10. uisens Br,0,G,M, etc. (uidens h pr.m.,D,H,B,A,C,Sant.). Ù 11. horribilesque Br,0,G,D,Harl.4094,Sant. (horribiles R,M,H,B,A,C, Laur.XXX1III,12,13 horribiles et a) Il verso termina con ulti - in Br,G,M, etc. 12. Comincia il v. con Moxque Br (Mosque G,M ete.); con Vitimosque 0 13. ferre Br,h,D,H (fere 2) 14. tentare Br,G,R coi più (temptare 0,M) 15. nunciate Br,G, ete. (nuntiate M, ete.) 22. Cui Br,4,0,G,R,M,4,C,Harl.4094,Vat. 1630, Sant., Laur. XXXIII, 12 (Qui D,a,B corr.,Laur.XXX1I11,13) . 23. Ultimi (scritto mus sopra mi) Br Ultimus # (Ultimi 9) post- quam Br,G, ete. (posquam R,M,D) , 14. 15. 16. E XXX, 1. 4 au I AREE TRINO 5 x Ì € Le 3 i bey I. Puig P| LIE. } % x 4 cn # x »w - » tr È Fi ETTORE STAMPINI i ITTOI $i RA Atrucine (in marg. m) Br (Matrucine 2) de : . ioco Br (ioco al. loco G,R,M,B loco 0,Harl.4094) a . negligentioram Br,G,R,M, ete. (neglegencioram 0 negligentia- . falsum Br,h,D,a,B,A,C,Harl.4094,Laur.XXX1III,13 (falsum al. sal- i . sordida est et Br . credis Br, (eredas 4) polioni Br,a,Phill., Harl.4094) i . quia (sopra scritto qui) Brh quia B. qui 2) tu in luogo di . uelit Br, (uoluit 0) . Disertus Br, (dissertus 0) . eneca syllabos Br (endeca sillabos 0, G, R, M, Laur. XXXIII, 13, . extimatione (marg. expectatione) Br,K (extimatione £) . est nemo sinunt B»,/,H,B,Phill., Harl.4094,Vat.1630,Laur.XXX1II1I,13 . nihil Br,4,2 (nichil G) misere Br (miseret 2) . perdere Br,h (prodere £) non me dubitas Br,h,2 (me non du-. . Nec Br, (Hec a Haec H) fallaciam Br . Que Br, negligis Br,Q . 0 heu Br, dico Br, curue Br (cui ne £L) . tute Br (tu te G,R,M) iubeas Br,h (iubebas LX solebas a) me . quasi tuta omnia Br,h (quasi omnia tuta 2 quasi omnia (om. rum D) sum 0,R,M salsum al. falsam G) tua Br,h uel (sopra scritto id) Br (id 4,H uel 2) Vat.1630 endecasyllabos 4,4,C) (est nemo sinum G,M,D,A,Sant. nemo est sinum 0) sodolis Br sethaba (ma o scritto sopra e) Br (sethaba G,M,H,A,C, Laur. XXXIII,13 settaba 0 sectaba a thessala D,Vat.1630) ex- hibere B7,4,2 muneri Br (numeri al. muneri G,R,M,C numeri 0,A,Vat.1630, | Laur.XXXI1I,13) fabulus Br,h,a,A,Vat.1630,Laur.XXXIIHIT,13 ueranius Br,h,2 (uerranius D) hee Br,2 (hec al. hoc R_ hoc H,b) almeni Br,/,Pbill., Vat.1630 (almoeni H_ almeni R_ameni 0,G,M amem D) Et ueraniolum Br,h,2 (ma Et uerannolum 0) fabulum Br,4,4, | Vat.1630 [a]Lphene Br (Alphene 4,2 Alfene A false Br (salse 0,G,R, Vat.1630 s lse M) bitas D,A) om. Br, tuta) 0 ti \} y RT va sal f Se a ala! en. ife Y F, ì d Ph ' a ì "0 Bu * Y poni gi fet” ps. IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 243 9. Idem Br,k,0,a,b,Vat. 1630, Laur.XXXIII,12 (Inde G,D,H,A,0,Sant., ‘20 i Laur.XXXIII,13) Inde al. idem R,M,B factaque omnia Br (omnia factaque £) i 10. vento Br,0,G,R,M,D,H,Vat.1630,Laur.XXXIII,12,18 (ventos h,a,4, PRA ali C,Burn.,Sant.) aerias Br (aereas a,H,A,C,Sant.pr.m.) 11. ut dii Br,h,2 12. facti Br, (facta %,Laur.XXX1I1/,13) XXXIV, 1. infide Br,0,M,P 3. Manca il v. in Br, 9. 5. latona Br,4,H,B,Vat.1630,Sant. 6. proles Br,% (progenies £) 8. Deposuit Br, (Deposiuit Caesen.) oliriam Br,h 12. Omniumque sonantium Br,/7,0 (sonancium) P, d, Sant. (Omnium ‘ sonantium £) 15. et nocte es Br (et nothoes al. noto es G,R,M et nothoes B,A, Laur.XXXIII,12,13 et noto est D et noto es a) 17. menstrua B7,2 18. metiens Br, (mentiens 0) 21. Sis quecunque tibi placent Br, A4,C,Laur.XXX11//,18 (Scis quecunque tibi placet 0,D Scis quecunque tibi placent al. sis quocumque tibi placet G,R,M,B) 23. ancique Br, (antique £) XXIX, 2. sed Br,4,H (sed marg. seu Vie. sei 0, Laur.XXXIII12 seu al. sei R,M seu G coìi più) 3. Subselium Br, H(Subsellum £ Subscellum 0) excitat orator Br,h, (recitat orator A,C,Sant.) 4 e 5. Mancano in Br,h,D 8. ellegantem Br neque urbanum Br, (nee urbanum 0) 9. monendum est Br, 11. poreus Br,h (pareus 2 parthus Ashburn. partus H,Phill.) obesus ) Br, (obessus #) et thuscus Br et tuscus # (etruscus L,ma et truscus 0,B,Laur.XXXIII,13 estruscus a) 12. lamininus (mary. faminus) Br (faminus X flaminius Phill. in marg. lamiuinus 0,G,M,Bpr.m.,Phill., ete. lanuinus D,Sant. lanuuinus A P,Clanuunus H) acer Br,h,H,Phill. (ater 2) 13. ut Br,4,D,a,P,b,c,Phill.,Burn. (aut 9) 14. puriter Br,G coi più (pariter al. puriter R,M_ pariter a,H,B, Vat.1630, Laur.XXX1III,12) ETTORE STAMPINI "8° pe pa n « £ °° SA . celtiber celtiberia in terra Br, (celtiber in celtiberia in terra h) :. minxit Br,G,M,Bcorr. (mixit VO minsit D, Vat.1630, Ashb.) "4 3. rufam Br,h,A,Ashb.,Sant. (rasam 2 russam a) . uester Br, (noster 0,a) expolitior Br, forse Gcorr. (expolito al. expolitior &,.M, B expolitor 0,G prima della corr., Laur. i XXXII[,13) deus Br,h,0,a,B,Burn.,Vat.1630 (dens 2) . lotum Br.4,H, Ashb. (lotus £) 1. endecasyllabi Br (endecha sillabi 0,G,R,M endecasillabi 4,B,A4, Vat.1630) . Tocum Br (Locum al. iocum G,R,M,B Locum 0,P,Laur.XXX1III,13) . uestram Br (uestra 2) reddituram Br (redituram %,4,H,B) . Pugilaria Br, (Pugillaria £) . Persequamur Br, (Prosequamur 4,D) . illa Br,/,0,a,B,P,b,c,Burn.,Vat.1630,Laur.XXX1III,12,13 (illam G,R pr.m.,D,A,C illam al. illa M) i . incedere Br, ‘incidere 4) mirmice Br,k,2 (mirinice O, Sant. mimicae Phill.) . catulli Br, (catuli D,b,c,Burn.) . Manca il v. in Br,h,D,H; aggiunto nella stessa linea al v. 11 in R . olidum Br,% (o lutum opp. olutum £) . potest Br,D,a,C,Laur. XXX11I,13, ete. (potes 0,G,R,M,Ashb ,Laur. XXX1II,12) . tamen hoc satis Brcorr.,/,0,G,D,P,Burn. tamen satis hoc R,M, H,B,Vat.1630,Laur.XXXTII,12,13 hoc tamen satis Br. prima. della corr. 17. Ferre:a Br (Ferre o 0,4,H,B, A,C,Burn.,Sant., Laur.XXXIII, 12,13 Ferrelo] G,R Ferrei|o] al. ferre 0 M) 20. Manca il v. in H 21-24. Mancano i vv. in a,c i 21. nihil proficimus nihil mouetur Br,4,2; per altro nichil proficimus. nil mouetur G con spazio fra nil e mouetur 22. nobis Br,4,2 (uobis Pin marg., Burn.) LXII,1. athis Br,A,D,H,A,Vat.1630,Sant.,Laur.XXXIII12 (actis £) celere Br, “ 2. ut Br,9 (et H,Laur.XXX1II,13) i 3. loca dee Br, Q 4. ubi Br, amnis Br,h, (animi Ztalî) " Ul "i "a rà fi “re i w fà, G vet. È 5 "a RI ? è C de De pe. TUR & , As pr . è | ‘IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 245 5. Deuoluit Br,2 letas Br,% (iletas £® illetas H illectas D,a,P) , acuto sibi pondere silices Br,2 s; 7. Et iam Br. 0, H, B, A, Laur.XXXIII,13 recenti Br,h (recente 2) re terre Br, (terra H,P) maculas Br,/,2 (maculans 4,5,0) 8,9. tympanum 2r (tympanum 0 timpanum %) 9. tu mater Br, A (tubam £) cybelles Br,4,B,C,Sant. (cibeles 7,0,G,R,4, Laur.XXX11I,13 cybeles M,D,Vat.1630) tu mater Br,Q inetia 20° Br (initia £) . 10. Quatiensque Br (Quatiens quod 0,G,R,M, Laur.XXXIII,12,18) tauri et Br,Q 11. hec Br (hoc B,P,b,Burn., Vat.1630,Laur.X XX1I11,12,13) 12. galli Br,#_ cybelles Br, A,Sant. cibelles 0,H cibeles G,M,B,a, ì Vat.1630 13. Simul te Br (Simul ite 2) dindimee Br (dindimenee G,M,D dindimene 0, H, C, Burn., Vat. 1630, Laur. XX XIII, 13) pectora Br, (pecora I/tali) 14. Alienaque Br, k,2 exules loca celeri Br, 15. execute B7,0,G,P,C,Sant. (execute È excute M, B, Vat. 1630, Laur.XXXIII,12,13) 16. peiasgi Br,A,P (pelagi ) 17. euitastis Br,M. parecchi (euirastis G,D,P.b,c eiurastis a) i 18. here citatis in marg. excitatis Br aere citatis h (erocitatis O erocitatis G,D,A,0, Sant. crocitatis al. ere citatis R,M excitatis P,H concitatis a) animum Br, 4, Bodl.Lat.Class.e.15 = Phill.3364 (an animum £ in animum a,H,P,c) 19. cadat Br,/ (cedat al. cedit G cedat M) 20. phrygia prima di eybelles Br (cybelles 4, A, Sant. cibelles 0 cybeles 4,M,D,C,Vat. 1630 cibeles G,£,a,B, Laur.XXX1I1I,13) 21. timpana Br, 0,H,Vat.1630,Laur.XXXIII,12 roboant Br (reboat a,H) 22. phrix Br, 0, B,H,A «23. menade sui Br, (menades ui P) ei derigere Br,h,2 25. uaga coros Br (uaga cohors £, ma cohors vaga .,P,Vat. 1630, Laur.XXXIII18) 27. atris in marg. actis Br,h (atris £2 athis D, marg. Sant. actis a,b,c) nota Br,h,2 (notha 0) È 28. Thiasis Br,4,0 (Thyasiis con a scritto sopra y G Thiasiis £#,B, Sant.,Laur.XXXIII,13 Thyasus a,P,Vat.1630 "Th asus M) 29. timpanum 28r, 0,H, Vat.1630 3. indomita uitans onus luci Br (luci £) È 5. ipse Br, athis Br,4,D,B,A,Sant., Vat.1630, Laur.XXX1III,13 (attis G 53. Ut apud Br,h,a,b,c (Ut caput L) stabilia Br,/1,0 (anche G prima i ge % 19 vi n s' (A d v È 5 TRATTI » a ch La LI N 3) Ì ETTORE STAMPINI PRC alt hai Di: opaca nemora dux . omina gens Br,h (anima gens G,D,B,A,P,Sant.,Laur.XXX1II,12,13 animagens 0,R,M,C animo gens a,c) . athis Br,h,A,Sant. (actis 2) . sequuntur Br (sequntur G,M secuntur 0,B,b sequitur D,H) propere pedem Br, . cybelles Br, B, A,Phill.,Sant. (cibelles O,H cibeles #,G,C, Vat.1630 cybeles M cybales D cibellem a) . langore Br, . Abiit Br, (Abit 0,5,c) inquieti Br (inquiete 0,G in quiete M) mollis Br,2 rabidus Br,4,0,G,R,M,D,H,A,C,Sant.,Laur.X XX1II,12 rabidi B,Phill.,Burn., Vat.1630,Laur.X X X1III,13 . horis aureis Br, oris aurei P . adurit Br (sol adura 2 sol a dura G. sola dura P,b,e) . somnum Br (sonus Gsonus 0 somnus .V_athim Br,h,D (altin 0,G,R,M athin B,A,Sant.,Vat.1630,Laur.X XX1III,13) . Trepidante Br, (Trepidantem £,P,b, Ric. 2242) recipit Br,h,a pasipheo Br (pasitheo 2 pasithea a) i actis R,M,a,H,C atris 0) . sine que is Br sineque is % (sineque is O sineque his £) . extuanter usum Br,h,Laur.XXX1III,12 (extuanter uisum D estuanter usum £) retulit Br,Q . est ista uoce Br, (est ita uoce 0,G, R,M,B,Phill., Burn., Vat.1630,Laur. — XXXIII,13 miseriter maiestates Br,% (miseriter magestates 0 miseritus al. miseriter maiestas G miseritus al. miseriter maiestas al. maiestates M) . heri fuge Br, B,A,P (heri fugit H) 52. yde Br,G,M,B (ide 0 a die H) retulit Br (retuli 2 tetuli 0,P) della correzione in stabilla stabila B stabilla €) . pupilla Br,% (pupula D,b popula £) ad te Br,4,b (atte 2 ite D ate H acte B,c, Vat.1630,Laur.XXX111I,13) . annis est Br (animus est 2) . gynnasiis Br,a,B (giimasiis 0 gymnasiis G corr. de ginnasiis) . ah Br,7,G,R,M,a, P,Sant.,Vat.1630,Laur.XXXIII,13 (ha 0,H,B) ne mpg = AU, mr, FIRME VARE A nh ‘ ne Si e gi UV +4) De! pote 27 N si" : por i (RA 2 1 MERSÌ. fe ci ‘ Mar ® 5 + o 4 na) i «_—‘’ IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 247 "> i figura est Br,2 non quid Br,2 (nunquid D,a,P,e) abierim Br, 2 . gynnasii Br,a gymnasii 4,P,5,c (gimnasti o gymnasti L£) sui Br, D (fui 2, manca in a,P,c) decus dei Br (decus oley 0,G,M,a) = ue o 65. Mihi Br, M (Michi 0,6) tab, 66. Mihi Br, M (Michi 0,G) circulis Br,/,9 (circulus D,a) 67. Liquendum Br,4,0,G,R, M, PC, Laur. XXXIII, 12 (Loquendum H) solum Br,X (solo £) 68. Ego nec Br, (Egone Pd Ego nona Ego nune Sant.) cybelles Br,H,A (cibellos 0 cibeles G,B,C,Vat.1630 eybeles M) ferarum Br,h, 70. yde Br,G,M neue Br (nene 2) amica Br (amicta 2) 71. colibus Br collibus % (columnibus 2 columnis a columinibus P) j 72. siluicultrix Br (silui cultrix £) nemori uagus Br, 2 74. hince Br, huic P sonitus adiit Br,7, 75. ad aures Br, (adauris 0 ad aures deorum D) nuncia Br, 0 76. Ubi Br, (Ibi a, P, marg. Burn.) iuncta Br,4,0,G.M,a,H,b,c,Laur. XXXIII,12 uwincta D,B,A,C,Laur.XXXIII13 cybelle Br, a, A (cibelle O cibele 4,G,H, Vat.1630 cybele M) 77. Renumque corr. in Leuumque Br (Lenumque 0) pectoris Br, i. peccoris a pecoris c 78. fac ut hune furor Br, ; 79. Fac ut furoris ictum Br, (ictum corr. in ictu R ictu a,B) 80. liber Br (libere £) 81. Age cede Br (A cede al. age cede G) terga Br,h,0,b (tergo £) uerum uera Br, (uerbera ed. Calp. 1481) j 82. Fac Br, (Fac ut a,P, Ric.2242) 84. cybelle Br,a (cybele 4,M,D,A,C,Sant. cibelle O cibele G, R, B, t Vat.1630) 85. adorta lis Br,% (adortalis 0,M, A adhorta lis G ad ortalis R adhortans Ric.2242, Ald.1515) animo Br,2 87. littoris Br 88. athim Br,A,Sunt.,Vat.1630 (athin D, A,Laur.XXXIII,12 atim H actim Laur.XXXIII13 actum a actin RMB attin 0,G,C) marmorea pelago Br,2 (marmora pelagi P,ed.Calp.1481) 89. Fecit Br, (Ficit O Ferit H) 90. spacium Br, 0 91. cybelle Br,a,B (cybele M,D,A,C,Sunt. cibelle 0,Laur.XXX1III,18 cibele %,G, R, H,Vat. 1630) dindimei Br,A,0,R,a, B.C, Laur. N XXXIII,12.13 (Aindimenei G dindimenei al. dindim ? M) 4 ) +7 Sagre » t) y Ln pri , a " Te: Me è LXVII, ite, 92. . rapidos Br, (rabidos P,Ric.2242) 2. inpiter Br, 0,G,M,C, Vat.1630 5. maligne Br,4,0,Dresd. (maligno £) 6. est Br, marite Br,4,2 (marita D,a) fi 8. ueterem Br,h,0,Sant. (nuenerem 9) 9. placeam Br,G, ete. (plateam R,M,B,Laur.XXX1II,12) .a me Br, (om. h) . isti Br, A, H, B, A, P,C, Burn., Sant., Vat. 1630, Laur. XXXIII,1,13 . culpa tua est Br,2 (tua culpa est 4) . est om. Br,h . Quid Br, 2 (Qui 4,c,Burn.) possum Br, (possim D,a, Ric. 606 . uobis Br, (nobis Muretus) . attigerat Br,h,Burn.,Vic. (attigerit 2 attigerit corr. in attigerat P) . Il v. è in Br,L; om. in 0 . hane tunicam Br, . gnati Br (gnate D,a,Ric.606 mati H.B,Vat.1630,Laur.XXX1III,13) . Et querendus unde Br,2 (Et quaerendus ut unde D,a,c, Vic., Ric.606) . Quo Br,h (Quod 2) î . nati Br,h, D,H,Burn. (gnati G, M, etc.) minxerit Br, G,M, ete.. (minxerat D,a,B,Phill.,Ric.606,Laur.XXX1I1,13) . hoc dicit se Br,4,0 (se dicit om. hoc G_ hoc se dicit D,a se dieit . Brixia chinea suppositum specula Br, . Flauum Br melo Br,0 (mello 2) . mee Br uice « 5. postumio Br (posthumio 4,0,G,M,c,Laur.XXXIII,12) cornelii Br . Dixerat Br,4,4,B,P,Vat.1630 (Dixerit G,M,ete. Dixit 0) quid tue . lumine Br,4,0,4,B, marg. Sant., Vat.1630 . hoc Br,h,H,Laur.XXX1III,12 (hie D,a,P,c,Burn. hec altri) . aperire per operire Br,h_ aut aperire Br, (aut operire H, Vat.1630) EPTORE STAMPINI Nel; tuo Br,h, 2 (tuus a, A,0,c,Sant.) hera Br, (ma era o) heri h LI 1. iocunda.. .. iocunda Br,k,0,G,M,a,H,A,C,Vat.1630 age de Br,h,Q2 uobis Br, 4,2 (istius R,M istius 0,G istis D,a,c,Ric.606) qui te Br,h,Q ni possit P) cubille Br hoc M,A,C,Sant.,Laur.XXX1III,12,13 sed dicit hoc H,B) narrat Br, (ma amat G) iste Br (quid tu iste 0,G,H quid tu istec parecchi) IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO = 249 41. audiui Br, 0,G,D (audiuit R,M,47,B,4,C,Sant.,Laur.XXXIIHI,12,13) 42. Sola cum conciliis Br,7#,2 (ma Sola cum aliis al. conciliis M_ Sola cum concillis VO Sola conciliis D,a) 44. Sperent Br,4,0,Vie. (Sperent G,& Speret M,D,Cete.) 45. addebit Br,% (addebat £, ma addebant 0, Sant. pr. m.) 46. ne Br (te 0,G,R,M,A,Sant.,Laur.NXX1II,12) 47. est Br, (om. a,D pr. m.,Ric.606) que Br,h (qui 2) 48. mendatii Br,/k,R,B (mendacii 2) Raccolte così le concordanze di Br,% fra di loro e moltis- sime altre di essi con altri codici, non meno che le differenze che passano fra Br ed 4, vediamo se ci sia dato di trarre qualche “conseguenza da sì ricco materiale. Circa le differenze, nulla per vero ho da aggiungere a quanto ho già dichiarato, e soltanto potrei indugiarmi a spiegare più particolareggiatamente il dis- senso non meramente ortografico di parecchie altre lezioni (1); ma si tratta di cosa che-il lettore esperto di manoscritti e co- noscitore del testo catulliano può fare da sè con l’elenco sot- (1) Ad ogni modo, ecco qui un altro breve elenco: VI, 15. panda Br Ss u invece di pandas % (forse da panda) VIII, 7. nollebat Br nol. lebat h (Br trascurò la « sopra », che doveva essere nell’esemplare, o è mus una ulteriore correzione di 7) = XI,23. Ultimi Br Ultimus % (4 adottò id una sola lezione; Br riprodusse per intero l’originale) XII,7. uel Br id A, che scelse la seconda delle due lezioni dell’esemplare. XVII, 1. le- dere Br ludere % (evidentemente da ledere al. ludere % scelse la, u seconda lezione, o nell’esemplare era ledere) XXV, 2..:nn ua Br (per imula) inula # (la differenza proviene da inula dell’ esemplare) XXVIII, 10. Tota Br Tosta % (o l'esemplare aveva Tosta, e il copista di % non soppresse la s, o è uno sproposito tutto proprio di esso copista) XXX,12. facti Br facta A (il copista di % scelse la lezione falsa da a facti, o da facti al. facta: anche il Laur.XXXI/1,13 ha la lez. facta) LXVI,41. adiurarit è la vera lezione, ed è propria di % (la lez. adiu- e aret di Br può derivare da un originale adiurarit, per effetto della lezione di 2 XCV,2. hiemen Br hymen # (la presenza di hiemen 1e anche in C legittima il sospetto che nell’esemplare si trovasse hymen). E questo potrà bastare! 250 ETTORE STAMPINI t'occhio. All'incontro, per rispetto alle concordanze di Br,h or con l'uno or con l’altro codice, il materiale da me esibito mette in chiaro una parentela più o meno stretta con 0,D,a,H,B, A,P, particolarmente con a,H,B che per questo riguardo sono i più importanti, ed eziandio una affinità, per quanto variabile, col Burn., col Vie., col Phill., col Rie. 606, coi due Laur. (XXX11I,12 e XXXI1II,13), non che con C,b,c, fra i codd. che sarebbero di minor momento dal presente punto di vista. Ma basta scorrere per breve tempo la vari lectio dell'edizione maggiore dell’Ellis, per apprendere quanto sovente quei medesimi codici, che più si avvicinano ad %, e perciò a Br, discordino fra di loro, e quanto sovente ancora si oppongano ad %. Che se ne dovrà in- ferire? Io credo che si possa fare una prima illazione, affer- mando che vi fu — ed è da credere che esista ancora — un codice da cui Br ed % devonsi ritenere direttamente deri-. vati, quasi due figli gemelli. La seconda illazione, che parmi | di poter trarre con sicurezza, è che questo codice, che indi- cherò d'ora in avanti con @ (1), del quale Br ed % sono apografi | diretti, appartiene ad un gruppo o famiglia che si connette con 0 ma non per via di derivazione diretta, bensì in via, dirò, late- rale. Il numero certamente non cospicuo, ma neppure disprez- zabile, di lezioni buone, sicure, che possono essere accettate nel testo catulliano, e in parte vi furono accolte, e sono proprie solo di Br.k, e non di 0, e che non sono già un’invenzione di eruditi e un'interpolazione umanistica, ma appartengono, almeno in parte, al vero e proprio patrimonio catulliano e, in ogni modo, rientrano in una sincera tradizione manoscritta del lider catulliano, e la non infrequente opposizione alle lezioni di 0 senza passare nel campo di G, assicurano a @ una individua- lità che si contrappone, come ad ogni altro codice catulliano, | così pure allo stesso O, che è di essi il più insigne e col quale ha concordanze molte e di singolare importanza. Ed è questo. un punto che mi preme di svolgere, prima di dar termine al mio lavoro, mettendo dapprima in rilievo, per ragion di brevità, — almeno un certo numero di lezioni vere o probabili in cui Br (e qui lascerò %, per attenermi solo a Br che conosco a fondo (1) Con ©, invece, indicherò l'esemplare da cui @ fu trascritto. IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 251 | per intero) concorda con 0, comprendendo fra tali lezioni anche quelle che ci conservano un certo veri vestigium, per dirla con K. P. Schulze. Anzi, per siffatta bisogna, mi varrò dello stesso materiale di lezioni da lui raccolto nei suoi Prolegomena (1), così per il confronto di Br con O, ne' limiti testè indicati, come poi | per i rapporti con G,M ed altri codd., sempre entro i medesimi limiti di una scelta. Se non che una osservazione mi pare qui essere opportuna. Dal materiale di lezioni di alcuni carmi catulliani testè esposto si ha la conferma che Br,k, e perciò ®, rappresentano una tra- dizione manoscritta in parte più corrotta di quella che è rap- presentata da altri codd.: aggiungerò anzi che le prove di una maggiore corruzione aumenterebbero qui, se per la ricostruzione di @ avessi avuto modo sicuro di raccogliere tutte le lezioni di 4, o rispondenti o non rispondenti a Br. Ora ciò non iscema punto il valore, per piccolo che sia, di @, e perciò di Br,h, chi consideri come la corruzione di g non implichi per nulla, in tutti i casi, la stessa corruzione in ®, da cui @ fu trascritto. Si avverta che molte lezioni guaste, che abbiamo citato, e molte, che si potrebbero ancora produrre, agevolmente si riconducono a lezioni sane, oppure, almeno, alle lezioni presentate dai codd. in cui è meno inquinata — poichè tutta è più o meno inqui- nata — la tradizione del testo. Pochi esempi saran sufficienti a provarlo. III, 3. est mortuus per mortuus est (9 0 sbagliò o trascurò il segno di trasposizione in ®) VII, 6. uerteris per veteris (P scrisse forse per isbaglio } | ùteris che fu naturalmente interpretato per uerteris, cfr. utor = uertor) ; VIII, 4. wetitabas (anche lezione di H) per uentitabas (p copiò male il veti tabas di ®) X, 28. non (nè in Br) per modo (scambio in @: nd fu sosti- tuito al mò di ®) XIII, 3. bona per bonam (@ scrisse bona invece del bona di ®; cfr., p.e., XCVII, 11. illa per illam in Br,h, perciò illa @ invece di illa ®) XVII, 10. Zatus per lacus (causa lo scambio frequentissimo di € (1) Catulli Veronensis liber. Recensuit Aemilius Baehrens. Nova editio a K. P. Schulze curata. Lipsiae, MCOCCLXXXXIII, p. xxx segg. Faccio il nome ‘dello Schulze, e non del Baehrens, perchè i Prolegomena della nuova ed. furono rifusi e accresciuti di molto materiale dallo Schulze. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 17 } > { , Ciad — _ © rr ver P., sa PAS O nile dti e - i gonna D 252 ETTORE STAMPINI e t: latus p lacus ®; cfr. il pudiceque, che viene dopo in Br, k,, in luogo di putideque o putidaeque, che è lez. di b e Burn.) 24. potes olidum (da un potesolidum di @, sostituito al potestolidum di ®= pote stolidum : potest olidum S) XXVIII,13. Fati per Farti (fati , forse per falsa interpreta- zione di abbreviazione scambiata per Fati: le lez. Facti di D,H, Fracti di b, mostrano la varietà della scrittura nei mss.: per questo supposi una lezione che potesse dar facilmente luogo ad errore) XXIX,15. aut per alit degli altri codd. (frequente scambio di ut per lit; perciò aut @ invece di alit ®, deformaziene di alid comune agli altri codd.: la lez. ait di D,a è prova — di tali scambii) XXX, 3. perdere (pdere in Br) per prodere (Pdere), i causa il solito scambio dei due segni (perciò pdere p, ma dere d) 7. iubeas (forse da iub'bas 0 iubibas di ®, ove poteva anche trovarsi iubebas) XXXI,5. thimina (p scambiò thimia di ®D=thimiain 0 thymiam, lezioni di ®, con thimia; perciò la lez. thimina = thimia) XXXIV, 6. proles, sostituito a progenies sopra cui, come glossa, doveva essere stato scritto in ® (invece @ copiò la glossa, perchè vocabolo più comune) 8. oliriam (è una « presa per un ri, come spesso: perciò @ sostituì quel vocabolo ad oliuam di ®) —__——r n_——m—_———_—n 23. ancique (anche qui alla # fu sostituita la ec in @: antique ® e L) XLII, 13. olidum per o lutum (@ lesse id invece di ut in olutum di ®) XLVII, 4. Se la parola codices, messa dall’Ellis accanto a proposuit, vuol dire, come pare, che questa fosse pure la lezione di 4, la lez. pposwit di Br, conservata anche da R (e non è questa la sola coincidenza di Br con R), mostrerebbe lo scambio, fatto da 4, di p= prae col P= pro di cui sì è discorso: @ doveva avere 7 LXIV, 174. incertam (che è anche lez. di H) re per in cretam opp. in creta degli altri codd. (in ® doveva leggersi incertam, re come si legge in C, o meglio incertà (cfr. incertà di Br); ma @ scelse la lezione sbagliata, trascurando la correzione) 249. tum prospectans (per tamen aspectans), lezione interessante sotto due aspetti. Br ha l’abbrevia- tura #2 pspectàs che dimostra lo scambio, frequente nei codd., di ta = tamen u tum con ti=tum (cfr. XV, 17. ove Br ha tà. cioè tamen). Per Pspectas, si può supporre che fosse in ®, come in R,M, la duplice lezione Pspectàs al. aspectàs (G ha praspectans con p ed r tagliati per traverso da lineetta), e che ® abbia scelto la prima senz'altro. LXVI,48. scelerum (anche lez. di Vic., proviene evidentemente da una s aggiunta da ® alla lez. celerum, che, propria di 0, verosimilmente si trovava perciò pure in ®, parente di 0) LXVII, 20.37. attigerat Direrat (per pece simp Evidente- mente © preferì queste lezioni davanti a attigerit Dizerit di ®. Cfr. la lez. minszerat del v. 30 dello stesso carme, che è la lez. di D,a,B, Phill.,Ric.606, IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO Laur.XXXIII,13, di fronte a minzerit di Br, G,M, ete., per cui è da presup- . (0A porsi una doppia lezione preesistente minzerit al. minzerat, ovvero minxerit XOVI, 6. Quintile è spiegato benissimo dallo scambio di Zi con 2: @ aveva Quintille; ma ® Quintilie = Quintiliae XCIX, 7. simul hoc factum est, ( hoc proveniente da simul id factum est, o viceversa, che spiega pure ad invece di id in G, e simul est id factum est di H con erronea ripetizione del verbo. Ma è tempo di confrontare Br con le lezioni “ quibus. O solus uel paene solus uerum ipsum aut uweri certe uestigium seruauit ,, giusta l’espressione dello Schulze (1). Eccone una scelta. XXVI, 1. «ra (ufa in Br) XXX,9. Idem XXXIV, 12. Omniumque (per Amniumque) XLII,7. illa L11,3. Vatinius LIII,2. vatiniana LV,11. Quedam (anche R) LXI, 187. uelut LXIII, 46. sinegue is in 0 siue que is in Br 81. terga LXIV, 10. fexrta 189. blanda (credo anch'io che questa, e non wobis, sia la vera lezione) 165. Externata 183. lentos 231. Tum 319. custodibant (2) 353. messor (forse da preferirsi a cultor) LXVI, 5. sublamina (così O per sub Latmia; sub lamia in Br) 45. cumque 71. ranùsia in 0, ma ranusia in Br (come in a,b, Sant.) LXVII, 5. maligne 8. ueterem 31. hoc dicit se 33. melo (3) LXVIII, 2. mittis 67. clausum 77. ramusia in 0 (ranusia in Br) 119. nec tam LXXIII, 6. amicum Rhabuit LXXVI, 5. manet in, lezione vera di Br (manentum in O) 11. instineteque LXXVII, 1. amice LXXIX,4. notorum (Br ha di eran ma quale delle due lez. è la vera?) LXXX, 6. tenta (4) LXXXIII, 4. Sana è la vera lez. che dà Br (Sanna è in 0 contro Samia di G,B,A,C: Samia al. sana R,M) LXXXVIII, 2. Prurit lez. di Br,D (le si avvicina prurit di O contro proruit di G) CI, 7. interea hec. (1) Non devo tralasciare che talora a me non par vero nè vicino al vero quel che tale è giudicato dallo Schulze. Così, p. e., la lez. Lentaq3 di G,Br etc. (LXI,102.) a me par più prossima alla vera (Lenta g3A che «non lenta sed di 0. (2) Parrebbe che la lez. di A sia custodiebant, perchè l’Ellis dà custo- dibant come lez. di 0,D,a,P,b,Burn.,Ric.2242, e non nomina A. (3) Dal silenzio dell'Ellis si argomenterebbe che mello è lez. di %. (4) Io interpreto tuta di O come = tenta; cfr. tar = tenetur, tnib's = te- nebris. In ciò vado d'accordo con lo Schulze; ma egli, seguendo il Baehrens cita come prova ma = mea. Poteva trovare prova migliore! Atti della R. Accademia — Vol. LI. Ty ar % pr, I SL tI al 3 da osa Reali MA iù nic tasg i a ti di SER È Mii 4 » PZA E P pri ETTORE STAMPINI i Nola ‘ee + bi x % : Vediamo ora parecchi confronti di Br con G, ut « meliores praebet scripturas , contro 0: nei VIII, 16. adibit 18. cui —X,33. tu insulsa (vera lez. di Br,h contro tu insula di 2, tulsa di 0) XII,2. in ioco 8. uelit 15. muneri (1) XIII,9. meros XXV, 5. oscitantes XXIX,19. Hybera (contro Libera. di 0: non è vero che in G sia hibera, come scrisse lo Schulze) XXXVI, 18. interea XXXVII, 1. uosque XXXIX, 20. uester LIV, 1. oppido (lez. di Br, opido di G contro apido di 0) LXI, 161. Rasilemque © LXII, 13. habent (h'nt in Br) 43,44. Questi vv. sono in Br,G; mancano in 0,7" Pas ” € na sl LX1V,15. Equoree 270. procliuas 301. Pelea (Palea in Br, Palea in 0) da paA 332. Leuia 344. teucro manabunt (ma tergo (2) manabunt in Br, teucto ma- nebunt in 0) LXV,3. dulcissimus harum (per dulcis musarum; dulcis- simus hauum in 0) LXVIII, 37. nolim 61. uiatori XC, 6. Omentum | (vera lez. in Br,D:; omne tum in 2; quintum in 0) CIII, 2. est 0 (= esto;. solo est in 0; es 0 in D). E passiamo alle lezioni vere o migliori in cui Br con- suona con l’accordo di 0,G (anche G corr.): 1,9. quod IV, 1. phasellus (3) IX, 8. tuus XI, 10. uisens 11. ho ribilesque XII. 17. Et (l’ Ellis nell’ed. min. preferisce Ut di Harl.4094) XXVIII, 11, 12. pari (4) casu XXXVII, 9. Atqui XXXIX, 12. /amiuinus (ma Br ha /lamininus: vera lez. lanuinus) XLII, 15. tamen hoc satis (per correzione in Br da hoc tamen satis) 22. nobis (lezione che sì può sostenere contro uobis di marg. Pe di Burn., preferita dall’Ellis) L, 209 reposcat (resposcat in 0) LII.2. nowius (per Nonius) LXI, 159. omine LXIII, 73. iam iamque 76. iuncta LXIV, 240. Nessun intervallo dopo questo v. 334-337. Questi vv. sono in Br come in 0,G; mancano m molti codd., come in D,a,B,P.b,c, Burn., Vat.1630, Ric.606, Laur.XXXIII,1 Î LXVI, 24. tune (5) 83. colitis (Ellis preferisce petitis di D,a,P,c, Burn. Ò (1) Veramente la lez. di G è numeri, come quella di 0, ma con sopra l'aggiunta al. muneri. d (2) Anche in G la prima lezione era diversa: pare che sia stata raschiati " la lettera su cui fu scritta la c, e siasi ridotta ad r la penultima lettera. (3) In G fu raschiata una 7, anche nei vv. 10 e 15. (4) La lez. di G è parum soprascr. al. pari. (5) La lez. di G, con R,M, è nunc al. tune. i da to ta È a fi RIESCE Mica, Spie AMBI 3, Mir pie CET MR ASI we usi A ‘Ret (SITE 1 Me | IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 255 LXXIII,4. odestque —LXXXI,3. ab sede —XCI, 3. constantemue CVI;1. esse (Ellis isse dall’ipse di 2#,M, ete.). Invece Br è ora contro O ora contro G, ora contro en- ‘trambi in non poche lezioni buone, come VI, 17. mersu (uersum in O ed R non corr.) XIV, 15. optimo (oppinio in 0; opimo al. optimo in G,R,M, ete.) XXXII, 1. mea (meas in 0) XXXI.5. dithinos (bithinios L) XXXV, 4. menia (ueniam in 0; meniam con m raschiato in G) XXXIX, 20. expolitior (erpolitor in 0) XL, 3. deus (dens in 0) XLI,4. formiani (forniani in 0) XLUI,8. seclum (sedum in 0) XLVIII, 6. Sit (Sint in 0) LXIV, 7. werrentes (uerentes in O e Gprm. 33. Thessalia (Thesalia in O. Tessalia in G) 61. Sarea (anche in G corr.; Saxa in 0) 121. uecta (necta in 0,G) 126. Ac tum (Actum in 0,G,R) 145, apisci (adipisci in 0) 164. Sed quid (Si quid in 0) auris \anche G corr. da aures, lez. di 0) 180. An patris (impatris in 0; In patris corr. in An patris, 0 vicev., in G) 234. antenne (antène in Br; antenene ne in 0) 290. nutanti (in Br con R,M; mutanti in O e G non corr.) 295. pene (caso forse unico di segno del ditt. «e in Br; pena in 0) 309. witte (ricte in G, D,P, etc) 324. tu tamen per tutamen (lez. di Br (tu th); tutum di O; tutum marg. tu tamen di G,R,M) 328. optata (aptata in O) LXVI,35. Si (Sed in 0; Sed al. si in G,R,M). Altri esempi invece abbiamo di accordo in buone lezioni di Br con 0 ed altri codd. contro G oppure G ed altri codd. Così XVI, 4. Quod (G corr. Quot) XVII, 22. qui (quia G corr., DD) XXIII, 9. minas (ruinas in G D) XXIV,9. MHoc tu quam lubet (Nec tu quamlubet in D: ma Hec tu qua lubet in G) LXIV,134. discedens (discendens in G) 91. Flammati (anche in D; Flamati in 0; ma Flamanti in G, Flammanti in M) 381. currite fusi (ducite fusi in G) LXVI,24. Ut tibi (Ut ibi in G) 32. abesse (adesse in G) 85. irrita (inita in G) LXVII, 35. narrat (amat dn G) LXVIII. 12. Neu (Seu in G) 101. tum (tuum in G) LXXVI, 26. pro pietate (proprietate in G) LXXVII,9. Verum id non impune anche P e Burn. (ma Verum non id impune in G; Id uerum non impune negli altri) LXXXIV, 11. isset (esset in G) LXXXVII,1. potest (pone in G). » sans 256 ETTORE STAMPINI Del resto molte buone lezioni di Br emergono anche dal confronto con M (1), col quale spesso si accorda contro 0 e G; e chi conosce gli stretti rapporti che sono tra M ed È, di cui pur troppo solo assai poco è reso di pubblica ragione, insieme con M potrà quasi sempre mettere f. Ne do un breve saggio: 11, 15. ligatam (ligatam marg. al. negatam in M,R; negatam in O; ne- gatam marg. al. ligatam in G) XVII,23. Nunc eum uolo (la lez. di M è Nunc cum uolo (lez. di G,R) sopra scritto al. hune cum; di O è Nunc uolo nolo) XXVIII, 11. fuistis (fuisti in 0,G,D) XXXI, 1. Stirmio (Syrmio in Br; Strinio in 0,G); XXXV,12. amore (amorem con m canc. da / in R; amorem in 0,G) LXI,24. Ludicrum (con R,a,Bj Ludricum in 0,G) 169. ac (fGue in 0,G) LXII (2), 58. cara (cura in 0,G,D,Thuan.) LXIV, 22. se- clorum (seculorum in R; seculorum in 0,G,B) 830. menia (con R; incenia in 0; ingenia in G) 127. protenderet (anche R; pretenderet in 0,G,D) 213. egeus (egens in 0,G) LXVI, 71. Pace (Parce in 0,G) LXXII, 2. pre me (primein 0; per me in G) LXXVI,15. lee est hoc (hec est hec in 0,G) 18. Exrtrema (è la lezione di Br, e quella di M corr., e la credo preferi- bile a Extremam che è lezione di D,P; Extremo in 0,G LXXXIX,4. (1) In questo confronto, avendo alla mano la già citata riproduzione eliotipica di M, ho trovato non pochi errori commessi dallo Schulze (op. cit., p. Li segg.) coll'attribuire ad M lezioni che di M non sono. Così, p. e., M ha: XII, 16. ameni, non amem; XXI,18. Nee, non Ne; XLI,5. puelle, non puella; XLIV,20. sectio al. sestio, non sestio; L, 14. ad, non at; LXI, 223. penolopeo, non penelopeo, ecc. Asgiungerò ancora che lo stesso rilievo ho fatto a pro- posito delle lezioni di G, anche tenendo conto che la vecchia riproduzione fotolitografica, eseguita con mezzi non ancora perfezionati come sono i mo- derni, ha fatto scomparire alcune particolarità di ritocchi e correzioni. Ma è certo che parecchie volte lo Schulze ha sbagliato. Qui mi basti citare un esempio che riguarda anche M: LXXIX, 4. sawia Br,G,M: lo Schulze invece nota (p. im): sauia M: sania 0G; di vero non c’è che la lez. di 0, propria anche di Vat.1630. Devo tuttavia notare che di questi sbagli non pochi sono del Baehrens, di cui lo Schulze doveva meglio vagliare il materiale delle lezioni, riesaminandole ad una ad una; ciò che non pare abbia fatto. (2) A proposito di questo carme, si abbia presente che Br non ha nes- suna divisione di parti e nessuna iscrizione relativa, neppure in margine, come è in G,R,M. È notevole la lezione del v. 37 Quid tum di Br di fronte al Quittum del Thuaneus (M ha Quod tamen sopra scritt. al. quid tamen; G ha Quod (sopra seritt. al. quid) tamen; B ha Quod tamen al. quid tum). | L x [ i «J , : IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 257 macer (in R non corr. è mater lez. di 0,G,D) XCVII, 8. Meientis (anche R: megentis in 0,G) CII, 1. ad amico (ab antiquo in 0,G) CV, 1. pipleum (così Br,M per pipleium, lez. di R,C; pipileium in 0,G) 2. furcillis (ma furcilis in 0,G) CXV,8. mentula (mencula in O; mentulla in G). Ma essendo tempo oramai di por termine al lungo cam- mino, io senz'altro verrei a raccogliere le conchiusioni a cui può condurre questo faticoso studio, se non dovessi, prima di finire, prevenire e combattere una obiezione, quasi direi un’accusa, di carattere generale, che più d’uno mi potrebbe muovere, e cer- tamente, anzi, mi muoverà. Non mi dissimulo che l’aver fatto oggetto di così minuto esame, di così variì confronti un codice della seconda metà del sec. XV, di cui un filologo tanto insigne, tanto benemerito degli studì catulliani, Robinson Ellis, dopo averlo avuto sotto gli occhi, sì limitò a citare solo tre o quattro lezioni, non incontrerà l'approvazione di coloro i quali per la storia del testo catulliano, per la sua costituzione e sistema- zione, credono che basti far capo a quelli che si chiamano i co- dici principali, perchè più antichi, come 0,G,È in prima linea, e pochissimi altri, come M,D,a, in seconda, riguardando i rima- ‘nenti come deteriores e di quasi nessun momento. Anche parecchi anni dopo della editio minor dell’Ellis, nella quale, con un sensi- bile progresso per la determinazione del testo, furono utilizzate parecchie lezioni di nuovi codici fra i così detti deteriores, il Morgenthaler conchiudeva la sua già citata dissertazione De Ca- tulli codicibus con una sentenza che non esito a chiamare falsa, in quanto affermava “ Omnes... illos recentiores codices, qui quidem hucusque innotuerunt, ad redintegrandum V archetypon nihil fere contulisse persuasum habemus. , lo invece deploro che l’Ellis non abbia fatto di più, e sono sicurissimo che la disa- mina, non fuggevole e superficiale, ma attenta, calma, esauriente, di molti codici più recenti, come sono Br,h, porterà a risultati di cui la critica avrà a compiacersi. Ed ho la profonda persua- sione che, quando saranno escussi per intero que’ manoscritti, «non solamente sarà cresciuto il buon contributo ad una più pre- cisa ricostruzione del testo catulliano, ma sarà confermato ciò che l'esame di Br.h mi fa fortemente sospettare, che esista una tradizione del testo indipendente così da G ed P, come da 0, pur accostandosi per certi caratteri specifici più ad O che agli dd } 3 : 1 a ETTORE STAMPINI du, altri due, quantunque quel che presentemente si sa di # non può ancora legittimare in molti casi alcuna affermazione asso- luta, chè solo si può avanzare al riguardo qualche congettura, come è noto, per mezzo di M che ha così stretta parentela con ft. Ora appunto per questa fede in una tradizione mano- scritta specificamente diversa da 0,G,/f, parmi che una con- chiusione d’ordine generale si possa fare. ed è che, fino a quando non sia conosciuto per intero il materiale di È e di tutti i co- dici che sono tuttora inesplorati, o quasi inesplorati, sarà pru- dente, anzi doveroso, non avventurarsi a classificazioni di codici, e tanto meno a classificazioni in cui, isolando 0, si riconducano all’archetipo (V), per mezzo di un cod. 2, fratello di RM e con essi tiglio di un y, il quale y col fratello G sarebbe nato da x, figlio di V, tutti i codici così detti deteriores, fra cui 7%, come osò fare il Morgenthaler (1). Cerchiamo dunque di conoscer bene tutta la tradizione manoscritta di Catullo; e allora solamente potremo classificare. Intanto, per quel che riguarda la presente ricerca, un qualche avviamento a tale conoscenza credo sia stato fornito agli stu- diosi del poeta veronese, dimostrando: 1°. Che Br, così per l’esiguo numero di varianti come per buona messe di lezioni, sì accosta di preferenza ad O, quan- tunque se ne differenzi in modo da non potersi considerare come derivato da esso; 2°, L'accordo mirabile di Br,h dimostra la loro deriva- zione da un unico codice più antico, @, di cui essi sono due apografi ; 3°. Il disaccordo non infrequente tra Br ed %, quando non sia dovnto a quelle che sono le cause generali e comuni di scorrezioni ed errori nei mss.. prova una diversa interpretazione grafica delle lezioni di @ da parte dei copisti di Br,h. e talora una scelta diversa di lezioni dalla raria lectio di ®, sia margi-. nale sia interlineare: 4°. Come le differenze che si notano fra Br ed % met- tono capo, non di rado, ad errori commessi nella trascrizione da ©. oppure, talvolta, alla scelta di una piuttosto che di un’altra IL CODICE BRESCIANO DI CATULLO 259 elle lezioni contenute in @; così non poche discrepanze di @ (= accordo di Br,h) da altri codici si possono ricondurre ad una erronea trascrizione da ®, esemplare di @, per parte del copista di quest'ultimo, o ad una scelta differente di varianti marginali o interlineari esistenti in ®; 5°. Ciò non ostante, ®, e perciò @ e i suoi due apo- grafi Br,/4, rappresentano molto verosimilmente una tradizione manoscritta indipendente, la quale ci ha conservato un numero non disprezzabile di lezioni genuine, vere o probabili, che indarno si cercano in 0,G,R. . 6° L'esistenza in Br,%k di molte lezioni che non s'’ incon- trano in G, /&,M, bensì in 0, e sono comuni ora ad uno ora a più altri manoscritti, fra cui a, H, B, A, P, Burn., Vic., ecc., non escluso o stesso D, ma sempre in quantità variabile, cioè senza che all'accordo costante di Br,% fra di loro corrisponda, volta per volta, sulle medesime lezioni l'accordo di quei manoscritti, i quali, all'incontro, in poche di quelle lezioni mostransi tutti al- l’unisono, e nelle rimanenti si trovano più o meno in contrasto gli uni con gli altri, attesta, in ogni caso, che ®, l'esemplare di g, deve essere più antico dei codd. da cui discendono tali manoscritti più o meno affini, e certamente dimostra che ® rap- presenta, rispetto a questi, una tradizione meno contaminata e perciò più sincera, spiccatamente divergente verso 0 (1). 1 REN, . cd 4 (1) La prova lampante di questa sesta conchiusione si ha nello elenco, più sopra riferito, delle lezioni che Br,% hanno comuni con singoli codici oppure con pochissimi o con pochi. Ivi si trovano, ciascuna a suo luogo, lezioni che Br,% han comuni col solo 0, cioè: XXII,4. uel neque nec idem XXVII, 5. Ad vos XLIV,11. Oratione...petitorem L,5. illos LV,4. id circo LXI, 129. wilice LXIII, 28. Thiasis 53. stabilia —LXIV,56 tune da 165. Externata LXVII,31. non solum hoc dicit se LXVIII, 93. iocun- dumque LXXVI, 11. instincteque LXXVII, 1. amice LXXXV,2. si ; XCIX,9. manaret CXIV,3. An cupiam. Vi abbiamo esempi di concor- ; danze di Br,h con 0 ed un solo altro cod., comes XXV, 5. ostendet (D) 8. Inepteque (H) LX,5. Contentam (D) LXIII, 81. terga (6) LXIV, 77. i 1 androgeane (Vat.1630) 121. ut om. (P) 341. peruertet (a) LXVII, 5. ma- fd ligne (Dresd.) 8. ueterem (Sant.) 44. sperent (Vic.) LXVIII, 55. nummula (marg. Ric.606) 104. paccato (H) LXXVI, 14. officias (H) LXXVII, 6. heu una sola volta (Vie.) CI, 7. interea hee (P) © CVII, 7. hac est (Vic.). E l’avvicendarsi dei codd. continua, quando si tratta di lezioni comuni a iii i ETTORE ERAIROI Br,h,0 e due altri codd. soli, p. e.: LI, 12. Lumina (D, a)‘ libis sinis (a,Burn.) LXI, 187. uelut (C,Paris.7989) LXIV. 133. littore (a,P) 183. Zentos (marg.Sant.,Carp.) 260. prophani (B,A) 353. messor (Ric. 2242, marg.Sant.). LXV,7. littore (a,.C) LXVI,45. cumque (D,a) LXXVII,9 Verum id non (P,Burn.) LXXXVI, 6. subripuit (D,Vat.1630). E mi pare che basti, richiamando qui, per le lezioni comuni a tre e più codd., unicamente il fatto che i vv. 3,4 di e. XCII esistono, oltrechè in Br,7k,0. fra i codd. catulliani dell’Ellis, in Ambr.1,67,Carpent.,Sant.sec.m., e in nessu n altro: il resto può vedere il lettore da sè col materiale da me fornito. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. CLASSE DI .. SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 26 Dicembre 1915. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D'OvipIio, e i Soci Naccari, Peano, JADANZA, GUARESCHI, GuIpi, PaRoNA, MATTIROLO, Grassi, PaneTTI, e Secre, Segretario. — Scusano l'assenza il Vice-Presidente Camerano e il Socio Fusari. È letto e approvato il verbale della precedente adunanza. Il Socio corrispondente Enriques ha inviato in omaggio il ° volume delle sue Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, pubblicate per cura del Dr. 0. Cusini. Il Socio Seere rileva i notevoli pregi di quest'opera, destinata dare un grande aiuto ai giovani geometri, per la quantità di «concetti, che espone con chiarezza e con originalità, su svariati importanti argomenti. Il Socio GuarescHi offre in omaggio un suo lavoro: J. J. Ber- zelius e la sua opera scientifica, con brevi cenni sulla Chimica nella prima metà del secolo XIX; e ne discorre brevemente, facendo ilevare l’importanza delle scoperte di Berzelius in tutti i rami della Chimica teorica, e l'immensa influenza che egli ha avuto sul progredire della Chimica nel secolo XIX. In ultimo fa un Atti della R. Accademia — Vol. LI. i 18 È x ‘ Rit +MUSRT tiri n hg 3 ASCA ARL È raffronto tra Lavoisier e Berzelius. Rileva che del Patt Trat tato di Chimica del Berzelius furon fatte due edizioni italiane l'una a Venezia dal Dupré nel 1830, l’altra a Napoli da Gua- rini e Valerini negli anni 1838-43, entrambe in 8 grossi volumi Il Socio Guipi presenta anch'egli in omaggio un suo volume di Esercizi per le Lezioni sulla Scienza delle costruzioni. Infine vengon presentate, per la stampa negli Atti, le se- guenti Note: I. GuarescnI, Delle singolari proprietà della calce sodata, Nota III. | I } G. PeANO, L'esecuzione tipografica delle formule matematiche I. GUARESCHI — DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ, ECC. 263 LETTURE Delle singolari proprietà della calce sodata. Nota III del Socio I. GUARESCHI, In proseguimento delle mie ricerche sulla calce sodata come reagente energico, esposte nelle mie due prime Note (*), ho rac- colto in questa Nota III le ricerche che ho fatto con altri gas. In una Nota IV esporrò le esperienze fatte con vapori e sostanze liquide o solide. 10) Anidride carbonica. È a tutti noto che la calce sodata si adopera nei laboratorî per assorbire l’anidride carbonica e l’umidità dell’aria; l’aria si fa passare lentamente attraverso lunghi e larghi tubi ad U ri- pieni di calce sodata in piccoli grani. Ma ciò che forse non da tutti si sa, è la grande avidità e rapidità con la quale la calce sodata assorbe C0?. Ecco una delle esperienze: Gr. 32 di calce sodata recentemente preparata assorbirono rapidamente e con sviluppo di calore 215 cm? di anidride car- bonica che passava insieme ad aria con una grande rapidità, come nella inspirazione. Successivamente ne assorbì altre boc- | cette; in totale circa 1250 cmì. Naturalmente che operando in questo modo si assorbe meno | acido carbonico che non operando sul mercurio. Ed invero : — Gr. 0.20 di calce sodata (in 2 granelli) preparata spegnendo ‘ l’ossido di calcio con la soluzione di soda, assorbirono rapidamente 18 cmî di CO? secco, cioè 100 gr. ne assorbono circa 9.000 emî. (1) Delle singolari proprietà della calce sodata in * Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1915-1916, vol. LI, pagg. 4. hi (ada Beta: EL Me rac a ta AI! x - V.jce z V ta, { \ > ue: gia: 2 * ha, a ICILIO GUARESCHI “i In un'altra esperienza gr. 0.38 di calce sodata, in 4 granelli, assorbirono in circa 10 minuti 32 cm? di C0?, cioè per 100 gr 8.500 em?. In un’altra esperienza gr. 0.13 di calce sodata che era stata preparata secondo le indicazioni di Jungfleisch e ben conservata assorbirono nei primi 10 minuti 6.5 cm? di CO?, che riferiti a 100 gr. sono 5000 cm; dopo 2 ore erano assorbiti per 100 gr. circa 8000 cm?, e dopo 8 giorni si arrivò a 165 cm?, e rife rendosi a 100 gr. per fare il confronto, sarebbero assorbiti 12700 em?. In altre esperienze: Gr. 0.636 di calce sodata in granelli di circa 1 mm. di dia- metro o poco più, e che era già stata in una scatola di lat chiusa con tappo di sughero, assorbirono dopo 1 minuto 8 em di CO?, cioè per 100 gr. 1260 cm?; dopo 10 minuti si assorbi- rono per 100 gr. 2040 cem; dopo 18 ore 6100 cm?; dopo 72 ore si arriva a 8020 cm e dopo 4 giorni 8650 em?. Con una calce sodata più recente e meglio conservata È ebbe che per gr. 0.498 si assorbirono dopo 1 minuto 27 cm8 di gas pari a 5.400 cm}, dopo 2 minuti 5.820, dopo 10 minuti 6.320 dopo 1 ora 7.800 e dopo 18 ore 10.000 cm? per 100 gr..E dopo 4 giorni s'arrivò a 14.600 cm?. 4 Come si scorge, vi ha una notevole differenza fra le due calci sodate. Si capisce che l'assorbimento rapido si fa in principio, poi sempre, più lentamente sino ad arrivare ad un maximum. minuti. Per assorbire l'anidride carbonica la calce sodata è prefe- ribile alla potassa caustica solida, la quale, come è noto, assorbe assai lentamente l’acido carbonico. Ha inoltre il vantaggio che rimane asciutta anche in presenza dell'umidità del gas ed as sorbe bene tanto il gas carbonico quanto il vapor d’acqua senza attaccarsi al vetro come invece fa la potassa. Se il gas è secco o quasi, la potassa assorbe lentissimamente l’anidride carbonica; ad esempio gr. 0.4 di KOH (non perfettamente secca) posti in 3 em ed il resto sino al giorno dopo. Così avviene quando si fa passare una corrente rapidissima di CO0® in un tubo ad U contenente calce sodata, 1’ CO? viene avidamente assorbita, mentre se il tubo contiene KOH in pezzetti il CO? sfugge. La quantità di acido carbonico assorbita dalla calce sodata u meglio determinata coll’apparecchietto descritto pel fosgeno nella mia prima Nota. Attraverso gr. 13.80 di calce sodata recente fu fatto pas- sare una regolare corrente di anidride carbonica secca. Dopo circa mezz'ora l'anidride carbonica passa in eccesso, prima è tutta assorbita con sviluppo di molto calore ed eliminazione d’acqua che viene fissata dal cotone o meglio da cloruro di alcio. L’CO? assorbita fu di gr. 3.230 pari a 2.125 litri, ossia a 23.4°/, ossia circa 15360 cm8 per 100 gr. In altri termini, 100 gr. di calce sodata in queste condizioni assorbono più di 15 litri di gas carbonico. Colla corrente più lenta se ne assorbe di più. Si scorge una notevole differenza nei risultati esperimen- ando in questo modo oppure ponendo la calce sodata sul mer- curio in presenza del gas. In mezz’ora si assorbe più anidride arbonica facendo passare una corrente di CO? sulla calce sodata perchè vi ha sviluppo di calore e questo favorisce la reazione. Mentre nel caso della calce sodata sul mercurio l'assorbimento è rapidissimo in principio, poi lento e lentissimo; ma la quantità totale assorbita è maggiore. Ho fatto un’altra esperienza con buona calce sodata recen- temente preparata e posta sul mercurio in presenza di un eccesso di anidride carbonica secca: Gr. 0.471 di calce sodata furono messi in contatto con 194.5 em di CO? secca: LEI s GIGA 4 3 « "a, 1 A * E nol # ICILIO ‘GUARESCHI (| UO n 0 da è pre ear + ta n cem? di CO® cm? assorbiti dal Den 100 g1 assorbiti in 1 minuto di calce sodata Dopo 1 minuto. . . 23.5 23.5 4967 MI 25.5 2.0 5308 pegno LT He 27.5 0.25 5840. "ignara 34.5 0.15 1320908 È LT fp SICA 0.05 eci È dica dite 39.0 0.025 —- vi 2.00. 0P@v.-: 41.5 0.015 8810 x 2: SUOR SOT 43.0 0.0066 9130 Rd È! ei 47.5 0.005 10020 sui tate 51.5 0.0027 11400 È 9 pnezico 53.5 0.0037 _ Mea Bio ett ed 65.5 0.0154 13900 ù ienrela Le 67.5 -- _ ; 92 ALI 69.5 — - 3 2 ARIE 13.0 0.03 15500 s 4 sii a 79.5 0.025 — na 153 Ie 99.5 _ 21200 2 dliacitzoe 106.5 _ 22600 na il LEPRE Lon 0.027 _ Pafaca f- di IRE 132.5 0.02 28130 shell sta Le 146.5 0.009 31100 Per l'assorbimento totale sono occorsi 5 a 6 giorni. Dunque in principio si ha un assorbimento rapidissimo, che poi rallenta sino ad un minimum (0.0027), poi cresce ancora, si mantiene un poco costante e infine decresce nuovamente. Probabilmente la reazione ha luogo secondo l'equazione: — SI 200°4+ 2 Cal = CaC03 + Na*C03 + Ca(0H)? NaOH per la quale si calcola 30104 cm5; oppure secondo l’altra: O 3 002 + 2 Caf \ | = 2CaC03 + Na?C03 + H?0 NaOH per la quale si calcola 44000 em3 di CO? assorbito. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA © 267 La rapidità colla quale la buona calce sodata assorbe l’'ani- dride carbonica anche secca è veramente straordinaria. Io penso che la calce sodata sia il mezzo migliore per assorbire l'anidride “carbonica dell’aria a preferenza della soluzione di potassa cau- stica, dei cristalli di idrato di bario, ecc., proposti pel dosamento di piccole quantità di anidride carbonica nell'aria. Come pure pel dosamento dell’acido carbonico nei carbonati naturali, nelle acque, ecc. La calce sodata è già stata proposta, come mi fece giusta- «mente osservare il Dr. Charrier, per assorbire l'anidride carbo- nica nell’apparecchio che serve a dosare il carbonio nel ferro e negli acciai secondo il metodo di Ledebur e di altri, e pel dosamento dell’CO? nella biacca (!). 11) Ossido di carbonio. L'ossido di carbonio a temperatura ordinaria non viene assorbito e fissato dalla calce sodata, o solamente in piccola quantità. Entro campanella contenente 55 cm? di CO puro io ho messo gr. 0.35 di calce sodata buona in 4 granelli. Anche dopo più giorni non osservai diminuzione di volume. L’esperi- mento durò dal 20 agosto al 13 settembre 1915. Sarà ripetuto. Depurazione dell’ossido di carbonio. — Specialmente quando si prepara l' CO per decomposizione dell’acido ossalico con acido solforico è necessario separarlo dall’ C0O?. Un solo tubo a bolle contenente KOH anche concentratissima non serve, dell’CO? passa insieme a CO; allora facendo passare il gas at- traverso calce sodata si ha CO privo affatto di CO?. 12) Ossisolfuro di carbonio. L’ossisolfuro di carbonio fu scoperto nel 1867 da Than in una sorgente minerale. E un gas incoloro, di odore sgradevole quando è impuro, ma inodoro o quasi quando è puro; io ho n i (') Veggasi Treapwetr, Trattato di Chimica analitica, vol. II, pagg. 293 e 308. Sa dica À spde=— o 268 ICILIO GUARESCHI avuto occasione di preparare ed esaminare questo gas quando preparavo la ftalimide e la canforimide riscaldando gli acidi ftolico o canforico coi solfocianati (!). Io allora ho osservato ‘he si produce regolarmente scaldando a 160°-180° una miscela di 8 p. di acido ftalico e 5 p. di solfocianato potassico. Questo gas in presenza dell’acqua lentamente si trasforma in H?S e (02, Patto respirare agli animali, alla dose letale di 1 cm? a 9 cm* per i conigli, questi muoiono in preda a dispnea e paralisi; così pure le cavie e gli uccelli. Questo gas viene rapidamente assorbito dalla calce sodata, specialmente nei primi momenti. A 23.4 cm di questo gas asciutto sul mercurio aggiunsi gr. 0.2 circa di calce sodata in un solo granello. Dopo 2 minuti furono assorbiti 9.3 cm?, cioè per 100 gr. di calce sodata 4650 cm8. Dopo 20 minuti per 100 gr. furono assorbiti 5150 cm; dopo 1 ora erano 5700 cm? e dopo 24-30 ore tutto il gas fu assorbito, cioè per 100 gr. =11700 emì. La calce rimane quasi incolora. Ho ripetuta l’esperienza con maggiore quantità di gas, perchè certamente la calce sodata pre- cedente ne avrebbe assorbito dell’altro. La soluzione della calce sodata che ha assorbito l’ossisolfuro dà le reazioni dei solfuri alcalini; si capisce che fu assorbito dando solfuro e carbonato, come ad esempio: O) COS+ 4 fe — Na?C03 + Na?S + 2 Ca(0H)? + 2 Ca0. \Na0H Ho voluto anche vedere come si comporta con rapida cor- rente d’aria. Raccolto il gas entro una boccia di circa !/, litro fu fatto passare con corrente d’aria attraverso un tubo conte- nente 35 gr. di calce sodata. Viene subito assorbito e la calce sodata imbrunisce. Questo gas è assorbito lentamente dalla soluzione acquosa di potassa, più rapidamente dalla soluzione alcoolica. Alcuni Trattati di gazometria affermano che COS cogli alcali e fatto passare su uno strato rovente di calce sodata sì (4) I. Gvanescni, “ Jahresb. f. Ch. ,, 1887 e Sulla canforimide, * Ann. di Chim. e Farmacol. ,, 1887, vol. VI, p. 118. nr STRA a aidibaaa II ORA DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 269 assorbe completamente. Come si scorge dalle esperienze prece- DI . . x . . denti, non vi è bisogno che la calce sodata sia rovente per as- sorbire questo gas. 183) Idruri del gruppo dell’azoto. Ammoniaca, idrogeno fosforato, idrogeno arsenicale e idrogeno antimoniale. Dei quattro composti H8N, H*P, H8As e H?Sb, due: Vidro- geno arsenicale e l’idrogeno antimoniale, vengono fissati dalla calce sodata. Ammoniaca. — La calce sodata, come tutti i corpi porosi, assorbe un poco di gas ammoniaca ma lo lascia poi sfuggire; non forma nessun composto. Però in presenza della calce sodata il gas ammonico produce già a temperatura ordinaria delle reazioni, che altrimenti avrebbero luogo solamente a tempera- ture elevate. Esporrò in un’altra Nota le numerose esperienze che ho fatto a questo riguardo; intanto ricordo a titolo di esempio che l’ammoniaca e le amine in presenza di calce sodata rea- giscono con il cloroformio, col bromoformio, col tetracloruro di carbonio, col bromdiclormetano, ece., per dare dei cianuri e degli isocianuri o carbilamine. Se, ad esempio, si mette sul mercurio una campanella gra- duata contenente del gas ammoniaco secco, poi vi si introducono alcuni granelli di calce sodata e pochissimo cloroformio, dopo breve tempo si nota la formazione di cianuro alcalino, e, pro- babilmente, anche di isocianonitrile HN — C. Idrogeno fosforato PH? — (@Questo gas non è assorbito dagli acidi nè dagli alcali in soluzione diluita acquosa. 1 litro di acqua scioglie circa 20 em? di gas idrogeno fosforato. Assai lentamente è assorbito dalla potassa caustica, producendo del- l’ipofosfito potassico. Io ho trovato che quando nell’apparecchio di Marsh si esa- — mina dello zinco contenente del fosforo, si ha la fiamma del- l'idrogeno colorata in verde, specialmente quando la si schiaccia con un corpo freddo, anche dopo che l'idrogeno più o meno EEE n EA — FRI Hie dA, è 270 ICILIO GUARESCHI impuro è passato attraverso alla calce sodata. Ciò rendeva pro- babile che l'idrogeno fosforato gasoso non sia assorbito; forse lo sarebbe quello liquido P?2H' spontaneamente infiammabile. Ho preparato dell'idrogeno fosforato, facendo passare del- l'idrogeno in un matraccio contenente della potassa al 45-50 9, e alcuni pezzetti di fosforo. L’idrogeno passava attraverso a un piccolo tubo contenente del cotone e cloruro di calcio; si 0s- servarono fumi bianchi e infiammazione spontanea dovuta, come è noto, a idrogeno fosforato liquido. Se allora si fa comtempora- neamente passare l'idrogeno e l'idrogeno fosforato attraverso un tubo contenente 55 gr. di calce sodata, il gas non è più sponta- neamente infiammabile e brucia con fiamma verde nell’interno, per PH?. Vapore di fosforo. — Quando si fa passare dell’idrogeno attraverso a dell’acqua fredda che tiene in sospensione un poco di fosforo ordinario, il vapore di questo viene fissato dalla calce sodata. La fiamma del gas idrogeno dà nettamente la colora- zione verde, quando è passata attraverso a un tubo con cotone e con cloruro di calcio, ma non dà più la colorazione verde quando passa successivamente attraverso un tubo contenente 55 gr. di calce sodata buona in minuti granelli. La corrente dell'idrogeno deve essere moderata e la fiamma lunga non più di circa 1 cm. — Si può dunque concludere che quando in una corrente di gas idrogeno si ha un poco di idrogeno fosforato PH? insieme a fosforo libero, oppure a idrogeno fosforato liquido, questi due ultimi vengono fissati dalla calce sodata, mentre passa oltre l'idrogeno fosforato gasoso. Idrogeno arsenicale. — L’idrogeno arsenicale è uno dei più potenti veleni. Bastano alcune bolle di gas per far sentire la sua azione tossica (!). In una mia precedente pubblicazione, io avevo detto, a proposito dell’idrogeno arsenicale, che pare non venga assorbito dalla calce sodata e che avrei ripetuto l'e- sperienza. Ed invero allora opera con molto idrogeno arseni- cale, e sviluppato con grande rapidità per cui all'estremo op- (') Lewin, Traité de Toxicologie, p. 203. PREME, DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 261 posto dell'apparecchio si aveva una grossa e lunga fiamma di idrogeno, che produceva le note macchie e riduceva il nitrato | d'argento. Ma se si opera con quantità limitate e con corrente moderata, allora si riconosce benissimo che anche l’ idrogeno arsenicale AsH® viene fissato dalla calce sodata. Preparai una soluzione acquosa di anidride arseniosa che con- teneva 0.0260 in 100 cm? cioè 4 em = 0,001 di As?08, In un apparecchio di Marsh, la cui boccia era di 300 em?, introdussi 30 gr. di zinco privo di arsenico e quando la reazione coll’acido solforico diluito era energica (con traccia di cloruro platinico) e l'idrogeno passando attraverso a cloruro di calcio bruciava con fiamma incolora e non dava segno di macchie arsenicali e non riduceva il nitrato d’argento, introdussi nell’apparecchio 0,001 di As?03; si ebbe subito la fiamma livida e macchie ar- senicali, ma non appena interponevo dopo il cloruro di calcio un tubo con 40 gr. di calce sodata in piccoli grani, la fiamma, sempre della stessa lunghezza, ridiventava incolora perfetta- mente e non dava macchie nè riduceva il nitrato d’argento. Anche con successiva introduzione di arsenico non ottenni le macchie. In un’altra esperienza introdussi in una sol volta gr. 0,0025 di As?0? e la fiamma dell’ idrogeno dava moltissime macchie, ma non più dopo il passaggio attraverso la calce sodata. Per avere le macchie dopo il passaggio attraverso la calce sodata bisogna introdurre molto arsenico. per esempio gr. 0,010 As?0* in una sol volta ed in modo da avere una fiamma grossissima. Ma se la reazione è moderata, come deve essere quando si usa l'apparecchio di Marsh, l’AsH® non passa. La lunghezza della fiamma dell'idrogeno non deve superare 1 a 2 cm., altrimenti la corrente è troppo rapida ed abbondante. L'apparecchio di Marsh era terminato da punta di platino. Ho fatto per maggior sicurezza un’altra esperienza. Ho pre- parato una soluzione titolata di As?0* contenente per 5 cm' gr. 0,001 di As?0. Gr. 67 di calce sodata buona era contenuta in un tubo ad U di 1,8 mm. e lunghezza totale 35-40 cm. Il gas idrogeno che usciva dall’apparecchio di Marsh si essiccava traverso un tubetto con cotone e cloruro di calcio. L'acido solforico era diluito 1:7. Lo zinco puro. La prova fatta in bianco dava la fiamma dell’idrogeno perfettamente in- olo e fee * Catia SPO È) EI e nn i È; \ div - Ae deus è tini 272 ICILIO GUARESCHI colora e non forniva traccia di macchie. Allora introdussi 5 cm? della soluzione arsenicale, cioè gr. 0,001 e subito la fiamma dell'idrogeno dopo il cioruro di calcio dava segni di arsenico e immerose macchie, ma attraversata la calce sodata, più nulla; aggiunsi ancora gr. 0,001 ed ebbi lo stesso risultato; aggiunsi subito ancora 0,0025 ed il risultato fu identico. L’arsenico era completamente fissato. La fiamma dell'idrogeno era mantenuta della lunghezza di 1 a 2 cm. Invece adoperando la calce sodata di Kahlbaum, bianca e preparata già da lungo tempo ma abbastanza bene conservata, i risultati furono diversi. Gr. 90 di questa calce sodata in un tubo eguale al precedente (la calce sodata Kahlbaum a volume ezuale è molto più pesante di quella nostra preparata di re- cente) assorbirono pochissimo idrogeno arsenicale al punto che con 1 mgr. di As?03 introdotto nell’apparecchio di Marsh con 30 gr. di zinco, si ottenevano facilmente le macchie arsenicali e peggio poi con 2 mgr. Invece nelle stesse condizioni la calce sodata buona non lo lascia passare affatto. Ho fatto anche delle esperienze di confronto tra la potassa solida in piccoli pezzetti e polverulenta, con la calce sodata e l'idrogeno arsenicale. La potassa caustica non fissa bene l’idro- geno arsenicale, o in piccolissima quantità, anche quando la corrente è lenta; mentre la calce sodata lo fissa benissimo, eccetto, come dissi, quando passa in grande quantità e troppo rapida corrente. Ma usando l'apparecchio di Marsh con le norme raccomandate da tutti i chimici tossicologi, l'idrogeno arseni- cale non passa. Edm. Soubeiran aveva notato che l’ idrogeno arsenicale mentre non è decomposto dalle soluzioni alcaline, lo è dalla potassa e la soda allo stato solido di idrato. Anzi egli ammise che l’arsenico messo in libertà si trasformerebbe subito in ar- seniato e idrogeno ('). Le affermazioni di Soubeiran mi sembrano alquanto esagerate. Ad ogni modo per fissare il vapor d’acqua nell’apparecchio di Marsh si deve usare solamente il cotone idrofilo e il cloruro di calcio; escludere la potassa caustica e peggio la calce sodata. (!) E. Sovserran, Mém. sur les arséniures d'hydrogène in “A. Ch. »» 1830 (2), t. 43, p. 407. \ Ni i i DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 273 Idrogeno antimoniale. — L’idrogeno antimoniale è fissato dalla calce sodata con molto maggiore avidità che non l’idro- geno arsenicale; di ciò mi ero giù assicurato esaminando uno zinco ricco di antimonio. In un apparecchio di Marsh, come quello già adoperato per l'idrogeno arsenicale, introdussi a riprese una soluzione conte- nente gr. 0,019, gr. 0,038 e gr. 0,057 di tartaro emetico. Dopo il passaggio attraverso il cloruro di calcio la fiamma dell’idro- geno era lunga, bianca e dava enormi macchie di antimonio della porcellana; allora dopo il cloruro di calcio interponevo un tubo di 1,5 mm. X 35 em., con 40 gr. di calce sodata, e subito la fiamma diventava incolora, e non produceva più le macchie. L'assorbimento è istantaneo, con sviluppo di calore e separa- zione di antimonio. Può essere una bella esperienza di scuola. Ho fatto esperienze di confronto con la potassa caustica solida in piccoli pezzetti e in polvere. Fissa bene anch'essa (come già si sapeva) l'idrogeno antimoniale con separazione di anti- monio, ma se la corrente è rapida e l’SbH? abbondante una parte sfugge; mentre anche in queste condizioni la calce sodata fissa e riduce benissimo l’ idrogeno antimoniale, anzi con svi- luppo di calore. Ho fatto inoltre una esperienza di confronto con calce so- data di Kahlbaum, bianca, preparata da tempo e conservata in vaso di vetro chiuso con tappo di sughero. Nell’apparecchio di Marsh sopraccennato aggiunsi 1 cm.8 di soluzione contenente gr. 0,004 di tartaro emetico; anche in questo caso l’antimonio viene fissato e la calce sodata annerisce. Però se si mette nel- l'apparecchio una maggiore quantità di emetico e la corrente dell'idrogeno è rapida, una parte dell'idrogeno antimoniale sfugge. La calce sodata dunque deve essere esclusa in modo asso- lutto dail’apparecchio di Marsh e non può supplire il cotone o il cloruro di calcio per disseccare l'idrogeno, perchè fissa le pic- cole quantità di idrogeno arsenicale ed ancor più l'idrogeno antimoniale. Separazione dell’arsenico dall’antimonio. — Secondo le ‘esperienze che avevo fatto in principio di questo lavoro io cre- devo di poter separare AsH® da SbH*, ma ora che ho dimo- strato come anche l’idrogeno arsenicale, quando non sia in er SR 9 e pr < 2 — e ou 50 dti ita =" è ue Lance AE sr En 3 fi re pater + À 4 Li À » Meg ad ‘ È 274 ICILIO GUARESCHI grande quantità e non passi in corrente troppo rapida, è pure fissato dalla calce sodata, il metodo non può servire per questa separazione. Depurazione dell’idrogeno. Molte applicazioni potrà avere la calce sodata. Tenendo in considerazione il modo di comportarsi dei varìî gas con questa sostanza, io credo che in moltissimi casi potrà essere adope- rata per depurare l'idrogeno; ad esempio nei laboratori. Lo zinco impuro può contenere solfo, arsenico, fosforo, antimonio, carbonio, insieme a metalli estranei. Con un tubo carico di calce sodata si potranno quindi fissare e togliere dal gas idrogeno 1 tre gas: solfidrico, idrogeno arsenicale e idrogeno antimoniale. Mediante la calce sodata possiamo facilmente riconoscere se lo zinco o il ferro contengono del fosforo, perchè l'idrogeno fosfo- rato non viene assorbito e la fiamma dell'idrogeno dopo il pas- saggio attraverso la calce sodata, presenta colorazione verde .nell’interno e tanto più se la si schiaccia con un pezzo di por- cellana. Ghisa ed acciajo. — Un campione di ghisa ordinaria da me esaminata, coll’acido cloridrico dava dell'idrogeno puzzolentissimo che conteneva poco acido solfidrico, traccie di arsenico, ma molto idrogeno fosforato; passando attraverso a cloruro di calcio e poi a calce sodata, questo idrogeno bruciava con fiamma pallida ed aveva ancora odore agliaceo e la fiamma schiacciata dava intensa e netta la colorazione verde, che prima si vedeva ap- pena nell'interno della fiamma. La limatura del ferro dolce ordinario trattata con acido cloridrico diluito, fornisce dell'idrogeno puzzolento che lavato attraverso ad acqua, poi con acido solforico concentrato e fatto passare attraverso cloruro di calcio, è sempre puzzolentissimo, ha odore di H?S ed agliaceo, brucia con fiamma biancastra ed azzurra e fatto passare attraverso soluzione di acetato di piombo precipita in nero, annerisce la soluzione di nitrato d’argento e precipita in bianco, poi in giallo e bruno la soluzione di subli- mato. Non dava però le macchie arsenicali e la fiamma schiac- ciata era azzurra e un poco verdognola. Invece questo idrogeno DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 275 . fatto passare per un tubo di 1,8 mm. diametro, contenente circa 110 gr. di calce sodata, non aveva più odore cattivo, era inodoro, bruciava con fiamma incolora, non imbruniva nè precipitava le soluzioni sovraindicate. Mentre prima di passare attraverso la calce sodata riduceva la soluzione diluita di permanganato potas- sico, non lo riduceva più quando era passata attraverso la calce sodata. Non ho potuto vedere se il gas idrogeno così depurato conteneva qualche traccia di idrocarburi, quali il metano. Dunque in questo caso la calce sodata è ratore dell'idrogeno. un eccellente depu- Acciajo, fornitomi dall'egregio Dr. Nicola Foglino mio al- lievo ed ora nelle Fonderie Piemontesi. Conteneva: Ci 0410 Bio ==70030 Mn= 0.57 Ser=:00032 e forse minime traccie di arsenico. Gr. 30 di questo acciaio furono trattati in apparecchio di Marsh con acido solforico al 40 °; l'attacco è regolare. Il gas passava prima attraverso cotone e poco cloruro di calcio e la fiamma era lunga circa 1 cm., biancastra e azzurra nell’interno ; il gas precipitava in nero la soluzione alcalina di piombo e quella di nitrato d’argento, ed aveva odore agliaceo. La fiamma schiacciata non dava colorazione verde. Fatto passare per un piccolo tubo ad U contenente circa 20 gr. di calce sodata in granuli piccoli, il gas mantiene il suo odore agliaceo, ma non precipita più Ja soluzione alcalina di piombo, bensì quella di nitrato d’argento; la fiamma è biancastra, nell'interno di color verde schietto, e schiacciata dà intensa e netta colora- zione verde. Non macchie arsenicali; però qualche lievissima e minima macchia giallognola, come prima del passagg lo attra- verso la calce sodata. Se nel ferro vi fosse del silicio e si producesse cogli acidi dell'idrogeno siliciato SiH*, probabilissimamente questo verrebbe assorbito dalla calce sodata. Non ho però ancora fatto delle prove dirette. i] È $ $ : 276 ICILIO GUARESCHI Della tornitura di un acciaio resistentissimo che veniva in- taccato assai difficilmente con gli acidi solforico e cloridrico diluiti, fu trattato con acido solforico al 40%: l'idrogeno bru- ciava con fiamma biancastra alla punta e schiacciata dava colo- razione azzurra come fa la fiamma dell’H con solfidrico (e solfi- drico infatti si sviluppava); ma poi fatto passare il gas attraverso calce sodata, non dava più la reazione dello solfo e la fiamma schiacciata non dava macchie di arsenico nè di antimonio, ma bensì la colorazione verde caratteristica del fosforo (poco). Idrogeno preparato collo zinco. — Adoperai un pezzo di zinco che era in laboratorio da oltre 40 anni, dello spessore di 4a 5 cm., ben cristallizzato. Questo zinco conteneva traccie di arsenico, dello zolfo e molto antimonio, e conteneva poco fosforo. Gr. 18 di questo zinco, con acido solforico diluito dava idrogeno di odore agliaceo, che bruciava con fiamma livida, dando fumi bianchi e forniva facilmente grosse macchie antimoniali; preci- pitava coi reattivi sovra indicati e scoloriva la soluzione di per- manganato; conteneva poco acido solfidrico. Questo idrogeno impuro fatto passare per un tubo con calce sodata diventò per- fettamente irn0odoro, bruciava con fiamma incolora, non dava traccie di macchie antimoniali nè arsenicali, non riduceva più il permanganato anche diluitissimo, ma la fiamma schiacciata lasciava vedere la colorazione verde caratteristica del fosforo. E ciò anche quando passava direttamente dalla boccia di svi- luppo alla calce sodata, senza essere previamente lavata con acqua e acido solforico. Però è bene farlo passare prima per un tubo a cloruro di calcio. Non dava più reazioni colle solu- zioni metalliche, nè riduceva il permanganato. Ho esaminato uno zinco vecchio in rotelle o dischi che con- teneva solfo, traccie di arsenico e fosforo. Allo stato impuro l’idro- geno bruciava con fiamma biancastra azzurrognola con traccia di verde. Non forniva maechie arsenicali. Dopo passato su calce sodata l'idrogeno bruciava ancora cor fiamma azzurra e schiac- ciata, non dava macchie ma bensi colorazione interna schietta- mente e nettamente verde, come appunto fa la fiamma dell'idrogeno con fosforo. Se uno zinco è fosforato, questo è un metodo buono per riconoscerlo. Diventa anche una elegante esperienza di le- zione. Un altro campione di zinco in lastra dello spessore di i ° | i I î VIE TTT o 23m mm., che non conteneva arsenico, o traccie minime, ma bensì solfo e fusion, forniva gas idrogeno impuro, che però fatto pas- sare per la calce sodata bruciava con fiamma incolora, pallidis- sima, la quale schiacciata lasciava vedere il verde schietto della fiamma fosforata. In un apparecchio Marsh con zinco puro, ho introdotto un poco di fosforo e relativamente molto composto antimoniale ed esaminando la fiamma dopo passato il gas attraverso il cloruro di calcio dava appena indizio di fosforo e grandi macchie di antimonio; ma passando poi il gas attraverso anche alla calce sodata allora non si avevano più le macchie di antimonio ed appariva schietto il verde della fiamma a fosforo. Dunque quando lo zinco contiene solfo, arsenico, antimonio e fosforo, fornisce dell'idrogeno impuro per H?S, AsH?, SbH3 e PH?, dei quali gas i primi tre sono fissati dalla calce sodata e l'idrogeno fo- sforato passa oltre e si riconosce al color verde della fiamma schiacciata. L'acido solfidrico e l’idrogeno antimoniale imbruniscono od anneriscono la calce sodata. Gas illuminante. È noto che il gas illuminante impuro contiene oltre ai gas necessari H.CH*.CO C2H4 ecc. delle piccole quantità di H?S, CO?, #H?, NH5, HCN, C!°H8, CS? AsH? (traccie), ecc. Colla calce sodata questa imbrunisce e si scalda; si fissano facilmente la maggior parte di queste sostanze e possiamo avere un gas molto bene depurato, il quale non ha più l’odore puzzolentissimo di prima. Acetilene. . Il gas acetilene preparato dal carburo di calcio o quale si trova in piccole quantità nel gas illuminante, non viene fissato dalla calce sodata e si ha la reazione col cloruro rameoso am- ‘moniacale tanto prima che dopo il passaggio attraverso la calce sodata. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 19 278 ICILIO GUARESCHI — DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ, ECC. Però l’acetilene, che, quale si sviluppa dal carburo di calcio coll’acqua, è puzzolentissimo, fatto passare attraverso la calce sodata non è più puzzolento. La calce sodata nella parte ove entra il gas acetilene si scalda e imbrunisce. Subisce indubbia- mente una buona depurazione, perchè rimangono fissati C0?, H?S, P*H*, AsH? che possono essere contenuti nell’acetilene im- puro; non rimane fissato PH? gasoso. Su questo gas dovranno essere fatte altre esperienze colla calce sodata, specialmente a temperature superiori alla tempe- ratura ordinaria ed anche in mescolanza con altri gas. Non ho eseguito delle esperienze coi gas /luoruro di silicio, fluoruro di boro ed analoghi; ma è probabilissimo che vengano anch'essi assorbiti dalla calce sodata con grande avidità. Ho già fatto e si faranno molte altre esperienze con mi- scele di gas o di vapori attraverso la calce sodata a tempera- tura ordinaria ed a temperatura più o meno elevata. Ad esempio, con gas ammonico e vapori di cloroformio o di clorbrommetano CHCl*Br si formano facilmente i cianuriî e nel tempo stesso pare che si formi anche l’isomero dell’acido cianidrico HN — C. Ma di queste ricerche dirò in un’altra Nota. | Torino, R. Università. Dicembre 1915. Ù G. PEANO — L'ESECUZIONE TIPOGRAFICA, ECC. 279 \ RR et i hà i i L'esecuzione tipografica delle formule matematiche. Nota del Socio G. PEANO. Gli autori di libri e di memorie di matematica, in generale reputano che, due notazioni equivalenti, ed egualmente facili a scriversi sulla carta, siano anche egualmente facili a riprodursi in tipografia. Invece chi conosce l’arte tipografica, sa che al- cune notazioni esigono molto più lavoro di altre. L’operaio tipografo cerca di riprodurre le formule del ma- noscritto, il più fedelmente possibile, servendosi del materiale tipografico a sua disposizione, ma non può riprodurre il mano- scritto. In conseguenza le formule complicate diventano di dif- ficile lettura, e il prezzo della composizione sale inutilmente a cifre altissime. E tutto ciò a danno dell’autore, sia che egli debba pagare il prezzo della stampa, sia che il prezzo sia pagato da un editore o da una società scientifica, che meno volontieri pubblicherà un lavoro inutilmente costoso. Perciò mi propongo di esporre alcune norme, seguendo le quali, le formule matematiche possono diventare più chiare e meno costose. ei PNE. ai erre a ta La Una pagina tipografica è composta di moltissimi caratteri, che sono dei parallelepipedi rettangoli di metallo, su una cui faccia è inciso un segno. Le dimensioni di ogni carattere sono misurate in punti ti- pografici, legati al metro dalla relazione 8 punti = 3 millimetri. I caratteri di una tipografia debbono avere rigorosamente la i stessa altezza, o dimensione normale al foglio. Quelli d’una stessa linea hanno la stessa lunghezza, che misurata in punti, chia- masi corpo. Questo articolo è stampato in corpo 10. La larghezza vv» “® DL pei ava i ‘. T9 DISSI Ca «lip i+ 6 | A. - n Li di . Wi gt: ALA Le DEE 4 - 7 e i - ‘D ; - Sd PR + TI n j i ‘ 280 G. PEANO "RS, del carattere varia col segno inciso; è minima per la lettera “i, ) massima per la “m,,. Il compositore tipografo, fissata la lunghezza della linea, dispone i caratteri d'uno stesso. corpo, l’uno vicino all’altro, inclusi i bianchi fra le parole, finchè ve ne stanno, secondo le regole ortografiche; poi completa o aggiusta la linea con degli spazii fini, intercalati vicini ai grossi. E aggiunge linea a linea. Legata la pagina con uno spago, se tutte le operazioni furono ; fatte con cura, essa si comporta come un corpo rigido, che si può sollevare colla mano. In caso contrario, se le linee non sono ben aggiustate, nel maneggiare la pagina, questa si sfascia, } e tutto il lavoro fatto è distrutto. * } * £ ” ì Le formule matematiche del tipo r a+b, a—b, aXb, a=b, a>b, n!, loga, cosa, tang(x+ n), che si possono eseguire con caratteri dello stesso corpo, disposti in fila, sono di composizione tanto facile quanto un testo qua- lunque; salvochè il compositore, oltre a prendere i caratteri nella cassa del carattere tondo, bisognerà che adoperi pure quella del corsivo, dei segni matematici, e del greco. La com- plicazione si presenta quando, invece della composizione unili- neare, si debbano usare caratteri di corpo diverso, a disporsi in diverse linee, come avviene nelle frazioni, negli esponenti, 3 negli indici, ecc. * * * Il rapporto di due numeri « e 5 è indicato nei varii libri, colle notazioni unilineari a/b, o a:d, o a —b; e più comune- È Ri a E n 2 È mente colla notazione trilineare De Per eseguire quest’ultima pu D 5 notazione, il compositore deve comporre tre linee, l'una pel nu- meratore, l’altra per la linea di frazione, e la terza pel denomi- n natore. Il comporre quelle linee bianche che fissano il numera- ; tore e denominatore in modo che la pagina non si sfasci, esige tanto lavoro, che nei lavori a cottimo, in cui l'operaio è pagato a tanto per linea, la frazione trilineare viene computata per rr—_——_—6€m€m—_m’’-_ — o -——_r me L'ESECUZIONE TIPOGRAFICA DELLE FORMULE MATEMATICHE 281 tre linee. Se sulla stessa linea sonvi altre frazioni, esse aggiun- gono una linea per frazione (*). Sicchè la formula 1 1 1 2 3 6 è computata per 5 linee, cioè il suo prezzo è 5 volte quello della formula egualmente chiara 1)2— 1/3= 1/6. Quindi, se la composizione delle formule di un trattatello di aritmetica, in cui le frazioni hanno la forma unilineare 4/5 costa ad es. 100 lire, la composizione delle stesse frazioni sotto forma trilineare verrà a costare 400 lire di più, senza che nulla sia aggiunto alla chiarezza del libro. Quando poi la frazione è alla sua volta il numeratore o denominatore di altra frazione, o figura come esponente, o come indice, il numero delle linee, ed il prezzo di composizione, cresce vertiginosamente. Perciò i trattati di matematica inglesi, libri notevoli per l'eleganza tipografica, onde semplificare le formule, usano spesso la notazione «/b. Questa notazione si trova, per esempio, in: Basser, A treatise on hydrodynamies, Cambridge 1888, Gray and MatHEwS, A treatise on Bessel functions, London, 1895, Pierpont, Lectures on the theory of functions of real variables, New York 1905, e in tutti i libri che ho consultato. La notazione a :d, invece di 4/6, è meno diffusa; trovasi in Eulero, concorrente colla trilineare, onde semplificare le for- mule. Essa deriva da una confusione di notazioni. Euclide nel libro V prop. 5 definisce l'eguaglianza di due ragioni a/b = c/d; e nella prop. 6 definisce la proporzionalità fra quattro gran- dezze a:b::c:d. I due linguaggi si sono conservati fino agli ultimi tempi, e le differenti notazioni, esprimenti idee differenti, si trovano ancora in Legendre. Ma molti autori identificarono il segno di proporzionalità :: col segno di eguaglianza, ed al- (*) Federazione italiana fra i lavoratori del libro, Sezione di Torino, Tariffe dicembre 1912. Sr n dita a SILA Lar È 282 G. PEANO lora a: è, che rappresentava la coppia dei due enti a e d, ri- sultò identico ad a/b. La notazione a — d si trova in Cayley, e pochi altri. * * * Per eseguire in tipografia la potenza a", presa la lettera a nella solita cassa di corpo 10, l’operaio prende poi la lettera m nella cassa di corpo 6 ovvero 5, e la fissa in alto della linea, mediante spazii al di sotto e laterali. Questa operazione dicesi riporto, o parangonnage, ed il suo lavoro è in tariffa stimato equivalente alla composizione di una linea. La stessa cosa av- viene per gli indici a,. Gli accenti, o minuti di a'a' sono fusi sul corpo 10, e si compongono correntemente. In molte tipo- grafie, gli esponenti più frequenti !** -:”*" sono fusi sul corpo 10, e si compongono correntemente senza riporto. Col riporto si può comporre 47; coi caratteri in corpo 10, essa assumerà la forma a,". Il compianto professore Guccia, fondatore del Circolo matematico di Palermo, impiantò una tipografia matematica onde pubblicarne i Rendiconti. Egli fece fondere le lettere e segni che più spesso si presentano come esponenti ed indici, sul quadrato di corpo 5. Allora l’esponente di a” * ha la forma della scrittura a macchina, in cui tutte le lettere sono equidistanti. In tal modo, l'operazione del riporto è più facile. * * * Ma se l'esponente o indice ha alla sua volta esponenti, o indici, od è una frazione, o una espressione qualunque pluri- lineare, l'esecuzione tipografica diventa difficile. Non sono in uso corpi tipografici inferiori al 5, perchè i caratteri resulte- rebbero microscopici. Quindi nell'espressione a", le lettere m ed r sono necessariamente dello stesso corpo 5. E per attaccare la r alla w, col coltello o con altri strumenti, si taglia una parte del carattere della lettera r. Le lettere tagliate non ser- vono più per una nuova composizione. Il taglio non si può ese- guire colla precisione con cui le lettere sono fuse; perciò queste lettere oscillano nella pagina composta: la formula a +8 veri- ficata nelle prove di stampa potrà risultare stampata + a .. Inoltre alcune volte quasi tutta la formula risulta composta nel i A i Î I | | | | | | 1 i L'ESECUZIONE TIPOGRAFICA DELLE FORMULE MATEMATICHE 283 minutissimo corpo 5, di lettura faticosa. In una formula le varie lettere hanno eguale importanza, e non c’è ragione di renderne una parte meno visibile dell’altra. * * * De Morgan nel 1845 adottò per la potenza un segno, che nel Formulario mathematico da me edito, ha la forma a Nm= a”. Il segno N (leggi elerato) è la Y capovolta. Questo segno è usato nel Formulario suddetto solo in qualche formula, per poter esprimere la proprietà distributiva dell’f rispetto al XX, analoga alla distributività di X rispetto +. È ivi anche usato quando l'esponente è una formula lunga. Fu pure adottato in alcuni libri di matematica elementare. Volendo semplificare le formule, senza introdurre il segno elevato, basta indicare con una lettera la parte complicata di una formula, specialmente se essa si presenta più volte. * * * Per indicare le radici si può scrivere 2 o Y2. Il tratto | orizzontale sul radicando è del tutto inutile, ed esige una linea di composizione. Esso non esiste nei trattati inglesi già citati, e nemmeno nelle tavole logaritmiche del Kohler. Il tratto orizzontale che prolunga il segno y è un residuo del rinculum usato da Leibniz, Newton, ecc. per indicare le parti d'una formula, la quale indicazione da Eulero in poi è fatta colle parentesi, sicchè l'antica scrittura a X bd + e è diventata aX(b+c). Alcune volte quel tratto orizzontale conserva la funzione di vincolo; sopprimendolo, bisognerà introdurre delle parentesi: Va +6 diventa Y(a+ 3). Anche la linea di frazione ha qualche volta la funzione di vincolo; quindi a . . x “Fip sl scriverà a/(b+ ce). gira (0+0) Alcuni autori pongono dei tratti sopra certe lettere; è egualmente facile lo scrivere / o ?'; ma la prima notazione im- porta una linea di più, che fissi a suo posto il tratto; se la È, i ; G. PEANO linea consta di 50 lettere, l'esecuzione tipografica di L costa 50 volte quella di /. Parimenti il far stare un punto sopra una lettera, come 4 invece di Dx, importa una linea di composizione. La composizione di parentesi tonde, quadre, graffe per corpo superiore al 10 costa 50 lire per 1000, mentre in corpo 10 la tariffa è di 59 centesimi per mille. fg Alcuni autori vogliono i simboli X (somma), IT (prodotto), { (integrale), in corpo maggiore del 10, il che importa la com- posizione di tre linee, oltre a quelle che contengono i limiti. La formula IS | senz de,= 1, D su 7 linee, dice quanto la formula S'(son;10*m/2)=1 più conforme al linguaggio di Cavalieri e di Keplero. Il segno S in Leibniz, Eulero, ecc. è una s minuscola, come la lettera sua compagna d, che indica il differenziale. L'ingrandimento di queste lettere data dai tempi di Cauchy. Questi usò anche dei X nel cui interno è scritta la variabile rispetto alla quale cui si fa la somma; ma questa notazione difficile a eseguirsi in tipografia fu abbandonata. La notazione di Raabe (e) per indicare il numero delle combinazioni di m oggetti ad » ad n, può essere sostituita dalla unilineare C (wm, n). us Un'altra difficoltà tipografica proviene dalla frequenza delle lettere. In ogni lingua le lettere dell’alfabeto si presentano con una frequenza accuratamente studiata dai fonditori di caratteri tipografici. Le lettere più frequenti in italiano sono le vocali, le meno frequenti sono %, w, x, y, 2. In una cassa, in cui i ca- ratteri sono in quantità proporzionale alla frequenza, quando un cassetto si vuota, anche gli altri sono sensibilmente vuoti. ? ì L'ESECUZIONE TIPOGRAFICA DELLE FORMULE MATEMATICHE 285 La frequenza delle lettere usate in matematica è tutta diversa da quella della composizione comune, e purtroppo varia moltis- simo da autore ad autore. Quindi se un autore indica colla let- tera % una quantità che si presenta spesso nelle sue formule, vuoterà subito il cassettino dei 4 in molte casse tipografiche; e queste casse rimangono inservibili, cogli altri cassetti pieni, finchè la composizione non venga scomposta dopo la stampa. Egli così immobilizza un materiale tipografico molto maggiore di quello usato nella composizione del suo scritto. Se poi l’autore adotta come lettere di uso frequente le maiuscole, le lettere greche, le lettere in grassetto, delle go- tiche, e le usa come esponenti ed indici nei varii corpi tipogra- fici, il materiale di qualunque grande tipografia non è sufficiente ; si debbono far fondere le lettere necessarie, il cui prezzo sarà in qualche modo pagato dall'editore del libro, e indirettamente dall'autore. Tutte le formule di matematica sono ridotte alla forma unilineare, e tutte le variabili sono rappresentate da lettere la- tine minuscole, nel mio Formulario mathematico, edizioni 2*-5à. Pur volendo conservare alle formule il loro aspetto abituale, l’autore può renderle meno irte di difficoltà, scegliendo fra le varie notazioni in uso, quella di esecuzione tipografica più fa- cile, servendosi a questo scopo delle presenti indicazioni, o del consiglio di un tipografo; e così il suo lavoro, oltre a diven- tare di prezzo più accessibile, sarà anche più chiaro. La spaziatura delle formule non presenta difficoltà tipo- grafica; essa può aiutare la lettura. Le formule «+8 X e e a + bXe suggeriscono le letture (a4+-3)Xc e a4-(6Xc), la prima contraria, e la seconda conforme alle convenzioni algebriche. D'uso tipografico invalso è la spaziatura a +bXe. Usando il segno X più piccolo del +, la lettura sarà più facile. a Il prof. Segre gentilmente mi comunica uno stampato di “ The London Mathematical Society ,, intitolato: Suggestions for notution and printing, ove si fanno raccomandazioni simili alle precedenti ; cioè la soppressione della sbarra prolungamento fe Vasial raazmi ce CIO % [a h Y Cast / 286 G. PEANO della radice, perchè inutile; delle lettere con dei tratti o punti sopra, perchè si possono sostituire con accenti, o colla notazione — differenziale; si consiglia l’uso di n! invece di n. A Per le frazioni sì consiglia l’uso della forma @/5 negli espo- nenti, nella composizione corrente, conservando la forma trili- neare nelle formule disgiunte. Le lettere che sì debbono tagliare, i per porle come indici di indici, diventano fragili, e scompaiono nella stampa. Ivi è pure stampata una pagina di formule, in cui tutti gli spazii sono stampati; così è reso visibile l'enorme lavoro che deve fare il compositore per mettere questi spazi a posto; deve fare delle operazioni aritmetiche, addizioni, moltiplicazioni, di- , visioni, risolvere dei problemi di analisi indeterminata. Ma è meglio che gli scrittori di matematica passino in tipografia a vedere la composizione tipografica, e provino a comporre qualche formula matematica. Vi si dice pure che le formule unilineari risparmiano spazio, e rispondono meglio all’eleganza tipografica. I tipografi fanno consistere l'eleganza nella regolarità, sicchè una faccia d’una pagina copra la posteriore vista per trasparenza. Ciò non è pos- ei atti RO E TTI O” - sibile colle formule plurilineari. Così, per stampare /2, biso- gnerà porre una interlinea di più fra questa linea e la prece- DIS dente, il che produce un maggior spazio bianco; e se la pagina i è completa, si dovrà togliere l’interlinea fra altre due linee consecutive, che si vedranno più vicine; il che è antiestetico (*). è Questa deformità non c’è più, se la formula è disgiunta; essa viene composta sopra un numero intero di linee tipografiche. Perciò la Società di Londra raccomanda quelle notazioni per le ragioni del minor costo tipografico, maggior chiarezza delle for- mule, ed eleganza tipografica. (*) Qui manca appositamente l’interlinea. L’Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 2 Gennaio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CatronI, Direttore della Classe, CARLE, Pizzi, De Sanctis, Rurrini, D'ErcoLe, Bronpi, EinAuDI, BAUDI DI Vesme, ScHIAPARELLI, VipARI, PRATO e SrampinI Segretario della Classe. È scusata l’assenza dei Soci Manno e ParETTA. Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza precedente del 19 dicembre u. s. Il Socio CaironiI, Direttore della Classe, si alza a parlare per rivolgere, in nome de’ colleghi tutti, le congratulazioni più | vive all’illustre Presidente dell’Accademia per l’insigne onorifi- cenza che S. M. il Re ha voluto tributargli col plauso di tutti gl’'Italiani. Se ne compiace tanto più, in quanto che l'onore fatto a S. E. BosELLI è onore fatto all'Accademia, la quale vede in lui, anche in questa circostanza, il degnissimo successore di quel Federigo ScLopis che fu per tanti anni suo Presidente e "ornamento e splendore del Piemonte e dell’Italia. Ma partico- larmente il Piemonte, anzi gli antichi Stati Sardi, di cui era nobile parte la Liguria, che è orgogliosa di aver dato i natali a Paolo BoseLti, si rallegrano del fausto avvenimento, perchè / 288 fu egli, il decano della rappresentanza nazionale, a far novel- animi nel proposito di santa guerra liberatrice, che già risuonò tato, entusiasticamente applaudito, quell’appello alla unione degli : nel Parlamento del piccolo ma glorioso Regno di Sardegna e | | lamente echeggiare nel più grande Parlamento italiano, ascol- >} 3 >} LA 3 di questo fece l’iniziatore della redenzione italiana. Alle parole del Socio CHTRONI, applaudite dalla Classe, ri- sponde commosso S. E. BosELLI, esprimendo il suo animo grato a lui e all'Accademia. Egli, anzi, si sente in dovere di dichia- rare che, nel ricevere da S. M. il Re la più alta onorificenza, ha tosto rivolto il pensiero appunto a Federigo ScLoPIs, e volle scegliere il Collare, che già dallo ScLopis fu portato, per ren- dere omaggio e significare la sua gratitudine all'Accademia che lo nominò e lo riconfermò suo Presidente. S. E. BosELLI è viva- mente applaudito. ì Il Presidente comunica, con parole di grande rimpianto, la morte del Socio corrispondente Francesco Novari, e la Classe | deferisce al Socio ParETTA l’incarico di farne la commemorazione. Il Socio EinAuDI presenta una sua monografia, stampata in lingua inglese, col titolo The growth and present situation of the public finances of Italy, estratta da “ The Economic Journal ,, dicembre 1915. Il Socio Segretario SrAmpINI presenta la relazione a stampa del Presidente on. Paolo BoseLLi “ agli onorevoli membri del Comitato Nazionale per la Storia del risorgimento , concernente la “ Raccolta di testimonianze e di documenti sulla guerra italo-austriaca ,, letta nell'adunanza dell’11 dicembre 1915. Poscia presenta le seguenti pubblicazioni del Prof. Enrico CoccHIA : 1° /l libro del dolore e delle ricordanze (Napoli, Stab. Tip. Luigi ierro, 1915); 2° Saggi filologici, volume V (Napoli, Luigi Pierro, 1915); 3° Introduzione storica allo studio della letteratura latina (Bar, Gius. Laterza, 1915); 4° Romanzo e realtà nella vita e STE, nell'attività letteraria di Lucio Apuleio (Catania, 1915). Del con- OTT EL n _cr'__———r_rrT_—_r _— rr _1_11—z—r: * ' vttrrr_rrrr—r—ro i, tenuto di ciascuna di queste opere il Socio SramPINI dà conto 289 b1 TERRA rilevando quanto abbiano di notevole; ma partico- larmente si sofferma a discorrere della Introduzione storica e del libro riguardante Lucio Apuleio, esaminando alcuni punti in cui il CoccHia espone idee e congetture sue proprie, idee e con- getture che, pur essendo avvalorate sempre da finezza di ragio- namento, larga dottrina e ottima informazione degli studî più recenti, possono tuttavia sollevare, specie quelle su Apuleio, «non poche obiezioni; il che non toglie che siano da accogliersi con molto compiacimento queste pubblicazioni, le quali sono conferma dell’ingegno acuto e originale e della larga e varia erudizione del Professore napoletano. E la Classe ringrazia il Professore CoccHia per il dono fatto all'Accademia. È accolta per la pubblicazione negli Atti una Nota del Prof. Dr. Massimo LENCHANTIN DE GuBERNATIS intitolata // nuovo storico di Sicione e la dinastia degli Ortagoridi, presentata dal Socio De Sancris che ne espone brevemente il contenuto. Il Socio Prato presenta, pure per la pubblicazione negli Atti, una sua Nota dal titolo Sulle premesse economiche del con- tratto collettivo di lavoro. ———— y _——*yvr="">=°y T— da 290 MASSIMO LENCHANTIN DE . > A, e: pesa d È GUBERNATIS =a-l= LETTURE Il nuovo storico di Sicione e la dinastia degli Ortagoridi. Nota di MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS. Sulla tirannide di Sicione, un po’ più di luce, minore però di quella che desidereremmo, riverbera un nuovo frammento testè pubblicato (1). Si tratta di un papiro in bella e chiara onciale di cm. 29,4 X 10,8, risalente alla prima metà del terzo secolo, in due colonne di 35 linee. Le lacerazioni della seconda colonna hanno prodotto la perdita costante delle lettere finali d’ogni sin- golo rigo, senza che questa circostanza abbia contesa la quasi sicura integrazione del testo ai dottissimi editori principi, ai quali appartengono, salvo indicazione diversa, i supplementi: Col. I. [d]o|t]a Onudtnv x|aì pa[d]Aov dv dvdow- mov, magonueinoe roù uavteiov xail TS 5 uèv dÀlas Bdvoias tàÀS [é|mwraydeicas Éx tOV \AjsAgov anédm@ze toîs deoîs, tig dè tv- oavvidos ties ue- 10 4ovons écegdar xate- [po6]vnoev. è dè ‘Av- do|é]as tò yevduevov aùtpo mnadiov ÈtgE- 40 Col. II zaì ovuBa|Abvrmv èÈ ai- pvidiov, Bo|yFKnoas danéxterv| ev TtOV 0- Aeuimv tv ds zai modò navi|wv nùdo- ziunoe ud|ha 7968006 tOv meQua|6A0v. dvd ©v oi S|ixv®vi- or neoundA|aggov aù- tòv anéder|Sav. eddòs dè tugòv t|avtns tijs uns, E|Brdoato toùs modeui| ovs Èti (1) GrenreLr e Hunt OxyrAynchus-Papyri XI p. 104 n. 1365 (Londra 1915). a, IL NUOVO STORICO DI SICIONE, ECC. | 291 pev, dvoua déuevos Aaurosreo|ov, date 15 0U9daydoar, ds uegot 50 TOv mokto|v vvas uèv Mhxias di|eté- uerodto x|ai 900- |A]eoe diart@muevos Myero zaiè y|gdvov ai madevouevros mgoekd36vto|s et4Z0v- obtos Woreo Îv gi- to mokéuagg|ov aù- 20 xòs viòv òvta ueyEi- 55 tor. udhota |uèv di- \gov] xaè toù tvyor[tos] à tv dvd [03 ai [tO|]v modir®v. èner- t)v eùvvgia|v t)v ò) dè t)v tOVv nai- uatà noheuo|v, éner [dw]v maon4AZafev î- ta ai tò nAîdos tOV 2 Axiav, yevouevos 60 :r0Àtòv eÙ [odg aù- TOV MEQUNOAWYV TOV tòv sigev. n|ode- [p]o[o]vgovrr@v tiv unoavtos dè xatà [x@b]oar, odéuov ovv- t)v doygiv dvdoeiws [e|ot®rog toîs SNixvo- ti)v te yoìoav | tiv 30 vio m9òs Ile4An- 65 oîxgiav dra] pvid- véas, fv uèv Èv d- favtos xaì moda xa- mao toîs xargoîs è x toùs mode|uiovs v|eo]yòs xaì yagieis monmoarto|s, è uèv [x]atadoauovim@v dfjuos è 1OVv [Dixvo- 35 [d]è 1Ov IeAAnvé|@|v 70 vimv addi[s Gli editori hanno giustamente supposto che davanti a [6]»[z}e della prima linea precedessero parole come yvoòs (0 aiodsuevos) dè è dijuos è tOV Nixvovimv. L. 41 pudlZa roé6re90g]. I primi editori hanno w@|A:ota]. Il mio supplemento non supera lo spazio disponibile, contando ogni linea da 13 a 18 lettere. L. 47 é[Bedoaro): non si tratta forse di vittorie, ma di scontri fortunati contro gli invasori. Grenfell e Hunt hanno e|viznoe). À Fe. Pere - - ) 292 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS 1. 50 70v mokito|v vvas]. Grenfell e Hunt leggono 704- s Z0vs, congettura contro cui si oppone la considerazione che i, solo più tardi il 7Z7930s ha concesso i suoi favori a Ortagora | 3 (cfr. 1. 59). Noi ci attenderemmo un roùs @giorovs 0 un roùs Ì ém1xgateîs, supplementi che superano lo spazio disponibile. Col fatto, narrato dal nuovo frammento, si connette il rac- conto incompleto di Diodoro Ere. Vat. VII 24: “Ot. Xizvoviors éyonoev î) Ivdia gxatòv Et) uactiyovoundioecdar abrovs. éne- ootnoaviWwv dè aùrov tis è tadta monowr, ndhiv darnexoidn, © Av rarantevoavies n06tw yeyevnuevov viòv arxovomwon. Etiyyave dè toîs demooîs MuohovIna®s tig dvotas Evexa ud- yergos, ds ézaleîto ‘Avòoéas. urodod toîs Gogovor uactiyogpoodv DaNOETEt. Quale fosse la causa della punizione dice Plutarco (De sera num. vind. 7 p. 553), accennando egli pure all’oracolo: Zizv®- viors dè zaì diaoonnònv è deds aooeîne uaotiyoriuov desio da tv n6hv, bt Telntiav naîda otepavosuevov gv IHvdiog ..... Òiéormacar. dihù Nizvoviors uèv *Uodayboas yevouevos tIgar- vos, xaì net éxeîvov oi negì Miomwva xaì KAeodévn, vi)v dxoha- ociav Ènavoav. Ho detto che il nuovo frammento si connette con il rac- conto di Diodoro, solo però nel senso che in entrambi sembra che l'oracolo annunziasse l’avvento sul trono di Sicione di un + uaotyovouos. Ma vi è una sostanziale differenza tra le due fonti: giacchè, mentre in Diodoro risulta che il tiranno sarebbe stato 4 colui al quale per primo, dopo il ritorno, fosse nato un figlio, cioè Andrea, dal nuovo frammento, come si intuisce con sicu- | Ù rezza, il signore di Sicione non fu costui (Andrea), ma suo figlio ti Ortagora. Nè mi si accampino le solite ragioni tanto comode, quando non si può mettersi d'accordo con una fonte. Qui non si tratta di un abbaglio, di una confusione facile di nomi, ma di una redazione sostanzialmente diversa dell'oracolo; e l'aver constatato ciò riescirà utile tra poco, quando si tenterà di iden- t:ficare l’autore del frammento. \i teori, inviati dai Sicioni, la Pizia aveva adunque predetto — che avrebbero dovuto, in ammenda del delitto compiuto su un giovane coronato nelle Pitiche, essere soggetti per cento anni | 10 a un f'agellatore e che costui sarebbe stato il primo che na- | scosse a chiunque dei partecipanti alla ambasciata, dopo il ri- . torno in patria. Accompagnava i teori un cuoco, di nome Andrea, al quale appunto nacque un figlio, appena approdato a Sicione. Ciò si arguisce dal nuovo papiro, in cui leggiamo che il popolo di Sicione, osservando che Andrea era uomo plebeo e di vile con- dizione, non tenne in tutto il conto dovuto il responso dell'oracolo e, mentre rese agli dèi gli altri sacrifici, imposti da Delfo, non si preoccupò della ventura tirannide. Andrea intanto si tirava su il bambino, che aveva chiamato Ortagora, in quel tenor di vita e con quella educazione che conveniva al figlio d'un cuoco e di persona di condizione umilissima. Ma escito dalla fanciullezza, Ortagora, arruolato tra i peripoli preposti alla difesa della re- gione, quando scoppiò una guerra tra Sicioni e Pellenei, ebbe a rivelarsi valoroso in tutte le occasioni e si cattivò favore. Indi, durante una incursione ed assalto improvviso dei Pellenei, egli corse alla difesa, uccise parecchi nemici e molto si segnalò su tutti, di gran lunga primeggiando tra i peripoli. In premio della sua condotta, i Sicioni lo nominarono peripolarco e, ap- pena ottenne questo grado, egli respinse i nemici ancor più bril- lantemente, in modo da conciliare a sè e trarre dalla sua alcuni ; de’ cittadini; e, dopo qualche tempo, fu eletto polemarco. In seguito, principalmente per il valore e i prosperi successi in guerra, anche il popolo prese a favorirlo. Ed avendo egli, du- i rante il suo comando, combattuto con coraggio, difesa la patria e inflitti grandi danni al nemico, di nuovo il popolo di Si- ai cione ..... Qui si interrompe il frammento, ove, come chiaramente appare, l’autore batte con insistenza su un punto su cui vuol richiamare l’attenzione: Ortagora divenne tiranno, perchè molto e bene oprò col senno e con la mano. NT Il responso della Pizia, al quale alludono Diodoro e Plu- [où tarco, è un oracolo ex eventu; e la qualità di uaorryovouos, rife- rita a ogni principe della dinastia, e quella di udye190g, attribuita ad Andrea e da una fonte (1) anche ad Ortagora, sono auto- schediasmi dedotti dalle parole u@otiyovoutona: e uaotiyorduos, che costituivano le espressioni più caratteristiche dell’oracolo. (1) Lisan. oratio contra Sererum IV p. 173, 2 FoerstER ... 0gday60as ... ò udyer90s. Atti dellu R. Accademia. — Vol. LI. . 20 AE ei TT 294 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS Nè devono essere presi come cifra precisissima i cento anni, coi quali si voleva indicare la lunga durata della tirannia degli Ortagoridi. Fondandosi sulla stretta connessione, che credevano di scor- gere tra Diodoro (VIII 24) e il nostro frammento, gli editori principi sono stati indotti a pensare alla paternità della fonte di Diodoro, cioè ad Eforo (1). Ma l’ipotesi non mi sembra so- stenibile; giacchè, mentre nel nostro papiro Ortagora è rappre- sentato con dovizia di particolari come colui il quale, imponen- dosi con le sue opere, divenne tiranno di Sicione, in Diodoro invece è indicato apertamente, quale fondatore della dinastia, Andrea. E non si tratta di sbadataggine dell’autore o di possi- bile abbaglio : le parole dell'oracolo non mettono in dubbio che Andrea dovesse diventare tiranno. Questa constatazione infirma naturalmente l’altra conget- tura del Grenfell e dell’Hunt che, tratti da certe congruenze sporadiche (2) e da peculiarità sintattiche (ripetizione dell’arti- colo), volevano sorprendere ancora una intima relazione tra il nuovo papiro e le EZleniche di Ossirinco; in modo che, se il nostro fr. fosse di Eforo, assumerebbe maggior fondamento l'opinione del Walker che in Eforo appunto s'immagina d’iden- tificare chi scrisse le ElZeniche, restando quindi escluso Teopompo, giacchè questi, dato il periodo di storia di cui trattò, non pare abbia potuto narrare le vicende di Sicione. Ma la questione in ogni modo è per noi di secondaria importanza. Escluso Eforo, si potrebbe pensare ad Aristotele, che aveva scritto una Xixvmviwv moditeia (cfr. Poll. IX 77) e nei Politici (V 1315 b) ricercando, non senza simpatia, le ragioni per cui la tirannide di Sicione avesse resistito più a lungo delle altre, enumerava le seguenti: moderazione verso i sudditi, osservanza della legge, natura bellicosa di alcuni principi, tra i quali Cli- (1) Op. cit. p. 107. (2) Nel nostro papiro l. 24 abbiamo 7a97ZZafev pAtxiav corrispon- dente a Hell. Oxyrh. 16, 1 elta) dè rapaZAdEas t6 te On8ns nediov; a lì. 33 leggiamo #»... évegyòs zaè yagiets corrispondente a Hell. Oxyrh. 1,2 [Goo pvoloiu[o. x]aè yagievtes foav. Come si vede, si tratta di luoghi si- mili poco significativi. ut IL NUOVO STORICO DI SICIONE, ECC. 295 stene, sollecitudine e cure grandi nell’amministrazione dello Stato, che conciliavano la benevolenza del popolo. Tuttavia contro la paternità di Aristotele si elevano obie- zioni che fanno inclinare al dubbio. È stato notato come un po’ vaghe appaiano le notizie intorno alla politica interna, sulla quale doveva fermarsi l'occhio del filosofo (1); e l'osservazione non manca di peso,- ancorchè si tratti di avvenimenti che si perdevano nella nebbia delle leggende. Parve pure singolare che l’A. potesse dedicare alla narrazione della ascesa di Ortagora al supremo potere più parole che ai Pisistratidi nell’ °49. 7704. (2). Nè sembra ammissibile che Aristotele, che pur non rifuggiva dall’accogliere l'elemento fantastico e leggendario, si fermasse a lungo ad esporre cose atte a stuzzicare la curiosità, sebbene di nessuna importanza, invece di correre ai fatti, sui quali basare quella storia scientifica che sorrideva al suo spirito. Anche in un’opera quale la Costituzione dei Sicioni, stuonerebbe il ricordarli sempre per nome come nel nostro papiro (ll. 29, 46, 69); mentre ciò conviene a uno scritto in cui la storia di Sicione costituiva una digressione. Nell’ °A3. 704. invece gli Ateniesi sono sempre designati con ò d7u0g semplicemente; oppure ricorre non speci- ficato il plurale (3). I benemeriti primi editori (4) hanno rac- colto i vari contatti tra |’ 248. 704. e il papiro; numerosi sì, ma non caratteristici (5). Nella seconda metà del IV secolo, che (1) GrenreLL è Hunt op. cit. p. 107. (2) Ibd. p. 108. (3) Ibd. p. 108. (4) Op. cit. p. 111. (5) Cfr. 1. 21 zod rvy6r[tos] [1O]v z0ALtv — “AS. m04. 27, 4 uGAROv tOv tvyoviov i) tOv Errerzov avbooarov ; 1. 24 ragnAAafev pAziav — AB, z0à.11,2 u[ez]o[d]v rapgaZAaéewv; 3,3 uingòv &v nagaZAartor (cfr. Polit. I 1254 b) col sigmficato però di ‘differire’; 1. 26 reger0Z@v ov [p]o[o]voosv- tov t)v yooav — “AB. m0à. 42, 4 megiroAodot tiv yOoav ; 1. 28 z0Aéuov ovr[e]ororos — ‘AB. 204. 24, 3 ovveotijoavto tòv a6Zeuov; 1.40 [7d8do]x(- penoe — Av. 204. 14, 1 6 Iewoiotgaros za) oqpodo ebdoriunzòs év t® noòs Meyagéas moRéu ; 1.46 sg. tugòv t[astns) t)s tiuî)s — ‘AB. m0à. 2, 5 el ydo ts dhlos, pnoi, tastns ti]js tig Ervyev; 1.51 2000]pyero — "Ad. 104. 20, 1 r900nydyeto tòv djuov. Questi riscontri numerosissimi, se si tien conto della limitata estensione del frammento, non sono certo da mettere in non cale, benchè non abbiano a considerarsi quali vere e proprie peculiarità di un solo ed unico autore. nas e - i è 296 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS è l'epoca a cui può riferirsi con molta verisimiglianza il nuovo. Ge 200 frammento, le singolarità e peculiarità della lingua e del lessico, fra astrazione fatta dagli atteggiamenti originali di concetto e di iso: forma, vanno a grado a grado sparendo, e gli scrittori attingono E al frasario comune; onde riesce facile trovare, anche fra autori indipendenti, espressioni analoghe. Queste adunque le conside- razioni che rendono titubanti ad accettare l’ipotesi in sè attra- ente, per cui ai tesori del grande di Stagira avrebbero da ag- giungersi i pochi brandelli sulla tirannide di Sicione, nei quali però non rifulge scintilla di quel genio immortale. Nè ci possiamo fermare sul nome di Teopompo, le cui £/- leniche comprendevano, in continuazione a Tucidide, il periodo che si estende tra il 410 e il 394, a meno di supporre che in una di quelle digressioni, che faceva per rendere più attraente la lettura dei suoi libri, abbia trovato maniera di incastonare la storia della tirannide di Sicione. Non bisogna altresì tacere che nel nuovo frammento non ci riesce di scorgere uno storico im- bevuto di dottrina retorica, fosse esso un Eforo o un Teopompo, entrambi discepoli di Isocrate. : Sulle cose di Sicione una delle nostre fonti più particola- È reggiate è Pausania, il quale espone le saghe sulle origini e dà anche una lista di 23 re antichissimi (1); lista, non occorre el dire, destituita d’ogni fondamento storico, la quale, senza dubbio alcuno, fu da lui attinta ad autore diverso da quello su cui sono compilate le altre serie dei re sicioni (2). D'altra parte le no- tizie ieratiche e etiologiche, che il periegeta ci fornisce (8), ri- pugnano al carattere di una storia come quella d’Eforo o, in. maggior grado, d'una zo%uteia aristotelica; ma costituiscono in- vece il fondo comune delle cronache locali che vennero sfruttate nelle scritture storico-antiquarie, le quali furono in onore e fio- rirono, quando la gigantesca opera delle zro%:teîa: aristoteliche ridestò l'interesse sopito intorno alle leggende, agli avvenimenti, alle curiosità d’ogni singola città o regione (4). (1) II 5, 5 sgg. 24 (2) Su ciò cfr. Bvsorr GG I° p. 665 n. 4. Pare che la lista di PausanIA sia la più antica. (3) Il0e7; 2518 40€ 1509)T (4) Sugli storici locali greci cfr. WrLamowrrz Arist. u. Ath. II p.21 sgg.;. Wacnsmura Einleitung ..... p. 554; Voer Die griech. Lokalhistoriker * Fleckei- sens Suppl.’ XXVII p. 699 sgg. “DO ST NUOVO STORICO DI SICIONE; 1 ECC. 297 L'unico storico particolare di Sicione è Menechmo (1), vis- suto al tempo di Alessandro Magno, prima che Aristotele compo- nesse i suoi OZvuziorizai (2), ed autore tra l’altro d'un’opera dal titolo Nixvo®rviaza (3). A una cronaca locale convengono bene le notizie particolareggiate e minute intorno all’oracolo, al padre di Ortagora e a Ortagora stesso, che leggiamo nel nuovo papiro. Certo non si deve nascondere che l’identificare senza più nel *sicionografo’ Menechmo l’autore del nostro frammento, sarebbe, tenuto conto degli argomenti di cui ci possiamo valere, ipotesi attraente sì, ma non abbastanza sicura (4). (1) Armevn. II 271 d; cfr. Script. rer. Alex. p. 146. (2) Ciò è acutamente determinato da C. MiiLer FHG II p. 182. Surpa s. v. invece dice che Mavacyuos (sic)... yvéyove... éri tOv diadébyor, che è er- rore cronologico non grave, imputabile forse alle difficoltà che si incontra- ‘vano per determinare l’axu: degli autori poco noti od oscuri. Potrebbe essere che MenecHMo fosse sopravvissuto ad Alessandro Magno e ad Ari- stotele, toccando perciò l’età dei diadochi: donde la notizia di SvIpa. (3) Ar®en. 271d. (4) Non si deve tacere che Mexecumo è autore oscuro, mentre è notorio che le sabbie d’Ossirinco ci hanno restituito in prevalenza brani di scrit- tori notissimi o celebri. La regola subisce tuttavia non poche eccezioni, e una eccezione potrebbe essere il nostro frammento. Si potrebbe pensare anche ai Tugdrrov Bior; ma su quelli, appartenenti al tempo più antico, cioè all’epoca alessandrina, le notizie sono oltremodo scarne e indeterminate ; e il materiale biografico, che il tempo non ci ha invidiato, costituito da opere come le Vite di CorneLIo Nepote, le Vite pa- rallele di PLurarco, i De viris illustribus e i Caesares di Sveronio, le Vite degli illustri filosofi di Drocene Laerzio, rappresenta un grado più avanzato degli scritti Iegì évddfovr ardoor, quantunque in esso non manchino tracce delle fonti primarie dei periodi anteriori. È noto come la biografia, che nella istoriografia greca rimase un genere distinto dalla storia propria- mente detta, nacque quando nel mondo ellenico l’attenzione degli scrittori e l'interesse dei lettori si volse, con l’'imporsi dell’individualismo, sulle personalità eminenti o per opere d’ingegno o per gesta compiute o per condizione politica. Già nell’'A9ygvaior zoAireia il Kamer (Stil und Text der II. "A. p. 7) ha scorto le prime manifestazioni della biografia peripa- tetica; e un discepolo di Aristotele, Arrsrosseno, lodatissimo da S. Gero- Lavo (Praef. de vir. ill.), concepì il 8£05 quale rappresentazione, in un de- terminato ambiente, di un individuo nella vita pratica in rapporto alle esigenze morali teoriche. Degli #vdofo. &rdges furono fatte varie cate- gorie e fra queste quella dei tiranni. Primo, in ordine di tempo, tra i biografi di tiranni viene ancora uno scolaro di Aristotele, Fania di Ereso (FHG II p. 293), con un’opera sui tiranni di Sicilia e sulle Tvgdrrov 298 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS K * * Che Ortagora fosse il capostipite dei tiranni di Sicione ri- conoscevano concordi Aristotele (1), Nicola Damasceno {2), Plu- tarco (3); non ne parlano invece Erodoto (4) e Pausania (5). Gioverà esaminare una per una le testimonianze per tentare di stabilire, con la maggior precisione possibile, in che cosa concordino e in che cosa si presentino discordi o contradditorie. Cominciamo da Erodoto. Egli (6), narrando il fidanzamento di Agariste, figlia di Clistene, tiranno di Sicione, dice che questi era figlio di Aristonimo, figlio di Mirone, figlio di Andrea, offren- doci questo albero genealogico: Andrea | Mirone Aristonimo Clistene davargéoers éx tiu@gias, scritti questi ai quali, per la materia su cui versano, non può appartenere il frammento degli Ortagoridi. Dei rimanenti autori — di simili biografie, dei quali talora possediamo miseri frammenti, tal altra poco più del nome, gli uni sono di incertissima cronologia: tali Carone di Naucrati, che scrisse una storia dei re d'ogni popolo dall’età più antica; Carone di Cartagine, che compose la storia di tutti i tiranni d'Europa e d’Asia (per l’uno e l’altro Carone, che potrebbero e forse sono la medesima persona, cfr. FHG IV p. 360; PWRE III col. 2180; KaarsreDr Gesch. der Karthager III p. 25 n.1, che, con buoni argomenti, vuole di Carone fare | un cittadino di Cartagine imperiale); Sozrone (non ricordato nei FHG: cfr. DreLs, Dorographi graeci p. 147 sg.; Leo Die griech. ròm. Biographie p. 128 sg.); e non meno che in questi sarebbe arbitrario individuare l’au- tore del nostro fr. in uno degli altri biografi, come Dioxnisio di Eraclea, discepolo di Zenone lo stoico (FHG II p. 494); Barone di Sinope, fiorito verso la seconda metà del secolo II (FHG IV p. 347); Ermippo, designato come peripatetico da S. GeroLamo (op. cit.) e quale 6 KaZAcudyetos da Arengo (FHG IV p. 85: cfr. Leo op. cit. p. 124); Menanpro di Efeso, forse del Il secolo (FHG II p. 445); Sattro, peripatetico, pure del secondo secolo (FHG Ill p. 159)..... (1) Polit. V 1315 b. (2) Fr. 61. (3) De sera num. vind. 7 p. 553. (4) VI 126. (5) II 8, 1. (6) L. c. (7) Lee i | Con Erodoto concorda Pausania (7) che però omette Andrea. IL NUOVO STORICO DI SICIONE, ECC. 299 Aristotele in Polit. V 1315 b, dopo aver osservato che, fra tutte le forme di governo, le meno durature sono l’oligarchia e la tirannide, ricorda che tra le tirannidi resistette più a lungo quella di Sicione, in mano ai figli (cioè ai discendenti) di Ortagora e a Ortagora stesso, e più innanzi (ibid. V 1316) scrive: dZA@ uetaBadier xaìi eis tvoavvida tvoarvis, Wormeo È Dixvovos éx 175 Migovos eis t)v KAeodévovs. Ma abbiamo visto che, secondo Erodoto, l'immediato pre- decessore di Clistene sarebbe stato Aristonimo e Mirone invece il nonno. La contraddizione però è solo apparente. Erodoto, che concentra tutta la sua attenzione sul fidanzamento di Agariste, che gli sembra tanto interessante, non dà una genealogia com- pleta degli Ortagoridi, ma una notizia sommaria sugli antenati di Clistene, non accennando a fatti importanti, sui quali ci in- forma Nicola Damasceno (fr. 61). Clistene era pervenuto al regno in seguito ad avvenimenti sanguinosi in seno alla sua famiglia. Dopo aver indotto all’assassinio di suo fratello Mirone, che oc- cupò il trono per 7 anni, un altro fratello di nome Isodamo, di cui aveva saputo astutamente eccitare i sentimenti di odio e di vendetta per l’atroce offesa che gli era stata fatta, egli era riescito ancora a scacciarlo, regnando in seguito con grande energia per un periodo di 31 anni. Come si rileva, sono notizie sulle quali, astraendo da particolari che potrebbero essere veri o no, uno scetticismo troppo spinto apparirebbe infondato. Aristotele adunque non ricorda Mirone, nonno di Clistene, ma Mirone fratello di Isodamo, da cui fu ucciso, e di Clistene che fu il suo successore. Rimangono quindi spiegate le parole diiù ueraBadlher nai eîs tvoavvida tvoavrvis, Woreo î) Tizvoòvos ex tig Mbowvos eis t)v KAeodévovs. In quanto a Plutarco, le cose corrono ancor più semplici: egli scrivendo (De sera num. vind. 7 p. 553) Xixvovios uèv ?093aybgas yevébuevos tioavvos, zaì mer éxeîvov oi regi Mi- cova zaì KAeodévn, tiv droZaciav Eravoar, non voleva ri- cordare tutti i tiranni di Sicione, ma quelli che avevano dimo- strato maggior severità nel moderare la sfrenatezza dei sudditi, quelli ai quali meglio conveniva il nome di uaotiyovéuos. Ciò posto, l'albero genealogico di Erodoto non deve essere impugnato, giacchè nessuna altra testimonianza lo contraddice. Il frammento di Ossirinco ci informa che Andrea era il s «por "TA et PSP LES + n è î n» LE: Moe ?) a - #] sw î fat LAS, A SL E” IVCh 7" n n DERE ppeevni Lc e - A b_% QTA 50° Ù ord, I di EE 300 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS 000 nome del padre di Ortagora (1), e la stessa cosa risulta da Diodoro (2); e noi possiamo con molta verisimiglianza supporre. che Ortagora abbia avuto un figlio, chiamato Andrea in memoria — del padre, sul quale si fermò Erodoto. Notiamo ancora, senza | dare alla cosa troppo peso, che Mirone, verisimilmente primo- genito di Aristonimo e fratello di Isodamo e di Clistene, por- tava il nome del nonno. In conseguenza mi pare che l'albero genealogico dei tiranni di Sicione possa venir stabilito nel modo che segue: Ortagora Andrea Mirone Aristonimo =__FF-_ er =_>-__. Mirone Isodamo Clistene A supporre che un altro tiranno vi sia stato tra Ortagora e Andrea, che abbiamo considerato di lui figlio, si oppone, come si vedrà tra poco, la durata che si assegna dalle fonti alla dinastia, mentre nel resto i dati cronologici conferiscono veri- simiglianza alla genealogia sopra indicata. Clistene, nei primi decenni del VI secolo era, fuori di dubbio, signore di Sicione, e ciò viene concordemente riconosciuto da tutti gli storici moderni (3). Egli prese parte alla guerra sacra contro Crisa (4) e riportò una vittoria nella corsa dei carri nelle Pitiche dell’a. 582 (5). Se si stesse ad Erodoto (6), la figlia sua (9) e Late (2) VIII 24. (3) Busorr GG I? 667, ove è citata la bibliografia meno recente; MeyER GAA II p. 628; De Saneris “Ardés? p. 285 sg.; BeLoca GG I° 2 p. 285. (4) Schol. Pind. Nem. IX 2; Drop. IX 16; Paus. II 9, 6; X 37, 5; Po- LyaEN. III 5. ) (5)- Pavs Xe i (6) In realtà Eroporo dice (VI 126) che, in seguito a una vittoria sul carro nei giuochi Olimpici, CLisrene aprì la gara fra gli aspiranti alla | mano di sua figlia. Ma non eredo troppo azzardato supporre una confusione tra l’une e le altre feste. pr ‘ | è Lt td Lg Agariste avrebbe celebrato le nozze con Megacle un anno dopo. E la notizia non sembra indegna di fede, giacchè una figlia di Agariste, nata da questo matrimonio, andò sposa a Pisistrato, quando questi era ancora in perfetto accordo con Megacle, cioè prima di assumere la signoria, il che avveniva sotto l’arcontato di Comea nell’a. 560 (1). D'altra parte, a non farci risalire, per le nozze di Agariste, in epoca anteriore al 581 circa, vale la circostanza che un suo figlio Clistene, che portava il medesimo nome del tiranno di Sicione, partecipò in Atene attivamente alla cacciata dei tiranni e nelle lotte tra Isagora e Cleomene; ed evidentemente nel 511-508, in cui succedevano cotesti avve- nimenti, egli non poteva essere un vecchio (2). Queste conside- razioni, è chiaro, crescono valore alla testimonianza d’Erodoto. Con grande sicurezza è pure databile il regno di Mirone, il nonno di Clistene, per mezzo dell'iscrizione del ddAauos di bronzo che egli, a nome suo e del popolo di Sicione, dedicò in Olimpia (Paus. VI 19, 4), dopo riportata una vittoria nella corsa dei carri nell’ol. 33 (a. 648), 66 anni, e quindi due generazioni, prima dell’analoga vittoria di Clistene, ottenuta nelle Pitiche del 582. Anche questo dato concorda con la genealogia di Ero- doto che fa Clistene nipote di Mirone. Abbiamo già detto che a Aristonimo successe Mirone, il quale regnò per sette anni, indi Isodamo che, dopo un anno, si assunse per compagno al trono il fratello Clistene che lo scacciò subito, mantenendo la signoria per 31 anni. Ma quando morì Clistene? Erodoto narra che egli diede alle tribù della sua città i nomi di ‘Agyé4aor, ‘“Yatar, "Oveatai, Xorgeatai, perchè non conser- vassero i nomi delle tribù doriche, ed aggiunge é#vd@ ai rAeîotov zateythaoce tOv Nizvoviov (3). Ora, osserva il De Sanctis (4), questo ha tutto il carattere di una invenzione maligna. Ma Erodoto ricorda che tali nomi rimasero in vigore sessant'anni dopo la morte del tiranno; e qui è contenuta una data di cui (1) De Sanems “Ardés* p. 271. (2) Ibd. p. 285. (3) V 68. (4) "Atdis? p. 285. SE 302 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS è d'uopo tener conto. Erodoto evidentemente ha notizia di un rivolgimento accaduto a Sicione sessant'anni dopo la morte di Clistene. Plutarco dà una lista di tiranni scacciati dagli Spar-._ tani, tra i quali è Eschine di Sicione. La lista, ordinata cro- nologicamente, pone Eschine tra Ippia (511) ed altri tiranni che, secondo ogni verisimiglianza, furono espulsi subito dopo la bat- taglia di Micale (479). Siccome Sicione era già alleata con Sparta al tempo della guerra di Serse, è probabile che si sia unita alla lega spartana dall’epoca che seguì immediatamente la cacciata d'Ippia. In questo caso i sessant'anni, che, in cifra tonda, dà Erodoto, ci riporterebbero al 570-565 circa. Conferma in parte queste acutissime induzioni, basate però su dati non troppo certi, un papiro edito recentemente (Cata- Ì logue of the Greeck Papyri of the John Ryland's Library n. 18 ) p. 31), ove a 1. 16 sgg. leggiamo: Xilov dè ò Adzov è épogevoas zai otat|nyi- CAS ‘Avafavdgiòn|s TE vàs èv toîs “EX}|no|w 20 r|voa]rvidas zarédv- oa|r). év NixvwOr|i] mèv Ailoz\ivnr Inniav dè [A9vyow| Ieicwot] gd- |tov tòv viòv éEEBaAorv] (1). Dunque del movimento tirannofobo vengono esplicitamente considerati capi l’eforo Chilone e il re Anassandrida. L’eforato di Chilone cade molto probabilmente verso il 556/5 (2), e Anas- sandrida regnò in un periodo che si estende all’incirca dall’a. 560 (1) Il mio supplemento è naturalmente incerto. L’ Hunt propone Iee- ouotpa[tov diadefauevov oppure Ietorotga|rov viov 0 dradoygor. (2) Meyer GAA II p. 565. ei “ DI Pila —» e L’ if dA xt Ceri LR. i IL NUOVO STORICO DI SICIONE, ECC. 303 «al 520 (1). D'altra parte Eschine è ricordato nel nostro fr. im- mediatamente prima di Ippia, il che potrebbe indurre a credere che egli, prima pure del tiranno ateniese, fosse stato privato del regno. Perciò con quel movimento che condusse alla spedizione infelice dello spartiata Anchimolo e indi all'invasione di grande numero di Lacedemoni, sotto la guida di Cleomene, figlio di Anassandrida, in seguito alla quale Ippia consegnava la rocca di Atene e perdeva il trono (2), noi dobbiamo connettere la cacciata di Eschine da Sicione, che si può porre nella mede- sima epoca, cioè verso il 511/0. | Eschine non fu, a mio credere, nè figlio nè nepote del tiranno Clistene. La novella di Erodoto sui proci d'Agariste può solo intendersi, come acutamente osserva il De Sanctis (3), quando si supponga che Agariste fosse figlia unica ed ereditiera, e che al figlio di lei dovesse, nelle intenzioni del nonno, pas- sare la tirannide di Sicione. E così si spiega pure come Me- gacle abbia chiamato dal nome di Clistene il suo primogenito. Ma questi non fu successore nella tirannide dell’avo. Perchè ? Egli era, alla morte di quello, tuttora bambino e inetto a re- b gnare, e questa circostanza favorì i maneggi degli Spartani i quali osteggiarono la tirannide di Sicione e forse ne causarono una interruzione. Il nostro Eschine, scacciato verso il 511/0, fu un imitatore degli Ortagoridi, senza esserne discendente di- retto. Ciò ci viene indirettamente confermato da Aristotele (4) e da Diodoro (5), che alla tirannide di Sicione assegnano un pe- riodo di 100 anni, nel quale, anche preso con la maggior lar- ghezza, Eschine non può in verun modo essere compreso. Colui che attese, favorito dalle aderenze e dalle ricchezze, a muovere, con più salda costanza, la guerra ai Pisistratidi fu, è inutile ripeterlo, Clistene, il capo degli Alemeonidi, figlio di La Megacle e di Agariste, nipote e, un tempo, presunto erede del- E l'omonimo tiranno di Sicione (6). È naturale quindi che intorno cr = > (1) Meyer ibd. p. 766; BeLoca GG I° 2 p. 191. (2) De Saneris “Ardis® p. 325 sgg. (3) bd. p. 286. (4) Polit. V 1315 b. (5) VIU 24. (6) De Saneris ‘Ardés* p. 324. | | | 304 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS ai Pisistratidi si serrassero i tiranni minacciati dalla politica spartana, intesa a sostituire loro governi oligarchici. Eschine adunque — è questa semplice ipotesi, ma non lontana dal vero - fu forse alleato di Ippia; e contro il tiranno d’Atene non meno che contro colui, che teneva il trono che poteva essere suo, si concentrava l’odio del legislatore che riescì a trionfare sui propri nemici. Ma ritorniamo alla data della morte del tiranno Clistene. Ad Erodoto — già l'abbiamo notato — constava che un rivol- gimento era avvenuto in Sicione, sessant'anni dopo la morte di lui. Il rivolgimento non può essere che la cacciata di Eschine e, siccome questa ebbe luogo verso il 511/0, al 571/0 possiamo porre la morte del tiranno Clistene di Sicione. L'albero genealogico degli Ortagoridi sopra indicato pre- senta, in confronto con gli altri, il vantaggio di accordarsi a puntino con le fonti, che non risultano tra loro contradditorie, e, ciò che più conta, con i dati cronologici. Ma l’unica difficoltà, che contro di esso si può elevare, è costituita dal numero grande di generazioni che dovrebbero essere costrette nel limite di cento anni che vengono assegnati alla dinastia degli Ortagoridi da Aristotele e da Diodoro. Anche per Aristotele — Diodoro non fa che riprodurre l'oracolo — la fonte della notizia era il re- sponso della Pizia che, sebbene ex eventu e appunto per questo, doveva essere enunciato con una certa oscurità e indetermina- tezza; quindi non è arbitrario ritenere i cento anni come una cifra tonda e non come una indicazione precisissima. Clistene adunque, morto nel 570 dopo un regno di 31 anni, deve essere salito al trono verso il 601.11 fratello suo Isodamo regnò un anno solo, quindi nel 602, e l’altro fratello Mirone, che tenne lo scettro per 7 anni, sarà successo al padre nel 609. Per stabilire la durata della tirannide di Aristonimo, non abbiamo alcun dato; ma invece sappiamo che Mirone, nonno di Clistene, riportò una vittoria ad Olimpia nel 648 (66 anni, cioè due ge- nerazioni, prima dell’analoga vittoria del nipote Clistene), quando era già principe. Sin qui tutto fila come un olio. limangono ancora una ventina d’anni — dalla morte di Clistene infatti alla morte di Mirone ne abbiamo contati 78 — da spartire tra Andrea e il capostipite Ortagora: pochi in ve- rità per due generazioni. Tuttavia il nuovo papiro ci informa tie letti ta ine iii carita nti Aitina % PRI Ò fa 4% Ur Li got e % . IL NUOVO STORICO DI SICIONE, ECC. 305 che Ortagora si andò a grado a grado conquistando la fiducia e il favore dei concittadini. Efebo, cioè a diciotto anni, egli fu peripolo (cfr. 1. 21 sgg.), indi peripolarco (cfr. 1. 43 sgg.) e final- «mente, yo6vov r908436vtos, fu creato polemarco, riuscendo a ottenere, con la sua valorosa condotta, anche il favore del aÀijdos (cfr. 1. 59 sgg.). La carica di polemarco, importantissima, gli fruttava il comando degli eserciti, facilitandogli l’ascesa al supremo potere; ma è difficile potesse averla prima dei 30 anni, e pare inoltre che abbia coperto questo comando per qualche tempo (cfr. 1. 61 sgg.). Tenendo conto di coteste circostanze, ab- biamo ragione di ridurre alquanto per lui la durata che si suole nei computi attribuire alla tirannia d'ogni singolo principe, senza dover supporre che una morte immatura l’abbia colto. D'altra parte non è arbitrario, come è stato detto, aggiungere una de- cina d'anni e più ai cento indicati come cifra tonda dall’oracolo, sicchè potremo porre l'avvenimento di Ortagora al trono (essendo Clistene morto nel 570) tra il 680 e il 690, assegnando così al suo regno e a quello del figlio Andrea complessivamente dai 32 ai 42 anni e alla dinastia degli Ortagoridi una durata variante tra 110 e 120 anni. i" 306 GIUSEPPE PRATO Sulle premesse economiche del contratto collettivo di lavoro. Appunti critici. Nota I del Socio GIUSEPPE PRATO. Le difficoltà inattese contro cui s'è urtato fin dal principio il nuovo ministero delle munizioni ha riaccesa in Inghilterra una disputa che da tempo pareva sopita: quella dei pericoli e dei danni inerenti all’unionismo operaio ed ai suoi caratteristici indirizzi. L'ironia della sorte volle che proprio all'uomo che per le sue origini politiche meglio l'aveva incarnato, a Lloyd George, toccasse di denunciare gli ostacoli frapposti dal superstizioso fe- ticismo dei regolamenti sindacali al febbrile fervore della difesa nazionale. E da quel momento odonsi da più parti riprese con rinnovato ardore e virulenza le critiche suggerite agli econo- misti classici dal primo affermarsi del fenomeno, negli inizi della rivoluzione industriale moderna. Il fatto è tanto più notevole in quanto succede ad un pe- riodo di ottimismo idilliaco, nel quale il favore ufficiale per le leghe operaie giunse, col Trade disputes act del 1906, al ricono- scimento d'una vera e propria casta privilegiata, libera dalle pastoie ingombranti del diritto comune; logico, sebbene indubbia- mente eccessivo epilogo al largo e diuturno movimento di idee, che, anche nel campo strettamente teorico, era venuto temperando dapprima, indi revocando e mutando in encomio la severità delle condanne, a cui l’antica legislazione restrittiva erasi ispirata. Oggi, nella luce rivelatrice subitamente sprigionata dall’in- combente pericolo pubblico, non meno che per le preoccupa- zioni suscitate dalla vastità, dalla violenza e dai danni dei gran- diosi conflitti industriali dell’ ultimo periodo, un giudizio di leali. SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 307 revisione viene clamorosamente reclamato. Il quale natural- mente è d’uopo involga intero, ed in ogni suo aspetto, il pro- blema; che è morale e sociale oltrechè strettamente giuridico ed economico; e che, pure sotto quest'ultimo riguardo soltanto, offre lati numerosi di controversia, molteplici essendone le interdipen- denze e le ripercussioni con cui legasi ai delicati congegni produttivi e distributivi della moderna società. Affrontare complessivamente il vastissimo tema non è mio proposito; ad un sol punto volendo anzi limitare questa breve nota, il quale, per più versi, mi sembra essenziale veder sempre meglio chiarito; e ciò per le notevoli e continue illazioni pra- tiche a cui esso dà luogo, non meno che per l’importanza teorica centrale che convien riconoscergli rispetto all’intiero problema. La sostituzione del contratto di lavoro collettivo all’individuale, mèta costante dell’azione unionistica, viene considerata univer- salmente come una conquista destinata ad assicurare inconte- stabili e crescenti vantaggi materiali all’insieme delle classi lavoratrici; onde gli assidui sforzi dei tecnici per attuarlo e lo studio dei legislatori d’ogni paese per regolarne efficacemente la pratica. Risponde la premessa ottimistica al rigore obbiettivo dei fondamentali e più sicuri principî dell'economia scientifica ? Pal È noto il ragionamento in base al quale lo Stuart-Mill della seconda maniera si indusse a mutare lo sfavorevole atteg- giamento da lui stesso primitivamente assunto verso il presup- posto teorico del movimento sindacale. Il prezzo d’equilibrio d'un qualsiasi scambio non cade, egli osserva, necessariamente in un sol punto. Fra la disposizione del venditore di cedere a 20 mentre chiede 22 e quella del compratore di giungere fino a 22 piuttosto che rinunciare alla merce, ove non gli sia possibile averla per 20, esiste una zona neutra, nella quale il punto d’accordo è stabilito dalla forza e dall'astuzia di ciascuno dei contrattanti. Un vantaggio notevole, in un dibattito di tal fatta, possiede evidentemente colui al quale spetta l'iniziativa di proporre il prezzo; privilegio che, nella compravendita della merce lavoro, trovasi dalla parte del- 308 GIUSEPPE PRATO l’acquisitore, anzichè — come nelle altre transazioni — del ce- dente. Onde lo spostamento a vantaggio del primo d’un consi- derevole e costante elemento di prevalenza e l’utilità quindi di contrapporvi un fattore capace di bilanciarne l’azione. Rag- giunge appunto lo scopo l’organizzazione operaia, sostituendo alla forza individuale la collettiva. Ed è in tal senso che la legge del fondo-salari perde la sua rigidità sconfortante, ridu- cendosi all’ovvia proposizione che nessuna .coalizione può co- stringere gli imprenditori a pagare più di quanto guadagnino; mentre rimane aperto all’unionismo un ampio campo di proficua attività (1). : Della tesi milliana non sono che sviluppi più o meno ele- } ganti ed acuti le difese e le apologie del movimento sindacale, di cui la scienza ortodossa ci offre da allora frequenti esempi. ; Vi recò un contributo notevole il Marshall, accennando alle cause dell’inferiorità dell’operaio, dovuta alla sua frequente in- capacità di differire l'accordo (2). Osservazione il cui spunto trovasi del resto in Adamo Smith (3); ma che da scrittori recenti ‘ fu ripreso e largamente illustrato, con l’analisi minuta delle ra- gioni obbiettive e soggettive che privano il lavoratore isolato della vera libertà di contrattare, sopprimendo così il presupposto essenziale d’un corretto regime di concorrenza, ed assicurando agli imprenditori il possesso normale di laute “ rendite del con- sumatore ,. In Clark la tesi è abbozzata un po’ confusamente (4); in Nicholson (5) ed in Walker (6) è enunciata con più perspicua chiarezza. Taussig la ripete con perentorietà assiomatica (7). Ma la più ampia dimostrazione e minuta esemplificazione del postulato è, s'io non m’inganno, quella data da Attilio Cabiati (1) Cfr. lo studio critico sull'opera di THornrox, Labour and its claims, in ° Fortnightly review ,, 1869 maggio e giugno; ripubblicato nelle Dis- sertations and discussions, Londra, 1875, vol. IV, p. 43 e sgg. (2) Ctr. Elements of economics of industry, 4° edizione, Londra, 1909, p. 369 e sgg. (3) Lo rileva J. SareLp NicmoLson, Principii di economia politica (tr. it.), in © Biblioteca dell’economista ,, ser. 54, vol. II, p. 312. (4) Cfr. Essentials of economie theory, New-York, 1909, p. 451 e sgg. (5) Cfr. Principii di economia politica, p. 312. (6) Cfr. Political economy, 3* ed., Londra, 1887, pp. 258 e sgg., 375 e sgg. (7) Cfr. Principles of economics, New York, 1911, vol. II, p. 263 e sgg. ‘in due originali saggi (1); in cui troviamo integrate dal sussidio di una ricca esperienza pratica le deduzioni dell’ Edgeworth ‘circa l'influsso esercitato da un regime di coalizione sui risultati del mercanteggiamento (2). Logico corollario della preferibilità di massima così pacifica- mente riconosciuta alla contrattazione collettiva in confronto alla individuale, in vista degli attriti che ritardano la perfetta mobilità del lavoro, è il raro consenso di economisti e di giu- risti circa simile tipo d’accordi, fondandosi le riserve di alcuni unicamente su obbiezioni di carattere pratico, e particolarmente sulla difficoltà di sanzioni concrete che il metodo comporta (3). lo stesso ammisi per l’addietro implicitamente come dimostrato questo modo di vedere, pur muovendo altri dubbi circa l’utilità finale degli ultimi orientamenti unionistici (4). Trattasi però forse di errore aprioristico o almeno di parziale illusione sem- plicistica, che un miglior esame del punto di partenza potrà ricondurre a termini più rigorosamente corretti, circondandolo . almeno di qualche prudente temperamento. Vi sono degli au- tori che riducono la figura dell’organizzazione operaia a quella di un istituto commerciale per la vendita in grosso della merce lavoro, avente per funzione primaria il perfezionare economi- camente e tecnicamente lo strumento del contratto collettivo (5). (1) Le basi teoriche dell’organizzazione operaia, Milano (bib]. della © Cri- tica sociale ,), 1904; e La politica industriale delle organizzazioni operate, in “ Riforma sociale ,, 1907, pp. 587 e sgg., 744 e sgg. (2) Cfr. Mathematical psychies, Londra, 1881, p. 43 e sgg. (3) Ciò può dirsi tanto per gli autori che cordialmente partecipano alle simpatie per gli indirizzi e le modalità dell’azione operaia (p. e. A. Lorta, Il movimento operaio, Palermo, 1903, p. 41 e sgg.); come per gli apologisti più convinti dell’unionismo (in prima linea S. e B. Were, La democrazia industriale (tr. it.), in “ Bibl. dell’economista ,, ser. 5*, vol. VII, p. 192 e sgg.); come anche per quelli che guardano al fenomeno, nel suo complesso, con entusiasmo minore (p. e. C. Corson, Cours d’'économie politique, vol. II, Pa- rigi, 1901, p. 117 e sgg. e lo stesso V. Pareto, Manuel d’économie politique, Parigi, 1909, cap, XIX, $ 16). (4) Cfr. Di alcune incognite del movimento operaio, in ° Riforma so- ciale ,, gennaio 1911; Variazioni sul tema dell'unità sindacale, Ibid., luglio, agosto, settembre 1911; e Le protectionisme ouvrier (tr. fr., 2* ed.), Pa- rigi, 1912, p.249 e sgg. (5) Cfr. R. T. ELy, Outlines of economics, 2* ed., New York, 1914, p. 390. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 21 310 GIUSEPPE PRATO | x i I fattori positivi del valore pratico di quest’ultimo acquistan $ dunque un'importanza essenziale all’apprezzamento adeguato : dell’intiero sistema. i A ) 4 É * 1 Molto intanto potrebbe dirsi in merito ad alcune delle pre- _ S messe milliane, docilmente accolte, sebbene non mai dimostrate, dai più. Non è punto vero, ad esempio, che, nel dibattito del prezzo, spetti alla parte proponente, come tale, un costante vantaggio. In una suggestiva e troppo dimenticata comunicazione alla Philosophical society di Glascow, T. S. Cree sollevò al riguardo i più fondati dubbi (i). E chiunque abbia qualche pratica d’af- fari, specie con quegli insuperabili, astutissimi mercanteggiatori che sono i contadini, sa per esperienza che essi insistono sempre, con la più tenace ostinazione, per non enunciare pei primi il prezzo d'offerta, volendo regolarlo sulle disposizioni dell’altro contraente (2). Se è esatto quanto afferma il Jevons che “ the art of bar- “ gaining consists in the buyer ascertaining the lowest price at “ which the seller is willing to part with his object, without “ disclosing, if possible, the highest price which he, the buyer, Pe —_—r_——rae ve- © (1) A criticism of the theory of trades’ unions, Glascow, 1891, p. 11. Contro il NaroLI, che testè fece propria la tesi del Thornton circa la pre- feribilità dell’ “ asta olandese , sull’ “ asta inglese , (cfr. I valori di mono- polio, in “£ Riforma sociale ,, 1901, pp. 329 e sgg., 420 e sgg.), sostenne la sostanziale vanità della distinzione A. Graziani, Istituzioni di economia politica, 2* ed., Torino, 1908, p. 248. (2) Se volessi applicare a questo punto speciale il concetto di ana- logia che altri illustrò fra i conflitti industriali e le guerre fra nazioni (efr. F. Y. Enpceworta, On the relations of political economy to war, Ox- ford, 1915, p. 15 e sgg.), potrei ricordare le lunghe schermaglie diplomatiche a cui da luogo molto spesso lo sforzo dei negoziatori per costringer gli av- versari ad esporre per primi le condizioni a cui sarebber disposti a trattare la pace. Anche ultimamente il Vorwédrts(11 novembre) prevedeva e lamen- tava che proprio questa difficoltà dovesse prolungare oltre ogni ragionevole limite la guerra europea. iS SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 311 “is willing to give , (1), deve ritenersi verità incontestabile che, sul mercato del lavoro, il compratore si trova per l'appunto nella posizione men favorevole, mentre la larga notorietà dei salari ottenibili presso imprese diverse assicura al venditore operaio la possibilità di confronti istruttivi circa il valore at- tribuito alla ricchezza di cui egli dispone (2). Nè il fatto del- l'iniziativa d'offerta spettante all'imprenditore esclude la facoltà nel salariato che si presenta di ottenere condizioni migliori delle preventivamente pubblicate, ove l'incremento di produttività da lui recato all'azienda lo comporti, ed egli possa, con un’at- tesa opportuna, spostare a proprio favore il punto dell’accordo. Ma ciò appunto, si obbietta, gli è impossibile, per le ca- ratteristiche peculiarità della merce-lavoro, alla quale è vietato dilazionare il contratto senza una perdita, che raggiunge, al limite, la totale distruzione; operando contro essa inesorabil- mente tutte le forze che ne diminuiscono o sopprimono la con- servabilità e la trasferibilità, nello spazio e nel tempo. È questo però un argomento sul quale molto si è esagerato, continuandosi a presumere perdurante ed invariato uno stato di cose che, vero, fino a un certo segno, negli hard times in cui la teorica sorse, va perdendo viemmeglio una effettiva e generale rispondenza con la realtà. In uno dei suoi saggi pieni di pratico buon senso, G. De Molinari ha limpidamente tratteggiate le linee direttive del grande mutamento (3). Ma non si era allora che agli inizi della (1) Cfr. Theory of political economy, 2* ed., Londra, 1879, p. 154. Anche nella pratica delle minute transazioni quotidiane non sono infrequenti i casi in cui i negozianti, non ancora informati delle condizioni del mercato giornaliero, declinino di enunciare il prezzo e trattino intanto sub condi tione. Cfr. P. H. WicksteED, The common sense of political economy, Londra, 11910, p. 222. (2) Quanto alle altre condizioni che, non meno del salario, forman og- etto del contratto, è pure a notarsi che l'antico carattere di unilateralità tende sempre più a scomparire, per far luogo a pratiche di accordo con- ensuale, non di rado integrate da norme legislative. Ciò vedesi benissimo ell’evoluzione subìta dai regolamenti d'officina, che risultan sempre meno atti arbitrari d’una sola delle parti. Cfr. P. Lovrs, L'ouvrier devant l’État, Parigi, 1904, p. 327 e sgg. (3) Cfr. “ La production et le commerce du travail ,, in Questions éco- miques à l'ordre du jour, Parigi, 1906, p. 37 e sgg. 1 e” bb Lei. PRATT « . et; p sì Li b, f lei ci demand’ 2 VA ’ rt tel e-è 312 GIUSEPPE PRATO maestosa evoluzione sociale ed industriale, che, con magnifica concomitanza di sforzi, tende ad attenuare le cause organiche ed ambientali che conferiscono alla merce lavoro una peculiare * viscosità ,, creando speciali attriti nei suoi spostamenti. Il passaggio da un mercato all’altro, che costituiva, ai tempi di Thornton e di Mill, una rara eccezione, tanto era circondato di ostacoli e di difficoltà d'ogni specie, è divenuto, da allora in poi, fenomeno universale, costante e normalissimo. L'enorme aumento del numero dei viaggianti e la forte diminuzione dei prezzi di trasporto sono indice e fattore caratteristico della gra- duale scomparsa della sedentarietà di vita, propria d’una struttura sociale tramontata (1). Ed importa ai nostri fini di notare che la mutazione riguarda in misura assolutamente preponderante . le classi lavoratrici, le quali, in taluni paesi, forniscono quasi sole la massima parte del colossale incremento (2), ed in cuì (1) 1 numero delle persone trasportate su.le ferrovie del globo fu, nel 1860, di 413 milioni, nel 1906 salì a 6 miliardi. Il prezzo del trasporto che era, in Francia, di 0,07 per Km. nel 1841, è sceso nel 1906 a 0,036 in Francia, 0,033 in Germania, 0,032 in Austria, 0,022 in Russia, 0,043 in Italia, 0,063 agli Stati Uniti. Cfr. B. Nogaro et W. Ovarip, L’'évolution du commerce, du crédit et des transports depuis cent cinquante ans, Parigi, 1914, p.8378 e sg. Il prezzo dei biglietti di passaggio marittimi si ridusse con- temporaneamente del 50 °/, almeno, e, in parecchi casi, del 100 °/. Cfr. C. CoLson, Transports et tarifs, 3* ed., Parigi, 1908, p. 333. (2) Per l’Inghilterra ciò si scorge perfettamente nel seguente spec- chietto, che riassume i dati comparativi dell’ultimo quarantennio : Provento lordo | Sad iea È : A N*:der'viaggiatori 10TL pu i PE Se n) i | Lst. Lst. “li Biglietti di 1* classe | 3.504.124 | 3.106.023 | 30.092.528 | 24.361.466 ° ,2° , | 4596.817 | 998759 | 73.011.105 | 12.236.526 "T ga 7 | 6692971 | 29.726.651 | 225449303 |1.125,394.777 Abbonamenti. . . | ‘687861 | 4.519.181 si di Notevole, fra l’altro, è la diminuzione dei viaggiatori e dei proventi nelle due prime classi, indice delle migliorate condizioni del trasporto nella terza. Cfr. A. W. KirgaLpy and A. D. Evans, The history and economices of transport, Londra, 1915, p. 103. aMatà X o « SULLE PREMESSE ECON. DEI, CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 3153 favore fu, in altri, congegnato tutto un armonico sistema di reti e di tariffe, inteso a farle prevalentemente, se non esclu- sivamente, usufruire dei vantaggi d’ogni specie procurati dal progresso tecnico (1). Da ciò il profondo mutamento di aspetto che, nell'ultimo cinquantennio, offre su tutto il globo il fenomeno migratorio; sommergendosi da un lato sempre più nelle sopravvenute masse lavoratrici i gruppi di commercianti e di coloni, di piccoli im- prenditori e professionisti, che furono i pionieri del movimento e ne formarono i primi nuclei, ed accentuandosi dall'altra l’im- | portanza dell'esodo temporaneo in confronto al permanente, il quale obbediva, ed obbedisce tuttora in molti casi ed in parte, a cause di imperiosa necessità, indipendenti dal cosciente ap- prezzamento dei vantaggi comparativi di due mercati diversi. Quest'ultimo guida invece esclusivamente chi solo per breve ora abbandona la patria in cerca di occupazione. Onde lo spettacolo della crescente sua prevalenza (2) conduce alla constatazione (1) Cfr. per lo sviluppo dei © workmens' trains , in Inghilterra: R. Bacni: _I treni e le tramvie per gli operai, in * Riforma sociale ,, 1901, p. 921 e sgg. In modo tipico ciò è visibile nel Belgio, dove il sistema degli abbona- menti operai, integrato da una opportuna coordinazione di linee e di orari ferroviari, ha reso, virtualmente e praticamente, l’intiero paese un mercato solo nei riguardi della mano d’opera. Grazie all'enorme comodità e buon prezzo delle comunicazioni così procurate ci si avvia rapidamente al livel- lamento completo dei salari corrispondenti ad un uguale rendimento, do- vuto ad un perfetto stato di concorrenza, nonchè alla eliminazione della disoccupazione, fuorchè nei casi di vera esuberanza di mano d’opera in tutto il regno. Sempre più frequente diviene il caso di operai qualificati che, sebbene abitanti in centri ove fiorisce la loro industria, scelgon di lavorare a notevoli distanze, per una lieve differenza di mercede. Cfr. E. Manara, Les abonnements d’ouvriers sur les lignes de chemins de fer belges et leurs effets sociaur, Bruxelles, 1910, pp. 80 e sgg., 155 e sgg. e passim. Anche le mer- cedi agricole, sempre abbastanza restìe a modificarsi, subirono visibilmente l'influenza delle nuovi condizioni. Cfr. B. Seesonm RownrREE, Land and la- bour. Lessons from Belgium, Londra, 1910, p. 205. Interessanti notizie fornisce pure in tal senso C. L’Evesque, La mobilisation du travail et le transport des ouvriers par chemins de fer (tesi), Parigi, 1907. (2) L'esame analitico dei dati statistici dell'emigrazione italiana, suffraga questa tesi di prove irrefragabili. Se le cifre dei due esodi salgono en- trambe vertiginosamente, dal 1876 in poi, osserviamo anzitutto che, nelle regioni economicamente e socialmente più evolute, quelle del temporaneo È Ù gs 014 GIUSEPPE PRATO d'un circolare sempre più armonico e proficuo delle correnti del lavoro sul mercato mondiale (1). Entro i confini dei singoli paesi il fenomeno non è men visibile, nell'estendersi e nell’intrecciarsi sempre più spiccato delle migrazioni interne, espressioni di tendenze e di bisogni peculiari di gruppi diversi, i quali si spostano sotto la spinta di una consapevolezza assoluta delle condizioni del mercato a cui si dirigono (2). E Ie proporzioni impressionanti raggiunte guadagnano terreno a scapito delle altre. Notasi poi specialmente che l’emi- grazione propria, per il fatto della diminuzione delle donne, dei fanciulli, dei partiti in compagnia di famigliari, va attenuando i caratteri primitivi, che sotto questo aspetto la distinguevano dalla temporanea, e tende ad accostarsi a questa, trasformandosi in istabile, periodica e stagionale; e che la maggiore e più sicura partecipazione della donna all'emigrazione tem- poranea sta ad indicarci che l'emigrazione stessa è divenuta più facile e con- suetudinaria di quanto non sia stata nei primi tempi. Questo secondo ca- rattere fa riscontro ed è analogo a quello rilevato per la propria e transoceanica. La facilità dell'emigrazione si accresce per la prima come per la seconda; indizio incontestabile della maturità dell’intiero movi- mento. Cfr. F. CoLertI, Dell’emigrazione italiana, in Cinquant'anni di storia italiana (1860-1910) (pubbl. della R. Accademia dei Lincei), Milano, 1912, p. 31 e sgg. dell’estr. (1) Un indizio caratteristico ne porge la correlazione sempre più in- tima che è facile avvertire fra il volume delle correnti immigratorie e le oscillazioni, anche assai tenui, delle condizioni economiche interne dei paesi di destinazione. Cfr. H. Prarr FarrcHiLD, Immigration. A world move- ment and its american significance, New York, 1913, p. 145 e sgg. Per gli Stati Uniti il rapporto è tracciato in un limpido prospetto comparativo in J. R. Commons, Races and immigrants in America, New York, 1908, p. 64. (2) Ciò è tanto vero per gli operai qualificati, come, in Italia, i mat- tonai toscani, veneti ed abruzzesi, o i muratori varesotti e biellesi (cfr. A. Ca- roncini e L. MarcHerTI, Le condizioni del lavoro nell'industria dei laterizi, in “ Giornale degli economisti ,, settembre 1905; e L. MarcHErTI, Le cor- renti periodiche dell'emigrazione interna, in È Rivista italiana di sociologia ,, sett.-dicembre 1905, p. 5 dell’estr.), quanto pei contadini; rispetto ai quali scrive egregiamente il CoLerti: “ Tali migrazioni si presentano come un “adattamento spontaneo e strettissimo del mezzo al bisogno che con esso “ si vuole soddisfare. Le esigenze di braccia da parte delle colture ecc. che “ provocano l'immigrazione sono ben conosciute, fra gli interessati, per ‘“ quantità, qualità, periodo di tempo. Non meno bene il migrante conosce “le condizioni che gli offre, in ogni momento dell'annata, la sede abituale. “ Ognuno perciò ha l’agio di scegliere le località, le occupazioni, i mesi e etica Pa Ka SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 315 dovunque dalla corrente urbanistica reca di giorno in giorno | più chiara conferma a quanto, parecchi anni addietro, osservava | Rodolfo Benini: “ che tutta la popolazione del paese tende a “ passare attraverso le città e a dimorarvi tanto da assimilarsi, “ grazie allo spirito di imitazione, le abitudini delle classi che “ vi risiedono ,, deponendo, attraverso il filtro dei medì e grandi centri, un po’ della sua primitiva ingenuità, ma anche molto della sua ignoranza ed imprevidenza, così da accostarsi viem- meglio al tipo di %omo oveconomicus, che ivi più frequentemente si incontra (1). Ai coefficienti di fluidità nello spazio che così si vengono ac- cumulando a prò della merce-lavoro, altri e notevolissimi ne aggiunge la ormai copiosa legislazione intesa a favorire, tutelare, regolamentare, dirigere ed illuminare gli spostamenti, per l’ad- dietro invece severamente vietati (2). Non è che nell'ultimo “ le settimane che più sì confannò alle sue forze, alla sua età, al suo sesso, “ agli impegni ed alle risorse che ha in paese. Quegli che ha la responsa- © bilità della famiglia e sente per conto di essa il massimo edonistico col- “ lettivo può, con piena conoscenza di causa, stabilire chi debba assen- “ tarsi emigrando o chi debba restare per l’una o l’altra delle faccende “ che gli emigranti sanno doversi compiere. Si può attuare, come di fatto “ avviene in più famiglie, una specie di turno migratorio, utilizzando al “ maggior grado le attitudini personali di lavoro dei singoli componenti. “ Gli effetti del libero muoversi del tornaconto si vedrebbero concreta- “tamente e con molta precisione se si scendesse ad un'analisi particola- © reggiata, sopratutto ristretta ad una zona limitata, in cui fosse più facile “ l'identificare la figura e i bisogni dei varî gruppi , (cfr. Dell'’emigrazione italiana, p. 193). (1) Principii di demografia, Firenze, 1901, p. 284 e sgg. La funzione im- portantissima che spetta alle città come fattori di assimilazione dei gruppi esterni e come organi dell'evoluzione del costume è propria del tipo di agglomerazione eminentemente differenziato dei tempi nostri. Le forze li- mitatrici dell'’accentramento ipertrofico create da talune manifestazioni del progresso industriale (con la emigrazione di certe industrie dalle città verso sedi più propizie) non arrestano la continuità e l’estensione della funzione plasmatrice, distribuendola solo in un maggior numero di centri, anche piccoli, ma dotati a tal riguardo degli attributi delle città. Cfr. R. Maunier, L'origine et la fonction économique des villes. Parigi, 1910, pp. 141 e sgg., 231 e sgg. (2) Fino alla fine del settecento, p. e., anche gli spostamenti interni erano circondati da difficoltà molteplici, per evitare che i nullatenenti di de dead” ie » Dr ; a 316 GIUSEPPE PRATO ventennio che gli stati nei quali il problema migratorio presenta qualche importanza han preso a disciplinarlo, ispirandosi sostan- zialmente al vecchio Passengers act inglese, opportunamente adat- tato alle condizioni locali. Protetto dagli sfruttamenti nella stipulazione del contratto, circondato di tutele igieniche e mo- rali durante il passaggio, provvisto all’arrivo di organi ufficiali o privati di assistenza e di sussidio legale, consigliato e sorretto nella accumulazione, nella trasmissione, nell’impiego dei risparmi, l’emigrante europeo ha raggiunte tali libertà di decisioni e si- curezza di movenze quali, vent'anni addietro, ancora sarebber parse un mito. E vi sono dei paesi in cui il servizio delle in- formazioni è pervenuto a così grande perfezione tecnica da consentire a qualsiasi lavoratore una previsione esatta ed un confronto quasi matematico fra le opportunità di guadagno e le facilità di vita nei vari mercati dei quali gli è dischiusa la scelta. Non sorse che nel 1886 l’Emigrants information office di Londra, le cui pubblicazioni ed i cui sistemi di pratica pro- paganda rimangono un insuperatò modello del genere. Ed è parimenti in Inghilterra che, nelle notizie della Labour ga- cette, largamente divulgate, nella pubblicità corrente di nu- merosi fogli tecnici e dei più diffusi giornali quotidiani, il la- un luogo cadessero a carico della pubblica carità in un altro. “It was often “ more difficult — scriveva Adamo Smith — for a poor man to pass the “ artificial boundary of a parish than an arm of the sea or a ridge of high “ mountains ,; e la commissione inglese per la legge dei poveri del 1832-34 trovò gli abitanti del regno virtualmente imprigionati nelle rispettive par- rocchie. Cfr. T. Mackay, The dangers of democracy, Londra, 1913, p. 118. Il divieto poi di emigrare dal paese, in omaggio al principio popolazioni- stico, o in applicazione dei pregiudizi mercantilistici, era generale e rigo- roso. Contro l'espresso avviso di Burke e di Bacone molti provvedimenti di tal fatta si incontrano, dal 1600 in poi, in Inghilterra; e di assai più severi in Spagna ed in Germania. Cfr. P. Leroy-BrauLIeu, De la coloni- sation chez les peuples modernes, 5* ediz., Parigi, 1902, t. II, p. 474 e sgg. La tendenza restrittiva perdurava assai diffusa quando, nel 1865, la com- batteva H. BaupriLLart, La liberté du travail. L'association et la démocratie, Parigi, 1878, p. 321 e sgg. Oggi coloro stessi che grandemente discono- scono gli altri fattori di accresciuta fluidità del lavoro, devono convenire che ogni impedimento legale è cessato. Così nel suo libro, per tanti aspetti pregevole, W. H. Beverince, Unemployment. A problem of industry, 3* ed., Londra, 1912, p. 216. SULLE PREMESSE ECON. DEI CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 317 voratore è posto al corrente di tutte le variazioni della domanda; mentre uffici di collocamento a vastissima base facilitano ed accelerano le trattative d'accordo (1), e organi speciali creati dal Labour exchange act provvedono, quando manchi il viaticum delle leghe, alle anticipazioni necessarie per chi muova non a cercare ma a raggiungere un determinato impiego (2). Così l'incremento di fluidità raggiunto, significa, secondo l’espres- sione del Beveridge, non un semplice fatto meccanico, bensì un fenomeno organico ed intelligente (3); come la diminuzione del costo di trasporto deve intendersi non meno in funzione dell'importo monetario del viaggio (risultante dalla combinazione delle tariffe e della durata) che dell’attenuarsi di tutti gli osta- coli morali ed intellettuali ieri ancora preponderanti. Onde for- masi fra le classi lavoratrici nei distretti industriali d’ogni paese (in Italia è tipica in tal senso la regione biellese) una psicologia peculiarissima, ben nota a quanti han dimestichezza con tali ambienti; caratterizzata dal debolissimo grado di ade- renza locale, dalla tendenza ad emanciparsi da ogni vincolo giu- ridico ed economico di solidarietà permanente con gli interessi (1) L'Inghilterra ha fondati, negli ultimi cinque anni, non meno di 430 uffici e 1066 agenzie locali, la cui attività si è, nello stesso periodo, più che raddoppiata. In Germania funzionano 823 uffici pubblici di collo- camento, che, al rompere della guerra, si progettò di raggruppare sotto l'egida di un grande istituto centrale nazionale. Il problema è allo studio agli Stati Uniti. Cfr. J. B. Anprews, A national system of labor exchanges in its relation to industrial efficiency, in “ Annals of American academy of | political and social science ,, LXI, settembre 1915, p. 138 e sgg. (2) Cfr. A. C. Prsou, Unemployment, Londra, 1913, p. 152 e sgg. È par- ticolarmente notevole che l’autorizzazione ad anticipar le spese di trasfe- rimento sia limitata ai casi di impiego già fissato. Parimenti in Germania le borse del lavoro provvedono biglietti di viaggio ridotto soltanto agli operai pei quali abbian preventivamente trovate delle soddisfacenti situa- zioni. Le informazioni fornite inoltre non si limitano alla indicazione di impieghi vacanti nel momento dell’informazione, ma si studiano di accer- tare se, partendo a quella volta, l'operaio li troverà ancora liberi. Siamo ben lontani, come vedesi, dalle primitive ed empiriche forme di assistenza ai viaggianti, che le antiche unioni ereditarono dal vecchio compagnonnage. Ofr. E. Martin de ST. Léon, Histoire des corporations des métiers depuis leurs origines jusqu'à leur suppression en 1791, 2* ed., Parigi, 1909, p. 557 e sgg. (3) Cfr. Unemployment. A problem of industry, p. 209, 255 e sgg. $ : \ k 7% 318 GIUSEPPE PRATO di una data sede, dal rifiuto o dalla trascuranza della proprietà immobiliare, per l’addietro vagheggiata come scopo ultimo del lavoro e del risparmio (1): dalla instabilità di vita e dalla ecletticità di sentimenti, di aspirazioni, di pensieri. La crisi tremenda a cui Ja guerra mondiale sottopone la men- talità politico-economica delle masse segnerà certo, forse per più anni, una pausa in questo processo di internazionalizzazione automatica. Ma, coi nuovi bisogni che farà sorgere, con le for- midabili richieste di mano d’opera che provocherà. con la stessa maggior intimità di relazioni di cui sarà causa fra gli alleati d’oggi, susciterà d’altro lato potentissime forze favorevoli alla feconda circolazione del lavoro sulla faccia del globo, anche se l’universale impoverimento ridurrà necessariamente, per un certo tempo, l’intensità di taluni centri di domanda (2). (1) L'integrazione del guadagno industriale coi proventi del piccolo possesso agricolo rappresentava l'ideale per gli operai del secolo XVIII, ed aveva fatto parte del programma di Colbert. Cfr. Des CiLLeurs, Histoire et régime de la grande industrie en France aux XVII et XVIII siècles, Parigi, 1898, pp. 25, 96. Oggi la tendenza è denunciata come pericolosa e franca- mente avversata negli ambienti sindacali. Cfr. L. Rivière, La terre et l'atelier. Jardins ouvriers, Parigi, 1904, p. 58 e sgg. (2) Il problema dell’avvenire del fenomeno migratorio, a pace ritor- nata, è fin d’ora uno dei più dibattuti, specie in Italia. Non manca chi, argomentando esclusivamente dai giganteschi bisogni di mano d'opera che sì manifesteranno nei luoghi più disastrosamente e direttamente investiti dal cataclisma devastatore, prevedono un forte aumento delle correnti mi- gratorie verso i vari paesi d'Europa. Così, nella “ Rivista coloniale ,, E. Corvino, cfr. V. W. La guerra e l'emigrazione, in È Critica sociale ,, 1916, n° 2. Ma l'esaurimento di capitale dovrà pure risolversi in una diminuita capacità di acquisto di lavoro per parte dei belligeranti; anche se è vero che l'alto saggio dell’interesse avrà tendenza a produrre una distribuzione del capitale superstite più favorevole al lavoro. Cfr. A. Graziani, Le future conseguenze economiche della guerra, in * Scientia,, XIX (1916), n. 45-1, p.9 e sgg. dell'estr. Giova poi tener conto di una circostanza sulla quale il “ Preussische Jahrbiicher , richiamava testè l’attenzione : della concor- renza che faranno ai lavoratori reduci dalle armi le donne che, nel frat- tempo li han sostituiti, acquistando molte volte notevoli capacità profes- sionali. È un fattore che, neutralizzando in parte la tendenza all’elevazione dei salari determinata dall’ingente distruzione di valida offerta, potrà concorrere a mantenere poco attraente la richiesta di quei mercati per lavoratori stranieri. Cfr. Levy-Brunr, Ce que sera l’industrie allemande après la guerre, in ° Nouvelles de France et bulletin des Frangais résidant La

SO. N. (3) Ofr. Courrors, Traité des opérations de bourse et de change, p. 289. Fin dai tempi di Calonne, d'altronde, il governo, mentre proibiva l’eser- cizìio agli agenti non autorizzati, ricorreva segretamente a loro per specu- lare sulle azioni delle acque. Cfr. L. Say, Les interventions du trésor à la Bourse, in * Annales de l’École libre des sciences politiques ,, 1896, p. 8. “ “ E Di SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 337 Quanto avvenne, negli ultimi mesi, allo Stock erchange di Londra riesce ad una identica dimostrazione. Applicando al con- solidato un prezzo minimo, si ritenne, allo scoppio della guerra, di averlo efficacemente tutelato. Si riuscì invece semplicemente a spogliarlo della sua qualità essenziale : la negoziabilità ; facen- dolo cadere in tale discredito da vedersi ben presto costretti a compensarlo con una opzione di conversione, allorchè il governo stesso, prendendo a prestito al 4 !/,, smentì ufficialmente la quo- tazione obbligatoria di 65 applicata alla rendita, implicitamente confessando che la medesima non valeva più di 55 !/s. L'impossi- bilità in cui si trovavano i portatori di realizzare i titoli. se non per via di intermediazioni subdole, contribuiva intanto a de- primere i corsi, recando all’intiera vita degli affari un crescente pregiudizio (1). Onde il restauro dello statu quo ante per il maggior titolo finì per imporsi clamorosamente, con effetti quasi immediati di sensibile ripresa della fiducia e dei prezzi; giusti- ficanti la richiesta, che si fa sempre più generale, di completo ripristino della libera trattazione rispetto a qualsiasi specie di valori (2). Qualcosa di molto simile si verifica del resto, e non da ieri soltanto, anche in Italia. Sono ormai parecchi anni dacchè le voci più autorevoli della scienza e della pratica additano nel regime di inquisitorietà diffidente e di artificiale limitazione cui è sottoposto il mercato la causa principale del marasma del- l'ambiente finanziario; senza però riuscire ad ottenere altro fuorchè un progressivo inasprimento di così provvidi sistemi. L’affannoso erigere di dighe contro il ribasso, che si iniziò nel- l'ottobre del 1907, fu certo uno dei motivi essenziali per i quali le borse nostre si differenziarono in peggio rispetto alle estere, nella faticosa liquidazione della crisi (3). Ma il male non fece che aggravarsi quando gli espedienti temporanei di quell’ora di (1) Per gli effetti di tale stato di cose sulle banche che avevan fatte anticipazioni ‘in titoli, efr. J. H. Jones, The economics of war and conquest, Londra, 1915, p. 65 e sgg. (2) Cfr. The Economist, 3 luglio 1915, p. 16; 10 luglio, p.58; 21 agosto, p. 283 e sgg.; 28 agosto, p. 331; 29 genn. 1916, p. 174. (3) Cfr. Erwnaupr, Il momento di borsa, in “ Nuova Antologia ,, 16 aprile 1909. 338 GIUSEPPE PRATO panico tendettero a consolidarsi e perpetuarsi. Già la giurispru- denza, negando validità giuridica ai contratti a termine, aveva abbandonate le borse alla balìa degl) affaristi più disonesti (1); mentre l’ostracismo fiscale dato ai titoli esteri aveva privati i risparmiatori indigeni dell'unico termine di confronto veramente educativo ed efficace nei loro investimenti. Venne poi finalmente in discussione alla camera e vi fu votato il disegno di legge “ moralizzatore delle borse ,; dal quale parecchi fra i precedenti vincoli occasionali uscivan consacrati in forma definitiva (2). E fu in tale stato di militarizzazione che il mercato finan- ziario italiano si affacciò, sotto l'egida della sospettosa tutela, alla improvvisa mondiale catastrofe della guerra europea. La chiusura delle borse, tosto decretata, provvedimento indispen- sabile nelle prime ore di panico, ebbe per naturale effetto di rendere la proprietà mobiliare del paese, per un certo periodo, quasi un'espressione teorica, togliendo al portatore di qualunque valore la possibilità di poterlo onestamente realizzare. Ma il mantenimento della eccezionale misura quando la assoluta ne- cessità ne sarebbe cessata, crea, a concorde giudizio dei tecnici, il pericolo di sbalzi straordinari di prezzi, dovuti alla difficoltà dell'incontro del venditore col compratore ed alla difficoltà per l'operatore di calcolare un prezzo esatto (3). I danneggiati in- tanto sono i portatori effettivi di titoli, in ogni contratto a cui siano costretti; poichè la soppressione del mercato normale e palese assicura il dominio ai peggiori speculatori, che natural- mente si prevalgono dello stato di necessità di clienti a cui manca ogni mezzo di controllo (4). Non per nulla gli agenti di cambio si mostrarono, più d’una volta, contrari al regolare fun- zionamento della borsa, come avvenne a Genova, nel 1856, al- (1) Cfr. V. Artom, Le cause reali del marasma dei mercati finanziari italiani, in “ Riforma sociale ,, 1911, p. 141 e sgg. (2) Cfr. Argentario, IZ nuovo disegno di legge sulle borse; e C. Torsca pi CasreLLAZzzo, I contratti di borsa e il disegno di legge sulle borse, in © Ri- forma sociale ,, 1913, p. 32 e sgg. (3) Cfr. A. Donati, La riapertura delle borse, in “ Riforma sociale ,, 1914, p. 1008 e sgg. (4) Cfr. J. Aguer, In proposito dell'apertura delle borse, in “ Nuova An- tologia ,, 16 gennaio 1916. Ù SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 339 lorchè Cavour pregava il suo amico banchiere Émile de la Riie ad usare della sua influenza per far cessare l'interessato ostru- zionismo denunciato da quella camera di commercio (1). Verità tutte che sarebbero troppo ovvie per essere ricordate se, nel pubblico degli incompetenti non fosse invece diffusa opinione che i mali derivanti dalla disorganizzazione coercitiva delle spon- tanee transazioni — fra cui è d’uopo noverare oggi fra noi la | preoccupante perturbazione di quel particolare, delicatissimo e é sensibilissimo prezzo che sono i cambi — dipendono invece da abuso di libertà. Onde alla diagnosi arbitraria segue il rimedio "È fantastico caro ai medicastri, che curano arti infiammati con fasciature ermetiche, dalle quali i pazienti non escono che in definitiva cancrena (2). Lo studio comparativo del corso dei principali titoli sopra uno stesso mercato consentirebbe d’altronde, e per un altro | verso, rilievi anche più istruttivi circa i rapporti che inter- cedono fra attiva e facile negoziabilità d’ un bene ed elevato apprezzamento e regolare quotazione del medesimo. La preva- lenza che, caeteris paribus, mantiene su valori di stato per- fettamente equivalenti (consolidati 4,50%, netto, 4°/ netto, 3% lordo, ultimi prestiti nazionali di guerra, buoni del tesoro fruttiferi, ecc.) il consolidato italiano 3,50 °/o (3), riesce inespli- cabile a chi non tenga conto, oltrechè dei vari elementi anno- verati dal Graziani (4), delle continue, numerosissime compre- vendite minute, per grossi e per piccoli tagli, che lo rendono il titolo più noto, più trattato e più agevolmente esitabile del nostro mercato. Qualunque possessore d’una di tali cartelle sa di poterla realizzare, da un momento all’altro, a un prezzo che non differisce se non di una frazione spesso infinitesima da quello ufficialmente annunciato, nè consente all’intermediario astute speculazioni. A perdite, o almeno ad attese, maggiori, è (1) Cfr. A. Bert, C. Cavour. Nouvelles lettres inédites, Torino, 1889, p. 506 e sg. (2) Così ArGentARIO, im più articoli comparsi sulla * Nuova Antologia , . del settembre e ottobre 1915. ; (3) Cfr. A. Necco, Il corso dei titoli di borsa in Italia dal 1861 al 1912, vol. I, Titoli di Stato, supplemento alla “ Riforma sociale ,, aprile 1915. (4) Cfr. Principii di economia commerciale, Napoli, 1913, p. 113. { : ti 340 GIUSEPPE PRATO d'uopo invece si adatti l'offerente di un titolo meno universal- mente richiesto, anche se meglio garantito, più redditizio, o includente un buon premio al rimborso. Onde spiegasi la relativa resistenza dei corsi di valori solidissimi alla azione degli arbi- traggi, che tendono ad elevarli al livello del consolidato, come avviene per ottime obbligazioni ferroviarie, per prestiti muni- cipali di primo ordine, per cartelle fondiarie di assoluta sicu- rezza. Così elementari nozioni costituiscono l’abbicì del mestiere, anche pel più inesperto speculatore (1). Altri elementi di giudizio ci fornisce l'osservazione delle divergenze, spesso fortissime, che si verificano sopra uno stesso mercato fra prezzi di grosso e prezzi minuti (2). Molte cause ne furono scoperte ed acutamente illustrate da inchieste e studi interessantissimi (3); fra le quali specialmente quella, già sot- tolineata dal Cairnes (4), dell’eccessivo numero degli spacci, a cui quasi tutti attribuiscono il manifestarsi di un fenomeno, sulla gravità del quale, da Mill in poi, è unanime il consenso (5). Ma da nessuno, ch'io sappia, ne fu sufficientemente rilevato un (1) Cfr. A. Courro1s, Traité des opérations de bourse et de change, p. 152 e sgg. Un’applicazione attualissima trovano queste norme nella convenienza riconosciuta dai nostri capitalisti di convertire i titoli del prestito nazio- nale 44/,%/ del gennaio 1915 in quelli del nuovo prestito 5% del gen- naio 1916, sebbene il computo semplicemente aritmetico sconsiglierebbe l'operazione. Trattasi invero di scambiare un titolo che sarà d’ora innanzi poco negoziato, quindi avrà un prezzo effettivo sensibilmente inferiore al nominale, in altro godente di largo e attivo mercato. i (2) Cfr. per una amplissima raccolta di dati su questa divergenza, le pubblicazioni dell’ “ U. S. Bureau of labor statistics ,, Wholesale prices 1890 to 1912, e Retail prices 1890 to february 1913, Washington, 1912, 1913. (3) Cfr. specialmente le ricerche della “ Verein fiir Sozialpolitik ,, rias- sunte in R. van per Borca, Handel und Handelspolitik, Lipsia, 1900, p. 202 e sgg. e, per l'Italia: T. Guarneri, Il recente rincaro delle carni e il pro- blema della minuta vendita, in “ Bollettino della Camera di commercio di Genova ,, 1910, luglio-agosto; A. Loria, Relazione della Commissione inca- ricata di studiare i provvedimenti adatti a risolvere il problema del caro dei viveri, Torino, 1910; A. Graziani, Appunti sul prezzo di alcuni prodotti sul mercato al dettaglio di Napoli, Napoli, 1907. (4) Cfr. Principii di economia politica (tr. it.), in “ Biblioteca dell’eco- nomista ,, ser. 8*, vol. IV, p. 76 e sgg. (5) Cfr. W. Roscaer, System der Volkswirtschaft, vol. III; Nationalòleo- nomil: des Handels und Gewerbfleiszes, Stuttgart, 1882, p. 89 e sg. SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTRATTO COLLETT. DI LAVORO 841 altro fattore: l’azione cioò esercitata dalla molteplicità delle transazioni sulle elevate tariffe. In realtà i compratori più screditati, i più restii al saldo immediato in contanti, i cattivi pagatori di notoria fama, eser- citano sull’intiera serie dei prezzi un'influenza inasprente, che il sistema dei prezzi multipli, in questi scambi largamente prati- cato (1), non vale a neutralizzare che in parte. Quando una « merce dà luogo a pochi, grossi contratti, l'offerente di solvibi- lità incerta o destituito di garanzie materiali o morali viene ben di rado accettato; nè mai, ad ogni modo, senza fargli pa- «gare un compenso proporzionato al rischio speciale che presenta. Quest'ultima circostanza poi non altera quasi mai le condizioni degli altri contemporanei contratti, formando operazione a sè stante, determinata da un particolare calcolo di convenienza. Li Non così però avviene nel commercio di dettaglio, dove la insi- | gnificanza delle singole transazioni, la scarsa conoscenza, la S| mutabilità di sede e di condizioni dei clienti, la necessità di _ nonscoraggiarne completamente nessuno, per sostener la bottega 4 contro i molti concorrenti, induce a ripartire su tutti almeno | una quota del rischio, che parecchi fra essi presentano in pro- É porzione maggiore, ma non agevolmente valutabile. 3 Per avvertire il fenomeno non è sempre d’uopo guardare ai consumi schiettamente popolari. Di famigerati morosi abbonda ogni ceto sociate. Ed è, p. e., ben noto che i prezzi fantastici imposti dalle più eleganti case di confezione, sartoria ecc. alla _ loro-eletta clientela son dovuti alle difficoltà grandissime che È spesso incontra il saldo dei crediti di una parte di essa. Ma, « quanto più scendiamo nella zona del minuto commercio vero e | proprio, tanto meglio si accentua lo scarto fra tariffe di grosso i e di dettaglio, cioè tanto più cresce il prezzo effettivamente pra- — ticato per la merce, con tendenza a toccare i massimi pei generi indefinitamente frazionabili, come i commestibili, pei quali la molteplicità degli scambi è più continua e più intensa. Numero e frequenza dei contratti dunque, e conseguente influenza dei compratori marginali sui prezzi, sono elementi che una corretta | interpretazione del fenomeno non può trascurare. (1) Cfr. C. Cassora, La formazione dei prezzi nel commercio, Palermo, 1911, p. 41 e sgg. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 23 942 GIUSEPPE PRATO — SULLE PREMESSE ECONOMICHE, ECC. Applicando simili concetti al mercato del lavoro (1), è age- vole vedere che la rarificazione ed il concentramento delle tran- sazioni, imposte dai sindacati, non posson che elevare il margine di disparità esistente fra i singoli contratti, il quale si riduce a una frazione minima nelle merci molto trattate e sale spesso a grandi altezze negli articoli di scambio men frequente e mi- nuto. Così il lavoro passa dalla categoria dei beni nella nozione del valore corrente, dei quali vi è un minimo di inesattezza, a quella delle merci, nelle quali lo scarso numero delle transazioni crea un massimo di incertezza. E la via rimane aperta a tutte le speculazioni che, a danno dei possessori d’una merce qual- sivoglia, germogliano e prosperano in regime di mercato mal informato, o artificialmente compresso (2). (1) Circa le somiglianze del commercio di dettaglio con quello del la- voro libero, già il De Motinari rilevò che, nell’uno e nell'altro, il mercan- teggiamento gioca una parte notevole, e ciò tanto più col graduale eli- minarsi, sul mercato del lavoro, della possibilità antica di un salario unilateralmente fissato ed imposto. Cfr. Questions économiques à l’ordre du jour, p. 68. (2) Certo le condizioni del mercato si manterrebbero tollerabili se, di fronte ad un'offerta coalizzata, stesse una domanda minutamente spezzet- tata, verificandosi così i requisiti e la possibilità di molteplici, continue transazioni. Ma ciò essendo escluso dalla struttura tecniga della moderna industria, che tende a dilatare le dimensioni delle imprese, la tattica operaia conduce irremissibilmente alla soppressione del mercato libero. Cfr. Cree, A criticism of the theory of trades’ unions, p. 19 e sg. È | PR E Ln i. rn AI al dhe pra © IST è pe È ALDO FERRABINO — LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 3483 La cronologia del primi Tolemei ‘), Nota di ALDO FERRABINO. i La cronologia dei primi Tolemei, in quanto è fondata sul Canone astronomico, è salda solo in apparenza. Anche per chi del Canone non voglia mettere in dubbio l’esattezza, rimane sempre molto arduo il problema di darne una interpretazione a dovere. Esso, com’è noto, fissa il principio e la fine de’ singoli regni col 1° Thoth, primo giorno del calendario egizio. Il che i offre non piccolo vantaggio, perchè ci è possibile far corrispon- . dere le date di quel calendario egizio alle nostre. Se non che si frappongono due notevoli difficoltà. i Anzi tutto, quando le durate dei regni non sono comprese fra il giorno preciso dell’accessione al trono e il giorno preciso della morte, ma vengono ridotte ad anni interi sulla base di un certo calendario, due metodi sono possibili nel compier la riduzione, e due ci sono testimoniati. Si può considerare come principio del regno il principio dell'anno in cui la accessione al trono è avvenuta; ed è il metodo della predatazione. O si può considerare come principio del regno il principio dell’anno imme- diatamente successivo all’accessione al trono; ed è il metodo della posdatazione. Quale dei due metodi tenne l’autore del Ca- none? Non si sa. Tutti i critici (non conosco eccezioni) hanno finora ritenuto che il Canone predatasse e che quindi ciascun re morisse dopo il 1° Thoth che segna il principio al regno dei suo successore. Fondamento a tal congettura è che nell'età romana cotesto metodo di computo ci è testimoniato per i Tolemei; sicchè parve lecito supporlo in vigore già in epoca precedente. Ma ognun vede quanto sia fragile l’illazione da un periodo storico ad un altro alquanto diverso. (*) Questa Nota fu approvata nell'adunanza del 16 maggio 1915. 344 ALDO FERRABINO Rende più incerto l’incedere un’altra considerazione, gra- vissima. I Tolemei, specie nei primi cent'anni circa del loro dominio su l'Egitto, usarono costantemente, non il calendario egizio, ma il macedonico, che ha per primo giorno il 1° Dios. L'uso appare indubbio da tutti i documenti ufficiali, dove la data è sempre macedonica ed è solo talvolta uguagliata al mese e al giorno egiziani. Di qui la domanda: con che metodo datarono i Tolemei sulla base del calendario macedonico ? E, posto che cotesto metodo sia accertabile, con qual norma il Canone riduce il computo macedonico in computo egiziano? Alla doppia inter- rogazione non fu risposto che per ipotesi, e non si poteva altri- menti. Il Beloch (1) vide e chiarì la difficolta, e a risolverla addusse due congetture. Pensò anzi tutto che i Tolemei preda- tassero sulla base del loro calendario macedonico, come ritenne che predatasse il Canone sulla base del calendario egizio. A ciò lo conduceva il fatto che nell’età romana, quando — come di- cemmo or ora — la predatazione è certa in Egitto, al 1° Thoth corrispondeva costantemente, in seguito a riforma, il 1° Dios; indi ovvia l’induzione che, come si predatava rispetto al 1° Thoth, così si fosse predatato rispetto al 1° Dios. Suppose il Beloch inoltre che ciascun anno macedonico fosse dal Canone equiparato all'anno egiziano in cui cominciava. A ciò non lo conduceva nessun dato positivo, ma il veder che così gli riusciva di rico- struire felicemente nel tutt’insieme la cronologia tolemaica. Con- getture dunque rispondevano alla doppia grave interrogazione posta dianzi: e congetture verso cui rimase diffidente il loro stesso autore. Tuttavia dopo il Beloch i moderni non fecero alcun serio tentativo per rivedere la questione ab imis fundamentis, ma si limitarono a discutere singoli punti. Eppure nuovi documenti apparsi negli ultimi dieci anni, non solo rendono possibile, sib- bene impongono di riprendere in esame questa materia. E ne vale la pena: chè con la durata de’ singoli regni tolemaici sì connette la cronologia di avvenimenti importantissimi, fra i quali alcuni sono cardini indispensabili di qualsivoglia rico- struzione. (1) Griech. Gesch. 1II 2, 122. $ i : è LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 345 II. Nei documenti tolemaici appare naturalmente, dov'era ne- cessario, il nome del Tolemeo regnante, seguìto dal numero progressivo dell’anno di regno. Se non che in otto casi, invece di esserci fornito un solo numero progressivo, ce ne vengono dati ben due: il che fa subito supporre che, invece di un solo computo per gli anni di regno, ne fossero allora in vigore due distinti. In particolare poi accade che in quattro (1) di quei casi la seconda cifra è preceduta dall'espressione ©g dè ai 796- - . . iN . godo, e supera (tranne un caso dubbio) di 1 unità la cifra prece- dente. In due casi invece le cifre sono identiche, e la seconda o è introdotta con l’espressione 7®v dè Aiyvatiov o si riconnette #, . . at . . Ie . . x al calendario egizio (2). Infine negli altri dve casì il divario è Cal. eee, ie ' v i fra il testo demotico e il testo greco (3). Che vuol dir ciò? Di sciogliere il nodo han tentato studiosi espertissimi. Una prima revisione e confutazione di cotali tentativi, nessuno felice, è stata compiuta egregiamente da GreNFELL e Hunt nei P. Hideh p. 358 sgg. Più tardi apparvero due scritti del Lesouier (“ Wilcken Archiv, IV 284 e P. Lille II introduzione) e uno dello SmyLy _ (£ Hermathena , XIV, 1907, pag. 106 sgg.): notevoli sotto varii rispetti. Ma non indugiamo nella critica dei particolari, che dovrà risultare dal ragionamento ulteriore; e preferiamo porre in rilievo | una obiezione fondamentale. Tutti quanti i critici, compresi quelli 9 E 3. AI Da pe 99 lb 1 che sulla questione espressero un giudizio anche solo provvisorio, ritengono che l’anno contrassegnato con la frase ©s ai 179600001 (1) PP.III p. 8; p. 168-9; P. Lille II 35; P. Tebt. ined. = P. Hibeh p. 359. Avvertiamo che i papiri son citati sempre con le sigle usate dal Wilcken in Grundziige und Chrestomathie : sigle che ogni competente intende senz'altro. Per i Flinders Petrie Papyri (PP.) III cito le sole pagine, per i motivi addotti dal WiLcken in “ Archiv, III 511-2. (2) P. Lille I 1, cfr. WiLcgen “ Archiv, V_219-20; — P. Leyden I 379, efr. P. Hibeh p. 341. (3) P. Hibeh 80; — Grierrra “ Proc. Soc. Bibl. Arch. , 1901, p. 294-302. — 346 ALDO FERRABINO sia anno finanziario, e che per conseguenza l’altro, innomi- [>] È) nato, sia anno regio: ammettono, insomma, concordi (e le di- vergenze sorgono numerose sol dopo) l’esistenza, sotto i primi Tolemei, di due differenti computi ufficiali degli anni. Ciò è radicalmente inaccettabile. Intanto desta a priori meraviglia che, esistendo ufficialmente un anno finanziario, in soli 4 casi se ne abbia menzione, mentre possediamo centinaia di papiri tolemaici e fra questi buon nu- mero hanno carattere finanziario (elenchi d’imposte, atti di banche, ricevute, malleverie, ecc. ecc.). Il così detto Revenue Pa- pyrus di Tolemeo Filadelfo, il quale si occupa proprio di fissare le tasse, non accenna nè pur da lontano a un anno finanziario. I numerosi rendiconti de’ pubblici ufficiali al governo, pur distri- buendo anno per anno e, alle volte, mese per mese, gl’incassi fatti, non alludono in alcun modo ad anni finanziarii. Possiamo credere che in tutti quei casi l’espressione pura e semplice “anno , equivalesse ad “ anno finanziario ,, se ammettiamo che un altro anno, l’anno regio, avesse allora importanza ufficiale? Sarebbe un colmo di brevità, poco spiegabile in testi dove le lungaggini non mancano punto, e adatto a generare i più compli- cati equivoci. Si pensi con quanta cura noi distinguiamo oggi il nostro “ anno scolastico , dal “ finanziario ,, dal “ giuridico ,, dal “ commerciale ,. Come mai il raffinato macchinismo gover- nativo dei Tolemei non tenne una norma analoga? E in verità, coloro medesimi che, senza rendersi conto di ciò, vollero credere |. ai due diversi computi ufficiali, si trovarono imbarazzatissimi nel decidere dove fosse usato l’un computo e dove l'altro! Gli stessi papiri di Flinders Petrie, che sembrano datati ©g ai 19600601 allo Smyly, sembrano datati nell'altra maniera, “ regia ,, al Lesquier; e per prudenza Grenfell e Hunt lasciano sempre, nelle loro ipotesi e nei calcoli, adito a entrambe le possibilità. Che concetto ci farem noi dunque di cotesta amministrazione tolemaica che data tanto ambiguamente i suoi documenti pubblici? C'è anche di peggio. Possediamo, com’è noto, circa una quarantina di doppie date mensili, cioè di papiri, dove la data del giorno e mese macedonici viene fatta corrispondere alla data del giorno e del mese egiziani. Nei P. Hibeh Grenfell e Hunt. han raccolto in un comodo prospetto tali equazioni, e dopo d’al- LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 947 lora una nuova soltanto è stata pubblicata (1). Da tutti quei papiri risulta pertanto che i Tolemei, pur usando di regola il proprio calendario macedonico, non solo tolleravano il calendario tOv Alyvatior, ma ne permettevano, in certa guisa, pubblico riconoscimento. Se adunque (la conseguenza è stringente) esisteva anche per gli anni un computo t©v Aiîyvrtimv e se, esistendo, aveva valore, non dico ufficiale (come pretendono i critici), ma anche soltanto “ ufficioso ,, di necessità i papiri che recano la doppia data mensile dovrebber recare insieme una doppia data annuale. Non c’era nessun motivo di rispettare sì i mesi r@v Aiyvrtiov e no gli anni rOv Aiyvatiwr. Invece accade proprio questo: che in quei papiri la data mensile egiziana è posta senz'altro dopo la data macedonica; è quindi, al pari di questa, | compresa entro l’unica cifra che indica l’anno del re. Una sola eccezione abbiamo per l’anno 29 di Filadelfo (2); ma è davvero eccezione che conferma, perchè come in questo caso il papiro 4 sì è preso cura di indicare le due cifre annuali (che per l'appunto | coincidono), così l'avrebbe fatto tutte l’altre volte, se la seconda cifra, tOv Aîyvatior, avesse avuto un qualsiasi valore ufficiale. Si può pensare che l’anno macedonico e l’egiziano coincidessero sempre, e che perciò paresse superfluo riferire le due cifre. Allora | si deve credere che l’anno ©S @Î 2966000. appartenesse a un | terzo metodo di calcolo degli anni, diverso per 1 unità dagli altri due; ma il supporre questi tre metodi condurrebbe, come ognun vede, a ipotesi anche men verisimili e non semplifiche- rebbe in nulla il problema. Siechè, non troviamo traccia di anni “ finanziarii , dove ce ne aspetteremmo larga e compiuta menzione; non troviamo | traccia di anni r©v Aiyvrtiwr, dove è precisa menzione di mesi egiziani. Che dunque? Non meno singolare si presenta la qui- } stione guardata da un altro aspetto. Dove ricorrono quelle otto doppie date annuali? Lasciamo le due 7Ov Aiîyvrtiov e le due greco-demotiche che si addicono bene a documenti tolemaici di qualsiasi natura. Ma le quattro (1) Cfr. P. LilleI 1. Nel testo citato dal Praumanx “Klio, XIII (1913) 308 — la doppia data è resa inutile dall'essere incompleta. i: (2) Vedi sotto a p. 352 n. 1 e P. Hibeh p. 359. 4? 348 ALDO FERRABINO altre ©c ai 0600601 vorremmo leggere in testi finanziarii, non altrove. Illusione anche questa. Nessuno dei papiri dove appaiono è prettamente finanziario. Qualcuno può avere con la finanza attinenze più o men strette: contratti, ricevute. Gli altri sono petizioni al re, simili a quel gran numero di petizioni che pos- sediamo e dove di 7960060. non è parola. Uno infine è la de- nunzia per il furto d'un mantello; ossia prettamente giudiziario. Bisogna supporre che “ finanziario , significhi “ anno ammini- strativo ,? Allora quasi nessuno dei nostri papiri è datato se- condo l’anno “ regio ,, perchè amministrativi, in un senso 0 nell’altro, son quasi tutti; sicchè l’anno “regio, diventa un anno presso che mai adoperato, che sorprende di veder ram- mentato quelle poche quattro volte, all'improvviso e — si badi — per primo. Onde la supposizione si regge male. Così, mentre nè l’é70g ©s ai mo6codor nè l’étos tOV Ai- yvatiwv appaiono dove dovrebbero, il primo d’essi rinveniamo proprio la dove nessuno lo pretenderebbe. Constatazione gravis- sima; la quale rende inaccettabile che i due metodi di computo degli anni fossero entrambi ufficiali. I fatti che lumeggiammo esigono dunque perentoriamente che uno dei due metodi fosse non ufficiale (egizio) — e perciò sol poche volte usato, quasi di furto, e tosto chiarito 0 corretto con la cifra del computo ufficiale (tolemaico). Così ci spieghiamo perchè rarissimo il contrasto appaia ne’ documenti pervenutici; e così ci rendiamo conto delle frasi diverse con le quali la distinzione fra le due cifre è fatta. To»v Aiyvatimv è la frase con cui il regime tolemaico designa il calendario egizio in contrapposto al suo; ed è quindi anche la frase con cui con- trappone al computo governativo degli anni il computo non ufficiale. (Gl’indigeni invece, non appena adoperato il lor proprio computo, lo rettificano col computo ufficiale che denominano delle 19600do., perchè come tassatore il governo si rivela ad essi fin da principio e sempre in primo luogo. Al che offre riprova il fatto che nei due casi in cui il divario di 1 unità appare fra il testo demotico e il testo greco, la cifra demotica (non ufficiale) è inferiore di 1 unità alla greca (tolemaica), precisamente come nel divario espresso con la frase ©g @i 79600dor. Ma, posto che l’anno “ finanziario, e il “regio, fanno una sola cosa, ossia l’anno ufficiale; e bei è pe ù LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 349 che l’anno r6r Aiyvrtiov è l'anno non-ufficiale, resta da determinare la natura e la durata dell'uno e dell’altro. Che 70v Aiîyvrtimv sia l’anno del calendario egizio, viene sùbito in mente a ciascuno. E una prima conferma si trova nel- l’uso costante che, in tutti i casi di doppia data annuale, vien fatto del mese egizio, non mai del macedonico. Ma in qual punto del calendario egizio cominciava un tal anno? I decreti di Ca- nopo e di Rosetta dànno una risposta quasi sicura. Entrambi riconoscono esplicitamente che il 1° Thoth è il principio dell’anno; ed entrambi lo riconoscono quando tal principio, non coincidendo già col sorgere di Sirio, e quindi non avendo un significato astronomico, non poteva avere altro valore che civile. Al che non è difficile trovare conferme. Prima de’ Tolemei appar spo- radicamente (1), ma fu forse costante, l’uso di calcolare con anni egiziani interi le durate dei regni. Sotto Filometore, poi, cotesto uso ha preso la prevalenza anche sull'uso macedonico: difatti, mentre allora il governo datava tuttavia coi mesi macedonici, l’anno però ufficialmente cominciava col 1° Thoth, e terminava con l’ultimo dei cinque giorni epagomeni (2). Sicchè tutto in- duce a credere che l’antica tradizione anteriore ai Tolemei e prevalente di nuovo sotto il sesto Tolemeo, non si sia mai obli- terata, ma abbia invece costituito per l’appunto quell’anno non- ufficiale di cui constatammo la furtiva esistenza, sotto i primi Tolemei. Da ultimo, la cronologia dei sacerdoti egiziani, studiata dallo Strack (3), si basa sopra una cronologia dei re che è certo a sua volta fondata su anni egizii identici a quelli del Canone, giacchè con il Canone si accorda in tutto, e non si accorda con diverso computo. Non v’ha più dunque ragione di dubbio che l'anno non-ufficiale (rOv Aiyvatiov) è l’anno che comincia col 1° Thoth e termina col 5° epagomeno. Più aspro è sincerarsi dell’anno ufficiale. Possiamo cominciare col definirlo negativamente. Esso di . fatti non è, senza dubbio, identico all’anno egiziano: ciò risulta (1) Cfr. E. Meyer Geschichte des Altertums® I 2, $ 160. (2) Cfr. P. Par. 55 e 62; al quale ultimo reca una infelice correzione il GrewreLr Revenue Laws App. I p. 182. Cfr. anche P. Lond. I 18 e 35, ° V. sotto p. 12 n. 3. (3) Die Dynastie der Ptolemiier p.160 sgg. citi e P Sen Glen Sit ie, 350 ALDO FERRABINO come ovvia conseguenza di quanto abbiamo or ora assodato circa l'anno non-ufficiale; ed è inoltre comprovato dai papiri. Lo 3 Smyly (a. e.) dimostrò in maniera irrefutabile che il così detto “ anno finanziario , non poteva cominciare col 1° Thoth; e le sue conclusioni valgono naturalmente in ugual misura per l'“anno regio ,, dappoichè mostrammo che i due anni sono una medesima cosa. Ma nè pure l’anno ufficiale è l’anno macedonico iniziantesi col 1° Dios: ciò appare in maniera perentoria dai papiri. Un testo del regno di Filopatore (P. Lille I 4) passa dall Hyperberetaios all’Apellaios senza mutare il numero del- l’anno, 5; ossia non tiene nessun conto del 1° Dios. Altri due, del medesimo regno, datati col 3 Dios, aecennano (P. Lille II 26; 39) a mesi anteriori, senza perciò avvertire che l’anno sia non più il 4 ma il 3. E poichè questo accade dove il calendario macedonico serve di base, la conseguenza non può essere dubbia. Or se l’anno ufficiale non è quello del calendario egizio e nè meno quello del calendario macedonico, non può essere che quello compreso fra l’accessione al trono e i successivi anni- versarii. Per lo meno, parrebbe artificioso ricercare ipotesi di- verse, prima di aver tentato di assodare questa. A tale scopo è in Appendice un prospetto, costruito sulla maggior copia di ma- teriali che ci fu dato raccogliere. Avvertiamo soltanto che le equazioni in esso stabilite fra date egiziane e date macedoniche son quelle che risultano dalla tavola di Grenfell e Hunt in P. Hibeh pag. 336-7 e hanno quindi valore approssimativo (1). Dal prospetto risultano chiare alcune conseguenze di non piccolo rilievo. Risulta che si può determinare, per Filadelfo, Evergete e Filopatore, con l’approssimazione ora di un mese, ora di venti giorni, ora con precisione assoluta, il giorno in cui salirono al trono. Risulta anche che gli anniversarii di quel (1) Tranne i casi discussi nelle apposite note. Im mancanza di precisi riferimenti, il mese macedonico appare in corsivo. Perl’anno, in cui l’equa- zione fra i due calendarii è ignota, ci siamo attenuti all’equazione del- l'anno più vicino. Ove fu possibile precisare il giorno, il computo fu fatto nell’ipotesìi che i due calendarii seguissero corso normale, senza cioè nè soppressioni nè intercalazioni. E ciò perchè il ciclo delle intercalazioni non ci par ricostruito in maniera probabile da E. Cavarenac “ B. C. H. , XXXVIII (1914) 1 sgg. — V. Appendice, Tab. I. ©» LI - se LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI SODI giorno cominciavano gli anni ufficiali per tutta la durata del regno. Risulta infine che, com'era « priori prevedibile, tanto il giorno della salita al trono quanto gli anniversarii venivan cal- colati sopra il calendario macedonico, non già sopra l’egizio. Difatti, nel caso di Evergete l’anno comincerebbe, tenendo a base il calendario egizio, nel periodo 4 Mechir-Pharmouthi; in quel periodo non si trova affatto, per gli anni anteriori al 16° di regno, il 25 Dios, data dell’accessione al trono; per contro, : tenendo a base il calendario macedonico, l’anno comincerebbe _ nel periodo Hyperberetaios-Audnaios, che ben comprende il J 25 Dios; il decreto poi di Canopo (O0GIS. I 56) in cui questa _ ultima data si trova, dà la definitiva conferma (1). Concluderemo, : adunque, che i primi Tolemei dettero all'Egitto un anno civile che, sulla base del loro proprio calendario macedonico, era cal- i colato a partire dal giorno della salita al trono, e corrispondeva . quindi all’antichissimo uso de’ dinasti egiziani (2). ì Questo risultato è di importanza non piccola; ma resterebbe almeno parzialmente inutile, se non riuscissimo a scoprire il rapporto fra l’anno ufficiale e l’anno non-ufficiale. Anche qui i pochi testi dànno risposta chiara e concorde. Premettiamo che, data la nostra tesi, si prospettano due possibilità. Le quali in breve sono: nel computo non-ufficiale può segnare il principio al I anno di regno o il 1° Thoth che segue immediatamente la salita al trono; o il 1° Thoth che im- mediatamente precede. Nel primo caso, i giorni compresi fra l’an- niversario regio e il 1° Thoth successivo saranno contraddistinti, nel computo non-ufficiale, da una cifra annuale minore di 1 unità: i giorni invece compresi fra il 1° Thoth e l'anniversario regio saranno contraddistinti da una stessa cifra annuale così nell’un computo come nell’altro. Nel caso contrario, i giorni compresi fra la salita e il 1° Thot avran la stessa cifra annuale in tutt'e due i computi; i giorni invece compresi fra il 1° Thoth e l’an- niversario regio avran cifra superiore di 1 unità nel computo non-ufficiale. Che mostrano i testi? Già lo sappiamo: in essi la eli Ai CALO And Re ti n 7 oi AR AI E ) (1) Con ciò cade la teoria del Lesouier 0. c., la quale ha inoltre il mal fermo fondamento che l’egregio Autore ha riconosciuto (P. Lille II p. 44). ì: (2) E. Meyer Gesch. d. Altertums? I 2, $ 160. ditta È, SS - 10 | n° ae Sgt e 1 Slaigiio i Va 352 ALDO FERRABINO cifra non-ufficiale è o pari (due casi) o minore di 1 (sei casi) alla cifra ufficiale. Quindi la prima possibilità è la vera, non la seconda. Quindi, gli Egiziani (nel computo non-uf- ficiale) davano a ciascun 1° Thoth (e a tutto l’anno che con esso s’iniziava) la stessa cifra dell’anni- versario regio subito precedente. Ciò è chiaro di per sè. Ciascun 1° Thoth apparteneva a un certo anno ufficiale e ne portava la cifra: l'indipendenza del calcolo non-ufficiale consisteva semplicemente nel dare quella cifra, dopo che al 1° Thoth, a tutto l’anno egiziano, sino alla fine, anche al di là del nuovo anniversario regio. — Ma, uscendo dal ragionamento, dobbiamo adesso sperimentar nei particolari queste affermazioni. Perchè l’occhio abbia percezione immediata della cosa, riassumiamo in Appendice i dati dei testi (1). D’onde risulta: i tre casi in cui si ha coincidenza fra le cifre dei due computi, il mese si trova compreso fra il 1° Thoth e l'anniversario regio; i tre casi in cui si ha la differenza di 1 unità in meno nel computo non-ufficiale, il mese è compreso fra l'anniversario regio e il 1° Thoth. Così appunto voleva il ragionamento a cui più brillante conferma non potrebbe desi- derarsi. Procediamo di un passo, e coglieremo il frutto della nostra fatica. Abbiam veduto che i primi Tolemei si valsero ufficial- mente di un anno regio nel vero senso della parola, ossia com- putato a partire dalla salita al trono. Abbiam veduto che, durando tale uso, ebbe vigore un anno non-ufficiale, il quale era lo stesso anno regio, principiante col 1° Thoth. Ora, il Canone usa per i primi Tolemei, come per gli altri, l’anno egizio principiante col 1° Thoth. Riterremo che quest’uso sia determi- nato unicamente dall’uso degli ultimi Tolemei? Non riterremo invece che, per uniformare la datazione dei primi Tolemei a quella degli ultimi, l’autor del Canone approfittasse dell’anno non-ufficiale? Se quest’ultimo in ispecie aveva, com'è verosimile (1) Dobbiamo, naturalmente, omettere i due casi (PP. III p. 168-9; P. Tebt. inedito = P. Hibeh p. 359), in cui i testi danno bensì la doppia cifra annuale, ma non il mese. — V. Appendice, Tab. II. cu 7 WrcAdi e e a (0 I) Pi (Tea è dg AE da * - 9 Cn » ea P. LR 956 Der Sii pe SH Ne i: 0% “NÉ » ENI x, - LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 353 sè, e come risulta dalla cronologia dei sacerdoti (1), carat- re religioso sovra tutto, diventa anche più probabile che il Canone, emanazione della scienza religioso-astronomica d’Egitto, si rifacesse all'antico computo che i primi Tolemei non vollero ufficialmente riconoscere, che s'’infiltrò tuttavia qua e là (2) ne’ (1) Cfr. sopra p. 349 e n. 3. (2) Il computo non-ufficiale si è forse insinuato anche là dove non è constatabile a prima vista. Vogliamo additare alcuni casi sospetti. — P. Lille I 1: Filadelfo, anno 27 Phaophi: comprende nel medesimo anno (almeno non v'è accenno al mutarsi della cifra annuale) così l’inverno (recto 1. 14) come la messe (verso 1. 9). Ora (v. p. 363), l’anno ufficiale co- minciava circa in Peritios = Tybi; sicchè era impossibile che Phaophi e Pharmouthi (messe) si seguissero in quest'ordine nel medesimo anno uf- ficiale 27. Si seguono invece in quest'ordine nell’anno non-ufficiale 27. Quindi è probabile che quest’ultimo usurpi furtivamente il posto di quel primo. — P. Hibeh 72: Evergete, anno 6, Phamenoth: contiene menzione del 9 Athyr e del Choiak come anteriori al Phamenoth, senza avvertire che l’anno muti. Se ciò significa che l’anno è il medesimo, si tratta di com- puto non-ufficiale. Difatti l’anno ufficiale cominciava (v. p. 17) col 25 Dios = + Tybi; quindi in esso Phamenoth precede, non segue, il 9 Athyr. Lo segue invece nell'anno non-ufficiale. — -P. Gizeh = “ Archiv, II 80: Ever- gete, anno 20: par che faccia cominciare l’anno fra la messe (Pharmouthi circa) e il 9 Tybi. Esso, ufficialmente, cominciava (cfr. p. 363) il 25 Dios == +1 Phamenoth. Quindi o la messe fu nel Mechir, ed è possibile; o v'è equivoco con l’anno non-ufficiale che, iniziandosi col 1° Thoth, cominciava davvero tra Pharmouthi e Tybi. — P. Eleph. 28: Evergete, anno 25, Thoth 21: richiesta di 6w@wvov dard. "Apreuiciov (= Mesore/Thoth) £@g Haviuov (= Phaophi/Athyr). Nella richiesta son usati i mesi macedonici; il mese egiziano nella data. Ciò rende non improbabile che anche la cifra dell’anno sia non-ufficiale nella data, ufficiale nel contesto. Se così è, avremmo conferma ai nostri risultati: perchè il 21 Thoth apparterrebbe, «nel computo non-ufficiale, al medesimo anno 25 cui appartengono, nel computo ufficiale, i posteriori mesi di Daisios e Panemos; ossia il 1° Thoth sarebbe contrassegnato dalla medesima cifra annuale del 25 Dios (anni- versario regio) sùbito precedente. — PP. IMI p. 330: per l'a. cfr. p. 365: vi è la serie Choiak-Mesore (w#7ve5 0”) che non può appartenere nè all’anno ufficiale 25 di Evergete, il quale cominciava col 25 Dios = + Mechir; nè all'’1 di Filopatore, che cominciava col Pachon/Payni. Par chiaro che ap- partiene invece all'anno non-ufficiale decorrente fra un 1° Thoth e l’altro. __P. Hibeh 102: Filadelfo, a. 37. 38: un tale promette di pagare nel Daisios il darpoex6v dell'a. 38, e data 145 Iadvi F. Nell’a. ufficiale 37 il 6 Payni era = + 15 Daisios; nell’a. ufficiale 38, il Daisios era = + Payni. Quindi, se supponiamo che le due cifre annuali sì riferiscano entrambe al 354 _ ALDO FERRABINO documenti degli anni loro, che poi finì per prevalere del tutto (1), adattato forse in qualche altra maniera. Si aggiunga per ultimo 4 si ì computo ufficiale, dobbiamo intendere che il /argex6v venisse imposto un anno prima. Ma, notando l’uso del mese macedonico nel testo e del- l’egiziano nella data, è lecito supporre che l’anno 37 sia non-ufficiale e } quindi = anno 38. In tal caso la promessa è di pagare entro il mese, pena . una multa: il che è molto più verisimile. — P. Hibeh 33: Evergete (?), anno 2 (Phamenoth): &zoygapì Aeias eùs tò togiT[ov &]ros. L'anno 3 (uffi- ciale) cominciava (v. p. 363) il 25 Dios = + Atbyr/Choiak. Il Phamenoth î dell’a. (ufficiale) 2 è quindi lontano circa 9 mesi dal principio dell’a. 8. La distanza, dato il contesto del papiro, par troppa. Se anno 2 (non-ufficiale) e = anno 8 (ufficiale), le cose procedon meglio: l’az0y0agi cade nei primi mesi dell’a. 3, che è ancora a. 2, giusta la nostra teoria, essendo il Pha- } menoth compreso fra l'anniversario regio (Athyr-Choiak) e il 1° Thoth. ) Un caso singolarissimo è fatto conoscere da E. Cavarenac “ B. C. H. , 7 XXXVIII (1914) 19. In un papiro inedito la data anno 1 (Filopatore) 28 Gor- piaios = 12 Tybi risulterebbe posteriore alla data anno 2 (Filopatore) 4 Tybi. Si pensa sùbito a un doppio sistema di computo. — Se non che la spiegazione del Cavaignac non regge: egli che, con lo Smyly, fa principiar hi l’a. finanziario col Mechir, suppone che, oltre a questo a. e oltre all’a. egizio cominciante col Thoth, vigesse un terzo a. (regio) che comincerebbe col Dios: ipotesi troppo complicata; anche se non fosse certo (sopra p. 350) che l’a. ufficiale dei Macedoni in Egitto non s’iniziava col Dios. — Invece la teoria dello Smyly o. e. è dal papiro in questione urtata nel suo punto più debole (p. 116), perchè se ne accentua il dissidio che male lo Smyly riesce a superare. Inoltre, pur prescindendo dalle obiezioni svolte sopra (p. 346), è poco chiaro, posta quella teoria, che l’autore del contesto datasse, chi sa perchè, secondo un computo (regio ?), laddove il pubblico ufficiale postillò, chi sa perchè, secondo un computo diverso (finanziario ?). — Con la nostra teoria invece il papiro, di cui la lettura è definita certa, può chiarirsìi fa- cilmente come un errore. Chi scrisse la data anno 2, 4 Tybi sapeva che il computo egizio degli anni regi era spesso inferiore di 1 unità al computo ufficiale; siechè, disorientato anche dal trovarsi nel principio di un nuovo regno, e quindi di una diversa corrispondenza fra i due computi, accrebbe di 1 unità la cifra non-ufficiale; ma sbagliò perchè invece in quel mese k essa coincideva con la cifra ufficiale; indi la corretta postilla aggiunta dal- pò l’impiegato. I casi che abbiamo esaminati, in cui il computo non-ufficiale TSCAIA s'insinua subdolo e innominato nel testo dei papiri ufficiali; il caso del Di P. Lille II 35 (sotto p. 366) spiegano la psicologia dell’errore da noi sup- dr ò i posto. In ogni modo, molto potrà forse chiarire il papiro non appena edito peo integralmente. (1) Sul modo come il calendario egizio prevalse può gettar qualche luce lo studio dei documenti di Epifane. Ci riserviamo di farlo in apposito articolo. VS 3% li > LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 355 e l'apparire delle doppie cifre annuali costantemente sotto i e Tolemei, mostra come non da sporadici computi derivassero a da un regolare, anche se inufficiale, sistema di computo; to regolare da essere designato 7Ov Aiyvatiov per parte del governo, e da non aver bisogno di specificazione per parte degli indigeni. Ma se il Canone usa proprio il computo non-ufficiale, il Canone è, per i primi Tolemei, Filopatore incluso, Mibdasato, non predatato, come fino ad oggi fu opinione di tutti: è posdatato perchè il computo non-ufficiale dava, come vedemmo, a ciascun 1° Thoth la stessa cifra dell’anniversario regio sùbito precedente. Tal conclusione notevolissima conduce a correggere la cro- nologia degli avvenimenti connessi con il principio dei regni de’ Tolemei sino a Filopatore. Accingendoci a questa revisione cer- cheremo a un tempo conferma ai risultati fin qui raggiunti. HI. Della posdatazione del Canone, che accertammo per i primi Tolemei, le conseguenze cronologiche son le seguenti, quando si combinino con i dati raccolti in Appendice (tab. I): 1. Alessandro Magno fu in Egitto prima del 14 Novembre 332. — A ciò invero conduce di per sè l'esame dei testi. Alessandro prese Tiro sotto l’arconte ateniese Niketes, el mese di Ecatombeone (ARrIANO II 24, 6) ossia, come con- cordi traducono i moderni (1), circa nel Luglio 332. Sùbito ap- presso assediò Gaza e l’espugnava (Droporo XVII 48,7; GIusEPPE Arch. XI 325) dopo due mesi; dunque, al più tardi, nei primi di Ottobre. In sette giorni (ArrIANO III 1,1) pervenne a Pe- lusio, donde mosse verso Eliopoli e Menfi. Per questi avvenimenti (1) Niese Gesch. d. griech. u. mak. Staaten 1 81 e n.2; BeLoca Gr. Gesch. II 643. Il Droysen Mist. de l’Hellén. (trad. fr.) I 292 data col 20 Agosto; ma infirma egli stesso la sua cronologia, cui fa implicitamente giuste obie- ioni il Niese. Del resto, anche la data, molto bassa, del 20 Agosto non uasta i nostri risultati. Pere, fo art” de 356 ALDO FERRABINO è quindi già molto scendere ai primi di Novembre. Di un sin- golare indugio non v'è traccia nelle fonti, e si troverebbero difficilmente i motivi. Sicchè il Canone segnando col 1° Thoth 332 il principio del regno di Alessandro in Egitto posdata, come vuole la nostra teoria. Si osservi ancora. Arriano, quando pone nell’Ecatombeone la conquista di Tiro, traduce in mese attico una data che forse era macedonica; e il Niese (1. c.) pensa che la traduzione avve- nisse secondo la consuetudine per cui Ecatombeone = Loos. Ciò è assai probabile. In tal caso i due mesi dell’assedio di Gaza sarebbero, circa, il Gorpiaios e l’Hyperberetaios; e Alessandro sarebbe giunto in Menfi quando il Dios era cominciato. Quindi, predatando nel calendario macedonico la sua conquista del- l'Egitto, si doveva datarla dal 1° Dios (+ Ottobre) 332 (1). E per conseguenza il Canone, che la datò dal 1° Thoth (14 No- vembre) 332, fece corrispondere l’anno egiziano all'anno mace- donico in cui cominciava. Ossia, ci risulta che si condusse, ri- spetto agli anni macedonici di Alessandro Magno, con la stessa norma che tenne rispetto agli anni regii dei primi Tolemei. 2. In guisa analoga il Canone dovrebbe comportarsi anche per la morte di Alessandro. Così è. Essa avvenne nel giugno 323; onde, predatando secondo il calendario macedonico, i cronografi segnarono col 1° Dios 324 il principio del regno a’ vari suc- cessori: il che appare dalla lista cronologica dei re macedoni che il BeLocH (III 2, 80) ha ricondotto alla sua forma originaria. Orbene: nel Canone il 1° Dios 324, ossia l’anno macedonico com- preso fra l’Ottobre 324 e l’Ottobre 323 (cfr. BeLoca II 2, 22) è divenuto il 1° Thoth 324, ossia l’anno egizio compreso fra il 12 Novembre 324 e l’11 Novembre 323. In altri termini, anche per la morte di Alessandro Magno il Canone pos- data rispetto al calendario macedonico (ripetiamo), con la stessa regola onde posdata poi rispetto agli anni regii de’ primi Tolemei. (1) Abbiamo sopra (p. 350) mostrato che i Tolemei non principiarono gli anni dei loro regni col 1° Dios. Ma quest'uso non c’è ragione di negare per Alessandro Magno. Anzi, cfr. nel testo il $ 2. 007 SINIMBIRRRI ACI o AR) Lat fell de ET ® î n , Ka i] e) o “A wu LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 357 N * _ 8. La morte di Arrideo avvenne prima del No- vembre 317. — Ciò, non solo non ha nulla di assurdo, ma ‘corrisponde a quanto già il Beloch (HI 2, 63), pur ritenendo predatato il Canone, aveva dovuto concludere, per la forza delle testimonianze. Egli pose la morte di Arrideo nel Settembre- Ottobre 317: il che si accorda del resto con la cronologia dei re di Macedonia (III 2, 80). 4. Tolemeo Sotere assunse titolo regio prima del Novembre 305. — La data, sebbene con imbarazzo dei critici che credevano alla predatazione del Canone (1), risulta irrefutabile anche dai testi. I quali son tutti concordi (Droporo XX 53,3; PLurarco Demetrio 18; Appiano Siriaco 54; GiustINo XV 2, 10) nel riferire che Tolemeo si disse re dopo la scon- fitta toccata contro Antigono a Salamina di Cipro (autunno 306), quando re ebbero a proclamarsi Antigono stesso col figlio De- metrio, Cassandro, Lisimaco, e Seleuco. Lo Strack (0. e. 191 n. 7) per tener fede, non già al Canone, ma alla propria interpreta- zione di esso, respinse in blocco queste notizie e pose l’assun- zione del titolo regio sol dopo il Nov. 305. Ciò è assurdo perchè non esiste alcun motivo d’un tanto ritardo. Ottimamente invece il Beloch (III 1, 161) pensò che Tolemeo divenisse re non appena respinta dall'Egitto quell’invasione di Antigono che tenne tosto dietro alla battaglia di Salamina. Con questa ipotesi e si spiega che alla battaglia di Salamina le fonti collegassero la procla- mata regalità di Tolemeo, e insieme si colloca nel punto poli- — ticamente più opportuno la palese affermazione del “regno , di Egitto. Ma l'invasione di Antigono accadde, com’è certo (BeLocH o. c. III 2, 197; Niese I 322, n. 3), nell'inverno 306/5; sicchè il titolo regio fu assunto al più tardi nella primavera 305. Se il Canone predatasse porrebbe quindi nel 1° Thoth 306 il prin- cipio del “ regno , di Sotere; lo pone invece nel 1° Thoth 305: la prova è lampante che il Canone posdata. I papiri demotici che lo StRACK l. c. adduce per la sua tesi e che recano la data dell’anno 13 di Alessandro figlio, mese (1) Quest'imbarazzo si riflette nel Droysen H. d. H. Il 485 n. 1 e nel Boucnt-LecLerco Hist. des Lagides I 71. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 24 Da park... 4,0 4 35 Rot È siti» 358 ALDO FERRABINO Athyr, non significano nulla, adesso, nè in favore nè contro la posdatazione. Da essi, per noi, risulta appena che l’anno uffi- ciale di Alessandro figlio cominciava fra il 1° Thoth e l’Athyr e che Tolemeo ebbe titolo regio solo dopo l'Athyr (= Gen-. naio) 305; proprio come noi abbiamo asserito or ora. Porfirio (presso EuseBro I 161) conferma tutta questa cro- nologia. Dà a Tolemeo Sotere 17 anni di reggenza, 21 di regno. Movendo dal 323/2, che è l’anno della morte di Alessandro Magno, ed è il più basso termine possibile, si giunge con i 17 anni di reggenza al 307/6 e si pone il titolo regio nel 306/5. Il Marmo Pario (Jacopy das Marmor Paurium p. 24), che porta invece la data del 305/4, ci da semplicemente il I anno di “ regno , secondo il metodo della posdatazione. Concludendo, non è possibile dubitare che il Canone pos- data, come per Alessandro Magno e peri primi due successori, così anche per Tolemeo Sotere. 5. Per Tolemeo Filadelfo manca ogni dato quanto al prin- cipio del regno, che dovrebbe cadere, secondo la nostra teoria, prima del Nov. 285. Solo la notizia già citata di Porfirio può condurre al 286/5 (1). 6. Tolemeo III Evergete salì al trono il 25 Dios (Gennaio/Febbraio) 247. — E non, come ritenne il Beloch, il 246. Questa differenza di un anno non è trascurabile; anzi, essa giunge in buon punto a recare spazio nella cronologia di avvenimenti che gli studiosi hanno estremamente compressi, Com'è noto, Evergete dovette, non appena celebrate le sue nozze (Callimaco presso Catullo 66, 11 sgg.) e quindi poco dopo esser salito al trono, muovere in spedizione contro Seleuco per ven- dicare la morte della sorella Berenice: è quello che si chiama il Zeodizetos r6Zeuos o “ terza guerra siriaca ,, con cui sì con- nette la “ guerra fraterna , tra Antioco Ierace e Seleuco Cal- (1) Il Nrese o. c. I 389 sceglie la fine del 285, e avremmo posdatazione. Il BeLoc® III 1, 227 si esprime con prudenza. Il Droysen 0. c. II 602 fa co- minciare con l’anno 285 il regno di Filadelfo. Così il Bovcaé-LecLerce H. d. Lag. I 94. Cfr. “ Rev. Philol., XXXII (1908) 131. E Re art I E 7 A LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 359 linico. Come pure è noto, di tali due guerre le date e il nesso sono assai mal sicuri, e v'è dibattito fra i critici. Due tesi si com- battono, di cui l'una possiamo dire rappresentata dal Beloch (1) e l’altra dal De Sanctis (2). Fra queste due tesi, non qui dob- biamo scegliere. Rileviamo invece come e l’una e l’altra sieno favorite dalla nostra nuova data. Tanto il Beloch quanto il De Sanctis pongono nel 244 la riconquista per parte di Seleuco delle province a mezzodì del Tauro. Tutt'e due non nascondono che però fra il Febbraio 246 e il 244 è poco lo spazio per la marcia vittoriosa dell’Evergete (la cui rapidità, lodata da Catullo 66, 35, non si deve esagerare), il suo ritorno in Egitto, il naufragio della flotta seleucica, il riconquisto a mezzodì del Tauro. E lo spazio si fa anche più stretto pel De Sanctis che deve trovarne un po’ anche alla in- surrezione di Antioco Ierace. In ispecie poi comprime sin quasi all'impossibilità i fatti la ipotesi del De Sanctis, per ogni altro rispetto convincentissima (3), che la spedizione terrestre, con- dotta dall’Evergete a vendetta di Berenice morta (GrustINno XXVII 1), fosse preceduta da una serie di operazioni navali condotte dagli ammiragli egiziani mentre Berenice era ancor viva (papiro di Gurob). C'è di peggio. Alla guerra laodicea vien riferito un pa- piro (4) datato con l’anno 2, Peritios 24. Il riferimento è sod- disfacente. Ma se lo si accetta, come fa il Beloch, bisogna dedurne che la guerra laodicea durava nel II anno del regno di Evergete. Difatti il papiro parla di prigionieri èrroZe4etuuévor, (1) Gr. G. III 2, 450 sgg. Tralasciamo di ricordare la bibliografia ante- riore al Beloch. Ricordo speciale merita il CarpinaLi “ Riv. di Filologia classica , XXXI (1903) 431 sgg. e “ Riv. di Storia antica, X (1906) 501. i (2) “Atti di Torino , XLVII (1911-12) 801-8, 967-68. Qui è anche la bibliografia posteriore al Beloch. Cfr. in modo speciale G. Corrapr “ Atti di Torino, XL (1904-5) 805 sgg. Va solo aggiunto che la tesi del De Sanctis si ebbe, quantunque non senza riserve, le lodi del Bovcné-LecLerce Hist. des Séleucides Il 558. (3) Non mi accordo invece col Wiramowrrz Hermes, XLIX (1914) 447. (4) PP. II 29e. Eccone il testo: ..... ] rov aizualotov tovs viroZeheru- pelevovs || .....] dearnger emiuelows nai eriuedov avi[@v || ..... ]}r_ zar avrot mugaywvnode ovvarornara[..... | n ri]js avrmvr diadoai || e00moo LB rregi- tuov vò. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 24* Py 201 co sv da À là. A. è wr ld i a © RS SI v LL gut 4 PA to; : e "a Li . a e o ana SIERO i 360 ALDO FERRABINO l ossia, evidentemente, lasciati addietro da un esercito in avan- È c zata. L'ordine poi contenuto in rragayiveode ci aiuta a integrare la parziale lacuna del verbo successivo; ovveziozatiornii invero ricorre con zagayiyvouar nei documenti di malleveria con i quali 4 qualcuno si obbliga a 4 presentarsi , in dato luogo e tempo per “ riconsegnare , la cosa o la persona mallevata (1). Par dunque da concludere che il papiro in questione consegnava, sotto responsabilità di chi lo riceveva, un certo numero di prigionieri, con l'obbligo di averne cura, di custodirli e di renderli più tardi, mentre l’esercito proseguiva la marcia. Tutto ciò ci riconduce in piena spedizione, nel 3° mese del II anno ufficiale di regno, che è l’Aprile/Maggio 245 per la teoria della predatazione. Ma, prolungata così nel II l’impresa che si suol contenere nel! anno di Evergete, diventa anche più arduo continuar a porre nel 244 la rivincita di Seleuco. È, Ricordiamo invece che l’anno ufficiale II di Evergete è per noi il 246. Si guadagna in tal modo un intero anno, sicchè al A fatti riesce sufficiente lo spazio in quest'ordine: nel 247, dopo l'assunzione al trono (Gennaio/Febbraio) e dopo le nozze, Ever- gete comincia la guerra, che dura sin verso la metà del se- guente anno 246. Di qui al 244 resta agio per il riprendersi di Seleuco, se il naufragio occorsogli datiamo p. e. sul finire del 246, e le vicende terrestri supponiamo distribuite fra il 245 e il 244. Ancora una volta la datazione risultante dalla nostra teoria, nonchè impacciare, risolve difficoltà non lievi. da 7.La morte di Tolemeo III Evergete è poste- riore al Phamenoth (Aprile) 222 e anteriore al Payni (Luglio) 222 (cfr. tabella a pag. 363). Tal cronologia concorda con un passo di Polibio (V 42, 4) di non dubbia interpretazione. Nel consesso tenuto da Antioco il Grande l’Ottobre 222 (2) si accusa di dedvuie il re d'Egitto allora regnante: égedvuia è parola con cui Polibio designa (1) Cfr. P. Hibeh 62. 69. 93; P. Par. 7,10; P. Oxyrh. 259. 785. E Mrrrers- Wircgen Grundz. u. Chrest. III 1, 266. (2) La data par da ritenersi certa, cfr. BeLoc® G. G. III 2, 145 sgg. vit: V. sotto p. 361 n. 8. î LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI Filopatore sempre, e quasi lo contraddistingue (1). Di qui per- tanto si deduce che nell'autunno 222 Evergete era già morto; e morto da qualche mese: proprio come risulta dal Canone in- terpretato secondo la nostra teoria. Altro vantaggio. Evergete sopravvisse almeno di qualche mese alla battaglia di Sellasia; la quale a sua volta fu di pochi giorni anteriore alle Nemee (Luglio/Agosto). Quindi essa dovette accadere nel 223, a meno di supporre, contro verisimiglianza, che le Nemee fossero state alquanto anticipate. Ma la data del 223 si accorda con il ciclo normale delle Nemee, per cui queste feste cadono sempre (non si conosce eccezione) negli anni dispari a. 0. Per ben valutare l’importanza dei due vantaggi conseguiti, si rammenti che intorno alla cronologia di Sellasia dura un vivace dibattito. Il Niese (2) preferì datare la battaglia col 222, violando il ciclo delle Nemee; il Beloch (G. G. III 2, 169) si oppose recisamente, scelse il 221 e dovette, contro l’evidenza di Polibio, ritenere che la dadvuia designasse non Filopatore ma Evergete. Entrambi quindi urtarono contro l’uno dei due scogli che per noi non esistono. I critici si son schierati dall’una parte o dall'altra. Recentemente il Niccolini (3) ha tentato un'ipotesi conciliativa; ma dovette per ciò restringere gli avve- nimenti in troppo stretto tempo e supporre marce estremamente forzate di cui la critica anticipata è già nel Beloch /. e.; sicchè anche la ipotesi conciliativa riesce difficilissima da accettarsi (4). Dovremmo concludere che anche per Tolemeo IV Filopatore a nostra teoria supera la prova. Se non che la datazione della battaglia di Sellasia si connette con tutta una serie di riferi- menti cronologici che debbono contemporaneamente esser vagliati: ricerca che trova il suo luogo in uno studio, di pubblicazione (1) Cfr. HorLeaux La premidre erpédition d’ Antiochos-le-Grand en Noilé- Syrie in “ Mélanges Nicole , p. 273 sgg. (2) “ Hist. Zeitschrift , XLV (1881) 489; “ Hermes, XXXV (1900) 53. (3) La Confederazione achea (Pisa 1914) p. 280. Analoga è la tesì di (E. Cavaronac “ B. C. H., XXVIII (1914) 20. (4 Del tutto infelice pare l’ipotesi di W. Berrincen Kònig Antigonos Doson (Weida 1912, diss.) 49. 3602 ALDO FERRABINO imminente, su La guerra Cleomenica. Circa questo punto pertanto 3 fg invitiamo i lettori a sospendere il giudizio, pur confidando di convincerli presto ed efficacemente. EVS, Non possiamo più esitare a riassumere in poche parole i risultati raggiunti. Abbiamo conseguito la certezza che l’anno regio dei Tolemei non era, come fu per Alessandro Magno, il macedonico, che si ) inizia col 1° Dios; che esso era probabilmente un anno compu- } tato bensì sul calendario macedonico ma compreso fra la salita | al trono e i successivi anniversarii. Dunque: una certezza nega- Ù tiva, e una probabilità positiva. Altra probabilità, la quale raggiunge però un grado assai ) alto, è ormai per noi che (fino almeno ad Epifane) il Canone, servendosi dell’anno non-regio ma egiziano, posdata, non pre- data, come ritenevasi sin oggi: e posdata sia rispetto all’anno macedonico di Alessandro Magno, sia rispetto all'anno ufficiale dei Tolemei. Certezza è ad ogni modo che nell’interpretare il Canone non siamo più così strettamente legati a un metodo prefisso, da dovere, per ossequio ad esso, deformare la più ovvia cronologia di importanti avvenimenti. Effetto delle conseguenze or ora riassunte è questa lista cronologica: Orrogre (fine) 332: Alessandro Magno in Egitto. SerremBre/Orrogre 317: Filippo Arrideo muore. FEBBRAIO 305: Tolemeo I Sotere re in Egitto. Gennaro/Feggraro 247: Tolemeo III Evergete sale al trono. Principio del Aaodizeros a6Aeuos. Esrare 246: Fine = £ i GIUGNO 222: Morte di Tolemeo III Evergete, onde si deduce, per ora solo a guisa di proposta : : Battaglia di Sellasia]. (dle) [Luglio/Agosto 22 i Hai n:$ (8I) somniod 6 19 | soIste( 28 — SOTBUPnY 8I | 144IV 68-1u£\g II all (al) | SOFBUPNY gI I! By SOIRLIA ] 6 - SOUTQUR ] | ufegq I - 1Q4doeqq | n —_-[ ——_ E = —— - (11) | i somupny - sorezo10quod AK IQMOIC]] - 1q£], = . (01) SOMUPNP = 80107] tqmowreqq - 1Aqry È Ei (6) | sompasaqo dig 0E — S0mpsIquIdiT 6 | iqfiI 372 - UPON F Q | 5 (8) | soIq 9% I! s0438fq - 301810 | 1u£vg - 1900] —_S- B)=1 sOmMUPpny — s01014102) | IgnowrIrYq — XeIOYI ] pi * Ei (9) SOISIM ZI — S02072.62Q42dh7] rufeg/uoyoeg — yeIoYg TI RI È (6) SOIT 68 # # ih P 3. SOnua] 22 - SOIMUpny $7 | MIPON G- 1951, SE Z (€) sopitod LZ 19 | SOMIUDT — S01079.1IQAIAÎT] 1ufeq — YPUT 0I 5 (2) soreupny pe I! © si S09NIPUDN — SOMUpnjr qqouomueyq — RIO) 7 SH s (1) s047Sf(] - 80101d405 IPO — 21089 N 3 ssrabbi :RIOUIUTOI AqNIUOPpaaguI Ae sul QUEIzISA 29 ON afttuzo Guate pr fra CE pe Sara so, (0geqnstH) P] ! Oprioggn ouut, | tIOULMIOI INI 01jUAO Oporto] T_T nn ___T—___—nanmo_——__rFrOTV|um|=(e(&{[£=-— — —<« Q1038do|1,] AT99W9/0,k 19 —— > .@-— QJODIOANH II] 990U19|O J, 98-98 16 ONAPEILI 97 TI 09tA]o J, (a 0uSAI Ip QI [Pp_aQuoN ‘80IDU90dd << LI X. | 4 di cu x vi RE 7 2) f DL. ì * 14 di air il hi ni » €, ALDO FERRABINO 0.0 “o PIRRO, AE a’ (1) Circa il principio del regno del Filadelfo non può disgraziatamente desumersi nulla dai P. Eleph. 3-4 (cfr. il comento del Rusensonn), perchè 3 ignoriamo del tutto la corrispondenza fra il mese egizio (Tybi) e il mace- donico. Per l’anno 25, cfr. P. Hibeh 85: è datato con l’anno 24, mese di Mesore; concede una certa quantità di semi e/s zò xel. Ora la semina av- veniva (secondo gli anni e i luoghi) fra il Phaophi e il Choiak e la raccolta fra il Phamenoth e il Pachon. È incerto se la frase eÎs rò zel si riferisca alla prima o alla seconda. Conviene scegliere un termine medio: Tybi/Me- chir. Cfr. anche P. Hibeh 42, dove Athyr succede a Phaophi nel medesimo anno 24. (2) P. Lille I 5; datato, anno 26, 1° Choiak: ordina di distribuire le semenze rod éx toò xTL vai toùò xeL. Pare certo che alluda alle semenze della penultima e ultima raccolta. Questa essendo al più tardi nel Payni; l’anno non può cominciare fra Payni e 1° Choiak; ma al contrario fra il 1° Choiak e il Phamenoth/Pachon. 4 (3) PP. II 4 (9): comprende nel medesimo anno (30) la serie Epiphi —-9.Thoth: cfr. PP. III p.-103. (4) PP. III p. 264 sgg. (cfr. Swrry “ Hermathena , XIV (1907) p. 106 sgg.). È un elenco di tasse riscosse, divise per anni (36. 37. 38) e per mesi. L'ultima data dell’anno 36 è il 25 Tybi (= 14 Audnaios). La prima data dell’anno 38 è il 5 Mechir. Manca per quest’ultimo anno la corrispondenza fra i due calendarii; noi abbiamo fatto il computo mo- vendo dalla corrispondenza dell’anno 36 (5 Mechir = 5 Peritios) e suppo- nendo che fra l’anno 36 e il 38 il calendario macedonico non abbia su- bìto intercalazioni nè soppressioni, o ne abbia subìte di minime. L'ipotesi | è consona all'andamento generale dei due calendarii in quegli anni. Alla medesima conclusione conducono i testi, tuttora inediti, di cui dà un cenno E. CavarGnacin “ B. C. H., XXXVIII (1914) 16 : da essi appare che l’anno 36 di Filadelfo doveva cominciare fra il Choiak e, al più tardi, il Pachon. Col risultato complessivo da noi raggiunto circa il principio dell’anno ufficiale del Filadelfo si accorda P. Hibeh 116, donde l’anno par comin- ciare col Mechir che, se si accetta la data annuale attribuita al papiro dagli editori, corrispondeva al Peritios. Malsicuro e, ad ogni modo, vago è PP. III p. 123.4. (5) OGIS. I 56 (p. 97). Con la maggior parte de’ critici diamo alla frase ragéhlafev t)v facrAesiav ragà toù matgés il significato dell’accessione al trono, non della correggenza. (6) PP. 1I 12 (1) contiene la menzione di Artemisio e poi del 10 Choiak. Artemisio = + Pachon/Payni. Quindi l’inizio dell’anno ufficiale dovè cadere tra l'11 Choiak e il Pachon/Payni. Ignoriamo a che corrispondesse allora il Choiak; forse = Gorpiaios/Dios. Nella tabella abbiamo messo ipoteti- camente il mese intermedio. (7) PP. III p. 205: terra seminata sino al 30 Athyr anno 12, per l’anno 13. Dunque l’anno 13 comincia dopo il 30 Athyr e prima del Phar- mouthi ch'è in media il mese della raccolta. : (8) PP. I 16 (2) cfr. III p. 14: contiene (anno 17) la serie Payni. Epiphi-Mesore. EE ani 1 O gi «gg * RETTA ST SA ae i Ù a al > e Mi aL A ER. ta | a TA wi si LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI 365 (9) PP. IT 25 (b): contiene (anno 21) la serie 24 Tybi-3 Mechir. (10) P. Lille IL 1: semina nell’anno 23, raccolta nel 24. Scegliendo, per la semina e la raccolta, i mesi medii, si ha che l’anno cominciava in Athyr-Pharmouthi. Cfr. n. successiva. (11) P. Lille II 1 già citato (cfr. 3): semina nel 24, raccolta nel 25; ma la data è 13 Choiak anno 25; quindi il periodo Athyr-Pharmouthi (v. n. precedente) si restringe in Tybi-Pharmouthi. Con questo risultato concorda P. Lille II 17, dove appare che E[piphi] precede Choiak, e quindi l’anno deve cominciare nel periodo Tybi-Epiphi. Concorda pure P. Eleph. 10-11 (cfr. 17), dove appare che Payni precede Epiphi. Concorda infine P. Hibeh 90, contratto, scritto nell’anno 25, dove si pone il prin- cipio dell’anno 27 (che poi non fu, per la morte di Evergete) fra la semina e il raccolto (Athyr-Pharmouthi). Additiamo a parte altri indizi: P. Hibeh 114: anno 3, forse di Ever- gete : contiene la serie Mechir-Phaophi : ciò fa supporre il principio del- l’anno in Athyr-Mechir; il 25 Dios cadeva allora in + Athyr-Tybi (tabella di Grentell e Hunt). — Per l’anno 7 è poco significativo PP. II 9 (2) cfr. II! p. 129 dov'è Payni dopo Pachon. — P. Hibeh S1: anno 9; contiene la serie 29 Phaophi-18 Choiak; essendo il 25 Dios = 6 Tybi. — P. Ham- burg 24: anno 24; un cleruco promette nell’anno 24 Dios una restituzione per l’anno 25; efr. il comento di P. Meyer. — Incerto è P. Hibeh 34 efr. 73. — E si riferiscono ad anni incerti i seguenti papiri con la serie di mesi successivi per ciascuno indicata: PP. III p. 59 (Pachon-Payni); p. 80 (Epiphi-Mesore); p. 82 (Payni-Mesore); p. 83 (Pachon-Payni); p. 89-91 (Pharmouthi-Mesore); p. 92 (13 Tybi-25 Payni); p. 94 (12 Tybi-Mesore); p. 291 (18 Mesore - 30 Thoth). (12) PP. III p. 830; contiene la serie Payni-Thoth (4 mesi), anno 1. Quindi l’anno 2 può cominciare al più presto il 1° Phaophi, al più tardi il 1° Payni. — L’anno 1 poi dovè cominciare dopo la fine del 25 di Ever- gete, ossia dopo il 25 Dios = 21/22 Phamenoth, e prima del 1° Payni. Re- stano dunque al massimo due mesi e dieci giorni per quel non completo anno 26 di Evergete, che ci è testimoniato da P. Lille II 23. — Con tali risultati si accorda bene P. Lille II 42: contiene (anno 1) la serie Athyr- 12 Tybi. (13) P. Lille II 29: datato 29 Athyr, anno 4; parla del 10 Payni suc- cessivo senza avvertire che l’anno sia diverso; sicchè si può accettare la serie 29 Athyr-10 Payni; e porre l’inizio dell’anno fra V'11 Payni e il 29 Athyr. — Questo periodo è allargato, per lo spostamento del primo termine, da P. Lille II 13, che contiene la serie 29 Athyr-Choiak. È an- cora allargato, per lo spostarsi di entrambi i termini, da P. Lille II 12 (serie Choiak-27 Phamenoth), 26 (Mechir-27 Phamenoth), 39 (18 Tybi- 27 Pham.), 1 4 (anno 5, Tybi-Pachon). Il PP. III p. 151 (Choiak- Tybi) si riferisce ad un anno 18 di non si sa qual Tolemeo. Potrebb'essere Filopatore. .- I risultati ottenuti per la fine del regno di Evergete e il principio del regno di Filopatore sono illustrati da PP. III p. 280, dove appaiono elenchi di tasse divise per anni, ma in modo che si passa dall'anno 26 J Ue (e x AL À bi] o h ALDO FERRABINO A SR K TÀ all'anno 2, mentre in PP. TII p. 804 si trova l'anno 26-1 come un sol tutto. La spiegazione è chiara. L’anno 26 di Evergete (rimasto incompiuto) co- minciava col 25 Dios = + 22 Phamenoth; l’1 di Filopatore, con l’Audnaios/Pe-. ritios = Pachon/Payni (cfr. pag. 365). L'intervallo (o durata dell’anno 26) era di circa 2 mesi. Ora è evidente che, dividendo per anni le tasse, i 2 mesi dell’anno 26 non si potevano considerare anno intero, ma conglo- bare con l’1 del re successivo. D'altra parte le tasse s’'imponevano, — è verisimile, — al principio di ciascun anno ufficiale, sicchè all’anno misto 26-1 doveva rimanere il numero della prima sua parte, 26, l’1 riuscendo omesso. Il sistema era di necessità poco felice; il che spiega il bisogno di usare talvolta la formula più compiuta, 26-1. Purtroppo cotali testimonianze, non perentorie, si accordano anche p. e. con la teoria dello SmyrLy 0. e. Tuttavia giova che s'inquadrino bene nella nostra tesi, la cui fondatezza. risulta da ben altre prove. TABELLA II. (Cfr. sopra, pag. 852). I | 2)$ Principio dell’anno ufficiale | Casi Casi S|8 (anniversario regio) i di coincidenza | di differenza u=) p° , corta G) | © | , | . . È | £ \nel calendario ì .. | fra il computo ufficiale PRA ; nel calendario egizio ; È < | macedonico e il non-ufficiale 27 Î \ Choiak - Tybi Phaophi (1) —_ | 24 Audnaios 29) | Choiak - Tybi ty bi (2) — 27 Peritios | | | 35 4 Mechir - 6 Phamenoth se Epiphi (3) Tolemeo Il Filadelfo | DI Dane Vaie Et | olemeo III pratgeto 25 Dios circa Tybi - Phamenoth (4 | I dii ud ii zii gii, BELL pl 290 ) 18 Audnaios \ 18 Payni - 8 Epiphi Phamenoth (5) — 13 | 9 Peritios | Phaophi- Choîak (29) si | Tybi (6) | | | (1) P. Lille 1 1; cfr. Wircken “ Archiv, V 219-20. (2) PP. Leyden I 379; cfr. P. Hibeh p. 841. (3) P. Hibeh S0. A (4) PP. III p. 8; cfr. III p. 168-9, dove manca il mese. (5) P. Lille II 35: e(#ros) ©s ai modoodor Dauevo[d]. Lo Swrrr “ Her- mathena , XIV (1907) 116 ritiene che quella data presupponga una cifra. Tolemeo IV Mater LICEI ma * d)}ME DI © LA CRONOLOGIA DEI PRIMI TOLEMEI versa per l’altro anno, quello che non è “finanziario ,. Egli ha ragione, erchè pensa che entrambi gli anni sieno ufficiali. Ma se, come sostenemmo noi sopra (p. 348), solo l’anno ©g «É g600d0: stesso è ufficiale, diventa più probabile che la data su riferita indichi una stessa cifra per i due anni: “i sembra che chi scrisse volesse avvertire esser la cifra 5 corretta anche nel computo ufficiale. — Comunque, ognuno vorrà concedere che le interpre- tazioni son per noi possibili entrambe; nel qual caso, deve il calcolo de- cidere qual sia preferibile. (6) Grieerra “ Proc. Soc. Bibl. Arch. , 1901 pp. 294-302, contratto che în demotico reca la data “ anno 12, Tybi 4,, in greco “ anno 13, Tybi 4,. Per l’anno 13 di Filopatore manca purtroppo la corrispondenza dei due calendarii. L'ultimo dato sicuro sì riferisce all’anno 5; poi sino al 4 di Epifane non abbiamo nulla di certo. E son anni di disordine nel corso del doppio calendario, come osservan Grenfell e Hunt. Quindi lasciamo ogni ipotesi, anche solo approssimativa. Notiamo però che, per accordarsi con gli altri casi, il nostro testo, se non contiene errore, presuppone l’equa- zione Audnaios/Peritios = Phaophi/Choiak; ossia Dios = Mesore/Phaophi. Ora nel 5 di Filopatore abbiamo Dios= Pharmouthi/Pachon; nel4 di Epi- fane Dios = Pachon/Payni; nel 9 di Epifane Dios = Thoth. Ci sembra che, dunque, l'equazione presupposta dal papiro su citato non strida a confronto con l’equazioni cronologicamente più vicine. L’ Accademico Segretario ETTORE STAMPINI Ru id cioe diri anali + liotisat) navisazo sarto feel TRLOPS St eb Labini A ner i A 2079 Si AE PED ip ils iano Ada alsiftted azsiifliatanta tini Fonni 0 AIAZA vaqiintiv ste piaga IUAlLAaT'nItIoti? Li esatte rotreas di seriin NI predire rito meditato. dito filo: Ginborann fotorotu ARIL ve prata a ata ib otnat RI larva sarta Tai belt otigreatti 100 npanon gialli 4 Î ius rivisitati dope af'evdi itato) B039829 mu Tot | il Uta Trai * TT CUTI CRIARI MT Le rirda A iuorrg nitvy d RIV. omnia PRI 1 asettoniiba etto rub acfstipogstoade #1 tai Gt Ste hoabns 1 ro ta4oht 4 zi ef vana ibeb imtontivio i amor'ilaà astri dle ot0ià cori are Siate futi'assan Paramifhasiti ib'igipe cos Mt.stron Fendi ,Gttaboalto 07 109 Iutnbroszt 16g ad Sip ao Vi avifuinize ci qgie ofos Adatta de ino'ipacoggatota. «vinse pgaltira. ittico» pie. dibatte eri aii rat aitora 4 br dit NA ss aosdinthiise ig ib aloe sodontidtonaradi = aagti oartida yrotago Mit 0 Lon I i hi REVICF ORA T CORTI LIV. GR II STI Nital: * san Th @ fnit'iiu 4 doueki sha vl ; ad die A Yi ih VATIIOA Ù MO! ud a sii roll Ater ‘ Athrao Sal TTIALC CI FILE Me, Sa6 np Gitai, Ti] Ata rana ROTA nti inolamnipai t. ie va dai l'‘pon AT Ears n CA CAUSA V €‘ 1954 *#\ i fagtricive) asorei ja d'igfni 9 pijalo l'Abate) tito Vie! Luna 1° 1) 4 gn n tO BETTE pia Wola Agdjt VOI LA A - Aopdoi Ri aL en ieRoa ) DA sd toni ni. Ual, ‘ STIRO DI >) È MP DAI sc 106 di i di Ù ea Poet “RA inte i Bi; fiera. wr tetro I. riSanrontio essendo F* la distanza del 2° fuoco dalla lente N. Il 2° fuoco dunque si trova tra £, e /,#. Indichiamo distanza di esso da Y,# con >; sarà asa a Die i Volendo che nel punto F*# si formi l’immagine di un punto situato alla distanza D dalla lente M, dovrà essere / A+x= n ai E Ca > - è è Sac peer # e, È È nah 7 i ,° va n A O * 509955 ®» Ù CA. pi e nta, Mi de KP A INT # î dl de ITAL VOZIAINATAN Pu: 4% 5 ai À dere vw i) or 7 be sel 1 DA canne OCCHI: AL PANFOCALE DI PORRO, "AO" TA { 9, Pol è di FWLSI x i) & 0 Mica; ARRE 1=> Lg, si otterrà l’equazione L'AD- Pi) — Dqi Sor ui Pa (A- Pa) (D_-P)- DI i i lalla quale si ricaverà A per ogni valore particolare di D. Dalla (2) si ottiene l'equazione di 2° grado La 3) A°(D—@) —A[Do,+1(D— 9)]+Do,((— 9) + +(D— 9) po, = 0 o anche dI SISZIRTA n id li sd: Al+ i+ (9) +19 =0. Per D=0osi ha (4) A°_A(4+9,)+9,((— 9) +9, =0 alla quale si deduce Eni 1 4: “ri 3 (0 D+ E. La radice positiva dev'essere esclusa perchè dà un valore di A maggiore di @,; sarà dunque s° P i 49. 5) == CARS ENEA TAI Pps) l valore di A quando si guarda un oggetto all’ co. La (3) per D="9;, dà 6) A=1— p.. E quindi dovrà essere @y < L. _ Quando D=0 la (3) diventa 2_-A+19,=0, ; a br ì "RS JADAN ZA ‘ ei ; i U SOM: È sicchè dovrà essere gg < 7 perchè si possano guardare oggetti alla distanza zero. l Ponendo ®, = n si avrà per D=0 (7) ed in questo caso si avrà dalla (6), indicando con Ag, il valore di A quando D= Qg;, 3 1 e dalla (5), indicando con A» il valore ai A quando D= 00, Essendo 1 = £ LE sarà 4n 2n (8) re Ap= "Do; As=2n-1—-/n]. Il cannocchiale dunque si farà colla seconda lente mobile rispetto alla prima, ed il percorso della lente mobile sarà ni Li Bir II Ao -Ao=3s (n Va). Calcolando i valori di g in corrispondenza ai valori diversi di A si otterrà fa e Mir A — LO (9) Po = 3n+1 Pi; Ppi = 2(n+1) Pi; Po = n+1+2Vn © M si ù Ud St no n US n E Bo PA NFOCALE DI rorno, Boe. Esempio numerico. Pi pi 200nm, == 19)mm Po — "RS As = Open Ag=1421/,5 A se 64 Î | corrispondenza sarà Po = 62mm 3 Pop, 90 ,9 Po —126:,9 HI: La teoria del cannocchiale panfocale si può fare geometri- amente nel seguente modo: E data una lente M (fig. 2) di distanza focale ©; (obbiettivo di un cannocchiale), si vuole ad essa associare un’altra lente N nobile rispetto ad M e tale che il sistema (MN) dia l'immagine eale di un oggetto situato a qualunque distanza dalla lente M i Da ve Le E: \ "Ne iii UE duc n TORE i | 382 | NICODEMO SADANZA Ù toi di giu A giacente sempre nel punto 0 ad una distanza da E eguale ad ca \ "a LAVO P, cgaLe DI PORRO, Et ved LU Micro pas ost N. sarà ilo o . La costruzione geometrica della posizione , della lente N ©0 rrispondente all'oggetto infinitamente lontano sarà la seguente. Sul segmento £, F,# (fig. 3) come diametro si descriva una mezza circonferenza e dal punto 0,77 K estremo del segmento #,10=! si innalzi la perpendicolare OK ad E,F,F, il segmento K F,* sarà V®; (9 —/). Se dal punto medio H del segmento 0 F,# ed in dire- |£, VANI zione H E, si riporta il segmento OP:=- KF, si avrà in P, a posizione richiesta. Due problemi sull’anallattismo. 1) Data la lente M, obbiettivo di un cannocchiale astronomico, di distanza focale ®,, si vuole associare ad essa un’altra lente N Ki M 744 Meg 4 in modo che il sistema composto sia anallattico rispetto ad un punto assegnato ed abbia una data distanza focale @. Il fuoco F del sistema composto delle due lenti M, N (fig. 4), ha 2 . Bca -i è È do N % de adatti | iconeno a Jan N c) ba x »; f essendo noto, ;ugicl ale con d la sua distanza da E: a d stanza focale @ che dev'essere minore di p, essendo anch'essa nota, sarà pure noto il primo punto principale £ del sistema com- posto, il quale si ottiene portando sull’asse il segmento FE= Conducendo per F una retta arbitraria YH, K,H, questa in- contrerà il primo piano focale della lente M nel punto K, L lente stessa nel punto H, ed il piano principale £ nel punto H. Congiungendo i punti XK, ed £, e per H, conducendo la retta H,YsK parallela alla K, E;, questa incontrerà l’asse nel punto #9 primo fuoco della seconda lente N e la HK parallela all'asse nel punto K che appartiene alla seconda lente N. Sarà dunque FE, la distanza focale @, della lente anallattica N ed il segmento £, E, la distanza A delle due lenti (infinitamente sottili) che compon- gono l’obbiettivo composto anallattico rispetto ad un punto dato e di data distanza focale. La legittimità della costruzione precedente si vedrà subito se si rammenta che: i primo fuoco di un sistema composto di due lenti ha per coniugato il primo fuoco della seconda lente ri- spetto alla prima; e che: il primo piano principale di un sistema composto di due è il luogo geometrico dei punti d'incontro delle rette di emergenza parallele all’asse colle corrispondenti rette d’in- cidenza. Si possono dedurre i valori di A e ©», in funzione di @, ò e @ nel seguente modo. ( Dai due triangoli simili K fx E,, HE; F3 si deduce A_- . sa H, E, r Pi inno 1 ae e dagli altri triangoli simili K1/1F, HKF Mili TDI K,F, = 46° siechè sarà - 8, P; d (1) > e Dai due triangoli simili HE; Fs, HxEsK si ha A—_ St H, E, Pa KE OR MATA SA ; AR ae e > vBL E PANFOCALE DI PORRO, ECC. n 385 Magli altri ine Siete simili H,£,F, FEH, osservando he HE= KE He 1 i sarà quindi sd (2) - ati are = Dalle (1) e (2) si ottengono le altre DPI — q+òd (3) ’ __ Pa(P+d) Pi + òd che determinano le incognite @, e A. E sempre utile che @ sia poco differente da @, perchè non sia troppo diminuito l'ingrandimento del cannocchiale; potremo porre quindi n—-1l (4) | p= n le (3) diventano in tal caso pri. (n — 1) p;° (5) PR n(P+ d) ì È ° A SE [(n a 1) Pi + nò] Pi e n (Pi ste dI le quali convengono al caso di dè qualunque. Nel caso dell’anallattismo centrale, che è quello che sì pre- senta più utile nella pratica, si farà ved e si otterranno le altre dtti della R. Accademia — Vol. LI. RL; NICODEMO JADANZA © £ Li Ru 3% » Un valore conveniente di » è jizhy e perciò nel cas che si voglia rendere centralmente anallattico un cannocchia >» astronomico il cui obbiettivo ha la distanza focale @,, si pos. sono adoperare le formole seguenti: (7) \ po = 0,644 py Ù A=0,9789;(") e si avrà @ = 0,967 9;. 2) Un altro problema sull’anallattismo è il seguente (**). Dati A, F ed F* trovare ®, P; € Pa. k Tra queste sei quantità esistono le note relazioni Pi Pa P1+ 9 — 4 A (A — Pg) pali * P» (Pi, — A) set. P, +9. — A ;) a dpi Log Ar p= Ponendo per brevità FT_-E,=%>, P* CH sada Pi Pa Cir Pi +Pa — A | P, (A — 9) MESS: | Pr (Pi — A) 2A di P, + Pa — 4 j + Po — 4 dalle quali bisognerà ricavare le incognite @, ©, e ps supposte date le tre A, dò e K. (*) Secondo il Sig. SALmorragHi il Porro adoperò sempre i valori : i po = 0,617 Pi; A—0,95'px (**) Questo problema non si presenta quasi mai in pratica; esso fu il solo risoluto dall’illustre GaLrueo FerrARIS, che fu il primo a dare una teoria esatta dell’anallattisno nella sua Memoria: Sui cannocchiali con obbiettivo composto di più lenti a distanza le une dalle altre, che si trova a pag. 45 del vol. XVI (1880-81) degli “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,. [* & 4 ì 5 vg Sogni ka: ir” | E IL CA rogo \LE PANFOCALE DI ‘PORK e: sd Dalla prima di Dil ultime si deduce — ta e quindi (A-p)=®; dalle quali si deducono e Rd . 13 Apa Rep! LO PE e e questi valori sostituiti nella (a) dànno l'equazione di 2° grado T— Apg+ Kòd=0, "di cui l’unica soluzione utile è la seguente: — A+ Var 41K:=$+% i ES] A: Sostituendo a X il suo valore si avrà: fb Pa (Pa — A) tali la quale mostra che @ è sempre minore di A, e che rag- giunge A soltanto quando A= @;, cioè quando K=0. Torino, Dicembre 1915. L’ Accademico Segretario Corrapo SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 16 Gennaio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci Carre, Pizzi, Rurrini, D’ ERcoLe, BronpI, Srorza, Einaupi, BaupI pi VEesMme, PaTETTA, VIDARI, Prato, e StAmPINI Segretario della Classe. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 2 gennaio. Il Socio BronpI, anche a nome del Socio RurrINI, presenta i seguenti volumi pubblicati a spese del Ministero degli Interni: Le riforme nell’'amministrazione e le mutazioni nel fine delle Isti-. tuzioni Pubbliche di Beneficenza (Roma, 1906); Ordinamento delle. Istituzioni Pubbliche di Beneficenza (Roma, 1908); Gli statuti e la procedura per le riforme delle Istituzioni pubbliche di Benefi- cenza (Roma, 1910); Domicilio di soccorso - Spedalità - Azione popolare - Disposizioni generali nella legge 17 luglio 1890 N. 6972 sulle Istituzioni pubbliche di Beneficenza (Roma, 1914). L'esame del contenuto di queste pubblicazioni, delle quali anche il Socio Rurrini mette in rilievo la grande importanza, è oggetto di una Nota del Socio Browpr che sarà pubblicata negli Atti. La Classe. ringrazia per il dono il Ministero degli Interni. Il Socio Vipari presenta il primo volume de’ suoi Elementi di Pedagogia, intitolato I dati della Pedagogia (Milano, Ulrico Hoepli, 1916). La Classe ringrazia e si rallegra col Socio VipARrI. Il Socio D'ErcoLe, con parole che saranno pubblicate negli Atti, commemora il Socio corrispondente Guglielmo WINDELBAND, professore ordinario di Filosofia nella Università di Heidelberg, del quale fu recentemente annunziata la morte, lumeggiandone gli alti meriti scientifici. Aggiunge alcune considerazioni il Socio Rurrini ricordando del WinpeLBanp la genialità che informa tutti gli scritti suoi e le benemerenze verso le scienze storiche, rispetto alle quali egli, con un discorso, oramai celebre, dal titolo Storia e Scienza della natura, segnò le linee fondamentali di una nuova classificazione delle scienze, a cui si inspirarono, e in Germania e anche in Italia, molti pensatori, giungendo a importanti e luminose applicazioni. Il Presidente si compiace della commemorazione fatta dal Socio D’ErcoLe e delle osservazioni del Socio RurriNI, con defe- rente attenzione così l’una come le altre ascoltate dalla Classe, perchè dimostrano tutta l’obbiettività, la serenità, l’imparzialità con la quale la nostra Accademia considera e giudica persone e cose anche nel campo nemico, per la sola reverenza al sapere, dovunque e di chiunque sia, per solo spirito di verità, per il solo . culto degli ideali scientifici che debbono essere, e sono fra noi, ideali di bene, ideali di giustizia, ideali d’umanità. E tanto più viva è la sua soddisfazione, in quanto che altrove, in queste lunghe tragiche ore delle genti insanguinate e della civiltà ina- bissata nel buio, la scienza s'è trasformata, con scempio d’ogni legge umana e divina, in strumento di barbarie, ed ha rinnegato quel carattere umano che della scienza è, e deve essere, la vera, grande, sovrana, immortale bellezza. Segue il Socio Vipari, il quale, pure associandosi alle pa- «role commemorative del WixpeLBAND, pronunciate dai Soci . D’'ErcoLe e Rurrini, è spiacente di dover ricordare che il nome da PI ope del WinpeLBAND stesso era compreso tra i firmatari del noto bel appello rivolto dagli intellettuali tedeschi ai neutrali sin dal prin- cipio della conflagrazione europea. In quell’appello erano affer- mazioni e giudizi che suscitarono doloroso stupore e che non possono, in questo momento sopratutto, essere dimenticati. Per queste ragioni si associa alla commemorazione solo in quanto ebbe un carattere puramente e strettamente scientifico. Il Socio Prato presenta per la pubblicazione negli Atti una sua Nota dal titolo Ancora sulle premesse economiche del contratto collettivo di lavoro. Il Socio STAMPINI presenta, pure per la pubblicazione negli Atti, una monografia del Dottore Prof. Massimo LENCHANTIN DE GuBERNATIS, intitolata Noterelle fonetiche. Mit e A Pa “ MENO TY To Ù lea Cs Le alti OL pali A af $i da dati Ò È a Me CSI «VON i de. La » “, ® f | PASQUALE D'ERCOLE — LA MORTE DI GUGLIELMO WINDELBAND 391 LETTURE La morte di Guglielmo Windelband, Commemorazione del Socio nazionale residente PASQUALE D'ERCOLE. In questi ultimi giorni i giornali hanno annunziata la morte di Guglielmo WixnpeLBAND, nominato Socio corrispondente della nostra Accademia nel maggio del 1914. È una perdita sensibilissima per gli studi filosofici in ge- nere e per gli studi storici della filosofia in ispecie, essendo egli uno de’ valorosi rappresentanti dei medesimi, e, per giunta, ancor giovine, essendo nato nel 1848. Quanto agli studi storici della Filosofia, che hanno trovato in Germania esimii cultori di essi, va in generale rilevato che questi studi sono stati di una straordinaria importanza ed uti- lità in tutto il campo della storia antica, al quale essi si con- nettono in tanti punti delle loro manifestazioni. Al qual riguardo _@ proposito basterebbe nominare il solo Eduardo Zeller, che colla sua monumentale Philosophie der Griechen in ihrer geschicht- lichen Entwicklung, in cinque ponderosi e poderosi volumi di | circa 1000 pagine ciascuno, ha portato una immensa luce in tutto il campo degli studi storici, sociali, politici, estetici, religiosi e filosofici dell’antichità. Per ciò che concerne il WinpEeLBAND, certamente insigne anch'egli negli studi storici della Filosofia, debbo anche notare, che, comunque storico, non ha però negletto . gli stessi studi teoretici e speculativi della scienza filosofica, la quale è tanto io i È 392 PASQUALE D' ERCOLE più compiuta quanto più tiene in conto la relazione e connes- sione degli uni cogli altri. L'indirizzo filosofico generico del WinpELBAND è quello del Criticismo kantiano, e in siffatto indirizzo cominciò a considerare e trattare argomenti che, da una parte, erano di natura pre- valentemente teoretica, dall’altra, si riferivano ai più svariati argomenti filosofici. Infatti, i suoi primi lavori furono: a) Die Lehren vom Zufall, 1870; 0) Ueber die Gewissheit der Erkenntniss, 1873 ; c) Der ge- genwiirtige Stand der psychologischen Forschung, 1876; d) Geschichte und Naturwissenschaft, 2° Aufl., 1890; e) Vom System der Ka- tegorien, Tiib., 1890; ed altri. A chi è addentro nelle cose filosofiche non sfuggirà lV’im- portanza di questi argomenti, specialmente di quest’ultimo delle Categorie, le quali, cominciando da quelle kantiane e passando per le fichtiane e schellinghiane, giungono alle hegeliane, che nel lor complesso costituiscono il vasto sistema categorico filo- sofico dell’Idealismo assoluto di Giorgio Hegel, ossia quello del- l’Idea logica, dell’Idea naturale, o Natura, e dell’Idea spirituale, o Spirito. E per ciò che concerne la Logica hegeliana, base di tutto il sistema, rileverò volentierissimo che il WiInpELBAND, proprio negli ultimi tempi, e precisamente nel 1914, ha trattato in modo specifico e diretto anche l'argomento logico col suo scritto intitolato: I principii della logica (apparsi in traduzione italiana nell'opera Enciclopedia delle scienze filosofiche diretta con la cooperazione di Guglielmo WixpeLBanp da Arnold Riige. Volume primo. Milano-Palermo-Napoli-Genova: Editore Remo Sandron, 1914). Nel quale argomento egli considera in 48 ampie pagine la Logica storicamente e teoricamente, facendo “ una rassegna critica , della medesima da Aristotele ad Hegel inclu- sivamente. Ma i lavori ancor più importanti e più proprii della sua attività filosofica sono gli storici della Filosofia, tra’ quali, oltre ed accanto ad alcuni minori (tra cui, per esempio, Platon, in «“ Frommans Klassiker der Philosophie ,), sono notevoli ed hanno acquistata fama i seguenti maggiori intitolati: Geschichte der ulten Philosophie, Nòrdling, 1887; Geschichte der Philosophie, Freiburg i. Br.; della quale si è fatta una traduzione italiana da E. Zaniboni sulla 5? edizione tedesca, presso l'editore Remo sta è, 16 PRESSI I i "A Nea hi TR cdi È ud di i LA MORT! 8 DI L IELMO WINDELBAND - GUI EMORAZIONE e San ndron Mia 02 e Geschichte d. neueren Phi- losophie, 5° Aufl., Leipz., 1911. Questi lavori storici del WixypELBAND sono veramente enco- miabili, essendo frutto di lungo studio fatto sulle fonti degli serittori e accompagnato da una penetrazione non comune di intelligenza dello spirito sì de’ singoli filosofi, che della progres- siva evoluzione della filosofia in genere: evoluzione, per giunta, da una parte, guardata anche ne’ diversi punti della medesima, sociale, etico, estetico, religioso e filosofico, dall'altra, esposta con linguaggio chiaro, preciso, caldo e colorito. Gli è perciò che per parte mia esprimo il più vivo com- pianto per la morte immatura del nostro illustre socio corri- spondente, e penso che lo esprimeranno anche gl’insigni colleghi dell’Accademia. Me a, A PER UN COMMENTO alle leggi della pubblica beneficenza. Nota del Socio VITTORIO BRONDI. I quattro volumi presentati all'Accademia (1) sono fra le più notevoli pubblicazioni del Ministero dell’Interno, e costitui- scono, anzi, una novità del genere. È la prima volta, infatti, che fra le pubblicazioni dei diversi Ministeri, pur così varie di natura e di oggetto, appare l’ordinato e metodico commento di una delle più importanti leggi organiche dell’amministrazione italiana, quale è il disegno colorito con le suddette pubblica- zioni concernenti la legge sulle opere pie del 17 luglio 1890 e quelle complementari della medesima. Non a caso o con vedute aprioristiche fu scelto questo complesso di norme legislative per una esposizione interpreta- tiva; la scelta si riconnette all’intenso lavorio, che rispetto ai servizii di assistenza e beneficenza pubblica si accentuò presso il Ministero dell’Interno in questi ultimi anni e che, fra l’altro, si accompagna all'origine della legge 18 luglio 1904, integra- trice della precedente e creatrice di appositi organi per detti servizii. E l'interesse che suscita questo ramo della nostra legisla- zione non potrebbe essere più diffuso e vivace. (1) Le riforme nell'amministrazione e le mutazioni nel fine delle istitu- zioni pubbliche di beneficenza, Roma, 1906; Ordinamento e amministrazione delle istit. pubbl. di benef., Roma, 1908; Gli statuti e la procedura per le riforme delle istit. pubbl. di benef., Roma, 1910; Domicilio di soccorso, spe- dalità, azione popolare, disposizioni generali della legge 17 luglio 1890, n. 6972, sulle istit. pubbl. di benef., Roma, 1914. | PER UN COMMENTO ALLE LEGGI DELLA PUBBL. BENEFICENZA 395 Dal punto di vista economico e sociale si tratta dell’ in- gente patrimonio di circa due miliardi e mezzo di lire, spettante ad oltre trenta mila organismi giuridici, gli uni e gli altri in continuo aumento. E si tratta di fini svariatissimi di beneficenza a cui le rendite sono devolute: fini, che ora si concretano in atti di pura carità evangelica, semplici come gli intimi motivi degli spiriti che li hanno voluti, ora, invece, importano congegni e ingranaggi di complessità tecnica, frutto di larghe e ripetute esperienze e di meditate riflessioni; fini, che talora rispecchiano assetti sociali scomparsi o sconvolti, stati d'animo svaniti o pressochè oscurati dal tempo, mentre talvolta, sotto la pressione di bisogni nuovi, erompono come getto di vivi rampolli sul vecchio tronco della beneficenza. Questo costante accumularsi e questo perenne germogliare di energie caritatevoli e soccorritrici dal seno della compagine sociale imprimono il carattere della più grande importanza pratica alle norme intese a regolare nel modo più proficuo la vita degli enti, in cui quelle energie vengono a individuarsi e personificarsi. Nè meno viva è l’attenzione che la legge sulle opere pie si attira dal punto di vista giuridico. Si è detto ben sovente ed è, anzi, opinione comune che il nostro diritto amministrativo è d’ importazione straniera e più propriamente francese, essendosi con la unificazione amministra- tiva del Regno recise le varie tradizioni paesane. Non è dubbio che l’impalcatura dell’amministrazione ita- liana sia stata in gran parte costruita su modelli francesi, ma non è men vero che l’edificio in molti suoi lati palesa linee di | vigorosa e spiccata originalità, per molteplici istituti creati o perfezionati con elementi tradizionali o teorici dal genio nazio- nale. Uno di questi istituti è l’opera pia quale è delineata e configurata dalla legge 17 luglio 1890. Difatti, in Francia la beneficenza organizzata in enti auto- nomi a favore della generalità, ove nasca da fonte privata, rimane tale non soltanto per l'origine ma anche per la sua figura giuri- dica, che sostanzialmente rientra nell’imbito del diritto privato. Sia che la beneficenza privata si impernii in una associazione, sia che faccia capo ad una fondazione, la sua massima conversione verso il diritto pubblico ci è data col riconoscimento di essa come À A. SP 5% CA Pad glo Fi'ol ba Nati n de n Î da : 19 - ; le n 4 Ù ” 4 late 396 VITTORIO BRONDI 40) itablissement d’utilité publique (1). Ora, questo, come dice l'Hau-. rIov, non è compreso nell’ordito dell’amministrazione pubblica e le sue regole possono considerarsi come appartenenti al diritto privato; tutt'al più, per l’attività che, sebbene d'iniziativa pri- vata, è rivolta all’interesse pubblico, si tratterebbe, secondo questo scrittore, di istituti sur la frontire du droit public et & du droit privé, à cheval, pour ainsi dire, sur les deux domaines, 1 se pure non è da preferirsi l'opinione di chi, come l’AvriL e il Mic®ovun, riannoda e fa corrispondere addirittura la distinzione fra établissements publies ed établissements d'utilité publique alla i divisione delle persone morali in pubbliche e private (2). : Da noi invece la destinazione permanente al pubblico di i una massa di beni per fini di beneficenza, fatta con atto di vo- lontà privata, individuale o collettiva, origina, mediante il qua- lificato riconoscimento da parte dello Stato, l'istituzione pubblica di beneficenza, ossia una figura giuridica, che per disposizione di legge entra decisamente e pienamente nel campo del diritto pubblico e nell’organismo dell’amministrazione pubblica. Le conseguenze di ciò sono notevolissime. Esse facilmente si rilevano pensando alla organica e specifica disciplina giuri- dica, che, come gli enti antarchici territoriali, ebbero questi enti istituzionali con le norme circa la loro struttura e il loro fun- zionamento, con gli ordinamenti della vigilanza e della tutela statuale, coi poteri di riforma nell’amministrazione, di muta- zione del fine, di indirizzo e di coordinamento spettanti agli organi governativi. (1) Cfr. nel volume L’assistance francaise, Paris, 1916, HéBraRD DE ViLLeneuve, Régime légal actuel de l’assistance publique et privée, pag. 15; soltanto alcune speciali fondazioni, anche se d’origine privata, sono defe- rite, per particolare disposizione di legge, all'’amministrazione del Bureau d’assistance e per conseguenza possono considerarsi come facienti parte di un établissement public, ossia dell’amministrazione pubblica: efr. Legge sul- l’assistenza medica gratuita 15 luglio 1893, art. 11; Hauriou, Précis de droit administratif, 6° éd., Paris, 1907, pag. 246-7. (2) Cfr. Havriov, op. cit., p. 252; AvriL, Les origines de la distinction des établissements publics et des établissements d’utilité publique, Paris, 1900, pp. 29-31, 295 e segg.: Mrc®oup, La théorie de la personnalité morale, I, Paris, 1906, pp. 202-5, 402. “i PER UN COMMENTO ALLE LEGGI DELLA PUBBL. BENEFICENZA 397 iù Tutto ciò ha dato una soluzione al grave problema sui modi e sui limiti dell’ intervento dello Stato in questo campo cosi delicato, soluzione, bisogna dirlo subito, che ebbe risultati fe- lici, come dimostra l’incessante e crescente gettito delle fonti sociali della beneficenza; ma tutto ciò nello stesso tempo ha originato, come effetto di tanta regolamentazione giuridica por- tata dalla legge 17 luglio 1890 e dalle altre che la modificano e completano, una massa di questioni e di controversie, per le quali è sempre vivo e fresco il bisogno di indagini e di studi. Opportunissima, anche da questo lato, appare pertanto la pubblicazione del Ministero dell'Interno, l'organo centrale a cui, con i servizii di assistenza e di beneficenza, converge la mas- «sima copia di dati e di elementi. Il contenuto dei quattro volumi abbraccia la più gran parte della materia compresa nella legge del 1890, della quale non restano ad essere illustrati che i due capi sulla tutela e sulla vigilanza governativa, e, come già da prima avvertimmo, sì è pur tenuto il debito conto delle altre leggi accessorie e comple- mentari. Le linee sistematiche del lavoro seguono in generale quelle della legge organica, e ciò con giusto pensiero, giacchè, avendo lo studio tendenze e fini essenzialmente pratici, sarebbe stato un fuor d’opera indugiare in sottigliezze e scrupolosità si- stematiche. Ma, d'altro lato, il rispetto all'ordine legislativo è un 0s- sequio ragionevole; ogni volume sta da sè per la materia in esso racchiusa e i varli articoli di legge sono opportunamente raggrup- pati e disposti secondo gli argomenti e il nucleo di questioni a cui si riferiscono, cosicchè il commento, invece di spezzettarsi in minute chiose di articolo per articolo, procede pieno e nu- trito e fluisce entro naturali confini concettuali. Il metodo seguìto consiste nella esposizione critica della giurisprudenza amministrativa e giudiziaria, svoltasi in appli- cazione della legge, e la caratteristica che prima spicca in questa | esposizione è la densa pienezza della materia trattata. L'appli- cazione della norma giuridica ai casi concreti è perseguita at- traverso alle più minute manifestazioni giurisprudenziali e si può sicuramente affermare che nessuna delle questioni agitate dinanzi a collegi amministrativi o a giurisdizioni ordinarie e speciali venne dimenticata o trascurata, per cui è proprio il 998 —vIPTORIO BRONDI — PER UN COMMENTO ALLE LEGGI, ECC. caso di ripetere qui — con mutato concetto — quod non agno- scit glossa non agnoscit curia. Alla completezza della materia sì accompagna una illustra- zione della medesima veramente eccellente: l'elaborazione cri- tica del vasto materiale palesa una signorile maestria, quale soltanto può essere frutto di squisito senso giuridico e di soda dottrina. Di questa, poi, è sempre fatto un uso giudizioso e }) sagace, nulla ponendosi in mostra a titolo di puro sfoggio ap- pariscente, nulla trascurandosi della produzione dottrinale che sia direttamente connesso o conferisca all'argomento. La trat- tazione, svolgendosi ferma e serrata sulla linea della legge, non soltanto pone in rilievo la portata e l’efficienza, ma addita anche i difetti, le oscurità e le lacune del testo legislativo e sugge- c-$ risce gli opportuni rimedi mediante proposte di riforme e di A. modificazioni ai singoli punti, cosicchè l’opera, mentre appresta p e fornisce gli strumenti per una fruttuosa applicazione del diritto a vigente. traccia insieme il solco e getta il seme del diritto futuro. S Questi risultati sono raggiunti senza ingombranti avviluppi “ di scorse e raffronti storici e di speculazioni sociali e filoso- fiche, che sarebbero dissonanti dall’ indole del lavoro, ma con la piena e illuminata padronanza della legislazione regolatrice della materia e col sussidio di una larghissima esperienza, la miglior pietra di paragone della bontà degli ordinamenti legisla- tivi. L’opera occupa oramai un posto altamente ragguardevole nella recente letteratura giuridica e per essa, che ad una voluta semplicità di forma e sobrietà di apparato congiunge il pregio peregrino della più succosa sostanza, ben si può scrivere, a guisa di motto, il verso di Orazio: non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem. 20 n ‘ » G. PRATO — ANCORA SULLE PREMESSE ECONOMICHE, ECC. e n———_____T—m_—___—_—____m_—_—_—_—ym——___———eox _ = ————— -—__ 5 ; ni RW toc Pea ì Ancora sulle premesse economiche del contratto collettivo di Javoro. Nota II del Socio GIUSEPPE PRATO. ‘A conclusioni non diverse conduce la considerazione del problema da qualche altro punto di vista. Scopo fondamentale dell’organizzazione deve considerarsi, come è noto, la consecuzione del monopolio dell’offerta rispetto ad un ramo di industria (1). Dato dunque il caso limite, in cui l'intento sia integralmente raggiunto, il problema è di vedere se l’unico contraente così sostituito ai molti abbia potere di realizzare, in confronto ad essi, una somma di rimunerazione complessivamente più elevata. Ma sappiamo che, per la legge di Cournot, il monopolista non può fissare che il prezzo a cui vuol vendere oppure la quantità della merce che vuole esitare, non le due cose contemporaneamente (2); dilemma che, nel caso d'una merce eminentemente non conservabile come il lavoro (3), fa capo alla necessità del collocamento immediato o di poco . differito dell’intiera quantità disponibile, a un prezzo sul quale la volontà dell’offerente non esercita influenza se non nella mi- sura in cui riesce a rinvigorire le proprie forze di resistenza o (1) Cfr. Loria, Il movimento operaio, p. 33 e sgg. Pt i (2) Cfr. Principii matematici della teorica della ricchezza (tr. it.), in “ Biblioteca dell’economista ,, ser. 4, vol. II, p. 101 e sgg. (3) Di tale attributo mi pare non tenga conto sufficientemente l’'Ence- | wort&, quando afferma che le unioni possono raggiungere un saggio di sa- lario più elevato non cercando di fissare il quid pro quo, le quantità di lavoro da scambiarsi con ricchezza, ma soltanto la ragione dello scambio. Cfr. Mathematical psychics, p. 43 e sg. GIUSEPPE PRATO di attesa, pur al costo della distruzione d'una quota di rie- chezza uguale alla inoperosità temporanea procurata agli agenti produttivi che rappresenta. Nell'ipotesi quindi di una parità, nei due casi, di consape- volezza in ciascuna delle parti contrattanti delle condizioni e disposizioni di scambio dell'altra; e supponendo non alterate per il fatto della mutata forma d'offerta le facoltà di riserva di cui capitale e mano d'opera rispettivamente dispongono, è chiaro che un sindacato operaio perfettamente monopolistico sarà or- ganicamente inetto a conseguire durevolmente un vantaggio superiore alla somma di quelli realizzati dai singoli suoi membri, dovendo limitarsi a distribuire diversamente la rimunerazione complessiva, spostando a pro dei gruppi inferiori una parte dei proventi eccezionali più alti. Onde risulta evidente che la sosti- tuzione pura e semplice del contratto collettivo all’ individuale ha per primo effetto di eliminare le tariffe che stanno in cima alla scala, cioè di vietare alla serie dei prezzi di toccare i mas- simi a cui la molteplicità delle transazioni isolate li spingerebbe. Ma l'ipotesi del monopolio rimane, in questo campo anche più che in altri, puramente teorica; il che del resto è conseguenza logica del fin qui detto; perocchè il sindacato operaio risulta dalle esposte considerazioni un'entità economica sui generis, vi- ziata nel suo sviluppo da una organica, quasi paradossale forza limitatrice: la non convenienza cioè di raggiungere il monopolio completo. Nel fatto, in teoria come in pratica, l’organizzazione non comprende che una parte, spesso assai ristretta (1), della cate- goria che rappresenta; onde le tariffe che adotta rientrano nella (1) In Inghilterra i soci della 7rade-unions raggiungono al massimo il 30°/ del totale degli operai industriali; non toccano che il 14,05 % in Austria (1905), il 12%, nel Belgio (1905), il 20° in Francia (1902), ecc. La proporzione diventa minima se si considera l’intiera classe salariata (appena il 3 °/, agli Stati Uniti). Cfr. A. Graziani, Istituzioni di economia politica, 2° ed., Torino, 1908, p. 493 e sgg. Nei paesi scandinavi, che raggiungono la propor- zione più alta, questa tocca il 50% degli operai delle industrie. Cfr. C. Re- NARD, Syndacats, trade-unions et corporations, Parigi, 1909, p. 321. Per alcune categorie la percentuale è invero assai maggiore. Pei tipografi salì, in qualche paese, al 75 %,. Cfr. Bollettino dell'ufficio del lavoro, agosto 1906, p. 445 e sgg. Ma ciò non toglie all'insieme del movimento il carattere di fenomeno di minoranza. ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 401 figura intermedia dei prezzi di coalizione, rivestendone tutti i caratteri. Tra questi sta in prima linea la considerazione dei costi a cui un sindacato deve sottostare per mantenere integra la propria compagine contro le forze dissolventi che continuamente la in- | sidiano. Ben nota è l'importanza del problema ai sindacati capita- listici, i quali si trovan continuamente di fronte al dilemma, o di assorbire, con sacrificio proprio, i concorrenti più deboli {spesso moltiplicati appunto per sfruttare la modificata condizione del mercato), ovvero di eliminarli ed assogettarseli, con proce- dimenti il più delle volte non meno costosi. Parimenti per le leghe, la posizione più vantaggiosa è quella in cui riescon com- poste da pochi individui, ottimi operai, che comandano despoti- camente a numerosi plebei, ma non li ammettono ai benefizi dell'organizzazione. Questa plebe è continuamente spinta ad agire da krumira, come le ditte deboli sono spinte a vendere a sotto costo; ed a pretendere, come quelle, la sua ricezione nel seno della lega, il che, quando riesce, ne rende più difficile la con- dotta, e la costringe ad esigere un salario minore, quale prezzo di equilibrio di un maggior numero di individui, cioè d'una maggior offerta (1). Compito dell’organizzazione essendo quello di premunirsi contro il rischio di concorrenza dei disoccupati, essa deve — come ammettono i suoi fautori più convinti — far sop- portare in parte il costo della assicurazione dagli operai più eletti. Questi però, si afferma, vi sottostanno soltanto fino a quel limite in cui la tariffa — per dirla in termini assicurativi — non supera il premio (2). Se non che proprio nella determina- Nur zione di questo punto risiede, in pratica, la grande incognita. ba Nè giova dimenticare a tal proposito, il nuovo orientamento di s- AR - cui offre spettacolo da alcuni anni il movimento unionistico, con - la tendenza ad assorbire schiere sempre più numerose delle classi inferiori, non già perchè le giudichi utili al raggiungimento dei proprii fini economici diretti, bensì per valersene a scopi di (1) Cfr. PanraLEONI, Scritti varii d'economia, ser. 2°, p. 202. (2) Cfr. Casrari, La politica industriale delle organizzazioni operaie, conclusione del $ 2°. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 27 402 | GIUSEPPE PRATO ascensione politica (1); fatto che, indipendentemente dagli even- tuali vantaggi che se ne attendono per altra via, non può a 3 meno di agire in senso depressivo sul livello dei salari colletti- E, vamente stipulati. I migliori conoscitori, del resto, dell'ambiente operaio, non negano che una parte notevole dei miglioramenti procurati alla massa siano ottenuti a prezzo di sacrifizi dei gruppi superiori (2). La determinazione dei salari minimi richiesti dalle orga- nizzazioni, ci informa il Cabiati, vien fatta il più delle volte in base alla media ponderata delle mercedi correnti; ma, ottenuto questo risultato, è interesse dei sindacati “che non sussistano « distacchi troppo considerevoli fra il compenso di operai di “ abilità non troppo dissimile; onde la loro tendenza ulteriore consiste assai più nell’elevare i salari degli operai in condizioni peggiori che non nel migliorare quelli degli operai in condi- zioni già discrete , (3). Gli industriali, costretti a pagar più cara la mano d'opera scadente, se ne rivalgono, possibilmente, sulla superiore. Lo confermano, per l'Australia, ufficiali e non sospette inchieste: “ When the court prescribes a minimum “equal to or above the average wage previously paid, the “ employer: may meet this change by two different policies. In «“ order to keep his payroll down, he often lowers the pay of “his more competent hands, to compensate himself for the “ higher rate he is obliged by law to give his poorer workers. “ This brings about a level wage for all employees. Such effect “has been remarked by a royal commission investigating the “ operation of the wage boards in Victoria and has been com- “ mented upon in the decisions of the arbitration court in New “” “ “ (1) Cfr. V. Porri, Socialismo di stato, socialismo delle gilde e trade- unionismo nel mondo del lavoro inglese, in È Riforma sociale ,, giugno- luglio 1915. Ma la deformazione politica del movimento unionistico è feno- meno universale. 3 (2) Già notava il p’Ercarar che la convenzione collettiva, tendendo a fare TRE) della mediocrità la regola e il limite generale, riesce all’oppressione dei Paris) migliori per parte dei meno abili, semplicemente perchè questi sono più nu- PAZ merosi, cit. De Rrses-CarisrorLe al Congresso della federazione industriale 3 francese del 1907. Cfr. “ Bulletin de la Fédération des industriels et com- 244 mergants frangais ,, marzo 1907, p. 491. (3) Cfr. La politica industriale delle organizzazioni operaie, $ 2°. | °°’ ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO — 403 “Zealand. Statisties indicate that, in probable a third of the “ occupations regulated by the court in that colony, the maximum “ wage does not exceed the minimum fixed by the award , (1). Incontestabile è certo, come oppone il Cabiati, che la sti- pulazione della tariffa collettiva non toglie a qualunque operaio la facoltà “ di chiedere un salario superiore, che gli verrà con- “cesso se e nella misura in cui Ja sua efficienza di lavoro sor- “ passa quella della mano d'opera media ,; ma non è d'altra parte men vero che questa “ libertà , gli servirà a ben poco, tranne se trattisi di lavoratore di abilità eccezionale (dotato quindi di ‘una specie di personale monopolio), o di industria richiedente un grado particolarissimo di perizia tecnica e nella quale i lavo- ratori molto specificati rappresentino, rispetto al totale, una infima, sebbene indispensabile minoranza. In ogni altro caso l'imprenditore, accedendo alle proposte del sindacato quanto ai gruppi più poveri, pretenderà al tempo stesso sicure garanzie rispetto ai meglio retribuiti, che l'ente appaltatore dovrà impe- gnarsi a fornirgli a condizioni possibilmente compensatrici dei sopra-valori accordati ai primi. E chiaro che l'inconveniente deve nascere quanto più le unioni, per fini politici, abbandonano la loro tradizionale tattica aristocratica, per aggregarsi masse amorfe, la cui esorbitanza di pretese non è certo proporzionata all'apprezzamento di cui godrebbero sul mercato libero (2). Per quanto però considerazioni extra-economiche premano nel senso di far oltrepassare d’assai il limite di maggior con- venienza, è evidente che il sistema della incorporazione dei più deboli non può spingersi troppo oltre senza rivelarsi assoluta- mente rovinoso. Barriere regolamentari rigorose stanno pur sempre a tutela del privilegio, che gli organizzati vogliono, mal- grado tutto, mantenere (3). Onde la necessità di apprestare altre (1) Cfr. V. S. CLark, The labour movement in Australasia, Westminster, 1906, p. 230. (2) La tendenza si esagera talora fino al punto da tentare di reclutare la totalità della maestranza d’un’industria e da escogitare piani di iscrizione obbligatoria alle leghe. Cfr. G. D. H. Core, The world of labour, Londra, 1918, p.370 e sgg. (3) Cfr. per l’analisi dei metodi adottati a tal uopo: T. E. Work, Admission to american trade-unions, in “ J. Hopkins university studies ,, 404 GIUSEPPE PRATO difese contro la persistente minaccia di concorrenza degli esclusi, considerandoli come nemici, contro i quali è lecita qualsiasi vio- lenza. Alla funzione assicuratrice del contratto collettivo vengon così ad aggiungersi degli scopi offensivi, fonte alla loro volta di costi spesso elevatissimi. Se invero questo genere di stipu- lazione si riducesse, come vorrebbero alcuni (1), ad una intesa di massima sovra una formula-tipo, adatta a servir di norma e di base ai contratti individuali o ad interpretarne e dirimerne le ambiguita in caso di controversia, a nessuno verrebbe in mente di contestarne la utilità. Ma ben diverso è il còmpito che all'istituto si assegna. E l’incertezza stessa che domina nella individuazione della sua figura giuridica — tanto che alcuni perfino lo definirono un atto di gestion d’affari o una stipulazione a favore di terzi (2) — ne dimostra la tendenza verso un più preciso e più largo concetto di obbligatorietà. Intento dominante ed effetto necessario della fissazione di un salario minimo (clausola essenziale d'ogni contratto collet- tivo) sono in realtà quelli di eliminare dal mercato tutta la porzione d’offerta il cui valore non tocca il livello di retribuzione stabilito. L’ostracismo dei non sindacati si otterrebbe del pari con l'adozione d'una clausola che espressamente vietasse ai pa- droni di assumerli. Ed è noto quante volte simile pretesa sia stata scritta fra le domande delle unioni, e come di frequente queste siano riuscite a farla trionfare. Ma le resistenze sono sempre, in tal campo più che in altri, tenacissime (3); e, d'altronde, l'accordo sul minimo di mercede offre del problema una soluzione meno odiosa e, più elegante, anche se in parte più subdola; avendo, fra l’altro, il merito illusorio di apparire premura di sollecitudine benefica anzichè atto di dichiarata ostilità verso i XXX, n° 1, Baltimora, 1912. G. SoreL ricorda che, quando le vecchie unioni vollero ammettere operai unskilled, pochi fra questi poterono entrarvi, per l'altezza delle quote. Cfr. Avenir socialiste des syndacats, Parigi, 1901, p.34. _ (1) Cfr. Conson, Cours d’économie politique, vol. II, p. 118. (2) Cfr. P. Prc, Traité élémentaire de législation industrielle. Les lois ouvrières, 4° ed., Parigi, 1912, p. 331 e sgg., e P. Lorrmar, Der Arbeits- J vertrag, t. I, 1902, sez. 5%, Der Tarifvertrag. (3) Cfr. F. T. Srockron, The closed chop in american trade-unions, in | “J. Hopkins university studies ,, XX1X, n° 3, Baltimora, 1911. ut » ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 405 più miseri (1), pur facendo capo, in pratica, ad una pari espro- priazione a loro danno (2). Sappiamo infatti che, essendo il minimo basato sulla capacità media e non sulla peggiore, il primo suo effetto è di provocare il licenziamento degli infimi, inetti a mi- gliorare la propria lavorazione fino a raggiungere quel grado di rendimento (3), e che in tale provvedimento si trovan pacifica- mente concordi imprenditori e maestranze (4). Le democrazie australiane offrono al riguardo tesori di istruttiva esperienza (5). Ai reietti della automatica selezione riserbasi, sotto l'egida delle unioni, una ben invidiabile sorte: quella di servire come avven- tizi od aiuti agli operai veri per accrescerne la efficienza (6); (1) Cfr. in tal senso le ridondanti frasi del GeminLine, Travailleurs au rabais, p. 372 e sg. (2) La richiesta del minimo di salario diviene così una manifestazione di quella aggressività dei redditi superiori (coalizzati) contro gli inferiori di cui parla il Lorra, La sintesi economica, Torino, 1909, p. 816. (3) Ne convengono anche i più convinti difensori del proposto metodo, come R. Jay, Le contrat collectif de travail, in È Revue d’économie poli- tique ,, XXI, 1907, pp. 561 e sgg., 649 e sgg. (4) Cfr. Cagrari, La politica industriale delle organizzazioni operaie, $ 2°. (5) Cfr. CLark, The labour movement in Australasia, p. 228 e sgg.; e Labour conditions in New Zealana, in “ Bulletin of the Bureau of labor ,, Washington, 1903. Cfr. anche M. Mérix, Le socialisme sans doctrines, Pa- rigi, 1901, p. 142 e sgg.; e specialmente D. Beer, Ilusions socialistes et réalités économiques, Parigi, 1912, p. 160 e sgg. e passim. Che il tentativo di elevare certi salari abbia potuto deprimerne altri, diffondendo anzichè estir- pando certi sfruttamenti, lo ammettono anche autori animati da benevola simpatia per la riforma, come il Cmapwan, Work and wages, vol. 11, p. 257 e sgg. (6) Cfr. CapiatIi, La politica industriale delle organizzazioni operaie, $2°. Talvolta, anche nel contratto collettivo, si stipula una tariffa per gli inabili, ma circondando la magnanima concessione di molte cautele e per lo più limitandola ai vecchi ed agli infermi. Cfr. per l'Australia (Vietoria), “ Bul- letin de l'Office international du travail ,, 1907, p. 203; e, per la Germania, J. Leroy, Le contrat collectif de travail en Allemagne, Parigi, 1909, p. 116. Anche la legge inglese 20 ottobre 1909 sui minimi di salario a domicilio autorizza a impiegare “ a condizioni speciali , gli operai più deboli. Cfr. . Pro, Traité Élémentaire de législation industrielle, p. 785. Ma i sindacati vigi- lano perchè del permesso non s’abusi. E, in Australia, si nota che gli industriali stessi esitano ad assumere questi operai tollerati, per non esser sottoposti a particolare sorveglianza legale e divenire sospetti di sweating. | Cfr. Beer, Illusions socialistes et réalités économiques, p. 160. dg ee" da pe” 406 i GIUSEPPE PRATO sistema di sfruttamento d'altronde assai simpatico alle aristo- crazie proletarie dei due mondi, che ne seppero fare una così sapiente applicazione rispetto alla mano d’opera gialla, in taluni paesi degli antipodi (1), e che, anche in Europa, accettano senza proteste, anzi spesso stimolano spietatamente, i servizi delle umili vittime d'una nefanda ingordigia (2). Un altro effetto del salario minimo industriale deve neces- sariamente esser quello di deprimere le mercedi nelle campagne circostanti, rallentando l'assorbimento per parte delle fabbriche della forza di lavoro greggia, inetta per qualche tempo ad un rendimento adeguato a tale livello di retribuzione, ma la cui continua chiamata negli opifici è causa della differenza favore- vole ai lavoratori che si osserva nei salari agricoli dei distretti di florida industria (3). Così tutti gli sforzi dell’organizzazione contro gli accordi (1) Cfr. L. Ausert, Américains et Japonais, Parigi, 1908, p.80 e sgsg. Anche in Europa e fra operai della stessa razza e nazionalità non sarebbe difficile citare esempi di analoghi sfruttamenti. Il Denny ricorda, fra gli altri, il caso non infrequente di cottimisti specializzati, che impiegano ma- novali con salario a tempo per compiere in loro vece la parte di lavoro esclusivamente manuale e li trattano con tirannico arbitrio. Cfr. A. B. Bruce, The life of William Denny, Londra, 1889, p. 113. (2) Le memorande inchieste sulla condizione dei minorenni italiani nelle vetrerie francesi, che condussero a provvidi interventi legislativi, non posero soltanto in luce l’odiosa indifferenza morale congiunta alla miseria profonda di certe regioni nostre, ma altresì la brutalità inaudita con cui gli operai francesi sfruttavano fino all'esaurimento ed alla morte le deboli forze dei loro piccoli ausiliarîì. Cfr. specialmente il benemerito rapporto di L. Scelsi, I minorenni italiani e le vetrerie francesi, in * Bollettino del Ministero degli affari esteri ,, dicembre 1900; e le successive relazioni dell’ “ Opera di assistenza degli operai emigrati in Europa e nel Levante ,, che, per iniziativa di Ernesto Schiaparelli e di Alberto Geisser, diede opera coraggiosa al risanamento della piaga. Lo Scelsi insiste in modo speciale sull’influenza esercitata sul doloroso fenomeno dalle esigenze della mano d’opera locale, che rendon inevitabile la condizione servile degli Italiani. (3) Cfr. su questo aspetto, generalmente trascurato, del problema: T. Mackay, The dangers of democracy, p. 173 e sg.; e, per le interdipendenze tra i compensi del lavoro industriale e dell’agricolo in un paese, Corne- LISSEN, T'Aéorie du salaire et du travail salarié, p. 858 e sgg. Dati e rilievi interessanti al riguardo reca pure L. G. Carozza Money, The future of work, Londra, 1914, p. 141 e sgg ee a aa ct a PRATI “Pei > Cono ine A 1 | ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LavoRO 407 individuali fan capo, nella migliore ipotesi, alla creazione d'un privilegio a pro degli operai cittadini medî, venditori di un “lavoro ordinario, quale può esser fornito da un operaio privo “ di capitale e di coltura speciale, o di rara ed eccezionale abi- “ lità , (1); pagandone le spese i migliori, a cui si precludono i guadagni massimi, e gli infimi, relegati nella disoccupazione cro- nica o in uno stato di rassegnata schiavitù. Ma se ai primi non mancano, fino a un certo segno, mezzi di sottrarsi alla tiran- nica imposizione, giovandosi della mobilità che li distingue — la forte emigrazione di lavoratori scelti avveratasi negli ultimi anni dall'Inghilterra, in contrasto colla crescente espansione in- dustriale, potrebbe indicarlo (2) —, i secondi non si adattano senza assidua lotta alla loro sorte, mantenendo negli imprendi- tori, con una offerta insistente, velleità di tenace resistenza ai vincoli pretesi. Di qui il carattere forzatamente precario delle vantate conquiste e la necessità di difenderle con la prepara- | zione e le frequenti azioni belliche, le quali si traducono per le unioni in nuovi costi elevatissimi. Chiarita infatti l'insufficienza del sistema dei sussidi d’emigrazione, con cui le leghe si sfor- zaron per molti anni di alleggerire il mercato dalle scorie più ingombranti .(3); prevalso il concetto che il livello dei salari dipenda, non dal rapporto fra domanda e offerta, ma dalla ferma insistenza dei lavoratori in un elevato tenor di vita, l'arma dello sciopero diviene espediente di politica normale, ed imper- versa con una estensione ed una violenza ignote per l’addietro. Agli Stati Uniti l'aumento nel numero degli scioperanti fu, dal 1881 al 1905, continuo e impressionante (4), e le somme pagate dalle unioni ai loro membri impegnati nella lotta tocca- rono, dal 1881 al 1900, un totale di 16.174.793 dollari, mentre (1) Cfr. PanraLeonI, Pure economies (tr. ingl.), Londra, 1898, p. 285. (2) Cfr. J. Barpoux, L’Angleterre radicale (1906-1913), Parigi, 1913, p. 479. (3) Molto popolare fra il 1840 e il 1860, questo sistema del vecchio unionismo fu quasi del tutto abbandonato in seguito, sebbene tuttora se ne avverta qualche traccia. Cfr. W. E. Weyt, Benefit features of the british trade- unions ,, in “ Bulletin of the Bureau of labor ,, 1906, maggio, p. 669 e sgg. (4) Cfr. Twenty-first annual report of the U. S. commissioner of labour. Washington, 1906, p. 15. 4 7, Cad cosi tà lag ni; 408 GIUSEPPE PRATO a 257.863.478 si calcola l'ammontare delle mercedi perdute (1). Nè è possibile tradurre in cifre il sacrifizio economico imposto alle ingenti masse implicate negli ultimi formidabili conflitti, che perturbarono così profondamente il mondo del lavoro bri- tannico. L'incertezza stessa dei metodi proposti a misurare il danno di uno sciopero e i compensi che ne procura l'eventualità della vittoria porge una chiara riprova dell’alto costo dei van- taggi che, nella migliore ipotesi, è lecito ripromettersi per tale via (2). Uno studio d’altronde più analiticamente approfondito dei più caratteristici ambienti operai rivelerebbe agevolmente altri sacrifizi ed altre perdite a cui i consociati devon sottostare, in omaggio alla tattica delle organizzazioni. La guerra dichiarata ai lavoratori inferiori, agli stranieri, alle concorrenze femminili ed infantili, domiciliari e carcerarie non si esplica esclusivamente e sempre in opposizione agli imprenditori per vincolarne Ja libertà di scelta. Almeno altrettanto importante è l’azione di- retta, che, col boicottaggio, ove non basti la pacifica persuasione, mira ad eliminare inesorabilmente la pressione di queste forze. Il fenomeno è particolarmente notevole per noi in quanto tende a far scomparire ogni forma di provento individuale o fami- gliare accessorio, sia che trattisi di miglioramenti personali ottenuti nella fabbrica stessa per anzianità e capacità propria o per altrui benevolenza (partecipazione ai profitti, premi di dili- genza o di produttività (3)), sia che si parli invece dei guadagni (1) Cfr. Sixteenth annual report of the U. S. commissioner of labour, Washington, 1901, p. 24. (2) Cfr. la elegante polemica che al riguardo si svolse, nel 1905 e 1906, fra il Loria, il Montemartini, lo Jannaccone, il Coletti, il Bachi; riassunta e coronata di suggestive osservazioni proprie da G. VarentI, Principii di scienza economica, Firenze, 1906, p. 484 e sgg. n. (3) Contro il cottimo lottarono a lungo le unioni. Cfr. D. Scnross, Les modes de rémunération du travail (tr. fr.), Parigi, 1902, p. 56 e sgg. Oggi vi sì sono in massima adattate, dove la sua adozione sia conciliabile col con- tratto collettivo. Cfr. Wess, La democrazia industriale, p. 302. Anzi i loro fautori più fervidi sostengono che nella pratica del sistema, come integra- zione del salario comune, sta il compenso dei migliori operai vincolati dal contratto collettivo. Cfr. Casrati, La politica industriale delle organizzazioni operaie, $ 2°. Se non che apologisti meno accorti, ascrivendo a merito ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 409 è é ealizzati nelle ore libere o dovuti all'opera supplementare della moglie, dei figli, di congiunti men validi. La lotta contro simili tegrazioni del bilancio di famiglia è, pure nei casi in cui si dissimula, universale e vivacissima; ma, a giudizio stesso dei delle organizzazioni la tendenza a sopprimere tali disuguaglianze, forniscon su questo punto pericolose testimonianze. Nei sindacati francesi, scrive uno dei più ingenui, la lotta contro le forme stimolanti di rimunerazione è empre ardentissima. Il regime sindacale tende sempre più a regolare so- vyranamente il salario, la durata del lavoro, il modo di rimunerazione, la produttività stessa dei suoi membri. E questo ci rivela un notevole spo- stamento della costrizione. All'origine i raggruppamenti operai si difendono contro la concorrenza esterna; ma, in seno alla professione, regna un indi- vidualismo assoluto; ciascuno aumenta a suo piacimento il proprio benes- sere personale, ricorre alle ore supplementari, regola a sua volontà, me- diante il cottimo, la propria produttività. Ed è questo lo stadio a cui sì sono arrestate le vecchie unioni inglesi di operai qualificati (quelle proba- bilmente a cui si riferisce l'argomento defensionale del Cabiati). Ma, nelle altre, a poco a poco Ja libertà individuale scompare, per far posto alla regola comune, e il controllo sindacale si estende, determinando un concetto sempre più rigoroso della coesione professionale indispensabile. Cfr. Ge- minLinc, Travailleurs au rabais, p.378 e sgg. La bella inchiesta americana sui vari metodi di restringere artificialmente la quantità di lavoro fornita ci procura su questo punto le più istruttive rivelazioni. © Usually it is “ found — riassume il rapporto — that the scale of wages established by “a union is a minimum scale, and that the employer is permitted without “ opposition to pay bigher, but not lower, wages to individuals. This being “ the case, it would appear that the employer could offer to the speedier “men a wage higher than the minimum, and thus gradually raise the “ level of speed, should he see fit. This indeed does occurin various trades, * but its full and free operation as a mean of inducing speed is checked “ by two or three conditions generally insisted on by the unions. In the “ first place the payment in excess of the minimum must not he computed “ în proportion to outpout, since this would establish a bonus system and “a dead line, both of which are practically a return to piecework. In the * second place, the minimum is usually placed so high that, in the esti- “ mation of the employer, he can not afford to pay more than the mi- “ nimum. As a matter of fact it has been found that where the minimum * scale is in vogue, the wages range very close to the minimum, but in “ nonunion establishments, there is much wider range between the lowest “ and highest extremes ,. Cfr. C. D. Wricnt, Regulation and restrietion of outpout (12th special report of the commissioner of labor), Washington, 1904, p. 19. Il prestigio d'altronde che ancora conserva negli ambienti unionistici il pregiudizio della * massa di lavoro, concorre alla diffusione 410 GIUSEPPE PRATO suoi apologisti, difficile fra tutte, per le tenaci opposizioni e rea- zioni che suscita fra gli operai sindacati medesimi, di cui mi- naccia spesso gli interessi più gelosi, le più personali abitudini, le ragioni più intime di vita morale, fondata su doti di intelli- genza, virtù di operosità, spirito di sacrificio degni d'ogni ri- spetto (1). Qualunque risultato adunque ottenuto in tal senso rappresenta, per parte dei consociati, una rinunzia, la quale, per quanto difficilmente valutabile in cifre precise, deve esser por- tata in aggiunta dei costi che la soppressione della indipendenza dei contratti singoli importa a carico della collettività organiz- zata. Nel lavoro agricolo il fenomeno si profila con lineamenti anche più tipici, per le resistenze che incontra, nella psicologia ostinata, diffidente ed interessata del contadino, ogni tentativo di farlo divergere dalla linea di condotta istintiva dell’individuale tornaconto. Onde lo sforzo delle leghe per monopolizzare la mano d'opera, vietando qualunque patto di partecipanza 0 sop- primendo ogni libertà di scelta dei proprietari, entro i limiti stessi del contratto-tipo, si svolge attraverso una serie non interrotta di aspri contrasti, di cui gli episodi selvaggi dei boicottaggi ro- magnoli ed emiliani e gli assassinii di Molinella non sono che gli indizi tragicamente appariscenti (2). Ma, anche fra il prole- tariato cittadino, la sensazione della esorbitanza dei costi a cui le reazioni sempre più intense provocate in ogni senso ed in ogni campo fatalmente condannano la esecuzione integrale del d'una psicologia contraria all’intensificazione individuale dello sforzo, retri- . D buita con varie forme di sopra-salario. Per l'estensione e l'efficacia di questo fattore morale, cfr. Maxweicer, Sur le conflit des évaluations dans le débat du salaire, in È Revue d'économie politique ,, XXI, 1907, p. 584 e sgg. (1) Cfr. Gemintina, Travailleurs au rabais, p. 320 e sgg. Ai moventi psicologici delle ostilità contro ogni forma di sopra-salario accenna pure F. W. Taussio, Inventors and money-makers, New York, 1915, p. 66. (2) Cfr. M. MissiroLi, Satrapia, Bologna, 1914, p. 15 e sgg. e N. Rac- cnranti, Gli uomini rossi all'arrembaggio dello Stato, Bologna, 1914, p. 11 e sgg. Il problema dei costi dell’azione sindacale nelle campagne dovrebbe poi esser particolarmente studiato in rapporto alla disoccupazione prodotta dalle provocate misure difensive dei proprietari, che conla trasformazione delle colture, dove non bastò la sostituzione delle macchine al lavoro umano, ridussero sensibilmente la richiesta di quest'ultimo, deprimendone il valore di mercato. «i = te. o I 2.0 “= « Pi ì Ls ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAvoRO 411 programma sindacale (1), tende ad attenuarne sensibilmente il prestigio (2). Si sente confusamente che una condizione di mer- cato procurata e mantenuta mercè una serie così concatenata di inevitabili atti di violenza contiene, nella sua logica stessa, i germi di formidabili correttivi, a contrastare i quali occorron sacrifizi continui e spesso superiori al compenso. E la confessione più evidente della nuova consapevolezza che si vien diffondendo della inettitudine dei mezzi adoperati, cioè del contratto collet- tivo puro e semplice, a raggiungere gli scopi che gli furon pro- posti appare nel recente orientamento politico dei partiti operai, i quali pretendono di far sopportare dalla società — sotto forma di pensioni di invalidità e di vecchiaia, di assistenza gratuita, di lavori pubblici pei disoccupati, di mille forme di anti-econo- mica liberalità — il costo dell’ostracismo spietato mercè il quale le unioni si liberano delle più nocive concorrenze. Soltanto invero a tal fatto il prezzo di coalizione da esse praticato conserva la speranza di mantenere un discreto livello (3). (1) Di tali reazioni richiede una special menzione quella che si mani- festa nella costituzione dei sindacati padronali di difesa, sorti in massima parte o radicalmente trasformati per opporsi agli scioperi, ai boicottaggi, ecc., ed importanti a lor volta costi spesso elevati che, falcidiando il prodotto netto dell'industria, tendono a diminuire non meno i salari che i profitti. Che si tratti in massima parte di fenomeno di ritorsione lo dice la crono- logia e lo dimostra la storia di tali associazioni. Cfr. B. Succio, Le orga- nizzazioni sindacali padronali di resistenza nel campo economico scvciale, To- rino, 1911, p. 19 e sgg. (2) Fin da quando l’azione delle unioni inglesi prese ad accentuarsi nel senso delle nuove direttive, non mancò chi ebbe ad osservare che il sacri- ficarsi pel “ diritto divino , dei sindacati non poteva rimanere per lungo tempo un'idea popolare in un paese che, nel nome della libera dignità umana, aveva così inesorabilmente estirpato ogni concetto di diritto divino dagli organi supremi della sua vita pubblica. Cfr. Mackay, The dangers of democracy, p. 29. (3) Nella lotta agraria che dura da più anni, con alterna vicenda, in Romagna si può osservare in modo tipico come il successo della politica delle leghe presupponga il continuo intervento dello stato come datore di lavoro, a rimedio degli inconvenienti provocati dal tentativo di monopolio operaio. Cfr. A. Caroncini, La questione delle trebbiatrici a Ravenna, in “ Giornale degli economisti e rivista di statistica ,, ott. 1910, genn., marzo, giugno 1911. Ciò ammette del resto anche il Casiari, quando dice che i lavoratori ravennati ‘si valgono dei lavori pubblici come riserva per im- (MI gp i “Rei: 412 GIUSEPPE PRATO "4 ì Prescindendo però da questo aspetto del problema, che dal Ù . . . campo puramente economico sconfina in quello, meno rigoroso, \ del parassitismo sociale; e tentando di ridurre a risultanze po- Di) sitive quanto siam venuti esponendo, sembrami incontestabil- mente confermato anzitutto che il metodo del contratto collet- tivo abbia, a giudizio stesso dei suoi fautori, per primo effetto di frenare le forze ascensionali degli ottimi (tecnicamente e moralmente) e di peggiorare la condizione degli infimi, con l’in- tento di giovare agli strati medî, costituenti il nerbo delle orga- nizzazioni; onde mal s’oppone chi nel diffondersi di questa pra- tica ravvisi una sicura via di miglioramento per le sorti del proletariato, considerato nel suo complesso. Passando poi a riguardare il fenomeno nell’esclusivo e limitato rispetto di quella parte delle classi lavoratrici che si ritiene particolarmente av- vantaggiata da simile mezzo, devesi riconoscere altresì che i risultati che se ne ripromettono rimangon in molti casì, indi- pendentemente dall’esito apparente delle formulate richieste, totalmente o parzialmente illusori, se pur non toccano Ja zona delle utilità negative. L'impresa di appalto della mano d’opera nella quale si as- somma l’azione del sindacato tende infatti, come vedemmo, a sostituire al prezzo di concorrenza una tariffa, che del prezzo di coalizione presenta in grado eminente le caratteristiche ben note di insicurezza e di costosità. La scomparsa pertanto del- l'offerta libera è contrassegnata da un aggravio delle passività da dedursi dal prezzo della merce per ottenere il ricavo netto; ciò che basta a classificare tale manifestazione della tattica sindacale tra gli atti contrari alla funzione riduttrice di costi in cui il Pantaleoni ravvisa l’utilità essenziale di consimili aggruppamenti. Se non esistessero ostacoli a riversare sui profitti l’artifi- ciale incremento di costi, il sistema raggiungerebbe evidente- porre ai proprietari delle terre patti sempre migliori ,. Cfr. / conffitti di > 0 Romagna, le cooperative e il socialismo, Milano, 1911, p. 27. In Australia poi I ì partiti operai non esitano a proclamare apertamente che il lavoro di stato, con relativo salario minimo, è il complemento logico dell’interven- Rae zionismo applicato all’industria privata. Cfr. Berrer, Illusions socialistes et réalités économiques, p. 162 e sgg. ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 413 mente il suo scopo. Ma sappiamo che la rimunerazione del la- «voro, come quella degli altri agenti della produzione, tocca un limite massimo nel rendimento dell’opera a cui viene applicato, e che, in regime di concorrenza (anche imperfetta), essa ha tendenza normale, in un periodo sufficientemente prolungato, a raggiungerlo; onde è vuota di senso, economicamente parlando, l'espressione comune d'un lavoro pagato “meno di quanto me- rita, (1). Stretta in un cerchio così inesorabile, ben si com- prende come l’azione sindacale non possa, a lungo andare, trovar scampo alla bancarotta delle nuove sue massime relative alle leggi del salario, fuorchè nella invocazione e nella richiesta mi- nacciosa di estranei risarcimenti, tendenti a far sopportare dalla collettività i costi anormali di cui viene ad esser gravata la merce offerta; compensi però ispirati a quei concetti extra- economici di cui è organicamente viziata la terminologia e la logica comune in quest’ibrida materia. Le considerazioni dianzi svolte circa l'influenza deprimente che la pratica del contratto collettivo può esercitare sul mercato generale dei salari, han d’uopo d'esser completate da taluni rilievi accessori che per altra via ne confermano l'attendibilità. Devesi anzitutto por mente ai vantaggi ben noti che un sistema di prezzi multipli (o variabili, o duplici o a classi che dir si voglia) assicura ad un monopolista, totale o parziale, consentendogli da un lato di ridurre al minimo le rendite dei consumatori, dall'altro di sfruttare fino all'estremo limite i gradi inferiori della domanda. L'affermazione del Marshall, che il monopolista possa indursi a diminuire il prezzo stabilito in misura unica per tutto il prodotto, a fine di ampliare lo smercio ed accrescere il profitto netto (2), diviene ogni dì meglio una ipotesi teorica destituita di base nel mondo reale, dove esiste ormai tale sinonimia fra monopolio e prezzo multiplo (3) che (1) Cfr. Wicxsreep, The common sense of political economy, p. 339 e sgg. (2) Cfr. Principles of economics, vol. I, p. 546. (3) Cfr. Nicorson, Principii di economia politica, p. 403. i tt e 107 o Sa 0 iininieRE 414 GIUSEPPE PRATO v'ha chi considera una eventuale uniformità del valore come indice manifesto di circostanze perturbatrici (1). E queste dis- : criminazioni, che si manifestano in rapporto alla destinazione della merce, o alla capacità d'acquisto dei compratori, o ai luoghi o al tempo di smercio (2), tendendo ad attuare una sempre più perfetta individualizzazione dei prezzi (3), non son proprie i soltanto dei casi di monopolio puro, ma ricompaiono in quelli nei quali, come nell'esempio addotto dal Walras (4), di tale situazione non si avvertono che pochi e transitori elementi. La politica dei sindacati industriali (coalizioni limitate e precarie e non monopolî assoluti) porge di simile verità la più eloquente riprova (5). Non è dunque senza meraviglia che vediamo il sindacato operaio orientare la propria cundotta sopra un indirizzo net- tamente opposto, convergendo le forze alla instaurazione uni- forme e durevole di quel prezzo-tipo, di cui i venditori più accorti ben conoscono gli inconvenienti. i I partigiani delle leghe contestano l’esattezza dell’asserto di Yves Guyot: “ L’égalité des salaires était un des postulats “ socialistes. Il a disparu. Les trade-unionistes admettent fort “ bien l’inégalité des salaires entre professions, mais ils veulent “ l’égalité des salaires dans la profession , (6). Ma la tendenza in tal senso è innegabile. Fra i tipografi tedeschi (7), francesi (8), cia 7° (1) Cfr. R. T. Envy, Monopolies and trusts, New York, 1900, p. 108. (2) Cfr. la bella analisi di P. Jannaccone, 1 “ dumping , e la discrimi- nazione dei prezzi, in È Riforma sociale ,, 1914, marzo. (3) Cfr. Cassora, La formazione dei prezzi nel commercio, p. 3 e sgg. (4) Cfr. Éléments d'économie politique pure, Losanna, 1889, p. 501. bi (5) Cfr. G. W. Jenks, La questione dei sindacati industriali (tr. it.), in 3 e 5: ST SE Sarti ta catia “ Biblioteca dell’economista ,, ser. 4*, parte 2°, p. 622 e sgg. Riassume le differenze locali dei prezzi praticati dai ?rusts, quali risultarono alla In- dustrial commission: J. A. Hourwrca, Trust and prices, in ° Annals of I American academy of political and social science ,, XLVII, novembre 1902. i A (6) Cfr. Les*conflits du travail et leur solution, p. 249. . (7) Cfr. Leroy, Le contrat collectif de travail en Allemagne, annexe, p. 282. (8) Cfr. Rapport Champeau sur l’unification des salaires par régions, al IX Congresso nazionale della “ Fédération des travailleurs du livre ,, Lione, 1905. iti ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEI CONTR. COLL. DI LAVORO +15 belgi (1), la lotta per l’unificazione delle tariffe nazionali durò a lungo ostinatissima, non cedendo alfine se non provvisoria- mente di fronte alla constatata, incoercibile forza delle cose (2). Più accentuato e generale è però il movimento nell’industria tessile, nella quale la concorrenza dei distretti rurali è più intensa e terribile (3). Anche gli addetti alla sartoria furono fra i primi a proclamarne, fin dal 1867, il principio (4); e lor tennero dietro, in Francia, i vetrai (5), i guantai (6), e, in se- guito, quasi tutte le categorie specializzate. In Inghilterra, i cotonieri porgon esempio di una larga unificazione; imitati tuttavia da molti altri mestieri, fra i quali è diffusa opinione che sia vantaggioso porre “ tutti gli stabilimenti industriali di “ un singolo distretto, e tutti i distretti nel campo dell'industria, “ per quanto è possibile, in condizione di uguaglianza per ri- “ spetto al prezzo a cui ottengono il lavoro umano , (7). Ma ciò spesso non si raggiunge che a spese degli operai di deter- minate aziende o di certi centri (8) ed a costo di lotte esaurienti. Se ne ebbe di recente (estate del 1915) un interessante saggio DI anche a Torino, dove la singolare insistenza dei dirigenti lo sciopero laniero nel pretendere un assurdo pareggiamento di tariffe con quelle di Biella, escludendo ogni comparativa inda- | gine circa la condizione di produttività e di costi dei due di- (1) Cfr. VanperweLDE, Enquéte sur les associations professionnelles d’ar- tisans et d'ouvriers en Belgique, Bruxelles, 1891, vol. I, p. 93 e sgg. (2) Cfr. Gexinuine, Travailleurs au rabais, p. 374. Rimane negli statuti delle federazione francese (art. 1°, $ 3°) il principio di cercar © di stabilire una tariffa quanto più è possibile uniforme in tutto il paese ,. (3) Cfr. per la Francia, V. Rewxarp, Rapport à la Commission d'enquéte parlementaire sur l’industrie textile, in “ Enquéète.sur l'état de l'industrie . textile et la condition des ouvriers tisseurs ,, Parigi, 1905, vol. II, p. 297 e sgg.; e De Sermac, Les grèves textiles dans le Nord,in “ Revue populaire d’économie sociale ,, 5 dic. 1903. (4) Cfr. Orrice DU TRAVAIL, Les associations professionnelles ouvrières, t. II, Parigi, 1901, p. 618. (5) Cfr. XI Congresso nazionale della “ Fédération nationale des tra- vailleurs du verre ,, Albi, 1906, Compte rendu, p. 61. (6) Cfr. Les associations professionnelles ouvrières, t. Il, p. 217. (7) Cfr. Wess, La democrazia industriale, p. 194 e sg. (8) Cfr. Wen, La democrazia industriale, p. 282. 416 GIUSEPPE PRATO stretti, fu causa preponderante dell’ inasprirsi e prolungarsi del conflitto (1). Vendere a un sol prezzo, sopra un territorio quanto più è possibile esteso, per modo da impedire agli imprenditori di con- _ trapporre alle pretese degli operai d'un luogo la discrezione di quelli di un altro, viene dunque considerato come ottimo e po- sitivo acquisto per l’azione sindacale. Ed è forse, in molti casi, necessità logica della tattica adottata: poichè, una volta am- messo il principio della soppressione della libertà plastica e mutevole dei contratti singoli, sostituiti da accordi semi-perma- nenti e rigidi collettivamente stipulati, gli errori di valutazione e le sperequazioni di trattamento non appaiono troppo più pro- babili nel calcolo d'una media generale che nel tentativo d’un equo ragguaglio alle condizioni locali. Nulla, in realtà, di più difficile che l'apprezzamento esatto dei fattori di disparità che. debbono influire sulle mercedi in due, non molto dissimili, mercati. I relatori della grande inchiesta francese sui salari del 1891-93 così concludevano le loro amplissime indagini circa Je cause di variazioni topografiche riscontrate: “ Le salaire dépend à la fois “ de la région et de la localité, mais d’une manière assez com-. “ plexe, car il est impossible d’apercevoir. par exemple, une “ relation simple entre le taux des salaires et la situation géo- graphique ou le chiffre de la population de chaque localité , (2). Se ciò è vero, qualunque giudizio a priorî sopra un problema così delicato non può che esser fonte di arbitrio e far capo a peggiori ingiustizie. Ma, se il rinunziare alla pretesa può essere per le unioni una necessità, non è men evidente che, confes- sandosi inette a valersi del complesso strumento dei prezzi mul- tipli, esse si classificano da sè stesse fra i venditori men pro- grediti e più empirici, che, con l’unicità delle tariffe, eliminano dal mercato le domande marginali e rinunziano a sfruttare le migliori, deprimendo sensibilmente le condizioni di smercio. “ (1) Cfr. Verbali delle adunanze fra industriali e rappresentanza operaia durante lo sciopero tessile torinese, settembre-ottobre 1915. Dai delegati operai fu invocato più volte, a loro giustificazione, l'esempio dei sindacati esteri, tendenti alle uniformità nazionali e regionali pei salari. (2) Cfr. CorweLISsEN, Théorie du salaire et du travail salurié, p, 359. 9 a a ' ° x , Ul ,* : aa) ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLI. DI LAVORO 417 Come lo stato italiano, creando con la legge sull’ “ equo trat- tamento , del personale una artificiale uniformità di costi delle imprese di trasporti, tende ad isolare dalle comunicazioni coi mag- giori centrile località più povere (1), così l’organizzazione operaia, togliendo col sistema del salario-tipo per territori e per industrie la possibilità di adattare il prezzo alla destinazione del lavoro ven- duto, al potere d'acquisto delle aziende che lo ricercano, alle spese di produzione ed al costo della vita delle diverse località, re- stringe fatalmente il campo d'impiego, con danno della classe rappresentata, non meno che con pregiudizio sociale eviden- tissimo. La discriminazione dei prezzi, oltrechè in relazione alla sede o alle qualità dei compratori, si pratica in base alle diversità, anche minime, fra le diverse porzioni d’una merce. E tale in- tento si propone, per dir vero, la minuta individuazione dei gruppi in cui i moderni contratti collettivi scompongono la massa di lavoro disponibile (2). Se non che, così squisitamente gra- duata si presenta la scala dei valori personali, sia pure esclu- sivamente tecnici, che ogni sforzo per ridurli a serie di unifor- mità fisse e nettamente delimitate deve di necessità risolversi in una classificazione almeno parzialmente arbitraria. Quanto 0s- servammo degli effetti del sistema studiato sull’insieme della popolazione operaia si ripete, in minori proporzioni, riguardo ai singoli gruppi in cui la porzione organizzata viene a ripartirsi. Il sacrifizio, entro ciascuno di essi, degli ottimi e degli infimi deve fatalmente avverarsi in misura tanto maggiore quanto più "(1) È ciò che avviene, del resto, ad ogni fissazione uniforme e stabile di qualunque prezzo sopra un’area non troppo ristretta. Anche con la mi- glior volontà di tener conto delle differenze dei mercati locali, l'autorità non riesce abitualmente che a distruggere gli scambi, provocando la ca- restia ed esasperando il rincaro, che volevasi prevenire. Il classico esempio del marimum rivoluzionario non ha d’uopo d’esser narrato. Cfr. D. ZoLLa, La crise des subsistances sous la Révolution, in È Revue des deux mondes ,, 1° dicembre 1915. (2) La tariffa dei cottimi fissata nel 1905 pei tessitori di Avesne-les- Aubert occupa più di 7 pagine del volume dell’Office du travail sui conflitti ed accordi in quell’anno. In Inghilterra talune tariffe dell'industria tessile arrivano a formare dei grossi opuscoli. Quella per la filatura del distretto di Bolton occupa 85 pagine. Cfr. R. Jay, Le contrat collectif du travail. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 2i ) ( (SI GRIARO, Do PERO è 2000 Rat ni ii a SR" atrio RE Re Bi; : Î 418 GIUSEPPE PRATO 3 rimane lontana dalla perfezione la differenziazione raggiunta. Anche adunque dal punto di vista della presentazione della merce, il contratto collettivo non realizza i vantaggi che, in regime di monopolio o di coalizione, si raggiungono con la sapiente mol- teplicità dei prezzi. È uno dei casi a cui meglio si adatta l’os- servazione del Pareto circa le perdite di ofelimità connesse ai grossolani ripieghi con cui sì sostituisce, in molti scambi, il me- todo teoricamente più perfetto (1). Ma, così operando, non vi ha dubbio che le unioni procedano a ritroso di tutto l’innegabile movimento di reazione prodottosi ai dì nostri, sotto l’azione della viva realtà, contro il concetto astratto della uniforme “ unità di lavoro , e del “ lavoratore medio ,, caro alle teorie della prima metà dell'ottocento (2). Lo sviluppo della scienza, sullo scorcio del secolo, prese le mosse appunto dallo studio e dalla considerazione delle deviazioni da siffatto tipo medio, mentre una più squisita rilevazione statistica delineava le leggi delle diffe- renze naturali fra individui in ciascun gruppo, ed applicazioni geniali la estendevano ai rapporti con le produttività singole e collettive (3). Ad un sistema fondato sulla ignoranza o la nega- zione di simile indirizzo mancan certo i requisiti essenziali di un proficuo adattamento alle esigenze della vita. Il danno derivante dal difetto di variabilità simultanea sì aggrava per il carattere durevole dei prezzi così stabiliti. “ Il “ sistema dei prezzi costanti, che è largamente usato nella “ nostra società, dimostra ancora il Pareto, non procaccia gene- “ ralmente il massimo di ofelimità ,. Il che, relativamente alla merce-lavoro, è verità manifesta. Giustamente infatti il Wicksteed riscontrò in questa specie di beni degli elementi fortemente spe- culativi, dovuti alla somma difficoltà che si prova, in molteplici casi, a calcolare preventivamente con esattezza il presumibile rendimento della quantità da acquistarsi (4). Costretto a con- trattare una tariffa d’una certa durata, l'imprenditore dovrà for- zatamente far entrare nelle proprie valutazioni tutti i plausibili (1) Cfr. Manuale di economia politica, p. 341. 2) Cfr. G. Sorer, Introduction à l’économie moderne, Parigi, 1911, p. 29. (3) Cfr. H. L. Moore, Laws of wages. An essay in statistical economics, New York, 1911, p. 182 e sgg. (4) Cfr. The common sense of political economy, p. 328. ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 419 «motivi di deprezzamento non troppo remotamente futuro della merce offerta, nè accetterà se non quelle condizioni che lo assi- curino contro le eventualità men favorevoli (1). Ciò basterà ad impedire che il prezzo salga mai oltre i limiti d’una media ra- gionevole, ben lontani dalle vette a cui lo vediamo rapidamente elevarsi allorchè una felice congiuntura imprime subitamente ad un'industria un eccezionale fervore d’espansione (2). Gli strava- ganti salari toccati, anni addietro, al personale d'ogni grado (1) Oppongono, per dir vero, i fautori del sistema che gli imprendi- tori ritraggon vantaggio dalla sicurezza che acquistano che, per un certo tempo, i salari non subiranno cambiamenti; onde riesce loro possibile far preventivi di gestione più esatti. Ma molte sono le industrie in cui questo fattore non è preponderante rispetto al costo di produzione complessivo: e sono infinite le circostanze (tecniche o relative alle condizioni di mer- cato) che concorrono a modificare la convenienza di assumere del personale ad un determinato prezzo, entro un periodo non troppo breve. È, in mas- sima, preferibile per un industriale esser libero di conformare le mercedì alla congiuntura generale dell’îndustria che possedere la certezza di non dover subire una richiesta di aumento in un momento di eccezionali gua- dagni. Non ne occorre altra prova che la facilità (comprovata dalle sta- tistiche) con cui gli scioperi a ciò rivolti ottengono lo scopo in quest’ultimo caso, e la probabilità di insuccesso di quelli tendenti ad impedire le ridu- zioni, nei momenti di depressione o di crisi. Cfr. per l’illustrazione stati- stica di quest'ultima verità: Moore, Laws of wages, p. 105 e sgg. Il consi- derare il contratto collettivo come una assicurazione stipulata dall’industriale contro i pericoli di cronici ricatti, secondo fanno anche economisti non eccessivamente favorevoli alle esorbitanze del movimento operaio (cfr. p. e. De Motixari, La guerre civile du capital et du travail, in “ Journal des éco- nomistes ,, 15 settembre 1899), non risponde agli insegnamenti dell’espe- rienza, essendo provatissimo che gli scioperi non furono punto eliminati con l'applicazione di questo metodo, nè d'altri consimili vincoli temporanei alla libertà d'azione delle parti; e potendo del resto gli operai disertare individualmente, con mille pretesti, l'officina appena si dischiuda altrove la prospettiva d'una retribuzione migliore. Quest'ultimo punto è bene illu- | strato da A. C. Pigou, Principles and methods of industrial peace, Londra, 1905, p. 210 e sgg. Certo è che il sistema della cauzione di garanzia sì ri- vela in pratica affatto insufficiente contro tale pericolo. Neppur basterebbe, probabilmente, il ripristino delle vecchie disposizioni che consideravan reato punibile con pene personali l’inadempienza del contratto di lavoro; | legislazione di cui gli assidui sforzi degli operai ottennero l'abrogazione dovunque, fuorchè in Russia e, pel lavoro agricolo, in Ungheria. Cfr. Lovrs, L'ouvrier devant lÉtat, p. 70 e sgg. (2) L'inconveniente non sfuggì ai più intelligenti delegati operai, che, 420 GIUSEPPE PRATO delle ditte automobilistiche torinesi non sarebbero stati certa- mente fissati in un contratto dibattuto nei primordi del verti- ginoso movimento ; nè le stipulazioni intervenute al vertice della parabola valsero a salvarli dal precipizio in cui caddero pochi mesi dopo. La soppressione del mercato libero — aspirazione fonda- mentale dell’unionismo — eliminando un termine di confronto indispensabile alla valutazione corretta, tende ad aggravare l’in- conveniente di una tariffa stabilita in precedenza e per un certo periodo costante. E se è vero quanto osserva il Wicksteed circa l’inefficienza organica dei patti che si scostino dalla posizione economica ideale, “ da quella cioè corrispondente al valore eco- “ nomico marginale di ciascun lavoratore, posto che tutti po- “ tessero muoversi liberamente verso le posizioni più favore- “ voli , (1), non si vede come tale coincidenza possa, tranne che per mero caso, venir attuata da un accordo contrattuale arbi- trario, a cui manchi, per giunta, il positivo e sperimentale ele- mento di paragone che alla determinazione del prezzo-tipo offre lo spettacolo di un esistente mercato aperto. La tendenza che si va manifestando nei paesi in cui la spontanea fluttuazione dei salari individuali fu sottoposta a maggiori limitazioni, legali o sindacali, di sostituire ai criteri economici quelli connessi ad un certo livello di tenore di vita intellettuale e morale significa per sè stessa in gran parte una preziosa confessione delle dif- ficoltà insuperabili che gli incaricati di fissare durevolmente ed uniformemente le mercedi — funzionari dei wages' boards (2), 0 negoziatori di contratti collettivi — incontrano, appena vogliano agire in senso rigorosamente conforme alle forze naturali che essi son chiamati a sostituire. La complessità formidabile dei nel terzo congresso dei sindacati tedeschi (Francoforte, 1889), ne trassero argomenti contro il metodo proposto. Cfr. B. RayrnauD, Le contrat collectif de travail, Parigi, 1901, p. 161 e sgg. (1) Cfr. The common sense of political economy, p. 328. (2) Il difetto di duttilità e la manchevole attitudine ad adattarsi pron- tamente ed incessantemente alle mutevolissime variazioni del mercato è invero considerato come difetto organico gravissimo dei sistemi di salario minimo legale, anche dai più fiduciosi intervenzionisti. Cfr. Prc, Traité dé mentaire de législation industrielle, p. 778 e sgg. ua. 4 ‘| tr, ' , ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 421 fattori di cui dovrebbero tener conto non tarda a rinserrarli in sì aspra cerchia di perplessità contraddittorie da indurli a rifu- giarsi nel regno delle frasi vaghe e delle idealità sentimentali, inaccessibile alla logica ferrea del fenomeno concretamente po- sitivo (1). Ma, ove questa via di scampo sia, dalla resistenza o dalle reazioni (a lungo andare inevitabili} delle altre forze, preclusa, uniformità e costanza di retribuzione in un mestiere non possono che agire in senso contrario al facile raggiungimento dei mas- simi a pro della mano d'opera, nei periodi di anormale prospe- rità (2), col pericolo di far rifluire verso rami di attività men vincolati i più intelligenti ed i migliori. Ciò che si osserva nelle campagne, dove la consuetudine mantiene in talune mercedi una stabilità e uniformità più accentuata (3), onde i più abili, dispe- rando di raggiungere un guadagno corrispondente al loro spirito di iniziativa, emigrano verso sedi ed occupazioni il cui saggio di retribuzione sia più sensibile (4), riesce a tal riguardo alta- mente istruttivo. * * * Di qualche fattore psicologico è pure d’uopo tener conto, la cui importanza assume, in materia di tal fatta, valore spe- cialissimo. ® (1) Ne offre un saggio interessante, nel suo tentativo di analisi storica, etica ed economico-giuridica dell'argomento, J. A. Ryan, Salaire et droit à leristence (tr. fr.), Parigi, 1910, p. 23 e sgg. (2) In Australia si osserva che il salario minimo diviene sempre e | K- subito un salario massimo, “ nessun industriale consentendo ad elevarlo di in un penny ,. Cfr. BeLLer, Ilusions socialistes et réalités économiques, p. 161; val n e M. T. Rauxin, Arbitration and conciliation in Australasia, Londra, 1916, SVIENE p. 74 e sgg. (3) Un'analisi delle cause che conferiscono alle mercedìi agricole un ca- rattere più consuetudinario leggesi in Carozza-Money, The future of work, p. 146 e sgg. Più profondamente illustra le ragioni per le quali le medesime sì sottraggono, in molti casi, all’azione della concorrenza e presentano una immobilità maggiore G. VarenmtI, Principii di scienza economica, p. 472 e sgg. (4) Lo confermano, per l'Inghilterra, recenti inchieste ufficiali. Cfr. The land. Report of the lana enquiry committee, vol. I, 4% ed., Londra, 1913, p. 31 e sgg. 3 A si ) 422 GIUSEPPE PRATO , 10% Requisito essenziale di correttezza d’un contratto e di mas- pi sima approssimazione del prezzo al saggio tipico è l’impersona- ; lita delle trattative e la completa assenza di preoccupazioni non | economiche nel dibattito. L'affidarne la cura a tecnici spassionati, che negoziano il la- voro come una merce qualsiasi, facendo astrazione completa dai rapporti degli individui, sembrerebbe dover realizzare in modo ideale questa condizione; ed è ciò che affermano i difensori del sistema (1). Se non che, osservando la realtà delle cose con men in- genuo e prevenuto spirito critico, sì scorge che proprio l’op- posto è la verità. Nel contratto singolo può darsi che l’operaio il quale si renda inviso, per un motivo qualsiasi, al suo princi- pale si veda rifiutati i miglioramenti a cui potrebbe aspirare e, in casì estremi, venga perfino perseguitato a segno da dover - cambiar sede. Ma il fatto — dannoso anche all’industriale, se si tratta di un buon operaio — rimane episodio isolato, nè influisce sul livello delle mercedi praticate nel mestiere. Col contratto 4 collettivo si ottiene invece il trionfale risultato di estendere alla massa l’odiosità procacciatasi dai pochi, riflettendo sulla nego- ziazione intiera l’azione perturbatrice degli accidentali attriti litigiosi. Le statistiche degli scioperi ci insegnano quante volte il prolungamento d’un conflitto si dovette alla irreduttibile resi- stenza padronale alla pretesa riammissione di pochi operai li- cenziati. Nè può ascriversi fra i fattori di soluzioni conciliative e di dibattito spassionato, come ben nota il Cree (2), la quo- i tidiana dose di contumelie di cui dagli oratori dei comizi e dalla stampa sindacale vengono gratificati gli imprenditori, gli epi- teti che li qualificano, la propaganda di esecrazione di cui son fatti segno (3). ta A (1) Così R. Darra Vota, I problemi dell'organizzazione del lavoro, Fi- p25 renze, 1903, p. 105. ; iL (2) Cfr. A criticism of the theory of trades’ unions, p. 31 e sgg. Ai (3) Da ciò essenzialmente il rifiuto non infrequente degli industriali di so FER trattar la composizione del conflitto con qualcuno degli organizzatori, re- sosi più particolarmente inviso per la virulenza del suo linguaggio e delle sue invettive. Nell'ultimo conflitto fra gli armatori liberi italiani ed i loro dipendenti se ne ebbe un esempio. a si SEE PEA RITO LL _ I _e [pe vr To Pet e 0 ie IA RAR i PT Ù "10 A È A ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 423 Mentre quindi, permanendo la libertà dei rapporti fra le parti, sono perfettamente concepibili — e, nel fatto, più fre- quenti che non si creda — gli scambi contenenti qualche ele- mento altruistico (cioè quelli in cui, non insistendosi troppo dai due scambiatori nella posizione di massimo vantaggio si mira ad una combinazione che rappresenti un uguale beneficio per entrambi (1)), l’instaurato regime di coalizione tende a moltipli- care gli scambi nettamente egoistici, in cui i due si sforzano di subire il minimo uguale svantaggio, in confronto alla posizione di massima preferenza a cui dovettero rinunciare. La teoria della lotta di classi, che è il presupposto della tattica unioni- stica, ha un substrato soltanto parzialmente economico, nume- rosi essendo i moventi etici, gli impulsi sentimentali, le astra- zioni filosofiche onde essa ebbe vita. Negare che la medesima eserciti, in un fenomeno rigorosamente positivo come quello della determinazione d’un prezzo, un'influenza perturbatrice, introdu- cendo nel dibattito eterogenei elementi, mi sembra una prova di più dello spirito anti-scientifico con cui soglionsi trattare si- mili problemi (2). Lo scostarsi che così si osserva del mercato dagli attributi di impersonalità che ne costituiscono la migliore garanzia riesce, anche per un altro verso, palesissimo e particolarmente perico- loso. Gli apologisti delle unioni si fan forti delle testimonianze di molti industriali che, in più occasioni, ebbero a dichiarare di non vedere di mal occhio l’organizzarsi del personale, anzi di ri- tenerlo assai utile, perchè coi delegati, meglio che con la massa, è facile intendersi. Il giudizio però sembrerebbe almeno strano se, come si pretende, dal formarsi delle coalizioni scaturi vera- mente una falcidia dei profitti a pro delle mercedi. Ma la me- raviglia si attenua ove si rifletta all’opportunità che il concen- tramento dell'offerta nelle mani di pochi mandatari porge alle (1) Se, come si afferma, nello scambio isolato il lavoratore rappresenta la parte più debole, le transazioni di questo tipo saranno in massima a lui favorevoli, e l’esistenza di un certo numero di tali contratti contribuirà ad elevare la media generale. (2) Più efficace di qualsiasi organo arbitrale per riuscire ad un equo componimento fondato sul comune vantaggio suno il sincero spirito con- ciliativo e le disposizioni amichevoli delle parti. È la premessa, piena di buon senso, del Picov, Principles and methods of industrial peace, p. 113. ati 424 GIUSEPPE PRATO arti di corruzione, a cui le debolezze della natura umana appre- stano troppo frequenti ragioni di successo. Il contratto collettivo, atto spesso assai complicato e perciò richiedente nei negoziatori un alto grado di competenza tecnica, presuppone una delega dei poteri per parte della massa a una o più persone strettamente specializzate, le cui funzioni consultive e direttive tendono vie meglio ad assumere carattere di professione permanente (1). Senza insistere sulle predisposizioni speciali che a simili com- promessi potrebbero venir supposte in uomini appartenenti, come i condottieri operai, ad un’ibrida classe di piccoli borghesi spo- stati (2), non può almeno negarsi che l'aver sostituita l’opera di plenipotenziari allo spontaneo gioco delle forze formative dei prezzi crei rischi speciali di colpevoli e non confessati accordi, a tutto danno dei rappresentati, illusi ed incoscienti. Roberto Michels descrive assai bene per quale irresistibile processo di organiche forze la democrazia operaia si renda insensibilmente inetta al raggiungimento dei primi suoi scopi, attraverso l’opera d'una oligarchia sempre più stabile, egoista, parassitaria e ti- rannica (3). Ma le sue osservazioni, prevalentemente riguardanti l’azione politica, sono altrettanto vere se le riferiamo al campo economico (il quale del resto già vedemmo come molte volte sia subordinato e sacrificato al primo). Pur ammettendo come ecce- (1) Cfr. Wes, La democrazia industriale, p. 197 e sgg. (2) La formazione di questo ceto caratteristico è ben descritta da R. Mr- cners. La sociologia del partito politico nelle democrazia moderna (tr. it.), Torino, 1912, p. 285 e sgg. Durante l’attuale guerra è segnalata come una vera calamità pubblica, in Inghilterra, l’ingombrante, continua presenza alla capitale di vere folle di codesti “ delegati ,, pei quali ogni pretesto è buono per escogitare oziose inissioni, a spese dei loro, più o meno spon- tanei, rappresentati. Cfr. Trade and the State, in “ The Candid ,, feb- braio 1916. (3) Il dispotismo con cuii dirigenti trattano gli iscritti si rese palese nel modo più odioso in occasione del gigantesco e disastroso sciopero ge- nerale inglese del 1912, che risultò dovuto a un colpo di testa di pochi uomini — i capi della Transport workers” federation — senza interpellare le masse, lanciate contro la sconfitta. La “ Review of reviews ,, le cui ten- denze sono pure abbastanza radicali, denunziò in quell'occasione “ l’abbo- minevole sistema di autocrazia, che va prevalendo negli ambienti operai. Cfr. Trade-unionismo sano e trade-unionismo morboso, in “ Minerva ,, 1° ot- tobre 1912. î ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 425 ionale la corruzione specifica, devesi ricordare esser infinite le vie per le quali, senza diretta prostituzione pecuniaria, si può trafficare (perfino inconsapevolmente) la propria coscienza. Non è raro, ad esempio, l’udire industriali o proprietari di collegi elettorali da tempo infeudati al socialismo confessare l'appoggio, tacito o palese, da essi concesso ai candidati del partito domi- nante, in cambio d’una specie di garanzia dai medesimi promessa contro incomposte od eccessive agitazioni economiche delle di- sciplinate maestranze. L'accusa di “ addomesticamento , dei dirigenti le organizzazioni, appena il mutato tenor di vita o la conquista di un seggio in parlamento li pongano in più intimo contatto coi vituperati capitalisti, si ripete dovunque ed ogni giorno. E in Francia, dove il sindacalismo rivoluzionario dilagò più minacciosamente, il tipo dell’imprenditore che si assicura contro le ostilità, non sempre puramente verbali, degli operai, professando opinioni radico-socialiste e finanziando partito, stampa e sindacati, è divenuto quotidiano motivo di arguzia satirica per- fino nel romanzo e sulle scene (1). Dato dunque il consolidarsi della burocrazia direttiva delle leghe in una classe nettamente distinta di specialisti, a lor volta : strettamente avvinti da comunanza di origine, di mentalità, di interessi e tendente a fare dell’organizzazione un ente superiore, non del tutto spoglio di attributi mistici, e vivente come scopo a sé stesso, l’abdicazione in tali mani della facoltà di dibattere le condizioni a cui la massa dei sudditi dovrà cedere la propria opera, anzi di regolare la sorte economica del proletariato in- tiero, vincolandola in base ad una arbitraria estensione del prin- cipio della gestione di affari, parmi tolga, a propriamente par- lare, in gran parte al fenomeno la figura — sotto la quale vien presentato — di coalizione spontanea, per conferirgli quella di i intermediazione interessata, se non di astuta speculazione sovra 4 una merce della cui vendita il produttore possa venire indotto a non occuparsi direttamente. Ora è noto che la funzione inter- mediaria degenera in pericoloso parassitismo ogni volta che gravi (1) Contro la corruzione plutocratica, che sfibra nei suoi duci la forza ‘ascendente dalle masse, si scaglian invece violentemente talune aperte e documentate denunzie. Cfr. specialmente F. Derarsi, La démocratie et les Ù financiers, Parigi, 1910, p. 186 e sgg. e passim. ue > — % e E 426 GIUSEPPE PRATO di costi troppo elevati il processo di scambio a cui presiede, specie a causa del numero eccessivo di coloro che vi si dedicano; onde la dannosità economica dell’opera prestata risulta in ra- gione della facilità di esercitarla (1). Ma il modo come si reclu- _ tano, fra le classi di elementare coltura e di intensi appetiti, i condottieri operai, porge esempio di un’ offerta spontanea sempre più larga di tale servizio, sotto il crescente allettamento dei vantaggi materiali e morali connessi a simile stato. E l’ac- crescimento numerico si risolve a sua volta nel tentativo di estendere l’organizzazione a strati sempre nuovi, in virtù della legge di esistenza, per la quale, se in un dato campo gli inter- mediari divengono soverchi, il loro zelo nella ricerca di clienti sempre più miserabili si infervora oltre ogni limite di economica convenienza (2).. Indipendentemente intanto dai costi indiretti di cui illu- strammo qualche saggio (3), il puro mantenimento dell'organo importa per sè stesso un carico sensibile (4). La percentuale delle spese di amministrazione all'insieme delle altre nel rendiconto complessivo delle unioni inglesi oscillò, dal 1900 al 1907, fra il 20,7 (1907) e il 24,9 (1900) (5). Ed i metodi con cui si ot- tengono, per alimentare questi bilanci. i contributi regolari degli iscritti non escludono il ricorso ad un terrorismo, che, in più di (1) Cfr. A. MarrortI, Della intermediazione e dei suoi rapporti con la cooperazione e la concentrazione capitalistica del commercio al minuto, Na-. poli, 1914, p. 17 e sgg. (2) Cfr. A. MarrortI, Dell'intermediazione e dei suoi rapporti con la coope- razione e la concentrazione capitalistica del commercio al minuto, p. 20. Il dilatarsi ipertrofico del nuovo unionismo, del sindacalismo agrario, ece., illustra questa verità. (3) Fra tali costi convien tener conto in modo particolarissimo delle perdite cagionate dagli scioperi, provocati e sostenuti all’unico scopo di imporre il riconoscimento dell’organizzazione, cioè il diritto dei capi a trat- tare essi soli per la massa. Chi volesse applicare a tali conflitti il sistema analogico con cui l'Edgeworth istituisce un parallelo fra scioperi e guerra, potrebbe assomigliarli alle guerre dinastiche, dichiarate e combattute nell'interesse e pel puntiglio della casta dominatrice; poichè in fondo ri- conoseimento della lega equivale in pratica a riconoscimento della sua bu- rocrazia. Il numero di scioperi dovuto a questa causa cresce impressio- nantemente, mentre declinan quelli per aumento di salari. Mi sembra assai (V. note (4) e (5) a pag. seg.). “ un caso, non trova riscontro fuorchè nella crudeltà di ricatti con i sordidi sensali di miseria umana sfruttano gli infimi strati delle plebi tradizionalmente più degradate (1). Spogliati delle suggestiva la seguente tabella, che raccoglie i dati per gli Stati Uniti, attraverso un non breve periodo : Percentuale | | Percentuale al totale degli scioperi | al totale degli scioperi ì cagionati da richieste ' \ cagionati da richieste Anni » La Anni A È x Ln AE di aumento di riconoscimento | di aumento |di riconoscimento di salario | delle unioni i di salario delle unioni 1881 61,15 DUla 1894 | 30,54 | 12,45 1882 54,41 5,95 1895 | 41,98 12.35 1883 45,40 7,53 1896 | 26,80 | 21,93 1884 29,57 | 6.77 | 1897 35,81 12,99 1885 Sena | 7,44 1898 | 36,36 l'o,2 1886 41,69 8,73 1899 | 38.84 19,53 1887 33,64 15,60 1900 | 32,94 | 15,35 1888 25,94 13,69 | 1901 29,04 27.98 1889 29,95 12,65 1902. | 32,86 25,27 1890 |! 31,48 12,88 Il 1903 | SUIT 23,24 1891 | 26,67 14/27 1904 2319 | 32,42 1892 | 29,12 15,25 | 1905 | 28,07 30,86 1893 | 24,21 19,79 — | — — Cfr. Moore, Law of wages, p. 125. (4) Non mancano di rendersene conto gli operai. I commissari ameri- cani della Industrial commission, notarono appunto che nel dovere di fedeltà all'unione che i loro compagni men fortunati impongono a quelli saliti ai posti migliori, è implicito il riconoscimento dei costi da essi sopportati per aiutarli a conquistarli. Cfr. ELy, Studies in the erolution of industrial society, New York, 1913, p. 365 e sg. (5) Cfr. E. Guvor, Le socialisme et l'évolution de l° Angleterre contempo- raine (1880-1911), Parigi, 1913, p. 541. (1) Il © terrorismo delle unioni ,, che fu l'incubo dell’Inghilterra in- torno al 1860, non aveva per scopo soltanto di far tremare i padroni col sacco dei loro opifici, la rottura delle macchine e gli incendi; ma si esten- deva, in forma non meno violenta (guasto o sottrazione dì strumenti, esplo- sione di macchine, violenze e vie di fatto dall'ingiuria all'assassinio) contro gli operai in ritardo nel versamento delle quote sociali. Cfr. WkBB, Histoire du tradunionisme (tr. fr.), Parigi, 1897, p. 286; e Comre ve Paris, Les asso- ciations ouvrières en Angleterre, 7* ed., Parigi, 1884, p. 4 e sgg. Se la pratica della libertà ha salvati quei servi per metà emancipati da talune fra s* € Dc 1 i h: + io 4 SC %,'* . d ANCORA SULLE IO ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 427 der e ai "a ada, e 428 GIUSEPPE PRATO parvenze illusorie e secondarie per ridurli a termini compara- bili, i due fenomeni si concretano entrambi nella speculazione d’un ristretto gruppo di persone, che, subordinando al proprio controllo l’altrui lavoro, riescono a distrarre a proprio vantaggio una parte del prodotto. La lotta diuturna contro l’intermedia- zione privata (1), che viene dipinta come una delle benemerenze del moderno movimento operaio, farebbe capo così al contrasto fra due parassitismi, l’uno dei quali in sostanza non diverso nè men oppressivo dell’altro ; anche se, nelle sincere intenzioni di molti fra i suoi creatori, mirante a scopi radicalmente antitetici (2). E l'antico profitto del commercio fornitore di schiavi, scomparso con l'emancipazione (3), rinascerebbe dissimulato in questa illu- soria forma (4). queste odiose pratiche, non ha disarmate le ostilità implacabili, espresse ben di frequente nelle persecuzioni più rivoltanti. Ne conviene il GemAnLING, Travailleurs au rabais, p. 381 e sgg. Ma dove l’organizzazione è più primi- tiva, quegli episodi si riproducono in tutto il loro orrore. È lo sanno in Italia i liberi lavoratori 6 semplicemente i non-leghisti emiliani e roma- gnoli. Certo i metodi di dominio che additano alla pubblica esecrazione gli sfruttatori di certe plebi meridionali non toccaron che raramente uguali eccessì. (1) Non privo di significato rispetto all’affinità sostanziale dei due fe- nomeni appare il fatto che, nelle leggi più rigorose contro la privata spe- culazione sull’altrui collocamento o lavoro, si sentì il bisogno di dichiarare esplicitamente che i divieti comminati non si estendevano all'opera pre- stata ed ai contratti stipulati da associazioni operaie. Così nel progetto di legge sul marchandage, votato dalla camera francese il 17 marzo 1910; e, assai prima, nel decreto 2 marzo 1848 del governo provvisorio. Cfr. E. Payen, Réglementation du travail réalisée ou projetée. Ses illusions, ses dangers, Pa- rigi, 1913, p.192 e sgg. (2) Riesce interessante trovar esposto questo punto di vista, fin dal 1786, rispetto a quell’embrione dell’organizzazione operaia odierna che fu, per più aspetti, il compagnonnage. Im un memoriale inedito infatti indirizzato in quell’anno da un gruppo di operai al Consiglio del commercio francese leggonsi gravi accuse contro il costo dell’associazione, per le alte quote e per i frequenti conflitti di cui è causa; onde invocasi la costituzione di una vera borsa del lavoro pubblica, dove esclusivamente possano padroni e operai convenire per intendersi direttamente. Cfr. E. Levassevr, Histoire des classes ouvrières et de l'industrie en France avant 1789, 2* ed., Parigi, 1901, p. 827 e sg. (3) Cfr. De MoLinari, Questions économiques à l’'ordre du jour, p.79 e sgg. (4) A chi ripugnasse il confronto, si potrebbe invece richiamare il caso À | | ì | | $ i d1* 4 A to O. i iù ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLI. DI LAVORO 429 i “ L'associazione, scrive egregiamente il Lorenzoni, è .un “ mezzo per diminuire lo sfruttamento; ma è anche, per l’op- « posto, un mezzo di attuare nuovi sfruttamenti; quest’ultimo .“« effetto non rimane escluso in una economia organizzata a base “ di coalizioni , (1). * * * Fraintenderebbe singolarmente quanto siamo venuti espo- nendo chi volesse ravvisarvi l’apologia della tesi ostile all’esi- stenza dell'organizzazione operaia, o semplicemente negatrice della asserita sua utilità. Il problema degli effetti dell’unionismo sulla efficienza economica complessiva della struttura industriale moderna è infinitamente più vasto di quello a cui si rivolse la nostra attenzione ; e, se non vha dubbio che recenti avveni- menti hanno singolarmente avvalorata l'opinione di quanti addi- tano nel movimento una causa limitatrice di produttività sociale (2), è del pari incontestabile che ragioni validissime confortano tut- tora l'opposto punto di vista. Ma il riconoscere o meno i vantaggi che, per molti aspetti, l’organizzazione può procurare è perfettamente indipendente dal- dei coolies, che pur essendo teoricamente perfettamente liberi, dipendono però nel fatto rigorosamente dall’engagiste, l'intermediario contrattante. Cfr. P. Jaxnaccone, Il contratto di lavoro, in ° Enciclopedia giuridica ita- liana ,, Milano, 1897, p. 59 e sgg. dell’estr. (1) Cfr. La cooperazione agraria nella Germania moderna, "l'rento, 1902, vol. II, p. 235. Onde la tesi estrema, sostenuta da altri, che l'associazione tenda ad accrescere anzichè a temperare lo squilibrio esistente nella di- stribuzione della ricchezza. Cfr. CassoLa, La proprietà e la distribuzione della ricchezza, Milano, 1916, p. 86 e sgg. "i (2) La necessità in cui si trovò il più demagogo fra i ministri inglesi di sospendere i regolamenti, gli accordi ed i privilegi unionistici nelle in- dustrie assoggettate alla mobilitazione patriottica, e gli scongiuri da lui ripetuti anche ultimamente (nella seduta dei Comuni del 21 dicembre 1915), | perchè i sindacati temperassero per qualche tempo la loro intransigenza, specie quanto all'impiego di lavoratori non esperimentati, furono certo sintomatiche confessioni degli ostacoli creati in tempi normali da vincoli siffatti al pieno rendimento di un'impresa qualunque. Non li nega, in sostanza, riferendo le constatazioni ufficiali, G. D. H. Core, Labour in war time, Londra, 1915, pp. 155 e sgg., 170 e sgg. 430 GIUSEPPE PRATO l’indagare se, nella sua tattica, essa non esca talora di strada, e se l’uno o l’altro dei suoi metodi preferiti non raggiunga per avventura fini opposti a quelli che si propone. Ora a ciò effettivamente si riduce il caso che ci occupa; in cui ci siam proposti di ricercare semplicemente se la vendita collettiva della merce-lavoro abbia probabilità speciali di man- tenere elevato il livello dei prezzi, sia riguardo all'insieme della mano d'opera disponibile che rispetto a quella porzione della medesima che forma oggetto particolare di tali contratti. La risposta fortemente dubitativa a cui siam giunti toccherebbe adunque le ragioni vitali del fenomeno unionistico soltanto se rispondesse a verità l’asserto del Clark : “ Organisation means collective bargaining , (1). Nel fatto però la necessaria identità non esiste, se non nella mente di chi scambia le deviazioni tem- poranee per fatalità logiche di qualsiasi movimento. Mentre forse le illazioni che scaturiscono in via normale dai principî onde il fenomeno ebbe vita ci condurrebbero a ritenere piuttosto che in tanto l’opera delle unioni appaia feconda in quanto sia rivolta, anzichè a sterili conati di monopolio o di intermedia- zione parassitaria, a rinforzare la posizione dell’operaio isolato, favorendo l'evoluzione spontanea, che viene sempre meglio eli- minando la costui condizione di inferiorità iniziale nei confronti dell’imprenditore. Allorchè i Webb, facendosi forti dell’autorità dell’Edgeworth, esaltano il contratto collettivo in base al postulato che una coa- (1) Cfr. Essentials of economic theory, p.453. Dello stesso parere è T. G. Sprers, The labour question, Londra, 1894, p. 11, e Dara Vorra, I problemi dell’organizzazione del lavoro, p. 104. Neppure la reciproca è vera; poichè anche quando il lavoro non era organizzato si ebbero frequenti esempi di contratti collettivi. Cfr. H. vox Nosritz, Das Aufsteigen des Ar- beiterstandes in England, Jena, 1900, p. 604 e sgg. “ Il concordato di tariffa, * osserva G. Messina, nella pratica inglese e in quella degli altri stati, non ‘ si dimostra limitato al campo delle trade-unions. Da un lato vi sono unioni che cercano di raggiungere i loro scopi con mezzi diversi dal contratto collettivo, e dall'altro intere legioni di operai non unionisti amano vedere fissate le condizioni del lavoro, ed in ispecie il salario, in “ un concordato ,. Cfr. I concordati di tariffa nell'ordinamento giuridico del lavoro, in “ Rivista di diritto commerciale, industriale e marittimo ,, 1904, II, parte 1*, p. 458 e sgg. 6 DO ME ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 431 izione tende normalmente all’elevazione delle tariffe (1), non ri- flettono che ad un maggior ricavo nell’esito d'una merce qual- siasi il produttore può giungere non meno innalzandone il prezzo che riducendone il costo ; operazione quest’ultima in cui i sin- dacati rivendicano le essenziali loro benemerenze. E quando gli autori stessi insistono sulla utilità di porre in grado il lavoratore di mercanteggiare, con piena indipendenza e a ragion veduta, l’opera propria (2), dimenticano tutte le vie per le quali l’organizzazione può tendere a tale mèta, senza farsi diretta appaltatrice degli altrui servizi. Parecchi anni addietro il Nicholson osservava, sulle orme del Jevons (3), che, se l'influenza dell’organizzazione nell’elevare il li- vello nominale dei salari risulta discutibile, la sua funzione specifica sta nel promuovere in tutti i modi gli interessi dei suoi membri, nell’innalzare la loro condizione generale e nell’accrescere i sa- lari reali (4). Più recentemente il Dibblee, fondandosi sulla con- siderazione delle origini e del significato storico del fenomeno unionistico insisteva sulla importanza particolarissima che, in confronto alla più appariscente azione di resistenza, ebbe fin 3 dal principio e conserva la specifica funzione assunta dalle leghe di preservatrici e regolatrici delle riserve del lavoro; nella quale benemerenza innegabile nei confronti dell'economia generale È deve cercarsi la ragione profonda del privilegio giuridico con cui il legislatore inglese volle preservati dalle conseguenze di ; inconsulte esorbitanze in altri campi i fondi mutualistici (5). Ne A mano a mano che la concomitanza di forze estranee a cui accennammo accresce la fluidità e la potenza di attesa del lavo- ratore, un simile ordine di idee acquista forza e valore sempre À maggiori. i Col sussidio mutualistico, con l'assistenza legale gratuita, SE (1) Cfr. La democrazia industriale, p. 605. (2) Cfr. La democrazia industriale, p. 602 e sgg. (3) Il quale aveva eloquentemente sostenuta questi tesi a Manchester, nel 1868, in una imponente riunione operaia. Cfr. Methods of social reform and cther papers, Londra, 1904, p. 98 e sgg. (4) Cfr. la voce Wages in “ Encyclopaedia britannica ,, 9* ed., Edim- burgo, 1888, vol. XXIV, p. 306 e sgg. (5) Cfr. The laws of supply and demand, 2% ed. Londra, 1912, p. 235 e sgg. 432 GIUSEPPE PRATO con l’opera di libera consulenza, con la malleveria personale per | le obbligazioni assunte dal socio, può l’intervento sociale riflet- tersi sui contratti individuali nel senso di aumentare la capacità del produttore a rimanere a lungo sul mercato, rinfrancando le energie della resistenza isolata e sottraendo i contraenti alla tirannia del bisogno impellente; di illuminare le ignoranze; di suggerire le formule di intesa; di attutire gli attriti, di elimi- nare le difficoltà : altrettanti modi di accrescere la dignità e la proficuità dei patti che si stipulano e di mantenere sostenuta la media. La sistemazione del collocamento, inteso nel duplice senso di informazione pronta, precisa, larghissima e di consultivo av- vicinamento delle parti, viene giustamente rivendicata come loro còmpito peculiare dalle unioni, in confronto ai tentativi di affidarne la cura ad organi pubblici. Ma le finalità partigiane, che in pratica snaturano la spassionata correttezza del servizio, vietano al medesimo di raggiungere il massimo di efficacia (1). Sugli spostamenti da luogo a luogo potrebbe poi special- mente esercitarsi l’influenza delle leghe, se non assumendo il pieno controllo delle correnti migratorie, come propose un giorno ai loro capoccia il Pantaleoni (2), almeno ottenendo, secondo egli stesso suggerisce, facilitazioni di trasporto, tariffe differenziali e per comitive, ecc. (3), così da accrescere l’intensità di circola- (1) © Entre les mains des syndacats socialistes — deplorava il De Mo- “ rinari — les Bourses du travail sont devenues des foyers d’agitation au “ lieu d’étre des foyers d’information ,. Cfr. Questions économiques à l’ordre du jour, p. 77. (2) Cfr. Scritti varî di economia, ser. 2*, p. 203. Nello stesso senso, ma più accentuatamente, altri vorrebbe che le unioni assumessero direttamente l'esecuzione completa di un lavoro. Così Y. Guyor in una conferenza te- nuta a Liegi: L'organisation commerciale du travail, Parigi, 1900. Ma il rischio di sfruttamento non sarebbe punto eliminato. (3) Cfr. Scritti varì di economia, ser. 2*, p. 259. Quanto sia fecondo si- mile campo di attività lo dice l'esempio di certi enti di patronato, i quali adempiono egregiamente e con la massima imparzialità tale còmpito, rag- gruppando gli emigranti di passaggio in qualche stazione di confine e pro- curando loro facilitazioni fortissime di tariffe. I segretariati di Chiasso e di Basilea dell’ “ Opera di assistenza degli operai emigrati in Europa e nel Levante ,, fan risparmiare in tal modo ogni anno agli italiani parecchie ‘pe ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLI.. DI LAVORO 433 zione del lavoro fra i vari mercati, sotto l'impero della legge del tornaconto (1). Ottenere, per quanto più è possibile, la “ commercializza- zione del lavoro ,, è il miglior modo per ricavarne, a pro della vita economica universale, il più alto rendimento (2), sinonimo a sua volta, a non lungo andare, di retribuzione reale mag- giore (3). Alla legge cui fa capo il progresso della economia orto- dossa, per la quale ogni aggiunta alla efficienza produttiva del- l'industria, e null'altro fuorchè questo, tende ad elevare permanen- temente i salari, recenti studi statistici recan conforto di prove sempre più copiose e sicure. Ed appare di giorno in giorno più chiaro che, attraverso una scientifica organizzazione tecnica e sociale dell’industria, il lavoratore tende a realizzare veramente un guadagno corrispondente a quanto produce (4). 0 molto io mi inganno o ciò equivale a dire che, soltanto rendendosi conto di questa verità essenziale ed adoprandosi con piena buona fede nel senso indicato dalla logica di principî e di forze che non è in poter loro deviare o comprimere (5), sarà dato alle leghe centinaia di migliaia di lire. Ma le organizzazioni potrebbero sistemare e coordinare in modo permanente, all’estero ed all’interno, simili agevolezze, diminuendo di molto i costi ed i disagi che ostacolano la mobilità della mano d'opera. (1) Una recente inchiesta americana, pone in chiara luce la stretta correlazione esistente fra l'efficienza industriale d'un paese e l’organizza- zione scientifica del collocamento. Cfr. America's interest after the european war, in “ Annals of american Academy of political and social science ,, LXI, settembre 1915, parte 3%, n! 3, 4,5, 6, 7. È questo un magnifico campo di azione per dei sindacati apoliticamente tecnici. (2) Cfr. D. BeLLer, Le chòmage et son remède, Parigi, 1912, p. 276. (3) Di questa verità teorica, cfr. le eleganti dimostrazioni statistiche del Moore, Laws of wages, p. 44 e sgg. (4) Cfr. Moore, Laws of wages, p. 188. (5) Agirebbero evidentemente in senso opposto agli scopi così indicati le unioni di mestiere se, giustificando l'accusa che spesso loro è mossa, favorissero una riduzione artificiale, anzichè una intensificazione di produt- tività della forza-lavoro alle loro dipendenze, opponendosi, per esempio, all'introduzione di sistemi di gestione scientifica nella azienda, come fecero in America. Cfr. Leghe operaie e gestione scientifica delle aziende, in * Mi- nerva ,, 21 maggio 1911. Si avrebbe in tal caso fatalmente un esempio Atti della R. Accademia — Vol. LI. 29 434 GIUSEPPE PRATO operaie assicurare l’indefinito progresso proprio, in pari tempo contribuendo a quello delle classi che rappresentano e della so- cietà in cui vivono. Sopra la visione inconciliabilmente antagonistica, il concetto armonico della solidarietà profonda fra capitale e lavoro si ri- vendica così ancora, sovranamente. Le conclusioni a cui siam giunti non suonano d'altronde condanna assoluta e sistematica del contratto collettivo. Limi- tate all'influenza che è lecito attendersene rispetto al livello dei salari e delle condizioni di lavoro in generale, e perciò non ri- flettenti che indirettamente la decantata sua azione nel campo della pacificazione sociale (1), esse non vietan d’altro lato di rico- noscere che, in molti casi, tale contratto possa con vantaggio venir sostituito all’individuale, specie quando abbastanza breve ne sia la durata e ristretta l’estensione e supposto sempre che solide garanzie giuridiche ed economiche rendano non illusorie le re- sponsabilità contratte dall’unione stipulatrice. Credo però che le considerazioni svolte ci autorizzino almeno ad asserire che la premessa teorica su cui si appoggiò la tesi della sua preferibi- lità non riposa su basi scientificamente indiscutibili, nè tanto meno può assumersi come punto di partenza assiomatico. Ciò avrebbe, a vero dire, un interesse puramente accade- mico, se il discusso postulato non costituisse il presupposto car- degli effetti dannosi che l’esistenza di un monopolio anche parziale eser- cita normalmente sull’efficienza dei mezzi di produzione. Cfr. R. Ausprrz et R. Lresen, Recherche sur la théorie du prix (tr. fr.), Parigi, 1914, p. 244. (1) È particolarmente in tal senso che la pratica del contratto collet- tivo venne esaltata dalla commissione incaricata di sorvegliare l’applica- zione della tariffa concordata fra industriali ed operai tipografi tedeschi (uno dei più grandiosi saggi di durevole applicazione del sistema), in una memoria presentata al Reichstag nel 1904. Cfr. Soziale Praxis, 21 genn. 1904, p. 426. Ed è come organo di pace sociale che essenzialmente considera il contratto collettivo il Preov, Principles and methods of industrial peace, p. 137 e sce. e a di PL IL MII SOT Pe E eng ANCORA SULLE PREMESSE ECON. DEL CONTR. COLL. DI LAVORO 435 dinale di tutto un movimento dottrinario e legislativo, mirante a incoraggiare con un regime privilegiato un indirizzo, che, abban- donato a sè, probabilmente non tarderebbe a rivelare l’organica sua fallacia. Fra gli autori stessi che esprimono la maggior fede nell'avvenire della tendenza, i più ritengono che, sotto l’impero della libertà e del diritto comune, non molto potrebbe sperar- sene (1). Onde il disegnarsi gagliardo di una corrente scientifica e pratica di schietto intervenzionismo (2), al quale parecchi fra i suoi fautori non assegnano altri limiti fuorchè quelli imposti dal timore di paralizzare, con un’armatura giuridica troppo co- strittiva, la portata della promettente riforma (3). Fra questi due contrari poli — convinzione della necessità della creazione d’un jus singulare ed esitanza a costituirlo di tutto punto prematuramente (4), in modo da comprometterne l'efficacia — ondeggia invero la mente dei legislatori che s’ap- plicarono alla soluzione concreta del problema. Dalle discussioni suscitate dal progetto di “ sciopero obbligatorio , di Millerana (1901-1906) (5), alle controversie a cui dàn luogo i disegni di re- golamentazione legale del contratto collettivo 2 luglio 1906 e 11 luglio 1910 (6), assistiamo in Francia al contrasto di due punti di vista, la cui divergenza, limitata all’opportunità dei mezzi, non intacca gli scopi proposti alla riforma. Ad uguali (1) Cfr. Ravwaup, Le contrat collectif du travail, p. 347 sgg. Tale opinione non sembra però divisa dal CarwneLurti allorchè scrive: “ Il regolamento “ collettivo zampilla dalla duplice fonte dell'arditrato e del contratto, e “ disegna, nell’avvenire lontano, il nuovo equilibrio dei contraenti, otte- “ nuto senza intervento della legge ,. Cfr. Infortuni sul lavoro, vol. 1, p. 39. Cfr. anche Sul contratto di lavoro relativo ai pubblici servizi assunti da im- prese private, in È Rivista di diritto commerciale, industriale e marittimo ,, 1909, I, p. 416 e sgg. (2) Per le manifestazioni varie di questa tendenza cfr. A. Groussier, La convention collective de travail, Parigi, 1913, p. 253 e sgg. e passim. (3) Ofr. le osservazioni di R. Jay, in “ Bulletin de la Société d’études législatives ,, 1907, p. 548 e sgg. (4) Si sostiene da parecchi che il contratto collettivo ancora non è | pervenuto ad un sufficiente stadio di cristallizzazione. Cfr. A. Hiisin, Der Tarifvertrag 2wischen Arbeitgeber und Arbeitnehmer, 1906, p. 3. (5) Cfr. A. Borssarp, Contrat de travail et salariat, Parigi, 1910, p. 146 e sgg. (6) Cfr. H. Caprranr, Cours de léyislation industrielle, Parigi, 1912, — p.466 e sgg. Atti della R. Accademia — Vol. LI, 99% 436 GIUSEPPE PRATO considerazioni si presta il notevolissimo progetto adottato dal Consiglio superiore del lavoro belga il 27 giugno 1911 (1). In questi, come negli altri piani elaborati e dibattuti in più paesi, come nei commenti teorici onde furono oggetto (2), il concetto |. della desiderabilità essenziale di veder attuato il sistema, ap- pena se ne scorga la possibilità, è sempre implicito e prepon- derante. Sia che considerino il fenomeno come un elemento del nuovo ambiente industriale, ogni discussione intorno al quale sarebbe oziosa non meno d’un dibattito sulla opportunità del- l’esistenza dell'atmosfera (3); sia che lo prospettino come una luminosa mèta, verso cui tendono tutte le forze di progresso dell'umanità ascendente, autori e legislatori concordano in mas- sima in un apprezzamento decisamente ottimistico. Da tale una- nimità di giudizì alla creazione d’un diritto privilegiato non è che un passo ; e le deroghe al diritto comune contenute negli accennati progetti non sono, per dichiarazione stessa dei loro autori, che gli indizi delle direttive su cui verrà orientandosi la coscienza giuridica futura (4). Ora è chiaro che qualunque dubbio o riserva, il quale tem- peri di qualche incertezza quanto v'ha di troppo categorico nel punto di vista iniziale e pregiudiziale, deve trasformarsi in am- monimento di prudenza riguardo alle conseguenze pratiche che se ne attendono. Fino a quando la superiorità economica asso- luta del contratto collettivo non è matematicamente dimostrata, rimane lecito pensare che un movimento legislativo fondato su tale presupposto risulti almeno prematuro. È inutile discutere d’una cosa — ammoniva il buon senso del Bagehot, concludendo il citato, classico saggio — se non si sia d’accordo sulle pre- (1) Cfr. C. De WisscHer, Le contrat collectif de travail. Théories juridiques et projets législatifs, Gand e Parigi, 1911, p. 372 e sgg. (2) Ricorderò fra questi in modo speciale l’acuto e dotto articolo del Messina, in cui le premesse relative alla diversità della posizione econo- mica iniziale delle parti, annullante la libertà di scelta nell’operaio, ed all’attitudine del contratto collettivo a rimediarvi, sono accolte senza riserve o discussione, con valore assiomatico. Cfr. / concordati di tariffe nell'ordinamento giuridico del lavoro. (3) Cfr. W. J. Asarey, The adjustment of wages, Londra, p. 10. (4) Ufr. Grovssier, La convention collective de travoil, p. 355 e sgg. y o “i ; $ +, RISO (i Al * rn di, Pea o ECON. DEL CONTR. COL. Bo LAVOR CP poichè ripugna di ammettere, colitea 14 Lage che ad una correzione teorica rimanga, a lungo andare indiffe- Eh la pratica (1). Se anche lo spettacolo. della politica economica dei tempi nostri può renderci molto scettici circa l'efficacia reale di questi consolanti truismi, non meno assidua e coscienziosa deve essere l'opera della scienza imparziale nel denunziare i pericoli delle soluzioni empiriche, frutto di leggerezza ed unilateralità teorica e di frettoloso semplicismo. ì. (1) Cfr. Mathematical psychics, p.128 e sgg. 438 1 é Noterelle fonetiche. Ile00ep6vn, Persiphone. — Beneficus, bemficus; benevolus, beni- volus. — Sulle alterazioni di é in 7 nei mss. — Illae= ille. Nota di MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS. IIe00ep6vn, Persiphone. Nel v. 4 dell'ormai troppo celebre laudatio Alliae è degna di nota la forma Persiphone, di cui non si aveva che un solo esempio nelle ‘inscriptiones falsae’, pubblicate in CIL vol. VI fasc. 5 n. 3555: PERSIPHONE - PACATA - DITI - DECVMBIT INTEGRITATI - LITAT - L'edizione, edita per la prima volta dall’Osann ‘ex schedis Hasii” nella SyZloge inscriptionum antiquarum Graecarum et La- tinarum p. 456 n. 179, senza che alcun dubbio sorgesse sulla sua . autenticità, viene accompagnata, nel vol. citato del Corpus, dalle seguenti osservazioni: “ figura feminae recumbens in operculo sarcophagi: inscriptio recens incisa. In museo Vaticano (Chia- ramonti a sin.) ,. Essendo adunque questa epigrafe una falsifi- DI È cazione, la forma Persiphone della laudatio Alliae rappresenta i: davvero un piccolo acquisto per l'onomastico latino, giacchè dif- cd ficilmente può attribuirsi a mero errore del lapicida, ma sembra TE invece una grafia che ha la sua ragione di essere nello sviluppo E) storico della lingua. PFISAN Non mancano esempi di affievolimenti vocalici della mede- sima specie sia in parole latine, sia in parole mutuate dal greco, sù ? nelle serie sédé0, obsidéo, praestdéo; légo, colligo, seligo; rèégo, erigo, porrigo, così anche troverebbero la loro spiegazione Alirentrom (3) ('AZégavdoor), Alirentros (A4#- EFavdgos), Persiphone (IHegoep6ry) (4). Tuttavia contro questa spiegazione si elevano parecchie difficoltà. Non parlo dell'ipotesi dell'intensità iniziale sulla cui esistenza credo si possano muovere fondati dubbi (5); ma richiamo l'attenzione sul fatto che, sebbene il culto di Persefone sia an- tico (nel 249 a. €. fu riconosciuto dallo Stato (6)), tuttavia il nome, con cui si designava la dea, non era Persephone ma Pro- serpina, che è riduzione latina del greco //egoegérn, come ha dimostrato l’Usener, che poi ha mutato opinione, e come «concordi ritengono il Jordan, il Wissowa, il Roscher. La meta- tesi 7780, pro si può infatti spiegare con la supposizione di una forma /Iogoegovn (ctr. Kéoxvoa, Kboxvoa; Toepovios, Teo- povios) con lo scambio 7709 pro, oppure con l'ipotesi che a base della forma latina vi fosse una forma dialettale italica per-, che (1) Di questo parere i filologi e i glottologi francesi, tra i quali eccel- lono l’Haver e il Merce. (2) Questa è l’opinione dei dotti tedeschi e di coloro che ne seguono le orme, tra i quali specialmente degno di nota il Linpsay. (3) Cfr. Ernour Le parler de Préneste p. 25. (4) Srorz Historische Grammatik I p. 95 sgg.; Handbuchi p.164 sgg.; Sommer Handbuch der lateinischen Laut- und Formenlehre p. 108 sgg. (5) Tra gli avversari alla ipotesi della intensità iniziale latina basti ricordare il Currivs e il Pepersen fra gli stranieri, il CoccHia e il D'Ovipio _ fra noi. (6) Roscner Lezikon III 2 col. 3146, 14 sgg.; De Sancris Storia dei Ro- mani II 529. 440) MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS divenne in latino pro (cfr. l’umbro fratrusper = pro fratribus). Per l’epentesi di » in 0eg, serp cfr. dpZaotor, aplastrum (1). Persephone adunque è la forma letteraria latina che s'impose quando l'influenza greca dominò sulla letteratura, in un periodo quindi in cui l'intensità iniziale aveva finito di esistere (2). Perciò il fattore dell’accento iniziale intenso non può servire a spiegare la corruzione di Persephone in Persiphone. Un'altra spiegazione, degna essa pure d’essere presa in molta considerazione, ha proposto il Rasi (3) che ritiene Persiphone come “ una forma erroneamente, forse popolarmente, itacizzata da un presupposto /Zeoongovn (cfr. Héoon, ns; IHéoons, ov) per Ieo- cep6vn ,. Ma verso la fine del III e il principio del IV secolo (4), epoca a cui risale l’epitafio di Allia, il nome della divinità in- fernale era entrato da lunga pezza nella letteratura romana, e l’autore non avrebbe mai dovuto procedere lui stesso alla ridu- zione in latino di una forma //eg07g6vn erroneamente presup- posta. Mi pare invece assai probabile che egli, nell'atto di dar prova della sua erudizione mitologica, di cui amava fare sfoggio, non si sia accorto di usare una grafia che riproduceva la pro- nuncia volgare. Presso i grammatici latini è fatta netta distinzione tra il suono di è e di è. Servio, ad es., fiorito nel quarto secolo d. C., osservava (GL IV 421, 19 K.) ...e quando producitur, vicinum est ad sonum i litterae, ut meta ; quando autem correptum, vicinum (1) Roscner Lezikon vol. cit. col. 3141, 42. Gli antichi invece conside- ravano Proserpina come parola latina. Varrone de ling. lat. p. 68 scriveva: Proserpinam ... quod haec ut serpens modo in dexteram, modo in sinisteram partem late movetur. serpere et proserpere idem dicebant ut Plautus quod scribit È quasi proserpens bestia’. Sì attengono all’ etimologia degli antichi il Currivs, il BiicneLer e l’Usener che prima aveva dimostrato rettamente la derivazione di Proserpina da IIegoepovy. (2) Venpryes Histoire de l’intensité initiale en latin p. 63 sgg. (3) Gli studi recenti sull'epitafio di Allia Potestas e la metrica del carme in “ Atti del Reale Istituto Veneto..., LXXIII 2 p. 697. Anche il Pascar nel suo articolo Una strana iscrizione metrica latina in È Atene e Roma , XVI (1913) p. 111 osservava giustamente che la grafia della lapide Persi- phone non doveva essere toccata. (4) Cfr. LencHantIN L’epitafio di Allia Potestas in “ Riv. di fil., XLI (1913) p. 399. ATENE. (Ani n s > 4 i Ci — ——°‘’NOTERELLE FONETICHE n° . estad sonum diphthongi, ut equus (1). Questa sensibile differenza tra 2ed è è attestata dai riflessi romanzi: ad un è latino risponde, cosa notissima, un e stretto italiano (stella lat. stella, cera lat. cera), mentre a un è latino risponde un e largo italiano in sil- laba chiusa (bello lat. 0è/us) e il gruppo ie in sillaba aperta: (dieci decem, diede dedit). Ma come nella pronuncia italiana non viene in tutte le regioni distinto l’e largo dall’e stretto, così nella pronuncia volgare e più specialmente provinciale non era sempre distinto l'e, il cui suono si avvicinava per attestazione dei gram- matici a quello dell’i, dall'è, il cui suono, pure per attestazione dei grammatici, si avvicinava a quello del dittongo ae. Quindi non dovremo meravigliarci se con Y sia stato talvolta rappre- sentato il suono dell’e breve per natura (2), che è un fatto esso pure documentato, sia per l'è tonico sia per l'è atono, dai gram- matici solleciti della buona pronuncia. Nell’Appendix Probi (3), che tanta importanza assume ri- guardo alla conoscenza del latino volgare, leggiamo GL IV 198,5 K. sénatus non sinatus e ibd. 199, 6 bipennis non bipinnis e nella ortografia che va sotto il nome di Capro GL VII 93, 3 K. cella pénaria non pinaria dicendum e ibd. 100, 23 primo pedatu non pidatu dicendum (4). Anche il dittongo ae simile per consenso dei grammatici al suono di è, era, come questo, talora rappresentato da i; così nell’Appendix Probi IV 197, 26 K. aquaeductus non acquiductus ; (1) Cfr. Marius Vicrorinus GL VI 33,3 K.: 0, ut e, geminum vocis sonum pro condicione temporis promit; [Sergivs] erplan. in. Don in GL IV 520, 28 ins quando e correptum est, sic sonat quasi diphthongus, équus; quando pro- ductum est, sic sonat quasi i, ut demens; Pomperes GL V 102, 4: e aliter longa, aliter brevis sonat..... dicit ita Terentianus ' quotiescumque e longam volumus proferri, vicina sit ad i litteram’. ipse sonus sic debet sonare quomodo sonat i littera. quando dicis evitat, vicina debet esse, sic pressa, sic angusta, ut vicina sit ad i litteram. quando vis dicere brevem e, simpliciter sonat. (2) Credo inutile osservare che si tiene solo conto della quantità di na- tura e non di quella di posizione. (3) Della terza parte dell’Appendir, che può considerarsi come un anti- barbarus ortografico, abbiamo, fondamentali, le edizioni del Forrsrer “ Wien. Stud., XIV (1892) p. 294 e di W. Henares * Archiv, XI (1900) p. 302 sgg. (4) Per questi esempi Linpsay-Nonr op. cit. p. 25; Dieur Altlat. In- schriften® p. 73. a ie fe i Sd ep A - è DL re.” 1,0 Pea l Mg TE AS “oe — 1 442 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS ibd. 198, 32 ferraemotus non terrimotium. Nelle lingue romanze si manifesta pure il fenomeno, che è inutile ricordare, per cui un latino è breve in sillaba aperta e un dittongo ae si rispec- chiano nel medesimo modo: in italiano, ad esempio, da laetus abbiamo lieto, come da décem dieci. In Persiphone è avvenuto adunque il passaggio di un è to- nico in ?î, per cui non mancano esempi tanto in sillaba aperta che in sillaba chiusa : filix accanto a felix, vigeo accanto a régeo, fiber accanto a féber (1), bipinnis sconsigliato dall’ Appendix Probi, carictum accanto a carectum (2), commircium accanto a commer- cium, su cui è importantissima la testimonianza di Velio Longo GL VII 77, 12 K. mium et commircium quoque per i antiquis re- linquamus, apud quos aeque et Mircurius per i dicebatur, quod mirandarum rerum esset inventor, ut Varro dicit. nostris iam au- ribus placet per e, ut et Mercurius et commercia dicantur. Ma non si tratta solo di una pronuncia arcaica, ma bensì d'una pronuncia volgare o meglio dialettale. Nel dialetto di Preneste (3), che è uno dei pochi parlari, legato da stretti vin- coli col latino, di cui, mercè dotti studi, noi possiamo avere un'idea meno imprecisa specialmente riguardo alla fonetica, in- contriamo il passaggio di è in % in sillaba tonica od atona in forme come Mirqurios (CIL XIV 4099) Mircurios (ibd. 4106) Alirentros (ibd. 4099; 4103). Ad una iscrizione di Lucera CZL IX 782 appartiene stircus (per stercus), che giustamente lo Stolz ritiene un oschismo (4). Il dialetto prenestino ha, per la comu- nanza di vocabolario e di sintassi e le molteplici somiglianze morfologiche e fonetiche, un carattere indiscutibilmente latino, nonostante certe notevoli divergenze che si rilevano nel periodo anteriore alla colonizzazione che-Silla fece di Preneste; e quindi sì presta a un confronto ed è di alto interesse sia per le con- (1) Pei luoghi, ove ricorrono queste forme, cfr. Grorces Lerikon der latein. W'ortformen. (2) De dub. nom. in GL V 573, 2 carecta Virgilius in bucolicis ‘tu sub carecta latebas’, nune caricta. (3) Cfr. Conway The Italie Dialectes 1 p. 310 sgg.; Ernour Le parler de Préneste d’apròs les inscriptions estratto dalle MSL XIII (1905) p. 1 sgg. (4) Handbuch* p. 41. Cfr. Linpsay-Noar op. cit. p. 264; Conway op. cit. I p. 225. È II Tn RE eee eee & OTERELLE FONETICHE led . : D CA Pei SE cordanze sia per le discordanze con la lingua di Roma, rie- scendo a fornirci una immagine, sebbene incompleta e sbiadita, Uw di quello che poteva essere un dialetto nei dintorni della Città, & 1 cioè di quello che era il sermo rusticus rispetto al sermo urdanus. NE ar Tuttavia il fenomeno del passaggio di è in fY non è solo un carattere del sermo rusticus, che nel periodo arcaico si parlava non lungi da Roma, ma si manifesta sporadicamente e special- mente in epoca tarda come un volgarismo, combattuto da alcuni grammatici e da altri registrato e talvolta approvato. Un vol- garismo di questo genere è appunto la forma Persiphone (1). Un'altra congettura sarebbe possibile, quando seguissimo Teodoro Claussen (“ Roman. Forsch., XY (1903) p. 853 e “ Neue ahrb., XV (1905) p. 412) che nella pronunzia assai stretta di &, he si osserva in molti dialetti greci (cfr. Brugmann Grundriss 2 $ 118; Hirt Handbuch der griech. Laut- und Formenlehre $ 81, 2), vorrebbe rintracciare la ragione del riflesso i in forme come piper (mémegi), citrus (zédoos), incitega (&yyvdrzn), nicro- antia (vexgouavieia). Ad essere un po’ scettici, sebbene non risolutamente, rispetto a cotesta ipotesi, vale però il fatto che ME. il fenomeno Z/Zegoegpévn, Persiphone e sim. non si manifesta solo in parole d'importazione ellenica, ma è un idiotismo di pronuncia non raro, come risulta dagli esempi addotti e dalle testimo- nianze dei grammatici e come meglio apparirà dalle conside- razioni che seguono. Beneficus, benificus ; benevolus, benivolus. I grammatici attestano la coesistenza di queste forme. Probo Inst. art. GL IV 119, 2 K,, senza decidersi tra l’una e l’altra, scrive: sunt nomina quae i litteram et in e litteram convertant, ut puta malivolus et malevolus et cetera talia. Invece Velio Longo GL 76, 13 K. osserva: Niso etiam placet ut benificus per î scri- (1) Sul passaggio di è in i, che avviene tanto in sillabe atone, quanto n sillabe toniche, si deve escludere l'influenza sia dell'accento storico della penultima, sia della pretesa intensità iniziale: cfr. sotto p. 448. LT” Lal a init lia See A n 444 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS batur, quomodo malificus, quod video consuetudinem repudiasse. non enim, si hae duae litterae, e et i, per ius affinitatis recipiunt immutationem, ideo necesse est illas utique semper immutari. item antiquos ait per e et i scribendum, quoniam significet ante. quod mihi frigidum et ineptum videtur. Dà la preferenza alle forme con ‘i Albino GL VII 298, 14 K. denivolus et benificus, licet a bene adverbio sit compositum, tamen per i, non per e scribitur; similiter | et malivolus et malificus, sicut a pace pacificus. Con questa testi- monianza si accorda la grafia di Messio Arusiano GL VII 458, 26 K. Benivolus illi, Cic. pro Flacco quam benivolum hune populo Romano, quam fidelem putatis. La grafia delle iscrizioni varia. Fluttuante tra deni- e bene- è la scrittura di denevolentia, su cui importante Placido CGL V 8, 28 (= 50, 10) denivolentia et malivolentia per i, non per e dicitur, quomodo benignus et malignus, non benegnus et malegnus. saepe enim ex duabus partibus compositum nomen aut priorem aut sequentem litteram corrumpit; ideo benivolentiam dicimus; nam benevolentia crassum quiddam sonat. Dal Thesaurus s. v. enumero i luoghi delle epigrafi in cui ricorre la forma deniv: Corp. I 589. Epist. procur. de aq. Sald. (Corp. VII 2728, saec. II med.) 69. Corp. XIV 2073 (a. 213). 170, 13. VI 1066 (a. 213). XII 64058 (a. 225). VI 32415 i(fere 250). 32416 (a. 257). 32417. DecrET.® centon. Sentin. a. 261 (Corp. XI) 22. Corp. XI 6337, 15. Epicr. imp. inc. (Corp. III 13569) ter. Corp. VI 32051 (a. 349) 2. X 53498 (a. 408) 5. 451, 6. 519, 4. 1126, 8. 4665, 3. 4862. 6243, 6. 6441, 9.8 7233, 5. XII 3637. benibolentiam: Corp. VI 32416 (a. 257) ® X 1126 (sace. IV),. benivolus si legge p. e. in Corp. V 4870. IX 3590; denivolens in Corp. IV 1326 e più spesso di dene- vole ricorre benivole. Si ha benificus in Corp. IV 29. 30;8 e) benificium in Corp. VII 10525 (età di Cesare). XII 4333 (età. Tk d'Augusto): cfr. I 587. 589. V 5050, 30. 34. XI 6481, 11 (del-2 | l’anno 148). Si legge invece benevolentia in Carm. epigr. 68 (Corp. I° Lisa 1019) 4. Deere. decur. Tergest. (Corp. V532) 1, 22 (dell’a. 138-61). | È: Corp. XI 5283 (non prima di Costantino). Si ha denevolus p. e. | mi in Corp. VI 12804. 33466 Carm. epigr. 334, 2, e beneficus e bet È +0 neficium costituiscono le forme usuali e più frequenti di quelle. Ho in beni-, che or ora ho registrato, togliendole dal Thesaurus. (2 - pa è n; v LRX Questi esempi sono più che sufficienti per farci concludere. | sit 2 A Lt 9 73 PECOR FONETICHE he le forme composte san beni- coesistevano accanto a quelle eomposte con dene- in tutte quasi le parti del mondo romano, in Roma, che può essere ritenuta il centro di irradiazione, nel Lazio, in Etruria, in Umbria, in Calabria, nelle provincie greche, nella Gallia e nell'Africa, per un periodo che si estende dall'età più antica sino al IV secolo e oltre. Varie e di più guise le spiegazioni tentate dai filologi e ai glottologi moderni. Il Ritschl (1), riducendo in ambito troppo ristretto il curioso fenomeno, si accontentava di notare che ogni è finale, in com- posizione con una parola che incomincia per consonante, si at- tenua in è. Il Brambach (2), accogliendo questa regola, aggiungeva che le teorie dei grammatici si erano opposte al movimento naturale della lingua in un'epoca in cui le leggi sulla forma- zione delle parole si erano oscurate. Così essendo, non risulte- rebbe improbabile che i dotti si lasciassero trarre a ricomporre le parole, secondo l'analogia e l'etimologia e, per ridurci al caso nostro, scrivessero e raccomandassero di scrivere beneficus e non benificus, maleficus e non malificus e via dicendo. _ Igrammatici più recenti in genere vedono in forme come benivolus un fenomeno di apofonia, dovuto all'intensità iniziale. Da un *béne-rolus si avrebbe avuto *bénivolus e, scomparso l’ac- cento intenso della sillaba iniziale ed entrato in vigore l'accento della penultima, denirolus. La grafia bdenevolus avrebbe preso pre per opera dei dotti che badavano agli elementi di cui la parola era composta (3). Altri invece pensano che il vocalismo iniziale si sia opposto all’azione regolare dell’apofonia; cioè la presenza di e nella prima sillaba di deni- avrebbe esercitato un'azione assimilatrice tanto forte da condurre l'i della sillaba seguente ad assumere l suono di e (4). (1) ‘ Rhein. Mus. , N. F. VII (1853) p. 580 = Opuse. II p. 561. (2) Die Pr der latein. Orthographie p. 179. | (3) Cfr. p. e. Srorz Histor. Grammatik I p. 96 sgg. (4) Paropi Noterelle di fonol. lat. in * Sidfel. , I p. 395 sgg.; VenpryEs L'intensité initiale p. 294 sg. 446 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS Bisogna tuttavia osservare che in dénè l'e finale, dalla antica | desinenza dell’istrumentale è o dell’abl. 24 (1), fu abbreviato in forza della legge della ‘correptio iambica’, per cui nei disillabi di forma giambica ogni vocale lunga finale poteva essere nella poesia arcaica considerata per breve, mentre nell'uso classico cotesta scansione fu ammessa solo per le parole comunissime, come precisamente bèné, malèé, ma non per altre meno adoperate quali cate, fere. Ora essendo l'e finale di bene originariamente lungo, non poteva essere intaccato dall’accento iniziale che, come sostengono coloro che ne affermano l’esistenza, solo esercita la sua influenza sulle vocali brevi, producendo i fenomeni di apo- fonia e di sincope (2). Il Cocchia, deciso avversario dell'ipotesi di un accento in- tenso che potesse salire in latino oltre la terz’ultima sillaba (3), rispetto alla nostra questione scriveva (4): “ Quanto a bené- rolus e mdleévolus di fronte a benivolus e malivolus a noi par così sicuro e decisivo il raffronto con le frasi bene velle e male velle delle commedie plautine, che attribuiamo senz'altro l'alterazione di bene- in beni- nei composti ad una mera spinta dissimilativa, cominciata a manifestarsi dapprima là dove il bene era fuori accento, come in benivolentia e dis benivolentibus ,. Il D’Ovidio (5), pur accogliendo con plauso le sagaci osser- vazioni del Cocchia, su questo punto obiettava (6): “ ... che in benivolus (e malivolus) e sim. si abbia una semplice dissimila- zione eufonica di bere-, la quale sia incominciata dapprima nella formula protonica in bderivolentia e sim., non par vero- simile e resta sempre più credibile l’ipotesi (cfr. Corssen II 319) (1) Linpsay Die lateinische Sprache p. 682; Srorz Hanabuch* p. 211. (2) Oltre alle maggiori grammatiche storiche, fu trattato largamente di questa questione dal VexnpryEs, il quale op. cit. p. 164 osserva: “ En tout cas, l'intensité initiale n’exerce aucune influence sur une voyelle longue intérieure ,. (3) Rassegna critica di filologia e linguistica in “Riv. di fil. , XV (1887) p. 391 SEg. (4) Ibd. p. 408. (5) Spigolature romanze dalle pagine di un latinista in “ Archivio glot- tologico , X (1886-1888) p. 413. (6) Ibd. p. 421. . NOTERELLE FONETICHE che si tratti di un è analogico (cfr. agricola, pacificus), non già eufonico o solo accessoriamente tale, così da non vi essere alcun bisogno di ricorrere alla protonia ,. si È questa in fondo la spiegazione di Albino VII 298 16 K. ...malivolus et malificus sicut a pace pacificus. Certo chi guardasse con occhio di grammatico, dovrebbe negare lo stretto rapporto tra l’e affievolito in è di malivolus e benivolus e V-i- di pac-i-ficus, sia che lo si consideri come la così detta vocale di composizione, corrispondente all’-ò- di altre lingue (p. e. doazxori-6-uaZZos, vup-9-BoZos), o come la vocale del tema, nata per la notissima confusione tra i temi in consonante e quelli in -;- della terza de- clinazione (1). Ma con ciò non sarebbe da escludere che la forza iri- conscia dell’analogia, attraversando il regolare processo fonetico, asi potesse condurre a tali ravvicinamenti, quando a questa ipotesi +, SO non si opponesse il fatto della coesistenza in luoghi e tempi + diversissimi delle forme medesime, composte ora con dene-, male-, fo ora con deni-, mali-. Infatti non è verosimile ammettere che l’at- L tività inconscia e illogica dell’analogia, che ostacola e intralcia } saltuariamente le leggi fonetiche, potesse esercitarsi nel tempo e nello spazio con grande regolarità, rispetto al fenomeno di cui ci occupiamo. Ie Il Lindsay osserva che l’é finale, quando in composizione i cessa di essere tale, si muta in è ed esemplica con béniffcus accanto at a bene, quippini accanto a quippe, sicine accanto a sic(e), hoccine og De accanto a loc-ce da *hod-ce (2). Ma, prospettato in questo modo, N il fenomeno non cessa di essere oscuro e, senza fermarmi sul sa confronto con quippini, hoccine, mi basti osservare che la coesì- stenza di forme con l’î o con l’e, dimostra che la regola non era seguìta costantemente. A me sembra che le grafie denificus, benivolus rappresentino la pronuncia dialettale e volgare per cui il suono di è venne corrompendosi in i, come ebbi a dimostrare riguardo a Persi- phone (3). Il fenomeno, abbiamo visto, si accentuò nel periodo (1) Cfr. Lixpsay op. cit. p. 418. (2) Ibd. p. 238. (3) Cfr. sopra p. 443. < l PT send 448 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS della decadenza, ma non è estraneo nelle epoche antiche della lingua latina. Ricordando a questo proposito le parole di Velio Longo che esplicitamente attesta aver usato gli antichi pronun- ciare mius, commircium, e riferendoci ancora alle già citate forme Mireurios, Mirqurios, Mircurialis, stircus, che giustamente lo Stolz (1) ritiene dialettali, potremo considerare come provincia- lismi o volgarismi non meno di Persiphone, anche benificus, be- nivolus, coesistenti accanto a deneficus e malevolus dell'uso lette- rario (2). Nell’affievolimento della vocale si deve escludere tanto l’in- fluenza dell’accento espiratorio iniziale che, se pur ha esistito, aveva cessato di agire nel latino storico, quanto l'influenza del- l'accento della penultima, giacchè troviamo intaccate tanto le vocali toniche, quanto le atone: fiber, dipinnis, pinaria, pidatu. Sulle alterazioni di © in é nei manoscritti. v Non ho tenuto conto delle alterazioni di è in è nei mss., giacchè questi, in materia così fragile come l'ortografia, hanno una importanza assai minore dei testi epigrafici e delle testi- monianze esplicite dei grammatici. Non nego tuttavia che la tradizione manoscritta possa offrire una base meno solida sì, ma utile di studio, quando venga esaminata e vagliata con le debite cautele e con l’intento di distinguere ciò che risale all’autore stesso dagli errori dei copisti (83). (1) Hanabuch' p. 41. (2) Il Granpeent Introduzione allo studio del latino volgare (trad. di M. Maccarone) p. 111, toccando di passaggio le alterazioni analoghe a quelle da noi studiate, in denivolus scorge erroneamente un è adoperato per è. (3) A questo metodo si attenne, ad esempio, il SepuLcri nel pregevolis- simo saggio su Le alterazioni fonetiche e morfologiche di Gregorio Magno in SM I (1904) p. 184 sg. Lo SragiLe, studiando diligentemente in “ Riv. di fil., XLIII (1915) p. 561 sgg. la latinità del nuovo Psalterium edito dal Codex Casinensis 557, nella parte dedicata alla fonologia, non dimentica il passaggio di e in i, non distinguendo però i casi in cui e è breve da NOTERELLE FONETICHE 449 Per quanto si riferisce ai classici, non ci troviamo in buone i acque. Tra i mss., di cui nel più de’ casi disponiamo, e gli au- s tografi sono passate tante mani che le alterazioni, data la facilità con cui sì producono in ogni tempo, si devono presupporre nu- merosissime, essendo già incominciate sin dalla più remota anti- chità. “ È noto — osserva il Valmaggi (1) — che la diligenza "4 dei librari, vuoi per fretta, vuoi per inettitudine, lasciava spesso RI a desiderare. Cicerone dichiara di non sapere dove mettere le Ù mani tanto i libri mendose et scribuntur et veneunt (2). Varrone (3), i Livio (4), Marziale (5), Gellio (6), Simmaco (7) — per ricordar D . qualche esempio tra i più insigni e di età diverse — parlano degli errori dei copisti come di piaga addirittura cronica del- l'industria libraria. Tanto cronica che gli stessi esemplari di maggior pregio non erano immuni da errori (8). È facile adunque di presumere qual sorte fosse riservata all’ortografia, specie per quelle quisquilie che sono poi Ja parte più incerta e controversa ,. Ho citato queste parole che convengono, come meglio non potrebbero, al caso nostro: scrivere deneficus o denificus, maleficus o malificus, se poteva aver un po’ di peso per gli autori che andavano per il sottile, riesciva indifferente agli amanuensi in genere. In conseguenza, supporre avariata la tradizione, anche prima del tempo a cui risalgono i manoscritti nostri di più ve- nerata antichità, non è cosa nè arrischiata nè infondata (9). In quanto ai codici medievali e umanistici, sui quali in gran parte si basano i nostri testi, è risaputo che l'ortografia era andata quelli in cui è lungo. Troppa fede alla tradizione manoseritta presta il Corssen Ueber Aussprache, Vokalismus und Betonung der latein. Sprache II° p. 371 sgg. (1) Ortografia e morfologia in “ Riv. di fil. , XLI (1918) p. 588. (2) “ Ad Q. fratrem III 6, 6. E i libri greci non correvano sorte di- versa: v. Strapone XIII p. 609 ,. (3) © L. L. IX 106,. (4) ‘* XXXVII 55, 8 ,. (5) “II 8;3 sgg: cfr. VII 11, 2; 17,7,: (6). “*VIe201/@h: (7) ‘ Ep.124,. (8) “ GeLLio V 4, 1sgg. ,. (9) Cfr. Varmagoi art. cit. p. 690. 150 MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS i soggetta a variazioni di più specie, conscie ed inconscie, dovute. all'uso del tempo e alle dottrine grammaticali prevalenti. Invece gli scarsi frammenti papiracei assumono importanza e valore pari alle epigrafi. Mentre in Wessely Schrifttafeln zur cilteren lateinischen Palaeographie 1 col. 2 lin. 17 ricorre la retta grafia beneuolentiam (1), in un fr. di glossario del sec. IV _(Wes- sely op. cit. 20 lin. 24 = CGLII 563, 33) abbiamo coclia e in un altro fr., contenente una legittimazione per quattro protectores del IV secolo (Wessely op. cit. 21 lin. 2) troviamo horiorum. Nel CGL si legge, eccetto che in IV 591, 52, sempre denzvo- lentia::? cfr. IE:29,12k; 215,53070318, <08;1337, dn 3850295 IV 211, 24; 313, 45; 585, 48. Frequentemente s'incontra deni- ficus accanto a beneficus, e si ha malivolus in Il 336, 36; 336, 5250 177, 13;.(497; 075 527,061 malevolus' inIl 336,044 HI 334,170. Queste forme rientrano evidentemente nella serie di quelle sopra esaminate : sono cioè veri e propri volgarismi di pronuncia. b) Illae = ille. Nella /audatio Alliae v.18 Et nitor in facie permansit ebur- neus illae avevo considerato (2) illae non come un dativo, pur accennando alla possibilità che potesse esserlo, ma come un er- rore del lapicida, tratto forse in inganno per essersi fermato con l’occhio, sull’originale da cui copiava, alla fine del v. 20, che termina in papillae; e in conseguenza nel testo critico avevo scritto ile. Ma la correzione non fu approvata nè dal Pascal (3) nè dal Rasi (4) il quale mi obiettava: “ ... l'argomento che ad- (1) Il TravagLio De orthographia qua veteres usi sunt in papyris ce- risque latinis in “ Memorie del R. Ist. Lomb., vol. XXII p. 12 cita per sbaglio la forma bdenivolentia da Wessey op. cit. n. 11, ove questa parola non sì trova. Dal Travagcio stesso (ibd.) erano già registrate horiorum e coclia. o (2) “ Riv. di fil. , XLI (1913) p. 391. (3) © Atene e Roma, XVI (1913) p. 259. (4) © Atti del Reale Ist. Ven., LXXIII 2 p. 699. NOTERELLE FONETICHE 451 duce il Lenchantin a suffragio della sua correzione ... io l’in- verto traendolo ad altra “ sentenzia ch'ei non tenne ,, e dico che molto probabilmente qui l’autore del carme adoperò appunto la forma iZlae alla fine del verso per ottenere una rima (per- fetta) con papillae ,. Alla osservazione rispondeva il Nohl (1), nella recensione sulla Nota del Rasi, in questi termini: “ Da- gegen scheint mir nicht glaublich, dass v. 18 Mae als dat. beabsichtigt sei wegen des Reims mit papillae, das nicht etwa in der folgenden, sondern erst in der zweitnichsten Zeile steht: Lenchantin nimmt wohl mit Recht an, dass es lle steht ,. Che l’epigrafista potesse usare, accanto alla forma ill, quella iZae è possibile, nonostante che immediatamente dopo in quattro versi (20, 21, 23, 25) abbia ripetuto ili sempre al dat. femminile. Infatti sono numerose le iscrizioni di carattere in modo speciale volgare, le quali presentano un sincretismo grande di grafie corrette e scorrette. D'altra parte non bisogna dimenticare che il dat. illae si incontra di rado. Nel Neue-Wa- gener infatti non sono registrati che gli esempi seguenti: Caton. RR153;164; Plaut. Stich. 560; CIL I 1429; IV 1824, ai quali si può aggiungere CE 947 Biich. Onde, anche per questa ra- gione, non credo convenga escludere senz'altro che, nel verso citato dell’epitafio di Allia, i/Zae stesse per ile. Abbiamo constatato che i grammatici, per inculcare la buona pronuncia, di cui osservavano il progressivo decadimento, po- nevano in rilievo la differenza tra è ed è, notando che mentre l’e lungo si avvicinava al suono di i invece e breve si avvicinava al suono del dittongo ae (2). Ma la piccolissima differenza tra la pronuncia di è e del dittongo ae, in un'epoca in cui il senso della quantità si andava ottundendo (3), non poteva non con- durre a una confusione nell’ortografia (4) da parte di coloro che non erano più in grado di cogliere con l’orecchio le sfumature tra i due suoni. Di questo fatto fanno fede molte epigrafi : CIL IX 384 aego; IX 1002; X 5939 baene; II 2107 aeam; (1) “ Wochenschrift fiir klass. Philologie , XXXI (1914) col. 953. (2) Cfr. sopra p. 3 sgg. (3) Lenc®antIn “ Boll. di fil. class. , XX p. 111 sg. (4) Srampini Trattato della ortografia latina p.8 sg. si e È ved Ce id Pal n ® 3 p, 452 M. LENCHANTIN DE GUBERNATIS — NOTERELLE FONETICHE "e INI 1195; VI 3409; VII 118 aegues; V 4616 maemoria; X 2184 piaetati; VIII 1398 Caereri; IX 1545 Caereris; IX 1023 daeo;. VI 2242 daeae; IV 1684 maeae; VI 3483; 13419 denae; VI 3496. libertabusquae posterisquae; VI 8455 quinquae. E il fenomeno, come si vede, si manifestò in tutto il mondo romano a comin- ciare dal primo secolo (1). Questi esempi, il cui numero si potrebbe facilmente aumen- tare (2), mi sembrano sufficienti a rendere verisimile che in iWlae = ille si nasconda un volgarismo ortografico. All’ipotesi è dato maggior fondamento dal fatto che nell’epigrafe di Allia, oltre ad altre incongruenze o errori di scrittura, ricorre la forma Persiphone che è essa pure un idiotismo ecfonetico, come già è stato dimostrato (3). (1) Cfr. BiicaeLer “ Rhein. Mus., XIII (1858) p. 153. (2) SeeLmann Die Ausprache des Latein p. 182 sgg. (3) Cfr. sopra p. 438 sgg. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 238 Gennaio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente Camerano, il Direttore | della Classe D’Ovipro, e i Soci Naccari, PrANO, GUARESCHI, Guipi, Parona, MartIROLo, Grassi, SomieLiana, Fusari, BAL- BIANO, PANETTI, e SEGRE, Segretario. Letto e approvato il verbale dell'adunanza precedente, il . Socio GuarEscHI offre in omaggio, in nome della Commissione, — la Relazione della Commissione Torinese per lo studio dei gas asfis- sianti e mezzi di difesa; ed il Socio GurpI presenta, per la stampa negli Atti, una Nota del Prof. G. ALBENGA, Sulle linee d'influenza delle tensioni interne negli archi. è Atti della R. Accademia — Vol. LI. 30 # Di — A > 3 î a N ti) n OI Ta peer, SE É È i LAI # ew DE Rai sl dà ; » x è: -« 0 pa 19 PAT Sg SRI Pt ; Lr” Ped FO VARI x : 9 454 GIUSEPPE ALBENGA LETTURE Sulle linee d'influenza delle tensioni interne negli archi. Nota di GIUSEPPE ALBENGA. Per effetto di un carico unitario P, che agisca in un punto qualunque dell'asse di un arco e giaccia nel piano di esso, si sviluppano nella sezione generica S: un momento flettente M, uno sforzo di taglio 7 ed uno sforzo normale N. Si abbia un arco incastrato alle imposte, immaginiamo di tagliarlo secondo la sezione S ed a questa sezione, consi- derata come terminale del tronco sinistro e distinta con il simbolo S,, applichiamo le sollecitazioni arbitrarie M*#, T7#, N*#, o, ciò che fa lo stesso, la loro risultante R*; alla stessa sezione, considerata come estrema del tronco di destra (S,), si applichino invece le sollecitazioni — M*#, — T*#, — N*. Per questa con- dizione ideale di carico il punto d'applicazione della P si spo- sterà in direzione di questa forza di una quantità è, la sezione S, roterà di un angolo @,# e si muoverà di n# e di 2,4 rispettiva- mente nelle direzioni di 7 e di N; analoghe deformazioni ®,#, n.4 e Z,# subirà la sezione S,, e si avrà, per quanto ho dimo- strato in una breve nota sul teorema di Land (*): (1) Lit=Mo#—90$)4.T0f-n9) MISI): Dalla (1) discende subito una costruzione semplice e diretta delle linee di influenza per le tensioni unitarie normali o nei punti dell’intradosso e dell’estradosso. (4) “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. L, 1914-15. a ——_ SULLE LINEE D'INFLUENZA DELLE TENSIONI INTERNE, ECC. —455 uu Nei punti situati ai lembi della sezione le tensioni o sono, come è noto, proporzionali ai relativi momenti di nocciolo (!). La ricerca delle linee di influenza delle o; all’intradosso e delle 0, all’estradosso può quindi ridursi a quella delle linee d'influenza dei corrispondenti momenti M,, ed M,. Con un semplice cam- biamento di scala passeremo da queste linee di influenza a quelle delle tensioni. Noi possiamo scegliere le sollecitazioni applicate a ciascuna faccia del taglio, in modo da soddisfare a 3 relazioni prefisse, per esempio in modo che le deformazioni da esse provocate siano legate fra di loro da 3 equazioni arbitrarie. Indichiamo con /,, la distanza del punto di nocciolo m dal baricentro della sezione: noi potremo sempre fare sì che si abbia : pi pra p, ui (2) men =0 Ge- CE=—h con che la (1) diventa: 1.d0=M—- Nh, o ricordando la espressione del momento di nocciolo M,: (3) oo —=M.. La (3) ci dice che la linea d’influenza degli spostamenti è per quella condizione fittizia di carico che soddisfa le (2) è pure linea di influenza del momento di nocciolo M,,.. Facendo invece (4) | (07 ATTI Si 1 (4) Cfr. C. Guipi, Lezioni sulla Scienza delle Costruzioni, vol. II, 7* ed., pag. 143. Seguo le notazioni di questo autore. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 30* t-1° ì pl 0, ed PI , © a È Pra stili 456 GIUSEPPE ALBENGA dove 4, è la distanza del punto di nocciolo » dal baricentro, si ricava: (3) 1.è=MINh,=M e la nuova linea d'influenza della è ci darebbe la linea d’in- fluenza del momento M,. * * * La teoria dell’ellisse di elasticità ci dà modo di tracciare facilmente la linea degli spostamenti è. Manteniamo fissa la sezione S, ed immaginiamo collegate le due imposte dell'arco con un legame rigido. Avremo così un arco incastrato ad un estremo, libero all’altro e tale che le de- formazioni dell’estremità libera coincidono con le deformazioni relative delle sezioni S, ed S, dell'arco tagliato secondo S. In questo nuovo sistema ogni forza È applicata all'estremo libero S, provocherà una reazione — È all’incastro S, e pro- durrà una rotazione di S, intorno all’antipolo della linea d'azione di R rispetto ad una ellisse (*), che coincide con la nota ellisse degli spostamenti terminali dell'arco considerato, perchè con lo spostarsi della sezione S non variano nè la intensità nè la di- stribuzione dei pesi elastici elementari e quindi la conica fon- damentale della corrispondenza antipolare non muta (?). Le (2) corrispondono ad una rotazione relativa unitaria delle due faccie del taglio, con centro nel punto m. Nel sistema ora considerato una tal rotazione si produce applicando alla sezione terminale S. una forza , agente secondo l’antipolare del punto m rispetto all’ ellisse di elasticità e la cui intensità soddisfi all’eguaglianza di de CE dove r è la distanza della linea d’azione della R dal baricentro elastico del sistema e ( è il peso elastico di esso. (') Cfr. C. Guipr, op. cit., pag. 249. (3) Vedi G. Coroxnerti, Sulla teoria degli archi, * Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino ,, vol. XLVHI, 1912-13. ZA DELLE TENSIONI INTERNE, ECC.‘ ©. Per deteriianati le Filica di influenza del momento di noc- Eiblo M,, basterà quindi applicare alla sezione S, del tronco destro dell'arco la forza È ora determinata ed alla sezione S, del tronco sinistro la forza — È, avente la stessa linea d’azione della precedente, e calcolare gli spostamenti è generati da queste forze. La linea della è può tracciarsi coi procedimenti noti dai corsi di scienza delle costruzioni per mezzo di poligoni funico- lari dei pesi elastici e dei loro momenti statici. * “ * * È ovvia la estensione alle linee d’ influenza della o in un punto qualsiasi della sezione ed è facile modificare la tratta- zione precedente in modo da applicarla ad altri tipi di arco. Pisa, Dicembre 1915. i L’ Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 30 Gennaio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CHiRroNI, Direttore della Classe, CARLE, Pizzi, RurrIni, BronpI, SForza, EinAuDI, BAUDI DI VESME, SCHIA- PARELLI, PatETTA, PRATO, e Srampini Segretario della Classe. È scusata l'assenza del Socio Vipart. Si legge e si approva l'atto verbale dell'adunanza del 16 gennaio. Il Socio Segretario STtAMPINI, riferendosi alla commemora- zione del Socio corrispondente WinpELBAND fatta, nell'adunanza precedente, dal Socio D’ErcoLe, dichiara di sentirsi in dovere di non differire più oltre, anche per riguardo ed omaggio alla nazione amica, quella commemorazione dell’insigne glottologo, filologo e pedagogista francese Michele BréAL, Socio straniero della nostra Accademia sin dal 1903 e morto il 25 novembre u. s., la quale egli si riservava di tenere, con maggiore agio e mag- giore ampiezza, in tempo più opportuno. Ricorda i primi studi di zendo e di sanscrito iniziati dal BrfaL a Parigi e proseguiti a Berlino, ove fu discepolo del Weber e di quel Francesco Bopp, della cui Grammatica comparata delle lingue indo-europee do- veva il BréAaL più tardi pubblicare la sua magistrale traduzione e illustrazione. Accenna alle due tesi per il dottorato, che val- 459 sero al Brfar larga e meritata fama, specialmente quella com- prendente uno studio di mitologia comparata su Ercole e Caco, del quale a ragione fu detto essere una delle pietre miliari che segnarono i progressi di quella nuova disciplina nella seconda metà del secolo XIX. Rapidamente menziona i numerosi altri scritti di linguistica. di filologia, di mitologia comparata, ma in particolar guisa si sofferma a parlare di quell’opera corag- giosa e sapiente Quelques mots sur l'instruction publique en France che fu subito largamente esaminata e discussa, non solo in Francia, ma pure in Italia nella allora nascente (anno 1872) nostra “ Rivista di filologia e d'istruzione classica ,, per le grandi, per quanto dure, verità che vi erano contenute e po- tevano ben riferirsi anche alla istruzione pubblica del nostro paese. Ricorda la cittadinanza onoraria conferitagli dalla città di Gubbio come attestato di riconoscente ammirazione per il poderoso dottissimo lavoro sulle Tavole Eugubine, e termina dando un breve cenno dei tanto discussi studî omerici del Brfax, rappresentati dal libro Pour mieux connaître Homère. Ma il Socio SrAmPiNI non può fare a meno di rivolgere un mesto pensiero ad un altro nostro illustre Socio straniero, che come tale apparteneva alla nostra Accademia dal 1908 dopo esserne stato per tredici anni Corrispondente, e che si spense il 18 maggio dello scorso anno; al suo carissimo amico, e amico di tanti Italiani anche fuori del novero dei professori; all’insigne maestro di filologia romanza WeNDELIN FOERSTER, che, giovanis- simo ancora, aveva meritato l'altissimo onore d’esser chiamato, per voto della Università di Bonn, a successore dell’immortale fondatore di quella scienza, Federico Diez. È si sente in dovere il Socio StAMPINI di tributare una parola di compianto alla me- moria del FoerstER, non solo per l'intima amicizia che a lui da circa un quarantennio lo legava, non solo per l'ammirazione di una costante, indefessa, feconda attività scientifica e per l’im- menso contributo di indagini nuove e felici, dato alla scienza da lui e dagli scolari del suo “ Seminario di filologia romanza ,, 460 che lo StAMPINI ricorda con commosse parole di aver visitato, quando fu in Bonn nel 1911, ma anche perchè il FoeRsTER era vero, grande, fedele amico dell’Italia e degli Italiani; perchè il FoeRstER, che pur era una delle più alte personalità scientifiche della Germania, non figura coi firmatari del noto appello degli intellettuali tedeschi. Anzi il Socio StampInI legge la chiusa di una mestissima lettera, inviatagli dal ForerstER il 27 luglio del 1914, appunto alla vigilia dello scoppio della guerra mon- diale, in cui si mostrava sconfortato e atterrito per “ la pos- sibilità di una guerra grande, internazionale ,, mentre la moglie per le sue condizioni di salute lo consigliava a far ritorno nella “ sua diletta Italia; e soggiungeva domandandosi: “ e perchè? “ Cosa sono a noi i regicidi Serbi? In che tempi viviamo! E ho “ dovuto io passar la settantina per veder ancora tutta questa “ miseria? Tu vedi che sono in ispiriti piuttosto eccitati e scrivi “alcune buone parole al tuo vecchio amico ,. Sono le sue pre-. cise parole, perchè il FoERSTER sì compiaceva di parlare e scri- vere in italiano, e anche di conversare in piemontese, egli che fu benemerito e ammirato editore e illustratore di quelle “ Prediche gallo-italiche , che sono il più cospicuo documento del vecchio dialetto piemontese e ad un tempo rappresentano uno dei più insigni e antichi testi dialettali dell’Italia. Alle due commemorazioni dette dal Socio STAMPINI sì unisce il Direttore della Classe CatRONI, ricordando del Bréar i notevoli contributi alle scienze giuridiche, e del FoersTER il grande amore che ebbe per la Sardegna, da lui a lungo e più volte visitata e studiata, e l'ammirazione che professava per la singolare abilità, per la larga e rara dottrina di coloro stessi che avevano dato opera alla formazione delle così dette “ Carte di Arborea ,, della cui falsità il collega SrampinI ricordò la dimostrazione data dal FoeRsTER con nuovi, ingegnosi, irrefu- tabili argomenti. Il Socio ErnAaupI, anche a nome del Socio PraTO, presenta ed illustra: 1° la Annata 1915 della rivista “ La Riforma So- E nr = n _—_ oe è 461 ciale , da essi diretta; 2° il Supplemento annuo alla stessa rivista, compilato dal Prof. Riccardo Bacni col titolo L'Italia Economica nel 1914, preziosa miniera di notizie sicure e vagliate sui diversi aspetti della vita economica e sociale nell’anno in cui si iniziò la guerra europea; 3° un altro Supplemento intorno al Corso dei titoli di Borsa in Italia dal 1861 al 1912, ultimo scritto dovuto alla penna del Dott. Achille NEcco, morto glorio- samente il 9 del settembre 1915 al Passo della Sentinella, colpito in fronte da una palla austriaca. Il Socio ErnauDI segnala alla Classe gli scritti di questo giovane valoroso, buono e studiosis- simo, il cui numero-indice dei prezzi è oramai in ogni paese citato ed usato, alla pari dei più famosi numeri-indici stranieri. E il Socio RurriNI si associa ricordando l’ultima lettera che il Necco scrisse dal campo, alla vigilia di accingersi alla impresa in cui trovò la morte, lettera che è forse la più bella, per al- tezza e nobiltà morale, fra quante siansi lette in questi mesi, pur fecondi di così nobili manifestazioni dell'animo umano. La Classe ringrazia i Soci ErnauDI e Prato e si associa alla commemorazione del Dott. Necco. Il Socio PaTETTA presenta, per gli Atti, illustrandone bre- vemente il contenuto, una sua Nota dal titolo Di alcune poesie latine di Gaspare Tribraco in onore dei Gonzaga. ge 162 FEDERICO PATETTA LETTURE Di alcune poesie di Gaspare Tribraco in onore dei Gonzaga. Nota del Socio FEDERICO PATETTA. 1. Il poeta e grammatico Gaspare dei Trimbocchi, o Tirim- bocchi, detto, con nome d’origine evidentemente letteraria (1), il Tribraco, ebbe la fortuna d’essere lodato oltre misura da con- temporanei veramente insigni, quali Tito Vespasiano Strozzi e Matteo Maria Boiardo ; ma i loro elogii, che forse furon con- forto della sua misera vita, non lo salvarono dopo morto dal- l'indifferenza e dall’oblìo, consueto guiderdone d'ogni opera poe- tica, che non si levi più in su della mediocrità. Non fa quindi meraviglia, che parte dei suoi versi sia an- data perduta e che ben poco si conosca delle sue vicende, anche dopo le diligenti ricerche del Tiraboschi e di parecchi altri stu- diosi, riassunte e continuate dalla signorina Anita della Guardia in una notevole monografia (2) pubblicata a Modena nel 1910. Dopo questa pubblicazione, venne ancora alla luce, per me- rito di Giulio Reichembach (3), una notizia molto importante, | (1) Il nome 7ribraco, probabilmente foggiato dallo stesso Gaspare, venne in seguito assunto come cognome o dai figli di lui o da altri della famiglia Trimboechi. Così in un documento del 1484, pubblicato dalla si- gnorina Della Guardia a pag. 1, nota 2, della monografia citata nel testo, compare un Pomponio Tribraco, maestro di scuola a Sestola; e nella Bibliot. modenese del Tiraboschi, t. V, Modena, 1784, pagg. 296 e segg., è me- moria di un Dionigi Tribraco, morto nel 1526 e che pare si vantasse d? esser del sangue di Gaspare. Mutatosi il nome di Tribraco in cognome, è naturale che fin dal secolo decimoquinto ricompaia anche per Gaspare il nome di battesimo, e che gli scrittori recenti, a partire dal Tiraboschi, l. c., pag. 287, uniscano il nuovo cognome all'antico e parlino quindi di Gaspare Tribraco dei Trimbocchi e non semplicemente del Tribraco. (2) Gaspare Tribraco dei Trimbocchi maestro modenese della 2% metà del secolo XV. (3) Date di nascita di umanisti, nel “ Giorn. stor. della letter. ital. ,, vol. LVII, 1911, pagg. 329-331. pra DI ALCUNE POESIE DI GASPARE TRIBRACO, ECC. 463 che cioè il Tribraco, del quale s’ignorava l’anno di nascita e ‘che si diceva modenese, fu battezzato a Reggio il 23 febbraio del 1439. S'ebbe così un dato cronologico iniziale, che serve a dare il giusto valore agli altri pochi, che già si conoscevano. Basterà a noi indicare i più importanti. Va Nel 1461 il duca Borso concesse al Tribraco, poco più che PIA ventenne, dieci lire marchesine in sussidio per andare a Venezia i e di là in Grecia per lettere greche. Il viaggio in Grecia restò ; probabilmente allo stato di progetto. Tuttavia il Tribraco nel 1473 s’offriva, come vedremo, di rispondere in versi greci a un carme greco del Filelfo. Alla fine del 1464 i Sapienti del Comune di Modena con- dussero il compatriotta Tribraco in magistrum gramaticalium per cinque anni e coll’annuo stipendio di cento lire. Egli però non tenne il suo impegno fino al termine pattuito, poichè negli anni 1466, 67 e 68 compare fra gli stipendiati dal duca Borso, e il Comune di Modena procedette, il 27 giugno del 1468 (1), alla nomina d'un nuovo maestro. Dal 1468 in poi non c'è più notizia di rapporti del Tri- e braco cogli Estensi o coi suoi compatriotti; e perciò il Tira- boschi congetturava che egli fosse morto negli ultimi anni della vita del duca Borso, cioè prima del 19 agosto 1471. Invece preziosi documenti pubblicati dal Luzio e dal Renier (2) ce lo mostrano al servizio dei Gonzaga almeno dal 1475 al 1475; e uno di questi documenti, cioè una lettera scritta da Venezia contro il Tribraco il 19 aprile 1473, c'illumina anche su alcuni avvenimenti anteriori. Il Tribraco doveva essere a Venezia nel 1471 o in prin- cipio del 1472, e vi aveva accettato la nomina a cancelliere della comunità di Ragusa. Avendo però ottenuto un anticipo di i cinquanta ducati d’oro, non si curò di recarsi ad assumere l’uf- ficio, e fu quindi condannato alla restituzione e, non potendo pagare, imprigionato. “ Vedendo ch’egli ne la prigione se ne moriva, due suoi cono- scenti s’interposero e, rendendosi garanti per lui, ottennero che È À adi + # Lf ù î (1) Non il 27 gennaio 1465, come si legge in DeLa GUARDIA, 0. c., pag. 18. (2) I Filelfo e l'’umanesimo alla corte dei Gonzaga, nel * Giorn. stor. , cit., vol. XVI, 1890, pagg. 183 e segg. MI V- ne 464 FEDERICO PATETTA fosse liberato coll’obbligo di restituire entro quattro mesi i cin- quanta ducati o assumere l'ufficio, avendo essi stessi indotta la comunità di Ragusa a confermare eventualmente la nomina. “ Ma il bon poeta (scrivevano i due poveretti al marchese Luigi III) “ mettendo dietro alle spalle tanti benefitii..... se ne fugite insa- “lutato hospite , sicchè da più mesi avevano dovuto pagare per lui. Avendo poi saputo ch'egli si trovava a Mantova e vi leggeva negli studii de humanità con bona provisione, pregavano il mar- chese di costringerlo ad adempiere il dover suo. Ciò che essi non sapevano o non volevano dire, era che il Tribraco si trovava al servizio di Federico Gonzaga, il quale fin dal 22 febbraio aveva scritto al padre, avvertendolo che l’uma- nista modenese sarebbe stato in grado di tradurre un carme greco diretto al marchese da Francesco Filelfo, ed eventual- mente di rispondere con egual numero di versi, greci o latini a piacimento. In altra lettera del 26 ottobre 1475 Federico parla d'una grave malattia del Tribraco, precettore dei suoi figli, ed esprime il timore di perderlo. Non avendo trovato altri documenti, il Luzio e il Renier congetturarono che questo timore non fosse vano. Ma essi ven- nero poco dopo a conoscenza d'una supplica, colla quale donna Ca- terina, vedova del Tribraco, e la figlia Pandora, il 6 aprile 1493, chiedevano un sussidio al marchese Giovanni Francesco II, figlio di Federico e già allievo dello sfortunato poeta, dichiarando che “ per somma mecessitade morivano de fame ,. Il Renier espresse quindi il sospetto che la morte del Tribraco dovesse esser av- venuta non molto tempo prima (1). Se così fosse, egli avrebbe vissuto, dopo il 1475, per quasi diciott’anni, senza lasciare alcuna - traccia di sè. 2. Le poesie del Tribraco finora note, sparse in nove codici descritti dalla signorina Della Guardia (2), appartengono tutte (1) © Giorn. stor. , cit., vol. XVII, pagg. 442-443. (2) O. c., pagg. 77 e segg. Sono sei codici della Biblioteca estense, uno ferrarese, uno dell’Università di Bologna, uno della Riccardiana. Ad altri codici accenna però il Tiraboschi, fra cui ad uno della Biblioteca di Kò- | nigsberg, che si potrà certo rintracciare. DI ALCUNE POESIE DI GASPAKE TRIBRACO, ECC. 465 al primo periodo della sua vita, all’epoca cioè della dimora in Modena ed in Ferrara, e riboccano quindi di lodi sperticate per gli Estensi. Di poesie in lode dei Gonzaga nessuno, ch'io sappia, fece cenno; quantunque non sia credibile che le facili muse, com- pagne del Tribraco alla corte del duca Borso e nelle splendide dimore degli Strozzi e dei Boiardo, gli si mostrassero infedeli non appena egli si volse al servizio dei Signori di Mantova; e un codicetto del secolo XV, contenente un suo carme in onore di Barbara Gonzaga, sia infatti registrato in un catalogo di manoscritti, che verso il 1902 si trovavano in vendita a Monaco di Baviera presso la libreria antiquaria di Lodovico Rosenthal. Il codicetto fu acquistato da me, insieme a due altri pari- menti d’origine italiana (nn. 117 e 233 del catal. cit.); e poichè la descrizione data nel catalogo Rosenthal è del tutto erronea ed in ogni modo passò inosservata, non mi par fuor di luogo farlo oggetto di breve studio. Al n. 134 del catalogo 120 della libreria antiquaria pre- detta, si legge: “ TRIBRAcHUS Mutinensis. Ad inclytam dominam Barbaram Gonzagiam carmen. Manuscrit sur velin du XV siècle. 9 ff. in-4. D. — marog. noir. Ce poème fort intéressant est d’une belle écriture. Le titre est écrit en or. Avec une très jolie ini- tiale rehaussée d’or ,. Esaminando il codicetto, si nota anzitutto che ai nove fogli scritti indicati nel catalogo se ne debbono aggiungere tre ri- masti in bianco, salvo prove di penna. La pergamena è bianca e finissima. Le pagine contengono quindici linee, precedente- mente tracciate con materia colorante, e misurano mm. 210 per 142. La scrittura è umanistica, elegante ed accurata, e può essere ragionevolmente attribuita a mano italiana della seconda metà del Quattrocento. Il primo e l’ultimo foglio erano eviden- temente incollati alla legatura originale, sostituita, nella seconda metà del secolo scorso, e probabilmente in Italia (1), dall'attuale, in mezza pelle vitellina di color violetto cupo. (1) Manca nel codice qualunque traccia di provenienza. Si potrebbe pensare o alla collezione Morbio, il cui catalogo di vendita non ho pre- 466 FEDERICO PATETTA Nel dorso della legatura è scritto in oro il titolo : TRIBRACHI CARMEN. I primi due fogli sono in bianco, con due sole prove di penna; una delle quali, consistente nelle lettere maiuscole VESPA, potrebbe far pensare ad un Vespasiano (Gonzaga ?). i Nel f. 3, oltre al titolo in lettere d’oro e all’iniziale Q, parimenti in oro su fondo azzurro con ornati in bianco, è note- vole il fregio che copre tutto il margine sinistro. A metà di questo fregio, finemente disegnato con inchiostro rossastro e che forse avrebbe poi dovuto esser miniato, si vede un sole rag- giante, che potrebbe esser un'impresa. Nel titolo si legge: Ad Inelytam dominam d. Barbaram Gon- zagiam. Tribrachi mutinensis Carmen. Il carme, in metro elegiaco, comincia coi versi : Quam bene iunguntur melimelis cinnama, quantum Dulcia cecropiis et melimela favis; e continua, apparentemente ininterrotto, fino alla prima pagina del foglio 11 contenente i due soli versi finali: Te neque facundo Cornelia vicerit ore, Te neque, si redeat, Laelia maior erit. Nel rovescio del foglio è una prova di penna: Salve, sancta parens, summo quae grata tonanti. Il foglio 12 è in bianco. 8. Chi dall'esame esterno e superficiale passi alla lettura del codicetto, s'avvede subito, che esso non contiene un solo carme completo, ma tre, dei quali due sono mutili. Studiando quindi meglio la struttura del codicetto, tenendo conto della corrispon- denza dei buchi di tarlo e d’altre piccole magagne che sono nei singoli fogli, osservando le traccie che alcune macchioline nel margine sinistro del f. 3? impressero nel margine destro del f. 10°, può facilmente ristabilire l'ordine primitivo delle carte sentemente modo di consultare, o alla Biblioteca Capilupi. Per questa però nulla trovo nel Catal. de’ codici manoscritti della famiglia Capilupi di Man- tova, illustrato dall’ab. D. (G1ovanni Anpres, Mantova, 1797. | DI ALCUNE POESIE DI GASPARE TRIBRACO, ECC. 467 fraudolentemente turbato per dissimulare lo stato vero del codice, che è lacunoso. L'antico codicetto cominciava cogli attuali due primi fogli, che sono accoppiati e i soli che non fossero preparati per la scrittura tracciandovi le linee e i margini; cosicchè è certo che debbono esser stati aggiunti, quando il codice fu dato per la prima volta al legatore. Seguiva un fascicolo di dieci fogli (1), dei quali sono per- duti il primo, il settimo, l’ottavo e il decimo. Gli attuali fogli 4 e 9, ancora uniti, corrispondono ai fogli 2 e 9 dell’antico fascicolo : gli attuali fogli 5 e 6, man- canti di corrispondente, ai fogli 3 e 4; gli attuali fogli 7 e 8, an- cora uniti, ai fogli 5 e 6. Le mancanze furono probabilmente determinate dall’esser stati asportati 1 fogli, che contenevano il principio delle poesie, e quindi fregi é lettere iniziali miniate, e dall’essersi in seguito perduti anche alcuni dei fogli corrispondenti staccati. Al foglio perduto, che era dopo l’attuale foglio 9, si riat- taccavano gli attuali fogli 10, 3, 11 e 12 formanti un fascicolo di quattro fogli (2), col quale il codice finiva. 4. Veniamo al contenuto del codicetto. I fogli 4-8 contengono degli esametri in lode del cardi- nale Francesco Gonzaga, figlio del marchese Luigi III. Francesco, nato nel 1444, fu cardinale dal 1461, vescovo di Mantova dal 1466, legato pontificio dal 1471, e morì nel 1483. | Il carme del Tribraco, ora mutilo in principio e in fine (3), (1) Che vi fossero prima altri quaderni è poco probabile, data la | perfetta corrispondenza dei buchi di tarlo negli attuali fogli 2 e 4. | (2) Gli attuali fogli 10 e 12 sono ancora accoppiati; il f. 3 fu certa- mente staccato dall'attuale 11. Si potrebbe congetturare che fra questi due fogli ne fossero inseriti altri, in numero di due o più; ma, come si vedrà in seguito, pare che non ci sia interruzione di testo, e c’è inoltre corrispon- denza nei numerosi buchi di tarlo e nella consunzione degli angoli esterni. (3) Il frammento contenuto nel codicetto comincia col verso: “ Frena tenent pueros genialia quaque colentis , e finisce coi versi : “ Haec reliquis meliora ratus, si carmina cedro Digna feram, si non saltem metuentia scombros ,. Ò te dd 468 FEDERICO PATETTA fu scritto, posteriormente alla nomina di Francesco a legato, per celebrarne il ritorno da Roma a Mantova, dove sarebbe stato accolto con non minor pompa di quella usata nel 1459 per papa Pio II. Il poeta ci fa inoltre sapere, che l’Apennino s'abbassò per lasciar passare il cardinale; che i fauni, i satiri, le driadi, le amadriadi e le ninfe accorsero ed ammirarono ; che l’Eridano stesso e il Mincio plaudirono dai loro gorghi, quantunque la loro età potesse dispensarli da ogni fatica, dice il Tribraco, e quantunque, diremmo noi fra parentesi, avessero veduto ben altri uomini e ben altri avvenimenti. Non mancano, naturalmente, le lodi della famiglia Gonzaga, del marchese Luigi, della moglie Barbara, dei loro figli e spe- cialmente del primogenito Federico. Del marchese è detto, che era un Nestore per gli anni e per la saggezza, e che tuttavia era ancora in grado di sostenere la parte d’Ettore : LI viden ipse parentem Nestora consilio, maturis Nestora et annis, Et tamen audentem quod adhue “ decet Hectora , dicas. Paragonare il marchese Luigi, nato nel 1414 e perciò forse non ancora sessantenne, a Nestore, era una balordaggine ; una delle molte, che si trovano nelle poesie del nostro povero retore. Il marchese morì poi nel 1478, appena compiuto il sessan- taquattresimo anno d’età. Questa e le altre poesie del codicetto, essendo state scritte durante la sua vita, non possono dunque esser posteriori al 1478. È invece probabile che risalgano ai primi tempi della dimora del Tribraco in Mantova, perchè non vi si fa cenno dell'ufficio di precettore dei figli di Federico, e nessuna poesia è diretta a lui personalmente. Al cardinal Francesco il Tribraco, Phoedo monstrante fu- turum, profetizza la tiara. Lorenzo de’ Medici s'accontentò invece di augurargliela (1), e risparmiò così a Febo l’onta di comparir bugiardo. Il Tribraco ammonisce poi il cardinale della fragilità dei ce (1) “ Giorn. stor. , cit., vol. XVI, pag. 136. DI ALCUNE POESIE DI GASPARE TRIBRACO, ECC. 460 doni, che altri gli fanno. Egli invece non darà nè gemme, nè vesti frigie, nè avorii, nè incenso, nè lane tinte di porpora, cose tutte esposte alle ingiurie del tempo, ma versi degni del cedro o almeno tali da non dover temere di servir d’involuero agli scombri. Così finisce il frammento ; e non occorre esser indovini per dire che dal magnificare i suoi doni il Tribraco doveva passare a chiedere un compenso corrispettivo, benchè di natura meno sublime. Nei successivi due fogli, ora mancanti, finiva il carme in onore di Francesco e ne cominciava un altro, parimenti in esa- metri, in onore del marchese Luigi. Di questo carme restano trenta versi nell'attuale foglio 9, poi, dopo una lacuna di un foglio, 1 trenta versi di chiusa. Il poeta ricorda le imprese guerresche del marchese, gli dice che quando Lachesi, post pyliam senectam, troncherà lo stame della sua vita, potrà morir tranquillo, perchè avrà eredi degni di lui, e finisce offrendosi di dar gloria coi suoi versi ai Gonzaga e chiedendo protezione ed aiuto : VA gl numerisque accedere nostris Gloria si qua potest, age, vatem admitte benignis Auribus, et placidus vexatam amplectere Clio. Quod si restituas titubanti in pectore vires, Hine domus aeternos Gonzagia sumet honores, i Virgilium tu me facies, tu me Orphea vatem. In questi versi è evidente, oltre alla presunzione dell'autore, l’accenno alle tristi vicende del soggiorno a Venezia. Il codicetto si chiudeva col carme in distici elegiaci diretto «a Barbara Gonzaga. Questa, sposata al marchese Luigi fin "dal 1433, era più vicina alle nozze d’oro che a quelle d’argento. I Pure il poeta le dedica quasi un epitalamio. Che fra i primi 26 versi contenuti nell'attuale f. 3 e gli ultimi due, che sono Bici f. 11, ci sia una lacuna, che dovrebbe esser d'almeno ses- santa versi, non mi pare probabile, come ho già accennato; quantunque il Tribraco lavorasse di mosaico, e le reminiscenze classiche e le allusioni storiche e mitologiche siano nelle sue composizioni come tasselli, dei quali mal si può calcolare il «numero e l’ordine logico. | x n° A * Ù 470 FEDERICO PATETTA — DI ALCUNE POFSIE, ECC. 5. Essendo il carme in lode di Barbara Gonzaga a breve e l'unico del codicetto probabilmente non mutilo, produco senz'altro. Quam bene iunguntur melimelis cinnama, quantum Dulcia cecropiis et melimela favis (1), Quam bene frondiferae sociantur (2) vitibus ulmi, Quam bene purpureis tempora verna rosis, 3 Tam bene Gonzagio cum principe Barbara iuncta, Tam bene Gonzagio Barbara iuncta toro. Quanta per hesperias gentes (3) huic nomina Mavors, Tanta tibi tribuit candidus usque pudor. Quanta sub hoc regnat pietas, prudentia quanta, 10 Dum regit aut populos aut fera bella gerit, Tanta tibi ingenuo regnat sub pectore, si fas Dicere quod summo Iuno sit aequa Iovi. Sed neque sydereus tantos puto damnet honores Iuppiter, at domina gaudeat ille magis. 15 Principe te, castae vivit Lucrecia mentis, Fidaque dulichio Penelopea viro: Principe te, Alcestem praesentia saecula norunt, Quicquid et exemplo dignius esse potest. Ipsa licet taceas, te regia fronte venustas 20 Arguet a magnis regibus ire genus. Aut sis illa licet, quae quondam Astraea virago Dicitur ad superos hine abiisse lares (4), Principis ad sacras iusti remeaveris arces Nubere Gonzagio digna reperta duci, 25 Vive nurus inter latias, regum inclyta mater, O decus, o latii gloria prima soli. Te neque facundo Cornelia vicerit ore. Te neque, si redeat, Laelia maior erit (5). » . (0) Il Tribraco ricordava evidentemente l’epigramma di Marziale, XII, 24: i Vr “ Si tibi cecropio saturata cydonia melle Ponentur, dicas haec melimela licet ,. (2) Il ms. ha sotiantur. (3) Il ms. ha gente, cioè gentem. (4) Reminiscenza di Giovenale, VI, 19: “ Paulatim deinde ad superos “ Astraea recessit ,. (5) Cornelia, madre dei Gracchi, e Lelia, figlia di C. Lelio Sapiente. console nell'anno 614 di Roma, sono lodate nel Bruto di Cicerone, cap. 58, per l’eloquenza e l’eleganza del discorso. L’ Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. CLASSI UNITE } Adunanza del 6 Febbraio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: il Vice-Presidente CAmERANO, il Direttore della Classe D'OvipIo, e i Soci SALVADORI, Prano, JADANZA, Foà, GUARESCHI, GUIDI, Parona, MartIRoOLo, SomiGLIANA, Fusari, PANETTI, e SEGRE, Segretario; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: il Direttore della Classe CHIRONI, e i Soci CaRrLE, De Sanctis, RurriNni, STAMPINI, Bronpi, Scorza, ErnaupI, BaupI DI VESME, ParerTA, VipARI e Prato. _ Scusano l’assenza, per motivi di salute, i Soci NACccARI e D'’ErcoLe. Vien letto e approvato l'atto verbale dell'adunanza pre- cedente a Classi Unite, 20 giugno 1915. Indi il Socio GuarescHI, in sostituzione di NaccaRI, legge la Relazione sul Concorso al premio Avogadro. Senza discus- sione viene messa ai voti la proposta della Commissione di conferire il premio al Prof. H. N. Morse della Johns Hopkins University di Baltimora (Maryland). L'Accademia approva la detta proposta. Atti della R. Accademiu — Vol. LI. $ 201 Il Socio CAMERANO, ancora in sostituzione del collega N NI o-- cari, legge la Relazione della 2* Giunta per il XIX premi h Bressa (Internazionale, quadriennio 1911-1914). ì __ Il Socio Vipari legge la Relazione della Commissione per il premio Gautieri per la Filosofia (triennio 1912-1914). Per questi due premi la votazione si farà nella prossima adunanza a Classi Unite. Relazione sul concorso al premio Avoganro. Egregi Colleghi, I concorrenti al premio Avogadro furono due soli. I due brevissimi scritti presentati da uno di essi non furono giudicati degni di essere presi in considerazione. L'altro concorrente invece, che è il sig. H. N. Morse, pro- fessore di chimica inorganica e analitica nell’ Università John Hopkins di Baltimora, inviò una sua opera molto pregevole, in | cui sono descritte le esperienze fatte dall'autore con l’aiuto dei pren sig.ri J. C. W. Frazer e W. W. Holland per misurare diretta- mente la pressione osmotica delle soluzioni acquose. Il bando del concorso chiedeva un lavoro di Chimica che avesse relazione con la legge dell’Avogadro e fosse pubblicato nel triennio 1912-14. L’opera del Morse, se non è di Chimica pura, spetta indubbiamente alla Chimica fisica e, per le appli- cazioni che se ne può fare, ha grande importanza anche per la Chimica propriamente detta. Com’essa abbia relazione con la legge dell’Avogadro applicata alle soluzioni, risulterà dalla de- scrizione dei risultati. Essa comprende, oltre a molte esperienze anteriori, anche numerose esperienze fatte nel triennio 1912-14 e la discussione di tutti i risultati : l’opera fu pubblicata nel 1914. Per queste ragioni e per il valore scientifico del lavoro, la Commissione giudicò che le condizioni del bando fossero sod- disfatte. Per incarico dei miei colleghi della (‘ommissione cercherò di dare all'Accademia una descrizione sommaria delle parti più importanti dell’opera del Morse. Convinto che il metodo diretto di misura della pressione osmotica sia il solo che può darci dei valori sicuri di essa entro limiti di temperatura abbastanza lontani, il Morse sì pro- pose di raggiungere con quel metodo la massima esattezza pos- sibile: Le grandi difficoltà ch'era necessario superare, non sa- rebbero forse state vinte se l'istituzione Carnegie di Washington non avesse fornito i mezzi occorrenti. di 174 Si credeva da principio che la difficoltà principale stesse nella preparazione delle membrane semipermeabili; poi si vide che un’altra difficoltà molto grave, anzi più grave, doveva esser vinta per poter disporre di vasi porosi atti a prestare oppor- tuno sostegno alle membrane. Un lungo periodo del lavoro fu appunto dedicato prima alla ricerca, poi alla costruzione di vasi porosi adatti. Una prima provvista di cento di tali vasi non ne diede che un solo, il quale resistesse alla pressione interna di 30 atm. cui si voleva arrivare, gli altri per gran parte non ressero a 20 atm. Per studiarne l’intima struttura sì fecero delle sezioni sottili dei vasi stessi, e queste vennero esaminate col microscopio. I ri- sultati di tali esami furono comunicati ai fabbricatori, che si dissero sicuri di togliere ogni difetto e fornire vasi perfetti. Ma queste previsioni fallirono e 500 vasi nuovi furono giudicati difettosi. Essi non resistevano ad alte pressioni, avevano degli spazi vuoti entro le pareti; la loro struttura era irregolare e molto diversa da vaso a vaso. Occorrevano per le esperienze dei vasi che avessero pareti ben resistenti e struttura fine e uniforme. Una membrana ideale è quella che si forma sulla pa- rete interna del vaso, laddove hanno principio i canaletti esi- stenti nella parete porosa e che aderisce saldamente alla ma- teria del vaso. Il Morse, riconosciuto inutile ogni altro tentativo, decise di costruire i vasi porosi nel suo laboratorio. Molte esperienze e molte cure furono necessarie per riuscire in questo intento. Per ottenere la porosità opportuna, due specie di argilla vennero mescolate e fortemente premute insieme. Si formarono così dei cilindri di argilla che venivano poi lavorati esternamente e internamente sul tornio. La cottura fu fatta in un forno Seger o in un forno elettrico a circa 1300°. Fu cosa difficile il congiungere il vaso poroso al manometro in modo che la cella così preparata resistesse a forti pressioni interne. Dopo molti tentativi si trovò un modo di procedere sod- disfacente. Grandi cure vennero dedicate alla calibrazione dei mano- metri, ch’'erano ad aria compressa. Per la preparazione delle membrane semipermeabili si ab- bandonò il metodo del Pfeffer e si ricorse al metodo elettro- litico. ue. 475 Se una soluzione d'un sale di rame e una di ferrocianuro potassico sono separate da un diaframma poroso che è impre- gnato di acqua e una corrente passa da un elettrodo che sta nella prima soluzione ad uno che sta nella seconda, gli ioni di rame e di ferrocianogeno devono incontrarsi entro la parete e dar origine a ferrocianuro di rame, là dove s'incontrano. Così delle membrane di questa sostanza si formano nei canaletti delle pareti del vaso e aderiscono alla materia delle pareti stesse. Il metodo fece ottima prova. Bisognava anzitutto espellere l’aria dai pori sostituendola con acqua. Si empì la cella con una soluzione diluita di solfato di litio e la si immerse nella stessa soluzione. Si fece passare una corrente dall'esterno all’in- terno con elettrodi di platino. Quando si credette che l’aria fosse tutta espulsa, la cella si riempì di acqua distillata e venne immersa in acqua distillata, che venne rinnovata più volte. Si fece passare una corrente e si misurò di tratto in tratto la resistenza elettrica. Quando questa assumeva un va- lore poco diverso da quello che si ritiene spettare all’ acqua pura, la cella si giudicava pronta per deporvi la membrana. Se occorreva attendere qualche tempo prima di far tale operazione, si conservava la cella nell'acqua, aggiungendo un po’ di timolo o di formaldeide per evitare lo sviluppo delle muffe, che sono dannosissime alle membrane. Per preparare, ad esempio, una membrana di fierrocianuro «di rame, si metteva un cilindro cavo di rame in un gran vaso vuoto di vetro e dentro il cilindro la cella, chiusa con un tappo di gomma. Questo tappo era attraversato dal catodo di platino, da un imbuto, il cui tubo andava fino al fondo del cilindro, e da un tubo che serviva a togliere il liquido sovrabbondante. Si chiudeva il circuito e tosto si riempiva la cella e lo spazio cir- costante con le rispettive soluzioni di ferrocianuro potassico e di solfato di rame, la cui concentrazione era !/;o della nor- male. La forza elettromotrice era di 110 V. Da principio la resistenza era molto grande perchè le pa- reti del vaso erano impregnate d’acqua. Poi la corrente cre- sceva, raggiungeva ùn massimo, indi decresceva e andava verso un valor minimo. Durante l'operazione bisognava aggiungere spesso della nuova soluzione di ferrocianuro. Quando la resi- stenza elettrica non cresceva più, si sospendeva la corrente. Si -- hl 176 poneva la cella nell'acqua pura per togliere dalla membrana l’aleali che vi si poteva essere accumulato, e dopo tre giorni almeno, si ripeteva l’operazione elettrolitica sopra descritta e così si proseguiva fino a che la resistenza elettrica della mem- brana non crescesse più. i Una cella va in generale adoperata alla temperatura a cui la membrana vi fu deposta. Gli sbalzi di temperatura possono danneggiarla assai. Perciò grandi cure furono date alla costru- zione e all'uso di bagni di temperatura costante. L’opera del Morse ne contiene una minuta descrizione. L'Autore discute poi lungamente il modo in cui furono pre- parate le soluzioni di diversa concentrazione. Invece di misu- rare la concentrazione d’una soluzione tenendo conto del peso della sostanza disciolta rispetto al volume della soluzione, parve al Morse più opportuno di riferire il peso della sostanza a un peso dato del solvente puro e propriamente a 1000 grammi di acqua, È Conviene avvertire che 11 Morse non è fra i partigiani di- chiarati della teoria che assomiglia in tutto la sostanza disciolta ad un gas e dà ragione della pressione osmotica con gli urti delle molecole della sostanza disciolta. Giustamente egli nota la diversità grande ‘dei due casi dovuta all’influenza che deve avere il solvente sui movimenti delle molecole della sostanza disciolta. Egli propende invece ad ammettere che i fenomeni osmotici provengano da un'azione assorbente esercitata sul- l’acqua dalla membrana colloidale con la faccia che sta a con- tatto della soluzione più diluita e da un'azione opposta dal- l’altra parte. Per tenersi più libero da ogni ipotesi e per altre ragioni, che qui sarebbe troppo lungo il riportare, gli parve miglior partito il valutar le concentrazioni nel modo detto di sopra. Passiamo ora brevemente in rassegna i risultati delle espe- rienze. Furono studiati lo zucchero di canna, il glucosio e la mannite. Alcune misure sopra elettroliti vennero anche eseguite. Le esperienze più estese vennero fatte con lo zucchero di canna. Le pressioni osmotiche delle soluzioni acquose di questa sostanza furono misurate per le concentrazioni 0,1, 0,2, ecc. fino a 1, di 0,1 in 0,1, se esprimiamo le concentrazioni mediante fra- zioni della concentrazione normale. Ciò fu fatto alle tempera- dle Lindt ur È E TAICAT sie liiitiitrri ira de e 477 _ ture 0°, 10°, ecc. fino a 60°, di 10° in 10°. Per le soluzioni più concentrate si estesero le esperienze fino a 80°. Le pressioni osmotiche misurate salirono fino a 29 atmosfere. Facendo il rapporto fra ogni pressione osmotica osservata e la pressione che la stessa quantità di sostanza disciolta avrebbe avuto allo stato di gas e alla stessa temperatura in un volume eguale a quello del solvente puro, si trova che fra 0° e 25° quel rapporto è costante per ogni concentrazione, ma varia dall'una all'altra concentrazione. Di qui risulta che fra 0° e 25° le pressioni osmotiche delle soluzioni acquose di zucchero di canna crescono al crescere della temperatura come le pres- sioni dei gas a volume costante. È notevole poi che quel rapporto, fra i limiti di tempera- tura indicati, è sempre maggiore dell’unità. Se si ommette la concentrazione 0,1, i valori del rapporto vanno crescendo al crescere della concentrazione e propriamente da 1,061 per la concentrazione 0,2 fino a 1,114 per la concentrazione normale. Se la legge del Boyle valesse per le pressioni osmotiche di queste soluzioni, quel rapporto dovrebbe essere costante per tutte le concentrazioni ad una data temperatura. Perchè la legge dell’Avogadro fosse applicabile, il rapporto dovrebbe essere uguale all’unità. L’A. crede probabile che queste anomalie sieno effetto della formazione d’idrati, ma stima opportuno di eseguire delle altre esperienze prima di tentare di spiegare il fenomeno. Ad una temperatura compresa fra 25° e 30° il rapporto comincia a diminuire per tutte le concentrazioni e diminuisce più presto per le soluzioni diluite. Ad una certa temperatura che è più alta per le concentrazioni maggiori, il rapporto di- venta eguale all’ unità e si mantiene tale a temperature più alte. In tali condizioni dunque le soluzioni di zucchero di canna seguono le leggi dei gas. Glucosio. — Le celle preparate per le temperature 0°, 10°, 20° si guastarono prima che potessero venir usate, perciò le misure ebbero principio da 30°, poi furono continuate a 40° e 50°. Alle temperature comprese fra 30° e 50° le soluzioni di glucosio, le cui concentrazioni sono comprese fra 0,1 e 1, seguono le leggi dei gas con molta approssimazione. 473 Mannite. — Il Morse misurò le pressioni osmotiche delle soluzioni di mannite a 10°, 20°, 30°, 40°. Per le tre più basse temperature egli usò le concentrazioni da 0,1 a 0,5, di 0,1 in 0,1. La maggiore solubilità della mannite a 40° permise di esten- dere le esperienze anche alla concentrazione 0,6. In tutte queste esperienze le leggi dei gas si trovarono verificate. Sostanze elettrolitiche. — Col cloruro di potassio non fu possibile ottenere buone misure. Le cose andarono meglio con le soluzioni di cloruro di litio. Il rapporto fra le due pres- sioni, calcolato nel modo sopraindicato, si trovò aver valori compresi fra 1,746 e 1,992 per le concentrazioni comprese fra 0,1 e 0,6. Che il rapporto sia maggiore dell'unità si spiega in generale con la dissociazione elettrolitica, ma esso dovrebbe diminuire al crescere della concentrazione e invece aumenta. L’A. non dispera di trovar modo, specialmente con l’uso di membrane d’altra natura, di studiare anche il cloruro di potassio ed altre sostanze elettrolitiche. L’opera del Morse è ancora lontana dal suo compimento. L'inizio di essa risale a 15 anni sono. La parte più difficile fu la ricerca del metodo opportuno e delle particolarità del pro- cedimento sperimentale. Questo periodo di preparazione non ri- chiese meno di otto anni. Per lo studio completo delle pres- sioni osmotiche delle soluzioni acquose dello zucchero di canna, del glucosio, della mannite e del levulosio, il Morse prevede che occorrano ancora tre anni. Tenuto conto delle grandi difficoltà superate in questa in- dagine sperimentale, che non era mai stata tentata prima su così larga base, del grado di esattezza raggiunto e dell’impor- tanza dell'argomento, la Commissione unanime vi propone di conferire il premio Avogadro al Prof. H. N. Morse. La Commissione : L. BALBIANO. I. GUARESCHI. A. Naccari, Relatore. Relazione della seconda Giunta per il XIX premio Bressa. Egregi Colleghi, Il 9 maggio di quest'anno la prima Giunta per il XIX premio Bressa chiudeva la sua relazione col proporre che la seconda Giunta per il premio stesso esaminasse le opere seguenti : 1. Asca W. u. D., Die Silikate. 2. BerLEsE, Introduzione in Italia della Prospaltella. 3. KoeBE, Memorie di matematica. 4. Nernst W., Trattato e memorie di chimica. 5. Cramicran e SiLBER, Memorie di chimica. Riferisco i giudizii, che intorno a queste opere la prima Giunta ha trasmesso alla seconda e che questa non ha avuto ragioni di modificare. 1. AscH W. u. D., Die Silikate in chemischen und technischer Beziehung. Berlin, 1911. Gli autori discutono specialmente in quest'opera la costi- tuzione chimica dei silicati o meglio dei polisilicati, accennando a tutte le teorie emesse dalle prime ricerche del Berzelius, del Gerhardt, ecc., fino ad ora. Essi trattano con maggiore ampiezza l'ipotesi, che considera i polisilicati come sali di acidi complessi. Per molti silicati furono da varii autori proposte delle for- mule quasi più complicate di quelle delle sostanze proteiniche. Per semplificare la questione gli Autori ammisero l’esistenza — di nuclei di atomi di silicio e di alluminio in catene chiuse, come gli atomi di carbonio nei composti aromatici. 480 Tenendo conto delle analogie esistenti fra il carbonio e il silicio i sigg. Asch propongono di considerare moltissimi silicati come derivanti da due nuovi radicali che denominano essile e pentile, e con grande ampiezza sviluppano questa ipotesi. Il libro contiene una copiosa bibliografia dell’argomento. Esso è d’indole essenzialmente teorica ed è opera di non co- mune valore. 2. Prof. Antonio BeRrLESE, Lotta contro la “ Diaspis pentagona ,. Sono ben noti i danni recati all’agricoltura italiana dalla Diaspis pentagona o cocciniglia del gelso. Essa fu osservata per la prima volta nel 1886 dal Targioni che la descrisse e la no- minò ritenendola di origine giapponese. La stessa specie venne descritta nel 894 dal Sasaki di Tokio col nome di Diaspis patellaeformis e nel 1889 dal Tryon, che la trovò in Australia col nome di Diaspis amygdali. Il Cockwell nel 1892 la indicò col nome di Diaspis lanatus della Giamaica. Quest’insetto trovasi ora diffuso in tutto il globo. Da noi l'infezione venne dapprima osservata in alcuni comuni della provincia di Como. Presentemente tutta l’Italia settentrionale ne è infetta, in gran parte l’Italia centrale e qualche focolare st nota già anche nel mezzogiorno. La Diaspis pentagona è specie polifaga, e son numerose le piante di cui si nutre. Il Gastine nel suo scritto: La lutte contre la ‘Diaspis pentagona’ en Italie, ne enumera per l’Italia 54. Fra queste il gelso è il più danneggiato, tanto che si può ritenere che per opera di questo parassita la produzione della foglia di gelso venga diminuita di più che un terzo, il che naturalmente porta con sè una corrispondente diminuzione del prodotto dei bozzoli. Per dare qualche esempio, citiamo il prof. Gabotto, diret- tore della Cattedra ambulante di agricoltura di Casale Monfer- rato, il quale calcola che dal 1909 al 1911 il prodotto della foglia di gelso sia diminuito di 127.000 quintali. La diminuzione del prodotto dei bozzoli, che ne conseguì, corrisponde a circa 900.000 chilogr. e 1: SI PA 481 La Diaspis pentagona fu causa per l’Italia di un altro danno assai grave, perchè la Francia, per difendersi dall’invasione, proibì nel gennaio 1912 l’importazione e il transito di tutti i vegetali allo stato legnoso, eccetto quelli resinosi e la vite, di origine italiana, come pure delle loro parti fresche. Con questo decreto venne quasi interamente soppresso il commercio con la Francia dei fiori recisi, che era di più di mezzo milione di ton- nellate per anno. Di fronte a tali danni era necessario cercare i mezzi di difesa. Innumerevoli e svariatissimi sono i rimedii che vennero suggeriti per combattere i parassiti delle piante, mezzi mecca- nici, sostanze chimiche, distruzione delle piante, ma la efficacia di essi quasi sempre fu scarsa. Col progredire degli studi sopra i costumi degli insetti nocivi, vennero meglio in chiaro le rela- zioni fra quegli insetti e le piante coltivate e di qui venne il pensiero di valersi d’altri animali contro quelli che son nocivi alle piante. Alcuni naturalisti volsero la loro attenzione a un fenomeno frequente fra gli insetti, vale a dire al parassitismo che alcuni gruppi di essi esercitano su altri. Questi insetti, allo stato di larve, si nutrono succhiando e rodendo internamente altre specie, nel corpo delle quali furono deposti allo stato di uovo o di larva dalle loro madri. Questo fenomeno era già stato osservato dal Redi e dal Vallisneri. In Italia fu il Rondani, entomologo illustre, che pose in chiaro l’importanza di questi insetti parassiti di altri insetti in due suoi scritti pubblicati nel 1868 e nel 1871. Il Ghigliani, il Sabbioni, il Costa, il Passerini, il Camerano da noi, e fuori d'Italia, fra gli altri, il Ratzenberg, il Gold, il Perris sostennero e diffusero il concetto del Rondani. In breve tempo esso fu accolto e s’incominciò a cercare il modo di vol- gere a vantaggio dell’uomo l’opera degli insetti parassiti d'in- setti nocivi, l’opera dei così detti insetti endofagi. Gli entomologi americani furono i primi ad*ottenere effetti pratici ed utili, ed è da ricordarsi l’opera del Riley, che segnò la via a tutta una schiera di naturalisti americani, capitanata dall’Howard. Questi si studiò d’introdurre, acclimare e diffon- dere negli Stati Uniti le specie d’insetti nemiche degl’ insetti nocivi di quel paese. 482 In Italia il prof. Antonio Berlese, già professore nella Scuola superiore d'Agricoltura di Portici, poi direttore della Stazione di Entomologia agraria di Firenze, da quindici anni si occupa attivamente e con successo di tale questione. Nel 1901 egli scriveva così: “ Da tempo sono entrato nell’assoluta ‘convinzione che i nostri più efficaci ausiliarii nella lotta contro gl’insetti nocivi sieno altri insetti nemici ai primi, che in questi vivono o di questi si nutrono facendone preda. In più occasioni ho esposto ed illustrato le ragioni di questa mia convinzione, ma più di recente, in seguito appunto a questa mia persuasione, ho ricer- cato, con molto studio, come e quanto potesse essere agevolata agli insetti parassiti delle specie nocive la diffusione e dato loro incremento in confronto delle vittime che sono le specie nocive alle nostre culture. Altre volte ed in altro luogo ho avvertito che è stata ed è mia fatica quella di tentare l’acclimazione nel nostro paese d’insetti esotici, riconosciuti quali efficaci nemici delle specie nocive nei loro paesi d’origine ,. Nel 1901 il Berlese introdusse contro la Icerya Purchasi, cocciniglia nocevolissima agli agrumi, apparsa per la prima volta in Italia nel 1900 a Portici, il Novius cardinalis, con esem- plari avuti dal Portogallo e dall'America del Nord. Questa coc- cinella si acclimò fra noi e con la sua voracità frenòdò grande- mente lo sviluppo dell’'Icerya. Nel 1901 il Governo fece approvare una prima legge contro la Diaspis, ma i rimedii suggeriti allora non ebbero alcun ef- fetto, tanto è vero che i Comuni infetti erano tre nel 1885 e due anni dopo la promulgazione della legge erano 763. Nel 1904 si fece una legge più severa, ma i Comuni infetti otto anni dopo erano 2218. Vista l’inefficacia dei mezzi usati fino allora, visto anche che la morte della Diaspis, provocata dalle vicende atmosferiche o da speciali condizioni fisiologiche della pianta o da determinati metodi di coltura, non costituiva freno sufficiente allo svilupparsi e al propagarsi dell’insetto, gli entomologisti agrari rivolsero le loro cure a studiare i mezzi naturali dì lotta per opera dei parassiti e dei predatori della dannosa cocciniglia. Fra gli entomologi, che più assiduamente si occuparono e i sì occupano della questione, vanno specialmente menzionati lo tetta TTT" _ _——_-__—__ Eee stesso prof. Berlese, di cui è detto più sopra, e il prof. Fi- lippo Silvestri, che succedette al Berlese nella cattedra di Por- tici. Essi cercarono quali fossero fra noi e negli altri paesi infetti dalla Diaspis i suoi naturali nemici più attivi. Il pro- fessore Silvestri compì a tal fine dei lunghi viaggi. Fra i due egregi entomologi si manifestò diversità di ve- dute intorno all'efficacia dei varii nemici della Diaspis, e ciò diede origine a studii più estesi dell'uno e dell’altro con van- taggio della scienza e della pratica. In complesso il prof. Silvestri, pur non disconoscendo l’opera distruggitrice degli Imenotteri endofagi, ritiene che si debba avere maggior fiducia in quella dei coleotteri predatori. Di questo avviso è pure il prof. Grassi, il quale, inoltre, in una recentissima pubblicazione, intitolata Di una malattia infettiva della “ Diaspis pentagona , Targ., ricerca se la Diaspis venga frenata nel suo sviluppo da una speciale malattia infet- tiva. Le ricerche da lui istituite a questo proposito non l’hanno condotto a scoprire un germe patogeno {come non vi era riu- scito nelle sue ricerche in proposito precedentemente il Berlese), ma è persuaso che tale germe esista. Il prof. Grassi non nega tuttavia l’utilità della Prospal- tella: ma vorrebbe che l’opera sua venisse integrata col tentare di far sviluppare la malattia che egli suppone esistere ed anche col favorire lo sviluppo di insetti predatori, come il Chilocorus bipustulosus ed altri. Il prof. Berlese invece accorda piena ed intera fiducia agli Imenotteri endofagi e in particolar modo alla Prospaltella Ber- lesei Howard, da lui scoperta e introdotta e diffusa in Italia. “ Fin dal 1902 ,, egli dice, “ considerando la diffusione uni- forme e senza ostacolo della Diaspis pentagona fra noi, dubitai primamente che essa qui non avesse quei nemici naturali, che hanno tutti gli organismi a moderare la loro possibile eccessiva moltiplicazione. Per ciò, ottenuti da moltissime parti d’Italia campioni della cocciniglia, dovetti riconoscere che essa non era aggredita da alcun insetto endufago, a differenza di tutte le altre specie di coccidei nostrali. Per ciò la Diaspis doveva essere d'importazione esotica e qui pervenuta senza l'accompagnamento degli insetti suoi nemici ,. Più tardi, nel 1905, il Berlese avendo notato che gli ento- DI . mologi nordamericani non parlavano più dei danni della Diaspis amygdali (sinonimo della Diaspis pentagona), chiese al profes- sore Howard, venuto a Firenze, la ragione del fatto. L’Howard gli confermò che da qualche tempo la cocciniglia non recava più danno alle culture nell'America del Nord. Ottenuti dei campioni di Diaspis americana, il Berlese vi riscontrò degli Imenotteri endofagi, che distruggevano la Diaspis stessa. Egli li spedì al prof. Howard, specialista del gruppo dei Calcididi, perchè li determinasse. Il più abbondante fra essi venne dall’Howard descritto come una nuova specie col nome di Prospaltella Berlesei. Il prof. Berlese pensò allora che se si poteva ottenere l’ac- climamento di questa specie di endofago in Italia, sì avrebbe potuto trovare in esso un freno efficace alla diffusione della Diaspis pentagona. Egli fece i primi tentativi di acclimamento a Vanzago in provincia di Milano nel 1906: li estese nell’anno 1907 a S. Pietro, a Grado nel Pisano, e nell’anno stesso, dopo molte cure, potè diffondere la Prospaltella in cinque centri: Genova, Casale Mon- ferrato, Milano, Pisa, Acerra. Nel 1909 il prof. Orsi, inviato speciale del governo Austro-Ungarico, la portava nel Trentino. Nel 1910 il prof. Berlese era riuscito a costituire in Italia 2520 centri di allevamento, i quali prepararono una grande quantità di legno con Prospaltella, per modo che nella prima- vera del 1913 la stazione di Entomologia Agraria di Firenze potè distribuire 37.300 pezzi di legno con Prospaltella. La dif- fusione di questo materiale crebbe grandemente nel 1914, anche perchè il Ministero di Agricoltura concesse dei larghi sussidii. Nel solo Piemonte in quell’anno si distribuirono 142.000 pezzi. Il sindaco di Torino invitò, con apposito manifesto, gli agricol- tori delle regioni infette a provvedersene dall’Osservatorio di Fitopatologia, che li distribuisce gratuitamente. La Società Agraria di Lombardia ne distribuì l’anno scorso 170.000 e poco meno la Stazione Entomologica di Firenze. Nel- l'anno corrente si arriverà ad un milione di pezzi. Gli effetti benefici della Prospaltella in un luogo, dove sia stata introdotta, si incominciano a riconoscere due anni circa dopo il sno acclimamento in quel luogo, ma non si fanno ben manifesti che nel terz'anno. Così avvenne che in Italia soltanto cit ini iti it è è è. #0 pe TP E TE VR OT STE MRO E | Vor —___— ovvero titti tti ttt nel 1911 gli agricoltori cominciarono a riconoscere l’utilità della Prospaltella nella lotta contro la Diaspis. Il prof. Berlese, a corredo dei suoi scritti, inviò all’Acca- demia una copiosa serie di documenti, relazioni di enti agrarii, di associazioni sericole e bacologiche, di istituti agrarii, ecc., i quali provano il buon successo della Prospaltella. Ne citerò alcuno dei più importanti. Il Consiglio per gli interessi serici accordava nel 1913 L. 20.000 all'Associazione serica e bacologica del Piemonte perchè mettesse alla prova tutti i mezzi di lotta fino allora proposti contro la Diapsis e ne riferisse comparativamente. Con- cedeva pure L. 9.000 alla Società agraria di Lombardia per una larga diffusione della Prospaltella in Lombardia e L. 4.000 alla Stazione di Entomologia agraria di Firenze per le spese rela- tive alla preparazione del legno con Prospaltella. Raccolte tutte le necessarie informazioni, il Consiglio per gli interessi serici diede il seguente giudizio: “ Fu riconosciuto che la Prospal- tella è ora l’unico rimedio pratico ed economico per combattere il terribile parassita e ridurre i danni al minimo. Ne occorre una generale e metodica distribuzione affinchè in pochi anni tutta la zona ammalata ne sia sufficientemente provveduta e sia così chiuso il doloroso periodo, durante il quale la Diaspis ha prodotto tanto danno ,. L'Associazione italiana dei confezionatori di seme di bachi di Milano, “-preoccupata dalla grave diminuzione della produ- zione di foglie di gelso e conseguentemente anche di bozzoli, riconoscendo una causa principale di tale fatto nell’enorme dif- fusione di malattie parassitarie e sopra tutto nella Diaspis ,, apriva nel 1910 un concorso con un premio di L. 2.000 per un rimedio efficace e di facile applicazione pratica, ammettendo al concorso tanto i preparati specifici chimicamente composti quanto nuovi metodi di allevamento e di potatura del gelso e i parassiti della Diaspis. Il Comizio agrario di Como assegnava in tale concorso, come primo premio, una grande medaglia d'oro. Al concorso si presentò il prof. Berlese, ed ecco il giudizio che ne diede la Giuria nella sua relazione: “ La Giuria ritiene di dover escludere ogni ulteriore dubbio sulla reale capacità della Prospaltella di provocare una grande distruzione della 480 Diaspis... e propone per il prof. Berlese il primo premio, cioè la medaglia d’oro del Comizio agrario di Como e L. 1.400 ,. L'Associazione agraria friulana, nel gennaio 1914 votò un plauso unanime al prof. Berlese per la sua fortunata lotta contro la Diaspis. L'Associazione agraria trevigiana assegnò nel 1914 al pro- fessore Berlese una medaglia d’oro di benemerenza. I bacologi di Vittorio e di Conegliano, riuniti in speciale seduta nell'ottobre 1914, decretarono al prof. Berlese una targa- ricordo in segno di ammirazione e di riconoscenza. Nel maggio 1915, per voto del Consiglio provinciale di Ve- nezia e per unanime deliberazione del Consiglio di Agricoltura per le Cattedre ambulanti di Agricoltura della provincia di Venezia e delle Istituzioni agrarie della stessa Provincia, fu de- liberata in onore del prof. A. Berlese una targa d’oro con una pergamena di dedica, come una solenne dimostrazione della rico- noscenza degli enti e degli agricoltori veneziani per la scoperta della Prospaltella Berlesei e per la sua applicazione alla lotta contro la Diaspis pentagona. Fra le numerose attestazioni di privati, che affermano l’ef- ficacia della Prospaltella contro la Diaspis, sono notevoli le seguenti: S. E. Bertolini scriveva al Berlese nel luglio del 1914 : “ Ho constatato quest'anno che il trionfo della Prospaltella è stato nelle nostre campagne completo. Ella si è reso così bene- merito dell'economia nazionale che le parole tornano inadeguate alifatto:,. S. E. il conte Marcello scriveva al Berlese nel marzo 1914: “lo mi compiaccio assai con Lei per il successo conseguito ed anche per mia parte desidero farle avere l’espressione della mia riconoscenza. Anche la mia tenuta di Fontanella di Oderzo, circa 1000 ettari, è quasi immune di Diaspis. Ho cominciato con pochi rametti tre anni fa. Ella ha reso un immenso ser- vigio all'agricoltura del nostro paese ,. L'on. Rota scriveva al prof. Berlese nel luglio 1914: “ L'opera Sua fu efficacissima ed Ella merita, con la perpetua gratitudine degli Agricoltori, il plauso del Ministero ,. Nella legge approvata nel 1913: Provvedimenti intesi a pre- venire e combattere le malattie delle pranie all'articolo 10 si abro- VITA I ET POTE O TOO PIT PT RO e OTT Tp e e__eu—— E e PRI è EPS Re e, 487 gano le leggi speciali sulla Diaspis pentagona e sulla Doriphora decemlineata per le considerazioni seguenti, che si leggono nella Relazione ministeriale che precede la legge stessa: “ Si ritiene opportuno abrogare le due leggi speciali, cioè quella sulla Doriphora, che non è occorso mai di applicare e quella sulla Diaspis pentagona, perchè la Prospaltella Berlesei rappresenta oggi il rimedio più semplice, più economico e più efficace contro di essa e dispensa quindi dal valersi della cura diretta ,. 1 risultati ottenuti in Italia con la Prospaltella richiama- rono su di essa l’attenzione degli Stati d'Europa. Il Governo Austro-Ungarico la introdusse nel (Goriziano e, avutone buon effetto, pubblicò nel 1918 una tavola colorata con speciale istru- zione, in tre lingue, da diffondersi fra gli agricoltori. In quella istruzione sta scritto: “ Fu provvidenziale per l’agricoltura che alcuni anni fa il prof. A. Berlese, direttore della stazione ento- mologica agraria di Firenze, importasse in Europa un parassita endofago della Diaspis stessa, la vespetta detta Prospaltella Berlesei, la quale fu con notevole successo allevata e propagata nelle regioni ove coltivasi il gelso, tanto in Italia quanto in Austria ,. La Francia inviò in Italia a studiare gli effetti della Pro- spaltella il sig. Gastine. Egli fece in proposito un rapporto molto favorevole, tanto che il prof. Bouvier, presidente della Commissione franco-italiana riunitasi a Nizza nel 19183 per otte- nere l'abolizione dei provvedimenti presi dalla Francia per di- fendersi dalla Diaspis, conchiuse un suo articolo stampato nella Revue scientifigue dicendo che i benefici effetti della Prospaltella rendevano inutili quei provvedimenti. Recentemente la repubblica dell'Uruguay, la repubblica Ar- gentina e la Svizzera introdussero la Prospaltella per iniziare la lotta contro la Diaspis. Le condizioni presenti, per quanto riguarda gli effetti della Prospaltella in Italia, sono le seguenti: La Diaspis è distrutta nel Goriziano, nel Trentino, nel Friuli. nella provincia di Treviso e in massima parte delle pro- vincie di Venezia, Padova, Rovigo, Vicenza e anche in qualche centro del Veronese. In Lombardia la Diaspis è distrutta nei dintorni del lago Atti della R. Accademia — Vol. LI. 32 TARA. 155 di Garda; altrove la lotta è iniziata. In Piemonte s’ebbero larghe distruzioni a Casale, Acqui, Asti, Mondovì, Alessandria; la lotta prosegue metodicamente nel resto. In Liguria fu libe- rata dalla Diaspis la provincia di Genova. Anche ad Acerra presso Napoli la Diaspis fu distrutta, e la distruzione procede bene nelle Marche, nell’Umbria, nell'Emilia, in Toscana, in Si- cilia. Dai documenti raccolti appare non lontano il giorno, in cui, per opera della Prospaltella, la Diaspis non sia più un ne- mico temibile per la coltivazione del gelso e delle altre piante, sulle quali alligna. 5. Prof. P. KoeBE, Memorie di matematica. Il prof. Koebe dell’Università di Lipsia, che aveva già pre- sentato numerosi suoi lavori pel XVII premio Bressa, ha inviato all'Accademia per il nuovo premio altri nove scritti. Anche questi, come quelli, sono relativi alla così detta uwi- formizzazione delle funzioni o delle curve algebriche od anali- tiche ed ai problemi di rappresentazioni conformi che stretta- mente vi si collegano. Nel campo costituito dai punti complessi di una linea algebrica, o più in generale di una linea analitica, (ossia sulla superficie di Riemann corrispondente) si vuol disten- dere una variabile complessa #, per modo che i valori di questa risultino in corrispondenza analitica diunivoca con i punti della linea, sicchè le coordinate di questi punti riusciranno funzioni analitiche uniformi di t. È questo un problema che era stato trattato dal Poincaré e dal Klein. Il Koebe lo riprese fin dal 1907, cercando di riempire tutte le lacune che ancora rimanevano . nella dimostrazione dei teoremi fondamentali del Poincaré e del Klein e aggiungendo altri risultati della stessa natura. Nei nuovi lavori pubblicati nell’ultimo quadriennio rileviamo anzi tutto la dimostrazione, che vien data per la prima volta dell’esistenza e dell’unicità di un'importante classe di variabili uniformizzanti (canoniche generali) per un ente algebrico, già considerate dal Klein. Anche viene dimostrato rigorosamente come tutte le questioni di uniformizzazione delle curve alge- briche, prima risolute con altri metodi, si possano trattare con 3 ne Pi dita i ia CO UO A EE ET TT di CRT RT TOT. ron n e i n ie 489 quel metodo di continuità, a cui già si era voluto ricorrere, senza però poggiarlo, come qui si fa, su basi sicure. Per le curve analitiche (xy) vengon determinate quelle variabili uniformizzanti t, per le quali le funzioni uniformi x(t), y(t) riescono insieme funzioni automorfe con un cerchio limite. Con ciò diventa possibile per le curve reali analitiche una di- stinzione analoga a quella che, per le curve algebriche reali, ossia per le relative superficie Riemanniane simmetriche, aveva fatto il Klein in ortosimmetriche e diasimmetriche. Come anche il Koebe sia poi condotto a legami con la geometria non eu- clidea è prevedibile per chi conosca i classici lavori del Poin- caré su questi argomenti. Infine, per quanto riguarda la rappresentazione conforme, è da notare un metodo nuovo, semplice (metodo di accosta- mento), basato esclusivamente sui fondamenti elementari della teoria di Weierstrass delle serie di potenze, per ottenere la rap- presentazione conforme di un campo piano affatto generale, semplicemente o doppiamente connesso, sul cerchio o rispet- tivamente sulla corona circolare: come pure l’analisi della cor- rispondenza che nasce fra i contorni di due campi, quando fra questi si abbia una corrispondenza conforme. L'insieme di questi studi del prof. Koebe è opera altamente pregevole. 4. W. NernsT, Trattato di chimica teorica e memoria di chimica. Fin dal 1893 il prof. W. Nernst, raccogliendo in un volume l'articolo di Ohimica teorica scritto nel 1892 pel grande 7rattato di Chimica inorganica del Dott. 0. Dammer, intitolava la sua opera Chimica teorica dal punto di vista della regola di Avogadro e della termodinamica. Nella prima edizione di questo trattato si deve anzitutto ammirare l'ordine col quale è disposta la materia, ordine, che fu conservato nelle sue linee generali anche nelle successive edizioni. In queste l’autore andò di mano in mano aggiungendo ai diversi capitoli quel corredo di fatti e di teorie che il pro- gresso di questo ramo di studio della Chimica andava scoprendo, gio» pp 190) teorie e fatti in parte dovuti all'autore stesso ed ai suoi allievi. Così il volume, che era di 580 pagine nella prima edizione, di- ventò di 820 nella settima edizione, che è del 1913. L’interesse destato nel mondo scientifico dall’opera del Nernst viene pro- vato chiaramente dalle sette edizioni, che ne furono pubblicate in vent'anni, oltre alle traduzioni inglese e francese. Il merito intrinseco dell’opera fu poi ben definito dal traduttore francese scrivendo : “ Noi riteniamo fermamente che molti lavori di chimica- fisica, eseguiti in questi ultimi anni in Europa e in America, sieno stati inspirati dal libro del prof. Nernst ,. Quest'opera ha per ciò acquistato l’importanza di una guida teorica e sperimentale nel campo della chimica fisica, e l’impor- tanza crebbe dopo il 1906, avendo il Nernst enunciato in quel- l’anno il teorema di termodinamica che porta il suo nome e informato a questo teorema i relativi capitoli della sua opera nelle successive edizioni. Il Nernst risolse il problema che aveva occupato lunga- mente i chimici, dal Bergman al Thomsen e al Berthelot, cioè la previsione dell'andamento di qualsiasi reazione chimica. Egli dimostrò che le curve, le quali rappresentano rispettivamente il massimo lavoro esterno che si può ricavare da una reazione chimica e il calore sviluppato nella reazione stessa, curve che devono passare tutte e due per lo stesso punto d’origine allo zero assoluto, vanno avvicinandosi l’una all'altra assintoticamente al diminuire della temperatura, in modo da essere vicinissime l’una all’altra presso a quel punto. Siccome poi l’applicazione del nuovo teorema al calcolo degli equilibri chimici esigeva la conoscenza dei veri calori specifici delle sostanze reagenti, così il Nernst fu condotto alla misura di essi anche a temperature bassissime, per le quali mancavano affatto i dati sperimentali. Sotto la sua direzione, modificando ingegnosamente i me- todi ordinari, vennero fatte molte serie d’esperienze e ne risultò che i calori specifici tendono ad annullarsi quando la tempera- tura s'accosta allo zero assoluto. SEI DE 5. Prof. G. Cramrcran e Dott. SiLBer, Memorie di chimica. I sigg. Ciamician e Silber hanno da più di un decennio intrapreso lo studio sistematico delle trasformazioni chimiche che i composti organici subiscono per l’azione della luce, ed hanno su questo vasto argomento pubblicato non meno di 31 me- morie o note. Scopo precipuo delle loro ricerche fu d’indagare quali reazioni possano essere ottenute od agevolate dalla lucé, studiando i loro processi tanto dal punto di vista teorico quanto da quello pratico. Essi tentarono cioè di riprodurre artificial- mente molti dei fenomeni che in natura si compiono nelle piante sotto l’azione della luce, affine di giungere, con la conoscenza precisa delle singole reazioni, alla spiegazione dei fenomeni che in modo complesso e maraviglioso si svolgono nelle piante. Le condensazioni del tipo aldolico fra alcoli e chetoni alla luce ed altre condensazioni varie hanno molta importanza. Re- centemente gli autori studiarono pure le autossidazioni alla luce, giungendo a risultati importanti, in ispecial modo con lo studio delle autossidazioni degli omologhi del benzene. Fra ilavori di Ciamician e Silber compiuti negli ultimi quattro anni, i cui risultati comparvero in molteplici memorie presentate all'Accademia dei Lincei e a quella di Bologna, sono specialmente da tenersi in considerazione quelli dal n° 18 al 29 che trattano argomenti, i quali si collegano in parte con quelli riassunti nella Memoria VII. Essi si riferiscono a diversi casi interessanti di condensazione. Sopra tutto importanti sono le condensazioni fra l’acetone e gli alcoli metilico ed etilico, nonchè quelli deli'etilmetilche- tone. Trattasi di fenomeni di riduzione e di ossidazione reci- proca, i quali conducono alla formazione di glicoli. Queste rea- zioni sono del tutto simili a quella fondamentale che avviene fra il benzofenone e l’alcoo] benzilico, reazione di notevole im- portanza, che gli Autori hanno scoperto e studiato fin dal 1904. Però è d’uopo avvertire che la reazione fra l’acetone e l'alcool etilico è accompagnata da reazioni secondarie, le quali hanno complicato e reso oltremodo difficile lo studio completo di tutte le trasformazioni avvenute. Di fatto, per riduzione del- l’acetone si formano alcool isopropilico ed aldeide acetica, e 492 quest'ultima, condensandosi con l’alcool etilico, forma un glicol dimetiletilenico. L'andamento di questa reazione venne piena- mente confermato mediante esperienza diretta. Il metiletilehetone si comporta alquanto diversamente: esso infatti agisce dapprima su sè stesso riducendosi ad alcool bu- tilico secondario ed ossidandosi a un dichetone. L'importanza della formazione di questo paradichetone sta principalmente nel fatto, che esso, trattato con ammoniaca, pro- duce del tetrametilpirrolo. Or bene, la formazione alla luce di un paradichetone costituisce un fatto molto notevole, che può forse chiarire le sintesi naturali dei derivati del pirrolo. Le altre note pubblicate negli ultimi quattro anni studiano dei fenomeni di autossidazioni determinati dalla luce. Sotto questo rispetto vennero sperimentati gl’idrocarburi aromatici, gli acidi, i chetoni ed alcune basi, oltre al pirrolo, la piperidina e la nicotina. La nota relativa all’autossidazione di queste ultime venne soltanto pubblicata nel gennaio 1915. Queste ricerche hanno dato risultati veramente importanti. Grazie ad esse si è dimostrato che l'ossigeno alla luce, in pre- senza di acqua, determina alle volte fenomeni di antossidazione così profondi come altrimenti non si possono effettuare che con ossidanti minerali energici. Per esempio, gl’'idrocarburi aroma- tici si autossidano ad acidi. L’acetone si autossida ad acido acetico. ad aldeide ed acido formico. Le catene carboniche dei ciclochetoni si aprono: così p. e. il cicloesanone dà acido capronico ed adipico. Speciale menzione merita la nota 27 perchè dimostra che alcune sostanze, le quali per sè stesse non sono autossidabili alla luce, si ossidano se vengono esposte insieme con un corpo autossidabile. Così l’alcool etilico, l’amilico, la glicerina, il glu- cosio e la naftalina, che non sono autossidabili, si ossidano in presenza del toluene e degli xileni. Tutti questi fatti presen- tano senza dubbio un grande interesse. Le ricerche relative al contegno di sostanze organiche nei vegetali, quali sono contenute nelle Memorie IV, V, VI pubbli- cate nell'ultimo quadriennio, fanno seguito alle precedenti. La nota sull’alcool benzilico è una continuazione di quella sulla formazione dei glucosidi nelle piante. | Pm 493 Le altre trattano delle variazioni della nicotina nel tabacco e di altre questioni relative agli alcaloidi nel tabacco. Le basi pirrolidiniche che Pictet asserì di aver trovato nel tabacco ed in altre piante non furono riscontrate dagli autori. Si trovò invece sempre l’isoamilamina che era sfuggita ai pre- cedenti sperimentatori. Quando si consideri che la clorofilla (per molti riguardi paragonabile alla materia colorante del sangue) contiene quale nucleo fondamentale dei complessi formati da pirroli sostituiti, ossia alchilpirroli, si comprende come queste ricerche possano per la loro importanza essere considerate fra le migliori com- piute in questi ultimi anni. Tenendo conto dei giudizî ora riferiti, la seconda (Giunta discusse i meriti delle singole opere proposte. Essa esaminò anzi tutto se quelle opere sieno state pubbli- cate entro i limiti di tempo stabiliti dal programma del premio. Quanto al trattato di Chimica teorica del Nernst, la Giunta osservò che la prima edizione di quest'opera fu stampata nel 1892 e soltanto la settima fu stampata entro il quadriennio 1911-14. Non si può quindi tener conto per il premio se non delle ag- giunte fatte nell'ultima edizione alle precedenti. E anche da queste aggiunte è necessario togliere quanto fu pubblicato prima del quadriennio anzidetto. Viene così escluso il teorema di ter- modinamica che porta il nome di Nernst e che è del 1906. In parte anche le importanti esperienze fatte dallo stesso autore per verificare le conseguenze di quel teorema vanno escluse per la ragione medesima. Buona parte dei lavori, per i quali il Nernst era stato proposto, viene quindi a cadere fuori del quadriennio, cui spetta il premio. Per ciò parve alla Giunta che il nome di questo scienziato non fosse da comprendersi fra quelli che verranno proposti all'Accademia per l'assegnazione del premio. Le altre opere sopra indicate furono pubblicate entro i limiti assegnati dal programma. Discutendo poi le proposte da farsi all'Accademia, la Giunta fu unanime nel ritenere che gli autori presi in considerazione dovessero disporsi in due gruppi. Un primo gruppo di maggior à “ 494 merito comprenda il Prof. Berlese e i Proff. Ciamician e Silber. Un secondo gruppo comprende i Proff. Asch e il Prof. Koebe, autori di opere certamente pregevoli ma d’interesse più ristretto. La Giunta si fece poi ad esaminare se fosse opportuno dis- porre in ordine di merito anche gli autori del primo gruppo. Essa ha notato la diversità essenziale delle opere comprese in quel gruppo. Il metodo suggerito dal Berlese per la lotta contro la Diaspis ha certamente fondamento scientifico, ma ha carattere di pratica utilità. Gli studì chimici del Ciamician e del Silber hanno invece indole prettamente scientifica. La Giunta ha inoltre notato che il testatore con le sue disposizioni stabilì che il premio venisse assegnato o ad una insigne ed utile scoperta, come può dirsi quella del Berlese, o ad un lavoro scientifico di molto valore, come son gli studî del Ciamician e del Silber. Il doppio partito, che il testatore additò, è precisamente quello che ora ci si presenta. Parve quindi alla Giunta d’aver com- piuto l’ufficio suo avendo posto innanzi all'Accademia le ragioni che possono addursi in favore dell’una o dell’altra soluzione e che, fatto ciò, fosse opportuno deferire all'Accademia la scelta. Le proposte definitive, che la Giunta Vi fa, sono dunque le seguenti. In prima linea sono proposti, ex #equo, nel senso sopra indicato: il Prof. Berlese per l'introduzione e la diffusione della Prospaltella; i Proff. Ciamician e Silber per gli studi di Chimica sopra indicati. Un secondo gruppo comprende: i Proff. Asch per la loro opera sui Silicati; e il Prof. Koebe per le sue memorie di Matematica. Il Segretario della Giunta A. NACCARI. tti ra e enna: ci \ + Relazione della Commissione per il premio GaumiERrI per la i: Filosofia (triennio 1912-1914). Proporre l'assegnazione di un premio (di L. 1900) alla migliore opera di filosofia pubblicata in Italia nel triennio 1912-14, è problema veramente arduo e spinoso. Il numero notevole delle pubblicazioni, la natura e l’im- portanza diversa dei temi trattati (gnoseologia, metafisica, re- ligione, storia, pedagogia, diritto), fra i quali la comparazione riesce per se stessa difficile, la varietà dei metodi seguìti (storico, critico, deduttivo-sintetico), la quale in altre discipline non sa- rebbe compatibile, infine la diversità medesima nella natura dei pregi e dei difetti che nei varî lavori si riscontrano, con- corrono naturalmente a rendere il còmpito della Commissione assai meno agevole di quello che sarebbe nel caso di altre di- scipline a contorni più certi, a fisionomia e andatura più definita. Fra le varie opere di filosofia inviate direttamente dagli autori all'Accademia, alcune non parvero tali di essere prese 7 in considerazione per la insufficienza del contenuto (MiIGNONE, Le false basi della nostra vita; OrANO P., La rinascita dell'anima ; Mreozzi, Le dottrine politiche e religiose di B. Spinoza); altre, pur contenendo pregi di pensiero e di dottrina, non parvero di tale altezza da arrivare al premio (CosentINI, filosofia del Di- ritto; BarATONO, Discorsi sull’Educazione; CARABELLESE, L’ Essere e il Problema religioso; Zini, La doppia maschera dell'universo ; Boprero, Protagora); altre infine sono veramente degne di se- gnalazione o per l'esattezza dell'indagine storica e la fedeltà perspicua dell’esposizione, sebbene alquanto fredda e, a ogni i, modo, incompleta, il che si nota nel libro dell’Amprosr su E. Lotze; 0 per l'ampiezza del disegno e l’acutezza della critica, sebbene non sempre felice e vittoriosa, che è il caso de! libro di E. P. Lamanna su La Religione nella vita dello spirito; o per rs O ail 496 il geniale ardimento della costruzione sintetica, sebbene discu- tibile nella base e nelle deduzioni, il che si nota nel Sommario di Pedagogia di G. GENTILE, scrittore già due volte premiato da quest’ Accademia (1). Che se poi vogliasi spingere lo sguardo al di là delle opere inviate dagli Autori all'Accademia, anche qui più d’una ci si presenta degna di molta considerazione. A co- minciare dal volume austeramente pensato di A. PastoRE sul Pen- siero puro, salendo alla ricca e forte monografia, già altrove pre- miata, di A. ALiorTA su La reazione idealistica contro la scienza, e fino al nuovo volume Conosci te stesso, dove B. VARISCO, au- tore già premiato da questa Accademia, svolge con l’ammirata finezza dialettica la sua dottrina gnoseologica, senza tuttavia pronunciarsi sulle conclusioni metafisiche, è una bella fioritura di opere, che rende ancor più arduo l’ufficio del giudice. La Commissione, dopo maturo esame comparativo delle opere per rispetto alla natura degli argomenti, alle dottrine svoltevi o illustrate o criticate, alla importanza scientifica delle pubblicazioni nella cultura filosofica del nostro Paese, pur ram- maricandosi di non poter estendere ad altri lavori il suo giu- dizio di segnalazione per il premio, ma convinta, per le varie considerazioni che si verranno esponendo, di compiere opera di giustizia, propone che il premio Gautieri sia assegnato alla pubblicazione inviata in esame alla Accademia dall'autore Au- reLIO PeLazza, dal titolo: Guglielmo Schuppe e lu filosofia della immanenza, Milano, 1914. È un volume di 206 pagine in 8°, che può considerarsi come il seguito delle due precedenti pubblicazioni dello stesso Autore, l’una su la Metafisica dell’Esperienza (1907), e l’altra su liccardo Avenarius e l'empirio-criticismo (1909), ambedue sa- lutate molto favorevolmente dalla critica. Nel volume presen- tato al concorso l'Autore prende in esame quelle moderne teorie (1) Il Gentile ha presentato anche due volumi (Studi vichiani e La ri- forma della dialettica hegeliana) che contengono per gran parte studii pub- blicati in riviste anteriormente al 1912. Così pure sono nuove edizioni, sebbene rivedute e qua e là ampliate, di opere anteriori al 1912 i volumi inviati dall’Ambrosi (I primo passo alla Filosofia) e dal Billia (L’esiglio di S. Agostino). 497 gnoseologiche e metafisiche le quali, facendo capo a Guglielmo Schuppe, hanno trovato parecchi ingegnosi e vivaci sostenitori, principalmente in Germania, e hanno loro periodica espressione nella “ Zeitschrift fiur immanente Philosophie , iniziatasi nel 1896. È, dunque, un importante moto di pensiero filosofico quello che il Pelazza prende a esaminare. La filosofia dell’immanenza non era finora stata oggetto presso di noi di ampio e approfondito studio analitico e critico. Ne aveva per primo parlato il Martinetti nella sua “ Introdu- zione alla Metafisica ,; vi accennò poi il Villa nel suo volume su l’Idealismo moderno, più recentemente, ma con rapidi tocchi, il De Ruggero nel volume su La Filosofia contemporanea, e più ampiamente il De Sarlo nella Cultura filosofica e l’Aliotta nel- l’opera dianzi citata. Ma nessuno finora aveva pensato a rac- cogliere in una esposizione organica tutto il complesso di teorie, che intorno allo Schuppe si svolsero in varie pubblicazioni da pensatori come lo Schubert Soldern, il Rehmke, il von Leclair, il Kauffmann; a esaminarle nei loro rapporti storici e dottrinali con la filosofia moderna; a determinarne criticamente il valore. Ora, tutto questo ci sembra che abbia fatto molto felice- mente il Pelazza. Movendo da una sobria ma precisa determi- nazione delle dottrine gnoseologiche dualistiche e monistiche, fra le quali la filosofia dell’immanenza vuole assidersi arbitra pur derivandone l’ispirazione, l'Autore chiarisce stupendamente in che cosa consista il principio dell’immanenza, per il quale, come non può esistere l'oggetto senza il soggetto, così non può esistere il soggetto senza l'oggetto, e il concetto d’un io in sè, d'una attività spirituale indipendente dal contenuto di coscienza è una vana illusione. Quindi procede alla illustrazione del se- condo principio importante della filosofia dell’immanenza, quello, cioè, della oggettività dei dati sensibili, il quale costituisce un punto di così profonda e radicale innovazione rispetto alla dot- trina dell’idealismo; e infine dimostra con efficace lucidità la connessione intima e necessaria, secondo la teoria degli imma- nentisti, degli elementi sensibili e degli elementi razionali nella conoscenza. A questo punto si presentava all'Autore la necessità di chiarire il concetto che, in base ai principî posti, debba farsi della realtà il filosofo; e allora egli procede alla seconda prin- cipal parte del suo lavoro, che è una larga viva perspicua 4 Dil 498 esposizione della logica gnoseologica dello Schuppe, dove è tanta finezza e acutezza d’analisi e di critica, e che culmina nella originale teoria della cosa concepita come un sistema complesso di distinzioni e di relazioni necessarie. In tutta questa parte, che non è soltanto una fedele e pre- cisa esposizione, ma una vera interpretazione e ricostruzione della dottrina attraverso le opere del maestro e de’ suoi seguaci, e una indagine accorta dei rapporti che la collegano alle princi- pali correnti della filosofia moderna, si rivelano le doti cospicue di una mente sagace e lucida, di un criterio diritto, di un me- todo severo. L'ultima parte, poi, del lavoro è dedicata alla valutazione critica della dottrina dell’immanenza ; e anche qui sono còlte felicemente e le principali caratteristiche e le più gravi de- ficienze. Che la filosofia dell’immanenza sia, nonostante le pro- teste de’ suoi sostenitori, una nuova forma di idealismo ; che essa non possa, senza far violenza a’ suoi principî, assicurare i diritti della realtà esterna ; che essa del problema del tv, o del non-io, non potrà mai, per alcun prodigio di dialettica, dare una soluzione soddisfacente ; che gravi conseguenze sì derivano da essa nell’etica, sono critiche che l'Autore svolge con sicura e diritta penetrazione, con sobria ma lucida espressione, con quel sano equilibrio spirituale, che rivela un’anima atta ad affrontare senza smarrirsi le più ardue posizioni e le più audaci afferma- zioni filosofiche. ù L’opera del Pelazza è stata universalmente bene accolta dalla critica; e ne è conferma la traduzione, sebbene alquanto abbreviata, in inglese per opera di E. C. Duc (London, Vernon House, 163, Willesden Lane, 1915). Si può ritenere, adunque, con sicura coscienza che premiando il lavoro del Pelazza si riconosce il valore scientifico di un’opera condotta con forte preparazione di studî, con acutezza di pen- siero e alta serenità di mente; un’opera, infine, che in tutta la sua struttura, ma specialmente nelle ultime pagine, rivela una bella nobiltà spirituale. “ Se l’anima individuale, dice sul finire “ del suo libro il Pelazza confutando un concetto centrale dello “ Schuppe, se l’anima individuale è un enigma, ia coscienza ge- “ nerica è la quintessenza di tutti gli enigmi ,. Ma per lui l'enigma dell'anima individuale si schiude con la morte, e sog- SE Lg | VER Pope i ata 64 Ria up a E dhe uti sali pre, È ge (o “la vita. che noi viviamo su peri terra è nor nè “la vera vita, ma un passaggio ed una preparazione alla vera Ve vita x Parole per lui fatidiche! Aurelio Pelazza si è preparato “ alla vera vita ,, combattendo e morendo, prode soldato vo- lontario, per la Patria e per la Libertà dei Popoli! G. CARLE. P. D’ErcoLe. GrovannI VIDARI, relatore. Gli Accademici Segretari AN CorrAaDO SEGRE. ETTORE STAMPINI. 500 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 6 Febbraio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente CAMERANO, il Direttore della Classe D’Ovipro, e i Soci SALvADORI, PEANO, JADANZA, Foà, Gua- REScHI, uni, PARONA, MaTTIROLO, SOMIGLIANA, FUSARI, PANETTI, e SEGRE, Segretario. — Scusa l’assenza il Socio NACcCARI. È letto e approvato il verbale della precedente adunanza. Il Socio straniero DArBoux ha inviato in omaggio il suo Rapport sur les concours de 1915 letto all’Académie des Sciences il 27 dicembre scorso. Il Socio Segre rileva inoltre, fra le opere giunte all’Acca- demia, Il primo libro degli Elementi di Euclide, testo greco, ver- sione italiana, introduzione e note, a cura di Giovanni Vacca. Il Prof. Vacca ha fatto un’opera degnissima di lode. Egli ha tenuto conto di tutti i risultati delle ricerche filologiche e cri- tiche sul celebre libro. Le sue note, numerose, ma svccose, danno ai lettori tutto ciò che è essenziale per bene intendere ed apprezzare — ed eventualmente criticare — il testo euclideo. Vengono presentate, per l'inserzione negli Atti, le seguenti Note, dai loro Autori: M. PanETTI, Sul problema dinamico dei rotismi epicicloidali ; C. SomiGLIANA, Sulle derivate seconde della funzione poten- ziale di superficie; e queste altre, rispettivamente dai Soci PrANo e SEGRE: (i. Vacca, Sul poligono regolare di 17 lati ; G. BoccarpI, 2° Saggio sulla Costante di aberrazione. E :3 dg C. SOMIGLIANA — SULLE DERIVATE, ECC. 501 LETTURE Sulle derivate seconde della funzione potenziale di superficie. Nota del Socio C. SOMIGLIANA. Sono notissime le formule che dànno le discontinuità delle derivate prime della funzione potenziale newtoniana di super- ficie. Non si trovano invece, generalmente, nei Trattati quelle delle discontinuità delle derivate seconde. Forse soltanto il Poincaré nella sua Théorie du Potentiel Newtonien trova queste formule, ma con un procedimento assai lontano dalla semplicità, così che non è facile convincersi della loro esattezza. Molti anni or sono C. Neumann aveva indicato sommariamente una via generale per giungere alla determinazione di tutte le disconti- nuità delle derivate di qualunque ordine della funzione poten- ziale di superficie ('), e subito dopo Beltrami (*) giustificò, colla consueta eleganza, i procedimenti del Neumann. Dovendo fare uso sistematico delle proprietà di disconti- nuità delle derivate seconde della funzione potenziale di super- ficie in alcune ricerche, che presenterò fra breve a questa Reale Accademia, mi è sembrato opportuno di stabilire, in modo esau- riente, le formule che le determinano, servendomi appunto del metodo di Neumann-Beltrami. Questa breve Nota non ha quindi altro carattere, che quello di uno studio preliminare. Il metodo Neumann-Beltrami consiste essenzialmente nello esprimere le derivate di qualsiasi ordine di una funzione poten- ziale newtoniana di superficie sotto la forma di una somma di due funzioni potenziali l’una di semplice e l'altra di doppio strato, e inoltre, nel caso che la superficie agente sia aperta, di alcuni potenziali della linea del contorno, che non hanno alcuna (') C. Neumany, Veber das Newton'sche Potential, * Mathematische An- nales ,, Bd. XVI. (*) E. BeLtrami, Iatorno ad alcuni nuovi teoremi del siy. C. Neumann sulle funzioni potenziali, * Annali di Matematica ,, S. II, T. X; 1880. ce ED - 502 C. SOMIGLIANA influenza sulle discontinuità di queste derivate, almeno finchè si considerano punti interni alla superficie. È chiaro che, dopo una tale riduzione, il problema delle discontinuità può considerarsi risoluto, in base alle note formule delle discontinuità delle fun- zioni potenziali di semplice e doppio strato. Tale procedimento ha quindi il vantaggio di ridurre al minimo le difficoltà da su- perarsi, in quanto riduce la quistione ad un semplice processo di calcolo, evitando quei delicati passaggi al limite, che rendono di solito così complicate queste ricerche. Ne risulta anche di- mostrata la proprietà che le discontinuità di tutte le derivate, non sono, in ultima analisi, che conseguenza diretta di quelle delle funzioni potenziali e delle loro derivate prime. Immaginiamo la superficie 0 agente riferita ad un sistema di coordinate curvilinee «, v, che supporremo, per semplicità, ortogonali. Il suo elemento lineare avrà quindi, colle usate notazioni, la forma ds? = E du? + G dv? ed i parametri differenziali primo e secondo per due funzioni @, w rispetto alla superficie saranno __1 99 dy È dp dy Ai (P, y)= E du Ad Da O a pi VAR O a EA Aso= ridu led ! do ] G du) vs Sia » la normale alla superficie, i cui coseni di direzione indicheremo con a, 8, Y e siano È, n, Z le coordinate cartesiane di un punto dello spazio. Beltrami, nella Memoria citata, dimostra le formule seguenti : SO A (4, 8) + a $° dE dn d ò (1) an = Da (Wo) +83 dy D) i SIC le quali servono al calcolo delle derivate prime di y, quando per la determinazione del punto (£, n, Z) si faccia uso della sua - (3) se = (MA3E+ A; (h,%)) |, ha SULLE DERIVATE SECONDE DELLA FUNZIONE, ECC. 503 distanza » dalla superficie s, e delle coordinate x, » del piede di questa distanza. Se s è la linea del contorno di 0, e v la normale diretta verso l'interno di 0; si ha la seguente formula integrale : | I at; ©) | HA: (ydo=—-| }HAx0 + A (9 M){ydo—| 19 è, la quale, nel caso che 0 sia piana, si deduce immediatamente dal lemma di Green, mutando una delle funzioni, che vi com- paiono, nel prodotto di due. Ciò posto, le derivate prime della funzione potenziale ve | } do do E rispetto alle coordinate del punto potenziato (x, y, 2) si possono rappresentare mediante le (1), e quindi trasformare mediante la (2). Si trova così: I D) i: ) è ha c da do wi j ds pi Questa formula riducendo la derivata alla somma di una funzione potenziale di semplice strato e di una funzione poten- ziale di doppio strato (oltre un integrale di linea, che non ha influenza) ne determina subito le discontinuità. Un procedimento analogo si applica, col metodo Neumann-Beltrami, a tutte le altre derivate di qualunque ordine. Per poterlo applicare alle derivate seconde della W, con- viene prima ricordare, dalla citata Memoria di Beltrami, una formula analoga alla (3) per la funzione potenziale di doppio strato. Sia ) I ; POS gp pi vi js 9 dn do tale funzione. Si trova in questo caso 390 AR dI | de È (4) 37 =]o(0A:9+ A1(9,0)) 7 +]: (4,8) 3, + P ove P rappresenta un integrale del contorno. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 33 504 Poniamo ora h,=hAgz + Ai (h, €) gi=—ha e la (3) si potrà scrivere 1 Ù , d—- dv di do r DE =|M dar +|,% 35 do + 9, ove % è integrale di contorno. Ponendo quindi do dr, Vi = hi a Wi =|,% E do avremo dd vo raga pi (5) ra amanti de dy — dy #5 dy indicando sempre con le lettere finali degli integrali di contorno. Ora potremo trasformare le derivate dei secondi membri delle (5) ancora mediante le formule (3) (4), e troviamo così 1 SU 4 dis dv. do rv ve |M Ba EA (+ 01 1 dr, uf 1 : d | v hg = (31 Ben + Aa lm) |a d0 + 0a e analogamente dw,__|l MEINCT di gl | (04091 +41 (91,0) + |A (91,8) 37 d0 + Pri 1 A pi Cà =|,(B4; It A (91; 8) 3° +[,A (91m) 37 d0 si Pia. Queste formule permettono di assegnare immediatamente le espressioni delle discontinuità delle derivate seconde della fun-. De ù “i De 1° Qi v La SULLE” ATE SECONDE DELLA FUNZIONE, ECC. ce) i zi. ne itaca) v. Tenendo conto delle (5) ed adottando Tor | notazione seguente per indicare la discontinuità di una fun- fizione iii Sf =f “2% | cioè il salto che la funzione subisce nell’attraversare la superficie LA nel senso positivo della normale », troviamo d°V Da = — ink a +- 4 A; (91, 8) ( ni i Da] = — UB+ mA (n) e formule analoghe si avrebbero per le altre quattro derivate seconde. Per ridurre a forma più esplicita i secondi membri delle formule trovate, prendiamo come linee coordinate v, v della su- | perficie le linee di curvatura. Siano £,, £siraggi principali di curvatura della superficie, contati positivamente quando la loro direzione (dal centro di curvatura verso la superficie) coincide con quella della normale positiva n, negativamente nel caso con- trario. Si hanno allora le formule di Rodrigues V. < a n e ea a ar dui a du din © (Ri du du R du ; Mbs: e «ai do R. dv do Ri, do dv = Ra dv ci % : edi che possiamo anche scrivere, indicando con ds,, ds, gli elementi Vu: i lineari delle due linee di curvatura, cioè ponendo = ds, = VE du ds, =VG dv; k e con a; Bi Yi} € a Bs Ys i coseni di direzione delle tangenti a queste linee, da _ un Lap orseh Mr Lo ve i ) ds, CF R ds, “di Ri, ds, R, "CA (7 PA da __ ar dB _ Ba LA te sa dso ssi R; ds, ia Ro dsg R, i pre ARR Le va "Ana ila. ui ; x SOMIGLIANA 5) 1) tfr five: e Ciò posto troviamo subito tirar | hic A; (4,8) =} lato A (o, = 4%. Ora dalle formule precedenti abbiamo csi h, 0 + A; (91, E) = —- ahA,E = 2a A; (4, E) “ri hA; (a, E), quindi sostituendo troviamo Me A 000e e ds, as) ui dg meta Analogamente si trova Sar Lg Ar (gi m=—a(3 + a) (CAR), quindi sostituendo —h,B+:A4:(9,,M)=- BLA,E— (4,84 af) Lora — (098 + af) 3 — (CAL CSI Ricordando infine le formole di Beltrami (1) pica (14 1) Am= s(142) aecor(h+4). e sostituendo nelle (6) troviamo come formule definitive per le i (4) Berrrami, Sulle proprietà generali delle superficie d’area minima, — “ Memorie dell’Accademia delle Scienze di Bologna ,, S. II, T. VII. i tal >. aid . » a “e ) ® LA 1 i le he d sf î o ene di Pi na ù d # 9 MARINI. PI lA È ca LA = SULLE DERIVATE SECONDE DELLA FUNZIONE, ECC. 507 discontinuità delle derivate seconde della funzione potenziale di superficie, qualunque sia l’orientazione degli assi x, y, 2, R, R, ds ds % (8) ii aB_—a;B, a — c1g Ba dh D 3) = dr A (SPO +) ana B+aB)zt — dh — 4m (a,8 + af) ds Con semplici sostituzioni circolari sulle lettere a, 8, Y si possono avere le formule relative alle altre derivate seconde. Salvo la forma ed il segno dei raggi di curvatura, queste formule coincidono con quelle date, senza dimostrazione, da C. Neumann nella Memoria citata. Se ora supponiamo che l’asse 2 assuma la direzione della normale n nel punto di passaggio della superficie, e gli assi delle x, y quelle delle tangenti alle linee di curvatura si, 59, avremo ds, = dx ds, = dy e le formule precedenti divengono Rel=osg o Pfgl= ma dV 1 1 (9) dr i Li i ni la Mi dA | aaa Bin Queste formule coincidono con quelle date dal Poincaré nella Théorie du Potentiel Newtonien, pag. 252, salvo i segni dei due | raggi di curvatura che sono presi in senso opposto. La terza di queste è data anche dal Beltrami nella citata . Memoria. Esse risolvono completamente il problema della determina- 508 MODESTO PANETTI i zione delle discontinuità delle derivate seconde della funzione potenziale newtoniana di superficie. Il passaggio inverso dalle (9) alle (8) si potrebbe fare facil- mente in base alle formule elementari, che legano le derivate di una funzione rispetto a due terne di coordinate cartesiane. Sul problema dinamico dei rotismi epicicloidali. Nota del Socio MODESTO PANETTI. 1. — Come è noto, si dicono epicicloidali i rotismi nei quali uno o più alberi sono retti da un porta-treno girevole intorno ad un asse permanente. Fissando il porta-treno, un rotismo epi- cicloidale si riduce ad ordinario, ed i due assi estremi della catena che lo costituisce si trasmettono il moto con un rapporto t, dipendente soltanto dai raggi primitivi o dai numeri di denti delle ruote componenti. Nel funzionamento epicicloidale invece il rapporto fra le velocità degli assi estremi dipende dalla velocità del porta- treno. Esiste quindi una relazione fra le velocità angolari w, del 1° asse, ws dell’ultimo, £ del porta-treno. Se gli assi sono paralleli questa relazione è algebrica e li- neare, e si pone scrivendo (1) Q=aw 4 bws,, dove 4 e è sono coefficienti, la cui somma uguaglia l’unità ed il cui quoziente vale il rapporto di trasmissione ordinario cam- biato di segno (2) a+b=1 cca Se dunque tale rapporto è positivo, cioè se nel rotismo, reso ordinario, i sensi delle rotazioni degli assi estremi sono concor- danti, a e è avranno segni contrari: saranno invece dello stesso segno, necessariamente positivo, se il rapporto t è negativo. SUL PROBLEMA DINAMICO DEI ROTISMI EPICICLOIDALI 509 — Nel 2° caso a e è sono entrambi compresi fra 0 ed 1. Nel 1° caso î loro valori assoluti possono essere comunque grandi, se T è prossimo all’unità. 2. — Consideriamo ora le azioni applicate ai tre mobili nel funzionamento ?deale, in cui nessuna dispersione di lavoro abbia luogo. Sia M il momento dell’azione applicata al porta-treno ri- spetto al suo asse. Siano M; ed M; i momenti delle azioni applicate alle ruote prima ed ultima del rotismo. Per la ipotesi fatta e nel funzionamento a regime dev’es- sere uguale a zero la somma dei lavori eseguiti dalle azioni ap- plicate al rotismo. Quindi (3) MQ + Mw, + Mw,=0. Sostituendo ad £ il suo valore e raggruppando i termini in w, ed w, risulta wi (aM 4- M;) + w(aM+ M)=0, e poichè nel funzionamento epicicloidale w, ed ws, sono velocità affatto indipendenti, l’annullarsi della somma richiede che siano separatamente nulli i coefficienti delle due variabili. Si ha per conseguenza (4) M=_—-aM M=— bM; dunque: i momenti applicati ai due assi estremi del rotismo hanno valori determinati, indipendenti dalle loro velocità ango- lari: questi valori sono quelli stessi che si deducono nel caso speciale in cui uno dei due assi rimanga fermo e quindi i mo- bili del meccanismo sui quali le azioni applicate dall’ esterno sviluppano lavoro si riducano a due: un asse-ruota ed il porta- treno. 3. — La ragione meccanica del fatto dimostrato nel pre- cedente numero consiste nell’equilibrio dinamico del gruppo dei satelliti posti fra la prima e l’ultima ruota. 510 MODESTO PANETTI Questo equilibrio può sussistere per qualsiasi velocità an- golare costante del loro moto relativo al porta-treno, non escluso il valore zero. Dunque le relazioni fra i momenti applicati al sistema non vengono modificate dalla velocità dei satelliti e per conseguenza neppure dal rapporto di velocità fra gli assi estremi che da essa dipende. Così, nel caso del differenziale delle automobili, il moto del satellite intorno al suo asse avviene sotto l’azione delle forze che gli trasmettono le due ruote coniche principali, e che si deducono dividendo i momenti ad esse applicati per i raggi pri- mitivi corrispondenti. Ma questi sono uguali: le reazioni suddette sono dunque M,/È ed M./R: esse hanno uguale braccio di leva rispetto al- l’asse del satellite: devono quindi essere uguali: ossia i'gesnia Ora è questo appunto il risultato al quale conduce la trat- tazione generale del n. 2 quando nelle (4) si ponga a=d= 3. come è il caso del differenziale. 4. — Dalle (4) si deduce ancora per somma e per divi- sione, tenuto conto delle (2) (5) M+yM=-M. M_-o 1: My la prima di queste uguaglianze è la condizione di equilibrio del rotismo considerato come un complesso rigido : la seconda è l'equazione che ne definisce il modo di funzionare come rotismo ordinario. Entrambe si potevano dedurre applicando il principio che fra le condizioni di equilibrio di un sistema deformabile vi sono sempre quelle che corrispondono ad uno stato di vincolamento più completo, purchè non contradditorio ai legami originali. Tali sono di fatto i sistemi che si ottengono irrigidendo il rotismo, ovvero fissandone il porta-treno. È : i Rtl À Siad "i SUL PROBLEMA DINAMICO DEI ROTISMI EPICICLOIDALI 511 5. — Si è riconosciuto che i momenti applicati ai due assi-ruota estremi hanno valori determinati in modo unico. Non sì può dire altrettanto dei lavori corrispondenti DION o $ È (6) Mw= —aMw, Muw=—bMu,, st poichè le velocità w, ed ws possono variare arbitrariamente. S o Se ci poniamo nel caso di un rotismo con un movente i (il porta-treno) e due cedenti (gli assi-ruota estremi), e suppo- i niamo il movente regolato per velocità costante Re: < È Q i w, potrà variare fra 0 ed <, ed w, varierà simultaneamente fra 3 e 0, « come si deduce dalla (1). L’energia disponibile M 9, che giunge al meccanismo, si suddivide quindi in due parti di grandezza rispettiva modifica- bile entro i più larghi limiti, come una corrente per opera di | un partitore spostabile. Il mezzo meccanico atto a tale ufficio può essere un freno . a fluido, capace di stabilire una relazione fra momento resi- . stente e velocita sull’albero 1 al quale lo supponiamo applicato. Allora, essendo determinato il primo, lo è pure la seconda, e quindi anche il loro prodotto, cioè la potenza (4) M Wi assorbita dal freno. i i 6. — Si può pensare di valersi di questo mezzo per mo- x dificare durante la trasmissione la velocità dell'albero 2, facen- dola variare fra due valori estremi dei quali siasi prestabilito il rapporto n. Tali valori siano : ona x Q la velocità massima È È e la velocità n volte più piccola wy' = Si , Basterà modificare le caratteristiche del freno in modo che la velocità dell’asse-ruota 1 passi da 0 ad Li 4 i da PAY 4 N CE a KG — l an - ebiizza. qu = i (Q—- bw) = e rr 544 24/4 MODESTO PANETTI — SUL PROBLEMA DINAMICO, ECC. Si Il lavoro simultaneamente disponibile passerà dalla totalità si del lavoro fornito al movente MQ alla frazione di esso = Ms wy' _ z MQ, mentre l’altra parte -— Mu'=*-1 MQ e assorbita dal freno. QuaLunQque sia dunque il rotismo utilizzato, l'energia dispo- nibile sull'albero a velocità regolabile sta a quella fornita al mo- 9 vente, come la velocità dell'albero sta alla massima che esso può raggiungere, bloccando l'albero frenato. È questa del resto una conseguenza diretta del fatto che i momenti resistenti hanno valori immutabili, dato il momento motore e il rapporto di trasmissione ordinario del rotismo. Da essa discende che, se il lavoro assorbito dal freno non è utilizzabile, il sistema ci condanna ad una grave dispersione di energia, appena la variazione nella velocità dell'albero resi- stente è sensibilmente grande. Non è dunque possibile applicarlo vantaggiosamente come mezzo per risolvere il problema della trasmissione del lavoro con rapporto variabile di velocità. — —_ro—-—. o-_ _k GIOVANNI VACCA — SUL POLIGONO REGOLARE DI 17 LATI 518 Sul poligono regolare di 17 lati. Nota di GIOVANNI VACCA. I. — Dopochè Gauss nel 1801 ebbe dimostrata la costrui- bilità e l'effettiva costruzione colla riga e col compasso di un poligono regolare di 17 lati, numerosi scrittori cercarono di semplificare la sua dimostrazione. Molti di questi tentativi sono raccolti in numerose pubbli- cazioni (1). È però passata inosservata una dimostrazione semplicis- sima, attribuita ad AmpPrE, e pubblicata da E. CATALAN nei suoi Théorèmes et problèmes de Geéométrie (2). Questa dimostra- zione può considerarsi come puramente geometrica (3), ed assai elementare, tanto da potersi esporre in tutti i suoi passi col puro linguaggio Euclideo. Credo quindi utile esporre in forma nuova e più semplice la dimostrazione di Ampère, facendola poi seguire da alcune considerazioni su altri poligoni regolari, le quali potranno forse dar adito ad una semplificazione della teoria generale (4). (1) Notevolitra queste le: Questioni riguardanti la geometria elementare, di F. Exriques, Bologna, 1900, e 1913. (2) Cfr. la terza edizione, Paris, 1858, pp. 171-174, 200-208. (3) Mi sembra quindi non possa più ripetersi l'affermazione: © non si conosce una costruzione del 17-gono ottenuta con pure considerazioni geome- triche , (nell'opera sopra citata a pag. 403 dell'edizione del 1900; la stessa affermazione è ripetuta nell’edizione del 1913). Si confronti pure A. PApoa, Poligoni regolari di 34 lati, * Boll. di Matematica ,, Bologna, 19083, n. 1. (4) Che una tale semplificazione sia possibile fu dimostrato in uno scritto profondo ed acuto di S. RaLis, De la résolution algébrique de l'équa- tion x° —1=0, quand l’exposant p est un nombre premier. * Nouv. Annales de Math. ,, tome II, Paris, 1843, pp. 5-16, 147-156. si Su “ :FoRM 514 GIOVANNI VACCA II. Costruzione del poligono regolare di 17 lati. — mn un circolo di raggio 1 sia inscritto un eptadecagono regolare; siano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,8 nove suoi vertici consecutivi, e sia A il punto del circolo diametralmente opposto al vertice 0. Ci proponiamo di calcolare le lunghezze delle corde A1, A2, ..., 48, che più brevemente (1) indicheremo con 1’, 2, DIS Se consideriamo anche le lunghezze delle otto corde 01, 02, ..., 08 si ha ovviamente: Mm 1x0 P= 02,2 X_.02=04, 3-03 0604 SKV=U7, 006. = 07 DV 95, 5 50 (Queste relazioni esprimono ciascuna in due modi diversi l’area di rettangoli). Esistono poi altre 28 relazioni tra le 8 corde 1°, 2°, ..., 8°, le quali tutte si ottengono decomponendo i loro 28 prodotti due a due per mezzo del teorema di Tolomeo (2). Esse sono : Sidi — 8°, .hd 604-6031909 = do —.b—.°, 27 —=b'—8, 2641 8, 25-39-46 38° 5° — 6,97 —=4— 7, 3:6.=3-— 8, 3°5— 24 85 48° == 4 — 51, 47 =3'— 6, 46=2—7, 45 =1—8, vp —e — 4 DI = Rudi ah pDo=3_3. 61 di (fia pese DI l'4.—= 34 5:,.1°3.=2/4+4,. 1234-0308 (N) 424 65 29 = 1045 34=1:+ 8, Queste relazioni si possono condensare nelle due formole: rs =(s- rY:4+(r.4H- 8) dove r8. (1) Volendo adoperare le notazioni trigonometriche, si ha: rx =2 cos (r/17), dove "=1, 2, ..., 8 A i» (2) ovvero per mezzo della formola : di 2 sina sinb= cos(a — b) — cos(a + bd). 4 Pr ; s CU ‘ Mu "4 sie sE une” De ui ; e DA f * DI @» I "Ds RR n È Lal Ue PR i "9 CIR = x et Y e y° w te. VAI i È (i ùl Li _ SUL Pi Lì GONO ) REGOLARE DI 17 LATI o 515 i. 5 | Dalle relazioni MI), moltiplicando membro a membro, si he subito : Mono — 1, » dA inoltre : dae =1; quindi anche: Sto 1. Scriviamo queste due ultime relazioni così : bi 681 MO x 0°7%==1 e decomponiamo i prodotti binari per mezzo delle (N). Avremo: Me Xi +8) X (LET Sviluppiamo il prodotto della seconda eguaglianza, ed ap- plichiamo ancora ai prodotti binari le (N). Avremo: L-2+3 —-4+5—6+7.—-8=1, che scriveremo: | ®) (8+5)-(6-7)-[@+8)-(1—#)= Ma il prodotto : Bo AR) (1 FE ciò che si vede sviluppando i sedici prodotti binari del primo. membro, sostituendo ad ognuno i valori dati dalle (N), ed 0s- servando che il risultato è il quadruplo del primo membro della (B). Dalla (B) e dalla (C) si calcolano subito: (8 +5)—(6—7)=(1+7v17)/2 (D) (2 +8)—(1—4)=(-1+717)/2. Dalle (A) e dalle (D) si calcolano (1) collo stesso metodo le differenze : 6— 7:=[V/(84+ 2V17)— y17 — 1)/4 L—4=67=[/(84—2V17)—y17+1]/4 e da queste due ultime relazioni si hanno subito i valori delle corde 6° e 7:, date le quali è pure noto un lato del poligono regolare di 17 lati, cioè il lato 67. Come dovevasi fare. ___—____ (1) Dalle stesse (A) e (D) si possono anche calcolare le altre sei corde 1, 2,3, 4,5, 8. In particolare 8° è il lato del poligono regolare di 34 lati, Pra bue DS ALTE PET Là % N ha è 7 î J | . 3 N ‘ ta Da v re, : "ir PRI a f 4 3 VEDA LIA » | i ; È 7 SI 516 GIOVANNI VACCA — DIET 302° PRA, "VON III. Altri poligoni regolari. — Se in un circolo di raggio i, i è inscritto un poligono regolare di 2n + 1 lati; se 0,1,2,...,% sono n + 1 vertici consecutivi; se indichiamo con A il punto del circolo diametralmente opposto al vertice 0, ed indichiamo con 1‘, 2°, ..., #°, le neorde A1, A2,..., An, si hanno (1) le re- lazioni : 153 niet et + $i Valgono infine altresì » (x —1) 2 relazioni che si possono riassumere nelle due : rs=(s-rVY+(r-+s) dove r<3s,r4+s Po) + (Q' e ®o') | rimarrebbe soltanto l’errore di f; sicchè coi rispettivi coefficienti essi potrebbero darci il valore di Af. Ma come i coefficienti À La 4 Ò là GIOVANNI BOCCARDI 820 0+ 880° 0+ z80' 0 + 83 0+ 208 Ot 693 0+ 658L:01 EP UO 881 0+ S#0' 0—- Ro e Col. 090-:-=. 668 0—- LIR Ue SPIE u 910340 + T06S'0 + 358‘0 + L90600 + GeoL'O + 6850 + 62880 + 664860 — 68890 — #6L8°0 — TRoRio= 66980 — LR Mia #880°0 + 9908°0 + 9008°0 + 10) 978° 91 IL8° 91 GIF 91 0LS' 9T 229° 91 869° 91 889 91 927° 91 SH 91 218° 9I 180° 91 126° SI 186° SI SI6° SI PINI 9I 406,91 ST6 BLL' G88° DIL F66°,,61 8FPO8'6 8OTLL'6 869766 84LS6‘6 688866 92199‘6 ML69L°,6 888FS°.6 64846 61FF66 070866 99LFS".6 VESPE 6 1897648 CIFOL'6 1#8£06°6 Callicuiiei cà) [(A + ©) 18 9] 30] | | SU 291 LE 661 G GII Le #8 OT LG ST 06 GP 6 Ge LES IG ITS 8. 986 8I 86 LF 066 GF 606 93 FLI SITI 0600811 T+O ‘oporieod ow13[n { 10d oJpen® SELE L30°2 63L°6 880€] 1G8SI IGS'8I COLTE 06372 6L6*LE COL'OE GEE‘ 9799 818°9 656°6 0S3'8I PIEGO TDI QIlquedIiq * alqueoaon “ 910990) * oIquaggog — “ msody “ o]snq “ ou8ny “ 0198584“ opady —“ oziegg “ o81qgoqT * otRUUAL) GIGI ddquieoIiq “ CHR'GI PaquoaoNn FIGI RM e, w SAGGIO SULLA COSTANTE DI ABERRAZIONE Valori di g — Po, gp — y e termini noti » per le 32 equazioni della I Nota, modificati dai nuovi valori di @, e ®y. due le RA mo Di | P— Po n loan Pai RR n È cho dard M) à + 0,159 | + 0,094 | + 0,126 i 0,096 | + 0/023 | — 0,037 di — 0,107 | — 0,129 | — 0,118 | — 0,080 | — 0,027 | — 0,053 ss — 0,112 | — 0,045 | — 0,079 | — 0,226 — 0,071 | — 0,149 4 0,043 | +.0,244 | +0,148 | — 0,224 — 0,144 0,184 + 0,219) + 0,225 | +-0,222 || — 0,246 | — 0,263 | — 0,254 + 0,149 | + 0,330 | + 0,240 | — 0,264 | — 0,072 | — 0,168 + 0,074 | + 0,111 | + 0,092 | — 0,282 | — 0,347 | — 0,315* 0,000 | — 0,108 | — 0,054 | — 0,254 | — 0,308 | — 0,281 — 0,182 bet 0,404 | — 0,298*|| + 0,090 — 0,092 Pei 0,001 E paese oaed | 0,415*| + 0,283 | + 0,137 | + 0,210 — 0,085 | — 0,122 | — 0,103 | + 0,068 | + 0,186 | + 0,127 O + 0,097 | + 0,019 | + 0,058 || + 0,042 | 4+-0,257 | + 0,149 Pi + 0,110 | + 0,137 | + 0,128 | + 0,130 | + 0,325 | + 0,228 5 + 0,090 | +.0,065 | + 0,077 | 4+ 0,068 | + 0,148 | + 0,108 — 0,051 | + 0,035 | — 0,008 || + 0,060 | + 0,185 (+ 0,122 — 0,022 | + 0,048 | + 0,011 | + 0,002 | | — 0,034 | + 0,087 N.B. I valori notati con * sono quelli ai quali nella 1 Nota e nella II sì è dovuto dare peso 3 in causa del piccolo numero di osservazioni su | cui riposano. 524 GIOVANNI BOCCARDI sono per sei mesi positivi e per sei negativi, a fine di mettersi in condizioni vantaggiose per la determinazione di Af, si po- trebbe cambiare il segno ai coefficienti negativi e parimenti ai rispettivi termini noti. Con ciò si avrebbe come coefficiente di Af nella equazione finale un grosso numero e nel secondo membro un termine noto molto piccolo. Il valore di Af ne ver- rebbe determinato con grande precisione. Ma la variazione delle latitudini (a non breve periodo) (*) interviene e, per tenerne conto, nel mio metodo bisogna ricor- rere all’artifizio di raggruppare le osservazioni per periodi di Chandler, in modo che tanto nel primo saggio quanto nel pre- sente si sono prese osservazioni corrispondenti ad un numero esatto di quei periodi. Ritenuto che nell’insieme dei termini noti n si abbia allora compenso ed eliminazione dell’effetto della variazione delle latitudini, bisognerebbe addizionare i coefficienti coi propri segni, donde seguirebbe un piccolo coefficiente per Af nella equazione finale e quindi una determinazione di Af in cat- tive condizioni. Però fortunatamente in questo secondo saggio anche questo metodo (teoricamente rigoroso, ma in pratica non favorevole) si è presentato accettabile, chè l’equazione finale è risultata + 4,840 X Af= + 0”,089 donde (1) Af=+ 0"”,0184 ed il nuovo valore di f eguale a 20!" ,488, La determinazione di Af si è fatta in questo caso in con- dizioni favorevoli ed il valore 20',488 per la costante di aber- razione meriterebbe fiducia. (4) Di quella a breve periodo si tien conto con fare le medie dei valori di entro una rivoluzione lunare. dati iii RA e, i SAGGIO SULLA COSTANTE DI ABERRAZIONE 525 2° Altri però potrebbe ritenere che il compenso fra i ter- mini noti e l'annullamento dell'effetto della variazione della la- titudine si possano conseguire egualmente col determinare la correzione Af separatamente con le equazioni a coefficienti po- sitivi e con quelle a coefficienti negativi. La media dei valori ottenuti così per Af sarebbe libera dall’effetto delle variazioni di 9. E questo sarà tanto più giusto quanto più si moltipliche- ranno i periodi di 14 mesi che si mettono in conto. L’aberra- zione cambia segno di 6 in 6 mesi, la latitudine istantanea di 7 in 7 mesi; per la prima si ha compenso esatto fra le variazioni di 6 in 6 mesi, per la seconda le oscillazioni di @ în più o in meno rispetto a ®, non sono eguali. Ove si rifletta «che nelle 1004 osservazioni da me messe in conto, le quali ab- bracciano oramai 1324 giorni, si presentano 4 volte i coefficienti positivi e 4 i negativi, si giungerà forse alla convinzione che esista il compenso, relativamente alle variazioni di @, anche separatamente nei termini noti corrispondenti a quelli ed a questi. Ed allora il valore di Af si deve potere ottenere sepa- ratamente dalle equazioni con coefficienti positivi e da quelle con coefficienti negativi. L'accordo maggiore o minore fra i due risultati potrà essere una prova della legittimità del pro- | cedimento. Applicando questo metodo a tutte le 48 equazioni di con- dizione risulta che 26 di esse hanno positivo il coefficiente di Af e 22 negativo. La somma XC + dei coefficienti positivi moltiplicata per Af va eguagliata alla somma Xn + dei termini noti corrispondenti, i quali sono ora positivi ora negativi. Risulta cioè : C+ Zn + 4 15,8218 X Af= + 0”,716 donde (2) Af=+0"”,0453. Similmente dalle equazioni a coefficiente negativo si ha XZC — Ent — 10,9817 x Af= — 0",627 ss 526 GIOVANNI BOCCARDI donde (3) Af= + 0",0571. L'accordo fra i valori (2) e (3) è molto soddisfacente avuto riguardo all'argomento di cui si tratta e depone in favore delle ipotesi del compenso nelle variazioni di @ negli » corrispondenti ai € positivi ed ai negativi, separatamente. Combinare (2) e (3) coi rispettivi pesi equivale a cambiare il segno ai due membri della equazione risultante pei coefficienti negativi ed addizionarla con l’altra; viene così + 26,8034 X Af=+ 1",343 donde (4) Af= + 0",0501. IV Rimane adesso di scegliere o il valore (1) o l’altro (4). Teoricamente forse si darebbe maggior fiducia al primo; ma per ragioni facili a comprendersi io penso che il meglio si possa fare è di far la media dei valori (1) e (4) dando loro peso eguale. Risulta così Af=+ 0”,03425 e finalmente f= 20,504. Quale sarà l’errore medio di questo valore ? Col criterio da me esposto nel primo saggio si andrebbe ad un errore medio di + 0',00326 ; ma, a quel modo che allora io esposi poca fiducia in errori presunti, i quali poi risultano di gran lunga inferiori agli effettivi, e mi attenni a + 0,01, così in questo secondo saggio non oso portare così alto le pretese e ritengo che un errore effettivo di + 0',01 sia poco probabile sul valore cui son giunto, 20",504. it 0 sa en a n SAGGIO SULLA COSTANTE DI ABERRAZIONE 527 Col fatto nella 1 Nota avevo ottenuto il valore 20,507. La differenza fra 20,504 (valore certamente più vicino al vero, per ragioni ovvie) e 20,507 è di appena 0',003. ala ° ; i 1 Mi rimane da dare una spiegazione riguardo al peso 9 dato a 5 equazioni su 48. La presente determinazione di una costante astronomica non è fatta nelle condizioni di Le Verrier o di Newcomb, per esempio, i quali hanno lavorato su mate- riale di osservazione raccolto da altri; per me si avvera il caso di G. Struve o di Bessel, i quali lavorarono su proprie osser- vazioni. Solo chi osserva può dire qual peso si debba dare alle proprie osservazioni, perchè egli conosce le condizioni in cui 0s- servò. Per parte mia, da quattro anni che proseguo le osserva- zioni sulle nostre quattro stelle, credo di avere acquistata tale conoscenza del metodo, dell’istrumento e delle condizioni locali, che anche prima di fare una osservazione, dal solo stato della atmosfera posso prevedere come risulterà l'osservazione stessa. E singolare che il valore 20”.50 cui giungo sia proprio quello di partenza assunto da G. Struve, il quale, dopo tante osservazioni e calcoli, lo cambiò nell'altro 207,445 non certo migliore. L’ Accademico Segretario CorrADO SEGRE. ae — CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 13 Febbraio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti i Soci: De Sanctis, RurFINI, BRONDI, SFORZA, EKinaupi, Baupi DI VESsME, ScHIAPARELLI, PATETTA, PRATO, 6 STAMPINI Segretario della Classe. Scusano la loro assenza i Soci CarLE e D’ERrcote. Si legge e si approva l'atto verbale dell'adunanza dei 30 gen- naio u. s. Il Presidente S. E. BoseLLi presenta una pubblicazione, inviata in omaggio all'Accademia dall'Avv. B. MATTIAUDA e inti- tolata Il nome di Savona e i nomi topografici di origine ligure. Esplorazioni archeologiche nel campo della parola e dell’arte pre- istorica (Savona, Tip. Ricci, 1916); ne discorre collegando questa con altre pubblicazioni del MatTIAUDA, ne rileva le idee prin- cipali e accehna alle indagini proprie dell’autore. Il Socio ErnAauDI presenta per gli Att? una sua Nota dal titolo Di un teorema intorno alla nazionalizzazione della produ- zione, esponendone per sommi capi il contenuto. Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata, procede alla nomina della Commissione per il premio Gautieri di Storia (triennio 1913-1915), da conferirsi nel corrente anno, e riescono eletti i Soci De Sanctis, BosELLI e PATETTA. LUIGI EINAUDI — DI UN TEOREMA, ECC. 529 LETTURE Di un teorema intorno alla nazionalizzazione della produzione. Nota del Socio LUIGI EINAUDI. I. La guerra presente e le tendenze verso una “ nazionalizzazione della produzione nazionale ,. II. Come il prof. Ghino Valenti ha definito la nazionalizzazione della pro- duzione. — Definizione negativa e definizione positiva. — Teorema del Valenti riguardo all’incremento del patrimonio nazionale. IM. La posizione del problema. — Non si tratta della convenienza degli scambi internazionali; bensì della soluzione da darsi al problema del massimo aumento del patrimonio nazionale a traverso gli scambi ‘ internazionali. IV. Si afferma che le soluzioni possibili, oltre quella proposta dal Valenti, sono parecchie; e si pongono le premesse del ragionamento. V. Le principali combinazioni possibili fra i varii elementi, i quali dànno luogo alla bilancia dei pagamenti internazionali. — Si dimostra la razionalità e la eventuale convenienza di queste combinazioni. VI. Si dimostra, inoltre, come la possibilità dell'incremento del patrimonio nazionale esista non solo nella combinazione proposta dal Valenti, ma anche in altre; ed esista anche nel passaggio da uno ad un altro sistema di bilancia dei pagamenti. — Salvo casì rarissimi, l’'impor- tazione di moneta a scopo di dare incremento al patrimonio nazio- nale appare un giro vizioso antieconomico. VII. Continua la dimostrazione della possibilità di dare incremento al pa- trimonio nazionale anche con altre combinazioni. VIII. Conclusione: “ nazionalizzare la produzione , è regola economica solo in quanto coincide con l’insegnamento classico di “ produrre e scam- biare secondo la legge del minimo mezzo o del massimo tornaconto ,. Già da qualche anno innanzi allo scoppio della guerra pre- sente, erasi iniziato un movimento di idee che vorrebbe portare alla “ nazionalizzazione , della scienza e più della politica eco- nomica italiana. Come è naturale, questa corrente di pensiero sì è andata rafforzando dopo la entrata in guerra dell’Italia; ed ha avuto manifestazioni varie, ricche sempre di entusiasmo, non fa sie > smi "re i 530 LUIGI EINAUDI ugualmente rigorose per dirittura di ragionamento persuasivo. Sovratutto sembra a me che sia stata manchevole la elabora- zione scientifica della teoria del “ nazionalismo economico , ; nè avrei potuto perciò, per mancanza di materia prima, farla 0g- getto di una Nota presentata a questa Accademia, dinnanzi alla quale è lecito discorrere soltanto di problemi aventi carattere scientifico. Non vuolsi, dicendo questo, affermare che la teoria del nazionalismo economico debba essere giudicata soltanto con criteri eccnomici; poichè, essendo il problema nel tempo stesso politico e militare ed economico e sociale, esso deve essere ri- soluto con criteri complessi dedotti dalle varie scienze, le quali assumono a proprio oggetto i diversi aspetti del fatto umano. Si osserva soltanto che non giova alla solidità di una dottrina complessa, impostarla su ragionamenti economici errati; poichè le illazioni, che se ne ottengono, rimangono prive di valore sia dal punto di vista economico, sia da quelli politici o bellici o sociali. Mentre invece un ragionamento economico corretto giova alla impostazione del problema anche dagli altri punti di vista, sicchè più agevolmente si possa conoscere quali deviazioni deb- bono subire le leggi o tendenze o conclusioni economiche, quando si voglia tener conto altresì delle leggi o tendenze o conclusioni d'altra indole. Che se le prime non si conoscono o si espri- mono inesattamente, come si potrà giungere ad una verità qualsiasi ? Il. Ho veduto perciò con molto piacere che un maestro della scienza economica italiana, il prof. Ghino Valenti, ugualmente insigne per la dottrina teorica e per la sapienza delle applica- zioni dei principî scientifici ai fatti, abbia voluto fornire ai se- guaci della teoria del nazionalismo economico quella base scien- tifica economica che ad essi aveva finora fatto difetto (1); (1) Gmno Vacrenti, La guerra e l'economia nazionale dell’Italia. Discorso per l'inaugurazione dell’anno accademico nella R. Università di Siena, letto il 14 novembre 1915 (Estratto dall’ “ Annuario accademico della R. Univer- sità di Siena per l’anno 1915-16 ,; e riprodotto, senza le appendici, nella “ Nuova Antologia , del 15 dicembre 1915). È — pila nnt DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 531 dimostrando. con chiarezza cristallina, che cosa si debba inten- “ dere per “ nazionalizzazione della produzione italiana , e quali siano le vie che debbono essere seguite da uomini di governo e da industriali ed agricoltori per accrescere la ricchezza del paese. lo non intendo seguire il prof. Valenti in tutte le sue ar- gomentazioni e conclusioni: poichè esse mi trarrebbero troppo lungi dal mio assunto, che è lo studiare quale sia il nocciolo scientifico della teoria del nazionalismo dal punto di vista eco- nomico. Basti notare come, per tutto ciò che ha tratto alle ap- plicazioni pratiche dei principî scientifici, grandissimo sia il peso il quale deve essere attribuito alle opinioni di Ghino Valenti, senza dubbio la maggiore autorità vivente in materia di eco- nomia agricola, redivivo e rammodernato Iacini, come ebbi altra volta a chiamarlo. Il punto che qui interessa è quello teorico, astrazion fatta dalle applicazioni sue ; e su questo punto ritengo opportuno riferire intieramente il brano centrale del discorso del Valenti : “ Nazionalizzare [la produzione italiana] non significa che “ l'Economia italiana debba divenire un campo chiuso, talchè s'abbia a contentare del poco che essa può produrre e rinun- ziare al resto. In tal guisa il Paese nostro sarebbe condan- “ nato ad una condizione di regresso in confronto al passato e “ ad una condizione quasi stazionaria rispetto all’avvenire. Giacchè, è ovvio, che, se si rinunzia ad ogni importazione da altri paesi, “ cessa la possibilità di poter esportare in altri paesi ,. Nella quale premessa mirabilmente è scolpita la meta a cui non deve tendere l’azione nostra a vantaggio della nazione; ed è nettamente ricordata a tutti i seguaci del nazionalismo eco- nomico l'assurdità ed il danno di chiudere in sè stessa l'economia italiana, l'impossibilità assoluta di esportare senza importare e quindi la necessità di aumentare le importazioni dall’estero quando si vogliano crescere le esportazioni; e la fatalità di ve- dere scemare le esportazioni, ussia la forza di espansione del paese all’estero, quando si vogliano limitare o ridurre le im- portazioni. Dopo la definizione negativa, quella positiva. Così invero prosegue il Valenti : “ Nazionalizzare significa dare il massimo sviluppo a tutte “ le risorse paesane, di guisa che non si importi quel che non Pei be ” ali È ;2 LUIGI EINAUDI sì può ottenere convenientemente in paese; il che sarebbe un particolare vantaggio per la nostra Economia, che restava finora in debito di fronte all’estero per più di un miliardo di lire, a causa del disquilibrio fra le importazioni e le esporta- zioni dei beni materiali. Il qual debito veniva da noi soddis- fatto con varie partite di credito verso l'estero, tra cui prin- cipalmente le spese fatte dai forestieri viaggianti in Italia, che equivalevano ad una importazione di oro nel Regno, e le rimesse dall'estero dei nostri emigranti. Partite queste, che ottenevano il pareggio o quasi, e permisero che il cambio in più periodi fosse alla pari. Ma il pareggio che si otteneva, cosa non avvertita da molti, era puramente monetario, non economico. Invero, se i beni materiali ed i servigi consumati o acquistati dai forestieri possono paragonarsi ad una espor- ‘ tazione nostra pagata in oro, non è men vero che, se sussi- stesse la bilancia commerciale, nel senso antico, quest’oro sa- rebbe un capitale che l'Economia potrebbe accumulare. E per riguardo alle rimesse degli emigranti, queste servono sì a pa- ‘ reggiare o diminuire il deficit, ma non è men vero ch'esse co- stituiscono un capitale, di cui l'Economia nazionale si arric- chirebbe annualmente, se appunto non servissero a questo ufficio. L'Economia italiana in certo modo fa un prestito cogli emigranti corrispondente all'ammontare delle rimesse, e di esso si serve per pagare il suo debito con l’estero, assumen- ‘ dosi in corrispettivo di pagare agli emigranti o alle loro fa- miglie il valore corrispondente all’interno. Quindi l'Economia italiana non ha per questo fatto quell’incremento di capitale, ‘ che altrimenti conseguirebbe, perchè l’impiega nella estinzione di un debito ,. Nel qual brano è esposto il teorema seguente: mentre oggi si importano, grosso modo, 3000 milioni di lire di merci dall’estero e si fronteggia il debito così incontrato con l'importazione di 2000 milioni di merci e con 1000 milioni di rimesse degli emi- granti o pagamenti di servigi o merci da parte di forestieri; sarebbe desiderabile che le importazioni di merci scemassero, ad es., a 2500 milioni di lire e le esportazioni, pure di merci, crescessero a 2500 milioni (1), fermo rimanendo il credito italiano (1) Riproduco in nota un brano, non essenziale alla formulazione del ‘DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, Ecc. 533 verso l'estero di 1000 milioni per rimesse di emigranti e spese di forestieri. Cosicchè l'economia italiana potesse giovarsi di un in- cremento, che oggi non ha, di 1000 milioni di lire in oro per le rimesse e le spese suddette, capitale monetario di cui l’Italia potrebbe in seguito fare l’uso migliore possibile a vantaggio della potenza economica del paese. IH Che per una esatta posizione del problema giovi accettare l’implicita premessa, posta dall’A., che il commercio interna- zionale tanto più giovi al paese quanto più ne cresce il patri- monio, si può agevolmente ammettere. Commerciare e scam- biare è operazione che procaccia guadagno ad ambe le parti contraenti; ed è quindi logica la deduzione che una nazione non possa non arricchirsi, quando compia una operazione di vendita di beni e di servigi all’estero da essa ritenuta vantaggiosa a sè stessa. Ma “ guadagnare , ed “ arricchirsi, per mezzo dello principio teorico, ma utile per comprendere l’applicazione che del principio il Valenti vorrebbe veder fatta : “Il nostro compito pertanto dovrebbe essere quello di eliminare le “ importazioni non necessarie, specie, se si tratti di elementi complemen- “ tari delle industrie nazionali già in esercizio. È stata un'arte riuscitissima “ dei tedeschi quella di far sì che le industrie estere fossero tributarie, per ©“ qualche elemento, dalla Germania. La quale, data la impossibilità di una “ pronta sostituzione, o anche semplicemente la convenienza, finiva per tal “ mezzo coll’avere in mano le sorti dell’intera industria. “ D'altra parte convien dar sviluppo alle nostre esportazioni, specie di “ quei prodotti, che sono una nostra speciale prerogativa, riducendo al “ massimo grado i costi; di guisa che i prodotti stessi divengano non sol- “ tanto convenienti, ma necessari ai paesi importatori. Tra questi prodotti . * occupano il primo posto i prodotti raffinati del suolo e cioè i prodotti “ dell’orticoltura e della frutticoltura, dovuti a speciali condizioni di ter- “reno o di clima, e i prodotti delle industrie agrarie, in lato senso, e cioè “ di tutte quelle industrie, che trasformano i prodotti agricoli, rendendoli “ conservabili e commerciabili. Deve cessare quella perniciosa condizione, “ per cui gli stranieri esercitano tali industrie, giovandosi di materie prime “ agricole nostre, con che ci vien tolta la maggior parte di quei guadagni “che naturalmente ci spetterebbero. “ In una parola bisogna importare, per quanto è possibile, di meno, ed * esportare, per quanto è possibile, di più ,. 534 LUIGI EINAUDI scambio internazionale, non vuole ancora dire “ aumentare il patrimonio ,, occorrendo a tal uopo un atto volontario di ri- sparmio e di capitalizzazione da parte di chi si è arricchito. La convenienza del commercio internazionale esisterebbe anche quando non conducesse all'aumento del patrimonio nazionale, ma solo all'aumento dei consumi dei nazionali. Si può tuttavia, come sopra osservai, ammettere che sia ragionevole prefiggere come mèta alla nazione, almeno per una parte dei lucri ritratti dal commercio internazionale, l'aumento del proprio patrimonio. E caratteristico delle nazioni progressive destinare a tal fine parte dei guadagni ottenuti colla produzione e la vendita, all’in- terno od all’estero, di beni e di servigi. Fatta questa premessa, il problema che si deve risolvere non è più se convenga aumentare le esportazioni all'intento di crescere la ricchezza nazionale. Qui la risposta deve essere affer- mativa, perchè si suppone, tacitamente e necessariamente, che le industrie esportatrici lucrino di più, esportando, di quanto lucrerebbero le stesse od altre industrie se dedicassero il mede- simo ammontare di fattori produttivi a fornire merci o servigi ai consumatori nazionali. Il problema è invece: giova all'incremento della ricchezza nazionale dedicare il maggior provento ottenuto con le cresciute esportazioni ed inoltre l'ammontare dei crediti verso l'estero resi disponibili da una voluta diminuzione delle importazioni a fare acquisto all’estero di moneta ? 1 Senza negare che in qualche caso siffatta soluzione data al problema del maggior incremento possibile del patrimonio na- zionale sia preferibile, è dimostrabile come molte altre soluzioni possono più convenientemente darsi al problema posto ; e come possa riuscire, in determinate contingenze, convenientissima prin- cipalmente anche quella soluzione che il Valenti giudica meno favorevole all’economia nazionale. Fa d’uopo partire sempre — è quasi inutile avvertirlo — dalla legge, pacifica tra gli economisti, della bilancia dei valori od uguaglianza dei debiti e crediti nel commercio internazionale. DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 585 | Se il debito dell'Italia verso l’estero è di 3000 milioni per merci importate, uopo è che il credito dell'Italia verso l'estero sia pure di 3000 milioni o per merci esportate o per rimesse di emigranti o per spese di viaggiatori forestieri o per guadagni della marina mercantile o per noli dei trasporti ferroviari di transito o per interessi di capitale impiegato all’estero o per altri servigi di banca, di intermediazione, ecc. ece., resi dal- l'Italia all'estero. Se tutti questi mezzi insieme non bastano a coprire il debito dei 3000 milioni — il quale può derivare a sua volta, oltrecchè da merci importate, da altre cause, come da spese di viaggiatori italiani all’estero, interessi passivi di capitali forestieri, rimborsi di debiti contratti in passato verso l’estero, noli della marina mercantile e delle ferrovie estere, talvolta non ancora compresi nel prezzo delle merci importate, ecc. ecc. è giuocoforza diminuire il patrimonio nazionale, ossia vendere a stranieri le nostre terre o case o altri valori od indebitarci verso l'estero ; il che equivale ad una esportazione di titoli, mediante la quale si ristabilisce il pareggio. Ma il pareggio conviene vi sia; altrimenti si cade nell’assurdo che gli stranieri ci diano qualche cosa, senza esigere nulla in cambio. Il che è impossibile. Per semplicità, supporrò che le partite di dare ed avere della bilancia dei valori nel commercio internazionale si ridu- cano a quattro elementi : — merci materiali, importate od esportate, compresi i metalli preziosi non coniati per usi non monetari ; — servigi, importati od esportati, di emigranti (con conse- guenti rimesse); servigi resi, anche sotto forma di merci, ai fo- restieri viaggianti in Italia od ai nazionali viaggianti all’estero; servigi della marina mercantile nazionale o di quella estera. delle ferrovie per le merci di transito, delle banche, od altri interme- diari, dei capitali impiegati all’estero o dall'estero mutuati, onde i rispettivi interessi attivi e passivi, ecc. ecc. ; — titoli, i quali possono essere esportati dallo Stato (emis- sione di prestiti pubblici all’estero) o da privati (vendita di azioni od obbligazioni all’estero, interessamento di stranieri in imprese nazionali, vendita di terreni, case ed altri beni a stra- nieri); ovvero importati (come quando si riscattano titoli di de- bito pubblico, azioni od obbligazioni nazionali dall’estero, si rim- borsano debiti verso gli stranieri, si acquistano titoli di debito Atti della R. Accademia — Vol. LI. 35 agi IR a 9 536 LUIGI EINAUDI pubblico ed altri valori esteri od i nazionali si interessano in im- prese o comprano terre e case straniere); — moneta metallica e metalli preziosi per usi monetari, importata od esportata, sia mediante spedizione, sia a mano di stranieri o nazionali viaggianti od emigranti. Qualsivoglia specie di ragioni di debito o di credito verso l'estero può essere fatta rientrare in una delle comprensive ca- tegorie : merci, servigi, titoli, moneta metallica, in cui si possono dividere i beni economici, i quali si devono necessariamente bi- lanciare nel loro valore totale all'importazione ed alla espor- tazione. V. Le combinazioni, le quali potrebbero istituirsi fra merci, servigi, titoli e moneta metallica subordinatamente alla condi- zione che il totale dei debiti sia uguale al totale dei crediti di una nazione verso l’estero sono numerosissime. Per semplificare l’esemplificazione, supporrò che i totali pareggiantisi siano di 3000 milioni di lire; che le merci non cadano, nè all’importa- . zione nè all'esportazione al disotto di 2000 milioni, e che da ambe le parti della bilancia gli altri fattori servigi. titoli e mo- neta vengano introdotti ad uno ad uno, per cifre rotonde di 1000 milioni, affine di chiarirne separatamente l'influenza. Fatte le quali avvertenze, io così riassumerei i principali gruppi di combinazioni che possono aversi tra merci, servigi, titoli e moneta metallica: I GruPpPo nel quale la nazione esporta soltanto merci : Esportazioni Importazioni o crediti o debiti nb siMerci ai sb o 056 3000 2000 Seryigi nigolazavionte. — 1000 Mitoli ia. be, dagn ina Pi — Moneta 0etr te GUIN — — ) gal tel N % + SELL n BT è, x MA INTORN si Ai Hi: | SAZIONALIZZAZIONE, ECC. i. i» DA i #iliportazioni «U ; RL” o crediti bpiMerci ; 0 ..innp 3000 Nervigi iL Mods > — SELU0t: pei a — Moneta - c) Merci. ld Cao Derviglo c.c. NON: — PRATT, A e a _ Mopetaajario. sepgra. ice emer, de] 3000 BRE Lo DL — VICO RO, PARE) — Monete eda si II Gruppo Esportazioni o crediti 0) MESERO 0008, 2000 merviRe: iii aena 1000 Werali n ..0000N1.. F- 4 Moena: 05 Le ua 3000 Moni 2, ODI, 2000 mennigli ri. 1000 ER 000, — Mibneba i i .. — nel quale la nazione esporta merci e servigi (di emigranti, a fo- restieri, di marina mercantile, di capitali, di banca, ecc., ecc.): Importazioni n. hi o debiti 2000) (5, ‘TAR o debiti 2000 1000 c) Merci . Servigi Titoli . Moneta d) Merci . Servigi Titoli . Moneta foi ev ‘A SU { i L Pa DL: LI Esportazioni o crediti 2000 1000 III Gruppo è PACO Mate i d Fu bui, mo ga Importazioni — o debiti 2000 nel quale la nazione esporta merci e itoli : a) Merci . Servigi Titoli . Moneta b) Merci . Servigi Titoli . Moneta c) Merci . Servigi Titoli . Moneta Esportazioni o crediti 2000 1000 Importazioni o debiti 2000 1000 $ a e tal, Di Li ‘4 DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 539 Esportazioni o crediti BR) Mercer suinetti 2000 nel quale la nazione esporta merci e moneta : a) b) 0) d) Servigi è RAT nta albnrig ervolal 1000 MonabelAfzaimzicalivi.. _ 3000 IV Gruppo Esportazioni o crediti Mercihariagatic Lai 2000 Nervigliagi i uo # diaconi Tab, fatta LI — Megeta; allo 920 1000 3000 Momenti ei auià; 2000 Servigi DR — Tupaligott Gulli] Monota,t ie ui 1000 3000 Mefrenan5 104 1) gl | 2000 Serivigi misto Ia densi _ Pitalusic “clin biohfrod: — Moneta StUrtbb. svi a 1000 3000 Morci04). otosEog IR li 2000 SergigiDi Up or gio, —_ Tibok30 DO MpIgpi ‘Ri > -- Mernebe v9101g81 si 60; 1000 Importazioni o debiti 3000 3000 Importazioni o debiti 2000 1000 3000 2000 1000 1000 3000 3000 540 LUIGI EINAUDI Ritengo che le quattro combinazioni presentate per ogni gruppo rappresentino sufficientemente i principali casi tipici i quali si possono dare nella realtà. Questa, naturalmente, è più complessa, essendo raro il caso che un paese non esporti od importi nel tempo stesso merci, servigi, titoli e moneta. Ma fu giuocoforza semplificare le combinazioni, affine di apprezzare ad uno ad uno i varî fattori della bilancia internazionale. Chi voglia può, del resto, complicare a suo grado i fatti, senza che le conclusioni debbano variare. E agevole avvertire che i fat- tori i quali entrano al passivo della bilancia sono gli stessi nelle varie sezioni orizzontali dei diversi gruppi; mentre i fattori attivi rimangono uguali verticalmente nei limiti d’ogni gruppo. Tutte le combinazioni addotte possono essere feconde di risultati utili per la nazione. La (I, a), perchè con essa il paese, vendendo 3000 milioni di lire di merci si procura 2000 mi- lioni di altre merci ed inoltre 1000 milioni di servigi stra- nieri, come di capitali necessari a valorizzare il proprio ter- ritorio agricolo o dar impulso alle proprie industrie. La (I, 2), con la quale il paese. dando 3000 milioni di merci, acquista, oltre a 2000 milioni di merci, 1000 milioni di titoli (titoli di debito pubblico esteri, azioni od obbligazioni, case o terreni esteri). La (I, c), grazie a cui il paese introita 1000 milioni di moneta ; ed anche la (I, d), con cui sì sostituiscono mercì più utili a merci meno convenienti ai consumatori nazionali. Direi che la combinazione (I, a) raffigura il caso di un paese nuovo, il quale abbisogna pel suo sviluppo dei servigi del capitale e del lavoro esteri; la (I, 5) il caso del paese industriale, che fa investimenti di capitale all’estero ; la (I, c) il caso del paese, il quale passa dal regime di corso forzoso al regime aureo; mentre la combinazione (I, d) potrebbe rispondere alla situazione di un paese agricolo, il quale scambia le sue derrate agrarie sovrab- bondanti con i prodotti industriali di paesi esteri. Le combina- zioni che si leggono negli altri gruppi rispondono altresì alle varie situazioni in cui i varì paesi si possono trovare di tempo in tempo ; ed il lettore può, senza che io mi dilunghi soverchia- mente su ognuna di esse, vederne la ragion d'essere. Forse è utile, però, di avvertire la ragionevolezza di talune soluzioni, prima facie non convenienti. Esportare, come nella combinazione (IV, c), 1000 milioni di moneta per importare altret- DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 541 tanta somma di ugual moneta sembra assurdo. Può non essere, quando si ammetta che il paese abbia convenienza ad esportare una specie di moneta (d’argento inviato alle colonie od ai paesi dell'Oriente), importando dai paesi minerariì un’altra specie mo- netaria (d'oro, per la circolazione interna o per le riserve delle proprie banche di emissione). A che prò, si può dire, esportare, come in (II, a), 1000 mi- lioni di servigi per acquistare di nuovo 1000 milioni degli stessi servigi ? Ma possono essere servigi di indole diversa, come accade all’Inghilterra, esportatrice di servigi della marina mercantile e di capitali impiegati all'estero ed importatrice di servigi resi a suoi nazionali viaggiatori per diporto in tutti i paesi del mondo. Od, anche quando trattasi di servigi della stessa categoria, lo scambio e quindi l'arricchimento possono essere utilissimi; come dimostra l'esempio della Germania, esportatrice dei servigi di capi-tecnici, impiegati e direttori di banca, commessi viaggia- tori, rappresentanti ed importatrice di mano d'opera ordinaria e specificata dall'Italia, dalla Polonia, dalla Galizia. Perchè, può altri soggiungere, fingere il caso (HI, 6) di una nazione, la quale esporti 1000 milioni di titoli per reimportare medesimamente 1000 milioni degli stessi titoli ? Eppure, questo è il caso della Svizzera e dell'Olanda ed era il caso del Belgio; degli Stati-cuscinetto, i quali si arricchiscono o si arriechirono importando titoli esteri da paesi in cui il tasso di interesse 0 di rendimento era alto (Germania, Austria, Stati Uniti) ed espor- tando altri titoli nazionali nei paesi, in cui il risparmio si con- tentava di un più basso tasso di interesse (Francia). Vendere alla Francia 1000 milioni di titoli svizzeri al 4 °/, ed acquistare 1000 milioni di titoli tedeschi od austriaci o nord-americani al6°% è, per la Svizzera, una operazione feconda di 20 milioni di lire di utile all'anno ; feconda quindi di arricchimento. E pre- vedibile che, dopo la guerra, l'ufficio degli Stati-cuscinetto cre- scerà di importanza, perchè cresceranno gli ostacoli al passaggio diretto dei capitali da un gruppo all’altro dei paesi ora nemici ; e crescerà il beneficio di intermediazione dei paesi-cuscinetto, i quali daranno opera ad agevolare il traffico dei capitali (1). (1) Mi sia consentito di citare le Prime linee di una teoria degli Stati- cuscinetto contenute nella prova quattordicesima del capo nono della mia 542 LUIGI EINAUDI VI. Sebbene colla dimostrazione della convenienza delle combi- nazioni o situazioni ipotizzate sia dimostrata altresì la possibilità di ottenere, con ciascuna di esse, un aumento del patrimonio nazionale, è opportuno aggiungere su questo punto qualche ul- teriore riflessione. Certamente siffatta possibilità esiste nella combinazione (II, e), la quale corrisponde a quello schema di bilancia dei pa- gamenti, a cui il Valenti riconosce la virtù di arricchire il paese. Infatti, in essa, con i 2000 milioni di lire di merci esportate si compensano i 2000 milioni di merci importate; ed i 1000 mi- lioni di servigi esportati (servigi di emigranti all’estero, che dànno origine a rimesse di denaro e prestazioni a forestieri viaggiatori di diporto in paese) procacciano 1000 milioni di mo- neta, i quali potranno in un successivo momento essere trasfor- mati in un aumento di capitale. Non è necessario che ciò accada; potendo i 1000 milioni di moneta essere convertiti in beni di consumo; ma sarebbe irragionevole negare che essi possano essere risparmiati. Ma non si vede perchè il Valenti neghi alla combina- zione (II, d), la capacità di concorrere all'aumento del capitale nazionale. Non è forse vero che 1 3000 milioni di lire di merci possono essere, fino a concorrenza di 1000 milioni, merci stru- mentali? Macchine, parti di macchine, aratri, concimi chimici, semenze, ecc. ecc., in cui si investono i 1000 milioni che il paese lucra mercè i servigi dei suoi emigranti o resi dai nazionali ai forestieri? 0 forse le statistiche commerciali non rivelano, in tutti i paesi rapidamente progressivi, una forte importazione di cotali prodotti istrumentali? L'Italia stessa non ha investito, negli anni migliori del nuovo secolo, notevole parte dei suoi ri- sparmi nella propria industrializzazione, ottenuta mercè acquisto all’estero di macchinari, materie prime, concimi chimici? A Memoria Intorno al concetto di reddito imponibile, pubblicata in È Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, tomo LXIII, pa- gina 307 (99 dell'estratto). DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 543 «5meno che il paese abbia precisamente bisogno di moneta metal- lica per il risanamento della sua circolazione, io non so vedere fra la combinazione (II 4) e quella (II, c) altra differenza all’in- fuori di questa: che la (II, d) raffigura meglio la realtà, di quanto non faccia la (II, c), la quale rinvia ad un secondo mo- mento il compimento delle operazioni economiche che stanno sotto le cifre contabili del dare e dell’avere. Salvo il caso citato che il paese abbia davvero bisogno di 1000 milioni di lire di moneta per il risanamento della sua circolazione monetaria, caso che noi possiamo trascurare, essendo ben lungi dall’essere frequente, la combinazione (II, c) non è definitiva. Ad un paese non importa nulla possedere 1000 milioni di lire di più di mo- neta in specie, perchè la moneta non ha alcuna utilità diretta. Importa invece assai ottenere, per mezzo dei 1000 milioni di moneta, 1000 milioni in merci, servigi o titoli esteri. Tenere in paese i 1000 milioni di lire in moneta sarebbe, normalmente e salvo il caso citato — il quale può manifestarsi per la cifra totale o parte di essa — un assurdo; poichè l’unico effetto sa- rebbe di fare aumentare i prezzi di tutte le cose, per la sovrab- bondanza della moneta circolante; onde una restrizione nelle esportazioni ed un aumento nelle esportazioni, insino a che l’ec- cedenza di moneta se ne fosse ritornata all’estero. Il paese non ha bisogno, il più delle volte, di tenere la moneta in paese, per comprare beni nazionali, col solo risultato di farli aumentare inutilmente e provvisoriamente di prezzo e di provocare così delle crisi economiche. Ha bisogno, invece, di acquistare con quei 1000 milioni di moneta, 1000 milioni di merci, servigi o titoli esteri. Questa è la sola condotta per lo più ragionevole e | pensabile. Il che opportunamente ricorda il Valenti, quando in- | tende allontanare da sè la taccia di risuscitare gli errori dei mercantilisti. “ Imperocchè , — egli dice — “ se nella teoria “ mercantilista si conteneva un grave errore, quello di non porre . “in bilancia se non i beni materiali, le merci, trascurando il valore dei servigi ed i crediti, è incontestabile che il loro pensiero, per quanto riguarda l'importazione della moneta come mezzo di accrescimento di capitale, aveva pieno fonda- mento di ragione. Certo l'importazione della moneta oltre il | “ bisogno della circolazione determina un rinvilimento del suo I “ valore-- e ne sanno qualche cosa i tedeschi del 1870-71 per | n “ “ - 544 LUIGI EINAUDI effetto del pagamento fatto loro dai francesi della indennità “ di guerra in oro — ma non è men vero che il capitale-mo- neta è capitale trasformabile in quei beni atti ad accrescere durabilmente la potenzialità economica del paese, venendo così “ naturalmente ad essere restituito a quegli altri paesi, che per una precedente sottrazione ne abbiano difetto. Ciò peraltro “ non toglie che l'incremento del capitale nel paese importatore “ di oro rimanga ,. Il Valenti dimostra così : 1) che, quando ciò non importi ai bisogni della circola- zione, ossia ad uguagliare il livello dei prezzi all’interno ed all’estero, è inopportuno importare moneta solo per servirsene nell'acquisto di merci o servigi nazionali. L’importazione avrebbe per unico effetto quello puramente nominale di rialzare il li- vello interno dei prezzi. Effetto, come è noto, dannoso ai più e provvisorio ; 2) che l'importazione della moneta si può ritenere van- taggiosa all'incremento del capitale nazionale solo perchè la mo- neta è una merce “ trasformabile nei beni atti ad accrescere « durabilmente la potenzialità economica del paese ,. La qual verità, quando i beni acquistati siano esteri, non comporta dubbi; 3) che allora l'incremento del capitale nazionale avrà avuto realmente luogo, quando la moneta si sarà trasformata nei beni esteri suddetti. Finchè il paese importatore conserva l'oro importato, l’arriechimento è registrato sulle statistiche; ma a stento lo si potrebbe dire acquisito, in atto, produttivo di nuove ricchezze. L’arricchimento fecondo si avrà quando di nuovo il paese avrà “ restituito ,, come bene dice il Valenti, la moneta “ai paesi che per una precedente sottrazione ne abbiano difetto ,, ricevendone in cambio macchine, attrezzi, materie prime, ed anche, come si dirà poi, beni di consumo diretto ; 4) dalla quale pacifica constatazione logicamente si deduce che se un paese al processo : (1) merci nazionali = moneta = merci estere sostituisce il processo : (2) merci nazionali = merci estere ‘DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, Eco. 545. °°. È Mia medesimamente anzi più rapidamente il fine dell’incre- mento della ricchezza nazionale. Siechè resta dimostrato che la combinazione (II, d) è sta- bile, mentre la (II, c) è provvisoria; ed è altresì più economica. Alla quale conclusione medesima si giunge, quando si ac- colga l'insegnamento del Valenti, per cui compito della nazione dovrebbe essere quello di importare, per quanto è possibile, di meno, ed esportare, per quanto è possibile, di più. Poichè il meno ed il più si riferiscono ad un tempo ulteriore in confronto ad un tempo anteriore; la massima significa che occorre, per arricchire un paese, aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni passando dal tempo A al tempo 5; secondo lo schema seguente, in cui si variano dinamicamente esempî già dati : Combinazione (Il, d) —cr—o>—r rr : —”P-PFF Esportazioni Importazioni Esportazioni Importazioni o crediti o debiti o crediti o debiti Combinazione (II, c) 'eitritp. o A Merci... . 2000 3000 2000 2000 Servigi . . 1000 da 1000 CS Meli na 0 dui gie Moneta . . = — — 1000 3000 3000 3000 3000 "a ‘i Di Merci... . 2500 3500 2500 1500 Servigi . . 1000 — 1000 Minoli 0, DE a — —_ Moneta di: DI da 2000 3500. 3500 3500 3500 3500 \ Non si può negare che, sotto qualche rispetto, la varia- zione compiutasi nel tempo B sia vantaggiosa. La nazione esportando 500 milioni di lire di merci di più, ha aperta a sè medesima la possibilità di arricchire maggiormente. Ma l'arric- chimento maggiore è più agevole nella combinazione (II, 4) o 546 LUIGI EINAUDI nella (JI, c) ? Di muovo, l’unica differenza sta nel circolo vizioso attraverso la moneta che si compie nella (II, c), e si evita nella (II. d). Un paese, il quale non ha bisogno di importare moneta per innalzare il livello dei suoi prezzi interni al livello di quelli esteri, si sbarazzerà, quanto più presto gli sarà possi- bile, dei 2000 milioni di lire di moneta; ed acquisterà all’estero altrettanto valore di merci, servigi o titoli. Forse la soluzione più vantaggiosa che un paese industrialmente ed agrariamente progressivo può dare al problema è appunto di acquistare altri 2000 milioni di lire di merci istrumentali straniere, sì da por- tare l'importazione a 3500 milioni, così come si legge nella combinazione (II, d, B). Il che dimostra che la massima impor- tare di meno ed esportare di più è possibile per quei paesi i quali hanno bisogno di attrarre l'immigrazione dei servigi di lavora- tori e di capitali esteri o possono impiegare i loro risparmi nel- l'acquisto di titoli esteri. Entro i limiti in cui quelle due solu- zioni non sono convenienti, la massima è assurda. Esportare merci in quantità maggiore è davvero impossibile senza impor- tarne altresì in copia più grande. La quale verità, malgrado il diverso apparente suono delle parole, è nettamente ed esplicita- mente riconosciuta dal Valenti, come del resto non poteva non essere. VII. Gli schemi di combinazioni sovra compilati hanno per iscopo di mettere in luce come varie siano le soluzioni che si possono dare al problema dell’arricchimento attraverso il commercio in- ternazionale. Nel gruppo (1) si raffigurano le varie maniere che possono essere accolte da un paese, il quale è esportatore di merci agri- cole ed industriali ed ha una trascurabile esportazione di ser- vigi (pochi emigranti, pochi forestieri di passaggio, scarsi ca- pitali impiegati all’estero e fruttiferi di interesse, ecc.) e di titoli (il che significa un paese che non si indebita verso l’estero). Questo paese può impiegare i 1000 milioni di lire di risparmî fatti, per ipotesi, sulla vendita dei 3000 milioni di merci all’estero : fini DI UN TFORFMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 547 a) acquistando servigi di stranieri; ossia importando mano d’opera estera, ordinaria o qualificata. E il caso dell’Ar- gentina e degli Stati Uniti: ed è l'aspirazione del Brasile ; b) acquistando titoli di Stati e di imprese private estere, 0 titoli nazionali prima espatriati. Gli Stati Uniti nel momento attuale attuano siffatto metodo di investimento; c) acquistando moneta. L'India e la Cina seppelliscono nei tesori privati masse cospicue di oro ed argento; ma non riscuotono molti applausi dagli economisti per tale loro condotta, in date contingenze non priva del resto di ragionevolezza. Gli Stati Europei e d'America andarono a gara, a tratti, durante gli ultimi 40 anni, ad impinguare le riserve metalliche delle Banche di emissione; d) acquistando altre merci sino ad ottenere il pareggio con i 3000 milioni d’importazioni. Il che può avere parecchie significazioni. Il risparmio di 1000 milioni consentito o voluto compiere dalla nazione sul valsente di 3000 milioni di crediti per esportazioni, può invero prendere la forma già osservata di prodotti strumentali utili all'incremento delle industrie e dell’agri- coltura. Fu metodo seguito, con fortuna, dall'Italia dopo il com- pimento dell'unità nazionale ; e con fortuna somma dalla Ger- mania. Essendosene già detto a bastanza, non fa d’uopo tornarci sopra. Ma l’investimento del risparmio può avvenire anche in merci estere di consumo diretto. Per due vie: l’una delle quali si è di lasciar libere all’interno tante energie produttive, prima de- stinate alla produzione dei beni diretti di consumo, le quali ora più convenientemente possono consacrarsi alla produzione di beni strumentali, alla costruzione di case, edificî industriali, al pro- sciugamento di paludi, ecc., ecc. La ricchezza del paese cresce di 1000 milioni ugualmente e forse meglio se all’estero si acqui- stano a buon mercato merci di diretto consumo e si dedicano il capitale ed il lavoro così lasciati liberi dalla produzione di beni di uso diretto a compiere all’interno investimenti capitalistici. L'altra via è di acquistare all’estero merci di diretto consumo che possono giovare al perfezionamento fisico ed intellettuale dei nazionali. Il risparmio non si fa solo in denaro, bensì anche în qualità personali; e forse delle due specie di risparmio, capi- talistico in senso stretto e personale, la più feconda è quest'ul- “i da 548 LUIGI EINAUDI tima. Od almeno è quella su cui gli economisti moderni fanno maggiormente a fidanza per crescere la ricchezza delle nazioni (1). Anche i libri, e gli oggetti d’arte e gli strumenti musicali pos- sono essere un mezzo di risparmio, talora più fecondo e produt- tivo di un deposito di denaro sul libretto della cassa di risparmio. E quando siffatti beni di consumo diretto si possano acquistare, col ricavo della vendita di merci nazionali all'estero, con mag- giore convenienza all’estero che all’interno, senza dubbio l’im- portazione loro dall'estero è un mezzo di arricchimento altret- tanto, ed anzi “ maggiormente , secondo l'opinione dei nazionali, utile come l'importazione d’oro. Le medesime quattro specie di investimento del risparmio in servigi, titoli, moneta e merci provenienti dall'estero possono essere scelte da nazioni le quali esportino merci e servigi (II gruppo), merci e titoli (III gruppo), merci e moneta (IV gruppo). La ragionevolezza dell’investimento scelto e la possibilità di ar- ricchirsi con esso sono già dimostrate con le osservazioni fatte a proposito del primo gruppo di nazioni. Varia soltanto la ma- niera di pagare le cose comperate all’estero, che, invece di es- sere la vendita di merci, è in parte questa ed in parte l’espor- tazione di servigi, o di titoli o di moneta, a volta a volta o contemporaneamente, a seconda degli interessi variabili della nazione. VIII. “ Noi dobbiamo nazionalizzare la produzione italiana , — ripeterò anch'io col Valenti a conclusione della presente Nota. Ma esclusa, salvo casi rarissimi, la convenienza di importare moneta per conservarla, dimostrato che la convenienza di au- mentare le esportazioni e di arricchire mercè l'incremento dato alle esportazioni si può logicamente e necessariamente immagi- nare solo attraverso ad un correlativo aumento di importazioni di merci o di titoli o di servigi, “ nazionalizzare la produzione , ha e non può non avere unicamente il significato di “ dare il (1) Cfr., sul concetto e sulle specie del “ risparmio personale ,. la ci- tata mia Memoria, a pag. 235 del volume e 27 dell'estratto. ritto DI UN TEOREMA INTORNO ALLA NAZIONALIZZAZIONE, ECC. 549 «massimo sviluppo a tutte le riserve paesane , che convenga di sfruttare per trarre dai proprì sforzi il maggiore risultato com- | parativo possibile. Rinunciare a produrre le merci ed i servigi che tecnicamente sarebbe pure possibile di produrre in paese, significa arricchire il paese, quando convenga maggiormente de- dicare la limitata dote di capitale e di lavoro esistente tra noi, alla produzione di altre merci e di altri servigi a rendimento più elevato; coll’intento di esportare il sovrappiù eccedente i nostri bisogni per acquistare all’estero le merci ed i servigi, che noi dureremmo troppa fatica a produrre direttamente. A buon diritto, da quel valoroso economista che egli è, il Valenti richiama l’attenzione dei teorici e dei pratici sulla con- | venienza di utilizzare fonti paesane di ricchezza finora forse troppo trascurate per imperizia tecnica, cattive consuetudini, | ignoranza o timidezza di capitali. A buon diritto egli ammo- . nisce gli italiani che essi potrebbero con vantaggio produrre | direttamente cose prima acquistate all’estero. La ricchezza pro- | gredisce attraverso a continue sostituzioni di processi produt- i ivi più perfetti a processi meno perfetti. E fra questi processi | più perfetti può talvolta essere noverata la produzione e la ela- | borazione paesana di beni, che prima si acquistavano all’estero. Se vuolsi, noi possiamo dare a questi progressi economici e | tecnici, il nome di “ nazionalizzazione della produzione ,. Ma . forse il cambiamento di nome era inutile. Poichè, in quanto essa ha una significazione plausibile e razionale, quella teoria era nota nella scienza economica e dicevasi: legge del minimo mezzo 0 del massimo tornaconto. L'Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. I PREMI DI FONDAZIONE GAUTIERI La Reale Accademia delle Scienze di Torino conferirà nel DI corrente anno un premio di fondazione Gautieri a quell’opera sE di Storia politica e civile in senso lato, che sarà giudicata mi- no gliore fra le pubblicate negli anni 1913-1915. ll premio di i L. 1900 sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i Soci na-o zionali residenti e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in lingua italiana. i Gli autori possono inviare all'Accademia le pubblicazioni sulle quali desiderano richiamarne l’attenzione, avvertendo che. non saranno restituite le opere ad essa per tal fine pervenute. Torino, 1° febbraio 1916. L’ Accademico Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche ErtTORE STAMPINI. CLASSI UNITE n Adunanza del 20 Febbraio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA _ Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali î Soci Camerano, Vice-Presidente dell’Accademia, D’OviIpio, “é | Direttore della Classe, Naccari, Prano, JapaNzAa, Foà, Gua- ff _ rescHI, Guipr, PAaRoNA, MarTIROLO, GRASSI, SOMIGLIANA, FUSARI, PANETTI, e SEGRE, Segretario; | della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche i Soci Cuironi, Direttore della Classe, CArLE, Pizzi, De SANCTIS, Rurrini, SramPINI, BronpI, Scorza, BAuDI Di Vesme, SCHIAPA- | RELLI, PATETTA, VIDARI, PRATO. Scusano l'assenza i Soci residenti SALvaporI, D’ErcoLe ed E:maAuDI, e i non residenti ViLLARI e FRACCAROLI. Letto ed approvato il verbale della precedente adunanza del 13 corrente, il Presidente commemora il Socio non residente : — Savio, colle seguenti parole: # “ Cessò di vivere testè in Roma il Prof. Fedele Savio della. a | Compagnia di Gesù. Egli era nato 68 anni or sono a Saluzzo Ue e fu eletto Socio residente della nostra Accademia nel 1900. Successivamente essendosi trasferito ad insegnare in Roma nell'Università Gregoriana, passò fra i Soci Nazionali non re- SÉ 1 sidenti. N SA Atti della R. Accademia — Vol. LI. 56° 4, Si f dl. RA us (Pr “ Uno dei suoi primi lavori, che fu intorno a Guglielmo III di Monferrato ed i suoi figli, valse a farlo segnalare fra i distinti cultori delle discipline storiche. Ma il campo nel quale il Savio provò massimamente il suo ingegno e procedette coi più fermi avvedimenti, fu quello della Storia Ecclesiastica, ricostruita con nuove ricerche e con larga e sicura erudizione. “ L’opera sua principale è la Storia degli antichi Vescovi d'Italia dalle origini al 1300, della quale vennero in luce i vo- lumi riguardanti il Piemonte e Milano. L’A. curava la stampa o già teneva come compiuta la preparazione di quelli concer- nenti tutta la Lombardia, l'Emilia, la Liguria e la Toscana. “ Tratto tratto apparivano dottissime Monografie sopra ar- gomenti particolari relativi a tali lavori. “ L’opera del Savio deriva da ampli studi sopra i monumenti di ogni ordine e da esplorazioni assidue e diligenti negli archivî ed è condotta con critica penetrante e sincera : nelle molte parti in cui la Storia Ecclesiastica va collegandosi alla Storia Gene- rale, l'A. si intrattiene con pienezza di opportune investigazioni ; ed anche rispetto alle tradizioni e leggende religiose egli palesa, salvo le ragioni essenziali della fede, il suo giudizio storico se- condo i fatti rintracciati con schiettezza e verità. “ Il Savio contribuì con notevoli scritture a dar pregio alle nostre pubblicazioni. In tutte le sue scritture vi è densità di pensiero e di fatti e chiarezza di forma. «“ Egli fu Accademico zelante e sempre in mezzo a noi lo conoscemmo sereno nell'aspetto e nell’opinare, sobrio, ma pre- ciso ed efficace nel discorso e, fra le amichevoli consuetudini, cordiale e cortese. “ Qui dove Fedele Savio raccolse l’estimazione concorde dei Colleghi, esprimo il compianto dell’Accademia per la perdita del Socio preclaro ,. Si passa alla votazione secondo le norme regolamentari pel conferimento del XIX premio Bressa (Internazionale, qua- driennio 1911-1914). Il detto premio viene conferito al Prof. Antonio BERLESE, Direttore della R. Stazione di Entomologia agraria di Firenze per ì suoi studi sulla Prospaltella Berlese, con applicazione alla distruzione della Diaspis pentagona. afidi id PZ e tulilazà lattanti Inc l’Acca de I nia procede alla votazione per il conferimento fù Peio Gautieri di Filosofia (triennio 1912-1914), che viene | Hitonito al Dr. Aurelio PeLAZZA (morto combattendo da prode soldato volontario per la Patria e per la libertà dei Popoli) . per la sua opera Guglielmo Schuppe e la filosofia della immanenza. i Milano, Libreria editrice Milanese, 1914. i Infine il Socio StamPINI legge la Relazione della Commis- sione per il premio Vallauri per la letteratura latina (qua- driennio 1911-1914). La votazione per il conferimento del premio sì farà nella prossima adunanza. 3 DE VALLAURIANO PRAEMIO ADIUDICANDO LITTERIS LATINIS IN QUADRIENNIUM 1911-1914 PROPOSITO (a. d. X. kal. Mart. an. MOMXVI) Quamquam, Collegae doctissimi, eo temporis spatio, quod inter kalendas ianuarias anni MCMXI et exitum anni MCOMXIV effluxit —id enim tempus praestitutum erat —, non ita exiguus librorum numerus litteras latinas illustrantium editus est, quorum scriptores de proposito praemio satis commode certare possent, unum tamen opus in hoc insigne latinorum studiorum certamen delatum est, idque a viro francogallo, qui se ad Vallaurianum praemium spectare aperte professus est. Pertinent haec verba ad Renatum Prcgon, qui anno MCMXII librum foras dedit quem inscripsit Les sources de Lucain (Paris, Ernest Leroux). Ad id enim vir clarissimus animum intendit, ut tria fontium M. Annaei Lucani poesis genera persequeretur; quorum primum ad histo- riam, secundum ad philosophiam, tertium ad litteras rettulit, quo verbo epici carminis rationem scribendique artem com- plexus est. Nam, ut res summas quam paucissimis absolvamus, PicHon in prima sui operis parte luculenter et copiose explicare aggressus est, quos scriptores, quos auctores Lucanus ad res gestas narrandas et loca describenda adhibuisset. Qua dere cum complures hominum doctorum sententiae iamdiu in medium prolatae sint, scriptor francogallus quae iure meritoque sequendae, quae contra labe- factandae ac funditus tollendae sint diligentissime demonstrare studet, etiam minutas quasdam quaestiunculas expendens, quasi metuat, ne quid a se praetermissum esse videatur. Neque mi- norem operam, laborem, diligentiam contulit ad fontes seru- h Li sl tandos atque ex omnibus partibus perpendendos, qui ad philo- sophiam quodammodo attinent, si verbum cum apud veteres tum apud recentiores aliquanto latius patere consentiamus. His enim fontibus, ut rem paucis adumbremus, omnia quoque adscripsit, quae ad divinationem, ad artem magicam, quam appellant, ad vulgaria illa de manium vita opinionum commenta, ad alia de- nique revocari possunt, quae saepe apud philosophos in discep- tatione versari consueverunt. Tertio autem loco omnes. illos fontes investigare instituit, qui epici Lucani carminis compo- sitionem et quasi structuram quandam propius attingunt, quo in genere quaesitum est, quos praecipue et poetas et solutae ora- tionis scriptores Lucanus sibi ad imitandum proposuisset. Si autem declarare volumus, ut nostrum est, quo in pretio id opus habeamus, cuius summam paucis complexi sumus, nobis sine ulla dubitatione affirmare posse videmur, libram Renati Pictonx multis luminibus ingenii, magna doctrina, subtili enar- randi et disserendi ratione conspicuum ac plane dignum esse, qui laudibus exornetur. Verum haec tamen non ita dieta esse declaramus, quasi nulla alia opera superiore, quod definivimus, quadriennio, cum apud nos tum apud exteras gentes, exstitisse arbitremur, quae anteponenda esse censeamus. Neque enim desunt libri, quos quidem rerum novitate et pondere potiores existimemus. Sed antequam sententiam nostram aperiamus vo- bisque dicamus, qui nobis libri ceteris facile praestare videantur, pauca de iis scriptoribus explananda sunt, quorum operibus ratio certaminis nos locum praebere vetet, etsi in litteris latinis excellenter elaboraverint. Ac primum omnium, ut temporum ordinem sequamur quibus opera litterarum formis exscripta sunt, maximi quidem librum illum facimus Aloisii Haver, qui inseribitur Manuel de critique verbal appliqute aux textes latins (Paris, 1911); nec minoris aesti- mamus editiones criticas Isidori Hispalensis Episcopi (£tymolo- giarum sive Originum libri XX) et Sexti Pompei Festi (De wver- borum significatu quae supersunt cum Pauli epitome), quarum primam Oxonii anno MCMXI, alteram autem Lipsiae anno MOMXII W. M. Lixpsay typis mandandas curavit. Eximiam praeterea multarum rerum cognitionem, miram ingenii aciem, summam diligentiam et industriam Theodori Brrr admiramur, euius est liber de re critica et interpretandi arte (Kritik und Hermeneutik nebst Abriss des antiken Buchwesens. Miinchen, 1913). Sed haec Aloisii Haver, W. M. Lunpsay, Theodori Brrr opera, etiamsi praeclara et eximia et apud doctos permagni sunt momenti, tamen, si rem spectemus, manifestae clarissimi viri voluntati, cuius testamento praemium institutum est, minus respondere videntur quam alia nonnulla, quae cum critica litterarum lati- narum historia artius coniuncta sint. Ex his vero pauca eli- gemus, de quibus quam brevissime dicamus. Sine dubio magni aestimamus quartum volumen, anno MCOMXII typis expressum, egregii illius operis, quod Paulus MoxncEeAUX inscripsit Histoire littéraire de l’ Afrique chrétienne (Tome qua- trième. Le Donatismus. Paris); magnoque in honore et pretio apud nos sunt doctissimae curae, quibus Martinus ScHANz, annis MCMXI, MCMXIII, MCMXIV, tria suae litterarum lati- narum historiae volumina, singulas quasque res paene retexens, recognovit, retractavit, amplificavit (Geschichte der ròmischen Litteratur. Zweiter Teil: Erste Hilfte, Miinchen, 1911. Zweiter Teil: Zweite Hàlfte, 1913. Vierter Teil: Erste Hiilfte, 1914): at vero Paulo Monceaux et Martino Scnanz Academia nostra primum Vallaurianum praemium litteris latinis propositum ante hos octo annos aequabiliter dispertivit, neque ullam causam invenimus, quamobrem vestras mentes iterum ad eos praeter ceteros convertamus. Neque alia nobis sententia est, sì librum Alfredi GERCKE, qui inscriptus est Die Entstehung der Aeneis (Berlin), anno editum MCMXIII, attentissimis, ut par est, animis consideramus. Summam quidem doctrinam, acerrimum ingenium, praeclaram indolem ad res reconditas coniectura assequendas, subtilem rei criticae tractandae rationem non mediocri laude prosequimur ; sed cum fere totus liber in coniecturis nitatur ni- miaque subtilitate laboret, atque in tot rebus controversis dif- ficillimum sit omnes omnium sententias convenire, ut non dicamus de Aeneidis compositione multis aliis neque ita audacibus coniec- turis locum esse relictum, praestat ad scriptores animos tradu- cere, qui certiora litteris prodiderunt. Dolendum quidem est Fridericam Leo, virum memoria nostra de latinis litteris omnium optime meritum, immatura morte abreptum, opus sapienter inchoatum absolvere non po- tuisse; sed, ut Plautinas eius investigationes missas faciamus, quas anno MCMXII Berolini iterum edidit (Plautinische For- dè e E n 3 0, PO nia 557 schungen zur Kritik und Geschichte der Komòdie), primum illud volumen de historia latinarum litterarum, quod Berolini anno MCMKXIII typis exscriptum est (Geschichte der ròmischen Literatur. Erster Band. Die archaische Literatur), plurimum in hac litterarum contentione apud nos valeret, si ad Academiam nostram Vallau- rianìi certaminis causa missum esset; quod quidem factum non ‘est. Quamquam enim nonnulli satis firma argumenta sibi sup- petere opinantur, quibus probetur in Friderici Lro libro multa desiderari, quae eruditi homines in huiuscemodi operibus requi- rant, quod illa scriptor germanus ad operis suscepti rationem minus apta existimaverit, tamquam si latinarum litterarum historiam potius ad commune popularium suorum iudicium et intellegentiam accommodare, quam in hominum doctorum usum redigere voluerit; tamen non est infitiandum, quod profecto nos de communi sententia atque omni asseveratione affirmamus, hunc librum cum eximia ac prope singulari ingenii doctrinaeque praestantia, tum lucido ordine accuratissimaque diligentia, tum magna et iudiciorum gravitate et mentis sagacitate, intellegenti denique et exquisita rerum aestimatione, postremo venusta quadam et ornata et iucunditatis plena orationis ubertate et copia, dignissimum esse, qui pleno ore laudetur. Quoniam vero vir doctissimus, quod ad hoc certamen attinet, nullo modo quid vellet significavit, atque intra fines terminosque certamini con- ‘stitutos inopina morte interceptus est, nobis non licere arbi- tramur illorum, morte obita quorum tellus amplectitur ossa, voluntatem, quae conceptis verbis atque etiam per litteras pro- dita non sit, interpretari, ob eamque rem Fridericum Leo cum nullo alio comparabimus iudiciumque nostrum de eius seriptis in medio relinquemus. At vero omnibus operibus, quae nobis praesto fuerint, sine ulla dubitatione libros anteferendos esse contendimus, quos Remigius SABBADINI, professor litterarum latinarum in Regia Academia philosophiae et litteris tradendis Mediolanensi, anno MCMXIV prelo commisit, quique inscribuntur Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV. Nuove ricerche col rias- sunto filologico dei due volumi (Firenze) et Storia e critica di testi latini. Cicerone. Donato. Tacito. Celso. Plauto. Plinio. Quin- 56 ne" n” x if SA È bee a a Per APT mal È dx vl» AE Cd , SER x a ha zi tiliano. Livio e Sallustio. Commedia ignota (Catania). Libri sunt et summa doctrina et mirifica iudicandi sollertia et infinita illaruam rerum copia insignes, quarum complures frustra aliunde petas, quasque SABBADINI strenua plurimorum annorum opera, assiduo animi labore, diuturna et alacri librorum manu scrip- torum inquisitione et investigatione sapientissime congessit atque in unum quasi corpus redegit. Addite plurimam ac paene incredibilem omnis generis operum lectionem, quae ipsis viris doctis nonnumquam ignota sunt; neque enim semper hominibus doctrinarum studiosis eorum scripta in manibus esse possunt, qui una aliqua in re separatim elaborarint. Ex quo natura con- sequitur, ut quae singuli de singulis rebus litteris prodiderint., ut de libris manu scriptis, de publicis privatisque bibliothecis, de chartulariis, de operibus editis aut nondum vulgatis, de libroram indicibus, de aliis multis, in quibus SABBADINI ver- satur, ex his omnibus vir doctissimus utilitatem et quasi lucrum capiat, ingentemque rerum copiam, cum diligenter investigatam. tum accurate expensam, firmissime denique constitutam, po- stremo innumeris suis investigationibus auctam et confirmatam, nostris oculis sub unum adspectum subiciat. Spectant nostra verba ad volumen praecipue, quod est de codicibus graecis et latinis, quo quidem magnum illud opus, iam pridem a doctis efflagitatum et a SABBADINI non paucis ante annis susceptum — primum enim volumen anno MCMV est per- vulgatum —, nunc demum ad umbilicum, ut aiunt, adductum est : sed in altero item opere SaBBADINI aliorum investigationes non solum acerrimo iudicio penitus inspexit et in disceptationem vocavit, verum etiam suas ipsius recognovit, additaque magna rerum copia, quas ipse novis studiis comparavit, summam omnem mirum in modum supplevit et amplificavit. Neque enim nos latet nonnullos in philologis commentariis iam animadver- tisse, SABBADINI hac historia latinorum textuum, quos appellant. res a se abhinc multos annos pertractatas comprehendisse: verum illud quoque adiciendum est, quod nemo infitias ibit, SABBADINI tantam rerum copiam nunc denuo retractatam, multo maiorem factam, in novum ordinem digestam nobis praebuisse. Duo igitur libri sunt vobis, Collegae humanissimi, ante oculos propositi, non qui tantummodo singulari doctrina, acri ac multiplici scientiae pervestigatione, subtili disserendi ratione nfinitam prope materiam explicent, sed etiam qui cum litte- arum latinarum historia aptissime et necessario cohaereant. Pro erto enim habemus litterarum historias non iis terminis cir- mmscribendas esse, quibus singulorum seriptorum tempora con- tineantur, sed et doctrinae subsidiis a praeteritorum temporum memoria repetitis illustrandas et omnibus rebus enucleandas esse, quae demonstrent, quantum illoram opera apud posteros ad mentes alendas animosque ad humanitatem informandos va- luerint. Nam, quemadmodum quae cogitamus, quae sentimus, aliqua ex parte cogitaverunt et senserunt maiores nostri; sic omnibus manifestum esse debet, nihil vere, nihil certe, nihil absolute de scriptoribus, quorum opera ad nos quasi hereditate relicta pervenerint, existimari posse, nisi etiam consideres quae fata, quas fortunae vicissitudines labentibus aetatibus adierint. Hine oritur recta illa et iusta operum et scriptorum aestimatio ; chine fit ut humanae litterae ad illarum disciplinarum et artium rationem revocari possint quae, perpetuis praeceptis ordinatae et conclusae, non modo diligenter fundatae, verum etiam ac- curate exstructae atque eleganter constitutae sint. Illud quoque accedit, quod scriptorum latinorum aeque atque graecorum opera lapsu temporis, ut satis superque constat, varia ratione in co- dicibus maru sceriptis corrupta ac depravata sunt; quorum alii magni, alii minoris, alii minimi momenti et ponderis habentur ad vera, certa, germana seriptorum verba penitus cognoscenda, ad eorum auctoritatem aut pravitatem definiendam et decla- randam. Ex quo apparet quam clarum lumen litteris latinis praetulerit librorum manu seriptorum investigatio atque inventio, quantopere denique assidua et diligens codicum collatio ad exem- plaria latina a corruptelarum sordibus purganda atque in pri- stinam sinceritatem restituenda profuerit. Sed in re compertis- sima diutius commorari nolumus. Eadem ratione cum disciplina, de qua nunc certatur, etiam historiam litterarum latinarum mediae, quae dicitur, aetatis ‘prorsus coniunctam et propemodum contextam esse conten- dimus. Quod nisi eo libro, quo Maximilianus MaxItivs litteras latinas a Iustiniani temporibus usque ad saeculum X p. Chr. n. persecutus est (Geschichte der lateinischen Literatur des. Mittel- alters. Erster Teil. Miinchen, 1911), si rerum compositionem, ordinem, explanationem respicias, scriptor germanus non tam LI i 550. © Pride nà n; v ee Pa "dl mi : gti I dla 560 LETT SO historiam componere, quam materiam ad historiam condéndatii accommodatam colligere et aliis tradere voluisse videretur, esset non dubie cur nos, in certamine pro virili parte diiudicando, huius quoque operis rationem haberemus. Sed nos iam longius oratione progredimur, quam necesse est. Ut igitur ad propositum revertamur, ex iis, quae ante dicta sunt, satis commode effici cogique posse pro certo putamus, duobus professoris mediolanensis libris, quorum res summas breviter perstrinximus, primas omnino esse deferendas, ob eamque causam vos, Collegae clarissimi, uno ore libentissimisque animis rogamus, ut Vallaurianum praemium Remigio SABBADINI adiudicetis. Ad Sodales Academiae de praemio rettulit et seripsit Hector Nu STAMPINI. AI Subscripserunt: Paulus BoseLLI, Praeses Acadenmiae o Caietanus DE SancTIS tasti, Franciscus RUFFINI Sodales ordinarii Taurinenses 6 Ernestus SCHIAPARELLI Hector Srampini, Sodalis ordinarius Taurinensis a commentartis. Gli Accademici Segretari CorraDpo SEGRE. ETTORE STAMPINI. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI — è, Adunanza del 20 Febbraio 1916. Liv) R PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI ; î fa PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA i. » Sono presenti il Vice-Presidente CamerANO, il Direttore della Classe D’'Ovipro, e i Soci NaccarI, PEANO, JADANZA, Foà, GuarescHI, Guipi, PaRonA, MATTIROLO, GRASSI, SOMIGLIANA, } USARI, PANETTI, e SEGRE, Segretario. — Scusa l’assenza il Socio cy SALVADORI. È letto e approvato il verbale dell'adunanza precedente. Il Socio Camerano presenta, per la stampa negli Atti, una Ro sua Nota, Della posizione dei fori palatini nella partizione del par genere “ Capra , Linn. ci 3 3 Vengono inoltre presentati, per gli Atti, questi altri lavori : I ___ G. Crarrter, Idrolisi degli antrachinonarilidrazoni con acido solforico, dal Socio GuARESCHI; ._G. IssoeLio, Sopra un nuovo metodo per l'analisi dei grassi “I irranciditi, dallo stesso Socio GUARESCHI; Cd E. Quercia, Su un notevole cristallo di gesso di Bellisio (Pesaro), dal Socio PARONA; fit A. G. Rossi, Un trasformatore dinamico per correnti alter- nate, Nota I, dal Socio Grassi; 4 __ A. Terracini, Sulla rappresentazione delle forme quaternarie mediante somme di potenze di forme lineari, dal Socio SEGRE. LORENZO CAMERANO LETTURE Della posizione dei “ fori palatini . nella partizione del genere “ Capra . Linn. Nota del Socio Prof. LORENZO CAMERANO. (con UNA TAVOLA). Vari Autori cercarono ripetutamente di dividere il numeroso gruppo degli Stambecchi e delle Capre in due generi, o in due sottogeneri, o in due sezioni del genere Capra Linn. partendo principalmente dalla forma e dall'andamento delle corna. Gray nel 1852 (“ Catal. Ungul. Brit. Mus. ,, p.153) ammette i generi Hircus e Ibex. Nel “ Catal. Ungul. Brit. Mus. ,, p. 52 (1872) ammette il genere Aegoceros. A questo proposito osserva R. Lydekker (W224, Oxren, Sheep and Goats, ecc., London, R. Ward, 1898, p. 241): “ By Dr. Gray the goats here included under the “ heading Capra were divided into (1) Aegoceros, (2) Capra. “and (3) Hircus; the first division including the tur, the second. the ibex, and the third the common goat and markhor. This, however, is obviously incorrect. If such divisions, whether generic or subgeneric, are adopted at all, Capra obviously belongs to the common goat. In Pallas’s description of his genus Aegoceros the species first mentioned is Ae. ibex, so that this generic term must stand for the ibex group, thus superseding the later Ibex of Hodgson, and leaving the tur without a se- parate designation at all. Bearing in mind, therefore, that, if subgeneric divisions of Capra are adopted, a new term would be required for the tur group, and seeing that the various. groups of goat intergrade to a very great degree, I have con- ‘sidered it advisable to make no such divisions at all ,. ei be x Pai FS x 3 renda Pai Pai x LS x r x nere Capra in due gruppi: A) Ibex (“* die Horner vorn breit, dreikantig und stark geknotet ,) e vi comprende: €. idbex Linn., 0. hispanica Schimp., pyrenaica Schinz., C. Cebennarum Gervais, C. sibirica Pall., O. caucasica Gild., 0. Beden Wag., C. Pallasi Schinz. i B) Hircus (“ die Hérner comprimirt, vorn gekeilt ,) e vi omprende: C. Falconeri Hiigel., C. aegagrus Gmel., C. hircus inn., C. ihazal Hodgs. Pure nel 1855 P. Gervais (Histoire nat. des mammifères, II, p. 188) divide le specie del genere Capra Linn. in due generi: 1° Gen. /bex Pall. (“ Les Bouquetins ont le museau en- “« tierement vétu. Leurs cornes, habituellement noueuses et peu “ divergentes, sont soutenues par des axes osseux dont tout “ l’intérieur est celluleux ,) e vi comprende: / alpinus Gerv., I. pyrenaica, I. hispanicus, I. caucasica, I. sibiricus = a I. Pal- lasti, I. himalayanus, I. nubianus, I. Valie. ù 2° Gen. Capra (“ La Chèvre et son male, auquel on donne “ le nom de Bouc, ont les cornes prismatiques à bord tranchant, “ sans nodosités è leur face antérieure, et toujours plus ou “« moins divergentes, surtout dans le sexe màle; les éminences “ osseuses qui en forment l’axe sont en grande partie pleines; “ leur base seule est creusée par une grande cellule ,). Vi com- prende C. cegagrus e le capre domestiche. La divisione proposta dal Gervais viene seguìta recentemente «dal Menegaux (La vie des animaux illustrée, XVI, Baillière, Paris, senza data). Trouessart nel suo Catalogus mammalium, II (Berlino, 1898-1899, p. 970) divide il genere Capra Linn. in due sotto- generi: 1° Capra (p. d.) Gervais, colle specie seguenti: C. aegagras Gm., C. cylindricornis Blyth., 0. Rozeti Pomel. fossile, C. Ceden- narum Gerv. fossile, C.corsica F. Mayor foss., C. pyrenaica Schimp., O. hispanica Schimp., C. Falconeri Wagn. 2° Ibex Hodgs., colle specie: /. sibirica Meyer, / Dan vergnei Sternd., C. nubiana F. Cuv., 0. Valie Riipp., C. Mengesi Noack., C. caucasica Giild., C. Severtzowi Menzb., 0, ibex Linn. Nel Quinquennale supplementum dello stesso lavoro il Troues- sart, divide, nel 1904, il genere Cupra Linn. in tre sottogeneri: . È ' ” I Ph Pre 9) PI y O de i 70 ”* A OSL Ba 564 LORENZO CAMERANO e caucasica. | B) Ibex Frisch., colle specie: I. nudiana, Vali, Severtzowi, ibex, priscus Woldrich, sibirica, Raddei Matschie. C) Orthaegoceros Trouess., colla sola specie: O. Falconeri Wagner, che nel catalogo precedente aveva incluso nel sotto- genere Capra (p. d.). È | Lo stesso Trouessart in un lavoro posteriore (Faune des mammifères d' Europe, Berlino, 1910) abbandona la divisione del genere Capra in sottogeneri e riunisce tutte le specie in un. solo gruppo, aggiungendo: “ On a essayé de subdiviser ce genre. “en deux sous-genres (Capra propr. dit et /bex), mais la limite “ entre ces deux groupes semble difficile è fixer et nous Jais- “ serons ici toutes les espèces d'Europe réunies sous le nom de Capra ,. Anche il Lydekker (op. cit., p. 268) dice: “ all the members “ of the genus are so closely connected that, as already men- “ tioned, it appears impossible to divide them into sub-generic “ groups distinguished by well-marked and shortly defined “ characters ,. Questo concetto seguono il Miller (“ Catal. of the Mese of Western Europe ,, Londra, 1912), il Lydekker (“ Catal. of the. Ungulate Mammals in the British Museum ,, Londra, 1913) ed altri. Senza dubbio la divisione delle specie del genere Capra Linn., in più generi, od anche in vari sottogeneri o sezioni si presenta non facile. Parecchi fra gli Autori più recenti hanno rinunziato a tentarla, non riuscendo soddisfacenti le divisioni proposte, di cui sopra ho detto. Io pure sono d’avviso che, se si tien conto soltanto dei caratteri usati per tale divisione, che sono essen- zialmente quelli dedotti dalla forma delle corna, non si possa giungere ad una conveniente divisione in gruppi delle specie del. genere Capra. Seguendo tali caratteri, secondo le diagnosi dei sottogeneri date dal Giebel (op. cit.), si ha un aggruppamento delle specie nei due sottogeneri Ibex e Capra, che apparente- mente sembra buono, perchè al tempo del Giebel non erano state descritte le numerose forme moderne che rendono tale di- _ visione, per quanto riguarda i caratteri delle corna, più incerta. DELLA POSIZIONE DEI «& FORI PALATINI », ECC. La stessa cosa si può dire per le diagnosi dei generi proposti dal Gervais. Meno accettabile ancora è l’aggruppamento delle specie nei due sottogeneri Capra e Ibex proposto dal Trouessart, in cui troviamo, ad esempio, la C. aegagrus e la C. hircus allon- janate dalla C. Falconeri, e la C. pyrenaica allontanata dalla . ibex e messa colla C. aegagrus, ecc. Ho creduto utile di ristudiare la questione valendomi del mumeroso materiale di cranii, di corna e di pelli di capre sel- vatiche delle collezioni dei Musei di Zoologia e di Anatomia comparata di Torino. Il carattere, sopra citato, scelto dal Gervais, dell’essere l’asse osseo delle corna pieno e con una sola grande cavità alla base nelle Capre, o dell'essere invece scavato di numerose ca- vità per quasi tutta la loro lunghezza negli Stambecchi, non pare tale da servire per giudicare delle affinità fra le specie di apre selvatiche, perchè esso è in relazione colla forma e collo spessore del corno e trova la sua spiegazione in leggi mecca- niche, come il Diirst ed altri hanno chiarito (confr. U. Diirst, Les lois mécaniques dans le développement du crine des cavicornes, * €. R. Ac. Paris ,, 137, p. 342 (1903)). L'esame comparativo dei cranii delle forme selvatiche e domestiche del genere Capra ha fatto rivolgere la mia atten- ione sopra i rapporti dei fori palatini colla sutura maxillo palatina. Già il Forsyth Major nel suo lavoro: Materiali per servire ad una storia degli Stambecchi (“ Atti Soc. Toscana di Sc. nat. ,, vol. III, 1879) aveva accennato alle sopradette parti colle parole seguenti: “ Mentre che nell’Ibex (delle Alpi), ciò è stato da me “ verificato su tre cranii, i forami palatini sono situati dietro la “ sutura maxillo palatina, nella C. aegagrus, hircus ed in quella “ di Creta si trovano in questa sutura medesima, oppure un ‘* poco davanti ad essa. Non ho fatto osservazioni a questo ri- guardo su altre specie. Riguardo alla conformazione della ‘ detta sutura, essa nel gruppo Aegagrus è più ad angolo acuto, cioè si spinge maggiormente innanzi che nell’/bex ,. L'esame da me fatto ha dato i risultati seguenti: Capra ibex Linn. — I fori palatini sono relativamente grandi e sono spiccatamente collocati all'indietro della sutura maxillo palatina. Talvolta la distanza del foro palatino dalla È è dis! pera, dà n *i » 506 LORENZO CAMERANO sutura è relativamente notevole, come mostrano le figure unite a questo lavoro e le figure 2, 3, 6, 20, 5 della tav. I del mio precedente lavoro: Ricerche intorno allo Stambecco delle Alpi, parte II, “ Mem. R. Accademia delle Scienze di Torino ,, ser. II vol. LVI, 1906, e come mostrano pure le numerose figure dei palatini delle tavole I e II del mio lavoro intitolato: Contributo allo ‘studio deù Wormiani palato palatini e dei Wormiani medio palatini di Calori nei mammiferi, “ Boll. Mus. Zool. Anat. comp. Torino ,, vol. XXX, n 706 (1915). Nel lavoro sullo Stambecco io dicevo in proposito: “ La. “ forma della sutura dei palatini coi mascellari è alquanto va- “ riabile, senza tuttavia raggiungere la forma che presenta nella “ capra comune. E da osservare inoltre che i fori palatini sono “ spiccatamente collocati all'indietro della sutura palatino-ma- “ scellare e non sulla sutura stessa come ha luogo nella capra “ comune. Nel numeroso materiale di cranii di stambecchi maschi “ da me osservato, nessun esemplare ha presentato a questo “ riguardo tendenza ad assumere caratteri caprini ,. La sutura maxillo palatina ha forma o diritta, o incurvata, od anche a punta, ma relativamente poco sporgente. Capra pyrenaica Schinz. (C. hispanica Schimper, C. ca- brerae Camer., C. victoriae Cabrer.). — In due cranii maschi, vecchi (uno della Capra hispunica Schimp. e l’altro della C. ca- brerae Camer.) ho trovato i fori palatini collocati spiccatamente allo indietro della sutura maxillo palatina, come nella Capra iber. Anche la sutura maxillo palatina è conformata come in questa ultima specie. Capra nubiana F. Cuvier. — In tre cranii esaminati, i fori palatini sono, in uno di maschio della Nubia, spiccatamente allo indietro della sutura maxillo palatina, come nelle specie prece- denti, e così pure in un cranio di femmina della Siria; nel terzo, che è di un maschio della Nubia, sono più avvicinati alla su- tura maxillo palatina, senza che si possano tuttavia considerare come sulla sutura stessa. La figura della parte palatina di un cranio di Capra nubiana. (sinaitica) data dal Giebel (Oraniologischen Eigenthiimlichkeiten einiger Steinbòcke, “ Zeitsch. fiir die Gesammten Naturwiss.,, Berlino, 1879, tav. I, fig. 9), mostra i fori palatini spiccatamente. allo indietro della sutura maxillo palatina. a" wo . Ùa i DELLA POSIZIONE DEI « FORI PALATINI », ECC. 567 Capra Walie Riippelll — Da una fotografia di un cranio di questa rara specie, avuta per la cortesia di Olfield Thomas del British Museum, si vede che i fori palatini sono allo indietro della sutura maxillo palatina; ma vicini ad essa. Capra caucasica Gildenst. (C. cylindricornis Blyth.). — I fori palatini sono non solo sulla sutura maxillo palatina, ma la volta superiore del canale palatino sporge alquanto al davanti della sutura stessa. Anche la figura di questa specie data dal Giebel (op. cit.) presenta la stessa conformazione della sutura ma- xillo palatina. Questa è quasi diritta, o poco sporgente a punta. Capra sibirica Meyer (C. s. merzdacheri Lisewitz, C. s. wardi, O. s. Filippii Camer.). — Nei cranii delle sopradette sottospecie da me esaminati i fori palatini si presentano sempre o sulla su- tura maxillo palatina, o non raramente col margine della volta del condotto palatino sporgente al davanti di essa. I palatini si protendono notevolmente allo innanzi fra i mascellari, ora essendo foggiati a punta, ora con margine estremo più o meno largo e rettilineo, come mostrano le figure unite a questo lavoro. Capra aegagrus Erxleben. — I fori palatini sono sulla sutura maxillo palatina come nella specie precedente. I palatini ora sì spingono in avanti notevolmente a punta fra i mascellari, ora no, e la sutura maxillo palatina risulta quasi rettilinea, Nella Capra domestica i fori palatini e la forma della su- tura maxillo palatina sono come nella Capra aegagrus. Risulta da quanto precede che, secondo la posizione dei fori palatini rispetto alla sutura maxillo palatina, le specie del ge- nere Capra si possono raggruppare nel modo seguente: A) I fori palatini sono collocati spiccatamente all'indietro della sutura maxillo palatina. 1° Capra pyrenaica (C. hispanica) 2° Cupra ibex; 3° Capra nubiana; 4° Capra walie. B) I fori palatini sono collocati sulla sutura maxillo pa- latina e talvolta l’arcata superiore del canale palatino sporge al davanti di essa. 1° Capra caucasica; 2° Capra sibirica; 3° Capra | aegagrus; 4° Capra domestica. La notevole costanza del carattere in questione nei due gruppi di specie di Capre selvatiche lascia credere che esso valga | ad indicare una stretta affinità fra esse, malgrado che il loro | aspetto esterno, dato principalmente dalla forma e dallo sviluppo «elle corna, non lo lasci supporre. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 37 568 LORENZO CAMERANO A mio avviso, le corna forniscono nelle Capre selvatiche caratteri non sufficientemente sicuri per riconoscere le affinità delle specie fra loro. Le corna di tutte le specie del genere Capra sono fondamentalmente foggiate sullo stesso piano e pre- sentano, se esaminate in serie di individui un po’ numerose, in tutte le specie un complesso di variazioni che si ripetono ana- logamente. Come ad esempio la maggiore o minore loro incur- vatura, lo spessore maggiore o minore, il grado di divaricamento fra loro a partire dalla base, la tendenza maggiore o minore a piegarsi col loro apice verso l'esterno o verso l’interno od anche l’accenno a prendere la forma a spirale, forma che si rende spe- cialmente spiccata nella Cupra falconeri.. Queste varie modalità di variazione si fanno più manifeste in una o nell’altra specie dei due gruppi sopradetti. Nel 1° gruppo si osserva in prevalenza la forma del corno che si trova nella Capra iber con nodosità molto spiccate, le quali tuttavia si riducono fin quasi a scomparire nella C. pyre- naica, nella C. hispanica, ecc., dove lo sviluppo laminare dello spigolo anteriore interno mostra quasi una tendenza ad assu- mere la forma di quello del corno della Capra aegagrus e della Capra hircus. La curvatura delle corna della C. pyrenaica ha fatto credere a parecchi Autori ad una affinità sua colla Capra caucasica e il Lydekker (op. cit.) nella tavola dicotoma delle specie del genere Capra le riunisce in un unico gruppo: “A) Horns, perverted “homonymous, forming a double curve, “ with the extreme tips turning upwards ,. Ora la Capra py- renaica (0. hispanica), per il carattere della posizione dei fori palatini, è quella che più si avvicina alla Capra ider. Ad essa si mostra anche assai affine per il relativo minor sviluppo della barba dei maschi e per la non infrequente presenza dei Wor- miani palato palatini (confr. L. Camerano, Contributo allo studio dei Wormiani palato palatini e dei Wormiani medio palatini di Calori nei mammiferi, “ Boll. Mus. Zool. An. comp. Torino ,, vol. XXX, n. 706 (1915)), mentre tali ossa non le ho osservate nei cranii di nessuna delle specie del secondo gruppo: nè altri, che io sappia, li ha trovati. La Capra sibirica nella chiave dicotoma del Lydekker viene a trovarsi per la forma delle corna nello stesso gruppo della C. iber: * B) Horns heteronymous, more or less scimitar-like, | DELLA POSIZIONE DEI « FORI PALATINI », ECC. 569 .« and knotted or knobbed in front, with the tips turning down- “ wards; beard long and restricted to chin ,. Per la posizione dei fori palatini la Capra sibirica maggiormente si allontana dalla C. ibex per avvicinarsi spiccatamente alla C. aegagrus. La stessa cosa si dica per la C. nudiana, che per la posizione dei fori palatini deve entrare nello stesso gruppo della ©. dex, mentre la forma più compressa lateralmente delle corna la fanno simile alla C. sidirica. I cranii delle varie specie di Capre selvatiche, confrontati fra loro, tenendo conto della divisione in due gruppi da me pro- posta, concedono le osservazioni seguenti: Lacrimali. — Nella Capra ibex il margine del lacrimale, che è in rapporto colla fontanella “ fronto-naso-maxillo-lacrimale ,, è generalmente incavato nella sua metà posteriore per modo che la fontanella in questa regione riesce notevolmente larga e di forma grossolanamentre triangolare. Inoltre la parte ante- riore del lacrimale si protende anteriormente a ricoprire, per un tratto più o meno lungo, il mascellare superiore nel suo margine in rapporto col nasale. Ciò si osserva pure nella Capra pyrenaica (C. hispanica), nella Capra nubiana e nella Capra walie, vale a dire in tutte le specie del 1° gruppo. Nella C. sibirica il margine sopradetto del lacrimale è spiccatamente convesso per modo che la fontanella “ fronto-naso-maxillo-lacrimale , si trova ridotta a forma di fessura relativamente stretta coi margini quasi paralleli. La convessità del margine sopradetto del lacrimale si fa anche più spiccata nella Capra caucasica, dove la fontanella sopra nominata, sebbene un po’ più larga che nella C. sibdirica, tuttavia presenta in complesso lo stesso disegno. Nella Capra aegagrus e nelle Capre domestiche il margine del lacrimale in questione 0 è quasi rettilineo, o leggermente incavato per modo che la fontanella “ fronto-naso-maxillo-lacrimale , è notevol- mente più ampia e di forma grossolanamente rettangolare, al- lungata. A rendere più ampia la fontanella contribuisce anche il fatto che nella C. aegagrus e nelle C. domestiche il lacrimale non si estende nella sua parte anteriore a coprire il mascellare superiore, che rimane così direttamente a contatto per un tratto più o meno lungo colla fontanella stessa. Da quanto si è detto segue che.i rapporti reciproci del la- crimale e del mascellare superiore in riguardo alla fontanella & vo CMPS “e La A0F2 i 570 LORENZO CAMERANO conferiscono alle specie dei due gruppi un facies particolare, che parla in favore del ravvicinamento delle diverse specie nei gruppi stessi, determinati dalla diversa posizione dei fori palatini ri- spetto alla sutura maxillo palatina. Se ai due gruppi in questione si debba dare valore di ge- neri, 0 di sottogeneri di un unico genere credo sia questione di minore importanza, poichè nell’accogliere l’uno o l’altro partito hanno larga parte i convincimenti personali del classificatore circa alla minore o maggiore larghezza da attribuirsi alle divi- sioni tassonomiche sopradette. Pare a me che le specie selvatiche di stambecchi e di capre siano molto affini fra loro, come dimostrano anche i facili e fe- condi incrocii che si possono ottenere fra alcune di esse, credo perciò di conservarle nell'unico genere Capra Linn., che potrebbe venir diviso in due gruppi: A e 5, come sopra è già stato detto, col valore di sottogeneri. I caratteri deducibili dalla forma delle corna concorrono in seno a ciascun gruppo cogli altri caratteri a diagnosticare le varie specie, presentando nella loro forma dei probabili fenomeni di convergenza fra le specie dei due gruppi stessi. Le specie ora ammesse nel genere Capra Linn. sono le se- guenti: 1° Capra caucasica Gildenst.; 2° Capra severtzowi Menzb.; 3° Capra pyrenaica Schinz., C. hispanica Schimper; 4° Capra ibex Linn.; 5° Capra sibirica Meyer; 6° Capra nubiana F. Cuvier; 7° Capra walie Riippel.; 8° Capra hircus Linn.; 9° Capra Fal- conerì Wagn. Esse si possono dividere in due sottogeneri, caratterizzati, come sopra è stato detto, dalla posizione dei fori palatini: A) Euibex. — 1° ibex Linn.; 2° pyrenaica Schinz., hispa- nica Schimper; 3° nubiana F. Cuvier; 4° walie Riippel. B) Eucapra. — 1° sibirica Meyer; 2° caucasica Giildst.; 3° aegagrus Gmel. (C. hircus Linn.) e Capre domestiche; 4° Fal- coneri Wagn.; 5° (?) severtzowi Menzb. Sono da studiarsi meglio e da discutersi le numerose sotto- specie che gli Autori moderni assegnano a varie di esse. Di ciò avrò occasione di occuparmi in un altro lavoro. Vigy14 \ Big. 20 bo i | ‘DELLA POSIZIONE DEI < FORI PALATINI, ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Le figure, salvo indicazioni in contrario, sono di grandezza naturale). W n ig. 1. Palatini di maschio adulto di Capra ibex Linn. — Alpi piemontesi. ” 2. » ” ” ” ” » 3. n ” » n n ni ba 4 È 4 di Capra pyrenaica Schinz. (0. p. hispa- sil nica Schimp.). — Sierra Nevada. Si peo. È A di Capra pyrenaica Schinz. (C. cabrerae Camer.). — Sierra Morena. deh É è di Capra nubiana F. Cuvier. — Nubia. mi È femmina adulta di Capra nubiana F. Cuvier (C. nubiana i sinaitica Hempr. e Ehrembg.).— Sinai. resi Ba. 8 x maschio adulto di Cupra sibirica Meyer (C. sibirica wardi Lydek). — Ghiacciaio del Baltoro. di Capra walie Riippelll — Simien — Abissinia (da una fotografia cortese- mente avuta dal dott. Oldfield Thomas del Museo Britannico). 16. L - di Capra caucasica Giildt. (C. caucasica cylindricornis Blyth.). — Caucaso. (Nelle figure seguenti: 7, lacrimale — »m, mascellare superiore i, intermascellare — n, nasale — f, frontale). Fig. 17. Capra domestica. — Alpi piemontesi (femmina adulta). 18. Capra pyrenaica (C. cabrerae). — Sierra Morena (maschio adulto). » 19. , iber. — Alpi piemontesi (maschio adulto). n 20. , sibirica. — Norin (maschio adulto). »s 21. , caucasica cylindricornis (maschio adulto). a 22. , «egagrus. — Persia (maschio adulto). —_ » 23.» ibex. — Alpi piemontesi (maschio vecchio). > » 24 » «aegagrus. — Persia (maschio adulto). . Ata » 25. Capra domestica. — Eritrea (femmina). ‘ s- _ x, 26. Capra pyrenaica hispanica. — Sierra Nevada (maschio adulto). 27. x caucasica cylindricornis. — Caucaso (maschio adulto). 28. , nubiana. — Nubia (maschio adulto). a 29. , sibirica. — Naryn (maschio adulto). Babi avoir ; 4 31. , ibex. — Alpi piemontesi (maschio vecchio). 572 G. CHARRIER [drolisi degli antrachinonarilidrazoni con acido solforico. Nota di G. CHARRIER In una nota precedente (') ho studiato l’azione della solu- zione eterea di acido nitrico sul cosidetto benzolazoantranol, dimostrando come questo supposto ossiazocomposto debba venir considerato come antrachinonfenilidrazone, poichè viene idroliz- zato dall’acido nitrico in nitrato di fenilidrazina e antrachinone secondo lo schema I 0) % dix a S oa "A ari bg n e 3 | | | | "EFO! >» | | | | + CsHsNH . NH, . HNO; SRI Wa N-NHC,H; Tale idrolisi prodotta dall’acido nitrico in soluzione eterea che caratterizza il benzolazoantranol come fenilidrazone, poichè un azocomposto avrebbe fornito per diazoscissione normale del suo nitrato, nitrato di fenildiazonio e nitroantranol (o il tauto- mero nitroantrone) secondo lo schema OH OH “ di dr È Rca, ni Sed ne È +N—-NHs.H350, NENZINZ RIG: Ne N(CHj 7 tezza il punto di fusione, e soltanto potei constatare che la. sostanza leggermente resinificata si fondeva nell'acqua bollente. Torino, Istituto Chimico della R. Università, Febbraio 1916. ;92 GIOVANNI ISSOGLIO Sopra un nuovo metodo per l’analisi dei grassi ipranciditi. Nota del Dr. GIOVANNI ISSOGLIO. È noto che tutti i principii alimentari di natura organica che costituiscono nel loro insieme gli alimenti qual più, qual meno, sono suscettibili di alterazioni; così gli albuminoidi se si trovano in determinate condizioni di umidità e di temperatura, alla presenza di speciali microorganismi subiscono la fermenta- zione caratteristica detta putrefazione; i carboidrati a peso mo- lecolare basso sono attaccati dai fermenti con formazioni di sostanze svariatissime; i grassi a loro volta pure vanno incontro a modificazioni profonde, le quali oltre a scinderne il complesso edificio molecolare, si riverberano molto sensibilmente sui ca- ratteri organolettici dei grassi stessi. Come per tutti gli altri principii organici alimentari così anche per i grassi, lo studio di queste modificazioni concorre in modo specialissimo all’apprezzamento del grado o della misura dell’alterazione, cui il grasso è andato incontro. Da tempo immemorabile col nome generico di irrancidi- mento è compreso nel linguaggio tanto famigliare, quanto scien- tifico, tutto quel complesso di alterazioni che si succedono ed avvicendano nei grassi, in virtù delle quali, i medesimi vengono ad assumere colore odore sapore e consistenza notevolmente diversi da quelli dimostrati prima dell’inizio dell’alterazione. Tale trasformazione dal punto di vista alimentare si effettua sempre per lo più in senso peggiorativo, per cui mentre prima di irrancidirsi il grasso poteva costituire un alimento pregevole e delicato, ad irrancidimento iniziato o progredito lo stesso grasso diventa, per i pessimi caratteri organolettici di cui viene ad es- sere fornito, assolutamente inadatto ad uso alimentare. Sino ad ora il miglior criterio per giudicare e concludere intorno alla rancidità dei grassi era quello fornito dai sensi. # SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 589 Pare dimostrato infatti che il loro indice di acidità da molti proposto per tale scopo non sia sufficiente per distinguere quelli sani, da quelli irranciditi, poichè spesso molti grassi che al sa- pore sarebbero condannevoli, presentano ancora, ciò non ostante, un numero di acidità basso e pressochè normale. L’acidità che accusano i grassi è dovuta infatti a due cause: nei grassi freschi agli acidi grassi liberi a peso molecolare alto, insolubili in acqua e quindi non avvertibili dai sensi; nei grassi irranciditi a questi stessi acidi grassi liberi di alto peso mole- colare, cui si aggiungono inoltre gli acidi organici a peso mole- colare basso sviluppatisi in seguito all’irrancidimento, i quali per essere solubili in acqua hanno la proprietà di essere avver- tibili facilmente dalle papille gustatorie, anche quando si trovano in piccola quantità. Ne viene che un grasso con elevato numero di acidità in- solubile può non essere rancido, mentre un altro grasso con numero sensibilmente minore di acidità insolubile, ma nel quale già si svilupparono piccole quantità di acidi solubili, deve essere ritenuto rancido, per quanto il suo indice di acidità totale sia ancora inferiore a quello del grasso precedente. Un criterio di apprezzamento che si fonda però esclusiva- mente sovra i caratteri organolettici di una sostanza alimentare appare fallace, perchè esso varia da individuo ad individuo ed è lasciato troppo all’arbitrio di chi deve esprimerlo, i sensi po- tendo anche trarci in inganno. Inoltre se i sensi possono rendere manifesta l'alterazione, non potranno mai darcene l’esatta misura, appunto perchè questi, a seconda degli individui, presentano sempre maggiore o minor delicatezza. Diventa perciò indispensabile che l’azione dei sensi, già di per sè utilissima, sia integrata con saggi destinati a porre in evidenza, oltre al predetto indice di acidità, quelle decomposizioni molecolari di cui sopra si è fatto cenno, che si verificano ed avvicendano nei grassi sin dall'inizio, per opera dell’alterazione che si vuol non soltanto rilevare, ma misurare. È cosa nota infatti che l’irrancidimento non fa soltanto aumentare alquanto l’indice di acidità dei grassi, ma fa variare anche la composizione chimica di essi, perchè gli agenti fisici, chimici e biologici di distruzione attaccano’ in special modo i Atti della R. Accademia — Vol. LI. 38 » hg 399 vere 584 GIOVANNI ISSOGLIO doppi legami dei radicali acidi non saturi eterificati colla gli cerina, facendo in tal modo diminuire il numero dello jodo. È risaputo altresì, secondo Lewkowitsch, che i grassi rancidi pre- sentano un numero di acetile più elevato dei corrispondenti grassi freschi, sia che si formino dei mono- e digliceridi in re- lazione colla saponificazione trigrada delle sostanze grasse, sia che abbia luogo la trasformazione dell’acido oleico in acido 0s- sistearico in seguito ad ossidazione. Questi dati analitici sono tutti utilissimi nei casi di contestazioni, però riescono meno utili nella pratica, perchè richiedono operazioni piuttosto lunghe, che non sono sempre applicabili in quei laboratorii in cui si devono giudicare campioni molteplici di grassi in breve volgere di tempo. Questa è la ragione per la quale io ho cercato di ottenere un nuovo indice per i grassi sani ed alterati, col quale sia dato di mettere in evidenza anzitutto se un grasso ha subìto avarie ed in caso affermativo dare la misura dell’entità delle avarie stesse subìte da detto grasso in causa della cattiva conservazione. Non è mio compito qui rifare la storia di tutti gli studi che si sono eseguiti intorno all’irrancidimento dei grassi, però non credo sia inutile riunire in un breve quadro le idee, che vennero emesse circa gli agenti di alterazione dei grassi, poichè si vedrà che questi agenti medesimi rappresentano un fattore importantissimo a seconda delle modalità, colle quali si svolge la loro azione, per le decomposizioni che avvengono in seno ai grassi stessi. Molti autori preferiscono attribuire la causa di queste alte- razioni ai microorganismi, che attaccano i grassi favorendo la loro saponificazione per opera delle lipasi contenute nelle loro cellule e la ossidazione in causa delle ossidasi secrete da questi stessi fermenti figurati. Di questa opinione sono Fermi (1), Wirchow (2), Amthor (3), Reinmann (4). Al contrario Spith (5), avendo os- servato che i grassi sterilizzati a 150° subivano l’irrancidimento per azione della luce, del calore e dell'ossigeno dell’aria, mette (1) “ Archiv fiir Higiene,, 1890, 20, 1. (2) ©“ Repertorium der anal. Chemie ,, 1886, p. 489. (3) “ Z. fiir analyt. Chem.,, 1899, 38, 19. (4) “ Centralblatt fiir Bakter.,, 1900, 6, pp. 131, 166, 209. (5) “ Z. fir analyt. Chem.,, 1896, 35, 471. | i SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 585 in dubbio che necessiti la presenza dei microorganismi, perchè avvenga la alterazione dei grassi. Di questa idea è anche Du- claux (1), il quale avrebbe obbiettato che i microorganismi non possono avere alcuna azione sopra i grassi, privi di sostanze albuminoidi e privi di acqua, perchè a questi esseri viventi viene a mancare il naturale nutrimento del protoplasma, onde soltanto all’ossigeno dell’aria, alla luce ed al calore devonsi at- tribuire le cause dell’irrancidimento. Del medesimo parere sa- rebbe ancora il Ritsert. D'altra parte si sa che la luce può produrre in presenza dell'ossigeno numerose ossidazioni, essendo note per le ricerche del Papasogli (2) le ossidazioni che in causa della luce subiscono gli olii vegetali ed animali e parimenti gli olii essenziali. In questi ultimi anni le esperienze di D. Berthelot e Gau- dechon (3) dimostrarono l’influenza grandissima che presentano le radiazioni ultraviolette nella decomposizione fotolitica delle so- stanze organiche, specialmente di quelle non sature ricche di numerosi doppi legami. Se però si pensa che le alterazioni dei grassi sempre si verificano quando la loro conservazione non fu accurata, cioè quando furono abbandonati alla mercè degli agenti fisici, chi- mici e biologici, si può ammettere che l’irrancidimento sia da attribuirsi a tutti questi fattori aventi azione comune o si- multanea. All’azione dei microorganismi infatti coadiuvati dall’aria, dall'umidità, dalla luce e dal calore si deve l’irrancidimento dei grassi, poichè queste sostanze in pratica mai si conservano ste- rilizzate, o fuori del contatto dell’aria in ambiente oscuro, secco e freddo, ma invece per lo più si tengono in recipienti comuni alla luce diffusa, a temperatura ordinaria in contatto coll’aria nella quale si trova l’ossigeno, il vapor acqueo ed il pulviscolo atmosferico. Stando così le cose si capisce che non si può negare l’azione di uno piuttosto che l’altro agente a causare l’irrancidimento, ma tutti devono essere accettati. (1) Le lait, Paris, 1887. (2) © Stazioni sperim. Agrarie ,, 1899, pp. 485-487. (3) £ Revue générale des sciences ,, 1911, XXII, pp. 309, 322. 556 GIOVANNI ISSOGLIO Alcuni di questi fattori possono bene, è vero, accelerare la velocità di reazione e di decomposizione dei grassi, come av- viene specialmente in causa della luce e del calore, per cui è naturale che si abbiano grassi conservati da lungo tempo al riparo da questi agenti fisici, i quali presentano dei caratteri di conservazione migliore di quelli che, pur datando da un tempo minore, furono esposti ai raggi solari, i quali, come è noto, hanno una viva azione calorifica e fotochimica. Studii interessanti dimostrano, come la presenza di metalli, di ossidi e sali metallici nei grassi possa accelerare la loro decomposizione. Essendo però nel nostro caso di maggiore importanza esa- minare quali solo le sostanze che si producono durante l’irran- cidimento, perchè esse ci serviranno maggiormente per i loro caratteri chimici a decidere intorno all'entità di alterazione di un grasso, così ritengo sufficiente questo breve cenno delle cause che producono detta decomposizione e mi occuperò delle reazioni chimiche, che portano alla scissione dell’edificio molecolare dei gliceridi, che costituiscono le sostanze grasse. Langbein e Stohmann (1) colle loro numerose ricerche ca- lorimetriche stabilirono, che le sostanze grasse che subirono l’irrancidimento ebbero a soffrire una vera combustione lenta, poichè osservarono essi che il calorico di combustione nel ca- lorimetro è sempre minore per i grassi rancidi che per i grassi freschi. La differenza in calorie, dovuta alla ossidazione lenta che i grassi subiscono all’aria, è messa in chiaro da questi numeri, i quali esprimono le calorie sviluppate da 1 grammo di grasso: Buritotresoo Orio Impubao;:* 7:92.16 Onora ncido:t 10 panni: bD'IS7ii Grasso suino fresco . . . 9464 L vi OTRIeldo Ino 15 se I Durante questa lenta ossidazione, come accade per le so- stanze albuminoidi in putrefazione, si formano sostanze a peso (1) “ Journal firr prakt. Chemie ,, 1890, t. 41. 4 B SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 587 molecolare basso, le quali hanno dei caratteri chimici del tutto differenti dalle sostanze grasse che le originano. Tutti i grassi contenendo numerosi radicali acidi a doppi legami (acido oleico, acido ricinoleico) sono suscettibili di de- comporsi ed i prodotti che si formano in natura durante l'ir- | rancidimento sono uguali a quelli che si ottengono ossidando violentemente in vitro detti acidi od i loro gliceridi. I processi disintegranti del laboratorio, benchè siano in contrasto evidente con quelli naturali per le modalità con cui avvengono (essendo noto che questi ultimi si svolgono con mezzi blandi, a temperatura ambiente senza l’intervento di agenti chimici energici, mentre nel laboratorio le disintegrazioni sì pro- ducono per lo più a temperatura elevata con l’impiego di reat- tivi chimici potenti), tuttavia le sostanze chimiche che da queste reazioni si originano sono paragonabili. Emded (1) infatti aveva notato, che facendo agire il perman- ganato di potassio in determinate condizioni sopra l’acido oleico si formavano gli acidi diossistearico, pelargonico, azelaico e formico. Harries (2) ed i suoi allievi, Molinari (3) osservarono che trattando l'acido oleico in soluzione cloroformica o nel tetraclo- ruro di carbonio coll’ozono vengono fissati quattro atomi di ossigeno, ossia una molecola di ozono si attacca al doppio le- game ed il quarto atomo si collega al carbossile formando un perossido ozonato, il quale composto lavato con acqua contenente bicarbonato di sodio, perde un atomo di ossigeno trasformandosi nell’oconide normale. Il composto ozonato di cui sopra, fatto riscaldare a debole calore con acqua, sì decompone in aldeide pelargonica e semialdeide azelaica, con parziale ossidazione dei due prodotti così ottenuti: CH3.(CH?)".CH — CH .(CH?Y°CO3H + 2H20 = CH8(CH?2)"CHO + Nalli aldeide pelargonica 03 -— CHO(CH?)".COOH + 2H,0, semialdeide azelaica (1) * J. chem. Society London ,, 1898, t. LXXIII, p. 627. (2) Harrrrs e T'ateme, B., 1906, t. XXXIX, 2814; Harrigs, B.,id. id., p.3729; Harries e Tir, B., id. id., p. 3732. ‘(3) MoLimari, B., id. id., p. 2737. 588 GIOVANNI ISSOGLIO Queste sostanze medesime si formano in seguito all’irrancidi- mento dei grassi per ossidazione del radicale dell’acido oleico e degli acidi non saturi, che si trovano accanto a questo eterifi- cati nella molecola della glicerina. Così lo Scala (1) in seguito alle sue pregevoli ricerche intorno all’irrancidimento dei grassi avrebbe riscontrato, che le sostanze le quali caratterizzano questa alterazione sono i prodotti aldeidici accanto ad acidi volatili liberi corrispondenti a queste aldeidi, come si vede chiaro nel- l'elenco comparativo dallo stesso autore istituito: Acidi volatili liberi Aldeidi Formico st Butirrico Butirrica Caproico Caproica Enantilico Enantilica Pelargonico Pelargonica. Tutte queste sostanze che ho sovrascritto, all'opposto dei grassi, i quali sono molto stabili, insolubili in acqua e non trascinati dalla corrente di vapor acqueo se non in piccolissima quantità, tali sostanze, dico, sono, invece, solubili in acqua e fa- cilmente trasportati dal vapor acqueo, per cui distillando i grassi rancidi in corrente di vapore si ritrovano le aldeidi e gli acidi sovrascritti nel distillato, come d’altronde aveva già dimostrato lo Scala predetto. La presenza di questi composti aldeidici spiega perchè i grassi abbiano la proprietà di dare numerose reazioni colorate in presenza di fenoli e di sostanze condensanti, come l’acido cloridrico e l'acido solforico concentrato. Così si spiegherebbe la reazione del Kreis (2), secondo il quale i grassi rancidi sbat- tuti con una soluzione eterea di floroglucina ed acido cloridrico concentrato acquistano colorazione rossa vivace. Barbet e Jandrier (3) avevano dimostrato come molti fenoli, (1) “ Staz. agr. sperim. italiane ,, 1897, vol. 30, p. 613; “ Gazzetta chi- mica italiana ,, vol. 38 (1908), parte I, p. 307. (2) © Chem. Ztg.,, 1899, 23, 802; 1902, 26, 1014; 1904, 28, 956. (3) “ Comptes Rendus du 2° Congrès de chimie appliquée ,, Paris, 1896; Gigarp et Cuniasse, Analyse des alcools et des spiriteux, p. 129. i ea «1 k SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 589 in presenza di alcool contenente tracce di aldeidi, fossero capaci di dare per azione dell'acido solforico concentrato reazioni colo- rate, che variano a seconda della natura dell’aldeide. Istrati (1) ha osservato lo stesso fenomeno ed ha ampliato le stesse espe- rienze colle più svariate qualità di fenoli. Io ho sperimentato coi grassi rancidi e diversi fenoli ed ho potuto assicurarmi, che a differenza dei grassi freschi, che presentano quasi sempre reazioni negative, quelli alterati dànno con questi composti chimici reazioni colorate vivaci ed eviden- tissime. Le sostanze grasse da analizzare furono addizionate ad una soluzione satura benzolica dei seguenti fenoli o derivati feno- lici: Vanillina, resorcina, timolo; ad un cm3 della soluzione ben- zenica aggiunsi 10 gocce della sostanza grassa da saggiare e quindi un em? di acido nitrico ad 1.38: dopo un po’ di tempo agitando i liquidi si separano in due strati, che si presentano diversamente colorati a seconda che i grassi sono freschi op- pure alterati. Queste reazioni colorate ben inteso valgono spe- cialmente per gli olii di olivo genuini e per i grassi animali, che non siano stati addizionati di olii di semi, i quali, come è noto, colla reazione di Bellier (2) danno colorazioni viva- cissime : Reattivo Con acido nitrico D. 1.38 sciolto | r r — — Pmm6 x nel benzene liquido acido soluz. benzolica q + $ \ vanillina coloraz. rosso vinosa incoloro n'e . . . . 2 < resorcina b violetta violetto chiaro > noi ) : È . . . 2 = | timolo L rosso arancio giallo arancio 2° ( vanillina È rosea incoloro no ; - | 2 ‘ resorcina incoloro o legg.'° rosea a 5.5 È Ds | timolo coloraz. rosea 4 (1) £ Bulletin de la Société des sciences de Bucarest ,, 1898. (2) D. M. Maracarne, Contributo allo studio delle reazioni colorate fornite dagli olii di semi con alcuni fenoli in presenza di acido nitrico, * Giornale di Farmacia e Chimica di Torino ,, t. LXII, 1918. LL 590 GIOVANNI ISSOGLIO Sostituendo all’acido nitrico ad 1.38 l’acido solforico all'80%, D. 1.73 ed agitando, dopo pochi minuti si separano anche in questo caso due strati differentemente colorati: Reattivo Acido solforico D. 1.73 sciolto — —_ —_—— —r _——_—___t nel benzene liquido acido soluz. benzolica \ vanillina rosso vinoso incoloro (Grassi rancidi resorcina s cremisi rosso bruno | timolo s ranciato ranciato \ vanillina roseo giallo Grassi freschi < resorcina incoloro incoloro timolo giallo : Adoperando altri fenoli sì possono variare le colorazioni; tutto questo genere di esperienze è ancora totalmente inesplorato ed 10 credo che sia degno di studio. Per il caso mio sono suffi- cienti questi pochi saggi per dimostrare nei grassi rancidi la presenza di composti aldeidici. La metafenilendiamina ha anche azione sopra le aldeidi, assumendo in presenza di queste una tinta gialla più o meno intensa. Sopra questo fenomeno è fondata appunto la reazione di Schmid (1), per distinguere i grassi rancidi da quelli non alterati; ecco come opera l’autore: 20 gr. del grasso da saggiare si trattano con 100 cm? di acqua, in un matraccio a collo lungo collegato ad un generatore di vapore acqueo distillando in corrente di vapore. Si raccoglie il distillato in un matraccio da 100 cm?, nel quale si versarono, sino dall'inizio della distillazione, 5 grammi di una soluzione di ‘ fresco preparata all’1°/, di cloridrato di metafenilendiamina. Mentre i grassi freschi dànno colorazione appena giallognola. i grassi rancidi presentano un distillato che si colora intensa- mente in giallo sino al giallo bruno. Il reattivo può essere aggiunto dopo che il liquido è stato distillato ed allora la colorazione non avviene all’istante, ma dopo un po’ di tempo. (1) “ Zeitsch. fiir analytische Chemie ,, t. 73 (1898), p. 301. | PRazi TMC Ie 4, pre n° su A DI è P b] SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 501 La colorazione osservata dallo Schmid è data dalle aldeidi che si producono durante l’irrancidimento dei grassi, ma non è possibile di stabilire il quantitativo di aldeidi formatesi nel grasso in causa dell’alterazione, nè con questo saggio, nè colle proprietà caratteristiche del distillato, le quali si differenziano notevolmente, sia per i caratteri organolettici, avendo questo distillato proveniente dai grassi alterati sapore ed odore sgra- devoli, mentre quello derivante dai grassi freschi presenta il sapore e l'odore gradevoli degli olii da cui ha avuto origine, sia per il modo di reagire sul nitrato di argento ammoniacale. I grassi freschi invero, poche eccezioni fatte, di cui dirò in seguito, dànno un distillato, che non agisce menomamente sul nitrato di argento ammoniacale; invece il distillato ottenuto dai grassi rancidi riduce il nitrato di argento ammoniacale e la ri- duzione è tanto più intensa quanto maggiore è l’irrancidimento dei grassi sottoposti al saggio. La stessa proprietà riducente si osserva sopra altri reattivi, quali sono una soluzione diluita di bicromato di potassio in presenza di acido solforico, ed una so- luzione diluita di permanganato di potassio in acido solforico diluito. Da quest’ultima soluzione per i grassi intensamente ir- ranciditi si precipitano all'istante fiocchetti bruni insolubili, mentre per i grassi lievemente alterati il permanganato violetto prende colorazione rosso bruna. Se pertanto si trasforma quest’ultima reazione qualitativa del distillato in una reazione quantitativa, sì otterrà un numero od indice nuovo, che accanto all'indice di acidità od al numero di Hiibl, ci servirà a giudicare della alterazione dei grassi, ciò che riuscirà utilissimo tutte le volte che si dovrà dare un giu- dizio intorno al loro uso sia nell’alimentazione, sia nell’industria, sia nella farmacia. Attualmente mi occupo soltanto di applicare questo nuovo indice ai grassi adoperati nella alimentazione, riservandomi di trattare fra breve dei grassi adoperati nella farmacia e nelle preparazioni farmaceutiche. Questo nuovo indice, che io chiamo numero di ossidabilità dei grassi, è la quantità espressa in milligrammi di ossigeno necessaria per ossidare i composti organici distillabili col vapor acqueo e contenuti in 100 grammi di grasso. sur" ni ne a 592 GIOVANNI ISSOGLIO Determinazione del numero di ossidabilità dei grassi. Per determinare il numero di ossidabilità dei grassi oc- corrono i seguenti reattivi: 1° Acqua distillata che non riduca il permanganato di potassio, preparata nel modo che è detto nel Traité d’analyse chimique quantitative, R. FRESENIUS, trad. francese Gautier (1900), p.llo; 2° Una soluzione di acido solforico al 20 9/o. r . ; o - N a 3° Una soluzione di acido ossalico TE la quale, come è noto, si ottiene sciogliendo in un litro di acqua distillata 0.63 di acido ossalico puro e cristallizzato, disseccato prima dell’uso a temperatura ordinaria fra carta da filtro. La soluzione di acido ossalico si conservi in boccia di vetro a smeriglio ed allo scuro. 4° Una soluzione di permanganato di potassio n, otte- nuta disciogliendo gr. 0.3163 di sale puro in 1000 cm? di acqua distillata pura; questa soluzione deve corrispondere cm? a cem? alla soluzione di acido ossalico sovraccennata. Gli apparecchi necessarii per eseguire il saggio sono i seguenti: a) Un apparecchio a distillazione in corrente di vapore, costituito da una caldaia in rame stagnato della capacità di circa due litri munita di un imbuto a rubinetto, per il quale si in- troduce nella caldaia dell’acqua distillata, e di un tubo di svi- luppo che sta in comunicazione per mezzo di un tubo di vetro piegato a squadra con un matraccio della capacità di circa 800 em? a collo lungo, munito di un tappo di sughero con due fori, per uno dei quali passa il predetto tubo di vetro, che pesca sino in fondo al matraccio, per l’altro foro passa un secondo tubo di vetro più corto piegato a squadra, che viene a comu- nicare con un refrigerante Liebig. 5) Una bevuta della capacità di circa 350 em', che si collega con una chiusura a smeriglio ad un refrigerante a bolle, che serve per riscaldare a ricadere. c) Palloni tarati da 100 cm', pipette tarate da 10-50 emì, burette graduate da 50 cm? divise in -decimo di em?. SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 593 Esecuzione del saggio. — Grammi 20-25 di grasso pesati esattamente si introducono nel matraccio a collo lungo predetto con em* 100 di acqua. Il matraccio si collega alla caldaia generatrice del vapore . da una parte ed al refrigerante dall'altra e si inizia la distil- . lazione in corrente di vapore, procurando di condurre l’opera- zione con una certa energia. Si raccolgono 100 em? di distillato in-10°. | Il distillato si rende ben omogeneo agitando, indi se ne prelevano 10 cm, che si versano nella bevuta con svasatura a smeriglio (5) insieme a 50 cm? di acqua distillata, 10 em? di acido solforico al 20 °/) e 50 cm? esattamente misurati di per- s06° Si collega quindi la bevuta al refri- gerante a bolle e si riscalda a ricadere la miscela sovrade- scritta; appena si inizia l’ebullizione del liquido, si continua a riscaldare ancora per 5’, dopo il qual tempo si smette il riscal- damento e si lascia raffreddare alquanto, staccando la bevuta dal refrigerante. In detta bevuta si versano allora 50 cm3 della soluzione N 100 Il liquido dopo alcuni secondi si fa limpido e perfettamente incoloro; allora si aggiunge a goccia a goccia agitando la so- manganato di potassio titolata di acido ossalico agitando. - : : Iena È luzione di permanganato di potassio 100 SINO 2 colorazione rosea debole e permanente. La quantità di permanganato di potassio adoperata in quest’ultimo caso corrisponde esattamente al permanganato oc- corso per ossidare le sostanze organiche distillabili in corrente di vapor acqueo dal grasso preso in esame e contenute nella decima parte del peso di grasso saggiato. Si deve ripetere il saggio che abbiamo descritto nuovamente per una prova in bianco operando con 10 cm3 di acqua distillata in luogo del liquido di distillazione ottenuto dai grassi colla corrente di vapor acqueo. Siano N il numero di em? di permanganato di potassio cen- tinormale, necessarii per ossidare le sostanze organiche conte- nute in 10 em? di distillato ottenuto colla corrente di vapor acqueo dal peso P di grasso. 594 GIOVANNI IS:OGLIO Siano » il numero di cm? di permanganato occorsi per la prova in bianco. Il numero di ossidabilità del grasso X, che esprime i milli- grammi di ossigeno necessarii per ossidare i composti organici distillabili col vapor acqueo e provenienti da 100 grammi dì grasso, sarà dato dalla seguente espressione: i (N— n) 80 | P Avendo applicato ad un numero non indifferente di grassi il saggio descritto, son venuto nella convinzione che non tutte le sostanze esaminate si comportano alla stessa stregua, perchè ad esempio mentre per l’olio di oliva, di sesamo, di arachidi ed altri, il numero di ossidabilità, quando si tratta di prodotti sani, è molto piccolo, oscillando fra 6-7 e non arrivando mai a 10, per quei grassi, i quali contengono prodotti solforati e riducenti, come avviene per l'olio di cotone e per l’olio di semi di cru- cifere, il numero di ossidabilità è molto maggiore anche quando il grasso è sano e normale. Ecco perchè, avendo notate alcune divergenze alle regole costanti, che credo di aver osservato nei grassi esaminati, ritengo opportuno trattare separatamente di ognuno di essi, fermandomi in special modo sovra quegli olii di semi, che possono servire a sofisticare l’olio di oliva, facen- done variare i caratteri abbastanza costanti. Olio di oliva. — Gli olii di oliva esaminati sono di varia provenienza: quelli sani normali ed eccellenti per uso alimen- tare presentano un numero di ossidabilità molto basso, all’in- contro quelli rancidi ed alterati dànno lo stesso indice piuttosto elevato, come è dimostrato dai seguenti numeri: Olii di oliva sani. Provenienza di Divina di aoidità delta jo 1° Liguria (Bordighera) . 710 8.59 82.04 do } (Portomaurizio). 10.42 4.63 81.47 3° È (Cervo)ientana 4 8.54 4.78 83.20 4° ; (Oneglia). . . 6.30 3.84 82.20 postPoscana) (i. 'dg Rat 3.20 2.05 81.98 ec “er — ——— m——10@m—1——r_ __—r_o——_——_—©_ - Segue Oli di oliva sani. Provenienza di siate abilità ai ncidità acli joa o SATO |. 6.12 3.27 83.12 N° A pi i alert 5.483 2.98 91.43 BRUPUSTe N (Bari) 9 ac00 3 4.72 3.84 83.25 9° 1a È Seni Di ddr 4.58 4.72 81.28 muerte 13 pInde, ol 7.12 5.82 84.42 lai, 1,10 CO sd edit dl ail Sasaroden 5.30 4.753 81.28 12° s e lie aida 6.30 1.88 80.45 agi Sip ST: it ne ARE Ce Po 5.40 Oo 80.88 14° Turchia (Ayvaly). . . 599 4.88 81.45 A i TI) A i Ae 7.80 d.07 83.48 Olii di oliva rancidi. lignotan nibeuri fx bario 28.45 18.56 76.42 leda suria(faòi otti 59.10 11.63 66.38 Elena scusi olicralezioni 43:86 15.09 71.40 E nl sims 100 0tno0s 65.07 17.49 62.74 i oscanainenatunidife ni 18.92 6.51 79.64 pe iubegiriagt isubizi. oncaso 14.62 .82 79.80 Come ho detto, dai dati sovrascritti si deduce che gli oli di oliva freschi e sani presentano un numero di ossidabilità non superiore a 10; se invece il grasso presenta già ai caratteri organolettici qualche imperfezione, come la mancanza di colore accompagnata ad odore e sapore poco gradevoli, allora è facile trovare in esso un numero di ossidabilità superiore alla norma sovraccennata. Per dare dei limiti di tolleranza, qualora si do- vesse giudicare se un grasso è alterato oppure sano, credo si debba accettare il numero di ossidabilità uguale a 15; oltre questo limite, secondo le mie esperienze, si deve affermare che x "> l'olio di oliva esaminato non è più commestibile. Occorreranno però altre esperienze di altri autori, per rendere più probativa questa mia affermazione dedotta dall'esperienza. Inoltre, perchè quanto ho esposto sia vero, è necessario che l'olio di oliva sia genuino e non adulterato con altri olii. Specialmente da pren- SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 595 ACEA 596 GIOVANNI ISSOGLIO dersi in considerazione sono gli olii di oliva rancidi riportati al n. 1 e 2 appunto per il diverso modo, secondo il quale è avvenuto l’irrancidimento, stando essi ad attestare che da questo dipende la quantità di composti aldeidici riduttori, che si pos- sono formare nel grasso. L'olio di oliva n. 1 mi venne favorito con altri campioni di grassi dal prof. Guareschi (della qual cosa lo ringrazio infinita- mente). E un campione di olio rancido, pochissimo colorato e da più di trent'anni conservato allo scuro negli scaffali del laboratorio di chimica farmaceutica della R.à Università. L'olio d'oliva n. 2 deriva invece da un campione di olio sano da me fatto irrancidire dopo averlo esposto per varii mesi tanto ai raggi diretti del sole quanto alle intemperie. Nel primo caso si nota la formazione di un maggior quan- titativo di acidi accanto ad una lieve quantità di aldeidi volatili; nel secondo caso invece, ad un minore indice di acidità corri- sponde un maggior numero di ossidabilità, in correlazione con un più forte quantitativo di aldeidi. La luce solare in comunione coll’umidità e coll’aria atmo- sferica, hanno in un paio di mesi accelerato pressochè del doppio l’irrancidimento del grasso, in confronto col campione che da trent'anni si conservava allo scuro in ambiente asciutto. Donde si scorge, come gli agenti fisici possono influenzare assai la decomposizione dei grassi, come hanno tentato di dimostrare i molti preclari chimici già ricordati, Olii di semi. — Anche per molti olii di semi commerciali sì può accettare come limite massimo di ossidabilità il numero di 15, oltre al quale si deve dichiarare il grasso alterato per irrancidimento, come vien dimostrato dalla seguente tabella : Numero Indice Numero di ossidabilità di acidità dello jodo Olio di arachide Cambie (extra). 9.72 1.21 95.88 PALLA 0 Rufiske (extra) . 2.97 3.12 96.42 a" 3 (legg.'° rancido) 11.24 6.18 94.77 Olio:di SusamRo vintiesarato» 21] 9.72 2.09 106.20 » » 7 SPLEST TMPEIOI 4.84 3.27 108.32 n LI (legg.'* rancido) 9.85 5.72 105.43 Olfo Ali's0ja! LIOEIORA. OrTREROD: 4.84 3.14 121.74 34 ">, ‘(lepeltePancido) RES 8.17 120.15 i sila cal dae SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 597 Olii di semi di Crucifere. — L'esperienza dimostra che gli olii ricavati dalle erucifere non seguono le regole che abbiamo ‘accennato per il numero di ossidabilità in riguardo all'olio di oliva e gli altri olii sovrascritti. Eseguii alcuni saggi sovra gli olii di ravizzone e di colza, i quali se sono ben depurati, come è noto, possono anche servire all’alimentazione umana, ma se non sono ben depurati presentano un sapore ed un odore sgra- devoli, che impedisce che i medesimi vengano utilizzati per tale scopo. Gli olii sottoposti ad analisi erano di diverso valore com- merciale, essendo più o meno ben depurati. Il loro distillato aveva odore che ricordava l’essenza di rafano e riduceva il ni- trato di argento ammoniacale. Avendo distillato 50 grammi di grasso col vapor acqueo, addizionai il distillato con una certa quantità di acido cloridrico, scaldando in presenza di clorato di potassio. Evaporai il liquido quasi a secco riprendendo il residuo con acqua distillata e trat- tandolo con cloruro di bario. Notai la formazione di un preci- pitato pulverulento di solfato di bario, il quale è dovuto senza dubbio alla presenza di prodotti solforati trasportabili col vapor acqueo. Questi prodotti solforati che con tutta probabilità sono da assimilarsi all’isosolfocianato di allile del rafano e dell'essenza di senape od all’isosolfocianato di isobutile della coclearia, hanno, come dissi, azione riducente sul nitrato di argento, azione che si fa sentire anche sovra il permanganato di potassio. Si com-. prende quindi facilmente, come il distillato che proviene dai semi di crucifere presenti un numero di ossidabilità piuttosto elevato in relazione col quantitativo di prodotti solforati che essì contengono. Stretta connessione esiste fra il numero di ossidabilità degli olii di semi di crucifere colla reazione di Schneider, la ‘quale consiste, come è noto, nello sciogliere questi grassi nell’etere addizionando alcune goccie di una soluzione al 3°, di nitrato di argento, e con quella di Bechis o di Milliau, poichè allor- quando gli olii summentovati sono più raffinati, dànno queste reazioni assai debolmente e presentano in corrispondenza un numero di ossidabilità assai tenue. Onde si osserva che gli olii di semi di crucifere, che servono nell’industria oppure come 5098 GIOVANNI ISSOGLIO combustibili, essendo ricchi di prodotti solforati con sapore sgra- devole, hanno un numero di ossidabilità assai rilevante. All’in- contro gli olii raffinati con potere riducente debole, che servono per l'alimentazione umana, hanno un numero di ossidabilità che si avvicina a quello degli olii di oliva sani e commestibili. Ebbi gli olii analizzati dal Dott. S. Camilla, direttore del Laboratorio chimico delle gabelle, al quale porgo i miei vivi ringraziamenti. Ecco pertanto i risultati analitici: Semi ST: & , De Qualità dell’olio Numero Indice Numero da cui venne ERI RRUPEO RTS esaminata di ossidabilità di acidità dello jodo Colza per uso industriale 18.45 5.72 98.45 a 7 20.63 4.48 97.62 ; 22 qualità PIT 2 3.83 101.44 7 3 12.80 4.63 103.28 5 depurato 1199 5.42 97.98 - TESE, 10.80 4.97 99.42 , commestibile 8.50 3.28 103.25 Ravizzone industriale 15.27 5.47 102.44 ” commestibile 10.18 4.32 103.28 Benchè gli olii di semi di crucifere esaminati non debbano considerarsi alterati, perchè tutti presentano caratteri che non lasciano dubbio intorno alla loro buona conservazione, tuttavia quelli depurati presentano un numero di ossidabilità, che entra nei limiti ammessi per gli olit di oliva commestibili, mentre quelli adoperati per uso industriale il cui sapore ed odore non ne permetterebbero la commestibilità, hanno un numero di ossi- dabilità che supera 15 arrivando a 20 e più. Olii di cotone. — Quanto ho affermato per gli olii di semi di crucifere è anche vero per gli olii di cotone, poichè anche questi, come è noto, contengono piccole quantità di principii solforati non ancora ben conosciuti, i quali producono le reazioni di Bechi, Milliau, Tortelli e Ruggeri, reazioni che si fondano tutte sul potere riducente esercitato da queste tracce di pro- dotti solforati; anche per gli olii di cotone possiamo trovare alcune qualità così perfettamente raffinate da non dare le rea- zioni suaccennate che in modo appena sensibile. SOPRA UN NUOVO METGDO PER L'ANALISI, ECC. 599 Gli olii che dànno visibili e ben nette le reazioni sovrasceritte presentano anche un numero di ossidabilità piuttosto forte, quelli invece che danno queste reazioni appena visibili o negative hanno un numero di ossidabilità basso che si avvicina a quello degli olii di oliva sani e ben conservati. K. Fischer e Peyau (1) hanno studiato gli olii di cotone, e le cause che possono far variare le reazioni, cui ho accennato, come pure quella di Halphen, ed hanno osservato che distillando in corrente di vapore gli olii di cotone, si potevano trascinare col vapor acqueo piccole quantità di una sostanza gialla cristal- lizzata in aghetti e contenente circa il 10 °/, di zolfo. A questa sostanza solforata è dovuta l’azione riducente che il distillato acquoso ottenuto colla corrente di vapore sopra l’olio di cotone esercita sul nitrato di argento e sopra il permanganato di po- tassio in soluzione solforica. Si comprende quindi il perchè gli olii di cotone non raffinati presentano un numero di ossidabilità rilevante, mentre quelli che hanno subìto una buona raffinazione, essendo privi dei prodotti solforati descritti, abbiano un numero di ossidabilità molto basso. Olii di cotone. Reazioni Numero Indice Numero Contrassegno di Milliau, Bechi, di di dello Tortelli e Roggeri ossidabilità acidità jodo Sommer-0il 2% qual. intensamente positive 31.24 5.25 105.70 t 12 qual. positive 14.58 4.72 106.82 Winter-0il puro debolissime 7.85 3.78 110.43 Grassi animali. — Anche per questi grassi vale ciò che si è detto per gli olii di oliva e gli altri grassi che allo stato fresco presentano negative le reazioni di Milliau e di Bechi, ossia il numero di ossidabilità è debolissimo per i grassi freschi, mentre è elevato quando essi hanno subìto l’irrancidimento. Si può anzi osservare che il numero di ossidabilità è proporzionale alla intensità dell’alterazione dei gliceridi, che si considerano, ed è anche proporzionale alla quantità di oleina ossia di doppi (1) “ Zeitsch. fiir Unters. der Nahrungsmittel ,, 1905, t. IX, p. 81. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 39 600 GIOVANNI ISSOGLIO legami non saturi contenuti nei gliceridi medesimi, quando ben inteso si siano conservate costanti le condizioni di alterazione dei grassi esaminati. Quanto più il grasso fonde a temperatura bassa, tanto più profonda è la decomposizione del grasso. Numero Indice Numero di ossidabilità di acidità dello jodo Grasso di bue fresco . . . 5.20 1.82 38.35 n PR i 2 Te LI RIACE 50.85 13.40 20.85 si POTRO È BRE 39.27 6.85 28.42 È Pata i PACOI AI 27.72 5.04 30.30 Grasso di cavallo fresco . . 6.70 1.19 81.50 3 3 rancido. . 96.85 30.24 53.84 È ù P sei 78.15 24.72 76.45 I grassi di bue e di cavallo sovrascritti durante il tempo, in cui si è andata svolgendo l’alterazione, furono conservati nelle stesse condizioni di ambiente e temperatura e riesce evidente che quanto maggiore è il numero dello jodo del grasso preso in considerazione, tanto più profonda è l’aiterazione che nel medesimo si è prodotta e tanto più elevato riesce il numero di ossidabilità. Burro. — Il burro è una sostanza grassa, la quale, per quanto riguarda la sua alterabilità, si comporta in modo del tutto dif- ferente dai grassi sovraccennati, appunto perchè in questo tro- viamo una lieve proporzione di doppi legami ed il suo numero dello jodo oscilla fra 26-38, con una media di 33. Per questo indice si avvicina adunque al grasso di bue, perciò non può mai subire un irrancidimento con copiosa formazione di aldeidi ridut- trici, laddove invece si formano una certa proporzione di acidi volatili liberi accanto ad eteri volatili a peso molecolare basso, ciò che è messo in chiaro dai lavori di Amthor (1) e di Hen- seval (2). Mentre adunque nel burro rancido si eleva il numero di acidità, quello di ossidabilità si mantiene piuttosto basso; però anche per il burro questo indice ha una certa importanza. (1) “ Zeitsch. fiir anal. Chem. ,, 1899, 88, 19. (2) “ Revue gén. du Lait ,, 1903, p. 585. | i I i SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, ECC. 601 Di preferenza infatti il criterio, che ci guida a considerare il burro non vendibile per uso alimentare, come si legge nel regolamento di igiene di Torino, è appunto l’acidità: si ritiene irrancidito il burro che, avendo odore o sapore forti, abbia con- temporaneamente un grado di acidità maggiore di 6. Winckel (1) ha bensì istituito ricerche intorno alle altera- zioni del burro applicando in numerosi saggi la reazione acido cloridrico-floroglucina del Kreis, ma venne alla conclusione che i burri, i quali hanno subìto l’azione della luce senza che perciò siano irranciditi, si colorano in rosso con detto reattivo. Ecco perchè io credo riesca utile accanto all’indice di aci- dità del burro ammettere anche il numero di ossidabilità. In questi ultimi tempi ha assunto importanza, secondo le ricerche di Fischer e Guenert (2), l'azoto amidico contenuto nel burro in rapporto all’azoto totale di questo alimento. i’azoto amidico va aumentando col crescere della alterazione del burro. Nella determinazione della costante di ossidabilità del burro io ho potuto constatare che è meglio operare col burro quale viene in commercio, senza fonderlo prima, e poi filtrarlo per separare il grasso dalla parte acquosa, appunto perchè l’acqua che si separa durante la fusione trascina le sostanze riducenti e quindi si ha una diminuzione nel numero di ossidabilità. Si determina dapprima nel burro la sostanza grassa e poi sì riporta col calcolo il numero di ossidabilità al grasso privo degli altri costituenti. Un esempio servirà a chiarire il metodo da seguirsi. Un burro della Valle di Lanzo presentava la seguente com- posizione: de LIO PR e pn IMI Gai PARI 1 0 > E pr A lE PR INTE; 1 begeriai ile) Pe. Gr 0.15 MOSIADZa! AZOLaba iL. cura 0.52 | STO e RR 0.26 Indice burro refrattometrico a 35° 47 Numero Reichert Meissel . . . 28 (1) “ Zeitsch. f. Unters. Nahrungs- und Genussmittel ,, 1905, 9, p. 90. (2) Id., id., 1911, 22, 553. 602 GIOVANNI ISSOGLIO Vennero pesati gr. 25.637 di burro che furono sottoposti a distillazione con 100 cm} di acqua acidata con acido tartarico sino ad ottenere 100 cm? di distillato, come si è descritto avanti: N 100 di permanga- prelevati 10 cm, si ossidarono colla soluzione nato di potassio. 100 gr. di burro contengono 83,39 di grasso, quindi avendo pesato gr. 25.637 di burro, la quantità di grasso sottoposto al saggio per la determinazione del numero di ossidabilità sarà data dalla seguente proporzione: 100 : 83.39 = 25,637 : p= gr. 21.378. Questo valore deve essere adoperato nella formula (N— n) 80 p AG=> che ci dà il numero di ossidabilità del grasso. Ecco pertanto i risultati di alcuni prodotti naturali e freschi acquistati dal mercato : Provenienza del burro : Numero, 3 Andice < di ossidabilità di acidità Valle di ‘Lanzo... . 6.84 2.07 AMRidaziano MIRTO 4.62 1.84 Castellamonte . . . 3.54 1.72 Condove: «ret, 5.45 1.90 Il burro della Valle di Lanzo del quale ho dato la compo- sizione chimica, venne per parecchi mesi lasciato in una grossa capsula Petri a temperatura ordinaria ed alla luce diffusa. In esso si notavano via via i caratteri sempre più palesi dell’alte- razione: di dieci in dieci giorni sì prelevavano circa 25 gr. di burro esattamente pesati e sovra di essi si determinava il nu- mero di ossidabilità accanto all’indice di acidità: i dati ottenuti sono riportati nella seguente tabella: 10 Ottobre 20) L 30 Ri A 10 Novembre 20 - . 30 la : SOPRA UN NUOVO METODO PER L'ANALISI, Numero di ossidabilità 6.84 10.45 14.57 15.90 17.00 17.22 ECC. 603 Indice di acidità 2.07 ZO 5.10 LIPARI DIVO 9,12 Il numero di ossidabilità corre parallelo all'indice di aci- dità e quanto più aumenta quest’ultimo, tanto maggiore è il potere riducente del distillato; però il numero di ossidabilità non tende ad elevarsi in modo continuo, ma dopo un certo limite sì mantiene quasi costante in relazione col basso numero dello jodo presentato dal burro e quindi col debole contenuto in esso dei radicali acidi a doppio legame. Resta però assodato doversi dichiarare rancido un burro quando il suo numero di ossidabi- lità supera 15. Altri burri rancidi analizzati hanno dato i seguenti numeri : Provenienza del burro , Numero 4 Indice di ossidabilità di acidità (‘ondove 14.07 8.92 (Yiaveno Ice 9.47 Aosta 1". 16.28 SLO Milano. 19.23 11.07 Surrogati del burro. — Per i surrogati del burro, ossia per la margarina, l’oleomargarina, il burro di cocco e per la sugna valgono gli stessi criterii di analisi, che ho descritto per il burro. Ecco pertanto i risultati ottenuti con alcune sostanze com- merciali: quelle irrancidite presentavano tutti i caratteri dei grassi guasti, quindi colore sbiadito, odore e sapore sgradevoli: Oleo margarina fresca . Kunerol (burro di cocco) Burro di cocco Oleo margarina rancida bo] » ” Burro di cocco rancido . baepalifrenen gel. . | Numero di ossidablità 5.65 6.52 7.62 45.07 49.12 17.84 7.54 Indice di acidità 1.10 1525 » 604 GIOVANNI ISSOGLIO Anche per queste sostanze si può affermare che se il nu- mero di ossidabilità supera 15 devesi considerare il grasso irran- cidito, poichè i grassi che non presentano caratteri di alterazione così avanzati da farli ritenere non adatti alla alimentazione, presentano un numero di ossidabilità inferiore a 15. Fra le sostanze che possono servire a sofisticare il burro allo scopo di aumentarne gli acidi volatili, havvi anche la tria- cetina sintetica, che in seguito a saponificazione produce acido acetico volatile. Questa sostanza, a differenza dei gliceridi misti contenuti nel burro, è trascinabile in parte col vapor acqueo, onde un'oleo- margarina addizionata del 4 °/, di triacetina presenta un numero di ossidabilità uguale a 53.2. Quindi la determinazione del nu- mero di ossidabilità potrebbe anche servire a scoprire la sofi- sticazione del burro e surrogati colla triacetina, quantunque questo composto non sia stato adoperato molto al detto scopo, come ho già fatto osservare altra volta, appunto per il suo sapore ed il suo odore caratteristici. I grassi di cui ho trattato spesso si trovano intimamente mescolati agli alimenti, onde occorre soventi di doverli estrarre ed analizzarli per poter accertare il loro buono o cattivo stato di conservazione. Nel caso si volesse sopra questi grassi determinare il nu- mero di ossidabilità si tratta l’alimento in questione col doppio del suo peso di etere di petrolio scaldando a ricadere, indi si filtra, riprendendo ancora con nuovo etere di petrolio. i Dal filtrato si distilla l’etere di petrolio e dal residuo eva- porato a debole calore sino a scacciare tutto il solvente, si preleva un peso determinato P di grasso, sovra il quale si de- termina il numero di ossidabilità nel modo descritto. Questo numero è alquanto superiore a quello trovato pei grassi freschi e genuini; se quindi il grasso è alterato si otterrà un numero di ossidabilità superiore a 20, per i gliceridi ben conservati invece questo indice è inferiore a detto numero. Numero di ossidabilità Grasso estratto da alcuni dolci alterati e rancidi 28.87 ” A £ s non.alierati,, (.. 13.43 astratte ceri ita SOPRA UN NUOVO METODO DELL'ANALISI, ECC. 605 In conclusione i numerosi dati analitici che ho riportati, dimostrano l'opportunità di conoscere il numero di ossidabilità dei grassi per affidare ad espressione matematica il giudizio sull'entità delle alterazioni di queste sostanze, che sino ad ora sì può dire erano quasi unicamente giudicate alla stregua delle impressioni che le medesime producono sopra i sensi, i quali naturalmente possono essere fallaci, mentre non è fallace il giu- dizio che si può trarre da una determinazione ben eseguita, coi metodi tecnici che ho descritto. Chiamando numero di ossidabilità delle sostanze grasse la quantità in milligrammi di ossigeno necessaria per ossidare i prodotti volatili col vapor acqueo di 100 grammi di grasso, si ‘osserva in generale, poche eccezioni fatte, che questo numero di ossidabilità pei grassi alimentari freschi e normali oscilla fra 3-10, mentre per i grassi rancidi il numero di ossidabilità è assai superiore ed in linea generale se questo indice è supe- riore a 15 si può affermare che il grasso, che lo accusa, è alte- rato e rancido. Le esperienze eseguite credo siano sufficienti per far compren- dere, come riesca utile, fra i criterii che ci servono per giudicare della buona conservazione dei grassi, includere anche il numero di ossidabilità. Torino, Dal Laboratorio chimico municipale, Febbraio 1916. 606 EMANUELE QUERCIGH Su un notevole cristallo di gesso di Bellisio (Pesaro) ©. Nota di EMANUELE QUERCIGH. (CON UNA TAVOLA) Nel Museo di Mineralogia della R. Università di Torino si trova in un bel campione di gesso, proveniente da Bellisio presso Pergola in provincia di Pesaro, un cristallo che, oltre al possedere uno sviluppo ed un habitus notevoli, presenta delle bellissime figure di corrosione naturali su una faccia molto grande, che ad un esame preliminare sembra appartenere alla zona [010]. Uno studio di tali figure di corrosione mi parve interes- sante, poichè esse risultano nettamente asimmetriche rispetto al piano di simmetria generalmente ammesso per il minerale, piano la cui direzione è ben visibile nel campione per l’esistenza di alcune tracce di incipiente sfaldatura. Si presentava in tal modo l’occasione di portare un con- tributo alla quistione del grado di simmetria posseduta dal gesso, quistione che dovrebbe, secondo il Viola (*), considerarsi come già risolta nel senso di escludere questo minerale dalla classe prismatica del sistema monoclino, per l’assenza in esso di un piano di simmetria, mentre, al contrario, altri mineralisti non riconoscono alcun motivo per mettere in dubbio l’oloedria del (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal Prof. Ferruccio Zambonini. (*) C. Vrora, Beitrag zur Symmetrie des Gypses, “ Zeitschr. f. Kryst. , 35 (1902), pag. 220; In., Appunti su minerali italiani, ° Rendic. R. Acca- demia Lincei, 17 (1908), I, pag. 504. , Lat “ A SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO 607 gesso. Fra questi ultimi sì trova il Groth ('), il quale, anche recentemente, portò addirittura detto minerale come esempio della classe monoclina prismatica. Siccome del gesso di Bellisio non furono, finora, descritti che due cristalli, dal Cesaro (?), e quello da me studiato presenta un habitus tutt'altro che comune, reputo anzitutto conveniente di esporre le osservazioni cristallografiche che su di esso e su qualche altro individuo della stessa provenienza, ho potuto ese- guire, osservazioni che hanno messo in evidenza varie forme nuove per il giacimento, e due nuove anche per la specie. Darò, per ultimo, un elenco riassuntivo delle forme che per il gesso risultano stabilite, come pure delle forme vicinali e di quelle che, pur essendo state ammesse da qualche autore per questo minerale, sono suffragate da misure poco soddisfacenti, per cui è lecito attendere una nuova conferma sperimentale prima di poterle definitivamente considerare come accertate. * * * Il cristallo in parola si presenta impiantato, assieme ad altri individui molto più piccoli, sullo zolfo di cui il gesso, quì come altrove, rappresenta un minerale di formazione posteriore. La tavola lo riproduce in modo da lasciar chiaramente scor- gere le figure di corrosione naturali sulla faccia (104) secondo cui è tabulare. La limpidezza di questo cristallo, perfettamente incoloro, è straordinaria, le sue facce sono belle e dànno buonissime mi- sure, ad eccezione della (104), che per la corrosione non risulta perfettamente piana, e dà un fascio d'immagini, e della sua pa- rallela (104) che, quantunque abbastanza liscia, si presenta on- dulata e rotta in parte per azione meccanica. Anche la }111{ è rappresentata da due facce poco belle. (‘) P. Grora, Physikalische Krystallographie (1905), pag. 372; In., Che- mische Krystallographie (1908), vol. II, pag. 407. (2) C. Cesaro, Contribution à l’étude de quelques minérauxr, * Bull. Ac. de Belgique CI. d. Sc. ,, (1905), pag. 140. Cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 43 (1907), pag. 501. 608 EMANUELE QUERCIGH La sua lunghezza è di mm. 35, la larghezza di mm. 33 e_ lo spessore di circa 10 mm., misurando, la prima, la distanza fra le facce (010) e (010), la seconda, quella di massima esten- sione del cristallo nella direzione normale alla precedente, e la terza la distanza fra le due facce di }104{. Le forme presentate dal cristallo sono le seguenti : I a}100}; b}010}:; m)110|; a)}210 2}310!; 431201; k}130}; #}104! ISTIALo Mi Fra queste la }104! e la }147{ sono nuove per il gesso. La forma }147} si presenta con una sola faccetta (147), la quale, però, è molto bella e fornisce buone misure, dimodochè il suo simbolo rimane ben stabilito, come si può vedere dalle seguenti misure: Valori calcolati EL Valorirettenuti (Cost. di Des Cloizeaux) (147) :(010) T1°10' 77°4' (147) :(110) TNA T4°13 3/1 i Nella fig. 1 questa forma è indicata colla lettera f che, impiegata anticamente da Haiy per la }110, è rimasta senza Fig. 1. È assegnazione, dopo che universalmente fu adottata per tale prisma — la lettera m. | i La forma }104{ si presenta in questo cristallo con due facce Ne Ret Ì | ca SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO 609 molto estese, di cui una sola, la (104), si presta a dare delle misure, le quali, però, per la forte corrosione ed una leggera ineurvatura sono anche poco soddisfacenti. Ottenni infatti i seguenti valori: (104) : (110) = 89°40" ) i media 89°5’. (104) : (110) = 88030" | o Siccome per la faccia (104) il calcolo darebbe (partende dalle costanti di Des Cloizeaux): (104) : (110) =(104):(110) = 89025’ l'accordo ottenuto colla media delle misure sarebbe soddisfa- cente solo nel caso che le misure fossero molto sicure e concor- danti, mentre, invece, il limite di circa un grado entro cui oscillano le due misure prese consiglierebbe senz'altro di con- siderare come dubbia questa forma, senza permettere nemmeno di calcolare con buon fondamento il simbolo delle forme vicinali corrispondenti. Però, misure ottenute su un altro cristallino della stessa provenienza permisero di accertare la forma }104{ per il giaci- mento ed autorizzano a dedurre che a tale forma appartenga anche la faccia corrosa in quistione. Ottenni, infatti : angoli misurati calcolati (104): (010) 9007’ 90° (104) : (100) 89°6' 89917 3///. Va notato, però, che la }104{ ha la tendenza a presentarsi con facce un po’ curve. Delle altre forme osservate si può dire, come del resto si vede in parte dalla fotografia stessa del cristallo a Tav. 1 o meglio dalla sua proiezione rappresentata nella fig. 1, che la }100|{ si presenta con una facciuzza esilissima (100), mentre, al con- trario, la }010{ ha faccie molto grandi. 610 EMANUELE QUERCIGH La }110!{ si presenta con facce molto belle, che dànno im- magini splendide; notevole è il loro sviluppo ineguale dalle due parti del piano di simmetria: infatti, mentre la (110) è assai sviluppata, molto più limitate sono le dimensioni della (110) e della (110). La }310{ presenta due facce esilissime (310) e (310), ed una, la 310, più appariscente. La }210! compare con due faccette esilissime per quanto ben nette ed identificabili con esattezza, ed una grande. La }130{ è presente con una sola faccetta esilissima: (130). La }120{ è rappresentata da una faccia, la (120), esilissima, ma che dà buona immagine. La }111{ ha faccie molto belle che dànno immagini splen- dide; è notevole che mentre la (111), l’unica indicata con lettera nella fig. 1, è molto grande, la (111) è esilissima; lo stesso accade per la (111) ben sviluppata, contrariamente alla (111) ridottissima. Della n }111{ sono presenti le due sole facce che incon- trano y nella sua parte negativa. Questi fatti che conferiscono un carattere spiccatamente emimorfo all'individuo studiato e che sembra essere in relazione e confermare per così dire l’asimmetria delle figure di corro- sione sulla (104) non è un caso isolato, ma si presenta evidente anche in qualche altro individuo. La fig. 2 ne dà un esempio: essa rappresenta la combinazione delle forme }010!, }110} e }104{ sviluppata in modo simile al precedente cristallo della fig. 1, confermante questo habitus singolare e assai interessante per il nostro minerale. Un altro abito notevole fu da me osservato nel gesso di Bel- lisio: quello pseudocubico, rappresentato dalla fig. 3, prodotto dalla combinazione semplicissima delle tre forme: }100{ }010! }104{. ee SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO 611 Nella seguente tabella sono raccolte le misure che hanno servito all’identificazione delle forme precedentemente men- zionate : ato Apr peli calcolati | Differenza 010: 110 | 55°40'-55°43' 55041‘ 55045 — 4 010 : 310 771377 17 7715 7713 Leni ig 010 : 100 | 8958 - 90 06 90 02 90 00 sa lio Mid200, | 471.11, 7119 71:15 nl da + 3 010 : 130 pe 26 07 26 05 al 1a 010 : 120 = 36 15 SOR PA 110:111 | 4915-4910 49 121/s3| 49091, + 3 ddl 36 17 - 36 18 36.171/3|..86.18 (| —. 01/3 010: 111 71 52 -71 54 71 53 71 54 caso 110 : 111 — 59 01 59 15 AC 010 : 111 — 69 25 69 20 + 5 010 : 147 da 7710 PAIA EPA CNR 110: 147 que arti Te 19 ea 104 :010 | 9018 -8950 90 05 90 00 DCO 104 : 100 — 89 06 SI LZI—LLIk yu Risulta a prima vista evidente la grande importanza che devono avere le figure di corrosione eseguite sulle faccie della zona parallela all'asse y per stabilire l’esistenza o meno del piano di simmetria ad esso normale. E noto che ricerche a tale proposito furono condotte, prin- cipalmente, già dal Baumhauer (!), che osservò come sulla (4) H. Baumnaver, Uedber die Aetzfiguren des Apatits und des Gypses, “ Sitz.-Ber. d. b. Akad. d. Wiss.,, Miinchen 5 (1875), 169. 612 EMANUELE QUERCIGH faccia (100) si possano ottenere, per l’azione della potassa cau- stica, dei solchi esilissimi, perfettamente paralleli tra loro e all'asse della zona [001]. Questo risultato fu confermato poco dopo da Klien (!), il quale ottenne su tale faccia le stesse leggere striature parallele a [001], quantunque la natura dell'agente intaccante fosse al- quanto diversa, avendo egli impiegato il carbonato potassico. In seguito, il Viola (?) studiò pure le figure di corrosione del gesso, ottenendole per l’azione di soluzioni di cloruro di bario. Queste provocano sul minerale delle striature sottili pa- rallele, come quelle ottenute dai precedenti sperimentatori, alla zona [001] e nel caso considerato tali leggeri solchi si presen- tano, dopo l’azione del reattivo, ripieni di solfato di bario che conviene allontanare opportunamente con getto d’acqua per met- tere in evidenza la corrosione avvenuta. Nuovo contributo sperimentale fu poi portato su questo ar- gomento dal Wiegers (*), che però non fu più fortunato dei suoi predecessori nel portare delle conclusioni decisive. Uguale esito avevano avuto le esperienze eseguite sulle figure di sfiorimento che il gesso, come in generale tuttii mi- nerali idrati, presentano quando vengono messi in condizione di perdere tutta o solo parte della loro acqua di cristallizzazione. Infatti, tanto le antiche ricerche di Frankenheim (4) come le più recenti di Weiss (°), di Hammerschmied (6), di Blasius (7) non chiariscono per nulla la nostra quistione, e non portano alcun argomento decisivo per escludere l’esistenza del piano di sim- !) P. Ken, Beitrige cur Kenntniss des Gypses, © Pogg. Annalen , 17 (1876), 611. (®) 0. Viora, Veber Aetzfiguren am Gyps, ° Zeitsehr. f. Kryst. , (1897), 28, 573. (8) F. Wiecers, Ueber Aetzungserscheinungen am Gyps, “ Zeitschr. f. Na- turwissenschaften, 73 (1900), 267. (*) FrangenHEIM, Lehre von der Cohtision (1835), pag. 326. (9) E. Weiss, Ueber Aetefiguren bei Gyps und Schlagfiguren bei Beiglanz., “ Zeitschr. d. d. geol. Gesell., 19 (1877), 208. (°) F. HammerscamieD, Beitrige zur Kenntniss des Gypses und Anhydrit- gesteines, “ 'Tschermak Mitt., (1882) 5, 245. (*) E. Brasius, Zersetzungsfiguren an Krystallen, “ Zeitschr. f. Kryst.,. 10 (1885), 221. SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO 613 metria, alla cui ammissione concorrono l’habitus ordinario e lo sviluppo che generalmente si osserva nei cristalli del minerale. Nè miglior sorte ebbero in questo senso ricerche di altro genere, come quelle di Maschke (!) sulla cristallizzazione del gesso e quelle sulla velocità di soluzione della faccia (010) in confronto colla (010). Le prime osservazioni particolareggiate e veramente inte- ressanti su figure naturali ed artificiali di corrosione, asimme- triche rispetto al piano di simmetria che generalmente si suppone esistente nel gesso, furono pubblicate dal Viola nel 1902 e riguardano alcuni cristalli della Romagna e delle Cetine di Cotorniano. Egli ebbe ad osservare, specialmente sulle facce di }103(, delle figure di corrosione, che non si possono assolutamente con- ciliare coll’esistenza del piano di simmetria. Qualche anno dopo, il Viola ribadì la sua tesi, che, cioè, | l’unico elemento di simmetria esistente nel gesso dev'essere l’asse binario, osservando le figure di corrosione naturali formatesi su cristalli provenienti dalle Cetine. Sulla faccia (001) il Viola di- stinse assai bene tre direzioni di striature, che potè fissare di- _scretamente per mezzo dei loro riflessi; due di esse coincidono sufficientemente coi riflessi dati dalle facce (111) e (111), mentre la terza direzione, quella delle striature dominanti, fa un angolo di circa 6° collo 13 spigolo: (111):(001). | Nel cristallo di Bellisio che ho de- scritto, le figure di corrosione si presen- C/ tano, come ben si vede dalla Tavola, bd nettamente asimmetriche rispetto alla pro direzione di }010{; infatti esse risultano — determinate da una serie di solchi pa- Fig. 4. ralleli A (fig. 4), che formano colla di- “rezione [(104):(010)] angoli di 106° e 74° circa, e da due altre serie, B e C, inclinati rispettivamente di 13° e di 42° sulla stessa direzione /. (') O. Mascaxe u. H. Varer, Mikroscopische Studien itber die Krystalli- sation des Gypses, * Zeitschr. f. Kryst., 33 (1900), pag. 57. - ca Queste figure di corrosione naturali, così nettamente asim- metriche, collegate col carattere spiccatamente emimorfo dei cristalli studiati, dovrebbero portare logicamente a concludere, come per il primo in base a ricerche sperimentali ha sostenuto il Viola, che il gesso appartiene alla classe sfenoidica e non alla prismatica del sistema monoclino. Pur non negando alle mie osservazioni l’importanza che esse . indubbiamente hanno, non mi credo, però, autorizzato a trarne fin d'ora una conclusione definitiva intorno alla vera sim- metria del gesso, perchè ritengo che un problema di tanta im- portanza ha bisogno di essere trattato in base ad un materiale sperimentale assai più ampio di quello che io ho avuto a mia disposizione, e ciò forse mi sarà possibile fra non molto. Tanto più mi sembra opportuna una riserva, poichè è noto che in qualche caso si sono ottenute delle figure di corrosione che sono in contrasto non solo colle conclusioni che intorno alla simmetria si possono ricavare dallo studio di altri feno- meni, ma anche colle stesse figure di corrosione ottenute con metodi diversi, Mi limiterò a ricordare il caso notissimo della colemanite, nella quale il Baumhauer ha osservato su (010) alle volte delle figure irregolari in contrasto con quelle che più spesso sì otten- gono e che per questo minerale concordano colla classe mono- clina prismatica a cui fu ascritto. Sono, poi, note le interessanti esperienze eseguite dal Baumhauer stesso sull’apatite; come pure quelle del Vernadsky (') sul nitrato di potassio, le quali ultime porterebbero a concludere che questo sale cristallizzi nella classe rombica piramidale, mentre è generalmente considerato tuttavia bipiramidale. Mi è sembrato, ad ogni modo, opportuno render noti i risul- tati delle mie osservazioni, perchè essi dànno un valido appoggio alle conclusioni del Viola e, mentre possono invogliare anche altri ad approfondire con nuove ricerche questa quistione, por- tano comunque a questa, in attesa di meglio, un modesto con- tributo. 614 EMANUELE QUERCIGH (') Verxapsky, “ Bull. Soc. Imp. Nat. Moscou , (1897), N° 2, pag. 292. SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO 615 Notizie riassuntive sulle forme riscontrate nel gesso furono esposte da varî autori: infatti, per parlare solo dei meno an- tichi, possediamo i riassunti pubblicati quasi contemporanea- mente da Brezina (') e da Hessenberg (*) nel 1872, a cui seguì quello di Des Cloizeaux (*), che comparve nel 1886; venne, a breve distanza, quello di V. Goldschmidt (4), e, subito dopo, quello di Dana (°); per ultimo il Cesaro (*), nel 1895, discutendo alcune forme ad indici complicati, date per questo minerale da alcuni mineralisti, compilò, come conclusione al suo lavoro, un elenco delle forme che si potevano a quell’epoca, secondo il suo avviso, considerare come sufficientemente stabilite. Nei vent'anni successivi non comparve, a quanto mi risulta, alcun riassunto al riguardo, mentre è avvenuto per il gesso, come per molti altri minerali, che parecchie forme nuove furono riscontrate dagli studiosi e che, inoltre, alcune delle vecchie mi- sure furono interpretate in modo più razionale, sì da condurre ad ammettere simboli diversi da quelli prima dedotti e da tutti adottati. Accadde inoltre che qualche forma considerata un tempo, con ragione, come dubbia perchè stabilita in base a misure poco soddisfacenti, fu, in seguito, con nuove ricerche sugli stessi o su diversi giacimenti, stabilita definitivamente. (4) A. Brezina, Krystallographische Studien an Wiserin, Xenotim, Mejonit, Gyps, Erythrin und Simonyit, * Mineralogische Mittheilungen ,, II (1872), pag. 18. (*) Hessensero, “ Abhandl. Senckenberg'schen Naturf. Ges. in Frankf. a. M.,, VIII (1872), 30. (*) A. Des CLorzeaux, Note sur la détermination des paramètres du gypse et sur les incidences des formes observées dans ce minéral, “ Bull. Soc. fr. de min. , 9 (1886), pag. 175. (4) V. Gorpscumipr, Index d. Krystallformen d. Mineralien, II (1890), pag. 121. (5) E. S. Dana, Syst. of Mineralogy, VI ed. (1892), pag. 933. () Cesaro, Sur la notation à assigner à certaines formes à indices com- pliqués, dans le gypse, “ Bull. Soc. Roy. d. Belg., 29 (1895), pag. 385. Atti dellu R. Accademia.:— Vol. LI. 40 616 EMANUELE QUERCIGH Occupandomi di questo argomento, ebbi, inoltre, occasione di osservare che, qui più che altrove, in seguito a ripetute sviste di varî mineralisti, si è venuta generando una certa confusione nell’assegnare alle varie forme le lettere che, per consuetudine antica e talvolta utile, si sogliono adottare come simbolo più breve, specialmente comodo nelle figure. In conseguenza di ciò, ho sentito il bisogno di compilarmi un elenco delle varie forme che per il nostro minerale risultano stabilite con certezza, come pure di quelle che è più esatto ac- cettare con riserve; riportando qui ora tale elenco credo, per le ragioni prima esposte, di non fare cosa superflua. Anzichè separarle in due gruppi distinti, cioè delle forme: ben stabilite e di quelle incerte, ho preferito ordinarle tutte as- sieme, ricordando in apposite note le ragioni per cui, caso per caso, i varì simboli debbansi ritenere accettabili solo con riserva ; ciò feci perchè in molti casi la scarsità e poca precisione di dati da cui essi furono ricavati tolgono ogni fondamento con- creto alla discussione. Simbolo | Autore | Osservazioni : Ra AIA ORE ON Haîiy MSLORE: b | 010 E | Ù AR 001 Quenstedt | 9;:32 P| 510 | Luedecke | 22; 33 z| 310 Brezina | 12 11.5:0 Des Cloizeaux | 49 A 210 | Greg & Lettsom | 8 i Us Rogers | 52 w 320 | Brezina | 12 430 Viola | 28; 50 m 110 Haiiy I 3 450 A. S. Moses | 19; 5I vizi) ALLO DI GESSO DI BELLISIO —6 Autore Osservazioni G. O. Smith 20; 51 Soret 1 P 350 Luedecke 22; 34 n 470 Soret Dx.35 È 13.230. 1; 17 "al Ru Leo * 1 x 490 3 Wadi 5a 11.25.0 3 17 i 250 i 1 bo li 01490 7 | i 270 5 RASLI #54 7.25.0 4 e fsb; 1c140 0 4 1 5.28.0 1; 17 290 » » » 703 ‘+ Kenngott 56 | 302 Laspeyres 18% 50 Ba 101 Weiss 2 Di ‘102 Cesaro 21 "i bi 103 Schrauf, Hessenberg | 10; 11; 36 È 104 Quercigh presente lavoro = » e 103 Soret 1 B 509 Hessenberg 11 i Dana ansa dI #0 Reusch 37 “abs Haiiy | 3 Simbolo UW n u | 011 | 0.11.16 028 013 553 111 i «13 |a | Sy 113 225 7.7.18 338 449 223 111 221 131 131 EMANUELE QUERCIGH Autore Soret Viola Hessenberg Moses Perrier Haiiy Perrier Kraatz Neumann Des Cloizeaux, Lacroix Des Cloizeaux Des Cloizeaux, Cesaro Lacroix Cesaro Haiiy Kraatz Neumann Soret Viola Soret Artini ” Haiiy Viola Cesaro H. Smith Cesaro Osservazioni (uu Sl; 39 23 5 25; 40 40; 41 15521; 40 25 te42 3 SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO (er O PL IAA Simbolo Autore Osservazioni 211 | Schrauf? Perrier 10; 31; 46 198... Viola 30; 4l o 234 Hessenberg 1T*"21 | 314. . | Cesaro 29; 47 479 | Hessenberg, Cesaro Mie se IAT AA 0481 Viola 30; 41 | *:9:18.16. | 4 Mise 10.18.17. | ) sncià, 245. Des Cloizeaux 59 5.10.12 Hessenberg i 11.21.26 | È ; 54:20... Leuze 60 147 Quercigh | presente lavoro DRS Viola 30; 41 3.12.26 | À UR 15.12.20 | n PANNI 432 | x 28; 50 697 Laspeyres 14; 58 INCORCI E . Soret, “ Annales des Mines ,, Il (1817), pag. 485 e III (1817), pag. 487. . Weiss, “ Berl. Ak. Abb. , (1820-1821), pag. 195. Haiiy, Traité de minéralogie, Il ed., 1 (1822), pag. 527. Hesser, “ Leonh. Zeitschr. f. Min. , (1826), pag. 222. . Neumann, “ Poggend. Annalen , 27 (1828), pag. 240. Des Crorzeavx, “ Ann. chimie phys., 70 (1844), pag. 53. . Mitcrer, Mineralogy (1852), pag. 536. Gre & Lerrson, Mineralogy (1858), pag. 72. . QuensreDt, Minéralogie (1863), pag. 440. . Scnraur, “ Sitzb. Wiener Ak., 63 (1871), pag. 152. wA.- (4 620 EMANUELE QUERCIGH 11 12. 13. 14. 15. 16. I. 13. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 33. Hessensero, “ Senckenberg’schen Naturf. Ges. in Frankfurt a. M., 2 (1858), pag. 252; 4 (1861) pag. 2; 8 (1872), pag. 30. Brezina, “ Min. Mittheilungen , 2 (1872), pag. 18. Dana Syst. of. Mineralogy (1873), pag. 637. Laspevres, “ Min. Mitt. , 5 (1875), pag. 113. Cesaro, “ Bull. soc. min. , 10 (1887), pag. 315. Des CLorzeavx, “ Bull. soc. min. , 9 (1886), pag. 175. V. Gornscamnr, Inder d. Krystallformen der Mineralien II (1890), pag. 123. E. S. Dana, Syst. of Min., VI ed.(1892), pag. 933. A. S. Moses, “ School of Mines Quart. N. Y., 14 (1894), pag. 223. Cfr. “ Zeitschr. f. Krist., 26 (1896), pag. 603. G. 0. Swrra, “ Johns Hopkins Univ. Circ. , (1894), Nr. 112, pag. 31. Cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 28 (1897), pag. 336. G. Cesaro, “ Bull. Ac. roy. d. Belg., 29 (1895), 385. O. Luepecke, Die Minerale des Harzes, Berlin (1896). Cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 29 (1898), pag. 185. K. von Kraarz, ‘© Mittheil. a. d. Roemer-Museum ,, Hildesheim (1896), Nr. 4. Cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 30 (1899), p. 662. K. v. Kraarz, “ Zeitschr. f. Kryst., 27 (1897), pag. 604. Lacrorx, “ Nouv. Arch. du Muséum ,, Paris (3) 9 (1897), pag. 201. Cfr. © Zeitschr. f. Kryst., 31 (1899), pag. 82. . Rogers “ Am. Journ. of Se. , 2 (1900), pag. 364. . E. Arrini, “ Rend. Ist. Lomb. , 33 (1900), pag. 1177. Cfr. © Riv. di min. e crist. ital. , 26 (1901), pag. 63. 8. C. Viora, “ Zeitschr. f. Kryst., 35 (1902), pag. 220. . Cesaro, “ Bull. Ac. roy. d. Belg. , (1905), pag. 140. . C. Viora, “ Rend. Acc. Lincei, 17 (1908), I, pag. 496. 31. C. Perrier, “ Rend. Acc. Lincei, 24 (1915), I, pag. 159. . La forma }001{ indicata già da Quenstedt colla lettera 9 fu conside- rata fra le accertate da V. Goldschmidt (17), mentre il Cesaro nella sua Revisione delle forme del gesso (21) espresse l'opinione che essa non si presenti in natura e dichiarò di comprenderla nel suo elenco solo perchè serve di base al prisma di Miller. Essa risulta invece indiscutibilmente accertata per il gesso; in Italia, ad esempio, ricorderò che fu trovata dall’Artinì nei cristalli di Sotto Cavallo in territorio di Ballabio (27) e dal Viola in quelli di Romagna (28). La forma p }510{ fu rinvenuta con una faccia stretta nel gesso dei din- torni di Ilsenburg nell’Harz. L'angolo misurato di 82°46"= (010) : (510), quantunque non sia in soddisfacente accordo col calcolato = 82°14,6' non ne dista però più di quanto, nel gesso, sia dato osservare tal- volta per forme più sicuramente stabilite. . La forma 9 }350{ menzionata da O. Luedecke, per i cristalli dell’Harz, fu confermata, poco dopo, in quelli di Girgenti da K. von Kraatz (24), il quale, non conoscendo il lavoro precedente, la credette nuova e l’indicò con é. Non è forma rarissima, poichè fu rinve- nuta in seguito dall’ Artini nel gesso di Sotto Cavallo (27), da unntiitecattità SU UN NOTEVOLE CRISTALLO bI GESSO DI BELLISIO 621 G. D'Achiardi in quello del marmo di Carrara (* Atti Soc. Tose. Se. o Nat. ,, Pisa, 1905), poi da C. Anderson in quello del Queensland b, (cfr “ Zeitschr. f. Kryst., 50 (1912), pag. 276 e 53 (1914), pag. 578). Anderson l’indicò ancora con è. 35. La forma n }470{ dedotta, da misure non pienamente soddisfacenti, dal Soret, fu elencata, perciò, fra quelle dubbie dal Goldschmidt; essa fu poi rinvenuta da Moses nei cristalli della Wayne County (Utah) e confermata per la stessa località da G.C. Smith (19 e 20); anche O. Luedecke la menziona per i cristalli dell’Harz in base all'angolo misurato (010) :(470) = 40°18’ (cale. 39°59,8) (XXII). 36. La forma 4 }103{ fu trovata quasi contemporaneamente da Hessenberg che l’indicò con e e da Schrauf, la cui designazione colla lettera 4 è stata da tutti adottata. 37. La forma }203{ fu osservata già da Reusch (“ Pogg. Ann., 136, pag.186), come direzione di fenditura originatasi per percussione. Des Cloizeaux (15) la riportò nel suo elenco. Goldschmidt la mise fra le incerte (17), ma non si può più considerarla come tale dopo che Lacroix la riscontrò nel gesso dei dintorni di Parigi (25), Rogers in quello di Lebo nel Kansas (26) e Cesaro in quello di Bellisio (29). Fu Rogers che nel 1900 le assegnò la lettera y che per ragioni di priorità deve essere adottata a preferenza della lettera s datale da Cesaro, la quale non sì potrebbe conservare anche perchè già impie- gata ad indicare la }131{ dal Soret. 38.4La forma }553{ fu trovata in cristalli artificiali da Perrier (31), il à quale osservò anche come con tale forma si identifichi la 4 }995 | dedotta dallo Schrauf (10) nel 1871 per il gesso dell’Harz. ll sim- bolo }995{ era stato accettato dal Brezina (12) e da Goldschmidt (17), mentre Cesaro aveva dimostrato, in seguito (21), che il sim- bolo } 774 sarebbe stato più concordante colle misure di Schrauf, misure che del resto furono prese col goniometro d'applicazione. Perciò, mentre la forma }553{ rimane stabilita dalle misure di Perrier, le forme }995{ di Schrauf o quella } 774{ corretta da Cesaro rimangono completamente ipotetiche, tanto più che i cristalli di Schrauf possedevano faccie un po’ curve. 39. Cristalli artificiali. 40. Il simbolo }225{ era stato proposto, assieme a quello meno semplice }7.7.18(, dal Des Cloizeaux per una faccia che diede colle (010), (110) e (101) rispettivamente gli angoli di 81°, 82° e 22°; a tali valori però il Cesaro (21) dimostrò col calcolo che corrisponde molto più soddisfacentemente il simbolo }538{. Il Lacroix menziona la }225({ per il gesso dei dintorni di Parigi (25). La lettera w assegnata a questa forma dal Des Cloizeaux e conservata dal Cesaro per la }338{ era già stata impiegata dal Neumann per la } 113(. 41. Questa forma, come altre menzionate in questi cristalli dall'Autore, sono, secondo la descrizione che egli ne fece, rappresentate da facce vicinali leggermente ricurve, i cui simboli corrispondono alle posi- 43. 44. 46. 47. 48. 49. 50. EMANUELE QUERCIGH zioni di altrettanti riflessi che gli fu possibile individuare col gonio- metro a due cerchi. . La forma }223{ rinvenuta dal Cesaro sul gesso di Carlamofka (FEkate- rinoslaw) ricevette dall’Autore per simbolo la lettera @ che non si può adottare, poichè essa fu assegnata già da Greg & Lettsom alla }210{ (8). La forma }313{ trovata per la prima volta assieme alla }212{ nel gesso di Ballabio dall’Artini, fu rinvenuta poi anche in quello del Queensland esaminato da Anderson (efr. “ Zeitschr. f. Kryst., 53 (1914), pag. 578). Fu riscontrata poi assieme alla {212{ da H. P. Whit- lock (6 N. Y. State Museum Bulletin , /40(1910), 197, cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 52 (1913), pag. 77) nel gesso di Garbutt, Monroe County, Nor La forma }477{ fu segnalata dal Cesaro fin dal 1885 (“ Bull. soc. min. d. Fr., 8, pag. 317) in un geminato proveniente dal Tirolo; il Groth la mise però in dubbio (“ Zeitschr. f. Kryst., 12 (1887), pag. 656), ed il Goldschmidt la collocò fra le incerte (17); ma il Cesaro la confermò (21), affermando che si presenta frequente nei cristalli di Salzburg e del Tirolo. 5. H. Smith, per incarico del Groth (“ Zeitschr. f. Kryst., 28 (1897), * pag. 106), trovò la forma }577{ esaminando alcuni cristalli del Tirolo allo scopo di confermare o meno la dibattuta forma } 477 ( di Cesaro. Il risultato fu che entrambe furono ben stabil'te per il minerale (44). Schrauf, in base ad una misura approssimativa, adottò il simbolo } 733 per la forma $, solo perchè avendo erroneamente attribuito alla « }553( il simbolo }995{ veniva per la tautozonalità con #4 e con y }131| necessariamente escluso per £ il simbolo }211{. Perrier (31) di- mostrò, come conseguenza dell’assegnazione del simbolo }553{ alla w, la necessità di adottare quello }211{ per la £ di Schrauf. Perciò la }733{, che era già stata posta tra le incerte da Goldschmidt (17), diventa sempre più ipotetica. La forma }314!, trovata in un cristallo di Bellisio (Pesaro) dal Cesaro, fu da questo indicata colla lettera ?, che non si può adottare perchè già universalmente accettata per la }250{. Hessenberg, da misure prese su cristalli di Sicilia, dedusse l’esistenza della forma }5.10.12{, oppure }11.21.26{, che indicò con d. Il Cesaro trovò su cristalli di Girgenti una forma molto vicina a queste de- dotte da Hessenberg e cioè la }479{, alla quale si avvicinano mol- tissimo le misure, del resto solo approssimate, di Hessenberg. simbolo }11.5.0{ adottato da Des Cloizeaux per una forma molto vicina a }13.6.0{, osservata da Grey & Lettsom, fu messo fra quelli incerti da Goldschmidt (17) e da Dana (18), mentre Cesaro (21) l'accetta senza restrizioni. Non sembra però una forma da ammet- tersi senza nuove basi sperimentali. In un cristallo di gesso di Romagna il Viola riferisce (28) che “ auf (001) sind zwei polyédrische Einschnitte der Eindriicke zu n] (uo) UERCIGH E. Su un notevole crist, Atti R, Accad, I, Scienze di Forino Vol. 51 di gesso di Bellisio ito. © net sani SU UN NOTEVOLE CRISTALLO DI GESSO DI BELLISIO 623 “ beobachten, deren gemessene Kantenwinkel auf folgende Flichen “ hindeuten : (432), (383), (111), (111), (430) und (001) ,. Nè la }430{, nè la }432{ e }383{ furono ancora dunque trovate con vere facce nel gesso. 51. La forma } 3401, ammessa da G. O. Smith (20) per il gesso di South Wash., Utah, vi fu da lui trovata con una sola faccia che al gonio- metro d'applicazione diede colla (470) un angolo medio di 87°13/, mentre il calcolo darebbe (470) : (340) = 87°46”. Siccome per lo stesso giacimento il Moses (19) senza dare le misure su cui basò le sue deduzioni ammette la presenza della forma } 4504, ne consegue che entrambi i due simboli } 340 | e }450( rimangono dubbii e merite- voli di conferma prima di adottarli definitivamente. 52. Data per incerta dall'autore (‘School of Mines Quart. , 23 (1902), pag. 133. Cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 38 (1904), pag. 692). 53. La }490|{, indicata con e da Soret, fu ritenuta incerta da Goldschmidt; il Cesaro la dà fra le forme sicure, ma non essendo mai intervenuta la prova sperimentale a sostegno di tale ammissione, questo simbolo attende conferma. 54. La forma }270{, indicata con 9g dal Soret, posta in dubbio da Gold- schmidt, richiede conferma sperimentale come quelle elencate in seguito. 55. La }302{, indicata con & da Laspeyres, fu messa in dubbio da Gold- schmidt ed in seguito alcuna conferma sperimentale venne ad avva- lorarla. 56. La forma }703{ è data come incerta dallo stesso Kenngott (“ Neues Jahrb. f. Min. Geol. u. Pal. , (1887), II, pag. 83) e non fu ancora con- fermata. . 57. La }11.7.7{ di Cesaro (“ Bull. Soc. min. d. Fr. , 8 (1885), pag. 317) fu considerata inaccettabile dal Groth (“ Zeitschr. f. Kryst., 12 (1887), pag. 656), e messa fra le dubbie dal Goldschmidt (17). 58. La forma }697{, indicata con £ da Laspeyres, fu posta fra le incerte da Goldschmidt (17). 59. La } 2454, indicata con 7 da Des Cloizeaux, è, secondo lo stesso autore, incerta e forse identica alla é }5.10.12{ o }11.21.26{ di Hessenberg. Il Cesaro (21) trovò su cristalli di Girgenti la forma }479{, che vali potrebbe corrispondere alla stessa forma osservata da Hessenberg, le cui misure però essendo poco sicure, non dànno base ad alcuna discussione. 60. Leuze, nel gesso di Iselhausen (Wiirttemberg), osservò come piano di geminazione, in un cristallo, la direzione corrispondente a }5.4.20{ (* Ber. d. XXIV Vers. oberrh. geol. Ver. , (1891), 21. Cfr. “ Zeitschr. f. Kryst., 23 (1894), pag. 294). 624 A. G. ROSSI Un trasformatore dinamico per correnti alternate. Nota I del Dr. A. G. ROSSI. 1. — Oggetto di questa Nota è di mostrare come una macchina composta di uno statore bifase ove si sconnettano l'uno dall'altro i due avvolgimenti destinandoli a due circuiti distinti, e di un rotore “ chiuso ,, può funzionare come un par- ticolare trasformatore dinamico, allorchè ad uno degli avvolgi- menti si applichi una tensione alternata, l’altro facendo parte di un circuito secondario, e si faccia girare il rotore in un verso qualunque con una forza motrice esterna. A rotore immobile, non esiste induzione mutua definita fra i due avvolgimenti di statore. L'effetto della rotazione, come verrà dimostrato, è di far nascere fra essi una induzione mutua, funzione crescente della vedocità di rotore. Questo apparecchio fu immaginato dall'autore per uno scopo speciale e costruito nella forma di una macchina a disco: il ro- tore è un vero disco di rame di alta conduttività, pieno e con- tinuo; la parte fissa comprende due statori identici, portanti avvolgimenti multipolari con gli assi magnetici paralleli all'asse del disco, sfalsati l’uno rispetto all’altro di un quarto di passo e fronteggianti con le loro estremità polari le due faccie del disco rotante. Ciascuno dei due avvolgimenti statori può, indif- ferentemente, far la parte di primario o di secondario. I due statori possono essere convenientemente nucleati di ferro laminato; ma per l'oggetto della teoria di prima appros- simazione che qui si accenna, considereremo lo schema dell’ap- parecchio senza ferro (fig. 1), composto di un nastro di rame 4, rappresentante la corona circolare periferica del rotore, mobile con la velocità v fra due uguali avvolgimenti a spirali alterne, Ie II, che lo fronteggiano con le loro faccie polari. UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 625 A rotore immobile, supposto il primario (/) percorso da corrente alternata, nascono sul A delle correnti, indotte stati- camente, sopra dei circuiti fissi di forma indeterminata intorno alle proiezioni delle estremità polari induttrici, dei quali si potrì però assumere un profilo medio o equivalente, attribuendogli una resistenza r ed una reattanza ), costanti. Quando il rotore sì muova con la velocità lineare w, per- sisterà fisso nello spazio il sistema delle correnti indotte stati- camente nella rete di circuiti (r,\) congruente con le spire slalitam. icam. ° x ‘ correnti in _— _—=TE_ >; sarà: 2' =2 se UZ2A; r=0 se 2AuZ23; VZ0 se u@0 r) ZA 079): 630 A. G. ROSSI tutti casi possibili, a seconda dei valori relativi di p,\,r, co- stanti dell'apparecchio. Il fattore d’induzione u dipende (oltre che da \,) dalla grandezza del passo e dalla distanza fra le estremità polari degli statori e il piano medio del rotore. Il rap- \ * ? z porto — sarà generalmente di grandezza notevole, specie con frequenze elevate; sarà però tanto minore, per un dato rotore e a una data frequenza, per quanto più piccolo sia il passo, assegnato dal numero delle coppie di poli dello statore. Col di- minuire del passo, difatti, \ diminuisce più rapidamente di r (a parità di ampiezza polare radiale), poichè \ può considerarsi proporzionale all'area, mentre r è proporzionale al perimetro dei circuiti indotti di rotore e inoltre col diminuire del passo dimi- nuisce anche la sezione ohmica dei circuiti stessi. Con le dette sostituzioni, le (4) divengono: 6=J (11° —jh 1) —-jKJs (9' -+-jd') (5) 0=J; (rs -- ja!) SUR (9° 4905) ’ ossia (6) Jg=JKJ, (9° + J5') (95 —|jbs') 9) Sa (91'+-j01') =I1 [14-K? (94-30)? (91 + $0:') (924-902). Le (6) ci serviranno a dedurre le espressioni delle due cor- renti e le fasi relative. 2. — Le (5) ci autorizzano a conchiudere senz'altro che : L'apparecchio si comporta come un trasformatore di caratte- ristiche (v;',M), (r9', \s') privo di mutua induzione statica, nel quale il movimento del rotore faccia nascere un fattore d'induzione complesso K (g' +jb'), di cui tanto la parte reale come la parte immaginaria crescono proporzionalmente con la velocità: u(g'ku + jb'ku)=u(1+jB) Questo fattore d’induzione complesso, subentrante fra gli sta- tori primario e secondario col movimento del rotore, porta di conseguenza che, oltre alla analogia formale di funzionamento UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 631 con un ordinario trasformatore statico, il nostro trasformatore dinamico possiederà nuove e particolari proprietà, in quanto questo fattore fornirà delle componenti modificatrici tanto alla reattanza apparente quanto alla resistenza apparente primarie, crescenti con la velocità. Sostituendo difatti nella prima delle (5) ciò che si ricava dalla seconda, la si può ridurre alla forma normale (7) 6=J [Br —-jAx], che è: S&,= Ji (ri '-K? ((5'2—g9'2) ga'+20'g'bg')-j(A'+K? ((0'°—g'?) by'— 20'993))] Donde, la resistenza e la reattanza apparenti primarie, mo- dificate dall'effetto dinamico: (8). ove si noterà che la somma dei quadrati dei due fattori fra pa- rentesi in K?, vale ry? + \a}z = 23°?. Il primo di tali fattori, quello in x, è positivo finchè la linea secondaria n0n contenga tanta capacità da rendere Dai 2 a rl? 19 TN > Il fattore corrispondente che è in Ax sarà negativo per poco che la resistenza del circuito secondario sia grande a fronte della reattanza (cavo non caricato), o non appena abbiasi E cioè, in costrutto, ove le condizioni della linea secondaria si mantengano entro i limiti espressi dalla relazione \/? PI pl? xy" 2 rv (9) siei 2° 7° à < "ui a VI 4701 Atti della R. Accademia — Vol. Ll. 41 dpr 632 A. G. ROSSI possiamo ritenere che: tanto la resistenza apparente come la reat- tanza apparente primarie saranno funzioni decrescenti della velocità del rotore. Ciascuna potrà annullarsi a una determinata velocità e poi cambiar di segno. Precisamente, ciò avverrà per le corrispondenti componenti della tensione primaria. La relazione condizionale (9) offrirà alla realizzazione pra- tica tanto maggior larghezza, quanto meno si discosti dall'unità il valore della costante ' ? 7=18%, che definisce l'angolo di ritardo delle correnti di rotore sulle rispettive forze elettromotrici dinamiche. Si trova ora 3 È (10) ad arc tg pe; - arc tg aa = do + ole NSOE: - = Certamente, a, = are tg 7 è più prossimo a 90° che a 45°; ma tga può essere negativo se, oltre ad aversi u >\>r, ab- biasi anche u= 24, ciò che non esce dalla cerchia delle possi- bilità pratiche. Vale a dire che potrà ottenersi, per costruzione, la costante tg a' non molto discosta dal valore uno; basterà a questo scopo rendere notevole la reattanza ), degli avvolgi- menti di statore, grande il numero delle coppie di poli su l’arco unitario di rotore e piccola quanto possibile la distanza fra le estremità polari induttrici e il rame rotante. Secondo le (8), si calcolano: il ritardo della corrente pri- maria |, sulla tensione applicata E; AK e l'impedenza primaria: Zxg = (12) j KA SELE xe? 19 di Ù , , , , , / Ù ] vr Az, SE gar Ns +2 ‘0-0, seven UA 2 -h Ns ) x pre i UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 633 3. — Potremmo subito, con la (12), scrivere l’espressione della corrente primaria. Ma preferiamo servirci metodicamente delle (6) per ricavare /e due correnti e le fasi relative, eseguendo i calcoli ivi indicati con l’aiuto delle seguenti sostituzioni ab- breviative : Ge=gg— db, B,=g bi + Yi d'; G»°, B$#; Ri=rr N, A3=r x, + Fid; Ry, Ax; Gigt= GG — B,? B»?, B,gt= n G,? Bs + Gs? B,? ; R,gt=R,°R°—N?® è, A,91 = R,? N° | R2°A,3; per le quali si può scrivere: (9' +-j0") (91'+-301°) X (9"+-30') (90 +-j5:) = re (G,? tag) (G,? +jB2°) = GgÉ + jB124; (re° — GN) (re — A) X (e N) (re — 0) = “a (EA) (185? —jN2}) = RpÉ = a 1 TASTALI A 1 pi pel 7 —-_—_g'2,/=VRt+ LAS; >La gag QU NA: 4 2 ia Pte HoS 29)? = (18,4 SA N,4) (18,4 DE A34) = R,98 + Ax = = (R,? R° — IFEZAE + (Bè? A, + Ra A. Si ottiene così, in termini ammettenze: 174 A 1) i a 1 1° g+jV 1+K®(G*+jBx%) ’ (15) I Sa (G3+jBA)jK(G°+jBx) j= 9 +j Lr K° (Gs +jBx28) : e in termini impedenze: > (1° — AN) (B°—jA2) dia ki, at + K° — js ; (14) lodi) x __jK ei R$ —jAx} 2 debba 634 A. G. ROSSI Le (14) ci danno le ampiezze e le fasi: / 2 VR +Af 6 Ea Lr Ea 2 Li — arct VESFERTAR! VT 8 R+ET gt) hay \ (15) + — arc tg BR, Are tg, pi i 2 K i hi I, a 1 y (Rit + K?? E A,33 b) Po = Pata 1 arc tg RR; e Ciò che può chiamarsi il rapporto di trasformazione delle correnti è: |; K K 16 — -? — SS ( 4 I, Il hs SE At z Z9 Si noterà l'analogia formale di queste espressioni con le cor- rispondenti per un trasformatore statico. 4. — A tensione primaria E, costante e circuito secondario aperto (l,= 0), la tensione secondaria è la rorza elettromotrice indotta dinamica =jK(9'+j0) (g/+j0) = | RP—jN? * (17) K K r'M' + r/N t E = 2 mE ire 5 Arc Di n 1 RAI 2 Le R,' Ai E, PI zi , arc tg rr, Lo Tal 9 A tensione primaria costante, la tensione secondaria a vuoto cresce proporzionalmente alla velocità del rotore. L'espressione (16) della corrente secondaria mostra che se si alimentasse il primario a corrente costante, la macchina forni- rebbe una corrente secondaria crescente proporzionalmente con la velocità del rotore. La differenza di fase fra le due correnti (92 — ®1), e la dif- ferenza di fase fra le due tensioni (17), sono indipendenti dalla velocità. Supporremo in quanto segue di alimentare il primario a tensione costante. Le espressioni (15) delle ampiezze massime, introducendovi UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 635 come coefficiente il valore (costante) della corrente primaria a rotore immobile, lor = E;/21, possono scriversi : si Vine __(RE+A (R+ A) 2/'ey V (Ri + A,%) (R° + A) — K°[2 (AA — Ri} RI) -- K)” ROTATION lb= lo | 285,2 tp (enigga + DENSA: — Ri? R7°) | ove i due denominatori sono, ovviamente, identici (cfr. (12)). Sotto tal forma, le due espressioni sono quelle stesse che ‘Pr per un trasformatore statico, di caratteristiche (PR, A:8) K (3°, As°), ed offrono alla discussione i casi che si rin avendo in potere di variare il “ fattore d’induzione , Kda0a00. Pere 0 ==): Per K crescente da zero, allorchè si imprima al rotore una velocità crescente in una direzione qualunque: I) L’impedenza pri- maria comincia o col dimi- nuire verso un minimo per poi tornare a crescere, op- pure aumenta fin dapprin- cipio indefinitamente, a se- conda che si abbia AA, — RERE=0, <= e di conseguenza, la corrente primaria sì avvia ad un massimo, oppure diminuisce indefinitamente, col crescere della velocità (cfr. (12)). Raggiunge il massimo pl RI SAS __ 7/1 (M}A}-R®R?\_ E ci ta (18) l1 max = loi ) 1 4 (n) 7 2 RIN + RIN (') La corrente Im corrisponderebbe, per un trasformatore ordinario, alla corrente primaria a vuoto. 636 A. G. ROSSI per la velocità corrispondente a (18') K?°=A?A?° — R*R*=K;:; poi diminuisce indefinitamente, ripassando per il valore ini- ziale ll, con K?2=2K,?. II) La corrente secondaria nasce insieme alla velocità, con gradiente infinito, sale verso un massimo, che raggiunge per (19) K®?=\ R1+ At VR4t+A*=K}, poi lentamente diminuisce, sorpassando però il valore della cor- rente primaria per XK? = RA LA = Kp?. Il massimo della corrente secondaria i mt 222,2 (20) la max = loi lee 24 23° — (A A3° — R;? R39)] è sempre inferiore al massimo della corrente primaria e corri- sponde ad una velocità maggiore (£,° > K,?). Ma i due massimi tendono a coincidere per una stessa ve- locità e con un valore grandissimo (finchè la sorgente che ali- menta il primario sopperisce a mantenere la tensione costante), allorchè diminuisca verso zero la grandezza (£,° A? + R.? A?) a vantaggio della grandezza (A;? A»? — È? ft,?), — la somma dei quadrati dalle quali vale (R14 + A14) (R34 + A34) = 2/42,"2 233; cale, UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 637 o, in altri termini, quando tenda ad un valore assai grande il loro rapporto, che è sotto radicale nella (18). Nel quale rap- porto, le grandezze relative dei due termini dipendono dalle condizioni esterne del circuito secondario in riguardo alle ca- ratteristiche interne dell'apparecchio, e variano con quelle in sensi inversi. Detto rapporto vale, termine a termine: fa Aa SR R° R3° VE (A°° — #99) (90° raf — MA) +27 (14/3 tro x") 9 AL Li = = al ni i mE E I) Ri° Ar SIE Rs A 2 7° (ri ra FF My Ag) #7 (N° = #9) (14° Aa St ra \,') ; Il numeratore è sempre positivo. Il denominatore sì annulla per la condizione : 2V09 __ rh +r N 12 volto ab RARI Xx? — 3 ri ra — Ada che significa (cfr. (10)): 4, Ve o’ (22) m_2arctg-- =arctg mi + arctg >. 1 72 A rendere quel rapporto assai grande, occorre, cioè, che è/ complemento dell'angolo di ritardo delle correnti di rotore non si discosti molto dalla media degli angoli di ritardo dei due circuiti fissi, a rotore immobile; una relazione critica fra le costanti di tempo dei tre indotti-induttori in presenza, la quale stabilisce le condizioni ottime della linea alimentata da un apparecchio di date caratteristiche interne (0 viceversa), quando lo scopo da raggiungere sia l’ottenere una grande corrente secondaria. 5. — Il rapporto della energia elettrica resa disponibile nel circuito secondario alla energia elettrica spesa nel primario, Pa LL RIA AL Mar Wi ) E, li cosp, | rappresenta una specie di “ rendimento elettrico , della mace- china, ove non si tien conto però del lavoro meccanico speso sul rotore. 638 A. G. ROSSI con l’impiego delle (7) e conseguenti, si trova: CONICA e SESIA 5 l Ie e GENS 1 ri (23) Il “ rendimento elettrico , è nullo per p?=0, ossia K?=0. Per K? crescente da zero, n aumenta verso valori maggiori dell’unità, sorpassandola con Per p? grandissimo, (K?= oc), il “ rendimento elettrico ,, tende al valor limite che è negativo. Vuol dire che n raggiunge un massimo per una velocità finita. Ora, questo massimo di n è infinito. Difatti, il (AN + Ri} x) — p°(A*V— Rn) 2 VE*+A)+p*(RA+ A) — 2p°(AFA?— RARI) (114) cospi = che è al denominatore di n, si annulla per un determinato valore di p?, ossia per una certa velocità. A tale velocità, la corrente primaria si riduce alla sola com- ponente oziosa. Per velocità maggiori, la componente attiva della I, diviene negativa; e cioè, la macchina comincia a versare energia anche nel circuito primario. Ma prima di questa velocità che annulla cos @;, se ne in- contra un’altra per la quale si annulla invece la componente oziosa della I,, e la corrente primaria si riduce alla sola componente at- tiva: per velocità maggiori, la |, è in avanzo di fase su E, e la macchina fornisce corrente reattiva al circuito primario. Indicando con py € px i valori del rapporto di trasfor- mazione corrispondenti a queste velocità singolari, si trova, dalle (8): dl sp» d pre î ’ "= cs ì 1 » È È UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 639 LS e Ò per cospa= l: dani 23/7 SZ (24) Pi 2= ai Lala : È = TANO, 7 - sli ; * Ag r+ RX 2QNar'.rf-(2—- r2)Xy ” la corrente primaria consta della sola componente attiva : Agr" + R\N REA? + REA Nar FAT) 12 e (rr) — NAM) A? - 19) (ed + re 1)” (24) I=E; — 42 per cosp=0): (25) proel MA dl serva la ove Distro A? pi R% 7 DN gl As sa (Ae cu; r'?) fa Ù la corrente primaria consta della sola componente reattiva : NE = pig < ' C— VPI a” 2 it 5) neon a ES 2Vr".Ma' LA?— e) ra u TTTI2N (ela — MA (A - #99) (e +) {A° E; N — fa 2Xr' A Fig. 4. Nella fig. 4 sono le curve d’andamento di @; e di cos @, in funzione di p?, e il ramo positivo della curva di n, assinto- tico, come il ramo negativo, all’ordinata in py+?. 640 A. G. ROSSI Noteremo finalmente che per la velocità corrispondente aiar (18), Piverone: (N°? = 72) ra + 2 r". a’ Ag ma —- R> r' i (2 — rv?) ly CA 2 gl. ra ’ a = are tg » ) d dan k (26) gp, =—arctg AS + REN e cioè, li max è în avanzo di fase su E;, poichè py? < pi? < Pyg?. In (p+°) la corrente primaria si riduce alla sola componente attiva; in (px°) la corrente primaria, di nuovo minore a l; max, si riduce alla sola componente reattiva: intermediariamente, |, ha entrambe le componenti diverse da zero. Ora, confrontando le (24), (25), (18), con la (26), si scorge che è: atei [i g 2 (27) I, max —— V |,#? a ae - Nra gp tg ®;' = -_ cotg Pio 6. — In costrutto: fra (px°) e (px+°), la macchina fornisce al circuito primario o d’alimentazione una componente reattiva della corrente, che va variando da zero a 1,#*, mentre assorbe una componente attiva che va variando da l,# a zero: compor- tamento analogo a quello di un motore sincrono sovraeccitato. Da (px) in avanti, la macchina offre al circuito primario anche una componente attiva, come farebbe un “ generatore asincrono , nel senso ordinario, cioè trascinato oltre sinero- nismo. Contemporaneamente però, il trasformatore dinamico for- nisce energia al circuito secondario, generandovi una corrente l,, la quale nasce insieme alla velocità del rotore con gradiente ele- vatissimo, salendo verso un massimo per poi diminuire indefi- nitamente ma lentamente. Rispetto al circuito secondario, che per noi è quello di uti- lizzazione, la macchina fa dunque le funzioni di un particolare generatore asincrono, se si dà alla parola “ asincrono , il suo più ampio significato, poichè a qualunque velocità si genera in questo circuito una energia elettrica alternata sintonica con quella d'eccitazione, spendendosi energia meccanica. Questa energia meccanica va impiegata a vincere una coppia resistente, funzione crescente della velocità, creata dalla esistenza di due campi giranti, in senso inverso alla velocità impressa ‘cuore UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 641 al rotore, i quali nascono, spariscono e si invertono insieme alla velocità del rotore. L'uno di questi giranti risulta dalla compo- sizione dei campi delle correnti di statore, l’altro dalla compo- sizione dei campi delle correnti di rotore; il secondo girante rimane spostato indietro sul primo. La velocità di loro rotazione è determinata dal periodo della corrente eccitatrice. Le loro grandezze e l'angolo di spo- stamento (o scorrimento) dipendono dalla velocità impressa al rotore, oltre che dalla intensità delle eccitazioni primaria e se- condaria. Per riguardo alla coppia resistente elettromagnetica, si hanno insomma condizioni dinamiche affatto consimili a quelle che nascono in un ordinario motore asincrono polifase, quando, fattagli sorpassare la velocità di sincronismo, la coppia motrice si cambia in resistente e la macchina diviene generatrice. Il bilancio energetico del trasformatore dinamico è rappre- sentato dalla equazione: (28) W.-W,+tWx= Energia meccan. spesa — Lavoro d'attrito; ove W, — W, è l'energia elettrica guadagnata, (23), ! ke uu 2V(1X1/ +7) (9) Wi Wi= (i A) ny], e Wkr è l'energia joule spesa nel rotore. Per calcolare quest’ultima, partendo dalle (a), (0) fonda- mentali e con l’aiuto della seconda (13), si ricavano /e correnti di rotore: (sic) ju ! g-k?u?(g3'(0'°—g'>))+b,"28'g')+j [d —k2u?(b3'(0'2-g'2)- 93 28'g')| | P 0) kuJ,}g'+u°(6B-gG)+j['-u?(0G,*+9B)]{- La corrente Jr,, che percorre la rete (r,)) fronteggiante il primario, può considerarsi come dovuta alla forza elettromo- trice indotta staticamente ju/, nell’ammettenza di rotore modi- ficata per effetto dinamico (efr. (7)). 642 A. G. ROSSI — UN TRASFORMATORE DINAMICO, ECC. La corrente J/r,, che percorre la rete (r,\) fronteggiante l'’avvolgimento secondario, può considerarsi come dovuta alla forza elettromotrice indotta dinamicamente kuJ, nell’ammettenza di rotore modificata dalla reazione induttiva del secondario. Abbreviando : Jr, =juJ Ì Yu + jb / == S' EL (30) i Fg, =) q' +" lisa EU". L'espressione del calore joule speso nel rotore si otterrà calcolando Wk = Wa, -- Wr, = E?2 Gu + E,295% Si ricava, separatamente: ul, \2 ; 2° ro(X2— r) +17.2V7” 2 17 Ni dda War, = (Er) Di + p? di 29 (AN — rr) + Ag (Ar Pri) i La somma della (29) con le (31) dà quindi il lavoro mec- canico trasformato in energia elettrica, il quale, diviso per la ve- locità, fornirebbe la coppia resistente elettromagnetica. L'espressione si riduce a: come se nel primario si spendesse la sola energia joule inte- ressante la pura resistenza ohmica r, e nel rotore esistesse la sola corrente indotta dinamicamente dal campo primario, (2), kul | PAD Mae DO la quale è concatenata con il circuito secondario inducendovi la forza elettromotrice Es, (17). Risultati di esperienze, eseguite con il tipo speciale di questa macchina a disco costruito dall’autore, nonchè mediante un ordinario motore bifase, le quali confermano i punti essen- ziali della teoria svolta, verranno comunicati ulteriormente allo studio dell'apparecchio come autotrasformatore. ALESSANDRO TERRACINI — SULLA RAPPRESENTAZIONE, ECC. 648 Sulla rappresentazione delle forme quaternarie mediante somme di potenze di forme lineari, Nota di ALESSANDRO TERRACINI. La forma ternaria generica di grado » si può rappresentare (n 1) (n +2) + de 6 forme lineari, essendo e —=0, oppure e = 1, secondochè n non è, ‘oppure è multiplo di tre, eccetto che per n= 2 e n= 4; ossia, eccetto che per n» =2 e n= 4, nel problema di determinare il minimo numero p, tale che la forma ternaria generica di grado » si possa esprimere come somma delle potenze n°" di p, forme lineari, è esatto il risultato fornito dall’immediata applicazione del còmputo delle costanti. Questa proposizione fu dimostrata per la prima volta, in modo completo, dal Palatini (*); ma già l'aveva enunciata parecchi anni prima J. E. Campbell (*) deducendola però con considerazioni poco rigorose, considera- zioni che divengono anche meno soddisfacenti quando il Campbell passa ad estendere la sua ricerca alle forme quaternarie. Tut- tavia, anche per queste forme, la conclusione a cui giunge il Campbell, che cioè sussiste per esse un risultato analogo a quello valido per le forme ternarie, è ancora esatta, come mi mediante la somma delle potenze n°" di (!) Sulla rappresentazione delle forme ternarie mediante la somma di po- tenze di forme lineari, * Rendic. Lincei, (V) t. 12 (1903), p. 378-884. Vedi un'altra dimostrazione nella mia Nota: Sulla rappresentazione delle coppie di forme ternarie mediante somme di potenze di forme lineari, * Annali di Matematica ,, serie III, tomo XXIV (1915), p. 1-10; v. la fine del n° 1. (*) Note on the maximum number of arbitrary points which can be double points on a curve, or surface, of any degree, “ The Messenger of Mathema- ties ,, vol. XXI (1891-92), p. 158-164. 644 ALESSANDRO TERRACINI propongo di dimostrare in questa Nota. Precisamente dimo- strerò il seguente TroreMA. — Eccetto che per n=2 en=4, la forma qua- ternaria generica di grado n si può rappresentare mediante la o ( somma delle potenze n°"%° di p, = er a DI siva mi forme lineari, dove n è il minimo numero intero, positivo o nullo, che fa assumere a p, un valore intero. Per n= 2, n= 4 si ha invece rispettivamente, come è ben noto, ps = 4, pa = 10. Poniamo, essendo » un intero positivo, a ee 71) t32) (n +3) + 6n fo 24 , dove n è il minimo numero intero positivo o nullo, che fa as- sumere a 9g, un valore intero; cosicchè si ha n=0, se » è di- spari, o è = 6 (mod. 8), mentre per n= 4, n= 2, n= 0 (mod. 8) sì ha rispettivamente n= 1, n= 2, n=3. Se p, è il minimo intero tale che la forma quaternaria generica di grado n si possa esprimere come somma di p, n°” potenze di forme lineari, sì dovrà avere Pa ir e p, sì può anche considerare (8), come si riconosce facilmente (cfr. p. es. il n. 1 della mia Nota citata in (*)), quale il minimo intero che soddisfa a questa disuguaglianza ed è inoltre tale che, presi p, punti generici dello spazio ordinario, non esista nessuna superficie d'ordine n avente in ciascuno di quei punti un punto (almeno) doppio (4). Noi tratteremo precisamente il (*) Così, anche la proposizione relativa alle forme ternarie che ho ri- cordato in principio è equivalente a quest'altra, di cui avremo a servircì ripetutamente: eccetto che per n= 2, n=4, non esiste nessuna curva (n+1)(n+2)+4e 6 fissati in modo generico, dove e è la stessa quantità che compare nell'enun- ciato primitivo. (‘) Parlando in seguito di punti doppi di superficie o di curve, sottin- tenderemo sempre che non è escluso che quei punti abbiano moltiplicità. maggiore. piana d’ordine n avente punti doppi in altrettanti punti SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLE FORME QUATERNARIE, Ecc. 645 problema così trasformato, e avremo assolto il nostro còmpito quando avremo mostrato che, salvo che per n= 2 e n=4, non esiste nessuna superficie d'ordine » avente g, punti doppi in altrettanti punti generici dello spazio. Lascieremo poi da parte i casi, notissimi, di n==2, n=3, n= 4 (che si potreb- bero del resto trattare, con qualche piccola modificazione, collo stesso metodo che seguiremo in generale) e supporremo senza altro n= 5; procederemo per induzione, mostrando che, se per an=>5 si ha p,= @, sì ha anche pn+1 =" Quyi- Lemma I. — Se in un sistema lineare 08 di superficie, E, avente la jacobiana indeterminata vi è un piano n che appartiene a co?, ma non a tutte le superficie di X, le parti residue delle x? superficie contenenti m staccano su questo piano un sistema lineare di curve di dimensione <2, oppure una rete colla jacobiana in- determinata. Assumiamo infatti un sistema di coordinate proiettive omo- genee o, T1, Za, X3, e sia xy =0 l'equazione di tr; potremo supporre il sistema lineare 03 definito dalle quattro superficie uecouazioni dp = —0, ro de — 0 =05 dove P, Q, E sono forme di grado n» — 1 nelle x, Y è una forma di grado » nelle stesse variabili, non contenente come fattore x). Per ipotesi sarà identicamente ò (xo (Pi ro 9, xk, F) -LW d(c0 01 ra 0, PL x Po Q+ xd R+xo È Fo | | te a to Pi ro di ro È, 1 | it i i , ro Pa Lo Vs xo Rs Est. to Ps To ds xo Rs Fs dove si è posto Po = di, ecc. Sviluppando il primo membro 0 secondo le potenze di x, il termine contenente x)? risulta P 9) R' 0 co Pi ro Vi to Ri Fi | xo Pa co dr ro By Fi | co Py co 03 o Py Fs | @ 9 h p PÀ, 2 646 ALESSANDRO TERRACINI dove P = P(0,%;,, xs, €3), ecc. Avremo dunque identicamente PISO RIE 0 | ba Qi Ri Fi =0 Pi Vs Rs PF, i of ossia, poichè (n — 1) P'= xa, P/+ x. P' + x, Pi, ecc., e gd 7 y ' ' nE' =, Fx {xa Fa +03 Fs, Nelle ipotesi fatte non è identicamente £' = 0, cosicchè rimane: B(P'AONRIAaO d (0, La, 3) b) e perciò P', Q', R' sono linearmente dipendenti, oppure la rete rappresentata su t da P'-0, 0'=0, R'=0 hala jacobiana indeterminata. Lemma Il. — Se în una rete di superficie avente la jacobiana indeterminata vi è un piano che appartiene a 21, ma non a tutta la superficie della rete, le parti residue delle o* superficie contenenti t contengono ancora questo piano, oppure segano su di esso una medesima curva. Infatti, colle stesse notazioni della dimostrazione prece- dente, avremo identicamente | P+taxP Q+%% Fo | | co P, xo di I, | | xo P. ro ds Fg vo Ps co 03 F3 | f RA) ba 4 PS è IM in DIARI " nai tipi È Funi somma RAPPRESENTAZIO hà an cui 6 DE cl A d (21, xe, €39) ? e iP‘ (0) 0 9 Po Oi: E. |:= 0; écc I PAROTTOO,* GETPIIIR ossia 1 ! ws Ps (0803 —nF4ayF; VINTE EINE RI tb EI 9 a Qi = 0, ecc — Sanni rs su I I Non essendo identicamente F' = 0, si avrà dunque iden- _ticamente È CARS RAI OA la aa |7° ecc. I Lemma III. — Se n è divisibile per tre, esiste una sola curva piana d'ordine n avente pad punti doppi in altrettanti punti generici del piano. — 2 punti doppi - 3 i ) Supponiamo che, in un piano, ELOS in posizione generica impongano alle curve C" d'ordine n, multiplo di tre, 3s condizioni linearmente indipendenti : segue allora che s-+1 punti doppi in posizione generica impongono alle €" 3s 4- 3 condizioni linearmente indipendenti. Se infatti tali condizioni fossero 3543 — «, con u=l, presi p=t0t9 1 punti A. 4 ***7 Ax, gli aleti Ling sistemi lineari di C" determinati rispettivamente dai sistemi di 3-4 punti.doppi. A; da}-a., Agi Ai (i=8+1,8+ 2,06) 1 {sistemi lineari ciascuno dei quali ha dimensione nn 1:3) — 3s — er=3 + u, ed appartiene al sistema di dimensione alesh® 9% generici A,, A», ..., Atti della R. Accademia — Vol. LI. 42 648 ALESSANDRO TERRACINI determinato dagli s punti doppi A;, 43, ..., 4;] dovrebbero contenere uno stesso sistema lineare di dimensione [ek Lis] [et _8s_- 3+u|— n (n + È n(n peppe pa 141] (cfr. p. es. BERTINI, op. cit. sotto n. (5), pag. 11), dimensione che risulta => 0 in virtù della disuguaglianza eui soddisfa s. Esi- n(n+3) , ui sterebbero dunque delle C” aventi punti doppi in punti generici del piano, ciò che non è (V. la nota (*)). In questo modo, per induzione, si trova che, se n è mul- n(n+ 3) 6 tiplo di tre, — 1 punti doppi in posizione generica im- +3 pongono alle Cl” ateo — 3 condizioni linearmente indipen- (n - denti. Ora, fissati "9 1 punti doppi P in posizione generica, qualora avvenisse che nel sistema co di Cl" da essi determinato vi fosse più di una l” avente un ulteriore punto doppio in un punto fissato in modo generico, quel sistema 5 dovrebbe avere la jacobiana indeterminata, e perciò essere co- stituito da un’involuzione in un fascio F, a meno di eventuali componenti fisse (5). Se non vi fossero componenti fisse passanti pei punti P, le componenti (variabili) delle singole €” del si- . . n ° stema 0? dovrebbero essere di ordine =>, e passare pei punti P (che non possono essere situati su tutte le curve del sistema o senza cadere nei punti base del fascio F), ciò che i i 3) 2 non può avvenire, perchè 3 43) pe n . Se vi fosse una (*) Cfr. p.es. Bertini: Introduzione alla geometria proiettiva degli iper- spazi, Pisa, 1907: v. la seconda proposizione in corsivo a p. 235, proposi- zione che sussiste anche quando, anzichè un sistema lineare 00” di iper- superficie di S-, si consideri un sistema più ampio avente jacobiana indeterminata (tale cioè che un punto doppio in posizione generica imponga alle ipersuperficie del sistema meno di » +1 condizioni linearmente indi- pendenti). | i . SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLE FORME QUATERNARIE, ECC. (49 componente fissa passante pei punti /, questi sarebbero sem- plici per tale componente (giacchè non esiste nessuna curva di ordine n per cui i punti P siano doppi), e a fortiori vale ancora lo stesso ragionamento. Lemma IV. — Se ph =Qn, S5 non è multiplo di tre, e se p,-1=Gn-1; sî ha anche pn = n: Consideriamo un sistema G di 9g, punti, formato da due (n+1)(n+2) alan li (n+1)(n+2) Ta gruppi A e B, dove il gruppo A è costituito da 9, punti generici dello spazio, e il gruppo B da - unti generici di un piano n; e cerchiamo se, nelle ipotesi fatte, esiste una superficie /"* avente come doppi tutti i %, punti di G. Se una tal superficie esiste, si prova, come nella dimo- strazione del teorema precedente, che essa deve contenere il piano t: il resto sarà dunque una superficie d'ordine » — 1, F"-!, passante pei punti B e contenente come doppi i punti A. De ge ailoat 2+ 6 dica —— Tani Lean È e pei valori di » considerati , 1 punti A sono in numero di la quantità sottratta da q,_1 è =83. Perciò (lemma IV) quei (24 1) (n4- 2) linearmente indipendenti alle /*". Le F"" che hanno punti doppi nei punti A segano dunque il piano m in un sistema li- (a+ Dw+2) _ nt+1)(n+2) 6 6 punti B, che sono generici sopra m, non passa (v. la nota (7)) nessuna curva di questo sistema, e perciò anche nessuna super- ficie #* contenente, come doppi, i punti A. punti, come doppi, impongono 4 ln — condizioni neare di dimensione <= n— 1: per gli | TrorEMA III — Sen>5 è divisibile per tre, e se p,-2=Gn-s; Pii=Uoi anche poesianginalire, Si ha Dae= 0a, Consideriamo un sistema G di g, — 1 punti, formato da due n(n +43) PISI, gruppi A e B: il gruppo A sia costituito da 9, — 2 (') Cfr. p. es. BertINI, op. cit. (3), v. la p. 222. $ : N » ui L Ùi x SULLA APPRESENTAZIONE DELLE FORME QUATERNARIE, Ecc. 651 n(n+ 38) 6 RI ci È + L1)(nt+-2)+6n' . 3 generici di un piano mr. Se qu, _1= can di i punti 4 sono in numero di n(n + 3) 3+n'—n|] gr [OPEN dove la quantità sottratta da g,_1, per n > 5; è => 3; possiamo, poichè per ipotesi pn_1= 4-1, applicare ancora il lemma IV, e n(n+ 3) 7 # cio condi- zioni linearmente indipendenti alle superficie /"- d’ordine n—1: le F*-! che hanno punti doppi nei La sa costituiscono dunque chiedi dele +2—n. D'altra parte non esiste nessuna superficie atea n— 2 contenente, come doppi, i punti A, giacchè questi, come subito si verifica, > dedurre che i punti A impongono 4 i un sistema lineare XZ, di dimensione x n° - sono In numero Polat a — 2, mentre abbiamo supposto Pn-2= Ino: Se poi n= 6, i punti A sono in numero di ll, e quindi anche in questo caso non vi sono F* per cui essì siano doppi. Il sistema X;, sega dunque il piano m in un sistema Z;' di x : È 5 nn È curve d'ordine n» — 1, avente pure dimensione E 9) +2—-n pei punti B che sono in posizione generica passano (cfr. la nota (")) x%?-" curve di X,', cioè altrettante superficie di X,. Perciò, osservando che esiste in t una sola Cl" piana per cui i punti B sono doppi (lemma III), e che d’altra parte vi è certo qualche F"* per cui tutti i punti G sono doppi, senza che essa contenga il piano m (poichè quei punti doppi impongono alle £” non più di 4(g, — 1) condizioni linearmente indipendenti, ossia determinano un sistema di F” di dimensione =>3 — n), troviamo intanto che le X" aventi punti doppi nei punti G costituiscono precisamente un sistema lineare X di dimensione 3 — n. Avremo dimostrato che p,=%q,, quando ci saremo accertati che in questo sistema lineare non esistono superficie aventi un ulte- riore punto doppio in posizione arbitraria, cioè che il sistema X non ha jacobiana indeterminata. Ora ciò è chiaro, quando n vale 3, ba % Pn e fi x > punti generici dello spazio, e il gruppo B da - —— punti e LATI RR # 652 ALESSANDRO TERRACINI oppure 2, perchè allora 2 è costituito da una sola superficie, oppure è un fascio. Quando n="1, se la jacobiana del sistema X fosse indeterminata, le £"-! di X, passanti pei punti B dovreb- bero segare in mn una medesima curva (lemma II), mentre esse segano un sistema 0c0!, o dovrebbero contenere m, ciò che ab- biamo già escluso. Finalmente quando n= 0, poichè m è segato dalle F"- di X, passanti pei punti B in una rete È di curve, e non in un sistema meno ampio, se la jacobiana di X fosse in- determinata dovrebbe la rete R avere a sua volta la jacobiana indeterminata (lemma I). Si presenterebbe dunque questo fatto: Dida ? SAL E ATE n(n+ 3) le #"-! del sistema Z, (cioè le F"-! aventi i q, — — 6 LATI punti doppi A in posizione generica) segano ogni piano generico TT rale) -+ 2, tale che n(n + 3) 6 in un sistema lineare X;' di dimensione tutte le reti determinate in esso da —- punti base in po- sizione generica hanno la jacobiana indeterminata. Di qui segui- rebbe intanto che in uno generico di quei sistemi X,', la 0" n(n +8) 6 determinata da -|- 2 punti generici sarebbe riducibile (come appartenente ad una rete di Cl" avente la jacobiana indeterminata), e sarebbe quindi riducibile la ©" generica di X;' (*). Le #"" del sistema X; sarebbero dunque tutte a se- zioni piane riducibili, e sarebbero perciò esse stesse riducibili. Ora, non esiste nessuna superficie d'ordine n —1 su cuì i punti A siano doppi; se quindi vi fosse una componente fissa (eventualmente anche riducibile) di tutte le /"-! di X, conte- nente i punti A, sia F°, i punti A sarebbero semplici su tale componente, e dovrebbero perciò appartenere ancora al resto, (8) Osservando che su ogni curva irriducibile di un sistema lineare col si possono trovare 4 punti per cui non passano altre curve del sistema, si ha che su una ©" di XZ; supposta irriducibile, si potrebbero fissare n(n+ 3) } ! E n(n +43) Tragt 1g punti per cui non passerebbero altre O"! di Xy": a fra essi individuerebbero dunque, come punti base, entro X;", un sistema lineare 00° e non più ampio, e si potrebbero perciò assumere come punti 5. Si giungerebbe allora alla conclusione che la C"-'! considerata sarebbe riducibile. si PRI Na ; , ‘ Ty ì ee SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLE FORME QUATERNARIE, ECC. 653 d'ordine "n—-d — 1. Per la genericità dei punti A dovrebbe dunque essere contemporaneamente (A+ 1) (A +2) (d +3) n(n+ 3) 6 Cin 6 Maazel dt 2) SEE dii n (n+4 3) Mr +e td La=gt1, mentre si verifica facilmente che queste due disuguaglianze sono incompatibili (*). Nel caso che esistesse qualche componente fissa delle F"- di X,' non contenente i punti A, si giungerebbe anche ad un assurdo, perchè i punti A dovrebbero essere doppi sulle parti residue, d'ordine <»— 1, il che abbiamo già escluso. Resterebbe l’ipotesi che X, fosse un’involuzione in un fascio; ma allora >, avrebbe jacobiana indeterminata, e perciò SL Qu nea dic SES punti doppi in posizione generica imporrebbero alle /"°-' meno di 4s condizioni linearmente indipendenti. La quantità sottratta da q,-1è ora =>2, ed essendo n= 0 il lemma IV prova che tale risultato sarebbe impossibile. In ogni caso dunque, nelle ipotesi fatte, è p, = n. I teoremi I-III dimostrano il teorema enunciato in principio. (°) P. es. osservando che quelle due disuguaglianze implicano rispetti- vamente d > ni —2,nT_-d> 3, da cui risulterebbe, eliminando d, V4 V4 ie tai <10: d'altra parte per n= 6, n= 9, l’incompatibilità delle «disuguaglianze scritte si verifica subito direttamente. L’ Accademico Segretario CorrADO SEGRE. LA CLASSI UNITE Adunanza del 27 Febbraio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, i Soci: CameRrANO, Vice-Presidente dell’Accademia, D'OvipIO, Direttore della Classe, SALvADORI, NAccARI, GuaREScHI, GUIDI, Parona, MarTTIRoLo, GRASSI, FusaRI, BALBIANO, PANETTI, SEGRE Segretario ; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, i Soci: CaIronIi, Direttore della Classe, De SaxncrIS, RUFFINI, STAMPINI, BronpI, Srorza, EinaupIi, BAUDI DI VESME, PATETTA, VipARI, PRATO. Scusano l’assenza i Soci CARLE e SOMIGLIANA. Letto e approvato il verbale della precedente adunanza 20 febbraio 1916, il Presidente comunica i ringraziamenti del Prof. Antonio BerLESE, a cui in quella adunanza fu conferito il premio Bressa, e quelli della signora vedova Pelazza per l’an- nunzio datole che al defunto suo figlio Aurelio PELAZZA è stato assegnato il premio Gautieri per la Filosofia. Il Socio VIpARI aggiunge che, anche per suo mezzo, la signora Pelazza invia vivissimi ringraziamenti all'Accademia. Si passa, poscia, alla votazione per il conferimento del premio Vallauri per la Letteratura latina (quadriennio 1911-1914). A unanimità di voti è conferito il premio Vallauri al Prof. Remigio SABBADINI della R. Accademia Scientifico-Letteraria di Milano. 655 Si dovrebbe procedere alla nomina della 1° Giunta per il XX° premio Bressa (nazionale, quadriennio 1913-1916). Ma il Socio StAMPINI propone e l'Assemblea accetta che sia prima messo in votazione un suo ordine del giorno così concepito: “ Nell’intento di studiare, formulare e redigere accura- “ tamente le eventuali riforme ai vari Regolamenti interni per “il conferimento dei premi, e anche di dare una certa unifor- “ mità alle norme, ora assai diverse, che regolano le votazioni, “ e, in fine, di presentare riforme concrete all’ Accademia, sia “ nominata una Commissione di tre Soci per ciascuna Classe, “la quale, sotto la presidenza del Presidente, o, per delegazione, “ del Vice-Presidente, raccolga entro il mese di marzo, e non [a oltre, le proposte che i Soci intendano presentare per iscritto, “ e riferisca, a tempo debito, all'Accademia i risultati dei proprii x studi in proposito ,. Quest’ordine del giorno è approvato. Si procede quindi alla nomina della Commissione su indicata; per la Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali sono nominati i Soci D’Ovipro, Naccari e SEGRE, e per la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche i Soci Srampini, De SanorIs e Caironi. La Com- missione risulta quindi composta nel modo seguente: Presidente o Vice Presidente, D’Ovipio, NACCARI, SEGRE, StAMPINI, DE SANCTIS, CHIRONI. Per tale deliberazione la nomina della 1* Giunta per il XX° premio Bressa è rimandata fino a quando siano state de- liberate le eventuali riforme alle norme per il conferimento dei premii. Gli Accademici Segretari ((ORRADO SEGRE. ETTORE STAMPINI. 5560 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Aauaanta agli Fanbii 1918! PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CHIRonI, Direttore della Classe, De Sanctis, Rurrini, Bronpi, Scorza, ErnAuDI, BAaUDI DI VESME, ParertA, ViparIi, Prato, e StAmpPiNI Segretario della Classe. Scusa l’assenza il Socio CARLE. Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza del 15 febbraio corr. Il Presidente, ricordando le parole da lui pronunciate nel- l'adunanza a Classi unite del 20 corr., allorchè dette comuni- cazione della morte del nostro illustre Socio nazionale Fedele Savio, invita la Classe a provvedere perchè una speciale com- memorazione sia tenuta da un Socio. È designato a farla il Socio RurriNI, il quale accetta di buon grado. Dopo di che il Presidente presenta alla Classe un opuscolo del Prof. Giacomo RopoLro (Estratto dalla Rivista Italiana di Numismatica e Scienze affini, anno XXVIII, fasc. III-IV; Milano, 1915) intitolato Fiorini d’oro del secolo XIV trovati a Carignano. A proposito di questa pubblicazione il Socio PATETTA, rile- vandone la notevole importanza, osserva che la più preziosa 657 . delle monete costituenti il ripostiglio di Carignano, cioè il più antico fiorino d’oro battuto dall'Ordine di Rodi, di cui finora non si conosceva alcun esemplare, è divenuta proprietà dello Stato e si trova oggi presso la Soprintendenza alle Gallerie del Piemonte, a cui è preposto il Socio Vesme. E il Socio VESME, per invito fattogli dal Presidente, fornisce alcuni particolari sul fatto, confermando che la moneta indicata dal Socio PATETTA, nella quale è raffigurato in ginocchio Deodato de Gozono, gran maestro dell'Ordine, non solamente è rarissima, ma con molta probabi- lità è unica, poichè non consta che alcuna collezione pubblica o privata ne possegga un altro esemplare, come, del resto, ha egregiamente avvertito il collega PATETTA. Il Socio VESME sog- giunge che egli aveva scritto al Ministero dell’Istruzione Pub- blica proponendo che, trattandosi di moneta trovata in Piemonte e precisamente nell’antica casa dei Provana, dei quali parecchi furono Cavalieri di Rodi, la preziosa moneta fosse data in de- posito a qualche pubblico medagliere della nostra città; ma il Ministero rispose che, dovendosi formare nel Museo Nazionale Romano una sezione coloniale, non si potrebbe rinunciare alla moneta di Rodi, alla quale si darebbe posto in tale sezione, tanto più che la moneta è, per la sua origine, affatto estranea alla regione piemontese. Prende allora la parola il Socio STAMPINI, il quale crede che si possa ancora ottenere dal Ministero che la moneta sia conservata in un medagliere pubblico del Piemonte, appunto perchè rinvenuta in Piemonte e per giunta in un'an- tica casa di famiglia piemontese cui appartennero parecchi membri dell'Ordine di Rodi, e fa formale proposta che sia espresso al Ministero il voto che la moneta rimanga in Pie- monte. E la Classe approva alla unanimità la proposta che la moneta di Deodato de Gozono, gran maestro dell'Ordine di Rodi, sia conservata al Piemonte. Il Presidente dichiara che trasmet- terà al Ministero questo voto, aggiungendo la sua viva racco- mandazione perchè sia favorevolmente accolto. Uta 5 uica È E Pla o e VERA Le: URESOER v . f È ‘ Nea Re pe e I, \ 658 RE REI COSI PACO I INPS TAN " ER) si » I Il Socio Prato presenta, anche a nome del Socio FixAUDI, il volume che ha recentemente pubblicato col titolo: Problemi mo- netari e bancari nei secoli XVII e XVIMI (volume III, serie I dei R Documenti finanziari degli Stati della Monarchia piemontese pub- blicati a cura del Laboratorio di Economia Politica “ S. Cognetti De Martis, della R. Università di Torino). Dopo un breve rias- sunto dell’opera, fatto dal Socio Prato, parlano i Soci CHIRONI A i ed Ernaupi mettendo in rilievo la novità e l’alta importanza dA scientifica delle ricerche del Socio Prato, col quale il Presi- di dente e la Classe vivamente si rallegrano. | In fine il Socio Vipari presenta per la inserzione negli. : Atti una Nota del Prof. Pietro Menzro, intitolata Cenni sulle a. carte e sui manoscritti dine e ne espone brevemente il Do contenuto. #* PIER ANGELO MENZIO — CENNI SULLE CARTE, ECC. 659. LETTURE È: Cenni sulle Carte e sui Manoscritti Giobertiani ‘, Nota I del Prof. PIER ANGELO MENZIO. intente. Latttnità a) Introduzione. Morto improvvisamente il Gioberti nella notte dal 25 al . 26 ottobre 1852, tutto il Piemonte fu in lutto e molti giornali uscirono listati a nero, con cenni necrologici pieni di dolore e di rimpianto. Il “ Risorgimento , (n° 1498 del 30 ottobre) pub- . blicava un articoletto, che finiva con un periodo di colore oscuro: “ Mentre Vincenzo Gioberti muore nell’isolamento a Parigi, «“ Massimo D'Azeglio rassegna, a fronte della reazione, il potere “ in Piemonte, e Cesare Balbo è incaricato di fare il Ministero “ delle concessioni ,; Ministero che, com'è noto, non fu potuto comporre. L'“ Opinione ,, fedelissima al filosofo negli ultimi tempi, assicurava che la notizia della morte di lui aveva afflitta tutta Torino (n° 298); la “ Gazzetta del Popolo , (n° 258) stam- pava che l’opera di lui si era chiusa luminosamente e che essa era monumento di gloria immortale all'Italia; espressioni poco diverse adoperava la “ Gazzetta Piemontese ,. In generale, poi, tutti i giornali chiedevano che le ossa del grande patriota fos- sero trasportate a Torino, e che senza indugio si aprisse una pubblica sottoscrizione per l’erezione di un monumento. Di fronte : (1) Per questi cenni ho consultato: la “ Gazzetta Piemontese , del 1853; la “ Gazzetta del Popolo, del 1852 e 1853; l’ © Opinione, del 1853-56; il ‘ “ Risorgimento , del 1852; il “ Parlamento , del 1853; il * Fischietto , del 1853, ecc. ecc.; la pubblicazione di V. E. Dasormipa, Vincenzo Gioberti e il generale Dabormida, Torino, Bocca, 1876, ecc. Ho anche esaminato con . diligenza e collazionato colle stampe i mss. giobertiani della Biblioteca | «civica di Torino. sf 660 PIER ANGELO MENZIO a tanto unanime compianto, i giornali gesuitanti non s’astene- vano dal lanciare qualche velenosa frecciata, e Ja “ Campana , scriveva (nel n° 653): “ Noi siamo ancora tremanti per la no- “ tizia venutaci or ora da Parigi. L’abate Vincenzo Gioberti la “ sera del 25 ottobre coricavasi a letto sano e benissimo stante «“ di salute. Un momento dopo non era più. Un colpo fulminante “ d’apoplessia lo rendeva freddo cadavere..... Un colpo di apo- “ plessia che non gli lasciò tempo da pensare a se stesso, e da “ prepararsi alla fatale dipartita..... Oh il Signor gli abbia usato “ misericordia... Ma valga l’avviso a tanti altri che non avendo “ il suo ingegno, lo seguono nella trista carriera di denigrare “ gli ordini religiosi e il Romano Pontefice! Noi ci permettiamo “ con santa libertà di strascinare sul cadavere di Gioberti i “ Siccardi e i Boncompagni. Veggano e riflettano... È per tutti “ che il Signore dà di tratto in tratto esempi così severi della “ sua giustizia... ,. Ma la parte migliore dei Torinesi (non ul- timi, moltissimi sacerdoti rimasti — non ostante le condanne della sacra Congregazione dell’Indice — ammiratori e seguaci del Gioberti) e gli stessi avversari politici, maltrattati nel in- novamento, nella Rattazziana, nella Dabormidiana e nel Preambolo dell'Ultima Replica ai Municipali, accorsero in folla ai solenni funerali (23 novembre) e trovarono nel sindaco della città, Bellono, un degno interprete dell’angoscia dell’animo loro. La sottoscrizione per il monumento, aperta presso il Municipio, raccoglieva subito molte firme; aprivano sottoscrizioni i comandi delle guardie nazionali; i municipî andavano a gara a parteci- parvi od a favorirle (fra i primi, quelli di Pianezza, Trino, Montechiaro d'Asti, Venaria Reale, Vigevano, Govone, Cambiano, Saluzzo, Ivrea, Cremolino, S. Salvatore, Novara, Dronero, Ver- celli, Genova, Ciriè, Mongardino — patria del chimico Gioberti e del padre del filosofo — Cherasco, Chieri, Riva di Chieri, Pecetto Torinese, ecc., ecc.), e in molte cittadine, coll’intervento delle autorità e di molti preti, si pregava pace all’anima del grande. Intanto, correvano voci di varia natura sulle carte e sui manoscritti lasciati dal Gioberti, e queste voci trovavano eco nei giornali di Torino. Il “ Risorgimento , (n° 1522, 27/11 ’52) se- gnalava, tra i mss., la Protologia, con queste parole: “ Ci è ri- “ ferito che fra le carte trovate nell’eredità dell’illustre Vin- N e e ee 0 "i CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 6601 cenzo Gioberti vi è pure il manoscritto pressochè compiuto “ della Protologia. Quest'opera, come ognuno sa, doveva essere il peristilio del grande edificio filosofico che l’autore stava “ maturando; e noi siamo debitori del vantaggio di veder quasi “ compiuto questo nobile lavoro alle indefesse fatiche dell’il- “ lustre scrittore, il quale, appena quietate le controversie poli- “ tiche, non tralasciò più di un punto 1 suoi studi filosofici. “ Speriamo che gli editori italiani a questo annunzio andranno a gara per far sì che quest'ultimo legato del nostro grande concittadino non cada nelle mani di speculatori forestieri ,. “ ” Ahimè! la Protologia era tutt'altro che compiuta..... Lo stesso giornale tornava a parlare dei mss. del Gioberti nel n° 1525 del 1°/12, dando la notizia — non so quanto fondata — che un editore di Torino aveva offerto per essi la somma di lire diecimila. Da un giorno all’altro dovevano giungere a Torino le carte dell'abate Gioberti (sigillate per cura della R.!° Legazione Sarda e della Erede), dirette al sig. Ponsati (1) (“ Risorgimento ,, n° 1545 del 24/12 ’52); e le preoccupazioni sulla sorte di quelle carte erano grandi. “ Speriamo — scriveva la “ Gazzetta del “ Popolo , il 23/12, n° 304 — che le carte e la corrispondenza “ trovate presso l’illustre filosofo saranno conscienziosamente ri- “ spettate. Possiamo assicurare che esiste presso di noi una copia della transazione tra il Governo e la signora Gioberti. Transazione che fu fatta sottoscrivere da quest’ultima, e contro la quale la signora Teresa Gioberti avrebbe già protestato ,. La transazione era stata fatta effettivamente; e la Gazzetta la pubblicava nel n° 13 del 15/1 ‘53 (2), facendola precedere da « “ “ (1) È il teologo Ponsati, parroco di S. Agostino, di cui è cenno nella scrittura o transazione del 28 novembre 1852 tra il Ministero degli esteri e la Erede. (2) La scrittura fu ripubblicata varie volte, ed anche dal Sormi nel Costituto di Vincenzo Gioberti (estratto dalla rivista * ll Risorgimento ita- liano ,, p. 84-5 in nota); le parti più notevoli sono queste: * La signora “ Erede è disposta a consegnare al Ministero quelle carte che concernono “ affari di Stato e che come tali devono tornare in sua proprietà. In ordine “ a quelle che potessero riferirsi ad affari politici, Essa è altresì disposta “a consegnarle al Governo, mediante però, quanto a queste ultime, quella Labia fn 3, CRAS ; “ rà ib LL dae) Lo. . ld è ; . - 4 1 * > î . . 662 PIER ANGELO MENZIO un aspro commento: “ .. Ad edificazione di tutti pubblichiamo «“ questa scandalosa convenzione, e lo facciamo perchè gl’inca- “ ricati di metter mano in quelle carte e di distruggerle pen- “ sino due volte alla grave responsabilità che stanno per incon- “ trare davanti alla pubblica opinione...,. Anche il “ Parlamento ,, nel n° 14 del 16/1 ’53, esprimeva l'augurio che nessuna carta del (Gioberti fosse bruciata, ma che tutte fossero conservate prezio- samente; e poi più chiaramente il 21/1 scriveva: 4 Ci riesce “ grato di conoscere che le carte contenenti le scritture e ‘do- ‘ cumenti dell’illustre Gioberti, di che si è con ragione occupata da qualche giorno la stampa periodica, sono nelle mani del “cav. teologo Monti, grande amico del defunto; e confidiamo “ che non avrà esecuzione il progetto di dare alle fiamme alcuna “ carta edita o inedita dello insigne scrittore ,, ed assicurava che il contenuto delle casse, descritto in inventario, verrebbe a cognizione di tutti. Ma non era di questo parere la signora Erede; la quale anzitutto protestava contro la pubblicazione della tran- sazione, aggiugnendo però di voler tutelare i propri diritti, anche contro il Governo (Gazzetta del Popolo, nel n° 16 del 19/1). — La signora Teresa, del resto, dichiarava di aver fiducia ne’ suoi tre rappresentanti, incaricati dello spoglio delle carte: Cesare Spalla, avvocato Carlo Trombetta ed avvocato Lorenzo Muratori; quand’ecco Cesare Spalla, che — come intimo del Gioberti — dava la migliore garanzia che nulla, nulla sarebbe stato distrutto delle carte giobertiane, si dimetteva, perchè — com'’egli rite- neva necessario, e come la voce pubblica altamente chiedeva — non si voleva fare dagli altri commissari un esatto inventario di tutti i documenti (cfr. la lettera dello Spalla nel n° 47 del 20/2 del “ Parlamento , ; e la “ Gazzetta del Popolo ,, n° 45 del 22/2, la quale consigliava i signori commissari a mettere l’inventario come condizione sine qua non per l'accettazione del delicato in- carico, ovvero “ rinunziare al loro mandato, per non esporsi poi £ r retribuzione che sarà fissata di buon accordo..... Ove si trovino tuttora presso il defunto autore alcune copie dell’opuscolo Ultima replica ai Mu- nicipali, esse dovranno essere scrupolosamente raccolte e quindi rinchiuse nella cassa dei manoscritti, all'apertura della quale intende l’Erede che siano immediatamente consegnate al fuoco in conformità delle intenzioni manifestate dall’illustre trapassato. . ,. n ta R (I * TAI SE. CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 663 “ all'eventuale dispiacere di non potere un giorno o l’altro di- “ fendere con prove e date certe la riputazione di Vincenzo Gio- “ berti ,). Il sig. Cesare Spalla credeva di chiarire meglio le ragioni della sua dimissione, in una sua lettera del 23 febbraio, pubblicata il 24 nella “ Gazzetta del Popolo , e nell’ “ Opinione ,, nella quale insisteva sull'idea che “ tutte le carte appartenenti “ al filosofo e cittadino illustre venivano dalla pubblica opinione “ considerate patrimonio della nazione intiera ,, e che “ standosi “la signora Erede irremovibile nel suo proposito , di non per- mettere l'inventario completo, egli, anche per sentimento della sua dignità personale, rinunziava all'incarico. Allora entrò in campo l'avv. Muratori con una lunga lettera in data 27/2, che fu pub- blicata per disteso nel n. 61 (2 marzo) dell’ “ Opinione , : in essa egli illuminava il pubblico su tutto quanto riguardava la deli- cata questione: che i manoscritti occupavano due non ristrette casse che erano giunte incolumi, chiuse a doppia chiave ed a doppio sigillo, in Torino, ed erano presso l’ab. Monti, intimo del grande defunto; che il Ministero non insisteva nella scrittura del 28/11 ’52: che l’Erede, invitata dal Governo a consegnare le carte di spettanza dello Stato, in forza di un regolamento per le segreterie del 1742, sebbene tale atto non sì fosse pra- ticato nelle eredità dei ministri Santa Rosa, Merlo, Pinelli, an- nuiva; poi egli osservava: “ In oggi i segreti di Gioberti devono “ essere segreti della sua Erede: lo vogliono il buon senso, le “ norme lasciate scritte da Gioberti, e la di lei coscienza per “ non rendersi indegna del titolo di Erede ,; quindi il Muratori combatteva la proposta dell'inventario voluto da Cesare Spalla, e conchiudeva: “ Sappiano dunque tutti quei molti che amano “la gloria del gran filosofo e scrittore che, eccettuati i veri e “ più intimi segreti di Gioberti, che non devono confondersi “ colle sue opere, perchè mai da esso destinati a pubblicità, e “ che la sua Erede non potrebbe palesare senza rendere se stessa “ rea di delazione e forse l’anima di Gioberti spergiura, tutto “ sarà fatto di pubblica ragione... Quando sarà al possesso delle “ sue carte, la signora Gioberti intende di valersi dei sommi “ amici dell’illustre trapassato e di tutti quelli che per lealtà, “ pacatezza di mente e per cognizione siano capaci a presen- “ tare al pubblico ben ogni opera o scrittura possibilmente ma- “ nifestanda ,. Allo Spalla, intanto, dimissionario, venne soti- Atti della R. Accademia — Vol. LI. 43 6604 PIER ANGELO MENZIO tuito il teol. avv. Baracco, altro sviscerato amico del Gioberti. che poi assunse anche il deposito delle casse. Alla “ Gazzetta del Popolo , non piaceva questa soluzione, e nel n° 55 del 3/3 si scagliava contro Muratori e Baracco, deputati a rimescolare, com’essa diceva, le carte del Gioberti! Il sig. Cesare Spalla, poi, chiamato in causa dal Muratori, comu- nicava alla stampa: 1° una lettera a lui indirizzata dalla Teresa Gioberti in data 21/2, nella quale la signora, fra l’altro, diceva: “ È precisa mia volontà di non dare pubblicità ai privati affari “ del mio illustre autore se non per quanto esso stesso avrebbe “ operato... Io sono disposta di proporre al Ministero di restrin- “ gere la nomina dei delegati ad uno solo, ovvero, quando lo “ voglia il Ministero, di surrogarvi un altro di conforme parere “agli altri due ,; 2° la risposta sua del 22/2, nella quale insi- steva nell'inventario di tutte le carte: “ Non è forse l’ inventario “ un titolo per constatare in ogni caso ed in ogni tempo l'au- tenticità degli scritti tutti, che formano la preziosa parte del suo retaggio ?... Quest'inventario non deve certamente esser fatto di pubblica ragione, se non nel caso, in cui la riputazione del- “ l’uomo grande venisse assalita ,; 3° il parere dell'avv. Villanis, che consigliava i delegati della signora a non accettare che wr mandato di fiducia illimitata. E siccome poi la signora Gioberti nella sua lettera si riferiva alla consulenza dell’avv. Galvagno, lo Spalla osservava: “ L’on. sig. avv. comm. Galvagno, nella sua “ conferenza del 20 scorso febbraio, non conchiuse punto essere l'inventario pericoloso, imprudente ed impolitico, come asserisce l’avy. Muratori; ma propose una via di mezzo: cioè di fare l'inventario di tutti gli scritti, tranne le corrispondenze parti- colari. A questa proposizione aderiva l’on. avv. Trombetta, ed io pure assentiva; ma gli ulteriori consulti da me presi, e la grave responsabilità che la stampa, sotto gentile forma d'en- comio, giustamente mi addossava, mi fecero persuaso di un 2- ventario integrale ed esattissimo, e d'un mandato senza riserva , (v.il “ Parlamento ,, n° 57 del giorno 8/9). Così, fra pettegolezzi e ciance, le cose si trascinavano in lungo; e le casse dei manoscritti rimanevano chiuse a doppia chiave ed a doppio sigillo, ed il Ministero degli esteri tenevale sotto sequestro, con grave noia dell'avv. Muratori. Si andò per “ “” “% “ “ “ K CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 665 le vie giudiziarie (1), e il giorno 4 di giugno (copio dall’ “ Opi. nione , del 21 giugno, n° 168) “ fu dibattuta dinanzi al tribu- “ nale di prima cognizione la causa della signora Teresa Gio- “ berti, erede di Vincenzo Gioberti, contro il Ministero per gli “ affari esteri, il quale pretende di rivedere tutti i manoscritti “ dell’illustre filosofo, appoggiandosi al regolamento del 29 gen- “ naio 1742. Sostenne i diritti della signora Gioberti l'avv. Mu- “ ratori, il quale osservò come tale regolamento non fu eseguito “nè per il Perrone, nè per Santa Rosa, nè per Merlo, nè per « Pinelli, sebbene in loro favore non militassero le due rilevan- “ tissime circostanze del loro decesso in luogo e tempo remoti “ dalle esercìte cariche; come quand’anche si volesse osservare “ il regolamento, le pretese del Ministero siano eccessive ed in- “ sussistenti, non potendo quelle prescrizioni degenerare in atti “ onerosi, in un sequestro, in una perquisizione lesiva dei di- “ ritti ereditari e contraria alla memoria dell’illustre trapassato. “ Fra le cause di protrazione di questa sentenza si annovera pur “ quella d’una signora Pittaluga, le cui istanze, scrive l'avv. Mu- “ ratori, non potevano menomamente paralizzare agli occhi della “ legge la stabilita e riconosciuta qualità ereditaria della si- “ gnora Gioberti. Conchiude egli quindi chiedendo che l’erede “ sia reintegrata nel possesso di ogni sua sostanza ereditaria; “e che il Ministero mandi, se vuole, l’archivista a fare la visita. “ Il tribunale non ha peranco pronunziata la sentenza, ma spe- “ riamo non ritarderà: sono già trascorsi otto mesi dalla morte “di Vincenzo Gioberti e le sue preziose carte rimangono tut-, “ tavia sotto sigillo. Le difficoltà suscitate dal Ministero degli “ affari esteri sono affatto inesplicabili, dacchè l’Erede accon- “ sente all'esecuzione del regolamento 1742, quantunque non ap- “ plicata agli altri ministri. Non v’ha dubbio che anche per parte “ della signora Teresa Gioberti è necessaria grande cautela nella “ scelta delle persone incaricate di ordinare e classificare i ma- “ noseritti, ma anche il Ministero debbe riconoscere non fare “ buona impressione l'opposizione che si muove al dissuggella- (1) Nuova luce porteranno, ne sono sicuro, le carte testè regalate dalla signora Vincenza Gioberti, vedova Lamarchia, alla Biblioteca civica di To- rino (v.: Deliberazione della Giunta municipale di Torino, 1° marzo 1916). :66 PIER ANGELO MENZIO “ mento delle casse in cui quelli sono rinchiusi, poichè si dan- neggia agl’interessi dell'erede, e si defrauda il paese, più di quanto conviensi, degli scritti di un illustre ingegno, di cui le parole sono sempre state ascoltate con riverenza. Questa qui- stione doveva essere risolta amichevolmente, e non dubitiamo che per questa via si sarebbe venuto più facilmente ad un compo- nimento tanto soddisfacente pel Ministero degli affari esteri quanto per l’Erede e pel Paese ,. La notizia dell’ “ Opinione , era, in parte, insussistente: perchè il magistrato aveva già, fin dal giorno 7, proferita la sentenza del seguente tenore: “ Reietto l'intervento della Ca- “ milla Rivotti-Pittaluga; non ostare alla domanda della Teresa Gioberti le opposizioni della Pittaluga notificate al Ministero degli esteri, e conseguentemente salvo fra giorni 20 dal Mi- nistero si acconsenta alla cerna delle carte cadute nell’eredità ‘ dell'abate Vincenzo Gioberti di cui si tratta, ed alla dismis- sione delle restanti a favore della Teresa Gioberti, si dichiara ‘ lecito a questa di ritirare le carte e manoscritti tutti esistenti attualmente in deposito presso il sig. avv. sacerd. Baracco e di cui si tratta, reietta ogni eccezione in contrario; spese compensate, salvo quelle della Pittaluga, che si dichiarano a di lei precipuo carico , (“ Opinione ,, n° 171 del 24/6). Questa rettifica fu mandata da L. Lamarque, procuratore della Teresa Gioberti. Ora, siccome la sentenza del tribunale non fu dal pro- curatore giudicata soddisfacente, perchè — osservava il La- “ marque — quel termine concesso al Ministero, quantunque breve, almeno in modo implicito approvava la legittimità del sigillamento e deposito delle carte, ciò che la Erede sosteneva “ insussistente ,, ed in secondo luogo, perchè “ se pure entro quel termine erasi riconosciuto dovere il Ministero procedere ‘ alla cerna delle carte, ciò fosse perchè si consideravano defi- nitivamente reiette con varie già emanate provvidenze le in- stanze della signora Pittaluga, e non solo perchè, come soste- neva la Erede, quelle istanze, anche vertenti, fossero incapaci ‘ a remorare la cerna ,. Per queste ragioni la signora Teresa (rioberti ricorreva in appello, e in data 15 luglio otteneva un’altra più favorevole sentenza: “ Salva al Ministero per gli “ affari esteri ogni ragione che gli possa competere a termini “ del regolamento 29 gennaio 1742, ed in conformità dell’ade- » “ “ “ “ » * rr nn © 19 Ser —=_rao-, g —_ —p— ——_T CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 667 “ sione negli atti prestata dalla Teresa Gioberti, lecita intanto “ alla medesima di liberamente ritirare dall'attuale depositario “avv. e sac. Baracco tutte le carte cadute nell'eredità dell'abate Vincenzo Gioberti, previa però sua sottomissione di rappre- “ sentare al Ministero quelle che fra dette carte possano ritro- “ varsi di spettanza del Governo. Spese compensate , (nel n° 198 del 21/7 dell’ “ Opinione ,). Così il magistrato d’appello; e l' “ Opinione ,, pubblicando la 2* comunicazione del sig. La- marque, aggiungeva qualche considerazione per conto suo e chiedeva, non senza una punta di ironia, se il regolamento del 1742 fosse stato applicato per quello che riguardava l'eredità di Cesare Balbo! Perchè tanta insistenza, da parte del Ministero degli esteri, nell'applicazione del regolamento del 1742? Il velo è così sottile ch'è facile trapassarlo: era ministro degli esteri quel Dabor- mida, contro cui aveva nel Rinnoramento e nella Dabormidiana avventato de’ dardi non certo sire ictu il glorioso defunto; e si temeva, fors'anco, che qualche copia della Ultima replica ai Mu- nicipali (che l’ab. Monti ed il Massari avevano visto distruggere dal libraio Bocca la sera del 7 giugno ’52) pur si trovasse fra le carte o, almeno, il manoscritto (1); e si voleva evitare che andassero in mano del pubblico degli sfoghi contro eminenti personaggi, ecc. ecc. Non so se sia censurabile la condotta del Ministero in tutta questa faccenda; ma l'opinione pubblica aveva ragione di pensare che per il solo Gioberti era stato esumato un vieto regolamento, che non si era applicato nè al Perrone, nè al Santa Rosa, nè al Merlo, nè al Pinelli, nè al Balbo (2). (1) Una copia dell'Ultima replica ai Municipali fu trovata dal prof. Gu- stavo Balsamo-Crivelli nella Biblioteca Nazionale V. E. di Roma (v. il gior- nale La Tribuna, 31.10.1915) e sarà da lui edita con un'ampia introduzione. (2) Sentiamo anche l’altra campana! Il Dabormida, rispondendo ad una lettera del Massari del 22 luglio '53, affermava che il suo intervento, come ministro degli esteri, fu dovuto al fatto di trovarsi le carte all’estero; e che egli agiva per incarico del Governo: “ La pubblicazione nel * Rinnova- “ mento d'Italia, di dispacci ministeriali, fece supporre al Ministero che “ si trovassero nelle carte dell’illustre defunto documenti appartenenti al “ Governo, ed esso stimò suo dovere il rivendicarli. Nè mal si appose il “ Ministero, poichè già dall'Erede vennero -lealmente restituiti gli originali i TA « AS 668 PIER ANGELO MENZIO Finalmente! Il 20 luglio “ venne fatta in casa della signora “ Teresa Gioberti l'apertura delie casse contenenti 1 manoscritti “ e le carte di Vincenzo Gioberti. Assistevano a quest’opera- “ zione il sig. Luigi Lamarque, procuratore, l'avv. Lorenzo Mu- “ ratori e l'avv. Carlo Trombetta, persone di fiducia della Erede, “ ed i signori avv. e teologo Giovanni Baracco e Giuseppe Mas- “ sari, antichi ed intimi amici dell’illustre estinto, accorsi volen- “ tieri per invito della Erede a rendere questo nuovo e solenne “ attestato di devozione alla santa memoria del loro compianto “ e dilettissimo amico. Fu rinvenuto un voluminoso carteggio “ epistolare, svariati estratti di libri d'ogni argomento letterario “ e scientifico, e manoscritti di opere incominciate ed interrotte “ dalla funesta catastrofe che tolse alla civiltà ed all'Italia tanto “ lume. I predetti signori procederanno all'esame minuto e rag- “ guagliato di tutte quelle carte con quella scrupolosa religione “ed accuratezza che son dovute alla memoria dell’insigne de- “ funto ed agli interessi della patria e della scienza , (“ Gaz- zetta Piemontese ,, n° 172 del 22/7, riprod. nel n° 200, 23/7 del- l’ “ Opinione ,). Il pubblico, dopo questa comunicazione, era ansioso di cono- scere più esattamente il contenuto dei manoscritti giobertiani (per il carteggio, sebbene non risulti dai giornali del tempo, pare che non si sia eseguita la volontà della Teresa o che questa mutasse parere: ossia, le lettere — i cui autori erano viventi — non furono tutte consegnate; le altre, non furono “ .lei due dispacci confidenziali pubblicati dal Gioberti, i quali apparten- “ sono agli archivi della legazione di Parigi, da cui non avrebbero dovuto “ essere distratti , (ivi). Per la scrittura coll’Erede (28 novembre '52) il Mi- nistero delegò il cav. Bertinatti; per la cerna delle carte, il Direttore dei %egi Archivi ed il cav. Bertinatti. Il Ministero, in seguito al clamore dei giornali, non insistette sulla scrittura del 28 novembre. Sulla proposta della signora Teresa Gioberti, fu poi aggiunto come terzo delegato per la cerna il signor Giuseppe Massari; ma, dopo il processo, i delegati ministeriali si ritirarono: e, all'ultima ora, il Massari ed il Baracco si aggiunsero, per invito della Erede (ivi, cfr. p. 50-3 del libro di V. E. Dasormina, Vincenzo Gioberti e il generale Dabormida). Il Dabormida avrebbe dato ordine ai tre delegati di pubblicare qualunque carta lo riguardasse direttamente o indi- rettamente, come uomo pubblico o privato (ivi). CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI (569 distrutte (1) ed al Ministero passarono probabilmente le carte ‘che furono giudicate di spettanza dello Stato), e cominciarono a leggersi nei giornali delle indiscrezioni. Il “ Parlamento , nel n° 183 del 4 agosto, pubblicava, togliendolo dall’ “ Espero ,, il seguente comunicato: “ Fra le carte del Gioberti trovaronsi due “ manoscritti di grandissima importanza. Uno è un lavoro com- “ piuto sull'Ontologia; l’altro è intitolato Della riforma cattolica. “ Già nel Primato, poi nel Gesuita moderno Gioberti toccava la necessità di sterpare quanto vi ha di esteriore nella Chiesa, “ che non è più in accordo colla civiltà del secolo. I fatti del 1849 “ lo confermarono in tale opinione, di cui spesso parlò all’arci- “ vescovo Sibour. Specialmente all’epoca dell’ultimo Sinodo dio- “ cesano di Parigi ne aveva fatto argomento di lunghe e serie * conversazioni co’ suoi più famigliari, fra i quali erano La- “ mennais, Montanelli e l'arcivescovo parigino. Una volta anzi, “che fu a visitarlo l’ex-gesuita abate Léon, il quale in questa “« materia è radicalissimo, entrato in tale questione, dichiarò “ apertamente essere suo pensiero, che se non si ha il coraggio “ di por mano ad una larga riforma della Chiesa, vi sarebbe a “ temere in una prossima rivoluzione per lo stesso dogma. Il * saggio, del resto, che Gioberti ci diede di queste sue idee nel- “ l'eloquentissimo capitolo del Rinnovamento intitolato a Pio IX, “ può farci comprendere quale sia l'indirizzo dato a questo nuovo “ libro. A quest'ora la sua pubblicazione sarebbe opportunis- ‘ sima... Se si eviteranno certi intrighi di cui si teme, hassi “ motivo di credere che il Massari sara incaricato della stampa “« di queste nuove opere dell’illustre filosofo... ,. Qui si fa certo confusione fra “ Ontologia , e “ Protologia ,, e vi sono altre ine- sattezze evidenti. Non solo giornali torinesi, ma di provincia e dell’estero seguitarono a fare delle supposizioni sulle carte gio- bertiane, e non sempre esatte e fondate: onde il Massari, in una lettera del 9 agosto, riaffermando che la verità relativa a quelle «carte era quella enunciata nella nota inserita nella “ Gazzetta Piemontese ,, aggiungeva: “ Siccome si sta procedendo con la ® (1) Anche per questa parte attendiamo che il prof. Balsamo-Crivelli classifichi, selezioni ed ordini le numerose carte testè regalate alla Biblio- teca civica dalla signora Gioberti vedova Lamarchia. ‘e 4 bee» w Pd da ni i 27% .,9, - 670 PIER ANGELO MENZIO massima accuratezza all'esame di cui si parla in quella nota “ (la quale operazione richiede tempo non breve), così quando “ quell’esame sarà finito, e soltanto allora, il pubblico verrà “ informato di tutto, e tutto quanto potrà dirsi o stamparsi ‘ fino a quel momento non ha fondamento di sorta. Questa di- “ chiarazione è necessaria per premunire il pubblico contro le “ false dicerie, per evitare una pubblicità dannosa e per lo meno intempestiva, e per mettere al coperto la responsabilità mia e quella delle altre onorevoli persone, a cui l’Erede ha affidato. il geloso e sacro incarico ,, ed assicurava il pubblico che tanto lui quanto gli altri commissari “ sentono abbastanza — “ cito ancora le sue parole — l'immenso peso della responsa- “ bilità che hanno assunto al cospetto d’Italia e del mondo civile. “ e verso la memoria del carissimo estinto , (“ Opinione ,, 15/8, n° 223; cfr. “ Parlamento ,, 16/8, n° 193). Qualche mese dopo, e precisamente il 13 marzo del ’54, Giuseppe Massari scriveva al direttore della “ Gazzetta del Po- polo ,: “ Nel numero del suo giornale in data di sabbato 11 cor- “ rente si leggono le seguenti parole: Ci si invita a chieder conto «“ delle carte di Vincenzo Gioberti. È inutile: esse hanno presa la “ stessa via delle carte di Pellico. Avendo io, per incarico della “ Erede, assunto l'impegno di esaminare quelle carte, mi credo “ in debito di pregarla a voler acchetare i timori di chi l’abbia esortata a chiederne contezza, e che quando ne sarà compiuto l'esame il pubblico verrà informato esattamente di tutto quanto ad esse si riferisce... Le carte di Gioberti sono nelle mani della sua Erede, la quale non poteva dare attestato più solenne della sua lealtà e della sua riverenza verso la memoria del diletto estinto se non affidando l’esame delle di lei carte a chi gli fu per tanto tempo discepolo fedele ed amico svi- “ scerato... , (“ Opinione ,, n° 73, del 14.354). L’anno successivo, il 6 gennaio, compariva nel giornale il Piemonte , una nota, nella quale sì manifestava il timore che i manoscritti del Gioberti andassero perduti o fossero per ca- dere in cattive mani; ed il Massari scriveva il giorno 8: “ ... Es- “sendo io uno dei componenti la commissione di fiducia scelta “ dall’Erede per esaminare quei manoscritti, e da questa com- “ missione... essendo stato specialmente delegato all’esame di quelle carte, sono in grado di dare ragguagli positivi. Dopo “ NS 4 CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 671 “ aver compiuto l’esame dei manoscritti del Gioberti, dichiaro “ che pur troppo non ho rinvenuto fra essi verun lavoro com- “ piuto, ma soltanto abbozzi, brani e indicazioni più o meno dif- “ fuse delle opere che il sommo filosofo intendeva dettare, ed i “ cui titoli sono i seguenti: Della riforma cattolica; Filosofia “ della rivelazione; Protologia. Il resto delle carte contiene copiosi “e voluminosi estratti delle letture che tuttodì l’uomo grande “ faceva. Vi è pure un lavoro filologico importante intitolato : “ Correzioni ed aggiunte nuove al Vocabolario della Crusca. È “ sacro debito non defraudare l’Italia e la scienza dei pensieri «“ di Vincenzo Gioberti, ed a questo debito non mancherò di ‘ adempire religiosamente, rendendo di pubblica ragione i fram- ‘ menti di quelle opere, che la morte ha così crudelmente in- “ terrotte. Ben comprendo quanto sia ardua e delicata l'impresa a cui mi accingo, e veggo tutte le amarezze e le ingiustizie che mi travaglieranno: ma la coscienza di fornire un dovere verso quella diletta memoria mi fa pronto a qualsivoglia sa- crifizio ,. Il Massari finiva protestando di essere convinto pro- fondamente che il filosofo “ avrebbe potuto trovare un più in- “ telligente interprete delle sue volontà; ma non certamente un “ interprete più zelante e più affettuoso , (“ Opinione ,, 1855, 11/1, n° 11). — Solo il giorno 8 luglio ’56 (a quanto scriveva la “ Gazzetta Piemontese ,) venne firmato un contratto tra la Erede di Vincenzo Gioberti e gli Eredi Botta per la pubblicazione delle opere postume del sommo filosofo. La pubblicazione cominciò coi frammenti dell’opera Della riforma cattolica, che fu messa in vendita nel giorno di martedì 9 settembre, ed ebbe spaccio abbondante, tanto che il 23 settembre erano già stati venduti 805 esemplari. Seguirono le altre: Filosofia della rivelazione ("56) e Protologia (*57). Più tardi, 2 volumi di Miscellanee; più tardi ancora, per opera dell'avv. Domenico Fissore, gli Studi filolo- gici (1867). In questi ultimi anni, Edmondo Solmi pubblicò le Meditazioni filosofiche (1909), poi il vol. La teorica della mente umana, Rosmini e i Rosminiani, La libertà cattolica (1910). Altri passi dei manoscritti giobertiani furono pubblicati dal Solmi negli svariati suoi studi sul filosofo torinese. Attualmente, la maggior parte dei mss. sono nella Biblioteca municipale di Torino, rega- lati dalla signora Lamarchia (con lettera 31 marzo 1903), e sono “ “ 672 PIER ANGELO MENZIO stati ordinati e classificati dal direttore, dott. Mussa (1). Ma il discorrere partitamente di loro mi porterebbe troppo lontano: mi basti per ora di parlare del ms. n° 31, che contiene l’opera frammentaria Della riforma cattolica, la quale fu pubblicata per la prima. 8) Il Manoscritto N° 31 (Della riforma cattolica). È, fra i mss. giobertiani, uno dei meglio conservati. Il 1° foglio, non numerato, reca scritto di pugno del Gioberti: Della riforma cattolica. Seguono 396 fogli (v'è il 239 e 239%; manca però il 254): i fogli sono scritti sul retto e sul verso, 0 sul solo retto o solo su una parte del retto; la maggior parte, di color bianco e del formato 20 X 32,5, con fogli intercalati di dimensioni minori e altro colore. Sono numerati — pare — di pugno dello stesso Gioberti sul retto; prima in matita, poi (non sempre) a penna: ad ogni numero è premessa in stampa- tello la lettera A. Quattro fogli sono vergati su carta inte- stata Légation de Sardaigne, ossia i fogli: 249 (Massari, p. 196, $ CXXX); 253 (Massari, p. 198: “ Obbiettasi contro il Cristia- nesimo ,); 258 (Massari, p. 201: “ Cristo in tutti quelli che l’accostano ,); e 338 (Massari, p. 254: “ Il Cristianesimo non è un semplice pensiero ,). Il ms. pervenne alla Biblioteca civica di Torino già legato ed ordinato, come ora si trova: pare che l’ordinamento si debba allo stesso Gioberti. Riguardo al tempo in cui i fogli furono scritti, non si può stabilire il termine a quo; nondimeno è fa- cile accorgersi che alcuni furono composti prima del '49. Il ter- mine ultimo può farsi arrivare al 1851-2; giacchè v'è traccia della scrittura nervosa, tanto facilmente riconoscibile, del Gio- berti negli ultimi anni di vita. Il Massari ha con ragione notato (p.277) che il $ CXCVIII fu dal Gioberti scritto prima del 1849, giacchè in quell’anno 0; peggio, dopo di quell’anno egli non avrebbe detto che il tempo è propizio all'unione religiosa, perchè — tra l’altro — abbiamo Pio e Roma s'incivilisce (p. 277,1. 2: vedi le mie correzioni). Per (1) Cfr. le note a p. 665 e 669. i i 4 CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 673 conto mio, osservo che anche il $ II fu scritto prima del fa- tale ‘49; perchè, parlando del governo temporale, dice: “ Ha difetti, è capace di miglioramento ,. Dicasi lo stesso di altri passi, come il seguente: “ Siccome le mutazioni provano quandò si « passa per la via di mezzo, il transito alla spiritualizzazione “del dominio pontificale, mediante l'abolizione del temporale, “ si può fare colla secolarizzazione di questo , ($ LXXV, p. 125). Quale eresia! avrebbe esclamato il Gioberti del 1849, del 1850, del 1851 e 1852! Apriamo i frammenti della Riforma, scritti evidentemente dopo del ’48 e leggiamo: “ Tre innesti mimetici “ rovinarono il Cattolicismo: 1° La potenza temporale del Papa: “ 2° l'Inquisizione; 3° il Gesuitismo , ($ XIII, p. 22); “ Il go- “ verno temporale del Papa, e il potere dittatorio del Papa sul “temporale dei principi... appartengono allo stato mimetico e non metessico della Chiesa... Assurda cosa è, che la Chiesa costi la felicità d'una nazione. Il dominio temporale del Papa fu utile nel passato, cioè durante il regno della forza. Nuoce al presente, perchè comincia l’epoca del vero diritto franna- zionale... , ($ XX, p. 28, 80); “ Gli ostacoli principali della riforma sono: 1° il governo temporale... , ($ XXIII, p. 38); “ La potestà temporale del papa; inutile, dannosa , ($ XXXVIII, p. 62). Che più? si legge in un frammento ($ CXXII, p. 186): Ma il Papa è inutile. Sia pure, se così vi piace, come opera- “ tore; ma non come memoria. Serbatelo come un monumento ,. Senza entrare a discutere delle teorie di questi frammenti, credo nondimeno opportuno di riportare qui il $ XC (p. 142-3), come quello che compendia brevemente i desiderata più miti del Gioberti. “ Condizioni necessarie al ristauro del cattolicismo: 1° Sot- “ trazione del governo temporale al Papa, ovvero secolarizzazione “ di esso governo con istatuto rappresentativo (1). Finchè dura il governo attuale, il temporale rende odioso e contennendo lo spirituale all'Italia; e quindi al resto del mondo; 2° Mo- dificazione del celibato dei chierici; 3° Abolizione dell'Ordine dei Gesuiti; 4° Inamovibilità del clero inferiore; 5° Soppres- « - = » (1) Qui, come nel $ LXXV, p. 125 e altrove, il Gioberti vorrebbe che si arrivasse all'abolizione del dominio temporale per GRADI. Anche questo passo potrebbe essere anteriore al ’49. adi 5/4 PIER ANGELO MENZIO ‘ sione dei voti monastici in età immatura; 6° Istruzione emi- ‘ nente in una parte del clero. Riforma radicale dei seminarii, ‘ dell'educazione ecclesiastica. Usufrutto del tempo in tutto il “ chero. Abolizione del coro universalmente; 7° Modificazione o “ abolizione della Congregazione dell’Indice. Larghezza teologica. Misurare la determinazione del dogma col possibile, e propor- “ zionare il peso di questo alla forza degli argomenti di credi- bilità. Se gli inquisitori romani avessero ciò fatto, non avreb- bero condannato Galileo. Evitar le nuove definizioni. Non aver paura e non badare ai piccoli errori; 8° Le altre mutazioni disciplinarie seguiranno di mano in mano all’istruzione del ‘ clero e saranno effetti della civiltà della Chiesa ,. Notevolis- simi sono anche i Sommarii della Riforma Cattolica (in Massari, XXXIX-XL), dove insiste sulla prima causa del male ch'è, da una parte, il governo temporale del papa, e d'altra parte, l’igno- ranza del clero, ed il $ CLXXV, ch'è una diatriba contro la Roma dei Papi, che “ è ricorsa per difendersi alle armi del “ mondo e delle passioni. Ricorse a Satana invece di sperare in “ Cristo... Cristo si è ritirato e l’ha lasciata a se stessa, (p. 256). Due scopi si prefiggeva il Gioberti: “ l’uno di rendere al clero nella società, l’altro alla teologia nella enciclopedia, il ‘ grado che loro compete , (p. 8, $ VI). Bisognava, soprattutto. mettere il Cristianesimo d'accordo col secolo, svolgendone l’ele- mento terreno e facendone una civiltà (p. 37, $ XXIII); biso- gnava “ applicare la religione alla civiltà, farla servire di stru- “ mento alla propagazione della civiltà medesima , (p. 15, $ X). Era egli persuaso che “i nemici più grandi della religione sono “ quelli della scienza e dell’incivilimento , (p. 108; $ LXII), e che “ la religione giunta nella sua maturezza dee, senza lasciar “ di essere religione, trasformarsi in civiltà , (p. 145, $ XCII). Egli vagheggiava la riforma, per opera di un uomo o dittatore ideale, che poteva essere prete o laico; meglio se di professione univa i due caratteri del sacerdozio e del laicato; se era prete, ma non dipendeva da una special giurisdizione, non aveva dio- cesi, non aveva patria, se era cristiano e cittadino del mondo (p. 153, $ XCIX). Questo ingegno estragerarchico, per poter ope- rare colla Chiesa, doveva guardarsi dal diventare antigerarchico, come Lutero, Lamennais, e tutti gli eretici: doveva restare nella Chiesa a costo di qualunque scomodo; doveva rassegnarsi & CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 675 soffrir fortemente in vista del bene futuro! (p. 32, $ XXI). Non v'ha dubbio che il Gioberti, scrivendo quelle espressioni, pen- sava a se stesso, sacerdote, esule, perseguitato dai Gesuiti e gesuitanti, proscritto dall’Indice... che s'ostinava a rimaner nella Chiesa per il bene di essa e della civiltà! E aveva, perciò, d’uopo della più ampia libertà di stampa, ch'egli invocava con ottimi argomenti: tutt'al più avrebbe ammesso la censura consecutita, ma non mai quella anticipativa: “ Chi non vuole la libertà della “ stampa, per esser logico dovrebbe impedire la libertà di par- “ lare, di camminare, ecc. Ma ciò è impossibile e assurdo. Così è “ impossibile l’impedire la libertà della stampa , (p. 26, $ XVIII). Il Massari comincia coi frammenti della Riforma cattolica la pubblicazione delle opere postume del Gioberti : la prefazione è datata da Torino, 1° settembre 1856. Egli ha seguìto la numera- zione del manoscritto, attenendosi scrupolosamente all’originale: ma ha voluto, troppo spesso, riunire sotto lo stesso paragrafo dei frammenti che — pur seguendosi nella numerazione — non hanno tra di loro stretta relazione d’idee; donde ne viene confusione e peggio. Penso pertanto di reintegrare i frammenti, come sono nel manoscritto giobertiano (il che formerà oggetto di una seconda Nota}, indicando dove furono raggruppati e come; ed avvertendo le maggiori incongruenze di tali arbitrari aggruppamenti. Seguirà un’errata-corrige alla stampa del Massari, nella quale pubblicherò qualche passo omesso da lui, o per semplice svista (come nel foglio 148°, dove non fu pubblicato il verso), o per ragioni spe- ciali (come il passo del celibato nel foglio 95°), o forse perchè depennato in parte (foglio 382°). Le correzioni non sono tutte, com'è naturale, d’ugual peso: ma ve ne sono di quelle notero- lissime e d'importanza capitale per l'intelligenza del testo. Se questa mia qualunque fatica sarà ritenuta non inutile, farò seguire a questa collazione quella degli altri mss. giober- tiani, stampati postumi, con molte inevitabili sviste, dai beneme- riti editori, nella speranza di cooperare alla migliore e più esatta intelligenza del pensiero del nostro maggiore filosofo del se- colo 19°. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. POS 2-2 60 PREMIO DI FONDAZIONE GAUTIERI La Reale Accademia delle Scienze di Torino conferirà nel- l’anno 1917 un premio di fondazione Gautieri a quell’opera di Letteratura, Storia letteraria, Critica letteraria, che sarà giu- dicata migliore fra le pubblicate negli anni 1914-1916, non escluse quelle che riguardino le letterature classiche e straniere. Il premio di L. 1900 sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i Soci nazionali residenti e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in lingua italiana. Gli autori possono inviare all'Accademia le pubblicazioni sulle quali desiderano richiamarne l’attenzione, avvertendo che non saranno restituite le opere ad essa per tal fine pervenute. Torino, 15 febbraio 1916. L’ Accademico Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche | i 1 ETTORE STAMPINI. o - CLASSE. DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 5 Marzo 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SarLvapori, Naccari, JADANZA, GuarescHI, Gui, Parona, MaTTIRoLO, Fusari, BALBIANO, PANETTI e SEGRE, Segretario. Letto e approvato il verbale della precedente adunanza, il Presidente comunica un telegramma del Prof. Remigio SABBADINI che ringrazia pel premio Vallauri a lui conferito, ed una circo- lare della Stazione Zoologica di Napoli relativa alla gestione temporanea e straordinaria della Stazione stessa. Vengono poi presentate dai Soci GUARESCHI e SEGRE, rispet- tivamente, le seguenti Note per la stampa negli Att?: G. CHARRIER, Reazioni di nitrati di ossiazocomposti ; A. TERRACINI, Alcune questioni sugli spazi tangenti e oscu- latori ad una varietà. Nota II. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 44 678 G. CHARRIER LETTURE Reazioni di nitrati di ossiazocomposti. Nota di G. CHARRIER. I. — Azione degli alcooli sui nitrati degli eteri degli 1-arilazo-2naftoli (arilazofnaftoli). Esaurito in gran parte per mie precedenti ricerche (') lo studio delle reazioni dei nitrati degli azocomposti (ossi- e amino- azocomposti), nelle quali si ottengono nitrati di diazonio (reazioni che ho complessivamente indicato col nome di “ diazoscis- sione , (*) dei nitrati degli azocomposti), incomincio ora lo (4) G. 43, II, 148, 211, 227 (1913); 44, I, 120, 165, 405; II, 228, 503. (*) La diazoscissione dei nitrati degli ossi- e amino-azocomposti non è che un caso speciale della diazoscissione degli azocomposti, la quale com- prende tutte quelle reazioni per le quali dagli azocomposti (ossi- e amino- derivati) si ottengono sali di diazonio. Colla conoscenza del meccanismo della diazoscissione dei nitrati, che fui il primo a mettere in evidenza e che è generale per gli azocomposti ossi- e amino-sostituiti, noi possiamo chiarire in modo indubbio tutte le reazioni, nelle quali si passa dagli ossi- e amino- azocomposti ai sali di diazonio: dalla diazoscissione può inoltre acquistare salde basi sperimentali un meccanismo della copulazione, che per quanto non nuovo non aveva ancora sino a questi ultimi anni in suo favore alcuna dimostrazione sperimentale [G. #3, II, 148 (1913); 44, II, 503 (1914)]. La diazoscissione dei nitrati degli ossi- e amino-azocomposti è carat- terizzata dallo spostamento dell’azogruppo per mezzo del nitrogruppo e porta sempre e quantitativamente quando viene eseguita nelle opportune condizioni a un nitroderivato contenente il nitrogruppo nella posizione in cui l’azoderivato conteneva l’azogruppo e a un nitrato di diazonio secondo lo schema generale: DAINO, 3 A \OH(OR,NH,,NR;), NOH(0R, NH;, NR)) Î /N=N-Ar' h Li, ZN03 (4 H.0 r dl Ar_—N=N NO: Delizia REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 679 studio di altre interessanti reazioni di questi importanti sali, occupandomi nella presente dell’azione degli alcooli sui nitrati /A1)N=N—-Ar x X\(2)OR Ho attribuito (') ai nitrati degli ossiazocomposti e dei loro eteri la struttura degli eteri degli arilazoBnaftoli C,oHy .2HNOg,. H ONO, ali ANENTAr API wi gii XH NR considerandoli cioè come sali di ammonio e di ossonio sostituiti, e per analogia ho esteso tale formola ai nitrati degli aminoazo- composti contenenti due molecole di acido nitrico data la loro tendenza alla diazoscissione, rappresentandoli collo schema seguente : H ONO, SA ,N=N—Ar' / II H i Ar x /H ALI sia per spiegarmi da una parte la minor resistenza che il gruppo H ONO, _N=\ Av coll’azoto pentavalente oppone alla sostituzione col gruppo —NO, del gruppo —N=N-—Ar' coll’azoto triva- lente" e la formazione nella diazoscissione dei nitrati del nitrato di diazonio N=N-— Ar’, che contiene il residuo dell'acido ni- ONO, trico attaccato all’azoto pentavalente, sia per analogia dall'altra parte dei nitrati coi cloridrati (e cogli alogenuri in generale) (4) G. 43, lI, 213 (1913). 680 G. CHARRIEK degli eteri degli o-ossiazocomposti derivanti dal 8-naftolo (ari- lazoBnaftoli) che si scindono già a 100° in eloruro alchilico, acido cloridrico e ossiazocomposto (!), per cui è logico ammet- tere che l’alogeno eliminandosi unito all’alchile, si trovi legato nella molecola del sale dell’etere dell’ossiazocomposto all’atomo di ossigeno a cui aderisce l’alchile (?). Nella molecola dei nitrati la forza di affinità che tiene le- gato l'atomo di azoto dell’azogruppo al nucleo aromatico biva- lente risulta più debole che non sia nell’azocomposto non sali- ficato, poichè il gruppo NO; sposta facilmente l’azogruppo, il quale per parte sua ha tendenza a trasformarsi nell’aggruppa- mento più stabile del nitrato dell’arildiazonio. In altre parole il sistema costituito dal nitrato dell’azocomposto è poco stabile, poichè ha grande tendenza a trasformarsi nel sistema più sta- bile costituito dal nitroderivato (nitro-ossi- e nitro-amino-deri- vato), dal nitrato di diazonio corrispondente e dall’acqua. Lo stato più stabile viene raggiunto più velocemente quando si scaldi il sistema, ma anche spontaneamente per quanto più len- tamente si arriva al nitroderivato, al nitrato di diazonio e al- l’acqua a temperatura ordinaria; l’azione del calore non fa che accelerare la reazione. Benchè fosse stata già da me osservata per i nitrati una scissione analoga a quella degli alogenuri degli eteri degli ari- lazoBnaftoli, che conduceva al p-nitro-ossiazocomposto non ete- (4) G. 43, I, 543 (1913). (*) Questa scissione degli alogenuri degli eteri degli arilazoBnaftoli che ho rappresentato collo schema seguente BRA NU ; ANENTAr N=N OoHsS È +R—0H+2HNO,, ) oppure coll’alcool anidro un’alcoolisi N=N-Ar CHX .2HNO; + R'OH ——» OR AFN-Ar —. Cod +R'N0;--ROH--HN0;; OH per eliminare ogni dubbio si studiò l’azione dell'alcool metilico assoluto sul nitrato dell’etere etilico dell’1-fenilazo-2naftol N=N CH; CioHst P 2HNO; " 00,H; se in questo caso si formava nitrato di etile non poteva essere dubbio trattarsi di una vera scissione caratteristica del nitrato studiato procedente secondo lo schema ANG Cio .2HNO; ——-» A=N-C;; e 4 CH; N0;-+HNO;. REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 683 L'esperienza dimostrò che si otteneva, accanto all’1-feni- lazo-2naftol, soltanto nitrato di etile e acido nitrico, non nitrato di metile, e che quindi non poteva trattarsi affatto di alcoolisi. Se si confronta quest’ultimo modo di scissione dei nitrati degli eteri degli arilazofnaftoli testè studiato colla diazoscis- sione degli stessi nitrati usando lo schema seguente: renti tai NFN-Ar 1 CroH; +R_NO; + HNO; AFNTAr / OH CroHsS -2HN0g,, « N OR I DS / NO, | È: don -. Ar-N—NO, ta H,0 non si può negare che la struttura ehe da qualche anno io ho attribuito a tali sali degli azocomposti non acquisti una nuova base sperimentale, poichè mentre da un lato tale nuova scis- sione ci permette di considerare assai probabile la presenza di uno dei residui nitrici aderente all’atomo di ossigeno a cui ade- risce l’alchile, dall'altro lato la diazoscissione, come già feci osservare in principio di questa Nota, ci spinge ad ammettere che l’altro residuo nitrico si trovi legato all’atomo di azoto col quale si elimina sotto forma di nitrato di diazonio. Dobbiamo perciò molto verosimilmente rappresentare la struttura dei ni- trati degli arilazo-Bnaftoli e insieme il meccanismo delle due scissioni sopra accennate collo schema seguente: H ONO, i puo Ar per azione del calore ‘ H N 0» A N=N H.0 4: NTAT Tanche spontaneamente > Cio "\oR sa r_NZ=L + 2L Soi ONO, 7H l N=N-Ar DS soluzio , Ba i l sH "I 684 G. CHARRIER Nitrato dell’etere etilico dell’1-fenilazo-2naftol Cioe i . 2HNO, . 0CsH, Azione dell'alcool metilico. — Gr.45 di nitrato si trattarono con 350 cc. di alcool metilico, disseccato accuratamente e di- stillato su ossido di calcio: dopo qualche ora incominciarono a separarsi cristalli di 1-fenilazo-2naftol, fusibili a 133°, che an- darono man mano aumentando per qualche giorno. Quando il liquido non lasciò più cristallizzare sostanza e assunse un color rosso-chiaro, si filtrarono i cristalli, si neutralizzò con carbonato di calcio l’acido nitrico e quindi si sottopose il liquido nuova- mente filtrato a distillazione frazionata, impiegando un tubo Henninger-Le Bel: eliminato l’alcool metilico al disotto di 66°, la temperatura di distillazione sale rapidamente a 86°; passa il nitrato di etile, che si riconosce, oltrechè per il punto di ebol- lizione, per le proprietà e per la reazione con solfato ferroso e acido solforico concentrato. Una seconda prova eseguita con 12 gr. di nitrato e colla sola variante che venne portata all’ebollizione la soluzione del nitrato nell’alcool metilico anidro diede gli stessi risultati. Azione di altri aleooli. — Coll’alcool propilico sì ottenne una soluzione intensamente colorata in rosso-vinoso, che dopo qualche giorno incominciò a separare cristalli aghiformi ben sviluppati a riflesso verde-metallico intenso. Ricristallizzati dal- l'alcool, si separano in fogliette dorate fusibili a 133° (1-feni- lazo-2naftol). Prove di mescolanza con 1-fenilazo-2 naftol puro non dànno abbassamento sensibile del punto di fusione. Coll’alcool isopro- pilico si osservarono gli stessi fenomeni: gli aghi separatisi cristallizzati dall'alcool si mostrarono all'apparenza e al punto di fusione costituiti da 1-fenilazo-2naftol. Coll’alcool isobutilico avvenne come coll’alcool propilico e isopropilico : i cristalli aghiformi a riflesso verde-metallico separa- tisi fondono senza ricristallizzazione dall’alcool etilico a 131°, dopo cristallizzazione a 133° e si dimostrano alla prova di mescolanza con l-fenilazo-2naftol puro come identici con questa sostanza. REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 685 Coll’alcool amilico di fermentazione si ha cristallizzazione . di l-fenilazo-2naftol impuro in aggregati a forma di rosetta co- stituiti da aghi piatti e corti a riflesso metallico-verde. P. F. 128-129°. Dopo cristallizzazione dell'alcool presentano il punto di fusione 133°. Infine coll’alcool benzilico il nitrato dell'etere etilico dà una soluzione intensamente colorata in rosso-violetto, che dopo parecchi giorni non separa nulla, ma prende un colore rosso- ranciato: aggiungendo alcool etilico si ottiene cristallizzazione di l-fenilazo-2naftol in aghetti rosso-ciliegia, fusibili subito a 133°. Azione degli alcooli metilico ed etilico a freddo e all’ebollizione su altri nitrati. Nitrato dell'etere etilico dell’1-ptolilazo-2naftol ADN=N(1)G;H,(4) CH; Ga .2HNO,. Se si scioglie del nitrato in alcool assoluto o in alcool me- tilico anidro dopo poco tempo cristallizza una sostanza molto meno solubile del nitrato dell’etere, costituita da aghi rossi, che si fonde senz'altro a 135° e viene riconosciuta per 1-ptoli- lizo-2naftol Cis og sO, coi due solventi anidri o con alcool a 95° avviene la stessa reazione. Anche all’ebollizione Nitrato dell'etere metilico dell'1-as-m-xilil-azo-?2naftol ada /(1) CH (1) N=N(4) G;Hs< (3) CH, Di .2HN0;. V0CH, Cogli alcooli metilico ed etilico tanto a freddo che all’ebollizione dà facilmente dopo poco tempo dell’1-as-m-xilil-azo-2naftol che fonde a 163-164°, 686 G. CHARRIER Nitrato dell'etere etilico dell’1-p-xililazo-2naftol 1_ Nori /(1) CH3 ADNENO) Css (4) CH; CsoHe. .2HNO;. X(2)0C,H; Coll'aleool metilico all’ebollizione fornisce 1-p-xililazo-2naftol, fusibile a 150°. Nitrato dell'etere etilico dell’1-a-naftilazo-2naftol ara ADN=N (0) Col; dl 0536 \@00,H; Coll’alcool etilico all’ebollizione si ottiene cristallizzato in lunghi aghi prismatici, di splendore verde metallico, l’1-a-naftilazo- -2naftol, fusibile a 230°. .2HNO;. Nitrato dell'etere etilico dell'1-benzidilazo-2naftol CH (4) N=N(1)C;0H;(2) 0C3H; .4HNO;. CsHa(4) N=N(1)C,0Hg(2)0CxH; Trattando del nitrato con alcool etilico all’ebollizione si separa dell’1-benzidil-azo-2naftol (difenil-p2-disazofnaftol), fusibile a 275°. i Nitrato dell'etere metilico dell'1-m-nitro-fenilazo-2naftol ADN=N(1) CH, (3) NO, CroHsf . 2HNO,; . (2) OCHz L'azione dell'alcool etilico su questo nitrato fornisce dell'1-m-ni- trofenil-azo-2naftol, fusibile a 193-194°, Nitrato dell'etere etilico dell’1-p-fenetilazo-2naftol ADN=N-(1)6;H,(4)00,H; CroHst «2HNO;. (2)OC.H; Sciogliendo del nitrato in alcool etilico o metilico molto rapi- damente questo si trasforma in 1-p-fenetilazo-2naftol, cristal- lizzato in aghetti setacei rossi, fusibili a 132°. REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 687 Riassumendo l’azione degli alcooli etilico e metilico sia a freddo che all’ebollizione ha trasformato completamente i nitrati studiati negli ossiazocomposti non eterificati corrispondenti. Si deve ammettere per analogia col caso studiato accuratamente su grande quantità di sostanza del nitrato dell’etere etilico del- l’1-fenilazo-2naftol, che anche in questi casi accanto agli ossiazo- composti si formi il nitrato alchilico e acido nitrico secondo lo schema generale seguente: N=N-Ar (Cutti è 2HNO; as * OR AFNTAr sean FA + R—NO0; -HNO,. OH II. — Azione degli acidi alogenici concentrati sui ni- trati degli eteri degli 1-arilazo-2naftoli (arilazo- Bnaftoli). Come già ebbi occasione di far notare (!), si poteva pre- vedere per i nitrati degli ossiazocomposti, i quali facilmente per diazoscissione forniscono nitrati di diazonio, la grande fa- cilità di entrare in reazione che caratterizza i sali di diazonio. Poichè dai nitrati degli ossiazocomposti si ottengono i ni- trati di diazonio, i quali all'atto della loro formazione possono evidentemente entrare più agevolmente in reazione, sì verifica un caso analogo a quello dei diazoaminocomposti (arildiazoani- lidi), ai quali per la facilità con cui si scindono in sali di dia- N zonio si potrebbe attribuire la formola Ar-—HN-—N—-Ar"' e delle diazopiperidine (arildiazopiperididi) che si potrebbero analoga- N Ill mente formulare nel modo seguente C;H;)N-N—Ar"' appunto per spiegare la loro scissione cogli acidi in sali di diazonio e sali di piperidina. (4) G. 43, II, 228 (1913). 688 (G. CHARRIER I nitrati degli ossiazocomposti, come i diazo-amino-composti e ] diazopiperididi, reagiscono cogli acidi alogenici concentrati molto più agevolmente che non i sali di diazonio, la cui reat- tività in quanto concerne la sostituzione del diazogruppo col- l'atomo di alogeno è soddisfacente soltanto coll’acido iodidrico. Ho sottoposto per ora soltanto i nitrati degli eteri degli arilazo-Bnaftoli all’azione degli acidi alogenici concentrati e ho potuto constatare che ad una primaria diazoscissione quasi com- pleta di essi fa seguito una decomposizione del nitrato di dia- zonio originatosi nel primo tempo, che in presenza di soluzione di acido alogenico bollente si trasforma, sviluppando azoto, nel- l’alogenoderivato corrispondente contenente l’atomo di alogeno al posto del diazogruppo. Si deve quindi ammettere nell’azione delle soluzioni concentrate e bollenti degli acidi alogenici sui nitrati studiati come prevalente la reazione indicata dagli schemi seguenti: N NAr' NO, I Arto . ZENO, x Ar e-CARS NNO; OR OR N Il APCEN O NOIHAL, > Are HNOLONO Poichè però, oltre all’alogenoderivato Ar Al, si riscontrarono in quantità molto minore anche l’idrossiderivato Ar'OH e il ni- troderivato Ar'NO,, si deve ammettere che la decomposizione del nitrato di diazonio in presenza della soluzione concentrata dell'acido alogenico caratterizzata dalla sostituzione del diazo- gruppo coll’atomo di alogeno, di gran lunga prevalente, sia ac- compagnata dalle decomposizioni secondarie del nitrato di dia- zonio con sostituzione del diazogruppo coll’ossidrile o col nitro- gruppo, rappresentate dagli schemi seguenti: N Ar' Il N--N0g se. Ar -QH-AN, | HNO; N Il 2Ar' -N—NO; e;o 2Ar' NO, + 2N39+ 0, . va) REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 689 Inoltre venne pure notata una nitrazione dell’ossiazocom- posto con formazione di un p-nitro-ossiazocomposto della formola AMATE VEN e atri : : generale Ay'coi Ar (SINO: rei nitrati sottoposti a reazione nei quali la posizione para del nucleo non ossidrilato era libera, nitrazione la cui entità era più o meno grande a seconda della concentrazione della soluzione del nitrato dell’ossiazocomposto eterificato nell’acido alogenico. Per soluzioni diluite la quantità di p-nitro-ossiazocomposto ottenuta era minore. Questa nitra- zione può venir rappresentata collo schema seguente : Nas DE 2HNO, ——» OR Aa(1)C5H4(4) NO, Se Ar + ROH+HNO,, OH oppure con quest'altro : DES E 2HNO; — —>» OR As (1)G5H (ANO — >» Arc +R—-NO;+Hs0 OH poichè si ottiene sempre il nitroderivato dell’ossiazocomposto non eterificato (!). La formazione dai nitrati degli eteri degli ossiazocomposti studiati degli alogenoderivati aromatici Ar —AI, contenenti l'atomo (‘) Gli eteri degli l-arilazo-2naftoli vengono facilmente saponificati dagli acidi, mentre sono molto resistenti cogli alcali anche concentrati: ciò è dovuto alia capacità dell'atomo di ossigeno legato all’alchile di addizio- nare una molecola di acido HAc formando un sale di ossonio poco stabile R coll’ aggruppamento -OgAe che ha grande tendenza a decomporsi così: “H DAI no —>» O0-H+RAc. Potrebbe quindi avvenire qui anche una sem- H plice saponificazione accompagnata da nitrazione. 600 G. CHARRIER di alogeno al posto dell’azogruppo, che è, come è noto, carat- teristica dei sali di diazonio, nei quali l’alogeno prende il posto del diazogruppo e pei quali avviene bene soltanto coll’acido iodi- drico, mentre cogli acidi cloridrico e bromidrico richiede la pre- senza dei corrispondenti alogenuri ramosi (reazioni di Sand- meyer), non si può spiegare, e lo stesso si può dire delle reazioni secondarie che conducono all’idrossi- e al nitroderivato, se non ammettendo una primaria diazoscissione di essi nitrati. Nitrato dell’etere etilico dell’1-fenilazo-2naftol ANO; CroHgt . 2HNO; . (2)OC.H;z, Azione dell'acido cloridrico fumante (D= 1,19). — Se si trattano 25 gr. di nitrato con circa mezzo litro di acido clori- drico fumante, si ottiene una soluzione colorata intensamente in rosso, che scaldata all’ebollizione per qualche tempo sviluppa azoto e acido cloridrico: se poi tale soluzione si diluisce forte- mente e si sottopone a distillazione in corrente di vapor d’acqua, passa col vapore un olio leggermente giallognolo che si mostra costituito in massima parte da clorobenzolo C4H;C1 con piccola quantità di nitrobenzolo. Se si estrae infatti con etere il distillato, dopo averlo al- calinizzato con soluzione di idrossido di sodio, si ottiene dopo distillazione del solvente un liquido rossiccio, che sottoposto a distillazione passa per la maggior parte tra 130° e 135°; quindi il termometro sale sino a 209° e a questa temperatura passa una piccola quantità di nitrobenzolo. La frazione bollente tra 130° e 135° ridistillata fornisce del monoclorobenzolo puro bollente esattamente a 132°. Le acque alcaline, residue dell'estrazione con etere, conten- gono un po’ di fenolo che si riconosce colle note reazioni. Proseguendo la prima distillazione con vapor d’acqua passa una sostanza poco volatile, che tosto solidifica e che sì riconosce agevolmente per 1-nitro-2naftol CB OR» poichè cristal- lizza dall'alcool in aghi prismatici gialli, fusibili a 103°, i ie REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 691 Il residuo non volatile con vapor d’acqua venne trattato dopo filtrazione con alcool, nel quale si sciolse una parte, la quale conteneva, assieme a un po’ di 1-fenilazo-2naftol inalte- rato, l’etere etilico dell’I1-nitro-2naftol, fusibile a 104-105°, Il residuo insolubile in alcool era costituito da 1-p-nitrofe- nilazo-2naftol, fusibile dopo cristallizzazione dal toluene a 251°. Per azione della soluzione di acido cloridrico sul nitrato dell'etere etilico dell'1-fenilazo-2naftol debbono perciò essere avvenute le reazioni seguenti: AN, 0;H; pis CroHeS . 2HNO; he (@)00,H;, x ISUAORO, ib Oztin -Li] — a Gal + CH -N-NO; (2)0C,Hy N II Orte NO st HO ve &isie HA CILENO; NI N I CH; N NO;+ HOH ——» CGH;0H+ HNO;+ N, N Il 2CH—N-N0; ——» 2CHsNO;+2N,-+ 0, AN: H; CsoHeC .2HNOg = (2)OC.H;. AN (MGM (ANO, AH CioHet 7 + CsH;0H+HNO; (2)OH (1) NO, (1) NO; CroHi Satie (e A i EA + 0,H;0H . (2)0C,Hj (2)OH Azione dell'acido bromidrico al 46 °, (D= 1,49). — Se si tratta del nitrato dell’etere etilico dell’1-fenilazo-2naftol con circa venti volte il suo peso di soluzione di acido bromidrico al 48 °/, nelle stesse condizioni descritte precedentemente a pro- Mio, F p” 692 G. CHARRIER posito dell’azione dell’acido cloridrico, avviene una reazione ana- loga e sì riesce collo stesso procedimento seguìto prima a iso- lare del monobromobenzolo CyH;Br bollente a 155-156°. Anche in questo caso si notano piccole quantità di fenolo e di nitro- benzolo e si forma dell’1-p-nitrofenilazo-2-naftol, che cristalliz- zato dal toluene fuse a 251°. Che il monobromobenzolo, il nitrobenzolo e il fenolo siano prodotti provenienti dal nitrato di diazonio originatosi in un primo tempo per diazoscissione del nitrato dell’etere etilico del- l’1-fenilazo-2-naftol è dimostrato dalla formazione dell’etere eti- lico dell’1-nitro-2-naftol Osctl IO C (P. F. 104-105°), che assieme al nitrato di fenil-diazonio è il prodotto normale della diazoscissione del nitrato studiato. Azione dell'acido iodidrico. — Scaldando a bagnomaria nel- l’acqua bollente del nitrato con soluzione al 40°, di acido sol- forico satura di ioduro potassico si svolge azoto e si ottiene con buon rendimento del monoiodobenzolo, she bolle dopo distil- lazione con vapor d’acqua e rettificazione a 188°. Anche in questo caso si formano i prodotti secondari isolati nei casi pre- cedenti. Nitrato dell’etere metilico dell’1-p-tolilazo-2naftol ADN=N(1)C;H, (4) CH; CioHsk . 2HNO; . (2)OCH; Scaldando all’ebollizione del nitrato dell'etere metilico di questo ossiazocomposto con circa venti volte il suo peso di acido cloridrico si ha sviluppo di azoto ed assieme un po’ di p-cresolo CRI , st forma in quantità preponderante del Sri 3 i /C1(1) ; ki p-clorotoluene CH CH, (4) che venne ottenuto distillando con vapor d’acqua il liquido della reazione reso alcalino con solu- zione di idrato potassico: l'olio ottenuto venne sottoposto a distillazione, e la frazione bollente a 162-163° si potè solidificare in miscuglio frigorifero. Anche il punto di fusione dei cristalli Mo verso + 7° confermò trattarsi di p-clorotoluene. = Nenig Me REAZIONI DI NITRATI DI OSSIAZOCOMPOSTI 693 Colla soluzione al 48 °/, di acido bromidrico si ottenne nelle stesse condizioni il p-bromotoluene, CH cn , fusibile a 28° 3 e bollente a 183-184°, Nitrato dell’etere etilico dell’1-ofenetilazo-2naftol CroHs .2HNO;. ‘©00,H,; Per ebollizione con circa venti volte il suo peso di solu- zione di acido cloridrico fumante questo nitrato reagisce facil- mente svolgendo azoto e dando, assieme all’etere etilico del- l'I-nitro-Znaftol Ciotli<(3) 061, fSÎDile a 104-105%, che venne isolato e caratterizzato nel modo sopra indicato (a proposito dell’azione dell’acido cloridrico sul nitrato dell'etere etilico dell’1-fenilazo-2naftol), o-clorofenetol OM, H che venne LE 29T45 ottenuto distillando il liquido della reazione reso alcalino con idrato potassico: ridistillato bolliva a 208° secondo i dati di Beilsten e Kurbatow (1). Il liquido alcalino, privato dell’o-clorofenetol, acidificato con acido solforico e ridistillato in corrente di vapore forniva OH(I 4) che rappresentano un sistema X di 4 eq. di La- place lin. ind., in cui sia contenuto un sistema y' di £ equazioni lin. ind. le cui forme associate ammettano uno stesso fattore lineare, essendo d = 6, per X=4, e 2k —- 2<=d=3k—- 17, per 4 > 4. L'esistenza del sistema parziale X°, pur prescindendo dalla dimensione del sistema totale di equazioni di Laplace rappre- sentate dalle V,, è già sufficiente ad accertarci che la V, è svi- luppabile (00%! di rette con S, tangente fisso lungo ogni retta). Basta, per convincersene, riprendere per un momento le nota- zioni del n° 5 della Nota I; allora la V, verificherà, tra altre le equazioni (83) che ivi compaiono, e dall'esame di quelle equa- zioni si rileva che la V, ha meno di c0"S, tangenti, ed è perciò (*) Cfr. la Dissertazione di O. TorpLirz, Veber Systeme von Formen deren Punktionaldeterminante identisch verschwindet, Breslau, 1905; e BoxrerRoNI, Sui sistemi lineari di quadriche la cui jacobiana ha dimensione irregolare, in questi Atti, vol. L (1915), pp. 423-438. ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 697 _ 1 1 : sviluppabile (cfr. il ragionamento fatto, per & = 8, nella nota (!*) | della mia Memoria citata in Nota I (') b)). ) Se riferiamo ora la V, sviluppabile a un opportuno sistema « di parametri t;, Ts, ..., t,, il sistema Z' assumerà la forma: : k i \ = Var aix (O =1,2,..,.4—1) i (1) , r=l cosicchè la V, verificherà altresì le equazioni : kl 2 (arri) -a,r9)) 0. (/=1,2,...k_-1;i#] i J) rai che si deducono dalle (1) uguagliando i risultati che si ottengono formando in due modi diversi le derivate terze e ag 1,2... ,k—1;î==]), e tenendo conto delle stesse (1), dove, come nella Nota I, il segno — sta ad indi- care che il primo membro di questa relazione differisce da zero per una espressione lineare omogenea nella x e nelle sue derivate prime. Le forme: 0, 8, (3) k-1 kl Wigi=xiaZoo, kia i=}) La: 0, Ya; 0, | r=si r=l associate alle (2) devono stare, per ipotesi, entro un sistema lineare di dimensione < 3% — 8 (<= 5 per & = 4) insieme colle forme associate alle (1), cioè insieme colla totalità delle forme contenenti il fattore 08,; e quindi le (3), che non dipendono da @,, devono stare in un sistema lineare di dimensione <2k—-8(<1 per X=4). Ora, se s’intérpretano 0}, 9», ..., 9x1 come coordinate proiettive omogenee in uno Sx, e se l’omo- grafia dello Sx-s in sè definita dalle: 698 ALESSANDRO TERRACINI non è degenere, segue (5) che questa omografia è identica, op- pure omologica; in entrambi i casi si potrà porre: jd fi 1,2,...k-1;i+)); dii = UV; + € t=t1;2, .})6—=d); Se invece quella omografia è degenere, consideriamo, invece di essa, quella definita dalle: k-1 (5) bra; 0, + ab; le i, 2, ng k — D), r=l dove a è una quantità qualunque, soggetta alla sola condizione che l’omografia considerata non degeneri (4); le forme qua- dratiche : | 0, 6, J (,/=1,2,...k—-1;i=5}), LEI k+1 | Ea,0,+a0, Za,0. +00, oil } che coincidono ovviamente colle corrispondenti (3), staranno an- cora in un sistema di dimensione 24 —8(<1 per &=4), e possiamo perciò applicare il risultato prima ricordato alla nuova omografia: sara pertanto : U;; = U; V; (;g=1,2; 1, ft) ai=Uvte—-a (= 3 E — UE ossia, mutando c — a in c, sussistono ancora le (4). In ogni caso dunque, posto : (6) vio ay Vl il sistema (1) assume la forma: | ou Ve + co) + an e t+a,x (i=1,2,...k_1), (1) (at —=0. (5) Cfr. la mia Nota: Su una questione che si presenta nello studio delle omografie tra spazii sovrapposti, “ Giornale di Matematiche ,, vol. LIII (1915), pp. 178-185: v. p. 179. (*) Una tale quantità esiste certo, poichè il determinante della sosti- tuzione (5) non è identicamente nullo rispetto ad a. Mel ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 699 Facciamo ancora, prima di procedere, le seguenti osservazioni : a) Se sono nulle tutte le «, o tutte le », la V, è un cono. Infatti in tal caso il sistema (1’) assume la forma: (1) pg — prc +andD+a;x ilo, RL fat 0 Ora, se X => 3, una V, che rappresenti un sistema di equa- zioni di Laplace, di dimensione qualunque, contenente il si- stema (1’) è un cono, come si scorge dividendo anzitutto le x per una stessa soluzione del sistema (1) e introducendo poi, come nuovi parametri 0, 0», ....., 0x, altrettante soluzioni indi- pendenti del sistema trasformato, scelte solo in modo che nes- suna delle loro derivate prime rispetto a t, sia identicamente nulla, cosicchè il sistema (1') diviene: 0° x v (i DPRR do, do; E =" (() (= 1, PL PINARE k). E poichè, come risulta da un facile calcolo : 1 2 k | Gr dh. di dig; Cm | | | | (1) (2) {k) On sil On | =0. (mn=1,2,...,k;m=+n), | Om) n Om) (2) Omlf) (| | | TE k) | 0,0) PRON RC 0, | o % . segue che eno (mn=1,2,.....,k) è funzione delle sole 0,,, G,, e quindi anche (cfr. il n° 5 della Nota I) che la V, è un cono (°). (*) Si giunge allo stesso risultato anche col seguente procedimento, do- vuto in sostanza al Bomprani (Sistemi di equazioni simultanee alle derivate parziali a caratteristica, in questi Atti, vol. XLIX (1913-14), pp. 83-181: v. il n° 10). Si faccia il cambiamento di variabili 0, = Pi(T,, T2, ...,Tk_4) (i=1,2, = 2): Or-1= Tr; 9% Tk; n . . ° . . D) (Pi , Po VELO) + Ph) dove le g sono funzioni soggette alla sola limitazione van al d° e D) Tk do, dx dx d° x mente per mezzo di -—, ——, x, mentre =0:la rigata 0,=cost., p d 0x4 ° d GK : d Gy 03 = cost., ..., 0x_3="cost., ossia una generica ce! di rette della V, è svilup- pabile, e perciò la 7, è un cono. #0; allora il sistema (1”) trasformato mostra che sì esprime linear- 700 ALESSANDRO TERRACINI Ora le V, conì che soddisfanno alle condizioni enunciate sono ovviamente coni proiettanti da un punto una V,-; rappresen- tante d — & equazioni di Lap. lin. ind.; escluse queste varietà dalle nostre ulteriori considerazioni, possiamo supporre non tutte nulle nè le «, nè le v. b) I rapporti tra le x e i rapporti tra le v non dipen- dono da t,. Infatti, derivando rispetto a t, i due membri delle prime 4 — 1 fra le (1’), si ricava, con facili riduzioni : k-) k-1 (c° + e) el) + (2euze, + us è, + uo, + uv, Yu, vs) el) + r=l s=l +( AA (e = 0 (i=1,2.....k—- 1), dove i coefficienti di x‘ e di x sono delle funzioni delle t, la cui forma effettiva non c’'interessa: quindi, poichè la V, non può rappresentare delle equazioni del primo ordine, si ha: kal ui (20, + e) +0, Vuso) + ur, = 0 al (i, rh Bie.h lai) pai -_J __ k—-1 (8) e? + el) 4- ui (260; + 040 + 0 usw) tulle, = 0 s-=l =, e 1) Perciò, se i, / sono due indici <%— 1, tali che esista un in- dice r pure = % — 1, diverso da essi, con »,==0, dalle (7) segue: U, U; ì ni il 1 us ) Uj k) cosicchè, se vi sono almeno tre v non nulle, sarà identicamente: i | i Ug Ta ZE] (9) | n, uil) e perciò i rapporti tra le u non dipendono da t,. Se no, vi è almeno una v non identicamente nulla, sia, p. es., v;, e almeno una nulla, sia, p. es., va: la (8), scritta per i= 2, mostra che e4+ e = 0; e quindi, scritta ora per î= 1, e paragonata colle (7) in cui si faccia "= 1, permette ancora di concludere la (9). Analogamente si prova che i rapporti tra le v non dipen- dono da t,. pi | Be di ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 701. ’ Ciò posto, confrontando le due espressioni che dalle (1') sì ricavano per xl) (;,7=1,2,..,.k —1;i==/), si ricava: Ui (Ve)) FA U; ( Viel) L (u;l9) ci tel) + dik U; —_- Ajk U;) Va + + (e —- anca) —(c0—anceT_a;) x) +(...) A+ (...).e=0 (ij=1,2,.,&_-1;i=)) Si moltiplichi il primo membro di quest’equazione per u,((=1,2,...& —1;/==i,2==/]), poi si permutino circolarmente gli indici è, /,l, e si sommi: si ottiene che le soluzioni del siì- stema (1°) soddisfanno alla: xl i) x i) xl) Va + \cll-axcca, ca xc—a; cV-aneca,|+(...)rP+(...)a=0, ui U; ui (I L == di 2, sgh — Di i*/=E1), dove si è posto per brevità: (10) Agi wu; (ul — wu) +; (0 — wu) + (li) — 9) (it, =1,2,..,k—1it=R4=#0 Ora, poichè nella relazione ottenuta non compaiono più de- rivate del second’ordine delle x, applicando ancora l'osservazione che la V, non può verificare equazioni del 1° ordine, si con- clude che quella relazione deve essere identicamente soddisfatta. Sarà pertanto : (11) Ai Vi + (c(7) ala a;) {ea (et) eo a) Uu;j — 0) EI RI E E O, E (12) A;cta=0 (i,j,bm=1,2,....k—1l;i=#/j=#=#m). Tratteremo distintamente nei nn' 3-4 i due casi in cui le quantità A definite dalle (10) sono tutte nulle, oppure no: nel primo caso, come è noto, si potrà porre : (13) u=pf (i=1,2,..,.k—1) 702 ALESSANDRO TERRACINI p e f essendo funzioni rispettivamente di T,,T9,..., Tr-1, Tx € di Tg Tola DESI% In quanto al secondo caso, osserviamo subito che esso non si può presentare per & > 4: in tale ipotesi infatti, se p. es. vr-1 non è identicamente nulla, segue dalla (12): Aji=004/9,/==13.a, kE 2g e quindi dalla (11): Ui Ug alato ca fe Uk—9 | | cU—anc—a, c®—-anc—do ..... cM-2) —axore—-dx-9| ii Perciò, facendo nella (11) i=%— 1, risulta: LR AU (7 0=4;% e 206 cioè per 4 >4 le A sono certamente tutte nulle. 3. — Supposte nulle tutte le A, abbiamo già osservato che sussistono le (13): facciamo ora, nell'ipotesi che, p. es. ux-1 non sia identicamente nullo, il che non diminuisce la generalità, il cambiamento di parametri (il cui determinante jacobiano ri- sulta non identicamente nullo): 0 = (&e=dy@ ga ao Ok-1 n Cassa Pia dove f è la funzione che compare nella (13). Le (1’) divengono: d?, l dx k- ; AL e: Rici ea i bi + edi +e) zen Lasi (i=12,6,k—2) ) nc PIV "Eri + previ + 5 1 te lee + Gras - a x | f E k-1,k sE hk-1 4» ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 703 da cui segue: d° x dx ve OE E da, gg (E @=1,2,...4_2), dae (teo, Quindi, poichè in queste ultime equazioni non compaiono più derivate fatte rispetto a 0;_1, ciascuna delle varietà di & — 1 dimensioni rappresentata sulla V, dall’equazione 0;-_1= costante verifica quelle X — 1 equazioni di Laplace, e la forma di tali equazioni (cfr. l'osservazione «) del n° 2) è sufficiente ad assi- curarci che le tx_1= cost. sono coni. La V, è dunque una co! di coni col vertice variabile, se, come abbiamo supposto, la V, non è essa stessa un cono: la V, sviluppabile ha perciò una curva direttrice. Viceversa ogni V, sviluppabile, con curva direttrice, verifica un sistema di almeno 2% — 2, e, naturalmente se è immersa in uno spazio abbastanza ampio, in generale proprio di 2% — 2 eq. di Lap. lin. ind., £ delle quali sono riducibili alla forma (1). Infatti, o la V, contiene, oltre alla curva, una Vx-? direttrice, e questo caso fu già considerato nella nota (*!) della Nota I, dove le prime % equazioni costituiscono precisamente un si- stema della forma (1°) (in cui sono scambiati t, e tx, Ts e Tx-1): oppure le generatrici della V, sviluppabile sono tangenti a una Vx-,. In tal caso, assunto sulla Vx-, un sistema di para- metri T,, T», ..., Tx-1, tale che i punti della curva direttrice di- pendano solo da t;-1, e che le linee della V,_; su cui varia solo tx; risultino inviluppate dalle tangenti che si appoggiano alla curva direttrice, i punti y della Vx_1 si possono rappresen- tare parametricamente mediante le : (14) y=a(t,,t2,..., Tr-9) + f @(T,, Te; -..3 Tao; Ti1) D(T4-2) ATA dove la funzione @ (t) è la stessa per tutte le coordinate del punto y. Quindi il punto generico x della V, sì può assumere sotto la forma: c=A@A(t,,T9,..., Tx-9) + fo (T1, Ta, +. Th-2) D (Ta) Ata + + tP(11,; T2, ..., Tx-1) d (Tra), si i 704 ALESSANDRO TERRACINI e la V, verifica il sistema della forma (1’): DI pl) , gli = Po gl) (=1, Wah 2) (00) s(lk—1) plk—1,h8) — x SA 1 xh) Ty Ty ap(kk) = () da cui discende xl*-!) n 0) (i= 1, 2,....k — 2). Nè, in generale, la V, rappresenta equazioni di Laplace che non siano combina- zioni lineari di queste, come si scorge formando le ulteriori de- rivate seconde di . 4. — Se invece non tutte le A sono nulle, cosicchè sarà certo 4 = 4, con A;9g=#=0, sommando le tre equazioni che si ottengono scrivendo la (11) per î=1,/=2,/=3, e permu- tando circolarmente, moltiplicate rispettivamente per w,, 42, %3, sì ottiene : (15) uv, + user + ug vg =0. Ora, poichè i rapporti tra le © non dipendono da t, (oss. b) del n° 2), esistono delle coppie di funzioni tra loro indipen- denti, delle sole Tt,, T2, T3, e sia 0}, 0, una di esse, tali che Vo,= Vo,=0. Eseguita allora la trasformazione di parametri: O, = 0; (Ty, Ta, T3), O, =0g(T,,Ta, Tg), 08=T3, 04=T, (il cui determinante jacobiano non è certo identicamente nullo, almeno per una conveniente permutazione degli indici 1, 2, il sistema (1') prende la forma: 2 \ 3 PIL) Posen, Tale? Vo,-è + au 35 baja = do, do, do, fe S = 032 + a Se +ayx (i(=1,2,9); da de do; do, 00; ” e e ; 230 dr (i=1,2,3) delle espressioni lineari omogenee in Sol ia e 3 Dalle prime tre equazioni si ricavano per ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 705 cosicchè : dx dr —- da - da di S = I; ] i—1,2.î (16) aes] CAR +, vo, ta do, 1 did (=> Zi Precisamente per i= 3, quest'equazione è : | dr dx (1) (4) 4 k IG} O Us da. Lau do, + 4,9 | Î oi Toni) Media Nn | }- x È 4 A) th | (2) (2) ; î dr dx o» ot o ( AG, do, i a | gd O: Us o 3 do, A94 do, \ dg Li, a dr dx (3) (9), MA | Oi 0° Ugg do, Lt 434 do, 1 ds% quindi il coefficiente «3 di i nella (16) contiene come fattore il determinante : | o 0 o 00 us, 0 ‘00 che è identicamente nullo, in virtù della (15) confrontata colle Vo, = Vo,=0. Supposto dunque di aver scelto il primitivo sistema di parametri t coincidente con quello poi introdotto, pos- siamo supporre il sistema (1°) della forma: all = e 0 +urx + ao + 4,2, \ ale ce Luc Lay! k+asa, Î 90 — co Lasggr! Pasz, E libica I Formando, come già si è fatto sopra, in due modi diversi le due derivate terze 134, 234) si ricava wu, 299 = 0), vg 288 = 0), ove una almeno tra le funzioni ;, s non è identicamente nulla, poichè tale è già attualmente «; (oss. a) del n° 2): e quindi x'85' = 0). Questa equazione, nel cui secondo membro non com- paiono le derivate prime x’ e x (si tenga presente la rela- zione c8° — age -— ag= 0, a cui si riduce ora la (11)), insieme alle due ultime fra le quattro sopra scritte. mostra che le su- 706 ALESSANDRO TERRACINI perficie t, = cost., t,g= cost. rappresentano tre eq. di Lap. lin. ind. e sono pertanto piani: la V, è dunque una ce? di piani. Di più, uno di questi piani corrispondente a certi valori fissati di t,, tg è incontrato, in uno stesso punto, da un qualsiasi piano, infinitamente vicino, corrispondente a tt, + dt, tè + dts: infatti quel piano, e quello infinitamente vicino considerato sono definiti rispettivamente dai punti: 23 (+) (4) i x x : x crt+e! dt, +12, c++ rd, 104 eV dt +e! dts. ]] secondo piano contiene perciò il punto : p o + 00 dt, + e dato — c(ar +20 dry + e dro), cioè il punto : e — car + 1% (u, dt, 4- vg dt9) +e (a dt, + a94 dtg) + + e (a, dt, + 49 dts), che appartiene al piano di x, x, x, e tende col tendere a zero di dt,, dt,, al punto fisso x — cr. Tanto basta per con- chiudere (5), poichè gli 0? piani della V, che abbiamo supposto non essere un cono, non possono passare per un punto, che la V, è costituita dai piani tangenti di una superficie, o da 0° piani tangenti a una stessa curva. E si verifica subito che le V, di tal tipo rappresentano sei eq. di Lap. lin. ind. tra cui quattro della forma (1’), e (se le V, sono immerse almeno in Sg) in generale (7) non altre se non le loro combinazioni lineari. (9) Cfr. SeGre, Preliminari di una teoria delle varietà luoghi di spazi, “ Rend. Circ. mat. di Palermo ,, t. XXX (1910), pp. 87-121: v. il n° 32. (€) Mantengo anche qui questa locuzione generica che ho adoperato in casi consimili per non addentrarmi in troppe ricerche di carattere minuto. Ma qui sarebbe facile precisare maggiormente: p. es., affinchè una V, co- stituita dai piani tangenti di una superficie rappresenti sei sole eq. di Lap. lin. ind. è necessario e sufficiente che la superficie rappresenti non più di una equazione lineare omogenea alle derivate parziali del terz’ordine (cosicchè, in particolare, non deve la superficie rappresentare nessuna equa- zione di Laplace). ee ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 707 Come risultato delle ricerche contenute nei nn! 2-4 tro- viamo dunque: Le Va(kZ4) che rappresentano un sistema di d eq. di Lap. lin. ind. in cui è contenuto un sistema di k eq. lin. ind. le cui forme associate ammettono uno stesso fattore lineare (cioè le V,(k>4) sviluppabili che rappresentano un sistema di d eq. di Lap. lin. ind.), dove d = 6 perk=4,e 2k—-24, sono coni protettanti da un punto una Vx-1 rappresentante d — k_ eq. di Lap. lin. ind., 0 sono sviluppabili con una curva direttrice, op- pure anche sono, se k =4, costituite dai piani tangenti di una superficie, 0 da x? piani tangenti a una curva (3). Per &k=4 le varietà enumerate in questo enunciato, in quanto stiano in S, con »r =>8$ e siano varietà generiche entro ciascuno dei tipi indicati, forniscono tutte le V, che risolvono, nel caso 43), il problema che è oggetto di questo capitolo. 5. — Poichè il caso bd), tra quelli distinti nel n° 1, si trova già trattato come caso particolare nel n° 11 della Nota I, pren- diamo a considerare i casì ci), cs). Nel caso c;) si tratta di determinare le V, che soddisfanno a tutte e sole le equazioni del sistema (*): \ A Ark X gur el” + Yu ==, te Lazio (17) | An A1% + X Iimrd) + CRIS (= 1, 299 ='9r44h (8) Se ricordiamo (Sere, loco cit. (5), nni 22 e 29), che le generatrici di una V, sviluppabile toccano in generale 4 — 1 Vx_y, ciascuna delle quali può essere sostituita da una varietà di minor dimensione, incontrata dalle generatrici, vediamo che il risultato del testo, insieme con quello (Nota I, n° 7) che le V, (k=> 3) sviluppabili rappresentanti d <= 2% — 3 eq. di Lap. lin. ind. sono coni, mette precisamente in relazione la dimensione del si- stema di eq. di Lap. rappresentate da una W, sviluppabile, almeno quando questa dimensione è sufficientemente bassa, colla minima dimensione delle direttrici esistenti sulla Vx. Sarebbe interessante indagare se, e come, tale relazione continui a sussistere quando la dimensione del sistema di eq. di Lap. rappresentata dalla sviluppabile cresce oltre il limite che noi abbiamo considerato. (*) D'ora in poi s'intenderà che gli indici variabili, senza ulteriori in- dicazioni, dei segni di sommatoria prendano i valori da 1 a 4. 708 ALESSANDRO TERRACINI dove le A sono simboli di operatori differenziali : A=Y4, a (I, 3/4), simboli che adopreremo, collo stesso significato, anche nel seguito di questo lavoro. Avvertiamo una volta per tutte che tali ope- ratori differenziali si intenderanno sempre tra loro linearmente indipendenti. Porremo poi: Pims = Y (An 0 — au ad.) (im, s=1;2,9,4;/#m), t e inoltre : x di 0, = (03) . > Gimr 0, => Tim DI > Pir 0, cs Pim , ECC. Osserviamo ancora (e una tale osservazione applicheremo anche in seguito in casi analoghi) che le ultime quattro equa- zioni (17) si possono anche scrivere sotto la forma: MIL gine =0 ((=3,4;m=1,2). DARI Ad XL a }> Jimr HE Da queste ultime equazioni possiamo dedurre, procedendo come al n° 10 della Nota I (v. la formola (10) di quel n°), le ulteriori equazioni di Laplace : (18) X (&, Pro. + Yur dos — Gar 410) LD 0 (= 3,4). ,5 Ora, poichè le quadriche associate alle (18) devono conte- nere la retta a, = a, =), comune alle quadriche associate a tutte le (17), e questa retta, in virtù dell’indipendenza degli operatori A, non sta nei piani a3 =0, ag = 0, dovrà essere : Ax. do. las. Aa 64 Wei Woo. “Mae Ung : Pirr Pie Pios Pia | cioè il sistema lineare omogeneo del prim'ordine nella funzione incognita F: A, F= Ag F=0 è completo. Allora, se assumiamo come nuovi parametri 0,. 0 due soluzioni indipendenti di questo ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 709 sistema (il che è lecito salvo, eventualmente, una permutazione d’indici) e ripristiniamo le primitive notazioni, il sistema (17) . dà luogo a un sistema ottenuto ponendo — 0) sei combinazioni linearmente indipendenti di 0019, e, 20289, 20240, 2039), 2084), 044), E a un analogo sistema possiamo giungere anche nel caso cs). Allora infatti la V, dovrà rappresentare un sistema della forma : A A/0 + XYgurdNtgna=0, (20) As Ax + BE gior 04 gine =0, As; Ar + Pan As As XL te }I YJimr al) + Yim ec=0 . (= Bini Idi: Si ricavino le espressioni A, Ax A,/x (f=1,2,m= 3,4), As A; Agx dalle prime due equazioni (approfittando della pos- sibilità già notata di porre la seconda sotto la forma A, Ag 0-4 + X gard + ga e = 0) e poi si operi con A; sulle ultime quattro, ricordando che Aj An Ax > An 4A44,X + Yan ®ms 29; si ottengono quattro nuove equazioni di Laplace le cui forme associate sono : — Ga Ya + 0, Pm + Ai (Pam) 08° + Pim do (— Yor + Poi) + di Yam (fa da cui si trae intanto che Y;; € Ye; si annullano per a, = a, = 0). Poi si approfitti in modo analogo dei valori di A, As 4; ©, Ay Ag Ax, ricavati dalla seconda fra le (20) per eliminare As A3 Ayx, As A4 A; x dalle relazioni che si ottengono operando con A, sulle A3 4,1% +4 pig Ag Agg 0, A4A4;r + pa Ag Age 0; sì giunge così a due equazioni del terz’ordine in cui le derivate terze compaiono però, in entrambe, nella sola espressione As Az As x, eliminando la quale si giunge infine a una nuova equazione di Laplace avente per forma associata : — dg Yia + di Psa + As (P13) a + dg Yis P1s — 4 Y1a + 0 Pao + Ao (Pra) È + Ag Vas Pia Atti dellu R. Accademia. — Vol. LI. 46 710 ALESSANDRO TERRACINI Quindi Y13 (P14 3 — Pig 04) deve annullarsi per aj, =ag=0); e non potendo annullarsi p,4 0% — p3 04 (data l'indipendenza li- neare degli operatori A questo potrebbe avvenire solo per Pia = Pi3=="0, ma allora la V, sarebbe sviluppabile e si rica- drebbe in un caso già trattato) (1°), dovrà essere Y;x=0 con- seguenza di a, = ag =0, e siccome tale è già la Ya;=0, sarà anche, per aj=0,=0, @12= Ysi — Yix= 0, ossia sussistono ancora le (19). Anche in questo caso possiamo dunque, con un opportuno cambiamento di parametri, ridurre il sistema rappre- sentato dalla V, alla forma sopra indicata. La forma del sistema trasformato permette intanto di con- chiudere, in entrambi i casi c;), cs), che le superficie tT, = cost., T$ = cost. sono superficie di Sy (non piani). Infatti le sei equa- zioni del sistema si possono risolvere rispetto a sei tra le de- rivate seconde che vi compaiono, in modo da esprimerle come funzioni lineari omogenee di x, delle derivate prime e della ulteriore derivata seconda (scelta tra quelle in modo opportuno) che indicheremo con x‘. Ora, poichè i punti: ( 2 VI ( a, PALLA x ), x® x 4), a+ drg 42 dr, 00 Lol dig da! dry, 20 +e dry + ala, 204 28 dr + et, L9Î + 0 dt + a! dr, stanno nello S; (2, x!9, x, x, x, x) (11), si vede intanto che lo Sy tangente in un punto P (T;, T3, T3, T4) di una super- ficie w: t,= cost., t,= cost. sta in uno stesso S; cogli Sy tan- genti alla V, nei punti (t,, 1g, 13-4+-dTg, ta + dt) infinitamente vicini a P sopra la superficie w (Sy generalmente distinti dallo Sy tangente in P se la V,, come possiamo supporre, non è una (9) Anche se fosse pz == pi, = 0, la conclusione a cui giungiamo con- tinverebbe tuttavia a sussistere, come risulta dall'esame delle due equazioni del terz'ordine di cui ci siamo serviti, equazioni che nell'ipotesi attuale si ridurrebbero al secondo. (44) Questi punti non possono stare in uno S,, senza che la VW, rappre- senti più di sei eq. di Lap. lin. ind. ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 7)1 sviluppabile): tanto basta per conchiudere che gli co? S, tan- genti alla V, nei punti di w (tanti e non meno, perchè se no la V, sarebbe sviluppabile) stanno in uno S;. E poichè gli S; cia- scuno dei quali tocca la W, lungo una superficie w sono co? (se fossero meno, la varietà W ricoperta dagli S, tangenti alla V, avrebbe dimensione minore di 7), segue che ciascuna delle w sta in uno Sy, perchè, proiettando la V, su uno S;, la proie- zione w' di una superficie w deve stare nello spazio caratteri- stico del corrispondente S;, entro la o? considerata, ossia in uno S;; nè può una generica w essere un piano (giacchè nei casi cj) e cs) entro il sistema 00° delle quadriche associate alle equazioni di Laplace rappresentate dalla V, non è contenuto alcun sistema lineare o? formato dalle coppie di piani per una retta). Di più, gli Sg di appartenenza delle superficie w, S; che sono pure 00°, poichè altrimenti la V, risulterebbe una o! di Sy e come tale rappresenterebbe già un sistema di sei ‘eq. di Lap. lin. ind. di forma diversa da quella che qui consideriamo. pas- sano tutti per uno stesso piano. Per dimostrarlo, osserviamo anzitutto che gli S; che toccano la V;' ricoperta dagli o? S, (12) nei punti dello S, di appartenenza di una superficie w coinci- dono collo S; tangente alla V, lungo w, come risulta dalla proiezione in Sy di cui già ci siamo serviti. La varietà degli S; tangenti alla V; è dunque identica colla varietà W, degli S, tangenti alla V,; e perciò la V; rappresenta (!*) almeno do- dici eq. di Lap. lin. ind.; d’altra parte non può V;' rappresen- tare più di dodici eq. di Lap. lin. ind. perchè allora i suoi spazii osculatori avrebbero dimensione < 8, mentre gli spazi oscula- tori alla V,. che è situata sulla V;° hanno dimensione 8; e da ciò deduciamo (Nota I, n° 9) che la V;' è uno S, — tono generico, e precisamente è costituita dagli 0? S, che da un piano proiettano i punti di una superficie non rappresentante nessuna equazione di Laplace. (‘2) Se tale varietà avesse dimensione 4, anzichè 5, essa sarebbe uno S,, e sarebbe pure uno S, la V, considerata, il che contraddice alle nostre ipotesi. (13) Nota T, n° 4. per anni 742 ALESSANDRO TERRACINI Omettendo la elementare verifica della proposizione reci- proca, e osservando solo che nei casi c,), cs) le superficie w ri- sultano rispettivamente non sviluppabili o sviluppabili, con- chiudiamo : Le V, che risolvono il nostro problema nei casi ci), c3) s0n0 tutte, e sole, quelle costituite da n? superficie rispettivamente non sviluppabili e sviluppabili (ma non piane) situate negli Sz di uno Sg — cono generico (S$ — cono proiettante da un piano uno superficie che non rappresenta nessuna equazione di Laplace). 6. — Infine, nel caso c.). si tratta di determinare le W, che soddisfanno a tutte e sole le equazioni di un sistema della forma: An A/xX4+ XY genre + gine =0 (l,m=1,2) pi A, Ax + Pu A3 A/x+ X 914€ + gue=0 (21) Az Ag t + P93 A3 Ax + MK gag" + gag =0 ” | è pi. iz Ag Agx + psa4 AA, + X ga4ar e" + gue=0 r con Py Ps3 + ps4 #0, se la V,. come supponiamo, non è svi- luppabile. Applichiamo ancora l’identità 4, A, A,r OA A Ant + + Wanr Pas 17 a calcolare A, A, A, x per ,m=1,2;n=3,4, 7,8 ricavando 4, A, A, x dal primo gruppo di equazioni (21) me- diante l'applicazione dell'operatore A, ai due membri di queste equazioni, cosicchè risulta : (22) Ai A; Am I 3: ir Pas alta sedi x Imir Ans all r,5 r,s (2, MESIA STI): Operiamo poi con A;, 4, sui due membri di ciascuna delle ultime tre equazioni (21): si ricavano per x sei equazioni lineari omogenee del terz’ordine, che, tenuto conto delle (22) si ridu- cono al secondo. In particolare le tre equazioni di Laplace che si ottengono operando con A; e 43 sulla A, A} x + ps 43 Ax 00 ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 713 e con A; sulla 4g 49% + p23 A3 Aj7x = 0 hanno per forme as- sociate rispettivamente : C3 Par — Yi1 4 + A1(Pr4) d1 4g + Pia (01 Psi — T11 03) +1 T14 (23) | 1 Ps —T1204+ Ag (P14) 03 + P14 (1 Pgo — Y1203) +9 Ya4 O Pg1 —Ya1%3 + A1 (P93) L1 X3 + Po3 (01 Pg1 — Y11 03) +1 Fog. Le (23) in quanto devono essere combinazioni lineari delle forme associate alle (21) si devono annullare per a, = 0, = 0, e siccome per a, = @, = () non è identicamente nullo a, + p14 03, dalla considerazione delle due prime fra le (23) segue che ,, € Yi» sono combinazioni lineari di 0, e as, e poi, dall’ultima fra le stesse (23), che tale è pure Ys;: quindi, poichè @13=Yg1 — — Tio: Pis SÌ annulla per a, =0a,$=0, ossia il sistema A} F= = AygF=0 nella funzione incognita F è ancora completo. E la sostituzione a T,, tg, come nuovi parametri, di due soluzioni indipendenti di tale sistema, permette (salvo una eventuale per- mutazione di indici) di ridurre il sistema (21) alla forma: 83) 23 089 ny, pl9) CO 0 \ als) L Pi4 gl (e 0) (24) \ ) Î gpl + Pas 2013) SS 0) ale + Dai 09) SAN Ora lo stesso ragionamento di sopra prova che nelle 183) 0 0), 184 = 0 compaiono tra le derivate prime solo x, x e lo stesso avviene anche della x4# — 0 (poichè — colle nota- zioni iniziali — basta a dimostrarlo la possibilità di esprimere in funzione lineare di x, delle derivate prime, e di Ag A» @ (0p- pure di A, 49) le tre espressioni 4g Ax x, Ay Ax x, e Ay Ag® (oppure Ag 43 #), possibilità che risulta assicurata dall'ipotesi P14P23 + Pa = 0). Le superficie t, = cost., t, = cost. sono dunque piani: la V, è una 00? di piani, e precisamente, come mostrano le (24) una 00? di piani lungo ciascuno dei quali essa ammette uno S; tangente fisso. In questo caso però, a differenza di quanto avveniva nei casi ci). cs), l’ipotesi che la V, rappresenta sei sole eq. di Lap. 714 A. TERRACINI — ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI, ECC. lin. ind. non permette più di determinare ulteriormente la na- tura della V,; giacchè si riscontra che una generica o? di S,, con S; tangente fisso lungo ogni Sy, è integrale di un sistema della forma (24) e non rappresenta, in generale, delle ulteriori equazioni di Laplace. Nel caso cz) le V, che soddisfanno al nostro problema sono dunque delle generiche n* di piani con S; tangente fisso lungo ogni piano generatore. Raccogliendo i singoli risultati che siam venuti esponendo troviamo : Se una V, rappresenta d = 6 equazioni di Laplace linear- mente indipendenti (e perciò sta in S, con r = 8) e tuttavia è tale che i suoi Sy tangenti ricoprono una varietà di dimensione sette, essa è un cono proiettante da un punto una Vs che non rappre- senta alcuna equazione di Laplace (A = 4), 0 ne rappresenta una (A= 5) 0 due lin. ind. (A= 6); oppure (e in tutti i casi seguenti d= 6) essa è una generica sviluppabile con retta direttrice, 0 è for- mata dai piani tangenti a una superficie generica, 0 è una n° ge- nerica di piani tangenti a una curva; 0 è la Vî (di Sg) di SEGRE, che rappresenta le coppie di punti di due piani, 0 è costituita da superficie (non piane) (14) poste negli Sz di uno Ss — cono generico (proiettante da un piano una superficie che non rappresenta nes- suna equazione di Laplace), o infine è una generica x? di piani con Sg tangente fisso lungo ogni piano generatore. 1 primi sei tipi di V, forniscono tutte le V, sviluppabili che soddisfanno alle con- dizioni imposte. (44) Mantengo questa limitazione che abbiamo trovato nei casi c)) e ca): ma tra le V, corrispondenti a c3) si trovano precisamente anche quelle co- stituite da 00° piani che incontrano in rette un piano fisso. Si verifica che esse rappresentano 6 sole equazioni di Lap. lin. ind. quando e solo quando non è fissa la retta d’intersezione col piano fisso. L’ Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. 2a CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 12 Marzo 1916. PRESIDENZA DEL SENATORE GIAMPIETRO CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci CarLE, Pizzi, RuFFINI, BRONDI, SFORZA, Einaupi, BaupI DI VEsMmE, PatETTA, VipARI, PRATO, @ STAMPINI Segretario della Classe. E scusata l'assenza di S. E. BoseLLi, Presidente dell’Ac- cademia. Si legge e si approva l'atto verbale dell’adunanza del 27 febbraio u. s. Il Presidente CHIRroNI legge il telegramma col quale il Socio corrispondente Remigio SABBADINI ringrazia l'Accademia per il premio Vallauri a Jui conferito. Quindi presenta, con parole di elogio, una recente pubblicazione del Prof. Alessandro LarTES intitolata IZ Regolamento Sardo del 1815 per il ducato di Genova (Estratto dalla Miscellanea di studi storici in onore di (Giovanni Sforza). Il Socio Sforza presenta, indicandone i notevoli pregi, il recente libro del Socio corrispondente Alessandro Luzro Isabella d'Este e i Borgia con nuovi documenti e quattro tavole di fac-simile (Milano, L. F. Cogliati, 1916). e 716 Il Socio STAMPINI presenta, a sua volta, soffermandosi a discorrere del loro valore, le seguenti pubblicazioni: 1° del Socio corrispondente (iuseppe BiapeGo La fiorentina famiglia Ervari trapiantata a Verona, il poeta Donato e il pittore Ranuccio (Estratto da Madonna Verona, Anno IX, fase. 36, an. 1915); 2° del Pro- fessore Pietro Rast La Bibliografia Virgiliana (1912-1913) (Estratto dagli Atti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova, Nuova Serie, Vol. VII, ann. 1914) e uno studio intitolato Varia su luoghi dei Catalepton, di Giovenale e Vir- gilio (Estratto dalla fivista di filologia e d'istruzione classica, Ann. XLIV, fasc. I, 1916); 3° del Prof. Carlo Pascar un libro concernente Poeti e personaggi Catulliani (Catania, Battiato, 1916), che è il 12° volume della Biblioteca di filologia classica diretta dallo stesso Prof. Pascat. Per i varii doni presentati dai Soci CHiRoNI, SFORZA e StAMPINI, la Classe ringrazia i chiarissimi autori. Il Socio Srorza presenta per l'inserzione negli Atti una Nota del Dott. Carlo Frati dal titolo Ancòra per l’ epistolario di Carlo Botta. Pure per l’inserzione negli Atti il Socio PAaTETTA presenta una Nota del Prof. Siro SoLLazzi su Le nozze della minorenne. In fine il Socio ViparI presenta una seconda Nota del Prof. Pier Angelo MenzIio contenente la Collazione del ms. Gio- bertiano N° 31 a proposito dei suoi Cenni sulle carte e sui mano- scritti Giobertiani. Anche questa seconda Nota sarà pubblicata negli Atti. CARLO FRATI — ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 717 LETTURE Ancòra per l'epistolario di Carlo Botta. Nota del Dr. CARLO FRATI. I. Edizione dell’epistolario di C. Botta progettata da Giovanni Flechma. — Il. C. Botta, Giuseppe Poggi e Angelo Pezzana. — !II. C. Botta e il co. Tommaso Littardi. — IV. Giunte alla bibliogr. delle lettere del Botta. L'idea di “ riunire tutte le lettere [di Carlo Botta] che si trovavano a stampa, per aggiungervi anche quelle che potessi ritenere d’inedite ,, manifestò alcuni anni or sono la sig."* Ca- terina Magini, pubblicando, pei tipi Le Monnier, Lettere ine- dite di C. B. con prefazione e note (1); ma poi essa abbandonò (a quanto sembra) il proposito, giacchè il volumetto (che non comprende che quaranta lettere, dirette la più parte al profes- sore Giuseppe Grassi di Torino) non fu seguìto (come l’editrice aveva promesso) da “ un altro di maggior mole , (p. 4). Così, poco appresso, in una comunicazione fatta a questa R. Acca- demia delle Scienze nel giugno 1901, il dott. Carlo Salsotto poteva affermare che “ l’epistolario del Botta non fu ancora raccolto. Molte lettere di lui furono pubblicate, è vero, in tempi diversi; ma molte di esse si trovano sparse in un numero troppo grande di libri, di riviste, e di semplici giornali, oltre a quelle che sono in vere raccolte, per cui riescirebbe difficilissimo ad uno studioso potersene servire. Da altra parte dobbiamo notare (1) Firenze, Succ. Le Monnier, 1900; pp. 104, in 16°. 718 CARLO FRATI che ne esistono ancora molte inedite, le più finora ignote ad ogni studioso , (1). Nè il pensiero di raccogliere l’epistolario dell“ illustre sto- rico (come a ragione lo definisce uno de’ suoi biografi), che, per quanto censurato da dotti e da pseudo-dotti, sarà pur sempre il maggiore de’ moderni nostri narratori; come fu de’ migliori uomini, e de’ più integri cittadini del suo tempo , (2), è venuto soltanto a giovani studiosi in epoca recente. Molti anni or sono — appena un ventennio dalla morte del Botta — lo stesso pen- siero vagheggiava un filologo e glottologo illustre, Giovanni Flechia; e chi rifletta al valore insigne dell’uomo e dello scrit- tore, all’integrità del carattere e alle condizioni della vita (co- stretti l’uno e l’altro, il Botta e il Flechia, a scrivere per vi- vere), e sopra tutto all’affettuosa devozione, che doveva inspirare al secondo per il primo la ‘carità del natio loco’ — il Cana- vese, —- non può non deplorare vivamente che (per circostanze che ci sono ignote) l’ideata pubblicazione non abbia poi -— nè per opera del Flechia, nè d’altri — visto la luce. Il fatto non è del tutto ignorato (3). Il dott. Salsotto, nella comunicazione (1) Carro Sarsorro, Per l’epistolario di Carlo Botta; in Atti d. ft. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXXVI (1900-01), p. 969. (2) Lettere inedite di C. Borra pubbl. da PaoLo Pavesio. Faenza, 1875, PP. XL=XLI. (3) Dell’epistolario del Botta e delle altre memorie che lo riguardano, raccolte dal Flechia, ebbe notizia e si valse largamente CarLo Boncompagni in una Notizia storica su C. Botta, letta all'Accademia delle Scienze di To- rino ne primi mesi del 1867, e pubblicata negli Atti, vol. II (1866-67), pp. 177-210, 259-80, 377-97. Ivi, a p. 187 n. 1, il Boxcompacni scrive: “ Il testo della memoria [cioè di una memoria sul malgoverno dei funzionari francesi, scritta, in francese, dal Botta, e fatta consegnare da un amico al generale Bonaparte] trovasi presso il cav. Flechia, professore di filologia comparata in questa Università degli studi, ed è suo l’estratto che qui se ne pubblica. Egli fece raccolta dell'epistolario del Botta, in gran parte ine- dito, e raccolse preziose notizie sulla sua vita. Di que’ documenti e di quelle notizie mi fece copia con una liberalità di cui gli rendo somme grazie ,. Infatti il Boxcompagni cita espressamente e ripetutamente Notizie mss. su C. Botta, del Flechia (pp. 179 n., 183 n. 1, 184 n., 210 n. 2, 262 n., 270 n.., 271 n. 2, 275 n.); e, in modo particolare, l’Epistolario raccolto dal cav. Flechia (pp. 192 n., 202 n., 261 n. 1, 265 n., 269 n., 382 n.). E circa la stessa epoca, il march. Giuserre CAmporI, proemiando a Dodici lettere di C. Botta edite Nea ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 719 sopra ricordata, accenna brevemente, in una nota (p. 969, n. 1), che “ tale lavoro |l'epistolario del Botta| si proponeva già molti anni or sono il prof. G. Flechia, come prova una sua lettera a Carlo Dionisotti, il biografo del Botta ,, conservata nella Bi- blioteca Civica di Torino; ed altrove, per comunicazione avuta dal compianto prof. Renier, dà l'importante notizia, che le let- tere raccolte dal Flechia non sono andate disperse, ma furono “ rinvenute dal suo nipote dott. Giuseppe Flechia, il quale ha ora intenzione di darle alla luce , (p. 995, ». 1). Ed infatti fu appunto su codesto ricco materiale inedito che la dott. Emilia Regis potè comporre il suo Studio intorno alla vita di C. Botta tracciato con la guida di lettere in gran parte inedite, inserito nelle Memorie di questa R. Accademia del 1908 (1). Scrive in- fatti l'autrice in una nota preliminare: “ Questo mio studio trae la sua origine dal copioso carteggio inedito dello storico cana- vesano raccolto (in parte vivente ancora lo storico) da Sta- nislao Marchisio (1773-1889), il noto commediografo, amico pure del Pellico e del Foscolo. Tale carteggio, donato dal Mar- chisio stesso fin dal 1857 al compianto Giovanni Flechia, l’in- signe glottologo, trovasi ora in possesso del D." Giuseppe Flechia, alla cui gentilezza io debbo i documenti che diedero origine al mio scritto , (2). Alla stessa fonte la dott. Regis attinse pure pet l’altro suo articolo: Carlo Botta e Teresa Paroletti, pubbli- cato contemporaneamente nel Giornale storico e letterario della a sua cura, in ristretto numero di esemplari (Bologna, presso G. Roma- gnoli [tip. G. Monti], 1867; pp. 29, in 16°), scriveva (p. 4): * Di una rac- colta di queste e di quelle [cioè delle lettere del Botta pubbl. da P. Viani, e di quelle edite sparsamente in libri e giornali] fu promessa la stampa per cura del prof. Flechia di Torino, la quale anceòra non si è veduta ,. Ma il fatto è però, in genere, pochissimo noto, poichè sfuggì anche alla diligenza del ch. prof. Domenico Pezzi, che nulla ne dice nella bella commemora- zione fatta del collega a questa R. Accademia: La vita scientifica di Gio- vanni Flechiu; in Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino, ser. 2*, vol. XLIII (1893), Sc. mor., pp. 135-154; ed al prof. C. 0. Zurerti, nel cenno necrologico-bibliografico sul Flechia pubbl. nella Rivista di filol. e d'istruz. classica, vol. XXI (1893), pp. r-1v (dopo pag. 192). (1) Memorie della R. Accad. d. Scienze di Torino, ser. 2*, vol. LIMI (Torino, 1903), Sc. mor., pp. 147-180. (2) Loc. cit, p. 147, nota (*). 720 CARLO FRATI Liguria (1). “ Questo mio studio (scrive qui pure l'autrice) trae la sua origine dalle lettere inedite scritte da Carlo Botta a Teresa Paroletti. Di queste lettere, che in tutto sommano a trentatrè, sei già videro la luce in raccolte di lettere bottiane, e sì riferiscono agli anni giovanili del Botta; ventisette invece, tutt'ora inedite, fan parte del copioso carteggio donato dal com- mediografo Marchisio al compianto prof. Flechia, e si trovano ora in possesso del d." (riuseppe Flechia , (2). Ma noi possiamo qui lumeggiar meglio questa mancata pub- blicazione, mercè due lettere del Flechia ad Angelo Pezzana, bibliotecario della Parmense, conservate in questa biblioteca. Il dott. Salsotto afferma (p. 995 x. 1), che “ già fin dal 1853 [#2 Flechia| era in trattative con Felice Le Monnier per stampare ,, le lettere del Botta. Se questa data è esatta (ciò che potrà ri- scontrarsi facilmente nella corrispondenza del Le Monnier). con- vien dire che il Flechia continuasse ancora parecchi anni il suo lavoro, poichè le lettere al Pezzana sono entrambe del 1857, ed in quest'anno appunto (come già sopra si è visto) il Flechia ricevette in dono dal Marchisio l'importante carteggio bottiano. In esse il Flechia scrive che il Le Monnier si proponeva di pubblicare una raccolta di lettere del Botta, affidandone l’edi- zione a lui, che già ne avea raccolte “ alcune centinaia d’ine- dite ,; e pregava il Pezzana di comunicargli quelle che even- tualmente si trovassero nella Biblioteca di Parma, dove, a parer suo, doveano esservene alcune indirizzate al Bodoni. Ed il Pezzana, coll’abituale sua cortese premura, gli inviò quattro lettere, delle quali il Flechia gli fu riconoscentissimo. La raccolta messa così assieme da quest’ultimo doveva essere assai considerevole, poiche il dott. Salsotto, nella ricor- data sua comunicazione, afferma che le lettere bottiane, messe assieme dal Flechia, ed ora esistenti presso il nipote di lui, “sono più di mille, buona parte autografe , (3). (1) Giornale storico e letter. d. Liguria, vol. IV (1903), pp. 243-271. (2) Loc. cit., pp. 243-44, nota (*). (3) Sarsorto, loc. cit., p. 995 ». — Frutto delle carte di Giov. Flechia, ereditate dal nipote dott. Giuseppe, è la pubblicazione nuziale di quest’ul- timo: Lettere inedite «di Graziapro Ascori e di Ruecero BoneHni a Giovanni Flechia. Nozze Martini-Sartori (1907). d “ i" hd I ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 721 Ecco pertanto integralmente le due lettere del Flechia al Pezzana, tolte dall’importante carteggio di quest'ultimo, conser- vato nella Palatina di Parma, e da me riordinato: È, Chiar."° ed Il1."° Signore, Torino, il 25 maggio 1857. Incaricato dal sig. Lemonnier di Firenze di mettere insieme una raccolta di lettere di Carlo Botta, io mi trovo averne già raunato alcune centinaja d’inedite. Avendo ragione di credere che egli ne scrivesse al- cune al Bodoni e pensando che in caso affermativo tali lettere dovreb- bero probabilmente trovarsi in codesta Biblioteca di Parma, mi prendo l’ardire di volgermi alla S. V. Chiar."*, pregandola che, dove ella il possa senza suo scommodo, voglia avere la bontà di scrivermene due versi in proposito e indicarmi come, nel caso che vi siano, io possa ottenerne copia. i Domandandole scusa di questo disturbo e insieme anticipandole 1 miei ringraziamenti, ho il pregio di professarmi con singolare osservanza Della S. V. Chiar.®* Dev.®° obb."° servitore [Manca l'indirizzo esterno | Gio. Flechia Bibliotecario-archivista del Senato (1). Il Pezzana rispose il 2 giugno: 2. Chiar."° ed Ill.®° Sig. Bibliotecario, Parma, 2 (Giugno ‘57. Rispondo all’onorevole lettera di lei del giorno 25 dell’uscito mese, ed ho il dispiacere di dirle che sola una lettera del celebre Carlo Botta (1) Il Flechia era stato nominato bibliotecario-archivista del Senato 18 maggio 1848, e, come qui si vede, tenne questo ufticio anche dopo che, nel 1853, venne incaricato dell’insegnamento della Grammatica sanscrita all’Università di Torino. Cfr. C. 0. Zurerti in Rirista di filol. e d'istruzione elass., vol. XXI (1893), p. IT. Vi rinunziò soltanto nel 1864, per poter at- tendere esclusivamente alla cattedra di ordinario della stessa disciplina, che gli era stata conferita nel 1860 dal ministro Mamiani. Cfr. D. Pezzi, mem. cit., p. 144 n. 2. ni 722 CARLO FRATI ho trovata fra le migliaja del Carteggio Bodoniano da me acquistato per la Parmense, ed è la seconda delle quattro che ho fatte diligente- mente trascrivere e collazionare in questo foglio. Per non venirle in- nanzi con sì povera offerta la prima volta ch’ella mi onora di un suo comando, ne ho aggiunto una indiritta al mio amico Cav. Rosini morto poco tempo fa, ed ora posseduta dal gentil.®° signor Avv. Gius. Gior- dani di Parma, che mi ha permesso di farla trascrivere; e finalmente ho inquartata l’offerta colle due sole a me indiritte dall’illustre Serit- tore. Se mi verrà fatto di ottenerne qualche altra da’ miei corrispon- denti, mi sarà caro di rendernela servita. Io avrei per favore singolarissimo se la S. V. Ch. si compiacesse di far sapere alla Direzione della Rivista contemporanea, che non ho ricevuta che la prima dispensa dell’opera del Gallenga intitolata: La nostra prima carovana. Torino, 1857, in 8° gr., mentre ne dovrebbero essere uscite tre o quattro. E nel domandarle seusa di questa mia, forse troppo ardita, pre- ghiera, ho il bene di rassegnarmele con ogni osservanza Dey,m° [Pezzana]. Risposta del Flechia: Chiarissimo e riveritissimo Signore, Torino, addì 4 giugno 1857. Se già noto non mì fosse stato che la S. V. Chiar."* alla sua gran dottrina congiunge ancòra una bontà d’animo singolare, io bene l’avrei apparato dalla graziosissima Sua del 2 corrente, colla quale ella mi invia quattro lettere del Botta. La ringrazio pertanto con tutto l’animo così delle lettere ch’ella mi manda, come pure della benevolenza colla quale ella per sua somma gentilezza si mostra inchinevole a favorirmi in questa ricerca di lettere bottiane, facendomi sperare che per avventura ella possa ancòra ottenerne qualche altra da’ suoi corrispondenti. Funi alla Direzione della Rivista contemporanea e mi venne detto che dell’opera del Gallenga intitolata La nostra prima carovana (1), (1) Lo scritto di Ant. GaLLenca intitolato La nostra prima carovana. Me- morie semiserie del 1831, — una delle più briose memorie autobiografiche della nostra moderna letteratura, la quale non trova riscontro che nello stile de’ Miei ricordi di M. D'Azeglio, — si incominciò a pubblicare nella Rivista ide ’ ict LI e A ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 723 sebbene siasi già data fuori la continuazione nella suddetta rivista, non fu però, quanto all'edizione tirata a parte, finora pubblicata che una prima dispensa; che la seconda, non appena uscita, le sarà sollecitamente mandata, e così via via sino alla fine. Se posso servirla in qualcosa per questi paesi, mi onori alla libera de’ suoi comandi. Piacciale intanto, o dottissimo e cortesissimo signore, gradire gli attestati di somma osservanza con cui mi pregio di pro- fessarmi Della S. V. Chiar."®* ed Ill."* Dev."° obb."° servitore Gio. Flechia. (fuori) AI Chiar."° ed Ill."° signor Il Sig. Cav. Angelo Pezzana Bibliotecario della Parmense Parma. contemporanea di "Torino del 1857, vol. IX, pp. 218-233, 374-394: vol. X, pp. rxxiti (fra le pp. 80-81), r-xxxm (dopo p. 256), r-xx (fra le pp. 384-85); ma non ne uscirono che sei capitoli, intitolati rispettivamente I. Ragaz- zate scolaresche. — Il. Congiure scolaresche. — Ill. Il capo-parte. — IV. Aw- visi e allarme. — V. Arresto e deportazione. — Vl. Carcere duro. Interrom- pendo la pubblicazione, la Direzione della rivista scriveva (vol. X, p. xx [prima di p. 385])): © Con questo articolo si compie la prima parte della Nostra prima carovana. La Direzione, che è in potere del manoscritto, vede che per la soverchia quantità di altri importanti articoli non puòd pub- blicare queste memorie che a brani troppo brevi, lo che fa procedere freddamente il racconto, e lo rende talmente lungo, che ci sarebbe forse per tutto quest'anno [1857] e il venturo. La Direzione pertanto è d’av- viso di sospendere questa pubblicazione nella Rivista, e fa noto a quei signori che ne desiderano la continuazione, che essa ne pubblicherà un volume separato di 400 pagine circa al prezzo di 30 centesimi il foglio, formato della Rivista, e vi darà principio appena avrà assicurato sole 200 firme, lo che denuncierà con apposito avviso ,. Ma, sia perchè non si raccogliesse il numero richiesto di sottoscrizioni, sia per altre cause, di codesta edizione a parte non uscirono che le prime due dispense (disp. 1%, pp. 1-32; disp. 2%, pp. 33-63), comprendenti i soli primi quattro capitoli; e la pubblicazione ne fu annunciata col seguente Programma: “ Il signor Gar- LENGA, ritirato ormai dalla vita pubblica per occuparsi esclusivamente di cose letterarie, ha compiuto un lavoro autobiografico, lavoro che potrà ri- cevere maggiore estensione a misura che otterrà l'incoraggiamento del pubblico suffragio. Sono memorie le quali per ora toccano soltanto le vi- cende del 1831, ma l’autore si studierebbe di condurle fino ai presenti giorni, e di ritrarre caratteri, modi e costumanze de’ varii paesi ne' quali per più di 25 anni la fortuna dell'esilio lo trasse ramingo. La Direzione -*à 724 CARLO FRATI Due mesi dopo. il Pezzana scrisse ancora al Flechia, dal suo ‘suburbano’ di S. Lazzaro, inviandogli copia di un’altra let- tera bottiana: Chiar."° e Prest. Sig. Bibliot. S. Lazzaro presso Parma, 3 ag. ‘57. Ringrazio senza fine la S. V. Prest.®* della risposta che le piacque darmi il dì 4 giugno intorno La prima carovana del Gallenga. La supplieo di non attribuire a mala creanza questi tanto indugiati ringraziamenti, i quali sarebbonle venuti meno tardi se il timore d’infastidirla con troppo frequenti lettere non m’avesse suggerito di tornarle innanzi con qualche nuova offerta concernente l’illustre C. Botta. Benchè abbia chiesto a più miei corrispondenti alcuna altra lettera autografa di lui, sino ad ora non mì è riusciuto di ottenere che la terza (sîc) che qui alligo. Nientedimeno non discontinuerò le mie ricerche, ed ove mi sia dato di renderla servita meglio di questa volta, non porrò dimora al satisfarla. Intanto le fo riverente preghiera di mandar sa'utando il mio dilett.®° Collega ed amico Costanzo Gazzera, di cui non ho da pezza novella; ed ho l'onore di profferirmi novellamente con ogni osservanza Alla S. V. Ch. e Prest. Dev. Servitore [Pezzana]. editrice essendo venuta a patto col signor Gallenga per la pubblicazione dell’opera sua, la offre al pubblico con la certezza che non le mancheranno lettori, contando che lo stile brioso e vivace dell’autore si farà strada da sè fra gli amatori di ciò che vi è di più spontaneo e di più originale nel- l’amena letteratura ,. L'opera del Gallenga interessava il Pezzana, perchè, nella parte pubblicata, si riferiva appunto alle agitazioni ch’ebbero luogo nell’Università di Parma, quando Macedonio Melloni (indicato nelle me- morie del Gallenga sotto lo pseudonimo di Ausonio Merlino), professore di fisica, nella prolusione letta il 15 novembre 1830, fece un’aperta apologia dei moti di Parigi, e fu indi costretto a dimettersi dalla cattedra e ad esu- lare. Cfr. U. Mancuso, Cenni su V. Mistrali, ministro e poeta parmigiano; in Studi storici, vol. XVII (Pisa, 1909), p. 21, n. 1. Nel Catalogo generale della libreria italiana (1847-1899) del PacLiarsi, Il (1903), p. 182, l’opera del Gallenga viene sdoppiata in due: La nostra prima carovana e Memorie semiserie del 1831; mentre, come si è visto, quest’ultimo non è che il sot- totitolo del primo, nè ne fu fatta (che si sappia) altra edizione. ANCÒKA LlER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 725 La divisata pubblicazione dell’intiero carteggio — come si è detto e come è noto — non ebbe poi luogo; ma molte furono le lettere del Botta venute in luce, in gruppi più o meno co- spicui, dopo quell’epoca: ed è agevole pensare che parecchie di esse fossero già comprese in quelle messe assieme dal Flechia; come, ad es., le lettere a Giuseppe Grassi, pubblicate dalla sig."* Caterina Magini (1), e ricavate da un manoscritto della Biblioteca di S. M. in Torino, che non potè non esser noto al professore torinese. Ma molte devono essere tuttora inedite, come ne sono prova le lettere interessantissime del Botta a Teresa Paroletti, che solo in questi ultimi anni sono state fatte cono- scere dalla dott. Regis, e che fanno parte appunto della raccolta flechiana. Il Prima dell’epoca, cui spettano le due lettere del Botta al Pezzana che siamo per pubblicare (1829), lo storico piemontese non era in relazione diretta col bibliotecario parmense, come ne fa fede, non solo la mancanza di lettere di lui anteriori a quel- l'anno, — lettere che, se vi fossero state. il Pezzana avrebbe certo, come tutte l'altre sue, gelosamente conservate; — ma altresì questo accenno (riferibile indubbiamente al Botta), che troviamo in una lettera di Giuseppe Poggi al Pezzana (2), scritta da “ Parigi [ove tanto il Poggi quanto il Botta si trovavano da tempo, emigrati], ai 24 di marzo 1817 ,: “ lo sono a prie- garvi di darmi al più presto un prospetto politico-letterario dell’amministrazione di Tillot Marchese di Felino, sine ira et studio: vi accennerete le epoche precise del suo arrivo a Parma e della sua dipartita. Il quadro deve aver parte nell'opera d'un mio amico, eccellente scrittore, che vuol dare un (1) Lettere inedite di C. Borra, con prefazione e note di Caterina Maaini. Firenze, 1900, in 16°. Delle 40 lettere (non numerate) comprese in questo volumetto, più della metà (25) sono dirette al prof. Grassi, e ricavate dal cod. n. 265 della Biblioteca del Re in Torino. (2) Lett. cit. di Gruseree Pocci al Pezzana, nel Carteggio Pezzana della ‘ > MA Parmense, s. v. ‘Poggi. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 47 726 CARLO FRATI cenno dello stato morale e politico de’ diversi Paesi italici anzi la rivoluzione francese ,,. Poco appresso, tra il settembre 1818 e il gennaio 1819, tro- viamo, pur sempre nella corrispondenza del Poggi col Pezzana, nominato espressamente il Botta, de’ cui lagni l’amico piacentino si faceva eco presso il bibliotecario parmense, per la ristampa della Storia della querra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’ America del Botta, fatta in Parma abusivamente dal Blanchon (1). Così ne scriveva il Poggi al Pezzana in un poscritto, tutto autografo, aggiunto alla lettera “ di Parigi ai 15 di settembre 1818 ,: P. S. — Li nostri letterati e stampatori non sono troppo delicati in fatto di proprietà degli autori: non la conoscono, nè possono sospet- tare ch’ella esista se il bastone della legge non li persuade altrimente. V’ha di più: non conoscono nemmeno la civiltà che usar debbesi verso gli autori e mancano persino alla parola loro data. Spinsi già lagni al Mazzoni in ordine alla Storia d'America del caval. Botta che si ristam- pava costì: fu un gracchiare ai porci. Oggi, e proprio in buon punto, me ne scrive l’autore e insieme proprietario della prima edizione; sen- tite le sue stesse parole: “ Poggi carmo, Sarà bene che voi sappiate i “ tratti di gentilezza che mi si usano nella vostra patria. La mia povera Storia vi fu stampata dal Blanchon, senza nemmeno dire ‘ con licenza ‘. Poi non ne ebbi tampoco una copia, la dio grazia. Solo VAv.'° Musi 4 “ “ me ne portò cinque o sei fogli stampati del primo volume, forse per “ farmi gola e poi piantarmi in sul bello, e forse ancora per modo di scherno. Così va, Poggi mio; sie vos, non vobis, mellificatis apes, dice il proverbio antico. Poveri letterati italiani! etc. ,. — Se non vi riesce di condurre a pentimento ed a riparazione la rustichezza ed avarizia di costoro, vi autorizzo, per punirli, a far conoscere questa lettera /ippis “ - et tonsoribus (2). Il Pezzana, per rabbonire il Botta ed il Poggi, mandò a quest'ultimo una lettera giustificativa del tipografo Blanchon; e fu allora che il Botta scrisse al Poggi la lettera da “ Roano, (1) C. Borra, Storia della guerra dell’indipendenza degli Stati Uniti d'Ame- merica. Parma, Blanchon, 1817-1819, tomi 6, in 12°. Di questa abusiva edi- zione furono tirati anche esemplari in carta azzurrina, di cui uno è posse- duto dalla Biblioteca di Parma. (2) Questa letterina del Botta, qui trascritta dal Poggi, non è com- presa fra quelle del Botta al Poggi date in luce dal prof. G. P. Cueriet. Cfr. più oltre, Giunte alla bibliografia ($ IV) [ad a. 1909-10). a ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 727 7 novembre 1818 ,, che è la prima di quelle date in Ince dal prof. Clerici, e che il Poggi trascrisse per intero al Pezzana, nella sua lettera del 29 gennaio 1819 (1). Dieci anni dopo, nel 1829, ancòra indirettamente il Botta si rivolgeva al Pezzana per documenti e notizie sull’interdetto lanciato da Papa Clemente XII contro il Duca di Parma. Così ne scriveva sempre il Poggi al Pezzana: Amico pregiat.”° Il comune amico, d." Carlo Botta, continuatore, come sapete, del Guicciardini, desidera da voi una lista delle principali opere che ven- nero in luce in favore e contro l’Interdetto lanciato sul duca di Parma dal XIII Clemente (o Inclemente). Io non conosco che l’operetta del Contini (2), che non ho presso di me; nè so che cosa si potesse dire a difesa della Curia Romana in quell'incontro. So solo che quella fulmi- nazione ci fu utile, perchè diè spinta all’espulsione dagli Stati ducali della funestissima congrega lojolitica. Vi priego a dirigere la vostra risposta al Botta medesimo (à Paris, place St. Sulpice, n.° 8), perchè abitando io in villa ed in meschina salute, non sono più in grado d’intrattenere alcun carteggio. Vi auguro ogni bene; salutatemi Garbarini e Taverna; e continua- temi la vostra amicizia. Alli 20 di 7bre 1829. ) î Il Poggio. A questa lettera — che reca nel bollo postale la data “ 28 sept. 1829 ,, e che dovette giungere al Pezzana ai primi (1) Cfr. Bollettino storico Piacentino, vol. V (1910), pp. 164-65. Da questa trascrizione fatta dal Poggi della lettera del Botta rilevasi qualche erro- ruzzo di trascrizione, insinuatosi nella cit. stampa della lettera medesima. Così © Avvocato Musi,, e non “ avvocato Masi, (come ripetutamente è stampato), chiamavasi la persona che portò al Botta, a Parigi, un saggio dell'edizione Blanchon. Nel secondo alinea (“ Circa la significazione... ,) deve leggersi, anche per il senso: © quello che ne serissi al signor Blan- chon medesimo ,, e non “ che ne scrisse il signor Blanchon, ece. ,. (2) Cioè le Riflessioni sopra la bolla ‘ In coena Domini” del p. Tommaso Conrint, veneziano, professore di Sacri Canoni nell'Università di Parma, di cui si fecero non meno di tre edizioni in due anni: [1* ediz.] In Venezia, 1769. “ A spese dell’autore ,; — Edizione seconda, corretta dall'autore. In Venezia, 1769, “ Con le debite licenze ,; — Edizione terza, corretta dal- l’autore. Im Venezia, 1770. 728 CARLO FRATI di ottobre, il bibliotecario fece riscontro il 15 ottobre, scrivendo direttamente al Botta la lettera seguente: 1. A Carlo Botta, Parigi. [Parma], 15 8bre 1829. Il comune amico Consigl.* Gius.® Poggi seriveami addì 20 dell’an- dato settembre come la S. V. Ch.* desiderasse da me una lista delle principali opere che vennero in luce in favore e contro l’Interdetto lan- ciato sul Duca di Parma dal XIII Clemente. Per non fastidirla con altri preamboli, ecco quello ch'io ne so. Nella mia Vita dell’ Affò, di cui è una copia nella Biblioteca Reale di Parigi, dissi a f. 154(1) che non venne fulminato Interdetto di sorta nè contro il Duca, nè contro i Ducati di Parma, ece., ma che il famoso Monitorio, o Breve del 30 (rennajo 1768, che si pubblicò in Roma nel giorno 1° di Febbraio, fu scagliato da quel Papa al solo ministero di Parma. Le cagioni di tanta ira Pontificale sono ivi da me indicate bre- vemente. Tra queste la Prammatica intorno le Mani-morte e 1 Editto che obbligavale al pagamento delle pubbliche gravezze sopra i beni di nuovo acquisto. Essendo andate vote d’effetto le trattative precedenti colla Corte di Roma su questi propositi, quella di Parma fu costretta pel bene dello Stato ad emanare queste leggi. Il suo diritto incontra- stabile a ciò fare è dimostro evidentemente da una Scrittura impressa in f.° intitolata: Memorie relative alle Risoluzioni prese dalla R. Corte di Parma in sequito della precedente trattazione avuta colla Corte di Roma. Uscito il Monitorio, comparve dalla Stamperia Regia D.° di Parma un foglio volante con questo titolo: Rimostranze presentate a S. Santità nel giorno 6 d’ Aprile 1768 in nome del Ser. R. Inf. Duca [di Parma) dai Ministri delle tre Corone di Spagna, di Francia e delle Due Sicilie. (1) È curioso osservare come il Pezzana rinvii qui senz'altro il Botta a un passo della propria Vita dell’'Affò (pubblicata quattro anni innanzi, e che probabilmente il Botta, trovandosi a Parigi, non avea ancor vista), in cui è censurato appunto lo stesso Botta. Infatti la lunga nota, a cui il Pezzana si riferisce, e che occupa due pagine e mezza, è — malgrado le de- ferenti proteste per l’opera di tanto autore e di così supremo momento per la nostra Italia; per l'illustre Botta, il celebratissimo storico, ecc. — tutta una riveditura di bucce, per inesattezze sfuggite allo storico piemontese a proposito appunto dell' Interdetto e del Du Tillot. Cfr. A. Pezzana, Conti- nuazione delle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani. Parma, 1825, tom. VI, parte I, pp. 152-154 n. ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 729 Uscì eziandio, poco dopo, dalla Stamperia medesima, in 4°: Memoria della Corte di Parma, sulle lettere in forma di Breve pub- blicate ed affisse in Roma nel giorno primo Febbraio 1768. Questa Me- moria fu ristampata in 8°, senza luogo ed anno, premessovi l’Editto del Duca del 13 Marzo 1768, che proibiva severamente il predetto Moni- torio in tutti i suoi Stati. E la Rimostranza e la Memoria sono fat- ture di Giambattista Riga Piacentino, allora Avvocato Fiscale di esso Duca; uomo non timido al vero, ed intrepido propugnatore de’ diritti regali. Contro la sugosa e calzante Memoria del Riga uscì risposta lun- ghissima, tutto-romana, di 80 fitte facce in 4°, con sopraggiunte di gran soma, o sommario di Documenti: Risposta alla Memoria di Parma, ecc. Fu proibito il Monitorio anche in Ispagna con lettera circolare, di cui ho sott'oechio la traduzione intitolata: Lettera circolare de’ Signori del Consiglio di S. M.* Cattolica rela- tiva al breve affisso in Roma il 1° Febbraio contra il Ministro di Parma, e le sue regalie e diritti. Madrid, 16 Marzo 1768. E fu ancora in Napoli con Editto del dì 4 Giugno. In difesa nostra uscì altresì: Esame storico-legale-teologico sopra le lettere in forma di Breve pub- blicate in Roma il primo di Febbraio dell’anno corrente 1768 contro gli Editti de’ Reali Sovrani di Parma, emanati intorno la immunità e di- sciplina ecclesiastica. È un vol.* in 4°, di 192 f.°, fattura di un abate Copellotti. Se non le dispiacesse averlo, gliene offero in dono un esem- plare, che manderolle a prima occasione non troppo dispendiosa, avu- tone da Lei licenza. Ella troverà la Prammatica, e gli altri Editti sumentovati, scintille di tanto incendio, a f. 84 e seg." del to. 6° del de Martens, /'ecueil des principaux Traités, ete. E più riccamente nella /taccolta di leggi, ecc. concernenti le Mani-morte, ecc. Parma, 1803, in 8°. Il Breve, ed altre cose sul proposito stanno a f. 426 e seg.' del to. 2° del Guerra, Ponti ficiarum Constitutionum Epitome. Venet. 1772. Le Riflessioni del Contini sulla Bolla ‘in Coena Domini, le sono note. E queste sono le cose venute sin qui a mia saputa, che sguardano le ricerche fatte dalla S. V. Ch."*, a cui le mando per diretto, secondo che mi avvisa il Poggi. Ben vorrei potessero volgersi ad alcuna utilità dell’illustre Scrittore de’ fatti Italiani, al quale profferisco lealmente l’opera mia in tutto ch'io possa al servigio suo. Ho dal sig." Littardi com’ella proceda tenace e spedita in questo solenne lavoro, desiderio di tutta Europa. Io a lei me ne congratulo 150 CAKLO FRATI molto sinceramente, mentre alla sua buona grazia mi raccomando, e sono con ogni osservanza [Pezzana]. D.S. — La supplico di far sapere al Poggi che è stato servito, e che a lui non rispondo, perchè la sua gentilezza nol costringa ad altra risposta che lo incomoderebbe per lo stato di sua salute, che gli auguro migliore. Il Botta rispose: 2. Pregiatissimo e compitissimo mio Signore, Parigi al primo di novembre 1829 place S.' Sulpice, n.° 8. Ebbi a questi ultimi giorni la cortese sua dei quindici ottobre scorso, della quale per due ragioni massimamente io debbo con me medesimo rallegrarmi, la prima per essermi venuta scoprendo l’amorevolezza di una persona, quale V. S. è, che tanto merita di essere da tutti e amata e onorata: la seconda per avermi recato le notizie, ch'io desiderava per condurre convenientemente la mia storia in un fatto celebre del ducato di Parma. Io lo ringrazio del suo favore, e i suoi sussidi mi saranno di sprone al ben fare, se pure di ben fare mi è dato. Spero di trovare nelle Librerie di Parigi o tutti o la maggior parte dei libri indicatimi da Vostra Sig., e me ne servirò, quando sarà venuto il tempo. Quanto all’esame storico-legale-teologico, ecc. dell’abbate Copellotti (1), ch’ella così graziosamente mi offre, io lo accetto molto volentieri, e quando mi favorirà di mandarmelo per una occasione non dispendiosa, 0 a me direttamente a Parigi, o al conte Littardi a Tolone, mi farà molta grazia. Io lo serberò come segno gradito di chi tanto m’onora. La mia storia (2) va avanti; il manoscritto del settimo volume debb'essere arri- vato alle mani del conte Littardi, avendoglielo spedito ai ventidue del mese passato. Questo volume mi ha condotto sino al 1781. Ora credo, (1) Cioè l’Esame storico-legale-teologico sopra le lettere in forma di breve pubblicate in Roma il primo di febbraio dell’anno corrente 1768 contro gli editti de’ Reali Sovrani di Parma emanati intorno l'immunità e disciplina ecclesiastica. S. n. t. [Parma, 1768], pp. 192, in 4°; anonimo, ma dell’abate Pietro CopeLLorTI, come rilevasi anche dal MeLzi, Dizion. di opp. anon. e pseud., vol. I (Milano, 1848), p. 574 (ove l’autore è detto ‘ Capellotti ’). (2) Cioè la Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini fino al 1789. rg ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 731 che per condurre la tela sino al 1789, due altri volumi basteranno, cui spero di terminare, se Dio continua a darmi salute, nel corso dell’anno prossimo venturo; poi l’opera si stamperà nel 1881 (1), poi il pubblico sonerà o le trombe o le tabelle. Mi mantenga, la prego, nella sua buona grazia, e mi abbia per tutto suo servitore Carlo Botta. P. S. — Conforme al suo desiderio, scrissi jeri al Poggi (2), rag- guagliandolo di quanto per sua gentilezza ella ha fatto per me. (fuori) A Monsieur Monsieur Ange Pezzana Bibliothécaire de la ville de Parme Italie Parme. Il giorno stesso in cui giunse al Pezzana questa risposta del Botta, il bibliotecario di Parma gli riscrisse, inviandogli l’opera promessa del Copellotti: (1) Queste previsioni del Botta sul compimento e sulla stampa della propria opera si verificarono pienamente. Scriveva infatti il Botta al conte P[apadopoli] di Venezia, in una lettera da Parigi, 25 gennaio 1831, pub- blicate da P. A. Paravia: “ La Storia è terminata; l’ultimo volume del manoscritto è a Tolone in mano del conte Littardi, che presto ve ne darà avviso. Sono nove volumi grossissimi, che credo faranno dieci volumi di stampa. Il conte Littardi pensa alla stampa, ed eseguirà nel presente anno il pensiero, se in primavera non nasce qualche ballo di streghe. Ma se il ballo nasce, come si farà? Fra il rumore e lo scombuglio dell’armi, chi abbaderebbe alla pacifica fatica? Chi può prevedere i casi che seguireb- bono ? ,. Cfr. P. A. Paravia, Lettere d'illustri piemontesi, nel Subalpino, gior- nale di sc., lettere ed arti, a. 1838 (p. 4 dell'estratto). Queste lettere sono dal Paravia indirizzate a Pietro Giordani. (2) cav. Giuseppe Poggi-La Cecilia, piacentino, patriota, uomo politico e letterato, che tante benemerenze erasi acquistato pel ricupero degli oggetti d’arte dei ducati Parmensi, asportati dai francesi, e che visse appunto molti anni esule a Parigi, © frequentando le maggiori eminenze politiche e mantenendo vivi rapporti col suo paese e coi letterati d’Italia, Giordani e Botta in modo particolare, a quest'ultimo venendo in aiuto di 10.000 lire per la pubblicazione della sua Storia d’Italia ,. Cfr. Errore Rota, Le conquiste artistiche del periodo napoleonico nei ducati Parmensi. Catania, 1913. pp. 16-17. “ Familiarissimo al Botta ,, lo dice anche il prof. G. P. CLe- rici, Intorno a undici lettere ined. del Botta a G. B. Maggi e a Gius. Poggi, in Bollettino storico piacentino, a. V (1910), pp. 119-27. Codeste lettere del Botta al Maggi e al Poggi sono poi pubblicate ivi stesso, pp. 152-166. Ufr. più innanzi: Giunte alla bibliografia ($ IV) [ad a. 1909-10]. (32 CARLO FRATI 3. A Carlo Botta, Parigi. [Parma], 11 9bre 1829. In quest’esso dì in cui ricevo la compitissima Sua del 1° corrente mi sì offre opportunissima l'occasione di Parmigiano che si trasferisce costà, e che porralle in mano senza spesa veruna il Copellotti. Alla tanta sapienza ben ella accoppia infinita gentilezza, se per lie- vissimo servigio da me prestatole mi rimunera di così cortesi e care pa- role. Ella debbe adoperarmi liberissimamente in tutto ch'io possa al servigio suo. Quanto mi sia caro l'udire com’ella si travagli già all'ottavo vo- lume della sua Storia d’Italia, e come speri di condurla a finimento nel prossimo anno, non è chi abbia viscere e mente Italiane che non sia per crederlo. Ella mi ha veramente fatta venir l’acquolina in bocca con cotesto suo annunzio. Dio le conceda salute non solo per terminarla, ma per godere degli onori del trionfo in tutta Europa dopo che sarà stampata, ristampata e tradotta in più lingue; lo che non è da porsi in dubbio, chi ricordi le altre due Storie d’America e d’Italia. Alla sua buona grazia molto caldamente mi raccomando, mentre con ogni stima me le profferisco [Pezzana]. Ricevuto il libro e la lettera, il Botta rispose: 4. Pregiatissimo mio Signore Paris, 18 decembre 1829 place S.' Sulpice, n.° 8. È comparso con la graziosissima sua degli undici di novembre il libro del Copellotti, di cui mi varrò a tempo debito, se piacerà a Dio di darmi vita sino a quel periodo della mia storia. Lo ringrazio e della cortesia, che mi fece, e delle lodi, che mi dà. Accetto allegramente quella e queste, come segno di amicizia, ma però le ultime con molta tara. Una volta il sig. Mistrali mi onorava della sua amicizia, poi mi tuffò nel suo Lete (1). Tuttavia, se non gli è grave, lo saluti in nome mio. Mi usi, o gentile e dotto sig. Pezzana, per quel suo, che sono servitore (fuori) A Monsieur Carlo Botta. Monsieur Ange Pezzana Bibliothécaire Parme. (1) l barone Vincenzo Mistrali di Parma [n. 3 luglio 1780; m. 14 maggio 1846], che fu poi per molt’anni governatore di Parma e ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 733 III. Nella prima delle due lettere sopra pubblicate, il Botta ricorda il conte Tommaso Littardi, che dimorava a Tolone in Guastalla (1814-1821) e primo mimistro della duchessa Maria Luigia (1831- 1846), prima ancora di essere assunto in questi alti uffici, era legato di stretta amicizia col Botta e colla sua famiglia, come dimostrano alcune lettere di quest'ultimo recentemente pubblicate dal prof. G. P. Clerici, che le ha fatte seguire da un garbato schizzo biografico-letterario sul Mistrali (cfr. G. P. CLERICI, Intorno a otto lettere inedite di C. Botta a V. Mistrali; in Il Risorgimento italiano, rivista storica, a. II (1909), pp. 593-615). Codeste lettere vanno dall’ottobre 1811 al gennaio 1816; e l’ultima di esse è l’ap- pello disperato di un padre, che vedovato della moglie e gravato di nu- merosa famiglia, chiede all'amico, diventato potente ministro, pane per sè e pei figliuoli. “ Sappiate (gli scrive) che oggimai non ho più modo al- cuno di sostentar nè me nè loro. Onde io grido: accorr’'uomo, ed accorrete voi il primo che siete mio amico. Trovatemi luogo, o come bibliotecario nella vostra università di Parma, o fatemi segretario di qualche gran si- gnore, 0 trovate qualunque altro ripiego a questa mia travagliata vita. Se ciò non fate, sentirete a dir presto che l’autore della Storia d'America e del Camillo se n'è morto di fame. Non dico più oltre, perchè piango. Addio ,. — Le stesse cose, quasi colle stesse parole, scriveva il Botta con- temporaneamente a G. B. Maggi (cfr. Boll. stor. Piacent., vol. V (1910), p. 154). Il Mistrali però non rispose, impedito (come sembra) anche da una grave malattia subita in quell’anno (efr. CLerici, in Boll. stor. Piacent., V (1910) p. 119). Certo è che il suo prolungato silenzio (nessun’altra lettera del Botta esiste nel carteggio Mistrali) impressionò e addolorò il Botta, il quale non mancò di dolersene (come qui fa col Pezzana) cogli amici (efr. Boll. stor. Piacent. cit., pp. 156, 158); e che, del resto, sino dal gennaio dell’anno antecedente (1815) aveva scritto a G. B. Maggi queste amare parole: © Dite a Mistrali, che ha fatto bene a lasciar i versi per le cancellerie: poichè coi versi si spasseggia l’ammattonato, con le cancellerie si poggia al cielo , (cfr. Boll. stor. Piacent. cit., p. 153). Sul Mistrali si cfr., oltre l'articolo del pro- fessore CLerIci sopra indicato, e l’altro art. dello stesso, Intorno a undici nuove lettere del Botta a G. B. Maggi e Giov. Poggi. pubblicato nella rivista Il Risorgimento italiano, 1l (1909), pp. 593-615, e riprodotto nel Boll. stor. Piacent., V (1910), pp. 119-127 e 152-166, anche U. Mancuso, Cenni su V. Mi- strali, ministro e poeta parmigiano (1780-1846); in Studi storici, XVIII (Pisa, 1909), pp. 3-108, il quale pubblica altresì, in appendice, 61 lettere inedite di Maria Luigia al Mistrali, i cui autografi si conservano tuttora in Parma presso il nipote bar. Attilio Mistrali. 194 CARLO FRATI qualità di Ricevitore generale delle Finanze pel Dipartimento del Varo, e che, com'è noto, costituì una società per la pubbli- cazione della Storia d’Italia del Botta, dal fine di quella del Guicciardini al 1789. Anche del conte Littardi vi sono alcune lettere nel carteggio Pezzana, relative al Botta: e precisamente due circolari a stampa, colle quali il nobile amico e mecenate teneva informati i sottoscrittori del procedere dell’opera bot- tiana; ed una lettera al Pezzana. Le facciamo qui seguire come non inutile complemento alle lettere del Botta; e chiudiamo questa breve comunicazione con un'appendice alla diligente bi- bliografia che dell’epistolario del Botta diede il dott. Salsotto nel 1901, registrando le stampe di lettere del Botta venute in luce dipoi, e alcune poche anteriori, sfuggite al Salsotto. 1; CONTINTAZIONE Tolone (Dip.'* del Varo), 16 Giugno 1829. della Storia d’Italia Preg.®»° Signore, del finogdi, griella Nei primi giorni del mese corrente mi è stato del Guicciardini SEUI no rimesso un nuovo manoscritto del Sig." Carlo Borra, DI il quale così ha terminato e riposto nelle mie mani CARLO BOTTA il sesto volume dell’opera, che sta scrivendo per soddisfare ai desiderj della Società, della quale V. S. fa parte. Questo indefesso scrittore nel farmi fare un simile ricapito mi da a conoscere, che crede che il suo lavoro per essere condotto a compimento non richiederà oramai più di tre altri nuovi volumi. Mi stimo fortunato di poter portare queste é informazioni alla cognizione di V. S., e colla più distinta stima mi protesto DNS: L’Osseq.'° e Dev."° servo C.fé To Littardî (Ms.) Sig." Angelo Pezzana, Parma. CAT TAT R ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 735 2. CONTINUAZIONE Tolone (Dip.'° del Varo), 16 Novembre 1829. della Storia d'Italia Preg."° Signore, dal fine di quella SARA Continuando ad informare V. S. del progresso del Guicciardini sino al 1789 che va facendo l’opera intrapresa dal Sig." Carlo da Borra, ho l’onore di prevenirla, che questo Autore CARLO BOTTA avendo terminato il manoscritto del settimo volume l’ha fatto deporre nelle mie mani, ove sarà mia cura di custodirlo coi manoscritti precedenti fino a che il totale compimento dell’opera permetta di eseguirne la stampa. La prego di credermi colla più distinta stima Di :S4 L’Osseqg."° e Dev.®° servo A C.t° T. Littardi. (Ms.) Sig." Angelo Pezzana, a Parma. A tergo della prima delle due circolari riferite trovasi, ag- giunto a mano, il seguente elenco degli associati Parmensi al- l’opera del Botta: Associati concorsi a formare un’ Azione per la Storia d’ Italia che pubblicasi da Carlo Botta Biblioteca Ducale... . +. . oe 100 Pezzana (Cav.° Bibl.°) . . Dif ni — Lombardini (Prof.° e V. Bibl.°) Dr Lopez (Direttore del Museo d’Antichità) Oppici (Avv.° Luigi). i Ortalli (Ermenegildo) Bosi (Dottore) i Casa (Ispett.® Antonio) Galeotti (Ingegnere) They (Avvocato) Dalla Rosa (Eredi) . Cornacchia (S. E.) i Bruoli (Segret.° Aless.°) . Bolla (Barone Podestà) . Mistrali (Delegato, Barone) Fainardi (Presidente) Olivieri (Domenico) . Ue, w a cala to a e SS dò (o Ventesimi N. 20 da Ng Pe 100 Cambio del 4*/, p. °/o 4,50 L. 104,50 DE 730 CARLO FRATI E a tergo della seconda, il conte Littardi scrisse la se- guente lettera al Pezzana: n Dee . Preg."° Signore Tolone, 19 Nov. 1829. Profitto di questa lettera per spedirle la ricevuta della 4* rata della di lei sottoscrizione all'Opera, che va componendo il Botta. Fino dal mese di Maggio scorso feci compiere quest'obbligo alla Cassa del Caccia, e mi sono sempre scordato di avvisarne V. S. Per il rimborso potrà rica- pitarmelo a Genova, ove sto per recarmi tra pochi giorni, ed ove mì troverò ai 4 oppure ai 5 del mese prossimo. Il Botta mi ha incaricato di ricorrere in di lui nome alla di lei gentilezza perchè, se esiste a di lei cognizione negli archivi di Parma o altrove qualche documento, o manoscritto o stampato sull’interdetto del 1748 (sic) (1), si compiaccia indicarglielo, ed anche mandarglielo. Il Cav. Poggi aveva promesso di serivere a V. S. per questo oggetto, ed anche per chiederle certe notizie e certi libri intorno ad esso, che abbi- sognano all'Autore onde poter parlare convenevolmente di questa ma- teria. Si compiaccia, car."° Sig.°, di rispondere su di questo proposito al Botta più diffusamente e più pienamente che può, e prenda nota che l'indirizzo del Botta è il seguente: Paris, place S.' Sulpice, N.° 8. Gradisca i miei sinceri complimenti e mi creda Suo dev.° ed obbl.° servo T. C. Littardi. (fuori) A Monsieur M." Angelo Pezzana Bibliothécaire de la Ville (Italie) de Parme. Il Botta che, per le strettezze in cui versava, desiderò e chiese un posto, pubblico o privato, in Parma, e, ove lo avesse ottenuto, avrebbe, con altri illustri Piemontesi —— il Paciaudi, il Bodoni, il De Rossi, — cresciuto lustro alla città, vide deluse tutte le sue speranze, e non ebbe (fatta qualche rara eccezione) molta fortuna presso i parmigiani e i piacentini, neppure dopo la sua morte. Di questi ultimi, il più illustre, Pietro Giordani, che in altri tempi gli avea dimostrato una deferenza rispettosa, (1) La data 7748 è cancellata con un tratto di penna, perchè errata. Leggasi 1768. ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA Tan scrivendo a G. B. Maggi da Milano (16 febbraio 1816): “ Il nostro giornale [la Biblioteca Italiana] è cosa sul nascere, nè può sa- persi quale fortuna e quale profitto possa avere: ma se Botta potesse e volesse applicarsi, sarebbe accettato più come un genio che come un bravo uomo... Non m'’induco a scrivergli io di ciò, non conoscendo se non la sua penna; nè essendomi riuscito quel che desideravo di farmegli prima conoscere; nè oso fami- gliarizzarmi troppo speditamente con uomo che tanto rive- risco , (1): — pubblicata la Storza, non esitava ad unirsi al coro dei denigratori, prima ancora di leggerla. Così infatti ne scriveva da Firenze, a un parmigiano, Venanzio Dodici (27 agosto 1824): “ Non ho letto la Storia del Botta: e vedo che per un gran pezzo non avrò tempo di leggerla. Ma se ne dice assai male. È rimproverata di molta inesattezza ne’ fatti; e chi ha pratica de’ luoghi, delle cose, delle persone, vien notando i molti errori e grossi. Anche è biasimata per la viltà delle massime, tanto più indegne allo scrittore della storia Americana. È questo bia- simo gliel'ho sentito dare da persone che non dovrebbero pen- sare come me, o non parlare almeno come me. Figurati dunque che deve essere , (2). — Ed Angelo Pezzana (cioè lo stesso, a cui sono dirette le due lettere del Botta più sopra pubblicate) così scriveva a Camillo Ugoni, dopo la morte del Botta (Parma, 31 luglio 1844): “ Quanto alla maniera con cui volete trattare l'articolo dell’Affò, parmi la sicura, e vi farete buona prova alla barba del Botta, il quale, se manterrassi in riputazione di for- bito scrittore, certo non potrà mai aver quella di storico im- parziale e fededegno , (3): censura, quest’ultima, di parzialità, che il Botta, se vivo, avrebbe rimbeccato ben vivacemente al bibliotecario parmense, memore di ciò che sentiva e scriveva di sè e dell’opera sua. “ Chi volesse giudicare di quest'opera (1) Lettera inedita del Grorpani, pubbl. da F. Regis nelle Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino, serie 2*, tom. LII (1903), Se. mor., p. 178. (2) Cfr. Grorpani, Epistolario, ed. A. GussaLii, vol. V (Milano, 1854), pp. 303-304. E che cosa, anche di peggio, ne scrivesse il (iordani dopo averla letta, veggasi in una lettera al co. Antonio Papadopoli, seritta molto più tardi (Piacenza, 23 settembre 1843). Cfr. Epistolario cit., vol. VII (Mi- lano, 1855), p. 76. (3) A. Pezzana, lett. cit., in: C. UGoni; Della letteratura italiana nella seconda metà del sec. XVIII. Milano, 1857, vol. V, p. 627. 7531 CARLO FRATI [cioè della Storia d’Italia dal 1789 al 1814, ch'è appunto quella di cui parlava il Giordani| da quelle che corrono alla giornata, certamente s'ingannerebbe a gran partito; ella è opera da sè e che non somiglia ad alcun’altra; ella non è scritta secondo gli umori di questa parte o di quella, ma secondo i dettami della giustizia eterna. Gli uomini non vi son nulla, ma solo o il bene o il male, o la virtù o il vizio, o l’innocenza o il delitto, o la giustizia o l’ingiustizia vi si considera, e ciò non secondo gli umori e le parzialità delle sètte, ma secondo quello che ha sta- bilito il consenso universale di tutti gli uomini e di tutti i se- coli , (1). Il disegno dell’opera era sì vasto; le condizioni in cui l’autore la scriveva così difficili; ed i tempi, di cui dovea di- scorrere, così recenti, e perciò mancanti del controllo che solo l tempo può dare, che non è a stupire se il Botta potè incor- rere più volte in errori di fatti o di giudizi; ma egli fu sempre — come professava ad alta voce — profondamente giusto e imparziale, e degno veramente di essere chiamato (/audari a laudato viro, summa laus est) “ il più grande de’ nostri storici moderni ,. Atto Vannucci, cui spetta questo giudizio, così scri- veva dello storico piemontese in occasione del monumento eret- togli a S. Giorgio Canavese dal barone Carlo Marochetti: “ Sa- rebbe stato bello il vedere tutte le provincie d’Italia concorrere a gara a rendere l’estrema testimonianza di reverenza e di affetto ad un uomo che tanto amò ed onorò ciascuna di esse. Sarebbe stata una di quelle solenni dimostrazioni di gratitudine che illustrano gli individui e i popoli, e sono feconde di belle speranze. Ciò era necessario oggi, che presso certuni è venuto di moda il vituperare con frasi maligne lo storico a cui l’Italia moderna non vanta l’uguale, e l’uomo che spese l’intera vita a combattere con tutte le forze a sostegno dell'umanità, della li- bertà e della ragione. (’ertamente era opera benefica della cri- tica il notare i difetti dello scrittore: e alcuni lo fecero con ingegno leale, e mostrarono quando si dilunga dal vero, quando tralascia alcune vicende importanti, quando è incerto nelle opi- nioni, quando contradice a sè stesso, quando non apprezza ade- guatamente certi tempi e certi scrittori. Tali difetti era bello e (1) Lettere inedite di C. Borra, ed. C. Masini. Firenze, 1900, p. 55. ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 739 necessario notare: ma era indegno vituperarlo perchè amava gli esempi dell’antica libertà, perchè faceva guerra alle istituzioni della barbarie, che da taluni, a nome della filosofia d'oggi, si vorrebbero richiamate in vigore. E questi sono quei sofisti me- desimi i quali, come il Botta medesimo diceva, hanno perduto la greca e latina libertà, e perderanno ancòra la libertà europea, se non vi è posto riparo , (1). E poichè i ‘ sofisti’ d'avanti il quarantotto non sono neppur oggi — dopo tanta mole di eventi — scomparsi, ma hanno col tempo prolificato, le savie e sante parole del vecchio scrittore ci suonano all'orecchio come un mònito solenne, per la difesa dell’oggi, per la sicurezza del dimani. INTO Giunte alla bibliografia delle lettere a stampa di C. Botta (2). 1938. Lettere d'illustri Piemontesi |pubbl. da] Prer-ALessanpro Pa- RAVIA [e dedicate] a Pietro Giordani; in Il Subalpino, gior- nale di scienze, lettere ed arti, a. II, vol. II (Torino 1838), pp. 560-575: ed estratto, pp. 14, in 8°. Nell'anno immediatamente successivo a quello della morte del Botta il Paravia pubblicò, nel periodico torinese 7 Subalpino, tre lettere dello storico, dedicandole a Pietro (Giordani, “ sì come quegli, che tanto va- lete (seriveva il P.) per vigor di concetti e di stile, quanto il Botta per magnificenza di lingua e di cose , (p. 1). Esse sono indirizzate “ a (1) A. Vanxucer, recensione di alcune pubblicazioni riguardanti Carlo Botta, ed il figlio Paolo Emilio, in Archivio storico ital., Appendice, vol. Il (Firenze, 1845), p. 575. (2) Cfr. Carro Sarsorro, Per l’epistolario di Carlo Botta: nota; in Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXXVI (1900-01), pp. 969-996. Gli articoli di questa buona bibliografia delle lettere a stampa del Botta non sono numerati; quindi non ci è stato possibile dare (come forse sa- rebbe stato utile) alla nostra ‘ appendice’ una numerazione consecutiva a quella della bibliografia maggiore. 740 CARLO FRATI quel cultissimo giovane Veneziano, nel quale voi ed io [i Giordani ed il Paravia] abbiamo posto sì vivo e meritato amore , (ibid.), ed in cui (sebbene indicato soltanto coll’iniziale [f Conte P.... ,]) si deve certo ri- conoscere il conte Antonio Papadopoli. Sono scritte da Parigi, 28 marzo 1828, 25 gennaio 1831, e da Vaux près Meulon, 17 luglio 1831; e sono notevoli per particolari sulla vita che il Botta conduceva in Francia, per notizie sui figli, sulla villa di Vaux, ecc. Non ci è noto che fossero riprodotte in altre raccolte. — Alle tre lettere del Botta seguono poi: una lettera del Paciaudi a Gio. Bernardo De Rossi; la risposta del De Rossi al Paciaudi; una lettera di Camillo Fede- rici a Michelangelo Morano (Torino); ed un brano di lezione del P a- ravia, Del Villemain e dell’ Alfieri (pp. 12-14). — La pubblicazione del Paravia, così iniziata, non ebbe poi altro sèguito. 1858. Operette bibliografiche del cav. Giuseppe Morini, già bibliotecario Palatino, con alcune letiere di distinti personaggi al mede- simo, precedute dalle notizie biografiche di esso scritte da (3. A. - Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1858: pp. Lxnr-361. in 8°, con' ritr.°. La scelta di (50) lettere dirette a Giuseppe Molini da vari distinti personaggi (pp. 453-106), che viene dopo le Notizie biografiche e gli An- nali delle opere pubblicate dal Molini (pp. vii-Lx111 e 1-42) e precede le Operette (cioè le Aggiunte e correzioni al Panzer e al Brunet, pp. 107-331), comprende anche due lettere del B. indirizzate al Molini, da Parigi il 21 ott. 1825 (pp. 68-69, n.° 17), e il 14 marzo 1881 (p. 84, n.° 29), di cui notevole specialmente la prima, pel proposito che il B. vi ricon- ferma, di non pubblicare in italiano la Storia dei popoli d’ Italia, da lui data fuori in francese, e pel cenno che vi si legge di un “ ritratto del Tasso ,. 18858. Marco MineHerti, Miei Ricordi. — Torino, L. Roux e €. edi- tori, 1888, vol. I (a. 1818-1848), p. 49. Vi sono pubblicate due lettere, prima inedite, al Minghetti, scritte da Parigi il 17 giugno 1836 e il 29 marzo 1837. Nella prima, il B. ringrazia di alcune copie ricevute del proprio ritratto; nella se- conda, dà un giudizio sui Sermoni di Paolo Costa. Quest'ultima fu quasi per intero riprodotta dal Gumpert [v. più oltre, ad a. 1914], p. 237, DE AXXVII. : PET e iii tn ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 741 1900. Lettere inedite di CARLO BortA, con prefazione e note di CATERINA Magini. — Firenze, Successori Le Monnier, 1900; pp. 104, in 16°. Non avendo avuto notizia (come pare) della raccolta di lettere bot- tiane messa assieme dal Flechia, di cui abbiam detto più sopra, l'a. della presente raccoltina aveva posto mano “a riunire tutte le lettere che si trovavano a stampa, per aggiungervi anche quelle che potessi ritenere d’inedite , (p. 4). In questo volumetto però, a cui avrebbe dovuto “ tener dietro fra poco un altro di maggior mole ,, che poi non vide la luce, di inedite non ne sono pubblicate che 40, di cui la maggior parte (25) indirizzate al prof. Giuseppe Grassi di Torino, dal 1802 al 1830, ricavate dal codice n.° 265 della Biblioteca del Re in Torino, Le altre quindici sono indirizzate: all’ab. Gio. Battista Zannoni di Firenze (5): 7 luglio 1824, 1° nov. 1828, 26 genn. e 8 apr. 1830, 26 ag. 1832; — a Gino Capponi (3): 25 febbr. e 24 marzo 1827, 7 nov. 1828; — a Leopoldo Cicognara(1): 18 apr. 1818; — a Mo- desto Paroletti, Torino (1): 28 febbr. 1820; — al barone Frid- dani, siciliano (1): 2 ott. 1825; — a Fruttuoso Becchi (1): 1 lug. 1833; — a G. P. Vieusseux (3): 29 marzo 1826, 17 marzo e 25 ag. 1832. Queste 15 lettere sono tratte dagli autografi della Bibl. Na- zionale di Firenze e della R. Accademia della Crusca. Delle tre dirette al Capponi, una sola era inedita: le altre due erano già state pubblicate nell’Epistolario del Capponi. Tutte sono disposte in ordine cronologico, senza numerazione progressiva. 1901. Giuseppe RoBerti, Un anno della vita di Carlo Botta (Giugno 1799- Giugno 1800); in Nuova Antologia, 16 febbr. 1901 (4* serie, vol. XCI), pp. 732-741. Valendosi di “ molto materiale inedito , — cioè di “ documenti e lettere degli Archivi Torinesi ,, di “ un copiosissimo copialettere ine- dito ,, posseduto dal comm. Leone Fontana, di © documenti trascritti... agli Archivi dell’Isère, dal prof. Nicollet del Liceo di Grenoble, di “ carte del bisavolo paterno, Gio. Giulio Robert, amicissimo del Botta ,, e anch'egli emigrato e delegato al Corpo Legislativo; — l’a. ricostruisce uno dei periodi più fortunosi della vita del B., producendo alcuni brani di lettere di lui a Gio. Giulio Robert, a Giuseppe Cavalli e Atti della R. Accademia — Vol. LI. 48 742 CARLO FRATI a Teresa Paroletti. Su questo stesso periodo della vita del B., veg- gansi le due importanti pubblicazioni di G. Srorza, indicate più oltre [ad a. 1909]. 1903. Dott. EmiLia REGIS, Studio intorno alla vita di Carlo Botta trac- ciato con la guida di lettere in gran parte inedite; nelle Memorie d. R. Accad. d. Scienze di Torino, ser. 28, tom. LIII (1903), Se. mor., pp. 147-180. Le lettere inedite del B. pubblicate nell’ Appendice (pp. 178-150) sono cinque sole: 1 a Giuseppe Grassi (28 giugno 1817); — 2 a Stanislao Marchisio (8 apr. 1823 e 14 marzo 1836); — 1a Gio- vanni Fabbroni (24 dic. 1818); — 1a Carlo Ignazio Giulio (6 dic. 1833); più altre due al Marchisio, di cui non sono pubblicati che degli estratti (18 nov. 1825 e 24 lug. 1828). Ma l’interesse princi- pale di questa memoria consiste nell'essere tracciata (come il titolo an- nunzia) con la quida di lettere in gran parte inedite: cioè del * copioso carteggio inedito dello storico canavesano raccolto (in parte vivente an- cora lo storico) da Stanislao Marchisio (1773-1859), il noto com- mediografo, amico pure del Pellico e del Foscolo. Tale carteggio, donato dal Marchisio stesso fin dal 1857 al compianto Giovanni Flechia, l’insigne glottologo, trovasi ora in possesso del D." (tiuseppe Flechia, “alla cui gentilezza io debbo i documenti che diedero origine al mio scritto , (p. 147, nota (*)); e di codesti ‘documenti ’, cioè delle lettere inedite del B. facenti parte della raccolta Flechia, l’a. si vale qua e là, producendone dei brani, e indicando sempre, in nota, quando le lettere sono inedite. — Tutta la memoria poi consta di due soli capitoli: I La vita di C. B. attraverso il suo epistolario. — II. Giudizi di C. B. su alcuni scrittori suoi contemporanei. Ewmnia Reois, Carlo Botta e Teresa Paroletti; in Giornale sto- rico e letterario della Liguria, vol. IV (Spezia 1903), pp. 243-271. Questo studio (scrive l’a.) “ trae la sua origine dalle lettere seritte da Carlo Botta a Teresa Paroletti. Di queste lettere, che in tutto sommano a trentatrè, sei già videro la luce in raccolte di lettere bot- tiane e si riferiscono agli anni giovanili del Botta; ventisette invece, tutt'ora inedite, fan parte del copioso carteggio donato dal commedio- grafo Marchisio al compianto prof. Flechia e si trovano ora in possesso del D." Giuseppe Flechia, (pp. 243-44 ».). La sig.** R. ne produce molti brani, ma nessuna integralmente. — Teresa Paroletti che ai» ri il B. conobbe a Torino ne’ suoi anni giovanili, andò sposa il 15 ot- tobre 1794 all'avv. Giuseppe Roggeri, amico del B., che abitava alla Morra; ma la relazione epistolare tra loro continuò, per circa un qua- rantennio, anche dopo quest'epoca; sì fece più intensa dopo la morte della moglie del B., Antonietta Viervil; e si protrasse poi sino all’ul- timo anno di vita del B. Si può dire che questa interessante pubblica- zione costituisca una pagina inedita della vita del B. ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 743 1905. Lettere di Piemontesi illustri: Virrorio EmAanvELE Il - BaLpo - BortA - CAvoUR- CIBRARIO - CoLLeGNno - D'AZEGLIO - GIOBERTI - Grassi - LAMARMORA - LANZA - Manno - PeLLICO - PEYRON - ReGaLDI |pubbl. da A. D'Ancona per Nozze Vinaj Tullio: Torino, VI aprile MDCCOCV |. — Pisa, F. Mariotti, 1905; pp. 21, in 8° (Ediz. di LXXV ess. fuori di commercio). La III delle quindici lettere qui pubblicate è di C. Botta, e diretta al co. Vittorio Sallier della Torre, Ministro degli affari esteri del Re di Sardegna (Parigi, 20 genn. 1832), per ringraziarlo (e ringraziare per suo mezzo, il Re) “ della nuova grazia compartitami da essa S. M. col concedermi una delle pensioni di annue lire mille attribuite all’Or- dine civile di Savoja , (p. 9). È tratta., come quasi tutte l’altre della raccoltina nuziale, dall’autografo dell’Archivio di Stato in Torino. 1909. GIOVANNI SFORZA, L'Amministrazione generale del Piemonte e Carlo Botta |1799|: memoria; in Memorie d. R. Accad. d. Scienze di Torino, ser. 28, tom. LIX (Torino 1909), Se. mor., pp. 215-285. Carteggio dell’Amministrazione generale del Piemonte con Carlo Botta e Gio. Giulio Robert, suoi Agenti a Parigi, edito è illustrato da GrovaNNI Srorza; ibid., pp. 286-339. Nella seconda di queste due pubblicazioni, che sì seguono e si in- tegrano a vicenda, sono pubblicati per esteso i dispacci che C. Botta e Gio. Giulio Robert, nella loro qualità di agenti dell'Amministra- zione generale del Piemonte a Parigi, diressero a quest'ultima (e per essa per lo più al segretario capo avv. Angelo Pico), dal 30 pratile a. VII (= 18 giugno 1799) al 4 vendemmiatore a. IX (= 26 sett. 1800). Essi sono ricavati da un copialettere originale che conservasi nell’Ar- chivio di Stato di Torino, e sono, complessivamente, in numero di 27; i 744 CARLO FRATI quasi tutti firmati simultaneamente dal B. e dal Robert, meno 7, firmati dal solo B. (pp. 328, 331, 3353-34, 334-35, 336, 3356-37, 337-38), e uno, l'ultimo, firmato dal B., dal Robert e da Giuseppe Cavalli (pp. 338-39). Nella memoria illustrativa poi, che precede (L’ Amministrazione ge- nerale del Piemonte, ecc.), sono prodotte alcune altre lettere del B. e del Robert all’Amministrazione (pp. 251, 253-54, 259-60, 265, 267), e una del solo B. seritta da “ Paris, 3 Messidor, a. VII , (= 21 giugno) al ministro Talleyrand, per protestare contro lo sfratto che la polizia del Diret- torio voleva intimargli da Parigi (p. 255); e, in appendice, due rapporti firmati contemporaneamente dal B. e dal Robert: l'uno, État du Pibmont depuis le passage du Tesin par les Austro-Russes jusquà l’époque du 3 prairial, in data di “ Paris, le 17 prairial, a. VII , (= 5 giugno 1799), pp. 280-83: l’altro, Sur /es secours qu'il est nécessaire d’envoyer à l’armée pour rétabliv les affaires en Piemont et des ressources qu'on pourroit en tirer ensuite, in data di * Paris, le 19 prairial, a. VII , (—7 giugno 1799), pp. 283-85: rapporti, che furono dal B. e dal Robert presentati a Giuseppe Maturino Musset per invito del Talleyrand (cfr. p. 254). Graziano Paoco CLerici. Intorno a otto lettere inedite di Carlo Botta a Vincenzo Mistrali; in Il Risorgimento italiano: ri- rista storica diretta dal prof. B. Manzone, vol. I (To- rino 1909), pp. 593-615, con ritr.° del Mistrali. Le otto lettere, tratte dall'archivio privato della famiglia Mistrali in Parma, vanno dal 21 ott. 1811 all’11 genn. 1816. “ Le due prime tra queste lettere (scrive l’editore) sono indirizzate a Vincenzo Mi- strali a Firenze, quand'era Direttore del deposito di Mendicità; le tre seguenti al Mistrali sottoprefetto di (Grosseto nel Dipartimento dell’Om- brone: la sesta al Mistrali fuggiasco; la settima e l’ottava, tragicamente brevi, al Mistrali governatore di Parma e Guastalla ne’ primi tempi del governo della duchessa Maria Luigia d’Austria, (p. 600). Il prof. C. fa seguire alle lettere un garbato schizzo biografico-letterario sul bar. Vin- cenzo Mistrali (n. 1780; m. 1846), che non solo ebbe inflvenza grande in Parma, come (Governatore di Parma e Guastalla (1814-1821), poi come Primo Ministro di Maria Luigia (1831-1846); ma fu anche gentile cultore della poesia. Intorno al Mistrali, veggasi U. Mancuso, Cenni su V. Mistrali, ministro e poeta Parmigiano (1780-1846): in Studi storici, ed. Crivellueci, vol. XVIII (Pisa 1909), pp. 3-108, con un’Appendice di 61 lettere di Maria Luigia a lui dirette. ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 745 tRraziaNo PaoLo CLERICI, Intorno a undici nuove lettere inedite del Botta a Giambattista Maggi e Giuseppe Poggi; in Il Risorgimento italiano, vol. Il (Torino 1909), pp. 761-780. Le lettere a Giambattista Maggi, piacentino (n. 1767; m. 1850), deputato del Dipartimento della Trebbia al Corpo Legislativo, poi Con- sigliere di Stato e governatore di Piacenza, “ amico costante e gentile del Botta ,, che sovvenne “in ogni occasione ,, sono 9, e vanno dal 29 genn. 1815 all'8 lug. 1827. Una sola era pubblicata, la sesta (28 ag. 1816), nell’Epistolario del Giordani; le altre, inedite, sono tratte dagli origi- nali, presso l’avv. G. B. Maggi, nipote del destinatario. Le lettere a Giuseppe Poggi, pure piacentino (n. 1761; m. 1842), deputato del Dipartimento del Taro al Corpo Legislativo, incaricato d’affari della du- chessa Maria Luigia per la liquidazione finanziaria dei ducati di Parma e Piacenza, sono due sole: del 7 nov. 1818 e del 26 maggio 1824. Il Poggi, anch’egli amicissimo del B. durante il lungo suo soggiorno a Parigi, si rese singolarmente benemerito degli ex-ducati Parmensi (oltre lasciti e doni insigni ad essi fatti), per l'importante parte avuta nella re- stituzione delle opere d’arte asportate dai francesi (v. più sopra, p.15 x. 2). — Anche in questa pubblicazione il prof. C. fa seguire al testo delle lettere aleuni cenni biografici sul Maggi (pp. 776-78) e sul Poggi (pa- gine 778-80). La stessa pubblicazione fu poi integralmente riprodotta in altra rivista, e col medesimo titolo: 1910. (GRrAziANO Paoro CLerici, Intorno a undici lettere inedite del Botta u Giambattista Maggi e a Giuseppe Poggi; in Bollet- tino storico Piacentino, a. V (Piacenza 1910), pp. 119-127 e 152-166. A pp. 119-127 trovansi i cenni illustrativi del prot. C.,e a pp. 152-166, il testo delle lettere. Non si comprende perchè, nella breve avvertenza premessa dalla Direzione della rivista a queste ultime (p. 152), esse sieno dette “ tutte inedite ,, mentre avevano visto la luce nella pubblicazione precedente, qui completamente taciuta. Arturo Bersano, Alcune lettere inedite di Carlo Botta; in Atti d. R. Accad. d. Scienze di Torino, vol. XLVI (1910-11), pp. 12-28. Sono in tutto otto lettere, dirette per la massima parte (6) all'abate Francesco Bonardi, che, insieme al B. ed al teologo Guglielmo 746 CARLO FRATI Leone, aveva “ fatto parte di quelle prime società segrete, che in Pie- monte avevano preparato la venuta dei Francesi ed i successivi avveni- menti politici , (p. 13). Una sola (II) spetta all’a. 1812; le altre cinque (IV-VIII) sono degli a. 1882 e 1835. Delle due rimanenti, una (I), man- cante di indirizzo, è certamente diretta a Gio. Battista Marochetti, amico del B. e del Bonardi, “ già sottoprefetto a Crescentino e a Chi- vasso, cugino di quel Vincenzo Marochetti che in Parigi fu fratello al B., come i suoi figli, Paolo e lo scultore Carlo, ebbero il B. in luogo di padre , (p. 14); — e l’altra (III), pure mancante di indirizzo e di data, è probabilmente diretta da Parigi, 23 maggio 1817, all’ab. Datta, che con altri amici aveva chiesto il suo consenso per la stampa delle sue lettere. In quest’ultima lettera è notevole il seguente brano: “ Io non ricevei richiesta nissuna, dico recente, per dar il mio consenso onde si stampino alcune mie lettere famigliari. Pure vi rispondo in questo che non mi posso risolvere ad acconsentire che si stampino, sia perchè poche sono quelle che mi sia messo per farle, sia perchè il loro argomento è per lo più nullo e ne ritrarremmo più vergogna che lode. Dopo la morte mia, se i miei figliuoli e coloro ai quali il mio nome non sarà discaro, crederanno che esse portino il prezzo di veder la luce del mondo, e se alcuno le avrà serbate, chè per me non ne tengo scartafaccio, sì le potranno stampare , (p. 24). — Queste lettere, che il Bersano pub- blica, — insieme ad altre due lettere di G. Leone e di Paolo Ma- rochetti riguardanti il B., — sono tratte dalle carte dell’ab. Bonardi, conservate presso la nipote, sig."* Lia Bonardi. G. GaLLavResi, Tra gli autografi: Lettere d’amici e nemici di Alessandro Manzoni; in Il Libro e la Stampa, N.S., a. IV, fasc. 4-6 (lug.-dic. 1910), pp. 172-183. Non propriamente ‘nemico’ del Manzoni, ma profondamente av- verso al romanticismo, fu Carlo Botta; e di lui il G. pubblica qui quattro lettere, quasi tutte assai brevi. “ Queste letterine (scrive l’ed.), da me comprate all’asta Muoni, si riferiscono, salvo la prima, all’ultimo periodo della vita del B.: non hanno del resto particolare riferimento alle questioni religiose e letterarie che separarono i due antichi amici , (p. 181). La 1? è diretta al Ginguené (s.1l. e s. a., 27 dic.); la 2* a Antonio Disperati di Livorno (Parigi, 21 maggio 1828); la 3* al Roggieri, Parigi; la 4*, al co. Sclopis (Parigi, 27 ott., s. a.). Queste quattro lettere sono le stesse che il dott. SaLsorto indica nella sua bi- bliografia colle segg. parole: “ Della lettera 21 maggio 1828 trovai l’autografo nella collezione lasciata dal cav. Damiano Muoni, già archi- vista nel R. Archivio di Stato di Milano, e che è tuttora conservata dalla sua famiglia. Io debbo render grazie al figlio di lui, Guido, che ea la ANCÒRA PER L'EPISTOLARIO DI CARLO BOTTA 747 gentilmente mise a mia disposizione questa ed altre tre lettere, pure autografe, del B., cioè quanto del nostro storico si trova nella colle- zione del suo defunto padre , (p. 978, n. 2). La lettera al Disperati era però già stata pubblicata in: Dodici lettere di C. Bota edite p. cura di Gruserre Campori. Bologna, 1867, p. 20 (ediz. di soli 202 esempl.). 1913. AxronIo BoseLti, Z! carteggio Bodoniano della Palatina di Parma. — Parma, presso la R. Dep. di storia patria, 1913; pp. 132, in 8° (estr. d. Archivio storico p. le prov. Parmensi, N. S., vol. XIII [1913], pp. 157-288). A pp. 97-98 il Boselli pubblica per la prima volta una lettera del B. a Giambattista Bodoni (Parigi, 4 lugl. 1810), tratta dal carteggio di quest’ultimo conservato nella Bibl. Palatina di Parma, e non “ priva di qualche interesse specialmente là dove il B. difende le sue idee sulla lingua , (p. 98 n.). Con essa il B. inviava al Bodoni la sua Storia della guerra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’ America. 1914. Scritti musicali, linguistici e letterari di CARLO BotTA, uniti e or- dinati per cura di Gruseppe GuiperTI. Vol. unico. — Reggio d'Emilia, Tip. editrice della Collez. storico-letteraria, 1914; pp. xxxI-398, in 16° (In: ‘ Collezione storico-letteraria di opp. italiane ined. o rare ’). Fra gli scritti vari del B., qui insieme riuniti e ordinati, vi sono naturalmente anche molte lettere, pubblicate, ora integralmente, ora per estratto, e ricavate da varie collezioni, come il compilatore dichiara nel Proemio (p. x111): “ Le Lettere dell’insigne storico, da me qua e là ri- prodotte, interamente o parzialmente, secondo il bisogno, ho tolte dalle raccolte, che ho già indicate qui oltre nella mia Bibliografia coi nu- meri 4, 10, ece. ,; ma l’ed. si limita a questo rinvio complessivo, e non indica onde ogni lettera sia ricavata. Esse poi sono distribuite, non cro- nologicamente, ma ne’ vari gruppi che gli è piaciuto stabilire, sotto di- verse rubriche: Intorno la lingua e lo stile (p. 63 sg.); Su A. Cesari e l’opera sua (p.86sg.); Della lingua italiana e del dialetto Toscano(p. 91 sg.). Nulla essendovi d’inedito, torna inutile indicare le lettere qui ripubbli- cate, in modo preciso. 748 CARLO FRATI — ANCÒRA PER L'FPISTOLARIO, ECC. 1915. Mario Zucconi, Lettere inedite di Carlo Botta a G. B. Balbis. — Lucca, tip. editrice Baroni, 1915; pp. 271-88 (estratto d. Mz- scellanea di studi storici in onore di (rio. Sforza). Le lettere qui pubblicate, in numero di 10 (le prime tre in fran- cese, le altre in italiano), sono tutte indirizzate (come il titolo annunzia) a “ Gio. Battista Balbis, botanico illustre, nato a Moretta il 17 nov. 1765, morto a Torino il 13 febbr. 1831 ,. Il Balbis “ era stato egli pure compromesso nel complotto del 1794 per le rivelazioni del medico Barolo... L'identità delle vicende e delle aspirazioni politiche aveva fatto di lui e del Botta due amici, la cui salda affezione durò quanto la vita , (p. 278). Le lettere qui pubblicate sono però, ciò mal- grado, tutte di un solo anno, il 1826 (dal 25 gennaio al 5 dicembre); ma sono, probabilmente, parte di un carteggio maggiore. In esse non vhanno che accenni alla vita che il B. conduceva a Parigi, a’ suoi fighi, alla Continuazione della Storia del Guicciardini, che stava scrivendo, ai sottoscrittori, ecc. Quanto alla Storia, è curiosa una confessione del B. sul suo modo di scrivere: “ Je mets ordinairement plus de tems à écrire la première phrase qu’è écrire tout l’ouvrage. Par exemple, j'ai mis quatre ans pour ecrire la première phrase de mon histoire d'Amérique, et la rédaction des quatre vol. qui composent l’ouvrage, n’a duré qu@un an , (p. 281). E notevoli pure le premure fatte ripetutamente per avere dal co. Prospero Balbo “una notizia, quanto più sia possibile, particola- rizzata, sulle cose operate dal ministro conte Bogino (pp. 284-87). — Sono tratte dal ms. della Biblioteca del Re in Torino (alla quale il ch. editore appartiene), segn. Varia 263. I. "i SIRO SOLAZZI — LE NOZZE DELLA MINORENNE 749 Le nozze della minorenne. Nota di SIRO SOLAZZI. Vi fu nella storia del diritto romano un tempo durante il quale per il matrimonio della minorenne si richiese il consenso del curatore ? Il problema ha occupato la letteratura più recente: nacque col libro Siro-Romano, le cui disposizioni il Bruns non credette fossero conformi alle leggi romane; si riprodusse col Pap. Lips. 41 ed io giudico che si possa risolvere con le costituzioni del Teodosiano e con la critica di alcuni testi della compilazione giustinianea. Anzichè dalle nuove fonti, gli elementi più certi per la soluzione definitiva sono dati forse dal vecchio Corpus iuris, a chi vi frughi dentro coi più perfezionati strumenti della nostra scienza. L. 88, P. 47, Ar. 58 e Arm. 59 dichiarano che l'orfana mi- norenne non può contrarre matrimonio senza il consenso del suo curatore. Tutti questi passi cominciano col domandarsi se all’orfana sia necessario il consenso della madre e dei fratelli, ma rispondono che basta il consenso del curatore, eccetto Arm. 59 che sembra esigere il consenso tanto della madre e dei fratelli quanto del curatore (1). (1) I nuovi manoscritti confermano questo resultato: vedansi R II 59 ed R III 88 in Syrische Rechtsbiicher, Berlin, 1907, Bd. I. Anzi R III 88, secondo la ricostruzione del Sacuav (ivi, p. 207), direbbe che la fanciulla * darf “ sich nicht auf Geheiss ihrer Mutter und ibrer Briider verheiraten, wohl “ aber auf das Wort des Kurators ,, proverebbe cioè l’inesattezza di Arm. 59. 750 SIRO SOLAZZI Ora che la questione si agitasse per i parenti della sposa non faceva meraviglia al Bruns (1). Benchè non avessero alcun diritto alla prestazione del consenso, tuttavia la madre e i pros- simi congiunti ed anche i tutori vollero ingerirsi nel matrimonio dei minorenni e, poichè nessuno possedeva il diritto di decidere, con la loro pretesa fecero sì che il negozio andasse davanti ai magistrati. Ciò avvenne nel caso dell’a. 440 a. C., narrato da Livio (4.9), in cui, aspirando un patrizio ed un plebeo alla mano di una bella giovanetta plebea, la madre ambiziosa favoriva il primo e i tutori attaccati al partito popolare preferivano spo- sare la pupilla col plebeo (2). Egualmente nell’a. 199 d. C. Se- vero ed Antonino decidevano che nel conflitto fra il tutore, la madre ed i parenti dovesse pronunciarsi il preside: “ cum de “ nuptiis puellae quaeritur nec inter tutorem et matrem et pro- “ pinquos de eligendo futuro marito convenit, arbitrium prae- “ sidis provinciae necessarium est , (C. 5.4.1). Norme simili dettavano gli imperatori del 4° e 5° secolo (3). E però non dalla questione posta nelle leges saeculares era sorpreso il Bruns, sib- bene dalla decisione che basti il consenso del curatore. Essa non è conforme alle leggi citate dei Codici Teodosiano e Giusti- (1) Syrisch-ròmisches Rechtsbuch, Leipzig, 1880, p. 258. (2) “ Cum res peragi intra parietes nequisset, ventum in ius est. — Po- stulatu audito matris tutorumque, magistratus secundum parentis arbi- “ trium dant ius nuptiarum ,. Vedi peraltro Costa, Storia d. dir. r. priv., p.d13,. 02. (3) Cfr. C. Th. 3. 7.1== C. I. 5. 4. 18 (VaLentINIANU8 VaLeNS ET GRATIANUS, a. 371); C. I. 5. 4. 20 (Honorius et Taeoposrus, a. 408/9). Di quest’ultima co- stituzione mi occupo più oltre nel testo. Valentiniano scriveva al Senato che le vedove minorenni, quantunque emancipate, dovessero per le seconde nozze ottenere il consenso del padre. “ Quod si — soggiunge l’imperatore “ — in condicionis delectum mulieris voluntas certat [repugnat l'rib.] sen- “ tentiae propinquorum, placet admodum, ut in pupillarum [virginum Trib.] “ coniunctionibus sanetum est, babendo examini auctoritatem quoque iudi- “ ciariae cognitionis adiungi rell. ,. E non è troppo chiaro se la disposi- zione sia dettata solo per dirimere il conflitto tra la volontà della mino- renne e quella del padre ovvero estenda anche ad altri parenti il diritto di dare il consenso. Ma dal $ 2 appare la possibilità che anche parenti di grado più remoto e non chiamati alla successione della vedova minorenne diano “ auctoritatem iudiciumque , per il secondo matrimonio. “ LE NOZZE DELLA MINORENNE 751 nianeo; poichè ancora nella legge di Onorio è detto: “ si — sub “ curatoris defensione consistat, — coram positis propinquis “ iudici deliberare permissum sit ,. Non è conforme a D. 23.2.,20 e C. 5.4.8, che mettono la conclusione del matrimonio al di fuori della competenza dei curatori. Mancando ogni elemento per determinare donde derivi questa anormalità, il Bruns taccia il testo d’imprecisione. “ Man wird daher wohl gar keine eigen- “ tliche Abweichung, sondern nur eine Ungenauigkeit anzu- “ nehmen haben ,. Il medesimo scetticismo domina i successivi commentatori del libro Siro-Romano. Il De Francisci (1) dice singolare la di- sposizione, dalla quale apparirebbe la necessità del consenso del curatore (!) per le nozze della fanciulla minore. L’ammirativo è del De Francisci, il quale si richiama ai testi gia addotti dal Bruns e di suo aggiunge che D. 23.2.20 a vero dire si rife- risce solamente al curatore della pupilla, ma a fortiori possiamo ritenere, come pare affermare anche la c. 8, €. 5. 4, che il prin- cipio si applicasse alle minori. L'osservazione non è molto felice, perchè il curatore della pupilla non poteva provvedere alle nozze di una fanciulla ancora immatura ; la questione trattata nella 1. 20, D. 23.2 “ sciendum est ad officium curatoris non « pertinere, nubat pupilla an non , riguarda unicamente il cu- ratore della minorenne. Per quale ragione poi questa sia chia- mata “ pupilla, e da chi, è un punto che vuole essere esami- nato diligentemente, ma che nella compilazione giustinianea D. 23.2.20 si riferisca al # curator mulieris , è indubitabile. Anche il De Francisci pensa col Bruns ad una imprecisione e scorrettezza del testo, a meno che non si voglia invece “ at- “ tribuire la curiosa affermazione a influenze locali, che in ogni “ modo nessuno potrebbe dire con approssimazione a quali prin- “ cipì si riconnettessero ,. Se avesse conosciuto il papiro di Lipsia già pubblicato e commentato dal Mitteis, il nostro roma- nista avrebbe asserito con certezza l’esistenza, almeno in Egitto, di una norma eguale a quella attestata dalle varie redazioni del libro Siro-Romano. (1) Ezirgoros vel zovparowo nel libro Siro-Romano, in * Saggi roma- nistici ,, p. 41 sgg. Sace n. 752 SIRO SOLAZZI Dico attestata, perchè l'accordo delle diverse redazioni e meglio ancora le considerazioni che svolgeremo in seguito, non possono lasciare perplessi sul significato della regola e non per- mettono di aderire all’interpretazione del Ferrini (1), il quale traduceva L. 88 * ... sl sit ei zovodtwo, licet ei esse cui ipsa “ voluerit in verbo zovo@togos , e commentava “ scilicet propter “ instrumenta dotalia, sine quibus in libro nostro iustae nuptiae “ fieri non intelleguntur ,. Poichè il Ferrini assumeva che il consenso del curatore fosse necessario per la costituzione della dote e solo indirettamente per la conclusione del matrimonio, egli usciva dall’angustia della spiegazione offerta dal Bruns, ma in pari tempo eliminava la regola dal territorio del diritto ro- mano, che per le giuste nozze non rende necessaria la dote. Noi invece vedremo che nel 4° secolo il principio, che ri- chiede per le nozze della minorenne il consenso del curatore, si trovava nelle leggi romane. Ad aggravare il dubbio ed insieme a promuoverne lo scio- glimento giungeva nel 1906 un papiro di Lipsia (2), che per il ca- rattere della scrittura sembra appartenere alla fine del 4° secolo. Lo riporto secondo la lezione della Chrestomathie n. 300, in cui il Mitteis accoglie alcuni supplementi proposti dal Wilcken negli scritti che dovremo ricordare più avanti. Nu.... 6|è]o O%[v|uziavis |[dvy]atods Arovvoi|o|v dad rei. mrdagiov uertà Kaotogos BovAev|t|où 7g hauroas (3) Equo|a|oRerov n6hews. “E|otv| dupoîv toîiv yovéor dg- pavì 7 pond(ovuevn). Toù oùv zovodtogos aùrijg toù TQ00VO- uaou|é|vov Kaot|o|00s | è|x|ò Byo|agiwvés tiv] 0]s @rò feve- qpiziagiov ti ceuvijs tavinosi tdfew|s| dÉro|d|év- (1) Fontes iuris romani anteiustiniani, Florentiae, 1909, II, p. 660. (2) Griechische Urkunden der Papyrussanmlung zu Leipzig herausgegeben von L. Mirreis, 1906, I Bd, n. 41. (3) Sopra Kdotogos si legge zovodrogos aggiunto da una seconda mano, che ha anche eseguito correzioni di poco momento alle linee 10 e 14. 10 15 LE NOZZE DELLA MINORENNE 753 tos émì É0vois t|i]oiv ©>-wv|_=—o«owo_ «— — —,;—-; r,;,; —X..rr_ N Edizione Ms. giobertiano Massari n° 31 $ CLXII 317-8 $ CLXIV 319 S CLXV 320-1 S CLXVI 322 | S CLXVII |323,324-6,328 $ CLXVIII S CLXIX S CLXX $ CLXXI $ CLXXII $ CLXXIII SCLXXIW | $S CLXXV S CLXXVI $ CLXXVII $ CLXXVIII $ CLXXIX S CLXXX SOCLXXXI $ CLXXXII $S CLXXXIII S CLXXXIV 8 CLXXXV BIORXXAVI $S CLXXXVII | 329-30 331 332.3 334 335, 336 Osservazioni Il f. 324-26 comincia colle parole: “ La filosofia dell’uomo , (p. 245, 1. 12); il 328 a p. 247, 1. 19: “La tradi- zione cattolica ,. Il f. 323 parla della rivelazione e della ragione; il 324-26, della filosofia e della religione ; il 328, della tradizione cattolica (Il f. 327 è in bianco). Il f. 336 comincia a p. 253, 1. 5, del $ CLXXII: “ La religione per con- servare ,, ed accenna al cattolicismo travisato. 338, 339, 340, Questi 4 fogli (il 339 comincia: € Il 341 342 343-4 345 347 348-9 350 351 352 353 354-5 357 358, 359 360 361, 362 Guscio è un vero , (p.254,1.4); il 340 (ivi, 14): “ Vitam non explo- ratam ,; il 341 (ivi, 22): “ In carità son fatte ,) sono tenuti insieme da un tenue filo. Il f. 359 comincia a p. 269, 1. 8, del $ CLXXXV: “ Plutarco dice ,. Il f. 362 contiene le ultime 3 righe di questo paragrafo. Edizione CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 787 | Ms. giobertiano | Massari | n° 31 i Mie Ri Osservazioni | ms CLXXXVIII 363, 364 | Il f. 364 comincia: “ L'incertezza sul | punto preciso , (p. 267, 1. 6, del $ CLXXXVIII). $ CLXXXIX | 365 | $ CXC 366 $ CXCI | 867, 368 Il f. 5368 comincia a p. 271, 1. 12: “ Le sette religiose ,; il f. 367 è contro il dogmatismo volgare; il | f. 368 tratta del cattolicismo come | somma ed armonia delle eresie. S OXCII 369 $ CXCIII 370 $ CXCIV. | 371 SCXOV. | 372 usi $ CXCVI stico .: i cordo del diritto ,, e parla dell’ac- i cordodeldiritto di esame coll’autorità cattolica. | 373, 374, 375 | Il f. 374 comincia a 1. 10, p. 275, | : i $ CXCVI: “ Il Cristianesimo da mi- il 375 a p. 276, 1. 1-2: “Ac- $ CXCVII 376 S CXCVIII 377, 380 Il f. 380 comincia colla 1.21 della p. 277: “ Discorso sull'unione religiosa ,. $ CXCIX 383 | E° 0 384 | $ CCI 385 $ CCII 386, 387 Il f. 387 comincia colla 1. 7 della p. 280: “ Ora il papa è tornato ,. $ CCIII 388-9 $ CCIV 390, 391 Il f. 391 comincia colle parole: “ Roma. Tre Rome , (p. 283, 1. 6). $ CCV 392 $ CCVI 393 $ CCVII 394 &$ CCOVIII 396 . 288 289 290 291 292 293 Frammenti diversi: a) f. 32, 200 B) 131 f. 198 (retto) a) f. 198 (verso) ff) 198 (verso) a) f. 247 B) 260 a) f. 68 (verso) PB) 381 a) f. 378 B) 198 (retto) T) 356 T) 198 (verso) dè) 346 e) 207 T) 337 1) 395 d) 379 1 00 0 PIER ANGELO MENZIO $ 2°. Errata-corrige alla stampa del Massari. NB. Il Massari stampa sempre minesi, minetico invece di mimesi, mimetico Pagina Linea Invece di: 13 | scarsa 1 anche 1 2 per essi VII d competono 15 sovrasti 20 propagarle 30 questo 19 assennati a precedente... IX, 8 con religione 6 ricompra 23-4 risecare 2218 dogmi. 20 sarà forza 4 esteriore 5 media 7 cielo 2 dal disegno 25 rivelazione 15 aggiungesi 16 intera 20 Charré 29 regressivo 12 della facoltà u- mana 14 carità 21 terreno 12 od è Leggi : sempre i per essa (nella Filosofia della rivelazione e nella Protologia appare la forma corretta); ecletico, ecletismo per eclettico, eclettismo, ecc., ecc. [così il ms.; ma] compete sovrasta propagarla questi arrenati | precedente. come religione ricompensa risecarne dogmi: ma dell’inutile mento segue forse esterna mediana ciclo tal disegno rivoluzione aggiungasi interna Charée regressivo ; delle facoltà umane unità (?) temeno edéè raffina- CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI Linea 5 XXIII, 18 8 XXVI, 14 XXVII, 1 19 26-7 1l 4-5 8, 4 ecc. 32 XXXVI, 5 Regio ali È. XXXVIII, 3 ly) ( Ut | sola | nè tendervi | forze i come amici i Sciti | ecclesiastici, l’i- 789 Invece di: Chesa e così trasporta riguardava è la idea di fuori e la sua esterio- | rità Ente: (atto crea- tivo presa vano eterodossa ardente ricorressero all’artifizio unitoria rigenerante due istessa struzione traviati credano possedendone con esso professione parti | razionale momento, tran- seunte Atti della R. Accademia — Vol. LI. Leggi : Chiesa è così trasportare [così il ms.; ma] riguardavano | la | idea, di fuori [così il ms.; ma] e alla sua este- riorità solo Ente (atto creativo): pura ma tendervi forme aereo (?) [il ms.: ortodossa; ma la corre- zione è esatta] ? | con amore ricorrono all'arte esemplare unitaria rigenerata le due Siti | interna ecclesiastici d’istruzione traviamenti credono possedendo con essa professo parti: riformata (?) momento transeunte tarla | | | Ì | | Leggi : ristringe invalse teleologico questo [si aggiunga:] Arminio e Gomaro [Prima del $ LVII si aggiunga:] Il celibato appartiene all’es- senza del sacerdozio perfetto, e si richiede al suo ufficio di generatori morali della società, di padri spirituali del mondo, di ministri della notizia ideale. Il sacerdozio essendo il germe della dinamica morale, dee ri- nunziare alla dinamica fisica: altrimenti il principio organico morale non avrebbe la mag- gioranza. Esso rappresenta la superiorità dell’Idea sul senso e dee quindi domare il più vee- mente dei sensuali istinti. Il sacerdozio gentilesco fu ereditario e quindi non celibe perchè imperfetto. Tuttavia an- che nel suo seno i riformatori avvisarono spesso la necessità del celibato per effettuare ap- pieno l’idea ieratica: Budda, i, Capnobati getici. Il celibato è sovrattutto necessario per im- pedire l’eredità e mantenere il principio dell’elezione, che è fondata sulla generazione mo- rale (f. 124) i del concilio ma innalzamento... ad concentra 790 PIER ANGELO MENZIO È: Linea | Invece di: Qi | 83 14 ristrinse 84 Lost | invalsero > 00) | teologico 90 LI, 10 | questa 91 LATITIS 95 | | 96 17 dei concilii 98 25 | nè 113 6 | innalzante... e 114 p: concentrica 116 16-7 senza imperfet- sempre imperfettamente [tra il $ LXVIII e LXIX c’è il foglietto 152 con queste pa- role:] Conclusione della proto- logia. Dell’ampliamento succes- PRE 9 e. e — CI scan CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTTANI 791 a A : do Linea Invece di: Leggi: [a sivo del cattolicismo. Il ristrin- gimento del cattolicismo è opera | francese. 119 15 certa | certo 125 11 | governato governante 126 LXXVI, 5 | eccezione | creazione 128 | LXXVIII, 15 | fanno | [così il ms.; ma] fa 131 | 1 | icarica | iranica 132 | 6 ultima parte | ultimo prete y 21-22 | riduce, facendo | riduce a formole A 24 | indichiamo | inchiudo in essa È 26 | teologico | teologico cattolico ui 31 | dalla | della 133 | 14 | apre... al scet- e apre... allo scetticismo | ticismo | 135 | 9 | non ne (2) 139 | nota 3* e 4° | | [Delle note 3* e 4* sì faccia una | sola nota e si legga:] E incon- ciliabile colla grandezza clas- | sica: Livio e Bartoli 140 LXXXIX, 12 | seguente | figmento | | 141 | 10 | non però [così il ms.; ma] però sin. 14 | minesì movenze Del 18 | partecipe partecipa 148 4 che l’hanno [così il ms.; ma| che non l’hanno 1 XCIV, 12 accresciuta accrescimento pt 5 48 monca menna | ; 17 tutto tutte le discipline: quindi la su- | Atti della R. Accademia Vol. LI. periorità germanica. Ma i Te- deschi da Kant in poi ripudiano quasi tutti il corredo della ri- velazione, e chiamano per istra- zio iperfisico l’uso che si fa di essa, quasi che lo stesso studio ideale non fosse anco iperfisico. Non si accorgono che imitano i Francesi per questa parte e che ristringono la scienza. La scienza per essere universale dee abbraceciar tutto; ragione e ri- SUS n .. dia! Linea XCIV, 21 2-3 19-20 CI, 4 24 CITI, in fine 19 18 nota CXI, 14 11 CXIV, 8 10 24 «PIER ANGELO MENZIO. ù) Invece di: questi determinarli sarebbe... uscito oggi celeste complementario a tutto perfezionati indefinito fra noi fece dello sopranna- turale al soprannatu- rale si distingue esausta partita neutralità | dal principio Leggi: velazione, intelligibile, sensi- bile e sovrintelligibile; osser- vazioni e tradizioni, ecc. (Ciò vuol dire che dee essere catto- lica). A questo sol patto può essere compiuta e aspirare al- l’infinito. Questa universalità scientifica è degna di essere ristorata dal senno pelasgico. Dante n’è il tipo. L'enciclopedia italiana dee essere cattolica e non men grande della italiana epopea. Non sì vuol già rinno- vare la confusione scolastica. questa determinarla sarebbero... usciti assal celata complementare a tutte perfezionamenti [Il Massari ha soppresso le pa- role:] Della civiltà della Chiesa: sua importanza [così il ms.; ma] definito fino a noi L'asterisco va collocato dopo la parola risposta dell’ ultima linea. facea della soprannatura alla soprannatura [così il ms.; ma] si distinguono esausto partite mentalità da tal principio iù fia di : | iii — I derivatrice 182 6 | Osiriaco ge gd 10 | ai sciocchi WiBS 26 veggo 189 21 | assegnarono 190 10 | creato 191 I 12 | facciano... paia 193 OXXVI, 1 ‘e... ineirco- hisinsCritto: 195 CXXVII, 2 | lati 196 CXXIX, 6° insegnati. 198 Rug | ingenera... dal te 5 | ripugna ope 10-1 | cosmopolitico 3 | ghi ti | cosmopolitico n | 14 | abbraccia 199 18 | d’errore 201 21 e odiato 203 3 | appercezione a 19 | superstrazione 9 21 | sustrazione 206 3 | della cosa 207 | 24 | levitato 208 ! CXLI, 1 | dico... casi 209 | 4 | innovata È 5 | accessoria 210 ti | scienza » DE | il dubbio al 214 13 . ridurlo a nota . Proemio proto- logico 215 13 | cade P, CXLVI, 1 della riforma cattolica 10 soppiattare i fa Hi SE À | INsommAa... | bisogna ' delle cose | [il ms. serive] levicato | cosmopolitia abbracciò | davvero o odiato dominatrice Osirinco a’ sciocchi v. g. assegnano creativo facevano... è... pareva è incircoseritto, — dati insegnamenti del (?) cosmopolitia apprensione superstruzione sustruzione dirò... suoi innocente necessaria 22 al dubbio il ridurla prot. proem. cadi del riformatore cattolico soppiantare fu TN sei | | | | PIER ANGELO MENZIO | | | | Leggi: con [si tolga] ferma copiatori dei una precedenti [così il ms.; ma] essergli Mazdeanismo contenuto solo in se medesimo una chimera [così il ms.; ma] piegano | dalla grazia i d’instituzione | qual confuse opinativa. È superficiale. È procedere (?) c'est là la veneranda i ha in s'intende | rigenera quella essa. In bramanismo | che apparenze contro | ragione (?) Linea Invece di: 7 come CLI, 3 nella Chiesa CLII, 21 | forma 6 | copiatasi 7 | dai 8 uno 25 | preceduti CLIX, 1 | essersi CL, 10 | Mazdechiani- | smo 20 | contenuta 24-5 | sola da sè me- | | desima 8 | un chinese 12 | piega 5 | della grazia 15 | l’instituzione 6 | quel che CLXVI, 3 | confesse 18 | opinativa è 19 | superficiale è 20 | parlare CX dl c'est la 12 | venerando 15 i hanno 22 | V’intende 15 ingenera 3 | quello 14 | essa 7 CLXXX,3 | braminismo 13 i in apparenza CLXXXIII, 2 | certo 3 cagione CLXXXIV, 11 | involata CLXXXVII, 2 | opere 1 fu involuta opere. fa ni RE Rn iefttita TAPECTA CENNI SULLE CARTE E SUI MANOSCRITTI GIOBERTIANI 795 a | | I | x Linea | Invece di: Leggi : È | | 267 | CLXXXVIII, 9 confusa conforme A d 12 dolci, | dolci... 270 Il Î criteri.. lanciate,. unitari... lasciate... astruserie | aristocrazia » 3 | pari, che | pari, [di] voi che 272 | 8 | non perì mai fiorì PE 8 | innovato | innocente 276 | 6 | possessione | passaggio | 6-7 o. ride id. 277 | 2 i l’ineivilisce | s'ineivilisce ” | 13 dogma | dogma; i raffinamenti di questo | son passati S 24 | usate cose | appartenenze 278 CXCIX | [Il f. 382 è, in parte, depennato: resta a sapersi quando e da chi. Trascrivo quello che contiene, mettendo entro parentesi qua- dra i passi depennati]. Sul retto del foglio: “... senza se- menza; fatelo fecondo finchè volete non potrà sacrificare(sic). Meglio è la mediocrità reli- giosa che l’ingegno irreligioso; quello vi dà poco questo niente. Il suolo arido delle steppe pro- duce poco: quello di Egitto e di Babilonia non darebbe nulla, se gli uomini o i venti non ci portassero i germi. Or qual è il germe che feconda l’ovaia dell'ingegno ? La parola ideale. Non ve lo proverò col discorso; ma col fatto. Leopardi: il più grande ingegno d’Italia a’ suoi tempi. Niuno più di me lo amò vivo e più venera la sua me- moria. Fu un uomo irrepren- sibile. Or qual è la sua filo- sofia ? Tutti lo sanno: intessuta di imagini. Qual è l’operosità che ne nasce logicamente e che l’autore ne trasse? Quale l’a- zione? La disperazione, o alla 96 A1TARHH “PIER ANGELO MENZIO © DE Linea Invece di: * Leggi: men trista l’apatia, l’atarassia di certi antichi filosofi. Esorta a fare come poeta, perchè se- gue come poeta ciò che chiama | i fantasmi dell'immaginazione ; e l'immaginazione è religiosa perchè è il riflesso della ra- gione. Ma come filosofo fa il contrario : non è egli che dice... — [Dunque il laicato non può esser operoso se non è reli- |. gioso. Ma come? Non può es- sere religioso senza essere cat- tolico e papalino ? Adagio; l’operosità si dee conciliare coll'altra dote cioè coll’italia- nità, non contraddirle. Ora egli è impossibile l’essere religioso italianamente senza essere cat- tolico. In prima l’uomo europeo non può essere religioso se non è cristiano; perchè cri- stiana è la civiltà di Europa. Ora a pari cattolica è la civiltà d’Italia. Prove: memoria, sto- ria, civiltà, plebe] ,. Sul verso del foglio: “ [Vi sono due Cri- stianesimi, l'uno eterodosso, l’altro ortodosso; questo solo può essere italiano. Vi sono pure due cattolicismi: l’uno che possiamo chiamare gian- senistico o gallicano, e l’altro romano. Non vedete che il nome solo indica che questo solo è italiano? Non entro qui nel merito della causa: consi- dero la religione solo civil- | mente. L’Italiano non può es- sere operoso se non è religioso; e non può essere religioso ita- lianamente se non è cattolico romano. Sfido chiunque di rom- pere questa catena logica. L’o- perosità e l’italianità ci condu- cono quindi alla cattolicità. - Invece di: "| | Ma questa è essa possibile se cattolico e gesuitico si hanno ! per tutt'uno? Oh come mentre i | il gesuitismo è la contraddi- zione sofistica e l’imitazione | _ soloapparente del cattolicismo? | Anche qui la cosa è chiara. Il ! cattolicismo è operoso e il ge- suitismo è la ignavia incarnata. Il cattolicismo è italiano; il | | gesuitismo è antiitaliano per essenza. Il cattolicismo è uni- versale, una religione; il ge- alti. suitismo è parziale, è una setta]. Ci So che la conclusione riesce È | amara a molti, e non che dif- Ù ficile, impossibile a tranghiot- 1 | tire. Ma perchè amara? Perchè confondono il cattolicismo ro- mano col gesuitismo, perchè nondistinguono il modello dalla creatura ,. In un angolo del foglio, nel verso, si leggono anche queste parole: “ Mentre mi lacerate con tanto amore? i E mi mandate il canchero così dolcemente? , soli sali creato | evento pure... nè incar-. pura... ma incarnata nata più può assiomatico spe- assiomatica speculativa culativo falsificano | falsificarono profondersi | profondarsi massime indefi- | margine indefinito nite L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. Caen aan 4 ata dall roilgamo:te R4 LYUO ovali: i suosantiala? uitasitita) AED Mead ‘a } lata bag rmralunito di j LI Da otinitebiri nalzigor ; -bbai [VITO TOPTIRTI aj nr \bnsk NI p N uf “ ì ' RARE Ù dt RA Pay ua ot « +90 ud PENILZIO «utile 23,006 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 19 Marzo 1916. PRESIDENZA DEL SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D'Ovipio, Direttore della Classe, SaLvapori, Naccari, JADANZA, GuaREScHI, Guipi, PARONA, MarmtIRoLo, Grassi, Fusari, BaLBIANO, PANETTI e SEGRE, Segre- iario. -- Scusano l'assenza i Soci Foà e SOMIGLIANA. Si legge e si approva il verbale dell’adunanza precedente. Il Socio Guipr offre in omaggio un suo opuscolo Sulla trave continua solidale coi piedritti. Il Socio SomeLiana ha inviato, per essere stampata fra gli Atti, una sua Nota Sulle derivate seconde della funzione po- tenziale di doppio strato newtoniano. Anche per gli Atti vengono presentate: dal Socio Naccari, per incarico del Prof. G. Boccarpi, le Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1915 all'Osservatorio della RR. Università di Torino, calcolate dalla Dott. Tiziana Comi; e dal Socio GrAssI uno scritto del Dott. A. G. Rossi, Un trasformatore dinamico per correnti alternate. Nota Il. Atti della R. Accademia — Vol. LI. Li Do 800 CARLO SOMIGLIANA LETTURE Sulle derivate seconde della funzione potenziale di doppio strato newtoniano. Nota del Socio CARLO SOMIGLIANA. Il procedimento, col quale ho potuto ottenere la forma espli- cita delle discontinuità delle derivate seconde delle funzioni po- tenziali di superficie (!), può essere esteso anche al calcolo delle discontinuità delle derivate seconde delle funzioni potenziali di doppio strato, partendo sempre dal metodo di Neumann-Beltrami. Esporrò i risultati che così si ottengono, sia perchè ritengo siano quasi tutti nuovi, sia perchè mettono in luce delle rela- zioni fra le proprietà delle funzioni potenziali e le proprietà geometrico-differenziali delle superficie agenti, a cui forse non fu dato finora il rilievo che possono meritare. Sia 9 1 : W_- 9 di do (/ la funzione data di doppio strato, disteso sulla superficie 0, di momento g. Per la formula (4) della nota citata possiamo porre (1) 24 WISDO, dro (!) Sulle derivate seconde della funzione potenziale di superficie, “ Atti , di questa Accademia, vol. LI, pag. 501. _ seen SULLE DERIVATE SECONDE DELLA FUNZIONE, ECC. 801 ove si ha, colle notazioni usate in quella Nota, 9 d Vi=[ (04.9 +41 (9,9) "° dd Wa |, A; (9, €) cr do e Q è un integrale di linea esteso al contorno, nullo quindi allorchè la superficie 0 è chiusa. La formula (1) determina immediatamente le discontinuità delle derivate prime della W. Da essa infatti risulta dwW D| |=4n4,(4,5), | da ossia, per una relazione stabilita nella Nota sopracitata, [GE] = en(0 + 030). Formule analoghe si hanno per le altre due derivate. Da queste si ricava subito formule note, e che possono dedursi anche da quelle che dànno le discontinuità delle derivate seconde della funzione potenziale di superficie, come fa il Poincaré. Dalla (1) deduciamo poi er. EA V i) Lal 1 A ©) Lg, E ponendo À hi = 0439 +4,(9,0) = 9=A1(98) 802 CARLO SOMIGLIANA per la formula (4), già citata, e per la (3), avremo 1 d d : = | (MM A3E+ Ax (h1,8)) | Ma d0+ Pi 1 dW, ; Mu n (a Agg + Ax (91,0) + [ 41418) 37 d0+ 01, ove al solito P,,, Q;1 Sono integrali del contorno. Da queste due espressioni e dalla (2) risulta subito, per la discontinuità della derivata seconda rispetto ad x della W, il valore d° W (3) D| 3a |=— mha t4rA, (91,8). Ora colle formule (7) della Nota succitata si trova subito a ad, dg di (9, pa To R, se ce 7 ds,” Ri quindi DO) rifl e SS PATATE 29 a(5 R, s R; dsa) Resta ora a calcolarsi A; (91, £), cioè esprimere questa quan- tità come funzione quadratica dei coseni di direzione della nor- male e delle tangenti alle linee di curvatura, poichè tale ap- punto deve essere il secondo membro della (3). Osserviamo perciò che si ha g= Ag) La+3 e analogamente D) D) Ai (91, e)= o 031 + cn CER perciò sostituendo d, d°g dg (4) Ai (91,8) =? de + 20, 0g ds de + 03° ds? da dog da da dd, so) +0, (30 3 ds, Lu ds, ds +0(3% +; ds sai Osa ds)" Sa SULLE DERIVATE SECONDE DELLA FUNZIONE, ECC. 803 Conviene ora richiamare alcune formule di geometria dif- ferenziale (*) analoghe alle formule di Rodrigues. Esse sono le seguenti : da, dtgVE a da, d Ig VG PO alii Ugg =" da ds ds, R, dsg ds (5) ra 3 da __ dig VE E dan ____ dlglG È a ds, ds, 1 dss ds , Ri ed altre simili che si ottengono da queste sostituendo alla let- tera a la BR, o la y. Sussistono inoltre le relazioni | diipeti 4 dig VE rr tea i Ri R3) ds rv (6) rel (E° D) dlglG __ TR. 0 k, Ri ds, ds, "pi 3 le quali permettono di eliminare dalle formule precedenti i coef- ficienti dell'elemento lineare £, G ed introdurvi invece le inverse dei raggi di curvatura e le loro derivate rispetto agli archi delle linee di curvatura. Indichiamo con H, H; i coefficienti delle derivate prime di y nel secondo membro della (4), cioè poniamo sal da, da, VISI day | da, H,=a; da + ag Da Hy= a; ùa. + 0g di Mediante le (5) otteniamo Fa dg VE ò 2g VG aa, A et a; ( e da ds) eg la dg VE d lg VG e a ay H, a a, | ds, di Ea ds, Ag Ra ’ (4) BrancHi, Lezioni di Geom. Diff., vol. I, $ 67, 125. pera 304 CARLO SOMIGLIANA quindi sostituendo nella (4) si ha dg d? d* (11) A (9,8) =? ds, + 20, 0g 5a + 03° d 14 0g: I Segn. b- dg | % so) = (% ds, do 5) E * Gio ds, R, Òsa , dove per brevità si è posto dg VE d ly VG Hay “i — 09 da, ; Mediante queste formule (I) (II) possiamo ora costruire la funzione che compare nel secondo membro della (3). Troviamo k 34 0. dg dg 9 d°9 —h,a+A;(9,.8)=—a°A,9+a, ds È + 2a, 0g Na de + ag ds * dg dg og (Li dg 1% 39) ci (A ds ne Sa ) H Za ( Ri ds Py dsa A ed e questa la funzione che, all’infuori del fattore 47, rappre- senta la discontinuità della derivata seconda rispetto ad della funzione potenziale W, che ci eravamo proposti di determinare. Possiamo ora esprimere H mediante le due curvature della superficie. Dalle (6) risulta infatti 1 1 | ga ò (Sesia ue: dota R, ÈR, [Reni ds, 5 ds per cui finalmente, ordinando la funzione che rappresenta la discontinuità come una funzione quadratica dei tre coseni a, 0, a, troviamo F pei RE RR R, Ra R so.) 4T DA dr? | A (det (É de — Res e de + “LE na +felgl di gare de po 1°2| ds, ds, 2. R,.-R,\ ds ds dsi dsg 1 == ol d°g k, R Ra so) È 52 DEE 2. eaA su: do ds3? E Ra = ki ds, ds 29 ate 2a ( di dg a a sa) A Ri ds Ra sa È . atti SULLE DERIVATE SECONDE DELLA FUNZIONE, ECC. 805 Un'osservazione assai semplice permette di assegnare sen- z'altro, in base a questa formula, le discontinuità di tutte le altre derivate seconde della W. Si ha infatti, indicando con D un simbolo di derivazione, D,= 0, Ds, + 00 Da, 4 0D,, c percio d° W a = (0, D,, +0 D, + aD,) W. Di qui segue che i coefficienti di a,?, as”, .:. nella formula precedente devono rappresentare le discontinuità delle derivate seconde della W rispetto a quelle direzioni che possiamo chia- mare principali rispetto alla superficie nel punto che si consi- dera, cioè le due tangenti alle linee di curvatura e la normale. Abbiamo così 1 1 D| d? W | Hi dg R, Ri ò Ri dg 4 ds? 9% ds? R,— k ds, ds, 1 dip DIE uci Fi Ace Lal, de 4T d 53? il, 89° PR, = h, ds, ds 1 dWI i D[ e | ded ig de È D| = dhe 14 HA pi P,laffroroi dd sro ie da 47 ds, ds.) — ds, ds2 DR — Ri Pat TIE PAIEPBRO OSSCT l Lili IL SIRO, ao esi tati dn) da 1 1A PT IN 007 TÀ Do ds Di queste formule la terza si trova anche nella Memoria, più volte citata, del Beltrami: le rimanenti, per quanto so, de- vono ritenersi nuove. Con un procedimento inverso a quello che abbiamo seguito, potremmo ora dalle formule precedenti ottenere le formule ge- nerali relative alle altre derivate seconde rispetto a due qua- 806 CARLO SOMIGLIANA — SULLE DERIVATE SECONDE, ECC. lunque delle coordinate x, y, =. Basta infatti osservare che sì ha, ad esempio, dò? W =" = (0, D, + a, D, + aD,) (BD, +85 Di, +BD).W, e che perciò la discontinuità di questa derivata è una funzione lineare delle discontinuità del quadro precedente, i cui coeffi- cienti sono determinati da questa formula. E superfluo scrivere queste relazioni in forma esplicita. Dal procedimento che abbiamo seguìto appare in via ge- nerale come si possano ottenere in forma esplicita le disconti- nuità delle derivate di qualunque ordine delle funzioni potenziali newtoniane di semplice e doppio strato. Basta per questo infatti osservare che mediante le formule di Rodrigues e le (5), con successive derivazioni, si possono esprimere le derivate di qua- lunque ordine dei coseni di direzione delle tangenti alle linee di curvatura e della normale alla superficie, come funzioni li- neari di questi stessi coseni. Queste formule permetteranno di rappresentare le discontinuità delle derivate delle funzioni po- tenziali come funzioni omogenee di questi coseni, di grado uguale all'ordine di derivazione. E appunto questo il risultato raggiunto nei casi qui studiati. E si intravede anche quale debba essere il risultato generale; cioè che le discontinuità delle derivate di qualunque ordine delle funzioni potenziali saranno esprimibili mediante le derivate della densità, o del momento, e le curva- ture e le loro derivate nel punto che si considera. Per queste ragioni imi è sembrato che le considerazioni esposte in questa Nota, e nella precedente, fossero un comple- mento quasi necessario della Memoria del Beltrami. add catti A. G. ROSSI — UN TRASFORMATORE DINAMICO, ECC. 807 Un trasformatore dinamico per correnti alternate. Nota II di A. G. ROSSI. Qui si prosegue lo studio teorico, iniziato neila Nota I con lo stesso titolo ('), di una macchina speciale avente lo scopo di riprodurre con anmentata energia e spendendo lavoro mec- canico una corrente alternata di determinato periodo, la quale sì faccia servire come corrente eccitatrice o primaria. Ricordiamo che l'apparecchio consiste in una coppia di sta- tori identici, portanti avvolgimenti multipolari spaziati fra loro come quelli di un sistema bifase, isolati e costituenti un pri- mario e un secondario; e di un rotore pieno e continuo, di alta conduttività, fronteggiante ugualmente le estremità polari dei due statori. Di questa macchina venne realizzato un tipo « disco. Ora vogliamo ricercare le proprietà dell'apparecchio inse- rito come autotrasformatore e cioè con è due avvolgimenti statori in parallelo su la stessa tensione si- noidale E, l'uno dei rami essendo però caricato da un circuito esterno di utilizzazione (r., },), secondo lo schema indicato dalla figura 1. 8. — Con gli stessi simboli usati precedentemente, le equa- zioni dei due rami di corrente derivati sono: (1) GE JI IE TI AP Tg — j\:)—jK (9g + jd')J, (4) “ Atti della R. Accademia delle Scienze ,, seduta 20 febbraio 1916, Nota I, pag. 624. 808 A. (@. ROSSI le quali forniscono subito il rapporto delle due correnti, d’ec- citazione e di linea: o) IL regi Dalla +6 Ja VERI NEL Ri —j(A3— K)" ove (v. Nota I) si è posto: K = kpux, ed Reerti MA; Ri assai A? == ri NY XL N° r'. A} a ro \! + Ro° r!. La seconda forma delle (2), mostra che, per riguardo al rapporto delle correnti, l'apparecchio si comporta come un auto- trasformatore statico di caratteristiche (#2, A1*) X (238, Ax), nel quale si avesse in potere di variare arbitrariamente da 0 a x il “ fattore d’induzione , £. La corrente primaria è (1° — gN°){R — J(A2— KH) (RÈ R°- ALA? + K®) — j(REA? E REA? (3) Viy=o9 ga e la secondaria, o corrente di linea, si otterrebbe scambiando l’indice 2 con 1. L'espressione risulterebbe equivalente alla se- guente: (11° — Kb')—j(\/ — Kg") [Rie — K° (6° — g)] — j [Ax — 20/9 K?] ” (4) ii ove si abbrevi con: È , / SR 0, SLOT Rig = ra ra — Ms, A, = ri dl' 4 rg Nel modo consueto. si deducono ampiezze e fasi. Ad esempio il ritardo di /, su £ è A - Sr Na — 209 K° No (e7 (5). 13E =@s=agcs RE - (0 95 K° — arc tg ri che parte da arc te per X=0 (ritardo a vuoto). UE) UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 809 Secondo la equazione simbolica ER: -—- jN"] PEsS JD", ed abbreviando (v. Nota I) con Bi=b'g'4+b'g', Gi=g'gi db; (B4+4+G=y?y°), si ottengono: /a resistenza apparente [1 Lai , bg \y.Ri? rv! (Ax? Fra LE Kr SR ei ALL — KE) RÉ+(A — RIF (AF KP (6) que | vo — K{ry Bi +A3'G°] + K°[g'G}_d Bè) + K35'[B;! e Gi] 2 lo la reattanza apparente del ramo secondario (7) | ALINA Ma +K [rgG} — \y'B:°] Ca K? [g'"B1°+b'G,°]+ K*g9' [BL + Gi] fed {1 E i - + K? ci nat Ri + ( a pp RFAE= RE! O cf Bo e l’espressione del ritardo di |, su E: (8) tg9. WB +K(r/R}_M/A]-K°{[g®?+VRè]+ K39 SP27 4 (RI4A#] Kr A+AYRE|+-K°["R}_dN, TIE: Finchè le condizioni interne dell'apparecchio e quelle della linea soddisfino le relazioni ovvie fra i ritardi a vuoto nei tre indotti /, II, A, m x Vv xy \ 2 >arctg-+arctg-= > — arctg, ra ca n 2 r (9) (cfr. Nota I) My” ) m Le 7 > 2 are tg 7 — arctg_7» i coefficienti di X e di X? nelle prime espressioni di " e A” (ai numeratori), e i corrispondenti in tg @3, sono generalmente negativi (insieme a G,? ed R;?). Ciò notato, dall'esame delle (6), (7), 810 A. G. ROSSI si conclude che le grandezze R", A sono all'origine funzioni cre- scenti di K (velocità), raggiungono ciascuna un (piccolo) massimo particolare, poi decrescono indefinitamente, potendo raggiungere anche valori negativi. Lo stesso avverrà per le corrispondenti componenti della tensione di linea, che devono equilibrare la E applicata. Ad esempio: per due valori tali della velocità che portino rispettivamente a pende oppure (D) A K=0, P sì ha: AT. 1 Bi g' Bi + VG? | IMP, 27) A} 7 ao hide Tai ,6 G? + nniE GR 1 k a e ta RE (A, sà‘ A?) , N! — ro! LT gGi Fao Dil i AU IA A (fa EA 2) Qi 2 Gi B;? G;? b 2 RR} 2 1 , ns si ‘Bi + (g'G? — DR) | _ Oy + 9 A) DAL tg Pra = cu LB VIE (VGE+ 9 'Bjî 2) | S Pan — (ri Ri SA ka A3) ae gh è In entrambi i casi, tg @ può essere negativa, per causa dell'uno o dell'altro termine del rapporto. Il rapporto fra il valore della corrente |, che si ottiene a rotore in movimento e il valore lj) esistentevi a rotore fermo (cioè, il rapporto inverso delle corrispondenti impedenze), rap- presenta una specie di rapporto di trasformazione per la corrente utilizzata. Poichè : K® 9 -2KN? 2 $ i mE Ri ‘+/ Ai COPI K? [2 (APA.? 3 R,? Ry) 184 K?] (Ri 4 A1°) (R3° + Agî) UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 811 Per A? As? — R;? R2? > 0, come è generalmente, p, all’ori- gine funzione decrescente di XA, assume, dopo una certa velo- cità del rotore, valori maggiori di 1. Parte cioè del valore 1 per X=0 e vi ripassa poi due volte, per le due radici posi- tive della equazione K®— K[Rt+Ay*— 2(R,?R*°— A2A9)] + 2A? (844-434) =0 (di cui il discriminante è negativo finchè il ramo secondario non cada in corto parallelo sul primario). Intermediariamente a queste due radici, Ka e K3 (fig. 2), la espressione (9) assume valori maggiori di 1, per K [2 (A3A® — R;? Ri) — K°]> (2A? — K) (Rs + Ag), passando per un massimo. Il quale può essere assai elevato, rispetto al minimo che lo precede, se le condizioni in circuito sieno tali da rendere assai piccola la grandezza /,° Ay° + 3? A}?, complementare della A,? Ay®? — R,° 3° nel prodotto 2"? 2y' 29’, — come in un caso precedentemente discusso (Nota 1). Allorquando il ramo secondario sia in corto parallelo, il rapporto __q/(R°'+4+AF+(R5+A9) (K°— 2A K) Pan 5} (R* + A + K*—2K?°(A%— Ri‘) + è funzione sempre decrescente di A; così come l'impedenza ri- 812 A. G. ROSSI sultante dai due rami identici in parallelo è funzione sempre cre- scente di K, o della velocità : (ny? SIE K?b b?) — (4° :- K? gt +4 Dr — b'g'K?}° (10) i Ly (rl — Kb “PA Kg') ca pere La inserzione di una impedenza esterna di carico in uno dei rami derivati fa sì che, ad una certa velocità, il rapporto di trasformazione, dopo aver diminuito dall’origine, torni a cre- scere e possa raggiungere un massimo maggiore dell'unità. Il rapporto della energia elettrica disponibile sulla linea con rotore in moto, alla energia elettrica spesavi con rotore fermo, rappresenta, come nel caso precedente, una specie di “ rendimento elettrico , dell'apparecchio: Le, ur IR 1) E li cos Poi + E In» COSPo0 7 Sostituendo quivi: E 2’ sf R AN oi COS Poi = = = wap : etc., VRS+AS si 2'V Ri + A si ricava: a (R154+-A15) È p° 1l = = SAI _ — pi = ——-p-. ) 1 r3 (R+ Ax) + 10 (R3 4 A0Î) p put ri 29° ri 5° Il * rendimento elettrico , dell’autotrasformatore dinamico è ” proporzionale al quadrato del rapporto di trasformazione della corrente di linea. Il fattore di proporzionalità è però minore di 0,5, valore cui tende per g;' = 93’, quando cioè il circuito esterno Yi 2, d’utilizzazione si annulli (corto parallelo), o più in generale, quando esso contenga della capacità con un certo valore critico. 9. Statori con induzione mutua diretta —=0. — Nella trattazione del trasformatore dinamico si è fin qui supposto che fra statore primario e statore secondario non esistesse indu- zione mutua diretta, nè in assenza nè in presenza del rotore in quiete. UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 815 Questo è in verità un caso puramente teorico, poichè è ge- neralmente impossibile costruire i due avvolgimenti, o su due sta- tori distinti o sopra un unico statore, nelle condizioni di iden- tità supposte dalla teoria e rigorosamente spostati di un quarto di passo. All'atto pratico, si trova sempre una mutua induzione diretta attraverso il A rotore, anche se questo sia perfettamente omogeneo e continuo. Per vero dire, questo difetto di costru- zione tende a sparire, per via di compensazioni, coll’anmentare del numero delle coppie di poli. Osservazioni sperimentali offerte dal funzionamento del tipo di macchina dall’autore costruita, la quale comprende due sta- tori spostabili angolarmente per rispetto al disco rotore cui sono affacciati, suggerirono lo studio seguente del caso più generale che i due statori stessi presentino, attraverso il A in quiete, una mutua induzione diversa da zero. E si può supporre che essa provenga da ciò che i due sistemi di spirali fisse sieno spostati fra loro di un intervallo angolare differente da un quarto di passo. A definire questa sregolazione, adotteremo un coefficiente numerico x, variabile fra 4 L e — 1. come potrebbe essere il cos di un angolo misurato su una circonferenza di lunghezza uguale al passo dell’avvolgimento. Sarà #=0 per uno sposta- mento uguale ad un quarto di passo. A rotore immobile, avremo a considerare due trasformatori statici I, A e A, II, collegati fra loro dalla mutua induzione uz, 1 ES} A Ur === " ‘eee === x 9 È 1g. D. attraverso il A (fig. 3). Le equazioni fondamentali dei due si- stemi sono allora: \ &=J (1 man 6°) SI (J° + xJ") (1) O=J'(r—j\) — ju(Ji+e(I"+J3)) / O=J"( JN —ju(Sate(5' +9) O=Ts (re — je) — jU(I"+-.xS") ,@ POE 1 814 A. @. ROSSI Se 4 è diverso da zero, anche a A immobile sarà ./s di- versa da zero. Le due equazioni centrali forniscono: J'=ju(9+j9[1+4(1+jn9+;j9)]= =ju[J (9 +9) + 242 (4 + j0)| J'=ju(9+9)[1 +4 (14-ju(9+5)) = II PATRSDESZATIEZIA ‘ove si ponga: g +jb =(9—u2bg)-|j(b—n(6® — 92). Con queste, eliminando le correnti di rotore dalle due equa- zioni estreme (1), e ponendo, in estensione alla regola abituale, ri =t ug + ag =ryid_we2g ri 9g =g+g9' Ai =A — ud — ue = — u?e28'; Nb bD'=b+ db; si ottiene : ©) ( EI — jd) — juda.jux (9 +40") 1 0=Is(rl — I) jul .jue(g” +j0). Le cose vanno dunque come se, fra i due avvolgimenti statori possedenti le nuove caratteristiche modificate rj''... }y", si stabilisse attraverso il disco immobile un fattore d’induzione della forma: ju? (9° +j0") Si ricavano le due correnti: (3 I (re — )= — Iwa (9 + j0"), 3) Si (19 —jA") = [Bi?+ ata? (0?—g"2) +j(Ax84 nt2228"9")]. UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 815 @ l’impedenza primaria : ur? ‘ n A; na u3 x ‘ 3 | 3° oa (3') Zor =] 2° paga t à 3)" Rs (5°? ® _y'"9) + A18° 25'q" ’ ove: I ” I "I "I " "I "I Rif=ri ra —M da, Ax = ri da 4+re My. La corrente secondaria cambia di segno e svanisce in- sieme ad x: IZÀ gn u° T È DI da (3) i=l, ZEN t|+arctg g" + are tg gi z { 2 Quando si ponga è rotore in movimento con la velocità w, all'insieme dei fenomeni espressi dalle (1), sì sovrappongono quelli dovuti alle correnti generate dinamicamente Js'"=kuJs(g" +jd'), Ji = kuJ, (9g +j0') le quali reagiscono sui due avvolgimenti induttori con forze elettromotrici di mutua induzione, secondo il fattore u (1 — x). Le equazioni fondamentali per la macchina in movimento, ponendo g + jb = 2, r --j\= &, divengono: E=J (Mm jd) ju ++ (1-9 (4) Vaitato T+INB—-ju[I +e ("+ P%a) Titta fr e ju|Ss + ( UA MET; i) | O=J3 (re — je) —ju J'Sat' (1a) Ji]. Col solito procedimento, eliminando I°, Js'" e SI, I, e sostituiti gli elementi apparenti r,' ... \»'" dianzi indicati, si ot- tengono le equazioni delle correnti di statore: GS, = Ji (11° — ja") — JuI3 [X (g' +30) + gua (9° +-j0")] (5) O=Is (ra — jNy) — jur [X(9' +0) +juo (9" +0), Atti della R. Accademia — Vol. LI. 53 816 A. G. ROSSI ove, nelle espressioni fra parentesi quadre in u, che rappre- sentano il fattore complesso d’induzione regnante fra i due avrol- gimenti, si è abbreviato con: X=Xku(1— 2). Tale fattore può considerarsi come la somma di quello statico con quello dinamico, entrambi complessi; equivalente, comunque, alla forma u(r 4-8), ove 1 e 8 sono grandezze prive di dimensioni fisiche: u(1+78)=u[Xg — uxd +4 j(Xb + uxg')]. A seconda dei segni di « e di x, può l’una delle componenti essere inizialmente crescente e l’altra decrescente, col crescere della velocità. Il funzionamento dipenderà dunque nel caso pre- sente dal verso della velocità impressa al rotore. Dalle (5) si ricavano: la corrente primaria : IZÀ Era Ver22 + ut (164 89? — 242 [R1a® (6° — 2) + 28749] la corrente secondaria : (‘) e lag ana e la resistenza e la reattanza apparenti primarie : 2 r R=ri' ne re” (BE SRI 287 , 2 AS AEREA se na (B? — 1) at 13281] i ove si noterà l'analogia formale con le espressioni corrispon- denti del caso normale (Nota 1). Per i termini in 8, y, si ha però: B°-pyi==X808 +2Xua (5g —b'9)4-u?22y"?, (9), B°r?=X?(6'2—g"2)4+2Xue(0'9"+b"9))-î2?(b"2—g'2), 2Br =A?22bg +2Xhua(gg —b'b')—u?e?2b'g". UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE = 817 Introducendo questi valori nelle (8), si ottiene, più espli- citamente: R=r"— 7 |AX* + 2BueX Cui 2 (8°) A=N 4 Vi DX + 2EpeX — Fs? 22 ove A e / sono coefficienti di termini preesistenti del caso normale e B, E, C, F, coefficienti di nuovi termini, di cui l’in- fluenza scompare per x = 0): A =ry" (0 — g'2) +1," 20'9', D sù a” (5'? pirea quel CA pari 2b'9', ra! (b'g'' | b''g') + af (9'9"' Tel b'b'') : fo; ) Va (0'g" - b''g') LI da (9'9"' Lt b'b'') i 0 = 4) (6!"2 pia È g!2) + N31 PAC e F= NS (b'°2 g (10) De to ra 209". Fra questi coefficienti si hanno le relazioni: B? + AC= E° + DF= 22 (g'g" + b'b"), A? Di= 23 2y4; B? + 2g, 2y2y 3; 02 Li Fr 292y"4. Se ne conclude che, i trinomi quadratici in X e x delle (8°) essendo funzioni simmetriche di X-—=%kw(1—<) e di ue, per ogni dato valore dell’anomalia x esisteranno sempre valori di che annullino & o A, riproducendo le vicissitudini del caso nor- male; e per ciascuna velocità w esisteranno valori dell’ano- malia x che portino agli stessi eventi. Ciò vale però pratica- mente per un campo di variazioni di x lontano dal suo valor massimo + 1, chè allora è costantemente X= 0 e il movimento del rotore non ha più alcuna influenza sull’impedenza apparente: gli assi magnetici dei due statori sono allora per diritto e i campi delle due correnti sono in opposizione, cosicchè il rotore non taglia più che un flusso nello. Per il caso limite opposto, x= — 1, si ha invece X= 2kw e i termini in px cambiano 818 A. G. ROSSI di segno rispetto a quelli in u? ?; ma quest'ultimo effetto può elidersi, se contemporaneamente cambi di segno anche X ossia «. Finalmente, nella espressione della corrente secondaria 10) =, u? (8? +8) ( Vini — n° (8° — AP +[A — 2081] compaiono, in confronto a quella del caso normale, termini sot- trattivi, funzioni di B, r, cioè della w, in entrambi i membri qua- dratici del denominatore. Per = 0, (X= 0), esso si riduce alla impedenza primaria a rotore in quiete (3'); precisamente, a 23 Zo = y [Rat + pin? (8°? Tui 9?) 6, +[As + 2uta?b"g"|. Per x crescente: il numeratore della |, è sempre crescente, e il denominatore può essere decrescente oppure crescente a seconda, dell'andamento dei gruppi sottrattivi in B,Y: ciò che dipende, (9), dai segni di «x e di x, oltre che dal valore asso- luto di x. In definitiva, come l’esperienza mostra. la corrente secon- daria, partendo dal valore (3), inizialmente aumenta oppure di- minuisce a seconda del verso della rotazione impressa. Nel secondo caso si raggiunge un minimo, dopo di che l, torna a crescere, avviandosi con il solito gradiente notevole al suo massimo, il quale non è allora che ritardato; nel primo caso invece, il mas- simo di la è avanzato, cioè si raggiunge per una velocità minore. La differenza di fase fra le due correnti non è più, come nel caso normale, indipendente dalla velocità, ma dipende ora da « e da ur: ku(1— x) )b'+ uag” 9 di Sdi (12) 9 1 arc tg vee”. arc tg ku(1 — dg — ueb © Allorchè dunque coesistano insieme trasformatore statico e dinamico, la differenza di fase fra corrente secondaria e pri- maria dipende tanto da ux come da «, — mentre sia nell’uno che nell'altro, separatamente, @ non dipende nè da ur nè da «. Tale dipendenza sparisce insieme ad #. ne UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 819 In conclusione, finchè i termini dipendenti da x non supe- rino l’importanza di termini di correzione, i caratteri generali del funzionamento dell'apparecchio resteranno inalterati. Per valori sensibili o finiti della sregolazione x, la sua influenza sì fa sentire nel campo delle velocità più basse, per avanzare op- pure per ritardare l'aumento iniziale delle correnti, a seconda del verso della velocità. Quanto maggiore sia la sregolazione x e tanto più alta diviene la velocità alla quale scompare la sua influenza sul valore delle correnti, specialmente della secondaria. 10. Mutua induzione esterna nei circuiti degli statori. — A complemento della trattazione ora fatta del caso che i due statori si esercitino mutua induzione attraverso il rotore, merita esame anche il caso che esista esternamente ai due statori, nelle condizioni normali, una mutua induzione costante fra i due cir- cuiti primario e secondario, procurata da un ordinario trasfor- matore statico inseritovi. Per conservare simmetria, supporremo che questo consista in due uguali avvolgimenti di caratteristiche (ro, Xo), fra ì quali regni il fattore d'induzione uy costante. Esso può essere in serze col trasformatore dinamico, oppure accoppiato in derivazione. K(g*35) Fig. 4. I) Se il primario e il secondario (9, \o; ho) Sieno rispet- tivamente in serie sui due circuiti del trasformatore dinamico (fig. 4), le equazioni del sistema sono (1) \ (CA = Ji (11° — Jk) — JJs (Ho + K (g° L jb)) I O=Ss(r — A) 73; (no + K (9 +70), ove s’intenda che nei termini d'impedenza ry'... )s' sieno incluse le grandezze ro; o. 820 A. G. ROSSI Il rapporto di trasformazione è dato da: Ja j(un+-K(g'4-0")) mr Kb' n, 2 rn ; : = "che tape pole (2) 7 o Se =79 Hi BEC be ori Ate ea 2 La resistenza e la reattanza apparenti primarie sono : \ R=r1H-Wga — K°G,° — 2unK[bbo.-g9ggs], 8 : si | A=) — uo de + K® B.° + 2uo K |g ba 4 ga 0] ’ ove si è posto omogeneamente: Gs'3= 9g, (6° — g'2)4+-b, 209, B,'8=bs (0° —g?)— gs 2bg. Ovviamente, i termini in u, sono passibili del doppio segno, a seconda del senso della inserzione o della velocità w. Gli effetti sono analoghi a quelli, riscontrati nel caso pre- cedente, di una sregolazione x. II) Sieno invece i due primari e 1 due secondari rispetti- vamente accoppiati in parallelo, secondo lo schema in fig. 5. In- dichino: Jo e Je le correnti negli avvolgimenti del trasfor- matore statico, d'impedenza & = ro — jo; Ji e Js le correnti negli avvolgimenti del trasformatore dinamico, d'impedenza SB, =ri -/M/; J. la corrente totale primaria, che porta la tensione & alla coppia primaria; /, la corrente nel circuito se- condario esterno (r,, \.); 2 la tensione secondaria sulla impe- denza esterna È, =, —j\,, cosiechè: D=4I38.. UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE = 821 i . L’impedenza apparente di ciascun avvolgimento del trasfor- matore statico è: Gv! L *\ / 9 9 . 9 P 1 (1) So =ri—/h6 = fo (1 Lt Mo Yo) —- JM (1 Mo” YoÈ) = DI * 0 L'impedenza apparente di ciascun avvolgimento del tras- formatore dinamico, a rotore in moto, è: 1 (2) By ri —j\ = ri — K? G,5—-j (A+ KA? B, 3) A 71 ove si abbrevi con le sostituzioni omogenee : G,3= gi (60° — 9?) +-by 28ig, = Bi3=by(6?—g9°)—g, 2b'g. Le cadute di tensione nei quattro avvolgimenti sono quindi: mei primari: "IAN 2, < ©) ” a GX !! (3) Jo © —S—-]H 3 SJ; =6é—-jK,&: Ta ©/1 SD] nei secondari: G&- G” (©) (©) GY 1 . a) >, . (4) Ina Da =/Mo a D,, JD, =]K CAV Di; c 0 SI avendo posto, per brevità, X (g' + j8) = K, (omogeneo con po, ma complesso). Se ne possono ricavare le correnti esterne IJ=Iv+I; JS=Ie +J3; e la tensione secondaria (5) pe IBS. = 6 JHo A A, +jK CA A s e e 9/ ata) La trattazione si semplifica alquanto, senza perdere in generalità, ove si supponga &, = &,, cioè che l’impedenza (complessa) di ciascun avvolgimento del trasformatore statico uguagli la impedenza (complessa) di ciascun avvolgimento del trasformatore dinamico in presenza del rotore immobile. Si ha perciò rr =r;, =), e quindi si può scrivere: ri = ro, E TIZZO NOT S'=Sa'= ro KG —j(+ KB). 193 = Yo (5° a cha bo 25 9g, Bb} = do (6° ar: q?) DI Io2b'g. DD DO DO A. G. ROSSI Il calcolo delle due correnti si fa allora in base alle espres- sioni simboliche: J {bo PA (0) fe fa Je NHH _ A , [uo SE, AS}? Y+4R+U | (6) J,= EV Mo, Ia=6|gLy' Doe (Questo calcolo si eseguisce con gli elementi seguenti : CA SE DO ato PA == (Ye + Yo” 0 Yo") dt ” (6, + do + bo ) - Ùo. a (1 + Mo” YoÈ) Yo 3, LINE 3 (Fo — K? G08) Yo"? , (NEO 9 = Mo Yo”) Yo 3, bo = (0 + K® Bo) Yo * (Yo? (SE Mot Yad 2 Hot (boia) Yo =I ,, 3 & È ly? (1 + K4y4yt —2K°(8*— 18). (8) Hirmifai trafila pe = E su porre Y Yo) Yo >, 9 7 7 Uda i = 9og — bob, P pib = wîy", pera (1 + K?y®40°) Yo ®; Bs + Gi=yy4. BA + ri=y?%Y0? po A + KU = uo (90 + 300) + K (12 + jB#). La conoscenza delle espressioni, molto complicate e volu- minose, delle l,, l,, ..., cui si giunge con sviluppi lunghissimi, non interessa essenzialmente, — dato anche il grado modesto di approssimazione che a tali espressioni competerà, di fronte ad un apparecchio praticamente realizzato con ferro. Per concludere, ci limiteremo però a notare che la fun- zione principale del trasformatore dinamico nel primario è (v. Nota I) quella di avanzare continuamente la fase della cor- rente sulla tensione applicata, creando, col crescere della velo- cità, prima una componente reattiva poi una componente attiva; disponibili per il circuito primario esterno. Tali componenti possono ora venire assorbite dal primario del trasformatore statico che gli è accoppiato. iam UN TRASFORMATORE DINAMICO PER CORRENTI ALTERNATE 823 Effettivamente, il primario del trasformatore dinamico può, ad una certa velocità, fornire al primario del trasformatore statico tutta la corrente oziosa di cui esso abbisogna. È l’ef- fetto che si potrebbe richiedere ad un condensatore di capacità opportuna in parallelo sul primario (r0. o; Ho). Le due correnti primarie essendo ridotte alla forma Tor = © (901 + Jdo1); I=6S(91 +40), la compensazione completa avverrà quando sia (9) bi + do = 0. Allora la J; si riduce alla sola componente ohmica 6 (901 + 91) e il “ circuito , dei due primari è percorso dalla stessa cor- rente oziosa. Sviluppando la condizione (9), in base alle (3) ... (8), si giunge ad una equazione del 10° grado completa in X;la quale offre sempre una radice positiva; e cioè (almeno per il caso sempli- ficativo da noi assunto: = & ) esisterà sempre una velocità del rotore tale che la corrente ./, fornisca alla J; la sua com- ponente reattiva, per una completa elisione, 0 con eccesso. Alla stessa conclusione conduce una analisi minuziosa ese- guita sulla differenza di fase fra /, ed Jy;, che anche ha una espressione molto voluminosa: la prima corrente viene in fase con la seconda per una tale velocità che sia K? 3244 dol (EH: Mo Yu) + "0° (1 n° bo” Ya) dr ro Gi rd Bi e; se d_ RI: Le Il + uns (bo? i Go) : . —_ 20'9" .2bugo — (6° — g'°) (bo° — go° — ua yo) Per velocità maggiori, la compensazione comincia. L’Accademico Segretario ‘OoRRADO SEGRE. 9 0) LO Hi CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 26 Marzo 1915. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D' ErcoLe, Bronpr, Scorza, EINAUDI, Baupi pr Vesme, ParertA, Prato, e StAMPINI Segretario della Classe. Assiste inoltre il Socio nazionale non residente Senatore SCIALOIA. E scusata l'assenza del Socio CARLE. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 12 marzo corrente. Il Presidente porge, a nome della Classe, un cordiale saluto al Socio nazionale ScraLora che ringrazia ricambiando il saluto. Il Socio Segretario SramPINI presenta — e dichiara di pre- sentare con un senso di inesprimibile tristezza — il volume di Etienne Moreau-NéLaron La cathédrale de Reims (Paris, Li- brairie centrale des Beaux-Arts) che il Sottosegretario di Stato per le Belle Arti di Francia si compiacque di donare alla nostra Accademia. Ne riassume brevemente il contenuto storico e «descrittivo, richiamando in particolar guisa l’attenzione sulle 135 magnifiche tavole in fototipia che ci permettono di rive- dere in parte qual fu l’insigne monumento che la demente ferocia del nemico ha fatto segno a distruzione vandalica che la storia mon perdonerà. Il Presidente propone, e la Classe unanime ap- prova, che sia ringraziato il Sottosegretario di Stato delle Belle Arti di Francia per il gradito dono. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 2 Aprile 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D'Ovipro, e i Soci NaccarI, Peano, JADANZA, GUARESCHI, GuIDI, PARONA, MATTIROLO, Fusari, BaLBIANO, PANETTI e SEGRE, Segretario. Letto e approvato il verbale della precedente adunanza, il Presidente esprime al Socio Naccari, per la morte avvenuta in questi giorni, in guerra, di un suo nipote, le vivissime affettuose condoglianze di tutti i Colleghi. Il Socio Naccari ringrazia. ]l Presidente presenta alla Classe la medaglia d'oro che è stata coniata per il premio Avogadro conferito al Prof. Morse. Essa sarà inviata a questo scienziato, appena le circostanze lo consentano. Il Socio Segretario, a nome del Prof. G. BoccarpI, offre in omaggio: un volumetto di Lezioni di Cosmografia e un opuscolo su La latitudine di Pino Torinese nel 1915 del Prof. G. BoccARDI; e l’Annuario astronomico pel 1917 pubblicato dal R. Osserva- torio di Pino Torinese. Vengono presentate per la stampa negli Atti. dai Soci PA- RONA e Peano, rispettivamente, le seguenti Note: A. Roccati, Ricerche lito-mineralogiche sopra alcuni pozzi profondi della pianura padana. II. Pozzo di Saluggia. M. Bortasso, Teoremi su massimi e minimi geometrici, e su normali a curve e superficie. 826 ALESSANDRO ROCCATI LETTURE Ricerche lito-mineralogiche sopra alcuni pozzi profondi della pianura padana. III. Pozzo di Saluggia. Nota di ALESSANDRO ROCCATI. Il pozzo trivellato, ìil cui materiale forma oggetto del pre- sente studio, fu scavato, nel corso dell’anno 1915, presso la ca- scina “ Giarrea , in territorio di Saluggia (circondario di Ivrea), località situata a 164 metri sul livello del mare. Furono in quell'occasione, allo scopo di ricerca di acqua potabile, perforati quattro pozzi, posti a breve distanza l'uno dall'altro e che furono spinti rispettivamente alle profondità di metri 36-42-46 e 164. Del materiale incontrato in quest'ultimo fu raccolta ai diffe- renti livelli una serie sistematica di campioni, serie che è ora conservata nel Museo Geo-mineralogico del R. Politecnico di Torino. Dei pozzi di Saluggia, che furono trivellati nelle alluvioni della Dora Baltea, poco prima della confluenza di questa nel Po, già si occupò il Prot. Federico Sacco in una Nota di indole geo-idrologica (1), nella quale sono rilevati i buoni risultati ot- tenuti nella perforazione. Infatti furono incontrate abbondanti falde acquee alle profondità di 48, 147 e specialmente 164 metri. Il livello piezometrico di questa ultima falda, alla quale si fermò la perforazione, giunge a metri 3 1/3 sul piano di campagna, con una portata di 10 litri al secondo ed una temperatura di circa 15°, (1) F. Sacco, Il pozzo artesiano di Saluggia, “ Annali R. Aecad. Agricol- tura di Torino ,, vol. LVIII, 1915. RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 827 La serie degli esemplari, che sono in numero di 58, si inizia alla profondità di 4 metri e comprende ghiaie, sabbie ed argille più o meno calcarifere. Il materiale fu da me studiato seguendo le norme già indicate nelle precedenti Note (1),in cui presi a trattare dei pozzi profondi della pianura padana. Fu fatto l'esame completo dell'esemplare di ogni singolo livello, ma nella descrizione che segue, onde evitare inutili ri- petizioni, ho riunito quelli successivi corrispondentisi per natura fisico-mineralogica. Metri 4-6. Sabbia mista a ghiaiette nelle proporzioni di circa 4 : 1; il tutto inquinato da abbondante sostanza terrosa-argillosa, non calcarea. Liberato dalla parte terrosa, il materiale presenta tinta alquanto scura dovuta all’abbondanza del serpentino, che si ve- rifica essere l'elemento predominante sia per le ghiaie che per la sabbia. Le ghiaiette hanno la grossezza media di una nocciuola, poche essendo alquanto maggiori, e sono rappresentate dalle se- guenti roccie: Serpentino finamente granulare o compatto, di tipo alpino, verde-azzurro scuro fino a nero; oppure verde-giallo chiaro, sub- trasparente della varietà S. nobile. Parecchi ciottolini, sia del- l'uno che dell’altro tipo, sono molto ricchi in magnetite; qualcuno della varietà comune contiene calcopirite. Quarzo, abbondante ma subordinato al serpentino; ialino di tipo filoniano, oppure compatto con tinta lattea o giallognola. Granito macroscopico, bianco, con scarsa mica (muscovite) e feldspato più o meno caolinizzato. Diorite normale a grana media. (1) ALessanpro Roccati, Iticerche lito-mineralogiche sopra alcuni pozzi profondi della pianura padana. l. Pozzo di Alessandria. * Atti R. Accad, Se. di Torino ,, XLVII, 1912. Ricerche, ecc. II. Pozzi di Suzzara, Galliera, Massa Lombarda e Lodi, 1d. IA. 828 ALESSANDRO ROCCATI Eufotide normale e a smaragdite; Prasinite; Lherzolite. Gneiss vari: a due miche; a due miche granatifero; a mu- scovite; a biotite. Schisti molteplici: Micaschisto a muscovite; Id. con. glauco- fane e granato; Id. a granato roseo chiaro, trasparente; /d. « due miche granatifero; Talcoschisto con attinoto fibroso verde-scuro, oppure prismatico, verde chiaro, trasparente; Cloritoschisto con magnetite; Id. granatifero; Anfiboloschisto, costituito essenzial- mente da attinoto fibroso con accessoriamente epidoto e granato. Sembrano mancare completamente le roccie calcaree. Vi sonc inoltre frammenti od associazioni di minerali, così: lamine ampie di muscorite ed altre di clorite a tipo di ripidolite ; grani di magnetite, alcuni magnetico-polari; frammenti subtras- parenti di epidoto giallo-verde; associazione di magnetite e dolo- mite, che ricorda Ja analoga del giacimento di Traversella; quarzo con clorite; id. con granato; id. con tormalina nera. La sabbia è costituita essenzialmente da quarzo (ialino, latteo, giallognolo, roseo) e serpentino (delle varietà precedentemente indicate, a cui si aggiungono fibre di crisotilo), i quali minerali sono pressochè in proporzioni uguali e complessivamente rappre- sentano oltre 1’80 °/, della massa totale. Seguono per frequenza : Feldspati vari; così ortosio bianco e roseo; albite in piccoli frammenti di sfaldatura, incolori, con lucentezza perlacea; mi- croclino bianco latteo:; oligoclase ed un termine più basico riferi- bile a labradorite. Mica con abbondante muscorite e scarsa biotite; noto qui che tale scarsezza della mica bruna in confronto della chiara è fenomeno che si continua a tutti i livelli. Clorite in frustuli informi oppure in lamine distinte riferibili alla ripidolite, con color verde intenso e viva lucentezza perlacea. Anfiboli vari: glaucofane in frammenti informi o frammenti di cristalli con notevole sviluppo della faccia (100), mentre sono ridotte quelle del prisma }110{. Vi sono quanto al colore due varietà di glaucofane, l’una di tinta azzurra chiara, trasparente o subtrasparente; l’altra di colore azzurro cupo con intenso pleocroismo. Attinoto in fibre oppure in piccoli frammenti di sfaldatura, limpidi, trasparenti, di color verde erba chiaro oppure verde tendente allo smeraldo; fremolite, fibrosa; orneblenda in grani RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 829 informi o in frammenti di sfaldatura; edenite (2). All'edenite ri- tengo possano riferirsi taluni frammenti di sfaldatura, perfetta- mente incolori, con estinzione == 16°, Epidoto, molto abbondante, in grani informi, con tinta va- riabile, ma prevalentemente giallo-verde o verde-pistacchio. Pirosseni lamellari: diallagio, enstatite e bronzite; un altro pirosseno è in grani o frammenti prismatici, con estinzione = circa 39° e color verde chiaro passante all’incoloro. Granato, con due varietà: l'una rosea, trasparente e lim- pida in granuli o piccoli cristalli :110 perfetti di forma, qual- cuno accennante a pseudosimmetria dimetrica; l’altra in indi- vidui maggiori, di color rosso cupo, subopaco, in grani o cristalli con l'associazione } 110{ }211{. Tormalina, nera, fortemente dieroica oppure incolora ; questa seconda varietà è normalmente in piccoli cristalli tozzi, prisma- tici, a terminazioni emimorfiche. Zircone, incoloro, in cristalli prismatici sottili, allungati con terminazioni ottaedriche acuminate. Rutilo, giallo rossastro con distinto dicroismo e lucentezza perlacea; sì presenta in frammenti con faccie di prisma striate longitudinalmente. Rarissimi grani sono di carbonati, fra cui di calcare grigio dolomitico. I minerali metalliferi sono rappresentati da abbondante ma- gnetite in grani, dei quali alcuni con fenomeno di polarità; cromite; pirite granulare: pirrotina ed ematite in masserelle o lamine micacee. La strattura della sabbia è nettamente a tipo fluviale, cioè con granuli sempre fortemente fluitati e superficialmente più o meno corrosi; fanno eccezione però molti granati ed i frammenti di sfaldatura di attinoto, come anche i cristallini di zircone e di tormalina, che presentano notevole freschezza, probabilmente per il fatto che essi erano inizialmente inclusi in altri minerali stati poi fluitati, disgregati ed alterati. Metri 7-8. Ghiaiette, che raggiungono un diametro fin di 3-4 cm., con poca sabbia minuta, il tutto fortemente inquinato da sostanza argilloso-terrosa molto debolmente calcarea. 350 ALESSANDRO ROCCATI La parte sabbiosa corrisponde per la composizione minera- logica a quella del livello precedente, ma con evidente preva- lenza del quarzo sul serpentino, che sono però ancora sempre i due componenti predominanti. A costituire le ghiaiette oltre ai tipi di roccie indicati al livello precedente, si osserva: Quarzite micacea con schistosità distinta; diaspro rosso. Granito protogino a struttura macroscopica, più o meno al- terato. Eufotide a smaragdite. Anfiboliti compatte: granatifera; micacea; epidotica; con glaucofane e granato. Una varietà è a grossi prismi di attinoto, dal quale sembrano derivare i frammenti di sfaldatura verde smeraldo esistenti nella sabbia, mentre quelli di color verde erba potrebbero derivare da masserelle costituite da anfibolo in prismi allungati associato a granato. Talcoschisto con attinoto. Vi sono, ma molto subordinate, roccie carbonate; così calcare dolomitico grigio, del tipo comune nelle formazioni triasiche al- pine, e calcure bianco finamente granulare. Metri 9-12. Associazione in parti pressochè uguali di ghiaiette e sabbia con sensibile aumento della parte sabbiosa verso la parte inferiore del livello; il materiale continua ad essere in- quinato da argilla terrosa debolmente calcarea. La parte sabbiosa corrisponde a quella dei livelli prece- denti, ma vi diminuisce ancora la quantità del serpentino, il quale diventa affatto subordinato al quarzo. Le ghiaiette hanno le dimensioni massime di un pisello e comprendono le roccie già indicate, a cui sono da aggiungere: Serpentino con bronzite; S. con venuzze di crisotilo. Diorite granulare ed altra a schistosità abbastanza distinta; Porfido felsitico. Talcoschisto fogliaceo; Calceschisto del normale tipo alpino. Granatite 0 granato compatto, di color rosso bruno, del tipo mon raro nella zona delle “ Pietre verdi , delle Alpi occidentali. Vi sono pure frammenti di minerali, così: Quarzo con elo- - it ce RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 831 rite e pirite; microclino in frammenti di sfaldatura; quarzo con epi- doto verde pistacchio; attinoto in masserelle sfaldabili; attinoto con talco lamellare e la già ricordata associazione di magnetite e dolomite. Metri 13-14. Il materiale a questo livello cambia nettamente di natura essendo rappresentato da argilla gialla non calcarea, con commiste ghiaie e sabbia (circa !/; della massa complessiva). Le ghiaie corrispondono per dimensioni e natura litologica a quelle dei livelli superiori, ma vi è caratteristica la assoluta mancanza del serpentino e delle roccie calcaree, mentre dominano quelle quarzose e gneissico-granitiche con subordinatamente tipi anfibolici ad attinoto ed orneblenda con granato, glaucofane ed epidoto. Fra le roccie ad epidoto va ricordata una epidosite com- patta, ricca in magmetite, che vedremo molto frequente a livelli inferiori. Vi sono pure frammenti di minerali, così quarzo con pirite; q. con formalina nera; q. con ematite micacea; granato rosso bruno. La parte sabbiosa è essenzialmente quarzosa ed ha nel complesso composizione che ricorda quella dei piani superiori, essendovi però affatto scarso il serpentino, ridotto a pochi gra- nuli e mancando i carbonati. | Fra i minerali caratteristici di questo livello ricordo: ol?- vina granulare; orneblenda, in frammenti di prisma, verde- azzurra; pirosseno incoloro in solidi di sfaldatura con estinzione di circa 45°; rutilo aghiforme a tipo di sagenite; abbondante magnetite e qualche grano di pirrotina. Continua ad essere fre- quente la glaucofane, con frammenti prismatici a notevole svi- luppo della faccia (100); il minerale è sovente perfettamente limpido e trasparente. Metri 15-16. Argilla giallognola non calcarea corrispondente, anche per la presenza di ghiaiette e sabbia, al materiale del livello precedente, ma caratterizzata dal fatto che la parte ghiaiosa è costituita, si può dire, esclusivamente da quarzo e da una epi- dosite compatta, durissima, finamente granulare-fibrosa, di color Atti della R. Accademia — Vol. LI 54 & 832 ALESSANDRO ROCCATI verde-giallo chiaro e sempre più o meno ricca di magnetite. Os- servata al microscopio la roccia si risolve in un intreccio di aghi finissimi, fra i quali sono contenuti pochi grani di quarzo e fibre di attinoto. Mancano il serpentino e le roccie calcaree sia fra le ghiaiette che nella sabbia. Metri 17-20. Materiale corrispondente al livello precedente, ma con pro- porzioni pressochè uguali tra la parte argillosa e quella ghiaioso- sabbiosa. Continua la frequenza dell’epidosite ed è pure notevole la presenza di abbondanti ghiaiette costituite da una varietà di quarzo giallognolo, opaco, a lucentezza grassa e frattura sca- gliosa, con aspetto di selce piromaca. Manca il serpentino; abbastanza frequenti invece le roccie a glaucofane e da ricordare l’esistenza di una speciale arenaria a cemento metamorfico, la quale ricorda le anageniti minute del Permo-Trias alpino, e di porfido quarzifero. Metri 21-24. Sabbia mista a ghiaiette ed inquinata dalla solita argilla gialla non calcarea. Le proporzioni tra sabbia e ghiaiette son pressochè uguali; queste ultime hanno dimensioni oscillanti fra 1! ed 1 cm. di diametro, eccezionalmente 3-4. Le roccie presenti sono ancora prevalentemente Quarzo (a tipo filoniano, ialino, oppure latteo, giallognolo o roseo) con Diaspro rosso e frammenti a tipo di Selce, analoghi a quelli del livello superiore; Quarziti varie, fra cui una verdiccia ricordante l'’analoga roccia delle formazioni del Trias alpino ed altra a grani varicolori con tipo di anagenite; Gneiss vari: a muscovite (comune), 4 due miche, a biotite granatifero, a clorite; Granito macromero, ricco in quarzo e feldspato bianco; Aplite; Pegmatite ; Epidosite con magnetite, del tipo sopra descritto; ÉEclogite con pirosseno verde erba chiaro e granato roseo: Anfiboliti: ad atti- noto, con epidoto, con glaucofane e granato, micacea; Schisti mol- teplici: micaschisto a muscovite con glaucofane e granato, clorito- RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 8383 schisto, talcoschisto con attinoto e granato, talcoschisto a tipo di steatite con magnetite ottaedrica, cloritoschisto granatifero; Eufo- tide comune e a smaragdite; Porfido quarzifero; scarso serpentino, con tipo schistoso. Vi sono pure frammenti di minerali, così: quarzo con epi- doto verde chiaro; epidoto verde pistacchio in frammenti pri- smatici; quarzo con pirite; quarzo con tormalina nera; microclino ed ortosio roseo; granato rosso cupo; ampie lamine di muscovite, altre di clorite a tipo di ripidolite. La sabbia ha composizione che ricorda quella dei livelli precedenti ed è prevalentemente costituita da quarzo (circa 80°, della massa totale); della mica è essenzialmente presente la muscovite mentre scarseggia la bdiotite, fenomeno questo che si ripete, come già dissi, costantemente a tutti i livelli. Incomincia poi ad essere comune l'alterazione della muscovite, la quale prende quella speciale tinta giallo oro con lucentezza submetal- lica che si osserva frequentemente nella muscovite delle sabbie. Fra i minerali prima non incontrati ricordo: pasta felsitica ; cianite azzurrognola in frammenti prismatici appiattiti; piccoli frammenti di un minerale vetroso, isotropo, che sembra riferi- bile a /luorite. Tra i minerali metalliferi abbonda la magnetite con fre- quenti grani magnetico-polari; vi è pure pirite granulare o in forma cubica; ematite lamellare ed ilmenite. A questo livello si osservano pure alcuni frammenti di con- chiglie, ma che sono così fortemente fluitati da rendere impos- sibile qualunque determinazione. Metri 25-26. Materiale analogo al livello precedente, ma fortemente in- quinato da argilla giallognola, non calcarea, che rappresenta circa metà della massa totale. Sembra nuovamente mancare il serpentino, mentre è abba- stanza comune sia fra le ghiaiette che nella sabbia il diaspro rosso. Metri 27-28. Sabbia fina fortemente inquinata dall’argilla gialla non calcarea. 834 ALESSANDRO ROCCATI E essenzialmente costituita da quarzo con alquanto diaspro rosso; manca il serpentino. Metri 29-30. Argilla giallognola non calcarea, agglutinata, gru- mosa, con poco materiale sabbioso-ghiaioso (circa 1/10 della massa totale). Le ghiaiette sono rappresentate dai tipi di roccie preceden- temente indicati, ma con assoluta prevalenza del quarzo e delle roccie yneissico-granitiche. Tale natura della parte ghiaiosa ha il suo riscontro nella composizione della sabbia essenzialmente quarzifera, mentre i minerali colorati sono scarsissimi e la parte separata con i liquidi densi non è che circa !/,o della massa totale. Metri 31-32. Sabbia finissima con rare ghiaiette di quarzo e di roccie gneissico-granitiche. La sabbia continua ad essere essenzialmente costituita da quarzo, con pochi minerali colorati: epidoto, attinoto e glaucofane con scarso granato e serpentino; mancano del tutto i carbonati. È da ricordare a questo livello l’esistenza di minuti cristalli di gesso speculare, probabilmente di origine secondaria, dovuto cioè al deposito dell'acqua che dà luogo ad una falda non indifferente (1). Metri 33-40. Sabbia giallognola con ghiaiette più o meno abbondanti, il tutto inquinato da argilla giallognola non calcarea, che ag- glutina la sabbia rendendola alquanto grumosa. Continua la identica natura litologica delle ghiaie (in pre- valenza assoluta costituite da quarzo e da roccie gneissico-gra- (1) Sono indotto a ritenere che i cristallini di gesso possano essere stati depositati dall'acqua, per il fatto che da una analisi riportata dal Sacco (/oc. cit.) tale acqua risulta contenere milligr. 5,38 di SO; per litro. RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. — 835 nitiche) e quella mineralogica della sabbia essenzialmente a base di quarzo (non meno di 80 °). Mancano fra le ghiaie le roccie calcaree, mentre grani sporadici ne esistono nella sabbia; il ser- pentino è raro e rappresentato esclusivamente dal tipo comune, alpino, in grani minuti e fortemente fluitati, che accennano quindi a lontana provenienza. Si ritrovano a questo livello i piccoli cristalli di gesso già precedentemente indicati, talora agglutinati con argilla. Metri 41-42. Materiale di natura lito-mineralogica analoga a quella del precedente livello, ma con sabbia finissima, terrosa, agglutinata, e rare ghiaiette di quarzo. Metri 43-53. Argilla grigia, smettica, untuosa, molto debolmente cal- carea, ricca in frustuli di muscorite e con piccoli frammenti di ligmate. Con ripetute levigazioni e decantazioni si ottiene un debole residuo sabbioso, in cui, oltre al quarzo, vi è discreta quantità di serpentino e nel quale ho osservato, fra altri minerali : tremo- lite fibrosa; granato roseo, trasparente, del quale un cristallo )110|{ perfetto è aderente a quarzo; glaucofane; cianite azzurrognola ; tormalina incolora in cristallini a terminazioni emimorfiche e diaspro rosso. Metri 54-58. Sabbia finissima, senza ghiaie, commista a poca sostanza argillosa debolmente calcarea. La composizione mineralogica indica l'origine da roccie es- senzialmente gneissico-granitiche, quindi con prevalenza del quarzo ed abbondante mica, specialmente muscovite, mentre è scarsa la biotite; di questa vi sono lamine a perfetto contorno pseudoesagonale. I minerali colorati sono però discretamente abbondanti e la parte separata con i liquidi pesanti rappresenta circa !/,o della massa totale. Vi si osserva: clorite a tipo di ripidolite in la- mine distinte, oppure in frustuli derivati da cloritoschisto ; talco in laminette verdastre e masserelle steatitose; serpentino abbon- 836 ALESSANDRO ROCCATI dante, con i diversi tipi, fra cui fibre di crisotilo; attinoto fibroso o in frammenti prismatici di sfaldatura aventi color verde scuro o chiaro trasparente, oppure tendente allo smeraldo con lucen- tezza perlacea; orneblenda granulare; pirosseno incoloro o leg- germente verdognolo a tipo di diopside; diallagio e bronzite la- mellari; epidoto granulare, verde-giallo miele. verde pistacchio e brunastro; cianite azzurrognola ; tormalina bruna, fortemente dicroica; zircone, incoloro; apatite in piccoli cristalli esagoni a spigoli arrotondati; magnetite molto abbondante. Mancano i carbonati; il granato e la glaucofane, per quanto presenti, sono però nettamente subordinati, specialmente in con- fronto ai livelli precedenti. Metri 59-68. Materiale analogo al livello superiore, ma con sabbia più grossolana, avendo i grani le dimensioni medie di una ca- pocchia d’ago. La composizione mineralogica è pure analoga, solo notan- dosi un sensibile aumento del serpentino, cha dopo il quarzo è il componente più frequente, fatto che può spiegare l'abbondanza della magnetite. Metri 69-72. Impasto tenace di argilla grigia, plastica. grassa, debol- mente calcarea, contenente abbondantissimi frustuli micacei e ghiaiette (circa !/; della massa) di natura molto varia, fra cui dominano il quarzo ed il serpentino. Di quest'ultimo vi sono le solite varietà: comune, nobile, fibroso; ricordo a questo propo- sito un frammento di serpentino nobile tenente aderenti fibre lunghe circa 2 mm. di crisotilo in forma di ciuffetto. Altre roccie osservate sono: Quarzite granulosa; id. micacea con la nica a tipo aureo; Diaspro rosso e rosso bruno con ve- nuzze di quarzo ialino; Granito bianco, macromero, a scarsa mica: id. micromero a muscovite aurea; Gneiss a due miche; id. a muscovite; id. a biotite e clorite; Schisto a muscovite con glauco- fane e granato; Cloritoschisto; Anfibolite (attinolite) granatifera : id. con epidoto; Diorite normale; Prasinite; Roccie calcaree, fra cui a tipo dolomitico: frammenti di marna compatta e concrezioni di limonite. RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, Ecc. 837 Metri 73-74. Sabbia argillosa (l'argilla rappresenta circa !/, della. massa) fortemente calcarea. A questo livello la natura del materiale cambia notevol- mente, poichè mentre precedentemente i carbonati erano o man- canti del tutto o sempre molto scarsi, qui diventano abbondanti sino a costituire uno degli elementi prevalenti della sabbia, con tipi a natura dolomitica, molti grani essendo soltanto attaccati da HCI concentrato ed avendosi dalla soluzione abbondante pre- cipitato magnesifero. Con i carbonati si hanno frequentissimi frustuli di muscovite, mentre i componenti dominanti sono quarzo (compreso il diaspro rosso) e serpentino. Notevole è la mancanza totale della glauco- fane e la scarsezza del granato, fenomeno che sembra conti- muarsi per una cinquantina di metri. Vi sono fossili rappresentati da numerosi frustuli di ligwite e da alcuni frammenti di conchiglie fortemente fluitate e prove- nienti da Bivalvi, Ditrupi, ecc., quindi da organismi marini. Credo interessante indicare come a questo livello ho osser- vate alcune sferette metalliche corrispondenti a quelle indicate per il pozzo di Alessandria (1) e che devono avere uguale ori- gine. Alcune sono limonitizzate, altre hanno superficie liscia e viva Jucentezza metallica, oppure aspetto come di vetro fuso ; parecchie sono fortemente magnetiche. Metri 75. Sabbia fina, corrispondente come composizione a quella del livello precedente, quindi ricca in carbonati, ma priva o quasi di argilla. Vi è notevole l'abbondanza della mica, anche in lamine del diametro di 2-3 mm., sia di muscovite (comune il tipo aureo) che di biotite, fra cui lamelle di una varietà di color bruno ten- dente al violaceo. (1) Atessanpro Roccati, Ricerche lito-mineralogiche sopra alcuni pozzi profondi della piunura padana. I. Pozzo di Alessandria, loc. cit. N I SI ALESSANDRO ROCCATI Continuano i frustuli di lignite ed i frammenti fortemente fluitati di conchiglie bivalvi a tipo marino. Sono poi da ricordare piccoli arnioni, grossi come capocchie ‘di ago, di marcassite, alcuni liberi, altri avvolti nella marna. Metri 76-87. Marna argillosa calcareo-magnesifera, con poca sabbia, in cui è discretamente abbondante il serpentino e nella quale continuano a mancare glaucofane e granato. Abbondanti sono i carbonati, anche a tipo dolomitico; si ri- trovano poi i piccoli arnioni di marcassite indicati al livello precedente e così pure i frustuli di lignite ed i frammenti di conchiglie; di questi alcuni sono caratteristici per essere inter- namente tappezzati da pirite. Metri 88-92. Materiale costituito esclusivamente da ghiaiette, forte- mente fluitate e della grossezza media di 1-2 cm. nel diametro maggiore, eccezionalmente 3-4. Trattasi essenzialmente di roccie quarzose e granitico- gneis- siche, notando che sembrano mancare totalmente le roccie a tipo schistoso con glaucofane e granato. A dare un’idea della composizione litologica del materiale credo interessante indicare per ordine di frequenza le diverse roccie costituenti i 125 ciot- tolini che complessivamente formano l’esemplare. Quarzite compatta (26); quarzo a tipo filoniano (22); quar- zite granulare (5); quarzo ialino con clorite (2); quarzite micacea con tipo ricordante la bargiolina (2). (Gneiss a biotite (10); gneiss a muscovite, nel quale la mica e resa gialla aurea da alterazione (8); gneiss a muscovite torma- linifero (1); gneiss a due miche con clorite in belle lamine di- stinte (2); gneiss a biotite con epidoto, di color verde-giallo miele corrispondente al minerale sempre abbondante ai diversi livelli della trivellazione (1). Granito bianco a scarsa biotite, macromero, con feldspato più o meno profondamente caolinizzato (10); granito micromero a muscovite (2); granito bianco tormalinifero (1); microgranito (1). RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 889 Prasinite (8); Serpentino comune (5); id. a tipo nobile (2); Epidosite, corrispondente alla varietà indicata come comune a livelli superiori e ricca in magnetite (2). Anagenite minuta (1); Appenninite (2} (1). Arenaria a cemento calcareo con grani di quarzo e serpen- tino (1); masserelle /imonitiche, provenienti probabilmente da roccie ferrettizzate (3). Roccie calcaree (10), fra cui 2 ghiaiette del tipo dolomitico grigio, comune nelle formazioni dei Trias alpino. Metri 93-98. Sabbia fina, omogenea, di color grigio chiaro, senza ghiaie nè sostanza argillosa inquinante. La composizione mineralogica indica ancora prevalente pro- venienza da roccie quarzose e gneissico-granitiche e subordina- tamente da roccie verdi. Infatti il quarzo è assolutamente il com- ponente predominante, mentre i minerali colorati sono scarsi ; scarsissima la glaucofane ridotta a pochi grani. Il serpentino è invece comune, e comuni pure i carbonati, fra cui il calcare grigio dolomitico a tipo triasico. Di minerali metalliferi sembra unicamente presente, ed in piccola quantità, la magnetite. Metri 99-105. Zona di ghiaiette, come al livello 88-92, ma più piccole, avendosi come media grossezza quella di un pisello. Vi ha corrispondenza di natura litologica, predominando il quarzo e le roccie gneissico-granitiche, ma tornano a comparire, diventando anzi frequenti tanto da formare circa !3 del ma- teriale insieme al serpentino, le roccie schistose con granato e glaucofane, e ciò specialmente nella parte inferiore del livello. Sono quindi da ricordare: cloritoschisto, talcoschisto, calce- schisto, micaschisto, anfiboloschisto e anfibolite compatta, oltre a carbonati, diaspro rosso e appenninite; come tale indico una roccia alterata, di aspetto clastico, costituita essenzialmente da quarzo, plagioclasio e cemento di aspetto talcoso. 840 ALESSANDRO ROCCATI Metri 106-120. Zona di sabbia più o meno grossolana, con strati però di materiale fino od anche finissimo, il tutto inquinato da poca sostanza argillosa, debolmente calcarea. Liberata della parte argillosa, la sabbia ha color grigio scuro per l'abbondanza del serpentino, che è, insieme al quarzo ed ai carbonati, il minerale prevalente. La composizione torna ad essere quindi quella dei livelli superiori con muscovite quale mica dominante, clorite, attinoto, epi- doto, pirosseno, talco, glaucofane e granato. Abbondantissima la magnetite; pure presenti pirîte, pirro- tina ed ematite. Metri 121-128. Ghiaiette come al livello 99-105 costituite prevalentemente da quarzo, da roccie gneissico-granitiche e da serpentino con sub- ordinatamente roccie ad anfibolo, epidoto, glaucofune e granato. Le roccie calcaree sono relativamente scarse e sembrano mancare i diaspri e le roccie clastiche a tipo di arenaria- anagenite. Metri 129-145. Sabbia con poche ghiaiette e poca sostanza argilloso- calcarea. La composizione mineralogica continua a corrispondere a quella di una sabbia derivata da roccie quarzose e granitico- gneissiche, con serpentino, roccie calcaree e subordinatamente Pietre verdi. Il serpentino a taluni livelli (così a m. 129-136-140) diventa abbondantissimo, mentre in ogni punto sono comuni le roccie carbonate con calcari, calcari argillosi e dolomitici. Al livello 136 m. la sabbia è caratteristica per l'abbondanza dei minerali colorati, che formano (compreso il serpentino) circa metà del materiale, con frequente qlaucofane. A proposito di questa conviene notare che non si osserva più che la varietà a tinta scura fortemente pleocroica, mentre sembra non esistere quella a tinta chiara. Abbondantissima la magnetite e discretamente abbondante la pirite. RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 841 Metri 146-147. Materiale costituito in parti pressochè uguali da argilla azzurrastra alquanto calcareo-magnesifera e da sabbia con ghiaiette. Queste e quella sono delle solite roccie e minerali con abbondanza di serpentino e delle roccie calcaree, fra cui il tipo grigio dolomitico. Metri 148-155. Argilla marnosa, magnesifera, di color azzurrognolo con abbondanti frustuli di mwuscorite. Mediante ripetute levigazioni e decantazioni si possono se- parare alcune ghiaiette (di quarzo e di gneiss a biotite) e poca sabbia. Questa, per quanto scarsa, ha composizione complessa con quarzo, feldspato, carbonati, mica (muscovite e biotite), clorite a tipo di ripidolite, attinoto fibroso od in piccoli solidi di sfalda- tura, epidoto, granato roseo, glaucofane, tormalina nera, zircone incoloro; vi sono inoltre masserelle di marna dura, calcarea, inglobanti piccoli arnioni di marcassite. Fossili relativamente abbondanti con frustuli di ligwite, fram- menti di conchiglie bivalve e Foraminiferi dei generi Nodosaria, Dentalina, Lituolina, Biloculina, Miliolina, Cornuspira, Cristel- laria, Polystomella. Metri 156-162. Continua l’argilla grigio-azzurrognola fortemente calcareo- magnesifera con parte sabbiosa affatto trascurabile; vi si ritro- vano i frustuli di Zignite ed i fossili indicati al livello pre- cedente. Levigando e decantando ripetutamente il materiale, ho os- servato a questo livello l’esistenza di pallottine metalliche, di cui parecchie magnetiche, corrispondenti a quelle indicate al livello m. 73-74. Metri 163-164. Sabbia grossolana con ghiaiette, il tutto inquinato da sostanza argillosa calcareo-magnesifera. Le roccie costituenti le ghiaiette ed i grani maggiori della 842 ALESSANDRO ROCCATI sabbia sono ancora essenzialmente quarzose e yneissico- granitiche con abbondante serpentino e roccie calcaree, fra cui il solito calcare grigio dolomitico a tipo triasico alpino. Frammenti più voluminosi di minerali isolati sono di gra- nato rossastro e roseo con qualche cristallo }) 110! ben conser- vato; tormalina nera, in frammenti di cristalli, fra cui un piccolo individuo dall'aspetto poco fluitato e risultante dall’as- sociazione di due prismi con terminazioni emimorfiche di rom- boedro e pinacoide; epidoto grannlare o in frammenti prismatici, di color giallo-verde chiaro o verde pistacchio, anche perfetta- mente trasparenti; attinoto in frammenti di sfaldatura; feldspato, fra cui ortosio roseo; muscovite in lamine fin di 3 mm. di dia- metro e lamine di clorite a tipo di ripidolite. La sabbia minuta ha composizione che non si scosta da quella dei livelli superiori, cioè si ha predominanza del quarzo, abbondanti serpentino e carbonati ed i caratteristici minerali colorati: glaucofane, granato, attinoto in frammenti di sfaldatura, epidoto, ecc., con abbondante magnetite. Pigi Dalla descrizione che precede del materiale raccolto ai di- versi livelli della trivellazione ne risulta evidentissima la co- stanza della natura lito-mineralogica, natura che si può dire identica dall’inizio fino alla profondità di 164 metri, che è la massima raggiunta. Inoltre si constata agevolmente che sempre si tratta di alluvioni a tipo nettamente fluviale, come indica il forte rotolamento delle ghiaie e dei granuli della sabbia. È vero che ad alcuni livelli si verificano piccole differenze rappresentate dalla frequenza più o meno grande di talune specie minerali, come il serpentino, la glaucofane, ecc., 0 di spe- ciali tipi litologici, quali diaspro, anagenite, ecc., ma il fatto sì può facilmente spiegare con momenti diversi nella sedimen- tazione, conseguenti al temporaneo maggior afflusso nella cor- rente fluviale principale di correnti affluenti derivate da zone a diversa costituzione litologica. Ad ogni modo è fuori dubbio che tutto il materiale pro- viene dalla vicina cerchia alpina e più specialmente dalla valle d'Aosta, ove è appunto caratteristica l’esistenza delle roccie RICERCHE LITO-MINERALOGICHE SOPRA ALCUNI POZZI, ECC. 843 quarzose e gneissico-granitiche con serpentino ed altre “ Pietre verdi ,, che sono appunto i tipi litologici osservati a costituire le ghiaie e quelli da cui derivano evidentemente le sabbie. Siamo quindi essenzialmente di fronte ad antiche alluvioni della Dora Baltea, le quali, è opportuno qui far rilevare, hanno nel- l'insieme corrispondenza di costituzione con ie alluvioni attuali. Non si deve però escludere, anzi è probabile, che a fornire il materiale alluvionale del sottosuolo nella regione di Saluggia non abbiano soltanto concorso le formazioni geologiche della valle della Dora Baltea, ma che siano pure intervenute quelle di valli vicine ad analoga costituzione litologica; così dell'Orco, della Stura, ece., mentre parte delle roccie calcaree e granitiche, le porfiriche, le diasproidi e quelle a tipo clastico (anageniti e simili) devono provenire dalle formazioni permo-triasiche della vicina regione canavesana. La mancanza poi o quasi di elementi calcarei nei livelli superiori deve dipendere più che altro da fenomeno di decalcificazione operata dalle acque di infiltrazione, tanto più se si tiene conto della natura permeabilissima del terreno. Circa l'età geologica si può ritenere che la prima parte della trivellazione si è svolta nelle formazioni del Quaternario antico; nelle zone inferiori, ove non sono rari i frustuli di li- gnite e neppure i resti fossili con frammenti di conchiglie (es- senzialmente marine) e molteplici Foraminiferi, siamo forse in presenza di terreni riferibili al Pliocene superiore. Gli avanzi fossili potrebbero derivare dal disfacimento e dal lavacro di for- mazioni marine del Pliocene inferiore (Placenziano) esistenti in posto nella regione quando avveniva la sedimentazione (1). Torino, Gabinetto Geo-mineralogico del R. Politecnico. Marzo 1916. (1) F. Sacco, Il pozzo artesiano di Saluggia, loc. cit. Va 844 MATTEO BOTTASSO Teoremi su massimi e minimi geometrici, e su normali a curve e superficie. Nota di MATTEO BOTTASSO. In una Nota del 1888 (*). avente lo stesso titolo della pre- sente, il Prof. PreANo enunciava alcune proposizioni, in parte già note, tutte dimostrabili facilmente con i procedimenti del suo classico Calcolo geometrico secondo l’Ausdehnungslehre di H. Grassmann (Torino, frat. Bocca, 1888). Poichè non mi consta che la dimostrazione delle nuove proposizioni là enunciate sia apparsa in seguito, credo utile d’indicare come esse possano appunto dedursi con i procedimenti del calcolo assoluto delle formazioni geometriche (**), che ragionevolmente dovrebbero chiamarsi di PEaNo (#**). In simil modo sono dati (nn. 15-19) alcuni altri teoremi, che ritengo nuovi, aventi una certa analogia con quelli del Prof. PeANO; e per meglio completare l'illustrazione della sua (*) “ Rendie. del Circolo matem. di Palermo ,, t. II (1888), pp. 189-192. (#*) Per una breve trattazione di queste sotto la forma elaborata dal Prof. C. Burari-Forri, che può ritenersi ormai definitiva, vedasi l’Appen- dice degli Eléments de calcul vectoriel avec de nombreuses applications, ete. par C. Burati-Forri et R. MarcoLongo (Paris, Hermann, 1910). Nel seguito richinmeremo quest'opera indicandola brevemente con Élém. (***) È infatti al Peano che si deve l'esposizione, in forma del tutto nuova, chiara e indipendente dalle coordinate, dell'opera del Grassmann, rimasta per lungo tempo incomprensibile ai più e tutta poggiata sulle coor- dinate, tanto che, com'ebbe giustamente ad osservare il Sig. E. CarvaLLO (La méthode de Grassmann, * Nouvelles Annales de Mathématiques ,, troi- sieme série, tome XI, 1892, pp. 8-37), è stato un puro caso l’aver potuto trarre da tale opera un Calcolo Geometrico, degno di tale nome. Per la dipendenza di queste forme geometriche dai lavori di Cavcay, C®euINI, ecc., vedasi l’opera citata del Prof. Peano. TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 845 Nota, darò pure la dimostrazione, sotto forma assoluta, delle proposizioni già note ivi ricordate, affinchè il lettore possa fa- cilmente rendersi conto della grande semplificazione apportata dai nuovi metodi. 1. — Se r, ra, ... sono le distanze d'un punto variabile P dello spazio da punti, rette e piani fissi, e £ (ri, rs, ...) è una loro funzione analitica, allora la normale alla superficie luogo dei punti P per cui f è costante ha la direzione della risultante di forze ap- plicate al punto considerato P, dirette ai punti fissi, o normalmente dfdf de dr Si suppone che il punto P non coincida con alcuno dei punti dati, nè giaccia su alcuna delle rette o piani dati; inoltre che la alle rette e piani fissi, e di intensità uguali a risultante di quelle forze non sia nulla. Se per un punto Po dello spazio, non giacente in alcuno dei punti, rette o ‘piani dati, f diventa massima 0 minima, la risultante di quelle forze è nulla (*). La proposizione enunciata segue subito dal fatto che la normale indicata è parallela al vettore grad, f (El6m., p. 78) e che si ha (Elém., p. 68 (2)) d P) % gradp f = S gradpri + 2 gradpra + ..., ove (Elém., pp. 68-69) — grad, r,, — gradpr3, ... sono vettori unitari diretti dal punto P rispettivamente ai punti fissi, o nor- malmente alle rette e piani fissi. Infine, se in P, la f è massima o minima, in tale punto gradpf si annulla (Élém., p. 79, d)). (*) Questa proposizione trovasi accennata nelle opere di Lersniz (Mathe- matische Schriften, Berlin, 1849, tomo VI, p. 233). Essa fu chiaramente enun- ciata dal Pornsor (Statique, Bruxelles, 1836, p. 291), ed in seguito fu oggetto di studi di molti matematici. La risultante considerata, cambiata di segno, è il parametro differen- ziale (0 gradiente) del Lawmé. 846 MATTEO BOTTASSO II 2. — Se, nello spazio, ri, ra, ... sono le distanze d'un piano variabile n da punti fissi, e $(r,, rs, ...) è una loro funzione ana- litica, l'equazione f = costante determina un inviluppo di piani. Se n è un piano dell'inviluppo, il punto di contatto di esso colla superficie inviluppata è il baricentro dei piedi delle perpendicolari abbassate dai punti dati sul piano n, ai quali siano affissi pesi dd dI equali a - DI 9g dr d dro , nulla (*). Se, per una posizione speciale del piano n, la somma di tali pesi è nulla, senza che siano nulli tutti i pesi, il piano n è tan- gente all'inviluppo in un suo punto all'infinito. E se, per una posizione speciale del piano n, la funzione £ } 7, diventa massima o minima, il sistema di forze parallele applicate al piano n come a corpo rigido, dirette secondo le normali abbas- a, PRE LIE d/ ’ dra cid, ) ., purchè la somma di questi pesi non sia sate dai punti dati sul piano n, e di intensità equali a è in equilibrio. Infatti, siano O, (per s= 1, 2, ...) 1 punti fissi; r, la distanza {con segno) di O, dal piano variabile 7; w un vettore unitario normale a questo piano, per modo che Bi='0, riu sia il piede della normale condotta da 0, al piano m; si trae allora (a) dB,=dr,.u+.r;.du. Indichiamo ancora con t una forma geometrica di 3* specie (Élém., Appendice, pp. 193-94) che individua (colla sua posizione) il piano n e tale che, per es., il prodotto alternato Pr (Élém., p. 183 e seg.) rappresenti la distanza da n del punto arbitrario P, ed wr sia positivo; si ha così (5) bre] esmrie= 11; (*) Questa 1* parte della proposizione si può dedurre da una formula di P. Serret, Géométrie de direction (Paris, 1869, p. 44). Si 164 TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 847 da cui (e) dB,.t + B,.dn=0. Eseguendo allora il prodotto alternato per m dei due membri della (a), e per essere de. m=0 (perchè de, normale ad x, è parallelo a m), in virtù delle (5) e (c), si ottiene subito (d) dr. s--B.dm Differenziando ora la relazione f(ri, rs, ...) = costante, si ha LC 188° Pia O LF RA, a dr, + 3A dre +07, cioè, per (d), (3L B Bi+3 B4.. Jan =(L + è ire )Gan=0, avendo indicato con (& il baricentro dei punti » Ta) ... ® Cui siano Si le masse ta » ., nell'ipotesi di E DE +..#0; i 2 quando —— De D+. senza che siano Mi; tutte le de ue | ZIA È In dr la dar di 1* specie df dA ne, Bi sa Bs isa è allora un vettore (£/m., p. 20) g. Si ha così, nei due casi, Gda=0; oppure gdat=0 Da ciò segue subito la 1% parte della proposizione enun- ciata, giacchè sussiste il lemma generale seguente: Data nello spazio (nel piano) una forma di 3% specie (di 2° specie) variabile n, in guisa che il piano (la retta) posizione di m descriva un inviluppo di piani (di rette) e sopra un dato piano (una data retta) dell’inviluppo si abbia un punto G 0 un vet- Atti della R. Accademia — Vol. LI. 55 (00) 848 MATTEO BOTTASSO tore g, tale che per Am arbitrario sia nullo il prodotto alternato GAn, o gdr, cioè si abbia (e) Gdau=0, oppure gda=0, il punto G, 0 il punto all'infinito del vettore g, è il punto di con- tatto, coll’inviluppo, del piano (0 retta) considerato. Invero, dall'ipotesi indicata si trae appunto che G, o g, appartiene ad ogni piano (retta) dell’inviluppo infinitamente vi- cino a quello considerato, poichè da (e) e per essere Gn —=0, oppure gm = 0, ne segue essere G(m-+-dn)=0, ovvero g(n+dn=0, per ogni valore di dr. Cd di Infine, se la funzione f (rs, #3, ...) per un certo piano m ri- sulta massima o minima, il differenziale —af=(è B+ 3 B+-....) d deve avere un segno costante per 4 arbitrario, perciò deve essere necessariamente, per il piano To, B,+Î DIE, 2 By +..=0, od anche Li XL Br +..=0, essendo vw, un vettore unitario normale a ro. 3 che esprime appunto (Elem, p. 189) che le forze di vettori E tto sa Most applicate rispettivamente ai punti B,, B», ... del piano rigido o, sono in equilibrio, come vuole l’ultima parte della proposizione enunciata. Si ha una proposizione analoga, più semplice, per le rette d’un piano fisso: 3. — Se, in un piano fisso, ri, r3, ... sono le distanze d'una retta variabile p da punti fissi (del piano), e £ (r,, ro, ...) è una loro funzione analitica, l'eguaglianza £f= costante determina un in- TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 849 viluppo di rette. Se p è una retta dell’inviluppo, il punto di con- tatto di essa con la linea inviluppata è il baricentro dei piedi delle perpendicolari condotte dai punti dati alla retta p, ai quali siano dfdf dra?” dra’ i + a +... non è nulla. Se la somma di questi pesi è nulla, senza che siano nulli tutti i pesi, la retta p è un asintoto della curva inviluppata. E se, per una posizione speciale della retta p, la funzione £ diventa massima 0 minima, il sistema di forze parallele applicate alla retta p come a corpo rigido, dirette secondo le normali con- df df dri b dro pe E) affissi pesi equali a ..., quando la somma dei pesi dotte dai punti dati sulla retta p, e di intensità eguali a - è in equilibrio. La dimostrazione sì ottiene sostituendo nella dimostrazione precedente le parole “ retta , e “ forma di 2* specie , alle pa- role “ piano , e “ forma di 3* specie ,; tenendo poi presente che si opera in un piano fisso, e si possono quindi riguardare come numeri le forme di 3% specie di questo piano. La proposizione corrispondente per le rette dello spazio è la seguente: II. 4. — Sepèuna retta dello spazio, ri, rs, ... le sue distanze da punti fissi, si immaginino le forze F, applicate alla retta p, dirette secondo le normali abbassate dai punti dati alla retta p, e di intensità eguali a Pi, sibi dure ti dra Le rette p per cui f è costante formano un complesso. Le rette del complesso giacenti în un piano n inviluppano una linea. Se p è una retta siffatta, per trovarne il punto di contatto coll’inviluppo, si proiettino normalmente le forze F sul piano n, e si compongano considerandole applicate alla retta p, come corpo rigido. Supposto che le proiezioni indicate (tutte fra loro parallele) non siano tutte nulle, se si ottiene così una risultante, il punto d'applicazione di questa sarà il punto cercato; se invece il detto 850 MATTEO BOTTASSO sistema di forze proiezioni è equivalente ad una coppia, la retta p è un asintoto della linea inviluppata. Le rette del complesso passanti per un punto dato P formano un cono. Per trovare il piano normale a questo cono lungo una gene- ratrice p, sì decomponga ogni forza F in una forza passante per P ed in una coppia, e si compongano queste varie coppie. Il piano passante per Pe parallelo alla coppia risultante sarà il piano cercato. Se, per una posizione della retta p nello spazio, la funzione £ diventa massima o minima, le forze F_si fanno equilibrio. Infatti, se 0,°, 03°, ... sono le proiezioni ortogonali dei punti fissi O,, 0», ..., SOpra Tr; roi, Yor, ... le distanze (con segno) d’una delle rette mobili p, giacenti sopra m, dai punti 0;°, 03°, ... ed X%,, ha, ... le distanze (con segno) dei punti 0,0}, =. !dalt, si4‘ha ri=h°H4 ro, rs? = ha 4 ros?; ..., e le rette p sopra m sono le rette di questo piano che soddi- sfano alla condizione f (VA, + roi, Vhs? + rogÈ, ...) = costante. Per il teorema precedente (n. 3) tali rette formano un in- viluppo, e indicando con B,, B., ... i piedi delle perpendicolari condotte a p da 0,°, 0,°, ..., il punto di contatto d’una retta p con la linea inviluppata è il baricentro della forma di 1* specie SE B.+ Di: B,-+-... (Elém., p. 21) se la sua massa T_4_df +... dro dro? dra d7o non è nulla; ed è il punto all’infinito di p se tale massa è nulla, ma non sono nulle tutte le IO a dro” dre) D'altra parte si osservi che B,, B:, ... sono pure i piedi delle perpendicolari condotte alla retta p da 0,, 03, ..., ed indicando con ;, 3, ... dei vettori unitari colla direzione ed il senso dei vettori 0, — Bj, 0, — B., ..., la forza applicata in Bb, (per s= 1,2,...), indicata nell’enunciato del teorema, ha df per vettore Da u;, e l'intensità della sua proiezione ortogonale J ) ot nitnii TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 851 sopra n è L e -. SE . Ne segue così subito la 1° parte del teorema enunciato. 5. — Indichiamo ora con v un vettore unitario parallelo alla retta mobile p, la quale si suppone passi per il punto fisso P, e poniamo per brevità ©, — 0, — P (sempre per s==1,2,...). Si ha O,— B:=(0;— P)—(B.— P), cioè ru,=v—v,Xv.v, e differenziando dr;,.ust+r;..du,=—(v.Xduv—-(v.Xvde; da cui, moltiplicando scalarmente per w,, per essere dei du, =usX 0=30, sì trae drr = —v.Xv.u;,X dv. Quindi, differenziando la f(r;, ra, ...)= costante, si ha che il vettore ® deve soddisfare alla condizione ds peo DI sui (rt Xuv.u, + ar 0 X v Un + a) XK do=0; e siccome il vettore dv (insieme a © ed a v+ dv) è parallelo al piano tangente al cono descritto dalle rette p del complesso passanti per P, lungo la generatrice p (ossia P) considerata, il vettore N= o XKv.u+L Va XKV.ust.. ” DI PA è parallelo alla normale al cono in un punto qualunque della generatrice p. D'altro lato, l’asse momento della coppia di braccio B, — P df ed avente in come vettore delle forze, è s df eni (8 i pc SE e differenziando la f(a,, 43, ...)= costante. si ottiene così COME COS LR al Xdv=0. (a sinQ, da, sin Ag Ciò significa (cfr. il n. 5) che il vettore N = df Vi - df Va “—— da; sing; d% sin, | 854 MATTEO BOTTASSO è normale al cono descritto dalla retta p, che sodisfa alla f = costante, lungo la generatrice p; e poichè vw A N è il momento della risultante delle coppie indicate nell’enunciato (essendo mod (È A er n) = mod do), ne segue subito la I das sin 4 1° parte del teorema. Nell'ipotesi poi dif massima o minima, per una posizione speciale po della retta p, si deduce facilmente (come nel n. 2) che il corrispondente vettore _Y dev'essere nullo, ossia che dev'essere nulla la risultante delle coppie dianzi considerate. csi done Vi 8. — Se un punto P_si muove nello spazio in quisa che ri- manga costante il volume (con segno) del solido formato dalle pi- ramidi aventi per vertice P_e per basi le faccie d'una superficie poliedrica aperta, esso descrive un piano. Questo piano è normale alla risultante delle forze dirette da P normalmente alle faccie del poliedro e d’intensità proporzionali a queste stesse faccie. Si sup- pone che tale risultante non sia nulla. Si può aggiungere: Tutti i piani così ottenuti sono paralleli. Non esiste nessun piano (al finito) per il quale il detto volume risulti massimo 0 minimo. Se la superficie poliedrica è chiusa il volume indicato è co- stante, per ogni posizione di P, ed eguaglia il volume del solido S limitato dalla superficie, quando il volume di ognuna delle pira- midi indicate sì riguardi (per es.) come posttivo 0 negativo secon- dochè la normale interna alla piramide, in un punto della sua base, è interna 0d esterna ad S. Infatti, siano mr, mt, ... le forme di 3* specie che rappre- sentano le faccie della data superficie poliedrica, in guisa che i piani delle dette faccie siano le posizioni di quelle forme, ed il volume {con segno) della piramide con vertice in un punto ar- bitrario P e base la faccia sopra m,(s= 1, 2,...) sia Pn. Al- lora, il volume del solido indicato nell’enunciato del teorema è espresso da P(t, + mo + ...). Ora la relazione P (tt, + ms + ...)= costante, è lineare in P e quindi rappresenta un piano, se essa non è identica od im- possibile. TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 855 Indicando con 1°, 1°, ... le aree delle faccie della superficie poliedrica e con r,, rs, ... le distanze (con segno) di esse dal punto arbitrario P, la detta relazione può anche seriversi (a) 7 (1,°r, + rt9°r» |...) = costante ; epperò, per il teorema del n. 1, il luogo descritto da P è nor- male al vettore (5) N=m,gradp r, + n° gradp ra + ..., perchè, differenziando la (a), si ha NXdP=0. Siccome gradpr; è un vettore unitario normale a , e volto verso il semispazio, limitato da m,, i cui punti hanno da questo piano una distanza positiva, risulta così dimostrata completa- mente la 1* parte della proposizione enunciata. Osservato che i singoli termini di _V, e quindi anche tutto il vettore N (5), non dipendono da P, si trae che le superficie (a) sono piani paralleli fra loro. Se il vettore N non è nullo, cioè il 1° membro della (a) non è sempre costante, tale 1° membro può variare da — 00 a + co. Invero, essendo O un punto fisso arbitrario, per PD N si ha P(m, + rm +...) = 0(m+t+...).+eN(m+m+...), ove N(m, + mt + ...), per l'ipotesi fatta, non può essere nullo, e quindi P(t, + mg +...) al variare di 7 può assumere qualsiasi valore positivo o negativo. Supposto che le faccie m,, ms, ... formino una superficie chiusa, che limita un solido (poliedro) S, è facile riconoscere che il 1° membro della (a), per P arbitrariamente scelto, rappresenta il volume di S quando le distanze positive da ogni faccia siano determinate dalla normale a questa faccia volta verso l'interno (p. es.) di S. In tale ipotesi la relazione (a) è identica od impossibile secondochè il suo secondo membro è uguale o diverso dal vo- lume di S; ed il vettore (ò) è identicamente nullo. 856 MATTEO BOTTASSO 9. — Il teorema vale pure per una superficie non polie- drica, cioè si ha: Data una superficie © limitata da un contorno s, il luogo dei punti P_per cui è costante il volume limitato da X e dal cono di vertice P_ed avente come direttrice s, è un piano. La normale co- mune a tutti questi piani è parallela al vettore J sd, essendo n un vettore unitario diretto secondo la normale all'elemento AZ, ove si convenga che il volume del cono di base AX e vertice P sia po- sitivo 0 negativo secondochè P è situato, rispetto al piano di dX, dalla banda secondo cui è volto il vettore n, 0 dalla banda opposta. Se la superficie X è chiusa e limita uno spazio S, il volume dianzi considerato espresso da + jon X (P — M).dX, essendo M un punto dell'elemento AZ di X, è indipendente da P ed è uguale al volume di S. Per la dimostrazione della 1° parte basta sostituire, in quella esposta nel n. 8, alle faccie t,, m,, ... della superficie poliedrica gli elementi dX di X. Nell'ipotesi della superficie chiusa, si ha (£/6m., p. 105 (2), p. 73 (8)) ” 1 |, mX(P_M.dE=—1| dive(P_M/dS=|, 48. Pi c.d. d. NL 10. — Se un punto P si muove in quisa che rimanga co- stante l’area della superficie poliedrica formata dai triangoli aventi per vertice P_e per basi i lati d’una poligonale data, esso descrive una superficie. La normale a questa superficie è diretta secondo la risultante delle forze applicate in P, dirette normalmente ai lati della linea poligonale e d’intensità proporzionali a questi lati. Se per un punto P l’area è minima questa risultante è nulla. Questo teorema è pure un caso particolare del teorema I, perchè se /;, 2», ... sono i lati della data poligonale ed ri}, ra, ... le distanze di essi da un punto P, il luogo di punti considerato è quello definito dalla relazione f (P) = 3 (21114 lors...) ="cost. TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 857 11. — Se si sostituiscono ai lati della poligonale gli ele- menti d4s= mod d@ d’una linea s, si ha: Se un punto P si muove in guisa che rimanga costante l’area della superficie conica avente P_come vertice e come direttrice una linea finita s, esso descrive una superficie. La normale a questa superficie è parallela al vettore {gradp mod [(P_—-Q) /dQ], ove l’in- tegrale va esteso a tutti i punti Q di s, ossia al vettore {gradpr.ds, essendo r la distanza di P dalla tangente in Q ad s. Se per un punto P l’area indicata è minima, il detto vettore è nullo. VII. 12. — Abbiasi nello spazio una superficie fissa X, ed un piano variabile n che incontri la superficie X secondo una linea chiusa s. Sussistono allora le proposizioni seguenti (nn. 12-18): Se il piano n si muove in quisa che il volume limitato dal piano n e dalla superficie ® sia costante, il punto di contatto del piano n coll’inviluppo è il baricentro dell'area piana 0 limitata dal contorno s, intersezione di questo piano colla superficie X. Indichiamo: con m una forma di 3* specie che individua (colla sua posizione) il piano mobile r, il quale limita con X una parte finita di spazio S, di volume costante v, e detta forma sia tale che la distanza (con segno) d'un punto qualunque @ dal piano mr sia espressa (p. es.) da Qt; sia poi P un punto gene- rico della superficie piana finita 0, limitata da s, e 40 un ele- mento d’area di tale sezione contenente il punto P. Essendo allora T-+ dn una forma di 3° specie che individua un qualsi- voglia piano dell’inviluppo, descritto da m, infinitamente vicino a questo piano, si ha P(m-+ dmn = Pdn=} (poichè Pnr=0), ove 4% è la distanza (infinitesima) di P dal piano n + dn. Allora, se 9g è la lunghezza del segmento di perpendicolare a condotta per P, compreso fra i piani © e T+4dq, ed a è l'angolo (infinitesimo) formato da questi due piani, la varia- zione dv subita dal volume » nel passaggio dal piano t al piano t+ dr, è espressa da de=| qd0=| ie goal 16 cos a cos a Pdn.do= Gdr, /6 cosa ove G= 2 |,Pdo è il baricentro dell’area 0. 0) wai (0.0) MATTEO BOTTASSO Dopo ciò, dall'ipotesi de =0, cioè GAn=0 (perchè =. == 0), segue subito (n. 2) il teorema enunciato. OssERVAZIONE. — Questo teorema, dovuto a DuPIN (Appli- cations de Gétométrie et de Mécanique, Paris, 1822) è uno dei teo- remi fondamentali della teoria dei galleggianti, ove il piano n sì chiama piano di galleggiamento; la sezione 0 si dice sezione fluttuante; il solido S (di volume costante v) si dice carena; la superficie inviluppata da m (luogo dei punti G) si dice superficie fluttuante, ed alla superficie luogo dei baricentri C delle carene si dà il nome di superficie dei centri di carena. Col calcolo vettoriale si possono pure dimostrare molto fa- cilmente tutte le altre proprietà fondamentali di tale teoria. Ad esempio, si vede subito che: il piano tangente in un punto C della superficie dei centri di carena è parallelo alla sezione flut- tuante corrispondente (Cfr., per es., F. CALDARERA, Corso di Mec- canica razionale, vol. 3°, Palermo, 1906, pp. 149-150). Infatti, se C4- dC è il centro della carena S+dS stac- cata dal piano n + dn, C;, C, sono i baricentri dei solidi (infi- nitesimi ed unghiformi) di eguale volume dt, staccati rispetti- vamente in S-4-dS da n ed in S dan-+dn, si ha v(C+ d0)=vC+ dr (C, — 03), ossia vdC= dt (CC, — Cs), la quale esprime che il vettore dl è parallelo al vettore (finito) C, — ©, che appartiene (a meno di infinitesimi d’ordine superiore) al piano n. 13. — Se il piano n si muove in guisa che risulti costante l’area piana 0 limitata dall’intersezione di n colla superficie data È, il punto di contatto del piano n coll’inviluppo da esso descritto è il baricentro della linea s (che limita 0), supposto che la densità in ogni punto di questa linea sia proporzionale alla cotangente dell'angolo che il piano tangente alla superficie X in quel punto, fa col piano n. Sia P un punto qualunque del contorno s, 8 l’angolo (acuto) formato da m col piano tangente in P alla superficie >. Se si immagina ribaltato il piano n -|- dn sul piano n (fa- cendolo rotare intorno all’intersezione dei piani n e t -+ dn) il TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 859 contorno s,, sezione di X con t-+dm, vien ribaltato in (s;); ed indicando con / la lunghezza (con segno) del segmento di nor- male ad s in P, compresa fra s ed (s;), la variazione subita dall’area sezione cambiando il piano tin T.+ dr, è ovviamente espressa da [tas D'altra parte, considerando la sezione X,, di X, fatta con il piano per P normale a n ed al piano tangente a X in P, è fa- cile riconoscere che, a meno d’infinitesimi d’ordine superiore, ? eguaglia la distanza dell’intersezione P, (infinitamente vicina a P) di 2, cont -+dr dal piede P, della perpendicolare con- dotta da P al piano n+ dn; e nel triangolo (a lati infinite- simi) PAP., rettangolo in Py, l'angolo in P, od il suo supple- mento, è eguale all'angolo B più un angolo infinitesimo (dell'ordine dell'angolo a formato dai due piani t e m + dr). Quindi, sempre a meno di infinitesimi d’ordine superiore, si ha / = / cot f. (es- sendo ancora 4 la distanza di P dal piano m+ dn) e la varia- zione dell’area 0 è perciò dol | h cot Bds = È Pdn cot Bds = mo Godr, . w essendo G, il baricentro del contorno s, quando in ogni punto P di questo la densità sia proporzionale a cot 8 ( cioè nuo Sil Pcot Bds ed mo = x cot Bds= 0). s .' Dal che segue immediatamente, come nel n. 12, la pro- prietà enunciata. 14. — Se il piano n si muove in quisa che risulti costante la lunghezza della linea sezione di esso piano colla superficie data, il punto di contatto di n col proprio inviluppo è il baricentro della linea sezione s di Z, ove si supponga la densità in ogni punto pro- porzionale al prodotto della cotangente dell'angolo che il piano ivi tangente alla superficie fa col piano secante, moltiplicata per la curvatura della linea sezione nello stesso punto. Considerando ancora, come nel n. 13, il ribaltamento (s;) sopra t del contorno sj posto sul piano t 4 dr, tale curva ($;) si potrà pure riguardare (sopra t) come la variazione subita 860 MATTEO BOTTASSO dalla curva s dando ad ogni punto P di questa uno spostamento infinitesimo secondo la normale ad s in P, cioè nella direzione del vettore unitario », parallelo alla normale indicata. Si ot- tiene così, sopra (s;), un punto O=ssP= ini; da cui, differenziando, d en) do=dP—(1°2 + 2 m\ds; ossia, se # è un vettore unitario parallelo alla tangente e f è il raggio di curvatura di s in P, per una delle formule di Frenet (Elém., p. 87), si ha ag=|(1 ra ra nl ds. Se eleviamo a quadrato ambo i membri di questa egua- È ; i ; al glianza e trascuriamo nel secondo membro il termine con ( d) , ds che è infinitesimo di ordine superiore rispetto agli infinitesimi Sal z dl : : ; principali ds, /, qs° 8) ottiene subito AS saga l\? 2 do? = ds, =(1+ L) ds?, e quindi dss:ds=(p+)):p, cioè ds, — ds=- ds (#) Perciò, la variazione ds subìta dalla lunghezza del con- torno s nel passaggio dal piano t al piano t-+ dn, tenendo conto di quanto s'è esposto nel n. 13, è (*) Cfr. con il calcolo generale della variazione di un arco esposto in G. Peano, Formulario Mathematico, ed. V, Torino, 1908, p. 450. na ni e TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 861 essendo G, il baricentro del contorno s quando in ogni suo punto la densità sia proporzionale a siÉ cot B p e che (n. 2) G, è il punto di contatto dell’inviluppo descritto da t. c. d. d. . Dal che segue su- bito, per essere mo = | ds==0, che per ds=0 è G,dt=0, 15. — Se il piano n sì muove in guisa che risulti costante l’area della calotta X, che esso stacca dalla superficie Z, il punto di contatto di n col proprio inviluppo è il baricentro della linea sezione, ove si supponga la densità in un punto qualunque propor- zionale alla cosecante dell'angolo che il piano tangente in quel punto, alla superficie 2, fa col piano n. Riferendoci alle considerazioni del n. 13, se £ è la lunghezza dell'arco (infinitesimo) PP, della sezione X;, di X, compreso fra i due piani t e t-+ dn, dal triangolo (a lati infinitesimi) PP, Py, rettangolo in A) e col cateto % opposto all’angolo in P, (che vale 8), si ha XK =- e la variazione dè, dell’area di X, è h . sin 8’ ovviamente espressa da RO asd Y dz=| kds=|-®_as=| ET as= mp Gran, s ls sinf Js sink essendo (G, il baricentro del contorno s, in ogni punto P del quale la densità sia proporzionale a cosec 8. E poichè my I° cosec Bd4s +0, dall'ipotesi dI =0 si trae che G, è il punto di contatto di mt con l’inviluppo considerato. c. did. VII. 16. — Se il piano n si muove in guisa che risulti costante il momento d'inerzia rispetto a © del solido omogeneo S, limitato dalla superficie X e dal piano n, il punto di contatto di questo piano coll’inviluppo da esso descritto è il baricentro di una distri- buzione di massa, sul piano n stesso, ottenuta considerando in ogni piede M di normale a n condotta da un punto P della calotta Xy, staccato in Z da n, una densità proporzionale al quadrato della 862 MATTEO BOTTASSO distanza di M da P, e con segno positivo 0 negativo secondochè il segmento da P ad M è diretto (in P) verso l'interno 0 verso l’esterno del solido S. Infatti, se 2 è la distanza (con segno) dal piano n d’un punto qualsiasi YQ della perpendicolare a m, condotta per un punto P di Z,, il momento d'inerzia rispetto a m del cilindro infinitesimo, che ha per sezione normale un elemento d’area 40, contenente il piede M di detta perpendicolare, è 40 {22d2. E se supponiamo dapprima, per semplicità di dimostrazione, che il segmento PM sia tutto interno ad S ed abbia la lunghezza (con segno) % = Pn, il momento d’inerzia di S, rispetto a m, è boe ho, Eri i (a) I=|,d0|2d2 = bo h° do. Consideriamo ora il momento d’inerzia di $S rispetto al piano mt + dr. Se è 4 è la lunghezza del segmento della retta PM compreso fra mt e t-+ dn (e quindi dh = Mar cosa), la di- stanza del punto Q da quest’ultimo piano è (2 + dA) cos a, es- sendo a = ang (tt, t-+ da), ed il momento d'inerzia, rispetto al piano n + dn, del cilindro infinitesimo dianzi considerato (limi- ch tato fra m e X;) è do IG + dh)? cost ad2; ossia, a meno d’in- finitesimi d’ordine superiore, rispetto all’infinitesimo principale a (ovvero dA), do ( A h3 + W?d1) Quindi, la differenza fra il mo- mento d'inerzia del solido S rispetto al piano n + dr, ed il momento d’inerzia dello stesso solido rispetto al piano m, è 0) dI=| nedhdo=| MT do=my Gdr, JO JO cos A essendo G; il baricentro della sezione 0, quando sopra questa si consideri una distribuzione di massa la cui densità, in ogni punto M, sia proporzionale al quadrato dell’altezza % corrispon- dente, ed my = di gldo+0. Ora si osservi che la differenza fra i momenti d'inerzia di S+ dS e di S rispetto allo stesso piano 7 + dr, cioè il mo- mento d'inerzia rispetto a questo piano di d$, è un infinitesimo Tr us TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 863 d'ordine superiore, ed è perciò infinitamente piccolo rispetto a è/, perchè la distanza di ogni punto di d4S (formato dalle due unghie solide comprese fra i due piani t e t + dr) è infi- nitesima; il suo quadrato è infinitesimo di 2° ordine ed il detto momento d'inerzia di d4S è così infinitesimo di 3° ordine. Quindi d/ rappresenta ancora, a meno d'’infinitesimi d’ordine superiore, la variazione subita da / nel passaggio da questo momento d’inerzia di S rispetto a 7, al momento d'inerzia di S---dS rispetto amttdn. Nell'ipotesi che la normale in M a m incontri la super- ficie 2,, che limita S, in più punti P,, P;, ... alternatamente d'entrata e d’uscita da S, l'integrale {2*d2 va allora esteso a tutti e soli i segmenti di MP interni ad S. È però facile vedere che sussistono in tal caso le formule (a) e (5), purchè ad % ed al dA corrispondente si attribuisca il segno che compete alla distanza considerata (a seconda da quale parte si trova rispetto al piano t 0 m-+ dr) od il segno opposto secondochè il seg- mento da P ad M è rivolto (nel punto P) verso l'interno o verso l'esterno di S. Fissata così, in ogni caso esaminato, l’espressione (2) di dI, dall'ipotesi d/=0 segue G3dm=0, e quindi (n. 2) il teorema enunciato. Osservazione. — È utile notare che il d/ di (6) si può subito ottenere calcolando la variazione di /, per il che basta fare l'operazione ò sotto il segno d'integrazione in (a) (supposto dapprima, come si è fatto, che l'integrazione sia sempre estesa ad S), ed osservare poi che si deve ritenere èd0 — 0, eseguendo l'integrazione secondo gli stessi cilindri infinitesimi di sezione retta d0, sopra q. 17. — I teoremi dei nn. 12 e 16 sono casi particolari del seguente teorema generale : «Se il piano n si muove in guisa che per una funzione ana- litica intera fz, della distanza z d'un punto dal piano x, sia finito e costante l'integrale di fz esteso al solido S limitato da n e dalla superficie X,, staccata in X da n, allora il punto di contatto del piano © coll’inviluppo è il baricentro di una distribuzione di massa, sul piano n stesso, ottenuta considerando in ogni piede M di normale condotta a t da un punto P della calotta Z,, il quale disti di h Atti della R. Accademia — Vol. LI. 56 3 da M, una densità proporzionale ad fh, e con segno positivo 0 ne- gativo secondochè il segmento da P ad M è diretto (in P) verso l’interno o verso l'esterno di S. 1 Sî suppone che la funzione fz = do + az + a0z? + agz5+...., ove le ao, d, dg, dg, ... sOnO costanti, sia continua e finita in tutto il campo d'integrazione. Per a,=as=ag=...=0, a0==0, si ‘ha il teorema del n. 12 e vale la dimostrazione là data. Per 40 =0 si può ripetere una dimostrazione perfetta- mente analoga a quella esposta nel n. 16 e si ha, in particolare, il teorema di questo numero quando 43 == 0 ed aj = a3=...=0. Il caso delle ao, 4, 42, 43, ... arbitrarie si deduce subito dai due casi ora indicati osservando che 864 MATTEO BOTTASSO {fz.Mdo=a,{Mdo+ {(a,z + 4,2? + 4323 + ...) Mdo. Perag==@= ay =4!h=0*ad''af== VW *aha- Se il piano mr st muove in guisa che risulti costante il pro- dotto del volume del solido S per la distanza del suo baricentro (o centro di carena) dal piano n, il punto di contatto di questo piano coll’inviluppo è il baricentro d’una distribuzione di massa ottenuta considerando in ogni punto M una densità proporzionale all'altezza h corrispondente. 18. — Se il piano n sì muove in quisa che risulti costante il momento d'inerzia rispetto ad esso della superficie X;, staccata in X da ©, il punto di contatto di questo piano coll’inviluppo da esso descritto è il baricentro di una distribuzione di massa, sul piano n stesso, ottenuta considerando in ogni piede M di normale a P, condotta da un punto P di X,, una densità proporzionale alla distanza del punto P da n, moltiplicata per la secante dell’an- golo (acuto) formato con n dal piano tangente a X in P. Si suppone che în nessun punto P, di X,, il piano tangente a questa superficie sia normale a ©. Infatti, essendo dX l'elemento di superficie di X contenente il punto P, il momento d'inerzia I, di X, rispetto a m è I,= |, ?dX, Zo TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 865 | ove &4 = mod PM. La variazione del momento d’inerzia di o nel passaggio dal piano n al piano n4+ dn è sa) osa, »L=2|, hdhadz = È hMan.dX; e, come nel n. 16, è facile riconoscere che d/, rappresenta pure (a meno d’infinitesimi d’ordine superiore) la variazione subìta da /, nel passaggio da questo momento d'inerzia di X,, rispetto at, a quello di 2,---dX, rispetto a T+4dn. Siccome poi, indicando con do la proiezione ortogonale sopra t di dX, e con yY l'angolo formato dal piano tangente a X in P col piano n, si ha do=cost.dZ, si può pure scrivere bMdn .cost.do=my. Gdr, JO essendo m4 = Sep hcostdo==0, e (G, il baricentro della os a massa distribuita sopra m in ogni punto M di 0, con densità proporzionale ad / cos y; da cui segue, al solito (n. 2), il teorema enunciato. IX. 19. — Nel piano si hanno dei teoremi analoghi ai teoremi dei nn. 12, 13, 15, 16, 17, 18, che si possono riguardare otte- nuti con una sezione delle figure là considerate e si possono dimostrare con procedimento affatto simile a quello esposto per i corrispondenti teoremi spaziali. Mi limiterò ad enunciarli. Si abbia in un dato piano una linea F fissa ed una retta va- riabile p, che incontri la linea in due punti P,, Ps; sia Pun punto qualunque dell'arco Vo, staccato da p sopra T; M il piede della normale condotta a p dal punto P, ed h la distanza (con segno) di Pda p. 1° Se la retta p si muove in quisa da limitare con la linea € una regione A di piano, di area costante, il punto di con- tatto di p colla linea da essa inviluppata è il punto medio del seg- mento P, Ps, staccato dalla linea €. sopra p; 1 = _- D MATTEO BOTTASSO 2° Se è costante la lunghezza della corda P, Ps, il punto di contatto di p coll’inviluppo è il baricentro dei due punti P,, Pa, con masse proporzionali alle cotangenti degli angoli formati con p dalle rispettive tangenti a Vin P, e Pa; 3° Se è costante la lunghezza dell'arco To, staccato sulla linea T dalla retta p, il punto di contatto coll'inviluppo è il bari- centro degli estremi P,, Ps, di tale arco, con masse proporzionali alle cosecanti degli angoli formati con p dalle rispettive tangenti an Pri: 4° Se è costante il momento d'inerzia rispetto a p della su- perficie A (limitata da p e dal), il punto di contatto di p coll’in- viluppo è il baricentro della distribuzione di massa fatta sopra p in modo che in ogni suo punto M, proiezione d’un punto P di Vo, la densità sia proporzionale ad h® = PM?, e sia considerata come positiva 0 negativa secondochè il segmento da P_ad M è diretto (in P) verso l'interno 0 l’esterno della regione A, limitata da Vj e p; 5° Se è costante l'integrale |fz.dz esteso alla regione (va- riabile) A, essendo z la distanza d'un punto dalla retta p, ed fz una funzione intera (continua e finita nella regione indicata), il punto di contatto di coll'inviluppo è il baricentro di una distribuzione di massa, sopra p, tale che in ogni punto M la densità sia propor- zionale a + fh od a — fh, secondochè il segmento da P ad M è rivolto verso l'interno o l'esterno di 4; 6° Se è costante il momento d'inerzia, rispetto a p, dell'arco finito l, il punto di contatto di p coll’inviluppo è il baricentro di una distribuzione di massa sopra p, in modo che in ogni punto M la densità sia proporzionale al prodotto della distanza h per la secante dell'angolo (acuto) formato da p colla tangente in Palla linea T. Si suppone che in ogni punto P, di Vj, la linea V volga la sua concavità verso il segmento P, Ps. Quando per la linea f si assumano, ad es., i lati di un angolo fisso, il teorema 1° dà una nota costruzione per punti dell’iperbole inviluppo, avente i detti lati come asintoti; il teo- rema 3° dà una costruzione semplice, per punti, della parabola inviluppata dalle congiungenti i punti omologhi di due punteg- giate eguali, aventi come sostegni i lati dell'angolo dato. Nel caso in cui l’angolo fisso sia retto, il teor. 2° dà una costruzione per punti dell’asteroide. TEOREMI SU MASSIMI E MINIMI GEOMETRICI, ECC. 867 20. — La Cinematica offre pure una costruzione semplice del punto di p indicato nel teorema 2°, considerando il moto del segmento invariabile P, P) appoggiato a F (che risulta così la roulette per ciascuno dei punti P,, P»). Il centro Cl d’istan- tanea rotazione è perciò l'intersezione delle due normali a T in P, e Pa; ed il punto di contatto G di p coll’inviluppo (com'è noto) è il piede della perpendicolare a p condotta per C. Gli angoli formati da questa perpendicolare con CP,, CP, sono eguali agli angoli @,, a, formati con p dalle tangenti in P,, P) alla linea F, e quindi si ha subito mod P, G/mod P,G= = cot as /cot a,, per cui G è il baricentro indicato nel teorema 2°. Torino, marzo 1916. L’Accademico Segretario CorrADO SEGRE. ==> ==——__ 868 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 9 Aprile 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE GIAMPIETRO CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci Carre, Pizzi, De Sanoris, D’ERcoLE, Bronpi, EinAupi, Baupi DI Vesme, PaTETTA, VIDARI, PRATO, e SramPini Segretario della Classe. È scusata l'assenza del Socio ScHIAPARELLI. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 26 marzo u. s. Il Socio Segretario SrAmPINI, annunziando con dolore che il Socio ScHIAPARELLI non può essere presente all’adunanza a causa delle sue condizioni di salute, ne presenta la recentissima pubblicazione, della quale il nostro illustre Consocio volle far gentile omaggio all'Accademia, La geografia dell’ Africa orien- tale secondo le indicazioni dei monumenti egiziani. Note (Roma, Tip. della R. Accademia dei Lincei, 1916). In questo bel vo- lume sono raccolte le Note che già apparvero nei rendiconti della Reale Accademia dei Lincei e che rappresentano, come l’autore dichiara nella prefazione, “il risultato di ricerche “lunghe, complesse, e talora difficili circa le cognizioni che “ gli antichi Egiziani ebbero sull’Africa orientale, segnatamente i i DIO Bi): 14 tei so e .l’ocean i Bi " re fiero i comprese. fra di aeouiso; il m ‘Indiano, rice, e il Dar-For ,. La Classe ringrazia vivamente il Socio SCHIAPARELLI per | prezioso dono e incarica il Presidente di fargli pervenire SÒ anche i suoi caldi augurì per la guarigione. he GA Il Socio D’ErcoLe, dimostrandone la notevole importanza, presenta, per la pubblicazione negli Atti, una prima Nota del i Prof. Arturo MonI dal titolo Le prime categorie naturali o i concetti di spazio, tempo, moto, secondo la filosofia hegeliana. POOR "O va v todi o fl i 870 ARTURO MONI LETTURE Le prime categorie naturali o i concetti di spazio, tempo e moto secondo la filosofia hegeliana. Nota I di ARTURO MONI. De proprietatibus hujusmodi demonstrationum est ut nullus sensus contradicat unquam. AVERROES, De partibus animalium, Vib. II, cap. « de cerebro >». La considerazione dello spazio, del tempo e del moto, es- sendo quella delle forme universalissime della natura, non pre- suppone innanzi a sè altro che lo sviluppo logico dell’Idea, per il quale l’Idea si è fatta ciò ch’essa è come Natura. D'altro lato ogni altra considerazione naturale presuppone, come suo fondamento, la considerazione di queste forme. Quindi è che già in Aristotele la parte generale della filosofia della natura, com- presa negli otto libri fisici, si aggira appunto, sostanzialmente, intorno allo spazio, al tempo, al moto e alle loro determina- zioni. Oltre a ciò lo spazio è il presupposto della geometria, e il moto, della meccanica finita e dell’astronomia matematicà. Quanto al tempo, esso non ha dato, e non può dare, origine ad alcuna scienza dell’intelletto, l’aritmetica avendo per oggetto non già l'istante, ma il semplice schema logico dell’istante, l'istante “ paralizzato , o l’Uno numerico. Per l’immediato con- tatto che, nell'ordine della deduzione dialettica, queste prime categorie naturali hanno colle determinazioni del pensiero puro, la loro trattazione conserva poi un andamento ancora simile a quello della logica, e costituisce quasi una logica naturale, cioè una scienza dove l'elemento a priori si collega bensì coll’ele- mento a posteriori, ma dove però quest’ultimo ha una parte così esigua, che appena si rileva. In questa sua generalità la filosofia della natura, che nel suo ulteriore svolgimento deve MI LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 871 ampiamente ricorrere alle scienze empiriche per il materiale da adoperare nelle sue costruzioni, fa ancora, per così dire, da sola. È noto che la scuola hegeliana sorvolò volentieri sulla parte intermedia dell’enciclopedia filosofica, tanto che i lavori intorno ad essa, che la scuola ha prodotti, sono senza confronto in minor numero e di minore importanza che non quelli intorno alle due altre parti, la logica e la filosofia dello spirito. Cotesto relativo abbandono in cui fu lasciata la filosofia della natura ebbe verosimilmente origine non tanto dalla necessità, in cui quelle ricerche mettevano il soggetto, di procurarsi una massa di cognizioni estranee alla coltura più propriamente filosofica, quanto da qualche oscurità ed incertezza che forse presso al- cuni rimase intorno al rapporto fra la considerazione specula- tiva della natura, procedente dal concetto, e le particolari scienze naturali, che si vantano di non aver altra base che l’esperienza; oscurità ed incertezza che non mancarono di tramutarsi, presso gli avversari delia scuola, nella recisa negazione di ogni valore della dialettica fuor del campo del pensiero puro. A_guardarvi in fondo, il problema di come possano convivere la filosofia della natura e la fisica empirica non era veramente altro che il problema di come possano trovarsi accanto, nell'esistenza, la ragione e l’intelletto, che son le attività, quella della prima, e questo della seconda. Poichè nondimeno parve che si avesse qui un problema di difficile soluzione, mi si perdonerà se metto di nuovo sotto gli occhi del lettore un passo di Michelet, dove il rapporto in questione è delineato con tutta quella precisione e quella chiarezza che in simile argomento si posson desiderare. Dopo aver parlato di quel “ senso della natura ,, che in ogni fenomeno sa cogliere il “ fenomeno primitivo ,, il fenomeno nella sua configurazione più pura e più semplice, Michelet con- tinua: “ Se ora questa idea, la natura della cosa, venga tro- vata in un fenomeno non già inconsciamente e quasi per un oscuro istinto, ma seguendo la via precisa del pensiero che si muove ed avanza dialetticamente, avremo il metodo hegeliano, che sviluppa dall'idea logica l’idea dello spazio, del tempo, del moto, della materia, ecc. Benchè queste idee non vengan tro- vate senza che il filosofo abbia avuto in precedenza l’esperienza di quelle cose, pure esse sono affatto indipendenti da tale espe- 872 ARTURO MONI rienza, nè in alcun modo condizionate dal suo contenuto. Giacchè, propriamente parlando, la filosofia non deduce già immediata- mente le forme naturali come tali, ma solo certi rapporti di pensiero che convengono alla natura, per i quali cerca poi le corrispondenti intuizioni nella cerchia dei fenomeni naturali. Se ora, nell’assolvere questo secondo còmpito aposterioristico, essa mette in primo luogo lo spazio, ciò avviene perchè l’idea della Natura, sorta dallo sviluppo logico, corrisponde purissimamente, nella sua forma più semplice, a quell’intuizione che noi chia- miamo spazio, senza che nella deduzione aprioristica si fosse già saputo che era l’idea dello spazio quella che doveva venir fuori. Lo stesso riconoscimento dei nostri concetti nelle intuizioni si ripete poi quando dall'idea dello spazio noi passiamo alla se- conda idea naturale, che corrisponde al tempo, e così via. Qui, dunque, non si può più dire che l’idea sia presa dalla intui- zione, perchè se all’idea dello spazio la deduzione avesse fatto tener dietro subito una determinazione di pensiero corrispon- dente, supponiamo, all’intuizione del moto, oppure a quella della pianta, il filosofo, nella serie delle forme naturali, avrebbe messo immediatamente dopo lo spazio questa, e non il tempo. È certo che, prima di accingersi, in generale, a questa sorta di disqui- sizioni metafisiche, il filosofo avrà sottoposti i fenomeni naturali a un esame preliminare, affin di valutare la loro maggiore o minor dignità e sviluppo. Ma se il tempo abbia a star prima dello spazio o viceversa, e, in generale, quale ordine sia da sta- bilire, non potrà risultare che dallo sviluppo dialettico delle idee stesse, poichè nessuno vorrà affermare che sia stata posta dalla natura anche la serie graduale delle forme, quando queste forme, invece, si trovano nella natura tutte insieme in una volta , (Heeer's Vorlesungen iiber die Naturphilosophie, II. Aufl., Vorrede des Herausgebers, p. xt1). Questa pagina di Michelet è degna, credo, di esser riletta e coscienziosamente ponderata da quanti hanno supposto che la filosofia della natura volesse essere una costruzione a priori dei dati empirici, da sostituirsi alle particolari scienze naturali. In essa è mostrato che quello con cui la filosofia ha da fare, quando prende a suo oggetto la Natura, è sempre l'Idea. Il concetto non può infatti dedurre altro che sè stesso; nel che non sta gia per il concetto un limite (nel senso kantiano), ma È : A -<. ve LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 873 anzi la sua infinità, giacchè, mettendo in evidenza la necessità della Natura, il concetto ha dedotto una volta per sempre, al termine della logica, la forma del suo esser altro, del suo pre- sentarsi a sè come un dato sensibile, onde in cotesto esser altro esso si riferisce soltanto a sè, al di là del suo limite ritrova ancora sè stesso. Tocca piuttosto alla scienza empirica, quando creda di potersi affermare contro la filosofia della natura, a fornir la prova che quelle determinazioni ch’essa ottiene dal- l’analisi del concreto, le leggi, le forze, i generi, siano altra cosa che semplici determinazioni di pensiero, nelle quali perciò il pensiero che si pensa, ossia la filosofia, è per così dire in casa propria. Giacchè la scienza empirica non ha nulla di falso in sè stessa, in quanto, elaborando il dato dei sensi, giunge a quelle determinazioni, ma è falsa solo nel suo atteggiamento polemico contro la speculazione. Mentre costituisce infatti una posizione di pensiero superiore a quella della vecchia metafisica intellet- tuale, cotesto atteggiamento polemico contro una forma di co- noscenza con cui il suo còmpito proprio non ha nulla che fare, la rabbassa appunto a metafisica intellettuale. La filosofia non respinge allora gli attacchi della scienza empirica, ma della cattiva metafisica in cui questa si è inconsciamente trasformata. Sottoponendo alla critica le categorie della riflessione delle quali la scienza empirica si serve solo perchè non ne conosce altre (e anche perchè è costituita come scienza empirica appunto per l’uso esclusivo che fa di quelle), la filosofia non dura invero molta fatica a sbarazzarsi di quelle chimere che son le leggi come contrapposte ai fenomeni, le forze come contrapposte alle loro estrinsecazioni, i generi come contrapposti alle specie e agl’individui e via dicendo. Nè è da credere ch’essa faccia così un lavoro inutile. Se il compito della scienza, nella più larga accezione di questa parola, è di far risaltare la necessità del- l'oggetto, ossia di fornire la dimostrazione quare, è facile ve- dere che questo eòmpito, che la scienza empirica non fa che porre, è adempiuto soltanto dalla filosofia della natura. Un esempio chiarirà meglio la cosa. La meccanica matematico-empirica ha trovato che nella caduta dei corpi gli spazi percorsi stanno fra loro come i quadrati dei tempi. Essa si ferma però alla sem- plice constatazione di questo rapporto, che come così contrap- posto, nella sua astratta universalità, ad ogni singolo fenomeno 874 ARTURO MONI di caduta, è la legge del fenomeno stesso. Ma il rapporto sem- plicemente scoperto 0 constatato è ancora un rapporto accidentale. Certo, anche la scienza matematico-empirica dimostra le leggi (se no, non sarebbe addirittura scienza); ma le dimostra sol- tanto per mezzo di altre leggi più generali, quasi risalendo una catena di cui ogni legge, man mano più generale, fosse un anello, ma senza che si arrivasse però mai al chiodo cui il primo anello è attaccato. Quindi è che le sue dimostrazioni convincono soltanto noi (come argomenti semplicemente persuasivi) che la cosa sta così, che la legge è quella, ma non giungono mai a necessitar la legge ad esser soltanto quella e non un’altra. È così non mancò chi venne espressamente a dire, per non uscir dall’esempio, che gli spazi percorsi potrebbero star fra loro anche come i cubi o i biquadrati dei tempi, ma che, una tal sorta di moto non trovandosi nella natura, bisogna fermarsi a quella che si è potuta osservare. A questo modo, in ultima ana- lisi, il contenuto della legge, quel determinato rapporto degli spazi ai tempi, resta oggetto, per parte dell’ordinaria mecca- nica, di una semplice dimostrazione quia; si dimostra che, nella caduta, la legge è quella, e niente più. Ora il còmpito della filo- sofia della natura, per contrapposto alla scienza empirica, è ap- punto di far vedere non già che la legge è quella (poichè questo ce lo ha già insegnato la scienza empirica), ma che non. può essere assolutamente che quella, col che viene aggiunta alla dimo- strazione quia la dimostrazione quare, e si compie il conoscere. La via, per raggiunger questo intento, è segnata dalla logica. Poichè la logica mostra che la legge non è se non l’altra faccia del fenomeno, o meglio, che fenomeno e legge non sono che le due faccie o i due lati in cui, per la riflessione, si sdoppia uno stesso essere, la filosofia della natura, affin di mostrare che la legge della caduta non può essere che quella, non ha che da mettere in evidenza come il fenomeno della caduta non sia che la maniera (non l’unica, ma la più generale) nella quale appare naturalmente il moto accelerato, mentre il moto accelerato, a sua volta, non è che la maniera in cui appare il rapporto fra lo spazio e i tempo, cioè fra lo spazio e il tempo considerati ciascuno nel suo concetto. Così la legge e il fenomeno, per la considerazione speculativa, cessano di esser contrapposti l’uno all’altro, com'erano per la considerazione intellettuale empirica, Taio - PN Ue e LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 875 «e sì compenetrano e si fondono insieme, diventando il concetto "della cosa. Quello che si pensa, quando si pensa ]Ja proporzio- nalità degli spazi percorsi ai quadrati dei tempi, è veramente il moto accelerato, e quello che si pensa, quando si pensa il moto accelerato, è veramente (nella sua forma generale) la caduta. Così siè arrivati al chiodo cui è attaccato il primo anello della catena, e che è semplicemente il pensiero; e il pensiero, a sua volta, si è affrancato da quella soggezione in cui stava di fronte alla natura quando ne scopriva, soltanto ne scopriva, le. leggi. Egli sa, ora, che il legislatore, che ha dato alla natura quelle leggi, è lui, il pensiero stesso. Aggiungerò questo, che anche la scienza empirica fa, in certo modo, della filosofia della natura senza saperlo (coll’ag- gravante, in confronto di M. Jourdain, che lui almeno era in- genuo, mentre la scienza empirica si ostina troppo spesso a credere e a gridar forte che non ha attaccata addosso questa pece della metafisica). Si apra un trattato qualunque, p. es., di fisica. La prima cosa che si vede è che la materia vi è disposta in un certo ordine, passandosi, di solito, dalle classi dei feno- meni più semplici alle classi dei fenomeni più complessi o che presuppongono, pel loro studio, la conoscenza dei primi. Ora di dov'è tolto, torneremo a dire, quest'ordine, dal momento che i fenomeni la natura li presenta tutti insieme alla rinfusa? È dunque vero che “ la scienza empirica contien più pensiero ch'essa non creda, cosicchè è migliore, nel fatto, di quel che si figura di essere, oppur peggiore, se il contener pensiero, per cotesta scienza, è un VIzio ,. Tutti i rapporti logici venendo ad essere esauriti là dove lo sviluppo logico fa capo nella totalità delle categorie, ossia nell’Idea, l'assoluta irrelatività di questa, ossia l'assoluta impos- sibilità, per essa, di passare in altro, è, in maniera affatto im- mediata, il suo puro riferirsi a sè, per cui essa stessa sorge dinanzi a sè od appare a sè come suo altro. L'Idea, che appare così a sè stessa come altro che l’Idea, è la Natura. age” 876 ARTURO MONI L’afferrarsi del logico come logico, cioè il pensarsi l’Idea come [dea (giacchè ciò che pensa l'Idea è soltanto l’Idea, e non semplice- mente 07), è il suo lasciarsi andare nella certezza di riprendersi, il suo affrancarsi da sè sapendo di rimaner soggetta a sè. Anticipando una categoria spirituale, sì può dire che l'eguaglianza Io — Io pone imme- diatamente l’altra: Io = Non io. La prima eguaglianza è quella della Logica, dove l'Io discorre soltanto con sè stesso; la seconda è quella della Natura, dove l'Io discorre coll’To come col Non io. La Natura sta verso l’Idea in quello stesso rapporto in cui stava l’Essenza verso l’Essere, salvo che quello era un rapporto puramente logico, cioè un rapporto interno del pensiero con sè stesso, mentre questo invece è rapporto logico e insieme alogico, essendo il rapporto che ha verso il pensiero quello che, immediatamente, è pensato come altro che pensiero. Perciò il passaggio dalla Logica alla Natura è il rompersi della Logica, e quello in cui si passa, la Natura, è la Logica come rotta in sè o diffranta, l’Idea come pluralità d’idee o specie na- turali. — Cotesto passaggio sembra necessariamente impossibile da quel punto di vista secondo il quale siamo soltanto noi che pensiamo l’'Idea, e non già l’Idea stessa che si pensa per mezzo del pensiero che noi ab- biamo dell’Idea. La scienza della Logica non è allora che un forma- lismo, e l’Idea è l'oggetto intorno al quale questo formalismo si dà da fare senza poter mai giungere ad alcun resultato. In questo caso la nostra ricerca del vero, per quanto vana, vale ancora meglio di quel vero che si suppone essere il suo scopo irraggiungibile. La correzione del difetto che è in quel punto di vista si può senz’altro ottenere dalla considerazione che l’Idea, comprendendo in sè come suo momento il Conoscere, comprende in sè anche quel rostro conoscer l’Idea, e quindi anche la conoscenza che l’Idea ha di sè stessa come esterna a sè, che è appunto la conoscenza della Natura. — La Natura è propriamente la dualità (la Diade), non l’apparire a sè come Dualità. Quando apparirà a sè come tale, questo apparire sarà il suo cessare di esser Natura e il suo farsi Spirito (Triade). I due sono: da un lato, l’Idea in quanto ap- pare, come altro, all’Idea; dall'altro lato, l’Idea come quello cui appare un altro, che non è che essa stessa. IRE L'esteriorità secondo la quale l’Idea appare a sè come il suo proprio altro, cioè come Natura, è, nella sua astrattissima universalità e assoluta indiscriminatezza, l’esteriorità come sem- plicemente tale, ossia l’esteriorità come riferentesi soltanto a sè stessa, lo Spazio, e anzitutto la semplice Estensione. # LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 877 Che lo spazio sia l’astratta universalità dell’esteriorità, ciò non vuol dire altro se non che appunto esso è “ una necessaria rappresen- tazione a priori, che sta in fondo a tutte le intuizioni esterne , e che quindi esso va riguardato come “ la condizione della possibilità delle appariscenze, e non come una determinazione dipendente da queste , (Kant). III. L'estensione non è l’esteriorità di altro rispetto ad altro, ma è il rispetto dell’esteriorità a sè stessa, il suo puro conti- nuarsi con sè. Questo continuarsi dell’esteriorità con sè stessa, in quanto è esso stesso un processo esterno, spaziale, è il Punto. Fra lo spazio e lo spazio non si frappone altro che lo spazio. Perciò lo spazio è assolutamente continuo. Questa continuità non è però lo spazio (in tal caso questo non potrebb’esser conosciuto come continuo). Essa è anzi la sua negazione, il punto. Ma, come negazione dello spazio, il punto è esso stesso spaziale, ossia cade nello spazio. Ed è un pro- cesso, una mediazione, non essendo soltanto identità, ma identità di dati come diversi (due spazj). — Non è da confondere il punto colla conti- nuità come tale. La continuità come tale è una determinazione pura- mente logica. Il punto invece è una determinazione fisica (cioè perti- nente alla filosofia della Natura), perchè è, non già la semplice continuità, ma l’esteriorità (ossia la spazialità) della continuità. — Nella relazione fra i concetti dello spazio e del punto apparisce per la prima volta quella dualità nella quale consiste la Natura, cioè la reciproca esterio- rità o indifferenza in cui stanno fra loro le determinazioni naturali an- titetiche. Nella Logica è esatto che l’Essere è il Non essere (appunto perchè sono assolutamente diversi). Nella Fisica invece non sarebbe esatta la proposizione: Lo spazio è il punto, perchè il punto come negazione naturale (e non soltanto logica) dello spazio, è anch'esso spaziale, epperò non essendo assolutamente diverso dallo Spazio, non è nemmeno asso- lutamente identico con esso, com'era il Non essere, nella Logica, rispetto all’Essere. In generale, ogni determinazione naturale non è, a rigor di termini, la sua negazione (la determinazione opposta), ma soltanto la comprende in sè, lasciandola quindi anche sussistere in una indipendenza relativa. Così, qui, lo spazio non è il punto, ma comprende il punto. “i dit ho 878 ARTURO MONI LI. Il punto è la determinazione dello spazio solo in quanto è la sua negazione. Il punto nega dunque lo spazio, ossia pone lo spazio fuori di sè. Ma siccome lo spazio comprende il punto, così il punto, nel negare lo spazio, nega il punto. Ora il punto che nega o pone fuori di sè il punto è la Figura, ed anzitutto la Linea. fa La generazione della linea è la negazione che il punto fa di sè stesso, ed il suo essere è la negazione di un punto per mezzo di un altro punto. La linea è l'universalità della figura. La linea non consta di punti, ma risulta dal punto, ossia è il pro- dotto dell’attività negativa o repulsiva che questo esercita rispetto a sè stesso. Il punto, negandosi o respingendosi, si pone come due punti uno fuori dell’altro, e questi sono le estremità della linea, i due soli punti che, secondo il linguaggio aristotelico, siano 7 atto nella linea, mentre di tutti gli altri che si potrebber segnare fra quei due la linea (che come tale dev’esser terminata da due punti) non è che la semplice po- tenza. Perciò la linea è divisibile all’infinito; ma in quanto esista (cioè come linea attuale e non come semplice potenza della linea) non è mai infinita. — Come semplice universalità della figura, cioè dello spazio reale o dello spazio che risorge da quella sua negazione che era il punto, la linea è la prima dimensione dello spazio (il suo primo effettivo rife- rirsi a sè o misurarsi), cioè la lunghezza, o, semplicemente, la Distanza. Quando si definisce la linea retta come quella che segna la distanza più breve fra due punti dati, ciò non viene a dir altro se non ch’essa è, puramente e semplicemente, la distanza fra questi due punti. La defi- nizione è difettosa in quanto lascia credere che fra due punti vi pos- sano essere più distanze (più lunghe e più brevi), mentre nel fatto non ve n'è nè ve ne può essere che una sola, cioè la distanza come tale, che è appunto la linea retta, la linea senz’altra determinazione che di esser linea. Ma la geometria, come scienza intellettuale, non possiede il concetto della linea. Quindi per essa la linea retta, che è questo con- cetto come reale e sensibile, non è se non una linea fra le tante linee che si posson dare, e per distinguerla dalle altre bisogna ch’essa ricorra LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 879 a una determinazione quantitativa, qual'è quella della massima brevità, determinazione che intanto non ha nulla che fare con quello che la linea è come tale. XE Lo spazio si nega nel punto. Il punto si nega nella linea. Quindi la linea è lo spazio risorto dalla negazione della sua negazione. Perciò la linea sì deve mostrare come le due nega- zioni dalle quali essa risulta. Ora la prima negazione dalla quale la linea risulta è la negazione del punto. Come negazione del punto la linea è dunque il Piano. Due punti son la determinazione della linea. Un terzo punto come negato dalla linea, cioè come posto fuori di essa, è la determinazione del piano. — Come linea retta non vuol dir altro che linea in ge- nerale, cioè concetto della linea, così Superficie piana o semplicemente Piano, non vuol dir altro che superficie in generale. Sono le determi- nazioni universali che nell’ordine della Natura esistono esse stesse come particolari accanto alle (altre) determinazioni particolari. Così (malgrado l'osservazione fatta di sopra) non ha torto la geometria di riguardare la linea retta come una specie particolare di linea e il Piano come una specie particolare di superficie. Quello che la speculazione ha da aggiun- gere alla considerazione geometrica, o intellettuale, è che coteste “ specie particolari, sono l’universalità stessa sia della linea sia della superficie, universalità che in quanto esiste esteriormente (ossia è presa come na- turale) è necessariamente anch’essa una particolarità. — Se la linea era la prima dimensione dello spazio reale, cioè la dimensione come sem- plicemente tale o come semplice distanza o lunghezza, nel piano è sorta la seconda dimensione, la linea della linea o la lunghezza della lunghezza, vale a dire la Larghezza. Quindi Larghezza è: due linee (o due lun- ghezze) che sì riferiscono l’una all’altra (s’intersecano, in maniera affatto universale, ossia senza dar luogo ad alcuna differenza, epperò “ ad angolo retto ,, in un punto). La lunghezza è l’universaliîtà del concetto, alla cui stregua si riportano perciò tutte le altre particolarità (tanto la lar- ghezza come anche, poi, la profondità, si misurano con misure di lun- ghezza, ossia son lunghezze). La larghezza invece è il concetto come particolarizzato, che presuppone la sua universalità, la lunghezza, ed è questa universalità come sdoppiata, cioè come due lunghezze, la lunghezza propriamente detta e la larghezza. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 57 880 ARTURO MONI VII. Come negazione del punto la linea era il piano. Ma in quanto appariva come negazione del punto, la linea appariva soltanto nella forma della prima di quelle due negazioni dalle quali essa (cioè lo spazio reale o la figura) risulta. L'altra ne- gazione consiste in ciò che il punto, negando il quale la linea veniva ad apparire come piano, è esso stesso una negazione. Quindi il piano è veramente esso stesso la negazione di una negazione, ossia la negazione del punto, che come così negato, va a cadere fuori del piano. Questo quarto punto è la determi- nazione di quello che sorge da ciò che la Jinea si mostra come la seconda delle negazioni dalle quali risulta, vale a dire come negazione della negazione. Cotesto è il solido. Quattro punti (ossia il sopravvenire del quarto punto) son la de- terminazione del solido. Linea, piano, solido, sono i gradi di sviluppo del concetto della figura, cioè del negarsi del punto o del restaurarsi dello spazio. Il concetto della figura appare per la prima volta, come concetto del tutto astratto, nella linea. Ma la linea, come negazione di quello che è già di per sè una negazione (il punto), non è essa stessa reale se non in quanto è per un lato la sua astratta universalità, cioè negazione in generale, e, per l’altro, questa specifica negazione che è la negazione della negazione. Ora come negazione in generale essa è il suo semplice respingersi, o uscir da sè, vale a dire il piano; come negazione poi della negazione, essa è il negarsi di cotesto suo uscir da sè o farsi piano, vale a dire che è la negazione che il piano fa di sè stesso, cioè il solido. Il solido è perciò la figura compiutamente sviluppata, e la nuova dimensione che vi appare, la Profondità, è anche l’ultima, essendo la dimensione perfetta, la tridimensionalità stessa o la realizzazione del concetto dello spazio. Così la ragione per la quale lo spazio non può avere che tre dimensioni (s'intende lo spazio sensibile, giacchè le finzioni matematiche non entrano nella filosofia della natura), ragione nella cui ricerca si occupò già Aristotele, è nel concetto stesso dello spazio con- creto, ossia della figura, che essendo una dualità naturale, è prima la dualità come genere (epperò come unità: linea), e po? la dualità come le due specie (il piano e il solido), mentre il genere restando così da sè, come fuori delle specie, è dal canto suo un’altra specie, compien- dosi il numero definitivo di tre. (La difficoltà invece, nella maniera or- LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 881 . dinaria di considerare la cosa, nasce dal trascurare le differenze essen- ziali delle tre dimensioni, che si riducon tutte a lunghezza, dimenticando che la larghezza presuppone come diversa da sè la lunghezza ed è perciò una dimensione essenzialmente superficiale o piana, e così pure la pro- fondità presuppone la larghezza e quindi anche la lunghezza, tanto da non poter essere se non la dimensione propria del solido). VII. La figura presenta il processo dello spazio col punto, e in generale col suo limite, soltanto come finito, cioè come avente per resultato soltanto un certo spazio (distanza, superficie 0 vo- lume), nel quale quei due momenti non si trovano uniti che per un lato, mentre per l’altro restano ancora contrapposti come limite e spazio limitato. Il concetto dello spazio non va, nel suo sviluppo, oltre il concetto della figura, e da questo è insepara- bile quell’opposizione. Perciò di ogni distanza, superficie o vo- lume si può sempre dare una distanza, superficie o volume sia maggiore, sia minore, vale a dire che lo spazio non è mai nè la totalità dello spazio (la distanza, superficie o volume infiniti), nè la sua totale negazione (il punto), ma tramezza soltanto, come figura, fra l’una e l’altro. Questa impotenza dello spazio a pre- sentarsi come una realtà adeguata al suo concetto, è la sua contraddizione o il suo difetto, difetto che vien tolto solo in un concetto nuovo, ossia in un’altra forma dell’Idea diversa da quella secondo cui essa è la sua propria immediata esteriorità. Que- st'altra forma è il Tempo. Lo spazio dev'essere infinito, ma non è infinito che per mezzo del tempo. Vale a dire che, come spazio, è sempre finito, e che l’infinità dello spazio è soltanto il tempo. Solo in questo infatti si ha come reale quella compiuta compenetrazione o intima unione del limite col limi- tato, che nel crescere o diminuire della figura, invece (la figura non si può considerar qui che quantitativamente), è una meta che si allontana | sempre a mano a mano che si fa più prossima ad esser raggiunta. Le massime distanze di cui parla l’astronomia non offrono al pensiero nulla di più elevato di quel che gli viene già offerto nelle ristrette dimensioni di questa camera. La distanza fra la Terra e quelle ultime nebulose che Herschel scorgeva col suo telescopio di quaranta piedi, e la cui luce egli calcolava dovesse impiegare circa due milioni d’anni per giungere Atti della R. Accademia — Vol. LI. 57° 882 ARTURO MONI a noi, è anch’essa una distanza finita nè più nè meno di quella che è dalla mia scrivania alla finestra. La finitezza, essendo qui la determina- zione fondamentale, non si cancella mai. Lo spazio non è mai l’infinità dello spazio, ma è sempre uno spazio o una distanza finita. Infinito è soltanto il concetto, ma il concetto dello spazio non è lo spazio, ma il tempo. Così ogni forma in cui è l’Idea come in generale esterna a sè, ossia come Natura, accenna ad un’altra forma, nella quale è tolta la particolare finitezza, o il particolare difetto, della prima. Qui, la fini- tezza dello spazio nascendo da ciò che, come astratta estrinsecità reci- proca delle determinazioni del concetto (o dell’Idea rispetto a sè), esso non giunge mai a superare l’opposizione fra la sua universalità (cioè fra sè stesso come estensione) e la sua particolarità (lo spazio come punto), la forma in cui cotesta contraddizione si risolve è quella in cui i due opposti (il limitato e il limite) sono immediatamente identici. Il significato della deduzione non è già che il tempo venga derivato dallo spazio 7» maniera esteriore, ma che l’incapacità dello spazio a soddistare all'esigenza del concetto accenna ad un’altra forma nella quale tale esi- genza si deve trovar soddisfatta: e che noi allora, cercando fra le forme naturali, troviamo che questa forma è il tempo. L'osservazione va estesa a tutta quanta la filosofia della natura, che non è quindi ciò che comu- nemente s'intende per una costruzione a priori dell'universo sensibile. Il concetto non costruisce che sè stesso, e soltanto noî riconosciamo nelle forme naturali le determinazioni del concetto, ordinando quelle se- condo queste. La scienza empirica non opera diversamente; se non che, non essendo guidata dal concetto (cioè dalla logica), lavora a caso. IX. Il tempo è l’esser per sè della negatività dello spazio, il limite di questo, che, per esser divenuto identico, mediante il processo della figura, allo spazio ch’esso limitava, si è esso stesso, cotesto limite, affrancato da quella limitazione sua se- condo la quale non era che limite di altro, cioè dello spazio. In cotesta limitazione esso era in generale il punto. Come limite non più di altro, ma di sè stesso esso è ora l’unità del limi- tante e del limitato, epperò la scomparsa del limite (come pu- ramente esterno) o, che è lo stesso, il suo riferirsi puramente a se, la sua interiorità o libertà. Il fempo è il punto libero. Dietro il concetto accennato qui sopra si può vedere come lo spazio non fosse propriamente altro, in sè, che tempo esplicato, mentre che il LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 883 tempo, ora, si mostra come lo spazio implicato. Infatti lo spazio era il cader l’uno fuori dell’altro il limite e il limitato, dei quali il tempo è invece l'identità. Questo rapporto della esplicazione alla implica- zione verrà poi a manifestarsi in maniera sensibile nel moto accelerato (v. art. XVIII). — L’appetito divoratore di Cronos è il mito in cui si rivela l'essenza del tempo, negativa dell’esteriorità, epperò distruggi- trice di ogni cosa che esista. Soltanto l’Idea non soccombe al tempo. Come virtualità che produce da sè tanto la sua esteriorità quanto la sua interiorità, l’Idea sorvola sull’infinità dello spazio, e al tempo so- pravvive come la sua stessa essenza o il suo eterno concetto. X. Nella sua universalità il tempo non è se non cotesta libertà, o cotest autonomia, per cui la negazione, che nello spazio appa- riva come negazione d'altro, qui appare come negazione di sè stessa, per modo che ciò che là rimaneva negato, l’estrinsecità reciproca, qui invece, negandosi come negato, si pone. Questo porsi, cioè il farsi, e non più soltanto l'essere, reciprocamente estrinseco, è la semplice universalità, o il semplice concetto del tempo, la Successione. Val la pena, a proposito di questo primo momento nello sviluppo del nuovo concetto, di riprendere in esame la differenza fondamentale fra il tempo e lo spazio, alla quale non fu dato di sopra che un sem- plice accenno. Spazio e tempo sono, per la coscienza ordinaria, due rap- presentazioni tanto diverse fra loro, tanto disparate, da far sembrare quasi ridicoli gli sforzi che si facciano per trovare fra i due una qualche differenza. Certo non v'è pericolo, per la coscienza ordinaria, di con- fonder fra loro quelle rappresentazioni. Cotesto però non basta per il pensiero. Il pensiero vuol sapere qual'è la differenza fra quelle cose che nell’ordinaria coscienza son date appunto come diverse. E quando sì tratti di dover specificare in che consista la differenza fra lo spazio e il tempo, allora comincia l'imbarazzo. A toglier questo non servirebbe il dire che si tratta qui, appunto, di due concetti tanto disparati che non è possibile assegnar fra loro alcuna particolare differenza, perchè quando cotesto non debba significare che spazio e tempo sono affatto identici (e la coscienza ordinaria sa che non sono), significherà che non corre tra loro alcun rapporto, mentre invece il loro rapporto ognuno sa che l'abbiamo presente nella velocità. Dunque spazio e tempo non sono nè puramente identici, nè puramente diversi, ma identici e diversì in- 884 ARTURO MONI sieme. Cerchiamo di determinar meglio in che consiste la loro differenza e la loro identità. E cominciamo da quest’ultima. Si è veduto che lo spazio era l’estrinsecità reciproca, l'assoluto (ideale) esser fuori di sè. Ora anche il tempo è questa estrinsecità. Infatti, ogni parte del tempo, come ogni parte dello spazio, è fuori di ogni altra, e tutte non sono che lo stesso, sia tempo, sia spazio. In questo dunque coincidono lo spazio e il tempo, che tutti e due son l’essere a sè esterno. Stabilita così l’identità, rimane da trovare la differenza. Ora se noi analizziamo ciò che si racchiude nell’ordinaria rappresentazione dello spazio, vedremo che quello per cui lo spazio si distingue dal tempo, è il coesistere, la simultaneità, dei reciprocamente estrinseci, ossia delle diverse parti dello spazio. Queste non solo son fuori le une delle altre, ma vi rimangono. Lo spazio, di per sè, è immobile, sta. Portando invece la nostra atten- zione sul tempo, tutti abbiam l’abitudine di dire che corre. Ora il cor- rere del tempo non è altro che il sostituirsi (in sè nè veloce, nè tardo, come osservò già Aristotele, giacchè velocità e tardità si misurano appunto col tempo) delle sue parti l’una all’altra, vale a dire il loro succedersi. E questo succedersi è il non rimanere le parti del tempo l’una fuori dell’altra, anzi il loro fondersi assieme, — la differenza per cui il tempo si contraddistingue di fronte allo spazio. Così pure quando consideriamo i tre momenti del concetto, l’universalità, la particolarità, e l’individualità, questi, nello spazio, cioè come estensione, punto e figura, stanno fra loro come separati, mentre la loro unità, il ]oro nesso o rapporto (cioè il concetto generale dello spazio) cade soltanto ?în n07, nella considerazione nostra, e non già rello spazio. Così, p. es., quando diciamo che il punto, negandosi, sì fa linea, non intendiamo affatto dire che sia il punto stesso come esistente fuori di noi, nello spazio, quello che col suo negarsi o uscir da sè (o “ muoversi, come dicevano già gli antichi geometri) generi la linea. Il punto non esce da sè, nè si muove affatto, nè genera nulla. Esso sta fermo. Quello dunque che in- tendiamo dire è semplicemente che xo? non possiamo conoscer la linea altro che come derivato del punto, e che solo perciò, solo per questa esigenza del conoscere nostro, noi supponiamo, o diciamo figuratamente, che il punto esca da sè e generi la linea. Ma riguardo al tempo non v'è alcun bisogno di questa restrizione. Quello che per lo svolgimento del concetto dello spazio era supplito da noi, il tempo lo fa da sé. Quindi il nesso, l’unità e l’universalità di quello che si deve svolgere, qui, non è più soltanto in noi, ma nell’oggetto stesso che consideriamo, cioè nel tempo. Così potremo dire che il tempo è l’oggettivarsi di quella che prima (ossia rispetto allo spazio) era la deduzione soltanto nostra, o soggettiva, dei momenti del concetto uno dall’altro. Nè v'è da preoc- cuparsi dell’affermazione appunto opposta di Hegel (Encyk?., $ 258, Anm.) LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 885 che quando allo spazio e al tempo si dovessero applicare le determina- zioni dell’oggettività e dell'(astratta) soggettività, quello sarebbe la prima e questo la seconda, giacchè Hegel ha in vista, in quel luogo, il processo come resultato, e noi invece il resultato come processo, cosicchè nel fatto la determinazione a cui si giunge si deve presentar capovolta. Perciò anche, dal punto nostro di vista, diceemmo che il tempo è il punto libero, non intendendo dir altro se non che il tempo è il concetto 7» quanto si svolge da sè (nei suoi momenti) in quella stessa maniera in cui prima lo svolgevamo soltanto noi. Questa è l'autonomia dello svol- gimento che abbiamo messa come base e ora ci servirà di guida nel- l’analisi o svolgimento che a nostra volta, soggettivamente, rifacciamo qui del concetto del tempo. — Perchè la differenza fra lo spazio e il tempo è quella dall'essere reciprocamente estrinseco al farsi tale, di qui si vede che il nostro passaggio dalla considerazione del primo a quella del secondo è un passaggio dalla considerazione della esteriorità dell’Tdea rispetto a sè alla considerazione della sua intimità con sè (entrando così nel punto di vista di Hegel accennato qui sopra). Infatti il farsi esterno, come processo, presuppone l'essere interno, a quello stesso modo che il farsi interno (il passare alla temporalità) presuppone l’essere esterno (lo spazio). Quello che è in giuoco, in queste due prime categorie naturali, sono insomma le due categorie logiche dell'Essere e del Divenire, cioè la calma e l'inquietudine. Il tempo è l'inquietudine dello spazio, e lo spazio è la calma del tempo, il tempo paralizzato, indifferente a sè stesso. Così anche se lo spazio era la forma in cui l’Idea appariva a sè come il suo altro, il tempo è la forma in cui, come cotesto altro, essa ap- pare a sè. Tutte queste determinazioni voglion dire assolutamente lo stesso, e non le ho messe qui che per lumeggiar meglio il concetto fis- sato già negli articoli. — Il tempo è la prima affermazione della libertà nella Natura, il primo passo che questa dà nel suo ritorno all’Idea, o nel suo farsi Spirito. Come essere reciprocamente estrinseco, la Natura è determinazione d’altro per opera d’altro. In questa determinazione ab extra sta la necessità delle cose naturali, la finitezza, il dolore. Ma in quanto la Natura stessa nega l’estrinsecità reciproca, ossia passa dall’essere spaziale all’esser temporale, questa negazione del negativo è la sua prima ancora astrattissima liberazione, il suo primo volgersi dall’esser deter- minata da altro al determinarsi da sè. XI. Dire che il tempo è lo svolgimento autonomo del concetto è dire ch’esso contiene in sè stesso tanto il principio quanto il ed Mi Le » n ro) 886 ARTURO MONI ( fine, o resultato, di cotesto svolgimento. Fissato astrattamente come quel principio il tempo è l’Istante. Come negazione nello spazio, e non dello spazio, è soltanto in sè, ossia per noi, che il punto si pone come il risorgere dello spazio dalla sua negazione, cioè come figura. L’istante invece, essendo negazione non soltanto nel tempo, ma addirittura del tempo (cioè non posta semplice- mente dal concetto soggettivo, ma dal concetto stesso come reale, og- gettivo) passa a negarsi di per sè, indipendentemente dalla considera- zione nostra. Così rispetto al punto, che è l’istante paralizzato 0 morto, l'istante potrebbe convenientemente chiamarsi il punto vivente, in quanto entra da sè nel suo sviluppo. La differenza fra il concetto generale del tempo e quello dello spazio appare in modo chiarissimo in questa diffe- renza fra i due indivisibili, temporale e spaziale, dei quali l’uno è fisso, mentre l’altro è la mobilità stessa. XII. L’istante, come principio libero o immanente dello svolgi- mento del concetto cne è nella forma del tempo, è essenzial- mente il resultato dello svolgimento, cioè il tempo svolto nelle sue dimensioni, o la Durata. L'istante è essenzialmente un altro istante, e così due istanti. Es- senzialmente, cioè per il suo stesso esser pensato. Infatti l'istante in cui l’istante è pensato non è più lo stesso istante che è pensato, ma è un altro. Mentre veniva ad esser pensato, l'istante è fuggito ed ha lasciato che in suo luogo sorgesse, ossia gli succedesse, un altro istante, che non è più quello di prima. Così si è prodotto fra i due istanti un certo tempo, e questo tempo compreso fra due determinati istanti è ciò che si chiama “ spazio di tempo , o durata. Soltanto questo è il tempo come veramente reale, mentre la semplice successione illimitata e l’istante come tale non sono, a petto di esso, che astrazioni, la materia del tempo e la sua forma astratta. — Negatosi nell’istante, il succedersi torna a sè, ossia sì riproduce, come durare. Le cose naturali non esi- stono se non in quanto, essendo delle figure determinate, durano poi come queste figure, ossia sono anche delle determinate durate. Quindi se Cronos, come il tempo in generale, è il divoratore delle cose, noi vediamo ora che le cose ch’egli divora sono quelle appunto in cui sì è riprodotto, cioè i suoi figli. L'unico di questi che seampa, e ne rovescia il trono, è il concetto, colui che regna sopra gli Dei e sopra gli uo- mini, Zeus. ATO 1° ME” LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 887 XII. Le determinazioni della durata sono i gradi di sviluppo del concetto del tempo, la successione, l'istante e la durata stessa, quali risultano dalla negazione di quella loro unità e universa- lità che è l'istante. Questo, negandosi, ossia sviluppandosi come durata, si pone: 1° come istante negato, — il Passato; 2° come istante che nega o, appunto, ?insta, — il Futuro; 3° come l’unità di quei due, cioè come il negarsi, ut sic, dell'istante, — il Pre- sente. ll rapporto di esteriorità nel quale queste dimensioni temporali, costituenti nel loro insieme lo sviluppo dell’istante, stanno fra loro, è il riaffacciarsi della spazialità dalla sua stessa negazione, un riaffacciarsi il quale non è però esso stesso che istantaneo, poichè le due parti, il Passato e il Futuro, non sono diverse se non in quanto si riferiscono alla loro unità, il Presente, e quindi in quanto, nel loro stesso distinguersi, si confondono. La durata è veramente uno “ spazio di tempo ,, cioè l’estensione dell’inesteso. Il tempo non è intuito che come estrinsecità o indifferenza reciproca del Prima, del Poi, e del Mentre. Però questa estrinsecità o indifferenza contraddice al concetto del tempo, consistente in ciò che le determinazioni, succedendosi, si pongono come sostanzialmente identiche. Quindi il tempo è pensato come la sua propria contraddizione, e solo in quanto è pensato come questa contraddizione è pensato come tempo. — Alle qualitativamente e quantitativamente varie figure dello spazio corrisponde, unica figura del tempo, la durata, le cui differenze son sol- tanto quantitative (di minore 0 maggiore lunghezza). Ciò accade perchè alla figura propriamente detta, ossia alla figura spaziale, è necessario il permanere delle determinazioni nella loro estrinsecità reciproca, mentre questo è quello che appunto viene a mancare nel tempo, le cui deter- minazioni, essendo già ciascuna in sè quello che son le altre, si sosti- tuiscono a vicenda e non sono, nella loro verità, altro che questo loro vicendevole sostituirsi. Il passato è stato prima futuro e poi presente prima di esser passato; e il futuro sarà presente e poi passato; e il presente, finalmente, è stato fino ad ora un futuro, ed è già passato in- tanto che lo considero. Questa incapacità delle dimensioni temporali di tenersi ferme le une contro le altre, rende impossibile la figura vera e propria, come quella che è la stabilità dei diversi nella loro diversità. 888 ARTURO MONI XIV. Nella durata si riaffacciava, ma in maniera affatto fugace, cioè come partecipante ancora del carattere generale del tempo, quella reciproca estrinsecità delle determinazioni del concetto, nella quale, come nella semplice forma dell’esser altro in cui l’Idea appare a sè stessa, consisteva, immediatamente, lo spazio. Come stabilmente risorta dalla sua negazione, questa estrinse- cità ci dà ora il concetto del Moto quale esplicazione effettiva dello spazio dal tempo, epperò come quella unità di queste due categorie nella quale ciascuna di esse riceve immediatamente la sua determinazione dall’altra. L’Idea, che come spazio non era se non la forma della propria esteriorità, e come tempo la negazione di cotesta forma epperò il suo formale, astratto pro- fondarsi in sè od apparire a sè, è quindi come moto il soggetto unico nel quale e per il quale, soltanto, appaiono le due forme della spazialità e della temporalità. Che il moto sia l’unità dello spazio col tempo vien messo in chiaro anche da talune delle ordinarie definizioni che se ne danno nei trattati di meccanica, p. es., da quella secondo cui “un corpo è in moto, quando esso corpo 0 le sue parti occupano successivamente diversi luoghi nello spazio ,. Ora come tale unità esso non è che il realizzarsi (lo stabilirsi) dello spazio per mezzo di quella negazione sua che, apparsa dapprima in una forma del tutto astratta, cioè come spaziale anch'essa, nel punto, sì produsse poi, come un concetto opposto a quello dello spazio, nel tempo. Il moto è dunque lo spazio stesso, non però come tale (cioè non com'era stato considerato da principio), ma come in rapporto al tempo, e precisamente come quello che sorge dalla negazione di questo. Di qui si può vedere quanto sia assurda, non essendovi nel concetto del moto nulla che non fosse già implicitamente contenuto nei concetti dello spazio e del tempo, non dico la ricerca della causa del moto, ma addirittura la supposizione ch’esso abbia, come che sia, una “causa ,. Infatti lo spazio e il tempo, lungi dal poter essere senza il moto, non sono anzi se non per questa loro unità negativa che, realizzandosi a spese del- l'astrattezza di ciascuno di essi, della opposizione dell’uno contro l’altro, presta loro una realtà concreta in sè come nel loro soggetto. — L’am- mirabile definizione aristotelica, secondo la quale il moto è l’atto di ciò che è in potenza in quanto è in potenza, non esprime (almeno in quanto sii dritti LE PRIME CATEGOKIE NATURALI, ECC. 889 sì riferisce al moto locale, che è il solo di cui ci dobbiamo occupare e che del resto dallo stesso Aristotele vien designato come quello che è presupposto da tutti gli altri) se non che lo spazio, come semplice spazio, non è affatto spazio, ma si fa tale (cioè diventa spazio determi- nato, ubicazione, Qui) solo per mezzo del moto. (La semplice potenza del Qui è il Non qui; ma il Non qui è potenza del Qui solo in quanto diventa Qui, e questo divenire è appunto il moto). — Al moto ocecor- rono spazio e tempo; eppure esso non è moto se non come negazione dell’uno e dell’altro, vale a dire in quanto, per suo mezzo, vien per- corsa, epperò sparisce, la distanza e il tempo passa. Anche la coscienza popolare viene a toccare il concetto speculativo della negatività del moto in talune espressioni usuali, come, per es., in quella di “ divorare (cioè annullare) la strada , ecc. — Spazio e tempo non sono fenomeni. Son soltanto le condizioni necessarie di ogni fenomeno, i due lati che in ogni fenomeno si devon presentare, in quanto che dev'essere per lo meno spaziale e temporale, vale a dire contenere per lo meno in sè lo spazio e il tempo. Ma questo minimum che è necessario al fenomeno per poter essere un fenomeno, non è più soltanto semplice condizione dei fenomeni, come lo spazio e il tempo presi separatamente. Contenendo in sè tutto quello che abbisogna a produrre la fenomenicità, l’unità di spazio e di tempo è essa stessa il primo fenomeno appunto come questa fenomenicità, vale a dire come generalità, pura e semplice, di ogni fenomeno. Ed è il moto. Di qui la facilità grandissima con cui tutti i fenomeni sì posson ridurre a moto, questo essendo infatti il loro genere; facilità di cui non manca di approfittare la scienza empirica, la quale peraltro dimentica che con cotesta riduzione, cioè colla “ spiegazione , di un fenomeno per mezzo di vibrazioni, oscillazioni ecc., se ne va la specialità del fenomeno stesso (cioè per l’appunto il più interessante), nè più nè meno di come se ne andrebbe la specialità, p. es., del cane quando io pretendessi di farlo conoscere dicendo che è una specie di animale. — La categoria del moto sarebbe suscettibile di uno sviluppo assai ampio, avendo un contenuto ricchissimo. Ma per non sovraccaricare questo semplice schizzo della parte generale o formale della meccanica speculativa con particolarità d'importanza secondaria, mi fermerò soltanto ai momenti principali. L’ Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. Veli 4 ig: ’ PRA ma) ton p@gi ZA La è . y A AA “ SA Wnp.i nioò vtairginab tag. dl: it Lui alfah. latdaee sataocola # €) Hi: SUI, ae (ila ito IRBRTT sh oto tu gni (OIXa a oktetta:& nos bis p ti LL0x [GITLA, SUOI: MTIFIÙ Stili (Up goni CA iirk) fe Ù 4 AR RIRSTIONI . * g sd melo dug se Ano *? ini > nio Si s°fnh TESO mito dA ira siozog intoiad iti tro liniatota ves: Li ii Te La QI sera ruosat on ifP'" (4) (perchè g*! > 0), I TEOREMI DI BERNSTEIN E PRINGSHEIM, ECC. 897 donde, integrando o" (2) =" (mg (= 0" (A) pn (2) = pin?) (1) È pi (4) = Lari h)° pl” (A) (e — 9° nT_-2 p(e > -P'" (4). SR h ; - ì Cioè, posto È = 8, dove 8 è compreso tra 0 ed 1, sarà: Pl (02) < "po di er 2. Posto ge o pasa DI sia ®, (0,04) = sa (0a); si ha (Cauchy) che (per un valore, generalmente ignoto, di 6) la ®, (9,x) rappresenta il resto della serie di Taylor relativa alla funzione @ (x). Ora, per il nostro risultato, d, (0, 0 in serie di Taylor nel massimo intervallo 0=x< R, dove essa e le sue derivate non sono negative, e soltanto in tale intervallo (cosicchè se R=0, la f (x) non è sviluppabile in serie di Taylor). 2° Condizione necessaria e sufficiente affinchè una funzione f(x) sia sviluppabile in serie di Taylor nell'intervallo 0=xl.7.113; Cristallo N. 2 (Fig. 3). — Un secondo cristallo fu staccato dallo stesso campione del primo. Di colore giallo verdastro chiaro, si presenta tabulare secondo }001{ e raggiunge nella direzione dell'asse 5 una lunghezza di 6 mm. Osservai in esso le forme seguenti : M } 001! T } 100} fe): S01Ld 1}2014 r\ 101! e } 101! m {102 z 1101 k 30121 } 0.41.83} 10.18.35! b } 023! o} 011! n + 111% e t6.6-17 delle quali } 0.41.83, } 0.18.35 {, } 6.6.17{ sono tre forme vici- nali, nuove per l’epidoto in genere. Di esse le due prime sono vicinali alla }) 012, frequentissima nell’epidoto anche di Val d'Ala. Sono tutte e due nitidissime, piane e regolari, e le loro faccette, che nella figura non portano lettere, hanno permesso ottime misure : (001) : (0.41.83) = 38° 51’ mis. 38° 51’ 1/, cale. (001) : (0.18.35) = 39059" , 39° 59 1/, SULLA PRESENZA DI TERMINI CLINOZOISITICI, ECC. 903 Si tratta, evidentemente, di due faccette che sostituiscono } 012, per la quale si calcola (001):(012) = 39° 12”. La prima ha quasi la posizione di ) 012, poichè non ne dista che di 21‘, mentre di più se ne allontana la seconda (47). e} 6.6.17 è una vicinale a } 113. È rappresentata, nel cristallo, da un’esile, ma nitida faccetta, che ha fornito misure buone : (001) :(6.6.17) = 29° 43’ mis. 29° 44' calc. Per }113{ si calcola (001) :(113) = 28° 57’: si ha, cioè, fra questo valore e quello misurato per e, una differenza di 46‘ molto superiore a quella rappresentata dall’incertezza della mi- sura, che non supera i 2’. È noto, del resto, che il prisma }113! presenta non di rado nell’epidoto la tendenza ad essere sosti- tuito da facce vicinali. Così, il Brugnatelli (1), in alcuni cristalli di località sconosciuta, trovò delle faccette di un }%%/ che formavano con la base degli angoli variabili fra 30°12' e 30°51, per la posizione media delle quali si può calcolare il simbolo }4.4.11{. La faccetta da me osservata costituisce un termine di passaggio fra }113{ e quelle notate dal Brugnatelli. Mentre le faccette osservate da Brugnatelli e da me formano con la base un angolo più elevato di quello formato da }113{, Biicking ha trovato, in un cristallo del Sulzbachthal, una faccetta meno inclinata sulla base, per la quale ha calcolato il simbolo ):3.3.10(. In complesso si tratta di faccette di posizione variabile, oscil- lante di poco intorno a quella che spetta a } 115. Nella zona [010] è di gran lunga predominante } 001, se- guono poi, in ordine di grandezza, }100, }301{, }201{ e, infine, }101{ e }102!. Le due prime sono splendenti e danno buone misure, }101{ ha una sola esilissima faccia che dà im- magine diffusa, mentre }102{, altrettanto esile, ma splendente, dà una sola immagine nitida. Tra le forme laterali, domina }111{, mentre tutte le altre sono affatto subordinate. Tutte, però, permettono buonissime misure, essendo piane e splendenti. (1) Beitr. zur Kenntniss des Epidot. * Zeit. fiir Krist.,, 1890, XVII, 529. 904 FAUSTA BALZAC Cristallo N. 3 (Fig. 5). — Pur appartenendo allo stesso campione, presenta un habitus completamente diverso da quello dei due cristalli sopra descritti. Ancora allungato secondo l’asse è, nella quale direzione raggiunge la lunghezza di 3 mm., si presenta quasi tabulare secondo }100{. È cristallo povero di forme; le osservate sono : M)}001| T.;100| 1} 2011 1,3} 23.0.12 | e {1014 i } 1024 z}110! b } 023! o} 011! k } 0124 uv lai, di esse, la vicinale /, }23.0.12 sarebbe nuova per l’epidoto. Si presenta sotto forma di una esile faccettina, che ha fornito una discreta misura : (001) : (23.0.12) = 88° 34' mis. 88° 35/ cale. Come è noto, } 201{ presenta una grande tendenza, nell’e- pidoto, ad essere accompagnata o sostituita da vicinali: quella da me osservata ha una posizione intermedia fra quella che spetta a } 201! e quella che compete alla }13.0.17{ di Biicking. Nella zona [010] le due forme più sviluppate sono }100 { e } 001}, delle quali la prima è un po’ più grande della seconda. Tutte le altre forme di questa zona non presentano che faccette molto esili. Le forme terminali hanno tutte facce bellissime: notevole e, però, lo sviluppo del tutto irregolare del cristallo. Così, o }011{ non possiede che una sola grande faccia, e le due di k } 012! sono di grandezza diversissima: anche (111! ha una sola faccia abbastanza grande. Cristallo N. 4 (Fig. 4). — Dallo stesso campione estrassi un altro cristallo, piccolo, debolmente colorato in giallo, il quale presenta un certo interesse pel numero considerevole di forme che presenta e più ancora per possederne alcune assai rare nell’epidoto in genere. Per quanto esse siano pochissimo svi- luppate, danno immagini così nette, che le misure relative ad esse sono molto prossime ai corrispondenti valori calcolati per l’epidoto. in SULLA PRESENZA DI TERMINI CLINOZOISITICI, ECC. 905 Come il precedente, questo cristallo, si presenta tabulare secondo } 100 ed allungato nella direzione dell'asse >. Le forme che ho potuto osservare sono le seguenti : M)001: TT) 100! P)}010| h}201: \LTiO. el ) 504 | e {101} Q}105! ) 506! r } 101! L}201: }17.0.5.! 2 } 110 o} 011} d 111 n)l11! g} 144} e+118| X }213! H }732{ b}233! delle quali } 506, }17.0.54, il giacimento. )506{ e }17.0.5{ trovate già da Biicking nei cristalli di Sulzbachthal, si presentano ciascuna con una faccetta esile, ma piana, che dà un'immagine discreta : )17.0.7, ) 504{ sono nuove per 55° 38° cale. 100° 45’, — 55037 mis. =.1008800 >, (001) : (506) (001) : (17.0.5) }17.0.7: scoperta da Griinzer nei cristalli dello Habachtal, possiede una esile ma nitida faccetta: lo stesso si verifica per ) 504 {, trovata la prima volta da Artini nei cristalli di Mor- tigliano (Isola d’Elba): A8%530 mis, 7° cale. DHIRISSo, (001) : (17.0.7) (001) : (504) Nella zona [010] dominano le forme }100{ e }201{, che hanno grandezza poco diversa: tra le forme terminali le più estese sono } 110} e }111{. Cristallo N. 5 (Fig. 2). — Un quinto cristallo di aspetto diverso proviene dal campione contrassegnato col N. 6022. I cristalli di epidoto, di colore giallo vino chiaro a giallo miele, bellissimi, e che raggiungono nella direzione dell’asse è fino 15 mm. di lunghezza, tappezzano una fenditura di un gabbro in via di prasinitizzazione, nel quale è ancora riconoscibile la ra struttura gabbrica, ma il diallagio è trasformato in anfibolo ed il plagioclasio è saussuritizzato profondamente. Questi cristalli sono più ferriferi di quelli precedentemente descritti. Descriverò un geminato secondo la solita legge: asse di geminazione la normale a }100{, tabulare secondo }100{, e di colore giallo vino chiaro. I due individui che lo costituiscono presentano le seguenti forme : il 1° di sinistra: 906 FAUSTA BALZAC M)}001) T)100! e } 101! 1}2014 wi, } 702 | 2 }110! u }210! o)011! dY111} e } 1134 X }213} b}233| n {111}; il 2° di destra: M}001: T}100! P}010! e } 101: Z}201! s }203| ) 13.0.20 { i 1021 \ 6.0.25 | ) 104 | 2} 110) u } 210! o }011| e } 113! X 3213! n} 111 Vi d5Li 1.3 1711 q}221 b}2331 Fo'2.13.24 Di queste w,}702{, «}171{ e F,}2.13.2{ sono nuove per la località. w, è stata già trovata nel cristallo N. 1: in questo si presenta con una nitida faccia, non molto piccola, che ha dato buone misure: (001) : (702) = 101° 6’ mis. 101° 12’ cale. )13.0.20{ e } 6.0.25{, trovata l’una da Biicking nei cristalli di Sulzbachthal, l’altra da Flink in quelli di Nordmarken, pos- siedono ciascuna una esile faccetta, che ha dato immagini ni- tide, ma pallide : (001) : (13.0.20) = 44° 44' mis. 44°32’ cale. (001): ( 6.0.25)= 16° 9 , 15041’, SULLA PRESENZA DI TERMINI CLINOZOISITICI, ECC. 007 Per quest’ultima, la differenza fra il valore trovato e quello calcolato è sensibile, ma dato che la misura non è esattissima, non ho creduto di calcolare un nuovo simbolo. )171{ è una forma rara nell’epidoto, stata scoperta da Biicking, nei cristalli del Sulzbachthal; in uno dei due individui del geminato che descrivo si è osservato con una stretta, ma nitida faccetta, che ha permesso buone misure : (010) VI71)°= 5049" nia, 5945 calc. Anche }2.13.2{ è stata per la prima volta rinvenuta da Biicking nei cristalli del Sulzbachthal: nel mio cristallo pre- senta una esile faccia, piana e splendente : (019): (2.13.2) =.6°20' mis... 6°11' cale. Quanto alle altre forme presenti in questo geminato, non presentano nulla di notevole, e la Fig. 2 ne mostra lo sviluppo relativo. L'indice di rifrazione }, determinato per la luce del sodio, è: == 1.7209. Nella tabella seguente ho posto a confronto gli angoli mi- surati per le forme già note per la località, coi calcolati in base alle costanti di Kokscharow per l’epidoto in genere: Atti della R. Accademia — Vol. LI. 59 , guar i. FAUSTA BALZAC 908 Si 6 L Ù Se 86 c 86 GG 66 86 LL29T 196 09 7 Cd d dAa3i0o0 TFT «xa Lc < € «€ I = np) {e -_ MONBYISNOY Ip 17uggs09 OZU9IOHI(] 0109 Ije]oo]eo TIO[B A ooo reo Tmm mer’ Ss ii: ;;a LS 301 ui S 101 DTO TRASI z "lr 88 86 Pe 86 - 8£ 86 E CE 68 GE 68 - 08 68 , SE SH = : Sc 76 66 Fe - Io PE ni 6 9I = ? ce sq ci ; DE 89 6? 89 - IR_89 8 Ia OT =. I 97 FS 0S 78 - EP FE } 88 88 Al i 8 9% Dei i (LE 099 I8Vop9 - GG oPI II 0IPIN drngtorcelidp onore EE O1QUINN —_ ° dai uma =) =) GOL : 100 108 * 100 108 : 100 608 * 100 GOI : 100 POI * 100 90S : 100 IOI * 100 GOT : 100 TOT : 100 FOS : 100 10% ® 100 001 : 100 * a 909 SULLA PRESENZA DI TERMINI CLINOZOISITICI, ECC. -_ 69 3 dI 6E 8P 07 ida 6. - Sg 69 - I 8G - 9F GL - 3I 69 - e 3a - 9 62 - ee 0 GI cp) Tu di I 001 001 010 010 100 107 011 100 007 001 100 100 001 910 FAUSTA BALZAC Saf. Che i cristalli da me descritti rappresentino effettivamente dei termini clinozoisitici risulta chiaramente, in primo luogo, dalle determinazioni, già riferite, dei valori trovati per l’indice di rifrazione £. Si ha infatti : Cristallo N. 1 B= 1.7 DUET; 5 RR B= mentre nella clinozoisite, riconosciuta sicuramente tale in base all'analisi chimica quantitativa, vari studiosi hanno trovato: B Clinozoisite di Campo a Peri . 1.7140 (Millosevich) a della Gosler Wand . 1.7195 (Weinschenk) È di St. Barthélemy . 1.7200 (Millosevich) 5 passante all’epidoto di Huntington. . 1.7245 (Forbes). Come si vede, i valori da me ottenuti sono vicinissimi a quelli dati per le clinozoisiti tipiche, e molto inferiori già al valore trovato da Forbes nei cristalli di Huntington, che con- tengono soltanto 5.67 %, Fes0:. L'appartenenza alla clinozoisite dei miei cristalli risulta, poi, provata dalle determinazioni di peso specifico. Per la clino- zoisite tipica della Gosler Wand, Weinschenk dà 3.372, mentre Westergàrd avrebbe trovato un valore più basso, e, precisa- mente, 3.344: Millosevich per la clinozoisite di Campo a Peri da 3.339. Queste determinazioni sono state eseguite mediante il pic- nometro. Sciogliendo dello jodoformio nello joduro di metilene. è, però, possibile eseguire la determinazione del peso specifico degli epidoti clinozoisitici col metodo della sospensione, che conduce a risultati, come è noto, assai esatti. Ho creduto op- portuno rideterminare il peso specifico della clinozoisite classica della Gosler Wand. SULLA PRESENZA DI TERMINI CLINOZOISITICI, ECC. 911 Ho impiegato tre piccoli cristallini, di colore roseo chia- rissimo, quasi incolori, perfettamente limpidi e trasparenti, senza traccia di inclusioni, che furono staccati da un fram- mento di uno dei campioni originali del Weinschenk, stato do- nato anni indietro dall’illustre Prof. P. von Groth al Prof. Zam- bonini. Tutti e tre questi cristallini hanno fornito lo stesso valore per il peso specifico, e, cioè: 3.369 (a +4- 17°C.). Questo valore conferma quello di Weinschenk e dimostra che quello fatto conoscere da Westergàrd è troppo basso. Nei cristalli da me studiati della regione del Colle del Pa- schietto, io ho trovato : Cristallo N. 5 peso spec. 3.379 i Ie BI); 1 3.380 Î 5 e È : AQLNEBISgA 2 A " 3.385 a + 16°0. Questi valori sono lievemente più elevati di quello che spetta alla clinozoisite classica della Gosler Wand, ma sono assai più bassi di quelli che competono agli epidoti propriamente detti, nei quali il ferro trivalente è contenuto in quantità no- tevoli: in quello ben noto della Knappenwand si è trovato, infatti, 3.491. Nel chiudere il mio breve studio, mi è gradito esprimere i sensi più vivi della mia riconoscenza al Prof. Zambonini, il quale, oltre ad offrirmi larga ospitalità nel laboratorio da lui diretto, e concedermi in istudio materiale rarissimo, di sua proprietà, con insegnamenti e consigli illuminati, mì fu guida preziosa nelle mie ricerche. CINO POLI Un teorema di esistenza per equazioni integrali non lineari. Nota di CINO POLI. 1. — In questa Nota dimostrerò l’esistenza’ di una solu- zione per alcuni tipi di equazioni integrali non lineari, che si possono ottenere da problemi di variazione di integrali definiti. Notevoli risultati sono stati ottenuti in questo campo in due differenti indirizzi. Da una parte i noti metodi di calcolo funzionale di V. Volterra (') permettono di ottenere teoremi di esistenza per equazioni funzionali di tipo assai generale: la loro applicazione importa però condizioni restrittive sulle funzioni che si considerano. Il metodo delle successioni minimizzanti invece (2) è stato applicato finora solo a tipi particolari di equazioni funzionali, ma permette una generalità notevole per le funzioni da considerare. Con questo metodo Holmgren (#) ha ritrovato il teorema di Hilbert sull’esistenza di una soluzione dell'equazione integrale lineare omogenea. G. Fubini (4) ha dimostrato l’esistenza di una f che soddisfà all’equazione non lineare fe=N| | K (0,92) (fu) (fe) dy de (!) V. Vorrerra, Lecon sur les équations intégrales et les équations intégro- différentielles, Paris, 1913. (?) D. HiLsern, Ueber das Dirichlet sche Prinzip, Gòttingen, 1901; “ Mathem. Annalen ,, 59 (1904), pp. 161-186. (3) F. Howaren, Sur la théorie des équations intégrales linéaires, ° Arkiv for matematik, astr. och fysik ,; 8 (1906), n. 1. (4) G. Fueini, Alcuni nuovi problemi di calcolo delle variazioni con appli- cazioni alla teoria delle equazioni integro-differenziali, * Annali di matema- tica ,, (3), 20 (1903), pp. 217-254, $ 2. den e * LEVE UN TEOREMA DI ESISTENZA PER EQUAZIONI INTEGRALI, ECC. 918 risolvendo il problema di rendere minimo | J i | K (x, y, 2) (fw) (fy) (f2) dx dy da /0 colla condizione | (fida =# Un teorema generale sulle successioni di funzioni dato dallo stesso Autore (ma di cui egli non aveva fatto uso), mi ha per- messo di dimostrare l’esistenza di una funzione @ che rende minimo o massimo (1) I. S4 | 2) (07,).. (94) del 0 0 e di una che rende massimo n Tae (2) AÎ ta È Fi(c1..: La) (Pr) 0%) (Pra) de; ... des a colla condizione | (0) de=1, JO in un modo che non manca, parmi, di rapidità e di eleganza. Da questi risultati discende facilmente l’esistenza di una soluzione per le equazioni integrali non lineari è ga i. (3) px + I, sa li F (1,41 ---4) (Py)... (Py) dy, ... dy,=0, È (1 (1 : (4) px +) È " I, F;(c,y1... Yri1) (Py)... (Y2;) dr . Ayei = 0. oi! x r 2. — Le funzioni che considero sono definite per tutti i valori delle variabili compresi fra 0 ed 1, i loro quadrati sono integrabili (secondo Lebesgue), e gli integrali sono sempre estesi da 0 ad 1. Sovente scrivo {fp dp invece di |... {f(x,...x,) dr... dr, indico cioè con p il complesso (1, ..., x). 914 CINO POLI TEOREMA. — Stîa u;, Us, ... una successione di funzioni di r variabili, tale che |(u,p)? dp abbia un limite superiore finito H2. Esiste una successione Vi, Vg, ... etc. contenuta nella prece- dente, ed una funzione w, tali che {(wp)® dp esiste ed è <= H?, ed inoltre lim { (fp) (0.9) dp=j (fp) (ep) dp qualunque sia la funzione £ purchè integrabile al quadrato (1). La w si dirà funzione quasi-limite delle ». Sia @,%, @3%, ... un sistema completo di funzioni ortogonali normali nell’intervallo 071; cioè: ((Q;ade=1; [(0,0) (02) de =0, i. La , è individuata dalle sue coordinate in questo sistema, cioè dai valori delle costanti (1) olii aderente L:.(0Lr9) dai... de}. L'insieme dei complessi <= (î, %», ... î.) può esser posto in corrispondenza biunivoca coi numeri interi, e quando questo sì supponga fatto una volta tanto, posso indicare le coordinate di «, con d,, dove A è un intero. Ciò posto, quando » tende ad co, è, ha un limite superiore d’indeterminazione finito 8, (2). Cioè dato » esiste un m >» tale che (2) om — Bi<1/n. Chiamo ,, quella «, soddisfacente alla (2) in cui m è mi- nimo, e di, le rispettive coordinate; quindi qualunque sia » (5) lidia — BR, (= ln. (4) Cfr. G. Fusini, loc. cit. La prima parte della dimostrazione seguente, cioè la dimostrazione dell’esistenza di una successione di « le cui coordinate tendono a limiti finiti e determinati, è affatto originale. Essa non fa uso del postulato di Zermelo. La seconda parte invece è calcata su quella del Prof. Fubini. (*) Poichè Y dai = f(unp) dp < H°. ro _—‘’ _- UN TEOREMA DI ESISTENZA PER EQUAZIONI INTEGRALI, ECC. 915 Analogamente le d,,,, hanno un limite superiore d’indeter- minazione 8», e dato » esiste un m >» tale che (4) |dime — Be |<1/n e chiamo %», quella ,,, che soddisfa alla (4) in cui m è mi- nimo, e ds,,, le sue coordinate. E chiaro che | da,m® — Bi |<1/n e dann i B, | —_ | Aim ra B, [|< 1 m << 1/n. In generale, supposto definiti v., e d,,, e avendo (5) lider Ta Bi |< 1 n (i < r) osservo che d,.,,., ha per n= 0 un limite superiore d’indeter- minazione 8,.,, pel quale, dato » esiste un m >» tale che (6) | ia G Bri | m k k IS(0,p9) XY d;9;pdp— {wpYb;@;pdp|=eH, i=l = onde IS @0p) (fo) dp — S (1. p) (fr) dp|=36H, ossia resta dimostrata la (11). In particolare se fp = 1 si ha (12) lim fw,pdp= {up dp. Terminerò con una osservazione che sarà utile nel seguito. Sia ®;, sg ... una successione di funzioni di una sola variabile, che definisce una funzione quasi-limite w. La successione delle Un (2, ". xi) = (, xi) (®, xa) sec (P, xi) ha per funzione quasi-limite precisamente la WwW (2, 1a xi) = (4) (4x3) -SE (Jr). Infatti se a,,, è la A-esima coordinata di ®@,,, e a,=lima,, nas quella di w, le coordinate di vu saranno OCEAN o An,hy An,hax 0 An,hy . 918 CINO POLI ed avranno dei limiti determinati e finiti A hihahy = Ch, Ap, 0 Uh 3 che sono precisamente le coordinate di w. Dunque sarà lim Saff(c;... 2) (0) (9) de, ... dei= =[.f...z) (2) (vr) der... de; qualunque sia la f. 3. — Sia fp una funzione del complesso p d'ordine r e sia (1) S(fp)} dp= E°. Chiamo U l’insieme delle funzioni vp di p tali che (2) S(up} dp=1. Esiste una funzione U che rende massimo 0 minimo l'integrale (3) Iu= | (fp) (up) dp. Anzitutto per la disuguaglianza di Schwarz (4) |lu|=X, quindi il limite superiore L di |/x| in U è finito. Esisterà in U una successione %;, vs ... tale che (5) hmnilu=>=4Lg e per il teorema del n. 2 vi è una successione 7; ... contenuta nella precedente che definisce una funzione quasi-limite w. E sì avrà (6) flop? dp=1; lim | Io,|=L n= e per il teorema del n. 2 lim { (fp) (020) do= {(fp) (wp) dp, E° Val UN TEOREMA DI ESISTENZA PER EQUAZIONI INTEGRALI, Ecc. 919 quindi (7) | wo ==t. Ma se pongo wp up = 5 È I) (10p) dp ho f(up)} dp=1 e SE RE an]. io Li-@ |Iu|= Sep} ap = Î(wp)dp ” onde non potendo |/x| superare £ e tenendo presente la (6). ho fp) dp= 1. Cioè w appartiene ad Z e quindi la (7) dimostra l’esistenza del massimo di |/|. È chiaro inoltre che in virtù dell’osservazione fatta in fine al n. 2, il ragionamento precedente resta valido quando U sia l'insieme delle funzioni v della forma pu.) = (021) (P23) .- (07). Cioè che fra le funzioni @ di una sola variabile tali che {(®@x)? de =1, ne esiste una w che rende massimo o minimo (8) ee) dr a de: La funzione w ora definita soddisfà ad una equazione inte- grale non lineare. Pongo (9) = )y + ux, dove x è una funzione arbitraria. La condizione (10) S(pe)}} de =X + 2A f(w2) (xe) de + n° | (x7)? de = 1 determina \ in funzione di u in un intorno di u= 0 e per modo che per u=0, \=1, gp= vw. Dunque Ig =I(\w+ px) 920 CINO POLI è una funzione di u che ha un massimo o un minimo per u= 0, perciò d (1) I IOy+uy)|_,= 0 Posto per brevità (12) I(919s...pP.)={[...{f(c....2.)(P121)(P2 22) ...(P_x,) de... dx,, e supposta la f(x; ... ,) invariante per sostituzioni circolari sulle x (!), trovo (13) I(y+ px) =N"Z(w...w) +7" uZ(x,w...W)+...+h"Z(x,-.X), e osservando che dalla (10) ho (14) (Ge) I (02) Ga) de, risulta 15) (Ga), II (02) de +I 4. 0, ossia Suz[S...Sf(2,21,.--2,-) (Ve)... (Ye) de; ... de, — La] de=0. Dall’arbitrarietà di x deduco S..Sf(2,21,...2,) (427)... (We,_) de; ... de,_ = Lye. Posso dunque enunciare il teorema: Se f è una funzione di r + 1 variabili, integrabile al qua- drato, esiste almeno un valore reale del parametro \ pel quale la equazione integrale non lineare in ® (16) Art f... Îf (2,41, .-4) (9%) -- (94) dy ... dy,= 0 ammette una soluzione diversa da zero. (4) Questa ipotesi non è restrittiva. Potrei supporre ancora le f qua- lunque, e troverei che la y soddisfà ancora ad una equazione integrale in cui invece di f compare un nucleo formato con essa e che gode dell’inva- rianza per sostituzioni circolari. UN TEOREMA DI ESISTENZA PER EQUAZIONI INTEGRALI, ECC. 921 4. — Sia ancora U l'insieme delle funzioni @ di una va- riabile reale tali che {(9x)® dx =1 e consideriamo l’espressione (1) Jo=L/.. SF; (2, ...%:) (Pr)... (79) da, .. dui =XL®, dove le F; sono tali che /;g =>0 qualunque sia la @ (anche non di U). Generalizzando il metodo del n. 3 si dimostra l’esistenza di un massimo di /x in V. Anzitutto, posto (2) Î Nea Î 2 (x: sa Loi) ]} da, Dea dr; = H;, applicando la disuguaglianza di Schwarz ad ogni singolo I;@ (p essendo in V) e sommando, trovo (3) JoG}Lv= mi * sel i=l 922 CINO POLI — UN TEOREMA DI RESISTENZA, ECC. poichè ZL, y =>0. Se dunque fosse m <1 avrei il risultato as- surdo Jo > L. E anche ora si dimostra facilmente che la w che rende massimo /J soddisfà ad una equazione integrale. Supposto che le F, siano invarianti per sostituzioni circolari sulle variabili, pongo come al n. 3, gp =w + px colla condi- zione (10), e tenendo presenti le (11), (12), (13) trovo n J (Ap+ ur) = YL(Ayw+ ux)= al - n = XL (w... 4) + 24°" ud; (x, ww) +... + "Lx ---%)]; i=l Poichè per u=0 /(Xw + ux) è massimo, l’espressione ottenuta è nulla, e ricordando che x è arbitraria e che Jyw = £, ho n Dà I cre i F, (2, LI ee Le) (wr,) du (Wes) da, oa dz = Luye. ssi Questo risultato dimostra che esiste almeno un valore reale del parametro X pel quale l'equazione integrale non lineare in ® Nos Ù LE j Fi; (2, Ye. Ysi-a) (Py) "i (Puri.) dy "e dysi-1 =0 il ammette una soluzione non nulla. fel Torino, 7 marzo 1916. L’ Accademico Segretario CorRADO SEGRE. 923 SCIENZE MORALI. STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 30 Aprile 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci CarLe, Rurrini, D’ErcoLe, BRoNDI, Srorza, ErnaupI, BauDI pi Vesme, VIDARI, PRATO, e STAMPINI Segretario della Classe. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza prece- dente del 9 aprile. Iì Presidente S. E. BosELLI comunica, con parole di vivo compianto, ' la morte dell’insigne letterato siciliano Senatore Giuseppe PrrrÈ, e propone siano espresse le condoglianze alla Reale Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo che inviò l’annunzio della perdita dolorosa. La Classe approva. Il Presidente annunzia pure che, facendosi interprete presso il Ministero della Istruzione del voto unanime espresso dalla Classe nella sua adunanza del 27 febbraio, ha ottenuto che l’antico fiorino d’oro battuto dall'Ordine di Rodi, e sul quale è effigiato genuflesso Deodato di Gozono, gran maestro di quel- l'Ordine di Cavalieri, essendo stato trovato in Piemonte e pre- cisamente nell'antica casa dei Provana, alcuni de’ quali appar- tennero a quell’Ordine, sia conservato nel Museo Civico della nostra Città. Il Socio Vesme conferma che, come sopraintendente alle Gallerie e ai Musei medioevali e moderni del Piemonte, ha Atti della R. Accademia — Vol. LI. 60 924 già ricevuto l’invito a fare la consegna del fiorino al Museo Civico, e ritiene che di questo fatto sarà lieta non solo Torino ma tutta la regione Piemontese. E la Classe delibera sia rin- graziato il Ministero per la presa deliberazione. Il Presidente inoltre presenta alla Classe il recentissimo libro di Michele ScHeRrILLO “ Niccolò Machiavelli 12 Principe e altri scritti minori ,, che fa parte di quella “ Biblioteca Clas- sica Hoepliana , di cui già non pochi volumi ebbero le dotte cure dello ScHERILLO che si compiacque farne omaggio all’Ac- cademia insieme col benemerito editore Ulrico Hoepli per mezzo del Socio Rurrini. Di questa nuova pubblicazione, cui aggiunge interesse e pregio una lettera di S. E. Antonio SALANDRA, discorre con rapida analisi il Presidente, facendo notare la dottrina, l’abi- lità, la profonda conoscenza degli scritti del Machiavelli, che si appalesano non solamente nel saggio introduttivo La mente e l’opera di Niccolò Machiavelli, ma anche nelle note, in cui si contengono preziosi riscontri fra pensieri e parole del Principe e degli altri scritti compresi nel volume, dei quali rileva e loda la scelta, e pensieri e parole di altre opere del Segretario fio- rentino e del Guicciardini, non che di altri scrittori antichi e moderni, latini, italiani e stranieri. Al quale proposito il Pre- sidente, dopo essersi intrattenuto a discorrere degli scritti più notevoli che concernono il Machiavelli, e dei quali si giovò lo SCHERILLO, pur conservando all'opera sua un'impronta propria e originale; e dopo aver fatta perciò menzione di quanto al riguardo fu dettato, fra altri, dalla penna dello Zambelli, del Macaulay, del Mancini, del Gioda e, segnatamente, del Villari e del Tom- masini, autori delle due opere fondamentali e capitali per la cono- scenza del Segretario fiorentino; ed essersi soffermato sulle pole- miche cui il Tommasini vittoriosamente e argutamente rispose a sostegno del suo erudito, poderoso e compiuto lavoro; altamente si compiace che lo ScHERILLO, nella lettera, che serve di prefazione, a Sua Eccellenza Antonio SALANDRA, abbia preso le mosse da una recente ingiusta e ingiuriosa rievocazione del “ gran nome del Cere re —- 925 nostro sommo statista, per gettarlo in viso al Governo d’Italia ,. Il Machiavelli non fu il freddo, il cinico maestro e banditore di una massima crudele e spietata da porsi in atto per opprimere l'indipendenza dei popoli deboli, per considerare come carta straccia i trattati che guarentiscono i diritti delle nazioni: ma egli. il maggior storico del suo tempo, egli creatore del metodo con cui si studiano i fatti e 1 loro moventi, egli fondatore della scienza ossia della filosofia della storia, fu ad un tempo maestro di dottrina politica rivolta interamente ad un grandissimo, no- bilissimo scopo, la liberazione dell’Italia dall’oppressione interna ed esterna, la sua riunione in un sol corpo di nazione sotto un Principe italiano. Non fu politica che insegnasse a opprimere le nazioni deboli e pacifiche; fu politica che additava agli Ita- liani il modo di crearsi una patria secondo lo spirito nazionale. Di sentimento italiano più assoluto forse, più esclusivo che non fosse Dante, il quale pensava ad un'Italia unita sotto Alberto tedesco, il Machiavelli, che già aveva sperato nel Duca Valentino, si volgeva ad un Principe di Casa Medici perchè re- dimesse l’Italia “ dalle crudeltà e insolenzie barbare ,, perchè l'Italia vedesse “ dopo tanto tempo un suo redentore ,. Che se il Machiavelli, anzichè ne’ tempi di Carlo III il Buono, fosse vissuto in quelli del figlio Emanuele Filiberto, del Principe che primo ordinò le milizie piemontesi appunto secondo gl'insegna- menti del “ libro dell’arte della guerra ,, e avesse perciò potuto conoscere il Piemonte e il grande guerriero e riformatore che vi regnava, ragion vuole si creda che al Principe piemontese sa- rebbero state rivolte le parole della “ Esortazione a pigliare l’Italia, e liberarla dalle mani dei barbari ,, che nessun Italiano può leggere senza viva, profonda commozione e gratitudine verso la memoria dell’immortale Fiorentino. Ben si comprende che la fama di Lui sempre più cresca nell'Italia presente libe- rata e unificata, e che cresca dovunque per l'indirizzo ch'egli diede alla scienza politica. — La Classe ringrazia, rallegrandosi vivamente, il Prof. ScHERILLO. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 60* Il Socio Prato presenta il suo libro, nella traduzione fran- cese di Georges Bourgin e nella seconda edizione (Paris, 1916), L’Occupation Militaire dans le Passé et dans le Présent. Barbarie ancienne et civilisation moderne. In questo libro si fa il confronto dei metodi di guerra dei secoli XVII e XVIII e delle con- suetudini allora vigenti nella occupazione militare del paese invaso con quelli praticati nella guerra presente. — La Classe ringrazia il Socio Prato. Il Socio SraMPiNI presenta il discorso, inviato in duno alla Accademia, che S. E. Ugo Da Como tenne con dotta, elegante, efficace, calda parola per l'inaugurazione dell’anno accademico dell'Ateneo di Brescia, di cui è Presidente, e che porta per titolo Mentre si combatte. AÌ patriottico e sapiente discorso è premessa una lettera del nostro Presidente S. E. BoseLLI, che esprime il suo plauso e la caldissima ammirazione. — La Classe ringrazia S. E. DA Uomo. In secondo luogo il Socio SrAMPINI presenta la monografia del Socio corrispondente Giuseppe Zuccante, stampata nei Ren- diconti del Reale Istituto Lombardo, in cui il chiarissimo storico della filosofia illustra, con la consueta diligenza, dottrina e finezza, la figura di Antistene, da cui la monografia s'intitola, “ fondatore della scuola che chiamarono dei Cinici e Aristotele “ diceva degli Antistenei ,, e la sua dottrina. Di questo scritto sarà complemento un altro che avrà per oggetto Antistene nei dialoghi di Platone. — La Classe ringrazia il Prof. Zuccante. In fine il Socio SraMmPINI presenta il primo volume della recentissima edizione critica delle epistole morali di Seneca, curata dal Prof. Achille Beltrami della R. Università di Genova, col titolo L. Annaei Senecae ad Lucilium Epistularum moralium libros I-XIII ad codicem praecipue Quirinianum recensuit ..... (Brixiae, MCMXVI). Scopritore del codice Quiriniano di quel- l’opera di Seneca, già ampiamente illustrato con dotti articoli nella “ Rivista di filologia e d’istruzione classica , da lui stesso e, per l’importanza paieografica, anche da Carlo CrpoLra nella di 927 medesima Rivista, il BeLtRAMI ci dà ora, dopo parecchi anni d'intenso lavoro, la prima parte di una edizione critica, con- dotta specialmente su quel codice, la quale può stare a pari coi migliori lavori di tal genere e fa onore, non solo all'autore, ma anche all'Ateneo di Brescia che ha sostenuto le non lievi spese di stampa. Il BeLrRAMi fa uso, così nella Praefatio come nelle annotazioni critiche, della lingua latina con facilità e si- curezza; ed anche per questo gli si deve uno speciale elogio. Il referente poi prende occasione da questa presentazione per augurarsi che in Italia.non si metta mano a pubblicare testi così detti critici de’ classici greci e latini, se non per dare edizioni in cui si abbia, come in quella del BeLrRAMI, anche se in propor- zioni più modeste e ristrette, il risultato di un lavoro proprio, di ricerche, confronti, congetture proprie, e che non siano già, per contrario, semplici riproduzioni, come pur troppo è già av- venuto, di edizioni straniere, con pochissima o anche nessuna traccia di un vero nuovo lavoro personale e con poco decoro degli studi italiani. — La Classe ringrazia e si rallegra col Prof. BELTRAMI. Il Socio D’ErcoLe presenta, per la pubblicazione negli Atte, una seconda ed ultima Nota del Prof. Arturo Moni su Le prime categorie naturali o i concetti di spazio, tempo, moto, secondo la filosofia hegeliana. 928 ARTURO MONI LETTURE Le prime categorie naturali o i concetti di spazio, tempo e moto secondo la filosofia hegeliana, Nota II di ARTURO MONI. XV. Immediatamente, il moto è il rapporto dello spazio al tempo, cioè la Velocità. La velocità è la determinazione, uno per mezzo dell’altro, dei due termini che, uniti, fanno il moto. Però, appunto perchè ciascuno di cotesti termini è determinato nella velocità solo per mezzo dell’altro, nessuno dei due vi è determinato di per sè di fronte all’altro. Quindi è che la velo- cità non è, come rapporto dello spazio al tempo, un rapporto determinato, ma soltanto l'universalità del rapporto, ossia la sem- plice possibilità di tutti i rapporti effettivi. Una tal semplice DS possibilità è intanto l'opposto del moto, cioè la Quiete. Spazio e tempo sono, come si è veduto, determinazioni opposte. Ora la velocità dice soltanto che coteste determinazioni stanno fra loro in un certo rapporto, ma non dice quale sia questo rapporto. Data una certa velocità, dallo spazio percorso (cioè dal quanto spaziale) sì ricava il tempo impiegato a percorrerlo (il quanto temporale) e viceversa. Ma, appunto, la velocità è data, ossia noi la presupponiamo, per quel cal- colo. Questo è il difetto della velocità come tale, di esser soltanto un dato, di non essere ancora determinata di per sè stessa, dal suo con- cetto, di non valere ancora come ragione delle diverse velocità effettive, di non essersi ancora elevata fino ad essere il principio della sua propria differenziazione. A cagione di cotesto difetto la determinazione della ve- locità, venendo dal di fuori, è accidentale; e la velocità stessa, dal canto suo, non riesce ad esprimere i rapporto dello spazio al tempo, cioè il moto, che in una maniera affatto indeterminata: come propor- zionalità degli spazi percorsi ai tempi impiegati a percorrerli. Questa proporzionalità non è altro, infatti, che la pura e semplice identità del rapporto con se stesso, il suo rimanere eguale a sè, ossia, appunto, LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 929 com'è detto nell'articolo, la sua universalità. (La proporzione rimane ferma in tutte le velocità possibili, o qualunque sia il rapporto che leghi fra loro lo spazio e il tempo). Perciò, mentre spazio e tempo, come opposti (epperò determinati l’uno rispetto all’altro), debbono star fra loro in un rapporto determinato, la velocità in quanto non è che il loro generico riferirsi l’uno all’altro, non specifica cotesto rapporto; quindi non soddisfa all’esigenza che è posta dal concetto del moto. La velo- cità è, sì, immediatamente, una certa velocità, ma non dipende dal suo concetto, che sia questa piuttosto che quella. Non essendo allora spe- cificato il rapporto, non è specificato nemmeno il quanto (che appunto dev’esser rispettivo) dei termini. Così, tutto restando abbandonato alla determinazione ab extra, quel calcolare in base a una velocità data non è che un puro formalismo, che non fa conoscer nulla di ciò che il moto è come realtà naturale. — Il concetto della velocità si sviluppa per tre momenti, che sono la Velocità come tale, la Tardità, e la Costanza (dell'una o dell’altra), cioè l’equabilità o uniformità del moto. La velo- cità come tale e la tardità non sono che le due forme, immediatamente opposte ed identiche, dell’universalità del rapporto fra spazio e tempo. Quella è il rapporto come rapporto del primo al secondo; questa il rap- porto cosiddetto inverso o reciproco, cioè come del secondo al primo. (Ogni rapporto è intatti doppio, a seconda del punto di vista che vien scelto). A cagione pertanto dell’assoluta vuotezza di cotesta differenza fecero bene i matematici, per i quali non si trattava che di misurare e calcolare, a non considerare in particolare la categoria della tardità (come poi nemmeno quella del moto uniformemente ritardato), giacchè il quanto di questa si desume immediatamente dal quanto della velo- cità. (Sette gradi di velocità sono un settimo di grado di tardità, e l'una espressione non presenta al pensiero nulla di diverso dall’altra). Velocità e tardità cadono quindi assolutamente insieme, ossia sono una medesima costanza. Quanto a questa, poi, essa non è, considerata di per sè, se non l’astratta identità, appunto, di quei due opposti, la ve- locità e la tardità. Quindi è che l’espressione di “ velocità costante ,, colla quale si crede di dire qualcosa di più che non con quella, pura e semplice, di “ velocità ,, dice invece precisamente lo stesso. L’epiteto non aggiunge nulla al sostantivo, dal punto di vista del concetto. Per questo, infatti, Za velocità (o tardità — che è lo stesso) è costante per la sua stessa natura, giacchè, se non fosse tale, non sarebbe una velo- cità, ma molte diverse (e la diversità, qui, il concetto non l’ha ancora posta, ma è soltanto data a noi dalle osservazioni che facciamo). In ge- nerale, il durare di una cosa non aggiunge nulla alla cosa stessa, a quello che essa è. Ora la costanza non è appunto altro, per la velocità, che ‘il suo durare, la sua semplice identità con sè, il suo essere. Perciò 930 ARTURO MONI il moto equabile o uniforme è il moto come semplice universalità del moto, la velocità senz'altro, e non già soltanto una specie di moto. Nei trattati di meccanica si suol leggere: Il moto è uniforme o vario; come se coteste fossero due specie di pari dignità. Ma il vero è che il moto uniforme non è, come specie di moto, altro che l’universalità o il ge- nere del moto, in quanto viene a contrapporsi alla sua particolarità o al moto vario. Qui sta il fondamento della riduzione del moto vario a un numero infinito d’infinitamente brevi moti equabili, riduzione del tutto analoga a quella che vien fatta della curva a un numero infinito di rette infinitamente piccole. Come la linea retta non è che la linea sic et simpliciter, cioè l'universalità stessa della linea, in quanto esò- stente, così il moto equabile è equabile solo perchè è semplicemente moto, e non ancora differenza o particolarità del moto. Se coteste, del moto equabile e della linea retta, fossero soltanto specie, o, come si dice, “ casi particolari ,, la riduzione anzidetta non avrebbe senso. Ma essa ha un senso in quanto presuppone quello a cui vien fatta la ridu- zione, od in cui viene operata la risoluzione, come l’universale, in sè, di quello che vien ridotto o risoluto. Certo, questo universale non si può avere nella natura, ossia non esiste, che sotto la forma di un par- ticolare contrapposto a un altro particolare, ma ciò non toglie che sia, epperò debba anche esser riconosciuto, come l’universale. — La rifles- sione estrinseca, propria della scienza empirico-matematica, non conosce (secondo il concetto) nè lo spazio, nè il tempo, nè il moto, ma presup- pone soltanto le rappresentazioni che di essi si trovano già nell’ordinaria coscienza, e che bastano al còmpito suo di misurare e calcolare. “ Tempus, Spatium, Locum et Motum — dice Newton — wt omnibus notissima, non definio , (Philosophiae naturalis principia mathematica. Schol. ad. Def. VIII). “ On ne définit ni le temps ni l’espace, mais il suffit è la Géométrie et à la Dynamique que nous puissions mesurer les dimensions des corps et les durées de leurs mouvemens , (Poissov, Traité de Mécanique, 2° 6d4., tome I, pag. 204). Ora la proposizione che il moto in generale, cioè la velocità, non differisea dalla quiete urta cotesta riflessione appunto perchè questa, mentre da un lato ritiene esaurita, in tali rappresentazioni, la universale conoscenza di quegli og- getti che considera, dall’altro lato, ogni qualvolta si parli di spazio, tempo, o velocità, intende sempre uno spazio, un tempo e una velocità determinati, cioè un quanto di ciascuno. Se non che nella proposizione anzidetta non è questione di una certa velocità (cioè del rapporto di un certo spazio a un certo tempo), ma semplicemente della velocità (proprio come l’Essere, che la logica mostra identico al Nulla, non è l’Essere determinato, il Qualcosa, — i cento talleri di Kant —, ma sol- tanto l’Essere come tale). L'unica cosa da fare quindi, per l'intelletto, Per LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 991 è anche qui di pensare l’oggetto in sè e per sè, rimovendone quelle determinazioni senza le quali, certo, l'oggetto non è nulla di reale, ma che intanto però mutano senza che muti la sua natura. Non soddisfa- cendo l’intelletto a questa esigenza, le obbiezioni sue contro la legitti- mità del passaggio dal concetto di velocità a quello di quiete cadon da sè, in quanto che prendon di mira tutt'altra cosa da quella di cui, soltanto, s'intendeva parlare. — Per la stessa riflessione estrinseca quello che è il concetto, come tale, della velocità, la proporzionalità degli spazi ai tempi, non suol valere che come “ legge , del moto equabile, ossia piglia l’aspetto di esser una, soltanto, fra le determinazioni che il concetto pone. In geometria non si riguarderebbe come una proprietà del triangolo, di aver tre angoli, questa essendo senz'altro la sua defi- nizione data nella parola stessa, ma si riserba giustamente il nome di proprietà ad altre determinazioni non contenute în maniera immediata nel concetto, come, p. es., a quella che ogni angolo esterno sia eguale alla somma dei due interni opposti, ecc. Qui invece la mania di voler aver tutto come un resultato delì’indagine a posteriori ha fatto chiamar “ legge , anche quello da cui cotesta indagine stessa prende le mosse, vale a dire il concetto, o la definizione, della cosa. — Finalmente, a proposito di un accenno già dato qui sopra, si può notare che anche il passaggio dal concetto di velocità a quello di quiete (almeno nella maniera com’è stato esposto) è affatto analogo a quello che si compie, nella logica, dall’Essere al Non essere. In ambedue i casi, infatti, è l’in- determinatezza quella che apre la via. Nel caso presente la velocità, per esser qualunque rapporto dello spazio al tempo, mon ne è alcuno, ossia è quella irrelatività tra spazio e tempo, quell’indipendenza di ciascuno di essi dall’altro, nella quale consiste appunto la quiete. AVI, Poichè il moto come semplice moto, ossia la velocità, non è che quiete, la quiete è il moto in quanto si presuppone come il proprio altro, affin di potere, mediante la negazione di questa sua negazione, esser concretamente per sè come moto. Lo spazio e il tempo, di cui il moto era, come loro rapporto, anzitutto l’unità, cadono quindi, nella quiete, di nuovo uno fuori dell'altro, ossia tornano ad essere reciprocamente indifferenti o irrelativi. La quiete è questa loro indifferenza o irrelatività. Che la quiete sia la reciproca irrelatività dello spazio e del tempo si può vedere anche dalla semplice considerazione che nella quiete lo 932 ARTURO MONI spazio percorso essendo nullo, questa nullità rende nullo l’intero rap- porto (ossia gli dà il valore zero). Viceversa: quando la velocità è nulla, anche lo spazio percorso è nullo, epperò non si dà alcun rapporto dello spazio percorso al tempo. — La velocità era la contraddizione secondo la quale i punti sono nella traiettoria come molti, e insieme anche come uno stesso (in quanto la traiettoria vien percorsa, ossia si distrugge la reciproca esteriorità dei punti che contiene). La quiete è ora l’astratta o immediata soluzione di questa contraddizione, in quanto l’esser l’uno fuori dell'altro i punti (cioè lo spazio), e il loro essere uno stesso (cioè il tempo) non sono più insieme, non costituiscono più una stessa de- terminazione (dal che nasceva la contraddizione), ma si presentano come due determinazioni diverse (onde la contraddizione cessa). Queste due determinazioni, come diverse, sono spaziali, esistono, cioè, una fuori dell'altra nello spazio, come una linea e un punto che è fuori di essa linea ed a cui questa si riferisce (più in particolare come periferia e centro). Onde la quiete è rispetto al moto quello stesso che era, rispetto alla figura, la linea della linea, vale a dire il piano (triangolo, e più in particolare, settore). Tutto questo si può ricavare anche dalla volgaris- sima osservazione che per giudicare quale di due corpi sia in moto e quale in quiete, non bastano questi due corpi, che rappresentano sol- tanto i punti estremi della linea o della traiettoria che si vien svilup- pando, ma occorre un punto di riferimento in un terzo corpo. Questo terzo corpo è allora la quiete che appare, ossia si è data una esistenza sensibile, spaziale, come quello per cui il moto si distingue dalla quiete stessa, 0 si fa moto conosciuto come moto. O,in altre parole, in cotesto corpo sì ha l'identità dei molti punti della traiettoria, estrinsecatasi essa stessa, cotesta identità, sotto la forma di un altro punto che è fuori della traiettoria. Così in astronomia la quiete è il predicato del corpo centrale. — Per l’analogia che ha la relazione della quiete verso il moto con quelle dell’istante verso il tempo e del punto verso lo spazio potè Zenone supporre (come credeva che il tempo si componesse d’istanti e quindi necessariamente anche lo spazio di punti) che il moto si compo- nesse di quieti, epperò non fosse. Ma l'opposizione dell’Ora e del Non ora, del Qui e del Non qui, sulla quale si basa il terzo argomento di Zenone in quanto suppone che la freccia sia (senza che insieme non sia) in un certo istante in un certo punto, è proprio quella dalla cui nega- zione, soltanto, risulta il concetto del moto, il quale non può quindi esser pensato, ossia vien negato dal pensiero, fintantochè questo, attac- candosi a quell’opposizione e tenendola ferma, respinge da sè e dall’op- posizione il contrario dell'opposizione stessa, cioè l’identità secondo la quale così il Qui come l'Ora sono assolutamente universali (dappertutto è qui, e sempre è ora). Argomentazioni dalla posizione del punto alla LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 933 negazione dello spazio, o dalla posizione dell’istante alla negazione del tempo, simili, cioè, all’argomentazione zenoniana dalla posizione della quiete alla negazione del moto, non sarebbero possibili; perchè nè il punto nè l'istante (malgrado l’analogia anzidetta della loro relazione verso lo spazio e il tempo con quella della quiete verso il moto) son di natura diversa, rispettivamente, da quella di coteste due universalità alle quali si riferiscono. Rimangono infatti, anche come negazioni, la semplice identità con sè sia dell’una sia dell’altra di quelle due astra- zioni che si chiamano spazio e tempo. Quindi il punto, pur essendo negazione dello spazio, non nega però lo spazio completamente, perchè anzi è esso stesso nello spazio, e non sarebbe se questo non fosse; e così anche l’istante rispetto al tempo. Ma il paralogismo (Z7)v@®v dè nagaZoyitetar, dice Aristotele) doveva venir fuori a proposito del moto, perchè il moto essendo il ritorcersi di ciascuna di quelle opposte astrazioni contro sè stessa, epperò il loro unirsi in un conereto che le lega, l'intelletto, che non trova difficoltà a pensare astrattamente, 0 se- paratamente, le due astrazioni, deve, per pensare il conereto, disfarsi di quella sua astratta maniera di pensare, mentre questo non può aver luogo (dico questa disintellettualizzazione dell'intelletto) se non in quanto l'intelletto continui ancora, per un lato, a pensare astrattamente, ne- gando il concreto, ossia paralogizzando, con Zenone, contro il moto. La difficoltà, che allora mette nell’imbarazzo l’intelletto, non è altra da quella per cui, nella logica, riesce malagevole di afferrare il concetto dell'unità negativa, cioè, in generale, del Divenire. Il concreto è soltanto per il concreto, non per l’astratto, epperò il moto non è per l’intelletto (Zenone), ma o per la semplice intuizione (Diogene che passeggia nella scuola) oppure per la ragione (Aristotele). XVII. Il difetto della quiete è che, come ogni opposizione, essa non si sostiene se ron in grazia di quell’unità ch’essa nega. Ma l'unità che vien negata dalla quiete è il moto. Perciò la quiete non è quello in cui il moto come semplice velocità si risolve, se non in quanto è essa stessa, a sua volta, quello che sì ri- solve nel moto. Ora il moto che risorge così dalla quiete non è più l’astratta universalità del moto, la semplice velocità; è il moto che si riproduce in sè stesso come negazione della sua negazione. In questo riprodursi, o in questa nuova immediatezza mediata dal togliersi via la negazione, il moto rigetta da sè 994 ARTURO MONI come sue morte e ormai indifferenti esteriorità tanto la quiete quanto la velocità, ed è per sè come moto nell’Accelerazione. Come negazione del rapporto fra spazio e tempo, la quiete non è altro che cotesto rapporto stesso posto come negativo. Vale a dire che dove lo spazio e il tempo cadono uno fuori dell’altro, 0 sono irrelativi, essi stanno fra loro appunto nel rapporto di questa irrelatività, di questa indipendenza di ciascuno di essi dall’altro. Perciò la quiete non è già soltanto l'opposto del moto, ma è addirittura è! moto in quanto sì oppone a sè stesso, uscendo dalla sua astratta universalità per en- trare nella sua particolarità. Essa è così il limite della velocità, e ciò tanto come velocità infinita quanto come infinita tardità, secondo che sì sia preso per base, in questa irrelatività, lo spazio oppure il tempo. Così se il moto è per la quiete, la quiete a sua volta è per il moto. Moto e quiete son dunque due astrazioni ciascuna delle quali esiste, ossia ha l’essere concreto, solo come negazione dell’altra. Quindi è che non si può pensar soltanto la quiete, nè soltanto il moto, ma ciascuno è pensato solo in relazione al suo opposto. Il moto, infatti, come nega- zione della distanza, abbisogna di questa, che, in quanto persiste, o si sostiene contro quella sua negazione, è la quiete. Ma viceversa la di- stanza non s? sostiene contro quella sua negazione, la reciproca esterio- rità dello spazio non dura, se non per la presupposizione di quella sua negazione o di quel suo passare, che è il moto. L’accelerazione è ora appunto questo risolversi del moto nella quiete e della quiete nel moto, la realizzazione del concreto come negazione dell’un’astrazione per mezzo dell’altra, e così il moto del moto, un Divenire dove il lato del Non essere è rappresentato dalla quiete, e quello dell'Essere, dal moto. XVIII. Come rapporto ancora indeterminato, o generalità di ciò che lo spazio si riferisce, così semplicemente, al tempo, la ve- locità non era, nel fatto, se non l’assoluta irrelatività di cia- scuno di quei termini rispetto all’altro, la loro reciproca indi- pendenza, la quiete. Ma nell’accelerazione, quale unità della velocità colla quiete, il rapporto dello spazio al tempo si deter- mina come rapporto di quella generalità alla sua negazione, o alla irrelatività, cioè come rapporto del moto in generale alla quiete. Quindi l’accelerazione è il determinarsi la velocità di per sè stessa, in quanto sorge come negazione della sua nega- I LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 935 zione. Il moto si è così compiutamente realizzato nel suo con- cetto, secondo cui esso non è già semplicemente quel qualunque rapporto dello spazio al tempo, ma il rapporto in cui spazio e tempo si riferiscono l'uno all'altro secondo la propria natura di ciascuno di essi, ed in cui pertanto il primo figura come il posi- tivo, l'esplicato, il Quadrato, il secondo invece come il negativo, l’implicato, la Radice. Di quelle che si assegnano come “ leggi, del moto (uniformemente) accelerato, la prima, cioè che le velocità crescono proporzionalmente ai tempi, non è, al solito (v. la nota all’art. XV), che la definizione stessa di quello di cui si tratta, e la seconda, cioè che gli spazi stan fra loro come i quadrati dei tempi, ne è la conseguenza immediata. Noi avemmo prima di tutto lo spazio astratto, poi la sua negazione, particolarizza- zione 0 determinazione parimente astratta, il tempo, e infine l’unità concreta dell'uno coll’altro, il moto. Solo in quest’ultimo lo spazio e il tempo appaiono come determinati, ossia valgono respettivamente come spazio percorso e tempo ‘impiegato a percorrerlo; fuori del moto, in- vece, essi non erano che generalità vuote, le due forme naturali, con- tinua e discreta, della quantità pura, che non valevano ancora come quanti spaziali e temporali. Se ora si domandi in che consiste una tale unità dello spazio col tempo, cotesto equivarrà a domandare qual è il rapporto dello spazio come percorso al tempo come impiegato. E la risposta sarà che un tal rapporto, così in generale, cioè prescindendo da quello che sono lo spazio e il tempo l’uno rispetto all’altro, è an- ch'esso un’astrazione, una semplice generalità, la velocità. Se non che considerare un rapporto 7 generale non è considerarlo come rapporto, giacchè nella generalità va perduta la differenza, senza la quale il rap- porto non è rapporto. Noi non possiamo dunque prescindere, nel con- siderare il moto, da ciò che sono, l’uno rispetto all’altro, i due elementi dalla cui unione esso risulta, giacche facendo così abbiamo anzi la ne- gazione del rapporto, l’irrelatività. Perciò la velocità, in cui la diffe- renza essenziale o rispettiva dello spazio dal tempo e viceversa è tras- curata, non è la vera, adeguata espressione del loro rapporto, non è il vero moto, ma noi dobbiamo passare, attraverso la negazione di quel- l’espressione, cioè attraverso l’irrelatività o la quiete, all'espressione nuova, che sola è vera: l'accelerazione. Quello che è il tempo astratto rispetto allo spazio astratto, è la quiete rispetto al moto, cioè la deter- minazione; e quello che è il moto in generale rispetto allo spazio, è il moto quale accelerazione rispetto al moto qual velocità, vale a dire il determinato. Nell’accelerazione dunque (ossia nel moto del moto) lo spazio si riferisce doppiamente al tempo, una volta come spazio astratto al 936 ARTURO MONI tempo astratto, in quanto l'accelerazione, come moto, è anzitutto il rap- porto di queste due generalità, e un’altra volta come moto alla quiete, poichè nel moto è contenuto lo spazio, e l'accelerazione è in particolare il moto come relazione del moto (epperò di nuovo dello spazio) a co- testa sua negazione (che è insieme anche negazione dello spazio, ossia tempo). Da questa considerazione qualitativa del rapporto in cui sta, nell’accelerazione, lo spazio verso il tempo ci riuscirà ora facile vedere perchè, quantitativamente, cotesto rapporto abbia ad esser quello del Quadrato alla Radice. È che nel rapporto aritmetico (nel semplice senso di “ numerico ,) del quadrato alla radice, si ha, come nel rapporto mec- canico del moto alla quiete, il doppio riferirsi dell’universalità (numero o spazio) alla determinazione (unità o tempo). Come infatti qui, nell’ac- celerazione, lo spazio si riferisce doppiamente al tempo, in quanto gli si riferisce come il moto alla quiete, così là, nel rapporto del quadrato alla radice, il numero, l’universalità del quanto, si riferisce doppiamente all’unità. Giacchè il quadrato è il numero che si riferisce all’unità una volta come alla determinazione universale del numero (per il che da astratta o indefinita pluralità diventa questo certo numero determinato), e un’altra volta come alla particolare determinazione sua che lo distingue, come numero determinato, da ogni altro (per il che il numero si mol- tiplica per sè, ossia appunto si quadra). E la radice quadrata, viceversa, è il numero che è preso doppiamente nel rapporto alla determinazione universale, ossia che è medio proporzionale fra sè come quadrato e l’unità, a quel modo stesso che la quiete è il tempo in quanto è per la seconda volta, nell’accelerazione, negato dallo spazio. La cosiddetta legge che gli spazi percorsi son proporzionali ai quadrati dei tempi impiegati a percorrerli, non è dunque se non l’espressione matematica (di quello di cui qui si mostra la necessità logica, che cioè lo spazio (il quale come realizzato nel moto, o come percorso, è ormai divenuto suscetti- bile della determinazione quantitativa) sta al tempo (determinato an- ch’'esso quantitativamente) nel preciso rapporto del Quadrato alla Radice. Messa così in rilievo l'identità del rapporto meccanico dello spazio che si riferisce al tempo qual moto alla quiete col rapporto aritmetico del numero che si riferisce all’unità qual quadrato alla radice (ossia rile- vata la pura formalità della differenza fra i due rapporti), cessa il bi- sogno di “ provare , la legge (la quale perciò cessa anche di essere, rigorosamente parlando, una “ legge ,). Non essendovi nulla, qui, che stugga al pensiero conducentesi semplicemente come pensiero (cioè come pura ragione logica), non v'è nemmeno nulla che debba per avventura abbandonarsi al cieco meccanismo del calcolo, o alla riflessione estrin- seca di una dimostrazione more geometrico, senza nemmeno parlare degli esperimenti per mezzo di maechine. Quando la necessità della propor- RAC h LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. 037 zionalità degli spazi ai quadrati dei tempi (per aver la quale si ricorreva appunto alla “ prova ,) non risultasse chiara dai concetti dianzi esposti di ciò che sono spazio, tempo, moto, quiete, e accelerazione, cotesta ne- cessità si troverebbe del resto nella considerazione che se la velocità è in generale (cioè come semplice velocità o velocità costante) il rapporto dello spazio al tempo, là dov'essa sî particolarizza, ossia dove quel rap- porto diventa proporzionale al tempo, lo spazio entra necessariamente verso di questo nella duplicata proporzione, ossia varia in ragione del quadrato del tempo. E così pure sì troverebbe, cotesta necessità, anche nell'altra considerazione, che se lo spazio, nel moto equabile, è in ragione composta della velocità e del tempo, bisogna che sia come il moltipli- carsi per sè tanto dell'una quanto dell’altro, quando quella venga a crescere in ragione di questo; ossia quando tutti e due acquistino verso le loro unità una sola e medesima ragione. Tali son le semplicissime considerazioni sulle quali si basa la deduzione della cosiddetta legge del moto accelerato dal concetto dell’accelerazione, considerazioni che nondi- meno, con tutta la loro semplicità, non sembra siano state intese, re- centemente, da un matematico d’altronde apprezzato per i lavori relativi alla sua scienza, il Prof. Enriquez di Bologna. Egli non avrebbe infatti parlato così leggermente, nel suo scritto intorno a Hegel (pubblicato dalla Revue de Métaphysique et de Morale), della pretesa dimostra- zione , che questi aveva dato della legge della caduta, se, intendendo quelle considerazioni, avesse potuto anche accorgersi ch’eran proprio quelle medesime in cui (tolto via l'apparato intellettualistico) stava tutta la sostanza e il nerbo della stessa dimostrazione galileiana. “ Verum in quarta propositione primi libri — dice infatti Galileo — demonstratum est, mobilium @quabili motu latorum spatia peracta habere inter se ra- tionem compositam ex ratione velocitatis, et ex ratione temporum: 4ie autem ratio velocitatum est eadem cum ratione temporum |e'questo vien da sè dalla definizione, senza bisogno di figura]; ergo ratio spatiorum peractorum dupla est rationis temporum ,. Come unità negativa del moto e delia quiete l’accelerazione è il loro porsi come contrapposti l’uno all’altro, ossia è lo scindersi del con- cetto del moto nei suoi due momenti di universalità e particolarità. Il moto che pur come moto è quiete rispetto a un altro moto, è la velo- cità rabbassata a semplice velocità iniziale, da cui, come dalla quiete, comincia il moto quale accelerazione. Viceversa il moto che ha tolta da sè cotesta contraddizione secondo la quale esso non era ancora, come moto, che nella forma della quiete, è il moto come velocità acquistata, in cui, come nella quiete, il moto quale accelerazione finisce, mentre l’unità della velocità iniziale coll’acquistata, ossia l'acquisto della velo- cità, per cui insieme si realizzano le due velocità come contrapposte 93S ARTURO MONI l’una all'altra, è l'accelerazione stessa, il moto del moto, o il suo dive- nire. Ma se l'accelerazione è il porsi della differenza fra il moto che è per sè come quiete e il moto che è per sè come moto (il realizzarsi cioè delle due velocità, iniziale ed acquistata, come diverse l'una dal- l’altra), essa è anche 7 sè il togliersi di cotesta differenza, essendo ap- punto, come accelerazione, l’unità delle due forme di quiete e moto. Questa negazione di sè stessa che l'accelerazione è in sè, è quella che appare 0 sì realizza, come passaggio dell’accelerazione nell’opposto di ciò ch'essa è immediatamente, vale a dire come passaggio nel Ritarda- mento, o nel processo per cui va cancellandosi quella differenza fra la velocità iniziale e l’acquistata, nel cui sorgere era consistita l’accelera- zione. Ma siccome il ritardamento ha per risultato la quiete, e per quiete noi non possiamo ormai più intendere la quiete astratta (astrattamente identica al moto), ma soltanto la forma della velocità iniziale, cioè quello da cui comincia l'accelerazione, così anche il ritardamento non è, a sua volta, se non un passar nel suo opposto, che è l'accelerazione. Perciò l’accelerazione è essenzialmente accelerazione verso il ritardamento, e il ritardamento, ritardamento verso l’accelerazione. Ciascuno dei due opposti, attraverso l’altro, torna a sè e si conclude con sè. Questo concludersi è la loro vera infinità, non esclusiva della loro finità, cioè del loro limitarsi l’un l’altro per il proprio concetto di ciascuno. L’im- maginazione invece, quando prende l’accelerazione e il ritardamento come semplicemente infiniti (o senza limite), li ha nel fatto soltanto come finiti, in quanto che prescindendo da ciò che il limitarsi recipro- camente è il proprio concetto di ciascuno, li fissa l’uno fuori dell’altro, epperò lascia che ciascuno venga realmente limitato dal suo opposto. (Anche qui, come altrove, vera infinità è soltanto l’idealità del limite). L’accelerazione e il ritardamento, pertanto, essendo ciascuno quello stesso che è l’altro, questa medesimezza, il loro reciproco limitarsi, è ciò che s'intende sotto il nome di Periodicità. Noi abbiamo dunque l’accelera- zione come tale, il ritardamento e la periodicità, come i tre momenti attraverso ai quali si sviluppa e si realizza il concetto dell’accelerazione. La parallelia di questo sviluppo collo sviluppo del concetto di velocità in velocità come tale, tardità, costanza (v. nota all’art. XV), è di per sè abbastanza evidente. (Son gli stessi tre momenti, trasportati dalla cate- goria dell'Essere in quella del Divenire). Quello che importa è quindi piuttosto di fissar bene la differenza, la quale, in breve, è questa. Nello sviluppo della velocità non si aveva da fare che con astrazioni (relati- vamente a ciò che seguì poi, e non a ciò che aveva preceduto). Perciò, la velocità cadendo immediatamente nella tardità e questa in quella (per essere la loro differenza soltanto formale, o dipendente unicamente dal punto di vista da cui noi guardavamo il rapporto), la loro unità, rr mm —_—_——_mo T_r——_—_m@— LE PRIME CATEGORIE NATURALI, ECC. |, 939 la costanza, o l’equabilità del moto, era solo una identità secca, vale a dire esclusiva di ogni differenza reale. Qui invece tanto l'accelerazione quanto il ritardamento son determinazioni concrete, moti reali, poichè ciascuno dì essi è già in sè unità di moto e quiete. La conseguenza è dunque che la periodicità, come unità di realmente diversi, non può più essere quello che era la costanza, una identità secca, ma, pur come unità, deve includere in sè anche la differenza per cui ciascuno dei lati da cuì essa risulta n0n è l'altro, la differenza cioè per cui il moto ac- celerato e il moto ritardato esistono l’uno accanto all’altro, mentre la velocità e la tardità, invece, esistevano ?nsieme. Così abbiamo che la periodicità è costanza solo come costanza dell’incostanza, ossia non già come l’esser tardo nell’esser veloce e l’esser veloce nell’esser tardo, ma come il rifardarsi verso l'accelerazione compensato dall'accelerarsi verso il ritardamento, che è precisamente ciò che intendiamo quando la chia- miamo il “ ritorno delle identiche variazioni ,. La periodicità è la forma assoluta dell’accelerazione, epperò anche del moto in generale. Essa ap- pare nel moto del pendolo (in parte), nel moto dei corpi celesti (asso- lutamente), nelle oscillazioni e vibrazioni a cui vengono ricondotti i fe- nomeni acustici, luminosi, elettrici, ecc. XIX. Nell’accelerazione è esaurito, insieme collo sviluppo del moto, lo sviluppo dell’intiera prima sfera della meccanica. Es- sendo il processo per cui il moto si compenetra colla quiete e la quiete col moto, l'accelerazione ha per risultato il prodotto neutro rispetto al quale il moto e la quiete, rigettati (in quanto opposti l'uno all’altro) all’esterno, non son più che i suoi “ stati ,, o le sue determinazioni indifferenti. Questo prodotto, che è ciò che s'intende per Materia inerte, è il soggetto della seconda sfera della meccanica, la meccanica reale, per contrapposto alla quale, ora, alla prima sfera, di cui questo è il termine, vediamo convenire il nome di meccanica formale. Il passaggio dal concetto del moto a quello di materia fu già rico- nosciuto da Hegel per uno di quelli che necessariamente debbon riu- scire più duri all’intelletto. Recentemente però sembra che anche da parte della scienza empirica si sia sentita meno questa difticoltà, a giu- dicar dal favore con cui sono state accolte, negli ultimi anni, alcune cosiddette teorie intorno all’intima costituzione della materia, nelle quali, 940 ” ARTURO MONI certo, non sì potrà mai troppo applaudire allo sforzo che l’intelletto fa per raggiungere la veduta razionale, cioè idealistica, della questione. Quanto poi a quello che la materia dovrebb’essere soltanto per noi, la cosa sembra essere stata messa ancora più in chiaro. Tolgo il passo se- guente dal suecoso libro del Professore D." FELICE AvERBACH, intitolato Die Grundbegriffe der modernen Naturlehre (Leipzig, Teubner, 1910), p. 5, seg.: © Diese Grundlage — cioè la base consistente nello spazio e nel tempo — erscheint uns zu leer, zu formal; wir haben Verlangen nach etwas Realerem. Es ist allerdings richtig: alles, was wir wahr- nehmen, ist riumlich, ist Mannigfaltigkeit von Form und Farbe, we- nigstens solange wir uns einmal auf die Wahrnehmung mit dem Auge, diesem vorziiglichsten unserer Sinnesorgane, beschriinken. Aber diese Formen und Farben :ndern sich mit der Zeit, bald schnell, bald nur ganz allmihlich; das Bild, das uns die Aussenwelt darbietet, nimmt fortwiihrend andere Ziige an. Und doch gibt es eine Menge Gruppen oder, wie wir sie nennen wollen, eine Menge Konfigurationen, die sich anscheinend gar nicht oder doch nur sehr langsam veriindern; so langsam, dass wir sie immer wiedererkennen, auch wenn wir sie eine Zeitlang gar nicht gesehen haben. Solche Dauerkonfigurationen nennen wir Ge- genstinde, und das, was ihnen allen gemeinsam sein soll, nennen wir Stoff oder Materie. Materie ist also eigentlich nichts anderes wie Dauer- konfiguration sinnlicher Eindriicke ,. Nell'articolo qui sopra non sì è dato che un semplice accenno al passaggio dalla formalità alla realtà, giacchè il còmpito di mostrare in qual modo la materia resulti da quel- l’unione dello spazio col tempo che si verifica nel moto, e in che senso perciò sì possa dire che la materia è la figura che dura, apparteneva più propriamente alla nuova sfera della meccanica, ed eccedeva quindi i limiti dentro cui doveva rimanere questo scritto. RIASSUNTO SCHEMATICO I. — Lo Spazio. A. Lo Spazio come tale, o 1’ Estensione. B. Il Punto. C. La Figura. 1° La Linea o la prima dimensione. 2° Il Piano o la seconda dimensione. 3° Il Solido o la terza dimensione. 4 È II. — Il Tempo. A. Il Tempo come tale, o la Successione. B. L’ Istante. C. La Durata. 1° Il Passato. 2° Il Futuro. JA 3° Il Presente. W= Zl.Moto. ‘ A. Il Moto come tale, o la Velocità. 1° La Velocità come tale. 2° La Tardità. 3° La Costanza, ossia il Moto equabile. B. La Quiete. A C. L’Accelerazione. ? 1° L’Accelerazione come tale. 2° Il Ritardamento. 8° La Periodicità. L’Accademico Segretario ErTORE STAMPINI. Tre LL CE pers t #8: ì fi fia © rift QU at, Hc. età f UITATSITAIO CHI = fi. Qual Di canon [URI ink Li si 1 ® ; P .® i! MARI". od u 4 2 i pars 1° rt Ru; 03046 MEOTRAOT eni Miteratrinsi) ri tc Tr IM'TIRAAL: RIT vela «v irutimca te dindrel 0 CAmDa 10 r Batone 14 Llee- Òò Ta torri LIVUTALIALE A x & I CES lia ansia dos ILLE MENTE toe dimen ci, 6 U ; = er CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 7 Maggio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D'OvipIo, e i Soci Naccari, JADANZA, FoA, GuaRrESscHI, Guipi, PARONA, MATTIROLO, Fusari, BaLBIANO, PANETTI, e SEGRE, Segretario. — Scusano l'assenza il Vice-Presidente CAameRANO e il Socio SOMIGLIANA. Dopo letto e approvato il verbale della precedente adu- nanza, il Presidente partecipa, con profondo rammarico, la morte del Socio corrispondente Francesco Bassani, avvenuta a Capri il 26 aprile scorso. Apparteneva il Bassani alla nostra Classe dal 14 giugno 1903. Il Socio Parona ne fa una breve comme- morazione, che verrà unita agli Atti. La Classe prega il Presi- dente d'inviare le proprie vivissime condoglianze alla famiglia. Il Socio corrispondente Borrrro ha inviato in omaggio un fascicolo di lui e di P. NiccoLari, facente parte di una Biblio- grafia dell’aria; e S. E. P. LeonAaRDI-CArTOLICA ha, similmente, inviato in omaggio una sua commemorazione di Emanuele Fergola. Vengono poi ancora offerti: dal Socio Foà un volume di Lavori dell'Istituto di Anatomia patologica della R. Università di Torino (anni scolastici 1913-1915); dal Socio MarTIRoLo un proprio opuscolo Sulla coltivazione e sul valore delle Artemisie usate nella fabbricazione dei Vermouths, ed uno della Dott. Fausta Atti della R. Accademia — Vol. LI. 61 944 BaLzac su Le Artemisie dei Vermouths e dei Génépis; dal Socio PaneTTI un opuscolo su / progressi della Dinamica nella tecnica dell'ingegnere. Per la stampa negli Atti son presentate le seguenti Note: I. GuarEscHI, Azione dell'acido solfidrico sulle miscele delle terre alcaline cogli alcali e cogli ossidi dei metalli pesanti. Nota II; C. F. Parona, Nuovi fossili del Miocene di Rosignano Piemonte ; A. C. Bruni, Appunti sullo sviluppo del sistema nervoso simpatico negli Amnioti, dal Socio FusARI; G. ArBenca, Sulla trave continua inflessa e sollecitata assialmente, dal Socio GuIDI; C. Rosati, Sulle corrispondenze plurivalenti fra i punti di una curva algebrica, dal Socio SEGRE. C. F. PARONA — FRANCESCO BASSANI - CENNO NECROLOGICO 945 LETTURE FRANCESCO BASSANI Cenno necrologico del Socio C. F. PARONA. All'annunzio dato dalla Presidenza della dolorosa perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio Corrispondente Francesco Bassani mi si conceda di aggiungere poche parole di rimpianto, quali mi sono suggerite dalla fraterna amicizia che mi legava a Lui dall’inizio della nostra non breve carriera scien- tifica e della grande stima ch'io aveva della sua rettitudine e della serietà e importanza della sua opera scientifica. Un esame più ponderato della vita scientifica e del prodotto degli studi del Bassani mi darebbe certamente modo di dire più a lungo e meglio dei suoi meriti: ma preferisco non indugiare a rendere omaggio alla sua memoria in nome dell’Accademia, alla quale apparteneva fin dal 1903. E d'altronde omaggio doveroso allo scienziato che ha pure contribuito alla geologia e paleontologia piemontese con due notevoli lavori: l’uno sull’ittiofauna del cal- care di Gassino, che valse a definire una lunga questione scien- tifica sull’età di questo tanto discusso giacimento; l’altro sulla scoperta di un bericide nel Miocene di Rosignano Monferrato, che giovò a meglio chiarire le corrispondenze della pietra da cantoni, di nota importanza industriale oltre che scientifica, colle rinomate pietre di Lecce e di Malta. Francesco Bassani, nato a Thiene (Vicenza) nel 1853, studiò e si laureò a Padova sotto la guida del geologo lombardo G. Omboni, del quale fu assistente; e a Vienna ed a Parigi seguì i corsi di perfezionamento, specializzandosi, fin dai primi suoi studi, nelle ricerche sui pesci fossili. Ritornato in patria, fu per qualche tempo insegnante nelle scuole medie a Padova ea Mi- lano: utile preparazione allo insegnamento universitario, al quale 946 C. F. PARONA fu chiamato nel 1887, colla nomina alla cattedra di Geologia e di Paleontologia nell’ Università di Napoli, succedendo a G. Guiscardi. L'attività scientifica del Bassani. si esplicò specialmente nel campo paleontologico: tuttavia i suoi doveri di docente per la geologia, e la tendenza ad applicare alla geologia stratigrafica i risultati dei suoi studi, lo portarono necessariamente a trat- tare talune questioni geologiche, nel modo stesso che il soggiorno nella classica regione vulcanica lo indussero ripetutamente ad occuparsi di vulcanismo. Così furono geologiche le sue ricerche sui calcari cretacici di Pignataro Maggiore in provincia di Ca- serta e di Pietraroia nel Beneventano, e quelle in collaborazione col De Lorenzo sulla penisola di Sorrento e sul M. Consolino di Stilo. Sue e del Galdieri sono le relazioni geologiche sulla sorgente minerale di Valle di Pompei e sugli scavi in Capri, diretti a verificare i rapporti cronologici fra gli avanzi di mam- miferi e i manufatti preistorici di selce e quarzite scoperti nel- l'isola. Egli contribuì alla vulcanologia flegrea con notizie su manifestazioni recenti della Solfatara di Pozzuoli, rilevando anzi l'opportunità di uno studio sistematico di questo cratere e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo, proponendo col Chistoni i mezzi più opportuni per attuarlo. Nè gli sfuggì l’op- portunità di studio che si offrì colla grande eruzione vesuviana dell'aprile 1906: raccolse notizie e ricercò col Galdieri la spie- gazione più verosimile delle varie forme di rotture, e specialmente dei fori subcircolari, nei vetri di Ottajano, ritenendole dovute all'urto di lapilli deviati dal vento. Fece inoltre parte delle Com- missioni scientifiche, che con apposite relazioni riferirono sulle conseguenze arrecate alle campagne ed alle colture dall’eru- zione ora ricordata, e sulle ricerche delle norme edilizie per le regioni sismiche. Ma il campo nel quale le sue indagini scientifiche segna- rono veramente orma profonda e duratura fu quello della paleo- ittiologia: e furono i terreni del nostro paese, quasi esclusiva- mente, che gli fornirono gli avanzi fossili di pesci illustrati da numerose pubblicazioni. Come giustamente scrisse, annunciandone la morte, il De Lorenzo, “ egli era il più grande specialista vi- “ vente di Paleoittiologia: ed a lui perciò ricorrevano tutti i “ paleontologi di Europa e d'America ,. Un cenno anche som- hesitate; FRANCESCO BASSANI — CENNO NECROLOGICO 947 mario dei suoi lavori, raggruppandoli in ordine di cronologia geologica, basta per far apprezzare la vastità del campo esplorato. Prima ch'Egli se ne occupasse, poco si conosceva della fauna itticlogica del Trias italiano. Con due Note su avanzi raccolti nei calcari marnosi del Trias superiore di Laveno in Lombardia e di Dogna in Friuli, portò nuovi argomenti alla conferma delle affinità organiche fra Keuper e Retico: e con una Memoria sto- rico-critica preliminare avviò su più sicura via lo studio della complessa fauna a rettili, pesci, ammoniti degli scisti bitumi- nosi ‘triassici di Besano, in confronto con quella di Perledo: studio ripreso poi dal De Alessandri e dall’Airaghi. Ma più del Trias delle Prealpi e del Golfo della Spezia, che pure gli prestò materiale di studio, Egli si occupò con particolare amore degli scisti bituminosi di Giffoni e della Dolomia di Mercato $. Seve- vino in provincia di Salerno, anche del Trias superiore (parte superiore della Dolomia principale), illustrandone magistralmente la fauna ittiologica, e appoggiando lo studio dei pesci degli scisti con quello degli altri fossili della Dolomia. Non è da trascurare il contributo portato alla conoscenza dei pesci del Giurassico superiore veronese e trentino, anche per le notizie sulla probabile esistenza del genere Charcarodon nel mare di quel periodo. Ma impulso senza confronto maggiore ebbe dai suoi studi la conoscenza della fauna cretacica per le ricerche istituite sulle ittiofaune della regione alpina veneta, del- l’Istria, della Dalmazia e del Capo d'Orlando presso Castellam- mare di Napoli, sia per l'abbondanza del materiale esaminato, sia, specialmente, per il numero e l'importanza delle pubblica- zioni relative. Fra queste meritano particolare menzione la grande monografia sui pesci fossili di Lesina, con 16 tavole, pubblicata nel 1883 dall'Accademia delle Scienze di Vienna e quella, in collaborazione col suo allievo D'Erasmo, sulla fauna di Capo Or- lando, nella quale viene alla importante conclusione che questa fauna, come quella di Pietraroia, della Dalmazia e dell'Istria, e forse degli scisti bituminosi a pesci dell'Appennino Centrale e del Veneto e dei calcari con ittioliti di Terra d'Otranto, è di età cenomaniana. Ancora più estesa fu la sua esplorazione nei terreni ittio- litiferi dei successivi piani della serie cenozoica. Per l’Eocene, oltre la Monografia già menzionata sulla fauna di Gassino, sono 948 C. F. PARONA da ricordare, fra le diverse Note sui pesci del Veneto, la descri- zione di un nuovo genere di Fisostomi e il primo lavoro, in data del 1876, del nostro compianto collega, col titolo: Annotazioni sui pesci fossili del calcare eocene del monte Bolca. — Oligocenici sono gli avanzi di pesci delle marne del bacino di Ales in Sar- degna, illustrati da brevi Note. — Per il Miocene sono nume- rosi gli scritti, oltre quello dianzi citato per il calcare di Rosi- gnano Monferrato, sui pesci raccolti nella serie di questo periodo delle Prealpi venete, della provincia di Roma, delle Tremiti, di Terra d'Otranto, della Sardegna: e classiche rimarranno le ri- cerche sui pesci fossili di Chiavon, illustrati in 18 tavole, il con- tributo alla paleontologia della Sardegna e la ittiofauna della pietra leccese, ultimo dei suoi lavori (1915), preceduto da uno studio in collaborazione col Misuri, sopra un delfinorinco (Ziphio delphis Abeli Dal Piaz) della stessa pietra. Brevi sono le Note su pesci fossili pliocenici della Toscana e della Basilicata, ma interessanti per la conclusione d’ordine generale, che la fauna ittiologica pliocenica risulta in grandis- sima parte di specie viventi e che non vi sono rappresentate specie mioceniche o mesozoiche. Nè meno interessanti sono i ri- sultati ai quali giunge il nostro Autore nella Memoria sulla it- tiofauna delle argille pleistoceniche della Terra d'Otranto, aven- done Egli verificato la perfetta corrispondenza con quella dei mari attuali e precisamente del Mediterraneo, in cui vivono tutte le specie che la compongono. A parte le pubblicazioni geologiche e di vulcanologia, le necrologie e altri scritti di argomenti vari, i lavori di paleoit- tiologia si avvicinano alla cinquantina. È dunque una ben lunga serie di lavori, dei quali meglio si apprezza l’importanza e il merito quando se ne consideri l'insieme, che ci si presenta come il risultato dello studio coordinato, descrittivo e critico, della fauna ittiologica italiana nel suo sviluppo evolutivo attraverso l'enorme spazio di tempo dal Trias al periodo recente ed attuale. E non fa meraviglia che con così vasta, continua e diligente indagine abbia acquistato una riconosciuta competenza in questo difficile ordine di studi. Caratteristiche degli accuratissimi scritti del Bassani sono: la larghezza dei confronti, confortati da cri- tica sicura, usata colla padronanza dello specialista sperimentato ; lo serupolo scientifico spinto talvolta quasi alla diffidenza verso Pi è i tania eni. Li : FRANCESCO BASSANI — CENNO NECROLUGICO 949 l’interpretazione propria; la serena e riguardosa considerazione dell’opera altrui. Egli fu inoltre un valente insegnante. Io non ebbi la fortuna di assistere a sue lezioni, ma il mio giudizio si appoggia alle testimonianze degli allievi ed anche alle ripetute, spontanee sue affermazioni riguardo al piacere che provava nel fare lezione. Evidentemente questo piacere non era che il riflesso dell’atten- zione e dell’interessamento che dimostrava l’uditorio, conquistato dalla sua parola dotta, ornata e chiara. L'efficacia del suo in- segnamento è del resto nel miglior modo dimostrata dal numero e dalla valentia dei suoi allievi geologi, dei quali ricordo, in ordine di tempo, il Meschinelli, il Matteucci, il De Lorenzo, il Galdieri e il D'Erasmo, suo collaboratore in questi ultimi anni, che promette di ‘seguire degnamente l’indirizzo del Maestro, continuandone le ricerche paleoittiologiche. Il Senatore De Lo- renzo scrive che questi e tanti e tanti ‘altri discepoli appren- deranno con dolore la perdita precoce del maestro impareggia- bile, del quale, egli soggiunge, “ anch'io sono stato scolaro: il “ più amato dei suoi scolari ,. I meriti del Bassani, le sue benemerenze erano riconosciute, anche fuori della scuola, nel mondo scientifico: fu infatti chia- mato a far parte di numerose istituzioni scientifiche italiane e straniere, e, per limitarmi alle principali italiane, ricorderò ch'Egli fu membro del R. Comitato Geologico, Socio nazionale dei Lincei, uno della Società dei XL, Membro della Società Reale di Napoli, della quale fu Presidente e con tale qualità presie- dette nel 1910 le onoranze (nel primo centenario della nascita) alla memoria di Arcangelo Scacchi, che lo aveva avuto collega carissimo. Era Socio corrispondente, oltre che della nostra Acca- demia, del R. Istituto Lombardo e di quello Veneto, e fu Presi- dente della Società Geologica Italiana nel 1898, nel quale anno organizzò col De Lorenzo il riuscitissimo convegno della Società a Lagonegro in Basilicata. Francesco Bassani è veramente degno di rimpianto, perchè fu un uomo buono nel senso più puro e nobile della parola; di alto sentire, modesto e simpatico anche per il suo tratto abi- tualmente affabile e per la spontaneità cortese e premurosa colla quale si prestava a vantaggio di chi lo richiedeva, amici, col- leghi, studenti, di consiglio e di aiuto. Visse per la scienza, per «ua x pe I PR E, E E, tot RISO DIP Apri tc e ii re 950. €. F. PARONA — FRANCESCO BASSANI - CENNO NECROLOGICO la scuola e per la famiglia, e in questa e in quelle cercò e trovò negli ultimi anni conforto e sollievo alle sofferenze. Dopo una grave crisi superata nello scorso anno, confida- vano gli amici che il male insidioso gli concedesse tregua, ed Egli pure si illudeva di star meglio: e in questo senso mi scrisse prima di recarsi a Capri, per passarvi la vacanza di Pasqua, avvertendomi che al ritorno in Napoli avrebbe esaminato certi fossili, che mi sollecitava a spedire nel frattempo. Si spense in Capri il 26 aprile, lontano dai due figli, chiamati alla guerra dal sacro dovere verso la patria: ma non gli mancò il dolce con- forto dell’assistenza pietosa della diletta consorte Everdina Douwes-Dekker, figlia di illustre scrittore olandese; gentile e colta signora ed esimia disegnatrice, che legò il suo nome all’opera scientifica del marito. avendo disegnato le tavole che, aumen- tandone il pregio, corredano e fedelmente documentano i lavori di Lui. i Alla vedova ed ai figli, agli allievi, ai nostri colleghi del- l’Università e dell’Accademia di Napoli giungano ben accette le condoglianze dell’Accademia delle Scienze di Torino, come espres- sione di sincero cordoglio per la perdita del virtuoso cittadino, che onorò sè stesso e fece onore alla patria applicando nel modo migliore le sue rare doti di studioso e di insegnante, con tanto profitto della scienza e vantaggio della scuola! 7 maggio 1916. E n I e TTT" ema » ilo ME ST I = E° Pre no n) "n î : a A C. F. Nuovi fossili del miocene Atti R. Accad, dI. Scienze di Sozino Vol. 5I ICILIO GUARESCHI — AZIONI DELL'ACIDO SOLFIDRICO, ECC. 951 Azione dell'acido solfidrico sulle miscele delle terre alcaline con gli alcali e con gli ossidi dei metalli pesanti. Nota II del Socio ICILIO GUARESCHI. Nella mia prima Nota (') su questo argomento, io ho di- mostrato che la miscela di alcali terrosi, quali la calce e la barite semplicemente mescolate con idrato potassico o idrato sodico in determinate condizioni, con acido solfidrico e corrente d’aria, producono il fenomeno della incandescenza viva di tutta la massa, come si ha colla calce sodata. Mi si affacciò il dubbio che la pronta incandescenza dipendesse dalla formazione di un poco di perossido alcalino, il quale promovesse la vivacità della reazione. I. Esperienze con perossidi. Perciò ho voluto fare alcune esperienze coll’aggiungere del p 5 perossido di sodio Na?0?, o anche dell’osszlite, alla calce od alla barite; e così con altri perossidi. Esp. 35° (2). — 10 gr.di calce viva bianca (0!) mescolo con 0,5 di perossido di sodio, poi faccio passare una corrente di H?S puro, il quale annerisce alquanto la miscela, poi successivamente una corrente d’aria. La miscela si scalda, sviluppa acqua, ma non produce incandescenza. (4) Esperienze ed osservazioni sulle miscele delle terre alcaline con gli alcali, in “ Atti R. Accad. delle scienze ,, 1915-1916, vol. LI, p. 27. (2) Seguito la numerazione delle esperienze come nella Nota I. 952 ICILIO GUARESCHI Esp. 36°. — Rifaccio l’esperienza con 10 gr. della stessa calce (C!) mescolata con 0,5 di Na?0?, poi faccio passare 1 litro di H?S insieme a corrente d’aria. La miscela sviluppa calore, ma non si ha incandescenza. Esp. 37°. — Mescolo 20 gr. di barite con 0,5 di Na?0? e ottengo nulla. Esp. 38°. — 25 gr. di barite con 0,5 di KOH quasi tutto in polvere. Con acido solfidrico ed aria si produce incandescenza viva ed il tubo si ruppe. Dunque anche nel rapporto di 50 Ba0 per 1 di KOH si ha incandescenza. Esp. 39°. — 25 gr. di barite con 2 gr. di Na?0?, poi 1 litro di H?S e corrente d’aria. Vivissima incandescenza, subito, vio- lenta. Non esplosione. Esp. 40°. — 25 gr. di Ba0 con 0,5 Na?0? (!). Vivissima incandescenza. Esp. 41°. —- 25 gr. Ba0O + 0,10 Na?0?. Poi al solito 1 litro di H?S ecc. Si ha qualche scintilla, molto calore, ma non incan- descenza. Esp. 42°. — 25 gr. di barite con 0,5 di Mg0?, poi corrente di acido solfidrico ed aria. Nulla; nemmeno sviluppo di calore. Esp. 43°. — 15 gr. di calce viva (C!) con 0,25 di Na?0?; qualche scintilla, calore, ma non incandescenza. Esp. 44°. — 15 gr. di calce viva (C') con 0,5 di Na?0?, cioè nel rapporto 30 :1. Non si ha incandescenza. Esp. 45°. — 15 gr. di calce grigio-bruna (A} mescolati con 0,5 di Na?0?, Non si ha incandescenza. Esp. 46°. — 15 gr. idem + 0,5 Na?0?; molto calore, qualche scintilla, ma non incandescenza. Invece con: Esp. 47°. — 15 gr. calce bruna (A) con 1 gr. Na?0? si ha viva incandescenza, intensa, prolungata. Esp. 48°. — 25 gr. di barite con 2 gr. BaO? idrato, poi al solito con 1 litro di H?S e corrente d’aria. Si scalda, annerisce, (‘) Il perossido prima adoperato era stato lungo tempo in un vaso che non era ben chiuso. AZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO SULLE MISCELE, ECC. 9583 sviluppa calore ed acqua; diventa rossastra, ma non produce incandescenza. Esp. 49°. — 15 gr. di calce bianca (0!) mescolati con 0,5 di ossilite, poi al solite faccio passare 1 litro di H®S in corrente d'aria. Imbrunisce, si scalda, sviluppa acqua, poi fa incande- scenza come se fosse potassa o soda. Però agisce meglio del Na?0? (V. esper. 44). Esp. 49° bis. — 20 gr. di BaO in granelli di 1 a 2 mm. con 0,5 di ossilite; poi faccio passare H?S in corrente d’aria. La miscela si riscalda molto, sviluppa acqua, ma non si ha incan- descenza. Esp. 50". — Ho fatto questa esperienza con barite e peros- sido di piombo PbO?, ma non si ebbe riscaldamento e tanto meno incandescenza. Come si scorge dalle esperienze precedenti, l’incandescenza nel caso delle miscele di calce o barite con potassa o soda, non può essere attribuita alla presenza di piccole quantità di peros- sidi nella calce sola o nelle miscele, perchè sia la calce o la barite nelle stesse condizioni producono l’incandescenza tanto colla soda quanto colla KOH, oppure col Na?0? o coll’ossilite. Si direbbe anzi che la KOH agisca più energicamente. Si noterà che in tutte queste esperienze l’acido solfidrico viene poco assorbito e che passa oltre già fino da principio dell'esperienza. Il che non succede colla calce sodata che avi- damente lo assorbe tutto subito. II. Esperienze con la stronziana e con la litina. Ho fatto anche alcune esperienze con l’ossido di stronzio Sr) e con litina LiOH, ma i risultati furono poco soddisfacenti. Esp. 51°. — Gr. 15 di Sr0 in piccoli granelli furono me- scolati con 1 gr. di KOH, poi trattati come al solito con acido solfidrico in corrente d’aria. Si sviluppò molto calore ed acqua, parte dell'acido solfidrico passò oltre, ron si ebbe incandescenza. Esp. 52°. — Eguale risultato con 23 gr. di SrO e 5 gr. di Na0OH. 954 ICILIO GUARESCHI Esp. 53°. — Un miscuglio di 10 gr. di CaO con 5 gr. di litina commerciale, fu trattato come sopra, ecc. Si scalda poco e non produce incandescenza. Esp. 54°. — Eguale risultato con 19 gr. di Ba0 e 5 gr. di litina. Esp. 55°. — Rifacendo di confronto l’esperienza con barite e idrato sodico si ebbe con H?S viva incandescenza. Esp. 56°. — La miscela di 25 gr. di BaO e 5 gr. di LiOH (recentemente arroventata) trattata come sopra si scalda ben poco e non produce affatto incandescenza. Esp. 57°. — La miscela di 17 gr. di Sr0 (recentemente cal- cinata) e 4 gr. di NaOH in grani e parte in polvere, produce con H?S in corrente d’aria molto calore, ma non incandescenza. Anche qui subito, sin da principio, parte di H?S passa inalterato. Da queste esperienze risulterebbe che la stronziana e la litina agiscono meno energicamente che non la barite e la calce, e la soda e potassa. ELL Azione dell’acido solfidrico sugli ossidi dei metalli pesanti in presenza delle terre alcaline. Ho voluto vedere se nei miscugli precedenti, sostituendo agli idrati di sodio o di potassio gli ossidi di metalli pesanti quali sono: Hg0, NiO, PbO, Cu0, Cu?0, Fe?03, si avevano feno- meni analoghi o diversi; e specialmente venire a conoscere quali di questi ossidi producevano il fenomeno dell’incandescenza. Esperimentai prima coll’ossido mercurico ed ottenni ottimi risultati. In queste esperienze, come nelle precedenti, l’aspira- zione della corrente d’aria era ottenuta mediante un aspiratore semplicissimo, costituito da una grossa boccia di circa 15 litri, piena d’acqua e con tubulatura alla base. Precedeva questo aspiratore una boccia di Habermann per regolare la corrente. La miscela da far reagire col gas solfidrico era contenuta in un piccolo tubo ad U, del diametro interno di 1,2 a 1,5 ed alto 15 cm. circa. IT TI AZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO SULLE MISCELE, ECC. 955 Le notizie che si hanno intorno all’azione dell’acido solfi- drico sull’ossido di mercurio sono poche. Schumann nella sua Memoria: Ueder die affinitit des Schwefels und des Sauerstoff zu den Metallen (*) riguardo all’ossido di mercurio, si limita a dire che coll’acido solfidrico si scalda molto, con sviluppo di acqua e di solfo, e fornisce solfuro nero di mercurio. Non dice se l’os- sido impiegato era il rosso od il giallo. Esp. 1°. — (Gr. 10 di calce viva bianca, comune, molto buona e conservata in vasi chiusi alla lampada, mescolati con gr. 6 di ossido mercurico giallo (che da lunghissimo tempo era stato preparato in questo laboratorio), furono trattati con 1 litro di gas H?S e corrente d’aria. La massa annerisce; una parte del solfidrico passa subito oltre nella boccia di Habermann e nel boccione che serve da aspiratore. Si produce molto calore e poco dopo si manifesta una vivissima incandescenza (*) con produzione di molto gas solforoso. La temperatura è tale che il vetro del tubo ad U si rammollisce. L'acqua della boccia di Habermann diventa lattiginosa per solfo colloidale che si forma tra H?S e S0? e lo solfo pure colloidale si deposita entro il boccione, produ- cendo un curioso fenomeno di precipitazione di solfo minutissimo in forma di arborescenza che cade dalla superficie dell’acqua e va al fondo in spirali, ognuna delle quali è terminata da un anello, che sembra un anello di Tait: al centro del vaso, o per meglio dire al centro della superficie dell’acqua, non sì deposita solfo, se tutto rimane in quiete. La vista della caduta di questo solfo colloidale lattiginoso a guisa di grappoli o di stalattiti è bellissima. Nel tubo ad U si trova del mercurio ridotto a specchio metallico e ‘del solfuro di mercurio. I fumi bianchi che si formano dunque nell'interno dell’ap- parecchio sono costituiti in questo caso da minute particelle di solfo colloidale, provenienti dalla reazione fra l'acido solfidrico ed il gas solforoso che si produce durante l’incandescenza e che non può venire assorbito dalla calce o dalla barite (perchè l’in- (4) A. 1877, t. 187, p.811. (*) Si noterà che Hg0O è fra gli ossidi che sviluppano più calore per l’azione dell'acido solfidrico: circa 45.300 cal. secondo Thomsen (* ). pr. Chem. ,, 1879 (2), t. 19, p. 17) e 48.700 secondo Berthelot (* C. R. ,, 1874, t. 78, p. 1176). 956 ICILIO GUARESCHI candescenza, come vedremo, avviene anche colla barite e l’ossido mercurico); invecei fumi o nebbia che si osservano colla calce sodata e l’acido solfidrico sono di natura affatto diversa; questa nebbia non contiene solfo, perchè tanto l’acido solfidrico quanto l’acido solforoso prodotto durante l’incandescenza, vengono as- sorbiti dalla calce sodata, che si distingue dai miscugli appunto pel suo straordinario potere assorbente; ed invero l’acqua della boccia Habermann, come quella dell’aspiratore, col riposo ridi- venta limpidissima. Esp. 2°. — Ripetei l’esperienza con 10 gr. di calce viva e 2 gr. dello stesso HgO, ma non si ebbe incandescenza. Anneri- mento e poco calore. Esp 3°. — 10 gr. dello stesso ossido di calcio con 3 gr. di HgO. Annerimento, poco calore; won incandescenza. Esp. 4°. -- 10 gr. di calce e 5 gr. di HgO. /ncandescenza vivissima. Esp. 5°. — 10 gr. di calce + 2 gr. HgO precip. di Kahl- baum. Nessuna incandescenza. Esp. 6°. — Mescolo 10 gr. di CaO con 4 gr. Hg0 giallo del laboratorio, come prima, poi 1 litro di H?S, ecc. Annerisce, si scalda, poi manifesta viva incandescenza e solfo lattiginoso e nel boccione si ripete il bel fenomeno della caduta dello solfo col- loidale. Però dopo pochi istanti avvenuta l’incandescenza si pro- duce una forte esplosione nella boccia contenente l’acido solfi- drico. Vi ha riduzione di Hg0 e formazione di SO?. Esp. 7°. — 10 gr. di CaO con 4 gr. HgU precipitato di Kahlbaum. Annerisce, si scalda poco, non si ha incandescenza. Perchè? I due ossidi gialli adoperati sembrano identici; non con- tengono tutte due che traccie minime di acqua; si sciolgono com- pletamente nell’acido nitrico e dimostrano di non contenere cloro, oppure delle minime traccie tutte due; con acqua dànno reazione neutra. Scaldati, lasciano una minima traccia di re- siduo; però il mio in alcuni punti durante il riscaldamento di- venta quasi bianco e poi scompare anche questo. Così non fa quello di Kahlbaum (V. esper. 272). Preparai io stesso dell’ HgO purissimo per precipitazione; fu ben lavato e disseccato a 15°-20° e poi sul cloruro di calcio. AZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO SULLE MISCELE, ECC. 957 Esp. 8°. — Gr. 10 di Ca0, stata ben conservata entro ma- traccio chiuso alla lampada, mescolai con 5 gr. di questo mio ossido purissimo e poi ho proceduto come sopra. Dopo pochi momenti vivissima incandescenza ed il fenomeno della caduta dello solfo colloidale, ecc. Il tubo si va a poco a poco ostruendo. La calce nel mezzo ridiventa bianca, ma in alto e in basso della colonna di calce si ha una massa nera. Sostituisco alla calce la barite Ba0. Esp. 9°. — Gr. 15 di Ba0 in granelli di 1 mm., di color violaceo, mescolo con 4 gr. di HgO precipitato, da me preparato, poi tratto come al solito con 1 litro di H?S, ecc. Annerisce su- bito, sviluppa molto calore e si nota rapida e vivissima incan- descenza e poi successiva (dopo nemmeno !/, minuto) forte esplo- sione nella boccia a solfidrico. Anche in questo caso si nota la caduta nell'acqua dello solfo colloidale. Anche colla barite si ha dunque una viva e bella reazione, benchè il rapporto fra BaO e Hg0 sia minore: 15 : 4. Esp. 10°. — Gr. 15 di Ba0 + 1 gr. di Hg0O (rapporto 1 : 15). Anche in questo caso si ha l’incandescenza viva, senza però l'esplosione, forse per la più rapida corrente d’aria sino da principio. Mentre 10 gr. di calce con 2 e anche con 3 gr. di Hg0 non produssero incandescenza; colla barite si ha l’incandescenza anche nel rapporto di 1:15. Evidentemente, come sempre, la barite è più attiva. Esp. 11°. — Gr. 15 di Ba0 + 4 gr. di HgO in corrente di gas H?S schietto; la miscela annerisce, sviluppa calore molto, ma parte del mercurio è ridotta a specchio metallico; facendo passare dopo una corrente di aria, si sviluppa moltissimo ca- lore, ecc., ma non si ha incandescenza. Visti questi risultati con l’ossido di mercurio, ho voluto pro- vare con l’ossido nero di nickel NiO. Esp. 12°. — Gr. 20 di Ba0 misti con 3 gr. di NiO furono sottoposti all’azione di 1 litro di H?S in corrente d’aria come al solito. Si nota sviluppo di moltissimo calore e poco dopo wi- vissima incandescenza. 958 ICILIO GUARESCHI Esp. 13°. — Gr. 20 di Ba0 con 1 gr. di NiO nelle stesse condizioni precedenti: non si ha incandescenza. Esp. 14°. — Gr. 20 di Ba0 + 2 gr. NiO, ecc., si sviluppa molto calore e, poco dopo, vivissima incandescenza. Rapporto 1:10. Esp. 15°. — Gr. 30 di barite + 1,5 (rapp. 1:20), si scalda molto, ma non fa incandescenza, nemmeno dopo un secondo litro di gas acido solfidrico. Esp. 16°. — Gr. 20 BaO + 1,5 NiO (rapp. 1 : 15), si riscalda molto, ma non incandescenza. Dunque in queste condizioni per avere l’incandescenza oc- corre il rapporto fra Ba0 e NiO di 1:10. Con 1:7 si ha ancora più facilmente l’incandescenza. L'ossido di nickel agisce bene quasi come l’ossido mercu- rico; ma l’Hg0 è più attivo; agisce nel rapporto di 1:15, mentre quello di nickel nel rapporto di 1:10. Esp. 17°. — Gr. 20 di Ba0 furono mescolati con 3 gr. di PbO (litargirio puro) e trattati nelle stesse condizioni precedenti; non si sviluppa calore, o almeno pochissimo, e non si ha affatto incandescenza. Esp. 18°. — Gr. 20 Ba0 + 3 gr. Fe?0* purissimo. Non incandescenza. Esp. 19°. — Gr. 20 BaO + 3 gr. di CuO nero in polvere finissima. Nulla. Esp. 19° bis. — (Gr. 10 di CaO bianca buonissima, con 5 gr. Cu?0. Poco riscaldamento e non incandescenza. Dunque, coll’ossido di bario Ba0, di sei ossidi dei metalli pesanti che ho esperimentato in mescolanza (Hg0, NiO, PbO, Cu0, Cu?0 e Fe?03), solamente i due primi reagiscono vivamente coll’acido solfidrico e producono l’incandescenza della barite; gli altri quattro in queste condizioni non agiscono. Ho voluto fare anche alcune esperienze coll’ossido di calcio e il nickel e anche cogli alcali e l’ossido di mercurio. Esp. 20°. — @r.15 di CaO bianca, buona, comune + 2 gr. Ni); si scalda molto, ma non dà incandescenza. Esp. 21°. — Gr. 10 di Ca0 idem + 2 gr. Ni0; non si ha incandescenza. iii sinti AZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO SULLE MISCELE, ECC. 959 Esp. 22°. — Gr. 10 di Ca0 +4- 4 gr. di NiO; si sviluppa molto calore, ma non si ha incandescenza. Colla calce dunque in queste condizioni non sono riuscito ad avere incandescenza coll’ossido di nickel. Esp. 23°. — 15 gr. di Ca0O grigio scura, misti con 5 gr. di NiO; si sviluppa molto calore, ma mon si ha incandescenza. Esp. 24°. — Gr. 10 di Ba0O + 2 gr. di nickel metallico in polvere finissima. Non si sviluppa calore e tanto meno incan- descenza. Esp. 25°. — Gr. 10 di KOH, in grani, + 4 gr. Hg0, con 1 litro di H?S, ecc., come al solito: si sviluppa molto calore e acqua; tutta la massa prima nera ridiventa bianca, ma il tubo si ostruisce. La KOH conteneva forse troppa acqua. L'ho dis- seccata bene tenendola fusa in crogiuolo d’argento. Esp. 26°. — Gr. 10 di questa KOH + 4 gr. di Hg0 e 1 litro di gas solfidrico, ecc.; la miscela sviluppa molto calore, la massa fonde ed il gas gorgoglia nella massa fusa; non si ha incandescenza. Esp. 27°. — Ho voluto rifare una esperienza con la calce e l’ossido di mercurio: Gr.10 di calce buona furono mescolati con 5 gr. Hg0 (spe- ciale collezione Kahlbaum), poi trattati con 1 litro di gas solfi- drico e corrente d’aria. La massa annerisce, produce un riscal- damento enorme e poco dopo vivissima incandescenza e nell'acqua dell’aspiratore. non nel centro, ma verso la periferia, si vede lo solfo colloidale cadere in forma arborescente e ad anelli di Tait. E sempre un bel fenomeno. Perchè in questo caso come in altri analoghi lo solfo si deposita in questo modo? Vi ha influenza la forma del vaso? Ho voluto fare anche una esperienza in bianco con solo ossido mercurico misto con quarzo. Esp. 28°. — Gr. 15 di quarzo in granelli furono mescolati con 7,5 gr. di Hg0 (precip. purissimo), poi al solito con 1 litro di H?S e corrente d’aria. Annerisce, si scalda molto, ma mon si produce incandescenza. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 62 960 ICILIO GUARESCHI Nelle precedenti esperienze io ho adoperato l'acido solfi- drico non disseccato, cioè quale esce dall’apparecchio di prepa- razione e ben lavato, poi passato in una boccia di un litro. Ho voluto fare, come avevo già fatto per la calce sodata, una esperienza anche con acido solfidrico ben disseccato col clo- ruro di calcio. Esp. 29°. — Gr. 10 di CaO, bianca, buona (come quella dell'esperienza 4*), furono mescolati con 5 gr. di Hg0O precip. pu- rissimo, poi 1 litro di gas e corrente d’aria pure ben disseccata. Anche in questo caso si osserva viva incandescenza; anzi vivis- sima, al punto che il tubo di vetro si rammollisce e rimane contorto. Nella mia Nota I (esp. 5*) ho detto che la CaO dal marmo mista colla soda caustica in granelli e polvere, produce incan- descenza per l’azione dell’azione solfidrico. E qui è da osservare che dei campioni di calce sodata, preparata con Ca0 dal marmo, assorbiva poco il solfidrico e non dava punto incandescenza. Perchè? Ho voluto perciò provare la CaO dal marmo anche coll’os- sido mercurico e vedere se produceva incandescenza. Esp. 30°. — (Gr. 10 di CaO dal marmo, bianchissima, in granelli di circa 1-2 mm., mescolati con 5 gr. di Hg0 purissimo, furono trattati con 1 litro di gas H?S e corrente d’aria come al solito. Si ebbe bellissima incandescenza, anche con questa calce. Bellissima poi la caduta dello solfo colloidale; l’acqua del boccione aspiratore era perfettamente tranquilla. Ho voluto esaminare se la porosità della pomice potesse facilitare la incandescenza dell’ossido mercurico coll’acido solfi- drico ed ho fatto l’esperienza seguente: Esp. 31°. — Gr. 5,5 di pomice, ben lavata con acido clori- drico, poi con acqua, e calcinata, furono mescolati con 5 gr. di HgO purissimo, giallo e trattai il tutto con 1 litro di H?$ in corrente d’aria, ecc. La massa si scaldò molto, si produsse un poco di gas solforoso, l’acqua della boccia di Habermann di- ventò lattiginosa e si notò la formazione di mercurio ridotto. ma mon incandescenza. AZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO SULLE MISCELE, ECC. 961 Sulla separazione dello solfo colloidale. — Mediante un aspiratore a caduta d’acqua, in forma di grossa boccia con tu- bolatura al fondo, ho fatto passare una corrente dei due gas H?S e SO? contenuti in due boccie diverse, una di circa 1 litro di H?S e l’altra di !/, litro di SO?. Quando i due gas entrano nel boc- cione reagiscono appena in contatto dell’acqua, la quale devesi fare scolare con getto moderato dalla tubolatura in basso, mu- nita di un tubo di vetro e pinza. Così si produce dello solfo colloidale di un bel colore azzurro celeste, quasi si direbbe fluo- rescente, a forma di glomeruli terminati ad anello come quelli di Tait. Se l’acqua del boccione non è perfettamente tranquilla ed ha, ad esempio, un lieve movimento rotatorio o giratorio da sinistra a destra, allora lo solfo si precipita lentamente quasi come in sottili fili di cotone azzurrognolo. In un modo o nell’altro il fenomeno è molto bello e può essere una elegante e persua- siva esperienza di lezione sullo solfo colloidale e sul modo di separarsi quando l’acqua è in leggero movimento dall’alto al basso, o rotatorio. CONCLUSIONI 1) Quando la calce e la barite caustiche sono semplice- mente mescolate con idrato di potassio o di sodio, l’attività di queste basi relativamente all’azione dell’acido solfidrico è stra- ordinariamente aumentata, come, o quasi colla calce sodata, ed il miscuglio in determinati rapporti dà luogo ad una viva incandescenza. Tutto questo risultava già dalle esperienze esposte nella Nota I. 2) L’ossido di stronzio e l’idrato di litio, nelle condizioni da me indicate, agiscono molto meno energicamente e con queste basi non sono riuscito ad ottenere incandescenza. 3) L'incandescenza ottenuta colle miscele accennate in 1) e l'acido solfidrico non può attribuirsi alla presenza o forma- zione di perossidi. I perossidi alcalini agiscono pressochè come gli idrati di sodio e di potassio; i perossidi di bario, magnesio, piombo non agiscono. Debbo però dire che non ho potuto fare delle esperienze con perossidi alcalini di recentissima prepa- razione. 962 ICILIO GUARESCHI — AZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO, ECC. 4) L'acido solfidrico è fissato solo in parte dalla miscela delle terre alcaline cogli alcali, in parte passa inalterato; la parte fissata è quella che poi produce l’incandescenza. Questa è forse la differenza principale fra il modo di agire della calce sodata coll’acido solfidrico e dei miscugli delle terre alcaline cogli alcali (ed anche degli ossidi dei metalli pesanti); in questo secondo caso parte dell'acido solfidrico passa subito oltre, mentre colla calce sodata viene subito tutto fissato, e poi produce la incandescenza. 5) Le miscele degli ossidi di calcio o di bario con gli 0s- sidi di mercurio. e di nickel, reagiscono assai vivamente col- l’acido solfidrico, al punto che quando sono in determinati rapporti ha luogo una viva incandescenza, e talora anche esplosione. Non agiscono invece: l’ossido ferrico, gli ossidi rameico e rameoso, l’ossido di piombo o litargirio. 6) Il fenomeno della incandescenza ha luogo tanto col- l'acido solfidrico umido quanto col gas acido solfidrico disseccato. 7) L’incandescenza ha luogo anche adoperando la calce viva dal marmo invece della calce viva ordinaria. 8) Quando si ha incandescenza coll’ossido di mercurio si produce dell’anidride solforosa, la quale, reagendo coll’acido sol- fidrico, forma dello solfo colloidale che precipita dall’acqua in forma speciale e di colore azzurrognolo. 9) La pomice coll’ossido mercurico non produce incan- descenza. i In un’altra Nota esporrò le esperienze fatte intorno al po- tere assorbente delle miscele di terre alcaline con alcali (o con ossidi di metalli pesanti) relativamente ad altri gas che non siano l'acido solfidrico, quali l’ossicloruro di carbonio, l'anidride carbonica, il gas solforoso, ecc., in confronto con il grande potere assorbente che dimostra la calce sodata. Torino, R. Università, Marzo 1916. COTTI C. F. PARONA — NUOVI FOSSILI DEL MIOCENE, ECC. 963 Nuovi fossili del Miocene di Rosignano Piemonte. Nota del Socio C. F. PARONA. (Con una Tavola). Il benemerito Dott. FepeLE Bruno di Biella, valente chi- rurgo e dapprima assistente al R. Orto Botanico di Torino, destinò per testamento una cospicua somma a vantaggio di pa- recchi nostri istituti universitari, compreso il Museo di Geologia e Paleontologia. coll’obbligo di impiegare la quota spettante al Museo stesso nell’acquisto di fossili. Questo legato ha dato modo alla Direzione di fare un acquisto quale non gli sarebbe stato possibile colla dotazione ordinaria e di impedire la dispersione o la vendita all’estero di una ricca collezione di fossili piemon- tesi, assicurandone il possesso al Museo di Torino. Questa collezione fu adunata in molti anni di diligenti ri- cerche e con spese rilevanti dal compianto Avv. FiLippo CAN- TAMESSA, appassionato studioso della Paleontologia piemontese. Il nome del CantAMmEssA non è nuovo ai paleontologi, avendo egli pubblicato fin dal 1891, nelle Memorie della nostra R. Ac- cademia delle Scienze (ser. II, vol. XLI), una accurata mono- grafia sui resti del Mastodonte di (inaglio d'Asti, corredata da due belle tavole, e più recentemente, nel 1898, un’operetta di volgarizzazione dal titolo: / fossili (Torino, U. T. E.), colla quale, in forma originale ed attraente raggiunge il modesto scopo propostosi della “ diffusione di alcuni primi elementi di Paleon- tologia ,, mentre offre prova evidente e spontanea del suo amore ai nostri studi e dell’appassionato interessamento per le raccolte paleontologiche e per il loro incremento. Gli avanzi di grandi vertebrati della collezione Cantamessa furono ceduti dallo stesso proprietario fin dal 1890 al R. Museo 964 C. F. PARONA Geologico di Bologna, e sono oggi fra i più pregevoli orna- menti del “ Museo G. Capellini , (1). La collezione ora passata in proprietà del Museo di Torino raccoglie fossili di varie provenienze, ma la parte maggiore, e più interessante come materiale di studio, consta di fossili dei terreni cenozoici del Piemonte, ed essenzialmente di fossili del Miocene della Collina di Torino e di Rosignano Monferrato e dell’Eocene di Gassino. Le raccolte di Gassino e di Rosignano arricchiscono opportunamente quelle che erano troppo modeste delle stesse località, già possedute dal Museo; e la raccolta di fossili miocenici dei dintorni di Torino, segnatamente delle lo- calità prossime a Baldissero Torinese e a Pino Torinese, arric- chisce di oltre 10.000 esemplari quella che era già la più ricca collezione del Museo, accrescendone di molto l’importanza scien- tifica, specialmente per i numerosi e superbi esemplari di co- rallari. I fossili più notevoli o nuovi saranno oggetto di pubblica- zioni; e fin d'ora colla presente Nota voglio dare notizia di due rari fossili di Rosignano, anche col proposito di rendere con ciò omaggio alla memoria di FepeLE Bruno e di FrLippo CAN- TAMESSA, i quali in modi diversi sì sono resi benemeriti del nostro Museo. DE * * Il calcare miocenico (pietra da cantoni) finamente arenaceo, tenero, bianco-paglierino di Rosignano-Piemonte è ben cono- sciuto scientificamente e industrialmente. La bella monografia (2) (1) A proposito dell'acquisto di questi resti il Senatore G. CapeLLINI scrisse (Mastodonti del Museo Geologico di Bologna, I, È Mem. R. Ace. Ist. di Bologna ,, t. IV, ser. VI, 1907) che “ da parecchi anni il Cantamessa gareg- “ giava con i Musei del Valentino e del Palazzo Carignano, dolente che “ non apprezzassero il suo entusiasmo per la Paleontologia e più ancora che “ fossero state respinte sue generose offerte ,. — Mi permetto di notare che ciò avvenne prima ch'io assumessi la direzione del Museo Geologico di Torino, e che ignoro le ragioni per cui questi avanzi di mastodonti del Pliocene astigiano furono acquistati per il Museo di Bologna anzichè per quello di Torino, sede più naturale, trattandosi di fossili piemontesi. (2) G. De ALessanprIi, La pietra da cantoni di Rosignano e di Vignale (Basso Monferrato). Studi stratigrafici e paleontol., 1 carta geol. e 2 tav., “ Mem. d. Soc. It. di St. Nat. e d. Mus. Civ. di St. Nat. di Milano ,, VI, 1897. | È i "- NUOVI FOSSILI DEI, MIOCENE DI ROSIGNANO PIEMONTE 9065 pubblicata nel 1897 dal Prof. De ALessAnpRI ha segnato un passo notevole nella conoscenza della sua situazione stratigra- fica e della sua fauna: e lo studio (1) successivo del Prof. PrEvER sulle orbitoidi riscontrate in questa serie miocenica e la illu- strazione (2) fatta dal Prof. Bassani di un bericide (Myripristis melitensis) della stessa provenienza, e comune alle faune del calcare miocenico di Lecce e di Malta, hanno poi convalidato il riferimento della pietra da cantoni al Langhiano. Lo stesso Prof. Bassani mi informò di aver riconosciuto nei frammenti di pesci di Rosignano da me comunicatigli anni addietro anche il Serranus Casottii (Costa) della pietra leccese. Il BassanI aveva gentilmente accolta la mia preghiera di esaminare i preziosi resti di pesci della collezione Cantamessa: ma il diletto amico, prima che potesse vedere i fossili, già spe- diti a Napoli, si spense in Capri pochi giorni or sono (26 aprile), quando si riprometteva di ritornare con rinnovate forze al Museo ed alla Scuola. Nella lunga lotta fra la passione dello studio, che lo animava e sosteneva, e il male, che lo insidiava, quest’ultimo pur troppo doveva vincere e toglierci con immatura morte l’insigne paleoittiologo, il preclaro insegnante e l’amico impareggiabile ! È da ritenere probabile che nuove corrispondenze paleon- tologiche Egli avrebbe verificate fra i due giacimenti langhiani, oltre le corrispondenze già note e quella assai significativa, og- getto della presente comunicazione, della esistenza nella pietra da cantoni del Cybium Bottii (Cap.) (Sphyrenodus Bottii Cap.) (3). Il fossile riferito a questa specie è ben conservato e chiara- mente corrisponde al tipo, così che potrebbe bastare la foto- grafia (ved. tav.) quale garanzia dell’esattezza del riferimento : non credo tuttavia fuor di luogo aggiungere un cenno descrittivo sommario. (1) P. L. Prever, Le formazioni ad Orbitoidi di Rosignano-Piemonte e dintorni, “ Boll. d. Soc. Geol. It. ,, XXVIII, 1909. (2) F. Bassani, Sopra un Bericide del calcare miocenico di Lecce, di Rosignano-Piemonte e di Malta, 2 tav., “° Mem. R. Accad. Se. di Napoli ,, XV, 1911. (3) G. Capectini, Della “ pietra leccese , e di alcuni suoi fossili, * Mem. R. Accad. Sc. d. Ist. di Bologna ,, t. IX, 1878, p. 24 e seg., tav. III. 966 C. F. PARONA Cybium Bottii (Cap.). — La rettifica della denominazione generica devesi al Woopwarp e fu accettata dal Bassani (1), come risulta dalla sua recente monografia sulla ittiofauna della pietra leccese. Il Cybium Bottiù fu trovato anche nell’arenaria di Bolzano nel bellunese (2), per cui questa specie, che si presenta in tre giacimenti lontani, acquista importanza come fossile ca- ratteristico del Langhiano. Il resto, scoperto a Rosignano, è un mascellare inferiore destro; esso è lungo mm. 119, coll’estremità anteriore ben con- servata e quella posteriore imperfetta, coll’osso articolare par- zialmente rappresentato dall’impronta. I denti sono complessi- vamente 32, ma 7 sono rappresentati da impronte ben delimitate sulla roccia e 4 sono incompleti: sonvi inoltre 4 spazi o inter- valli interdentali vuoti, irregolarmente distribuiti sulla metà an- teriore del margine mascellare, e, se essi corrispondono, come ritengo, a denti spezzati e caduti, il numero totale dei denti sarebbe di 36. I denti sono contigui l’uno all’altro e quasi sempre a contatto, salvo i due ultimi posteriori che si presen- tano spaziati. Sono uniformi, compressi lateralmente e presen- tano su le due facce una depressione mediana ed un’altra presso i margini, quasi taglienti, in corrispondenza del col- letto: hanno cioè la caratteristica forma di lancetta già no- tata dagli autori. La radice è cilindroide, pure lateralmente com- pressa e infissa profondamente, non meno di quanto emerge il dente del margine alveolare. Tursiops miocenus Portis? — Un altro avanzo di verte- brato, della collezione Cantamessa, del quale credo opportuno di segnalare il rinvenimento, è un cranio incompleto di delfino, che con ogni probabilità appartiene al Tursiops miocenus Portis (3): ne enumero le parti come mi si presentano, dopo lungo e deli- cato lavoro di ripulimento. (1) F. Bassani, La Ittiofauna della “ pietra leccese, (Terra d'Otranto), “ Mem. R. Accad. Sc. Napoli ,, vol. XVI, 1915, p. 34. (2) G. Dar Praz, Sui vertebrati delle arenarie miocen. di Belluno, “ Atti Ace. Se. veneto-trent.-istr. ,, anno V, 1908, p. 17. (3) A. Porris, Catalogo descrittivo dei Talassoterii rinvenuti nei terreni terziari del Piemonte e Liguria, ©“ Mem. d. R. Accad. d. Scienze di Torino ,, vol. XXXVII, 1885, p. 100, fig. 106. Li È NUOVI FOSSILI DEL MIOCENE DI ROSIGNANO PIEMONTE 967 Il eranio è incompleto e scomposto parzialmente e se ne riconoscono le seguenti ossa più o meno frammentarie: inter- mascellare, visibile pel di sotto; mesoetmoide ?; parietale; arco jugale: osso squamoso; periotico-osso timpanico (destro e si- nistro): condili; exoccipitale; basioccipitale; mandibola (margine inferiore e estremità articolare). Un frammento di mandibola presenta in posto tre denti ben conservati e parte di radice di altri due. Questi denti ed un altro isolato corrispondono esattamente a quelli che hanno servito al PorrIs per istituire la specie: sono alquanto più pic- coli dei maggiori descritti dal PorrIs e, come gli avanzi del cranio, accennano ad un individuo più giovane. Il De ALessaNpRI (1) ha già notato la frequenza di ossa periotiche nel calcare della Colma di Rosignano, ritenendole at- tribuibili forse a delfino. Il confronto con quelle che apparten- gono al cranio in esame conferma questo riferimento e più pre- cisamente al gen. 7ursiops: è da notare tuttavia una certa variabilità nei caratteri di queste ossa, senza che per altro ne risultino differenze tali da lasciar ritenere ch’esse spettino a specie diverse. Con questi avanzi nuovamente scoperti e qui enumerati la conoscenza del Tursiops di Rosignano si avvantaggia notevol- mente. Ma detti avanzi parmi non bastino per una diagnosi e descrizione sufficientemente particolareggiate, e per un confronto definitivo colle forme affini mioceniche ed anche col pliocenico T. Cortesiù (Desm.). Converrà attendere che ulteriori ricerche procurino altro materiale di studio per poter fare di questa specie una illustrazione più completa. Ca Ritengo opportuno di notare infine che nelle operazioni di scoprimento e di ripulitura di queste ossa vennero allo scoperto anche rari esemplari di opercolina e non poche valve di Pecten denudatus Reuss (Pseudamussium corneum (Sow.), var. denudata (Reuss) sec. Sacco), specie già dal Prof. De ALESSANDRI ricono- (1) De Atressanpri, “‘ Mem. , cit., p. 20, tav. I, fig. 2. 968 C. F. PARONA — NUOVI FOSSILI DEL MIOCENE, ECC. sciuta frequente fra i fossili miocenici del Basso Monferrato e che pure fa parte della fauna della pietra leccese. La grande somiglianza fra queste due pietre nell'aspetto e nei caratteri delle faune è riconfermata dall’esame al micro- scopio. Lastrine sottili tagliate dalle roccie contenenti gli avanzi del Cybium e del Tursiops di Rosignano e da un campione della pietra leccese, avvolgente un pezzo di osso indet., dimostrano identità di costituzione: sono calcari biogenici, costituiti per oltre due terzi da globigerine minutissime e assai ben conser- vate, con rari esemplari di textularie e ancor più rari di ro- talie, pulvinuline, lagene, nodosarie, frammenti di cidariti e spi- cule di spugne. Come è noto (1), è pure una marna langhiana a globigerine la pietra di Malta; e simili alle pietre di Rosignano e di Lecce, e della stessa età, sono la marna a seppie di Fan- gario (Cagliari) (2) e la pietra di Siracusa (Latomie): ma l’una e l’altra contengono globigerine poco numerose ; e questa si dif- ferenzia da quella, per quanto mi risulta dalle poche sezioni sottili esaminate, perchè colle globigerine vi sì osservano nume- rosi altri foraminiferi e spicule di spugne. (1) C. De Srerani, L’'Arcipelago di Malta, © Rend. R. Accad. Lincei ,, 5 genn. 1913, p. 7. (2) La pietra cantone e il tramezzario di Cagliari, del pari d’età mio- cenica, hanno invece carattere di panchina; ed infatti la parte minuta del calcare poroso che ingloba i molluschi ed altri fossili, generalmente mo- delli interni, è un aggregato, con litotamni, di tritumi di conchiglie e di echinodermi, con rari foraminiferi ed esclusione di globigerine. Nell’intima struttura e composizione si avvicinano a questo tipo certe varietà grosso- lane della pietra di Siracusa. DESCRIZIONE DELLA TAVOLA Cybium Bottii (Cap.), mascellare inferiore destro (grandezza naturale). è “ A. C. BRUNI — APPUNTI SULLO SVILUPPO DEI SISTEMA, ECC. 969 Appunti sullo sviluppo del sistema nervoso simpatico negli Ammioti. Nota I del Dott. ANGELO CESARE BRUNI Aiuto e libero docente. (Con una Tavola). Da parecchi anni sto raccogliendo materiale per lo studio del difficile probiema dell’istogenesi delle formazioni feocrome, studio che non può essere disgiunto da quello dello ‘sviluppo del sistema nervoso simpatico. Riservandomi di trattare altra volta in modo speciale del primo problema, credo ora oppor- tuno riferire fatti e considerazioni, che mi paiono illuminare alcuni punti ancora oscuri delle nostre conoscenze sullo svi- luppo del simpatico, oppure si scostano dai risultati delle os- servazioni fin qui compiute. In questa mia relazione non insi- sterò sui particolari riguardanti specialmente la morfogenesi, che sono in modo sufficiente illustrati da molti lavori anche recenti (Onodi, Paterson, Fusari, His jun., Held, Kuntz, Ganfini) e pei quali non esistono profonde controversie. Il materiale di cui mi sono servito comprende: 1° una serie di 19 embrioni di gongylus ocellatus, di cui 17, misurati avvolti a spira, avevano rispettivamente i diametri di mm. 3X3-3,8X 2,6-3,5 x3-3,8X3-4X 3,5 -4,5 X 4 - 5X,3,4-5X3,5-5X 4,5 - 5,93 X 4,5 - 5,3 X.4,7 - 64X 4,3 - 6X5-65X5-7,5X5,5- 7,3 X 5,8 - 7,8 X 6; due, misurati svolti, avevano la lunghezza totale rispettivamente di mm. 16 e 22 e quella del capo di mm. 6 e 7,5; 2° una serie di 28 embrioni di pollo incubati per ore: 61 1/, - 58 - 72 - 62 - 68 - 65 - 69 - 72 - 78!/, - 84- 81- 88 - 82 - 92 - 96 - 106 - 108 e giorni 5 (3 esemplari) - 5 e 17 ore - 6 - 6 e 1 ora - 7 (2 esemplari) - 9 (2 esemplari) - 11; 3° una serie di 16 embrioni di ratto (mus decumanus var. albina) della lunghezza massima rispettivamente di mm. 4 - 970 ANGELO CESARE BRUNI 5 - 6 (3 esemplari) - 7,5 (2 esemplari) - 8-9 - 10 - 11 (2 esem- plari) - 15 - 16 - 27 - 34. In ciascuna delle tre serie lo sviluppo del simpatico fu colto fin dal suo primo inizio, avendo potuto disporre di stadii in cui la vescicola acustica è aperta od appena chiusa ed an- cora in contatto coll’epidermide, la lente cristallina ha forma vescicolare, essendo anch’essa aperta o appena chiusa, gli arti non sono ancora abbozzati, o lo sono appena. Per gli embrioni di gongylus, che ebbi a disposizione già fissati, non mi fu possibile impiegare altro che metodi comuni di colorazione, semplice o, per lo più, doppia; per gli altri, accanto alle fissazioni e colorazioni semplici o doppie comuni, ho eseguito fissazioni specifiche per le cellule feocrome (liquido del Miiller con formolo) ed il metodo di Cajal all’argento ri- dotto pel tessuto nervoso, seguìto o no dalla colorazione delle sezioni con saffranina, previo viraggio e imbiancamento. In molti degli embrioni di pollo e di topo ho ottenuto l'iniezione naturale con la legatura dei vasi estraembrionarii. I particolari dei quali intendo occuparmi sono i seguenti: 1° dell’esistenza e della evoluzione di un abbozzo mesenchimale del cordone limitante primitivo; 2° dell’esistenza di un cordone limitante secondario, della sua istogenesi e della sua morfoge- nesi; 3° dell’istogenesi e della morfogenesi della porzione cer- vicale del simpatico; 4° del modo di formarsi del plesso ipo- gastrico e — negli uccelli — del nervo intestinale di Remak; 5° della presenza di cellule nervose del tipo di quelle dei ganglii spinali nei nervi spinali o nei rami comunicanti o nel cordone limitante durante i primi periodi dello sviluppo del simpatico; 6° dell'importanza del newrotropismo (Forsmann) e dell’odogenest (Dustin) nello sviluppo normale del simpatico. In questa prima comunicazione tratterò dei due primi ar- gomenti. 1. — Dell’abbozzo mesenchimale del cordone limitante primitivo. Due autori principalmente riportarono ad onore, con mo- dernità di metodi, le vedute di Remak sulla origine mesenchi- male del simpatico: Paterson e Fusari. Per quanto le loro con- APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 971 clusioni, ricavate da osservazioni su mammiferi ed uccelli, siano state confermate da O. Schultze e da Consiglio e Pusateri, e siano state estese agli anfibii da Camus, non trovarono l’ap- poggio della maggior parte degli AA., i quali parafrasando ed estendendo a tutte le classi di vertebrati le opinioni di Balfour, ricavate dallo studio di embrioni di elasmobranchi, ritengono che il materiale destinato a formare il simpatico sia di origine ectodermica. Esso proverrebbe dal midollo spinale, secondo al- cuni indirettamente per la via dei ganglii spinali (Onodi, Rabl, His jun., Mazzarelli, Held), secondo altri indirettamente e di- rettamente insieme per migrazione di cellule lungo ambedue le radici dei nervi spinali (Balfour, Schenk e Birdsall, Van Vijhe, Hoffmann, Neumayer, Froriep, Jones, Kohn, Kuntz, Abel, Gan- fini); inoltre alcune parti del simpatico, come, ad esempio, i plessi cardiaci e polmonari, troverebbero il loro materiale cel- lulare in elementi migrati dal cervello posteriore lungo la via del vago (His, Kuntz, Abel). Una cosa tuttavia risulta chiara- mente dall'esame dei principali lavori in cui è sostenuta l’ori- gine ectodermica del simpatico, ed è questa: che nei vertebrati più alti, e specialmente negli uccelli, esiste il fatto, messo in chiara luce da Fusari, che abbozzi simpatici, come quelli del cor- done limitante primitivo e del nervo intestinale di Remak, ap- paiono prima che siano visibili rami comunicanti, ad essi colle- gati. O. Schultze, Rabl, Held, His lo dissero chiaramente, e già prima Onodi, accanto all'origine ectodermica della parte prin- cipale del simpatico, aveva ammessa l’origine mesenchimale, per i gangli dei visceri e pel nervo intestinale. Held dichiara di essere stato per molto tempo in dubbio se non avessero ra- gione Paterson e Fusari. His ed Held, tuttavia, vedono nel pri- mitivo abbozzo, privo di rami comunicanti, un cumulo di cellule ectodermiche, migrate dai gangli spinali isolate o in piccoli gruppi secondo His e Mazzarelli, per mezzo di catene cellulari, la cui esistenza è effimera, secondo Held. Due lavori meritano un cenno particolare per la differente interpretazione, che in essi è data, di ciò che dagli altri AA. viene considerato come primo abbozzo del simpatico, indipen- dente da rami comunicanti: sono quello di Roud, e quello di Goormaghtigh. Roud vede originarsi dall’epitelio del celoma tre abbozzi distinti che si affondano nel mesenchima: uno è desti- 972 ANGELO CESARE BRUNI nato a produrre le ghiandole genitali, un altro fornisce il sub- strato per la formazione delle due sostanze della capsula sur- renale — corticale e midollare —, il terzo infine, molto simile a quello delle capsule surrenali, sì pone innanzi ai grossi vasi addominali (abbozzo prevascolare) e serve per la formazione del plesso celiaco. (oormaghtigh ha preso in considerazione embrioni di pollo e di topo ed ha confermato pienamente i reperti di Fusari, ma ritiene che l’abbozzo del cordone limitante di Fusari non abbia relazione con la genesi del simpatico, rappresenti invece la prima nota delle formazioni feocrome, destinata a mettersi poi in rapporto topografico col simpatico derivato da materiale ecto- dermico. Le mie osservazioni in embrioni di gongylus, di pollo e di ratto, confermano esse pure pienamente i dati di Fusari secondo i quali le note del cordone limitante primitivo si manifestano come una modificazione di cellule mesenchimali. In vicinanza del luogo in cui i vasi segmentali si dipartono dall’aorta, lateral- mente al passaggio dalla parete laterale alla dorsale di tale vaso. ed in corrispondenza della porzione craniale del meso- nephros, cominciano a rendersi evidenti in seno al mesenchima dei piccoli cumuli di cellule, che non differiscono dalle mesen- chimali, se non per essere più colorabili e sopratutto più avvi- cinate. Ben presto questi cumuli, disposti segmentalmente, si raccolgono in una colonna continua estendentesi rapidamente in senso craniale e caudale, e formata da un trabecolato di proto- plasma denso, cosparso di nuclei più colorabili di quelli delle cellule mesenchimali, sovente disposti a cumuli come quelli delle masse protoplasmatiche polinucleate delle gemme di accresci- mento dei vasi. Le trabecole formano una rete a maglie allun- gate nel senso della lunghezza dell'embrione. Questa formazione è particolarmente evidente nelle regioni toracica e addominale, si estende anche più o meno in direzione craniale, dorsalmente al tratto dorsale dell'aorta, collegante gli archi. Nella fig. 1a, tolta da una sezione trasversale di embrione di ratto di 6 mm, si vede a forte ingrandimento l’aspetto delle trabecole polinu- cleate, aspetto che non è diverso nel gongylus e nel pollo. Oltre il fatto essenziale, che esistono i gradi di passaggio per cui dagli elementi mesenchimali si giunge a queste forma- APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 973 zioni, due altri fatti importanti ho potuto mettere in rilievo con particolare evidenza nel pollo e nel ratto: uno è che in seno a questo abbozzo mesenchimale si producono dei granuli, o meglio delle goccie di una sostanza che si tinge fortemente ed eletti- vamente con l’ematossilina; alcune di tali goccie raggiungono la grandezza dei nuclei, e sono circondate da un alone chiaro (ved. fig. 2, ratto di mm. 4). Io non saprei dire se si tratti di .un prodotto di secrezione o di un prodotto di degenerazione: comunque sia, il fatto è molto evidente ed identico in animali, appartenenti a classi diverse, e fissati con fissatori diversi (Min- gazzini pel ratto, Bouin per gli embrioni di pollo di ore 78 !/s ed 81, che presentano pure questa particolarità). Perciò, non posso assolutamente ammettere che si tratti di un reperto ac- cidentale. Il secondo fatto importante, che mi fu dato rilevare, è che contemporaneamente, o poco dopo che si sono formate nell’ab- bozzo mesenchimale le goccie in questione, nella branca ven- trale di ciascun nervo spinale, almeno nelle regioni toracica ed addominale, si vedono accumularsi cellule del nervo (neurociti) in corrispondenza del punto in cui il nervo è meno lontano dal- l’abbozzo mesenchimale, e si assiste alla formazione di una pro- paggine del nervo, che si dirige verso l’abbozzo mesenchimale stesso. La fig. 1 6 illustra questo fatto: essa è tolta dalla stessa sezione da cui venne tolta la fig. 1a, e riprodotta all’identico ingrandimento, così si può vedere come i nuclei dei neurociti siano assai più grandi di quelli mesenchimali e quindi facilmente riconoscibili; uno dei neurociti ha già assunta la forma di un neuroblasto monopolare. Nella fig. 3, tolta da un embrione di pollo di ore 78 !/», si vede uno stadio un po’ meno avanzato della proliferazione del nervo spinale verso l’abbozzo mesenchi- male, avendosi solo un lieve rigonfiamento del nervo, dovuto ad un accumulo di neurociti. Non può esservi dubbio che siamo qui di fronte al primo abbozzo ectodermico del simpatico, quale fu visto dalla maggior parte degli AA. Che i neurociti derivino dal tubo neurale è sufficientemente provato nei miei stessi preparati dal fatto che tanto il ganglio spinale quanto la radice ventrale del nervo spinale, nei pri- mordii dello sviluppo, si presentano come un prolungamento della sostanza componente il tubo neurale, e dal fatto che, anche 974 ANGELO CESARE BRUNI quando lo sviluppo è già piuttosto avanzato, si vedono nel nervo file di nuclei che continuano quelle dei ganglii intervertebrali e altri nuclei situati con una parte della loro massa nel mi- dollo, coll’altra nella radice ventrale, attraverso la membrana limitante esterna. Confermo adunque l'opinione di Goormaghtigh che l’abbozzo mesenchimale del simpatico, quale fu veduto da Fusari, sia una formazione originariamente indipendente dal vero abbozzo ecto- dermico del simpatico e che i due abbozzi, in origine, siano per- fettamente distinti e separati. Io posso aggiungere che l’abbozzo mesenchimale esercita una attrazione sulla branca ventrale del nervo spinale, attrazione che è determinante per la formazione dell’abbozzo simpatico ectodermico. Sarei anche tentato di vedere nelle goccie che si producono in seno all’abbozzo mesenchimale la sostanza specifica attraente. La separazione dei due abbozzi, contrariamente a quanto ammette Goormaghtigh, dura brevissimo tempo: ben presto l’ab- bozzo mesenchimale viene invaso dai rami comunicanti costi- tuenti l’abbozzo ectodermico, ed i due abbozzi si fondono, o meglio, in parte almeno, si sostituiscono l’uno all’altro. Ecco come si svolge questo processo di mescolanza e di sostituzione nei tre animali studiati. Negli esemplari di gongylus di mm. 3 X 3 e 3,8 X 2,6 si vede unicamente l’abbozzo mesenchimale del cordone limitante, come fu descritto sopra; in quello di mm. 3,8 X 3, in cui la ve- scicola acustica presenta già i primi differenziamenti e la cavità della vescicola della lente è ridotta a una fessura, in alcune sezioni della regione toracica ho trovato una catena di cellule collegante la branca ventrale del n. spinale coll’abbozzo mesen- chimale. Questo si è fatto più lasso per essersi le sue trabecole allontanate fra di loro ed assottigliate, determinando una rare- fazione del mesenchima ambiente. Alcune delle trabecole sì sono messe in intimo rapporto coll’endotelio di vasi capillari, che in- tanto si sono sviluppati lateralmente e ventralmente all’aorta. Negli stadii successivi. fino a quello di mm. 5,3 X 4,5, non vedo più traccia di rami comunicanti, nè puramente cellulari, nè fibrosi o fibro cellulari; da parte dell’abbozzo mesenchimale noto una rarefazione anche maggiore, la comparsa di rigonfiamenti seg- mentali e la presenza di alcune (pochissime) cellule del tipo di totali iti e APPUNTI SULLO SVILUPPO DEI SISTEMA NERVOSO, ECC. 975 quelle dei ganglii spinali (ved. Cap. 5°). Sopratutto noto il pro- pagarsi di trabecole dell’abbozzo mesenchimale lateralmente e innanzi all'aorta nella regione in cui si svilupperanno i plessi celiaco ed aortico-addominale. Lo stadio di mm. 5,3 X 4,5 è importante perchè in esso trovo che dal punto più vicino al rigonfiamento segmentale del- l'abbozzo mesenchimale della branca ventrale di ciascun nervo spinale parte regolarmente un ramo (ramo viscerale) che nella regione toracica entra tutto nell’abbozzo mesenchimale, nella regione addominale vi entra con una sua parte, espandendosi con la rimanente parte nella regione dei plessi celiaco e aortico- addominale, ove si mette in rapporto con le trabecole proto- plasmatiche polinucleate quivi giunte dall'abbozzo mesenchimale del cordone limitante. A partire da questo momento ‘aspetto del cordone limi- tante del simpatico si modifica notevolmente, in quanto si vede costituito da cumuli e trabecole di protoplasma denso, polinu- cleati, invasi da fascetti nervosi e da cordoncini fibrillari con nuclei allungati longitudinalmente disposti; per questi cordon- cini è dimostrabile la continuazione diretta coi rami viscerali dei nervi spinali, diventati rami comunicanti (embrioni di mm. 6,4 X 4,3, sezioni frontali). Avanzando nello sviluppo, le masse polinucleate si fanno sempre più scarse dappertutto, tranne che nella regione dei futuri plessi celiaco ed aortico- addominale, ove esse non solo si conservano, ma si fanno più numerose e si mettono in relazione con la sostanza corticale delle ghiandole surrenali, essendo sovente percorse da fascetti nervosi e situate in intimo contatto con l’endotelio di larghi capillari. L’abbozzo del cordone limitante, una volta che ha acqui- stato l'aspetto di un nervo molto ricco di neurociti, per modi- ficazione del mesenchima circostante viene man mano delimitan- dosi in modo netto. Negli embrioni più avanzati che ebbi in esame (mm. 16 e 22), nei quali i neurociti dell’abbozzo del cordone limitante hanno cominciato a raccogliersi in ganglii segmentali, si rileva un fatto importante: mentre negli stadii precedenti erano ra- rissimi i neurociti della radice ventrale del nervo spinale, attra- versanti la membrana limitante esterna del midollo (conforme- Atti della R. Accademia — Vol. LI. 68 976 ANGELO CESARE BRUNI mente a quanto ha osservato anche Held), ora invece si trova nel velo marginale, verso l’origine apparente della radice, un cumulo di nuclei che si protende nella radice stessa. Se a ciò si aggiunge che a quest'epoca lungo i rami comunicanti si tro- vano parecchie cellule nervose assai differenziate e che si ha anche qualche segno della formazione di un rudimentale cordone limitante secondario (ved. Cap. 2°), sarà lecito pensare che a quest'epoca avvenga un’attiva migrazione di elementi dal tubo neurale al simpatico. Negli esemplari di pollo da me esaminati, l’abbozzo mesen- chimale del simpatico appare fra la 65% e la 72? ora di incu- bazione. Nell’embrione di 72 ore, che venne trattato col metodo di Cajal, per quanto la reazione sia riuscita perfettamente, non ho potuto vedere nell’abbozzo mesenchimale nè cellule nè fibre nervose. Tale abbozzo già nell’embrione di ore 78 !/, nella re- gione addominale, invia delle propaggini sui lati dell’aorta; quivi le dilatazioni segmentali bene evidenti nelle altre regioni lo sono meno. In questo embrione ed in quello di 81 ore vidi apparire le caratteristiche goccie colorabili coll’ematossilina e manifestarsi il rigonfiamento della branca ventrale del nervo spinale. Questo rigonfiamento a 92 ore è costituito da un cu- mulo di cellule, che, assottigliandosi, risale per un certo tratto lungo il lato mediale del nervo spinale e con ia sua parte prin- cipale sì estende medialmente e penetra nell’abbozzo mesenchi- male a livello dei rigonfiamenti segmentali. A quest'epoca però l’abbozzo del cordone limitante primitivo ha già modificato il suo aspetto, poichè si presenta essenzialmente come un nervo longitudinale straordinariamente ricco di neurociti. Trabecole polinucleate dell’abbozzo mesenchimale rimangono alla periferia della porzione nervosa, alla estremità cefalica del cordone, oltre l'articolazione occipitoatloidea, e principalmente nella regione addominale, ove le trabecole molto sovente sono percorse da fascetti nervosi, oppure si mettono in stretto contatto coll’en- dotelio di capillari, che avevano già cominciato a svilupparsi ventralmente all'aorta addominale alla 81* ora. Questi rapporti delle trabecole polinucleate si vedono ancora benissimo, anzi meglio, in stadii più avanzati. La fig. 4 li presenta quali essì appaiono coi metodi comuni (pollo giorni 6 ore 1), la fig. 5 quali essi appaiono col metodo di Cajal, seguìto da colorazione con APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 977 saffranina (pollo giorni 5), mentre la fig. 6 appartenente allo stesso embrione di giorni 5, mostra un tratto di ramo comuni- cante con fibre nervose ed elementi cellulari mal distinti, tranne uno nel quale è iniziato il differenziamento dei neuronemi. Dalla 2* metà del 6° giorno fino al 9° vediamo rendersi sempre più grosso e complicato un plesso di trabecole di ori- gine mesenchimale e di gittate di fibre e cellule nervose, parte indifferenziate, parte in via di differenziamento, plesso che sta fra le capsule surrenali, con le quali si mette in rapporto, e intorno all'origine dei vasi mesenterici. Nello stesso tempo le trabecole mesenchimali vanno riducendosi e scomparendo nel- l’abbozzo del simpatico delle altre regioni. Al 9° giorno, come fatto importante, assistiamo alla comparsa di fini granuli feo- cromi in queste trabecole, che si vedono attraversate da un fa- scetto nervoso nella fig. 7 a, in rapporto coll’endotelio di un ca- pillare nella fig. 7 6 e risolte in cellule feocrome distinte nella fig. 7 c, tolte appunto da un embrione di 9 giorni fissato colla miscela di liquido del Miller e formalina. Negli embrioni di ratto di 5-6 mm., quando i rami visce- rali delle branche ventrali dei nervi spinali hanno cominciato a formarsi, ma non hanno ancora raggiunto l’abbozzo mesenchi- male del cordone limitante primitivo, si vede già tale abbozzo mesenchimale espandersi lateralmente e ventralmente all’aorta, nella regione addominale, sotto forma di trabecole di protoplasma denso con molti nuclei, spesso agglomerati, come nei rettili e negli uccelli. Successivamente un cordone fibrocellulare, derivato dai rami viscerali, si sostituisce all’abbozzo mesenchimale con mo- dalità simili a quelle verificatesi nel gongylus. Nella regione addominale una parte del ramo viscerale anzichè penetrare nel cordone limitante primitivo si sparpaglia fra le trabecole poli- nucleate dell’abbozzo mesenchimale, che si conserva e si estende; cosicchè negli embrioni di 11 mm., che vennero trattati col metodo di Cajal, ventralmente all’aorta, intorno all'origine delle arterie celiaca e mesenteriche, fra le capsule surrenali e cau- dalmente a queste, ho trovato una grossa lamina costituita in parte da fibre e da cellule simpatiche ectodermiche, in molte delle quali è già iniziato il differenziamento dei neuronemi, in parte da elementi non nervosi, derivati dall’espandersi e dal fon- 978 ANGELO CESARE BRUNI dersi delle trabecole protoplasmatiche polinucleate dell’abbozzo mesenchimale. Gli elementi nervosi e i gruppi misti di elementi nervosi e mesenchimali prevalgono alle due estremità della la- mina, i gruppi di elementi mesenchimali, ricchi di fibre nervose che li percorrono, formano una placca impari, foggiata a scudo, con due prolungamenti craniali, che portandosi in alto diver- gono verso le capsule surrenali in modo identico a quello de- scritto e figurato da Kohn pel paraganglio addominale del co- niglio (Kohn 1903, fig. 6 del testo). In stadii poco più avanzati il paraganglio addominale si distingue anche meglio, perchè il connettivo ne scompone il materiale costitutivo in lobuli. In seguito, vicino alle capsule surrenali il materiale ectodermico ed il mesenchimale si confondono, acquistando l'aspetto di un tessuto linfoide, che compenetra le capsule surrenali e vi forma l’abbozzo della sostanza midollare, secondo quanto ha osservato Wiesel. Tanto nel paraganglio addominale quanto nelle capsule surrenali non ho ottenuta la reazione feocroma che verso la nascita. Da quanto ho esposto risulta che il processo di istogenesi del cordone limitante primitivo del simpatico è poco dissimile nei tre animali studiati; le differenze principali riguardano l'aspetto dei rami comunicanti, che nel pollo sono molto più brevi, più grossi e sopratutto più ricchi di cellule che non nel gongylus e nel ratto. Nel gongylus però, prima che si costitui- scano i rami comunicanti fibrocellulari definitivi, ho potuto ve- dere dei rami comunicanti, costituiti da una catena cellulare, identici a quelli osservati da Held in rettili ed uccelli, da Kuntz e da Ganfini in rettili, e ritenuti normali da Kohn nei mammiferi. Per Held, per Kohn e per Kuntz questi rami comunicanti cellulari sarebbero quelli che portano il materiale costitutivo per l’abbozzo del cordone limitante primitivo, Ganfini invece li vede comparire dopo un altro ramo comunicante. Probabilmente l'epoca della loro comparsa è irregolare, come pure ne è irregolare, secondo le osservazioni di Held e mie, la distribuzione e forse incostante la presenza. Non per questo io li ritengo privi di importanza, chè anzi io li credo destinati a portare nell’abbozzo mesenchimale il primo materiale ectodermico (ved. Cap. 5°). Le lievi differenze non hanno che una piccola importanza di fronte al fatto principale osservato in modo identico nei tre O, > APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 979 animali studiati, che cioè il primo abbozzo del cordone limitante è veramente di origine mesenchimale, come dimostrarono Pa- terson e particolarmente Fusari; che inoltre tale abbozzo ma- nifesta una attrazione sulle fibre e sulle cellule del nervo spi- nale, destinate da sole a fornire i veri elementi simpatici, prepara ad esse lo spazio, determinando una rarefazione del mesenchima ambiente e serve loro di guida per un certo tempo, dopo il quale in parte scompare, in parte si accresce (regione dei plessi celiaco e aorticoaddominale) conservando i rapporti preesistenti con le fibre e le cellule nervose, ed acquistandone di nuovi coll’endo- telio dei vasi capillari che nella stessa regione si vanno svilup- pando e sopratutto trasformandosi istologicamente e morfologi- camente nelle formazioni feocrome che costituiscono i paraganglii e la sostanza midollare delle capsule surrenali. Concordo adunque con Goormaghtigh nel ritenere che le formazioni feocrome derivino dall’abbozzo mesenchimale del cor- done limitante primitivo; trovo però che questo abbozzo ha prima di tutto una grande importanza per la genesi del simpatico, cosa che a Goormaghtigh pare sia totalmente sfuggita. Questa constatazione di fatti non solo non stabilisce un disaccordo con l'opinione generale delle strette relazioni fra so- stanza feocroma e simpatico, ma anzi la concilia con fatti e considerazioni che paiono contraddirla. Infatti da un lato spiega benissimo perchè sul tessuto dei paraganglii i nervi si appoggino soltanto, come affermò Zuckerkandl, perchè possano occorrere dei cumuli di sostanza feocroma affatto indipendenti dal simpa- tico (Kose) e perchè si possa ritrarre l'impressione che la so- stanza feocroma sia giustapposta al simpatico (Soulié); d’altro lato permette di comprendere benissimo perchè sostanza midol- lare delle capsule surrenali e sostanza feocroma abbiano potuto essere considerate come una emanazione diretta del simpatico o almeno come derivate da un substrato comune col simpatico (Fusari, Swale, Giacomini, Hoffmann, Zuckerkandl, Wiesel, Kohn, Ciaccio, Poll, Kose, Kuntz, Trinci, Ganfini, per citare solo qual- cuno fra gli AA. più recenti). 980 ANGELO CESARE BRUNI 2. —— — Del cordone limitante secondario. Il primo A. che abbia parlato di due cordoni limitanti, uno primitivo, uno secondario, che si succedono durante lo sviluppo, è His jun., il quale osservò che nel pollo in stadii precoci ap- pare un cordone limitante, situato, come negli altri vertebrati, lateralmente e un po’ dorsalmente all’aorta; in stadii più avan- zati invece, come poi nell’adulto, si trova un cordone limitante molto vicino alla serie dei ganglii spinali, essendo posto subito innanzi ai processi trasversi delle vertebre e formando nella regione toracica degli occhielli che abbracciano il collo di cia- scuna costa. Questa constatazione era già stata fatta da Onodi, il quale però ritenne una modificazione di forma secondaria la vicinanza, che va fino alla confluenza, tra i ganglii simpatici ‘e quelli intervertebrali. His invece considera il cordone limitante secondario come l’ultimo prodotto della migrazione di cellule dei ganglii spinali, dopo che per migrazioni svccessive si sono for- mati il cordone primitivo, il plesso aortico, i nervi splanenici, i plessi e i ganglii della parete intestinale. Per Kuntz il cordone limitante secondario degli uccelli è dovuto all’accumularsi di elementi migrati dai n. spinali, in corrispondenza dell’origine del ramo comunicante col cordone primitivo; tali elementi for- mano dei veri cumuli, che si collegano in seguito longitudinal- mente. Negli altri amnioti non venne osservata nessuna formazione paragonabile al cordone secondario del pollo, fino a quando Gan- fini lo vide, tra i rettili nei soli cheloni, formarsi a breve distanza dal ganglio spinale, tanto da parere una lobulazione di quest’ul- timo, provveduto di rami comunicanti proprii. His e Ganfini concordano nel dimostrare che, mentre si forma il cordone se- condario, il primitivo, in parte almeno, si modifica, riducendosi ad un plesso circondante l’aorta. Le mie osservazioni nel pollo confermano essenzialmente le vedute di Kuntz. Infatti, già durante il 5° giorno di incubazione, i rami comunicanti del cordone primitivo, molto grossi e ricchi di cellule, paiono risalire in alto, medialmente al nervo spinale, verso il punto di riunione delle due radici. Ciò si constata con APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. GRI maggiore evidenza nelle regioni cervicale e toracica che nelle regioni caudali del tronco. Durante il 6° giorno la quantità di neurociti all'origine del ramo comunicante, origine che si è ora molto avvicinata al luogo di unione delle due radici del nervo spinale, è tale che i cumuli molto rapidamente si congiungono in una colonna longitudinale; così si raggiunge l’aspetto definitivo del cordone limitante secondario. Nel frattempo i tratti distali dei rami comunicanti del cordone primitivo si riducono gradata- mente, e, dove si conservano, si allontanano dalla branca ven- trale del nervo spinale; così pure, nella regione toracica, si ri- duce gradatamente lo stesso cordone limitante primitivo. Nella regione cervicale (ved. Cap. 3°) una parte del cordone primitivo e dei suoi rami comunicanti si conserva; nella regione addomi- nale, mancando il caratteristico comportamento del cordone limi- tante secondario rispetto al collo delle coste, pare che avvenga solo uno spostamento dorsolaterale del cordone primitivo. Il cordone secondario acquista un aspetto diverso dal pri- mitivo, oltre che per la topografia, anche per l’esservi più den- samente accumulati i neurociti e per il fatto che i neurociti stessi vi si differenziano assai tardi, non essendo ancora diffe- renziati alla fine del 7° giorno, mentre alla fine del 4° si trovano elementi simpatici perfettamente differenziati nel cordone limi- tante primitivo e nei plessi che ne derivano. Oltre a ciò il cor- done limitante secondario ha un ramo comunicante, il quale, anzichè originarsi dalla branca ventrale del nervo spinale a una certa distanza dall'unione delle radici, prende origine diretta- mente da ciascuna delle due radici. Malgrado la vicinanza col ganglio intervertebrale non sono in grado di affermare se solo quest’ultimo fornisca i neurociti componenti il cordone secondario; inclino piuttosto a credere che concorra anche la metà ventrale del midollo per elementi mi- granti lungo la radice ventrale. Nella fig. 8 sono dati tre schemi del cordone limitante se- condario in sezioni trasversali delle regioni cervicale (€), tora- cica (T) e addominale (A), dimostrando con linee nere i fasci di fibre dei rami comunicanti. Nella regione addominale si vede come il ramo comunicante sia ancora, come quello del cordone limitante primitivo, una porzione di un fascio nervoso, che pel rimanente (accompagnato da una grande quantità di cellule) si perde nel- pon 982 ANGELO CESARE BRUNI l'abbozzo simpatico-feocromo circostante all’aorta e rappresentato nella figura con macchiette nere. Alcuni dati interessanti ho ricavati dallo studio delle se- zioni dell'embrione di gongylus di mm. 16. Ho già detto come a questo stadio si noti una migrazione di neurociti lungo ambedue le radici dei nervi spinali più attiva di quella che si osserva negli stadii precedenti (Cap. 1°). Ora una parte di questi neuro- citi, come viene chiaramente dimostrato dalla fig. 9, si accumula fra le due radici. Nell’embrione di 22 mm. non solo non si rileva la presenza di una formazione paragonabile col cordone limi- tante secondario, ma neppure il predetto accumulo di neurociti appare più imponente, per cui, non avendo potuto esaminare stadii più avanzati, ritengo che nel gongylus un vero cordone secondario o non si stabilisca, o, quanto meno, si stabilisca molto tardivamente. Nel ratto lo stadio di 11 mm., che mi ha dimostrata una quantità di altri particolari notevoli, mi ha anche permesso di rilevare che da ogni nervo spinale, almeno nella regione toracica, partono due rami comunicanti: uno, corrispondente a quello che fin da principio collega il cordone limitante primitivo col sistema spinale, si diparte dalla branca anteriore del nervo spinale a una certa distanza dall'unione delle radici; l’altro invece, di nuova formazione, proviene da ciascuna delle due radici poco prima che queste si uniscano, come il ramo comunicante del cordone secondario del pollo. Oltre a ciò il cordone limitante laddove riceve ciascuno dei detti due rami comunicanti presenta un cu- mulo di cellule, che risale lungo di essi per un certo tratto, il che potrebbe indicare che i neurociti hanno raggiunto il cordone limitante seguendo ambedue le vie indicate dai rami comuni- canti. Dopo questa constatazione ho esaminato con maggiore attenzione le sezioni degli embrioni meno avanzati, ed in uno di mm. 7,5 ho potuto scoprire nello stesso punto del n. spinale da cui partirà il secondo ramo comunicante {non ancora evi- dente) una quantità di neurociti molto maggiore di quella che si trova nelle altre parti dello stesso nervo, oppure nello stesso luogo negli stadii precedenti. Questi neurociti provengono da ambedue le radici. | reperti nel gongylus e nel ratto mi paiono di grande im- portanza, perchè da una parte dimostrano nettamente che in i i APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 983 tutti gli amnioti, ad un certo stadio relativamente tardivo dello sviluppo, si ha una nuova e più attiva migrazione di elementi ectodermici del simpatico, d'altra parte provano che il cordone limitante secondario degli uccelli non è una formazione sostan- zialmente speciale per questi vertebrati, ma soltanto appare in essì con maggior evidenza. Essa non manca negli altri amnioti, ma vi è molto meno appariscente, perchè nei rettili — eccezion fatta pei cheloni, che si comportano al riguardo come gli uccelli (Ganfini) — si tratta di una formazione troppo rudimentale per essere evidente; nei mammiferi gli elementi che corrispondono a quelli costituenti il cordone secondario degli uccelli vengono a confondersi con quelli costituenti il cordone limitante primi- tivo, che pare così conservarsi unico per tutta la vita. Possiamo concludere che solo negli uccelli e nei cheloni è evidente un cordone limitante secondario dovuto ad una migra- zione secondaria di elementi ectodermici dai ganglii spinali e dalla metà ventrale del tubo neurale, ma che però questa migra- zione secondaria esiste in tutti gli amnioti. Dall'Istituto Anatomico della R. Università di Torino, diretto dal Prof. R. Fusari. INDICE BIBLIOGRAFICO AseL W., “© Proc. R. Soc. Edinburgh ,, vol. 30, p. 327, 1909-10. — “Journ. of Anat. a. Phys. ,, vol. 47, p. 35, 1912. BaLrour F. M., “ Journ. of Anat. a. Phys. ,, vol. 47, p. 422 e 694, 1877. Beccari N., “ Arch. it. Anat. ed Embr. ,, vol. 15, p. 1, 1914-15. Van Bemmecen J. F., “ Anat. Anz. ,, vol. 4, p. 240, 1889. Cayar S. R., “ Trabajos d. laborat. histol. Facultad de Medie. de Barce- lona ,, 1891. — “Trabajos d. laborat. de investigat. biolog. Universitad de Madrid ,. vol. 4, p. 119, 1905-06. Camus R., “ Arch. f. mikr. Anat. ,, vol. 81, 1912. Craccro C., “ Arch. it. di Anat. ed Embriol.,, vol. V, p. 256, 1906. ConsieLio M.e Pusareri E., ‘ Arch. di farmacol. e terapeut. ,, vol. 8, fasc. 12, 1900. Dustin A. P., “ Arch. de Biol. ,, vol. 25, p. 269, 1910. Forsmann J., ‘ Ziegler’'s Beitrige ,, vol. 24, p. 56, 1898 e vol. 27, p. 407, 1900. Froriep A., ‘ Med.-Naturw. Arch.,, vol. 1, p. 301, 1907. Fusari R., ‘ Arch. Scienze mediche ,, vol. 16, p. 249, 1892. 984 ANGELO CESARE BRUNI Ganeini C., © Arch. it. di Anat. ed Embriol. ,, vol. 10, p. 574, 1912 e vol. 18, p. 492, 1914. Giacomini E., “ Proc. verb. R. Accad. Fisiocritici ,, 1897. — “Atti R. Accad. Fisiocritici ,, ser. 4, vol. 10, 1898. — Sopra la struttura della capsula surrenale degli anfibii, Siena, 1902. — “ Monit. Zool. it. ,, vol. 13, 1902; vol. 15, 1904; vol. 20, 1908. — * Rendie. Accad. Se. di Bologna ,, 1904-05; 1908; 1910; 1911. — “ Rendic. R. Accad. Lincei , (CI. Sc. fis., mat., nat.), vol. 15, 1906. -— * Memorie R. Accad. Sc. di Bologna ,, ser. 6, vol. 5, 6, 7, 8, 9, 1907-12. — * Arch. it. di Anat. ed Embriol. ,, vol. 8, p. 237, 1908. GoormagutIiGa N., “ Annales et Bull. de la Soc. de Méd. de Gand ,, vol. 5, ann. 80, p. 24, 1914. Herp H., Die Entwick. des Nervengewebes bei den Wirbeltieren, Leipzig, 1909. His W., jun., © Abh. d. math.-phys. C1. d. K. Akad. sichs. Gesellsch. d. Wis- sensch.,, vol. 28, p. 1, 1891. — “Arch. f. Anat. u. Phys. ,, ann. 1897, p. 137. Horrmany C. K., “ Zeitschr. f. wiss. Zool. ,, vol. 48, p. 260, 1899. — “ Verh. k. Akad. v. Wetensch. te Amsterdam ,, vol. 7, 1900 e vol. 8, 1902. Jowmes W. C., “ Journ. of comp. Neurol. a. Psychol. ,, vol. 15, p. 113, 1905. Konan A., “ Arch. f. mikr. Anat. ,, vol. 53, p. 281, 1898; vol. 56, p. 81, 1900; vol. 62, p. 263, 1903; vol. 70, p. 266, 1907. — “Prager med. Wochensch. ,, vol. 23, p. 124, 1898 e vol. 27, p. 325, 1902. — * Anat. Anz. ,, vol. 5, p. 393, 1899. — “ Ergebnisse d. Anat. u. Entw. ,, vol. 12, p. 253, 1903. Kose W., ‘S.-B. deutsch. med. Verein f. Bihmen ‘Lotos’,, N. 6, 1898. — “Anat. Anz.,, vol. 22, p. 162, 1902 e vol. 25, p. 609, 1904. — “ Arch. f. mikr. Anat.,, vol. 69, p. 563 e 665, 1907. Kunrz A., © Anat. Anz. ,, vol. 35, p. 381, 1909. — * Anat. Record ,, vol. 3, p. 458, 1909. — “Journ. of comp. Neurol. a. Psychol. ,, vol. 20, p. 211 e p. 283, 1910; vol. 21, p. 177, 215 e 397, 1911. —_ “Am. Journ. of Anat. ,, vol. 11, p. 279, 1911 e vol. 13, p. 71, 1912. Mannu A., “ Int. Monatsch. f. Anat. u. Phys. ,, vol. 30, p. 49, 1913 e vol. 31, p. 116, 1914. MazzareLti E., “ Monit. Zool. it. ,, anno 5, p. 82, 1894 e “ Arch. ital. de Biol. ,, vol. 22, p. vir, 1895 (Resoconti XI Congresso di Medicina in Roma). nf — “ Rendic. R. Acc. Lincei ,, vol. 3, p. 269, 1894. Neumayer L., Hertwig"s Handb. d. vergl. u. exper. Entwicklungslehre, vol. 2; parte 3°, p. 513, 1906. Oxopi A. D., “ Arch. f. mikr. Anat. ,, vol. 26, p. 61 e p. 553, 1886. Parerson A. M., © Phil. Trans. R. Soc. of London , (B), vol. 181, p. 159, 1891. Porr H., Hertwiy's Handb. d. vergl. u. exper. Entwicklungslehre, vol. 3, parte 18, p. 443, 1906. Ras C., “ Morph. Jahrb. ,, vol. 15, p. 113, 1889; vol. 19, p. 65, 1892; vol. 24, p. 682, 1896. Rasu H., “ Arch. £. mikr. Anat. ,, vol. 88, p. 492, 1891. APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 985 Remag R., © Miiller's Arch. f. Anat. Phys. u. wiss. Med. ,, ann. 1848, p. 478. Roup A., © Bull. Soc. Vaudoise des Sciences natur. ,, vol. 38, N. 135, 1903. Scnenck und Brrpsatrt, “ Mitt. aus d. embryol. Inst. in Wien ,, vol. 1, p. 214, 1875. Scnurrze 0., Grundriss d. Entw. d. Menschen u. d. Saug., Leipzig, 1897. Sourié A. H., Recherches sur le développement des capsules surrénales, Thèse, Paris, 1903. Sperino G., “ Gazzetta degli Ospitali ,, N. 10, 1886. Swacre Vincent M. B., “ Proceed. Birmingham nat. hist. phil. Soc. ,, vol. 10, 1896. — “Anat. Anz. ,, vol. 12, p. 232, 1896 (Swale and Collinge); vol. 13, p. 39, 1897; vol. 18, p. 69, 1900. — ‘“Proceed. R. Soc. ,, vol. 62, p. 280, 1897 (Swale and Moores). — “Int. Monat. f. Anat. u. Phys. ,, vol. 15, 1898. — “Trans. of the Zool. Soc. London ,, vol. 14, p. 41, 1907. Trincr G., “ Monit. Zool. it. ,, anno 20, p. 286, 1909. — “Arch. it. Anat. ed Embriol.,, vol. 10, p. 197, 1911. Van Wwe J. W., “ Arch. f. mikr. Anat. ,, vol. 33, p. 461, 1889. Varagria S., ‘ Gazzetta delle Cliniche ,, anno 1885, 2° sem., N. 25-26. Wiesetr J., ‘ Anat. Hefte ,, H. 52, p. 115, 1901, e H. 63, p. 481, 1902. ZucxerganpL F., “ Verh. Anat. Gesellsch. 15. Versamm. in Bonn ,, p. 95, 1901. — Keibel’s und Mall’s Handb. d. Entw. des Menschen, vol. 2, p. 157, 1911. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tutte le figure non schematiche vennero disegnate col sussidio della camera lucida Abbe, tenendo il tavolo da disegno all’altezza del tavolino portaoggetti del microscopio). Fig. 1. Embrione di ratto di 6 mm. Fiss. Bovin, col. ematoss. ferrica Heiden- hain ed eritrosina; sezioni trasversali u 6. la= Abbozzo mesenchimale del cordone limitante primitivo (a destra parete dell'aorta) nella regione toracica. Ob. 2 mm. Zeiss, ap. 1,40, oc. 4 comp., tubo 160 mm. 1b5= Branca ventrale del nervo spinale con accumulo di neurociti e primo abbozzo del ramo comunicante (nella sezione in cui questo appare più lungo). Dalla medesima sezione della fig. 1a. Ingrand. come per la la. Fig. 2. Embrione di ratto di 4 mm. Fiss. Mingazzini, col. ematossilina Ehrlich, eritrosina; sezioni trasversali u 6. Abbozzo mesenchimale del cordone limitante primitivo (a destra parete dell'aorta) nella regione toracica. Goccie di sostanza che si colora intensamente con l’ematossilina. Ob. 2 mm. Zeiss, ap. 1,40, oc. 6 comp., tubo 160 mm. Fig. 3. Embrione di pollo di ore 78‘/, di incubazione. Fiss. Bouin, col. ematoss. Ehrlich, eosina; sezioni trasversali u 10. ge PI r it a) STR 986 A.C. BRUNI — APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA, ECC. Branca ventrale del nervo spinale con rigonfiamento e cumulo di neurociti nel punto della branca più vicino all’abbozzo mesenchi- male del cordone limitante primitivo. Ob. '/,; di Koristka, oc. 4 comp., tubo 160 mm. Fig. 4. Embrione di pollo di giorni 6, ore 1 d’incubaz. Fiss. Bouin, col. pi- crocarminio; sez. sagittali di u 10. Tronchicino nervoso simpatico e grande cellula del tipo di quelle dei ganglii spinali, in rapporto con una massa protoplasmatica poli- nucleata dell’abbozzo mesenchimale del cordone limitante primitivo. Ob. 5/1» Zeiss, oc. 3, tubo 160 mm. Fig. 5 e 6. Embrione di pollo di 5 giorni d’incubaz. Cajal, satfranina; se- zioni trasversali p 10. 5 = Trabecolato dell’abbozzo mesenchimale del cordone limitante primitivo, percorso da fascetti di fibre nervose. Ob. 2 mm. Zeiss, ap. 1.40, oc. 6 comp., tubo 160 mm. 6 = Tratto di un ramo comunicante, con fibre, cellule indifferenziate ed una (in alto) differenziata. Ingrandimento come per la fig. 5. Fig. 7. Embrione di pollo di 9 giorni di incubazione. Fiss. Miller, formolo, coloraz. ematossilina Fhrlich; sezioni frontali. Ta = Fascetto di fibre nervose simpatiche in un astuccio dell’ab- bozzo mesenchimale che presenta la reazione cromica. 7b = Massa protoplasmatica polinucleata dell’abbozzo mesenchimale in rapporto con un capillare (a destra e in basso). Tutto il proto- plasma presenta la reazione cromica. 7e= Cellule feocrome distinte. Ob. 2 mm. Zeiss, ap. 1,40, oc. 6 comp., tubo 160 mm. Fig. 8. Embrione di pollo di 7 giorni d’incubaz. Cajal; sezioni trasver- sali u 10. Schemi per dimostrare la posizione del cordone limitante secon- dario (s’’) e delle fibre dei rami comunicanti (nere) nella regione cervicale (0), toracica (7) e addominale (A). s'= cordone limitante primitivo; 1 = masse protoplasmatiche poli- nucleate dell’abbozzo mesenchimale, circondanti l’aorta addominale, Fig. 9. Embrione di Gongylus ocellatus, lunghezza massima mm. 16, lun- ghezza del capo mm. 6. Fiss. sublimato acetico (?), coloraz. ema- tossilina Ehrlich, eosina. Accumulo di neurociti fra le due radici del nervo spinale (regione toracica). r.v.=radice ventrale; g. s.= ganglio spinale; s” = cumulo di neu- rociti (cenno di ganglio simpatico secondario). Ob. 5 Koristka, oc. 2. BRUNI A.C. Sviluppo del sistema nervoso ecc. Fig.3 Pig:T A Fig: 7 B (E Pij.8 A Atti dRAccad.d Scienze di Torino. 104 ZZ. (i 04 60/1 CADI, 4)". /gi/ {9 Pal hi 4 dg s' 8 6/0 di 3 Ye © (2° 3) PLAI SE. Fiy:9 Fig.8 C e | ——_——-_ PP SE nn — -_ _"eoo——————— ” tntattà GIUSE PPE ALBENGA — SULLA TRAVE CONTINUA, ECC. 987 Sulla trave continua inflessa e sollecitata assialmente. Nota di GIUSEPPE ALBENGA. Nelle costruzioni civili e con maggior frequenza in quelle aeronautiche, si incontrano membrature inflesse da un carico ripartito e contemporaneamente tese o compresse. In genere nell'interno di una medesima campata rimangono costanti la sezione trasversale della trave, la intensità del carico ripartito e quella del carico assiale. Tali quantità possono tuttavia va- riare da campata a campata. Lo studio statico di una struttura di questo tipo può ridursi alla risoluzione di un sistema di equazioni dei tre momenti, che presentano qualche analogia con la nota equazione di Bertot-Clapeyron. Consideriamo il caso della trave tesa ed inflessa. In una campata qualunque avremo nella sezione generica S (fig. 1) un V, fig. ] momento flettente decenti Rip od a 988 GIUSEPPE ALBENGA Da questa relazione, ricordando che è d°n __ My da? EJ e derivando due volte rispetto ad #, si ottiene (1) ra i: da i. de Facciamo diri La (1) sarà soddisfatta quando sia (2) I = Acosh.ax + Bsenh.arxr— ®. ù Vs Le costanti di integrazione A e B si calcolano osservando che per 20 A e=0 Mi=Mz. Sostituendo ad A e a B il loro valore e ponendo per brevità AD ax =% a(l—x)=ax =% la (2) diventa e 3 dn sep i Ma 3 (3) senh. sa (E de) senh. £ + 1 rane LI can +(£- Di) senh. £ ! senh. \, dalla quale integrando i SRO (1 Re (4) a senh. A = (£. e) cosh. & + M +(5-4) cosh. E — & zsenh. X + C,, dA pa Pisa bi "ig yu e LI suna taave | conti prer sin ssa vente. 9890 n. a? senh. A = ( +(£— #0) senh. EP E senb. \+ C+ 0. Le nuove costanti C, e Cs sono determinate dall'essere per È di de a n= % Introducendo il valore di C, nella (4) ed ordinando si ha «con ovvie riduzioni à a senh. \ (i n) = = (cosh. E — cosh.& + (3 - 3 senh. \) + $ + i (cos. E — Seni) _ de (cosh. È _ SR L) Di I valori delle tangenti sugli appoggi saranno quindi - _ (an UP A COCOOAZ I ARL Per (1) "i 0 /aP (ig. 2 alt i Ma 1 1 My PL 1 tar fiala aEJ Ga a / e Ri dn ul) p A \ et) p=(F + (te a)t | Ma 1 1 Mi 1 OE 27 aEJ fui -i)— aEJ Li p). È d Di Ricordando la classica teoria della trave continua e distin- guendo con gli indici 1 e 2 rispettivamente le quantità relative 990 GIUSEPPE ALBENGA — SULLA TRAVE CONTINUA, ECC. alla prima ed alla seconda campata (fig. 2) avremo per i mo- menti M,, M,, Ms sugli appoggi C,, ©», 0, in grazia della relazione Pa po i inte iL 1 | 1 3) 1 | 1 -;) (8) ani :M E adi tgh.M À ng a3I3 tgh. às LE vi My | 1 )— MT Yz Pa Meg See PA asEJa senh. da e E LA la Pi SEE 2( o L) a;Pi (tg. I E Ad una equazione analoga si giunge considerando la trave continua compressa. C. ROSATI — SULLE CORRISPONDENZE PLURIVALENTI, ECC. 991 Sulle corrispondenze plurivalenti fra i punti di una curva algebrica. Nota di CARLO ROSATI. Nella rappresentazione trascendente che da Hurwitz (*) di una corrispondenza algebrica fra i punti di una curva € di ge- nere p, ad ogni corrispondenza 7 vengono associati 4p° numeri interi lx Gin Hix Gir (ijk=1,2,...p), caratteristici della corri. spondenza. Fra essi e i periodi normali della curva sussistono certe p? relazioni, delle quali in un lavoro recente (**) abbiamo dato la seguente semplice interpretazione geometrica: conside- rando in un Sap_1 l'omografia razionale 2 che ha per modulo il hix Hix gin Gix |” muta in sè un S,_, immaginario individuato in Ssp_; dai periodi normali della curva C. La suddetta interpretazione geometrica, che è già riuscita feconda in quanto ci ha permesso di determinare in ogni caso i numeri base u, e us delle corrispondenze simmetriche ed emi- simmetriche sulle curve di genere due, offre dunque il van- taggio di avvicinare la teoria delle corrispondenze a quella delle sostituzioni lineari e delle forme bilineari, nella quale sono acqui- siti risultati ormai classici. determinante le relazioni stesse esprimono che la (*) Hurwirz, Ueber algebraische Correspondenzen und das verallgemeinerte Correspondenz-princip, “ Math. Annalen,, Bd. 28 (1886). (**) Rosari, Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica, e, in particolare, fra i punti di una curva di genere due, “ Annali di Mate- matica ,, Tomo XXV, Serie III (1915). Nei richiami, che avremo occasione di fare in seguito, designeremo questa Memoria col titolo * Corrispondenze ,, Atti della R. Accademia — Vol. LI. 64 992 CARLO ROSATI Utilizzando ulteriormente la interpretazione suaccennata, introduciamo nella presente Nota il concetto di equazione mi- nima cui soddisfa una corrispondenza 7° ($ 2), cioè l'equazione che proviene dal minimo aggregato, costituito di potenze di 7, che dà origine a una corrispondenza a valenza zero. Siamo perciò partiti da un teorema di Frobenius sulle forme bilineari, del quale, in vista appunto dell’applicazione alle corrispondenze, abbiamo dovuto procurarci una dimostrazione sintetica; e quella che esponiamo al $ 1, per la semplicità delle argomentazioni su cui è poggiata, ci sembra debba offrire già di per sè un qualche interesse. L'equazione minima cui soddisfa la 7 ha per radici distinte le radici distinte dell'equazione caratteristica dell’omografia immagine di 7, e secondochè la prima ha radici semplici o multiple, la 2 è un’omografia generale o particolare. Inoltre ogni altra equazione cui soddisfa la 7 contiene come fattore l’equa- ‘zione minima. Per le corrispondenze a valenza l'equazione minima è li- neare, per la corrispondenza simmetrica dedotta da una invo- luzione irrazionale di una curva l'equazione minima è quadratica. L'equazione minima cui soddisfa una corrispondenza simmetrica ha tutte radici semplici e reali, quella cui soddisfa una corri- spondenza emisimmetrica ha tutte radici semplici, le quali, tranne una eventuale radice nulla, hanno per valori numeri im- maginari puri. Una radice razionale dell'equazione minima cui soddisfa la 7 è necessariamente intera; se Y è una tale radice, esiste sulla curva C un sistema regolare riducibile rispetto al quale la 7 ha la valenza parziale — Y. Sorge quindi spontanea la con- siderazione delle corrispondenze, le cui equazioni minime hanno radici tutte razionali. Tali corrispondenze si diranno pluriva- lenti (*#), e per esse si assegna una formula che dà il numero (*) Lo studio di queste corrispondenze riesce tanto più attraente in quanto un bel teorema di Severi ne mette in luce l’importanza che può avere per la teoria delle superficie. Nella Memoria: Le corrispondenze fra i punti di una curva variabile in un sistema lineare sopra una superficie algebrica (* Math. Annalen ,, Bd. 74, 1913), il Severi dimostra infatti la im- , O I siae SULLE CORRISPONDENZE PLUKIVALENTI FRA I PUNTI, ECC. 993 delle coincidenze, analoga a quella di Cayley-Brill per le cor- rispondenze a valenza ordinaria. Nel $ 3 mostriamo infine come si possano costruire curve su cui esistono corrispondenze dotate di quante si vogliano valenze. | 1. — Per rendere più spedita la dimostrazione del teo- rema sulle omografie che abbiamo in mira di stabilire, premet- tiamo alcune semplici osservazioni sulle omografie singolari. Ricordiamo perciò che un’omografia £ di S, si dice singo- lare di specie h, quando il suo modulo è nullo e di caratteri- stica r - 441 (0, ... hanno gli stessi spazi singolari, fra loro indipendenti, spettanti a Q°; se hh + hg +... +h, -1==7r, le potenze QI, QI*1, ... sono omografie nulle. 3. — La distinzione che si suol fare per le omografie non sin- golari, di omografie generali e particolari, si può estendere in modo ovvio alle omografie singolari. Così un'omografia singo- lare 9 si dirà generale se il suo primo spazio singolare non in- terseca il suo coniugato (è in altri termini uno spazio semplice) e se in quest’ultimo essa subordina un’omografia generale; quando invece non tutte queste circostanze si verificano, la £ si dirà particolare. I due spazi singolari di £ si considerano dunque come spazi fondamentali, fra loro coniugati, corrispondenti alla radice zero dell'equazione caratteristica. 4. — Siano Q, L, due omografie singolari di specie %, È; Sii G,-, gli spazi singolari della prima, Sx_1 G,_x quelli della seconda. Se G,_, ed S,_;, si segano in un S;_; ed appartengono quindi ad un S,_n;x-,, gli S, della stella (S,_,) che hanno in £, per omologhi i punti di S,_, generano un S,,;-1 e gli S, della stella (S,_;) giacenti in S._,.:_, hanno per omologhi in ®, i punti di un G,_,_, contenuto in G,_x. È chiaro che Sii Grrai sono i due spazi singolari dell’omografia prodotto £, 9; onde tale omografia singolare è di specie =h+- k. La proprietà si estende subito al prodotto di più omografie singolari; abbiamo cioè il risultato: Se L,, La, ..., ® sono omografie singolari di specie h, hs ... h, (0=h;hb+ho +..+h_- 1 Dal confronto delle (2) (3) si deduce l'uguaglianza r=h, + ho +... +A—-1 la quale dice che 2 è un'omografia generale (singolare o non, secondochè fra le radici Y, Ys ... 1, esiste o non la radice zero) coi soli spazi fondamentali Sn,-1, Skty-13 + Sh-1- L'equazione minima yw(2)=0 ammetta ora le radici Y, 9 ...Yx di molteplicità 2, Zs,...lx(2=,+/s-|... + %), una delle quali può anche esser nulla. Alla relazione w(2)=0 si può allora dare la forma (4) to(2—-Y:DI(Q— 182)... (Q—v1)}}:=0 la quale afferma che il prodotto delle potenze con esponenti l, ls ...l, delle omografie 2 — 1};I, 2 — 131 ...2-— x 1, fra loro due a due permutabili, è un’omografia nulla; e dalla relazione medesima, con le argomentazioni addotte nel caso precedente, si deduce che 2 — ;/ (î=1,2,...%) è un’omografia singolare, non nulla. Ma si può ora provare di più che il suo spazio sin- 1000 CARLO ROSATI golare è almeno LP", che cioè in esso sono venuti successiva- mente a sovrapporsi altri /, — 1 spazi singolari almeno. Infatti, se la molteplicità di tale spazio fosse s< l;. le omografie (Q—- xy; I)t!, (Q— 1; I)+?,... avrebbero gli stessi spazi singo- lari di (2 — Y; /)° (n. 2); perciò, sempre tenendo presente la per- mutabilità delle suddette omografie, per l'osservazione del n. 5, la (4) continuerebbe a sussistere sostituendo (2 —— 1; /)f in luogo di (2 — y; I), e non sarebbe allora w(2)=0 l'equazione mi- nima cui soddisfa la 2. Indicando allora con 4,91, hgf"—1,... 4} — 1 Je dimen- sioni dello spazio singolare di ® — Y;/ e degli altri }, — 1 ve- nuti successivamente a sovrapporsi in esso, il primo spazio sin- golare di (2 — 1;/)% avrà (n. 2) la dimensione 7,49 + h,9%+... +75) —1, onde, per l’oss. del n. 4, sarà = (hh + AMA RE ea Piagoare. + (10 +ASML +1. Si osservi ora che gli spazi singolari distinti e sovrapposti delle omografie singolari del fascio (£,/) sono, per una omo- grafia non singolare 2 qualsiasi del fascio, spazi fondamentali distinti e sovrapposti. E poichè la somma delle dimensioni, cia- scuna accresciuta di una unità, degli spazi fondamentali mede- simi deve essere uguale ad r + 1, si deduce r>(h' + ho 4 +94) +" + ha +... + hi) +... + (kh, + A+... + Al) — 1. Confrontando questa disuguaglianza con la precedente, si ottiene l'uguaglianza r= (hh he ++ hey) + + he ++ 4,)+.. + (Mx + RM +.L AA) 1, la quale dice che la omografia 2 (singolare o non, secondochè yw(e) =0 ammette o non la radice zero) è un'omografia parti- colare coi soli spazi fondamentali distinti Spy-1, Say-1: + Sh®-1, a); SULLE CORKISPONDENZE PLURIVALENTI FRA I PUNTI, Ecc. 1001 corrispondenti alle radici Y, Ys ... Yx dell'equazione caratteristica, e che tali spazi fondamentali hanno esattamente le molteplicità bili. ha. Sia ora f(2)=0 un'equazione qualsiasi cui soddisfa la 9, e w(2)=-0 indichi sempre l'equazione minima, per la quale facciamo l'ipotesi più generale che abbia le radici multiple Yi Ya... Yx, di molteplicità 2, l, ... lx. Se 2; =>0 è la molteplicità di y; per l'equazione f (2)= 0, la relazione f(Q) =0 acquista la forma (QD) (Q— re) ...(Q2— 1) (2) =0; e poichè @(£) è un prodotto di omografie non singolari, dalla precedente relazione si deduce (n. 6, c) l’altra (5) (Ore (0 — vali. A®0-1x1)} =0. Si considerino ora le omografie singolari (Q — 1,1), (2 —y:D): poichè il primo spazio singolare di (2 —y;/) è 4", si deduce che se è 2/ Li gli spazi stessi coincidono (n. 2); in virtù dell’oss. del n. 5, la (5) continuerà in ogni caso a sussistere se in luogo di un qualsiasi fattore (Q —y,;/)" si sostituisce l’altro (2 — Y;2)%. Di qui segue che ogni esponente / non può essere minore del corrispondente /, e che quindi f (2) dev'essere divisibile per w (2). Se invero fosse /.' < /,., insieme alla (5) sussisterebbe l’altra (Q_v1 DA... (21. Dl (0-11) (2-1 DA... (Q—nD)*=0 e non sarebbe più w(2)= 0 l'equazione minima cui soddisfa la ®. 872. 11. — Sia data sopra una curva C del genere p una cor- rispondenza algebrica 7 di indici a B, di cui Rix gia Hix Ga (i,k =1,2,... p) siano gli interi caratteristici. Ricorrendo alla rappresentazione geometrica, cui abbiamo 1002 CARLO ROSATI alluso nella prefazione, secondo la quale i cicli della curva sono rappresentati dai punti razionali di un $S:y-1 e gli integrali di 1* specie dagli iperpiani di una stella il cui centro è un Sp-_1=@ immaginario non intersecante il suo coniugato @,, si indichi con £ l’omografia di S:,_1 che ha per modulo il determinante | hix Hix | | Gin Gik spazio a e quindi il suo coniugato @y (*). Supposto che Tale omografia, immagine di T, trasforma in sè lo > , (7) (6) y (e) = 02" + aj 27! +... +a_2z+a=0 sia l'equazione minima cui soddisfa la ®, è chiaro, poichè Q è un’omografia razionale, che nella (6) i coefficienti 4, 4, ... @, pos- sono supporsi numeri interi primi fra loro; se anche ammet- tiamo che sia a, > 0, i detti numeri saranno allora determi- nati quando è fissato il modulo di £, cioè quando è data la corrispondenza 7’ o una qualunque delle corrispondenze equiva- lenti a 7. Ma possiamo inoltre dimostrare che, in queste ipotesi, è sempre a = 1. Invero, indicando con w (2) =0 l’equazione ca- ratteristica di 9, w (2), che è un polinomio di grado 2p in 2, a coefficienti interi, col primo di essi uguale all’unità, sarà per il teorema di Frobenius divisibile per y (2); onde si avrà l'identità (7) w(2)=y(2)9 (2), essendo @ (2) un polinomio a coefficienti razionali. Da questa, moltiplicando per un conveniente intero N, si deduce l’altra Nw()=y(2) 9 (2), in cui ®; (2) è un polinomio a coefficienti interi. Osservando ora che N è il divisore della funzione razionale intera Nw (2), e che y (2) è per ipotesi funzione primitiva, dovrà, per un noto teorema (*) Cfr. Corrispondenze, $ 1, n° 1. - nda SULLE CORRISPONDENZE PLURIVALENTI FRA I PUNTI, Ecc. 1003 di Gauss (*), essere N il divisore di @; (2) e quindi me) = (2) sarà un polinomio a coefficienti interi; ma allora, perchè possa sussistere la (7) occorre che sia a, = 1. Se si osserva poi che una corrispondenza a valenza zero ha per immagine una omografia nulla e viceversa, si deduce che ogni equazione cui soddisfi la è anche un'equazione cui soddisfa la 7 e inversamente: onde sarà y (2) =0 l'equazione minima della corrispondenza 7’, ed ogni altra equazione cui sod- disfa la 7 deve avere il suo primo membro divisibile per y (2). Dunque : L'equazione minima di una corrispondenza T è di grado =2p, a coefficienti interi, col primo di essi uguale all’unità. È poi chiaro che le corrispondenze a valenza son quelle che soddisfano a equazioni minime lineari. 12. — Ogni radice razionale dell'equazione w (2) =0 è ne- cessariamente intera; si indichi con —y una tale radice. Poichè — Y è anche radice dell'equazione w(2) =0 caratteri- stica dell’omografia £, e poichè il determinante nullo w{(— Y) è quello costituito dagli interi caratteristici della corrispon- denza T+y1I, questa corrispondenza dovrà essere speczale e il determinante medesimo dovrà avere per caratteristica un nu- mero pari (**). Indicata con 2 (p— q;) tale caratteristica (9, >0), l’omografia £, in corrispondenza alla radice — y, dovrà posse- dere due spazi fondamentali razionali fra loro coniugati 5%, Grn-n)-1 Appoggiati ad a (e quindi ad «) lungo spazi di di- mensioni rispettive g, — 1 e p — q, — 1. La totalità degli iper- piani della stella (a) contenenti G>p-y)-1è immagine di un si- stema regolare riducibile 0%, i cui integrali danno somma costante nei punti del gruppo omologo di un punto variabile x per la corrispondenza 7 + y I. Noi diremo allora che la corrispondenza T ammette la va- lenza parziale x rispetto al sistema regolare riducibile n°! rap- (*) Cfr. ad es. BrancHni, Lezioni sulla teoria dei gruppi di sostituzioni, ecc., Pisa, Spoerri, 1889, pag. 139. (**) Cfr. Corrispondenze, $ 2, n° 3. PA è cotti “a “al 1004 CARLO ROSATI presentato dallo spazio Gap-y)-1, e tale valenza si dirà poi semplice o multipla, secondochè — Y è radice semplice o multipla dell'equazione y (2) = 0. Nel primo caso, 527,1 è spazio fondamentale semplice per l’omografia £, cioè non interseca il suo coniugato Gxyp-g)-1, € le omografie singolari (2 + r 1)?,(Q + x /)f, ... hanno tutte (n. 2) come spazi singolari, primo e secondo, S27,-1 € Gaxp-g)-1. Ne segue che, quando y è valenza parziale semplice per la 7, i si- stemi regolari riducibili i cui integrali danno somma costante nel gruppo omologo di un punto variabile x per le corrispon- denze (TY --1)?,(T7-+ 11)?,... coincidono tutti col sistema 0! che spetta alla corrispondenza T' + I. Se poi — y è radice r”“ per l'equazione y(2)=0, Sag,-1 è per l’omografia £ spazio fondamentale 7”°, cioè sono venuti in esso successivamente a sovrapporsi altri r -—1 spazi fondamen- tali: ed è facile provare (*) che tali spazi hanno tutti dimen- sione dispari 29, — 1, 2g3--1,....29—1(q>g.>..=%4>0) e sono appoggiati ad a (e quindi ad a;) lungo spazi di dimen- sioni rispettive gs — 1.93 — 1, ...4.— 1. In questo caso i primi spazi singolari delle omografie (2 + Y 1), (Q2+14)?,....(Q+Y2) saranno S29,-13 Sg,+9)=1, +-+ 929,+9+---+9,)—1, @ i Secondi saranno Gap-q)-1; Coral ario cose Gilpicginzioi gti inoltre le omo- grafie (Q + x 1)!, (Q2+1/)"??,... hanno come spazi singolari quegli stessi, fra loro indipendenti, che spettano a (Q4+ 1)". Ne segue che, se r è valenza parziale r** per la 7, gl’integrali che danno somma costante nel gruppo omologo di un punto va- riabile x per le corrispondenze TY +11, (T+v1)?,...(T+vy1) formano dei sistemi regolari riducibili 0071, o7®71, ..., oo f&++471, ciascuno dei quali contiene il precedente, mentre gli integrali che godono della stessa proprietà per le potenze su- periori (7 +1)}, (T+r/)*?,... sono quelli stessi del si- stema 00%+9+.-+2-71 che spetta a (T+ y/)". È poi chiaro che le corrispondenze speciali sono quelle che ammettono la valenza parziale zero. (*) Cfr. Corrispondenze, $ 2, n° 3, Osservazione. SULLE CORRISPONDENZE PLURIVALENTI FRA I PUNTI, ECC. 1005 13. — Quando l'equazione minima y (2) =0 cui soddisfa la 7 ammette radici tutte razionali e quindi intere, la 7' si dirà una corrispondenza plurivalente, e precisamente &-valente se & è il numero delle radici distinte della detta equazione. Se U denota il numero delle coincidenze di 7, per una nota formula di Hurwitz (*) si ha (8) U=a+B— (Ruth i... hop Gu + Goa t. + Gpp). Facciamo dapprima l'ipotesi che 7’ sia una corrispondenza plurivalente a valenze tutte semplici Yi, f2, ..., x. Indicata, come al solito, con w(2)=0 l'equazione caratteristica dell’omo- grafia £, e supposto che i determinanti nulli w(—Y}), w(—Ys), ..., w(-—y,) siano rispettivamente di caratteristiche 2 (p — %), 2(p_— 92), .--.2(p—%q), saranno 261, 298, «.., 29, le molteplicità delle radici — Y1, — Ya, ... — Y per la w(2)=0, e le valenze Yi, Ya. .... Y, saranno associate a sistemi regolari riducibili 0, do 71, ..., 047, Osservando ora che la somma delle radici della equazione w(2)=0 è data da (k4,1-| R2°+ ... + Akpp + Gut Gss + ... + Gpp), dalla (8) si deduce (9) ERESSE: + B d 29,1 + dg Ts +..d kb 29 Tir la quale formula è la generalizzazione di quella di Cayley-Brill alle corrispondenze plurivalenti, dotate di valenze tutte semplici. L'equazione w(2)=0 ammetta ora radici tutte intere — Y}, — Ya, ...-. — Ya di molteplicità 2, 3 ...lx. Alla radice — Y; della equazione w(2)=0 corrisponde uno spazio fondamentale /;"° per l’omografia 2 immagine di 7; detto S7,6-1 questo spazio fon- damentale ed S27,-1, S2;%1, ..., 529,41 quelli venuti successi- vamente a sovrapporsi in esso (ql! > gs!) =>..>q5>0), i sistemi regolari riducibili 1 cui integrali dànno somma costante nel gruppo omologo di un punto variabile x per le corrispon- denze 74 x;I, (T-4-x;1),....(T + r;1) sono rispettivamente (31) (1) (1) (1) Le (I) Of P , 12 N, fmi it n. ia VPN o e Nin 1 1 0 2(9194+-g30+...+9,9) (*) Hurwirz, l. e., $ 10. 1006 CARLO ROSATI sarà la molteplicità della radice — Y; per l'equazione w(2)=0. In questo caso dalla (8) si deduce la formula U=a+B#+2(91"+gg" +... +qu)Y1+2 (91 +92 +..4+-91, )rst. EVAZA Ci ilo e Cn reti MT che è la generalizzazione di quella di Cayley-Brill alle corrispon- denze plurivalenti dotate di valenze multiple. 14. — Si considerino due corrispondenze 7 e 77 l'una inversa dell’altra. Poichè (77!) = (7)! ne segue che i deter- minanti costituiti dagli interi caratteristici delle corrispondenze PA TAPS(IA), SL deduconos da quelli. «dito dr settori eseguendo sui loro elementi la stessa permutazione e gli stessi cambiamenti di segno; ed allora è chiaro che, volendo deter- minare i coefficienti delle equazioni minime cui soddisfano 7° e 7", si fa capo allo stesso sistema di equazioni lineari. Dunque : Una corrispondenza T e la sua inversa T7! soddisfano alle stesse equazioni minime. Ricordiamo ora che se 2 e £' sono le omografie immagini di 7 e di TY! e A è il sistema nullo fondamentale relativo alla curva, si ha 2 —A LA, cioè la 2 si ottiene trasformando mediante il sistema nullo A l’'omografia 27, inversa di 2, ope- rante sugli iperpiani di S3p_1(*). Di qui discende che gli spazi fondamentali di £' sono polari, rispetto a A, degli spazi coniu- gati di quelli fondamentali di ®. Da quanto abbiamo detto, facendo l'ipotesi che l'equazione minima di 7’ abbia tutte radici intere, segue la proprietà : L'inversa TT! di una corrispondenza T k-valente è pure k-va- lente, e le valenze di T e T7 sono le medesime e delle stesse mol- teplicità. I sistemi regolari riducibili associati ad una stessa va- lenza per le corrispondenze T e TT! sono della stessa dimensione, ma, in generale, distinti. (*) Cfr. Corrispondenze, $3, n°8, Oss. II. ti SULLE CORKISPONDENZE PLURIVALENTI FRA I PUNTI, ECC. 1007 15. — Dimostriamo ora il seguente teorema: L'equazione minima di una corrispondenza simmetrica am- mette radici tutte semplici e reali, quella di una corrispondenza emisimmetrica ammette pure radici semplici, le quali, tranne una eventuale radice nulla, sono numeri immaginari puri (due a due coniugati). È noto (*) che la omografia 2, immagine di una corrispon- denza simmetrica 7, nasce moltiplicando per il sistema nullo fondamentale A un sistema nullo razionale S che ammette gli spazi ao, come spazi totali. Poichè Q2+p/=SA+pA?= =(S4# pA)A, si deduce che le omografie singolari del fascio Q4 p/ si ottengono moltiplicando per A i sistemi nulli singo- lari del fascio S+pA, e che quindi gli spazi fondamentali di £ sono gli assi dei sistemi nulli singolari del fascio S + pA e gli spazi ad essi coniugati nell’omografia sono i polari dei primi rispetto a A. Supposto ora che l'equazione minima w(2)= 0 della corrispondenza 7 ammetta due radici complesse coniu- gate p' po, i due sistemi nulli singolari S+ p'A, S+ po A avranno per assi due spazi S,-1 S$_, immaginari coniugati appoggiati ad a @ lungo spazi di dimensione q — 1. I detti assi non hanno poi alcun punto comune, perchè tale punto, singo- lare per due complessi distinti del fascio, lo sarebbe per tutti, il che è assurdo non essendo A singolare. Gli spazi sy-1="($29-1, 0), st! = (56_1, 0%) sono immaginari coniugati; congiungendo allora un punto del primo col suo coniugato giacente nel secondo, si ottiene una retta reale appartenente a tutti i complessi del fascio S+ pA. Poichè sappiamo che non possono esistere rette reali del complesso A appoggiate ad a ay (**), si deduce che le radici dell'equazione yw (2) =0 sono tutte reali. Sia ora p' una tale radice ed Sx-1 lo spazio reale, appog- giato ad a a, lungo due spazi s,-1 sj, immaginari coniugati, asse del sistema nullo singolare S + p'A. Lo spazio polare di S;-1 rispetto a A è un Sxp-y-1 reale appoggiato ad a ay lungo due spazi sp-j-1 $$, immaginari coniugati. E i due spazi Sx-1 Sxp-9)-1 sono indipendenti, perchè, se si interse- (*) Cfr. Corrispondenze, $ 3, n° 6. È (**) Cfr. Corrispondenze, Osservazione .a piè della pag. 16. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 65 1008 CARLO ROSATI cassero, la loro intersezione, che è lo spazio reale Sy_i con- giungente gli spazi immaginari coniugati s;:-1= (8-1, 8p-q-1) si, = (80, 5 ,_), sarebbe spazio totale di A, ed esisterebbero quindi rette reali del complesso A appoggiate ad a ay. La £, avendo gli spazi fondamentali indipendenti dai loro coniugati, è adunque una omografia generale, e perciò l'equazione minima w(2)=0 ammette radici tutte semplici (*). Si. consideri ora una corrispondenza emisimmetrica 7, di cui indichi l’omografia immagine. Sappiamo (**) che la ® si ottiene moltiplicando per il sistema nullo A una polarità razio- nale P la cui quadrica fondamentale @ contiene gli spazi a ag, e la quadrica @ sarà specializzata o non, secondochè 7 è spe- ciale o non speciale, cioè secondochè l'equazione minima w(2)=0 di 7 ammette o non la radice zero. E si osservi subito che tale radice, quando esiste, è semplice per l'equazione w (2) = 0, perchè lo spazio singolare di £ che ad essa corrisponde non in- terseca il suo coniugato (***). Ammesso che l'equazione yw (2) = 0 abbia una radice reale p'==0, si prenda un punto reale X nello spazio fondamentale di £ corrispondente a quella radice; punto che, com'è noto, dovrà essere esterno agli spazi a ap. Poichè X è punto unito in £, non potrà appartenere all'eventuale spazio doppio della quadrica @, e dovrà avere lo stesso iperpiano polare € nella po- larità P e nel sistema nullo A. Ne segue che X dovrà giacere in £ e quindi su 9, e l’iperpiano & è tangente in X alla qua- drica @. Ma allora la retta reale uscente da X ed appoggiata ad ao, giace su @ e quindi nell’iperpiano & ed è quindi retta del complesso A, il che è assurdo. L'equazione y (2) = 0, tranne la radice zero, non può dunque ammettere radici reali. Si osservi ora che la corrispondenza 7°, avendo per imma- gine la omografia 2? = (PA P)A che nasce moltiplicando per il sistema nullo fondamentale A il sistema nullo PA P, trasfor- mato di A mediante la polarità P, è una corrispondenza sim- (*) Il ragionamento fatto prova inoltre che l'equazione minima di una corrispondenza simmetrica è di grado = p. (#*) Cfr. Corrispondenze, $ 3, n° 6. (***) Cfr. Corrispondenze, $ 3, n° 8. SULLE CORRISPONDENZE PLURIVALENTI FRA I PUNTI, ECC. 1009 metrica (*). Indicando allora con @(t) =0 l'equazione minima di 7?, la corrispondenza 7 dovrà soddisfare alla equazione ® (22) = 0, e dovrà allora (=*) essere divisibile per w(2). I qua- drati delle radici di w (2) 0 sono dunque radici di @(t) = 0, e poichè questa equazione ammette radici tutte reali, ne segue che ogni radice non nulla di yw (2) = 0 deve essere un numero immaginario puro. Queste poi sono tutte semplici, perchè se la radice #8 e quindi anche la coniugata — 78 fossero di mol- teplicità a >1, si avrebbe yw(2)=(2—iB)°(+1:B)®... = = (22 | B2)®... e la @(f) = 0 ammetterebbe la radice — 8? di molteplicità a > I. 16. — Dal n. precedente si deduce che una corrispondenza emisimmetrica non può essere plurivalente, e che una corrispon- denza simmetrica plurivalente ha le sue valenze tutte semplici. Se 7 è una corrispondenza simmetrica plurivalente, la 77! non solo ha le stesse valenze di 7, ma di più tali valenze sono as- sociate agli stessi sistemi regolari riducibili. Inversamente, se 7° è una corrispondenza plurivalente e le valenze di T e di 7-1! sono associate agli stessi sistemi regolari riducibili, gli spazi fondamentali coniugati dell'’omografia £ immagine di 7 saranno l’uno polare dell’altro nel sistema nullo A, e quindi fra loro indipendenti. Ne segue che le valenze di 7’ sono tutte semplici, e quindi i sistemi regolari riducibili, cui sono associate, appar- tengono al sistema totale c?-! degli integrali della curva. Ma allora, per il teorema d’Abel, si ha TT =0, cioè la T è una corrispondenza simmetrica. Con ciò resta completato il teo- rema enunciato in fine del n. 14. 83. PE. Sopra una curva C di genere p > 1 si abbia un’in- voluzione 8 di ordine n» e di genere t (0 /-+-1. L’asserto è dunque provato, onde possiamo enunciare la proprietà : Sopra due curve € e C di generi n e p(0» DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1025 toglierle per questo rispetto il carattere di una semplice presta- zione di risarcimento (1). Abbiamo sinora avuto riguardo soltanto alla sentenza di condanna, senza considerare la domanda giudiziale, alla quale intendevamo riferirci in principio nel parlare dell’ “ oggetto del- l’azione ,. Ma alla differenza fondamentale di funzione, esposta sin qui, tra la sentenza di condanna classica e la sentenza di condanna giustinianea fa riscontro una differenza analoga tra la domanda giudiziale classica (qual'è implicita nella formula) e la domanda giudiziale giustinianea (qual’è formulata dal lidello). Nè potrebbe essere altrimenti. La domanda giudiziale infatti, essendo destinata a sottoporre alla decisione del giudice la que- stione controversa, pone essa stessa 1 fermini di tale questione, forma la dase di essa decisione e contiene già in sè, in em- brione, la sentenza (2). Essa è un programma di sentenza, che la statuizione del giudice realizzerà in senso positivo o nega- tivo, secondo che farà propria o respingerà la proposta dell’at- tore (3). Orbene, la formula del processo classico esprime nelle sue due parti principali una distinzione ben netta tra quello ch'è il fondamento di responsabilità di fronte all’azione e quello ch'è il dedito processuale concreto derivante da essa azione (4). Il fondamento di responsabilità si esprime nella intentio della (1) È una tendenza degli ordinamenti processuali propri di molti Stati- di-polizia o fortemente organizzati quella di minacciare il debitore che non adempia una prestazione infungibile con una responsabilità pecuniaria ec- cedente l'equivalente economico di essa prestazione: v. p. es. l’Ordinamento germanico, $ 888, e la Legge austriaca sull'esecuzione forzata, $ 354: non sì tratta di una punizione, bensì di una forma di coazione indiretta per in- durre l’obbligato all'adempimento. Cfr. Curovenpa, Principi? 236°. (2) Ber, L’antitesi tra iudicare e damnare, p. 3. Cfr. CALAMANDREI, La ge- nesi logica della sentenza civile, p. 6-7. Di qui la regola del processo comune: “ne eat iudex ultra petita partium , (su cui v. Carovenpa, Nuovi saggi di dir. proc. (1912), p. 41 e segg.) e l’esigenza, espressa negli Ordines iudì- ciarii (p.es., Maranta, pars VI et demum fertur n. 61), della conformità al libello. Cfr. Wersmanx, Zivilprozessr. I, 9. 10'. 55-56. 72. 212. (3) Così allo schema “ si paret, condemnato; si non paret, absolvito ,, di molte formulae classiche, deve aver corrisposto il seguente schema di sentenza: “ paret (= risulta), ergo condemno; non paret, ergo absolvo ,. (4) Il fondamento dà luogo alla questione giuridica * an sit actio , ; il debito dà luogo alla questione © quid veniat in iudicium ,. 1026 EMILIO BETTI formula (e nelle parti accessorie che la integrano, come la de- monstratio, o ad essa si riferiscono, come la clausola restitu- toria, l’exceptio): forma l’oggetto di essa intentio. Il debito processuale si esprime nella condemnatio della formula, forma l'oggetto di essa condemnatio: oggetto che il giudice ha da de- terminare mediante la litis aestimatio. La intentio in ius con- cepta esprime il vario contenuto della responsabilità giuridica materiale: responsabilità astratta rispetto alla finalità del pro- cesso, in quanto essa non può, nel processo classico, venir rea- lizzata come tale. La condemnatio della formula esprime il contenuto, sempre pecuniario, della responsabilità processuale: responsabilità concreta in quanto essa, ed essa soltanto, è quella che l'attore può realizzare mediante esecuzione forzata (3). La intentio è destinata a esprimere il vero e proprio pe- titum dell’attore (1), il suo desiderium (Gai. I. 4, 41), l’id quod actor persequitur (2), il suo diritto .0 l'affermazione giuridica ch'egli sostiene: quello insomma che in principio abbiamo chia- mato l'oggetto dell’azione. È la intentio infatti, che individua l’azione: è essa a cui propriamente si applica così il criterio della pluris petitio agli effetti del causa cadere (Gai. I. 4, 53-59) come il criterio della identificazione delle azioni agli effetti della concorrenza di consunzione. La res in iudicium deducta è pro- priamente il diritto o il fatto affermato nella intentio e in par- ticolare l'oggetto di esso diritto o fatto (3): la designazione di tale oggetto nella intentio delle azioni di stretto giudizio (per es., della condictio) deve essere precisa: non è lecito all’attore — pena il causa cadere — variare comunque esso oggetto, s0- (1) Restringendo la considerazione al campo delle obbligazioni munite di formulae in ius conceptae si può dire che ciò ch'è in intentione è in obligatione, ciò ch'è in condemnatione è in solutione. (2) Cfr. Cels. D. 44, 7, 51 actio = ius iudicio perseguendi quod sibi de- betur (quod suum est). Alla intentio si riferisce la distinzione classica delle actiones tra a. quibus rem persequimur e a. quibus poenam persequimur: onde la frequente affermazione de’ giuristi “ haec actio rei persecutionem continet ,, destinata a dimostrare la trasmissibilità dell’azione. (3) A tale oggetto per l'appunto si ha riguardo nella pluris petitio re: v. in particolare Gai. J. 4, 60. Quanto alla exceptio rei in iudicium deductae (iudicatae) v. Paul. 44, 2, 12 inspiciendum est an idem corpus sit (cfr. Berti, Antitesi tra iudicare e damnare, p. 29 in nota, p. 116 in nota). o LA « CONDICTIO PRETIl » DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1027 stituendo, p. es., alla cosa stessa il suo equivalente pecuniario. L'indicazione dell’equivalente pecuniario è riservata alla parte della formula detta condemnatio. La condemnatio è destinata a esprimere la proposta concreta che l'attore fonda sulla verità della sua intentio: che cioè il convenuto venga condannato a una prestazione di risarcimento. Tale prestazione può dirsi il contenuto reale dell’azione, l’id quod actor consequitur: ad essa sì riferisce il criterio della così detta concorrenza di solutio. Sotto ben altro aspetto ci si presenta il Zibello del processo civile giustinianeo. La netta distinzione tra intentio e condem- natio, tra il fondamento della responsabilità materiale astratta e il debito processuale concreto qui è scomparsa. Nel libello l'attore, indicati per sommi capi i fatti costitutivi della sua pretesa, domanda senz'altro che il convenuto venga condannato alla prestazione stessa a cui è tenuto in virtù della legge mate- riale, ovvero a una prestazione pecuniaria surrogatoria — secondo che la prestazione pretesa consista in un dare (rendere, sgombrare) ancora possibile, ovvero in un fare. Soltanto in via d'eccezione, quando gli consti che la dazione della cosa stessa è divenuta impossibile ovvero difficilmente ottenibile, l'attore può doman- dare in giudizio la condanna a una prestazione pecuniaria (1). Da codesta configurazione della domanda giudiziale e della sentenza di condanna è lecito anzitutto trarre la conclusione seguente, che è d’una importanza decisiva per la spiegazione della innovazione da noi notata in principio. Abbiam veduto che nel sistema del processo formolare l'attore non poteva ma? rag- giungere — strappandolo al convenuto mediante esecuzione for- zata speciale — quel bene della vita ch’era l'oggetto primitivo del suo diritto, bensì doveva sempre contentarsi di conseguire l’equi- valente pecuniario di esso (a prescindere dall’aggravante del ius iurandum in litem), anche se esso si trovava nelle mani del convenuto o a sua disposizione. ()ra, stando così le cose, doveva essere del tutto indifferente pei giuristi classici agli effetti della condanna — una volta riconosciuti esistenti tutti i presupposti della responsabilità del convenuto — la circostanza che al mo- mento della sentenza la prestazione dell'oggetto del diritto fosse (1) Cfr. l'’Ordinamento germanico del processo civ., $ 268 n° 3. 1028 EMILIO BETTI divenuta impossibile (1): il petitum designato nella intentio ha infatti sempre carattere astratto, in quanto l'attore non lo può conseguire mai. Della circostanza che al momento della sentenza la prestazione della cosa stessa fosse divenuta impossibile, do- veva per contro preoccuparsi il legislatore bizantino, appunto perchè nel processo vigente ai tempi suoi la condanna alla pre- stazione della cosa stessa era divenuta la regola. Tale presta- zione, e non un suo surrogato, domanda infatti di regola l’at- x tore nel suo libello, il quale è redatto in una forma concreta, pieghevole e adattantesi alle circostanze di fatto: forma che contrasta con l’astrattezza e rigidità della formula classica. La serie delle considerazioni precedenti e la conclusione che ne abbiamo tratto ci rendono possibile di scoprire e d’in- tendere subito nella loro portata le alterazioni dei passi che ora segnaliamo. Anzitutto in Ulp. 781, 1. 27 ad ed. 13, 1,8 pr.: in re furtiva conditio ipsorum corporum competit: sed utrum tamdiu, quamdiu exstent, an vero et si desierint esse in rebus humanis? et si quidem optulit fur (aesti- mationem eorum) (2), sine dubio nulla erit condictio: si (1) Se — una volta contestata la lite — la prestazione era divenuta impossibile senza dolo del convenuto, nelle azioni reali tale impossibilità significava il venire a mancare di un presupposto della responsabilità del convenuto medesimo, purchè non si fosse verificata dopo il termine utile per obbedire all’arbitratus de restituendo; nelle azioni obbligatorie di stretto giudizio essa non aveva per cortro rilevanza alcuna. Se — sempre dopo contestata la lite — la prestazione era divenuta impossibile per dolo del convenuto, la responsabilità di costui (a prescindere dalle azioni reali per formula petitoria ov’egli rispondeva del dolo in virtù della clausula doli della stipulatio iudicatum solvi) veniva in generale aggravata colà dove si ammettesse in conseguenza il ius iurandum in litem. (2) “ Optulit , così senza oggetto resta sospeso in aria. Offerre, quale atto del convenuto anteriore alla litis contestatio, può significare la presta- zione 0 a) della cosa dovuta, ovvero 5) della sua aestimatio. Questa seconda ipotesi è l’unica confacente al propositum, ove si suppone che la cosa sia perita. E, offerre litis aestimationem sì dice infatti in molti passi, in parti- colare da Ulpiano: Afr. 9, 4,28; Gai. 9, 4, 27, 1; 20, 6, 2; 41,4, 1; Jul.-Ulp. 6, 2,7, 1; (Ulp. 7, Alzo di, do, DURO AU 45 10, 0a 15, 1,11 pr: 21,72, 218: 27, 9, 8,220, 0,001 pri, doi, La, @; 0, 6, pia Paul. 10, 2, 25, 15; 10, 2,29. Che ne’ casi contemplati nei fr. citati non si debba supporre di necessità sempre iniziato il processo, è ciò che abbiam LA « CONDICTIOP RETII » DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1029 non optulit purAT condictio (rei furtivae) |aestimationis eius (1): corpus enim ipsum praestare non potest]. La conclusione sta qui in flagrante contradizione con la premessa: in re furtiva condictio ipsorum corporum competit. La condictio ex causa furtiva come tale è sempre una condictio certae rei di species; cioè una condictio, nella intentio della quale la res furtiva deve sempre essere designata nella sua species, nella sua individualità specifica, come la cosa di cui si tratta (homo, vestis, patera, qua de agitur). Tale designazione x individuale è necessaria anche quando la cosa di cui si tratta sia una cosa fungibile, p. es., un certo numero di moggi di fru- mento o di nummi (cfr. Diocl. et Max. (0. 4, 8, 1 condietio num- morum furtim subtractorum, non condictio pecuniae) (2). Di qui la stretta analogia e il costante parallelismo che intercorre tra condictio rei furtivae e rei vindicatio (3). Ciò che il giurista sostenuto nel I° de’ nostri Studi? sulla litis aestimatio. Il fr. 8 pr. D. 13, 1 può aggiungersi all’altro 9, 1 D. 47, 2 ivi esaminato a pag. 44-45. (1) Un indizio esteriore della interpolazione di questo fr. — della cui chiusa altrove non avvertimmo il carattere tendenzioso (Sul! valore dogma- tico della categoria contrahere, p. 83) — è lo * eius ,: chi scrisse eius dovè aver dimenticato i corpora e avere in mente un singolare come “ res fur- tiva ,, che dovè trovare e sopprimere nel testo primitivo. (2) Di questo avviso anche PrLiùGer, Ciceros Rede pro Roscio, p. 15-16. Quale oggetto della condictio ex causa furtiva è designata la ipsa res yur- tiva, oltre che in D. 13, 1, 8 pr. e in C. 4, 8, 1, anche, p. es., ne’ seguenti passi: Gai. J.4, 4 non posse nos rem nostram ab alio... petere... plane odio furum... rei recipiendae nomine etc. $ 8 ipsius rei et vindicatio et condictio nobis competit; Paul. Sent. 2, 31, 13 praeter ipsius rei persecutionem, ge- nere vindicationis et condictionis $ 14 et ipsius rei repetitio; Gai. 47, 2, 55 (54),3 condictio et vindicatio ad rei reciperationem; Marci. 25, 2, 25 ipsas res maritus condicere (scil. ex c. furtiva!) potest; Ulp. 13, 1, 7, 1 condietio (petit) rem ipsam. (3) La condictio ex c. furtiva è detta spettare in guisa cumulativa con la rei vindicatio, oltre che in Gai. J. 4,8; D. 47, 2, 55 (54), 3; Paul. Sent. 2, 81, 13; Ulp. 13, 1, 7, 1, anche ne’ passi seguenti: Pomp. 47, 2,9,1; Ulp. 47,2, 14 pr.; 47, 1, 1 pr.; 47, 8; 2, 26; 11, 5, 1, 8; 25, 2, 24 (pure con- dietio ex causa furtiva!); Gai. 18, 1, 35, 4; 19, 2, 25, 8; Diocl. et Max. C. 3, 41, 5. Condictio (parimenti ex c. furtiva a nostro avviso, come ad avviso dello PrLiicer, Condictio u. kein Ende, p..38-39) e vindicatio sono poste in rapporto di reciproca esclusione, in quanto quella subentra a surrogar questa 1030 EMILIO BETTI classico si domanda nel caso prospettato, non è se la condictio ex causa furtiva in questo caso muti oggetto e assuma per oggetto anzi che gli ipsa corpora la loro estimatio : la condictio ex c. furtiva non può aver mai altro oggetto che i corpora. Ciò che il giurista si domanda è piuttosto se la condictio ex ce. f. con- tinui a spettare (durare) o non spetti più, si sia estinta (ces- sare). Il motivo di dubitarne sta in ciò: che al momento della litis contestatio, non esistendo più la cosa, può sembrare manchi uno de’ presupposti della responsabilità del fur di fronte alla condictio, come difatti esso mancherebbe di fronte alla parallela rei vindicatio (Alex. C. 3, 41, 1 si exstat corpus nummorum). Se non che nella condictio, azione personale, soccorre la massima dei veteres “ fur semper moram facere videtur ,, che nel me- desimo caso invoca infatti Tryph. 55!, ]. 15 disp. 13, 1, 20: licet fur paratus fuerit excipere condictionem et per me steterit, dum in rebus humanis res fuerat, condicere eam, postea autem perempta est, tamen DURARE condictionem ve- teres voluerunt, quia videtur qui primo invito domino rem contrectaverit, semper in restituenda ea, quam nec debuit auferre, moram facere. Ulpiano pertanto si limita a distinguere due ipotesi ulteriori: se il ladro abbia o non abbia restituito al derubato la aesti- matio della cosa perita: se ha restituito la aestimatio, egli è liberato dalla condictio così come se avesse restituito la cosa stessa (1); altrimenti la condictio dura immutata. Ora tale im- là dove questa si estingue per distruzione della cosa nella sua individualità specifica, ne’ seguenti passi: Ulp. 24, 1, 5, 18 (itp.?). 33,1; Jul. 24, 1, 39; Ulp. 12, 1, 11, 2; 12, 6, 29 (itp.). Cfr. l'alternativa tra cond. e vind. in: Paul. 10, 2, 36; Ulp. 14, 6, 9,1. Viene ammessa la vindicatio, negata la condictio in: Ulp..12; 4,14; Proc.12, 6, 09 25,9; Dil. (1) Gai. 47, 2, 55, 3 recepta re... vindicationem... et condictione tolli. L’estinzione dell’azione consegue parimenti dal “ litis aestimationem suf- ferre ,, dal pagamento dell’equivalente pecuniario, sempre che si tratti di actiones subordinate alla rei persecutio. V. p. es. Jul. 25, 2, 22 in materia di aetio rerum amotarum; inoltre i fr. analoghi da noi addotti nel II° degli Studii sulla litis aestimatio, p.17 in nota. A proposito del fr. 1, 4 D. 2, 10 è da notare (ciò che colà tralasciammo di fare) che Ulp. non potè dire: * si unus praestiterit [poenam] ,, bensì (quanti ea res est). LA « CONDICTIO PRETI! » DEI, PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1081 mutabilità e rigidità della condictio classica non era più con- sentanea alla adattabilità e pieghevolezza del libello giustinianeo: onde i compilatori sì trovarono nella necessità di alterare il fr. nel modo da noi indicato. Anche altrove essi ebbero cura d’in- dicare l'oggetto possibile della condictio ex e. furtiva in modo alternativo — o la res, o la aestimatio —, preoccupati com'erano di distinguere l'ipotesi in cui potesse riaversi la cosa in natura, dall'ipotesi in cui ciò fosse impossibile: D. 26, 7, 55, 1: sì ipsi tutores rem pupilli furati sunt ...nemo .. dicet unum tutorem et duplum hac actione praestare et quasi specie condictionis aut ipsam rem (scil. quamdiu exstat) aut eius nestimationem (si non exstat). Passiamo ora ad altro fr.: Jul. 809, 1. 80 dig. 39, 6, 19: si filio familias res mortis causa data fuerit et conva- luisset donator, actionem de peculio cum patre habet (1): at si pater familias, cum mortis causa donationem acce- pisset, in adoptionem se dederit, res ipsa a donatore re- petitur . nec huic (scil. patri familias) similis est is, qui rem, quam mortis causa acceperat, alii porro dederit: nam donator huic (ipsi), non (ei cui porro eam dederit) rem |sed pretium eius] condiceret. Il giurista fa tre ipotesi di donatio mortis causa : @) che si doni a un filius familias; 5) che si doni a un pater familias il quale poi si faccia adottare quale filius da un altro; c) che si doni ad uno il quale alieni la cosa ad un altro. Nell'ipotesi @) colui che ha in potestà il donatario risponde nei limiti del pe- (1) L’actio de peculio di cui si tratta può essere, data la latitudine della espressione * res, (cosa individuale), species, senza distinguere se mancipi o nec mancipi tanto la condictio quanto l’actio fiduciae: che res sia itp. per “ servus , (cfr. 39, 6, 37, 1) è improbabile. Che la res do- nata mortis causa potesse esser ripetuta con la condictio era verità indi- scutibile pei Sabiniani, quindi anche per Giuliano (D. 39, 6, 35, 3). Su questo e sugli altri fr. relativi alla donatio m. c. oltre che su Paul. 12, 6, 65, 8 efr. Sen, Etudes sur le droit des obligations, To. 1”, I, p. 54-57 (efr. p. 134) e p. 88-93 (cfr. p. 162-166). Il contrapposto tra condictio de peculio e con- dictio ipsius rei (in solidum) è illuminato dal contrapposto in D. 15, 1, 47,2: pater unirersum non Aebet. 1032 EMILIO BETTI culio. Nell'ipotesi 5) colui che ha ora in potestà il donatario non risponde in via adiettizia de peculio, trattandosi di debito con- tratto prima che entrasse in sua potestà, ma risponde invece direttamente e in solido (onde dicesi res ipsa), in quanto è co- stretto ad assumere la defensio dell’arrogato di fronte alla actio utilis quae in eum datur rescissa capitis deminutione (Gai. I. 3, 84). Nell'ipotesi c) colui che è succeduto al donatario nel dominio della cosa donata, non risponde affatto — a differenza del pater adoptivus — di fronte al donatore: la condictio di costui non si dirige contro l’avente causa bensì resta limitata al donatario. Il contrapposto che al giurista classico doveva premere di rile- vare è il contrapposto tra i soggetti della legittimazione passiva di fronte all’azione, non il contrapposto tra l'uno o l’altro 09- getto possibile dell’azione. Tale oggetto nella condietio classica permane identico anche se non è più raggiungibile presso il convenuto; e con l’oggetto permane costante anche la misura della responsabilità di lui. La esplicita esclusione della res e la sostituzione del pretium quale oggetto della condictio non po- trebbero mai in diritto classico essere la conseguenza di una circostanza estrinseca, sopravvenuta dopo che la fattispecie della datio ob rem è già perfetta e definita in tutti i suoi elementi. La obbligazione di restituire, che si fa valere con la condictio, scaturisce infatti dalla datio ob rem: dalla configurazione della datio, e da essa sola, dipende la configurazione della condictio. L'oggetto della condictio non può essere diverso dall’oggetto della datio: l'oggetto della datio determina l'oggetto della con- dictio. Ciò risulta con piena evidenza dai casi in cui i giuristi classici fanno questione se l’oggetto della condictio sia la res o sia la sua aestimatio: essi in tanto si pongono tale questione in quanto dubitano se l’oggetto della datio sia stata la res o sia stata la sua aestimatio. Paul. 1755, 1. 7 ad Sab. 23, 3, 17, 1: si, re aestimata data, nuptiae secutae non sint, videndum est quid repeti debeat, utrum res an aestimatio . sed id agi videtur ut ita demum aestimatio rata sit, si nuptiae sequantur quia nec alia causa contrahendi fuerit, res igitur repeti debeat, non pretium. Nella ipotesi quivi considerata la condictio del pretium (aestimatio) non si ammette, perchè non si ammette che la datio, Î ; » LA <« CONDICTIO PRETII > DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1033 rimasta imperfetta pel non verificarsi dell'evento prospettato, abbia avuto per oggetto il pretium. In altri casi per contro i giuristi classici non dubitano di designare il pretium o la aesti- matio quale oggetto della condictio per la semplice ragione che il pretium (la aestimatio), per l'appunto è lid quod datum est secondo la ipotesi proposta: così Ulp. 12, 7, 2; 12, 6, 26, 6; 24, 1,7, 7; Paul. 18, 4, 7; 18, 1, 52; e in particolare, in ma- teria di dote, Paul. 24, 3, 49, 1 (si aestimationem dotis repetat). Ma secondo l'ipotesi proposta nel fr. 19 D. 39, 6 l’id quod datum est è la res e non il pretium: l'oggetto della condictio non può essere dunque che la res (efr. Jul. 39, 6, 13 pr. eam condicere). Per salvare la genuinità sostanziale della chiusa, si potrebbe bensì pensare che il giurista classico intendesse riferirsi non alla intentio della condictio, sì alla condemnatio (1): si potrebbe pensare ch'egli avesse scritto, anzi che “ huic ... pretium con- diceret ,, (in hac causa... pretium condictione consequetur). L'osservazione allora sarebbe analoga a quella di Jul. 18, 1, 14, 2 (bove subrepto et occiso .. si dominus condictione bovis pretium consecutus fuerit etc.), o di Jul. Paul. 13,1, 3 (si mor- tuum hominem condicat, consecuturum ait pretium hereditatis: conforme Ulp. 47, 2, 52, 28), o di Jul. 36, 1, 26 (25), 2 (heredes fili pretium eius servi sorori defuncti praestare debent), o anche di Ulp.-Sab. 43, 16, 1, 35 (aedium incensarum pretium restituere cogatur, nell’a. ex interdieto unde vi) o di Diocl.-Max. C. 7, 58, 7 (servis rebus humanis exemtis, a frustratore aesti- matio eorum restituenda est: cognitio extra ordinem). Se non che — anche dato (e non concesso) che nel nostro fr. 19 il significato del termine “ pretium , fosse quello di “ (litis) aesti- matio , (come si potrebbe arguire per analogia dal fr. 8 pr. D. 18, 1) ossia di “ quanti res est , (cfr. D. 12, 3, 9 pretio, id est quanti res est, litem aestimari) — resta sempre il fatto che l'osservazione finale del fr. 19 non è un'osservazione casuale, superflua e innocua, ma anzi spiccatamente tendenziosa. Basta infatti confrontarla con le osservazioni analoghe da noi segna- (1) È questa la spiegazione che già proponemmo per una serie di casi analoghi (Sul valore dogm. della cat. contrahere, p. 78-81; Atti, vòl. 50, p. 709°): ma essa non tien conto della tendenziosità dell’avvertenza. 1034 EMILIO BETTI late in D. 42, 2, 3 e in D. 13, 1, 8 pr. e con Jul.-Ulp. 2086, l. 15 ad 1. Jul. et. Pap. 39, 6, 37, 1: Julianus ait: si quis servum mortis causa sibi donatum vendiderit |et hoc vivo donatore fecerit|, [prett| (contra eum) condictionem donator habe[bi](re)t, si convaluisset . let hoc donator elegerit . alioquin et ipsum servum restituere compellitur). L’alterazione bizantina in questo fr. è anche meglio evidente. Qui non può esser dubbio che il pretium oggetto della condictio sia pei compilatori il prezzo effettivamente ricavato dalla vendita della cosa donata. Ma tale prezzo può essere così superiore come inferiore al valore obiettivo della cosa, al quanti res est; la misura della responsabilità del donatario che in mala fede aliend la cosa donata, dipenderebbe pertanto da una circostanza estrinseca e casuale: essa potrebbe eventualmente ridursi a una somma assai tenue. Per ovviare a tale illogicità il legislatore bizantino concede al donatore un diritto di electio tra la domanda del prezzo e ‘la domanda della cosa stessa (servo). Quand'egli preferisca riavere il servo, il legislatore costringe il donatario a riacquistarlo dal terzo acquirente, e ne procaccia, manu mili- tari, la restituzione al donatore (1). La già nota interpolazione di tutta la chiusa del fr. 37, 1 viene così illustrata e confer- mata dalla creazione bizantina della condictio pretii: la facoltà di electio tra il pretium e la ipsa res che è un servo, ossia una species, è affatto inconciliabile con la rigida formola della clas- (1) Una facoltà di electio analoga è stata introdotta dal legislatore bi- zantino anche a favore del petitor nella hereditatis petitio intentata contro il malae fidei possessor che alienò le cose appartenenti all’eredità: D. 5, 3, 20, 12 ceterum si quis sciens ad se hereditatem non pertinere distraxit, sine dubio non pretia rerum, sed ipsae res veniunt in petitionem heredi- tatis... [nisi forte ad eas res referemus, quas distrahi expedierat...: ut sit in arbitrio petitoris, qualem computationem faciat adversus malae fidei pos- sessorem, utrum ipsius rei et fructuum an pretii et usurarum post motam controversiam]). Cfr. D. 5, 3, 22 [in praedone dicimus electionem esse debere actoris... tale desiderium] e D. 5, 3, 20, 21 ipsas res.. [aut, si recipere eas ab emptore nullo modo possit, tantum quantum in litem esset iuratum). da LA « CONDICTIO PRETII » DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1035 sica condictio certae rei di species (1). Quale condictio aesti- mationis troviamo itp. la condietio pretii in Paul. 1288, 1. 17° ad Plaut. 39, 6, 39: sl is cul mortis causa servus donatus est, eum manu- misit, fenetur condictione |in pretium servi], quoniam scit posse sibi condici, si convaluerit donator. Col quale fr. è da mettere a raffronto Paul. 12348, 1. 17 ad Plaut. 12, 6, 65, 8: sì servum indebitum tibi dedi eumque manumisisti, sò sciens hoc fecisti feneberis [ad pretium eius] (condictione), st nesciens, non teneberis; sed propter operas eius liberti et ut hereditatem eius restituas (in factum actio adversus te dari debebit). L’accipiente è responsabile con la condictio, di fronte al dante, per aver causato il perimento della cosa ricevuta o per averla comunque sottratta al proprio potere di disposizione: la manumissio è un atto irrevocabile, equivalente alla distruzione (Ulp. 47, 2, 46 pr.). Se non che tale atto non è fonte di re- sponsabilità se non quando sia colposo: e perchè vi sia colpa occorre da parte dell’accipiente la conoscenza del rapporto di obbligazione che lo vincola al dante. Ora il donatario mortis causa possiede sempre tale conoscenza ed è come tale un “ malae fidei debitor , perchè sa sin da principio ch'egli eventualmente dovrà restituire. Chi per contro riceve il pagamento d’un inde- bito, deve ignorare, nel momento in cui lo riceve, che si tratti di indebito ed è come tale un “ bonae fidei debitor ,: altri- menti, se non lo ignora, è un ladro ed è tenuto con la condicetio ex c. furtiva. Ma in lui può in prosieguo sopravvenire la cono- scenza dell’indebito: e solo quando questa sopravvenga egli è responsabile per l’atto di alienazione compiuto: altrimenti no. Di qui la differenza, quanto all'estremo della responsabilità, tra (1) Ciò è da osservare contro il Pernice, il quale (in Sav. Zeitschr., 13, 251-52) ammise potersi attribuire a Giuliano l'innovazione del diritto di electio. Di fronte a D. 39, 6, 35, 3 non ci sembra d'altra parte poter seguire il Sen nel supporre la condictio itp. in luogo dell’actio fiduciae. 1036 EMILIO BETTI condictio ob causam dati e condictio indebiti: nella prima la scienza dell’accipiente si presuppone sempre, nella seconda per contro si richiede quale momento particolare della fattispecie (1). Se in questa manca il momento della scienza, “ cessat con- dictio ,, sempre che si tratti di una condictio certae rei di species: in diritto classico non poteva ovviarsi agli inconvenienti pratici derivanti dalla carenza dell’azione civile in altro modo che con un’actio in factum diretta a colpire l'arricchimento (2). In diritto giustinianeo per contro anche in questo caso il legisla- tore, con insigne incoerenza logica, torna a dare la condictio: così come altrove (D. 16, 3, 1, 47) lo stesso legislatore bizantino in un caso in cui manca l’estremo dell’actio depositi (il dolo), torna a dare ciò non ostante l’actio depositi de pretio, in luogo della classica actio in factum (3). Le regole della responsabilità or ora esposte si riferiscono esclusivamente alla condictio certae rei di species, ossia di cosa corporale singola, determinabile nella sua species, nella sua indi- vidualità specifica, come quella cosa di cui si tratta (qua de agitur). Quelle regole vengono infatti enunciate dai giuristi sempre a proposito di cose siffatte, in particolare a proposito di servi, non mai a proposito di cose fungibili (genera), di res quae pon- dere, numero, mensura constant, di cose insomma determinabili soltanto nel loro genere. Colui che abbia ricevuto cose siffatte e ne abbia causato il perimento, è per diritto classico responsa- bile in qualunque caso di fronte al dante con la condictio certae rei di genus così detta triticaria (ovvero con la condictio certae pecuniae se il “ genus , che ha ricevuto era del danaro). Questo (1) Cfr. Pernice, Labdeo, 11°, 2, 118. (2) La questione se la manumissio arricchisca è risolta negativamente da: Marce. 40, 13, 2; 35, 2, 56, 3; Ulp. 50, 17, 126, 1; Jav. 15, 3, 2. (3) V. Berti, in Rendiconti dell'Istituto Lombardo, vol. 49, p. 245-6. Per la medesima ragione non potrebbe (per diritto classico) riferirsi a una con- dictio, bensì soltanto a un’actio in factum diretta a colpire l'arricchimento l’ipotesi prospettata da Ulp. 12, 6, 26, 12 hominem indebitum dedi et hunc, sine fraude, modico distraxisti: nempe hoc solum refundere debes, quod ex pretio habes. Se non che l'ipotesi è itp. perchè estranea al contesto. Le seitan] LA « CONDICTIO PRETII > DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1037 . doveva essere il significato originario della osservazione di «Paul. 12346, l. 17 ad Plaut. 12, 6, 65, 6: in frumento indebito soluto et bonitas (aestimanda) est. et si consumpsit frumentum, [pretium repetet] (purAT eius repetitio). La restituzione proposta ha una solida base in D. 18, 1,8 pr. (durat condictio): anche qui come colà i compilatori si preoc- cupano, per le ragioni a noi note, di accentuare il mutamento che si opera nell'oggetto della domanda giudiziale, là dove al giurista classico non importava accentuare se non la persistenza dell’azione. Nel sistema dell’esecuzione forzata giustinianea non è possibile all'attore recuperare la cosa stessa data indebita- mente — anche quando questa sia cosa fungibile — se non sino a tanto che la cosa data, nella sua individualità singolare, non sia perita. Se la cosa data, anche fungibile, è perita nella sua individualità, non è più possibile agli organi dell’esecuzione to- glierla al convenuto e rimetterla all'attore: questi deve di ne- cessità accontentarsi che l’accipiente gli restituisca il suo prezzo di mercato (1). Simili preoccupazioni non poteva avere il giu- rista classico. La responsabilità materiale dell’accipiente, desi- gnata nella intentio della condictio, non può per diritto classico mutare di oggetto, bensì solo o permanere o estinguersi. Se essa permanga o si estingua può apparir dubbio per l'appunto nella ipotesi proposta: infatti-la consumptio del frumentum in- debitum solutum è bensì un atto imputabile, ma non è, di per sè, un atto colposo. Per essere tale occorrerebbe che esso fosse (1) È questa in sostanza la interpretazione di D. 12, 6, 65, 6 sostenuta dal Manpry in Archiv fiir die civilistische Praxis, 48, 221 sgg. (e accolta dal Mayr, Die Condietio des ròmischen Privatrechts). Essa coglie però nel segno di fronte al fr. così com'esso è redatto nella compilazione (perchè non è vero che l'osservazione “ pretium repetet , sia così innocua [harmlos] come parve al Pernice, Labeo, II, 2?,106 e già a noi, Contrahere, p. 80). Ma il fr. è per l'appunto alterato tendenziosamente dai compilatori (ciò di cui non sì è accorto il Manpry e neanche il Pernice): onde la tesi del Manpry è bensì rispondente al diritto giustinianeo e comune; ma non al diritto romano classico. Da notare quale indizio formale di itpz. è il brusco cambiamento di soggetto. Per cose fungibili efr. l'Ordinamento germanico, $ 884. 1038 EMILIO BETTI stato compiuto in mala fede, nella perfetta conoscenza del rap- porto di obbligazione che vincola l’accipiente al dante: circo- stanza, questa, di cui il giurista non fa menzione e di cui non avrebbe mancato di far menzione — come la fa poco dopo al $ 8, a proposito di una species (homo) — se essa fosse stata anche qui indispensabile. Pertanto nel debito di fungibili — a differenza che nel debito di una species — la colpevolezza del debitore nel perimento della cosa dovuta non ha alcuna rile- vanza giuridica (non altrimenti che nella obligatio ex stipulatu di genus): condictio durat (1). La ragione di tale differenza tra «) il debito di species e 5) il debito di genus nella condictio è assai semplice e ovvia, ed è la seguente. L'oggetto dell’azione, espresso nella intentio della formula — ciò per la cui restituzione risponde l’accipiente — nell’una ipotesi a) è quella cosa stessa che è stata data e ri- cevuta, nella sua individualità specifica (qua de agitur); nell'altra ipotesi 5) non è quell’esemplare stesso che è stato dato e rice- vuto, nella sua individualità singolare (poichè le singole res quae pondere numero mensura constant non hanno una individualità economicamente rilevante) (2). bensì la medesima quantità della medesima qualità: tantundem ex eodem genere. Ne viene di conseguenza che nella ipotesi a) il debitore è liberato ogni qual- volta la cosa stessa, che egli deve in specie, sia perita o sottratta alla sua disposizione senza colpa (mala fede) da parte sua; nella ipotesi è) per contro la obbligazione dura anche se la cosa sin- gola che il debitore ha ricevuta è perita senza sua colpa (mala fede): perchè ciò che egli deve non è questa cosa singola, bensì la cosa in genere, e genus non perire censetur. Questo è il si- (1) Cfr. anche ErxLeseN, Condictio indebiti (trad. it.), p. 301, n. 46-47, p. 308, n. 54-55; in particolare Pernice, Labdeo, 11°, 2, 120-121. (2) Sarebbe assurdo — appunto per la ragione accennata — che l’attore con la condictio classica dovesse ripetere quegli stessi individui del genere, che furono da lui indebitamente prestati: p. es. “* modios © tritici Africi optimi, quibus de agitur , (!). Tale assurdo (che bisognerebbe ammettere se si dovesse accettare per dir. classico la tesi del Manpry) non era possibile nel processo classico (v. anche PernIcE, Labeo, II?, 2, 104), eccetto nel caso che si ripetesse cosa rubata: nel qual caso non era più un assurdo perchè la condietio rei furtivae è un surrogato eventuale della rei vindicatio. LA « CONDICTIO PRETII » DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 10859 gnificato classico della distinzione fatta da Pomp. 12, 6, 7, da Paul. 49, 14, 21 e in particolare da Marci. ]. 3 reg. 19, 5, 25: quod indebitum datur aut ipsum repeti debet aut tantumdem ex eodem genere. L'oggetto della repetitio classica è l’ipsum nella condictio certae rei di species; è il tantumdem nella condictio certae rei genus e nella condictio certae pecuniae. È evidente che il “ tan- tumdem , è un concetto ben diverso dalla “ aestimatio , (pretium); i due concetti non coincidono formalmente se non in un solo caso: nel caso che il “ genus , che è oggetto della repetitio sia del danaro. Ciò che l’attore richiede (repetit) nella intentio è puramente la quantità medesima del genus dato, non la aesti- matio in danaro: la aestimatio non può mai venire in conside- razione che nella condemnatio della formula. Per questa ragione Gai. I. 4, 33 può contrapporre alla formula ficticia del publicanus (nella intentio della quale si opera mediante fictio una trasfor- mazione in danaro dell'oggetto originario della pretesa) la for- mula della condictio e osservare: nulla autem formula ad condictionis fictionem exprimitur: sive enim pecuniam sive rem aliguam certam debitam nobis petamus eam ipsam dari nobis oportere intendimus. Il che significa che con la condictio si ripete la cosa mede- sima, sia in specie sia in genere secondo che si tratti di cosa determinabile nella sua individualità ovvero soltanto nelle sue qualità generiche (1). La interpretazione del significato del ter- mine tantumdem (ne’ fr. dianzi cit. di Pomp. Paul. e Marci.) come = aestimatio è inconciliabile con l’addotta affermazione di Gaio. Essa ha potuto sorgere soltanto nel sistema del pro- (1) Perciò in Pomp. 12, 6, 19, 2 la repetitio della summa — ossia di totidem nummi, non degli stessi nummi individui — è affatto normale: essa non deve considerarsi (come vorrebbe il Maxnpry) quale un’anormalità derivante da un'avvenuta commixtio: di commixtio non si fa menzione alcuna nel fr. Im Paul. 12, 6, 15, 1 si ripetono bensì gli stessi nummi indi- vidui (arg. ut vel possessio reddatur), ma appunto perchè si tratta di con- dietio rei furtivae (nummi alieni ricevuti nella scienza dell’alienità), non di condictio certae pecuniae. Cfr. Ulp. 47, 2, 43 pr. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 67 1040 EMILIO BETTI cesso giustinianeo nel quale l'attore può riavere la stessa cosa singola che ha dato ovvero la sua aestimatio secondo che quella sia o non sia reperibile presso il debitore o l’avente causa da lui: repetitur ipsum quamdiu exstat, aut tantumdem (aestimatio) sì non exstat (1). L’esplicita affermazione di Gaio dimostra che non possono riferirsi al petitum astratto indicato nella intentio della con- dictio ma solo alla litis aestimatio — al debito processuale concreto che è oggetto della condemnatio — alcune determina- zioni, che i giuristi fanno, di ciò che l’attore può conseguire. Tali, ad esempio: “ non quidem quanti (habitatio) locari potuit, sed quanti tu (reus) conducturus fuisses , (Paul. 12, 6, 65, 7); “ quanti operas essem (ego actor) conducturus , (Cels.-Ulp. 12, 6, 26, 12). I giuristi classici non possono aver ammesso che l’og- getto della repetitio fosse diverso dall'oggetto della datio, quando si trattasse di habitatio o di operae, da loro considerate come res, certae quanto al loro genus (2). Onde le affermazioni di Paul. 12, 6, 65, 7 e Cels.-Ulp. 12, 6, 26, 12 vanno emendate sul modello di Gai. I. 4, 33: habitatione data [ pecuniam| (ipsam) condicam — interdum licet aliud praest(iteri)mus .. aliud [condicimus] (condic- tione consequimur). Sullo stesso modello va parimenti emendata l'affermazione di Marci. 241 D. 19, 5, 25: sì per errorem operae indebitae datae sunt ipsae repeti [non possunt| (debent) (3). (1) Cfr. sopra D. 26, 7, 55, 1. Anche la Glossa a D. 19, 5, 25 “ ipsum , interpreta ‘“ tantumdem, come= “© aestimatio , — conforme alla conce- zione giustinianea — e lo identifica con l’oggetto della condemnatio. In questo errore cadono il Mayr (Die Condictio d. r. P. R.) e per una incoerenza anche il Pernice (Labdeo, II*, 2. 108? e 105). (2) Per le operae ciò è stato dimostrato dal TaéLonax, in Etudes juri- diques dediées à Girard, I, p. 369-377, alla esposizione del quale ci limi- tiamo a rimandare il lettore. De’ passi esaminati dal Th. basti citare Jul. 361 D. 45, 1, 54, 1. (3) Ciò sostenemmo già (Sul valore dogm. della cat. contrahere), I, p. 80-81. LA «CONDICTIO P3ETI[ > DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1041 La quale affermazione d’impossibilità è inspirata da quella stessa preoccupazione da cui vedemmo inspirata l'osservazione itp. in D. 15, 1, 8 pr. corpus enim ipsum praestari non potest. Così la res furtiva perita, come le operae, come la habitatio sono tutti beni della vita che nel processo civile giustinianeo non possono — per eccezione — essere riprocacciati all'attore in via di esecuzione forzata mediante mezzi di surrogazione. Nel processo classico per contro tutte quelle cose venivano ri- petute tali quali nella intentio della formula: che l'attore si do- vesse in pratica accontentare della aestimatio era regola gene- rale. Non deve quindi prendersi alla lettera neanche l’afferma- zione di Arist. 58 Pomp. 432 D. 38, 1, 4: perinde .. operae a libertis ac pecunia credita petitur. Essa non è tendenziosa bensì affatto innocua (1). Il giurista vuol dire che nella intentio della condietio le operae non vengono designate nella loro individualità specifica come quelle stesse operae individue che furono a torto prestate o promesse con giuramento (quibus de agitur), bensì soltanto designate nel loro genere proprio, come la pecunia nella condictio certae pecuniae e come gli altri genera nella condictio certae rei di genus (cond. triticaria). Sotto questo aspetto la condictio certae pe- cuniae può dirsi a sua volta una condictio di genus nel più ampio significato del termine (2). Resta ad esaminare ancora (1) L'affermazione potrebbe avere un significato pratico di dir. mate- riale, come quella di Jul. 361 D. 45, 1, 54, 1 solutio eius obligationis (scil. operarum) expeditissima est, si aestimationem operae malit libertus offerre. (2) Per maggiori svolgimenti v. lo studio citato, nota 2 a p. 78. Anche se si vuol interpretare D. 38, 1,4 nel senso che la formula della petitio operarum avesse una condemnatio certae pecuniae sulla base di una aesti- matio delle operae fatta dal pretore in iure (così propriamente Bioxpr, Judicium operarum) — non potrebbe però mai ammettersi che essa avesse una intentio diretta a certa pecunia (e d’altra parte il termine * petitur, si riferisce alla intentio). A questa ulteriore ipotesi osterebbe la gravissima pregiudiziale del carattere giustinianeo della condictio aestimationis. — La stretta affinità tra la condietio certae rei di genus e la cond. certae pe- cuniae quanto alla misura della responsabilità del debitore fu già veduta dal Pernice (Labdeo, I1?, 2, 104-5). In entrambe è esclusa la eventualità così dell'aumento di responsabilità — che ha luogo nella cond.° di species non Atti della R. Accademia — Vol. LI. vis 1042 EMILIO BETTI un fr. in cui si nomina la condictio pretii; ma in esso a diffe- renza dei precedenti ciò ch’è itp. non è il pretium bensì la condictio: Afr. 6, 1. 2 quaest. 12, 1, 23: sì eum servum qui tibi legatus sit, quasi mihi legatum possederim et vendiderim, mortuo eo posse te [mihi] pretium |condicere| {in factum actione consequi) Julianus alt, quasi ex re tua locupletior factus sim. La distruzione della cosa (mortuo eo) — ossia la estinzione della rei vindicatio — è condizione indispensabile dell’azione suc- cedanea. Nel caso proposto la condictio non può essere una condictio ex c. furtiva, perchè il possesso della cosa legata per vindicationem fu acquistato bona fide, nella erronea credenza che il legato fosse stato fatto a proprio favore (arg. da quasi mihi legatum). Nè può essere una condictio dati (ind. soluti), perchè il possesso non fu acquistato mediante un atto di trasmissione (datio) del vero legatario (proprietario) bensì per atto unilate- rale di apprensione (occupatio): e Giuliano (D. 12, 6; 33) non ammette condictio se non sia preceduta da una datio. La con- dictio pretit mentovata non può dunque essere che una condictio ex iniusta causa di creazione bizantina: in diritto classico in simili casi, là dove il sistema rigido e circoscritto della con- dictio lasciava una lacuna, il pretore provvedeva a colmare la lacuna contraria all’equità e a colpire l'arricchimento mediante actiones in factum dirette al ricupero del pretium. Orbene la ten- denza del legislatore bizantino è quella di sostituire a tali actiones in factum delle azioni civili, ora la condictio, ora l’actio negotiorum gestorum de pretio (1). altrimenti ehe nella rei vindicatio — (pei fructus e le accessiones della cosa data) come della estinzione di debito (per perimento non colposo). Nel testo genuino di Ulp. 13, 3, 1 pr. il giurista doveva per l'appunto affermare l’ana- logia e il parallelismo che intercorre tra cond.° di genus e cond.° di pecunia. (1) L’actio negotiorum gestorum de pretio, quale azione d'arricchimento, è itp. non in luogo della eondictio (della quale mancano gli estremi), bensì in luogo di un’actio in factum classica ne’ seguenti due passi che adduciamo a mo’ d'esempio, emendati senza ulteri comenti, soltanto per dare una ri- prova della affermazione fatta nel testo. Afr. 3,5, 48 (49) si rem quam servus venditus subripuisset a me venditore, emptor (quasi suam) (în x e 1, LA « CONDICTIO PRETI] » DEL PROCESSO CIVILE GIUSTINIANEO 1043 Dunque l’esame de’ singoli passi conferma pienamente e il- lustra in una serie di casì le considerazioni da noi premesse. Ci sembra così di aver dimostrato la giustezza della tesi sostenuta in principio e determinato il valore della innovazione bizantina. buona fede come in D. 12, 1, 23) vendiderit eaque in rerum natura esse de- sierit (con che si estingue anche qui la rei vindicatio), de pretio (videndum an) negotiorum gestorum actio danda sit (et ait Julianus neg. gest. actionem dandam non esse, sed in factum dari debere), ut dari deberet, si negotium, quod tuum esse existimares, cum esset. meum, gessisses (arg. da D. 10, 3, 14,1, fr. d'importanza capitale): sicut ex contrario in me tibi daretur, si, cum hereditatem, quae ad me pertinet tuam putares, res tuas proprias le- gatas solvisses, quando quidem ea solutione liberarer. (Parimenti a un’actio in factum dove riferirsi in un caso analogo a questo secondo Ulp. 3, 5, 44, 2.) — Alex. C. 3, 32,3 mater tua vel maritus fundum tuum invita vel igno- rante te vendere iure non potuit, sed rem tuam a possessore vindicare, etiam non oblato pretio, poteris, sin antem postea [de ea venditione con- sensisti, vel alio modo] proprietatem eius amisisti (l’estinzione della rei vin- dicatio è sempre il presupposto indispensabile), adversus emtorem quidem nullam habes actionem, adversus venditorem vero de pretio [negotiorum gestorum] (in factam) actionem exercere non prohiberis. — Altrove l’actio negotiorum gestorum è forse itp. in luogo di un’actio in factum, quale organo destinato alla ripetizione di impensae: Pap. 5, 3, 50,1 ... eum ci aufertur hereditas (bonae f. possessor) impensas ratione doli exceptione aut retenturum aut (in factum) actione [negotiorum gestorum] repetiturum [veluti... voluntatis]. In Lab.-Ulp. 3, 5, 5,5 (3), trattandosi di tale qui de- praedandi causa ad negotia aliena accessit, l’azione del © gerito, non può essere l’a.° neg. gest., bensì la condictio ex causa furtiva (cfr. Pap. 12, 6, 55), e la presunta a.° neg. gest. del praedo non può essere neanche itp. in luogo di alcun’actio in factum classica, poichè in dir. classico egli non aveva azione : Grord. 3, 32, 5 malae fidei possessores eius, quod in rem alienam impendunt, non eorum negotium gerentes, quorum res est, nul/lam habent ‘repetitionem [nisi necessarios sumptus fecerint: itp.]). 1044 AUGUSTO ROSTAGNI La composizione delle “ Dirae . pseudovergiliane. Nota di AUGUSTO ROSTAGNI. Da quando, sul fiorire del nostro Rinascimento, le Dirae cominciarono a non essere più considerate opera vergiliana, la controversia circa l’autore, l’indole, la composizione del tipico carme non è più cessata e non ha condotto — si può dire — ad alcun risultato sicuro (1). Un punto solo, se mai, è da ritenere assodato, per merito dello Jacobs, e rappresenta la base di ogni ulteriore ricerca: che nel complesso di versi cui la tradizione attribuiva il titolo di Dirae e dava sembianza di un unico or- ganismo poetico sieno da distinguere due componimenti: un primo, le Dirae propriamente dette, che formeranno ora oggetto particolare del nostro discorso; un secondo, più breve. cui i mo- derni editori hanno posto, non senza ragione. il nome di Lydia. Infatti, sebbene fra le due sezioni non ci sieno punto — come i0 credo e come mostrerò — quei contrasti di contenuto e di forma che la maggior parte dei filologi, quasi non si possa al- trimenti garentire la legittimità di detta separazione, vi sogliono vedere, anzi presuppongano entrambe un comune fondo di mo- tivi e di circostanze, è però chiaro che non si lasciano inten- (1) Non credo di dover accennare per ora, se non qui in nota, al ten- tativo che negli ultimi tempi fece, con pochissimo seguito, F. VoLLmER “ Sitzungsber. d. Akad. zu Miinchen , 1907 pp. 3385-74, di rivendicare an- cora a Vergilio la paternità del componimento. Peraltro la tesi che siamo per propugnare verrà ad escludere questa possibilità. Ne parleremo dunque a suo luogo. È LA COMPOSIZIONE DELLE « DIRAE » PSEUDOVERGILIANE 1045 dere bene, sotto qualsiasi rispetto si studiino, se non separate l'una dall'altra, come carmi distinti. Ma diciamo oramai quali siano i capi principali della discus- sione, e comprenderemo poi con quale fondamento si possano risolvere. — È noto che lo Scaligero, osservando nelle Dirae essere descritti due fatti, la perdita del campicello paterno in seguito a disordini politici e l’amore per una donna di nome Lidia, fatti che rispondono suppergiù alla vita di Valerio Ca- tone, attribuì a Valerio Catone la paternità del componimento. Questa tesi dello Scaligero trovò, anche in tempi recenti, così validi sostenitori (ricordo Ribbeck, Ellis, Schanz (1)), come pure accaniti oppositori (Rothstein, Reitzenstein, Sciava (2)). Invero, se da un lato la corrispondenza dei due fatti accennati è per sè stessa talmente sintomatica da non sembrare casuale, d'altro lato una più minuta disamina nei particolari fa scorgere sùbito qualche notevole differenza. Di Valerio Catone è detto che per- dette il patrimonio quand'era pupillo, licentia Sullani temporis, e che questa perdita rimpianse egli stesso in un'opera — non si sa se prosastica o poetica —— intitolata /ndignatio (3). Ora, nelle Dirae si parla di una distribuzione di terre ai veterani della quale sarebbe stato vittima l’autore: tutto il carme, anzi, si aggira sul concetto della discordia civile e dell’ingiusto prov- (1) Risseck Gesch. d. ròm. Dichtung I° pp. 310 sgg.; Eris * Amer. Journ. of Philol., XI (1890) pp. 1 sgg.; ScHanz Gesch. d. ròm. Lit. I 2° p. 60-3. — Inutile sarebbe al nostro scopo dare una bibliografia compiuta, che già si trova in molti repertorii. Ricorderemo per la mole dellavoro: Eskucne De Valerio Catone deque Diris et Lydia carminibus Diss. 1889. (2) Rorustein De Diris et Lydia carminibus * Hermes, XXIII (1888), pp. 508-24; Rerrzensrein Ein litterarischer Angriff auf Octavian in * Fest- schrift f. Th. Mommsen, pp. 32 sgg.; Scrava Le Imprecazioni e la Lidia (Pesaro 1898). Che l’autore non sia Valerio Catone, ritiene pure, dopo ampia discussione, G. Curcio Poeti latini minori, vol. II, 2 pp. 42 sgg. (3) Suer. De gramm. 11: Valerius Cato, ut nonnulli tradiderunt, Burseni cuiusdam libertus, ex Gallia. Ipse libello, cui est titulus Indignatio, ingenuum se natum ait et pupillum relictum, eoque facilius licentia Sullani temporis exutum patrimonio. — Alquanto fantastiche sono le deduzioni del Nagke Carmina Val. Cat. (Bonnae 1847) pp. 259 sgg., seguite, tra gli altri, dal Rorastern l. c. pp. 510-1, circa un processo, una causa civile che sarebbe stata intentata al poeta per spogliarlo del suo avere. 1046 AUGUSTO ROSTAGNI vedimento pel quale i soldati spodestano gli antichi proprie- tarii. Non è improbabile che a tempo di Silla ci sia stata una spartizione di tal fatta fra i veterani, poichè — si sa bene — le proscrizioni famose degli anni 82-79 av. Cr. portarono ad un rivolgimento generale della proprietà, e in varie regioni d'Italia i beni degli invisi furono distribuiti ai partigiani del Dittatore (1). Però nel nostro carme il provvedimento è descritto in modo così somigliante a quello di cui parla Vergilio nelle sue Ecloghe, che è inevitabile sentirvi l’eco della distribuzione di terre fatta da Ottaviano nel 41 alle sue milizie (2). La stonatura che abbiamo ora notato nella sostanza dei fatti si ripercuote poi anche nella forma e nell’indole generale del carme. Imperocchè, non solo la perdita del campo e l’amore di Lidia fanno pensare a Valerio Catone, ma vi fanno pure pensare certi vezzi di stile, certe particolarità di lingua e di metrica che male si convengono all’età augustea e più si accor- dano con la scuola dei ve@tegor (3). Ma ecco che d’altra parte l'insieme del componimento, nella descrizione della natura, nello sfondo pastorale, nell’orrore per la discordia civile, è talmente intonato a Vergilio da non potersi spiegare se non sbocciato sotto l'influsso della bucolica vergiliana (4). Nè queste discordi risultanze si debbono con sofismi o con schermaglie critiche annullare o nascondere così da dare prevalenza all’una piuttosto (1) V. infatti Appran. De bello civ. 1 95-6, 103 particol.: raîs dè wAetove [x6Aeci] roùs favi otparevoonevovs énpuitev ©s EEov poovpra narà ti)s "IraZias, tijv te yÎ}v adròv nai tà olziuara 8 tobode uerapéoav diemtgiter. (2) Perciò il Risseck Gesch. d. rim. Dichtung I° p. 313, pur attribuendo a Valerio Catone il componimento, fu indotto a ritenerlo scritto in vec- chiezza, sotto l'impressione dei recenti fatti del 41. (3) V. particolarmente le osservazioni di Eskucne diss. cit. p. 63, ed i numerosi riscontri formali con Catullo, raccolti da Curcio op. cit. pp. 31.2. Utili indizii dà pure ELris “ Amer. Journ., 1890 pp. 9 sgg. (4) L'influsso di Vergilio è bene illustrato da SonxraG Die Appendix Vergiliana (Frankf. 1887), sebbene non così accettabile sia, in sè stessa, la tesi di quest'autore circa l'origine del carme. — Superficiali e facilmente controvertibili mi sembrano poi gli indizii coi quali P. Jann Die Art der Abhingigkeit Vergils von Theokrit u. anderen Dichtern Progr. Berlin 1899 (è tutto un lavoro superficiale e schematico), pp. 31 sg., si propone di di- mostrare che le Dirae sieno anteriori alle Ecloghe di Vergilio. LA COMPOSIZIONE DELLE « DIRAF > PSEUDOVERGILIANE 1047 che all'altra tesi: vanno tenute presenti nel loro valore effet- tivo, se si vuole venire a quella spiegazione la quale entrambe le comprenda e illumini. Da una parte — ripeto — la perdita del patrimonio, l’amore di Lidia, certe particolarità stilistiche e metriche richiamano a Valerio Catone; dall’altra la distribu- zione dei campi ai veterani e l'influsso della bucolica vergiliana conducono all'anno 41. Il La vera soluzione — dirò dunque — è suggerita dalla struttura e dall’artificio del componimento stesso. Tutti sanno che le Dirae, anzichè essere le imprecazioni scagliate dal poeta nell'atto stesso di abbandonare il campo, sono in realtà una ripetizione, un bis delle imprecazioni medesime anteriormente pronunciate. Anzichè riferire direttamente, sic et simpliciter, i terribili voti che l’ira gli strappa dal cuore, il poeta si presenta nell'atto di ripeterli per la seconda volta, a distanza di tempo. Infatti comincia così: Battare, cycneas repetamus carmine voces; Divisas iterum sedes et rura canamus, Rura, quibus diras indiximus, impia vota. Poi, in discorso diretto e in forma strofica (a strofe libere, ben inteso), sono riferite le varie imprecazioni : il campicello non germini, non fiorisca, non produca, sia appestato dai morbi, abbruciato dal fuoco, invaso dalla sabbia, inondato dal mare e dai fiumi. Ma ad ogni nuova imprecazione regolarmente è pre- posta una formula introduttiva con cui viene indicato che l’im- precazione era stata lanciata altra volta: : Rursus et hoc iterum repetamus, Battare, carmen. Oppure: Tristius hoc, memini, revocasti, Battare, carmen. Od anche, con grande uniformità: Dulcius hoc, memini, revocasti, Battare, carmen. Tristius hoc rursum dicit mea fistula carmen. Extremum carmen revocemus, Battare, avena. 1048 AUGUSTO ROSTAGNI Il procedimento (bisogna pur dirlo) ha dello strano. Varie fu- rono le interpretazioni tentate dai critici. Alcuni pensarono che l’autore, presumibilmente Valerio Catone, alludesse alla narra- zione da lui medesimo fatta in altro libro (nella Indignatio) del campo perduto (1). Ma ad ogni poeta è bensì lecito ripetere quante volte vuole in varii componimenti uno stesso motivo: nessun poeta è mai ricorso a così squisita trovata di annun- ziare egli stesso la ripetizione, fare due punti e virgolette, e, avendo l’aria di creare un nuovo carme, trascrivere press'a poco le medesime parole già prima usate. Altri (ed è ormai il giu- dizio prevalente) hanno pensato a un procedimento artistico proprio della tecnica alessandrineggiante: per cui i fatti, an- zichè essere presentati direttamente nel loro svolgersi naturale, vengano riferiti in iscorcio (2). Ma, anche qui, i poeti ellenistici ebbero il vezzo di far narrare questo o quel fatto da una terza persona, anzichè narrare impersonalmente e obbiettivamente; ebbero il vezzo di immaginare inni cantati e riferiti da uno od altro personaggio, anzichè dare gl’inni senza contorno e senza introduzione: nelle Dirae il caso è ben diverso (3). Ellenistico o non, un poeta non ha mai avuto ragione di ricorrere a simile espediente. Invece ha avuto ragione di ricor- rervi un imitatore il quale abbia voluto far passare il proprio doppione a fianco all'opera originale. Ma si è tradito. Quando noi leggiamo che in questo carme l’autore si propose di ripe- tere ad una ad una le imprecazioni altra volta lanciate, non possiamo non prenderlo alla lettera e non vedere nell’artifizio la rivelazione malaccorta e involontaria dell’opera spuria, del (1) Così, sulle orme dello Scaligero, il NaEKE 0. c. pp. 20 sgg. ed altri molti. (2) V., ad es., Rorusrenl. c. p. 512: Quod [repetere ca quae antea agrum relinquens cecinerat) quo consilio instituerit, non minus otiosum est quaerere, quam si quis eruere velit cur alii scriptores et poetae saepius non ipsi de se rem aliguam narrare soleant; sed hominem aliquem inducere qui tradat quibus ipse adfuisse narratur. — Così pure Scnanz Gesch. d. ròm. Lit. I 2° p. 61. (3) Che il procedimento della ripetizione dipenda (come qualche altro suppose) dall'uso ieratico di dire due e tre volte le imprecazioni, non è da credere se anche a tutta prima sembri una buona idea; perchè al poeta sarebbe stato e facile e necessario svolgere in tal senso la sua concezione: mentre non risulta affatto dalle parole adoperate. LA COMPOSIZIONE DELLE « DIRAE » PSEUDOVERGILIANE 1049 ricalco, dell'esercizio imitatorio. Così nelle sillogi dei poeti an- tichi non di rado sono stati duplicati o triplicati con più o meno profonde rielaborazioni i componimenti originali. Partico- larmente istruttivo è il caso della silloge teocritea nella quale la variazione spuria del carme originale è talvolta giustificata mediante qualche parola introduttiva. Prendiamo l’idillio IX. Sono alcune brevi canzoni amebee di fondo teocriteo, ricalcate su motivi degli idillii VI e VIII e lì messe insieme a formare un nuovo carme, con poco accorti artifici di composizione. Un tale, che non si vede bene chi sia, invita Dafni e Menalca a dire i loro canti, poi soggiunge egli stesso, per chiusa, un canto proprio. Analogamente l'anonimo autore delle Dirae ha attinto la sostanza dell’opera sua, cioè la parte cantata, da un modello x, che ancora non conosciamo, e la ha congegnata sur uno sfondo pastorale poco chiaro e poco definito, immaginando di invitare un pastorello, suo servo o suo compagno, Battaro (1), a ripe- tere insieme, sul flauto, quei canti che erano stati da loro altra volta cantati. Esisteva un componimento classico contenente le imprecazioni sulla perdita del campicello: per duplicare questo componimento non c'era mezzo migliore (nel pensiero dell’imi- tatore) che immaginare una scena in cui quelle cotali impreca- zioni venissero dette la seconda volta. Da cosiffatta osservazione — volendo conchiudere — si ricava, in modo particolare: che le Dirae a noi giunte non pos- sono in alcun modo essere opera autentica di Valerio Catone (e questo è detto a coloro che ancora credono a Valerio Catone come ad autore del componimento); non possono in alcun modo essere — se pure era bisogno di tanto per dimostrarlo — opera autentica di Vergilio (e questo è detto a coloro che recente- mente, ed invero con poca fortuna, sulla fede della tradizione manoscritta, sono tornati alla credenza medievale che il com- (1) È strano a quante fantasticherie di eruditi diede luogo questo nome Battarus, che alcuni presero per un fiume, altri per una collina, o per l'eco, o per una capra, o per un cigno, o per Callimaco (!) in persona. V. Curcio o. c. p. 49. Che sia un servo od un compagno, secondo l’uso del contrasto pastorale, ben vide il NAkE, o. c., contro cui non valgono le os- servazioni di N. Pirrone Swi due poemetti “ Dirae , e * Lydia , in * Rivista abruzzese ,, 1901, pp. 453 sgg. 1050 AUGUSTO ROSTAGNI ponimento sia opera giovanile di Vergilio (1)). Ma dalla stessa osservazione discende, per giunta, che era esistito un altro carme Dirae, originale. Era di Vergilio? di Valerio Catone? di altri ancora? Discuteremo fra breve. IL Dimostrato che le Dirae portano in sè stesse il marchio manifesto della bastardigia, noi abbiamo raggiunto lo scopo principale che ci proponevamo. Ma non sarà inutile perseguire ancora questo aspetto del carme, nei suoi particolari, e vedere di passare, almeno in qualche punto, dalla copia all’originale. Così come sono, le Dirae rappresentano, per via di accenni, alcune circostanze di un momento storico determinato. Tutto sta però a vedere se codeste circostanze provengano dall'opera originale, ovvero sieno aggiunte e adattamenti dell’imitatore. Si parla di una distribuzione di terre ai veterani, la quale — ho già detto —, sebbene nel fondo possa ricordare gli analoghi provvedimenti di Silla, coincide però più direttamente con la distribuzione dell’anno 41, ordinata dal Secondo triumvirato e menzionata nelle Zeloghe di Vergilio. E poi fatto il nome di una persona della quale il poeta intende cantare gli impia facta : Licurgo: Ante lupos rapient haedi, vituli ante leones, Delphini fugient pisces, aquilae ante columbas, Et conversa retro rerum discordia gliscet, (1) Alludo a F. Vormer Die kleineren Gedichte Vergils “ Sitz.-ber. Akad. Miinch., 1207 pp. 8335-74, partic. p. 356, che fu assecondato da M. LencHANTIN De Gusernaris L'autenticità dell'’Appendix Vergiliana © Riv. di Filol. class. , XXXVIII (1910) pp. 201-20, partie. pp. 217-8. Ottimo proponimento mi sembra essere stato quello di frenare gli attacchi all’autenticità dell’Ap- pendix nel suo complesso. Ma che autentiche debbano proprio essere le Dirae, e conseguentemente la Lydia, mi sembra idea non accettabile. In- fatti, per giustificare la differenza di stile rispetto alle opere certamente vergiliane, non vale, nel caso delle Dirae, la considerazione della giovinezza del poeta. Per vero, le Dirae furono composte dopo il 41, negli stessi anni in cui furono composte le Eeloghe. Come si spiega che nel medesimo am- bito d’anni (41-39 circa) il poeta scrivesse con così enorme disparità di stile? LA COMPOSIZIONE DEI.LE « DIRAE » PSEUDOVERGILIANE 1051 Multa prius fient, quam non mea libera avena. Montibus et silvis dicam tua facta, Lycurge, Impia (1). I fatti cui lo scrittore allude (si comprende anche dal sèguito) non sono la singola occupazione del suo proprio campo, ma il provvedimento generale con cui è stato disposto a siffatta occu- pazione. Quindi Licurgo non è il nome, vero o fittizio, del sol- dato che invase i beni dell'autore, ma il nome — simbolico, naturalmente — del Iegislatore che creò tale ingiustizia. Ciò posto, è quasi inevitabile venire alla deduzione (intuita dal Reitzenstein (2), ma abbandonata e derisa dagli altri), che Li- curgo sia Ottaviano e che la scelta del nomignolo sia deter- minata da un parallelo fra le divisioni di campi indette dal mi- tico legislatore di Sparta, Licurgo, e le recenti divisioni fatte dal triumviro di Roma. — Questi i riferimenti alla realtà politica. Accenni che servano a stabilire i luoghi in cui la scena si svolge, mancano quasi assolutamente. E una coloritura molto generica, dove trovi di tutto un po’, come in ogni idillio pastorale: monti, selve, prati, fiumi, mare. Anche il mare — dico — se c'entra, c'entra però in tal modo da non potersene affatto dedurre (come quasi universalmente si deduce) che fosse in prossimità al campo dell'autore. Infatti, fra tutte le possibili e impossibili maledizioni che l'anonimo autore rivolge al campicello, di essere distrutto col ferro, col fuoco, con l’aria, con la sabbia, coi morbi, non può mancare l'augurio che anche il mare esca dalla sua pro- pria sede e vada a sommergere i malaugurati terreni. Sostenere, per un voto concepito in tal forma, che il campo maledetto fosse necessariamente nelle vicinanze del mare, sarebbe come chi so- stenesse che la Capraia e la Gorgona della famosa imprecazione dantesca debbano stare allo sbocco dell'Arno, mentre in realtà ne distano alcune decine di miglia. Tanto più che, a guardar bene, l’autore sembra avere del mare una nozione piuttosto vaga: Nigro multa mari dicunt portenta natare; (1) Seguo per questi versi la lezione vulgata che si ritrova, salvo il multa di v. 7 corretto in cuneta e il facta di v. 8 corretto arbitrariamente in furta, presso Binrens Poetae latini minores. Non necessarie mi sembrano le correzioni del Vollmer nella recente edizione teubneriana. (2) O. c. pp. 32 sgg. 1052 AUGUSTO ROSTAGNI non solo, ma spera poco egli stesso nella attuabilità del fatto augurato. Infatti, appena compiuta la straordinaria invettiva, egli soggiunge: “ se non mi può ascoltare Nettuno, mi ascol- tino almeno i fiumi ,: Si minus haec, Neptune, tuas infundimus auris, Battare, fluminibus tu nostros trade dolores. Ancora un equivoco da scartare. Molti critici credono di poter stabilire che il terreno in questione fosse in Sicilia. E ciò perchè l’autore rivolto alle sue terre, esclama: prof Trinacriae sterilescant gaudia vobis. Ma è un modo ben singolare questo di indicare al campo in che regione esso stesso si trovi. Invece 7yinacriae gaudia significa, alla maniera di Vergilio, gioie e spassi pastorali (1). È una pre- ziosità letteraria come il Sicelides Musae. come il Chalcidico condita versu, che val meglio di un difetto di logica. Piuttosto, queste particolarità, del mare e della Trinacria, ci suggeriscono un giudizio d’indole complessiva: che la scena delle Dirae è convenzionale ed astratta; ha uno sfondo ideale desunto dai soliti ricordi letterarii di Teocrito e della bucolica siciliana: simile alle Ecloghe di Vergilio, nelle quali quasi sempre i nomi, i costumi, gli elementi sono siciliani, sebbene la realtà vissuta ci richiami alla pianura padana. Non altrimenti, del resto, in Teocrito stesso la scena è quasi sempre generica, in- differente ed astratta, con rimembranze di luoghi e di cose si- ciliane, ma trasportata, senza parere, nei cieli d'Oriente dove il poeta scriveva (2). Conchiudendo : l'osservazione delle circostanze storiche e geografiche non conduce per sè stessa ad alcun risultato circa i rapporti fra modello e originale. Ma ci invita a tentare, meglio (1) Così RerrzenstEIN l. c. pp. 33-5. Inconsistente è perciò la congettura del Rorusrern l. e. p. 511, n.2, di una distribuzione di terre in Sicilia sotto Sesto Pompeo. D'altra parte, il Rothstein stesso, quando non ritiene affatto strano che il Trinacriae sterilescant gaudia vobis indichi la località del cam- picello, suppone che il discorso sia rivolto, non al campicello, ma al sol- dato invasore: la quale interpretazione mi sembra oltremodo improbabile. (2) Mi richiamo a quello che, contro i tentativi di determinare la scena di molti idillii teocritèi, scrissi in Poeti alessandrini, pp. 102, 122. - J | ì LA COMPOSIZIONE DELLE « DIRAE » PSEUDOVERGILIANE 1053 edotti, un altro cammino. Può Vergilio essere stato l’autore delle prime Dirae, da cui le presenti sarebbero ricalcate? L'ipo- tesi sembra a tutta prima plausibile. Infatti essa avrebbe una conferma nel catalogo delle opere di Vergilio conservato da Donato e da Servio e proveniente da Svetonio, dove si trova annoverata un'opera dal titolo Dirae, e si eviterebbe di sup- porre — come generàlmente si suppone -— che Dirae vi sia stato interpolato dopo che nel Corpus vergiliano furono com- prese le Dirae a noi giunte (1). Ma le difficoltà nascono da altra banda. Vergilio perdette momentaneamente il suo podere nel- l’anno 41, ma lo riebbe tosto per favore di Ottaviano mede- simo, al quale rendeva grazie nell’ecloga I. Quando poi, nell’anno successivo, egli venne di nuovo privato del campo, i suoi senti- menti furono ben diversi da quelli espressi nelle Dirae, come dimostrano le ecloghe VI e IX nonchè il contegno osservato verso Mecenate e verso il potente signore. È possibile dunque che sulle prime abbia lamentato quella perdita: ma che poi abbia divulgato, egli, favorito di Ottaviano, un componimento che tornava a disdoro del principe, non si può in alcun modo consentire (2). A questa difficoltà un’altra è congiunta. Non dobbiamo di- menticare che nelle Dirae è menzione di una donna amata dal poeta, Lidia. Nulla di strano che Vergilio o il suo imitatore abbiano usato, di passaggio, questo nome immaginario deducen- dolo dal comune repertorio dei nomi da elegia e da pastorale. Ma conviene vedere se per avventura, lasciandosi guidare dalle prime apparenze e dalla connessione che è fra tale nome muliebre e un altro poeta latino, non si concilii davvero ogni cosa. Infatti, le Dirae sono seguite da quell'altro carme, a cui i moderni editori hanno dato il titolo di Lydia e che è intera- mente rivolto a lode della medesima donna. I due componimenti, (1) Cfr. per l'ipotesi dell’interpolazione Risseck Appendir Vergiliana Prol. p. 1 sgg.; Scrava, o. c. p. 11. (2) Certo il Vorrmer l. c. pp. 356-7 suppone che le Dirae, opera auten- tica di Vergilio, sieno state pubblicate dopo la morte del poeta, a causa appunto della loro violenza. Ma l'ipotesi di una pubblicazione postuma non ha più ragion d'essere dopo che abbiamo dimostrato le Dirae a noi giunte, e delle quali il Vollmer discute, essere opera apocrita. 1054 AUGUSTO ROSTAGNI Dirae e Lydia, cadono dunque sotto un'unica sentenza. Essi provengono dal medesimo autore, perchè (sia detto contro il giudizio corrente) sono ben collegati fra loro. Come nelle Dirae il poeta si allontana, imprecante, dalla campagna dove ha amato Lidia, così nel secondo componimento, egli, lontano, ripensa quei luoghi cari dove Lidia è rimasta, invidia la campagna la quale gode quel bene che a lui è negato, piange con profonda amarezza la separazione: Invideo vobis, agri formosaque prata, Hoc formosa magis, mea quod formosa puella In vobis tacite nostrum suspirat amorem. Vos nunc illa videt, vobis mea Lydia ludit, Vos nune alloquitur, vos nunc arridet ocellis Et mea submissa meditatur carmina voce, Cantat et interea, mihi quae cantabat in aurem, etc. ete. (1). Non si comprende come mai la maggior parte dei filologi, per segnare profondo il distacco fra le due poesie, sostengano che nelle Dirae il poeta parte e Lidia rimane, mentre nella Lydia, Lidia parte e rimane il poeta (2). Certo le due poesie non sono, non vogliono essere continuazione l'una dell’altra. Sono due momenti sentimentali ricavati dalla medesima situa- zione fondamentale. Posto questo contatto fra i due carmi, la mia conclusione (e se ne diranno fra breve i vantaggi) è che il nome di Valerio Catone debba in certo senso rimanere loro, non più come di autore, ma certo come di fonte o modello da cui essi due sieno stati imitati (3). Si pensi al poema Lydia del quale parla Sve- tonio come dell’opera principale di Valerio Catone. Questo poema era naturalmente composto sullo stampo delle raccolte elegiache (1) Il testo è quello del VoLLmer (Lipsia 1910). (2) Così ad es. Risseck Gesch. d. ròm. Lit. 1° p. 312; Rorausrein l. c. pp. 509-10; Scnuanz Gesch. d. ròm. Lit. I2* p. 61. — L'opinione poi di due autori diversi è ben contraddetta da Curcio, 0. e. pp. 44 sgg. (3) Vengo così, per diverso cammino, a consentire con Binrens, il quale in Poetae latini minores Il pp. 28-9 aveva pensato a un imitatore di Valerio Catone. WR | |a rr _————_———_—_—_—_m+_——___——m LA COMPOSIZIONE DELLE <« DIRAE » PSEUDOVERGILIANE 1055 di analogo titolo, in voga presso gli Alessandrini, dalla Bittide di Filita alla Leonzio di Ermesianatte. Dovevano esservi descritte in tanti quadri staccati le peripezie della vita campestre e del- l'amore per Lidia. A tale disegno corrispondono, nella sostanza, i due carmi a noi giunti. Che poi questi due non sieno l'opera autentica, ma l’imi- tazione, come credo, almeno per le Dirae, di avere dimostrato, ciò particolarmente importa, perchè serve ad eliminare ogni obiezione proveniente dalla evidenza intrinseca del carme e a conciliarne, opportunamente, le apparenze discordi. L’evidenza intrinseca ci ha mostrato nelle Dirae una speciale dipendenza dagli avvenimenti dell’anno 41, ma nello stesso tempo non ha escluso il ricordo di analoghi e più antichi fatti, le proscrizioni sillane degli anni 82-79. Vuol dire dunque che la sostanza della poesia era un lamento di Valerio Catone per la perdita delle sue terre, occasionata dalle distribuzioni sillane, e che questo lamento fu adattato dall’imitatore — un contemporaneo di Ver- gilio — alle vicende del 41. Ugualmente l’imitatore ha inqua- drato (e con quanto poca destrezza e solidità !) la serie delle imprecazioni nella cornice del contrasto pastorale, applicandole i colori e le abitudini della bucolica vergiliana. La quale ipotesi viene poi anche a giustificare, come è ne- cessario, il fatto stesso dell’ imitazione. Ogni imitazione, o fal- sificazione che sia, per essere ammessa deve essere giustificabile, cioè deve aver avuto i suoi motivi. Orbene: che le Dirae cato- niane sieno state rifatte e ripetute nella forma in cui sono, si comprende molto bene, quando — come dicevo — qualche nuovo spodestato abbia voluto contro i nuovi provvedimenti di Otta- viano sfogare il suo sdegno. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. : Ò , -“- —"— ev’ ’@@ eve e _—@———e e —_—’6@tgo > iii nni sti CLASSI. UNITE Adunanza del 21 Maggio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: il Vice-Presidente CAMERANO, il Direttore della Classe D’OvIpIO, e i Soci SaLvapori, Prano, JADANZA, GuARESCHI, GUIDI, MarttIRoLo, GRASSI, SoMiGLIANA, FusARI, BALBIANO e SEGRE, Segretario; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: il Direttore della Classe CHIroNnI, e i Soci DE Sanctis, RUFFINI, SrAmPINI, D’ErcoLe, Bronpr, ErnauDI, BAUDI DI VESME e PATETTA. Scusano l’assenza i Soci NaccarIi, PARONA e Prato. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza prece- dente a Classi Unite, 27 febbraio 1916. Il Socio Tesoriere ErnAuDpI, invitato dal Presidente, dà let- tura del Rendiconto finanziario dell’Esercizio 1915 e del Bilancio preventivo per l’ Esercizio 1916. Vengono approvati entrambi senza osservazioni. Così pure vengono approvate le gestioni dei premi Bressa, Gautieri, Pollini e Vallauri. Il Presidente, a proposito della notevole diminuzione delle entrate dell’Accademia, e del fatto che si è dovuta sospendere, per ragioni di bilancio, la stampa delle Memorie, informa che per le stesse ragioni è possibile che si debba procedere ad una Atti della R. Accademia — Vol. LI. 68 1058 limitazione ulteriore per la stampa degli Atti. Ad evitare questo pericolo, raccomanda ai Colleghi una certa severità nell’acco- gliere lavori di estranei da presentare per gli Atti. Il Socio DE SanctIS, relatore della Commissione nominata dall'Accademia il 27 febbraio scorso per formulare le eventuali riforme ai Regolamenti dei premi Bressa, Vallauri, Gautieri e Pollini, legge successivamente gli abbozzi dei nuovi Regola- menti, formulati dalla Commissione. Tali abbozzi vengono di- scussi, articolo per articolo; e con pochi ritocchi o modificazioni vengono approvati i singoli articoli e i Regolamenti nel loro complesso, lasciando al Socio De SancrmIS l’incarico di coordinare le poche modificazioni fatte, e di ritoccare, ove occorra, la di- citura. Il Socio PaTtETTA, anche a nome dei Soci RUFFINI e SFORZA, legge la Relazione della Commissione per il premio Pollini. Le conclusioni unanimi della Commissione sono per la premiazione della Monografia storica di Lomello del Dr. Mario Zuccni. La votazione su questa proposta si farà nella prossima adunanza. III TOTI CR FOOT nr ___ hi siii REGOLAMENTO INTERNO PEL CONFERIMENTO DEI PREMI BRESSA ARTI Al principio di ciascuno dei periodi biennali stabiliti dalle tavole di fondazione dei premi Bressa l'Accademia nomina una Commissione che deve ricercare durante il biennio e nel tri- mestre seguente le scoperte o le opere meritevoli di essere prese in esame pel premio. Questa Commissione è composta di tre membri per ciascuna Classe, oltre al Presidente dell’Accademia che la presiede. Ogni Classe designa i propri commissari separatamente in una adu- nanza a Classi unite. ART. 2. La Commissione, oltre a fare per proprio conto le oppor- tune ricerche, invita anche ciascun socio nazionale residente e non residente a proporre per iscritto le opere o scoperte di cui all’art. 1, e si prepara a riferire e sulle proprie ricerche e sulle eventuali proposte e sui lavori che vengano ad essa inviati dagli autori, esclusi i lavori manoscritti. Art. 3. Alla fine del trimestre successivo al biennio la Commissione presenta in una adunanza a Classi unite una prima relazione in cui sono indicate le scoperte o le opere meritevoli di essere prese in considerazione pel premio. Ogni socio nazionale residente o non residente può nella stessa adunanza presentare per iscritto altre proposte motivate. Con questa adunanza l'elenco delle scoperte od opere pro- poste pel premio diviene definitivo, sicchè il premio non può es- sere assegnato ad una opera o scoperta che non vi sia compresa. 1060 ART. 4. In una adunanza successiva l'Accademia integra la Com- missione aggregandole due nuovi membri per ciascuna Classe, nominati con la stessa procedura di cui all’art.1. Art. 5. Entro il decembre dello stesso anno la Commissione così integrata presenta alle Classi unite la relazione definitiva con le sue proposte pel conferimento del premio. Questa relazione, in cui sono giudicate tutte le scoperte od opere presentate dagli autori o proposte da soci, è comu- nicata per intero unicamente ai soci nazionali residenti e non residenti dell’Accademia. Di essa è reso pubblico negli Atti soltanto il giudizio su la scoperta o l’opera premiata e sui lavori sottoposti dagli autori all'esame dell’Accademia. Art. 6. La relazione potrà contenere la proposta di una sola sco- perta od opera da premiare, o potrà anche indicare come me- ritevoli del premio più scoperte od opere, lasciando la scelta all'Accademia. Art. 7. In una adunanza successiva l'Accademia a Classi unite procede al conferimento del premio. La votazione si fa a schede segrete. Nel caso di proposta di più opere o scoperte si vota su tutti i singoli nomi proposti dalla Commissione, iniziando lo spoglio delle schede a votazione finita. Riesce vincitore del premio chi ha raccolto la maggio- ranza assoluta col maggior numero dei voti. Se due o più abbiano ottenuto la maggioranza assoluta con lo stesso numero massimo di voti, si farà tra essi vna vota- zione di ballottaggio. Art. 8. Qualora invece nessuno abbia ottenuto la maggioranza as- soluta, si ripeterà la votazione. Se neppure tale seconda vota- 4 tiefienien tina TIE A ET 1061 zione dà risultato, si procederà anche in questo caso al ballot- taggio sui nomi che ottennero i due numeri maggiori di voti. Art. 9. Per la votazione di ballottaggio basterà la maggioranza relativa. Se due o più abbiano ottenuto nel ballottaggio lo stesso numero massimo di voti, il vincitore del premio sarà designato per mezzo del sorteggio. Arr. 10. Il premio stabilito per ciascun biennio è indivisibile, e non se ne può sospendere il conferimento. Arr. ll. Alle adunanze in cui si discute e si delibera intorno al premio possono prender parte con diritto di voto anche i soci nazionali non residenti, ai quali si darà preavviso del giorno delle adunanze stesse. Arr,.12. Il programma pel conferimento del premio dovrà sempre pubblicarsi non più tardi del decembre anteriore a ogni biennio. Se si tratti di premio internazionale, sarà pubblicato nelle lingue latina, italiana, francese, tedesca, inglese. Il Presidente dell’ Accademia PaAoLo BOSELLI L’ Accademico Segretario L’ Accademico Segretario della Classe della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali di scienze morali, storiche e filologiche CorraDO SEGRE ETTORE STAMPINI REGOLAMENTO INTERNO PEL CONFERIMENTO DEI PREMI GAUTIERI Art. 1. Al principio di ciascun anno dei periodi triennali determi- nati dallo Statuto dei premi Gautieri, la Classe di scienze mo- rali, storiche e filologiche nomina una Commissione incaricata di ricercare e giudicare le pubblicazioni degne di essere proposte pel premio Gautieri. Questa Commissione è composta di quattro membri, oltre al Presidente dell’Accademia che la presiede. ART. 2. Ai sensi dell’art. 5 dello Statuto, nel 1° anno la Commis- sione è designata per la filosofia (compresa la storia della filo- sofia), nel 2° anno per la storia civile e politica in senso lato (compresa la storia dell’arte, dell’ economia e del diritto ed esclusa la storia della filosofia e la storia letteraria), nel 3° anno per la letteratura (compresa la storia letteraria e la critica letteraria e non escluse le opere che si riferiscono alle lettera- ture classiche e straniere). Art. 3. Ogni Commissione, oltre a fare per proprio conto le oppor- tune ricerche, invita anche ciascun socio nazionale residente e non residente a proporre per iscritto le opere a suo giudizio degne del premio e prende in esame le eventuali proposte come pure i lavori che sieno inviati ad essa dagli autori, esclusi i lavori manoscritti. Art. 4. Le proposte dei soci dovranno essere presentate entro un mese dalla data dell’invito ad essi rivolto dalla Commissione. ir E 1063 Art. 5. Entro il decembre dell’anno stesso in cui è nominata, la Commissione presenta alle Classi unite la sua relazione con le proposte pel conferimento del premio. Questa relazione, in cui sono giudicate tutte le opere in- viate dagli autori o proposte da soci, è comunicata per intero unicamente ai soci nazionali residenti e non residenti dell’Ac- cademia. Di essa è reso pubblico negli Atti soltanto il giudizio su l'opera o le opere premiate e su quelle sottoposte dagli autori all'esame dell’Accademia. Art. 6. La relazione potrà contenere la proposta di una sola opera da premiare, o potrà indicare come meritevoli del premio più opere lasciando la scelta all'Accademia, o anche, nel caso di due opere giudicate egualmente degne di premio, potrà proporre all'Accademia che il premio sia diviso tra esse per metà. Arr. 7. In un’'adunanza successiva l'Accademia a Classi unite pro- cede al conferimento del premio. La votazione si fa a schede segrete. Nel caso che la Com- missione abbia proposto di dividere il premio per metà tra due opere egualmente meritevoli, si mette a partito tale proposta. Ove essa venga accolta, il premio sarà senz'altro attribuito alle due opere indicate dalla Commissione. Art. 8. Qualora la proposta di divisione del premio sia stata re- spinta o la Commissione abbia proposto essa stessa la scelta tra più opere, si vota su tutti i singoli nomi proposti dalla Com- missione, iniziando lo spoglio delle schede a votazione finita. Riesce vincitore del premio chi ha raccolto la maggioranza as- soluta col maggior numero dei voti. 1064 ART. 9. Se, avendo la Commissione proposto la scelta, due o più opere ottengano la maggioranza assoluta con lo stesso numero massimo di voti, si porrà all'Accademia il quesito se convenga procedere alla divisione del premio tra esse. Ove l'Accademia respinga la divisione, sì farà una votazione di ballottaggio. Arr. 10. Qualora invece nessuno abbia ottenuto la maggioranza as- soluta, si ripeterà la votazione. Se neppure tale seconda vota- zione dà risultato, si procederà anche in questo caso al ballot- taggio sui nomi che ottennero i due numeri maggiori di voti. Per la votazione di ballottaggio basterà la maggioranza relativa. Se due o più abbiano ottenuto nel ballottaggio lo stesso numero massimo di voti, il premio sarà diviso senz'altro fra essi. Arr. 11. Alle adunanze in cui si discute e si delibera intorno al premio possono prendere parte con diritto di voto anche i soci nazionali non residenti, ai quali si darà preavviso del giorno delle adunanze stesse. ART. 12. Il programma pel conferimento di un premio dovrà pub- blicarsi non più tardi del decembre anteriore alla nomina della Commissione. Il Presidente dell’ Accademia PaoLO BOSELLI L’ Accademico Segretario L’ Accademico Segretario della Classe della Classe scienze fisiche, matematiche e naturali di scienze morali, storiche e filologiche CorRADO SEGRE ETTORE STAMPINI A ie O I E n e ge e REGOLAMENTO INTERNO PEL CONFERIMENTO DEI PREMI VALLAURI ARI. Al principio di ciascuno dei periodi quadriennali stabiliti dalle tavole di fondazione dei premi Vallauri (che si computano a partire dal 1° gennaio 1899) l'Accademia nomina una Commis- sione che deve ricercare durante il quadriennio e nel semestre seguente le opere meritevoli di essere prese in esame pel premio. Questa Commissione è composta di quattro membri, oltre al Presidente dell’Accademia, che la presiede. Essa viene scelta dalla Classe di scienze fisiche, matema- tiche e naturali o dalla Classe di scienze morali, storiche e filo- logiche secondo che il premio è per le scienze fisiche (in senso lato) o per le opere critiche sulla letteratura latina. ART. 2. La Commissione, oltre a fare per proprio conto le oppor- tune ricerche, invita anche ciascun socio nazionale residente e non residente a proporre per iscritto le opere di cui all'art. 1, e si prepara a riferire e sulle proprie ricerche e sulle eventuali proposte e sui lavori che vengano ad essa inviati dagli autori, esclusi i lavori manoscritti. ART. 3. Entro il semestre successivo al quadriennio la Commissione presenta in una adunanza a Classi unite una prima relazione in cui sono indicate le opere meritevoli di essere prese in conside- razione pel premio. Ogni socio nazionale residente o non residente può nella stessa adunanza presentare per iscritto altre proposte motivate. Con questa adunanza l’elenco delle opere proposte pel premio diviene definitivo, sicchè il premio non può essere assegnato ad un’opera che non vi sia compresa. 1066 ART. 4. In una adunanza successiva, se il premio è per le scienze fisiche, la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali in- tegra la Commissione aggregandole due nuovi membri. Arr. 5. Entro il decembre dello stesso anno la Commissione presenta alle Classi unite la relazione definitiva con le sue proposte pel conferimento del premio. Questa relazione, in cui sono giudicate tutte le opere in- viate dagli autori o proposte da soci, è comunicata per intero unicamente ai soci nazionali residenti e non residenti dell’Ac- cademia. Di essa è reso pubblico negli Atti soltanto il giudizio su l’opera o le opere premiate e su quelle sottoposte dagli autori all'esame dell’Accademia. Arr. 6. La relazione potrà contenere la proposta di una sola opera da premiare, o potrà indicare come meritevoli del premio più opere lasciando la scelta all'Accademia, o anche, nel caso di due opere giudicate egualmente degne di premio, potrà proporre all'Accademia che il premio sia diviso tra esse per metà. Avana. In un’adunanza successiva l'Accademia a Classi unite pro- cede al conferimento del premio. La votazione si fa a schede segrete. Nel caso che la Com- missione abbia proposto di dividere il premio per metà tra due opere egualmente meritevoli, si mette a partito tale proposta. Ove essa venga accolta, il premio sarà senz’altro attribuito alle due opere indicate dalla Commissione. Arr. 8. Qualora la proposta di divisione del premio sia stata re- spinta o la Commissione abbia proposto essa stessa la scelta tra più opere, si vota su tutti i singoli nomi proposti dalla Com- missione, iniziando lo spoglio delle schede a votazione finita. Riesce vincitore del premio chi ha raccolto la maggioranza as- soluta col maggior numero dei voti. its. 1067 Art. 9. Se, avendo la Commissione proposto la scelta, due o più opere ottengano la maggioranza assoluta con lo stesso numero massimo di voti, si porrà all'Accademia il quesito se convenga procedere alla divisione del premio tra esse. Ove l'Accademia respinga la divisione, si farà una votazione di ballottaggio. Art. 10. Qualora invece nessuno abbia ottenuta la maggioranza as- soluta, si ripeterà la votazione. Se neppure tale seconda vota- zione dà risultato, si procederà anche in questo caso al ballot- taggio sui nomi che ottennero i due numeri maggiori di voti. Per la votazione di ballottaggio basterà la maggioranza relativa. Se due o più abbiano ottenuto nel ballottaggio lo stesso numero massimo di voti, il premio sarà diviso senz'altro fra essi. Arr. 11. Alle adunanze in cui si discute e si delibera intorno al premio possono prender parte con diritto di voto anche i soci nazionali non residenti, ai quali si darà preavviso del giorno delle adunanze stesse. Arr. 12. Non più tardi del decembre anteriore a ogni quadriennio sarà pubblicato in lingua latina, italiana, francese, tedesca, in- glese e diffuso quanto più largamente sarà possibile l’annunzio dei premi da conferirsi nei due quadrienni successivi. Il Presidente dell’ Accademia PaoLo BosELLI L’ Accademico Segretario L’ Accademico Segretario della Classe della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali di scienze morali, storiche e filologiche CorrADO SEGRE ETTORE STAMPINI 1068 REGOLAMENTO INTERNO PEL CONFERIMENTO DEL PREMIO POLLINI Arr. 1. Il premio istituito dal dott. cav. Giacomo Pollini sarà con- ferito ogni dieci anni dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino, contando il primo decennio dal 1° gennaio 1904, in con- formità delle disposizioni del testatore, che qui si riportano: Lascio alla R. Accademia delle Scienze di Torino una ren- dita annua di L. 250, Consolidato 5 °/,, i cui redditi annuali capitalizzati dovranno servire per dare ogni tanti anni, nella cifra che essa crederà, un premio alla migliore monografia storica, sul genere della mia di Malesco, pubblicata a Torino nel 1896, ma- noscritta od anche stampata, degli attuali Comuni italiani delle antiche provincie piemontesi; da cui però ne escludo quelli delle città capoluogo di provincia e circondario, ad eccezione di quelli di Do- modossola e Pallanza. A tale premio potranno concorrere solamente scrittori di dette provincie. Art. 2. L'ammontare del premio sarà fissato dal Consiglio di am- ministrazione dell’Accademia nel darne l’annunzio al principio d’ogni decennio. ART. 3. Non potranno concorrere al premio i soci nazionali resi- denti e non residenti dell’Accademia. 1069 Art. 4. I concorrenti dovranno consegnare i loro lavori stampati o manoscritti prima della fine del decennio. I lavori stampati non potranno avere una data anteriore al decennio medesimo. Art. 5. Alla fine del penultimo anno del decennio la Classe di scienze morali, storiche e filologiche nomina una Commissione di quattro membri che, presieduta dal Presidente dell’Accademia, deve esaminare e giudicare i lavori stampati e manoscritti dei concorrenti. Art. 6. La Commissione presenterà all'Accademia la sua relazione su tutti i lavori dei concorrenti in tempo perchè questa, in una successiva adunanza plenaria, possa assegnare il premio non più tardi della fine dell’anno seguente all'ultimo del decennio. Art. 7. La relazione potrà contenere la proposta di un solo lavoro da premiarsi e potrà anche indicare come meritevoli del premio più lavori lasciando la scelta all'Accademia. Art. 8. In un’adunanza successiva l'Accademia a Classi unite pro- cede al conferimento del premio. La votazione si fa a schede segrete. Nel caso di proposta di più lavori da premiare, si vota su tutti 1 singoli nomi pro- posti dalla Commissione, iniziando lo spoglio delle schede a votazione finita. Riesce vincitore del premio chi ha raccolto la maggioranza assoluta col maggior numero dei voti. Se due o più abbiano ottenuto la maggioranza assoluta con lo stesso numero massimo di voti, si farà tra essi una votazione di ballottaggio. 1070 Art. 9. Qualora invece nessuno abbia ottenuto la maggioranza as- soluta, si ripeterà la votazione. Se neppure tale seconda vota- zione dà risultato, si procederà anche in questo caso al ballot- taggio sui nomi che ottennero i due numeri maggiori di voti. Art. 10. Per la votazione di ballottaggio basterà la maggioranza relativa. Se due o più abbiano ottenuto nel ballottaggio lo stesso numero massimo di voti, il vincitore del premio sarà designato per mezzo del sorteggio. Amin Il premio è indivisibile. Arr. 12. Ove la Commissione non riconosca alcun lavoro meritevole del premio, l'Accademia disporrà della somma corrispondente sia accrescendo il premio successivo, sia istituendone altri, . sempre conforme all’intenzione del testatore. Il Presidente dell’ Accademia PaAoLo BosELLI L’Accademico Segretario L’ Accademico Segretario della Classe della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali di scienze morali, storiche e filologiche CoRRADO SEGRE ETTORE STAMPINI > di Sti ninti Relazione della Commissione per il premio PoLLINI. Al premio, che fu istituito per disposizione testamentaria del dott. cav. Giacomo Pollini e che la nostra Accademia deve ora per la prima volta conferire, concorsero tre studiosi, i si- gnori Giovanni De Maurizi, Mario Zucchi e C. Mazzone. Parve però alla Commissione che solo i lavori dei due primi concorrenti possano esser presi in considerazione, perchè l'opuscolo presentato dal signor Mazzone (Camasco. Divagazioni storiche ed artistiche, Varallo-Sesia, s. a.), benchè non privo di qualche pregio, appare dal titolo stesso e dal modo di tratta- zione non rispondente alle condizioni del concorso, indetto fra scrittori delle antiche provincie piemontesi per la migliore mo- nografia storica degli attuali comuni di dette provincie, escluse, ad eccezione di Domodossola e Pallanza, le città capoluogo di provincia o di circondario; indetto, cioè, per opere di carattere esclusivamente o almeno prevalentemente scientifico. Questo carattere scientifico, che la Commissione crede di dover recisamente affermare come requisito essenziale delle opere da premiarsi, fu, dopo maturo esame, trovato deficiente eziandio nell'opera manoscritta, che, insieme a tre opuscoli stampati (1), d’argomento affine ma non rispondenti ai termini del concorso, (1) La Valle Vigezzo. Monografia illustrata, Domodossola, s. a. (ma 1911: avente il carattere di guida per i viaggiatori più che di monografia sto- rica); S. Carlo Borromeo e la Valle Vigezzo, Gozzano-Omegna-Domodossola, s. a. (e senza nome d’autore); Usi, costumi e tradizioni popolari della Valle Vigezzo, Gozzano-Omegna-Domodossola, 1913 (senza nome d'autore, ma colla prefazione firmata collo pseudonimo Piana). 1072 fu presentata dal signor De MaurIZI: Sommario di storia gene- rale della Valle Vigezzo e particolare dei Comuni Vigezzini. La storia della Valle Vigezzo era già stata oggetto di pa- recchi studi, e l’autore della nuova monografia dichiara infatti apertamente di non pretendere d’aver detto cose nuove, ma d'aver invece voluto ritornare sulle fonti consultate dagli scrittori pre- cedenti, per vagliarle e metterle in armonia con le ricerche da lui fatte in tutti gli archivi pubblici e privati della Valle. Egli divise il suo lavoro in due parti. Nella prima espose, in ventidue capitoli, la Storia generale della Valle, facendola seguire da Appendici sull’ araldica vigez- zina, l'origine dei cognomi, il dialetto, gli usi e costumi, le cre- denze popolari, i nomignoli dei paesi vigezzini, l'emigrazione. Nella seconda volle darci la storia particolare dei singoli comuni vi- gezzini, dedicando a ciascuno di essi una speciale monografia. Questa seconda parte non fu per altro condotta a termine; 0 almeno non furono presentate al nostro giudizio se non undici monografie, l’ultima delle quali, nell'ordine propostosi dall’autore, dovrebbe essere la sedicesima. Le ricerche fatte dal De MaAuRIZI, specie negli archivi ta cali, furono certo ampie e lodevoli; e la Commissione non può non esprimere il desiderio, che sian fatte conoscere agli studiosi nel miglior modo possibile. Disgraziatamente dovette l’autore talvolta, e più spesso volle, senz’alcuna necessità, avventurarsi nel campo della storia generale o in ricerche speciali difficilissime, quali ad esempio quella sull’origine dei singoli cognomi; e in entrambi i casi diede prove evidenti dell’ insufficienza della sua preparazione scientifica. Così, prescindendo dalle strane cose dette appunto a proposito dei cognomi (1), si possono leggere fin dai primi capitoli della prima parte periodi come questi: “ La stima dei terreni, sta- bilita poi da Costantino nel 312, si faceva ogni quindici anni (1) Per esempio (I, 639 e segg.): “ I popoli del Nord, che abitarono la ca- “ tena delle Alpi da Savona a Trieste, lasciarono traccie indubbie della loro © dimora. Quantunque a noi sia ignota la loro lingua, i loro costumi, abbiamo “avuto qualche nome di radice anglo-sassone, o, almeno, d’ignota origine... “ Arnolfo de Mazano (di origine longobarda); Gnura (dal tedesco); Cappino e 7 — po 1073 (ciclo delle indizioni).... Tanto però doveva essere l'abbandono e la poca cura delle terre, che il diritto romano riconobbe pro- | prietario di esse chiunque le avesse coltivate per almeno due anni. Il diritto romano in materia di proprietà era tuttavia [all’epoca delle invasioni barbariche| schiavo dell'influenza della legge delle XII Tavole, per cui niun possidente era considerato quale proprietario, ma solo come usufruttuario de’ proprii beni che aspettavano al sucratissimum aerarium..... Ristabilita la calma dallo scompiglio gotico, Cassiodoro radunò in codice le leggi romane e barbare, lasciando facoltà di elezione tra le due le- gislazioni avanti ai tribunali e nell'’amministrazione del patri- monio privato. Questo sistema fu poi seguìto anche dai Longo- bardi, Franchi e imperatori di Germania , (P.I, pag. 71 e 86). Evidentemente un lavoro storico, che contiene equivoci ed errori così gravi, per quanto in alcune sue parti utile e degno di lode, non può esser ritenuto meritevole di premio. Resta a dire della Monografia storica di Lomello, presen- tata, in gran parte manoscritta, dal dott. Mario ZuccHi. In questa monografia l'A. rimaneggiò ampiamente e rifece un suo precedente lavoro inserito, fin dal 1904, nella Miscellanea di Storia Italiana, edita dalla R. Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie e la Lombardia. Al semplice cenno sul periodo delle origini, si sostituì nel rifacimento un'ampia tratta- zione del primo periodo della Storia di Lomello, cioè dell’epoca preromana e romana: furono aggiunte l'esposizione storica del quinto periodo, dal 1796 al 1912, e varie appendici, fra le quali è specialmente notevole quella dedicata alle genealogie delle varie famiglie comitali; le parti riguardanti i tre periodi, in cui l'A. divide la Storia di Lomello dal 476 al 1796, furono più che raddoppiate. La Commissione potè quindi considerare la monografia dello ZuccHi come nuova; e avendola diligentemente esaminata, fu lieta di riscontrarvi pregi non comuni; accuratezza di ricerche, “ (da Koft, casa)... Ritengo di probabile origine romana le famiglie Sartori “ (Suteris) assai numerose nel medioevo; Cavallo poi Cavalli e Cavallini (da * caballus della decadenza); Coctus indi Cotto, Cotti, Cottini; Blonda, Alasia, “ Alesina, Tironi, Garbaneo, Solta, Testore (da testor pubblico testimonio), * Flora, Melino, Mauricio, Ferrari ed altri n° Atti della R. Accademia — Vol. LI. 69 1074 chiarezza d'esposizione, e un giusto concetto di ciò che può dare vera importanza scientifica alle monografie storiche su piccoli comuni, i cui autori fanno di solito troppo ampia parte a minuzie locali, prive per la quasi totalità dei lettori di qual- siasi interesse, e viceversa prendono il piccolo paese di cui si occupano quasi a pretesto per metter fuori indigeste ed erronee compilazioni di storia generale. In conclusione, avendo considerato la Monografia storica di Loinello, sia per sè stessa, sia in confronto colle altre sottoposte al suo giudizio, la Commissione è unanime nel proporre che al suo autore dott. Mario ZuccHI sia conferito il premio Pollini. Francesco RUFFINI : GIOVANNI SFORZA FEDERICO PATETTA, relatore. (Gli Accademici Segretari (orRRADO SEGRE. ETTORE STAMPINI. I È | | "Ia 1075 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 21 Maggio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente CAMERANO, il Direttore della Classe D’Ovipio e i Soci SALVADORI, PEANO, JADANZA, GUARESCHI, Gui, MarTIRoLo, Grassi, SoMIGLIANA, FusaARI, BALBIANO, € SEGRE, Segretario. Scusano l’assenza i Soci NAccARI e PARONA. Si legge e si approva il verbale della precedente adunanza. Il Socio nazionale TArAMELLI ha inviato in omaggio due suoi opuscoli, su Ferdinando Sordelli, e Di Giovanni Mairone da Ponte e di altri naturalisti bergamaschi del secolo scorso. Il Socio Segretario rileva pure, fra i doni ricevuti, varie pubblicazioni del Prof. F. SAcco, che saranno enumerate nell’ap- posito elenco. Il Socio Guipr offre in omaggio un suo opuscolo Sul calcolo della trave Vierendeel. Vengono presentate, per la stampa negli Atti, le Note se- guenti : N. JADANZA, Ignazio Porro; I. GuarescHI, Delle singolari proprietà della calce sodata. Nota IV; 1076 G. BoccarpI, Questioni di probabilità, dal Socio D'Ovipro "a A. C. Bruni, Appunti sullo sviluppo del sistema nervoso simpatico negli amnioti, 2* comunicazione, dal Socio FUSARI; M. Curò, Sull’azione dell'anidride carbonica e del calcio sull’utero isolato, pure dal Socio FuSsARI; A. TaAnTURRI, Radici di numeri approssimati ed estrazione — abbreviata della radice quadrata, dal Socio PEANO; L. DeLLa Casa, Rapporto di grandezze eterogenee, dallo stesso Socio PEANO; G. CrcconertI, Strumenti diottrici ad obbiettivo composto | usati in Geometria pratica, Nota I, dal Socio JADANZA. x he la n NPA sl L } ep { Li Le "4 de a «6 CS IGNAZIO PORRO VIA DEL PINO A PINEROLO - CASA OVE NACQUE A Officina Fototecnica Ing G Moalfese. Torino Sdi DS N. JADANZA — IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 107 LETTURE IGNAZIO PORRO (Notizie biografiche). Nota del Socio NICODEMO JADANZA (Con 1 Tavola). Nella Rivista di Astronomia e scienze affini dell’anno 1910 sì trova una biografia d’Iexazio Porro di G. V. SCHIAPARELLI. Nella nota (1) che si trova a piè della pagina 295 è seritto quanto segue: 1 fr Così risultarono questi pochi cenni che offro alla “ Rivista aspettando che altri faccia più e meglio per onorare “la memoria di un uomo che ebbe in sè il genio della Mec- “ canica e dell’Ottica pratica, e le combinazioni loro seppe in “ nuovi modi usare a vantaggio della Geodesia e della Astro- “ nomia ,. Quell’invito mi attrasse ed ho voluto tentare non di fare meglio di quanto abbia fatto l’illustre Schiaparelli, ma di com- pletare e mettere in maggior luce l’opera di quest'uomo insigne, il cui nome è già passato nel dominio della Storia. PaoLo IGnazio Pierro Porro nacque a Pinerolo il 25 no- — vembre dell’anno 1801 da Ignazio Porro di Pinerolo e da Anna . Lanteri di Annecy. Il padre era Capitano del Genio Militare Piemontese ed il figlio fu anche destinato alla carriera militare. Nel 1814 entrò nel Collegio militare di Torino, nel 1815 fu am- | messo come cadetto nel Corpo di Artiglieria, e nel 1817 entrò nell'Accademia Militare come sottotenente per fare gli studi superiori di guerra. Nel 1815, gl’ingegneri Piemontesi BacerTI, NeGRESTI e Me- | LANO, preposti alla determinazione topografica delle frontiere tra la Francia ed il Piemonte in contradittorio con una Commis- — a A e eee I * » Tea i PIENI int 3 VIII AIIP OISO RI ON " 3 i i 3 oe ATE) + . € ; MiA: n. r- ® 1078 NICODEMO JADANZA sione dello Stato Maggiore francese presieduta dal Generale Du-MesxiL, richiamarono a nuova vita il metodo indiretto per la misura delle distanze per mezzo del cannocchiale, già indicato fin dal 1778 dall’ottico inglese GREEN. Questo metodo così viene descritto da Iewazio Porro nel suo importantissimo libro (1): William Green fire pour cela dans le champ du télescope deux points au moyen de deux pointes très fines ajustées dans le champ du diaphragme focal; ces deux pointes déterminent deux rayons visuels, dont les directions prolongées hors du télescope font entre elles un petit angle, que l’inventeur suppose constant pour un in- strument donné: une mire en bois de deux toises de longueur est diviste en pieds et pouces par des lignes fortement marquées et visibles au télescope à la plus grande des distances qu'on se propose d'évaluer: on place la mire à l'une des extrémités de la ligne, on l’observe au télescope placé à l’autre extrémité et on compte combien il y a de divisions de la mire comprises entre les deux pointes qui constituent le micromètre : il est facile ensuite d’en dé- duire par un calcul simple la distance cherchée. Esso dunque consisteva nel considerare costante l’angolo formato dalle due rette, che partendo dai fili estremi del reti- eolo si vanno ad incontrare nel centro ottico della lente obiet- tiva del cannocchiale; perciò non era rigoroso, ed in pratica si dimostrò subito inefficace, producendo errori tanto più grandi quanto più piccole erano le distanze (2). C'est aussi à l’extréme obligeance de M. NEGRETTI que je dois la connaissunce de ce diastimomètre, tel qu'il l’employait lui-méme; et sentant comme il les avait sentis, les inconvénients optiques si- gnalés plus haut, je me suis dévoué à la recherche des causes qui avaient arrété M. NeeRETTI; jai le bonheur de les découvrir, et je suis arrivé facilement è une nouvelle combinaison de lentilles, formant une lunette achromatique, susceptible de la plus haute per- (1) La Tachéométrie ou l'art de lever les plans et de faire les nivellements avec une économie considérable de temps par I. Porro, Major du Génie mi- litaire en retraite (Turin, 1850, imprimerie Zecchi et Bona, rue Carlo Alberto). (2) Vedi nota (a). (La nota (a) e le altre analoghe che si citeranno in seguito fanno parte di uno scritto che presenterò in una prossima seduta come Note illustrative al presente). 7° a DI 0 Y : fection, et ‘erempte de tous les inconvénients que l'on remarquait i ) i DO, . Hieg.| ì 4 Ba,:e) à à n tè si hai na: Pali tape Setta : Mn air De dè "i (4. ® î Cile A aa Vai PL me — IGNAZIO PORRO - NOTIZIE sioona rione i 1), encore dans l’application des micromètres à la mesuration des lon- MATE gueurs, lunette, à laquelle convient l’épithète de stéréogonique, SI c'est-à-dire è angle invariable. RE. Il cannocchiale stereogonico era formato così: di Al suo obbiettivo M di distanza focale @,= £; f;# fu aggiunta una lente N il cui primo fuoco F, andava a cadere nel. centro ottico della lente obbiettiva M. Detta lente era fissata saldamente ad una distanza dalla lente .M eguale alla propria distanza focale /, E. = @, minore di @,. Esso fu una elegante soluzione del problema di misurare le distanze colla stadia, fece sparire gl’inconvenienti che sì erano verificati nella pratica ed a cui nessuno aveva saputo porre rimedio. Si enunciò implicitamente il teorema: La distanza della stadia dal centro ottico della lente obbiettiva del cannocchiale stE- REoGONICO è proporzionale alla parte di stadia compresa tra i fili estremi del reticolo. Questa fu la prima invenzione di Porro che fece mettere in evidenza il suo nome. Il primo cannocchiale stereogonico fu costruito a Torino nel 1824; aveva l'obbiettivo del diametro di 40 millimetri e di distanza focale eguale a 48 centimetri; fu adattato ad un antico grafometro per ottenere le distanze zenitali necessarie alla ri- duzione delle distanze all'orizzonte. Con esso furono fatte espe- rienze ufficiali il 15 agosto 1824 per ordine del Generale del Genio marchese BoyL da una Commissione composta dei Capi- tani PassERA, Siry e di Porro. 1080 NICODEMO JADANZA Le misure furono fatte sul viale del Re, misurando con por- tate variabili da 80 a 120 metri una lunghezza nota di 2476214. Del primo tronco di tale linea sono stati ricordati i seguenti valori fatti da diversi osservatori: 849,645 849,615 849,585 849,480 849,455 nei quali lo scartamento tra il massimo ed il minimo valore è 02,190; e quindi un errore relativo di circa 159° Fu questo il più rimarchevole progresso della diastimometria ottica fino a quel tempo e si mantiene anche ai nostri giorni. Perfezionato il metodo di misurare le distanze col cannoc- chiale e colla stadia, conveniva altresì modificare gli strumenti per le misure angolari abolendo i grafometri e le bussole topo- grafiche che allora e da molto tempo si usavano. Il teodo- lite era già stato inventato fin dal 1787, lo si adoperava cor- rentemente in Inghilterra nei lavori topografici o di (Geodesia elementare; in Germania abilissimi artefici ne costruivano per- fezionandolo pei lavori geodetici; esso dunque era l’istrumento più indicato. Conveniva aumentare la potenza del cannocchiale onde renderlo adatto alle misure delle distanze ed adoperare la graduazione centesimale dei suoi circoli come la più facile tanto alla lettura quanto al calcolo numerico. Ne nacque così un istru- mento nuovo per le operazioni topografiche che fu detto Ta- cheometro ed un sistema di rilevamento per coordinate rettan- golari che fu detto TacHfomérRIE in Francia e CELERIMENSURA in Italia. Ignazio Porro nel 1825 fu promosso Capitano del Genio Militare e, esperto più d’ogni altro nei lavori geodetici (1), fu (1) Non risulta che il Porro avesse preso parte ai lavori geodetici del parallelo medio, eseguiti negli anni 1821-22-23, giacchè della Commissione mista, incaricata dei lavori geodetici ed astronomici, facevano parte i Pie- montesi: Cav. D'Isasca, Colonnello; Cav. Porrino, Capitano; Cav. PLana, - : 4 A 1 # IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1081 scelto quale direttore dei lavori geodetici preliminari pel rile- vamento generale del Ducato di (renova. Tali lavori furono eseguiti nel 1831 da lui e da alcuni ufficiali del Genio. Il rilevamento fu poi eseguito sotto la sua direzione da semplici soldati, cui furono date alcune lezioni dallo stesso Capitano Porro nel 1834. Tale lavoro, cominciato il 3 gennaio 1835, terminò 30 mesi dopo. Il risultato fu tale che in un dispaccio ministeriale del 1842 fu qualificato inarrivabile monumento dell’arte. Nel 1836 fu promosso Maggiore nel medesimo Corpo e nel 1842 chiese l'aspettativa. Libero dagli obblighi del servizio militare, fondò a Torino una officina ottico-meccanica nella quale si dovevano costruire non solo gli strumenti per la Geodesia ma anche per quanto può avere attinenza coi progressi della ingegneria e delle in- dustrie: dal turbine di Fourneyron, com’egli diceva, al camnoc- chiale dell’astronomo. Il suo nome era già noto favorevolmente ed il suo merito era già riconosciuto anche fuori dell'ambiente militare. Fin dal 18389 aveva già pubblicato il suo ssa: sur les moteurs hydrauliques, nel quale aveva proposto una turbina che per quel tempo era una innovazione, e nel 1845 fu inca- ricato dal Ministro conte di Pralormo di riferire sul progetto di Medail di un traforo delle Alpi Cozie al colle di Fréjus. In tale occasione egli ebbe per primo l’idea di impiegare l’aria compressa allo scavo della galleria ed al moto delle perfora- trici. Cotesta idea fu più tardi attribuita all’ingegnere Piatti e messa in esecuzione dagli ingegneri Sommeiller, Grattoni e Grandis. Quella officina meccanica però non trovò a Torino terreno propizio e fu dal Porro abbandonata nel 1847. Nello stesso anno, dietro sua domanda, fu collocato a riposo col suo grado di Maggiore del Genio e si trasferì a Parigi, dove più tardi, Astronomo; Cav. CasteLsoro, Luogotenente, come risulta dalla nota a p. 16 del 1° volume dell’opera: Opérations Géodésiques et Astronomiques pour la mesure d'un are du parallèle moyen erécuttes en Piémont et en Savoie par une Commission composte d'officiers de l’Etat major général et d’ Astronomes Piémontais et Autrichiens en 1821-1822-1823 (A Milan. De l’imprimerie im- périale et royale, 1825). 1082 NICODEMO JADANZA sotto l’ègida ed in parte col danaro del conte Eugenio di Ri- chemont, fondò l’Institut Technomatique. Ivi per ben 12 anni si svolse la sua fenomenale attività occupandosi di svariati argomenti, per la maggior parte relativi a questione di Ottica applicata alla Geodesia ed all’Astronomia. Le sue geniali invenzioni lo fecero ben presto conoscere ai dotti ed in un paese dove erano ed erano stati insigni costruttori meccanici, tra i quali il famoso Gambey da poco defunto, si distinse come scienziato e come costruttore di strumenti geo- detici. Il primo suo libro, La Tachéométrie citata avanti, è un’opera magistrale e di una chiarezza ammirabile. In esso sono date le fondamenta del nuovo metodo di rilevamento da lui propugnato e tutte le norme che debbono essere adoperate nella pratica. Con pochissime note ed aggiunte potrebbe essere riprodotto at- tualmente e sostituito con vantaggio a molti trattati di celeri- mensura venuti dopo. E quanta modestia! A pag. 10 sta scritto: A part le stéréogonisme de la lunette, la nouvelle méthode ne contient aucune chose entièrement nouvelle, l'ensemble seul est nou- veau et il n'est pas étonnant qu'on ne l’ait jamais tenté, puisque pour cela faire il aurait fallu vainere des difficultés qui de prime abord paraissaient insurmontables et qu'on n'était pas tenté d'a- border, qu'il auraîit été méme inutile de résoudre, tant que l'élé- ment le plus essentiel de toute opération géodésique, la distance, ne pouvait s'obtenir que par les moyens, et avec le degré d'exacti- tude jusqu'ici connus. La maggior parte degli istrumenti che si adoperarono nel Piemonte ea in Francia pel rilevamento tacheometrico avevano il cannocchiale stereogonico, mediante il quale le distanze misu- rate erano contate dal centro ottico della lente obbiettiva. Con- veniva, ed era già stato notato fin dal 1824, che le distanze fossero contate dal centro del circolo azimutale dello strumento adoperato. Questo nuovo perfezionamento fu introdotto colla costruzione del cannocchiale centralmente anallattico (1), cioè col cannocchiale avente l'obbiettivo composto di due lenti conver- genti, tali che il primo fuoco principale (punto anallattico) del (1) Vedi nota (0). IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1083 sistema composto coincideva col centro del circolo orizzontale dell’istrumento di cui faceva parte. Il cannocchiale stereogonico, che non era altro che un cannocchiale, avente il punto anal- lattico nel centro ottico della lente obiettiva, sparì per sempre. Insieme al cannocchiale centralmente anallattico il Porro costru il cannocchiale SfenaZlattico, che dava le distanze alla stadia ri- dotte all'orizzonte per qualunque inclinazione (tra certi limiti) dell'asse ottico del cannocchiale. Questa, in verità, fu anche una geniale sua invenzione, che però non corrispose alla buona pratica, ed il Porro stesso dopo alcuni anni scrisse queste pa- role: Lo stenallattismo non è che una ingegnosa invenzione per- fettamente inutile nella seria pratica (1). Dal libro suddetto si potrebbe dedurre che il domo hiale centralmente anallattico non fu fatto prima del 1850, poichè in esso non se ne parla affatto. Ciò però non è esatto se si tien conto di una Memoria dell’ Ingegnere De SÉNARMONT stampata nel 1849 negli Annales des mines (2). Tutti quelli che hanno parlato di Porro non hanno mai accennato alla soluzione di un problema pratico importantis- simo: l’accorciamento del cannocchiale, che egli fece fin dal 1850 per mezzo di prismi a doppia riflessione. Egli piegò la distanza focale in due o tre parti e fece dapprima il longue-vue cornet e più tardi nel 1855 il longue-vue Napoléon III, amendue dedi- cati all'esercito francese e comodissimi a portarsi anche da sol- dati a cavallo (3). Questi utilissimi ed elegantissimi cannocchiali erano quasi ignorati in Italia e del tutto dimenticati in Francia. Ci è voluta l’esumazione di essi fatta dalla celebre Casa Zers di Jena, che li ha ridotti a dinoculiî prismatici, perchè essi fos- sero ora noti ed apprezzati in tutto il mondo. Eppure essi sono meno eleganti di quelli di Porro! Fatevi avanti, o costruttori italiani, e rendete giustizia po- (1) Cfr. Applicazioni della Celerimensura, Firenze, 1862, p. 140. (2) Vedi nota (c). (3) Cfr. N. Japanza, Teorica dei cannocchiali, 2% edizione (Casa editrice Ermanno Loescher, 1906). Il Porro, in una udienza particolare accordatagli il 22 febbraio 1855, presentò a S. M. l'Imperatore Napoleone III due di codesti nuovi cannocchiali, dei quali uno era montato e decorato con lusso, l'altro semplice. 1084 NICODEMO JADANZA stuma a quest'uomo di genio, costruendo un binoculo che si possa facilmente tenere con una mano sola accoppiando due longue-vue Napoléon III! L'impresa non è difficile e sarà certa- mente rimunerativa. La più importante delle operazioni pratiche della Geodesia è certamente la misura di una base; si comprende quindi che la massima attenzione sia stata rivolta in tutti i tempi alla scelta degli apparati con cui tale misura doveva essere ese- guita (1). L'apparato ideato dal Porro diversifica da tutti gli altri per avere adoperato una sola asta di misura con divisioni ai suoi estremi, mediante la quale si misura la distanza tra gli assi di microscopi allineati lungo la base. Il primo suo apparato, quello con cui fu misurata la pic- cola base del Luxembourg (2), fu costruito sotto la sua direzione dalla Casa Lerebours. Esso aveva l'asta di misura di legno di abete inverniciato e cotto nell’olio di lino, perchè il legno preparato con tale di- ligenza era quasi inalterabile alle variazioni di temperatura e di umidità. Il metodo e l'apparato di Porro furono esaminati da una Commissione che nel suo rapporto presentato nel 1850 all'Accademia Francese delle Scienze disse: “ Les appareils de M. Porro, destinés à la mesure des bases, sont simples, ingénieusement concus, d’un usage très com- mode, d’un prix peu élevé et d’un transport facile en tout pays; ils offrent ce précieux avantage qu'on peut, sans une grande dépense et en peu de temps, mesurer la méme base deux ou méme trois fois. Ces appareils peuvent étre d'une grande utilité dans la pratique de la géodésie. Le Mémoire (1) Per avere una idea di quasi tutti gli apparati adoperati nelle di- verse epoche per la misura di basi geodetiche si consulti la interessante Memoria del Dottor Ingegnere Carro Daviso, avente per titolo: Sugli ap- parati di misura delle basi geodetiche (* Rivista di Topografia e Catasto ,, vol. IX, 1896). (2) Codesta base di soli 280 metri fu misurata da aiutanti del Genio militare francese, sotto gli ordini del colonnello Leblanc, professore di Geo- desia alla Scuola Politecnica e sotto la direzione di Porro. Essa non aveva altro scopo che quello di procurarsi un campione per le esperienze che poi sì dovevano fare colla stadia. tettina. IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1085 qui en contient la description sera consulté avec avantage i “ par ceux qui auront besoin de mesurer une base géodésique. « Nous proposons è l’Académie d’accorder son approbation “ aux appareils de M. Porro, et d’ordonner que le Mémoire qui | “ en renferme la description soit inséré dans le Kecuei! des Sa- vants étrangers. «“ Les conclusions de ce Rapport sont adoptés , (1). Il primo ad applicare alla misura di una base gli strumenti novellamente inventati dal Sig. Porro, grandemente lodati dall’ Ac- cademia delle Scienze di Parigi per la loro semplicità, economia e precisione dei risultati che promettevano, fu l’astronomo P. AN- o GELO Secchi, che misurò la celebre base della via Appia in Roma con un apparato costruito appunto dal Porro. Tale misura fu fatta dal 2 novembre 1854 al 26 aprile 1855 (2). L’asta di misura, per maggiore esattezza, fu fatta di due verghe metalliche, una di ottone e l’altra di ferro, collocate pa- rallelamente e quasi a contatto in tutta la loro estensione; le loro dimensioni erano in tutto perfettamente eguali. Fu in questa occasione che Porro costruì per la prima volta il suo cannocchiale panfocale. Ecco la descrizione che ne fa il P. Secchi a pag. 55 dell’opera citata. “ L'apparato ottico del microscopio è di una costruzione speciale e nuova detta dall’ inventore panfocale, perchè può variarsi la lunghezza del suo foco da pochi centimetri fino all'infinito, e da microscopio trasformarsi in tèlescopio. L’in- venzione di questo pezzo è veramente degna dell’alta impor- tanza che gode l’autore, e può dirsi un nuovo passo impor- “ tante fatto fare all’ottica applicata alle misure, onde col medesimo strumento abbiamo potuto vedere le fasce di Giove “ eisuoi satelliti, e leggere le graduazioni della tesa in decimi di millimetro a un decimetro di distanza dall’obbiettivo, ed osservare qualsiasi oggetto a qualunque distanza. (1) Cfr. Comptes rendus des séances de l’Acud. des sciences, tome XXXI, pp. 240-241, Paris, 1850 (la Commissione era composta dai signori Biwer, Faye e Larcerau). (2) Ctr. Misura della base trigonometrica eseguita sulla via Appia per ordine del Governo Pontificio nel 1854-55 dal P. A. Secc®i D. O. D. G. (Roma, tipografia della Rev. Cam. Apostolica, 1858). ni 1086 NICODEMO JADANZA «“ L'obbiettivo e l’oculare sono posti a distanza invariabile, che è di 0,34. Il primo ha un diametro di 0”",025 e una lun- ghezza focale di 0,364; l’oculare, assai forte, è del genere dei positivi, e considerato come microscopio semplice ingran- disce circa 23 volte. Nel foco dell’oculare è il reticolo, for- mato di cinque fili finissimi di ragno posti con gran precisione paralleli, e quasi esattamente equidistanti: attraverso a questi ve ne è un sesto ad angolo retto. Fra il reticolo e l’obbiet- tivo inferiore scorre entro il tubo, mediante una cremagliera, un secondo obbiettivo, che ha per ufficio di variare la lun- ghezza focale dello strumento. onde, come si è detto, può esso trasformarsi da telescopio in microscopio. Il diametro di questo secondo obbiettivo è di 12%" circa, e la lunghezza focale di “02.093 ,. Non soltanto l'Accademia delle Scienze, ma anche il Mi- nistro dei Lavori pubblici nominò una Commissione per esami- nare gli strumenti del Porro e la Memoria da esso presentata col tilolo: Sur de nouveaux instruments et procédés de géodésie, de nivellement et d’arpentage; par M. Porro, Officier supérieur du Génie piémontais. Tale Commissione era composta dai Signori Mary, DE Sé- narMmonT, Grenet et 0Lansanne (relatore) (1). Dall’estratto del Rapporto presentato al Ministro dei Lavori pubblici togliamo quanto segue: “ Ce qui nous a le plus vivement frappés lorsque nous avons manié par nous-mémes les divers instruments soumis à notre examen, c'est l’extréme facilité des mouvements, la ma- nière simple et commode dont tous les organes en sont dis- posés, l’attention avec laquelle les chances d'erreur ont été évitées, la prévoyance qui a présidé à la confection des moindres « détails. Toutes ces qualités ne pouvaient étre que le fruit “ d'une longue pratique sur le terrain, guidée par une sùre théorie et par une connaissance approfondie de la construc- tion des instruments d’optique et de précision. Ces conditions si diverses se trouvent rarement dans un méme homme. M. Porro, par l’invention de ses nouveaux procédés, a prouvé qu'il les réunit toutes. (1) Cfr. Annales des Ponts et Chaussées, 3° série, 1852, 2° semestre. e IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1087 “ Nous pensons done, monsieur le ministre, que l’admini- “ stration doit accorder une pleine et entière approbation aux “ instruments et procédés de M. Porro. Mais son réle, suivant nous, ne doit pas se borner è une approbation pure et simple. L'introduction dans la pratique journalière des procédés de « M. Porro, nous parait un progrès trop notable, trop utile è la bonne et prompte exécution des projets, pour que nous ne vous proposions pas de faire quelque chose de plus. L’ensei- gnement dans les écoles des ponts et chaussées et des mines devra s'etendre dorénavant aux noveaux procédés, les élèves devront étre exercés à la pratique des nouveaux instruments. De plus il est utile que parmi les ingénieurs qui ont actuel- lement è faire des études sur le terrain, il y en ait qui solent charges par l'administration de soumettre è une épreuve jour- nalière et longtemps prolongée les instruments et les procédés de M. Porro. En conséquence, monsieur le ministre, nous avons l'honneur de vous proposer: “ 1° D’accorder votre approbation aux instruments. et procédés d’arpentage, de nivellement et de géodésie que vous a présentés M. Porro ; «“ 2° De faire insérer le Mémoire descriptif de M. Porro dans les Annales des ponts et chaussées et au moins par extrait dans les Annales des mines ; “3° De faire déposer dans la collection des modèles de chacune des deux écoles des ponts et chaussées et des mines un théodolite olomeétrique de la plus grande puissance avec ses accessoires, y compris la mire stadia; plus le système complet des appareils propres à la mesure des bases; “4° De commander trois autres théodolites de dimen- sions différentes, destinés à étre suivis et étudiés par les in- génieurs ayant un gran nombre d’opérations à faire sur le terrein ,. Non poteva il Porro ottenere maggior considerazione da uomini così distinti ed illuminati. La Tacheometria però non ebbe in Francia la sua popolarità per tali elogi, bensì per la iniziativa di un pratico distinto, che fu l’ing. Isimoro Moinor (1). bai , LS (1) Cfr. nota (d). 1088 NICODEMO JADANZA Questa Memoria ha per noi una grande importanza, poichè in essa troviamo tutti i perfezionamenti ottici fatti dopo il can- nocchiale stereogonico, come il cannocchiale stenallattico, un apparecchio a prismi per eliminare l’eccentricità dell’alidada, il meroscopio panfocale e, ciò che più ce’ interessa, la sua teoria del cannocchiale anallattico, che è alquanto differente da quelle comunemente esposte (1). Gli strumenti presentati dal Porro alla Commissione anzi- detta erano stati costruiti nell’Institut Technomatique sito in Bou- levard d’Enfer, n. 10. Essi però non avevano quella praticità che occorre nei lavori topografici di campagna, affidati per lo più a gente non avvezza a maneggiare istrumenti delicati. Egli aveva compreso ciò; di qui una serie di modificazioni ed una serie di strumenti nuovi con nomi differenti. Alcune di tali modificazioni in allora non ebbero seguito, sebbene più tardi siano state tro- vate utili; altre, benchè teoricamente esatte, erano difficilissime ad essere ottenute nella pratica e non perfettamente necessarie. Fra le prime citeremo la tmesitomia del Cappello (2), che da qualche tempo è stata messa in pratica dal costruttore Heyde di Dresda. Fra le seconde citeremo la costruzione dei circoli graduati in vetro, il cui indice di rifrazione fosse precisamente eguale a 2, e ciò unicamente per eliminare l’errore dovuto alla eccentricità dell’alidada! Nè parleremo di quegli istrumenti da lui ideati ma non ese- guiti nè allora nè poi, p. es., il rectografo anapneumatico, il cui scopo è quello di determinare la curvatura del geoide in qua- lunque sezione verticale per mezzo di osservazioni fatte su di- stanze non maggiori di alcune centinaia di metri, e l'apparecchio (1) Cfr. nota (e). (2) Giuseppe Cappello, meccanico della R. Accademia delle Scienze di Torino (dal 1802 al 1818), fu il primo ad applicare agli strumenti di pre- cisione la tmesitomia intagliando intorno al lembo di un teodolite dei denti o tacche ad intervalli di un grado intero e ad aggiungere un ingegnoso meccanismo che serviva ad un tempo ad imprimere al cannocchiale un movimento lento e a dare i minuti ed i secondi. Con ciò era eliminato l’er- rore dovuto alla eccentricità dell’alidada. Cfr. anche N. Japanza: Un precursore di Heyde nella costruzione dei teodoliti a circoli dentali (° Atti della R. Accademia delle Scienze di To- rino ,, vol. XLIV, 1909). ci da è IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1089 per la fotografia sferica. A proposito di quest'ultimo è utile ri- portare dal libro Fotogrammetria del compianto ingegnere P. Pa- ganini (Milano, 1901, editore Hoepli) quanto dice a pag. 3. «“ Già nel 1855 il prof. Porro si occupava dell’applicazione « della fotografia alla geodesia e proponeva, il primo in Italia, * un apparecchio fotografico da servire alla topografia; disgra- ziatamente morì mentre appunto attendeva fervidamente al- l'applicazione pratica della fotografia alla celerimensura. L’ap- parecchio del Porro consisteva in una camera oscura munita “ di un obbiettivo sferico con vuoto interno da riempirsi d’acqua “e traversato verticalmente da un diaframma, precisamente “ come l’obbiettivo che molto tempo dopo prese il nome di “ Sutton; la superficie focale della camera oscura era pure sfe- rica e il suo centro coincideva con quello dell’obbiettivo. Ri- mane del Porro una memoria che ha per titolo: Applicazione “ della fotografia alla geodesia, inserita nel periodico ‘Il Poli- tecnico, (X e XI volume, tipografia Saldini, Milano). Gli ap- parati tutti di cui il Porro si servì per i suoi tentativi furono “ scrupolosamente conservati all’Officina Filotecnica di Milano dal suo direttore Ing. Salmoiraghi... ,. Nel 1857 ebbe l’ardire di tentare la costruzione di un obiet- tivo acromatico dell’apertura di 52 centimetri e di distanza fo- cale di 15 metri: Za plus grande lunette du monde. Con tale obbiettivo, ma con diametro ristretto, furono fatte alcune foto- grafie dell’eclisse di sole del 15 marzo 1858 in collaborazione col QuinET; esse furono molto lodate dall'astronomo Faye, che le presentò all'Accademia delle Scienze di Parigi nella seduta del 12 aprile seguente. In un tempo in cui in nessun osserva- torio astronomico del mondo esistevano cannocchiali, il cui obbiettivo raggiungesse il diametro di 40 centimetri, tale im- presa fu giudicata temeraria, ed infatti essa non riuscì. A pagina 175 del libro citato del Laussedat si trova una nota in cui è detto: “ Il s’était hasardé pourtant à entreprendre d’exécuter, pour “ l’Observatoire de Paris, un objectif de 0,52 de diamètre, “ mais s’était vu obligé de reconnaitre que la tàche était au- dessus de ses forces. L’auteur de cette Notice en sait quelque chose; chargé par le Ministre de l’Instruction publique, M. Rou- land, de se rendre compte de l’état d’avancement du travail e » » » » * * Atti della R. Accademia — Vol. LI. 70 tà 1090 NICODEMO JADANZA de cet objectif, et après une longue visite dans les ateliers de Porro, il avait conseillé à celui-ci de ne pas continuer un travail auquel il était mal préparé. Sur son rapport, dans lequel il faisait ressortir le mérite du savant ingénieur, bien supérieur à celui de l’artiste, le Ministre avait consenti è exonérer Porro des engagements qu'il avait pris et lui avait méme accordé une indemnité pour l’outillage dont il avait fait l’acquisition et pour le temps qu'il avait passé è travailler le verre, qu'il rendit d’ailleurs è l’Observatoire... ,. Fra gli strumenti costruiti ed inventati dal Porro citeremo seguenti : Il Polemometro per uso militare (una specie di telemetro), che fu un perfezionamento della Staza di Alberti; il prisma squadro ed allineatore; l’oculare per osservazioni nadirali; un elio- metro, mediante il quale si può guardare il sole senza vetri colorati, ed il Polioptometro, che serve non solo a misurare gli angoli dei prismi di cristallo, ma anche a misurare l’indice di rifrazione ed il potere dispersivo dei cristalli che si adoperano negli strumenti ottici (1). Il Porro non riuscì ad impiantarsi stabilmente a Parigi, sebbene abbia avuto il favore ed il concorso di capitalisti po- tentissimi. Egli volle essere scienziato e direttore d’industrie ; ma mentre aveva le qualità del primo, non possedeva quelle del secondo. Uno dei principali requisiti che deve avere un'innovazione quando è data in dominio del pubblico, dev'essere una relativa immobilità; allora soltanto può essere proficua per coloro che espongono i proprii capitali, non certo per amore della scienza, ma per averne un utile. Perciò alla fine del 1859 cessò di di- rigere l’Institut Technomatique. Egli aveva in animo di rientrare in Italia, già risorta a Nazione, collo scopo di prendere parte alla grande operazione della Perequazione della imposta fondiaria, che presto o tardi dovevasi eseguire. E vi si preparò. Nel 1860 furono pubblicate a Neully (2) tre Memorie aventi per titolo: Etude sur le cadastre » “ “ dle (1) Per la descrizione del Polioptometro cfr. SALMorRAGHI: Strumenti e metodi moderni di Geometria applicata (Milano, 1907), p. 886. (2) Typographie de Guiraudet, 2, place de la Mairie, 1860. IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1091 des terres; Sur les hypotèques et l’enregistrement des actes publics et sur la péréquation de l'impòt foncier; Projet de loi sur un dépòt général de la foi publique. Di queste tre Memorie erano autori: FéLix pe RoBeRNIER, Président à la Cour Impériale de Mont- pellier; IexAcE Porro, ancien officier supérieur du génie; FÉLIX Porro, ancien administrateur. Una quarta Memoria era un’ap- pendice alla memoria d’Ignazio Porro, ed aveva per titolo: De la tolérance en agrimétrie, par Joseph PorRo (neveu), ingénieur civil (1). Nell'agosto 1861 rientrò in Italia e si stabilì a Firenze. Dietro sua istanza ai Ministri di quel tempo, nella quale aveva domandato si esperimentasse il metodo tacheometrico, venne una disposizione in data 16 dicembre 1861, colla quale sì instituiva un corso straordinario di Celerimensura nel R. Isti- tuto Tecnico di Firenze, avente lo scopo di formare buon numero di geometri operatori per la progettata esperienza e qualche professore atto a propagare in altre provincie italiane il mede- simo insegnamento, e facilitare così la formazione, a suo tempo, del personale per la nuova misura generale altimetrica e par- cellaria di tutta Italia. Una seconda disposizione ministeriale autorizzava la utilizzazione delle officine di quell’Istituto alla costruzione degli strumenti. Così nacque il libro: Applicazione della Celerimensura alla misura generale parcellaria ed altimetrica dell’Italia — Creazione del Gran Libro Fondiario (2). In questo libro, al capo VI, intitolato: Forme, combinazioni e progresso negli strumenti di celerimensura dal 1821 al 1870, si trova la storia di tutte le modificazioni apportate agli stru- menti nel suo soggiorno a Parigi; da esso si comprende bene la malattia che aveva il Porro, la incontentabilità e la continua premura per la ricerca di uno strumento che si potesse man- dare in tutto il mondo senza pericolo di guasto e nello stesso tempo fosse di facile maneggio. Il tentativo di formare a Firenze il futuro personale del Catasto e gli strumenti relativi non riuscì, e nell’anno scola- (1) L'Ingegnere Giuseppe Porro fu per molto tempo distinto impiegato al Municipio di Torino; morì due anni fa. (2) Firenze, 1862 (coi tipi di Giuseppe Mariani). 1092 NICODEMO JADANZA stico 1863-64 il Porro si trasferì a Milano, dove da FRANCESCO BrioscHI fu accolto come professore di Celerimensura in quel- l’Istituto Tecnico Superiore. A Milano, insieme ad alcuni mec- canici e capitalisti, fondò una nuova officina ottico-meccanica col nome di Tecnomasio Italiano ; ma questa non ebbe miglior fortuna. “ Porro (è lo Schiaparelli che parla), come mente direttrice, “ voleva imporre esclusivamente i suoi metodi, i suoi strumenti, “le sue nuove invenzioni. I suoi collaboratori ed associati vo- “ levano bensì che il Tecnomasio diventasse celebre per l’abi- “ lità del suo Direttore e per la maggior varietà e perfezione “ dei suoi prodotti, ma non intendevano che un soffio distrut- “ tore mettesse d’un tratto fuori d’uso gli strumenti ed i me- “ todi anteriori, confermati dall'esperienza d’una pratica seco- “ lare : volevano insomma evoluzione e non rivoluzione, volevano “ inventare e progredire sì, ma anche nel medesimo tempo “avere un compenso del loro lavoro e riscuotere qualche inte- “resse dei loro capitali. Porro si separò dai suoi colleghi, e «“ coll’aiuto di alcuni altri suoi amici e fautori, impiantò solo, “e per suo conto, la sua quarta officina, da lui chiamata Flo- “ tecnica ,. Fu in questa officina che potè nel 1867 essere realizzato il suo sogno accarezzato da molto tempo, la costruzione cioè di un istrumento che potesse essere dato nelle mani di tutti e fosse meno degli altri soggetto agli strapazzi di campagna. Egli aveva fin dal 1855 a Parigi esposto un circolo metallico di soli 35 millimetri di diametro diviso in 4000 parti, ed ogni grado era numerato. Aveva anche costruito qualche tacheometro con circoli di vetro, i quali, per la loro fragilità, erano racchiusi in una scatola di bronzo. Questi due fatti determinarono in lui l’idea di costruire un tacheometro a circoli piccoli e nascosti, che fu chiamato Cleps. Anche questa officina non prosperò molto e per mancanza di mezzi pecuniarî e per la sua poca attitudine amministrativa. Affranto dagli anni e dalla malferma salute; l'officina, sua se- conda vita, languente e deserta, Ignazio Porro cessò di vivere il giorno 8 ottobre 1875. Attratto dalle idee del Porro, ammiratore del suo genio, un suo discepolo, che per lui aveva avuto ammirazione, rispetto IGNAZIO PORRO - NOTIZIE BIOGRAFICHE 1093 e venerazione, legò la sua vita con quella della Filotecnica. Do- tato di quelle qualità amministrative che al Porro erano del ‘tutto mancate, e nello stesso tempo della Scienza che dev'essere la face delle imprese di tal genere, l’Ingegnere ANGELO SALMOI- RACHI, oggi Senatore del Regno, ha eretto il monumento più duraturo alla memoria di Porro. La ilotecnica ha fatto pro- gressi giganteschi dopo il 1875 sotto la sua direzione, e non vi è a temere della sua prosperità. Da quell’officina l’Italia sarà emancipata dallo straniero per tutto quanto riguarda istru- menti ottici, istrumenti astronomici e geodetici, ed il nome di Porro sarà conservato all'’ammirazione dei posteri. Il Municipio di Pinerolo, per eternare la memoria del suo concittadino, pose nel 1902 nella casa dove nacque, in via del Pino, la seguente lapide (1): PAOLO IGNAZIO PORRO NATO IN PINEROLO IL 25 nov. 1801 MORTO IN MILANO IL 10 orT. 1875 GENIALE COSTRUTTORE DI STRUMENTI OTTICI FONDATORE DELLA CELERIMENSURA ILLUSTRÒ LA SCIENZA GEODETICA ONORANDO LA PATRIA. Torino, maggio 1916. (1) Debbo alla cortesia dell’Ingegnere Srerano Caxgiano di Pinerolo le fotografie di Porro e della casa ove nacque. Secondo lo stesso ingegnere quel ritratto fu fatto a Parigi da un nipote di Porro a nome Felice. Nella lapide la data della morte è errata. 1094 ICILIO GUARESCHI Delle singolari proprietà della calce sodata. Nota IV del Socio ICILIO GUARESCHI. Nelle tre Note precedenti (!), le quali costituiscono la Parte I di questo lavoro, riguardanti il modo di comportarsi di molti gas colla calce sodata, ho dimostrato che quasi tutti i gas più velenosi o irritanti gli occhi ed eccitanti la lacrimazione vengono rapidamente assorbiti. Dissi allora che avevo esteso questi studi anche ai vapori di molte sostanze liquide e solide, ed ora esporrò i risultati che ho conseguito, alcuni dei quali mì pare siano assai interessanti. PARTE II. Azione della calce sodata sui vapori. Lo studio dei gas sulla calce sodata mi portò, naturalmente, anche allo studio di quelle sostanze liquide o solide che nelle condizioni ordinarie emanano più o meno rapidamente e più o meno abbondantemente dei vapori. Io mi occupai specialmente di que’ composti che hanno una azione tossica sull'organismo animale. 1. Ossicloruro di cromo Cr0?C1?. — Come è noto, l’ossi- cloruro di cromo o cloruro di cromile a temperatura ordinaria emette dei vapori rossi che somigliano a quelli del bromo; anch'essi sono molto irritanti. Già coll’acqua questi vapori si decompongono sciogliendosi con color giallo e dando acido cromico. (1) Delle singolari proprietà della calce sodata. Note I, II e III in * Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1915-1916, vol. LI. “ DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA - 1095 I vapori di ossicloruro di cromo sono rapidamente assor- biti dalla calce sodata, senza che si noti il passaggio di vapori acidi. Nei punti ove il vapore è assorbito si sviluppa calore e la calce sodata rimane colorata in giallo (cromati). Probabil- mente reagisce nel modo seguente: ) Cr0?C1? + 208% | == CrO4Ca + 2NaC1 + Ca(0H) (?) NaOH 2. Cloruro di tionile SOC1?. — Questo composto, scoperto da U. Schiff, e che ora si fabbrica anche su vasta scala, è un liquido che possiede odore soffocante come quello del gas sol- foroso. Bolle a 77° e spande facilmente dei vapori. L'acqua e gli alcali lo decompongono facilmente. Era prevedibile che sa- rebbe decomposto subito dalla calce sodata. Ed invero, fatto passare attraverso la calce sodata insieme all’aria, sviluppa subito molto calore, al punto che non si può più toccare il tubo. Non si osserva però il fenomeno della incandescenza. Non ne passa traccia. Derivati alogenici organici. Sarebbe interessante uno studio metodico dei diversi deri- vati clorurati e bromurati organici. Esaminare di confronto ad esempio: CH*COCH2C1 monocloracetone CH*COCH?CH2CI monocloretilacetone C*H5COCH®Br w monobromacetofenone. E così pure i derivati alogenici degli eteri chetonici, quale ad esempio : CH*COCH.C00C?H° CI composti che anch'essi hanno una grande azione irritante sugli occhi. 1096 ICILIO GUARESCEI Io ho fatto delle esperienze con alcuni di questi composti ed ho dimostrato che molti di essi vengono assorbiti e decom- posti dalla calce sodata già a temperatura ordinaria. 3. Etere clorossicarbonico co — L'’etere clo- rossicarbonico fu scoperto da Dumas (') e lo descrisse come un liquido. fluidissimo, incoloro, neutro, bollente 94°, peso speci- fico 1,133. Brucia con fiamma verde. Ha odore gradevole quando lo si respira nell'aria che ne convenga pochissimo, ma il suo vapore è soffocante e provoca la lacrimazione al massimo grado. Per analogia coll’ossicloruro di carbonio, volli vedere come si comportava l’etere clorossicarbonico colla calce sodata, tanto allo stato liquido quanto allo stato di vapore. Mescolai 1 a 2 cm? di etere clorossicarbonico, bollente a 94°, con 10 gr. di calce sodata entro una boccetta. Dopo un certo tempo, circa 24 ore, l'odore irritante era scomparso. Ma l’etere clorossicar- bonico è meglio decomposto allo stato di vapore. Attraverso un tubo ad U contenente 160 gr. di calce sodata fu fatto pas- sare con corrente d’aria il vapore di 5-6 cm? di etere cloros- sicarbonico. L’etere clorossicarbonico è avidamente assorbito dalla calce sodata con sviluppo di calore. Nella parte opposta del tubo non passa affatto il vapore dell'etere clorossicarbonico ; sì sente un lieve odore etereo-alcolico. Anche la soluzione al- colica di nitrato d’argento non dà segno di cloro. La reazione probabilmente avviene così: OC*H5 De 00, + 3 Na0H = Na?C03 + NaCl + C2H5.0H + H?0, Cl o meglio: 70C°H5 70 CO + Car | = NaCl + C?2H5. 0H + Cac08. SCI NaOH (') Traité de Chimie, 1835, t. V, p. 571 e “A. Ch. , (2), t. 54, p. 225. di aci DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1097 Nel caso dei gas detti asfissianti importava più conoscere come si comportasse allo stato di vapore che non allo stato liquido. Ho ripetuto l’esperienza con una quantità molto minore di calce sodata (un tubo di 1,8 mm. e lungo 35, contenente 67 gr. di calce sodata) ed anche in questo caso veniva benissimo as- sorbito con sviluppo di calore. Anche quando la corrente d’aria era previamente disseccata attraverso l’acido solforico concen- trato. Nelle stesse condizioni di lunghezza e larghezza del tubo, con 105 gr. di soda caustica in pezzetti, non si trattengono i vapori di etere clorocarbonico, passano subito col loro odore irritantissimo. Ho esperimentato anche col carbonato sodico Na?CO8,10H?0 e questo, benchè lentamente, assorbe anch'esso l’etere clorocar- bonico. Ma indubbiamente è molto meglio assorbito dalla calce sodata. 4. Monocloroacetone. — Il monocloroacetone CH*COCH8C1 è un liquido bollente a 119°, che manda vapori irritantissimi, eccitanti la lacrimazione. Mescolando un poco di questo liquido entro boccetta con della calce sodata, la reazione si dimostra violenta; si sviluppa molto calore e la massa si colora in rosso rosa, mentre l’odore irritante scompare per dar luogo ad un odore gradevole. Forse sì forma prima CH*COCH2.0H, il quale per condensazione darà luogo ad un dichetone. Quando si fa passare una corrente d’aria prima attraverso al monocloroacetone, poi alla calce sodata contenuta in uno dei soliti tubi, questa si colora in rosso rosa e bruno, si scalda molto e dalla parte opposta del tubo si nota odore gradevole, che ricorda l'odore etereo alcolico e quello del mentolo. La reazione colla calce sodata è molto più viva col mono- cloroacetone che non coll’etere monobromacetico. La reazione fra monocloroacetone e calce sodata può av- venire nel modo seguente: 0 CH*COCH?CI + Ca |. = CH*COCH?0H + NaC1 + Ca0 NNa0H 1098 ICILIO GUARESCHI susseguita dalla condensazione dell’alcol achetonico per l’azione dell’eccesso della calce sodata. La colorazione rossa che assume la calce sodata in pre- senza del vapore di monocloracetone è un mezzo semplice per verificare la presenza di questo vapore in presenza della cor- rente d’aria. Era già noto che il monocloracetone si colora in rosso car- minio colla potassa. Il monocloroacetone non viene assorbito dal carbonato so- dico cristallizzato Na*?C0®.10H?0. Dibattendo entro boccetta un poco di monocloracetone con un grande eccesso di carbonato, rimane inalterato. Anche se fatto passare in vapore attraverso un lungo strato di carbonato in minuti cristallini. Un tubetto a calce sodata serve benissimo per vedere se il monoclorace- tone passa inalterato, perchè colora in rosso la calce sodata. Dunque la calce sodata, e non i carbonati, può servire ad as- sorbire questo vapore irritantissimo. 5. wBromoacetofenone C*H°COCH?Br. — Si ottiene in cri- stalli trimetrici, fusibili a 50°, il cui vapore irrita gli occhi ed eccita la lacrimazione. È dunque un lacrimogeno. Anche questo composto in vapore è fissato dalla calce sodata. CH*Br 6. Etere monobromoacetico | COOC?H5. — Anche questo etere è decomposto a temperatura ordinaria dalla calce sodata. Facendo passare il vapore di questo composto (bollente: 159°- 160°) con corrente d’aria attraverso la calce sodata, viene fis- sato e non si sente più l'odore irritantissimo, nè si ha reazione del bromo dal gas che passa oltre la calce sodata. Quando si agita un poco del liquido con della calce sodata, a poco a poco perde il suo odore irritante per assumere un odore etereo-alcolico. L’etere rimane saponificato e certamente si forma dell’acido glicolico CH*OH.C00H, che io non ho ricercato. Il liquido contenuto in una piccola bomba proveniente dalle trincee francesi e datami dal prof. Issoglio veniva pure fissato dalla calce sodata ed il prof. Issoglio riconobbe che quel liquido era costituito da etere monobromacetico puro. e ren è DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1099 Invece, facendo passare il vapore di questo composto attra- verso un tubo contenente 150 gr. di soda caustica in piccoli frammenti, non è fissato e passa oltre. Dunque la calce sodata sì comporta anche in questo caso in modo ben diverso. Già a temperatura ordinaria, e con sviluppo di molto ca- lore, la calce sodata decompone anche gli eteri bieloro e iriclo- CHCI? CCI roacetici, | e COOC?H5 COOC?H5 7. Etere monocloroacetacetico CH3COCH.C00C?H5, — CI L’etere amonocloroacetacetico è un liquido incoloro che col tempo ingiallisce e poi imbrunisce. Bolle 193°. Il suo odore in principio sembra etereo, poi pungente e persistente, assai irri- tante agli occhi. Quando lo si mescola colla calce sodata reagisce vivamente con sviluppo di molto calore. 2 cm? di questo etere versati su 5 gr. di calce sodata svi- luppano molto calore e la calce sodata si colora in rosso bruno, ma poi si decolora. i 2 emì versati su 5 gr. di KOH in pezzetti sviluppano pure del calore ma molto meno che non colla calce sodata; si colora sola- mente in giallo, poi in bruno e rosso scuro, quasi nero permanente. 2 cm? di questo liquido furono fatti passare in vapore, con corrente d’aria secca, attraverso 65 gr. di calce sodata in tubo di 2 cm. per 35-40 cm. Viene assorbito bene e non passa. Anzi versando ancora 2 cm3 di etere monocloroacetacetico sulla calce sodata della branca sinistra del tubo, poi facendo passare del- l’aria in rapida corrente anche per 5 minuti, non passa traccia di etere. Tutto viene decomposto. Dunque, la calce sodata serve benissimo per assorbire anche questo etere lacrimogeno. Allora ho fatto una esperienza di confronto con la potassa. Ho fatto passare una corrente d’aria, disseccata o no poco importa in questo caso, attraverso 4 cm’ di etere monocloroace- tacetico, poi attraverso un tubo della stessa lunghezza di quello - adoperato precedentemente, ma del diametro di 1,8 e conte- nente 74 grammi di KOH in pezzetti e parte in polvere. L’etere 1100 ICILIO GUARESCHI cloracetacetico forse in parte viene assorbito, ma passa anche oltre e si ritrova nell'acqua della boccia di Habermann che segue il tubo a potassa; fu riconosciuto all’odore e alla colora- zione violetta col percloruro di ferro. Ho inoltre fatto passare l’aria col vapore di etere clorace- tacetico attraverso 57 gr. di soda caustica in pezzetti ed in polvere in un tubo di 1,5 cm. e pel percorso di 35 cm. circa e in parte passa. Dunque anche colla soda si fissa imperfettamente. L'unico assorbente sicuro e pronto di questo etere è dunque la calce sodata. L’etere monocleracetico se subisse colla calce sodata la scissione chetonica nel senso di: 1 2° CH3C0CH . CO0C?H5 + Car ““ | NaOH o)i — CH3COCH2C1 + C2H50H + CaC03 darebbe il monocloracetone, che è fissato. Ma pare che la rea- zione non vada in questo senso, perchè la calce sodata non ar- rossa persistentemente come col monocloracetone. Forse, più probabile, si forma NaCl; cioè prima si stacca il cloro. 8. Bromuro di bromacetile. — Il bromuro di bromacetile CH?Br.COBr la cui costituzione corrisponde a quella dell'etere bromacetico viene assorbito e decomposto dalla calce sodata assai vivamente e rapidamente. Bolle a 149°-150° ed il suo va- pore fatto passare con aria attraverso la calce sodata viene subito assorbito con sviluppo di calore. Il bromuro di bromacetile liquido messo in contatto con calce sodata direttamente reagisce con grande violenza, la calce sodata arrossa e in principio si producono abbondanti fumi bianchi. Derivati bromurati aromatici. Ho esperimentato con cloro e bromoderivati di carburi aromatici contenenti l’alogeno nelle catene laterali oppure nel nucleo centrale. La differenza è notevole. Quelli contenenti l’alo- geno nel nucleo centrale non vengono alterati dalla calce so- DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1101 data, o per meglio dire facendo passare il loro vapore con aria attraverso la calce sodata, si ottiene la reazione del bromo dalla parte opposta, il che vuol dire che il vapore non è fis- sato; mentre invece viene fissato il vapore e non si ha reazione del bromo quando l’alogeno è contenuto in catene laterali come 2Rrp CSHSCH*Br e CSHAOL O. Inoltre si può notare che i derivati bromurati aromatici dei carburi C"H®-8 che contengono il bromo o il cloro nel nu- cleo centrale non hanno odore irritante nè eccitano la lacrima- zione, o almeno l’azione è di molto minore: ad esempio, il clo- robenzene C8H°C1, il dibromobenzene C*H4Br?, il p. bromotoluene C*H*BrCH?, ecc. non irritano gli occhi e non hanno odore sgra- devole; invece i derivati: cloruro di benzile C$H5CH?C], bromuro di benzile C'HSCH®Br, O*H4{>p,, Dromuro di zilile, C*H!(CHB1), bromuro di xilenile, ecc. hanno odore irritante ed eccitano la la- crimazione. Ho provato tanto col bromotoluene C*H*Br.CH? liquido, quanto con quello para solido in bei cristalli; tuttedue avevano odore non irritante. Fatti passare in vapore nell’apparecchio sovraccennato, diedero subito indizio di bromo. 9. Cloruro e bromuro di benzile. —- Il bromuro di denzile C6H°CH?Br è un liquido bollente a 210°, di odore irritante e che eccita la lacrimazione. Si prepara per l’azione del cloro sul toluene, nel qual caso si formano due isomeri: Crac” CHSCERCÌ UL ao + CH (HS. Sino dal giugno 1915 ho fatto qualche esperienza sull’assor- bimento di questo composto colla calce sodata. Benchè lenta- mente, però viene assorbito. Facendo passare l’aria con un aspiratore attraverso una boccia di Habermann contenente il bromuro di benzile, poi at- traverso a un tubo contenente 130 a 140 gr. di calce sodata, solamente dopo il passaggio di molti litri di aria sì notò la pre- 1102 ICILIO GUARESCHI senza del bromo nel mio apparecchio per la ricerca del bromo nei prodotti bromurati volatili. Il cloruro di benzile C*$H®°CH?C], bollente a 176°, si com- porta pressochè come il bromuro di benzile. 10. Clorobenzol C*H°*CHCI?. — È liquido incoloro, di odore lieve a freddo e acuto a caldo. I suoi vapori irritano vivamente gli occhi. Bolle verso 200°. Non si assorbe facilmente dalla calce sodata. Ma come composto lacrimogeno ha poca importanza. Sul fenilcloroformio C6H5.CC1*, bollente a 215-218°, di odore debole e non sgradevole, io non ho fatto delle esperienze. 11. Bromuri di xililene (xylen bromuri) o di xilile. — Io ho esperimentato con un campione di bromuro di xilile grezzo. Era un liquido colorato in scuro che irritava molto gli occhi ed eccitava la lacrimazione. Forse era costituito da una miscela dr /CH*Br 1, /CH?BI di CH*cps © CHX cHepr 0). (4) È da ricordare che lo xilene grezzo commerciale è una miscela di tre isomeri : ‘EH]3 ERE I 1 IT NC metaxilene z arti cl59° paraxilene È, SATORO Per l’azione del bromo sull’o. xilene boll. si ha il bromuro di o. xilile 2 od w bromoxilolo Be f. 21°, boll. 216°-217°, p. sp. 1.88 (* Radzis- zewski e Wispek Ber. ,, XV, p. 1745 e XVIII, p. 1281). 2 Il bromuro di p. xilile gechi bolle 218°-220° ed è in aghi fos. 350.5. Il derivato meta bolle a 185°. /CH*Br NCH?°Br lente col bromo fonde a 143°.5 e bolle 240°250° (“ Grimaux Bull. ,, 1870, XIV, p. 135). Il bibromuro di m.xilene f. a 77°; il bibromuro di ortoxilene f. a 94° e per distillazione si decompone. Il bromuro di xilene 0 di tollilene p. C*H4 dal paraxilene bol- / CH?°Br(1) \CH?Br(2) come un composto cristallizzato fusibile a 145°-147°. Pare che questo corpo allo stato di purezza non abbia odore molto irritante, poichè Grimaux seri- Grimaux (loc. cit.) descrive il bibromuro di tollilene (para) C°H4 DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1103 Impiego il mio apparecchio per la ricerca del bromo quale è descritto nella mia Nota I. Faccio passare il vapore di 2 a 4 em? di bromuro di xilile, contenuto in un pallone, e mediante corrente d’aria attraverso un tubo ad U contenente 62 gr. di calce sodata. L'aria passa rapidamente. Il bromo non passa affatto, anche dopo 20 minuti. Allora tolgo il tubo a calce so- data e congiungo il pallone coll’apparecchio ad acido cromico e dopo nemmeno mezzo minuto si ha netta la reazione del bromo col mio reattivo. Rifaccio l'esperienza mettendo 3-4 em? di bromuro di xilile in una piccola boccia di Habermann, adoperando la stessa calce sodata di prima. Il bromo anche in questo caso non passa, benchè la corrente d’aria sia rapida ed il liquido passi diretta- mente in contatto della calce sodata. Ma passa subito non ap- pena tolgo il tubo a calce sodata. La calce sodata si scalda un poco. Insieme all'aria passa l’odore del toluene o dello xilene o di catrame contenuti nel bromuro di xilile grezzo, ma questi | vapori non irritano affatto gli occhi. Dunque la calce sodata serve bene a fissare il vapore di bromuro di rilile. grezzo. Ho ripetuta l’esperienza con altra calce sodata in piccoli granuli ed ottenni gli stessi risultati. Ho rifatta l’esperienza con calce sodata Kahlbaum, preparata almeno da un anno; non lo lascia passare se non in piccolissima quantità dopo un certo tempo. Dunque in ogni caso è dimostrato che la calce sodata fissa benis- simo il bromuro di xilile. Qui il bromo è nel gruppo — CH?Br. 12. Bromopseudocumene o bromuro di metilxilile. — Il pseudocumene del catrame di carbon fossile è un miscuglio essenzialmente di vero pseudocumene : 7CHB1 C°H3—CH32 NCH34 e di mesitilene 1, 3, 5. Ma quello grezzo del commercio che bolle da 150° a 170° contiene ancora un poco di xilene. Per cui rr _ veva: “La préparation de ce corps est très pénible, car les bromures huileux “ qui se forment en mème temps piquent horriblement les yeux ,. Quando è puro, questo corpo non ha odore piccante che a caldo. 1104 ICILIO GUARESCHI quando lo si tratta col bromo si hanno dei miscugli di derivati bromurati. 10 em? di cumol grezzo del carbonfossile furono trattati con 18,8 gr. di bromo (1 mol.) versato a poco a poco; la rea- zione è vivissima con sviluppo di HBr. Ho avuto diversi prodotti che non irritavano molto gli occhi e sui quali non ho creduto utile proseguire delle esperienze. Aldeidi. Era importante fare delle esperienze anche con le aldeidi, specialmente con quelle molto volatili, perchè queste hanno tutte più o meno odore irritante, eccitano la lacrimazione e sono ve- lenose. 13. Acroleina CH?=CH.CHO. — Quest’aldeide bolle a 52°,4, è solubile nell’acqua e nell’alco]; facilmente si trasforma e si resinifica. Il suo vapore irrita molto gli occhi e gli organi respiratori, e basta spanderne alcune goccie in un appartamento per renderne l’atmosfera insopportabile. Ha sapore bruciante. Il suo vapore viene assorbito dalla calce sodata. Si può fare anche questo esperimento, che corrisponde alla depurazione dell’aria inquinata da prodotti della combustione e decomposi- zione delle candele di sego. Si riempia un pallone di vetro con i vapori che si sprigionano facendo bruciare incompletamente alcune candele di sego. Quel fumo, di odore nauseoso, irritan- tissimo, si faccia passare mediante aspiratore o un soffietto, attraverso a della calce sodata e subito si scorge che l’aria che passa è perfettamente inodora. CH'=‘CSCHO 14. Furfurolo | ui Liquido giallognolo quasi CH=CH7 incoloro, che all’aria imbrunisce. Fatto passare con corrente d’aria sulla calce sodata, viene assorbito rapidamente, con sviluppo di calore anche quando la corrente di aria è rapidissima. Il suo migliore reattivo è una cartina imbevuta con acetato di anilina, la quale assume un color rosso fuoco scarlatto, anche con minime traccie di furfu- rolo (reazione di U. Schiff). sei DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1105 15. Formaldeide. — La formaldeide è fissata dalla calce sodata a temperatura ordinaria, ma forse meno avidamente del- l’aldeide acetica. Fa d’uopo ripetere queste esperienze. 16. Tioformaldeide CH?S. — Da solfuro di carbonio con zinco e acido cloridrico. Odore d'aglio acutissimo, nauseoso. È una reazione che io ho indicata già da lungo tempo per rico- noscere anche delle traccie di solfuro di carbonio. In un largo pallone di circa 2 litri ho messo un poco di solfuro di carbonio con alcuni pezzetti di zinco e poco acido cloridrico diluito. Agitando, a poco a poco si manifesta l’odore acuto, nauseoso, agliaceo della tioformaldeide. Quando il pal- lone era ben riempito del vapore di questa sostanza lo misi in comunicazione con un tubo a calce sodata e mediante una cor- rente d’aria feci passare il vapore puzzolento attraverso la calce sodata. Tutto fu assorbito e dalla parte opposta della calce so- data il gas era inodoro e non imbruniva più, nè la soluzione di nitrato d’argento nè quella alcalina di acetato di piombo. La reazione coll’idrogeno nascente, come è noto, avviene nel modo seguente: CS? + 2H® — CH?S —+ H?S, La calce sodata, dalla parte ove entra il gas, imbrunisce. Se talora si sente un poco di odore dopo che il gas ha at- traversato la calce sodata, è quello di un poco di solfuro di car- bonio che non ha reagito. Dunque anche la tioformaldeide viene completamente e rapi- damente fissata dalla calce sodata. L'aldeide tritioformica (CH?S)? è solida, fusibile a 216°, ed inodora. Invece il gas CH?S o liquido molto volatile che ottengo io riducendo il solfuro di carbonio, ha odore intensamente e tenacemente agliaceo. 17. Aldeide acetica. — Dumas e Stas studiarono l’azione della calce potassica a caldo sul vapore di aldeide acetica; no- tarono sviluppo di idrogeno e formazione di acido acetico. Io ho osservato che quando si versa a goccia a goccia l’acetaldeide sulla calce sodata la reazione è vivissima; la calce Atti della R. Accademia — Vol. LI. 71 1106 ICILIO GUARESCHI sodata arrossa e poi imbrunisce. Se si fa il miscuglio diretta- mente coll’aldeide liquida e la calce sodata, si sviluppa molto calore, l’aldeide bolle e la calce sodata rimane annerita. Anche facendo passare i vapori di acetaldeide in tubo con calce sodata, si fissano colorando la massa in bruno e con sviluppo di calore. 18. Aldeide propilica. — Fatta passare con corrente d’aria, in vapore, sulla calce sodata, viene da questa avidamente assor- bita; la calce sodata si colora in bruno e sviluppa calore, ma meno che non l’aldeide acetica. L'aldeide isobutilica in vapore sulla calce sodata a tempe- ratura ordinaria passa inalterata. Inutile il dire che il cloralio e il bromalio vengono pronta- mente decomposti dalla calce sodata. Pirrolo, indolo e scatolo. CECHI 19. Il pirrolo | _/NH fatto passare in vapore misto CEE=—\(0H ad aria e alla temperatura ordinaria sulla calce sodata non viene fissato e passa inalterato. Se ne assorbe un’assai piccola quantità. Invece l’indolo CS CH è fissato dalla calce sodata. Dell’indolo cristallizzato in bellissime lamine incolore fusibili a 52° fu posto in un tubo ad U e scaldato poco sopra il punto di fusione, poi mediante rapida corrente d’aria il suo vapore fu fatto passare attraverso un altro tubo ad U vuoto; il vapore di indolo naturalmente passò nell'acqua della boccia di Haber- mann che si mette sempre prima della pompa ad acqua, e fu riconosciuto alle sue reazioni coll’acido nitrico e nitrito po- tassico, ecc. Colla stessa rapida corrente d’aria fu fatto passare il va- pore di indolo attraverso un tubo contenente calce sodata re- centemente preparata; allora nell'acqua della boccia di Haber- mann non si sentiva più l’odore dell’indolo nè dava le reazioni di questo. DELLE SINGOLARI PROPRIETA DELLA CALCE SODATA 1107 Colla stessa corrente di aria fu fatto passare il vapore di indolo attraverso un tubo ricurvo contenente del cloruro di calcio granulato come la calce sodata, ma in questo caso il vapore di indolo passò oltre. Dunque il vapore di indolo rimane fissato dalla calce sodata. C(CH)? /N Lo scatolo OSH y/0H o Bmetilindolo fusibile a 959,5. Io ho esperimentato con un piccolo campione di metilindolo commerciale detto sintetico, ma che in piccolissima quantità manifestava molto bene l’odore nauseoso, fecale. Mediante cor- . rente d’aria e scaldando, ho fatto passare il suo vapore attra- verso circa 25 gr. di calce sodata contenuta in un tubo ad U di 1,3 X 25 e restò fissato perchè l’acqua della boccia di Ha- bermann che seguiva al tubo con calce sodata non aveva odore, col nitroprussiato e potassa non ingialliva nè per ebol- lizione con acido acetico diventava violetto. Fatte le reazioni di confronto con acqua e traccia di scatolo, le reazioni avvenivano bene. Dunque anche lo scatolo rimane fissato dalla calce sodata. 20. Bicloruro di solfo S?C12. — Ho voluto esperimentare anche con questo composto. Questo prodotto si fabbrica in grande quantità specialmente per la vulcanizzazione del cautciù. È un liquido oleoso di colore giallo ranciato che all’aria spande fumi, con odore particolare sgradevole ; però in principio ha un lieve odore etereo non sgradevole; ha sapore acido, amaro. Il suo vapore eccita la lacrimazione. Non conosco delle ricerche in- torno alla sua azione fisiologica. Quando si mescolano 2 em? di cloruro di solfo con 10 gr. di calce sodata si sviluppa moltissimo calore, la calce si colora in verdognolo e dello solfo si rende libero, si forma dell’ani- dride solforosa che poi si combina colla calce sodata. Anche facendo passare i vapori di S?CI? sulla calce sodata granulata e contenuta nei soliti tubi ad U da me adoperati si sviluppa molto calore e subito viene assorbito; sì producono anche qui dello solfo e del gas solforoso che rimane fissato. Forse la reazione ha luogo nel modo seguente: 1108 ICILIO GUARESCHI O S*C1*-+ 2Ca< | + 02= 2NaC1 + 2$02- 2Ca0 + H20. NaOH L'anidride solforosa viene poi rapidamente assorbita dalla calce sodata. Mercaptani e tiofene. I mercaptani 0 tioalcoli C"H"SH sono composti analoghi agli alcoli, sono alcoli solforati, ma che si distinguono dagli alcoli non solamente pel loro odore assai sgradevole, agliaceo, ma per la tendenza del gruppo SH a reagire coi composti dei metalli pesanti, e specialmente per la proprietà di reagire coll’ossido di mercurio (1) 2C"Hm SH + Hg0 = (C"HmS)*Hg + H20, I loro derivati alcalini o mercaptidi di sodio e potassio si preparano o sciogliendo il metallo in una soluzione eterea di mercaptano o per l’azione degli alcoolati alcalini. Da ciò avrei potuto sospettare che la calce sodata non li fissasse. Ma ho vo- luto provare, date le curiose proprietà della calee sodata. 21. Io ho potuto esperimentare solamente coll’etilmercaptano, che è veramente il tipo dei mercaptani alifatici. Il mercaptano adoperato era un liquido incoloro, bollente a 36°, che bruciava con fiamma azzurra; aveva odore agliaceo, acuto, nauseoso. Mediante corrente d’aria furono fatti passare allo stato di vapore circa 15 gr. di etilmercaptano attraverso a 56 gr. di calce sodata recente, in granelli piccoli; la calce sodata im- brunì subito, poi diventò rossastra; si sviluppò molto calore. Tutto il mercaptano fu rapidamente assorbito. Dalla parte op- posta uscita l’aria che non precipitava più colla soluzione al- (‘) Da ciò il nome di mercaptani da mercurium captans e quindi di mercaptidi ai loro derivati metallici. SL ROTA RZ ve * dr du È coolica di cloruro mercurico; l’aria che usciva dalla parte op- posta aveva odore non sgradevole di rafano. Che si formi un prodotto di ossidazione quale (C?H°)?SO od analoghi? Bisognerà tornare su questa rèazione. DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1109 CH = CHY | 5, liquido, incoloro, CH'='CA | bollente a 84°. Fatto passare attraverso la calce sodata con corrente d’aria, non viene fissato, passa oltre tutto, o se ne fis- sano delle traccie. Lo dimostrarono subito non solamente l’odore ma anche la reazione con isatina ed acido solforico. 22. Tiofene. — Il tiofene Acido cianidrico ed altri nitrili. Ho fatto molte esperienze sul modo di comportarsi dei ni- trili sulla calce sodata; tutti più o meno rapidamente a tem- peratura ordinaria vengono decomposti. Molte esperienze furono . fatte di confronto con potassa e soda caustiche, pure granulate. 23. Acido cianidrico o prussico HCN. — Il vapore di questo veleno fatto passare insieme ad aria attraverso un tubo conte- nente calce sodata, viene subito assorbito, fissato, sviluppando moderato calore. Non ne passa oltre nemmeno traccia. Del modo di comportarsi dei nitrili in generale colla calce sodata e in confronto cogli alcali dirò in una Nota separata: I nitrili e la calce sodata. Solfocianati ed isosolfocianati alchilici. Ho esaminato l’azione della calce sodata anche su questi composti, intorno ai quali riferirò nella mia Nota: / nitrili e la calce sodata. Anidridi. Ho fatto alcune esperienze anche su le anidridi. 24. Anidride solforica. — Facendo gorgogliare una cor- rente di aria secca attraverso all’ acido solforico fumante, l’aria trascina l’anidride solforica SO in forma di fumi bianchi dci int siti dti i citate 1110 ICILIO GUARESCHI o nebbia, che, fatta passare attraverso ad uno strato di calce sodata anche molto lungo, non viene assorbita; passa oltre e passa facilmente anche attraverso all'acqua. In queste condizioni dunque la calce sodata non fissa, o ne fissa assai poco, l’ani- dride solforica. Sulle nebbie di anidride solforica tornerò in altra occasione. 25. Anidride acetica (C*2H30)?. — L'anidride acetica è un liquido incoloro che bolle a 137°,5, di odore acuto, forte come quello dell'acido acetico glaciale; i suoi vapori irritano gli occhi. Coll’acqua non si decompone subito, ma cade al fondo come un olio che a poco a poco si scioglie agitando, o scal- dando leggermente. La calce sodata assorbe avidamente questa anidride allo stato liquido come anche allo stato di vapore. Attraverso ad un tubo ad U di 1,5 cm. di diametro e per un percorso di circa 35 cm. e contenente 40 a 43 gr. di calce sodata, ho fatto pas- sare dell’aria, ben disseccata, attraverso all’anidride acetica, poi per la calce sodata. Si sviluppa calore e non passa traccia di anidride, anche dopo 10 minuti. Nelle stesse e precise condi- zioni passando attraverso a 56-60 gr. di NaOH in pezzettini e polvere, non si fissa ed istantaneamente passa oltre, come lo indicano le carte reattive ed altri caratteri. Dopo mezzo mi- nuto la carta azzurra è arrossata. Così pure con uno stesso tubo contenente 60 a 62 gr. di KOH in pezzettini e polvere il vapore di anidride sviluppa ca- lore e dopo 4 minuti passa. Anche coll’anidride acetica, dunque, in corrente d’aria secca, è evidente il modo di comportarsi della calce sodata, dalla quale viene subito fissata, mentre la potassa e la soda, in identiche condizioni, la lasciano passare; però la potassa è più attiva della soda. Allo stato liquido viene assorbita con sviluppo di molto calore tanto dalla calce sodata come da KOH e Na0OH. delete oi \ Galia Ina (I i ii ‘DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1111 Eteri vari. 26. Etere benzoico. — Mescolando, ad esempio, 5 cm? di etere benzoico purissimo bollente 210°-211° con 15 gr. di calce sodata, dopo circa 1 a 2 ore si sente l’odore dell'alcool. La miscela si mantiene asciutta. Dopo circa 24 ore non sì sente più che l'odore dell’alcool, del quale ottengo tutte le reazioni; tratto con acqua, filtro ed acidulo con acido cloridrico. Preci- pita l'acido benzoico puro, fusibile a 122°-123°, 27. Etere malonico. Etere succinico. — Anche questi eteri vengono saponificati a freddo. L’etere succinico è assor- bito con sviluppo di calore. L’etere acetacetico metilico rimane decomposto subito; appena si mescola colla calce sodata sviluppa molto calore. Si faranno altre esperienze coi vari eteri chetonici. 28. Nitrito di isoamile. — Anche questo etere rimane saponificato dalla calce sodata già a temperatura ordinaria. 29. Eteri bromidrici o bromuri alcoolici. — Ho già fatto sino dall'anno scorso molte esperienze con gli eteri bromidrici. Il bromuro di etilene viene fissato bene, allo stato liquido, dalla calce sodata; così pure il bromuro di dutile terziario (CH*)*C.Br reagisce. assai vivamente. Però, in questi ed altri casi trattan- dosi di sostanze che hanno vari isomeri, bisogna che io faccia altre esperienze per vedere come si comportano gli eteri bro- midrici primari, secondari e terziari. E così i corrispondenti eteri cloridrici. Riferirò su questo argomento in un’altra Nota. Prodotti della putrefazione. 30. Ho già fatto molte esperienze le quali dimostrano come la calce sodata assorba molto bene tutte le sostanze che sono causa del pessimo odore che hanno i prodotti della putrefazione di materie animali (carni, uova, intestina, sangue, ecc.) e vegetali. 1112 ICILIO GUARESCHI I gas e vapori puzzolenti della putrefazione sono comple- tamente fissati dalla calce sodata. Fra le altre cose ho notato il fatto seguente: facendo passare i prodotti della putrefazione di certe sostanze animali, ed anche vegetali, attraverso la calce sodata si fissano subito i gas o vapori puzzolenti, mentre pas- sano oltre i gas o vapori od altri prodotti che non hanno odore, oppure hanno l’odore gradevole di funghi e specialmente dei tartufi. Queste esperienze saranno esposte in una Nota a parte: Alcune ricerche sui prodotti gasosi o volatili della putrefazione, perchè sono importanti anche sotto altri riguardi. Prodotti della incompleta combustione. 31. Facendo passare l’aria attraverso i prodotti di incom- pleta combustione di molte materie organiche, carta, legno, ecc. in modo da trascinare il fumo e far passare il tutto attraverso un tubo con calce sodata; l’aria che passa oltre non ha più quasi nessun odore. Dunque da queste e da altre precedenti esperienze se ne può concludere che con un apparecchietto adatto la calce so- data potrà essere impiegata per poter respirare liberamente in certe miniere o pozzi, o nelle fogne, o in ambienti ove è av- venuto un incendio, o in altri luoghi ove siano gas v vapori nocivi. Ho fatto anche delle esperienze sugli eteri chetonici e spe- cialmente sugli eterî Bchetonici, quali l’etere acetacetico e deri- vati; ma sono ancora incomplete. Reazioni sintetiche. La calce sodata si presta bene anche per produrre delle reazioni sintetiche e alla temperatura ordinaria. Ricordo ad esempio quella dell'acido cianidrico e quindi dei cianuri: facendo di coetaneo stent MEET passare il miscuglio di gas ammonico e di cloroformio, dopo ‘ poco tempo si manifesta netta la reazione dei cianuri nella parte della calce sodata ove entrano i due gas, ed inoltre dalla DELLE SINGOLARI PROPRIETÀ DELLA CALCE SODATA 1143 parte opposta ove sta la boccia di Habermann si ha odore nauseoso di cardilamina, la quale non può essere dovuta alla traccia d’alcol contenuta nel cloroformio ordinario, perchè lo stesso odore acuto io ho ottenuto con cloroformio purissimo preparato dal cloralio idrato; dunque probabilmente si tratta della contemporanea formazione in queste condizioni dei due composti isomeri HCN acido cianidrico che resta fissato e la carbilamina o isociuanuro HN — © che passa oltre. _ Nella boccia di Habermann contenente un poco di acqua sì era sciolta dell'ammoniaca; neutralizzando l'ammoniaca a poco a poco con acido cloridrico diluito si andò a mano a mano mani- festando di più l’odore di carbilamina, poi con l'eccesso di acido cloridrico scomparve anche questa. Questo odore è sgradevole e produceva lentamente un poco di congestione e di nausea. Molte altre esperienze furono fatte con le amine alifatiche ed aromatiche e con altre sostanze. Le reazioni hanno luogo senza la presenza dell'alcol. Basta mescolare anilina pura, calce sodata e cloroformio, e poco dopo si sente l'odore nauseante dell’isocianuro di fenile; coll’etilendiamina, pure, ecc. Il gas am- monico secco reagisce ugualmente. Il tutto sarà esposto in una Nota: Reazioni sintetiche mediante la calce sodata. In una quinta Nota, che conterrà la Parte IIl di questo lavoro, esporrò i caratteri differenziali delle varie calci sodate ed accennerò al modo col quale queste agiscono. Torino, R. Università, 19 maggio 1916. 1114 ANGELO CESARE BRUNI Appunti sullo sviluppo del sistema nervoso simpatico w negli Amnioti. Nota II del Dr. ANGELO CESARE BRUNI Aiuto e Libero Docente. (Con 1 Tavola). Avendo trattato altra volta (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, V. 51, fasc. 13°) della presenza e del signifi- cato di un abbozzo mesenchimale del simpatico e dell’esistenza di due cordoni limitanti, uno primitivo ed uno secondario, in questa seconda Comunicazione mi soffermerò sugli argomenti allora enunciati e non svolti, riguardanti: 1° lo sviluppo della por- zione cervicale del tronco del simpatico; 2° lo sviluppo del plesso ipogastrico e — negli uccelli — del nervo intestinale di Remak; 3° la presenza ed il significato di cellule nervose del tipo di quelle dei gangli spinali nei primi abbozzi del simpa- tico; 4° l’importanza del neurotropismo e dell’odogenesi nello sviluppo del simpatico. Per la numerazione dei capitoli, continuerò quella iniziata nella Nota precedente, onde semplificare i richiami. 3. — Della porzione cervicale del tronco del simpatico. Sul modo di formarsi della porzione cervicale del tronco del simpatico non si hanno notizie molto estese, sebbene non manchino dati per tutte le tre classi di amnioti. Così pei rettili Van Bemmelen trovò che i ganglii del cordone limitante si for- mano fino al 6° somite (2° vertebra) e forse anche fino al 5°; in seguito però il cordone diventa fibrillare, tranne che sotto E e a | VIII A er —_————— APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 1-15 alla 4* vertebra. Più cranialmente del 6° somite il cordone li- mitante si continuerebbe con un fascio fibroso che si mette in rapporto coi nervi encefalici X, IN e VII, ricevendo fibre dal ganglio del vago. Una descrizione molto minuta del simpatico cervicale di embrioni di lucertola è data dal Beccari. Sebbene lo scopo dell’A. sia stato principalmente quello di ricercare le connessioni tra il simpatico ed i nervi spinali cervicali ed encefalici, tuttavia i dati desunti da osservazioni eseguite col metodo del Cajal hanno pure un grande interesse per lo studio della genesi del tronco simpatico nella regione cervicale. Dalla descrizione e dalle figure si rileva che la continuazione del cordone limitante al collo presenta ganglii solo fino all'altezza del 5° nervo cer- vicale; il primo ganglio della catena però riceve anche rami comunicanti dai nervi spinali 4° e 3°. Cranialmente a questo ganglio il cordone sì continua in un fascio di fibre che viene poi rinforzato da fibre del vago e del glossofaringeo. I rami comunicanti dei nervi spinali 1° e 2° in realtà non manchereb- bero, ma sarebbero connessi tra di loro e con quelli del 3°, 4°, 5°, 6° nervo spinale mediante un ramo. che partendosi dal 6° ramo comunicante sale cranialmente lungo l'arteria vertebrale e si connette anche col ganglio della radice del vago e con ra- dici dell’ipoglosso. Ganfini nota giustamente che il ramo vertebrale, connet- tente i rami comunicanti, veduto dal Beccari, potrebbe rap- presentare nei rettili un cordone secondario, simile, anche per la topografia, a quello che si trova ben sviluppato nella regione cervicale del pollo. Però con le proprie ricerche non potè ve- dere costituirsi un cordone limitante secondario al collo nep- pure nei cheloni, che lo presentano ben sviluppato al torace. In lacerta e in seps trovò semplicemente che i ganglii simpatici provenienti dai nervi spinali 4°, 5°, 6° restano fusi in un cor- done cellulare unico (ganglio cervicale): nei cheloni invece il cordone limitante primitivo cervicale si riduce presto ad un esile cordone nel quale rimane un cumulo gangliare a posizione variabile. Il ganglio più craniale del cordone limitante secon- dario, corrispondente all’ 8° nervo spinale, si connette col cor- done primitivo cervicale a livello del 7° o del 6° nervo spinale. His jun., nel pollo di 10 giorni d’incubazione, constatò che 1116 ANGELO CESARE BRUNI oltre un cordone secondario col suo ganglio cervicale I esiste anche un altro ganglio cervicale I, addossato alla faccia mediale del ganglio nodoso del vago, il quale deriverebbe in parte dai ganglii superiori del cordone limitante primitivo, in parte dal vago. Questo ganglio cranialmente si connette con nervi ence- falici, caudalmente si continua con un ramo, contenente ganglii, che decorre lungo la carotide interna e contribuisce col vago alla formazione del plesso cardiaco. Pei mammiferi l'opinione corrente è che i tre ganglii cer- vicali, superiore, medio e inferiore, tipici del tronco del simpa- tico risultino dalla fusione di ganglii segmentali. Paterson però, avendo constatato che al collo, oltre l’origine dell’arteria ver- tebrale, i rami viscerali, dati dai nervi spinali, non si connettono col cordone simpatico, ritiene che la porzione cervicale del sim- patico sia da considerarsi come appartenente alla distribuzione periferica. Egli vede formarsi dal cordone limitante un ramo fibrocellulare che accompagna l'arteria vertebrale, mentre il cor- done limitante stesso nella sua porzione cervicale si riduce a una commessura, che separa da tale cordone il ganglio cervi- cale superiore. Il ganglio cervicale medio, se esiste, è un cumulo di cellule in questa commessura. Mannu, descrivendo il simpatico cervicale di molti mam- feri adulti, fa alcune considerazioni e mette in luce alcuni fatti che possono illustrare la genesi del simpatico cervicale. Nota, ad esempio, come il nervo vertebrale, ricevendo una radice da ciascun nervo cervicale (fino al 3° od al 2°), sia il rappresen- tante della via simpatica principale degli uccelli; constata inoltre come tale nervo vertebrale contenga un ganglio nell’asino e probabilmente anche nel coniglio adulti. Senza confermarla cita l'affermazione di Blainville, che nel nervo vertebrale dell’uomo avrebbe trovato tanti piccoli ganglii quanti sono i nervi spinali. Le mie osservazioni sul g0rgylus sono scarse ed incomplete, non avendo potuto eseguire metodi specifici pel sistema nervoso. Tutto ciò che posso dire è che l’abbozzo mesenchimale del cor- done limitante primitivo si forma anche al collo, ove anzi ha un aspetto un po’ diverso essenzialmente per essere costituito da trabecole di protoplasma più denso. Del resto subisce mo- dificazioni analoghe a quelle che lo stesso abbozzo subisce nel tronco e viene analogamente sostituito da elementi ectodermici , st APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 1117 che vi penetrano per mezzo dei rami viscerali dei nervi spinali. Per l'ulteriore evoluzione non ho veduto nulla più di quanto abbia veduto Ganfini in lacerta e in seps. In embrioni di mm. 6-6,5 X 5 il cordone limitante oltre il 5° nervo cervicale è continuato da un cordoncino fibroso, che si mette in rapporto col vago e penetra nel cranio accompagnando la carotide in- terna. Non sono giunto, neppure negli embrioni più avanzati da me presi in esame, a vedere modificate queste condizioni. Le osservazioni nel pollo mi portano a confermare in mas- sima le vedute di His. A 92 ore di incubazione il simpatico ha ancora una disposizione identica nel collo e nel tronco; l’abbozzo mesenchimale, ridotto ma non scomparso, circonda e continua cranialmente l’ abbozzo ectodermico, avanzandosi dorsalmente alla carotide interna fino a giungere — verso la fine del 5° giorno di incubazione — a livello della capsula uditiva. L’ab- bozzo ectodermico è rappresentato, come al tronco, da un cor- done con rigonfiamenti segmentali (fig. 1, cl. 1); riceve rami co- municanti da ciascun nervo spinale e, mediante un fascio fibroso, penetra nel cranio ove termina poco caudalmente alla capsula uditiva (ved. fig. schematica 1). Alla fine del 5° giorno vediamo comparire anche al collo il cordone limitante secondario (fig. 2, cl. 2), con le stesse moda- lità con cui esso appare al torace. Contemporaneamente però, e a differenza di quanto accade al torace, troviamo che il cov- done limitaute primitivo (fig. 2, cl. 1) subisce una riduzione gra- dualmente minore quanto più consideriamo sezioni craniali; anzi l'estremità craniale aumenta di volume e di estensione; così alla fine del 6° giorno è raggiunta la disposizione definitiva — salvo piccoli particolari — che è rappresentata schematicamente nella fig. 2. Come appare da questa figura, i primitivi rami comunicanti tendono a scomparire, procedendo in senso craniocaudale (nello schema non sono più visibili i tre primi); si è invece stabilita una comunicazione, puramente fibrillare, tra il ganglio del vago ed il residuo del cordone limitante primitivo, che possiamo già chiamare ganglio cervicale supremo. L’estremità craniale del cordone limitante secondario è continuata da un fascio di fibre, che rinforzato da altre fibre — veri rami comunicanti — pro- venienti dalle radici del nervo ipoglosso, raggiunge il ganglio 1118 ANGELO CESARE BRUNI cervicale supremo verso la sua estremità craniale. Quest'ultimo è pure continuato da un fascio di fibre, rinforzato da un con- tributo del glossofaringeo e può esser seguìto lungo la carotide interna fino ad un ganglietto connesso col nervo facciale. Il differenziamento istologico degli elementi costitutivi del ganglio cervicale supremo è più precoce di quello degli elementi del cordone limitante secondario cervicale, essendo già avanzato alla fine del 6° giorno di incubazione. Caudalmente il ganglio si riduce a un fascio di fibre, che appartengono alla distribu- zione periferica. Dagli embrioni di ratto ho ricavato i dati più interessanti. Già negli esemplari di 5-6 mm. il cordone limitante della re- gione cervicale, che accompagna il tronco dorsale dell'aorta, collettore degli archi, ha aspetto alquanto differente dal cordone limitante delle altre regioni, che è tuttora puramente mesen- chimale. Infatti, piuttosto che ad un cordone di trabecole proto- plasmatiche polinucleate siamo di fronte ad una colonna di ele- menti molto addensati e mal delimitati, ma non fusì in sincizio, identici a quelli che costituiscono il nervo vago. Inoltre, verso l'estremità craniale, il cordone limitante cer- vicale (fig. 3, cl. 1) è in larga comunicazione col ganglio nodoso del vago, tale che non si può fare nessuna distinzione fra gli ele- menti dei due abbozzi, che sono in continuità assoluta (fig. sche- matica 3). Progredendo nello sviluppo, non trovo in nessuno stadio formarsi dei rami comunicanti, cranialmente a quello del 7° nervo cervicale, per cui mi accosto a Paterson nel riconoscere che — almeno primitivamente — il tronco del simpatico cervicale dei mammiferi, al disopra dell'origine dell'arteria vertebrale, è indi- pendente dai nervi spinali, essendo invece cranialmente in rap- porto col nervo vago e caudalmente in continuazione col cor- done limitante del tronco. Negli embrioni di 7,5-9 mm. non ho più potuto constatare con tanta chiarezza la connessione col vago, ma essa mi è di nuovo apparsa evidentissima negli embrioni di 11 mm., nei quali la disposizione generale del cordone limitante primitivo, all’in- fuori del differenziamento degli elementi, è ancora quella degli embrioni di 6 mm. illustrata dalla fig. 3. Come modificazione essenziale, invece, troviamo che, mentre lenti i P APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 1119 al tronco sono comparsi soltanto i rami comunicanti secondarii, accennanti alla formazione di un cordone limitante secondario, che si fonde col primitivo, al collo si è formato un vero piccolo cordone limitante secondario, costituito da fibre e da cellule, provveduto di rigonfiamenti segmentali e di rami comunicanti proprii e posto, come nel pollo, lungo l'arteria vertebrale nel canale formato dai fori trasversarii. Questo cordone (fig. 4, cl. 2) cranialmente giunge fino al 2° nervo cervicale, caudalmente è collegato al cordone limitante primitivo a livello del 6° nervo spinale; da questo medesimo 6° nervo spinale parte poi un ramo comunicante che unendosi a quello del 7° raggiunge con questo il cordone limitante primitivo (fig. schematica 4). Queste condi- zioni si hanno ancora nell’embrione di ratto di 16 mm., con la differenza che a quest'epoca il cordone secondario è costituito unicamente da fibre e che il tratto cervicale del cordone pri- mitivo comincia a scomporsi in due ammassi ganglionari situati alle due estremità. L’ammasso inferiore, con due tronchi che passano uno in addietro, l’altro in avanti all’a. sueclavia (ansa succlavia), si continua col cordone limitante unico del tronco. Sarà utile ricordare che gli elementi del cordone primitivo cervicale, una volta differenziati, appaiono per la maggior parte diversi da quelli del vago in quanto sono più piccoli e mono- o pluripolari. Non mancano però cellule più grandi, bipolari come quelle del vago, in varii stadii della loro evoluzione. Fra le fibre si riconoscono quelle endogene, simpatiche, per essere più pallide e più fine. A livello dell'unione col vago si vedono fibre passare dal vago al simpatico e dal simpatico al vago, de- correndo tanto in direzione centrifuga, quanto in direzione cen- tripeta. Noterò ancora che alcune osservazioni su embrioni umani mi hanno permesso d’accertarmi che lo sviluppo del simpatico cervicale non vi avviene in modo diverso, sopratutto per ciò che riguarda la connessione primitiva col ganglio nodoso del vago. Prendendo come base le mie osservazioni sul pollo e sul ratto e quelle di Beccari sulla lucertola, posso concludere che nella regione cervicale si arriva in tutti gli amnioti alla costi- tuzione di un cordone limitante secondario, distinto dal cordone limitante primitivo. Anche in questa regione tale cordone prende il massimo sviluppo negli uccelli. Tuttavia nella regione cer- 1120 ANGELO CESARE BRUNI vicale non perde mai della sua importanza il cordone limitante primitivo, del quale, gradatamente, si fanno meno intimi i rap- porti coi nervi spinali e se ne fanno invece man mano più in- timi dei nuovi con nervi encefalici, principalmente col X paio. Vediamo infatti che mentre nei rettili e negli uccelli il vago concorre alla formazione del simpatico cervicale soltanto con fibre, nei mammiferi, molto precocemente, concorre con un tri- buto di elementi cellulari. L'opinione corrente che i ganglii simpatici cervicali siano da considerarsi come il prodotto della fusione in poche masse dei ganglii segmentali primitivi deve essere respinta in modo particolare pei mammiferi. Infatti nei rettili e negli uccelli il ganglio cervicale può ancora essere considerato come un residuo del cordone limitante primitivo, che si è costituito in cordone non segmentato da un materiale proveniente da formazioni me- tameriche (i nervi spinali) e che si è messo in relazione con nervi encefalici; ma nei mammiferi i ganglii cervicali, almeno il superiore ed il medio, provengono da un cordone fin da prin- cipio non segmentato, che non è più fornito metamericamente dai nervi segmentali, ma bensì è fornito da materiale prove- niente caudalmente dalla porzione toracica, segmentale, del cor- done limitante e cranialmente dal ganglio nodoso del nervo vago. Sopratutto importante è il fatto che nei mammiferi una parte almeno delle cellule costituenti i ganglii cervicali proviene dal ganglio nodoso del vago. Voglio mettere questo fatto in re- lazione con le constatazioni di His, di Kuntz, di Abel, secondo le quali alla formazione di alcuni plessi della porzione sopra- diaframmatica del simpatico e principalmente dei plessi e ganglii cardiaci concorrerebbero esclusivamente o principalmente ele- menti del vago e forse anche del glossofaringeo. Nei vertebrati inferiori, secondo His, questa porzione, per così dire, simpatica del vago, destinata a fornire da sola il plesso cardiaco, sarebbe distinguibile nel ganglio nodoso per la forma e la topografia delle sue cellule. Risalendo ai vertebrati superiori, pare che una parte della porzione simpatica del vago si distacchi gradata- mente dal ganglio nodoso e venga nei ganglii cervicali del sim- patico; così, passando dagli anamnii ai sauropsidi e da questi ai mammiferi, troviamo che nella costituzione del materiale, dal quale si formeranno i ganglii simpatici cervicali, diminuisce i —- re APPUNTI SULLU SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 1121 man mano l’importanza degli elementi derivati dai nervi spinali ed aumenta invece quella degli elementi derivati dalla porzione simpatica del vago. 4. — Del plesso ipogastrico e del nervo intestinale di Remak. Il grande nervo intestinale di Remak è una formazione propria degli uccelli; si tratta di un grosso cordone impari di cellule e fibre nervose, che, iniziando il suo sviluppo nel meso dell’ intestino posteriore, viene poi a costituire nell'adulto la grande ansa nervosa mesenteriale. Abel ha recentemente affer- mato che il nervo di Remak si forma nel pollo solo relativa- mente tardi (a metà del 5° giorno), come un cumulo di cellule connesse col cordone limitante. Tutti gli altri AA. invece con- cordano nell’ammettere per questo nervo un'origine molto pre- coce (Onodi, Fusari, His) e sopratutto, in apparenza almeno, tanto indipendente dal resto del sistema nervoso simpatico, che Remak, Fusari ed anche Onodi, il quale ultimo ammette l’ori- gine ectodermica delle altre parti del simpatico, lo fanno deri- vare direttamente dal mesenchima. His ritiene che il nervo in- testinale possa formarsi per migrazione di cellule dai ganglii ‘spinali, precocemente e indipendentemente dal resto del simpa- tico, per la sua vicinanza con l’origine dei nervi spinali e pel fatto che tra le due formazioni — nervo di Remak e nervi spi- nali — non si interpongono organi, come l’aorta, capaci di osta- colare la migrazione delle cellule formative del simpatico. Negli altri amnioti il nervo di Remak non esiste, almeno con quelle modalità che ne fanno negli uccelli una formazione assolutamente caratteristica. Ganfini ne fa un cenno pei rettili, dicendo che esso vi è ricordato da quei nodi cellulari, che, de- rivando dal cordone limitante primitivo, si raccolgono nell’ul- tima porzione del mesentere. Secondo le mie osservazioni, lo studio dello sviluppo del nervo di Remak non può essere disgiunto da quello del plesso ipo- gastrico, la cui genesi, a sua volta, presenta, tanto negli uccelli quanto nei mammiferi, alcune particolarità degne di nota. Già in embrioni di pollo di 82 ore di incubazione ed anche Atti della R. Accademia — Vol. LI. 72 9 È prima, in preparati eseguiti con metodi comuni, sebbene nè il plesso ipogastrico nè il nervo intestinale non siano ancora svi- luppati, si può già riconoscere il luogo in cui si formerà il nervo intestinale, perchè il mesenchima, lungo l'inserzione del meso dell'intestino posteriore, ha un’orientazione diversa dal rima- nente, presentandosi disposto a striscie longitudinali, separate da spazii, probabilmente linfatici, tutti allungati nella stessa direzione, come si vede anche in stadii più avanzati (fig. 5, tratta da un embrione di pollo di 106 ore, R.). Alla fine del 4° giorno e nella prima metà del 5°, in em- brioni trattati col metodo di Cajal, troviamo già costituito il plesso ipogastrico, come una emanazione diretta del cordone limitante primitivo. Si tratta di una trama delicatissima di fibre e di cellule isolate, posta su ciascun lato della linea me- diana nel mesenchima avvolgente la porzione pelvica degli organi digerenti ed urogenitali. Le cellule, nell’embrione di giorni 4 e 1/3 vi sono già perfettamente differenziate, hanno forma bipolare o multipolare (fig. 6, «, è) e possono presentare all’apice dei pro- lungamenti bottoni di accrescimento (fig. 6, a). Le fibre e le cel- lule decorrono liberamente nel mesenchima, per cui all'esame coi metodi comuni, sfuggono facilmente all'osservazione. Ora il nervo intestinale si potrebbe definire come una con- centrazione impari mediana dei plessi ipogastrici dei due lati. Infatti nella regione del nervo di Remak non soltanto conver- gono fibre e cellule destinate a collegare fra di loro i due plessi destro e sinistro, ma ancora gli elementi nervosi vi sì accumu- lano in grande quantità, e, adattandosi alla caratteristica dispo- sizione del mesenchima, si mettono longitudinalmente, secondo la linea d’inserzione del mesentere (fig. 7). Dapprima le fibre sono parallele, ma molto distanziate fra di loro, poi il loro numero aumenta grandemente, e formereb- bero un fascio compatto, se a disgiungerle non si raccogliesse una grande quantità di cellule nervose, tale che alla fine del 6° giorno il nervo si presenta piuttosto come una colonna di cellule tutte già perfettamente differenziate. Verso la fine del 9° giorno le cellule del nervo intestinale, straordinariamente numerose, formano ancora un unico, grosso e lungo ganglio, che soltanto all’11° giorno comincia a scomporsi in un grande numero di ganglii separati. 1122 ANGELO CESARE BRUNI — or 2 7 APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, ECC. 1123 Nel frattempo, su ciascun lato, il plesso ipogastrico, man- tenendosi sempre molto delicato, ha accresciuto il numero delle fibre e delle cellule, ma principalmente si è modificato, in quanto a costituirlo non concorrono solo le fibre e le cellule del cor- done limitante primitivo (che nella regione pelvica è confuso col secondario), ma concorrono ancora fibre provenienti diret- tamente dai nervi spinali del plesso femoro-pudendo. Questo particolare si vede già alla fine del 6° giorno. Nel ratto non ho veduto una formazione che ricordi il nervo di Remak. Per il plesso ipogastrico potei constatare un fatto molto notevole, che cioè esso ha perdute le sue connes- sioni genetiche col cordone limitante primitivo, conservando in- vece quelle col plesso femoro-pudendo (nervi spinali). Infatti, già in embrioni di 8 mm. vedo da questo plesso partire dei fasci, accompagnati da cellule, che si dirigono medialmente e si spar- pagliano in esile e delicato plesso nel mesenchima denso circo- stante all'estremità caudale dei canali digerente ed urogenitali. Negli embrioni di 11 mm. vidi ancora benissimo fibre e cellule del plesso femoro-pudendo entrare a costituire il plesso ipoga- strico. Infatti nei fasci che dal plesso femoro-pudendo si por- tano medialmente si trovano cellule indifferenziate, che comin- ciano a differenziarsi man man che le fibre si allontanano per spargersi nel plesso ipogastrico (fig. 6, d). Il differenziamento degli elementi nervosi, in questo plesso, è molto avanzato (fig. 6, c e d). Cranialmente ciascuno dei due plessi ipogastrici, destro e sinistro, si mette in rapporto con ganglii del plesso aortico- addominale mediante un fascio di fibre che segue medialmente l’uretere. Nell’embrione di 16 mm. le condizioni non sono essenzial- mente modificate, ma il plesso è molto più ricco di cellule, che formano tanti piccoli gruppi sparsi, simili del resto a quello della fig. 6, c, tratta da un embrione di mm. 11. In nessuno stadio ho potuto constatare delle relazioni di- rette col cordone limitante del simpatico, che nella porzione pelvica del tronco è situato sui lati dell'arteria sacrale media, un po’ più ventralmente che negli altri segmenti del tronco sui lati dell'aorta; sulla linea mediana i plessi dei due lati si met- tono tra loro in rapporto, passando fra i visceri pelvici. 1124 ANGELO CESARE BRUNI Posso concludere che il nervo intestinale di Remak è una formazione caratteristica degli uccelli, dovuta a una concentra- zione impari mediana dei plessi ipogastrici dei due lati, dipen- _ dente dal fatto che fibre e cellule sono probabilmente attratte e con tutta certezza orientate e guidate da una speciale modi- ficazione del mesenchima, per la quale il nervo è riconoscibile prima ancora di essere costituito da elementi nervosi. Il plesso ipogastrico negli uccelli è ancora da considerarsi come dipendenza diretta del cordone limitante del simpatico, cui sì aggiungono contributi dei nervi spinali (plesso femoro- pudendo) costituiti esclusivamente o prevalentemente di fibre. Nei mammiferi invece i nervi spinali del plesso femoro-pudendo hanno acquistato la massima importanza nella formazione del plesso ipogastrico, fornendo ad esso direttamente cellule e fibre, mentre la relazione col cordone limitante è diventata secon- daria, essendo limitata ad un rapporto indiretto, per l’interme- diario del plesso aortico-addominale. Tutto questo è singolarmente analogo a ciò che si verifica alla estremità opposta del tronco, ove abbiamo visto che il sim- patico cervicale nei sauropsidi è principalmente un derivato dei cordoni limitanti, cui si aggiungono contributi del vago; nei mammiferi invece è principalmente un derivato del vago, cui si aggiungono contributi dei cordoni limitanti. 5. — Della presenza di cellule gangliari del tipo di quelle dei ganglii spinali nei primi abbozzi del simpatico. Da lungo tempo è noto che si possono trovare cellule ner- vose differenziate nei rami comunicanti o nei nervi splancnici durante lo sviluppo (C. Rabl) e nell’adulto (Varaglia, Sperino), nè gli AA. mancarono di richiamare l’attenzione sull’importanza di questo fatto — che io pienamente confermo — per dimo- strare l'origine degli elementi simpatici da quelli dell'asse ce- rebrospinale. Ma la particolarità alla quale io intendo qui di fare cenno è un’altra; essa riguarda la presenza di cellule del tipo di quelle dei ganglii spinali nelle note del simpatico durante i alt ita i APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, Ecc. 1125 primi periodi dell'organogenesi. Held è, a mia conoscenza, il solo A. ehe ne parli; egli ebbe occasione di constatarne alla radice dei rami comunicanti e nei rami comunicanti stessi in anfibii e rettili. Io le ho vedute in embrioni di gongylus e di pollo non solo nei rami comunicanti, ma anche nel cordone limitante, sempre in scarso numero (da 3-4 ad 8-10 in un in- tero embrione), ma come reperto costante. Sopratutto degno di nota mi pare il fatto che tali elementi cominciano ad apparire nel g0ongylus di mm. 5 X 4,5, embrione nel quale non sono ancora comparsi i rami comunicanti defini- tivi, destinati a portare il grosso del materiale ectodermico nell’abbozzo mesenchimale, ma susseguente nella serie a quello in cui ho potuto constatare la presenza di alcuni rami comu- nicanti puramente cellulari. Mettendo in relazione tale fatto con la forma delle cellule in questione, si. potrebbe pensare che i detti rami comunicanti cellulari, come vuole Held, siano in relazione unicamente con la parte sensitiva del nervo misto, ed a conforto di questa sup- posizione si potrebbe anche ricordare la circostanza, cui pure accenna Held, e che io confermo, che a quest'epoca non si vede nei rettili alcun segno di migrazione di neurociti dalla metà ventrale del tubo neurale lungo la radice motoria dei nervi spinalì. Nel pollo ho osservata la comparsa delle cellule gangliari in questione verso la fine del 5° giorno, quando i rami comu- nicanti sono già bene sviluppati. La fig. 4 della mia precedente comunicazione ne rappresenta una in rapporto con una massa protoplasmatica polinucleata, appartenente all'abbozzo mesen- chimale. Nell’abbozzo del cordone limitante questi grossi elementi, assolutamente identici a quelli dei ganglii spinali, sì trovano sempre circondati in tutto o in parte da trabecole dell’abbozzo mesenchimale; anche non è raro vedere immersi in tali trabe- cole dei nuclei quasi nudi, aventi la forma vescicolare tipica di quelli delle cellule dei ganglii spinali, così da far pensare che per lo sviluppo delle cellule di tipo spinale nel simpatico, possa avere importanza trofica l’abbozzo mesenchimale. Probabilmente gli elementi che conservano nel simpatico le caratteristiche di quelli dei ganglii intervertebrali sono mi- 1126 ANGELO CESARE BRUNI grati da questi ultimi iniziando il loro spostamento quando non erano più in uno stadio indifferente, ma avevano già cominciato ad evolversi verso il tipo dei neuroni recettori del ganglio; il differenziamento potè poi compiersi sia mentre essi erano an- cora lungo la via che li portava agli abbozzi simpatici, sia quando furono giunti negli abbozzi stessi. 6. — Dell’importanza del ‘ neurotropismo ,, e dell’ “ odogenesi,, nello sviluppo del simpatico. Molti degli AA., che studiarono lo sviluppo del simpatico, cercarono anche di rendersi ragione del meccanismo pel quale si vengono a costituire la parte centrale e quella periferica di questo sistema. Per Balfour ed Onodi la proliferazione e l’ac- crescimento dei complessi cellulari sono sufficienti a spiegare perchè dai nervi spinali si formi il cordone limitante e da questo la porzione periferica. Paterson accetta questa idea separata- mente per la formazione dei rami comunicanti e dei rami peri- ferici, poichè per lui i rami comunicanti originano dai nervi spinali, il cordone limitante invece dal mesenchima. Secondo Froriep i neurociti, provenendo dal tubo midollare, si sposte- rebbero per un doppio meccanismo di migrazione e di spinta mitotica. Ma i due AA. che affrontarono nettamente il problema, ren- dendosi conto delle sue difficoltà, sono His jun. ed Held. His, partendo dalla premessa che il cordone limitante pri- mitivo, indipendente dai nervi spinali, fin dal principio sia costi- tuito di materiale ectodermico, vaglia quattro meccanismi che potrebbero essere invocati per spiegare lo spostamento di questo materiale: 1° l'accrescimento di tutto un complesso cellulare, che spinge avanti una parte degli elementi; 2° il risolversi e lo sparpagliarsi di un complesso cellulare per l'accrescimento delle parti circostanti; 3° il trasporto di cellule, operato dalle fibre nervose durante il loro accrescimento; 4° il trasporto di cellule per opera delle correnti dei liquidi dei tessuti. Non tro- vando nessuno di questi meccanismi sufficiente a spiegare tutti i fatti osservati, viene alla conclusione che si tratti di una mi- grazione attiva. Secondo l’A., i nervi e così pure le cellule ner- I I NS Pe er ____mu teen RIA APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, Ecc. = 1127 vose migranti, si accrescono e si spostano secondo la direzione, lungo la quale irradiano dall'asse cerebrospinale, fino a quando non incontrano ostacoli. Tali ostacoli sono rappresentati dagli epitelii e dagli endotelii: questi o arrestano la migrazione o la deviano. His non ammette in genere che le cellule possano subire un'attrazione, trova però che altra spiegazione non si può dare della tendenza di parti del simpatico ad avvicinarsi ai vasi. Per Held il meccanismo dello spostamento degli abbozzi cellulari simpatici sta nella pressione mitotica di una colonna cellulare, che si moltiplica in fila e nella formazione di processi protoplasmatici, capaci di contrarsi per influenze osmotiche che ne colpiscano la sostanza in via di accrescimento. Nelle linee generali egli ritiene che il meccanismo degli spostamenti nel campo del simpatico non sia diverso da quello che regola lo spo- stamento di tutti gli altri organi durante lo sviluppo. A quest'ultima affermazione io non credo affatto di potermi associare, parendomi che si debba distinguere tra gli organi ed i tessuti che si sviluppano contemporaneamente in stretta cor- relazione, e quelli invece che, sviluppandosi relativamente tardi, compenetrano o sostituiscono altri organi o tessuti, come avviene pei vasi, pel tessuto osseo, pei nervi periferici. La formazione delle gemme d’accrescimento dei vasi, le complicate modificazioni del tessuto fibroso e cartilagineo precedenti l’ossificazione, la stessa formazione di vie protoplasmatiche, in cui si accresce la sostanza nervosa, ammessa da Held per spiegare la formazione dei nervi periferici, sono fenomeni ben diversi da quelli che, ad esempio, accompagnano gli spostamenti dei muscoli, correlativi all’accrescimento ed alle modificazioni degli abbozzi scheletrici. Del resto lo stesso Held, a proposito della formazione dei rami comunicanti del simpatico, afferma che non bastano cause meccaniche a spiegare perchè l’abbozzo del simpatico prenda origine da un determinato punto del nervo spinale. Ed infatti tutti i meccanismi e le altre cause di spostamento degli elementi simpatico-formativi supposte dai varii AA. — all'infuori della attrazione da parte dei vasi sanguigni ammessa da His per casi particolari — possono spiegare in modo più o meno esau- riente il modo di accrescersi del simpatico, ma certamente non dicono perchè il simpatico si formi in determinati luoghi, da elementi provenienti da altri determinati luoghi. 1128 ANGELO CESARE BRUNI Eppure, a mio avviso, basta attenersi alla semplice con- statazione dei fatti per giungere molto pianamente alla deside- rata spiegazione. A nessuno degli AA. che hanno preso in con- siderazione stadii abbastanza precoci può essere sfuggito che negli amnioti il primo abbozzo del simpatico è strettamente connesso col mesenchima e non lo è affatto coi nervi e coi ganglii spinali; ma, guidati da preconcetti, parecchi di questi AA. si sono sforzati di trovare ad ogni costo qualche fatto che po- tesse giustificare l’ipotesi della provenienza dell’abbozzo simpa- tico dai nervi o dai ganglii spinali. Nel lavoro di Held questo sforzo è perfino confessato! Sono stati molto più obiettivi gli AA. che hanno ammesso senz’altro l’origine mesodermica del simpa- tico; le loro osservazioni peccano soltanto di incompiutezza. Infatti nel primo capitolo di questi miei “ Appunti sullo svi- luppo del simpatico , (ved. 1* Comunicazione, l. c.), ho dimostrato che la formazione di un cordone limitante primitivo, costituito, secondo l’opinione generale, da cellule e da fibre provenienti dai nervi spinali, è preceduta dalla formazione, nello stesso luogo, di un abbozzo mesenchimale, il quale ha manifestamente due funzioni: 1° di esercitare sul punto ad esso più vicino del nervo spinale un’attrazione per cui fibre e cellule del nervo vengono a raggiungerlo; 2° di preparare la strada a queste fibre e cel- lule, di guidarle e probabilmente anche di nutrirle. Solo quando la formazione del cordone limitante ectodermico è un fatto com- piuto, l’abbozzo mesenchimale in parte si distrugge, in parte sì trasforma nelle formazioni feocrome. Costituitosi il cordone limitante ectodermico, da esso deriva la maggior parte del simpatico periferico per comuni processi di proliferazione, ma non mancano esempi di nervi simpatici periferici che devono la loro formazione e la loro disposizione a preventive modificazioni del mesenchima; così accade pel nervo intestinale di Remak (cap. 4). Non può sfuggire a nessuno come simili fenomeni di attra- zione e di preparazione di vie guidanti la sostanza nervosa ab- biano un evidente riscontro nel meccanismo patologico della rigenerazione dei nervi. Senza rifare qui la storia di questo importante capitolo della patologia generale, pel quale rimando il lettore ad un interessante e recente lavoro critico-sperimentale di Dustin, ricorderò come nella rigenerazione dei nervi sia stata APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO, Ecc. 1129 data la massima importanza a due fattori: il neurotropismo, cioè la tendenza delle fibre nervose in rigenerazione a dirigersi verso particolari sostanze chimiotassiche, e l’odogenesi, cioè la formazione di speciali vie, che saranno poi percorse dai nervi rigenerantisi. La teoria del neurotropismo ebbe i suoi fondatori in Forsmann ed in Cajal; la teoria dell’odogenesi, fondata da Vanlair, ebbe il suo risuscitatore in Dustin. Nel normale sviluppo del simpatico ambedue i fenomeni del neurotropismo — applicato non solo alle fibre, ma anche al neurociti — e dell’odogenesi sono in giuoco, e si comprende come debba essere così, quando si pensi che la formazione del sistema nervoso simpatico avviene in un’epoca in cui lo svi- luppo è considerevolmente avanzato e le cellule e le fibre de- stinate a formare il cordone limitante primitivo devono racco- gliersi in un luogo, in cui prima esisteva un mesenchima, che negli amnioti è considerevolmente denso, e sostituirsi a questo mesenchima. Non ci deve stupire che un tale fenomeno di sostituzione sla preceduto da importanti modificazioni da parte del mesen- chima stesso, come non ci stupisce che sia preceduta da pro- fonde modificazioni la sostituzione della cartilagine da parte del tessuto osseo. I due fenomeni sono forse più paragonabili di quanto non possa a tutta prima apparire. Dall’Istitato Anatomico della R. Università di Torino diretto dal Prof. R. Fusari. INDICE BIBLIOGRAFICO Vedasi 1% Comunicazione (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di To- rino ,, vol. 51, fasc. 13°, pag. 969). SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Le figure non schematiche vennero eseguite col sussidio della camera lucida di Abbe, tenendo il tavolo da disegno all'altezza del tavolino porta- oggetti del microscopio). Fig. 1-4. — Sono schemi indicanti la disposizione del simpatico cervicale. Con numeri romani sono indicati i nervi (o ganglii) encefalici, con 1130 A.C. BRUNI — APPUNTI SULLO SVILUPPO DEL SISTEMA, ECC. numeri arabi i ganglii intervertebrali. Rami comunicanti e connes- sioni fibrose del simpatico sono indicate in nero, i cordoni fibrocel- lulari mediante striscie bianche con grosse punteggiature. cl.1= cordone limitante primitivo; cl.2= cordone limitante secondario. fig.1= Embrioni di pollo di giorni 44/,. E PERNO : è gl figg3 = ù di ratto di mm. 6. fig4= hi n > apedil: Fig.5. — Embrione di pollo di ore 106. Fiss. Bouin, col. picrococciniglia. Sezioni sagittali di u 10. Disposizione del mesenchima in corrispondenza del nervo intesti- nale di Remak. m = mesenchima non modificato; = mesenchima modificato a costituire trabecole longitudinali separate da spazì allungati nella medesima direzione. Ob. '/1» Zeiss, oc. 8, tubo 160 mm. Fig. 6 a e 6. — Embrione di pollo di giorni 44/, (ore 108). Cajal, sezioni sagittali di pu 10. ced. — Embrione di ratto di mm. 11. Cajal, sezioni sagittali di u 10. a= cellula bipolare del plesso ipogastrico, con bottone di ac- crescimento. b= cellula multipolare del medesimo plesso. Ob. 4/3 Zeiss, oc. 4, tubo 160 mm. c= gruppo di cellule differenziate del plesso ipogastrico. d= fascio di fibre dei nervi spinali (plesso femoropudendo) con cellule indifferenziate e cellule già differenziate (plesso ipogastrico). Ob. 2 mm. Zeiss, oc. comp. 4, tubo 160 mm. Fig. 7. — Embrione di pollo di giorni 4 ‘/ (ore 108). Cajal, sezioni sagit- tali di u 10. Un tratto del nervo intestinale di Remak. Le fibre nervose si ve- dono nel mesenchima differenziato dirette longitudinalmente. Ob. 4/1, Zeiss, oc. 3, tubo 160 mm. BRUNI A.C.- Sviluppo del simpatico negli amnioti Pig:3 ° Vu . 0.99 1000 0 n 9 e _S vw se le C'ACACAT n cordo? 2 co 1 Ù 0.0» ce, Atti dRAccad.d.Scienze diTorino- 12 ZZ MARCO CHIÒ — SULL'AZIONE DELL'ANIDRIDE CARBONICA, ECC. 1131 Sull'azione dell'anidride carbonica e del calcio sull'utero isolato. Nota del Dr. MARIO CHIÒ (Con 1 Tavola). In una Nota precedente (1) sul comportamento chimico e biologico dell'anidride carbonica, — nella quale è svolta l’ipo- tesi sul modo di essere e di agire dell'anidride carbonica nei liquidi dell'organismo, in presenza di calcio, — era stata presa in esame la funzione del cuore di rana isolato, artificialmente irrigato. Ero giunto alle seguenti conclusioni: “ La tossicità del cloruro di calcio circolante in eccesso nelle cavità cardiache è diminuita dall’anidride carbonica posta all’esterno del cuore funzionante. “ La tossicità dell’anidride carbonica è diminuita dal clo- ruro di calcio disciolto in eccesso nel liquido di irrigazione del cuore. “ L'azione antagonista delle due sostanze nei loro effetti tossici dimostra che nell'organismo, in concentrazioni fisiologiche, esse debbono pure comportarsi reciprocamente in modo che la concentrazione dell'una influisca notevolmente sullo stato chi- mico dell’altra, e che le variazioni di concentrazione dell’ani- dride carbonica, modificando primitivamente lo stato chimico del calcio, modifichino secondariamente l’eccitabilità dei tessuti e possano determinare la produzione dello stimolo ,. Nella serie di esperienze che sono oggetto della presente Nota ho compiuto su un organo isolato funzionante di mammi- (1) M. Carò, Sul comportamento chimico e biologico dell'anidride carbo- nica, “ Boll. della R. Accad. med. di Genova ,, XXVIII, 1913. 1132 MARIO CHIÒ fero le stesse esperienze che precedentemente condussi sul cuore isolato di batraco. Allora il liquido contenente variabili quan- tità di calcio circolava nelle cavità del cuore, mentre il liquido contenente variabili concentrazioni di acido carbonico era al- l'esterno del cuore, così che l’azione dell’una sostanza si eser- citava sullo stato dell’altra nello spessore stesso dei tessuti e questi conseguentemente ne mostravano gli effetti; ora l’in- fluenza che le variazioni di concentrazione di una delle due so- stanze determina sullo stato dell’altra si svolge nel liquido ambiente, nel quale è immerso l'utero: questo, in altre parole, risente le variazioni dell'ambiente e mostra come da queste va- riazioni dipenda il suo funzionamento. L’utero isolato (un tratto comprendente il corpo ed una por- zione di corno) di cavia incinta, uccisa con trauma sul capo, era fissato per una estremità al fondo di un grosso tubo da saggio (diam. 5 cm.) e per l’altra estremità collegato con leva scrivente; il tubo posto fino al collo in termostato ad acqua a temperatura costante di 38°; l’organo immerso in liquido di Ringer, saturato di ossigeno con continuo gorgogliamento a pic- cole bolle. La concentrazione del cloruro di calcio variato con l’intro- durre altro Ringer a maggior concentrazione di calcio — come si vedrà nelle singole esperienze — ; la concentrazione dell’acido carbonico variata con l’introdurre altro Ringer saturato di ani- dride carbonica o facendo gorgogliare anidride carbonica a pic- colissime bolle (senza interrompere, naturalmente, il normale flusso di ossigeno). In ogni caso il liquido aggiunto aveva sempre la temperatura del termostato, perchè vi era immerso qualche tempo prima. ESPERIENZE 1° Il tratto di utero è immerso in 50 eme. di liquido di Ringer: in a si aggiungono 25 ce. di liquido di Ringer sa- turo di anidride carbonica. Si osserva un arresto transitorio delle contrazioni uterine. Vedasi la fig. 1*. 2° Il tratto di utero è immerso in 50 cme. di liquido di Ringer: in 1 si aggiungono 2 cc. di liquido di Ringer, nel quale la concentrazione del calcio è 100 volte maggiore che nel li- "4 TRA SULL'AZIONE DELL'ANIDRIDE CARBONICA E DEL CALCIO, ECC. 1133 quido normale; e poichè il Ringer ambiente conteneva il 0,1 °%o0 ne deriva che i 2 cc. di Ringer aggiunti elevano la concentra- zione del cloruro di calcio nel liquido ambiente dal 0,1%» al 0,5 °/o0: si osserva un arresto transitorio della funzione. In 2 si aggiungono altri 2 cme. di Ringer a concentrazione elevata di calcio è si porta così la concentrazione del cloruro di calcio ambiente al 0,9 °/o0: si inizia la fase di arresto, la quale, se- condo mi risulta da altre esperienze, sarebbe molto maggiore della prima; ma in « incomincia a gorgogliare anidride carbo- nica e ad un certo punto la paralisi s’arresta, il muscolo si contrae violentemente e permane in uno stato quasi tetanico. Il gorgogliamento della anidride carbonica s’arresta in @. Il tempo è segnato in periodi di 4°. Vedasi la fig, 2?. 5° Il tratto di utero è stato immerso in cc. 50 di Ringer; successivamente sono stati aggiunti al liquido, a due a due, 6 ce. di Ringer a concentrazione elevata di calcio (sempre 100 volte più del normale); dopo un lungo periodo di lavoro normale si aggiungono, in 4, altri due cc. di soluzione ricca di calcio, ed in 5 ancora altri due; da x ad © gorgoglia nel liquido anidride carbonica. Si osserva che l'organo entra in uno stato di con- trattura, che non è vinto che molto lentamente dalla successiva aggiunta di cloruro di calcio (cioè di soluzione di Ringer ricca di calcio). Vedasi la fig. 8?. 4° Il tratto di utero è immerso in 50 ce. di liquido di Ringer. In 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 sono successivamente aggiunti 2 cc. per volta di Ringer ad alta concentrazione di calcio, così che la concentrazione del cloruro di calcio nel liquido ambiente sale progressivamente al 0,5 ; 0,9; 1,3; 1,7; 2,1; 2,5; 2,9 °/c0- Si inizia il gorgogliamento dell'anidride carbonica (da « ad ©), mentre la concentrazione del calcio non è ancora giunta al suo massimo e si vede che la tendenza all’arresto della funzione è presto troncata e che l’organo riprende a cortrarsi, con altro ritmo perchè le condizioni del mezzo sono state modificate, Il tempo è, come sempre, segnato in periodi di 4°. Vedasi la fig. 4°. 5° Il tracciato che costituisce la fig. 5% è il seguito del tracciato indicato con la fig. 4°. Da « ad © si fa gorgogliare a piccolissime bolle l’anidride carbonica ed il tratto di utero ha una contrazione quasi completamente tetanica. Prima che cessi di gorgogliare l’anidride carbonica si aggiungono in I, 2, 1154 MARIO CHIÒ 5, 4, 5, 6, ©, $ ogni volta cc. 2 di liquido di Ringer ricco di calcio e si osserva che dapprima il muscolo tende a rilasciarsi e che poi si rilascia completamente; ma un successivo passaggio di anidride carbonica provoca una nuova contrazione. In seguito si rilascia poi molto lentamente e non riprende più. Vedasi la fig. 5?. 6° Da una cavia quasi a termine e con un solo corno pieno si prende la maggior parte del collo ed una striscia del corno pieno. Da « ad © gorgoglia anidride carbonica ed il mu- scolo si rilascia, poi quando sta per riprendersi si fa gorgogliare altra anidride carbonica (da «! ad ©!). Prima che il gas cessi di gorgogliare si aggiungono, in 1, cc. 10 di Ringer rieco di calcio, elevando la concentrazione del cloruro di calcio nel li- quido ambiente dal 0,1 °/so al 2,1 °/oo. L’utero rilasciato si ri- prende per azione dell'anidride carbonica e riacquista il suo tono normale; ma un eccesso di calcio determinato dall’aggiunta di altri cc. 5 di Ringer ricco di calcio (la concentrazione del Ca Cl, sale al 3,1 ®00) lo deprime nuovamente e lo porta alla paralisi. Dopo circa 4' di paralisi completa si aumenta ancora la con- centrazione del CaCl, fino al 4,1 °/oo con Vaggiunta, in 3, di altri 5 cc. di Ringer ricco di calcio: la paralisi così continue- rebbe certo per un tempo di gran lunga superiore ai 4' (se pur volessimo supporre che la paralisi provocata colla operazione 2 non dovesse durare più di 4'), ma gorgoglia anidride carbonica da a? ad ©? e l’utero a distanza di meno di 4’ dall’operazione 3 riprende a funzionare quasi normalmente. L’aggiunta successiva di altri ce. 5 (in 4) e poi di altri cc. 2,5 (in 5) di Ringer ricco di calcio porta il muscolo alla paralisi dalla quale non si rialza più, perchè non si somministra più anidride carbonica. La quan- tità di cloruro di calcio portata nel liquido ambiente ha rag- giunto, con l'operazione 4, la enorme cifra del 5,1 °/50. Vedasi la fig. 6°. | L'esame dell’ultimo tracciato mostra come in questo caso sia avvenuto il fenomeno opposto a quello che si rilevò nei trac- ciati precedenti (2, 3, 4, 5): in questi il muscolo fu primitiva- mente depresso dall’eccesso di calcio e rialzato dall’anidride car- bonica, mentre nella fig. 6% si vede il muscolo primitivamente depresso dall’eccesso dell’anidride carbonica e successivamente rialzato dal calcio; poi nuovamente depresso dall’eccesso di calcio e rialzato dall’anidride carbonica. SULL’AZIONE DELL’ANIDRIDE CARBONICA E DEL CALCIO, ECC. 1135 Credo che non si possa non ritenere sufficientemente pro- bativa la dimostrazione dell’antagonismo fra anidride carbonica e calcio. Il calcio è elemento essenziale per quasi tutte le funzioni vi- tali: esso deve trovarsi in una determinata concentrazione ionica, necessaria per la funzione. Un eccesso paralizza, come paralizza un difetto che tenda alla sottrazione completa. Generalmente è causa di stimolo la diminuzione moderata della concentrazione del Ca-ione nel liquido che bagna i tessuti funzionanti, mentre ogni aumento, anche lieve, della concentra- zione è causa di depressione della funzione. Talvolta però si vide che un aumento nella concentrazione del calcio migliorò la funzione ed anmentò l’eccitabilità del tessuto invece di depri- merla. Questo fatto deve essere con probabilità collegato con la concentrazione che primitivamente esisteva nei liquidi intercel- lulari. Se la concentrazione preesistente era inferiore a quella necessaria per l’optimum della funzione, è chiaro che un'azione che tenda ad innalzare la concentrazione tenda a migliorare la funzione. Vorrei con una figurazione grafica rendere l’idea da me con- cepita sui rapporti che corrono fra funzione di un tessuto (per ora del tessuto contrattile) e concentrazione del calcio-ione. Sup- poniamo di avere un angolo col vertice in alto. Nei punti @ a (6) e e si ha la paralisi della funzione risp. per assenza o per ec- cesso di Ca-ione, in % si ha lo sviluppo massimo della funzione, perchè la concentrazione del calcio-ione si trova nella misura più adatta per tale sviluppo. Poichè in genere per le condizioni generali dell'organismo la concentrazione del Ca‘ è superiore alla 1136 MARIO CHIÒ concentrazione, direi così, optimum, essa potrebbe essere segnata nel punto y. Le azioni che tendono a diminuire la concentra- zione del calcio-ione tendono a spostare 7 verso ® e quindi aumentano la eccitabilità portando la funzione verso la sua mas- sima espressione. Ma suppongasi il caso che per necessità 0 permanente o momentanea o per anomalia trovisi la concentra- zione del calcio-ione in tal misura da poter essere posta nel punto x: è in questo caso evidente che una sottrazione di calcio od una immobilizzazione di calcio-ione non potrebbero avere che effetti immediati di depressione, perchè tendono a portare x verso a, mentre un aumento di concentrazione di calcio-ione avrebbe invece un effetto utile in quanto tende a spostare x verso D. Un fatto di questa natura osservarono Gardella (1) e Bu- scaino (2) nello studio dell’azione del calcio sul processo della respirazione: l'iniezione di piccola quantità di CaCl,, ebbe, in condizioni normali, un’azione eccitante, transitoria, sulla fun- zione del respiro. Gardella attribuì questo fenomeno ad una di- minuzione di Ca''ioni in conseguenza di formazione di sali di calcio (fosfati) meno solubili. Ma potrebbe anche dipendere dal fatto che essendo — per oscillazioni, o necessarie od occasio- nali — la concentrazione del Ca-ione leggermente minore di quella necessaria, un piccolo aumento di Ca-ione abbia potuto riportarlo verso quella cuspide che rappresenta la concentrazione ottima. Il centro isolato della Gonionemus, in condizioni normali, cioè nell'acqua di mare, non pulsa, ma posto in soluzione isotonica di cloruro di sodio puro prende subito a pulsare ritmicamente; in soluzione fortemente ipertonica di cloruro di sodio la pulsa- zione s'arresta e riprende se s’aggiunge cloruro di calcio: se- condo Loeb il centro della medusa conterrebbe, nell'acqua di mare, troppo calcio, e perciò non si contrarrebbe ritmicamente ; posto in soluzione fortemente ipertonica di NaCl] la contrazione ritmica mancherebbe per un eccessivo abbassamento di concen- (1) Garperra E., “ Boll. delle Scienze med. di Bologna ,, LXXVII, 1906, “ Arch. ital. de Biologie ,, 1908, p. 83. (2) Buscaino V. M., “ Rivista di pat. nervosa e iagto: i XVIII 518% SULL'AZIONE DELL'ANIDRIDE CARBONICA E DEL CALCIO, ECC. 1137 trazione del calcio rispetto al sodio; fra le due condizioni esi- ‘ sterebbe quella ottima che determina il massimo sviluppo — per l'osservatore — della funzione, che è la contrazione spon- tanea ritmica. Quella condizione che è ottima per l'osservatore non è però tale rispetto alla finalità dell’organo o del tessuto ed è per questo che la concentrazione del Ca'ione non corri- sponde a quella che teoricamente sarebbe la più utile. In condizioni sperimentali si può provocare una diminuzione di concentrazione del Ca ‘ione con sostanze, che o fissano diret- tamente il calcio in composti meno ionizzati, o che a questo effetto giungono indirettamente con spostamenti dell’equilibrio chimico dei liquidi intercellulari. L'anidride carbonica ha, se- condo ogni ragionevole deduzione, un’azione diretta sullo stato del calcio, e questa si svolge sia nel liquido ambiente che con- tiene il tessuto funzionante, come si rileva da queste ricerche, sia nello spessore stesso dei tessuti (cuore), come si vide nelle esperienze da me compiute sul cuore isolato, e già citate. In entrambi i casì l'anidride carbonica portata sull’organo isolato in condizioni normali ebbe azione nettamente paralizzante (perchè fu sempre data in relativo eccesso); ma portata sull’or- gano paralizzato o depresso da un eccesso di calcio conseguì l'effetto diametralmente opposto, cioè elevò la funzione alle sue massime espressioni. In presenza di anidride carbonica l’utero isolato ebbe comportamento pressochè normale in un liquido am- biente nel quale si era successivamente aggiunto cloruro di calcio fino al 5 %0, cioè 50 volte più di quanto si ponga nel liquido di Ringer normale. Evidentemente l’anidride carbonica, portata in un liquido contenente tale eccesso di calcio, ridusse la concentrazione ionica di questo elemento alle sue proporzioni normali, riportando verso la cuspide dell'angolo — secondo la figurazione grafica — quel punto che prima era stato spostato verso €. Una ulteriore aggiunta di anidride carbonica tenderà a far scendere da % verso « il valore della concentrazione io- nica del calcio, ma la depressione risultante della funzione sarà vinta da una quantità di cloruro di calcio tale da rista- bilire l'equilibrio turbato fra gli elementi contenuti nel liquido ambiente. Le oscillazioni dell’intensità della funzione determinate dalle oscillazioni di concentrazione delle due sostanze non possono Atti della R. Accademia — Vol. LI. 9 1138 MARIO CHIÒ — SULL’AZIONE DELL’ANIDRIDE CARBONICA; ECC. essere seguite oltre certi limiti, perchè intervengono altri ele- menti di perturbazione, primo fra tutti l'eccessiva concentra- zione molecolare del liquido ambiente. CONCLUSIONI La funzione contrattile dell’utero isolato di cavia, depressa dall’innalzamento della concentrazione del calcio nel liquido che lo bagna, è riportata allo stato iniziale con l'anidride carbonica. La funzione dell'utero isolato depressa con anidride carbo- nica è riportata allo stato iniziale aumentando sufficientemente la concentrazione del calcio. Le oscillazioni nella concentrazione rispettiva di queste due sostanze hanno per effetto corrispondenti oscillazioni nello svol- gimento della funzione. E probabile che il fenomeno che si osserva in vitro si svolga pure in vivo e che fra le condizioni che conducono al termine della gravidanza ed al parto abbiano influenza non in- differente le oscillazioni dello stato chimico del calcio per opera dell'anidride carbonica, sì che l’intervento terapeutico con l'uno o con l’altro agente possa dare fruttuosi risultati. 2 == —_—__— === ?-— CHIÒ - Sull'azi Ati della Reale Accad. delle Scienze di “UWoumost=2 Vol. LE Torino. - Atti della Reale Accad. delle Scienze di - Sull'azione dell'anidride carbonica. CHIO e = ae ti tai Pe Tn n | 4° “N he

- + Pad: La probabilità di estrarre oro dal 1° cassetto è eguale ad 1, essendo certo che non vi si troverà altro che oro; la probabilità QUESTIONI DI PROBABILITÀ 1141 di trarre oro dal 2° cassetto è - ; quella di trarne dal :3° è 4 zero. Dunque si ha 1 ad 1 PRI 3 1 - o ea )ae= = 31 aXKatg X| 6 pui Risposta: Evvi probabilità 3 dì estrarre oro. Se si domandasse la probabilità di metter la mano nello scrigno che contiene oro e argento (così presenta il problema Bertrand) si ha per risposta i ; III. 2° ProBLEMA., — Messa la mano ad uno scrigno ed aperto uno dei cassetti, vi si è trovato oro; quale probabilità vi è che, aprendo l’altro cassetto del medesimo scrigno, vi si troverà anche oro? Gli studenti dànno diverse risposte; ma difficilmente tro- vano la via che conduce alla soluzione esatta. Vi è chi dice: Poichè non vi è che il 1° scrigno che possa dare oro dai due cassetti, il problema equivale a domandare qual’è la probabilità di metter la mano nel 1° scrigno; probabilità che pel detto in- nanzi è eguale ad |, Un altro ragiona così: Poichè non vi sono che il 1° ed il 2° scrigno che contengano oro, l’aver tratto oro la prima volta vuol dire che o si è messa la mano nel 1° o nel 2°. Se nel 1°, si avrà oro anche la seconda volta; se nel 2°, si trarrà argento. Dunque due sono i casi possibili, e la risposta è: Vi è proba- bilità i di trarre oro la seconda volta. Qualche altro pensa a questo modo: Avendo estratto oro, io ho davanti a me due casi possibili, o di aver messo la mano nel 1° scrigno o nel 2°; l’uno e l’altro caso hanno probabi- lità 3. Applicando dunque il principio della probabilità totale, avremo che pel 1° scrigno la probabilità di trarre oro una se- conda volta è 1, pel secondo è 0); quindi 1 ea. 1 = g KIT gX0 9 La risposta sarà dunque: La probabilità di estrarre nuo- vamente oro è eguale a -; . (#1 ft 1142 GIOVANNI BOCCARDI Un quarto ragiona così: Poichè io ho messo la mano sul 1° scrigno o sul 2°, i cassetti da aprire e sui quali rimane la incertezza sono 3; dei quali 2 contengono oro ed un solo ar- gento. Dal momento che nulla differenzia esternamente i cas- setti, vi sono 2 probabilità per oro su 3 casi: quindi la pro- babilità “michicsta è 2, I primi tre sbagliavano nel ragionamento e nella risposta; l’ultimo dà la risposta esatta, ma erra nel ragionamento. Per puro caso, nelle circostanze del problema, quel ragionamento conduce alla soluzione giusta, ma, come vedremo nell’altro pro- blema che io propongo come estensione di questo del Bertrand e del Poincaré, il considerare semplicemente i cassetti senza badare agli scrigni conduce generalmente a false soluzioni. K il Poincaré, certamente senza volerlo, avvia a questo modo di ragionare, poichè dice: “ Avant d’ouvrir le tiroir, je savais que j'y trouverais une “ pièce d'or ou une pièce d’argent avec une probabilité égale, “ c'est-à-dire 5i or, je puis trouver la pièce d’or dans trois “ cas Aa, A8, Ba, et de ces trois cas un seul, Ba, est favo- “ rable à l’arrivée de la pièce d'argent dans le second tiroir ,. Questa è tutta la soluzione del Poincaré. Se vi è probabilità ; di cavare argento, vi è probabilità di cavare oro. Bertrand, secondo il tono geniale e spiritoso del suo vo- lume, gioca sulla risposta 5 (la prima da noi esposta) e dice: La probabilità di mettere la mano sullo scrigno 5, contenente 1 3 ; _ oro ed argento, era 3 prima di aprire alcun cassetto, come mai può diventare 5 pel fatto che si è aperto un cassetto? «“ Comment croire, cependant, qu'il suffira d’ouvrir un tiroir i RIE Duiy “ML “ pour changer la probabilité et de -, l'élever à ? ». 1a] - Egli prosegue con una estensione a 300 cassetti, che, col rispetto dovuto a tanto uomo, finisce con confondere anche più il lettore. Sta poi che con la sua domanda spiritosa Bertrand, nella mente degli studenti, sembra non fare differenza fra la at dint ata fe : ds fr 4 ti pe, bite IE tion DI PROBABILITÀ ani ; Ta rai roba bilità @ priori, prima di aprire un cassetto e quella‘ a po- st eriori, cioè trovato oro in un cassetto, qual’è la probabilità "di aver messo la mano nel 1° scrigno? LI » IV. — Ecco adesso come io procedo nel cercare la solu- ey: «zione. Poichè si è estratta una moneta che è risultata di oro e e l’estrarre nuovamente oro dipende dall'aver messa la mano ti » nel 1° cassetto anzichè nel 2°, qui dobbiamo applicare il teo- Mac rema di Bayes sulla probabilità delle cause, assomigliando gli secrigni ad altrettante cause e l'estrazione delle monete ad effetti. La regola di Bayes può enunciarsi nel modo seguente: Quando si è avverato un avvenimento A, il quale può essere | prodotto da diverse cause, C,, Cs, lg, ... Om, e la probabilità che agisca ognuna di quelle cause è rispettivamente Qi, Qo, Gg: + Quo mentre, dato che agisca una di quelle cause, vi è rispettivamente probabilità pi, pa, Ps; «-. Pa che ne provenga l'avvenimento A, la probabilità che sia stata la causa C; a produrlo è data dalla formola qi Di Zqp Di questa regola si fa ordinariamente applicazione al pro- blema delle urne contenenti palline di diverso colore, una delle quali è stata estratta e si domanda la probabilità che essa pro- venga da una data urna fra quelle. Per esempio: Sieno date m urne simili, contenenti ognuna un certo numero è di palline . bianche ed un numero a di palline azzurre e sia diverso il rap- porto è. nelle singole urne. Si mette la mano in una delle urne, a caso, se ne estrae una pallina bianca. Qual'è la probabilità che essa provenga dall’urna è? Poichè in questo caso la probabilità di metter la mano in una di quelle urne è eguale per tutte, abbiamo q;=90="93="..- Qne La risposta è data dalla formola MESI, (1) sa ì Prendiamo adesso gli scrigni come urne, aventi però tutte complessivamente lo stesso numero di palline, che qui sono le 1144 GIOVANNI BOCCARDI monete contenute in altrettanti cassetti, e vediamo subito che non si possono considerare i singoli cassetti come se fossero isolati, mentre sono raggruppati a 2 a 2 in ognuno dei 3 serigni. Se questo è vero prima di metter la mano ad uno scrigno per aprirne un cassetto e trarne fuori la moneta contenutavi, non è più vero dopo che ciò si è fatto. Con l’immagine delle urne non è più possibile un equivoco. Applicando dunque la (1), cercheremo la probabilità @ po- steriori di aver messo la mano nel 1° scrigno non contenente altro che oro, ossia la probabilità che la moneta di oro estratta appartenga al 1° scrigno; avremo così la probabilità di estrarre oro la seconda volta. La probabilità di aver messo la mano al 1° serigno è data dal quoziente della probabilità « priori di estrarre oro dal 1° scrigno divisa per la somma delle probabi- lità di trarre oro dagli scrigni che ne contengono, cioè il 1° ed il 2°. La probabilità a priori di estrarre oro dal 1° scrigno è l’unità, essendo certo che dal 1° scrigno non può trarsi altro che oro; quella di trarre oro dal 2°, che contiene oro in un cassetto, argento in un altro, è i abbiamo dunque hell 2 1+3 Risposta: Evvi probabilità eguale a ; di trarre oro una seconda volta. V. — Estenderemo adesso il problema al caso di 4 serigni. ProBLEMA. — Si hanno 4 scerigni con 3 cassetti ognuno. Il 1° contiene una moneta di oro in ognuno dei cassetti; il 2° contiene oro in 2 cassetti, argento in 1; il 3° ha oro in 1 cas- setto, argento negli altri; il 4° contiene argento in ognuno dei cassetti. Si mette la mano in uno scrigno ed apertone un cassetto, vi si trova oro. Quale probabilità vi è che, aprendo nello stesso scrigno un altro cassetto, vi sì troverà nuovamente oro ? SoLuzione. — L’avere estratto oro esclude il 4° cassetto; il problema si può allora enunciare così: Si hanno 3 scrigni laseboci. —n QUESTIONI DI PROBABILITÀ 1145 con 3 cassetti ognuno; il 1° contiene oro nei tre cassetti; il 2° oro in 2 cassetti, argento nell’altro; il 8° oro in un sol cassetto e argento negli altri due. Messa la mano ad uno scrigno ed apertovi un cassetto vi si è trovato oro; qual'è la probabilità che, aprendo un secondo cassetto nello stesso scrigno, vi si tro- I verà oro? Qui bisogna fare intervenire le probabilità di aver messo la mano nel 1°, nel 2° o nel 3° scrigno e poi la probabilità di estrarre oro dal 1°, dal 2° o dal 3°. Applicheremo la regola di Bayes e la formola (1) ragionando nel modo seguente: La probabilità di aver messo la mano nel 1° scrigno, in altri termini, che la moneta di oro estratta provenga dal 1°scrigno, è data dal quoziente della probabilità di trarre oro da quello scrigno prima di aprire uno dei 3 cassetti, divisa per la somma delle probabilità di estrarre oro da ognuno dei 3 scrigni che ne contengono. Ora la probabilità di cavare oro dal 1° scrigno è eguale ad 1, la probabilità di trarre oro dal 2° è SI quella di cavare dal 3° scrigno è 7: quindi la probabilità di aver messo la mano nel 2° scrigno è 1:(1+3+4)= a Similmente la probabilità di aver messo la mano nel 2° scrigno è 2 Zi 3 :(1+ 3 ri CR quella di aver messo la mano nel 3° è Il 2 1 1 . Bpriel —_ 3 :\1+3 3)": Adesso, la probabilità di trarre oro dal 1° scrigno quando vi si è messa la mano è 1, quella analoga quando si è messa la mano nel 2° è 3 ; quella di trarre oro dal 3° scrigno (che ne conteneva una sola, la quale si suppone estratta quando si suppone di aver messa la mano nel 3° scrigno) è zero. La RA LI PIPA PIO DI Sp TRONI LI St PA tt PI pa Lu RITI LIO SRI ci E È CLS E CRI RADI ODE SPA GARA ù è pi » È > “ 1146 GIOVANNI BOCCARDI Dunque la probabilità di trovare oro aprendo un secondo cassetto dello scrigno cui sì è messa la mano, che è una pro- babilità totale, è data da 1 2 di gti. usi n pe g'DSLET PERITI PRO ee ESA) Risposta: La probabilità di trarre nuovamente oro è equale a) w| Lo VI. — Se si volesse fare il conto coi cassetti, conside- randoli come indipendenti e nelle stesse condizioni di probabi- lità, si direbbe: Estratto oro da un cassetto, rimangono 5 cas- setti con oro su 8 cassetti (il 4° scrigno rimane sempre escluso), dunque: La probabilità di trarre oro nuovamente è eguale a <> . (o, La probabilità di cavare argento sarebbe 3. Ma, come abbiamo detto innanzi, questo modo di ragionare è errato. I cassetti rimasti non aperti nei 3 primi scrignetti non si trovano nelle stesse condizioni di probabilità, quanto ad aver messa la mano nello scrigno cui appartengono. Allorchè si è estratto oro una prima volta è più probabile di aver messo la mano nel 1° scrigno che nel 2°, e più in questo che nel 3°. II: VII. ProBLEMA. — Si hanno m palline in un'urna, es- sendo m un numero pari o dispari. Qual è la probabilità che prendendone con un sol colpo un certo numero, questo sia pari o dispari? (!). (4) Chi non si occupa di probabilità che per caso, potrebbe pensare che con l’impostare così la questione si venga dapprima a ritenere eguali le probabilità di trarre un numero pari o un numero dispari, mentre poi si trova che vi è più facilità per un numero dispari; ma chi ragionasse così mostrerebbe d’ignorare come si trattino i problemi di probabilità. Qui sì suppone identico l’atto di estrarre una combinazione qualsiasi e si cerca se è più facile estrarre un numero pari o dispari. I eg CO n" nti dii di r Di case Mon -d Me di VOI PAESI Mu dati | QUESTIONI DI PROBABILITÀ « SEDE Rep “ __SoLuzione. — I casi favorevoli alla estrazione di un numero | pari sono soltanto le combinazioni di m oggetti a 2, 2, a 4, 4, ecc. Mio I casi favorevoli a un numero dispari sono le combinazioni di m QUER oggetti ad 1 ad 1I,a3 a 3, ecc. Quindi il numero dei casi favo- Mu, revoli alla estrazione di un numero pari di palline è dato dalla +08 somma dei numeri delle combinazioni pari. Evidentemente la combinazione zero a zero è qui esclusa, dovendosi di necessità estrarre un certo numero di palline. : Similmente il numero dei casi favorevoli alla estrazione di un numero dispari di palline è dato dalla somma dei numeri delle combinazioni dispari. Il numero poi dei casi egualmente possibili è la somma di quelle due somme. Per avere queste due somme immediatamente ricorreremo alle note relazioni @) \ 2=14 (nm); Hi (UDE “| A (72) , ( O=I-(M+ (MM +. (1), rd che si ottengono ponendo a=1, b=+1 nello sviluppo di (a+ db)”. Addizionando le (2) si ha (3) = 2+2(MmM + 2(M tt. Isolando nel 2° membro il donpio della somma delle com- binazioni pari 0, e dividendo per 2, si ha lo =205= 1, Sottraendo la seconda delle (2) dalla prima, otteniamo È (4) 2"=2[(M + (0) +... e quindi per la somma (€; delle combinazioni dispari SEI nt Il numero poi di tutte le combinazioni possibili è dato da C,+ Ci, ossia è eguale a pra quarti 2 1 Pa 1148 GIOVANNI BOCCARDI come si ha pure immediatamente dalla prima delle (2), che dà (n), + (ma + (1) + (Mm +... = 2° 1. Passando alle probabilità, dobbiamo fare il rapporto del numero dei casi favorevoli a quello dei casi egualmente pos- sibili, sicchè avremo: Probabilità di estrarre un numero pari di palline LI no i Me ; probabilità che è <1. i Probabilità di estrarre un numero dispari i i | gm 1 2 ori og tarzi? O DE 3 1 probabilità che è AE ; | Dunque: E più probabile di estrarre un numero dispari di palline. Però la differenza fra questa probabilità e quella di un numero pari, cioè gn_1 è) | è tanto più piccola quanto più grande e m. | Si constata che la somma delle due probabilità che riguar- dano due avvenimenti, che sono i soli possibili ed epposti l’uno all’altro, forma l’unità. VIII. — Nella soluzione ora data si è ammesso il caso che si prendano tutte le wm palline insieme, e allora, che m sia pari o dispari, le espressioni trovate per le probabilità di un numero pari e di un numero dispari sussistono. Ma se si fa l'ipotesi che non si prendono mai tutte le palline insieme, allora bi- ue or —_——_.—e-_e ——=_m——__ tettoia } f bi! IA LIRÙ li VE À £ ga 10 NI DI | PROBABILITÀ PAAPATO lai «. Mi -LM Ì iL “Tal È sii Pr) distinguere il caso in cui m è pari F puri in cui è Nel caso di m pari il numero dei casi favorevoli alla uscita di un numero impari di palline eccede di 2 quello della uscita dae — di un numero pari. Se poi m è impari vi sono tanti casi favo- ; 0] revoli per un numero pari quanti per un numero dispari. pe Infatti, se m è parî e non si ammette l’ultima combina- A zione (m),, che allora sarebbe una sola combinazione pari (es- ms | sendo (m),, = 1), la relazione (3), ossia m=24-2[(M) + (Mi +... + (0) + 2 (0) La (4) poi dà =2 [(m), a RALO a a (222),ma] e quindi 2 Ci —_- dr, (0A — ATE, Se invece m è dispari, la (3), ossia "24 2((M + (MM +. 4 (0) ma] e la (4), ossia 2" =2[(m) + (0) +... + (12)m-2e] +2 (10) aC=2" —2, Coa='2"5 — 1 Si vede che quando m è pari, (»2),, è una combinazione pari e bisogna diffalcarla da C, completo, mentre essa non entra nella espressione di (,. Quando poi m è dispari, (m),, è una combinazione dispari che non figura in C,, invece figura. in €, e stabilisce l’egua- glianza di 0, e C,. 1150 GIOVANNI BOCCARDI IX. — Passiamo alle probabilità. Nel caso di m pari, la somma di tutti i casi possibili è C+ 02 = 2 b quindi la probabilità di una combinazione pari è la probabilità di una combinazione dispari è 1 snai I 2 CRI e LOC REG: Si constata che la somma delle due probabilità forma l’unità. Nel caso di m dispari, la somma di tutti i casì possibili è CoqG= 9-2 e si ha, per una combinazione pari, ed 6. Se invece escludiamo l’ipotesi che si possano prendere tutte (IRR Si le palline, poniamo m = 4. Risulterà "MO Per m = 5 avremo C, — 15 , Ci = XI. — Non si comprende come il Laurent (Traité du Calcul des probabilités, pag. 51) abbia perduto di vista la condizione necessaria che la somma delle probabilità pei due casi deve essere eguale all'unità quando, risolvendo questo problema, trova per probabilità di estrarre un numero pari 1 1 fanfea 20 e per un numero dispari (ri Qui la somma è inferiore ad 1. Ecco la soluzione inesatta che dà il Laurent: “i “ Les manières dont on peut prendre un nombre pair de 1 “ boules sont les cas où l’on en prendra 2, 4, 6, 8, ...; les pro- Pesa “ babilités de ces événements simples sont respectivement les « quotients de C,?, C,4, C,5, ... par la somme de toutes les “ combinations que l’on peut tare avec m objets, somme que “ l’on sait étre égale à (1+-1)" ou 2"; la probabilité d'extraire “un nombre pair de boules sera donc Cm + Cm + (0: e Tel A n orsi Li RL 1 1 è gm gm+1 5. cgmil i —— gm+i ’ 1152 GIOVANNI BOCCARDI — QUESTIONI DI PROBABILITÀ “la probabilité d’extraire un nombre impair est de méme Ont+ C+ Optra — (Ve 1 gm gm+l gm+1l c- “ La probabilité d’extraire un nombre impair de boules est “ donc plus considérable que celle d’extraire un nombre pair, “ mais la différence tend vers zéro quand le nombre total des “ boules augmente indéfiniment ,,. Si vede che questa conclusione è esatta, ma il modo di giungervi è erroneo. Laplace si occupa due volte di questo problema, cioè nella Théorie analytique des probabilités (pag. 203 del vol. VII di Euvres complètes) e nella Memoria Sur les suites récurro-récur- rentes (pag. 19, vol. VIII) e conclude sempre che il y a toujours plus avantage à parier pour les nombres impairs que pour les pairs. Però egli suppone sempre che ci si assicuri che il numero x di palline che si estrae non possa eccedere il numero totale m delle palline. Del caso in cui non è consentito di trarre tutte le palline non fa parola. Non si comprende come il Laurent non abbia posto mente alla soluzione data da Laplace. ZII e _ »é— : h | i I D i "i FS °° PE II, L it A. TANTURRI — RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1153 Radici di numeri approssimati ed estrazione abbreviata della radice quadrata. Nota di ALBERTO TANTURRI. Il presente scritto può dividersi in due parti. La 1* fa se- guito alla Nota: Prodotto di due numeri approssimati, comparsa in questi Atti (1915, 25 aprile): e tratta, coi metodi di quella, delle radici dei numeri approssimati. La 2 riprende un antico metodo d’estrazione abbreviata della radice quadrata, e lo com- pleta con teoremi nuovi, utili nella pratica (*). Radici di numeri approssimati. 41 La teoria sta tutta in due proposizioni che qui scrivo coi simboli del “# Formulario Mathematico ,. I mel-+ Nj.aelT10".neNo.k = ordm.9 Vaey(V,a) - + (071) 1077. II Hpl rel*mt-1(Vo)! =(10**/m)".0. S — + (071) Tae (*) Prendo occasione per un piccolo errata-corrige dello scritto citato. — Nell’es. 3° della pag. 932, dopo le parole: *...è un valore di aXa' a meno di 1/10°,, per maggior chiarezza sì aggiunga: “, come risulta subito dal n. 2 ‘1, al quale sempre convien ricorrere quando il prodotto f,, X fn/, si ha, come qui, espresso in cifre ,. Nel rigo 5° dell'es. 3° della pag. 937, invece di t si legga mr(y5 + 1). E nel rigo 5° della 1° nota della pag. 939, si legga: “... non esatti, tutt'e due per difetto o per eccesso:... ,. — La breve citazione dell’altra nota della stessa pag. 939 è poi, credo, la più comoda per il lettore; ma è sproporzionata al gran contributo del Pro- fessore Burari-Forti alla moderna teoria delle approssimazioni. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 74 1154 ALBERTO TANTURRI ‘2 Se a e b sono quantità, ad indica l'intervallo da a a è a compreso e d escluso. E se m è un numero naturale (:1,2,3,...), ord m, che si legge “ ordine di m ,, è quell’intero (:0,1,2,...) x, tale che 10*=:im'<107*R! Essendo poi a una quantità positiva o nulla, e » un intero, Vya=(10ta)/10%; cioè, secondo la nomenclatura della mia Nota citata sopra, = “ parte di « a meno di 1/10” ,. Questo simbolo fu proposto dal Prano nella Nota: Approssimazioni numeriche (“ Rend. R. Accad. dei Lincei ,, 1916, 2 gennaio), insieme con la let- tura che qui adottiamo: “ valore di a con » decimali ,. “ Valore di a a meno di 1/10", significherà invece ogni quantità positiva o nulla y, tale che aey + (071)107", cioè che yZza (10**/m)",. ‘4 Dimostrazioni. — Dalla V,.aza m X V(Vy a)" | in virtù d'un noto teorema elementare (*). (*) Se x e y sono quantità positive, e m è un intero maggiore di 1, y (e + y) e + y/(m Vama). RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1155 Basterà dimostrare che la differenza fra 3° e 1° membro dell'ultima relazione, sempre < 1/10"**; anzi < 1/10", nelle nuove ipotesi della II. È Ora, per la def. di ordine, 10" <= m<10"#!, E sta inoltre la: 1<=V,a<10"; equivalente alla ipotesi: 1k. Prendo a =r — £. Sarà V(V.xa) un valore di Va a meno di 1/10”; anzi, a meno di 1/10", se per qualche 1*'m, è, V.x0 > Gr: Spesso, però, basta dare a x un valore minore di r— #. Precisamente: se esiste un 1°°*m — 1, è, tale che r>%+ i; e m V,x_;a2%;, prenderò «=r—%k—i. Sarà V(V,_x_;a) un valore m di Va a meno di 1/10"; anzi, a meno di 1/10"**, se esiste un 0°*m—— ls, tale cho V.xe0 = 20. caso.sr e,. (*#) Scrivo i casi da studiarsi a parte quando m="2, cioè quando si tratta di radici quadrate. Se ae0*... , si può dir solo che Vae0'... Se ae000..., e a Vae0T04. Reed, 02080 4.,,075.,.; 06. 07108019 Ri può, sorde natamente, dir solo che Vaed3:: OA 0 06,1 087, 01770184, 07851019... La notazione, per es., 0'3... sta invece dell’altra 03'70'4; sicchè la scrit- tura ae0°3... precisa la scrittura comune: «= 0'3...; come è detto nella citata Nota del Peano. Per comodità poi, scrivo, per es., 0'3.:., invece di OS ta0/5S i RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. . 1157 Caso particolare della radice quadrata. 3. Sia « una quantità tale che 1 25, o, che è lo stesso, se a > 25. Il 1° di questi due risultati è, preciso, anche nel VIEILLE (v.: Approrimations numériques, 2° édit.). Ma la condizione suf- ficiente per la maggiore approssimazione visibile « priori, che, col nostro 2° risultato, è semplicemente la: “a > 25 ,, è per quell’Autore la: “ a > 40, ovvero 30 25 (**). Se poi r>1 e a=25, basta scrivere V(V,_10). i = i (*) Non è difficile dimostrare che, per bontà di risultati, la nostra re- gola del n. 1'3 supera quella ottenuta dal VierLe con l’error relativo. Chi voglia far gli esempi di questo Autore osservi che nell’es. 1° egli non x _ tien conto della sua coni tra la 1° cifra di a e quella de Va; in virtù della quale, non solo vo: 4285, ma già Vo: 428 è un valore di V(8/ 7) a meno di 1/10°. E che nell’es. 5°, non solo V/14472, ma già V14'47 è un valore di Y(10-+ 2y5) a meno di 1/10?. (**) Applicando al caso di r= 0 la proposizione rammentata alla fine del n. 1'2, e serivendo E per Vo, avrò dunque: a) E (Va) o =E (VEa), o =E (VEa)+1 h) e, sea=>25, Vi(Vao =Vi(VEa) o =Vi(VEa+1. È però noto che E(Va)=E(VEa), qualunque sia la quantità positiva a; e, del resto, la: E (Va) > E (Ea) equivarrebbe alla: E (Va) > VEa, cioè alla: [E(yva)}? > Ea, o alla: [E(va)}} > a, 0, finalmente, alla falsa: E (Va) > Va. 1158 ° ALBERTO TANTURRI Caso particolare della radice cubica. 4. Sia a una quantità tale che 1a < 10, 3 gt! Se » è un intero, a priori si può dir sempre che y(V,,a) 3 è un valore di Va a meno di 1/10”. Anzi, a meno di 1/10", se V,a =>(10y30)/9. Anzi ancora, a meno di 1/10", se V,a = (1000y3)/9. Per comodità pratica scrivo che (10y30)/9€6:085..., e (100073) 9192450... 3 "2 Se r è un intero, per avere un valore di Va a meno 3 3 di 1/10" basta scrivere V(V,a); che è, anzi, un valore di ya a meno di 1/10”, quando V.a >(10y30)/9; anzi ancora, un va- lore a meno di 1/10"**, quando V,a = (1000y3)/9. 3 Se poi r=>1 e V,_;a =>(10y30)/9, basta scrivere /(V,_14); 3 che è anzi un valore di j @ a meno di 1/10", quando V,_1a > (1000y3)/9. Se, finalmente, r => 2 e V,_.a =(1000y3)/9, basta scrivere V(V,-20). Sull’estrazione di radice. 5. Per l'estrazione della radice m”* si può ricorrere ai teoremi che qui scrivo pure in simboli. ael +Qo.neNo.mel + N,.f= Va (Va)..0- HI Va =f+ (a — f")/(m X f91). IV Raeio a ta KE V aa HL ” [}10" (Sa Ii bi “ Sia a una quantità non minore di 1, 2 un intero, m un m intero maggiore di 1; e sia f.il valore di Va con n decimali. Valgono allora le tre relazioni scritte ,. RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1159 «La III è comune nei trattati. Evidente quando f = Va, sì | ottiene, come è noto, ponendo in ogni altro caso a =" e y=a —f” nel teorema della 1% nota del n. 14.0 La IV è enunciata, per es., nella pag. 102 dell’Aritmetica generale e Algebra elementare di G. Prano, con una traccia di m possibile dimostrazione. Quando f < Va, si può ottenere dal t.: “se x ey sono quantità positive, e m è un intero maggiore di 1, Va+y)>Ve + yilm XV(e+- "(0 ponendo ancora £=f" e y=a —f", e poi tenendo conto della: Vayve+ey[Ve+ta"— =] ,; periondo ef u_a_f* ea=-10”. (*) A differenza del t. della 1* nota del n. 1‘4, la dimostrazione ele- mentare di questo è alquanto riposta. Si può, per es., procedere come appresso. Moltiplico per Va +)", e sarò ridotto a dimostrare che r+y >lx(e + y)tt Lyn; cioè, trasportando y/m ed elevando a potenza m, che (2 + (Mm — 1)y/m]}"> (e + y)". Scambio i due membri, e aggiungo y (x +y)"-!. Dovrò dimostrare che (r + y)”, ossia }[x + sh) ylm) + ylmt",< [x + (m_—-1)y/[m]+ ye +)" Ora quest’ultima si ottiene ponendo a=x+(m—1)y/m e b=y/m nel noto t.: “ se a e 5 sono quantità positive, e m è un intero maggiore di 1, (a +0)" 1: Va<=(f+ alf)/2V,(@/f), che, per ipotesi, = 2/10", avrò che V.,(a/f)=>f + 2/10”. Ma Van(alf)=f+ 2/10"; perchè, come abbiamo visto nella dimostrazione della VII, a/f, anzi =, 114: e, parimenti, la 2* ambiguità è rimossa durante la 3* divisione, la quale precisa che V1:301€1:1406..., perchè V,(1301/1:1406)=>, anzi =, 1'1406. Resta l'ambiguità finale. Per rimuover la quale, il VIEILLE propone esplicitamente una nuova applicazione della VII. Così, nel nostro esempio egli rimuoverebbe la 3% ambiguità (*) Nelle solite ipotesi della VI, si stabilisce facilmente la: f— 2/10" < Von (alff) < f + 2/10”; che dà due confini per Ven (a/f); tutt'e due raggiun- gibili, come si può riconoscere su esempi. Esempio del confine superiore: a= 19368, a= 1, f=45; e del superiore: a= 211534, n= 1, f= #5. Sempre nelle solite ipotesi: Von (a/f) =f+ 2/10%.=.V(alf)=f+2/10".=.E(10î"a)+1=(10*f41). Î o e RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1165 inoltrandosi in una 4* divisione; calcolerebbe, per l'appunto, Vs (1°301/1‘14061386). Si trova che = 1'14061386 (perchè = 1'14061387), e si conclude che y/1:301€1:14061386... (*). Più semplice è però servirsi direttamente della relazione : VaNalf) =f = con la quale y1:301€1'14061386..., perchè 114061386? < 1301. Ma, con le proposizioni che do appresso, le ambiguità si posson rimuovere immediatamente, man mano che si presentano: per l'appunto, la 1® si rimuove già con la 1? divisione, e la 2? con la 2°, e la 8* con la 3*, ecc.; generalmente a colpo d’occhio. 8 ‘1 aelQ.neNi.f=Va(Va)-g=Va}(f4- Va (a/f)]/21. Vn(alff)==ft+2X107".9=10°"V,,(a/f)=quot[E(10°”a), 10"f]. a = Pes (10599, P07) = Teste ei Oo XI ge2N+1 -9-Van(Va)=g XII ge2N PE SV ge — DTT NPXI0--rest[E(10'9),10°]=2,. “ Se poi q è pari e r<2, comporrò un intero facendo se- guire » dalle cifre decimali (3n 4-1)", (3n + 2)", ..., 4°", di a. Il valore di Va con 2» decimali = g — 1/10”, solo se esso in- bero 2? i ‘9 Esempi. 1°. Riprendiamo l’esempio del n. 6 ‘6. Poriendo"a='1°301"% —P ef =" Ito cheNyi ada 18 divisione dà poi che V, (a/f) = 1'1, e perciò non =f + 2/10"; che g= 118, e "-=3. Dunque q è pari, e r<4, cioè del nu- mero 2 formato dall’ultima cifra di g. Ma, scrivendo dopo r la 4 cifra decimale di a, ho 30, che > 2?. E allora, per la XIII, yV1'301€1:14..., senza ambiguità. Ponendo a=1‘301, n=2 ef = 1:14, ho che gg = 11406. La 2* divisione dà poi che V;(alf) =1'14, e perciò non =f+ 2/10"; che gg = 11412, e r;= 32. Dunque. q; è pari, e r, > 6, cioè del numero 2 formato dalle due ultime cifre di g,. E allora, per la XII, y1:301€1'‘1406..., senza ambiguità. Ponendo, finalmente, a =1‘301, n=4ef=1'1406, ho che gg = 1'14061386. La 38 divisione dà poi che V,(a/f)=1'1406, e perciò non =f + 2/10"; e che gg = 114062773. Ed essendo allora g, dispari, senza ambiguità V1'301€1:140618386..., in virtù della XI. (*) g= 10°" Von (alf)= E(10®a/f)=E(10?" a/10”f); che per la d) della nota del n. 6 ‘2, = quot [E (103"a), 10" f]. RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1167 2°, Si sa che V;(V1°24) = 1'11855; e si vuole Vo (V1’24). Con una divisione trovo che 1:24/1:11355 e 1‘1135557451... Dopo di che [Sapere È . )/2e1'1135528725...; e quindi, immediatamente, in virtù della XI, Vio (V1‘24) = 1‘11355289725. Questo esempio è, in sostanza, nel KoEHLFR. Il quale trova, veramente, qualche cosa di più, e cioè che di Vi1 (V1°24) o = 1:11355287257,) o = 111355287256; ma servendosi però del valore di y 124 con 6 decimali, che a noi, con la VI e le XI-XIII, darebbe, e senza ambiguità V,3(V1'24). E noto che le tavole logaritmiche del KorHLER son seguite, tra l'altro, da tavole di radici. Quella delle radici quadrate, per ogni intero, a, compreso tra 1 e 1000, dà V, (Va + 10772); cioè V, (Ya) o V{va) + 1/10", secondochè la 8? cifra decimale di VYa5. E “ conessa tavola ,, dice l'Autore (v. nella pag. xxxVI), “ sì può determinare anche la radice quadrata con più che 7 decimali, fino a 14 ,; e intende però, a meno dell’am- biguità finale, perchè applica, in sostanza, la VI, senza disporre delle XI-XIII, Noi invece siamo in grado di dar subito V,4 (Va), senza am- biguità. Per applicare infatti la VI, noi dividiamo @ per il nu- mero dato dalla tavola; e, con la VIII, a non oltre la 72 cifra decimale del quoziente ci accorgiamo se la tavola ha dato Vi(Va) o V; (Va) + 1/10". Nel 1° caso applicheremo immedia- tamente le XI-XIII, e nel 2° ci porremo in condizione di appli- carle, con un semplice espediente, che ora spiego su un esempio (*). (*) Anzi, se a> 25, noi siamo in grado di ottener subito Vis (Va). Quando infatti a è compreso tra 100 e 1000, dal numero Vs [Y(a/100) +10-#/2], che si può leggere nella tavola, so dedurre Vs [Y(@/100)], e quindi, con sposta- mento del punto decimale, V,; (Va). E quando « è compreso tra 25 e 100, Vis (Va) si deduce dal numero V-(Va +10-'/2) della tavola, con le proposi- zioni dell'ultimo capitolo di questo scritto. 1168 ALBERTO TANTURRI 3°. Leggo nella tavola del KornLer che V,(y5+107/2)= 2‘2360680; dimodochè V,(y5) o = 2'2360680, o = 2:2360679. Volendo applicare la VI, divido 5 per 2'2360680. Giunto alla 7" decimale ho il quoziente 2‘2360679, minore del divisore; il che (v. VIII) mi assicura che V,(V5) = 2:2360679. Continuo allora la divisione, scambiando però tra loro il divisore e il quo- ziente ottenuto, e spingendomi fino alla 14% decimale. Avrò che q= 223606805499958 e r= 4648518; sicchè g= 2'23606797749976 e e = 7749976. Per la XIII, poichè evidentemente r X 107 < 2%, senza ambi- guità V,,(v5) = 223606797749975. 9. In questo n. do le dimostrazioni delle XI-XIIIL ‘1 Comincio dallo stabilire che, nelle ipotesi: ael+ Qo.neN, .f=Va(Va).9 =Vmn}(f+ Van (0/f))/24, vale l'uguaglianza logica : a) Viva) =g.=.10*Xrest[E(10?"a), 2 Xx 10%] + rest [E(10°"a), 10" ]>[10”"(9—/)}. La VI dice infatti che, in quelle ipotesi, g — 1/10" <= Va < g+ 1/0°" (cfr. 62). Dir dunque il 1° membro logico della @) è come dire che g<7a; 0 che a= g?, o che 10%a>(10”g)?: la qual relazione, avendo intero il 2° membro, equivale (v. 5) della 2* nota del n. 1‘4) alla (1) E(10%”a)> (10° 9)?. Ma si stabilisce facilmente che E(10%a)=2X10*fX E[E(10"a)/@X10")]}+ 10"X rest[E(10*"a), 2X10"f)]+ rest [E(10°a), 10"], e 10°g=10°f/2 + E[E(10®a)/(2X10"/)](*): (*) E(10%@a)= 10” x E[E(10* a)/10"] + rest [E (10# a), 10”], in virtù della relazione: dividendo =divisore X quoto + resto. Ora E[E(10*" a)/10"])= È RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1169 | sicchè, sostituendo nella (1), e poi trasportando il 1° termine del 1° membro, avrò come equivalente del 1° membro logico _ della a) la relazione: 1 10" X rest [E(10°a), 2 X 10"f]+ rest [E(10%a), 10°] => =}E[E(10®a)/(2 X 10°7)] — 10%//28; nella quale il 2° membro, in virtù della espressione ora data per 10°9, si può anche scrivere [10° (9 — f)]}. Si è così otte- nuta la a). i ‘2. Per comodità, diremo che vale la @) nelle ipotesi : I ael +4 Qo.neN, .f=Va(Va).9= Von}[f+ Van (0/f)]/2 1. I Va (af) ==f+2 X107". Dimostro ora che, in queste stesse ipotesi: b) 10° (g —f)=rest(10” 9,10”), e quindi ©) 010 (9-0 Dalla f=V, (Va), e dalla ipotesi fatta su V, (a/f), segue infatti (v. VIII e IX) che V,(aff) o =f, o =f-+1/10”. E al- lora la IX insegna che vale la 5). Donde la c); perchè in ogni divisione il resto è minore del divisore. ‘3 Ancora nelle stesse ipotesi di ‘2, dico che vale la pro- posizione : d) rest [E (10° a), Pe 10"f]| SEL (9 — f) Lo Vai (Va) = 9g. E(10?"a) (v. 5) della nota del n. 6 ‘2); che, in virtù della stessa relazione, =2X 10"fX E[E(10* a)/(2X10"f)] +4 rest [E (10 a), 2XX10"f]. Sta dunque la 1° delle 2 uguaglianze da dimostrare. Per la 2°; come è detto nel n. 672, g= Ven[(f+a/f)/2], ossia = Van (ff2+ 10”a/(2X10”f)]. Perciò 10*"g = E[10*"f/2 + 108" a/(2X 10”f)]; che, essendo 10*"f/2 e 2X /10"f dei numeri naturali, = quanto sopra è scritto (v. a) e b) della nota del n. 6 ‘2). Atti della R. Accademia — Vol. LI. -1 ut 1170 ALBERTO TANTURRI Serivo infatti la c), e moltiplico poi a membro a membro con la ipotesi della 4). Avrò che 10" X rest [E(10°"a), 2X10*f]> 10” (9 — f)]}?; e quindi, per la 4), che Va, (Va) =g (*). ‘4 Stabilisco finalmente che, nelle ipotesi: ael+Q.neN,.f=Va(Va).qg= quot|E(10”"a), 10"f]. .r=rest[E(10°”a), 10"f], si può scrivere che rest [E(10°%a), 2 X 10"f]=r + 10"f, se q è dispari, eda—# , segè pari. Ciò segue subito dal teorema (v.,.per es., nel “ Formulario Mathematico ,, pag. 50, 6 ‘2): xeNo.y,zeN..9.rest(2,y X 2) = rest (1, y) 4 + y X rest [quot (x, 4), 2], ponendo += E(10°a), y= 10"f, e a=2. to) Ciò posto, ecco le dimostrazioni delle XI-XIII. XI Essendo 9 dispari, rest [E (10*a), 2 X 10*f]= +10"f; e quindi >0+10"X 1, cioè =>10". Ma, per c), 10">10°(9—f). Dunque quel resto > 10” (9 — f). E allora la d) dice che Va (Va) = g. XI Essendo 9 pari, rest|E(10°a), 2 X 10"f|]= ; che, per ipotesi, > 2, cioè rispetto a rest (10°, 10"), o, per 6), rispetto a 10° (9g — f). E allora la 4) dà che Va, (Va)="g. XIII Nego i due membri logici della a): poi osservo che, essendo 9g pari, rest [E (10®a), 2 X 10"f]=r; e che, per è), 10” (g—f)= 2. Avrò la XII (*) La proposizione reciproca non è vera. Così, per es., se a= 1'30], n=1 e f=1"1, si trova che g=1'14 e Van (Va)= 1'14. Eppure rest [E(10%"a), 2% 10"f], che =3, < 10°" (9 — f), che = 4 RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. 1171 Un caso particolare. 101 Vla meNsvaelt (1-4 2X.10"”"Mo0 Van [(@ +-1)/2] €1[Van (Va)] vi [Van (Va) + 107]. “ Se n è un numero naturale, e a è una quantità tale che 1<=a<1-+- 2/10", il valore con 2» decimali di (a + 1)/2 o è uguale al valore con 2» decimali di Va, o a tal valore au- mentato di 1/10” ,. »I -_ HpVIa.g=Va[(a+1)/2].r=rest[E(10”a),10"].2= aes (10° 9:10) pil XL E(10%a)e2N,+1 ‘oVall'a=g XII E(10”a)e2N, FEE XIII 5 .Q:rest[E(10!%a),10®]<22.=. ,, =,—107””. “ Nelle stesse ipotesi di VIa, calcolo il quoziente, 9g, di a +1 per 2 sino alla 2n"* decimale; e sia r il numero formato dalle n cifre di a che seguono la 2r" decimale, e 2 il numero for- mato dalle ultime » cifre dell’intero 10°"g ,. Si guardi allora la 2n" cifra decimale di 4. “ Se tal cifra è dispari, il valore di ya con 2n decimali =g ,. ‘4 Lo stesso può dirsi se tale cifra è pari, e r>2,. “ Se poi la stessa cifra è pari e r < 2, considererò l’intero formato dalle 2» cifre di a che seguono la »"* decimale. Il va- lore di Va con 2n decimali =9—1/10°", solo se esso intero <2?,. “A Dimostrazioni. VIa Per ipotesi, a > 1; e perciò Va =>1. Essendo poi Va la media geometrica, e (a + 1)/2 la media aritmetica tra a e 1, Vva<=(4+ 1)/2; e, per conseguenza, < 1 - 1/10", perchè, per ipotesi, a — 1+ 2/10”. Dunque: 1=ya<14+- 1/10"; cioè 1= V,(V@). Applico 1172 ALBERTO TANTURRI allora la VI, ponendo f= 1. Il numero g, che (v. fine di 6 ‘2) =Va,[(f +a/f)/2], diventa V,,|(1+a)/2]: e si ha quindi la Vla (*). XIa-XIII, Faccio le ipotesi della VIa; e, nelle XI, XII e XIII, pongo: f=1, g=Va.{(a+-1)/2], g= 10” V2a=E(10°” a), r=rest [E(10* a), 10"|, e 2= rest (10°g, 10"); osservando che certamente V,a non =1- 2/10", perchè V,a 7?; e perciò Va€e1‘07... Si può anzi dire che già V1:1449€e1:07..., e più precisamente che V1:1449 = 1:07; come, del resto, si verifica subito con l'elevazione a quadrato. 1 4°. n=3, e ael'000694... Dimodochè g = 1°000347. La 6* cifra decimale di « è pari: r = numero formato dalle 3 cifre decimali seguenti; e 2 = 347. In virtù dunque della XIIa, : ser347, vael'000347... Se poi r<347, applicherò la XIa: «avrò che Vael'000346... solo quando < 347? il numero formato . dalle 6 cifre di a che seguon la 68 decimale. Precisamente, «poichè 3472=120409, ho che soltanto y1°000694120409 = 1000347. Questo 4° esempio è nel VierLLe. Egli dimostra solo che “ pour extraire la racine carrée d'un nombre 1-+ €, qui sur- “ passe peu l’unité, il suffit d’ajouter è l’unité la moitié de I “ l’excès e; et le résultat est approché par excès, à moins “ de e2/8,. E può scriver subito la relazione: y1‘000694 = 1000347; la quale ha forma di uguaglianza, ma, secondo le sue convenzioni, significa: ael:000694....9.Vae1 000346 1:000348 ; cioè: se a è una quantità soddisfacente alla 1000694 = a < 1:000695, allora 1000346 < ya < 1000348. n PO nn, SAT —_eu Estrazione abbreviata della radice quadrata d’un numero maggiore di 25. 11. Se il numero di cui si cerca la radice quadrata > 25, alle VI-XIII si sostituiscono con vantaggio altre proposizioni, che qui mi restringo a enunciare. "1 VI ae25+ Qo.neN,.fer[V,(Va))vi[V, (Va) +10]. G=Vans1}[f+Ven+1(0/f)}/24-0-961Vansa(V@)]v1{Vania(Va) +10787]. ‘2 HpVT.o0. Vil'=VII V, (alf) e(f— 2 X 107") + (014) 107". VII’=VII iwor.=.f=V.Wo: $ di Li ld Tal) dA "Pe nl AV LIATZO pRA TA MO sr TR Nei 1174 A. TANTURRI — RADICI DI NUMERI APPROSSIMATI, ECC. (/0 IX V,.(a/f)exfui(f+10-").0.V,9=f.10”#(9—f)=rest(10* 9, 10*4j x n =f+2X107".9.Vonp (Va) =f + 107° — 10791, 3° a€25+Qo.neN,.f=V,(Va).9= Venta} Lf + Von (0/f)]/2. V, (a/f)m=f+2X107".g=10"* Van. (a/f) = quot [E(10**!a), 10"f]. | z=rest (10°"*!9, 10"#!).r= rest|[ , ;53 4.06 . XI ge2N+1.V,(a/f)=f 9 VaiVa)=9 XI" à EL SLIP = 219400 a ha 5 .Q:(e + 10°f) X 10° + 3 Preést[E(10#4**2);10*H]|{<22 = AU = 7107758 RXIF=XIF"‘ge2No RES, I RR XII RIS AO I o +rest[E(10*+°a),10"4]<22=....,. =>,—107* d La |”. ° LUCIANO DELLA CASA — RAPPORTO DI GRANDEZZE, Ecc. 1175 Rapporto di grandezze eterogenee. Nota del Prof. LUCIANO DELLA CASA. Nelle applicazioni della Matematica, tanto nella vita co- mune, quanto all’ingegneria, alla fisica, ecc. si opera costante- mente su grandezze; e spesso si presenta il prodotto e il rap- porto di due grandezze, omogenee o no. I trattati di aritmetica o non parlano delle operazioni sulle grandezze o si limitano a pochi cenni. I libri di matematica applicata ne fanno uso, senza darne definizioni teoriche. La questione della possibilità di parlare di prodotti e rap- porti di grandezze fu già oggetto di varie pubblicazioni. Nelle “ Conferenze Matematiche , tenute presso la R. Università di Torino, trattarono questa questione, quest'anno, i professori A. Pensa, che espose la sua teoria pubblicata nel “ Bollettino di Matematica , di A. Conti, 1913, pag. 49; T. Boggio, F. Ca- stellano. Seguendo il consiglio del Prof. Peano, qui espongo una trattazione di queste operazioni su grandezze limitandomi per ora al rapporto di due grandezze. L'idea di grandezza si può spiegare mediante esempi; se ne possono enunciare le proprietà; e si può definire mediante un sistema di proposizioni primitive. Sono grandezze le lunghezze, le aree, i volumi, gli angoli, i pesi, le masse, i tempi, i valori, ecc. Il significato della parola grandezza risulterà determinato dalle sue proprietà. Esprimerò queste proprietà coi due simboli della logica matematica: cioè e, ). E faccio uso delle abbrevia- zioni seguenti: G= “ grandezza ,, versione letterale di uéyedos d’Euclide; Q= “ quantità numerica ,, o semplicemente “ quantità ,; o “ numero reale positivo ,: 1176 LUCIANO DELLA CASA parendomi utile di dare alla parola “ numero , il significato dell’ “ dorduòs , d'Euclide, cioè numero intero. Quindi se n è una quantità, “ n metri, sarà una “quantità di metri ,, con- forme all'uso comune. US e ‘1 aelG.neQ.g.nX ae. “Se a è una grandezza ed » una quantità numerica, allora n X a è una grandezza ,,. Essa viene anche detta “ prodotto del numero » per la grandezza a ,; si indica anche con na. Tutte le grandezze della forma n X a ove n è una quantità, si dicono “ omogenee con 4 ,, sit in Kuclide, libro V; cosicchè Qua, cioè Q X «a significa “ grandezza omogenea con a ,. Essendovi il segno Qua per dire grandezza omogenea con a ,, è inutile introdurre un simbolo speciale per esprimere questa idea. “ ‘2 e GIOR MU “Se a è una grandezza, allora 1 X a è eguale ad 4 ,. QI GePUREQ MX = dARI. a T È * i L “Se a è una grandezza ed n è una quantità, e se n X @ è eguale ad a, allora sarà #= 1 ,. Quindi fra le grandezze non comprendiamo lo zero. ‘4 aeG.m,neQ.g.mX(nXa)=(mXn)Xa. “Se a è una grandezza ed m, n sono quantità, allora m X (n X a) è eguale (m X n) X a ,. Cioè dovendo moltiplicare il numero m per la grandezza x X a, si può moltiplicare # per n ed il prodotto moltiplicarlo per la grandezza a. Questa proposizione esprime la proprietà associativa della moltipli- cazione. Le proposizioni precedenti non sono da noi dimostrate, cioè noi nella presente teoria le assumiamo come proposizioni pri- —°08@IIIQIIICRIIZZ: ZI ZZZ: I ee RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1177 mitive, e seguiranno definizioni e teoremi. In conseguenza noi non diciamo che cosa sia una grandezza, cioè non diamo una definizione nominale di grandezza. Si potrebbe dire a parole che grandezza è ciò che si può moltiplicare per una quantità, il che coincide all'incirca colla frase “ grandezza è tutto ciò che è suscettibile di aumento o di diminuzione ,; come sta scritto nel Trattato di Aritmetica di Bertrand, ed altri. ‘5 a,beG.beQa.9.aeQb. “Se a e è sono grandezze e se 5 è il prodotto di una qua n tità numerica per a, allora anche a è il prodotto di una quan- tità numerica per d ,. Infatti se ne e B=n» Xa, moltiplicando anche i membri per (1/»), abbiamo : Wo) XX = [Un X'aita=1tXxa=@ Il passaggio dal primo membro al secondo si fa colla so- stituzione d= n X a; dal secondo al terzo sì ricorre alla pro- prietà associativa supposta colla P 4; dal terzo al quarto si ricorre all'aritmetica sulle quantità numeriche, e dal quarto al Quinto si ricorre alla P ‘2. Poichè Qa significa “ grandezza omogenea con a ,, questa proposizione si può anche leggere “ se dè è omogenea con a, al- lora a sarà omogenea con è ,. Quindi invece di dire “ a è omo- genea cond , potremo anche dire “ « e è sono omogenee fra loro ,. ‘6 aeG.beQa.ceQb.j.ceQa. “ Se a è una grandezza, e è è una grandezza omogenea con a, e c è una grandezza omogenea con è, allora anche c sarà omogenea con a ,. Infatti se m, nel e posto b=mX a, ir Kid, si ha: canX(mX:a)=(nXm)X.a cioè ec è omogenea con «. 1178 LUCIANO DELLA CASA 7 det. Mne.MXLa=n XA.) .M= N, “ Essendo « una grandezza ed m,n delle quantità nume- riche e se m X a è eguale a nX a, allora sarà m=n,. Infatti, eseguendo sui due membri dell’eguaglianza m X a = =n X.a, la stessa operazione “ moltiplicare per 1/» , e tenendo conto della proprietà associativa si ricava: (min) Xa=a e per la proprietà ‘3 - mjn==1 cioè m= n. VI: Na “ ae, med pa XKa cn Xa Def. Avendo introdotto il prodotto della quantità numerica n per la grandezza a, non avrebbe ancora significato il prodotto della grandezza a per n. Ponendo per definizione ROREN ROTA i si viene così a dare significato ad « X »; per questo il prodotto di una grandezza per una quantità numerica gode della pro- prietà commutativa; sarà perciò lecito a noi di scrivere il fat- tore numerico prima o dopo la grandezza; ad esempio: MEX 5 0 ‘2 aebkimi me iu (me X n) XK wMXNX a) = uh VOX EIOIROIRKA KA XBZSA KM Ra Nel prodotto di una grandezza « e di due quantità nume- riche m ed n, si possono permutare ed associare i fattori in tutti i modi possibili. Risulta dalla proprietà commutativa $ 2 ‘1 e dalla proprietà associativa $ 1 ‘4. fl DO ont TR La ‘” rità —sinta I 7 (A CATE peer RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1179 aeG.néQ.o.am=a X (1/»). Def. Avendo le lettere il solito significato, con @/», che si legge “a diviso n , si intende a moltiplicato per il reciproco di ». Mediante le proprietà commutativa $ 2'1 e associativa $1'4 si possono facilmente dimostrare le seguenti proprietà : ‘4 aeG.neQLud.{(aX.n)n=aX (nin) =aXl=a. ‘5 n aa Ka LX A1/MX AN ae Sa Xleao. Q <) $ 3. Rapporto di grandezze omogenee. dl acne ciba n. = .b=nXK a Def. “Se a e 5 sono grandezze ed x una quantità numerica, dire che il rapporto d/a è eguale ad n, equivale a dire che è è eguale al prodotto n X a ,. Ne risulta: "2 a, beG.blaeQ.9.beQa. “ Se b/a è una quantità numerica, allora è è omogenea con a ,.. Infatti se bla =» ove n è un numero reale, sarà per de- finizione, è =» X a, cioè è è omogenea con a. ‘3 ael.,beQa.9.blae 0. “ Se a è una grandezza e se 6 è una grandezza omogenea con a, allora il rapporto b/a è una quantità numerica ,. Infatti, poichè beQa, esiste una quantità n, tale che 6 = =n X a. E ne esiste una sola; poichè se m ed n sono quantità ese db =mXaeb=nXasaràmXa=nX a onde m= n, per $ 1‘7. Le proposizioni ‘1, ‘2, ‘3 si possono raccogliere’ nella se- guente, ove si fa uso degli altri simboli logici ? (quel), 3 (il quale), n (et): aeG.beQu.9.ba=1Qnana(b=nX a). 1180 LUCIANO DELLA CASA “ Se a è una grandezza e > è una grandezza omogenea con a, allora con bla si intende quel numero » tale che ar aid Il rapporto 5/a di due grandezze omogenee è la ragione |. Aòdyos di Euclide. ‘4 ae6G.9). ala = osi aeG.beQa.9.(bla)Xa=bd. "6 aeG.neQ .9.(nXa)/a= n. Risultano subito dalla definizione del /. i aeG.beQa.neQ.dI.(nX bfa=n X (ba). » Infatti per la ‘5, per la proprietà associativa, e per la ‘6 sì ha: (n X 6b)Ja= n [(b/a) X alla =}{[(n X (b/a)] X a{/a= n X (b/a). E analogamente: ‘8 .9.(bn)fa = (b/a)/n. Risulta dalla ‘7 cambiando » in 1/w. Ed ancora: :9 .9.bllaXn)= (b/a)/n. ‘10 -9 bla | n) = (b/a)X n. Di queste ultime proprietà ometto per brevità le dimo- strazioni. ‘11 aeG.m,neQ.9.(m X a)l(nX a) =m/n. Infatti associando : (m X a)f(n X a) =|(m/n) X (n/a)]/(a X a) = mn. ‘12 aeG.beQa.mneQ.d.(mXd)(nX a) = (m/n)X (b/a). “ Se a è una grandezza e ò una grandezza omogenea con 4 ed m,n sono quantità numeriche, allora il rapporto di m X è ad n X a è eguale al prodotto dei rapporti m/n e bd/a ,. RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1181 Infatti, per la proprietà associativa e per la ‘6 si ha: (mm X B)/( X a) = [(m/n) X (b/a) X (n X a)}/( XK a) = (m/n) X (bla). ‘13 aeG.b,ceQa.9.(a/b) X (b/e) = ale. n-*14 ae&.b,c,deQa.9. (a/d)/(c/d) = (a/c)/(5/d). °15 ueG.a, beQu.I.a/b = (alu)/(b/u). cioè “ il rapporto di due grandezze omogenee colla grandezza w è eguale al rapporto dei loro rapporti alla grandezza ,. Si ottiene dalla precedente (‘12) leggendo a/u e d/u invece di m ed n. $ 4. 2 aeG.beQa.9.a +6=(14+ bla) X a. Def. “ Se a e b sono grandezze omogenee, chiameremo somma di a con è e la indicheremo con «a +- b, il prodotto della quan- tità numerica 1-4 dla per a ,. ‘2 aeG.beQa.Q9.a + beQa. “La somma di due grandezze omogenee, è una nuova gran- dezza omogenea con esse ,. *3 aeG.m,neQ.I.(m+n)Xa=mXa+nXa. Esprime la proprietà distributiva del prodotto di una gran- dezza per una somma di numeri. Infatti: mXatb+nXa=(mXa)(1+n/m=aX(m+ n). ‘4 ueG.a,beQu.N.(a-+ b)u=a/u+ bju cioè il rapporto della somma di due grandezze omogenee « e b, ad una terza v omogenea con esse, è eguale alla somma dei rapporti di «a ad w e di d ad w. 1182 LUCIANO DELLA CASA Infatti: (a+ b)ju=a(14 b/a)/u =(14 da) X (a/u) = alu + (bla) X (alu) = afu+ blu. ‘5 aeG.beQa.neQ I nX(a+09)=nXa+nX db. Esprime la proprietà distributiva del prodotto di una quan- tità numerica per la somma di due grandezze. Infatti: nX (a+ b)=nX(1+4bd/a)Xa = [n +4 (n X b)jfa]X a =nXatn Kb. ‘6 aeG.beQa.dQ.a-b=b+a. Esprime la proprietà commutativa della somma di due gran- dezze omogenee. Infatti, se x è una grandezza omogenea con a e .. si ha: (a + b)lu= afu + bfu, per la ‘4 = blu + alu, perchè @ =(5+ a)/u quindi a+b=b+a. “=> aeG.b,ceQa.Q.a+(b+c)=(a+b) +e. Esprime la proprietà associativa della somma di grandezze omogenee. Infatti, se v è una grandezza omogenea con a, b, c, abbiamo per la ‘4: a+ (b+c)=|[a/u+ (b/u+ c/u)] Xu, associando i termini numerici: = [(a/u+ b/u) + c/u|X «, sviluppando: =(a+9 +. RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1183 deu. 06gG.):0>a. =. 002 Def. “Se a è una grandezza, e è è una grandezza omogenea con a, allora dire che è è maggiore di a, equivale dire che d/a è mag- giore di I ,. ‘2 aeG.beQa .Q.a+b>a ‘3 ueG.m,neQdim>n.=.mXub>nXu 4 ueG.a,beQu.g:b>a.=.blu>a/u. “ Se x è una grandezza, e «,5 sono grandezze omogenee con «, allora dire che è è maggiore di «, equivale dire che b/w è maggiore di a/u ,. Infatti: b>a.=.(blu)Xu>(aju)X « e per la $5°3 ulheMe "5 aeG.b,ceQa.c>b.b>a.dQ.e>a. “ Se a è una grandezza, e db, c sono grandezze omogenee con da, e se c è maggiore di d e d è maggiore di a, allora sarà anche <> SR Infatti: da c>b e da b>a si ricava per la ‘4: clu > b/u e blu > aju, e trattandosi di quantità numeriche, sì ha: clud>alu e quindi c>a. ‘6 aeG.beQa.g:a>b.=.aeb+Qa. “ Se a è una grandezza, e > è una grandezza omogenea con a, allora dire che a è maggiore di è, equivale dire che a è la somma di è con un’altra grandezza omogenea con a ,. 1184 LUCIANO DELLA CASA Questa è una definizione possibile del segno >. Tralascio di parlare della differenza di due grandezze omo- genee, perchè troppo semplice. $ 6. Osservazione. — Nella teoria precedente delle grandezze si parte dal concetto non definito di prodotto di una quantità numerica per una grandezza, del quale prodotto si enunciano le proprietà, e mediante esso si definisce il rapporto di due grandezze omogenee e la loro somma e si dimostrano le pro- prietà relative. Questa teoria si trova in G. Peano, Aritmetica generale e Algebra elementare, 1902. Io ho sviluppato questa teoria dando forma esplicita alle dimostrazioni e completando il sistema delle proposizioni. Questa teoria è la più semplice e la più rapida per chi conosce tutta l’aritmetica, compresi i numeri irrazionali. Ma essa non è l’unica, anzi sotto l’aspetto logico sarebbero forse a preferirsi le teorie in cui si parte dall'idea di somma di due grandezze: se ne enunciano le proprietà mediante proposizioni primitive e si definiscono poi le altre operazioni. Questa ultima teoria ebbe illustri cultori, specialmente in Italia: basti citare l’ultimo lavoro di S. Catania, Grandezze e Numeri (Niccolò Giannotta, Catania, 1915), il quale è ben noto a tutti gli studiosi. Una teoria un po' meno nota è quella esposta da Edward V. Huntington in “ Transactions of the American Mathematical Society ,, tomo 3°, 1902, pag. 265. Ridurrò in simboli il sistema delle proposizioni primitive. Se a,b,c sono enti d’una classe di grandezze omogenee, si ha: 1) a+ dbeG 2) a+b>=a 3) (a +3) +c=a+(0+-0) («loro genre = Def. e cd. daro. 0 5) siefile: Gimme Gres = sd qGoes[res.or. er a')] 6) aeG.9).HGorda(e a’. 6°) Se a è una grandezza, allora esiste sempre una gran- dezza x minore di a. Si Rapporto di grandezze eterogenee. Il rapporto di due numeri (interi), o (numero) razionale, si suol definire o come operatore, o per astrazione, o come classe di coppie. Il rapporto di due grandezze eterogenee si può definire in modo simile. ‘0 a,beG.reQa.9.r(ja XK b)= (xa) Xb Def. 01 $ x X (bla) = S È ‘02 É bla ) È Se a e b sono grandezze, ed x è una grandezza omogenea con a, allora z/a è una quantità: quindi /a è l'operazione * di- videre per a , che si può eseguire su ogni grandezza 7 omogenea con a. Ed ha senso (x/a) X è, che è una grandezza omogenea con d. Noi indicheremo questa grandezza anche con x(/a X b), cambiando l’ordine delle parentesi; e anche con # X (b/a), cam- biando i fattori è e /a, e anche con (b/a)x, cambiando i due fat- tori. Quindi 5/a è un operatore, che si può applicare ad ogni Atti della R. Accademia — Vol. LI. 76 1186 LUCIANO DELLA CASA grandezza omogenea con a, e dà per risultato una grandezza omogenea con b. Questo operatore d/a dicesi anche “ la proporzionalità per cui ad a corrisponde È ,,. si a, de Yad Infatti per definizione : (bla) Xa= (ala) Xb=1Xb=b. Questa eguaglianza è identica alla $ 3 P ‘5; l'ipotesi è più larga. ‘2 a,beG..reQa...(bla)x=y.-9.-yveQb a a/a=y(d. “ Essendo 4 e » delle grandezze, e x una grandezza omo- genea con a, e posto (b/a)x =y, sarà y una grandezza omogenea con db, e si avrà la proporzione scritta, cioè y è la quarta pro- porzionale dopo a, x,b ,. Infatti y= (x/a)b, e x/aeQ, onde si ha la tesi 3. a, pe a Oa CORRI: de (bla) u=(b'/a')u Def. “ Date due grandezze a e 5, e due altre a’ e d' omogenee rispettivamente con a e con d, allora dicesi che b/a= bd'/a' quando, comunque si prenda la grandezza x omogenea con a (e quindi con a'), si ha che i prodotti (bja)u e (0'/a')u risultano eguali ,. ‘4 a,beG.a'eQa.b'eQb.g:bla=b'|a'.=.a'/a= bb. «“ La condizione necessaria e sufficiente affinchè siano eguali i rapporti d/a e d'/a', in cui i numeratori sono eterogenei coì rispettivi denominatori, ma i numeratori sono omogenei fra loro, come pure i denominatori, è che sia soddisfatta l'eguaglianza dei rapporti fra quantità omogenee ,. In tal modo nella proporzione di Euclide a'/a = 2'/ò si pos- sono alternare i medii, e scrivere a'/9' = a/b. | i 1 | I | I | et Reg e RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1187 Infatti. essendo « una grandezza omogenea con a, la bla = b'/a' per definizione significa (bla) u = (2'/a') wu, cioè (ula)b = (w/a') b', cioè (u/a)/(ufa')= d'/b, cioè a'/a = bd'|/b. La definizione dell'’eguaglianza dei rapporti di grandezze si può mettere sotto la forma più simmetrica, ma un po’ più com- plicata : x,yeG/G.g-.r=y.=.qHGous(uXaz,uXyeG.uXa=uXy). “ Se x e y sono rapporti di grandezze (eterogenee), dicesi che x =y, quando esiste una grandezza x tale che su essa si possano eseguire le operazioni x e y; cioè tale che wu XX x e « X y siano grandezze, e si abbia u Xa=wX y ,. ‘5 a,b,c,d,xeG.ceQb.reQa.9. [(d/c) X (b/a)] e = (d/e) X [(b/a) 2]. Def. “ Per prodotto di due rapporti di grandezze d/c e bd/a, es- sendo però c omogeneo con bd, si intende l’operazione che si ottiene eseguendo su una grandezza x omogenea con a, prima l'operazione b/a, e sul risultato l'operazione d/e ,. a,b, ceG.9.(c/b) X (b/a)= cla. Nd a, beG 9. (a/6) X (b/a)= 1 I due rapporti, il cui prodotto è 1, si possono anche qui chiamare l’uno reciproco dell’altro. Se d è omogeneo con c, si ha dalla ‘5 pure definito il pro- dotto d'una quantità numerica per un rapporto di grandezze. Il rapporto di due grandezze eterogenee si può definire per astrazione (invece che come operazione). Allora non si dice che cosa sia bla, ma si definisce solo l’eguaglianza: bla=b'|a' .=.a'/|a=b'/b, conforme alla ‘4. Cioè dicesi che il rapporto delle grandezze eterogenee 5 ed a è eguale al rapporto d'/a', ove d' è omogeneo con è, ed a’ con a, se sussiste l'eguaglianza fra rapporti di gran- dezze omogenee a'/a e b'/b, ove questi rapporti sono le ragioni di Euclide. Poi è necessario definire il prodotto di 5/a per una 1188 LUCIANO DELLA CASA grandezza omogenea con 4 mediante la P ‘02, e le altre ope- razioni, Oppure si può porre d/a= classe di coppie di grandezze b' e a', omogenee rispettivamente con d e con a, tali che a'/a= d' 8; e poi definire le operazioni. ‘ Risulta così chiaro che queste varie teorie si riducono ad — uno spostamento nell'ordine delle proposizioni. i e] ESEMPI In molte questioni si presentano i rapporti di grandezze eterogenee. Così “ la velocità di un mobile è eguale allo spazio percorso diviso per il tempo impiegato a percorrerlo , e la proposizione “ la velocità d'un uomo al passo è di 5 chilometri all'ora , si può scrivere sotto forma semi-simbolica : Velocità uomo al passo = 5 chilometri/ora ove al posto di è si scrive =, e al posto di al si scrive |. Così il segno / si presenta come abbreviazione. Ma esso conserva le proprietà formali del diviso dell’Aritmetica. Volendo la velocità in centimetri al secondo c/s, basta so- stituire chilometro = 100 000€, ora = 60 X 60 s, e si avrà: 5 chilometri/ora = 189 cs. E se voglio lo spazio percorso in 8 ore moltiplico la velocità | pel tempo: (5 chilometrifora) YX 8 ore = 5 chilometri % (8 orefora) = = 40 chilometri. L'unità di misura delle velocità nel sistema c. g. s. è c/s. Il Prof. Castellano (*) propone di chiamarla cine. Parimenti: densità d’un corpo = massa/volume densità dell’aria = 1293 g/m?. | SA LU i i (*) F. CasreLrano, Sulla definizione del moto “ equabile ,, del moto “ equa- bilmente vario , e della “ velocità ,. “ Periodico di Matematica ,, settembre- ottobre, 1908, e Lezioni di Meccanica razionale, 2% edizione, 1911. i RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1189 Queste notazioni sono molto diffuse nei trattati di fisica, quantunque non ancora generali in quelli di Matematica. Da un Manuale di ingegneria ricavo le seguenti formule: Peso del filo di ferro del diametro di 1mm= 6 g/m Peso di una lastra di ferro dello spessore di 1 mm = 7,8 kg/m? Portata media del fiume Reno = 1000 m8/s. La velocità rotatoria si suol misurare dagli ingegneri in giri al minuto, e dai fisici in radianti al secondo; e si ha: giro minuto = 0,1046 radiante/secondo. L'uso del segno / è più raro negli esempi seguenti : prezzo del caffè = 5 L/kg (5 lire al chilogramma) densità della popolazione italiana = 113 abitanti/(km)?. In questi esempi il segno / si può leggere “ al , o anche “ per ,. Si legge “ in , nella frase del tipo: “ L’area di un triangolo sferico in triangoli trirettangoli è quanto il suo eccesso sferico in retti ,, che in simboli è: (triangolo sferico) / (triangolo trirettangolo) = = (eccesso sferico) / retto. Altri esempi tolti dalla vita comune si hanno in: stipendio d’un impiegato = L 150/mese interesse semplice di L. 1000 = 50 L/anno. VIA A Proporzionalità. Ogni problema pratico, in cui date più grandezze, se ne cerca una nuova, qualora tale problema abbia soluzione, deter- mina questa grandezza in funzione di quelle. La natura della funzione è costituita dalle parole del linguaggio ordinario che legano quelle grandezze. 1190 LUCIANO DELLA CASA ‘1 aeG.)..fe proporz (Qa).=:beQa.Ir.fdbeG: TteQuas:fitea) =.x (fia): Def. “ Se a è una grandezza, dire che f è una proporzionalità sulle grandezze omogenee con a, significa dire che comunque sia 6 una grandezza omogenea con a, si ha che fd è una gran- dezza; cioè f fa corrispondere ad ogni grandezza omogenea con a una nuova grandezza. Inoltre soddisfa alla condizione f(xa) = x(fa) qualunque sia la quantità numerica « ,. La relazione f(ca)= (fa) si può mettere sotto la forma f(xa)ffa=%; 0, posto b= ra, cioè essendo 8 omogenea con a, (fb)/(fa)= bja; e così non compaiono che rapporti fra gran- dezze omogenee. Introdotto il rapporto di grandezze eterogenee, poichè fa può essere eterogeneo con a, la proporzionalità si può anche scrivere (f)/b= (fa)/a, cioè il rapporto (fa)/a non varia, sostituendo ad a una grandezza ad essa omogenea. K moltiplicando per è, possiamo anche scrivere: ‘2 aeG.fe proporz (Qa).beQa .9.fb= |[(fa)fa] X 8. “ Se a è una grandezza e f una proporzionalità fra le gran- dezze omogenee con a, allora, data una grandezza qualunque d omogenea con a, il valore della funzione fd è il prodotto del coefficiente (fa)/a (non numerico, ma costante rispetto ad a) per 5 .. Ciò è possibile solo dopo l'introduzione del rapporto di grandezze eterogenee. ‘3 aeG.feproporz(Qa).beQa.I.f(a+0)=fa + fò. “ Se f è una proporzionalità, allora la funzione della somma è la somma dei valori della funzione ,. Infatti per la definizione della somma di due grandezze, si ha: a+b=(14 bja)a onde : f(a+3)=f[(1 + b/a) a). TCP occore cc‘ ’__.— et go * _oV. 7 bc 9 » fe ‘ LI RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1191 e per la definizione di proporzionalità, essendo 1+ &/a una quantità numerica : f(a+3)=(14+ d/a)fa = fa + (b/a) fa ="fa + fb. Viceversa : ‘4 ueG.feGF(Qu):a,dbeQu.Iao.f(a+0)=fa+fb:09.feproporz. “ Se vu è una grandezza, e se f è una grandezza funzione delle grandezze omogenee con v; e se comunque si prendono le gran- dezze a e è omogenee con «, sempre si ha: f(a + 9) = fa + fò, allora f è una proporzionalità ,. Una funzione f tale che comunque si prendano a e 2, si ha f(a+ b)=fa + fb, dicesi funzione distributiva rispetto all’ad- dizione; o anche semplicemente additiva (*). Trattandosi di numeri reali positivi e negativi, la questione, che la proprietà additiva importi la proporzionalità, fu studiata da Eulero; poi da Cauchy nel 1821, imponendo la condizione della continuità della funzione; poi da Darboux nel 1880, supposto che il limite superiore dei valori della funzione sia finito almeno in un intervallo comunque piccolo (**). Ma non facendo altre ipotesi, la questione rimane insoluta. Però, nel nostro caso, la proposizione si può dimostrare. Infatti, ponendo B= a, dall'ipotesi del ‘4 si deduce: f(2a)=2fa. Supponiamo che per un intero » si abbia: f(na)=nfa, allora, ponendo b= na, si avrà: f(a + na)=fa + nfa, (*) F. Exriques, Les concepts fondamentaure de la science, Paris, 1913, pag. 139. (**) G. Peano, “ Formulario Mathematico ,, edit. V, a. 1908, pag. 117-118. Sed ud 1192 LUCIANO DELLA CASA cioè : fin+1)a]=(n+ 1)fa. Perciò la relazione f(na)=nfa, che è vera pern=1e 2, e suppostola vera per un valore intero di », risulta pure vera per x + 1, sarà vera in generale, cioè: (1) neN,.9.f(na)= nfa. Pongo a/n invece di a, e divido per x: neN,.9.f(aln)= (fa)/n. Pongo ma invece di a, essendo m un N,; ed avremo che f(ma)= mfa m,neN,.dJ.f(mal/ny=m(fa)/n, cioè: ©) reNi/Ni.0.f(rA=rfa. “ Se r è il rapporto di due interi, cioè un numero razionale, sarà soddisfatta la proporzionalità ,. La funzione f è crescente, cioè (3) bEA ANT Invero, se d > a, esiste una grandezza tale che b=a+ e, onde per la proprietà additiva, fb=fa + fc, onde fb > fa. Sia ora x una quantità (numerica positiva) irrazionale e siano y e 2 due razionali tali che y>xr>&@ sarà, per $ 5 ‘3: ya >rxa > za, e per la (3): f(ya) >f(ca)>f(2a), e siccome y e 2 sono razionali, per la (2): yfa >f (ca) > =fa, ciau RE la Mi I I | I "i, Care PT RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 11983 e dividendo per fa, in virtù della stessa $ 5 ‘3: y>f(xa)lfa>e; quindi f(xa) fa, che è minore d'ogni numero razionale y mag- giore di x, ed è maggiore d’ogni numero razionale 2 minore di x, sarà eguale ad x: fi(eaifa = 2 onde : pal =: Questa proposizione è molto importante, perchè è spesso più facile verificare la proprietà additiva, anzichè quella che ha servito per la definizione di proporzionalità, e che è in uso in tutti \ libri. Così, se a e d sono lunghezze, e se con « X 5 indichiamo il rettangolo costrutto su esse, è facile il verificare che a X (54 e)= aXb+aXe (Euclide, Libro II, prop. 1). Se ne deduce che a Xx b, considerato come funzione di 6, è proporzionale a b.. Parimenti, da “ prezzo (a + d) = prezzo a + prezzo 8 ,. de- duco che prezzo indica una proporzionalità. Nella proposizione ‘4 non è permesso di portare l'ipotesi aeQu prima dei due punti. Così se «4 è una grandezza, e comunque si prenda la gran- dezza omogenea bd, sempre si ha f(a + 8)= fa + fb, non segue che f sia una proporzionalità. Così se fx = x + sine, sarà, qua- lunque sia x, f(2m-4+ x)=f(2m) + fe senza che f sia la pro- porzionalità. Questo teorema si trova pure in J. Tannery, Lecons d' Arith- métique théorique et pratique, Paris, 1900, pag. 447. Il prof. Michele De Franchis nella sua Geometria elementare ad uso dei Licei, 1909, pag. 343, fa uso della proposizione pre- cedente per dimostrare i teoremi sulla proporzionalità fra gran- dezze geometriche. Ma questi autori trattano diversamente il caso dell’irra- zionale. 1194 LUCIANO DELLA CASA Unità di misura. Essendo a e 6 grandezze omogenee, la quantità numerica d/a che già si chiama ragione o rapporto di b ad a, ed è il Z6yog di Euclide, dicesi anche dagli autori moderni “ il numero che misura è essendo a l’unità di misura ,. Questa frase deve essere considerata come un tutto indecomponibile; non ha senso la frase “ numero che misura 5 ,, come non ha senso nemmeno l’altra “ a è l’unità di misura ,. Così il rapporto d/a di due numeri, o “ valore della frazione il cui numeratore è d e il de- nominatore è a , ha un valore preciso. Ma non ha senso la frase “ valore della frazione il cui nu- meratore è è ,, e nemmeno ha senso la frase “ denominatore della frazione a/ò ,, poichè essendo 1/2= 2/4, non segue che il denominatore di 1/2 sia il denominatore di 2/4 (*). Le espressioni “ misura di una grandezza ,, “ unità di mi- sura ,. al pari di “ numeratore e denominatore , e di tante altre parole di algebra, “ termini d'una somma ,, “ fattori d’un prodotto ,, “ coefficiente ,, “ base, esponente ,, ecc. esprimono proprietà di scritture, non dei valori che esse hanno. Sono delle cosidette “ pseudofunzioni ,. Questi termini in vari trattati mo- derni sono mandati via o relegati in un vocabolario. In teoria, “ unità di misura , significa “ grandezza qua- lunque ,, perchè ogni grandezza può essere assunta come unità di misura. Perciò, per verificare se una proposizione, in cui si parla di unità di misura in modo esplicito o implicito, abbia senso, basta al posto di “ unità di misura , leggere “ grandezza arbitraria ,. In pratica sono unità di misura quelle grandezze cui siamo soliti riferire le altre. E queste unità hanno variato col luogo e col secolo, ed anche in uno stesso luogo e tempo si usano più sistemi di unità di misura. Così noi siamo soliti a dare alle frazioni il denominatore 10, “K (*) S. Catania, Arifmetica razionale per i Ginnasi superiori, 1914, p. 132. ) RAPPORTO DI GRANDEZZE ETEROGENEE 1195 ‘0 una sua potenza; mentre Tolomeo, seguendo gli Assiri, dava alle frazioni il denominatore 60. Le lunghezze si misurano oggi in metri, o chilometri. o centimetri, o micron, o raggio medio dell'orbita terrestre, o anno-luce. Prima del sistema metrico (*), c'erano i romani digiti, pedes e millia passuum. I greci usavano il d@xtv4os, di cui 16 for- mavano il z0vs, di cui 600 formavano Jo ot@dtor. Se allo stadio olimpico attribuiamo il valore di 185 m., come fanno tutti gli autori, 600 stadii formano il grado di me- ridiano terrestre (30 stadii formano la persiana parasanga, 77@- Qaodyyns, che è il cammino di un uomo in un'ora). Nei tempi primitivi si usò il “ tiro di pietra ,, la “ gittata di lancia ,. Così, ZZiade, III, 12 (versione del Monti): EETERE nè va lunge il guardo più che un tiro di pietra e Iliade, XXI, 251: [pRto” diè un salto Achille quant'è il tratto d’un'’asta. Sopprimendo le unità ‘di misura, o facendole = 1, si perde l'omogeneità delle formole, e si arriva ad eguaglianze della forma 40 lire/8 metri = 5 grammi, poichè lira = metro = gramma = 1, e manca il filo conduttore per mettere le unità a posto. Everett, Units and Physical constants (London, 1879), dopo aver spiegato le notazioni che portano all’eguaglianza : Pi a NF LUN EgDOR A N (second) * (minute)? — 1200 scrive: “ Such equations as these may be called “ physical equations ,, inasmuch as they express the equality of physical quantities, whereas ordinary equations express the equality of (*) Larsant et Lemone, Traité d'arithmétique, Paris, 1895, pag. 72: * Déjà plusieurs fois des tentatives infructueuses avaient été faites pour unifor- “ miser, dans le royaume de France, le sistème de poids et mesures; en “ particulier par Charles le Bel, par Louis IX et pendant la minorité de Charles IX en 1560 par les États Généraux; il était réservé à la Con- vention de mener à bonne fin un travail aussi important ,. » 1196 LUCIANO DELLA CASA — RAPPORTO DI GRANDEZZE, ECC. mere numerical values. The use of physical equations in pro- blems relating to units is to be strongly recommended, as af- fording a natural and easy clue to necessary calculations ,. Invece la maggioranza dei matematici professa l'opinione opposta. Lasciando in disparte alcuni che dicono “ io non ho definito il rapporto di grandezze eterogenee, dunque non si può definire ,, mi limito qui a riportare quanto dice J. Tannery, ra- pito nel 1910 alle scienze matematiche che Egli aveva tanto perfezionato con numerosi libri importantissimi, e relativi spe- cialmente alla parte didattica e ai fondamenti della matematica. Il Tannery, nel libro postumo Science et philosophie, 1912, a pag. 319 riporta e critica la definizione contenuta nell’An- nuaire du Bureau des longitudes : “ L’unité de vitesse est la vitesse uniforme d’un centimetre par seconde ,. Egli parte dalla definizione “ La vitesse dans un mouvement uniforme, est le nombre qui mesure la longueur parcourue par le mobile pendant l’unité de temps ,. “ Si l’on prend le cen- timètre pour unité de longueur, la seconde pour unité de temps, la vitesse dont il s'agit dans la définition de l’ Annuaire est le nombre un et nous arrivons à la définition suivante: “ Dans le système Cs G. S., l’ unité de vitesse est le nombre un ,. Ce n'est assurement pas ce qu’ont voulu dire les auteurs de ce système ,. E ragionando in modo analogo, conchiude: # L'unité d’accélération est le nombre un; “ La dyne est le nombre ur: “ L’erg est le nombre ur ,. Le conseguenze cui arriva il Tannery, derivano legittima- mente dalle premesse, cioè dalla definizione “ Velocità è il nu- mero che misura la lunghezza percorsa durante l’unità di tempo , provandone così la sua fallacia. E si può riconoscere diretta- mente. Questa definizione suppone esistere una unità di tempo, mentre “ unità di tempo , è il nome comune di “ secondo, mi- nuto, ora, giorno, anno , e di “ tempo , in generale. È non ha senso il numero che misura la lunghezza; poichè 2 m = 200 cm, e il numero 2 che misura il primo membro non è eguale a 200 che misura il secondo. MPV PR In G. CICCONETTI — STRUMENTI DIOTTRICI, ECC. 1197 i Strumenti diottrici ad obbiettivo composto usati in Geometria pratica. Nota I di G. CICCONETTI. 1. Considerazioni generali. -- Accoppiando all’obbiettivo semplice convergente L, di un cannocchiale (o di una camera | oscura)unaseconda lente L, si avrà un obbiettivo composto L; Ly | e potrà disporsi dei due nuovi elementi: distanza focale di Ly e distanza reciproca delle due lenti in modo che il sistema ZL; La soddisfi a qualche condizione imposta. Supporremo, per semplicità, che le lenti sieno infinitamente sottili e che quindi i punti principali dell'una e quelli dell'altra coincidano rispettivamente coi loro centri ottici 0; , 0, (fig. 1). led. di. slttniiicn 6. diecnnittà Fs f: Le distanze, come di solito, si riterranno positive o nega- tive secondochè sono contate nel senso di propagazione della luce (da sinistra verso destra) o nel senso opposto e indiche- remo con ®i, Ps, P, rispettivamente le distanze focali della lente L,, della lente Ls e del sistema L, La, 1198 G. CICCONETTI F,, Fl: Fy, Fx; F,F'; il 1° ed il 2° fuoco rispettivamente della lente L,, della lente L, e del sistema L, La, A, la distanza O; O, fra le due lenti, sempre positiva, I, la distanza, sempre positiva, fra l'obbiettivo semplice L; ed il piano È ove si forma l’immagine definitiva cioè il piano del reticolo, \, la distanza, che dovrà pur essa risultar sempre positiva, fra -la seconda lente Ls ed il medesimo piano È dell’im- magine, D, il valore assoluto della distanza di un oggetto osservato dalla lente L,. La lente L; è sempre convergente, quindi 9; è sempre po- sitiva. La seconda lente L, potrà essere convergente o diver- gente e in corrispondenza ®, sarà positiva o negativa. Sono elementi necessari alla nostra discussione: la di- stanza 0; F del 1° fuoco del sistema dalla prima lente L;, la distanza 0, F' del 2° fuoco del sistema dalla seconda lente Ly e la distanza focale @ del sistema. Si hanno pertanto le note formole =- a — A) 00F = = (1) 1 P+pao 4 i ’ Pa (Pi — A) 2 == ee go we (2) O, F Pip — A” 9 pd Pi Pa (3) ji P+Pa — 4 le quali sono generali, cioè valgono sia per Ls convergente sia per Ls divergente. Ma in questo secondo caso introducendo il valore assoluto della distanza focale negativa ®, può tornare utile scriverle sotto la forma ’ pda Pi ([9a] 4 A) C) Sale A 9! 1__ —l@al(9— 4) (2) tir per e ! Les — 9 [Pa] DI 7 om A 4 k fi } Ì i : e e TA E O 44, LI ) 5A STRUMENTI PDIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1199 Affinchè il sistema L;, Ls possa funzionare da obbiettivo di un cannocchiale (o di una camera oscura) deve dare di un og- getto lontano una immagine reale da raccogliersi sul piano del reticolo (o della lastra), epperò il 2° fuoco #' del sistema, che è l'immagine di un punto infinitamente lontano, deve essere reale, cioè posteriore ad Ls. È dunque condizione necessaria che la distanza Os F' risulti positiva. Se L, è convergente la (2) mostra che a questa condizione sì può soddisfare o con (4) A ®;+ ®» e allora @ risulta negativa. Se invece la seconda lente ZL, è divergente, la (2°) porta a concludere che per avere 0, /' positiva deve essere (5) Q>A>P—-|Ps], con che la distanza focale @ del sistema risulta positiva. Nel caso che lo strumento debba servire per osservare o proiettare soltanto oggetti che si trovano a notevole distanza, per Ls convergente, ognuna delle due condizioni (4) è pratica- mente accettabile. Ma se lo strumento deve servire con conti- nuità per tutte le distanze dell’ oggetto da infinito a zero è facile vedere che la seconda condizione A > 9; + ®s è inammis- sibile. Infatti per questa continuità di funzionamento non solo è necessario che il 2° fuoco F' del sistema sia reale, ma deve essere il 1° fuoco F virtuale, perchè se fosse reale, cioè ante- riore alla lente ZL, quando l'oggetto si trovasse in / la sua immagine formandosi a distanza infinita non potrebbe racco- gliersi sul reticolo. Dovendo dunque 0, F risultare positiva la (1) mostra che ciò è conciliabile colla condizione A < @, ma non coll’altra A > P; + o. Se poi la seconda lente Ly è divergente si vede dalla (1°) che la condizione (5) pel 2° fuoco reale è incompatibile con 0, F positiva. In altri termini, se il 2° fuoco è reale lo è anche il 1°, cioè questo è anteriore ad L;, e lo strumento non potrà funzio- nare per qualunque distanza dell'oggetto. 1200 G. CICCONETTI Negli strumenti di Geometria pratica ad obbiettivo com- posto, l'accoppiamento della nuova lente Ls coll’obbiettivo sem- plice primitivo L, può effettuarsi, in relazione al piano del re- ticolo, in tre differenti maniere: 1° Facendo invariabile la distanza A fra le due lenti ed in tal caso colle diverse distanze dell'oggetto variano / e A, subendo, s'intende, le stesse variazioni. 2° Mantenendo costante la distanza / fra la prima lente L, ed il piano del reticolo ed allora variano A e A. 3° Lasciando fissa la distanza ) fra la seconda lente ed il reticolo e facendo variare 2 ed ) che subiranno le stesse va- riazioni. Agli strumenti della prima categoria appartengono il Mi- croscopio ad ingrandimento costante, il Plesiotelescopio, ambedue del Prof. Jadanza, ed il Cannocchiale anallattico; sono del secondo tipo i Cannocchiali a lunghezza costante e a visuale reciproca, e finalmente fra gli strumenti della terza specie abbiamo il can- nocchiale cosidetto con oculare di Huyghens. Gli strumenti a teleobbiettivo possono essere tanto colla di- stanza A costante quanto variabile. F16:2, L’ingrandimento d’un cannocchiale è dato dal rapporto fra l'angolo a’ sotto cui è vista l’immagine che di un oggetto AB dà il cannocchiale stesso e l’angolo a sotto cui sarebbe visto l’og- getto medesimo ad occhio nudo. : Se 2 (fig. 2) è la distanza dall’obbiettivo semplice L, del- l'occhio armato di cannocchiale sarà pertanto — AB DH+6b = = e CO ET ______m—v —_ STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1201 L'obbiettivo semplice L, darebbe dell'oggetto A8 una im- magine A4'B' distante d da ZL, per modo che A' B' IONI AB — D Ma poichè 1 Lut20 "URI eg Pi, si ricava ui Di D D_- 9, e quindi A'B' Pi MB: © Dewi L'immagine A'B' si trova ad una distanza da L, che in valore e segno è data d — A e la lente Ly dà di A'B' una nuova immagine AB” tale che AB ì. IN MIRI TA D'altra parte siccome si trae onde A A4°B6 od = SIDE , quindi l'ingrandimento sarà Lato a/ SE A"B" D 4% de AB" A"B' A'B' D+b Fi alfa fair ’ a AB db ‘AB è 4'B' + AB db De LeLeI LL 14 p A'B' e sostituendo per i rapporti magre n i valori trovati si ottiene ROMENO pri Pa — À Pi D+» y Pa D_- 9, ò dove il segno negativo sta ad indicare il rovesciamento dell’im- l’immagine che si verifica nel caso considerato della figura. Il termine ytò—a bi) può ritenersi costante per un dato osservatore, ma per sempli- cità possiamo addirittura metterlo eguale all'unità quando sì consideri come posizione normale dell'occhio quella per la quale il suo 1° punto nodale coincide col fuoco posteriore della lente oculare (a= y}. Resta allora come espressione dell’ingrandi- mento È D+db © Pa. 6 Tee: Rn) (6) D- 9, Pa ’ TT __—————__—_m———n8‘___—_Fr=- —__——o 9% Prg ew STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1208 la quale mostra che l'ingrandimento è una funzione della di- stanza D dell'oggetto osservato. Poichè si può scrivere ES Fee LL D ®r da —A POTE PI Po | D segnando coll’indice 00 i valori che le grandezze variabili colla distanza D acquistano per D= wo si ottiene come ingrandi- mento normale, corrispondente cioè a questo valor limite della distanza dell'oggetto. (6)) VO PINA CR ia Consideriamo il cannocchiale semplice che ha per obbiet- tivo la sola lente L, e lo stesso oculare : il suo ingrandimento è et see. ID Bed — yi W MURI, D e l'ingrandimento normale ae Pi iii sicchè " ci Rea i (6) I,= Yo, Po Tornando al caso generico di un valore qualsiasi della di- stanza D si ha anche per la (6) gitsbi Dt è Detabi, Panta Th AL D+ b' D_- 9, Pa e quindi (6) 12 D+ bi I Pad ” 1204 G. CICCONETTI Ora pi PSI O RIEN PO A i W | DE | DERE =\14+-3)(14+3) =(14)(1-3 au lado È D Se per D si considerano valori sufficientemente grandi da poter trascurare le potenze superiori alla prima dei termini -h/ b b à RNA: 5 grati potra ritenere D PESI e poichè b_=l+d,+a b=d+d,+a risulta b-b=1--d, sicchè, nell'ordine di approssimazione ammesso, (6) I=(14+-3i)s Bet. Per gli strumenti della terza categoria \ è invariabile ep- però l’ultimo fattore del secondo membro è costante per tutti i valori di D. Ne deriva che per quei valori della distanza / pei l—-d quali è trascurabile il termine , l'ingrandimento è espresso da quello del cannocchiale semplice con obbiettivo Li, molti- plicato per una costante. i La formola (6) e le (6), (6'") che ne derivano, non sono applicabili al caso D=9,. Ora, a differenza di quanto accade per un cannocchiale ad obbiettivo semplice, con alcuni cannoc- chiali ad obbiettivo composto è possibile osservare oggetti che si trovano ad una distanza D eguale a ©, minore di ®, e anche nulla. Pel caso D=0, denotando con l’indice 0 i valori che le grandezze variabili con D assumono per questo valore della di- stanza, si ha subito dalla (6) ‘ Oni. di le - (6 ) lo LS Pi 1 STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1205 Per avere l'ingrandimento /r, corrispondente all’ osserva- zione di un oggetto che si trovi al fuoco anteriore di L,, cioè alla distanza D = @,, conviene trovare una nuova espressione dell’ingrandimento introducendo A ed eliminando è. A tale scopo dalle relazioni già trovate SARI, x } Pat DU Da sì traggono rispettivamente onde eguagliando sì ha Ceto PA (9) D_- 9; Fer Pa) O i Se da questa relazione si ricava ) sì ottiene Do, —(D-@®)A \— ©; pi (10) P° Do, — 0-9) (A- dj) Sostituiamo questo valore nella (6) e risulta (11) gitoS pppsfoppifo lo0 svol Wa Contrassegnando coll’indice /, i valori che le variabili con D assumono per D= @; sì ottiene siO4 ia aL2 AR A) par) da | Cn ia (I di Pv Se poi nella (11) si pone D=0 si ottiene una nuova espressione di " e do Pa (11 lar y AP 1206 G. CICCONETTI L’ingrandimento normale /, può anche ottenersi dalla (11) ponendovi DD = xo dopo aver diviso numeratore e denominatore per D. Si ha la quale mostra che, come in un cannocchiale semplice, l’in- grandimento normale è rappresentato dal rapporto fra la di- stanza focale obbiettiva e quella oculare. Dalla (11') introducendo per Ta l'ingrandimento nor- vr vit tai Pa do der WU Pip PA. Î | cioè per la (3) i IV Seat pulp P | (11 ) pa Ta, i male 3, del cannocchiale ad obbiettivo semplice L; si ha (12) ALIA To P+Pa - dy ian e se L, è divergente potrà anche scriversi , I | @a | 12 Ceo Ea SIONI | ) Ts An Pa + |Pa Nel caso di Ls convergente la (12) mostra che per A, < ®; risulta sempre /, < 3, cioè l'aggiunta della lente L, produce una diminuzione dell’ingrandimento, ma per A > @;-+ ®, te- nendo 4, poco maggiore di @, + @» può rendersi il denomina- tore (valore assoluto) minore del numeratore e quindi /, > 3. Il cambiamento di segno che per A >@, + 9» avviene da 9 ad / sta ad indicare che l’immagine ottenuta coll’obbiettivo com- posto è rovesciata rispetto a quella che si avrebbe col solo obbiettivo semplice L,. Nel caso di Ly divergente, dovendo essere soddisfatta la (5), il denominatore della (12') è sempre positivo e sempre minore del numeratore, epperò si ha costantemente /, > I, In conclusione, accoppiando all’obbiettivo semplice L, una lente L, convergente, l'ingrandimento normale diminuisce se A. <%®; e cresce o diminuisce per A, > ®; + ®s secondochè A, (P1+ 92)

. STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1207 Se poi la lente aggiunta è divergente, l'ingrandimento nor- male viene sempre aumentato. Per gli strumenti della prima categoria essendo 4 costante, alla notazione A_ può senz'altro sostituirsi A. È forse inutile aggiungere che le conclusioni ottenute per l'ingrandimento normale valgono, in pratica, anche per valori finiti di /) sufficientemente grandi, con tanta maggiore appros- simazione quanto è più grande la distanza / considerata. I. — Strumenti colle due lenti L; Ly a distanza reciproca invariabile. 2. Microscopio a ingrandimento costante. — In alcuni strumenti usati in Geometria pratica, specie nei teodoliti, la determinazione di piccole distanze su graduazioni rettilinee o di piccole ampiezze su graduazioni circolari si effettua con micro- scopi composti detti « vife micrometrica, coi quali l'intervallo fra un tratto fisso del campo (origine) a cui si riferisce la lettura ed il tratto della’ graduazione immediatamente precedente si misura col movimento di due fili abbinati, paralleli ai tratti, che vengono trasportati in traslazione nel piano dell’ immagine muovendo una vite a passo molto fine e regolare. Supposto che la distanza angolare fra due tratti consecutivi di un cerchio gra- duato sia p. es. 10’ si immagini il passo della vite regolato in modo che quando questa ha fatto un giro esatto i fili abbiano percorso esattamente un intervallo della graduazione cioè 10°. La testa della vite, allargata a disco, sia divisa in 60 parti eguali: allora ad ogni rotazione di una parte della vite corri- sponderà una traslazione dei fili abbinati che sul cerchio gra- duato rappresenta sd —= 10”. Se le cose son disposte in guisa che quando coi fili si collima l’origine o tratto fisso del micro- scopio al tamburo della vite (micrometro) si legge zero, basterà collimare il tratto della graduazione che immediatamente pre- cede il tratto fisso e la lettura del micrometro, moltiplicata per 10 se già non lo è, darà in secondi l’intervallo richiesto. È chiaro che una scorrezione del microscopio nel senso di avvicinarsi o di allontanarsi dalla graduazione porta con sè una 1208 G. CICCONETTI variazione dell’ ingrandimento e di conseguenza la grandezza dell'immagine riuscirà diversa dal suo valor normale pel quale un giro esatto della vite micrometrica fa percorrere ai fili l'esatto intervallo di una parte della graduazione. Se quindi si verifica una scorrezione di questo genere occorre rimettere il micro- scopio nella posizione normale e questa operazione è delicata e laboriosa. Tale inconveniente viene eliminato coll’uso del Microscopio ad ingrandimento costante del Prof. Jadanza (*). L'obbiettivo, invece che di una sola lente è costituito di due lenti convergenti Ly, Ls (fig. 3) così fissate ad un unico tubo 7 che il 2° fuoco Y},' della prima coincide col 1° fuoco F, della seconda. La distanza fra le due lenti L,, Ls essendo A=%®, + ®s, esse costituiscono un sistema telescopico come risulta dalle espressioni (1), (2), (3), che pel detto valore di A divengono infinitamente grandi. Si sa che in un sistema telescopico l’ingrandimento trasversale o lineare, cioè il rapporto di una dimensione dell'immagine alla dimensione coniugata nella figura obbiettiva (giacente in un piano normale all'asse) è costante e, precisamente, se Pa = #01 dove n > 1, l'obbiettivo composto darà della dimensione con- siderata una immagine x volte più grande qualunque sia la di- stanza della figura obbiettiva. (*) “© Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. XXVI, pag. 596. tt. Sedi i V STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1209 L'immagine di un intervallo della graduazione prodotta dal sistema obbiettivo L, Ls e raccolta sul reticolo R verrà poi os- servata coll’oculare 7" che la ingrandirà nuovamente, ma questo stesso ingrandimento subiscono gli spostamenti dei fili nel piano dell'immagine e quindi l’azione dell’oculare essendo comune al- l'una e agli altri non ne altera il rapporto di grandezza. Un raggio incidente che passi pel fuoco anteriore F, di L, procede fra le due lenti parallelamente all'asse e all'uscita da Ly passa per Fs sicchè /, e F, sono coniugati rispetto al sistema telescopico L, Ls e se il piano della graduazione osservata con- tiene 7) l’immagine si formerà nel piano normale all'asse pas- sante per F,° ove si porterà il reticolo R, munito dei fili mo- bili, mediante aggiustamento del tubo 7" che lo porta, rispetto 7. Qualora il microscopio per un urto od altra causa qualsiasi venga a variare la sua distanza dalla graduazione basterà spo- stare il tubo porta-reticolo 7” fino a veder chiara l’immagine ed il microscopio è di nuovo rettificato. L'obbiettivo telescopico è anche utilmente applicabile nei microscopi a stima aventi il reticolo costituito da una lastrina di vetro sulla quale un intervallo apparente della graduazione è diviso, mediante tratti incisi, in un certo numero di parti eguali. Naturalmente l’utilità dell’obbiettivo telescopico in un mi- croscopio di lettura presuppone la perfetta corrispondenza ini- ziale, costruttiva, fra la grandezza dell'immagine obbiettiva di un intervallo della graduazione ed il passo della vite microme- trica o la grandezza del diagramma inciso sulla lastrina. Che se ciò non fosse, l'obbiettivo telescopico, allo stesso modo che toglie la possibilità di una scorrezione quando il microscopio è rettificato, impedirebbe di correggerlo, mentre in un microscopio ad obbiettivo semplice l’aggiustamento, entro certi limiti, è sempre possibile. 3. Plesiotelescopio del prof. Jadanza (*). — Con un can- nocchiale non si può osservare -un oggetto più vicino del fuoco anteriore dell’obbiettivo perchè l'immagine diverrebbe virtuale. (*) “ Rivista di Topografia e Catasto ,, vol. VIII (1895-96), pag. 36. 1210 G. CICCONETTI Praticamente poi la distanza minima alla quale può osservarsi l'oggetto è notevolmente maggiore della distanza focale @; per non essere obbligati ad un allungamento eccessivo del can- nocchiale. | Se accoppiando all’obbiettivo semplice L; una seconda lente Ls a distanza A invariabile si vuol raggiungere lo scopo che lo strumento funzioni per tutte le distanze dell'oggetto da infinito a zero servendo così da cannocchiale e da microscopio, sappiamo già, per le considerazioni svolte nel paragr. 1, che la seconda lente dovrà essere convergente e chela sua distanza A dalla prima dovrà soddisfare la condizione AZ@;. Ciò posto riprendiamo la (10) nella quale ma (A—- Pa) Do -(D-wA __g usa i(D= (A pg 18? | Di 1 telai \ = Pg Dr Se si indicano con À,, Àr,, \o i valori che assume \ rispet- tivamente per D= 2%, D= @;, D=0, si ottengono subito ) a Pa (@, — A) © ppt — A Mr, = Po ho == ina Da questi risultati si deduce che se oltre alla condizione A< 9; che rende positiva \, (2° fuoco reale) si verifica l’altra A%> ®s che rende positiva \, l’immagine potrà sempre racco- gliersi sul reticolo per tutte le distanze dell'oggetto da infinito a zero. Soddisfatte queste condizioni, poichè l’immagine si sposta nello stesso senso dell'oggetto, \__ e ) rappresentano le distanze minima e massima dell'immagine da Ls. Data 9; si assume A< 9; e stabilito quindi il massimo valore XM di A, dall'ultima rela- zione sì ricava STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1211 Allora si hanno tutti gli elementi per calcolare il valor minimo XA, di X. La differenza \)--\, rappresenta la corsa massima del reticolo. EsemPIo. — Sia @, = 3008m, Assunta A = 2008 si voglia Xx = 10022, Si trova allora py = 669,66... e quindi \_, = 40%, cosicchè risulta M —\, = 60", Mentre l'oggetto si sposta da distanza infinita fino a toccare l'obbiettivo, l’immagine si allon- tana dal 2° fuoco del sistema L; Ls di soli 60m che costitui- scono il massimo allungamento del cannocchiale. Il plesiotelescopio si presta a diverse applicazioni. In primo luogo costituisce un mezzo assai semplice per determinare le distanze dei fuochi dalle facce di una lente. A tale intento di- retto lo strumento verso un oggetto lontanissimo gli si dispone davanti la lente L da esaminare colla sua faccia posteriore ad una distanza m da quella anteriore dell’obbiettivo, avendo cura che questa distanza sia non troppo piccola se la lente L è con- vergente e invece assai breve se L è divergente. Si allunga poi o si accorcia il plesiotelescopio fino a veder chiaramente l’immagine dell'oggetto data dalla lente ZL, immagine che si forma nel 2° piano focale della lente stessa. Quindi, tolta via la lente, si fa spostare davanti allo strumento rimasto fisso una punta fino a vederla distinta, il che accade quando essa si trova nel punto già occupato dal 2° fuoco della lente ZL. In queste condizioni si misura la distanza » fra la punta e la faccia an- teriore dell’obbiettivo ed allora la differenza m —n dà in valore e segno la distanza del 2° fuoco della lente esaminata dalla faccia posteriore della medesima. Come altre applicazioni del plesiotelescopio, qualora esso sì renda girevole entro guaina cilindrica munita di tre viti di base che coll’aiuto di una livella permettano di disporne l’asse esattamente verticale, lo strumento si presta o a individuare la verticale di un punto a terra in modo da servir da segnale a chi debba collimare da lontano quel punto, o a fare delle let- ture su aste orizzontali graduate in corrispondenza di una data verticale, a qualunque altezza esse sieno, come accade nella misura di una base ad nna sola asta col metodo ottico. (1°) Per la (6) essendo A > 9; il rapporto : espresso dalla (12) nel caso del plesiotelescopio è minore dell'unità, cioè l’ingran- 1212 G. CICCONETTI dimento normale dello strumento è minore di quello del can- nocchiale semplice avente per obbiettivo la sola lente L;,. La riduzione dell’ingrandimento può limitarsi coll'’assumere A poco minore di @;. Nel caso numerico considerato pi = 3002 P, = 662 66... A = 2002 posto ad esempio y = 12", risulta dalla (11°) Io — 210,0. o Per calcolare /r, colla (11°) bisogna trovare by, valore di d corrispondente a D= @;. Si ha ora, ritenendo sempre l’oculare come costituito di un'unica lente sottile b,=A4\nt+d+a=A44M\}+d+y. Il valore di 4, potrebbe calcolarsi colla relazione 1 1 1 di pa seco w dove è è la distanza della visione distinta che convenzional- mente può assumersi di 250®®, Ma il valore di d, così calcolato viene, come è noto, così poco diverso da yw che può senz'altro sostituirsi con questo valore, e allora si ha br =AF+F93 + 2y = 29022,7. Con ciò dalla (11°) si ottiene Ir, = — 9,8. Finalmente colla (11°) si può calcolare Zy dopo aver tro- vato per valore di 4 corrispondente a D—=0 È, ASCA E Ac + ay = 82401 e risulta lo= ca 13: STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1213 Derivando le espressioni di ), e ) rispetto A considerata come unica variabile si ottiene I SIZE Pot do Pa da @-qtof da ’— gl e questi risultati mostrano che tanto )_, quanto ) diminuiscono col crescere di A, ma che la diminuzione che subisce À, è mag- giore di quella che subisce )). In conseguenza di ciò col cre- scere di A, il che val quanto dire col crescere dell’ingrandi- mento normale, si allunga la corsa massima \g-},, del reticolo. Però questo fatto non porta un inconveniente pratico, perchè l'aumento di corsa è poco notevole, come apparisce dai risultati corrispondenti ai tre valori di A qui appresso considerati : Q,= 300%, = 66M 66... A — 200 A —_ 95m A — 929)mm I 2 ="0;40 0,57 0,87 E=100)92 ope SU i, = 40 29 9 di — d_ = 60 62 78 Piuttosto la limitazione di A, in alcuni casi, può essere consigliata dalla opportunità di avere uno strumento di piccole dimensioni di contro alla poca utilità di realizzare un forte in- grandimento. L’ Accademico Segretario Corrapo SEGRE. CLASSI UNITE Adunanza del 28 Maggio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, i Soci: CameRANO, Vice-Presidente dell’Accademia, D’OvipIo, Direttore della Classe, SALvapori, NAccARI, PEANO, JADANZA, Foà, GuarescHI, Gui, PARONA, GRASSI, SOMIGLIANA, FUSARI, BALBIANO, PANETTI, e SEGRE. Segretario ; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, i Soci: CaironI, Direttore della Classe, CARLE, Pizzi, DE SANCTIS, SrAaMPINI, D’ErcoLe, Bronpi, EinauDI, BAUDI DI VESME, SCHIA- PARELLI, PATETTA, VipARI, PRATO. Scusano l’assenza i Soci RuFFINI e SFORZA. Si legge e si approva il verbale della precedente adunanza 21 maggio 1916. Indi si procede alla votazione, per il conferimento del premio Pollini, intorno alla proposta della Commissione pel { “ ‘ > ì è i FO e n e Sri —_r ere "po: —_—-g° Pu ’ TE O nn ——__—_r e EE mm mem—pmmp_—o—pno”-:;:/-"__r—_o vs_—_ 1215 premio stesso, contenuta nella Relazione letta nell’ adunanza precedente. Il premio ad unanimità di voti viene conferito al Dr. Mario ZuccHi per la sua Monografia storica su Lomello. Dovendosi poi passare alla votazione per l’elezione del Presidente, scadendo per compiuto 2° triennio di presidenza S. E. BoseLLIi, questi desidera esprimere ancora una volta al- l'Accademia i suoi vivi ringraziamenti per l’onore fattogli col- l’eleggerlo all'alto posto, come pure per la cortesia con cui fu sempre confortata la funzione attribuitagli. Lasciando la presidenza resterà sempre legato ai Colleghi da affetto e gra- titudine. Nella votazione per l'elezione del Presidente riesce eletto il Socio Senatore Prof. Lorenzo CAMmERANO, per il nuovo triennio, salvo l'approvazione Sovrana. Il Socio CamerANO ringrazia vivamente i Colleghi. Dice quanto è difficile succedere degnamente ad un Presidente quale è stato S. E. BoseLLI. Accenna pure ai meriti dei predecessori di questo. Invoca la collaborazione dei Colleghi per potere, se- guendo gli esempi ricordati, tener sempre alto il prestigio del- l'Accademia. Indi si procede alla votazione per l’elezione del Vice-Pre- sidente, scadendo, per aver compiuto un 2° triennio, il Socio Camerano. Risulta eletto, per il nuovo triennio, il Socio Sena- tore Prof. Giampietro CHiRrONI, salvo l'approvazione Sovrana. Infine, a termini del nuovo Regolamento per il conferi- mento del premio Bressa, approvato nell’adunanza a Classi Unite del 21 maggio 1916, si passa alla votazione di tre membri per ciascuna Classe, per formare la Commissione pel XX premio Bressa (Nazionale, quadriennio 1913-1916). RE fi Moio "A cho ha ha ed Rat È PIANE] si + RI) Volo L % "9 4 e x = P f sd » » fo Per la Classe di Scion «a matematiche e natural : ra riescono eletti i Soci Naccari, Parona e D'Ovipro. Per la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche rie- scono eletti i Soci De SancTIS, STAMPINI e RUFFINI. La Commissione è presieduta dal Presidente dell’Accademia. Gli Accademici Segretari CorraDo SEGRE. ETTORE STAMPINI. : i j (SEL Y ri î I) » » . fi p* N Ù A MPA RISE RAY ace AIAR AN OTO e E CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 28 Maggio 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA ZZZ TRO E OT) I Sono presenti i Soci: CHironI, Direttore della Classe, UARLE, Pizzi, De Sanctis, D’ErcoLe, BronpI, Finaupr, BauDI DI VESME, ScHIAPARELLI, PaTETTA, VipARI, PRATO, e STAMPINI Segretario della Classe. È scusata l'assenza dei Soci Rurrini e Srorza. Si legge e si approva l'atto verbale dell'adunanza pre- cedente del 14 corr. Il Socio Segretario SrampinI presenta alla Classe, a nome dell'autore Giuseppe Brape6o, nostro Socio corrispondente, le recenti pubblicazioni: Borgolecco (Estr. dagli Atti dell’Accademia d’agricoltura, scienze e lettere di Verona), e Medici Veronesi e una libreria medica del sec. XIV (Estr. dagli Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti). La Classe ringrazia. Il Socio De Saxoris presenta, per la pubblicazione negli Atti, una Nota della Sig."® Matilde DenicoLar dal titolo La ge- nealogia dei tiranni di Sicione secondo un nuovo frammento storico. Il Socio SrampINI presenta, pure per la pubblicazione negli Atti, una prima Nota del Prof. Ferruccio CaLoneHI intitolata Il Codice Beriano di Tibullo. Confronti e osservazioni. Atti della R. Accademia — Vol. Ll. 75 1218 Il Socio ViparIi propone che la Classe voglia associarsi alle solenni onoranze che saranno rese domani alla memoria di Augusto Conti. Il Socio STAMPINI appoggia la proposta del Socio ViparI, osservando che ben si può fare eccezione alla regola, per la quale l'Accademia si associa ufficialmente soltanto alla commemorazione de’ suoi Soci, per la considerazione che Augusto Conti, oltre ad avere illustrato la scienza e la cattedra italiana, combatte a Curtatone contro quel medesimo nemico contro cui tutta l’Italia strenuamente combatte nell'ora presente. Il Socio De Sanctis dichiara che voterà a favore della proposta, ma non intende che il caso del Prof. Augusto Conti abbia a servire di precedente contro la costante consuetudine dell’Accademia. Così la Classe a voti unanimi approva di associarsi all’onoranza resa ad Augusto Conti, che, dopo essere stato luminoso esempio di patriottismo sul campo di battaglia, fu illustrazione della scienza filosofica e decoro della cattedra italiana. In fine la Classe, raccolta in adunanza privata, procede alle votazioni per l’elezione del Direttore e del Segretario della Classe. Risultano eletti, salva l'approvazione sovrana, alla ca- rica di Direttore il Socio S. E. BoseLLI, che scade dall’ufficio di Presidente dopo due trienni di carica, e all'ufficio di Segretario il Socio STAMPINI. Nella stessa adunanza privata ebbe luogo anche la vota- zione per la nomina di un quarto membro della Commissione per il premio Gautieri di Storia. E eletto il Socio BAuDI DI Vesme; e perciò la Commissione risulta definitivamente com- posta del Presidente dell’Accademia, e dei Soci DE SancTIS, BoseLLi, PArETTA e BaupI pi VESME. _ a tettina I MATILDE DENICOLAI — LA GENEAOLOGIA DEI TIRANNI, ECC. 1219 ——_——____———_—_—___ = — —- nziriri LETTURE La genealogia dei tiranni di Sicione secondo un nuovo frammento storico. Nota di MATILDE DENICOLAI Alla storia della tirannide di Sicione, su cui poche e in parte discordanti notizie ci erano giunte, nuova luce ha portato un frammento recentemente scoperto (1), di cui ha trattato M. Lenchantin in una Nota intitolata: /! nuovo storico di Sicione e la dinastia degli Ortagoridi (2). Riprendo qui la questione, ma solo per ciò che riguarda la genealogia dei tiranni, e quel tanto di cronologia che ad essa si connette, parendomi che i dati del papiro, combinati con le testimonianze già note, ci permettano di giungere a un risultato definitivo soddisfacente. Richiamiamo brevemente le fonti. All’oracolo che aveva predetto la tirannide ai Sicioni, oracolo al quale allude pure evidentemente il nostro frammento, accennano Diodoro e Plu- tarco. Diodoro (3) dice: “Ort Nixzvoviors Exgnoev f Ivdia Exa- tòv &t) uaotiyovoundnoecdar abtovs. éneomInodvrimv dè aÙrov tig è tadta momoomvr, nddiv dnexgidn, © @v xarardesoavtes noto yeyevnuevov viòv dzovomor. Eriyyave dè toîs demgois muolovIna®s tig Fvoias Evexa udyer9os, ds éxadeîto “Avdgéas. uodoù toîs dogovor uaotiyopog®òv brrngétet. Maggiori notizie ci dà Plutarco (4): Xizvoviors dè zai dragonpònv dò deògs mgoeîre uaotyoviuav detodar t)Vv n6hiv, Str TeAntiav naiîda otepa- (1) GrenreLL e Hunr OryrAynchus-Papyri XI p.104 n. 1365 (Londra 1915). (2) “ Atti R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. LI (1915/16) pp. 290-305. (3) VIII 24 (exec. Vat.). (4) De sera num. vind. 7 p. 555. 1220 MATILDE DENICOLAI i vovuevov èév Ivo ..... ditoracar. dlid Dixvoviors uèr *0g- | Fayboas yevouevos tiparvoc, xaì pet Ezeîvov oi megiì Migmva zxaù KAewodévn, t)v duodaciav Ermavoar. ì Alla sua volta, parlando di Clistene, così Erodoto (1) no- mina i tiranni di Sicione: ‘ Clistene, figlio di Aristonimo, figlio di Mirone, figlio di Andrea’. E, d'accordo con lui, Pausania (2) pure ci riferisce: KAewodéwys ..... ò ‘Aguoroviuov toù Migowvos eégoviov Er vv varo nbdiv Sixvoviov ErvodvvroE ..... e in altro luogo (8) ci dà la notizia che Mirone vinse una corsa col cocchio nell’anno 648 a. C.: rodrov @xoddunoev è Migwv vixijoas douati t)v toitnv zai torazootiv “VAvuriada. Una genealogia diversa dà invece Nic. Damasceno (4), il quale fa Mirone, Iso- demo e Clistene fratelli, figli di Aristonimo, e, parlando di Cli- stene, aggiunge: da Oodayboov ratdyov tò yévos, collegan- dosi così ad Aristotele, il quale c’informa che la tirannide durò a Sicione più che negli altri paesi, per il buon governo di Or- tagora e dei maîdes "Oodayboov. Riassuméndo queste notizie, noi possiamo trarne i seguenti alberi genealogici: Hat. Paus. Nie. Damase. Andrea Mirone Aristonimo | | i Mirone Aristonimo Î Î ì Lal Mirone Isodemo Clistene Aristonimo Clistene | Clistene Di più, secondo Nic. Damasceno e Aristotele (5), il fondatore della dinastia è Ortagora, e ciò bene concorda con la versione dell'oracolo data da Plutarco. mentre l’altra versione (quella di Diodoro) sembra accordarsi solo con Erodoto. È anzitutto evidente che non si può in nessun modo iden- tificare il Mirone di Nic. Damasceno con quello delle altre fonti, A ocnsatbe msi) A LA GENEALOGIA DEI TIRANNI DI SICIONE, ECC. 1221 ma nessuna difficoltà vi è ad ammettere nella famiglia due | persone dello stesso nome, data anche l’antica consuetudine di dare al nipote il nome del nonno. La questione è quindi con- troversa solo sul fondatore della dinastia, sul primo dei tiranni che, secondo alcuni, come abbiamo visto, fu Andrea, secondo altri Ortagora. Su questo punto il nostro frammento è chiaris- simo: il designato dall’oracolo a essere il capo della nuova dinastia è Ortagora, la cui umile condizione non faceva pensare all'avverarsi in lui della profezia. Infatti il padre suo Andrea era un «@yergos (una fonte (1) dà questo titolo ad Ortagora per una confusione spiegabilissima), ed aveva allevato il figlio convenientemente al suo stato, come un ordinario cittadino. Vediamo come alcuni critici abbiano interpretato dette fonti. Dato il contrasto fra la versione di Diodoro e quella di Plutarco, si era pensato da alcuni ad una identificazione dei due personaggi, nel senso che Ortagora (= l'oratore veridico, così interpreta il Curtius (2)) sarebbe il nome preso da Andrea quando divenne tiranno. A quest’opinione s'avvicina il Grote (3), dicendo essersi supposto con qualche probabilità che i due nomi indi- chino la medesima persona. E. Meyer (4), invece, è del parere che questa identificazione sia molto problematica, e che la di- stinzione di un Mirone I e di un Mirone II sciolga le difficoltà solo in apparenza. ©. 0. Miiller (5) pone la successione: Ortagora Andrea Mirone | Aristonimo | Clistene aggiungendo subito ch’essa “ non è però molto certa, giacchè anzi pare che Ortagora e Andrea si debbano riunire in una (1) Lrsan. oratio contra Severum IV p. 173,2 ForrsreR. (2) Gr. G. 1° p. 242. (3) History of Greece MI p. 43, Londra, 1847. (4) G. des Altertums Il! p. 629. (5). Dorier 1° cap. 8 $ 2. 1222 MATILDE DENICOLAI stessa persona ,. Il Busolt (1) riferisce soltanto la genealogia del Duncker (2): Ortagora Mirone I Aristonimo e > TAO | | | Mirone II Isodemo Clistene che mi pare di per se stessa inaccettabile, giacchè nessuna fonte ci da Mirone figlio di Ortagora, a meno che non si voglia ri- .cadere nell’identificazione di cui ho gia detto. Il Beloch (3) in- troduce anch'egli un secondo Mirone, ma respinge la testimo- nianza di Niccolò Damasceno, supponendo Clistene non fratello ma cugino di Mirone II: Andrea Mirone I | | Ortagora Aristonimo | | [TRI] Clistene Mirone II Isodemo |. | Agariste figlio | Eschine Ma anche alla sua supposizione manca l’appoggio delle fonti, anzi essa è in aperto contrasto con una di esse (Nic. Dam.), che non pare, in tanta scarsezza di dati, trascurabile. Ora il nuovo frammento ci dice che il fondatore della di- nastia è Ortagora, figlio di Andrea. Come mai Erodoto non lo nomina? Egli riferisce semplicemente che Mirone, padre di Ari- stonimo, nonno di Clistene, era figlio di Andrea. Allora si è detto: o Erodoto ha confuso Andrea con Ortagora, nominando il padre invece del figlio, oppure si riferiva ad un secondo An- (1) Gr. G. I? p. 661. (2) G. der Alt. VIS 78. (3) Gr G1 1-2 (p.285, ur. L Pe ‘ “e LA GENEALOGIA DEI TIRANNI DI SICIONE, ECC. 1223 i drea figlio di Ortagora. Il Lenchantin (1) ha stabilito il suo albero genealogico nel modo seguente: Andrea : Ì Ortagora Andrea | Mirone | Aristonimo | Mirone Isodemo Clistene Questa genealogia sembra accordare perfettamente tutte le fonti. E certo, una genealogia che non si concilî con la nostra fonte più antica, Erodoto, deve tenersi assai sospetta. Ma la ipotesi del Lenchantin non spiega come Erodoto, anche ammesso che non abbia inteso dare una genealogia completa dei tiranni di Sicione, si sia fermato, dopo essere risalito fino a lui, ad An- drea (II). che non avrebbe alcuna particolare importanza, mentre un solo passo di più l'avrebbe portato ad Ortagora, il fondatore della dinastia. Ma un’altra difficoltà assai maggiore si presenta: il numero delle generazioni. Ricordiamo che il periodo asse- gnato dalle fonti come durata della tirannide, è un periodo di 100 anni. Questa cifra, sia pure intesa come un valore appros- simativo, si deve accettare, in quanto che essa, dataci da Ari- stotele, è chiaramente attinta alla fonte importante di un oracolo, un oracolo certo ex eventu e, quindi, attendibilissimo. Prolun- ghiamo pure questo periodo fino a 110 anni (di più mi pare troppo), e concediamo anche, per il momento, che cominci con Ortagora e termini con Clistene (il che non credo assolutamente, come dirò tra poco); ebbene, pare molto difficile ammettere che in tale periodo si possano far entrare cinque generazioni. Del resto lo stesso Lenchantin (2), parlando della vittoria olimpica di Mirone nel 648, dice in parentesi “ 66 anni, cioè 2 genera- zioni prima dell’analoga vittoria del nipote Clistene ,, dove si vede chiaramente che egli pure si attiene alla regola sopra accennata. (1) Nota cit. (2) L. c. p. 304. 1224 MATILDE DENICOLAI Ma v'ha di più, poichè, come ho già detto, il periodo della tirannide non si può far terminare con Clistene. Narra Ero- doto (1) che Clistene aveva cambiato il nome della sua tribù da Egialei in ‘Agyé4aot e quello delle altre in “Y@re:, Ove@tai, XorgeGtai, ed aggiunge: tovtowi toîor oòvéuaoi TOV puiémv éygéovto oi Dixv®vior xaì érì KAewodéveos dogovtos zai, Exe i- vov tedveotos, er én° Erea #EMxovta. Se, quanto ai nomi, è indubitato che si tratta di una semplice invenzione (2), è al- trettanto indubitato che le parole di Erodoto significano chia- ramente che nessun rivolgimento politico seguì la morte di Clistene. La caduta della tirannide sotto gli Spartani avvenne dunque soltanto dopo i 60 anni testimoniati da Erodoto. Ora, se un altro tiranno, non della famiglia, fosse successo a Clistene, come ritiene il Miiller (3), e come pure crede il Lenchantin (4), molto probabilmente qualcosa della costituzione di Clistene sa- rebbe mutato, ed Erodoto non avrebbe mancato di accennarvi, se non altro per ciò che riguarda i nomi delle tribù. E ad ogni modo il contesto del passo citato di Aristotele mostra che Ari- stotele voleva parlare della durata totale della tirannide (della antica tirannide, s’ intende) in Sicione. Plutarco (5) accenna ad un tiranno di nome Eschine che gli Spartani avrebbero cacciato ristabilendo gli antichi ordini. Poichè mi pare molto semplice ammettere che questo Eschine appartenesse alla stessa famiglia di Ortagora, e non poteva essere figlio di Clistene, la cui Aga- riste era figlia unica ed ereditiera (6), lo riterrei un nipote di questo tiranno, e precisamente figlio di Isodemo. Dal citato frammento di Nic. Damasceno, si può trarre, mi sembra, che Isodemo avesse dei figli i quali avevano diritto alla successione. Egli dice che Clistene, dopo avere incitato Isodemo ad uccidere Mirone per vendicare il suo onore, lo esortò ad andare in esilio (1) V 68. (2) De Sanctis “Ardis* p. 285. (a) arie: (4) Nota cit. (5) De Herod. malign. 21 p. 859. (6) De Saweris “Ard/s* p. 286. i i : i n WI... —_—__r—-. —_—oca_—— n sean ri" LA GENEALOGIA DEI TIRANNI DI SICIONE, ECC. 1225 affinchè, purgandosi del fratricidio, potesse di nuovo fare i sa- crifizì, e fosse dato ai figli succedergli nel trono. Dunque, tutto considerato, io non troverei altra soluzione migliore di questa: supporre Ortagora e Mirone I fratelli, figli di Andrea. Avrei la genealogia: Andrea de. | Til Ortagora Mirone I Aristonimo & Soi A Mirone Ill Isodemo Clistene | Eschine Così le testimonianze di Erodoto e delle altre fonti si ac- corderebbero con quelle del frammento di Ossirinco, e il numero delle generazioni risulterebbe possibile in un periodo di poco più di 100 anni, giacchè sarebbero quattro, a voler compren- dere, come credo si debba fare, anche Eschine. Le difficoltà che sì oppongono a questa genealogia, sono più apparenti che reali. Ortagora non ha figli, e ciò pare in contrasto con Aristotele, il quale (1) ha parole di lode per il governo di Ortagora e dei razdes ‘00day690v, e con Nic. Da- masceno, il quale (2) dice di Mirone: &d7° ‘09day6oov zardy@v tò yévos. (Qui zaîdes va inteso naturalmente nel senso di di- scendenti e mon di figli. Ora non mi pare inammissibile che po- tessero essere chiamati z@îdes di Ortagora i discendenti del fratello Mirone; basta semplicemente supporre che Ortagora, in mancanza di discendenti diretti, abbia adottato Aristonimo, a Cul passò, per sè e per i suoi discendenti, il diritto di succes- sione. Ortagora rimane pur sempre il primo, e quindi il capo- stipite dei tiranni. Erodoto poi, nonostante l’importanza che assume ogni fondatore di dinastia, non accenna ad Ortagora perchè verosimilmente egli non voleva darci la genealogia com- 1226 MATILDE DENICOLAI pleta dei tiranni di Sicione, ma solo risalire, di figlio in padre, agli antenati noti di Clistene; nel qual caso è evidente che Ortagora, fratello di Mirone, non doveva essere nominato. Quanto alla versione, data da Diodoro, dell'oracolo, il designato dal quale ad essere il capo della dinastia sarebbe Andrea an- ziche Ortagora, si può supporre, o una piccola confusione nella interpretazione dell'oracolo stesso, oppure un maggior rilievo voluto dare a colui che era designato ad essere il padre del primo tiranno. Finalmente Aristotele tace di Andrea, perchè egli nomina i tiranni di Sicione, ed Andrea non fu tale. Certo, poichè la nuova genealogia proposta si fonda spe- cialmente sui dati del papiro di Ossirinco, ci si potrebbe do- mandare: è desso degno di fede? Dato che, come abbiamo visto, sì può benissimo accordare con le altre fonti, e anzi ci permette di giungere ad una soluzione assai migliore, mi pare si possa, senza grande difficoltà, rispondere affermativamente per la parte del frammento che riguarda la genealogia. Per il resto del rac- conto farei maggiori riserve, trattandosi di fatti avvenuti un secolo avanti i primi logografi, e si sa che. in sì lungo periodo, le circostanze di un fatto consegnato alla pura tradizione orale, hanno tempo di trasformarsi e di alterarsi. Per stabilire la cronologia dei tiranni di Sicione, pochis- simi sono i dati delle fonti. Ricordiamo l’esplicita testimonianza di Erodoto (1) sulla caduta della tirannide avvenuta 60 anni dopo la morte di Clistene, e quella di Aristotele (2), secondo il quale l’intera durata della dinastia è di 100 anni. Ora alcuni hanno voluto significare con questi 100 anni il periodo che va da Ortagora a Clistene, e sono quindi partiti dalla morte di quest'ultimo per stabilire la salita al trono di Ortagora; a me sembra invece che tale periodo si riferisca alla intera tirannide e comprenda anche l’ultimo tiranno (che io ritengo fosse un Or- (11) WVT768ì (2) L. c. LA GENEALOGIA DEI TIRANNI DI SICIONE, ECC. 1227 tagoride), e che quindi occorra riportare l’inizio della tirannide a 100 anni prima della caduta di *Eschine. I sostenitori della prima ipotesi si fondano specialmente su un dato cronologico fornitoci da Pausania (1), secondo il quale Mirone (naturalmente il nonno di Clistene) avrebbe vinto una corsa col cocchio nella 33* Ol. (648 a. C.), e, poichè partendo da dati cronologici certi riguardanti il figlio di Agariste, Cli- stene l’Alcmeonide (2), si può stabilire con sufficiente sicurezza la morte di Clistene di Sicione tra il 570-65, vengono a porre il periodo dei 100 anni tra il 670 e il 570 (Meyer, Curtius e, con poca differenza, anche il Miiller). Di non molto si allonta- nano il Grote e il Lenchantin, che rimandano il principio del regno di Ortagora, il primo tra il 680-70, il secondo tra il 690-80. Ma occorre osservare che la data della vittoria olimpica di Mirone, ritenuta come un fondamento certissimo, non è tale. I) Beloch (3) che, dopo il Mahaffy, ha studiato la lista dei vin- citori di Olimpia, è giunto alla conclusione che, per la parte più antica, tale lista non è degna di fede. Per alcuni vincitori occorre fare uno spostamento di anni; così la vittoria di Mi- rone può essere portata, senza difficoltà, verso il 600 (4). Perciò preferisco lasciare da parte tale data, e poichè ritengo che Ari- stotele, riportando la predizione dell'oracolo, abbia voluto signi- ficare l’intero periodo che va dall'avvento al trono di Ortagora alla caduta di Eschine, cercar di stabilire l'anno in cui questa può essere avvenuta. La piena restaurazione della libertà dev'essere segmta quando gli Spartani mossero contro Atene circa il 510, e ciò concorda bene col citato luogo di Plutarco, nella cui lista, or- dinata cronologicamente, Eschine viene dopo Ippia (511). Anche un frammento recentemente pubblicato (5) menziona la caduta della tirannide sotto gli Spartani mentre era tiranno Eschine, parallelamente alla caduta dei Pisistratidi. Ora, se, come dice Erodoto, la morte di Clistene avvenne 60 anni prima deila piena (1) VI 19,2. (2) Cfr. De Saneris “Ardis® p. 285-6. (3) Gr. G. I° p. 148 segg. (4) Ibid. p. 154. (5) Catalogue of the Greek ia of the John Ryland's Library n. 18 p. 31. ra 1228 MATILDE DENICOLAI — LA GENEALOGIA DEI TIRANNI, ECC. restaurazione della monarchia, essa deve cadere verso il 570, che è appunto la data a cui pure siamo giunti per altra via, Considerando dunque che il periodo della tirannide s’aggiri sui 100-110 anni, e che, naturalmente, s’ intenda con essi un periodo intero, continuato (1), partendo dalla data probabile del 510, vengo a porre l’inizio del regno di Ortagora verso il 620, con un doppio vantaggio: di dare alla tirannide di Si- cione una durata che, per quanto lunga, non supera troppo sin- gzolarmente la durata delle altre tirannidi greche, mentre forse un po’ esagerati sono i 160 anni che in realtà le attribuiscono gli storici che fanno terminare il periodo di 100 anni con Clistene, e di non anticiparne troppo il principio in Sicione rispetto a quello delle tirannidi in altre città vicine. Si sa infatti che le cause politiche ed economiche che portarono ad un tale rivol- gimento politico, sono, nelle loro linee generali, le stesse per tutte le città greche. Ora, parrebbe un po’ difficile ammettere che le nuove esigenze si facessero sentire tanti anni prima a Sicione che non a Corinto, certo economicamente più progredita, dove i Cipselidi vengono al potere alla fine del VII sec. (2), e ad Atene, in cui la tirannide s’'inizia alla metà del VI sec. Poco prima che in Atene, cioè verso il 600, cade la signoria dei no- bili im Megara per l’avvento alla tirannide di Teagene (3). Non è chi non veda come con tali date ben si accordi quella del 620 av. Cr. che io propongo per l’inizio del governo degli Ortagoridi. (1) 1] Pass (Die Tyrannis p. 138) credette invece che Aristotele coi 100 anni avesse inteso dare una somma degli anni di regno dei singoli tiranni, senza contare le rivoluzioni che avrebbero preceduto la salita al trono di alcuni di essi. Così rimanda la salita al trono di Ortagora al 700. (2) BeLocn Gr. G. I° p. 217. (3) Tbid. p. 360. To TTRE® — n FERRUCCIO CALONGHI — IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1229 Il Codice Beriano di Tibullo Confronti e osservazioni Nota I di FERRUCCIO CALONGHI Il codice della civica Biblioteca Berio di Genova contenente i carmi di Tibullo, o più precisamente il Corpus Tibullianum, e di Catullo, si può dire, particolarmente per Tibullo, un ma- noscritto ignorato. Come sia entrato nella Biblioteca Berio e in qual’'epoca, non mì è riuscito finora di mettere in chiaro. Ne dette notizia Gerolamo Bertolotto in “ Giornale Ligu- stico ,, 1892, p. 376, in un articolo dal titolo Spicilegio genovese : “ Per un codice ignorato di Catullo ,, e prima ancora E. Bianchi nel “ Giornale delle Biblioteche ,, 1867, p. 5, aveva incluso il codice “ Tibulliano , nell'elenco dei mss. più importanti della Beriana. Dove avesse desunto la notizia sul valore del codice, il Bianchi non ci dice (1). Certo egli era un abile fotografo e appassionato ammiratore di codici manoscritti. Il Bertolotto studiò la seconda parte del codice, quella cioè contenente i carmi Catulliani e dette una collazione della “ Chioma di Berenice ,. Io invece mi occupo qui esclusivamente della prima parte e precisamente del Corpus T'ibullianum. Il codice Beriano, che chiameremo senz'altro Ber., è mem- branaceo, miscellaneo, di fogli 37 (Tibullo) + 45 (Catullo), con un foglio di guardia alla fine, di mm. 235 X 168. Ha una bella scrittura italiana di tipo umanistico che permette di fissarne la (1) La descrizione del Bianchi (1. c.) si limita a queste parole: Tibulli Albii Carmina, membranaceo del sec. XV, vol. 1 in 4°. 11 Bianchi non s'era accorto che il codice conteneva anche Catullo. 1230 FERRUCCIO CALONGHI data alla metà del secolo XV. Se il v. dopo I2, 25 è veramente un’interpolazione di Giovanni Aurispa, noi avremmo una prova, del resto abbastanza superflua, per la datazione del ms. Lega- tura recentissima, della seconda metà del secolo XIX. Segnatura attuale D bis-11-6-51. Nel f. 1" il n. 915, in stampatello recen- tissimo, è quello dell’Inventario dei mss. della Beriana. Come risulta dai fogli 1”, 5”, che recano parole scritte in margine evi- dentemente tagliate, il codice, forse quando fu rilegato, fu tosato al margine superiore e laterale. Il codice contiene Tibullo con i Poeti del Corpus Tibullianum (fogli 1-40%, secondo la recen- tissima numerazione a mano), e Catullo (1). Per la descrizione della seconda parte rimando all’articolo citato del Bertolotto. La parte del codice che contiene il Corpus Tibullianum è mutila ; mancano i fogli 14, 23, 24 — sicché effettivamente essa com- prende ora 37 f. — sforbiciati via recentemente. Il codice fu posseduto da un tale che firma Jo Paolo Batta Porta (Io non è Io. [= Io|]h|annes], come lesse il Bertolotto), in evidente scrittura della 18 metà del secolo XV. Il nome Paolo Batta Porta è scritto sul margine laterale destro di f. 3" e nel margine superiore del foglio di guardia, dove si legge: /o Paulo Batta Porta di Messer Francesco. Segue un Ze, e sotto il nu- mero 2335. Forse della medesima mano, certo della stessa epoca è la sentenza scritta nel margine superiore del f. 267: Prima che tu faci pensa quello che può intreuegnire. Le note marginali e interlineari non sono numerose. Qualche rarissima volta sono chiose, come in II 6, 6, ad erronem, la spie- gazione grammaticale erro-nis; di solito correzioni del testo o varianti, che saranno indicate nella nostra collazione, o indica- zioni di lacune nel testo, come in 16 deficit, in 29" def. Anche di queste rendiamo conto singolarmente nel confronto che segue. L’intestazione è in carattere capitale, in rosso pallido. La prima lettera del 1° carme (D) è miniata in oro, azzurro, verde e viola pallido ed occupa lo spazio, in altezza, di cinque linee, mentre l'iniziale degli altri carmi non fu miniata e occupa lo spazio di due linee. (1) La parte Catulliana, mutila alla fine, è numerata 41-84: il numero 72 è ripetuto su due fogli consecutivi. | | i peu eg e IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1231 Le rubriche sono in rosso pallido. I quinterni sembrano esser stati di 6 fogli, almeno fino ad i un certo punto. i { Richiami a piè di pagina si trovano nel margine destro inferiore scritti verticalmente solo nel verso dei fogli 6 (Amnus in), 30 Elisios olim, 38 Si iuveni, e, nella parte Catulliana, nei fogli 46, 54, 70, 77. La scrittura sembra di una sola mano, per quanto qualche volta appaia un poco più piccola, altre volte più larga. Le pa- gine piene contengono 25 linee. Difficilmente si può dire se la secunda manus, a cui appar- tengono le correzioni interlineari e marginali — quasi tutte — sia sempre la medesima. Sembra piuttosto di no, ma ad ogni modo e per ragioni ovvie, indicheremo sempre con Ber.® le cor- rezioni e le varianti scritte da mano diversa da quella del co- pista (Ber.!). Il codice Ber. è un terzo autorevole rappresentante, dopo Ambr. e V, della tradizione manoscritta completa del Corpus Tibullianum quale essa era alla fine del medioevo, appartiene cioè in massima alla tradizione esente dalle interpolazioni uma- nistiche. Il suo valore si approssima dunque a quello di V (ciò che è notevolissimo, data l'epoca a cui appartiene) e in qualche caso che esamineremo esso contribuisce validamente alla rico- struzione di 0, cioè dell'originale comune. Dai confronti che se- guono con Ambr. e V e dalle osservazioni che li accompagnano, risulta: 1° che il codice Ber. non è una copia diretta di Ambr, e nemmeno di V; 2° che Ber. non deriva da Ambr. o da V nep- pure per via di esemplare intermedio; 3° che Ber. deriva dal medesimo originale da cui derivano Ambr. V ed è copiato sopra un codice similissimo ad Ambdr. (1); 4° che qualche ‘ben rara’ cor- rezione interlineare o marginale del suo esemplare diretto passò (1) Di qui nasce l’identità, quasi assoluta, delle rubriche, nonché del- l'ordine in cui sono disposti i componimenti poetici, e della loro suddi- visione, 1232 ‘ —FERRUCCIO CALONGHI nel testo di Ber., e che a questo solo si riduce 1l materiale di interpolazione del nostro codice; 5° che rispetto ad Ambr. e V il Ber. non ha alcuna trasposizione di versi; 6° che Ber. ha le medesime lacune di Ambr. e V eccetto una, quella del penta- metro dopo I2, 25, supplita con un verso attribuito a Giovanni Aurispa, e di cui v. sotto a suo luogo; 7° che qualche rara omis- sione di versi o di parole si spiega facilmente con la disatten- zione del copista, quande — s'intende -— non coincida con omissioni di Ambr. V e di altri cdd.; 8° che gli errori numerosi della tradizione di 0 (cioè dell’orig. comune di Ambr. e V) sono pure errori di Ber., e che in questi è notevole il carme IV 12 scritto in seguito a III 6, 64, non tuttavia in Ber. per intero, ma solo nei primi tre versi. . Stimiamo ancora necessarie alcune osservazioni : 1° L’ortografia non ha in Ber. particolarità notevoli. Tut- tavia è da ricordare a) l’uso di e (—ae, oe), come in Ambr. La secunda manus di regola corresse (1); è) la predilezione di è invece di y che trovi in Ambr. e V, e la frequente correzione di ? in y della secunda manus; 2° Le abbreviazioni sono talora ri- solte in Ber., talora in Ambr. o V e non in Ber., senza una re- gola costante; 3° Il copista di Ambr. è fedele e diligente, quello di Ber. si può dir soltanto fedele, diligente no. La scrittura sua è bella, chiara, ma parecchi sono gli errori suoi di disatten- zione che ho chiamato spesso così o anche errori ‘materiali ’, nel confronto che segue. Ma è copista fedele, benché poco colto, e perciò non altera scientemente il suo esemplare, come fa qualche volta lo scriba di V. * * * A proposito del confronto e delle osservazioni seguenti, credo opportuno di premettere che i passi segnati con asterisco sono quei pochi in cui c'è interpolazione o sospetto di interpo- lazione, ed ancora che la mia collazione contiene anche qualche rettifica relativa alle lezioni di Ambr. e di V. La seconda edi- (1) Più propriamente ciò si osserva nella prima parte del ms. Poco per volta la 1° manus segnò a suo luogo il dittongo. IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1233 zione del Postgate (Liverpuliae, 1914, leggo in calce alla pre- fazione) ha corretto inesattezze del testo e dell'apparato critico che erano nella precedente (1905), ma non dappertutto ha dato la vera lezione di Ambr. e di V. Un nuovo confronto di Ambr. e di V col Ber. mi porge l’occasione di correggere la lettura inesatta di qualche vocabolo, partie. di V (1). Infine debbo dichiarare che ho posto nel confronto Ambr. al centro e V e Ber. ai lati, solo perché con Ambr. si confronta così meglio ciascuno degli altri due. N.B. Le lezioni di Ber. discordanti da Ambr. o da V o da en- trambi i mss. sono riportate tutte quante, non così le concordanze dei tre codici, di cui mi sono limitato natu- ralmente a registrare qui alcune tra le più caratteristiche. v Ambr. Ber. I, 1 Rubrica dopo Deliam omissione di amet et [negligenza del copista, perché il senso senza queste parole non corre] 1 adgerat congerat congerat Alle volte abbreviazioni svolte in uno, alle volte in un altro, senza regolarità. V. sotto ai vv. 4 e 9, e invece in I 6, 18 e în I8, 18. 5 vite vite vite Ber., cone Ambr. e gli Exc. Par., non distingue e da ae: V invece fa sempre la distinzione. In Ber. spesso l’e= ae, corretto dalla 2% manus. 4 fugét fugent fugent 9 semper semp semp #12 florida florida florea 17 ortis (V? 6) ortis ortis (Anche le scorrezioni ortografiche sono di regola comuni) (1) Ringrazio vivamente i sigg. Bibliotecari Mons. Ratti della Vaticana, Mons. Gramatica dell’Ambrosiana e Cav. Cervetto della Beriana per le cortesie usatemi nell'occasione di questo mio studio. Atti dellu R. Accademia. — Vol. LI. 79 29 33 453 44 59 Pd *63 (s. XV), le cui principali varianti sono riportate dal Volpi nell’ediz. di Pa- dova, \ pol bidentes ludentes bidentes In V il b è calcato come se prima il copista avesse scritto ludentes. 1294 FERRUCCIO CALONGHI Y Ambr, Ber. 18 seva (cfr. n. 5) seva seva 20 vestra (efr.oss.v. 1) vra vra 21 CERRO, PI TUECA cesa 24 10 io yo Comunemente per altro il Ber. ha ì mentre Ambr. e V hanno y. Spesso la 2* m. di Ber. corresse i in y. 27 aestivos (cfr. ess. v. 1) estivos estivos (D'ora innanzi stimiamo inutile segnare esempi analoghi) La parola è riscritta marginalmente in V e Ber.: in V leggo bidens, in Ber. Bidentes colla maiuscola, come a indicare che si tratta proprio di una b iniziale. L'originale di Ambr. e di Ber. non era qui molto chiaro e non era facile decidersi tra lu e bi (1). At vos At vos Aut vos L'errore di Ber. è uno dei piuttosto frequenti dovuti alla sbadatag- gine del copista (Vedi anche in proposito la rubrica di quest’elegia). satis est satis est requiescere satis est satis est come in Ambr, requiescere verso OMesso La 2* m. di Ber. segna marginalm. l’omiss. con una crocetta. supprema supprema suprema Tuttavia la correzione di errori ortografici, che possono esser stati dell'originale, non è punto frequente in Ber. dura (V4) dura duro Concordanze di tutti e tre i codici: 2 magna — 5 vitae — 14 deum — 19 felices (V! felices) — 24 clamat — 25 iam modo non possum — 35 hic — 37 neu — 37 et — 53 Messala [Ber.? in margine Messalla] — 48 igne — 49 si — 54 exiles — 59 et — 64 iuncta — 71 neque — 73 posses [erroraccio comune, manifestam. corretto, appena scritto, dalla 1* m. di V in postes. Notevole per altro che Verrore proviene dall'originale comune) — 74 inseruisse — 78 dites despiciam. (1) Infatti la lez. ludentes compare anche altrove, ad es. nel Guarneriano 1749 (v. pay. xXx). o Pe N Ai TISANE Miei hi + vb Fk done: DC }U 199 MN | IL CODICE BERIANO DI TIBULLO © © 000 Ambr. I 2 Rubrica identica nei tre codici. PS bacho bacho bacho : così quasi sempre, ciò che prova il comune originale. La 2% manus di Ber. corregge costantemente, aggiungendo un e sopra la linea. b) nunc nre nre Il nunc di V è cancellato trasversalmente e corretto marginalmente in nostrae da mano più recente. Ù ymber imber hsmber Incostanza ortografica di Ambr. e di Ber.; ignoranza della 2* manus \ di Ber. 325 Dopo il 25 manca in Ambr. e V il pentametro. In V per altro è scritto = da mano più recente nel margine inferiore del foglio. Esso suona: Se- curum in tenebris me facit esse Venus. Ber. ha il verso inserito nel testo e scritto dalla 1* manus. Come è noto, esso fu attribuito all’ Au- rispa (Vedi Tibullo del Baehrens, &. 2. e, fra l'altre, Vediz. antica del Broukhusius), che scriveva buoni distici elegiaci. Giovanni Aurispa morì intorno al 1460. — Ambr.?, margine esterno, ha deficit, ad indicare Ù la lacuna. i Notevolissimo il fatto che di altri versi che sono caduti, in lacune segnate dagli stessi codici, il Ber. non ha mai accolto supplementi. Qui evidentemente il codice padre di Ber. conteneva il verso, scritto forse marginalmente, come in V (1). 31 come in Ambr. non labor hic l(a)edit manca: hic (semplice omissione) 335 ne ... neu «ne ... neu neu ... neu i Così leggo in V e non neu ... neu, come vedo nelle note alle edizioni k dello Hiller, del Cartault e del Postgate (1914). DAL come in Ambr, si quis si quid (non è lez. nuova) _ 52 perdomuisse perdonuisse perdomuisse : Errore materiale in Ambr. — Ber. non copiò su Ambr, 03 Nec Hec Hec (V? corresse). Errore comunissimo. (1) Ber., come già dissi, non è copia diretta né indiretta di Ambr. o di V e non conosce la secunda manus né dell'uno né dell'altro codice, a dif- ferenza di B, il Parisinus 7989 del Lachmann, che con ogni probabilità fu copiato su Ambr., di cui conosce la 2° m. . Atti della R. Accademia — Vol. LI. 193 « ti x I UA TRA a 3 li Ls na 4 PG Pi "da 1236 FERRUCCIO CALONGHI b 4 Ambr. Ber. 53 posses: la scrittura dimostra,un certo sforzo, un dubbio nei due ss, anche in Ber. Notiamo per accennare ad un originale comune 0 a due originali gemelli 0 similissimi. Ambr, posses con scrittura nitida. 79 magnae magni magni conferma che l'originale comune dava magni. 80 num nue (= num) nunc L'originale comune dovera dunque dare nune poco leggibile. 85 perripere (2% m. e) prepere perrepere 86 sancto .... tundere come V sanctum .... tondere In Ber. sanctum è corretto in sancto forse già dalla prima mano, a cui si deve uno svarione caratteristico, tondere, suggerito dal caput che segue. è 94 detenuisse detinuisse detinuisse con tentativo di correzione 95 arcta arcta arctam (per inavvertenza) 97 debita (errore di dedita dedita lettura? è anche in altri mss.) Consenso dei tre codici: 7 domini — 14 florida — 19 decedere — 19 furtim molli — 23 decet (uno dei molti comuni errori derivati dalla fonte comune: naturalmente w docet) — 40 rapido — 58 ipse — 65 possit — 82 diripuisse — 88 non unus. 1,3 Rubrica: pheacas ? (corr. su feacas feacas pheatas) ma nel resto identica in tutti e tre i codici. Per altro in V c’è mani- festa correzione (di f in ph). — Quanto a legi utet di Ambr,, è falsa lettura del Baehrens per egrotet. 1 sine me . sine me summe (errore materiale corretto da seconda mano) 13 cuneta cuncta cunta (Ber.? corresse) errore comunissimo nel Ber. (Vedi anche I 5,29) 13 nusquam numquam numquam *14 come Ambr. respiceretque despiceretque (non è lezione nuova) dA pe | IL CODICE BERIANO DI TIBULLO = — 11287 i SIA Ambr. Ber, 4 125 deum (V') deum dum l’e fu traversato da lineetta vertic. (come in G) omissione di puro aggiunto da Ber. In Ber. verso omesso: Ber.? segna l’omissione veteris: V? ventis veteris (abbreviato) ventis (come in @) reperte: V° in mar- repente Ambr.', poi repente gine repente rasa la 2% gamba dell'n per fare un reperte come Ambr. fatales fatalis (Ber.!: errore?) Messalam Messalam Messallam di regola invece in Ber. Messala i (2* m.) come Ambr. Tesiphoneque Thesiphoneque (contro Tisiphoneque di y) feros feros ferox (errore materiale per il preced. impexa) (1) *numina mumina lumina (forse pensando a laesit che segue, il copista scrisse lu per nu, ma non fu il solo ad errare) Consenso dei tre codici :4 mors modo nigra — 12 triviis — 12 omnia (con ogni probab. in Ambr.'!, benché su rasura mano più recente abbia scritto omina); in V si legge ‘ indubbiamente’ omnia (Hiller scrive omnia, ut videtur); osservo infatti in V I 5,20 omnia scritto in modo identico, cioè come un omma. La lez. omnia è confermata dal Ber. omia. L'originale comune aveva l'abbreviazione che facilmente può far scambiare un omnia con un omina e viceversa. L'interpolazione, come si vede, ha fatto ben poco sul Beriano — 14 cum — 17 aves dant — 18 Saturmi — 19 dixi: Ber. di (lo xi è aggiunto dalla 2* manus: scriba trascurato) — 21 neu quis — 32 inpharia (una parola sola) — 69 im- pexa — 71 tune — 75 ticios — 86 colo — 87 ac — 90 videar Ambr, e Ber.; videar forse da videas Y — 91 nune (Y? tune). (1) Tuttavia l'errore si ripete in codici (ad es. nel Brixianus A. VII. 7, Br. dello Stampini) e nell’ed. Romana del 1475. Sembra errore comune di di- strazione nei copisti, perché fu notato anche in mss, Ovidiani 1238 [4 21 33 38 39 44 51 56 62 63 FERKRUCCIO CALONGHI Rubrica identica in tutti e tre i codici. V Ambr. inrare iurare Ber. iurate (errore per inavvertenza: bada al time che segue) summa freta (V!) freta summa freta summa sagittas te perdit (Ber.® de. perdit) precor (errore di disattenzione? corretto marginalm. Non è lez. nuova) sagiptas (V!) sagittas te perdit (V!) te perdit (V® deperdit) prior prior premeret cum premeret cum utrumque utrunque tentare temptare cum premeret (inar- vertenza) utrunque temptare ° Ho citato i due versi solo per la grafia dei tre mss. Analogam. in I 3, 69, annutiat amiciat (originale comune illeggibile) arma ama amiciat arua L'errore di Ber. si spiega coll’aver preso la prima gamba di m per un r, ciò che fa pensare ad una scrittura di tipo gotico, simile a quella di Ambr. tamen acta apta tamen apta tamen apta Il copista di V scrisse tamen acta apta, poi cancellò acta. ipse ipse ipsa L’ipsa di Ber. può essere errore materiale (cfr. il rapta che pre- cede), ma non è lezione nuova. volet (per me, evi- velit dentem. corretto su velit) nec ne (A? nec) Il ne è dunque dell'originale. V corresse. € carmine purpurea carmine purpurea est nisi nisi velit (marginal. volet) ne e carmine purpurea nisi L’est mancava dunque nell'originale e fu supplito da 2* manus in Ber. e forse da 2* anche in Ambr. Forse V! ebbe iniziativa e suppl senz'altro. PER ; Ambr. i expleat expleat impleat non è lezione nuova come in Ambr, esse locum Venus omissione di locum: la 2% manus aggiunse in- terlinearmente dopo esse, venus i ì 76 callidus calldus calidus L'originale comune mancava di i o di 1: V!, più esperto, compì esat- tamente. 78 cunctis cunctis cuntis (Cfr. sopra in 1 3, 13). Consenso dei tre codici: 8 sit — 24 quiequid — 25 dietinna — 27 tardus eris — 27 transiet — 30 alta — 36 illam — 40 credas — 40 vincet — 44 verso identico in Ambr. e Ber. Vedi sopra: nota al med. verso — 48 opera: Ber. opere — 48 atterruisse (V? e Ber.? atteruisse) — 53 mihi - cum: V? tum corretto su cum, infatti tum è scritto anche interlinearmente come correzione, ciò che sfuggì pure al Postgate (1914): Ber.® tum — 55 post. Hiller /esse erroneamente mox in V, dove il post è chiarissimo. Di ciò si accorse anche il Post- gate (1914) — 59iam tu — 66 amnis. In Ber. scrittura incerta dell'n — 67 At qui. In Ber. propr. A tqui — 69 ter centenas — 70 frigios — 72 flentibus — 73 ticio — 74 ticium — 78 nostra (V nostra, > Ambr. nfa, Ber. nfa) — 80 diducat (Ber.® deducat). 15 Rubrica mederi amori amori mederi amori mederi teneat teneat tene- neat (a capo) (sillaba geminata) deposcentes come V deprecantes fortis sortis sortis praecinuisset praecinuisset praetimuisset (è anche nell’ediz. Aldina del 1567) vota voca vota confusione di ta con ca 7 chreme creme cme L’abbreviazione di Ber. vale precisamente creme, che doveva essere la lezione dell'originale. Crocetta di richiamo della 2% manus, ma nessun tentativo di correzione marginale. Dalla forma errata non è difficile risalire al Triviae, correzione che troviamo in W. 1240 FERRUCCIO CALONGHI Vv Ambr, Ber. 21 frugumque frugumque frugum (omissione 2) 22 terret (errore) teret teret 26 sinu sinu sinus errore materiale: Ber.? sinu 27 fructibus vititus vitibus a 29 illa ille (errore di lettura) illa 32 ab oribus (V? arbo- arboribus arboribus ribus) (così leggo) 42 nefanda nefanda nephanda ma in altri passi nephandus invece nei primi due. *47 adest adest abest errore di lettura? corretto marginalm. 48 callida callida calida da 2* manus. Sì legge anche altrove. | calida è solita erronea grafia di Ber., ma anche di varii copisti. I 50 tristitia (V!) tristia tristia 65 occultos ocultos occultos 67 iuneta (V° vieta) uineta (così mi pare) uinceta (così pare) Consenso dei tre codici: 1 dissidium — 3 turbo — 7 parce tamen parce — 11 te — 11 sulphure — 14 Y de veneranda (quasi staccato), | — Ambr. deveneranda, Ber. de veneranda — 20 sed — 28 et spicas — 30 adiuvet — 31 veniet (venient Ambr.) — 35 nothusque — 41 di- | scedens — 42 et pudet et — 42 mea — 43 verbis — 45 talis — 45 nereis quae — 61 Pauper erit praesto. tibi praesto pauper adibit (concordanza assai notevole) — 74 ipse — 76 nam. | I 6 Rubrica identica nei tre codici — In Ber. manca, come sempre, tranne : nella prima elegia di questo libro, l'iniziale maiuscola miniata che do= I veva estendersi allo spazio di due righe in altezza, come in V. In questo | si legge una s maiuscoletta, una r minuscola in Ber. 6 callida callida calida (redi I, 5, 48) 9 docui docui docuit (il puntino sotto t pare già di Ber.) 12 nunc tune tunc (notevole !) 14 impresso in pesso (quasi staccati) in presso L'oriyinale aveva in staccato da presso; di ciò è prova anche l’Ambr, V corresse. CO, 76 2079 121 Bere Sei \ P > & DE sy % HA PD 4 left - 07° n ‘ IL CODICE BERIANO DI TIBULLO A } e 31 Ambr, gemmas Ber. gemmas gemas didicisse didicisse dedisse Ber. in margine, su rasura, dedidicisse, il che esclude il post: altra correz. in margine sinistro dà verba dedisse in luogo di post didicisse. Il copista di Ber. non deve aver compresa la correzione, che trovò nel suo esemplare diretto, decidisse, lezione accolta in antiche edizioni, è fece un dedisse. In Ber. non è segnata marginalm. la lacuna dopo questo verso. ast at at sit sit sì (Ber. sit) (vedi sotto) Consenso dei tre codici: 5 iam — 7 tam multa — 11 nune — 18 lasso (Ber? marginalm. laxo) — 18 aperta (in Ber. aPta) — | 34 servare frustra (Ber.® segno di omissione, certo di un et) — 38 de- trecto (anche in V si legge chiarissimo detrecto, e non, come altri volle, detracto)(1) — 39 procul (Ber. Pcul) — 39 colit — 40 effluit — 42 stet procul aut alia stet procul ante via —- 45 mota — 46 et amans — a 47 violata — 53 attigerit — 56 illa: V ille — 64 sit: corretto su si in V — 67 victa (Ber. DI — 70 possum — 71 putat ducorque (Ber.? ducarque) — 72 immerito proprias: Ambr. inmerito — 72 proripiorque (Ber.® proripiarque) — 75 nec — 84 quod (xotevole/): in margine Ber? nulla; V? quam — 84 sit: propr. in Ber. si; Ber. corresse. x Lo scriba di Ber. non è diligente: l'errore è indubitato. I 7 Rubrica identica nei tre codici. *6 V! vietos (V? evinctos), Ambr.! vinctos (Ambr.? invinctos), Ber. evin- etos (come G). Notevole che in V l'aggiunta di e- colma insufficientemente lo spazio della rasura che contiene due lettere, ciò che darebbe fonda- mento all’ipotesi del Cartault di un invietos interpolato da V per ri- stabilire il metro contro un victos dell'originale riprodotto fedelm. dal- lAmbr. e da una successiva rasura di in, come contrario al senso, Ber. arrà trovato evinetos come correzione del suo esemplare. } (1) Richiamo l’attenzione sulla mia lettura di V, perché il preteso detracto di questo codice ha richiamato la speciale attenzione di molti studiosi del testo Tibulliano (cfr. Rothstein: de Tib. codd., Berlin, 1880, p. 59, e Leonhard : de codd. Tibullianis, Monachii, 1882, p. 28, ed altri). "a 1242 39 41 FERRUCCIO CALONGHI y Ambr, Ber. Bachus Bachus Baechus 3 A Bachus Cito 39 e 41 solo per dimostrare quanto poco costante sia la grafia nei tre mss. Consenso dei tre mss.: 8 nitidis — 9 tua bella — 10 Testis et oc- ceani littora sanetonici (esattamente identico in tutti e tre, compresi gli errori) — 11 Rodanusque: V Rhodanusque — 11 garuna — 12 Carnoti — 13 At (notevole) — 15 ethereo: Ber. etereo — 16 taurus: V thaurus, mentre molte altre volte thaurus è in Ambr. e in Ber. — 16 arat — 22 abundet: Y habundet — 28 memphitem: V menphitem — 29 solerti: Ber. sollerti — 30 sollicitavit: V e Ber. solicitavit — 35 iocundos — 41 affert — 42 cuspide — 45 chorymbis: Ber. co- rimbis — 49 centum ludos geniumque choreis — 54 mosopio — 54 mella — 55 suberescat: V sucerescat — 55 parentis: Ber. pa- i (2° m.) rentes — 57 ne fanche in V: errò Hiller leggendo nec) — 57 quae — 61 canit — 61 agricola magna (senza l'a). I 8 Rubrica 2 14 31 39 pholoe pholoe philoe (copista trascurato) ferant ferat ferat L'errore era dunque nell'originale che trascurò il trattino sulla. lenia levia levia colligit colligat (Ambr.!) colligat Sia poi della prima 0 della seconda mano la rasura di parte dell’a in Ambr., così che rimase solo l’asticciuola, ossia un i, la prima le- zione concordante con Ber. dev'esser stata fedelmente trascritta dal co- mune originale. Il verso termina con dedisse, il seg. comincia con oscula. In Ber. il 25 termina con dedisse oscula. Oscula è poi ripetuto al principio del 26 — Sbadataggine del copista. lenia (V? levia) Jevia levia (Ber? lenia) iuvant quae iuvantque non gemmae iuvant quae In Ambr. leggo iuvantque, perché il segno sull’î non pare di seconda mano. Il non è sottolineato, cioè cancellato, in Ber., quindi Ber. con- ferma la lezione di V, che è la corretta. FE OO e nn __—__——_mm—m0Òuuo@u@— @_—@ = SAVI nt 4 RACE ui n CE BERIANO DI TIBULLO. Ambr. Ber iuventas iuventas Il punto sotto la s in Ambr. dev'esser di seconda mano. V' ha ma- nifestamente iuventas; lo ammette anche il Postgate (1914), mentre nell'ediz. di Tibullo del 1905 leggeva in V' iuventa. 49) mal | sentita sentita (Ambr.') sentica (V? marg. sentica) sontica (Ambr.?) L'originale aveva rin 0 mal riuscito, simile ad e, donde il sentita dei copisti di Ambr. e V che vollero scrivere una parola latina e les- sero t per c, lettere che si scambiano facilmente. Il copista di Ber. non “ pensò a correggere. Sentica si legge per altro in molti codici. Concordanze dei tre mss.: 1 celare — 9 molles prodest — 10 comas — 11 fuco: in Ber. f già corretto dalla 1* manus che pare comin- ciasse a scrivere un s — 17 pallentibus — 18 tempore: Ber. tpù — 35 invenit — 43 tune mutatur: în principio del rerso tum studium — 44 dissimilet — 45 tune — 49 seu (V? neu) — 51 causa. ù Come abbiamo sopra avvertito, il codice Ber. manca del foglio 14 che conteneva i versi da I 8, 52 fino a 19, 21. I 9, 36 et et Ber.' omise Ber.? et 65 Aut At At *68 pectore (V? pectere) pectore pectere i Il copista di Ber. s'è accorto dell'errore v l'ha trovato corretto in nota interlineare 0 marginale dell’originale suo. Era del resto facilissimo ‘ correggere l’errore grossolano anche ad un copista poco esperto di latino come quello di Ber. Tuttavia pectere è in @ e altrove. *69 Îsta bereradet Ista persuadet Ista haec persuadet marginalm. V® haec L’haec marginale dell’originale di Ber. è passato nel testo. Così almeno sembra probabile. Comunque, è emendamento di molti cad. 73 vicio vitio vitio confusione comunis- sima di c e t _81. pene poena poena J (V? corresse poena) i - Li ei EVA # Ù Ji Da NE de: VIgTA 7A SEU "FERRUCCIO CALONGHI dia Consenso dei tre mss.: 23 nec — 23 celanti fas — 24 sit... vel A ;à — 25 leve (in V? e Ber. lene) — 31 tibi — 35 eriperet — 35 sydera — 36 fluminis — 40 exemplo sed — 44 sed latuit... adoperta (l’abbreviaz, non è svolta in Y: adopta) — 44 clausos (Ber.? clausas) — 45 confisus — 45 tum — 48 et — 51 tu procul hine absis — 57 semp Ambr. e V: semper Ber. — 61 convivia (corretto su convivam in V) — 73 haec — 75 hune — 80 superba (in Ambr. e Ber. supPba) — 81 dum. - 110 Rubrica di Ambr. e Ber. identica; solo da notare: V Ambr. Ber. primam aetatem aetatem primam aetatem primam aperta apta aperta Le abbreviazioni ora in uno, ora nell'altro, senza costanza. , , — 23] unam uva uvam 25 dopo questo verso V° e Ber.® riconoscono lacuna, segnando deficit. 41 ut at at (notevole!) bidens vomer® vi- videns vomer vi- bidens vomer2 vifleni derit derit V? marg. vigent (corretto in nitens) que ed r 2* man.: rî scambiato con n donde è lecito vedere che V e Ber. non son copiati su A, che Ber. non è neppure copiato su V, che l'originale comune aveva l'errore nidens per bidens, e nidens fu letto da Ambr. videns, poi corretto nitens. Così si desume dalle raschiature. *51 e lucog3z elutoque e lutoque (unito con un trattino in una parola sola da 2* manus). Così leggono molte antiche edizioni. *68 praefluat praefluat perfimat Ber. perfiluat (= perfluat) (y perfluat). Ber. non ha inteso l’abbreviaz., confondendo prae con per? Concordanze dei tre codici: 3 tunc caedes — 4 tum — 8 ciphus — 8 dapes — 11 vulgi — 18 veteres — 23 ipsa — 25 tela: Ber. tella — 26 porcus: Ber. portus (errore mater. corretto da 2% manus) — 27 mirtoque canistra: V ha mirtoque sinistro canistra con sinistro sottolineato, cioè cancellato — 30 adverso: adversos Y® — 33 accer- - pù MI Ta] È Mel 4 PROC Va t t IL coDICE | BERIANO DI mIBULLO! ; si dà SPrat, ©» st ' È ; V arcesser — 36 puppis — 37 Moe _ 42 fesso : _ Ber. fot (errore mater. corretto da 2% manus) — 46 curva — 51 ipso — 58 utrunque — 60 diripit — 61 perscindere. I1 Rwrica ui Y Ambr. Ber. 2us pr Incipit liber secun- Incipit de agri iu- incipit II. De agri lu- De dus de agri lu- stratione et vene- stratione et venerem Mt stratione et ve- rem invocandam invocandam (1). nere invocanda Dal confronto risulta che Ber. non copiò Ambr. e nemmeno V. In Ber. c’è Il, in Ambr. 2us è di mano ben più recente. V corresse qui l’errore dell'originale comune (venerem invocandam), come ne corresse altri. Il copista di Ber. copiò materialmente, come suole, il che dà, naturalm. sotto un certo aspetto, maggiore importanza al codice. 22 ingerat ingeret ingeret 25 caelestibus felicibus felicibus _ 36 cilibus celicibus celitibus (2) (V° COVT. MAT. (non è propriam. staccato r caelitibus) in due, come altri lesse: celi citus. // breve inter- rallo tra i e c, come tra due sillabe in genere, nun separa la parola in due) i 1 (2a man,) 38 grande grande glande (2) 42 supposuisse suppotuisse supposuisse (2) hyrcus hauserat yreus hauxerat hyr- h. haxerat h. oves hyrcus oves cus oves (Ber.® auxerat) (1) È inutile dire che venerem invocandam si legge anche in altri codd., tra cui il Guarneriano. | (2) Non segno con l’asterisco che indica interpolazione o sospetto di inter- polazione, perché qui in Ber. è corretto un evidentissimo errore di scrittura È. dato che questo errore esistesse nell'originale comune —, la cui correzione differisce da quella d’un errore qualunque d’ortografia. Il celicibus del ». 36 doveva esser proprio nell'originale, ed è notevole che il Leo nelle sue y eziose osservazioni sul (, che seguirono a quelle del Goetz e del Loewe, ag- nga: coelitibus # (ex c) et ib in ras. Sn Cod. Guelf. 82. 6 Aug. photot. A praef. est Frid. Leo, Lugduni Batav., A. W. Sijthoff 1910, p. 10). an, a DI ni Fia: pen, — PRRRUOCIO oatoseni i co i: » AL P li come si vede, l'originale comune era illeggibile: V h iniziale del ve bo ” SI s40 — era un suo errore... leggibile. Massral: deo danene sla in Ber. pe 4 3 = V Ambr. Ber. 4 Pad tti ws 67 V! Ipse quoque inter Ipse quoque inter come l’Ambr. 0 greges — ma la parola —agros | A 59, PA greges non par scritta di ; ct getto ; il secondo g è so- % "# ‘spetto. Certo poi V® ha È Ipse agros inter9 gre- ges e non come fu letto : Ipse agros inter gre- gesque (V. anche ediz. Cartault, p. 200). 74 limen limem\errore mater.) limen (1) 77 timore timore timorem errore di disattenzione 79 Ah Ha 3 Ha o (V?) 83 vacate vocate vocate *88 Matris Matris Martis può essere errore di disattenzione delcopista di Ber., ma per altro non è lezione nuova. 89 halis alis alis Concordanze dei tre codici: 1 valeat — 8 stare boves capite — 9 sunt (V? sint) — 13 veste — 22 ligna (in Ambr. corretto su lingua) — 23 satiri Ambr. e Ber., dunque l'originale; satyri Y — 34 ades — 41 tauros: V thauros — 42 servitium: Ber. servicium. In questo, come in molti altri passi, abbiamo piuttosto il facile scambio nella let- tura di ci e ti, che non il proposito di scrivere in un dato modo. Invero i due copisti non hanno coerenza — 43 tunc... tane — 44 tune — 44 ortus — 45 antea tune (2) — 49 ingerat — 50 et — 50 sedula: Ber. cedula: corretto da 2* man. — 54 duceret — 65 assidue... textrix... minervam — 66 appulso — 73 opus — 86 frigio — 88 thoro — 89 fulvis. i (1) V. nota (2) a pagina precedente. (2) tune non tum, come fu letto. 3 "di . ie E “ hi neo el asne > vi A PA 2° SIR CODICE BERIANO DI sin Ambr. Ber. chorinthum cornutum comutum Notevole l'incertezza di V tra Chorinto (Cerintho) e Cornuto, e ciò in ' uno dei migliori codici della tradizione di 0. La lezione del Beriano conferma per altro che il chorinthum di V e l'incertezza del cornute di v. 9, pure in V, son dovuti probabilmente al copista di V. Il copista pensava a “ Cerinto ,, dei carmi sulpiciani. In v. 9 tuttavia egli scrive cornute, ma sotto l’ultima asticciola di nu c'è un puntino, come per ridurre il nome a corinte. Il copista di Ber. non pensa mai a innovare e copia fedelmente. et (2a man.) 19 vincula quae et vinculaque vincula quae L’origîn. aveva o non aveva l’et? Si sarebbe indotti, confrontando la prima manus di Ambr, e il Beriano, a credere di no. La lez. di Ber. è pure in altri cdd. ; Concordanze dei tre mss., e, dal v. 20 in poi, solo di Ambr. e di Ber.: - 7 distillent — 18 nec... malueris — 15 undis — 17 utinam (note- vole!) — 17 alis: V! halis (cfr. II 1, 89) — 21 hic veniat (davanti a V? che ha lezione comune con gli interpolati: hec veniet; più comunem. w veniat). Come è noto, dal v. 20 manca la prima manus di V fino a 3, 49. I13 Rubrica. La nuova manus di V non si curò di indicare la scrittura al 3, miniaturista. Manca pertanto qui la rubrica. In V mancano di solito le iniziali miniate e qui c’è solo la letterina di guida. una piccola R: all’iniziale era riservata Valtezza di due righe e lo spazio interno nel testo di circa 6 lettere. Altrettanto precisamente nel Ber. V? cythera intonse cithera intonse cithera mihi tonse (2° man. corr. cythara) 14: VV? vaccas vaccas vachas 27. V? Delos. Delos Delias (errore mater.) (Ber® Delos). i (V?) / ille illi illi t (V?) si cernent certent certent errori di disattenzione di xe Affrica Aftrica Africa liquor liquor loquor L'originale comune avera lo svarione, probab. corretto in qualche copia, oppure corretto più tardi interlinearmente 0 marginalmente, Ciò 1248 FERRUCCIO CALONGHI è più probabile che non la correzione diretta del copista di Ber., incolto e disattento. Loquor è lezione comunissima. Y Ambr. Ber. È 42 ut et (errore) ut : *60 Barbara bipsatos —Barbara bipsatos Tartara bipsata (1) 66 addere abdere abdere 4 68 et et (aggiunta di et j 2% man.) 4 70 sulcos suleos stultos x (errore materiale ?) | ba (2° m.) 71 aspirabat aspirabat aspirat î 78 iuvat iuvet iuvet Concordanze dei due mss. Ambr. e Ber. fino al v. 49; dei tre mss. dal v. 50 in poi: Rubrica identica, solo Ambr. pretio, Ber. precio — 1 cornute (Y? cormite) — 3 latos (Y? letos) — 9 querer: Ber. querer — re (notevole: V*? querer) — 10 pustula — 11 armenti (V? admeti) — 14a-14b Segni marginali di 2% manus indicano in tutti e tre la lacuna — 14c mixtus — 15 fiscella (Ber. fisella per errore materiale) — 17 quotiens (V? quociens) — 21 trepidis (Ber. trepidiis) — 27 phito — 31 ille — 33 est (V? es) — 34 non è segnata lacuna. — 38 propiorque: Ber. propriorque, V propriorque: l'errore è comunissimo — 38 eruor (V? furor) — 39 iussit geminare — 40 ratibus — 41 obsistere (la lezione dell’originale garantita «a Ber.) — 43 tumulti (notevole!) — 46 negligat — 47 tibi. 0(2*m.) 53 gerit — 53 choa (Ber. coa, Ber.? choa) — 55 torret (Ber. terret; correz. dell'errore di disattenzione) — 59 quae — 61 V' e Ber. ne- mesis qui abducit: Ambr. ne un po’ staccato da mesis, ma non fino a far pensare a due parole. L'accordo dei tre codici è anche qui assai notevole. — 62 terra — 74 redi, scritto con carattere che sembra un po’ incerto, in tutti e tre — 75 non è segnata lacuna. Il 4 Rubrica quod et quod et quod munera pretia pretia (1) 12 Leo (1. citato sopra) osserva che il gypsatos di & ha il g di seconda mano su rasura — ut videtur — corretto su b, e così sembra di vedere anche a me, pur sulla riproduzione fotografica del codice. L'originale comune aveva certo il b, e la strana interpolazione di Ber., che non trovo altrove, conferma. l'Asbe e Toei fu Î ‘ Mc Vv, hi x ; . Mur $ >» Mr Pe USI 13 Pin x i pEr F f | IL CODICE BERIANO DI TIBULLO. DA x we TE " MeV: Ambr. ME te (si vede come una sie hic tr letterina marginale di l’originale illeggibile ? ‘% — 28 manus, ma non si può dire se sia una s) pa; *10 vitrei (V? vasti) Ambr. omise vasti (come (x) ( \ (Ambr.? vitrei) Vitrei non è lezione nuova e difficilmente può essere interpolaz. di- retta di V. Il copista di Ber. avrà trovato vasti come supplemento in- terlineare 0 marginale del suo originale diretto mancante del vocabolo, come l’Ambr, 3 teneroque ca- teneorque cathenis teneorque catenis I) thenis (V4) su sospetta rasura 017 orbem (sembra cor- urbem orbem retto su urbem) L’u dell'originale era poco chiaro. 27 smaraddos smaragdos smaragdos 33 sed pr. sed pr. sì pr. “i errore per il si che segue? 43 veniat veniet veniet 55 quicquid quidquam quicquid È L'errore di lettura di Ambr. è confermato. *59 si non (V? marg. sì non sì modo È modo) (come G e altri cad.) Consenso dei tre codici: 2 pater ve (notevole perché errore comune e per la forma pater ve: originale comune) — 4 remittet (notevole!) 5 quid — 12 nam — 17 equalis — 29 hic dat avaritiae... choa (Ber. avariciae) — 81 clavem — 33 incerta — 36 attulit — 36 ipse — 38 hic deus — 38 esset — 40 portas (V? e Ber.? partas) — 44 obse- È quias — 56 tessala (grafia com.) e così nel seguente — 58 ypomanes 60 alias. 11 5 Rubrica laudes eius eius laudes eius laudes . Ber. è fedele all'originale. de mb: devincetus vinetus divinitus uinitus e winctus si scambiano facilmente. Di qui l'errore di lettura di Ber. Il de era forse poco leggibile, nell'originale, ciò che spiegherebbe l’omissione prima di Ambr. Comunque il divinitus, senza senso, di Ber,, non è sospetto di interpolazione. 1250 FERRUCCIO CALONGHI Da II 5, 6 fino a 101 mancano i fogli 23 e 24. In calce al margine destro di 22°, in senso verticale, si legge il richiamo Dum cumul= (rasura); cfr. II 5, 7. Proprio qui si hanno in Ambr. e V. due elegie È separate al v. 39 e tutto fa supporre che identica sepurazione si sarà — avuta anche nel Ber. II 5, 102 Ripresa del Ber. fol. 25”, i i V Ambr, Ber. 4 112 repperisse reperire reperire i 121 sic sint V4 (sic sic tibi sint sic tibi sint tibi sint V?) Concordanze dei tre codici: 2 cithara (Ambr. cythara) — 3 cordas | — 4 meas — 108 heu heu — 109 taceo — 110 et faveo morbo cum 3 iuvat ipse dolor [incerto tra iuvat e vivat in Ber.] — 111 qua (Ber. — omise il segno e scrisse q; la 2% manus aggiunse sopra un a, q) = 116 oppida (Ambr. e V opida): la correzione era così facile che può ben essere stata fatta anche dall’incolto scriba di Ber. — 116 ferent (notevole!) — 117 laurus — 122 perpetua. II 6 Rubrica in militiam nì milicia in miltia lenam leenam lena = i phirne phyrne phirne (sembra) | 4 allatus (V4) adlatus ad latus In Ambr. pare una parola sola. L'originale aveva dunque ad e latus | molto vicini, quasi a formare una parola sola. i 5 tu (V!) tua tua i portat portet portet 14 venit redit redit redit 18 nefanda nephanda nephanda | *51 perdita perdita reddita i (errore di distrazione?) | 54 quotacunque quota cumque quotacunque ! Concordanze dei tre mss.: 1 macer — 2 gerat — 5 ocia — 6 er- ronem(/! copista di V si mostra incerto nell’n - probabilm. non capiva -, Ber. scrive sicuro, ma il vocabolo non era dei più facili a intendersi, | perché la 2% manus scrisse marginalm. la chiosa erro-nis) — 10 facta — 16 scilicet — 20 et fore cras semper ait melius — 22 reddat — | 31 illa (illam Y)— 32 ferant (feram V? e Ber.?: notevole) — 38 thorum — 45 vetat ( notevole) — 45 phirne (Ber. phyrne) — 46 tuncque — 47 diro — 49 mihi promissa est. DI” ) W UD nie \ A La 3 POPS v . iD te Cp? TN9 i ge fa * |--IL CODICE BERIANO DI TIBULLO | 1251 V Ambr, Ber. Albij Tibulli liber Liber explicit se- Explicit lib. II. Incipit Secundus Felici- cundus. Incipit IIl feliciter ter Explicit. In- ‘l'ertius ad Nee- Ad neeram ama- cipit Tertius Ad ram amasiam siam suam Neeram Amasiam suam suam. Rubrica. Né in Ambr. né in Ber. è nominato Tibullo. Per converso Ber. ha il feliciter consueto, che manca in Ambr., Neera è scritto costantem. colla e semplice in tutti e tre i codd. pretio precio precio a (2° m.) protexit protexit (Ptexit) protexat Dal confronto risulta che l'originale comune aveva la forma erronea protexat conservata in Ber. Di questa lezione rara non manca esempio; in Broukh. trovo: protexat unus Statius. £ possibile che Vi sia una correzione dell'esemplare diretto di Ambr, (e di V), dato che protexat non è parola latina, mentre protexit è. Noterolissima intanto la diffe- renza tra Ambr. e Ber. L’a della 2* manus di V è una correzione probabilm. parziale di chi aveva sotto gli occhi un praetexat. ® ha prae- texat, e così C (= consenso di c, d, e) del Lachmann. Protexat è les. sconosciuta ai codici Lachmanniani, dove y e il Parigino B (si noti bene) hanno protexit. per vos parvos per vos (e su rasura; sotto do- (come in G) veva esserci a. La L'errore parvos dell’originale comune fu 2% manus separò riconosciuto dal copista di Ber.? Sembra anche le due parole, poco probabile. secondo una ‘indica- zione interlineare: p vos). umbrosam (V!: umbrosam umbram (come @ e altri umbram V?) codd.) meritum (V!) meritum nuncium (V? e ( meritam) svarione di lettura ? Concordanze dei tre mss.: 1 romani (Ber. romane, errore materiale subito corretto da un lungo j che traversa le: V Romani coll'iniziale maiuscola) — 8 meis — 10 pumicet et — 11 carte — 20 an minor — 26 tibi. 1252 FERRUCCIO CALONGHI — IL CODICE BERIANO DI TIBULLO III 2 Rubrica V Ambr. Ber. et discidio discidio (senza et) dissidio (senza et) portat (V!: portat optat YV? marg. optat) portat non ha senso. Ber. ha trovato la correz. sul suo esemplare diretto. suo funeri funeri suo funeri suo 5 nostro nostro (nro) nostra (nfa) Il nra di Ber. è errore di inavvertenza per effetto del patientia che precede. Il Belling (1) e successivamente il Postgate (1914), esaminato attentamente l’Ambr., notarono che in questo verso le lettere tia nro sono di altra mano che quella di patien, che tia n è scritto su rasura, che ro è seritto sulla pergamena intatta. Il Postgate vide che erano state rase non solo da tre a quattro lettere, ma ancora la notazione sopra en. Aggiungo che la scrittura fu male imitata nella correzione, dore l'abbreviazione di nostro è precisamente come lho trascritta di sopra. V e Ber. ci persuadono che le lettere scritte da Ambr.!, e che non ci è dato di indovinare, dovevano essere una semplice svista, così da dare un testo senza senso. pudor (V!) pudor - pudor est -1 Probabilmente l’est era nell’originale e precisamente sotto la forma è, e poco leggibile. Di qui l’omissione in Ambr., dove tuttavia si vede un trattino segnato tra pudor e vitaeque seguente, e in V, dove c'è parecchio spazio tra pudor e vitaeque. V? scrisse interlinearmente è. Non fa meraviglia pertanto che Ber. abbia l’est e non è necessario pensare ad un'interpolazione del suo esemplare diretto. Se questo fu, come è certo, un pudor est è comunissima, forse propria di tutti i codd. Lachmanniani. i È codice similissimo ad A, esso aveva, con ogni probabilità, l’est. La lez. i i i Concordanze dei tre codici: 10 supra (Ber.? super, come G@) — 15 ro- gatae (in Ambr. rogate, dove di regola e == ae, come nelle prime i pag. di Ber.) — 19 lieo: per altro in Ambr. e Ber. lyeo — 21 ventis (Ber.? velis) — 23 illic — 23 dives — 24 dives — 29 Ligedamus — 29 ca (= causa) V!, cara V/ in marg. (così vedo nel ins., e non come altri lesse: cara V), ca Ambr. (= causa), causa Ber, (scritto per esteso). (1) In Quaest. Tibullianae, Berlin, 1894, p. 3 e 4. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. CLASSE . SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE _ =— è NATURALI Adunanza dell’11 Giugno 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci SaLvapori, Naccari, JADANZA, Foà, GuarescHI, Guipi, Parona, MarTIROLO, GRASSI, SOMIGLIANA, Fusari, BaLBIaNo, PANETTI e SeGrE Segretario. — Scusa l’as- senza il Vice-Presidente CamERANO. Letto e approvato il verbale della precedente adunanza, il Presidente comunica una lettera del Socio corrispondente MirTAG- LerrLER, in data 11 maggio scorso, con cui s’informa l’Acca- demia che in occasione del suo 70° anniversario (16 marzo 1916) il Prof. Mrrra6-LEFFLER, con la sua Signora, hanno legato per testamento la biblioteca, la villa a Djursholm, e tutto ciò che possiedono ad una istituzione internazionale per le matematiche superiori. — La Classe invia un plauso all’illustre matematico Svedese, che aggiunge così una nuova benemerenza alle altre che già s'era acquistate colle sue memorabili scoperte anali- tiche e colla fondazione e direzione dei gloriosi “ Acta mathe- matica ,. Si dà lettura dei ringraziamenti inviati all'Accademia dal . Dr. Mario Zuccar, cui fu conferito il premio Pollini nell’adu- nanza del 28 maggio scorso. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 80 il Socio Segretario informa la Classe dell'importante dono fatto all'Accademia, dal Direttore della Classe D’Ovipro, dell’in- tera collezione (53 volumi) del “ Giornale di matematiche , fon- dato dal BartAGLINI (1863-1915), non che delle serie 2? e 34 (1868-1916, 51 volumi) degli “ Annali di Matematica ,, di cui la Biblioteca accademica possedeva solo la 1% serie. La Classe ringrazia vivamente il donatore. Il Socio GuaREScHI offre in omaggio i seguenti suoi opu- secoli: La teoria atomistica e Sebastiano Basso, con notizie e con- siderazioni su William Higgins. — La Chimica e la guerra. — Correlazioni fra struttura chimica e digeribilità dei principi ali- mentari orgamici. Vengono presentate, per la stampa negli Atti, le Note se- guenti : N.JADANZA, Note illustrative alla Biografia di Ignazio Porro; G. CicconetTI, Strumenti diottrici ad obbiettivo composto usati in Geometria pratica. Nota 2* (dal Socio JADANZA); B. Rarnaupi, La durata dello splendere del Sole sull’oriz- zonte di Torino, dal Socio NACCARI; M. PaxertI, Rendimento dei rotismi epicicloidali con un asse principale fisso (*); C. SomiaLiaNa, Sulle discontinuità dei potenziali elastici. (*) Questa Nota uscirà in una dispensa successiva. NICODEMO JADANZA — NOTE ILLUSTRATIVE, ECC. 1255 LETTURE Note illustrative alla Biografia di Ignazio Porro del Socio NICODEMO JADANZA. Alle Notizie biografiche sul Porro che ho presentato ulti- mamente a quest’Accademia (*) aggiungo ora alcune note illu- strative. Esse si riferiscono a passi che già in quello scritto erano stati espressamente contrassegnati. Nora (a). Tutto ciò che è detto nel testo si vede facilmente consi- derando la figura qui annessa, nella quale O è il centro ottico della lente obbiettiva del cannocchiale, ab è la posizione del reticolo corrispondente alla posizione AB della stadia che si trova alla distanza D= OC dall’obbiettivo del cannocchiale. Indicando con p la distanza 0c del reticolo dal punto O, i due triangoli simili a05, AOB danno D p AB ab’ (*) V. a pag. 1077 del presente vol. degli * Atti ,. 1256 NICODEMO JADANZA dalla quale, ponendo AB = S ed ab= s, si deduce (1) D = 2 . S, colla quale si calcolavano le distanze misurando ciascuna volta la quantità S e supponendo costante il coefficiente =» Ora p è una funzione della distanza focale p della lente M e della distanza D della stadia; essa si deduce dalla nota formola 1 1 1 piro donde p= EE quindi la (1) darà (2) D-@= 8, la quale dice che la distanza D dev'essere diminuita di @ per essere eguale al prodotto di una costante per la parte della stadia compresa tra i fili estremi del reticolo. L'errore adunque del metodo consisteva nel ritenere D —@ eguale a D, e quindi l'errore relativo sulla distanza era S che diventa tanto più grande quanto più D è piccola. Così, per es.. se @ = 0,40 si avrà Per D.= 2002 ca Li, s D= 50 PIU nibr=" 20 = si» , D= 10 at ete. L'angolo al vertice del triangolo isoscele avente per base la distanza tra i fili estremi del reticolo e per altezza p è quindi variabile. Nora (b). La teoria del cannocchiale centralmente anallattico di PoRRO, come si trova in quasi tutti i trattati di Geometria pra- — Te = cr © _—_r—m di esi din pen Anti NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1257 tica (*), non è completa. Il Porro l’ha soltanto accennata nei suoi libri, e tutti gli autori si sono occupati di far vedere che esisteva in un sistema composto di due lenti un altro punto anallattico (fuoco del sistema composto) che corrispondeva al fuoco ante- riore dell'obbiettivo del semplice cannocchiale astronomico e ne aveva le medesime proprietà. Non fa dunque meraviglia se in taluni libri si trova scritto che la costruzione di un cannocchiale centralmente anallattico non era cosa da meccanici ordinari. Da tale insufficienza ne è deri- vato che anche abili costruttori di strumenti topografici met- tevano, senza un criterio determinato, una terza lente tra il reticolo e l'obbiettivo. Si veniva così a diminuire la distanza focale dell’obbiettivo del cannocchiale e perciò gli errori rela- tivi sulle distanze erano minori. Cannocchiali cosiffatti erano chiamati quasi amallattici (!!). Manca a quelle trattazioni la condizione fondamentale che: un sistema composto di due lenti convergenti per essere obbiettivo di un cannocchiale deve essere tale che la distanza tra le due lenti (supposte infinitamente sottili) deve essere minore della distanza focale della prima delle due lenti di cui è composto. Soddisfatta questa seconda condizione ne veniva di conseguenza che la di- stanza focale del sistema composto era minore della distanza focale di quella stessa prima lente e quindi veniva diminuito l’in- grandimento del cannocchiale. Per fare che la diminuzione del- l'ingrandimento fosse piccola conveniva che la distanza tra le due lenti fosse di poco minore della distanza focale della prima lente. Nel caso più generale possibile, supposta ®, la distanza focale dell’obbiettivo di un cannocchiale semplice astronomico che si voglia rendere ana/lattico rispetto ad un punto che disti di òd da detta lente obbiettiva. si troverà che la distanza A della lente anallattica dell’obbiettivo sarà data da dove ©, è la distanza focale della lente anallattica. (*) Basta consultare alcuni tra i migliori libri, che sono i seguenti: SaLwevve (J. F.), Cours de Topographie et de Géodésie (Paris, 1857); SrniscaLcni Vincenzo, Istituzioni teorico-pratiche di Topografia ed Agri- mensura (Napoli, 1875); Lenagre A., Cours de Topographie (Paris, 1881); Harrner F., Manuale di Geodesia inferiore, tradotto in italiano dall’In- gegnere Pasquare Fanrasia (Napoli, 1894); Jorpan W., Hanabuch der Vermessungskunde (Stuttgart, 1897); SaLmorraGnI AnceLo, Istrumenti e metodi moderni di Geometria applicata (Milano, 1907). 1258 NICODEMO JADANZA cesti , : Ponendo A = pae ®, si avrà RETI... mb Pi Do) i Po ber 3 Pi P,+d . Dando è, ©, ed », si troveranno colle formole precedenti i valori di A e @, convenienti a quel caso. Per es. ponendo dè = Di (caso dell’anallattismo centrale) n= 30 si otterranno A cz 0,967 Di Pa = 0,633 ©, colle quali si può rendere centralmente anallattico qualunque cannocchiale semplice astronomico il cui obbiettivo avesse una distanza focale eguale a @,. L'obbiettivo composto avrà la di- stanza focale eguale a 0,950 9; e l'ingrandimento del cannoc- chiale anallattico sarà 0,95 dell’ingrandimento del semplice can- nocchiale astronomico. Gli errori che derivavano dalla trattazione incompleta della teoria del cannocchiale anallattico si mostrano evidenti in un esempio numerico dato dal SALNEUVE. Egli pone @, = 0,180, d = 0",200 e poi calcola gli altri elementi e trova A= 09,400: © g3=0,305, etc. Un cannocchiale costruito con questo obbiettivo avrebbe il 2° fuoco virtuale situato davanti all’obbiettivo e quindi per- fettamente inservibile. Calcolandolo colle formole generali date da noi si otterrebbe Api pe = 0 ,0893. Il 2° fuoco sarebbe distante dalla lente anallattica di circa 0%,006 e la distanza focale equivalente @ = 02,169. Volendo il medesimo cannocchiale centralmente anallattico col porre cioè dè = 0,09, si otterrebbe A0G,174; = 0,114; p= 0,171. La vera teoria del cannocchiale anallattico fu data da Ga- LILEO FeRRARIS in una Memoria intitolata: Sui camnocchiali con on NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1259 obbiettivo composto di più lenti a distanza (Cfr. vol. 16 degli “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, 1880-81, a pag. 45). In un modo più semplice e più completa fu data da noi nella “ Rivista di Topografia e Catasto ,, a pag. 196 del vol. 7 (1894-1895), dove è inserita una nostra Memoria avente per titolo: Teoria del cannocchiale anallattico. Nota (ce). A pag. 383 del vol. XVI(1849) degli “ Annales des Mines, vi è una Memoria dell’Ingegnere delle miniere M. H. De SÉNARMONT avente per titolo; Notices sur quelques instruments imaginés par M. Porro, pour abréger et simplifier les opérations de la géodésie, de la topographie, du nivelleiment et de l’arpentage. In questa Memoria è per la prima volta esposta la teoria dell’anallattismo. Dopo aver trovato la formola rigorosa per una lente semplice (obbiettivo di un cannocchiale astronomico) D-—pq=".,S s [D=-distanza della stadia dal centro ottico della lente obbiet- tiva, S= parte della stadia compresa tra i fili estremi del re- ticolo la cui distanza = s; @ distanza focale della lente] dice che, sostituendola, in pratica, coll’altra D=®.S equivale in realtà a contare le distanze proporzionali alle lun- ghezze intercette fra i fili estremi del reticolo a partire dal centro ottico, mentre si dovrebbero contare a partire da un punto situato fuori del cannocchiale, sul suo asse ottico centrale avanti all’obbiettivo di una quantità precisamente eguale alla distanza focale principale di detta lente. Quando si applica questo metodo alla misura delle distanze inclinate all'orizzonte, è necessario, in generale, contare queste distanze a partire dal centro dell’istrumento graduato che mi- sura le inclinazioni. La correzione a fare per rendere all’osser- vazione tutto il suo rigore sarebbe egualmente facile come nel primo caso; la si trascura quasi sempre, e si può vedere che gli errori così commessi ' passerebbero spesso inavvertiti in mezzo alle incertezze che presenta l'impiego della stadia osservata coi cannocchiali ordinari . 1260 NICODEMO JADANZA E necessario di far comprendere mediante quale artifizio il Sig. Porro ha reso ogni correzione inutile, trasportando a volontà l'origine delle distanze in un punto qualunque dell’asse ottico del cannocchiale. In ogni sistema ottico convergente, si può determinare sull'asse centrale un punto tale che tutti gli oggetti che, visti da questo punto, sottendono lo stesso angolo avranno le loro immagini coniu- gate della stessa dimensione. Questo punto |che non è altro che il primo foco principale tanto in una semplice lente quanto in un sistema composto di lenti] fu chiamato dal Porro centro di anallattismo. Nel caso di un sistema composto di due lenti, cercando il rapporto tra una dimensione S di un oggetto e la corrispon- dente s della sua immagine data dal sistema e di grandezza assegnata, giunge alle due equazioni (1) SITES: SIM i _ pih) S (+ po — A)s P + pa — A lin queste equazioni @; è la distanza focale della lente obbiet- tiva del cannocchiale, @, quella della seconda lente, A la di- stanza delle due lenti che si suppongono infinitamente sottili, D la distanza dell’oggetto dall’obbiettivo e 8 = D+ a]. La prima di tali equazioni dice che il rapporto tra l’im- magine di un oggetto e l'oggetto stesso è uguale al rapporto tra la distanza focale (*) del sistema diottrico che dà quella immagine e la distanza dell'oggetto dal primo fuoco di quel si- stema (precisamente come nel caso di una semplice lente). La seconda da la distanza di esso fuoco dal centro ottico della prima lente. Le equazioni (1), dice il Sig. De Sénarmont, contengono la teoria dell’anallattismo e la soluzione di tutte le quistioni che sì debbono risolvere per la costruzione dei cannocchiali anal- lattici. Si vede, infatti, che se l'angolo 2w, la cui metà w ha per 3: è costante, s avrà un valore costante. In virtù delle equazioni (1) si può disporre di due delle quantità ®,, 93, A (la terza rimanendo libera e potendo servire a diminuire l’aberrazione) in modo da portare il centro d’anal- tangente (*) Il rapporto non è indicato con questo nome dal Sig. de Sénarmont. NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1261 a dare nello stesso tempo al numero s(P; + Pa FE) A) Pi Po un valore egualmente assegnato. Si comprende da ciò che la costruzione di cannocchiali anallattici dovette essere ritenuta come una cosa molto diffi- cile e che pochi costruttori di strumenti geodetici avrebbero saputo fare. Nora (d). È di particolare interesse per la storia della Celerimensura il conoscere in qual modo essa fu introdotta in Francia. Fin da quando gl'ingegneri piemontesi si occupavano della delimitazione del confine tra il Piemonte e la Savoia, il Capi- tano di Stato maggiore francese De Lostende aveva mandato al suo generale il seguente rapporto: «“ Mon Général (*), “Au mois de mai dernier j'eus l’honneur de vous entre- “ tenir d'un procédé simple pour mesurer rapidement, et sans “ les parcourir, les distances au-dessous de 400 mètres, propre, “ par conséquent, à faciliter et accélérer beaucoup le levé to- “ pographique. Depuis cette époque, un an d’expérience m’a “ confirme les avantages que j'avais déjà reconnus à ce procédeé. “Je m'empresse d’en mettre les détails sous vos yeux, “ en vous priant, s'il vous semble utile, de vouloir bien le pré- “ senter au Comité du Dépòot de la Guerre. L'idée de mesurer les distances au moyen d’un micromètre “n'est pas nouvelle. Ce moyen aurait sans doute, depuis long- “ temps, remplacé la chaine, dont l’usage est si incommode, et “ sì défectueux dans une foule de cas, si jusqu'à ce jour un mode “ simple et économique d’'application du principe n’eùt manqué. (*) Cfr. Mémorial du Dépòt de la Guerre, tome IV, année 1826, Paris, 1828; Rapport sur la Stadia, page 70 à 77. È utile consultare anche il magnifico libro: Recherches sur les instru- ments, les méthodes et le dessin topographique, par le Colonel A. Laussenar, Membre de l’Institut, Directeur du Conservatoire national des Arts et Mé- tiers, Paris, 1898 (Gauthier-Villars, imprimeur-libraire). 1262 NICODEMO JADANZA “ Un ingénieur italien [questi era il Negretti] en a trouvé un, il y “a quelques années, qui me semble réunir éminentement, à ces deux conditions, celles d'une grande rapidité dans les mesures, et d’une exactitude plus que suffisante pour les levés à l’échelle du dix-millième et au-dessous. Son procédé consiste à viser, sous un angle constant, une mire graduée . “ “ “ E “ L’ingénieur italien lui a donné le nom de stadia ,. Una Commissione composta del colonnello Bonne e del co- mandante Maissiat, incaricata di sperimentare tale metodo, aveva fatto un rapporto favorevole, la cui conclusione era che le misure ottenute colla stadia avevano lo stesso grado di esat- tezza che quelle fatte colla catena. Fra sei distanze misurate in terreno unito, era detto nel rapporto di Maissiat. prima con la stadia, poi colla catena si sono avuti i seguenti risultati: Con la stadia = 14",6 44”,8 95",0 169" 50» 122125: 20101 Con la ‘catena © 14 ,5° 44,7 94,9 169 0 221,1 291,2. In conseguenza e su proposta del Direttore generale del Depot de la Guerre, il Ministro aveva prescritto l’uso della stadia agl’ingegneri geografi, facendo compilare una istruzione che porta la data del marzo 1822. Ma tutto ciò fu platonico e, durante più di 25 anni, la stadia fu ignorata in Francia o piuttosto considerata come una curiosità più o meno interessante. I risultati sopra riferiti di esperienze comparative che com- prendono misure di distanze da 15% a 300" erano tali da ispi- rare fiducia ai topografi, ma le novità sono quasi sempre so- spette ed in questo caso i restii potevano obbiettare, come difatti obbiettarono, che dovendo movere l’oculare ed il reticolo per adattare il cannocchiale alle diverse distanze, l'angolo mi- crometrico variava e ciò portava un errore nel valutare le di- stanze. Lo stesso colonnello Laussedat, dal cui libro abbiamo tolto queste notizie, scrive quanto segue nella nota (2) a piè della pagina 163 del volume primo dell’opera innanzi citata. “ Pendant des travaux topographiques dont il était chargé “ de 1846 à 1848 dans les Pyrénées, l’auteur de cette étude “ ayant vula stadia recommandée par le chef de bataillon (depuis “ colonel) Leblane, dans le n° 14 du Mémorial de l’Officier du “ Génie, année 1844, avait fait construire une mire spéciale et “ disposé un micromètre au N au foyer de la lunette de l’une “ de ses bussoles; mais, en dépit d’expériences très encoura- | NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1263 “ geantes qu'il avait communiquées à son chef immeédiat, il “ avait recu pour toute réponse de celui-ci la défense formelle “ de se servir d’un procédé qui ne pouvait donner que des résul- “ tats ineracis ». Coll’andata di Porro in Francia e specialmente dopo la Memoria dell’Ing. De Sénarmont pubblicata nel 1849 e quella del Porro stesso pubblicata nel 1852 le cose cambiarono. Ciò che fu considerato più importante, specialmente per la sua no- vità, fu il cannocchiale anallattico. Il Porro diceva giustamente che, il cannocchiale diastimometrico reso anallattico è suscettibile di essere applicato con vantaggio alle bussole, ai grafometri, ai teodoliti, ete., a condizione di proporzionare le dimensioni alla grandezza ed alla stabilità degli strumenti. Però il Porro esagerava nelle dimensioni dei primi strumenti ai quali aveva applicato un cannocchiale coll’obbiettivo di 60% di apertura e d'ingrandimento 80. Nè le modificazioni successive avevano fatto progredire la Tacheometria. Mentre i servizi pubblici restavano indifferenti e che le prove fatte da qualche ufficiale erano piuttosto biasimate che incoraggiate, il Sig. Isimoro Moinor ingegnere civile, già appar- tenente alla Compagnia di Orléans, si mise risolutamente all'opera e dimostrò, in modo convincente, che nessun altro metodo po- teva essere paragonato a quello della Tacheometria tanto per la rapidità quanto per l'esattezza nella esecuzione dei progetti ‘ delle strade ferrate. Ammiratore del Porro e dell’ istrumento detto Tacheometro, gli scrisse una lettera in data 15 giugno 1856, che termina con queste parole: « Il serait à désirer que tous les ingénieurs qui ont entre “ les mains votre instrument fissent connaître les bons résul- “ tats qu'il donne. J'ai la conviction que, s'il en était ainsi, il “ finirait par se propager, et l'on abandonnerait les anciens “ procédés que je considère comme barbares , (*). Nella Introduzione alla prima edizione del suo libro (**), dopo aver impiegato il Tacheometro di Porro, più o meno mo- dificato, per circa dieci anni, dava l'estratto del rapporto di Lalanne del 1852 e soggiungeva: “ Il y a douze ans que ce rapport est publié et, malgré “les termes flatteurs dans lesquels il est congu, il est reste « une lettre morte. En dehors des opérations que j'ai faites (*) Questa lettera si trova nella prima pagina della 7'achéométrie (nou- velle édition, Paris, 1858). (**) I. Morxor, Ingénieur civil, Levrés des plans à la stadia; notes pra- tiques pour études de tracés, 1* edizione, Limoges, 1864; 3% edizione, Paris, Dunod, 1877. 1264 NICODEMO JADANZA “ moi-méme ou qui ont été faites par d’employés que j'ai formés, “je crois qu'il serait difficile de citer une application impor- “ tante de la stadia aux études de projets ,. Il Moinot non aveva adottato il tacheometro di Porro così come questi l'aveva costruito; ne aveva fatto fare per suo conto dal distinto costruttore Richer, liberandolo da tutto ciò che era superfluo. Si era anche creato un metodo di operare un po’ dif- ferente da quello di Porro, e questo metodo era già stato im- piegato nel 1864 in più di 1500 cnilometri di tracciati ferro- viari e dagli impiegati che egli aveva formati fu applicato ad importanti lavori eseguiti nella Spagna ed in Italia: “ La sanction de la pratique est donc acquise — aggiun- “ geva il Moinot — car les tracés arrétés sur les plans d’'études, “ puis appliqués sur le terrain, ont rarement donné une dif- “ férence d'un mètre par kilomètre entre les longueurs prises gra- “ phiquement sur le plan et celles qui ont été chaînées avec “ tous les soins que l’on met à mesurer une base. Le profil en “long sur l’axe et nivelé au niveau à bulle d’air n'a jamais «“ présenté d’écart appréciable quand on l’a comparé au résultat “ fourni par les còtes du plan d’étude ,. Dopo tale successo ormai ripetuto ed incontestato del ta- cheometro, il suo uso si è generalizzato a dispetto della negli- genza degli uni e della resistenza ostinata degli altri. Ingegneri ed artisti andavano a gara per perfezionare differenti appa- recchi; tacheometri propriamente detti, alidade con ecclimetri per tavolette di precisione, stadia e regoli calcolatori. Una pleiade d’ inventori entrò in campo, chi per fare una modifica e chi un’altra; altri, studiando meglio l’ottica, si accorsero che il can- nocchiale semplice astronomico poteva essere egualmente ado- perato per la misura delle distanze e che si poteva fare a meno della non facile costruzione del cannocchiale anallattico. Nota (e). Riproduciamo qui la parte che riflette il cannocchiale anal- lattico quale fu esposta dallo stesso Porro nella Memoria citata che trovasi negli “ Annales des ponts et chaussées ,, tome IV (3° série, 1853, 2° semestre). Ivi a pag. 281 e seguente si legge quanto segue: “ 10. Soit, en effet, s la distance entre deux fils tendus “au foyer d’un objectif, parallèles entre eux et équidistants de “ l’axe optique: soit w l’angle micrométrique que ces fils dé- “ terminent quand la lunette est mise au foyer d’un objet placé “a une distance a, c’est-à-dire l’angle compris entre deux “ rayons qui se croisent au centre de l’objectif et qui viennent Pz Sr o went È, i i ; î o Ì o ì i o i ro Cra NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1205 “ de deux points de l'objet observé tels que leurs images ont “ lieu sur lesdits fils; soient encore 4, a les distances respec- “ tives de l’objectif è l’objet et à l'image; »p la distance focale “ de l’objectif pour les rayons parallèles. “ L'équation fondamentale de dioptrique donne epruno d’où a= 2. a (e p ap “ d’'autre part, on a * donc, 1 a—p 9 e na=sg (B) Arden wezia RI “ Donc, l'angle micrométrique, que l’on suppose constant dans “ l'instrument de W. Green, n’est pas tel du tout. “ 11. Mais si, au lieu de rapporter l’angle micrométrique déterminé par nos deux fils au centre optique de l’objectif, ainsi que nous l’avons fait, nous essayons de le rapporter au foyer antérieur, on aura, en désignant ce nouvel angle par w', “et vu la petitesse de ces angles: “ a 1 1 sen w'= 2 seni j pai (41 Ct 1) 1 i RATE: “ En mettant pour 2 sen 9 U Sa valeur ci-dessus, il vient: 1 1) s 2 p (0) 2 sen “ quantité constante et indépendante de la distance de l’objet, “ ainsi que de l’effet des tirages de la lunette. ll y a donc un “ point anallatique dans les lunettes ordinaires à oculaire positif; “ mais ce point est en dehors de la lunette, au foyer antérieur “ de l’objectif. “ 12. Il ne serait pas commode pour la pratique de rap- porter ainsi les distances à un point pris en dehors de l’in- “ strument, en avant de l’objectif. C'est à l’objectif meme, et K : 1 ; AE 1 È +0 (*) Porro scrive sempre 2 sen 9 ‘ invece di 2 tg 7 Trattandosi di un angolo w piccolissimo la cosa non produce danno. 1266 | NICODEMO JADANZA “ plus souvent encore au centre de rotation de l’instrument, “ qu'on a besoin de les rapporter. C'est là ce que j'obtiens sans “ altérer la constance de l’angle avec un système objectif, com- “ posé de deux verres (l’objectif achromatique ne compte que “ pour un), tels que le foyer du système soit en dehors de la “ distance qui sépare les deux verres un peu au delà du deu- “ xlème verre. “ Soient, en effet, a, a, p; è, BR, 9g, les distances des objets “ des images et des foyers de deux verres; désignons par d la “ distance qui les sépare, et par % la distance entre le premier “ verre (l’objectif) et un point o de l’axe optique, auquel on “ veut rapporter les distances: soit w" l’angle micrométrique “ constant dont le sommet est le point O de l’axe optique, “ cest-à-dire l’angle anallatique à obtenir. “On aura d’abord, par rapport au deuxième verre, sembla- “ blement à ce qui vient d’étre démontré: (D) 2sen--w =—, “Le rayon qui satisfait a cette condition passe par le foyer antérieur du deuxième verre; il coupe done l’axe à une di- “ stance de l’objectif = d — g. Ce rayon a, d'ailleurs, pour con- “ dition d’affecter, avant d’entrer dans l’objectif, une direction “ tendant au point dont la distance à l’objectif est £. On aura “ donc, d'après les lois fondamentales de la dioptrique: (E) ATTO, “ d’où l’on tire (F) ded “ Equation qui détermine le foyer y du deuxième verre satis- “ faisant è la condition demandée. “ Par des considérations semblables è celles du n° 11, on “ pourra maintenant déterminer w'' en observant que 1 1 a 9 I LET tese}, = I 2 sen o W 2 sen 9 w une “ Eliminant % et w' au moyen des équations (F) et (D) il vient: a 1 = 2 sen 1 w—=®. Pila 2 q p ba ® ta ® » ® » La NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1267 quantité constante et indépendante de la distance de l’objet et de l’effet des tirages, puisqu’elle ne contient ni @ ni 6, et que d est constant. Le point o est done un point anallatique. “ Si l'on voulait que l’angle mieromeétrique constant eùt son sommet dans le centre méme de l’objectif, comme on l'a supposé au n° 10, on aurait alors simultanément %= 0 et q= d; l’expression ci-dessus deviendrait 1 8 8 2sen u'"= =, valeur non seulement constante, mais encore indépendante du foyer de l’objectif. “ Quand on donne à 4 une valeur quelconque, qui amène le foyer antérieur du deuxième verre à l’intérieur de la lu- nette, on a l’attention d'y placer un diafragme d’une ouver- ture convenable pour centrer les faisceaux des rayons lumi- neux sur les rayons anallatiques respectifs. “ Il reste maintenant è l’opticien è calculer des nouvelles courbures pour les verres qui, avec ces conditions de foyer et de position relative, ne doivent pas moins former une lu- nette exempte, le plus possible, d’aberration, de sphéricité et de réfrangibilité. “ Il est facile de voir que ce problème optique ne présente aucune difficulté d’après les théories connues. Au contraire, è part la très petite perte de lumière provenant de l’emploi d’un verre de plus, le système pourra étre mieux délivré de l’aber- ration de sphéricité, et l’aberration de réfrangibilité de l’ocu- laire pourra étre elle-méme mieux corrigée que par l’oculaire de Ramsden tout seul, quoique pas mieux qu’avec l’oculaire astronomique négatif ,. I lettori che avranno letto le Note precedenti troveranno ragionevoli le osservazioni da noi fatte in esse e quelle che facemmo nell’articolo intitolato: Per la storia della Celerimen- sura che trovasi nella “ Rivista di Topografia e Catasto , del 1894. 1268 NICODEMO JADANZA (n _ 2 n PUBBLICAZIONI DI IGNAZIO PORRO NEI Comptes Rendus des séances de l’Académie des Sciences. Micromètre à fils visibles par réflerion dans un horizon liquide ou dans un miroir, à l’usage de l’astronomie, et rectificateur catoptrique pour les instruments à niveler et pour la détermination directe des erreurs des cercles astronomiques verticaux. XXXII, 677. Définition eracte du foyer des objectifs phutographiques et description d’un instrument nouveau appelé “ phozomètre , pour en mesurer directement la véritable longueur focale. XXX, 50. Note sur l’éclipse de Soleil du 28 juillet 1851, relerée héliographiquement ar M. M. Vaillat et Thompson avec un objectif de l’auteur. XXXIII, 128. Théorie générale des moteurs hydrauliques. XXXIV, 172. Lettre concernant des expériences sur un moteur hydraulique de son in- vention, faites è Bologne (États-Romains) par M. Gualandi. XXXV, 228. Application de la lunette réciproque aree micromètre parallèle et méroscope pan-focal. XXXV, 299. Note sur un instrument désigné sous le nom de “ polyoptomètre ,. XXXV,433. Sur les raies longitudinales du spectre. XXXV, 479. Nouvel appareil pour rendre sensible aux yeux la rotation de la Terre, au moyen de la firité du plan d’oxillation du pendule. XXXV, 855. Sur la lunette zénithale de M. Faye. XXXVI, 482. Sur la discordance entre les deux nivellements faits en 1799 et 1847 è travers l’istme de Suez, et sur les méthodes et les instruments de nivel- lement en général. XXVII, 118. Mémoire sur la construction des tubes de grandes lunettes. XXXVII, 286. Note sur l’élimination absolue de la flerion des lunettes. XXXVII, 752, 851. Sur la flerion des lunettes astronomiques. XXXVIII, 734. Sur la visibilité des fils du micromètre par réflerion. XXXVIII, 768. Méthode et instruments nouveaux pour le levé rapide des plans avec ni- vellement général et simultané. XXXVIII, 875. Mérombtre parallèle ou de transport, instrument fait pour évaluer de très petites fractions sur une échelle divisée. XXX1X, 244. Sur la flerion des lunettes et l’illumination des fils. XXXIX, 680. Lettre accompagnant l’envoi de su Notice sur la tachéométrie. XL, 318. Levé rapide des lignes courbes par une série de cercles osculateurs. XL, 432. Note sur le micromètre parallèle indépendant. XLI, 1058. Tachéomètre des mines, nouvel instrument propre à la fois aux levés sou- terrains et à ceur à ciel ouvert. XLI, 1080. | eTTrrr e zo 3 nn LL e E O] | NOTE ILLUSTRATIVE ALLA BIOGRAFIA DI IGNAZIO PORRO 1269 23) Note sur l’éclipse de Lune du 12 octobre 1856, accompagnée d'images pho- tographiques de la Lune prises à différents moments de cette éclipse par M. Bertsch et de dessins coloriés des différentes phases par M. Bulard. XLIII, 850. 24) Sur l’occultation de Jupiter du 2 janvier 1857; conséquences relatives à l’atmosphère lunaire (En commun avec M. Bulard). XLIV, 25. 25) Découverte d'une nouvelle étoile dans le quadrilatère de la nebuleuse d'Orion. XLIV, 1031. 26) M. Porro adresse l’extrait d'une Lettre du P. Secchi relative à cette nou- velle étoile. XLIV, 1279. 27) Lettre concernant son objectif de 52 centimètres. XLV, 39. 28) Note sur l’emploi de sa lunette pan-focale comme ophtalmoscope. XLV, 103. 29) Note sur un hélioscope nouveau. XLVI, 133. 30) Nouveau micromètre à lignes lumineuses réfléchies pour les instruments d’astronomie. XLVI, 325. 31) Supplément aux Mémoires précédents sur son grand objectif de 52 centi- métres de diamètre. XLVI, 407. 32) Considérations photodynamiques. XLVI, 1082. 33) Lumière cométaire; comparaison du spectre produit par la lumière de la comète de Donati et par celle de Arcturus. XLVII, 873. 34) Rapport sur diverses Notes et Mémoires concernant ses appareils pour la taille des verres d'optique; Rapporteur M. de Sénarmont. XLVIII, 453. Nel giornale “Il Politecnico , : 35) Anno XI (1863). Applicazioni della fotografia alla Geodesia. 36) Anno XII (1864). Sul valico delle Alpi col mezzo di una ferrovia, pag. 447. 37) " Applicazione del cannocchiale diastimometrico agli strumenti î di livellazione, pag. 464. 38) Anno XIII (1865). Corso di Celerimensura, pag. 450. 39) ci Teoria dei livelli a cannocchiale, pag. 685. 40) Anno XIV (1866). Guida pratica nell’acquisto di strumenti ad uso degl'In- gegneri, pag. 295. 41) pi Della possibile creazione del Gran Libro Fondiario, pag. 121. 42) Anno XV (1867). Sull'irrigazione dell’ Alta Lombardia, pag. 478. 43) È Teoria generale dei motori idraulici, pag. 327. 44) 2 Passaggio delle Alpi Italo-Germaniche con ferrovie, pag. 56. 45) î Relazione al corso di Celerimensura, pag. 22. 46) si Corso di Celerimensura. Lez. prima, pag. 685. 47) Anno XVI (1868). Ottica Tecnologica ad uso degl’ Ingegneri, pag. 45. 48) È Corso di Celerimensura nel Regio Istituto Tecnico Superiore, pag. 70. 49) PA Sunto delle lezioni d’ottica dato all'Istituto Superiore, pag. 73. 50) 4 Il progresso della Geodesia in Italia, pag. 433. 51) a Sulle istituzioni di guarentigia della fede pubblica in genere, pag. 5. 52) Anno XVIII (1870). Sull’uso del barometro aneroide negli studi delle linee da esequirsi nei lavori pubblici di yrande comunicazione, pag. 884. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 81 he mt x : s È PRAIA ALZO LETO » de 1270 NICODEMO JADANZA — NOTE ILLUSTRATIVE, ECC. 53) Anno XIX (1871). Sur la théorie dynamique orbitaire des ci-devant im- pondérables, pag. 56. 54) Anno XX (1872). Sui perfezionamenti di cui è ancora suscettibile il Cleps ad uso degli ingegneri, pag. 205. Negli “ Annales de ponts et chaussées ,: 55) Tome IV (3° série, 1852, 2° semestre). Mémoire sur de nouveaux instru- ments et procédés de géodésie, de nivellement et d’arpentage. Nei “ Rendiconti dell’Istituto Lombardo ,: 56) Vol. 1865. La fotografia applicata all’ Astronomia e alla Geodesia. 57) Vol. 1866. Il problema dell’acromatismo, trattato colla teoria microdina- mica della luce. OPERE PUBBLICATE A PARTE La Tachéométrie ou l’art de lever les plans et de faire les nivellements avec une économie considérable de temps, par J. Porro, major du Génie mi- litaire en retraite. Turin, 1850 (imprimerie Zecchi et Bona, rue Carlo Alberto). Applicazione della Celerimensura alla misura generale parcellaria ed altime- trica dell’Italia. Creazione del Gran Libro Fondiario. Quarta edizione e prima italiana contenente gli ultimi perfezio- namenti della Celerimensura e l'applicazione razionale della fotografia alla geodesia. Firenze, 1862. Coi tipi di Giuseppe Mariani. (La Introduzione a questo libro è stata stampata verso il 1868 a Milano). Con atlante di 16 tavole. Manuale pratico di Geodesia moderna (Celerimensura), ad uso principalmente di quegli impiegati presso gl’ingegneri che non hanno fatto studi di matematica. Estratto dalle lezioni state date nel 1834 ai soldati del Genio militare in Genova, per cura del Prof. I. Porro. Milano, tipogr. e litogr. degli Ingegneri, via Lupetta, nn. 7 e 9. Con atlante. Sur le perfectionnement pratique des Appareils optiques pour l’ Astronomie et pour la Photographie (Paris, 1858, Mallet-Bachelier). ki 1 G. CICCONETTI — STRUMENTI DIOTTRICI, ECC. 1271 Strumenti diottrici ad obbiettivo composto usati in Geometria pratica. Nota II di G. CICCONETTI. 4. Cannocchiale anallattico. — In un cannocchiale di- | stanziometro dicesi anallattico il punto dell’asse dal quale l’in- tervallo H di mira compreso tra i fili del reticolo è visto sotto «un angolo costante di modo che le distanze della mira da quel punto vengono computate proporzionalmente all’intervallo letto. Il punto anallattico di un cannocchiale distanziometro ad ob- biettivo semplice L, è il fuoco anteriore 7, dell’obbiettivo stesso. M B A ! Zg z, i SA sele Boe ii Dior ' È, EA Ù = ia k = Q 0 la 1 CECA i ni È pi î il 2-2 i. deri Di I ' id » ' ne D-.-.--.-.----------—--4 779 4 Si supponga ora accoppiata all’obbiettivo semplice L, una seconda lente L, a distanza fissa A dalla prima (fig. 4) e sieno a, d le sezioni dei fili distanziometri secondo il piano ver- ticale passante per l’asse. L’aggiustamento del cannocchiale alle diverse distanze della mira .M si effettua spostando il reticolo fino a raccogliervi l’im- 1magine, cioè variando la distanza \. Se si vuol dunque che col variare la distanza della mira rimanga costante l’angolo dei 1272 G. CICCONRTTI due raggi che ne determinano l'intervallo letto fra i fili, oc- corre che questi due raggi siano indipendenti dalla distanza \ e poichè nel movimento del reticolo @ e 8 si spostano su due pa- rallele all'asse, 1 due raggi che soddisfano alla condizione an- zidetta saranno quelli coniugati, rispetto al sistema L, Ls, dei raggi az a, bb passanti per @ e d e paralleli all'asse stesso. Determiniamoli. I coniugati di az @ e d3 8, rispetto Ls, sono ri- spettivamente i raggi a, 43, d; dè passanti per /, 1° fuoco di Ly e i coniugati di 4; 49 e dj ds, rispetto Li, saranno due raggi Aa,, Bb, che determinano sulla mira l’intervallo AB= H e che si tagliano nel punto @ dell’asse, coniugato di Y, rispetto L,. Evi- dentemente il punto Q è anallattico inquantochè i raggi trac- ciati rimangono invariabili col movimento del reticolo, epperò l'angolo AQB è costante. Inoltre Q, come punto di concorso delle rette di incidenza 40, BQ che vengono trasformate dal sistema L; Ls nelle rette di emergenza asa, d3b parallele all’asse, è anche il 1° fuoco F del sistema stesso. Dalla costruzione eseguita risulta dunque che per un si- stema obbiettivo di due lenti a distanza fissa: 1° Esiste un punto anallattico ed uno solo. 2° Esso coincide col 1° fuoco F del sistema e quindi è coniugato del 1° fuoco /, di Ly rispetto Li. Lasciando inalterati gli altri simboli già adoperati, indi- cheremo con 9g l’ascissa in valore e segno del punto anallat- tico Q rispetto all’obbiettivo semplice L,. Essa sarà anche l’ascissa, rispetto alla stessa origine 0,, del 1° fuoco F del si- stema L, Ls epperò la sua espressione si identifica colla (1) o (1'). Il problema di rendere anallattico un punto dell’asse di un cannocchiale mediante l'aggiunta di una lente Ls coincide, per quanto si è detto, con quello di far cadere il 1° fuoco del si- stema L, Ls nel punto stesso e a questa condizione si potrà soddisfare disponendo opportunamente della distanza focale della nuova lente Ls e della distanza A fra essa e L;,. La lente Lo che ha l’ufficio anzidetto dicesi anallattica. Supponiamo dapprima che essa sia divergente. La condi- zione perchè il 2° fuoco F' del sistema sia reale è allora la (5) e per la (1°) si ha _— Pi ([wa1 +4) — ilo, 4 ; 1 } i È È | STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1273 Appunto per la (5), il secondo membro di questa relazione è essenzialmente negativo e ne deriva quindi che i punti del- l’asse coi quali si può far coincidere il 1° fuoco 7 del sistema L, Ls quando la lente anallattica Ls è divergente sono tutti anteriori all’obbiettivo semplice L,. Per riconoscere in quale intervallo si trovino questi punti scriviamo l’ultima eguaglianza sotto la forma lio al da q i ®, (|P| +4) i od anche a Po * Pi CS » |@a| +4 ; Questa espressione dimostra che il rapporto al primo membro è compreso fra i due valori limiti: zero, quando A assume il valor limite g, — |pg| e «no, quando |@s| si fa crescere inde- finitamente. Per = si 0 si ha qa —%® e per nl si ha q==-035 cioè con una lente anallattica divergente si possono rendere anal- lattici soltanto i punti anteriori ad L, ma che ne distano più del fuoco anteriore F,. Supponiamo ora che la lente L, sia convergente. La con- dizione pel 2° fuoco reale è allora l'una o l’altra delle (4) e l’ascissa del punto anallattico, o 1° fuoco del sistema L, Ls, è per la (1), — ®1 (ps — A) pt+pa — A Se è soddisfatta la condizione A > @1 + @s, il valore di q risulta sempre negativo e quindi con una lente Ls convergente che disti dalla prima lente L, più di @, + ®s i punti coi quali si può portare a coincidere il 1° fuoto del sistema L;, Ls sono 1274 G. CICCONETTI ancora anteriori all’obbiettivo L,. Per vedere quali siano, ponga l’ultima relazione sotto la forma Pi Pi Miro eni, praline ee OR La dI A_- La frazione al secondo membro è compresa fra i valori: zero per A che cresce indefinitamente e uno per A eguale al suo limite inferiore @, + ®3; sicchè 1 valori limiti del primo membro sono 1 e 0. Per — tw N viene qa — Pi e per sn si ha q=— 0%, dunque con una lente anallattica convergente e colla condizione A >@®;, + 9» si possono rendere anallattici gli stessi punti che possono rendersi tali con una lente divergente e cioè che sono com- presi tra il fuoco anteriore dell’obbiettivo semplice L, e l'infinito negativo. Resta a considerare il caso di una lente L, convergente colla condizione 4 < @;. Allora l’ascissa POTRO Pa + Pa — 4 risulta negativa, nulla o positiva secondochè == A=gw, e quindi i punti sui quali si può far cadere il 1° fuoco del si- stema L, L, sono anteriori o posteriori all’obbiettivo semplice L,. Posta l’ultima eguaglianza sotto la forma vali Sa i UE q A —- per A<%,, facendo crescere indefinitamente ®, si giunge al valor limite cioè q=— Pi. STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1275 Per A= ®, si ha = x ossia qus0 e finalmente per A > @»., facendo convergere A verso il suo limite superiore @, e @» verso zero si ha il valor limite Pi ” 228) e quindi q= + o. Concludendo, con una lente anallattica convergente e colla condi- zione A <®; si possono rendere anallattici tutti i punti compresi fra l'obbiettivo L, ed il suo fuoco anteriore soddisfacendo alla dis- uguaglianza A < sg e tutti i punti posteriori all'obbiettivo Li, a qualunque distanza si voglia, tenendo A > @s. Il caso limite A = ®, corrisponde al Cannocchiale stereogo- nico di Porro (1823), nel quale il punto anallattico è il centro ottico dell’obbiettivo semplice L, o il suo 1° punto principale se la lente non si considera infinitamente sottile. Da quanto si è detto in precedenza si conclude che sce- gliendo opportunamente i valori della distanza focale della lente anallattica e della sua distanza A dalla lente L, sì può rendere anallattico un punto qualunque dell’asse di collimazione di un cannocchiale distanziometro. Indipendentemente dalla funzione distanziometrica del cannocchiale si può anche dire che colla opportuna scelta di L, e della sua distanza da L, si può far coincidere il primo fuoco F del sistema L, Ls con un punto qualsiasi dell'asse. E sieccome perchè un punto divenga anallat- tico i due elementi a disposizione @s e A non debbono soddi- sfare a due equazioni che li determinino, ma soltanto ad una equazione che li lega al dato 9 e ad un’altra condizione di dis- eguaglianza, segue che l’anallattismo di un punto può ottenersi in infiniti modi, cioè con infinite combinazioni dei valori @y e A. In pratica non occorre mai di rendere anallattico un punto anteriore all’obbiettivo semplice L,, epperò non è mai applica- bile come lente anallattica nè una lente divergente nè una lente convergente colla condizione A > @, + Ps. Invece il caso più generale, perchè corrisponde ad una effettiva utilità pratica, è RT Ce 1276 G. CICCONETTI quello in cui si tratta di rendere anallattico il punto dell’asse del cannocchiale in cui esso incontra l’asse di rotazione attorno al quale il cannocchiale stesso è girevole negli strumenti di Topografia. Questo punto, detto centro dello strumento, cade sempre posteriormente all’obbiettivo semplice L, nella parte centrale del cannocchiale e quindi l’ascissa g è sempre positiva. Ne deriva che la lente anallattica è una lente convergente che insieme alla distanza A da L, deve soddisfare alle condizioni da in PP AD> 9. Un cannocchiale che abbia per punto anallattico il centro dello strumento dicesi centralmente anallattico o semplicemente anallattico. Esso fu costruito per la prima volta dal Porro poco dopo il 1850 ed il suo vantaggio rispetto ad un cannocchiale ‘distanziometro semplice consiste nel fatto che la distanza D* della mira dal centro dello strumento viene espressa da una for- mola monomia D* = KH anzichè dalla forma binomia C + KH. Riferendoci alla fig. 4, nella quale si suppone ora che il punto anallattico Y sia il centro dello strumento al quale il can- nocchiale appartiene, il valore della costante distanziometrica K risulta subito dalle considerazioni seguenti : I triangoli simili Q A B, Qa1d; dànno MP TR TO A sati DE q aiia. Roi Tenendo presente che F,0,= @» e che quindi 0, f:=A-— ®, dagli altri triangoli simili F3018,, Fs 4gds si ottiene db Sa ag da Pa i da cui, se si indica con À = asds la distanza tra i fili distan- ziometri, h(A — a,b, = hkA-9) Pa Risulta allora » n Ù N % f A ST E STO CCA TNT Ln ne n 20 or n Menna STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1277 sicchè D* — qPa h (A - Po) Il coefficiente K= 199 h (A — Po) id evidentemente invariabile, è la costante distanziometrica del cannocchiale anallattico. Per essa si assume il numero 100 od altro numero pel quale la moltiplicazione di H riesca immediata e. si ricava allora la distanza tra i fili dalla formola : (RI RETE Da qPa Per rendere un cannocchiale centralmente anallattico occorre l'applicazione di una lente convergente e così disposta che ri- sulti A< ®;, quindi la distanza focale obbiettiva e l’ingrandi- mento subiscono una diminuzione che si cercherà di render poco sensibile scegliendo il valore di A poco minore di @,. Esempio. Si voglia rendere anallattico un cannocchiale il cui obbiet- tivo L, ha la distanza focale @, = 300%" e nel quale l’ascissa del centro Q dello strumento rispetto Li è qg= 1800, Assunta, ad esempio, A = 270"", dalla _ PA — 9) Pi + Po — A sì ricava =A_- PB = 15708,5 Ra qtP®i trat La riduzione dell’ingrandimento normale o della distanza focale obbiettiva è Volendo la costante distanziometrica eguale a 100, la di- stanza fra i fili del reticolo risulta h= 100(4 — @») — gmm 59, qP: . 1278 G. CICCONETTI In luogo di fissare A, si potrebbe fissare la distanza focale @ (poco minore di @;) dell’obbiettivo composto L;, Ls e dalle due equazioni Pi Pa _ Pai(A_- Pa RE E. LA pid A ricavare gli elementi incogniti 9, e A che risultano Pi P ® (P+ 9) ie Piga LIE (1) uni re P1 +9 l) Poichè q e K dipendono da A, uno spostamento della lente anallattica produce uno spostamento del punto anallattico ed una variazione nel valore della costante distanziometrica. Derivando la espressione di 9 rispetto 4 si ha subito NPTISENI: (PAPI: ti e giacchè il coefficiente di dA è essenzialmente positivo, col crescere o col diminuire di A cresce o diminuisce g, cioè 7 punto anallattico si sposta nello stesso senso della lente anallattica. Coi dati dell'esempio precedente risulta dg=2,56 dA: così, se la lente anallattica si spostasse, p. es., di 2®®, il 1° fuoco del sistema L, Ls si sposterebbe nello stesso senso di soli 5"", il che dimostra che anche per un notevole spostamento della lente L, lo spostamento che subisce il punto anallattico non è molto rilevante agli effetti della misura delle distanze. Quanto alla costante distanziometrica, se nella sua espres- sione trovata si sostituisce per q il suo valore si ottiene = Pi Pa pra P h(P1 +4 pa — 4) h (*) N. Japanza, Il cannocchiale panfocale di Porro e due problemi sul- l’anallattismo. “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. 51, 1915-16. ì | i ; i STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1279 cioè, come nel cannocchiale distanziometro semplice, la costante distanziometrica eguaglia il rapporto della distanza focale obiet- tiva alla distanza tra i fili. Si ha ora , 1 grati h e derivando @ rispetto A si ottiene 2 de __ Pi Pa sa (o) PESI. HAL (Pp+P, — AP Pt ga — A Pi Ps | onde sostituendo Il coefficiente di ZA è positivo e quindi crescendo A cresce A, cioè allontanando la lente anallattica dall’obbiettivo semplice £, la costante distanziometrica aumenta. Coi dati dell'esempio nu- merico precedente si ha dK=0,538dA, cosicchè basta uno spostamento di meno di 2%” della lente anallattica per far variare di 1 unità la costante K. E siccome si è già mostrato che tale spostamento della lente Ls apporta una variazione più che tollerabile del punto anallattico, appa- risce l’utilità di rendere spostabile la lente anallattica con una apposita vite di rettifica allo scopo di poter ridurre la costante distanziometrica esattamente eguale al suo valore normale qua- lora ciò non si verifichi. Nel caso dell'esempio considerato, supposto che per XK si fosse trovato sperimentalmente il valore 99,23 invece di 100, si riporterà la costante a quest’ultimo valore aZlontanando la lente anallattica dall’obbiettivo semplice £, di con che il punto anallattico viene spostato verso l’oculare di dq = dA I in ogni caso trascurabile. 1280 G. CICCONETTI Per uniformità di trattazione si sono supposte anche nel caso del cannocchiale anallattico le due lenti L,, Ls infinita- mente sottili. Ma le deduzioni alle quali si è pervenuti ed il modo di ottenerle non cambiano affatto se si considerano le due lenti coi rispettivi piani principali distinti, come apparisce dalla fig. 5 per la quale non fa bisogno alcuna spiegazione. DD A VITI -3 n --——=----r-nsn /})- — -- lio radi 176.5 Termineremo l’argomento osservando che l’anallattismo cen- trale, ed in generale relativo ad un punto dell’asse posteriore all’obbiettivo semplice L;,, si ottiene soddisfacendo alla espres- sione di g, colla condizione @, > A > ®, la quale coincide con quella propria del plesiotelescopio. Un cannocchiale anallattico potrebbe dunque funzionare anche come plesiotelescopio quando il dato relativo all’ascissa 9g lo rendesse praticamente possibile- Nell'esempio preso in esame risultano T— A ” » mm = ad 2505, An=@e= 157285, 4 M= È — 87800), 9 A_-®, ; sicchè la corsa massima del reticolo prenderebbe il valore o da ka = SagnE 5 praticamente troppo elevato. U SPA sa di osservare una mira od una scala a distanza assai piccola potrebbe facilitare la verifica della costante di- stanziometrica. II. — Cannocchiali a lunghezza costante e a visuale reciproca. i 5. Cannocchiale panfocale di Porro (*). — Nel plesio- . telescopio è fissa la distanza A fra le due lenti L,, Ls ed il ‘cannocchiale si allunga o si accorcia per adattarlo alle diverse distanze dell'oggetto allo stesso modo che se si trattasse di un cannocchiale semplice. Si può invece tener fissa la distanza / fra l'obbiettivo semplice L, ed il reticolo A (fig. 6), cioè la lun- ghezza del cannocchiale, e far variare la posizione di Ls ri- spetto L, in modo che l’immagine dell’oggetto osservato, posto a qualsiasi distanza, venga costantemente a formarsi sul reti- colo R a distanza invariabile da L,. Supponiamo dapprima la lente Ls, convergente e ripren- diamo la (9) la quale per essere può scriversi Po ({ —- A) d5 4: 504 2 (*) Vedi anche: N. Japanza, Sopra alcuni sistemi composti di due lenti e sul livello di H. Wild. * Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1911. 1282 G. CICCONETTI Riducendo a forma intera, trasportando tutti i termini nel primo membro ed ordinando secondo le potenze decrescenti della variabile A si ottiene facilmente (13) (D—@)4°—}(D— 91))!+ Do, {A+(D— 9.)l9p + +Do,((— 9a) =0, od anche ‘ ® \ Pa | Pi (139) (1--Bi)ae—}(1--®)/+o,{4+(1—-p)tor+ +91 ((—®2)=0. Se si pone D= 00 e, al solito, indichiamo con A, il valore corrispondente di A, quest’ultima relazione diviene Ba e, da cui 1 de 9 (+ ©.) + VU+ 9} — Ho: — 19; (1 I) i = lito) io )f1+ Ora è certamente /<@; e dovendo essere A< 0%; il segno positivo del radicale è da scartarsi e può scriversi La e) to +10-0)]1+#2, cioè (i A=o Li —)j1+]/1+ 72. Riprendendo l’equazione generale in A, poniamovi adesso D= 9; e indichiamo con Ar, il valore corrispondente di A, L'equazione si riduce di 1° grado e diviene — Agp Ar+D9o,((— 9)=0, dalla quale (8) Ar=l!1— 9. | STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1283 Questo risultato mostra che deve essere @y < /. Finalmente nell'equazione generale facciamo D=0 e si ha, denotando con Ay il valore relativo di A, Ao a ba + o È — () è da cui Perchè 4y risulti reale occorre che sia VR l i 08 cioè Po < 7a condizione che assorbe quella derivante dalla (8). Riguardo al segno del radicale è facile vedere che quello l 2 o e 4 ®a positivo deve essere scartato. Basterebbe infatti sostituire in luogo di A nella relazione iniziale (9) e si troverebbe l i({_") p= - — —_—_,, a-)(1 va)? i 4 2 Su . Lo E 3 Questa espressione per @y — mp è essenzialmente negativa (oggetto a sinistra) e diversa da zero, e siccome avvicinandosi l'oggetto, per raccogliere l’immagine sul reticolo fisso la di- stanza A deve necessariamente essere diminuita, ne deriva che } i 0) per D=0 deve corrispondere un valore di A minore di -;- ta Si ha dunque (1) do 3(1 _ y = SP.) y I risultati (a), (8), (1) colle condizioni 1<91, gp <- mo- strano la possibilità di costruire un cannocchiale coll’obbiettivo composto di due lenti convergenti atto a produrre immagini in un piano a distanza fissa da L, per tutte le distanze dell’og- getto da infinito a zero col semplice spostamento longitudinale 1284 G. CICCONETTI della seconda lente Ls. In pratica questo movimento si rende possibile montando Ls in un anello a a (fig. 7), interno al tubo del cannocchiale e che può scorrere lungo il medesimo in virtù di una cremagliera con rocchetto comandato da un bottone esterno. n Z6 7 Tale è il cannocchiale panfocale costruito dal Porro nel 1854 e che, come il plesiotelescopio, può servire da cannocchiale e da microscopio. Per esempio, se pr = 30052 l'==2002® O = 40 risultano A_ = 169%04 Ap = 16080 A, =551m3, Lo spostamento massimo, cioè la distanza fra le posizioni estreme della lente mobile Ls in corrispondenza alle collima- zioni di un oggetto infinitamente lontano e di un oggetto ade- rente all’obbiettivo, risulterebbe di A, — A,= 114" 1. Quando però lo strumento dovesse servire soltanto da can- nocchiale sarà sufficiente una latitudine di spostamento della lente mobile assai più ridotta come risulta dall’esempio prece- dente in cui A, © Ar, differiscono di soli 9,4®, Supponendo al solito che l’oculare sia una lente conver- gente semplice di distanza focale y= 12" si calcolerà l’in- grandimento normale colla (11’) e risulta j 1 / i STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1285 Si ha br =142y=212"" = dò, epperò colla (11°) si trova e colla (11) l,= — 4,6. Il cannocchiale semplice con obbiettivo L, e collo stesso oculare avrebbe per ingrandimento normale get do, Potrebbe un cannocchiale di questo genere servire come distanziometro munendo il reticolo di fili? Perchè ciò fosse pos- sibile bisognerebbe che il cannocchiale avesse un punto anal- lattico, cioè che la distanza D fosse esprimibile mediante il prodotto dell’intervallo H letto sulla mira per un numero fisso K, aumentato di una costante C. Dicendo H' l’immagine A'B' che l'obbiettivo semplice Li dà dell'intervallo AB = H letto sulla mira si ha e poichè rispetto alla lente Ls la distanza % tra i fili distan- ziometri è l’immagine di H' si ha ancora Moltiplicando membro a membro queste due relazioni si ottiene HM 3 D(d A) De di 7 da cui (14) ii hAD Dh — H\® onde eguagliando col valore (7) e togliendo il fattor comune / r e da DA da (15) Did Bhe Atti della R. Accademia — Vol. LI. 2 È è» i È 1286 G. CICCONETTI Se ora nella (9) si sostituisce per A il valore ricavato dalla (15) risulta con facili riduzioni i 0g Piilj' eada (16) D=9+ (1 n) HE Questa relazione è notevole perchè mostra che i cannoc- chiali del terzo tipo, nei quali \ è costante, hanno un punto anal- lattico che è il fuoco anteriore della lente L, come in un cannoc- chiale distanziometro semplice e il valore della costante è (17) K= (1-3). La (15) può anche scriversi, per essere A=/—), Di hl — hX pepe app e ‘se ne cava Do, — (D— 9)! (18) NvN=% Ho (D—@)h . Se questo valore si sostituisce nella (16) ne deriva, come sì vede subito, una equazione del 2° grado sia rispetto a D sia rispetto ad H, epperò non è possibile ridurre l’espressione della distanza alla forma piCoNO dl Rigi Questo in via rigorosa. In pratica si può domandare se la variazione dell’origine delle distanze e della costante K, per valori di D compresi entro certi limiti, possano essere tollerabili. L’ascissa, rispetto L,, del 1° fuoco del sistema L; Ls, va- riabile adesso con A, è pi (A — wa) + pa — A’ nel caso presente sempre positiva. Inoltre, parlando del cannocchiale anallattico, si è trovato come espressione della costante distanziometrica a Pi Pa sii ig h(@,+ Pa — 4)” STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1287 Riferendoci all'esempio numerico considerato si voglia che K assuma il valor normale 50 per la distanza D= 50%, Allora posto nella (13) D=50 caveremo il valore Aso che risulta 169,27 e sostituendolo nell'ultima espressione se ne ottiene la distanza tra i fili K(9 sr El LI OS Si possono allora considerare diversi valori di D, per es. 00 == 50%, D'= 20%, D—=- 105. L= 1 raoe stituirli nella (13), trarne i valori relativi di A e introdotti questi nelle espressioni di 9g e XA ne daranno i valori corri- spondenti. Ecco ciò che si ottiene: D A q K 00 169mm 38 = 4 2270 49 50,023 100% 169 ,33 227 ,33 50,018 50 169 ,27 227 ,15 50,000 20 169 12 226,69 49,956 10 168 ,87 295,92 49,883 1 MOSS 214 ,58 48,808. Questi risultati mostrano che pel cannocchiale considerato lo spostamento del punto @, fuoco anteriore del sistema L, Ls, è trascurabile e quanto alla costante distanziometrica, le distanze dall’obbiettivo Li maggiori di 20" potranno essere ottenute con sufficiente approssimazione usando la formola D=— 05,23 +50.H. 6. Cannocchiale a lunghezza costante con lente mobile divergente (*). — Se il cannocchiale a lunghezza costante non deve servire per distanze assai piccole può anche essere otte- nuto accoppiando all’obbiettivo semplice L, una lente Ls diver- gente anzichè convergente. (*) Vedi anche: C. Pasini, Il nuovo livello H. Wild. Venezia, 1911, “ Atti del Collegio Veneto degli Ingegnerì ,. 1288 G. CICCONETTI + sai La (10) può seriversi in tal caso __TDo+(D_9)4 D(p,—|Pa| -4)+-p.(A+|®a]) a —Dp:+(D-—9)4 __, (19) \=109: po, 0-9) (A+ |a)! La condizione pel 2° fuoco reale è la (5): P >PADP>RPR:- Ps. Ora, per la prima diseguaglianza, il numeratore della espres- sione di ) è negativo; se si vuole ) positiva, ossia l’immagine reale, dovrà esser negativo anche il denominatore. Per la se- conda diseguaglianza il primo termine del denominatore è ne- gativo e poichè l’altro è positivo dovrà essere D(A+4|9.|— 9) > 9 (A4'9:|), cioè Il secondo membro di questa diseguaglianza è sempre maggiore di @,, quindi si vede che il cannocchiale non potrà servire per l'osservazione di oggetti molto vicini: in ogni caso l'oggetto dovrà esser più lontano del fuoco anteriore dell’obbiettivo sem- plice L,. Se nella (19) si pone 7 — A in luogo di X si ha — D9+(D_-9)A4 CAT | Ra Ae relazione che ridotta a forma intera e ordinata rispetto a A diviene (20) (D—p)A°—; Dp,+(D—.){{A+D9;(|9.]+)— -—-(D— ®)l|9s|=0. Da questa si possono ricavare i valori di A corrispondenti ai diversi valori di D. Ad esempio, se dopo aver diviso l’equa- zione per D si pone D=© si ottiene A° —(91+)A4,+®:(19s|1+9—[9s]=0 I XA -vo—r r—c——omtm&€é e Sinne STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1289 dalla quale 1 1 : A, = 9 (@1+0)+ ‘Dr V(Pi E 49, (1@0]1+49+4|@s], cioè, riducendo, A=3(0++10—e)f1+ 421. dà 1 _ Sì osservi che in questo cannocchiale deve essere / > @,, altri- menti non sì potrebbe raccogliere sul reticolo l’immagine di un oggetto lontanissimo, e perciò il radicale è sempre reale e mag- giore dell'unità. Dei due segni della radice va evidentemente mantenuto il solo segno — perchè A dovendo essere minore di ®,, e quindi di /, non può raggiungere e tanto meno supe- rare -; (9, + 2). Rimane dunque 1 2 1 1 4 | 2] aL La +oj=t 0-9) 42: Si è già notato che il cannocchiale non può utilizzarsi per osservare oggetti assai vicini. Volendo la distanza minima si tenga presente che più l'oggetto si avvicina e più l’immagine Fit, 8 datane da L, si allontana verso destra (fig. 8). La lente Le, avendo per ufficio di ricondurre l’immagine nel piano fisso del reticolo, dovrà esercitare la sua azione divergente tanto meno quanto più l’oggetto si avvicina e quindi coll'avvicinarsi del- l'oggetto dovrà allontanarsi da Ly. Ne segue che al minimo valore di D corrisponde il massimo valore di A che è Q; ed & " î Ò da PI PRA - Due nf Moe I LU 1290 G. CICCONETTI allora per trovare il valor minimo della distanza a cui è visi- bile un oggetto si ricaverà D dalla (20), con che si ottiene Da LEA iui i (|9a1—P)/+(—-A4)A—(|9|— A4)qy e postovi A = 9; se ne trae De SMI I@a|? | Drita= \9.| feci CÈ I=2"pj) cl Un cannocchiale di questo genere è quello recentemente costruito dalla Casa Zeiss (1909) dietro le indicazioni del pro- fessore H. Wild per applicarlo ad uno strumento topografico nel quale non interessava la collimazione di oggetti assai vi- cini. Il cannocchiale di Wild ha anche la particolarità di essere a visuale reciproca, ma di ciò parleremo nel parag. seguente. I dati di questo cannocchiale sono pis 1499m | o | — 500nm |= 1640. Risulta allora Tae 060 che corrisponde a Ai 44900 Sì ha inoltre AA 416908 by La corsa della lente mobile dalla osservazione di un og- getto a distanza infinita a quella di un oggetto alla distanza minima di 1,683 è dunque 14gnm — G@gmm 6 — 79m 4, Tuttociò, s'intende, senza tener conto degli spessori delle lenti. Riguardo all’ingrandimento, supposto ancora applicato al cannocchiale un oculare semplice di distanza focale y= 12% si INI trova dalla (11°) che diviene jp: 2a Pi || Du” 3 y A, +|P:| 9" I3=— 148. lin. Gt dite cit nr e | i en" Pa P ne STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1291 L'ingrandimento normale del cannocchiale semplice con ob- biettivo L, sarebbe Un vantaggio del cannocchiale colla lente Ly divergente su quello colla lente Ly convergente sta appunto in ciò che il suo ingrandimento normale è maggiore di quello relativo al cannoc- chiale con obbiettivo semplice L,. L'ingrandimento relativo alla distanza minima alla quale si può osservare si ottiene dalla (11) scritta sotto la forma peso (Db AD: (Lo: coi ualva | | na w (D—-®,)(A+ |®.|)—Dqg, ponendovi per D il suo valor minimo trovato 1",683, per A il valore corrispondente ®;, e per d la costante / 4 2y = 188". Risulta così Ip.in = — 19,00. min Quanto alla questione se un cannocchiale cosiffatto possa servire come distanziometro, valgono conclusioni analoghe a quelle tratte pel caso di Ls convergente. In via rigorosa il cannocchiale non ha un punto anallattico, ma in pratica per distanze non troppo brevi esso potrà servire da distanziometro, specie se le distanze non si richiedono con un alto grado di precisione. Pel caso numerico considerato, introducendo nella (20) di- versi valori di D si trovano i seguenti valori di A di —.00 100" 90)” 20" 10" 1",683 A 57 700,33. 1:7129,106 78090405 Dad 785400189800) Se si vuole che risulti X= 100 per D= 50", si ricaverà la distanza % dei fili dalla formola h= Pi | Pa! 4 K(A4+|q] — i) 1292 G. CICCONETTI nella quale si deve porre per X il valore 100 e per A il va- lore Asg= 71"",10. Risulta così h= 19m 765. Inoltre sostituendo nelle q ae I (A+ |9a]) = Pa Pa| A+|91- hA4+4 9) i successivi valori di A già calcolati, si ottengono le ascisse da L, del 1° fuoco del sistema obbiettivo L, Ls, in tal caso sempre negative, ed i valori di X corrispondenti alle diverse di- stanze. Si trovano i seguenti risultati: D q K vo — 20]mm 89 100,36 100 Ai” .70 100,18 50 201,60 100,00 20) 201,30 09,45 10 200 ,81 98,50 1,683 193,40 84,42. Anche qui lo spostamento del 1° fuoco del sistema L, Ly risulta senz'altro trascurabile e quanto a K le distanze della mira dal- l'obbiettivo L,, superiori a 20", potranno dedursi con appros- simazione in molti casi sufficiente mediante la formola D=0%,20 + 100 .H. Un altro scopo che si può raggiungere con un cannocchiale a lunghezza costante è quello di attenuare le variazioni del- l’asse di collimazione che avvengono in conseguenza dell’aggiu- stamento del cannocchiale alle varie distanze di un oggetto os- servato. In un cannocchiale astronomico semplice l’asse di collima- zione non ha nulla di assoluto se non si ammette che gli spo- stamenti del centro del reticolo avvengano lungo una retta che passa pel centro ottico dell’obbiettivo (lente sottile). Supponendo "STRUMENTI DIOTTRICI ADD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1293 questa condizione non soddisfatta, sia, (fig. 9), 2 x una posizione dell'asse di collimazione di un cannocchiale semplice, che assu- — miamo come normale. Quando si collimi un punto alla distanza D 76.9 sia C la posizione del centro del reticolo spostato rispetto xx di una piccola distanza e. Lo spostamento dell'asse di collima- zione è misurato dall’angoletto a che, detta al solito 4 la di- stanza del reticolo da L,, viene espresso da sata ric cioè sostituendo per 4 il suo valore in funzione della distanza dell’oggetto | (21) o anse", | la quale mostra che per avere a piccolo conviene che sia grande la distanza obbiettiva @,. Supponiamo ora di avere un cannocchiale a lunghezza co- | stante con obbiettivo composto L, Ls essendo Ls convergente (fig. 10) oppure divergente (fig. 11). L'asse di collimazione normale in ciascuno di questi due cannocchiali può ritenersi definito dal centro ottico 0, dell’ob- biettivo L, e dal centro C del reticolo & fisso rispetto Ly. Indi- chiamo ancora con e la distanza 0',0, del centro ottico Os della seconda lente, da questo asse 0,C per una certa posizione di Ls relativa ad una distanza D dell'oggetto. L'occhio vedrà il punto collimato non già secondo l’asse normale C0;, ma secondo la retta CO,N la quale incontra il 2° piano focale di £, in M.Si conduca per M la parallela MM, a CO;: la coniugata di questa retta rispetto L, e MF; e ad essa dovrà riuscir parallela la 1294 G. CICCONETTI coniugata di COsN rispetto L, perchè COsN e MM, si tagliano nel 2° piano focale di L,. Sarà dunque NP, parallela ad M,F, Fi6. 11 lo) l’asse di collimazione attuale che forma con quello normale l’an- goletto f£. Si ha ora OM ___ FM Pi Pet be Ma dai triangoli simili CF M, C0,03' si trae, considerando come positivi i segmenti, come e, al di sopra dell’asse, MEGAFONO Fr M=eGc IA e quindi Mel RA (22) p=—- + Pi. L’essere B positivo o negativo significa che lo spostamento dell’asse avviene nel senso di sollevarsi o di abbassarsi da si- nistra verso destra. La differenza pg; —/! è costante e conviene che il suo valore assoluto sia piccolo acciocchè piccolo riesca 8. ì STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1295 Per quanto riguarda la differenza variabile / — A che allo stesso scopo conviene sia grande, c'è da osservare che, avvici- nandosi l’oggetto, la distanza A diminuisce o cresce secondochè L. è convergente o divergente, epperò nel primo caso; per uno stesso valore di e, l'angolo 8 diminuisce coll’avvicinarsi dell'oggetto e nel secondo caso avviene l'opposto. Volendo fare il confronto, per quanto riguarda gli spostamenti dell'asse di collimazione, fra un cannocchiale a lunghezza costante ed un cannocchiale semplice, supporremo che quest'ultimo non abbia una distanza focale obbiettiva invariabile, ma che per le diverse distanze /) la distanza focale assuma gli stessi valori che prende quella variabile pg del sistema L, Ls del cannocchiale composto per le stesse distanze. Bisognerà allora porre nella (21) @ in luogo di @,, essendo ne PiPa . _P1| Pal Me diapo; A (0) ure == PP Li \@+A-9 , nelle quali per A sono da introdurre i valori che si ricavano dalla (13) o dalla (20) per i considerati valori di D. Facendo il rapporto di f ad a nella supposizione che siano eguali i valori di e e delle distanze D prese in esame, si ottiene Pica ®@ pl (9) a D-9 wi 18° Per l'esempio numerico già dato relativamente al cannoc- chiale di Porro: fe A00nn. I — 2007 pa 400 si hanno i seguenti risultati: = 0 100" 50” 20" 10 1 een 195 1250 b250,- LeAe a ed essi dimostrano che per quanto si riferisce agli spostamenti dell'asse di collimazione il cannocchiale ad obbiettivo composto considerato presenta svantaggio rispetto al cannocchiale sem- plice di eguale distanza focale. 1296 G. CICCONETTI Ma se si considera quest'altro cannocchiale, pure con Ly convergente : pi = 3007" ASL i MaI col quale però per essere @, = / non è possibile osservare 0g- getti che non siano più distanti di Y,, si trovano gli altri valori Desd 100 50m 10m im A=259mm 34 256112 25gmm 4g 2]9mm93 152mm 36 È 210 _slggg «deboli a GAI 2 1/08 — 0,03 dai quali apparisce come gli spostamenti dell'asse di collima- zione nel cannocchiale composto sieno fortemente ridotti. Pel cannocchiale con lente mobile divergente preso in esame si ha D=% 100" 50 20 10” 12,683 P__09% nOdl io 0 (0034 00 e questi valori attestano la convenienza del cannocchiale com- posto. 7. Cannocchiali a visuale reciproca. — Alle estremità di un tubo sì immaginino rigidamente montati (fig. 12) due ob- 7% 12 biettivi identici L,, L;', ciascuno composto di un accoppiamento acromatico fra le cui lenti sia inciso un reticolo e nell'interno del tubo sia mobile longitudinalmente, mediante un rocchetto a cremagliera, una lente L, che potrà essere convergente o STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1297 divergente. Poichè Ls accoppiandosi coll'una o coll’altra delle due lenti estreme L,, L, dà luogo ad un obbiettivo composto con distanza focale variabile, risulta evidente, per quanto si è detto in precedenza, che fissando opportunamente le distanze focali delle lenti e la lunghezza del tubo, un tale cannocchiale non solo sarà di lunghezza costante, ma anche a wisuale reci- proca; potrà cioè essere indifferentemente adoperato in un senso o nell'altro quando a mezzo di un tubo suppletivo si abbia modo di applicare davanti all'una o all'altra delle due lenti L,, L,' un oculare a fuoco esterno. I cannocchiali a visuale reciproca vengono assai utilmente applicati nei livelli allo scopo di liberarsi dalla influenza di alcuni errori istrumentali, ed è appunto del tipo ora descritto, con una lente mobile divergente, il cannocchiale a visuale reci- proca e lunghezza costante applicato al livello Wild (*). Quando una delle due lenti estreme funziona da supporto del reticolo, vi sì adatta l’oculare in modo da vederne chiare le incisioni ed in questo caso i tratti incisi sull’altra lente che funziona da obbiettivo non sì vedono e non producono alcun inconveniente. III. — Cannocchiali nei quali è costante la distanza ) fra la lente Lg, ed il reticolo. 8. Cannocchiale con oculare negativo. — Si può accop- piare all’obbiettivo L, di un cannocchiale astronomico semplice (fig. 13) una seconda lente L, a distanza 4 variabile dalla prima e che nel suo movimento trasporti invariabilmente connesso il reticolo R, il quale viene così a mantenersi ad una distanza A costante da Ly. Il tubo 7’ nel quale sono fissati la lente L» ed il reticolo R e che porta anche la lente oculare può scor- rere entro quello 7" al cui estremo è montato l'obbiettivo L,, e questa disposizione permette di accomodare lo strumento alla visione di oggetti a diverse distanze, vale dire di fare in modo che l'immagine venga costantemente a formarsi sul piano Pt. (*) “ Zeitschrift fiir Istrumentenkunde.,, Novembre, 1909. ;$% 1298 G. CICCONETTI A questo punto ricordiamo che Huyghens, al doppio scopo di attenuare le aberrazioni sferiche prodotte da una sola lente Fe. 15 oculare e di ingrandire il campo, sostituì all’oculare semplice un oculare composto di due lenti convergenti di distanze fo- cali 1, o sua = 7 y, fissate alle estremità di un tubetto alla - c 1 : PI DE distanza reciproca A = 9 Wi. Airy (*) adoperò invece la com- binazione di due lenti piano convesse rivolgenti la convessità A pets Wi sila Wa ia LZ LL A verso la luce incidente e- tali che Wes Wi, Quest'ultima condizione rende il sistema acromatico, quindi questo secondo oculare è più usato del primo, e siccome am- bedue sono negativi 0 a fuoco interno l’oculare di Airy viene anch'esso comunemente chiamato di Huyghens. Comunque, quando un cannocchiale con oculare negativo è munito di reticolo, questo deve esser disposto fra le due lenti. Ma occorrerà che il reticolo possa adattarsi alla visione distinta dei vari osservatori, ed allora, o mantenendo le lenti fisse si rende lievemente spostabile la piastrina dei fili fra di esse, o tissato il reticolo a distanza invariabile dalla lente collettiva, sì rende mobile la vera lente oculare. Se il cannocchiale serve solo per individuare direzioni nello spazio, cioè se il reticolo ha due soli fili in croce, la prima dis- posizione è certamente preferibile alla seconda, perchè, a diffe- renza di questa, lascia inalterata la condizione di acromatismo dipendente dalla distanza fra le lenti. Ma se il cannocchiale è (*) Vedi: N. Japanza, Teorica dei cannocchiali, 2* ediz., Torino, 1906, pag. 182 e 193-194. ‘|, 'e'e'''ER ‘TTT @ò@ [ èòbkAayO‘e*ppRinsNeoe SPRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1299 distanziometro, diremo fra poco che la condizione perchè esso abbia un punto anallattico (che coincide col fuoco anteriore dell’obbiettivo semplice L,) è che il reticolo stia a distanza fissa dalla lente collettiva e tutto al più questa distanza potrà lievemente variarsi solo per ridurre normale il valore della co- ‘stante distanziometrica, ma non mai per l’accomodamento a vista dei fili. E allora non rimane che a spostare la lente ocu- lare, con che non riesce più soddisfatta la condizione di acro- matismo. Concludiamo dunque col dire che l’oculare negativo non conviene per cannocchiali distanziometri. Finora abbiamo parlato di oculare negativo o di Huyghens, e con ciò si viene ad ammettere che la lente collettiva faccia parte di esso. Ma se si ritiene che in un cannocchiale il sistema obbiettivo sia quello destinato a dare dell'oggetto osservato una immagine reale nel piano del reticolo ed il sistema oculare sia il microscopio col quale si effettua l'osservazione contemporanea di questa immagine reale e dei fili, apparisce almeno lecito considerare come facenti parte del sistema obbiettivo tutte le lenti che si trovano prima del reticolo e come appartenenti all’oculare quelle che si trovano dopo. In base a ciò un cannoc- chiale con oculare negativo può considerarsi invece ad oculare semplice (la sola lente oculare propriamente detta) e ad ob- biettivo composto di due lenti: l'una l'obbiettivo L, propria- mente detto, l’altra la lente collettiva che indicheremo quindi con Ly. Le due lenti sono a distanza A variabile, ma il reticolo è a distanza ) fissa dalla seconda lente Ls, epperò il cannoc- chiale appartiene a quelli della terza categoria. Considerando il caso generale e nella supposizione di Ls convergente riprendiamo la (8) Se fosse \=@, il piano del reticolo coinciderebbe col 2° piano focale L,, e quindi per potervi raccogliere l’immagine occorrerebbe che fra le due lenti Ly, Ls i raggi corressero pa- ralleli all'asse, cioè che i raggi incidenti passassero pel fuoco anteriore F, di L,. In altri termini, il cannocchiale non po- trebbe adattarsi per le diverse distanze dell'oggetto; funzione- rebbe solo pel caso che l'oggetto fosse al fuoco anteriore di L,, 1300 G. CICCONETTI e ciò accadrebbe per qualunque valore di A. Questo si vede anche dalla relazione ora scritta, la quale per \= @, non può essere soddisfatta che per d =, cioè per D= @,, e allora A è indeterminata. Escluso questo caso, la espressione di d, per essere il se- condo termine del secondo membro costante, mostra che le va- riazioni di A sono le stesse di quelle di d, ossia per adattare il cannocchiale alle diverse distanze si richiedono gli stessi al- lungamenti ed accorciamenti che hanno luogo nel cannocchiale semplice di obbiettivo L,. Inoltre se l'oggetto è al fuoco ante- riore di L, risulta d =, e poichè ) è diverso da @» dovrà anche resultare A =, e quindi il cannocchiale non potrà fun- zionare pel valore della distanza D eguale a @, e, praticamente, per valori di /) poco superiori a @,. Scriviamo la (8) sotto la forma Do rsa D—- dura A ts e caviamone = Do, Te PyÀ I De Pi Pa — À Sia \> go. PerD'=% si ‘trae O.i aglio al Mat A, Pi Î pussi ®a che è un valor minimo di 4 Per D> @; la distanza A risulta sempre positiva ed au- menta col diminuire di D fino a diventare infinita per D= @;. Per D< @; la distanza A risulterà positiva fino a che Pa} Do i — qy A D— 9; ’ cioè per D'ETIIATO _____XPP: X(P14- Pa) — PiPa Stabilito dunque un massimo di A, dalia relazione DI Dux = Si Se D'— cai N I a PRETI E e __ STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1801 si caverebbe il valore di /) indicato con D', ed allora un can- nocchiale di questo genere potrebbe funzionare nell'intervallo | D=%, , D=D' eppoi nell'altro D = Nigra "RICO, D= | ma non nell'intervallo D = D', D= " \ 1 Pa compren- (P1 + Pa) — Pi Pr dente D= 9,. A Sia ora \< @», ciò che corrisponde al caso ordinario, Si ponga \=U®g in cui u< 1 e con ciò risulta EL. PRESEPI O g—-) 1—-w Pa Per D= ©, l’espressione fusi Der pig A,= 77 P2: e perchè A, risulti positivo dovrà essere u ®, > de Pa, cioè Vi Pa ar Pi. Assunto un valor massimo di A, dalla relazione si cava il minimo valore di / (1— 4) Amax + M@Po u) Amx +MP — (1h) Dina = Pj (1 x pel quale il cannocchiale può funzionare. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 83 1302 G. CICCONETTI Esempio. — Sia data g, = 300", Nel cannocchiale detto con oculare di Huyghens (Airy) è xe 3 ®, essendo ora ©, la distanza focale della lente collet- tiva che consideriamo come seconda lente Ls, dell’obbiettivo composto L, Ls. Sarà u= e assunta per es. p, =45"" si 3 avra come distanza minima fra le due lenti A.,=9, = 3 Q, = 2770 5. Volendo Ama: = 317,5, il che corrisponde ad una corsa massima del reticolo di 40", risulta, calcolando la formola trovata, Do ="Sp=25,490. La lente oculare ha per distanza focale 3 ®, e quindi ri- sulta di 15", Per D=c la distanza focale del sistema L Ly è ea Po — Pr + Pa — A, Pi Pr __ —=(1-49, P, + iran Pa minore cioè della distanza focale @;, e quindi l'ingrandimento normale /, del cannocchiale composto è minore di quello 3, del cannocchiale con obbiettivo semplice Li, come d'altronde deriva subito dal fatto che A, < @; o dalla (6°) del paragr. 1. Precisamente viene L=(1 — W) Io: quindi nel caso numerico considerato Ii ed essendo I = i — 20 si ha /, = 13,33. Volendo l’ingrandimento alla distanza minima D= 2",490 sì sostituirà questo valore nella (6) ove b= Amx ++ 2y= 362" 5 e si ottiene Inci sAT10. min STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1308 La distanza / del reticolo da L,, quando si osserva un ‘oggetto a distanza D, è I=A+X=d—- {Lo +upp=d-— i-yu Ps. Se invece il cannocchiale fosse semplice col solo obbiet- tivo L, la detta lunghezza sarebbe lic d, Si ha quindi Puo DI l i-u 9? che è l’accoreiamento del cannocchiale considerato rispetto a quello semplice. Tale accorciamento è costante per qualunque ì 1 i valore di D e per u —*g col dati del caso numerico preso in esame viene , 1 | BI Pa | I =] E ut mentre il rapporto delle lunghezze telescopiche è 2 Pu Pa 2 1 PA 1 a 5 DI 1 DI I n a lei 3 — 0,905 la Pi | ri 4 6 e questo risultato mostra che la riduzione dell’ingrandimento del cannocchiale composto rispetto al cannocchiale semplice, già trovata di da è molto più notevole della riduzione di lun- ghezza. AI paragr. 5 si è già mostrato che un cannocchiale del tipo ora veduto, avente cioè la distanza \ fra la seconda lente Ly ed il reticolo R costante può usarsi come distanziometro avendo per punto anallattico il fuoco anteriore dell'obbiettivo L, come un cannocchiale semplice. Ciò è reso evidente dalla (16). Solo che la costante distanziometrica invece che essere espressa dal rapporto fra la distanza focale di L, e la distanza % tra 1 filì è data da A n.15. — Te): 1304 G. CICCONETTI Si è gia visto che in un cannocchiale anallattico si può ri- condurre la costante distanziometrica al suo valore normale, qualora ne differisse, con un leggero spostamento della lente anallattica. Nel caso presente si offre la medesima possibilità, ma spostando invece il reticolo rispetto Ls, cioè variando op- portunamente la distanza \. Si ha infatti, considerando A come funzione di À, Pr A h x (1 ni sl ricava aa a Aa di a dK. Coi dati del nostro esempio, volendo X = 100, si trova n=ti(1-)= 2990 —_? %gx- 03048 di=_—< K dK= —0,30dK. Se, per esempio. si è trovato sperimentalmente A = 100,34, per ridurre la costante al suo valor nominale 100 si dovrà spo- stare il reticolo di di= + 0,30 X 0,34 = + 099,10. Il segno positivo indica che il reticolo deve essere allon- tanato da Ls. Ad onta del vantaggio di poter rettificare la costante di- stanziometrica, l’applicazione dell’oculare negativo ad un can- nocchiale topografico non è consigliabile per le ragioni già esposte. La considerazione di un cannocchiale ancora colla distanza costante, ma colla lente Ls divergente anzichè convergente, non offre interesse speciale, nè tale strumento sarebbe conveniente dal punto di vista delle aberrazioni. ME Pa Per o STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1305 IV. — Teleobbiettivi (*). 9. Generalità. — Un'altra condizione alla quale può as- soggettarsi il sistema L, Ls è quella di accrescere l’ingrandi- mento relativo alla sola lente L, senza rendere eccessive le dimensioni dello strumento al quale il sistema è applicato. Se ad una camera oscura o ad un cannocchiale astronomico ad obbiettivo semplice L, di distanza focale @, si suppone di cambiare l'obbiettivo mettendone uù altro di distanza focale n @;, è evidente che l'ingrandimento normale nell’uno e nell’altro caso sarà divenuto n volte maggiore. In pratica però nei casi in cui occorrono forti ingrandimenti non si possono dare valori assai grandi alla distanza focale dell’obbiettivo a causa delle inco- mode dimensioni che assumerebbe lo strumento. Da ciò l’idea di accoppiare all’obbiettivo semplice L, una seconda lente Ly la quale dia luogo ad un sistema L; Ls di distanza focale n@; ed il cuì 2° piano principale cada posteriormente al reticolo o anteriormente ad ZL, in guisa che lo strumento, pur realizzando un ingrandimento corrispondente alla distanza focale n@;, ri- chieda una lunghezza minore di quella che sarebbe necessaria con un obbiettivo semplice di distanza focale n@,. Un tale accoppiamento di lenti prende il nome di teleob- biettivo. Se un cannocchiale in luogo di un obbiettivo semplice ha un teleobbiettivo, dicesi anche cannocchiale ridotto 0d accorciato. Un teleobbiettivo può ottenersi combinando la lente conver- gente primitiva L, sia con una lente Ls convergente, sia con una lente divergente. 10. Teleobbiettivo con L, convergente. — Per le con- clusioni tratte alla fine del paragr. 1 sappiamo già che se sì vuole un aumento d'ingrandimento, delle due condizioni (4) per (*) Vedi: N. Japanza. Il teleobbiettivo e la sua storia. * Atti R. Accad. delle Scienze di Torino ,. 1898-99; Alcuni sistemi diottrici speciali ed una nuova forma di teleobbiettivo. * Idem. ,, 1902-1903; V. Reina, Teoria degli strumenti diottrici. Hoepli, 1908, pag. 208. e seg. 1306 G. CICCONETTI l’immagine reale non è utilizzabile che la seconda A>@p1+ p.. In tal caso A potrà assumersi così poco superiore alla somma ®; + ®, che posto nella (12) /_ =9, si verifichi Pia puote (24) WATT ove si è tolto a A l’indice _ perchè supponiamo le lenti L,, Ly a distanza reciproca invariabile. Il cambiamento di senso della differenza al denominatore importa il cambiamento di segno del rapporto dei due ingran- dimenti /, e 9,, e ciò sta ad indicare che l’immagine ottenuta col teleobbiettivo L, Ls è disposta in senso contrario a quello dell’immagine che si otterrebbe col solo obbiettivo L,. Dalla (24) si ricava INS egizia n e allora sostituendo questo valore nella espressione della distanza del 2° fuoco /' del sistema L, Ls dalla lente Ly si ottiene Rgrnre Pa (A—- 9) ASS Os F 7 Regi =(n+4 1). Ora se alla distanza A si aggiunge la distanza O, F' si avrà la lunghezza normale l,, della camera oscura o del cannoc- chiale, corrispondente cioè ad una distanza infinita dell'oggetto osservato, e risulta 7 DE L=A+0; np, n Qualora lo stesso ingrandimento normale /_ =n39, fosse stato realizzato con un obbiettivo semplice, la lunghezza nor- male della camera oscura o del cannocchiale sarebbe stata db Nn}, quindi l’accorciamento normale ottenuto col teleobbiettivo è 1)? a=Lor —ln=(n—-1)9, — nt i Pa x STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECC. 1307 e ci sarà convenienza ad applicare il teleobbiettivo quante volte a sia positivo, cioè quando sia ( 1)° ho > Mt gp, ovvero (n +4 1)? marz n(nT_- 1) Pas EsemPio. — Si abbiano @1=1",000, gp, =0%020 e si voglia n= 6. Si calcolano colle espressioni trovate: A =1",0233 che soddisfa perchè si verifica A >@, + ®;, i == y163, aL = 4,837. Con questo teleobbiettivo applicato ad una camera oscura lunga 1",163 si ottiene lo stesso ingrandimento normale che si otterrebbe con un obbiettivo semplice adoperando una camera oscura della lunghezza di 6". 11. Teleobbiettivo colla lente L, divergente. — Ponendo nella (12’) /_ =3, se ne ottiene | @a| 24! o ola Leto ( ) MO | Pa | la quale può coesistere colle condizioni (5) necessarie per l’im- magine reale. Si ricava e con questo valore si ha |, | (91 — A) irc -=(nT—1)|@a]; Os F A_- + |Pa| ( )|@s la lunghezza normale della camera oscura o del cannocchiale risulta quindi (o—TEA n I,=A+0,F =, + pe| =", —(n_-1)A4, 1308 G. CICCONETTI onde l’accorciamento normale sarà (n e a, =Nn®,—l=(n_-1)9,— i |py]=(n—1)A e ci sarà convenienza ad applicare il sistema L, Ls quando sia (n— 1)? (n_-1)p > _|@o], n cioè | > a | Pg]. EsemPro. — Si abbiano @, = 0",110, |@,|=0",030 e si voglia n= 6. Si calcolano colle formole trovate A:—= 02085 la 0258 al = 4a, Il teleobbiettivo si applica con grande vantaggio alla ca- mera oscura quando sì richiedano fotografie dettagliate a grandi distanze, come accade per scopi militari. L'esempio precedente sì riferisce ad un apparecchio di piccole dimensioni; ecco i dati per un teleobbiettivo di maggior potenza: p, = 0",60 |@a|= 0",20 A= 05,41. La distanza focale del sistema è he Pi | Pa] — 122.00 PT A-9 +9, Ù e quindi AZIO) Pi Inoltre risultano li ==4% 21 do LIO; Con questo teleobbiettivo applicato ad una camera oscura lunga 4”,21 (misurata dalla prima lente) si ottiene lo stesso effetto che con una camera oscura ad obbiettivo semplice di 12" di profondità. Un edificio di 25" fotografato alla ‘distanza di 25 Chm. apparisce nel cliché con una dimensione di 12"". e e. ul i 71 STRUMENTI DIOTTRICI AD OBBIETTIVO COMPOSTO, ECO. 1309 Riprendiamo le espressioni (24) e (24’) e in ciascuna di esse consideriamo »m successivamente come funzione della sola A o della sola @;, o della sola @». Si ottengono nei due casi le derivate seguenti: PRGBBE IRL FORT POM: Sy 341 AR TTI | @a | dA (A — @, — Pa)? davis (A—-@, +|@,|)? dn e__ mestoli a | Pa | i do, (A — pi— 9a) do (4-+]9.|) | LOLA TE dn _ pi — A d@> (A — @, — Pa)? a |] e, (A — 4 +|@g])} * Le prime relazioni mostrano che, sia per Ly convergente, sia per Ls divergente l'ingrandimento cresce col diminuire di A, perciò si possono costruire teleobbiettivi a distanza A variabile coi quali sì potranno realizzare diversi valori dell’ingrandimento. Dalle seconde espressioni si deduce che in ambi i casi l’in- grandimento del teleobbiettivo è tanto maggiore quanto è più grande la distanza focale della prima lente L,. I Finalmente le ultime derivate fanno vedere che nel caso di due lenti convergenti l'ingrandimento del teleobbiettivo cresce col crescere della distanza focale delia seconda lente, mentre nel caso che quest’ultima sia divergente l’ingrandimento cresce col diminuire del valore assoluto della sua distanza focale. ‘3 3 5 È 1310 B. RAINALDI La durata dello splendere del Sole sull’orizzonte di Torino nel sessennio 1899-1906 (manca L'anno 19083). Nota del Prof. B. RAINALDI già Assistente all’ Osservatorio della R. Università di Torino. (P.rtraPaft te) Dei calcoli delle osservazioni eliofanografiche, fatte nel R. Osservatorio Astronomico e Meteorologico di Torino (Palazzo Madama) dall’anno 1890 all'anno 1909, mancavano ancora i cal- coli che riguardano le osservazioni fatte negli anni che vanno dal 1899 al 1905. Con la presente pubblicazione, soddisfacendo anche all'impegno preso nel 1911, il sottoscritto colma la lacuna, dolente di non aver potuto rintracciare le cartine eliofanografiche del 1903; per conseguenza, della durata dello splendere del sole del detto anno mancano dati e calcoli, e il settennio 1899-1905 sì riduce a un sessennio. La struttura di questa Nota è simigliante a quella della Nota pubblicata pure dal sottoscritto nel 1911 sul soleggia- mento durante il quadriennio 1906-1909: quindi, per la migliore intelligenza di essa (sulle notizie bibliografiche, sulla disposi- zione delle tavole, sul metodo, sul fine) il sottoscritto si richiama alla prefazione della Nota sul soleggiamento del citato qua- driennio. Si osserva però: 1° che in questa pubblicazione non sono riferiti i risul- tati eliofanometrici diurni (e perciò manca per ogni anno la Tabella 1); 2° che le osservazioni sul soleggiamento avvenuto nei singoli anni non sono esposte anno per anno come nella Nota del suddetto quadriennio, ma sono raccolte in un quadro sinte- tico posto alla fine di questa pubblicazione (Tabella VI). LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 1311 Si osserva inoltre: 3° che il valore di B (durata teorica dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino) è stato preso dal calcolo fatto dal Dott. V. Balbi nel 1897 (v. “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXII, 1895-96, pag. 1048); 4° che i valori massimi e minimi e quelli degni di par- ticolare rilievo sono stampati in carattere grassetto; 5° che questa Nota sarà stampata in due puntate, la prima delle quali, la presente cioè, contiene le prime due Ta- belle di ogni anno, e l’altra che seguirà tra breve a questa, conterrà le altre tre Tabelle. Non appena saranno pubblicati i calcoli sulla durata dello splendere del sole durante il biennio 1910-1911 (pubblicazione che il sottoscritto spera di fare tra breve), si potrà finalmente procedere al calcolo dei valori normali, determinare con mag- giore approssimazione l'andamento dello splendere del sole nei giorni, mesi e stagioni dell’anno, e passare allo studio delle relazioni che intercedono tra il soleggiamento e le altre con- dizioni climatologiche di Torino. RAINALDI B. 312 1 <91°0 | 6°123 | 847 GOG (6566 | VE |46W0 | 848 | VII #70 | 186 | 0°811.| 60240 | 86 | 8°79 |9CSO (876 | LGS OVE0 N'ZEE GI | 1970 £U1 | gae |zogto \z‘601 | 0°gg HO | 0°WZ£ | &GC1 | RGFO | SG11 | L°6 | Geo | L96r | 9629 980 | H'EET | 6° | 9090 |9°87F | 0°06 | L6C°0 | FOYI | 9°88 860 | VOLT | 8°ILE o | 6406 leecd | TESI | 6‘€8 7870 | &'C9IY | CEE 9970 | ceci | cGL |cgc \6S 077 0E7°0 | S°69W7 | IE6I | 6260 | 0°Z91 | #89 | EE7°0 8871 | G79 6S40 | E#07 | 0°981 | covo | 261 | 069 |L4a0 [881 | vie 9FG°0 | 889€ | S°OGI |866°0 | 9°9EH | L'IR |CGS0 | 2°81I | 679 GILO | S°686 | 6701 | 096°0 | 0°98 | 187 |ET60 | VYOI | €66 L860 EINE 918 |0800 YY01 Y8 |300 |3"16 897 - q r = a ml ESA USM = oproag «6 apeoag +8 gog |2°88 | 46 |: \soo'o |0°66 | so |" (GGG"0 | EIL | 168 | °° |Y6so (8661 | 089 |" | \449I | 8908 |" l7gei | 026 | °° 461 a \GCVO | GUYI \WW90 | L'GGI | a orzo [sten | ov | \sHeo |w'66 | 918 |" 6080 988 VIE | 15 o bossa | v Ere | | È | | OPeoa(] «I | * QLQuI9II(] QIQuIidAO N ‘ * 0440790 9.1quagrog 03803 y 01]SN'] 0usnIY 01998 K pu * * *OZIBN " 01819] ‘* ‘OIBUUOY) 6681 ‘210 UL tssdIdse ‘OUTIO ], Ip _99UOZzLTo [ns 9jos [ap a4apuo]jds o]]jap goLtoog epeam( = g ‘910 UL US ‘6687 OWWE,][OP ITISUOWI © IOIPeoep 1911}OWTOTEJOMTO 13 eYmSsIy ‘I] VITIAV], 2Al}gogo eqgIn(] s91ds9 ‘OULIO], 1P_2PUOZZIIO [| NS a[os ]ap asapuo]ds o[]]ap E €670 | 6°ILE | YET (9370 |6°6 | 607 | 190 | EZ8 | 0°6Y |R6V°0 | L°88 | 77 | *@aquiao] €90°0 | 1°S8% | FRI |9KK0 | EI6 901 | 62040 |8°76 | SZ |000°0|)0°66 | 00 | * asqueoaon (TV70 | B'LEE O R'GEI | STO | RIF P8Y | 690 |E601 #°07 |\677°0 | EI} | 40 |" 0490990 13183 S 92530 | 0718 | HEOT | 650 | SG6T4 | T64 |70OE0 | 2°473V | 6°5£ | CE80 |B°661 | 19% |" 0IquiogÌog | sî |0860 |7°E87 | 8791 \ECHO |9°871 | 66 ||ESy0 | TO7t | 8°89 | 70 |L771 | 9°gz |" 093503y | ° i ‘ <‘ my 6 ” c n 6 toe ame lit at EFC den ‘ PRC 3 & 2 |S090|FOL7 |T78% | 8890 |9°691 | 9GTE|T6S0 | VEST | 668 |6650 |#WCI | LR 0130] SU |9980 | E°697 |FOLI || 7370 | GGI | 0°99 | EG7°0 | SCI | 9°69 |0C6°0 | E7C1 | 9°gg |‘ 0us3ung | [6880 | C°67 | LS8LI |wz7°0 (0°Z91 | S'6L |97g0 (8871 | #97 |\veeto |\&WvI | Vic | 01886K | Z |\GESO |EY0Y |\8°2I6 | 6270 |L°681 | 6599 | 00240 |84ET | #6 |9€70 \2°661 | ci9c |< cosady | n < (4 Ca [4 L- s (4 | (4 | (4 (4 [4 » 6 PL le _ D o |0970 18.896 |8 697 |0E60 |998] | FS7 [OZ70 |48TI | 866 |S090 |GEFI | 689 DOLEN 3 8680 | 97008 |9°86 | 80S°0 | T°Z6 6587 | | K70t | 647 ||690°0 | #°66 g*9 *** 0181qqG9IA = | 5 n 14 [4 (4 | (4 . . . . £ A |K50 (6786 |VZZ |ZOE0 (770) | FEE |ZL60 |GI6 | 77€ |6IKF0 (988 | 90] OIBUU?Y) = U U U | LL | | L Le SL | I U Il eci cli ri aes i a i i ai 5 - ted V sO 00 Rd È TA | LS | = A fel | dé —T————————rzrtrtt- — td = = | — Pa = — CT —_4:: =|- rr 1902; 2! — _— | 006I Dov YSHN | APBoa(] »f | OPBoA I] «7 | aptoag »I | | ‘210 UI #ssaIdsa ‘OULIO], IP_9FuOZZLIO ][ns ‘910 UI èssaIdse ‘OUnIO ], IP_97YuOZzIIO, [| ns 9]08 [Jap 219pua[ds 0[[®p Bor1o0ag epumq = 9[os Jep 219pua]ds o][ap targgogo e)ean(q — p ‘0067 QUUB.[[9p ITISUOWI 0 I9Ipeoap I0IIJOWIOUBFOI]O 1YRImusIg — “IT VIIIIV], TC Sn TC rm Pe è è i. ngn» a ai RAINALDI B. 1514 _———y__——+++pqee===———-—-—--—— ee _ 9680 1t0'0 8760) 640 C07°0 680) 977°) 607°0 670 LL60) 256°0 CL7°0) ‘9410 UI essoldsa ‘QULIO], IP QquUoZzzi&Io, [lis aos [op o1apua]ds 0][9p BOLIO97 VBFRIN(] = Y TO6I OWwE.]1Op ITISTOWI © I9IPeoop 6°128 | 988 ||GST0 ‘6°66 97] Gezio 8558 | 6006 ||865°0 | 2°88 | Vee Fesa |R"K1r [ero (efi6 | 6° |ovo'o (8476 8° |tyoto [066 | 1% g'18e |6°€8 |èaro | FI | 6° |ern | a'601 | #°0G |188°0 (8711 | 9°E 028 |0°49 |69o'0 |c'srr | a°8° |Gveo | L'7aI | 018 |7ISo (8°681 | 826 VEE | G°SLI | ESSO 19871 | 08 [ZIO FOYI | VEL \6Y1°0 |44971 | 618 | VOLT | W"GLE | GEG'O | 9891 | 8°98 |66S%0 | H6SI | #08 |907°0 |7WSI | 469 g‘c97 | C*L0G | 9970 \S‘GcI | SEL | Eeyo \S'9SI | 269 |6T70 8761 o e‘69 G°6E7 | 6°£84 || Y86°0 10291 79 | 8£46°0 6 871 Voc |6970 (BETI | 9°49 | TOY | L7ZI |8Y80 | L°6Ek | 287 ||00£°0 | 8°#81 | 776 |676°0 |2°661 | 918 | 9998 | FZOI | E88°0 | 9°981 | Ve ‘600*0 4841 | HI |8670 [SID | 987, c*68E | 191 |tgz'o 098 | 269 |EI9°0 | 1701 | 8°89 |0E80 |#°66 | 8°18 186 |GTEI |7OL0 YO] cel Geo 16 367 0810 1988 SU A 14 = Sa ci O o ASUN opwoogi sf | "— apuooq «2 R aptoag «I . . * QIQUI9OI(] Q1QuIieAO N ‘ * 0190%)0 QI1qu9zog 03805 Y INT ousniYy 0138B N ‘ajady ‘ OZIBT ‘* 01B199,] ‘* *OIBUUOY) ‘a10 ul esserdsa ‘OULIO], IP _99uOZZIIO |[NS aos [ap 2repua]ds o][op tamgzoga epeinq = P I01IZOWOUBFOI]O 19Y8FMSIY - ‘J] VITAIAVI, co ISSVO |6I26 |T67 |Z8FO |6°6 | 6555 || 815°0 88 | 985 |Z90°0 |2°88 | 6° |< *01queog 2010/1586 (SO |E00 (8416. | Ha |19x0 |876 | 81 |èeHo 1066 | VE |" 24quoaoN 7660 | B'LEE |684° | IBFO |E7FF| 808 |c97°0 |#'601 | 6°8% |CCG0 | gvIH | &66 | *e14g0no S |88£0 02€ [#71 | #azz0o cern | g'9z | cogo (2464 | 966% |27e0 |8°6z1 | 044 | 0I1quiopgpog si |ES70O \TEE7 |8°961 | 780 |9°871 | 01€ | pyso (n°071 | 6°cz | 0g7x°0 (4971 | 669 |" 09808y DO |T6V0 | Fozy ee 9870 [9891 | 9°62 957°0 | 1°6SI | #89 |ezst0|y47c5x | 68 | "** oso] S_|6880 | 897 |EIRI |zec0 |c°cc1 | Has |egeoo | c'e] | e‘ge |9C30 | 8465 | 968 |‘ 0uSan = CIV |E60Y |(R'OGI (6670 [0291 | 7°€8 |toyo |g*8v1 | 966 | VEC |S97} | 827 |" 013367 2 _|S950 [6707 |EZ01 | eco | 2681 | e‘se || 6x0 18°7€k | 2°96 |678°40 [2631 | 87 |‘ ‘equdy z |899°0 8°89€ L46608 #20 |9°981 | 212 |zz9%0 |L81t | 708 (8OGO | GEIE | 956 |" "OZIBN | | | | | 3 |G9r0 |e°68% [697 |68k0 [0498 | 91 toxo (VTOV | 8°9k |68F0 | 766 | 8°, |" ot8Iqqgod S |BINO [88 [#8 |e8Ho|ww0r | 161 looot0|a16 | 00 zoro (988 | 41 |} ‘oro < I ti | RR "l | U | AU UU vo | -- FREE TETI felpalo ai int] | BEeo ig eee io vg Vv ie y | a rv | = sg MELA «rara pi Lia rive apre NOR Pen ERRE PRA PS STE cO6I ae | USM N APRIAI »f opwrag + aproeq «I | P ‘910 UL essaIdsa ‘OULIO ], Ip_29uozzizo | ns ‘210 Ul Vssaldso ‘OULIO], IP_@quozziao, [ns 9]08 [ap 21apua[ds o[[ap tor1roag epeanq — g 9[08 [0p osopua[ds o][ep tAarg}oga eqeanq, = l, 606] OUUB,[]9p ITISUOWI 0 T9IPRIEP I9IIZOWIOUBJOIO 19RINSIY — ‘]I VITAIVI, . . MM VP TA stà sà a 4 PI __ eeeeTTTTTTTTTImIIIIIeElmTTTIIedOetlteeIImmIeeeO-——ereet eYE0 SILE reo \ezro [co | or |oogto |e28 | 9'6v leog*0 | 2488 | g°9g |‘ 9aquieorq | | | | | | L4E0 | VG86 19 LOY | 9660, | 816. | #96 |ZOSO |876 | 087 |T7ECO.|066. | G86.| 9IQUOAON SILO | R'LEE | EG01 | LEO |EYIT | 91 | 1680 |&'601 | 888 |864%0 ETTI | vige |" * ‘014010 ISL'O | 0428 | WILI | va'0 | S°61I | 8°8E |vayto | Lwai | 675 | ERE [861 | 267 |" 01quiomos IBS°O | VEEY | G'ICE | RESO (OS8YI | GBL |EONO | HOVI | S48 | coso | 2971 | s28 RISO Ci 90 | HOLY | 919% |#E90 | 9°E91 | 8°&01|ES0 | VECI | V62 \soco | wwci | 78 | vt [BILI] 208% | 8°co7 |8*991 |ozeto |c'cer | o‘6e. [coso [accer | g‘9e [zago |ge1 | s'og |\‘‘‘ cu8m9 = | Wyo ‘607 \e0g || 610 |0°291 | o'oz | 197°0 | g87I | 789 |v7yo [agi | Vw9 | 0°’ 530 _ 6860 TV07 | LSI 6670 | 2661 | 009 | evi‘ | get | 6661 |oecto | 2°gav | ez | 0% ‘onadv a: [6760 |8°89€ |8°IG |ZSE0 |9°9Ek | 8°87 |GG80 | 2°81I | 8 || WW0O0 (SE! 27 |" 02160 PF lezzo [9008 | ra8 |o6z'o | 126 | &°86 | GOVO | HWOY | 7 | LINO |W°66 | 9°} |" 981499 ch0°0 18% Hi; } |8gz0%0 (VUOI | ©8 MEDIO GI | L'E [00040 988 | 00 |'*' ‘oreouep bia: dò (aRl (PU vg | gt |M Lt SR. LA in ISU NW peo? +6 peo +6 opeoe( «I | ‘210 UL #ssoIdsa ‘OULIO ], IP_9FUOZZLIO {OS ‘910 UI RssaIdsa ‘OULIO ], IP _Q9UOZZIIO [[S Jr A]os |ap as9pua[ds o][ap gor1099g epean(] > g Q|os [ap e19pua]ds o][ap vAay3aga eqeIn(q == P ca ‘5061 OUUB [[9p I]JISUOWI © I0Ipeoap I0LIZOWIOURJOI]A IFBHNSIY — ‘IT VTIUAY], ‘ 31 | LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. GLEO |(6°ILE RYL | 66 66 | 86 8660 (15186 |1FS9 |8CFO | 16 771 Vr 0 | 8'LEE | 7'ICI | cOFO 870 ) IG 808°0 | 0°7L£ | ESITI | 08Z°0 | SG11 | VEE LETO | WEEY (64481 | 9680 | 9871 | 8°8C 4670 | FOLY 9006 | 070 | 9°89 869 0460 | 697 | LGGI (7080 |GECI | GL7 #03 0 | 67 | L'E6 | 630 |0°L591 | 0°67 6680.157707 | VIOI | 7880 | L'6EI | LEG 4660-187896 19 FETI ZZ60 1996 | SIG L66°0 | "686 | 0°GHK | &EI°0|0°498 | #4 GIO c 186 4801 EEE 0 7701 876 > 1 | È i @ | V ASTRO | epuoegag ‘a10 UI VsS91ds9 ‘OULIO], 1P_29uOZZLIO | [ns a]0s [ap aio0pua[ds o][ap Bor10ag vyRIin(q = 698°0 | 8°Z8 | &E |cego |2°88 | g'08 | 997° |8°16 | ‘cz |8ez0 0766 cz | GLYO |E'60V | 9°1C |18940 |&4#141 | 6622 | 74V0 | 24761 | 213 |797°0 |8°661 | #°09 | af. 16870 | F°07H | 6°89 || R6E0 | 2771 | 956 |" (668°0 | VECI | 809 | 6270 | WS | 02 | tas |cccy | Gre |esz'o 891 | 9°8v | 7910 EVI e || E8K0 | GTI | #96 | 4880 | 8764 | #7 |BZ70 | 4661 | 069 | ° \0gz'o |2°8tt | agg |erato | seni | 697 | loxe*o [two | 286 |aosto (166 | ev | \ecz'o |e16 | oz |victo [988 | eten | | q | a | u U 3 A | V | È È Cr «i APRO] +4 | apeoaT »I | ‘G067 OUUE.]9p ITISUOTI @ [9IPeoep ‘910 UI essa1dsa ‘OULIO], IP_99UOZZLIO, [NS .———_ "eee; Quod] QIQUuoAON + >> * 8109330) QIquIaggog orguua 09805 y 01]3N] OUSOIL) 0155BN ojrad y ‘OZAB]N OIBIqqIJ n, GOGI 9]0s [ap o1apua[ds 0|[ap earggago eqein(q = I01I}OWTONBJOI]A IYeIusIy — ‘II VIIHAV], LI. Accademia Vol. Atti della R. 1318 B. RAINALDI Y È TaseLLa III. — Riassunto annuo delle ore in cui splet 1899 | 4-5 5-6 | 6-7 7-8 | h h h h | Gennaio — | |- 0,0 | Febbraio = — | — 0,8 Marzo — SE a EUR Aprile gle 6 Maggio | 041] 34 5,9 12,3 Giugno 0.68 71 1-15:0://1750 Luglio 0,9x4 9,0 422,2 /€22,6 | Agosto . “00 65/164, Settembre . ts — 30./0150 | Ottobre. — = O 1207 Novembre . — = 0,0) 0,0 Dicembre . ANNO 1,6 3A | 15,0 16,0 19,1 241,0 21,2 14,9 6.0 0.7 1,0 D Bi 9-10 10-11 h h 8,5 11,9 9,7 © 1208 | | | | | 119,5 | 64,4 107,7 144,8 177,2 201,4 | | | | LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 1319 H | per ogni ora di ciascun mese dell’anno 1899. i 18-14 | 14-15 | 15-16 | 16-17 | 17-18 | 18-19 |19-20 b h LO h h h h h h M1,9) 10,7) (8,0) 06] — | — | — 81,6 284,2] 0,287, 14.7) 17,0 15.9) 00) 0.0) — | — | 104,9 289,5| 0,362] 118,5 | 18,4 18.1. 16,1] 18,7! 00) — || 190,5 368,8 0,546 | 19,1 | 19,0) 16,9] 17,9) 8,3) 0,0) — | 186,0) 404,2) 0,459 | | | t5,7 | 16,5 146,4| 16,5| 11,8| 3,1 | 0,0| 193,1|459,5| 0,420; 16,8|17,6| 16,6|15,6| 15,5) 7,9) 0,5) 225,2] 465,3| 0,484| 49.5 15,5| 17,1] 18,9| 17,8| 8,3) 0,1 | 271,8) 470,14| 0.582| | | | 24.5 24,5 | 24,2] 20,8) 10,3) 0,6 — | 253,9 433,4| 0,586 (194| 49,0] 163|134| 3,0] 0,0) — | 1593 3740) 0,426 | 13.6] 15.7) 14,5) 10,9) 42| — | — || 114,9] 337,8] 0,340 insbaziotazi| oo) — | — | — || 118,0] 285;1|-osa4 60pe55k 045} c04/| — | — |- 41,3) 271,9| 0,152 | 197.2 197,0 (185,6 140,5) 79,6 19,9 | 0,6 |1940,5 4443,8 | 0,436 rr _—=u1___==_==_———_+++———=—:::ooo__m (1820 B. RAINALDI “' é LI TapeLLa III — Riassunto annuo delle ore in cui spl bj I 1900 | i e —- | h h h h h h h (Gennaio LL .|| — — ca 0;2 |1.:3,9 [17,7 a Febbraio "i iiut.| — | Pe |u5,2|10,5|10,9 | Marzo 0 ii. — [oa 14,5] 1037 | 44,5 16,2/498 AlpoileS.408 4,081. == 08 3,61 15,9) 24,3] 24,4) 200 Maggio, SC Lot. | 00 110,0 | 16,1.) 44,6 |\16,0.1.46,2 18, | Giugno... . 1.00 |V4,4 I 14,7 | 15,5) 15,2) 14,0| 108 Buglio LL. Ub7s 9d49T£. | 0,0 {8,4 |[:25,1|/26,3| 24,2] .25,9| 260 Agosto... ...l.| — 3,0 | 10,7| 12,4] 12,8) 13,8 | 15. Settembre. ... .| | + 9.5 [92 199,3. 20; | 4, Duna sto (tiene 0,0| .11,14| 16,8 | 45,6| 15 Novembre. . . .| — I _ 0;0-}.#0;0 |, (035 [L04701 0, Dicembre . . . .| — | — | — | 2,5) 6,2|13,3| 16, | | i Anno . . .| 0,0 15,8 | 64,2|123.6 153,2 166,1 173, a d t » j » «Se li r . Mute A , +’ LAN : n ® “CADAU er ogni ora di ciascun mese dell’anno 1900. è (AD 1.1 SO Lie b| % | LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. —11321 lita | | | RE, A 14 14-15 (15-16 16-17 19.1 1-19 /19-20 e | | h h h hi h | h | h 8,8| (81 ui ||| 7 8.71 80| 59) 50 — | — | 986 16,8. 17,11 14,6) 6,0 06, — | 169,8 D, 19,7. 19,4|495| s7| 00| — | 2178) Ò 149/172 nai dI 2,8) 0,6 | 178,7 LA | 124130) 135) 95) 27) 00 | 1702 19.7 186 19,7) 164 4,0 0,0. 204,2) h9 13.6) 13,1! 14,2) 10,3] 02 — | 1648] dA Bai 42,1| 152) 3,8) 00] — | 1084 2. 191 tal iso sog — | — | 139,8. 27) 40 4,0 Aa ba — ati 18.1. 92 19.6 | 16,7 BI ui la 136,1. 2.4 1163,8/158,5 130,1 | 66,8 10,3 | 0,6 | 1756,3 |4455,8 0,394 284,2 | 0,271 300,6 | 0,328 | | 368,8 0,460 | 404,2! 0,539 | | 459,5 0,389 465,3) 0,366 470,1 | 0,605 433,4 | 0,380 | 1 374.0) 0,276 | 337.8 | 0444 285.1) 0,063 271,9] 0,493 | ! 1322 B. RAINALDI TageLLa II. — Riassunto annuo delle ore in cui splent 1901 T | | = IF —_ ———x A n | 4-5 | 5-6.) 6-7) 7-8 | 8-9 | 9-10 10-11] | : | | h h h h h h h Goaaloi. ASS ale 3;9| 19,1, 16,3) 17,568 Febbraio Wi .o5U.| — | — | (00| U54| 199] 155 10008 ans ba ada — | ap os sete rasa) oro 10,01 ffpinile!c.AU) (8 0gl — | L0| 68/435) 498126) 15,01 Maggio. . . . .| 00) 0,0] 80 17,6 181 24,1 99,7 o Giugno; 0.5. 00) 0,0] 91 | 16,5] 183) 23,2] 2540 Làglio 1.07! (6/2 | 00 | 00 | 53 15,4] 20,0) 2459] i Agosto 3.54 (M0L| — | 4W| 138] 1456] 18,8] 492) 1358 Settembre 0] — | + | 0,627] 3,9) 49) 26 Ottobres.IUt epni. — |D— | 000411] €772 1830006 Novembre . |... — = |. 0;0 IE6" Bb 3h 3,8 Didemibiet 6 LA e a] oo Anso . ..| 0,0) 14 [3544 103,4 |142,0 167,8 174,2 bici | | LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 132: le per ogni ora di ciascun mese dell’anno 1901. > | 13-14 (14-15 15-16 16-17 | 17-18 | | 18-19 | 19-20 | 10,4) 9.1 0.0, 0.0 pisa 7,8 |167.9 152,9 | | 18,3) 16,7|10,8 Malt 0130 (,0,0| 10,0] — nai — 444,4 103,5 | 32,9 (49,41 43,0) 5,9 18,6) 13,2) 02 | 14,5| 10,3| 0,0 | 0,0 h 136,2 161.3 102.1 | 174,7 88,6 \1576,3 | 187,9 | 207,5) | 179,4] I 475 | 175,9 | | 285.1 4 | B h | 284,2 0,479 | | | | | 289,5 | 0,557 | | 368,8) 0,277! | 404,2) 0,432 0.409 | 165,3 | OAA6 470,1 0,382 433,4 | 0,405 | 0,179 | 337,8 | 0,248 | 0,041 | | 271.9) 0.326 14h3,8 0,354 | | Ì led 14 Di dI 15324 B. RAINALDI TapeLLa II. — Riassunto annuo delle ore in cui splend 1902 a | #0 # CT AAC 45: |05-6| 6-7] 7-81 | 8-91 | 9-10 [10-10 | | | | hanoi h | i (Gennaio. ci .c Quel. | — |. | — [883,30 | 14,0 RAI | Febbraio . .. .|—- | 00) 00) 00 30 40 I Marzo eli Lsu. — | = | 193/1470161) 1941] 20,008 Aprile sii LTL — | | 200/7788486] 108008 Maggio... 0. | 00 | 0,5 | 10,8|/18,6| 15,4 |118,8 | 20,60 Giugno. . . . .| 00] 27 | 142/429] 441] 140) 15,4] | Luglio Li... | 0,0 | (4154 | 12,8/20,4|19,9| 20.5 204 Aigosioiuni Lost. — | ts | drag, |ara| nas | ded Bottàmbrazi LO.to. | — | oe] agge|aas ani use 2008 Ohbabrei Rf co.ga | — | /— |'Umo181,2 | 04,9] 1,69: |008 Novembre i}. — | = | 0;0|]0.0,010.0,0.]10,0.] 03 | Dicembre . ... .|| — — — |è,0,0|0.0,0|#0,5| #23 | | Anso. . | 0,0 | 64 | 54,4|/90,8/115,5 127,3 130,4) LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. le per ogni ora di ciascun mese dell’anno 1902. (18-14 | 14-15 15-16 16-17 17,8) 17,9) 13,41| 12,8 16.8: 13,4] 15.2) 16,3 20.8 | 18,8| 19,7 18,3 20,1 16.9) 14,1 15.0 4,5|/81|(90| 5,8 (165,3 (157,8 142.3 122,4 | Ì 73,8 10,7 0.0 \ 17-18 | 18-19 | 19-20 | | h se=# {il 33,4 | 16,9 | 209,7 107,3 | 190,8, 184,3 | 232,3 | | 196.8] | 443.4] Ì 78,9 | 30,5 | 492,4 | DI 284,92 | 289,5 368,8 404,2 459,5 | 465,3 470,1 433.4 374,0 337,8 285,1 | 271,9] 1,0 |1493,7 443,8 Ì Il 1325 (),1418 0,162 | 0,568 | 0,265 0,415 | 0,389 | 0,494 0,453 (),383 0,234 0,107 0,155 0,366 | 1326 B. RAINALDI TaseLLa III. — Riassunto annuo delle ore in cui splend \ | | Da 1904 LO Ti 4-51 | 5-60] 6-7] 7-81| 8-9 | 9-10 1011 | h hi | alia ih (gti h, | gh n° |0 Geamalo: Hc LARE... — —. = TI] 0,007 3008 Hebbraio,!g® 4A. | — — | 0,0] (4,1 3,3 5,2 nl! | (È Marzo roof. oc | — | 4/05) C49 5,2/ 78) 0708 | Ajirile c.ind emo) | — | 2 [040091] 18m] 408) d00 Maggio. 0... || 00) 0,0 | 13,4] 20,7| 21,7] 18,0) 17,8 Giugno 0... | 0,0) 141-9414117] 434] 47,048 fia Luglio . 0.0 | 0,0 | 2,3 | 20,0] 26,8| 25,5) 247] 27,70 | Agosto (LL . UL — | 08|415,6|22,2 23,2| 20,7 23,3 Settembre. .\.\\|- | | 1,3| 07,0] 9,2] 42,8) Ahi Ottobres.tta uan le 0,01 49122. 10,0 10.1 | retina ca e L 0,0 | 0,0. 3,1] 78| 10,7 ite Li iL Lo eo 2,8| 11,2| 12,3] Anwo ‘ul 00) 42 | 61,2 105,4 133,3 151,7 167,5) (8 SE e pe i ” RICV ee LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 1327 lle per ogni ora di ciascun mese dell’anno 1904. | ai i = A | A B B 13-14 | 14-15 15-16 16-17 17-18 | 18-19 | 19-20 EF 0A ei | h h h h | h h Binoo: — | — | — | 11,9) 284,2|:0;042| 14,7| 10,0] 44) — | — | 821) 300,6| 0,273 10,6| 7,4 44) 00| — | 91,8) 368,8| 0,249) 15,9 15,5) 7,9) 00| — | 157,2] 404,2] 0,389 | | 16,2| 14,8| 12,2) 0,5 | 0,0 | 202,5) 459,5| O,444 11,6| 12,5) 9,9] 177 | 0,0 | 166,3) 465,3] 0,357 3| 47,7) 134| 05) 0,0 | 261,6| 470,1] 0,556 20,8| 17,7] 13,5| 0,9] — || 251,9] 433,4|:0,581 16,4|42,1| 3,5| 00| — || 134,4| 374,0| 0,351 12,997] 1,2) — | — | 105,3] 337,8/.0,312 uao —| — Ja 285,1 | 0,377 92/100 — | — | — || .93,4| 27459|-0,348| | | 156,0.|122,1| 70,14) 3,6) 0,0 \1663.0 |4455,8 0,373 | | | PIT CA "4 i Mi 1328 B. RAINALDI TapeLLa III. — Riassunto annuo delle ore in cui splende Dal 1905 e ei ii sai las se | 670) 78 8-9 | 910010101 SO Rn Pe | h h h h h He o i Gennaio — |— | 0,0| 0,3 9,8 | 15,1 | ® Febbraio =' | dojo data 1,3 112|154/4 | Marzo -— | lio] ‘39/097 dg7| 14,608 | Aprile . — | |02]|791|143|45,5|172|4 Maggio . o0| 00 1162/79 098] 960 Giugno . 0.0 0,0 | 4,5 | 10,8) 13,4| 43,6 | 15,5 Luglio . 0,0 | 0,14 | 8,0 | 13,0] 17,7| 21,4| 25,4 Agosto . — 050.| 6,0] 16,2) 18.2) 1933 18,5. Settembre . — —_ 0,7 6.0, 10,2 13,2. 13,9 Ottobre. _ | [too van] aos] assaggi | | Novembre . — |— 0,0 00 086,5) 6.1, Dicembre . — — — 0,0, 0,4 5,5 8,2 | ANNO 0,0 | 0,1 | 20,5 | 69,9 104,7 (154,1 178,4 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 1529 jole per ogni ora di ciascun mese dell’anno 1905. e: | | | A e e. -- = | A | A 3 535: | Ri dba 13 \18-14 |14-15 | 15-16 |16-17 | 17-18 |18-19 | 19-20 | | | | | VERA MAGARI | | | | | la (na | h h_| h | h 17:9| 16,7 11,6] 3,6, — | — | —'"| 103,7| 284,2 0,965 16.3| 15,5] 14,0) 8,9| 0,6| — | — || 115,0] 289,5| 0,397 3| 14/4| 15,9| 44,5] 124) 3,7 | 0,0) — | 134,6] 368,8|0,357 4! 16,0| 16,1) 18,01 14,3) 6.2) 0,0| — || 161,1| 404,2) 0,399 9,8| 9,8 7,4 7,0) 44 0,0| 0,0 | 93,7 459,5 0,204 125,7) 465,3) 0,270 7\ 17.7] 15,8 14,3) 137] 85| 03 0,0 || 200,6| 4701| 0,427 15.3 | 13,8 | 14,3 12,11 3,01 39] — | 184,9 | 433,4| 0.427 57 11,3, 12,4 14,1. 6,6| 0,8) 00} — | 115,3] 374.0| 0,308 2| 17,0 16,3) 16,6) 11,6) 4,7 — | — | 151,4|337,8| 0,448) i 9,5. 98/95) 42) — |... all» 65,11.285,1 110,228 il 137128 4) 07| — | — | — |. 74,81: 274,9.|.0,275 ;1|170,0 (165,3 (148,5 (103.1 36,9 | 0,0 | 0,0 |1522,9 4443.8| 0.343 | I | (Continua) . 1930 CARLO SOMIGLIANA Sulle discontinuità dei potenziali elastici. Nota del Socio CARLO SOMIGLIANA. È ben noto come nella teoria delle funzioni potenziali newtoniane le discontinuità di queste funzioni, e delle loro de- rivate, abbiano un ufficio essenziale sia per le loro proprietà analitiche, che per il loro significato fisico. Non altrimenti av- viene nella teoria della elasticità statica. In questa teoria le funzioni che rappresentano la deformazione elastica non sono date direttamente mediante integrali di spazio e di superficie, ma sono definite mediante equazioni differenziali, i cui integrali però sono suscettibili di una rappresentazione per integrali de- finiti di spazio e di superficie, che conferisce loro delle proprietà analoghe a quelle delle funzioni potenziali newtoniane. Ed è appunto a tale analogia che si debbono quasi tutti i più recenti progressi nella teoria dell’elasticità. In due quistioni di notevole importanza io ho avuto spe- cialmente occasione di mettere in luce la necessità di una com- pleta conoscenza delle discontinuità delle funzioni che sono in- tegrali delle equazioni della statica elastica e che, per ovvia analogia, possiamo chiamare potenziali elastici. La prima è quella che riguarda le deformazioni che avvengono nei dielet- trici interposti fra conduttori carichi di elettricità, quistione che si collega strettamente colle celebri vedute di Maxwell intorno al modo di agire delle forze a distanza. La seconda quistione riguarda le deformazioni provocate nei corpi elastici da tagli lungo determinate superficie e da successivi spostamenti arbi- trari dei due lembi del taglio, deformazioni a cui dal Volterra fu dato il nome di distorsioni, e che costituiscono il più recente capitolo della statica elastica. Mi è sembrato perciò essere ricerca di notevole interesse quella di determinare una volta per sempre, e in via generale, SI ET SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1331 tali discontinuità. Tanto più poi che tale ricerca può essere condotta con metodo semplice ed uniforme, quando si ammet- tano regolari e derivabili senza limitazione, quelle funzioni che hanno ufficio analogo a quello della densità nei potenziali newto- niani, ciò che del resto è conforme alla natura fisica del pro- blema ed al giusto criterio di cominciare lo studio dei problemi nella loro forma più semplice. E possibile anche riassumere, almeno dal punto di vista del procedimento, il risultato gene- rale a cui sono giunto, e che può presentarsi come una con- clusione di queste ricerche, dicendo che tutto si riduce, in ul- tima analisi, al problema delle discontinuità delle derivate seconde delle funzioni potenziali ordinarie di superficie. Questo problema è stato studiato da vari analisti e ne fu data una soluzione completa dal Poincaré nella sua Théorie du Potentiel Newtonien. Con metodo diverso, basato sopra formole stabilite da C. Neumann ed E. Beltrami, ne ho indicato io pure una so- luzione generale in una Nota recentemente comunicata a questa R. Accademia ('), appunto per preparare gli elementi analitici necessari alla soluzione delle quistioni trattate in questo lavoro. Finalmente è assai importante notare che la conoscenza completa di queste proprietà di discontinuità permette di dare una interpretazione meccanica completa delle formole-integrali di rappresentazione, la quale mette in evidenza una perfetta concordanza fra i diversi tipi d’integrali, che l’analisi ci pre- senta, ed i diversi procedimenti meccanici, coi quali noi pos- siamo provocare le deformazioni. I Le formole fondamentali. Le componenti «, v, w del vettore, che dà lo spostamento elastico di un mezzo elastico deformato, sì possono porre sotto la forma seguente, che è la più semplice e comprensiva, alla quale io abbia potuto ridurre le formole, trovate molti anni or (4) SomieLiana, Sulle derivate seconde della funzione potenziale di super- ficie. “ Atti della R. Acc. delle Se. di Torino ,, vol. LI, 1916. 1332 CARLO SOMIGLIANA sono ('), per rappresentare tali componenti mediante integrali definiti estesi allo spazio ed alla superficie del corpo deformato: sii id ta i de dr dy dz" (o LA dia di (1) die de’ Mex 1.4 Ot2". “Da SILLY t dr dy In queste formole le funzioni ®, Yi, Ys, Yz dipendono in modo semplice da altre funzioni A, B, C che sono potenziali biarmonici e da altre quattro ®, wi, Ws, Wz che sono potenziali armonici o newtoniani di superficie. Si ha cioè dicendo dl sli: DD ct dread vs 8n(A42u) (Re ig dy I SI 4T(A+2u) puri We= . (d2 de) 8mu\ de dY (2) vo L (3° ca) + l 27 8tu\dx de 4n t2: ET GEE MIRO 1 181 psi ssp V3, ove ), u sono le costanti elastiche del mezzo. Le espressioni esplicite di questi potenziali sono finalmente le seguenti: = |kxXraS+ | Lras +2 |u Lear dn (3) B={kYrdS+ farras + 2u|v È ds, c=|kZrdS+ |Nrds+2|w3" ds, (') Somieniana, Sulle equazioni dell’elasticità. “ Annali di Matem. ,, 1889. SVI Tee ei Mo SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1333 nelle quali: r rappresenta la distanza del punto (xy) dal punto mobile nel campo d'integrazione (4 è c), X, Y. Z le componenti unitarie delle forze di massa, L, M, N le componenti unitarie delle forze superficiali, k la densità, n la normale interna al corpo S, limitato dalla superficie s. Queste espressioni delle formole di rappresentazione si prestano immediatamente alla introduzione dei simboli vetto- riali, per chi preferisse servirsi dei metodi ora più frequente- mente usati nella meccanica. I potenziali (3), (4) hanno un significato ben determinato in tutto lo spazio, cioè anche esternamente al campo S, ed io ho già avuto occasione di mostrare l'utilità che deriva appunto, per certe applicazioni, dalla loro considerazione in tutto lo spazio infinito, come si fa degli ordinari potenziali newtoniani. Io mi occuperò quindi della ricerca delle loro singolarità quando si at- traversa la superficie s, indipendentemente dal fatto che questa superficie sia o non sia il limite di un corpo di dimensioni finite. Dalle formole precedenti appare pertanto che i secondi membri delle formole (1) sono formati colle derivate seconde dei potenziali biarmonici A, B, C e colle derivate prime dei potenziali newtoniani ®@, w,, ws, w3. Volendo determinare le discontinuità di «, v, w non solo, ma anche delle componenti di deformazione e di tensione, dovremo quindi conoscere le for- mole che dànno le discontinuità delle derivate prime e seconde dei potenziali newtoniani di superficie; ed inoltre quelle da cui dipendono le discontinuità delle derivate prime, seconde e terze dei potenziali di spazio e superficiali biarmonici. Le disconti- nuità delle derivate prime e seconde dei potenziali armonici sono note. Noi faremo vedere anzitutto che anche le altre dei potenziali biarmonici si possono dedurre da queste. Potremo quindi prepararci facilmente tutte le formole occorrenti al cal- colo che abbiamo di mira, senza ricorrere a quei procedimenti delicati di passaggio al limite che complicano straordinaria- mente le ricerche riguardanti quistioni di questo genere nella teoria del potenziale. Abbiamo chiamati diarmonici i potenziali (3) A, B, C, poichè essi sono formati collo stesso procedimento degli ordinari po- Atti della R. Accademia — Vol. LI. 85 1334 CARLO SOMIGLIANA tenziali newtoniani, od armonici, di spazio, di superficie e di doppio strato; soltanto al posto del potenziale elementare - compare la funzione r. Essi hanno perciò coll’equazione Ds As p—= 0) relazioni analoghe a quelle che i potenziali newtoniani hanno coll’equazione di Laplace Ag = 0. Le formole fondamentali (1) sono formate colle derivate di potenziali biarmonici e di potenziali newtoniani. Così le espressioni (2) contengono potenziali delle due specie. Noi chia- meremo genericamente potenziali elastici tutte le espressioni for- mate con somme di potenziali biarmonici ed armonici (o colle loro derivate), come appunto i secondi membri delle (1) e (2), e che soddisfanno alle equazioni indefinite dell’equilibrio elastico. Siano n, #' le due direzioni opposte della normale in un punto di una superficie s. Siano f,, f, i valori di una fun- zione f sulle due faccie della superficie s corrispondenti a queste normali. Il salto che la funzione subisce nell’attraversare la superficie secondo la direzione n, sarà f, — fw; noì introdur- remo, per brevità, la notazione fn -fw=D|{f]. Se U è un’ordinaria potenziale di superficie u=(44 ’ 7 ove h è una funzione regolare dei punti di s, sì ha: O ELE e le formole delle discontinuità delle derivate prime si possono rappresentare nel modo seguente, quando si prendano gli assi diretti in modo che quello delle 2 abbia la direzione della nor- male »; e quelli delle x, y siano quindi paralleli al piano tan- gente nel punto che si considera: D (dl) =o D Rija-o D|èl|=- am. ili citi i inni Str e n. SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1835 Le discontinuità delle derivate seconde .si possono pure rappresentare in modo semplice se, oltre alla ipotesi precedente rispetto all'asse delle =, si suppone che gli assi delle x, y siano tangenti alle linee di curvatura della superficie s nel punto con- siderato. Si hanno in tal caso le seguenti relazioni : dU] _ 4nà a?U] 4h D|}]=— Ri D|jp|=— Ra dU] 1 1 : pe = sn (14-1) Di = 4 Dl i l=_4nd de dal dx ldyda]T ni dy ua la] = ove R,, È, rappresentano i raggi di curvatura della superficie, corrispondenti rispettivamente alle linee di curvatura tangenti all'asse x ed all'asse y; inoltre i raggi di curvatura £,, Rs devono prendersi positivi quando la loro direzione (dal centro di curvatura verso la superficie) coincide con quella della nor- male positiva n, cioè nel nostro caso con la direzione positiva dell’asse delle 2 (!). Mediante queste proprietà dei potenziali newtoniani pos- siamo ora stabilire le corrispondenti proprietà di discontinuità dei potenziali biarmonici e delle loro derivate. II. Discontinuità dei potenziali biarmonici. a) Potenziali di superficie. — Sia pe \hrds un tale potenziale. Noi supporremo la funzione % regolare in (') Cfr. la Nota già citata: Sulle derivate seconde, ecc. 1336 CARLO SOMIGLIANA tutti punti della superficie s. Derivando, supposto il punto (x, y, 2) fuori dalla superficie, si ha dr = [hd das=— [nt ds+a|nl quando si indichino con a, d, e le coordinate del punto corrente sulla superficie s e quindi r=V(a—2?*+(6—y?+(c—2)?. Le derivate prime della V sono quindi formate con fun- zioni potenziali newtoniane di superficie e non vi è quindi dubbio sulla loro continuità. (‘onsideriamo le derivate seconde; si ha ossia 1 1 PRATO dg | ha — delia di r dI =|nlas+e|l 3 n -ds. Il primo integrale è continuo attraverso s, e gli altri due sono discontinui, ma le loro discontinuità sono uguali e contrarie di segno. Questa derivata seconda è quindi continua. Analogamente si ha 1 ò d°V AR dd r or a) dy ds, perciò anche questa derivata è continua, e lo stesso può dirsi di tutte le rimanenti derivate seconde. Per le derivate terze si ha L 2 1 2 L dr _afa do PARE fa sa È da BAN DZ | ced | r dal dy |A ò ds+e|h inte dr dY g* Mat e 9 ‘ ® ì LA ta si è ( VARO Leone, Lasi ; { v i PA - SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1337 Supposti gli assi orientati come abbiamo indicato alla fine del capitolo precedente (chiameremo canonica questa orientazione), si vede subito, in base alle formole delle discontinuità delle de- rivate seconde dei potenziali newtoniani di superficie, che queste derivate sono continue. Lo stesso avviene per ragioni di sim- metria delle altre due: d°V d°V d 23 dr dy | Inoltre le formole 1 1 ; È d? FOO Rest: dl 7 rd? =|h ds SILIC — c) ua ds, 1 i: 1A FOSTE MICA RR OR 4 y da =|l Di ds+ |h(2 Lp 8 provano la continuità di queste derivate. Ci resta a considerare 3I7 unicamente la oi per la quale si ha se a desi pf da = Jbai ds +|hl@e—0) cu ds, dalla quale risulta subito dV (D'- —=— 8rh. (6) d 25 Possiamo dunque concludere: Tutte le derivate prime e seconde dei potenziali biarmonici di superficie sono continue attraversando la superficie agente. Delle derivate terze, supposta canonica la orientazione degli 3y i ; assi, è discontinua la sola È - ed il salto corrispondente è — 8rh. E 8) Potenziali di spazio. — È assai facile dimostrare che il potenziale biarmonico di uno spazio S, va {tras e < 7A 1338 CARLO SOMIGLIANA ove % è la funzione analoga alla densità, e le sue derivate prime, seconde e terze sono continue quando si attraversa la superficie s che limita lo spazio S. E ovvia infatti la continuità della U; e per le derivate prime si ha du dere a pics d=_ [kdr as=[krado + (3 ras, 930. ar dr CINI ia ve =], te 3z ds +) arde +| ga rd8, SU (1. dr "dk dr dk dr la oso = jRa dz ds + [ME a das + [TE de 48 e formole analoghe per le altre derivate. Ora la prima di queste formole dimostra la continuità delle derivate prime; la seconda quella delle derivate seconde, tenuto conto della continuità, già dimostrata, delle derivate prime dei potenziali biarmonici di superficie. Finalmente dalla terza risulta Ja continuità delle derivate terze per la continuità già dimostrata delle derivate seconde dei potenziali biarmonici di superficie. I potenziali biarmonici di spazio, e le loro derivate 1°, 2* e 3°, sono continui attraverso la superficie che limita lo spazio occupato dalla massa. Y) Potenziali di doppio strato. — Supponiamo dapprima che la superficie sulla quale è distribuito il doppio strato, di momento 9, sia chiusa. Il potenziale sia e et 1: WA (dea ds, e supponiamo inoltre che la funzione 9 sia continuata nell’in- terno senza interruzione di continuità nemmeno per le sue de- rivate. Avremo allora pel lemma di Green, indicando con $ lo spazio racchiuso da s, [ear ran) a +/G4r -rA:,gas=0, e questa formola sarà valida, tanto se il punto (x yz) sarà in- terno, quanto se sarà esterno ad S; poichè, se fosse interno, Re "n n n PT =— 9 ee eg pe er SULLE DISCONTINUITA DEI POTENZIALI ELASTICI 1339 si vede facilmente che il solito integrale d’esclusione ha per limite zero. Ciò posto ne risulta per la funzione W l’espressione W=(de rds —2 [9 9 4 (rA,gdS valida in tutti i punti dello spazio. Questa formola riconduce la ricerca delle discontinuità di W a quella delle discontinuità dei potenziali di superficie e di spazio già studiate e dei poten- ziali newtoniani di spazio che sono note, e si possono facilmente trovare coi metodi già usati in precedenza. È chiaro poi che la limitazione circa la superficie s, che abbiamo supposta chiusa, non è essenziale e si può facilmente togliere osservando che, se fosse aperta, basterebbe prolungarla in modo qualunque fino a chiuderla, continuando arbitrariamente, ma conservando la con- tinuità, la funzione 9. Ciò posto possiamo scrivere W= i—_2Witkt.W; ponendo mitra mafe mo frega Queste tre funzioni e le loro derivate prime sono continue attraverso s; lo stesso quindi accadrà di W e delle sue prime derivate, Le derivate seconde di W, e W,, per quanto si è visto, sono continue; mentre per quelle di W, si trova facilmente che, colla orientazione canonica degli assi, sono tutte continue all'in- fuori di 55 che ha un salto di — 479; ne segue che per W avremo dA (7) D(SI |= 8mg e le rimanenti derivate seconde saranno continue. 1340 CARLO SOMIGLIANA Abbiamo già visto come si comportano le derivate terze di W, e W; per quelle di W, si trovano le formole seguenti D (rl io DI Aaa )-4n d 9 923 R, a) de {| dW, rd 9? dii ORARIE. Dia GONO li ar | dÎW, | 4 | dî Wa | dg ) = — — gq, = — a L ey Ra 9» + dy de? Ri dy” mentre le rimanenti sono continue. In base a queste formole ed a quelle precedentemente trovate per W,, W, si possono stabilire le discontinuità delle derivate terze di W. Si può così concludere: Delle 10 derivate terze del potenziale biarmonico di doppio strato 5 sono continue, coll’orientazione canonica degli assi; le discontinuità delle altre 5 sono determinate dalle formole seguenti: ILA iL a]= stata) A RM OWN 20 (8) Dl Pla 80e d°W 3 8 | dè W dg arse n Sc. dvd] i Notiamo che i valori di queste discontinuità si esprimono mediante y e le derivate de, = e che queste quantità dipen- dono soltanto dai valori di g sulla superficie s. L'intervento dei valori ausiliari arbitrari di 9 in tutto lo spazio S, che abbiamo considerato, non ha quindi alcuna influenza sul risultato finale. IE Discontinuità dei potenziali elastici. Per studiare le discontinuità delle espressioni fondamen- tali (1) per lo spostamento elastico e delle corrispondenti com- ponenti di deformazione e di tensione che ne derivano, noi con- SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1941 sidereremo separatamente le espressioni che in queste formole dipendono dai potenziali biarmonici di spazio, di superficie e di doppio strato, contenuti in A, B, ©, e finalmente quelle che di- pendono dai potenziali newtoniani w,, ws, ws. La deformazione generale risulterà così decomposta in quattro tipi di deformazioni (poichè è facile verificare che ciascuna soddisfa alle equazioni dell'equilibrio), di cui studieremo separatamente le proprietà ca- ratteristiche; mediante queste poi potremo ricomporre le pro- prietà delle espressioni complete, rappresentate dalle formole (1). 1° Tipo. Per questa deformazione dobbiamo prendere su |KXrdS, b= (KYrdS, = |kZrdS, e quindi nelle formole (1): ch in 10104 | CAS Sa + i)» dy (ORE dB LA de ee 18 de dA Mal z de), Ve (ded), ida bea dA dii: Ve= ama (50 E Gli spostamenti potrebbero essere posti anche sotto la forma | EIA E pl dd L, f È (0) (ov =—-—-- Grad + san da (4,5, 0). In questo caso A, B, C sono potenziali biarmonici di spazio, e sono quindi continui in tutto lo spazio insieme alle loro de- rivate 1°, 2° e 3°. All’infinito A, B, C diventano infiniti, ma si conservano finite, e anzi si annullano, le loro derivate seconde; perciò u, v, w sono finite e continue in tutto lo spazio e sì an- nullano all'infinito. Le componenti di deformazione e di tensione parimenti si conserveranno finite e continue in tutto lo spazio, annullandosi all’infinito. Questa deformazione non presenta quindi singolarità alcuna. Essa è stata trovata da W. Thomson, per 1342 CARLO SOMIGLIANA rappresentare la deformazione prodotta in uno spazio indefini- tamente esteso da forze di masse agenti sopra una porzione finita di esso (!). 2° Tipo. Questa deformazione può porsi ancora sotto la forma (9), intendendo che A, B, C abbiano i valori A=|Lrds, B={|Mrds, C=|Nrds. Essi sono potenziali biarmonici di superficie, le loro derivate 1° e 2° sono tutte continue attraverso la superficie s; le derivate 2° si annullano all’infinito, quindi la deformazione (9) non ha dis- continuità, e si annulla all’infinito. Le componenti di deformazione invece, essendo formate linearmente colle derivate di «, v, w, vengono a contenere le derivate 3° di A, B, C; e queste abbiamo veduto come siano in generale discontinue. Per studiare tali discontinuità in un punto di s, possiamo supporre l’orientazione degli assi canonica rispetto al punto che si considera sulla superficie, ed allora potremo senz'altro applicare le formole per le discontinuità precedentemente stabilite. Il passaggio ad assi comunque orien- tati si può fare colle formole solite di trasformazione. Introducendo le solite notazioni pei coefficienti di defor- mazione, parigi de du Lg = dr , Yy dy b) sz 2 DI du dv STO One O Li i grilli va rn dg de? Za giare dr Ly d hag! le discontinuità di queste espressioni si potranno immediata- mente stabilire in base alla (6), che dà la sola discontinuità (4) W. Tnomson, Note on the integration of the Equations of Equilibrium of an Elastic Solid (‘* Cambridge and Dublin Math. Journ. ,, 1848; * Math. a. Phys. Papers ,, vol. I, art. XXXVII); Taomson and Tar, Treatise of Na- tural Philosophy, sect. 731. TE SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1343 non nulla delle derivate terze dei potenziali biarmonici di su- perficie. Si trova così dalle (1) D[x.]=0, D [y]}=0, (9) ta] 1 DCI 1 Ar D{a]=+- a DE BIL Analogamente si trova 0) Dial =—<%, Dia] =— +L, Disl=0. Mediante queste relazioni, sostituendo nelle espressioni delle componenti di tensione, Ar =A0-+ 2UXa, Y,=1f Y,=M0+2Uyy, Arai Z, =\0+ 2uz,, X;=Mwgj} ove 0 rappresenta il coefficiente di dilatazione cubica 0=%x + Yy + Zz 3 si hanno le discontinuità di tali tensioni, che sono le seguenti : a \ 7 DIXG=- 74% N, D|[Y.}=—-M, “ot \ ( sus (10) DIY.1=-7oV». D4l=-Lg Dear, D[X,]=0. Consideriamo ora un elemento superficiale normale all'asse 2; le componenti della tensione agente sulla faccia positiva saranno X., Y., Z., e sulla faccia negativa X_,, Y_,, Z.,, © per le formole precedenti avremo XPxi+L=0, Y,+Y_+M=0, Z4Z.+N=0. Ora queste sono precisamente le equazioni che devono essere soddisfatte perchè l'elemento considerato si trovi in equilibrio 1344 CARLO SOMIGLIANA sotto l’azione delle due tensioni elastiche che agiscono sulle sue due faccie e di una forza esterna superficiale, le cui componenti unitarie sono L, M, N. Più generalmente abbandonando l’orien- tazione canonica degli assi, le ultime relazioni potranno essere scritte Di MUD ZA Za NES0 che sono appunto le equazioni che debbono essere soddisfatte sulla superficie s per l’equilibrio quando essa è considerata come interna al corpo e soggetta all’azione di forze esterne L, M, N. Queste proprietà dànno immediatamente il significato mec- canico della deformazione del tipo qui considerato. Essa rappre- senta la deformazione di un mezzo indefinito, quando sopra una superficie s, situata a distanza finita, agiscono delle forze su- perficiali le cui componenti unitarie sono L, M, N, ed il mezzo si suppone omogeneo ed immobile all’infinito. Questa deformazione può considerarsi come la deformazione limite, a cui si riduce la deformazione del 1° tipo, quando lo spazio in cui agiscono le forze di massa diventa una superficie. Un'osservazione interessante si può fare in base alle for- mole (10). Consideriamo un elemento superficiale che passi per l’asse 2, sia cioè normale all'elemento ds considerato prima, ed abbia per normale l’asse x. Le componenti della tensione ad esso corrispondente sono X,, Y,, Z,; ed i valori che queste quantità hanno quando l’elemento superficiale si considera come appartenente alla regione, nella quale penetra la 2 positiva, sono diversi da quelli. che si hanno quando l'elemento appar- tiene alla regione della 2 negativa. Difatti dalle (10) si ha D[X.]=— Ig DERE9re10. PZ, sot, A+ 2u mentre queste differenze dovrebbero essere tutte nulle se quelle tensioni fossero uguali. Se l'elemento considerato avesse per normale l’asse y si avrebbe invece D|X,}=0, D vetta D|Z,),= —M. SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1345 Un fatto analogo sussiste quindi per qualunque elemento superficiale passante per l’asse 2, ossia per la normale alla su- perficie s nel punto considerato. Questo fatto singolare però non impedisce che l’ equilibrio elastico continui a sussistere per gli elementi considerati, poichè le tensioni elastiche sono continue quando si attraversano tali elementi nel senso della loro normale, e quindi essi sono sempre soggetti a tensioni uguali e contrarie nella regione del corpo _ alla quale appartengono. 8° Trpo. La deformazione di questo tipo, se noi poniamo 1, pe dr ndr vi [3 dr A=|u-- ds, B=|v- ds, C=e|w-— ds, i dn \ i n può essere scritta nella forma (9..) I d (dA db ASI Aru= nd (SE E i sa ie SR E y VO) e RA art Ano = ad (00 + "9 —- 3) +AaB, fa SSCIT dy Mu O e SD DO) 1 Ag 4tw=0@ = (34 + a ) -_ A30, Supposta l’orientazione canonica degli assi, sono discontinue soltanto le derivate seconde rispetto a 2 dei tre potenziali bi- armonici di doppio strato A, B, C, e tali discontinuità sono de- terminate dalla formola (7). Si trova cioè subito (11) D[u}=2«, D[v)=2v, D[w=2(0+1)w%, nelle quali relazioni i valori di v, v, w dei secondi membri sono quelli stessi che compaiono negli integrali A, B, C. Per calco- lare le discontinuità delle componenti di deformazione ricordiamo che sono continue le derivate terze dei potenziali di doppio strato corrispondenti ai simboli di derivazione DypritD > DI Djpo Di Di Day Di 1346 CARLO SOMIGLIANA Abbiamo perciò 4mD [x.]==D È dC A 34.) dxr° dz dr d2z° Soli dC 3° B 4r D{y,}=D|a ERE ti |, ecc. I risultati che si ottengono, applicando le formole relative a queste discontinuità (8), sono le seguenti: Dx} =2a + +2 4 1 x DIyJ=20 4 + R. D at de) za(1+ 4) d; da; (12) Y 2, D[y.]=40 + +20 ESE, vat u i du D |e.]= 40 GRA + 2 (2a +- 1) Vite . c ò dv D|a,]=2 (CREO da cui D[e]=2(0+1)(34 +36). Queste formole portano alle seguenti discontinuità per le componenti di tensione D[X.]=2M(a +1) (80 + de) +au(èt 4a), (18) D[Y,]=2M(0+ (34 +3) punt Lat), DI4I= 231 +3) Meta) Le altre tre componenti di tensione hanno discontinuità proporzionali ai secondi membri delle ultime tre equazioni (12). Il significato meccanico di questo 3° tipo di deformazione risulta dalla sua composizione col 4° che ora studieremo. ee rs e Ver SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1347 4° Tipo, In base alle formole (1), (2) la deformazione del 4° tipo può scriversìi poeti ad d® ds da si A+ 2u dx r” dy de è ajffuos LI i dp OY __dYa idr X1+-2u dy si dz dx RES (4A d® | do _ dw chica ape aree erp ove le funzioni ®, Wi, Ws, wz sono definite dalle formole (4). Questi spostamenti sono discontinui attraverso la super- ficie s, come sono discontinue le derivate prime dei potenziali newtoniani di superficie. Tenuto conto delle formole che dànno queste discontinuità e dell’orientazione canonica degli assi, che ammettiamo ancora, si trova subito pfie=o, p[ts]=o. offr]= ene fr tras finta] far aej=o di qui segue (14) D[u]== uu; .Dl]=-=, DIw=— 437% ove, come nel caso precedente, i valori di «, v, w dei secondi membri sono quelli stessi che compaiono negli integrali (4). Per stabilire le discontinuità delle componenti di deforma- zione ricordiamo che se indichiamo i coseni di direzione della normale alla superficie s con a, 8, 1, e prendiamo per origine il punto di essa nel quale dobbiamo studiare tali discontinuità, supposta canonica l’orientazione degli assi, si ha per equazione della superficie, tenendo conto solo dei termini di 2° ordine ri- spetto ad » e ad y, 1348 CARLO SOMIGLIANA quando pei segni dei raggi di curvatura sì conservi la conven- zione precedentemente usata. Abbiamo allora inter smntir r=llt+ (+ e nell'origine delle coordinate a=0, B=0, Y=1, ho bi dhe; mi 3° =0, dt, 3 =0 Ciò posto ed applicando le formole (5) troviamo Dista: Disagi Dil net ona a) e così via. I risultati che ne derivano per le discontinuità delle componenti di deformazione sono i seguenti : D[e,]=— 20 7 di, Dil 2a Po 1\ 4 dude DI.1=20(7; t 2a Roe (15) DIy.]}= 40220041), D[2,.]=—404 —2(a+1n3£, 41 vr Dlal= (38436), da cui segue Dx. 4 Y + z:]=0. Per le componenti di tensione si ha perciò D[X.]= 2% D [e], ece. (16) è DIX.J= 2 y.Jfiocd. è È . SR È 4 : SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1349 Resta così completata la ricerca delle discontinuità relati- vamente ai quattro tipi di deformazione che compaiono nelle formole fondamentali (1). Ma per avere il significato meccanico della deformazione che nelle (1) dipende dai valori superficiali , v, w dobbiamo considerare la deformazione che risulta dalla composizione dei due tipi ultimamente considerati. Le proprietà di discontinuità corrispondenti a questa deformazione risultante si deducono immediatamente sommando i secondi membri delle (11), (14), delle (12), (15), delle (13), (16) rispettivamente. Troviamo in tal modo le seguenti proprietà caratteristiche per le disconti- nuità della deformazione indicata : (17) D[u]=, D[e]}=%, D[w}= cioè i salti, che le componenti di spostamento subiscono nel passaggio attraverso alla superficie s, sono precisamente uguali ai valori delle funzioni u, », ww che compaiono sotto gli inte- grali ©, w. Inoltre si ha ì D[x.]= 37; D[y]=0, (18) D[y]=®2, D[e.]=0, tz (DU 14 de pt id eri Lasi: DI 2:1= cai ea) D le,]= dy È x e per le componenti di tensione Per Ei Re LI i e DIA, Sapere ieperrai sglari da 3" 2\u du dr dr D[Y.]=— rai A zii (19) Dt] \+2u\dx dai) ai N ay VA TAREZIO D|Y.}=0, DIZ:]}=0, DIX]}=nfft +3). Sono queste le proprietà di discontinuità delle componenti di deformazione e di tensione per la deformazione considerata. Ma è facile vedere, come ho avuto occasione di dimostrare re- Atti della R. Accademia — Vol. LI. 86 15350 CARLO SOMIGLIANA centemente ('), che se alle condizioni (17) si associano le tre del quadro precedente DiXx.j= 0. DIRG=0 ce PZ le quali, abbandonando la orientazione canonica, si possono scrivere (20) n rD[Xd=9 AB = 000706000] = e sì devono supporre verificate su tutta la superficie s, la de- formazione corrispondente dello spazio ingefinitamente esteso risulta completamente ed univocamente determinata, e questa deformazione, per quanto precede, non è altro che quella con- siderata risultante dalla composizione dei tipi 3° e 4°. Dal punto di vista meccanico il significato di tale defor- mazione è il seguente : Essa è la deformazione prodotta in un corpo elastico indefi- nitamente esteso, quando venga praticato un taglio lungo una su- perficie finita s, e le due faccie del taglio vengono spostate l’una rispetto all'altra in modo che ogni punto subisca uno spostamento rappresentato dal vettore (u, v, w), mentre nessuna forza, nè di massa nè superficiale, agisce sul corpo. È chiaro che le condizioni analitiche a cui dovranno sod- disfare in tal caso le componenti «, v, w (oltre la continuità in generale e la evanescenza all’infinito) saranno precisamente, per la superficie s, le relazioni (17). Mentre per le tensioni dovrà essere soddisfatta la condizione che quelle provocate dalla deformazione sulle due faccie del taglio si equilibrino tra loro. E questa condizione è precisamente quella rappresentata dalle relazioni (20). Così l'intuizione meccanica concorda col risultato analitico che il problema è da tali condizioni univo- camente determinato. E possiamo quindi concludere che la deformazione rappre- senta una distorsione dello spazio elastico indefinitamente esteso, supposto immobile all’infinito, nel significato che ho dato a questa (4) “ Rend. della R. Acc. dei Lincei ,, 1914-15. fa SULLE DISCONTINUITÀ DEI POTENZIALI ELASTICI 1851 denominazione in alcune recenti ricerche, già precedentemente citate. Anzi questa deformazione è precisamente quella di cui mi sono servito in quella occasione per uno studio generale del problema delle distorsioni elastiche. Conviene qui ricordare che si deve specialmente al Wein- garten di aver richiamato l’attenzione dei meccanici sopra questa classe di deformazioni con una Nota inserita nei “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei , del 1901. E che in seguito, nel 1905, il Volterra negli stessi “ Rendiconti , pubblicò una serie interessantissima di ricerche, nelle quali le particolarità di queste deformazioni sono studiate nei casi che più si prestano alla loro realizzazione fisica. Le condizioni però che sono sta- bilite dal Weingarten per i due lembi del taglio sono più re- strittive di quelle che risultano dalle (20), in quanto egli suppone che tutte le sei componenti di tensione debbano essere continue attraversando il taglio. Le condizioni che debbono essere soddisfatte, perchè ciò sì verifichi, risultano subito dalle nostre formole (18), (19). Il vet- tore (u, v, w) lungo il taglio non è più in tal caso arbitrario, ma deve soddisfare per tutti i punti della superficie alle condizioni Di L07 Mg ZIA MINNA ti dy dy dr in cui le variabili x, y s'intendono riferite all’orientazione ca- nonica. Le condizioni del Volterra sono ancora più restrittive, poichè, oltre alle condizioni del Weingarten. egli suppone che siano continue attraverso il taglio anche le derivate prime e se- conde delle componenti di tensione, il che porta a condizioni ancora più limitate pel vettore (v, v, w). Esso risulta tale che le due faccie del taglio non possono subire che spostamenti relativi rigidi. L'opportunità di una definizione più larga, quale fu da me proposta, delle deformazioni prodotte nei corpi elastici da tagli e successivi spostamenti relativi delle due faccie, risulta dal fatto che essa ci è imposta dalla realtà fisica, in quanto, pro- cedendo altrimenti, verremmo ad escludere dalla teoria feno- meni che effettivamente esistono in natura, come ho indicato in varie occasioni. 1352 CARLO SOMIGLIANA — SULLA DISCONTINUITÀ, ECC. Ma anche da un punto di vista analitico assai importante, la definizione proposta si presenta spontanea. Poichè, accettata questa definizione, in base ai risultati ottenuti in questa Nota, e come sua conclusione la più generale, possiamo enunciare la proposizione seguente : Qualsiasi deformazione di un corpo elastico isotropo limitato è la sovrapposizione di tre deformazioni provocate in uno spazio elastico omegeneo, indefinitamente esteso e supposto fisso all'infinito : 1° da un sistema di forze di massa agenti nello spazio occupato dal corpo; 2° da forze superficiali agenti sulla sua superficie; 3° da una distorsione dovuta ad un taglio lungo la superficie del corpo ed a spostamenti relativi nei diversi punti del taglio uguali ai va- lori superficiali dello spostamento (?). L’analogia di questo teorema colla proprietà dei potenziali newtoniani di poter essere sempre considerati come la sovrap- posizione di potenziali di spazio, di superficie e di doppio strato, è evidente. Esso caratterizza in certo modo analiticamente i potenziali elastici, stabilisce il significato meccanico dei diversi tipi di integrali che compaiono nelle formole generali, e può considerarsi come il più generale fondamento per l’applicazione dei metodi della teoria del potenziale ai problemi dell’equilibrio elastico. (4) Cfr. Gespia, Le deformazioni tipiche dei corpi solidi elastici. © Annali di Matematica ,, S. III, T. VII; Magci, Sull’interpretazione del nuovo teorema di Volterra sulla teoria dell’elasticità. È Rend. Acc. Lincei ,, 1905, 2° sem.; Ip., Sugli spostamenti elastici discontinui. © Rend. Acc. Lincei ,, 1908, 1° sem. L’ Accademico Segretario CorRADO SEGRE. 1353 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 18 Giugno 1916. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE GIAMPIETRO CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: Bronpr, Kinaupr, Baupr pI VESME, Parerra, Vipari, PRATO, e SraMPINI Segretario della Classe. È scusata l'assenza del Presidente BoseLLi e dei Soci CarLe, Rurrini, D’ERcoLE e Srorza. Si legge e si approva l'atto verbale dell'adunanza precedente del 28 maggio u. s. Il Presidente CHironI è lieto d’iniziare i lavori dell'odierna adunanza chiamando giorno di festa per la nostra Accademia questo in cui due nostri Colleghi salgono al governo della cosa pubblica; Paolo BoseLLi, dalla fiducia del Re e della Nazione chiamato a costituire il Ministero Nazionale; Francesco RurFINI, scelto a dirigere con la sua ben nota competenza l'istruzione pubblica del Paese. Propone — e la Classe con unanimi applausi approva — che siano mandati due telegrammi di felicitazione e di augurio ai due insigni Colleghi. Il Socio StamPINI, prendendo la parola, crede di avere in- terpretato l’unanime sentimento dei Colleghi dettando in lingua latina ed in forma di iscrizione un ordine del giorno in onore di Paolo BoseLLI e a gloria di tutti 1 valorosi che combattono 1354 per la Patria. Legge l'ampia iscrizione in cui è espressa la ferma certissima speranza che Paolo BoseLLI, formando un Ministero Nazionale, continuerà pertinacemente e sapientemente l’opera coraggiosa intrapresa fra tante difficoltà e pericoli da Antonio SALANDRA; mentre, sotto gli auspicî del Re e sotto la condotta di Luigi CADORNA, l’esercito di terra rintuzza con me- raviglioso coraggio i reiterati attacchi del nemico e prende l’of- fensiva; mentre l’armata, sotto gli auspicì ed il comando del Duca pEGLI ABRUZZI, dà prova di straordinario valore e perizia evitando e frustrando le molteplici insidie natanti e subaquee delle mine e dei sottomarini austriaci, e sfida ad aperta bat- taglia le grandi navi da guerra che si tengono al sicuro nei porti nemici; mentre i nostri velivoli infrangono le minacce della flotta aerea austriaca, ne vendicano le incursioni e portano il terrore e la confusione nel territorio nemico. Termina l’iseri- zione augurando che, sotto il governo di Paolo Bosetti, rifulga finalmente alla Patria nostra quella pace, nella quale, vinti e domati i nemici, ridata la libertà ai Trentini, ai Triestini e ai Dalmati restituiti finalmente all’abbraccio dell'antica madre, le armi, le leggi, le istituzioni d’Italia, per stabile diritto di vit- toria, dominino per le terre e pei mari dovunque la lingua del divino poeta, dolce nelle bocche sonante, denunzi il sangue, il carattere, la mente, la volontà dell’Itala gente. La Classe accoglie con applausi la lettura, e il Presidente propone -— e la Classe unanime approva — che della iscrizione del Socio StamPINI, la quale sarà pubblicata negli Atti, sia in- viato un esemplare anche a S. M. il Re, a S. A. R. il Duca degli Abruzzi, ad Antonio Salandra e a Luigi Cadorna. Il Presidente CaTRONI presenta, anche a nome del Socio BronpI, con parole di altissimo elogio, che saranno inserite negli Atti, il libro recente di A. De Cuprs intitolato Competenza e giurisdizione, 2* ediz. (Roma-Milano-Napoli, Società editrice libraria). Presentando inoltre, a nome così della Cassa Nazionale d'assicurazione per gl’infortuni degli operai come del suo Presi- | | pa 1355 dente Senatore Cesare Ferrero di Cambiano, un volume dal titolo Per la riforma della legge infortunii (Roma, 1915), non che i due primi numeri della corrente annata della Rassegna di assicurazioni e previdenza sociale, dice le seguenti parole: “Quanto ora pubblica la Cassa Nazionale di Assicurazione speciali benemerenze aggiunge a quelle ond’è segnalata l’opera generosa che, per autorità di direzione e sapiente concorso di consiglieri, altamente svolge secondo l’esser suo: opera di cui più larghi e poderosi effetti s'avrebbero per l'educazione ed il benessere dei lavoratori, al cui beneficio è volta, se la legge desse all'istituto special vigoria facendolo organo unico e gene- rale di quelle funzioni di social previdenza per le quali venne fondato. Il volume or pubblicato, se dà miglior conoscenza, anche pei difetti suoi, della legge vigente sugli infortuni degli operai sul lavoro, mostra come da tali deficienze l'ordinamento legale sia reso manchevole, con danno dei lavoratori per una parte, con danno per l’altra degli enti assicuratori, esposti a frodi le cui maniere hanno e varietà e difficoltà non lievi di tecnico accertamento. Così il lavoro, assai commendevole, mostra la necessità delle riforme, e in pari tempo la via migliore per attuarle: utile pertanto agli studiosi di cose sociali; utilissimo al legislatore. E ben s'accompagna alle altre pubblicazioni delle quali l'istituto s'è reso iniziatore e patrono: segnalata fra tutte la “ Rassegna , divulgata sotto forma di “ bollettino mensile ,, ricchissima di contenuto per ogni questione che attinga alle assicurazioni dei lavoratori, perspicua nell'ordinamento che al- l'abbondante materia vi è dato, nella trattazione che dei sin- goli argomenti vi è fatta ,. Il Socio BronpI presenta, a nome dell’autore dott. Carmelo Caristia, il volume Il diritto costituzionale italiano nella dottrina recentissima e ne espone il contenuto, mettendone in luce le tendenze e i criterì metodici. Il Socio Vipari presenta la sua traduzione della Dottrina del diritto di E. Kan, che è la prima parte della Metafisica dei 1356 costumi (Milano, Studio editoriale Lombardo), e fa seguito alla Dottrina della virtù la quale è già stata tradotta dallo stesso autore e a suo tempo presentata in omaggio all'Accademia. La Dottrina del diritto, ora per la prima volta recata in italiano, è opera ragguardevolissima del sommo pensatore di Kénigsherg non solo per il rapporto con tutto l'organismo del pensiero kantiano, del quale la Dottrina del diritto è applicazione, ma anche per la singolare importanza che ha nel momento presente, di fronte alle teorie e alla pratica dello Stato fondato sulla forza, il pen- siero kantiano circa i fondamenti del diritto, la natura e i fini dello Stato, l’organizzazione di rapporti giuridici fra gli Stati e il diritto cosmopolitico. Il Socio Vipari ritiene che l’opera del Kanr possa nel momento attuale essere accolta e letta con par- ticolare interesse, e contenga principî che meritano di essere altamente riaffermati per la universale ed eterna loro verità e per la profondità onde sono nel libro indagati e svolti. Il Socio Vipari presenta pure un volume, Per l'educazione nazionale {Torino, Paravia), contenente alcuni suoi saggi di filo- sofia morale e di pedagogia, in cui analizza e determina nel loro valore i concetti di patria, di nazione, di umanità, e ne trae le conseguenze nel campo della educazione e della scuola. Taluni di tali saggi sono nuovi, altri eran già stati pubblicati in riviste quando il pensiero della educazione nazionale non era ancora così largamente penetrato nelle coscienze come oggi accade, sotto lo stimolo dei grandi avvenimenti di guerra. Nel volume sono anche inseriti tre discorsi per la causa nazionale tenuti dall’Autore qui in Torino e altrove a spiegazione e illustrazione delle cause e delle ragioni ideali e storiche della nostra guerra. La Classe si rallegra col Socio ViparI e lo ringrazia. Il Socio Bronpi presenta una Nota del Dott. Emilio BerTI su la Responsabilità morale 0 peculiare, e responsabilità del pater (dominus) ne’ limiti dell’arricchimento in diritto romano classico. Sarà pubblicata negli Atti. pe Pr i. 1357 Il Socio PatETTA legge una sua Nota, relativa a La dichia- razione di principî della vendita carbonaria di Londra nel 1823. Sarà pubblicata negli Atti. Il Socio VipaRI presenta una prima Nota della Dottoressa Giuseppina BrenTINESI, dal titolo Vincenzo di Beauvais e Pietro Dubois considerati come pedagogisti. Sarà pubblicata negli Atti. Il Socio STAMPINI presenta una seconda Nota del Professore Ferruccio CaLoneHI su / Codice Beriano di Tibullo. Confronti e osservazioni, che sarà parimente pubblicata negli Atti. Il Socio Segretario StAMPINI legge una lettera direttagli dal Socio Srorza che richiama l’attenzione di lui, quale Segre- tario della Classe, sul fatto che il nostro Socio corrispondente Roberto Davipsonn fu recentemente espulso dall'Accademia della Crusca, della quale era Socio, per aver ricambiato, come dice lo Srorza, col veleno e col fango l’ospitalità fraterna da- tagli dall'Italia. Legge inoltre un articolo di un giornale, che dà notizia della adunanza della Crusca, la quale. solo in questi ultimi tempi potè deliberare, essendo finalmente venuta in pos- sesso della rivista in cui il DavipsoHn insultò il nostro Paese. Su proposta del Presidente, affinchè la Classe possa deli- berare con piena conoscenza dell’atto compiuto dal DAvIpsoHN, nessuno dei presenti avendo letto lo scritto di lui, si nomina una Commissione composta dei Soci ErnauDI, PATETTA e VIDARI, perchè riferisca alla Classe nella prima adunanza che si terrà alla ripresa de’ suoi lavori, chiudendosi con l'adunanza odierna i lavori dell’anno corrente accademico. Dopo di che il Presidente scioglie l'adunanza salutando i colleghi coi migliori auguri per tutti i presenti e per i Soci assenti. 1358 ETTORE STAMPINI LETTURE HONORI PAVLI-BOSELLI GLORIAE TERRESTRIS «- EXERCITVS MARITIMAE - ATQVE - AERIAE - CLASSIVM PRO - PATRIA - PVGNANTIVM DD QVvoD PAVLVS- BOSELLI EQVES-*ORDINIS-SVPREMI VIRGINIS*DEI* MATRIS* RENVNTIATAE ET*REGIS*ADMINISTER MAGISTERIO*EQVITVM-*MAVRITIANORVM*LAZARIANORVM-EXERCENDO MIRIFICA *PRINCIPIS*ET* VNIVERSAE*ITALIAE*CONCORDIA AD*SVMMVM-REI*PVBLICAE*FASTIGIVM*ELATVS ET*REGIS* ADMINISTRORVM-CONSILIO*PRAEFECTVS VIROS* RERVM*CIVILIVM-PERITISSIMOS AC « PRINCIPES * REI * PVBLICAE * PARTIVM SOCIOS*SIBI*CONSORTESQVE*NEGOTIORVM*REGENDORVM-ADIVNXIT VT*CONSPIRANTEM*OMNIVM-POPVLI*ORDINVM-CONSENSVM IN*PATRIAE*SALVTEM*ET-GLORIAM*CONFERRET ORDO*SODALIVM*REGIAE*ACADEMIAE*TAVRINENSIS DISCIPLINARVM « MORALIVM * HISTORIAE * PHILOLOGIA E FINIBVS- PROVEHENDIS COLLEGAE*AMPLISSIMO*ATQVE*EXCELLENTISSIMO-GRATVLANTVR VEHEMENTERQVE-LAETANTVR ai ISCRIZIONE IN ONORE DI S. E. PAOLO BOSELLI SVNT*ENIM-OPTIMA*SPE-CERTISSIMAQVE*FRETI T DI Y D PAVLVM- BOSELLI OPVS-*INTER*TOT*TANTAOVE-*DISCRIMINA -RERVM AB*ANTONIO*SALANDRA*STRENVE-AVDACTER*SVSCEPTVM IMPENSE - PERTINACITER » SAPIENTER «+ PERSECVTVRVM « ESSE DVM*FELICISSIMIS- A VSPICIS VICTORII-EMMANVELIS-III OMNIVM-REGVM*STRENVISSIMI ET * DVCTV » ALOISII + CADORNA AD*QVEM*PROPTER*INSIGNEM*REI-MILITARIS* PRVDENTIAM-ET*VSVM MERITO*SVMMA*TOTIVS- TERRESTRIS*BELLI*DELATA «EST EXERCITVS*NOSTER IAM-SEMPITERNAE-GLORIAE-COMMENDATYVS IN * ALPIBVS »- FORTISSIMA - PECTORA » HOSTIBVS » OPPONIT ITERATOS= A VSTRIACI-FVRORIS-IMPETVS-CONTVNDIT VICTRICIA * ARMA * VLTRO-IN* HOSTEM-INFERT DVM-CLASSIS-NOSTRA FORTITVDINE»GONSTANTIA * PRVDENTIA « ADMIRA BILIS IMPERIO -A VSPICIOOVE ALOISIIT-AMADEI-APRVTII-DVCIS DECORIS«ET+LVMINIS*EIVS-SABA VDICAE-STIRPIS CVI-SEMPER-FVIT-METVS-IGNOTVS CVISEST=-FORTIVM-AVDACIA «INNATA HOSTILIVM-NAVIVM-SVB-MARI-*NAVIGANTIVM INSIDIAS»ET»SPES-IRRITAS»FACIT E'T*SVBMERSA VEL» AQVIS*INNATANTIA +‘ MACHINAMENTA OFFENSYV- DISSILIENTIA * VITANS VIRTVTE»SVA-VIRIBVS-SVIS-FEROX MAIORA-NA VIGIA CLADIS- FORMIDINE-IN»PORTIBVS-DELITESCENTIA NEOVIOVAM:AD*PVGNAM-PROVOCAT 1360 ETTORE STAMPINI — ISCRIZIONE IN ONORE, ECC. DVM-MVLTIFORMES-ITALAE+MACHINAE CELERI * VOLA'TV * PER * CAELVM * DVOTAE AERIAS-*MINAS-FRANGVNT*INCVRSIONES» VLCISCVNTVR PERRORENM - AC » TVMVLTVM + IN + HOSTIVM - FINIBVS - PROPAGANT VPINAM-*PAVLO-BOSELLI*REGNI-GVBERNACVLA « TRACTANTE EA *TANDEM*PAX-PATRIAE*NOSTRAE*ADFVLGEAT VT*HOSTIBVS»DEVICTIS*ET-DOMITIS TRIDENTINIS » TERGESTINIS + DALMATIS « IN LIBERTA TEM « VINDICATIS ATQVE*IN*SINVM-ET*COMPLEXVM-ANTIQVAE-MATRIS-RESTITVTIS ITALIAE- ARMA «LEGES-INSTITVTA STABILI» VICTORIAE-IVRE*PER-»MARIA«AC-TERRAS«DOMINENTVR VBICVMQVE-DIVINI* POETAE*LINGVA DVLCE*IN*ORIBVS-SONANS GENTIS-ITALAE-SANGVINEM INGENIVM- MENTEM-» VOLVNTATEM-DENVNTIET A*D-XIV-KAL I due puntini sotto t e b lasciavano forse sorvivere gli i, così che la correzione tendesse a un iiigemine? — C'è una variante te geminae. 1438 FERRUCCIO CALONGHI if Ambr, Ber, 70 nantem nautem natem È da notare che il nantem di V è correzione certo della stessa prima manus su nautem. Ciò non vidi finora osservato da altri. L'ori- ginale aveva un’'abbreviazione ? 71 scille scille sille 76 vagi vagi bagi (errore di svista) 77 ‘ athlantidos athlantidos athalantidos (non nuova) 78 feacia feacia pheacia 7 hec hec hoc (errore ?) 82 arthos artos artes Così leggo in V e non, come altri lesse, artes. ?*84 nernos vernos nervos Anche qui faccio notare che in V fu letto inesattamente vernos, in- i vece di nernos, come si legge e che è probabile correzione di vernos | (= vernos, come in Ambr.) dell'originale comune. Nervos è lezione fre- quente cd è pur quella degli Exe. Par.: cervos y. È poi notevole che da uernos è facilissimo copiare un nervos. 87 et et ut ut non è soltanto in Exe. Par., ma in Plant., nonché in B e C del Lachmann. 89 celeremque (Y? ve) celerem ve celerem ve (un po’ staccati) 299] celerem ve celerem ve celerem ne (come in &) ol Et quis Et quis At quis (La lezione At è frequente). V. Rothstein, o. c., p. 66. 93 direpto (Y° directo) directo directo 95 pma pma pervia Il pervia di Ber. si legge in altri codd., nell’ediz. veneta del 1475 e nel commento di Achille Stazio (ibid. 1567), come apprendo dal Brouk- husius, che chiama erroneamente “ omnium princeps , la detta edi- zione (1). Ma qui non credo si tratti di interpolazione. Non fu intesa l'abbreviazione dell’originale. Ambr. e V trascrissero tale e quale. Ber. (0 il suo esemplare) svolse e interpretò p come per e ma come ua = ula'==y12. (1) L’Huschke trova il pervia nel cod. Lips., nelle ediz. del 1472 e in quella di Reggio. na *110 113 117 119 *127 131 133 139 148 IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1439 i Ambr, Ber, et arpinis et arpinis (Ambr.!) et alpinis (come 6) renoverat renoverat (renovat) renovaverat (scritto per esteso) scritto per esteso. Così legge anche il Cuiacianus. Così w. chatene cathene cathene instat instant instant L'instat di V è scritto chiarissimo; errore senza dubbio e perciò forse non lo registrano i critici. ulla nec aereas come il V nullas hec aerias L’s col segno di cancellatura dev’esser della 1* m. Il nulla haec, benché lezione non co- mune, non è nuovo. Il Brouk- husius trovò il nulla haec solo nel Commento a Tibullo di Achille Stazio (Venezia, 1567). Citando quest'opera il Br. aggiunge: È Usus est autem Statius codicibus antiquis non minus decem , (1). liquit linquit linquit In V la lettera q è scritta così calcata che sembra quasi di vedere la mano del copista affermarsi in modo particolare su di essa come a distruggere il primo dubbio di scrivere nq. additus additus aditus non è lezione nuova. È tut- tavia rara. Ber.® additus tetereo te tereo tetereo In Ambr. c’è un piccolo intervallo tra te e terco, ma tuttavia il filetto superiore dell’e tocca quasi il t seguente. Il copista fu probabil- mente in dubbio, davanti all'originale non chiaro, se si trattasse di una parola o due e trascrisse fedelmente, non accorgendosi della dittografia. V e Ber. /essero una parola sola. Tetereo è pure nel Cuiacianus, nel codice P (descritto dal Columba in Rass. d’antich. class., 1899, p. 69) e in non pochi altri; in y generalmente Rhoeteo. offeret offerret (errore) offeret (1) L’Huscage annota: At Lips. et unus St. ‘nulla haec”. 159 162 165 165 *169 170 171 180 182 191 194 196 *200 FERRUCCIO CALONGHI Ber. non unquam proprior errore abbastanza comune fertum (errore per effetto della m di aestivum che precede) Ni Ambr, non numquam non unquam (dittografia) propior propior fertur fertur neque nec rigentem rigentes (Ambr.') (rigentem Ambr.?: /’m su ls raschiata). La scrittura dell’ originale comune con- fermata da Ber. È errata la nota dello Hiller: rigentes y. interposita inter posita vertitur 1° m. omise: 2° mano vertitur nec rigentes inter posita labitur(come in Plant.) La lez. labitur è del resto comunissima nei inss. hine (come in al-. huic (errore di cuni codd. Lach- lettura) manniani) leta lenta propior propior ut mos est ut mos est hine ( hie) lenta proprior (Vedi v. 159) non mos est Il non è forse errore cagionato dal non paralello nella scrittura del verso di sopra. memorare memorare T memorate La 2* m. di Ber, corresse l’errore di scrittura forse proveniente dal nostrae che precede. flamae flame parvum ethneae parvum ethnee flamme v parum ethenee > I Db (3 dittonghi) Errori materiali di scrittura in Ber. Il v di parvum è di 2° m.; non posso dirlo del puntino sotto l'e. Posse meletheas Posse meletheas nec com mallem |]] mallem mittere mittere cartas cartas Posse me letheas nec mallem mittere cartas 203 207 207 210 IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1441 Y si accorse dell'errore e credette ci fosse lacuna dopo mallem, ma l'originale non avendo segno di lacuna, Ambr. copiò fedelmente. La 2° m. di V aggiunse il nec. La stessa 1° m. di Ber. — a quanto pare — tentò una correzione di Posse me letheas in Possem letheas unendo con un trattino Posse a me e segnando sotto l’e di me un puntino. Il nec si legge anche in @ e altrove. Leggono me letheas un Vossiano e l’ed. di Reggio, nonché l’ed. min. del 1472. ii Ambr, Ber. statuunt statuunt statuent (come in G., Plant. e altr.) i (2° m.) rigidos rigidos rogidos (in margine rosidos) LAI pceurrere pceurre percurre (trascurato il segno dell’o- pers NV riginale su re ) Inquencunque Inquemeunque In quemeumque In Ambr. e V come una parola sola, perché l'iniziale maiuscola del verso essendo sempre staccata, ln si appoggia quasi del tutto alla pa- rola seguente. Concordanza dei tre codici: 1 mea (notevole) — 2 valeant — 2 ut — 3 a meritis — 9 Cres — 10 pura (Y? puro e così Ber.®) — 11 longior (V° aggiunge interlinearmente ià, Ber.® ni) — 13 terris — 13 leta — 14 pacavit (Ber. paccavit) — 19 desederit — 22 hinc — 24 et — 26 vovemus (notevole) — 27 nec — 27 carmine — 30 qua iudex — 37 potius — 43 qualis inaequatum — 45 nam — 46 non alius — 55 non — 59 antiphatemque — 60 gelidos — 60 irrigat — 63 ap- taque — 68 discurreret undis — 69 littora — 71 orbe — 72 rabidas — 72 freta — 73 in ore — 73 consumpsit (Ber. conisumpsit) — 75 pontum (notevole) — 76 violata — 77 calipsos — 78 errorum mi- seri — 82 nam — 83 praeducere — 86 fontibus ut — 88 et — 94 contendere — 96 grandis venit — 97 amplior — 98 venient — 99 parent — 100 tune — 102 inaequatis (futta una parola e non, come altri lesse in Ambr., in separato) — 103 seu iunetum — Ber. stera (2* m.) 104 dexteraque ut (notevole) — 104 sinister — 108 iapigiae — 110 armis — 1124 namque.. secula fame (Ber. nanque). La presenza di questo verso è notevolissima per stabilire la derivazione di Ber. nel senso che abbiamo sopra indicato. E.non solo deve essere considerato che il verso manca per intero in B, d, e, ma che in © (Wittiano, ora "- 1442 FERRUCCIO CALONGHI perduto) esso si trovava con l'ultima parola vitae in luogo del fame di 0. Le parole saecula famae di 0 sono per manifesta svista una ripeti- zione della chiusa del verso antecedente. Come abbia potuto avvenire l'errore, cerca di spiegare il Belling, Prolegg., 1893, p. 73. Il verso si trova pure in & (1) — 115 audet — 116 domator (notevole) — 121 sub tegmine (Y sub tegmine, Ambr. sub tegmine, Ber. syb-tegimine. L'errore della divisione in due parole deriva, come si osserva nel- l’Ambr., dalla abbreviazione di sub prima di tegmine, un po' staccata, come accade spesso, dal resto della parola. L'originale comune doveva dare appunto così. La lineetta che congiunge in Ber. le due parole în una è di altro inchiostro. L’i cancellato è una svista dello scriba). — 128 densas depascitur. In Ber. densas de su rasura, ma sembra scritto dalla prima m. — 129 sunt — 129 multa (notevole) — 180 inania: in Ber. innania. Forse l'errore era nell'originale comune. Così penso osservando che in Ambr. al di sopra di n ed a c'è un segno in parte cancellato che ‘poteva indicare la reduplicazione di n — 136 nune — 186 sunt.. triumphi: Ber., sembra tutto di prima mano, ha triumphum — 140 nilus (Y nilius) — 140 lympha — 140 dyaspes (Ber. diaspes) — 141 cyri (Ber. ciri) — 141 cydnus — 142 Creteis ardet — 142 ca- ristia [Si osservi la notevole concordanza dei 3 codd. di fronte a lezioni assai varie, qui e nei 2 vv. precedenti) — 143 tamiris — 146 maginos (notevole) — 147 occeanus (perfino nell’ortografia!) — 151 circunfuso (V ha lm corretta in n) — 154 densa (V' denso, per svista, corretto sul testo stesso) — 155 verso uguale in tutti e tre è mss. SAI super- egerit (in Ambr. e in Ber. il super pare sì e no unito all’egerit; in V unito decisamente) — 161 ergo (notevole) — 164 nulla — 167 utrique (notevole) — 168 alter — 168 negat (notevole) — 173 confunditur (no- tevole) — 174 exurgitat — 174 oppida (Ambr. V opida) — 175 poscent — 181 ocia (Ber. otia) — 185 fecundis indeficientia mensis (Ber. ag- giunge di suo solo errori materiali di scrittura eorretti interlinear- e mente, non è certo se da 2* manus, e scrive precisamente: feundis in- i deficentia. La concordanza è anche qui notevole) — 189 accitus (anche Y scrive chiarissimo accitus e lesse male l’Hiller: accitos. Così constato sul codice e così vide il Postgate — ediz. l'ibull. del 1914) — 190 re- (1) Se il verso si trovava anche in Y, come vuole il Rothstein (De Tib. codicibus cit., p. 57), esso doveva avere, come risulta dalla buona congéttura del R., famae e non vitae. V. infatti Belling, Quaest. Tib., p. 24. = TE —mn asti ?*10 *14 DO 19 bo O] 24 IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1443 lictus (notevole) — 193 ausim — 193 rapidas — 195 subsistere — 197 quideunque — 198 quantalibet — 199 Lidia (Ber.? Lydia) — 202 inerret — 205 fato (notevole!) — 206 figura. Appena terminato il Panegirico, segue, senza intervallo, nei tre codici, il titolo Vi Ambr. Ber. Laus Sulpiciae ad Sulpitiae come in V deum Martem ne ne nec (corr. di 1° m.) comptis est comptis è est omesso: Ber. l’ag- giunse marginalmente col medesimo inchiostro; un’e con altro inchiostro è ag- giunta davanti a vene- randa (= eveneranda) decenter decenter decentior Ber.? decenter: errore ma- teriale? Forse in parte. pyerides pierides pierides solenne solemne solemne (Ber.') hoc sumet come V hoc summet (errore di svista? Il cod. Lips. sîimet, l’ediz. vicent. summet!) vestro urto nostro Il nostro di Ber. è lezione comunissima che potrebbe essere derivata da un errore di lettura del compendio quale è nell'Ambr. Concordanze dei tre codici: 11 tyria (È da notare che il tytia di V è corretto manifestamente su tyria) — 14 mille hune (Ambr. hùe: Ber.® marg. hic) — 16 succis — 19 littore — 23 hoc sumet (». sopra: in Ber. m di 1% mano?) — 24 thoro. cherinthum cherintum . cherintum dimittenda dimictenda dimittenda incolumem incolumem incolumen (svista nella scrittura) adducit abducito abducit (V? abducit) 1444 | —FERRUCCIO CALONGHI V Ambr. Ber. il est? quae est? rasura quae est? o que Davanti al quae in V e Ambr. vedo un segno d'interrogazione. Lo spazio libero di Ambr., e precisamente la rasura corrispondente allo spazio di una a due lettere, dice che era stata copiata da 0 una parola che aveva probabilmente il segno di espunzione, del che si accorse lo scriba di Ambr. solo dopo che l’aveva copiata. Lo stesso errore fece Ber. Comunque è certo che o si legge in parecchi codici, in altri aut. Concordanza dei tre mss.: 2 umbrosia (V!, coll’a cancellata da V?): Ambr. e Ber. umbrosi — 3 pectore — 18 da — 19 tune — 20 caste (Ber. errore di scrittura: caster) — 20 tange — 21 et — 21 subrepit — 22 feras (Ber. ferras). IV 4 Rubrica identica 7 quicquid quidquid quicquid 8 rapidis rabidis rabidis 8 evehat eveat eveat (Ber.® evehat) (Ambr.® evehat) 13 vovet vovet (Ambr.?) movet x Osservo che vovet di Ambr.” è manifestamente corretto su movet e che pertanto la lezione movet era già in 0, scritta poco chiaramente. Non si tratta dunque, in Ber., di lezione interpolata. Movet si trova in parecchi mss. 17 at ac ac be (2? m.) Concordanza dei tre codici: 2 phebe (phe in V). In Ber. la parola è scritta chiarissima. In Ambr. le parole phebe superbe coma sono scritte in carattere più piccolo, e su rasura, da altra mano — 6 pal- lida — 8 in (Ber. im) — 12 numeranda — 16 sgg. Ordine dei versi identico, contrariamente ai codd. deteriori — 24 laetus. IV 5 Rubrica identica h.(2° m.) 9 tura thura tura 15 cathena catena cathena ?*16 post hac... post hac... post hac que (il que corretto marginal. da 2* m. in quam) In V lacuna di 3 lettere, sopra cui nos interlineare. In Ambr. lacuna analoga senza correzione. Vedi a proposito Belling, Prolegg., p. 72 e . ieri betta IT, CODICE BERIANO DI TIBULLO 1445 Cartault, ediz. di Tib., p. 252. A giudicare dalle traccie di scrittura che ancora si vedono nella rasura di Ambr., mi sembra che la prima delle 3 lettere cancellate possa esser stata il q, perché la rasura scende sotto la linea (1); se ciò è vero, il que — erroneo — di Ber. si spiega con la tentata trascrizione dall'originale comune di una parola illeg- gibile, oppure colla copia tal quale di un errore. Per altro il Wun- derlich dà la lezione que come appartenente ad un Vossiano e la quam come di un Colbertino e d'altri. Così vedo anche nell’ediz. dell’ Huschke (2, 633). V Ambr. Ber. ?*18 hie (V* haec) hic haec (come @) 20 referet refet refer Ber. omise il segno di abbreviazione e per svista fece un refer. *20 clam ve clam ve clam ne palam ve palam ve palam ve Errore di trascrizione in Ber.? È poco probabile. Concordanza dei tre mss.: 1 est (veramente in V e St con l’e piccola iniziale di guida al miniatore, scritta di 2% mano; ma la 1% mano in casi consimili omette abbastanza di frequente nei mss.: anche in Ber. la e come le iniziali minuscole dei componimenti sono spesso scritte da altro mano che non da quella del copista) — 3 puellis (osservo tuttavia che in V puellis è corretto su una prima scrittura puellae) — 4 de- derant — 6 ne de (propriamente la concordanza è della prima manus o almeno della prima intenzione di essa. In seguito ne fu cancellato in V e in Ber. e l'originale comune doveva avere ne) — 7 per te — 9 mane — 10 valet — 11 suspiret — 12 tune — 17 tutius. IV 6 Rubrica: recomendatio recomendatio recommendatio nel resto identica. ?*8 sed sed si (Ber.? sed) si deprendere deprendere deprehendere : (ortografia comune a pa- recchi codici) 15 praecipit praecipit praeepit errore di scrittura (1) I Belling, Quaest. Tib., p. 20, osserva: in rasura quae est inter hac et soluisse, ‘ nos î ' scriptum non fuisse liquet, sed quid fuerit e vestigiis colligere non potui. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 99 1446 FERRUCCIO CALONGHI V Ambr. Ber. esset esset assit Forse il copista di Ber. trovò assit in una correzione interlineare 0 marginale del suo esemplare. Pare abbia cominciato a scrivere qualcosa di diverso; poscia rase e scrisse as su rasura. Ne venne un assit in luogo di esset. L'a manca dei filetti e non è scritta di prima intenzione, se pure è della medesima mano. L’ inchiostro non dice nulla. In molti mss. si legge adsit. ha esset. 20 Dopo questo verso in Ambr. segue, senza alcun intervallo, il primo verso del carme seguente: Tandem, ecc. Poi viene il titolo della nuova elegia, poi un intervallo di due righe e di nuovo il verso: Tandem, ece. La cosa è notata anche in Postgate (ediz. Tib., 1914); aggiungo che ciò non avvenne in Ber. e nemmeno in V. Concordanza dei tre codici: 1 turis (Ambr, thuris, Ber. thuris) — 5 orandi — 6 occulte (Ber. oculte) — 7 ne nos — 9 ullae — 10 cuidam — 13 que omesso — 14 sic — 15 optat (Ber.? quid optet: correzione interlineare) — 16 sua — 19 si — 19 veniet. VA 7 1 pudore pudori la 1° volta, pudori (Ve ha l’occhiolo la 2° pudore, ma ci questa era la lezione del- chiuso, ciò che è ben vedo un'evidente cor-. l'originale comune raro in questo co- rezione della stessa dice. La mano del prima mano su pu- copista fu incerta dorì tra e ed i? G legge pudore) 3 cyterea cytherea citherea Concordanza dei tre mss.: Titolo identico — 2 magis — 6 suam — 8 me — 8 id — venio (Ber.® marg. nemo): svarione dell'originale. IV 8 Tit. Sculpicia Messalae come in Y . Sulpicia Messale 6 neu neu non (anche in Cuia- cianus) (Nel resto tutto il verso è identico, ciò che è notevole). Concordanza dei tre codici: 4 aretino (il segno di raddoppiamento sull’r in Ber. è di 2* mano) — 5 messala — 8 quamvis (Ber. quanvis) — 8 sinis. IL CODICE BERIANO DI TIBULLO — 1447 V Ambr. Ber, EV9 Ad theoratum de Ad Thoratum de Ad Thorratum de na- natali die (1) natali die tali die Evidentemente il segno che è sull’r di Ambr., e che doveva essere nell'originale comune, fu interpretato come segno di geminazione dell’r in Ber. Concordanza dei tre mss.: 2 non sinet — 2 tuo. IV 10 Tit. De Sculpicia De Sculpicia De Sulpicia 3 quasillo (?) quasillo quas illo (per altro quas è ab- scritte separatamente, come bastanza separato da doveva essere nell'originale illo nella scrittura) (cfr. la lez. di V), e sopra la 2* manus avverte: ca- nistro 5 soliciti solliciti solliciti o 6 thoro thoro thora (svista nella scrittura) i Concordanza dei tre codici: 1 mihi (Ambr. m) — 6 nec — 6 credam è — 6 causa. IV 11 3 ah ha ha (Ber.® ah) 5 ah ha ha (Ber? ah) Concordanza dei tre codici: Rubrica identica — 1 placitura — 5 quid (Ber.? quod e sopra si) — 6 laeto (Y laecto) — ferre (Ber. ica errore di svista). Seguono immediatamente senza intervallo, in tutti e tre i codici (come del resto in molti altri, tra cui il G), i tre distici di IV 12 (= III 18): Ne tibi sim ecc., quegli stessi che Ambr. e V riportano per intero dopo ILI 6 e di cui, come abbiamo visto, Ber. riporta in quest’ultimo luogo solo il primo distico e l’esametro del secondo. (1) Lo Heyne cerca di spiegare il theoratum con un tetrestichon (Ediz. Tibull., Torino, 1821, 2, 406). 1448 IV 12 1 *17 19 INF 14 FERRUCCIO CALONGHI Y Ambr. Ber. 1* volta ne ne ne Cile nec (V? ne) nec ne JE sit sit sed (svista ?) ma dic sim (V? sit) sim sim pene i tam tam tum (svista?) AE iam iam iam JENNIE videor videor videor QAR videas(V? video) videas videas Rubrica identica hec hoc hoc sola sola sola est: l’est cancel- lato con un trattino: il copista aveva in mente l’est che seque credo credo cedo (come in F e Cuia- cianus) ures ures aures Concordanza dei tre codici: 3 mode — 5 posses — 8 ipse — 16 tibi — 17 heu heu — 18 prodeat — 21 faciam — 23 confidam (notevole). Titolo identico. Identità più notevoli: 2 me — 3 facta. -—— Immediata- mente dopo segue: Epithaphium Epitaphyum Epytaphium Tybulli Tibulli Tybulli elegis elegis elegos Può darsi che elegos sia una svista (lo scriba può aver pensato ad elegos molles), ma in Ambr. li pare scritto su rasura da altra mano. Se ciò è vero, la svista poteva essere nell'originale comune. Ricordo tuttavia la variante elego. Il correttore del codice padre di Ber. po- (0) trebbe avere scritto un 0 su elegis ed espunto l’s, così: elegis: il co- pista corresse l’i, ma non cancellò ls. Sennonché elego è variante molto rara ed è più probabile la prima ipotesi. aut aut ut scambio comunissimo: errore di lettura ? Concordanza dei tre mss.: 1 virgilio — 2 iuvenem (propriamente V! ha iuvem, ma è errore materiale del copista, il ve è aggiunto sopra di 2% mano) — 3 molles (in Ber. è scritto su rasura, pare dalla 1% mano. Del resto in Ber, non ho notato correzioni di 2° mano su rasura). IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1449 Il carattere più tipico di Ber. è la fedeltà all'originale co- mune. Abbiamo già detto e cercato di dimostrare, ai singoli luoghi esaminati, che Ber. non è copiato su Ambr. e nemmeno da V, né direttamente né indirettamente per via di esemplari intermedi. Esso adunque deriva da 0 o da un codice a questo parallelo e similissimo, sia per via diretta, sia per mezzo di apo- grafo che conservava errori tipici dell'originale, corretti in Ambr. e V (1). Pertanto la lezione di Ber. concordante con Ambr. e V, o soltanto con Ambr., conferma lo stato del comune originale. Nessun codice di quelli finora esplorati è più fedele di Ber. alla tradizione rappresentata da Ambr. e V (2). Il B del Lachmann (Parisinus, del 1423), strettamente im- parentato con Ambr. V, differisce da Ber. anzitutto perché è probabilmente copia di Ambr. (3), poi per aver accolto un nu- mero notevole di interpolazioni, alcune delle quali, forse del tutto sue proprie, sono certo poco felici (4). Pur prescindendo da queste ultime, troviamo non di rado la lezione di B inquinata da interpolazione poco sagace. Così Semeles Ill 4, 48 per Semelae di Ambr., V e Ber.; II 1, 33 B equitanae per aquitanae; 11,37 B capiti per capite; II 5, 108 B ipsa per ista; IV 1, 19 B descenderit per desederit. In IV 1, 11ò B legge gaudet, mentre Ambr., V e Ber. hanno audet; l’ac di Ambr. e Ber. in I 3, 63 corrisponde ad hac di B, ecc. Si comprendono bensì l’uram di Ber. (V! unam) in I 10, 21 e il vota pur di Ber. e di V in I 5, 16, di fronte rispettiva- mente ad uva e voca di Ambr. pedissequamente seguito da B, ma sono invece caratteristici alcuni emendamenti di B, tra cui (1) Corretti talvolta, si capisce, e precisamente corretti ora in Ambr,, ora in V, ora in entrambi i codici. (2) Abbiamo visto come anche le rubriche di Ber. siano assai simili a quelle di Ambr, e V, e soprattutto di Ambr., con cui hanno in comune anche errori dei più tipici. (3) Cfr. R. Leonnarp, De codd. Tibullianis, 0. c., cap. De codice Pari- sino B, p. 31 sgg., e il 2° capit. dell’Irumann, De Tibulli codicis Ambr. aucto- ritate (Halis Sax., 1886), dove sono discusse le ipotesi del BarHRENS, del Rorasrein e del Leoxnnarp intorno al Parisinus 7989. Cfr. pure A. CarrauLm, A propos du Corpus Tibullianum, Paris, 1906, p. 475. (4) Vedile registrate in Lrowmarp, |. c., e meglio ancora in ILumana, o. e., p. 45. Consulta pure MavrensrecHER, Philol. 55, p. 444 sgg. 1450 FERRUCCIO CALONGHI IV 1, 148 se offerret in armis, per giustificare il manifesto errore di Ambr. in sese offerret armis (dittogr. per offeret). Del resto, pur rimanendo nel campo delle lezioni interpo- late, ma non sue esclusive, o quasi, si potrebbero citare non pochi casi in cui B si allontana da Ambr. e Ber. Limitiamoci ad alcuni soltanto: II 3, 78 Ambr. e Ber. iuvet, B e V iuvat; III 3, 21 Ambr., V e Ber. homini, B hominum; I 4, 29 Ambr., V e Ber. te perdit, B deperdit. Notevole il iurenta di B in 18, 41, da spiegarsi senza dubbio non in favore di un ?uventa origi- nario in 0, ma col fatto notato dal Leonhard (1. c.) che la copia di Ambr. da parte di B è posteriore alla 2° manus di Ambr., mentre (ciò che è notevolissimo) Ber. non conosce la 2° manus di Ambr., da cui appunto fu segnato un puntino d’espunzione sotto l’s (iuventas) (1). Si aggiunga ancora il cattivo volet di B in I 4, 56 contro il velit di Ambr., Ber. e forse di V!, e il si tibi ne de nobis di IV 5, 6 col ne omesso in B di fronte ai dubbi di V e di Ber. che scrissero, poi espunsero (di 2° manus?) il ne, conservato invece senza cancellature in Ambr. Si potrebbe tuttavia ricordare qualche caso, ma più raro, in cui B conserva la lezione di Ambr., quando Ber. si discosta da O; per citarne un esempio, in III 1, 15 B ha parvos mentre Ber. lì accoglie il ragionevolissimo ed intuitivo emendamento per vos. In complesso B è un codice di cui si può fare abbastanza a meno (2), data la presenza di Ambr. Non aggiunge nulla di nuovo a quanto sapevamo il sentita di B in I 8, 51: così si legge infatti in Ambr.! (e in V): il sentica di Ber. ci dice in- vece chiaro che l’originale era appunto così e che lo scriba di V lesse sentita perché sentica non aveva senso e sontica non era un vocabolo a lui famigliare; che analogamente accadde allo (1) Ricordo la mia osservazione, fatta di sopra a suo luogo, che anche in V sì legge iuventas. i (2) In questo senso concludeva anche FE. HrLer, ediz. Tibulliana, 1885 (Praef. VI nota). Le cosiddette lezioni buone di B non hanno valore di sincerità; delle tre tanto decantate: firmaverat (II 5, 23), more (1V 1, 73), mihi (IV 18, 3), la prima è inutile correzione di formaverat, la seconda e la terza sono emendamenti comuni ad altri codd. Il Ber. qui coincide con Ambr. e V. I gia IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1251 scriba di Ambr. al primo momento, finché una buona ispirazione o un consiglio di correttore esperto suggerirono la retta corre- zione dell'originale in sontica. Le differenze tra A del Lachmann, l’Eboracense del 1425 (ora perduto, che Hiller segna y) e il Ber. sono meno facili da notare per la conoscenza incerta, scarsa e indiretta che noi ab- biamo di y attraverso la collazione del Heinsius (1). Comunque, trattandosi di un codice molto simile ad Ambr. V, le cui lezioni, secondo il giudizio di alcuni critici, meritano di essere tuttora eventualmente considerate (2), non credo inutile far seguire un breve confronto con Ber., dove indico semplice- mente con 3 il consenso di Ambr., V, Ber., mentre alla lezione dell’Eboracense non premetto di solito alcuna indicazione, né sigla, né numero. I 1, 48 parva satis mensa - vel - parva seges satis est, satis est req. lecto. Ambr. Ber. come la seconda delle lezioni indicate (3) — 44 yY ebbe il verso; Ber. omise — 54 exiles rel hostiles: 3 exiles = 2, 25-26 forse mancava il pentametro dell’Aurispa coll’esametro seguente: in Ber. ci sono — 52 probabilmente Hecates: 3 Hecatae — 71 possum: 3 possim = 3,4 mors precor atra: 3 mors modo nigra — 183 nusquam rel quiequam: Ambr. Ber. numquam, V nusquam — 93 tune precor: 3 hoc, w hune = 4, 22 freta longa: Ambr. Ber. freta summa, Y summa freta = 5, 27 vitibus vel fructibus: Ambr. Ber. vitibus (G V fruc- tibus) — 76 nat (come G@): 3 nam = 6, 50 invitus: 3 eventus — 77 ast (come Y G): at Ambr. Ber. = 7, 3 Equitanas: 8 Aquitanas — 4 Atax vel Arabs: 3 Atax — 6 evictos: Ber. evinctos (v. Nota 1°, p. 1243) — 35 sopores: 3 sapores — 42 compede vel cuspide: 3 cuspide — 42 pulsa vel vieta: 3 pulsa — 57 nec: 3 ne (v. Nota 1°, pag. 1244) — 61 e manca come in 3 = 8,2 levia (come Ambr.: errore): V Ber. lenia (1) Consulta BeLLine, Quaest. Tibull., pp. 21-25; MAURENBRECHER, 0. ©., p. 447 sgg., il primo per la collazione dell'Heinsius, il secondo per consi- derazioni su £ (y). (2) Cfr. Scnanz, Gesch. d. rim. Litt., Miinchen 1911, 2, 1, 241. (3) Non è facile risolvere il dubbio se nelle lezioni doppie la prima corrisponda alla prima manus, e ciò perché in alcuni casi l’Heinsius no- mina espressamente la prima e la seconda mano. Il Belling rimane esitante. A me sembra che il dubbio sia stato proprio dell’Heinsius, che non indicò esplicitamente quando non credette di poter indicare. 1452 FERRUCCIO CALONGHI — 14 colligit (come V): Ambr. Ber. colligat — 30 foveas (con y) foveat 3 — 38 fingere: 3 figere — 43 tum mutatur: 3 tune mutatur — 51 rustica causa; Y? sontica (come @): Ber. sentica (v. Nota 1°, pag. 1245) = 9, 25 leva: 3 leve — 75 huic (con y): bune 3 — 79 vietum: 3 vinetum = 10, 21 libaverat vel portaverat: 3 libaverat — 33 arcescere: 3 accersere — 41 ut (come V): Ambr. Ber. at — 51 ipso vel ipse: 3 ipso. II 1, 22 ingerat (con V 6): ingeret Ambr. Ber. — 27 formosos: 3 fumosos — Il 1, 33 Equitanae: 3 Aquitanae — 48 annua vel aurea terra: 3 annua — 54 ornatus: 83 ornatos — 66 tela sonat latere vel pectine tela sonat: 1° lezione in 3 — 90 nigra vel vana: 3 nigra = 2,4aterra: 3 e terra — 9 Cornute rel Cherinte (v. Nota 1°, pag. 1245) — 21 natalis anus: Ambr, Ber. avis (manca V! fino a 3,49) = 3, 14 a: colmata la lacuna con due pentametri (vel...) : in Ambr. e Ber. non c'è supplemento — 15 texta est de vimine: Ambr. Ber. detexta est vimine — 27 phiton (con G): Ambr. Ber. phito — 43 tumultus (con y): Ambr, Ber. tu- multi — 51 orbem: 3 urbem — 55 illi sunt: 3 sint — 59 quem vel quae: 3 quae — 60 gypsatos vel luxatos: Za prima lezione in @, Ambr. e V bipsatos, Ber. bipsata (v. Nota 1°, pag. 1250) — 62 resolvat: 3 per- solvat — 75: è colmata la lacuna con un esametro che è dato in doppia forma: 3 manca il supplemento alla lacuna = 4,2 paterna, man. 2*, come G:3 pater ve — 17 nec qualis:3 equalis — 23 donis: 3 fanis — 56 gerit rel dedit: 3 gerit = 5, 6-101 manca Ber.: notevoli divergenze ha Y da Ambr, e V in 23 fundaverat con w (per formaverat), 27 umbra (per umbrae), 68 grataque quod monuit (per grata quod admonuit), 74 praetimuisse (per praecinuisse) — 102 venit: 3 velit — 110 faveo morbo (come 3) vel foveo morbum (y) = 6, 2 si: 3 sit — 16 si licet (come w): 3 scilicet — 17 dura: 8 dira — 47 duro: 3 diro — 47 lu- mine: 3 limine. 11 protexit (con Ambr. e V): Ber. protexat — 21 meritum (con Ambr. e V): Ber. nuncium = 2, 15 rogate vel precatae: 3 rogatae = 3, 17 in Ericteo: 3 in erithreo — 28 sed mihi: 3 sit mihi — 24 et con Ambr. e V: Ber. at = 4,3 vanum: 83 vani — 9 et varium (m. 2* vanum) ventura (vel: metuens) hominum genus omnia (rel: omina) noctis: Ambr, Y natam maturas, Ber. natum naturas, & vanum ven- tura hominum, 6* metuens: Ambr. omina, V Ber. omnia — 33 et quam: 3 et cum — 45 probabilinente Semeles: 3 Semelae — 69, 70 ne ne: 3 nec nec — 87 non consanguinea: 8 nec c. = 5, 11 sacri- IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1453 legos (come @): 3 sacrilegis — 11 admovimus (come 6?): 3 amovimus — 29 at nobis: 8 atque nobis — 29 numina nymphae: Ambr. V nu- mina, Ber. lumina; Ambr, Ber, ]ymphe, V! ninphae = 6, 11 recuset (con w): 3 recusat — 19 in illo: 8 in illis — 30 facta (come in Ber.): Ambr. V fata — 49 veneri, m. 2*: 8 inerit — 58 temperat: 3 temperet. IV 1,1 quanquam (come Ambr. e V): Ber. si quam — 1 cognita vel vivida: 3 cognita — 18 dictat con Ambr, Ber.: V dicat — 19 descenderit: 3 desederit — 24 quocunque: 3 quodeunque — 39 namque tibi »el quisque tibi, ma. gerit castrisve fo.: Ambr. V quique tibi... cartis ne; Ber. quisque tibi... cartis ve — 40 manca il rerso, come in Beriano! — 87 et Ambr. V, Ber. ut — 91 et Ambr, V, Ber. at — 94 levius vel melius vel brevius: 3 brevius — 95 parma con Ambr. V: Ber. pervia — 104 dexteraque vel dexterque: 3 dexteraque — 110 et Arpinis (con Ambr. V): Ber. G et Alpinis — 118 renovaverat m. 1*, con Ber. (renoverat Ambr. V) — 115 validusque m. 2*: 3 validisque — 139 te- tereo, m. 2* tereo: 3 tetereo (1) — 145 Patheus vel Padus: 3 Padaeus — 158 colori: 3 calori — 160 noctes: 3 luces — 165 rigentem come V (Ambr. Ber. rigentes) — 171 et laeta (con V): Ambr. Ber. lenta — 184 dictantes: 3 ditantes —- 199 magna: 3 magni — 202 inhaeret: 3 inerret — 203 statuunt (Ambr. V): Ber. statuent = 2. 19 litore: 3 littore = 4, 15-24: versi nel medesimo ordine di 3 = 5, 16 nos (come G): Ber. que. Per V ed Ambr., vedi sopra — 20 clamve pa- lamve (come Ambr. V): Ber. clamne = 6, 19 adveniet (come GB?): 3 veniet = 10,1 tibi: 3 mihi = 11,5 at: Ambr, Ber. ha, Vah= 13, 3 te iam: 3 iam te — 15 nec: Ambr. Ber. hoc, V haec = 14, 3 carmina m. 1*: 3 crimina = Epitaphium: aeque: 3 aequa. L’Eboracense y sembra pertanto che sia stato molto più interpolato di Ber. Poco importa per noi se parecchie lezioni sue, pur tra le poche che conosciamo, compaiano anche in G, dacché non possiamo accogliere la tesi del Maurenbrecher (2). Notiamo invece che le interpolazioni di y non si trovano, in (1) Vedi meglio sopra nella collazione, al luogo indicato. (2) L. c., pp. 437-47. A pp. 447-8 il M. studia la derivazione di lezioni speciali di £ (= y) per ricostruire poi il solito ‘stemma’, che non persuade di più dei molti già proposti. Sarà tempo di pensare a questo quando avremo studiato meglio i molti codici Tibulliani che ancora sì conoscono del tutto imperfettamente, e i loro reciproci rapporti. 1454 FERKUCCIO CALONGHI massima, nel Beriano, come non si trovano in quest’ultimo i supplementi alle lacune dopo II 3, 14 a, dopo ?d. 74, supplementi che l’Eboracense ha, mentre d'altra parte non si può dire con certezza se avesse o no dopo I 2, 25 il noto verso dell’Aurispa, che si trova nel Beriano. La presenza in entrambi i mss. del verso 112 a del Pane- girico e l’omissione di ibid. 40, e forse anche in y della Vita Tibulli, non sono dati del tutto trascurabili per una certa qual speciale affinità dei due codici, che non possiamo per altro sta- bilire neppure con qualche approssimazione. In complesso la lezione di y appare sensibilmente più in- quinata che non quella di Ber., di cui può rendere minori ser- vigi per la ricostruzione della forma sincera del testo. Come dicevamo, la tradizione dei mss. completi è deturpata da lacune, di cui sono innegabili quelle che si riferiscono alla omissione di un solo esametro o di un solo pentametro. In Ambr. e V! esistono quattro lacune di un verso dopo I 2, 25, II 3, 14 a, e prima di II 8, 76 e III 4, 66; nei codici Lachman- niani sono invece tutte colmate (1). Tale interpolazione si nota nel codice P illustrato dal Columba (2), nel codice di Lovere illu- strato dal Malagoli (3), nel Trivulziano 787 di cui diede notizia il Sabbadini (4), e in genere in tutti i codici del 400. Può essere pertanto un caso singolo quello del Guarneriano (5) sopra citato, che pure ha molti errori e numerose interpolazioni, dove non troviamo supplementi alla prima lacuna. ' Il Ber. invece ha accolto nel testo soltanto il supplemento, attribuito all’Aurispa, della prima lacuna, quello stesso che com- (1) Solo di A, l’Eboracense, di cui abbiamo parlato dianzi (y dell’Hiller), non sì può dire questo con certezza. (2) Il codice è illustrato in Rassegna di Antichità classica. Parte Biblio- grafica, 1898, pp. 65-80. (3) G. Maragori in Studi ital. di Filol. classica, V (1897), pp. 231-40: Un codice ignorato di Tibullo. (4) In Riv. di Filol., 1899, pp. 402-5. (5) La notizia del Guarneriano è data dal Leonmarp (l. c., 2° cap.) in modo inesatto: “ unus For. Guarnerianus unam alteramve lacunarum in- tactam reliquisse videtur ,. Si tratta solo della prima, come vedo nell’ediz. del Vorpi (1749). Vedi anche ILLxann, o. c., p. 9. PT A ASI A _ i IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1455 pare in parecchi codici e che poteva essere già nell’Eboracense, mentre il B e il Vat. 2794 — il codice che colma la lacuna di V! da II 2, 20 a II 3, 49 — compirono diversamente, e di- versamente ancora i codici c, d, e, cioè il Wittiano, il Datiano, l’Askewiano del Lachmann, tutti e tre della seconda parte del 400 (1). L'unico codice tra i finora esplorati che non colmi di prima mano le lacune sopraindicate, dopo Ambr. e V, è il G, troppo debole argomento in favore dell'importanza del ms. stesso (2); valore soltanto relativo, tanto che il Leo ha potuto giustamente concludere: ceterum magis origine et adfinitate cum renatarum litterarum studiis hunc codicem conspicuum esse quam auctoritate lectionis apparet (3). La questione del G@ dovrebbe ormai essere esaurita. Esa- minandolo attentamente, riesce manifesto ch’esso è ritoccato in molti luoghi e che accolse da varie mani esperte correzioni anche su rasura (V. sopra osservaz. a II 1, 36 e 60), correzioni che non derivano certo tutte dagli Excerpta Parisina, mentre poi la lezione buona di G di fronte ad Ambr. V è in massima ef- fetto di facile congettura (4). Si capisce che in G non compaiano alcune lezioni erronee che appaiono invece qua e là in Ber., dove non sono certo dovute a congetture, ma sono evidentemente (1) Securum in tenebris me facit esse venus compare anche in V? (v. sopra) e nel Codex Romanus vetustissimus, le cui lezioni furono trascritte in mar- gine all’Aldina del 1515 da Ottaviano Ferrari (1518-86). Il codice è della metà del 400. Vedi in proposito Sassapini, Riv. di Filol., 1899, pp. 402-5. L'elenco completo delle varianti attribuite a questo codice è dato in The classical Review, 1898, p. 446, da W. M. Linpsay. Di qui vedo che il codice ha interpolazioni ben più frequenti che non il Beriano, parecchie concor- danti con G. (2) Il RorasreIN, 0. e., p. 68, va forse troppo oltre quando suppone che chi copiò il G volesse ad arte dar valore d’antichità al suo testo conservandogli le lacune intatte, come ad arte usò una serittura arcai- cizzante. (3) Fr. Leo in o. c., Praef. 11. (4) Il G accoglie emendamenti al testo Tibulliano correnti ai tempi in cui fu scritto. Esso dev'essere alquanto posteriore all'epoca di cui lo aveva creduto il Baehrens (V. Leo, Praef. citata, 1), cosicché confrontando parecchi edd. del secolo XV con G, ove questi concordino col G in pa- recchie lezioni, non è esatto dire che siano interpolati su G. Comprendo che alcuno potrebbe pensare al codice padre di G... (però meno emendato 1456 FERRUCCIO CALONGHI copia di un errore dell'originale. Il Ber. è intanto l’unico tra i codici finora esplorati, al di fuori di Ambr., V e G, che non abbia supplementi alle 4 lacune indicate, eccetto alla prima, dove un verso ormai celebre ai tempi della composizione del ms. sdrueciolò nel testo da una nota marginale del suo esem- plare diretto. E solo per insistere sul fatto dell’indipendenza di Ber. da Ambr., basterà ricordare che in II 3, 75, dove cadde l’esametro, Ambr.* scrive marginalmente in una sola riga O dt (= utinam) veteri peragrantes more puellae, supplemento di Francesco Filelfo che compare anche altrove, ad esempio nel Trivulziano 787 sec. XV (il Sabbadini, ]. c., riporta: in margine con l'aggiunta Seneca supplevit et Philelphus). Ber. non vide certo Ambr., e non supplì né aggiunse supplemento di 2° manus. Ora Ber. fu com- posto quando la 2° manus di Ambr. aveva già scritto (1). La tradizione di Ambr. V è conservata da Ber. anche nell’aquitanae di II 1, 33, dove i codd. Lachmanniani hanno tutti equitanae. e nel caratteristico semele, già citato, di III 4, 45, dove i Lachman- niani dànno semeles, G. semelis, i Deteriores in genere semeles. Inoltre è da osservare quanto segue: Ber. non ha nessuna coincidenza speciale con gli Excerpta Frisingensia ; solo in I 1, 63 leggiamo duro che è pure nei Fr., ma nel 64 iuneta con Ambr. V, di fronte al vineta di Fr. Nessuna particolare interpolazione dagli Exe. Paris. entrò nel Beriano. Infatti solo in tre passi noi li troviamo coincidenti e precisamente in: II 1, 38 glande (Ambr. V grande: G? V? glande), IV 1, 84 nervos — come anche G (Ambr. vernos, V nernos, yw cervos), IV 1, 87 ut (Ambòr. V, con G, et), del figlio!), o magari a quel manoscritto di “tradizione più pura, da cui lo seriba di G avrebbe preso un “ grande numero , di lezioni, come suppose il MavrensrecHEr, Tibullstudien, in Philologus, 55 (1896), p. 443, ma sono ipotesi che hanno ormai fatto il loro tempo. (1) Cfr. Arxw. BaemRrens nella sua ediz. Tibulliana, Lipsiae, 1878, p. vu. Del resto che Ber. non sia copia nemmeno indiretta di Ambr., abbiamo dimostrato di sopra. IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1457 ma è da osservare che grande era un vero e proprio errore di scrittura e che la correzione glande s'imponeva da sé; quanto al nerros, esso può essere una lettura diretta dell'originale, da cui né Amdr. né V avevano ricavato nulla di meglio: l’inter- polazione vera è il cervos di w. Finalmente in IV 1, 87 non è esclusa la possibilità di un errore di trascrizione. E nemmeno col Fr. Cuiacianum non troviamo lezioni ri- spondenti nel nostro codice. Solo in IV 13, 17 in entrambi si trova cedo rispondente al credo di Ambr. V. Sennonché qui la lezione di O è derivata da una confusione dello scriba, confu- sione assai spiegabile (V. Cartault, ediz. Tibulliana, al passo indicato), cosicché Ber. può aver evitato l'errore. Nessuna speciale concordanza non v'è neppure tra Ber. e G. Il comune cartisve di IV 1, 39 compare in parecchi codici contro il cartis ne di Ambr. V, evidentissimo svarione (davanti a forove!), per mala lettura di » per v, mala lettura che Ber. può aver evitato, e quanto all’et A/pinis di Ber. e G (IV 1, 110) contro et Arpinis di O (cfr. nel Fr. Cui. arupinis), si tratta di una congettura contro una congettura di O: erano nominate le Alpes nel verso antecedente! £? A/pinis è lettura del resto di parecchi codd. Per converso si può citare un buon numero di luoghi dove Ber. è contro G, ad es.: I 1, 78 Ber. dites despiciam, G de- spiciam dites; III, 2 15 rogatae, G precatae; ib. 10 supra, G super, come Ber.8: I 5, 67 iunceta, G vieta; Il 1, 67 inter agros, G in- terque greges; II 4, 2 pater ve, G paterna; IM 5, 11 sacrilegis, G sacrilegos; III 5, 13 meditantis, G meditantes; II 6, 8 pul- serit, G fulserit; IV 1, 18 dictat, G dicat; in massima emenda- menti di facile congettura del testo originale, che si vede copiato tal quale nelle lezioni di Ber., emendamenti che in un terzo almeno dei luoghi addotti sono comuni a G e ad altri mss. Ma anche quando Ambr. difetta, Ber. non è sempre con G: così in IV 1, 169, dove Ambr. ha la lacuna di un vocabolo, @ ac- coglie il vertitur di V, Ber. invece ha laditur. Si avvera talora il caso di dissenso: una forma corretta in Ber. e V e scorretta in Ambr. Quale sarà stata la lezione del comune originale? Bisogna procedere con molta cautela. Se la correzione è tale da equivalere pressappoco ad un emenda- 1458 FERRUCCIO CALONGHI mento di errore di scrittura per disattenzione, essa val poco per la ricostruzione dell'originale. La troviamo in Ber. (talvolta in V), ma la troveremo ripetuta in altri codici del 400 e spesso nelle prime edizioni a stampa. Poco male se non l’avessimo ri- trovata, perché potremmo ricostruirla noi senza esitazione, dato che l'errore sia evidente e più naturale ancora la éorrezione. Che queste siano da chiamare interpolazioni vere e proprie, è lecito dubitare; certo sono ben diverse da libere interpolazioni con quel carattere di arbitrio nell’alterazione del testo, che si suole attribuire all’interpolazione umanistica. Non da quelle il critico può essere tratto in inganno. Ne abbiamo visti parecchi esempi e su di essi abbiamo richiamata l’attenzione. Dobbiamo ora ripetere che in Ber. sono relativamente assai poche e che la mano che le scrisse, forse marginalmente nel codice padre di Ber., era molto prudente, diremmo perfino timida. Quando Ber. conferma V contro Ambr., dobbiamo credere che la sua lezione sia sempre congetturale? Cfr. I 8, 39 iuvant quae dei due primi contro Ambr. iuvantque {errore manifesto); II 3, 42 ut (et Ambr., per manifesto errore di lettura); così in I 1, 29 bidentes, Ambr. ludentes, l'originale era poco leggibile (?) e in J 3, 12, omina, l’interpolazione sembra piuttosto di Ambr. (1). In I 5, 14 deveneranda di Ambr. sembra scritto in due parole, de veneranda, in V; Ber. conferma questa lezione non buona, ma di tradizione sincera; due versi sotto legge con V giu- stamente vota contro il voca evidentemente erroneo di Ambr. In I 10, 51 quando Ber. con e lutoque si avvicina all’e lucoque di V, tenta una correzione o copia meglio dall'originale che non Ambr. con elutoque? In ogni caso la correzione tentata è nella lettera c del V. Forma corretta è certo il supposuisse di V e Ber. in Il 1, 42 di fronte al suppotuisse di Ambr., ma è correzione dell'originale? Così si dica dell’et di II, 3, 68 omesso in Ambr., ma che nessuno ci può dire se sia stato omesso nel comune originale. Correzione dell'originale sembra invece ordem di V e Ber. contro l’urdem di Ambr. Il 4, 17, correzione facile e di evidente congettura. In IV 1, 170 l’hwic erroneo di Ambr. (1) Per omina, v. le osservazioni fatte sopra. IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1459 è letto fine in V e Ber., ma nessuno può dire ragionevolmente che si tratti di interpolazione. Simile è il caso di II 4, 55 quiequid di V e Ber. contro il quidquam di Ambr. Queste lezioni corrette non si ruò dire che derivino per congettura. Se gli errori di Ambr. che non troviamo in V e Ber. si ripetono qua e là in altri codici, non significa evidentemente nulla, perché copie di Ambr., dirette ed indirette (o di codici ad esso paralleli) ce ne furono molte, ma neppure per converso sì può pensare ad una affinità speciale di Ber. e V, quando numerosi sono i casi in cui Ber. sta contro V e non soltanto nelle lezioni buone, ma perfino in errori manifesti derivanti dall'originale comune (1). Il codice Ber. differisce ancora da Ambdr. e V perché alla fine, contro ai primi due, non reca la Vita Tibulli. Sennonché alla fine del foglio 40 v (numerazione segnata dalla Biblioteca, comprendente nel còmputo i 3 fogli mancanti), dopo le parole Albii Tybulli liber explicit feliciter, rimaneva solo lo spazio di 5 linee, mentre la vita accennata esigeva spazio maggiore, tanto più se si còomputi che le prime parole A/bius Tidullus, in particolare la prima, sarebbero state assai probabilmente scritte in carattere più alto, e che ad ogni modo un certo spazio vuoto doveva rimanere sotto l’erplicit. Così è possibile che la Vita fosse almeno destinata al foglio seguente come appunto in Ambr. e in V, dove è assegnato ad essa precisamente questo posto, e dopo dovesse seguire l’Incipit dei carmi Catulliani, che invece cominciano nel Ber. al foglio 41r senza lemma. È pos- sibile, ma non è dimostrato, che la Vita mancasse già nel co- dice padre di Ber., come manca del resto in parecchi codici. Una caratteristica di Ambr. solo e non di Ber. e di V è il curioso errore di trascrizione dopo IV 6, 20 e che abbiamo di (1) Il Corumsa, Un codice interpolato, ecc., p. 73, nota come anche il codice P conserva la lezione erronea dictat (1V 1, 18) di Ambr. contro dicat di VG. Dictat è anche in Ber. (e in F!), che in III 3, 17 non accoglie, come P, la lezione degli Exrc. Par. legitur quae, ma ha con Ambr. e V le- giturque in: legitur quae è riportato da Ber.? (v. sopra). Il Columba non può determinare quali rapporti esistano tra P e V, perché “solo in due casì, “ salvo errore, si hanno lezioni comuni esclusivamente ai due codd., ed ‘ entrambe son tali che possono essere venute per caso ,. Non posso dir nulla di II 5, 95 tunc operta, perché nel Ber. qui manca il foglio. 1460 FERRUCCIO CALONGHI sopra notato, uno dei molti indizi da cui risulta in particolare che Ber. non deriva da Ambr. direttamente. Finalmente Ber. ha delle omissioni che meritano di essere considerate. Non ci fermeremo qui a rilevare quelle d’una sola parola, già del resto discusse di sopra, ma richiamiamo l’atten- zione sui seguenti versi omessi per intero: I 1, 44 (in margine ber.® segna l’omissione), I 3, 37 (in margine Ber.® segna l’omissione), IV 1, 40 (omesso anche nell’Eboracense 7). È notevole che nessuna di queste omissioni si trova in Ambr. e V. La prima e la seconda possono dipendere da sba- dataggine del copista. Non così la terza, per cui cfr. quanto ho seritto sopra a suo luogo. Per converso Ber. ha due versi omessi in codici deter.: IV.:1, 112 a;.1.3; 125: Abbiamo già detto che il principale valore di Ber. consiste nella conferma che esso ci può dare insieme con Ambr. e con V, o con uno di essi, soprattutto naturalmente con Ambr., dello stato della tradizione sincera di 0. Ciò particolarmente ha luogo tra II 2, 20 e II 3, 49, dove manca la prima manus di V. Così abbiamo la conferma delle lezioni sincere armenti (II 3, 11), phito (ib. 27, dove anche y ha phiton), cruor (ib. 38), obsistere (ib. 41 contro gli Exc. Par. obsidere), tumulti (ib. 43, lezione rara), contro cui si esercitò l’interpola- zione umanistica, come appare, ad. es., dall’Admeti e dal tu- multu di G. Ma in non pochi altri passi ciò accade. Notiamo inoltre: I 5, 32 arboribus (contro ab oribus di V); in I 6, 12 la notevole conferma di tunc; in IV 1, 55 la lezione dell’intero verso, seb- bene questa non sia soltanto in Ber.; in I 8, 41 iuventas; in Il 3, 61 Nemesis qui abducit; in I 5, 76 nam, dove altri codd., tra cui y e G, hanno nat; in I 8, 14 la conferma di colligat non è senza importanza (v. sopra), mentre dimostra ancora una volta che Ber. non è copiato su Ambdr., dove la raschiatura dell’a tende a fare un colligit; in I 10, 41 at con gli Exe. Par. contro ut di V e ae di y, conferma importante; in I 8, 31 leria (V lenia), HI 1, 22 ingeret (V ingerat); ib. 83 vocate (V vacate); la rubrica di II 2 (per cui vedi sopra); Il 1, 67, per cui cfr. la mia osser- IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1461 vazione e quella del Belling (Prolegomena, p. 74); Il 3, 57 ill (V ille); ib. 57 certent (V cernent); ib. 66 abdere (V addere); ib. 78 iuvet (V iuvat); Il 6, 8 portet (V portat); 1 3, 86 longa (V longo: da aggiungere alla Nota 1, pag. 1236); I 4, 22 freta summa (V summa freta); in I 4, 51 la lez. di Ambr. e di Ber. conferma, contro V, lo stato dell'originale comune (v. sopra); #d. I 4, 62 ne (contro nec di V); 1 5, 27 vitibus (V fructibus); III 6, 26 sentiat (V sentiet: vedi sopra); ib. 59 fugit (V fugiet); IV 1, 18 dictat (V dicat); ib. 89 celerem ve (V celeremque); ib. 93 directo (V! direpto); ib. 131 linquit (V e G liquit); ib. 157 non unquam (V non numquam); ib. 162 nec (V neque); ib. 165 rigentes, con- ferma importante della prima manus di Ambr.; ib. 165 inter posita (V interposita); ib. 171 lenta (V leta); IV 3, 5 abducit (V adducit); IV 4,8 rabidis (V rapidis); IV 7, 1 pudori (V pudore). — Ag- giungi qualche caso dubbio come II 2, 19. Degli errori particolari di Ber. non crediamo di raccogliere qui l'elenco, perché in massima non hanno nessuna speciale im- portanza. Sono parecchi, ma non molti, e non li riportiamo anche per non dover ripetere in alcuni casi quanto abbiamo già detto di sopra, il dubbio se cioè siano sempre veri e proprî errori di trascrizione dall'originale. Dall’originale comune erroneo o illeggibile risultano pa- recchie lezioni di Ber., tra cui sentica di I 8, 51 che, per esser lezione comune coi Deteriores, non cessa di essere una lezione importantissima denotante lo stato dell'originale. In II 1, 11 il proterat esclusivo (o quasi?) di Ber. è altrettanto importante per la medesima ragione. A questa si aggiunga l’harerat di II 1, 58, errore esclusivo di Ber., il didens vomer vident di I 10, 49 pure — a quanto mi consta — lezione unica ed errore altret- tanto tipico. Anche il pervia di IV 1, 95 di fronte ad un pma di Ambr. e V (letto parma) è tipico errore di lettura del co- mune originale, per quanto non sia lezione esclusiva di Ber., e in IV 4, 13 il movet di Ber., secondo osservai di sopra, con- ferma, nell’incertezza di Ambr., lo stato dell'originale. Conferma dello stato (erroneo) dell'originale è anche il Ber. IV 5, 6 ne de di fronte a me de di Ambr. e al ne de di V. Notevolissima le zione erronea esclusiva, a quanto pare, di Ber., è il nuncium di III 1, 21, di fronte al meritum di Ambr. e V, pure erroneo. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 93 1462 FERRUCCIO CALONGHI Ber. derivante da un codice similissimo ad Ambr., ma non da uno sua copia, e forse da un parallelo di O, ci rivela qui lo stato d'incertezza della lezione originaria (meritum e nuncium non sono lontani nella scrittura). Nuncium sembra ad ogni modo lezione sincera, mentre meritam di G, V? e d’altri codd. è emendamento di meritum. Il Ber. ha anche qualche lezione non comune nei mss. e nelle prime edizioni a stampa, come il nulla haec di IV 1, 127, ib. 200 me letheas, il posthac que di IV 5, 16, e qualche altra, riportata sopra nella collazione. Le interpolazioni di Ber. non derivano, a quanto sembra, da correzioni ricavate da un codice unico e riportate da questo sull’originale suo diretto. Di un’ingenuità caratteristica sono il tondere di I 2, 86 (1) e il Tartara bipsata di II 3, 60, che non ho visto in altri codici; altre, come già dissi, punto esclusive di Ber., correzioni più che ovvie e indiscutibili di errori di scrittura del- l'originale comune, spesso compaiono anche in altri codici; altre pochissime risultano dall’accoglimento di un vocabolo mancante in Ambr., e forse nell’originale comune mancante o illeggibile, come è del labitur di IV 1, 169 e del vasti di II 4, 10, che sono forse interpretazione diretta dell’ originale semilacunoso. Altre sono probabilmente errori di lettura, se si pensi ad abbrevia- zioni male intese, come in II 3, 12 mihi tonse, e alla distanza che talora è tra una sillaba e la seguente pur d’una medesima parola: scambiare în con 1 è cosa presto fatta e la seconda forma vale mihi. Così potrebbe essere del tibî gemine (tergemine) di IV 1, 70, senza pregiudizio di quanto ho sopra annotato. L’ab- breviazione di tibi (un # sormontato da un piccolo î — senza il puntino —) e di fer (un # sormontato da un piccolo e) può essere facilmente scambiata, né è escluso il caso che l'originale desse un i senza punto attraversato da un’asticciuola a significare inter, letto malamente tibi. Il me letheas di IV 1,200 — in due (1) Non si tratta qui piuttosto di uno svarione? Ecco un caso, non unico, in cui non è facile decidersi tra errore e interpolazione. Né il Broukhusius, né l’Huschke, né il Wunderlich, né il De Golbéry conoscono la variante. Vedi quanto scrissi sopra nella collazione. Per me si tratta di errore. i ada IL CODICE BERIANO DI TIBULLO 1463 parole — non fa nessuna impressione di novità voluta, appunto per la distanza che talora si nota senza alcun motivo tra una sillaba e la seguente della medesima parola nei codici mss. (1). O il Ber. non fu felice nella lettura in tali casi, mentre Ambr. e V lessero meglio il comune originale (2), oppure Ber. ebbe sott'occhio un codice discendente da O in cui tal lettura era più difficile che nell'originale diretto di Ambdr. e in quello di YV, oppure Ber. deriva da un codice parallelo ad O direttamente o indirettamente. Certo — e gli esempi dati ne sono nuova prova — non è una copia di Ambr. e nemmeno di V. Le interpolazioni di Ber. si riducono dunque a ben poca cosa, e come abbiamo detto all’inizio del nostro studio, a qualche noterella marginale di un correttore, probabilmente del mano- scritto padre di Ber., un correttore prudente e di cultura limi- tata che mutò ‘quasi’ esclusivamente quanto gli parve di dovere in modo assoluto emendare di errori evidentissimi di scrittura, o di grammatica, o di metrica, o di omissione — in caso di correzioni naturalissime —, rispettando la tradizione sincera del testo, anche se erronea, con uno scrupolo di cui dobbiamo es- sergli grati. Dire senz'altro ch'egli corresse dove la facile con- gettura porge la forma buona, è esagerare grandemente. Ciò è vero per altri codici Tibulliani, è falso in generale per il nostro. Alcuni ben rari casi, come il mea pignorm cedo di IV 13, 17 (contro il credo di Ambr. e V), recano una lezione convalidata da tradizione antichissima; qui, come si disse, dal /y. Cuzacianum. In qualche caso per converso, più unico che raro, l'emendamento, benché largamente accolto, contro Ambr. e V, ma infelice, passò anche in Ber.; cfr. ad es. il Martis di Il 1, 88. (1) Abbiamo avvertito sopra a suo luogo che me /etheas non è lettura esclusiva di Ber.: tali invece sembrano mihi tonse e tibi gemin(a)e. (2) Che talora, notiamo bene, era erroneo. L’Accademico Segretario ETTORE STAMPINI. Atti della R. Accademia — Vol. LI. 93* INDICE DEL VOLUME LI. ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti al 31 Dicembre 1915 . 7 . Pag. IL PuspLIcazioNnI periodiche ricevute dall'Accademia dal 1° Gesta al 31 Dicembre 1915. : È 1 ; È È » XXVII PuspLicazioni ricevute dall’ a dal 13 Giugno 1915 al 18 Giugno 1916. ‘ , 5 ; s " X ; i ELI ADUNANZE: Sunti degli Atti verbali delle Classi Unite. . 4 È ai: gi 551, 654, 1057, 1214. Sunti degli Atti verbali della Classe di scienze fisiche, matema- tiche e naturali . : dy 57, 171, 261, 369, 453, 500, 561, 677. 799, 825, 891, 943, 1075, 1253. Sunti degli Atti verbali della Classe di scienze morali, storiche e filologiche : 51, 148, 238, 287, 388, 458, 528, 656, 715, 824, ‘868, ‘993, 1015, 1217, 1353. Circa la sospensione delle Memorie per l’anno in corso . : s 1057 ELEZIONI : Elezione del Presidente e del Vice Presidente . : s 1215 Elezioni a cariche accademiche nella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: di due Soci Delegati al Consiglio d’Amministrazione del- l'Accademia : ; È - 58 Elezioni a cariche di Soci tai Dianne di scienze ola sto- riche e filologiche: del Direttore di Classe . ; x s 2 ° - s ‘1218 del Segretario di Classe : 1218 Nomina di una Commissione per l'csmie dl caso del SI cor- rispondente R. Davidsohn, affinchè la Classe possa deliberare in merito . ; 3 1357 Elezione della RT. per ti revisione oi Ro dei premi . " ; 4 . | , Z : . s 655 INDICE DEL VOLUME LI. 1465 Ovoranze ad Augusto Conti é ‘ : : : ? . Pag. 1218 Premio Avoganro: Relazione sul Concorso al premio ‘ ‘ 1 1 . n 473 Conferimento del premio . < î x ; 4 ; e A! Premio Bressa: Relazione della 2% Giunta per il XIX premio (internazionale, quadriennio 1911-1914) —. 2 ; 4 ; x . si 0479 Conferimento del premio . È n 552 Regolamento interno per il STRA del premio : » 1059 Nomina della Commissione per il conferimento del XX premio (nazionale, quadriennio 1913-1916) . } 4 Sa Za 2a Premi GAUTIERI: Relazione della Commissione per il Eat di Filosofia (triennio 1912-1914) . : À î s 495 Nomina della Commissione per i premio per la uao (iteia 1913-1915) . x ; ì . 528,1218 Programma del premio per a VOTA (EEA 1913- 1915) » 550 Conferimento del premio di Filosofia . ù g s 558 Programma del premio per la Letteratura (triennio 1914- 1916) n 040 Regolamento interno per il conferimento dei premii : n 1062 Premio VALLAURI: Relazione della Commissione per il premio di Letteratura latina, 554 Conferimento del premio . : : ; s 654 Regolamento interno per il finivrinknto dei premi . ; s 1065 Premio PoLLINI: Relazione della Commissione per il conferimento del premio , 1071 Conferimento del premio . i i i ei. Regolamento interno per il lito sli premio : » 1068 ALgenga (Giuseppe). — Sulle linee d’influenza delle tensioni interne negli archi . : x ; . Pag. 454 — Sulla trave continua RE OTO e RIPIENE alia ; DO TAO Barzac (Fausta). — Sulla presenza di termini clinozoisitici nei gia- cimenti classici di epidoto di Val d’Ala (con 1 Tavola) . 21209 Baupi pi Vesme (Alessandro). — Fornisce alcuni particolari sul fiorino d’oro rinvenuto a Carignano e su le pratiche perchè sia conser- vato in Piemonte . È È i , è Pre 11); — Nominato quarto membro della Co per il premio Gau- tieri per la Storia 3 s ; 2 .IZI6 BerLese (Antonio). — Gli è conferito il XIX ca Be (qua- driennio 1911-1914) i : ‘ ; È A À : a 552 — Ringrazia : È i » : ? z : P . s 654 1466 INDICE DEI VOLUME LI. Berni (Emilio). —-. La “ condictio pretii, del processo civile giusti- nianeo (Contributo allo studio della “condemnatio pecuniaria postclassica ,) , ; a ì R : . Pag. 1019 — Responsabilità nossale o peculiare, e LES ACETI del pater (dominus) ne’ limiti dell’arriechimento in diritto romano classico, 1363 BrenrinEsi (Giuseppina). — Vincenzo di Beauvais e Pietro Dubois considerati come pedagogisti. Nota 1. y ) ps 6MIELI Boccarpi (Giovanni). — Saggio sulla Costante di e ifone: Nota Lig. 518 — Questioni di probabilità ; s -1139 BoseLLi (Paolo). — Parole prosastalie all’ PER dell’ anno acca- demico 1915-1916 . Y : a PENE PRI — Partecipa la morte del Socio ETTARI ved Schiff : :, 2 — Comunica le deliberazioni del Consiglio amministrativo dell’Ac- cademia riguardo alle pubblicazioni degli Atti e delle Memorie , 59 — Comunica il programma del Comitato Nazionale per la Storia del risorgimento . , i, 53 — Presenta con parole d’encomio il Saloni a I Meda: ri- sorgimento italiano, della Biblioteca civica di Torino a 2 Bai 54 — Partecipa la morte del Socio corrispondente Francesco Novati , 288 — Ringrazia per le parole indirizzategli in occasione dell’ insigne onorificenza concessagli da S. M. il Re , % « $ 288, 371 — Compiacendosi della commemorazione del Socio corrispondente G. Windelband, fa alcune osservazioni * ; : ) n! 389 — Commemora il Socio Fedele Savio 5 è i I , Juli Do2 — Invita la Classe a provvedere per una speciale commemorazione del Socio Fedele Savio . E sf 656 — Comunica con parole di compianto OLIO del Seng ori G. Riba, 923 — Partecipa di aver ottenuto dal Ministero dell'Istruzione che l’an- tico fiorino d’oro battuto dall’ Ordine di Rodi sia conservato al Piemonte ; A 5 ; ; È 3 È ; ne 2a — Presentando il libro di Michele Scherillo Niccolò Machiavelli. Il Principe e altri scritti minori, ne discorre facendo notare la dottrina e conoscenza che l’A. ha degli scritti del Machiavelli, 924 — Presenta il libro di Ferruccio Boffi intitolato Su le tracce della guerra e richiama l’attenzione su alcuni capitoli È E Paugia LIL Lr: — Motivo pel quale fu sospesa la Pr delle Memorie per l’anno in corso . L s 1057 — Parole RR LL anali la carica di Pit dell’ Ac- cademia . È piego -— Eletto Direttore della Vidas È scienze dt Do e ‘filolo- giche, salvo l’approvazione sovrana . È . è ; si LA4S Borrasso (Matteo). — Teoremi su massimi e minimi geometrici, e su normali a curve e superficie 844 BroxpI (Vittorio). — Per un commento alle leggi sa MANIE DO: beneficenza . 5 ; s 394 — Presentando quattro lia Mi a cura del dini degli Interni ne mette in rilievo la grande importanza . i n 388 ANSA INDICE DEL VOLUME LI. 1467 Brusxi (Angelo Cesare). — Appunti sullo sviluppo del sistema nervoso simpatico negli Amnioti. Note I e Il . . i + Pag. 969,1114 Caroweni (Ferruccio). — Il Codice Beriano di Tibullo. Confronti e osservazioni. Note I e Il. ‘ i; 4 È ; 11229, 1431 Camerano (Lorenzo). — Della posizione dei “fori palatini, nella partizione del genere Capra Linn. (con 1 Tavola) si rr 902 — Parole pronunziate per rallegrarsi, anche a nome dei Colleghi, col Presidente Paolo Boselli per l'alta onorificenza concessagli da S. M. il Re — Presenta la medaglia d’oro cont per E premio Prato con- terito al Prof. H. N. Morse . — Comunica una circolare della Stazione Sodo: di Nino + — Esprime al Socio Naccari vive uni per la morte in guerra del nipote . È ; — Eletto Presidente dell’ Acca no l'approvazione Sovrana , — Parole pronunziate per la sua elezione a Presidente dell’Acca- demia - ; 2 . CanteLLI (Francesco). — Resti Pane Badoo di quadratura ; Caranra (Sebastiano). — Sulle condizioni che caratterizzano una classe di grandezze ”» ” n Caarrier (G.). — Idrolisi pose ili con acido solforico . Po — Reazioni di nitrati i Di aioni a È n Ciò (Mario). — Sull’azione dell'anidride carbonica e del calcio sul- l’utero isolato ; È : È ” Carroni (Giampietro). — dii e giurisdizione — A nome dei Colleghi porge vive congratulazioni al Bividiate S. E. Boselli per l’insigne onorificenza conferitagli da S. M.il Re, — $i unisce a due commemorazioni dette dal Socio Stampini, ri- cordando altre benemerenze e contributi alla scienza dei due Soci stranieri Bréal e Foerster é — Presenta con parole d’elogio una TSE del Prof. DE Loan — Su l’importanza del libro del Prof. F. Ferrara: Teoria delle Per- sone giuridiche : si — Eletto Vice-Presidente dell’ RES RInC patto Lancia So- vrana x — Propone, e la Ciano, Sisalitania: ché siano NESTA felicitazioni ai Soci S. E. Boselli e F. Ruffini chiamati al governo della cosa pubblica . . . ” — Presenta, a nome della Gente uabuionale di assicurazioni per gli infortuni degli operai, il libro del suo Presidente On. Senatore C. Ferrero di Cambiano, il volume intitolato Per la riforma della legge infortunii e i due primi numeri della “ Rassegna di assicurazione e previdenza sociale , con parole di vivo encomio , Crccoxerti (G.). — Strumenti diottrici ad obbiettivo composto usati in Geometria pratica. Note I e II ; è i y .. 1197, 1854 1271 1468 INDICE DEL VOLUME LI. CoLonnerri (Gustavo). — Elasticità e resistenza degli acciai ad alto tenore di nickel. Note I e II : ; Ù : : . Pag.83,178 Derra Casa (Luciano). — Rapporto di grandezze eterogenee . pinto DenicoLar (Matilde). — La genealogia dei tiranni di Sicione secondo un nuovo frammento storico 4 s s gi 039 D'ErcoLe (Pasquale). — La morte di Gubtidlato Windelband. Com- memorazione . ì } ‘ > ; i , 389, 391 De Sanctis (Gaetano). — Riferisce sulle riforme da introdursi nei Regolamenti interni dei premi Bressa, Vallauri, Gautieri e Pollini . E : ; : È ; ; È : » 1058 — Aderendo alle onoranze ad Augusto Conti, fa alcune riserve , 1218 Erwaupr (Luigi) — Di un teorema intorno alla nazionalizzazione della produzione . : - - n CO29 — Presenta ed illustra liAnala 1915 della Rivista La Riforma sociale , . È 460 — Con canto di encomio pica ;l sn a alla iaaotta Rivista compilato dal Prof. R. Bachi col titolo: L'Italia econo- mica nel 1914 : : 5 : ? ò È Piga: cl: — Con parole di vivo elogio presenta pure un altro SRERPRCAN alla suddetta Rivista col titolo: Corso dei titoli di Borsa in Italia dal 1861 al 1912 del Dr. A. Necco, morto gloriosamente il 9 set- tembre 1915 al Passo della Sentinella 3 . x : 1 46 — Esprime il voto che nell’avvenire si dedichi una trattazione ap- posita al problema della tassazione delle persone giuridiche , 1017 — Esposizione finanziaria dell’esercizio 1915 e bilancio preventivo dell'esercizio in corso — Gestione delle eredità Bressa, Gau- tieri, Pollini e Vallauri : 3 : . È è s 1097 FerraBIno (Aldo). — La cronologia dei primi Tolemei : - n 343 Frari (Carlo). — Ancòra per l’epistolario di Carlo Botta . È 2 SIRIO Fugini (Guido). — I teoremi di Bernstein e Pringsheim per lo svi- luppo in serie di Taylor . : 896 GuarescHi (I... — Delle singolari proprietà PA ale Ra REC Note I TIE, : ; è È . 4, 59, 263, 1094 — Esperienze ed osservazioni pae alle BERTI delle terre alca- line con gli alcali . . ; i = : : È - rn gii 9, — Alcune osservazioni sulla tirosina . o : a x i; ani BA — Azione dell’acido solfidrico sulle miscele delle terre alcaline con gli alcali e con gli ossidi dei metalli pesanty (Nota iti RIPA sy. 951 — Rileva l’importanza di due volumi di corrispondenza del Berzelius inviati in dono dal Prof. H. G. Séderbaum E È È n 2 — Facendo omaggio del suo lavoro: J. IL. Berzelius e la sua opera scientifica, con brevi cenni sulla Chimica nella prima metà del se- colo XIX, rileva l’importanza delle scoperte di Berzelius. pae 261 IssogLio (Giovanni). — Sopra un nuovo metodo per l’analisi dei grassi irranciditi . : E i 3 ; i, £ È , 582 sii INDICE DEI, VOLUME LI. 1469 Japanza (Nicodemo). — Il cannocchiale Panfocale di Porro e due problemi sull'anallattismo . i \ $ x 5 . Pag. 378 — Ignazio Porro. Notizie biografiche . ) ì 3 i ge 1077 — Note illustrative alla Biografia di Ignazio oi : y\-1255 — Riconfermato per un nuovo triennio delegato della Claden; presso il Consiglio di Amministrazione dell’Accademia ; L 58 LencHantIn pe GusernatIs (Massimo). — Il nuovo storico di dialade e la dinastia degli Ortagoridi A A < È P x n 12305 — Noterelle fonetiche . 3 A lav. 498 MartiroLo (0.). — Dona il ritratto dal i alibiioo o Giampietro tion Dana che fu Socio dell’Accademia : È 3 Menzio (Pier Angelo). — Cenni sulle Carte e sui Masfiolicnitti Gio- bertiani. Note I e Il . % , j : 659, 77: Mrrrag-LeFFLER (Gustavo), Socio esta init — lbs con lettera l'Accademia che con la sua Signora ha legato la loro biblioteca e villa a Djursholm e tutto ciò che possiedono ad un’istituzione internazionale per le matematiche . : sn 1258 Mosi (Arturo). — Le prime categorie naturali o i PE ata spazio, tempo e moto, secondo la filosofia hegeliana. Note I e II 870, 928 Morse (H. N.). — Gli è conferito il premio Avogadro . : sun ‘70 — Ringrazia . - " Er SII Naccari (A.). — ione chi concorso ali premio sinto 2 ih 479 — Relazione della seconda Giunta per il XIX premio Bressa (qua- driennio 1911-1914) È i : P aa 419 Paxerti (Modesto). — Sul problema dimanieo ici tabiamni epici- cloidali . ; : ? n 0908 Parona (C. F.). — ati Bali Genie E oigfogioo 4 3 si. .949 — Nuovi fossili del Miocene di Rosignano Piemonte ; 4 ay 969 Parerta (Federico). — Di alcune poesie di Gaspare Tribraco in onore dei Gonzaga 4 ; s 462 — Dichiarazione di principii d’una VS di ticHari italiani in Londra nel 1823 . 7 s 1389 — Rileva l’importanza del PREC Lo Wattiuto dall Uitiine è Rodi, rinvenuto a Carignano . : , o E : # i s 656 — Rcerreini (F.) e Srorza (G.). — Relazione della Commissione per il premio Pollini . ° s 1071 Peano (G.). — L'esecuzione Cota delle Bimbi Malaria gl CA PeLazza (Aurelio). — Glì è conferito il premio Gautieri per la Filo- sofia (triennio 1912-1914) 4 , d n 998 PeLazza (Vedova). — Ringrazia per l’annunzio dutole bite gl figlio suo, morto combattendo, fu assegnato il premio Gautieri o sn 654 Poi (Cino). — Un teorema di esistenza per equazioni integrali non lineari . È ; 912 Praro (Giuseppe). — Sulle premesse dolitghione del dotto agli lettivo di lavoro. Appunti critici - 4 s 306 — Ancora sulle premesse economiche del Contatto Colietavo di lavoro. Nota II. : : s A è Ò : È n° 399 1470 INDICE DEL VOLUME LI. Prato (Giuseppe). — Presenta la traduzione in lingua francese del suo libro L’'Occupation Militaire dans le Passé et dans le Présent. Barbarie ancienne et civilisation moderne, fatta da (>. Bourgin Pag. 926 Quercia (Emanuele). — Su un notevole cristallo di gesso di Bel- lisio (Pesaro) . : s 606 Rarnarpi (B.). — La durata Fit Sgbaderi del ‘Sole cata" Ra di Torino nel sessennio 1899-1902, 1904-1905) " : : 211310 Ricci (Carlo Luigi). — L'equilibramento delle masse rotanti a grande velocità. Nota I. 2 ; 5 ; 92 — L'equilibramento delle masse SURE a pini Meldcita: Il PRIN metro stroboscopico a ciò destinato. Nota II . , 4 188 Roccati (Alessandro). — Ricerche lito-mineralogiche sopra sicndi pozzi profondi della pianura padana. - III. Pozzo di Saluggia , 826 Rosati (Carlo). — Sulle corrispondenze plurivalenti fra i punti di una curva algebrica . i Ù É 3 : : 5 n 991 Rossi (A. G.. — Un trasformatore dinamico per correnti alternate. Nobe*TCe dl" >. E x x : ; ; 624, 807 RostaGnr (A.). — La composizione > delle “ Dirae , pseudovergiliane , 1044 Rurrisni (Franc.). — Ricorda la genialità che informa tutti gli scritti del Windelband . : x , A 389 ”» — Ricorda il Dr. A. Necco, Lai ale ISIN: commemorative dette dal Socio Finaudi BAN: (0) | — Presenta, anche a nome del Socio DaziE il libro del Prof. "poi cesco Ferrara Teoria delle persone giuridiche e ne rileva l'im- portanza È : 7 : h ; ; x ; : LUO — Vedi Parerra (F.), Rurrini (Fr.) e Srorza (G.) CRCLONA SaBBapINI (Remigio). — Gli è conferito il premio Vallauri per la Letteratura latina (quadriennio 1911-1914). e : - 654 — Ringrazia . 5 3 3 677, 715 Sacco (Federico). — Spbaati seni di Labrodon e di 'Chrysophrys del Pliocene italiano . A 4 : 4 9 : “ro LT SaLvaporI (Tommaso). — PPMIAONS per un nuovo triennio a De- legato della Classe presso il Consiglio d’Amministrazione del- l'Accademia ; s ; > ° L 3 Li 58 Scrarora (Vittorio), Socio nazionale non residente. — Riconosce il merito del libro del Prof. F. Ferrara Teoria delle Persone giu- ridiche; espone, per altro, parecchie osservazioni e riserve sulla teoria quale è concepita dall'autore . 3 ; A g1016 Sere (Corrado). — Rileva i pregi dell’opera, offerta: i in e all’Ac- cademia dal Socio corrispondente Enriques, intitolata: Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche , 261 — Presenta con parole di lode I primo libro degli Elementi di Eu- clide pubblicato a cura di G. Vacca . > 500 — Informa la Classe dell'importante dono fatto dal muti E. D’ Ovidio delle intere collezioni del “ Giornale di matematiche , e degli “ Annali di matematica , » 1254 lente] » iii INDICE DEL VOLUME LI. 1471 Srorza (Giov.). — Presenta una pubblicazione del Socio corrispondente A. Luzio su Isabella d'Este, indicandone i notevoli pregi . Pag. 715 — V. Parerta (F.), Rurrini (Fr.) e Srorza (G.). SoLazzi (Siro). — Le nozze della minorenne . n 749 Somreciana (C.). — Sulle derivate seconde della fifhoione rotante di superficie . : 501 — Sulle derivate seconde della fitmviche potenziale di doppio ‘itato newtoniano . È * : $ ; PANTSUO — Sulle discontinuità dei plienialali dei { »s 1330 Srampini (Ettore). — Il Codice Bresciano di Catullo. Osservazioni e confronti. Note I e Il ; ( i 149, 239 — De Vallauriano praemio adiudicando liane lauinr in quadrien- nium 1911-1914 proposito (a. d. X. kal. Mart. an. MOMXVI) n° 554 — Iscrizione per onorare Paolo Boselli e per la gloria dell’esercito, dell’armata e della flotta aerea combattenti per la patria , 1358 — Dà notizia del verbale del Consiglio Provinciale di Torino nel quale S. E. Boselli commemorò il Senatore T. Villa . E È 53 — Comunica la lettera dell’ ©“ Académie Chablaisienne de Thonon: Les-Bains , e la risposta in cuì si ricordano i vincoli antichi che legano i Savoiardi all’Italia . ì î 5 53 — Presenta un ordine del giorno motivato dal disco i ormzial dal Presidente all’inaugurazione dell'Anno Accademico È 53 — Presentando il vol. I dell’ Epistolario di Guarino Veronese, rac- colto, ordinato, illustrato dal Socio Sa” Prof. R. Sab- badini, ne rileva la grande importanza . 54 — Dà lettura di una lettera del Socio nazionale non Sogiticnt Pio Rajna . 7 : 148 — Presentando la Relasiia a Satipa da Piitaiazito SÌ E. Paolo Boselli “ agli onorevoli membri del Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento , ne discorre e presenta con parole di encomio varii scritti offerti in omaggio dal Prof. E. Cocchia , 289 — (‘ommemora brevemente il Socio straniero Michele Bréal . 11 409) — Rivolge pure un mesto pensiero al defunto amico e Socio stra niero Wendelin Foerster Ì E a ; Ì TM A09 — Propone che sia nominata una Commissione per stai even- tuali riforme ai vari Regolamenti dei premi . 01/655 — Presentando le pubblicazioni inviate da (G. Bindego,” Bi Basi e C. Pascal, ne discorre con parole di lode . ; 716 — Sperando che si possa ancora ottenere dal Ministero sb il divina d'oro dell’Ordine di Rodi sia conservato in un Medagliere del Piemonte, si fa promotore di un ordine del giorno al riguardo , 857 — Parole pronunziate presentando il volume di Étienne Moreau- Nélaton La CathéAdrale de Reims . & a 824 — Dando notizie della salute del Socio ri ERO a nome suo il volume La geografia dell’Africa orientale secondo le indi- cazioni dei monumenti egiziani . n 868 — Presenta con parole di vivo encomio i SIETTÀ libri e ne di- scorres il discorso di Ugo da Como Mentre si combatte; i lavori 1472 INDICE DEL VOLUME LI. di G. Zuccante Antistene; di A. Beltrami, L. Annaei Senecae ad Lucilium Epistularum moralium libros I-XIII ad codicem prae- cipue Quirinianum recensuit.. ; . Pag. Srampini (Ettore). — Notifica ci il Gomitito per la Storia. del Ri. sorgimento inviò all'Accademia un discorso detto dal Presidente S. E. Boselli su Bonaventura Zumbini — Presenta con parole d’elogio una recentissima Bibliografia praga diana del Socio corrispondente G. Biadego £ : ‘ — Appoggia la proposta Vidari per le onoranze ad A. Galati è I — Eletto Segretario della Classe, salvo l’approvazione Sovrana , — Crede di avere interpretato l'animo dei Colleghi dettando in lingua latina un’epigrafe in onore di P. Boselli e fa precedere la lettura da alcune sue parole 3 : } 3 5 — Comunica una lettera del Socio G. Sforza sul fatto del Socio corrispondente Roberto Davidsohn 7 , { 7 È TanrurrI (Alberto). — Radici di numeri pila ed estrazione abbreviata della radice quadrata ; i 1 Tavani (F.). — Intorno alla teoria delle funzioni ro) e sue tolezioni con altri integrali definiti . è 4 Terracini (Alessandro). — Sulla Tappi delle ford qua- ternarie mediante somme di potenze di forme lineari ; 3 — Alcune questioni sugli spazi tangenti e osculatori ad una varietà. Nota Il . ; } } z Vacca (Giovanni). — Sul pria radi al di 17 lati Vergerio (Attilio). — Sull’equazione integrale di Fredholm di se- conda specie î À , ; ? ? 5 ; 1 bi Vipari (Giovanni). — Relazione della Commissione per il premio Gautieri per la Filosofia (triennio 1912-1914) . . : 8 — Propone che la Classe si associ alle solenni onoranze che saranno rese ad A. Conti . ” b — Associandosi alle parole PR del Windelband, ‘fa al. cune osservazioni . 3 , g — Parole pronunziate gatta i sini suoi Miti: Dottrina del diritto di E. Kant tradotta in italiano; Per l'educazione na- zionale Virari (Giuseppe). — I ‘olii dellla si e di Rolle Da una let- tera al Prof. Guido Fubini) 3 È > i ks Zuccai (Mario). — Gli è conferito il premio Poltivi i | A L — Ringrazia . ; - ; E ì ; 5 £ : 3 3 Inpice del volume Ll . : ) è : È . ; & 926 1017 1017 1218 1218 1353. 1357 1153 38 643: 695 513. 227 495 1218 389 1355 145 1215 1253 1464 DELLA © REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE #7 È ATA rt. CÒ DI TORINO LS PUBBLICATI RE d DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI RIOT Voc. LI, Disp. f?. 1915-1916. di ù < te —. da ®» Li de ‘ieri ir. = ò TORINO Libreria FRATELLI BOOCA Via Carlo Alberto, 3. 1916 . SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. i Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza dell'11 Giugno 1916, . Pag. Japanza (Nicodemo). — Note illustrative alla Biografia di Ignazio Porn et È Cicconetti (G.). — Strainenti dilviici ad sibile: isa usati Ù in Geometria pratica. Nota ll. $ 3 F , 1270 : Rarsarpi (B.) — La durata dello splendere del Sole cull’orisonte di di Torino nel sessennio 1899-1905 (manca l’anno 1903). ; , 1810 ° SomreLiana (Carlo). — Sulle discontinuità dei potenziali elastici , 1330 È È È 3 Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, “DI Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 18 Giugno 1916 . Pag. 1358. e Srampixi (Ettore) — Per onorare Paolo BoseLli e, per la, gloria del. i CA ‘T'esercito, Spara e "della ‘pia aerea coppette per. la i patria. IA CaironiI (Giampietro) - Competenza | e giurisdizione, ; ; »s 1861, Betr (Emilio). — Responsabilità nossale o peculiare, e responsabi: lità del pater (dominus) ne' limiti dell’arricchimento in diritto romano classico . È a »s 1363 ParertA (Federico). — Didiiitazione di principii a una Vendita di Carbonari italiani in Londra nel 1823 s i ; » 1389. Brexrimesi (Giuseppina). — Vincenzo di Beauvais e Pietro Dubois considerati come pedagogisti. Nota I . ; : 1411 Caconezi (Ferruccio). — Il Codice Beriano di Tibullo. Confronti ie v osservazioni (Nota Il) . x 2 a v ) ; > A Indice del Volume LI . ) 1 i ; È È ; ; z i Ù Mi: nea end "a o Do Cd 5N #S ci x se 163 it e . ca Vel a * sa xs a < x, Li mal le det: ita di Sa RrTA, Ò ps ‘ è LUI 10