Cage eci È pe seri Ù Ù f ti Ì il 1 ' Ù Ù . Ù ‘rità cp34 LI ® Laden pini betei .j0t<3078. Mata “I nt SII ha ; i NACI . MINELLI n pot li > SCATTO TRTZLI ; a pai sinti; Ù a Lita su : n È o l'9if® i i Vili i ppi { di ei eu Gira IATA Rx i ii Ù] ù : : LALS no i i ni ti A x fio tte ae Dppegr " RENO At po , si e (LA ir] Mrs; RETTELAI POR-CEHE PROPLE FOR. EDVCATION FOR SCIENCE OF THE AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY BY GIFT OF OGDEN MILLS Lili IV REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI:CIO BILI PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI pe DI pi VOLUME CINQUANTOTTESIMO 1922-1923 TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto, 3. 1923 ELEZIONE | 1783, 25 luglio fel 1788, 30 novembre — 1801, 24 gennaio ; (4 piovoso a. IX) 1801, 15 febbraio 1815, 25 novembre 1 1897,26 , R1898. 18... 1851, 18 dicembre 1864, 1° maggio PRESIDENTI DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO dalla sua fondazione PRESIDENTI PERPETUI( Saluzzo di Monesiglio (conte Giuseppe Angelo). Offrì le dimissioni dalla carica e furono accet- tate (7 settembre 1788) conferendogli il titolo di Presidente emerito. La Grange Tournier (Giuseppe Luigi), Onorario. Merozzo di Bianzé (conte Carlo Lodovico). Saluzzo (cittad. Sao Giuseppe) ex-conte di Monesiglio. Col Regolamento del 26 piovoso anno IX (15 febbr. 1801) essendosi stabilito che l’Accapemia NazionaLE rinno- vata ‘col Decreto della Commissione esecutiva del Piemonte del 22 nevoso anno IX (17 gennaio 1801) non avesse più che due presidenti di classe, cessa- rono queste funzioni del Saruzzo. Bonaparte (Napoleone) primo console della Re- pubblica Francese, Onorario. Balbo di Vinadio (conte Prospero). Lascaris di Ventimiglia (marchese Agostino). Saluzzo di Monesiglio (conte Alessandro). Plana (barone Giovanni). Selopis di Salerano (conte Federigo). A (*) Dal volume Il primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino. z Notizie storiche e bibliografiche (1783-1883). Torino, 1883, pag. 141. RLEZIONE 1879, 9 marzo 1882, 12 febbraio 1883, 6 maggio 1885, 12 aprile 1888, 8°, 1889,,28 =, 1891, 24 maggio 1894, 24 giugno 1895, 13 gennaio IB99r 9 Mollo, 1902, 14 dicembre 1904, 21 febbraio 1907, 17 marzo 1910, 24 aprile 1918, 18 maggio (91028, 1918, 3 febbraio 1919, 7 aprile 1922, 7 maggio (*) A norma dell’art. 3 dello Statuto della Reale Accademia delle Scienze SL NO SES PETE LI, STI 9 I ASI SE 3 x ALIA d "hl "a i f = = ; PRESIDENTI TRIENNALI © Ricotti (Ercole). Ricotti (Ercole) rieletto. Fabretti (Ariodante). Genocchi (Angelo). Genocchi (Angelo) rieletto. Lessona (Michele) termina il 2° triennio iniziato dal GeENOCCHI. Lessona (Michele). Lessona (Michele) rieletto, + 20 luglio 1894. Carle (Giuseppe). Carle (Giuseppe) rieletto. Cossa (Alfonso) + 23 ottobre 1902. D'Ovidio (Enrico) termina il triennio iniziato — dal Cossa. 4 D’Ovidio (Enrico). D’Ovidio (Enrico) rieletto. Boselli (Paolo). Boselli (Paolo) rieletto. Camerano (Lorenzo) { 22 novembre 1917. Naccari (Andrea) continua il triennio iniziato dal CAMERANO. Naccari (Andrea). | Ruffini (Francesco). di Torino, approvato con R. Decreto 2 febbraio 1882, il Presidente dura. in carica un triennio e può essere rieletto per un altro triennio. SÙ RR ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI aL 31 Dicemsre 1922 NB. — Negli elenchi degli Accademici la prima data è quella dell’elezione, la seconda quella del R. Decreto che approva l'elezione. PRESIDENTE Ruffini (Francesco), Senatore del Regno, Professore ordinario di diritto ecclesiastico nella R. Università di Torino, Grand’ Uff. & e em. — Torino, Via Principe Amedeo, 22. i , Eletto alla carica il 7 maggio 1922 per il triennio dal 20 aprile 1922 al 19 aprile 1925. i Vice-PRESIDENTE Parona (Nob. Carlo Fabrizio), Professore ordinario di Geologia nella R. Uni- versità di Torino, Comm. # e em. Eletto alla carica il 7 maggio 1922 per il triennio dal 20 aprile 1922 al 19 aprile 1925. TESORIERE Prato (Giuseppe), Professore ordinario di Economia politica e Scienza delle finanze nel R. Istituto superiore di Studi commerciali di Torino, @®. — Via Bertola, 37. ; Rieletto alla carica il 9 luglio 1922 per il triennio dal 1° luglio 1922 al 30 giugno 1925. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. ha CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATRMATICHE E NATURALI Direttore Segre (Corrado), Professore ordinario di Geometria superiore nella R. Univer- sità di Torino, # e Comm. es. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 85. Eletto alla carica l’11 aprile 1920 per il triennio dal 9 febbraio 1920 all’8 febbraio 1923. 7 PS Segretario n » Se interessa invece conoscere la linea dei contatti su di una sezione piana S, normale a is e parallela a î,, si può fa- cilmente anche a tale fine valersi delle proprietà sopra dette. Basterà considerare vari piani come TT e trovare su ciascuno di essi il punto d’incontro dell’iperbole luogo dei contatti colla retta d’intersezione del piano TT col piano S. Con opportuni accorgimenti l’operazione riesce più semplice e più esatta di quella che giunge alla linea dei contatti deter- minando prima la intersezione della superficie elicoidale della vite col piano S; riesce in particolar modo utile considerare, al posto delle iperboli luoghi di contatti sui vari piani TT, le loro pro- iezioni su S che sono ancora iperboli, affini alle precedenti, e determinabili con ugual facilità. Così pure, se la superficie attiva, sempre elicoidale, ha ge- neratrici (ossia traccia su TT) curvilinee, come conviene per valori molto grandi di pi, si può valersi di quanto detto sopra per determinare la linea dei contatti. Basterà conoscere la traccia s, od avere anche semplicemente il valore dell’an- T n È: . . golo mann * che una tangente ad s fa coll’asse ?,, in funzione della distanza OP senf del punto di tangenza da ?,. Su di una retta parallela a i, sarà punto di contatto l’in- tersezione della retta stessa colla iperbole che sarebbe luogo dei contatti sul piano TT contenente ?, e la retta data, per una ipotetica superficie attiva a elicoide conoide, avente generatrici . . . = TT i , . inclinate di > —? sull’asse. In altre parole, la costruzione per punti della curva cercata è la stessa che si seguirebbe per una vite a generatrici rettilinee, quando si descrivesse per punti la iperbole luogo dei contatti per mezzo delle sue intersezioni con delle parallele a ?î,, colla sola differenza, che bisogna per ogni parallela considerare un diverso valore di 3. CONTATTI NELLA COPPIA VITE-RUOTA ELICOIDALE 9 Filetto globoidale. Il metodo sovra esposto si può applicare anche al caso della coppia comunemente detta a “ filetto globoidale , che dif- ferisce dalla vite perpetua comune in quanto al posto di una vera vite si ha un elemento, pel quale ammettiamo la genera- zione seguente (conservando ai simboli il significato già visto). Tracciamo in un piano contenente i, e normale a ?, un profilo di ruota dentata a fianchi generalmente rettilinei, con centro in 0, traccia di i, sul piano. Immaginiamo di far ruotare il piano suddetto intorno a î, con velocità angolare w, e contemporaneamente di far ruotare il profilo dentato intorno a 0 con velocità angolare ws, sup- posti w, ed w» tali che ad ogni giro completo del piano intorno a % corrisponda una rotazione intorno a O, uguale ad un passo del profilo dentato, o ad un multiplo di esso. Detto profilo muovendosiin tal modo nello spazio genera la superficie at- tiva del filetto globoidale. Può interessare di ricercare anche in questa coppia gli even- tuali contatti in piani diversi da quello normale a i, e passante per i,, i nel quale evidentemente le tracce i della ruota e del filetto sono per intero combacianti. Preso un piano IT, come già visto, inclinato di © sulla normale comune agli assi, ecc., ece., chiamato O; il centro del profilo generatore (che è la traccia della superficie del filetto su TT), le componenti della velocità relativa di un punto P di contatto conservano i valori del caso precedente, cioè: 0: normalmente a TTT w, PO senB + ws PO cosf sen @; su TT rotazione intorno ad 0; con velocità angolare — ws cos gp. 10 OTTORINO SESINI — CONTATTI NELLA COPPIA, ECC. Il piano tangente in P alla superficie attiva è individuato dalla tangente # alla traccia s e da una retta #, normale a PO, e inclinata sul piano IT di un angolo vy definito da w, PO sen B TE Sp 8 Li Wa POo (£ è tangente alla traiettoria di P nel moto di generazione del filetto). Decomponendo la velocità di P secondo # e #, la compo- nente secondo # dà proiezione w, PO sen B + w, PO cos f sen @ sulla normale a TT, e perciò proiezione su TT: (w, PO sen B + ws PO cos 8 sen 9) ctgy = = Po(i+ 8 ) diretta normalmente a PO, che possiamo ritenere dovuta ad W, sen @ una rotazione intorno ad 0, con velocità — ws (1 ig dept l (cioè in senso contrario alle lancette dell’orologio). La differenza fra questa rotazione e quella del moto rela- tivo nel piano, deve far muovere P secondo #'; tale differenza è una rotazione intorno al punto 0', situato su 00, a distanza da O verso 0;: W, sen = d— w; SELEO un (147 tg B ann ved d Wy sen® 7a w, 1—cosg UWy (i + dp, Wy COS o) 1+ 7A RO tg B La normale in P alla traccia s, se P è punto di contatto, deve passare pel punto 0' ora trovato. Al variare di B, O' de- scrive una punteggiata omografica col fascio delle rette PO. Questa proprietà può servire a tracciare su TI la linea dei contatti, che non risulta in questo caso una conica, per il fatto che la traccia s, pur essendo rettilinea, non rimane nei suc- cessivi istanti, parallela a sè stessa, ma si mantiene col suo prolungamento tangente ad un cerchio di centro Op. Ad ogni modo, su ogni retta passante per O, si riesce colla proprietà ora enunciata a determinare il possibile punto P di contatto. Restano poi, come già si disse, da considerare le eventuali interferenze che possono praticamente annullare parte dei con- tatti ora determinati. dentate vii Osservazioni sulla Spermiogenesi di Epinaceus Nota del Dott. LUIGI COGNETTI DE MARTIS Presentata dal Vice Presidente Parona per conto del Socio Salvadori I fenomeni complessi e sommamente interessanti che si svolgono du- rante la evoluzione dello spermatidio in spermio sono stati a più riprese descritti anche nei Mammiferi. Il lavoro di Meves (1899) sulla struttura e l’istogenesi dello spermio della cavia è un eccellente modello al quale i trattatisti hanno attinto ampiamente. Si deve a quell’autore la distinzione di quattro periodi nella spermiogenesi dei Mammiferi: i tre primi sono fra loro delimitati dalla comparsa e successiva scomparsa della manchette caudale, ben prodotta durante il secondo periodo, il quarto comprende le trasformazioni che subisce il prospermio dopo che s'è liberato dalla massa citoplasmatica. La manchette è stata da Meves studiata minuziosamente anche nella sua formazione a spese di filamenti che appaiono nel citoplasma ordinati in modo caratteristico attorno alla calotta nucleare destinata a diventare la parte posteriore del capo dello spermio. L'origine citoplasmatica dei filamenti venne in seguito confermata da Durssera (1908) (1) pel Mus decw- manus. Poco dopo van Motcé (1910) affermava invece che “la manchette dont son origine è un bourrelet nucléaire équatorial chez l’écureuil, la cobaye, la taupe et le rat et que probablement il en est ainsi chez tous les mam- miferes ,; essa nelle specie nominate “ est formée d'une membrane double , fra i cui foglietti si trova una sostanza liquida jalina da considerarsi quale succo nucleare, mentre la membrana per “ nature et origine , è del tutto simile alla membrana nucleare. È nota la severa critica mossa da Durssera (1910) a van Motté dopo avere esaminato i preparati che suggerirono a quest’ultimo autore le affer- mazioni sopra riferite: particolarmente pel topo Duessera poteva contrap- porre minuziose osservazioni personali pubblicate in precedenza. (1) Duessera da una revisione critica dei lavori sulla spermiogenesi dei Vertebrati comparsi dopo il lavoro di Meves sopra citato. Pd 12 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS Per ciò che riguarda in particolare i rappresentanti della famiglia degl’Insettivori pare manchino nella letteratura osser- vazioni di altri autori atte ad un preciso confronto con la descri- zione e le figure di van MoLLé per dimostrarne, se pure è necessario, la insostenibilità. Dal canto mio ho potuto studiare la spermiogenesi dell’Erinaceus europaeus valendomi di sezioni (5-10 u) di materiale fissato con formol picro-acetico di BouIn o con la miscela di Maximow-Levi. Come coloranti delle sezioni usai l’ematossilina ferrica HemDENHAIN o l’emallume in contrasto con colorazioni date da eosina, o da fucsina acida, o da rosso Bordeaux ecc. L'esame delle sezioni anche con forti sistemi ottici mi ha concesso di riconoscere delicate particolarità, e con esse la di- mostrazione che nell’Erinaceus la manchette non si forma nel modo descritto da van MoLLé per la talpa, ma deriva da fila- menti simili a quelli dimostrati da Meves e da altri. Potei pure riconoscere speciali caratteristiche relative all’apparato centriolare e alla definitiva costituzione dello spermio. I filamenti destinati a formare la manchette cominciano a delinearsi quando la forma dello spermatidio da sferoide s'è fatta ovoide, con assi di circa 8 e 12 u, in accordo colla disposi- zione marginale del nucleo ancora tondeggiante (diam. 4 p). Quest'ultimo mostra allora la cromatina suddivisa in grani di- stribuiti irregolarmente nel lume nucleare, mentre una parte di essa è addossata alla membrana a formarvi una lamina ben sovente un po’ più sottile nella calotta nucleare distale che in quella rivolta al centro dello spermatidio (fig. 1 a, è). Nel cito- plasma è riconoscibile il residuo globoso dell’idiozoma, poco colorabile; l’acrosoma ha già preso la posizione definitiva al- l'apice anteriore del nucleo. Il filamento assile ha decorso retti- lineo o quasi nella massa citoplasmatica: al suo estremo rivolto al nucleo trovasi l’apparato centriolare, costituito e disposto un po’ diversamente da quanto ha descritto e figurato Meves per la cavia. Il centriolo prossimale è anche qui bacillare ed applicata alla membrana nucleare a produrvi una lieve salienza verso l’interno. Il centriolo distale non è “ hakenfòrmig , e di- viso in ramo verticale e ramo orizzontale, esso ha forma di granulo un po’ allungato in senso radiale rispetto al nucleo; la sua porzione più lontana da quest’ultimo, e un po’ ingrossata, i Pe id cn OSSERVAZIONI SULLA SPERMIOGENESI DI ERINACEUS 13 darà luogo più tardi all’anello. I filamenti destinati a formare la manchette hanno una lunghezza pari a circa metà del :dia- metro nucleare. Il loro numero, dapprima assai scarso (3-4), aumenterà un po’ in seguito; la loro direzione, subtangenziale rispetto alla superficie del nucleo, corrisponde a quella trovata da Mevrs nella cavia. I filamenti in parola trattengono l’ema- tossilina ferrica, ma meno tenacemente che la cromatina. Nello stadio sopra riferito lo spermatidio di Erinaceus rassomiglia molto a quello di Mus descritto e figurato da DursBERG (1908, tav. 8, fig. 10). In altro stadio, di poco ulteriore, 1 filamenti destinati a formare la manchette, tuttora in scarso numero, si presentano più allungati (fig. 2). L’allungamento s'è effettuato nel loro tratto più lontano dal nucleo, mentre il tratto accollato alla mem- brana nucleare si mantiene con l’estremità su per giù all’altezza dell'equatore nucleare, inteso come polo il centriolo. Di regola le estremità in parola sono un po’ più ravvicinate al polo nucleare opposto al centriolo. Il parallelo in cui esse giacciono segna il limite di una sottilissima calotta di citoplasma che riveste la porzione distale del nucleo: in quella calotta si plasma il cap- puccio cefalico. Il nucleo da sferico s'è fatto leggermente ovoide. Segue a questo stadio la comparsa della manchette come formazione tubulosa a parete semplice. Si effettua frattanto una spiccata deformazione del nucleo che da ovoide diviene lenti- colare. Visto di faccia (fig. 3 5) esso mostra contorno ovale, tronco, e lievemente incavato nella parte posteriore. Il filamento assile parte non dal punto mediano della incavatura, bensì un po’ lateralmente a questo. Visto di profilo (fig. 3 a) il nucleo appare acuminato in avanti, tronco posteriormente (1). La lun- ghezza del nucleo è di u 3,5, la sua larghezza di u 2,7, il suo spessore massimo di u 1,4: queste misure subiscono leggere varia- zioni. Il cappuccio sporge in avanti per circa 1, accompa- gnando con curvatura un po’ più accentuata quella del nucleo. (1) Va qui ricordato il fatto, già noto per altri Mammiferi, che i capi dei futuri spermî, convergenti alle cellule di Sertoli, sono per lo più or- dinati col-loro piano maggiore in piani radiali dei tubuli seminali, sicchè in sezioni trasverse di questi ultimi si vedono in prevalenza capi di pro- filo (fig. 3a). 14 LUIGI: CUOGNETTI DE MARTIIS È in tal modo ultimata la forma del capo del futuro spermio: rimando per questa alla descrizione di RerzIus (1909, p. 131) (1). q LC. de M. dis. Fig. 1-10 spermiogenesi di Erinaceus europaeus, vedasi la spiegazione nel testo. Tutte le figure vennero disegnate alla camera lucida facendo uso dell’obb. apocr. imm. omog. Zeiss 2 mm. apert. 1,80 combinato coll’ocul. compens. 12 di Koritzka; ingrandimento circa 2000 diam. La manchette, che avvolge circa la metà posteriore del nucleo protendendosi nel citoplasma, ha raggiunto il massimo sviluppo: essa offre in sezioni trasverse una figura nettamente ellittica in accordo con la deformazione subìta dal nucleo. La massa citoplasmatica, di forma ovale allungata, lascia sporgere (1) Non ho potuto consultare il lavoro di C. M. Fiirst citato da questo autore. OSSERVAZIONI SULLA SPERMIOGENESI DI ERINACEUS 15 il nucleo col cappuccio e, all'estremo opposto, il filamento ter- minale. Il tratto della manchette proteso dietro la base del nucleo ha ora una lunghezza quasi doppia (raramente più che doppia) di quella del nucleo; il suo asse principale si continua con l’asse maggiore nucleare o ne diverge leggermente. Il fila- mento assile non è mai parallelo all'asse della manchette ma s'incrocia con esso, di regola a poca distanza dal nucleo: non di rado mostra qualche ondulazione, da ascrivere forse a effetto della fissazione. Mentre la manchette è nel suo massimo sviluppo si ha la comparsa di speciali produzioni collegate geneticamente all’ap- parato centriolare. Una di queste è l’anello traversato dal fila- mento assile. Esso deriva dall’ingrossamento del centriolo distale sopra ricordato, e quando si delinea ben netta la sua forma esso dista già circa 1pu dal margine del nucleo. Il centriolo distale è malamente riconoscibile in cima al filamento assile, quello prossimale si mantiene incrostato nella membrana nucleare. Meritano speciale menzione due caratteristici filamenti lami- nari siderofili, uniti per una estremità al centriolo distale e divergenti fra loro ad angolo ottuso di circa 100°; il filamento assile bisseca quest’angolo. I due filamenti laminari non sono riconoscibili che negli spermatidî visti di faccia (fig. 3 6, 4, 5), giacciono in uno stesso piano col filamento assile, e si svolgono nello spazio circoscritto dalla manchette senza però giungere a toccare quest’ultima. La condizione laminare dei filamenti in parola si riconosce dal fatto che la loro immagine non scom- pare dal piano ottico anche compiendo uno spostamento non lievissimo della vite micrometrica. Dati i rapporti dei due fila- menti col filamento assile, uno solo di essi interseca l’asse prin- cipale del nucleo; quello che non interseca detto asse appare un po’ più spesso ma più corto dell'altro. I due filamenti in parola sono dapprima rettilinei e disposti nel modo sopra descritto, ma in seguito appaiono più allungati e distinti ognuno in due tratti uniti ad angolo curvo. L'angolo è su per giù all’altezza dell’anello, il tratto prossimale rispetto al nucleo è quello preesistente, quello distale, di nuova forma- zione, è molto sottile, forse non laminare, e si svolge pressochè parallelo al filamento assile senza raggiungere nè questo nè la manchette, ma mantenendosi quasi ad ugual distanza da en- 16 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS trambi. La fig. 6 rappresenta i due filamenti nella condizione di massimo sviluppo in tre spermatidî vicini nel medesimo tu- bulo seminale: l’ingrossamento di un tratto determinato del filamento sottostante al lato più corto della faccia posteriore del nucleo è fenomeno costante. La formazione di filamenti collegati geneticamente ai centrioli è un fatto ben noto nella spermiogenesi: a parte il caso tipico del filamento assile ri- cordo ad es. il breve filamento notato da Meves nella cavia a un estremo del centriolo prossimale (loc. cit., tav. 20). In Erinaceus il centriolo prossimale non dà filamenti, nè ho potuto accertare che si spartisca in granuli. Seguono infine nell'evoluzione dello spermatidio in spermio alcune modificazioni contemporanee o quasi, e cioè: la scom- parsa (come tali) dei due filamenti laminari sopra descritti, la scomparsa della manchette, la migrazione dell’anello, l’orga- nizzazione del pezzo intermedio, e la dissoluzione (non totale) del lobo citoplasmatico, residuo dello spermatidio. Non mi è stato possibile riconoscere i gradi successivi delle singole modificazioni: più importanti sono gli stadî finali di alcune di esse. Così è anzitutto notevole la comparsa di un granulo siderofilo rotondo nel breve spazio compreso fra il nucleo e l’anello, a fianco del filamento assile, su per giù all’altezza in cui trovavasi il filamento laminare più sottile intersecante l’asse nucleare (fig. 7): l’altro filamento laminare si conserva ancora per breve tempo, poi scompare. Il granulo siderofilo è probabilmente un residuo del filamento laminare più sottile non più riconoscibile come tale neppure a formare un legamento fra il granulo siderofilo e il centriolo distale. Il granulo in parola si conserva nella medesima posizione fino alla fine della spermiogenesi e si ritrova (come organulo costante) negli spermî maturi inoltrati nei tubuli dell’epididimo. Esso è già stato osservato in analoga posizione, cioè imme- diatamente dietro il capo e a fianco del filamento assile, nello spermio di altri mammiferi. Riferisco integralmente la precisa notificazione di ReTzIUs (1909, p. 130) nel capitolo sullo spermio di Talpa europaea L., illustrato dalla tav. XXXIX dell’opera citata , “ In diesen friihen Stadien findet sich ausserdem ein wenig nach hinten “ vom Kopfe, ungefàhr beim Uebergang des Halsstiicks zum Verbindungsstiick, “an der Seite des Axenfadens ein ziemlich grosses, glinzendes, stark fàrb- "i È x PI A Ae OSSERVAZIONI SULLA SPERMIOGENESI DI ERINACEUS TÀ “ bares Korn (fig. 4, 5, 6, 8, 10, 11), welches in derselben Lage bei den meisten, “ wenn micht allen, Sùugetierspermien in solchen Stadien nachweisbar ist; und “ nicht selten bemerkt man auch gegeniiber diesem Korn noch ein zweites “ Kkleineres (fig. 4, 5), welche oft so klein ist, dass es sich kaum nachweisen “ Jiisst. Diese Kérner gehòren offenbar zu der vorderen Abteilung des dis- “ talen Centralkòrpers. Wenn der distale Ring noch an seinem urspriing- “ lichen Platz dicht hinter dem Kopfe liegt, findet sich die genannten “ Kòrner, nach vorn von ihm, ungefàihr mitten zwischen ihm und dem “ proximalen Centralk6rper (fig. 5) , (1). Tuttavia nessuna delle cinque figure che illustrano, nella monografia di Retzius, lo spermio di Erinaceus, mostra il gra- nulo in parola. La fig. 6 relativa alla Talpa riproduce una disposizione rispettiva del granulo e dell’anello simile affatto a quella da me notata negli spermatidî di Erinaceus giunti un po più in là dello stadio riprodotto nella mia fig. 7, ma non ancora alla condizione della fig. 9. In nessun caso mi riuscì di riconoscere un secondo granulo siderofilo accanto al primo. Quando, come rara anomalia, si presentano due filamenti assili uniti ad uno stesso capo, entrambi i filamenti sono fiancheggiati, sul medesimo lato, dal granulo siderofilo (fig. 8). La migrazione dell’anello lungo il filamento assiale fino all’estremità posteriore del pezzo intermedio si compie mentre ancora si riconosce la massa citoplasmatica a circondare, con figura ovoide, il pezzo intermedio (fig. 9). L'anello giunto alla posizione definitiva, si restringe e si confonde con lo spessore “del pezzo intermedio. Già prima della migrazione dell'anello non è più riconoscibile la manchette, nè mi è stato possibile cogliere modificazioni di questa, tali da far supporre una sua coartazione in senso trasverso per accollarsi contro il pezzo intermedio. È quindi supponibile che la manchette subisca un processo di dissoluzione (2). Nella massa citoplasmatica degenerante sono riconoscibili, già poco prima che si compia la migrazione dell’anello, molte granulazioni corrispondenti, almeno in parte, ai “ tingierbare (1) Cfr. anche le figure di spermî di Cynomys a tav. 43 della citata opera di RerzIus. (2) Si consulti a questo riguardo il lavoro citato di Durssere (1908, pp. 161-163 ubi liter.). Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII 2 ea il ine dir ti mati 18 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS — OSSERVAZIONI, ECC. Korner, di v. Esner. La dissoluzione della massa citoplasma- 4 tica non è tuttavia completa: rimane invero poco dietro il capo dello spermio, quale si ritrova nell’epididimo, una piccola massa di citoplasma omogeneo a circondare il tratto del pezzo inter- medio cui sta a fianco il granulo siderofilo. Detta massa è di regola accumulata attorno al granulo, sporge cioè al di sotto del più lungo tratto basale del nucleo (fig. 10). L’estremità anteriore del pezzo intermedio, segnata dal centriolo distale ormai irriconoscibile, è, nello spermio, collegata al capo da un breve collo non colorabile. Dall’Istit. di Anat. e Fisiol. comparate della R. Università di Torino - dicembre 1922. OPERE CITATE Durssera J., 1908. La spermiogenèse chez le rat. “Archiv fir Zellforschung ,, 2. Ip. 1910. Nouvelles recherches sur l’appareil. mitochondrial des cel- lules séminales. “ Archiv fiir Zellforschung ,, 6. Meves F., 1899. Ueber Struktur und Histogenese der Samenfiiden des Meer- schweinchens. * Archiv fiir mikr. Anat. ,, 54. van Mottt J., 1910. La manchette dans le spermatozoide des ‘mammifères. “ La Cellule ,, 26. i Rerzius G., 1909. “ Biologische Untersuchungen ,, N. 7, XIV; cap. 13: Die Spermien der Insektivoren. 1 “Dego ace tt Pl eee ali ER i “ MARIA LOMBARDINI — CONSIDERAZIONI GEOMETRICE, ECC. 19 Considerazioni geometriche per l’analisi periodale © Nota della Sig. MARIA LOMBARDINI R. Osservatorio Geodinamico di Rocca di Papa (Roma) Presentata dal Socio naz. resid. Segre Le funzioni rappresentative dei fenomeni naturali aventi carattere periodico, si presentano generalmente come somma di due o più funzioni periodiche più semplici, onde il sorgere della così detta analisi periodale che si propone la ricerca di queste componenti. Molti metodi sono stati, fino ad ora, sviluppati: quelli aritmetici (1), specialmente applicabili quando le osservazioni siano raccolte in forma tabellare; quelli grafici (?), che servono quando si possegga un diagramma del fenomeno; ma nessuno si presta ai diagrammi di piccole dimensioni, quali sono, ad esempio, quelli che compaiono nella sismografia. In vista di questa applicazione ai sismogrammi, mi pro- pongo, nel presente lavoro, di studiare un altro metodo di ana- lisi. Precisamente, supposto che la curva s rappresentatrice del fenomeno possa esprimersi come somma di due sinussoidi, sta- bilisco entro quali limiti sia possibile la determinazione dei periodi delle due sinussoidi componenti, mediante il solo esame geometrico della curva s, evitando calcoli e misure. (*) Presentata nell'adunanza del 25 giugno 1922. (4) Cfr. G. A. Carse and Surarer, A Course in Fourier's Analysis and Periodogram Analysis (“ Edimburgh-Mathematical Tracts ,, N. 4, London, 1915). (?) Cfr. VerceLLI, Oscillazioni periodiche e previsione della pressione atmosferica (‘ Mem. R. Istituto Lombardo di scienze e lettere ,, vol. XXI, XII della serie III, fascicolo TX). ATO BART ZII TSI I RT, 20 MARIA LOMBARDINI Come risultato della discussione, ottengo che dal computo degli zeri, estremi e fiessi della s, contenuti in un intervallo sufficientemente grande, può individuarsi, colla voluta appros- simazione, uno dei periodi; da questo stesso computo possono individuarsi entrambi i periodi, quando il rapporto delle am- piezze vari entro certi limiti. Come sarà anche ricordato a suo luogo, dal punto di vista teorico, conviene notare che, conosciuto uno dei periodi, sì può agevolmente determinare l’altro, e si può completare il calcolo delle altre costanti da cui dipende la funzione. Dal punto di vista sperimentale, si può osservare che il problema di cui è questione non si pone nemmeno quando il rapporto dei periodi delle due sinussoidi sia troppo prossimo ad 1, o quello delle ampiezze sia troppo prossimo a 0 (o a 00), poichè allora la curva non sì distingue sensibilmente da una sinussoide semplice. $ 1. — La forma generale della funzione (somma di due sinussoidi) a cui, per ipotesi, si riduce la rappresentazione della curva considerata è: y (©) = 01 son (47° © 4-1) + ag sen (27° + +90) +h. In essa si deve supporre 7, == 7 perchè, com'è noto, nell’ipo- tesi 7, = 7, la funzione si ridurrebbe ad una sinussoide sem- plice, di periodo 7, di ampiezza: = + Va? + 05° + 20,03 cos (Pi — 93) e di fase: w=arc. sen LR Ar hi Va + 09° + 2a, 03 cos (Py — Pa) C, COS Pi + da COS Pa + Va? + a? +20; 03 cos (1 — Pa) = arc. Cos Noteremo, di passaggio, che non si avrebbe maggior gene- ralità se si supponesse alla funzione la forma: y (2) = BR; sen (77 At 9) + f1 cos i 3 9) + + fs sen (E se a) + Ba cos a si 9») + h CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE 21 perchè questa, ponendo: y=P +5 ys=® +3 si scrive: y (€) = R, sen (77 a vi) + B: sen Lt da vi) + + pa sen(57 1° + oa) +8: sen (‘77 + ya) +1 e quindi, per l'osservazione precedente, si riduce ancora alla somma .di due sinussoidi. Mediante spostamento dell’origine delle coordinate e mol- tiplicazione per un fattore, la funzione considerata sì può ancora ridurre alla forma più semplice: uel= eno + a sen (‘Fe + o). Questa forma noi considereremo esclusivamente — per sem- plicità — e la chiameremo: sinussoîde composta. Le due compo- nenti saranno le sinussoidi semplici: CA Gist Sg (e) = a sen(£75 +9); Ti 1, supporremo, come è sempre possibile, i periodì T, > T2>0, l'ampiezza a > 0, e la fase 9 compresa tra 0 e 2nr (0 73. Per la terza parte, supponiamo che 2 2nx sai + ) = a, sen (75 + 9) - + as sen (77 + 9») ocio = I, Ii >T Il lemma I dà subito: i 2a sen + a sen( 1 \ T,=T; T,=T; e per le osservazioni fatte nel $ 1 si può scrivere: 2 2ma DI 2a sen «Me Ti a, sen (e sa ©) —-iBa sen ( T, “i vi) 2 a sen (SE > o) — 0, sen (7 + Pe) = $, sen (75 + vo) ’ \ 2 ‘ \ ammettendo per 8,, 8, i valori 0 quando sia: ‘ 2ma (27e sen ---=0, sen{-- + ©; 1; T, , a sen (FE - 1) = 0, sen (FEE A 9») È T; i Ta Dovendo essere B, sen (S72 no wi) + f» sen (277 T 9») =0, / 26 MARIA LOMBARDINI il lemma I ci dice che si deve avere 7; = 73 ovvero Bi=fs= 0: la prima ipotesi è contraria a quella iniziale che 7, > T.; la seconda ha per conseguenza: aj=1 pi =0 Ud, =@ Qa=, con che si prova l’enunciato. Una s è perivdica sempre e soltanto se i due periodi T, eT, sono commensurabili. Abbiamo subito che la condizione è sufficiente, perchè se: nl: =="; T è periodo della s{(x). Viceversa se la s è PAnoinee di pe- riodo 7, si deve avere: 2 s (x) = sen 22 + a sen(‘72 + o) s (x) = sen =. 1) + a sen(SEETD - 4: + o) 1 2 e quindi identicamente: dura 27 4.T)4 0= sen T, sen, {ST + a \sen(°7” + @) — se en (STE +9). Essendo 7, == 7, le due espressioni racchiuse tra parentesi non possono essere, per il lemma I, due sinussoidi di ampiezza non nulla, quindi deve aversi, identicamente: sen = eni Lie a a) sen(“7; 2 + g)= sen(Î1%7 Arai Lr +9) e quindi: cei —=2rtm ua =2nmn Ti T3 CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE 27 Se 5 è irreduttibile: P=wT == è il periodo minimo della sinussoide composta. $ 4. — Lemma II. — Se a=1 ed xy è uno zero di s{x), dx = nulle; il secondo caso non si può verificare se a > 1. ds allora (--— ES hanno lo stesso segno 0 sono entrambe = Xo xXZXoy 44 . ds Se aSq ed xo è uno zero di > allora s (xo) @ 81 (Xo) hanno lo stesso segno o sono entrambe nulle; il secondo caso non x . . T può verificarsi se ctaca È 1 Per dimostrare la prima parte poniamo: 2720 png \ Sen 7 + a sen ( 7, 9)=0 ds 27 | Da 2T1%9 29020. vi E; | Ds Lul + a cos( RR oe AC o anche: sen SE a sen ( Si ) Ti Ta Tu 2 e co a = — a cos(- )+>d: 1 1 Quadrando e sommando viene: 1 DI (FI) sen? "a + AES = a? + d;? — 2aò, cos Sei ILE 9) Le e quindi: m_ \2 a? + d,° — 2aòd, c0s( SI + o) —_ (F) (1) REALE i Ta 1) T, i (1) T: a BT BAI Ma senta 1, quindi anche: 1 a? +d 2ad; cos | du sr 1) 21 2 28 MARIA LOMBARDINI a Ne segue che, se a >1 è necessariamente dj +0 e a+ di? > 1; se a=1 può essere: O=0 sen ST°8 — sen (27 + 9)=+1 1 Ti ovvero: di 0a Se non è lede da = 0 da de= 0 dx e=%0 : è in ogni caso: a|d?>I1 e quindi: 2aòd; cos (7 + 9)>0. 2 dò, e cos | ci = o) hanno dunque lo stesso segno e perciò anche: PART da L= Xo da X= 0 È Per dimostrare la seconda parte del lemma, poniamo: 21% 210% ; ae, \ seno + a sen (Ir +9)=d da; Ca (get ) Abe (FE) = II 087 + a cos T, + 9){=0. In modo analogo al precedente otteniamo: Ea ga 2T%0 (£) ai L (7) |s0n T, +(7 + ds 2 è, sen 210% FA 1 e quindi: i a? + 2 ds sen CUI, — di — (2) sen? £T%0 — Di dia di Ti Dovrà essere: a? + 2, sen Dro — dei — (F)= 0: 1 pa ar ù RS E, Pe da PT Ln Ae ee L= ii e a AA S uit î LSM ® adi 5 . CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE . 29 Se allora a? — (F) <0, è necessariamente d, #0 e 1 2 x . T; \2 5 ò, sen mi ° 50; se invece a? — (7) = 0, può essere: 41 1 22m sen °° =0 e da = 0 T, ovvero: sen “n° 0 e 2ò, sen de >de>0. 1 1 Se dunque non è: S1 (20) = s (20) = s2 (1) =0, da= I È 29, d, e sen hanno lo stesso segno e perciò anche s (xo) 1 e s1 (20). Prima di servirci di questo lemma, applichiamo le for- mule (1) e (2) allo studio della multiplicità degli zeri della s. Se x, è zero multiplo, le due formule coincidono nella: 3 (B} 217% ds 2. T, i Ti (3) sen? 21% la quale ci dà per sen valori reali soltanto se a è com- T, "i Abbiamo perciò che: La s (x) non ammette zeri multipli per a esterno all’inter- preso nell'intervallo (1 estremi inclusi. Ho i vallo | È Fa). Se a è interno al detto intervallo, la sua derivata prima ridotta: 2ra Ti 2rx Sen 7 4. sen ( T, + che ha ampiezza a + > 1, non ammette zeri multipli, quindi 2 s d anche la —°, onde: dx 30 ; MARIA LOMBARDINI La s (x) non ammette zeri di multiplicità > 2 per a interno all’ intervallo (1, ne) (estremi esclusi). 1 Consideriamo gli estremi dell’intervallo. i i Se a=1 la (3) ci dà, come incidentalmente abbiamo già 4 trovato nella dimostrazione del lemma, 220 EE| Sensi 7 1 quindi anche: sen? (fn Lo)=l La derivata seconda è, in modulo, uguale a: 2 2 CAR SELL — 1) (n) (a) _1>° e quindi ancora lo zero considerato non può essere triplo. Se a=>, per la (3) è: 1 quindi anche: d? s = (13) === 0) È da x=%o = Lo zero considerato è allora necessariamente triplo per s (2). Ma la derivata prima ridotta ha ampiezza ag =1 e non può 2 quindi avere zeri più che doppi: lo zero considerato non può dunque essere per s(x) più che triplo. Osserviamo che la (3) ci dà sj (x) = + 1 solo per..a= e s1(x) = 0 solo per a= FP; onde possiamo enunciare la proposizione : 3 Per a=1 la s(x) ammette zeri multipli, e precisamente doppi, soltanto nei punti ascisse di estremi di nome opposto per le due sinussoidi componenti; inoltre la s (x) non può ammeltere zeri multipli in detti estremi se a=f 1. bo CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE 31 di ee ai T, mente tripli, soltanto negli zeri comuni alle due sinussoidi compo- nenti; inoltre la s(x) non può ammettere zeri multipli negli zeri la s (x) può ammettere zeri multipli, e precisa- $ 4h comuni alla s, e alla sy se a == a 1 Dimostriamo che: Ogni s ammette 0 zeri di multiplicità dispari, necessariamente Ty cl Basta provare che ogni s cambia volte di segno. Sea <1 questo accade in ogni intervallo tra due estremi consecutivi della s; (7), perchè se x,, xs sono le ascisse dei due estremi è: semplici se a =F- |Iss(@)]=1>a, 1=]s(@)l;. (=(1,2)) quindi s (x,) ha il segno di s; (x,), e perciò opposto in x, e in xs. Nello stesso modo si vede che se a >1 la s(x) cambia di segno in ogni intervallo tra due estremi consecutivi della ss (x). Se a=1 il ragionamento cadrebbe in difetto se non si può affermare che co volte due estremi consecutivi di s, (x) non sono, nè l'uno nè l’altro, zeri di s (x). Tali punti (zeri di s(x), estremi di s; (x)) sarebbero, come si è visto or ora, zeri doppi di s (x); dico che se x, è uno qualunque di essi nell’intervallo (xo, zo + 73); la s(x) cambia di segno, e quindi ha uno zero di multiplicità dispari, e perciò semplice. Invero, tenendo presente che: s1(c0) = —s. (1) =+1, se e è un numero qualunque tale che: 2re 2re€ T Di Di << ghi ZL 92 È) sì ha: Ist (co + e)|>|[se (Co +9]; onde la s (x + e) ha il segno della s, (x + e), e cioè il segno di s1 (o). 32 MARIA LOMBARDINI Invece in x° + Ta: sa (2 + T)=s()=+1, e se Mei: 181 (20 + Ta) <|5s1 (00, e se M=g: 81 (co + Ta) = — s1(%0) = se (2) = (10 + Td), onde, in ogni caso, s (xo + 7) ha il segno di ss (r° + 73) = se (£0), contrario al segno di sj (0). Ponendo 51 (co) = — ss (xo) = sen(+ 3) 5 (0 + e) = sen(+ +7) + sen(T3 + 25) si vede anche, più precisamente, che il segno di s(xo0+ €) non 53 e) x n° T: Se pb può cambiare finchè e resta nell’intervallo (- a: os), e cioè SP i T; ; ; s (x) non ha nell’intervallo (o rase co + Di altri zeri che lo zero doppio xo. i Applicando la proposizione dimostrata, alle derivate ridotte prima e seconda, tenendo conto dell’osservazione finale del $ 2, ES . fori ber. e ricordando che gli zeri d'ordine dispari di i e di i sono gli estremi e i flessi di s (x) si ha ancora che: . È he 2 Ogni s (x) ammette © estremi e © flessi; se a+4(12) am- 1 ; 306 T, \3 î ch mette co estremi semplici; se a+(1) ammette o flessi semplici. 1 $ 5. — La dimostrazione precedente prova che: 1) Sea=1 in ogni intervallo, i cui estremi siano ascisse di estremi consecutivi della s, (x), la s (x) ha almeno uno zero; 2) Sea 21 in ogni intervallo, i cui estremi siano ascisse di estremi consecutivi della ss (x), la s(x) ha almeno uno zero. Dimostriamo che: Se a >1 la s(x) ha uno zero semplice, ed uno solo, nell’in- terno di ogni intervallo î cui estremi siano ascisse di due estremi SE de AAA i = CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE 33 consecutivi della ss (x); se a < x la s (x) ha uno zero semplice, 1 ed uno solo, nell'interno di ogni intervallo i cui estremi siano ascisse di due estremi consecutivi della 8, (x). Abbiamo già provato che, in entrambi i casì, la s (x) am- mette almeno uno zero in ciascuno degli intervalli considerati. Supponiamo a >l, e supponiamo, per assurdo, che in uno di detti intervalli la s (x) abbia più di uno zero: siano x1< %z due consecutivi di tali zeri. Sappiamo che d (Ae) e) CATCH Dalla d a (Sia (= (1,2) abbiamo che il segno della derivata in x,, è uguale al segno che la s(x) ha nell'intorno a destra di x,; e in x, è opposto al segno che la stessa s(x) ha nell’intorno a sinistra di xs. Ma in tutto l’intervallo x, x» la s(x) non cambia di segno, in particolare nei due intorni considerati, perciò: (de) (ae) dx X=X; dx dC=%o hanno segno opposto. Ma dal lemma II abbiamo, che la di i #0 db £2 D® dsa x ) + ora questo segno è costante in tutto l'intervallo; è dunque assurdo supporre l’esistenza dei due zeri x,, xs. Il ragionamento vale anche nell’ipotesi a = 1, se non è uno zero di s(x) uno degli estremi dell’intervallo considerato. Ma per un'osservazione del n° prec., in tal caso s(x) non ha altri zeri appartenenti all’intervallo, mentre il suddetto zero è doppio. Si conclude che: Se a=1, nell’interno di ogni intervallo i cui estremi non siano zeri della s (x) e siano ascisse di due estremi di ugual nome della ss (x), la somma degli ordini di multiplicità degli zeri della s (x) è uguale a due. segno uguale a quello della Atti della Reale Accademia — Vol?LVIII. 3 REA RO NS I Ae gr La li IAN AE DI SINNI 34 pa MARIA LOMBARDINI sN: à fer Se AS siano ra, e due estremi consecutivi di s1 (€); in essi la s(x) ha segno uguale alla s;(x), e quindi segno op- posto; ammette perciò nell'interno dell’intervallo (xa, 2g) un numero dispari di zeri; se dunque in detto intervallo si ha più di uno zero, questi zeri sono almeno tre e sono tutti semplici ($ 4): disposti in ordine crescente, questi zeri siano x1, %2, ...: Xn (ra < 1 <%t9 < 0 < lina < n < ®g). L'unico zero di s, (x) in (ra, %g) sarà compreso tra due consecutivi di questi punti e quindi uno almeno degl’intervalli (xa, 3) @ (@,-1, xe) non con- tiene questo punto: sia l'intervallo (xa, x2). Esso è diviso da x; in due intervalli (xa, 21) e (x, x2) nei quali s(x) ha segni opposti mentre s,(x) ha segno costante. Poichè il segno di s(a) è quello stesso di s, (xa), in (x;, #2) la s(x) ha dunque segno opposto a s;(x). Ma in (x;, x) s(x) ha almeno un estremo nel quale, pel lemma II, dovrebbe ‘avere lo stesso segno di s) (x): si cade dunque anche qui in assurdo. Il precedente sviluppo prova anche che:. pera Ti nell'interno di ogni intervallo i cwi estremi siano ascisse di due estremi consecutivi della s, (x), la s (x) ha uno zero ed uno solo (semplice o triplo). ; 2 1 m , Ti col secondo estremo) e la s(x) ha, in un segmento dè, m zeri (m>2), uno dei periodi delle sinussoidi componenti è compreso nell’intervallo | 2d 2d ne m+3’ m_-2 Tie La proposizione è vera anche per a =1 purchè si contino gli eventuali zeri doppi colla loro multiplicità. Supponiamo anzitutto a >1: dalla proposizione precedente segue che la s(x) ha certamente ‘2h —1 zeri, in » periodi con- secutivi della s, (x), cioè in ogni segmento di lunghezza d=473, nè può ammetterne più di 24.41. Se d = (h+ e) 7, (7 intero, O01; T, se a< 2h 1 quindi m> 3 eT,>-——-; come dovevasi at DES 3 di Analogamente si ragiona se a cambiando solo 7, 1 in Ti. i Fi , zeri della s (x), taluno dei quali può essere triplo, si contino senza riguardo alla multiplicità. Se invece a = 1, affinchè la proposizione si mantenga vera occorre contare come due zeri gli eventuali zeri doppi. (È appena necessario di osservare che la determinazione di questa multi- plicità si fa senza ambiguità anche nel caso che s(x) debba rappresentare una curva tracciata, perchè i detti zeri doppi sono i punti in cui tale curva è tangente all'asse delle x). ‘ L’approssimazione con cui la proposizione ora dimostrata determina il periodo (7, o 7) è espressa da: È 1 1 Da 10 A=2>(--};-+b)=#j eo: Ts Se a=-? , la proposizione resta ancora vera, purchè gli D'altra parte indicando con 7, quello che la proposizione fornisce: 2d<=(m +3) 7,; quindi: Applicando il teorema alle derivate ridotte prima e se- conda di s (x), e osservando che: 1>aAg7T quando a >a> (2) 1>a (È) = Tm quando (7) I. pe (FP) si ha ancora che: Se a è esterno all'intervallo fat ò (7) (0 coincide col secondo 36 | — MARIA LOMBARDINI estremo) e se n è il numero degli estremi distinti di s (x) cadenti in un segmento di lunghezza è, uno dei periodi delle sinussoidi TOO a sa ie sci componenti è compreso nell'intervallo | -Tz > 53): 29 p ne Ti 2 3 Se a è esterno all’intervallo (7) : (2) (0 coincide col se- 1 i condo estremo) e se p è il numero dei flessi distinti di s (x) cadenti in un segmento di lunghezza è, uno dei periodi delle sinussoidi ed è T, se a<(1). riodo è precisamente T, se a > 4 i 26 28: \ componenti è compreso nell'intervallo - F3 “sì e questo pe- 2 3 riodo è precisamente Ty se a>(1) ed è T, se a<(3) : î 1 Osserviamo ancora che, per il teorema di Rolle, è certo: n=>m_—_-l p=n_-1=>m—-2; quindi ciascuno dei numeri: m +3, n+3, p+3 è sempre >m_-2. Consideriamo allora i tre intervalli: A=( +7 2) B=(,03 a) = n= ) A seconda che a non è interno a: (ab) Ga) a rispettivamente B e C, A e C, A e B comprendono, qualunque sia è, uno determinato dei periodi 7,, 7,. E poichè l’ampiezza di questi intervalli tende a zero al crescere di è, si può sup- porre è sufficientemente grande perchè siano distinti due inter- valli contenenti periodi diversi. E per la precedente osserva- zione relativa al teorema di Rolle, se due di questi intervalli sono distinti (non parzialmente sovrapposti) essi si seguono nell'ordine scritto, e non potrà B essere distinto (precedente) da € senza che anche A sia distinto da C. Pirla ei ta o ia LA CONSIDERAZIONI @EOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE 37 Da queste osservazioni segue la regola seguente: Si considerino i 3 intervalli A, B, C. sopra indicati per è conveniente (convenientemente grande): 1) Se A, B, C hanno una parte comune, in B sta uno dei due periodi 7,, 73; e precisamente: o a >+ ed il periodo considerato è 7, e sta nella 1 Tg SERRA parte comune a B e a A; ovvero a<(7°) ed il periodo con- 1 siderato è 7, e sta nella parte comune a B e a C; 2) Se A precede C e B ha una parte comune con C, T, è contenuto in C; inoltre: T; \2 Ts \8. Ti Ta o) (FI) >a>(£) : ovvero (12) >a=>($) nel qual caso 7, è contenuto in A; 8) Se A precede C e B ha una parte comune con DE T, è contenuto in A; inoltre: o 7 >e=>(#) nel qual caso 7, è contenuto in C; ovvero SCESE 4) Se A, B, C sono distinti, 7, è contenuto in C, 7; è contenuto in A e 7 ESE 1e- (F)° In ogni caso dunque uno dei periodi risulta determinato (con approssimazione) e solo nel primo caso è dubbio quale. Conosciuto uno dei periodi, non importa di saper quale, si può determinare l’altro con metodi noti. Basta, per es., fare la somma di s(x) colla s (x) medesima spostata di 1/2 del periodo conosciuto: questa somma è una sinussoide semplice avente per periodo quello ancora incognito. Di questa sinussoide si possono d'altronde determinare allora anche le altre costanti (ampiezza e fase), e desumere così quelle della corrispondente componente della sinussoide composta: la quale si può così considerare come completamente determinata, come si osservò nell’introduzione. $ 6. — Se la sinussoide composta è periodica la determi- nazione dei periodi. risultante dalla regola precedente acquista maggior precisione. Se invero 7 è il periodo della sinussoide 38 MARIA LOMBARDINI — CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE, ECC. composta, si indichino con m, n, p i medesimi numeri che pre- cedentemente, per è = 7; se m', n', p sono i corrispondenti numeri per d' = KT (K intero) si ha: n= kn a_n i ò’ lim +; =" È RS , ò’ lim +; = lim L CETO K=% st 3 K=o 7 2 n , , lim = lim ca SIA Ri E O I m Agli intervalli A, B, C della precedente regola si potranno quindi sostituire i numeri A'= Ata e ali Cid p n m quali forniranno a seconda dei casi 1°, 2°, 3°, 4° i valori di 7 BAI E Contrariamente a quest'opinione potrebbe opporsi peraltro che in realtà avviene che una cosa sembri bella ad un individuo e brutta o meno bella ad un altro e che quindi nemmeno la contemplazione, il plauso, l'ammirazione non bastino a comple- tare l’idea della bellezza. Ora a tal proposito s'impone anzitutto una limitazione. Quando si dice che l’espressione per essere bella deve provocare l'ammirazione, questo s'intende per gli uomini dotati di sensibi- lità e che siano in grado per la loro educazione e per le loro qualità psichiche di sentire il fascino che da quell’espressione emana. Certamente ad un selvaggio potrà sembrar brutta la Venere di Milo, come a noi potrà sembrare brutto, indipenden- temente da ragioni estranee al bello e così da considerazioni di ordine religioso o morale od altro, un rozzo idolo di legno o di pietra nel quale invece quel selvaggio aveva tradotto la sua immagine della perfetta bellezza. E lo stesso si può dire del resto dei nostri bambini, pei quali è più bello un mostriciattolo di pagliaccio di cartapesta che non il Mosè di Michelangelo. Ammessa questa limitazione, la confutazione dell'opposizione viene rimessa ad un’altra scienza che non è l’estetica, ossia alla logica; — perchè tale questione si risolve in quest'altra: se cioè il giudizio degli uomini possa costituire un elemento per vagliare il bello e il brutto, come anche il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso, il bene e il male, il morale e l’immorale, e così via. Ora noi, senza trattare qui la questione che, come ripeto, esula dai confini dell’estetica, possiamo ritenere, seguendo anche l’opinione prevalente, che in realtà il giudizio degli uomini può vagliare il bello e il brutto, il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, es- senzialmente per la considerazione, che, riflettendo tali giudizi sentimenti ed idee puramente umane, sarebbe illogico che altri, all'infuori dell’uomo, potesse giudicarne. Ad onta di ciò, potrà darsi benissimo che una cosa bella, ad esempio un bel paesaggio alpestre, desti maggiore ammira- zione in una più che in un’altra persona, anche se dotate en- trambe di sensibilità estetica. Ma in tal caso bisogna distinguere edi rr e, 52 . GUIDO AMBROSINI il giudizio estetico propriamente detto e del quale ci siamo oc- cupati fin qui, dal giudizio di semplice compiacimento, e che si riferisce essenzialmente al gusto dell'individuo. In altri termini quel paesaggio sarà giudicato bello da entrambe queste persone, ma l’una troverà in esso un'espressione di suo gusto oltre che degna di ammirazione, l’altra, pur trovandovi un’espressione degna di ammirazione, non la riterrà di suo gusto. De gustibus non est disputandum. Il che però non toglie che intatta e comune rimanga l'ammirazione, epperò uguale il giudizio estetico nel vero e rigoroso senso della parola. * RE A completare poi il concetto della bellezza, quale noi ab- biamo cercato di dimostrare, possono valere le seguenti consi- derazioni sul brutto e su ciò che non è bello, senza essere brutto. Noi abbiamo cercato di dimostrare che non ogni espressione bellezza, ma che ogni bellezza è espressione, in quanto questa conveniente ed è tale da provocare il plauso; l'ammirazione. Tutto ciò quindi che non è espressione conveniente sarà brutto. Così è brutto porre le cose fuor di luogo, e ciò indipen- dentemente dall’esser queste cose per sè stesse belle o brutte. Mentre invece una cosa deforme ed una cosa trista e crudele, od addirittura tutte le forme di bruttezza fisica o morale, rap- presentate a loro luogo possono entrare nel dominio della bel- lezza: se cioè vengono espresse convenientemente ed in modo tale da provocare ammirazione e plauso nel senso sopra ripetuto. Nel campo dell’astrazione insomma abbiamo la brutta azione, o la brutta forma, in quanto è contrastata dalla norma del- l’azione o della forma. Nella rappresentazione estetica invece basta che la espressione di quella immagine o di quell’azione sia conveniente e tale da suscitare il plauso (indipendentemente quindi da ogni relazione di bontà, di verità, di norma e via di- cendo) perchè la medesima sia bella. Che se poi un'espressione sarà conveniente ma incapace di esigere il plauso e l'ammirazione, noi diremo quell’espressione conveniente non bella, ma nemmeno brutta; bensì soltanto den fatta, ma indifferente al nostro sentimento estetico. Così, se un © DD I RATE RO EPA E ESITI Ra 9 SE PRE a APPUNTI DI ESTETICA DS pittore mi esprime sulla tela, come già si è detto, una bottiglia o una sedia, che abbiano l’unico pregio di essere dipinte con- venientemente, può darsi che le medesime ci lascino indifferenti. Non sono quindi cose belle, ma non sono nemmeno brutte; perchè in sostanza sono ben fatte, ed esprimono pure convenien- temente una data impressione. Che se invece tale dipinto sarà fatto non solo convenientemente ma in modo anche da provocare l'assenso del nostro spirito che si traduca nell’ammirazione e nel plauso, noi potremo dire con sicura coscienza che quel di- pinto è bello. La convenienza dell'espressione insomma è un elemento so- stanziale della bellezza; ma bella veramente l’espressione non diventa se non in quanto può provocare nel nostro spirito il plauso e l'ammirazione. È ovvio poi che in tal modo diviene indifferente il conte- nuto della bellezza. È bensì vero che da un’espressione di bellezza, ad esempio da un’opera d’arte, possono derivare degli effetti buoni o cat- tivi, o buoni per alcuni e cattivi per altri. Ma il giudizio intorno al medesimi esce sempre dal campo estetico. In questo non si conoscono effetti utili o dannosi, veri o falsi, ma soltanto o belli o brutti. L’Arte. & Accennata l’idea di bellezza veniamo ad esaminare che cosa è l’arte, e in quali rapporti essa sta con la Bellezza. Per Arte noi intendiamo la produzione volontaria della bel- lezza per opera dell’uomo (1). Volontaria, diciamo, perchè vi possono essere cose bellis- sime, prodotte dall'uomo, ma nelle quali la bellezza non risulta dalla sua volontà. Ad esempio, una nave da guerra è opera dell’uomo e può essere anche una cosa bella: ma non è opera d’arte. Perchè si abbia un'opera d’arte bisogna che essa sia stata fatta dall'uomo per essere una cosa bella e risulti di fatto una cosa bella; op- (1) Vedi M. Porena, Che cos'è il bello? Milano, Ed. Hoepli. TRILONAI 54 GUIDO AMBROSINI pure che sia stata fatta per scopi anche affatto diversi, ma che in qualche modo abbia pure avuto per fine e per risultato la bellezza. Per esempio, le magnifiche berline dei re di Francia, raccolte a Versailles, servivano principalmente da veicolo, ma sono pure opere d’arte; opere d’arte però soltanto in quanto i loro artefici si erano anche prefissi di farne delle cose belle, e vi sono riusciti. Non basta. L’opera d’arte in quanto bella, sarà una espres- sione conveniente e riuscita, prodotta volontariamente dall’uomo in grazia d’un mezzo espressivo e capace di destare tanto nel- l'artista quanto negli altri ammirazione, plauso, contemplazione. E qui bisogna intenderci. Sulla necessità dell’espressione dell’opera d’arte non occorre trattenerci più oltre, dopo quanto dicemmo sulla bellezza in generale. L’opera d’arte per esser bella deve essere, appunto perchè bella, espressione conveniente e de- stare plauso e ammirazione. Resta invece a vedere come si attui questa ammirazione in - chi crea e in chi contempla o ammira, e che cosa siano e come operino queste forme espressive. Dal fatto della produzione volontaria dell’uomo deriva subito una grande differenza tra il fatto estetico in genere e l’artistico in ispecie. Nel primo il piacere estetico si attua o meglio si esaurisce nell'atto dell’ammirazione, della contemplazione, del plauso. Da- vanti a un bel paesaggio non vi è che l'ammirazione di chi os- serva, e quel paesaggio diventa senz'altro l'oggetto della con- templazione ossia l'oggetto del piacere estetico. Nel fatto artistico invece due sono gli elementi costitutivi: e cioè la produzione dell’opera d’arte e la contemplazione della stessa; poichè due sono, per così dire, i personaggi della rap- presentazione artistica: chi produce l’opera d’arte e chi la am- mira (1). Nel fatto artistico adunque bisogna che l’artista trovi l’espressione più conveniente alla sua impressione e tale da destare in lui e negli altri il plauso e l'ammirazione; e che a: sua volta una tale espressione così attuata susciti, quanto più (1) Vedi N. Gato, La scienza dell’arte, cap. X, passim. Torino, 1887, Ed. Roux e Frassati. * 9: " n o» aaa e PIT 7 ; APPUNTI DI ESTETICA 55 è possibile, l'impressione conforme in chi la contempla e la ammira. L'arte insomma è l’espressione di un’impressione, di una emozione che l’uomo traduce al di fuori della sua coscienza va- lendosi di certi mezzi espressivi, quali le combinazioni di linee, di colori, di gesti, di suoni, di parole; per modo che tale espres- sione, sia per chi la crea sia per chi semplicemente la ammira, possa formare oggetto di contemplazione e di plauso. L’artista in altre parole adopera i mezzi della propria arte per dar modo, o con colori o con suoni o con marmi o con pa- role, alla sua immaginazione di esprimersi convenientemente allo scopo di fare una cosa bella: il che vuol dire ancora che l'artista non riproduce nè copia le cose reali, raddoppiando così le medesime o simulandole, ma suscita invece con la sua im- maginazione o fantasia l’immagine di tutto il Mondo, noto ed ignoto, rappresentando il sogno della sua anima coi mezzi della propria arte. Così ogni opera d’arte ha le sue origini nell’anima dell’ar- tista. Una persona in posa deve dar modo di suscitare nell’anima del pittore o dello scultore che vuol ritrarla l’immagine ideale della persona stessa, onde l'artista possa poi esprimerla conve- nientemente e bellamente. Noi non avremo così la fotografia di quella persona in quel dato momento, ma l’immagine di tutto il suo essere completo, quale l’artista la avrà lungamente elabo- rata in se stesso e poi in bel modo espressa. Lo stesso dicasi del pittore-paesista; il quale non ritrae un paesaggio qual'è, ma bensì quale appare alla sua anima. È per tal modo anzi che l’arte si libera a poco a poco dalla natura, e può giungere così fino all’arte architettonica, nella quale i richiami alla natura non sono possibili se non per una specie d’analogia; — alla musica, che ne è pur essa quasi com- pletamente disciolta; — alla poesia lirica e si può dire alla letteratura in genere, in quanto in queste arti la rappresenta- zione del mondo sensibile viene fatta per mezzo di simboli quasi puramente convenzionali, quali sono le parole. Tutte le arti pertanto appaiono come espressioni di un sen- timento umano, di un po’ della vita dell'anima, nel senso sopra ripetuto; ed è per questo anche che l’opera d’arte è essenzial- mente soggettiva. 56 GUIDO AMBROSINI — APPUNTI DI ESTETICA Nell'arte appunto si svolge e si attua la più grande e la più alta esaltazione dell'io. Quanto la vita pratica è irta di limi- tazioni e di rinuncie, altrettanto la vita estetica è affrancata da ogni limite. In arte libertas! Il pensatore indaga, l'artista crea. Che importa all’artista delle norme, dei pregiudizi, dei vincoli convenzionali ? Egli col- tiva in fondo all’anima il suo sogno interiore, che è poi il sogno interiore ma confuso di tutti gli altri uomini, poichè tutti, qual più qual meno, hanno dei momenti poetici. Ma se l’artista avrà il Genio o anche solo l’ingegno per trovare la forma, l’espres- sione di questo sogno, tale sogno diventerà espressione del sogno di tutti gli altri. Così l’artista, in quanto non cessa di esser uomo, trae dalla vita pratica e dalla natura le sue ispirazioni, ma le elabora a suo modo; e creando l’opera d’arte, impone accanto alla natura l’espressione della sua anima, con quell’impronta assolutamente particolare, che rappresenta quanto vi è al mondo di più riso- lutamente individuale e soggettivo: lo stile. Dicembre 1922. L’ Accademico Segretario GIOVANNI VIDARI 57 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 3 Dicembre 1922 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D’Ovipro, SEGRE, PEANO, GuIDI, PARONA, Grassi, SomieLIANA, PANETTI, Ponzio, SAcco, HERLITZKA e il Se- gretario MATTIROLO. Il Segretario dà lettura del verbale della adunanza prece» dente che risulta approvato senza osservazioni. Il Presidente comunica alla Classe la notizia della morte del Socio corrispondente Arturo Isser, Professore nell’ Università di Genova, che apparteneva alla nostra Accademia fino dal 14 giugno 1903. Le condoglianze dell’Accademia furono tele- grafate al figliolo Prof. Raffaele dal Vice. Presidente PARONA, il quale commemora con elevati ed affettuosi sentimenti di ami» cizia e di ammirazione l’illustre scienziato, illustrandone le mol- teplici benemerenze scientifiche. Alle parole del Vice Presidente PARONA si associa il Presidente, che fu per molti anni collega dell’insigne estinto, rimpiangendo con amarezza la scomparsa di chi ebbe tanta parte importante nell’incremento dell’Università genovese e diede opera illuminata per lo sviluppo della coltura del popolo ligure. La commemorazione detta dal Vice Presidente viene ac- colta, con plauso unanime, per la pubblicazione negli Atti. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 5 Il Segretario presenta quindi una commemorazione del com- pianto nostro Socio corrispondente Prof. Saverio BeLLI, tenuta nella Università di Grenoble dal Prof. MaRrcEL-MIRANDE; egli fa rilevare l’importanza di questo scritto che illustra e riconosce le benemerenze scientifiche di un italiano che fu lustro e decoro dell'Istituto botanico dell’Università di Torino, dove passò la maggior parte della sua carriera scientifica prima di passare alla Università di Cagliari. Il Vice Presidente comunica quindi alla Classe una Nota del Dr Umberto MontERIN dell'Istituto geologico della nostra Università, la quale ha per titolo: Fenomeni carsici nei calcemi- cascisti della “ Zona delle Pietre verdi , (Alta Valle di Gressoney). La Nota del D" MontERIN viene accolta per essere pubbli- cata negli Atti. ee a e i i aa in CARLO FABRIZIO PARONA — COMMEMORAZIONE, ECC. 59 LETTURE £ ARTURO ISSEL commemorato dal Socio CARLO FABRIZIO PARONA Nell'anno che volge, in pochi mesi, la Geologia italiana ha perduto tre insigni Maestri e la nostra Accademia tre soci il- lustri. Il Taramelli prima, il Capellini poi, ed il 27 dello scorso mese l’IsseL: tre professori di Geologia, che per vie diverse arricchirono le fonti del sapere ed onorarono la scienza italiana, che ne tramanderà i nomi. Arturo IsseL, geologo e geografo, zoologo, paleontologo e paletnologo, fu un naturalista nel senso largo della parola, e, valutando l’opera sua, si può dire ch’Egli rappresentava una tradizione, quella dei sapienti nostri naturalisti del secolo scorso, fondatori di Musei, di Scuole, di Società per la Storia Naturale, che seppero insinuare nei giovani del loro tempo l’amore alla raccolta ed allo studio degli oggetti naturali, alla illustrazione naturalistica del nostro paese: il Balsamo-Crivelli a Pavia, il Cornaglia a Milano, il Meneghini a Pisa, il Pirona a Udine, il Lessona a Torino, per ricordarne qualcuno. Egli nacque in Genova nel 1842, e nella città nativa compì i suoi studi e trascorse la sua vita, tranne durante i lunghi viaggi, con rapida ascesa nella estimazione pubblica per la fama presto acquistata come insegnante e naturalista, per le benemerenze come cittadino, per l’operosità disinteressata, l'integrità e la dignitosa modestia. Il nobile suo volto, espressivo ed artistico, specchiava la bellezza e bontà dell'animo suo e l’eletta intel- ligenza. Ho accennato ai suoi viaggi: essi segnano date importanti nella sua carriera di naturalista, che ebbe appunto l’inizio da quando Egli, compagno ad Antinori, Sapeto e Beccari, fu tra i REPAIR 3 AO RE ERI DECODER RO LITIO gr mo uti Audi - < E] 60 CARLO FABRIZIO PARONA primi che visitassero con intenti scientifici i dintorni di Aden, Assab, Reita, Massaua, spingendo ardite esplorazioni anche sul- l’altipiano di Keren. A queste seguirono le fortunose crociere col capitano De Albertis, i viaggi in Egitto, Tunisia e nell’Ar- cipelago Greco; e tutte le esplorazioni fruttarono ricchezze di materiali di studio ed osservazioni consegnate in opere, delle quali ricorderò una in particolare, l’importanza della quale è attestata dalle cinque edizioni che se ne fecero, il volume cioè “ Sul viaggio nel Mar Rosso ,, seguito poi da interessanti studi sulla genesi e paleogeografia dello stesso mare. Questi viaggi spiegano l’interessamento suo per i naturalisti viaggiatori liguri del secolo XIX, ch’egli commemorò nel 1913, e per gli esplora- tori in generale, per i quali dettò un volume d'istruzioni scien- tifiche. Spiegano com’Egli dedicasse pure la sua attività alle discipline geografiche, alla oceanografia, alla morfologia inter- pretata geologicamente, alla quale contribuì anche con studi e proposte dirette a fissare una terminologia razionale nella siste- mazione dei caratteri e delle forme del suolo e dei fenomeni che ad esse si connettono; mentre allo studio del mare portò i risultati delle sue osservazioni sui depositi di alti fondi ed il volume “ Pelagos ,, saggi sulla vita e sui. prodotti del mare, pubblicato col Giglioli nel 1884 a scopo di divulgazione, così come nel 1866 aveva raccolto in altro volume le Varietà di Storia Naturale, dedicandole a Michele Lessona. Le peregrinazioni lungo i litorali, che rivelano al geologo la storia dei mutevoli rapporti fra terre e mari, certo gli sug- gerirono, fornendolo dei dati opportuni, l’idea del suo libro sui “ Bradisismi ,, fondamentale per le indagini sulle oscillazioni delle linee di spiaggia, qualunque sia l’interpretazione dei fatti, che le recenti scoperte mettono in rilievo, e delle cause che la critica scientifica cerca e discute. E questi studi lo attrassero inoltre ad occuparsi di altre questioni attinenti alla geodinamica, in particolare quelle con- nesse ai terremoti, da Lui considerati particolarmente in occa- sione dei sismi della Liguria (1887), di Zante (1894) e di Città di Castello (1897). Con questi viaggi e con questi studi Egli venne raccogliendo elementi per il suo “ Compendio di Geologia ,, che in certi ca- pitoli ha impronta affatto personale. i HA RIDI deri 0A e A LI L0n S COMMEMORAZIONE DI ARTURO ISSEL - 61 Ma il campo della più intensa, ininterrotta e appassionata attività fu la sua Liguria; ed in gran parte si deve alla sua azione diretta, ed indiretta per opera dei suoi allievi, se questa terra così bella, e per tanti riguardi così interessante per gli studiosi, se questo nodo di assai complessa struttura geologica e di così difficile interpretazione per la parte che ebbe nelle genesi del sistema alpino, può ritenersi fra le regioni più co- nosciute e meglio studiate nei riguardi della Geologia, della Paleontologia, della Preistoria e di quel ramo di scienza detto Speleologia, del quale il nostro IsseL fu certamente uno degli iniziatori. Non è ora il caso di ricordare le numerose sue Memorie, alle quali si riconosce il merito della chiarezza ed eleganza di dizione, tanto più che l’ingente e fruttuoso lavoro fu dall’A. riordinato e riassunto nelle due sue opere maggiori: “ Liguria geologica e preistorica ,, corredata da Carta geologica, del 1892, e “ Liguria preistorica., del 1907, alle quali si aggiunse più recentemente il bel volumetto su “ L'evoluzione delle rive ma- rine in Liguria ,, ad integrare quanto riflette la geomorfologia di questa parte dell'Appennino. E la descrizione della Liguria nella natura e successione dei terreni che ne costituiscono il suolo, è l’esposizione dei can- giamenti anche nelle fiore e nelle faune che popolarono succes- sivamente questa terra, ora circoscritta in limiti più ristretti di quanto non lo fosse in epoca geologica recente; ciò che lo stesso IsseL dimostrò, facendo conoscere come i solchi delle vallate sul versante ligure non si arrestino al mare, bensì si conti- nuino manifesti per lungo tratto sul fondo marino. In queste opere si legge la storia dei primitivi abitatori liguri, dallo sta- bilirsi delle razze di Grimaldi e dall’età del Renne in poi, quale dai paletnologi fu interpretata in base alle scoperte fatte delle stazioni umane spelee della “ Cornice ,, più che dalle miste- riose incisioni rupestri nelle alte valli delle Alpi Marittime. Come nel campo della Paletnologia, l’IsseL fu maestro in quello della Paleontologia, e sono da segnalare come più note- voli i lavori sugli avanzi dei vertebrati; dai primi, anteriori al 1880, sulle fiere fossili delle caverne ossifere, a quello re- cente su alcuni mammiferi fossili del genovesato e del savo- nese. Mi piace inoltre di ricordare come Egli applicando l’uso dei a e e ee E a È 62 CARLO FABRIZIO PARONA — COMMEMORAZIONE, ECC. del microscopio allo studio delle roccie, anche sedimentari, fosse condotto ad interessanti osservazioni di carattere mineralogico e paleontologico, quale fu quella delle radiolarie fossili conte- nute nei cristalli di albite. Arturo IsseL insegnò ininterrottamente nell'Università di Genova dal 1866 al 1917, e in questo lungo periodo creò il Museo Geologico, lo arricchì di numerose collezioni, particolar- mente preziosa quella famosa della flora e fauna oligoceniche di Don Perrando, riuscendo al fine, non sono molti anni, a col- locarlo in degna sede nella Villetta di Negro. I suoi meriti di studioso e di divulgatore della scienza furono riconosciuti e ap- prezzati dai corpi scientifici: l’Istituto di Francia lo onorò asse- gnandogli una medaglia d’oro, la Società Geografica Italiana gli conferì due volte la medaglia d’argento, la Società Geologica Italiana lo ebbe Presidente, e nel 1907, in occasione del 40° anno d'insegnamento, solenni onoranze lo festeggiarono in Genova, dove Egli tanto si era adoprato, con autorità riconosciuta e con apostolato efficace, per diffondere la coltura e promuovere l'elevazione intellettuale. Per la fama acquistata, Egli fu chia- mato a far parte di parecchie altre Accademie e fu Socio Na- zionale dei Lincei. Per molti anni membro del R. Comitato che dirige il lavoro della Carta Geologica del Regno, ne fu Presi- dente per qualche tempo, e tenne la carica con molta dignità e con serietà di intenti. Al lavoro, che per Lui era bisogno sentito e conforto, non ha dato riposo neppure in questi ultimi anni, come ne fanno fede le recentissime sue pubblicazioni sulle pietre figurate, icoliti, bioliti, pisoliti. L'Accademia nostra, riverente alla sua pura memoria, lo ricorda per il largo ed apprezzato contributo portato alle Scienze. naturali e per la nobiltà della sua lunga ed utile vita di stu- dioso e di cittadino operoso; e, associandosi al generale rim- pianto, esprime in particolare il cordoglio al figlio suo diletto, prof. Raffaele, che degnamente segue l'esempio paterno nel culto della scienza e nell’attività scientifica feconda di risultati. UMBERTO MONTERIN — FENOMENI CARSICI, ECC. 63 Fenomeni carsici nei calcemicascisti della “Zona delle pietre verdi,, (Alta valle di Gressoney) Nota del Dott. UMBERTO MONTERIN Presentata dal Socio nazionale residente Parona È noto come nelle Alpi Occidentali prevalga un tipo di regione montuosa, che deve sopratutto le sue forme all’azione valligena delle acque correnti superficiali; ciò in rapporto, senza dubbio, alla natura litologica prevalentemente impermeabile di quei monti, e per conseguenza alla scarsità di zone ad altipiani calcarei, in cui originariamente un ricoprimento nevoso e la permeabilità stessa del suolo avrebbero limitata l’azione erosiva dell’acqua superficiale. Però, come nelle regioni calcaree delle Alpi Orientali, ca- ratterizzate dal prevalere di altipiani con pareti a picco nelle più svariate condizioni altimetriche, così pure nella nostra zona alpina delle “ pietre verdi ,, ove prevalgono i calcemicascisti, non mancano degli alti pianori a mo’ di terrazzo, con margini oltremodo dirupati ed incisi da profondi solchi. Tali sono l’alto pianoro ondulato calcemicascistoso, che dalla base orientale del Gran Tournalin sale in lieve pendenza alla Roisette, in valle d'Ayas; e quelle numerose serie di terrazzi che si corrispondono sui due fianchi dell’alta valle di Gressoney sopra Tachen nel- l’Oberteil ed in parte anche nel Mittelteil. Tutti pendono lieve- mente verso sud-sud-est, iniziandosi a settentrione molto in alto, poco sotto le due crinali di spartiacque, per abbassarsi a gradi fino al fondo valle a Stein-matto. Oltre a ciò è sintomatica la sorprendente corrispondenza sui due fianchi della valle degli altipiani di destra con quelli opposti di sinistra, gli uni e gli altri posti a gradinata verso l’asse vallivo. Tali sono sul ver- 64 l “UMBERTO MONTERIN sante destro quelli del Rothhorn e quello volgarmente conosciuto col nome di Solaret, che, dalla base orientale della Grauhaupt, scende lievemente a riannodarsi con quelli del Tiazhorn, di cui gl’inferiori si continuano coll’ampio e meraviglioso terrazzo di Alpen-zu, ed i superiori con quelli dell’Ober-Montil e di Loésche. A tutti questi corrispondono sull’opposto versante l’altipiano ondulato di “ Grube ,, ed i terrazzi a gradinata di Schkerpie, di Spielmannsberg, sottostanti al Karrenhorn, e di Tschampono. È bene tener presente che questi altipiani lievemente on- dulati, talora ridotti per azione valligena delle acque soltanto a serie di terrazzi a pareti abrupte, sono caratteristici delle regioni ove compaiono i calcemicascisti, roccie assai friabili, alle quali di solito sono intercalate, e talora in perfetta con- cordanza, delle lenti di serpentino o dei banchi di prasiniti e di altre rocce verdi più dure. Per rendersi conto della corrispondenza sui due fianchi della valle di questi altipiani a terrazzo, come pure della loro incli- nazione verso sud, cioè del loro degradare dal nord verso il fondo della valle per scomparire sotto i gneiss a Tschemenoal, è d’uopo tener presenti le caratteristiche geologiche di questo tratto di valle che si apre attraverso ad una fascia di “ pietre verdi ,. Infatti la valle di Gressoney dalle sue origini al suo con- fluire con quella d’Aosta a Pont S. Martin è una tipica valle trasversale diretta da nord a sud. Taglia quasi perpendicolar- mente la direzione degli strati corrispondendo questi in generale sul due fianchi. Infatti la testata della valle è formata dal- l'ampio bacino glaciale del Lys aprentesi sul fianco meridionale del grande elissoide gneissico e di micascisti del. Monte Rosa, contro cui si rovescia una zona di “ pietre verdi ,, ossia calce- micascisti, serpentine, serpentinoscisti, cloritoscisti e talcoscisti, prasiniti, spesso cloritiche, eufotidi profondamente metamorfo- sate, ecc., e tutte quelle altre associazioni e forme litologiche caratteristiche di questa serie. La valle le taglia trasversal- mente da Cortlys a Stein-matto, donde fino al suo sbocco a Pont S. Martin si apre attraverso i gneis ed i micascisti della serie Sesia-Val di Lanzo, che a sua volta si addossa alla zona di “ pietre verdi ,,. FENOMENI CARSICI NEI CALCEMICASCISTI, ECC. 65 Questi altipiani terrazzati, oltre ai margini dirupati ed incisi da profondi solchi, di cui sono tanto caratteristici quelli del fianco orientale della Grauhaupt, — ove naturalmente pre- vale l’azione meccanica dell’acqua, poichè la pendenza, facilitando lo scorrimento delle acque, ne limita di molto la filtrazione e quindi l’azione chimica; — presentano pure qua e là sulla loro superficie delle cavità chiuse dolineformi. Tanto quelle del Solaret che quelle della Roisette sono tutte però di piccole dimensioni, poichè misurano pochi metri di diametro, ed hanno forma “a scodella ,. Ben più interessante riesce però lo studio di quell’alta ed isolata regione dell’alta valle di Gressoney, compresa tra i valloni di Rikka e di Spissen e conosciuta dai montanari col nome di Grude (1), che più propriamente si estende con forti ondulazioni a sud-ovest del Seehorn. L'intera regione è circo- scritta da rocce serpentinose (serpentini compatti e laminati, serpentinoscisti passanti in alcuni punti a vere filladi serpen- tinose), che nella parte centrale fungono pure da letto imper- meabile ai soprastanti banchi di calcemicascisti. Questo arido altipiano a strette ondulazioni, lievemente inclinato a sud-sud-ovest, ha una media altitudine di 2200 m.,, e presenta una numerosa serie di avvallamenti diretti da nord- nord-est a sud-sud-ovest verso cui divergono un po’, e correnti parallelamente alla crinale che dal Seehorn va al vallone di Spissen. Nessuna vera valle solca questo altipiano, e se l’acqua vi giunge dai pendii attigui a serpentini del Seehorn, tosto si inabissa e scompare. Invano quindi si cercherebbe ivi un ru- scello od una fonte: tutta l’acqua vienè assorbita dalle infinite (1) Grube = cavità, pozzo. Denominazione oltremodo appropriata, che ci dimostra ancora una volta il profondo intuito popolare nell’osservazione dei fenomeni naturali. Anche a Sauris nelle Alpi Orientali, secondo il Marinetti (Studi orografici nelle Alpi Orientali, “ Mem. Soc. Geogr. Ital. ,), le doline vengono chiamate Grueben. 66 i UMBERTO MONTERIN screpolature e fessure della superficie; ne viene come conse- guenza naturale che la vegetazione per questa aridità del suolo è molto scarsa e stentata. Il che ci spiega anche la mancanza di qualsiasi casolare, essendo i magri pascoli esauriti assai presto dai greggi dei pastori biellesi, che vi si fermano pochissimo tempo. Ovunque affiorano rossastre rocce di calcemicascisti sol- cati da lunghi crepacci, bizzarramente erosi e slabbrati, con intercalazioni di banchi di prasiniti cloritiche; mentre ad ogni passo si aprono delle cavità, che per lo più sono circolari, ma che si presentano talora anche ellittiche. In queste però le acque non possono ristagnare, perchè i calcemicascisti che av- vallano non sono impermeabili e risultano perciò asciutte, con crepacciamento e la conseguente formazione con l’intervento dell'erosione esterna di complicati sistemi di fessure. Le cavità dolineformi tendono ad allinearsi, in linea gene- rale, in un’unica direzione, da nord-nord-est a sud-sud-ovest, e l'allineamento nel nostro caso corrisponde a sei fratture di di- versa grandezza, che hanno dato luogo a quattro avvallamenti minori — che sono però, come vedremo, i più importanti — e a due avvallamenti principali continui ed abbastanza uniformi che si aprono lateralmente sui due fianchi opposti della zona presa in esame. Di questi ultimi, quello più esterno, ossia il primo verso Bedemie, trovasi ad un’altitudine un po’ inferiore agli altri. Quello opposto, sottostante alla crinale del Seehorn e del pro- lungamento di questo verso il vallone di Spissen, e che è anche di conseguenza il più interno, non ha delle vere e proprie ca- vità chiuse a forma di dolina. I quattro avvallamenti minori della regione mediana, compresa fra i menzionati avvallamenti principali laterali, pur avendo una minore lunghezza e regola- rità, racchiudono però le più grandi e tipiche doline. Cominciando a settentrione verso il vallone di Rikka tro- viamo alcune cavità chiuse ma informi, vicino alla strada che conduce a Schòne-Biel, secondo un allineamento diretto da nord-nord-est a sud-sud-ovest. Il fondo di esse è in parte rive- stito da cotica erbosa, interrotta da sporgenze rocciose oltre- modo alterate e cadenti in disfacimento: sono eufotidi profon- damente metamorfosate ed alterate con la neo-formazione di serpentino, talco, clorite, con abbondanti intercalazioni di calcite FENOMENI CARSICI NEI CALCEMICASCISTI, ECC. 67 proveniente probabilmente dalla ricristallizzazione di quella scioltasi dai calcemicascisti. Sul fianco orientale sorge una serie di fantastici pinnacoli, specie di dicchi alteratissimi e friabili ai quali segue una striscia di serpentini compatti in prosecu- zione di quelli del Seehorn. Vengono quindi i banchi di calcemicascisti diretti da nord a sud, quasi orizzontali e talora debolmente inclinati ad est. Questi banchi oltre che dalle fratture già accennate, a cui cor- rispondono i diversi avvallamenti ricordati, sono pure rotti da profonde spaccature, parallele fra loro e dirette da est ad ovest, ossia ortogonalmente alla direzione degli strati. Ciò va inteso però come carattere generale, inquantochè di frequente la dire- zione e l’inclinazione può variare completamente per esser stati i banchi di calcemicascisti rotti, fratturati e ribaltati in tutte le possibili direzioni. Ciascuno degli avvallamenti menzionati risulta formato da una successione di cavità dolineformi del tipo “a scodella ,, contigue le une alle altre e disposte in un'unica direzione. Di questi avvallamenti chiusi il primo verso occidente, ossia verso Bedemie (1) e che è anche il più basso in altitudine, presenta a settentrione al suo inizio una prima serie di 4 doline di pic- cole dimensioni aventi il diametro di 2 a 5 metri ed una uguale profondità. Hanno un’apertura circolare o debolmente ovale e sono completamente rivestite da cotica erbosa. Ad occidente qua e là i banchi di calcemicascisti sono interrotti da rocce prasinitiche. Più a sud, sempre nel medesimo avvallamento, ove esso piega un poco verso occidente, ossia in direzione delle Ekko-gafene, ed un po’ prima del suo termine e della comparsa dei serpentini del promontorio di Tschneffo, si aprono ancora due doline, di cui una alquanto grande col diametro di circa 20 metri e del solito tipo a scodella. La seconda è un po’ mi- nore di grandezza. Una ben maggiore importanza hanno però le cavità doli- neformi della regione mediana. Questa presentasi complessiva- (1) Bedemie = piccoli piani. È diminutivo di Bodma che è plurale da Boden = piano. Denominazione pur essa molto appropriata, perchè riferita a quella regione pianeggiante soprastante all’anfiteatro morenico dauniano di Orsia. Lesa - der'edlar| 94 LORENZO DALMASSO Wolfflin, seguìto dallo Schmalz, fa atque atque = adque adque, dove ad sarebbe avverbio di luogo. Meglio il Valmaggi (Ennio cit. p. 105 v. 329) pensa “ ad uno di quei casi di sovrabbon- danza stilistica che sono così frequenti negli scrittori arcaici , e ricorda Plauto trin. 756 ergo igitur, XII tab. III 2 post deinde, Catone agric. 88, 1 in die cotidie, rinviando per altri esempi di congiunzioni ed avverbi similmente accoppiati all’Altenburg ‘ Fleckeis. Jahrb. suppl. XXIV 488 sgg.). Sennonchè, in luogo del raccostamento di avverbi e congiunzioni sinonime, si avrebbe la “ pura e semplice ripetizione della stessa parola ,. Tutt'al più si potrà aggiungere che la ripetizione pur sovrabbondante del- l’atque riesce ad un effetto in qualche grado intensivo. i Ed anche l’uso di atque = statim si può mettere d'accordo con la scienza moderna, pur non coincidendo esattamente con essa. In realtà è questo un particolare della lingua arcaica, che adopera l’atque dopo una proposizione temporale solo per desi- gnare l’inizio della proposizione principale (Riemann-Lejay, Synt. lat. 505 Rem. IV; v. pure Georges I 676-77). Lo Schmalz (Stolz- Schmalz, Lat. Gramm.4 497) spiega questo costrutto di origine plautina non con la derivazione greca (come altri volle), ma con la confusione dei due costrutti quom vento, video e venio atque video che non deve stupire sulla bocca del popolo (v. pure Stampini georg. 1, 203). Ma sembra di non potere escludere nella congiunzione copulativa una lieve sfumatura temporale, e forse è questo un costrutto non troppo dissimile dall’italiano: “ Quando io giunsi, allora vidi ,, dove il valore temporale è certo molto affievolito, ma non è scomparso del tutto. Oscillazioni tra il valore di congiunzione e di avverbio sono frequenti in tutte le lingue parlate, ed anche nei periodi arcaici delle lingue, quando la tradizione letteraria non è venuta ancora a fissare saldamente i limiti della paratassi e dell’ipotassi. Py Il cap. XII 9 è consacrato alle voces mediae o ambiguae e fa parte di un gruppetto di tre capitoli (VIII 14, IX 12 e XII 9) che discutono vocaboli di dubbio significato (Nettleship, op. cit. 272). G. li chiama vocabula ancipitia e ne distingue due classi 3 una di quelli che, come tempestas, valitudo, facinus, dolus, gratia, BISON, E TOT 5 AT Ar ZAT NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO 95 industria, anche al suo tempo significare et capere possent duas inter se res contrarias, l’altra di quelli che, come periculum, ve- nenum, contagium, avevano già perduto il senso favorevole. Estensione di significato nel primo caso, vera e propria tras- formazione nel secondo, osserva il Heerdegen (op. cit. 105-107). Tra i vocaboli della seconda classe G. registra X%onos, che ebbe anche senso sfavorevole, e in unione con ma/us fu sinonimo di iniuria. Il luogo citato da G. è di Q. Metello Numidico (0. PR. £.? p. 275) honorem peiorem vobis habuit quam mihi, che è quanto dire maiore vos adfecit iniuria et contumelia quam me. Analo- gamente il detto socratico (Plat. Gorg. p. 473 A, 489 A, 508 B) uduiov sivar tò Adizeîv 7) tò dbrxeîodar, e più esplicitamente Plat. ibid. p. 469 0 ei d’ dvayxaîov sin ddizeîv 7 ddizeîoda, #loiunv @v udliov ddineîodar ddixetv (Otto, Sprichw. 175). G. stesso dice che questo uso è rarissimo, ed i lessici non ne dànno altra testimonianza. * * * Il cap. XIII 29 (28) contiene forse una questione di lana ca- prina: mortales, dice Frontone, ha un senso più vasto di homines (longe longeque esse amplius, prolixius, fusius în significanda totius prope civitatis multitudine $ 3) e si appoggia ad un luogo di Claudio Quadrigario (fr. 76 P). L'uso di mortales = homines compare la prima volta in Nevio, poi Ennio (Valmaggi fr. 17 e 346), Catone, Claudio Qua- drigario, Lucilio, Cicerone (sempre però con multi o omnes: Krebs-Schmalz® II 204), Sallustio (più luoghi), Orazio, Livio, Petronio, Plinio nat., Pseudoquintiliano decl. (più luoghi) e molti altri nella decadenza (1). Non sembra però che esistesse la dif- ferenza accennata da Frontone. Era forse questione di gusto e Frontone stesso osserva che la differenza avviene mescio quo pacto et quodam sensu inenarrabili. Se una sfumatura ci poteva essere, si deduce dall’osservazione fatta dal Cramer (art. cit. 343): laddove Quintiliano non usa mai mortales, ma sempre homines, mortales compare 31 volte nelle diciannove declamationes maiores. Doveva essere una di quelle espressioni enfatiche tanto care alla retorica, specialmente imperiale! (1) Cramer. Was heisst ‘ Leute'? ‘Arch. lat. Lex. VI 342 e 367. a LIS FRIERTR - Li code se fia 96 LORENZO DALMASSO * * * Notizie esattissime reca il cap. XIII 30. Facies latino non designa solamente os ... et oculos et genus, quod Graeci ro6owrov dicunt, ma ha un significato ben più largo: forma omnis et modus et factura quaedam corporis totius a faciendo dicta $ 2, e non solo si applica al corpo umano, ma anche ad esseri animati (montis et caeli et maris facies, si tempestive dicatur, probe di- citur $ 4). Che tale sia il senso e l’etimologia di facies, confermano tutti i lessici moderni, i quali citano come fondamentale il luogo gelliano, confermato da Nonio 1, 52, 20 sgg. totius cor- poris formam, non tantum mo60wrov, id est 08, posuit antiquitas prudens. Ut a spectu species et a fingendo figura, ita a factura corporis facies (1); da Servio Aen. 6, 560 che usa facies = species (cfr. Gramm. suppl. 131, 20 superficies est naturalis). E facies è ampiamente usato con riferimento anche ad esseri inanimati: totius negotiù Sall., honesti Cic., maris, laborum, scelerum Verg., pomorum Hor., imminentis periculi, ripae, mali Curt., vinearum Plinio ep., pugnae Tac., e si potrebbe continuare. Per altri esempi v. Krebs-Schmalz® I 572. Esatta pure l’etimologia di facies da facio. Mette in evi- denza il Walde® 265 che non è da raccostare a fax, facula, facetus, diapaiverr, pdos, ma a facio, con affinità a superficies ed al fr. ‘fagon’ (factionem). Numerosi paralleli ha raccolto l’Osthoff (2). Ae y) Pochi capitoli per ultimi, dedicati a questioni di de- terminazione del significato. Al cap. I 22 combatte un significato postclassico del voca- bolo superesse (cfr. Nettleship, op. cit. 271): inroboravit inve- (1) Per il rapporto fra Gellio e Nonio, che qui concordano spesso alla lettera, vedi Hertz, op. cit. 98-99. (2) Etymologische Beitrdàge zur Mythologie und Religionsgeschichte * Arch. .Rel. Wiss.' VIII 64, dov'è specialmente importante la n.1, che cita e con- ferma il capitolo gelliano. NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO 97 teravitque falsa atque aliena verbi significatio, quod dicitur * hic illi superest’, cum dicendum est advocatum esse quem cuipiam causamque eius defendere $ 1. La strana accezione era diffusa specialmente nei tribunali, che pare avessero il privilegio di queste audacie semantiche (Romano, op. cit. 30). Un pretore aveva argutamente risposto all'avvocato: tu plane superes, non ades $ 6, e G. conclude il capitolo con un’altra arguzia: cavenda igitur est non improprietas sola verbi, sed etiam pravitas ominis, si quis senior advocatus adulescenti ‘ superesse se’ dicat. A dir vero, nella lingua forense scritta non deve mai esser diventato termine tecnico, perchè non si spiegherebbe come nella vasta letteratura giuridica a noi pervenuta non compaia. Non lo registra il Kalb (1), non il Neumann-Seckel (2), non i lessici che non hanno per tale significato altra testimonianza affine che quella di Svetonio Aug. 56, dove Augusto confessa cunctari ... se, ne, si superesset, eriperet legibus reum; sin deesset, destituere ac praedamnare amicum existimaretur. Ad ogni modo il capitolo (che sembra attinto parte da Probo e parte da Igino: Hosius, ed. cit. XXV; Kretschmer, op. cit. 78) tratta ampiamente e correttamente tutti i sensi di superesse in coloro qui integre... locuti sunt e cita, con insolita larghezza, testimonianze di Cicerone (3) e Virgilio (le colonne d'Ercole, come si è visto, dell'idoneità frontoniana), quasi a di- mostrare che, trattandosi di neologismo, non ha voluto limitarsi al più vieto arcaismo. Nel cap. XIII 17 (16) pare che G. non abbia interamente ragione. Humanitas vale davvero tanto piZavdomzia quanto nadia, com’'egli dice ($ 1), ma non sembra provato che qui verba Latina fecerunt quique his probe usi sunt vi annettessero solo il secondo significato. A sostegno della sua affermazione reca solo due esempi: Varrone e Cicerone. Ma in Cicerone lar- (1) Das Juristenlatein (Niranberg 1887). (2) Handlexikon zu den Quellen der ròmisches Rechts (Jena 1907). (3) Su un passo discutibile ($ 8), dov'è menzionato Cicerone, v. Hertz, op. cit. 27. 98 LORENZO DALMASSO gamente coesistono i due sensi; nè, all'infuori della notizia gelliana, possiamo documentare una prevalenza dell’uno sull’altro nel periodo arcaico. Del resto non è senza peso il fatto che Nonio, il quale qui, come altrove, ha presente G. (Hertz, op. cit. 96) si esprime ben diversamente (1, 52, 7 sgg.): humanitatem non solum, uti nunc consuetudine persuasum est, de benivolentia, dexteritateque et comitate veteres dicendam putaverunt, quam Graeci qpudav- dowriav vocant; sed honestorum studiorum et artium adpetitum. Dunque, secondo Nonio, coesistenza dei due significati in un primo tempo, prevalenza di uno solo nel secondo (1). task * * Nel cap. XV 5 G. non ha forse torto in tutto, ma certa- mente imposta male la questione. Il verbo profligare, egli dice, al tempo suo ha assunto il valore di “avvicinare al ter- mine e profligata si dicono quae prope absoluta adfectaque sunt $ 2. Il mal vezzo par sia diffuso tra gli avvocati, e qui, come già altrove (p. 18), riferisce una lezione non priva di spirito che un pretore avrebbe dato ad uno di costoro (Romano, op. cit. 30). Non profligatum dicono in tal senso qui Latine locuti sunt, ma adfectum, e cita a sostegno della sua tesi tre luoghi di Cice- rone ($$ 5-8). Che adfectus e adficio abbiano anche questo significato, è fuor di dubbio: i luoghi di Cicerone sono calzanti, specialmente il primo (de prov. cons. 8, 19) bellum adfectum et ... paene confectum, ed il secondo, dove adfectus è contrapposto a perfectus. G. ripete la stessa cosa presso a poco con le identiche parole al cap. III 16, 17-19 (2), riferendosi a Cicerone che pone nel novero dei (1) HI Mirsca, De M. T. Varronis Antiquitatum rerum humanarum libris XXV ‘Leipziger Studien’ V 59 spiega la differenza col fatto che qui Nonio non avrebbe attinto a G., ma entrambi avrebbero sfruttata una fonte comune: le Antiquitates rerum humanarum di Varrone. (2) Questa coincidenza gli ha procurato un rimprovero dal NerTLESHIP, op. cit. 255, che fra i difetti di composizione cita appunto il ricomparire delle medesime cose quasi con le medesime parole. Forse il Nettleship, così fine intenditore di G., è talvolta un po’ pessimista. Perchè G. non si sarebbe dovuto incidentalmente servire nel cap. III 16, dove il tema è ben diverso, di una notizia che discuterà ex professo al cap. XV 5? NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO 99 veterum che elegantissime locuti sunt ($ 19): adfecta ... ea proprie dicebantur, quae non ad finem ipsum, sed proxime finem progressa deductave erant. Ma anche profligare ha precisamente, fra gli altri, questo significato; e la differenza tra i classici e la decadenza sta non nell’uso di profligare= adficere, ma in quello di profligare = per- ficere, conficere (Krebs-Schmalz® Il 393). La vera definizione di . profligare ci è data dal Manuzio a Celio Cic. ep. 8, 9, 2 (1) profligatum plus est quam coeptum, minus quam confectum. Spe- cialmente probanti sono i luoghi di Cicerone stesso fam. 12, 30, 2 profligato bello ac paene sublato e T'use. 5, 6,15 profligata iam haec et paene ad exitum adducta quaestio est (cioè la que- stione è ‘avviata alla soluzione e già quasi definita’, come ben traduce il Pascal, Dia. dell'uso Cic. 502), e nella medesima ora- zione de prov. cons. 14, 35 ab eodem illa omnia, a quo profligata sunt, confici. Anche più caratteristico Livio 21, 40, 11 cum foe- derum ruptore deos ipsos bellum committere ac profligare, nos com- missum ac profligatum conficere, e non meno chiaro il luogo del Monumentum Ancyranum 20 coepta profligataque opera a patre meo perfeci, e Floro 1, 31, 32 si quis trium temporum momenta consideret, primo commissum est Punicum bellum, profligatum se- cundo, tertio vero confectum est. Più esempi sono in Tacito (v. Valmaggi, Tac. hist. 2. 4). Si avvicina invece a conficere Svetonio Oth. 9 quam primum decertare statuit, sperans ante Vi- telli adventum profligari plurimum posse. È veramente uguale a perficere ed a conficere Arnobio 7, 39 ludis iam terminatis pro- fligatisque curriculis, non multis post temporis spatium civitatem accepisse pestilentia vastari. Se noi potessimo penetrare un po’ meglio nelle fonti, riu- sciremmo forse a spiegare questo errore gelliano, dove le ra- gioni della scuola non entrano per nulla, perchè chi lo smentisce decisamente è quello stesso Cicerone, su cui egli fonda la sua tesi. Ma poco delle fonti si sa, e specialmente in questo brano : a Sulpicio Apollinare pensa il Kretschmer (2), e il Nettleship, (1) Il luogo commentato dal Manuzio è il seguente: de provinetis ... in- terpellavit iudicium Marcelli ... in Kal. reiecta res est ... Has litteras ... dedi, quum ad eam diem ne profligatum quidquam erat. Ut video, causa haec integra în proximum annum transferetur. (2) De A. Gellii fontibus (Posnaniae 1860) 106. 100° LORENZO DALMASSO — NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO op. cit. 271 raccosta questo luogo a sei altri che, per trattare tutti di vocaboli che hanno cambiato il loro senso dopo il pe- riodo classico, pensa debbano risalire ad un’opera separata, ma quale essa sia non dice. Nonio 2, 161, 24 sgg. riproduce in parto il pensiero gel- liano; ma, poichè aggiunge qualche cosa che nel Nostro non c'è, giustamente hanno pensato i critici che qui Nonio abbia tenuto davanti altra fonte oltre Gellio (L. Miiller, ed. citata I 235; Hertz, op. cit. 717). Come si vede, se si confrontano le notizie del Nostro coi risultati degli studi moderni, G. ne esce bene. Talvolta è l’unica (o la più antica) fonte latina di una determinata notizia, che o non ricompare più o si ripete sulle tracce sue da epitomatori posteriori che da lui hanno direttamente o indirettamente at- tinto. Quasi sempre dà prova di lodevole moderazione, nè segue grettamente e pedantescamente i canoni della scuola. Alle stesse conclusioni può giungere chi esamini altra specie di notizie lessicali, come abbiamo già fatto altrove per la for- mazione delle parole e per i grecismi, e come faremo per altri gruppi di notizie, come quelle virgiliane (molto interessanti), quelle che investono questioni storico-archeologiche, quelle che ricordano proverbi o modi proverbiali. Alba, giugno 1922. L’ Accademico Segretario GrovANNI VIDARI MI 1 101 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 17 Dicembre 1922 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. CORRADO SEGRE DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci D’Oviprio, PrANo, Foà, GuIpI, GRASSI, PANETTI, MAJORANA, HERLITZKA e il Segretario MaTTIROLO. Scusano l’assenza il Presidente Rurrini, il Vice Presidente PARONA e il Socio Sacco. + Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza che risulta approvato senza osservazioni. Il Segretario MATTIROoLo comunica all'Accademia che nel giorno 27 corr. si terrà a Parigi la solenne commemorazione del Centenario della nascita di Luigi PasTEUR, nato appunto il 27 dicembre 1822 a Dòle. Quantunque il PAstEUR non fosse Socio della nostra Accademia, pure egli ritiene di interpretare il sentimento di tutti i Soci, rivolgendo preghiera alla Presi- denza di voler associare il nostro Sodalizio a quelle manifesta- zioni che da ogni parte del mondo scientifico saranno indirizzate alla Francia, in onore del grande uomo di scienza e del bene- fattore dell'umanità. La proposta è accolta a voti unanimi dall'Accademia, che dà incarico al Presidente di esprimere i sentimenti dell’Acca- demia Torinese, incaricando a sua volta il Socio straniero Émile Prcarp, Segretario perpetuo per le Scienze matematiche all'Accademia di Parigi, di rappresentarla alla Cerimonia. 102 Il Presidente presenta all'Accademia un volume, edito in 400 copie, In Ricordo di Angelo Sismonda, inviato dalla Signora Emilia FornARIS ReBAUDENGO, nipote del Prof. Sismonda che ne curò la pubblicazione nell’occazione delle nozze d’argento di Guido e Maria Fornaris pronipoti dell’illustre geologo. Il volume contiene una raccolta di lettere dirette all’emi- nente nostro Socio, da Giacinto di Collegno, Paolo Savi, Lyell, Studer, Elie di Beaumont e J. Fournet, e ordinate dal Profes- sore A. Roccati. Il Presidente ringrazia per l’omaggio gentile e gradito, che ricorda le benemerenze di uno dei più illustri nostri Consoci. Il Socio Foà fa omaggio all'Accademia di N. 4 fascicoli del nuovo Trattato di Anatomia Patologica da lui diretto. I fascicoli sono: il 1° che contiene l’Introduzione all’opera, scritta dal donatore, e la Patologia della Cellula da A. TRAMBUSTI; il 2° tratta delle Infiammazioni ed è opera del D. E. VERATTI; il IX è redatto da P. GurzzerTI ‘e si riferisce al Sistema nervoso centrale; mentre l'XI di G. CaGnETTO è dedicato alla patologia dell'Apparato genitale maschile. L'opera fa onore alla scienza non solo, ma anche all’arte tipografica italiana. Il Presidente ringrazia il Socio Foà per il dono importante. Il Socio Grassi offre quindi all'Accademia e ai Soci alcune copie del discorso da lui pronunciato alla Seduta straordinaria della Sezione di Torino dell’Associazione Elettrotecnica italiana nel maggio 1922, tenuta nel XXV anniversario della morte di Galileo Ferraris. Egli discorre dei lavori del Ferraris che hanno speciale riguardo ai Trasformatori e riferisce come, nelle due Appendici a detto discorso, egli abbia potuto chiarire alcuni concetti e frasi del Ferraris, che erano state erroneamente interpretate. L’Accademico Segretario Oreste MATTIROLO 103 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 24 Dicembre 1922 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci De Sanctis, Bronpi, ErnAupI, BAUDI DI Vesme, ParETTA, Prato, Cran, FAGGI, JANNACCONE e VIDARI Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 10 dicembre u. s. Sul verbale prende la parola il Socio DE SAncTIS per co- municare che l’Istituto Veneto ha designato come suo delegato nella commissione speciale della Unione Accademica Interna- zionale pel lessico ducangiano il prof. Vincenzo UssanI; e che il Ministero ha deliberato un contributo di L. 1500 per le spese. Il Presidente comunica una lettera della Pontificia Acca- demia romana di Archeologia, la quale invita la nostra Acca- demia a partecipare alla commemorazione del primo centenario della nascita di G. B. pe’ Rossi, che si terrà nel Pontificio Museo Cristiano il 28 corr. Il Presidente propone che sia pregato di rappresentare l'Accademia di Torino in tale solenne cerimonia il Socio non residente prof. Ignazio Guipi. La Classe unanime approva. Il Socio ViparI dà notizia di un cospicuo dono fatto recen- temente dal Socio PARoNnA all'Accademia. Si tratta di una rac- 104 colta di circa 70 volumi e oltre 100 opuscoli provenienti dalla biblioteca del compianto dottor Giovanni PARONA, fratello del nostro Socio: volumi e opuscoli tutti riguardanti la storia di Pavia, della sua Università, del suo territorio. Il Socio VIDARI segnala fra le altre pregevoli pubblicazioni il Codice diplomatico dell’Università di Pavia edito dal Maiocchi, una Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti (Milano, 1856-57), gli scritti noti e importanti del Capsoni, del Robolini, del Galletti, le Constitutiones dominii mediolanensis (Novara, 1597), e infine, importante per la sua rarità, la prima edizione del GuaLLa, Papie sanctuarium (Pavia, 1505). E prendendo occasione dal dono PARONA, il Socio VIDARI offre alla Accademia un’altra pubblicazione riguardante la storia di Pavia, quella cioè, in quattro volumi, del compianto suo zio, avv. Giovanni ViparI, intitolata Frammenti cronistorici dell’agro Ticinese (Pavia, Fusi, 1891-92), della quale brevemente espone il contenuto. Il Presidente esprime a nome dell’Accademia i più vivi ringraziamenti al Socio PARONA per l’atto suo gentile e generoso onde si arricchisce la Biblioteca di una raccolta di pubblicazioni molto importante, e ringrazia pure il Socio VipaRI per il suo dono, che in certo modo integra il precedente. Il Socio Cran annuncia prossima la commemorazione del compianto Socio SALvionI, della quale egli era stato incaricato, ma chiede che alla cerimonia si voglia dare una certa pubbli- cità, per cui si rendano più vivi i contatti dell’Accademia con il mondo degli studiosi. Il Presidente accoglie favorevolmente la proposta; e la Classe delibera di tenere al più presto la detta commemorazione nel grande salone e con largo invito al pubblico. L’ Accademico Segretario GrovaNnNI VIDARI ca ana: ela di Td cede A Mi 105 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 31 Dicembre 1922 d È PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D’Ovipio, PraNo, GuIpi, GRASSI, PANETTI, Sacco e il Segretario MATTIROLO. Scusano l’assenza il Presidente Rurrini e i Soci Foà e NACCARI. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che risulta approvato senza osservazioni. Il Presidente comunica una lettera del Socio straniero Émile Prcarp, il quale ringrazia l'Accademia dell’onorevole in- carico di rappresentare il nostro Sodalizio alla solenne Comme- morazione del 1° Centenario della nascita di Luigi PASTEUR. Egli presenta pure e legge una Circolare del “ Comitato na- zionale dell’Unione internazione Geodetica e Geofisica - Sezione di Meteorologia ,, nella quale si interessano i Soci della nostra Accademia a voler trascrivere tutte le notizie che potranno ri- cavare da libri antichi, stampati o manoscritti, da cronache, storie regionali, sulle alluvioni, piene di fiumi, siccità, carestie, nevicate, gelate, brinate, nebbie, temporali, grandine, ecc. Dette notizie saranno raccolte dalla Segreteria della Sezione di Meteo- rologia del Comitato, che provvederà al coordinamento e alla Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 8 106 pubblicazione delle medesime col nome dell’informatore che le trasmise. L'Accademia prende atto. Vengono quindi presentate in dono dagli autori le seguenti Memorie: Dal Socio corrispondente W. KiLtan: Les Régions jurassienne, subalpine et alpine de la Savoie; Les Stades de recul des glaciers alpins et l'origine du Lac Lauvitel (0 Bans). | Dal Socio corrispondente A. PIUTTI: 1) Ricerche sulla formazione dell’ Elio e del Nèon nei tubi di scarica contenenti Idrogeno (In collaborazione con E. Bogero-LERA); 2) Sopra miscele assorbenti l’ossido di carbonio; 3) Sulla diffusibilità dell’ Elio attraverso il vetro di Turingia; 4) Sulla Cotunnite e sulla Galena del Vesuvio. (In collaborazione con D. MieLIACCI). Il Socio Sacco presenta per la pubblicazione negli Atti una sua Nota sul Rinvenimento di Uintacrinus nell’ Appennino setten- trionale e brevemente ne discorre, facendo osservare che questo tipico crinoide finora osservato nell'America del Nord, in Inghil- terra, nella Westfalia, compare oggi per la prima volta in Italia, dove fu trovato nelle Argille scagliose, caratteristiche del Cre- taceo dell'Appennino settentrionale. Il Socio PrANO presenta quindi una Nota della dottoressa Elisa VieLezio, che ha per titolo: Calcolo diretto dei logaritmi decimali. Entrambe queste Note sono accolte per gli Atti. Dopo di .che il Presidente, ricordando ai Colleghi che questa è l’ultima adunanza dell’anno 1922, presenta loro i più cordiali auguri per l’anno nuovo. FEDERICO SACCO — RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. 107 LETTURE Rinvenimento di Uintacrinus nell'Appennino settentrionale Nota del Socio nazionale residente Prof. FEDERICO SACCO Nel maggio di quest'anno 1922, durante escursioni geolo- giche eseguite nell'Appennino parmense, essendomi recato S. Andrea delle Fonti onde visitare il vecchio amico Ingegnere Cav. C. Ponci che col suo linceo occhio di cacciatore aveva già trovato e mi aveva dato in studio, trent'anni fa, varîì preziosi fossili delle Argille scagliose largamente affioranti nelle vici- nanze, fra il nuovo materiale presentatomi la mia attenzione fu attratta da una speciale lastra fossilifera che passo a descrivere. È un frammento di fine calcare stratificato, grigiastro, della media grandezza di centim. 8 X 10, con uno spessore di pochi millimetri, tutto fratturato irregolarmente; i suoi pezzi, rice- mentati, si mostrano tra loro più o meno distanziati trasver- salmente nonchè spostati anche nel senso ortogonale al piano della lastra. Sopra ed immedesimato colla lastra giace un corpo calcareo quasi vermoide, disposto in modo ondulato-curvilineo, del dia- metro di 3-4 millim., che si sviluppa per circa 17 centim., ma che doveva estendersi originalmente assai più in lungo essendo ora solo limitato dai margini di frattura della lastra stessa (Fig. 1). Tale corpo è costituito da una serie di placchette rotonde del diametro suddetto e dello spessore di circa un millimetro; questi dischetti, in numero di un centinaio, sono tra loro quasi aderenti, un po’ diseguali sia per ineguaglianza originaria sia perchè un po’ variamente cariati sui margini nonchè talora nei singoli corpi in modo da apparire distinti gli uni dagli altri e foggiati taluni a corpi vertebrali; essi giacciono col loro mas- simo diametro disposto quasi ortogonale al piano della lastra 108 FEDERICO SACCO od un po’ inclinato ad esso in modo da assumere per certi tratti un aspetto quasi tegolare. Molto meno appariscente è un corpo vermoide analogo, più breve ed appena accennato sulla stessa lastra, disposto un po’ trasversalmente al primo. Si tratta cioè di un gracile corpo pedunculoide, costituito da numerosissimi dischetti, che si è, a suo tempo, ondulata- mente depositato sopra un fondo fangoso pianeggiante, rima- nendovi impigliato in modo da fossilizzare ed indurire con esso, subendone pure in seguito le varie fratture coi relativi sposta- menti sovraccennati, RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. 109 Tale fossile mi parve subito essere porzione di una gracile colonna o di un braccio di Crinoide; ad un esame più accurato mi risultò appunto trattarsi di parte di una delle lunghe braccia di Uintacrinus Grinn., potendo anche confortare la determina- zione mediante il paragone diretto con un buon esemplare, col calice e parte delle lunghe braccia, di U. socialis di Beaver Creeck (Kansas) conservato nel Museo geologico di Torino (Fig. 2). Ad ogni modo, preoccupandomi ancora in seguito di tale idee Ret i ae e IT gii 110 FEDERICO SACCO determinazione, per l’importanza che essa. aveva sotto varî punti di vista, nell'agosto mi recai a Parigi ad esaminarvi una magnifica lastra calcarea della superficie di metri 1 2 circa, esposta su una parete dello scalone del Museo di Paleontologia; lastra proveniente pure da Beaver Creek nel Kansas, sulla quale giacciono impigliati ed intrecciati in ogni posizione centinaia di esemplari di U. socialis: l'esame di tali Crinoidi, colle loro nu- merose braccia lunghe anche 20-30 centim., coi relativi dischetti analoghi, nonchè fossilizzati e disposti nello stesso modo di quelli della descritta lastra del Parmense, mi confermò nella indicata determinazione generica del fossile. Però, dato il semplice frammento di braccio conservato sulla lastra appenninica in esame, non si può tentarne la determina- zione specifica, tanto più che le differenze fra lo U. socîialis Gr. d'America e lo U. westphalicus Schliit. d'Europa non sono molto forti, cosicchè rimane persino il dubbio che possa trattarsi di una sola specie, anche perchè tali forme libere potevano pure essere trasportate assai lontano dalle correnti marine. A tale riguardo si può notare che il fossile appenninieo in esame fu trovato in un deposito di mare piuttosto profondo e abbastanza lontano dai littorali, indicandoci che detto braccio di Crinoide deve derivare da un individuo che natava e morì in alto e libero mare; morte che la fantasia potrebbe anche attribuire a noti voraci predatori, come Selacidi, Ictiosauri e simili, caccianti colonie natanti di questi Crinoidei. Ciò posto, alcune considerazioni, paleontologiche e geolo- giche, si possono trarre dal rinvenimento in esame. Anzitutto in linea generale lo Uintacrinus, finora unico genere dell’unica Famiglia Uintacrinidae (o sottordine Utntacri- nacea) dell'ordine Flexibilia, scoperto dapprima da Grimmel e Meek, nel 1876, nel Niobara Kalk del Kansas negli Stati Uniti d'America e quasi contemporaneamente in Westfalia (dove fu studiato dallo Schliiter) e più tardi in Inghilterra, visse anche nei mari italiani. Ciò del resto è abbastanza naturale, trattan- dosi di forme natanti liberamente e spesso in quantità di indi- vidui straordinaria, come già indica il nome specifico di sociali, nonchè il numero immenso di esemplari che si possono osser- vare sulla sovraccennata lastra del Museo paleontologico di Parigi. È anzi strano che questo genere, forse perchè confuso RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. 111 talora coi Marsupites, sia stato dapprima creduto raro, mentre poi fu constatato comune in varie località nei banchi a Marsu- pites, Bourqueticrinus, Echinocorys, Actinocamax, ecc. È poi interessante considerare che lo Uintacrinus nell’or- dine dei Fleribilia è (col contemporaneo Marsupiles, del ben diverso ordine dei istulata) una delle pochissime forme di Crinoidei, detti già Tessellati od anche Paleocrinoidei (perchè ebbero un magnifico sviluppo nei mari paleozoici sia per varietà di forme sia per quantità enorme di individui), che invece compar- vero e si svilupparono nei mari mesozoici; ciò probabilmente ap- punto in gran parte perchè, colla perdita della colonna d’attacco al fondo marino, tali Crinoidei, divenuti sessili, acquistarono invece quella libertà di movimenti e quella relativa indipen- denza che permise loro di sfuggire alle varie cause deleterie per la vita dei Crinoidi (e di tanti altri gruppi di animali ma- rini), che imperversarono verso la fine dell’Era paleozoica, costi- tuendovi una vera Crisî antracolitica, come già indicai nella Evolution biologique et humaine (Turin, 1910). Altro fatto curioso è di veder comparire di tratto nel Cre- taceo superiore, e svilupparvisi tosto per vastissime regioni. oceaniche, tali forme di Crinoidi che sono presumibilmente re- sidui sopravissuti, ma assai trasformati, di forme paleozoiche (probabilmente pedunculate), senza che siansene finora trovate traccie nei terreni del Trias e del Giura, periodi geologici lun- ghissimi nei quali dovettero pur esistere le forme loro ataviche, forse in rari e speciali accantonamenti, quasi in stato latente, finchè speciali condizioni biologico-ambientali ne produssero quasi l'esplosione nel periodo cretaceo. È questo uno dei tanti fatti interessanti nel processo evo- lutivo degli organismi che ci prova anche quanto materiale pa- leontologico sfugga ancora alle ricerche degli studiosi, essendo assai più numerosi gli anelli mancanti che non quelli conosciuti nelle diverse catene degli esseri organici. Infine non meno interessante è il dato geologico-stratigrafico che presenta il fossile appenninico in questione, il quale fu rin- venuto sulla dorsale di M. Carvaro (sulla destra del T. Dordone, affluente del Taro nel Parmense) in piena formazione di Argille scagliose ofitifere tipiche. Orbene devesi tonsiderare che tale formazione viene gene- MR OR TT RT CICERO, PI N IPP IR PISTA RETTE DR O OST CRISI AT 112 FEDERICO SACCO — RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. ralmente ritenuta eocenica (perchè su di essa sono spesso sparsi od impigliati veri terreni eocenici mummulitiferi), mentre da un trentennio ne vado sostenendo l’età cretacea, basandomi, sia su dati paleontologici (tronchi di Cicadeoidee o Bennettites; Hemi- pneustes; Inoceramus; Hamites, Scaphites, Acanthoceras, Schloem- bachia, Pachydiscus; Ptychodus; Ichtyosaurus, ecc.), sia su dati stratigrafici, completamente confermatimi recentemente da una apposita campagna geologica compiuta durante la scorsa estate attraverso tutto l'Appennino emiliano. Orbene siccome lo Uintacrinus è una forma che, così in America (Kansas) che in Europa (Westfalia ed Inghilterra), fu finora trovata soltanto, e viceversa assai comune, nel Cretaceo superiore, il suo rinvenimento sopra uno di quegli straterelli calcarei che si alternano mille volte colle tipiche Argille sca- gliose viene a confermare sempre più sicuramente l’età cretacea di tale caratteristica formazione tanto estesa e potente nell’A p- pennino settentrionale. se (Rio TATA ie ina iuo one È s > Y ELISA VIGLEZIO — CALCOLO DIRETTO, ECC. 113 Calcolo diretto dei logaritmi decimali Nota di ELISA VIGLEZIO Dott. Assistente nella R. Università di Torino. Presentata dal Socio nazionale residente Giuseppe Peano. Il libro Mirifici logarithmorum canonis descriptio, Authore IJoanne Nepero, pubblicato nel 1614, contiene la prima tavola di logaritmi. Gli storici (!) fanno rimontare le proprietà delle potenze ad Archimede. Ma le proprietà fondamentali delle operazioni . aritmetiche sono pressochè intuitive e le possiamo riscontrare in Euclide: libro VIII prop. 11 (a/b)? = a?/b8, a ge (a/6)? = a8/58, libro IX prop. 4 (asce: a9<:b3; IR SIOE am+n/gm = qn, Il progresso qui consiste nella sostituzione dei simboli del- l’algebra all'antico linguaggio delle proporzioni. I matematici, specialmente italiani, del 1500, pubblicarono tavole d’interessi, che sono tavole di potenze. Ma Nepero (?) pel primo, oltre ad introdurre la parola “ logarithmo ,, cioè “ numero della ragione ,, pubblicò una tavola, facendo vedere “ quantum emolumenti adferent logarithmi, quandoquidem per eorum addi- (4) Napier, Tercentenary Memorial Volume, ed. Knott, London, 1915. (*) Scrivo Nepero come l’autore stampò nel frontispizio del suo libro. In lettere private egli si firmò Neper, Napeir, e nel testamento Naipper. Per la stessa ragione scriverò Briggio, invece del più comune Briggs. 114 ELISA VIGLEZIO tionem multiplicatio, per subtractionem divisio, per bipartitionem extractio quadrata, per tripartitionem cubica, ... omnia graviora. calculi opera evitantur , (pag. 20). Per lungo tempo i logaritmi naturali si dissero anche ne- periani. Oggi molti autori negano che i logaritmi neperiani coincidano coi naturali (8). Esaminiamo alcune linee della tavola di Nepero. Sinus | Logarithmi | | Î | 30° 0' 5.000 000 6931 469 45° 0' | 7071068 | 8465735 Nepero, accanto agli archi crescenti di un minuto alla volta, pone il seno naturale, supposto il raggio di 107 = 10 000 000. Per avere il seno, secondo il linguaggio attuale, basta separare 7 cifre decimali. Per noi sen 45°= 0°707 106 762 ... (4). Qui Nepero scrisse il valore arrotondato alla 7? cifra decimale; altre volte scrisse i seni abbreviati senza arrotondamento, anche quando la cifra soppressa supera 5; così i seni di 10' e di 1l' furono abbreviati alla 7? cifra. Dalle tavole dei logaritmi naturali risulta: log 05 = — log2 = — 0:69 814 718... Quindi i logaritmi di Nepero sono i logaritmi naturali, scritti senza segno costante —, e moltiplicati per 107, ciò a meno di poche unità (nel nostro caso sono 2) del settimo or- dine decimale. (*) Vedasi: J. Troprke, Geschichte der Elementar Mathematik, a. 1921, Zweiter Band, pag. 180. “ Die natiirlichen Logarithmen als Nepersche Lo- garithmen zu bezeichnen, wie das heute regelmàssig geschieht, ist durchaus falsch ,. (‘) Uso le notazioni del Formulario Mathematico di G. Prano. Il punto in alto indica la separazione delle cifre decimali, X=10 è la base della numerazione decimale. CALCOLO DIRETTO DEI LOGARITMI DECIMALI 115 Già Nepero si era accorto che non sempre la 7* cifra delle sue tavole era esatta; “ quapropter consulo eruditis ut Tabulam exactiorem edant , (?). Che tutte le cifre si debbano intendere decimali, già si è «visto a proposito dei seni. La soppressione del segno costante — si effettua anche oggi nelle nostre tavole, ove nella colonna sen 30° sta scritto 9:698... e si deve intendere questo numero diminuito di 10. Quindi i logaritmi neperiani sono i naturali, poichè le cifre sono le stesse. Pongo a==5 000 000, quindi X-Ta = 0°5; prendo il loga- ritmo naturale log (X7° a) = — 0‘69 ..., cambio segno, e sop- primo il punto decimale, operazione che equivale a moltiplicare per X°; allora la relazione fra gli uni e gli altri si esprime: logaritmo neperiano a = — X° log (XT a). Alcuni autori trasformano questa relazione in: log nep a = 10" (7 log 10 — log a), e allora non si vede più l’identità delle cifre dei logaritmi ne- periani e naturali. Ma possiamo anche arrivare a forme diverse. Nel Constructio Nepero calcola le successive potenze di 1— X-7= 09 999 999; e il logaritmo di un seno è l'esponente intero di questo numero, che produce sensibilmente (quam pro- xime, pag. 3) il seno dato. Possiamo verificare ciò con gli sviluppi in serie che oggi sono a nostra disposizione. Il logaritmo in base 1— X7 di 0°5, cioè il numero « tale che : (1 - XE =065 e = 69314714 590 2598... che come si vede supera di due unità il logaritmo dato da Nepero. (9) Mirifici logarithmorum canonis constructio ... cum annotationibus aliquot doctissimi D. Henrici Briggii, Authore Ioanne Nepero, a. 1620, pag. 34. 116 ELISA VIGLEZIO Prendo i reciproci, ossia invece dei seni considero le co- secanti; il logaritmo del reciproco cambia solo segno, come scriveva Nepero. E poichè il reciproco di 1— X7" vale 14 X77, fino all'unità di ordine 14, avrò che il logaritmo di Nepero è anche il logaritmo del reciproco in base 1-4 X-" = 10 000 001. Fatto il calcolo con maggior esattezza, si ha che il nu- mero x tale che (1A+X79=2 vale o= 6:931 4721521 730... Cioè i logaritmi di Nepero sono in base 1-+ X7" = 1‘0 000 001. Pongo y= X7" x; ciò che equivale a separare 7 cifre, nei logaritmi di Nepero. Questo y soddisferà all’equazione: [(1+x=)p=2. Ossia y è il logaritmo in base (1 +4), ove n= XT, Questa base è il numero elim (141) a meno di due unità del 7° ordine decimale. Quindi, a seconda del modo di leggere le cifre, possiamo affermare che i logaritmi di Nepero sono in base 1— X7, ov- vero 1+ X7”, ovvero (14- X7°)X, ovvero in base e, o in base 1/e; sempre a meno di poche unità dell’ultimo ordine decimale con- siderato. Come altro esempio, le tavole di Nepero nella colonna del logaritmo del sen 60° portano il numero 1438410, e dalle nostre tavole risulta : log sen 60° = — 0‘14 384 103... Qui tutte le cifre sono esatte. Dall'esame delle tavole possiamo solo conchiudere che la base dei logaritmi neperiani o è il numero e, o ne differisce di poche unità del 7° ordine decimale. Nel Constructio sta la proposizione, pag. 14: “ Hinc etiam sequitur, quod cujuslibet dati sinus numerus artificialis, major est differentia inter sinum totum, et sinum de altr CALCOLO DIRETTO DEI LOGARITMI DECIMALI 117 datum; et minor differentia quae est inter sinum totum, et quantitatem eo majorem in eadem ratione, quae est sinum totius ad datum ,,. Versione: “ Di ogni seno, cioè di ogni numero @ minore di 1, il numero artificiale, cioò — logaritmo, è maggiore della differenza fra l’unità e il numero dato; ed è minore della dif- ferenza da uno ad uno diviso 4 ,. Cioè : —loga>1l—a, 1 uaar E fatto a= 1/(14 x), ove x è una quantità positiva, risulta: log(14-2)>/(14+ 2), ’ <%, le quali esprimono proprietà caratteristiche dei logaritmi na- turali. Risulta così senza dubbio che i logaritmi neperiani sono proprio i logaritmi naturali. Poco dopo il 1614, Nepero e Briggio, in loro conversazioni, videro l’utilità di usare logaritmi in base 10, e ne intrapresero il calcolo per due vie. Questo calcolo è spiegato nel Constructio di Nepero. Un primo procedimento, pag. 39, è quello di calcolare le successive radici quadrate di 10, cioè: Xh(1/2), = X(1/4), XM(1/8),.. (9). Si ottiene ogni potenza di 10 moltiplicando alcune di queste radici. Questo procedimento fu esteso successivamente; e nelle tavole dei logaritmi del Callet si travano tutte queste radici, fino a XN(1/2 N60), con 46 cifre decimali. ($) Seguendo il Formulario: aNb=a?; uso il segno f quando l’espo» nente è complesso. Così: Log a, sta per indicare logaritmo decimale di a. ei ae i Sip 21777. TV ? È 118 ELISA VIGLEZIO Nepero (ivi, pagg. 40, 41) dà una seconda regola: “ Quae- ritur quis numerus sit logarithmus binarii. Respondeo, numerus locorum numeri facti ex 10 000 000 binariis invicem ductis..... Per regulam nostram invenies 301029 995 etc. pro numero locorum quaesito, et logarithmo binarii ,. Versione: “ Si domanda qual’è il logaritmo, con 10 decimali, di 2. Rispondo, l'ordine (°) di 2 elevato 10 000 000. E con la nostra regola troverai 301 029 995 ,; e separando dieci cifre decimali, si avrà il logaritmo cercato. Il numero delle cifre di 2 elevato X!° vale questo numero più uno. E più chiaramente Briggio, a pag. 48, dice in sostanza: calcolato 21° = 1024, si conchiude (6) Log2=0*3..., poi dal numero delle cifre di 2199, che è 31, si conchiude Log 2 = 0°30....; dal numero delle cifre di 2199, che è 302, si conchiude Log2 = 0'301..., ecc. In seguito, Mercator, integrando la serie: 1+a)=1—x+2°—2+..., ottenne: a 13 log(l+a)=x—3+t3—--, e la pubblicò nel 1668. Come sempre avviene, anche altri arrivò allo stesso risultato circa nello stesso tempo. Questa serie, con le altre che ne derivano, sono oggi lo strumento più rapido pel calcolo dei logaritmi. Ma i procedimenti diretti, usati dagli inventori, non sono da trascurarsi, essendo più semplici e più elementari. La pro- prietà del logaritmo con » decimali d’un numero di rappresen- tare l'ordine della sua potenza 10”, può essere trasformata in definizione: Valore con x decimali del logaritmo in base 10 di 'a.=:X-hord {e bX?): (*) Dicesi ordine di una quantità positiva a, e si indica con orda, il più grande intero, positivo o negativo, x tale che 10" a. Esso è la ca- ratteristica del logaritmo decimale di a, e, se a>1, esso è il numero delle cifre della sua parte intera, diminuito di 1. \ CALCOLO DIRETTO DEI LOGARITMI DECIMALI 119 La Prof. Frisone (3) assume questa definizione pei loga- ritmi, e ne costruisce una teoria affatto elementare, sufficiente per le applicazioni pratiche, ed indipendente dalla considerazione dei numeri irrazionali. Il Prof. Borio (°) ne deduce la teoria comune, definendo il logaritmo come quel numero il cui valore con » decimali è dato dalla precedente eguaglianza. Comunque data, nella scuola, la definizione del logaritmo decimale di un numero, nasce il desiderio di sapere come i logaritmi si possano calcolare o furono calcolati. La maggior parte dei trattati di Algebra lasciano insodisfatto questo legit- timo desiderio degli studiosi. Alcuni riproducono il metodo delle successive estrazioni delle radici quadrate. Altri li sviluppano in frazione continua, metodo questo complicato. Altri ancora li determina con successive elevazioni a quadrato (1°). Ma credo che il metodo più rapido sia ancora il secondo indicato da Nepero e da Briggio. Occorre fare le successive po- tenze decime del numero dato. Perciò scompongo 10=(2Xx2-+1)2, cioè elevo a quadrato, poi nuovamente a quadrato, moltiplico per la base, ed elevo a quadrato. Ottengo così la potenza 10. Per elevare a quadrato mi servo delle tavole dei quadrati dei numeri da 1 a 1000, tavole che si trovano in molte aritme- tiche, in tutti i manuali degli ingegneri, e nelle più semplici tavole numeriche. Come esempio determino il logaritmo di 3 e sviluppo tutti i calcoli. Elevo 3 alle successive potenze, e pongo il punto decimale dopo la prima cifra significativa: gi—3, 3°=9,. X-184=8 1, X-236— 2:43; X-4 310 — 5:9049, (3) R. Frisone, Una teoria semplice dei logaritmi, “ Atti R. Acc, Scienze Torino ,; vol. 52, a. 1917. (°) A. Borro, Una teoria semplice dei logaritmi, Cuneo, a. 1922. (49) K. Bopr, Zwei elementare Berechnungen der gewinlichen Logarithmen, a. 1897. Così: J. TroPrkE, loc. cit. (*), pag. 203. Il metodo delle frazioni continue e quello delle successive elevazioni a quadrato si trovano in T. Boato, Lezioni di algebra elementare, Genova, a. 1906, pag. 435. 120 ELISA VIGLEZIO © Conchiudo Log3 = 04... | Bonsoa = AF4510: allora: DIDO: eh elevo a quadrato, uso le tavole, e mi limito a scrivere le prime tre cifre, per difetto nel primo membro, e per eccesso nel secondo: 348 ARNO? PA 0 Lr n a 3 ro, sE m m E Lasi > === ri? 22 AL dea RE ET Sp — rà E m m gi nelle quali te = raggio della superficie cilindrica esterna, ri î 5 + interna, 2 = distanza del punto P dall'asse del recipiente, 1 m p = pressione unitaria interna, = coefficiente di contrazione trasversale, E = modulo di elasticità normale del metallo. (4) Cfr. C. Bacn: Elasticitàt und Festigkeit. SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 135 Dalle formole sopra scritte risulta chiaro che è sempre € < €, e che es ed eg divengono massime, in valore assoluto, per 2=r; e valgono __ (® +1) ref + (m_-2)r? m (re — r) È ir = dre pe a m(rè — ré) E" Di queste, la prima è, in valore assoluto, maggiore della seconda, quindi 2 pete 2 (1) eli __ +1)rf + (m—- 2)r, m (re — r;8) Per la stabilità deve notoriamente risultare max Fe< k se & rappresenta il carico di sicurezza. Quando si tratti di calcolare lo spessore del recipiente, dato il raggio interno e posto max Ee= È, si ricava dalla (1) 2 +(1-3)) fratel fi -7- een k—- (1 + t p CC FINTORE O", 4. — Ritenendo, come consiglia il Bach, m = zo Si ha ta (RE (2) ei = 0,4 asa E: 2 (3) max Ee = ga ca 1 de 2: 3 die e e part k+ 0,4 p (4) = ri ETie. Indicando e, semplicemente con e, questa, in corrispondenza della superficie interna, ovvero dell’esterna, diviene rispettiva- mente (5) cia 1,3re 4 04r? p rr E? (6) ce = 1,7 — Si 136 CAMILLO GUIDI * * * Le precedenti formole permettono di risolvere colla dovuta esattezza problemi molto interessanti per il collaudo dei reci- pienti in questione; mentre l’applicazione delle note formole valevoli pei tubi a pareti sottilissime, se può discretamente servire pei recipienti di limitate dimensioni, conduce ad errori gravi pei recipienti più grandi. * * * 5. — Un primo problema che si presenta nel collaudo di questi recipienti è quello di calcolare il massimo cimento del materiale. Si tratti, ad esempio, di una bombola per la quale si abbia: Diametro esterno D= cm. 33 È interno! d = 90 La (3) fornisce 1,3 X 16,5° + 0,4 X 15? max Be gg ir De mentre colla formola dei tubi a parete sottile si avrebbe 15 commettendo un errore in eccesso del 6,4°/, circa. Per p= 0,3 */em:, cioè 300 atm. di pressione interna, si avrebbe rispettivamente max Ee =" 2,04 “om o=3 a. SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 137 * * * 6. — Il metodo pratico più semplice per accertarsi che il recipiente non soffra deformazioni permanenti, cioè che non venga oltrepassato il limite di elasticità del materiale sotto la pressione idraulica di prova prescritta dai regolamenti, consiste nell’iniettare nel recipiente acqua in pressione, finchè questa raggiunga il valore prescritto; indi, mediante opportuno dispo- sitivo, isolare completamente il recipiente coll’annesso mano- metro dall'organo compressore, e verificare se l'indicazione del manometro stesso rimane stazionaria per almeno un minuto primo. Si potrebbe anche calcolare la variazione elastica del dia- metro esterno della bombola AED ossia per la (6), SE rî p (7) ADI ap e verificarla sperimentalmente; ma misurare la deformazione del diametro della bombola è operazione molto delicata, che richiede istrumenti di alta precisione, abilità di adoperarli, e può trarre in errore se non si ripete la misura per più diametri di più sezioni trasversali, e ciò a causa dell’imperfetta forma geometrica dell'oggetto e dell’imperfetta omogeneità del mate- riale. A conferma di ciò riportiamo i risultati sperimentali da noi ottenuti su di una bombola delle seguenti dimensioni: lun- ghezza cm. 132,5; diametro esterno medio cm. 20,3; spessore cm. 0,65. Prese in esame tre sezioni trasversali: la mediana A e due altre B e C, la prima in vicinanza della sommità, l’altra in vi- cinanza del fondo, l’una e l’altra a distanza di cm. 50 dalla A, si sono misurate per ciascuna di esse le deformazioni di quattro diametri ad uguale distanza angolare fra loro, partendo dalla pressione di 50 atm., aumentandola a 100 ed a 150 e tornando poi a 50. Ora ecco i risultati: Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 10 * * « i f CAMILLO GUIDI 138 GG DE 0 0g ne PL'IT | OST ) si OF:SI | OST FILETTI ozio dor 0 0g 0 0g 0 0g 0 09 ‘ 868L | 0SI È #IOI | OI Ce no € NIE AMI 0 09 E RO 0g 0 08 O 0g c9°6 OST * E RI Al OST RE ee SL 1 ar 001 0 0S S 0) 0S 0 09 0 0g 8PII | OSI È 20°] OST Sen Doo EI ita CALL SAT 0 09 0 0g V DET ‘wugy | ‘wetq v ci wy —____6mm— "—@€ —r__———————— _—_—_—_———————————————— P————_——€ I) QUOIZOS y QuoIzes | 0S 88‘6 OSI Ha Trai MR 06 0 0 ‘ 888 0SI Ù AS) #4 | 001 | 88 0 0 0 0 La SPII OSI G ‘, se E pote piogge Dr Se O | 08 patois 00 Sha EST 1649 #69 007 0 0S w Lui a Soi qg QuoIzag x ‘'T 1I3QWEIP TOP QUOIISEIO TUOIZELIBA sen 0___r— +++ SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 139 Questi risultati mostrano chiaramente quali notevoli diffe- renze possono aversi nelle deformazioni dei varî diametri del recipiente. Nella sezione mediana A l’incremento elastico del diametro 4-4 è più che doppio di quello del diametro 2-2! L'applicazione della (7) darebbe in questo caso s 9,52 20; Ba e per p=0,1/om: ossia 100 atmosfere di pressione interna, AD= cm.0,01134 = 11,34 299/100; cifra che va abbastanza bene d’accordo colla media aritmetica dei risultati sperimentali ottenuti per ciascuna delle tre sezioni, e specialmente, come è naturale, con quelli della sezione cen- trale A. Si ha infatti dalla tabella precedente per l’incremento di pressione di 100 atm. a partire dalle 50, 13,88+11,48-+-8,28+9,88 ___, per Ja sez. B AD= 22/00 10,88 4 SSR pi ae 9,62 bic Ap Vlsek9a ORTI SI La formola dei tubi a parete sottile darebbe di, r LR =, p Sade Sal PIÙ = £ — mmj,. 2 AD= sE 0,65 X 3150 20,3 cm. 0,0138 == /100 13,80 con un errore in eccesso del 22 °/, circa. 7. — Quando non ci si accontenti di constatare l’inesi- stenza di deformazioni permanenti, le quali vengono senza dubbio avvertite colla prova pratica sopra accennata; ma si desideri controllare la deformazione elastica complessiva della bombola, migliori risultati possono ottenersi colla nota prova consistente nel rinchiudere la bombola durante la prova idraulica PRESSA GREP SE NECII el MOMENTO FO VITI INT SARTORI ENO "i 140 CAMILLO GUIDI entro altro recipiente, nel riempire di acqua bollita o di olio l’interstizio fra i due recipienti e nel misurare lo spostamento di questo liquido prodotto dall'aumento elastico del volume della bombola. AI calcolo di tale aumento si prestano le formole prece- cedenti nel modo seguente: L'aumento d’area del circolo che limita esternamente la sezione trasversale della bombola è (8) mré(1+ e)? — nrî. = 2t6rè e quello del circolo interno è (9) Tr, (1 + €;)? == Tr, = (c° 2TE;7;. Questi due aumenti stanno nel rapporto €sre° :€;r;2, e per le (5) e (6) si ha 2 a ai 18+04(4) e dal che si deduce che il volume del liquido spostato dalla de- formazione della parete esterna nella prova sopra ricordata è sempre maggiore del volume di liquido assorbito dalla bombola esclusivamente per la deformazione elastica della sua parete in- terna, prescindendo cioè dal volume consumato per la compres- sibilità dell’acqua iniettata. Ora si ha AV. = 2regre le (1 — €) se con le. s’indica la lunghezza teorica esterna del recipiente, cioè la lunghezza di un cilindro di volume uguale a quello rac- chiuso dalla superficie esterna del recipiente, e per le (2) e (6) È ri p ri p DS 2 nanna Quero AV. =2nr2k VI ESE (1404 rà E 5). SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 141 Per la bombola già îndicata al n° 5 si avrebbe AV.= 6,283 X 16,5% X 170 X 152 P 15? } X 1,75" — 15? 2150 (14 0.6 Tapi 153 si) ossia AV, = 1094,9 p (1 + 0,000886 p). Così, per es., per p = 0,3 */èm: risulterebbe AV. = cm 328,56 mentre colle formole dei tubi a parete sottile si sarebbe ottenuto (o) pri $ ac PAL RE SET AV.=2nr8el=2nr8 plh=2nr8 Ca)! ossia 0315 SA 2 A AV.= 6,283 X 16,5 1,5 X 2150 170 = cm3 405,76 commettendo un errore, in eccesso, del 23,5 %o. 8. — La variazione elastica AV; del volume interno della bombola, prodotta dalla pressione interna uniforme viene espressa da AV.=2ne;r?l(14+ €) nella quale /; ha il significato analogo ad 4%, e per le (2) e (5) 1;3rd +-0,4r? p it p . 0 fer na AI a ERA I MES RI e AVi=2mrel; DIA Ta (1 + 0,4 ATTRAE 5) 5 La misura sperimentale del AV; potrebbe anche servire come prova di elasticità; ma oltre che, come si è visto, è AV;3 il determinante simmetrico : fa f1.8 ei ui lai fis fan f2,9 ANO tagzi Tae fai Ts CL e foca Ta i cui termini f;x=fx; (per î,%# =1,2,..., s) siano forme affatto generiche, di uno stesso grado m, di 5 variabili indipendenti x, (£ = 0,1,...,4), che assumeremo come coordinate di punto in un $,. Se indichiamo con F;x il complemento algebrico di fix in F®, si ha: d FA dfi - E) sa i Fin® (i, k= I, 2, 2359 s); î, onde la forma F© di S, ha doppi i punti (x) in cui si annullano tutte le Fx, e generalmente solo questi. In generale questi punti costituiranno una linea € priva di punti singolari, di ordine SE m8 (1). — Ci proponiamo di determinare il genere di questa linea. A tal uopo basterà determinarne il rango. (4) Cfr. C. Segre, nella Encykl. der math. Wissensch., Bd. III, 2, pag. 931, nota 499. FASO ELIO GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 163 Vedremo in seguito che la curva ‘) è intersezione par- ziale di tre forme A, B, C, di S,, le quali si segano ulterior- mente lungo una seconda curva, e si toccano lungo una terza curva. È noto che in tal caso il rango di 9 è dato dal numero dei punti comuni a questa linea ed alla Jacobiana J di A, B, C e di due forme lineari generiche di S,, detrattone però il nu- mero di quelli che cadono nei punti di appoggio (eventualmente esistenti) di 9 colle curve ulteriori intersezioni di A, B, C. Cominciamo quindi collo studiare il comportamento di 9, J, in questi punti. Consideriamo tre forme dello stesso ordine n, di S,, aventi in un loro punto comune O uno stesso spazio tangente tm. La rete da esse determinata contiene un fascio di forme aventi il punto 0 come doppio; onde, preso 0 come punto fondamen- tale (10000), e t come spazio x,= 0, la rete stessa può venir definita dalle forme: A=%x" x, + 20° Ang Cn dg +». :9 B= Datz > bra ti %g + “9 = doi 2 Chg En tg + ... 49 (ove ang=ag, ecc.; h,9=1,2,3,4). I coni quadrici tangenti in O alle forme della nostra rete che hanno 0 doppio, costitui- ranno generalmente un fascio: questo segherà lo spazio m se- condo un sistema lineare = (00° od 00!) di coni quadrici ordinari di vertice O, sistema che è quello determinato dai due coni: va = 3 bnatrtg=0; = ZCrg%rtg= 0. hyg h,g Se T è la curva base della nostra rete, il punto O per essa è almeno 4-plo, e le rette tangenti in O a f sono sempre fra le rette basi di =. i Il punto O sia origine di un ramo lineare yw, in ciascun punto del quale le forme della nostra rete si tocchino. Presa ei i cn init cagione n= { pi Più 164 BENIAMINO SEGRE la retta di m che tocca il ramo w nel punto O, come retta fon- damentale (01), le equazioni di yw saranno: to = È cr=ri+.. (r==0) co=ppete+... d=pst +... Ca= Pat +... Poichè le forme A, B si toccano lungo yw, nei punti di questo ramo deve aversi: i dA dA Ò Xi EA 2 eri 4° 2050 GEE (per = 1, 2, 3) Ò ri dx, AI Ma lungo vy risulta: dr BASE, da n Mittt. dai i fa ab aà RE da tera dai = 2bart+... onde (per î = 1, 2,3) deve essere dx; = 0. Similmente cu= 0. Pertanto: affinchè le forme della nostra rete (che già si toccano in 0) si tocchino lungo un ramo w uscente da O, occorre che il sistema = relativo ad O si componga di coni quadrici aventi una retta doppia fissa: la tangente in O al ramo w. Supponiamo ora che le forme A, B, C, che si toccano lungo la linea w, si taglino ulteriormente lungo una seconda linea ®; cosicchè ora la curva f si compone di w contata 4 volte e di @. Sia O un punto d’appoggio delle due linee yw, @, semplice per entrambe, e nel quale le tangenti ad esse relative siano due rette Z, n, distinte. — Per quanto precede il sistema = relativo ad O (punto di contatto delle forme A, B, C) deve comporsi di coni aventi doppia la retta Z, e passanti tutti per n. Dunque nelle nostre ipotesi il piano delle rette Z, n fa parte di tutti î conî di =. i GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 165 Chiamiamo J la forma Jacobiana di A, B, Ce di due altre forme di S,; la matrice Jacobiana delle forme A, B, C (a meno del fattore [n — 2] 24) è: : 1 LN? x anent.,. x0°7? z ament... x z anecnrt ... n asl +... eZ binaent... co? Ebmnar tb... 2087? z bh ant... 97? z dir cn + h h Il cng enzo |... xo ?Yonant.. 07? E conaent... 07? z conent... a? z can ent Ri h onde / ha sempre in O un punto doppio (almeno), avendo ivi per. cono quadrico tangente un cono della rete determinata dalle forme : > din Xh DI bon La > ban due ban Ln h h h h =0; = z Cin Cn 2 Con n > Con Cr 2 C3n Cn h I h h, Di bgn ED din Xn h h dI ===; 0 = 2 Conn 2 Cnr Di h Sono rette basi di questa rete le rette di t per 0, che hanno uno stesso piano polare rispetto a tutti i coni di =; nel nostro caso quindi fra quelle rette basi vi è la retta n. Possiamo dire concludendo che: Date în S, tre forme A, B, C, se esse st toccano lungo una curva w e si segano ulteriormente in una curva ®, per ciascun punto comune a ®, w la tangente a © ha ivi generalmente incontro tripunto colla Jacobiana di A, B, C e di due altre forme S.; onde quel punto (doppio per la Jacobiana) assorbe generalmente tre delle intersezioni di @ con quella. 166 BENIAMINO SEGRE LB Posto: fu fis fi s_2 Fe-29= fai f29 Sa di DIST fa. ss TRL nata e, fesa fs-2 et (e tliS=25-S=2600] fu fis cla fis fa fs9 Satato fas € Il fica s—-2,2- Ue ce "RES premettiamo il seguente lemma, che ci sarà utile per il seguito. Un punto P(x) di S4 che annulli FS), FO,,._1 ed FE-2, senza annullare tutti i minori d'ordine s — 3 estratti da F8-?, annulla di conseguenza la matrice w. Le espressioni di cui ora tratteremo s’intenderanno calco- late nel punto P(x). Poichè per ipotesi il determinante simmetrico F-2 è nullo senza che siano nulli tutti i minori d'ordine massimo estratti da esso, ne segue che F&-2 avrà diverso da zero qualche minore principale d'ordine massimo; e sia, p. es., FS, +0. Per un teorema di Hesse (?), essendo nullo F&-? si hanno le identità: fu GEO f1.s-3 fish 3 fa Al tit) f2,s-3 fasi —2 Erra — Figo. FU = s=210-e soa fs; s_-3 Îs-9, sl fu DET O Priszs Ts 5 cia Fe9 ta Ce E fai PA fassa fai —2,5-2 * elsa a CISCO Tea s-2,s (?) Cfr. L. O. Hesse, Ein Determinantensatz (Gesammelte Werke, pp. 558-559). GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 167 onde, essendo per ipotesi: FM = 0, F®,,--=0 ed F®-2=0, risultano nulli tutti i minori d’ordine massimo (s — 2) estratti dalla matrice y, che contengono le s — 3 colonne: fu ance ©6856 BIZ NO det PUPA falla ino ifcgaca D'altronde la matrice da queste formata non è nulla, avendosi supposto diverso da zero F©)s, il quale è un suo minore di ordine massimo. Per un noto teorema devono quindi essere nulli tutti i mi- nori d'ordine massimo estratti dalla matrice wy. II. Siamo ora in grado di affrontare la questione propostaci. Per un teorema sui determinanti reciproci è: (1) FO. FO,.1—-|FO_ {= F0®. FO. Un punto P(x) di S, per cui sia: (2) FS) _- 0 ’ ROTA == 0 ’ MIC, =" è certo doppio per la forma (1). — Tali punti P(x) offrono tre casi a seconda che in essi /®-2 è diverso da zero; oppure F8-2 è nullo essendo nulli tutti i suoi minori d’ordine mas- simo; od infine F&-? è nullo senza che siano nulli tutti i suoi minori d’ordine massimo. Nel primo caso P(x), per la (1), dev'essere doppio per F®, e cioè deve stare sulla curva @®; nel secondo caso il punto P (x) sta.sulla curva doppia di F$-2, come si ha dalle considerazioni introduttorie fatte sopra, ponendovi s — 2 in luogo di s: tale curva (*) è di ordine E; 3 1) mì, e la diremo @&-?; nel terzo (3) Cfr. nota (*). RE Ter NI ISTAT È 168 BENIAMINO SEGRE caso, infine, il punto P(x) per il lemma visto al $ II deve annullare la matrice y. Inversamente si vede facilmente che un punto P(x) che stia su p®, o che stia su p@-?, od infine che annulli y, verifica di conseguenza le equazioni (2). i ‘I punti di S, che annullano la matrice y costituiscono una linea generalmente priva di punti singolari, il cui ordine (*) è DS) ù (3) n, e che diremo ancora curva vw. Potremo quindi dire che la curva intersezione delle forme (2) si compone delle curve @l°, g(—2 e yw debitamente contate. — Che questa aggiunta sia necessaria risulta dal seguente teorema: In ogni punto della curva w, le forme (2) ed FE-® (passanti per w) hanno uno stesso spazio tangente. Indichiamo in generale con F® (q< s) la forma: fia - < + fio fa - - - faa e con F® il complemento algebrico di f;, in F9. Similmente alla (1) si ha: FER Fia |a = FA FA, Lungo y si annullano le forme FS, Fîl, FE; onde s_-l,s— dalla precedente identità risulta che lungo w è: 1 Di) FEDI Fe Sdi lo) PE dai e s-2,8=2 dal RE a (per.l= 0;1, 0 Ora Gera FEST, F@-!) = F®, onde la precedente re- lazione esprime che lungo w le forme F-2 ed F£) si toccano. In modo analogo si procede per le altre due forme (2) in rela- zione con F8-9. (4) Cfr. C. SeaRe, op. cit. in (‘), pag. 929. GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 169 Dunque le forme (2) si tagliano lungo le curve g@®, (8-2) e si toccano lungo la cnrva w; a riprova di ciò si ha l’identità : (e-1m=("3') m°+(*3)) mì + 4.(3)mò. Ora osserviamo che, essendo le forme f;, generiche, le curve 99 e p&-2 non hanno punti comuni. Supponiamo infatti che abbiano invece qualche punto a comune. — La forma F°} non contiene 9-2), onde essa taglierà. questa curva in un punto finito di punti P;. Poichè la forma F contiene invece per intero la curva 9‘, quest’ultima dovrà per l'ipotesi fatta contenere qualche punto P;. Siccome 9 sta sulla forma F$}, si ha quindi che questa forma contiene qualche punto P;. — Ora ciò è assurdo, poichè, mentre i punti P; (che ‘ sono in numero finito) non dipendono menomamente dalle forme f1.s-1: fi,s, il determinante FS} dipende in modo essenziale da queste: precisamente F$ si esprime con un polinomio di 2° grado nelle fi,:-1, f1,s, i cui coefficienti sono generalmente diversi da zero nei punti P,. — La Jacobiana delle forme (2) e di due forme lineari di S, è di ordine 3 [(s—1)m —1]. Indichiamo con a il numero degli eventuali punti di appoggio di colla curva w; allora, per quanto precede, e pel teorema dimostrato alla fine del $ I, il rango r della curva ‘9 è dato dalla formola: (3) r=(*1!)m8.3[6—1)m—1]—8a. . Non ci resta quindi che determinare il numero a. i Basta perciò osservare che i punti comuni a @®, F6-2) sono tutti e soli gli a punti comuni a @ e y. Infatti un punto di @® che annulli F@-2, non può annullarne tutti i minori d'ordine massimo, perchè non sta mai, come s’è visto dianzi, su g#@-2; quindi per il lemma del $ II sta su w. Viceversa, poichè yw sta su F@-2, un punto comune a y e a pf è pure comune a @() e F&8-2, — D'altronde in un tal punto la curva gl) tocca la forma F&8-2; giacchè, per un teorema dimostrato sopra, bl di et PITTORI ti STAEZA tri # 170 BENIAMINO SEGRE — GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. in ogni punto di w le forme (2) (che si segano lungo @®) toc- cano F8-2, — Si ha quindi: (4) da=(" 3). 6-2) m. Sostituendo dunque nella (3) viene: Re pun sE 20 SL DE (6). Da qui segue per il genere p di gp‘ l’espressione: (© p= CEIEOTI pi SCEVTI ppi, È questo il genere che ci eravamo proposto di determinare. La formola vale ancora, com'è facile verificare, nei casi esclusi in cui s=2 oppure s=3. TE, Si ha una forma FÉ molto importante, considerando la Hessiana di una ipersuperficie generica di Sy. In base a quanto precede potremo dire che: La forma Hessiana di una ipersuperficie d’ordine n di Si, ha generalmente una curva doppia il cui ordine è 20 (n —2)8 ed il cui genere è: (6) 75(n— 2)4—50(n— 2) +1 (3). (°) In base a questa formola si può determinare la classe della nostra F°). Si ha così che °° (la quale è di ordine sm) è di classe: st + 28° 3 (5) F. Ken, nella Nota Ueber die Transformation elfter Oradnung der elliptischen Functionen (“ Math. Ann. ,, 15, 1879, pag. 533), ha avuto occa- #ione (a pag. 545-546) di determinare per via affatto diversa il genere p della curva doppia della Hessiana di una particolare forma cubica di S,. Egli trova p= 26, che è appunto il valore dato dalla (6) per n=3. m' — (253 + s) m® + 35°m? — sm. —_—__—_—%__—_—_—____ GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI — RICERCHE, Ecc. 171 Ricerche sulle diossime Nota VII del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO e del signor GUSTAVO RUGGERI Nella Nota II su questo argomento (!), dopo aver descritto la metilaminogliossima CHy.C(:NOH).C(:NOH).NH,, abbiamo soggiunto che essa si prestava ad alcune reazioni, il cui studio, che riferiamo ora, ci ha portato a stabilire i rapporti i quali collegano fra di loro, in modo imprevisto, detta gliossima con alcuni acilderivati non ancora conosciuti delle azossime |[furo- (ab;)-diazoli] e col metilaminofurazano CHg.0-— C .NHa, N-0—N primo termine di una serie nuova di composti di proprietà molto interessanti. Infatti le nostre esperienze dimostrano che il metilamino- furazano non risulta direttamente dalla metilaminogliossima per eliminazione di una molecola di acqua a spese dei due ossiminogruppi - pio NH,.C=NOH —NH,.C=N mediante i disidratanti e secondo i metodi generali coi quali sì ottengono i furazani [furo-(a a;)-diazoli] dalle a-diossime, bensì, se si impiega l’anidride acetica, per azione ulteriore del- l’acqua sull’ossima del 3-acetil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo CH. C (:NOH).(C,N,0).CH;. (4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 52, I, 289 (1922). nl A aselzi 20 ile n° ni Fnifezio ‘Ou ‘da ee ee è n Da LE A È 172 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI Facendo bollire con un eccesso di anidride acetica la me- tilaminogliossima essa viene inizialmente trasformata nel suo diacetilderivato CHs.C—— C.NH;, CH.C ———— C.NH, eee i I ess NOH NOH NOCOCHz NOCOCHy dal quale per eliminazione di una molecola di acqua a spese dei due atomi di idrogeno aminico e dell'atomo di ossigeno carbonilico vicini si origina poi l’acetilderivato dell’ossima del 8-acetil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo CH.C____CN':H; (PE Sia I e NOCOCHs . NOC:O CH; CH.CO-——_C N | I I NOCOcH4, N—0—C.CH; Però a causa della facilità colla quale questo acetilderivato si idrolizza in acido acetico e nell’ossima del 3-acetil-5-metil- furo-(ab;)-diazolo CH .C——_C N [ I I ti, NOCOCH3 N—0—C.CH; CH; . COOH + CHy.C— C N [ | | NOH N—0—C.CH; si ottiene, dopo trattamento con carbonato sodico, la suddetta ossima, che riscaldata a sua volta con acido cloridrico diluito reagisce coll’acqua per dare altro acido acetico e metilamino- furazano E PR CERN N | I I +H0 NOH N-0—C.CH; CH; . COOH + CH; . C C.NH; RICERCHE SULLE DIOSSIME 173 Sulla prima e sulla terza delle reazioni ora esposte non c'è nulla da osservare; la seconda è analoga alla sintesi delle azossime R.C N dagli acilderivati delle amidos- Il Node, sime R.C. NH; per mezzo dei disidratanti Ì NOH R.CT—N:iHy: R,.C==N See ea I | NOCO:R, N-0—-C.R, In quanto alla quarta, che consiste nella trasformazione di un’azossima in un furazano (trasformazione non ancora stata osservata, si può interpretare ammettendo che per azione di due molecole di acqua su una molecola dell’ossima del 3-acetil- 5-metil-furo-(ab;)-diazolo risulti come prodotto intermedio una forma labile della metilaminogliossima CH. C C N I Hi ME |: AAA RSS: CHy.C | L= P.eH;_d008 NOH HON la quale, a differenza della forma stabile da noi descritta nella Nota II (loc. cit.), è spontaneamente anidrizzabile in metil- aminofurazano In perfetto accordo col nostro modo di vedere stanno i fatti che dal dibenzoilderivato della metilaminogliossima, per eliminazione di una molecola di acqua a spese dell’aminogruppo e del benzoile vicini mediante l’anidride acetica bollente, ab- lt A) a; ù x fd CAO RCA Sa ” N A TT PIT A p) : ate 7 c 174 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI biamo ottenuto il benzoilderivato dell’ossima del 3-acetil-5-fenil- furo-(ab;)-diazolo OH 2 SN | (i IO NOCOGC;Hs NOC:0:CHs Fois i P) b) N | | l NOCOGH; N—O—C.C;H; che da detto dibenzoilderivato, per eliminazione di una molecola di acqua come sopra e sostituzione di un benzoile con un atomo di idrogeno mediante riscaldamento con idrossido di sodio di- luito, abbiamo ottenuto l’ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-(ab;)- diazolo (1) 6Hxy.0="— BW -—> | | ‘o: NOCOC,H; NO C0 :C,H, N | I | + C;H,C00H; NOS N 020 CH, ed infine che per azione dell’acido cloridrico diluito abbiamo potuto trasformare quest’ultima in metilaminofurazano (Hi, 0 Sea I I I OSS NOHN:—0-—CeGHy . 2 ; | ] + C;H;C00H, (‘) L'eliminazione di una molecola di acqua coll’idrossido di sodio non è comune in questo gruppo di composti; tuttavia fu già effettuata da Schmidtmann (Ber. 29, 1171 (1896)), il quale dal dibenzoilderivato della ma- lonen-bis-amidossima CHy FS ottenne il cosidetto malonen- 6115/2 diazossimdibenzenile CHy (Ko SO } C,Ha) De 2 ER pr Pre RICERCHE SULLE DIOSSIME ] gs) Ammettendo che soltanto le forme labili (non conosciute), e non le forme stabili, della metilaminogliossima CH3.C(:NOH). C(:NOH).NHy; ed in genere delle gliossime alifatiche R.C(:NOH). C(:NOH).R, siano capaci di anidrizzarsi direttamente sotto l’in- fluenza dei disidratanti, si spiega come dalle forme stabili (le quali danno sali complessi di nichel e che noi chiamiamo forme 8) non sia mai stato possibile preparare, per riscaldamento con acido solforico concentrato o con anidride acetica, i corrispon- denti furazani (!). È però probabile che mediante reazioni ana- loghe a quelle da noi osservate si possano ottenere altri ami- nofurazani da altre aminogliossime, e ci riserviamo di tornare sull'argomento in una prossima Nota. Limitandoci per ora al metilaminofurazano, possiamo dire che la presenza del gruppo — NH, modifica profondamente le proprietà dell'anello — € C— la stabilità del quale non N_0-N è più così grande come nei furazani KR .0 C.R; in cui N-0_N R ed R; sono alchili od arili. Scompaiono anche la volatilità. col vapor d’acqua e l'odore caratteristico di questi ultimi com- posti, mentre per contro compariscono alcune proprietà caratte- ristiche dei C-amino-v-triazoli R .C C.NH». Infatti 1l I Ì I Ì metilaminofurazano è diazotabile mediante l’acido nitroso e può copularsi con sè stesso dando l’azoiminometilfurazano CEN N NH.C | ] con tale facilità che non si riesce a far reagire il diazo, il quale dapprima risulta, con altre basi. Inoltre mentre il gruppo — CH; dei metilfurazani è ossidabile in carbossile — COOH, (4) Questi si ottengono, come è noto (Wolff. Ber. 28, 69, 1895), per pro- lungato riscaldamento delle gliossime con ammoniaca acquosa, a 160°-170°;. forse in dette condizioni esse si isomerizzano dapprima nelle forme labili, le quali poi si anidrizzano. eee e eee ode AL n; 176 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI quello del metilaminofurazano resiste straordinariamente agli ossidanti energici, come il permanganato potassico e l’acido nitrico concentrati, i quali invece deidrogenano l’aminogruppo - costituendo, coi residui di due molecole, l’azometilfurazano CHy3.C—TC.N:N.C-—_C. CH; I I i Î N ON NON facilmente riducibile in idrazometilfurazano CH, ie “6 -RHNEG Li — con | I I Nergion N" GN a sua volta riossidabile nel precedente. Infine il metilaminofurazano può condensarsi con alcune aldeidi, ma non sempre allo stesso modo: p. es. colla benzal-_ deide dà il composto N 055 Il Il Il NE: CH; CH; . CHK NE. =" ep { Il N20 5N risultante da due molecole; coll’aldeide cinnamica quest'altro CéHs. CH:CH.CH:N.C——_C.CH; Il Il Il Il N--O0—-N risultante da una sola. XIX. — Metilaminogliossima CH; .C(:NOH).C(:NOH), NH,. Oltre che nei modi già indicati (loc. cit.) si può ottenere rapidamente introducendo poco a poco in ammoniaca acquosa d= 0,888, rimescolata con una turbina e raffreddata con ghiaccio, la metilclorogliossima CH3z.C(:NOH).C(:NOH).CI in fina polvere, per il che si separa in parte subito quasi pura con ottimo rendimento. RICERCHE SULLE DIOSSIME 177 Diacetilderivato CHy .C(: NOCOCHyg).C(:NOCOCH;).NH,. Si prepara facendo agire sulla metilaminogliossima CHg. C(:NOH).C(:NOH).NH; l’anidride acetica raffreddata con ghiaccio ed in presenza di acetato sodico fuso. Cristallizza dall'alcool acquoso in grossi prismi splendenti, od in aghi ap- piattiti, con una molecola di acqua di cristallizzazione che non perde nell’aria ma lentamente nel vuoto e rapidamente se scal- dato. Il monoidrato comincia a rammollire a 75° ed è tutto fuso a 100°; disidratato con precauzione a temperatura man mano crescente fino a costanza di peso diventa opaco pur conservando la forma cristallina primitiva, ed allora fonde net- tamente a 123° senza decomposizione. Sostanza gr. 2,0642: H,0 gr. 0,1825. Sostanza anidra gr. 0,1482: N ce. 25,9 a 9° e 746,026 mm. Trovato °/o: H,08;82; Per C,H,;0,N3+ H30 cale.: 8,24. Trovato 9/o: N 2086. Per C,H,;0,Ng calc.: 20,89. Anidro è discretamente solubile a freddo in alcool; molto solubile in acetone ed in cloroformio e poco in etere; discre- tamente solubile a caldo e poco a freddo in benzene ed in ligroina. È insolubile in acqua, solubile nell’acido cloridrico diluito. Idrolizzato a freddo con idrossido di sodio sia concentrato che diluito, od a caldo con carbonato sodico od acido cloridrico diluito, ridà la metilaminogliossima da cui deriva. Ossima del 3 acetil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo CH3.C(:NOH). ‘ (C,N30).CHg. Si ottiene riscaldando per qualche ora all’ebolli- zione con un eccesso di anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso il diacetilderivato della metilaminogliossima, versando in acqua il prodotto della reazione, neutralizzando con carbonato sodico ed estraendo poi il liquido con etere; od ‘anche diretta- mente dalla metilaminogliossima operando nel modo ora detto. Cristallizzata da una miscela di benzene e ligroina si pre- senta in prismetti allungati fusibili a 145° senza decomposizione. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 13 178 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI Sostanza gr. 0,1476: N cc. 37 a 9° e 731,974 mm. Trovato °/o: N 29,37. Per C,H703Ns cale.: 29,78. È solubile a freddo in etere, alcool, acetone e cloroformio; discretamente a caldo e poco a freddo in acqua ed in benzene; poco a caldo e quasi affatto a freddo in ligroina. Trattando con cloruro di benzoile la sua soluzione in idrossido di sodio al 20° se ne ottiene il bdenzo?lderivato CHy.C(:NOCOG;Hg). (C$N0) . CH3 che cristallizza dall’alcool in lunghi aghi fusibili a 198°-199° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1383: N cc. 20,1 a 10° e 734,671 mm. Trovato °/o: N 17,03. Per CeH,10OsNs cale.: LASA: È pochissimo solubile a caldo e quasi nulla a freddo in alcool] ed in acetone; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in benzene; quasi insolubile in ligroina ed in etere. Come l’ossima da cui deriva, esso fornisce, se fatto bollire con acido cloridrico diluito, il metilaminofurazano. Ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-(ab; )-diazolo CHz.C(:NOH). (C,N30). CéHs. Si forma assieme a metilaminogliossima CH3. C (:NOH).C(:NOH). NH, riscaldando con idrossido di sodio al 20 °/, ed un po’ di alcool il dibenzoilderivato di quest’ul- tima CHz.C(:NOCOCHg).C(:NOCOC;H;). NH; che abbiamo già descritto nella Nota II ('). Dopo aver diluito con acqua (onde mantenere in soluzione la gliossima) si neutralizza il liquido con una corrente di anidride carbonica, per il che pre- cipita soltanto l’ossima, la quale cristallizzata dall’alcool si pre- senta in grossi prismi fusibili a 205°-209° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1083: N cc. 18,7 a 9° e 741,348 mm. Trovato °/o: N 20,48. i Per C,0Hs0sN; calc.: 20,68. - (4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 52, I, 297 (1922). | RICERCHE SULLE DIOSSIME 179 È molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool ed in acetone; poco a caldo e pochissimo a freddo in benzene ed in eloroformio; poco solubile nell’etere; quasi insolubile nella ligroina. Fatta bollire a lungo con acido cloridrico al 20 °/, fornisce aminometilfurazano. Benzoilata con cloruro di benzoile in soluzione piridinica (!) si trasforma nel denzoilderivato CH3.C(:NOCOCHg)/. (CN30). CH, il quale cristallizza dall’alcool in aghetti allungati fusibili a 174°-175° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1257: N cc. 14,4 a 9° e 741,348 mm. Trovato °/o: N 13,58. Per C7H,g0gN3 cale.: 13,68. È solubile a freddo in acetone, cloroformio, benzene, etere; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in alcool; pochis- simo solubile nella ligroina bollente. Il benzoilderivato dell’ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-(ab,)- diazolo CH; . C (:NOCOC6Hg) . (CN30) . CeH;, preparato come ab- biamo detto ora, è identico in tutte le sue proprietà col composto che si ottiene direttamente dal dibenzoilderivato della metilami- nogliossima CHg.C(: NOCOC;Hg) . C(:NOCOC;Hy). NH, per eli- minazione di una molecola di acqua a spese dell’aminogruppo e del benzoile vicini mediante anidride acetica bollente in presenza di acetato sodico fuso, ed idrolizzato per riscaldamento con idrossido di sodio al 20 °/, ed un po’ di alcool dà l’ossima del 8-acetil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo, il che è una conferma della struttura che gli abbiamo attribuita. XX. — Metilaminofurazano CH;3.C-____C.NH3. Si | I e N-O—-N forma, come già abbiamo detto, per azione dell’acqua (riscalda- mento con acido cloridrico diluito) sull’ossima del 3-acetil- 5-metil-furo-(ab,)-diazolo CHz .C(: NOH).(C,N30).CH; e sulla (4) Questa ossima non si scioglie che nell’idrossido di sodio diluito, e dà con quello concentrato un sale sodico poco solubile. vi det Sci 7 "POR i 180 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI ossima del 3-acetil-5-fenil-furo--(ab;)-diazolo CHz.C(: NOH). (C3N30) . CHs; e si prepara nel miglior modo riscaldando alla ebollizione per alcune ore la metilaminogliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso, versando in acqua il prodotto della reazione, neutralizzando con carbonato sodico ed estraendo ripetutamente con molto etere il liquido in cui può essere sospesa, e per la maggior parte è disciolta, l’ossima del 3-acetil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo CH; .C(:NOH).(C,N,0) .CH,. Eliminato il solvente si fa bollire per mezz'ora il residuo con acido cloridrico al 20 °/,, ed in ultimo si scalda su bagno d’acqua bollente fino ad eliminazione completa dell’acido clori- drico e dell’acido acetico, cioè fino a che, col raffreddamento, il metilaminofurazano solidifichi. Cristallizzato dall'acqua bollente e decolorato con carbone animale si presenta in grossi prismi bianchi fusibili a 72°-73° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,2905: CO. gr. 0,3869, H,0 gr. 0,1405. Sostanza gr. 0,1114: N cc. 43,2 a 24° e 724,873 mm. Trovato 9/0: €30,32. «Hb, 87 N42070 Per-C:H;0ONs calce.: 36,93 5,05 42,42. È molto solubile nell'acqua a caldo e notevolmente anche a freddo; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; molto so- lubile a caldo e meno a freddo in benzene ed acetone; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina, dalla quale cristallizza in laminette splendenti. Non ha odore; non è volatile col vapor d’acqua; riscaldato con idrossido di sodio o con acido cloridrico, anche concentrati, non subisce alcuna alterazione. 1 Monoacetilderivato CHg . C C.NH.COCH;. Si ottiene | i N-0—N acetilando con anidride acetica, in presenza di acetato sodico fuso, il metilaminofurazano. Cristallizzato dal benzene costi- tuisce laminette splendenti fusibili a 115°-116° senza decom- posizione. RICERCHE SULLE DIOSSIME 181 Sostanza gr. 0,1144: N ce. 31,2 a 24° e 723,273 mm. Trovato %/: N 29,96. Per C;H,0gN; calc.: 29,78. È molto solubile nell'acqua a caldo e discretamente anche a freddo; solubile a freddo in alcool, acetone, cloroformio; poco solubile in etere; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in benzene; pochissimo solubile nella ligroina bollente e quasi insolubile a freddo. Si idrolizza con facilità per riscaldamento con acido clori- drico diluito. Benzilidenderivato CH; . CH [NH(C,N,0)CHg],. Si separa dopo breve tempo per trattamento della soluzione acquosa del metilaminofurazano con benzaldeide e .con qualche goccia di idrossido di potassio. Cristallizza dall’acetone per diluizione con acqua in aghi appiattiti fusibili a 155°-156° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,0947: N cc. 23,7 a 12° e 746,582 mm. Trovato 0/0: N 29,52. Per C13H,40gNe cale. : 29,37. È solubile a freddo in alcool, acetone, etere; molto a caldo e poco a freddo in cloroformio; poco a caldo e pochissimo a freddo in benzene; quasi insolubile anche a caldo in ligroina, Riscaldato con acido cloridrico diluito si idrolizza facil- mente; resiste invece all’azione delle basi. Cinnamilidenderivato C$Hy .CH:CH.CH:N (C,N,0) CH. Si forma mescolando in soluzione alcoolica il metilaminofurazano ‘con aldeide cinnamica. Precipitato, dopo riposo, per diluizione con acqua e cristallizzato dall’alcool costituisce laminette pa- glierine fusibili a 126° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1303: N ce. 22,3 a 12° e 725,957 mm. Trovato °/o: N 19,67. Per C,3H,j0Ng cale.: 19,71. È solubile a freddo in etere, acetone, cloroformio e benzene; molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool; poco a caldo e pochissimo a freddo in ligroina. Riscaldato con acido solforico diluito s'idrolizza rapidamente. Fa 182 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI Azometilfurazano CH3(C,N30)N:N(C,N,0)CH;. Si prepara deidrogenando il metilaminofurazano, e nel miglior modo ag- giungendo poco a poco permanganato potassico in polvere alla sua soluzione in acido solforico al 30 °/, riscaldata a 60°-70°, Purificato per distillazione col vapore costituisce laminette aran- ciate fusibili a 107° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,0724: N cc. 28,3 a 24° e 723,273 mm. Trovato °/o: N 42,94. Per CoHeOsNe cale. : 43,29. È insolubile nell'acqua; solubile a freddo nei comuni sol- venti organici; facilmente volatile col vapore. Si forma anche per riscaldamento con acido nitrico del metilaminofurazano, il quale però, in dette condizioni, viene per la maggior parte decomposto in anidride carbonica, acido cianidrico, ammoniaca, ecc. Idrazometilfurazano CHsz(C3N30) NH. NH (C$N30) CH. Si ottiene idrogenando l’azometilfurazano con fenilidrazina in so- luzione eterea, per il che si separa quasi subito dal liquido diventato incoloro dopo lo sviluppo di azoto. Cristallizza dal- l'alcool leggermente acquoso in prismetti bianchi contenenti una molecola di acqua di cristallizzazione la quale non si elimina alla temperatura ordinaria neppure in essiccatore nel vuoto, ma soltanto per riscaldamento a 90°-95°. Sia idrato che anidro fonde a 118°-119° con leggera decomposizione. Sostanza gr. 0,1806:*H,O gr. 0,0156. Sostanza gr. 0,1082: N ce. 36 a 9° e 746,026 mm. Trovato °/: H:0 8,63. N 39,71. Per CéHsOsN, . H30 calc.: 8,41 39:70. È alquanto solubile nell’acqua bollente e quasi insolubile in quella fredda; solubile a freddo in alcool ed in acetone; discre- tamente solubile a caldo e pochissimo a freddo in benzene; po- chissimo solubile a caldo e quasi nulla a freddo in etere, cloro- formso e ligroina. Sospeso in acido solforico e trattato con permanganato potassico si deidrogena con facilità nell’ azometilfurazano, il R si ù ws : ro MPRICE I ALTE E TO IE NS SETTI I E LIRA I RE I n TI I SI LP POET PO PS Pr RR N 7 (A SIE RICERCHE SULLE DIUSSIME 183 quale risulta anche introducendo l’idrazometilfurazano nella solu- zione acquosa degli idrossidi dei metalli alcalini o di ammonio. In questo caso si ha dapprima un liquido intensamente colorato in rosso-vinoso, dal quale si separa immediatamente l’azocom- posto, mentre la soluzione si decolora poco a poco. Azoiminometilfurazano CHsg (C$N30) N : N. NH (C,N;0) CH,. Si separa istantaneamente facendo gocciolare una soluzione acquosa diluita di nitrito sodico nella soluzione di metilamino- furazano in acido solforico o cloridrico al 20 °/y raffreddata in ghiaccio. Cristallizza dall'alcool acquoso in laminette paglierine contenenti acqua di cristallizzazione, le quali sfioriscono lenta- mente alla temperatura ordinaria diventando bianche ed opache. Riscaldato per breve tempo a 100° diventa anidro ed allora fonde a 114° senza decomposizione, alterandosi qualche grado più alto. Sostanza gr. 0,0809: N cc. 32,7 a 11° e 731,693 mm. Trovato 9/0: N 46,98. Per C$H70sN, cale.: 46,88. Anidro è solubile a freddo in alcool, etere, acetone; di- scretamente solubile a caldo in ligroina, cloroformio e benzene. La formazione di questo azoiminocomposto costituisce una reazione sensibilissima per il riconoscimento del metilamino- furazano. Sale di argento CHsy(C,N,0) N: N.NAg(C$N:0) CHs. Si separa trattando la soluzione alcoolica dell’azoiminometilfura- zano con soluzione alcoolica di nitrato di argento e costituisce una polvere bianca inalterabile alla luce; insolubile nei comuni solventi organici; solubile nell’idrossido di ammonio é ripreci- pitabile con acido nitrico diluito. Sostanza gr. 0,9458: Ag gr. 0,1188. Trovato °/y: Ag 34,95. Per CsHgO,N, cale.: 34,15. Riscaldato esplode violentemente. Acetilderivato CHz(C$N30) N: N. N (COCH;) (C.N,0) CH,. Si forma acetilando a freddo l’azoiminometilfurazano con ani- 184 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI — RICERCHE, ECC. dride acetica in presenza di acetato sodico fuso e cristallizza dall'alcool acquoso in laminette bianche fusibili a 72° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1085: N ce. 35,3 a 12° e 725,957 mm. Trovato %/: a CN -39;19: Per C3Hs0OgN7, calc.: 39,04. È molto solubile a caldo e discretamente anche a freddo nell’alcool; solubile a freddo in benzene ed in cloroformio; poco solubile in etere, quasi insolubile nella ligroina. Torino - Istituto Chimico della R. Università. Gennaio 1923. ; a L’Accademico Segretario Oreste MATTIROLO 185 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 4 Febbraio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci De Sanctis, ErnAuDI, BAUDI DI VESME, PaTETTA, PrATO, PaAccHIONI, FAGGI, Luzio, Mosca, JANNACCONE. Funge da Segretario il Socio Prato. Scusano l’assenza i Soci BronDI, VIDARI, SCHIAPARELLI. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 21 gennaio u. s. Il Socio Luzio presenta per la pubblicazione negli Atti una sua Nota intitolata Due .lettere di Vincenzo Gioberti ed altri do- cumenti inediti giobertiani, e ne illustra brevemente il contenuto. LATP ARR NT RAI I CITE AI “iI 186 ALESSANDRO LUZIO LETTURE Duo lettere di Vincenzo Gioberti ed altri documenti inediti giobertiani Nota del Socio nazionale residente ALESSANDRO LUZIO È Una delle accuse più concrete mosse al Gioberti nel processo del 1833 fu quella di aver diffuso gli scritti incendiari della G. Italia non soltanto nella cerchia di amici torinesi (1), ma anche extra moenia fra capannelli di provincia, presieduti da suoi corrispondenti o confratelli di sacerdozio. A Corio, p. es., avrebbe ricevuto dal teologo e cappellano di corte siffatta merce di contrabbando l’avv. Canaperio. Lo affermava almeno esplicitamente il commissario Gay, con un rapporto sincrono, che a furia di “trapassi , (2) burocratici, è andato a finire tra gli atti riservati di polizia del 1837 (Torino, cartella 5-6). POLIZIA DELLA CAPITALE RapPPORTO. Torino, li 8 aprile 1833. Sono stato confidenzialmente informato che già da vari mesi a questa parte sogliono seralmente radunarsi nel luogo di Corio e nell’osteria esercita da certo Rostagno molti aderenti al sistema liberale, ove si tratta (1) Cfr. il mio G. Mazzini carbonaro, Torino, Bocca, 1920, ultima ap- pendice; e la lettera di Demofilo (Gioberti) ai compilatori della G. Italia nelle Pagine Scelte dal Menzio, Torino, Paravia, p. 70 sgg. (2) Nella cartella 1-2 di Torino 1833 il rapporto del Gay fu sostituito dal seguente richiamo, che accompagnava i nomi de’ partecipanti alla “ conventicola , di Corio: “ Giobert, teologò, supposto faccia passare ai suddetti i scritti (e fogli periodici cancellato) che da essi si leggerebbono ,. DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 187 di tutti li affari politici e si leggono con entusiasmo tutti i scritti rivoluzionari ed in ispecie l'opuscolo mensuale intitolato la Giovane Italia, oltre le varie Gazzette riservate che vengono colà trasmesse al sig. avv. Canaperio da certo sig. Teologo Giobert abitante in questa capitale. Gli individui indicati intervenienti in tale radunanza, che sogliono essere in numero di venti e più sì annoverano specialmente li sig. avv. Data, avv. Canaperio, li due fratelli Machiorletto, lo speziale Perero, certi Vigo, Audi, Obert e Gioanetto, ignorandosi il nome degli altri, dei quali si potrebbe avere con riserbatezza la loro cognominazione, facendo sorve- gliare la località da persona confidente oppure dal sig. Comandante la stazione dei Carabinieri Reali, se il R. Comando lo crede a proposito, a cui se ne dà avviso per le sue provvidenze. In base al rapporto del Gay fu ordinata un’inchiesta, che fomentata via via da segrete sollecitatorie indirizzate da saccr- doti a Carlo Alberto in persona si protrasse sino al 1838 (1); e stabilì quanto meno che erano pervenuti a Corio esemplari degli opuscoli di Mazzini, di Gustavo Modena e persino della Guerra d’insurrezione per bande del Bianco. Quest'ultima, mutila ma non meno preziosa, esiste nell’in- carto, con un’accompagnatoria di Cesare Saluzzo, improntata a sacro terrore: “ Vi mando due orridi volumetti che mi sono stati recati da un ecclesiastico e che sono infami a segno da non permettermi di tenerlì ° nè punto nè poco. Il luogo dove sono stati tolti è Corio in Canavese , (4 maggio 1838). E mai ammissibile che dopo le repressioni del ’33 la con- venticola di Corio osasse procacciarsi o ricevere simile dinamite? Non è più verosimile che il libro del Bianco fosse l’ultimo con- segnato sub sigillo confessionis di quelli 5 anni innanzi trasmessi da Torino? La condizione stessa del volume, tutto sgualcito e incom- pleto e sudicio, perchè passato chi sa fra quante mani, induce a crederlo. Checchè sia di ciò, pe’ fascicoli della Giovane Italia (1) 1 denunciatori accusavano il Canaperio e complici di esercitarsi al tiro, prendendo a bersaglio un’effigie del Re, contro cui avrebbero proferito abitualmente sconcie parole irriferibili. n 188 ALESSANDRO LUZIO e i catechismi del Modena (1) parmi indubitabile che l’accusa del Gay rispondesse a verità, tanto più che il commissario, come si vede, non aveva neppure la più lontana conoscenza personale di quel... “ certo teologo , non ancora arrestato, e probabilmente sottoposto a sorveglianza per effetto di questa prima denuncia. D'altra parte e le deposizioni raccolte a Torino e la lettera stessa di Demofilo ai collaboratori della G. Italia confortano il poliziesco supposto, senza dire che in “ Lettere confidenziali del Lescarene al Revel , governatore di Torino si annuncia (10 maggio 1833) la scoperta di “scritti incendiari , in casa dell’Oberti, amicissimo del Gioberti; si ordinano (1° giugno) con grande riservatezza accurate indagini su tutti gli intimi “ del noto sig. teologo Gioberti , e precipuamente “i sacerdoti Pagnone, Bertinatti, teologo Monti , (2). Se non da costoro qualche rilevante elemento a carico del Gioberti emerse dalla condotta di Paolo Pallia, così sbigottito per l’arresto dell'amico e maestro da prendere immediatamente la fuga, riparando in Francia. Su lui la stessa cartella Torino 5-6 contiene precisi particolari; una nota anzitutto della polizia di Torino, del 28 gennaio 1834, di questo tenore: i “ Paolo Paglia sarà ora in età di 22 anni, nativo di Rivara, figlio del medico di quel Comune, laureato da poco tempo in ambo le leggi, ma non lo credo sacerdote; dimorava in Torino in qualità di maestro di scuola de’ figli del sig. Mastro Uditore segretario della R. Camera de’ conti Ceruti, legato in stretta amicizia con Macario e colli dete- nuti fratelli Obert, colli condannati Scovazzi e Cariolo e sopratutto col sacerdote Giobert, che per mezzo de’ Commissari sono informato essersi trovata ne’ scritti di quest’ultimo corrispondenza continuata col mede- simo; si evase nel mese di giugno dell’anno scorso, trovasi ora a Lau- sanne, e si dice da’ suoi -parenti ch’esso da colà aspetti l’esito della causa Obert ,. (1) Se ne hanno esemplari, sequestrati dalla polizia o consegnati da sacerdoti, che li ebbero da ‘ penitenti ,, in Genova 3-4 del 1834. (2) Dal “ Calendario generale pe’ regii stati, del 1833 appare collega del Gioberti nella carica di cappellano di corte il “ teol. Pagnone Giuseppe , insieme al teol. Pellico Francesco! (p. 188). Amici notissimi del G., il teol. Giovanni Napoleone Monti e il Bertinatti. DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 189 Morì invece trentenne in esilio di mal sottile: e a lui-dedicò Gioberti con iscrizioni soavissime la Teorica del sovrannaturale, certo ignorando esser vero purtroppo quanto il Tommaseo svelò nelle sue Memorie (1) — che il Pallia avesse, fiaccato di corpo e di spirito, chiesto grazia a Carlo Alberto con suppliche equi- valenti a ritrattazione completa! Una prima istanza del 1836 non ci è rimasta: venne re- | spinta, benchè (limitata alla concessione d’un temporaneo sog- giorno per urgenti interessi domestici) fosse suffragata da rac- comandazioni prudenti dell’ab. Peyron, a cui perdoneremo le frasi indecorose, in grazia della buona intenzione di giovare allo sventurato suo allievo: Ill"° ed ecc®° S", Torino, 22 ottobre 1836. Debbo fare uffizio presso V.S.I. ed E. in favore del sig. Pallia, il quale essendo in Parigi chiede la facoltà di fare una corsa in Pie- monte per assestare gli affari di sua famiglia dopo la recente. perdita di sua madre, che lasciò orfane quattro giovani figlie. Il predetto Pallia mio scuolaro di lingua ebrea nella giovane età di quattro lustri mo- stravasi nel 1832 favorevole alle idee italiane: io nol potei più compor- tare e ricusai di vederlo sperando colla mia disapprovazione di operare qualche cosa su lui che mi amava moltissimo. Arrestato che fu il T. Gio- berti, egli fuggì in Francia per precauzione. Quando io |fui|] quest'anno in Parigi ricusai di vederlo, ma come egli mi assicurò di essere rinsavito nelle sue idee, come veramente riscontrai e dalla sua condotta e dalle persone ch’egli praticava e dai suoi discorsi, allora gli permisi di venirmi a vedere. Conoscendo a fondo la sincerità del suo carattere, posso assi- curare V. Ecc. che la venuta del Pallia in Piemonte, dove si soffermerà poco tempo per affari di famiglia, non potrà fare alcun danno, anzi sarà di vantaggio essendo egli veramente rinsavito .... D®"° Um”? Servitore A. PeyRON. Esiste nel dossier l'istanza. seconda, tutta autografa di “ Paolo Pallia Dott. di teologia e di legge , da Parigi, 12 agosto 1837: e non si può leggerla senza una stretta al cuore. Ne re- (1) Cfr. il carteggio Tommaseo-Capponi, I, 496; ed Epistolario di Mazzini, II, 298. 190 ALESSANDRO LUZIO cherò le prime linee, importanti come esplicito riconoscimento della onestà con cui erano condotti i processi politici : Sacra Real Maestà, Se io avessi coscienza d’esser puro di tutte le colpe che mi sono apposte, non dubiterei di rientrare liberamente in patria e di costituirmi prigione per essere giudicato secondo le leggi, perchè fidando nella reli- gione e fede dei giudici di V. Maestà sarei certo di uscir bene da quel giudizio ch’io stesso avrei provocato. Ma la mia coscienza non mi rende così buono testimonio. Uscii per vero di patria piuttosto per vani so- spetti e timori che per grave colpa di cui io fossi conscio a me stesso: ma dopo la mia uscita io devo confessare che seguendo l’empito d’in- considerato bollor giovanile ho fatto cose, le quali se fossero cadute sotto il rigor delle patrie leggi sarebbero per certo state in me gravemente punite. Continua confessando “ candidamente , le sue colpe: ma invoca clemenza pe’ quattro anni di “ dura e tormentosa espia- zione , che ha ormai sopportato, appartandosi “ dalle mene po- litiche , per tuffarsi tutto “ nello studio della letteratura orientale tra il silenzio delle Biblioteche e della sua camera ,. Andava annesso all'istanza un certificato medico diffusis- simo del Dott. Robecchi sulle disperate condizioni dell’infermo “ sig. Pallia ,. A lor volta le quattro sorelle di lui scongiura- vano il re che le salvasse da inevitabile rovina economica. Eran rimaste di recente orbate della mamma; “il fratello mi- nore, dopo aver studiato filosofia , s'era dato alla carriera delle armi, servendo sotto le regie bandiere, senza d’altro curarsi. “ Il tenue patrimonio paterno aggravato da debiti , pericolava, se le inesperte fanciulle non trovassero appoggio almeno nel fratello “ teolugo ed avvocato ,: degno di indulgenza, per un errore commesso nella prima giovinezza, a causa del suo “ tem- peramento vivace ed intraprendente, privo di consigli paterni già dall’età di 12 anni ,. Carlo Alberto fu irremovibile. Il ricordo del ’33 ghi era così profondamente confitto nell'animo da soffocarvi la voce della umanità, della commiserazione per un morente, per quattro orfane. Il Pallia aveva collaborato alla G. Italia, partecipato alla spedizione di Savoia: e tanto bastava per serrare senza speranza di ritorno le porte del Piemonte a chi aveva implorato i î i RETI LC E 13, PISTE n 3 TS [A fer PARTORITO TOO. DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 191 “ perdonanza e oblio del passato in nome di quel Dio che a tutti ha perdonato e perdona ,. Ugual sorte anche più tragica toccò nel 1843 all’autore della Guerra d’insurrezione per bande: e a questo infausto epi- sodio è pure associato, come finora ignoravasi, il nome del Gioberti. II. Per le nozze del Principe ereditario nel 1842, i ministri di Carlo Alberto ritennero doveroso predisporre una larga amnistia, che, tranne i più gravemente compromessi, gli irridu- cibili come Mazzini e C. (1), riammettesse nella patria sospirata la maggior parte degli esuli. Le Legazioni sarde all’estero ebbero l’incarico di riferire minutamente su ciascun emigrato, sommesso alla loro vigilanza: e fu allora che il Crotti di Costigliole inviò bellissimi dispacci, recentemente editi, sulla vita di pietà e di studi, irreprensibile, esemplare, dal Gioberti condotta a Bruxelles. La sua causa, dopo ciò, era vinta: al filosofo venne lasciata ampia libertà di rimpatrio, sol che egli volesse. Un veto inesorabile udì invece (2) ribadito a suo danno il Conte Carlo Bianco di San Jorioz, malgrado gli affidamenti (1) Si vedano nella raccolta degli Editti, quelli del 26-29 marzo 1842. Cfr. nell’Epistolario, VII, 238 la stupenda lettera di Mazzini sulle amnistie, da cui trovava giustissimo esser escluso. Nella cartella 17 delle “ Ma- terie Criminali, del R. Archivio di Stato di Torino sono riunite, in un voluminoso dossier, le istanze che nel 1842 pe’ superstiti del ‘21 furono inoltrate o da loro stessi o dalle famiglie, chiedenti il rimpatrio, la revoca della confisca de’ beni. Vi figurano molti tra’ capi della fallita rivoluzione piemontese: l’Ansaldi, il Beolchi, il Crivelli, l’Enrico, il Ferrero, il Maroc- chetti, il Trompeo, ecc. Scarsissime le istanze de’ compromessi del ’33, perchè più recenti i fatti e notòriamente più tenaci le avversioni di Carlo Alberto a comprendere nell’indulto del 29 marzo i seguaci della G. Italia. (2) Cfr. Carteggio Gioberti-Massari, ed. Balsamo-Crivelli, Torino, Bocca, 1920, p. 581 sgg., pei lusinghieri rapporti del Crotti sul G. Il dispaccio 29 marzo 1842 si chiude appunto con ragguagli favorevoli, ommessi dal Balsamo-Crivelli, sul Conte Bianco. Sul quale la polizia belga interpellata rispondeva che lo si era dal 1834 in poi sorvegliato “ par ce qu’il était représenté comme étant le centre où venaient aboutir toutes les intrigues a PR bal Lat = ORI ila RI II SVITARE I RIA VELA SERI EP re OR 4 sù an 102 ALESSANDRO LUZIO cortesi datigli dapprima dal Crotti e dal Solaro della Margherita! L’esilio più che ventenne, l’istanza diretta al Sovrano, le infor- mazioni benevole della polizia belga e della Legazione, a nulla valsero: l’autore dell’ “ infame , libro, di cui inorridiva Cesare Saluzzo, il compagno di Mazzini, il fondatore degli Apofasi- meni, ecc., ecc., ebbe una secca repulsa finale, tanto più dura dopo l’umiliante sottomissione. La fibra dell’infelice era già scossa da angosciosi dolori domestici, da penosi imbarazzi economici, in cui temeva di veder travolto l’onore di gentiluomo d’antica razza: con stoico suicidio per annegamento il vecchio ufficiale del ’'21 si sottrasse a quel cumulo di sciagure. La fine del Bianco colpì atrocemente Mazzini, che si dibatteva a Londra contro una banda di osceni usurai (1); ma non fu meno dolorosamente sentita dal Gioberti, testimone immediato della catastrofe, anzi chiamato a prestare gli ultimi uffici di carità cristiana all’estinto, alla vedova. L'annuncio frettoloso datone al Pineili, al Fantini (2), non permetteva di arguire così viva parte del Gioberti a quel lutto: ma ne abbiamo sicura testimonianza in due lettere allo Sclopis, inosservate sinora, tra il carteggio che possiede di lui l’Acca- demia (3). Nato da una Peyretti di Condove, era il Bianco cugino dello Sclopis: nulla quindi di più naturale che a preghiera della Contessa il Gioberti lo informasse sollecito del lacrimevole caso con questa lettera commossa, testualmente prodotta: de l’émigration ,, ma non si era mai nulla di concreto potuto accertare. Viveva ritirato, ricevendo solo di quando in quando il Principe Pietro Bonaparte; tutti lo lodavano per bontà e generosità d’animo. Su quali dati si basasse il Manno, Il patriziato subalpino, II, 284, per ‘asserire che il Bianco non accettasse l’amnistia del '42 non so veramente; poichè gli atti comprovano che ed egli e sua moglie la invocarono con suppliche al Re, non accolte. (1) Epist., XII, 145, 161; e il- necrologio che gli dedicò nell’ Apostoluto popolare, in Serie Politica, IX, 241. II, 368. (3) Da cui, non so perchè, il Carle trasse la sola lettera, puramente officiosa, diretta allo Sclopis nel luglio ’44 (Atti di questa Accademia, XXXVI, 756). Le reciproche dello Sclopis al Gioberti sono nella Civica di Torino, e ne debbo cortese comunicazione all’infaticabile Balsamo-Crivelli, ‘cche sentitamente ringrazio. (2) Lettere di V. G. a P. D. Pinelli, ed. Cian, p. 136; e Massari, Ricordi, ci del De ST MA DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 193 Ill"° Sig. Conte e P"° col"° Di Bruxelles, 20 maggio 1843. Institut Gaggia. La S' Contessa Bianco mi commette di notificarle una orribile disgrazia, che forse sarà già pervenuta a sua cognizione per via dei fogli pubblici. Da qualche tempo in qua il consorte della S" Contessa dava segni non dubbi d’alterazione di mente, che tuttavia non parevano an- munziare alcuna sinistra intenzione e che furono probabilmente causati dal disordine dei suoi affari e dall’essere stata sepellita l’ultima sua domanda per la ricuperazione dei propri beni. Ebbe inoltre una febbre cerebrale che diede qualche inquietudine: ma in pochi giorni se ne riebbe e sì trovò bastantemente sano, benchè agli occhi e ai portamenti si ve- desse che non aveva ricovrata la sua tranquillità antica. Nel mattino dei nove del c. uscì di casa sotto pretesto di prendere un po’ d’aria e di fare alcune commissioni e nel partire sì mostrò più lieto e sedato del solito, tanto che non diede alcun sospetto. Ma dopo la sua partenza la C** si avvide di 3 lettere che avea lasciate: l’una delle quali era indirizzata a lei medesima, e le altre due al figlio e a me. Si lessero e dal modo con cui erano concepite si acquistò, se non certezza, un timore che l’infelice avesse disegnato di togliersila vita. Si corse subito a cercarlo per ogni dove: la polizia fu avvertita e fece pur molte inda- gini, ma inutilmente. Finalmente una settimana dopo il caso si trovò il cadavere del povero Conte in uno dei numerosi canali che circondano la città. Tal è il doloroso evento, che la S'* C** m’incarica di parteci- parle, pregandola a darne notizia così alla famiglia di lei; come a quella del defunto. Nell’adempiere questo lacrimevole ufficio, io non posso pre- sentare a V. S. Ill"* altro conforto se non la mia ferma persuasione che il suicidio del C'* Bianco fu un effetto di alienazione mentale e non di libera elezione; il che se non può consolarci di tanta perdita dee pure arrecare qualche lenimento al nostro dolore, mostrandoci nella causa di esso, non un errore, ma un infortunio. Le ineludo la lettera lasciata dal defunto pel C'° Alessandro suo De ‘gliuolo, acciocchè V. S. I. possa ricapitarla, usando tutti quei riguardi che le parranno opportuni in sì tristo accidente. La S'* C** m’impone eziandio d’informarla che potè ottenere la fa- coltà di rendere i suffragi e gli onori ecclesiastici all’estinto, non ostante le circostanze deplorabili della sua morte: ma che ciò porta seco l’obbli- gazione di due funerali, l’uno nella parrocchia di domicilio, e l’altro nel luogo dove furono trovate le spoglie del Conte. Al quale effetto ella attende i provvedimenti opportuni dalla di lui famiglia. Fin qui io sono mesto interprete degli altrui cenni. Ora debbo aggiun- gere in confidenza a V. S. I che il C** Bianco nella lettera che mi scrisse Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. — 14 Pepe EE IR SEO PMO N IRR ETA e II 194 ALESSANDRO LUZIO. prima di morire (1) mi raccomanda la sua povera moglie e m’incarica di combattere l'accusa che potrebbero darle di essere in qualche parte causa della determinazione da lui presa, assicurandomi sul suo onore che ciò non è (2); sono le sue parole. M’ingiunge inoltre di provve- derle il necessario e di spedirla in Piemonte. Ella vede qual sacro obbligo pesi sovra di me. Io lo adempierò religiosamente, ma riguardo all'ultimo articolo sarebbe forse bene che V. S. si degnasse di far sapere alla sig. C** che il desiderio suo e di tutta la famiglia è conforme a quello del defunto e che la partenza dovrebbe aver luogo al più presto. Tal è pure l’avviso del March. Di Priè, che meco si unisce nell’offrirle que’ servigi che per noi si possono in così doloroso frangente, quando Le piaccia di comandarci. Accolga, gent"° S" Conte, i sensi di alta e singolare osservanza con cui mi reco a onore di essere Di VESSE D®° Servitore V. GIOBERTI. Alla lettera giobertiana lasciò unita lo Sclopis una minuta di propria missiva, non saprei a chi destinata, nell’intento di far avvertire con forse superflue cautele il figliuolo del Bianco, conte Alessandro. Quanto a sè, confessava non essergli giunta inaspettata la fiera novella, dacchè lieta fine non poteva coronare una vita di continue agitazioni, non confortata da sentimenti religiosi, fors’anzi dedita a cattive letture, ecc. Al Gioberti tuttavia rispose il 27 maggio, esprimendo la speranza che il Bianco fosse stato davvero vittima di delirio e oppressione di mente: e in nome del Conte Peyretti, capo della famiglia, consentendo alle spese più urgenti. Le sue occupazioni, le sue attitudini rendevan penoso al Gioberti addossarsi così spinose incombenze; pure si adoprò vo- (1) Da qui, sino alla fine del periodo, tutte le parole si veggono, nel- l'originale, sottolineate. (2) Mazzini, XII, 161, scriveva, per vero: “ lascia una moglie che co- nosco e credo gli facesse anch’essa passare una triste vita ,, mentre il figlio lo “ negligeva , (Il figlio del Bianco, ufficiale dell’esercito, pubblicò a sua volta libri di storia militare, che gli attirarono noie parecchie: Manno, l. c.). Su moglie e figlio del Bianco si esprimeva sfavorevole il Lamberti (Protocollo della G. Italia, II, 49, 83), pur avendo soccorso la. Contessa a Parigi, per evitare sinistri commenti. ma: Me _ Lai viadaicà: . RT { IA RATE LT STO AT TI E E STO Po da DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 195 lenteroso a curarne l’adempimento, dandone discarico con questa seconda lettera, da cui non ho resecato i men utili particolari, perchè anch’essi concorrono a far risaltare la pietosa solleci- tudine che la dettò (7 giugno ’43): Institut Gaggia. Ho indugiato qualche giorno di rispondere alla lettera di V.S.I. a causa di una leggiera indisposizione. Ella può accertarsi che quel poco ch’io posso fare in questo dolorosissimo caso lo considero come un sacro dovere, così per l’amicizia ch'io tenni coll’infelice, come per la riverenza ch'io porto a Lei, a S. E. il sig. C'° Peyretti e a tutta la famiglia del- l’estinto. Non occorre pensare al mutuo nè che Ella mi spedisca una lettera di cambio: io farò tutte le spese che occorrono e quando saranno ter- minate gliene manderò la nota colle carte opportune a giustificarle nel consiglio di famiglia. I funerali non potranno aver luogo prima del 12 e del 18 a cagione delle feste correnti. Compiuta la mesta solen- nità, la sig. Contessa partirà subito per Torino, a tenore delle inten- zioni che mi furono significate dal Conte Alessandro. Io bramerei di sapere per mezzo di V. S. I. qual è la somma che posso offrire alla sic. Contessa per le spese del viaggio. Debbo anche prevenirla che la sig. Contessa desiderava di fare ap- porre una lapide al sepolcro del suo defunto consorte. Non credetti di dovere acconsentire e risposi che non poteva pigliare sopra di me di fare altre spese che le necessarie. Il Conte Alessandro mi offre in nome di S. E. il sig. Conte Peyretti una carta di procura per soddisfare ai creditori del defunto. Questo è un carico che non potrei addossarmi sia per la molteplicità delle mie occupazioni, come pel timore di non poterlo adempiere convenientemente. Per quanto mi è noto i debiti del C'° Bianco si possono distinguere in due classi. Gli uni (e sono i più sacri) sono verso artigiani e operai di minute industrie che lo accomodavano dei loro lavori: e questi debiti non credo che facciano una somma molto notabile. Gli altri riguardano i mutui sopracaricati da usure, le quali odo dire che siano esorbitanti. In tal caso bisognerebbe pensare a una riduzione e ci vorrebbe una persona proba e pratica che trattasse coi creditori. Dalle informazioni | prese intorno agli avvocati che conoscono gli affari del defunto mi risulta che il migliore di tutti e più al caso è M. Alexandre Joseph Vatteeu avocat è la Cour d’Appel de Bruxelles. Siccome non lo conosco l’ho fatto interpellare da un terzo per sapere se occorrendo riceverebbe una procura al prefato effetto: rispose affermativamente. Il solo debito, del cui saldo immediato potrei incaricarmi io stesso, è quello che concerne il padrone dell’albergo dove dimora la sig. Con- RR ISTAT TE ESE PETTO LOTO LOI 196 ALESSANDRO LUZIO tessa, la quale mi ha manifestato il suo desiderio di scontarlo prima di partire. L'ho pregata di darmene il conto preciso: subito che lo abbia, lo spedirò a V. S. I. per saper le intenzioni del consiglio di famiglia. Tutti i nuovi particolari che ho intesi dalle persone che videro l’in- felice C'* Bianco nei giorni che precedettero la sua morte (giacchè io non m’ero trovato seco da qualche tempo) confermano la mia persuasione che la risoluzione funesta sia stata un effetto di un trasporto di mente e non di un atto deliberato. Mi reco a onore di essere con alta stima e profondo rispetto, ecc. Interprete dell’intera famiglia, lo Sclopis ringraziò il Gio- berti con lettera del 14 giugno per la generosità con cui aveva egli medesimo anticipato il denaro occorrente alle prime spese: esclamandosi felice “ d’aver constatato essere nel Gioberti le doti del cuore pari a quelle dell'ingegno ,. Mancano purtroppo tre lettere di Gioberti del 7, 19 e del 26 giugno (dirette al Peyretti): delle quali ci danno però la certa data le risposte dello Sclopis, sia per accompagnare il rimborso dovuto, sia per approvare quanto aveva disposto il Gioberti riguardo a’ funerali religiosi. Per tranquillare, come si è visto, i pii parenti di Torino, aveva cercato la vedova di ottenere non una, ma due cerimonie chiesastiche. Il parroco però suburbano non accettò la ver- sione benevola del suicidio causato da sola alienazione mentale; fors'anche conosceva gli antecedenti rivoluzionari del Bianco, e rifiutò l'assoluzione alla salma. Gioberti non insistette e lo Sclopis aderì, dichiarando il 3 luglio che fosse meglio il quieta non movere. “ Quand’anche, osservava, si vincessero le opposizioni, il clamore della resistenza farebbe più torto alla memoria del- l’estinto, a cui non mancarono già i suffragi ed i supremi onori nella chiesa di Bruxelles ,. Del sepolcro con relativa lapide non vi sono accenni; e par veramente un’ironia del destino che al Bianco, esaltato e “ su- perlativo , quant’altri mai, teorico e maestro di strategia, di tattica insurrezionali (1), le estreme onoranze, così poco conformi (1) Oltre il citato libro della “ Guerra d’insurrezione per bande , (Epistolario mazziniano, V, 32; ComanpinI, L'Italia nei cento anni, II, 209, i MA ARIE 8, ta - Pa rene I ns et DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 197 al suo passato — prive anzi di un marmo, che ne rivendicasse il nome, le gesta (1) — fossero rese con un carattere così pret- tamente anti-mazziniano dall’autor del Primato, dal già aperto nemico de’ “ bamboli , della G. Italia. Si direbbe che così, in pietoso silenzio, il Demofilo del ’33 tumulasse, simbolicamente, anche le proprie illusioni d’un tempo, insieme alle spoglie del povero Bianco, la cui drammatica morte suggellava per sempre a’ suoi occhi la “ vanità , delle dottrine rivoluzionarie. III. I dispacci del Crotti pubblicati dal Balsamo-Crivelli dimo- strano che nelle sfere officiali sarde non esistevano punto le tenebrose avversioni, fantasticate dal Gioberti a suo detrimento, in ispecie per supposta malignità personale del Solaro della Margherita e de’ suoi ispiratori gesuiti. A buon conto costoro, dopo gli attacchi giobertiani al Cousin, al Lamennais, al Ro- smini, dopo l’apparizione ‘dello stesso Primato erano benevol- mente disposti verso l’autore e studiosi di accaparrarselo. Lo intuirono acutamente Costanza Arconati e Camillo Cavour (2): lo riconfermava per diretta scienza il titolare della Legazione sarda a Roma conte Federico Broglia di Mombello, un cui di- spaccio preannunciava. come possibile e favorevolmente accolta nell'ambiente Vaticano la concessione d’una cattedra pisana al filosofo esule. e il mio G. M. Carbonaro, p. 291), aveva il Bianco lasciato un volume ms. intitolato Manuale del rivoluzionario italiano, raccomandandolo agli amici, “ perchè anche morendo ei non dimenticava la patria ,. Ne prometteva Mazzini la pubblicazione (cit. necrologia); ma per me tanto non la conosco. (1) Sarebbe stato per il Gioberti un imbarazzo il dettare l’epigrafe del Bianco, del quale scriveva al Pinelli, 1. c.: “ egli non aveva una gran testa, © ma era uno dei migliori cuori che io abbia conosciuti ,. (2) Cfr. per l’Arconati i miei. Profili biografici, pp. 53, 56, 59: in let- tera 24 gennaio '42 ella affermava d’aver scoperto che i gesuiti “ contenti di trovar in G. un potente avversario di Rosmini , lo portavano alle stelle _ ed avean “ convertito , il Re di Piemonte al loro parere, sicchè G. avrebbe “ potuto ottenere qualunque cosa ,. Quanto al Cavour cfr. nella Rassegna storica del Risorgimento, del 1918, sua lettera 13 febbraio 1843, ed. dal Colombo (p. 385). 198 ALESSANDRO LUZIO Confidenziale. Roma, 31 luglio 1843. Avendo avuto qualche nuovo ragguaglio sulle cose del Rosmini, mi reco a premura di rendergliene conto. L’opera che egli stava stam- pando e che gli fu poi proibita era del razionalismo che sì vuole in-. trodurre nelle scuole teologiche. Tutta quell’opera, ma principalmente poi il principio ed il fine, batteva la Compagnia del Gesù, personifican- dola chiaramente senza nominarla. Da Milano si scrive che colà si tiene per certissimo che il Rosmini abbia interessato il Card. Castracane per ottenere che malgrado il silenzio imposto possa pubblicare detta opera, toltone il principio ed il fine. Chi ha informato di queste cose ‘dice che spera non riesca, e soggiunge ch’egli ha preso in assai buon senso l’im- posto silenzio, tal che comunicandone la notizia ai suoi scrisse esser questa una prova che la sua dottrina non è condannata, e che si può anzi sostenere e che perciò continuino essi ad insegnarla con calore. Intanto in una prefazione all’ora uscito di lui fascicolo delle sue pre- diche parrocchiali torna a toccare il Segneri. Egli non è più in quella intimità che prima era col March. Mellerio, che ritiene sia cangiato di animo. Io non ho letto l’opera del Giobert sul primato morale e civile degli italiani, ma ne ho inteso a portar questo giudizio: cioè che vi si trovano molte belle cose, specialmente riguardo a Roma ed al primato del Papa, ma che contiene poi tante ipotetiche asserzioni e tanti concetti oscuri che difficilmente possono incontrare l'approvazione dei lettori dotti ed istruiti. Ora si sa che il Giobert ha dato in torchio la ristampa del- l’opera Errori filosofici di Rosmini coll’aggiunta di quasi due volumi inediti. Vi è però uscita un’opera di Tommaseo in difesa del Rosmini, nella quale si cerca di dimostrare varie contradizioni del Giobert. Non è senza interesse la nuova che mi viene da buona sorgente sopra Giobert, ed è che il Granduca di Toscana divisi di chiamarlo a professore in Pisa. Vi è qua chi crede che se il Granduca realmente gli offre tal cattedra Giobert l’accetterà .... (1). Il sig. March. di Cavour [Gustavo] presentò a Mons. Arcivescovo di Torino un voluminoso ms., ma l’Arcivescovo pare che non abbia voluto da sè decidere se si poteva o no stampare: mandollo perciò all’E"° suo fratello perchè lo facesse qui esaminare, ma fu da qui riman- dato non giudicandosi a proposito di aderirvi, non fu esaminato e fu semplicemente restituito.... BROGLIA. (1) Sulle vicende di quella cattedra, rimando a una recensione delle Pagine scelte giobertiane del Menzio, che dettai per la Stampa del 29 set- tembre 1922; e a’ miei Profili, p. 59. [a "Tp © ER RE TO IO N LT LTT, TTT tale DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 199 Non risulta che il Solaro, al quale la lettera era diretta, se ne scandalizzasse, perchè il Broglia, qualche anno dopo, ac- compagnava il preannuncio de’ Prolegomeni con altrettante lodi personali, miste di rammarico per gli sfoghi anti-gesuitici ina- spettati del Gioberti. Confidenziale. Eccellenza, Roma, li 24 maggio 1845. Sarà senza dubbio nota a Vostra Eccellenza l’opera del primato degli Italiani ec., il cui Autore si è il Gioberti. Questi viene riputato uno dei primi scrittori, di cui attualmente possa vantarsi l’Italia. È ammi- rato principalmente per la facondia e pienezza del dire, per la forza del ragionare, per la erudizione, e per la purgatezza della lingua. Il suo stile - ridondante di pensieri, e pieno sempre di idee, si può paragonare ad un gran fiume che scorre con magnificenza. Tale è la stima in cui si tiene qui dalle persone illuminate il Gioberti. Malgrado ciò non man- cano di quelli, che oltre ad una causticità di espressioni, hanno rico- nosciuto nel sud° Autore una troppo fervida immaginazione, che forse lo strascina talvolta, e lo conduce a delle opinioni singolari e sue proprie, le quali mettono in avvertenza il giudizioso lettore. Ora di una tale opera “ del primato degli Italiani , mì viene assi- curato avere l'Autore medesimo fatta una nuova edizione in Brusselles, premettendovi un lunghissimo discorso preliminare, in cui fa un quadro dei Gesuiti e li dipinge coi colori i più neri che possano immaginarsi. Li accagiona di tutti i mali che sono ora successi in Svizzera, di tutto il sangue che ivi si è sparso, di tutte le dissensioni che ivi regnano ec. ec. ec. In somma dice dei Gesuiti tutto il male che si può dire. Impiega in ciò fare il lunghissimo discorso, che premette alla nuova edizione della sua opera. Pare che l’Autore in questo discorso abbia raccolte tutte le invettive contro la Compagnia di Gesù, e colla facondia del suo dire, e colla energia di uno stile acre fuori dell’usato, le abbia ivi espresse. ‘Di tanto sono stato assicurato. Dopo ciò Vostra Eccellenza potrà di leggieri figurarsi che la nuova edizione di tale opera è tenuta lontana da Roma, ed ivi se ne vieta la introduzione per quanto è possibile, come di un libello infamatorio. Non saprei dire se sia ancora sotto la censura della S. Congregazione dell’Indice; ma non mi sembrerebbe impossibile che ciò potesse essere; quindi non istupirei di veder un giorno o l’altro comparire un decreto che ne proibisse esplicitamente la lettura. I P. P. Gesuiti sono qui molto afflitti, per le cose loro in Francia, malgrado della grande fiducia che loro ispira la protezione della divina Veg e AI NIRO RR o, CP gi REI IA 200 ALESSANDRO LUZIO provvidenza. Temono di Mons. Arcivescovo di Parigi, il quale in altro tempo ha esternato un suo progetto intorno ai sud' P. P. Gesuiti in quel paese, che sarebbe di collocarli in qualità di Vicari Curati nelle Parrocchie, disperdendoli così dalle loro case. Si sa che il medesimo Prelato ha avuta una udienza particolare col Re Luigi Filippo, dove si trattenne più di un’ora, e sebbene si ignori di che siasi discorso, pure questo colloquio nelle attuali circostanze fortifica i loro timori. Il re- stante dell’Episcopato francese non somministra altro che speranze per essi, attesa la dichiarata fermezza che spiega in favore loro. Anzi vi è stato un Vescovo che si è apertamente protestato, che se î Gesuiti sa- ranno espulsi dalle loro case, egli li ritirerà nel proprio Seminario, e per sino nel proprio Episcopio, onde, possano, vivendo uniti in comu- nità, esercitare il Ministero. Al Santo Padre sino a martedì p. p. non era stata fatta ancora alcuna proposta da questo Ministro Sig. Rossi. Dei sentimenti di S. San- tità non si dubita punto. Tutta la responsabilità di qualunque deter- minazione si affetta di farla cadere sopra del Papa; e per ciò si teme che si possa mandare ad effetto la minaccia che il Governo farà da sè, se la S. Sede ricuserà di annuire alle proposizioni che le saranno fatte in proposito. Ho l’onore di raffermarmi col più profondo rispetto Di Vostra Eccellenza Um®° Dev"° Obb"° Servitore BROGLIA. Quanto a rinfocolare l’ardore polemico del Gioberti concor- ressero da un lato gli ingiusti sospetti espressi dal Cavour ch’ei trescasse co’ RR. Padri; dall'altro, la guerra impegnata in Francia contro la Compagnia di Gesù dal Governo, dai liberali (1), non saprei dire. Nell’abbandonarsi alla sua foga aggressiva, egli commise a mio avviso, dal semplice punto di vista politico, un evidente errore di tattica: poichè è ovvio riflettere che inve- stendo con sempre maggiore veemenza i Loioliti (dopo averli carezzati nel Primato) si alienava irreparabilmente Carlo Alberto e Pio IX — i due capisaldi cioè del programma neo-guelfo, (1) Col suo squisito buon senso scriveva Costanza Arconati del Quinet (ibid.) il 4 giugno ’46 spiacerle che solleticasse “ l'inclinazione del suo uditorio dicendo contro il Clero e contro i gesuiti cose che non sono sempre vere... per smania di applausi ,. i Adi i TA RI AA ati ese e na ° ; DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 201 strozzato così, senza addarsene, in fasce dal suo stesso geni- tore (1). Sia comunque, che il Solaro della Margherita (ma più ancora Carlo Alberto) si preoccupasse della pubblicazione del Gesuita Moderno è assai verosimile. Pretta favola parmi però la spesso ripetuta asserzione che il ministro ricorresse a sconcie manovre per procacciarsi, a suon di contanti, dalla tipografia di Losanna i fogli dell’opera, onde agevolare a’ gesuiti la replica. In realtà il Crotti di Costigliole, passato allora a Losanna, seguiva con la più vigile attenzione le procellose interne vicende di Svizzera, senza prestare che un orecchio distratto alle furie del Gioberti — così irrequieto e febbrile, durante la stampa dell’opera, da recar noia a’ suoi vicini d'albergo. Lo narra almeno in certi curiosi ricordi il cav. Pietro di S. Saturnino (2), addetto alla Legazione, secondo il quale avrebbe infine il Gioberti giocato un grazioso tiro all’inviso ministro. Una sera sul tardi, quando stava per partire il corriere della. Legazione, fu recapitato in fretta un grosso plico dalla stam- peria Buonamici, con l’assicurazione che racchiudeva parecchi esemplari del tanto agognato Gesuita Moderno. Lo si spedì senza aprirlo: ma col primo ordinario s’ebbe la mortificante sorpresa... d’un rabbuffo da Torino, perchè in luogo dell’opus magnum gio- bertiano. il plico conteneva non so che trattato di patologia. È intuitivo che la burla non sarebbe stata possibile, se già la Legazione si fosse via via a peso d’oro accaparrata le primizie del Gesuita Moderno! (1) Cfr. nel mio recente volume C. Alberto e Mazzini, Torino, Bocca, : 1923, l’appendice giobertiana, in cui raccolgo le notizie concernenti la cor- rispondenza tra Papa e Sovrano per la proibizione del Gesuita moderno. Cfr. pure la recensione citata del buon volume del Menzio. (2) Editi dal Prunas-Tola nella Rivista del Collegio Araldico del no- vembre 1913. 202 ALESSANDRO LUZIO IV. Gli sforzi del Governo sardo, per attrarre il recalcitrante Gioberti in patria, nel ‘48, mentre egli, sia per malferme condi- zioni di salute, sia anche per suggestioni de’ maggiorenti dell’emi- grazione — che lo reputavano incapace d’azione, e più utile come scrittore alla causa italiana — propendeva a restar tranquillo in Parigi, appaiono da’ documenti che seguono: osservabili ‘anche in quanto pongon di fronte Mazzini e Gioberti, egual- mente temperati di idee in quel momento, per ammissione del Lamartine. Dispaccio Brignole, 6 marzo 1848. Le réfugié Mazzini est arrivé à Paris, il y a peu de jours. Hieril a assisté è une réunion de deux à trois cents italiens qui a eu lieu au n. 45 de la Rue de Grenelle, S' Honoré, et qui s’est donnée le titre de ‘ Société Nationale italienne. Le médecin Fossati a été élu Président pro- visoire. Mazzini a pris la parole avec beaucoup de chaleur pour établir le but de cette association, qui doit étre, selon lui, de suivre le mou- vement de l’Italie et de le seconder de tous ses efforts. Cette propo- ssition a été accueillie à l’unanimité et Mazzini a été nommé Président. Un sieur Canuti, réfugié romain, et un sieur Gianotti sont désignés comme Vice-Présidents. Plusieurs membres ont proposé pour l’une de «ces fonetions l’abbé Gioberti, qui ne se trouvait pas présent à la réunion; mais d’autres ont observé qu'il valait mieux, attendu sa qualité d’ecelé- siastique, que M" Gioberti ne prît pas une part active aux discussions et qu’il convenait de lui laisser le ròle d’écrivain. Les réunions de la Societe Nationale italienne auront lieu tous les dimanches. Idem, 6 aprile 1848. Il me revient de plus d’un còté que le Gouvernement frangais prend quelqu’ombrage des progrès de l’armée du Roi en Italie et du probable accroissement prochain de notre Monarchie. On m’a aussi informé que avant le départ de Mazzini, M. de La- martine aurait dit àè ce réfugié qu’il verrait avec assez de plaisir que la Lombardie se constituàt en République. Ce Ministre, que j'ai tàché de sonder, m’a avoué qu'il connaît Mazzini, qu’il a eu, il y a quelques Jours, un entretien avec lui, mais il nie de lui avoir tenu le propos susénoncé. Il m’a cependant assuré que Mazzini est plus raisonnable RE POR III E TEZZE E NOR E O ST PRO TT N E RITA E È EA se Siae DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 203 qu’on ne le croit, et il a aiouté qu’il l’a trouvé persuadé que l’Italie doit rester divisée en plusieurs États et que l’Unité italique serait im- possible (?). Idem, 25 aprile. Je me suis fait un devoir empressé de chercher M. l’abbé Gioberti et de l’exhorter è se rendre sans délai à Turin, où sa présence était réclamée avec urgence par le Gouvernement du Roi. M. Gioberti m’a dit qu'il se conformerait au désir que je lui exprimais, mais que l’état de sa santé ne lui permettait absolument pas de faire le voyage ni avec le courrier de la malle, nì par la diligence: qu’il se rendrait è Turin en poste, mais qu’il ne possédait pas de voiture. Je lui ai répondu que je m’occuperai de lui en procurer une et que méme j’avais ordre de pourvoir à ses dépenses de voyage, si cela était nécessaire, mais qu'il était important qu’il ne différàt que le moins possible son départ. Il a répliqué d’abord qu’il se mettrait en route Lundi 24: ensuite qu'il ne le pourrait pas avant aujourd’hui; enfin il est venu hier me dire que, ayant été fort souffrant dimanche, il n’avait pas pu terminer tout ce qu’il avait è faire, mais qu'il partirait sans faute demain 26, et qu’il irait directement è Turin sans s’arréter è Lyon, comme il en avait eu d’abord la pensée: quant aux frais de voyage il m’a itérativement assuré qu'il n’en avait pas besoin .... ce qui lui manquait c’était seulement une voiture... Il Brignole Sale gli cedette addirittura la propria. Così bon gré mal gré fu indotto Gioberti a cacciarsi nel vortice di avvenimenti ch’egli non era affatto in grado di dominare. Allo scrittore potente del Rinnovamento ci inchiniamo tutti riverenti, ammiranti: ma il ministro-diplomatico del ’48-°49 fallì all'immane còmpito, non per sola avversità di circostanze o per altrui malvolere, sì anche per la sua impreparazione tecnica e psicologica alla vita pubblica, per le asperità dell’orgoglioso carattere, per le insanabili contraddizioni del suo spirito, pel difetto fondamentale dell’arte sine qua non di maneggiar gli uomini. Aver buone idee non basta in politica: si richiede sa- perle tradurre in azione, vincendo o girando gli ostacoli, con- quistando gli animi. Queste doti “ di realizzatore , non ebbe Gioberti: convinto dell’infallibilità sua, intollerante d’opposi- zioni, povero di pronti espedienti, ricchissimo del senno di poi. In uggia a tutti, ripartì per Parigi, per prendersi col Rinnova- mento solenne, clamorosa rivincita, a cui per esser perfetta mancò solo l’elevatezza di un sincero mea culpa. N re ORE di LIMA I 9 PRO 204 ALESSANDRO LUZIO Avrebbe invero dovuto confessare da spirito superiore che gli era toccata supergiù la stessa avventura dal Bandello nar- rata pel Machiavelli. Con tutte le sue elucubrazioni sull’ Arte della Guerra non seppe messer Niccolò far manovrare qualche manipolo di fanti, e accorse beffardo a Sbrogliarlo Giovanni de’ Medici. Al Gioberti non bastò la vita per vedere la sua politica attuata e trionfante ad opera di Camillo Cavour: il destino gli riserbò le amarezze dell’insuccesso, le celie sguaiate de’ contem- poranei, che dopo le prime ammirazioni iperboliche non nomi- navano più “ il Sommo , senza un risolino di commiserazione. Anche i più equilibrati, come il Paleocapa, i più benevoli, come Giovanni Ruffini e Costanza Arconati (1), crollavano il capo melanconicamente sull’arruffata politica del filosofo: e quanto a C. Alberto, trasse un respiro di sollievo appena si vide libe- rato da quella ch'egli reputava “ parodia di Cardinal Richelieu , (Rinnovamento, I, 512). Pio IX gemente sulle “ aberrazioni , di un abate così poco sacerdote e anche meno cattolico, non aspettava che il momento ... di scomunicarlo. Poteva mai in tali condizioni riuscir proficua l’opera del Gioberti come “ duce , delle fortune d'Italia? La riluttanza a partir da Parigi non indica quanto poco egli stesso si promettesse dalla sua azione diretta ?. (1) Per l’Arconati e il Paleocapa cfr. il mio C. Alberto e Mazzini, p. 330. Il Ruffini scriveva il 20 febbraio 1849 da Parigi al “carissimo, Gioberti, confidenzialmente: “ con che fronte volete voi ch'io insista presso questo Governo perchè ci appoggi della sua influenza per un progetto d’accordo portante la base che la Costituente richiamerà il Papa, quando questa stessa Costituente lo dichiara decaduto e proclama la Repubblica? ,. Il Ruffini la pensava su ciò precisamente come Carlo Alberto nella prima delle quattro lettere di lui al Gioberti, recate dal Balsamo- Crivelli in ap- pendice alla memoria fondamentale più oltre citata. Sotto il Gabinetto Gioberti furono deliberate molte missioni: del Duca Dino di Talleyrand a Napoli; di Pier Angelo Fiorentino a Parigi; del Rosellini in Toscana; del Cerutti a Costantinopoli; del -De Ferrari a Roma, ecc., ecc, senza dire di quelle Arese, Rosmini, Ruffini; ma quasi tutto l’improvvisato tramestio diplomatico d’allora si risolse in pura perdita de’ denari spesi. Non molti per vero, dacchè il registro delle spese prova con qual parsimonia e probità si procedesse anche ne’ più scabrosi frangenti. DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 205 Certo è che in una lettera al fido Massari, del 14 ottobre 1849, constatava con amarezza come su lui egualmente infierisse la stampa de’ più opposti colori. “ I giornalisti moderati parlano di me con un veleno occulto che svela il loro cuore. Ed io dovrei certo dolermi assai più di loro che dei democratici poichè questi in sostanza sanno che non la penso come loro... Metto conservatori e distruttori tutti in un fascio per ricambiarli col mio disprezzo , (Risorgimento italiano, XIV, 402). Bellissima cosa il disprezzo; un uomo di Stato, un uomo di genio ha diritto di sentirlo profondamente, ad un patto solo: che egli, giunto al potere, abbia sapùto affermare ed imporre co’ fatti la propria superiorità; o spiegato per lo meno, come il Mazzini a Roma nel ’49, sicurezza e lucidità di visione, fa- scino personale, avvincente eloquenza nella redazione di dispacci diplomatici, insigni doti di vero uomo d’azione. NE Sulle missioni affidate nel suo effimero ministero dal Gioberti all’Arese, al Rosmini: su quella ch’egli tentò di compiere a x Parigi, è ormai quasi interamente mietuto il campo dallo Sforza, dal Pagani, dal Rosmini medesimo, nè occorre indugiarsi in spi- golature (1). Preferisco, sulle orme del Menzio e del Balsamo-Crivelli (2) (1) Lo studio dello Sforza sulla missione Gioberti, uno degli ultimi ch’egli pubblicasse, comparve nella Rassegna storica del Risorgimento del luglio-dicembre 1921; e andrebbe completato con altre corrispondenze sin- + crone da Parigi, specialmente con le lettere confidenziali di Giovanni Ruffini. L’autore del Dottor Antonio contrasse dalla sua breve carriera diplomatica così fiera nevrastenia, da invocar disperato che lo si esonerasse subito “ pena la vita ,, dacchè rischiava di morire di congestione cerebrale, sotto l'impressione degli avvenimenti infausti che accompagnarono Novara. (2) Cfr. negli Atti di quest'Accademia (LI, 659) la memoria del MenzIo, Cenni sulle carte e sui mss. giobertiani; e nel Risorgimento del Gasorto, lo scritto amplissimo del benemerito Barsamo-CriveLLI, La fortuna postuma delle carte e dei mss. di V. G. (IX, r-1v). Sulla morte del Gioberti cfr. la memoria del Coromso, Miscellanea Manno, Il, 109 sgg., e i Carteggi di E. D'Azeglio, I, 305. Lar aL TAI FRI TRL VGT. SAI I È | gs OL VIE. SE IE 206 ALESSANDRO LUZIO toccar brevemente delle contestazioni, suscitate dalle carte gio- bertiane, perchè implicano una questione sempre viva e attuale, pel diritto e dovere di cernita, di eventuale ricupero che compete —allo Stato di fronte a chi erediti corrispondenze di alti funzio- nari, ex-ministri.- In piena vigoria fisica e superba maturità dell'ingegno, Gioberti restò fulminato da un’apoplessia, di cui le frequenti emicranie spasmodiche — causate dal febbrile, ininterrotto fer- vore mentale — erano stati i sintomi vanamente premonitori. Il primo annunzio ne fu dato dall’Ambasciata con queste poche linee del segretario Rodrigo Doria di Ciriè: 26 dicembre 1852. Je m’empresse de vous donner la triste nouvelle de la mort de M. l’abbé Gioberti. Il a été trouvé ce matin privé de vie au pied de son lit et il paraît avoir succombé à une attaque d’apoplexie foudroyante. M. Cerruti consul s’est rendu immédiatement par ordre de M. le M‘ Villamarina au domicile du défunt pour apposer les scellés. J'aurai l’honneur de vous rendre compte demain des circonstances qui auront pu se rattacher è ce triste évenement. Il console Cerutti appose i sigilli, ritirò il poco denaro li- quido, L. 940: mandò due copie dell'atto officiale di decesso, che chiudeva l’adito ai sospetti di morte non naturale, non ancor oggi ammutoliti. Il Villamarina, che ormai succedeva regolarmente al Col- legno, come titolare della Legazione, esponeva il 29 ottobre il gran da fare che gli avevan cagionato i funerali del filosofo, per evitare ogni attrito politico-religioso, in quegli ardui mo- menti di trapasso dalla strozzata Repubblica al risorto impero napoleonico. D’esserci riuscito sì vantava in prolisse missive tanto al Presidente del Consiglio, M. d’Azeglio, quanto al Da- bormida (come mi comunica cortesemente il prof. Colombo). 29 ottobre 1852. Je m’empresse de vous apprendre que les obsèques de l’abbé Gio- berti ont en lieu ce matin méme è la paroisse S'° Trinité, d’où son corps a été transporté au caveau de la Madeleine pour y étre déposé jusqu’à recevoir les ordres de mon Gouvernement. Je dois avouer que habitué tectiti inii rain ittici LE: Pa, Ì i PE PELO EI N N E LT TT TEO pene ene enne e] FAR | e DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 207 comme je suis à voir l’opposition que nous fait systématiquement le clergé en Piémont, tout d’abord je frissonnai en songeant è celle que j'allais peut-etre rencontrer ici de la part du clergé pour obtenir la. sépulture ecelésiastique, s’agissant d’un pretre sujet sarde, dont le nom a été mis è l’Index avec celui de Proudhon et autres .... Dieu merci, l’autorité cléricale a donné son consentement è la sépulture ecclésiastique avec permission de mettre les enseignes de prétre sur la bière, de sorte qu'on a pu donner aux funerailles de l’abbé Gioberti un caractère pu- rement et simplement pieux et écarter ainsi tout ce qui aurait pu avoir rapport è la politique è laquelle aurait donné lieu une sépulture civile. Il y avait plusieurs points fort importants, sur lesquels il fallait porter une attention tout particulière. D’abord, les conditions person- nelles du défunt et le rang qu'il avait occupé dans le pays et è l’étranger comme Ministre du Roi, Président de son Conseil ainsi que Président de la Chambre des Députés. Ensuite la susceptibilité des partis et les exigences de l’opinion publique en face d’une illustration italienne qui n’avait point de fortune, point de parents, du moins à Paris, et beaucoup trop d’amis. Après cela, il ne fallait pas non plus oublier nos rapports avec Rome, vis-à-vis de l’Eglise: et enfin ma position officielle envers le Gouver- nement francais et le Prince Président de la République. Tout a été pesé et j'ai la satisfaction de pouvoir vous annoncer que par les dispo- sitions que j'ai données tout s’est passé avec le plus grand calme, dans le plus respectueux silence et sans qu’aucun discours ni aucune démons- tration politique soit venue augmenter nos embarras et troubler une fonction exclusivement religieuse. Je ne veux point tenir compte de quelques paroles prononcées après l’absoute par un certaîn M" Pons (de l’Hérault) ancien Député et Conseiller d’Etat: paroles dont la majo- rité des assistants a fait bonne justice en les condamnant comme incon- venantes ou pour le moins intempestives. Voici le peu de mots prononcés par ce Monsieur: Oh Gioberti, grande àme, regois les adieux d’un ancien doyen de la République et prie pour mon pays. Quant è la dépense, elle a été reduite è 2 m. francs environ, tout compris. V. Ex. me fera parvenir ses ordres à ce sujet, car je pense que le Gouvernement ne voudra pas permettre qu'elle soit payée par souscription: ce qui ferait un très mauvais effet en Piémont et en Italie .... Nella lettera al Dabormida ripeteva le stesse. cose, felici- tandosi che dopo l’esempio di tolleranza, offerto dal clero fran- cese, non potesse l'Arcivescovo di Torino rinnovare, all'arrivo delle ceneri di Gioberti, lo scandalo clamoroso provocato dalla morte del ministro Santarosa. fretta ii acne at a n re TR 208 ALESSANDRO LUZIO Quasi un mese più tardi il Villamarina, riferendone al titolare degli esteri, richiamò l’attenzione sulla necessità di uno spoglio delle carte giobertiane, per rivendicar quelle che fossero di indubbia pertinenza statale: 22 novembre 1852. Parmi les différents effets qui composent la succession de M. l’abbé Gioberti se trouvent plusieurs papiers et lettres d’une très grande im- portance dont quelques unes du Roi Charles Albert: ces lettres pour- raient tomber entre les mains d’un héritier indiscret qui serait porté è en faire un usage peu convenable, et je crois par conséquent que le Gouvernement devrait prendre des dispositions .... Terminava chiedendo istruzioni, e le ebbe a volta di cor- riere, dacchè nel frattempo il Dabormida aveva già concluso con la erede del Gioberti il notissimo accordo: 29 novembre 1852. Je m’empresse de vous prévenir que la demoiselle Therèse Gio- berti parente et héritière de l’abbé V. G. part aujourd’hui pour Paris accompagnée de M" Lamarc son procureur et de M" l’abbé Benso pour aller recueillir et liquider la succession. Elle apporte avec elle tous les titres nécessaires pour constater ses droits. Par suite de l’avis que contenait votre dépéche du 22 de ce mois n. 19 le Ministère s’est occupé de prendre les arrangements nécessaires ‘avec l’heritière relativement aux papiers qui se trouvent parmi les effets composant la succession et qu’il importe au Gouvernement de faire retirer. Un accord formel a eu lieu è cet égard par acte sous seing privé en date d’hier et je m’empresse de vous en transmettre ci-joint une copie accompagnée de celle des articles du Règlement de 1742 qui y est cite (1). (1) Di questo Regolamento del 29 gennaio 1742 giova riferire dal Dusorn, Raccolta delle Leggi, ecc., vol. X, p. 852, gli articoli che fanno al caso nostro: 13. Dovevan giurare gli ambasciatori “di rimettere fra un mese , dopo la compiuta missione quante scritture di carattere pubblico posse- dessero “ senza ritenerne alcuna neppure per copia ,. 15. Accadendo la morte dell’ambasciatore “ dovrà il primo segretario mandare tosto l’archivista nella casa del defunto per separare e prendere € far portare negli Archivi di Gortè , le scritture non restituite debitamente. 16. Era obbligo del primo segretario indagare se per il passato fos- DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 209 Vous y remarquerez spécialement qu'on y a convenu les points suivants, savoir: qu’aussitòt après la levée des scellés et en procedant à l’inventaire on devra séparer tous les papiers mss., lettres ete. qu'on trouvera et les placer sans qu’il soit besoin de les examiner en détail dans une caisse qui devra étre fermée à double clef et retirée par le Consul Chancellier pour étre envoyée à Turin où il sera procédé plus tard d’accord avec l’heritière à la séparation des papiers et à la remise au Gouvernement de ceux qui lui appartiennent ou qui le concernent plus particuliètrement: que l’on devra mettre aussi dans la méme caisse les exemplaires qu’on pourrait trouver encore de la dernière brochure de G., dont il avait lui-méme fait retirer et détruire l’édition, préte è étre mise en vente. Enfin que le Consul devra préter son assistance è la confection de l’Inventaire de la Bibliothèque du défunt et que si l’héritière se décidait à faire transporter aussi a Turin les meubles et effets qui font partie de la succession on l’autorisera à les déposer pro- visoirement à l’Hòtel de la Légation. ... Je crois à propos de vous renouveler ici l’invitation d’avoir pour elle et pour ses compagnons de voyage tous les égards possibles .... La déférence qu'elle a montrée pour les justes désirs du Gouvernement du Roi, relativement aux papiers laissés par G. est un motif de plus pour moi d’insister sur cette recommandation, car je pense que l’accueil obli- geant que la dite héritière trouvera auprès de la Légation aura pour effet d’écarter toute espèce de defiance naturelle dans une personne qui n’a pas l’habitude des affaires et facilitera ainsi l’exacte exécution de l’accord passé avec elle. Je vous engage encore, M" le Marquis, à lui offrir de mettre à sa disposition l’argent dont elle pourrait avoir besoin pendant son séjour à Paris .... DABORMIDA. Parve che già a Parigi la erede volesse ribellarsi agl’im- pegni assunti, ma si arrese allora alle esortazioni del Villama- rina, e il Dabormida ne lo complimentava: 21 dicembre. Le Courrier de ce matin m’a apporté votre dépéèche du 18 de ce mois n. 46 .... j'ai appris avec satisfaction que l’héritièore de M" G. se sero rimaste scritture simili appresso gli eredi de’ Ministri od altri ufficiali e rivendicarle. e Disposizioni tutte, niente affatto antiquate, perchè accolte anche nei Regolamenti attuali. x Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. T5 210 ALESSANDRO LUZIO soit desistée de toute opposition è l’exécution de l’accord passé ici avec elle et que les deux caisses contenant les papiers du défunt aient pu étre expediées à Turin .... STAR Tornata la erede in Italia ed assistita da avvocati, litigiosi più del bisogno, le contestazioni furono risolte, come ha con esuberante dottrina narrato il Balsamo-Crivelli. Astraendo dal preteso movente personale delle rivendicazioni del Dabor- mida (1), il principio di massima su cui si appoggiava era inoppugnabile: così lo si fosse sempre rigorosamente osservato, applicato! i In Italia troppe volte gli Archivi privati, a spese di quelli di Stato, s'impinguarono indebitamente di atti e documenti, di- stratti dalla lor sede naturale, con nocumento degli studi, del patrimonio storico nazionale. Raramente d'altronde tocca ai carteggi privati la degna custodia, che offre a’ giobertiani la Civica di Torino. O emigrano all’estero, o sono in patria ne- gletti, inaccessibili, ove non vengano manomessi, dispersi, di- strutti. Il Governo sardo invocava a ragione nel 1852 la prov- vida legge del 1742: l’art. 76 del Regolamento attuale sugli Archivi dà un’arma sicura e meno rugginosa per proteggere da usurpazioni private i documenti che i suoi funzionari sono ob- bligati a restituire allo Stato senza artificiose distinzioni (2), quando pervenuti in lor mano per pura e semplice ragion d’uf- (1) Dico preteso, perchè dalle lettere scambiate col Massari, la condotta del Dabormida appare non solo immune da preoccupazioni interessate, ma nobilissima (cfr. V. E. Dasormina, V. Gioberti e il gen. Dabormida, Torino, 1876, p. 50 sg.). Allo scorporo de’ carteggi giobertiani volle infatti atten- dessero i tre amici più fidi del filosofo: Baracco, Bertinatti, Massari!... (2) Per mio conto, non sarei molto disposto a menar buono il carattere apparente di “ privato , e “ confidenziale ,, che si può facilmente conferire a corrispondenze tra uomini di Governo “in carica ,: perchè a questo modo resterebbe, nel più de’ casi, un pugno di mosche agli Archivi di Stato. De’ negoziati diplomatici si conoscerebbero solo le conclusioni-finali, senza poterne seguire lo .svolgimento, nè penetrare lo spirito animatore. Per citare un esempio classico, il carteggio Cavour-Nigra, ad onta dell’intesta- zione d’ogni lettera © Caro Nigra, e “ill sig. Conte ,, era officiale; e fu bene averlo restituito alla sua vera sede, donde non avrebbe mai’ dovuto emigrare. » € fa ì DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 211 ficio. Ammettendo il sistema abusivo Lamarmora gli Archivi di Stato finirebbero per l’epoca moderna col ridursi a polverosi magazzini di carta da macero. - Poscritto. — ]l prof. Patetta mi comunica cortesemente che, nella sua collezione Risorgimento, insieme a parecchie let- tere importanti del Gioberti al canonico Seggiari e al D’Ocheda, si trovano due cimeli giobertiani relativi all’episodio tragico del 1843. Una lettera ad Alessandro Bianco, in occasione del suicidio paterno, e un’iscrizione (a stampa) dettata più tardi in onore della Contessa. Mi auguro che il prof. Patetta illustri quanto prima il prezioso materiale giobertiano con la squisita dottrina, che gli è propria anche in questo campo di studi. L’ Accademico Segretario GrovaNNI VIDARI Ze ——— __——_—_—_ Lal 213 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’11 Febbraio 1928 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL "ACCADEMIA Sono presenti i Soci PrANo, Guipi, PARONA, GRASSI, SomI- GLIANA, PANETTI, Ponzio, Sacco, HeERLITZKA e il Segretario MatmIROLO. Scusano l’assenza i Soci D’Ovipio e SEGRE. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che risulta approvato senza osservazioni. Il Socio Ponzio presenta le Note VIII e IX delle sue Ricerche sulle diossime, che vengono accolte per la inserzione negli Atti. Il Socio PARONA, una Nota del Socio corrispondente Michele GoRrTANI, Il preteso carreggiamento delle Dinaridi sulle Alpi. L'inserzione di questa Nota negli Attî viene approvata dalla Classe, salvo a prendere decisioni in merito al diritto dei Soci corrispondenti di presentare direttamente lavori, senza cioè l'intermediario di un Socio effettivo. Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 16 214 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO LETTURE. Ricerche sulle diossime Nota VIII del Socio nazionale residente GIACOMO PONZIO e del dott. LODOVICO AVOGADRO Per azione dell’anilina sul perossido dell’a-fenilgliossima (fenilfurossano) C5H;5(CsN30,H) in soluzione benzenica, Wieland e Semper (!) ottennero una sostanza fusibile a circa 180° con imbrunimento e decomposizione, da essi ritenuta, per il suo modo di formazione e per l'intensa colorazione che dà con cloruro ferrico, come l’amidossima sostituita CHs.C(:NOH).C(:NOH). NHCG;H; e della quale non si occuparono ulteriormente. Avendo noi già dimostrato nella Nota VI (?) l’esistenza di due forme della fenilaminogliossima C;H; .C (:NOH).C(:NOH). NH;, abbiamo pensato che lo stesso fatto dovesse verificarsi per la fenilaminofenilgliossima CgyHs . C (:NOH). C(:NOH).NHCH; (l’amidossima sostituita dei suddetti Autori), e l’esperienza ha pienamente confermato le nostre previsioni. Le due fenilaminofenilgliossime da noi preparate, e che de- scriviamo in questa Nota, stanno fra di loro nello stesso rap- porto delle due fenilaminogliossime: per conseguenza distingue- remo col prefisso a quella che non dà sali complessi e col prefisso B quella che risulta dalla forma a per riscaldamento con acido acetico diluito e che dà col nichel, col cobalto e col rame sali complessi derivanti da due molecole di gliossima per sostituzione di due atomi di idrogeno ossimico, uno per ciascuna molecola, con un atomo bivalente di metallo. (4) Ann. 358, 63 (1907). (2) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923). RICERCHE SULLE DIOSSIME 215 La B-fenilaminofenigliossima risulta pure per azione del- l’anilina sulla fenilclorogliossima | CH; . C (:NOH). C (:NOH):C1 +-H'NHGHy — CH; . C(:NOH).C(:NOH).NHGH; + HC1, e, come l’a-fenilaminofenilgliossima, ha netta funzione basica. Tutte e due danno infatti cloridrati assai stabili, pur essendo anche solubili nelle basi forti; ma soltanto la forma f, e non la forma a, possiede la caratteristica proprietà, da noi trovata (1), di intaccare, in soluzione acquosa, alcuni metalli dell'VIII gruppo trasformandosi nei corrispondenti sali complessi, precisamente come tutte le gliossime che Tschugaeff (?) considera forme sin e che noi chiamiamo forme B. i Con una reazione analoga a quella su accennata, cioè per azione dell’anilina sulla metilclorogliossima CH; .C(: NOH).C(:NOH):Cl+H:NHCH, —> CHz.C(:NOH).C(:NOH). NHGH; + HCI, ed inoltre per azione dell’idrossilamina sull’acetilfenilisuretina CHy.CO.C(:NOH).NHC;H, + NH,O —» CH; . C(: NOH) . C(:NOH). NHG;H; + H,0, abbiamo ottenuto la forma B anche della metilaminofenilglios- sima CHy.C(: NOH).C(:NOH). NHC;H;. Questa ha pure com- portamento di base forte, ma è instabile; dà però un sale complesso di nichel, del quale diremo più avanti. XXI. — a-fenilaminofenilgliossima, p. f. 188°. Si ottiene dal perossido dell’ a-fenilgliossima (fenilfurossano), ma se, come consigliano Wieland e Semper (loc. cit.), si fa agire l’anilina sul perossido sospeso in benzene, non ha luogo, come ritennero detti Autori, soltanto la reazione CeH5 (C$N30,H) | CeH; . NH, SILA CH; .C(:NOH).C(:NOH).NHC;H;, (!) * Gazz. Chim. Ital. ,, 51, II, 218 (1921). (®) “ Zeit. anorg. allgem. Chem. ,, 46, 148 (1905); Ber. 41, 1678 (1908) “J. Chem. Soc. ,, 105, 2187 (1914). TL, RI URI A IE TI È ge POSTI » . 216 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO poichè contemporaneamente si origina una sostanza bianca, fusibile a 202°, della quale intendiamo occuparci in altra oc- casione. Ad ogni modo, operando in tali condizioni, ed agitando a freddo la miscela, si ottiene quasi subito un liquido limpido, dal quale col riposo si separano poco a poco cristalli. Questi, . raccolti assieme a quelli che si ottengono per evaporazione all’aria del filtrato benzenico, si trattano con acido cloridrico diluito, ove soltanto la a-fenilaminofenilgliossima si scioglie, mentre la sostanza fusibile a 202° rimane insolubile. Dalla so- luzione cloridrica, dopo filtrazione, si precipita la gliossima per aggiunta di acetato sodico cristallizzato e la si purifica ridi- sciogliendola e riprecipitandola più volte collo stesso procedi- mento fino a che si abbia un prodotto il quale sospeso in acqua e trattato goccia a goccia con acido cloridrico diluito si sciolga completamente. Molto più conveniente per la preparazione dell’ a-fenilami- nofenilgliossima è il seguente procedimento, mediante il. quale la sostanza fusibile a 202° non si forma affatto. Esso consiste nell’agitare il perossido della a-fenilgliossima (fenilfurossano), finamente polverizzato, colla soluzione acquosa di un po’ più della quantità equimolecolare di anilina: in tal modo il peros- sido si trasforma poco a poco, ma quantitativamente, in a-fenil- aminofenilgliossima C3Hz.C (: NOH).C (: NOH) . NHC;H; la quale, raccolta e lavata con acqua, si ha subito perfettamente pura in laminette bianche fusibili a 187°-188° senza decomposizione e senza imbrunimento ed alterandosi qualche grado più alto. Sostanza gr. 0,1595: N ce. 24,1 a 24° e 731,314 mm. Trovato °/o: N 16,79. Per C,,H;s0,Ns cale.: . 16,47. Dopo cristallizzazione sia dall'acqua, che dall'alcool acquoso, che dal cloroformio, il punto di fusione da noi trovato, e che è notevolmente superiore a quello dato da Wieland e Semper (loc. cit.), non varia. La a-fenilaminofenilgliossima è quasi insolubile nell’acqua . fredda e pochissimo in quella bollente; solubile a freddo, in alcool, etere, acetone; poco solubile. a caldo e pochissimo a freddo in cloroformio ed in benzene; insolubile nella ligroina. RICERCHE SULLE DIOSSIME 217 Si scioglie negli idrossidi dei metalli alcalini e riprecipita per. trattamento con acido acetico; si scioglie pure negli acidi cloridrico, solforico e nitrico diluiti; dai due primi riprecipita per aggiunta di acetato sodico, mentre è alterata rapidamente dall’ultimo. La sua soluzione acquosa trattata con cloruro ferrico dà una colorazione intensamente azzurra. Sciolta in alcool acquoso e riscaldata con acido acetico di- luito si isomerizza lentamente in B-fenilaminofenilgliossima. Cloridrato C3Hz.C(:NOH).C(:NOH).NHCH; .HCI. Si ot- tiene sciogliendo la a-fenilaminofenilgliossima in acido cloridrico al 20 °/, bollente e cristallizza col raffreddamento in lunghi aghi bianchi fusibili a 208°-209° con viva decomposizione ed imbrunendo qualche grado prima. Sostanza gr. 0,4334 richiesero per la neutralizzazione cc. 15,3 di Na0H 3°. Trovato °/o: HCl 12,88. Per C,,H;s0,N; . HCI cale.: 12,50. È solubile nell’alcool; insolubile nell’etere. K discretamente stabile all’aria, rapidamente idrolizzato a freddo dall’acqua ridando la a-gliossima. Diacetilderivato CHsy.C(:NOCOCH;).C(:NOCOCH;). NHC;H;g. Si ottiene acetilando a freddo la a-fenilaminofenil- gliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso; cristallizzato dall'alcool si presenta in aghetti bianchi fusibili a 179° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1274: N cc. 14,1 a 24° e 726,424 mm. - Per C,gH;70,Ns calce. °/o: N 12,38. trov. a 2A È insolubile in acqua; discretamente solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed in benzene; molto a caldo e. poco a freddo in acetone; solubile in cloroformio; pochissimo solubile in etere; insolubile in ligroina. 218 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO Sospeso in idrossido di sodio al 20 °/, si trasforma lenta- mente per la maggior parte in a-fenilaminofenilgliossima &(la quale rimane disciolta e si può ricuperare neutralizzando il liquido basico con anidride carbonica) ed in piccola parte in fenilaminofenilfurazano. Dibenzoilderivato CyH; . C (: NOCOC;Hs) . € (: NOCOC;Hz). NHC;H;. Si prepara benzoilando la a-fenilaminofenilgliossima sciolta in idrossido di sodio; cristallizzato dall’alcool costituisce piccoli cristalli fusibili a 201° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1614: N cc. 12,9 a 12° e 733,257 mm. Trovato °/0: N 9,26. Per CosH;O,Ns cale.: 9,07. È discretamente solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool; pochissimo solubile in cloroformio, benzene, acetone; insolubile nell’etere e nella ligroina. Riscaldato con idrossido di sodio al 20 °/, non si altera sensibilmente. Fenilaminofenilfurazano C}H3.C —— C. NHGH;. Si forma Il | Il N-0-N nel modo detto poc'anzi dal diacetilderivato della a-fenilamino- fenilgliossima, ma conviene prepararlo facendo bollire quest’ul- timo con idrossido al 20 °/o, per il che si separa dal liquido col raffreddamento. Cristallizzato dall’alcool si presenta in aghi bianchi splendenti fusibili a 158° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1018: N ce. 15,5 a 12° e 732,700 mm.. Trovato 9/0: N 17,66. Per C,4H10Ns cale.: [WTA È insolubile nell’acqua; solubile a freddo in etere ed in” acetone; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in alcool, cloroformio, benzene; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ligroina. Si scioglie nell’acido solforico concentrato e riprecipita per diluizione con acqua; si scioglie pure alquanto nell’idrossido di sodio e nell’acido cloridrico bollente e cristallizza inalterato con raffreddamento. RICERCHE SULLE DIOSSIME 219 XXII. — $£-fenilaminofenilgliossima CH; .C(:NOH). C(:NOH). NHC;H;, p. f. 124°. Risulta lentamente per isome- ‘ rizzazione della a-fenilaminofenilgliossima riscaldando la solu- zione acquoso-alcoolica di quest’ultima con acido acetico diluito; ma conviene prepararla facendo agire l’anilina sulla fenilcloro- gliossima CH; . C(:NOH). C (:NOH). Cl + NH,C;Hsy —> CHs.C(:NOH).C(:NOH). NHCH; + HCl. A tale scopo si fa bollire per qualche tempo la soluzione in alcool assoluto di pesi eguali delle due sostanze, quindi si diluisce con acqua, si acidifica leggermente con acido acetico e si tratta con acetato di nichel al 20 °/0, per il che precipita il sale complesso (C,4H,s0sNs), Ni, il quale si lava con alcool bol- lente e si scalda con un piccolo eccesso di acido cloridrico al 20 °/,. Dalla soluzione risultante cristallizza col raffredda- mento il cloridrato della 8-gliossima, dal quale si mette final- mente in libertà la base per mezzo dell’idrossido di ammonio. La B-fenilaminofenilgliossima CH; .C(: NOH).C(:NOH). NHC;H; cristallizzata dall’acqua o dall’aleool acquoso si pre- | senta in piccolissimi aghetti bianchi fusibili a 124° con leggera decomposizione e rammollendo alcuni gradi prima. Sostanza gr. 0,1426: N cc. 21 a 24° e 730,992 mm. Trovato °/o: N 16,35. Per C.4H130gNs calc.: 16,47. È un po’ solubile nell'acqua bollente e quasi insolubile in quella fredda; solubile a freddo in alcool, acetone, etere; molto solubile a caldo e poco a freddo in benzene e cloroformio; quasi insolubile anche a caldo in ligroina. Si scioglie negli idrossidi dei metalli alcalini e riprecipita inalterata per trattamento con anidride carbonica o con acido acetico diluito; forma coll’acido cloridrico un cloridrato e col- l’acido nitrico un nitrato poco solubili in acqua, ma mentre il primo di questi sali è stabile, il secondo si altera rapidamente perchè la gliossima è facilmente decomposta dall’acido nitrico anche diluitissimo. In soluzione acquosa intacca lentamente a freddo e rapida- mente verso 100° il nichel compatto; intacca pure, ma soltanto contata; La, EVE, simili : dea TIR = È Me NZ ERO FETI SMR TE Ra OLE VASI PE I GIP NIE TI . 220 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO a caldo, il rame ed il cobalto, trasformandosi nei rispettivi sali complessi. Trattata con cloruro ferrico dà una colorazione verde azzurra intensa. Cloridrato CsH;. C (: NOH).C (: NOH). NHG;H;.HCI. Si separa spontaneamente dopo qualche istante dalla soluzione ‘della 8-fenilaminofenilgliossima nell’acido cloridrico diluito; cristallizzato dall'acqua bollente acidulata con acido cloridrico si presenta in tavole rombiche, talora di notevoli dimensioni, fusibili a 210°-211° con decomposizione, imbrunendo qualche . grado prima. Sostanza gr. 0,1478 richiesero per la neutralizzazione cc. 5,1 : N di NaOH ce Trovato %o: HCI 12,58. Per C,,H;30sNs . HCI calc.: 12,50. È solubile nell’alcool; insolubile nell’etere. E abbastanza stabile all’aria, facilmente idrolizzato dal- l’acqua a caldo. Sale di nichel (C,3H,302N3)sNi.2H,0. Risulta, come abbiamo già accennato, per azione diretta della B-fenilaminofenilgliossima in soluzione acquosa sul metallo; si prepara trattando con ace- tato di nichel la diossima sciolta in acido acetico diluito. Cri- stallizzato dal cloroformio si presenta in prismetti rosso-scuri, ovvero in finissime lamine setacee di colore caffè-chiaro conte- nenti due molecole di acqua di cristallizzazione che perdono a 100°. Fonde, con decomposizione profonda, a 268°. Sostanza gr. 0,0593; perdita di peso a 100° gr. 0,0037; NiSO, gr. 0,0057. Trovato 9°: Hs0 6;23 Ni 9,59. Per C.3H,,0,NgNi.2Hs0 cale.: 5,97 9,73. È insolubile nell'acqua; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in cloroformio; quasi insolubile negli altri comuni sol- venti organici. È facilmente decomposto dagli acidi minerali diluiti; lentamente dall’acido acetico al 50 °/, e dall’idrossido di sodio al 20 °/o; non reagisce coll’idrossido di ammonio. sila. tti Vi nta cha siete i cei Li 7 x RICERCHE SULLE DIOSSIME 221 Diacetilderivato CxH;.C(:NOCOCH).C(:NOCOCH;).NHC;H;. Si ottiene acetilando a freddo la f-fenilaminofenilgliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso, e cristallizza dall’alcool in aghi bianchi raggruppati, fusibili a 150° senza de- composizione, rammollendo qualche grado prima. Sostanza gr. 0,1347: N cc. 14,8 a 24° e 731,314 mm. Trovato °/o: N 12,20. Per C,gH,70,N3 cale.: 12,38. È insolubile nell'acqua; poco solubile in etere; solubile a — freddo in cloroformio ed in acetone; molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool; poco a caldo e pochissimo a freddo in benzene; quasi insolubile anche a caldo in ligroina. XXIIHI.— Metilaminofenilgliossima CHg.C(:NOH).C(:NOH). NHC;H;. Risulta, come già abbiamo. detto, per azione dell’ani- lina sulla metilclorogliossima CH; .C(:NOH).C(:NOH).C1l + CHsNH, —»> CH;.C(: NOH).C(: NOH). NHCGH; + HCI e dell’idrossilamina sull’acetilfenilisuretina CHy.CO .C(: NOH). NHCH;+ NH,0H —» CH3.C(:NOH).C(:NOH). NHG;H;+H30. . Messa in libertà dal suo cloridrato si altera rapidamente: dob- biamo perciò limitarci a descrivere il sale complesso di nichel che due molecole di essa formano con un atomo di metallo. Sale di nichel (C9H,00gN3)a Ni: a) dalla metilclorogliossima. Si scalda per qualche mi- nuto su bagno d’acqua bollente una soluzione alcoolica di metil- clorogliossima e di anilina, dopo riposo si diluisce con acqua, si acidifica leggermente con acido acetico diluito e si tratta con acetato di nichel; b) dall’acetilfenilisuretina. Questo composto, preparato da noi molti anni fa (!) per azione dell’anilina sul cloroisonitroso- acetone CH; . CO . C (:NOH). CI in soluzione eterea, si può anche ottenere mescolando le soluzioni alcooliche delle due sostanze e diluendo con acqua dopo riposo di qualche ora alla temperatura ordinaria. Cristallizzato dall'acqua, ove è poco solubile a caldo (1) “Gazz. Chim. Ital. ,, 37, II, 70 (1907). 222 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE, ECC. e pochissimo a freddo, si Meno in laminette splendenti fu- sibili a 119°. Riscaldato per breve tempo in soluzione slevolica: su bagno d’acqua bollente, colle quantità equimolecolari di cloridrato di idrossilamina e di carbonato sodico in soluzione acquosa, si trasforma in metilaminofenilgliossima, la quale si isola dal li» quido per trattamento con acetato di nichel. Il sale di nichel della metilaminofenilgliossima (C9H,00sNg)sNi cristallizzato dall'alcool si presenta in laminette splendenti di color rosso vinoso, fusibili a 242° con decomposizione, imbru- nendo qualche grado prima. Sostanza gr. 0,1818: NiSO, gr. 0,0652. Trovato °/o: Ni 13,60. Per CigHso04NgNi cale.: 13, 62. È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo nell’alcool; iaia sato a caldo e poco a freddo in benzene ed in ace- tone; solubile a freddo in cloroformio ; insolubile in acqua, etere e ligroina. Si scioglie nell’idrossido di sodio al 20°/o con colorazione rosso-bruna; non nell’idrossido di ammonio. È decomposto a freddo dall’acido acetico al 50 °/;, resiste invece discretamente all’azione di quello diluito. Trattato con acido cloridrico, fornisce il cloridrato della me- tilaminofenilgliossima CH; . © (:NOH).C(:NOH). NHCGH; . HCI, il quale si separa, concentrando la soluzione, in laminette bianche. Da esso mediante l’idrossido di ammonio si può isolare la base, la quale è solida, ma si altera rapidamente. Torino — Istituto Chimico della R. Università. Febbraio 1923. RE e n, P_ RI, PASO 7, TETTE RP I PETTO GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE, ECC. 223 Ricerche sulle diossime Nota IX del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO e del dott. LODOVICO AVOGADRO In questa Nota continuiamo ad occuparci della fenilglios- sima CgéH;y.C(:NOH).C(:NOH).H e riferiamo alcune nuove esperienze, le quali, dimostrando la grande differenza di com- portamento delle sue due forme, costituiscono un’altra conferma della nostra opinione sull’inaccettabilità della teoria di Hantzsch e Werner sull’isomeria delle a-diossime. Di notevole importanza ci sembrano specialmente i risultati che abbiamo ottenuto mediante l’impiego dell’acido solforico concentrato e del cloruro di fenildiazonio. Infatti, per azione del primo una molecola di a-fenilgliossima (p. f. 168°) perde una molecola di acqua trasformandosi in fenilfurazano Ced; .0= N:0H Oo C=N | rat | DO; H.@= NO CN mentre due molecole di f-fenilgliossima (p. f. 180°) perdono as- sieme una molecola di idrossilamina 2 CsHs0gNo SNO È CieH1s50gNs e danno il composto C,gH,s30gN3 ottenuto per la prima volta da Miiller e Pechmann (') trattando con cloridrato di idrossil- (1) Ber. 22, 2560 (1889). 224 GIACOMO PONZIO E LUDOVICO AVOGADRO amina il fenilgliossale C;Hg . CO . CHO, poi da Scholl (!) riscal- dando l’isonitrosoacetofenone CH; . CO .C(:NOH).H con un eccesso di cloridrato di idrossilamina, e da Korten e Scholl (?) per azione dell’idrossilamina sull’ w-dibromoacetofenone CeHs. CO . CHBr,, ed infine da Diels e Sasse (3) ossimando il prodotto risultante dall’anidrizzazione dell’isonitrosoacetofenone con acido cloridrico gassoso in soluzione eterea. A detto composto Scholl (4) attribuisce la struttura di 1-fenil-3-ossiminobenzil-2-isossazolonossima CH, .C(:NOH). CH C:NOH | I ; O-N=C. CH; secondo Diels e Sasse (loc. cit.) esso sarebbe invece l’ossima della 4-fenil-6-benzoil-4-idrossi-1,2,5-oxdiazina C;Hs, ,0H Su CH, CENNO, deo e però il SUE col quale noi l'abbiamo preparato e che sì pula schematicamente rappresentare così CH; . C{: BON CH Hc : NOH N50, (;Ay.C(:NOH): di a : NOH O—-N=0C.CH; si accorda colla prima formola di struttura, non potendosi am- mettere, come si dovrebbe fare adottando la seconda, che l’acido . solforico concentrato trasformi dapprima la f-fenilgliossima in (!) Ber. 23, 3580 (1890). (@) Ber. 34, 1909 (1901). (*) Ber. 40, 4057 (1907). - (4) Ber. 30, 1812 (1897). | ; 9 i 3 i 3 RICERCHE SULLE DIOSSIME 225 idrossilamina ed in isonitrosoacetofenone, che due molecole di questo si condensino poi, con eliminazione di una molecola di acqua, in 4-fenil-6-benzoil-4-idrossi-1,2,5-oxdiazina, la quale in ultimo venga ossimata dall’idrossilamina messa inizialmente in libertà. ; In quanto al comportamento verso il cloruro di fenildia- zonio abbiamo trovato che ambedue le diossime del fenilglios- sale CH; .C(:NOH).C(:NOH).H si copulano facilmente con esso, e che, per successiva eliminazione di azoto da un composto intermedio instabile, risultano in definitiva le diossime del dife- nildichetone C;H; .C(:NOH).C(:NOH).C;H; (benzildiossime) be G(FNOH). C.(:NOH)-H . GBR0 --@H;.C(NOH). C(:NOH).N,.CsHs Na -C5Hy-CGNOH).C(:NOB).C;Hg; ma dalla a-fenilgliossima p. f. 168°, che non dà sale complesso di nichel, si ottiene la difenilgliossima fusibile a 207° che non dà sale complesso di nichel; mentre dalla 8-fenilgliossima p. f. 180°, che dà sale complesso di nichel, si ottiene la difenil- gliossima fusibile a 237° che dà sale complesso di nichel. Avendo noi sempre distinto col prefisso a le forme delle gliossime che non danno sali complessi di-nichel e col prefisso B quelle che li danno, dovremmo per conseguenza considerare come a-difenilgliossima la diossima del difenildichetone fusibile a 207° (detta comunemente B-benzildiossima), e come 8-difenilgliossima’ la diossima del difenildichetone fusibile a 237° (detta comune- mente a-benzildiossima). Ma quello che a noi interessa, e che ha una grande importanza per la tesi da noi sostenuta, si è che le due forme delle difenilgliossime risultanti nella reazione suaccennata stanno fra di loro precisamente nello stesso rap- porto delle due fenilgliossime dalle quali si parte, nel senso che, come diremo più avanti, la difenilgliossima fusibile a 237° ‘ sì forma per isomerizzazione della difenilgliossima fusibile a 207° nello stesso modo delle altre nostre B-gliossime dalle a, cioè per riscaldamento con acido acetico diluito. Ora, siccome rite- niamo di aver dimostrato nella Nota VI (!) che le due fenil- gliossime CgH; .C(:NOH).C(:NOH).H non sono isomeri geo- metrici, ci crediamo autorizzati di concludere che neppure le (4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923). 226 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO due difenilgliossime CgH;.C(:NOH).C(:NOH).C;H;, fusibili rispettivamente a 207° ed a 237°, sono isomeri di tale natura, e che la teoria di Hantzsch e Werner, la quale fu proposta essenzialmente per spiegare l’esistenza di tre diossime del dife- nildichetone (benzildiossime), non è valida neppure per queste. D'altra parte a screditare completamente detta teoria ba- sterebbe, a nostro parere, il fatto che dai numerosissimi autori i quali si occuparono della difenilgliossima fusibile a 237° e che dà sale complesso di nichel (a-benzildiossima), sono state, una dopo l’altra, ed ogni volta per ragioni ritenute inoppugnabili, attribuite le tre diverse configurazioni CH, .C C.CH; Unreal Il | Il Il HON HON NOH HON amfi sin Ceo II I HON NOH anti cioè tutte le possibili configurazioni che il concetto dell’isomeria geometrica lascia prevedere, e come, di conseguenza, siano state successivamente cambiate le configurazioni delle altre due benzil- diossime fusibili a 207° ed a 163°. Poichè le due fenilgliossime si possono, col procedimento da noi descritto nella Nota VI (loc. cit.), ottenere senza diffi- coltà allo stato di purezza, è probabile che, impiegando sali di diazonio sostituiti, si riuscirà con esse a preparare le due forme delle diossime di difenildichetoni monosostituiti CgH; .C (:NOH). C(:NOH).CH,R. Inoltre, siccome esperienze preliminari da tempo iniziate ci hanno già permesso di isolare le due forme delle fenilgliossime RCsH,.C(:NOH).C(:NOH).H, dovrà esser possibile stabilire anche un metodo semplice ed elegante di sintesi delle difenilgliossime bisostituite R.CsH,.C(:NOH). C(:NOH).GHR ed R.CH,.C(:NOH).C(:NOH).GH;R,. L’argomento ha notevole importanza per lo studio che stiamo facendo sui perossidi delle gliossime, e perciò ci riserviamo di trattarlo prossimamente. i deo Varini RICERCHE SULLE DIOSSIME 227 XXIV. — Fenilgliossime CH; . C(:NOH).C(:NOH).H. Azione dell'anidride propionica. In accordo a quanto asse- risce Russanow (!), trattando con anidride acetica sia l’una che l’altra forma della fenilgliossima abbiamo ottenuto il medesimo diacetilderivato C;H; . C (:NOCOCH3). C (:NOCOCH) ..H, il quale cristallizzato dall'alcool acquoso si presenta in aghetti fusibili a 92°. Siccome, secondo le nostre osservazioni, dalla a-fenil- gliossima, e non dalla 8, risulta contemporaneamente anche fenilfurazano C;H; . C C.H (facilmente eliminabile per Il | N_-0 ca trattamento con etere del prodotto della reazione versato in acqua e neutralizzato con carbonato sodico), e poichè, come diremo più avanti, l’a-fenilgliossima non è benzoilabile, ci sembra logico ammettere che detto diacetilderivato provenga dall’ace- tilazione della forma 8, nella quale una parte della forma a, che sfugge all’azione anidrizzante dell'anidride acetica (cioè che non è trasformata in furazano per la reazione CgHs. C(:NOH). C(:NOH).H —> H,0 4 CH; (C$N30) H), viene isomerizzata. L'anidride propionica, la quale ha proprietà disidratanti non molto energiche, dà invece origine colle due forme della fenilgliossima a due differenti dipropionilderivati. Infatti, scal- dando la forma a di quest’ultima con un piccolo eccesso di anidride propionica e trattando, dopo riposo, con acqua e car- bonato sodico, si ottiene il dipropionilderivato della a-fenilglios- sima CyHsz. C (: NOCOCH,CHg).C(: NOCOCH,CHs).H, il quale cri- stallizza dall'alcool in prismetti fusibili a 75° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1584: N cc. 13,5 a 10° e 738,733 mm. Trovato °/o: N 10,03. Per C,4H1604No cale.: 10,14. È poco solubile in etere; molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ligroina; solubile a freddo in acetone, benzene e cloroformio. Trattato con idrossido di sodio al 20 °/ vi si scioglie len- tamente trasformandosi in fenilfurazano CH; (CsN30)H e nel- (4) Ber. 24, 3502 (1891). DO O SAL e n a ti ile iii die 228 GIACOMO PONZIO E LODUVICO AVOGADRO l'ossima del cianuro di benzoile CH; .C(:NOH).CN, la quale, come è noto, risulta dal primo per una isomerizzazione pro- vocata dalle basi forti N CH; .C.CN o HCN NOH Propionilando nel modo detto sopra la 8-fenilgliossima se ne ottiene il dipropionilderivato CH; . C (: NOCOCH;CH3) . C (:NOCOCH;CH;). H, il quale cristallizza dall’alcool in lami- nette fusibili ad 89°-90° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1898: N cc. 16,4 a 10° e 739,283 mm. Trovato °/o: N 10,18. Per C,4H160gNs cale.: 10,14. È solubile a freddo in acetone, benzene, cloroformio; poco solubile in etere; molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina. i Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, si idrolizza ridando la B-fenilgliossima da cui deriva. Azione del cloruro di benzoile. La benzoilazione dell’a-fenil- gliossima non è possibile nè in soluzione in idrossido di sodio nè in soluzione piridinica. Operando con quest’ultimo solvente ab- biamo ottenuto il denzoiderivato dell’ossima del cianuro di ben- zoile CH .C(:NOCOC;H;). CN, la cui formazione è facile a spiegarsi quando si consideri la tendenza che tale gliossima ha di anidrizzarsi in fenilfurazano C;H;(C$N30) H (!) isomerizza- bile a sua volta nell’ossima del cianuro di benzoile C;H;. C(:NOH).CN. Detto benzoilderivato cristallizzato dall’acetone si presenta in aghetti splendenti fusibili a 139°-140° senza de- composizione conforme ai dati di Zimmermann (?), il quale lo aveva ottenuto per benzoilazione diretta della cianossima. (4) Questo infatti risulta, assieme al benzoilderivato dell’ossima del cianuro di benzoile, se si fa agire il cloruro di benzoile sulla a-fenilglios- sima sciolta nell’idrossido di sodio al 20 %. (2) J. Prakt. Chem. (2), 66, 363 (1902). RICERCHE SULLE DIOSSIME 229 Sostanza gr: 01822: Nice. 17;2°a:9% e. 736,751:mm. Trovato °/o: N 11,13. Per CisHioNs03 calc.: 11,20. È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed in ligroina; molto solubile a caldo e poco a freddo in acetone ed in benzene; poco solubile in etere; solubile a freddo in clo- roformio. Trattato a freddo con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie lentamente idrolizzandosi nell’ossima del cianuro di benzoile CH; . C(:NOH).CN, la quale cristallizza dall’acqua in laminette bianche fusibili a 129° conforme ai dati di Meyer (1). Benzoilando la £-fenilgliossima in soluzione piridinica se ne ottiene invece il dibenzoilderivato CHs . C(: NOCOC;Hx). C(:NOCOGH;) H, il quale cristallizza dall’acetone in aghi ap- piattiti fusibili a 150° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1532: N cc. 9,6 a 9° e 748,876 mm. Trovato °/o: N 7,48. i Per C,:H,60gNa calc.: \ 7,52. È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed in ligroina; poco solubile in etere; molto solubile a caldo e poco a freddo in acetone; solubile a freddo in benzene ed in cloroformio. Sospeso in idrossido di sodio al 20 °/, addizionato di un po’ di alcool, si scioglie lentamente idrolizzandosi nella B-fenil- gliossima da cui deriva. Azione dell'acido solforico concentrato, Scaldando brevemente verso 100° l’a-fenilgliossima con acido solforico concentrato essa si trasforma in fenilfurazano CyH; . C- CH, il quale, pre- o Il Il N-0—N cipitato per diluizione con acqua, distillato col vapore e cristal- lizzato dall’alcool acquoso, costituisce prismi bianchi fusibili a 35°-36°, senza decomposizione, cioè ad una temperatura più elevata di quella riferita da Russanow (loc. cit.). (4) Ber. 21, 1314 (1888). Atti della Reale Accademia — Vol. LVII]. 17 230 GIACOMO FONZIO E LODOVICO AVOGADRO Sostanza gr. 0,1062: N cc. 17 a 11° e 741,517 mm. Trovato %/o: N 18,78. Per C3HsON; calc.: LO17: È solubile a freddo nei comuni solventi organici; alquanto solubile anche nell'acqua specialmente a caldo. Non distilla. inalterato alla pressione ordinaria. Nelle identiche condizioni, ma lentamente, l’acido solforico. concentrato trasforma invece la 8-fenilgliossima in 1-fenil-3-0s- siminobenzil-2-isossazolonossima C;H,. C(:NOH). CH C:NOH | | ON=00GH; la quale, diluendo con acqua, si separa dal liquido (in cui si riscontra idrossilamina) come una polvere giallognola. Cristal- lizzata dall’acido cloridrico diluito costituisce laminette bianche pennate fusibili a 218° con imbrunimento e decomposizione, ed è identica in tutte le sue proprietà col composto ottenuto da Scholl (!) per prolungata ebollizione dell’isonitrosoacetofenone con cloridrato di idrossilamina in soluzione acquosa. Sostanza gr. 0,1071: N ce. 12,7 a 10° e 743,171 mm. Trovato °/o: N.-14,05. Per CieH1s0gNz calc.: 14,283: Facciamo notare come riscaldando verso 100° l’isonitroso- acetofenone con acido solforico concentrato si ottenga acido benzoico. 3 Azione del cloruro di fenildiazonio. Aggiungendo poco a poco alla soluzione raffreddata in ghiaccio della a-fenilgliossima: in un-eccesso di idrossido di sodio al 10 °/, una soluzione diluita di cloruro di fenildiazonio si ha dapprima un liquido limpido, poi si inizia un moderato sviluppo di azoto e la separazione di una resina rosso-bruna. Quando la reazione è completa, cioè dopo circa 12 ore, si filtra e si acidifica con acido acetico di- luito, ed il precipitato risultante si purifica ridisciogliendolo in idrossido di sodio, riprecipitandolo con acido acetico e finalmente (4) Ber. 23, 3580 (1890). RICERCHE SULLE DIOSSIME 231 cristallizzandolo dall’alcool acquoso. Si hanno in tal modo lami- nette bianche, contenenti alcool di cristallizzazione, le quali sfio- riscono all'aria e fondono anidre a 207°-208° con decomposizione. Sostanza gr. 0,1505: N cc. 15,2 a 10° e 739,283 mm. Trovato °/o: N90 Per C,4H30gN3 cale.: 11,66. Tutte le proprietà del composto da noi ottenuto sono iden- tiche con quelle della cosidetta B-benzildiossima CsHs . C(:NOH). C(:NOH).CsHs. Acetilato a freddo con anidride acetica in pre- senza di acetato sodico fuso dà il diacetilderivato CyHg. C (:NOCOCHg). C(:NOCOCHy3). CH; fusibile a 124°-125° con- forme ai dati di Auwers e Meyer (!). Inoltre riscaldato in so- luzione acquoso-alcoolica con un po’ di acido acetico diluito si trasforma lentamente nella difenilgliossima fusibile a 237° e facilmente riconoscibile sotto forma di sale di nichel. Facendo agire nelle condizioni di cui sopra il cloruro di fenildiazonio sulla soluzione della f-fenilgliossima in idrossido di sodio al 10 °/ risulta invece la cosidetta a-denzildiossima CH; (C:NOH).C(:NOH).CH;, la quale precipitata con acido acetico diluito e cristallizzata dall’alcool si presenta in laminette fusibili a 237°-238° con decomposizione. Sostanza gr. 0,1461: N cc. 14,4 a 10° e 738,733 mm. Trovato °/o: N 11,61. Per C;;H1a0sNg cale.: . ‘1,66. Sciolta in alcool e trattata con acetato di nichel fornisce il caratteristico sale complesso [CyH; .C(:NOH).C(:NO—). CHsk:Ni; acetilata a freddo anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso dà un diacetilderivato CH; . C(:NOCOCHy;). C(:NOCOCH). CH; fusibile a 150°, cioè un po’ più alto di quanto dicono Auwers e Meyer (?); Preparazione delle fenilgliossime dall’ w-dibromoacetofenone. L’azione dell’idrossilamina sull’w-dibromoacetofenone C;Hz.C0. CHBr, fu già studiata da Schramm (8) e da Strassmann (4), il (1) Ber. 21, 799 (1888). (*) Ber. 21, 798 (1888). (*) Ber. 16, 2186 (1883). (') Ber. 22, 419 (1889). Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. Liza 232 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE, ECC. primo dei quali ebbe una sostanza fusibile a 152°, il secondo una sostanza fusibile a 162°, che descrissero come fenilglios- sima CgHs.C(:NOH).C(:NOH).H. Ritenendo che dovesse in- vece risultare una miscela delle due forme di quest’ultima, abbiamo creduto opportuno di controllare le asserzioni dei detti Autori, ed, operando nel seguente modo, l’esperienza ha confer- mato le nostre previsioni. Alla soluzione alcoolica di w-dibromoacetofenone si aggiunge un piccolo eccesso delle quantità teoriche di cloridrato di idros- silamina e di acetato sodico cristallizzato sciolti in poca acqua e si scalda la miscela per alcune ore a 70°-80°. Avvenuta la reazione . CHzy . CO. CHBrs + 2NH30 —». CHz.C(:NOH). C (:NOH).H + H.,0 + 2HBr si diluisce con acqua, si aggiunge idrossido di sodio fino a che il liquido ridiventi limpido, si filtra per eliminare le tracce di w-dibromoacetofenone rimasto inal- terato, si acidifica con acido acetico diluito e si tratta con un eccesso di acetato di nichel al 20 °/,. Si raccoglie il sale rosso di nichel della B-fenilgliossima, che precipita, si neutralizza esattamente il filtrato con idrossido di ammonio, si filtra nuo- vamente per separare un altro po’ di sale, che in tal modo si separa, e si rende leggermente basico il filtrato con idrossido di ammonio: precipita allora il composto giallo verdastro di nichel della a-fenilgliossima. Dal primo sale, mediante tratta- mento con acido cloridrico, si mette in libertà la B-gliossima, che si estrae poi con etere; lo stesso si fa col composto di nichel della forma a, e le due fenilgliossime si purificano come è detto nella Nota VI (loc. cit.). Il procedimento ora descritto può anche essere seguìto per isolare la a e la B-fenilgliossime dalla loro miscela, la quale risulta facendo agire il cloridrato di idrossilamina e l’acetato sodico sull’isonitrosoacetofenone in soluzione acquoso-alcoolica, ed offre sul metodo che abbiamo adottato nella Nota ora citata il vantaggio di essere molto più rapido e di fornire una RE: giore quantità della forma a. Torino — Istituto Chimico della R. Università. Febbraio 1923. PO e ORE SR O RT ST UA VE PR MET ROIO 1 ERE E O II EEE USE PALA 0 ae eur ran Vf 978 1a Spree re MICHELE GORTANI — IL PRETESO CARREGGIAMENTO, ECC. 233 Il preteso carreggiamento delle Dinaridi sulle Alpi Nota del Socio corrispondente MICHELE GORTANI 1. Introduzione. — Il prof. P. TERMIER, noto come fau- tore della teoria dei carreggiamenti fino alle conseguenze e applicazioni più spinte, ha recentemente pubblicato tre note sulla struttura delle Alpi Orientali (1), esprimendo in forma di aforismi opinioni personali con tale sicurezza di sè, da poter forse trarre in errore chi non abbia diretta conoscenza dei luoghi e delle circostanze di fatto. In tali note l’autore sostiene le tesi seguenti : 1°) da Sterzing al Katschberg la catena degli Alti Tauri, lunga 170 e larga una trentina di km., è da interpretarsi come una finestra tettonica da cui sorge il sistema delle coltri di carreggiamento “ pennine , (facies della zona delle pietre verdi), nel mezzo di coltri carreggiate “ austro-alpine , o delle Alpi Orientali, sovrapposte alle prime; 2°) la zona fra gli Alti Tauri e le Dinaridi, prevalente- mente scistoso-cristallina con terreni paleozoici e con terreni secondari aventi facies analoga alle Alpi calcaree settentrionali, è la zona delle radici multiple delle “ coltri austro-alpine ,; in particolare, fascio radicale della “ coltre austro-alpina superiore , è la catena delle Alpi della Gaila (Drauzug), continuata verso (1) TermeR P., Sur la structure des Alpes orientales: fenétre des Tauern et zone des racines. “ C.-R. Ac. Sc. Paris ,, 175, 20 nov. 1922, pag. 924-29; — In., Sur la structure des Alpes orientales: rapports des Dinarides et des Alpes. “ Ibid. ,, 11 dic. 1922, pag. 1173-78; — In., Sur la structure des Alpes orientales: origine de la nappe superalpine: problème de l’àge des grandes nappes. “ Ibid. ,, 26 dic. 1922, pag. 1366-71. 234 MICHELE GORTANI ponente con le sue propaggini fino a Brunico (e idealmente assai più oltre) e verso oriente con le Caravanche orientali e setten- trionali fino al gruppo del Bacher; 3°) il limite alpino-dinarico non corre a nord delle Alpi Carniche, ma entro queste ultime, a sud della zona paleozoica antica; la così detta trasgressione carbonifera è una sovrappo- sizione per carreggiamento; 4°) le Dinaridi sono state carreggiate verso nord, schiac- ciando e laminando le Alpi; 5°) sotto la coltre carreggiata delle Dinaridi va cercata la radice della coltre “ superalpina , o di Hallstatt; l’età di tutte le grandi coltri di carreggiamento delle Alpi Orientali è oligocenica. Tali affermazioni non sono tutte nuove; l’autore stesso ci tiene anzi a ricordare come egli fin dal 1903 abbia enunciato le principali fra esse, e come da allora abbia continuato a in- segnarle, senza curarsi delle dimostrazioni in contrario dei suoi oppositori. Queste ultime tuttavia non devono essere rimaste senza qualche effetto se, per riconfermare e completare le sue conclusioni, l’anno passato egli ha voluto fare una corsa nelle Alpi Orientali. Frutto di tale corsa sono le note di cui ci oc- cupiamo. Dei lavori precedenti in cui il TERMIER ed i suoi colleghi toccarono in qualche modo del settore alpino che da vent'anni assorbe la mia attività di studioso, non credetti necessario nè opportuno occuparmi, trattandosi di affermazioni a distanza basate su ipotesi derivate da lettura di qualche lavoro altrui e non sulla osservazione diretta, la sola che in geologia abbia un reale valore. Ma questa volta il TERMIER espone argomentazioni tratte da una visita, sia pure sommaria, dei luoghi; e cerca in qualche modo di provarle. Esaminiamole. Procederemo nell’esame con tutta obiettività, dimenticando l'offesa che egli fa ai geologi italiani — dal TarAMELLI al Dar Praz, al Vinassa, allo scrivente — che egli ostenta di ignorare, anche se il meglio della loro vita abbiano speso nello studio delle Alpi Orientali; la dimenticheremo, anche se ciò gli abbia permesso di esporre come proprie scoperte cose già dimo- il W IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 235 strate, e anche se la stessa terminologia da lui adottata palesi l'animo a noi poco amico. 2. La così detta zona delle radici. — Cominciamo da quella che il TERMIER chiama “ zona delle radici ,. Ricordate le pieghe longitudinali della catena fra Gaila e Drava (Alpi della Gaila), egli afferma come risultato nuovo che non esiste alcuna faglia lungo la valle della Drava, nè lungo la valle della Gaila. Se tali espressioni devono essere prese alla lettera, sono contrarie ai fatti; se invece l’autore ha voluto intendere che la linea della Drava e la linea della Gaila, lungi dall'avere il valore e il significato di grandi linee di faglia, come un tempo erano state ritenute, sono linee di dislocazione discontinua e parziale e di limitata importanza, debbo osservare che, assai prima di lui, dal Gever, dalla FurLANI, dal HrrIrscH e da me questo era stato non soltanto detto, ma anche dimostrato (1). Il TERMIER prosegue: “ Le faisceau de racines, courant vers ESE, coupe cette ,vallée (de la Gail) sous un angle très aigu, passe sur sa rive droite, est tranché en cluse par les gorges du Gailitz et se poursuit par la chaine des Kara- wanken, en reprenant peu à peu la direction Est. On le suit ainsi, par le Hochobir, jusqu'au Bachergebirge, au delà duquel il disparaît sous les plaines. Mais, plus on va vers l’Est et plus on voit le faisceau se coucher vers le Nord: dans le Drauzug, il était formé de plis verticaux ou presque verticaux; dans les Karawanken et le Hochobir, c’est une série isoclinale plongeant au Sud... Ce déversement vers le Nord annonce la naissance du pays de nappes. Le massif du Dobratsch, où le Secondaire est presque horizontal, n’appartient déjà plus au pays de racines , (?). (1) Cfr. Grrer G., Ein Beitrag zur Stratigraphie und Tektonik der Gail- thaler Alpen in Kirnten. “ Jahrb. geol. R-Anst. Wien ,, 47, 1897, pag. 356 e segg.; — Furvani M., Der Drauzug im Hochpustertal. “ Mitt. geol. Ges. Wien ,, 5, 1912, pag. 262 e segg.; — Herrsca F., Die dsterreichischen und deutschen Alpen bis zur alpino-dinarischen Grenze. “ Handb. d. Region. Geol. ,, n. 18, Heidelberg, 1915, pag. 125; — Gorrani M., Progressi nella conoscenza geologica delle Alpi Carniche Principali. “ Mem. Soc. toscana Sc. nat. ,, 34, Pisa, 1921, pag. 37 d. estr. (2) Termier, l. c., pag. 929. 96 MICHELE GORTANI Ma le cose non stanno precisamente così. I terreni delle Alpi della Gaila (cioè il così detto fascio delle radici) non ta- gliano ad angolo molto acuto la valle, non sono incisi dalla Gailizza, non si continuano nella porzione occidentale delle Ca- ravanche, non si separano dal Dobrat, e no presentano un graduale arrovesciarsi delle pieghe verso settentrione. Con qualche maggior particolare, diremo che a nord della Gaila scisti paleozoici e calcari triassici continuano a mantenere anche a ponente del Weissensee la loro direzione parallela all’asse della valle principale; la massa calcareo-dolomitica del Dobrac, o Villacher Alpe, fa di essi parte integrante: soltanto, la rigidità del massiccio roccioso ha qui convertito le pieghe in fratture. In tutta la catena, lunga un centinaio di km., le pieghe (in ge-_ nerale molto compresse) sono diritte, ovvero alquanto inclinate indifferentemente al sud o al nord, senza che si possa indicare una direzione prevalente della spinta. A mezzodì della Gaila la i catena principale delle Alpi Carniche mantiene fino all’ultimo la sua piena e perfetta individualità e si continua direttamente nelle Caravanche occidentali. Tanto le pieghe dei terreni paleo- zoici, quanto le altre, conservano inalterata la loro direzione generale ONO-ESE, anch’essa parallela all’asse della val Gaila. La Gailizza -— confine convenzionale fra Alpi Carniche e Cara- vanche — taglia esclusivamente queste pieghe carniche prose- guenti verso levante; e precisamente, da Tarvis in giù: 1° la ellissoide permo-triassica di Goggau; 2° la fascia permotriassica che lega le falde meridionali della Gòriacher Alpe al Cabin; 3° i grossi banchi di calcare permocarbonifero a Fusuline in- terposti fra le arenarie permiane di Val Gardena e gli scisti; 4° la zona degli scisti carboniferi trasgressivi, da cui emergono: a sinistra i prossimi dossoni devonici del Kapin, a destra i più lontani spuntoni devonici del Pec, e, a settentrione, il nastro calcareo neosilurico > Hohenturm (Strajaves)-Arnoldstein<. Si aggiunga che i terreni permotriassici qui indicati hanno tipica facies meridionale. Le recenti osservazioni in sito del TERMIER, oltre ad essere errate circa i rapporti fra Alpi della Gaila, Carniche e Cara- vanche, non portano quindi alcun argomento positivo in favore dell'idea, ormai vecchia, di considerare le Alpi della Gaila e le loro propaggini come una zona di radici. Ri iti cari incita tti iii ini i eci niet Ai Vidi iL O VA LP A È i i } È y 1 | REV) LR 7, IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 237 Contro tale ipotesi continuano pertanto ad avere pieno valore le dimostrazioni in senso contrario avanzate sia da fautori della teoria dei carreggiamenti su larga scala, .come Hauc e KoBER (1), sia da osservatori spassionati, come Kossmar, HERITSCH e la sig. CornELIus-FuRLANI (2). E in verità le Alpi della Gaila sono così ristrette, così tipicamente foggiate a catena a pieghe e unite da così strette relazioni con le Alpi meridionali, che l’insistere per localizzarvi una grande zona di radici multiple di amplissime coltri settentrionali ha soltanto il risultato di mettere in luce uno dei punti più deboli della teoria. 8. Il limite alpino-dinarico. -- Devo premettere che, insieme con i più autorevoli geologi italiani, io considero la divisione fra Alpi e Dinaridi come una divisione artificiale. Divisioni nette sono ben rare in natura, e non meno fra i si- stemi montuosi che fra le innumerevoli cose che noi siamo tentati a classificare. Ma, oltre a questa considerazione d’ordine generale, che a nostro parere non patisce eccezione nel caso presente, si può osservare che il complesso dei rilievi aggrup- pati sotto il nome di Dinaridi, è diverso secondo i diversi au- tori; come secondo i vari autori variano le idee intorno ai rapporti delle Dinaridi con gli altri sistemi montuosi ad esse più prossimi (Alpi Orientali, Alpi Occidentali, Appennini, Carpazi e magari anche “ Ellenidi s e Tauridi). Particolarmente discu- (1) Have E., Sur les nappes des Alpes orientales et leur racines. “ C.-R. Ac. Sc. Paris ,, 148, 1° sem. 1909, pag. 1477; — Koser L., Ueber Bau und Entstehung der Ostalpen. © Mitt. geol. Ges. Wien ,, 5, 1912, pag. 466. (2) Kossmar F., Die adriatische Umrandung in der alpinen Faltenregion. “ Mitt. geol. Ges. Wien,, 6, 1913, pag. 119; — Herirsca F., op. cit., pag. 128, 135; — Scawinner R., Dinariden und Alpen. “ Geol. Rundschau ,, 6, 1915, pag. 12; — Cornenius-FurLani M., Considerazioni orogenetiche sul limite alpino-dinarico in Pusteria. “Atti Acc. scient. ven.-trent.-istr.,, (3), 12-13, Padova, 1922, pag. 147 e segg. — Secondo quest’ultima autrice, cui sì unisce il Henny, il limite alpino-dinarico si aprirebbe verso oriente e sarebbe rappresentato dall’intera catena delle Alpi della Gaila, considerata nel suo insieme come una sinclinale complessa in cui si dilata la prose- cuzione della sinclinale del Canavese (cfr. FurLanIi M. et Henny G., Du pro- longement vers l’Est du synclinal du Canavèse, etc. “ Eclogae geol. Helv. ,, 16, Bale, 1920, pag. 95). 238 MICHELE GORTANI tibile è poi, a nostro parere, la rigida separazione delle Alpi meridionali dalle Alpi propriamente dette, per includerle invece nel sistema dinarico. Le divisioni, che avevano prima una pre- valente ragion d’essere nella comodità di studio e di esposizione dei risultati complessivi, son venute sempre più assumendo, con lo sviluppo della teoria dei carreggiamenti, il significato di di- stinzioni genetiche profonde; acquistano per conseguenza maggior valore le osservazioni fatte da varie parti sulle strette affinità che terreni e facies ritenuti tipici delle Dinaridi presentano con terreni e facies di catene attribuite ad altri sistemi, e in modo particolare sulle affinità di facies “ dinariche , delle Alpi meri- dionali con facies “ alpine , assai mal discernibili dalle prime; ci basti ricordare, a mo’ di esempio, le osservazioni del DIENER, del Haue, del TARAMELLI e del HeRITScH (1). Ma, d’altra parte, questa stessa tendenza a valorizzare le distinzioni fra i-singoli sistemi montuosi o raggruppamenti di ordine anche più elevato, rende in special modo importanti le loro delimitazioni, e fa quindi moltiplicare le ricerche lungo le linee o le zone di contatto: principalissima quella fra le Dinaridi e le Alpi Orientali. Il limite adottato per quest’ultimo caso da E. Surss, e di poi generalmente accettato — sia pure con le. accennate ri- serve, — era segnato dalla depressione della Pusteria, dall’intero corso della Gaila, e più ad est, oltre la piana di Villaco, dal limite sud delle Caravanche calcaree settentrionali. La catena principale Carnica era pel Suess (che lo afferma con chiare ragioni in modo assai reciso e preciso) una catena indipendente, di età varisca, estranea tanto alle Dinaridi quanto alle Alpi propriamente dette (2). Chi seguiva solo in parte tali vedute, come il KoBER, manteneva però sempre il limite meridionale (1) Drener C., Bau und Bild der Ostalpen und des Kartsgebietes. Wien, 1903; — Have E., op. cit.; — Taramerri T., Se le Dinaridi costituiscano realmente una massa carreggiata. “ Rend. R. Ist. Lomb.,, (2) 45, 1912, pag. 1011 e segg.; — HerirscH F., op. cit., pag. 125-130; — In., Die An- wendung der Deckentheorie auf die Ostalpen. III. “ Geol. Rundschau ,, 5 1914, pag. 559. i (2) Surss E., Das Antiitz der Erde. Vol. III, 1, Wien, 1901, pag. 483. Lett i init ratti Mure É IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 239 delle Alpi lungo la Gaila a nord delle Carniche, inglobando queste ultime nelle Dinaridi (1). Non intendo di occuparmi qui delle vedute del KoBER, che del resto sono già state egregiamente ribattute (2). Tutto è per lui carreggiato: il limite alpino-dinarico del Suess diventa la cicatrice che nasconde le complesse radici così delle “ coltri alpine superiori , come delle coltri dinariche; carreggiate sono le Alpi della Gaila al pari delle Carniche e delle Caravanche e di ogni altra catena. Asserzioni portate innanzi senza nep- pure un principio nè un tentativo di prova, e che però tendono a sfuggire al controllo come tutti i prodotti della fantasia; ma che vengono a dare sempre maggiore importanza al limite alpino-dinarico quale era stato considerato finora. Il TERMIER non è invece di quest’opinione. Egli fa scendere la linea del confine verso mezzodì, fino al contatto con i terreni permo-triassici, inglobando nel sistema alpino propriamente detto tutti i terreni antichi delle Alpi Venete. Le filladi della Pusteria farebbero così parte integrante del sistema alpino, e precisa- mente della zona delle radici; lo stesso dicasi dei terreni antichi delle Carniche, che sono poi fatti sparire sotto la coltre carreg- giata dinarica per ricomparire in finestra nell’assai più orientale affioramento di Vellach in seno alle Caravanche. Del preteso carreggiamento dinarico, diremo poi; ci limi- tiamo ora a notare come sia per l’appunto esso a rendere ne- cessaria cotesta trasposizione del limite alpino a sud, trasposi- zione che non è per alcun altro verso richiesta nè giustificata. Per i fautori dei grandi carreggiamenti non dovrebbe a meno di riuscir singolare cotesto grande fascio di radici paleozoiche, a cui non corrisponde in nessuna parte delle Alpi la più piccola traccia di coltri o di superstiti lembi di coltri; senza contare che tutti i lembi di Trias inclusi nella catena principale Carnica — valga ad es. quello dello stretto golfo triassico di Bordaglia, (1) Koser L., Alpen und Dinariden. “ Geol. Rundschau ,, 5, 1914, pag. 197 e 200; cfr. anche la cartina a pag. 178 e la carta annessa al lavoro precedentemente citato (Bau u. Entstehung der Ostalpen, 1912). (2) Vedi principalmente Scawinner R., Dinariden und Alpen. * Geol. Rundschau ,, 6, 1915, pag. 1-22; cfr. anche HerrrscHA, Oesterr. und deutsche Alpen, l. c., pag. 129 e segg. x OSE - sw 240 MICHELE GORTANI a ridosso dei monti di Volaia — hanno tipica facies meridionale. E neppure si comprende, con le idee dell’autore, come e perchè sì siano originate le differenze di facies in seno al grande fascio di terreni antichi appartenenti ad una medesima entità genetica e tettonica, quale verrebbe ad essere costituita dalle Alpi della Gaila e dalle Carniche principali. D'altro canto, è forse giustificato lo smembramento delle Alpi Carniche in due sistemi profondamente diversi? Dice il Termier: “ Il y a, dans la chaîne Carnique, deux entités tecto- niques très distinctes: un pays de plis, où l’on voit des gneiss, des phyllites, du Silurien, du Dévonien, peut-étre aussi du Di- nantien; et, montant sur ce premier pays, un pays d’écailles où le Permien et le Trias ont les faciès dinariques et où l’on trouve, sous le Permien et concordant avec lui, de l’Ouralien fossilifère. Le pays d’écailles appartient incontestablement aux Dinarides; il est inséparable de la région des Dolomies. Le pays de plis appartient aux Alpes... , (1). La zona paleozoica delle Carniche è indubbiamente una catena a pieghe; il Vinassa ed io lo ab- biamo dimostrato da tempo, ed io ne ho data anzi recentemente una rappresentazione grafica e una sommaria descrizione (2). Ma ciò non toglie che si manifestino accavallamenti e talora perfino una struttura embriciata anche in seno alla zona paleo- zoica e anche in corrispondenza delle pieghe paleocarniche, come conseguenza dell’intenso costipamento delle pieghe e della diversa plasticità dei calcari a strati sottili, dei calcari massicci e degli scisti. E a sud della zona paleozoica anche nell’area carnica la piegatura è del pari il motivo tettonico dominante (3), non infirmato dal fatto che esistono parziali scorrimenti e frat- ture anche estese, inseparabili dal corrugarsi di enormi masse eterogenee e di scarsa plasticità sotto spinte energiche e ripe- (1) TerMIER, l. c., pag. 1176. (2) Gorrani M., I bacini della But, del Chiarsò e della Vinàdia in Carnia. “ R. Magistrato alle Acque, Uff. idrogr. ,, pubbl. 104, Venezia, 1920 (con carta geologica e profili); — In., Progressi nella conoscenza geologica delle Alpi Carniche principali. Estr. dalle “ Mem. Soc. toscana Sc. nat. ,, 34, 1921; — Ip., Le linee orotettoniche-delle Alpi Carniche. Estr. dagli “Atti VIII Congr, geogr. ital. ,, Firenze, 1922 (con carta orotettonica). (3) Cfr. i miei scritti già citati. ee © e (5 O ET TEO tei Ain lait TP (TI 9 e PET 7‘ Ret na. IL PRETESO CARREGGIAMEN:TO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 241 x tute. E ciò è, del resto, in perfetta correlazione con il tipico motivo tettonico a pieghe offerto dalle Alpi e Prealpi Venete. Lo smembramento delle Alpi Carniche in due sistemi diversi e diversamente costituiti non ha quindi ragione di essere. Osserveremo infine che non si esce da queste alternative: o le Dinaridi, e in particolare le Alpi Venete, si vogliono car- reggiate verso sud, come pretende il KoBerR senza darne la benchè minima prova, e la costruzione del TERMIER crolla per intero; o si vogliono carreggiate verso nord, e si urta contro i fatti e le circostanze che subito passeremo ad esporre; o sono ben radicate, come noi riteniamo per fermo, e allora lo sposta- mento del limite alpino-dinarico verso mezzodì rende quest’ul- timo più artificiale che mai, abbandonando senza motivo plau- sibile una linea tettonica — sia pure discontinua e d'importanza limitata e diversa da punto a punto -— per seguire il capriccioso andamento del processo di denudazione. 4. Il preteso carreggiamento dinarico. — Nel cercar di rimettere a nuovo la sua vecchia e ormai abbandonata ipotesi dell’esteso carreggiamento delle Dinaridi verso nord, il TERMIER crede di portare questa volta una prova decisiva: la discordanza interpretata come trasgressione carbonifera nelle Alpi Carniche è per lui una discordanza tettonica, la quale dimostrerebbe la sovrapposizione e la traslazione delle Dinaridi sulle Alpi. La trasgressione carbonifera è a lui nota soltanto nei mo- desti limiti rilevati dal GevER nella sezione pontebbana del foglio Oberdrauburg-Mauthen della Spezial-Karte austriaca: neocarbo- nifero fossilifero sovrapposto ai terreni paleozoici antichi come una placca lunga una ventina di km., dominata dal Gartnerkofel. “Sous le Gartnerkofel et sous la Krone, qui sont des lambeaux. de recouvrement dinariques, le contact de l’Ouralien et de la série paléozoique plus ancienne est un contact anormal, un contact par charriage. Le véritable substratum originel de l’Ouralien carnique ne nous est pas connu , (1). Lasciamo stare la Krone, che a memoria d’uomo non ha mai avuto un coronamento dinarico, ma è sempre stata per (1) TeRMIER, l. c., pag. 1177. pvc N La pi E. RESTA PR RETI, 27 SPARE CECI DIRE 242 MICHELE GORTANI intero carbonifera e non lascia scorgere, nè sotto nè attorno a sè, alcun affioramento della serie paleozoica antica. Quest’ul- tima viene a giorno, in corrispondenza del Gartnerkofel, solo dal lato settentrionale; l’unica “ anormalità , che vi si riscontri è un piccolo lembo di Permiano impigliato fra gli scisti carbo- niferi e i calcari filladici devoniani, facilmente interpretabile come un minuscolo disturbo tettonico locale durante le successive intense piegature. E tutto è qui. Come e perchè siano così perfette e perfettamente ricono- scibili su venti chilometri di lunghezza quelle relazioni di gia- citura che dopo la classica dimostrazione del GevER sono uni- versalmente ritenute modello scolastico di trasgressione tipica; come e perchè, sempre in questo settore, i fossili neocarboniferi più delicati siano conservati perfettamente a contatto imme- diato (1) con i calcari fossiliferi siluriani e devonianij; come e perchè il crestone del Malvuerich (Malurch) sopra Pontebba mostri tutti i passaggi dal calcare devonico alla breccia di trasgressione e al conglomerato del Carbonifero; come e perchè in nessun punto di cotesta estesissima linea di contatto dal M. Lodìn al Rio del Bombaso sian visibili miloniti, nè strutture cataclastiche, nè alcun altro effetto dell’intenso metamorfismo dinamico che dovrebbe avere logicamente accompagnato la tra- slazione delle imponenti masse dinariche (per un minimo di 150 km., secondo le precedenti asserzioni del TeRMIER) sul substrato paleozoico alpino, — tutto ciò conta poco pel nostro autore: ex occidente lux! Delle prove della trasgressione il TERMIER si induce tut- tavia ad ammetterne una; la presenza di conglomerati neocar- boniferi ed eopermici con elementi di calcari siluriani e devo- niani. Cerca allora di conciliare le cose; “ le substratum originel (de l’Ouralien) doit bien étre un substratum plissé, un élément de la chaine hercynienne: de sort que la conclusion de mes devanciers subsiste, quant è l’histoire stratigraphique de la région carnique , (2). Ma è logico che nè i conglomerati dicon (1) A pochi metri dal contatto in corrispondenza del Rosskofel e di Lanza, a pochi centimetri e perfino a pochi millimetri dal contatto in cor- rispondenza dei monti Lodìn e Cima Val di Puàrtis. (2) Termier, l. c., pag. 1177. IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 243 più nulla se vengono da lontane e ignote regioni, nè volere e disvolere insieme puossi per la contraddizion che nol consente. La contraddizione risulterebbe ancor meglio se il TERMIER non si fosse limitato alle conoscenze che sulla catena carnica si avevano or sono vent'anni. L'estensione e il riconoscimento della catena paleocarnica e della trasgressione carbonifera sui più che 100 km. di lunghezza della catena, con prosecuzione ulteriore a oriente e a occidente, sono fatti ormai acquisiti alla scienza, e che cominciano ad avere ripercussione su varie parti della geologia alpina ed extra-alpina. Gli scisti siluriani sono ridotti ai nuclei delle pieghe paleocarniche erose; al Carbonifero trasgressivo appartiene la grande massa degli scisti, prima con- siderati parte integrante del substrato antico e riferiti in parte al Siluriano e in parte al Culm, o tutti al Siluriano; spettano al Carbonifero, almeno in parte, anche le filladi. Soltanto lunghe e pazienti ricerche hanno potuto dimostrare l’unità della for- mazione scistosa e la sua generale giacitura trasgressiva: tanto la massa degli scisti è strettamente connessa con il substrato silurico-devonico, tanto è stata fittamente piegata con esso nei corrugamenti mesozoici e terziari, tanto ha subìto insieme con esso il dinamo-metamorfismo nel versante settentrionale della catena, alla sua estremità occidentale e nella sua prosecuzione ulteriore verso ponente (1). Non è pertanto il caso d’insistere ulteriormente sulle idee peregrine del sig. TERMIER. Aggiungeremo soltanto che una co- noscenza meno superficiale delle Alpi Carniche e della loro let- teratura geologica avrebbe potuto dargli qualche parvenza di prova alquanto più seria. Alludo in particolare all’accavalla- mento del Trias sul Paleozoico, che si riscontra in più punti della linea Pontebbana- alta Fella -alta Sava. Come ho altrove (1) Fino a che tali condizioni di età e di giacitura non furono chiarite, si potè perfino pensare (cfr. Tiumanwn N., Veber den tektonischen Carakter des Paliozoikums der Karnischen Alpen. “ Geol. Rundschau ,, 2,1911, pag. 114) ad una struttura a coltri carreggiate della catena paleocarnica, che si è dimostrata invece una delle più tipiche catene a pieghe. 244 MICHELE GORTANI accennato (1), si ha effettivamente un sospingimento della serie permo-triassica sulle formazioni più antiche dal M. Salinchiét al Rio del Bombaso, al Poludnig e al Kok; la posizione del Trias ritorna poi normale fin oltre la Gailizza, e la dislocazione ricompare nelle Caravanche occidentali (gruppo del Pec) e si riprende nelle orientali a levante di Vellach. Gli esempi più belli di tali sospingimenti sono allo Zirkelspitz (dolomia infra- raibliana su Neocarbonifero) nelle Carniche, e alla Kopa (calcare e conglomerato del Muschelkalk su Neocarbonifero) nelle Cara- vanche occidentali; interessanti sono anche i lembi di Neocar- bonifero laminato, impigliati nella dolomia infraraibliana, che appaiono nel profondo di alcune valli (2). Ma il fatto che i sospingimenti sono nettamente circoscritti e rilegati da tratti in cui le condizioni di giacitura dell'intera serie paleozoico- triassica sono normali, dimostra senza possibilità di dubbio o di equivoco che si tratta di fenomeni locali e limitati: sono anzi essi la più chiara prova della inesistenza del fenomeno generale e su larghissima scala. Viene pertanto ad essere raf- forzata la conclusione di E. Surss (3); non ostante i parziali accavallamenti e slittamenti, manca non solo ogni prova del carreggiamento dinarico sulle Alpi, ma abbiamo anzi le prove che ne dimostrano l’inesistenza. Questa conclusione fa naturalmente cadere senz'altro la ricerca delle radici della “ coltre superalpina , al di sotto delle Dinaridi. Tale ricerca è, del resto, oziosa per noi che — mentre riteniamo col HeRrITscH (4) impossibile una separa- zione tra_facies alpine orientali superiori e inferiori — giudi- chiamo sufficienti i metodi e gli elementi della tettonica clas- (1) Gorrani M., Progressi conosce. geol. d. Alpi Carniche. L. c., pag. 45 dell’estr. (2) Per esempio, nel vallone di S. Caterina (Weissenbach), rel vallone di Malborghetto, nell’alta Fella presso il forte Hensel, nel corso inferiore del rio di Lussari. (3) Suess E., Das Antlit: der Erde. Vol. III, 2, Wien, 1909, pag. 168 (cfr. anche pag. 178). (4) Herirsca F., Die Anwendung der Deckentheorie auf die Ostalpen. II. “ Geol. Rundschau ,, 5, 1914, pag. 287. IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 245 sica anche per interpretare la struttura delle Alpi calcaree settentrionali (1). Pavia, R. Istituto geologico, gennaio 1923. (1) Un esame delle supposte coltri, la cui sdrucitura darebbe origine alla così detta finestra dei Tauri, andrebbe troppo oltre i limiti della pre- sente Nota. Mi limito ad osservare che l’autore non porta alcun fatto nè alcuna considerazione nuova in appoggio di tali ipotesi, che non sono nuove e contro le quali continuano a sussistere le non ancora ribattute obiezioni di valorosi geologi austriaci. E circa l'età da attribuirsi ai prin- cipali movimenti orogenetici delle Alpi Orientali, mi sembra che il TerMIER — prescindendo dalla esagerata applicazione della teoria dei carreggia- menti — dia, per lo meno, troppo scarso peso alle prove positive di ener- gici corrugamenti preterziari, e in ispecie alla trasgressione sopracretacea. Egli sorvola anche qui su fatti accertati, di cui pure era stato segnalato il valore e il significato anche alla luce della teoria dei carreggiamenti (cfr., per es., Heritsca F., Das Alter des Deckenschubes in den Ostalpen. “ Sitzber. Akad. Wiss. Wien ,, I, 121, 1912, pag. 615 e segg.). L’ Accademico Segretario Oreste MATTIROLO E VARA “TI vata DITO > : x “ ° CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 18 Febbraio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. GAETANO DE SANCTIS DIRETTORE DELLA CLASSE Sono: presenti i Soci BaupIr pi VESME, Cran, PACCHIONI, VALMAGGI, Luzio. Funge da Segretario il Socio PRATO. Scusa l’assenza il Socio VIDARI. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 4 febbraio u. s. Il Socio Cran presenta il volume Gli Studi danteschi di Carlo Cipolla (Verona, 1921), offerto in dono dalla Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, che ne ha curato la pubblicazione. “ Egli ne è lieto per più motivi: anzitutto per “ l'argomento che è dantesco, poi per l’importanza sua che è “ grande, e pel nome dell'Autore, ch’egli ricorda come di un “ maestro e d’un amico diletto, che fu decoro di. questa Acca- “« demia. Il volume .raccoglie il meglio dei numerosi scritti sul- “ l’Alighieri, che l’insigne storico Veronese pubblicò sparsamente * durante la sua vita efficacemente operosa, anche nel campo “ delle lettere. La raccolta s’inizia con un saggio giovanile, “ riguardante l’opinione che il Petrarca aveva del valore lette- “ rario di Dante e si conclude con un ciclo di lezioni universi- 247 |“ tarie d’argomento dantesco, trovate fra le carte del compianto “ maestro dell'Ateneo torinese e che basterebbero ad attestare “con quale zelo e con quale profondità di critico Egli adem- “ piesse al dover suo anche dalla cattedra. Fra questi Scritt: “ culmina quello notevolissimo sul Trattato De Monarchia dî “ Dante Alighieri e l'opuscolo De potestate regia et populi di “ Giovanni da Parigi, che vide primamente la luce fra le Me- “ morie della nostra Accademia. Due di questi scritti, su Maestro i “ Taddeo del Branca, hanno un particolare interesse per noi, in “quanto riguardano il Piemonte. “ In generale i saggi, che compongono il denso volume, “hanno quel carattere d’indagine storica, esterna, in forma “d'analisi minuta e a volte minuziosa, che fu proprio della “sterminata attività scientifica dell'Autore. Ma ve n'ha fra “essi alcuni — come quello Di alcuni luoghi autobiografici “ nella Div. Com. — che provano la capacità singolare che Egli “ possedeva anche nel campo delle più fini ricerche psicologiche “ e letterarie. Ognuno di questi Studi reca un contributo più o “meno notevole alla conoscenza e alla critica, così complicata “e ardua, della vita e delle opere dell’Alighieri. Uno soltanto, “ quello Sulla data della morte di Dante secondo Ferreto dei Fer- “ reti, dinanzi alle obiezioni mosse dai dantisti alle sue conclu- “ sioni, non regge e, senza dubbio, il compianto Autore, se “ potesse rivivere, sarebbe il primo a rettificarle in omaggio a & quella verità che ebbe da Lui un culto severo ed austero ,. ‘Il Socio Cran conclude riconoscendo le benemerenze che l'Accademia veronese di Agricoltura, Scienze e Lettere s°è acquistata con questa pubblicazione, pensata e promossa da quell’altro egregio suo concittadino e compianto nostro Socio corrispondente che fu Giuseppe Brapego. Essa non poteva ono- rare in modo più degno Carlo CrPoLLA, recando insieme un pre- zioso servigio agli studi, nel nome di Dante Alighieri. Il Presidente De SancrIs ringrazia il Socio Cran rilevando egli pure la grande importanza dell’opera ed il merito dell'A c- 248 cademia veronese di Scienze e Lettere di averne promossa e curata la pubblicazione. Il Presidente riferisce quindi sui risultati e le decisioni del convegno recentemente tenuto a Parigi, ad iniziativa della Unione Accademica Internazionale, per stabilire le modalità di redazione e pubblicazione del Dizionario del latino medioevale. Dà lettura della relazione presentata dal delegato italiano Prof. Vincenzo UssanI, al Ministro della P. I., alla R. Acca- demia dei Lincei, al R. Istituto Veneto ed alla nostra Acca- demia; e, commentandone con parole di elogio il contenuto, propone si confermi l’Ussani a delegato tecnico dell’Accademia nella commissione per il Dizionario. Propone altresì che si inviti il R. Istituto veneto a prepa- rare per mezzo della Commissione già da esso nominata per i Supplementa Italica Glossari Ducangiani la lista dei testi editi e inediti da presentare a Parigi nel gennaio 1924 e il coordi- namento degli spogli da presentare egualmente a quella sessione. Propone pure che l'Accademia rinnovi, con l’occasione, vive insistenze affinchè vengano finalmente attuate dal governo ita- liano le ripetute promesse di normale finanziamento della nostra delegazione nell'Unione. La Classe approva all’unanimità. Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata, procedette alla nomina della Commissione per il premio Gautieri riservato alla Storia (triennio 1919-1921) e riuscirono eletti i Soci Luzio, PaTETTA, Prato e DE SANCTIS. L’ Accademico Segretario GrovaNnNI VIDARI 249 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 25 Febbraio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. CORRADO SEGRE DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci D’Ovipio, PraNo, Guipi, GRASSI, SoMIGLIANA, Ponzio, Sacco, PocHerTINo e MarTIROLO Segretario. Scusano l’assenza i Soci PARonA, NaccarI e Foà. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che risulta approvato senza osservazioni. Il Presidente comunica all'Accademia la notizia della morte del nostro Socio corrispondente aella Sezione di Fisica, Guglielmo Corrado RonTGEN, avvenuta a Monaco di Baviera il giorno 10 corr. Il Socio PocHETTINO, con brillante evocazione, commemora l’insigne Socio RénteEnN illustrando le grandi e luminose bene- merenze scientifiche di questo fisico il cui nome vivrà eterna- mente legato ad una delle più importanti scoperte della scienza moderna, la quale ha aperto la via ad applicazioni importan- tissime nel campo specialmente della Chirurgia. La bella com- memorazione lumeggia non solo le benemerenze scientifiche di Corrado RoNnTGEN, ma rende doveroso omaggio al carattere di questo scienziato che fu nello stesso tempo esempio preclaro di modestia e di elevato valore morale. Attt della Reale Accademia — Vol. LVIII. 18 250 La commemorazione del Socio PocHETTINO, accolta con plauso unanime dall'Accademia, viene approvata per la pubbli- cazione negli Ati. Il Socio Grassi, ricordando come già fino dal 1896 egli aveva avuto la ventura di servirsi della scoperta del R6nTGEN per localizzare la posizione di un proiettile in un ferito, reduce dall’infausta giornata di Abba Garima, si associa alle parole dette dal Socio PocHETTINo in onore del RoNnTGEN, del quale egli pure ricorda le alte benemerenze. Il Segretario MArTIROLO, nel nome del Comitato per le ono- ranze alla memoria del compianto nostro Socio Icilio GUARESCHI, presenta e fa dono ai Soci di un certo numero di esemplari della pubblicazione testè comparsa nella quale furono riuniti i discorsi tenuti il giorno 20 maggio dell’anno ora scorso, in oc- casione della solenne inaugurazione del ricordo al Prof. Gua- REscHI, e la rivista bibliografica delle sue opere. Il busto, opera egregia dello scultore Gaetano Cellini, venne fuso nel bronzo di cannoni austriaci, all’uopo concesso dal Mi- nistro della Guerra, e inaugurato nell'Aula di Chimica Farma- cologica dell'Istituto fondato dallo stesso Prof. GuARESCHI. Il Segretario riassumendo il contenuto di tale pubblicazione espone sommariamente l’operato del Comitato che, oltre al ri- cordo bronzeo, potè istituire un premio annuo di Lire 1000, destinato agli studenti di Chimica e Farmacia, ed una medaglia di argento da conferirsi, annualmente, allo studente che avrà dato affidamento di miglior profitto seguendo il corso recente- mente istituito di Pratica Galenica. Così il Comitato ha creduto di onorare nel modo più con- sentaneo ai sentimenti del compianto insigne Chimico, la me- moria del GuarEscHI, che l'Accademia nostra si onorò di anno- verare fra i Soci più attivi e benemeriti. Lo stesso Segretario presenta in dono una sua Nota pubblicata negli “ Annali del Giardino botanico di Bruxelles ,, te IT e 9 O E PEA | Me RT E TI TO, ST ELE 79 Dei (ALe 4 = e mil i Lv mt ati entita ii Ie LETO 251 illustrante un interessante fungo ipogeo scoperto nel Congo dal D' Ettore Bovone, Ispettore veterinario del Governo del Congo Belga. Egli fa rilevare le notevoli benemerenze botaniche del Bovone che ha saputo, malgrado difficoltà non lievi, assicurare all'Italia e all'Istituto botanico di Torino, ingenti quantità di materiali vegetali del Congo, i quali furono già in gran parte pubblicati e illustrati, specialmente per quanto si riferisce ad importanti specie nuove di Graminacee. Il Socio Ponzio presenta quindi una sua Nota, Ricerche sulle diossime, che sarà indicata col numero X, in continuazione alle Note precedentemente presentate. La Nota del Socio Ponzio è accolta per gli Atti. Il Socio Naccari fa presentare quindi, nel nome del Socio corrispondente Alessandro AmeRrIo, una Nota che ha per titolo: Variazione diurna della distribuzione dell'energia sul Disco solare. Intorno a questa presentazione prendono la parola i Soci Segre, Guipi e Grassi per richiamare l’attenzione dell’Acca- demia sul diritto che hanno i Soci corrispondenti di presentare Note, direttamente, senza l'intermediario dei Soci residenti, facoltà che, per le condizioni economiche dell’Accademia, il Con- siglio di Amministrazione aveva temporaneamente sospesa (come risulta dal verbale della seduta dell’8 settembre 1920) e che sì spera possa ora riattivarsi in vista delle migliorate con- dizioni del bilancio. Di tale questione si delibera abbia ad occuparsi il Consiglio di Amministrazione che sarà prossimamente convocato. 252 ALFREDO POCHETTINO GUELIELMO CORRADO RONTGEN commemorato dal Socio ALFREDO POCHETTINO Alle ore 9 del giorno 10 di questo mese si è spento in Monaco di Baviera Guglielmo Corrado Roòntgen; con Lui la fisica tedesca, già così duramente provata in questi ultimi tre anni con le morti, susseguitesi in breve volger di tempo, di Voigt, di Riecke, di Rubens, ‘ecc., vede sparire uno dei pochi superstiti . di quella schiera di maestri che aveva così potentemente con- tribuito a dar rinomanza agli studi fisici del suo paese. Nato il 27 marzo 1845 a Lennep in Renania, si addottorò nel 1868 presso l’Università di Zurigo, e fu assistente del Kundt prima in Wirzburg e poi in Strassburgo dal 1870 al 1874, anno in cui conseguì la privata docenza presso quest’ultima Università. Dopo un anno d’insegnamento nella scuola agraria di Hohenheim, fu, nel 1876, assunto quale straordinario di fisica sperimentale nell'Università di Strassburgo e quindi, nel 1879, nominato or- dinario della stessa disciplina nell'Università di Giessen, donde venne successivamente trasferito nel 1888 all’ Università di Wirzburg e finalmente nel 1900 a quella di Monaco. Nel 1901 conseguì il premio Nobel per la fisica e nel 1909 ebbe conferito il titolo di Eccellenza; membro di parecchie Accademie scien- tifiche del Suo paese ed estere, la nostra Lo annoverava fra i suoi corrispondenti stranieri dal 14 giugno 1903. Questo il curriculum vitae di Guglielmo Corrado Réntgen. Il frutto del lungo lavoro scientifico del Ròntgen si trova come sommerso di fronte all'importanza e alla popolarità della scoperta, da Lui fatta, dei raggi che. portano il suo nome; ma sarebbe somma ingiustizia il non ricordare le Sue ricerche an- COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO CORRADO ROÒNTGEN 253 teriori, che, se non hanno avuto nel campo degli studi fisici tanta eco, dimostrano una attività scientifica e una abilità spe- rimentale veramente notevoli, e contengono risultati che, se ora son trascurati nel turbinio della ricerca scientifica moderna orientata verso le speculazioni prevalentemente teoriche oggi di moda, non potranno che riacquistare la importanza loro dovuta quando si ritornerà a considerare al giusto valore tutte quelle ricerche sperimentali che tendono penosamente a preparare il materiale numerico, senza il sussidio del quale qualunque ricerca scientifica sarebbe vana. I lavori.del Ròntgen, estranei ai raggi X, si possono divi- dere, qualora non si segua l’ordine cronologico della loro pub- blicazione, in vari gruppi a seconda dell'argomento trattato. Un primo gruppo riguarda la compressibilità dei solidi e dei liquidi e l'influenza della pressione su le proprietà dei liquidi; tra le numerose osservazioni e le molteplici tabelle che vanno a completare il materiale raccolto dal Grassi, dal Quincke, ecc., ricorderò l’ingegnoso calcolo dimostrante la possibilità di de- durre la compressibilità di un corpo solido da quella delle sue soluzioni; l'ipotesi, accolta poi solo molto più tardi, che nel- l’acqua ordinaria sussista una specie di equilibrio fra molecole di complessità diversa corrispondenti allo stato liquido e allo stato solido, ossia, come diremmo oggi, fra molecole di diidrolo e di triidrolo; la constatazione dell'influenza della pressione su la velocità di inversione del saccaroso, su la velocità della cor- rente osmotica e su la viscosità dei liquidi; e la dimostrazione della non validità delle leggi di Beer e di Lorenz-Lorentz quando si tratti dell'influenza della pressione su l’indice di ri- frazione e su la costante dielettrica di alcuni liquidi. Al Rontgen si debbono ancora alcune determinazioni del rapporto dei calori specifici di alcuni gas con il metodo di Clément-Desormes, nelle quali alcune ingegnose modificazioni dell’aneroide destinato alla misura delle pressioni consentono all’Autore di dare dei numeri che le esperienze posteriori non fecero che confermare. Un altro gruppo di lavori riguarda i fenomeni piezo-attino- elettro-ottici: fondamentali fra essi sono: le ricerche su la biri- frangenza del Quarzo in un campo elettrico; su la piezoelettri- cità del quarzo per torsione e sul fenomeno reciproco, in cui trovasi la constatazione della variabilità del potere rotatorio RAS ERI E POTE o PL RIE 254 ALFREDO POCHETTINO per torsione; su l’effetto Kerr nei liquidi, fenomeno che Egli riesce ad osservare anche in sostanze non perfettamente iso- lanti; in queste ultime ricerche è particolarmente importante lo spostamento delle bande nere, che si ottengono osservando fra nicol incrociati, quando si fa muovere il liquido normalmente ai raggi luminosi e al campo elettrico. Sottili ed acute sono le considerazioni con le quali il Ròntgen dimostra come i vari fe- nomeni, osservati da Hankel e da altri nel quarzo e denominati termo- e attino-elettrici, altro non siano che fenomeni piezoelet- trici provocati dalle tensioni che si destano nel cristallo per ef- fetto di un riscaldamento non uniforme. Nei Suoi studi su la scarica elettrica fra punta e piano è notevole la relazione trovata fra il potenziale minimo e il cam- mino medio delle molecole del gas attraverso il quale passa la scarica; notevole tanto più in quanto che le cognizioni su la conducibilità dei gas erano. allora affatto rudimentali; come pure interessante è la constatazione dell’importanza che, nella formazione delle figure elettriche del Kundt, ha lo strato gassoso sempre aderente ai corpi per adsorbimento. Un altro gruppo importante delle Sue ricerche è costituito da quelle sull’effetto magnetico della convezione elettrica; per primo Egli tenta la ripetizione della celebre. esperienza di Rowland sull’effetto magnetico di una vera corrente di conve- zione quale quella che si ha con un disco conduttore carico rotante, e, dopo molti sforzi, riesce a confermarla. Quindi di- mostra l’effetto magnetico delle correnti di polarizzazione di- elettrica come si ottengono con un disco dielettrico rotante in un campo elettrico dissimmetrico rispetto all'asse di rotazione di quello. I Suoi risultati furono confermati dalle ricerche eseguite molto posteriormente quando sorse la celebre polemica su l’esi- stenza o meno di tali effetti, e chi sa le difficoltà sperimentali con cui si dovette lottare in tali ricerche non può che ammirare 1 risultati ottenuti dal Roòntgen circa venti anni prima. Altre ricerche riguardano, la determinazione del numero di Poisson nel caucciù, l'assorbimento del calore raggiante nei gas, la dilatazione lineare della Cuprite e del Diamante, una modificazione ingegnosa del metodo di Sénarmont per tracciare le isoterme nelle lamine cristalline, l’elettrostrizione dei liquidi, alcune esperienze da scuola, ecc. Non voglio infine passare sotto | i : ì | ST Ul COMMEMORAZIONE: DI GUGLIELMO CORRADO ROÒNTGEN 25 silenzio due altre ricerche interessantissime: una, compiuta con Exner, in cui si tenta una prima misura assoluta della costante solare con un pireliometro a ghiaccio, e una, in collaborazione con Kundt, con cui si dimostra e si misura il potere rotatorio magnetico nei gas e nei vapori. Ma, come dissi, la gloria più grande doveva venire al Ròntgen dai Suoi lavori del 1895 e 1896. Al 1895 erano perfettamente note le proprietà principali dei raggi catodici, grazie agli studi di Lenard; ma erano no- zioni di interesse puramente scientifico. Fu in quell’anno che la scoperta del Ròntgen portò un vero sconvolgimento nella scienza e mise a rumore non solo il campo dei fisici, ma anche la fantasia dei profani in un modo assolutamente raro nella storia della scienza. Non si trattava di una di quelle speculazioni astratte, di quelle concezioni filosofiche che tratto tratto vengon di moda, cui anche il profano tributa ammirazione e fede anche senza capirne niente; si trattava di fatti reali: il giorno 8 novembre 1895 Réontgen aveva scoperto dei raggi capaci di attraversare i corpi più opachi alla luce ordinaria. Quando nei primi giorni del 1896 la stampa quotidiana annunciò la scoperta quasi miracolosa che ‘permetteva di rivelare forma e posizione di corpi estranei nel corpo umano, che permetteva di vedere le ossa muoversi. nel- l'organismo vivente dell’uomo, si ebbe dapprima come un mo- vimento d’incredulità; certo bisogna far astrazione dalle cogni- zioni che or sono in nostro sicuro possesso per comprendere lo stupore di allora. Senza tema di esagerare si può affermare che in quasi tutti i gabinetti di fisica del mondo civile si volle tentare di riprodurre le esperienze del Réòntgen, constatare l’esistenza, vedere gli effetti di questi raggi meravigliosi che permettevano di indagare campi che sembravano dover rima- ‘nere perpetuamente preclusi all’indagine umana. Chi ha fre- quentato dei laboratori di fisica in quei giorni può far fede che un’ansia febbrile di ricerca come quella che si manifestò allora non si vide più, nemmeno quando si annunciò la scoperta della radioattività. Le difficoltà di avere tubi di vetro convenienti e di otte- nere in essi il vuoto necessario per queste esperienze, con i mezzi di cui si disponeva allora, furono grandissime, ma l’ansia della ricerca, la curiosità del pubblico furono tale sprone ai 256 ALFREDO POCHETTINO fisici che in poche settimane cominciarono a comparire le prime note confermanti la scoperta dei nuovi raggi. Così la prima di quelle straordinarie scoperte fisiche, che hanno commosso il mondo scientifico e profano negli ultimi anni, era resa di pub- blico dominio. Certo anche le altre che seguirono questa e ne discesero quasi, più o meno direttamente, non sono meno inte- ressanti ed hanno modificato forse più profondamente le idee e i concetti della Fisica; ma poche, forse nessuna, hanno più pron- tamente e più intensamente colpita l’immaginazione del pubblico. Non era dunque più necessario “ ex morte cognoscere vitam , come si legge nelle vecchie sale anatomiche, ma nella vita stessa studiarne il ritmo e negli intimi penetrali dell'organismo vivente gettare lo sguardo indiscreto dell'indagine scientifica! Come sempre accade, le fantasie lavorarono, e. si intravidero appli- cazioni dei raggi scoperti dal Rontgen in tutti i campi della scienza. Che faceva il Rontgen in questo tempo? Qui è dove la Sua figura ci appare veramente grande: tranquillo, modesto, chiuso nel Suo laboratorio continuava lo studio dei Suoi raggi con rara perseveranza e abilità, tanto che nelle parecchie cen- tinaia di lavori che su questo argomento apparvero nel 1896 nei giornali scientifici, ben poco è contenuto che già compreso non fosse nella prima nota del Réntgen, e per tutto il biennio 1896-97 i laboratori di tutto il mondo scientifico poco assai videro più di quanto Egli non avesse già visto o non andasse vedendo nel continuare l’opera Sua, grande quanto grande fu la modestia del Suo atteggiamento! Uno spirito eccessivamente caustico indusse uno scrittore francese a scrivere a proposito della scoperta del Réntgen le seguenti parole: “ generalmente quando gli scienziati perdono il loro latino nello studio di un fenomeno, battezzano questo con un nome convenientemente greco per far credere alle anime semplici che esso non ha segreti per loro; in questo caso lo stupore fu però tale che dimenticarono di simulare e battez- zarono le nuove radiazioni con il nome di raggi X,. Se c'è un caso in cui la stoccata dell’arguto scrittore non ha ragione di essere è proprio questo: il nome di raggi X fu creato dal Réontgen stesso ad indicare la natura allora misteriosa di queste radiazioni, e la modesta serietà con ‘cui sono redatti i Suoi pur fondamentali lavori su i nuovi raggi mette il loro scopritore ben RR a TT | COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO CORRADO ROÒNTGEN 257 al di sopra di certe satire. Del resto nel campo stesso dei fisici tedeschi il Rintgen non doveva trovare una generale simpatia: si parlò di scoperta casuale, come se la storia della scienza non dimostrasse all'evidenza che quasi tutte le più belle scoperte sperimentali ebbero origine da osservazioni casuali e spesso si verificarono durante ricerche indirizzate a scopo affatto diverso; si affermò che la scoperta del Rontgen era già virtualmente contenuta nelle ricerche di Lenard su i raggi catodici, e che quindi a questo ne spettava il maggior merito. Si. racconta che, in una conversazione in casa di Lord Kelvin, avendo un pro- fessore tedesco proclamato che i raggi X erano già nella mente di Lenard, Stokes, sorridendo argutamente, abbia esclamato: “ Lenard avrà avuto i raggi X nel suo cervello, ma Réontgen li ha mandati fra le ossa della gente! ,. Effettivamente è nel modo con cui lo scienziato accoglie la, vogliamo pur dir casuale, rivelazione di un fenomeno nuovo che si. può stabilire la grandezza del suo ingegno. Rontgen non si dà a voli pindarici nei Suoi scritti, non si preoccupa di dare subito una teoria dei fenomeni osservati, li studia; alla domanda di un intervistatore, poco dopo la Sua scoperta: “ Che ne pensate voi? ,; “Io non penso niente per ora, risponde, cerco ,. E, silen- zioso, in due mesi mette insieme la Sua prima pubblicazione in cui le proprietà fondamentali delle nuove radiazioni sono completa- mente esposte: la loro propagazione rettilinea, la non esistenza di una riflessione e di una rifrazione ordinaria, la loro inomo- geneità rispetto al potere penetrante, la diffusione che subiscono in gas contenenti pulviscolo o nebbie, il loro assorbimento (non proporzionale alla massa attraversata) nei vari elementi e quindi la relazione fra quello e ‘il peso atomico di questi, la loro pene- trabilità attraverso i tessuti molli dell'organismo e l’opacità per ‘ essi del tessuto osseo, le loro azioni chimiche su la lastra foto- grafica e la capacità di destare la luminescenza in varie sostanze, la loro indifferenza rispetto ai campi elettrici e magnetici, sono tutte dimostrate nella Sua prima Nota: Ueder eine neue Art von Strahlen. Nel successivo svolgersi delle ricerche su i raggi X riesce difficile stabilire esattamente la priorità cronologica delle sco- perte delle varie altre proprietà dei raggi Rontgen; molti fatti furono pubblicati quasi contemporaneamente da Lui e da altri, FAB OS TE TA DIRE I RINO ig RE RIOT, AIA 258 ALFREDO POCHETTINO — COMMEMORAZIONE, ECC. ma, dato il metodo di lavoro del Roòntgen, non si può non at- tribuire il merito anche a Lui. Ed ecco nelle Sue note successive dimostrate: l'influenza della natura dell’anticatodo con l’inge- gnoso uso di un anticatodo composito, la distribuzione non uni- forme dell’energia irraggiata dall’anticatodo, l'emissione di raggi X anche sulla parte posteriore dell’anticatodo se questo è di metallo leggero, l'emissione di raggi secondari da un corpo irraggiato con raggi X e finalmente la conducibilità acquisita dai gas attraversati da quelli e la persistenza di essa per qualche tempo dopo cessato l’irraggiamento. Quanta somma di lavoro nelle tre Note del Ròntgen susse- guitesi fra il 1895 e il 1897! Nell'opera Sua avviene qui un ar- resto; il Suo lavoro scientifico non riprende che dopo parecchio tempo con un lungo e magistrale gruppo di ricerche circa l’in- fluenza dei raggi X su la conducibilità elettrica della Calcite, con le quali dimostra che questa conducibilità può diventare fino a 200 volte maggiore con tale irraggiamento, e che, sop- presso questo, non riacquista il suo valore primitivo se non dopo parecchi anni, e cioè con un processo lentissimo che si può accelerare con un aumento di temperatura. Segue un altro silenzio e poi ... ecco la morte! La Fisica non dimenticherà mai come il Réntgen abbia messo a disposizione delle sue indagini più delicate su la strut- tura dei corpi un mezzo di straordinaria efficacia. Non è ancora il caso di considerare quali servigi abbiano portato o possano portare i raggi X nel campo della terapia; ancora troppo lungo è il cammino da percorrere per giungere a risultati sicuramente concreti. Ma basta già l’aiuto che essi hanno prestato e quo- tidianamente prestano nella pratica chirurgica per assicurare alla nobile e disinteressata figura di Guglielmo Corrado Rontgen la gratitudine di quel mondo che, come a pochi è dato di fare, non certo da debitore Egli ha testè per sempre abbandonato. Api LI e A ti da ra AME ti TN ORI I SE GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADKO — RICERCHE, Ecc. 259 Ricerche sulle diossime Nota X del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO e del dott. LODOVICO AVOGADRO Abbiamo detto nella Nota VI su questo argomento (!) che per chiarire la natura dell’isomeria delle due fenilaminoglios- sime C;Hy .C(:NOH).C(:NOH).NH,; non era possibile ricor- rere, come nei casi precedentemente esaminati, all’impiego del tetrossido di azoto. Una soluzione elegante del problema la diamo ora, deducendola dallo studio del comportamento della a e della B-fenilaminogliossima verso l’anidride acetica. Le esperienze più avanti riferite dimostrano infatti che detto reattivo sostituisce sempre due atomi di idrogeno con due acetili, ma facendo agire a freddo l'anidride acetica sulla a-fenilaminogliossima vengono sostituiti un atomo di idrogeno ossimico ed un atomo di idrogeno aminico, risultando il diace- tilderivato CH; . C(:NOCOCHy;). C (: NOH). NHCOCH;; mentre facendola agire, nelle identiche condizioni, sulla B-fenilamino- gliossima vengono sostituiti tutti e due gli atomi di idrogeno ossimico e risulta il diacetilderivato C;H; .C(:NOCOCH;). C(:NOCOCH;). NH;. Trattando poi, alla temperatura ordinaria, . i due diacetilderivati con idrossido di sodio, si elimina da ognuno di essi una molecola di acido acetico, e dal diacetilderivato della o-fenilaminogliossima si ottiene l’acetilderivato del fenilamino- — furazano Oui 2 -NHCOCH | | NOCOCHy NOH CeHs . C ISEE C ° NHCOCH; OE | | N ()- Gazz. Chim..Ital.,,°53, I, 25 (1923). VE VIII SERRA 190 SIATE te] 260 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO mentre dal diacetilderivato della 8-fenilaminogliossima si ottiene l’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo CI, FO See I Il NOCOCHs —NOCOCH; CH; . 0 C I | I 1 = >» - La reazione che dà origine a quest’ultima procede però in due tempi: dapprima, per eliminazione di una molecola d’acqua a spese dell’idrogeno aminico e dell'ossigeno carbonilico vicini, risulta l’acetilderivato dell’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo- (ab,)-diazolo Oil 20 I Ea NOCOCHj NOCO CH; EB LIZA N Bin! CORI I I Î NOCOCH3z N-0— C.CHy il quale viene poi idrolizzato in acido acetico e nell’ossima cor- rispondente CHsg.C-——_—__C N I I Il NOCOCH;. .N—0 —.6.€B, CH: COOH+4 GHg.0 TG N CARRO 3 Il . I NOH N—-0—C.CHy Riscaldando, infine, sia l’acetilderivato del fenilaminofura- zano, che l’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo con acido cloridrico diluito, essi reagiscono con una molecola di acqua, e, formandosi nei due casi una molecola di acido acetico, sì origina fenilaminofurazano CH; . € C. NHCOCH, SS I NICOLO CH; . COOH + C;H; . C C.NH;y +0 (I | N-0-N price RICERCHE SULLE DIOSSIME 261 CHy,. CC N I | I CH; .C00H + C;H; .C C.NH, +HLO Il E Il comportamento verso l’anidride acetica delle due forme della fenilaminogliossima conferma, in modo a nostro parere indi- scutibile, che esse non sono, come vorrebbe la teoria di Hantzsch e Werner sull’isomeria delle a-diossime, isomeri ‘geometrici, e che esse non differiscono fra di loro semplicemente per la posi- zione spaziale degli ossidrili ossimici; bensì pel fatto che nella a-fenilaminogliossima, è due ossiminogruppi non sono equivalenti, poichè uno solo si lascia sostituire l'idrogeno coll’acetile; mentre, nella -fenilaminogliossima, è due ossiminogruppi sono equivalenti, poichè ambedue si lasciano sostituire l'idrogeno coll’acetile. E, riassumendo i risultati delle ricerche da noi fatte sinora sulle a-diossime, crediamo di poter dedurre la regola seguente: quando una gliossima R.C(:NOH).C(:NOH).R, (ove R, può anche essere H od R) esiste in due forme, una labile ed una stabile (ottenibile dalla forma labile per riscaldamento con acido acetico . diluito), queste differiscono fra di loro perchè nella forma labile (da noi detta forma a) i due ossiminogruppî si comportano verso alcuni reattivi come se avessero struttura differente, mentre nella forma stabile (da noi detta forma 8) i due ossiminogruppi hanno il medesimo comportamento verso tutti i reattivi. Rimarrebbe da spiegare come le forme B delle gliossime, le quali secondo noi sono vere a-diossime, diano coi metalli dell'VIII gruppo sali complessi derivanti da due molecole di gliossima per sostituzione di due atomi di idrogeno ossimico, uno per ciascuna molecola, con un atomo di .metallo bivalente; ma quanto abbiamo detto nella Nota I (!) sul modo di forma- zione di tali sali complessi per azione diretta delle gliossime in soluzione acquosa sui metalli compatti, ed esperienze in corso, (4) “ Gazz. Chim. Ital. ,; ‘51, II, 213 (1921). = GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO ci inducono a dissentire dalle opinioni finora accettate riguardo alla loro struttura. £ Anche i dibenzoilderivati delle due fenilaminogliossime che da queste risultano per sostituzione di due benzoili ai due atomi di idrogeno ossimico, offrono un interesse notevole per l’argo- mento del quale ci stiamo occupando. Il dibenzoilderivato della. — a-fenilaminogliossima CyHz.C(:NOCOC;H;).C(: NOCOC;H;).NH, trattato con idrossido di sodio dà contemporaneamente origine, per le reazioni GRFRO ON Salah hp: I I aLe NOCOCHs NOCOC;Hg CH; . C C.NH; I | + 20,H,. COOH N-0—-N Ci 0 CRE I | A30) > NOCOCHj NOCO :CH; CREA: N Î I ai NOCOCGH,j, N— 0 — C. CH o go lissa N } ni, I Il TOT NOCOC;H; N pi O Mia C . CgHy CHs. CC N I I I + C;H;. COOH NOM: N00 He a fenilaminofurazano CgH; .(C$N30). NH, ed all’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo CgHz.C(:NOH).(C,N30).C;Hg; mentre il dibenzoilderivato della £-fenilaminogliossima CgHs. C (:NOCOG;H;). C(:NOCOC;H;). NH; dà col suddetto reattivo. _ contemporaneamente origine, per la reazione i CsHs .C——_—_____C., NHy | | Con NOCOC,H, NOCOC;H; Coll 0 -=€NB | 2 Il + 2CH;s. COOH NOH:-éNOH: 3: RICERCHE SULLE DIOSSIME 263 a R-fenilaminogliossima CH; .C (:NOH).C (: NOH).NHg, e, per reazioni analoghe a quelle scritte sopra, all’ossima del 3-benzoil- | 5-fenil-furo-(ab;)-diazolo CH; . C(:NOH).(C,N30).C5H;. i Però, se dal dibenzoilderivato della f-fenilaminogliossima non si ottiene direttamente il fenilaminofurazano, si può tuttavia arrivare egualmente a quest’ultimo, per successivo riscaldamento dell’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab,)-diazolo con acido clo- ridrico diluito i (Heep N i | i | dan dra CH; C C.NH, Il Il + CeH5C00H N-O—-N precisamente come per ottenere il metilaminofurazano CH;. (C.N30). NH; dal dibenzoilderivato della metilaminogliossima (la quale è una forma 8) CHs . C (: NOCOC;H;).C(:NOCOG;Hg). NH» è necessario passare per l’ossima del 3-acetil-5-fenil-furo- (ab;)-diazolo CHz.€(: NOH).(C,N,0). CH; (1). Ma il metil- aminofurazano risulta anche per riscaldamento con acido clori- drico diluito dell’ossima del 3-acetil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo CH3.C(: NOH).(C$N30).CH; (loc. cit.), ed il fenilaminofurazano risulta allo stesso modo dall’ossima del 3 benzoil-5-metil-furo- (ab;)-diazolo C;H; . C(:NOH).(C,N,0).CHg; per conseguenza resta stabilito un metodo generale di preparazione degli amino- furazani R.(C,N30). NH; il quale consiste nell’azione dell’acqua sulle ossime dei 3-acil-5-alchil (od aril) -furo-(ab;)-diazoli RSA N Î Î I Puri CR NODI N00 R, R:,0 C.NH | ] + R, . COOH LO gra A questo proposito osserviamo-come il comportamento delle ossime dei 3-acil-5-aril-furo-(ab,)-diazoli sia assolutamente di- VIARIO PT (4) Nota VII. VUE x alri ani n cre tec, k È Ti ton 264 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO verso da quello dei loro isomeri 3-acil-5-aminoaril-furo-(ab;)- diazoli R.CO.(C,N,0). NHAr studiati da Holleman (!), da Boe- seken (?) e da Wieland e Gmelin (*). Infatti, per es., mentre l’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo dà per azione del- l’acqua (riscaldamento con acido cloridrico diluito) acido benzoico e fenilaminofurazano, il 3-benzoil-5-aminofenil-(ab,)-diazolo dà, per riscaldamento con idrossido di sodio, acido benzoico e fenil- cianurea, cioè reagisce coll’acqua in questo modo: CHE; . CO. C N +H30__ I I N Fr O Cr C . NHCyH; C;Hz . COOH + C. NH .C. NHCH; Ù | N 0 XXV. — a-fenilaminogliossima C;H;.C(:NOH).C(:NOH). NH; (p.f. 1549). Diacetilderivato C;Hz.C(: NOCOCH;).C(:NOH).NHCOCH,. Si ottiene trattando a freddo la a-fenilaminogliossima con ani- dride acetica in presenza di acetato sodico fuso e cristallizza dall’aleool in aghi appiattiti fusibili a 150°-151° senza decom- posizione. Sostanza gr. 0,1228: N ce. 17,6 a 26° e 724,700 mm. Trovato °%/ NT4508, Per CioHisOgNs calc.: 15,96. È poco solubile in etere; solubile a freddo in ‘acetone; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in cloro- formio; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in benzene; quasi insolubile nella ligroina anche bollente. Agitato con idrossido di sodio al 20 °/, raffreddato con ghiaccio si trasforma poco a poco nell’acetilderivato del fenil- aminofurazano C;H; . (Cy$N30) . NHCOCH; che in parte si idro- lizza poi in fenilaminofurazano C;H; .(C,N30). NH; il - quale (4) “ Rec. trav. chim. ,, 27, 263 (1892). (®) “Ia. ,, 26, 306, 338 (1897) e 29, 277 (1910). (3) Ann. 375, 297 (1910). RICERCHE SULLE DIOSSIME 265 risulta invece esclusivamente facendo bollire il diacetilderivato coll’idrossido di sodio. Dibenzoilderivato CgH5.C(:NOCOC;H5).C(:NOCOC;H;).NH,. Si forma benzoilando con cloruro di benzoile la a-fenilamino- gliossima sciolta nell’idrossido di sodio al 20 °/, e cristallizza dall’alcool in fini aghi fusibili a 189°-190° e decomponibili qualche grado più alto. Sostanza gr. 0,1166: N cc. 11,3 a 24° e 727,060 mm. Trovato °/o: N 10,70. Per Cs3H,70gNg calc.: 10,85. È quasi insolubile in etere, benzene e ligroina anche. a caldo; solubile a freddo in acetone; discretamente a caldo e poco a freddo in alcool ed in cloroformio. Il punto di fusione da noi trovato per questo composto è notevolmente più elevato di quello (176°) dato da Wieland e Semper ('); facciamo però notare che noi l'abbiamo preparato benzoilando la a-fenilaminogliossima pura, ed essi, invece, uti- lizzando le acque madri dell’azione dell’ammoniaca sul perossido della fenilgliossima (fenilfurossano). Lentamente alla temperatura ordinaria, o rapidamente se riscaldato a 100° con idrossido di sodio al 20 °/,, ed un po’ di alcool, si trasforma in fenilaminofurazano e nell’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo. Eliminando l'alcool, diluendo con acqua e lasciando raffreddare, il fenilaminofurazano CH; . (C$N30). NH; si separa cristallizzato; neutralizzando il liquido filtrato con una corrente di anidride carbonica precipita l’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab,)-diazolo CH; .C (:NOH).(C,N:0). C;H; la quale cristallizzata dall'alcool acquoso si presenta in fini aghi fusibili a 148° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1378: N ce. 18,8 a 10° e 726,250 mm. Trovato °/o: N&15:991 Per C,5H102N3 calc.: . 15,84. E solubile a freddo in etere, acetone, cloroformio; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in benzene; quasi insolubile in ligroina bollente. . (!) Ann. 358, 62 (1907). Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 19 266 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO Riscaldata con acido cloridrico al 20 °/, si trasforma len- tamente in fenilaminofurazano; è invece stabile verso l’idrossido di sodio. . XXVI. — f-fenilaminogliossima C;H;.C(:NOH).C(:NOH). NHs (p..f. 195°). Diacetilderivato CH; . C (:NOCOCH;). G (:NOCOCH;) . NH,. Si prepara acetilando a freddo la 8-fenilaminogliossima con. anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso e cristallizza. dall’alcool in grossi prismi fusibili a 133°-134° senza decom- posizione. Sostanza gr. 0,1101: N ce. 15°5 a 13° e 728,440 mm. Trovato °/: NT6L% Per CieH1s04Ng cale.: 15,90. È discretamente solubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in benzene; solubile a freddo in cloroformio ed in acetone; poco solubile in etere; pochissimo solubile nella ligroina bollente e quasi affatto a freddo. Agitato alla temperatura ordinaria con idrossido di sodio al 20°) vi si scioglie in breve tempo completamente, trasfor- mandosi in parte nella gliossima da cui deriva ed in parte nell’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo. Diluendo la soluzione e neutralizzandola con .anidride carbonica i due com- posti precipitano; sospendendo in acqua il precipitato e trat- tandolo con acido cloridrico diluito, la 8-fenilaminogliossima si scioglie e può essere ricuperata aggiungendo al liquido filtrato un eccesso di acetato sodico cristallizzato. L’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo C;Hs . C (: NOH). (C$N30) . CH; che rimane indisciolta si purifica per ripetute cristallizzazioni dall’alcool o dall’acetone, ed allora co- stituisce aghetti bianchi splendenti. Questi riscaldati fondono. a 202°-203° con leggerissima decomposizione in un liquido il quale lasciato solidificare fonde poi a 182°-183°: come diremo più avanti, ha luogo in dette condizioni una isomerizzazione del- l’ossima nell’acetilderivato del fenilaminofurazano C;H;.(C2N30). NHCOCH,. I POT, COTE ee I ME CT PRO CAROTA RICERCHE SULLE DIOSSIME 267 4 Sostanza gr. 0,1145: N ce. 20 a 11° e 741,517 mm. | Trovato °/o: N 20,57. Per CioHs0OgNs calc.: 20,68. È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed in acetone; quasi insolubile in etere, benzene, ‘eloroformio anche a caldo; insolubile in ligroina. È solubile negli idrossidi dei metalli alcalini e iosecaita inalterata per aggiunta di acidi nei quali è insolubile. Riscaldata all’ebollizione con acido cloridrico al 20 °/, si trasforma in fenilaminofurazano come il suo isomero acetilamino- fenilfurazano CH; .(C$N30). NHCOCH;; per contro, a diffe- renza di quest’ultimo, resiste all’azione dell’idrossido di sodio ed è benzoilabile. Trattata a freddo con anidride acetica in presenza di ace- tato sodico fuso dà l’acetilderivato dell’ossima del 3-benzoil-5-metil- furo-(ab,)-diazolo Cg$Hz.C(: NOCOCH3).(C,$N30). CH; il quale cristallizza dalla ligroina in aghi fusibili a 101°-102° senza de- composizione. Sostanza gr. 0,0799: N cc. 11,4 a 9° e 747,916 mm. Trovato 0/o: N 17,07. Per Ci3H0Ns cale.: 7,14. È insolubile in etere, solubile a freddo in benzene, acetone, cloroformio; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ligroina. L’idrossido di sodio anche diluitissimo lo idrolizza con ra- pidità alla temperatura ordinaria, ed è per questa ragione che, per quanto esso sia il prodotto diretto dell’azione dell’idros- sido di sodio sul diacetilderivato della fenilaminogliossima, si ottiene in sua vece l’ossima corrispondente. Sciogliendo l’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo in idrossido di sodio al 10 °/, (!) e trattandola con cloruro di benzoile se ne ha il i CsHg . C (: NOCOGHg) . (C$N:0) . CH; il quale cristallizzato dall'alcool si presenta in lunghi e fini aghi fusibili a 152°-153° senza decomposizione. baite mt. de detti nr uit ia sedi ct e (!) L’idrossido di sodio più concentrato lo trasforma in un sale poco solubile. lubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in benzene; pochis- simo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina ed in etere. GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO Sostanza gr. 0,1080: N cc. 13 a 18° e 729,183 mm. Trovato o: N 13,89. “2 Per C17H1303N3 cale.: 13,68. i È solubile a freddo in cloroformio ed acetone; molto so- Dibenzoilderivato della B-fenilaminogliossima CH; - C(:NOCOC;Hg). C(:NOCOC;H;). NH.. Ottenuto benzoilando con | cloruro di benzoile la f-fenilaminogliossima e cristallizzato dal- l'alcool costituisce prismetti appiattiti fusibili a 185°-186° senza decomposizione. quasi insolubile anche a caldo nei comuni solventi organici. riscaldato verso 100° con idrossido di sodio al 20 °/, ed un po’ di alcool si trasforma in parte nella gliossima da cui deriva ed in parte nell’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo, am- bedue solubili nell’idrossido di sodio. di anidride carbonica esse precipitano assieme; raccogliendole e trattando la loro miscela con acido cloridrico diluito la f-fe- nilaminogliossima CH; . C(:NOH). C(:NOH).NH; si scioglie e si può ricuperare aggiungendo al tiltrato acetato sodico cristal- lizzato, mentre l’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo rimane indisciolta. Quest'ultima cristallizzata dall’alcool acquoso, si presenta in aghetti fusibili a 148° ed è identica in tutte le sue proprietà col composto ottenuto dal dibenzoilderivato della Sostanza gr. 0,1825: N cc. 17,6 a 24° e 727,060 mm. Trovato °/o: N 10,64. Per CssH170,Ns cale.: 10,85. È poco solubile a freddo e pochissimo a caldo nell’alcool; Lentamente alla temperatura ordinaria e rapidamente se VETO REST E PET SET Facendo passare nel liquido, dopo diluizione, una corrente dd cis iride itinere Bitti a-fenilaminogliossima. i Sostanza gr. 0,1152: N cc. 15,6 a 9° e 730,916 mm. Trovato °/o: N15,84.0 i Per C,gHi;0gNy cale: 15,84. ; ad” A ila ea dl alert dice nt RICERCHE SULLE DIOSSIME 269 XXVII. — .Fenilaminofurazano C;H;.C | N—=0.=N Si forma: @) per riscaldamento con idrossido di sodio del di- acetilderivato della a-fenilaminogliossima CsHg . C (:NOCOCH3). C (:NOH) . NHCOCH; e del dibenzoilderivato della stessa CH; . C (:NOCOC;Hg). C (: NOCOC;H;) .NH3;; 5) per riscaldamento con acido cloridrico diluito dell’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo- (ab,)-diazolo C;Hg .C(:NOH).(C,N;0).CHz e dell’ossima del 8-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo C;H;.C(:NOH).(C,N,0).C;H;. Conviene prepararlo facendo bollire per qualche minuto con idrossido di sodio il diacetilderivato della a-fenilaminogliossima ed allora lo si ottiene con rendimento quantitativo. Cristalliz- zato dall’alcool acquoso si presenta in prismetti bianchi; cri- stallizzato dall'acqua in lunghi aghi fusibili a 98°-99° senza de- composizione. Sostanza gr. 0,1926: CO, gr. 0,4217, Hs0 gr. 0,0782. Sostanza gr. 0,1076: N cc. 24,2 a 13° e 730,261 mm. Trovato o: C 59,72 H 4,51 N 26,01. Per C$H70N; calc.: 59,62 4,94 26,08. È poco solubile nell’acqua bollente e quasi insolubile in quella fredda; solubile a freddo in alcool, acetone, cloroformio, benzene; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ligroina. Gli idrossidi dei metalli alcalini, l’acido cloridrico concen- trato, l’acido nitrico 4N, l’acido solforico concentrato non lo alterano neppure a caldo e può essere cristallizzato dalle solu- zioni bollenti dei tre primi e precipitato dalla soluzione nel- l’ultimo per diluizione con acqua. Invece riscaldato con acido nitrico d =1,4 reagisce dopo un po’ di tempo con grande vio- lenza dando acido p-nitrobenzoico. Monoacetilderivato CH; .(C,N30). NHCOCH;. Risulta, come già fu detto, per azione a freddo dell’idrossido di sodio al 20° sul diacetilderivato della a-fenilaminogliossima CH; . C (:NOCOCHy;) . € (:NOH). NHCOCH; e rimane disciolto nel li- quido dal quale lo si precipita con una corrente di anidride carbonica o con acido acetico diluito dopo aver separato colla 270 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO filtrazione un po’ di fenilaminofurazano che contemporaneamente risulta nella sua successiva idrolisi. Si ottiene anche riscaldando per breve tempo con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso il fenilaminofurazano, il che ne dimostra la struttura. Infine si origina dall’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)- diazolo per una interessante trasposizione intramolecolare CH; . C (Upi, i NOD: IN €.)0H, C. NHCOCH; la quale ha luogo istantaneamente riscaldando detta ossima alla sua temperatura di fusione (202°-203°) e non essendo quasi accompagnata da decomposizione dà un prodotto che dopo soli- dificazione fonde senz’altro a 181° (1). ‘In qualsiasi modo preparato il monoacetilderivato del fenil- aminofurazano C;H; . (C$N30) . NHCOCH; cristallizza dall’alcool in aghi splendenti fusibili a 181°-182° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,2050: CO, gr. 0,4465, H.0 gr. 0,0867. Sostanza gr. 0,1300: N cc. 23 a 11° e 727,508 mm. Trovato °/o: C.59,39 —H 4,69 N 20,45. Per C,oHs0OsNs calc.: 59,11 4,43 20,68. È discretamente solubile a caldo e pochissimo a freddo nell’aleool; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ben- zene, etere, cloroformio, acetone; quasi insolubile in ligroina bollente. (4) L’isomerizzazione inversa, di un furazano in un’azossima, è stata osservata da Dodge (Ann. 264, 178 (1891)), il quale per prolungato riscal- damento potè parzialmente trasformare il difenilfurazano in dibenzenil- azossima (3,5-difenil-furo-(ab)-diazolo) CsHy .C (G CeH; CiHs Mo; RE e e e Sa RICERCHE SULLE DIOSSIME 271 Si scioglie nell’idrossido di sodio al 20 °/, e riprecipita inalterato per aggiunta di acidi. La soluzione trattata con clo- ruro di benzoile non dà benzoilderivato; riscaldata all’ebollizione si intorbida dopo qualche minuto in seguito alla separazione di fenilaminofurazano risultante per idrolisi del monoacetilderivato disciolto. Dà pure facilmente origine a fenilaminofurazano per riscal- damento con acido cloridrico al 20 0/0. Diacetilderivato C3H; .(C$N30).N(COCH3),. Si forma fa- cendo bollire a lungo con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso il fenilaminofurazano od il monoacetilderivato di questo. Nei due casi il prodotto della reazione contiene sempre un po’ di monoacetilfenilaminofurazano, facilmente eliminabile perchè insolubile nell’etere di petrolio bollente, nel quale il diacetilfenilaminofurazano si scioglie invece alquanto. Purificato per ripetute cristallizzazioni dall’etere di petrolio si ottiene in grosse lamine lunghe talora parecchi centimetri e fusibili a 71° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,1097: N cc. 16 a 12° e 746,582 mm. Trovato °/o: NE19,18: Per CeHiOgN; cale.: 17,14. È solubile a freddo in alcool, etere, cloroformio, acetone, benzene; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in ligroina; poco a caldo e pochissimo a freddo in etere di petrolio. - Trattato alla temperatura ordinaria con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie lentamente trasformandosi in monoacetil- aminofenilfurazano CgHs; . (C$N30). NHCOCH3; riscaldato all’e- ‘bollizione dà direttamente il fenilaminofurazano, insolubile. Azofenilfurazano CH; . (CaN30) .N:N.(C,N30).GH;. La deidrogenazione del fenilaminofurazano con permanganato po- tassico in presenza di acido solforico o di idrossido di potassio non dà buoni risultati, ed è necessario effettuarla coll’anidride cromica in soluzione acetica bollente. Però anche in questo caso assieme all’azofenilfurazano si forma una piccola quantità di una sostanza che non è possibile eliminare colla cristallizzazione. Conviene per conseguenza sciogliere in etere il prodotto della 272 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRU — RICERCHE, ECC. reazione e trattare con fenilidrazina; in tal modo l’azo si riduce in idrazo, il quale purificato per cristallizzazione dal cloroformio — si riossida nuovamente in azo riscaldandone la soluzione in acido acetico glaciale con anidride cromica. L'azofenilfurazano cristallizzato dall'alcool costituisce lunghi aghi aranciati fusibili a 134°-135° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,0756: N ce. 17,2 a 10° e 725,208 mm. Trovato /: N 26,31. Per C.eH100sNe cale.: 26,41. È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed in ligroina; molto solubile a caldo e meno a freddo in benzene; discretamente solubile nell’etere; solubile a freddo in acetone ed in cloroformio. Idrazofenilfurazano C5Hz.(CsN30).NH.NH.(C,N:0).CHs. Si ottiene trattando con fenilidrazina la soluzione eterea del- l’azofenilfurazano, per il che, alla temperatura ordinaria, esso lentamente si idrogena con svolgimento di azoto. Cristallizzato dal cloroformio si presenta in laminette quasi bianche fusibili a 169° senza decomposizione. Sostanza gr. 0,0726: N ce. 16,2 a 10° e 734,671 mm. Trovato °/o: N 26,14. Per C16H1s0sN; cale.: 26,25. È discretamente solubile a caldo e poco a freddo in cloro- formio ed in benzene; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile in etere; solubile a freddo in acetone; insolubile in ligroina anche bollente. Deidrogenato ridà, come abbiamo detto, l’azofenilfurazano. Torino — Istituto Chimico della R. Università. Febbraio 1923. 4 REN AI FRAME NS ITER ET ALESSANDRO AMERIO — VARIAZIONE DIURNA, ECC. 273 Variazione diurna della distribuzione dell'energia sul disco solare Nota del Socio corrisp. Prof. ALESSANDRO AMERIO Ho intrapresa una serie di misure sull’assorbimento che subiscono, attraverso all'atmosfera solare, i raggi emessi dalla fotosfera, e riferisco su uno dei risultati ottenuti. Nelle mie precedenti Ricerche sullo spettro e sulla tempera- tura della fotosfera solare (1) avevo determinata la distribuzione dell'energia sul disco solare, eseguendo le misure in quattro stazioni, situate a livelli compresi tra circa m. 60 e m. 4560 sul livello del mare. Da esse risultava una debole influenza dell’altezza sulla distribuzione dell'energia sul disco solare, in modo che il rap- porto dell'energia irradiata dal centro a quella che proviene da un altro punto qualsiasi, ad esempio dal bordo, cresce col cre- scere dell’altezza. i In conseguenza, se riferiamo le intensità della radiazione totale che è emessa dai vari punti del disco, a quella che pro- viene dal suo centro, presa come unità, ottieniamo lo specchietto seguente: | Località Livello |Centro| 15° | 30° 45° 60° 9° Mena 00. 67 m.| 1,000) 0,986] 0,946| 0,877| 0,772) 0,609 Mlgpnal i, 1200 , : “ 0,946! 0,876! 0,768! 0,601 Col d’Olen. ...|2900 , È & 0,945) 0,874| 0,767] 0,597 Cap. Reg. Margh. 4560 ,| , , |0,945/0,872/0,764/ 0,594 (1) “ Memorie della R. Acc. dei Lincei,, 1914, 274 ALESSANDRO AMERIO Sono questi risultati, frutto di ben 120 serie concordi, che palesano la variazione con l'altezza della distribuzione dell'energia sul disco solare. La variazione è molto piccola, perchè ammonta solo a 15 su 600 circa, per la posizione di 75°, che è quella in cui, nelle esperienze fatte, si ha il massimo assorbimento; e se il suo piccolo valore (2,5 °) è attendibile, è perchè le serie di misure furono numerose e i loro errori molto piccoli. Una conferma, sopratutto se ottenuta in condizioni molto diverse e che rendessero più cospicuo l’effetto svelato, era de- siderabile. L'occasione si è presentata durante le attuali ricerche sulla radiazione solare, che sto facendo con altri, sulle falde e sulla vetta dell'Aspromonte, per le quali riferirò in altre occasioni. Nell’immediata prossimità della vetta di Montalto d’Aspro- monte, a 1950 m. sul livello del mare, fu costruita una piccola baracca in legno, mediante un fondo straordinario fornito allo scopo dal Ministero della Pubblica Istruzione. Da una sua finestra è possibile ricevere la radiazione so- lare, dal levar del sole fin quasi al tramonto, e qui furono fatte, tra le altre, le esperienze che confermano il risultato visto. La causa dell’influenza dell’altezza, sulla distribuzione del- l'energia sul disco solare, va ricercata nel diverso potere assor- bente dell'atmosfera terrestre sui vari raggi, in relazione colla loro lunghezza d’onda, e nella diversa ripartizione dell’energia negli spettri dei singoli punti del disco. i Infatti l'assorbimento cresce notevolmente con la frequenza della radiazione che si considera, quindi i raggi più rifrangibili nell’attraversare l’atmosfera terrestre subiscono un assorbimento maggiore di quello dei raggi meno rifrangibili; e poichè lo spettro dei vari punti del disco solare è tanto più intenso e tanto più ricco dei primi, quanto più è prossimo al centro, la radiazione è assorbita in proporzione tanto maggiore quanto più il punto che la emette è prossimo al centro. L’assorbimento cresce con lo spessore di aria attraversato, e col crescere di questo lo spettro del centro viene attenuato in proporzioni sempre maggiori, più che non lo spettro di ogni altro punto, e con ciò diminuisce il rapporto fra l’energia che viene dal centro e quella che viene da un'altro punto qualsiasi del disco solare, o anche cresce il rapporto inverso. n Lis cdi Ù VARIAZIONE DIURNA DELLA DISTRIBUZIONE, ECC. 275 Però le variazioni non possono essere molto grandi, perchè da Roma alla Capanna Regina Margherita, situata sulla punta Gnifetti del Monte Rosa, per quanto si abbia un dislivello di 4500 m., non si passa in media che da mm. 754 di pressione a mm. 440, con una variazione di soli 314 mm. su 754, cioè del 40 °/, appena, e se essa è notevole per gli effetti fisiologici, da costringere a sopportare grandi disagi, non può produrre effetti cospicui nelle differenze fra gli assorbimenti di spettri che non sono poi molto diversi tra di loro. Ma se invece si ripetono le stesse misure in varie ore del giorno, si ottengono, per gli spessori attraversati, delle varia- zioni che possono essere molto superiori a quelle che si otten- gono coi dislivelli, specialmente facendole nelle prime ore del giorno, a mezzodì, e vicino al tramonto; e quindi si devono ottenere degli effetti molto più cospicui di quello palesato nelle citate Ricerche. La disposizione sperimentale era la stessa che si trova descritta nella detta Memoria, con piccole modificazioni dovute alla varietà degli strumenti. Un eliostata di Fuess porta uno specchio piano di em. 20 per 16; esso è posto su una mensola sporgente dalla finestra, e manda un fascio orizzontale di raggi solari su uno specchio concavo di un metro di distanza focale, nel quale l'apertura è ridotta a 5 cm. mediante un diaframma; questo specchio lo rinvia su un altro, pure concavo, di cm. 15 di distanza focale, che dà un’imagine reale del Sole su apposito schermo nero. Tutti gli specchi sono di vetro inargentato anteriormente, e l’ultimo è fornito di viti micrometriche che permettono di regolare con molta cura la posizione dell’imagine del Sole sullo schermo. Questo è in ottone, a doppia parete; nel suo centro si apre una finestra di circa cm. 2 per 0,25, e immediatamente dietro ad essa sta la finestrina del mio “ Pireliometro integrale , (1). Sullo schermo sono tracciate, con una punta di compasso, in modo da scoprire e incidere leggermente l’ottone, 11 circon- ferenze del diametro di cm. 10, i cui centri sono sopra l’oriz- (1) “ Rend. R. Acc. Lincei ,, 1918. 276 ALESSANDRO AMERIO zontale che passa pel centro della finestra. Uno ha il centro nel centro di questa; due a cm. 1,29 rispettivamente a destra e a sinistra; due a cm. 2,5, due a 3,54, due a 4,33 e due a 4,83. Quando l’imagine del Sole copre il cerchio centrale, nella finestra del pireliometro entra la radiazione che proviene dalla regione centrale del disco solare; se essa copre il primo cerchio a destra, o a sinistra, entra nel pireliometro la radiazione emessa da una regione che disti di 15° gradi dal centro a sinistra, o a destra. Gli altri cerchi servono per mandare nel] pireliometro le radiazioni che provengono da punti situati a 30°, 45°, 60°, 759, a destra o a sinistra (1). Un buon galvanometro Siemens, a quadro mobile, di tini leggero, molto adatto a queste esperienze, permette le misure delle correnti prodotte dalla pila termoelettrica del pireliometro. ‘ Le misure vennero fatte in due modi: o si prendeva la po- sizione di riposo del galvanometro prima e dopo la lettura della deviazione prodotta dalla radiazione di una data regione del disco solare, e poi si passava a un’altra regione, oppure dopo presa la posizione di riposo del galvanometro, si faceva coincidere l'’imagine del Sole col cerchio centrale e si leggeva la devia- zione corrispondente, indi si portava l’imagine a coincidere successivamente coi vari cerchi prima a destra poi a sinistra per terminare colla posizione centrale, leggendo ogni volta la deviazione del galvanometro, e leggendo da ultimo la posizione di riposo di questo. In questo secondo modo si guadagna tempo, e non si perde sensibilmente in esattezza, perchè gli spostamenti dello zero sono molto piccoli. Dato poi lo scopo speciale di queste misure, nelle ultime serie, limitai l'esame al centro e ai punti situati a 60° e a 759, a destra e a sinistra, per i quali le variazioni dell’assorbimento sono più grandi. Ecco un esempio per ognuno dei modi: (1) Cfr. a questo riguardo la citata memoria. FTT CREA Rat PR SAI DR 679‘0 G8L‘0 £88‘0 196‘0 fi | oGL 009 oGF 008 : pun euI09 BseId 017U99 |Op QUOIZEBIPRI E[]B I[IQuIOJII T10]BA È sp8aS1 Gzsl | vasi A Suo sele est | 0 SCI | 6FIE | SZSI | 00 i S +89 | SOI | IESI | «08 || 689 | VITE | LZSI | 208 o 69 | 020% | UGSI | Sh | vs | 9908 | OBESI | 087 a 8» | 8006 | 0%SI | 09 | w8F | s007 | TESI | 09 È +68 | SI6I | TESI | SL | 80v | 0861 | SII | sz È TO | 861 rasi | «st | 666 | scor | sesti | «e 2 | 067 | IO | SI | 009 | €84 | IO | O8SI | 009 Z ge | 320% | 6ESI | o || TR | ez08 | T8SI | 087 Z 689 | SII | 8691 | «08 | 289 | S'IIE | TSSI | 008 È 619 | SFIZ | PESI | 00 839 | VSIG | 8851 | 0 | 8391 AREE SA I A paro asi ao 00: bt sivutivo auogeuzaog| SPARA | marsa vivaio SA ‘9°809 9QUO18891g ‘TE61 098087 g ‘equowro1dsy,p 09ezuog =) ee) a =; < © Ra (@ Zi 5; D a d - 278 w9S 96 *91JS91199 V19JSOWIFE, ][OP_09UOWIIQIOSSE ] -[9p euorznuttTp VpideI E[]e Oqnaop 2 QuoTZ -BIPYI E|]au gAI9SSO IS eUjo 07uawInEe a]enpeid [] tuoLrzDALISS() GIO) ivi nino PO dt PETE 147) per a et AR in PACO a 069‘0 108°0 G68‘0 #60 6860 oGL 009 067 006 oST : ggiun euro 8seId 017U99 [Pp QuoIzeIipgIi V||e IjIQuIozia 1108 A Reso ore | pISLI | 00 | VIA adi E ATA Te 00 #88 | 8°8Ig oSI NAS MTA ST Li087 | D'GIE 008 giocare 008 VE | 2607 087 C'9E il .61208 oSt 8008 | 0°903 009 0°08 | S°F03 009 POE S'108 99 8° | 008 oSL 8'GG | 60007 081 8'SZ | 800% oSL Lig 608 009 8'63 1407 009 . Ge | 11607 097 L'EsC-| 0408 oSF P:98 | STIE 008 648 | 1607 008 Pali Lee oST 0°98 | 3'0I3 oST 928 | #EIZ 50 #98 | S'òIz | TIZI odiati oorzutaagi "NEAISS |. "avAte8 | savnitieso [louomzetaogi ‘TESIS8. | ‘UEATeB | eavuitteso | 10 QOIZIEOT 0197 QUOIZISOq | QOLZISO ZA QUOIZISO] ‘6809 QUOISSOI] ‘2461 098081 g .‘ojuomordsy,p 07eqguop{ DICELI È DE ci Ssrnesane Li Ì 24 Li pi (0 DI tar tese Di FETI ARESE E FEE RALE _ 10) LEI RIE IEEE. LI i {x __. . - Hi i .- - __ ììÒ44" LE 0 . n 2% Ag 4 = HFEEERHARE = .! bi | SES 3 ED 0 LE ii de to8 i si EHE i E E IESEERESI EER b ERE 4 Bi -. e .. id i sy Ho o _.-. .. i L HR (Lp IR RE are Ha Li mE 1 Le UOeeei FEE -- È si EER i i [ped so] i... EE . i .. si nera EHE FESSREGEERI IH (. Lin H ni i 3) 1 i si sh _ sti H Mespaneza e 1 : ; HRS ii Aasaneaa pi —- È HH FE i: HE i: 1 FERRE (Ida Li ja dattero zgicnRSE Vano SM: ROPRNRA illo tas sr PIERRE STARTER MIN = VARIAZIONE DIURNA DELLA DISTRIBUZIONE, ECC. 281 Le misure venivano cominciate verso le 5" e se ne facevano varie serie di seguito, quindi venivano proseguite negl’intervalli concessi dalle altre ricerche intraprese. Dall’insieme di 34 serie che furono fatte tra i giorni 81 luglio e 4 agosto, durante i quali il tempo si mantenne sereno, ho dedotta la seguente tabella, nella quale sono segnati i valori dell'energia totale irradiata da punti che distino di 60° o di 75° dal centro, riferita alla radiazione di questo presa come unità: Ora 0° 60° TUTO 5h 7m | 1,000 | 0,868 | 0,758. . 520 ; 0,819 | 0,700, 5 37 È 0,810 | 0,692 5 52 5 0,805 | 0,676 6 43 a 0,793 | 0,665 722 3 0,786 | 0,646 Bri 3 0,785 | 0,656 12 16 i 0,788 | 0,688 RARE 0,787 | 0,651 1681./ a 0,789 | 0,659 Se portiamo come ascisse dei segmenti proporzionali ai tempi, e come ordinate i numeri della quarta e della quinta colonna rispettivamente, otteniamo i diagrammi I e II della prima tavola. Essi rappresentano come variino, durante il giorno, i rapporti tra le energie irradiate dai punti considerati e quelle irradiate dal centro. Se invece le ascisse sono proporzionali alle distanze dei punti esaminati dal centro del disco solare, le ordinate sono i ‘ valori della 4, della 5* colonna, e gli analoghi ottenuti per gli altri punti del disco solare, si ottengono dalle curve che rap- presentano la distribuzione dell’energia sul disco medesimo alle varie ore del giorno. Le curve I e II della seconda tavola sono state tracciate per le 5"7" e per mezzogiorno. Esse non sono nulla di assoluto, perchè dipendono dalla località e dalla sta- gione, ma danno più chiaramente, che non le due precedenti, un'idea dell’entità della variazione diurna cercata, che per la posizione di 75° giunge al 18 °/o. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 20 282 ALESSANDRO AMERIO — VARIAZIONE DIURNA, ECC. Come si vede, il risultato conferma pienamente la previ- sione e quindi anche quello trovato con la ricerca precedente. La variazione diurna si manifesta fortemente colle grandi inclinazioni, ed è trascurabile nelle ore meridiane, e perciò non poteva risultare dalle misure fatte al M. Rosa. In queste esperienze fui aiutato dal Dott. Vincenzo Ricca, allora laureando, che divise con me i disagi del soggiorno, e lo ringrazio di cuore. Mi è pure gradito compiere il dovere di ringraziare viva- mente Mons. Mittiga e il Rev. Don Nasso, del Convento di Polsi, che col loro appoggio resero possibile la costruzione della baracca e il soggiorno lassù, provvedendo a tutto il ne- cessario servizio. Esprimo infine la mia gratitudine al Ministero della Pub- blica Istruzione, pel fondo straordinario col quale rese possibile questa ricerca e l’inizio di altre sull’Aspromonte. Messina, febbraio 1923. L’ Accademico Segretario Oreste MATTIROLO 283 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 4 Marzo 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci De SanoTIS, EinAuDI, BAUDI DI VESME, PaTETTA, Cran, VALMAGGI, Luzio, JANNACCONE, VipARI Segre- tario della Classe. i Scusano l’assenza i Soci Prato, PaccHIONI, Mosca. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 18 febbraio u. s. Il Presidente dà notizia di una lettera di ringraziamento inviata dal Socio STAMPINI. Il Socio Luzio presenta per l’inserzione negli Atti una sua Nota, Una fonte mantovana del Guicciardini, e ne illustra bre- vemente il contenuto. Il Presidente si compiace del lavoro. La Nota sarà pub- blicata negli Atte. PINE A o I OI SAT E RR TI O TIA 284 ALESSANDRO LUZIO LETTURE Una fonte mantovana del Guicciardini Nota del Socio nazionale residente ALESSANDRO LUZIO Nell’Appendice finale del suo Machiavelli (III’, 481 sgg.) il Villari ribattè con efficacia le gratuite prevenzioni del Ranke (1) sulla scarsa veracità storica del Guicciardini, additando per primo le luminose prove in contrario, conservate tuttora nell'Archivio familiare del grande scrittore fiorentino. “ Una serie di 12 quaderni di gran formato ... alcuni di poche carte, ma altri (e sono i più) di 30, di 40 e di 50, contiene gli estratti ch’ei fece, ora scrivendo da sè ed ora facendo scrivere, dai principali carteggi degli oratori fiorentini dal 1492 al 1539, così da lettere sciolte originali come dai minutari o registri , (2). Di quegli estratti esistono addirittura tre redazioni succes- sive: la prima tumultuaria, prolissa, sconnessa; la seconda, dis- posta cronologicamente, in forma più stringata; l’ultima, rifusa, coordinata, elaborata stilisticamente. Come nella prima, tenne il Guicciardini nelle due altre sempre sott'occhio gli originali, per ritoccare, espungere, aggiungere qualche particolare; cosicchè lo si può annoverar tra’ primissimi, che inaugurassero “ quel sistema di critica storica seguìto poi dal Varchi e dai due Am- mirato — di porre a base della narrazione documenti auten- ber ec (1) Nello scritto giovanile Zur Kritik neuerer Geschichtschreiber, confu- tato anche dal FuetER, Histoire de l’historiographie, Parigi, 1914, p. 85 sgg. (2) Cfr. la Storia d’Italia di F. G., sugli originali mss., a cura di A. Ghe- rardi, Firenze, Sansoni, 1919, vol. I, p. xLvI sg. MAL Old sia. | Re nei Ae EZRA Val at di catateli Poi dt | UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 285 Di così folta congerie di “ spogli, la monumentale edizione Gherardi della Storia d’Italia ci offre una rassegna diffusa, se. non ancora completa, quanto sarebbe augurabile. Fra le narra- zioni sincrone, ad es., messe a profitto dal Guicciardini, è indi- cata di sfuggita, nel magistrale proemio del Rostagno, una fonte mantovana, che credo utile collocare più nettamente in rilievo, perchè ha un qualche speciale valore per gli avveni- \ menti del 1495: lega italiana contro Carlo VIII, battaglia del Taro.: — Le citazioni testuali del Rostagno sono queste: a) p. Lxxvin: “ la notte de’ 26 di agosto, andando grossa scorta per menare vectovaglia in Noara, dice el Mantuano che 200 h. d’arme e 4 mila svizeri, ecc. — “in Noara era anche el M*° di Saluzo. Quelli di Noara uscivano , ecc. E così per un’altra pagina e mezza, conchiu- dendo: “ Queste cose scrive el Mantuano ,,. b) ibid. “ El Re soggiornato pochi giorni in Asti andò a Turino. Carlo qualche volta andava a solazo da Turino a Chieri, dove, secondo el Mantuano, era innamorato d’una gentildonna , (1). c) p. Lxxx: “ scrive el Mantuano ,, senza precisa designazione di oggetto. Chi era costui, e quale la sua narrazione, consultata dal Guicciardini? Indubbiamente nient’altri che Jacobo Probo d’Atri, Conte di Pianella, autore delle Chroniche del Marchese di Mantoa, edite, di su l’autografo trivulziano, dal Visconti nell’ Archivio storico lombardo del 1879 (p. 38 sgg., 333 sgg.). L’identificazione balza agli occhi evidente, riproducendo i passi delle Chroniche, corrispondenti alle due citazioni precise del Rostagno: a) pp. 67, 334: “ Havuto per spia che la nocte a li XXVI de augusto li franzesi havevano determinato andarli cum 200 homini d’arme et IIII mila alamani et metterli victuarie... El Marchese de Sa- lutio ... se retrovava dentro da Novara , (Vedremo più oltre gli accenni alle sortite degli assediati e alle misure prese per impedirle). (1) Nella Storia d’Italia, p. 150, si legge: “ il Re di Francia, per essere più propinquo a Novara, s'era trasferito a Turino e ancora che spesso an- dasse insino a Chieri, preso dall'amore d'una gentildonna che vi abitava... ,» 286 ALESSANDRO LUZIO b) p. 65: “ Retrovandose Karlo quando a Turino et quando a Cheri innamorato de una bellissima donna da Solero, Anna nominata ,. Il D’Atri non poteva dirsi in realtà “ mantuano , se non d'adozione. Al pari dell’Equicola (storico pur egli di Mantova, ma di maggiori pretese), era il D’Atri un meridionale, che aveva lasciato per la patria di Vergilio la sua, attratto dallo splendore e dalla liberalità della corte gonzaghesca. Le amabili doti di gentiluomo, il versatile ingegno ne’ negozi politici, il gusto per le arti e le lettere, l’intimità col Pontano e col San- nazaro, gli avevan conciliato il costante favore d’Isabella d’Este e di suo marito Francesco (1). Questi lo volle dapprima suo segretario particolare; gli affidò quindi gelose missioni all’estero, segnatamente alla corte francese; lo prepose, con trattamento (diremmo oggi) di pensione, al Vicariato d’un importante paese di confine — Canneto sull’Oglio (2). Quasi tutte le rubriche della corrispondenza interna ed estera dell'Archivio Gonzaga racchiudono lettere e dispacci del D’Atri: pregevoli per abbondanza e curiosità di ragguagli, acume d'osservazione, vivezza di colorito. Scritti da capo a fondo di suo pugno sono parecchi Copialettere riservati: anzi la serie fu iniziata da lui, che tutto compreso della grandiosità degli eventi, a cui aveva partecipato come fido Acate (“ fidel testimonio ,) del suo Signore, premise questa solenne epigrafe latina ai registri del 1495 (3): “ Archana divi Francisci Mantuani Principis et veneti exercitus Imperatoris. Quisquis es non tangas, non legas, non laceres, hujusmodi etenim Principum misteria ob tantam et tanti ponderis molem ad omnes non pertinent. Et hoc a te Jacobus Hadriacus vir a secretis fidissimus jussu Domini sui efflagitat ecc. ecc. ,. — “ Quante majestatis et reverentie iste Codex, in quo secretiora cordis intima invictissimi Francisci Gonziaci ... rescribuntur condunturque nemo est qui nesciet ,. S'inginocchi il viandante come dinanzi all’oracolo di Delfo!... (1) Cfr. nel Giorn. stor. d. Lett. it., XL, 289 sgg., le ampie notizie sul d'Atri, raccolte dal Renier e da me, dissertando della “ Coltura e relazioni letterarie d'Isabella d'Este: gruppo meridionale ,. (2) Cfr. il mio recente volume sull’Archivio Gonzaga, Verona, Monda- dori, 1922, p. 69. (3) L'Archiviò Gonzaga cit., Corrispondenza interna, p. 74. RI no nen ENT TT ESRI, FOOT ME UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 287 Le Chroniche appartengono allo stesso periodo più cospicuo del suo segretariato: furono certamente composte quando Fran- cesco Gonzaga veniva celebrato dalla retorica umanistica come “ vincitor di Fornovo ,; il Mantegna lo effigiava inginocchiato a’ piedi della Madonna del Louvre, predata nel 1797 da’ pretesi sconfitti (1); i medaglisti gli dedicavano plaquettes con scritte osannanti al liberatore d’Italia, al debellatore dell’insolenza « barbarica , (2); quando insomma il Marchese di Mantova aveva ancora dinanzi a sè un superbo avvenire, che la prigionia veneziana del 1509 e il sozzo morbo dell’epoca (3) miseramente troncarono, sbugiardando le predizioni del D’Atri nel magnifi- carlo “ per virtù et per fatale dispositione solo a triumphi et acquistare amplissimi regni destinato ,. L’intento manifesto laudativo, cortigianesco del D’Atri si sfoga però, lode al vero, soltanto nell’enfatica dedica-proemio: la sua Cronistoria è in complesso encomiabile per precisione di date, esattezza di particolari. Frammette qua e là documenti segreti della Cancelleria gonzaghesca: e in qualche fatto culmi- nante, senza accorgersene, sfronda un po’ con ingenue ammis- sioni gli allori del suo eroe ... presentandolo persino in attitudini realistiche ultra-zoliane (4). Testimonianza dunque la sua, diretta, autorevole, sincera: quantunque inedita, ben nota agli eruditi cinquecenteschi, che la. tenevano nel debito conto, dacchè il Giovio ne sollecitava insisten- temente per mezzo dell’Equicola la copia con due lettere del 1522. “ Planellaeque Commentaria meo nomine exigito, ut ille suis lit- | teris officiose facturum pollicitus est,. — “ Planellae comiti meo no- mine dicas me adhuc Commentarios ejus opperiri , (5). % (1) Cfr. il mio studio sulla Madonna della Vittoria del Mantegna, nel- l'’Emporium del novembre 1899. (2) Cfr. Luzio-Renier, F. G. alla battaglia di Fornovo, nell’Arch. st. it. del 1890. (3) Cfr. Luzio-ReNIER, Contributo alla storia del mal francese, nel Giorn. st. di Lett. it. del 1885. (4) P. 67: “ Gli sopragiunse una discorrentia di corpo di mala natura per forma che la signoria de Venetia scripse che se - dovesse levare de campo et andare in qual loco più gli piacesse ad guarire ,. Che fosse tra- volto nella fuga de’ suoi a Fornovo è ammesso candidamente ‘dal D'Atri. (5) Cfr. le mie Lett. ined. di P. Giovio, Mantova, 1885, p. 17 sg. 288 Ta - ALESSANDRO LUZIO Non poteva, ciò posto, trascurarla il Guicciardini, scrupoloso nell’appurare i fatti (1) alle fonti più genuine, per maggior si- curezza de’ personali ricordi, accumulati nella sua lunga espe- rienza diplomatica. I suoi contatti frequenti con la corte di Mantova (2), nel tempo in cui il Marchese Federico resse il bastone di.Capitano generale della Chiesa e della Repubblica fiorentina (3), gli porsero facile occasione di procacciarsi un esemplare delle Chroniche, per spogliarle a suo agio e in qualche punto del II libro della sua Storia valersene, come emerge irre-. fragabile (a me sembra) da’ riscontri che seguono. . Cominciamo dalla battaglia di Fornovo così narrata dal D’Atri (p. 50 sg.): (1) Cfr. nel proemio del Rostagno le pp. cxLv-cL. (2) Si vegga nella Storia d’Italia, II, 307, quanto il Guicciardini seri- veva d’aver saputo — circa la liberazione di F. Gonzaga dalla prigionia veneziana — “ da autore degno di fede e per mano del quale passava allora tutto il governo dello stato di Mantua ,, cioè presumibilmente To- lomeo Spagnoli (cfr. le mie riserve, in Federico G. ostaggio alla corte di Giulio II, nell’Arch. della R. Società romana di storia patria, XI, 512). (3) Nel mio F. Maramaldo, Ancona, 1883, p. 47, è rimasta sepolta una bellissima lettera, scritta dal Guicciardini al march. Federico, da Parma, settembre 1522, quando costui pretendeva il rilascio di soldati indiscipli- nati e predoni. Il Guicciardini rispondeva fieramente al Gonzaga doversi far più conto de’ poveri popoli straziati, e non esser egli disposto a subire ingiuste pressioni, poichè l’onore (testuali parole, nobilissime) “è la più cara cosa che io habbia, e per il quale non ho mai perdonato quando è occorso di méttere in pericolo la roba e la vita ;. Forza morale di sacrificare all’evenienza il suo “ particulare ,, non sarebbe dunque mancata al Guicciardini: ma finì per esser sopraffatto anch'egli dall'ambiente corrotto dell’epoca e dall’inseguirsi catastrofico degli avvenimenti. Gli accadde in fin de’ conti quello che s’avvera spesso in epoche di-grandi commovimenti politico-sociali: che i buoni, disorga- nizzati, intimiditi, abbandonati ciascuno a se stesso e alle proprie sterili querimonie, sì adagiano nell’impotenza, vi teorizzano sù, incapaci di reagire con eroismi collettivi, e temendo quasi il ridicolo di inutili ribellioni indi- viduali. Dal celebre, genialissimo saggio del De Sanctis alle acute, sensate considerazioni, con cui il Faggi ha accompagnato la ristampa de’ Ricordi politici: e civili (per la collezione dell’Utet), molto si è scritto sulla figura morale cel Guicciardini: ma forse si è calcata un po' troppo la mano nel foggiarne un prototipo di freddo e semi-cinico Real politiker, e per una volta tanto imbroccò meglio nel segno il Thiers, col suo giudizio benevolo che più oltre riporto. elite sette Al ee ati An a UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 289 “ Como la fortuna volse..., li Stratiotti greci cupidi de guadagno se levorno da lo ordine loro et voltose a li cariagii de francesi, quali richi et de gran numero erano, attendendo solo a robare non se cu» rorno fare quello gli era stato imposto et per magiore errore li capi» tanei et conductieri italiani 0 per paura o per altra causa non se spin- sero secondo era ordinato et el bisogno rechiedeva, solamente a robare et le fantasie a fugire: successe che li francesi se restrinsero insieme como desperati, conoscendose morti dettero tutti adosso a quelli de Francesco che havevano passato el fiume dil Taro et li amazorno quasi tutti, non possendo retornare indreto essendo cresciuto el fiume per la piogia che in quello instante era supervenuta, per forma che Francesco apena possete reuscire salvo, essendoli morto apresso Rodolpho, Ranutio, Joan Maria da Gonzaga et tutti quelli erano cum lui, da dui o tre in fora. Et per questo molti et infiniti soldati impauriti, anchora che non fossero cazati da persona se ne fugivano et non sapevano dove andare, et Francescho benchè fosse stracho et ultra modo adolorato per il di- sordine seguito et per la morte de tanti valenthomini dil sangue proprio, alevi et servitori soi nobilissimi, non manchando mai dil suo animo ge- neroso subito provide che fece fermare ogniuno et poi li fecie venire ordinatamente al suo loco... ,. Il Guicciardini accetta in tutto e per tutto la versione delle Chroniche, esordendo con una amplificazione dell’accenno all’influsso della fortuna, potentissimo in tutto, ma in ispecie nelle cose militari. Si rilegga la p. 135 dell’ed. Gherardi, e vi sì ritroveranno gli stessi particolari, esposti dal D’Atri, con uguali elogi al valore personale di Francesco Gonzaga, costretto dalla quasi totale disfatta della sua “ compagnia , a ripassare fuggente il fiume rigonfio per la pioggia della notte. Accoglie parimenti il Guicciardini :(p. 149) le riflessioni del D’Atri sulla grande saggezza del Senato Veneziano (p. 59) nei “ fare conveniente dimostratione verso tutti quelli che se . erano ben portati nel facto d’arme... ,. Francesco Gonzaga venne elevato a Capitano generale (1); furono assegnate pensioni “a (1) Una pagina degli “ Spogli , riferita dal Rostagno senza indicazione di fonte (p. Lxxvm) reca tra altre notizie: “a 15 de agosto fu dato a Mantua in campo el bastone, con gran solennità, quale prese (?) el padi- glione della guardia col paramento della camera di Carlo guadagnato a Fornovo ,. Anche questo è un tratto desunto dalle Chroniche, dove leggiamo a p. 64 sg. che il bastone fu dato al Gonzaga nel “ paviglione grande de la 29() ALESSANDRO LUZIO la donna et figlioli de Rodolpho da Gonzaga ,; destinata una dote alle orfane. i “ Secondo il grado de tutti li altri manchati nel conflicto, così gli fo ordinata degna provisione per dare animo ad ogniuno che gli haves- sero ad servire bene et fidelmente ,,. Il Guicciardini discute (p. 129) la dubbia attitudine di Lo- dovico il Moro, che secondato anche da’ Veneziani, avrebbe pre- ferito evitare il grave rischio d’una battaglia; gli uni e l’altro, concorrendo “ nella medesima sentenza che all’inimico quando voleva andarsene non si doveva chiudere la strada, ma più presto, secondo il vulgato proverbio, fabbricargli il ponte d’argento: altrimenti essere pericolo che la timidità convertita in disperazione si aprisse il cammino con molto sangue ,. Identiche frasi aveva usato il D’Atri (p. 52), ma riferibili, più ragionevolmente, all’inseguimento de’ francesi dopo lo scontro. di Fornovo. Gli oratori del Duca di Milano lo sconsigliarono, “ dicendo che assai_gli bastava che li nimici se ne andassero, anzi gli pareva che se gli dovesse fare un ponte de arzento, aciò che cum prestezza sgombrassero el suo terreno et non dargli materia de fermar- segli et farli fare pensiero de magior male ,. La visita di Lodovico il Moro e Beatrice d'Este agli ac- campamenti dell’esercito della Lega e le conseguenti risoluzioni per l'assedio di Novara son così descritte dal D’Atri (p. 60): “ essendo venuto in campo la persona de Ludovico et Beatrice sua mogliere, di novo fo consultato questo caso come cosa importantissima, in la quale consisteva la salute et la ruina de la impresa. Infine fo con- cluso non partirse de là: anci unirse cum le zente ducale che erano a le Megnone et fortificarse bene intorno et tenire bene forniti li lochi lì vicini a la terra et non meno Cammeriana, dove fo mandato el Crasso cum fanti a ciò che quando li franzesi se facessero inanti fosse in suo arbitrio de poterli andare contra et simelmente brusare Bolgari col borgo avante che l’inimici gli havessero andare ad allogiare, però che cum grandissima difficultà se potria tenere ,. guardia, quale tutto era ornato de drappi de velluto cum lettere et ziglii d'oro de la camera del Re Karlo, guadagnati al facto d'arme. Fo celebrata una messa solemne cum cantori et musici electi , ecc. PR SI RETE COSTO nn ene VE PIA N TTT EE T RE TAGLI |. UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 291 Il Guicciardini parafrasa (1) l’intero passo: e s’attiene al D’Atri anche per molti ragguagli sull’ossidione Novarese. “ Havendo visto el Marchese un monasterio de l’ordine de S. Fran- cesco vicino a le mura de la cità essere loco forte et molto al proposito per stringere la terra, a li V de septembrio lo prese et mesegli dentro el conte Karlo de Pian de Meleto cum 200 homeni d’arme et III milla fanti alemani, facendolo incontinente fortificare, che non possesse rece- vere d’alcun lato offensione ... et fo causa sgravare molte factione de mandare zente in diversi lochi per prohibire l’intrare de le victuarie in la cità et venne ad essere serrata la via da quella porta verso il monte di Biandrina, dove più facilmente se posseva intrare... El giorno se- guente essendo andato Francesco al monasterio ... pigliando animo li fanti saltorno suso li repari del borgo de San Nazario et presero el bastione et brusolo; et la nocte ... presero il borgo et l’altro bastione che era in su la porta... et la fornite de gente che venne a reserare la cità, che non posseva uscire nè intrare alcuno. Et il giorno poi es- sendoli andato il Conte de Pitigliano ... gli fo tracto da uno schiop- petto ... non senza periculo de morte ,. Questa pagina del D’Atri (334 sgg.) è pressochè ad litteram incorporata nel testo guicciardiano (p. 154). Dalle Chroniche scaturiscono altresì particolari su quell’in- contro fortuito e fortunato del Commines con un messo manto- vano, che diè luogo ad avances per trattative di pace (2); poi, tutto ciò che concerne la garanzia personale prestata dal Mar- chese di Mantova, costituendosi ostaggio per l’esecuzione leale de’ patti (3). Non voglio attardarmi in altre spigolature (4), parendomi questi i principali riscontri sicuri tra le Chroniche del Marchese di Mantoa e il secondo libro della Storia d’Italia. La fuggevole parte preminente di F. Gonzaga in un momento decisivo delle sorti della penisola spiega perfettamente come l’esattezza e ve- (1) Cfr. p. 151, e la cit. p. Lxxvi del proemio del Rostagno. (2) Chroniche, pp. 57, 333, 339; Storia d’Italia, p. 155. (3) Chroniche, p. 345; Storia d’Italia, p. 156. (4) P. e. il D'Atri nomina un “ Zorzo da Petrapiana homo molto va- loroso et de grandissimo credito fra li alamani , come ottimo duce di fan- terie (p. 62); e il Guicciardini (p. 149) rileva tra’ capitani “ di maggiore nome Giorgio di Pietrapanta ,. 232 ALESSANDRO LUZIO ridicità del D’Atri gli meritassero l’onore d’esser considerato una “autorità , fededegna. Le sue informazioni di prima mano. andarono, tenui rivoli, a confondersi nell’onda maestosa del gran fiume regale della narrazione guicciardiniana. L'uso fatto di questa fonte mantovana risponde invero al metodo generale osservato nell’opera: che s’erge superba costruzione su mate- riale sapientemente scelto e padroneggiato da una mente supe- riore. Checchè tolga da altri, suo è il suggello nell’analisi de’ particolari, nella valutazione de’ fatti e de’ personaggi, nella visione sintetica. Quali elementi a volta a volta influissero nel determinare. il giudizio del Guicciardini, potrà solo scaturire da uno studio delle fonti, condotto con vastità di erudizione, ma sopratutto con fine discernimento e misura. L’aveva promesso il Gherardi e sventuratamente non giunse (forse per essersi indugiato in troppe minuzie, a cominciare dagli asterischi profusi nella sua trascrizione) neanche ad iniziare questa parte più bella, più at- traente del còmpito suo. Mi unisco al valentissimo Carli (1) nell’invocare che altri degnamente la imprenda ed assolva. Il testo genuino datoci finalmente dal Gherardi, dopo tante manomissioni arbitrarie o ciarlatanesche, sfata in molta parte la fama tradizionale della “ illeggibilità , del Guicciardini: giu- stifica invece in tutto e per tutto l’entusiastica frase del Thiers, che riponeva la Storia tra’ bei monumenti dello spirito umano (2). (1) Nella eccellente recensione, pubblicata dal Giorn. st. d. Lett. it., LXXVI, 311 sg. (2) Nel Proemio all’ Histoire du Consulat et de VEmpire (con la data del 1855): il passo in lode del Guicciardini venne tradotto dal Canestrini, preludendo alle Opere inedite di F. G., Firenze, 1857, vol. I, p. xxxv sg. Nella Storia d’Italia celebrava îl Thiers “ une ampleur de narration, une vigueur de pinceau, une profondeur de jugement, qui rangent son histoire parmi les beaux monuments de l’esprit humain. Sa phrase est longue, em- barrassée, quelquefois un peu lourde, et pourtant elle marche comme un homme vif marche vite, mèéme avec de mauvaises jambes. Il connaissait profondément la nature humaine et il trace de tous les personnages de son siècle des portraits éternels, parce qu’ils sont vrais, simples et vi- goureux ,, A onore del Thiers va detto ch’egli aveva promosso con. libe- ralità di mezzi gli studi del Canestrini, vagheggiando per suo conto una Storia di Firenze, quando non s’era ancora deciso pel “ Consolato e l’Im- MO I EEE > arie dii ATI ET TR ©, UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 293 Molte delle sue concioni che agli sfaccendati posson parere vacue esercitazioni retoriche rispecchiano magistralmente le correnti d'opinione dell’epoca: e solo per restare nel secondo libro, che il buon D'Atri mi fornì occasione di rileggere con squisito godimento, la orazione di Guidantonio Vespucci giu- reconsulto famoso: contro la democrazia e le sue degenerazioni (p. 103 sgg.) ha pensieri ed accenti di modernità, anzi di at- tualità, meravigliosi. Certe invettive del 1495 alla vile molti- tudine, a’ pessimi sistemi elettorali in cui i voti “ s'annoverano e non sì pesano ,, a’ demagoghi levati tanto più sugli scudi quanto “ manco sapranno o manco meriteranno ,, parrebbero sfoghi di odierni giornali ultra-conservatori, se la elegante vi- goria dell’attacco e la nobiltà della forma non ci ricordassero sempre che per bocca d’un grande storico parla un fiorentino del più puro Rinascimento. pero ,, (cfr. D. Hanévy, Le Courrier de M. Thiers, Parigi, 1921, p. 163, e la mia recensione nel volume Garibaldi, Cavour, Verdi, ecc., Torino, Bocca, 1923). Conosceva dunque di prima mano anche gli scritti inediti del Guic- ciardini, nel quale esaltava non solo la più sorprendente chiaroveggenza politica, ma anche un gran fondo d’onestà. Nella sua Storia d’Italia domina (osserva il Thiers) “le ton chagrin et morose d’un homme fatigué des innombrables misères auxquelles il a assisté, trop morose, selon moi, car l’histoire doit rester calme et sereine, mais point choquant, parce qu'on y sent, comme dans la sévérité sombre de Tacite, la tristesse de l’honnéte homme ,. L’ Accademico Segretario GrovaANNI VIDARI cOn Lo psi È; RARA ea LI SAN SANI ST MAGRI: Pe », Ai] A tei PE eg e ge | ici ie iii; ei i ae 295 CLASSE DI ‘ SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’11 Marzo 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D’Ovipro, SEGRE, PrANO, Foà, Guipi, Parona, SomigLiaNA, PaNETTI, SAcco, HERLITZKA, PocHETTINO e il Segretario MarTTIROLO, Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, il quale risulta approvato, dopo osservazioni del Socio SEGRE, relative alla facoltà dei Soci corrispondenti a presentare direttamente Note per gli Atti. Il Presidente comunica all'Accademia che il Socio nazionale non residente, Levi Crvira, ha fatto omaggio alla nostra Bi- blioteca del 1° volume delle Lezioni di meccanica razionale da lui pubblicato in unione al sig. Ugo AmaLDI. A proposito di tale dono parla il Socio SomreLiana, facendo notare i meriti di un lavoro che costituisce, specialmente per l’indirizzo scien- tifico col quale è redatto, il più notevole manuale di meccanica razionale apparso in questi ultimi tempi. Il Socio Levi-Crvira sarà convenientemente ringraziato. Il Socio PocHETTINO presenta per gli Atti una Nota del Prof. Felice GarELLI dal titolo: Formazione di solfuri, seleniuri, Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. Dal 296 tellururi di alcuni metalli. Composti del rame, Nota 1, la quale viene accolta per la pubblicazione. Il Socio Guipi presenta quindi una Nota dell'Ing. Ottorino Sesini, Sul calcolo approssimato dell'influenza dello versa di taglio | sulla deformazione dei prismi inflessi. La Nota dell'Ing. Sesini viene accolta per gli Atti. Dopo alcune osservazioni del Socio Gurpi sui caratteri tipografici greci usati nella stampa di argomenti matematici, l'adunanza è dichiarata sciolta. FELICE GARELLI — FORMAZIONE DI SOLFURI, ECC. 297 LETTURE Formazione di solfuri, seleniuri, tellururi di alcuni metalli. I. — Composti del rame. Nota preliminare di FELICE GARELLI Presentata dal Socio nazionale residente A. Pochettino Da molto tempo era noto che si possono ottenere piccole quantità di solfuri metallici facendo agire direttamente lo zolfo su talune soluzioni saline. L'osservazione più antica in proposito è quella fatta da W. Wicke (L. Ann., 1852, vol. 82, pag. 145). Questi, mettendo in una soluzione satura di CuS0O,, a tem- peratura ordinaria, un pezzo di zolfo avviluppato da un filo di rame ben terso, vide, dopo qualche tempo, lo zolfo ricoperto, nei punti di contatto col rame, di un rivestimento cristallino costituito da un solfuro di rame di color indaco. Pochi anni dopo, nel 1860, il Parkmann (J. B., 1861, pag. 126) otteneva rapidamente a caldo la formazione di solfuri di rame per azione dello zolfo sulla soluzione di sali rameici, in presenza di un ri- ducente (SO? o SO4Fe). Risulta quindi una differenza caratte- ristica di comportamento fra i sali rameosi ed i rameici. Ciò venne confermato da successive esperienze di Vortmann e Padberg ‘ (Ber. 22 (1889), pag. 2642) ed altri. Sembra ‘invece che soluzioni acquose di altri sali metallici (Mn, Fe, Ni, Co, Zn, Cd) non siano alterate per ebollizione con zolfo (Senderens e Filhol, “ Bull. Soc. Chim. de Paris , [2] 6, 1891). Però il comportamento di queste stesse soluzioni con lo zolfo, in presenza dei rispettivi metalli, non fu ancora speri- mentato. Dopo i vecchi lavori testè citati, null'altro si trova nella letteratura scientifica intorno a questo argomento che meriti 298 FELICE GARELLI di venir ulteriormente studiato. Anche per quanto riguarda la reazione tra i sali rameici e lo zolfo in presenza di rame non ho trovato descritta nessun’altra esperienza oltre a quella fatta da più di settant'anni da Wicke, e tanto meno alcuno, che io sappia, ha pensato di assoggettarla ad uno studio quantitativo. Le ricerche che comunico in questa Nota preliminare furono istituite appunto nell’intento di meglio studiare le reazioni fra lo zolfo e soluzioni di sali metallici in presenza dei rispettivi metalli e di estenderle altresì al selenio ed al tellurio. Per ora comunico le esperienze fatte con le soluzioni rameiche. Ho anzitutto ripetuto l’esperienza di Wicke e posso con- fermarla pienamente. Mettendo un bastoncello di zolfo, avvolto con filo o lastrina di rame ben tersi, in una soluzione piuttosto concentrata di solfato o nitrato di rame e lasciando il tutto in riposo a temperatura ordinaria si osserva, dopo poche ore, la deposizione sullo zolfo di un rivestimento nero bluastro. Il se- dimento che si forma e che, dopo alcune settimane, acquista un certo spessore, aderisce assai energicamente al bastoncello di zolfo, onde riesce difficile staccarlo. Ho trovato poi che la trasformazione del rame in solfuro viene accelerata se si impiega zolfo in polvere e tornitura di rame, agitandoli fortemente entro soluzione concentrata di sol- fato o di nitrato di rame. Così, mettendo in bottiglia chiusa 50 cm3 di soluzione di solfato di rame cristallizzato al 10 %/, un grammo di tornitura di rame, un grammo di zolfo in pol- vere e scuotendo energicamente in apparecchio d’agitazione, si osserva, dopo circa 10 ore, che tutto il rame si è trasformato in polvere amorfa, nero-azzurrognola, frammista a polvere di zolfo. Estraendo, con solfuro di carbonio, lo zolfo in eccesso ri- mangono esattamente un grammo e mezzo di un composto che ha tutti i caratteri del CuS amorfo e che all’analisi effettiva- mente risultò contenere un atomo di rame per uno di zolfo. Ma, volendo preparare rapidamente notevoli quantità dei solfuri di rame, è d’uopo operare a caldo. Io ho proceduto nel modo seguente: In un dato volume di soluzione acquosa titolata neutra di sclfato rameico ho introdotto rame metallico e zolfo polverizzato (è bene impiegare zolfo romboedrico polverizzato, tutto solubile in CS,, in luogo di fiori di zolfo, appunto per IST, TER (0 SO CEI AA ATE PRE Î. î1 TO GA, Mia . Mise FORMAZIONE DI SOLFURI, SELENIURI, TELLURURI, ECC. 299 poter poscia facilmente asportare l’eccesso di zolfo) e feci bollire in apparecchio a ricadere. Il metallo si discioglie rapidamente, il liquido annerisce, si intorbida e si depone un precipitato nero. Con 5 grammi di rame (ritagli di sottile lamina) e 2,62 di zolfo cristallino polverizzato, in 100 cm di soluzione titolata di solfato di rame (quella stessa del liquido di Fehling), si ottiene la soluzione completa del rame in tre a quattro ore di vivace ebollizione. Filtrando si separa un precipitato che, lavato ed essiccato, risultò avere una composizione prossima a CuS. calcolato È per CuS SINIS 1 gr. conteneva gr. 0,6364 di Cu e Cu 0,6646 i gr. 0,3590 di S S° 0,3354. i La soluzione di solfato di rame in seno alla quale si fece avvenire la reazione, non cambia invece la sua composizione. In- fatti, 25 cmì di soluzione di CuS04 contenevano: prima dell’esperienza gr. 0,2260 di Cu dopo l’esperienza ‘©, 0,2238 «, Le E PI OTT Se vuolsi ottenere rapidamente il solfuro CuS è bene ope- rare con un leggero eccesso di zolfo. Per es., avendo fatto bollire per due ore, a ricadere, 5 grammi di tornitura di rame con 3 grammi di zolfo (il teorico per CuS è gr. 2,622) ottenni un precipitato del peso di 8 grammi dal quale il solfuro di car- bonio asportò esattamente gr. 0,48 di zolfo lasciando gr. 7,52 di residuo della seguente composizione: ui E CR PE O IO E TT trovato calcolato è a e Cu °/o 65,82 66,46 SR 33,10 33,54. Anche in questa seconda prova l’analisi della soluzione di solfato di rame, prima e dopo l’ebollizione, dimostra che essa non subisce alcuna sensibile variazione. Impiegando la soluzione di nitrato rameico invece di quella del solfato, la trasforma- zione completa del rame metallico in solfuro avviene anche più rapidamente. 300 FELICE GARELLI Per preparare il solfuro rameico CuS basta adunque far bollire una soluzione acquosa neutra di solfato o nitrato rameico e introdurre in essa del rame metallico e zolfo nei rapporti dei loro pesi atomici: meglio eccedere alquanto nella proporzione di zolfo, che, ultimata la reazione, si può togliere agevolmente a mezzo del CS,. Continuando ad aggiungere, ad intervalli, al liquido bollente del rame man mano che esso si trasforma, nonchè lo zolfo nel rapporto stechiometrico, si possono preparare quantità notevoli di CuS. Per evitare i sussulti, dovuti al pe- sante precipitato che si accumula al fondo, è preferibile fare il riscaldamento in corrente di vapor acqueo. Ho così, in poco tempo, ottenuto un centinaio di grammi di solfuro rameico, di notevole purezza, in forma di finissima polvere nera con riflessi color indaco. Siccome il solfuro rameico serve come materia colorante, ed impastato con olio di lino cotto fornisce vernici nero-grigio, azzurrognole, di forte potere ricoprente, così il semplice metodo di preparazione del CuS che io propongo, potrà torse ricevere applicazione nella tecnica. Preparazione del Cu,S. — Con lo stesso metodo si ot- tiene il solfuro rameoso: basta introdurre nella soluzione del sale rameico i due elementi nei rapporti stechiometrici. 5 gr. di tornitura di rame con 1,36 di zolfo in 100 cm? di soluzione di solfato di rame si sciolgono completamente dopo circa tre ore di ebollizione continua in apparecchio a ricadere. Il precipitato, dopo essiccamento, pesava gr. 6,3, e fornì all'analisi i seguenti risultati : trovato % calcolato per CusS Cu 79,42 79,87 S 20,32 20,13. Il solfuro rameoso ottenuto è amorfo, in polvere nera, grigio-scura. Aggiungo che la trasformazione per lo meno parziale del rame in composti solforati si compie già, molto lentamente, anche per ebollizione del metallo con. zolfo cristallino, in pre- senza di acqua distillata e, meglio, di acqua acidulata con HsS0,. FORMAZIONE DI SOLFURI, SELENIURI, TELLURURI, ECC. 301 Rame e selenio. — I seleniuri di alcuni elementi (Ni, Co, Fe, Cd, Hg, As) vennero preparati dal Berzelius e dal Little (L. Ann., vol. 112, pag. 213, anno 1859) scaldando il selenio col metallo a temperatura più o meno elevata, o facendo pas- sare il vapore di selenio sul metallo caldo (CuSe). Altri vennero ottenuti per via umida: ad es., facendo gorgogliare corrente di SeH, in soluzioni di SnCl, o di BiClz o di SO*Cu, si hanno ri- spettivamente precipitati amorfi probabilmente della formola SnSe,, BisSez, CuSe, ecc. Parkmann (l. c.) trovò che il selenio rosso non reagisce con soluzione di solfato nè di acetato rameico, mentre si ottiene un precipitato nero se la soluzione di solfato è contemporanea- mente trattata con SO,. Era quindi probabile che, rispetto alla soluzione di sale rameico in presenza del metallo, il selenio si comportasse in modo analogo allo zolfo, e tale previsione risultò confermata dalle mie esperienze. Esse dimostrano che è assai facile preparare specialmente il CusSe allo stato puro, amorfo o cristallino e che è altresì possibile, variando le condizioni, di ottenerè del Cuz3Se, e del CuSe. I. — Mettendo in bevuta contenente soluzione di solfato di rame cristallizzato al 10 °/, delle sottili laminette di rame e su di esse adagiando della polvere di selenio, sia rosso, amorfo, come nero metallico, nei rapporti stechiometrici di 2 atomi di Cu per 1 di Se, lasciando il tutto a temperatura ordinaria per alcuni giorni si vede la lamina di rame assottigliarsi, sgre- tolarsi e sparire per ultimo, completamente, lasciando cri- stallini assai minuti, nero-verdastri, con lucentezza metallica. A temperatura ordinaria la reazione è ultimata dopo 7-8 giorni: vien alquanto accelerata a 40°-50° C. Gli aggregati cristallini separati meccanicamente dalle minuscole pagliette di rame ancora presenti e da traccie di polvere amorfa, si sciolgono fa- cilmente nell’acido nitrico caldo, e la determinazione del rame e del selenio fornì i seguenti risultati: trovato % calcolato per CusSe %/ Cu 61,90 61,61 Se Jo racon.0o 38,39. i. a na e f mi TIME TIR Ta NI e I ITA I SIRO 302 FELICE GARELLI All'esame microscopico il prodotto appare costituito da ag- gregati monometrici con faccie ottaedriche, ma non completa- mente sviluppate. La composizione chimica corrisponde, come si vede, a quella della Berzelianite, il minerale di selenio e rame che si trova raramente in natura. L’analisi dei seleniuri di rame riesce difficile perchè la separazione del rame dal se- lenio, con i consueti metodi, è ben lungi dall’esser netta (Vedi anche Tradwell, Analisi chimica quant., II* ediz., pag. 245). Il dottor Angeletti, che ha studiato in questo laboratorio per mio incarico la questione, ha trovato che la separazione riesce ab- bastanza bene precipitando il rame con il Cupferron. Anche in questo caso l’analisi della soluzione di solfato di ‘rame prima e dopo l’esperienza dimostra che la concentrazione della soluzione che serve da liquido elettrolita, rimane inalterata. II. — Avvolgendo in sottile lastrina di rame un grosso frammento di selenio metallico cristallizzato, in modo che il me- talloide sia in grande eccesso rispetto al rame, immergendolo poi in soluzione di solfato rameico e lasciandovelo per qualche giorno alla temperatura di 40° C., si vede il frammento di se- lenio disgregarsi rapidamente ed originarsi concrezioni nerastre, con lucentezza metallica e riflessi rossi violacei, mentre il rame sparisce completamente. Al microscopio non si osservano cri- stalli completamente sviluppati. L'analisi del prodotto separato, per quanto è possibile meccanicamente, dall’eccesso di selenio, fornì i seguenti risultati: f calcolato per trovato Cu,Se CusSes CuSe Cu °/o 51,2 61,61 54,63 44,49 Se %/o 48,3 38,99 45,37 55,01. Si direbbe quindi che il prodotto ottenuto in questa espe- rienza sia prevalentemente costituito da sesquiseleniuro CugSes, o seleniuro rameoso rameico CusSe.CuSe. In natura trovasi, assai raramente, un minerale, detto Umangite, di questa composizione. Con altre esperienze spero di riuscire a stabilire le condi- zioni necessarie per ottenere questo seleniuro in luogo del CusSe. III — Operando all’ebollizione si ottengono invece i se- leniuri amorfi CusSe e CuSe quasi altrettanto facilmente come 1 solfuri di rame. ta ti atei An a fe ict Rea red fdt Mi iii apnttatiitc “ Mega FORMAZIONE DI SOLFURI, SELENIURI, TELLURURI, ECC. 303 Facendo bollire in apparecchio a ricadere 1 gr. di rame (2Cu) e 0,65 di selenio (Se) in soluzione di solfato rameico al 10 °/o, si ha dopo qualche ora la trasformazione quasi completa delle lastrine di rame in un precipitato pulverolento, nero verdastro, in gran maggioranza costituito da Cu,Se. Rimangon tuttavia minuscole particelle di rame mescolate con la polvere di sele- niuro ed è difficile toglierle tutte con le pinze. Ciò spiega l’ec- cesso di rame trovato nell’analisi dei prodotti forniti in due esperienze: trovato © I prova II prova calcolato per CugSe Cu °/o 64,71 62,95 61,61 Se , 35,29 36,50 38,99. IV. — Se invece si ripete l’esperienza con un grammo di rame (Cu) e 1,30 di selenio (Se), si ottiene una polvere nera, molto simile alla precedente nell’aspetto esterno, che all’analisi fornì i seguenti risultati: trovato calcolato per CuSe Cu %o 42,65 44,49 Se , 56,30 55,51. Fin'ora non sono riuscito ad ottenere a freddo, in aggregati cristallini, il composto CuSe. Rame e Tellurio. — Un tellururo di rame, probabilmente della formola CusTe, fu ottenuto da Berzelius ed in seguito da Margottet per unione diretta degli elementi a caldo. Puskin (C. B., 1907, I, 1726) ha dimostrato l’esistenza dei composti Cu,Te e CuTe studiando il potenziale elettrolitico della pila Cu SO*Cu|CuTe. Il Chikasigé ha descritto il com- pleto diagramma di stato del Cu e Te, e da esso appare pro- babile la formazione dei due composti CusTe e Cu,Te. Parkmann (1. c.) ha trovato che il Te non precipita le soluzioni di SO4Cu anche dopo lunga ebollizione, mentre precipita quelle di acetato rameico. Se invece, nella soluzione di solfato di rame, all’ebol- lizione, si fa gorgogliare dell’SO,, il tellurio vi forma un pre- cipitato che ha, probabilmente, la composizione CuTe. 304 FELICE GARELLI — FORMAZIONE DI SOLFURI, ECC. Dalle mie esperienze risulta che anche il tellurio precipita a freddo dalla soluzione di solfato di rame dei tellururi di varia composizione se vi è in presenza del rame metallico. In una provetta contenente soluzione di solfato rameico al 10°/ introdussi un bastoncello di tellurio metallico, avvilup- pato con sottile lastra di rame. Lasciando la provetta a tempe- ratura ordinaria, e meglio a 40°-45° C., si nota un rapido disgre- garsi del metalloide. La bacchetta si frantuma in frammenti grossolani, mentre il rame metallico scompare e lascia il posto ad una polvere nera. Il bastoncello di tellurio pesava gr. 4,835, il rame che l’avvolgeva gr. 0,82. Dopo 5 giorni il rame era com- pletamente scomparso ed il tellurio ridotto in frammenti gros- solani. Separando questi con pinza e filtrando e lavando, rimane una polvere nera di minuti cristallini con riflessi metallici neri violacei, del peso di gr. 1,28. La soluzione di solfato di rame in seno alla quale è avvenuta la reazione non cambia la sua con- centrazione. L’analisi della polvere fornì i seguenti risultati: trovato calcolato per Cu,Te Cu 64,06 66,66 Te 35,34 33,34. In altra prova, mettendo in presenza una maggior quantità di rame (e precisamente gr. 1 di Cu e gr. 2 di Te), ottenni dopo 6 giorni a temperatura ordinaria una polvere minuta, nera, ap- parentemente amorfa, che, liberata dai frammenti di tellurio e da qualche pagliuzza di rame inalterati, sembra abbastanza omogenea, ma che, probabilmente, è una miscela di diversi tel- lururi. Infatti l’analisi fornì i numeri seguenti Cu = 39,3 °/o, Te = 60,2 °/,, mentre per il composto CuTe si calcolerebbe Cu= 33,16 °/, e Te = 66,84 0/0. Ulteriori esperienze diranno se è possibile ottenere, per questa via, allo stato puro, composti binari ben definiti di rame e tellurio e trovare il metodo per isolarli. Torino, Istituto di chimica tecnologica del R. Politecnico. _r___—___——t —_____-- OTTORINO SESINI — SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 305 Sul calcolo approssimato dell'influenza dello sforzo di taglio sulla deformazione dei prismi inflessi Nota dell’Ing. OTTORINO SESINI Presentata dal Socio nazionale residente Guidi I punti dell’asse geometrico di un solido prismatico elastico ed isotropo, sollecitato a flessione e taglio secondo un piano di sollecitazione che supponiamo sia piano di simmetria del solido, subiscono degli spostamenti che possiamo idealmente scomporre in una parte dovuta alla flessione, ed in una che attribuiamo allo sforzo di taglio. Di quest’ultima si tiene conto nei trattati di “ Scienza delle Costruzioni , per mezzo di formule approssimate, che si deducono uguagliando il lavoro delle forze esterne, supposte applicate in punti dell'asse geometrico, al lavoro di deformazione del sistema, «ed ammettendo che nelle sezioni normali le tensioni tangenziali siano dirette parallelamente all’asse di sollecitazione ed unifor- memente distribuite su ciascuna corda parallela all'asse neutro. Chi ponesse a confronto i risultati che così si ottengono, con ‘quelli che, per alcuni casi particolari, vengono comunemente dati nei trattati di “ Teoria dell’Elasticità , come risultati della risoluzione rigorosa del problema di Saint-Venant, sarebbe indotto ad attribuire al primo metodo un grado di approssimazione molto basso, assai minore di quello che, colle stesse ipotesi, si ha nella determinazione delle tensioni tangenziali. Ad esempio, per un cilindro circolare di sezione A e lun- ghezza /, vincolato ad una base e sollecitato sull’altra da una forza T, normale all'asse, se G è il modulo d’elasticità tangen- 306 OTTORINO SESINI ziale e supponiamo che il coefficiente ” di Poisson sia uguale ad +, le freccie f, dovute al taglio, risultano: ? ; SIIT 7 (n 4 colla Teoria dell’Elasticità fi=<=—-4-; o GA col metodo della Meccanica Tecnica: f*= Da 0; , rapporto : - = 1,26; mentre le tensioni tangenziali massime sono rispettivamente: / Tisede ren Li Tina Tmax = 3 5 Tmax = 3 45 rapporto: =" =05% CS Scopo del presente studio è quello di provare che per la determinazione delle freccie, il metodo della Meccanica Te- cnica dà, nei casi comuni, risultati assai più attendibili di quanto il confronto ora fatto lascerebbe supporre. A tal uopo bisogna osservare che per procedere ad un con- fronto fra le freccie ottenute coi due procedimenti di calcolo, è necessario anzitutto esaminare le ipotesi di vincolamento del - solido agli assi cartesiani di riferimento, che i calcoli stessi pre- suppongono. La freccia data comunemente nei trattati di Teoria della Elasticità è lo spostamento del baricentro della base libera, quando il solido sia vincolato in modo che la base vincolata si mantenga tangente nel suo baricentro agli assi x ed y, e l’asse y rimanga pure tangente ad una linea segnata sulla base stessa. In tal modo, dato che l’asse y, verticale e positivo verso il basso, giaccia nel piano di sollecitazione, l’asse del solido inflesso viene a formare all’origine coll’asse 2 un angolo uguale al valore che lo scorrimento Yy: (!) assume in tale punto; questa inclinazione è anzi la causa di quella parte di freccia che si attribuisce allo sforzo di taglio. Con questo riferimento, che indicheremo con a), le forze che dobbiamo supporre applicate alla base vincolata del prisma eseguiscono, durante la deformazione, un lavoro che general- (4) I simboli sono quelli usati dal prof. G. Colonnetti nei Principî di Statica dei Solidi Elastici. nf ra SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 3807 mente non è nullo. Tale vincolamento non coincide quindi con quello ammesso nel metodo della Meccanica Tecnica, il quale, uguagliando il lavoro di deformazione a quello eseguito dalle forze applicate alla base libera del prisma, suppone implicita- mente un vincolo così fatto da annullare il lavoro complessivo eseguito dalle forze applicate all’altra base. Le differenze che si riscontrano non sono perciò da attri- buirsi soltanto all’inesattezza del metodo della Meccanica Te- cnica, ma anche a diversità di ipotesi riguardanti il vincolo. Il confronto deve essere fatto fra i risultati del metodo della Meccanica Tecnica e quelli che si ottengono calcolando per via rigorosa il lavoro di deformazione del solido di Saint-Venant, ed uguagliandolo al semiprodotto della freccia per la forza 7. Indicheremo con d) questo metodo di calcolo. Come sappiamo, col procedimento a) la freccia dovuta allo sforzo di taglio è: a: 7 dy (1) = (de), dy ove E è il modulo di Young, J il momento d’inerzia della se- zione rispetto all'asse neutro, w (xy) una delle funzioni armo- niche a cui si riduce il problema del prisma inflesso (v. G. Co- lonnetti, op. cit.), E), il valore che assume - polo —Wey=0 Col metodo bd) la freccia totale f"” è data da: pi Tue — x B =|& 2E È dV, dove gli integrali si intendono estesi a tutto il volume V del È x 1 solido. Siccome Fl > , otteniamo, come freccia dovuta al taglio: BEDA 1 Tyzì + Tar? (2) f. = | gdr. Confrontiamo fra loro i vari metodi, applicandoli ad un ‘prisma a sezione ellittica, di assi 2a, disposto secondo l’asse x, e 2% disposto secondo y. Per tale sezione è: (ey) = [12 (m+1) b9°+6ma?]5°y—[(4m +1) 5°2+(2m—1) a°](48—3y22) Peng —- 6m (3 0°+ a?) 5 308 OTTORINO SESINI Sostituita questa espressione a w(xy) nella (1) e nella (2) (nella quale ty: e a sono esprimibili mediante note relazioni in funzione di 2, y3 at “. detti a il rapporto = , ed Al’area. della sezione, si i le seguenti freccie dovute al taglio: _ 4(m+1)+2ma? TI fe (m+1)(3+ a?) GA” fia 10+ 4a? 2 ai Db fe = Li n) FE Posto m = 4, per 0 uguale rispettivamente ad 1 (cerchio), ad 3 e a 0 (caso limite), si hanno i seguenti valori dei coeffi- SH di to î GA dar 1 AP= 1 2 0 CÈ fi = 1400 1,354 1,833 gf = 8 (4885 LI Col metodo della Meccanica Tecnica si ottiene per qualsiasi valore di a: oh =" =1,111. Questo valore differisce notevolmente solo da quelli ottenuti col procedimento a), mentre è in buon accordo, specialmente per le sezioni molto allungate secondo l’asse di sollecitazione, che- interessano in pratica, coi risultati del procedimento 8); ciò. prova che l’influenza dell’inesattezza del metodo è molto piccola. Le medesime conclusioni sì traggono dall'esame di un prisma a sezione rettangolare di mediane 25, secondo y, e 2a. secondo x, molto allungata nel senso dell’asse y. Considerando. questa sezione come caso limite per == 0, di quella limitata. da due lati paralleli ad y e distanti a da tale asse, e da due. rami d’iperbole di equazione: (14 m)y? — x?=(1+ m) 8?, per la quale sezione è: Pa 2m+1 RIBSS DE y (29) = ME pay 4 STI (p8y ©): SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 309 È è . (#7 si ottiene facilmente, trascurando "i 3 TW_-y ' 3 "I lia A fi =f*= Osserviamo che, se nella trattazione teorica del problema di Saint-Venant, le varie ipotesi che si possono fare riguardo al vincolo, le quali differiscono fra di loro di un semplice spo- stamento rigido, sono ugualmente accettabili, nell’applicazione a casi concreti può interessare invece vedere qual’è l’ipotesi che meglio corrisponde ai vincoli effettivi. : Come è noto, i solidi reali, sia pel modo d’applicazione delle forze, sia per l’impedita o contrastata deformazione delle basi, non si trovano mai nelle condizioni previste nella teoria del Saint-Venant, la quale si applica perciò solo in via di ap- prossimazione. Ad ogni modo non sembra si possa ritenere che nei casi reali la freccia dovuta allo sforzo di taglio, dipenda unicamente dal valore dello scorrimento nella fibra baricentrica, come viene ad ammettere il metodo a), il quale inoltre implica un lavoro (che generalmente è negativo, ma può in qualche caso essere positivo) eseguito sulla base vincolata. Più attendibili sembrano i risultati ottenuti col metodo 8) la cui applicazione a casi reali è lecita purchè si ammetta: 1°) Che il lavoro di deformazione effettivo sia uguale a quello del prisma teorico; 2°) Che il lavoro eseguito sulla base vincolata sia nullo; 3°) Che i punti della base libera, alla quale è applicata la forza 7, subiscano tutti lo stesso abbassamento (come avviene nel caso teorico). Queste ipotesi sono accettabili, e eon esse è accettabile il procedimento bd) al quale il metodo della Meccanica Tecnica si avvicina notevolmente. Si può osservare che, se una base del prisma è perfetta- mente incastrata, l’impedimento alle deformazioni di detta base fa diminuire il lavoro di deformazione, e perciò è prevedibile una freccia minore di quella calcolata. CI Mie i ae TE Me e ga e PREMO I 310 OTTORINO SESINI Si può anche determinare la freccia supponendo che la base vincolata, anzichè conservare fissa la giacitura di un suo parti- colare elemento, come avviene coll’ipotesi a), assuma durante la deformazione una posizione tale da rendere nullo il lavoro delle tensioni normali ad essa applicate; cioè che rimanga fisso un certo piano di compenso della superficie in cui si trasforma la base vincolata. Con questo metodo, che indichiamo con c), dobbiamo sup-. porre che al sistema vincolato secondo l’ipotesi a) venga im- pressa intorno all’asse x una rotazione rigida + da y verso 2, tale da annullare il lavoro delle tensioni normali (0,) = — di Y applicate alla base vincolata. Le componenti di spostamento (w) dei punti di detta base secondo l’asse 2 sono, sempre nell’ipo- tesi a): Ò = (ve) — ve -(3%) 4). dY La rotazione 3 deve soddisfare alla condizione: |. (CI +3y]d4=0, dove l’integrale si intende esteso a tutta la base A. È perciò : 233 (, pu enm — ga — ge(30) | dA +83 | giada =0; osservato che Ti ydA=J si ottiene: =], [yy (29) — ya] d A+ i | III La freccia f, calcolata col primo metodo, cioè: = A 4 | ve) ala. (8) pe=pa |, ve) 9a] dd. risulterà diminuita di +/ rispetto a quella f; siii rei i ire etnici nti iaia ’ VOI: a Ù r È . i SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 811 ( VETRO GR RT RO Applicando questo risultato al cilindro ellittico già visto si ottiene: di HA: 20m + 23 + (8m + 2) a? — gi TI UE 6(m+1)(3+ a?) GA che per m= 4 e per dà rispettivamente i valori: 1,133 1,143 1,144 mi au Per la sezione rettangolare sopra detta del coefficiente di si ha: f=(3 2a ai 3 cioè, per n=4: con buon accordo sia col metodo della Meccanica Tecnica, sia col. 6) dal quale quest’ultimo c) differisce solo in quanto non ammette che il lavoro di deformazione del solido sia eseguito soltanto dalle forze applicate alla base libera, ma tien conto del lavoro eseguito, in conseguenza delle deformazioni della base vincolata, dalle forze tangenziali a quest’ultima applicate. Questo modo di valutare la freccia dovuta al taglio o l’in- clinazione dell'asse deformato all'origine, può essere giustificato, per esempio, in una trave appoggiata agli estremi e caricata in mezzeria. da un carico 7, quando si supponga che il carico e le reazioni degli appoggi. siano distribuiti sulle relative se- zioni normali come le tensioni tangenziali applicate alle basi del prisma di Saint-Venant. In tal caso ciascuna mezza trave può à 3 Ù T considerarsi come sollecitata ad un estremo da una forza — wi (reazione d’appoggio) e vincolata all’altro estremo (mezzeria). Essendo nella sezione di mezzo esclusi, per ragioni di simmetria, gli spostamenti fuori del piano primitivo, ma permesse le dila- tazioni o le contrazioni, possiamo dire che le tensioni normali Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 22 DL OTTORINO SESINI applicate alla base vincolata eseguiscono lavoro nullo durante la deformazione, mentre possono eseguire lavoro le tensioni tangenziali. Prescindendo dall’ effetto dell’impedito ingobbamento di tale base noi possiamo accettare in questo caso il metodo c) di cal- colo, e ritenere perciò che in corrispondenza del carico 7 gli assi delle due mezze travi deformate formino tra di loro un angolo: AQ = È È EJ? È [ey (17) curi dA Lo stesso angolo si può ammettere che formino le tangenti all’asse deformato della trave immediatamente a destra e a si- nistra di un carico 7, insistente, nel modo sopra detto, su di una sezione qualunque. Immaginando tanti carichi uguali a pAz, posti a distanza 42 fra di loro, e passando al limite per A2z= 0. (mantenendo p co- stante), si giunge alla conclusione che per un carico uniforme- mente distribuito d’intensità p l’asse della trave assume, per effetto dello sforzo di taglio, una curvatura : (32) = as E) la [yy (27) _ pa] dA, EJ tente M., si ottiene, come TE della curva elastica: d° Mi. Nel caso già visto della sezione rettangolare allungata, si avrebbe: SOI ei al 3 Î (4) Di EJ rt i 20(m+1)]" Il problema del prisma uniformemente caricato per tutta la sua lunghezza è stato risolto per via rigorosa dal Prof. E. Almansi (!), n (4) E. Armansi, Sulla flessione dei cilindri. & Rendiconti del Circolo Ma- tematico, di Palermo ,, vol. XXI, 1906. SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 313 il quale in una interessante ricerca su tale argomento giunge alla . conclusione che l'equazione della curva elastica del prisma è: denoX EJ BIS? dv dI) M. Le \q-- Mp che per noi, avendo supposto l’asse y positivo verso il basso, cioè nella direzione di p, e sostituendo DI al coefficiente di con- trazione , diviene: dio Mi a ( q Der SEIT RI 4 + up). Il coefficiente u è indipendente dai carichi; per la sezione ret- tangolare allungata sopra detta l’Almansi trova: 4 1 ui (È ta 1) b?; _q è dato dall’espressione: 1 a=— 3 | Reym+@—291]4, nella quale l'integrale va esteso a tutto il contorno s della se- zione; t1 e T, sono le componenti secondo gli assi x ed y delle tensioni esterne applicate alla superficie laterale del prisma (uniformemente lungo ciascuna generatrice). Per fare un'ipotesi equivalente a quella posta per dedurre la (4) dovremo ammettere t,.= 0 su tutto il contorno, e per la tensione esterna verticale potremo, per la supposta piccolezza di a, ritenere equivalente alla distribuzione prima ammessa della p su tutto il volume del solido colla stessa legge delle ty;, ‘una ripartizione della t, sulle sole due faccie verticali, di al- tezza 2b, colla legge: LA ae Sgt ra po (che verifica la i Ttgds= r) E Con questo valore di ty si ottiene: 3 | 3p (+12 a=— aL | 0-9) 29) dy 814 OTTORINO SESINI — SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. e trascurando i termini contenenti a?: ig Se ne deduce: o .... Sa Taro i dz EI VOI, m 10m Rea N 1A l(4 9 TT SILE +) b', dv ea Mi. Scar p ($ de 3 dat I EJ GA \5 20(m + 1) espressione identica alla (4). Le considerazioni che ci hanno condotto alla (4), pur non essendo rigorose, risultano dunque ben fondate, e ciò viene a comprovare l’attendibilità del metodo della Meccanica Tecnica, che poco differisce nei risultati dal pro- cedimento indicato con c). Notiamo che l’applicazione del carico alla faccia superiore del prisma (come avviene in pratica) dà, secondo le formule esatte dell’Almansi, una freccia notevolmente minore di quella ora calcolata, ed anche minore di quella dedu- cibile col metodo della Meccanica Tecnica, il quale riuscirebbe in questo caso approssimato per eccesso, e non per difetto come dal primo confronto fatto potrebbe sembrare. Pisa, 27 gennaio 1923. L’ Accademico Segretario Oreste MATTIROLO PA E TIP PE I ET TA rr i pole VEN Re o ST N N E CLASSE 3) GIANO SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 18 Marzo 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci Bronpi, ErnaupI, BAuDI DI VESME, PaTtETTA, Prato, Cran, FaGGI, Luzio, JANNACccONE e VIiDARI Se- gretario della Classe. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 4 marzo u. s. Il Socio VipARI presenta il lavoro Dottrine filosofiche e cor- renti letterarie del Socio corrispondente Giuseppe ZuccanTE, da lui inviato in omaggio all'Accademia, e ne rileva il concetto fondamentale, che è la illustrazione, fatta con felici e dotti accostamenti di pensatori e di dottrine desunti dalla storia greca, dal romanticismo e dal positivismo, della profonda riso- | nanza che il pensiero filosofico ha avuto nella espressione ed evoluzione letteraria. _ Il Socio Prato presenta il volume Mazzini economista di Gaetano NAvaRRA CRIMI, dove l’A. si è industriato, con diligente e accurato lavoro, di raccogliere dagli scritti mazziniani tutto quello che può concorrere a mettere in luce il pensiero del «grande Agitatore in rapporto alla economia. 316 Il Socio JANNACCONE presenta due opere del prof. Alberto DE’ STEFANI: l’una intitolata Decadenza demografica e decadenza economica; l’altra La dinamica patrimoniale nell'odierna economia capitalistica: R r “ Se egli dovesse caratterizzare queste opere con due sole parole, direbbe che sono dense e sottili; sottili, per lo studio col quale sono ad uno ad uno messi in evidenza i fili ond’è contesta la trama dei fatti presi in esame; dense, perchè questa minuta analisi è compiuta con grande sobrietà di parole e senza divagazioni ed amplificazioni, di guisa che in non molte pagine è racchiusa una gran copia di fatti e d'idee. “ La dinamica patrimoniale è una indagine economica e statistica, condotta principalmente sui dati forniti dalle stati- stiche delle successioni in Francia, la quale aggiunge un ricco materiale di studio e nuovi risultati alle ricerche sulla effet- tiva distribuzione della ricchezza e sul suo movimento di dif- fusione nella società: argomento fra i più interessanti per ogni ordine di studiosi e per molti scopi pratici, ma tuttavia fra i meno esplorati. “ L'altra opera sulla Decadenza demografica e decadenza economica è un’acuta ed arguta reazione ad alcune generaliz- zazioni messe in voga da quelli fra i sociologi e gli storici, i quali hanno creduto di poter attribuire ad una sola causa universalmente operante la così detta grandezza e decadenza delle nazioni. Fra queste generalizzazioni, una, che risale al Gobineau, attribuiva il decadere degli Stati alla mescolanza delle razze, la quale ne contamina la purezza primitiva, ed alla infiltrazione di elementi delle classi inferiori nelle supe- riori, la quale ne corrompe le idee, i costumi, le tradizioni. Le osservazioni della statistica demografica intorno alla di- versa natalità nei vari paesi e nelle varie classi sociali diedero nuovi sviluppi a quella teoria; in quanto non soltanto le guerre esterne e i violenti rivolgimenti politici, ma anche le trasfor- CIO E E II 7 TTI PAT, 1 È » x "x » » » x x x r “ 7 317 mazioni delle idee e dei costumi e il dilagare di certe correnti di pensiero parvero potersi spiegare come la necessaria con- seguenza del prevalere numerico delle popolazioni e delle classi più feconde sulle meno feconde, le prime delle quali, riproducendosi più rapidamente, propagano nei posteri in mi- sura più larga le caratteristiche fisiche e psichiche loro proprie. “ Sembrò anche che la Francia moderna, con la sua natalità straordinariamente scarsa, dovesse fornire la riprova concreta della teoria; e non mancarono, anche fra gli stessi francesi; coloro che prima del 1914 profetarono vicina la Finis Galliae per lé invasioni di popolazioni più feconde e pe) dissolvimento interiore prodotto dalla sterilità delle classi più colte e più ricche. Di questo finimondo si segnalavano anche i sintomi economici precursori: diminuzione della produzione, ristagno dei commerci, arresto nell’accumulazione dei risparmi, ed altri parecchi. Ma il pe STEFANI, sempre con serena accortezza e spesso con garbata ironia, mostra come ciascuno di quei pretesi sintomi della decadenza economica francese vada ret: tamente interpretato, e come taluno sia il frutto di qualche ameno errore di osservazione, alcuni altri non abbiano nessun nesso con le condizioni demografiche, e parecchi non siano che manifestazioni contingenti dell’alterna vicenda dell'economia mondiale. Queste sue pagine hanno perciò anche un valore di esempio e di mònito per chiunque dai fatti economici, la cui reale essenza è molto complessa, e dalle osservazioni stati- stiche, la cui apparente evidenza è spesso illusoria, creda poter trarre facili e generali conclusioni nel campo della storia ,. Il Presidente Rurrini ringrazia vivamente dell’im- portante dono. Il Presidente RurriNI presenta i volumi: Volterra e Luni- giana medievale di Gioacchino VoLpe, storie ambedue di vescovi signori, di istituti comunali, di rapporti fra Stato e Chiesa nelle città italiane dei secoli XI-XV: argomenti di molto interesse, 318 perchè riguardano l'oscuro periodo di trapasso dai reggimenti vescovili a quelli propriamente popolareschi delle nostre città; e che vengono dal Vorpe trattati non solo con abbondante e precisa indagine archivistica, ma anche con una larga e in- sieme penetrante visione sintetica dei grandi movimenti di masse, della evoluzione degli istituti, dei contrasti politici e giuridici fra le varie autorità. Sono monografie storiche sulla Toscana, che fanno parte di una serie di pubblicazioni or ora iniziate dalla R. Deputazione toscana di Storia Patria, e costi- tuiscono un importante contributo alla ricostruzione della storia d'Italia nel M. E. Il Socio FaGGI presenta una Nota, Cartesio e Newton, e ne illustra brevemente la contenenza, che ha un particolare inte- resse in rapporto con le dispute odierne sollevate dalla teoria della relatività. Sarà inserita negli Atti. Il Socio PATETTA presenta una Nota del generale A. PETITTI pi RoreTo, Di una lettera a Carlo V relativa al Sacco di Roma del 1527, nella quale si dimostra, in base a un documento del museo di Cherasco, che l’autore di essa lettera è Giov. Barto- lomeo di Gattinara. La Nota sarà pubblicata negli Atti. Il Socio BronpiI riferisce intorno al progetto di Statuto della Unione Accademica Internazionale, esprimendo parere favorevole. ALFONSO PETITTI DI RORETO — DI UNA LETTERA, ECC. 319 LETTURE Di una lettera a Carlo V relativa al Sacco di Roma del 1927 Nota del T. Generale nella Riserva Conte ALFONSO PETITTI DI RORETO Presentata dal Socio nazionale residente F. Patetta Fra le narrazioni di contemporanei sopra il Sacco di Roma del 1527, scelte per cura di Carlo Milanesi (1), vi è una lettera di un ufficiale dell'esercito del Borbone a Carlo V, tratta dalla Biblioteca Marucelliana. Studia il Milanesi, nella prefazione, chi possa essere l’au- tore di questa lettera, e, dimostrata la difficoltà del problema, si ferma su due nomi, Giovanni Bartolomeo Arborio di Gattinara e Don Ferrante Gonzaga, dando la preferenza al primo, che egli chiama fratello di quel Mercurino di Gattinara, stato per anni dodici Gran Cancelliere di Carlo V, creato Cardinale nel 1529 e morto nel 1530. Di questa stessa lettera, attribuendola nel titolo, erronea- mente, a Mercurino Gattinara, Commissario Imperiale, avevano dato un’edizione a Ginevra, coi tipi G. C. Fick, il prof. Gialiffe ed il dott. Odoardo Fick. Se ne occupa, con molta dottrina, il prof. Alfonso Corradi, in una sua memoria, presentata alla R. Accademia delle Scienze . di Torino, dal socio Claretta, nella seduta delli 27 dicembre 1891, e pubblicata nel volume degli Atti dell’Accademia per gli anni 1891-92 (pag. 238-256). Osserva il Corradi che nell’edizione di Ginevra, mentre nel titolo la lettera è attribuita al Mercurino Gattinara, nella pre- fazione si vuole attribuirla a Giovanni Antonio Framondo, Cav. Aurato, Conte Palatino e intimamente addetto a Clemente VII. (1) Edizione diamante G. Barbera, Firenze, 1867, pag. 491-530. 320 ALFONSO PETITTI DI RORETO A prova che lo scrittore fu invece il Giovanni Bartolomeo Gat- tinara, nipote del Cardinale Mercurino, il Corradi riporta un. brano della narrazione del Sacco di Roma dello scultore Raf- faele di Bartolomeo Sinibalbi, da Montelupo, riparato in Castel S. Angelo, durante l’assedio, dove si parla del Gattinara, che è detto Catinaro, venuto per gli accordi in Castel S. Angelo e ferito al braccio destro di un’archibugiata, confermando così anche questa circostanza, addotta dal Gattinara in principio della sua lettera, che è obbligato a far scrivere da altri. Ma un documento del Museo, donato alla città di Cherasco dall’insigne storico P. Gio. Batt. Adriani, permette di affermare anche meglio quello che pel Milanesi era una fondata congettura. Consiste il documento in una copia manoscritta del prin- cipio del secolo XVII, della lettera a Carlo V, comunicata all’Adriani nel dicembre 1858 dal notaio novarese Giuseppe Garone, quando già l’Adriani si occupava attivamente di Ver- celli, di cui doveva poi, nel 1877, pubblicare gli Statuti. Fra la copia Adriani e quella Milanesi vi è qualche leggera differenza di parole, che però non varia il senso: la prima man- tiene financo le lacune, che si riscontrano nella seconda, e che la copia di Ginevra permette di colmare. Qualche maggior va- riante si ha nei nomi propri. Quello che nel Milanesi è ripetu- tamente chiamato Giovanni d’Orbino ed era Spagnuolo, nella copia Adriani è erroneamente detto d’ Urbino, mentre duca di Urbino era Franc.° M.* Della Rovere, Comandante delle forze della Lega. Un Capitano D. Ugo di A/arcone, di cui il Milanesi fa due persone, D. Ugo e un Alarcone, e mentre la copia di Ginevra lo chiama Marcone, nella copia Adriani diventa un . Alaramo.. — Un Aleramo Sarra è citato dal Cardinale nel suo testamento come suo rappresentante in una causa nelle Fiandre, poi suo scrivano, a cui lascia cento ducati d’oro ed un cavallo. Qui invece si tratta di D. Ferdinando Alarcone, il Capitano custode di Francesco I, dopo la battaglia di Pavia, bene indi- cato per essere il custode di Clemente VII. L’Abate di Nogera è detto più esattamente di Nagera presso l’Adriani. Era Spagnuolo, Alfonso Manriquez de Nagera, e fu più tardi Cardinale dei SS. Apostoli. L'autore della lettera a Carlo V incomincia a scusarsi, come già si è accennato, di non poter scrivere di propria mano, EE ei am Pia, RISI sbhiecela todo ci atti fee ie tit sin inn tini ri __ _. ea DI DO DIE Mer GIRI.) int DL “ai SAPREI BE = = DI UNA LETTERA A CARLO V, !CC. 321 perchè, durante una delle gite fatte dal campo a Castel S. An- gelo, per conferire col papa ed i cardinali in esso racchiusi, è stato ferito in un braccio da un’archibugiata, il testo Milanesi dice il primo giorno delle trattative (pag. 509); invece la copia Adriani dice quarto giorno, in tutte lettere, come la stampa di Ginevra. Ma la copia Adriani è sovratutto preziosa. per alcune note, di altra mano ed inchiostro, che la precedono e che vi sono aggiunte. Prima dell’invocazione Sacratis.? Caesar è scritto: “ Relatio Bartolomei Gattinariae Romae captue, Pontificis obsessi in Castro S. Angeli, et d°° urbis exterminij sub C. V. Imp. ,, ed in fine della lettera, dopo la data Di Roma alli 8 di giugno 1527, si legge: “ Haec est relatio D° Bartolomei Gattinariae [qui sei linee cancellate e non decifrabili] Mediolani Senator [sic]. Hic d* Barto- lomeus Gattinaria erat regens Neapolis et Aragona, Consiliarius Caroli V Imp. et consanguineus in p° gradu Mercurini Gatti- nariae Supremi Cancellarij Dominiu regnor Caro. V Imp. et in uiduitate Cardinalis ,. Ecco dunque precisato che la lettera è di Gio. Bartolomeo di Gattinara, come supponeva il Milanesi. Senonchè questi lo ritiene fratello del Gran Cancelliere Mercurino (prefazione, pag. xxIx), appoggiandosi forse alla dichiarazione di chi scrisse la lettera (pag. 530) di voler rimettere il governo della città | di Parma e Piacenza, a lui affidate dal Principe d’Orange e i dagli altri Capitani, a suo fratello (1). Questo errore fu ripetuto | dal Gregorovius, che lo chiama anche Capitano (2). Invano cerchereste il Gio. Bartolomeo fra i fratelli del Gran Cancelliere, nominati nei vari alberi della famiglia Gattinara, che si conoscono. Basta del resto a smentire tale attribuzione .il testamento del Cancelliere (3), il quale, dopo aver nominati esecutori testamentari i fratelli carissimi D. Lorenzo di Gatti- (1) Effettivamente, secondo il Poeerati, Storia di Piacenza, all’anno 1527, vi fu posto come governatore un fratello del Gio. Bartolomeo Gattinara, mentre ciò è negato dal Guicciardini. (2) Storia della Città di Roma nel Medio Evo. Venezia, 1870, VIII, 696. (3) Vedi per esempio la versione del testamento, in latino, colla tra- duzione italiana a fronte, del 1825, Stamperia Reale di Torino. 322 ALFONSO PETITTI DI RORETO — DI UNA LETTERA, ECC. nara, Protonotario Apostolico, Abate di Rivalta, Amministratore dell’Arcivescovado di Salerno, e D. Gabriele di Gattinara Canonico Regolare dell'Ordine di S. Agostino, vi aggiunge il Magnifico Sign. Gio. Bartolomeo di Gattinara “ mihi consanguineum, iuris utriusque Doctorem, ac Militem Cesareae Majestatis, Consiliarium Regentemque cancellariam Coronae Aragonum... ,. E Monsignor Della Chiesa nella Corona Reale di Savoia (II, 117 dell’ediz. 1657) cita fra i parenti del Cardinale: il fra- tello cugino del Cardinale, Bartolomeo, che essendo eccellentis- simo dottor di leggi, fu Consigliere di Stato dell'Imperatore Carlo V e per lui reggente nei regni di Aragona e di ‘Napoli, “ et impiegato a trattare la pace col papa Clemente VII dopo il Sacco di Roma ,. Quantunque non se ne faccia che il nome, in’ un grande albero genealogico dei Gattinara, posseduto dal Museo Adriani di Cherasco, figura un Gio. Bartolomeo, figlio di Cesare, Conte di Sartirana, fratello secondogenito del Mercurino e che pel testamento di quest’ultimo dovette cedere a Giorgio, erede uni- versale, quanto possedeva in Gattinara. Ma evidentemente non è di lui che si tratta. Una nota dell’Adriani dice Gian Bartolomeo Arborio di Gattinara figlio di Pietro e nipote del Gran Cancelliere, morto nel 1544 agli 11 di novembre, e rimanda a quanto ne scrissero il De Gregory (II, 20) nella Storia della Vercellese letteratura, ed il Della Chiesa, già citato. Finalmente, un alberello, in una nota del notaio Vittorio Mandelli, che fu in attiva corrispondenza coll’Adriani e scrisse la storia di Vercelli, dà questa parentela: Lorenzo ARBORIO DI GATTINARA PAOLINO DIONIGI PIETRO MercuRINO Giro. BARTOLOMEO Cardinale Sen. Reggente di Napoli Ed ecco chiaramente Gio. Bartolomeo l’autore della lettera a Carlo V, fratello cugino del Cardinale, come dice il Della Chiesa. Cherasco, 5 marzo 1923. pe ADOLPO FAGGI — CARTESIO E NEWTON 323 CARTESIO e NEWTON Nota del Socio nazionale residente ADOLFO FAGGI Le polemiche e le discussioni che ha suscitato recentemente la teoria della relatività di Einstein nella sua pretesa di sosti- tuirsi alla meccanica classica del Newton, ci fan ritornare col pensiero a un momento analogo nella storia della Scienza, quando nella prima metà del sec. XVIII la dottrina del Newton si diffuse nel continente, sostituendosi alla teoria dei vortici cartesiani. Questa diffusione ebbe luogo dapprincipio in Francia per opera del Maupertuis e del Voltaire. Il quale, proponendo ai suoi connazionali come modello da seguire il pensiero inglese, nello stesso tempo che intendeva di sostituire alla filosofia di Cartesio quella del Locke, intendeva anche di sostituire al si- stema del mondo di Cartesio quello del Newton. Lo studio dei due opposti sistemi, che si trovarono allora di fronte, non sarà inutile nell'ora presente, in cui il sistema del Newton, che pareva ormai riposare su fondamenti granitici ed incrollabili, è alla sua volta posto in forse da un altro sistema, che rimette in onore un principio caratteristico di quel Cartesianismo su cui :il Newton ebbe facile vittoria, il principio della relatività. Per Cartesio attributo essenziale della materia è l’esten- sione. Dove c'è materia c'è estensione, dove c’è estensione c’è | materia, fina o grossa, visibile o invisibile. Non esiste dunque ‘ spazio vuoto. Ora fino dalla remota antichità gli atomisti ave- vano osservato che senza il vuoto non ci potrebbe essere mo- vimento. Se tutto lo spazio fosse pieno e le particelle della materia (siano queste atomi o corpuscoli) si toccassero l’una coll’altra, come potrebbero esse cambiar di luogo? Cartesio ammette bensì fra le qualità primarie della materia il movi- mento, perchè senza di questo non vi potrebbe essere divisibilità della materia, nè assunzione da parte di questa di forme diverse. Ma come si potrà ammettere il movimento nello stesso tempo 324 ADOLFO FAGGI che si nega il vuoto? È chiaro, dic’egli, che il solo movimento possibile ad ammettersi in uno spazio pieno è il movimento circolare di tutta la materia. In questo caso non c’è bisogno, per lo spostamento delle singole particelle onde la massa ri- sulta, di spazio vuoto, perchè A entra nel posto di B, B nel posto di C, C nel posto di D, mentre Z entra nel posto di A, ossia nel posto che A ha lasciato. Nel cap. 33 della parte II dei Prince. Phil. intitolato Come in ogni movimento ci dev'essere un circolo 0 anello di corpi che si muovono insieme, si legge: “ Dopo quanto è stato dimostrato di sopra, cioè che tutti i luoghi sono pieni di corpi, e che ogni parte della materia è talmente proporzionata alla grandezza del luogo che occupa, da essere impossibile che ne riempia' uno maggiore, nè che si rinserri in uno più piccolo, nè che nessun ‘altro corpo vi trovi posto nel mentre che essa vi è, noi dob- biamo conchiudere che è necessario vi sia sempre tutto un circolo di materia o anello di corpi che si muovano insieme in pari tempo, così che quando un corpo lascia il suo posto a qualche altro che lo caccia, entra in quello d’un altro, e que- st’altro in quello d’un altro, e così di seguito fino all'ultimo, che occupa nel medesimo istante il posto lasciato dal primo. Noi concepiamo senza pena ciò in un circolo perfetto; poichè, senza ricorrere al vuoto ed alla rarefazione o condensazione, vediamo che la parte A di questo circolo può muoversi verso B, purchè la sua parte B si muova in pari tempo verso €, e C verso D, e D verso A. Ma non si avrà maggior pena a con- cepire questo anche in un circolo imperfetto e irregolare quanto si voglia, se si bada alla maniera con cui tutte le ineguaglianze dei luoghi possono essere compensate da altre ineguaglianze che si trovano nel movimento delle parti ,. Ciò che è stato detto fin qui è necessario per ben com- prendere la teoria dei rortici cartesiani. Su questa teoria, che fu ai suoi tempi famosa, s'impernia tutta la concezione cosmo- logica, ossia il sistema del mondo di Cartesio. Tre sistemi si trovavano allora di fronte: il sistema di Tolomeo, quello di Copernico, quello di Tycho Brahé. Il primo, cioè il sistema tolemaico, poneva la terra nel centro dell'universo, e faceva girare intorno ad essa il sole cogli altri pianeti. Il sole era anch'esso un pianeta e girava intorno alla terra come la luna. mitica cd. CARTESIO E NEWTON 325 La Divina Commedia di Dante è costruita secondo il sistema tolemaico-aristotelico, il quale si fondava direttamente sull’in- tuizione dei sensi, ai quali appare veramente che la terra sia ferma e il sole le giri intorno. Ma poichè i pianeti, come ad esempio Venere, possono apparirci con luce or più or meno viva, era naturale supporre che ciò dipendesse dalla maggiore o minore lontananza del pianeta dalla terra; mentre nella con- cezione geocentrica originaria ì pianeti, descrivendo intorno ad essa un'orbita circolare, restano sempre alla stessa distanza dalla terra. Furono allora escogitati gli epicicli; s'immaginò cioè che mentre un pianeta si muove in circolo intorno alla terra, descriva contemporaneamente un altro cerchio più pic- colo, detto epiciclo, perchè sovrapposto al circolo più grande chiamato eccentrico, sulla circonferenza del quale sempre dovea trovarsi il centro dell’epiciclo. Il terzo epiciclo, cioè quello di Venere, è appunto rammentato da Dante (Par., Canto VIII, 1-3): Solea creder lo mondo in suo periclo Che la bella Ciprigna il folle amore Raggiasse volta nel terzo epiciclo. Il sistema copernicano poneva invece il sole nel centro del sistema; e, considerando la terra come un pianeta al pari di tutti gli altri, la fa girare cogli altri pianeti intorno al sole (sistema eliocentrico). Il sistema copernicano parve contrario all'immediata intuizione sensibile; fu osteggiato, in seguito, dalla Chiesa perchè parve contradire alla lettera di alcuni passi della Bibbia; ma era quello che soddisfaceva meglio e in una maniera più semplice e più logica all’esigenze dei calcoli astro- nomici; era quello che doveva trionfare. Intermediario fra i due era il sistema dell’astronomo danese Tycho Brahé. Questi fu veramente un astronomo di molto valore e le sue osservazioni del cielo ebbero una grande importanza; ma non si capisce bene perchè egli fosse indotto a escogitare quel suo sistema cosmo- logico, che apparisce subito così poco plausibile. Infatti egli suppone la terra immobile nel centro del sistema, e fa che il sole le giri attorno con tutto il corteo dei pianeti, che non gira più intorno alla terra, ma intorno al sole. Mentre dunque il sole gira intorno alla terra, tutti gli altri pianeti girano attorno a lui. Ipotesi strana, che non poteva trovare molti sostenitori, 326 ADOLFO FAGGI rimanendo perciò massimi sistemi gli altri due, quelli di Tolomeo e di Copernico. Tycho Brahé fu forse indotto a escogitare il suo sistema dal desiderio, puramente logico e astratto, di tro- vare un'ipotesi intermedia fra quella dei due maggiori astro- nomi. Egli del resto afferma contrario alla verità il sistema di Copernico, senza dir perchè; a meno che per lui verità non si identifichi col dato immediato e grossolano della percezione sensibile, alla quale, come abbiam detto, pare veramente che la terra stia ferma e il sole le giri intorno. Ora fra questi diversi sistemi cosmologici qual è quello che sceglie Cartesio? Egli afferma di poterli conciliare tutti e tre; o, per dir meglio, egli crede di poter conciliare il sistema co- pernicano colle esigenze del senso comune che afferma l’immo- bilità della terra, da una parte, e colle esigenze della Chiesa dall'altra, la quale non volea che si contradicesse alla lettera dei Libri Santi. Si noti che anche il sistema di Tycho Brahé era, in fondo, scaturito dal bisogno di conciliare la credenza comune e generale alla immobilità della terra colla necessità copernicana di fare del sole il centro dei movimenti planetari. Si aggiunga che a Cartesio premeva di non entrare in urto colla Chiesa, per evitare noie e fastidi, dai quali l'animo suo, amante del quieto vivere, aborrì sempre. Sua è la famosa frase: Bene vixit qui bene latuit. Per raggiungere il suo scopo Cartesio doveva escogitare una teoria tale, per cui la terra fosse nello stesso tempo in quiete e in movimento. Ciò pare a prima vista contradittorio e quindi assurdo o impossibile: ma si vedrà che Cartesio seppe abilmente trovare una via, qualunque ella fosse, d’uscita. Bi- sogna prima di tutto vedere quale è il concetto che egli si fece del movimento. Egli definisce il movimento (Prince. Phil., II, 25): Il trasporto d’una parte della materia o di un corpo, dalla vici- nanza di quelli che lo toccano immediatamente e che noi conside- riamo come in riposo, nella vicinanza di alcuni altri. A questa definizione si arriva attraverso la definizione che si dà d’ordi- nario del movimento: Il movimento è l’azione per la quale un corpo passa da un luogo in un altro. A proposito della quale definizione si deve appunto osservare che una stessa cosa può in pari tempo cambiar di luogo e non cambiarne affatto; onde si può effettivamente dire che essa si muova e non si muova CARTESIO E NEWTON 327 in pari tempo. Poichè colui, per esempio, che è seduto a poppa di un vascello che il vento fa andare, crede muoversi quando non bada che alla riva dalla quale è partito, riva che egli considera naturalmente come immobile; ma non crede muo- versi, quando non bada che al vascello sul quale egli è, poichè non cambia di situazione riguardo alle sue parti. Comunemente si dice che l’uomo così seduto è in riposo, perchè egli non sente azione in sè e non avverte un'azione sua; ma chi consideri il movimento in sè stesso come proprietà della materia e non come il prodotto di una supposta causa, cioè di una energia, dovrà necessariamente, per stabilire se un corpo è in quiete o in movimento, ricorrere al criterio posto da Cartesio nella definizione surriferita. Diremo dunque che un corpo è in movimento quando passa dalla vicinanza dei corpi che immediatamente lo toccano e che rispetto a lui si considerano in riposo, nella vicinanza di alcuni altri. In questo senso noi diciamo che l’uomo seduto a poppa di un vascello o in una cabina di esso è in riposo, perchè non cambia di situazione rispetto alle parti del vascello o della ca- bina, che immediatamente lo toccano e che rispetto a lui sì considerano immobili. Quest'ultima aggiunta è necessaria perchè se A cambia di posizione rispetto a BC, ciò potrebbe significare tanto che A si muove rispetto a BC, quanto anche che BC si muove rispetto ad A; il resultato, cioè lo spostamento contem- plato, sarebbe il medesimo. Per stabilire che A si muove, bi- sogna dunque considerare BC come immobile. Ciò non toglie però che l’uomo in quistione si muova effettivamente rispetto alla riva da cui il vascello si allontana, perchè egli si muove con questo, sebbene non ?în questo. Ma la riva e gli alberi, per esempio, che su questa si trovano, non sono gli oggetti che lo. toccano immediatamente. Si noti subito che da questi concetti del Cartesio discende quella relatività del movimento che è stata portata a così ampie conseguenze dalla recente teoria di Einstein. Guidato poi da questi concetti il Cartesio può nello stesso tempo affermare che la terra si muova e non si muova. Sappiamo da lui che il solo movimento possibile ad ammettersi in uno spazio pieno (Car- tesio non ammette il vuoto) è il movimento circolare, ossia un movimento vorticoso. La materia fluida che riempie tutto il Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 23 328 ADOLFO FAGGI cielo forma una specie di vortice che gira intorno al sole come centro, e trascina, in questo suo movimento vorticoso, i pianeti e quindi anche la terra con sè. Ma se la terra è trascinata dal vortice intorno al sole, essa è, secondo la definizione data più sopra del movimento, in quiete rispetto alle parti del vortice che immediatamente la toccano, essa cioè è in quiete nel suo cielo, come dice Cartesio. Siamo precisamente nel caso dell’uomo seduto a poppa del vascello, che spinto dal vento si allontana dalla riva. Benchè ogni corpo in particolare non abbia che un sol mo- vimento che gli è proprio, poichè non vi è che una certa quantità di corpi che lo toccano e che siano in riposo a suo riguardo, tuttavia esso può partecipare ad un'infinità di altri movimenti, in quanto fa parte di alcuni altri corpi che si muovono diver- samente. Per esempio, se un marinaio passeggiando nel suo va- scello porta con sè un orologio, è certo, benchè le ruote del suo orologio non abbiano che un movimento unico che loro è proprio, che esse partecipano anche a quello del marinaio che passeggia, poichè esse compongono con lui un corpo che è trasportato tutto insieme; è certo che partecipano anche a quello del vascello e anche a quello del mare, poichè esse seguono il loro corso; e a quello della terra se si suppone che la terra giri sul suo asse, poichè esse compongono un corpo con lei. Così nel grande vor- tice che costituisce il nostro sistema planetario nel quale i pia- neti sono trascinati intorno al sole come centro, si formano altri vortici minori, ai quali gli stessi pianeti possono partecipare. La terra, ad esempio, mentre è trascinata dal vortice intorno al sole, è trascinata da un vortice minore che ruota giornal- mente intorno ad essa. Si vede dunque come la teoria cosmologica di Cartesio si impernî sulla famosa dottrina dei vortici, e come per tal modo egli riesca ad una ingegnosa conciliazione del sistema coperni- cano col sistema tolemaico, protetto ancora dall’autorità del senso comune, della tradizione e della Chiesa. Ma Cartesio do- veva colla sua teoria dei vortici spiegare ancora un fatto molto importante, e che era stato oggetto di studi e di esperienze scientifiche da parte di Galileo, la caduta dei gravi. Notiamo che secondo la dottrina di Aristotele il peso era una proprietà costitutiva della materia. Per Cartesio la proprietà costitutiva CARTESIO E NEWTON 329 della materia era invece unicamente l'estensione. La natura della materia, egli ripete ancora al cap. 4 della parte II dei Princ. Phil., non consiste punto in questo che essa, ovvero il corpo, sia una cosa dura o pesante, ma solo in questo, che esso corpo sia una sostanza estesa in lunghezza, larghezza e profon- dità. D'altra parte, per la sua dottrina della relatività dei luoghi e del movimento, Cartesio dovea negare la dottrina dei Zuogli assoluti di Aristotele. La gravità, ossia la caduta dei gravi, non era facile a spiegare nella ipotesi dei vortici. Supponiamo che la terra sia una gigantesca trottola in moto, e intorno a lei ci sia il vuoto, ossia spazio libero di materia. In tal caso essa slancerebbe lontano da sè i corpuscoli che si trovassero liberi, cioè non infissi nella sua superficie. Ma la terra, nell’ipotesi di Cartesio, non è una trottola che gira, perchè è invece portata dal vortice, ‘anzi da un vortice più piccolo in un vortice più grande; di più, intorno a lei non c'è il vuoto, perchè il vuoto non esiste, e il cielo intorno a lei è pur sempre costituito di materia, sia pure più fine, sottile e invisibile che gira con una grande rapidità. Ne risulterà allora, per effetto del movimento vorticoso di questa materia sottile e della sua forza centrifuga, incomparabilmente maggiore di quella della terra, che tutti i corpi siano respinti e ricacciati verso quest’ultima. Ma l'ipotesi dei vortici non spiega la tendenza dei gravi verso il centro della terra, che è perciò chiamato da Dante il punto, Al qual si traggon d'ogni parte i pesi; e d'altra parte, se spiega, p. e., con la forza centrifuga perchè i pianeti, trasportati dal vortice, non cadano nel sole, non spiega petchè essi mantengano nel sistema il loro posto, ossia : le loro relative distanze. Ora parliamo della scienza del Newton, che era destinata a sostituire la scienza di Cartesio. Isacco Newton (1642-1727) lasciò grandissima traccia di sè nella matematica, nella fisica, nell'ottica, nell’astronomia. Fu uno degli ingegni più maravi- gliosi che la storia umana ricordi. In matematica divide col Atti della Reale Accademia — Vol. LVII DIE I ADOLFO FAGGI Leibniz l’onore di avere inventato il calcolo infinitesimale: i due grandi uomini pare che arrivassero ciascuno per conto suo alla scoperta di quel calcolo, chie dovea essere uno degli strumenti più preziosi della scienza moderna. Nell'ottica Newton decom- pose la luce bianca, dimostrandola resultante dai raggi-di diversa rifrangibilità. Rimise in vigore la dottrina dell'emissione, per cui dall'oggetto luminoso partirebbero tenuissime particelle, che viaggiando attraverso lo spazio verrebbero a colpire i nostri organi di senso. Cartesio aveva invece sostenuto che la luce dipende dalla materia sottile diffusa per tutto l’universo, la. quale, allorchè vibri per un qualche impulso ricevuto, è capace di produrre fenomeni fisici di vario genere: il sole, producendo appunto in essa un impulso, la fa entrare in vibra- zione, e questa, comunicandosi al nostro senso visivo, pro- duce la sensazione luminosa. In verità la teoria delle vibrazioni o delle ondulazioni di Cartesio fu quella che prevalse, perchè, meglio della teoria dell'emissione, si dimostrò atta a spiegare i diversi fenomeni ottici che si andarono man man scoprendo. e studiando; ma il Newton ebbe il gran merito di mostrare che la luce, benchè la sua velocità sia grandissima, impiega del tempo a propagarsi nello spazio; mentre Cartesio riteneva. che la sua propagazione dall’oggetto luminoso all’occhio fosse istantanea, e ciò per la sua teoria dell’impulsione (un urto co- municato all'estremità di un bastone è risentito immediatamente o istantaneamente all’altra estremità). In astronomia Newton scoperse la gravitazione universale : la stessa legge che spiega la caduta dei gravi sulla terra spiega. il movimento dei pianeti intorno al sole. Con ciò era trovata la. legge fondamentale dell'Universo. Ricordiamo i versi del Foscolo nei Sepolcri, là dove, parlando della tomba di Galileo, così lo designa: MISE: chi vide Sotto l’etereo padiglion rotarsi Più mondi, e il Sole irradiarli immoto; Onde all’Anglo che tanta ala vi stese Sgombrò primo le vie del firmamento. L’Anglo è Newton. Ma il Foscolo non disse cosa esatta in questi versi: o, per dir meglio, non fu esatto che a metà. Galileo fin dal principio dei suoi studi fisici si decise per CARTESIO E NEWTON 331 il sistema eliocentrico, in cui cioè il sole, immoto nel centro, irradia i pianeti che gli girano attorno. Ma tutti sanno che non fu lui il primo a vedere la verità di questo sistema: fu Copernico che dette appunto il suo nome al sistema. Inoltre non si può dire, sic et simpliciter, che Galileo sgombrasse le vie del firma- mento al Newton. Le scoperte astronomiche di Galileo sono per la massima parte dovute alle sue osservazioni telescopiche; ma egli non arrivò a formulare leggi generali sui movimenti . planetari, nè si pronunziò nettamente sulla causa di questi mo- vimenti. Pare bensì da qualche passo delle sue opere che egli sospettasse un’analogia tra la forza di gravità che, alla super- ficie della terra, attira i corpi verso il centro di questa, e la forza che obbliga la luna a mantenersi, nel suo movimento cir- colare, in vicinanza della terra, come i satelliti di Giove in vicinanza di Giove. Si può citare questo passo: “ Le parti della terra hanno tal propensione al centro di essa, che quando ella cangiasse luogo, le dette parti, benchè lontane dal globo nel tempo delle mutazioni di esse, lo seguirebbero per tutto; esempio di ciò sia il seguito perpetuo delle Medicee (satelliti di Giove), ancorchè separate continuamente da Giove. L’istesso si deve dir della luna obbligata a seguir la terra ,. Dialogo dei massimi sistemi, Giornata terza, pag. 351, Ed. Alberi. — Ma in realtà egli non dette alcun svolgimento a questo suo concetto. Anzi, inclinando a supporre che il movimento di rivoluzione dei pianeti fosse una conseguenza della rotazione del sole intorno al suo asse equatoriale, si avvicinava più alla teoria dei vortici car- tesiani che alla teoria della gravitazione di Newton. Chi invece sgombrò veramente le vie del firmamento a Newton fu il Ke- plero. Galileo anzi ebbe il torto di non vedere l’importanza delle tre famose leggi di Keplero, che dando una determinazione ma- tematicamente esatta, nei rapporti di tempo e di spazio, dei moti planetari descriventi un’ellissi di cui il sole occupa uno dei fochi, sgombrò senz'altro la .via alla meccanica celeste del grande astronomo inglese. Ma in un altro senso, non meno importante, il Foscolo ha ragione; e si potrebbe ancora dire che senza Galileo, Newton non sarebbe stato. Galileo, come tutti sanno, trovò la legge della caduta dei gravi alla superficie della terra. Fu appunto appli- cando questa legge al movimento della luna intorno alla terra, Pie IO i pi © al d : 4 dota SAR ADOLFO FAGGI che il Newton fu condotto alla sua teoria della gravitazione universale. Il Voltaire ha divulgato l’aneddoto del pomo di Newton: aneddoto, per altro, che potrebbe essere anche verità. dice dunque che un giorno il Newton osservando la caduta di un pomo dall’albero, dovuta indubbiamente all’attrazione ter- restre, pensò che la stessa causa avrebbe potuto far sì che la luna cadesse verso la terra. Si trattava di verificare se la legge della caduta dei gravi trovata da Galileo potesse applicarsi al movimento della luna, Un primo calcolo, per la inesattezza dei dati che Newton pos- sedeva, non riuscì soddisfacente. Ma più tardi, corretti i dati, il calcolo dette una risposta perfettamente conforme alla sup- posizione fatta. La luna cade precisamente verso la terra; e se non la vediamo dar di colpo in mezzo ad un prato come sogna il pastore di uno fra gli Idilli del-Leopardi; ciò avviene per la combinazione del movimento di caduta della luna verso la terra, con una velocità iniziale, cioè ‘con un movimento. che :già trasportava la luna attraverso allo spazio nel momento che essa entrò nella sfera dell’attrazione terrestre. La combinazione. dei due movimenti fa sì che la luna compia il suo movimento» di rotazione intorno alla terra e sia quindi DR sat per usar. la frase di Galileo, a seguir la terra. Così il Newton arrivò alla scoperta della scali uni- versale, che rendeva inutili i vortici di Cartesio; dando esatta ragione di tutti i fenomeni dell’universo planetario. Egli trovò dunque che tutti i corpi si attraggono in ragione diretta delle masse e in ragione inversa del quadrato delle distanze. Ma benchè egli scoprisse, come abbiam veduto, il fatto della gravi- tazione universale e ne determinasse matematicamente la legge, dovette confessare la sua incapacità a trovare la causa della gravitazione. Perchè i corpi sono attratti l’un verso l’altro nello spazio? In che modo possiamo noi rappresentarci quest’azione dell’uno sull’altro? Quest’azione si fa sentire a distanze enormi: dalla terra alla luna non solo, ma dal sole alla terra e a tutti i pianeti, poichè come la luna cade verso la terra così la terra e tutti i pianeti cadono verso il sole. I loro movimenti di rivo- luzione attorno al sole si compongono di questa caduta e del movimento iniziale onde erano dapprincipio animati. Ma come può l’azione del sole estendersi a distanza così enorme? Anzi, e ge n PARISI SO E MPT ATTO TTT CARTESIO E NEWTON d08 in generale, se fra il sole e i pianeti non ci fosse che spazio vuoto, come potrebbe un corpo agire là dove egli non si trova? Si può ammettere un’azione a distanza? O non è essa qualche cosa di miracoloso e d’incomprensibile? Si noti che, per vie affatto diverse, così il Newton come il Locke arrivavano a una specie di agnosticismo. Il Locke, pur trovando nelle sensazioni sia esterne che interne gli elementi con cui lo spirito elabora le sue idee, non sapeva poi pronun- ciarsi sulla natura dello spirito stesso e non poteva escludere in maniera assoluta che la materia fosse capace di pensare: il Newton arrivando a determinare la legge fondamentale dell’ Uni- verso non sapeva decifrarne la causa, nè spiegarsi il suo modo di agire. Ben diverso era il caso per Cartesio, il quale partendo dall'idea chiura della materia e dall'idea chiara dello spirito trovava logico e naturale che quella fosse estesa, questo pensasse. Quanto ai vortici, egli, come abbiamo visto, li deduceva dall’idea chiara della materia, per cui questa, identificandosi colla esten- sione, escludeva lo spazio vuoto; mentre in uno spazio pieno non è: possibile che il movimento in circolo. Ma il Newton non poteva essere proclive ad ammettere un'azione a distanza. Anche per lui, come per Cartesio, il mondo era un grande, un maraviglioso meccanismo; e qualunque con- cetto del meccanismo esclude l’azione a distanza. Fra il sole e ì pianeti non ci può dunque essere spazio vuoto: altrimenti non si spiegherebbe la loro azione reciproca. Fra il sole e i pianeti ci dev'essere un medium, e questo medium è l'etere, il quale è diffuso per tutto lo spazio e tutto pervade. In tal maniera si potrebbe spiegare come il sole possa far giungere la sua azione ai più distanti corpi celesti del si- stema. Così, in certo qual modo, l’azione a distanza si cambia in un'azione per contatto. Ma perchè le masse più piccole sono spinte verso le masse più grandi? Il Newton è proclive ad am- mettere che l’etere sia più denso ai confini esterni dello spazio, dove cioè non sono agglomerazioni di materia ponderabile, e sia meno denso o più raro dove sono invece tali agglomera- zioni. Così l’attrazione, ossia la gravitazione, si spiegherebbe con una pressione per cui i corpi sarebbero spinti da parti dove l'etere è più denso a parti dove è meno denso. Egli dice così: “ Tutti i corpi, da quella parte dove il mezzo è più denso, sono 334 ADOLFO FAGGI spinti a recedere da questa parte verso quella dove il mezzo è più raro ,. Questa ipotesi è ben lungi dal soddisfare appieno; . ma bisogna dire che nessun'altra escogitata in seguito per spie- gare il modo di agire della gravitazione universale ha raggiunto lo scopo. Però noi qui riscontriamo una cosa degna di nota. Newton fa uso d’ipotesi? Ma non è suo il celebre detto: Hypo- theses non fingo? Per rispondere convenientemente a questa domanda bisogna riportarsi alle norme logiche che Newton pone nei suoi Prin- cipia. Come Cartesio determina le regole del pensiero e le espone nel Discorso sul metodo, così anche egli, all’inizio del 3° libro, stabilisce delle regole per l’applicazione dei suoi principi; se- nonchè Cartesio svolge le sue ampiamente e spiega tutto’ il processo psicologico per cui egli è arrivato a formularle; il Newton invece, matematico e fisico più che filosofo e loico, si contenta di enunciarle senz'altro. Ecco le quattro regole: 1° Ammettere soltanto le cause necessarie a spiegare i fe- nomeni, ossia non moltiplicare le cause. Gli scolastici aveano già detto: Entia non sunt praeter necessitatem multiplicanda: prin- cipio che trova la sua applicazione e la sua giustificazione nelle scienze fisiche perchè è incluso necessariamente nel concetto di causa. Tutte le condizioni secondarie debbono essere riportate alle cause principali, non già ad altre cause o condizioni che modifichino il fenomeno senza cambiarne la natura. Quando una molteplicità apparente di cause è ridotta ad una sola causa reale, noi facciam fare un progresso alla scienza. È evidente, da quello che è stato più sopra riferito, l’uso che il Newton fece di questo principio nella sua scoperta della gravitazione universale (il movimento della luna intorno alla terra non ha una causa diversa dalla caduta dei gravi alla superficié ter- restre). 2° Effetti dello stesso genere debbono essere riportati alle stesse cause. Questo principio è una semplice conseguenza del precedente (il movimento della luna intorno alla terra non -è un effetto diverso dalla caduta dei gravi alla superficie terrestre: dunque dev’essere riportato alla stessa causa, cioè alla gravi- tazione). 3° Le qualità dei corpi, che non sono suscettibili nè di au- mento nè di diminuzione e appartengono a tutti è corpi su cui si q sd / 5 CARTESIO E NEWTON 395 possono fare esperimenti, debbono essere considerate pertinenti a tutti è corpi in generale. Cioè le qualità che appariscono costanti nei corpi debbono non essere considerate come dipendenti da cir- costanze fortuite esterne, perchè le qualità dipendenti da queste con queste variano, potendo apparire ora maggiori ora minori, e non apparire in certi corpi date certe condizioni. La gravità è appunto una delle proprietà costanti dei corpi, quando si tenga il conto matematico delle masse e delle distanze. Essa non può quindi considerarsi come proprietà dei soli corpi alla superficie . della terra, ma di tutti i corpi e di tutte le masse disseminate nello spazio. Si noti però che, come per il Cartesio il peso, così anche per il Newton la gravità, se è una proprietà generale, universale della materia e dei corpi, non è di questi una pro- prietà intrinseca, essenziale o costitutiva; altrimenti non avrebbe distinto, come distinse, la gravitazione dalla causa della gravi- tazione. i 4° Nella fisica sperimentale le proposizioni ricavate per in- duzione dai fenomeni debbono essere considerate, malgrado le ipotesi contrarie, come esattamente 0 quasi esattamente vere, finchè qualche altro fenomeno le confermi intieramente o faccia vedere che sono soggette ad eccezione. Questa regola ha bisogno di più ampio commento, perchè vi si parla dell'ipotesi e del suo valore scientifico. Intanto qui sì distingue fra ipotesi e ipotesi: vi sono cioè ipotesi che son ricavate per induzione dai fenomeni, e ipotesi che non sono così ‘ricavate, ma sono una anticipazione indebita e frettolosa della esperienza (ipotesi contrarie). Le prime hanno il diritto di affer- marsi e mantenersi contro le seconde, fino al responso definitivo dell'esperienza, che può o confermarle intieramente o far vedere che son soggette ad eccezioni. Si risente qui l'influenza del - metodo di Bacone, che combatte le anticipazioni che son frutto di generalizzazioni affrettate, e non possono quindi aspirare a nessuna scientifica validità. Esigendo che l’ipotesi sia confer- mata intieramente dall’esperienza, Newton parla da rigoroso seguace del metodo sperimentale; Galileo non parlerebbe in modo diverso da lui. Egli aggiunge che l’esperienza potrebbe mostrare che l'ipotesi adottata è soggetta ad eccezione. Ma anche in questo caso l’ipotesi avrebbe servito alla scienza, ser- Ando a scoprir nuovi fatti e ad allargare così le nostre cogni- CI, DR - METEO I RD TIA 336 ADOLFO FAGGI zioni; pare anzi dalle parole di Newton che un'ipotesi fondata, una proposizione cioè ricavata per induzione dai fenomeni, non possa essere smentita in modo assoluto dall’esperienza, ma possa essere soltanto dimostrata soggetta ad eccezione; il che vorrebbe dire che dovrebbe esser compresa in un'ipotesi più larga e più comprensiva. Ora si potrebbe domandare se l’ipotesi dell'etere, quale noi l'abbiamo brevemente riassunta, sia, nello spiegare le cause della gravitazione universale, una di queste proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni. Pare a me indubitato che si debba risponder di no. Tanto è vero, che essa non soddisfa intieramente, nè il Newton cercò per nulla di darle una qualche costruzione matematica; e anche in seguito, tutte le volte che si è cercato di dare per mezzo dell’etere una spie- gazione della gravitazione universale, si sono sempre incontrate gravi difficoltà. Essa non è dunque un'ipotesi in stretto senso scientifica; è un tentativo d’ipotesi, una di quelle anticipazioni che anche per Bacone non potevano entrare a far parte costi- tutiva del sapere. Newton scoprì il fatto della gravitazione uni- versale, ne determinò la legge, ma quanto alla causa non seppe pronunciarsi. Egli stesso fu tutt'altro che soddisfatto dell'ipotesi da lui proposta per spiegar la causa della gravitazione univer- sale. Davanti alla certezza matematicamente esatta del fatto e della legge egli sentì tutta la debolezza della sua ipotesi: fu allora che egli sentenziò: Hypotheses non fingo. Importante soprattutto è nella filosofia naturale del Newton il suo concetto del tempo e dello spazio. Lo spazio che noi percepiamo coi sensi è relativo, abbiamo cioè bisogno di riferirlo a un altro spazio, e la determinazione di un qualunque oggetto nello spazio è possibile soltanto riferendolo a un altro punto. Così, per sta- bilire il movimento assoluto di un corpo, bisognerebbe poterci riferire a un punto che si suppone assolutamente immobile. Abbiamo udito su questo soggetto la discussione fatta da Car- tesio, il quale conchiudeva appunto col concetto della relatività del movimento. Poichè non si può stabilire in natura l’esistenza di nessun punto assolutamente immobile, noi non possiamo stabilire asso- lutamente la posizione nello spazio di nessun oggetto, nè deci- dere in modo assoluto se egli sia in quiete o in movimento. I nostri sensi ci danno sempre uno spazio relativo, riferito cioè POE + I fit rabbit i atti IRE RO BAN CARTESIO E NEWTON dOT ad un altro spazio, e questo ad un altro e via di seguito. Lo stesso dicasi del tempo. Per stabilire un tempo assoluto, noi dovremmo misurarlo con un movimento assolutamente uniforme : ‘ora non ci è dato di cogliere in natura un movimento assoluta- mente uniforme. Lo spazio assoluto (senza cioè alcun riferimento a un oggetto esteriore); il tempo assoluto (che corra cioè in maniera assolutamente uniforme) sono concetti puramente ma- tematici. Parrebbe che Newton, da filosofo rigorosamente spe- rimentale, dovesse conchiudere -per lo spazio e il tempo relativi, che soli ci son dati dall'esperienza sensibile: invece egli attri- buisce una realtà allo spazio e al tempo assoluti, che sono una costruzione matematica. Egli ritenne che ci dovesse essere un locus sui che servisse di misura allo spazio sensibile, locus asso- lutamente fisso e stabile, senza bisogno di esser riferito a un ‘oggetto esteriore: nello stesso modo ritenne che ci dovesse essere un tempo assoluto (matematico), che, dovendo servir di misura al tempo sensibile, corresse per sè stesso con indefettibile uni- formità. Le proprietà di un sistema sono funzioni del sistema, variano cioè col variar delle condizioni in cui questo si trova: tempo e spazio sono invece indipendenti dal sistema, sono as- soluti. Ed è questo il fondamento della meccanica moderna, della meccanica classica, che riconosce in Newton il suo fonda- tore, e che la teoria di Einstein è venuta ai nostri giorni ad infirmare, prendendo appunto, col riconoscere al tempo e allo spazio il carattere relativo, il nome di teoria della relatività. Benchè i vortici cartesiani siano passati alla mitologia, si potrebbe dunque pur nondimeno credere che riguardo al punto sostanziale, il principio della relatività, il duello fra Cartesio e Newton non abbia ancora avuto il suo termine definitivo. L’ Accademico Segretario GIOVANNI VIDARI BOT UNO Miro: SO : df n; li : CASSE pPIPedd RI. A a Tea Les È das Hiv Par) Dal n e P. COAT ne Pla, 399 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 25 Marzo 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D’Ovipro, Seere, PrANO, GuIpI, GRASSI, SOMIGLIANA, PANETTI, Sacco, PocHETTINO, ZAMBONINI e il Segretario MATTIROLO. Scusano l'assenza il Presidente Rurrini e il Socio Foà. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che risulta approvato senza osservazioni. i Il Presidente comunica una Circolare Ministeriale relativa alla fornitura di libri tedeschi in conto riparazioni, ed una lettera del Ministero dell'Istruzione che accompagna un esem- plare dell’opera La Villa di Venosa in Albano Laziale, che la Principessa TeRESA Boncompagni Lupovisi ha destinato in dono all'Accademia. Dell’opera insigne, sia per la eleganza della edizione, sia per la nitidezza delle tavole, sia per il testo dovuto a scrittori eminenti, quali Ferdinando MARTINI, Giovanni Cusoni, Emilio CrtoveNnDA, parla il Socio MatTIROLO, facendone rilevare l’impo- rtanza scientifica e la pratica utilità. L’opera pubblicata dalla nobile Signora, fa onore, non solo alla famiglia dei Principi di Venosa, ma è di lustro alla scienza e al paese. La donatrice sarà convenientemente ringraziata. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 24 LETTONIA RI ARIEL SD TT 340 Il Socio PANETTI presenta e fa omaggio all'Accademia della Parte prima del suo Manuale di Meccanica applicata alle macchine e di due lavori eseguiti nel suo Laboratorio : il primo dell'Ing. PA- SQUALINI, Determinazione del regime delle pressioni sopra una piastra piana, sottile, rotante con piccolo raggio, il secondo del- l’Ing. Carlo Luigi Ricci dal titolo: Bilancia aerodinamica di torsione presso il Laboratorio di Aeronautica del R. Politecnico di Torino. . Il Vice Presidente presenta quindi in dono all'Accademia la Commemorazione di Torquato TArAmELLI che egli ha pubblicato nel “ Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia ,, facendo rilevare che la Commemorazione dell’insigne scienziato è accom- pagnata da una completa rivista bibliografica delle opere pub- blicate dal TaraMmELLI a partire dal 1863. Infine dal Vice Presidente viene presentato in dono a nome del P. Boccarpi il vol. 2° delle Pubblicazioni del R. Osservatorio ‘Astronomico di Pino Torinese. Dopo la presentazione dei doni, il Vice Presidente rivolge parole di saluto e di felicitazione al Socio ZAMBoNINI, chiamato a coprire l’importantissimo ufficio di Direttore dell’Istituto di | Chimica generale alla Università di Napoli, alle quali risponde commosso il Socio ZAMBONINI, ringraziando. Il Socio PANETTI presenta quindi per l’inserzione negli Atti una Nota dell'Ing. Enrico PisroLEsI dal titolo: Una estensione del Metodo di Wittenbauer per il calcolo del grado di irregolarità di una motrice, che viene accolta per la pubblicazione. Dopo di che l'adunanza è dichiarata sciolta cogli auguri che il Vice Presidente rivolge ai colleghi di buona Pasqua. | 4 È 3 ENRICO PISTOLESI — UNA ESTENSIONE DEL METODO, ECC. 341 LETTURE Una estensione del metodo di Wittenbauer per il calcolo del grado di irregolarità di una motrice Nota dell'Ing. Dr. ENRICO PISTOLESI Presentata dal Socio nazionale residente Modesto Panetti Il metodo del WirrenBAUER per la ricerca del grado di irregolarità di una motrice permette un’approssimazione mag- giore di quella consentita dai metodi comunemente adoperati, giacchè con l’uso di una forza ridotta e di una massa ridotta, funzioni dello spazio percorso da un conveniente punto di ridu- zione, elimina l’errore che nasce dal fare uso, come in altri metodi, di grandezze funzioni della velocità, considerata come costante, laddove si tratta appunto di determinarne l'andamento, ignoto a priori. Il metodo del WirTENBAUER è quindi utilissimo tutte le volte che le forze agenti nella motrice sono funzioni del solo parametro dal quale dipende la configurazione della macchina. In una mia precedente Nota sull’argomento (!) mostrai precisamente l'applicazione del metodo al caso di motrici DIESEL, svolgendo il calcolo approssimato della massa ridotta al perno di manovella per una motrice con parecchi cilindri. Peraltro il metodo del WirTENBAUER cade in difetto quando alcune delle forze in gioco siano funzioni, non più della posi- zione del punto di riduzione, ma della velocità angolare della motrice. Ciò accade sovente per le coppie resistenti applicate \ (!) Studio sull’uniformità di movimento dei motori a combustione a 6 e 8 cilindri (“Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, 19 no- vembre 1916, vol. LII). 342 ENRICO PISTOLESI all'albero, come nel caso in cui esse procedano da un’elica di propulsione, da un ventilatore (caso particolare dell'elica), ov- vero da un freno elettrico o idraulico, ecc. La presente Nota è diretta a mostrare quali modificazioni occorra apportare al metodo originario del WITTENBAUER per adattarlo a questi casi. : * ** Il metodo del WirTtENBAUER si fonda sulla relazione 8 1 1 (1) pas Mi -1 Mo dove Y è la forza ridotta, s lo spazio percorso dal punto di riduzione, M la massa ridotta, v la velocità del punto di ridu- zione. Nella (1) è manifestamente supposto che la forza ridotta F sia funzione unicamente di s. La (1) può essere scritta sotto forma differenziale nel modo seguente: (1)a Fds=d (4 Mw). Ora supponiamo che F si componga di due parti: F, fun- zione della sola s (forza motrice) e — F, funzione di v (forza resistente). Sarà allora: i (2) F, (s) ds — F;(v) ds =d (1 Mo) . La risoluzione del problema consiste nella risoluzione. del- l'equazione differenziale (2). Posto v° = y può scriversi: 6) F, (8) ds — Fs ())ds= 5 d (My). La risoluzione della (3) non è possibile, in generale, con metodi semplici di calcolo numerico o grafico; ma se si pone mente al fatto che la variazione della velocità, e quindi della %, è piccola, si potrà sempre porre con sufficiente approssimazione F.(y)=a+by. PERITI por PIT PI. CRESPO PICO DE POTE VO, 13 EI RSI PET NPT 1 PIT UNA ESTENSIONE DEL METODO DI WITTENBAUER, ECC. 343 Sostituendo nella (3) si ottiene: ’ b de E-ad-gMy=4-i My) e posto 3 My=2 (2 non è altro che la forza viva), si ha: d b (4) ty (F_-9=0 cioè un’equazione del primo ordine, facilmente integrabile per via numerica o grafica. Se indichiamo con 2’ e 2" due soluzioni della (4) si ha: d (e — 2) ses 9 b tI 14 ds x a) da cui facilmente ossia, per s= 0, (5) zo =z0 +C e per s=/ (spazio percorso dal punto di riduzione in un pe- riodo della motrice) (6) a=a/ + Ce, posto = E i ds. Le relazioni (5) e (6) possono servire a correggere il ri- sultato ottenuto, assumendo un valore iniziale di inesatto, dal che risulterebbe un moto non periodico. Sia o il valore assunto per falsa posizione. Trattasi di trovare il valore vero 20, che deve risultare uguale a 2,. Sarà: Azz —2z5,=C(1- e) da cui e quindi 344 ENRICO PISTOLESI In generale per il calcolo di % sarà sufficiente prendere DI fi un valor medio di uni che indicheremo ponendolo entro paren- tesi, scrivendo b 21 ” Allora la differenza fra il valore corrente di 2" e il valore iniziale 27° sarà espressa da O Da ne gi gl k : . 3 È ed essendo n generalmente molto piccolo, sì potrà scrivere: (7) a a=a +0. La (7) è lineare in s ed esprime perciò che le variazioni di 2’ rispetto al valore iniziale 2° sono uguali alle differenze fra i valori di 2’ e le corrispondenti ordinate di una retta con- giungente i valori estremi di 2’, cioè 29° e 27. Quando adunque si tratti di ricercare la variazione percen- tuale di 2, per giudicare da questa il grado di irregolarità della motrice, sarà superfluo passare dal diagramma probabile 2' a quello corretto 2", a meno che l’errore non sia grave. Basterà in generale congiungere con una retta i punti iniziale e finale del diagramma 2 e contare le variazioni di 2 a partire da questa retta. \ Per l’integrazione grafica della (4) si scriva l’equazione sotto la forma seguente: (4)a . da=(F\—a)ds—2jeds. Posto 3 (8) | E-0d=®0 sarà b (4)5 i d(a-®)=—27eds=— a Ciò premesso, la tavola annessa mostra come possa proce- dere l’integrazione grafica. MEA È vo al 946 ENRICO PISTOLESI Sull’asse delle ascisse sono distesi i valori di s, e il segmento corrispondente all'intero periodo è diviso in parti uguali (24 nella tavola). Uno dei diagrammi (spezzato in quattro nella tavola per ragioni di spazio) rappresenta ©. Un secondo diagramma rappresenta 3°. Si parte da un valore probabile iniziale 20; si ribalta sul- l’asse delle ascisse Da ottenendo così il punto (0) e si conduce la retta 20(0). Hl punto in cui essa incontra l’ordinata del punto 1 rappresenta manifestamente (2 — ®),. Per avere 2, basterà addizionare all’ordinata del punto in discorso l’ordi- nata ®,. Si eseguisca il ribaltamento sull’asse delle ascisse di E in guisa da ottenere il punto (1). Congiungasi 2; con (1) e si conduca la parallela dal punto (2 — ®),. Nell’in- sezione con l’ordinata 2 si avrà il punto (2 — ®),, a cui ag- giunta l’ordinata (®), si avrà 2,3. E così di seguito. Il punto finale’ del diagramma 2 avrà generalmente una ordinata leggermente diversa da quella del punto iniziale. Congiunti i due punti con una retta, si leggeranno a partire da questa le variazioni di 2, che si aggiungeranno al valore iniziale 2. La correzione del valore iniziale può trascurarsi quando la differenza fra le due ordinate sia piccola. Infine, se M è poco variabile, com'è il caso della figura, e anche 2 risulta poco variabile, il grado di irregolarità della mo- trice risulterà con tutta semplicità espresso dalla formula: (9) i __ max. — Zmin. 2 medio EsEMPIO. Si è scelto come esempio il II della nostra precedente Nota: Motore Dieser per sottomarini, a 6 cilindri, a due tempi, con un compressore a 2 fasi (costruzione F.I.A.T.-S. Giorgio). Nella citata Nota si assumeva una coppia resistente costante e ne risultava, come grado di irregolarità, t = 5 - ar SPIRA Re er SITO RETE OE EEE VERE UNA ESTENSIONE DEL METODO DI WITTENBAUER, ECC. 347 Si è fatta ora invece l’ipotesi che la coppia resistente sia semplicemente proporzionale al quadrato della velocità angolare, e quindi anche al quadrato della velocità v del punto di ridu- zione (perno di manovella). Si ha cioè ar=0 e perciò ® non è altro che il lavoro compiuto dalle forze mo- trici, dedotto il lavoro assorbito dal compressore. Tale lavoro, alla fine di un giro, è uguale a 1190-70 = 1120 Kg.cm. essendo 1190 Kg.cm. il lavoro motore, 70 Kg.cm. il lavoro consumato dal compressore. La motrice compie mediamente 500 giri al minuto, pari ad una velocità angolare media Q = 52.4. Il raggio di manovella è cm. 13.5 e perciò la velocità v del punto di riduzione risulta di 707 cm./sec. e lo spazio / percorso in un giro dal punto di riduzione risulta di 84.8 cm. Se ne deduce la seguente relazione approssimata: 1120 = X 7072 X 84.8 a E E —— 10000 LI AERR 18950. | Perciò il diagramma ca dovrebbe avere come ordinate 18950 M. Ma poichè sull’asse delle ascisse ogni centimetro rap- presenta cm. 3.53, per usare la costruzione precedentemente indicata converrà moltiplicare i valori di I per ra = 0.288. Così il diagramma m ha per ordinate 0.283 X 18950 M = 536 M. Applicando la formula semplice (9), che in questo caso è applicabile, si ottiene: visiti n digiaso. OT EB, Si È s b AIN 3 “= na doi “I uè Di CIO pi silva AR TIATE a de he) 343 ENRICO PISTOLESI — UNA ESTENSIONE DEI. METODO, ECC. Si rammenta che nel caso della coppia resistente costante . il D 9 i >, si aveva 5 - Vi ha dunque, com’è naturale, un vantaggio, ma forse meno grande di quanto potrebbe a prima vista aspettarsi. Superfluo dire che al procedimento grafico può essere, senza alcuna difficoltà, sostituito un ovvio calcolo numerico. Marzo 1923. Ke L’ Accademico Segretario . Oreste MATTIROLO 349 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza dell’8 Aprile 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci SrampPini, Bronpi, ErnAuDI, CIAN, Luzio, Mosca e Vipari Segretario della Classe. Scusano l’assenza i Soci De Sanctis, PrATO, PATETTA, VALMAGGI, JANNACCONE. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 18 marzo u. s. Il Segretario comunica che il prof. DE SANCTIS recatosi a Bruxelles per assistere al V Congresso internazionale di Scienze storiche che si terrà dall’8 al 15 aprile corr., è stato pregato di rappresentare l'Accademia che vi era stata invitata nell'agosto scorso. ‘ Il Socio SrAMPINI presenta la pubblicazione del prof. Vin- . cenzo Ussani: Josippî [Hegesippi qui dicitur] historiae liber I (c. I-XIV), e ne rileva con brevi parole la contenenza e il valore. Presenta inoltre una pubblicazione americana: A sixth-cen- tury fragment of the letters of Pliny the younger - a study of six leaves of an uncial manuscript preserved in the Pierpont Morgan library New-York, dovuta ai signori E. A. Lowe e E. K. Ranp; e illustra la. bellezza e l’importanza scientifica della pubblica- zione. La Classe delibera di ringraziare i donatori. 350 Il Segretario presenta alla Classe l'opuscolo: Gioranni Sforza (La bibliografia de’ suoi scritti e quattro discorsi commemorativi pubblicati a cura del Municipio di Montignoso di Lunigiana), pervenuto direttamente dal Municipio di Montignoso. Al quale si invieranno i ringraziamenti. Il Presidente Rurrini offre all'Accademia una sua recente pubblicazione: La parte dell’Italia nella formazione della libertà religiosa moderna (Estr. dalla “ Rivista d’Italia ,, 1923, vol. I, fasc. II). La Classe ringrazia. Il Presidente stesso presenta pure la pubblicazione del prof. P. ReveLLI, L'Italia nella Divina Commedia. Il Socio VipAaRI presenta all'Accademia il volume pervenuto dal Socio corrispondente prof. Carlo Pascat, Nerone nella storia aneddotica e nella leggenda (Milano, Treves, 1923). La Classe ringrazia. E presenta pure in omaggio all'Accademia la pubbli- cazione di un suo recente discorso commemorativo di G. Bottero fondatore della “ Gazzetta del Popolo ,. La Classe ringrazia. Passando alla presentazione di Note per gli Atti, il Socio StAMPINI presenta Elegiaca, Epigrammata et In- scriptiones ; il Socio Cran presenta uno scritto del prof. Alberto Ma- cnaGHI, I confini d'Italia nel pensiero di Dante, secondo una pubblicazione recente, e ne illustra la contenenza; il Presidente Rurrini presenta uno scritto di G. Tucci, La redazione poetica del Karandaryaha (*). (*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. p pre Twegra g° e sità Alain it ETTORE STAMPINI — ALTRI SAGGI UMANISTICI 351 ALTRI SAGGI UMANISTICI ELEGIACA EPIGRAMMATA et INSCRIPTIONES HECTORIS STAMPINI Socii ordinarii Taurinensis EPIGRAMMATA L Ap IoANNEM FALDELLA SENATOREM Obtuli amicitiae, colui quam mente fideli, munera quae hic parvus parva libellus habet, parva quidem atque etiam calamo signata latino; heu! minimi haec aetas scripta latina facit. Sed, mihi si rarus lector continget amicus, quid refert? lector tum mihi pluris erit. Si et dederit plausus doctus Faldella, putabo sidera sublimi me tetigisse manu. DI Ap BENEDICTUM FRACCALVIERI (!) (prid. non. mai. an. MCMXXII) Docte Pater, cordi semper carissime nostro, quem colere officium est, magnificare decus, (') Olim Rectorem Regii Ephebei Montiscalerii, nune autem Romae summum Sodalium Barnabitarum Magistrum. 392 ETTORE STAMPINI fulgidus ille dies iterum luxisse videtur, quo maior solito est hic tibi factus honor, quo Rex ipse tui viderunt noti ‘et amici quam magni faceret teque operamque tuam (1). Tum quoque te libuit dapibus celebrare meroque, multaque potantes vota tulere tibi; utque suum tibi quisque bibens recitaverat omen, cunctae plaudentes concrepuere manus. Nunc, redeunte tui bene fausti nominis astro, nobis pergrato discipulisque sacro, omina vox renovat rite inter pocula laeta, , dantque manus plausus ingeminantque suos. Vota brevi stringam: longam producere vitam sic possis felix perpetuoque valens. III. In GernoiooxàANewov meam (?) Explorans medicus tactu armillaque notanti duratas venas comperit esse meas, multaque praecepit quae, si sunt apta medelae, sunt mihi parenti dura reperta nimis. Vos igitur, pernae sapidae costaeque cruentae, et salsi pisces, iuris et omne genus carnibus expressum, vosque omnia, farta, valete, atque in perpetuum, vina, valete simul. Cara meo cordi primum, mox, grata palato quae fuerant, rapuit.sors miseranda mihi; quamquam iussa Dei semper sum ferre paratus, integra dum restet mens animusque vigens. Quod si aures precibus nolit praebere faventes, a! properet saltem fata suprema Deus. (') Cfr. inscriptionem atque elegidion, quae edidi in Actis huius Aca- demiae ‘vol. LV, an. 1920, p. 282 sq.) et in libro qui inscribitur Nel mondo latino (Torino, Bocca, an. 1921, pp. 442 sq, 458 sq.). (*) Epigramma per valetudinem compositum natali meo a. d. IV. kal, iun. an. MUMXXII. ALTRI SAGGI UMANISTICI 353 IE Ap Secunpum FRroLA SENATOREM (a. d. III. non. dee. an. MCMXXII) Frola Comes, lumen iam pridem dicte Senatus, Taurinaeque decus gentis et amplus honor, quo moderante graves res urbis mente sagaci, vidimus hanc summa prosperitate frui; qui, eloquio praestans ac rebus natus agendis, iura probe calles omnia et arma fori, num tua facta queam verbis ornare decoris, cum te habuere bonum publica fata ducem? quive tuas possim magnas extollere digne À laudes, quas hodie plurima lingua canet? Scilicet at turbae me nunc miscere sodali, communis studii quae tibi signa dabit, festivo fremitu tibi fundens omina laeta scriptaque plaudentum nomina multa ferens, etsi vementer cupiebam pectore toto, nec maerens animus membra neque aegra sinunt. Sed — speramus enim — veniam placide adnue nobis: cordis habes nostri cognita vota satis. Perpetuo incolumis vivas, Fortunaque pergat esse secunda tibi, clare Secunde, diu. VA Ap DeLpHinum Orsi Comitem (1) (a. d. IV. id. dec. an. MCMXXII) O Delphine, senis semper studiose magistri, qui Populi sapiens acta diurna regis, accipe laeta tibi bene quae nunc vota merenti undique nobiscum Patria mittit ovans. °Cfr. commentarium, qui Augustae Taurinorum prodiit sic inscriptus 10 dicembre 1922 In onore della Gazzetta del Popolo, p. 6. 354 ETTORE STAMPINI VI. AD ADULESCENTULUM NOBILI GENERE NATUM Virtutes patrias sequitor faciasque caveto nobile quae possint dedecorare genus, sed colere id par est, tamquam venerere parentes, dummodo ne tumeant ora superba tibi. VII. Omina fausta (1) 1, Ap HenricaM MAssERANO Post multos annos momentaque tristia rerum, paene quibus mersus, naufraga navis, eram, Henrica, exiguum quondam mea tempus alumna, cui nullam poteram iungere mente parem, cuius, in aetatis cursu, firmissima imago excidit haud umquam pectore lapsa meo; È te tandem vidi, te audivi dulce loquentem, 1 vox ut blanda mea nunc quoque in aure sonet. | Ipsa mihi visa es, tamquam si temporis ala te dubitavisset tangere tacta metu. Sed mihi, quem nosti iam praecipitante sub aevo, anni quot longa damna tulere fuga! Attamen est certum vanas auferre querellas, Musa mihi assiduam dummodo praestet opem; dum divina meam foveat modo Gratia mentem, adspiretque meis ausibus usque favens; dum suaves natas mihi dilectosque nepotes cum generis servet provida cura Dei; 3 dummodo amicitiae fidae fidique sodales sint atque interdum me meminisse velint;; É 4 CONO Coe gr 3 I (4) Scripta per ferias Natalicias, quae dicunter, exeunte anno MOMXXII. | “> ko ERI Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. ALTRI SAGGI UMANISTICI dum tua mi semper maneat propensa voluntas, osque, Henrica, tuum verba benigna paret. Interea, adveniens quoniam nos admonet annus omina nostra tibi mittimus ecce bona. Exoptata Deus large tibi dona ministret inque polo faustis ignibus astra micent. , DI ii Ap LAURAM ALOISIAM OTTAVIANO Haec, bona Laura, tuis pro votis vota rependo: vivite felices tuque et uterque parens. 3. Ap Arronsum M. Casori S. I. Quae mihi misisti a Benaco vota benigna accipiens propero reddere, amice, tibi. 4. Ap HenRrIcuMm CoccHrA SENATOREM - Cocchia, saepe mihi fido spectate fidelis, vota mei cordis pectore conde tuo. Te quoque si quondam sors funere fregit acerbo, at gravibus tandem luctibus adde modum; nam tibi sunt praesto dulcissima gaudia vitae, quae merito clemens iam Deus ipse dedit. Illa appone lucro, iucunde sodalis, et aequa utere fortuna quae modo iniqua fuit. 5. Ap ALoISsIUM GIACOMELLI SACERDOTEM O qui templa Dei raris virtutibus ornas, mi Domine, o simplex et venerande senex, qui ingenio pollens, studiis insignis et arte, Veronam decoras, docte poeta, tuam; 25 350 Le ils ee eten e, 356 ETTORE STAMPINI qui legis et comis perpensis laudibus effers quae mihi parva favens Musa latina canit; accipe corde meo quae manant vota profundo, quaeque tibi volui carmine missa brevi: Sic tua, quas servas, praecepta sequantur alumnae, ut culpam fugiant insidiasque malas; sic tibi et, eveniant, quae suscipis, omnia fauste, ambiat et canum Gratia sancta caput. -6. Ap IacoBsum GIRI Teque tuosque simul, Giri, dilecte sodalis, in multos annos Hector avere iubet. rà Ap Atrorstum MARTINI SACERDOTEM PE er °° Hune natalicium, Martini mi, accipe panem, cumque tuis salve terque quaterque vale. 3. Ap CaRroLUM Pasca Ad te si nondum rescripta est littera nobis, tu cave nos reputes haud meminisse tui. Scis mihi deserto quae sit nunc vita trahenda, quae circumveniat cura scelesta caput. Omnis perpetuo sic est mea fracta voluntas, subque manu tremula candida charta manet. Sed qui corde meo possim depellere amicos, atque adeo Caroli non memor esse mei? Quare te veniam nunc posco supplice vultu, accipiasque libens omina fausta rogo. VERO PIREO SI TE I I EI da UT hf e PVI RA vi, ALTRI SAGGI UMANISTICI 357 9. Ap FeELICEM RAMoRINO Quod mihi perdoctum librum, carissime Felix, misisti, veteris munus amicitiae, cum magnas habeam tibi grates, insuper opto adveniens annus det tibi larga bona. 10. Ap REMIGIUM SABBADINI O cui cognomen dant sabbata, docte sodalis, plurima cui tantum scripta dedere decus, sì tenues pascit spes iam provecta senectus, quae tibi praecipue prospera fata precer? At bona pauca seni Caelum permisit habenda: haec habeas opto, dulcis amice, diu. LT, Ap Arorsium VALMAGGI Qui tibi et uxori iam nunc novus additur annus, is precor ut vobis munera opima ferat. 12. Ap Aucusrinum VEDOVI SACERDOTEM Augustine, tuo quae exoptem dulcia cordi? lecta tibi ut Caelum fundere dona velit. VII. In violas ab Henrica depictas. Picta tabella probe violas imitata revinctas, quaeque creas veris haec potiora manus, utraque cara mihi longe et pretiosior auro, oscula quam vobis figere multa velim! At Deus omnino non me sinit esse beatum : est tabula ante oculos, sed manus illa procul. ETTORE STAMPINI IX. Spes fallax et Dolor O quae sola mihi restabas ultima diva de tot, paulatim quae periere, bonis, Spes, modo quae caris me vinclis blanda tenebas, gaudia promittens, quae per inane volant, nunc iterum saeve deceptum perfida linquis: tu, Dolor, at remanes, o mihi fide comes! da Spei nulla fides Fallax quae fuerat nuper Spes ipsa reversa incipit ecce suos tendere blanda dolos, ore renidenti promittens gaudia rursus quae mihi nunc misere rapta fuisse queror. Anne ego, cui nota est reducis pellacia divae, insidiis capiar ceu fera vineta plagis? Stillat adhuc multo perfossum sanguine pectus: Spes, tibi iam numquam credulus esse volo. Credo equidem Fato, quod numquam me angere cessat; sed, quae blandiris, Spes, tibi nulla fides. XL; Ap Henricam UxoRrEM Cur dolui demens? Non me fallebat amantem quae modo blanda suum Spes repetebat iter; nec sola, ut quondam, mendax mihi verba ferebat, ast ita quae dixit praestitit illa libens, suavis ut Henricae mihi mens animusque manusque ipsaque iam lasso sit data vita simul. Longa mihi tecum sie dentur tempora iuncto: grata, Henrica, domus vitaque dulcis erit. PRI RE II PERI RUETA SRTTI VL- ALTRI SAGGI UMANISTICI 359 INSCRIPTIONES Saucia ut eriperent in pugna corpora morti, impavidi munus morte obiere suum. At nos in tabula medicorum nomina ahena scribimus » his addent saecula cana decus. He Hic ubi sunt primum mentesque manusque Latinae ausae perfosso monte aperire viam quae binos populos uno de sanguine cretos iungeret et longe dissociata freta, utraque post decimum lustrum Romana propago foedera confirmat quae pepigere patres. III, ‘ Aegre qui poterant sacrum contingere limen per duras scalas innumerosque gradus, nune facili his montis per viscera tramite ductis Virginis in templo solvere vota licet. * Haec inscriptio, in honorem composita medicorum Taurinensium qui in bello annorum MCMXV-MCMXVIII pro patria ceciderunt, in pariete atrii superioris legitur nosocomii maximi Taurinensis, cui Sancti Ioannis Baptistae nomen v‘inditum est. ** Inscriptio in granite, qui vocatur, lapide insculpta et Bardoniscae in fronte fornicis proposita perviae eryptae, per quam sub Frejus monte iter ferratum Italiam cum Francogallia coniungit. *#** Inscriptio in fronte fornicis insculpenda perviae cryptae, per quam nunc ad sacellum B. V. Mariae a Corona, haud procul a Spiazzi in mon- tibus Veronensibus, compendioso itinere acceditur. TER LUI ER REI RE RAI 360 ETTORE STAMPINI — ALTRI SAGGI UMANISTICI se Balnea Romani iam cognita gentibus orbis, hospes, multimodis hic renovata vides. Hic spirans blandus tepidis sub solibus aer, deque iugis gelidae vena fluentis aquae, hic nemorum frigus, viridantia pascua, saltus, cum recreent animos, corpora lassa levant. Sed nova nunc tecta et securae commoda vitae illecebras augent deliciasque loci, atque invecta recens medicorum docta reperta membra aegrota fovent ac mala longa fugant. Namque lutum fervens fumos laticesque calentes vere fama vetus prodigiosa vocat. Sollicitas igitur curas si pellere quaeris, hic remane, hic placidos experiere dies. * Spectat haec inscriptio ad thermas Vinadii apud Cuneenses, quamquam neque insculpta neque insculpenda est. ALBERTO MAGNAGHI — I CONFINI D'ITALIA, ECC. 361 I confini d’Italia nel pensiero di Dante, secondo una pubblicazione Pecente (PaoLo ReveLLI: L'Italia nella Divina Commedia, con la ripro- duzione diplomatica del Planisfero di P. Vesconte del 1320-21 e una cartina: “L'Italia di Dante ,. — Milano, Fratelli Treves, 1923). Nota del Prof. ALBERTO MAGNAGHI presentata dal Socio nazionale residente Vittorio Cian. In una lunga nota alla fine del volume (pp. 216-217) il Revelli crede di poter affermare, e v’insiste a più riprese, che il contributo dei vari lavori intesi ad illustrare l’opera di Dante sotto il punto di vista geografico è, in genere, scarso e limitato : vuoi per “ difetto di senso geografico ,, vuoi per “ deficenza di metodo , e via dicendo. E al giudizio non si sottraggono, na- turalmente, le “ varie miscellanee, relativamente non numerose, a cui ha dato occasione il presente centenario ,. Ora, se io stesso non avessi cercato di recare alla geografia dantesca un modesto contributo con due lavoretti, dei quali uno fu appunto pubbli- cato nella Miscellanea del “ Supplemento dantesco del Giornale storico della Letteratura italiana , (1), vorrei proprio domandarmi se nelle parole del Revelli non vi sia per caso un po’ d’esage- razione; e credo che m’indurrei fors’anche a chiedergli, in confi- denza, se per il fatto che, dopo tutto, codesti lavori non gli hanno per nulla intralciato (specialmente qualcuno) la compilazione del suo volume, non venga egli pure a cadere sotto la sanzione della (1) A. MagnagHI, La “ Deverio Apennini ,, del “ De vulgari Eloquentia ,, e il confine settentrionale della lingua del sì, 1921. 362 ALBERTO MAGNAGHI sua stessa severità. Ma poichè, dunque, queste due: domande sono l’una inopportuna e l’altra superflua, io devo limitarmi a chiedere se il Revelli sia almeno riuscito a trar fuori qualche cosa di nuovo intorno ad alcune questioni delle quali io stesso mi ero precedentemente occupato: quella dei confini dell’Italia dantesca, e soprattutto quella dei limiti della lingua del sì verso oriente e verso settentrione. E dirò subito che le ‘ragioni addotte dall’egregio A. a so- stegno dei suoi punti di vista non mi sono apparse così nume- rose e incalzanti, da indurmi a rinunziare alle conclusioni alle quali ero pervenuto. Ma anzitutto non sarà male esporre per sommi capi i ter- mini della questione. Nel 1. I, cap. 8° del De vulgari Eloquentia Dante, dopo aver ripartito, un po’ vagamente e come potevano consentire le co- gnizioni del tempo, i popoli d'Europa in tre gruppi, vuol deter- minare la partizione e i limiti dell’aggruppamento, ch’era meglio conosciuto, delle lingue derivate dal latino: “ proferentes oc me- “ ridionalis Europe tenent partem occidentalem, a Januensium “ finibus incipientes. Qui autem si dicunt a predictis finibus orien- “ talem tenent usque ad promuntorium illud Ytalie qua sinus “ Adriatici maris incipit, et Siciliam. Sed loquentes oi quodam “ modo septentrionales sunt respectu istorum, nam ab oriente “ Alamanos habent et a septentrione; ab occidente Anglico mari “ vallati sunt et a montibus Aragonie terminati; a meridie quoque “ Provincialibus et Apennini devexione clauduntur , (1). È anzitutto evidente che qui non si tratta di confini politici o storici; ma, trattandosi di confini linguistici, quando non si possono far coincidere nettamente con coste marittime o catene di monti, essi corrispondono a limiti etnografici; che nella mente di Dante dovevano corrispondere non a linee ma a zone d’una (1) Mi riferisco, s'intende, all'edizione del Rayna, Firenze, 1896. Anche il testo più recentemente curato dal Rajna stesso non dà per il luogo in questione nessuna variante (cfr.: Le Opere di. Dante. - Testo critico della Società Dantesca Italiana, Firenze, Bemparad, 1921, vol. I, p. 326). MESSER ng uf» » n, I CONFINI D'ITALIA NEI, PENSIERO DI DANTE, ECC. 363 certa estensione, perchè nel cap. 15° del ]. I egli osserva che Trento, Torino e Alessandria, per essere troppo vicini ai confini d’Italia non possono avere “ puras loquelas propter aliorum com- mistionem ,. La limitazione poi che appare contenuta nel sed e nel quodam modo fa capire che quelli che parlano l’oîl sono settentrionali solo in parte, e rispetto agli altri due gruppi dell’oc e del sì, che si stendono rispettivamente a occidente e a oriente, ma in realtà appartengono sempre all'Europa meri- dionale; e perchè riescano settentrionali per i primi due, è evi- dente che la zona limite deve avere una direzione da W. a E. Ciò premesso, e riconosciuto che rimangono un po’ vaghi i confini dell’oc, mentre più chiari e meglio determinati appa- iono quelli dell’oil, ci si può domandare se nell’intenzione di Dante tutti questi limiti non dovessero integrarsi e completarsi a vicenda. Sembrerebbe logico; Dante non ha creduto di doversi ripetere, e i confini dell’oîl, che sono dati tutto all’ingiro, ser- vono anche per quelli, che non vengono espressamente nominati, relativi agli altri due gruppi. Così dell’oc sono dati i confini dai montes Aragonie, dai loquentes oil e dai fines Januensium; per il sì dai fines Januensium, dalla deverio Apennini, dalla Sicilia è dal promuntorium dove comincia l'Adriatico: e per il resto delle due penisole v'è il mare, che Dante non ritiene necessario sog- giungere perchè avrà supposto che questo fosse saputo da tutti: a quel modo che l’autore del commento che vediamo riprodotto nel Pianisfero di P. Vesconte (pp. 108 109 dell’op. del Revelli), mentre dà i confini delle regioni continentali, non s’indugia a stabilire i confini delle due penisole, ma dice senz'altro: Ytalia patet; Yspania patet. La lingua del sì verrebbe a trovarsi, nel pensiero dantesco, entro limiti quasi perfettamente identici a quelli entro i quali . la racchiuderemmo oggi noi stessi, se per deverio Apennini noi potessimo intendere il versante delle Alpi Pennine e di parte delle Leponzie (1) che effettivamente ci divide dal Franco Pro- (1) Questo però sarebbe solo una parte del limite settentrionale; ma Dante subito prima ha detto che l’idioma dell'io, comprendente un po’ alla rinfusa Sclavones, Ungaros, Teotonicos, ecc., è limitato in parte dai fines Ytalorum; e non v'è ragione d’escludere che codesti fines egli non li vedesse in continuazione di questo tratto delle Alpi verso E. 304 ALBERTO MAGNAGHI venzale, e se il promontorio dove comincia l'Adriatico potesse identificarsi semplicemente col C. d’Otranto. Ora, senza ripetere quanto esposi nel mio lavoro citato, risulta per l’appunto che, sia per Dante, come per i suoi con- temporanei e in genere per tutto il M. Evo, Alpi e Appennino si confondono in una sola catena, e che le Alpi vengono com- plessivamente chiamate Alpi Appennine, Alpi d’ Appennino © senz'altro Appennino; sicchè non si dovrebbe vedere la necessità di far dire a Dante uno sproposito col far arrivare la lingua d’oil all’Appennino inteso nel senso che intendiamo oggi noi, 0, per applicargli le attenuanti, di ammettere che nella sua intenzione l'Appennino poteva arrivare a comprendere anche le Alpi Ma- rittime. E quanto al C. d'Otranto, non m’era parso che fosse neppure il caso di metterlo in dubbio. Ma ecco che il Revelli ci vien fuori ancora con “un arco delle Alpi Marittime , per la devexio, e con qualche cosa di nuovo anche per il promun- torium illud qua sinus Adriatici maris incipit. E cominceremo da quest’ultimo, ossia dal confine orientale. * * * Dante, fra i vari mezzi di cultura che i tempi gli consentivano, avrà certo avuto spesso occasione di consultare carte geografiche e di osservare quale fosse l'estremità orientale d’Italia, che per noi è il C. d'Otranto. Anzi le carte del M. Evo, di qualunque natura e di qualunque origine, terrestri, portulaniche, arabe, davano l’Italia assal estesa in longitudine; e le carte terrestri adagiavano addi- rittura la penisola quasi da W. a E. con l'Adriatico à N. e il Tirreno a S. conforme alla descrizione che ne davano i geografi medievali, da Orosio in poi. Nelle carte marine l'errore era meno accentuato, ma la tendenza appare costantemente visibile; onde è sempre logico ammettere che, a più forte ragione di quello che facciamo noi oggi, Dante dovesse vedere l’estremità orien- tale al C. d'Otranto. A ben pochi, credo, si presenterà l’idea che il promuntorium dove comincia il sinus Adriatici maris possa corrispondere al C. Promontore dell'Istria, come -- non sì capisce perchè .— venne in mente di sostenere, non è molto, al prof. G. Andriani in un lavoro nel quale si proponeva di dimostrare che il Quarnaro dantesco è il braccio di mare fra fe. VIEN RA Det ti na Dare 5 vr ì I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 965 Cherso e l’Istria terminato, press’a poco, al canale della Fara- ‘sina (1). Tesi che potrebbe anche essere scartata a priori, perchè Dante pone decisamente gl’Istriani fra gl’Italiani; ma se il con- fine orientale del sì è il C. Promontore, tutto quello che è a E. «del meridiano di questo capo dovrebbe ad un tratto apparte- nere ad altra lingua, e il termine sarebbe così più vago che mai perchè al di là non v'è il mare, ma continua la terraferma; ‘inoltre il Quarnaro “ che Italia chiude , e perciò la parte più interna, dove oggi è Fiume, sarebbe rimasto per un buon tratto fuori d'Italia; e infine noi avremmo il principio dell’Adriatico posto proprio nella sua estremità settentrionale, ossia sempli- «cemente nel punto dove finisce (perchè è ovvio che un’insena- tura, un mare diramato si farà sempre cominciare là dove si stacca nettamente da una massa acquea più estesa di Oceano ‘o di mare aperto, a quel modo che si considererà l’inizio di una penisola là dove la sporgenza comincia a determinarsi) (2). Ora, sembra che a codesta tesi di farmi cominciare il sinus Adriatici maris dal C. Promontore avesse dato il suo assenso anche il Revelli (3). Ma l’Andriani scriveva prima del Congresso di Rapallo ...; basta, oggi può spiacere aver ammesso alias che la lingua del sì arrivasse solo al C. Promontore, e non un po’ più in là, almeno sino al punto dove è Fiume, e il Revelli adesso ammette senz'altro che il Quarnaro dantesco dovette trovarsi nella parte più interna del Golfo (4). Ma quanto al Promuntorium, il (1) Cfr. G. Anpriani, Il confine dell’Italia sul Quarnaro secondo Dante, nel “ Boll. della R. Società geogr. italiana ,, fasc. 7-10 del 1920, p. 214. (2) Contro questa e contro altre idee dell'Andriani cercai di opporre «qualche argomento in un lavoro sul Quarnaro dantesco pubblicato in La Geografia, Novara, 1921, fasc. 3-4. (3) Cfr. AnpRIANI, p. 214, nota. (4) Vale la pena d’una breve nota per far vedere in qual modo il R. giunge a questa conclusione. L’Andriani, come argomento principe per so- stenere che il Quarnaro era il braccio di mare fra Cherso e l’l:tria termi- nante al canale della Farasina (un golfo che finisce in acqua!), si fondava ‘sopra un passo del Commento di Benvenuto da Imola: “ Est enim Carnarium quidam gulphus in mari Adriatico in finibus Italie continens XL miliaria ,, ‘e sosteneva che facendo il circuito Cherso-Canale della Farasina-Istria sino al C. Promontore si avevano precisamente 40 miglia. Io avevo osservato, fondandomi sulla circostanza che le, miglia sono ettettivamente più del «doppio e sul fatto che Jacopo della Lana commenta: ‘ golfo che dura 3606 ALBERTO MAGNAGHI Revelli è disposto, sì, a far qualche concessione, ma ... con juicio: cioè C. Promontore no, ma giù di lì; esso subisce un ingran- dimento e vien fatto corrispondere (il promuntorium qua sinus Adriatici maris incipit) all’Istria stessa, all’Istria in persona (non vera peste; vale a dire peste sì, ma in certo senso: non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio e senza contrasto). Or ecco come ragiona il Revelli. L’identificazione col C. d'Otranto, ammette anch'egli, trova, bensì, più di un argomento in suo favore, ma non è detto che sia la sola logicamente possibile. E conviene procedere cauta- mente, soggiunge, prima di negar ogni fede a un'ipotesi diversa da quella più ovvia. “ Gli scrittori della tarda età medievale “ adottano talvolta concezioni che risalgono a un’antichità remota, “dando quindi ad alcune espressioni un valore assai diverso da “ quello adottato da altri scrittori contemporanei. Così, se anche “ Alberto Magno usa l’espressione ‘Adriatici maris sinus’ nel senso “ di Adriatico, è possibile che per Dante il ‘sinus Adriatici maris’ “abbia un valore analogo a quello che l’espressione ‘ sinus Adria- 40 miglia ,, e su altri argomenti che è superfluo qui riportare, che continens doveva corrispondere alla lunghezza della linea Sansego-C. Promontore che forma l’imboccatura principale del golfo; e le XL milliaria vengono effet- tivamente a corrispondere alla distanza data dai portolani. Questo era l'elemento che interessava i marinai, perchè venendo dalla Dalmazia, do- vevano attraversare quel tratto di mare allo. scoperto e indifeso dalla Bora prima di raggiungere le coste occidentali dell'Istria. Ed ecco che ora inter- viene il Revelli: Quarnaro tutto il golfo, sì; ma il passo di Benvenuto sì riferisce sempre ad un circuito, quello della parte più interna. Ben- venuto intenderebbe per Carnarium ‘il triangolo (sic) che ha per vertici “ la parte centrale del canale della Farasina [in acqua!] un punto della costa “di Volosca e lo scoglio di S. Marco. Infatti, se noi misuriamo sulla carta del “ Vesconte del 1311 lo sviluppo della costa del continente contrapposto alla ‘ estremità settentrionale dell’isola di Cherso e il vallone di Bùccari, tro- “ viamo una distanza inferiore a uno ‘spazio’ di 50 miglia datoci dalla scala “della carta. E se misuriamo su una carta moderna a piccola scala lo svi- “luppo del tratto costiero ‘ Punta di Fianona-Fiume-Porto Re’ troviamo un “ valore non molto lontano dai 50 Km., che corrispondono precisamente alle “40 miglia... ,. Ragionamento che assomiglia un poco alla trovata di quel tale che annunziava d’aver scoperto il modo di conoscere l’età degli alberi; e questo consisteva nell’attaccare alla pianta un cartellino con la data del giorno in cuì si fissava nel suolo... pe e si a i st i nre isti sa ite i alla I CONFINI D'ITALIA NEI, PENSIERO DI DANTE, ECC. 367 “ ticus’ ha nella Dimensuratio provinciarum e nella Divisio Orbis, “non posteriori al IV sec. d. Cr.; qui ‘Sinus Adriaticus’ corri- “sponde alla parte più interna, ossia alla sezione settentrionale dell'Adriatico, in conformità del valore che questo nome ebbe, “secondo il Letronne (ed. del Dicwz, p. 178), fin dalla metà del sec. V a. Cr. In tal caso, il ‘ promuntorium’ dovrebbe cercarsi non all’ingresso meridionale, ma all’estremità settentrionale del mare che qualche documento cartografico chiama ‘mare Vene- ticum’ già al principio del secolo decimosecondo, e che Dante chiama ‘Adriaticum mare’ (De vulgari elog. I; 10, 7), ‘Adria’ “(Egl. IV. 68), mare ‘Adriano’ (Conv. IV, 13, 12)... ,. E sarà meglio fermarci un pochino. Dopo aver letto e ri- letto, sembra di poter capire che, dunque, per Dante l'Adriatico è sempre l'Adriatico (basta notare, ad es., che nel luogo cit. del Convito si tratta d’un episodio dell’imbarco di Cesare a Brindisi); ma nel caso in questione Dante avrebbe inteso non Adriatico in tutta la sua estensione, cioè l’insenatura del Mare Adriatico, ma solo quel golfo, quel tale golfo del M. Adriatico; e, per rife- rirci al promuntorium, questo si troverebbe là dove comincia, non l'Adriatico, ma il golfo, 0 quel tal golfo dell'Adriatico... Ora ci sembra anzitutto che, se Dante avesse voluto indicare il Golfo di Venezia, non avrebbe avuto nessuna ragione per non espri- mersi più chiaramente: nell'Adriatico vi sono parecchi altri golfi; e chissà perchè, non nominandolo espressamente, si sa- rebbe dovuto intendere proprio quello e non, ad es., il G. di Manfredonia col Gargano! Ma per ora lasciamo stare. Piuttosto è curioso che nè la Dimensuratio provinciarum, nè la Divisio Orbis ci autorizzerebbero affatto all’interpretazione di un sinus Adriaticus corrispondente alla parte settentrionale. L’An. autore della Dimensuratio dice, sì, che pars Italiae finitur a septentrione sinu Adriatico (1), ma dice anche che ad oriente [Italiae pars] finitur mari Adriatico et freto, quod est inter Siciliam | Macedoniam] (2) et Italiam; dal che si vede che il canale d’Otranto era consi- K (1) E sin qui risulterebbe che l’An., considerando la Penisola distesa - da W. a E., la vedeva naturalmente limitata a N. dall’Adriatico! (2) Orosto dice che la Macedonia ha “a favonio montes Acrocerauniae in angustiis Hadriatici sinus , (Cfr. Riese, Geographi latini minores, p. 63). Sicilia non avrebbe senso, a meno che anche l’An. non consideri come Adriatico anche il mare a E. della Sicilia, come Orosio e altri. 368 . ALBERTO MAGNAGHI derato in continuazione dell'Adriatico. E poi dice ancora che l'Epiro, l’Acaia e la Tessaglia terminano ab occidente mari Adria- tico (1). Ora io non credo che lo scrittore faccia differenza fra sinus e mare, e ritengo che li consideri come equivalenti. Ad es., Orosio dice sempre sinus Hadriaticus quando parla di questo mare, nel dare i confini meridionali della Dalmazia e i settentrionali d’Italia (2); e lo stesso si ha nella Cosmographia di Etico (3); e Guido adopera tanto sinus Adriaticus (4) quanto sinus Adriatici maris (5), mentre mare Adriaticum tanto per lui come per l’An. Ravennate è per lo più sinonimo di Jonio. L’Italia veniva allora. considerata estesa “a Circio in Eurum , (6), onde l’Adriatico restava quasi a settentrione; sicchè il vederla limitata a N. dal sinus Adriaticus, cioè dall'intero Adriatico e non dal solo golfo di Venezia doveva essere la cosa più naturale del mondo. Quanto alla Divisio, la cosa è assai più semplice: “... Italia finitur a septentrione mari Adriatico ...; Epirus, Achaia, Attice, Thessalia finiuntur ab occidente mari Adriatico; Raetia maior, Noricus, Pannonia, Illiricum, Dalmatia a meridie mari Adria- tico , (7); ma quanto a sinus..., mai visto! Ed eccoci al Letronne. Secondo questo scrittore, il sinus Adriaticus avrebbe avuto un valore corrispondente alla sezione settentrionale del mare fin dalla metà del sec. V a. Cr.; anzi quel Dicuil fra parentesi può far credere al lettore che anche l’autore del “ De mensura orbis terrae , (825 circa) abbia avuto la medesima idea. Se si vuol dir questo, è bene sbrigarci subito col dire che Dicuil — il quale riproduce testualmente la Divisio (1) Riese, pp. 10, 11. (2) Riese, p. 63. (3) Riese, pp. 96, 97. (41 RavennaTIS Anonimi Cosmographia et Guiponis Geographica. — Ed. Pinper et PartHEY, pp. 485 (dove si parla della fondazione di Arpi, presso Siponto) e 454, 464 (dove si parla di Trani). (5) Ib., pp. 458, 454, 501, 502. (6) Orosto, loc. cit. — Isiporo (Ethym., XIII, 17): “ Sinus dicuntur maiores recessus maris, ut in mari Magno [Mediterraneo] Jonius, in Oceano Caspius, Indicus, Persicus, Arabicus ,. Ib. 16°: “ Et sciendum Jonium sinum. esse immensum, et huius partes esse Adriaticum ecc. ,. (7) Riese, pp. 16, 17. I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANIE, ECC. 369 — parla sempre di mare Adriatico e non adopera affatto la parola sinus. Ma quanto al Letronne ..., siamo ad uno dei soliti tiri della fantasia? Nella sua opera £/echerches géographiques et critiques sur le livre “ De Mensura Orbis terrae , par Dicuil (Paris, 1814), l’erudito francese esamina a fondo, fra altro (pp. 170-223), le vicende dei nomi Adriatico, Tirreno, Jonio “ depuis le cinquième siècle avant jusqu'au sixième siècle après l’ère vulgaire ,, giun- gendo alle seguenti conclusioni, che concordano press’a poco, per l'Adriatico, con quelle degli studi ulteriori: 1) Il nome mare A. fu limitato alla parte settentrionale a cominciare da un’età sconosciuta [per Erodoto è incerto se Adria fosse nome di mare o di regione] sino ai primi del sec. IV a. Cr. Da allora discese sino all’Adria [Atri] del Piceno (388 a. Cr.); 2) Fra quest'epoca e il 336 (circa) a. Cr. raggiunse le Tremiti e il Gargano; i 3) Verso la fine del 3° sec. a. Cr. era disceso sino al parallelo di Brindisi; 4) Alla metà del sec. II era giunto a toccare gli Acro- cerauni; 5) Resta in questa accezione sino al termine del 1° sec. d. Cr.; 6) Da questa data tende a risalire verso N sino al Gar- gano, come dimostrano i passi relativi di Appiano, Dione Cassio, Erodiano, Tolomeo, Dion. Periegete (cfr. p. 200 e sgg.); 7) Coi poeti latini dell’età augustea, e più tardi con i prosatori greci come Giuseppe Flavio, Pausania, Arriano, Filo- strato, Agatemero, ecc., è fatto scendere sempre più verso S., prima sino alla Sicilia, poi sino a Creta e finalmente con Orosio .e Etico sino alla Libia (p. g15 e sgg.). Queste le fluttuazioni che secondo il Letronne — potranno esser discusse, non è questo il luogo d’indagare — subì il nome Adriatico dal 5° sec. a. Cr. al 6° sec. d. Cr. Ma dove e come abbia potuto il Revelli vedere un rapporto fra quanto dice il Letronne e il valore del sinus Adriaticus nella Dimensuratio e nella Divisio non è troppo chiaro; a meno che il R. non abbia dedotto le sue conclusioni da un passo che si trova nel Letronne alla p. 178 ch'egli cita: “ au milieu da cinquième siècle avant J. C., t CE, LANE A 310 ALBERTO M\GNAGHI “ le golfe de Venise [cioè l'Adriatico attuale] était connu sous “ deux dénominations principales: 1° le golphe Tonio (1’ *Z6v10g “ x6Az0s de Ellanico), qui se prolongeait jusqu’au parallèle de “ Ravenne à peu près; 2° l’Adriatique, qui occupait le fond du “ golfe ,. Ma siamo, come si vede, abbastanza lontani dal tempo delle due fonti citate dal R.! Anzi, proprio a cominciare dal sec. IV d. Cr. (fine) l'Adriatico va allargando sempre più il suo significato sino a diventar sinonimo di Ionio (An. Ravennate e Guido) e a estendersi sino a Rodi (1). E in conclusione, poichè anche i commentatori danteschi ci dànno il Quarnaro come un golfo del mare Adriatico, a sostenere che il sinus Adriatici maris fosse il golfo di Venezia attuale resterebbe soltanto Dante col Revelli. Ma, data la premessa, quasi a compensarci di questo re- stringimento subìto dall’Adriatico, si viene ora all’amplificazione del Promuntorium. Il quale “ dovette identificarsi, allora, con “ una notevole parte, o anche con l’intera penisola istriana, piut- tostochè colla sua estremità meridionale [sta a vedere che, a poco a poco, anche l’Italia diventa un promontorio!]. Indubbia- mente il ‘promuntorium’ di Dante deve avere un significato un po’ diverso, ossia un po’ più ampio [eh! altro che un po’ più!] del valore che può essere suggerito immediatamente dalla let- tura di una carta moderna dove il nome di C. Promontore spetta solo all'estremo punto meridionale dell'Istria , (p. 68). Ho capito: se Dante intende per promuntorium ecc., dove ter- mina a oriente la lingua del sì, tutta l’Istria, allora Fiume — o meglio il fondo del Quarnaro dove poi sorse la città — viene a trovarsi anche per Dante in Italia, e il Revelli si libera da un peso, quello d'aver detto o ammesso qualche tempo fa con l’Andriani che il promuntorium suddetto era semplicemente il C. Promontore. Ma v’è sempre una piccola difficoltà: che tutte le carte nautiche, che anche il R°ammette potessero esser co- nosciute da Dante, segnano al $S. dell'Istria un C. Promentor, o Parmentor, o Pulmentor, che deve essere stretto parente col (C. Promontore... Non fa nulla, procediamo. “ Tanto nell’anti- K “ “ U “ “ 4 (1) Cfr. Partsch; art. Adria nella nuova ediz. dell“ Encyclopidia , del Pauli-Wyssowa, e Nissen, Ital. Landeskunde, I, 89-92. I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 871 “ chità come nel medioevo il nome. ‘ promuntorium indica, in “ generale, una penisola più o meno estesa [‘ Istria ut perinsula “ exeurrit...’ dice infatti il buon Plinio — Nat. Hist. IV, 129 — “ per ricordarne uno!...], come avviene delle tre cuspidi meridio- “ nali della Sicilia, e, particolarmente, del Pachino. ,. Il Pachino lasciamolo stare; ma io ritengo che, come concordemente am: mettono i lessici, il vocabolo dovesse limitarsi sempre a in- dicare un “ mons eminens in mari ,, persino nel senso più ristretto di rupes, suacum, scopulum; e che per indicare penisole più o meno estese servisse molto bene il termine peninsula. Dunque: il “ promuntorium illud , indica, per lo meno, un’area “ relativamente estesa dell'Istria meridionale. E che l’espressione “ valga a indicare l’intera penisola istriana, è possibile per duè “ evidenti ragioni. L’analogia con gli altri limiti ricordati da “ Dante nella sua divisione lingurstica generale (delta del Da- “ nubio, Mare d’Azow, Oceano, Mànica, monti d'Aragona, confini “ dei Liguri), non solo esclude che Dante, nel fissare il limite “ grecale del “ Volgare del sì , abbia potuto riferirsi ad un punto, “ ma fa ritenere come grandemente probabile che egli abbia in- “ dicato come limite grecale d’Italia, dato che ad esso abbia “ voluto riferirsi, un’area relativamente estesa ,. Non è che questo? Ma è semplicissima: valendomi anch'io della facoltà di ingrandire i promontori, prendo il C. d'Otranto e lo faccio di- ventare tutta la penisola salentina... Va bene? Ma no, non sarà necessario ricorrere a questi estremi! Basta riflettere, che Dante non parla per niente di un limite yrecale, ma dice chiaro e tondo orientale, e parla di un punto sì, ma non occorreva dir altro perchè dalle altre parti c'è il mare, in cuì non si parla più nè il sì nè l’oc. I confini lungo linee vengono dati dove le lingue sono a contatto entro terra; ma se si tratta di una pe- ‘ nisola, che si stende all’incirca verso Est, sfido io a dir diver- samente di così: “si parla la tal lingua sino al suo punto più orientale! ,. Gl’Istriani sono per Dante italiani, ma Dante al con- fine occidentale (“ fines Januensium ,) non poteva contrapporre un limite estremo a oriente se non nel C. d’Otranto. Si dovrebbe poi anche dare un certo peso al fatto che l’Istria, lungi dal venir ridotta a un promuntorium, fu sempre conside- rata dai geografi antichi e dagli scrittori medievali come una regione; anzi, a cominciar da Orosio — per venir poi nel Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 26 da. RIS, I TT Co et, L «BENZINE, POT Lan” LO €, " Ue aa e a ira ione, 372 ALBERTO MAGNAGHI M. Evo — essa segna uno dei confini della Dalmazia; e Dante stesso la considera come una delle regioni d'Italia (De vulg. Elog., I, 10). Ma, pare voglia prevenire il R., Dante “ quando proce- dette a fissare la sua divisione linguistica d’Europa ,, avrà avuto sott'occhio una carta assai piccola, in modo da giustificare la riduzione dell'Istria a promontorio... Sicuro! E se la carta fosse stata ancora più piccola, addirittura piccolissima, anche l'Europa sarebbe diventata un promontorio!... L’altra argomentazione parrebbe consistere nel fatto che facendo corrispondere il promuntorium all'intera penisola “ il “ valore dell’avverbio di luogo (‘qua ’) risulta chiarissimo se ri- “ ferito all’intera penisola istriana (‘ ed Istria vidi come nel mar “ cova’ (1), dirà, circa mezzo secolo dopo, Fazio degli Uberti: “ Dittamondo, II, 2), molo gigante fra due golfi dell’Adriatico “ settentrionale ,. Faccia il piacere! — Altra buona argomenta- zione sembra al R. la seguente: l’identificazione col C. d'Otranto troverebbe il più valido argomento nell'ipotesi che Dante “ det- tando il passo in questione , abbia tenuto sott'occhio una carta di tipo tolemaico, in cui, cioè, l’Italia si fosse presentata orientata da W. a E. in modo d’avere l’Adriatico a N.; ma allora: “se si ammette l’influenza della cartografia portolanica “ sull'opera dantesca, rimarrebbe a spiegarsi questo problema. “ Perchè solo quando studia la diffusione geografica delle lingue d'Europa Dante rinuncia al tipo di figurazione cartografica più degno di fede per esattezza di disegno costiero e di collocazione delle regioni? , — Ma no, guardi: anche da una carta nautica Dante avrebbe sempre potuto vedere che il punto più orientale d’Italia era il C. d'Otranto! E quanto alle regioni interne, le carte nautiche non avrebbero potuto dargli di più delle carte terrestri (2). Così anche Dante avrà fatto come poteva, e una “ “ “ (1) Anch'io avevo citato il verso di Fazio, ma per dedurne che il poeta doveva vederla adagiata fra due golfi, e quindi per dedurne che anche per esso il Quarnaro doveva essere tutto il golfo, e non il canale fra Istria e Cherso. (2) Veda, ad es., anche il famoso Planisfero del Vesconte, che po’ di rappresentazione ci offre dei fiumi, dei monti, ecc., appena si allontana dalle coste. I cartografi per l'interno facevano come potevano, e attinge- vano a Orosio e a Isidoro come tutti gli altri. i n SÒ da - pu I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 373 carta nautica non gli avrebbe detto nulla sui Fines Januensium, sugli Alamanos, sui Provinciales, ecc.; e allora qui si sarà ser- vito di descrizioni e di carte terrestri (1); mentre per le coste e per i promuntoria si sarà servito di carte nautiche (e vera- mente — se il R. si ricorda — quando si tratta di far corri- spondere il sinus Adriatici maris alla parte settentrionale del- l'Adriatico, egli non esita a porre Dante a contatto con fonti che hanno ben poco a che fare con le carte nautiche...). Passiamo ora al secondo punto, alla deverxio Apennini, che formando in continuazione coi Provinciales il limite meridionale dell'o: dovrebbe costituire logicamente il confine settentrionale del sì. Anche oggi i competenti fanno giungere il Provenzale, a N., sino ad una linea un po’ tortuosa che press’a poco dalla foce della Garonna arriva sino sotto a Grenoble; e una parte del Delfinato con la Franca Contea sino a Mombeliard e i dia- letti romanzi della Svizzera formano il gruppo che dall’Ascoli ha avuto il nome di Franco-Provenzale. Dato (come in genere si ammette) che tali fossero i limiti del Provenzale anche nel Medioevo, e posto che per Dante il Franco-Provenzale si con- fondesse con l’oil, si dovrebbe a priori scartare l’ipotesi che devexio Apennini possa corrispondere a flessione, arco dell’Ap- pennino come in genere si ammise dal Trissino in poi, o anche declivio dell'Appennino, come s’interpreta da qualche altro, del- l'Appennino in senso proprio; perchè, se facciamo arrivare la lingua d’oil all’Appennino, si giunge alla conclusione assurda che per Dante il Piemonte non è nella lingua del sì (mentre più oltre stabilisce nettamente il contrario). Al Rajna s’era pre- sentata per un momento l’ipotesi che il termine potesse corri- spondere a versante delle Alpi Pennine; ma poi l’abbandonò, perchè Isidoro (Ethym. XIV, 8°) stabilisce la derivazione di Apeninus da Alpes Poeninae, così chiamate in seguito al pas- saggio di Annibale; e riferendosi a due versi di Lucano dove (1) Che siasi servito di carte terrestri, e soprattutto di Orosio, risul- terebbe, ad es., dal fatto che per Dante i Pirenei vanno da N. a $. Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIII. 26* x pedro re Pe 374 i ALBERTO MAGNAGHI l’ultimo tratto dell'Appennino settentrionale viene così rappre- sentato: i Longior edueto qua surgit in aera dorso, Gallica rura videt deverasque aspicit Alpes (II, 427-28), suppone che Dante, seguendo il poeta latino, faccia arrivare l'Appennino al Monviso, e che perciò la devexio possa corrispon- dere, in senso assai largo, al versante delle Alpi Marittime e delle loro propaggini. Ma anzitutto le Alpi Marittime costituirebbero sempre, per la loro direzione, un confine fra l’oc e il sì in modo da corri- spondere press’a poco ai fines Januensium; e poi versante gallico e propaggini (le quali corrisponderebbero alle Alpi di Provenza e a parte del Delfinato) sono un dominio del Provenzale, e allora Dante non avrebbe avuto motivo di prolungare i Provin- ciales con un altro confine più orientale, cioè con la Deverio Apennini. Ora la difficoltà nella quale si sono trovati sin qui i commentatori, sta soprattutto nel fatto ch’essi ignorano che nel M. Evo Alpi e Appennino formano una sola catena, e che le Alpi, in tutta la loro estensione, vengono chiamate in genere, come si disse, Alpes Appenninae, montes Appennini, Alpi d’ Ap- pennino (1); una volta che ciò è stabilito (sembra ammetterlo anche il Revelli) non si dovrebbe vedere perchè si voglia a tutti i costi continuare a far dire a Dante uno sproposito, e non debba invece apparirci più logico l’ammettere che anch'esso (1) Cfr. il mio lavoro cit., pp. 25-32. Una conferma ce la porge l’An: illustratore del Planisfero di P. Vesconte riprodotto ora dal Revelli: “ La- caedemonia habet ab oriente Messiam, ab euro Ystriam ab africo montes Apeninos, ab occasu Galliam Belgicam, a septentrione flumen quod Galliam et Germaniam dividit ,. Sono le stesse parole di Orosio e di Isidoro, serì- nonchè costoro invece di Lacaedemonia dicono Pannonia, Noricus et Raetia; mentre l’An., che già prima fa confinare la Pannonia con A/pes Apenninae, ha avuto. sott'occhio un cod. d’Isidoro, in cui la Lacqaedemonia invece di esser collocata subito dopo l’Arcadia è collegata con la Pannonia, della quale si parla immediatamente dopo, ed è posta fra la Drava e la Sava (così figura anche nel Planisfero che il R. riproduce e che, non capisco veramente per qual ragione, vien qualificato come riproduzione diplomatica, trattandosi semplicemente di un documento riprodotto in eliotipia). I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 375 abbia veduto i confini della lingua del sì press'a poco come li vediamo oggi noi. A me sembra, ripeto, che dovremmo far uno sforzo minore ad accettare questa interpretazione che non un’altra qualsiasi, tanto più che a nessuno oggi viene in mente di intendere deverio nel senso di arco, curva; ma il ter- mine viene inteso nel senso di versante, declivio: e in ogni caso VYarco formato, sia pure, dall’Appennino e dalle Marittime limi- terà sempre la lingua del sì dal Provenzale e non certo dal Franco-Provenzale. Tutt’al più, se si potesse provare che Dante ha inteso deverio per arco, non vedo perchè non si debba, se mai, riferirla alla curva formata a N. dalle Pennine con le Graie; ma, a prescindere dal fatto che l’arco presenterebbe all’oil la convessità, e che male ci si adatterebbe all'immagine espressa dal clauduntur per mezzo di una linea convessa, rimane sempre la difficoltà di conciliare il concetto di curva con ciò che Dante dice di Torino e Trento che non possono avere puras loquelas propter aliorum commistionem; evidentemente perchè egli sa che nelle valli alpine a W. e a E. si sono infil- trati numerosi elementi che non sono italici, onde versante deve apparirgli il termine più adatto. Ciò posto — e non mi estendo per non ripetere ciò che già dissi altrove —, ecco intervenire il Revelli (pp. 217-218), il quale, dopo aver detto che in proposito può esser ricordato il mio scritto recente in cui a deverio assegno il valore di “ versante, declivio delle Pennine e delle Leponzie , (1), afferma: “Il termine ‘ deverio’ ha invece per noi valore fondamentale di ‘ convessità, arco’ perchè tale è il senso registrato nel glossario di Giovanni da Genova della fine del dugento, e perchè nello stesso De vulgari Eloquentia (I, X, 6) il concetto di versante è reso col termine ‘ grundatorium’ ,. Che fare? Ammettere che anche Dante lavorasse col Catholicon di Giovanni da Genova sempre sottomano come se fosse stato il suo “ Larousse ,, € andare a riscontrare come stanno le cose. lo potei vedere due delle edizioni più antiche dell’opera di Giovanni da Genova, quelle di Norimberga (1483) e di Venezia (1497) e le trovai “ “ “ “ (1) Ma non di tutte le Leponzie, veh! A me bastava dire: Pennine e una parte delle Leponzie. ae dai rr PERL e ani a Ù ; + ah” Cacao 2, TR AUT 376 È ALBERTO MAGNAGHI identiche, salvo qualche differenza nella punteggiatura, nello esprimersi in proposito (trascrivo dall’ed. del 1483): Devexus, a deverto tis dicitur devexus ra xum . i . inclinatus, incur- vatus, in rotundum versus . quasi deversus . vel dicitur a de- veho . quia undique deorsum vehatur . et comparatur. unde hec deveritas tatis. Et nota quod celum proprie dicitur con- vexrum vel devexum, vel si quid aliud factum sit ,, (1). Ma per essere più tranquillo volli farmi trascrivere, a. mezzo di persona tanto cortese quanto competente, il passo quale ri- sulta in qualche codice, fra altri nel Leurena. (Plut. 27 sin. 2) che dà: Devexus .a deverto, -tis dicitur devexus, -xa, -xum, inclinatus in- curvatus in rotundum visum, quasi deversum. Vel dicitur a deveo, quia undique a deorsum vehatur. Et comparatur. Unde hec devexitas, -tatis. Et nota quod celum proprie di- citur converum vel deverum, vel si quid aliud ita factum sit. Anche Uguccione (Laurenz., Plut. 27 sin. 5) ha: Deverto, tis, deorsum vel de uno loco ad alium vertere, removere. Unde devexus, a, um, incurvatus, inclinatus in rotundum visum, quasi deversum; vel dicitur a deveho, quia undique deorsum vehatur. Et comparatur. Unde hec devexitas. Et nota quod proprie celum dicitur converum vel devexum, vel si quid aliud ita factum st. E Papia (Plut. 27 sin. 3) è ancor più esplicito, dando sol- tanto: Deveo . devexi . deverum . idest declinatum, pronum. Ora ognuno può osservare anzitutto che da nessuno dei luoghi riprodotti risulta che compaia devezio, onis, ma si ha sempre deveritas, tatis; sicchè ve ne sarebbe già abbastanza per (1) Nell’ediz. francese di Reims del 1500, che raccoglie oltre al Catho- licon voci di Uguccione, di Papia e di altri, si trova: “ Devexus, a, um, encline, i. incurvatus, pronus, declinatus, et dicitur a deverto, is, quasi deversus, et comparatur. Devexitas, tis, enclinement, descendement, CommaE de montaigne, i. descensus, vel a deveho potest dici , I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 307 concluderne che Dante, adoprando devezio, ha potuto far a meno, in questo caso, di ricorrere a Giovanni da Genova. Ma quello che più importa, in ogni modo, è che il lessicografo genovese non dice esplicitamente che deverxus venga da deverto e significhi perciò soltanto convesso, arcuato (intanto, anche con siffatta de- rivazione, il primo significato che occorre è quello di inclinatus), ma dice che può venire da deveho, e allora dà alla parola un significato alquanto diverso. E il riferimento logico di deveritas appare connesso a deveho, con cui è direttamente in relazione; il che risulta ancora chiaramente in Uguccione. L’accenno esplicito poi dell’applicazione a caelum dovrebbe togliere ogni ‘dubbio; mentre anche derivando da deverto, il senso di curro in senso orizzontale rimane sempre poco sicuro. Ma concediamo pure che uno dei significati sia quello che sembra stia a cuore al Revelli: come si fa a non vedere o a tacere che dall'autore citato viene giustificata anche l’altra interpretazione? Voglio infine ammettere — ma non concedere — che Dante siasi attenuto a quanto dice Giovanni da Genova: perchè si deve sentenziare in modo assoluto che Dante abbia attinto dal- l'etimologia cervellotica da deverto anzichè dalla vera di deveho? ‘Poichè il significato costante che si riscontra in tutta la latinità sino alla più tarda, sino all'alto M. Evo, nella voce deveritas, devexus è sempre quello di declive, di inclinato in senso verti- cale; e se il R. vuol seguirmi brevemente nei passi che ora citerò, troverà parecchie gride che non fanno al caso suo. Così, per limitarmi ai luoghi in cui il termine si applica alla natura del terreno: PLinio, Nat. Hist. 2, 165: “ quo longissime deve- xitas litoris passa sit... ,; In., ib. 3, 147: “ qua mitescentia Alpium juga ... molli in dextra ac laeva devexitate considunt ,; CoLumeLLA 1, 2, 3: “ collibus vel ad orientem vel a meridie molliter devexis ,; Ip. 1, 2,4: “agri... quasi mollissime devexi_,; QuintIL., Declar. 388: “ litus ... molliter devexum aequali pla- mitie ,; Amm. 22, 8, 11: “latus austrinum molli devexitate sub- ductum ,; Crc., Div. 1, 101: “lucus Vestae a Palatii radice in novam viam devexus est ,; Lucano, 5, 576: “ qua juga devexus porrigit Aemus ,; Cesare, Gall. 7, 8, 1: “ ut de locis superio- ribus haec declivia et devexa cernebantur ,; SENEcA, Dial. 7, .25, 7: « per devexum ire ,; In., Nat. Quaest. 3,3: «“ In devexo fluit aqua ,; In., Epist. 90, 17: “ pluviis per devexa labentibus ;; è vianie diri a "O 378 ALBERTO MAGNAGHI x PLIinio, Nat. Hist. 6, 41: “ utriusque per devexa laterum Cau- casi Armeniae ... Cephenia copulatur ,; Livio 29, 35, 14: “ vallem ad alterum litum devexam ,; Ip. 38, 29, 10: “ urbs in mare devexa ,; Ovipro, Met. 8, 334: “ silva incipit a plano devexaque prospicit.arva ,; Ip., ib. 9, 334: “est lacus, acclivis devexo margine formam litoris efficiens ,; Rur. Nam. 2, 15: “ Apennini devexa , (1). E gli esempi potrebbero continuare; anche per gli astri, e in senso figurato il significato è sempre unico, quello di declive. Ora, bisognerebbe dimostrare che Dante per l’appunto ha creduto di dover volger le spalle ad una così lunga, costante tradizione classica, per attenersi ad un’interpretazione che - sa- rebbe solo autorizzata — se pure lo è — dalla barocca deri- vazione etimologica del primo significato dato da Giovanni da Genova. Ma “devexio , non può essere versante “ perchè nello stesso “ De vulgari Eloquentia (I, X, 6) il concetto di versante è reso col “ termine ‘grundatorium’,. Bah! Di vero c’è questo, che dopo 7? (1) Cfr.: Thesaurus Linguae latinae — editus auctoritate et consilio Aca- demiarum quinque germanicarum ete. Vol. V, fasc. IV, Lipsia, 1912. Lo stesso risulta dal “Corpus Glossariorum latinorum , - Thes. Glos- sarum emendatarum — Grorc. Goetz, Lipsiae, 1901. Il Thesaurus dal quale ho riportato i luoghi sopra citati non esita a dare il significato di declivis anche al deveras Alpes di Lucano (2, 429). Ma, francamente, non riesce ben chiara un’interpretazione siffatta, e può nascere il dubbio se il poeta latino, allontanandosi con una licenza poetica dall’accezione comune, non intenda invece dire le arcuate, le convesse Alpi. Non si comprende bene che senso avrebbe qui: l'Appennino riceve (o vede) le declivi Alpi, il declivio delle Alpi. Nel tratto in questione, che è quello in cui Lucano ha accompagnato l'Appennino sino al suo termine, sino alla sua unione con le Alpi, la caratteristica del rilievo alpino è quella di for- mare un arco, una curva, come chiunque può oggi e poteva anche allora constatare direttamente dall'interno. Ora possiamo noi concepire che si dica, nel parlare dell'unione di due catene montuose, che una riceve (o vede) il versante dell'altra? Qualche glossatore, è vero, accennerebbe a devexas = inferiores, humiliores. Ma anche qui, pur ammettendo che gli antichi avessero/idee relative intorno all'altezza delle montagne, e conce- dendo che l'Appennino ligure potesse presentarsi educto dorso, come pos- siamo pensare che vedessero questa catena più alta delle Marittime? — Ma comunque sia, non vedo perchè Dante abbia dovuto necessariamente trarre l'idea di deverio dall'aggettivo di Lucano. Me Pr I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 379 aver detto che il volgare parlato dagli Italici si può anzitutto dividere in destro e sinistro, Dante dice che la linea divisoria è formata dal jugum dell'Appennino, “ quod, ceu fictile culmen “ hinc inde ad diversa stillicidia grundat, aquas ad alterna “ hinc inde litora per imbricia longa distillat, ut Lucanus in “ secundo describit. Dextrum quoque latus Tirrenum mare grunda- “ torium habet; levum vero in Adriaticum cadit ,. Ma si direbbe che il significato di versante sia assegnato alla parola latus (fianco), e che la funzione di grundatorium sia lasciata invece all'uno e all’altro mare! grundatorium sarebbe qui il bacino che raccoglie, come la nostra modesta grondaia, l’acqua che grundat, che scorre sul latus destro e su quello sinistro dell'Appennino. Il dire poi che il levum latus cadit nell'Adriatico accentua ancor più deci- samente la discesa, la pendenza della superficie che funge da versante. Va bene? (1). His fretus, il Revelli crede di poter concludere: “ La nostra “ interpretazione si accorda con quella del Rajna in questo: la “‘devexio Apennini’ corrisponde, nel suo tratto più meridionale, “a un arco delle Marittime ,. Ma questo, a dir vero, non asserì il Rajna; il quale per l’appunto non parla di arco, ma dice versante, VERSANTE! il versante gallico, cioè, dell'ultimo tratto dell'Appennino settentrionale e occidentale prolungato col tratto delle Alpi Marittime, che, con le propaggini di queste ultime, poteva esser concepito da Dante come un limite meridionale approssimativo dell’oî2 (p. 37). — O allora? (1) Capisco: Dante avrebbe sempre dovuto dire /atus e non deverio. Ma, a parte la considerazione che di due termini considerati equivalenti egli poteva adoperare l’uno o l’altro (non ci serviamo anche noi, a volte, indif- ferentemente, di fianco, pendìo, declivio, versante ...?), non si deve escludere ‘ che Dante nel primo caso possa aver adoperato devexio perchè meglio cor- rispondente al senso generico di inclinazione, pendenza; mentre nel secondo, riferendosi ad una specifica funzione idrografica di due versanti contrapposti, ha preferito adoperare la parola latus, che ha un significato concreto. L’ Accademico Segretario GIovaANNI VIDARI RE E TIR Me 91 N° a Re > ‘ 381 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 15 Aprile 1928 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci Segre, PrANO, Foà, SOMIGLIANA, PonzZIO, Sacco, PocHETTINO e il Segretario MATTIROLO. Scusano l’assenza il Presidente Senatore RuFFINI e il Socio D’Ovipro. È Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che risulta approvato senza osservazioni. Il Socio Sacco fa omaggio all'Accademia di un suo recente lavoro, Una gigantesca collana di gemme glaciali. Il Socio MaT- TIROLO, rilevando l’importanza di questo studio, fa osservare come esso illustri l'imponente serie di ghiacciai che rivestono i versanti del massiccio del Gran Paradiso diventato Parco Nazionale per la conservazione della Fauna e della Flora alpina; egli prende da ciò occasione per comunicare all’Acca- demia quanto la Commissione Reale per il Parco sta concre- tando in questi giorni. Il Vice Presidente presenta e fa dono all'Accademia del- l'Opera del compianto suo fratello Prof. Corrado, che illustra la Elmintologia italiana dai suoi primi tempi all'anno 1910. La Bibliografia del vastissimo argomento è compresa nel 1° volume, Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. * nd nt MERI A at To INR SUCRE e e LA ot Ca PR mentre il 2° è dedicato alla Sistematica, alla Corologia e alla 382 Storia dell'importante argomento. L'Accademia ringrazia il donatore, lieta di possedere l’opera insigne che è complemento necessario della classica collezione elmintologica messa insieme dal PARONA con ricerche che du- rarono per tutta la vita sua, e da lui donata all’Università di Napoli. Il Socio Ponzio comunica quindi alla Classe la sua XI Nota sulle Diossime, la quale è accolta per la pubblicazione negli Atti. Il Socio Sacco presenta una sua Nota, che si riferisce allo studio di un ciottolo curioso, stato trovato nell’Appennino par- mense nel greto di un torrente. Detto ciottolo, che il Socio SAcco presenta all’adunanza, è notato da segni speciali, da striscie e da incavi, paragonabili a altri che caratterizzano bronzi e pietre ritenuti talismani. Sul significato di tale interessante formazione interloquiscono alcuni Soci. La Nota del Socio Sacco, dal titolo Talismani (?) preistorici, è accolta per la pubblicazione negli Atti. FEDERICO SACCO —— TALISMANI (?) PREISTORICI 383 LETTURE Talismani (?) preistorici Nota del Socio nazionale residente Prof. FEDERICO SACCO Nella scorsa estate percorrendo l'Appennino parmense per studi geologici ebbi dal mio vecchio amico l’Ing. Cav. C. Ponci di S. Andrea delle Fonti un curioso ciottolo raccolto in Val Dordone (affluente del Taro) tra la Borgata di Rocca Lanzona ‘ed il ruiniforme affioramento serpentinesco di Roccia Corva, zona desolata di Argille scagliose su cui stanno sparsi lembi di marne arenacee dell’Oligocene e di Calcari marnosi dell’Eocene; re- gione interessante, sia geologicamente, sia perchè già vi si rac- colsero cuspidi di selce che indicano l'antica presenza dell’uomo neolitico in tali colline. Il ciottolo in questione, di cui parmi opportuno dare un cenno, è un frammento allungato, subtriangolare, di un’arenaria calcarifera, fine, grigiastra, straterellata ma compattissima, che evidentemente subì un trasporto alluviale abbastanza lungo, come indica l’arrotondamento di tutti i suoi spigoli e delle estremità, ma non tanto prolungato da obliterarne la primitiva forma di frammento di roccia stratificata. Le sue dimensioni sono di circa 14 centim. di lunghezza per 5 di larghezza, con | uno spessore (nel senso ortogonale alla stratificazione) di circa 32 millim. (Vedi fig. 1). L'aspetto generale della superficie lisciata indica che il ciottolo, dopo l'arrotondamento naturale per opera torrenziale, dovette subire un maneggiamento prolungato. La sua superficie maggiore presenta tre profondi solchi longitudinali, fra loro subparalleli, intersecati obliquamente da cinque analoghi solchi trasversali, in modo da costituire una. specie di irregolare fenestratura a losanga, con qualche mag- Pt SIT SIE Lt ACEA ST POTTER NAT) "NI 384 FEDERICO SACCO giore incavatura nei punti di incrocio delle solcature (fig. 1); mentre invece sopra una superficie laterale pianeggiante osser- vansi solo solcature incom- plete. La solcatura fenestrata appare chiaramente lavoro in- tenzionale, arcaico, ma pro- blematico è il suo scopo e si- gnificato. Dopo inutile consultazione di opere, musei (1) e studiosi di Paleoetnologia (fra cui l’il- lustre Senatore Pigorini, a cui portai in esame il misterioso ciottolo a Roma), parvemi dover escludere varie ipotesi dapprima affacciantisi, cioè di timbri-matrice o di spe- ciali matrici per fondita (2), di (1) Nel grande Museo preisto- rico di Roma esistono, tratte da | Terramare del Cremonese, del Man- tovano, del Piacentino, ece., della età del bronzo specialmente, varii oggetti fittili ricordanti il ciottolo in questione, sia in arenaria fine (come quella, con foro per appen- derla, di Pieve S. Giacomo nel Cremonese), sia in Pietre verdi varie, ma trattasi evidentemente di pietre da cote, come mostra la loro lisciatura speciale. (2) Nella Terramare di Mara- nello (Modenese) si trovò una sup- posta matrice per fondita (Museo preistorico di Roma), costituita di due profondi solchi paralleli incro- ciati ortogonalmente, a distanza, con due altri solchi pure tra loro paralleli,- ricordando un po’ la lastra sottoindicata della Collezione Chierici, ma lo scopo di matrice pare in tal caso ammissibile, data la netta delimitazione e forma dei solchi. Fig. 1. CIRIE CITE J A i ge TALISMANI (?) PREISTORICI 385 pintaderas (1), di cote (2), di politoi di selci, di ascie-mazze, di marche di caccia e simili. Frattanto nel visi- tare l'importante Colle- zione Chierici, del Museo di Reggio, potei rintrac- ciare nella vetrina 29, sopra una tavoletta, fra due lastrine (N° 68 e 70), una lastra maggiore (N° 69) irregolarmente parallelepipeda (diame- tro di circa centimetri 1/o X 5 1/5) di arenaria grigiastra (fig. 2 dise- gnata ad occhio davanti all’originale) che porta 5 solcature incrociate un po analogamente a quelle del ciottolo in questione, ma con fenestratura più regolare; però con lavoro un po’ analogo e quindi probabilmente con inten- zione consimile a quella che diresse le solcature sul ciottolo parmense. La lastra della Collezione Chierici è compresa nella indicazione “ Sopra una Terramare dell’Età del Bronzo a Ca- Fig. 2. (1) Nel Museo preistorico di Roma sono conservati varii ciottoli allun- gati o arnesi fittili brunastri, a forma di biscottino, dell’epoca del bronzo, trovati, uno nella Terramare di Ceresara nel Mantova no e parecchi nella, palafitta della Torbiera di Polada presso Lonato, i quali presentano sopra una faccia, trasversalmente, numerose solcature punteggiate che fanno du- bitare trattisi di grossolane pintaderas. (2) Recentemente la pietra in esame fu usata, dal lato non solcato, come cote dal suo ultimo possessore. 386 FEDERICO SACCO stellarano ,, ma nel catalogo ms. Clerici gli oggetti 68, 69, 70, assegnati alla Età del Ferro, 1° e 2° periodo, sono precisamente indicati come provenienti da “ Cella Cassoli , frazione di Reggio, ed interpretati come “ Peso usato a cote ,. Tale interpretazione però non mi pare soddisfacente, per quanto si possa pensare che dette solcature corrispondano a segni di peso o di quantità o di misura, giacchè ancor oggi intagli analoghi si fanno dai selvaggi e dai nostri stessi contadini su ossa, su legno, ecc. per segnali diversi. Intanto è da notarsi che esaminando minutamente il ciottolo parmense si può constatare che le sue solcature non furono ese- guite (1) secondo un allineamento qualsiasi, ma seguendo per- fettamente speciali lineette bianche di calcite che intersecano appunto ortogonalmente in due sensi la stratificazione originaria della roccia e rappresentano il comune fenomeno di litoclasi in- tersecanti strati rocciosi, riempite e cementate poi da calcite deposta nelle fratture dalle filtranti acque calcarifere; tutto ciò naturalmente molto prima che la roccia venisse a giorno, poi si frantumasse, cosicchè i suoi frammenti trascinati e rotolati dai torrenti prendessero finalmente la forma di ciottolo sulla cui superficie vennero a spiccare le lineette bianche intersecan- tisi variamente e spiccanti per la tinta chiara sul fondo bruno generale, tanto da costituire talora ciottoli curiosissimi. Ricordo in proposito che non riuscii a convincere della semplicità fondamentale del fenomeno un mio egregio Collega, non geologo, che anni fa mi diede in esame un ciottolo di tale tipo, tanto strana e straordinaria gli sembrava la sua disegna- tura bizzarramente intrecciata. Ciò posto, per un complesso di considerazioni, senza natu- ralmente poter escludere in via assoluta ogni altra interpreta- zione, sembrami probabile che chi raccolse questo ciottolo (forse bagnato in un alveo di torrente, apparendo meglio in tal caso le lineette bianche sul fondo grigio-bruno) fu colpito forse dalla sua forma un po’ strana, a martello od a fallo, e dalla sua cu- (1) Non è possibile che si tratti di semplice alterazione o carie naturale prodotta dagli agenti esterni, data la forma delle solcature, l'essere limitate ad una faccia principale, ecc. TALISMANI (?) PREISTORICI 387 riosa filettatura incrociata, per cui lo ritenne e poi lo lavorò, sopra una faccia principale, a solcature intrecciate seguendo le lineette bianche, formandone così un oggetto speciale di su- perstizione, analogo a quelli che, costituiti pure di varie pietre (selce, pietre verdi, granito, arenaria, ecc.), troviamo tanto fre- quenti presso i selvaggi attuali nonchè fra i resti paleoetnolo- gici dal Neolitico in poi, e che si sogliono indicare col nome di amuleti, talismani e simili. Ricordo per esempio che nel libro di CH. ABBOT, Primitive Industry (1881) riguardante le razze indigene, i cosidetti Indiani, dell'America settentrionale, sono indicate e figurate (fig. 359, 360, 367, ecc.) molte pietre allungate, di New Jersey, aventi varii solchi incrociati, ma; avendo esse uno o due fori, il loro significato di Pietra-pendaglio come amuleti o feticci risulta abbastanza chiaro. Nello stesso libro dell’Abbot, fra le Inscribed stones di tipo cerimoniale o con carattere di pietra commemorativa o di ri- cordo qualsiasi, è indicato (fig. 334) come proveniente da New Jersey un frammento di lastra di Micaschisto con solchi incro- ciati ricordanti quelli in questione (Vedi fig. 3). Del resto, per quanto lunga e complessa sia la Bibliografia riguardante tali argomenti, la distinzione fra questi gruppi di oggetti non è sempre facile (1). Per lo più si indica come ta- lismano un pezzo di pietra o di metallo segnato con geroglifici o solchi o caratteri simbolici, : cabalistici, fantastici, mistici e simili, al quale sono attribuite virtù miracolose, conferendo un potere superiore, una speciale protezione a chi lo possiede; mentre invece amuleto è per lo più un oggetto svariato, quasi sempre portato indosso (e quindi relativamente piccolo e con un foro per appenderlo con una cordicella), che preserva da pericoli, malattie, iettature, ecc. L’uso degli amuleti (colle forme e coi materiali più sva- riati) fu ed è tuttora estesissimo, tanto che se ne conoscono \ (i) Dr Lise, Des Talismans (Paris, 1636); BeLin I. A., Traité des Ta- — lismans (Paris, 1658); PLacer Fr., Superstition du temps réconnue aux Ta- lismans (Paris, 1668); Arre P. F., De Prodigiis Naturae et Artibus Operibus Talismanes et Amuleta dictis (Hamburg, 1717), ecc., ecc. : _388 FEDERICO SACCO resti numerosi (in pietra, conchiglie, ossa, denti, bronzo, ecc.) dal Neolitico in poi; ricordo per esempio quello di Cloritoschisto a cerchietti incisi trovato a Ponzone e figurato dall’Issel nella sua Liguria preistorica, ecc., senza parlare degli amuleti attuali, alcuni analoghi agli antichi, portati dai selvaggi ed anche da donne e ragazzi in paesi civili, come, per l’Italia, ha special- mente segnalato il Bellucci (famoso illustratore di tali oggetti), sinchè si giunge ai noti scapolari e simili. Tra gli amuleti a pendaglio alcuni sono anche un po’ grandi e con segni ricordanti alquanto quelli del ciottolo par- mense in esame; così in una sepoltura presso Vranna (Porto- gallo), attribuita al periodo Robenhausiano (Neolitico superiore), sì trovò una lastra parallelepipeda, di roccia schistosa un po’ e / VELO ETA, IT I PE TSO N e TALISMANI (?). PREISTORICI 389 tenera (con relativo foro per appenderla), avente sopra una faccia solcature varie; così pure un pendaglio di calcare (già figurato dall’Issel) con solcature radiali fu raccolto nella grotta ligure delle Arene Candide. Del resto la Litolatria, o culto della pietra, sotto diversi aspetti, è una delle forme della Idolatria, tanto preistorica che attuale. Diverse pietre sacre, venerate, variamente scolpite (talune ricordanti certi MeAnirs, pure talora con incisioni varie), vennero scoperte nell'Appennino settentrionale, come segnalò anche recentemente l’illustre Dott. U. Mazzini descrivendo alcuni Fig. 4a. Monumenti megalitici e le Stele e Statue-mehnirs di Val di Magra, accennandomi anche ultimamente la scoperta di segni a solchi incrociati sui calcari mesozoici del M. Bermego, alta montagna sita a N.0. della Spezia. Anzi, avendogli comunicato la fotografia del ciottolo parmense in questione, egli ebbe la cortesia di esprimermi la sua ipotesi trattarsi di un oggetto di culto che poteva servire come uno scongiuro contro malattie, pericoli o cattivi influssi di ogni genere. Di più egli volle gen- tilmente inviarmi le fotografie di un blocchetto di bronzo tro- vato nell’agro brugnatese (cioè nel territorio di Brugneto nella media Val di Vara), di forma trapezoidale (fig. 4 a, b), che pre- 390 FEDERICO SACCO — TALISMANI (?) PREISTORICI senta, sulle sue due faccie maggiori, speciali geroglifici fatti a punzone, che paiono di carattere magico, traversati, in una faccia, da forti solchi un po’ analoghi a quelli della lastra reggiana, mentre che su di un’altra faccia minore laterale esiste un altro solco foggiato quasi ad irregolare Z allungato ed obliquato; probabilmente il lavoro dei geroglifici e dei solchi fu fatto in due tempi successivi, fors'anche lontani fra loro. Considerando quest’ultimo interessante ritrovato parmi che pure esso venga in conforto all'idea che anche i due pezzi litoidi sovraccennati si possano interpretare come og- getti di superstizione, forse specie di talismani. Quanto alla loro età, mentre la grossolanità della lavorazione del ciottolo parmense gli darebbe carattere neolitico, tanto più che nella regione del suo ritrovato si raccolsero già scheggie e cuspidi di selce di tipo neolitico, i due altri oggetti un po’ analoghi sovraccennati sono piuttosto riferibili all’età dei metalli, giacchè il blocchetto brugnatese è di bronzo e la lastra reggiana è riferita dal Chierici al periodo del ferro; ma trattandosi di ritrovati senza giacitura regolare, la loro età rimane alquanto incerta. GIACOMO PONZIO — RICERCHE SULLE DIOSSIME 391 Ricerche sulle diossime Nota XI del Socio nazionale residente GIACOMO PONZIO Come ho dimostrato nella Nota VI ('!), è soltanto dalla forma a (p. f. 168°), e non dalla forma B (p. f. 180°), della fe- nilgliossima CgHs . C(:NOH).C(:NOH).H, che per azione del tetrossido di azoto risulta il composto CgH; (CaN30,H) al quale Scholl (?) attribuì la struttura i ——— _—— Ei di peros- N O I9N sido della fenilgliossima, ammettendo che derivasse da quest’ul- tima per eliminazione dei due atomi di idrogeno ossimico. Detto composto differisce notevolmente, nel suo compor- tamento chimico, dalle sostanze le quali, in modo analogo, si ottengono per deidrogenazione delle gliossime R..C(: NOH). C(:NOH).Rk, in cui R ed R, sono alchili, arili od acili. Infatti, p. es., mentre il perossido della fenilgliossima può addizionare una molecola di anilina dando l’a-fenilaminofenilgliossima (3) CeHg (CxN30H) + CH;NH, —>- CHs.C(:NOH).C(:NOH). NHC;H;; i perossidi della dimetilgliossima CHgy(CsN30:) CHz, della difenil- gliossima CgH;(C$N,0,) CoHs e della B-metilbenzoilgliossima (4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923). (2) Ber. 23, 3504 (1896). (3) Nota VIII, “Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I (1923). ai PT rà VE Lee Ng Pain CA NE fi Lai e, pera; È x : Sai nè è 392 GIACOMO PONZIO CH; (C2N30,) CO. CH; (4) non reagiscono; ed il perossido della dibenzoilgliossima CsHs .CO (C2N30,) CO. CHs dà origine a. benzanilide ed a benzoilaminofenilgliossima (benzoil-isonitroso- acetanilid-ossima) (9) —> CHy.CONHGH;+C;H;.C0.C(:NOH).C(:NOH).NHC;H;. . Però, malgrado che questi fatti potessero, a mio avviso, far pensare che il perossido della fenilgliossima, il quale fra i perossidi citati è l’unico avente proprietà additive, dovesse possedere strut- tura differente da quella degli altri quattro, Wieland e Semper riprendendo lo studio del primo (9), dopo avergli assegnato la costituzione seguente CyH;.C C H ed il nome di E fenilfurossano, credettero di poter concludere che tutti i composti fino allora considerati come perossidi di gliossime non conten- gono il ciclo esaatomico — C-———__C bensì il ciclo | I N_O_-O0—-N furossanico — C N EEN? E per accordare la formola furossanica coi risultati delle esperienze di Forster e Fierz ("), di Green e Rowe (8) e di Angeli (*), secondo il quale, ammettendo nei perossidi delle gliossime un ciclo non simmetrico, i perossidi R (C,N0,) R,, in cui R, è diverso da R, dovrebbero, analogamente agli azossi- composti R(N:0) R,, esistere in due isomeri, Wieland asserisce, (*) Mie esperienze inedite. (5) BòrsegEn, “ Rec. trav. chim. ,, 29, 275 (1910); BòEsEeKEN e van LENNEP, ‘*1d.,, 31, 196 (1912). (9) Ann. 358, 36 (1906). (7) “J. chem. Soc. ,, 101, 2452 (1912). (8) “Id.,, 103, 897, 2023 (1914). (9) “ Gazz. Chim. Ital.,, 46, II, 300 (1916). ein st) dica Sie dar dra ite RICERCHE SULLE DIOSSIME 393 in una Nota successiva (!°), di essere riuscito ad ottenere una se- conda forma (labile) del fenilfurossano, fusibile a 106°-108°, cioè più alto della forma (stabile), fusibile a 95° od a 96°-97° pre- parata da Scholl e da Wieland e Semper (loc. cit.), soggiungendo che dalla forma stabile non si può più riavere la forma labile. | I fatti che più avanti riferisco mi autorizzano invece a con- cludere che esiste un unico composto della formola CgH; (C$N30:H) fusibile a 95°, a 96°-97°, od a 108° a seconda del suo grado di purezza, e che il suo comportamento verso l’acido cloridrico, verso l’anidride acetica e verso l’idrogeno nascente non si ac- cordano nè colla struttura di perossido della fenilgliossima CH; . C Toro © I Î Il NE di nè con quella di fenilfurossano (cambiata più tardi in ISO, }—-H Ì i | - NLG bensì con quella di ossido dell’ossima del cianuro di benzoile (ossido dell’ossiminobenzilcianuro) CH; . C Il NOH realtà, come ossima, per idrolisi, esso fornisce idrossilamina e trattato a freddo con anidride acetica dà l’ acetilderivato CéH; .C | Il vo ; e, come ossido di nitrile, ridotto con NOCOCH; N polvere di zinco ed acido acetico si trasforma nell’ossima del cianuro di benzoile (ossiminobenzilcianuro) CsH; . C (:NOH).CN. (1°) Ann., 424, 108 (1921). VE TERA RA 394 GIACOMO PONZIO Colla formola che io propongo si possono inoltre inter- pretare senza difficoltà le reazioni per le quali il composto CsHs (C.N30,H) trattato con soluzioni acquose di ammoniaca (1!) o di anilina (!*) addiziona una molecola di queste ultime dando rispettivamente origine ad a-fenilaminogliossima e ad a-fenil- aminofenilgliossima CH; 3 (0: paris era G Vf” NH; Il L”70 sd NOH N H —-» CHs.C(:NOH).C(:NOH).NH,, CH 0 RA TNA I 120 +1 NOH N H — CH,.C(NOH).C(:NOH).NHC,H,. In quanto al modo col quale l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile prende origine, avendo già dimostrato colle mie precedenti ricerche che nelle forme a delle gliossime î due ossiminogruppi non sono equivalenti, ammetterò che la a-fenil- gliossima (p. f. 168°) si comporti verso il tetrossido di azoto come la metilacetilgliossima CHy.C (: NOH). C(:NOH).C0.CH; e l’a-metilbenzoilgliossima CHs. C (:NOH).C (:NOH). CO. CH; (18). Ora, poichè queste ultime reagendo nella loro forma tautomera di a-ossimino-f-nitroso-Y-chetopentano CHz.C(:NOH).CH (NO). CO .CHsz e di a-ossimino-f-nitroso-1-chetofenilbutano CHg. C (:NOH).CH(NO).CO.C;H; dànno rispettivamente origine ad a-ossimino-8-pseudonitrol-y-chetopentano CHy.C(:NOH). C(:N303) .CO.CHz e ad a-ossimino-8-pseudonitrol-1-chetofenil- butano CH; .C(: NOH).C(:N:0;).CO.CH;s, mi sembra:logico concludere che la a-fenilgliossima reagendo nella sua forma tau- tomera di a-ossimino-8-nitroso-feniletano CXHg.C0 —— C-H Il LOS NOH NO H si trasformi, in modo analogo, in a-ossimino-8-pseudonitrol- (41) Ann. 358, 61 (1907) e Nota VI, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 28 (1923). (42) Nota VIII, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 23, I-(1923). (13) Note II e III, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 52, I, 289 e II, 145 (1922). CHsg.C-—_C RICERCHE SULLE DIOSSIME 395 feniletano CCHy5.C-—_CH . Però, mentre le due pseu- ] ZEN NOH NO NO, donitrolossime suaccennate sono stabili e si possono facilmente isolare, quest’ultimo composto perde spontaneamente una mole- cola di acido nitroso dando origine all’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile ue CL C5H; . C | ps NOH NO \NO, il quale è il prodotto finale dell’azione del tetrossido di azoto sulla a-fenilgliossima (14). Per conseguenza, pur riservandomi di proseguire lo studio di questo argomento e di estenderlo ad altre gliossime R.C(:NOH). C (:NOH).H, ritengo fin d’ora che sarebbe conveniente abban- donare il nome di furossani pei composti R(C,$N,0,) H, conser- vando il nome di perossidi per quelli risultanti dalla deidrogena- zione delle gliossime R.C(:NOH).C(:NOH).R,, ai quali, in accordo coi fatti che essi non posseggono proprietà additive e che, a differenza dei primi, sono riducibili col metodo di Angeli, in a-diossime, si può assegnare la formola R.C C.R, PAS N N 5, proposta da Green e Rowe (loc. cit.) ed accettata anche da Angeli. XXVIII. — Ossido dell’ossima del cianuro di benzoile I | >O (ovvero CH. C(:NOH).C:N:0). Si NOH N ottiene senz’altro allo stato di perfetta purezza trattando con (44) Invece, come già ho dimostrato (loc. cit.), i due gruppi > NOH della B-fenilgliossima hanno il medesimo comportamento; ed in realtà, per azione del tetrossido di azoto essa fornisce il fenilnitroperossido CsHs (CaN203) NO2. 396 GIACOMO PONZIO tetrossido di azoto la a-fenilgliossima (p. f.168°) col procedimento che ho già descritto nella Nota VI (loc. cit.), e si separa dopo breve tempo dalla soluzione in cristalli bianchissimi i quali comin- ciano rammollire alquanto verso 105° e fondono a 108° senza de- composizione, risolidificando immediatamente col raffreddamento in una massa cristallina bianca che conserva lo stesso punto di fusione. Ricristallizzato dai solventi organici (benzene, etere più etere di petrolio, cloroformio più ligroina, ecc.) il suo punto di fusione si abbassa fino a 102° (15); ma se si sciolgono nuova- mente i cristalli in etere addizionato di una traccia di tetros- sido di azoto e si concentra la soluzione; o più semplicemente se si agitano con etere reso acido con detto reattivo, il punto di fusione risale esattamente a quello iniziale (108°). Poichè il composto si conserva inalterato in recipienti di platino, mentre in quelli di vetro i cristalli a contatto delle pareti ingialliscono dopo qualche tempo e gli altri rimangono per molto tempo bianchi, io attribuisco i fatti suaccennati alla straordinaria sensibilità del- l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile verso le basi. D'altra parte un campione che avevo preparato due anni fa e che, con- servato in boccetta di vetro non perfettamente chiusa, si era alterato nel modo ora detto con un notevole abbassamento nel punto di fusione, fu facilmente riportato al punto di fusione pri- mitivo (108°) col procedimento di cui sopra; il che dimostra come Wieland (loc. cit.), nell’ammettere l’esistenza di due forme del composto, delle quali quella stabile non si potrebbe più ritras- formare in quella labile, sia incorso in un errore. Inoltre, contrariamente a quanto asseriscono Wieland e Semper (loc. cit.) l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile si altera se fatto bollire con acido cloridrico concentrato, e mentre è vero che cristallizza per la maggior parte inalterato raffred- dando subito la soluzione, io posso dire che prolungando il ri- scaldamento esso finisce per trasformarsi completamente in (45) Il punto di fusione 95° dato da Scholl e da Wieland e Semper (loc. cit.) era evidentemente quello di un prodotto molto impuro perchè ottenuto da una miscela delle due temi leliossime a e 8 semplicemente lavata con cloroformio. Sii e TA RE i eo RI 3 EE PES. ONE TT. Ù RICERCHE SULLE DIOSSIME 397 benzonitrile, acido benzoico ed idrossilamina, del cui cloridrato da 1 gr. di ossido se ne ottiene quasi la quantità teorica. Il peso molecolare del composto purissimo (p. f. 108°) in acido acetico è normale (trovato 165-153; per C3H0;N, cal- colato 162). Acetilderivato C;H; . © KOcocH, l'’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile con anidride acetica a freddo e si separa spontaneamente dalla soluzione dopo breve riposo alla temperatura ordinaria. Lavato con acqua e cristal- lizzato dall'alcool si presenta in aghetti bianchi fusibili a 115°-116° senza decomposizione. l C | vo . Risulta trattando N Trovato °/o: N 13,63. Per CioHsOgNo calcolato: N 13,72. È solubile a freddo in benzene, acetone e cloroformio; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile nell’etere e nella ligroina. Riduzione. Ad una soluzione di gr. 2 di ossido dell’ossima del cianuro di benzoile in 70-80 ce. di alcool si aggiungono gr. 4 di polvere di zinco e quindi poco a poco, e raffreddando con acqua, 2 cc. di acido acetico glaciale. Dopo alcune ore si filtra, si elimina l’alcool e si cristallizza il residuo dell’acqua bollente: si ottiene così l’ossima del cianuro di benzoile CH; .C(:NOH).CN in laminette bianche fusibili a 129°. | Trovato %oi N 18,78. Per C3HygON; calcolato: N 19,17. Per conferma l’ho sciolta in idrossido di sodio e trattata con cloruro di benzoile trasformandola nel benzoilderivato CH5 .C(:NOCOC;Hs).CN il quale cristallizza dall’acetone in prismetti bianchi fusibili a 139° conforme ai dati di Zimmer- mann (16). (49) “J. prakt. Chem., (2) 66, 363 (1902). Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 28 398 GIACOMO PONZIO == RICERCHE SULLE DIOSSIME Sull’isomerizzazione dell’ossido dell’ossima del cianuro di di benzoile e sul suo comportamento verso gli alchilioduri di magnesio e verso altri reattivi riferirò prossimamente. Torino — Istituto Chimico della R. Università. Aprile 1923. L’ Accademico Segretario OresTtE MATTIROLO 399 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 22 Aprile 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: S. E. BoseLLi, DE SANCTIS, BRONDI, Baupi pi Vesme, VALMAGGI, FaGGI, Luzio, Mosca, JANNACCONE, Vipari Segretario della Classe Scusano l’assenza i Soci PRATO e CIAN. Si legge e si approva l’atto verbale dell’ adunanza dell'8 aprile u. s. Il Socio De Sanctis presenta alla Classe il volume: Inscri- ptiones christianae urbis Romae. - Nova series, vol. I, Inscriptiones incertae originis, Roma, 1922: volume dovuto alle cure di Angelo SiLvaGnI, che lo compose, in continuazione dell’opera iniziata da G. B. pe Rossi, sotto gli auspici della Commissione ponti- ficia di archeologia sacra e della R. Società romana di storia patria. Il Socio De SAncTIS dà precise notizie circa i criterii onde la vasta opera fu condotta, e ne mette in rilievo l’alta importanza scientifica. Il Socio S. E. BoseLLI esprime il suo compiacimento di poter oggi assistere alla presentazione di così insigne opera, e ricorda che già nel 1888, essendo egli Ministro della P. I., 400 ebbe la fortuna di ricevere dallo stesso grande archeologo De Rossi i primi volumi della raccolta da lui iniziata delle epigrafi cristiane. Il Presidente Rurrini si associa alle espressioni di vivo compiacimento per il cospicuo dono, e manda a ringraziare i donatori. Il Socio Mosca presenta un suo volume uscito recentemente coi tipi della Casa Editrice Bocca intitolato: Elementi di scienza politica. Esso consta di due parti: una prima, che è la seconda edizione del lavoro già pubblicato nel 1896, ed una seconda finora inedita, che rappresenta lo svolgimento e la continua- zione della prima. Spiega inoltre per quali ragioni abbia adottato. nella nuova edizione tale trattazione della materia. Il Presidente RuPrINI si compiace cordialmente col Socio Mosca della ampliata edizione del suo libro, che già al suo primo apparire era stato così favorevolmente accolto, e che non potrà non avere, con le importanti aggiunte fattevi, un largo successo. A nome della Classe ringrazia. Il Socio DE SancTIs, per invito del Presidente, riferisce intorno al quinto Congresso internazionale delle scienze storiche tenutosi in Bruxelles dall’8 al 15 aprile, al quale egli inter- venne come rappresentante di questa Reale Accademia. Al Con- gresso partecipò un numero rilevantissimo di scienziati di molte nazioni. All’Italia fu assegnato uno dei sette posti del Consiglio internazionale di Presidenza, e si insistette perchè un rappre- sentante italiano facesse la sua comunicazione scientifica in una adunanza solenne. Il Congresso si divise in molte sezioni, che tutte compirono lavoro assai intenso e proficuo. L'ospitalità . cortese e fraterna offerta dai Belgi agli scienziati stranieri culminò nel cordialissimo ricevimento dato ai Congressisti da S. M. il Re Alberto. Il Consiglio di Presidenza internazionale stabilì di rimanere in ufficio per fissare la sede del prossimo Congresso di scienze storiche e per studiare la istituzione di IRR Sp NZ NPA, Dea È lit re ù fia, Pa ai 0) 4 3 un Comitato internazionale delle scienze storiche che sarebbe 401 incaricato di attendere ai lavori preparatorî per il prossimo Congresso, con l'intento che ad esso partecipino nella misura del possibile tutti i paesi. Il Socio S. E. BoseLLi, plaudendo all’opera del Socio pro- fessore DE SANCTIS, felice interprete dell’Accademia al Congresso, [ropone che l'Accademia si associ alla deliberazione del Con- gresso storico con l'augurio che essa giovi alla restituzione della unità della cultura. La proposta è accolta all'unanimità. Il Socio De Sanctis riferisce inoltre intorno al quarto Con- gresso della Unione Accademica Internazionale tenutosi in Bru- xelles subito dopo il Congresso di scienze storiche, nei giorni 16, 17 e 18 aprile. A tale convegno egli intervenne come rap- presentante di questa Accademia insieme col Senatore Carlo CaLIsse, rappresentante della R. Accademia nazionale dei Lincei, e coi professori UssanI e GiaLioLi delegati tecnici rispettiva- mente pel Dizionario del latino medievale e pel Corpus dei vasi antichi. Egli esprime la sua gratitudine al Ministero della Pubblica Istruzione per avere così integrato secondo le proposte della nostra Accademia la delegazione italiana. E riservandosi di ritornare sui particolari tecnici circa le imprese scientifiche studiate o assunte dalla Unione. Accademica Internazionale quando gli siano pervenuti i testi delle apposite relazioni ap- provate nell’ultima adunanza, per avere su di essi il parere della Classe, riferisce intanto che si procedette alla approva- zione dei nuovi Statuti già sottoposti al giudizio di quest’Ac- cademia; che all’invito della Commissione per la cooperazione intellettuale della Società delle Nazioni per darle il nostro concorso si rispose accettando di buon grado di entrare con essa in relazione; che alla Commissione per le iscrizioni egli presentò il volume delle Inscriptiones Christianae di cui ha fatto cenno in questa stessa adunanza, il quale fu accolto dal gene- Ape CR RIO SCIA TI TRI COS siii 402 rale plauso; che infine grazie agli affidamenti dati dal Ministero della Pubblica Istruzione si potè assicurare una larga e decorosa partecipazione italiana ai lavori principali assunti dalla Unione Accademica Internazionale e soprattutto al Corpus dei vasi an- tichi e al Dizionario del latino medievale. L’ Accademico Segretario GIrovaNNI VIDARI 403 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 29 Aprile 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D’Ovipro, NAccARI, SEGRE, Foà, GUIDI, Grassi, SomieLiana, PANETTI e il Segretario MatTIROLO. Scusano l’assenza il Presidente Senatore RurrinI e il Socio Sacco. Il Segretario dà lettura del verbale della adunanza prece- dente, che risulta approvato senza osservazioni. Il Presidente, a nome di tutti i Colleghi, rivolge al Socio NaccariI i più cordiali auguri per la salute ricuperata e comu- nicando all’Adunanza che l'assenza del Socio Senatore RurFINI è motivata da fausta circostanza; saluta nel nome dell’Acca- . demia con cordiali felicitazioni l'evento che allieta la famiglia del nostro Presidente, e l'Accademia delibera che gli sieno trasmesse. Il Presidente dà quindi comunicazione di una lettera della Société de Biologie di Parigi che celebra il 75° anniversario della sua fondazione, e che per la circostanza invita l’Acca- demia delle Scienze di Torino alla solenne funzione che avrà luogo il 26 maggio p. v. METE VP 404 Il Presidente provvederà a che l'Accademia sia rappresen- tata in quella occasione. Il Socio Foà comunica quindi e ) fa omaggio all'Accademia dei Capitoli VI e VII del suo Trattato di Anatomia Patologica. Colla consueta dovizia di illustrazioni i Dott. OrroLENGHI e BeLFANTI trattano rispettivamente nel Capitolo VI dei Micro- parassiti vegetali e nel Capitolo VII Della immunità. Il Presi- dente ringrazia per il cospicuo dono. Il Socio Guipi presenta quindi una Nota dell’Ing. Giulio Supino di Bologna dal titolo: Sulla struttura delle travature reticolari. La Nota è accolta per gli Atti. arie 1 | et Le denied Lc a GIULIO SUPINO — SULLA STRUTTURA, ECC. _ 405 LETTURE Sulla struttura delle travature reticolari Nota dell'Ing. GIULIO SUPINO presentata dal Socio nazionale residente C. Guidi Scopo di questo studio è di ricavare l’identità tra le con- dizioni di determinazione statica e geometrica di una travatura reticolare (mostrata successivamente dal F6ppl (*) e dal Frank (?) con determinanti funzionali) per mezzo di un determinante nu- merico e di introdurre, nello studio di esse, un terzo determi- nante col quale riconduco la ricerca degli sforzi in travature determinate, ma con vincoli esterni in numero maggiore dell’or- dinario, alla determinazione di quelli di una travatura stretta- mente vincolata. Considero solo travature piane: è ovvia l’esten- sione allo spazio. Poichè per un punto P (x,y), vincolato ad una determinata linea, sta l’equazione: (1) x cosa + y Sena = p (a è l'angolo della normale al vincolo in P con l’asse x) e per due punti A e B congiunti dall’asta di lunghezza / (il cui an- golo con l’asse x sia £), si ha: (2) (2, — x) cos 8 4- (yy — ys) senB=}; (') FoppL A., Theorie des Fachwerks, Lipsia, 1880. (*) Frank Pa., Ueber allgemeine unbestimmte Systeme. “ Monatschrift fiir Mathematik und Physik,, 1912, pag. 225. 406 GIULIO SUPINO così, se abbiamo nel piano » punti, collegati da % aste e sot- toposti a % vincoli semplici (!), e supponiamo di conoscere la loro posizione in un dato istante, possiamo, considerando in questo istante le tangenti al moto dei punti, scrivere per essi m equazioni lineari (X del tipo (1) e % del tipo (2)); la matrice dei loro coefficenti dà, con la sua caratteristica, il grado di in- determinazione del sistema. Può essere r<2n e m= 2n; considerando questi casi si hanno i vari tipi di travature (?). La caratteristica della matrice è invariante per qualsiasi trasformazione di coordinate: però essa conserva la proprietà invariantiva rispetto al moto dei punti solo quando si riduce ad un determinante (m = 2») (3). In questa ipotesi si distinguono due casi: o il determinante così ottenuto è identicamente nullo, o si annulla solo per speciali valori dei coefficenti: nel primo caso si tratta di nullità strutturale che si mantiene comunque si spostino gli n punti nel piano (4); nel secondo caso, se, per essere 2n — 1 la caratteristica del determinante, il sistema conserva un grado di libertà che permette il moto di due suoi punti A e B, ciò accade perchè l’asta A-— B non si oppone al moto (che non tende nè ad avvicinare nè ad allontanare i due punti) e il centro istantaneo di rotazione si trova sulla retta che contiene i punti stessi. La stessa osservazione si può fare per un vincolo, se il grado di libertà concesso al sistema lascia mobile il punto da esso vincolato, onde “ se una travatura reti- colare piana con n nodi e 2n condizioni — distribuite in modo da soddisfare a questa relazione anche in ogni parte di essa — è labile, allora o esiste un'asta (almeno) che contiene îl centro istantaneo (4) Se il vincolo è doppio diremo che il punto P deve trovarsi su due rette del fascio che ha P per sostegno. Il vincolo semplice rappresenta una linea di moto; sarà quindi una linea continua con derivata dapper- tutto finita. (2) Per "= 2n, m= 2 si hanno le travature determinate. Se è k=3 la travatura è strettamente vincolata. Se r=2n —p con r 2n. (8) Considerando il determinante sotto la forma funzionale si vede che è un “ covariante simultaneo ,. (*) In questo caso una parte della travatura è ad aste mancanti mentre l’altra parte è ad aste sovrabbondanti. SULLA STRUTTURA DELLE TRAVATURE RETICOLARI 407 di rotazione nel moto relativo dei due nodi da essa congiunti, 0 esiste un vincolo (almeno) la cui normale al punto vincolato con- tiene il centro istantaneo di rotazione del punto stesso , (1). Anche in questo secondo caso è impossibile che il deter- minante divenga — nel moto dei punti — diverso da 0: basta osservare che se ciò accadesse il centro istantaneo di rotazione dovrebbe esser fuori dell’asta o della normale al vincolo, mentre esso non può uscirne; però se un nodo sì trova in una posi- zione in cui il suo vincolo abbia tangente destra diversa dalla tangente sinistra, può essere che uno dei due determinanti ot- tenuti considerando separatamente le due tangenti sia diverso da 0 mentre l’altro sia nullo; basta la nullità di uno di essi per concludere che la travatura è labile. Riferiamo ancora la travatura ad assi ortogonali: indicando con Xi, Yo le componenti delle forze esterne nel nodo è, con È, la reazione del vincolo v pure agente su è e con Sy lo sforzo esercitato dall’asta 9g facente capo ad î, si hanno per ogni nodo le equazioni: i 3 È, cos bx + = Sy cos Sx CO (3) DE a > E,senkheax|+3SsenSa = Yo. Consideriamo la matrice dei coefficenti di questo sistema di 2n equazione ed m incognite (può essere m=2n): essa confrontata con quella relativa alle equazioni geometriche ha le linee eguali alle colonne di quella (?). Nel caso che la matrice si riduca ad un determinante è con ciò mostrata la identità fra le condizioni di determinazione statica e geometrica. Molte proprietà si deducono ora facilmente dalla teoria dei de- terminanti; altre si ricavano da considerazioni geometriche. Così, volendo conoscere i sistemi di forze di equilibrio per tra- (!') Cfr. Monr, Abhundlungen der Technischen Mechanik, pag. 391 e seg. e FRANK, op. cit. (*?) Nel caso del vincolo doppio le rette del fascio che ha per sostegno il punto fisso nelle equazioni geometriche saranno scelte normali alle linee d’azione delle reazioni agenti su di esso. spe Sire e pena ile O, N PROTEO TITO 4 408 GIULIO SUPINO vature ad aste mancanti, basta osservare che essi si oppon- gono allo spostamento di tutti i nodi: allora, se manca l'asta A— 5, si determinino col metodo cinematico del Miiller- Breslau le tangenti (con il loro senso relativo) alle linee per- corse dai nodi A e B; intese queste linee come forze (a meno dell'intensità) esse rappresentano il sistema occorrente per provocare uno spostamento dei nodi: qualunque sistema che non sia riducibile (in tutto o in parte) a quello, sarà un sistema di equilibrio. Un’altra osservazione di carattere cinematico è suggerita dalle travature labili. In queste dalla relazione S=3 (!), che si ricava per l’asta che è causa della labilità, si dovrebbe dedurre che lo sforzo in essa è (in generale) infi- nito; ma se è m=#=0 agisce una forza esterna normale al moto dell’asta, forza che fa spostare i nodi finchè il centro istantaneo di rotazione del loro moto relativo non si trova più sull’asta; allora se esso descrive una curva continua (cioè il moto dei ‘ punti ammette anche derivata continua) gli sforzi per posizioni vicine al limite sono enormemente grandi; diversamente, dato il sistema di forze esterne, gli sforzi nella travatura sono de- terminati e finiti. II. Data una travatura piana, determinata, le (3) permettono per ogni condizione di carico la determinazione degli sforzi in tutti gli elementi di essa; se consideriamo le 2n condizioni di carico indipendenti: | Pe ! i =0 Asg=0 Vag= Ya = Ag="0 e Aa = Re gr ne! (4) | 1 1 2 2 | da == 0 Y="0 Ig =0 Yy= 0/5 sì avrà, per ognuna di esse e per ciascun elemento, un certo sforzo; indicato con Sx lo sforzo prodotto nell'elemento 4 dalla (4) Cfr. Monr, loc. cit. L'equazione si può ricavare applicando la regola Cdi ramer al sistema (83). ta ir: dini em int Me STILI an SII + 0 SULLA STRUTTURA DELLE TRAVATURE RETICOLARI 409 forza unitaria % del sistema (4), potremo rappresentare lo sforzo totale prodotto da un sistema di forze (che possiamo ridurre a due per ogni nodo agenti secondo due assi) colle 2» relazioni: | Sia Xi Sta S1,9 ei Si,2n Y,= È, (5) A Ss Xi = Ss,9 de + (CORONE Scan 3 E rn Es Sani Xi + Sano Yi + alors. Si 3a = Fisn «| ‘in cui le incognite sono le È mentre le X e Y sono date. Se | invece si suppongono date le R e incognite le X e Y, si ha un sistema normale di equazioni i cui coefficenti sono deter- minati e finiti perchè la travatura è determinata e il cui de- terminante © Sti DIREI Si an So nb 2,9 è 0 000 Ss 2n i Sagara Ssn,on è sempre diverso da 0 perchè la sua nullità significherebbe che è possibile la soluzione del sistema omogeneo: ossia esistereb- bero delle forze applicate a nodi diversi capaci di farsi equi- librio senza provocare sforzi in nessun elemento della travatura, ciò che è assurdo. Dal sistema (5) si deduce che dati gli sforzi nei 2n elementi di una travatura piana, determinata, esiste sempre una (ed una sola) condizione di carico che li produce, proposizione reciproca a quella che si deduce dal sistema (3). Un sistema analogo a quello (5) si trova quando si cercano gli sforzi di elementi che si vogliono sostituire a un egual nu- mero di elementi dati: gli sforzi dei primi si possono considerare come forze esterne incognite che debbono render nulli gli sforzi dei secondi. Indicando con S, lo sforzo dell’elemento r®° dato e con S,,1, 9,3... S-,m gli sforzi provocati in esso dalle solle- citazioni: Ar = D'ORO A0 A=="0 Dig Salo LR 410 GIULIO SUPINO dove le _X sono prese nella direzione degli elementi da intro- durre, si ha il sistema: Bo RR e (6) \ Sta D+ Sta + ri Sim An =— Sa la S. x i SL; x Ea a Scr <#e e se è Sdi Spsoeoa Si 1 E RI Bi Pat RE e Bo | la trasformazione determina le X, X, ... X,, univocamente (1), e sta il seguente teorema: “ Se per una condizione di carico gli sforzi in un determinato sistema di m elementi di una travatura sono tutti nulli, essi sono nulli anche in qualsiasi altro sistema che sì ricavi dal primo mediante una trasformazione non degenere ,. Infatti in tale ipotesi le (6) divengono omogenee e, per essere il determinante (7) diverso da 0, l’unica soluzione è X}x.= X.=... Xn= 0. Questa osservazione è fondamentale per il nostro scopo di ricondurre la ricerca degli sforzi di una qualunque travatura determinata a quelli di una travatura strettamente vincolata. Infatti, supposto che nella travatura vi siano # vincoli, occorre sostituirne 4 — 3 con altrettante aste e, determinati in queste gli sforzi con uno dei soliti metodi, trovare quelli dei vincoli per mezzo delle (6). Il teorema precedente rende la ricerca in- dipendente dal sistema di aste intermediarie e dalla travatura strettamente vincolata scelta per base. (4) Il determinante (7) è stato introdotto per la prima volta dal Miller- Breslau (Cfr. Die Graphische Statik der Bauconstructionen, vol. I, pag. 443, Stuttgart, 1905) nel suo metodo delle “ Ersatzstabe ,. SULLA STRUITURA DELLE TRAVATURE RETICOLARI 411 Se l'equazione di grado m in k: Sti \--a k So PIDONORONO Sia Ss Ss,9 Tr=M k 0 0000 Ss Snia 1,3 00000 Da GTO k ammette come radice m"? il numero 4, gli sforzi negli elementi sostituiti sono sempre ordinatamente proporzionali (con — X fat- tore di proporzionalità) a quelli degli elementi dati. Bologna. — Ottobre 1922. L’ Accademico Segretario Oreste MATTIROLO 412 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE - Adunanza del 6 Maggio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: S. E. BoseLLi, DE SaAncTIS, BRONDI, ErnAupI, BauDI pi Vesme, PaTETTA, PRATO, CIAN, PACCHIONI, Fasci, Luzio, JANNAccoNE che funge da Segretario. | Scusa l'assenza il Socio ViparI Segretario della Classe. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 22 aprile u. s. - Il Socio Luzio presenta il secondo volume della pubblica- zione intitolata L'Archivio Gonzaga di Mantova, illustrando la grande importanza che il carteggio e i documenti diplomatici dei Gonzaga hanno per la storia delle signorie, del Rinasci- mento e della Riforma. Il Presidente Rurrini ringrazia il Socio Luzio, nella sua duplice qualità di donatore e di autore, della importante pub- blicazione, rilevando che pubblicazioni di tal genere meritano uno speciale attestato di riconoscenza per la fatica che costano a chi attende a raccogliere e pubblicare i documenti, e per la utilità che rendono a coloro che altrimenti non potrebbero ser- virsene. Il Socio Luzio presenta ancora i suoi tre volumi su Maz- zini, cioè: La madre di Giuseppe Mazzini. — Giuseppe Mazzini carbonaro. — Carlo Alberto e Mazzini. 413 Il Socio S. E. BoseLLi manifesta il suo vivo compiacimento per tali opere, dalle cui pagine l’anima di Giuseppe Mazzini appare sempre mossa da nobili sentimenti, anche in momenti nei quali la sua attività pratica non era forse completamente approvabile, e nelle quali la figura di Carlo Alberto rifulge di nuova luce e purificata da certe mende con cui la leggenda l'aveva offuscata. Il Socio Luzio ringrazia S. E. BoseLLi delle sue nobili parole, osservando che solo lo studio scrupoloso dei documenti d'Archivio e la loro pubblicazione integrale potrà rinnovare la storia del nostro Risorgimento e sostituire la verità a molte impressioni superficiali ed a molte deformazioni partigiane. Il Presidente RurFINI, a nome del Comitato Aretino della Dante Alighieri, presenta un volume su Dante e Arezzo, il quale appartiene a quella collana di opere che sono state pubblicate in occasione del centenario Dantesco per mettere in luce le relazioni di singole città o regioni italiane con l’opera e la vita del grande Poeta. Presenta pure il volume Letture del Cen- tenario pubblicate per la stessa occasione dal Comitato d’Ivrea per le onoranze a Dante, compiacendosi che da tutte le terre italiane si siano levate voci a glorificare il poeta, e che gli studî pubblicati in tale occasione, sebbene di varia natura e valore, attestano il grande progresso fatto in Italia nel campo della storia e della letteratura. Il Socio CraN consente col Presidente, e manda anch'egli una parola di plauso e di ringraziamento agli autori degli studî raccolti nei due volumi ed ai Comitati danteschi che ne pro- mossero la pubblicazione. L’ Accademico Segretario GiovANNI VIDARI Atti dellu Reale Accademia — Vol. LVIII. 29 ME OTT 0 CORI io TI tt" nat d4 "e Pao t I e PT NAT a ai E Ci at aa ale a) : i ue e cca 414 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 13 Maggio 1923. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci D’Ovipro, SEGRE, PEANO, GuInI, PARONA, Grassi, SoMIGLIANA, PANETTI, Ponzio, HERLITZKA, POCHETTINO e il Segretario MaTTIROLO. Scusano la loro assenza i Soci NAccARI e SAcco. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che risulta approvato senza osservazioni. : Il Presidente, dichiarandosi cordialmente commosso per la dimostrazione della quale è stato fatto segno dall’Accademia, ringrazia i colleghi. Egli comunica all’Adunanza che il nostro Socio corrispondente CrarLes RicHET è stato pregato di rap- presentare l'Accademia alla solenne funzione che celebrerà il 26 maggio l’anno 75° della fondazione della “ Société de Biologie ,. Il Socio Prof. Ponzio presenta all’adunanza la sua XII Nota sulle Diossime, che viene accolta per gli Atti. GIACOMO PONZIO — RICERCHE SULLE DIOSSIME 415 LETTURE Ricerche sulle diossime Nota XII del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO La formola di ossido dell’ossima del cianuro di benzoile /0X CHs.C(:NOH).C=N ovvero C;Hs.C(:NOH).C:N:0 da me adottata (!), in sostituzione di quella di fenil/gliossimperos- sido C(Hg.C ——————_C.H di Scholl (?) e di quella di fe- Il Il NEON — nilfurossano CHys.C-—_ CH CHyg.C-——CT—-H | | >O ovvero I | N--O0—-N . N_O—-N:0 di Wieland e Semper (*), pel composto CH; (CsN,0,H) il quale risulta trattando la a-fenilgliossima (p. f. 168°) con tetrossido di azoto (4), non si accorda coll’asserita isomerizzazione di detto composto in fenilidrossifurazano CsHs.C o. OH, isome- rizzazione la quale, secondo Wieland e Semper (loc. cit.), sarebbe provocata dagli idrossidi e dai carbonati dei metalli alcalini. Ma, come dimostrerò più avanti, malgrado che l’esistenza di tale isomero sia stata ulteriormente confermata da Wieland (°), (4) Nota XI. — “Gazz. Chim. Ital. ,, 53, II (1923). (2) Ber. 32, 3504 (1896). @) Ann. 358, 56 (1906). (4) Nota VI. — “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923). (9) Ann. 424, 107 (1921). 416 GIACOMO PONZIO la sostanza ritenuta da detti Autori, e descritta nei trattati di chimica organica, come fenilidrossifurazano, non è altro che l’os- sido dell’ossima del cianuro di benzoile, un po’ meno impuro di quello da essi impiegato nelle loro prime esperienze. Ciò si poteva d'altronde prevedere dalla semplice lettura dei lavori di Wieland e Semper e di Wieland: infatti i punti di fusione successivamente attribuiti al supposto fenilidrossi- furazano (106°, 110°-111°, 106°-107°, 109°-110°) sono vicinissimi al punto di fusione dell’ossido dell’ossima del cianuro di ben- zoile, il quale puro fonde a 108°, ma può anche fondere a 111° e perfino a 112° se riscaldato rapidamente. Questo nitrilossido, come già ho fatto osservare nelle Note VI e XI, se purissimo è stabile e non si altera neppure fondendo, ma bastano tracce di impurezze (non riscontrabili all’analisi) per diminuirne la stabilità anche alla temperatura ordinaria, per aumentarne al- quanto la solubilità nei solventi organici e per renderlo più facilmente solubile negli idrossidi dei metalli alcalini, cioè per fargli assumere le proprietà attribuite da Wieland e Semper al loro pseudo isomero. Era inoltre da ritenersi molto improba- bile che il fenilidrossifurazano CgH;(CsN30) OH potesse avere un comportamento analogo a quello del fenilfurazano C5H5(C,N0) H, e che mentre quest'ultimo è isomerizzato dalle basi nell’ossima del cianuro di benzoile il primo si dovesse trasformare, nelle identiche condizioni, in fenilidrossigliossima (acido ossiminobenzoilformidrossamico) CoHsg.C-— C— 0H j Cell «€ | +.Hs0..— I i N-O—N NOH NOH non esistendo ragione alcuna perchè il ciclo furazanico debba aprirsi colla stessa facilità tanto se unito all'idrogeno (elettro- positivo) quanto se unito all’ossidrile (elettronegativo). Infine, la formazione della fenilidrossigliossima non era stata provata da Wieland e Semper, ma dedotta unicamente dalla colorazione RICERCHE SULLE DIUSSIME 417 che la soluzione basica della sostanza da essi ottenuta assumeva. se trattata con cloruro ferrico, cioè col reattivo degli acidi idrossamici (°). Ciò premesso, è evidente che non esistendo il fenilidrossi- furazano (od esattamente, non formandosi esso nel modo creduto da Wieland e Semper), viene a mancare un’altra delle ragioni addotte da questi Autori in favore della formola furossanica pel composto C;H;(C,N:0,H) risultante per azione del tetrossido di azoto sulla a-fenilgliossima. Per contro, la formola di nitril- ossido che io ho proposto nella Nota XI si accorda perfettamente non soltanto colle proprietà già conosciute del composto stesso, ma anche col suo vero modo di isomerizzarsi e col suo compor- tamento verso il reattivo di Grignard, sui quali riferisco ora.. Infatti per ebollizione con xilene esso subisce una trasposi- zione intramolecolare in 3-fenil-5-idrossi-furo-(a b;)-diazolo CHg.0O N CeHg . C NH I i ovvero | lE VA NES) 8 “OH NESS "CO risultando probabilmente come prodotto intermedio il corrispon- dente cianato "a EeStag CR: EIA | |)o — | Î OH N NOH CO 9A a | » | PA: Ne-0< 0, 0H e reagendo col metilioduro di magnesio dà origine a fenilmetil- gliossima CoHg. CC CHyg.C-—-C.CH i] pyo merca °°] et NOH N NOH NOMgI CoHg . CT C. CH3 HO! I eo NOH NOH (9) Fondandosi soltanto su questa reazione cromatica, Wieland e Semper (Ann. 358, 62 (1907)) asseriscono altresì che per lungo riscaldamento del- 418 GIACOMO PONZIO Adottando la struttura di ossido dell’ossima del cianuro di benzoile la formazione di una idrossiazossima e di una a-diossima colle suddette reazioni, e la riducibilità, colla reazione da me descritta nella Nota XI, in ossima del cianuro di benzoile CsHg.C(:NOH).CN, si possono interpretare, ed anche preve- dere, senza nessuna di quelle difficoltà che si incontrerebbero. colle antiche formole di fenilfurossano o di fenilgliossimperossido; apparendo inoltre una evidente analogia col benzonitrilossido (0) cxH,.6= N ovvero CH;.C:N:0, il quale, secondo Wie- land ("), si isomerizza per azione del calore in fenilcianato CoHg.N:C:0 (8), è trasformato dal metilioduro di magnesio in acetofenonossima C;H; .C(:NOH).CH;, ed è. ridotto da zinco ed acido acetico in benzonitrile CgH; . CN. XXIX. — Ossido dell’ossima del cianuro di benzoile ZO : CH; .C(:NOH).C=N ovvero CGHs.C(:NOH).C:N:0. Isomerizzazione. Se si scalda per un’ora all’ebollizione il nitrilossido con poco xilene, o se si tratta, alla temperatura ordinaria, la soluzione benzenica diluita del nitrilossido con fenilidrazina, si separa, nel primo caso col raffreddamento e nel secondo col riposo, una sostanza cristallina, la quale risulta pure, assieme ad a-fenilaminofenilgliossima CH; .C(:NOH). C (:NOH). NHC;H;, addizionando anilina al nitrilossido sciolto in benzene (*). Il rendimento della reazione, quasi quantitativo impiegando lo xilene o la fenilidrazina, è scarsissimo coll’ani- lina se si opera a freddo, ma può aumentare fino al 30 °/o l'’ossima del cianuro di benzoile con idrossilamina risulta la fenilamino- gliossima CsHy.C(: NOH).CN + NH:0H + C;H:;.C(:NOH).C(:NOH).NHa, mentre secondo le mie esperienze non se ne forma traccia. (7) Ber. 40, 1667 (1907). (*) Il fenilcianato si polimerizza poi spontaneamente nel perossido della difenilgliossima 2CH; N:C:0 + C;Hs(C,N30,) C;Hs; mentre il dimero dell’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile, cioè la diossima del perossido della dibenzoilgliossima CyHy. C (:NOH)(C3N303). C (:NOH).C5Hs, si ottiene soltanto per via indiretta. Di esso mi occuperò in una Nota di prossima pubblicazione. Di (9) Pesi uguali di nitrilossido e di fenilidrazina o di anilina. RICERCHE SULLE DIOSSIME 419 facendo bollire per alcune ore la soluzione in apparecchio a ricadere (1°). Cristallizzata dall’alcool, la sostanza di cui sopra si pre- senta in grossi prismi; cristallizzata dall'acqua, in fini aghi bianchi, fusibili a 202°-203° senza decomposizione. Trovato %ot C 59,05 H 3,98 N 17,19. Per CsH5g0gNo cale.: 59,25 3,70 17,28. Essa ha tutte le proprietà del 3-fenil-5-idrossi-furo-(a b.)- diazolo CH; (C$N30) OH ottenuto da Tiemann e Falck (1) per riscaldamento della benzenilamidossima con celorocarbonato di etile CH; .C(: NOH) (NH;) + CICOOC,H; — HC1+ C,H;0H + C;H; (CxN:0) OH, salvo il punto di fusione un po’ più elevato (202°-203° invece di 199°), il quale però è identico con quello del prodotto da me preparato secondo le indicazioni di detti Autori e convenientemente purificato. A complemento di quanto trovasi riferito nella letteratura soggiungerò che il 3-fenil-5-idrossi-furo-(ab,)-diazolo ha funzione di acido monobasico più forte dell’acido carbonico; che in solu- zione acquosa richiede per la neutralizzazione un equivalente di idrossido di sodio; che il suo peso molecolare determinato colla criometria in acido acetico è normale (trovato 162; per CsH;0,N, calcolato 162); che non reagisce nè col bromo, nè col cianato di fenile, nè coi cloruri di fosforo; che non è nè acetilabile nè benzoilabile; che si scioglie a freddo nell’acido solforico concentrato e riprecipita inalterato per diluizione con acqua; che è solubile a caldo negli acidi cloridrico e nitrico concentrati e cristallizza col raffreddamento. Ne descrivo inoltre il sale sodico e l’etere metilico, non ancora conosciuti. Il sale sodico C5Hz(Cs$N,0) ONa si ottiene trattando il 3-fenil-5-idrossi-furo-(ab;)-diazolo colla quantità teorica di car- benato sodico sciolto in poca acqua e tirando a secco la solu- (49) Il procedimento col quale dalla miscela si può isolare la da-fenil- aminofenilgliossima l'ho già indicato nella Nota VIII (“ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, II (1923)), ove ho anche detto che se sull’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile si fa agire l’anilina in soluzione acquosa si forma esclusiva mente la gliossima. (1!) Ber. 18, 2456 2468 (1885) e 29, 1475, 1482 (1886). calata dla ira “i DO f 420 i GIACOMO PONZIO zione (per il che il carbonato è decomposto con svolgimento di anidride carbonica). Costituisce una polvere bianca cristallina, solubile in acqua, insolubile nei comuni solventi organici, eccetto l’alcool etilico e metilico. Trovato °/: Na 12,68. Per Cg3H;0gNsNa cale.: 12,51. L’etere metilico C$H; (C$N30) OCH; si forma per azione del solfato dimetilico sulla soluzione del 3-fenil-5-idrossi-furo-(ab;)- diazolo in idrossido di sodio al 20 °/9; ovvero per azione del ioduro di metile sulla soluzione del suc sale sodico in alcool metilico, e cristallizzato dall'alcool si presenta in lunghi aghi bianchi fusibili a 116° senza decomposizione. Trovato °/o: N 15,79. Per CsHsOsN»s calc.: 15,90. È insolubile nell’acqua; solubile a freddo in acetone ed in cloroformio; poco solubile in etere; discretamente solubile a caldo e meno a freddo nell’alcool e nel benzene; poco a caldo e pochissimo a freddo in ligroina. Riscaldato con idrossido di sodio diluito subisce con faci- lità l’idrolisi. Azione del ioduro di metilmagnesio. Wieland e Semper (1?) dicono che i perossidi delle gliossime (da essi erroneamente con- siderati come furossani) non reagiscono col reattivo di Grignard; per contro l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile (cioè il fenilgliossimperossido di Scholl o fenilfurossano di Wieland e Semper) è colla massima facilità trasformato in metilfenilglios- sima CHsz. C (: NOH).C (: NOH). C;H; dal metilioduro di ma- gnesio. Infatti, se a quest’ultimo si aggiunge poco a poco la soluzione eterea del nitrilossido ha luogo una reazione molto viva e tosto si separa un composto di addizione, il quale trat- tato con acido cloridrico diluito cede all’etere una discreta quantità di gliossima che si isola trasformandola, mediante l'acetato di nichel, nel caratteristico sale complesso (C3Hs0gNo)sNi (1°) Ann. 358, 67 (1907). Li a ee RICERCHE SULLE DIOSSIME © 421 già da me descritto nella Nota I (15) e cristallizzabile dall'alcool in aghetti di colore rosso-scarlatto fusibili a 239°-240°. Trovato 9%: N 14,49. Per CisH,g0,NNi cale.: 14,20. Azione del carbonato sodico. Wieland e Semper (loc. cit.) agitando per un'ora con carbonato sodico al 5 °/o la soluzione eterea dell’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile (impuro, fusibile a 95°, e da essi ritenuto fenilfurossano); ovvero trat- tando allo stesso modo il nitrilossido quasi puro (fusibile a 106°-108° e da Wieland considerato come la forma labile del fenilfurossano) ottennero una sostanza la quale, cristallizzata dal benzene, fondeva a 106° od a 110°-111° e che ritennero fenilidrossifurazano CH; (C$N30) OH. Ripetendo queste espe- rienze coll’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile purissimo (e da me preparato per azione del tetrossido di azoto sulla a-fenilgliossima pura), ed anche agitandolo a freddo per un’ora con soluzione diluita, o per qualche minuto con soluzione bol- lente di carbonato sodico al 5 °/o, ho anch'io ottenuto una so- stanza la quale cristallizzata dal benzene o dall’alcool acquoso fondeva, decomponendosi, a 104°-105°, ma che purificata me- diante lavatura con etere addizionato di una traccia di tetrossido di azoto fondeva poi a 108° senza decomposizione. Trovato °/o: N 17,02. Per CgH;0gN; cale.: 17,28. Detta sostanza non è fenilidrossifurazano, ma è identica in tutte le sue proprietà coll’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile primitivo; infatti, come quest’ultimo: a) sciolta in etere ed agitata con soluzione acquosa 6N di ammoniaca si trasforma in a-fenilaminogliossima CgHs . C (:NOH).C(:NOH).NH,;, p. f. 1549-1599; 5) agitata con soluzione acquosa di anilina si trasforma in a-fenilaminofenilgliossima C;Hgy.C(:NOH).C(:NOH).NHCHs, piot. 188°; (43) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 51, II, 224 (1921): e TR ue Tandiy TULA SEI IR SUI SATA 7 > PA Chi figo È A TAL rotori is DRENANTE POIZAE 422 GIACOMO -PONZIO — RICERCHE SULLE DIOSSIME c) fatta bollire con xilene o trattata in soluzione ben- zenica con fenilidrazina a freddo si trasforma in 3-fenil-5-idrossi- furo-(a b;)-diazolo CgHs (C$N30) OH, p. f. 202°-203°; Trovato °/o: NOLTA45 Per CsHsOgNs cale.: 17,28; d) trattata a freddo con anidride acetica si trasforma nell’acetilderivato dell’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile O i /0N CsHs . C(:NOCOCH3).C=N ovvero C;H;.C(:NOCOCH3).C:N:0, p. f. 115°-116°. Trovato °/o: N 13,81. Per C.oHsOsNs cale.: 13,72. Il vero fenilidrossifurazano C;}Hj.C ——C.0H dovrebbe i i N—O—N invece avere un comportamento analogo a quello del peros- sido della fenilidrossigliossima CH; .C C.OH di Il Il N 0-02 SN Wieland (!4), e del 83-fenil-5-idrossi-furo-(a b;)- diazolo CHj,.C—N ; il che ritengo di poter dimostrare con | Ì N—0-C.0H ulteriori ricerche. Torino — Istituto Chimico della R. Università. Maggio 1923. (44) Ann. 328, 255 (1903). L' Accademico Segretario Oreste MATTIROLO E I Pia Pa e in Agla O ho ug i) 9 Ret PESCE > - iii Rea mici iti ii 423 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 20 Maggio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. GAETANO DE SANCTIS DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci Baupi pi VeEsME, PATETTA, PRATO, Cran, Luzio, JANNACcONE, VipaRrI Segretario della Classe. Scusano l'assenza il Presidente Senatore RurrINI e il Socio VALMAGGI. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 6 maggio u. s. Il Presidente De SANCTIS, aprendo la seduta, invia un de- ferente saluto a S. M. il Re, che oggi giunge, ospite desiderato e acclamatissimo, in Torino, la vecchia e fedele sede de’ suoi avi gloriosi. Associandosi all’entusiasmo del popolo, egli ne rileva tutto il significato, che è di omaggio alla monarchia co- stituzionale, saldo baluardo della unità e libertà della Patria. La Classe si unisce, plaudendo, alle parole del Presidente. Il Socio PATETTA presenta, per l’inserzione negli Atti, una sua Nota contenente Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico Sclopis. Il Socio Luzio presenta, per l’inserzione nelle Memorie, una raccolta di Documenti riguardanti i primi anni del Regno di Carlo Alberto, da lui illustrati e collegati, e ne dimostra l’importanza storica per rispetto specialmente ad alcune figure di ministri e ambasciatori della Corte piemontese. 424 In conformità all'articolo 27 dello Statuto, si procede alla votazione segreta per decidere della ammissione della Memoria: il risultato è di sette voti su sette votanti. Il Presidente De SancrIis dà quindi comunicazione alla Classe della Relazione presentata dal prof. Vincenzo UssanI, rappresentante italiano nella Commissione del dizionario medie- vale -al Convegno della Unione Accademica Internazionale di Bruxelles. L’UssanI vi riferisce della parte da lui presa alla seduta del 16 aprile, nella quale furono chiariti varii punti, che renderanno ormai effettiva e proficua la collaborazione di tutti a una grande opera di interesse comune. L'Italia ha assi- curata nell'opera una parte e una posizione degna, e sono am- messe, come lingue del Bollettino informatore dei lavori, l’ita- liano e il latino. L’UssanI inoltre accenna alle proposte da lui fatte, e dimostrate, al Ministero per un congruo finanziamento, che assicuri la regolare attuazione dell’opera da parte dei rap- presentanti italiani. Il Presidente corrobora con altre spiegazioni tali proposte, che sono state, pure per sua parte, presentate al Ministro: dal quale si possono attendere, come ha già dimostrato di volere, appoggi adeguati all'importante impresa e alle altre cui l’Ac- cademia partecipa sotto. gli auspici dell’Unione Accademica Internazionale. Propone quindi che si prenda atto della Rela- zione dell’UssanI approvandone in massima la direttiva; che si deferisca l'esame delle questioni tecniche concernenti quest’ar- gomento a una commissione di tre tecnici specialmente compe- tenti; che si insista presso il Ministro pel finanziamento della partecipazione italiana alle opere patrocinate dalla U. A. I, conforme alle proposte dell’UssanIi e sue. La Classe approva e designa a comporre la commissione accademica per il Ducange i Soci PatETTA, VaLmagGI e Luzio. FEDERICO PATETTA — LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO, ECC. 425 LETTURE Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico Selopis Nota del Socio naz. resid. FEDERICO PATETTA 1. In uno studio recentissimo (1), fatto “ con la scorta di lettere edite ed inedite, conservate dalle eredi Ricci ,, il pro- fessore Nunzio Vaccalluzzo si propose di mettere in rilievo la parte avuta da Massimo d’Azeglio nell’agitazione e nella discus- sione parlamentare originate dalla Convenzione del 15 sett. 1864. Volendo a tal fine mostrar chiaramente quali fossero già prima le condizioni fisiche e mentali del D'Azeglio, a parer suo “ ormai vecchio, più d’animo che d’anni, fuori battaglia, mal contento di tutto e di tutti ,, egli pubblicò due lettere di lui a Federico Sclopis, del 25 agosto e del 1° settembre 1863, concernenti le dimissioni da senatore date e poi ritirate, appunto per le insi- stenze dello Sclopis, Presidente del Senato, e di Giuseppe Fer- rigni, Vice-Presidente. Ora io non voglio discutere il giudizio del Vaccalluzzo sullo stato e sulla mentalità del D'Azeglio negli ultimi anni di sua vita, e tanto meno intendo d’addentrarmi nell'esame generale dei meriti e delle debolezze dell’uomo, che fu già proclamato il Baiardo d'Italia ed è ora trattato da qualche storico con severità certo eccessiva (2). (1) La crisi di un uomo politico. Massimo d’Azeglio e il trasferimento della capitale, nella “ Nuova Antologia, del 1° maggio 1923 (vol. 308, pag. 36 e segg.). (2) Favorevolissimo al D'Azeglio è invece il giudizio di Ettore Ciccotti, il quale, ammettendo gli errori del deputato e del ministro, ma non accen- nando neppure alle debolezze dell'uomo, conclude un suo recente studio dichiarando che “a più di mezzo secolo di distanza... l’uomo, il cittadino 426 FEDERICO PATETTA Restringendomi invece modestamente ai soli rapporti epi- . stolari fra il d’Azeglio e lo Sclopis, dirò che gli originali delle due lettere edite dal Vaccalluzzo si trovano nel carteggio Sclopis posseduto dalla nostra Accademia, e che insieme vi si trovano quattro lettere pubblicate nel 1872 da Matteo Ricci (1) e cinque altre, probabilmente inedite. Delle quattro lettere pubblicate dal Ricci, tre, in data 28 no- vembre 1837, 21 giugno 1864 e 23 settembre 1865, sono dirette allo Sclopis; una, colla sola indicazione del giorno e del mese (sabato, 22 febbraio) ma che si può assegnare con certezza all'anno 1862 (2), è invece diretta alla contessa Sclopis. L’edi- zione, fatta vivente ancora lo Sclopis e col suo consenso, sì - può dire, in complesso, abbastanza fedele. Il Ricci, per altro, il quale, nell’avvertenza A/ lettore premessa agli Scritti postumi: del D'Azeglio, aveva creduto di dover notare, che il suo illustre suocero scriveva bene, ma avrebbe potuto anche scrivere meglio. “ove avesse posseduto quell’instrumentum della lingua, ché non possedeva che in parte ,, oltre a correggere qualche grosso errore d’ortografia, volle anche togliere cacofonie e scorrezioni, e stampò quindi, per esempio, “è nata da poco ,, anzichè “ di. poco , (pag. 414, lin. 23); “ spero che tu conosca , invece di “ spero che conosci , (ibid., lin. 29); “a che cosa serva , invece di “a che cosa serve, (pag. 415, lin. 19); “ però m'ha giovato , invece di “ ma m'ha giovato , (pag. 417, lin. 10). S'aggiunga che per l’ultimo versetto stampato a pag. 413, “ E non ti confon- dere ,, è data nell’originale a pie’ di pagina la variante “Vivi e lascia vivere ,; che a pag. 414, lin. 26-27, si deve leggere: “ siamo nati troppo presto per veder la bambina grande e grossa, e poter godere d’sua bela coumpagnia ,, mentre l’edizione omette: brilla sempre di luce più pura e riappare come quello a cui più si vorrebbe rassomigliare , (Massimo d’Azeglio e un aspetto della vita italiana, in “ Ri-- vista d’Italia, del 15 febbraio 1923, pag. 164). (1) Scritti postumi di Massimo p'AzeeLIo a cura di MattEO Ricci, 2* ediz.,. Firenze, Barbèra, 1872, pag. 410-418. i (2) I soli due anni, nei quali il 22 febbraio cadesse in sabato e che. possano esser presi in considerazione, sono il 1856 ed il 1862. Ma la let-. tera, per il contenuto e per la carta su cui è scritta, va attribuita alla. seconda data e non alla prima. Se MARTE RT SIT RESI REN I le ne pe: LETTERE DI MASSIMO D’AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 427 la parola bambina e dà compagnia in luogo di coumpagnia; che a pag. 415, lin. 25, la sigla N. N. va cambiata in Stefanoni, nel cognome cioè di quel marchese Carlo Stefanoni, che fu “legato all’Azeglio di strettissima ed affettuosa amicizia ,, ed al quale sono dirette sette lettere pubblicate nello stesso vo- lume a pag. 426 e segg. La poesia satirica contenuta nella lettera del 21 giugno 1864 era già stata in parte stampata dal Ricci a pag. 289-290; e un brano ne aveva dato molto prima lo Sclopis, nella prefazione alla raccolta, pubblicata a Torino nel 1867, intitolata L’opera pittorica di Massimo d’ Azeglio riprodotta in fotografia da Cesare Bernieri. Alla citata lettera del 21 giugno 1864 rispose lo Sclopis due giorni dopo con una lettera, che fu pubblicata (1) fin dal 1893 nella Rassegna na- zionale, vol. 71, pag. 298 e seg. Anche le dt lettere del 25 agosto e 1° settembre 1863, pub- blicate dal Vaccalluzzo, furono certamente tratte da copie fatte col consenso dello Sclopis e per uso di Matteo Ricci, il quale non se ne valse, ritenendo forse che la loro pubblicazione po- tesse, nel 1872, sembrare tuttora inopportuna. L'edizione, salvo piccolezze, corrisponde abbastanza bene agli originali. Il D'Azeglio però, parlando nella prima lettera dei nuovi senatori scaturiti da ogni parte d’Italia, usava la parola branco, che do- vette sembrare poco parlamentare e fu quindi sottolineata nel- l'originale con matita azzurra e sostituita nella copia, e per conseguenza nell’edizione, con la parola caterva. Le lettere di risposta dello Sclopis, del 29 agosto con poscritto della Con- tessa e dell'’8 settembre con un’aggiunta del Ferrigni, furono pubblicate nel già citato vol. 71 della Fassegna nazionale. 2. Resta a dire delle cinque lettere, che credo inedite e che pubblicherò qui integralmente. Queste lettere, tutte dirette allo Sclopis, appartengono a. tempi diversi. Le due prime, senza data, furono certo scritte da Torino quando il giovane Massimo era ancora, più che altro, (1) Con due altre lettere, che ricorderò fra poco, e col titolo: Un epi- sodio della vita di Massimo d’ Azeglio. Lettere di Federico Sclopis. È taciuto il nome dell’editore, che credo sia Pietro Fea, al quale è dovuta la rac- colta, che non ho sott’occhio, intitolata: Lettere inedite di uomini illustri a M. d’A., 2* ediz., Firenze, Cellini, 1884. PI (AREA, TATE O AI Pia a i erano i 428 FEDERICO PATETTA l'artista spensierato, oggetto per l’alta società torinese di cu- riosità e magari d’un po’ di scandalo, e trattava quindi il serio, compassato, dottissimo e moralissimo conte Sclopis con tanto di lei. Nella terza lettera, del 22 ottobre 1836, il lei appare gia sostituito dal voî, un po’ meno solenne, e che, alla sua volta, cede il Iuogo, nelle lettere del 25 agosto 1861 e del 3 di- cembre 1863, al tx confidenziale, meglio adatto ai rapporti fra i due illustri senatori, ex-ministri, nati nella stessa città e nello stesso anno 1798, appartenenti entrambi al patriziato piemontese e ormai compagni di fede e d’indirizzo politico. Del resto è detto già nella lettera del 1836 che l’amicizia del D'Azeglio e dello Sclopis era vecchia ormai di venticinque anni, cioè risaliva ai tempi della loro fanciullezza; e lo Sclopis, prima e dopo la morte dell'amico, mostrò sempre d’averne riconosciuto la nobiltà d'animo e d'intenti, e d’aver saputo apprezzare l’efficacia del- l’opera sua per la redenzione dell’Italia e per Pea mo- rale e civile degli Italiani (1). (1) È specialmente da vedersi la già citata prefazione all'Opera pittorica di M. d’A. riprodotta in fotografia, dalla quale mi piace di trascrivere qualche brano, perchè credo che questa raccolta sia ormai quasi irreperibile : “.. Ne’ suoi concetti artistici e letterarj l’Azeglio cercava il bello nel vero, come ne' suoi concetti politici il grande nell’onesto... Gli applauditi romanzi Ettore Fieramosca e Nicolò de’ Lapi furono lezioni, che fecero pensare gli Italiani a quel che erano stati, a quel che erano ed a quello che potevano essere. Sul campo di battaglia, nelle aule del Parlamento, nei Consigli della Corona lo vediamo sempre uguale a se medesimo, schiettissimo e fermo, non mai debole, non mai piaggiatore di Principi o di Popolo... Egli, per servirci delle sue stesse parole, volle ognora libertà vera, libertà per tutti a un modo, libertà libera, all'incirca come i contadini dicono giustizia giusta... Divenuto Primo Ministro, non si lasciò sopraffare dai clamori e dalle mac- chinazioni di chi avrebbe sagrificato la salvezza del paese allo sfogo delle passioni; la ragione finì col trionfare, ed il Piemonte, anzichè cadere nella voragine, che gli si apriva davanti, si ricompose a segno da potere a sua volta ricomporre l’Italia nell'aspirazione di splendidi destini. Ma non fu dato all’Azeglio di salutare il momento cui anelava, di veder la Venezia riunita all’Italia. Così la Provvidenza vuole che s’aggiunga il merito del sagrifizio a quello delle opere; e gli uomini debbono tenerne conto e non vacillar nella fede di una grande riparazione... Fra le cose che restano nel patrimonio di una nazione sono pure i grandi esempi. Que’ che ne porge la vita di Massimo d’Azeglio saranno .di gloria e d’ammaestramento all'Italia. Questa sarà l’opera del gran cittadino, più splendida fors’'anche WI TA) © E, I ST rt, Ie e iO ra an Ri Tae re a LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 429 Le lettere che pubblico non hanno bisogno di lunghi com- menti. È notevole nella seconda l'invito umoristico ad una serata, che doveva aver luogo nel castello di Rivalta; invito fatto per incarico del proprietario, conte Cesare della Chiesa di Benevello, il cui nome, ben noto ai cultori delle memorie storiche ed arti- stiche torinesi, non riuscirà nuovo ai lettori dei ‘icordî di Massimo d’Azeglio (c. XVI). Questi infatti narra che nel 1820 villeggiava col Benevello “ora a Saluzzo ora al suo castello di Rivalta ,, e ne traccia un ritratto simpaticissimo, che, data la facilità d’attingere alla fonte, credo superfluo trascrivere o com- pendiare. Poco o punto noto è invece l’accenno al Benevello, nascosto sotto lo pseudonimo di Etiobolo, nel famoso racconto satirico di Lodovico Sauli d’Igliano, Il castello delle Mollere (1). di quella dell’artista e del letterato ,. Ho trascritto questi brani dal ma- noscritto originale, non autografo ma con correzioni autografe, posseduto ‘ dalla nostra Accademia. (1) 1 castello delle Mollere. Racconto storico fatto alle valorose donne torinesi da Mandricardo da Sammichele, Torino, MCCCXXXIV, in benefizio di noi altri poveri pazzarelli. La data del 1334, voluta dal Sauli, è anteriore alla vera di cinquecento anni precisi. Su questo gustoso libretto si veda A. Manno; Curiosità e ricerche di storia subalpina, vol. I, pag. 733-735; G. B. Passano, I novellieri italiani in prosa indicati e descritti, P. II, Torino, 1878, pag. 676; L. Sauri D'IGLIANO, Reminiscenze della propria vita, vol. II, Roma, 1909, pag. 237 e segg. (“ Bibl. stor. del Risorg. ,, S. V, n° 12). Narra il Sauli come, per la pubblicazione del suo racconto, egli perdesse la grazia del re Carlo Alberto. E-non dobbiamo meravigliarcene. Carlo Alberto avrebbe dato prova di ben poca intelligenza se avesse creduto che potesse esservi un’allusione a lui nel nome Mollere, interpretato da alcuni, come dice il Manno, molle re. Con molto maggior ragione avrebbe invece potuto vedere un’allusione alle persecuzioni politiche del 1821, e magari dei pri- ‘ mordii del suo regno, in quello che il Sauli scrive a pag. 8, d'aver cioè un certo odio antico contro il medio evo, “ perchè la navicella d’alcuni ‘amici miei ha sofferto gran danno per essere stati inquisiti e diffamati in genere di avversione a quella barbara età ,. Indipendentemente però da questo, Carlo Alberto non avrà potuto perdonare le sconvenienti e chia- rissime allusioni, a pag. 21-22, contro la contessa di Sant'Andrea e la marchesa di Cortanze, che secondo le male lingue era stata sua amante. Vincenzo Promis possedeva un esemplare del Castello delle Mollere con annotazioni autografe dell’autore, delle quali ho copia e che permettono d’identificare quasi tutte le persone ricordate nel breve scritto. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 30 i e er e e EN Me e na ALTRA i ; a dae VI VARONE RE ° Tad | LL 430 FEDERICO PATETTA Volle infatti il Sauli scherzare garbatamente sull’insaziabdile curiosità di spirito, che, a detta del D'Azeglio, spingeva il Bene- vello a provarsi in ogni ramo dello scibile; e narrò quindi come Etiobolo, a forza d’investigare, avesse “ trovato il modo di far sì che l’acqua più non andasse alla china, ma sibbene risalisse e ser- pentasse su per le altissime schiene dei monti ,, e come, per timore che si quastasse il corso della navigazione, fosse stato costretto ad interrompere i suoi esperimenti già bene avviati e molto pro- mettenti per l'agricoltura e la pittura dei paesi (pag. 18-19). Il Benevello fu pittore, litografo, scrittore, mecenate degli artisti, ideatore e primo presidente della Società promotrice delle belle arti, fondata in Torino nel 1842, alla quale appartenne subito anche lo Sclopis in qualità di consigliere (1). La lettera del 22 ottobre 1836 contiene un accenno ad affari di famiglia, cioè forse ad un progetto di matrimonio, che non so se sia quello, effettuatosi nell’anno successivo, dello Sclopis con la contessa Isabella Avogadro. Più importante è la lettera del 25 agosto 1861, ua con- cerne la sotte histoire narrata ampiamente da Nicomede Bianchi nel suo libro Carlo Matteucci e l’Italia del suo tempo, Torino, 1874, pag. 317 e segg. Il 25 luglio 1861, rispondendo confiden- zialmente ad una lettera confidenziale del Matteucci sullo stato e sull’avvenire delle provincie napoletane, Massimo d’Azeglio aveva espresso idee forse nobili e generose ma certo poco pra- tiche e poco conformi a quelle della maggioranza, che, magari senza rendersene ben ragione, quando parla di consenso, e di volontà, e di sovranità del popolo, intende per popolo non tutti gli abitanti d’un paese, che abbiano idee e sentimenti e aspi- razioni vaghe e mutevoli, ma quelli soli che sanno cosciente- mente volere, che trasformano il loro pensiero in azione, e che sono in grado di cooperare all’effettivo esercizio di quella so- vranità, della quale si dicono partecipi. Secondo il D'Azeglio, non si sarebbe invece potuto parlare di consenso del popolo se non quando ci fosse effettivamente il consenso del maggior numero dei cittadini, o addirittura, com’egli dice, il consenso (1) Cfr. A. Stretta, Pittura e scultura in Piemonte (1842-1891), Torino, 1893, pag. 46 e segg. LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 431 universale. Nè c’era per lui un solo popolo italiano, il cui volere potesse imporsi ad ogni parte della penisola, ma tanti popoli quanti erano gli antichi governi; e ciascuno di questi popoli (in conformità, del resto, di ciò che si mostrò di credere indi- cendo i vari plebisciti) avrebbe avuto il diritto d’accettare o respingere a piacer suo l’idea dell’unità d’Italia (1). “ Sinora (scriveva il D'Azeglio) siamo andati avanti dicendo che i Governi non consentiti dai popoli erano illegittimi: e con questa massima, che credo e crederò sempre vera, abbiamo mandato a far benedire parecchi Sovrani italiani; ed i loro sudditi non avendo protestato in nessun modo, si sono mostrati contenti del nostro operato... Così i nostri atti sono stati con- sentanei al nostro principio, e nessuno ci può trovare da ridire. A Napoli abbiamo cacciato egualmente il Sovrano, per stabilire un Governo sul consenso universale... Dunque, o cambiar prin- cipio, o cambiar atti, o trovar modo di sapere dai Napoletani. una buona volta se ci vogliono sì o no... Ad Italiani che, rima- nendo Italiani, non volessero unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibusate: salvo a concedere che, per brevità, adot- tiamo il principio in nome del quale il re Bomba bombardava Palermo e Messina, ecc., ecc. ,. Per indelicatezza d’un famigliare del Matteucci, la lettera fu divulgata e quindi tradotta in francese e pubblicata nel giornale La Patrie. Si può immaginare qual putiferio ne nascesse. “Da otto giorni (scriveva il D'Azeglio al Matteucci in data del 20 agosto) non fo che rispondere a lettere che mi scrivono amici, conoscenti ed ignoti, sin di Francia e di Germania, per lavarmi più o meno la testa ,. Come vedremo, una dichiara- (1) Il ricorrere a plebisciti regionali poteva, fino ad un certo punto, sembrar cosa giustificata quando l'opinione pubblica oscillava ancora fra l’idea unitaria e la federalista. Ma respinta definitivamente quest’ultima idea, la quale, com’era vagheggiata dai neoguelfi, cioè colla formazione e conseguentemente coll’assoluta preponderanza del regno dell’alta Italia, era del tutto utopistica, non si sarebbe certo potuto ammettere che una o più regioni mantenessero la loro autonomia contro il volere della maggior parte degli Italiani. I plebisciti regionali potevano quindi esser consigliati da ragioni d’opportunità politica, specialmente di fronte agli stranieri, ma erano, in sostanza, la negazione, per ciò che riguarda l'Italia, dei principii di nazionalità e di sovranità nazionale. Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIIL 30% aironi te tw e e ep È e STA - ni 439 FEDERICO PATETTA zione analoga egli fece pure allo Sclopis, dicendogli d’aver dovuto non più far altro che « seriver sila e che ce n'era da caricarne un asino. Il Matteucci fu naturalmente dolentissimo dell’accaduto, e se ne mostrò così sinceramente contrito che il D'Azeglio finì coll’assumerne egli stesso la difesa e col dover cercare di con- solarlo, dichiarandogli (1) che egli della popolarità sinfischiava e del favore dei grandi non aveva bisogno. Ù L’ultima lettera allo Sclopis, del 3 dicembre 1863, ha poca importanza e non richiede commenti. 8. Ecco dunque il testo delle cinque lettere. I Mille grazie dei due libri, che mi serviranno molto per dare al quadro la tinta del tempo, se però vi potrò riuscire. Spero fra due o tre giorni di poterglieli rimandare; ho tanto poco tempo disponibile, che non son sicuro ogni giorno di poter leggere una facciata; .ciò fa che abuserò forse della di lei gentilezza. Giovedì. Tutto suo di cuore Massimo AZEGLIO. [A tergo della seconda carta] M” le Comte Frédéric Sclopis. II. Benevelli (!) mi ha dato l’incarico di pregare il sig. Conte Sclopis, il cav. Meana (2) e chi con loro, di prender le loro misure onde poter passare a Rivalta la sera e notte dal giovedì al venerdì, onde godere della festa che avrà luogo, decorata da un piatto di castagne, fiaschi, bottiglie, confetti, suoni, balli, coro di dame, damigelle, cavalieri, grandi e popolo. (1) In una lettera pubblicata dal BrancHI, o. c., pag. 819, colla data, evidentemente falsa, del 13 aprile 1861. In luogo d’aprile si deve proba- bilmente leggere agosto. Sulla sotte histoire sono da vedersi anche le lettere del d’Azeglio pubblicate nella raccolta del Rendu, che citerò in seguito (nî LKXXIX e XC); e quelle alla moglie, a Carlo di Persano, a Giuseppe Torelli, a Diomede Pantaleoni. (2) Dei marchesi Ripa di Meana. Sd a] e a ( LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 433 Esattezza, pulizia, decenza, nuove decorazioni e vestiario appositamente fatto secondo il costume del tempo fanno al Direttore sperare il benigno compatimento di questo rispettabile Pubblico. Non ho potuto negare al suddetto d’accompagnarlo quest’oggi a Rivalta onde prestare l’opera mia nei vasti preparativi necessarj, e ciò mi toglie il piacere di goder domani della compagnia degli amabili viaggiatori, che vorranno, spero, concedermi intero perdono pensando all’urgenza delle circostanze, e non volendo indebolire l’idea, che della loro indulgenza giustamente mi sono formata. Prego de’ miei distinti ossequj alla signora Contessa (1), ed ho l’onore di dirmi Mercoledì. Dev. ob. servo Massimo D’AZEGLIO. [A tergo della seconda carta] Costanza (2) m’incarica le dia questo libro e le faccia i suoi rin- graziamenti. All Ill»° signor Conte Federigo Sclopis. III Carissimo Amico, Vi debbo essere doppiamente grato, e ve lo sono difatti, per la relazione che m’avete mandata, e pel disagio che vi siete preso di copiarla voi stesso, che davvero è stata troppa finezza, e che mi ha fatto ricordare quella strofa dell’ “ Elixir d'Amore , di Donizetti — Troppo onore, un Senatore, ec.'ec. Basta, siamo amici da 25 anni, sicchè lasciamo i ringraziamenti e soltanto tenete conto di me ove possa in qualche modo farvi piacere. Ho parlato ieri a lungo d’una certa faccenda, nella quale se riu- scissi a farlo a voi, lo farei anche a me ed a molte persone. Ne scrivo alla bella Polissena, alla quale diplomaticamente mi rimetto, per non entrare più di quel che mi è lecito nelle cose vostre. Aggiungo soltanto che desidero caldamente il vostro bene ed il bene delle altre persone che mi son care, e prego Iddio d’assestar le cose in modo che tutti sì trovino contenti. Salutatemi Benevello, al quale ho scritto e desidererei che sapesse (1) Gabriella Sclopis, nata Peyretti di Condove, madre di Federico, che è pure ricordata nella terza lettera. (2) La marchesa Costanza d’Azeglio, nata. Alfieri di Sostegno, cognati di Massimo. 434 FEDERICO PATETTA che debolmente ho adempiuto il mio dovere; l’Abate (1), Sauli (2) e gli altri amici. i Vi prego di presentare i miei ossequj alla signora Contessa, vogliatemi bene, e ricordatevi che, malgrado la rovina del ponte di Sesia, la strada di Milano è però aperta, grazie alla provvida munifi- cenza dell’amministrazione, che ha supplito con un porto mobile. Milano, 22 ott. 1836. Tutto vostro Massimo AZEGLIO. Mi scordavo di dirvi che venendo da Azeglio (8) ho trovato qui la vostra. Ciò spiega il ritardo a rispondere, [A tergo della seconda carta] Monsieur M” le Comte Frédéric Sclopis. Turin. IV. Cannero, 25 agosto ’61. Caro Amico e Presidente, Grazie del libro, che ricevei ier sera e che ho già incominciato con vero piacere per la materia, che m'interessa, e per l’amica manus che scrive (4). Ieri ebbi le tue nuove da Ferretti (5) che ti vede ogni giorno, da quanto mi scrive. Ne ho piacere per ambedue, e per lui in ispecie che è più solo. Dalla tua lettera m'è parso capire che in quella sotte histoire della mia lettera a Matteucci egli gli dà più torti che non ha. Ti prego di dirgli che, da quanto ho capito, v'è stata da parte sua (1) Certamente Costanzo Gazzera, che non mancava mai alle riunioni d’ogni sera in casa Sclopis. V. Matteo Ricci, Federigo Sclopis. Impressioni e ricordi, Firenze, 1878, pag. 3 (Estr. dall’ “ Archiv. stor. ital. ,, S.IV, t. II). (2) Lodovico Sauli, egli pure intimo di casa Sclopis. (3) Il castello d’Azeglio era stato assegnato, nella divisione dell’eredità paterna, a Massimo, che in seguito lo vendette. (4) Deve trattarsi della memoria La domination frangaise en Italie (1800-1814), letta dallo Sclopis all’Académie des sciences morales et poli- tiques, e della quale esistono estratti colla data di Parigi, 1861. (5) Probabilmente il generale Cristoforo Ferretti, uno dei più fidi e migliori amici dell’Azeglio. A lui sono dirette le lettere, del 1855 e 1857, pubblicate negli Scritti postumi cit., pag. 484 e segg. x LETTERE DI MASSIMO D’AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 435 una semplice inavvertenza, della quale ha abusato ‘un tale che non mi volle nominare, e che egli ora ha messo alla porta dicendogli il fatto suo. Comunque sia, Matteucci m’ha scritto lettera così profondamente desolata e d’una contrizione così sincera, che se m’avesse data una schioppettata bisognava non parlarne più. E così avrebbe fatto ognuno. Mi dispiace che un amico, per eccesso di zelo, ha pubblicata un’altra lettera mia ove spiegavo il fatto, a Firenze, e senza il mio consenso. Ne ho dovuto scrivere a Firenze, e di nuovo a Matteucci per chiarire la cosa, che sarebbe stata poco delicata per parte mia dopo la sullodata contrizione. Insomma, per questa sciocchezza ho dovuto non più far altro che scriver lettere! Ce n’è da caricarne un asino! Il fatto poi sta ed è, che certi sentimenti cardinali e fondamentali, sui quali soli deve e può stare il consorzio umano, vengono mancando per l’invasione di tutta la generazione di mediocrità e d’imbroglioni, che sembrano uscir di sottoterra su tutti i punti della Penisola. Ma, pa- zienza! Non voglio scoraggirmi. Leggendo la storia, si trova che. tutti i paesi, dopo le gran mutazioni, per un centinajo d’anni sono in mano della feccia e della mediocrità. Dal 1688, l'Inghilterra è in mano dei galantuomini solamente da una sessantina d’anni circa (1). Allegri dunque. Nel 1961 l’Italia sarà guidata da grandi ingegni grandi caratteri, e saremo veramente liberi, persino di scrivere lettere a Matteucci. Consoliamoci dunque; è affare d’un po’ di pazienza. Ti prego di presentare i miei omaggi alla Contessa, saluta Ferretti e voglimi bene. $ M° D’AzEGLIO. [E unita la busta coll’indirizzo): S. E. Sig. Conte Federigo Sclopis di Salerano, Presidente del Senato del Regno. Torino. V. Caro Federigo, Siccome penso prendere il mio volo verso il Sud ai primi della settimana, e siccome non voglio assolutamente partire senza vederti e ringraziarti di tutte le tue gdateries: siccome (e questo è l’ultimo) Rendu (2) mi dice che t'ha mandato un programma che m'interessa vedere..... (1) Cfr., fra le Lettere del d’Azeglio al nipote Emanuele pubblicate dal Bianchi, quella in data 20 luglio 1861 (n° CXXXVI). = (2) Eugenio Rendu, amico comune del d’Azeglio e dello Sclopis. È no- tissimo il volume da lui pubblicato col titolo: L’Italie de 1847 à 1865. Correspondance politique. de Massimo d’Azeglio, Parigi, 1867; volume che 436 FEDERICO PATETTA Così, ti prego lasciar detto al tuo servitore a che ora ti posso trovare domani o doman l’altro; ed io manderò il mio a prendere la risposta stasera. Voglimi bene. Torino, 3 Dec. ’63. Massimo A. 4. Come appendice alla presente nota, che ebbe origine da uno scritto sulla condotta politica di Massimo d’Azeglio dopo la Convenzione di settembre, non sarà inopportuno dare il testo ‘d’una lettera del 9 novembre 1864, non citata dal Vaccalluzzo (1), nella quale egli esprime un sentimento, che doveva allora essere fra i Piemontesi assai comune, il rammarico cioè di dover consta- tare che il sacrificio dell’antica capitale e perfino i sanguinosi eccessi di poliziotti e militari durante le tristi giornate del 21 e 22 settembre erano accolti fuori del Piemonte quasi “ colla gioia d’un trionfo sospirato ,. Il D'Azeglio trova però subito la via giusta per non trascen- dere nel suo risentimento verso gli avversari ingenerosi del così detto piemontesismo; e sa d’altra parte distinguere fra gli Italiani suoi contemporanei e l’Italia, nel cui nome non è compreso il solo presente ma anche il passato e l'avvenire del nostro popolo. Per l’Italia, dice egli, e non per gli Italiani “ stati un pezzo sotto ignobili gioghi, e non ancora rigenerati, “ s'è lavorato e si lavora ,. La lettera, che è nella mia collezione d’autografi, dovrebbe, per quanto mi consta, esser stata diretta all’abate Jacopo Bernardi, patriota e letterato veneto, che visse per quasi trent'anni a Pinerolo, stimato ed amato da molti dei migliori uomini del Piemonte. Essa è del seguente tenore: contiene in gran parte lettere del d’Azeglio allo stesso Rendu. Molto inte- ressante è pure la sua commemorazione dello Sclopis, estratta dai resoconti dell'Académie des sciences morales et politiques: Le comte Frédéric Sclopis associé étranger de l’Institut de France, Parigi, 1888. (1) Fu già pubblicata, tacendo il nome del destinatario, nel giornale * Il Baretti,,.a. IX, 1877, pag. 89. LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 437 Cannero, 9 Nov. ’64. Gentilissimo Signore, La ringrazio dell’opuscolo, ch’Ella cortesemente m’ha inviato (1), e che mostra sempre più l’elevatezza del suo sentire. Lo mostra altret- tanto il rammarico ch’Ella manifesta per le poco liete venture, che 8’apparecchiano alla città dove sono nato. Sarebbe stato bene. che il nostro sacrificio non venisse accolto colla gioja d’un trionfo sospirato. Ma che vuole? i popoli stati un pezzo sotto ignobili gioghi non possono avere così a un tratto alti e nobili cuori. Ci vuol tolleranza, e pensare che. se certe cose poco si meritano gl’Italiani, le merita però l’Italia; e per lei, non per loro, s'è lavorato e si lavora. Grazie di nuovo, e mi creda con tutta stima Dev. Servo M° D’AzeeLIo. (1) Probabilmente il carme Soperga, stampato a Pinerolo appunto nel- l’anno 1864, e che non ho presente: non la lettera sul matrimonio civile A Nicolò Tomaseo (Pinerolo, Chiantore, 1864), poichè ha la data del 27 no- vembre ed è quindi posteriore alla lettera del D'Azeglio. L’Accademico Segretario GIOVANNI VIDARI AL CA sei y ET CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Maggio 1923 PRESIDENZA DEL SVUCIO PROF. C. F. PARONA VICEPRESDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci Naccari, Prano, GuIpi, GRASSI, SomieLIANA, Ponzio, SAcco, HERLITZKA, PocHETTINO e il Segre- tario MATTIROLO. Scusano la loro l'assenza il Presidente Rurrini e i Soci D’Ovipio e MAJORANA. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, che è approvato senza osservazioni. Il Presidente comunica una lettera del Socio corrispondente CnarLEs RicHET che, ringraziando, dichiara di accettare l’ono- revole incarico di rappresentare l'Accademia alle feste del 75° anniversario della Société de Biologie di Parigi. Il Socio HerLITZKA fa omaggio di due volumi che con- tengono le ricerche eseguite nel Laboratorio dell'Istituto di Fisiologia della R. Università di Torino. da lui diretto. — Il primo volume raccoglie i lavori eseguiti dall'anno 1913 al 1916; il secondo dal 1917 al 1921. Il Socio Sacco presenta e fa dono di una sua Nota pub- blicata nei “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei LUI Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. al I to et Uh p - S| Ve 440 titolo: L’anomalia della Gravità sulla Terra, e ne discorre bre- vemente. Il Presidente ringrazia i donatori. Il Socio Ponzio presenta quindi due Note: La 1, Sugli acidi nitrolici aromatici del signor Gustavo RoGGERI. + La 2°, Ricerche sulle Diossime del dottor Lodovico AvogapRro. Le due Note sono accolte per gli Atti. Il Socio PocHETTINO presenta quindi, in unione al signor G. FuLcHERIs, una Nota su le Proprietà elettriche e termiche dello Jodio, la quale viene approvata per gli Attz. Infine il Socio MartTIROLO presenta per la inserzione negli Atti una Nota, da lui redatta in unione al D' Piero GraJ-LEVRA, dal titolo: Primo Elenco delle Diatomee fluviali dei dintorni di Torino. Questa Nota contempla lo studio delle Diatomee alpine nelle sorgive che si trovano sulla sponda sinistra del Po, presso il Valentino (di cui è discusso il trasporto attraverso ai con- glomerati e alle puddinghe, sulle quali formazioni è situata Torino); e inoltre si riferisce allo studio delle Diatomee attual- mente viventi nelle acque del Po, del Sangone, della Dora Ri- paria e della Stura di Lanzo, e dei torrentelli che dalla Collina di Torino scendono al Po. GUSTAVO RUGGERI — SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 441 LETTURE Sugli acidi nitrolici aromatici Nota del dott. GUSTAVO RUGGERI Presentata dal Socio nazionale residente Giacomo Ponzio Fra i metodi generali di preparazione degli acidi nitrolici R.C(:NOH).NO,, e cioè: a) azione dell’acido nitroso sui mononitroidrocarburi (1), pis CH,CHi N03 ENO CH. C(:NOH) NO; ) b) azione dell’idrossilamina sui dibromonitroidrocarburi (2), RGS SCH. Br NO, NE. CHy. C(NOH) N04; c) azione del nitrito di argento sui cloruri degli acidi idros- samici (5), p. es. CH3.C(:NOH). CI AgN0:_ CHz.C(:NOH).N0;; d) azione del tetrossido di azoto sugli a-ossiminoacidi (4), p.es. CH;.C(:NOH). COOH N, CHz.C(:NOH).N0;; e fra alcuni metodi di applicazione limitata, e cioè: e) azione delle basi sui chetopseudonitroli (5), p. es. CH; . SHX N,0;).C0.CHy Foe, CH,.CH,.C(-NOH).NO,; f) azione dell’acido nitrico sui chetoni (5), p. es. CH3.CH,. BOSCH; Nos CH, CGNOH).. NO, soltanto il primo ha permesso a Wieland e Semper (7) di otte- nere, dopo molti tentativi infruttuosi di parecchi altri chimici, (') V. Meyer, Ann. 175, 93 (1875); DemoLe, Ann. 175, 146 (1875); TscHERNIAK, Ann. 180, 166 (1876); V. Meyer e Consram, Ann. 214, 329, 335 (1882). (*) V. Meyer, Ann. 175, 127 (1875). (8) Prtory e SreInBocK, Ber. 35, 3104 (1902). (4) Ponzio, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 33, I, 508 (1903). (°) Ponzio, “Id.,, 29, I, 358 (1899). (9) Bearenp e TryLLEr, Ann. 283, 245 (1894). (*) Ber. 39, 2522 (1906). 442 GUSTAVO RUGGERI l'unico termine finora conosciuto degli acidi nitrolici aromatici: l’acido fenilmetilnitrolico o benznitrolico C$Hsy.C(:NOH).NO;, il quale risulta in condizioni speciali, e con scarso rendimento, facendo agire l’acido ossalico sul sale potassico del fenilnitro- metano C;H; . CH3NO; in presenza di nitrito sodico. Io ho trovato che alcuni acidi arilnitrolici Ar.C(:NOH).N0O; si possono facilmente preparare trattando le arilaldossime Ar. C(:NOH).H con tetrossido di azoto, ossia ricorrendo ad un reattivo il quale è stato finora utilizzato per trasformare dette aldossime nei rispettivi perossidi o nei dinitroidrocarburi primari. Come dirò più avanti, per ottenere i miei acidi nitrolici occorre impiegare una mezza molecola di tetrossido, per il che questa agendo su una sola molecola di aldossima ne sostituisce l’atomo di idrogeno legato al carbonio con un nitrogruppo /H ZN0 Snog — A'-SNOH: Ar.C mentre, nei casi già noti, quando risultano i perossidi delle aldossime, una molecola di tetrossido di azoto toglie a due molecole di queste ultime i due atomi di idrogeno ossimico Pia CAVA Ar. CS NOH Ar. CAN 0 cas Î Sa RZN0H . p/N—-0 Ar. CH Ari Ck ; Il diverso modo di comportarsi delle differenti aldossime non è difficile ad interpretare. Infatti, siccome secondo Ponzio (8) i ‘dinitroidrocarburi risultano dalle aldossime aromatiche in maggior quantità facendo agire due molecole di tetrossido di azoto invece di una sola, e siccome Behrend e Tryller (°) hanno ossidato l’acido etilnitrolico in dinitroetano coll’acido nitrico CHz.C(:NOH).NO, —» CHz.CHN;0,, è evidente che la formazione degli acidi nitrolici deve precedere quella dei (8) “ Gazz. Chim. Ital.,, 36, II, 588 (1906). (°) Ann. 283, 243 (1894). a e i i AM e SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 443 dinitroidrocarburi. Inoltre, poichè, nei casi da me presi in esame 9’ ’ ’ quando risultano gli acidi nitrolici non si formano i perossidi delle aldossime, mentre quando risultano i perossidi delle aldos- LV dette, siti ir na sime od i dinitroidrocarburi non furono mai riscontrati gli acidi nitrolici, è logico ammettere che esista una stretta relazione fra le tre classi di composti. Ed in base ai risultati delle esperienze che descrivo in questa Nota ritengo poter conclu- . dere che i prodotti primitivi della reazione fra le arilaldossime ed il tetrossido di azoto siano sempre gli acidi nitrolici, alcuni dei quali sono stabili e si possono isolare, altri sono fa- cilmente ossidabili in dinitroidrocarburi da un eccesso di reat- tivo, ed altri infine sono trasformabili, con eliminazione del nitrogruppo e riunione dei residui di due molecole, in perossidi delle aldossime. Attribuendo agli acidi nitrolici la struttura di H nitroso-nitro-idrocarburi Ar. CCNO , l'ossidazione in dinitro- NO 2 74 idrocarburi Ar. OCNO; si spiega senza difficoltà; mentre per NO, spiegare la formazione dei perossidi delle aldossime bisogne- rebbe attribuire agli acidi nitrolici la ‘struttura di nitriti Ar. CER ovvero quella di N-nitroderivati Ar.0KK 70 x la prima delle quali conduce alla formola comunemente adottata per detti perossidi gala sad a 1% ZN0 . NO ANZ=20 Ar. CH | È Ar. CH la seconda ad una formola A) 2 | a | /N0, /N=0 AN Ar. CK 444 «GUSTAVO RUGGERI che si accorda bene con la formola nitronica delle aldossime Ar. KO proposta da Staudinger e Miescer (1°) e sperimen- talmente dimostrata per molti derivati di queste ultime. Gli acidi p-clorofenilmetilnitrolico C1.C;H,.C(:NOH). NO; e m-nitrofenilmetilnitrolico NO, .CyH,.C(:NOH).NO; da me ottenuti con ottimo rendimento sì possono, se puri, conservare inalterati all'aria per molto tempo. Come l’acido fenilmetilni- trolico C;H;. C(:NOH).NO, essi sono trasformabili nei peros- sidi delle diossime corrispondenti, ma, a differenza di quello (instabilissimo), si possono anche benzoilare e trasformare in azossime, le quali non provengono però direttamente dagli acidi nitrolici per eliminazione contemporanea di una molecola di acido nitrico ed una di acido nitroso Î SE ENI i NO:0H i | Î - NO:H (O.N-)_C.Ar N_ dei bensì derivano dai perossidi delle aldossime (risultanti in un primo tempo dagli acidi nitrolici nel modo che ho detto poc'anzi), i quali si decompongono poi, conforme a quanto ebbero già ad osservare Beckmann (!') e Ponzio (!2), con eliminazione di una molecola di acqua nel modo seguente Wa: Ar.CGN_ 0 REC N 2N-0 3° i 0 L A A —O— ia Ar LIB . . “\H Acido p-clorofenilmetilnitrolico (acido p-clorobenzni- trolico) Cl. CH,.C(:NOH).NO,. — Gr. 10 di p-clorobenzal- dossima CI. CH, -C(:NOH).H sciolti-in circa 100 cc. di etere anidro si trattano, raffreddando in miscela frigorifera, con gr. 3 di tetrossido di azoto distillato su anidride fosforica. Si osserva (4°) “ Helvetica Chim. Acta ,, II, 554 (1919). (5) Ber. 22, 1591 (1889). (12) -“ Gazz. Chim. Ital. ,, 36, II, 388 (1906). fr SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI i 445 subito un’intensa colorazione bruna la quale passa poi al verde smeraldo per scomparire dopo circa un’ora, mentre si separa una piccolissima quantità (circa gr. 0,1) di una sostanza bianca cristallina, che raccolta su filtro e lavata con etere fonde, senza ulteriore purificazione, a 88° con viva decomposizione (!*). Il filtrato, lavato ripetutamente con poca acqua, seccato su solfato sodico anidro e fatto evaporare all’aria, lascia come residuo l’acido p-clorofenilmetilnitrolico C1.C;H, .C(:NOH).NO, il quale purificato per cristallizzazione, prima da vna miscela di cloroformio e di etere di petrolio e quindi dalla ligroina, costi- tuisce lunghi e fini aghi setacei leggermente paglierini fusibili a 78°-79° con viva decomposizione (rendimento gr. 7-8 circa). Trovato °/: N 13,86. Per C7H50gN3CI calc.: 13,96. È solubile a freddo in etere, alcool, acetone e cloroformio; discretamente a caldo e poco a freddo in benzene; poco a caldo e quasi nulla a freddo in ligroina; pochissimo in eteri di petrolio. Si scioglie negli idrossidi e nei carbonati di metalli alcalini con colorazione intensamente rossa e dai primi può essere ripre- cipitato, senza che subisca alcuna alterazione, se si acidifica im- mediatamente. Invece col tempo le soluzioni si decolorano con separazione di una miscela di di-p-clorobenzenilazossima e di perossido della di-p-clorobenzildiossima. Questi due composti, non ancora conosciuti, risultano pure più o meno facilmente dall’acido p-clorofenilmetilnitrolico per riscaldamento con alcuni solventi organici (!4), e si ottengono nel miglior modo sciogliendo l’acido in carbonato sodico ed isolandoli dalla loro miscela me-. diante cristallizzazione frazionata dall’acetone. (3) Questa sostanza non è il perossido della p-clorobenzaldossima. (44) Nella decomposizione provocata dai carbonati l’azossima si forma in prevalenza, mentre in quella provocata dal calore (e che è accompa- gnata da svolgimento di gas nitrosi) si forma in maggior quantità il pe- rossido della diossima; in quest’ultimo caso, prima di procedere alla cristallizzazione, conviene fare un trattamento con soluzione di idrossido di sodio per eliminare l’acido p-clorobenzoico che contemporaneamente risulta. 446 GUSTAVO RUGGERI N La di-p-clorobenzenilazossima CI. CH, .C Ì Il Ni" SOC ricristallizzata dall'alcool si presenta in lunghi aghi appiattiti, - splendenti, fusibili a 180°-181° senza decomposizione. Trovato °/o: N 9,64 CI 24,89. Per C,,HgO0N;Cl, cale.: 9,62 24,39. È pochissimo solubile anche a caldo in etere, alcool ed eteri di petrolio; molto solubile a caldo e meno a freddo in acetone, cloroformio, benzene e ligroina. Essa è in tutte le sue proprietà identica col prodotto che ‘ho ottenuto facendo agire l’ipoclorito sodico sulla p-clorobenzaldossima col metodo di Ponzio e Busti (loc. cit.), il che ne conferma la struttura. Il perossido della di-p clorobenzildiossima CI.C5H, .(CaN302). C;H,.C1 cristallizza dall’acetone in laminette bianche allungate < fusibili a 193°-194° senza decomposizione. Trovato °/o: Me: 9065 Per C,4HgOgNsCl, cale.: 9,12. È pochissimo solubile a caldo in etere, alcool ed eteri di petrolio; poco a caldo e pochissimo a freddo in acetone; molto solubile a caldo e poco a freddo in cloroformio e benzene; di- scretamente a caldo in ligroina. Benzoilderivato dell'acido p-clorofenilmetilnitrolico CI. CH, . C(:NOCOC;H;). NO,. Si ottiene aggiungendo goccia a goccia ed agitando, idrossido di sodio al 10°/ alla soluzione eterea di una miscela di acido p-clorofenilmetilnitrolico e di cloruro di benzoile, raffreddata in ghiaccio e raccogliendo su filtro il pro- dotto che rimane dopo l’evaporazione dell’etere all’aria. Lavato con alcool a freddo e cristallizzato da questo solvente costi- tuisce lunghi aghi splendenti fusibili a 115° senza decompo- sizione Trovato °/o: N 9,17 C1.12,97. Per C,,Hs03N3C1 cale.: 9,19 11,85 E solubile in etere, cloroformio, acetone e benzene; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool e ligroina. e II T_T NI PR TASTI PET O TO) SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 447 p-clorofenildinitrometano CI. C,H,.CHN;0,. Risulta. in piccola quantità facendo agire una molecola di tetrossido di azoto sulla p-clorobenzaldossima, e con rendimento quasi teorico facendone agire due molecole. A tale scopo gr. 10 di p-cloro- benzaldossima C1.C$H,.C(:NOH).H sciolti in etere anidro raffred- dato in miscela frigorifera, si trattano con gr. 12 di tetrossido di azoto, per il che si osserva subito intensa colorazione bruna e notevole sviluppo di un gas incoloro. Dopo dodici ore si lava ripetutamente il liquido con poca acqua e lo si agita con soluzione satura e fredda di bicarbonato sodico fino a che questa si colora in giallo. La soluzione bicarbonica si lava con etere, si raffredda in ghiaccio, e dopo aver eliminato con una corrente d’aria l’etere disciolto, si tratta con acido solforico al 10°. Il p-clorofenil- dinitrometano, che precipita, impuro, in fiocchi bianchi, si secca nel vuoto, si scioglie in alcool assoluto, e mediante idrossido di potassio concentratissimo si trasforma in p-clorofenildinitrome- tanpotassio il quale si lava con alcool, si scioglie in acqua fredda e finalmente si decompone con acido solforico diluito. Il p-clorofenildinitrometano C1.C$H,.CHN,0, in tal modo ottenuto si cristallizza poi dagli eteri di petrolio, ed allora si presenta sotto forma di aghi bianchi fondenti a 55° con de- composizione. ‘Provato: 0/G: N 12,83. Per C,H50,N3CI cale.: 12,93. È solubile a freddo in alcool, etere, acetone, cloroformio e benzene; molto a caldo e pochissimo a freddo in ligroina ed eteri di petrolio. Malgrado sia possibile trasformare nei modi anzidetti la p-clorobenzaldossima mediante il tetrossido di azoto, sia in acido p-clorofenilmetilnitrolico C1.C;H,.C(:NOH).NO;, che in p-clorofenildinitrometano C1.CsH,.CHN;0, impiegando ri- spettivamente mezza o due molecole di tetrossido di azoto, non mi è riuscito di passare direttamente dall’acido nitrolico al dinitroidrocarburo nè col tetrossido di azoto in eccesso, nè con altri ossidanti, quali l’acido nitrico ed il peridrolo. Sale potassico del p-clorofenildinitrometano (p-clorofenildinitro- metanpotassio) CI. CH,.CKN,0,. Ottenuto nel modo già de- hat air 1 Ride UPIIME Ne aes TARSIA a * 448 GUSTAVO RUGGERI scritto e cristallizzato dall’acqua sì PECE in grossi prismi giallo-aranciati (15). Trovato 0/0: ihorsde Per C7,H,0,N3C1K cale.: 15,95. È molto solubile a caldo (con colorazione rossa intensa) e poco a freddo (con colorazione giallo-aranciato) in acqua; pochis- simo solubile nell’alcool; insolubile negli altri comuni solventi. Evaporando l’etere, dal quale mediante il bicarbonato sodico si è estratto il p-clorofenildinitrometano, rimane un olio che di- stillato col vapore d’acqua fornisce un po’ di p-clorobenzaldeide C1. CH, .CHO (p. f. 47°). Quest'ultima fu trasformata per tratta- mento con fenilidrazina in soluzione alcoolica nel corrispondente fenilidrazone CI. CH, .CH:N.NHC;H;, non ancora conosciuto, il quale cristallizza dall’alcool in piccoli aghetti paglierini fondenti a 132° senza decomposizione. Trovato 9/o: N 12,10. Per CB 7N301 cale.: 12,14. È molto solubile a freddo in etere, acetone, benzene e clo- roformio; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in alcool; insolubile in acqua, ligroina ed eteri di petrolio. All’aria ed alla luce si colora dopo qualche tempo in rosso. Acido m-nitrofenilmetilnitrolico (acido m-nitrobenzni- trolico) NO, . CH, .C(: NOH). NO,. — Risulta nelle identiche condizioni dell'acido p-clorofenilmetilnitrolico C1.CH,.C(:NOH). NO,, facendo agire mezza molecola di tetrossido di ‘azoto sulla m-nitrobenzaldossima NO, . C$H, .C(:NOH).H, però assieme al 7-8 9/5 del perossido di questa (p. f. 131°). Operando come nel caso precedente si ottiene, dopo evapo- razione dell'etere all’aria, una sostanza giallognola costituita in massima parte dall’acido nitrolico, il quale, purificato per pre- cipitazione dalla sua soluzione cloroformica mediante ligroina, (55) Questo sale è stabilissimo: un campione conservato in boccetta non perfettamente chiusa è ancora inalterato dopo tre anni. Se riscaldato esplode. gt AA 2 re PESI Cesi lai tie dt z 3 4 ia pri b ; SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 449 e cristallizzato dal benzene od anche dall’alcool acquoso, si presenta in piccoli aghetti appiattiti leggermente paglierini fon- denti a 89° con viva decomposizione (rendimento circa 80 9/0). Trovato °/o: N 19,78. Per C,H;0gN; calc.: 19,90. È molto solubile in etere, alcool, cloroformio e acetone; discretamente a caldo e poco a freddo in benzene; poco a caldo e quasi nulla a freddo in ligroina. Verso gli idrossidi dei metalli alcalini si comporta analo- gamente all’acido p-clorofenilmetilnitrolico, cioè si può riotte- nere inalterato trattandone subito la soluzione con acido, mentre un prolungato contatto lo altera profondamente. La sua solu- zione in carbonato sodico fornisce, decolorandosi dopo qualche tempo, un abbondante precipitato costituito da una miscela di di-m-nitrobenzenilazossima e di perossido della di-m-nitrobenzil- diossima, le quali risultano anche per riscaldamento dell’acido con alcuni solventi organici. Per isolarle conviene far bollire la miscela con alcool nel quale la di-m-nitrobenzenilazossima NO; Gio —___N | NES: Lei NO, è più facilmente solubile. Questa ricristallizzata dall’alcool for- nisce piccoli aghetti bianchi, e talvolta laminette, fondenti a 169° conforme ai dati di Stieglitz (!5), Minunni e Ciusa (!), Ponzio e Busti (18). Trovato °/o: NE47=3005 Per C,,Hs0G;N, cale.: 1795: Il perossido. della di-m-nitrobenzildiossima NO; . CH, (C$N30) G;H,. NO,, che rimane per la maggior parte indisciolto, cristallizzato da acido acetico glaciale, ove è discretamente so- lubile a caldo e poco a freddo, si presenta in lunghi aghi ap (19) Ber. 22, 3158 (1889). (4°) “ Atti Accad. Lincei,, 14, II, 518 (1905). (48) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 36, II, 340 (1906). tuta A tale ci di carie 4 "0 ji i : MPA en ELE Sha e Vie I at, Me pr pae ae rig) LE x 450 = GUSTAVO RUGGERI — SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI piattiti fondenti a 185° conforme ai dati di Werner (1°) e Werner e Stiba (29). Trovato °/o: N 16,98. Per C,uHsOgNi cale.: ACT Benzoilderivato dell’acido m-nitrofenilmetilnitrolico NO, .CsH,. C(:NOCOC;H;). NO. Si separa istantaneamente trattando la soluzione ben fredda di acido m-nitrofenilmetilnitrolico in idros- sido di sodio al 10°/, con cloruro di benzoile. Dopo lavatura con acqua e poi con alcool, si cristallizza da una miscela: di cloroformio con poco alcool e costituisce allora bellissimi pri- smetti giallognoli fondenti a 145° rammollendo qualche grado prima.” Trovato °/o: N 13,13. Per C,4HsOgN; cale.: 13,33. È pochissimo solubile in etere e alcool; solubile a freddo in acetone e cloroformio; discretamente a caldo e meno a freddo in benzene; pochissimo a caldo e quasi nulla a freddo in ligroina. Torino. — Istituto Chimico della R. Università. Maggio 1923. (19) Ber. 27, 2848 (1894). (20) Ber. 32, 1662 (1899). Re RODA che To it ae e Vea AI ae e nie rai Li Re Tg EA | c LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE SULLE DIOSSIME 451 Ricerche sulle diossime Nota del dott. LODOVICO AVOGADRO Presentata dal Socio nazionale residente Giacomo Ponzio Dopo quanto è stato detto nella Nota VI (') riguardo alla fenilgliossima C;Hy.C(:NOH).C(:NOH).H era logico preve- dere che, come questa, anche i suoi derivati sostituiti nel nucleo, quali, per es., la p-metilfenilgliossima CHsz.CyHy.C(:NOH). C(:NOH).H (p-tolilgliossima), la p-clorofenilgliossima C1.CsH,. C(:NOH).C(:NOH).H, la p-bromofenilgliossima Br. C;H,. C (:NOH).C(:NOH).H, ecc., dovessero esistere in due forme. Di tale fatto non trovasi però cenno alcuno nella lettera- tura chimica, ed in realtà Soderbaum (?) descrive una sola p-tolilgliossima fusibile a 165° ed una p-bromofenilgliossima fusibile a 169°-170°; e Collet (*) una sola p-clorofenilgliossima fusibile a 198°-199° ed una p-bromofenilgliossima fusibile a 171°-172°. Occorreva dunque fare una revisione dei lavori di detti chimici, e ciò non soltanto per correggerne gli eventuali errori, ma anche per poter disporre del materiale necessario al proseguimento delle ricerche sulle diossime, da tempo iniziate in questo laboratorio. Ricorrendo a metodi assolutamente diversi fra di loro, vale a dire all’azione dell’idrossilamina sùll’isonitroso-p-metil-, p cloro-, e p-bromoacetofenone CHsy. CH, .C0.C(:NOH).H, CI. CH. CO.C(:NOH).H e Br.CH,.C0.C(:NOH).H, ed all’azione (4) Gazz. Chim: Ital:,; 53; I, 25 (1923). (2) “ Beilstein,, lII, 92 e 95. (*) “ Ball. Soc. chim. , (3), 27, 542 e 543 (1902). Leti i Fa i ea e de 0. 452 LODOVICO AVOGADRO dell’idrossilamina sull’w-dibromo-p-metilacetofenone CH; .CsH,. CO .CHBrs e sull’w-dibromo-p-cloroacetofenone CI. C;H,. CO. CHBr,, sono riuscito a dimostrare che le sostanze ritenute finora come le diossime del p-tolil-, del p-clorofenil- e del p-bromofenilgliossale, sono invece ognuna miscele di due dios- sime isomere le quali stanno fra di loro nello stesso rapporto delle due forme della fenilgliossima. Di esse, quelle che chia- merò forme a danno un sale di nichel verde, solubile a freddo in acido acetico diluito, mentre quelle che chiamerò forme $ danno un sale di nichel rosso-bruno, insolubile anche a caldo in detto acido. Le forme a fondono a temperatura, in. ciascun caso, inferiore a quella delle forme 8 e queste, che sono le più stabili, si ottengono dalle prime direttamente per fusione o per riscaldamento con acido acetico diluito. I sali di nichel delle forme 8 derivano da due molecole di gliossima per sostituzione di due atomi di idrogeno ossimico, . uno per ciascuna molecola, con un atomo di nichel; quelli delle forme a (che non si possono ottenere allo stato di purezza) de- rivano invece, con tutta probabilità, da una sola molecola: di gliossima per sostituzione dei due atomi di idrogeno ossimico con un atomo di metallo. Inoltre soltanto le forme f (e non le forme a) posseggono la caratteristica proprietà di intaccare in soluzione acquosa il nichel ed il cobalto compatti dando il re- lativo sale complesso (4). Anche i derivati delle p-tolil- e delle p-clorofenilgliossime, che più avanti descrivo, presentano perfetta analogia con i de- rivati delle fenilgliossime; però, mentre le fenilgliossime danno un unico diacetilderivato (perchè per azione dell'anidride acetica la forma a si isomerizza nella forma 8), la p-tolilgliossima e la p-clorofenilgliossima danno due diacetilderivati diversi a seconda che si tratta della forma a o della forma B. Inoltre, le forme a della p-tolil- e della p-clorofenilgliossima, come la forma a della fenilgliossima, non sono benzoilabili a causa della facilità con cui esse sì anidrizzano nei corrispondenti furazani, isome- rizzabili a loro volta nell’ossima del cianuro di p-toluile e di p-clorobenzoile. i (4) “ Gazz. Chim. Ital.,, 51, II, 213 (1921). RICERCHE SULLE DIOSSIME 453 R.C-__C.H R.C Ce k.CT- CN | | FE | | ae? | NOH NOH N—-0O—N NOH (R — CH, . CeHi ovvero (03 . CeH, —). Lo stesso comportamento hanno probabilmente le p-bromo- fenilgliossime, delle quali non ho creduto necessario studiare i derivati, limitandomi a stabilire che la diossima ottenuta da Collet e da Soderbaum (loc. cit.) col punto di fusione 169°-170° o 171°-172° è la forma a, e che esiste anche una forma 8 fu- sibile a 197°-198°. Sulla natura dell’isomeria delle due forme delle nuove gliossime da me preparate riferirò non appena ultimato lo studio del loro comportamento verso il tetrossido di azoto; posso però fin d’ora escludere che si tratti di isomeri geome- trici, poichè già dalle esperienze preliminari mi risulta che nella forma 8 i due gruppi > NOH sono equivalenti, mentre tali non sono nelle forme a. p-tolilgliossime CHy.C;H,.C(:NOH).C(:NOH).H. Secondo Soderbaum (loc. cit.) la p-tolilgliossima cristallizza dal toluene in fini aghi bianchi fusibili. a 165°. La sostanza ottenuta da detto Autore (in modo non descritto) era certamente una miscela della forma a fusibile a 170°-171° e della forma f fu- sibile a 192°-193°, le quali prendono contemporaneamente ori- gine, però in quantità diverse, facendo agire l’idrossilamina sia sull’ w-dibromo-p-metilacetofenone CHs3. CH, . CO. CHBrs + 2NH;30 — CH;. CH. C(:NOH).C(:NOH).H + 2HBr, che sull’isonitroso-p-metilacetofenone CHz.C;H,.CO.C(:NOH).H + .NH30 —»- CH;.C;H,.C(:NOH).C(:NOH).H+- H;0 e si iso- lano mediante i procedimenti seguenti: | a) Alla soluzione alcoolica dell’ w-dibromo-p-metilaceto- fenone CH; . C;H,.CO . CHBr;, preparato secondo le indicazioni di Verley (°), si aggiunge un piccolo eccesso delle quantità teo- riche di cloridrato di idrossilamina e di acetato sodico cristal- (9) © Bull. Soc. chim., (3), 17, 909 (1897). 454 LODOVICO AVOGADRO lizzato sciolti in poca acqua e si scalda a 60°-70° per qualche ora. Avvenuta la reazione suesposta si tratta con idrossido di sodio diluito, si filtra per eliminare l’w-dibromo-p-metilaceto- fenone rimasto inalterato, si acidifica con acido acetico e si ad- diziona subito un piccolo eccesso di acetato di nichel al 20 °/o: precipita così in fiocchi giallo-rossastri il sale di nichel della forma 8 della p-tolilgliossima (CsHs0gNo),Ni. Si filtra, ed al filtrato si aggiunge quindi idrossido di ammonio fino a che non si formi più precipitato di sale di nichel verde della a-p-tolil- gliossima CsHsOgNaNi. b) Alla soluzione alcoolica di isonitroso-p-metilacetofe- none, preparato secondo le indicazioni di Miller e Pechmann (8), si aggiunge un piccolo eccesso delle quantità teoriche di clori- drato di idrossilamina e di acetato sodico cristallizzato e si riscalda la miscela a 60°-70°: per il che dopo breve tempo in- comincia già a separarsi dal liquido la a-p-tolilgliossima quasi pura. Dopo alcune ore si filtra, si addiziona acido acetico alle acque madri (le quali contengono poca a ed una grande quantità di 8-p-tolilgliossima) e si fa bollire per qualche tempo in pre- senza di acetato di nichel: precipita così in polvere rosso-viva il sale di nichel della £f-p-tolilgliossima preesistente e di quella che risulta dall’isomerizzazione della forma a. a-p-tolilgliossima CHsz.CH,4.C(:NOH).C(:NOH).H p. f. 170°-171°. Isolato come è stato detto poc'anzi il suo sale di nichel, lo si lava con alcool bollente, lo si tratta con acido cloridrico diluito e si estrae quindi con etere. La gliossima, in tal modo messa in libertà, oppure quella che si è formata di- rettamente per azione delll’idrossilamina sull’isonitroso-p-metil- acetofenone, si purifica dapprima sciogliendola in acetone e riprecipitandola con acqua, ed infine cristallizzandola dal toluene. La si ottiene allora in prismetti bianchi fusibili a 170°-171° senza decomposizione. Trovato °%: N 45,55. Per C5Hx00zNa cale. 0/0: a db;73: (5) Ber. 22, 2560 (1889). RICERCHE SULLE DIOSSIME 455 È praticamente insolubile nell’acqua fredda e poco in quella calda; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; pochissimo a caldo e quasi affatto a freddo in cloroformio e benzene; discre- tamente a caldo e quasi insolubile a freddo in toluene; quasi insolubile in ligroina. Si scioglie nell’idrossido di sodio al 20 °/, senza colorazione e riprecipita inalterata per azione dell’anidride carbonica e dell’acido acetico diluito; si scioglie pure nell’idrossido di am- monio 6N, poco a freddo e discretamente a caldo. Fatta bollire in soluzione acquoso-alcoolica con acido acetico diluito si isomerizza lentamente nella forma 8, la quale risulta pure, come sarà detto nella Nota XV, per breve riscaldamento alla temperatura di fusione. In presenza di acido acetico non dà sale di nichel; tuttavia aggiungendo alla soluzione alcoolica della a-p-tolilgliossima una soluzione acquosa di acetato di nichel si ha un precipitato giallo-verdastro che, cristallizzato dal cloroformio per aggiunta di ligroina, costituisce una polvere amorfa giallo-bruna insolubile in tutti i solventi organici comuni eccettuato il cloroformio, e che non fonde neanche se scaldata a 300°. I risultati del do- samento del nichel (trovato °/o Ni:21,31) lasciano prevedere che si tratti del sale semplice Cg$HsOsgNyNi (il quale richiede Ni °/o 25,01) e non del sale complesso (C$H70gNs), Ni (il quale richiede Ni °/, 14,20). Diacetilderivato CHz.C5H,.C(:NOCOCH;).C(:NOCOCH3).H. Si ottiene acetilando a freddo la a-p-tolilgliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso ("). Cristallizzato dal- l’alcool costituisce prismetti bianchi fusibili a 115° senza de- composizione. Trovato °/o: N 10,55. Per C,3H,40gN» calce. °o: 10,68. È insolubile in acqua; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile in etere; solubile a freddo in (7) Contemporaneamente risulta anche un po’ di p-tolilfurazano CHs. CH, .(CoN0)H, il quale però è facilmente eliminabile mediante lavatura con etere del prodotto della reazione. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 32 SPA ITP CLIO SR CSI n ri na) ROMS 456 LODOVICO AVOGADRO acetone, benzene, cloroformio; un po’ solubile a caldo e meno a freddo in ligroina. Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie len- temente trasformandosi in p-tolilfurazano CH; . CgH, . (CN:0).H e nell’ossima del cianuro di p-toluile CH; .CgH,.C(:NOH).CN, suo prodotto di isomerizzazione. Azione del cloruro di benzoile. La benzoilazione della a-p-tolil- gliossima non è possibile, ed in realtà facendo agire il cloruro di benzoile sulla soluzione della gliossima in idrossido di sodio ho ottenuto il benzoilderivato dell’ossima del cianuro di p-toluile CH; .CH,.C(:NOCOGH;).CN la cui formazione è facile a spiegarsi data la tendenza di detta gliossima di anidrizzarsi in furazano CH; .CgH4.(C,N30).H, isomerizzabile a sua volta nell’ossima del cianuro di p-toluile CH; .C;H,4.C(:NOH). CN. Questo benzoilderivato cristallizzato dall'alcool si presenta in aghetti bianchi fusibili a 147°-148° senza decomposizione. . Trovato °/o: N 10,47. Per "Cig H130gN ‘cale/g:0 10;60: È solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool e nella li- groina; poco solubile in etere; solubile a freddo in acetone, benzene, cloroformio. B-p-tolilgliossima CHg. CH, .C(: NOH).C(:NOH).H p. f. 192°-193°. Come ho già detto, questa forma della p-tolilglios- sima risulta dalla forma a sia facendone bollire la soluzione acquoso-alcoolica con acido acetico diluito, sia riscaldandola alla temperatura di fusione. Conviene prepararla passando per il suo sale di nichel, che si ottiene col procedimento già indi- cato. Il sale si lava prima con alcool bollente, quindi si tratta con acido cloridrico e si estrae con etere. Eliminato il solvente, si ha così la £-p-tolilgliossima CH; . CH4.C(:NOH). C (:NOH). H, la quale purificata per'ebollizione con cloroformio e cristallizzata dall'alcool o dall’alcool acquoso sì presenta in laminette leggermente paglierine fusibili a 192°-193° senza de- composizione. Trovato °/o: N 15,66. Per C3H,00,Ns cale. 9: 15,7 RICERCHE SULLE DIOSSIME 457 È pochissimo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in acqua; discretamente solubile a freddo in alcool ed in etere; solubile a freddo in acetone; pochissimo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in benzene e toluene; quasi insolubile in cloroformio ed in ligroina. Si scioglie negli idrossidi dei metalli alcalini e di ammonio senza colorazione e riprecipita inalterata per azione degli acidi anche deboli. In soluzione acquosa intacca a 100° il nichel ed il cobalto trasformandosi nei rispettivi sali complessi. Sale di nichel (C3H9OgNo) Ni. Si forma per azione diretta della 8-p-tolilgliossima sul metallo; si prepara trattando la so- luzione della gliossima in acqua ed alcool od in acido acetico al 50°/ con acetato di nichel al 20 0/0. A freddo precipita in fiocchi color giallo rossastro: a caldo in presenza di acido ace- tico diluito in polvere rosso-viva. Cristallizzato dalla piridina per aggiunta di alcool costituisce una polvere cristallina di color rosso-sangue che riscaldata a 300° imbrunisce senza fondere. Erovato9/g: Ni 14,95. Per CigsHisO,N4N1 cale. o: . 14,20. E insolubile in acqua, alcool, acetone; un po’ solubile in benzene ed in cloroformio; lentamente solubile nell’idrossido di sodio al 20 9/, con colorazione rossa; insolubile nell’idrossido di ammonio. Gli acidi minerali diluiti lo decompongono con facilità, invece resiste notevolmente all’acido acetico anche a caldo. Sale cobaltoso (C$H30gNs), Co. Si forma direttamente dal me- tallo; si prepara in modo analogo al sale di nichel e costituisce «una polvere di color caffè. Trovato °/o: Co 14,20. Per C,gH30,N,Co calce. 9/0: 14,28. (Per il sale cobaltico CyH,,0gNgCo si calcola °/, Co : 9,98). È insolubile nell'acqua e nei comuni solventi organici; insolubile nell’idrossido di sodio e pochissimo solubile nell’idros- sido di ammonio. Gli acidi minerali diluiti lo decompongono lentamente. Ca ce are RON” Ae TN BRE TI ROLO e SE SIAT ATEI 458 LODOVICO AVOGADRO Diacetilderirato CHg.CH,.C(:NOCOCH3).C(:NOCOCH;).H. Si ottiene acetilando a freddo la f-p-tolilgliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso. Cristallizzato dalla ligroina si presenta in aghetti bianchissimi fusibili a _73°-74° senza decomposizione. Trovato i N 10,44. Per CisApOuNo cale. 0/: 10,68. È insolubile in acqua; poco solubile in ligroina a caldo e quasi insolubile a freddo; solubile a freddo in alcool, etere, benzene, acetone, cloroformio. Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie len- tamente trasformandosi nella gliossima da cui deriva. Dibenzoilderivato CH3z.C5H,.C(:NOCOC;Hx).C(:NOCOC;H;).H. Si prepara benzoilando con cloruro di benzoile la B-p-tolilglios- sima sciolta in idrossido di sodio. Cristallizzato dall’alcool costi- tuisce laminette splendenti fusibili a 170° senza decomposizione. Trovato °/o: N 7,21. Per Cs3Hg04Ns cale. o: ‘7,22. È poco solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile in etere; solubile a freddo in acetone, benzene, cloro- formio; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina. | Trattato con idrossido di sodio al 20 °/ e qualche goccia di alcool, vi si scioglie lentamente trasformandosi nella gliossima da cui deriva. p-tolilfurazano CH3z . CH, .(C$N30) .H. Per prepararlo con- viene trattare la a-p-tolilgliossima con anidride acetica, versare |. in acqua il prodotto della reazione (miscela di furazano col di- acetilderivato della gliossima) e distillare con vapore. Cristal- lizzato dall’alcool acquoso costituisce magnifici prismetti di odore caratteristico, fusibili a 52° senza decomposizione. Trovato °/o: N#I7;45: Per C9H3ON; calc. °/o: 17,50. E insolubile in acqua; solubile a freddo in tutti i comuni solventi organici; molto facilmente volatile col vapore. Non è RICERCHE SULLE DIOSSIME | 459 alterato nè dall’acido solforico concentrato (nel quale si scioglie a freddo riprecipitando per diluizione con acqua), nè dall’acido cloridrico e nitrico; per contro gli idrossidi dei metalli alcalini e persino l’acqua bollente lo isomerizzano con facilità nell’ossima del cianuro di p-toluile. NOH NOH NOHss=eN Ossima del cianuro di p-toluile (ossimino-p-toluilcianuro) CH; .C6H4.C(: NOH).CN. Si forma dal p-tolilfurazano nel modo anzidetto ed è in tutte le sue proprietà identico al prodotto che, per conferma, ho preparato partendo dal nitrile dell'acido p-tolilacetico CH. CsH,.CH3.CN per trattamento con sodio e nitrito di amile. A tale scopo alla soluzione di un atomo di sodio in 10 parti di alcool assoluto ho aggiunto, raffreddando bene in ghiaccio, il nitrito di amile ed il nitrile; ho raccolto qualche tempo dopo il sale sodico dell’ossima, il quale si separa come un precipitato cristallino giallo-rossastro, l'ho sciolto in acqua e quindi l’ho decomposto con acido acetico diluito. L’ossima del cianuro di p-toluile CH; .CgH,.C(:NOH).CN cristallizzata dall'acqua costituisce laminette splendenti fusibili ma 1170. Trovato °/o: N 17,27. bet, HgON,:Gale.:0G: 17.50: È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in acqua; solubile a freddo in alcool, etere, acetone, benzene, cloroformio ; discretamente solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina. | Sciolta in idrossido di sodio al 20 °/, e trattata con clo- ruro di benzoile si trasforma nel benzoilderivato CH;.CyHy. C(:NOCOC;H;) . CN, il quale, come già ho detto, è il prodotto che risulta per azione del cloruro di benzoile sulla soluzione della a-p-tolilgliossima nell’idrossido di sodio e che, a sua volta, sospeso nell’idrossido di sodio al 20 °/ addizionato di qualche goccia di alcool, si idrolizza lentamente nell’ossima del cianuro di p-toluile fusibile a 117°. a e e — 460 LODOVICO AVOGADRO p-clorofenilgliossime C1.C;H,.C(:NOH).C(:NOH).H. Collet (loc. cit.) scaldando a ricadere una soluzione alcoolica di w-bromo- ovvero di w-dibromo-p-cloroacetofenone C1.CyH,.C0. CHsBr e CI. CH. CO. CHBr, colla quantità equimolecolare di cloridrato di idrossilamina sciolto in acqua e previamente neu- tralizzato con carbonato sodico ottenne una sostanza fusibile a 198°-199° che ritenne p-clorofenilgliossima. Partendo sia dall’w-dibromo-p-cloroacetofenone che dall’iso- nitroso-p-cloroacetofenone Cl.C;H,.CO.C(:NOH).H, io ho invece sempre ottenuto una miscela delle due forme della p-clo- rofenilgliossima fusibili rispettivamente a 165° ed a 188°, co- sicchè devo concludere che il prodotto descritto da Collet era una miscela delle diossime del p-clorofenilgliossale contenente anche sostanze con punto di fusione molto più elevato di queste. Il procedimento che ho seguìto per isolare la a e la f p-clorofenilgliossima, passando per i rispettivi sali di nichel, è analogo a quello esposto nel caso delle p-tolilgliossime, però siccome l’isonitroso-p- cloroacetofenone non era ancora conosciuto l’ho dovuto preparare partendo dal p-cloroacetofenone C1.C;H,. CO . CH; nitrosandolo con etilato sodico e nitrito di amile col metodo di Claisen e Manasse (5). Cristallizzato dal cloroformio l’isonitroso-p-cloroacetofenone Cl.CgH,.CO.C(:NOH).H si pre- senta in aghetti paglierini fusibili a 170° senza decomposizione. Trovato %/: N 7,40. Per CgHsOsNCI cale. 9/o: 7,62. È pochissimo solubile nell’acqua bollente, e quasi insolubile a freddo; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; poco a caldo e pochissimo a freddo in benzene e cloroformio; pochis- simo a caldo in ligroina e quasi insolubile a freddo. a-p-clorofenilgliossima C1.C$H, .C(:NOH).C(:NOH).H p. f. 165°. Messa in libertà dal suo sale di nichel verde gial- lastro e purificata per cristallizzazione dal benzene o dal cloro- formio costituisce prismetti bianchi fusibili a 165° senza de- composizione. (3) Ber. 22, 526 (1889). Be di RICERCHE SULLE DIOSSIME 461 Trovato °/o: N 13,92 CI 18,16. Per CsH70gN3C1 calc. Ur 14,10 17,88. È pochissimo solubile nell'acqua bollente, quasi insolubile «in quella fredda; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in benzene, . cloroformio e ligroina. Fatta bollire in soluzione acquoso-alcoolica con acido acetico diluito si isomerizza lentamente nella forma f, la quale risulta pure per riscaldamento alla temperatura di fusione. In presenza di acido acetico non dà sale di nichel; invece aggiungendo alla sua soluzione acquoso-alcoolica acetato di nichel al 20° si ha un precipitato giallo verdastro amorfo. Diacetilderivato C1.CyH,.C(: NOCOCHy3).C (: NOCOCH;). H. Si ottiene acetilando a freddo la a-p-clorofenilgliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso (°). Cristal- lizzato dall’alcool costituisce laminette microscopiche fusibili a 123°-124° senza decomposizione. Trovato °/o: CI 12,53. Per C,3H,104N3CI cale. “i 12,58. È molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; in- solubile in acqua; solubile a freddo in acetone, benzene, cloro- formio; poco solubile a freddo in etere; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina. Trattato con idrossido di sodio vi si scioglie lentamente trasformandosi in p-clorofenilfurazano Cl. CgH,.(C,N30).H e nell’ossima del cianuro di p-clorobenzoile prodotto di isomeriz- zazione del primo e fusibile dopo cristallizzazione dalla ligroina a 113°-114°, cioè a temperatura leggermente superiore a quella ‘trovata da Walther e Wetzlich (1°) e da Zimmermann (!) i quali l'avevano ottenuta per azione del sodio e del nitrito di amile sul cianuro di p-clorobenzile. (°) Anche in questo caso si forma un po’ di p-clorofenilfurazano Cl. CH, .(CoN,0).H facilmente eliminabile mediante lavatura con etere. (49) “J. Prakt. Chem., (2), 67, 193 (1900). (44) “J. Prakt. Chem., (2), 66, 373 (1902). 462 LODOVICO AVOGADRO Azione del cloruro di benzoile. Trattando con cloruro di ben- zoile la a-p-clorofenilgliossima sciolta in idrossido di sodio si ottiene in modo analogo a quanto si verifica per la a-p-tolil- gliossima, il benzoilderivato dell’ossima del cianuro di p-cloro- benzoile C1.C;H,.C(:NOCOC;H5g). CN, il quale, cristallizzato dall'alcool, costituisce prismetti bianchi fusibili a 117°-118°, ad una temperatura cioè un po’ superiore a quella ottenuta da Zimmermann (!?) che l’aveva preparato benzoilando l’ossima corrispondente. B-p-clorofenilgliossima CI. CH, .C (: NOH).C(:NOH).H p. f. 188°. Risulta dalla forma a facendone bollire la soluzione acquoso-alcoolica con acido acetico diluito o riscaldandola alla temperatura di fusione, ma conviene prepararla direttamente dal p-cloroisonitrosoacetofenone passando per il sale di nichel. Cristallizzata dall'acqua o dal toluene costituisce aghi o prismi bianchi leggermente paglierini fusibili a 188° e decomponibili qualche grado più alto. Trovato °/o: N 13,92. Per CsH703N5C1 calce. 9/08 14,10. È solubile a freddo in alcool, etere, acetone; poco solubile a caldo in toluene e pochissimo a freddo; poco solubile in acqua bollente e pochissimo in quella fredda; pochissimo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in cloroformio. In soluzione acquosa intacca il nichel trasformandosi nel sale complesso di cui dirò tosto. Sale di nichel (C3H50sNsC1)s Ni. Si ottiene nel miglior modo trattando la soluzione acquoso-alcoolica della 8-p-clorofenilglios- sima con' acetato di nichel al 20 °/o. Cristallizzato dalla piridina: per aggiunta di alcool costituisce prismetti rosso-aranciati che incominciano ad imbrunire verso 305° senza fondere. . Trovato °/;: Ni-1207: Per C,6H,s0,NClaNi cale. Dior 12,94. E insolubile nei comuni solventi organici. (®) “J. Prakt. Chem., (2), 66, 874 (1902). RR, I 9 e Ce | ie Coeogre sb 4 ee bha Ki era e RICERCHE SULLE DIOSSIME 463 Diacetilderivato CI .CgH, .C(:NOCOCH3).C(: NOCOCH;). H. Risulta acetilando a freddo la f-p-clorofenilgliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso. Cristallizzato dal- l’alcool costituisce prismetti bianchi fusibili a 128°-129° senza decomposizione. Trovato °/o N 9,72. Per CisH104NsC1 cale. Dio: 9: È insolubile in acqua; molto solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool; discretamente solubile in etere; solubile a freddo in acetone, benzene, cloroformio; discretamente solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina. Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie len- tamente trasformandosi nella gliossima da cui deriva. Dibenzoilderivato ‘C1.C;H,.C(:NOCOG;H;).C(:NOCOG;H;).H. Si prepara benzoilando con cloruro di benzoile la 8-p-clorofenil- gliossima sciolta in idrossido di sodio. Cristallizzato dall'alcool costituisce aghetti splendenti fusibili a 159° senza decomposizione. Trovato 9/0: N 6,67. Per C.3H;;0,N301 cale. 9/i: | 6,77. È poco solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile a freddo in etere; solubile a freddo in acetone, benzene, cloroformio; pochissimo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina. Trattato con idrossido di sodio al 20°/ e qualche goccia di alcool, vi si scioglie, trasformandosi nella gliossima da cui deriva. p-clorofenilfurazano C1.CyH, .(C$N30).H. Per ottenerlo conviene acetilare a freddo con anidride acetica la a-p-cloro- fenilgliossima, versare in acqua il prodotto della reazione e . distillare col vapore. Cristallizzato dall'alcool costituisce aghetti bianchissimi di odore caratteristico fusibili a 103°-104° senza decomposizione. Trovato °/o: N 15,36. Per C3H5ON°3CI cale. %o: T5ybl: ira pt ì, x Sl è de Sn TENORE 464 LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE SULLE DIOSSIME È facilmente volatile col vapore; insolubile in acqua; so- lubile a freddo in acetone, etere, benzene, cloroformio; solubile a caldo e meno a freddo in alcool e ligroina. Non è alterato dagli acidi solforico, cloridrico e nitrico con- centrati; è invece trasformato dagli idrossidi dei metalli alcalini nell’ossima del cianuro di p-clorobenzoile. Cig ES 01 CH, 0 = on I | Ha I . NOSO SN NOH | Questa isomerizzazione ha luogo anche per semplice ebol- lizione con acqua. Torino — Istituto Chimico della R. Università. Maggio 1923. ee Ti, © LA ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA — PRIMO ELENCO, ECC. 465 Primo Elenco delle Diatomee fluviali dei dintorni di Torino Nota del Socio nazionale residente ORESTE MATTIROLO e di PIERO GIAJ-LEVRA Le determinazioni delle Diatomee consegnate nella presente Nota, spettanti a me sottoscritto (i), rappresentano i risultati di un lavoro compiuto negli anni giovanili, quando appena lau- reato in Scienze naturali e in Medicina e Chirurgia ero stato nominato assistente alla Cattedra di Botanica della Università di Torino. Esse ebbero inizio nell’anno 1881, cioè quarantatrè anni or sono, sotto la guida dell'inglese signor H. Daron, fabbri- cante di preparati microscopici, e proseguirono quindi, quando egli, dopo alcuni mesi di soggiorno in Torino, ritornò in patria per dedicarsi alla fabbricazione delle Lampadine elettriche. La ragione che mi aveva indotto ad occuparmi dello studio delle Diatomee, era stata quella di poter dimostrare, come at- traverso alle sabbie e agli strati di conglomerato ciottoloso del cono di dejezione del Sangone e della Dora Riparia, sul quale è situata la Città di Torino, avessero potuto essere trasportate anche le Diatomee alpine. La questione allora appassionava il pubblico torinese, perchè era in relazione con certi progetti di derivazione di acque per uso cittadino che si andavano studiando. Le osservazioni del Prof. L. PAGLIANI avevano dimostrato che i terreni diluviali sui quali sorge la Città di Torino, costi- tuiti da grossolani materiali di trasporto, lasciano passare con facilità le acque di scioglimento delle nevi provenienti dai monti vicini, e che per il veicolo di dette acque si verifica nel suolo di Torino la penetrazione, il trasporto e la diffusione di una (1) Nell'Elenco sono precedute da un asterisco. 466 i ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA grande quantità di materiali organici varii, i quali procedono sia nel senso verticale, che in quello orizzontale. La spinta a queste mie ricerche era stata determinata pre- cipuamente dalla osservazione interessante, che io riferisco sulla fede di testimonianze avute dal Prof. PAGLIANI e dall’Ing. QuinTINO CARRERA, che nei pozzi praticati per le fondazioni di alcuni villini costrutti sull'area già occupata dall'antica Piazza d'Armi, pre- cisamente nella località ora occupata dalla Via Assietta ai Ni civici 22-24, si ebbe a riscontrare, profondamente nel suolo, una certa quantità di peli, riconosciuti come peli di suini, i quali evidentemente dovevano provenire dal non lontano am- mazzatoio civico, dove, prima della fognatura, si erano costrutti ampi pozzi profondi, così detti perdenti, analoghi a quelli pure costrutti in quel turno di tempo nelle Carceri nuove (1). (1) A conferma e illustrazione e complemento di queste osservazioni mi pare opportuno citare anche alcuni dati relativi alla composizione delle acque scorrenti nel cono diluviale della Valle di Susa, sul cui frontale è costrutta Torino. Una serie di analisi eseguite nei mesi di marzo e di aprile 1893 dai signori P. Foà e B. Porro progressivamente da monte a valle diedero per i residui fissi i seguenti risultati. (V. PaeLianIi, Trattato di Igiene e Sanità pubblica. Vol. I, pag. 198, Milano, Vallardi. — V. pure ivi, fig. 21, pag. 104 e fig. 28, pag. 115). Residuo fisso a 1800 in gram. Sopra la Città . . . (1) 0.344 (2). 0.436 Entro i Re) ROZEN (4) 0.420 2 e Vi (6) 0.440 3 = rana MIE AO (8) 0.476 , s pensi (DIES0Z446 (10) 0.548 Parte più declive . . (11) 0.540 (12) 0.584. L'esame delle acque delle cosidette sorgenti emananti dal cono dilu- viale ha dato i seguenti risultati per residuo solido a 100° p. 1. A monte della Barriera della Città (la falda non è passata ancora sotto l'abitato): Periodo di abbondanza: gr. 0.394 0.408 0.504. : di magra ns 0.882 0.414 0.488. Entro la Cinta daziaria, da monte a valle (falda che scorre sotto il fabbricato cittadino sempre più denso): Periodo di abbondanza: gr. 0.464 0.486 0.508 0.584 0.744. A di magra x 0.452 0.528 0.402 0.520 0.626. Il massimo di residuo solido si trova nelle acque che scaturiscono dalla PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 467 Se questi materiali avevano potuto emigrare per uno spazio di circa novecento metri, che tanti separano Via Assietta dal- l’ammazzatoio, era ovvio pensare che un viaggio assai più lungo ‘avessero potuto compiere, pure rimanendo vitali, le Diatomee alpine minutissime, adatte quindi per le loro proprietà morfo- logiche, per la constatata resistenza vitale, per la adattabilità a vivere nel suolo, a poter essere trasportate a distanza dalle acque attraverso alle anfrattuosità, siano pure assai minute, esistenti nei terreni diluviali formati da grossi elementi ciotto- losi, passaggio di acqua che non è ostacolato neppure dagl’in- terstrati di conglomerato parzialmente cementato, come fu dimo- strato da ricerche del Prof. C. F. PARONA, e come lo dimostra anche lo intorbidamento delle acque delle risorgive dopo furiosi | acquazzoni. Io pensai allora di osservare se in quelle numerose sorgenti che affiorano lungo la sponda del Po (a sinistra della corrente) presso al Valentino, in vicinanza dell'Orto botanico, che rap- presentano appunto l’uscita a giorno dell’ampia falda acquea, la quale in atto scorre profondamente a circa 30 metri, e che per il declivio del terreno affiora a circa 12 metri dalla super- ficie del suolo sulla riva del Po, potessero essere trascinate le Diatomee alpine e avessero potuto mantenersi viventi nelle acque ivi affioranti. Intrapresi perciò una serie di ‘osservazioni le quali mi par- vero concludenti, perciò che rinvenni in tali acque un certo falda acquea nei punti dove essa ha attraversato la più gran parte del sottosuolo cittadino, ed ha perciò ricevuto la maggiore contaminazione. Che sieno essenzialmente sali terrosi che acquistano, lo dimostra, oltre le analisi particolareggiate delle stesse acque, il fatto che la loro durezza totale varia rispettivamente per le sorgenti in periodi di abbondanza coi | seguenti gradi tedeschi: 19.1 — 19.6 — 22.4 — 22.1 - 22.4 —- 22.8 - 23.8 — 27.0 (V. PaezianI, loc. cit.). Questi risultati concordano esattamente e sono completati da quelli ottenuti da Musso e Barrario che analizzarono le stesse acque del sotto- suolo di Torino appartenenti alla falda acquea che dopo aver percorso il sottosuolo sul quale è situato l’abitato della città affiorano nelle sorgenti sulla sinistra del Po, riferentesi al contenuto dell'azoto dei nitriti e dei nitrati (V. PaGLianI, loc. cit., pag. 224) e da quelli ancora ottenuti dal Prof. Asa per riguardo alla presenza e alla quantità di germi microbici (V. Paetrani, loc. cit., pag. 229-924). E TI RM RUOLI EAU 468 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA numero di Diatomee alpine, la presenza delle quali veniva a confermare la mia induzione, non essendo, io credo, possibile altra spiegazione del fatto che avevo constatato, salvo che am- mettendo l'emigrazione a ritroso di queste Diatomee dal Po, lungo il ruscello di scarico della sorgente nel fiume. Fra le specie ivi incontrate posso citare: Pinnularia borealis Ehr., frequente nelle Alpi, in ispecie nelle Alpi granitiche, nei ruscelli, fra i muschi, nelle Cascate. Pinnularia lata Rabh., frequente nelle acque delle regioni alpine e sottoalpine. Diatoma hiemale Heib., abbondante nelle acque alpine. » La var. mesodon, , LOI È Eunotia pectinalis Ktz., comune nelle acque silicee delle Alpi. Tutte specie che gli Autori concordemente ritengono come specie caratteristiche delle regioni alpine (1). Dopo avere studiato le Diatomee delle così dette sorgenti del Valentino, estesi le mie ricerche a quelle viventi nel Sangone, nella Dora Riparia e nel Po e nella Stura di Lanzo. Sino a che, preso da nuovi ideali, nel 1883 abbandonai lo studio delle Dia- tomee, dopo aver redatto un catalogo accurato di quelle da me determinate e aver raccolto e preparato copioso materiale nel- l’intento di studiarlo poi. L'occasione di valermi di tale materiale mi venne circa trentacinque anni dopo, offerta dal D" Prero GraJ-LEVRA, appas- sionato studioso, valente e pazientissimo preparatore di Diatomee. A lui affidai il mio Catalogo, i preparati (2) e i materiali raccolti e non ancora studiati. Il D' Gray-Levra, con lavoro durato parecchi anni, ebbe cura di aggiornare la nomenclatura e la sinonimia da me usata, e si accinse volenteroso allo studio dei miei materiali indeter- minati, completando le ricerche ed estendendole alle Diatomee di Stura, di Dora e a quelle viventi nei rivoli che scendono dalla Collina di Torino al Po. (1) V. J. Brun, Diatomées des Alpes et du Jura, 1880, Genève. (2) I preparati delle varie Diatomee da me determinate, dove sono individualmente separate le specie in ciascun preparato, si trovano a disposi- zione degli studiosi, depositati nelle Collezioni del R. Orto botanico di Torino. ae tese ANI rat de re va 4 { 7 PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 469 La duplice collaborazione ha portato così alla compilazione del presente Primo Elenco delle Diatomee fluviali dei dintorni di Torino, che, comunque incompleto, rappresenta un contributo | che può già dare un'idea della flora diatomologica della regione, annoverando esso 268 specie. Ringrazio il mio egregio collaboratore per avermi incorag- giato a rimettere in luce un lavoro al quale avevo atteso con diligenza e costanza, ma che, senza il suo aiuto, non avrei ardito pubblicare riconoscendolo troppo incompleto e manchevole. Il presente Catalogo a buon diritto viene quindi presentato sotto il nome dei due Autori. Una certa utilità a questo nostro lavoro sembrami anche essergli accordata da due ordini di considerazioni. La prima risultante dal fatto che finora nessuno ancora aveva preso in considerazione la flora diatomologica fluviale della regione piemontese, la quale ha pure non lieve importanza per gli studi planctonici. La seconda emerge dal fatto che alcune Diatomee terricole, come tali considerate dagli studiosi di questioni edafiche, furono da noi rinvenute viventi anche nelle acque fluviali, ciò che di- mostra la adattabilità a stazioni differenti di questi organismi. Infatti abbiamo trovate abbondanti nelle acque fluviali le 5 specie seguenti, che il MurieL BrisroL ha elencato fra le 20 Bacillarieae terricole, finora note: Pinnularia borealis Eh. — Diploneis ovalis var. oblongella CI. Navicula Pupula Kutz. — Hantzchia amphioxis (Eh.) Grun. Nitzchia Palea (Kutz.) W. Sm. Ora che per tante e tante ricerche si è venuta sempre più accentuando l’importanza dell’azione esercitata dagli organismi terricoli, come modificatori delle condizioni edafiche del suolo, e preparatori delle condizioni necessarie alla vita dei vegetali superiori, l’attenzione degli studiosi si è venuta mano mano rivolgendo all’attività di questi organismi terricoli (animali e vegetali) considerandoli sotto il punto di vista del loro signi- ficato per l'economia edafica. Fra questi organismi varii, una delle attività maggiori è riconosciuta alle Alghe terricole, delle quali numerose specie, resistenti anche alla essiccazione prolun- gata, furono incontrate nel suolo, viventi anche a profondità > TT SIT EI TA PPT EVENTI PA Ri No - SI ETENI NERE pra Video di FEREATO SoS 470 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA abbastanza notevoli, sino a 40-50 centim. Fra le Alghe terricole viventi nel suolo dell’Inghilterra, B. MurieL BristoL ha infatti già descritto 24 Myxophyceae, 20 Bacillarieae, 20 Clorophyceae. Mentre il FRANcK riteneva che le Alghe terricole avessero la capacità di fissare direttamente l’azoto atmosferico, molti altri Autori invece, come KossowirscH, PrinesHEIM, EsMARCH, RoBBINS, NaAKANO, GAUTIER, DROUIN, ecc., riferiscono invece questa fun- zione all’azione dei dacterit terricoli viventi nel suolo; ritenendo però che fra alghe (specialmente Myxophyceae e Clorophyceae) e i bacteri terricoli esista un rapporto simbiotico in conseguenza del quale, anche nei terreni più sabbiosi (silicei) possano for- marsi composti azotati per azione dei bacterii, i quali utilizze- rebbero i prodotti idrocarbonati elaborati dalle alghe, alle quali concederebbero parte dei materiali azotati dei quali esse hanno necessità. È così che queste nuove idee, confortate dai risultati otte- nuti dagli sperimentatori valentissimi di cui abbiamo ricordati i nomi, accordano oggi allo studio delle Alghe terricole un in- teresse speciale che deve essere riconosciuto, secondo il nostro parere, non solo alle Myxophyceae e alle Clorophyceae, ma anche alle Bacillarieae che le accompagnano dovunque nel suolo, special- mente quando in esso si verifichino condizioni adatte di umidità. Queste considerazioni e l’interesse che, per la leggiadria delle forme, rivestono le Diatomee, speriamo varranno presto ad indurre i ricercatori piemontesi a studiarle, sia nel terreno, sia nei torrenti delle elevate regioni delle Alpi, onde completare così la massa di osservazioni sparse che, riassunte, potrebbero con- cedere unaidea complessiva della Flora diatomologica del Piemonte. Infatti, del Lago d’Orta già si occupò il BonarpI, studian- done le Diatomee. — I molti laghetti intermorenici del Canavese, colla nota competenza, furono studiati da AcHILLE ForTI che illustrò i dragaggi del D" G. De Agostini. — La Prof RirA MontI, continuando e completando le ricerche di PrerRo PAVESI, ci ha dato numerosi indici di Diatomee proprie dei Laghi alpini dell’alta Valle d'Aosta e delle valli ossolane. — L’Abate Ca- stRACANE ha studiato le Bacillariali della Valle Intrasca e delle Sorgenti termali di Valdieri. R. Orto Botanico. - Maggio 1923. Prof. Oreste MaTTIROLO. ET, STO, VE TT TE Rita (7 A E PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 471 ELENCO delle opere citate con abbreviazione, alle quali si riferiscono le figure indicate per ogni specie e varietà: A. S. Atl. = Scampt A., Atlas der Diatomaceenkunde. V. H. Tr. Diat.= Van Hrurcx H., Traité des Diatomées. Anvers, 1899. Fr. Meist. = Mersrer Fr., Die Kieselalgen der Schweiz. -Bern, 1912. Dippel. = Dippet L., Diatomeen d. Rhein-Mainebene. Braunschw., 1904. Nel presente Elenco si danno i risultati dell'esame, già iniziato, sino dal 1881, dal Prof. Oreste MATTIROLO, e poi da me continuato in questi ultimi anni, di materiali raccolti nel Po, nella Dora, nella Stura, nel Sangone, nel Salice, in varie località della Collina di Torino e nelle vasche dell'Orto Botanico di questa R. Università. Ringrazio qui il Prof. MattIRoLo che ebbe la bontà di per- mettermi di frequentare per lungo tempo il R. Orto Botanico, del quale potei esaminare la collezione di preparati di Diatomee dei dintorni di Torino e varie opere contenute nella Biblioteca dello stesso Orto Botanico. Esprimo anche la mia riconoscenza al Rev. Don ANTONIO ToneLLI, Professore di Scienze nel Seminario Missioni Estere dei Rev. Padri Salesiani di Torino, che cortesemente mi offrì molti campioni di materiali da Lui raccolti in Val Salice e nella Stura. Dott. Prero GrAJ-LEVRA. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 555 472 OKESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Melosira Ag. . * Melosira varians Ag. — (A. S. Atl.,, T. 182, f. 17, 18). Po, Sangone, Dora, Stura, Vasche Orto » ‘italica Ktz. — (Fr. Meist., T.I, f. 12). Stagno in Val Salice. î 5 » var. crenulata Ktz. — (A. S. Atl., T. 181, f. 59, 54). Stagno in Val Salice. Botanico. * gl arenaria Moore. — (Fr. Meist., T. I, f. 2, 3). Po. he 5 Roeseana Rabh. — (Fr. Meist., T. I, f. 4, 5). Po, Dora. si distans Kta: —. (A_8, Atly7T-182,£. 4): a Dora. Cyclotella Ktz. Cyclotella comta Ktz. — (V. H. Tr. Diat., PI. XXII, f. 653). Po, Dora, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. > 2 s var. radiosa Grun. — (V. H. Tr. Diat., BE XXI: 651) ‘Po, Stura. ; Kiitzingiana Thw. — (Fr. Meist., T. II, f. 9). Stura. ; Meneghiniana Ktz. — (Fr. Meist., T. III, f. 5). Po, Sangone, Stura, Salice. » , operculata Ktz. — (Fr. Meist., T. III, f. 6). Po, Sangone, Stura. Meridion Ag. * Meridion circulare Ag. — (Fr. Meist., T. IV, f. 2, 3). Po, Stura, Salice, Dora, Vasche Orto Botanico. a constrictum Ralfs. — (Fr. Meist., T. IV, f. 4, 5). Po, Stura, Salice, Dora, Vasche Orto Botanico. PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 473 Tabellaria Ehr. Tabellaria fenestrata Ktz. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 477). Dora, Stura. Ù flocculosa Ktz. — (V.H. Tr. Diat., Pl. XI, f. 478). Sangone, Stura. i Denticula Ktz. Denticula tenuis Ktz. — (Fr. Meist, T. V, f. 4). Po, Sangone, Stura. : frigida Ktz. — (Fr. Meist., T. V, f. 5, 6). Po, Sangone, Stura. Diatoma D. C. * Diatoma vulgare Bory. — (Fr. Meist., T. V, f. 9). Po, Dora, Vasche Orto Botanico. i a » Var. brevis Grun. — (Fr. Meist., T. V, L06R0)) Stura, Vasche Orto Botanico. - È » var. producta Grun. — (Fr. Meist., T.V, LIO); Stura, Vasche Orto Botanico. 5 n EI na Grun. — (Fr. Meist., T. V, SAID: Po, Vasche Orto Botanico. ; grande W.Sm. var. Ehrenbergii (Grun.) Meist. — (Fr. Meist:P.:V, £-12); Po, Vasche Orto Botanico. ‘ tenue Ag. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 468). Vasche Orto Botanico. 0 2 , var. minus Grun. — (Fr. Meist., T. V, £. 17). Vasche Orto Botanico. sù x hiemale Heib. — (Fr. Meist., T. V, f. 21). Po, Dora, Vasche Orto Botanico. va 2 s y var. mesodon Grun. — (Fr. Meist., T. V, f. 19, 20). Po, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. 474 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Fragi laria Grun. Fragilaria crotonensis Kitt. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 444). 3 Vasche Orto Botanico. x virescens Ralfs. — (Fr. Meist., T. V, f. 26). Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico. i capucina Desm. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 446). Sangone. 3 a z s var. mesolepta Rabh. — Fr. -Maiato 4 PVI: Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico. x construens Grun. — (V. H. Tr. Diat., P1. XI, f. 450). Stura. x 3 »s var. venter Grun. — (V. H. Tr. Diat., Pl XI3£ #51): Stura. 3 binodis Ehr. — (Fr. Meist., T. VI, f. 9). Vasche Orto Botanico. a intermedia Grun. — (Fr. Meist., T. VI, f. 15). Po, Sangone, Stura, Salice. È Harrisonii Grun. — (Fr. Meist., T. VI, f. 16). Sangone. | Synedra Ehr. Synedra pulchella Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 17). Po, Sangone, Stura. Le Vaucheriae Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 18). Salice. LASCI ulna Ehr. — (V. H. Tr. Diat., PI. X, f. 409). Po, Sangone, e Salice, Vasche Orto Botanico, Stura. SERI % s var. oxyrhynchus V. H. — (Fr. Meist., T. VI, 19): Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Bo- tanico. x c s var. subaequalis Grun. — (Fr. Meist., T. VII, IEZE Po, Sangone, Salice, Stura. nt i ted tie intatti nil ei ii e sii sciiti mn e e PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 475 Synedra ulna Ehr. var. danica Grun. — (Fr. Meist., T. VII, f. 3) Eunotia Po, Stura, Vasche Orto Botanico. joursacensis J. Hérib. — (Fr. Meist., T. VII, f. 4). Po, Sangone. acus Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 23). Po, Sangone, Stura, Dora, Salice, Vasche Orto Botanico. radians Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 21). Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo- tanico. capitata Ehr. — (Fr. Meist., T. VII, f. 6). Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo- tanico. longissima W.Sm. — (Fr. Meist., T. VIII, f. 1). Po, Sangone, Salice, Stura, Vasche Orto Botanico. amphirhynchus Ehr. — (Fr. Meist., T. VII, f. 6). Sangone. vitrea Ktz. — (Fr. Meist., T. VIII, f. 5). Po. Eunotia Ehr. parallela Ehr. — (Fr. Meist., T. X, f. 4). Stura. monodon Ehr. -- (Dippel, f. 284). Dora, Stura. diodon Ehr. — (Fr. Meist., T. X, f. 6). Po, Stura. tetraodon Ehr. — (Fr. Meist., T. X, f. 8). Dora. arcus Ehr. — (Fr. Meist., T. XI, £. 11). Stura, Collina di Torino. = » forma curta (Grun.). — (Dippel, f. 278). Stura. | uncinata Ehr. — (Fr. Meist., T. XI, f. 16). Stura. pectinalis Ktz. — (Dippel, f. 268). Po, Stura. . 476 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Eunotia pectinalis Ktz. forma curta V. H. — (Dippel, f. 269). Po, Stura. x 4 » Var. media 0.m.— (Fr.Meist., T.XI,f.3). Po; Stura. 3 S » var. minor V. H. — (Dippel, f. 272). Po, Stura. ; x » Var. stricta. — (Dippel, f. 278). Po, Stura. | Li lunaris Grun. — (Fr. Meist., T. IX, f. 16). Stura, Stagno in Val Salice. Ceratoneis Ehr. Ceratoneis arcus Ktz. — (Fr. Meist., T. XI, f. 19). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. Ò i » Var. amphioxys Rabh. — (Fr. Meist., T. XI, | f. 18). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. ; 3 » Var. linearis Holmboe. -- (Fr. Meist., T.XI, f.:20). | Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. Rhoicosphenia Grun. | Rhoicosphenia curvata Grun. — (Fr. Meist., T. XII, f. 1-3). Po, Salice, Vasche Orto Botanico. Cocconeis (Ehr.) Cl). * Cocconeîs placentula Ehr. — (Fr. Meist., T. XII, f. 4, 5). Po, Dora, Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico. E P s var. lineata V. H. — (Fr. Meist., T. XII, TT A Po, Dora, Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico. PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 477 Cocconeis placentula Ehr. var. euglypta Cl. — (Fr. Meist., T. XII, 3 1985) Po, Sangone, Stura. var. trilineata C). — (Fr. Meist., T. XII, L00710). Po, Sangone, Stura. ‘ pediculus Ehr. — (Fr. Meist., T. XII, f. 11, 12). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. ”» » » ” Eucocconeis CI. Eucocconeis flerella Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 14, 15). Sangone, Stura. Microneis Cl. i Microneis minutissima Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 19, 20). Vasche Orto Botanico. microcephala Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 23-26). Po, Sangone. linearis Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 27). Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Bo- tanico. exilis CI. — (Fr. Meist., T. XIII, f. 1, 2). Po, Sangone, Salice. Achnanthidium Heib. Achnanthidium lanceolatum Bréb. — (Fr. Meist., T. XIII, f, 12,13). Po, Sangone, Stura, Salice. Diploneis (Ehr.) CI. * Diploneis elliptica Cl. — (Fr. Meist., T. XIV, f. 6). Po, Sangone, Stura, Salice. ovalis CI. var. pumila C1. — (Fr. Meist., T. XIV, f. 9). Stura. var. oblongella (Nîg.) CI. — (Fr. Meist., PEXTVic:10)6 Stura, Salice. ” ” »” »” 478 bio Egt = ERE Lema 4 CREA STE sano ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Neidium Pfitzer. * Neidium amphirhynchus (Ehr.) Pf. — (Fr. Meist., T. XIV, E-_bOL Po, Stura, Dora. productum (W. SM) Pf. — (Fr. Meist., TXIV, f. 19 Po. bisulcatum var. turgidula (Lagst.) Meist. — (Fr. Meist., PEXVITL1): Po, Stura. iridis Pfitzer. — (Fr. Meist., T. XV, E"): Po, Dora. affine (Ehr.) Pf. var. media Cl. — (Fr. Meist., T. XV, f. 4). Po. amphigomphus (Ebr.) Pf. — (Fr. Meist. T. XV, f. 6). Po. dubium Pfitzer. — (Fr. Meist., T. XV, f. 7). Po. Caloneis CI. * Caloneis amphisbaena Cl. — (Fr. Meist., T. XV, f. 9). Po. Schumanniana Cl. — (Fr. Meist. T.XVL EDI Po, Dora. silicula (Ehr.) Cl. — (Fr. Meist., T. XVI, f. 10). Po, Dora, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. x sy var. major (Hérib.) Meist. — (Fr. Meist., TV 39): Po, Sangone, Stura. s » Cl. var. cuneata Meist. — (Fr. Meist., PIONIE LO): Po, Sangone, Stura. 4 s var. inflata (Grun.) CI. — (Fr. Meist., LEVI ADI: Po, Sangone, Stura, Salice. = , var. undulata (Grun.) Cl. — (Fr. Meist., PE XVEST 13); Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. , ui N TI RR PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 479 Anomoeoneis Pfitzer. Anomoeoneis sculpta Pfitzer. — (Fr. Meist., T. XVII, f. 8). Po. Gyrosigma Hassal (Pleurosigma W. Sm.). * Gyrosigma attenuatum Rabh. — (Fr. Meist., T. XVII, f. 13). Po, Dora, Salice. acuminatum Rabh. — (Dippel, f. 184). | Po, Stura. i » Var. Brébissonii (Grun.) CI. — (Fr. Meist., T. XVIII, f. 2). Po. Kiitzingii Grun. — (Dippel, f. 188). Po. Spencert: CI. — (Fr. Meist., T: XVIII, f. 3). Po. Frustulia Ag. Frustulia vulgaris (Thw.) CI. — (Fr. Meist., T. XVIII, f. 4). Sangone, Stura, Salice. Stauroneis Ehr. Stauroneis phoenicenteron Ehr. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 1). Po, Dora; Stura. 3 » Var. gracilis CI. — (Dippel, f. 174 b;-c). Stagno in Val Salice. g. » var. amphilepta (Ehr.) CI. — i (Fr. Meist., T. XVIII, f. 10). Po, Stura. anceps Ehr. — (Dippel, f. 178 Db). Po, Sangone, Stura, Salice. ; , «Var. amphicephala (Ktz.) C1.—(Fr.Meist., Po XDX;6£578); Po, Sangone, Stura. OTT E E SCORE, BRR) EL E Ps piena a ira È us ° RA 480 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Stauroneis anceps Ehr. var. elongata Cl. — (Fr. Meist., T. XIX, f.4). Po, Sangone, Stura. n Smithii Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 7). Po. Navicula Bory. Navicula binodis Ehr. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 12). Po, Sangone. ò Rotaeana Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 13). Po; A seminulum Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 19). Po, Sangone, Stura. È minima Grun. var. atomoides Cl. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 21). Po, Sangone, Stura. ; bacilliformis Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 23). Po, Sangone. o pupula Ktz. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 25). Po, Salice. 3 bacillum Ehr. — (Fr. Meist., T. o f. 4). Po, Sangone. n È » var. Gregoryana Grun. — (Fr. Meist., PE RARE): Po, Sangone. } i » Var. major Hérib. — (Fr. Meist., T. XX, POD): Po, Sangone. n pseudobacillum Grun. — (Fr. Meist., T. XX, f. 5). Po, Sangone, Stura. ì pusilla W. Sm. — (Fr. Meist., T. XX, f. 9) Po, Sangone. 5 cuspidata Ktz. — (Fr. Meist., T. XX, f. 10). Po, Sangone, Vasche Orto Botanico. > ; » forma angusta. — (Dippel, f. Hel Vasche Orto Botanico. 5 5 » forma craticula. — (Dippel, f. 122). Vasche Orto Botanico. Navicula PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 481 ambigua Ehr. — (Fr. Meist., T. XX, f. 13). Po, Sangone. gracilis Grun. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 1). Po, Vasche Orto Botanico. cryptocephala Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 3). Po, Sangone. N » var. pumila Grun. — (Fr. Meist., TR © RE e) Stura. n » var. veneta (Ktz.) V. H. — (Dippel, f. 87): Po, Sangone, Stura. rhynchocephala Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f, 9). Po, Sangone, Vasche Orto Botanico. hungarica var. capitata CI. — (Fr. Meist., T. XXI, f, 8). Po, Stura, viridula Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 10). Po, Sangone, Stura. radiosa Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 13). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. È s var. acuta Grun. — (Fr. Meist., T. XXI, i GAS E Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. tenella Bréb. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 14). Po, Sangone, Stura. Reinhardtiîù Grun.: — (Fr. Meist., T. XXI, f. 17, 18). Po, Sangone, Stura. menisculus Schum. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 20). Po, Vasche Orto Botanico. meniscus Schum. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 19). Po. tuscula V. H. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 28). Po, Sangone, Stura. oblonga Ktz. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 2). Sangone, Stura, Salice. sì » var. lanceolata Graun.—(Fr. Meist., T. XXI, f. 24). Sangone, Stura, Salice. n 9) Dr L' ua Bai PA SPO < 5, PON SSN 1 i er ® È fila 3; Ala # PISA EI PRA d i gal Creazioni dii e ln SI Pif SO pie aligo to > 482” ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Navicula lanceolata Ktz. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 4). | Po, Sangone, Vasche Orto Botanico. gastrum Donk. — (Fr. Meist., T. XXII, £. 6). Po. piacennza Grun. — (Fr. Meist., T. XXII, £. 8). Po, Sangone, Dora, Stura. o s var. lanceolata Grun. — (Fr. Meist., PI XXI 9): x Po, Sangone, Dora, Stura. anglica Ralfs. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 12). Po, Sangone. dicephala W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 15). Po: Pinnularia Ehr. * Pinnularia nobilis Ehr. — (Fr. Meist., T. XXIII, f. 1). Po, Sangone, Stagno in Val Salice. gentilis Donk. — (Fr. Meist., T. XXIII, f. 2). Po, Stagno in Val Salice. viridis Ehr. — (V.H. Tr. Diat., PI. II f. 70). Po, Dora, Stura, Stagno in Val Salice. a s var. commutata (Grun.) CI. — (V. H Tr eDiat= PLEASE): Po, Stura, Stagno in Val Salice. dactylus Ehr. — (Fr. Meist., T. XXIV, f. 4). Po, Stura, Stagno in Val Salice. major Rabh. — (V. H. Tr. Diat., PI. II, f. 69). Po, Sangone, Stura, Stagno in Val Salice. — » Var. convergens Meist. — (Fr. Meist., TIVE LI) Stura. nodosa W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXVI, f<9) Stagno in Val a parva Greg. — (Fr. Meist., T. XXVI, f. 6). Salice, Stura. brevicostata Cl. — (A.S. Atl., T. XLII, f. 26, 27). Stagno in Val Salice. Reg e DACIA pe PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 483 * Pinnularia alpina W.Sm. — (A. S. Atl.,, T. XLV, f. 1-4). E ; lata (Bréb.) Rabh. — (Fr. Meist., T. XXVI, f. 11). : Po. : borealis Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 3). i Po, Stagno in Val Salice. È legumen Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 4). Po, Stura. : stauroptera Rabh. (Grun.). — (V. H. Tr. Diat., PI. II, f. 85). Po: i divergens W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 7). Po. : Brébissonii Rabh. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 9). Po, Stura, Salice, Vasche Orto Bo- tanico. 3; È mesolepta W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 4). Po. ù x , var. stauroneiformis Cl. — (Fr. Meist., RENON 80/5). Stura. È tabellaria Ehr. — (V. _H. Tr. Diat., PI. II, f. 87). Dora. > È interrupta W. Sm. var. bdiceps CI. — (Fr. Meist., PBSXNAVEE 648). Po, Dora, Stura. 5 i s var. stauroneiformis CI. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 9). Po, Stura. 5 appendiculata Cl. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 12). Po. Gomphonema Ag. Gomphonema constrictum Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 15). Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo- î tanico. È capitatum Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 16). Po, Dora, Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico. i 484 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Gomphonema angustatum Grun. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f.19). Sangone, Stura, Salice. ; 7 » Var. subaequale Grun.—(Fr. Meist., TEXXVITL£. 21); Sangone, Stura, Salice. s intricatum Ktz. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 1). Stura, Salice. È ; , var. dichotoma Grun. — (Dippel, î, 219); Stura, Salice. È gracile Ehr. — (Dippel, f. 213). Sangone, Stura, Salice. 3 È s var. dichotoma V.H.— (Dippel, f. 214). Stura. 5 î acuminatum Ehr. — (Dippel, f. 201). Dora, Stura, Vasche Orto Bo- | tanico. i E Da 7 ,s var. coronata Grun. — (Dippel, | f. 202). Dora, Stura. 2 s s var. trigonocephala Grun. — (Dippel, f. 206). Sassi, Stagno in Val Salice. var. Brébissonii Grun. — (Dippel, i £ 205). | Salice. 4 È subclavatum Cl. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 9). Sangone, Stura, Salice. : augur Ehr. — (Fr. Meist., T. XXIX, £. 5). Salice. , parvulum Grun. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 11). Sangone, Stura, Salice. x olivaceum Ktz. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 14). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. Cymbella Ag. Cymbella tumida V. H. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 18). Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo- tanico. di vi a è Cymbella PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 485 cistula Kirchn. — (Dippel, f. 242). Po, Sangone, Stura. gastroides Ktz. — (Fr. Meist., T. XXX, f. 3). Po, Sangone, Stura, Stagno in Val Sa- lice, Vasche Orto Botanico. È » Var. truncata Rabh. — (Dippel, f. 238). Po, Sangone, Stura, Salice. helvetica Ktz. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 22). Po, Sangone, Salice. È » Var. curta C1.— (Fr. Meist., T.XXX, f.4). Po, Sangone. lanceolata Ehr. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 1). Po, Dora. maculata Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 3). Po, Sangone, Salice. cymbiformis Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 4). Po, Sangone, Salice. parva W.Sm. — (Er. Meist., T. XXXI, f. 7). Po, Sangone. affinis Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 8). Po, Sangone, Stura. delicatula Ktz. — (Dippel, f. 234). Sangone. naviculaeformis Auersw. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 12). Po, Sangone, Stura. amphicephala Naeg. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 14). Po, Sangone, Stura. cuspidata Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 18). Po, Sangone, Stura. Ehrenbergii Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 1). Po, Sangone. A » Var. delecta Cl.—(Fr.Meist., T.XXXI, i. 10): Po, Sangone. aequalis W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 7). Po, Sangone. pusilla Grun. — (Dippel, f. 232). Po, Dora, Stura. leptoceras Grun. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 10). Sangone, Stura. 486 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA # Cymbella prostrata CI. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 12). * Amphora ovalis Ktz. Po, Dora, Salice, Stura, Vasche Orto Botanico. turgida Greg. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 13). Po, Stura, Vasche Orto Botanico. ventricosa Ktz. — (Dippel, f. 246). gracilis Cl. ” » » ” n » » ©%,) Po, Stura, Sangone, Vasche On Bo- tanico. s var. Auerswaldii Meist. — (Fr. Meist., TRADITE Po, Sangone, Stura. » var. ovata Cl. — (Fr. Meist,, T, XXXIII, f. 3). Po. , var. lunula Meist. — (Fr. Meist,, T. XXXIII, f. 4). Po, Sangone, Stura. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 5). Po, Stura. Amphora Ehr. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 9). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. var. perlonga Meist. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 8). Po, Sangone, Stura. var. gracilisV.H.— (Fr. Meist., T.XXXIII, Kr): Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. var. libyca CI. — (Fr. Meist., T. XXXIII, E all9; Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. var. pediculus V. H. — (Fr. Meist., Te XXXIH; È 12) Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. N eine a È È | ; È : si È 4 ; ( 3 E ,, È i 4 PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 487 Amphora perpusilla Grun. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 13). Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. Epithemia Bréb. Epithemia Hyndmannii W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXIV, f. 1). ” Po, Dora, Stagno in Val Salice. turgida Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 17). Po, Dora, Vasoho Orto Botanico, Stagno in Val Salice. 4 » Var. granulata Brun. — (Dippel, f. 256). Po, Dora, Vasche Orto Botanico, Stagno in Val Salice. 3 » Var. Westermannii Grun. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 18). Vasche Orto Botanico. sorex Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f, 20). Dora, Gollina di Torino. argus Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXIV, f. 3, 4). Po, Collina di Torino, Sassi. zebra Ktz. var. proboscidea Grun. — (Fr. Meist., ISO). Vasche Orto Botanico. Rhopalodia 0. M. Rhopalodia gibba O. M. — (Fr. Meist., T. XXXV, f. 6). » Po. ventricosa 0. M. — (Fr. Meist., T. XXXV, f, 8). Ro. Hantzschia Grun. * Hanteschia amphioxys Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 2). » Po, Stura, Salice. 3 » var. pusilla Dippel. — (Fr. Meist. P._XXXVI.fet) Salice. ’ Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 34 488 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA + Hantzschia amphioxys Grun. var. major Grun. — (Fr. Meist., To RXXVI, £4); Po, Stura, Salice (Dippel, f. 293). Nitzschia Grun. Niteschia angustata Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 7). Po, Stura. a Tm s var. constricta Meist. — (Fr. Meist., P.RXRXVE £9) Po; Stura. i dubia W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVII, f. 1). Po. 3 sinuata Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 12). Sangone. A tabellaria Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 13). Sangone, Vasche Orto Botanico. » È dissipata Grun. media Grun. — (Dippel, f. 315). Dora. È A sigmoidea W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVII, f. 6). Po, Dora, Stura. g lamprocampa Hantz. — (Fr. Meist., T. XXXVII, f. 7,8). Po. ; linearis W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 4). Po, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. Z È s var. tenuis Grun. — (Fr. Meist,., PPAAXNII 4-5) Po, Stura, Salice. 3 recta Hantzsch. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 6). Po, Stura, Salice. 3 Heufleriana Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 8). Po, Stura. x palea W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 9). Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Bo- tanico. z frustulum Grun. — (Dippel, f. 338). Salice, Po. » perpusilla Rabh. — (Dippel, f. 339). Salice. PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 489 Cymatopleura W.Sm. * Cymatopleura solea W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXXIX, f. 2). Po, Dora, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. * ù f » Var. regula Grun. — (Fr. Meist,, PRESSI 0) Po, Dora, Sangone. 3 3 » Var. crassa Meist. — (Fr. Meist,, PSSENXIE 1): Po. 5 x y Var. gracilis Grun. — (Fr. Meist., RENDE E Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Botanico. ; È », var. elongata Meist. — (Fr. Meist., TONI] Po, Sangone. sa S elliptica W.Sm. — (Fr. Meist., T. XL, f. 2). Po, Sangone, Stura. * * È s forma minor. — (Dippel, f. 349). Po, Sangone, Stura. È i s var. ovata Grun. — (Fr. Meist,, DEN do Po, Sangone. Surirella Turpin. _* Surirella biseriata Bréb. — (Dippel, f. 352). Po, Dora. aj 5 5 » var. media Dippel. — (Dippel, f. 353). Po, Dora. + x linearis W. Sm. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 3). Po; Dr; Capronii Bréb. — (Fr. Meist., T. XLV, f. 2). , eda À À robusta Ehr. — (Dippel, f. 357). Po. 490 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA Surirella robusta Ehr. forma minor — (Dippel, f. 358). Po. * x», splendida Ktz. — (Fr. Meist., T. XLIV, f. 3). Po. , elegans Ehr. — (Dippel, f. 362). Po. a gracilis Grun. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 7). Po. È angusta Ktz. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 8). Po, Vasche Orto Botanico. = i ovalis Bréb. — (Dippel, f. 364). Po. ; 3 s var. ovata V. H. — (Dippel, f. 366). Po, Vasche Orto Botanico. 3 5 » forma subovata. — (Dippel, f. 365). Salice. È i » var. minuta V. H. — (Dippel, f. 368). Stura, Salice, Vasche Orto Botanico. "RR spiralis Ktz. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 2), Po, Stura. Campylodiscus Ehr. * Campylodiscus noricus Ehr. var. costatus Grun. — (Fr. Meist., TRENI SES) Po, Stura. ; » Var. hibernicus Grun. — (Fr. Meist., T. XLVII, f. 2). Po, Dora, Stura. Pr PIT ER AO RIA 2) POIROT LR © LI et a PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 491 PRINCIPAEI OPERE CONSULTATE PacLiani L., Trattato di Igiene e di Sanità pubblica. — Vol. I. Dei Terreni e delle Acque in rapporto colla Igiene e colla Sanità pubblica. Milano, Vallardi. MurieL BrisroL B., On the Alga-Flora of some desiccated English Soil an important Factor in Soil Biology. “ Annals of Botany ,, vol. XXXIV, january 1920, pp. 35-80. Franck B., Ueber den experimentellen Nachweis der Assimilation freie Stickstoffs durch erdbodenbewohnende Algen. “ Berich. d. Deut. Bot. Gesell. ,, vol. VII, 1889, pp. 34-42. Ip. Ueber den gegenwcirtigen Stand unserer FOIS der Assimilation elementaren Stickstoffs durch die Pflanze. “ Ib.,, ib., p. 284. Ip. und Orro R., Untersuchungen iiber S:ickstoff-Assimilation in der Pflanze. “Ib., vol. VIII, 1890, p. 831. KossowrrscH P., Untersuchungen ber die Frage ob die Algen freien Stickstoff firiren. “ Bot. Zeitung ,, 1894, Heft 5, pp. 98-116. Esmarca, Untersuchungen iiber die Verbreitung der Cyanophyceen auf und in verschiedenen Boden. Hedwigia, Band IV, Sept. 1914. Nagano H., Untersuchung iiber die Entwicklung und Ernihrungsphysiologie einiger Clorophyceen. “ Journ. of Coll. of Science Imper. University Tokyo ,, vol. XI, 1917 (cit. da Murriel). , Gautier et Drovrn, Recherches sur la firation de VAzote par le sol et les végétuur. * Comptes-Rendus ,, CVI, 1888, p. 754 et seg. PrincsHem, Kulturversuche mit Clorophylifithrenden Microorganismen III Zur Physiologie der Schyzophyceen. “ Cohn’s Beitràge zur Biol. der Pflanzen ,, XII, pp. 99, 107. Scampr À., Aflas der Diatomaceenkunde. Van Heurcx H., Traité des Diatomées. Anvers, 1899. Brun J., Diatomées des Alpes et du Jura. Genève, 1880. . Mrister Fr., Die Kieselalgen der Schweiz. Bern, 1912. Dipper L., Diatomeen der Rhein-Mainebene. Braunschweig, 1904. v. ScnònreLpt H., Bacillariales (Diatomeae) [f Die Susswasser. Flora Deutsch- lands, Udstetralgta und der Schweiz,, hevausgegehen von A. Pascher. Heft 10]. Jena, 1913. 492 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA — PRIMO ELENCO, ECC. Pubblicazioni che si riferiscono alla Flora Diatomologica del Piemonte (recente e fossile) Accomazzo P., Il plancton nel Lago di Candia. “ Natura ,, Riv. di Scienze Naturali. Vol. VI, fasc. ag.-dicembre. Milano, 1915. Bonarpi E., Diatomee del Lago d'Orta. “ Bullett. Scientif.,, Pavia, 1885, N. 1. Notarisia, 1886, p. 60. In. Sulle Diatomee di alcuni Laghi italiani. “ Bullett. Scientif. ,, Anno X, N. 2, Pavia, 1888. CastRrAcANE DEGLI AnTELMINELLI, Saggio sulla Flora diatomacea delle cosidette Muffe delle Terme di Valdieri. Notarisia III, 1888, N. 9, pp. 384-386. In. Catalogo di Diatomee raccolte in Valle Intrasca. “ Comm. Soe. Critt. ,, 1865, fasc. II. CLerici E., Diatomee della farina calcarea raccolta presso il Lago di Avigliana. “ Bullett. Soc. Geol. ital. ,, vol. XXVI (1907), fase. II De Toni e Levi, Censimento delle Diatomee italiche. Notarisia, luglio-ott. 1886, Venezia. Forti A., Contribuzioni diatomologiche (vol. VI). “Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti,, Anno 1900-901, Tom. XL, Parte II, p. 783. Ip. Contribuzioni diatomologiche. - XIII. Le Diatomee fossili di Marmorito. Ip. Alghe. Lo stato attuale delle conoscenze sulla vegetazione dell’Italia e proposte, ecc. “ Atti della Società italiana per il Progresso delle Scienze ,, ottobre 1908, p. 71. Monti Rina, Physiologische Beobachtungen an den Alpenseen zwischen dem Vigezzo und der Onsernonenthal 1904. © Plòner. Berichte ,, 1905. Ip. Le condizioni fisico-biologiche dei Laghi Ossolani e Valdostani in rap- porto alla piscicultura. — R. Istituto Lombardo. - Memoria letta il 26 marzo 1903. \ Ip. Recherches sur quelques Lacs du Massif du Ruitor. “ Annales de Bio- logie lacustre ,, Tom. I, 1906, Bruxelles. Ip. I protisti delle Risaie. “ Rendic. del R. Istituto Lombardo ,, 1899. Papovani, 17 “ Plancton ,, del fiume Po. — Contributo allo studio del “ Plancton ,, fluviale. “ Zoologisch. Anzeig. ,, Vol. XXX, VII, N. 5, febbr. 1911. Parona Corrano, Prime ricerche intorno ai protisti del Lago d'Orta, con cenni della loro corologia italiana. “ Bullett. Scientif. ,, Anno II, Pavia, 1880. A. POCHETTINO E G. FULCHERIS — SU LE PROPRIETÀ, Ecc. 493 Su le proprietà elettriche e termiche dello Jodio Nota I del Socio nazion. resid. A. POCHETTINO e di G. FULCHERIS Esiste una grande incertezza sui valori da attribuire alla conducibilità elettrica delio Jodio puro sia allo stato solido che allo stato liquido, e sul genere stesso di questa conducibi- lità: e cioè se essa sia metallica, elettrolitica o del tipo cosidetto variabile, ossia quello che, pur crescendo con la temperatura, non è accompagnato dal verificarsi di f. e. m. di polarizzazione al contatto con gli elettrodi. Se si lasciano da parte le ricerche di Gay-Lussac e di Solly (1) che considerano lo Jodio come un isolante, quelle di Inglis e di Knox (?) che invece concludono essere lo Jodio, per quanto in minima misura, conduttore, e infine le ricerche di Beetz (3), il quale crede di poter affermare che le traccie di conducibilità, osservate dall’Inglis e da lui stesso, sono dovute alle impurità contenute nello Jodio esaminato, il primo ad as- segnare un valore determinato della conducibilità dello Jodio puro è Exner (4). Questi, usando elettrodi di Platino, trova che alla temperatura di 17° lo Jodio presenta una resistività di 1,7.107 Ohm ®/em:, che questa resistività diminuisce enorme- mente quando lo Jodio passa allo stato liquido, e che, in questo stato, detta resistività diminuisce al crescere della temperatura, scendendo da 8,1.103, alla temperatura di 110° ad un valore (1) “ Pogg. Ann. ,, 37, pag. 420, 1836. (*) “ Phil. Mag. ,, 9, pag. 450. (*) “ Pogg. Ann.,, 92, pag. 456, 1854. (4) “ Wien. Ber.,, 84, pag. 511, 1881. 494 A. POCHETTINO E G. FULCHERIS di 4,6.103 Ohm ©/em: alla temperatura di 166°; l’Exner non si pronuncia su la natura della conducibilità osservata. i In un lavoro alquanto posteriore il Walden (*), studiando la conducibilità delle soluzioni di Jodio nel Cloruro di Solforile, giunge alla conclusione che lo Jodio, in quelle soluzioni, si com- porta come un elettrolita dissociato secondo lo schema: Me 0 PILA Poco appresso G. N. Lewis e P. Wheeler (?) constatano che le soluzioni di Joduro di Potassio nello Jodio fuso conducono la corrente così bene come le corrispondenti soluzioni acquose e, di conseguenza, attribuiscono allo Jodio un forte potere disso- ciante. Trovano inoltre, usando recipienti di quarzo fuso ed elettrodi di Platino iridiato, che lo Jodio puro allo stato solido ha una conduttività di 3.1075 circa (cioè una resistività di 3.10*4 Ohm ®2/ome, valore quindi molto lontano da quello trovato da Exner); non si pronunciano sul tipo di questa conduttività, ma notano che questa diminuisce col permanere dello Jodio nel recipiente di quarzo a contatto con gli elettrodi di platino iri- diato, senza riuscire a decidere se questo fenomeno sia dovuto ad un cambiamento molecolare dello Jodio, alla scomparsa gra- duale di vapor d’acqua o di altre impurità incorporate nella su- blimazione, od infine all’assorbimento di impurità dal recipiente. Il lavoro più recente sull'argomento è quello di von Hass- linger (3), il quale studia il comportamento dello Jodio, fuso in recipienti di quarzo fra elettrodi di carbone, e poi lasciato solidificare. Egli trova che a 20° lo Jodio presenta traccie di conducibilità, che la sua resistività si mantiene costante tra i 40° e i 110°, intorno ad un valore di 3.106 Ohm ©®/em?; questa resistività diminuisce bruscamente quando lo Jodio passa allo stato liquido: a 120° assume un valore di 2,7.10% Ohm ©2/em?, che diminuisce poi lentamente con il crescere ulteriore della temperatura. Von Hasslinger constata inoltre che il passaggio della corrente (anche con un'intensità di qualche milliampère) (4) “ Zeit. f. Phys. Chemie ,, 43, pag. 415, 1903. (£) £ Zeit. f. Phys. Chemie ,, 56, pag. 179, 1906. (*) “ Wien. Ber. ,, 115, pag. 1532, 1906. MOTORE. > ea Ca » atei tc Me SU LE PROPRIETÀ ELETTRICHE E TERMICHE DELLO JODIO 495 attraverso lo Jodio allo stato liquido non dà luogo a traccie di f. e. m. secondarie; nello Jodio allo stato solido invece, alla interruzione della corrente primaria, si ha una corrente secon- daria nettissima che il von Hasslinger ritiene di natura termo- elettrica provocata dall’effetto Peltier ai contatti carbone-jodio. Noteremo infine che le soluzioni di Jodio in diversi solventi organici presentano (!) una notevole conducibilità elettrica, spe- cialmente le soluzioni in Nitrobenzolo (?) che hanno una con- ducibilità dell'ordine di quella delle soluzioni elettroliche più conduttrici. i Fra i valori assegnati alla resistività dello Jodio da Exner, da Lewis e Wheeler, e da von Hasslinger si notano delle diffe- renze così forti che non possono attribuirsi che o ad un diffe- rente grado di purezza dello Jodio usato o a qualche notevole causa d'errore inerente ai procedimenti seguìti. Questa potrebbe esser dovuta in primo luogo al fatto che nei dispositivi usati dagli sperimentatori su ricordati lo Jodio viene a trovarsi per lungo tempo entro recipienti di vetro o di quarzo nei quali è stato*fuso e non appare sia stata presa alcuna precauzione per preservarlo dal contatto con l’umidità dell’aria ; in secondo luogo al fatto che gli elettrodi si introducono quando lo Jodio si trova allo stato di fusione, e poichè esso si contrae sensibilmente soli- dificandosi, il contatto con gli elettrodi non può essere garantito in modo costantemente riproducibile. Per poter quindi stabilire qualcosa di sicuro riguardo al comportamento elettrico dello Jodio, dopo ripetuti tentativi intesi ad ottenere contatti sicuri e riproducibili, abbiamo seguìto il metodo di Streintz delle polveri compresse. Lo Jodio puris- simo, tetrasublimato, gentilmente favoritoci dal Prof. Ponzio, direttore dell’Istituto Chimico della R. Università di Torino, veniva compresso, mediante una grossa pressa a bilanciere, entro forme cilindriche di acciaio rivestite internamente di mica. I cilindretti di Jodio compresso apparivano compattissimi, di aspetto metallico; la loro densità, calcolata dal loro peso e dalle loro dimensioni geometriche, risultò essere ‘in media 4,7, in buon accordo dunque con il valore 4,66 riportato nel Recueil (4) “Journ. of Phys Chem.,, 9, pag. 641. (*) “ Proc. Chem. Soc. ,, 18, pag. 69; “ Journ. Chem. Soc. ,, 87, pag. 524. a 0 IN RA e ‘TOR tI) DI Ù 6 "na 496 A. POCHETTINO E G. FULCHERIS de Constantes Physiques per il 1913 della Società Francese di Fisica. Ogni cilindretto veniva accuratamente e uniformemente limato su tutta la sua superficie esterna con una lastrina di vetro foggiata a coltello onde eliminare lo strato superficiale eventualmente inquinato per il contatto con la mica. Tutti i cilindretti venivano poi conservati in un essicatore ad acido solforico e, durante la loro preparazione, si usavano tutte le possibili precauzioni per impedire contatti anche di breve durata con sostanze che con lo Jodio potessero dare una qualche reazione. I risultati di diverse esperienze istituite per scegliere il materiale più conveniente con cui formare gli elettrodi ci indus- sero a preferire la grafite semidura come quella con cui si fanno le spazzole per le dinamo. La resistenza a Jodio era dunque formata così: il cilindretto di Jodio descritto era compreso fra due cilindri di grafite di ugual diametro, portanti i morsetti di attacco; il contatto fra il cilindro centrale e i due laterali veniva stabilito e mantenuto costante per mezzo di un morsetto a vite, dal quale il sistema era isolato elettricamente mediante due la- strine di vetro dello spessore di alcuni mm. Si potè constatare che, qualunque fosse la durata e l’intensità della corrente attra- versante il preparato, nessuna alterazione presentavano le su- perfici di contatto dello Jodio e della grafite. Per tutta la durata delle misure la resistenza a Jodio veniva sottratta all’azione del vapor acqueo dell'atmosfera tenendola in un essicatore ad acido solforico. Il circuito adottato per le misure è rappresentato dal se- guente schema: qpplpe]r------ SER el |ojepobl 17,40|v,=11°099|s =, 0,476|i= 0,41 ampère si ottenne, essendo: .H= 0,239 X 27,15 X O,41° x 1” = 1,09 piccole calorie h= 0,0009954, da cui si ricava: K=0,000893 per la grafite. 502 A. POCHETTINO E G. FULCHERIS — SU LE PROPRIETA, ECC. Se si racchiude il disco di Jodio da studiare fra due dischi di grafite identici (per evitare il contatto fra Jodio ed ottone) a quello di cui si è determinata la conducibilità termica con la . misura precedente, la conducibilità termica dello Jodio K sarà data dalla formola: q' K' Peo d'' 2d ot dove K è la conducibilità termica della grafite, d' lo spessore del disco di Jodio, d'" = d' + 2d lo spessore di tutto l’insieme dei tre dischi, K" la conducibilità termica di questo insieme. I risultati delle diverse esperienze compiute su un disco di . Jodio del diametro medio di cm. 3,00 e dello spessore di cm. 0,27 sono i seguenti: 1) Temperatura ambiente: 159,5; v =10°,29; v = 79,56; v, = 69,95; 1 = 0,15 amp.; H= 0,1467pice. cal; %.=="0,0008908 IK 9001070. K'=0,001163 (in corrispond. ad una temper. media di 249,4). 2) Temperatura ambiente: 159,5; v, = 16,56; v0 =119,5; vs =10°,03; i=0,2 amp.; H=0,2587 picc. cal.; 4=0,0004424; KR =..0-001005, K'=0,001055 (in corrispond. ad una temper. media di 290, ,58). 3) Temperatura ambiente: 159,3; v1==239,96; v»=150,88; vs =13°,8; 1=0,25 amp.; H=0,4055 picc. cal.; 4 = 0,0004931; K" = 0,0009723. K'=0,001006 (in corrispond. ad una temper. media di 359,42). 4) Temperatura ambiente: 159,2; v1= 339,49; ve= 219,83; vs =200,09; #:=0,3 amp.; H==0,6115 picc.-cal.;. A = 000052578 K'=0 ‘0009948. K'=0,001038 (in corrispond. ad una temper. media di 429,86). Riassumendo i valori della conducibilità termica dello Jodio puro, allo stato solido, oscillano fra 0,001006 e 0,001163 con un valor medio di 0,001065, sensibilmente costante nell’inter- vallo di temperatura 24°,4-42°,86. L’ Accademico Segretario .Oreste MATTIROLO e, x ROOT. POETI ET SI ORI III RI 7 503 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 10 Giugno 1923 PRESIDENZA DEL COMM. PROF. GAETANO DE SANCTIS DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci ErnAaupI, BAuDI DI VESME, CIAN, VaLmagei, Luzio, JANNAccoNE, ViparI Segretario della Classe. Scusano l’assenza i Soci RurrinIi Presidente dell’Accademia, Parona Vicepresidente, StAMPINI, PATETTA, PRATO. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 20 maggio u. s. Il Presidente De Sanctis dà la parola al Socio CraNn, perchè legga la commemorazione del compianto Socio Carlo SALVIONI. Sono presenti parecchi invitati. Il Socio Cran dà lettura del suo discorso commemorativo, che è seguìto con viva attenzione dai colleghi e dal pubblico, ed è in fine coronato da unanimi calorosi applausi. Il] Presidente ringrazia il Socio Cran della commemorazione dotta e commovente, che ha messo bene in luce la nobile figura di Carlo SaLvioni nella sua intensa e feconda attività scientifica, nelle sue ardenti aspirazioni patriottiche, nel suo austero e forte eroismo paterno. Ringrazia pure dell’omaggio fatto, per mezzo del Socio Cran, dalla vedova all'Accademia del volume che rac- coglie in II ediz. le Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni, pio documento di così puro sacrificio compiuto per la Patria. Att della Reale Accademia — Vol. LVIII. 35 504 Il Socio ViparI propone di inviare alla vedova di Carlo SaLvioni il seguente telegramma: “ Commemorandosi oratore. “ CrAN compianto Socio SaLvioni, Accademia rinnova vivissime “ condoglianze, ringraziando del pio volume ,. Si approva. La commemorazione fatta dal Socio Cran sarà pubblicata negli Atti. Si sospende la seduta per pochi minuti; e, riapertala, si passa alla presentazione di Note. Il Socio Cian presenta una Nota dantesca di Virgilio Paolo “K Ponti di commento delle parole “ al passo , contenute nel verso 80° del IX Canto dell'Inferno. Il Socio VipaRrI presenta a nome e sotto la responsabilità del Socio SramPeINI un articolo del prof. Mario VALLAURI, Il brano della Sàrngadharasamhità sulla anatomia (*). L'articolo si compone di una breve introduzione e — premessovi il testo — ‘della versione italiana (la prima in lingue europee) di un brano che espone il sistema anatomico indiano. Tale brano fa parte del Compendio di “ Sarngadhara ,, autore medico del XII-XIII se- colo d. Cr. Nella Nota l’autore ha cercato di precisare il signi- ficato di diversi vocaboli teenici e di chiarire, mediante il riscontro con molti luoghi affini che ricorrono in altri testi, talune concezioni dell'anatomia e fisiologia indiane. La Nota sarà pubblicata negli Atti. i Il Presidente De SAncTIS presenta i nuovi Statuti della Union Académique Internationale, e ne propone l’inserzione negli Atti. La proposta è accolta. Presenta pure il rendiconto finan- ziario dell’esercizio dell’Unione medesima chiusosi il 81 marzo 1923. La Classe ne prende atto. (*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Sa e le Ae d VITTORIO CIAN — COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 505 LETTURE CARLO SALVIONI Commemorazione fatta dal Socio naz. resid. VITTORIO CIAN CHIARISSIMI COLLEGHI ! Allorquando, la notte dal 20 al 21 ottobre 1920, dopo una rapida malattia che lo colpì ancora valido di corpo e di spirito, + sì spense in Milano Carlo Salvioni, poco più che sessantenne — era nato il 3 marzo del 1858 in Bellinzona —, fu un lutto do- loroso per la famiglia tutta degli studiosi. Non però di questa soltanto; chè quel lutto ebbe nel cuore di molti altri in Italia una risonanza insolitamente diffusa e profonda e perciò non passeggera. Ora, certo non a me, troppo lontano da quel campo di studi nel quale il nostro Socio defunto impresse un’orma incancellabile, spettava l'onorevole officio di commemorarlo in- nanzi a questo Consesso. Sennonchè a compiere il pietoso e arduo dovere mi sono piegato anche in omaggio all'amicizia che saldamente mi legò a Lui sino dai più giovani anni; confortato inoltre dal pensiero che nella mia inadeguata competenza spe- cifica in materia di glottologia, dove il mio giudizio esitasse, potevano soccorrere — e sono soccorsi — provvidamente «quelli degli autorevoli scienziati che mi avevano preceduto in quest'opera di commemoratori, e d’altri da me non invano con- sultati (1). (1) Ricordo qui J. Jun nella Romania dell’ott. 1920, t. XLVI, n° 184, pp. 618-21; B. Terracini nella Rivista di filol. e di istruz. classica, a. L, fasc. 1°, gennaio 1922, pp. 189 sg., e, più ampiamente e con ricchezza d’in- dicazioni bibliografiche, nell’ArcA. glottolog. ital., vol. XVIII, fasc. 3, pp. 15 dell’estr.; E. G. ParopI, C. Salvioni, Discorso commemorativo tenuto nella 506 VITTORIO CIAN Comunque, di rendere tanto più doveroso il rievocare qui la memoria dell’insigne Socio perduto — che era stato eletto Corrispondente il 31 maggio 1908 e Nazionale non residente il 23 giugno 1918 — alle molte ragioni più ovvie quest'altra si aggiunge, ch’Egli nella Sua promettente vigilia scientifica e di-_ dattica, in ‘qualità di libero docente, fece le Sue prime armi nell’arringo universitario presso la Facoltà torinese di Lettere. ‘In questa, infatti, Egli tenne, durante gli anni scolastici 1885-. 1889, quattro corsi, notevoli per ampiezza e densità di materia e per rigore di metodo, nei quali alternò opportunamente l’espo- sizione storica generale sulle vicende delle lingue classiche e neolatine, con trattazioni monografiche nei diversi territorî ro- manzi, quali Ja lingua d’o?/ e quella d’oc e diversi gruppi di dialetti, come il Catalano e il Valdese, e con letture e commenti illustrativi di testi (1). solenne adunanza annuale dell’Accademia il 12 febbr. 1922 all'Accademia della Crusca, Firenze, tip. S. Davite, 1922 (estr. dagli Atti della R. Accad. d. Crusca, anno accademico 1920-21). Dalla luminosa vibrante commemo- razione del Parodi, anch'Esso scomparso in questi giorni, anch’Esso tanto degno di essere pianto e commemorato, tolgo la dedica commovente: Alla Signora | Enrichetta Salvioni nata Taveggia | vedova di Carlo Sal- vioni | Madre dei due giovani eroi caduti | Ferruccio Enrico | Sposa e madre italiana | Nell'’amore nel dolore nel sacrificio | Degna di Lui e di Loro ,. Questa Commemorazione era stata preceduta da un nobile articolo com- memorativo che il Parodi diede a L’Adula, che lo pubblicò nel n° 46 del- l’anno IX (Bellinzona, 13 nov. 1920), numero tutto dedicato alla memoria del Salvioni. Nella chiusa dell’articolo, il povero Parodi commentava con queste amare e giuste parole la recente lista dei nuovi senatori: “ Natu- “ ralmente a nessuno dei Ministri, fosse pur quello della Pubblica Istru- “ zione, poteva venir in mente [nel novembre del 1920!) il nome di Carlo “ Salvioni, che credeva nella Patria, che le ha dato un altissimo esempio “e due figli, e che le ha lasciato perfino un eccellente libro di lettura per “le sue Scuole..., le lettere scritte dal campo dai suoi due figli, poco prima “ di morire ,. : Qui mi è gradito esprimere la mia riconoscenza all’ottimo collega Matteo Bartoli, che mi fu efficace consigliere in questa mia insolita e pe- ricolosa fatica. (1) Dai Registri delle Lezioni del Salvioni, conservati nell'Archivio della Università torinese, desumo che nell’anno scolastico 1885-86 Egli tenne 75 fra lezioni e conferenze con letture e illustrazioni di testi sulla Grammatica della lingua d’oîl e che la prolusione volse “ sulle condizioni attuali degli studî di glottologia neolatina ,. Il corso del 1886-87, denso e vario, con- * RE 3 PREOOEE Pond pira, Pane + COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 507 Nello scegliere questa nostra Torino come prima tappa del Suo magistero e del Suo perfezionamento scientifico il giovane ticinese aveva obbedito al forte, irresistibile richiamo che gli veniva dalla fama e dalla benevolenza d’un altro nostro indi- menticabile Socio, di Colui che Graziadio Ascoli, commemoran- dolo, disse con la sua efficace sobrietà “il modesto e geniale ‘ Flechia ,, e del quale fino dal 1872 aveva scritto essere egli, “a tacere di altre sue preminenze, il vero e acclamato antesignano di quanti siamo a studiare i dialetti d’Italia , (1). E fu davvero una stagione felice per la Facoltà torinese di Lettere quella, in cui si potè vedere accanto all’austera veneranda figura del veterano degli studi glottologici, del grande sancritista, dell’im- pareggiabile maestro della dialettologia italiana, quella del biondo e roseo bellinzonese, impeccabile d’eleganza esteriore, vivace, espansivo, vibrante di giovinezza, di forza, d’entusiasmo, un giovine che era ormai assai più che una promessa sicura. Possiamo dunque dire che Carlo Salvioni appartiene anche alla storia del nostro glorioso Ateneo. Ma un altro titolo di particolare benemerenza Egli si acquistò ben presto verso la nostra regione subalpina con alcune indagini e illustrazioni che, a tanta distanza di tempo, serbano intatto il loro pregio di originalità e di precisione storica e scientifica. Alludo sovrattutto al saggio sugli Antichi testi dialettali Chieresi e alla Lamenta- zione metrica sulla Passione di N. S. in dialetto pedemontano, che sono entrambi del 1886, appartengono, cioè, a quegli anni del Suo fecondo noviziato torinese (2). cerneva il provenzale, il catalano e il valdese, ma non fu soltanto mono- grafico, dacchè non poche lezioni avevano un carattere generale, trattando degli Indo-europei, dei momenti psichici e momenti fisici nella evoluzione delle lingue, delle teorie riguardanti le parentele dei popoli Indo-europei, ecc.; altre lezioni consistevano in lettura e commento di testi. Nel corso del 1887-88 noto una serie di lezioni sul vocalismo e sul consonantismo nel provenzale e interpretazione di testi in lingua d'oc e di antichi testi dialettali italiani. In quello del 1888-89, dopo sette lezioni di “ introduzione allo studio del provenzale ,, il Salvioni ritornava alla lingua d’oc, alla interpretazione di testi provenzali e italiani dialettali. (1) Nel Proemio al vol. 7 dell’Arch. glottol. ital., 1872 [1873], p. xLt. (2) Gli Antichi testi dialett. chieresi videro la luce nella Miscellanea di filol. e linguist., Caix-Canello, Firenze, 1886, pp. 347-55; la Lamentazione metrica sulla Passione di N. S. in antico dialetto pedemontano uscì in opu- 508 VITTORIO CIAN Anni lontani ormai, ma il cui ricordo, punto illanguidito, rivive ora pieno di malinconia nella mia anima e vi fa sentire quella che Dante diceva “la puntura della rimembranza ,. Chè l'immagine di Carlo Salvioni sta nella mia memoria tenacemente associata al ricordo di quella età, in cui il compianto amico, in tutto il vigore della Sua giovinezza sana e gioconda, rivelava già tutti quelli che rimasero i tratti caratteristici e più salienti della Sua vita di studioso. Li rivelava anche in certe abitudini pratiche che serbò fino agli ultimi giorni della Sua esistenza austeramente operosa. Questa, fra le altre, di destarsi innanzi all'alba, qualunque fosse la stagione, e consacrare a mente fresca, le prime ore del giorno al più intenso e produttivo lavoro; onde soleva dire sorridendo — ma quanto seriamente! — che s'era guadagnata la Sua giornata quando i più iniziavano la loro. Così ben si capisce come dovesse guadagnarsela davvero la Sua grande giornata questo italiano del Canton Ticino, che, reduce dalla Germania, dove, a Lipsia, aveva preso conoscenza diretta di quel nuovo avviamento di studî linguistici senza farsi propriamente discepolo di alcun maestro, anche se questo prendesse il nome del Brugmann, s'era affermato in prima fila conla Sua tesi di laurea sulla Fonetica del dialetto moderno della città di Milano, che, ripresa e rielaborata, diventò il noto volume stam- pato nel 1883 e pubblicato l’anno seguente in Milano (1). Vero è che Egli, commemorando nel gennaio del 1910 al Reale Isti- tuto Lombardo l’Ascoli, proclamava lui, il grande figlio dell’ita- liana Gorizia, Suo maestro “ nella più ampia, più profonda, più piena accezione della parola , e ricordava di averne udite “ al- cune lezioni nel 1884, (2). scolo, edito a Torino, tip. V. Bona [1866], nel 25° Anniversario cattedratico di G. J. Ascoli. Si direbbe che questi lavori preludessero al Nuovo Testa- mento valdese secondo la lezione del cod. di Zurigo, nell’Arch. glottol. ital., XI, 308-70. (1) Tip. Bernardini di C. Rebeschini e C. Così, senza data, nel verso del frontespizio. Su questo e sulla copertina si legge: © In vendita presso Erm. Loescher, Torino, 1884 ,. Nella Sua auto-bibliografia, che sarà citata più innanzi, il S. aggiunse, fra parentesi, alla data 1884 un 1883, volendo evidentemente indicare l’anno preciso della stampa milanese. (2) Commemorazione di G. J. Ascoli, Milano, tip. Rebeschini di Turati, 1910 (estr. dai Rendiconti del R. Istituto Lombardo, s. II, vol. XLIII, fase. I-II), pp. 3 e 30, n. 1. ditte init nti iti i A AMARI * la [TREE O e PT ele i i i e te i it i COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 509 Aveva incominciato con l’imporre a sè stesso una rigida disciplina di lavoratore, che, sussidiata da una volontà ferrea, da un’inesauribile energia, da un ingegno vigoroso, penetrante, realistico, rifuggente dalle astrazioni e dalle generalizzazioni, se non in quanto queste sono parte vitale della scienza, alimen- tata da una cultura che s’arricchiva rapidamente, non poteva non portarlo molto lontano per quella via maestra che Egli si era già segnata e che doveva percorrere con passo sicuro ad una mèta assai alta. Sino da quel primo periodo della Sua attività era già decisa la Sua sorte di vittorioso esploratore nei campi della dialetto- logia italiana, che i fenomeni del linguaggio rintracciava sui testi antichi con tutti i più severi procedimenti della scienza e li seguiva e perseguiva attraverso i secoli, movendo dalle forme ancor vive sulla bocca dei parlanti. Ciò facendo applicava felicemente quella che Egli, nella citata Commemorazione dell'Ascoli, rico- nobbe come una delle “ novità metodiche , lanciate dal grande glottologo, nelle sue famose Lezioni del 1870, cioè “la invoca- zione delle lingue e dei dialetti vivi a rincalzo e a spiegazione delle lingue morte , (1). Glottologia, dunque, stretta in intimo accordo con la filologia, con la storia e con la bibliografia. Non dobbiamo pertanto stupirci se il Salvioni nel 1889 riuscì vincitore nel concorso per la cattedra di Pavia, che tenne dal 1890 sino al 1902, e se in questo anno passò a Milano, a occuparvi degnamente la cattedra alla quale era legato il nome glorioso di Graziadio Ascoli. A questo proposito nulla mi sembra più interessante e opportuno all'oggetto nostro che il rileggere oggi, a tanta distanza di tempi, la Relazione di quella Commis- sione giudicatrice, che, presieduta appunto dall’Ascoli, aveva segnalato le qualità eminenti del giovine glottologo bellinzonese fra gli aspiranti alla cattedra di Pavia. Da questa pagina esce ritratta con mano sicura la fisionomia del Salvioni in quella prima fase della Sua vita scientifica: “ Un’assai ricca messe di “ titoli, e tanto più notevole, avuto riguardo alla giovane età “ del concorrente, è presentata dal dott. C. Salvioni; il quale “ ha rivolto particolarmente la sua attività di studioso alla dia- (1) Commemorazione cit., p. 14. 510 VITTORIO CIAN K lettologia italiana, non sì però che non si estendesse in tutta la romanità. Ciò egli ha fatto così da storico, come da filologo comparatore, pubblicando testi inediti ed illustrandoli con os- servazioni e commenti. Il progresso incessante dei suoi studî si scorge in questo, che nelle Sue pubblicazioni prende via via maggior campo e procede sempre più largo e sicuro il criterio comparativo , (1). E il “ progresso , di quel giovine glottologo fm veramente “ incessante , e si venne affermando per una sempre più piena padronanza degli strumenti tutti dell’indagine linguistica. D’al- lora in poi la sua attività scientifica fu un continuo susseguirsi, un moltiplicarsi di lavori, mirabili per varietà ed estensione, ma sovrattutto per solidità di resultamenti concreti. È una pro- duzione sterminata di saggi, articoli, opuscoli, contributi diver- sissimi, nei quali l’autore con una predilezione evidente e, aggiungerei, con una soddisfazione profonda, esercitava gli ac- corgimenti più squisiti della filologia sul testi volgari dell'età di mezzo, rivelando una sicurezza e una penetrazione invidiabili. Ma l’indagatore e l’illustratore dei dialetti nostri settentrionali non tardò ad allargare, senza titubanze, ma senza iattanze, il campo delle proprie indagini e dei proprî studî alle altre par- late della penisola e delle isole. In questo cammino ascendente del dialettologo, fattosi veramente maestro, si accompagnava spesso l’etimologista esperto, il quale alla passione operosa univa un intuito felicissimo, onde nella maggior parte dei casi le Sue etimologie sono vere e proprie conquiste assicurate definitiva- mente alla scienza. Sarebbe tuttavia un errore l’attribuire i co- piosi e solidi resultati da Lui conseguiti in questo campo, sol- K “K “ (14 “ 4 (1) Questa Relazione del concorso alla cattedra di Storia comparata delle lingue classiche e neolatine nella R. Università di Pavia, in data del 18 ot- tobre 1889, si può leggere stampata nel Bollettino ufficiale della Istruzione, a. XVII, pp. 245-8. La Commissione giudicatrice era composta di G. Ascoli, presidente, del Kerbaker, relatore, e del Rajna, del Pullé segretario e del Monaci. Fra i titoli registrati e giudicati dalla Commissione un posto emi- nente è assegnato alle Antiche scritture lombarde, pubblicate e annotate nell’Arch. glottol. ital., IX. Rilevo ancora questo giudizio: “ Nel Salvioni la “ conoscenza della linguistica classica è attestata indirettamente dal grado “ di libero docente di Storia comparata delle lingue classiche, ottenuto per “ via di esame nella Università di Torino e dal corso che ne ha professato ,. RE TOT n P_p I rità Mi RT Lied e (ORTA ETA COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI SANE tanto a quella passione e alla virtù quasi magica d’un Suo intuito personale. Infatti quale grado di consapevolezza critica Egli avesse raggiunto a questo riguardo e da quali criterî fosse guidato e illuminato in quest'ordine d’indagini, appare chiara- mente dal discorso ch'egli tenne il 4 novembre 1905 all’Acca- .demia scientifico-letteraria di Milano per l'inaugurazione del- l’anno scolastico, discorso che intitolò modestamente Di qualche criterio dell'indagine etimologica (1). Di queste pagine, ricche d’una bene equilibrata sapienza, anche ai profani resa accessibile da un lucido buonsenso italico, pacato e sereno, che a quando a quando s’insapora e colora d’uno spirito che direi ambrosiano, di queste pagine nelle quali ‘gli accenni, sobrî ma risoluti, alle leggi regolatrici dell’etimo si alternano con discrete e calzanti esemplificazioni, amo citarne una soltanto, l’ultima. In questa, il Salvioni, concludendo la Sua trattazione, rivolto agli uditori, sovrattutto ai giovani, futuri insegnanti e studiosi, raccomandava loro la prudenza in fatto di etimologia, quella prudenza, diceva, “ che nel ragionamento scientifico si chiama appunto spirito critico ,. Ma quasi a corro- borare quel consiglio finale, gli rifioriva nella mente il ricordo del Suo, del nostro indimenticabile Flechia, così: “ Vi raccoman- “ derei di avere presenti, allora e sempre, le parole che soleva “ rivolgere ai suoi scolari un uomo che fu grande etimologo e “ insieme valoroso poeta, e il cui venerato nome mi è grato di evocare in questa solenne occasione. Diceva dunque Giovanni Flechia — e, aggiungo io, lo diceva in lezioni nelle quali l'etimologia trionfava — che si sarebbe ritenuto abbastanza compensato de’ suoi sforzi di docente, se alla fine del corso i suoi scolari avessero imparato non a fare delle etimologie... ma a non farne ,. Vero è che tanto il grande Flechia quanto il suo giovine e degno continuatore dimostrarono col fatto a quali condizioni, con quali rigorosi avvedimenti di scienza e di critica sia possibile fare delle etimologie che non sieno vane esercitazioni cervellotiche “ »‘ (1) [Milano, 1905]. È estr., s. n. st., dall’Annuario della R. Accad. scient. lett. di Milano, per l’anno scolast. 1905-6. Il TerracINI, estr. cit. dell’Arch. glott. ital.; p. 12, n., su comunicazione di M. Bartoli, informa che di questo suo discorso il S., più tardi, non si mostrò interamente soddisfatto. 512 VITTORIO CIAN e fantastiche ad uso dei dilettanti perdigiorni. Al Salvioni, delle Sue lunghe fatiche etimologiche, sorrideva come un premio am- bito, come una mèta ardentemente agognata, la compilazione d’un grande dizionario etimologico italiano, che sarebbe riuscito una vera miniera e del quale, troncato dalla morte, ci riman- gono troppo scarsi materiali. Così, nella sua tenace e progressiva attività di scienziato che si svolgeva con una caratteristica tendenza all'indagine ana- litica tra i fatti ben saldamente concreti, Egli, guidato da un istinto finissimo, giungeva alla verità talvolta scostandosi più o meno consapevolmente da quelli che erano i Suoi principî scien- tifici. Messo al bivio fra la verità e i principî, non esitava, quasi parafrasando fra sè un motto famoso: “Tanto peggio pei principî! ,. La qual cosa — se non m'inganno — aceresce il merito dell’opera Sua. Non che il Salvioni, nella crisi profonda di ribellione, 0, meglio, di reazione e di rinnovamento che agitò in quest’ultimo ventennio e travaglia ancora la scienza glottologica, abbia mai esplicitamente rinnegato quelle dottrine nelle quali Egli, neo- grammatico, erasi venuto formando ed educando. Basterebbero le parole con le quali, giunto alla pienezza della Sua maturità scientifica, accennò all’atteggiamento assunto dall’Ascoli, che definì “un neo-grammatico prima dei neo-grammatici ,, € “ anzichè un avversario, un poderoso alleato dei neo-gramma- “Rogi ; Ma egli, che nella teoria rimase coerente a se stesso sino all’intransigenza, nella pratica mostrò un superiore ossequio ai fatti, guardandosi bene dal rinchiudersi in una sprezzante 0 disdegnosa negazione dei nuovi avviamenti della geografia lin- guistica (2). : (1) Commemorazione cit., pp. 78 sg.=28 sg. (2) Cfr. Jup, op. cit., p. 620. Sulla “crisi, della linguistica, cui accenno nel testo, e sui nuovi atteggiamenti di essa in rapporto ai neo-grammatici, rimando alla larga esposizione di B. A. TerRAcINI, Questioni di metodo nella linguistica storica, Firenze, Ariani, 1921 (estr. dall’Atene e Roma, N. S., a. II, nì 1-3, 4-6). 1l BarroLi, Giornale stor., 69, 383, n. 3 (cfr. Giornale stor., 66, 175), accenna ai due metodi diversi adottati nella interpretazione di certi fatti Ss in e " ni i emi A in atroci pit Pre ca ttt COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 53 Ho già detto che il Salvioni, e per l’indole Sua e per la stessa educazione scientifica ricevuta, rivelava un tratto carat- teristico della Sua individualità di studioso nel rifuggire dalle questioni generali, dalle astrazioni, dalle concezioni sintetiche, dalle esposizioni e discussioni teoriche. Pur tuttavia questo scienziato del linguaggio che, simile ad un batteriologo, armato di microscopio, sapeva penetrare nelle più intime fibre di quell’organismo vivente che è la parola, si mostrava capace di assurgere anche a sapienti e felici visioni in forma di sintesi divulgative. Tale, un saggio sui dialetti al- pini d’Italia, pubblicato nella Lettura (1), ed uno sul dialetto milanese (2). Sapeva inoltre intonarsi bene, cioè con fedeltà in- telligente, allo spirito altrui, anche quando si trovava di fronte a concezioni vaste e nel tempo stesso. fortemente sintetiche di ‘ quei fenomeni nella cui indagine più minuta, per non dire mi- nuziosa, era diventato maestro. Di che il documento più elo- quente è forse la nuova edizione da Lui procurata, con sapienti ritocchi e con aggiunte, sovrattutto bibliografiche, dell’Italia | dialettale dell'Ascoli per l'11% edizione della Encyclopaedia Bri- tannica. Ciò mi porge occasione di esprimere un voto, che qualche esperto giovane nostro traduca con garbo questo articolo magi- strale, facendone materia d’un volumetto che riuscirebbe prezioso a tuttii lettori italiani (3). Similmente nel memorabile discorso inaugurale Ladinia e Italia, tenuto l’11 gennaio 1917 al Reale Istituto Lombardo — precisamente quarantaquattro anni dal giorno in cui erano usciti quei Saggi ladini dell'Ascoli che il Salvioni stesso giudicò, “ dopo il Diez il più grande atto che si compisse nella lingui- “ stica neo-latina , (4). — Egli rivelò la rara capacità di conci- “ linguistici, fra i quali metodi, soggiunge, “ non è difficile, e a ogni modo “è sperabile, una conciliazione; e avverrà il giorno in cui i nostri cortesi “ avversarî troveranno, e certamente sapranno trovare, ciò che finora non “ hanno voluto cercare ,. (1) Lettura del 1901, pp. 715 sgg. (2) Nella Guida di Milano, 1906 (pp. 19 sg.), edizione fuori commercio. Sono anche certamente suoi i saggi finora pubblicati nel Touring, meno quello della Venezia. ; (3) Cfr. la nota del S. nella cit. Commemorazione dell'Ascoli, p. 24=74. (4) Commemorazione cit., p. 19=69. 514 VITTORIO CIAN liare in bella armonia le esigenze intangibili della verità scien- tifica più rigorosa con le supreme necessità ideali della Patria, onde Michele Scherillo bene potè dire, a titolo di lode, che anche la scienza fu patriottismo in Lui (1). Questo duplice intento gli additava il dovere di mettere in piena luce le strette affinità che legano il ladino alle parlate delle pianure italiane settentrionali e di lanciare come un “ grido affettuoso , alle genti ladine, affinchè si volgessero verso l’Italia madre a rigenerarvi, quasi ad una fonte sacra, la civiltà loro. Apertamente patriottico, dunque, sino dalla mossa iniziale e nella intonazione dominante è questo discorso, che si rivela subito come un saggio vigoroso di eloquenza austera e di scienza. Sennonchè, il mezzo onde questa doppia tesi viene propugnata e dimostrata, è scientifico nel significato più autentico della parola. Dopo un rapido richiamo .al passo con cui Antonio Sa- landra, nella storica Orazione pronunciata il 2 giugno 1915 dal Campidoglio, aveva confutato le ragioni addotte dall’ Austria per respingere le nostre richieste riguardanti l’Ampezzano, il Sal- vioni esponeva con chiarezza cristallina l’assunto che aveva preso a dimostrare. I Ladini, Egli diceva, hanno con noi, per il fatto della loro lingua, rapporti assai più intimi che non con qualsiasi altra unità romanza; e la loro favella è strettamente affine alla nostra, sovrattutto se per italiana intendiamo, come è doveroso fare, il complesso dei dialetti neo-latini parlati in Italia. Ed è colorita e precisa, pur nei minimi particolari, anzi quasi plastica, a tutto rilievo, la pagina nella quale l’oratore, rifacendosi all'Ascoli, addita magistralmente la grande fascia dialettale ladina che lungo le Alpi dalle pendici settentrionali del Gottardo sino al mare, cinge con alcune soluzioni di conti- nuità, l’Italia nostra. Nobilissima è’ poi la conclusione, nella quale il Salvioni, dopo respinta ancora una volta l’accusa mossa agli italiani che nelle loro premure per il ladino s’appiattassero mire politiche, confessa, anzi conferma, lealmente, il diritto, per non dire il (1) Nelle affettuose “ Note biografiche , che col titolo C. Salwioni co- municò nell'adunanza dell’11 nov. 1920 al R. Istituto Lombardo e si trovano nel vol. LIII, fasc. 16 dei suoi Rendiconti. lat RI SUPE PET SN 7 gle i sia ei ea i ' COMMEMORAZIOME DI CARLO SALVIONI 515 dovere, da parte nostra, ad un’aspirazione e ad una propaganda d’italianità spirituale e quindi linguistica in quelle regioni gri- gione. “ Un latino, Egli dice, non potrebbe assistere indifferente “al naufragio d'una favella latina. Ma è un interesse italiano “che possiamo confessare a fronte alta, un interesse ch’è in- “sieme un grande dovere verso la nazione ,. Nel crogiuolo delle tre civiltà esistenti nella Svizzera plurilingue, l’italiana dovrebbe pur contare più di quanto non avvenga e per “ la te- nuità numerica , e per “la rassegnata accidia di chi dovrebbe “rappresentarla e favorirla. Ma se nel Ticino sono pochi e tie- “ pidi, la loro solidarietà coi Grigioni non solo accrescerebbe senz'altro, per il maggior numero, l’efficacia degli italiani nella Svizzera, ma più s’accrescerebbe questa efficacia, per la “ intraprendenza, per l’operosità, per la tenacia grigioni, le quali “ virtù fanno sì che nella vita elvetica quel cantone ben più conti “ che la sua consistenza numerica non comporterebbe. Acquisiti “i ladini alla civiltà italiana, rinvigorita mercè loro l’efficacia “ civile e politica degli Italiani della Svizzera, quella forza sa- “ rebbe insieme forza italiana. E su quei valichi alpini, la cui “ sicurezza tanto premeva a Venezia e deve premere a noi, le “ cui popolazioni Venezia cercava per tutti i modi di tenersi “ buone, noi avremmo amici fidi, più fidi che non quei trattati, “ che possono venir considerati carta straccia da coloro stessi “ che vi hanno messo la firma. Desiderare e promuovere una tale “ situazione, ciascuno per la propria parte e secondo le proprie “ speciali mire e contingenze, è diritto e dovere degl’italiani d'El- “ vezia, è diritto e dovere degl’italiani del Regno ,. Queste ultime parole che con tanta lucida fermezza il glot- tologo ticinese pronunziava, si ricordi, nel gennaio del 1917, le ho volute riferire testualmente, perchè racchiudono il suo pro- gramma sul grave problema e ci debbono essere sacre quasi un Suo testamento scientifico e patriottico (1). Basterebbe questo discorso ad avvertirci che sarebbe un errore il credere che il Salvioni circoscrivesse la propria atti- n > (1) Su questo Discorso, che fu pubblicato nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, vol. L, pp. 41-78, e di cui furono tirati non pochi estratti (Pavia, tip. Fusi, 1917), si veda la notevole recensione di Marteo BartoLI nel Giornale stor. d. Letter. ital., 72, 345-9. 510 «VITTORIO GIAN vità entro il territorio, sia pure vasto, della dialettologia ita- liana o della linguistica in genere. Infatti egli fu tutt'altro che un puro glottologo; chè in Lui sovrabbondavano tanto quelle che sono le doti caratteristiche dell’italiano, che Gli sarebbe riuscito impossibile rinchiudersi nei confini, per quanto spaziosi, d’una scienza sola. Perciò uno dei tratti più perspicui e cospicui della Sua individualità di studioso fu una versatilità non comune fra i cultori della scienza glottologica, una versatilità tutta latina che non era dovuta, come in troppi altri, a velleità am- biziosa e dannosa di strafare ad ogni costo per ostentazione di genialità, ma ad un bisogno spontaneo della Sua natura, anche perchè aveva attinenza sempre coi Suoi studî linguistici. Questo si dica anzitutto per la bibliografia, che era in Lui non quella innocente ma sterile manìa dello schedatore o del raccoglitore feticista di rarità o di cimelî, che è tanto diffusa, ma una passione viva e intelligente, quindi feconda, rafforzata ° nella Sua mente dal convincimento scientifico che una delle prime condizioni a preparare seriamente qualsiasi lavoro, anche nel campo glottologico, è la conoscenza, quanto più è possibile compiuta e diretta ed esatta, del materiale bibliografico, quindi la giusta considerazione del valore della bibliografia come di- sciplina sussidiaria. Ma quella del Salvioni era una bibliografia di prima mano; che aveva anche un suo valore proprio e, a così dire, una Sua autonomia. Così, ad es., la raccolta straordinariamente ricca ch'Egli s'era venuto formando di vocabolarìi e di opere dialet- tali italiane, non gli aveva permesso soltanto di offrire agli studiosi alcuni saggi pregevoli — come quello sui dialetti tici- nesi (1) — ma gli suggerì l’ardito pensiero, da Lui quasi inte- (1) Bibliografia di dialetti ticinesi, Bellinzona, Stabilim. tip.-lit. Carlo Salvioni, 1900. È il 1° dei due Saggiuoli bibliografici, pubblicati per le Nozze Auree Salvioni-Borsa XXIV luglio MDCCCL - XXIV luglio MCM. Il 2° è intitolato L’opera mia, dedicato con una lettera affettuosissima ai genitori e comprende la bibliografia dello stesso Salvioni dal 1883 sino al luglio 1900. Un altro bel Saggiuolo .bibliografico è nell’opuscolo nuziale La Divina Com- media, L’Orlando furioso e la Gerusalemme liberata nelle versioni e nei tra- vestimenti dialettali di stampa, Bellinzona, Tip.-lit. C. Salvioni [1902], per Nozze Maggini-Salvioni. Questo saggiuolo fu rifatto per la parte dantesca tea n TT UE TU OT RATIO, eg PUPO COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI BIT ramente effettuato, di compilare una bibliografia dialettale ita- liana (1). Su questi fondamenti ben saldi e con la preparazione eccezionale ch'Egli aveva acquistata ormai nel campo della dia- lettologia nostra si capisce come gli sorridesse anche il vasto disegno, già accennato, d’un grande dizionario etimologico dei dialetti italiani, le cui ricchezze appaiono come preannunziate nelle Sue Postille italiane e ladine al vocabolario romanzo (2). Con viva curiosità e passione di studioso il Salvioni esplorò pur quella zona assai attigua alla sua più speciale, che è 1l folklore e anche in questo campo diede saggio di quella diligenza, di quella sagacia e di quella esattezza severa che erano diven- tate in Lui una seconda natura (3). Ma, all'occorrenza, questo glottologo instancabile sapeva pure mostrarsi un filologo consumato, quando, cioè, le Sue in- in Dante dialettale, nel Bullett. d. Società dantesca italiana, N..S., XVI, 1 (marzo 1909), pp. 45-54. Infine: Gli scrittori greci e latini nelle versioni, parafrasi e parodie dialettali italiane a stampa. Saggiuolo bibliografico nella Miscellanea di Scritti varii di erudizione e di critica in onore di R. Renier, Torino, Bocca, 1912, pp. 651-67. Si veda nel Giornale stor., 62, 184, n. 3 la nota aggiunta dallo stesso Salvioni per mezzo del recensente, il compianto R. Renier. (1) L’ottimo prof. Alessandro Sepulcri mi informa che il Salvioni gli disse più volte che il lavoro poteva ritenersi compiuto; gli mancava sol- tanto di spigolare le indicazioni e gli accenni dialettali che si trovano nelle opere che trattano d'altra materia. (2) Nella Revue de dialectologie romane, IV e V. Per questa notizia sul dizionario etimologico vedasi Jup, op. cit., p. 620. (3) Bastino due esempî: Saggi di Folk-lore infantile lombardo raccolti nel Cantone del Ticino [Bellinzona, Tipografia Salvioni, 1887], per Nozze Renier-Campostrini, e la Centuria d’indovinelli popolari raccolti nel Canton Ticino nell'Archivio p. le tradizioni popolari del Pirré, vol. IV. L'estratto ch'io ne possiedo, reca alcune correzioni di mano dell’ Edi- tore, che non tutte sono puramente tipografiche. Dall’Awvvertenza non posso trattenermi di trascrivere questa prima osservazione: “ Gli ‘indovinelli ’ “che qui s’offrono ai lettori dell'Archivio, sono stati raccolti dalla bocca del “ popolo a Bellinzona e suo contado; e siccome Bellinzona e tutto il Canton “Ticino sono lombardi per geografia, lingua, costumi, tradizioni, infine, “ meno che per le condizioni politiche, le quali possono. da un momento “ all’altro mutare, pe®@tutti quei caratteri indelebili onde giustamente s’ar- “ guisce una nazionale comunanza, così li intitolo ‘Indovinelli popolari imorabardi *..,> 518 VITTORIO CIAN dagini gli additavano il dovere di studiare e far conoscere, de- scrivendolo e illustrandolo in tutti i suoi elementi e da tutti gli aspetti, un manoscritto antico in servigio della Sua scienza e non di essa soltanto. Al quale proposito io non posso non rammentare con ammirazione e con grato animo la sollecitudine viva e affettuosa con cui egli accolse, nel 1892, il mio invito di collaborare con me nella pubblicazione e nella illustrazione, per la parte linguistica, dei testi bellunesi del primo Cinquecento che avevo tratto dal codice autografo di Bartolomeo Cavassico. E fu grande ventura per gli studî glottologici ch'io rivolgessi a Lui quell’invito e ch’Egli lo accettasse, perchè non so chi altri avrebbe potuto con altrettanta sicurezza e larghezza di criterî e di procedimenti e di riscontri fissare e illustrare le forme più peculiari e più interessanti del bellunese antico a vantaggio della sua scienza (1). Bello è vedere come l’esempio più notevole di questa ver- satilità del Salvioni, cioè di questi impulsi d’attività in appa- renza punto linguistica e soltanto letteraria, avesse le sue radici profonde precisamente nel campo della glottologia ch’Egli pa- droneggiava con tanto vigore e rigore di intenti e di opere. Alludo ai lunghi studi appassionati ch’ Egli consacrò a quel Carlo Porta, che fu uno degli amori più tenaci della Sua vita. Questo rampollare spontaneo della ricerca letteraria da quella più propriamente linguistica e questa, direi all’oraziana, amica coniuratio dell'una con l’altra, si possono vedere documentati . dallo stesso Salvioni nella chiusa di quella lucida e serrata trat- (1) Le rime di Bartolomeo Cavassico notaio bellunese della prima metà del secolo XVI, con introduzione e note di V. Cran e con illustrazioni lingui- stiche e lessico a cura di Carro Sarvioni, vol. I, Bologna, Romagnoli Dal- l'Acqua, 1893, vol. II, ib., 1894. Al Salvioni appartengono, in questo II vol., le importanti Annotazioni fonetiche, morfologiche e sintattiche, il Lessico, le Note critiche al testo e le Aggiunte e correzioni. A ciò si aggiunga lo scritto dello stesso Salvioni Ancora del Cavassico e La cantilena bellunese del 1193, nella Miscellanea per Nozze Cian-Sappa Flandinet, Bergamo, 1894, pp. 221-40. A questo gruppo di studî sul bellunese e sul trevisano antico si ricolle- gano i seguenti altri lavori del Salvioni: Egloga pastorale e sonetti in dia- letto bellunese rustico del sec. XVI, editi a cura di°C. Sarvioni, nell’Arch. glottol. ital., XVI, pp. 69-104 e IMustrazioni sistematiche all’ “ Egloga pasto- rale e sonetti ecc. ,, nello stesso ArcAh., XVI, pp. 245-333. ritenta RP TOT PITT "ai ala ma rin ce ni a ia ir cai i cit ti cm cera i cò ti nnt ta e SUESRIT at e i rh Vila * BRIAN COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 519 tazione divulgativa sul dialetto milanese che s'è già avuto a ricordare, ed è del 1906. Parlando di quel vernacolo Egli così concludeva: “ Ma una volta preso l’aire e pur confortandosi “ d'un tanto modesto posto, il dialetto nostro percorse glo- “ riosamente la sua via letteraria e giunse a tali fastigî, da “ dare all’Italia, nel. Porta, uno dei più grandi poeti satirici e “ il maggiore degli scrittori dialettali ,. Ma quanti anni prima d’allora il poeta di Giovanin Bongee era divenuto l’oggetto dei suoi entusiasmi! Fra i ricordi più incancellabili delle deliziose ore passate nella compagnia gioconda del povero amico, durante il suo soggiorno torinese, è quello delle recitazioni che, pregato da me, Egli me ne faceva. Le strofe del grande meneghino sulla Sua bocca acquistavano un colorito, un tono, una vita nuova; tanto quelle dizioni mi riuscivano ad un tempo quasi un commento e una rivelazione. Il poeta prediletto esercitava’ sul Suo spirito una virtù rasserenatrice e confortatrice, al punto che ancora due giorni prima di morire, e sapendo di morire, Egli ne leggeva le poesie, con la serenità consueta, a quelli che lo assistevano (1). Non si creda però che cotesti fossero entusiasmi e fervori di buongustaio dilettante, piacevoli e graditi a lui, inutili agli studî. Anche qui vigilava in Lui lo studioso, che per molti anni, probabilmente a partire almeno dal 1900 circa, attese ad inda- gini pazienti e sagaci attorno alla biografia e ai manoscritti del Porta, col proposito di offrire un’edizione critica e in ogni parte illustrata della sua opera poetica. Ch’io sappia, il primo accenno a questa Sua attività ci è dato da una annotazione da Lui apposta a quell’opuscolo bibliografico già citato, edito nel 1902 per Nozze Maggini-Salvioni, dove, registrando l’edi- zione delle Poesie portiane curata da Tommaso Grossi nel 1821, ‘ riferisce una variante della versione dell'Inferno dantesco, da un abbozzo autografo, esistente tra le carte Porta, conservate dalla famiglia Grossi (2). Fu un vasto lavoro preparatorio, che (1) Lo attesta la signora Rosetra Parini CoLomsi nell'articolo comme- morativo Il maestro, inserito nell’Àdu/a, anno IX, n° 46, Bellinzona, 183 no- vembre 1920. (2) Nel cit. opuscolo La Divina Commedia ecc. nelle versioni e nei tra- vestimenti dialettali a stampa, p. 15, n. 1. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 36 520 VITTORIO CIAN il Salvioni proseguì infaticabile con una serie di contributi pre- ziosi, in forma di studì documentati e di articoli critici e di recensioni svariate, intesi a chiarire la vita del Porta e la cro- nologia delle sue poesie e le vicende dei testi, contributi nei quali egli recava, fra l’altro, la Sua speciale competenza di dialettologo, anzi di specialista in fatto di vernacolo milanese. L'ultimo Suo saggio portiano vide la luce, postumo, col titolo: Le date delle poesie milanesi di Carlo Porta, nell’ Archivio storico lombardo del 1921 (1) e la Direzione di quel periodico, pubblicandolo, ricordava che “ l’indimenticabile Collega , aveva dedicato “tanta parte della Sua nobile attività di studioso , al grande poeta dialettale, della cui morte ricorreva in quei giorni il centenario. Ma occorreva anche avvertire — e mi è gradito il farlo qui — che delle lunghe fatiche spese dal Salvioni intorno al Porta, Egli ci ha lasciato un altro frutto ancor più prezioso, cioè quella edizione compiuta e veramente critica del Suo pa- trimonio poetico che era stato il sogno della Sua vita; un’edi- (1) A. XLVII, fasc. IV. Nello stesso Archivio stor. lomb. il S. pubblicò Lettere di Carlo Porta a Tom. Grossi, a L. Rossari, a Gaet. Cattaneo e ad altri; e di vari amici al Porta, Milano, Cogliati, 1908 (estr. dal vol. XXXV; fasc. XVII), Lettere di C. Porta a V. Lancetti con appendice di una lettera a T. Grossi (vol. XXXV, fasc. XVIII, 1908) e L'episodio della “ Prineide , e il poeta milanese C. Alf. Pellizzoni (vol. XXXV, fasc. XIX). Nel Giornale stor. d. Letter. ital., vol.37, 1901 aveva pubblicato Lettere di T. Grossi e di altri amici a C. Porta e del Porta a vari amici. Ancora: — Lettere ined. di C. Porta e Camilla Prevosti a Tom. Grossi nell'Archivio storico lombardo, S. V, 1916. Importante, l'articolo su La biblioteca di C. Porta, inserito nella Per- severanza del 26 sett. 1900. i Anche da segnalare le due recensioni pubblicate dal S. nel Giornale stor. d. Letter. ital., vol. 51, 337-483, della ediz. delle Poesie portiane, curata da Ferd. Fontana, e nell'Archivio stor. lomb., vol. XXXVII, fase. XXVIII, vol. XXXVIII, fasc. XXXI e vol. XL, fasc. XL quelle rispettivamente con- sacrate alla monografia sul Porta di Att. Momigliano, all’ediz. Campagnani e all’Antologia portiana dello stesso Momigliano; quest'ultima recensione, particolarmente notevole per copia di nuove osservazioni e di documenti inediti. Nel Bollett. della Svizzera ital., XXIX, 1907: Un episodio diplomatico tra il Governo lombardo-veneto e il Canton Ticino, a proposito d’un’edizione di poesie del Porta. e SITES TOA ne a a de e ET È, r A ti » , Costi i ù ; di ; di > < 7 COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 521 zione quasi in ogni parte allestita e che vedrà la luce, speriamo, fra non molto, grazie all'opera amorosa di due degni discepoli del caro Estinto, i professori Clemente Merlo e Angelo Otto- lini (1). Dico “ speriamo ,, perchè l'edizione è ormai pronta da più mesi e sarebbe vergognoso che un editore milanese tardasse più oltre ad assumersene l'onere, ma anche il grande onore, che finirebbe poi col riuscire indubbiamente fruttuoso. Come appar chiaro dalle cose rapidamente ‘esposte, il Sal- vioni, anche nei lavori che sconfinavano da quel territorio che era il Suo proprio e speciale, poneva una coscienza severa di studioso che non si smentiva un istante. E in tutti i Suoi scritti, con diversità d’intonazione, a seconda dei casi, mostrava una franchezza e una limpidità d’idee caratteristica, in uno stile rapido, preciso, incisivo, non rifuggente da qualche asprezza e durezza e da qualche forma insolita di stampo letterario, uno stile che era veramente l’uomo, l’uomo che nella energia abi- tuale della parola e del gesto aveva qualche cosa di risoluto e di giovanile, quasi di soldatesco. Col progredire degli anni Egli, senza rallentare punto la Sua attività scientifica come glottologo, cedeva più volentieri a certe tentazioni fra storiche e letterarie, che gli venivano dalla Sua regione nativa e si accordavano con quei sentimenti destinati a farsi via via più fervidi nella sua anima d’italiano. Proprio all’ultimo periodo della Sua vita appartengono, ad es., le felici ricerche ch'Egli fece per illustrare storicamente e far rivivere alla luce dei documenti, delle tradizioni locali e perfino (1) Il prof. Ottolini, da me interpellato, mi comunicò cortesemente le informazioni seguenti. Il compianto Salvioni ha lasciato ogni cosa pre- disposta per il suo lavoro portiano. Aveva raccolto tutti i frammenti e tutte le poesie, aveva ordinato il commento e le varianti, in quaderni 0 in foglietti volanti. Si trattava di decifrare le sigle e di ordinare, trascrivere e rivedere il materiale. Il che hanno fatto — certo con ogni coscienza — i proff. Merlo e Ottolini, il primo dei quali ha curato la parte linguistica, il secondo, quella storico-letteraria. Sarà necessario eseguire e pubblicare contemporaneamente due edizioni, una critica, ad uso degli studiosi, l'altra popolare, il cui esito dovrebbe compensare il minore spaccio e la maggiore spesa della prima. E non sarà certo Milano a lesinare, ove occor- resse, un sussidio a un intelligente e animoso editore. Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIII, 36% Dita Lp Te Va) aaa fa: So di ie lu aa cn Rd NL e f ti x . Pa ela x b À - oh : "i ig dz VITTORIO CIAN di memorie autobiografiche e topografiche alcune figure del maggior romanzo fogazzariano, Piccolo mondo antico (1). Ma quell’anima d'italiano, che si maturava fervidamente nelle faticose esperienze della scienza e della vita, era destinata a dare ben altri frutti. Esordendo in questa mia rievocazione dell’ insigne Collega ho accennato fuggevolmente a un particolare che ora è il mo- mento di riprendere e di esporre in piena luce. Osservavo che la morte prematura di Carlo Salvioni ebbe nel cuore di tutti i buoni italiani una risonanza così larga e profonda quale non avrebbe avuto se fosse scomparso soltanto uno scienziato, per quanto be- nemerito degli studî e della cattedra. Gli è che con Lui era scom- parsa anche una figura luminosa di cittadino, assertore nobilis- simo e, con la parola e con l'esempio, maestro ai Suoi figli, Ferruccio ed Enrico, d'un patriottismo adamantino, sublimato fino al sacrifizio eroico. Credo infatti di non esagerare per nulla affermando che la storia della famiglia Salvioni potrà essere additata alle ge- nerazioni future come un documento tipico dello sforzo dispe- ratamente sublime compiuto dalla generazione nostra per cogliere l'attimo fuggitivo degli eventi storici e fecondarlo di tutte le sue virtù più pure, di tutte le più sane energie della stirpe, per afferrare con esso la Vittoria alata e assicurare all’Italia madre una vita nuova, più degna del suo passato glorioso. Nella vita come nella scienza Carlo Salvioni fu, per usare un’espressione comune d’un fatto non comune, uomo tutto d’un (1) I preti di Valsolda nel Piccolo mondo antico, è il titolo d’un interes- sante articolo pubbl. dal S. ne L’Adwla del 1919, n° 6. Nella stessa Àdula del 1920, ni 8-10, fece conoscere le memorie che della propria fanciullezza lasciò scritte Luisa Campioni Venini, la dedicataria e insieme la Luisa Maironi Rigey del Piccolo mondo ant. Cfr. Giornale stor., vol. 75, 355. È poco probabile che il S. conoscesse l’interessante intervista che MeLittA (Irri- tabile genus. Tipi e figure di letterati italiani. Roma, “ Rivista di Roma,, 1912, pp. 26-7) ebbe col Fogazzaro, il quale, parlando dei personaggi del Piccolo mondo antico, ebbe a dire che “ son tutti veri e che gli pareva di rivederli ancora ,. Degni d'essere ricordati anche lo scritto su Alessandro Manzoni e lo zurigano Giov. Gasp. Orelli -ne L’Àdula ni 8 e 10 e quello Intorno all’Ode al signor “ Wirtz Il Bisogno, del Parini, ib., 1916, n° 2. COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 523 pezzo, “integer vitae ,; ma Egli con la sua esperienza nobilis- sima attesta ancora una volta che l’uomo così detto “di carat- tere , non è quello che irrigidisce e quasi cristallizza l’anima Sua, la Sua fede in una serie di postulati intellettualistici, ‘astratti, straniati dalla realtà storica, la quale si evolve ine- sorabilmente infaticata nel suo ritmo progressivo; ma invece è colui che la Sua dottrina e la Sua fede prova e con piena coe- renza alimenta e occorrendo rettifica rinnovandola al contatto di quella realtà quotidiana, storica ed umana, e rinunzia corag- gioso alle parti di esse che si rivelano fallaci o caduche, e le superstiti sa fecondare di nuovi moti di pensiero e di azione veramente vitali. Così appunto avvenne di Carlo Salvioni. Il quale, dopo una prima audace scapigliatura politica, du- rante gli anni giovanili trascorsi a Basilea e a Lipsia, quasi per una di quelle vigorose, anzi violente reazioni che erano proprie della Sua natura, tutta energia e passione repressa, impose al Suo spirito e alla Sua coscienza una disciplina di ferro, che fu una dedizione intelligente e consapevole a quelle tradizioni del liberalismo conservatore lombardo, che in Milano aveva allora il suo interprete più autorevole nella Perseveranza di Ruggero Bonghi. A quel foglio egli rimase per lunghi anni fedele e ne fu anche, insieme con altri colleghi illustri, quali Pio Rajna e Francesco Novati, a quando a quando collaboratore assai ap- prezzato. Alieno sempre dalla vita pubblica, il Salvioni era ve- nuto covando e maturando una Sua concezione e una passione politica che si radicavano nell'anima Sua per un duplice ordine di fatti. Anzitutto, lo spettacolo di abbassamento, per non dire di triste abiezione morale, che gli offriva la vita politica ita- liana, specialmente nella funzione parlamentare; condizioni in- tollerabili che, per la viltà e la cecità dei dirigenti, per l'inerzia abdicatrice delle classi medie, per la impreparazione e l’inedu- cazione civile del così detto proletariato sobillato ad un’esaspe- rata affermazione di diritti senza un adeguato riconoscimento di doveri sociali, si risolvevano in una negazione mortificante dei valori nazionali, così all’interno, come nei rapporti con gli stra- nieri. D'altro canto — come già si è avuto occasione di rilevare — in Lui, ticinese di nascita, figlio italianissimo di quella terra Se Tee e e nà nai VITTORIO CIAN italiana, il problema, ristretto, ma — Egli stesso asseriva — “ urgente e grave ,, riguardante la difesa nazionale, la difesa della italianità minacciata del Ticino, acuendo, sin quasi alla ribellione silenziosa, la Sua sensibilità politica, gli faceva sen- tire con la stessa passione angosciosa il ‘più vasto e tragico problema. delle Terre irredente, oppresse sotto il giogo insan- guinato degli Absburgo. In tal modo il Salvioni divenne l’apostolo fervido, instan-. cabile, battagliero della italianità nella coltura del Suo Cantone, che era orgoglioso di Lui come d'un figlio nobilissimo e ch’Egli voleva rivendieato a parità degli altri due popoli, tedesco e francese, di quella Confederazione. Il sentimento ardente era in Lui sorretto da un vigoroso pensiero e il dolore e l'amarezza leniti da una speranza sempre più viva nell’avvenire, da una fede ostinata nella bontà della causa nazionale. Quale fosse veramente il Suo animo possiamo comprendere dalla commossa vibrante orazione commemorativa ch’ Egli tenne in Bellinzona il 18 gennaio 1920, pel secondo anniversario della morte di Giacomo Bontempi, in nome e per incarico della Dante Alighieri. Quel discorso non è soltanto un’alta rievocazione del degno amico, conterraneo e commilitone scomparso: è anche un atto di fede e un programma, in cui l'intelligenza .e la volontà più squisite e diritte s’alleano ad una salda fede nei destini della grande patria italiana e della pic- cola patria ticinese (1). V'è in esso una sentenza la quale, ve- nendo dopo la gesta eroica che si concluse a Vittorio Veneto, potrebbe considerarsi come il riconoscimento doveroso d’un gran fatto compiuto, e, d’altra parte, valutata alla stregua degli eventi non meno mirabili che ne sono scaturiti ai dì nostri, cioè due anni circa dalla morte di Lui, acquista il valore d’una magnifica profezia. Eccola: “ Quel che la gioventù vuole — Egli esclamava —, Dio lo vuole ,. Orbene: sarebbe uno stupendo capitolo nella storia della psicologia del popolo italiano durante l’ultimo ventennio quello PETE 3 PIT VIE TV 0 (1) Il testo di questo eloquente discorso si può leggere ne L’Àdula, a. IX, n. 4, Bellinzona; 24 genn. 1920. Faccio voti che esso sia compreso nei volumi che si preparano, destinati a raccogliere scritti sparsamente pubblicati e inediti dell’Estinto. certa Lil Latini cet the a Lied 0 ite a COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 525 che narrasse ciò che volle e per Sua volontà consapevole e se- rena compì “la gioventù , nella famiglia Salvioni. Ma qui non è possibile se non accennare all’effetto finale, riprendendo il filo di quanto si è esposto già sommariamente. Fu un giorno memorabile quello che nella casa di questo glot- tologo — freddo in apparenza, instancabilmente operoso, rimasto sempre estraneo alla vita pubblica, ma anche serbatosi un fiero conservatore, ligio alla tradizione bonghiana, non per nulla ricca di lieviti e di presentimenti rinnovatori — fu chiusa per sempre la porta alla vecchia e ormai decaduta Perseveranza e in cambio di essa fece il suo ingresso trionfale, festeggiata, letta avida- mente e commentata con entusiasmo la nuovissima Idea nazio- nale. Così quell’ambiente divenne una scuola di patriottismo sempre più fervido, d’italianità sempre più battagliera pei due figli giovinetti, Ferruccio ed Enrico, nel cui spirito, come in terreno fecondo e mirabilmente disposto, attecchivano e ger- mogliavano felicemente i semi della buona parola paterna e materna. Non basta. Fra le pareti di quella casa si avverò un fatto che parve straordinario, ma pure ebbe fra noi riscontri nume- rosi nell’epico periodo che corse fra il 1914 e il ’18. Al contatto di quelle pure e ardenti giovinezze, tutte prese da una santa febbre di idealità nazionali — più ardente quella di Ferruccio, il primogenito, precocissimo e avviatosi, studente dell’Accademia letteraria di Milano, sulle orme del padre — anche l’anima di Carlo Salvioni si sentì raddoppiare l’ardore, moltiplicare la fede e con esse l’impaziente aspettazione degli eventi nuovi. E gli eventi — dal maggio 1915 — sopraggiunsero e tali da sorpas- sare perfino quella aspettazione, da realizzare il grande sogno di Lui, ma, purtroppo, attraversandolo d'un solco sanguigno. Non si può pensare senza una stretta al cuore, ma anche senza un senso di ammirazione sconfinata e di legittimo orgoglio nazionale, ai due giovinetti immolatisi eroicamente a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, nel maggio del 1916, e ai due genitori che, degni in tutto di essi, sopportarono con uno stoicismo commovente il colpo terribile e seppero consacrarsi al culto dei loro morti adorati, soffocando l’angoscia, temprandosi nella passione d’Italia che si protendeva tutta in uno spasimo supremo verso la mèta di Vittorio Veneto. 526 VITTORIO CIAN Fra i documenti più vivi e più edificanti della nostra guerra sacra, rimarranno ad ammaestramento delle generazioni future, le Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni, che fu- rono pubblicate, la prima volta, in edizione non venale, nel 1917, la seconda, nell’anno seguente (1). “ Memore, pio, glorioso vo- lume ,, bene lo proclamò Pio XI, allora Mons. Achille Ratti, prefetto della Biblioteca Vaticana, in una lettera che il 1° di- cembre 1917 scrisse a Carlo Salvioni (2). L’anima di Lui, che nella esaltante visione della Patria vittoriosa tentava di comprimere l’intimo strazio, vibra tutta, più ancora che nella nobile dedica premessa a quel volume, in quella, laconicamente fiera, del discorso Ladinia e Italia : ALLA MEMORIA — DE’ MIEI FIGLIUOLI — FeRRUCccIO ED ENRICO — Caputi — ComBATTENDO PER ITALIA E LADINIA— IN TERRA LADINA — ALLA LORO MADRE — CHE LI VOLLE EDUCATI A QUELLA MORTE. Oggi, questa dedica noi la possiamo, la dobbiamo integrare, consacrando idealmente il libro prezioso anche allo spirito di Lui, (1) La prima edizione, pubblicata Nel primo anniversario della loro morte, reca il titolo In memoria dei fratelli Ferruccio ed Enrico Salvioni. Schizzo biografico. Scritti. Lettere dalla guerra. Documenti diversi, Milano, nel maggio MCMXVII. Lo schizzo biografico, seguìto dai ritratti dei due fratelli, è di Virrorro Rossi. La seconda edizione, Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni con Proemio di Virrorio Rossi, vide la luce in Milano, Fratelli Treves editori, 1918. Reca i ritratti dei due fratelli in grigio-verde, e la dedica commovente, scritta dal Padre: “A Vor — Giovani p'IrAaLia — Siano DEDICATE — QuestE coNFIDENTI LeTtTERE — DEI DUE FRATELLI Trcinesti — PeR LA LORO E NOSTRA ITALIA CADUTI — LA voce CHE SALE DALLE TOMBE — Vi AMMONISCA SEMPRE — CHE I MORTI DELLA NOSTRA SANTA GUERRA Gp Now DEBBONO ESSERE MORTI INVANO — LA LUCE IDEALE DEL LORO SACRIFICIO — ILLumini A Vor — LE VIE DELLA VITA ,. (2) Questa lettera, veramente preziosa, fu pubblicata in facsimile dal. l'Adula del febbraio 1922 e riprodotta nell’Idea nazionale del 25 febbr. di quell’anno. Mi sia lecito ricordare — come documento delle relazioni scien- tifiche che passarono fra il defunto glottologo lombardo e l’attuale Ponte- fice — l’importante recensione che il Salvioni pubblicò nell’Arch. storico lomb., XXXVI, S.IV, pp. 226-33, del volume di AcnILLe Ratti, Vita di Bo- nacosa di Beccaloè (1352-1381) ed una lettera spirituale a Bianca Visconti di Savoja in volgare illustre alto-italiano, ece., Milano, 1909 (per nozze Jacini- _ Borromeo). e IE I UR e PIO e I ” ‘mn LL COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 597 ll al loro padre che i due figli gloriosi volle anch’Egli educati a quella morte. Agli occhi nostri, in quel volume è, pel compianto consocio, tale un titolo all’ammirazione e alla riconoscenza della Patria nel campo delle virtù civili, da agguagliare almeno quelli altis- simi ch’ Egli seppe procurarsi nel campo della scienza lingui- stica... Per questo l'Accademia nostra ricorderà sempre Lui cittadino e scienziato, con giusto orgoglio riconoscente e ne se- gnerà il nome fra quelli dei suoi Soci più insigni. 528 VIRGILIO PAOLO FONTI Nota dantesca di VIRGILIO PAOLO PONTI presentata dal Socio nazionale residente Vittorio Cian. La maggior parte dei chiosatori di Dante, a cominciare da Guido da Pisa fino ai giorni nostri, interpretano le parole — “al passo , (1) — contenute nel v. 80 del c. IX dell'Inferno: — “ al luogo dov'era il passaggio , — “al valico, — “alguado,. Altri spiegano : “ L'Angelo, che procedeva prima velocis- simo, all’approssimarsi della città di Dite, rallenta la sua an- datura , dalla corsa al passo. v Altri ancora, che pur sembrano accorgersi di trovare e di lasciare in quel punto delle chiose una lacuna, girano intorno all’ostacolo senza pronunziarsi direttamente. Così il Tommaseo, il quale però ha il merito d’aver richiamato il passo scrit- turale: “ Qui convertit mare in aridam, in flumine pertransibunt pede ,. A mio avviso, i commentatori hanno, eccettuato Baldassarre Lombardi, tutti sbagliato; tanto più che per rendere il pensiero dantesco si appoggiano al verso che segue : Passava Stige con le piante asciutte 81, IX “ (1) Unico il Lombardi intende in “ al passo , “al, per “col,: “ col proprio passo ,. — Gurpo Braci, “ La Divina Commedia , nella figurazione artistica e nel secolare commento (in corso di stampa presso U.T.E.T., Torino) riporta: GrazioLo per Bampagniori: “ Angelus Dei transibat hane Stygem... in uno passu ,. — Boccaccio: “ 41 passo di Stige dove esso era passato colla nave di Flegiàs,. — Crisrororo Lanpino: “Al luogo dove era el passaggio ,. — Giuserpe Campi: “41 passo, intendi: il punto in cui è il passo della palude e dove Dante stesso l’aveva sulla barca passata (Bianchi). — Barpassarre LomBarpI: “ AZ passo per col passo; non da nave portato,. — BraeroLi: dove era è varco del fiume ecc. nn dini dint di tia e Re aiar tei NOTA DANTESCA 529 poco badando alle parole in questione e non riuscendo, con ciò, che a travisare il concetto del poeta. È fuori dubbio che il Messo del Cielo abbia attraversato la — “ morta gora ,, — a piedi, ma è parimenti chiara l’ine- sattezza dei commenti. Come si fa ad affermare che l’Angelo perchè Passava Stige con le piante asciutte andava a piedi? Non può il poeta con questo verso aver voluto dare risalto alla preoccupazione dell'Angelo ed al suo ben giu- stificato aborrimento dagli eventuali contatti infernali?... E chi potrebbe negare che l'Angelo per attraversare la “ belletta negra , abbia fatto uso di una barca? Ma se le chiose ci lasciano malsicuri dell’intenzione del Poeta, questa, al contrario, è determinata e precisa; deter- minazione e precisione che si affermano in modo inconfutabile qualora alle parole “ al passo , noi diamo il loro proprio valore. Or ecco il nocciolo della mia incursione dantesca. “ Al passo , significa veramente “ al luogo dov'era il pas- saggio ,? Forse che Dante vuole, in effetto, dire che uno ed uno solo era il valico che la “ Divina Potestate , aveva stabilito e per i dannati e per gli inviati da Essa? Nulla di più inverosimile che per l’Inferno la “ Somma Sapienza , abbia ordinato una regola a cui debba sottostare anche l’onnipotènza del “ Primo Amore ,. L’ipotesi del rallentare dell'Angelo, in vista della città di Dite, non può reggere in nessuna maniera. Egli manifesta ben chiara nell'aspetto e nell’incedere la sicurezza della sua impo- nenza e della sua forza, e tanto desiderio di uscire dall’angoscia dell’ “ aere grasso ,, da rendere impossibile ch’egli pensi di obbedire ad una consuetudine o necessità propria della natura umana. Ritengo dunque che “ al passo , qui voglia dire “ a piedi,, corrispondente allo scritturale “ pertransibunt pede ,. Significato letterale di “ passo , è, fra gli altri, primo: _ quel moto dei piedi che si fa andando, dal posar dell’uno al levar dell’altro. Non è quindi il caso di fare discussioni di lingua. 530 VIRGILIO PAOLO PONTI — NOTA DANTESCA Così guadagnerebbe anche l’allegoria, che, per meglio com- prenderla, potremmo confrontare con quella contenuta nel. c. XXII, vv. 133-144. Infatti, mentre qui vediamo la Virtù passare “a piedi , senza insozzarsi, tutta una plaga di vizì, colà, Calcabrina, ossia un Demonio, ossia il Vizio, sfiora appena, con le ali, la bollente pegola spessa e ne resta subito inviscato. E l’arte ne guadagnerebbe del pari. Sappiamo quanta im- portanza ispiratrice abbia la fonte evangelica nell’estetica di Dante. È possibile che egli si lasciasse sfuggire l’immagine, così suggestiva, di Gesù che camminava sulle acque del mare di Tiberiade e che, all’occasione, non la imprimesse chiara nel- l’opera sua? A quel fatto egli accenna appena nel Paradiso, c. XXIV, vv. 37-39: CALO tenta costui di punti lievi e gravi come ti piace intorno della Fede, per la qual tu su per lo mare andavi. Ma nel c. IX dell'Inferno gli si presentò una magnifica occasione per riprenderla e scolpirla, ritraendo nel vivo d'un particolare concreto l’idea della Onnipotenza Divina, che in tal caso, per ovvie ragioni d’opportunità, sdegna, più ancora che nell’ “ Angelo nocchiero , del Purgatorio, “ gli argomenti umani ,. Il “ Messo Celeste , qui cammina veramente sulle acque della palude Stigia è le sue “ piante , rimangono asciutte. L’ Accademico Segretario GrovaNnNI VIDARI 1 ‘ b 1 | : ‘ 1 531 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 17 Giugno 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. CORRADO SEGRE DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci NaccarI, Prano, Foà, GuIpI, SomI- GLIANA, PANETTI, SAcco, MAJORANA, HERLITZKA, ZAMBONINI e il Segretario MarmTIROLO. Scusa la sua assenza il Socio PARONA. Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu- nanza, il quale risulta approvato senza osservazioni. Assistono alcuni amici, colleghi e ammiratori del compianto Socio CIAMICIAN. Il Presidente, prima di passare agli argomenti segnati nel- l’ordine del giorno, dà la parola al Socio ZAMmBONINI per la com- memorazione del Socio corrispondente Prof. Giacomo CIAMICIAN. Con sentimento di affettuosa devozione e con brillante ma- ‘gistero di lingua, il Socio ZAMBONINI, dopo aver ricordati per sommi capi i momenti più importanti della vita dell’insigne chimico italiano, ne analizza le magistrali ricerche assurgendo a considerazioni d’indole generale, le quali lumeggiano la ge- nialità dell'ingegno di Giacomo Crawicran, la cui influenza sullo sviluppo e sul progresso odierno della Chimica è universalmente riconosciuta. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. BW, 532 La bella, dotta, sintetica biografia, degna dell’illustre com- memorato, che ha messo in evidenza non solo i meriti scientifici eccezionali del CramicrAaN, ma che ne ha giustamente esaltate la candidezza dell'animo e la italianità del sentimento, è viva- mente applaudita dai Soci e dal pubblico presente, è accolta per la stampa negli Atti, mentre l'Autore riceve le congratu- lazioni del Presidente. Si procede quindi allo svolgimento dell’ordine del giorno, e il Presidente dà comunicazione di due ordini del giorno: il primo della Società Italiana di Scienze Naturali, sedente in Milano; e l’altro della Società Italiana di Scienze Fisiche e Ma- tematiche “ Mathesis ,, Sezione di Pavia. I due ordini del giorno hanno riguardo al futuro nuovo or- dinamento dell’insegnamento scientifico nelle Scuole medie e al pericolo che la minacciata depressione della coltura scientifica si ripercuota sulle fortune avvenire del Paese. L’Accademia, dopo discussione alla quale prendono parte diversi Soci e dopo una serie di comunicazioni d’ordine privato fatte dal Socio Foà, delibera di associarsi all'ordine del giorno della Società italiana di Scienze Naturali, dando incarico alla Presidenza di segnalare la deliberazione dell’ Accademia a S. E. il Ministro e alla Presidenza della Società Italiana. Si passa quindi alla presentazione di omaggi. Il Socio GuipI presenta e fa dono di una sua Nota dal titolo: Sulle Dighe a volte multiple. Il Socio Sacco fa omaggio di tre suoi lavori, rispettiva- mente intitolati: i 1° Il glacialismo nel Gruppo del Gran Paradiso. 2° Come si formò il Cervino. 3° Les révolutions du Globe. e ne discorre brevemente. I Soci SomieLIANA e Sacco fanno dono del fascicolo 5° del “ Bollettino del Comitato glaciologico. TIRO ATI N pie î Va i AA il ll Liri ti 993 Il Socio Foà presenta i fascicoli VIII e IX del Trattato di Anatomia patologica che contengono lavori di VoLPINo, FONTANA, SAN Grorgerio, RAVENNA e ALmaGrà. La continuazione dell’impor- tante Trattato è svolta con la consueta eleganza di tipi e di illustrazioni originali, i Finalmente dal Prof. Kresow viene presentato e donato alla Biblioteca Accademica il 2° volume dell’ “Archivio italiano di psicologia ,. Il Presidente in nome dell’Accademia ringrazia i singoli donatori. Il Socio SomigLiANA interpella l'Accademia in merito alla condotta che egli dovrà tenere in seno al Consiglio di Ammi- nistrazione del R. Politecnico, per rispondere, nelle attuali con- dizioni del Politecnico, al mandato conferitogli dall'Accademia. L’interpellanza provoca una discussione animata, la quale sì risolve nella dichiarazione di piena ed ampia fiducia che l'Accademia rinnova al Socio SoMIGLIANA, onde, per il vantaggio della Scienza, voglia continuare ad assolvere il suo mandato. Dopodichè il Presidente, ricordando che questa è l’ultima adunanza della Classe, prima del periodo estivo, saluta i Soci presenti augurando loro buone vacanze. NERI, 1), AI idr A Pte SAMIR GR STI 70 20771 CORPI 534 FERRUCCIO ZAMBONINI LETTURE COMMEMORAZIONE del Socio Corrispondente GIACOMO CIAMICIAN Letta dal Socio nazionale residente FERRUCCIO ZAMBONINI Quando, negli ultimi giorni di dicembre del 1921, si diffuse per l’Italia la notizia tristissima che Giacomo Ciamician giaceva morente in quell’Istituto di Chimica Generale di Bologna che egli aveva reso giustamente famoso fra gli studiosi, grazie all'opera sua indefessa e geniale di oltre un trentennio, sincero e profondo fu il sentimento di dolore e di accoramento che si manifestò non soltanto nella ristretta cerchia dei chimici, ma presso quanti, in Italia, si interessano della cultura, e sentono anche il valore morale elevatissimo, di esempio e di incitamento, che esercita una vita tutta dedicata alla ricerca scientifica ed alla Patria, con una austerità ed un disinteresse veramente rari. Fervido fu l’augurio, che, ancora per lunghi anni, fosse conser- vato all’Italia il cittadino ricco delle più egregie virtù, lo scien- ziato eminente, il Maestro che con lena infaticata aveva istruito diverse generazioni di giovani chimici, molti dei quali, divenuti valenti, onoravano la scuola dalla quale provenivano. Ma il de- siderio ardente non valse a mutare il fato inesorabile: il 2 gen- naio 1922 Giacomo Ciamician si abbandonava al sonno senza risveglio, proprio quando dell’opera sua e del suo esempio più vivo era sentito il bisogno. Unanime fu il compianto per l’uomo illustre e benemerito: il popolo intiero di Bologna circondò la sua bara, come già, pochi mesi innanzi, quella di un altro illustre studioso: Augusto Righi. Ed il cordoglio popolare per la scomparsa di quei due studiosi insigni, dimostra che anche COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 595 gli umili lavoratori sanno ammirare la luce ideale che emana dagli indagatori geniali dei misteri della Natura, che hanno de- dicato la loro vita a quella che un illustre chimico-fisico, Jean Perrin, chiamava, venti anni or sono, la dea dei tempi futuri: la pura e splendente verità. La vita esteriore di Giacomo Ciamician è trascorsa sem- plice e piana. Nato a Trieste il 25 agosto 1857, frequentò le scuole medie nella città natale, studiò all’Università di Vienna, e si laureò a Giessen nel 1880. Benchè la famiglia del Ciamician fosse di origine armena, in quella mirabile fucina di italianità indomabile, resistente ugualmente alla forza ed alle blandizie, che è Trieste, il giovane Ciamician era e si sentiva profonda- mente italiano. E rinunciando all’avvenire brillante che gli si apriva dinanzi in Austria, egli alla patria legale preferì senza esitazione quella del cuore, e venne in Roma, in quella scuola di Stanislao Cannizzaro, dalla quale, come Egli stesso scrisse in una mirabile commemorazione del Maestro, pochi anni dopo, nel 1887, uscì trasformato, per andare ad occupare la cattedra di Padova. Nel 1889 passò a Bologna, dove rimase fino alla morte, fedele all’antica e storica Università. Nel Laboratorio modesto, ristretto ed incomodo di Bologna svolse la parte mi- gliore dell’opera sua, e fece sorgere una scuola, che presto ac- quistò una meritata fama, anche fuori d’Italia, nuovo esempio ammonitore che non gli edifici grandiosi, nei quali, pur troppo, anche da noi lo Stato ha profuso milioni, ma i mezzi per le ricerche ed i Direttori tutti presi da un amore esclusivo, entu- siastico e riflessivo al tempo istesso, per la Scienza, sono neces- sari per il progresso degli studì. Giacomo Ciamician fu un.ingegno acuto e brillante, pronto .a scendere all’esame dei più minuti dettagli, ma anche eminen- temente versatile, desideroso degli sguardi d’insieme e delle sin- tesi geniali. Anche sotto questo punto di vista, il Ciamician merita di essere proposto ad esempio ai giovani, ai quali troppo spesso sì impone una specializzazione precoce, che li induce ad approfondire le loro conoscenze in un’unica direzione, perdendo ogni contatto con i problemi affini, così come un viandante che si inoltra per un viottolo fiancheggiato da alte mura vede la via che gli si para dinanzi, se alza gli occhi un lembo di cielo, se NERA vd Ser (Né esito x È. FINE SLA AZIO SARAI SIOE LIAN Lal 536 FERRUCCIO ZAMBONINI ma nulla più: ignote gli rimangono le vaste distese che si svol- gono al di là dei muri che limitano il suo sentiero! Così, benchè Ciamician abbia iniziato il suo lavoro di in- vestigatore nel campo della Chimica organica intorno al 1880, quando, cioè, ancora avevano un largo credito, se pure non più un predominio assoluto, quelle tendenze che facevano consistere la Chimica nella preparazione pura e semplice di nuovi com- posti, senza importanza nè teorica, nè pratica, che servivano soltanto ad aumentare il volume dei grandi trattati (il Ciamician li chiamò, scherzosamente sì, ma giustamente, i composti che si trovano soltanto nel Beilstein), non pensò minimamente a seguire il comune andazzo, ma rivolse la sua attenzione a sostanze che hanno una parte notevole nel mondo animale o vegetale, ed inoltrandosi sempre più su tale via feconda, nell'ultimo ventennio della sua vita operosa abbandonò gli studîì speciali su partico- lari composti, per quanto importanti, per dedicarsi alle ricerche, così attraenti, sull'azione chimica della luce, ed a quelle, tron- cate dalla morte, sulla Chimica delle piante. ‘| Veramente poderose sono le ricerche di Ciamician sul pir- rolo, continuate con infaticato ardore per oltre un decennio, dal 1879 al 1890. Già nel 1870 Adolfo von Baeyer aveva pro- posto, per quel curioso costituente dell’olio animale del Dippel, una formula. di struttura, accettata ancora oggi, ma che rap- presentava, più che la sintesi di un complesso di fatti e di espe- rienze, il frutto di una intuizione geniale. Del pirrolo, infatti, allora si sapeva pochissimo. Ciamician ha precisato in modo mi- rabile il carattere chimico di quel composto, discutendone, con chiarezza e profondità di vedute, le relazioni che lo collegano al furfurano, al tiofene, alla piridina, e mettendo in evidenza sia il cosiddetto “ carattere aromatico , del pirrolo, che le ana- logie di comportamento col fenolo. Non è il caso di entrare, qui, nei dettagli dell’opera del Ciamician sul pirrolo: è certo, però, che, con la preparazione e la caratterizzazione precisa di un gran numero di nuovi derivati, egli contribuì assai, come scrisse nella sua monografia riassuntiva che gli valse il Premio Reale dei Lincei per il 1887, a dimostrare ciò che non era che l’espressione di una ipotesi molto abilmente concepita. Inoltre, quei chimici che hanno dimostrato, più tardi, come dei pirroli costituiscano il nucleo centrale della emoglobina e della cloro- SALAME RICE ACER EM RO eee , = k \ ‘ — i i ir i i it i dica ire ae COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 537 filla, hanno trovato il loro còmpito facilitato assai dai lavori del Ciamician. L'importanza sempre maggiore che va assumendo il pirrolo nella materia vivente assicura all’opera del Ciamician un interesse duraturo da parte dei chimici. Nè va dimenticato che la Scuola del Ciamician, per opera sopratutto di Angeli e di Plancher, ha portato, indipendentemente dal Maestro, contri- buti notevolissimi alla chimica sia del pirrolo, che dell’indolo. Se italiani, nel 1889, hanno scritto che “ per quanto concerne la struttura chimica del pirrolo e le relazioni che lo collegano al furfurano, al tiofene, alla piridina, ecc., è assai difficile poter discernere la parte di merito che spetta al Ciamician nelle con- siderazioni, del resto con molta competenza e lucidità esposte ,, nel grande trattato di Chimica organica di Meyer e Jacobson si legge: “Il singolare comportamento delle sostanze pirroliche venne posto in luce specialmente da una grande serie di belle ricerche, che dobbiamo al chimico italiano Ciamician ed ai suoi allievi ,. K nel commosso cenno necrologico, pronunciato nella seduta del .16 gennaio 1922 della Società Chimica Tedesca, Paul Ja- cobson confermava che “a Ciamician ed alla sua Scuola si deve in prima linea, se la chimica del pirrolo appartiene oggi alle provincie meglio studiate e più ricche di movimento della Chi- mica organica ,. Pur assorbito, in seguito, da altre ricerche, l’interesse del Ciamician per il pirrolo non venne meno, e varie volte tornò ad occuparsene, specialmente per indagare quale influenza i pro- gressi e le nuove vedute della scienza avevano sulla interpre- tazione dei fatti noti per quel composto. Diminuiti dapprima, abbandonati, poi, gli studî sperimentali sui pirroli, Ciamician passò ad altre ricerche speciali, non così grandiose come quelle sui pirroli, ma tutte molto interessanti, e che sarebbero bastate da sole ad affermare solidamente la fama di un chimico. Mi limiterò a ricordare gli studîì eleganti me- diante i quali, con grande semplicità, riuscì a chiarire la vera natura delle cotoine, problema, questo, che era stato assai com- plicato da altri chimici; le ricerche acute e rigorose sulla strut- tura dell’apiolo e sulle relazioni che esistono fra l’apiolo, il safrolo ed il metileugenolo; la Memoria, che rimarrà certamente un classico modello di indagine, e che desta, in chi la legge, _ ins; st NRE zi e id pi ; CO 538 FERRUCCIO ZAMBONINI un sentimento di profonda ammirazione, sulla costituzione dei principî aromatici dell'essenza di sedano. Ma una menzione tutta particolare meritano le bellissime ricerche sugli alcaloidi del melograno, e, specialmente, sulla pseudopellettierina, grazie alle quali, non solo fu definita perfettamente la struttura di quelle sostanze, ma, prima che il Willstaetter completasse i suoi famosi lavori sulla tropina, il Ciamician potè stabilire le relazioni che passano fra i derivati della pseudopelletierina e quelli della tro- pina, e precisare che le basi granatiche e quelle tropiniche sì trovano nel rapporto di quella particolare specie di omologia, che egli, già prima, aveva chiamato nucleare. In tutti questi lavori, fedele e valentissimo collaboratore del Ciamician fu Paolo Silber, che aveva già preso parte non piccola agli studì sul pirrolo, e che doveva legare in modo in- dissolubile il suo nome a quello dell'amico e Maestro nella serie importantissima di ricerche, cominciata nel 1900, intorno al- l’azione chimica della luce. Veramente, fin da quando era ancora assistente di Cannizzaro, in Roma, Ciamician aveva iniziato delle ricerche su questo argomento, scoprendo l'importante riduzione i del chinone a chinidrone in soluzione alcoolica, accompagnata dall’ossidazione dell’alcool ad aldeide. Le esperienze, iniziate in modo così felice, furono, però, presto abbandonate, per essere riprese soltanto parecchi anni più tardi. L'idea inspiratrice del Ciamician fu quella che “è opera degna di plauso il tentare di far produrre alle piante in maggior copia le sostanze fondamentali ,, ed egli volle contribuire ad un tale tentativo, indagando quale azione eserciti la luce su svariate sostanze organiche. L’opera del Ciamician in questo campo presenta un inte- resse grandissimo: dal punto di vista puramente teorico, si ri- terrebbe opportuno, oggi, adoperare non la luce bianca, ma, invece, radiazioni di lunghezza d’onda determinata, e premunirsi maggior- mente contro possibili assorbimenti di energia da parte delle solu- zioni esposte alla luce. Ma questi eventuali completamenti non infirmano il valore intrinseco dell’opera del nostro chimico, che ebbe a superare, insieme al suo collaboratore ammirevole, il Silber, delle difficoltà sperimentali gravissime, ma ebbe la gioia di ottenere risultati ai quali rimane legato il suo nome. Del resto, quale sia il valore che i competenti veri annettono alle COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 539 ricerche sulle azioni chimiche della luce di Ciamician e Silber risulta dal trattato fondamentale di uno specialista, come il Plotnikov, il quale, nelle notizie storiche sui progressi della fotochimica negli ultimi 25 anni, contraddistingue come una pietra miliare l’anno 1900, oltre che per altri motivi, anche perchè in quell’anno “ gli scienziati italiani Ciamician e Silber hanno cominciato i loro lavori importanti sulla fotosintesi orga- nica ,. Ed altrove lo stesso Plotnikov scrive: “ Noi dobbiamo il numeroso materiale sperimentale sulle fotosintesi in prima linea agli studiosi italiani Ciamician e Silber ,. Non è possibile ricordare, in questi fugaci cenni, i singoli risultati ottenuti da Ciamician e Silber: basterà far presente che il nostro investigatore, insieme al suo collaboratore, ha. ottenuto, mediante la luce, fenomeni di riduzione e di ossida- zione, polimerizzazioni, trasposizioni stereochimiche, fenomeni di idrolisi con rottura della catena in varî chetoni, sintesi impor- tantissime. Fra i fatti più notevoli accertati, mi limiterò a menzionare l’interessantissimo passaggio dalla ortonitrobenzal- deide ad acido ortonitrosobenzoico, che, come ha giustamente osservato il Bruni, portò alla scoperta di un caso nuovo di soluzioni solide soprasature e labili; la trasformazione del- l’acido maleico in fumarico, che sembra condurre ad un vero e proprio equilibrio; la polimerizzazione dell’acido cinnamico ad acido a-trussillico, quella dello stilbene, che raddoppia la sua molecola, e della benzaldeide ; l’idrolisi dei chetoni in presenza di acqua, con formazione di un acido e di un idrocarburo (per esempio di metano e di acido acetico dall’acetone), idrolisi che nei chetoni ciclici determina l'apertura della catena, la quale, però, non si rompe; le sintesi di varî pinaconi per riduzione dei chetoni aromatici a spese di alcooli; la condensazione dell’ace- tone con l’alcool metilico per formare il glicole isobutilenico e con se stesso, formando, allora, l’acetonilacetone; le sintesi con l’acido cianidrico. La carriera scientifica di Giacomo Ciamician si è chiusa con le belle ed attraenti ricerche sulla chimica delle piante, nelle quali egli ebbe a collaboratore assiduo il prof. Ravenna. Giova- netto, il Ciamician si era occupato di ricerche di biologia ma- rina, nel laboratorio del Claus e nella stazione zoologica della. sua Trieste con tanto successo, da descrivere anche una nuova OI TGA RIO E IP LA LI se + 540 FERRUCCIO ZAMBONINI specie di celenterato: il vivo interesse per la biologia, che in Lui non venne mai meno, lo condusse, sul finir della vita, a degli studì di chimica biologica, nei quali non soltanto ricorse ad una tecnica ben diversa da quella delle ordinarie manipolazioni chi- miche, quale la inoculazione nelle piante di svariate sostanze, la determinazione della resistenza che quelle sostanze oppongono all’ossidazione enzimatica delle piante, l’influenza che esercitano sullo sviluppo delle piantine di fagioli, ecc., ma, quasi presago della sua prossima fine, lasciò libero campo alle concezioni filo- sofiche e naturalistiche, che costituivano il frutto delle medita- zioni di tutta la sua vita. Nel discorso pronunciato a Trieste Sul significato biologico degli alcaloidi nelle piante , i concetti fondamentali che hanno guidato il nostro chimico sono esposti con ammirabile chiarezza, e riuniti in un complesso armonico e attraente. Non sappiamo quante delle ardite idee del Ciamician rimarranno integre nel patrimonio scientifico dell'umanità: non vi è dubbio, però, che esse rappresentano un incitamento pos- sente a nuove indagini, alle quali hanno segnato la via con osservazioni precise e profonde della più alta importanza. Ciamician è partito dal concetto che le ‘piante, per la loro stessa costituzione, hanno bisogno di più svariati stimoli chimici degli animali, e che esse vivono per processi chimici assai più di questi ultimi. Contrariamente all'opinione da molti accolta tuttora, le sostanze accessorie, e segnatamente gli alcaloidi, non sarebbero delle sostanze di rifiuto, ma costituirebbero addirittura gli ormoni vegetali. Cominciò con l’occuparsi dei glucosidi, e stabilì il fatto molto importante, che, inoculando ad una pianta un principio aromatico estraneo, che per essa è velenoso, la pianta dà ori-. gine ad un glucoside, che normalmente non si trova in essa. Se, invece, si inocula un glucoside, si rinvengono nella pianta, oltre al glucoside inalterato, anche i suoi prodotti di scissione, e, precisamente, pare che si raggiunga un vero equilibrio. Pas- sando, poi, ad occuparsi degli alcaloidi e di svariate altre so- stanze, il Ciamician dimostrò che le piante sanno liberarsi perfettamente, sia con l’ossidazione fino all’acido formico ed al carbonico (assimilando, però, quest’ultimo nelle foglie), sia me- diante la traspirazione, di sostanze estranee dannose od inutili inoculate nelle piante stesse. Così, inoculando nel mais il tartrato CARI SENO PIE IE E rene e ila SE UTO Vee RR COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 541 di nicotina, questo alcaloide sfugge in parte attraverso le foglie insieme al vapor d’acqua, ma le piante di tabacco, cimentate in modo analogo, non emettono la loro nicotina, prova questa, secondo il Ciamician, che se esse la producono e la conservano nel loro organismo, ciò significa che la sua presenza corrisponde ad una determinata funzione, e che “le piante sanno preservare anche dall’ossidazione quelle sostanze di cui hanno bisogno ,. Studiando l’azione sullo sviluppo di piantine di fagioli di molti composti, il Ciamician è stato condotto ad enunciare la regola che “in molti casi, la presenza di radicali alcoolici (me- tili, etili o propili) o di radicali acidi (acetile, benzoile ed altri più complessi) esalta l’azione delle sostanze fondamentali che li contengono ,. Esalta, si è detto, non determina, ed invero il Ciamician ha mostrato che, quando la sostanza fondamentale è innocua o normalmente presente nelle piante, l'introduzione di radicali alcoolici od acidi non dà luogo a derivati tossici. Sembra, così, possibile, il poter .dedurre dall’azione del derivato quella del composto fondamentale. Ma il nostro chimico si è spinto ancora più innanzi, cer- cando di indagare per quale ragione le piante da composti più semplici, formano derivati più complessi, con radicali alcoolici od acidi, che possono rendere nettamente tossiche sostanze per se stesse poco dannose. Con apposite ‘esperienze, il Ciamician ha accertato che, almeno nei casi studiati, i composti più dan- nosi sono quelli che meglio resistono all’azione enzimatica delle piante, il che lo ha portato a concludere che la formazione di quei derivati è fatta dalle piante per preservare dall’ossidazione le sostanze delle quali abbisognano, e che l’effetto delle sostanze organiche sulle piante deve stare in qualche relazione con la maggior resistenza che presentano alla eliminazione. Sono tutte queste, come si vede, delle conclusioni di un interesse affascinante, che richiedono ulteriori studî, dal Cia- mician stesso indicati nelle loro grandi linee nel ricordato di- scorso di Trieste. E noi dobbiamo augurarci che i giovani chi- mici italiani non abbandonino agli stranieri un campo di ricerche così importante, ma, animati dall’esempio del Maestro scomparso, ne continuino l’opera e la completino. Benchè rivolto in modo precipuo verso la Chimica organica Cet ie cr ai AND. FRS VINI 542 FERRUCCIO ZAMBONINI e biologica, Giacomo Ciamician si è sempre sentito vivamente attratto dalla Chimica generale e dalla Chimica fisica. Giovinetto ventenne, egli pubblicò uno studio comparativo degli spettri di elementi omologhi, appartenenti ad uno stesso gruppo del sistema periodico di Mendeleev, giungendo alla conclusione che l’omo- logia delle linee spettrali di elementi analoghi ha, probabilmente, la sua causa nel fatto che gli elementi dei gruppi naturali sono costituiti dai medesimi componenti, e che nello spettroscopio noi abbiamo uno strumento atto a darci delle indicazioni sui moti degli atomi. Conclusioni così eterodosse per un’epoca nella quale l’indivisibilità dell'atomo era un dogma, valsero al giovane autore le critiche del Mendeleev e dell’Ostwald: oggi, però, come ha ben detto il Garbasso, rappresentano una vera anticipazione nella storia della scienza. La teoria della dissociazione elettrolitica di Arrhenius lo interessò grandemente fin dal suo apparire, e nel 1892 egli pub- blicò delle considerazioni assai importanti sul modo col quale l’acqua determina la dissociazione degli acidi energici, delle basi forti e dei sali. Egli ammise che l’acqua, rispetto a questi corpi, non è una materia indifferente, ma che, al contrario, quando le molecole d’acqua circondano in grande numero le molecole sa- line, come accade nelle soluzioni diluite, esercitano un’azione sugli ioni di queste ultime, fino a rompere il legame fra gli ioni stessi, che vengono ad essere circondati da molecole d’acqua intere. — Idee, queste, nuovissime allora ed originali, nelle quali è anticipata la teoria dei solvati. — Notevole anche, in quel breve lavoro, è la decisione con la quale il Ciamician parla del- esistenza di idrati in soluzione, che allora e per parecchi anni dopo ancora, fu generalmente negata. Nè va dimenticato che l’ampio contributo dato dal Labo- ratorio di Bologna allo studio teorico e sperimentale delle’ solu- zioni solide è stato iniziato e proseguito per consiglio del Cia- mician, il quale ebbe anche ad indicare alcuni degli indirizzi più interessanti da seguire, come, per esempio, quello di stabi- lire se fra le sostanze capaci di dare soluzioni solide esistono o meno relazioni cristallografiche. Le ricerche sulla struttura delle sostanze cristalline ecci- tarono l’interesse vivissimo del Ciamician, il quale, insieme al Padoa, ha pubblicato, nel 1917, delle considerazioni importanti COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 543 e suggestive sulla natura dell’affinità chimica e della valenza degli atomi. La conclusione del Ciamician che, in alcuni elementi, la forma dell'atomo nei suoi composti possa variare col tipo di combinazione, è stata sostanzialmente confermata dalle succes- sive ricerche di Bragg sui diametri atomici degli elementi. A Giacomo Ciamician non mancarono gli onori in vita. Le nostre principali Accademie inscrissero presto il suo nome nei loro albi: il Governo lo chiamò nel 1910 a far parte del Senato. Anche gli Istituti scientifici stranieri gli manifestarono la loro stima. Egli fu, infatti, uno dei pochissimi soci stranieri dell’Ac- cademia delle Scienze di Parigi, e socio onorario delle quattro principali società chimiche straniere: l’americana, la francese, l'inglese e la tedesca. Non solo, ma lo si volle più volte, fuori d'Italia, a parlare dei risultati dei suoi studî. Così, nel 1904, egli tenne un grande discorso alla Società Chimica di Berlino sul pirrolo, nel 1908 uno sulle azioni chimiche della luce a Parigi, alla Società Chimica francese, e nel 1912, al Congresso inter- nazionale di Chimica applicata, riunitosi a New-York, pronunciò uno dei quattro grandi discorsi a sezioni riunite, e svolse, con successo memorabile, il tema attraentissimo La Fotochimica del- l’avvenire. Il grande chimico Emilio Fischer, poi, lo propose per uno dei premi Nobel per la Chimica, designazione il cui valore non è diminuito dal fatto che l'Accademia di Stoccolma non credette di seguire il parere del più illustre chimico organico allora vivente. E Come italiani, noi dobbiamo essere assai grati a Giacomo Ciamician, che intorno all'opera sua di investigatore geniale seppe riunire tanto splendore di fama, così fervido consenso fuori del nostro Paese. Di quella fama e di quel consenso, infatti, si riflette una parte sulla Italia nostra, che, per merito anche dell’illustre e caro scomparso, appare agli stranieri ancora una volta non soltanto la terra delle glorie passate, ma bensì la patria attuale di elevatissimi valori morali. E Giacomo Ciamician fu ben degno di far apprezzare il nome d'Italia ovunque brilla una luce di cultura superiore. Egli fu, infatti, un cittadino esemplare ed uno scienziato eminente, esempio di quegli uomini giusti e preclari, esaltati dal grande filosofo a Lui caro, che trovano la consolazione vera e migliore Re. VETERE e 1 ACTTE SIR RR PIT IO E PSR Re SERIE STING PESA a IRAP] RETI 544 FERRUCCIO ZAMBONINI — COMMEMORAZIONE, ECC. della loro vita nell'apprendere, sicchè a loro bene si adatta verso del nostro Poeta Altro diletto che ’"mparar non provo. La sua vita nobilissima fu tutta pervasa da quel forte palpito inquieto Di quei che acceso alla beltà del vero Un raggio se ne sente nel pensiero E ognor lo segue e non lo giunge mai. Nel volgere tumultuoso dei nostri tempi, la pura bellezza - dell’Idea sembra impallidire dinanzi alle imprese che hanno | un valore semplicemente materiale. Ingegni vividi si abbando- nano loro con ardore, sdegnando quasi ciò che, attraverso alla scienza pura, conduce alle grandi conquiste del pensiero. Ma Giacomo Ciamician non subì l’influenza del suo tempo, e rimase fedele al proprio ideale. Grande anima latina, sentì profondamente la superiorità dei beni morali, e, fissando il suo sguardo sempre più in alto, si inspirò durante tutta la vita al pensiero ammonitore del nostro Genio più luminoso: “ Non si dimanda ricchezza quella che si può perdere. La virtù è vero nostro bene, ed è vero premio del suo possessore: lei non si può perdere, lei non ci abbandona, se prima la vita non ci lascia ,. L’ Accademico Segretario OresTtE MATTIROLO 045 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 24 Giugno 1923 PRESIDENZA DEL GR. UFF. PROF. GAETANO DE SANCTIS DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci ErnAupI, BAuUDI DI ‘VESME, SCHIAPA- RELLI, PaTETTA, PRATO, PaccHIonI, VaLMaGGI, FaGGI, Luzio, Mosca, JANNACCONE e il Segretario VIDARI. Scusano l’assenza il Presidente RurrInI e il Socio CIan. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del 10 giugno u. s. Il Presidente comunica i ringraziamenti inviati dalla Signora Salvioni per le rinnovate espressioni di condoglianza. Il Socio PaTETTA presenta il volume di Pietro TorELLI dal titolo: Capitanato del popolo e vicariato imperiale (elementi costi- tutivi della signoria bonacolsiana), Mantova, 1923. Egli nota il merito singolare del nuovo lavoro del TORELLI, avvertendo che esso dà più di quanto il titolo prometta, poichè, accanto ai due elementi costitutivi sopra indicati, vi sono messi in luce, con acute indagini, altri fattori forse meno appariscenti ma non per questo meno importanti; le basi cioè psicologiche della nuova signoria tanto nella mentalità di Pinamonte che la fondò, quanto nella tradizione e nella coscienza popolare, e le DAR ae ea cea N i Se à x 546 condizioni di fatto determinate così dalla vastità e dal continuo accrescersi dei fondi rustici posseduti dalla Bonacolsi come dai numerosi acquisti che essi vanno facendo di case e palazzi nel centro stesso della città. Speciale importanza hanno pure le questioni di metodo sobriamente trattate in principio della mo- nografia, e le osservazioni sull’utilità che gli studiosi di storia medioevale possono trarre dall’analisi sistematica delle formole usate nei documenti comunali e signorili dei periodi di transi- zione; formole molto meno uniformi e molto meno rigide di quelle che compaiono nei documenti regi, imperiali, e quindi meno atte a nascondere con vecchie frasi la realtà dei fatti nuovi politici e sociali. Il Presidente De SanotIS ringrazia il Socio PaTETTA della presentazione fatta, e manda a ringraziare pure l’Autore del- l'importante volume donato all'Accademia. Il Socio ScHiAPARELLI presenta diverse pubblicazioni del prof. Piero BarocELLI di argomento paletnologico, e segnala fra le altre quella intitolata: Val Meraviglie e Fontanalba (Torino, Bona, 1921), che è rivolta a interpretare alcune iscri- zioni rupestri di monte Bego nella valle della Roja. Il Socio ScHIAPARELLI illustra il valore scientifico di tale pubblicazione, che egli non esita a chiamare “ magistrale ,, e che ha riscosso il plauso dei competenti; cosicchè il Ministero ha ordinato una regolare esplorazione di tutte quelle valli, che presentano tanto interesse per la paletnologia. Il Presidente si compiace della comunicazione ed esprime l'augurio che tali ricerche abbiano a proseguire efficacemente. Il Socio ScHiAPARELLI presenta per la pubblicazione negli Atti una Nota del prof. C. MARRO, Bernardino Drovetti e Cham- pollion “ le jeune,; documenti inediti, e ne fa rilevare lo speciale interesse per l'Accademia, in quanto il Drovetti fu il fondatore del Museo egizio di Torino, e, al pari dello Champollion, fu membro di questa Accademia. La Nota sarà inserita negli Atti. 547 Il Socio Luzio coglie l'occasione per ricordare che nella Comunale di Mantova esistono materiali importanti di Egitto- logia nel carteggio di Giuseppe Acerbi: il quale, console au- striaco in Alessandria, non solo aiutò le ricerche dello Cham- pollion, ma ebbe con lui assidua corrispondenza, e aveva riassunto le proprie osservazioni sull’Egitto in un grande lavoro storico-critico, rimasto inedito e fin qui sconosciuto. Il Socio VALMAGGI presenta per l'inserzione negli Atti una sua Nota: Verna, vernaculus. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 38 548 GIOVANNI MARRO LETTURE Bernardino Drovetti e Champollion “ le Jeune ,, Documenti inediti raccolti e commentati dal Dott. Prof. GIOVANNI MARRO Docente di Antropologia e di Clinica Psichiatrica nella R. Università di Torino. (CON TRE TAVOLE) Presentata dal Socio nazionale residente E. Schiaparelli. Nel R. Museo di Antichità di Torino si collegano intima- mente l’uno coll’altro i nomi di Bernardino Drovetti e di Jean- Frangois Champollion, detto Champollion “le Jeune ,: perso- naggi ambedue i quali sono stati annoverati fra i membri di codesta Reale Accademia delle Scienze. Bernardino Drovetti, da Barbania presso Torino — amico del Generale Colli e di Gioachino Murat — dopo aver preso parte alla spedizione Napoleonica in Egitto, fu mandato da Na- poleone stesso in tale contrada, nel 1803, per tutelarvi gli in- teressi della Francia, sopra tutto per controbilanciarvi l'influenza dell'Inghilterra. I servizi che egli rese colà alla Francia furono così notevoli e furono così altamente apprezzati da esservi poi nominato Console Generale dal Re Luigi XVIII: carica che egli tenne fino al 1829, anno nel quale dovette ritornare in Italia a motivo delle condizioni della sua salute, gravemente scosse. A quest'uomo — ben compenetrato della grande importanza che doveva avere lo studio dei relitti dell’antica civiltà egiziana — spetta il merito di essere stato il primo a raccogliere lar- gamente, ed in certo qual modo sistematico, documenti di ogni specie della epopea faraonica. Ed all’uopo egli compì lunghi viaggi e spedizioni pericolose — dei cui risultati si valsero ampiamente ber + e i n fra” TAL BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION <« LE JEUNE » 049 e geografi ed esploratori del tempo, fra i quali il Jomard e il Cailliaud (1) — anche con forte nerbo di forze militari (le quali venivano poste a sua disposizione da Mohammed-Alì-Pascià, Vice-Re dell’Egitto, il quale particolarmente lo stimava e pre- diligeva, sì da ricercarne e da seguirne ben di frequente i con- sigli e le vedute nell’opera di ricostruzione civile, militare ed economica del paese, nonchè da assecondarne ogni iniziativa). Per tal modo, riuscì a lui possibile di adunare, nei primi tre lustri della sua permanenza in Egitto, un materiale ingente e preziosissimo, il quale egli fece poi trasportare a Livorno. Dopo aver primieramente esibito la sua Collezione al Gran- duca di Toscana (il quale la fece visitare da un antiquario di sua fiducia, ma declinò poi l'offerta unicamente per la troppo elevata spesa inerente), Bernardino Drovetti rimase per tre anni circa in trattative di vendita col Governo Francese; il quale finì di non assicurarsi un tale materiale non solo per il mancato accordo sul prezzo, ma anche, e forse sopra tutto, per influenze religiose: temendosi dal clero di Parigi che lo studio di quelle antichità potesse in certo qual modo infirmare i concetti biblici in merito all’antichità della comparsa dell’uomo sulla terra (2). Nè è da escludersi che lo stesso Bernardino Drovetti, da quell’abile diplomatico e buon patriota piemontese quale era, abbia saputo così destreggiarsi da non facilitare in realtà l'acquisto della propria Collezione da parte della Francia (3), a disposizione della quale a lui era stato conveniente tenerla per tanto tempo, in attesa della nomina a Console Generale (4). (1) M. Jomarp, Voyage è l’oasis de Thèbes ete.... fait pendant les années 1815, 1816, 1817, 1818 par M. F. Cailliaud, Paris, 1821. M. F. CarcLiauD, Journal d'un voyage fait par M. Drovetti dans l’oasis du Dakel etc., Paris, 1821. M. Jomarp, Voyage à l’oasis de Syouah, d’après les matériaux recueillis par Drovetti et par Cailliaud, en 1816 et en 1820, Paris, 1823. . (2) E di quest’ultima motivazione ho trovato io stesso una prova in altri documenti inediti, i quali verranno in seguito pure da me pubblicati. (3) A questo allude precisamente un passo della iscrizione della lapide posta sotto il busto del Drovetti nel R. Museo di Antichità di Torino (vedi pag. 551). (4) Ciò chiaramente risulta da documenti inediti pure a mia dispo- sizione. Il Governo Francese acquistò poi dal Drovetti, sul finire dell’ottobre 550 GIOVANNI MARRO Certo è che Bernardino Drovetti rifiutò offerte molto van- taggiose anche da parte dell’Inghilterra e della Germania. Egli cedette la sua Collezione al Re Carlo Felice il 24 gen- naio 1824 (per lire quattrocentomila), cooperando efficacemente all'intento, ben risulta, Cesare Saluzzo e Carlo Vidua (1). L’in- gente e prezioso materiale fu preso in consegna a Livorno dal Cav. Cordero di San Quintino, in allora Direttore del Museo di Antichità di Torino, per incarico del Sovrano (2). La Collezione Drovetti, portata a Torino — dove già si trovavano depositate alcune pregevoli antichità egiziane, fra le quali quelle raccolte nel secolo precedente da Vitaliano Do- nati (3) — vi costituì il primo grande nucleo del primo grande Museo di Egittologia che sia stato fondato; e contribuì note- volmente ad accrescere il prestigio della Città, sì che alla me- desima conversero gli sguardi di tutti gli archeologi, storici e letterati. i Ma, la Capitale dell’antico glorioso Piemonte seppe: man- tenersi pienamente degna di un tanto deposito : con criterio illumi- nato di scienza, con liberalità somma essa rivolse sollecita offerta a Jean-Frangois Champollion — il quale, in quel volgere di tempo, per l’appunto, aveva comunicato colla famosa “ Lettre à M. Dacier , (4) di avere scoperto la chiave dell’alfabeto gero- glifico egiziano — di porre a disposizione del suo studio la Collezione Drovetti. L'offerta fu accettata con entusiasmo. E quando Champollion “le Jeune, venne a Torino vi fu accolto con grande cordia- 1827, per la somma di franchi 150.000, la sua seconda Collezione, ora al Louvre (vedi H. HarrLEBEN, Champollion le Jeune, sein Leben und sein Werk, Berlin, 1906). (1) Lettere del conte Carlo Vidua, pubblicate dal conte Cesare Balbo, Torino, 1834. (2) Due lettere del cav. Cordero di San Quintino, relative al trasporto della Collezione Drovetti a Torino, saranno ben presto anche da me pub- blicate. È (3) P. BarocELLI, Il viaggio del dott. Vitaliano Donati in Oriente (1759-1762) in relazione colle prime origini del Museo Egiziano di Torino, “ Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, 1911-1912. L (4) J.-F. CÒampoLtion, Lettre à M. Dacier relative à l’alphabet des Hié- roglyphes phonétiques, “ Académie des Inscriptions et Belles Lettres ,, Paris, 1822. BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 551 lità e con testimonianza di alta ammirazione; le quali sempre poi lo seguirono durante tutta la sua permanenza nella Capitale Piemontese, protrattasi per circa un anno e mezzo (1824-1825). E nel Regio Museo di Antichità di Torino .Jean-Frangois Champollion — con studio profondo ed indefesso, mirabilmente assecondato da un singolare potere divinatore —. illustrò buona parte delle dovizie inestimabili della Collezione Drovetti, gettando tutte le poderose basi della egittologia moderna (1). Per tal modo, l’ambiente scientifico piemontese, il quale faceva, in quel tempo, essenzialmente capo alla Reale Accademia delle Scienze — dopo essere stato uno dei primi a riconoscere tutta la grandezza e l’originalità della scoperta di Champollion “le Jeune , e ad appoggiare validamente la medesima colla autorità della sua grande fama — venne ad acquistarsi il me- rito di avere fornito a un tale Uomo il vere Laboratorio, nel quale egli potè dare corpo a tale sua scoperta, e stabilire tutta la sua gloria (scoperta e gloria le quali erano state a lui, prima, tanto aspramente contrastate dalla maggior parte degli eruditi : stranieri e connazionali). La Collezione di Bernardino Drovetti fu, così, il degno campo di cimento per il genio maturo di Champollion “le Jeune ,. E nello statuario del Regio Museo di Antichità di Torino due lapidi marmoree, poste l’una di fronte all’altra, documen- tano il glorioso rapporto interceduto fra l’opera di questi due personaggi, col tramite del Museo stesso (2). (1) Con legittimo compiacimento io ebbi occasione di illustrare i rap- porti fra Torino e Champollion “le Jeune , nella cerimonia accademica per la commemorazione del centenario della scoperta della scrittura gero- glifica egiziana, svoltasi nell'ottobre scorso a Grenoble — sotto la presidenza del Ministro della Pubblica Istruzione e delle Belle Arti, Léon Bérard — colà inviato in rappresentanza del R. Museo di Antichità di Torino e del suo Direttore prof. Ernesto Schiaparelli (Vedi Giovanni Marro, Il Piemonte e Champollion le Jeune. Conferenze e Prolusioni. Roma, 1923). (2) Ecco il testo della iscrizione delle due lapidi: A memoRrIA ED onorE DI BernARDINO DrovertI — DA BARBANIA — cHE Con- soLe GeneRALE DI FRANCIA IN EGITTO — ADUNÒ IN LUNGHI ANNI DI SAPIENTI RICERCHE — QUESTE ANTICHITÀ EGIZIANE — PROCURANDO POI CHE DIVENTASSERO — ACQUISTO DEI NOSTRI PRINCIPI — ED UNA FRA LE GLORIE PIEMONTESI. HonorI ET MEMORIAE - JOANNI FRANCISCI CHAMPOLLIONIS — QUI ARCANAE AEGYPTIORUM SCRIPTURAE — RECONDITAM DOCTRINAM PRIMUS APERUIT — MONUMENTA _ 552 GIOVANNI MARRO * E E Però, fra B. Drovetti e J. F. Champollion non vi fu solo . l'intima colleganza spirituale sopra lumeggiata — giustamente perpetuata negli annali della scienza —; fra di essi intercedettero anche rapporti personali improntati a schietta cordialità. Sopra tutto in dipendenza del fatto che Bernardino Drovetti, nella sua qualità di Console Generale della Francia in Egitto, fu in grado di rendere, e molto volonterosamente rese, eminenti e molteplici servizi a Jean-Frangois Champollion quando questi, alcuni anni dopo dal suo soggiorno a Torino, potè intraprendere il tanto agognato viaggio di studio e di raccolta di materiale in Egitto; viaggio che si svolse precisamente nel corso degli anni 1828 e 1829 e che consentì al Champollion di continuare glo- riosamente nella via delle rivelazioni sull’Egitto antico. Questi rapporti personali fra Bernardino Drovetti e Cham- pollion “le Jeune , risultano chiaramente dimostrati da molti documenti inediti, che noi ebbimo la singolare ventura di rin- tracciare fra la massa dei documenti, i quali si possono consi- derare come costituenti l’ “ Archivio di Bernardino Drovetti e Famiglia , in deposito presso il Signor M. Ozella, pronipote del Drovetti stesso. Tali documenti — lettere di corrispondenza — sono stati posti molto cortesemente a disposizione del mio studio; ed a me è stato dato, inoltre, il consenso per la loro pubblicazione. Del che porgo sentiti ringraziamenti al prefato Sig. Ozella. Alla pubblicazione di questi documenti noi addiveniamo tanto più volentieri inquantochè essi comprovano ancora la grande estimazione di cui godeva, sia nel mondo politico sia nel mondo scientifico, Bernardino Drovetti e come egli del suo meritato prestigio si valesse per giovare efficacemente all'incremento degli studi dell'archeologia egiziana e per aiutare validamente la Francia in ambite imprese. AEGYPTIA — REGIS VicroRII EÉMANUELIS LIBERALITATE CONQUISITA — IN HIS AEDIBUS DOCTE INVISIT DOCTE ILLUSTRAVIT — MODERATORES REI LITTERARIAE — STATIM AC DE MORTE CELEBERRIMI VIRI NUNTIATUM EST — MENSE MARTIO ANNO MDCCCXXXII —- PrincipATUS REGIS CAROLO ALBERTO SECUNDO. ng” BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION < LE JEUNE » 5653 Cosicchè, dall'esame dei documenti che per ora ci limitiamo a presentare già ben risulta che a B. Drovetti competa fama maggiore di quella che gli viene generalmente riconosciuta di raccoglitore poderoso e dal fiuto finissimo di antichità egiziane. . Altre serie di documenti, dei quali tratteremo in Memorie suc- cessive, porranno sempre più in giusta luce l’alta personalità di questo forte Piemontese. * * * I documenti formanti il soggetto del presente studio sono lettere di corrispondenza le quali sommano a undici: sei di Champollion “le Jeune ,, due di Champollion-Figeac, una di Ippolito Rosellini, una del Conte di Forbin, una di certo Mecique; delle quali dieci sono indirizzate a B. Drovetti. Nella loro presentazione noi seguiremo il criterio dell’ordine cronologico ; risultando tanto più opportuna l'adozione di un tale criterio, inquantochè questi documenti si collegano più o meno strettamente l’uno coll’altro, come verrà bene prospettato. I DocumENTO. Dopochè l’eletta schiera di eruditi — che il genio versatile e comprensivo di Napoleone volle compagna alla famosa spedizione in Egitto — richiamò particolarmente in onore gli studi della ar- cheologia egiziana, l'Egitto fu percorso e frugato da molti ardi- mentosi per la ricerca e per il prelievo di documenti della civiltà faraonica (e fra gli Italiani merita di essere ricordato, insieme al Drovetti, Giovanni Belzoni, il quale nel 1817 rinve- niva nella necropoli di Tebe l’ipogeo di Seti I: il più pregevole, | senza alcun dubbio, di tutti gli ipogei tebani conosciuti). Per tal modo, venne a fondarsi sopra vasta scala il commercio delle antichità egiziane. E maggiore impulso all’opera di esportazione in Europa di tali antichità vennero naturalmente poi a dare le scoperte e gli studi di Champollion “le Jeune ,. Ora, in un breve brano del primo documento che presentiamo — lettera di Champollion-Figeac al Drovetti, datata dall'anno 1326 — viene ritratto, ed a meraviglia, il quadro del grande fervore di allora per gli studi egittologici e la conseguente grande IRR TIA GEE O VAIO SOLCO TE AE NIN DILLO II SITA PIO GARE TONO) FORD SECON SRO 554 GIOVANNI MARRO estimazione in Europa per tutto quanto proveniva dall'Egitto antico. E ben ci compiacciamo di rilevare che da questo quadro sintetico appare come l’Italia — la quale teneva il primato come paese di deposito di antichità egiziane — degnamente parteci- passe del rigoglio allora destatosi per gli studi egittologici, anzi sopra ogni altro paese eccellesse per numero di centri in- tesi a diffondere la specifica cultura. — Ma, il suddetto quadro è il semplice mezzo per introdursi nell’argomento essenziale della lettera. Infatti, questa lettera è scritta col precipuo intendimento di esporre a B. Drovetti tutto un piano organizzato per il pre- lievo e per l'esportazione in Europa delle antichità egiziane, facendo centro a Parigi per l’esitazione e la vendita delle me- desime: piano che si prospetta come vantaggioso per la scienza e fonte di lucro per l'Egitto; destinato ad avere, senza dubbio, l'approvazione del Vice-Re d'Egitto, “qualora la cosa fosse stata favorevolmente presentata al medesimo dal Drovetti. Paris, le 22 9bre 1826. Monsieur, La lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’écrire est infiniment flatteuse pour mon frère et pour moi; nous y attachons un grand prix, et nous désirerions vous le prouver si l’occasion se présentait de vous étre utile ou agréable en quelque chose. Mon frère ose compter aussi sur votre entière bienveillance quand il ira visiter l’Egypte, et il s'y recommandera avec toute confiance. Votre position et votre caractère le mettront tout naturellement sous votre protection. De retour de l’Italie où-il a passé 80 mois, il va con- sacrer une année è l’organisation du Musée Égyptien du Louvre dont il est nommé Conservateur par ordonnance Royale du 30 mai dernier, et il pensera aussitòt après è son voyage d’Egypte. L’étude de cette an- tique métropole des sciences et de la civilisation prend une grande at- traction depuis la découverte de mon frère; les gouvernements forment des musées et créent des chaires d’archéologie égyptienne; il y en a déjà 4 de fondées, à Paris, Rome, Bologne et Pisa, et le résultat na- turel de ces établissements est de faire rechercher les monuments égyptiens; ils ne sont plus de simples objets de curiosité depuis l’al- phabet publié, et chaque morceau peut étre utile è l’histoire. On nous a dit que S. Alt. le Vice-Roi d’Egypte a mis la recherche des anti- quités dans les attributions de l’administration publique. Cette déter- mination peut étre utile è la fois à S. A. et aux sciences si elle est BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 555 convenablement régularisée. Je crois que le mieux serait pour S. A. d’établir è Paris un dépòt central de tous ces monuments, et de faire faire, à l’époque fixée, une en janvier et une en juillet de chaque année, une vente publique. On trouverait ici une personne sùre qui serait l’homme de confiance de S. A. qui serait capable de rédiger et d’envoyer partout en Europe une note sommaire et assez savante des objets de chaque vente, et ce serait sur ces notes que les commissions seraient envoyées à Paris par les Gabinets et les amateurs. Nous donnerions nos conseils volontiers è ces petites affaires dans l’intérét de S. A. et du public lettré; on trouverait dans M. Dubois notre ami, dessinateur des Musées Royaux de Paris, et le dessinateur du Panthéon-Egyptien, la personne qui pourrait le plus sùrement répondre aux instructions de S. A. C'est lui qui a fait les catalogues Thederat, Cailliaud, Raffaelli, Passalaqua; c'est un homme instruit, probe, et dont les catalogues font autorité partout et inspirent seuls la confiance nécessaire pour qu’un amateur étranger achète sur ses indications. Il ne s’agirait, dans ce cas, que de régler son indemnité. Je crois ce plan excellent et le seul profitable aux vues de S. A. En établissant en principe qu’aucun objet ne sera. vendu qu’en vente publique, S. A. trouverait toutes les garanties né- cessaires dans cette concurrence. Nous nous ferions un plaisir d’envoyer quelques renseignements sur les objets qu’on devrait chercher et envoyer de préférence. Dans ces vues, nous n’avons d’autre objet que de con- courir è une direction qui nous semble bonne, et utile à la fois à S. A. et aux sciences. Du reste vous étes sur le lieu, Monsieur, et pouvez mieux que personne juger de la convenance de ces idées que je jette à la hàte par impression; il y a un point incontestable, c’est que pour les hommes et pour les choses Paris est le véritable centre de l’archéo- logie Egyptienne. Il n'y a qu’un regret, c'est que votre helle collection n’en est pas été la pierre fondamentale. Veuillez croire, Monsieur, à tout notre empressement pour tout ce qui vous compétera, à notre désir de vous étre agréable si nous étions assez heureux pour le prouver, et recevoir l’assurance de notre entier et très sincère dévouement. J. F. CHamPoLLION Fierac. Rue Mazarine, N° 19. à Monsieur Monsieur le Chevalier Drovetti Consul Général de France à Alexandrie EGYPTE TROIA pi 7 TIE iii Vi ai VIT IO ITA TN 556 GIOVANNI MARRO Questa lettera ci si prospetta quale risposta ad un’altra che Bernardino Drovetti indirizzava a Champollion-Figeac il 6 giugno 1826, la quale è conservata nell'Archivio della Fa- miglia Champollion a Vif (1), e che è stata stampata da Aimé Champollion-Figeac (2). Dalla lettera del Drovetti si rileva come già fin d’allora i due Champollion fossero in frequente corrispondenza col Dro- vetti, e come questi — sia direttamente, sia indirettamente per il tramite di comuni amici — avesse esortato vivamente Cham- pollion “le Jeune , ad un viaggio in Egitto, per il quale gli profferiva tutta la sua assistenza; nuovamente, in questa lettera, il Drovetti si pone a completa disposizione dello scopritore della scrittura geroglifica nella eventualità di un tale viaggio, il quale egli si impegna di rendere “sùr, facile et agréable ,, sopra tutto — egli dice al fratello — per visitare “le Vallon sacré, qu'on peut, sous les rapports scientifiques, regarder désormais comme son apanage ,. E tanto affidamento riponevano i due Champollion nel Dro- vetti — vuoi come prestigio sul Vice-Re di Egitto, vuoi come conoscenza profonda di quella contrada, vuoi come attendibilità nelle promesse — che al medesimo esclusivamente si rivolge Champollion “le Jeune , quando — riuscito ad appianare tutte le difficoltà che si opponevano al suo viaggio in Egitto ed ot- tenuto di porre il medesimo sotto gli auspici del Re di Francia — sì accinge finalmente ai preparativi della partenza. (1) A Vif — amena cittadina, ricca di vigneti, prossima a Grenoble — Champollion “le Jeune, soleva andare a trascorrere i mesi estivi: nella casa di campagna del fratello — casa passata nel patrimonio della famiglia Champollion fin dal 1770, la quale aveva già ospitato l’infanzia e l’adole- scenza di due grandi personalità del secolo precedente: gli abati de Mably e de Condillac —. In questa casa di Vif, “ Les Champollions ,, apparte- nente tuttora ai discendenti di Champollion-Figeac, sono raccolti, come in un museo, molti ricordi di Champollion “le Jeune ,; fra i quali, preziosis- simi, molti volumi dei suoi manoscritti, nonchè l’archivio di famiglia. (2) Armé CrampoLcion-Fierac, Les deux Champollions; leur Vie et leurs {Euvres, Grenoble, 1887. dn cn nr A tira Ante e i n i ca a tà rieti BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 557 II DocumENTO. Una lettera che esplicitamente dimostra tutto quanto si è or ora detto — lettera di Champollion “le Jeune , a B. Drovetti — costituisce precisamente il nostro secondo documento. Dal quale, anzitutto, ben risulta avere continuato il Drovetti a muovere sollecitazioni a Jean-Frangois Champollion perchè si accingesse, senz'altro indugio, alla suddetta impresa scientifica ; la quale doveva portare veramente all’apogeo la gloria di Champollion, come d’altronde Champollion stesso chiaramente presentiva. (Questa lettera porta l'indicazione “ par duplicata ,; pro- babilmente una prima lettera è andata smarrita). (par duplicata) Paris, le 18 fevrier 1828. Monsieur, 4 J'attendais depuis longtemps des nouvelles positives de votre ar- rivée en Egypte, désirant vous féliciter de votre heureux voyage et vous remercier de toutes les bontés que vous avez eues pour moi. On m’assure que vous étes arrivé è bon port; je m’en réjouis sincèrement et me hate de recourir è vous pour des renseignements desquels peut dépendre l’exécution d’un plan scientifique auquel vous voulez bien prendre un vif intérét. ° Je partage pleinement votre opinion sur la nécessité d’exécuter promptement mon excursion littéraire en Egypte: je sens chaque jour davantage combien il importe à la science et è moi de profiter de la noble protection que le Vice-Roi accorde si généreusement aux entre- prises qui ont pour but l’avancement des sciences de la civilisation. Je suis donc bien résolu de me rendre en Egypte au mois d’aoùt prochain si les circonstances politiques ne présentent point des difficultés insur- montables. Personne mieux que vous, Monsieur, ne peut m’assurer la bienveillance de S. A. le Vice-Roi et me donner des renseignements po- sitifs sur l’état intériear du pays que je me propose d’étudier. Mon plan serait de remonter au moins jusqu’à la seconde cataracte. Veuillez donc, je vous prie, faire auprès du Vice-Roi toutes les démarches que vous jugerez convenables pour l’instruire du but tout.à fait littéraire que je me propose en visitant l’Egypte, et pour l’assurer qu’il verrait avec plaisir une entreprise dont le résultat ne peut que relever de plus en plus l’importance du Pays soumis è ses soins. 558 GIOVANNI MARRO Je serais heureux de faire ce voyage avec l’autorisation positive de S. A. et d’en rapporter une part du succès à une si haute et si honorable protection. Je ne consulte que vous seul, Monsieur, sur l’opportunité du voyage et le choix du temps pour l’exécuter. Vous seul en effet connaissez assez ; bien le pays et les facilités ou les obstacles que pourraient donner ou opposer les habitants des provinces éloignées de la Capitale, pour me déterminer è partir sans délai aussitot que vous aurez eu la bonté de m’écrire que la chose est praticable et que les chances de réussite sont 3 plus nombreuses que celles de non-succès. J'’attend done avec impatience ; votre dernier avis sur tout cela. Un mot de vous et je pars. Je comp- terais toujours comme une assurance de succès la certitude de vous tai etnica trouver encore en Egypte è mon arrivée. Vos lumières et votre expé-- rience pourront sans aucun doute me rendre bien facile l’exécution d’un voyage dont les motifs et les importants résultats qu’en peut retirer la i: science vous sont parfaitement connus. . Permettez-moi de vous prier de répondre le plus tòt possible à cette lettre que je vous adresse avec une pleine confiance en vos lumières, accrue encore par la certitude entière de l’affectueux intérét que vous | prenez à mes travaux et è tout ce qui intéresse la vieille comme la nouvelle Egypte. Veuillez agréer, Monsieur, l’expression sincère de mon attachement | et de mon dévouement le plus entier. J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE. N° 19 Rue Mazarine è Paris. 3 III DocumEenTO. Come terzo documento viene presentata una lettera scritta a Bernardino Drovetti da un grande letterato e archeologo ita- liano: Ippolito Rosellini; lettera la quale con quella testè rife- rita di Champollion “le Jeune , è intimamente legata, poichè tali due lettere sono state scritte previo. accordo fra i due personaggi. i i i i ì Come è noto, all’ “ Exploration Littéraire en Égypte ,, che la Francia decise di compiere, ponendovi alla testa Champollion “le Jeune ,, dovevano partecipare scienziati di vari altri paesi (per il Piemonte sappiamo che era stato designato Carlo Vidua); all'ultimo momento però, sorti contrasti di varia natura, alla spedizione di Champollion “le Jeune ,, composta di sei persone, BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION « LE JEUNE » 559 solo si aggiunse quella stabilita dal Granduca di Toscana, di cinque persone, avente per capo Ippolito Rosellini. Prima di intraprendere qualsiasi preparativo per la partenza i due capi rispettivi delle spedizioni Francese e Toscana deci- sero di rimettersi completamente al saggio consiglio di Bernar- dino Drovetti; sopra tutto in vista delle poco propizie condizioni politiche, in conseguenza delle quali la popolazione dell'Egitto era manifestamente ostile a tutti gli Europei (basterà il dire che in quel frangente di tempo le truppe del Pascià d’Egitto combattevano in Grecia contro i soldati dell'Europa civilizzata). Ed essi stabilirono di scrivere al Drovetti, ciascuno per proprio conto: Champollion “le Jeune ,, scrisse la lettera surriferita ; Ippolito Rosellini scrisse quella che precisamente ora si pre- senta (nella quale il Rosellini molto accortamente fa presente al Drovetti — come elemento che doveva certamente conciliargli tutta la sua benevolenza, tutto il suo aiuto — la comunanza di patria). i Paris, le 11 fevrier 1828. Monsieur, Les droits que vous avez acquis par tant de titres è la reconnais- sance de tous ceux qui s’occupent de recherches sur l’ancienne Egypte, justifient assez la démarche que je fais près de vous daas ma qualité de Directeur d’une Expédition littéraire que mon Gouvernement, celui de Toscana, se propose de joindre à celle que Monsieur Champollion fera par ordre du Roi. Ayant déjà recu cette agréable et flatteuse com- mission et étant en état d’en apprécier toute l’importance, je suis extré- mement impatient qu'elle soit exécutée, selon le désir et les ordres de mon Souverain. Comme je vous ai dit, Monsieur, lorsque j'ai eu l’honneur de Vous voir è Paris ce n’était que par l’incertitude des événements politiques que nous retardions d’effectuer notre projet. Mais tenant d’ailleurs beaucoup è ce qu'il s’exécute dans cette année et ayant surtout le précieux avantage de vous savoir rendu à vos fonetions près de Son Altesse le Vice-Roi, je ne puis rien faire de mieux que de m’adresser à Vous, pour vous prier de vouloir bien nous faire part de vos conseils sur l’exécution de notre’ voyage. Monsieur Champollion vous fera lui- méme de son còté la méme prière. Quoique vos services soient voués à la France par les importantes fonctions que vous remplissez depuis si longtemps et si dignement en Egypte, nous ne pouvons rappeler sans une espèce d’orgueil que notre Patrie a été aussi la vòtre, et nous nous plaisons à regarder comme bat oe IERI TT TORI x» 560 GIOVANNI MARRO un gage de cette flatteuse fraternité la précieuse collection qui donne tant de lustre è une de nos capitales. D’ailleurs cette Commission To- scane ne doit étre qu’une branche de celle envoyée par le Gouvernement Frangais; et finalement les principes éclairés et philanthropiques de Monsieur Drovetti donnent è chacun, de quelque pays qu'il soit, le droit de réclamer sa faveur et ses conselis, quand il s’agit de reculer encore les bornes qui nous empéchent de connaître è fond la Patrie classique des Sciences et des Arts. Notre projet serait de partir pour l’Égypte vers la fin de l’été prochain, mais ce ne serait que d’après vos conseils sur la convenance et l’opportunité de cette entreprise que nous nous déciderons tout-à-fait. Je vous prie done, Monsieur, de vouloir bien nous éclairer là-dessus; c'est une votre réponse que nous attendons avec empressement. En vous assurant d’avance de notre profonde reconnaissance, j'ai l’honneur d’étre avec la considération la plus distinguée De Vous Monsieur le Chevalier très humble et très dévoué serviteur HiPPoLYTE ROSsELLINI Professeur de langues Orientales àè l’Uni- versité I. et R. de Pise et Directeur de l’Expédition Littéraire de Toscane en Egypte. A la Légation de Toscane, Rue Ville l’Évéque, N° 13; è ‘Paris: Monsieur le Chevalier DROVETTI Consul Général de France en Égypte. Purtroppo, le vicende politiche volsero alla peggio, nel senso che le misure di coercizione adottate contro i Turchi dalle Potenze segnatarie del “ Trattato di Londra, portarono all’acme l’animosità contro gli Europei in tutte le Provincie Turche, compreso l'Egitto. La qual cosa deve naturalmente aver reso molto perplesso il Drovetti nel consigliare una partenza, la quale, come ben si è visto, tanto stava a lui a cuore e la quale, prima, tanto aveva. incoraggiato, anzi sollecitato. Ed egli indugiò in effetto alcuni mesi prima di rispondere alle due lettere da. noi riportate del Champollion e del Rosellini; evidentemente nell’attesa e nella speranza che le cose assumessero piega favorevole. lie iii i e it i init ro srt BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 561 Risulta però (1) che tanto Champollion “le Jeune ,, quanto Champollion-Figeac (2) — ambedue di temperamento ombroso e diffidente, sempre propensi a scorgere, in tutto quanto non col- limava senz'altro colle proprie vedute e coi propri desideri, elementi di ostilità o di offesa — interpretarono il ritardo nella risposta come conseguenza delle mene del grande geo- grafo Jomard (uno dei capi della spedizione scientifica di Na- poleone in Egitto, il quale aveva fortemente aspirato alla no- mina di Direttore del Museo di Egittologia di Parigi, e che ‘perciò era avversario di Champollion), collegato da antica e cor- diale amicizia con Bernardino Drovetti (3). Nella incertezza del parere e delle intenzioni del Drovetti, i due Champollion — i quali, trionfando delle opposizioni molte- plici, erano riusciti a fare bilanciare la spesa della spedizione dalla Casa del Re e dal Governo — decisero la partenza e ne acce- lerarono i preparativi. Sì che quando giunse alfine la risposta. del Console Generale della Francia (4) — nella quale questi pro- spettava, con grande rincrescimento, le gravi difficoltà che si frapponevano, per il momento, ad un viaggio simile nell’interno dell'Egitto; dicendo di poter solo fare sicuro affidamento sul Vice-Re, il quale, in causa per l'appunto delle sue simpatie palesi verso l'Europa civile, era tenuto alquanto in diffidenza dalla popolazione stessa — i numerosi contro ordini ministeriali inviati, più non raggiunsero Champollion “le Jeune ,, il quale — precisamente il 31 luglio 1828 — colla spedizione al com- pleto, aveva lasciato Tolone, in rotta per l'Egitto a bordo del veliero 1’ “ Eglé ,. (1) H. HarrLEBEN, Champollion “ le Jeune ,, sein Leben und sein Werk, Berlin, 1906. (2) Champollion-Figeac, date le poco buone condizioni di salute del fratello, aveva, in sulle prime, avversato questo viaggio in Egitto, al quale tanti strapazzi erano necessariamente inerenti. Però, in seguito egli vi aveva acconsentito: persuaso della suprema importanza scientifica del me- desimo, sopratutto perchè una tale spedizione costituiva veramente un’ap- passionata aspirazione di Champollion “le Jeune ,; e si era fortemente interessato per la sua effettuazione. (3) Anzi, col Jomard il Drovetti aveva intrapreso opere di alto valore sociale-umanitario; il che ben risulta da una copiosa corrispondenza, che formerà il soggetto di una prossima mia memoria. (4) Questa lettera del Drovetti, in data 6 maggio 1828, è la prima di quelle riportate dall’HarrLEBEN nel volume: Lettres et Journaux de Cham- pollion pendant le voyage d’Egypte, Paris, 1909. 562 GIOVANNI MARRO IV DocumenTO. Fra i documenti che Jean-Frangois Champollion portava seco nel viaggio alla volta della terra dei Faraoni, la quale egli chiamava “ mon antique patrie , (1), vi era probabilmente una lettera di saluto per il Drovetti (2), la quale qui noi riportiamo come IV Documento; lettera scritta dal Conte di Forbin, Direttore Generale dei Musei Reali di Parigi e con alta carica a Corte — il quale, molti anni prima era stato in Egitto, e vi aveva con- dotto scavi e ricerche sotto la guida del Drovetti stesso (come ben risulta da altre lettere, pure dell’“ Archivio Drovetti ,). MUSÉE ROYAL Paris, le 16 juillet 1828 Le Comte DE FoRBIN, Directeur Géenéral des Musées Royaux Gentilhomme Honoraire de la Chambre du Roi A Monsieur le Chevalier DROVETTI, Consul Général de France en Egypte, è Alexandrie.. Mon Cher Monsieur, Vous savez trop bien apprécier Mr. Champollion le Jeune, qui pro- fesse lui-méme la haute estime qu’il vous porte, pour que je songe è vous le recommander. Seulement, je me félicite dans l’intérét des arts que vous soyez tous les deux appelés à les servir d’une manière si brillante, si neuve et si profitable. Voilà le signal d’une époque bien (1) Ecco una quartina di Champollion “le Jeune ,, da lui scritta sotto un suo ritratto nel quale egli è camuffato da egiziano: Quî, Ménès, je revois mon antique patrie, Je foule avec transport cette terre chérie, Et le fleuve sacré, riche présent des Dieux, Le Nil, le Nil enfin se présente à mes yeux. (2) A tale induzione io pervenni perchè tale lettera non porta l’indi- rizzo sul retro (come consuetamente usavasi fare nelle lettere spedite per corriere), mancandovi, inoltre, qualsiasi traccia di suggellatura; sopra tutto perchè essa è datata dal 16 luglio, cioè appena quindici giorni prima della partenza di Champollion da Lione. - PET EI ET OE STAT E EE OR BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 563 importante; je suis très-certain que Mr. Champollion vous devra de grandes facilités et pour ma part j’en serai fort reconnaissant. Je souhaite aussi réveiller votre souvenir et vous renouveler l’expression de mes sentiments d’amitié et de parfaite considération. Votre très dévoué serviteur le Comte DE FoRBIN. Come ben si vede, Bernardino Drovetti viene dall’autore- vole e competente personaggio accoppiato a Jean-Frangois Cham- pollion nella gloria per l’incremento particolarissimo che agli studi egittologici doveva necessariamente venire dalla spedizione “ letteraria, in Egitto della Francia e della Toscana (1). Ma, mentre si effettuava la traversata marittima della spe- dizione, avente per duce in prima Champollion “le Jeune ,, l'orizzonte politico, specialmente nei suoi riflessi sull’ Egitto, veniva rischiarandosi notevolmente. E all’opera diplomatica di pacificazione risulta aver preso parte importantissima il Drovetti stesso, al quale, infatti, deve farsi risalire, quanto meno per la massima parte, il merito di aver preparato e fatto approvare la convenzione per l’evacua- zione delle truppe egiziane dalla Morea (la quale si poteva con- siderare come il vero pomo della discordia fra le Potenze se- gnatarie del “ Patto di Londra , e la Sublime Porta). Ecco, per (1) Dal viaggio in Egitto — protrattosi fino al 31 dicembre 1829 — Champollion “le Jeune ,, oltre ad una cospicua collezione di pregevolis- sime antichità, rapportava una serie numerosa di disegni dei principali monumenti sussistenti ancora in quella contrada, nonchè due mila pagine circa scritte di sua mano riproducenti essenzialmente copie di iscrizioni geroglifiche — Ecco quanto egli scriveva al suo arrivo in Francia (dal lazzaretto di Lione, 29 dicembre 1829): “ Mes portefeuilles sont de la plus grande richesse, et je me crois permis de dire que l’histoire de l'Égypte, celle de son culte et des arts qu'elle a cultivés, ne sera bien connue et justement appréciée qu’après la publication des dessins qui sont le fruit de mon voyage ,. Ippolito Rosellini, per sua parte, raccoglieva laboriosamente, in questa lunga traversata dell’Egitto, tutto il materiale che a lui doveva consentire di pubblicare ben tosto, dopo il ritorno in patria, la sua opera tanto po- derosa per mole e tanto pregevole per ricchezza di dati e di osservazioni importanti: I monumenti dell'Egitto e della Nubia, 1832. ; Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 39 564 GIOVANNI MARRO esempio, quanto Jean-Frangois Champollion scriveva al fratello il 23 agosto 1828, a pochi giorni di distanza dall'arrivo in Egitto : “ Sept jours avant notre arrivée, l’amiral Codrington était venu faire signer au Pachà ladite convention, laborieu- sement préparée par Drovetti ..... l’amiral anglais a voulu, en se donnant l’honneur de cette importante négociation, se pré- parer un moyen de rentrer en gràce à Londres. Mais le fait est que toute cette affaire a été conduite par M. De Rigny et par M. Drovetti ,. Per tal modo, quando Champollion “le Jeune , si presentò in Alessandria a Bernardino Drovetti ricevette da questi le più vive e cordiali felicitazioni perchè la lettera inviatagli in maggio e sconsigliantegli la partenza non fosse a lui pervenuta. Il Drovetti garantì poi a Champollion che la favorevole matu- razione, sia pure quasi improvvisa, degli eventi rendeva pos- sibile di intraprendere senza indugio il progettato viaggio della spedizione; e l’assicurò che in tale viaggio egli l’avrebbe be- nevolmente seguìto con tutto il suo appoggio; s’impegnò, anzi, di fargli avere ogni facilitazione possibile perchè l’impresa riu- scisse non solo agevolata, ma, altresì, quanto mai fruttuosa. Dell’ampio mantenimento delle pur larghe promesse di Ber- nardino Drovetti costituiscono ineccepibile prova le lettere dello stesso Champollion, le quali verremo ora esponendo. V DocumenTO. La lettera che costituisce il V Documento è precisamente di Champollion “le Jeune ,; ma, è l’unica lettera della presente raccolta la quale non sia stata indirizzata a Bernardino Dro- vetti. Infatti, tale lettera è diretta al Console Francese di Lar- naca, M. Méchain; però, in essa il destinatario è vivamente pregato di rivolgersi al Drovetti sollecitando tutto il suo inte- . ressamento perchè si valesse di ogni sua influenza allo scopo di assicurare alla Francia un documento archeologico, al quale Champollion dimostrava di annettere un valore altissimo. Au Caire, le 29 septembre 1828. Monsieur, L’intérét amical que vous avez bien voulu témoigner pour moi et mes compagnons de voyage, me fait un devoir de vous tenir au courant era n i e ito dei BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION <« LE JEUNE » 565 de nos aventures. Notre navigation d’Alexandrie au Caire a été des plus heureuses et en méme temps des plus agréables. J’avoue que quelque haute idée que j’eusse de l’Égypte en ma qualité d’Aegyptiomane, elle a surpassé mon attente: et la verdure du Delta qui m’a paru si belle en sortant de vos sables Libyques d’Alexandrie ne sortira jamais de «mon souvenir; j'ai profité de l’occasion pour passer une journée è Sa-el-Hagar, l’ancienne Saîs que ce pauvre Jomard place si habilement à 12 lieues plus au nord que ne sont les véritables ruines. J'ai vu des choses fort curieuses, et en y reconnaissant trois nécropoles, dont l’une est énorme pour son étendue, j'ai compris en quel lieu les villes du Delta plagaient leurs momies. Les monuments Arabes du Caire m’ont vivement intéressé; mais quelque attrait que présente leur architecture si svelte et si originale, Jai résolu de partir après-demain, mardi, pour Saccara: je ferai une course aux pyramides de Ghizèh et retournerai à Saccara et mettrai à la voile pour la haute Egypte. En arrivant au Caire j'ai trouvé notre Consulat tout désorganisé; le seul homme auquel on pùt parler et sur la complaisance duquel je pouvais compter était hors d’état de suivre les bonnes intentions dont il était rempli. Le peu d’instants qu'il m’a été donné de converser avec lui a suffi pour me rendre sa perte très sensible et je me joins de bon coeur aux regrets que lui donneront ses amis. Je ne compte done plus, pour mes affaires de finances, que sur vos bons offices et les soins de Mr. Cardin: je lui écrirai d’avance de Thèbes pour lui demander les fonds dont je pourrai avoir besoin aux échéances portées dans ma lettre de crédit. Je vous prie de donner de mes nouvelles à Mr. Drovetti, auquel je n’écris point encore pour ne pas l’occuper. Je serai charmé d’apprendre que sa santé s'est améliorée et a repris son ancienne vigueur. Soyez auprès de lui l’interprète de ma vive reconnaissance pour tout ce que je lui dois de bon. et d’obligeant. Je le remercie également des petites douceurs que sa bonté a fait pleuvoir sur mon bord; nous avons vidé à sa santé, en face des ruines de Sais, deux bouteilles de son excellent vin. Lord Prudhoe que j'ai trové ici m’a mené voir la fameuse pierre bilingue. Dites, je vous prie, à Mr. Drovetti que cette pierre qui sert de seuil à-une petite mosquée du Caire est véritablement une triple inscription en caractères hiéroglyphiques, en démotique et en grec; on n'apergoit qu’une très petite partie sur la longueur. Si, comme cela est possible, le reste de cette pierre est masqué dans les marches intérieures ou encastré dans les montants de la porte, ce dont il serait facile de s'assurer, il vaudrait la peine que Mr. Drovetti se-mît en mouvement pour se faire donner en cadeau, par S. A., ce monument inappréciable, x à charge de rebatir la petite porte de cette mosquée. J'insiste d’autant CIIANIENTRE SINIS SLI RIE 566 ——GIOVANNI MARRO plus sur cette idée que la possession d’un tel monument serait un trésor pour la science. On l’a refusée, dit-on, au consul Anglais, c’est très-bien; mais on ne l’a pas encore refusée au consul général de la France: ce serait une belle et bonne victoire sur l’orgueil Britannique, et une excellente occasion de consoler la France de la perte si cuisante du monument de Rosette. Je dois dire que la partie visible de l’inseription est presque effacée et illisible; cela peut provenir du frottement et il est è croire que ce qui est engagé dans la construction est beaucoup mieux conservé. Je recommande cette affaire è toute l'attention de Mr. Drovetti: il serait beau è lui de retourner en Europe avec un pareil trophée. Au nom de tous les Dieux de l’Egypte envoyez-nous done des lettres d'Europe: l’attente est si pénible! et Pariset n’a point paru! Je vous supplie au nom des pères, des époux, des fils et des Amoureux qui composent notre Caravane Scientifique, de ne point perdre une minute pour nous faire passer les lettres qui arrivent de France ou d’Italie. Nous sommes affamés d’en avoir; voilà deux longs mois que nous màchons è vide. i IoussoupH-KaAcHÈF vient de nous faire faux bond (aujourd’hui 80 7bre) le jour méme de mon départ: il prétend n’avoir rien regu d’Alexandrie et qu’il n’avait rien de convenu avec moi quoiqu’il m’ait répété dix fois qu'il ferait avec moi le voyage de haute Ésgypte. Ne vous occupez plus done de lui: je fais accord avec un Drogman qui me consolera aisément des dédains de Mr. Cachef. Je vous prie, Monsieur et cher compatriote, de recevoir l’assurance de mon entier et bien affectueux dévouement. J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE. P.S. Si Pariset arrive dites-lui de me venir joindre au plus vite en haute Egypte en attendant son monde qu'il établirait au Caire étu- dirait le bas pays. J'ai réservé une place pour lui dan mon et sous ma tente. A Monsieur Monsieur MfcHAIN Consul de S. M. le roi de France à Larnaka au Consulat Général de France à Alexandrie. In questa lettera, Champollion “le Jeune , si è anche pre- occupato — sia per scrupolo descrittivo, sia per meglio attirare e fissare l’attenzione altrui, sia, e forse sopra tutto, per indi- Si *, PETE TE e | — BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 567 rizzare opportunamente le sollecitate investigazioni — di pre” sentare un chiaro disegno schematico, relativamente grande (largo cm. 8, alto cm. 5), dell’ingresso della menzionata moschea; nel quale disegno un tratteggio lineare riproduce la parte pre- sumibilmente celata della pietra in questione. E ci si spiega facilmente il grande desiderio di Champollion “le Jeune , di vedere assicurato alla Francia il possesso di tale pietra — ridotta, in virtù di ignorate ma certamente strane vicende, a una tanto modesta funzione — la quale egli aveva scoperto trilingue, riflettendo che essa a lui si prospettava (e ben lo si comprende dalla surriferita lettera stessa) preci- samente come il “ pendant , della famosissima pietra di Rosette — scoperta dalla spedizione napoleonica, ma andata poi ad ar- ricchire il British Museum di Londra — la quale tanto aveva a lui giovato per giungere a strappare il segreto della scrittura geroglifica egiziana (1). VI DocumeENnTO. Il VI Documento è un’altra lettera indirizzata da Jean- Frangois Champollion al Drovetti: lettera brevissima, la. quale pur presentandosi come laconica “ evasione , di una semplice pratica burocratica, ci fornirà lo spunto per il rilievo di un parti- colare elemerto psicologico della personalità complessa del grande egittologo. Aux pyramides de Gizeh, le 9 8bre 1828. Monsieur et respectable ami, Cette lettre vous sera remise par Mr. Bibent, l’un des membres de mon expédition scientifique que sa santé empèche de rester en Egypte. (1) Vedi la mia Monografia: / R. Museo di Antichità di Torino e Cham- pollion “le Jeune ,; “ Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti ,, Torino, 1923. | L'importanza della pietra o stele di Rosette è andata in questi ultimi tempi notevolmente riducendosi, inquantochè il ritrovo di altre pietre con- simili (fra le quali quella pressochè intatta trovata a Canopo — contenente un editto di Envergete — e pur essa trasportata nel Museo di Londra) l’ha tolta dall’isolamento nel quale per tanto tempo essa aveva gloriosamente campeggiato. I ENI RL MORO © PRE LO PICCINA, BAN . CS È patate 568 GIOVANNI MARRO Je vous prie de l’aider de tous vos bons offices pour son prompt passage en Europe, et de vouloir bien, en vertu des ordres de S. E. le Ministre de la Marine, lui faire obtenir son passage aux frais du Roi avec le premier bàtiment de l’État partant pour l'Europe. Je vous prie d’agréer le nouvel hommage du dévouement et de la reconnaissance avec lequel je suis, Mousieur et respectable ami, Votre très humble et très obéissant serviteur J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE. Mr. le Chev. DRovETTI Consul Général de la France en Egypte. Questa breve missiva, rispettosa, anzi deferente per il de- stinatario, appare improntata di evidente freddezza o quanto meno di assoluta indifferenza nei confronti del latore, per il quale non vi ha alcuna espressione, sia pure convenzionale, di commiserazione. In altra lettera datata dal giorno precedente (1) Cham- pollion “le Jeune , partecipa pure al fratello la dipartita di questo M. Bibent, che sappiamo essere un architetto, con questa frase: “ Le père Bibent, qui ne m’a servi à rien qu’'à mettre le désordre parmi nous, déserte. l’expédition. Il retourne en Eu- rope: Dieu l’accompagne! ,; nella quale anzichè pietà si può scorgere ironico disdegno. i In questo comportamento verso un compagno che dopo alcuni mesi di soggiorno in Egitto si trovava costretto a ritor- nare, per motivi di salute, in Europa (dove alcuni mesi dopo veniva a morte) emerge un elemento poco simpatico, ma pro-. priamente caratteristico nella individualità del grande e geniale sapiente. Infatti, nello studio di indole essenzialmente psicologica che stiamo ora compiendo sulla personalità di Jean-Frangois Cham- pollion, noi siamo giunti a stabilire precisamente come un tale uomo — il quale già era solito a trascurare le pur necessarie esigenze di sosta e di riposo sia per sè sia per gli altri nel corso della ricerca scientifica — professava risentimento e di- (1) Vedi citaz. pag. 561. i a : } È i ] < È i 1 ve Mall tint mt E RIR. aan tinti BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION <« LE JEUNE » 569 spregio per tutti coloro i quali in qualsivoglia modo l’ostacola- vano e gli creavano imbarazzi sopra tutto nell’esplicazione del lavoro scientifico. VII Documento. Sempre seguendo rigorosamente l'ordine cronologico giun- giamo alla seconda lettera scritta da Champollion-Figeac a Ber- nardino Drovetti. Questa lettera da una parte suona cordiale attestato di amicizia e di riconoscenza per i benefizi che il Drovetti arre- cava al fratello ; dall’altra riveste il valore di un notevole do- cumento ufficiale, inquantochè, scritta dalla Biblioteca del Re, trasmette al Drovetti un desiderio del Re stesso e in nome della Casa del Re prega il Drovetti di volere assumere alcune im- portanti informazioni, in merito per l'appunto al desiderio del Sovrano, e di trasmetterle sollecitamente a Parigi. Sotto questo secondo punto di vista la lettera attuale as- sume un interesse tutto particolare, poichè viene a documentare ‘uno dei primissimi passi della Francia nei confronti di un’ im- presa la quale doveva effettuarsi solo nel 1836: tale lettera, cioè, apre, per così dire, quelle lunghe trattative, le quali do- vevano condurre al trasporto a Parigi di quel grandioso obe- lisco monolitico egiziano, il quale tanto orna presentemente questa metropoli, collocato al centro della piazza della Concordia. Nuovi e più importanti accenni al trasporto dell’obelisco sono contenuti, come vedremo, nelle due ultime lettere di Cham- pollion “le Jeune , al Drovetti, costituenti il IX e il X nostro Documento: accenni i quali dimostrano chiaramente come in questa impresa della Francia spetti a Bernardino Drovetti un merito ben maggiore di quello di avere semplicemente assecon- . dato gli approcci in proposito. Per tal modo, le due ultime lettere che qui presentiamo di Jean-Frangois Champollion unitamente a questa di Champollion- Figeac rappresentano un insieme di importanti preliminari. — non solo inediti, ma ignorati o, quanto meno, non posti finora in evidenza — nei confronti di un'impresa della Francia, il cui compimento, tanto auspicato da molti e prima di ogni altro da Champollion “ le Jeune ,, doveva assorgere all'importanza di un avvenimento nazionale. e A EEN orale a ee in a dr 570 GIOVANNI MARRO BIBLIOTHEQUE DU ROI Paris, le 25 octobre 1828. Monsieur, Je ne vous dirai pas toute ma reconnaissance pour le bon accueil ‘ et les bons offices que mon frère a regus de vous, parce que jose espérer que vous ne doutez nullement du plaisir avec lequel je m’associe è sa juste gratitude. Je serais heureux d’avoir une occasion de vous en donner un témoignage. D’après la lettre de mon frère, à la date du 13 7bre, je le crois à présent en Nubie: c’est done à vous que je prends la liberté de m’adresser pour un renseignement dont j'ai besoin avant son retour sur un objet justequel il serait bon qu'il trouvat une décision venue de Paris lorsqu’il sera redescendu è Alexandrie. Le Roi désire que l’obélisque que la Pachà d’Égypte a bien voulu lui offrir, soit transporté è Paris. L’Intendance générale de la Maison de S. M. m’a done chargé de savoir quels seraient à peu près les dépenses nécessaires pour mettre cet obélisque à bord d’un bàtiment de la marine Royale. Le Ministre de ta marine ayant déjà recu les ordres du Roi à ce sujet. D’après votre réponse, que je communiquerai à l’Intendance géné- rale, on prendra un parti. J'’aurais soin de vous en informer. Je serais toujours très heureux d’avoir une occasion de me rappeler à votre bon souvenir et de vous renouveler, Monsieur, toute l’assurance de mon entier et inaltérable dévouement. J. J. CHAMPOLLION FiGrao. VIII DocumeEnTO. Il Documento VIII è la terz’ultima lettera di Champollion “le Jeune , a Bernardino Drovetti della nostra serie: lunga lettera improntata ad amichevole confidenza e cordialità. In questa lettera, Champollion partecipa, anzitutto, di essere stato incolto da uno dei suoi soliti accessi di gotta: — Espressione di quella diatesi reumatica, la quale era veramente connaturata nel suo abito somatico-biologico; (e le cui conseguenze perniciose — sommandosi cogli effetti dell'esaurimento nervoso, al quale egli era sempre, per così dire, in preda per la continua e so- verchia applicazione allo studio glottologico ed archeologico (1) (1) Molto precocemente Champollion “le Jeune, cominciò ad essere molestato da fenomeni di esaurimento nervoso: assai prima ancora di dini OCA PTT e E TETTO TEO RT O I IT ST SOSIA VETO A siii CA ati BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 571 — dovevano minare profondamente e rapidamente il suo orga- nismo ; sì da essere uno dei principali coefficienti della sua morte prematura — avvenuta nel 1832, a soli 42 anni di età . — come ben risulta dal Bollettino del suo decesso). Champollion passa poi a richiedere al Drovetti parecchi fa- vori; sopra tutto a lui rivolge la vivissima preghiera perchè voglia particolarmente interessarsi a che la corrispondenza di Europa gli venga inviata colla massima regolarità e sollecitudine possibili. A questo proposito è opportuno ricordare come Cham- pollion “le Jeune , risentisse un vero perturbamento sentimen- tale e spirituale nel restare privo per un certo tempo di notizie dei suoi e specialmente del fratello: sempre provando egli il bisogno di avere continue assicurazioni sia del buon andamento generale della famiglia, sia, e forse sopra tutto, delle faccende relative alla sua carriera e alla sua gloria scientifica (alle quali, in realtà, più di ogni altra cosa egli teneva): incline, come era — dato il suo temperamento pessimistico e diffidente — ad immaginare con facilità mali, contrattempi, opposizioni, ecc. Nello scritto che abbiamo sott'occhio Champollion fornisce anche dettagli sui lavori che sta compiendo nella Nubia; € magnifica la grande importanza dei medesimi, esprimendo in sintesi efficace l’alta sua soddisfazione: “ nous emportons tout Ipsamboul dans nos portefeuilles ,. Però, egli manifesta, insieme, il suo solito vezzo — il quale tradisce senza dubbio un tantino di fatuità — di voler stabilire che egli riusciva a fare le cose alla perfezione e di muovere sempre appunti all’opera altrui; ed a tale proposito ricordiamo che in una delle lettere precedenti giungere alla sua immortale scoperta. Così, per esempio, io ho trovato in una lettera inedita — dell'Archivio di Vif — (datata dal 7 settembre 1820, precisamente da Vif e diretta all'amico Goujon) le seguenti espressioni: “Je me suis enfin décidé, mon bien cher ami, à venir respirer un peu l’air de la campagne. La Bibliothèque est fermée, mes classes sont finies et ma santé se remet peu à peu. J'ai bien par ci par là quelques étourdis- sements, mais je résiste et cela passe. J'espère que l’automne verra ma cervelle tout à fait debarassée ,. Altrove io ho già avuto occasione di notare che Champollion si sob- barcava, quasi senza tregna, ad un poderoso lavoro mentale: impossibili» tato, forse, sotto l’eccitamento della febbre della ricerca, a risentire sana- mente gli effetti della fatica e della stanchezza (Vedi citaz. pag. 567). 572 GIOVANNI MARRO : {V Documento) egli dice: .....“ l’ancienne Saîs que ce pauvre Jomard place si habilement è 12 lieues plus au nord que ne sont les véritables ruines ,; eppure Jomard era un geografo celebre; conoscitore profondo dell'Egitto. Ipsamboul, le 14 janvier 1829. Monsieur et respectable ami, Je regus è Philae où la goutte m’a tenu huit jours en réclusion sans me permettre de visiter les intéressants monuments qui m’environ- naient, la lettre que vous me fites l’honneur de m’écrire en m’envoyant les deux seules lettres que j’aie encore recues d'Europe depuis mon départ d’Alexandrie. Quoique d’une date ancienne, elles me causèrent un plaisir bien vrai et je vous serais on ne peut plus reconnaissant si vous pouviez me fournir plus souvent l’occasion de le renouveler. Il est impossible que depuis le mois de septembre il ne soit arrivé de France aucun batiment portant des lettres pour moi et pour les miens: je crains que les employés de vos Bureaux ne mettent un peu de négligence à faire passer au Caire è Mr. Macardl, maintenant votre délégué, les paquets “d’Europe è mon adresse. Je vous prie done instamment de faire à ce sujet quelques recherches et d’avoir la bonté, par le retour de l’Exprès qui portera celle-ci, cu par toute autre voie, d’adresser mes lettres ainsi que celles de MM. Duchesne, l’Hòote, Bertier et Lehou, à Mr. Macardl qui a des moyens réglés pour qu’elles me parviennent sùrement. Partis de Huadi-Halfa le 1°" de janvier, nous travaillons ici depuis le 3, et nous emportons tout Ipsamboul dans nos portefeuilles. Je crois que nì Mr. Banks niì Mr. Salt n’ont jamais eu des dessins pareils à ceux que nous venons d’y faire. Je fais copier tous les Bas-reliefs historiques en grand avec tous les détails de leurs couleurs et toutes les inscriptions qui. les accompagnent. On n’a encore rien fait de semblable pour ce magnifique monument. ; i Après-demain au plus tard nous partirons pour visiter l’Egypte; en nous arrétant à chacun des monuments qui bordent le Nil tout le temps nécessaire pour en extraire les dessins et les inscriptions les plus curieuses. Je compte étre à Thèbes vers la moitié de février. Là je serais heureux si vous pensiez à réaliser à cette méme époque la dernière visite que vous avez l’intention de faire à la capitale des vieux Pharaons. Je serais très empressé de vous servir de Cicérone s’'îl en était besoin pour une personne qui, comme vous, a déjà le droit de cité à Thèbes comme à Memphis, dans la ville de Sésostris comme dans celle d’Ale- xandre. i Veuillez, je vous prie, dire à Mr. Cardin que me trouvant encore BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 073 en fonds je n’ai recouru ni à sa bourse ni à son obligeance pour les 12000 francs que je devais prendre dans le mois de janvier courant. Je lui écrirai aussitòt que j'en aurai besoin en lui indiquant l’époque à laquelle je voudrais que cette somme en talaris et en piastres me parvînt è Thèbes, où je séjournerai jusqu’au mois d’aoùt. Je le prierais en attendant de m’envoyer le module des Regus que je devrai lui donner pour cette seconde somme de 12000 frane. Nous sommes, comme de raison, affamés de nouvelles politiques: sì 1 vous pouviez disposer de quelques vieux journaux et nous les envoyer, | ils charmeraient nos longues soirées d’hyver et quelque ve:nées que fussent les nouvelles, nous les recevrions toujours comme fraîches. i Permettez-moi de vous renouveler, Monsieur et respectable ami, la nouvelle assurance de mon entier et tout affectueux dévouement J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE. Permettez-moi de consigner ici mille salutations affectueuses de ma part pour Monsieur Méchain s’îl compte encore au nombre des Ale- xandrins. IX Documento. Giungiamo ora alle due ultime lettere di Champollion “le Jeune , della raccolta; lettere di cui si è fatto precedente men- zione, siccome quelle in ambedue le quali sono contenuti notevoli accenni al trasporto di un obelisco dall’Egitto a Parigi. La prima di queste due lettere reca la data del 13 feb- braio 1829. Ora, nella corrispondenza di Jean-Frangois Cham-' pollion al fratello dall'Egitto — raccolta e pubblicata dalla Hartleben (1) — noi riscontriamo il preannuncio di una tale lettera. Infatti, il 10 febbraio 1829 Champollion “ le Jeune , scriveva a Champollion-Figeac: “ Verrions nous enfin un obé- lisque égyptien sur une des places de Paris? Ce serait beau! Et je suis déjà reconnaissant de ce qu'on n’a pas reculé devant une telle entreprise. Je la crois très praticable, et M. Drovetti donnera là-dessus des renseignements positifs. Je transmettrai à M. Drovetti la lettre que m’a écrit M. Mirbel... ,. (1) Vedi cit. pag. 561. ei tie a ei Teti 574 GIOVANNI MARRO Entre Syène et Ombos, 13 fevrier 1829. Monsier et respectable ami, Mille et mille actions de gràce pour les lettres d'Europe que je viens de recevoir! Mr. Macardl m’a fait passer celles que vous avez bien voulu lui adresser-pour moi et votre calcul s’est trouvé juste, car je les regois avant d’avoir entendu parler de votre domestique Ker qui ne m'a pas encore rejoint malgré le furieux vent du Nord qui souffle depuis 5 jours et qui a dù le pousser au Midi, puisqu’il s’obstine è m’empécher d’aller au Nord. Voilà quatre jours que je suis parti d’Assouan et je ne puis gagner Ombos où j'ai affaire un jour ou deux! Agréez mes sincères remercîments pour les provisions que vous avez la bonté de m’envoyer: elles seront regues à bowche ouverte; vous pensez bien que des affamés qui reviennent de la seconde Cataracte doivent avoir l’appétit singulièrement exalté; et les provisions fraîches porteront la joie dans toute mon ÉEscadre. Je vous expédirai dans le temps et le plutòt possible la notice que Mistress Jane Porter désire sur le tombeau Royal découvert par Belzoni. J'ai besoin d’étre à Thèbes pour la rédiger avec toute l’exactitude re- quise et aussitòt mon arrivée dans cette vieille capitale je m’en occuperai, puisque j'ai déjà le projet d’aller me fixer pour un mois è Biban-el- Molouk. Permettez-moi de vous adresser, ci-incluse, une lettre que m'’écrit Mr. De Mirbel, l’ancien secrétaire général de M. De Cazes, aue vous connaissez sans aucun doute comme un de nos Botanistes les plus di- stingués. Il désire que le Pacha établisse en Ésypte un jardin-pépinière qui ne pourrait que ne tourner au profit de l’agriculture et à l’avantage prochain du Pays. Ce motif me paraît suffisant pour étre certain que vous mettrez de l’intérét à faire goùter ce projet è Son Altesse qui trouvera là une belle occasion de montrer sa bienveillance pour la contrée qu'il gouverne et qui ne peut espérer que de Lui seul de sem- blables institutions. Permettez-moi de vous recommander cette affaire de la manière la plus pressante. Une seconde me tient également è coeur. Vous avez dù recevoir du Ministère de la Maison du Roi ou de toute autre une lettre relative au transport à Paris de l’obélisque d’Alexandrie dont vous abandonnez la propriété au Roi. Ayez la bonté d’envoyer le plutòt possible è Paris les renseignements qu'on vous demande sur la possibilité et l’estimation des frais du transport. Ne les effrayez point trop sur ce dernier article, parce qu’ils reculeraient. Mais s’ils s’engagent une fois dans l’entreprise, BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 575 comme elle est belle et honorable, on ne s’en désistera pas. L’important c'est qu'on mette la main à l’oeuvre. On m'écrit que le bàtiment qui doit venir le prendre est tout prét. Veuillez, Monsieur et respectable ami, me continuer toute votre ‘bienveillance et agréer l’expression de tout mon affectueux dévouement. J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE. P.S. Jai rencontré Mr. Acerbi en Nubie, le 1°" février entre TafaX et Débordé. Il remonte jusqu'à Ouadi-Halfah. J'avais déjà rencontré Lord Prudhoe et le Major Felix à XAoroscko entre Seboua et Amada: ils vont au Semar et delà dans l’Inde. Ce projet me paraît gigantesque pour la saison. Quant è Pariset il avance lorsque je recule et recule lorsque j’avance, Dieu sait quand nous nous rejoindrons! Molti e molti anni avanti, prima ancora di giungere alla sua capitale scoperta, Jean-Frangois Champollion aveva espresso la viva aspirazione a che un obelisco egiziano sorgesse nella capitale della Francia. Infatti, già nel 1821 (1) Champollion, dopo avere fino ad un certo punto stigmatizzato l’opera di Saulnier e Lelorrain per il distacco dal tempio di Dendera della famosa pietra dello zodiaco, la quale doveva allora arrivare in Francia, scriveva: “ Il faut le dire: ces Romains, si étrangers aux sciences et barbares sous plus d’un rapport, ont été plus justes appré- ciateurs que nous des ouvrages de l’Égypte. Quand ils ont voulu y puiser pour orner leur triomphe et embellir leur cité, qu’ont ils choisi? des obélisques. Voilà de nobles trophées, voilà le vé- ritable ornement d’une grande capitale ... ,. Dalla lettera di Champollion-Figeac, costituente il nostro VII Documento, e da quella di Champollion “le Jeune , testè riferita, ben si vede come l’aspirazione di questi apparisse allora già. bea prossima ad essere tradotta in atto. Ma da quest'ultima lettera di Champollion “le Jeune , noi apprendiamo ancora un particolare della più alta importanza pei fini del presente lavoro, e il quale perciò stimiamo di dover «mettere in speciale risalto: da tale lettera veniamo cioè ad | apprendere che è Bernardino Drovetti stesso il quale aveva (1) “ Revue Encyclopédique ,, Paris, 1821. ind =} MIT etti CAO RR E a de Adi A LR RETRO» O eo ee e le dea Malti ); pan . LA + A \ agio n n », L si 7 x È » x 576 GIOVANNI MARRO fatto offerta al Re di Francia di un obelisco di Alessandria di sua proprietà. E non è in questo solo documento che noi abbiamo trovato accenno ad un tale atto di donazione alla Francia da parte di Bernardino Drovetti: altre lettere, pure da noi rinvenute nel- l'Archivio della famiglia Drovetti, non meno esplicitamente pa- lesano la cosa; anzi, per mezzo di esse noi veniamo a conoscere che Bernardino Drovetti aveva fatto già parecchi anni prima, e reiteratamente, la stessa offerta al Paese che egli tanto de- gnamente rappresentava in Egitto. Così, per esempio, in una fra le numerose lettere del geografo Jomard al Drovetti, datata da Parigi il 14 agosto 1824, noi troviamo scritto: “ Le Ministre de la Marine m’a assuré et méme écrit qu’il donnait des ordres à un batiment de l’état de se charger de le Riche Monolithe dont vous faites hommage à la France. Je vous engage à cette occasion è m’adresser une lettre pour S. E. le ministre de la Maison du Roi, dans laquelle vous le prierez de faire hommage à S. M. de ce monument ,. Crediamo, ora, che rivesta un certo interesse l’identificare il monumento in questione. E ad una tale identificazione noi giungiamo facilmente sulla base della lettura degli scritti di Champollion “le Jeune , raccolti dalla Hartleben, nonchè della lettera pure di Champollion che ancora a noi resta da presentare. — Nell'“ Extrait du Voyage , del 18 agosto 1828 Champollion narra: “ J'arrivai enfin auprès des obélisques, situés devant le mur de la nouvelle enceinte qui les sépare de la mer dont il sont éloignés de quelques toises seulement. De ces monuments, en nombre de deux, l’un est encore debout et. l’autre renversé depuis fort longtemps. Tous deux en granit rose, comme ceux de Rome, et è peu près de méme ton; ils ont environ soixante pieds de hauteur, y compris le pyramidion. Un léger examen des trois colonnes d’hiéroglyphes, m’apprit que ces deux beaux monolithes ont été taillés, consacrés et érigés devant le temple du soleil è Eliopolis, par le Pharaon Tutmosis II , (1). Nello (1) E. Breccra, nel volumetto Alexandra ad Egyptum (Bergamo, 1914) ci fa presente che questi due obelischi segnavano, sotto la dominazione romana, l’entrata o una delle entrate del Cesareum o Sebasteion, tempio vasto e celebre dedicato al culto degli imperatori. MII EE SEI | | î BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 577 stesso scritto egli riferisce che questi due obelischi erano. de- nominati: “ les aiguwilles de Cléopatra , dagli Europei, “ les aiguilles du Pharaon , dagli Arabi (“ qui sont plus près de la vérité ,). — In una lettera, poi, del 23 agosto 1828, al fratello, Cham- pollion scrive a proposito di questi due obelischi: “ ... Celui qui est debout appartient au Roi, qui devrait bien le faire prendre. Le voisin, renversé dans la sable, appartient aux Anglais... ,. — Infine, nella lettera che ora presenteremo come X Docu- mento, Jean-Frangois Champollion designa l’obelisco del Dro- vetti: “ Ce pauvre éraillé du: port vieux ,. X DocumeEnTO. Probabilmente, alla lettera che ora presenteremo di Jean- Francois Champollion a Bernardino Drovetti — recante la data del 12 marzo 1829 (1) — deve attribuirsi il valore di primis- simo preliminare per il trasporto di quell’obelisco il quale venne, con grande pompa, eretto a Parigi nel 1836. In questa lettera — scritta alla distanza di un mese appena da quella immediatamente sopra riportata — Champollion esprime il reciso parere per l’abbandono di ogni pratica relativa all’obe- lisco di Alessandria e sollecita invece, ed assai vivamente, l’in- tervento del Drovetti allo scopo di decidere il Governo Francese a fare richiesta all'Egitto di uno dei due obelischi di Luqsor, incomparabilmente più pregevoli di quelli di Alessandria, per la Capitale della Francia (prospettando anche che la riuscita dell'impresa relativa riuscirebbe di sommo onore per la Nazione, per il Ministero e per il Drovetti stesso). (1) Colla stessa data Champollion “le Jeune , scrive al fratello una lunga lettera nella quale, parlando di Lugsor, fa il seguente accenno ai suoi due obelischi: “J'ai revu ses beaux obélisques. Pourquoi s’amuser à emporter celui d’Alexandria, quand on pourrait avoir un de ceux-ci pour la modique dépense de 4.000.000 Fr. au plus? Le Ministre qui dresserait un des ces admirables monolithes sur une des places de Paris s’'immorta- liserait àè peu de frais ,. =" VII a € "a i e a re li: Dai ev e =" YE FAST IRA 2 378 GIOVANNI MARRO- Thèbes, le 12 mars 1829. Monsieur et respectable ami, Je ne saurais comment vous exprimer à quel point nous avons été touchés, mes compagnons de voyage et moi, de la bonté que vous avez eue de nous envoyer des provisions d’autant mieux appréciées par nous, que nous sortions d’un pays où l'on trouvait è peine le strict néces- salire: c'est gràce è vos soins que nous nageons dans l’abondance, et que Thèbes, où nous avons retrouvé votre domestique Ker, est devenue pour nous tous un petit Paris, un séjour de délices et de gourmandises. Agréez tous nos remercîments et soyez persuadé que nous sommes loin de nous croire quittes envers vous par les toast nombreux que nous avons portés en votre honneur: ce n’est encore qu’un plaisir de plus dont nous vous sommes redevables. J'ai appris avec peine que vous quittiez définitivement l’Egypte et que je devais renoncer à l’espoir de vous retrouver à Alexandrie: c'est un véritable désappointement pour nous tous; mais si votre santé est, comme je le crois, intéressée à ce départ, nous y applaudirons malgré la perte que nous faisons d’un ami zélé autant que d’un protecteur sur cette terre étrangère que nous devons habiter plusieurs mois encore. Nous espérons toutefois que vous léguerez à votre successeur une partie de vos bonnes intentions pour nous; mais les'lui inspirassiez-vous toutes, ce ne sera plus, de sa part, que de simples traditions et nous perdrons toujours au change. Mais enfin nous tacherons de nous tirer d’affaire, en comptant un peu plus sur notre étoile que nous ne l’avons fait jusques ici où nous nous reposions sur votre providence. Je n’ai point oublié l’affaire du tombeau des Rois. Je m’en occu- perai, et vous sentez que je ne puis envoyer en Angleterre qu’une notice soignée: il me faut donc le temps de la rédiger; mais comme vous tenez è la transmettre vous-méme, venillez me donner une adresse qui me permette de vous l’envoyer sùrement en Europe. Avez-vous répondu sur le projet d’enlever l’obélisque d’Alexandrie? Je désirerais que cette lettre vous arrivàt è temps pour suggérer è Paris l’idée d’avoir bien plutòt l’un des obélisques de Lougsor que ce pauvre éraillé da Port Vieux. Cela serait plus digne de la Nation, du Ministère et de vous — quelques cent-mille francs de plus et un des plus beaux Monolithes du monde décorera notre Capitale. Un Ministère trou- verait là un moyen facile de s’immortaliser. Ker repart demain matin avec le professeur Raddi qui redescend à Alexandrie: les provisions de Pariset sont en route depuis ce matin; I SEO ITA a RE RRRI TRI TESO SRI DI ARA CASE RE NEO n e ene ra Sd ; BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 579 elles lui parviendront vers Syouth et le mettront au quatrième ciel, car il m’écrit des lettres d’affame. Recevez tous mes souhaits d’une heureuse santé et d’un prompt voyage pour l'Europe, où j’espère vous revoir à la fin de cette année. C'est là seulemesat qu'il me sera donné de pouvoir vous exprimer toute ma reconnaissance. Recevez en attendant, Monsieur et respectable ami, la nouvelle assurance de tout mon affectueux dévouement J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE. P.S. Mes compliments je vous prie è Mr. Mechain. Quale secondo preliminare per il trasporto dell’obelisco di Lugsor a Parigi a noi si prospetta un’altra lettera di Cham- pollion “le Jeune , scritta al fratello da Biban-el-Molouk, circa due settimane dopo (24 marzo 1829): “Je reviens encore à l’idée que, si le gouvernement veut un obélisque à Paris, il est de l’honneur national d’avoir un de ceux de Lugsor (celui de droite en entrant), monolithe de la plus grande beauté et de soixant-dix pieds de hauteur, monument de Sésotris, d’un travail exquis et d’une étonnante conservation. Insiste pour cela... ,. Questa sostituzione, tanto auspicata da Champollion “ le Jeune ,, dell’obelisco di Luqsor a quello di Alessandria, che era di proporzioni meno colossali, accrebbe naturalmente, e di gran lunga, le difficoltà dell'impresa; ed a Parigi si continuò a ri- manere più propensi per l’obelisco di Alessandria (1). In effetto — dopo le molte assicurazioni e promesse a Champollion, anche dopo il suo ritorno in patria, alla fine del 1829 — nel marzo dell’anno 1830 fu dato incarico al barone Taylor di recarsi a prelevare l’obelisco di Alessandria. Il barone (1) Ecco, per esempio, quanto Jean-Frangois Champollion stesso scriveva al fratello quattro mesi dopo (4 luglio 1829): “Je suis aisé que le savant ingénieur anglais ait eu la belle idée d’une chaussée de trois cent mille francs pour dégoùter son gouvernement, et par contre-coup le nòtre, des pauvres obélisques d’Alexandrie. Ils me font pitié depuis que j'ai vu ceux de Thèbes... Si on doit voir un obélisque a Paris, que ce soit un de Lougsor. La vieilles Thèbes sera consolée, et du reste, en gardant celui de Karnac, le plus beau et le plus admirable de tous. Mais je ne donnerais jamais mon adhésion (dont on pourra fort bien se passer du reste) au projet de scier en trois un de ces magnifiques monolithes. Ce serait un sacrilège... ,. Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 40 Si A n a gi A na SO, E SI TI 70, DAT, DI IMA ASL NL, PE 3 CILE a * j mai Pea LL petto: 5 "n 580 GIOVANNI MARRO Taylor partì con un bastimento di carico ordinario, “le Dro- médaire ,; ma il tentativo di trasporto fallì (1). Solamente quattro anni dopo la morte di Champollion “ le Jeune , il tanto ardente voto del medesimo che uno dei due obelischi di Lugsor costituisse un ornamento di Parigi fu appa- gato (2). Il trasporto di un tale monolito (3) — sopra un va- scello, fatto espressamente costrurre nei cantieri di Tolone, denominato “le Lougsor ,, il quale ebbe la scorta di un brik di guerra — fu celebrato dalla Francia come un grande successo della sua marina. E lo zoccolo sopra il quale l’obelisco fu in- nalzato sulla piazza della Concordia porta scolpite tutte le par- ticolarità dell'impresa. XI DocumEnTO. L'ultimo documento della nostra serie si riannoda stretta- mente col V; cioè, con quella lettera di Champollion “ le Jeune ,, nella quale questi muoveva preghiera quanto mai viva ed insi- stente al Drovetti, perchè volesse adoperarsi a tutt'uomo allo scopo di fare regalare alla sua patria quella pietra da lui riscontrata trilingue, la quale, secondo la sua espressione, do- veva “ consoler la France de la perte si cuisante du monument, de Rosette ,. La lettera è di un certo Mecique — il quale appare eviden- temente come uomo al servizio di Bernardino Drovetti — ed a. noi essa palesa chiaramente come il Drovetti si sia ben curato per esaudire il desiderio di Champollion: tale missiva, infatti, contiene essenzialmente un rapporto minuto ed assai interes- sante in merito alle ricerche fatte sopra la detta pietra trilingue, per ordine esplicito del Drovetti stesso. (1) Dei due obelischi di Alessandria, uno è stato ceduto agli Stati Uniti e decora attualmente una piazza di New-York, l’altro è stato inviato. a Londra, dove è stato eretto sulle sponde del Tamigi. (2) Jean-Frangois Champollion morì a Parigi nel 1832. La tomba, col- locata a Père-Lachaise, è sormontata da un obelisco. (3) Abbattuto e caricato a mezzo di congegni speciali escogitati dal- l'ingegnere Lebas. pare E a PORZIONE TO Va 9 VE O LR TE I TTI PO ETA BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 581 Kaire, le 1° mai 1829. Mon cher Monsieur Drovetti, Dès que je regus votre lettre du 24, je lus è notre Jacoub le P. $. qui concerne la pierre monumentale; cette pierre avait déjà été enlevée depuis quelques jours par les Anglais et transportée au Consulat où elle resta trois jours, enfin le vint l’enlever non sans difficulté; il y eut à ce sujet de vivaces discussions, mais le but de ces Messieurs était rempli, on céda aux offres dont Lorégu effendy était porteur; la pierre est en mauvais état, presque tous les caractère des trois langues en sont effacés, il n'y a pas une ligne intacte, la pierre vaut moins que rien, m’a dit Mr. Limon; néanmoins on en a pris le calque qui a été de suite envoyé à Londres avec un rapport où Mr. Champollion sera fort mal traité; on est aussi fàché contre vous, mais je ne pense pas que le ressentiment soit poussé si loin; cette pièce a donc été trans- portée dans un magasin è Boulak où elle aurait longtemps si votre lettre ne fùt venue l’en tirer; personne n’en avait connaissance, on la croyait embarquée pour Alexandrie. Abib effendy, è qui j'avais demandé l’ordre pour vous l’expédier, n’a rien voulu prendre sur lui, il a falla que S. A. intervînt une seconde fois. Le Kavas à la garde de qui elle est confiée doit la consigner à Mr. Rogkoz qui vous la fera remettre. Jacoub vous présente ses devoir: c’est lui qui a tout fait dans cette affaire. Je me rappelle toujours à votre amitié, et suis bien sincèrement Votre devoué I. MEcIQUE. P.S. Joubliai de vous dire que Jacoub m’a dit que Mr. Rogkoz devait se rendre ici d’après l’ordre qu'on m’a transmis. J'arrive de Boubas où j'ai fait retirer du magasin du gouver- nement et embarquer sous la conduite de Moustapha Kavass la Stele dont je ne croyais pas l’écriture aussi peu lisible. Si cette pierre eùt été dans cet état lorsqu’elle servait de seuil à une porte, elle n’eùt fixée l’attention de personne et l’on ne se serait pas donné la peine de la faire enlever; le chef des portefaix qui a été requis pour cette opé- ration m’a dit que lorsqu’elle fut transportée au Consulat d’Angleterre les caractères étaient lisibles; sans doute on aura depuis employé quelque moyen pour les faire disparaître; la pierre est belle encore enduite d’une couche d’huile et parsemée de quelques parcelles de platre, car il y a deux calques de tirés d’aprés le rapport qui m’en a été fait. Limon disait bien que la pierre valait moins que rien. 582 GIOVANNI MARRO — BERNARDINO DROVETTI, ECC. In succinto: Questa lettera dapprima racconta e colorisce, con una certa vivacità, le varie fasi della competizione susci- tata dalla suddetta stele fra l’elemento inglese e quello fran- cese; dimostra poi come Bernardino Drovetti fosse riuscito a riportare in merito “ la belle et bonne victoire sur l’orgueil britannique , auspicata con tanta forza, ed anche con acrimonia, dal Champollion.. Mae A Risulta, però, che Bernardino Drovetti non ha, in definitiva, — trattenuto questa pietra trilingue; e, come è lecito arguire, probabilmente in causa della quasi completa illeggibilità della iscrizione su di essa incisa, per cui il valore archeologico della medesima si riduceva a ben poco: fosse o non fosse ciò la con- seguenza di un intenzionale insulto iconoclastico da parte di coloro che si erano visti costretti a cedere la pietra stessa dopo averla rimossa e trasportata via. Il prof. Griffith di Oxford — ebbe a dirci che questa pietra trilingue si trova presentemente depositata — colla chiara indicazione della provenienza — nel Museo del Cairo; e ci ha confermato che essa costituisce, in effetto, un pezzo di importanza ben limitata per il grave e dif- fuso suo deperimento. TAVOLE I Tavora — Prima pagina del X Documento. I s — Seconda pagina del X Documento. II n — Fine del X Documento e fine del IX Documento. "e. G. MARRO - Bernardino Drovetti Tav. I Atti della R. Accademia d Scienze 1 e Champollion «le Jeune » | di Torino - Vol. Lv. TWh la 12 su 1429 A n, ‘ n pg Mii Roypec table Oui, Iuliis rus Von eppvi man “” qual po vat UM Y) AVIUSIi RL “ UT Touche, mar Comuynguovi que Asd AN AM Da Rod | nano A appuas ur vd Us s A MIMO Soriouwn d'un [Vine È, sn È di SH A 1 0’an Grate & v0) Se vt, inrre Unshes WU Mara AVUAZ velico volume Ddomsatiqua Rev sul dev erna pour wu tuuo uno pRT Maous , (POS Sq vu dl sibi PAR da Got nadilo è à Lib ARE. lega Puunade que wiuod Ayer Nous de uu gt é So viario fova,. RI von ivo ha ea suv Yeug por deo fosgto L) a NVogqnte Me; de Lr botta wwyar de grevineva d'artamA— ; freuond = peme le SHoioh ndanama : qua PRITTA vige mi Adami N aboidama , sob + imm ea ce unu AV LUI pero cr Vota RA que iv Viruove = 1 Sped de voug sutra a) AleonnDua : l'al ia Viritable I apportanart ore I Tau . a Si vom Sankt pN C0 mne. 14 Lewoir, iNanen ea ; da È a wilport, Moi 4 applaudire malgrue i SR pena ulti : wu Ferono d'un Gai Za uN quad sn dro tit “ £autte fave alogene que vo) dvowy Ladder peasanta Must albo + Muy apperwvy tota boif nua VOUI Uuguera ON vet spl da n a “ I G. MARRO - Bernardino Drovetti Tav. Il Atti della R. Accademia d Scienze e Champoliion «le Jeune » di Torino - Vol. LVII. nr”, | E° è! #7 È. ki S mera sans posti e da Vo?) boume ilari porno vi ; i Mas | È | PS fue “presi ria v osi tok, Ca re Sere ples , de fe n “ie de hi «La trediomi sir vue pedro Fegetizan Argo) - il i tore qpiar Ansa Lu ang trao eAcile qu NOV) var F A/J DUI tuh-jurgue, | LR vÙ ou vv rayolion Suv vota prwvideme a). (a Ie wu per bll Vaftona dn tiben 36 fio Lor Mr om dtimperni | ST Von Viti mune je o yer mvegean Onrgliedova: ar'ra no tia Soigmee : nie 4) me a done La tego gen rar Covnmie Vo ng “ È: trocimettizili 00 Luo RIOT pro ra rs do vana Fu: qui unt poemetti STATA, ‘da New l'emmoeyer Jorma an Gurro pa - i Oa Nod) fn Sg Juv e ve »' emlovenr l'eta nat Y Alda f rel deriva pe gta e ven avrival a 1 Wa lion I l'an da, obalague, de do oUgior que nel age evaible In por age: ele Seveah- yo dip da L Vatior di mi uatora ar de Now - outlqg ua, Conza Una brauti D. giò ar l'un Darfo bene moro li fia, Ir blonde DI above tuo Tra Capitale - PIA POVIIRCE. “RP indeed ii tuo yer 3 Falla da ai May ay > Aad POL PE : Ale mt la, voi piorma Ya Vago qur agua Re, "VER G. MARRO - Bernardino Drovetti Tav. LIE Atti della R. Accademia d Scienze e Champollion «le Jeune » d3 di Torino - Vol, LVIIL- i I] i dan lt deg ia G@ molta ‘ We, lu pari dro verro Sjowdto” ar An alive NT du quiatierme dd car dd vin tassi da datto 9 omo : lecey ek Tous uo Sol di la rrrerige d'acrBii sA£ 7 O yrompt re sage pae f funo pre, où ]'oypera UVouj au a La de cotta CARPA > CAN LX Varta ann eu vu Jorn dove der yuuveo vuo, spe yi mer Truta AA SI Mir rinilamet 5 Ater er ru cileni mA, UA iv si A Moped au y Ci tro vele auronta a toun di 74 ‘ A cmppeltioi. lareramo Va Said rn tin cy Naruni i Goun. You ave duo evi de Miusitera dal Uraber di Moi ce da hit cltra med Lf Vlukiva) su trnpetà Soris 2° Lab ili gi V' Aly det dear ven al adora L- proguiohe am Mor. 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Che a vernaculus non vada congiunta veruna idea di schiavitù, nonché dagli esempi che si possono vedere allegati nei dizionarî, risulta in special modo evidente dalla nomenclatura militare, vuoi che con ver- naculi milites, vernacula legio (Cesare, B. civ. II, 20, 4; An. peelior= 53-45 043001, de Db. Hasp: 10, 8; 12, L, ecc.) sieno esclusivamente significate truppe reclutate nella regione o ‘territoriali’, vuoi che si designino, come taluno pensa, forse con minore verosimiglianza, soldati non cittadini. Certo non schiavi! Vernaculus come equivalente di verna ‘schiavo’, compare in autori relativamente tardi: il luogo di Apuleio, Met. I, 26 (quid uxor, quid liberi, quid vernaculi?) è suscettibile di varia interpretazione. Non sfuggi al Walde (Etym. Worterb.? s. v.) che il confronto con vernaculus è valido argomento in difesa del- l'etimologia, secondo la quale verna risale a *uesina ‘chi ap- partiene al luogo’, radice *wes- ‘soggiornare’, ‘ dimorare ’. Se cosi è ne dobbiamo desumere che il significato primitivo di verna non fu di ‘schiavo nato in casa’, ma bensi, come nel derivato vernaculus (le due voci non differiscono sostanzialmente (1) Basti Varrone, L. L. V, 77 aquatilium vocabula partim sunt verna- cula (‘latini’) partim peregrina. TIPTERO me a tari ATI) Mii eee ee dev ang Le 584 LUIGI VALMAGGI — VERNA, VERNACULUS se non perché verna è sostantivo e vernaculus aggettivo), quello di ‘ uno del luogo’, ‘cosa del luogo’, sia il luogo la casa, sia la regione o la città, quale è attestato esplicitamente da Festo 566, 6 Th. (Romanos enim vernas adpellabant, id est ibidem natos) e rispecchiato ad esempio in parecchi noti luoghi di Marziale (I, 49, 24 Ibi illigatas mollibus damnas plagis Mactabis et vernas apros [‘ cinghiali del paese ’] Leporemque forti callidum rumpes equo ; INI, 1, 6 Debet enim Gallum vincere verna liber [‘ scritto in Roma’]; X, 30, 21 piscina rhombum pascît et lupos vernas [‘la peschiera gli mantiene in casa rombi e ragni ’]; 76, 4 de plebe Remi Numaeque verna |‘romano di Roma]; XIII, 43, 2 Lecta suburbanis mittuntur apyrina ramis Et vernae |‘ nostrani’; cfr. Plinio, N. H. XV, 47] tubures). Questa l’accezione pi antica. Come poi da ‘uno del luogo’, ‘della casa’ la parola sia venuta a significare ‘schiavo ’, e più precisamente ‘schiavo nato in casa’, con trapasso analogo a quello di cui ci offre esempio tra altre la voce ‘domestico’, non ha d’uopo di spiegazione. Avvertivo dianzi che verna non diversifica da wernaculus se non perché è sostantivo. L'affermazione contravviene all’au- . torità dei lessici, nei quali presso a verna sostantivo si suol registrare un secondo verna aggettivo. Sennonché la distinzione non ha fondamento. Verna appartiene alla serie dei sostantivi che il latino unisce per apposizione ad altro sostantivo in luogo e.con funzione d’un aggettivo. Come si diceva exercitus tiro, esercito novellino, esercito improvvisato, puer servus, giovane schiavo, volucres advenae, uccelli di passaggio, rex dominus, pa- drone regale, e altrettali, cosi si disse verna aper, verna liber, verna tubur ecc., senza che verna assumesse altra natura né ufficio dissimile da quello di sostantivo regolarmente usato in surrogazione dell’aggettivo (1). Resterebbe a indagare, sia pure approssimativamente, il tempo in cui dall’originario verna ‘del luogo’ rampollò verna ‘schiavo nato in casa’. E dovrebbe essere presto, come insegnano gli esempî dei comici. Ma di questa e d’altre questioni connesse tratterò altrove. (1) In esempi quale verna puer (Orazio, Sat. I, 2, 117) e simili il sostan- tivo che sostituisce l’aggettivo nun è verna, ma il sostantivo che l’ac- compagna. —______-——_____”°—_’°—_”°—_°—r_r*vyrrr- net 3 ln i ti MARIO VALLAURI — IL BRANO, ECC. 585 Il brano della Sarngadharasamdità sull’anatomia Nota del Prof. MARIO VALLAURI Presentata dal Socio nazionale residente Ettore Stampini Dell’'importanza attribuita in India alla Sarngadharasamhità {compendio di Sàrmngadhara (1)) fanno prova le molte edizioni del testo e i non pochi commenti e le numerose versioni del testo stesso in diverse lingue e dialetti indigeni moderni (2). Quest'opera, che si compone di tre libri brevi e concisi per contenuto e per forma, ma ricchi di dati e di notizie, tratta quasi esclusivamente della terapeutica, di quella branca cioè che costituisce l’ultimo e più proficuo stadio dell’arte medica, la quale, raccogliendo a tal punto i frutti dell’indagine anatomica, patologica, igienica, e i risultati di una graduale esperienza sugli usi più adatti e sugli effetti dei diversi ingredienti e farmachi che compongono la materia medica e la farmacologia, si ado- pera efficacemente a combattere i malanni che affliggono l'uman genere. Fra i brani notevoli del primo libro, il quale ha carattere introduttivo e contiene argomenti che possono sembrare estranei, ma che debbono essere considerati come preparatori alla tera- Avvertenza. — Nella trascrizione in lettere latine dell'alfabeto devana- garico, le consonanti con segni diacritici e l’r vocalica sono state, per ne- cessità tipografica, distinte nel corpo della parola a mezzo di carattere diverso, e le vocali lunghe hanno il segno dell’accento circonflesso. (1) Circa l’età di SS. (al più tardi sec. XIII) vedi JorLy, [Indische] Me- dicin, p. 4. i (2) Vedi Catalogue of the library of the India Office, Vol. II — Part I (Sanskrit books), p. 184. Ro e e a a e er e a 586 MARIO VALLAURI peutica (ad es.: anatomia, fisiologia, patologia), trattano del- l'anatomia (sarîra) cinquantaquattro sloka e mezzo del quinto adhydya. Nella brevità che gli è caratteristica l’autore si limita ad enunciare gli ultimi postulati dell'indagine e presuppone in chi legge la conoscenza delle ampie trattazioni anatomiche delle quali è prezioso documento il libro o sezione del sar?ra nei più importanti trattati classici. In questi trattati il sàrîra vuol. essere inteso in un signi- ficato più vasto di quel che non abbia la moderna anatomia : vi si trova infatti la storia genetica dell’essere vivente, e pre- cisamente le cause trascendentali e le fisiologiche che concor- rono alla concezione, il formarsi delle membra nella vita ute- rina, la nascita ed infine l’anatomia dell'organismo umano. Quest'ultima parte rappresenta l'anatomia propriamente detta, e quasi esclusivamente ad essa si riferisce il brano anatomico della S., al quale l’autore fa per altro seguire un breve brano cosmogonico, che, secondo la più diffusa tradizione medica, è fondato sulla dottrina filosofica del samkhya. Ma gli autori medici più antichi non sono, in tema di ana- tomia, gli unici precursori di S.; chè la nostra attenzione non può non soffermarsi sul quarto veda ‘tradizionale ( Atharvaveda), in cui la medicina, sebbene comparisca generalmente sotto la tutela della credenza religiosa, della superstizione e della magìa, pure attesta. in qualche luogo (1) uno stadio abbastanza avan- i zato di evoluzione indipendente, sul Satapathabràhmana, nei cui i ultimi libri ricorrono luoghi importanti, i quali ci informano di antiche tradizioni relative alla costituzione e alla conforma- zione dell'organismo umano, ed infine sulla letteratura giuridica dove, trattandosi dell’uomo come soggetto ed oggetto di doverì e di diritti, si accenna altresì alla sua origine ed alla sua co- stituzione psicofisica. Posto a confronto con tali precedenti, i quali hanno con esso manifesta affinità di materia, il sdrîra di S. può davvero essere considerato come una succinta ed esauriente esposizione dell'anatomia; ed è sembrato che fosse prezzo dell’opera il (1) Vedi ad es. l’inno sulla creazione dell’uomo: At. »., X, 2. PT , v N RS TOI TEEN LT PTT I TE I TÈ IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL’ANATOMIA 587 9 darne una traduzione in lingua europea, corredando la tradu- zione stessa di quelle note che apparivano necessarie ad illu- strare i dati anatomici che il testo ci fornisce. Canone-guida in tal sorta di commento è stato quello di ricercare nelle opere dei più autorevoli predecessori, le tracce delle teorie anatomiche esposte da S. e maggiormente degne di rilievo. Sonc state per- tanto messe in luce analogie e divergenze di dottrina : sull’im- portanza di queste ultime non è il caso di insistere, e basti il rilevare che dall’analisi e dal reciproco confronto fra esse, mentre sì rende manifesta la genesi naturale delle diverse teorie me- diche, emerge altresì quasi sempre la via maestra DabLaba dalla scienza nella ricerca del vero. Non si è poi omesso di consultare alcuni fra i più notevoli testi di lessicografia indigena (Amarakosa, Abhidhanacintàmani), perchè questa serie di opere cui, chi più chi meno, sogliono quasi tutti i moderni commentatori indigeni attingere grande copia di notizie dichiarative ai testi, porta un prezioso contri- buto all’ermeneutica di molti vocaboli tecnici. La rarità delle varie edizioni della S. e le perduranti dif- ficoltà dei transiti e degli scambi, le quali ripetono i loro dan- nosi effetti pur in quanto concerne il commercio librario, non mi hanno consentito di avere a mia disposizione, per la ver- sione di questo brano anatomico, altra edizione che quella (limi- tata al solo testo) pubblicata a Bombay (“ Nirnayasdgara , Press) nel 1904. Sembrami nulladimeno che la lezione del testo sia, nell’edi- zione ora accennata, in tutto accettabile e corretta, se pur si fa eccezione» per qualche palese menda tipografica che ho avuto cura di rilevare a suo luogo. Infine, tenuto conto che il testo a stampa della S. non è fra i più comuni in occidente e considerata la brevità del brano preso in esame, ho ritenuto conveniente di premettere alla versione la riproduzione del brano stesso in caratteri la- tini: per tal modo ho potuto altresì eliminare dalle note quelle citazioni del testo che sarebbero di frequente apparse neces- sarie a corredare la versione e a motivare i confronti con altri autori. le n v viett RA LA SL PEA, Ca ge ce. (at Mi Miei Sete naso 588 MARIO VALLAURI Testo. h'E dhatvasayantarasthas tu yah klegas tv adhitisthati | dehosmanà vipakvo ya sà kalety abhidhiyate || 1 || kalah saptàsayàh sapta dhataval sapta tanmalaX | saptopadhataval sapta tvacal sapta prakîrtitàà || 2 || trayo dosà navasatam snàyùnàm samdhayas tathà | dasàdhikam ca dvisatam asthnàm ca trisatam tathà [| 3 || saptottaram marmasatam siràh saptasatam tathà | caturvimsatir àkhyàtà dhamanyo rasavahikaA [| 4 [| mamsapesyah samaàkyàtà nrnàm pancasatam budhai? | strinàm ca vimsatyadhikah kandaràs caiva sodasa || 5 || nrdehe dasa randhràni nàrîdehe trayodasa | etat samàsatal proktam vistarenàadhunocyate || 6 || màmsàasrnmedasàm tisro yakrtplibnos caturthikà | pancamiî ca tathà ’ntrànàm sasthi càgnidharà matà || 7 || retodharà saptamî syàd iti sapta kalàh smrtàà | slesmàsayah syàd urasi tasmàd amasayas tv adhaà || 8 || ùrdhvam agnyàsayo nàbher vàmabhaàge vyavasthita/ | tasyopari tilam jreyam tad adhah pavanasayal || 9 || malàsayas tv adhas tasmàd bastir mùtràsayas tv adha? | jivaraktàsayam uro jneyà% saptàsayàs tv amî || 10 || purusebhyo ’dhikàs cànye nàrinàm àsayàs trayal | dharà garbhasaya) proktah stanau stanyàsayau matau || 11 || rasàsrnmàmsamedo’sthimajjàsukràni dhàtaval | jayante ’nyo ’nyatal sarve pàcità/ pittatejasà || 12 || rasàd raktam tato màmsam mamsàn medal prajàyate | medaso ’sthi tato majjà majjàyàl sukrasambhava? || 13 || jihvanetrakapolànam jalam pittam ca ranjakam | karnavid rasanàdantakaksàmed/kràdijam malam || 14 [| nakhanetramalam vaktre snigdhatvam pitikàs tathà | jayante saptadhàtànàm malàny evam anukramat || 15 || stanyam rajas ca nàrinàm kàle bhavati gacchati | suddhamaàmsabhaval snehal sà vasà parikirtità || 16 || svedo dantàs tathà kesàs tathaivaujas ca saptamam | iti dhàtubhavà jneyà ete saptopadhàtava? || 17 || stan Lori i IL BRANO DELLA Sdrngadharasamhità SULL’ANATOMIA 089 ojah sarvasarîrastham sîtam snigdham sthiram matam | somàtmakam sarîrasya balapustikaram matam || 18 || Jneyàvabhaàsinî pàrvam sidhmasthànam ca sà matà | dvitiyà lohità jreyà tilakàlakajanmabhù? [| 19 || svetà trtiyà samkyàtà sthànam carmadalasya sà | tàmrà caturthî vijneyà kilàsasvitrabhàmikà || 20 || pancamî vedani khyàtà sarvakusthodbhavas tata?” | vikhyàtà rohini sasthi granthigandapacisthitià || 21 || sthùlà tvak saptami khyàtà vidradhyàde/ sthitis ca sà | iti sapta tvacal proktàh sthùlà vriîhidvimatrayà || 22 || vàyul pittam kapho dosà dhàtavas ca malàs tathà | tatràpi pancadhà khyàtà/k pratyekam dehadharanat || 23 || sariradùsanàd dosà dhàtavo dehadhàraràt | vàtapittakaphà jneyà malinikaranàn mala? || 24 || pittam pangu kaphal pangul pangavo maladhatava? | vàyunà yatra nîyante tatra gacchanti meghavat || 25 || pavanas tesu balavàn vibhàgakaranàn matal | rajogunamayal sùksmal sîto ràkso laghus cala? || 26 || malasaye caret kosthe vahnisthàne tathà hrdi | kanthe sarvàngadesesu vàyuh pancaprakarataA || 27 || apànah syàt samanas ca prànodànau tathaiva ca | vyànas ceti samirasya nàmàny uktàny anukramat || 28 || pittam usnam dravam pîtam nilam sattvagumottaram | katutiktarasam jneyam vidagdham càmlatàm vrajet || 29 || agnyàsaye bhavet pittam agniràpam tilonmitam | tvaci kantikaram jneyam lepàbhyangadipàcakam || 30 || drsyam yakrti yat pittam tad rasam sonitam nayet | yat pittam netrayugale rùpadarsanakàri tat || 31 || yat pittam hrdaye tisthen medhàprajnàkaram ca tat | pàcakam bhràjakam caiva ranjakàlocake tathà !| 32 || sàdhakam ceti pancaiva pittanàmàny anukramat | kaphah snigdho guru svetah picchilal sitalas tathà || 33 | tamogunadhikah svaàdur vidagdho lavano bhavet | kaphas càmaàsaye mùrdhni kanthe hrdi ca samdhisu || 34 || tisthan karoti dehasya sthairyam sarvàngapaàtavam | kledanal snehanas caiva rasanas càvalambana? || 35 || slesmakas ceti nàmàni kaphasyoktàny anukramat | snàyavo bandhanam proktà dehe maàmsaàsthimedasam || 36 || "E e ug Ae DIA DET DIRO MARIO VALLAURI sandhayas càngasandhànaàd dehe proktàh kaphanvitàà | àdhàras ca tathàsàrah kàye ’sthîni budhà viduà || 37 | marmàni jivàdhàràni pràyena munayo jaguà | samdhibandhanakàrinyo dosadhàtuvahàA siràà || 38 || dhamanyo rasavàhinyo dhamanti pavanam tanau | màmsapesyo balàya syur avastambhàya dehinàm || 39 || prasàranàkuncanayor angànàm kandarà matàà } nàsànayanakarnaànàm dve dve randhre prakîrtite || 40 || mehanàpànavaktrànàm ekaikam randhram ucyate | dasamam mastake proktam randhrànîti nrnàm viduà || 41 || strîinàm trîny adhikàni syuh stanayor garbhavartmana” | sùksmacchidràni cànyàni matàni tvaci janminàm || 42 || tadvàme phupphusaplîhau daksinànge yakrn matam | udaànavaàyor adhàrah phupphusal procyate budhaiX || 43 || raktavàhisiràmùlam plihà khyàtà mabarsibhi? | yakrd ranjakapittasya sthànam raktasya samsrayah || 44 Il jalavàhisiràmùlam trsnàcchàdanakam tilam | vrkkau pustikarau proktau jatharasthasya medasa? || 45 Î vîryavàhisiràdhàrau vrsanau paurusàvahau | garbhàdhaànakaram lingam ayanam vîryamàtrayo? || 46 || hrdayam cetanàsthànam ojasas càsrayo matam | sirà dhamanyo nabhisthàk sarvàm vyàpya sthitàs tanum || 47 [| pusnanti cànisam vàyoh samyogàt sarvadhàtubhià | nàbhisthah prànapavanal sprstvà brtkamalantaram || 48 || kanthàd bahir viniryàti pàtum visnupadàmrtam | pitvà càmbarapîyùsam punar ùyàti vegata@ || 49 || prinayan deham akhilam jîvayan jatharànalam | sarîiraprànayor evam samyogàd àyur ucyate || 50 || kaàlena tadviyogàc ca pancatvam kathyate budhaiW | na jantuk kascid amarah prthivyàm jayate kvacit || 51 || ato mrtyur avàryal syàt kimtu rogàn nivàrayet | yàpyatvam yàti sàdhyas tu yàpyo gacchaty asàdhyatàm || 52 || jivitam hanty asàdhyas tu narasyà ’pratikàrima@ | ato rugbhyas tanum raksen narah karmavipàkavit || 53 || dharmàrthakàmamoksaànàm sariram sàdhanam yatah | dhàtavas tanmalà dosà nàsayanty asamàs tanum || 54 || samàl sukhàya vijreyà balàyopacayàya ca | . IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL’ANATOMIA 591 9 È| «Traduzione con note. V. 1. Quell’umidore che, situato nell'interno delle sedi dei [7] elementi, [vi] procede attraverso, e che è cotto (maturato) dal calore |interno] del corpo, si chiama sostrato. 1. La concezione dei sostrati dei 7 elementi rappresenta alcuni principî fluidi, inerenti a ciascun elemento, i quali, mentre ne costituiscono la parte essenziale, vengono poi a formare, diffondendosi verso la pe- riferia, una specie di involucro delle sedi degli elementi stessi e de- terminano in tal modo una delimitazione fra essi. Alcuni luoghi di testi medici valgono a chiarire tale concezione. (Susruta— III, 4, 2): kalaàh Kkhalv api sapta sambhavanti dhatvasayintaramaryadéh “ e si pro- ducono poi 7 sostrati, limiti delle cavità delle sedi degli elementi ,; (Vrddhavàgbhata cit. in Comm. Dallana a Su. II, 4, 3-5): yas tu dhatvasayintaresu kledo “vatisthate yathàsvam usmabhir vipakvah snayu- slesmajardayucchannah kastha iva saro dhéturasasesalpatvat kalasamjnah iti “ quell’umidore poi che sta nelle cavità delle sedi degli elementi, cotto (maturato) dai calori singoli [inerenti a ciascun elemento], rive- stito da nervi flemma e chorion, come succo nel legno, per la pochezza dei residui essenziali degli elementi si chiama Kald (lett.: particella) ,; (Astangahlrdaya — II, 3, 9b-10a): dhatvasayantarakledo vipakvah svam- svam usmanà | slesmasnayvaparicchannah kalakhyah kasthasaravat “l’umidore delle cavità delle sedi degli elementi, cotto (maturato) dal calore proprio a ciascuno, rivestito da nervi flemma e chorion, di nome sostrato, è come succo del legno ,; (e Comm. Arunadatta op. e l. cit): ... yathà rasadhatvasayantarasthah kledo rasadhatismanà vi- pakvah kalaikà bhavati, yavac chukradhatvasayantarasthah sukradhati- smanà vipakvah saptamì kalà bhavati “ ... così l’umidore che sta nel- l'interno della sede dell’elemento chilo, cotto dal calore dell'elemento chilo, è il sostrato [numero] uno, laddove [quello] che sta nell'interno della sede dell'elemento seme è il settimo sostrato ,. Stabilito il paragone: sostrato animale linfa vegetale, i rivesti- menti del sostrato animale per mezzo dei vari ingredienti organici sopra ricordati (nervi, flemma, chorion) trovano un ovvio parallelo nei diversi strati che compongono la corteccia del fusto delle piante e che rivestono pur sempre il succo o linfa vegetale, non ostante che questa scorra attraverso l’alburno o porzione esteriore del legno. I 7 sostrati rappresentano nel loro insieme uno tra i primi ingre- dienti anatomici, e appartengono già alla vita embrionale. 502 MARIO VALLAURI 2. Sette sono stati dichiarati i sostrati, sette gli organi interni cavi, sette gli elementi essenziali, sette le loro secrezioni impure, sette i sottoelementi, sette le pelli. 3. Gli umori [sono] tre, novecento i nervi, duecentodieci le arti- colazioni, trecento le ossa, 4, I punti pericolosi centosette, settecento le vene, in [numero di] ventiquattro sono stati contati i canali che portano il chilo. 5. Dai sapienti sono stati computati in [numero di] cinquecento i muscoli degli uomini, delle donne poi venti in più: e i tendini precisamente in [numero di] sedici. 6. Nel corpo dell’uomo [sono] dieci aperture, nel corpo della donna tredici: [tutto] questo, enunciato succintamente, viene ora esposto particolareggiatamente. 7. Tre della carne, del sangue e del grasso, il quarto del fe- gato e della milza, il quinto a sua volta degl’intestini, il sesto poi è considerato come contenente la bile, 2. Secondo Caraka (IV, 7, 3) le pelli sono in numero di 6. Ma il numero 7, citato dal nostro autore, è convalidato dalla Susruta—- (III, 4, 2), dal- l’Astangalrdaya— (II, 3, 85-9a), ecc.... Anche le pelli si manifestano nella prima vita embrionale. 3. Il numero di 300 citato per le ossa, è quello della teoria chirurgica (Susruta — seguita in Sarîrapadmini, Bhavaprakésa, ecc. ...), laddove la teoria medica (Caraka -, Bheda-, Astànga-, Astàngahrdaya-, ecc.), la cui modificazione più notevole è quella di comprendere fra le ossa 32 alveoli e 20 unghie, porta a 360 il numero complessivo delle ossa. 7. Riguardo alla determinazione dei sostrati, sono da rilevarsi due diverse . tradizioni di dottrina. Secondo l’una i 7 sostrati sono inerenti ai 7 ele- menti essenziali (Ahdtu) — chilo, sangue, carne, grasso, ossa, midollo, seme — i quali costituiscono uno dei capisaldi della fisiologia indiana, e tale è la tradizione cui si attiene Hemacandra (cfr. Monrer WiLLIAMSs, Sanskrit - English Dictionary?, s. v. kala); secondo l’altra invece i 7 ele- menti cui si riferiscono i 7 sostrati sono : carne, sangue, grasso, flemma, fecce, bile, seme. Che questa seconda tradizione, la quale è pur seguita dai testi di medicina, non concordi con il noto postulato dei 7 dhdtu classici, e che la prima si appalesi più razionale e conseguente, lo dimostrano oltrechè l'esame del contesto nelle opere mediche, altresì i commentatori indigeni. Così D. (Comm. Sw. III, 4, 2), per giustificare l’intromissione fra i d/hatu — cui le Kala si riferiscono — del flemma della bile e delle fecce (ma pur lasciando insoluta la causa dell’eli- minazione dei 3 dhatu: chilo, ossa, midollo), scrive: dadhatiti “ dhd- tavah ,, rasaraktamamsadayah, kaphapittapurîsany api prakrtàni sva- sità RE ERO ee IL BRANO DELLA Sarngadharasammità SULL'ANATOMIA — 593 8. Il settimo è [quello] contenente il seme: così sono stati ricordati i sette sostrati. L’organo cavo contenente il flemma sta nel petto, al di sotto di esso l'organo cavo contenente il cibo non digerito, 9. Al di sopra dell’ombelico e nella parte sinistra è situato l'organo cavo contenente la bile; più in alto di esso de- vesi riconoscere il polmone destro, inferiormente a questo l'organo cavo contenente il vento, karmanà dadhatiti “ dhatavah , “ costituiscono, perciò costituenti (elementi) essenziali: chilo, sangue, carne, ecc....; pure il flemma, la bile e le fecce non alterati, con la propria azione (funzione) costitui- scono, per cui [sono anche essi] costituenti essenziali ,. Arunadatta poi (Comm. Astangalrdaya— II, 3, 96-10, citato in nota a strofe 1), i quanto accenna al primo (del chilo) ed al settimo (del seme) sostrato, riconosce indirettamente la logica genuinità della prima tradizione. Una certa promiscuità d’uso della voce dWhatu, la quale può signi- ficare così i tre umori (dosa) come i 7 elementi essenziali, e la fre- quenza d’uso in medicina del vocabolo dsaya, adhara (ricettacolo, sede), apposto a voci come dhatu (elem. ess.), rakta (sangue), vis, pakva, mala, purîsa (fecce), ecc. ..., possono aver favorito l’intromis- sione dei due umori — flemma e bile — e delle fecce nella serie dei dhatvasaya (sede degli elementi essenziali), agevolando in tal modo il formarsi della seconda tradizione. A questa si attiene anche il i nostro autore, sebbene con qualche leggera variante dalla teoria più ) diffusa in medicina. Così il quarto sostrato è più comunemente (cfr. ad es. Susruta— III, 4, 11) quello che contiene il flemma (slesma- - dhara), mentre il fegato e la milza sono designati, insieme con le vene, come gli organi nei quali, più specialmente che nella carne, sì manifesta il sangue inerente al secondo sostrato (cfr. Susruta — III, 4,7 e Comm. Ar. a Astangahrdaya- II, 3, 96-10). Il quinto sostrato è poi detto di solito (ad es. Susruta - III, 4, 18): contenente le fecce (purîisadharà). Per il sesto sostrato cfr. Sarng. I, 6, 8. 8. I 7 organi-ricettacolo, dei quali s'inizia qui la serie descrittiva, con- tengono: il sangue, i tre umori e i materiali solidi (in 2 fasi) e liquidi di deiezione. Essi comprendono poi altri organi interni (Xosthénga, udaravayava) di ben determinata funzione, come: cuore, polmone, fegato, milza, ecc.... 9. Crea qualche difficoltà il tasyopari tilam che a prima vista farebbe pensare, per l'ubicazione del tila, alla parte sinistra del corpo, lad- dove tilaka, tila = kloma, kloman (cfr. Amarakosa II, 6, 2, 16d e Comm. D. a Su. 1II, 4, 28-31) è il polmone destro. Evidentemente qui l’upari indica soltanto “ più in alto ,, e il tila trovasi eccezionalmente intercalato nella serie degli organi-ricettacolo, per non determinare RO TT E VE a nt de ai 594 MARIO VALLAURI 10. Al di sotto di esso l’organo cavo contenente le fecce, e in basso la vescica [che è l’]organo cavo contenente l’orina; il petto ha l'organo cavo che contiene il sangue sano (puro): devonsi riconoscere tali sette organi cavi. 11. In più che agli uomini [sono] poi altri tre organi cavi [pe- culiari] delle donne: l’organo cavo contenente il feto, chiamato utero, e le due mammelle considerate [quali] organi cavi contenenti il latte. 12. Gli elementi essenziali: chilo, sangue, carne, grasso, ossa, midollo, seme, nascono tutti l’uno dall’altro, cotti (ma- turati) dal fuoco della bile. 13. Dal chilo il sangue, da questo la carne, dalla carne nasce il grasso, dal grasso le ossa, da queste il midollo, dal midollo la produzione del seme. incertezza sulla topografia relativa agli organi stessi e per richiamare chi legge; dalla parte sinistra del corpo, nella quale è sito l'organo della bile, alla parte destra. La voce tila qui usata ricorre poi una seconda volta allo slotfa 45 a, dove essa trovasi a breve distanza dalla voce phupphusa che vale il polmone sinistro. 10. Vasti ha, oltre a quello di vescica urinaria, il significato più generale di bassoventre. Cfr. Abhidhanacintàmani (ed. BònrLINGE u. Riev), p.111, n. 6: nabher adho mitraputam vastir mitrasayo ’pi ca “ al di sotto dell’ombelico è il bassoventre — 3 sinonimi —,. 11. Le due mammelle non sono citate in altri testi medici (cfr. Su. III, 5, 6; Astàngahrd. II, 3, 115) i quali limitano la serie degli organi interni ai 7 organi comuni ai 2 sessi e all'ottavo (utero) peculiare alla donna. Circa l’ubicazione di quest’ultimo cfr. Astàngarrd. 1]. c.: garbhasayo ’stamah strînàm pittapakvisayaintare “l'ottavo [proprio] delle donne è l’organo contenente il feto, fra l'organo che contiene la bile e quello contenente le fecce ,. 12. La bile, come umore, costituisce il principio termico nel dinamismo corporeo. Da essa emanano le azioni termiche caratteristiche delle diverse funzioni e dei diversi ingredienti dell'organismo. 13. Questo sloka ricorre in Su. I, 14, 6. D., commentandolo, espone minu- tamente ‘il processo evolutivo degli elementi e spiega altresì il per- manere degli elementi stessi, non ostante la loro successiva trasfor- mazione: nanu yadi parinamanti rasàdayo raktàdibhàvena tarhi sar- vesiàm ucchedah syàt? santatyà parinàma iti cet tarhi sarvesàm pùrvesim alpatà syàt uttaresàm bahulyam iti? naitat | tesìm rasidinim malasthi- linubhéigavisesena trividhah parinamo bhavati | tad yathà annàt pacya- manàt vinmitram malah, malàt [annat2] saro rasah | rasàd agnipakvat malah kaphah, sthùlo bhàgo rasah, anubhdgo raktam | raktàd agnipakvat pe di ri Rs IL BRANO DELLA Sdrngadharasamhità suLL'ANATOMIA = 595 14. L'acqua della lingua, degli occhi e delle guance, la bile co- lorante, il cerume e la materia impura che proviene dalla lingua, dai denti, dalle ascelle, dal pene ecc... malah pittam, sthilabhagah sonitam, anubhagas tu mamsam iti | tato ’ pi Gtmapavakapacyamanin malal’srotranasaksiprajananddisrotomalah , sthàlo bhàgo mamsam, saksmo medah | tato ’pi nijavahnipacyamintin malah svedah, sthilamso meda eva, siksmabhago ’sthi | tato “pi pacya- manàan malah kesalomasmasrini, sthilo ’sthi, stksmas tu majjà | tato "pi majnah pavakapacyamanan malo nayanapurîisatvacim snehah, stholo bhago majjà, stiksmah sukram | tatah punah pacyamanad atra malo notpadyate sahasradhà dhmaitasuvarnavat, sthilo bhagah sukram eva | snehabhagah s&ksmas tejah ojah | “se il chilo e gli altri [elementi] si trasformano col passaggio nel sangue e negli altri, non vi è forse in tal caso l'esaurimento di tutti? Se v'è una trasformazione con conti- nuità, avviene allora un impicciolimento di tutti quelli che precedono e un incremento di quelli che seguono? — Non è così! La trasfor- mazione del chilo e degli altri si manifesta tripartita, per la diffe- renziazione tra secrezione impura, parte grossa e parte sottile, cioè: fecce ed orina sono la secrezione impura [che proviene] dal cibo di- gerito, il chilo ne è l'estratto [seguo la mia congettura: anndt]; secrezione impura del chilo cotto dal fuoco è il flemma, parte grossa il chilo, parte sottile il sangue; secrezione impura del sangue cotto dal fuoco è la bile, parte grossa il sangue, ma parte sottile la carne; secrezione impura di questa, cotta dal proprio fuoco, sono le secre- zioni impure delle aperture degli orecchi, del naso, degli occhi, degli organi della generazione, ecc...., parte grossa la carne, sottile il grasso; secrezione impura di questo, cotto dal proprio fuoco, è il sudore, parte grossa certo il grasso, parte sottile le ossa; secrezione impura di queste, cotte, sono i capelli, i peli, la barba, parte grossa le ossa, sottile poi il midollo; secrezione impura di questo, cotto dal fuoco del midollo, è l’untuosità degli occhi, delle fecce, della pelle, parte grossa il midollo, sottile il seme; da questo poi cotto non vien fuori secrezione impura, pari [qual'è in purezza] a mille volte l’oro fuso, parte grossa è certamente il seme, parte oleosa, sottile, la quin- tessenza [o] vigore vitale ,. Secondo Vagbhata?, l’ojas (vigore vitale) è il mala (secrezione) del seme (Astaàngarrd. II, 3, 630-640): Kaphah pittam malah Kkhesu prasvedo nakharoma ca, sneho ’ksitvagvisàm ojo dhatinim Rkramaso malah “ flemma, bile, secrezioni impure nelle aperture, sudore, unghie e peli, untuosità degli occhi, della pelle e delle fecce, vigore vitale: sono per ordine le secrezioni degli elementi essenziali ,; e Comm. Ar. (l. c.): yad ojah sarvadhatinam tejah sarî- rasambhavam sa sukrasya malah “il vigore vitale, quintessenza di tutti gli elementi, contenuto nel corpo, è la secrezione del seme, 14. L'acqua della lingua ecec.... costituisce la secrezione impura del chilo, Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 41 659 MARIO VALLAURI 15. Le unghie, la cispa, l’untuosità nella bocca e infine le pustole: così per ordine, si producono le secrezioni impure dei sette elementi. 16. Il latte e il sangue mestruale delle donne [e] si manifestano [e] scompaiono [ciascuno] al tempo fissato; quella sostanza grassa prodotta dalla carne pura (genuina) è denominata grasso della carne (= adipe); 17. Il sudore, i denti, i peli e, come settimo, il vigore vitale: questi devonsi riconoscere come i sette sottoelementi che traggono origine dagli elementi essenziali. 18. Il vigore vitale è riconosciuto siccome diffuso per tutto il corpo, freddo, oleoso, determinante la saldezza [delle parti del corpo], della natura di Soma e alimentante l’energia del corpo. quella che generalmente è chiamata flemma e con esso identificata. La bile in generale è la secrezione impura propria del sangue; il nostro testo precisa invece una delle 5 forme della bile, la colorante (ranjaka) così denominata perchè, stando nell’organo cavo contenente il cibo non digerito (ovvero nel fegato e nella milza: vedi sotto, sloka 31 e 44), colora il chilo. Cfr. Astangarrd. I, 12, 13 a: damasavas- rayam pittam ranjakam rasaranjanàt. Secondo Sarng. I, 6, 95-10a tale trasformazione avviene nel cuore. La terza classe di secrezioni impure, inerenti alla carne, comprende quelle che emanano dalle aperture (secondo il nostro testo anche “cavità , come le ascelle) del corpo. 15. La cispa, citata qui evidentemente come secrezione impura del grasso (sebbene questa secrezione si identifichi più comunemente col sudore) dovrebbe precedere le unghie le quali (per lo più insieme con i peli) sono la nota secrezione impura delle ossa. L’untuosità, quale secre- zione impura del midollo, qui riferita alla bocca, è più comunemente riferita agli occhi, alla pelle e alle fecce (vedi nota a sloka 18). L’ultima secrezione impura, quella del seme, è costituita, secondo il nostro autore, dalle pustole: diversa teoria da questa e diversa altresì fra loro, seguono ad es. Vagbhata e D. (vedi nota a sloka 13). 17. La teoria dei sottoelementi, accennata in questo e nello sloka prece- dente e sconosciuta, a quanto sembra, alla medicina più antica, com- prende taluni elementi e secrezioni secondarie del corpo. 18. Per le qualità e le funzioni del vigore vitale (0jas) cfr. anche Sw. I, 15, 14a e segg. — Per l’aggettivo sthira ho seguito l’interpretazione di D. il quale fa sthira = sarîravayavasthairyakari. Che poi l’agg. somdat- maka = saumya (avente la natura di Soma) equivalga qui, in ultima. analisi, a “ liquido ,, sembra attendibile sull’autorità di D. (Comm. a Su. III, 4, 1): s/esmarasasukradinàm toyatmakrànàm bhavanim rasanen- È | i 19: 20. 21. 22. 23. 24. IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità suLL’aNaTOMIA — 597 Primieramente devesi ravvisare la lucente (trasparente) ed essa è riconosciuta come la sede della lebbra sidhma; come seconda devesi riconoscere la rossiccia che è luogo di nascita delle macchie nere, Bianca è chiamata la terza: essa è sede della lebbra car- madala; la rosso-rame devesi riconoscere come quarta, sede delle lebbre Xilasa e svitra; La quinta è detta la sensibile: da essa l’origine di tutte le forme di lebbra; la sesta è chiamata la rossa, sede di gonfiori, scrofola, tumori; La settima pelle è detta la massiccia, e questa è la sede degli ascessi ecc....: in tal modo sono state dichiarate le sette pelli. La massiccia [è così detta] perchè ha la mi- sura di due volte un grano di riso. Il vento, la bile e il flemma sono umori nocivi ed elementi essenziali, ed anche secrezioni impure; sono inoltre de- nominati singolarmente in cinque modi, in quanto man- tengono il corpo (=in quanto sono elementi essenziali). Il vento, la bile e il flemma devonsi riconoscere quali umori nocivi, in quanto arrecano affezioni al corpo; come ele- menti essenziali, in quanto sostengono il corpo; come secrezioni impure, in quanto inquinano. driyasya ca saktiràpatayaàvasthito manaso ’dhidaivatvam Gpannah “Soma, iti “ Soma [come quegli] che è caratterizzato dalla condizione di essere compenetrato di potere sui costituenti organici liquidi quali il femma, il chilo, il seme ece.... e sull’organo del gusto, [e] che ha ottenutà la condizione di divinità che presiede al manas.,. Per quest’ultima concezione vedi Garse, Die Samkya-Philosophie®, p. 824 nota ?). L'ojas corrisponderebbe alla linfa. 19. La lucente (trasparente) costituisce lo strato più esterno, l'epidermide. 21. La sensibile (vedan?), in quanto detta pelle o strato di pelle corrisponde alla cute, la quale è dotata del senso del tatto. 22. Per l’identificazione delle diverse lebbre, ascessi, tumori ecc.... vedi x JoLLy, op. cit., I. Wortverzeichnis. La settima pelle è chiamata in Su. III, 4, 2: mamsadharà. L'identificazione di essa con la sth#la del nostro testo è confermata dal fatto che le misurazioni dell’una e del- l’altra coincidono. Ofr. Su. 1. c.: saptamiî mamsadharà nima bhrihidva- yapramanà “ la settima chiamata mamsadharà, della misura di due grani di riso ,. 24. In questo e nello sloka precedente sono fissate l’importanza e l’onni- presenza nell’organismo, nonchè il carattere poliforme, pur rimanendo 598 A rta et e o ea ri MARIO VALLAURI 25. La bile è zoppa, il flemma è zoppo, le secrezioni impure e gli elementi essenziali sono zoppi: dove sono portati dal vento, quivi vanno a guisa di nube. 26. Fra questi il vento è riconosciuto come dotato di forza a causa della sua azione separatrice, accompagnato dal costituente rajas, sottile, freddo, secco, leggiero, mobile. 27. Il vento sta nel basso ventre, sede dei materiali escremen- tizi, nella sede del fuoco della digestione, nel cuore, nel collo, in tutte le parti del corpo, sotto cinque forme. identica la sostanza, dei 3 umori i quali costituiscono il cardine fon- damentale della dottrina medica indiana. Dhdatu è l'umore al suo stato normale, causa di benessere per l'organismo; dosa è l'umore allo stato anormale, causa di malessere per l'organismo; mala infine è l’umore in quanto agisce da impurità o secrezione impura, come è il caso del flemma (cfr. Rasaratndkara ed. Jîv., Calc. 1878; p. 214 1. 7: prakrtas tu valam slesmà vikrto mala ucyate “ il flemma allo stato normale, è forza, alterato si chiama mala ,) e della bile (che fanno parte della serie delle secrezioni impure), ed anche del vento, ovvero determina le impurità a quel modo che operano il vento samana e l’apina dei quali il primo, scomponendo gli alimenti, forma fra l’altro le fecce e l'’orina, il secondo poi spinge verso il basso le secrezioni solide e le liquide. 25. Questo sloka ricorre in Rasa— p. 215, ll. 11-12, con la variante varsanti 26. in luogo di gacchanti. Per le secrezioni impure e gli elementi essen- ziali qui nominati, vedi sloka 12-15. Il vento organico è rappresentato come motore della materia organica inerte. Cfr. D. (Comm. a Sw. III, 4, 1): vdyus ca dosadhatumalidîinim sancaranocchvisanibsvasabhyin ca (sott. prinayati) — dove probabilmente deve leggersi sancarenocchvésa — “il vento fa vivere (è elemento di vita) mediante la propulsione degli umori, degli elementi essenziali, delle secrezioni impure ecc...., e mediante l’ispirazione e l’espirazione ,. Fra questi, cioè “ fra i tre umori, sopra ricordati. L'azione: sepa- ratrice del vento si manifesta fra l’altro nella scomposizione degli alimenti. “ Accompagnato dal costituente rajas ; (cfr. Su. II, 1, 6@B: rajobahula eva ca È e certo abbondante di rajas ,; e II, 1, 13: rajo- bahulo vayuh “il vento è abbondante di rajas ,, dove D. commenta: calatvòt “ a cagione della mobilità ,): l'associazione di idee riesce evidente attesochè il rajas (2° guna) porta seco l’idea di attività, sforzo, che sono qualità caratteristiche del vento. Cfr. — per le qualità del vento qui ricordate — Caraka- I, 1, 30. 27. “ Sede del fuoco della digestione , è propriamente l'ombelico, Cfr. JoLLy; Die Cikitsàkalikà des Tisatàcarya, in Z.D. M. G., LX, 1906, pp. 436, 459. 28. 29. 30. Sl. 82. 39. IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL'ANATOMIA 599 V'è l’apana e il samana, poi il préna e l’udana e il vyana: così sono stati enunciati per ordine i nomi del vento. La bile è da riconoscersi come calda, liquida, gialla, bruna, accompagnata dal costituente sattra, di gusto pungente e amaro; e quando è cotta (digerita) diviene acida. Nell’organo interno contenente il fuoco della digestione si - manifesta la bile sotto l’aspetto di fuoco, della misura di un seme di sesamo; nella pelle devesi riconoscere quella che conferisce lucidità e cuoce (assorbe) gli un- guenti, le unzioni ecc.; La bile che è visibile nel fegato è quella che trasforma il chilo in sangue; la bile poi che sta nei due occhi è quella che determina la visione delle immagini; La bile che sta nel cuore produce la memoria e l’intelli- genza: pacaka, bhrajaka, ranjaka, dlocaka, Sadhaka: questi certamente sono per ordine i cinque nomi della bile. Il flemma [è] untuoso, pesante, bianco, viscoso, freddo, 28. Le 5 forme del vento organico corrispondono successivamente alle 5 sedi 29. di azione del vento stesso, enumerate nello sloka precedente. Per tali forme cfr. OLpeNnBERG, Die Weltanschauung der Brahmanatexte, 1919, p. 65 e segg.; Deussen, Das System des Vedanta, 1888, pp. 362-63; GarBE, ‘op. cit., pp. 318-19. Esse ricorrono, ad eccezione dell’udana, in Athv. X, 2, 13. In altro luogo (XI, 8, 4) dove è taciuto il samana, gli altri 4 sono così raggruppati: prindpanau ..... vyànodanau. “Accompagnata dal costituente sattva ,; probabilmente perchè sono inerenti alla bile alcune funzioni psicofisiche e morali: tali la fun- zione visiva determinata dalla bile dlocaka, e le facoltà intellettive e spirituali attivate dalla bile sadhaka. Agni (fuoco), uno dei 5 elementi naturali che ha varî punti di con- tatto con la bile e che ne vale altresì un sinonimo, è detto in Su. III, 1, 13: sattvarajobuhula “ abbondante di sattva e rajas , e ciò, secon- dochè spiega D., prakasakatvat culatvàc ca “ a cagione della qualità di illuminare e della mobilità ,, dove la qualità di illuminare, presa in senso traslato, può agevolare la comprensione del sattva inerente, secondo il nostro testo, alla bile. Cfr. — per le qualità della bile qui ricordate — Caraka- I, 1, 30 e Su. I, 21, 8. 30. L'organo interno ece.... è l'ombelico. Vedi nota a sloka 27. 31. Errata-corrige al testo: leggi netrayugale invece di netrayugule. 83. Cfr. — per le qualità del flemma — Caraka- I, 1, 30 e Su. I, 21, 12. PORRE II SA PET EVRI IE EGEO VE VOI PRESE SANTA gt E RSIO TI TANIROTR TE PLL EA SEE RIS DOTI NNT i il” ni N Ù ; EI Tare A. RR , LIL 600 MARIO VALLAURI 34. Preponderante nel costituente tamas, dolce, cotto (digerito) diviene salato. Il flemma poi nello stomaco, nella testa, nel collo, nel cuore e nelle articolazioni 85. Standosene, determina la saldezza del corpo e la destrezza di tutto il corpo: Kledana, snehana, rasana, avalambana, 86. Slesmaka: così sono stati dichiarati per ordine i nomi del flemma. I nervi sono stati definiti il legame della carne, delle ossa e del grasso, nel corpo. 87. Le articolazioni (giunture) vengono [così] chiamate in quanto esse, provviste di flemma, congiungono le membra nel corpo. Le ossa sono sostegno e parte essenziale nel corpo: i sapienti [ciò] sanno. 38. I saggi hanno chiamato punti vitali (deboli, pericolosi) quelli che verosimilmente sono sede della vita (principio vitale). Le vene, le quali portano umori ed elementi essenziali, formano il legame delle articolazioni. 34. “ Preponderante nel costituente tamas , è, come sembra, detto il flemma in quanto ad esso si riconnettono le idee materiali di pesantezza, compattezza, uniformità ecc.... Così l'acqua, uno dei 5 elementi na- turali rispetto a cui il ina ha in comune la qualità Fon dariHatRi di essere fluido, è detta in Sw. III, 1, 13: sattvatamobahula “* abbon- dante di sattva e tamas, che D. commenta — relativamente al tamas —: gurutvid Gvaranatvàce ca “ a cagione della pesantezza e della qualità di ostruire (ricoprire) ,. Tali caratteristiche sono altresì co- muni al fiemma. 35. In AstaàngarQrd. I, 12, 16-18, le 5 forme del flemma sono denominate — ponendole in corrispondenza all'ordine seguito dal nostro testo —: kledaka, tarpaka, bodhaka, avalambaka, slesaka. 37. Il flemma delle articolazioni è il quinto della serie sopra citata: slesmaka ovv. slesaka, il quale ha funzione lubrificante e corrisponde alla sinovia. Cfr. Su. III, 4, 12: snehabhyakte yathà tv akse cakram sàdhu pravartate, sandhayah sadhu vartante samslistàh slesmana tathé “come su di una sala unta di lubrificante la ruota procede bene, così agiscono bene le articolazioni collegate dal flemma ,. Per la funzione delle ossa, qui accennata, cfr. Su. I, 15, 1; III, 5, 185 e 19d e Ad&i* dhanacintàmani (ed. cit.), p. 114, n. 64-66. 38. “ Umori ed elementi essenziali ,: si allude ai 3 umori ed al sangue (cfr. Su. III, 7 passim) ed anche all’ojas (vigore vitale, linfa) (cfr. Astén- gahrd. II, 3, 1806-19 a). niet dbticentientitt Let PE TTI de riti IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL'ANATOMIA 601 39. I canali, i quali portano il chilo, soffiano (animano) il vento nel corpo. I muscoli ridondano a forza e a saldezza dei mortali. 40. I tendini sono riconosciuti nella distensione e nella contra- zione delle membra. Del naso, degli occhi e degli orecchi sono dichiarate rispettivamente due aperture; 41. Del pene, dell’ano e della bocca è enunciata rispettivamente una sola apertura; una decima è dichiarata nel cranio: così [i saggi] conoscono le aperture [proprie] degli uomini; 42. Delle donne poi ve ne sono tre in più [cioè quelle] delle due mammelle e della vagina. Sono state inoltre rico- nosciute altre piccole aperture sulla pelle degli uomini. 43. Nella parte sinistra di questi, il polmone sinistro e la milza, nella parte destra è riconosciuto il fegato. Il polmone sinistro è dichiarato dai sapienti l'organo contenente il vento udana. 39. È accennata l'etimologia della voce dhamanî dalla radice diam o dhmà = soffiare. Cfr. D. — Comm. a Su. III, 9,1 — e Comm. A. a Astangahrd. II, 3. 39. Le dhamanî corrispondono nel nostro testo ai vasi chiliferi (cfr. Su. I, 14, 1), laddove funzioni più complesse sono loro attribuite in Su. III, 9 passim. Circa la natura dei muscoli cfr. D. (Comm. a Sw. III, 5, 34): mamsévayavasanghatah parasparanì vibhaktah “ pesì , ity ucyate “l'unione di porzioni di carne, distinta l’una dal. l’altra, chiamasi muscolo ,, e Abdhidhana— (ed. cit.), p. 113, n. 58: pesyas tu tal- [sott. màmsa-] latàh “i muscoli poi sono i rami di essa (della carne) ,. 40. I tengini sono definiti dall’anat. ind. “ grossi nervi,. Cfr. Abhidhana - (ed. cit.) p. 115, n. 81: Xandarà tu mahasnàyur — (ugualmente in Comm. D. a Su. III, 5, 8) “ tendine è un grosso nervo, e p. 851, str. 631... — 81: Kandarà snayusamghàta iti vaidyàh “ tendine è la unione di nervi: così i medici ,. 41. Secondo la teoria più diffusa, le aperture (kha, srotas, chidra, randhra del corpo maschile sono in numero di 9 (cfr. Sv. III, 5,8; Astàngarrd. II, 3, 405-41a; Ydajnavalkya- INI, 99; ecc....). Anche nell’Atharvaveda (X, 2, 6) i Xha della sola testa sono ricordati in numero di 7, Il nostro autore aggiunge la fontanella cranica. 43. Il polmone sinistro (phupphusa — voce evidentemente onomatopeica, rivelatrice dei battiti del cuore, che si trasmettono sino alla parete esterna della parte sinistra del petto —) è qui designato come il ricettacolo del vento udana. Più generica l’indicazione in Astàngahrd. I, 12, 5ba:;: urah sthanam udanasya “il petto è sede dell’udana ,. Per Mie” Lt logi «Se è LR a RT NT I DI e O PRIN CAZZO I ATO — PI URRA 602 MARIO VALLAURI 44. La milza è stata dichiarata dai saggi la radice delle vene che portano il sangue. Il fegato [è] sede della bile colo- rante e dimora del sangue. 45. Il polmone destro [è] radice delle vene che portano l’acqua, ed estintore della sete. I reni sono stati dichiarati come quelli che alimentano il grasso che sta nell’addome. 46. I due testicoli, produttori del seme, [sono] sede delle vene che portano il seme. Il pene, via del seme e dell’orina, determina l’impregnazione. il fegato e la milza cfr. D. (Comm. a Su. III, 4, 22): “yakrt,, kala- khandam daksinapàrsvastham “ fegato = kala- (cioè: porzione azzurro- scura) che trovasi nel lato destro ,; Abhidhana- (ed. cit.), p. 110, str. 605: daksine tilakam kloma vame tu raktaphenajah, puspasah syàd atha plihà gulmo ... “ il polmone destro (2 sin.) nella parte destra [al pari del fegato prima citato] ma nella parte sinistra il polmone si- nistro (2 sin.) e poi la milza (2 sin.),. p 44. In anatomia la milza e il fegato trovansi quasi sempre citati insieme. Per la loro affinità di funzione, secondo la med. ind., ‘cfr. Caraka— III, 5, 4: sonitavahinàm srotasàm yakrn milam plihà ca * fegato e milza sono la radice dei canali che portano il sangue ,, e similmente Su. INI, 9, 10; Sw. I, 21, 13: sonîtasya sthanam yakrtplihàanau “ fegato e milza sono sede del sangue ,. La bile ranjaka — di cui sopra a sloka 31 — determina, nel fegato e nella milza, la colorazione del chilo, tras- formandolo in sangue. Cfr. Su. I, 14, 1: sa Khalv apyo raso yakrtplîhànau prapya ràgam upaiti “ certo il chilo acqueo, essendo venuto al fegato e alla milza, prende colore (rosso),. Fegato e milza traggono origine, nella vita embrionale, dal sangue (cfr. Su. III, 4, 22). 45. Il polmone destro è già stato ricordato allo sloka 9b. A causa della speciale funzione assegnatagli dalla med. ind., il tila è altresì inter- pretato quale organo-vescica. Cfr. Caraka—- III, 5, 4: udakavahanam ca srotasàm tilu milam kloma ca “ palato e polmone destro sono la radice dei canali che portano l’acqua ,, e ugualmente Sw. III, 9, 10; Abhidhana- (ed. cit.) p. 349, Schol. a str. 605, 98: Ardayasya daksine parsve tilakam udaryo jaladharah “sul lato destro del cuore il tilaka che è ricettacolo dell’acqua, sito nella parte davanti (udarya — come opposto a prsthya = dorsale, posteriore). Vedi anche Wunirney, A. V. transl.; II, 38, 3: The comm. defines Xloman as “a kind of flesh-mass in the neighborhood of te heart ,. I reni sono detti da D. (Comm. a Su. III, 4, 28) Kuksigolakau “ globi addominali ,. Per la loro funzione cfr. Caraka- III, 5, 4 e Su. III, 9, 10. 46. Per i testicoli cfr. Caraka- III, 5, 4: sukravahanam srotasàm vrsanau milam sephas ca “i due testicoli e il pene sono la radice dei canali che portano il seme,. | 4 | | IL BRANO DELLA Sdarngadharasamhità SULL’ANATOMIA 603. 47. Il cuore è riconosciuto come la sede dell’intelligenza e ri- cettacolo del vigore vitale. Le vene ed i canali, situati nell'’ombelico, si diffondono per tutto il corpo, 48. E lo alimentano continuamente per mezzo di tutti gli ele- menti essenziali in contatto col vento. Il vento prana (aria vitale), sito nell’ombelico, dopo aver toccato l’interno del loto del cuore, 49. Esce fuori dalla trachea a bere l’ambrosia celeste; e, dopo aver bevuto l’ambrosia celeste, di nuovo entra con impeto, 50. Confortando tutto il corpo, ravvivando il fuoco dello sto- maco: così la durata della vita è definita dall’unione del corpo e dell’aria vitale; 51. E per la separazione di quei due nel corso del tempo, si dichiara dai sapienti la morte. Nessun essere [che sia] esente da morte nasce mai sulla terra: 47. Per il cuore cfr. Caraka— IV, 7, 7: Ardayam cetanàdhisthanam ekam “il cuore è la vera sede dell’intelligenza ,, Su. III, 4, 29: tad dhrdayam visesena cetanàsthànam È“ il cuore specialmente è sede del- l'intelligenza ,, D. (Comm. a Sw. III, 3, 26: “ojah , asesadhatudhama hrdi sthitam “ — vigore vitale — la quintessenza di tutti gli elementi, stante nel cuore ,. Per il sistema radiale, avente il proprio centro nell’ombelico, delle vene e dei canali, cfr. Su. ILI, 7, 2-3; e 9, 1. 48. Per il vento motore e l’azione che esso esercita sugli elementi essen- ziali vedi sloka 25. Il vento prana è l’aria vitale per eccellenza, quella dell’ispirazione ed espirazione, le quali sono segno manifesto di vita. L’imagine del cuore pari a fiore di loto ricorre anche in Sw. III, 4, 30. 49-50. Questa rappresentazione della respirazione e della purificazione del- l’aria espirata, per opera dell’ambrosia celeste, adombra in forma. poetica la realtà fisica dove, all’ambrosia celeste, corrisponde l’ossi- geno che trovasi nell’atmosfera e del quale è noto il potere vivificante. ol. Riportando la considerazione fisiologica generale altresì al fenomeno apparente, notasi che uno dei più palesi sintomi di morte è quello della cessazione della respirazione. Circa l’aure vitali, costituenti l’es- senza vitale, ed il corpo, costituente invece la parte caduca dell’or- ganismo cfr. Satapathabràhmana X, 1, 4,1: ubhayam haitad agre Pra- japatir Asa, martyam caivàmrtam ca tasya prina evamrtà dsuh sarîram martyam “ora al principio Prajapati era queste due cose, il mortale e l’immortale: le di lui aure vitali soltanto, erano immortali; il di lui corpo, mortale ,. Cfr. anche Rasa- p. 214 1. 1...: vayur dyur valam vdyur dhatà vayuh sarîrinàm ... sa prinah praninim smrtah “il vento è potere vitale, il vento è forza, il vento è conservatore dei viventi ... esso è ricordato come l’aria vitale dei viventi,. Il concetto che la 604 MARIO VALLAURI — IL BRANO, ECC. 52. Perciò la morte è inevitabile. Ma [l’uomo] può contenere le malattie. Per contro una [malattia] guaribile diviene mi- tigabile, una mitigabile diviene inguaribile, 53. Una inguaribile uccide la vita, per un uomo che non vi apponga rimedio. Perciò l’uomo che conosce la matura- zione delle azioni difenda il corpo dalle malattie. 54. Poichè il corpo è strumento efficiente del merito religioso, della ricchezza, del piacere sessuale e della liberazione finale. Gli elementi essenziali, le loro secrezioni impure, gli umori distruggono il corpo quando sono in disquilibrio; 55a. Ma quando sono in equilibrio devonsi riconoscere [come ridondanti] a benessere, vigore e prosperità. morte è inevitabile trovasi espresso analogamente in Rém. ed. Bomb. VII, 30, 90-10. 52-53. A celebrare l’importanza dell’Ayurveda l’autore cita la nota grada- zione stabilita dalla teoria medica indiana in rapporto all’entità o gravità delle malattie: malattia guaribile (s@dhya), m. mitigabile (yapya), m. inguaribile (asédhya); ed aggiunge che ognuno degli stadî ora citati passa o si trasforma nel successivo allorquando non sia sot- toposto alle cure volute dall'arte medica. All’ultimo stadio sussegue in tal caso la morte. Il concetto espresso nello sloka 52-53 a ricorre, con qualche variante di lezione, in Su. I, 23, 4. 54-55 a. La veste organica dell’essere nella vita individuale vale l’ingre- diente per cui si possono conseguire i 4 oggetti dell’esistenza; altrove 3. Cfr. Jivanandana — ed. Bombay, 1891 — str. 2* della nandî: pragjanmiyatapahphalam tanubhrtàm prapyeta manusyakam tac ca prà- ptavatà kim anyad ucitam proiptum trivargam vinàî | tatpràpter api sadhanam prathamato deho rujàvarjitas tenàrogyarm abhipsitam disatu vo devah pastinàm patih || © per gli esseri viventi la natura umana viene ottenuta quale frutto di meriti inerenti alla. vita anteriore; da chi poi l’ha ottenuta, quale altra cosa è piacevole ad ottenersi all'in. fuori del trivarga? — Ma dell’ottenimento di esso è strumento effi- ciente, in primo luogo, un corpo privo di malattie; epperò il dio Siva conceda a voi la bramata immunità da malattie ,. È poi citato l’assioma fondamentale della patologia ind.: lo squilibrio e l’alterazione dei costituenti organici sono la causa di ogni malattia. Quanto al rapporto patologico fra umori, elementi essenziali e secre- zioni impure, cfr. Astangahrd. I, 11, 85 b: dosà dustà rasair dhàtin disayanty wbhaye malàn “gli umori alterati dai gusti [dolce, sa- lato ecc....] alterano gli elementi essenziali; gli uni e gli altri [alte- rano poi] le secrezioni impure ,. Per le funzioni fisiologiche delle 3 classi di costituenti organici cfr. Sw. I, 15 passim e Comm. D. tec a Lia GIUSEPPE TUCCI — LA KEDAZIONE POETICA, ECC. 605 La redazione poetica del Karandavyona Note ed appunti di GIUSEPPE TUCCI Presentata dal Presidente Senatore Francesco Ruffini Siccome la redazione in prosa del Karandavyiha non era stata ancora pubblicata, chiesi alla Biblioteca della “ Société Asiatique , di Parigi il Ms. Burnouf N° 4 con l’intento di curare un’edizione completa dell’opera, e grazie al ben noto interessa- mento del venerato Presidente della Società stessa Émile Senart, che mi è qui grato pubblicamente ringraziare, ottenni il prestito del ms. per un periodo complessivo di circa sette mesi. Quando però ebbi copiato l’intero ms. e mi accorsi che la recensione metrica non aggiungeva nulla di singolarmente no- tevole alla molto più breve in prosa, siccome anche il valore artistico dell’opera è ben scarso per non dire addirittura nullo, ove se ne tolgano alcune inserzioni tratte da altre fonti, pensai che sarebbe stata fatica pressochè vana da parte mia cimentarmi ad una edizione completa del poema, da cui nulla di nuovo ab- biamo da apprendere; mentre più opportuno mi sembrò darne un'analisi accurata, farne lo studio delle fonti e citarne quei soli passi che per speciali motivi offrano un particolare interesse. Già il Burnour nella sua Introduction à l’histoire du Boud- — dhisme indien, II ed., p. 206, ha dato un riassunto schematico dell’opera fedelissimo nel suo insieme, ma che non sarà male completare elencando i vari capitoli in cui Kar. si divide; — Cap. 1° (f. 12 a) iti triratnabhajanànugamsàvadanam samaptam. » 2° (£.20b-21a) ity avicisamoràsanadharmaràjàbhibodhana- prakaranam. (1) _t————É@ (1) Samàgrita ? — 606 GIUSEPPE TUCCI Cap. 3° (f. 33 b) iti mahegvaràdhidevasamutpàdanaprakaranam samàptam. 4° (f. 47 a) iti sarvàkàrasarvasattvaprabodhanasaddharma- samcàranam prakaranam samaptam. 5° (f. 52 a) iti durdantadànavaprabodhanabodhicaryàvatà- ranaprakaranam. 6° (f. 55 b) ity adhomukhasattvoddharanaprakaranam. 7° (f. 58 b) iti rùpamayîbhùmicatuspàdapurusoddharana- prakaranam. (1) 8° (f. 86 b) iti Balisambodhanabodhimàrgàvatàrapraka- ranam samàptam. 9° (f.91b) iti tamondhakàrabhùmiyaksaràksasaparibodha- nasaddharmàvatàrananavamaprakaranam. 10° (f. 95 b) iti cuddhaàvasikakundaladevaputroddharana- prakaranam. 11° (È. (99.by iti SitalallviphràKastpartbp bas, cas prakaranam samaptam. 12° (f. 100 b) iti vàrànagikrmikîtoddharanaprakaranam sa- maptam. 13° (f. 103 b) iti maàgadhikasattvaprabodhanoddharanapra- karanam samàaptam. 14° (f. 107 b) iti jetàràmavigvabhùdarganasukhàvatîpra- tyudgamaprakaranam samaptam. 15° (f. 136 b) iti Simhalasàrthavahoddharanaprakaranam samàptam. 16° (f. 171) iti sarvasattvoddharanasambodhimaàrgasthà- panamahegvaramahàdevisambodhivyàkaranopadega- prakaranam samàptam. 17° (f. 175 a) iti sarvasabhàlokasaddharmagravanotsaha- sampramoditasvasvàlayapratigamanaprakaranam sa- maptam. 18° (f. 187 b) iti ciksàsamcarasamuddegaprakaranam sa- maptam. 19° (f. 195 b) iti jinacrîràjapariprechàjayagrîisambhasitam crîmadaryàvalokitegvarasya Guarantee vv a A rà)am samàptam. (1) Bodhana ripetuto due volte. Alia ddt ML tc ict si Detti LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 607 Questo sommario dunque ci permette di cogliere a prima vista le differenze che corrono fra il Kar. e il kàr., e che in massima parte si riducono, in quello, alla frequente ripetizione degli stessi episodî del kàr. (1), sebbene in forma lievemente diversa, o attribuiti a personaggi nuovi. Mentre il kàr. ci porta direttamente în medias res, il Kàr. comincia con un lungo pre- ambolo, il cui sunto puoi vedere in Burnouf, p. 197 (2? ediz.), e sul quale ritorneremo più appresso. Il contenuto dei capp. 2° e 3° ha riscontro nel kàr., il quale però presenta, com'è suo solito, una redazione molto più schematica e semplice; dei capp. 4°-7° non trovo traccia nel kàr. I capp. 8°-14° corrispon- dono al 2° cap. del kàr.; i capp. 16° e 17° alla fine del 3° e al 4° del kàr. Il cap. 18°, come vedremo, è preso di sana pianta dallo Ciksàsamuccaya, salvo leggeri ritocchi ed aggiunte. Il cap. 19° ci riconduce agli stessi personaggi che compaiono nel cap. 1° e con questo rappresenta la cornice, per così dire, entro cui si rinchiude tutta la pesante mole dell’indigesta compila- zione, la quale può a buon diritto considerarsi un modello ca- ratteristico-del peggiore dei tipi dei mahayanasùtra. La prolissità costituisce una delle precipue caratteristiche dei libri del mahayana e trova la sua ragione nel fatto che le lungaggini, anzichè evitate, erano da cotesti piissimi compilatori volontariamente ricercate in quanto che, accrescendo la mole del volume, si accresceva anche il merito di chiunque l’avesse “scritto o trascritto o letto o fatto leggere , (È questa la for- mula d’uso che con più o meno amplificazioni e varianti ricorre in tutti i libri del genere). Del resto si può ben dire che il Kaàr., dove non si limita a diluire nei suoi gloka stentati e monotoni il kàr., è un vero centone; perchè i suoi compilatori attinsero direttamente a | varie fonti mahayaniche che più o meno ritoccate ed adattate (1) D'ora in avanti mi servirò dell’abbreviazione Kàr. per indicare il Kaàrandavyùha metrico e kàr. per quello in prosa. Avverto inoltre che essendomi stato impossibile procurarmi l’edizione del kaàr. curata dalla “ Buddhist Text Society, di Calcutta, ho dovuto ser- virmi della traduzione cinese fatta da T’ien Si-tsai 980-1001 d. C., Nanjio, N° 782. 608 GIUSEPPE TUCCI inserirono o riprodussero verbatim nella loro fastidiosa e volu- minosa raccolta, Che se anche non fossimo in grado di riconoscere alcune delle fonti che essi usarono, la varietà e la diversa provenienza degli elementi che costituiscono il Kàr., potrebbero facilmente dedursi dalla stessa diversità dello stile, che oscilla dai versi stentati, sciatti, infarciti di ripetizioni tanto frequenti nei meno notevoli dei libri mahayanici, ai più semplici e corretti dell’epi- sodio di Simhala o a quelli stilisticamente e metricamente ela- borati che tradiscono la mano esperta di un poeta squisitamente dotato e che costituiscono la più gran parte dell’episodio di Bali e della chiusa del poema. Il primo capitolo dell’opera rappresenta, com’è d’uso nei Puràna, una specie di introduzione in cui si indica l’occasione che dette origine al libro; esso, come sopra si disse, manca affatto al kàr., e del resto non ha nessuna attinenza con quanto segue. Infatti, mentre gli altri prakarana sono tutti più o meno direttamente volti a magnificare Avalokitegvara, cotesto para- grafo d’introduzione — che a differenza dei seguenti è detto nel ms. stesso avadana — non ha altro oggetto che la cele- brazione generica del triratna, un'etichetta comune, cioè, che può indifferentemente applicarsi alla più gran parte dei libri mahayanici. Che i compilatori del Kàr. non abbiano fatto altro in questo caso che ispirarsi a qualche opera precedente è dimostrato dalla relativa analogia che corre fra questo capitolo d’introduzione e il 1° cap. dello Svayambhùpuràna (1). Anche in questo il con- tenuto del libro è fatto risalire ad un colloquio fra il re Jine- cvari (sic) e il bodhisattva Jayagri, il quale a sua volta ripete una predica di Upagupta tenuta in presenza di Acoka, mentre poi il nucleo principale della lunga opera è, come nel caso nostro, posto in bocca a Cakyamuni. Ove anche non bastasse l’identità dei personaggi che ricor- rono nelle due opere e l’analogia della trama, le somiglianze verbali fra il Kar. e lo Svayambhùpuràna testimoniano a suf- (1) Ediz. Bibl. Indica, p. 4 segg. LA REDAZIONE POETICA DEL arandavyaha 609 ficienza che una contaminazione fra le due opere ebbe sicura- mente luogo. f. 2. bhiksunyag cailakàg caivam upàsakà upàsikàQ | vratino ‘pi mahàsattvàX sambuddhabhakticarikà? || bràhmanàg [ca] (1) ksatriyàg capi ràjàno mantrino janàà | amàtyàh grestinah paurà) sàrthavàhà mahàjanaW || tathà jànapadà gràmyà/h pàrvatikàe ca naigamà?Q | tathànyadaicikà lokà%k saddharmagurnavaficinàA || sarve te samupàgatya tam arhantam Jayagriyam | yathàkramam samàbhyarcya pranatvà samupàgritàà || tat saddharmàmrtam pàtum krtàîjaliputà muda | gastaram. tam samàlokya parivrtya nisedire ||. Un confronto sommario con lo Svayambhùpuràna ci mo- strerà analogie notevoli col nostro testo: in special modo sì vegga Svayambh., p. 4, 1. 11 segg. e p. 19, 1. 2 segg; sebbene oggetto del Kar. sia la triratnotpatti e dello stesso Svayambh. la Svayambhùtpatti. Per Kàr., f. 4b: etad dharmaviguddhatma durgatim naiva yàti sal | sadgatisveva samjàtah prànte yàti Jinàlayam || iti vijhbàya ye martyàh saddharmasukhavàîicinaA | triratnagaranam gatvà bhajantu te sadà bhave || etaz punyànubhàvena pariguddhaàgayà narà? | sambodhicittam àsadya caranti bodhisamvaraw | espressioni queste che più o meno ampliate ricorrono con sin- golare frequenza in tutta l’opera, si cfr. Svayambh., p. 7, 1. 11 segg. e p. 42 I. 20 segg. Non è possibile decidere quale delle due opere abbia servito di modello all'altra, tanto più che lo Svayambhùpuràra, del quale sì conoscono parecchie redazioni fra loro disparatissime (2), subì ‘anche esso un processo di continui ritocchi e adattamenti; il fatto che nel Kar. al 1° cap. si dà il nome di avadana, non esclude del resto che la fonte del Kar. e dello Svayambhùp. (1) Il ca è da elidersi metri causa. (2) Per la data della probabile compilazione della redazione pubblicata nella Biblioteca Indica non è inutile richiamare l’attenzione sui frequenti accenni alla Cina, con la quale il Nepal ebbe notevoli rapporti dalla 2% metà del secolo VII alla 1° del secolo VIII. V. S. Lévi, Le Nepal (in “ Annales du Musée Guimet ,, vol. XVII), vol. I, p. 161 seg. 610 GIUSEPPE TUCCI debba ricercarsi in un modello comune, un avadaàna qualunque, adattato dai tardi compilatori dei nostri testi a far da cappello alle loro opere. Ma l’interpolazione più importante la troviamo nel cap. 8° (da fol. 58 a 86) e nel cap. 18° (da fol. 175 a 187). In tutti e due questi casi i compilatori non si contentano di attingere con piena libertà a opere preesistenti, come fecero per il capi- tolo d’introduzione, ma copiano addirittura squarci interi di un testo così importante come è il Bodhicaryàvatàra di Cantideva dei cui 913 versi complessivi, 415 si trovano inseriti nel Kàr. Cominciamo dall’episodio di Bali. Ecco in quale ordine si succedono le citazioni dal Bodhicaryàvatàra: (fol. 64b) II. 1,2,3,4, 5, 6, 7, 8, 9, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 82, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50 a, 51b, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 64, 65, 66. (fol. 67 a) III. 1, 2,3, 4,5 (serve a collegare il III, 5° e il I, 4° i seguente cloka: ity uktam Balinà tena lokegvaro nicamya sal | sàdhu sàdhviti samràdhya tam Balim caivam abravît || (fol: 67 a) I. 4,5;:6) 7,:8,:9,-10,11/19/:13,14,15,16, 17, 18005 26, 27, 28, 29, 30, 31, 34, 85 a. (fol. 68b) IV. 1, 3b, 12b, 4,5, 6a, 8b, 9, 10, 13, 17,18, 19,21, 23.b, 25, 28, 29 a, 27 a, 30; 33, 35, 39, 40. (fol. 69b) VI. 13,10. (ibid.) VII. 12. (ibid.) VI. 14, 45. (fol. 70a) VII. 15, 39, 27, 46a, 37, 38a (1), 41, 42, 43, 44, 45,48, 52, 53, 55, 56, 57 a, 58 a, 59, 64. (fol. 70b) VIII. 5, 6, 7,8, 9,10, 11, 12, 13, 19 a, 20, 22 a, 40, 41, 60 a, 63 b, 64 b, 77, 78. (1) Il secondo ardha suona: kevalasvatmasaukhyàrtham yajliadànam ‘krtam tvayà. Bali prima ha già detto che causa della sua attuale condizione di Asura furono i sacrifici ed i doni che in altre vite fece ai Tîrthika. È LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyuha 611 (fol. 71b) IX. 144, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160; 161, 162, 169, 164,-165, 166, 167a (1), 167 b, 168. (fol. 72b) VIII. 117, 119, 120, 121, 122, 128, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137. (fol. 73b) VI. 1,2. (ibid) V. 12b. (ibid) VI. 6b, 7a, 9, 10, 21, 25, 33, 47, 48, 49 a, 67 a, 69, 97, 98, 99, 101, 102, 103, 105, 106, 107, 110, 111,112, 113,114, 115, 116, 117, 118, 119, 122, 123, 126, 127, 133, 134. (fol. 76b) V. 97, 99, 100, 101, 102. Segue all’incirca un mezzo foglio (77 a) nello stile sciatto del Kar., e che contiene lodi e ringraziamenti e preghiere di Bali: Namo ‘stu bodhisattvàya gubhapadmadharàya ‘te | padmagrîbhusitam gàm jaya damakùfadharine || jinaràjagiraskàya sattvàgasampradàya ca | hînadinànukampàya dinakrdvaracaksuse || prthivîvaranetràya bhaisajyaràjakàya ca | sucuddhasattvanàthàya paramayogadhàrine || sarvadiksu sthitàn nàthàn sambuddhàmg ca munîcgvaràn | krtàîjalih sadà smrtvà namàmi garane sthitaW Il (2) yac ca dharmajinaiA sarvaih samadistam jagaddhite | tat saddharmam aham dhrtvà samcarisye sadà gubhe [| sarvàml lokàdhipàn nàthàn bodhisattvàn jinàtmajan | tàn apy aham sadà smrtvà bhajàmi carane sthitaà ||. (elet) 310077, 6,9; LO; AT, 12715; 14, 15,16, Li 13,19, 20, 21,22, 23, 25, 26,.27, 28, 29,30, 31, 32, 33. {fol. 78 a) IV. 48. (1) Fra i due ardha del 167 è inserito: bodhivratam mahatpunyam sambodhijnaànasàdhanawm, un verso che ricorre diecine di volte in tutto il libro. (2) Cfr Bodhic., III, 4. Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 492 612 — GIUSEPPE TUCCI (fol. 79 b) V. 1, 2, 8, 4, 5, 6 (1), 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 22, 25, 26, 28, 29, 31, 32, 33. Nel cap. 18° dopo una breve introduzione in stile alquanto diverso seguono altri notevoli estratti dal Bodhicaryàvatàra nel- l’ordine sottonotato. (fol. 178 b) V. 1, 2, 3,4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 18, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 88, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 70,71, 72, 73, 74, (5, ce 00 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87; 88, 39, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 107, 108. (fol. 182 a) VI. 1, 2,3, 4,5, 6, 9, 10, 11, 12, 112, 113, 126, 127, 130, 131, 132, 133, 134. (fol. 188 b) VII. 1, 2,3. (fol. 184 b) VIII 1, 2,3, 4,5, 6, 7,8, 9,10, 11b, 12, 13, 14,15,16. (fol. 185 b) IX. 1, 2, 3, 4,5. È da segnalare che fra questi versi desunti dal Bodhica- ryàvatàra da me identificati se ne trovano altri che non figurano affatto in questo testo, così come ci è pervenuto. Così a fol. 75 b a proposito del viîrya si leggono dei versi che non figurano nel Bobh.: (2) Vîryam hi sarvagunaratnavidhànabhùtam | sarvàpadas tarati vîrya- mahàaplavena || naivàsti taj jagati vastu vicintyamaànam | nà[valpnuyàd jad iha vîryarathàdhirudhaA || 1 Yuddhesu yat kariturangapadàtimatsu | nàràcatomaraparagvadha- samkulesu || hatvà ripùn jayam anuttamam Apnuvanti | visphurjitam tad iha agli [| 2 (1) Fra 6 e 7 s'inserisce: tasmic cittam samàdaya smrtvà raksyam prayatnatar | cittàd eva hi sarvatra bhayam bhadram ca jàyate ||. (2) Metro Vasantatilaka. ind 2 BEE gli a ROTA VARIAN RT RL ‘dia ì 54 x n at i ri n ina te (1) (2) (5) (6) (7) (10) MI LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 613 ambhonidhîn makaravrndavighattitàmbùt- | tungàkulaàkulatarangavi- bhangabhîman || vîryena gospadam iva pravilanghya gùrà%| kurvanty anàrghagu- naratnadhanàrjanàni [| 3 ràgàdîn uragàn ivogravapuso vistambhya dhairyànvita? | gîlam sajjanacittanirmalataram samyak samadapayet || martyàhk kàntataresu merugikharopàntesu vîryànvitàà | modante surasundarîbhujalatàpàcopagùàdàg ciram [| 4 yad devà (3) viyati vimànavàsino ye nirdvandvàh samanubhavanti saumanasyam | atyantam viphulaphalaprasùtihetor vîryasya (sthiravihitasya) (4) sà vibhùtià || 5 klecàrivargam tv abhibhùya dhîràXk sambodhilaksmîpadam àapnu- vanti | bodhyangadànam pradiganti satyà dhyànam hi tatra pravadanti hetum || 6 janmaprabandhakararaikanimittabhùtàn ràgàdidosanicayàn pravi- dàrya sarvàn | aàkaàgatulyamanasah samalostahemà dhyànàd bhavanti manujà gu- nahetubhùtàX || 7 prajiàdhanena vikalam tu narasya rùpam àalokya ràpam iva sàra- vihînam anta? | buddhyanvitasya phalam istam udeti vîryàd vîryam tu buddhira- hitam svabuddhàya gatruà [| 8 yad buddho martyaloke malatimiraganam dàrayitvà mahantam | jhanaàlokam karoti prakarati ca sadà dosavrndam narànàm || aàdestà cendriyànàm paramanujamanovartti sarvail prakaraiX | prajîiàm tatràpi nityam cubhacarajananîm hetum utkîrtayanti || 9 kàyàrnave capi drdham nimagnà% sàmgràmamadhye manujàh pra- dhaànaàh prajbaàvacat te vijayam labhante prajîià hy ata) sàgubhahetubhùtà tasmàt sàrvagunàrthasàdhanakarî prajîiaiva sambudhyatàm | na prajhàvikalà vibhaànti purusà pràtal pradîpà iva || Svargàpavàrgagunaratnanidhaànabhùtà | etàh sadaiva bhuvi pàramità î naràmnàm | Jiùàtvà bhava svahitasàdhanatatparas tvam | Kuryà atah s(tata)m l eva cubhe prayatnam || 10 saddharmasàdhanam kàyam itaràrtham na pidaye? | evam buddhvà hi sattvànàm àgàm (11) àcu prapàraye? ||. (1) Metro Caàrdùlavikrîdita. (2) Metro Praharsinì. (3) Deva ms. (4) Così supplisco in base alla lettura di 186 b, v. pag. 10. (5) Metro Indravajà. (6) Metro Vasantatilaka. (7) Metro Sragdharà. (8) Metro Indravajà. (9) Metro Cardùlavikridita. (10) Metro Vasantatilaka. (11) Ms. àsàm. 614 GIUSEPPE TUCCI Gli stessi versi ricompaiono nel cap. 18° benchè con alcune varianti ed aggiunte. Infatti a fol. 183 b, dopo Bodhic. VII, 3, si legge: tasmàd alasyam utsr]jya dhrtvà vîryam samàhitaA | sarvasattvahitàdhanam bodhicaryàvratam caret ||. Seguono i vv. riportati a pag. 15 con questo di diverso che a 48a invece di vistambhya dhairyaànvitah si ha viskam- bhavîryànvita/, a 4b nirmalataram samadapayet, evidentemente per errore, a 5b invece di modante... si legge tisthante sura- siddhasanghasaàhitàh ... sukham, a 6a vimanavaàsino ‘nye, a 6b hetor vîryànvità sthiravihitasya sà vibhùtiX (sic). Quindi sì inserisce un nuovo verso: iti matvà sadotsàham dhrtvà sambodhisàdhanaw | sarvasattvahitàdhànam bodhicaryàya caret (sic) || (1). Dopo i vv. sopracitati dei canti VII ed VIII del Bodhica- ryàvatàra si ripetono alcuni di quelli già riprodotti a pag. 9 preceduti dal seguente di carattere evidentemente introduttivo e inseriti a mo’ di collegamento: fol. 185 a evam yatir mahàsattvah samsàraratinisprha? | samàdhisatsukhasakto vihared bodhimanasaA || . Varianti: 7a vîrà% invece di dhîràA. Si succedono quindi i vv.: (2) Jitvà Klecàrivrndam cubhabalamathanam sarvathà (laksyate kim?) | pràptah sambodhilaksmîm pravalagunamayîm durlabhàm ,anya- bhùtai? || sattvajîanadhipàtyam vigataripubhayàh kurvate yan narendrà | dhyànam tatraikahetum sakalakulanidhim pràhuà (sic) sarve mu- nîndràA | (3) mahandhakàram pravidàrya yag ca | jianavahah samkurute samantàt | sambuddhasùryal suramanusanà»m | hetuA sa tatra pravaral samadhi? || Iti matvà samaàdhaàyà Klegàvaranahanàya | vimàrgàc cittam àkreya samàdhau sthàpya pracaret ll . (1) Il quarto pada è imperfetto mancando di una sillaba. (2) Metro Sragdharà. (3) Metro Indravajrà. U LA REDAZIONE POETICA DEL /{arandavyuha 615 Quale sarà mai la fonte di questi versi inseriti nella lunga serie di estratti dal Bodhicaryàvatàra? È escluso a priori che essi possano attribuirsi ai compilatori del Kàr; ragioni metriche e stilistiche ci vietano assolutamente di accogliere questa ipo- tesi. Chi compose la farraginosa mole della nostra opera sarà stato senza dubbio animato da zelo e fervore religioso, ma affatto privo di qualità d’artista e di poeta; ove egli si decise a scri- vere di suo pugno, ci regalò quei versi di collegamento fra i varì passi desunti da diverse fonti, privi quasi sempre di ef- ficacia e di contenuto, umile raffazzonamento di frasi ormai stantie e tradizionali, oppure attingendo a piene mani alla let: teratura mahàyànica precedente in prosa e in poesia, diluì in interminabili litanie ed in monotone ripetizioni il nucleo fonda- mentale dell’opera. Non rimangono dunque che due ipotesi: o questi versi fu- rono desunti da un’opera qualunque sulle 6 pàramità, oppure appartengono ad un testo del Bodhicaryàvatàra diverso da quello da noi oggi conosciuto. Questa seconda ipotesi mi sembra la più probabile. Chè infatti non si spiegherebbe come mai, pur trovando sul vîrya, sul dhyàna, sulla prajìuà tanto materiale nel Bodhic., i compilatori del Kàr., siano ricorsi per alcuni pochi versi soltanto, perduti negli ampî excerpta dall'opera ni Can- tideva, a fonti diverse. Si noti inoltre che lo stile dei brani sopracitati è molto simile a quello di Cantideva per frequenza d’imagini e perpi- scuità di forma. I metri stessi si trovano tutti nel Bodhica- ryàvatàra. Questo plagio da parte degli autori del Kàr. ci serve per stabilire il termine post quem deve porsi la compilazione del- . l’opera, e cioè dopo e forse anche molto dopo il VII sec., in cui, come par certo, visse Cantideva. Opinione questa che è avvalorata dalle analogie già notate collo Svayambhùpuràna. E, per quanto ciò interessi piuttosto il testo del Bodhica- ryàvatàra che il nostro, torna opportuno segnalare un’altra os- servazione che questi estratti da Cantideva ci rendono possibile. Ed è che nessun verso vien fatto di trovare nel Kar. del X libro del Bodhic., neppure là dove narrandosi il pranidhàna di Bali le parole che vi si leggono sarebbero state appropriatissime. Ciò dimostra che quando fu compilato il Kàr. un X capitolo sE tl Me e 7. Te S SSIS 616 GIUSEPPE TUCCI non era stato ancora aggiunto all'opera di Cantideva, o per lo meno non aveva avuto il tempo di divulgarsi e di affermarsi come capitolo autentico. Ipotesi questa che, se non fosse altro, è del . resto convalidata® dal fatto che nell'XI secolo Prajnàkaramati, . commentando il Bodhicaryàvatàra, mostra di ignorare il X 'ca- pitolo. Sebbene non entri propriamente nell'argomento di questo studio, non credo inutile segnalare le varianti che la recensione dei frammenti del Bodh. inseriti nel Kàr. offre rispetto alle lezioni seguite dagli altri manoscritti, presi come base delle due edizioni del Minayeff e del De La Vallée Poussin. S'intende che trascurerò tutte le varianti derivate da quei ritocchi e ri- facimenti, che, per quanto lievi, non mancarono, cui i compi- latori del Kàr. sottoposero le loro fonti: così non è infrequente il caso che laddove Cantideva parla in prima persona, il Kar. sostituisca la seconda, o viceversa, con tutti quegli inevitabili cambiamenti che la sostituzione del pronome porta con sè, metri causa. Mi limiterò soltanto alle vere e proprie differenze di lezione più notevoli. III, 7, c. °sthàyakac capi, 11d. diyate, 12b. kartavyam, jagatàm mayà, 15c. sa eva tesàm. V, 3, c. sadà invece di krstnam; 6c. proktam munindrais (e a pag. 178b. cittàd eva sadyanti sarvesàm bhavaca- rinàm); 7a. narake kena (a pag. 178b. samantatal invece di prayatnatah); 8, c. tasmad kaccin na trai- lokye; 14 volendosi abolire il mayà in a. e la 1* pers. in c. si sostituisce: bàhyà bhavas tathà sarve na cakyà varayitum kvacit | evam nivaryam kim evà- nyair nivàritaià ||; 17d. guptam invece di guhyam; 18d. kim anyaih bahubhir vratail | (tyaktvà bahu- bhil kim tapovratail fol. 179a.); 31d. aham capi purah; 46 d. tat kasmad bhîta utsrjet; 51b. parikàra invece di parivàra; 58 a. cirat ksanavaram praptam. VI, 5, b. cen na sevyate; 10a. yady eva pratikàro “sti; 105 in a. e c. mancano rispettivamente hi e ca; 118 buddha- pujà. In un altro caso il Kàr., discostandosi notevolmente dal kàr., ci consente di riconoscere la fonte cui attinse, almeno TI) adi ei. di LA REDAZIONE POETICA DEL Karandavyaha 617 parzialmente; e cioè nell’episodio di Simhala e delle Raksasî che ci è noto anche per altre fonti. Oltre che dal Kar., dal Mahàvastu, il quale lo ripete con differenze più o meno sostan- ziali per due volte (1), e dal Divyàvadaàna (2). Nella quale rac- colta il Simhalàvadana è riprodotto solo in parte, in quanto che vi si legge il principio soltanto e la fine, dal ritorno di Simhala nel Jambudvîpa al suo insediamento come re nel trono di Simha- kalpà. L'interruzione del racconto devesi probabilmente ad amor di brevità e alla diffusione che l’avadàna di Simhala doveva avere; è quanto almeno può dedursi dalla formula abbreviativa inseritavi a pag. 524 l. 19 vistarena raksasîsùtram sarvam vàdyam. Ma gli studi dell’Huber sulle fonti del Divyàvadana, hanno dimostrato come questo libro null’altro sia che una com- pilazione antologica desunta dal Vinaya dei Sarvaàstivaàdin. Nel quale infatti, tradotto da Yi-tsing, si trova per esteso tutta la leggenda di Simhala, frammentaria nella raccolta sanscrita. Ma prima di rintracciare quella probabile redazione del- l’avadàna su cui si basarono i compilatori del Kar. conviene esaminare brevemente le discrepanze che corrono fra le re- censioni della leggenda quali ci sono conservate nei testi ac- cessibili. Div.; Simhala figlio di Simhaka mercante di Simhakalpà, intraprende con una carovana un viaggio alla ricerca di gioielli (4). Arrivati alla spiaggia del mare e preavvertiti dal nocchiero dei pericoli, i 500 mercanti con a capo Simhala s’im- barcano, ma da un makara la. nave è fatta colare a picco. I naufraghi nuotando arrivano al Tàmradviîpa sede delle Raàksasì: queste sono avvisate del sopraggiungere dei mercanti dall’agi- tarsi di uno degli stendardi magici che sorgono nella loro città e che presagiscono l’uno fortuna, l’altro sventura. I naufraghi sono accolti dalle ràksasi, ciascuna delle quali, mutato aspetto, ne sceglie uno come marito; da ogni coppia nascono un figlio ed una figlia. Ma ai 500 mercanti è fatto di- (1) III, 68 segg.; II 287 segg. (2) Div., p. 523 segg. (3) Bereo, 1905 e 1907. (4) Qui s'interrompe il Div. cui viene in soccorso la traduzione cinese del Vinaya. 618 GIUSEPPE TUCCI vieto di andare verso il sud della città; questa proibizione mette in sospetto Simhala, il quale una notte, seguendo il sen- tiero vietatogli, giunge ad una rocca dalle mura di ferro ed inaccessibili, entro cui, montato su un albero di girisa scopre una folla di naufraghi colà gettati dalle Raksasî, che poco alla volta li divoreranno. La stessa sorte toccherà a Simhala e ai suoi compagni, ammenochè non riescano a farsi trarre in salvamento del ca- vallo misericordioso Balàha, il quale il 15 di ogni mese capita in quei luoghi. Ritornato nel suo palazzo Simhala avverte i suoi compagni del pericolo imminente ed insieme, il giorno fissato, si aggrappano alla coda di Balàha per farsi trasportare oltre l'oceano in patria. Ma vinti dalle seduzioni delle Ràksasi i 500 mercanti precipitano in mare e sono da quelle divorati tranne Simhala, che ritorna sano e salvo nel Jambudvîpa (1). Sotto la minaccia delle sue compagne la Raksasi già sposa di Simhala, va in cerca di costui per ricondurlo nel Tàmradvipa: lo ritrova, ma ne è respinto; ritenta la prova presso i genitori di lui, dicendosi da Simhala abbandonata insieme col bambino nato dai loro amori e che magicamente creato loro presenta. Non creduta, per le tangibili prove addotte dal nostro eroe, si pre- senta al re Simhakegarin per aver giustizia. Il re se ne inna- mora e la accoglie nel suo harem; onde lei, di notte fatte accor- rere dal Tàmradvîpa le compagne, divora il re e tutti gli abitanti della reggia. Simhala entra nel palazzo e caccia in fuga le raàksasi e dagli abitanti di Simhakalpa è eletto re. Mahàvastu III, p. 68; Non indica il nome del sàrthavaha, e finisce col salvataggio operato dal cavallo Kegin di tutti i mercanti che non prestarono ascolto agli inviti delle Raksasî accorse sulla spiaggia del mare per impedirne la partenza. Per il resto segue sostanzialmente la versione precedente. Mahav. III, 287; Dharmalabdha intraprende accompagnato da 500 mercanti un viaggio verso l’isola delle Raksasî, dopo aver raccomandato ai propri seguaci di guardarsi bene dal ce- dere alle seduzioni di quelle. Arrivati a destinazione i suoi (1) Qui ricomincia il racconto del Divyàvadàna. hi ai» LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 619 500 compagni, sordi alle sue raccomandazioni, si rifiutano di se- guirlo quando egli parte alla volta della patria e quindi sono divorati dalle Raàksasî. Una delle quali si propone di sedurre Dharmalabdha e di ricondurlo nell’isola. Da qui in poi il racconto procede sostanzialmente identico a Divyàv. Kar. in prosa. Simhala con 500 mercanti, fatto naufragio è gettato dai marosi sulla spiaggia delle Raksasî, le quali, mu- tato aspetto, invitano i disgraziati a restare con loro e li con- fortano di ogni bene e comodità. Simhala convive con la regina, la quale gli svela che l’isola è abitata da Raksasî; se ne vuole la prova, vada verso il Sud della città, ove troverà un luogo chiuso da alte muraglie in ferro, in cui giacciono altri naufraghi in attesa d’essere divorati. Simhala, assicuratosi della cosa, chiede alla regina se v’ha un mezzo di scampare a questo pe- ricolo e ne apprende che l’unico essere capace di salvarli è un miracoloso cavallo che di tanto in tanto capita nell’isola. Simhala avverte i compagni e tutti insieme, il giorno convenuto, implorano dal cavallo pietoso la salvezza, che viene loro promessa a patto che non si lascino sedurre dalle invocazioni e dai richiami delle Raksasî. I suoi compagni che trasgrediscono l’avvertimento sono da quelle divorati, mentre il solo Simhala ritorna sano e salvo nel Jambudvîpa ove le lagrime di gioia che il suo arrivo strappa ai vecchi genitori divenuti ciechi per il troppo piangere, rido- nano a questi miracolosamente la vista. La recensione del Kàr., segue in sostanza quella del Div. e del Vinaya dei Sarvàstivàdin, con. questo di notevole che Simhala non è più un mercante per quanto devoto e virtuoso, che intraprende lontani e pericolosi viaggi per arricchirsi, ma lo specchio di ogni perfezione buddhistica; lo stesso motivo delle peregrinazioni marinare non è più la ricerca di merci pre- ziose a scopo commerciale, ma l'acquisto di grandi ricchezze da largire ai bisognosi; perchè, dicono i pietosi compilatori, poco merito v’è nel donare quello che è stato accumulato da altri. E Simhala in omaggio a questo principio non si perita di sot- toporsi a perigliosi viaggi, pur di rendere sempre più grande il frutto di merito derivante dalla paramità del dono che egli pratica con tanto entusiasmo. Il tipo non è nuovo nella novel- listica agiografica del buddhismo; si pensi a Vigvantara e più ancora alla storia di Kalyànamkara e Pàpamkara, nella quale 620 GIUSEPPE TUCCI troviamo fra gli altri elementi comuni, la stessa sete di libe- ralità e carità, la stessa opposizione dei genitori già vecchi al viaggio del figlio, lo stesso motivo della spedizione marinara (1). Inoltre Simhala arrivato nell’isola delle Raàksasî è messo sull’avviso dalla miracolosa apparizione della Jampada parlante che manca in tutte le fonti che noi conosciamo di questa stessa leggenda. Ma non sarà male riportarne qui appresso le parti caratteristiche. 109a Aham api purà tena samràksito mahàbhayàt | yan mamaitat (2) purà vrttam srnudhvam vaksyate ‘dhunà || tad yathà Simhakalpàyàm ràjadhaànyàm vanik prabho | Simhasya sàrthavaàhasya putro ‘bhut SimhalaàbhidhaA || kalye ‘pi sa mahàsattvah sarvasattvahitàcaya? | divyàtisundarah kantah sarvasattvamanohara? | kaumàrye ‘pi sarvàsàm vidyànàw param àgataA | sarvasattvahitam krtvà reme subrtsakàyakaiX || dattvarthibhyo yathàkàmam erutvà (3) nityam subhàsitawm | gurunà satkrtim krtvà kuladharmàbhisamrataAà || svakuladevatàdîn ca sarvàn devàn samarcayan | mànayan sakalàml lokàn bhrtyàn dàsaàn ca tosayan || jîatibandhusuhrtmitrasacivàn càbhinandayan | yathàkàmam sukham (4) bhuktvà reme pitror anujhàyà || I suoi meriti crescono col crescere degli anni; ma Bali in- vidioso di tante virtù così gli suggerisce: 109b sàdho dhanyo ‘si satputrar sarvalokàbhinandana? | tat kulorjitasamvrtau cara dharmàrtham arjaya || iti tenoditam grutvà Simhala/ sa vicaksanaA | ka kulorjitasamvrttis tad vaktum me tvam arhasi || iti tenoditam crutvà sa irsyàkulitàgayal | Simhalam tam samalokya noditum evam abravit || janakas te mahaàbhaga sàrthavàho vanigpati? | sadà ratnàkare gatvà sàdhayati sa sampadaA || (1) Sulla cui redazione cinese (B. Nanjiò, Cat. n° 1322) inserita in un’opera che ha servito di base al testo tibetano Dsanglun tradotto e pubblicato dallo Scumipr (St. Petersburg, 1843), v. Chavannes in T’'oung Pao, 1914. — Ibid. la recensione uigurica edita e tradotta dal Pelliot. (2) Ms. mame. (3) Ms. gruto. (4) Susukbam ms. LA REDAZIONE POETICA DEL Karandavyaha 621 dhanyàs te eva satputrà ye kulakarmacarinaA | anye kimpurusàs te hi bhuktvaiva grhacarina? || pitrdravyam samàdàya dattvàrthibhyo na te phalaw | svàrjitam eva tàn dadyàd yacodharmàrthasiddhaye || tat tvam kulàrjitam vrttim dadhànar grîgunotsaha) | abdhau ratnàkare gatvà ratnadravyàmi sàdhaya || tato grham samàgamya dattvàrthibhyo yathepsita»m | yathàkàmam sukham bhuktvà samcarasva yagonvitaà || evam crîgunasampattiyacodharmasukhanvitaX | svakulavrtti[m] samcàra mahotsàhaik sadà rama || samudre gantum utsàham pravardhayan udàcarat | tata/ [sa] (1) Simhalo ‘mbhodhiyàtràm gantum samutsuka? || sàrthavàhaàtmajàn sarvàn samàmantryaivam abravît | bhavanto ‘ham samicchàmi gantum ratnàkare ‘dhunà || bhavatàm yadi vancàsti pragantum mayà saha | (2) Ottenuta l’adesione degli altri sàrtbavàha Simhala: 110a pitul pàdambuje natvà sàrjalir evam abravît || tàtàham gantum icchàmi ratnàkare mahàmbodhau | tad bhavàn sudrgàm mahyam anujîiàm datum arhati || iti putroditam grutvà Simkal sal sàrthabhrt pità | svàtmajam tam samàlokya savicàraivam abravît || putra crnu hitam vàcyam mayoditam tvam àatmaja | yat tàvat (3) sukumàro ‘si tat katham ambudhau vraje? || tàvan me ‘sti mahàsampan mayà hastair upàrjità | sarvàm etàm tavàdhinàm bhuktvà rama yathecchayà || yàvaj jîìvàmy aham putra tàvad grhe sukham raman | yathàkàmam prabhuktaivam samcarasva yathepsite ||. Su questo tono il padre lungamente insiste prospettando a Simhala i pericoli del mare e scongiurandolo di non volergli arrecare un sì forte dolore proprio negli ultimi giorni della sua vita. Ma Simhala dopo aver ripetuto concisamente le cose già dette prima seguita : 3 1lla Ity evam svakulàcaravrttidharmàrthasaàdhinanm | svàtmajam màm samàlokya pràbhinanditum arhasi || nivàrano na kaàryo ‘tra mama dharmàrthasàdhane | tvayànujnaàpradanena nandanîyo ‘ham àatmaja? || (1) Ms. deest. (2) Verso difettoso nel secondo pàda. (3) Ms. yan tàva. 622 GIUSEPPE TUCCI yadi daivàd vipattil syàt sarvam tirthàdhipe ‘mbudbau | patitvà sarvam utsr]jya samprayàyàm suràlaya» || tathàpi (me?) mahatpunyakîrtiX samgodayet kulam | iti vijhàya me vàta hy anujiiàm datum arhasi || grhe ‘pi no bhaved eva vipattir daivayogata? | avagyambhàvino bhàvà bhaveyur eva sarvata? || iti gankàvisam hitvà saddbarmasmrtimaànasar | dharmàrthasàdhane nityam mahotsàhî samàcaret || . Da questo punto il racconto procede con una notevole con- cordanza con le altre redazioni della leggenda. Ottenuto infatti il permesso del padre, Simhala parte accompagnato da cinquecento mercanti, co’ quali giunge fin sulle rive dell’oceano. Quivi s'im- barca, ma durante la traversata è minacciato da una violenta tempesta. Il nocchiero di fronte all’imminenza del pericolo con- siglia i naviganti ad invocare l’aiuto delle divinità in cui cia- scuno ha fiducia. Simhala raccoglie il suo pensiero nella devota meditazione del triratna e la furia delle onde miracolosamente si placa (1). Giungono così nei pressi del Tàmradvipa: ove la nave che trasporta Simhala co’ suoi compagni è fatta naufra- gare da venti impetuosi suscitati dalle Raksasî. I 500 mercanti con a capo il nostro eroe riescono tuttavia a raggiungere la riva: ove sono raccolti dalle Raksasî, confor- tati, abbigliati: anzi ognuno di essi è scelto in isposo da una delle Ràksasî stesse, che per non suscitare sospetti, avevano prima magicamente mutato le loro Dio infernali in graziosi corpi di giovani donne. 116a Athaàparaksayàyàm sa Simhalah gayanàgritaà | triratnasmrtim àdaàya tasthau dhyàne samàhita? | tadà tatràlaye dîpa/l sampradîpto mahojvalaXQ | ràksasyàm nidritàyàm sa pràbhasat samprabhàsayan || Maravigliatosi Simhala, così rispettosamente interroga la lampada 117a Kim artham bhasase dipa tad atra me samàdica | ko ‘tra dîpe pravisto hì mayà na jùaàyate bhavàn | (1) È questo un episodio comunissimo nelle pie leggende degli avadana, Cito ad es. Divyavadana, p. 34, 332, ete. LA REDAZIONE POETICA DEL Kdrandavyaha 623 iti tenàbhisamprste pradipa/(sa) (1) samujvalan | Simhalam tam samàmantrya prabhasan evam abravît [ Simbala kim na janàsi ràksasîyam na mànusî | ramitvàpi yathàkàmam bhakset tvàm naiva sameaya? || sarvàs tàh pramada’ kantà ràksasyo naiva maànavà? | sarvàms tàn tvatsahàyàmg ca bhaksisyanti na samgaya? || iti dipasamàkhyàtam erutvà bhîtalX sa SimbalaW | kim idam satyam evam syàd iti, tam paryaprechata | satyam eva pradîpa yam (2) ràksasîyam na mnusî || katbam bhavàn vijànàsi satyam etat samàdiga | Risponde la fiaccola che s’egli non crede vada verso il sud, ‘ove, in un recinto di ferro, troverà molti sventurati che cre- dettero alle lusinghe delle Raksasî ed ora attendono d’essere da quelle divorati: 117b ita evam tenàkhyàtam grutvà samparibodhita” || (3) tatra gatvà tathà drastum sarvam etat samutsuka? | prasuptàm ràksasîm mohajalanidràvrtendriyàm || krtvà candraprabham khadgam dhrtvà samprasthito drutam | tato gacchan sa ekakî nicîthe sa vilokayan || daksinasyàm mahàranye durgam (sa) samupàcarat | tatràtyuccam mahàkottam ayalprakàrasamvrttam || gavàksadvàraniryàhavihînam lohasamskrtam | tam drstvà samupàsrtya paribhraman samantataA [| lokavisàdavailàpyam grutvà sa vismayàkulaA | tatra campakavrksàgram àruhya sa samàgritàà | mahotkàgaravenaivam àjuhàva tadagritàn || bhavantaX ke kiyanto ‘tra praksitptà% kena nigritàà | kim bhuktvà vasathàtràpi tat sarvam vaktum arhatha || iti taduktam àkarnya tatrasthàs te vamigjanà?Q | vrksagàkhàgram àrudham tam àlokyaivam abruvan || kas tvam bho katham àyàsi kasmàd ihàgatal kuta” | sarvam etat pravrttàntam samupàkhyàtum arhati || Dopo aver raccontato la sua storia Simhala così è istruito dalla gente colà rinchiusa : yad khalu sàrthavaho ‘si jànîhi tà hi raàksasî? | tad atra ratisamrakto màtistha vraja sva(m)puram | vayam apy evam ambhodhau patità vyasanitàs tathà | ràksasîbhiX samuttàrya svasvagrhe nivegità? || (1) Ms. deest. (2) Si noti questo pracritismo per il regolare yat. (8) Il primo pada è mancante di una sillaba. 624 GIUSEPPE TUCCI bhojayitvà yathàkàmam ramitvàpi yathecchayà | vinodya svavage sthàpya samcaritàl sukhe sadà || yadà yuyam iha pràptàs tadà tàbhir vayam drutam | kotte ‘tra sarva ànîya praksiptà bandhanàlaye || grhîtvàmîbhir asmàkam ràksasîbhir divànigam | khàditvà purusàn nityam samearanti yathecchayà || yùyam api tathàmîbhir ràksasîbhir yathecchayà | grhîtvàtra pratiksiptvà bhaksisyadhve na samgaya@ || ity avacyam bhaved evam vijnàya sahasà bhavàn | sarvàn sàrthàn samaàhùya svadegam gacchatu drutar || yadîtah sahasà yùyam sarve gaccheta sàmpratawm | kugalam vo bhaven naivam yadi bhavet vinaksyata || iti tad uktam àkarnya Simhalal sa prabodhita? | avatîrya drutam vrksat sahasà svaàlayam yayau || tata ratikaram dîpam uddiptam tam samîksya sad | sànjalih pranatim krtvà puratalX samupàgrayat [| tam purastham samàlokya pradîpal sa samujjvalan | sàdho satyam tvayà drstam ity evam samàprechat || (1) iti dîpoditam crutvà punar àha sa vismitaà | sarvam satyam mayà drstam àdistam bhavatà yathà || kim upàyam ihapy asti yenetal sahasà punal | Jambudvîpam gamisyàmas tat samàdestum arhati || . La lampada allora indica a Simhala l’unico mezzo per poter fuggire dalle Raksasì: il cavallo Bàlàha che di tanto in tanto capita nell’isola e che, se pregato, facilmente consentirà a salvare Simhala con isuoi compagni dalle fauci delle streghe. Simhala si affretta ad avvisare i compagni e nel giorno convenuto insieme con essi si reca, deludendo la vigilanza delle Raksasî, sulla spiaggia del mare, nel luogo ove pascola il ca- vallo Balàha. Dopo aver reso a questo il dovuto omaggio, ag- grappandosi in catena alla sua coda, tutti si sentono trasportati nell’aria, ma, ad eccezione del solo Simhala, per aver volto la testa indietro richiamati dalle grida delle Raàksasî, i 500 mer- canti precipitano nel mare e quindi vengono da quelle divo- rati. Simhala, unico superstite, giunge celermente nel Jam- budvîpa. 126 b iti tena samîdistam gerutvà sa Simhala} krtî | tam agvam sàlijalir natvà sampagyan evam abravît || (1) Leggi: iti evam metri causa. “e VET 5-1 LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 625 dhanyo ‘si tvam mahàsattva yan mam mrtyumukhàgatam | adaya sahasottàrya raksasi svayam agata? || tat me nàtho ‘si càstà ‘pi guru tràtà suhrd gati? | yàvaj jivam bhavatpadam smrtvà bhajeya sarvadà || manye bhavantam îcànanirmitam trijagatprabhum | bodhisattvam mahàsattvam sarvasattvànupàlakam || ittham mam sarvadaàlokya bha(vàn) sarvatra samkate | bodhayitvà prayatnena krpayà tràtum arhati || iti sampràrthya tam nàtham agvaràjam sa Simbhala? | tridhà pradaksinîkrtya nanàma tat padau pura || tatal so ’evas tam àlokya kimcid dùre caran svayam | antarhito jvaladvahnir ivàkàge yayau dràùtam || tam evam khe gatam drstvà Simhala% so ‘tivismita” | yàvad drstipatham pagyams tasthau natvà krtànjaliX || tataX sa Simhalo dhîral pagyan màrge samàahitaX | ekakî sankraman Jambudvîpàranyam upàyayau || . Da questo punto ricomincia per intero il racconto nel Div. (p. 524, 1. 22), il quale ci permette una osservazione di notevole valore e cioè che gli anonimi autori del Kàr. non fecero, almeno da questo luogo in poi, che adattare alle esigenze metriche il racconto in prosa del Div. Basta infatti confrontare gli excerpta che seguono con il testo del Div. per averne la prova convincente. Il parallelo può istituirsi da chiunque possegga l’edizione di quest’ultima opera; perciò non ho creduto di insistere in note e paralleli a piè di pagina fra le due recensioni: ho soltanto voluto ripor- tare, per comodità del lettore, le prime righe della ripresa del racconto del Div. anche per dare subito e senza altri commenti un'idea del rapporto che corre fra i due testi. Dal confronto risulta a prima vista a quali poveri ripieghi gli autori del Kàr. siano ricorsi per cambiare con poca fatica la prosa del Div. nella loro sciatta poesia, se poesia può chia- marsi questa arida composizione, certo meno efficace della sem- plice e popolare andatura del testo prosastico; non mancano le “ zeppe , e i riempitivi che nulla dicono e a nulla servono se non a rendere più penosa la lettura di questi versi fatta a forza. Con questo, s'intende, non voglio asserire che la fonte cui at- tinsero gli autori del Kar. fu proprio il Div. È infatti risaputo che questo null'altro è se non un’antologia di passi desunti dal Vinaya dei Sarvastivàdin come hanno dimostrato le ricerche 626 ‘ GIUSEPPE TUCCI del Levi e dell’Huber. Sicchè è molto probabile che proprio di questa raccolta o di altre consimili si servissero i nostri compilatori, come con ben altro gusto ed arte fece anche Ksemendra. 126b tada yà raàksasî bhàryà Simhalasya vanikpate? | sakalàs tàs tàm parivrtyaivam abruvan || (1) asmàbhir bhaksiàh sarve svàmino ‘pi svakasvakà? | bhaksito na tvayaivaika/l svàmî nirvàhitah kathaw || yadi tàvat tam anîya bhaksase na tvam àatmanà | tvàm nihatya vayam sarvà bhaksisyàma iti dhruvam || ity evam kathitam tàbhiX sarvàbhis tan nigamya sà | samtrastà puratas tàsàm visannàsyaivam abravît || bhaginyo yadi yusmàkam nirbandha esa nigcaya? | sarvathàham tam aniyàmi iti nigcitam || (2) iti tayoktam àkarnya ràksasyal sakalà api | evam cet te bhavet bhadram no cen no hitam abruvan || tata) sà ràksasî dhrtvà paramabhîsanàkrtim | akàcam sahasà gatvà Simhalasya puràsarat, || Drstvà tàm raàksasîm bhîmàm puratal samupàsrtàm | Simhalo ‘sim samutthàpya samtràsayitum udyayau || Simhalam tam asim dhrtvà nihantum mukhagatam | (3) drstvà sà ràksasì trastà pradudràva vanàantare || tadà tatra varigsàrtho madhyadecàt samàyayau | tam drstvà sundarîràpàm dhrtvà sà tad upàsarat || tàm kantàm sundarîm ramyam puratal samupàsrtàm | sàrthavahal samalokya papracchaivam samadaràt || bhagini kà bhavantiha kaàntare bhramitàgayà | ekakî kuta Ayàsi tat satyam vaktum arhati || iti sàrthabhrtà prste rudantî sà krtànjalî | tasya sàrthapateA pàdau pranatvaivam nyavedayat || aham sàrthapate ràjiias TàmradvîpapateX sutà | Simhalasyàsya bhaàryàrtham dattà tena mahîbhujà || anena sàrthavàhena parinàyàham àtmanà | dattvà vierambham ànîtàm svadecagamanam prati || abdhitîropasampràptà naukà yadovibhagnità | amangaleti krtvàham coritànena jangale || tad bhavàn bhodhayitvainam sàrthavàham mama priyam | mayi snehaàbhisambandhe samyojayitum arhati || tayeti pràrthite grutvà sàrthavàhas tatheti sa? | praticrutya tam àlokya sàrthavàham upàsarat || (1) Verso difettoso. (2) Questa è vera prosa. (38) Il secondo pada manca di una sillaba. =—__— rp ; Pi I RAT a iti met LA REDAZIONE POETICA DEL Kdrandavyaha 627 tam drstvà samupàgaàtam (1) SimhalaX samprasàditaA | àsane sampratisthàpya samaàlokyaivam abravît || (2). Seguono i complimenti d’uso, dopo i quali il nuovo arrivato intercede presso Simhala a favore della presunta sua sposa: 127b Iti tenoditam grutvà Simhalah sa samahitaA | sàrthavàham tam àlokya punar evam nyavedayat || sakhe na ràjaputrîyam parinitàpi na (sic.: n0?) mayà | ràksasîyam ihàgatà Tàmradvîpanivàsinî || iti tenoditam grutvà sàrthavàha/ sa vismita” | Simhalam suhrdam tam àlokyaivam abravît || (3) vayasya ràksasîyam hi katham evam ihàgatà | jhatàpi ca tvayà kena tat satyam vaktum arhasi || iti tenoditam sarvavrttàntam vistarena sal | Simhalas tasya mitrasya puratal samnyavedayat |} tad uktam sarvavrttàntam grutvà sa sàrthabhrt sudhi? | satyam iti parijiàya babhùva trasitàgayaX [| tatal sa Simhalas tasmàt samprasthita/l samahita? | Senza dilungarci più oltre a riportare per intero il testo del Kàr., che segue in tutto il racconto in prosa del Divyàvadàna, affrettiamoci a riportarne la fine. 133a tata, Simhalam àalokya sarvàs tà nispalàyitàà (4) | prasàdaàd avatîryàgu dvàram samudaghàtayat || tatas te mantrino ‘màtyà janà% sarve ‘pi sainikà? | gatvà samîksya ràjàdîn sarvàn bhuktàn vicukrusu? || suciram vilapitvà te sarve ‘pi mant(ri)no janàW | amàtyàh sainikàh pauràg ciram samtrasitàgayàh | . tato sa Simhalo drstvà sarvàms tàn mantrino janàn | amatyàn sainikàn pauràn samàmantryaivam abravît || bhavanto màvicaratv atra nàsti kagcin nigàcarî | tat sarve samupàvigya pacyantàm sarvatal punah || tatas te mantrino ‘màtyà janàh samvîksya sarvata” | sarvaràjakulam... (5) tam samagodhayan || (1) Samàyàtam ms. (2) Div. 524, 1. 22. Simhalabhàryà yà ràksasî sà ràksasîbhir Bhagini asmàbhiX svakasvakàh svàmino bhaksitàs tvayà svàmî nirvaàhita/l, yadi tàvat tam anayisyasîty evam kugalam no cet tvàm bhaksayàma sà samtrastà kathayati yadi yusmàkam esa nibandho màm dharayisyatha ànayàmîti... (3) Iato fra alokya ed evam. (4) paràyitàs. (5) Ms. saàntavîhis. Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIII. 43 628 GIUSEPPE TUCCI tatas te mantrino ‘màtya bràhmarnàdîn mahàjanàn | sannipàtya prajàg càpi samamantryaivam abruvan || bhavanto ‘tra mrto ràjà vameas tasya na vidyate | tad atra kam nrpam krtvà mimîmahi vadantv ita? || iti tai mantribhih proktam grutvà te bràhmanàdayaX | mahàjanàk prajàg capi sarve ‘py evam nyavedayan | yah prajîial sàtviko vîro nîtigàstravicaksanar | dayàkàrunyabhadràtmaà sarvadharmahitàrthabhrt || tam vidhinàbhigicyàtra pratisthàpya nrpàsane | sarvaràjàdhipam krtvà pramanayantu sarvadà || iti tai kathitam grutvà kecit vijnà mahàjanaA | sarvesàm mantrinàm tesàm purata evam abruvan || Simhala} sàrthavàho ‘yam sàtviko ... krtî | dayàkàrunyabkadràtmà sarvasattvahitàrthabhrt || îdrg vîro mahaprajio dayàkàrunyasammatiA | maitrîgrîisadgunàdhàro nàsti kagcit mahàjana? || tad enam Simhalam vîram abhisicya nrpàsane | pratisthàpya nrpam krtvà mîmantàm sukarail saha || iti tair uditam grutvà te ‘màtyà mantrino janàh | sarve ‘py anumatam krtvà tathàkartum samàrabhan || tatas te mantrino ‘màtyà bràhmanàg ca mahàjanaW | Simhalam tam samàmantrya purata evam abruvan || Simhalàtra madasmaàkam (1) prajànàm api sammataA | tad anumodya ràjye ‘tra ràjàbhavitum arhasi || iti tait mantribhiX sarvair amàtyail sujanair dvijaià | pràrthitam Simhalam grutvà tatpura evam abràvît || bhavanto ‘ham vanigvrttivyavahàropajîvikaA | tat katham ràjyasambhàram sambodhum abhigaknuyàwm | tad etan mama yogyam na ksamantu tad acakyatàm | yad yogyam karma tatraiva yojanîyo hi mantribhi? || iti tenoditam grutvà àmatyà mantrino janàA | sarve tam Simhalam vîksya samaàmantryaivam abruvan || bhavatsadrgah sadbuddhir vîryavàn sadaya/) krtî | sàttviko lokavikhyàtah kagcid anyo na vidyate || yac ca nrpatel vamgo vidyate ‘pi na kagcana | (2) tad atredam bhavàn ràjyam anugàsitum arhati || iti tair mantribhiX sarvail sampràrthitam nicamya saà | Simbalo mantrinal sarvàn samalokyaivam abravît || bhavanto yadi màm sarve ràjànam kartum icchatha | samayenàham icchàmi ràjyam samaànugàsitum || iti tenoditam crutvà sarve te mantrino janàh | amàtyàs tam mahàvijiam samàalokyaivam abrùvan || (1) Sic. leggi: tvam? (2) Il primo pada è mancante di una sillaba. LA REDAZIONE POETICA DEL Kdérandavywha 629 yathà bhavatàkhyàtam samayam tat tathà khalu | (1) sarve vayam samàdhàya carisyàmal samàhitàA || iti tad uktam àkarnya SimhalaX sa prabodhita? | sarvàms tàn mantrino ‘màtyà samaàlokyaivam abravìt || yad yetat satyam àdhàya sarve caritum icchatha | tathàtra ràjyasambhàram sambodhum utsahe ‘py ahawm || tad bhavanto ‘tra me vàkyam dhrtvà dharmanusadhina? | triratnabhajanam krtvà careyam sarvadà cubhe || ity anugàsanam dhrtvà mama dharmasahàyina? | sarvasattvahitàdhàre dharme caritum arhatha ||. D'accordo con i dignitari del regno imprende quindi una spedizione contro le Raksasî: tata/X sannàhya sa bhumîgvarag caturangabalaiX saha | (sic!) samprasthito mahotsàhais tîiram pràpa mahodadhe? || tatra sa tàni sarvàni caturangabalàny api | àropya vahanesv abdhau samprasthito caran mudìà || tatra sa santaran sarvaig caturangabalaiA saha | svastinà sahasàmbhodheX pàratîram upàyayau || Taàmradvîpe tadà tatra ràksasînàm mahaddhvaja? | ropita àpanasthàne kampito ‘sucayat bhayaw || tam prakampitam àlokya ràksasyo bhayamohitàX | sarvà ekatra sammîlya mithya evam samîcire || bhavantya àpanastho “yam dhvajaX prakampito ‘dhunà | Jambudvîpanrpà nùnam asmaàbhir yoddhum agata? || sajjîkrtvà tad asmàbhi/ sthatavyam iha sàmpratam | iti sambhàsya tà drastum abdbitîram vpàcaran | tatrasthàX sakalàs tàs tàn Simhalàdîn naràdhipàn | tîràt tîrnàn mahotsàhaik dadrgur yoddhum àagatàh || kàgcit palàyitàh Kkàgcid yoddhum samàagritàA | (sic) yoddhum pratyudgatàh kaàgcit kàecit tasthur nirîksya khe || tàs pratyudgatà drstvà Simhalas prajîiayà drutam | (2) vidyàdharibhir àvistà vîrail gastrail praghatitàA || avagistà abhitrastàX Simhalasya nrpaprabhoA | krtàùjaliputà natvà padayor evam abrùàvan || ‘ Ksamasva no mahàràja vrajàmahl carane tava | tad asmàn yosito bàlà hantum nàrhati ksatriyaA || iti sampràrthitam tàbhih grutvà sa Simhalah prabhu? | samayena ksameyam ca iti tà vîksya cabravît || tac chrutvà sarvàs (3) Simhalam ksatriyadhipam (1) Il primo pada è mancante di una sillaba. (2) Idem. (8) Tac chrutvà ràksasyo sarvàà. CIARA ae ae pa dai rete ii 630 GIUSEPPE TUCCI — LA REDAZIONE POETICA, ECC. yadîdam nagaram tyaktvà sarve ‘nyatràpi tisthata | madvijite ca yady atra nàparàdhyatha kasyacit || tadà yusmàkam evàham aparàddham ksameyam hi | tadanyathà krte yusmàh sarvà hanyàm na samsgaya? || iti tena samàkhyàtam crutvà tàh sakalà api | Simhalam tam pranatvà ca samàlokyaivam abrùvan || svàmin tathà karisyàmo bhavatàbhihitam yathà | tad asman yosito bàlàh sampàlayitum arhati | , iti sampràrthya sarvàs tà ràksasya/ paribodhitàW | tyaktvà tad visayam gatvà vane ‘nyatra samàcrayan ||. Segue la solita finale dei Jàtaka, che del resto ha il suo raffronto colla chiusa del capitolo corrispondente del Divyà- vadana. Credo, in tal modo, di aver segnalato tutte le parti più notevoli del Kàr., il quale, come si vede, ha un ben meschino valore sia dal punto di vista letterario ed artistico, che come fonte di informazione per la storia o le dottrine del Buddhismo. L’ Accademico Segretario GIovANNI VIDARI 631 CLASSI UNITE Adunanza del 1° Luglio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: i Soci D’Ovipro, Segre, PrANO, Foà, Gurp1i, PARONA, MATTIROLO, GrASSI, SOMIGLIANA, PANETTI, SACCO, HERLITZKA, POCHETTINO; della Classe di Scienze morali storiche e filologiche : i Soci De SANcTIS, StAMPINI, BronpIi, ErnauDI, PRATO, PACCHIONI, Luzio, Mosca, JANNAcconE e ViparI, che funge da Segretario. Scusano l’assenza i Soci CIAN e SCHIAPARELLI. . Si legge e si approva l’atto verbale della precedente adu- nanza delle Classi unite (9 luglio 1922). _ Il Socio Luzio, relatore della Commissione per il conferi- mento del premio Gautieri, legge, dietro invito del Presidente, la sua relazione, che era stata in precedenza comunicata ai Soci. Finita la lettura, il Presidente apre la discussione sulla relazione. Nessuno prende la parola. Resta inteso che nella prossima seduta di domenica 8 corr., a norma del Regolamento, si voterà sulla proposta della Commissione, che è di dividere il premio per le Scienze storiche fra i signori R. Caggese e A. Comandini. 632 Si passa al secondo oggetto posto all'Ordine del giorno: Nomina della Commissione per il conferimento del premio Bressa. Il Socio De SancTIS ricorda che sono da conferire due premii, quello per il quadriennio 1915-1918 e quello per il quadriennio 1919-1922. Si procede alla votazione in conformità dell'art. 1 del Re- golamento interno, e riescono eletti: per la Classe di Scienze fisiche: i Soci PocHeTTINo, PARONA e MartTIROLO; per quella di Scienze morali: i Soci EinAupI, DE SANCTIS e SCHIAPARELLI. 633 Relazione della Commissione per il premio Gautieri riservato alla Storia (triennio 1919-1921). Al premio Gautieri di Storia pel triennio 1919-1921 ha concorso il solo prof. Romolo Caggese dell’Università di Pisa col IN volume della sua Firenze dalla Decadenza di Roma al Risorgimento d’Italia, col primo della sua monografia su Roberto d'Angiò, col secondo degli Statuti della Repubblica Fiorentina. Da’ soci Pacchioni e Vidari partì la proposta motivata di pren- dere in considerazione speciale l’Italia neî Cento anni di Alfredo Comandini. Sono dunque due i candidati: apparentemente distanti fra loro per l’epoca che trattano, per l'indirizzo che seguono. Il Caggese, voltosi ai campi più lontani della storia me- dioevale e moderna, già tanto dissodati dall'indagine critica italiana e straniera, non ha mancato di apportarvi il suo con- tributo di dotte, acute ricerche: ma ha mirato sopratutto al còmpito vero di storico nel senso più alto della parola, a domi- nare e rielaborare i soggetti prescelti con vaste sintesi, in po- derosi quadri e vividi ritratti di situazioni e caratteri. Corrette felicemente le giovanili tendenze che lo facevano indulgere a brillanti generalità, a esagerazioni di fuggevoli mode storiografiche, il Caggese ha saputo affermare, specialmente nel Roberto d’ Angiò, la capacità del robusto suo ingegno a solide concezioni personali: ha affinato le doti di scrittore, magnilo- quente, esuberante talvolta, ma sempre signorile, forbito, at- traente. A parte qualche secondaria riserva, merita quindi plauso la maturità della fecondissima attività sua, che, promettendo frutti sempre più vigorosi per l’avvenire, dà già ottimi saggi di una armonica fusione dei criteri a cui deve informarsi la rievo- cazione storica, con adeguato riguardo ai fattori economici e sociali, non meno che ai politici. 634 In tutt’altre condizioni s'è svolta l’operosità di Alfredo Co- mandini. Il Risorgimento è ancora troppo a noi vicino perchè. lo si possa dire sottratto al malefico influsso di pregiudizi tenaci, di passioni non spente. Tanta parte del materiale storico genuino è tuttora racchiusa negli archivi pubblici e privati; il terreno è ingombro da tutte le male piante della partigianeria e della retorica, che soffocano, deformano la verità. Una pubblicazione come quella creata, è la vera parola, dal Comandini sarebbe già altamente salutare, se fosse ristretta a pedestre ma precisa compilazione, a sicuro accertamento crono- logico de’ fatti. Quando si pensi invece che ogni nota di quel secolare Diario fu scrupolosamente vagliata da uno spirito cri- tico spregiudicato, sagace, ardito: che in que’ fitti volumi rivi- vono nella loro reale fisonomia avvenimenti e persone; tutta un'epoca è ricostruita con dati autentici e suggestivi nell’infinita varietà policroma de’ suoi elementi costitutivi; allora l’Italia ne Cento anni non è soltanto un istrumento prezioso, indispen- sabile di lavoro, sì anche una guida sapiente, una maestra di serietà, di rettitudine. È Secondo le buone tradizioni sempre osservate nell’assegna- zione de’ premi Gautieri, il giudizio investe, oltre i limiti del triennio, tutta la produzione e le complesse attitudini d’un can- didato: del Comandini è perciò da ricordare che, mentre ap- prestava con mezzi esclusivamente suoi, in un trentenne sforzo, questo mirabile repertorio di curiosità, di erudizione, di critica, dava anche prova di saper assorgere dall’analisi frammentaria a libri organici, con pensiero indipendente, ed agile penna avvi- vatrice. Tali i volumi sulle Cospirazioni di Romagna, su Milano nel ’48, sul Principe Napoleone e le Commemorazioni italiche: con le quali e con la spicciola collaborazione a periodici ha con- tribuito a diffondere una conoscenza più esatta e leale de’ fasti del Risorgimento. Da questo esame dell’opera de’ due candidati scaturisce evidente la conclusione: che sarebbe incongruo ed inopportuno istituire una graduatoria di giudizio. La Commissione concorde propone che il premio ex aequo | I° E eo. 635 sia diviso fra entrambi: omaggio del pari dovuto al giovane valoroso, e al veterano provetto, infaticabile. L'Accademia, ne siamo sicuri, coglierà lieta l’occasione di affermare che, senza esclusivismo di scuola, siano sintetici, siano analitici, onora egualmente que’ lavori storici, che rechino effettiva utilità agli studi, attestino nobiltà d’intenti, personalità di visione. Francesco Rurrini, Presidente GAETANO DE SANCTIS GiusePPE PRATO FEDERICO PATETTA ALessanpRo Luzio, relatore. 636 CLASSI UNITE Adunanza dell’8 Luglio 1923 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: i Soci D’Ovipro, Naccari, Segre, Peano, Foà, Guipi, MaTTIROLO, Grassi, PANETTI, che entra a seduta già aperta; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: i Soci S. E. BoseLLi, De Sanctis, StAMPINI, BRronDI, EINAUDI, BaupI Di Vesme, PaTETTA, PRATO, CIrAN, PACCHIONI, VALMAGGI, FaeeI, Luzio e ViparI, che funge da Segretario. Scusano l’assenza i Soci JANNACCONE e Sacco. Si legge e si approva l’atto verbale della precedente adunanza. Il Presidente apre la votazione per il conferimento del premio Gautieri in base alle proposte della Commissione giudi- catrice presentate nella precedente adunanza. Il risultato della votazione è il seguente: votanti 23, 22 sì, una scheda bianca. Il Presidente proclama vincitori del premio Gautieri per le Scienze storiche i signori R. Caggese e A. Comandini. Il Presidente invita il Socio Tesoriere Prato a dare all’Ac- cademia il rendiconto finanziario dell’esercizio 1922. Il Socio Prato legge e illustra con commenti orali le varie voci della parte passiva e dell’attiva del bilancio 1922. CATE I PTC bb ila inizi 637 Il Presidente apre la discussione sulla relazione finanziaria; ma nessuno prende la parola, onde egli dichiara approvato il ren- diconto dell’esercizio 1922. Viene pure approvato il rendiconto della gestione dei premii per l'esercizio 1922. Si passa all’esame del Bilancio preventivo 1923. Il Socio Tesoriere illustra largamente tutte le parti del bilancio, segna- lando le benemerenze acquistate, per varii titoli, dai Soci ErnAuDI, PANETTI, GUIDI. Il Presidente mette in votazione il bilancio preventivo, che viene approvato. Trae infine argomento dalla relazione PrATO per ringraziare dell’opera data agli interessi finanziarii dell’Ac- cademia i Soci EinauDI, PANETTI, GuInIi, PRATO. Il Presidente rivolge infine un saluto e un augurio di buone ferie accademiche ai Soci, e scioglie l'adunanza. Gli Accademici Segretari OrEsTtE MATTIROLO GrovaANNI VIDARI 639 INDICE DEL VOLUME LVIII. Presenti della Reale Accademia delle Scienze di Torino dalla sua fondazione . - : 7 È : ; RR ra . Pag. III ELenco degli Accademici Nazionali residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti al 31 Dicembre 1922 SEO 5 v Mutazioni avvenute nel Corpo accademico dal 1° gennaio al 81 di- cembre 1922 . . : È a È È ; : È E ADUNANZE: Sunti degli Atti verbali della Classe di scienze fisiche, matema- tiche e naturali. : ente Ds 101, 105, 131, 161, 213, 249, 295, 339, 381, 408, 414, 439, 581. Sunti degli Atti verbali della Classe di scienze morali, storiche e filologiche È è i » 39, 75, 103; 122, 152, 185, 246, 283, 315, 349, 399, 412, 423, 503, 545. Sunti degli Atti verbali delle Classi Unite. . 3 5 631, 636 PreMIo GAUTIERI: Relazione della Commissione per il conferimento del premio riservato alla Storia (triennio 1919-1921) n 633 AmBrosini (Guido). — Appunti di Estetica . x 5 2 . Pag. 41 Axrrro (Alessandro). — Variazione diurna della distribuzione della energia sul Disco solare i ; } - Li 203 Avoaanro (Lodovico). — Ricerche ona SAEOA - ; i sn 451 — Vedi Ponzio (G.). Bertoni (Giulio). — Maria di Francia e il romanzo di © Enéas, , 158 Burari-Forri (C.) — Flessione dei raggi luminosi stellari e sposta- mento secolare del perielio di Mercurio . i î 5 a 149 Cran (Vittorio). — Commemorazione di Carlo Salvioni . ° z 205 Coenerti pe Martis (Luigi). — Osservazioni sulla Spermiogenesi di Erinaceus. È - $ ; x : î 5 Ù ; = 11 640 INDICE DEL VOLUME LVIII DaLmasso (Lorenzo). — Notizie lessicali in Aulo Gellio. Semasio- logia a - î 2 : 2 o ; È È + Pag. Facci (Adolfo). — Bacone e Locke — Cartesio e Newton . » n FuLcHerIs (G.). — Vedi Poor or GareLLI (Felice). — Formazione di solfuri, seleniuri, tellururi di alcuni metalli. — I. Composti del rame A Gray-Levra (P.). — Vedi MartIRoLo (0.). Gorrani (Michele). — Il preteso carreggiamento delle Dinaridi sulle Alpi : È ì 2 : î : , , % Grassi (Guido). — Resistività dell’Alluminio a diverse temperature , Guipi (Camillo). — Sulla prova idraulica delle bombole per gas compressi o liquefatti . ù Lomsarpini (Maria). — Considerazioni peo simana per l'analiai pe- riodale Luzro (Alessandro). — E Isttors di Sr, fo ed alte do cumenti inediti giobertiani . ; — Una fonte mantovana del Guicciardini . è — Relazione della Commissione per il premio Gautieri dee alla Storia (triennio 1919-1921) = MacnacHi (Alberto). — I confini d’Italia nel pensiero di ‘Daga se- condo una pubblicazione recente . . Marro (Giovanni). — Bernardino Drovetti e Chimpallioa 5 via Temo È Documenti inediti . . MartiROLO. (Oreste) e Gray-LevrA (Piero). _ Posa Fisici du Dia- tomee fluviali dei dintorni di Torino . MonteRrIN (Umberto). — Fenomeni carsici nei Gianini della “ Zona delle pietre verdi , (Alta valle di Gressoney) ° 5 Parona (Carlo Fabrizio). — Commemorazione di Arturo Issel . 7 ParertA (Federico) — Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico Sclopis E ; È 5 ° : - 3 - x Peritti DI Rorero (Alfonso). — Di una lettera a Carlo V relativa al Sacco di Roma del 1527 . PisroLesi (Enrico). — Una estensione del HipLana di Were ad il calcolo del grado di irregolarità di una motrice PocÒ®ertino (Alfredo). — Commemorazione di ‘ceri Cori Rontgen — e Furcarris (G.). — di le Legna eletiziohe e telmaiohie dello Jodio (Nota 1) : ; è : i 7 ; p Ponti (Virginio Paolo). — Nota duale E 3 ; & 80 124 323 297 233 143 133 19 186 284 683 361 048 465 63 59 425 319 341 252 493 528 Ponzio (Giacomo). — Ricerche sulle diossime (Note XI-XII) s 391, 415 — e Avoganro (Lodovico). — Ricerche sulle diossime (Note VIII-X) , 223, — e Rueceri (Gustavo). — Ricerche sulle diossime (Nota VII) È Rueaeri (Gustavo). — Sugli acidi nitrolici aromatici & E È: — Vedi Ponzio (G). 214, 259 171 441 INDICE DEL VOLUME LVIII Sacco (Federico). — Rinvenimento di Uintacrinus nell'Appennino set- tentrionale . : . : - È È : È . Pag. — Talismani (?) preistorici . Sere (Beniamino). — Genere della curva opa per SE ST di Si che annulla un determinante simmetrico E Sesini (Ottorino). — Contatti nella coppia vite-ruota clicvidaie "i — Sul calcolo approssimato dell’influenza dello sforzo di taglio sulla deformazione dei prismi inflessi . ò Srampini (Ettore). — Altri saggi umanistici. — HlbGlaca Chicrarnnati et inscriptiones 5 Supino (Giulio). — Sulla ina delle lavate CSV È Tucci (Giuseppe). — La redazione poetica del Karandavyaha . È VarLauri (Mario). — Il brano della Sarngadharasamhità sull’ana- tomia 3 È ; : a Varmacei (Luigi). — Verna. vernaculus È Vipari (Giovanni). — [Breve commemorazione di Hihnpo' Mati > VieLezio (Elisa). — Calcolo diretto dei logaritmi decimali x ZamBonInI (Ferruccio). — Commemorazione del Socio corrispondente Giacomo Ciamician È et P (i LS DI DI CAME de è vpi Ari TA » 6. i %” a vi È - 19 novembre Pg LE ARCI -81 >» 14 gennaio 11 febbraio - 25 » 11 marzo $ Lod wi » » 15 aprile è 290: > - 13 maggio - 27 » 17 giugno Cm O dev vd per cura di c. Frati, A. Baudi di Vesme e ‘c. Cipolla. È |. Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in: f° di 32 pp. e 134 ta- ; ‘vole in Aa è i alitolioito i in talia per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis e E, Fedele. nai | Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol, in-4° di 70 pagg. SUI 96 tav. SOMMARIO © lt, i E } ita gl SANO Li i x ; \ AI E Presipenti della Reale Accademia delle Sdi di Torino dalla s sua È fondazione —. —.. È ve SE Sale Seta ia Pag ELenco degli license Nesibnali dirigono: Raslonni non n residenti Dei e Corrispondenti al 31 Dicembre: 1922 n RO r) = x s ne Sunto dell’ Atto Verbale dell’Adunanza del 19 Novembre 1922 Fog. Sesini (Ottorino). — Contatti nella coppia vite-ruota elicoidale - do i Coenerti pe Martis (Luigi). — Osservazioni sulla Spermiogenesi di‘ Ì Erinaceus Aa St ARTO RE E ANDATA eÈ hi Lomsarpini (Maria). — Considerazioni RE per l’analisi Lei _ riodale . : : 3 " ; i ; ; ; ; Classe di Scienze Morali, Storiche È Filologiche. ta Sunto dell’ Atto Verbale dut'AnGsaane del 26 Novembre > 1928 Pag. 3 Awsrosini (Guido). — ‘Apponti di Estetica . SEE . $ LEVI Tip. Vincenzo ona — Torino tI ‘DI TORINO | —’PUBBLICATI PI pis; je "DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI I) È Drse. 2* n 3°, 1922-1923 i TORINO. >. SR | Libreria FRATELLI BOOCA (x. Via Carlo Alberto, 8. 1923 È DISTRIBUZIONE DELLE ADUNANZE DELLA. REALE ACCADEMIA DELLE. ‘SCIENZE SPIE "TORINO nell’anno. 1922- 928. divise. per Classi. Viù i { Classe di Scienze ‘ fisiche, matematiche e naturali” 19 novembre ‘8 dicembre 17 » n) » 1 mùnaio wii 11 febbraio -25 .» 11 marzo. 25 » “ 15 aprile 29 8 ‘18 maggio 27 is (3 vovereveirivre 17 giugno Classe di Scienze: morali, storiche e filologiche . . la _—_ e - 1922 - 26 novembre >» - 10 dicembre @ Sa D4 » |d gennaio. È n VV dle NG mono iliniato Ji card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona. St; fp Gadite: della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile Cer cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in- f° di 32 pp. e 134 ta- vole in pierzloezia IA I | codice aiguialico K della Biblioteca Universitaria RATA di Torino, Il in fac-simile per cura di C. ERI G. De Sanctis ‘eb. Fedele. Torino, Casa Haifa 4a. Molfese, DD: 1 vol, in-4° di 70 pagg. or e 96 tav. # MORRA e ISTE AL Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell’Atto Verbale dell’Adunanza del 3 Dicembre 1922 . Pag. 57 Parona (Carlo Fabrizio). — Commemorazione di Arturo Issel . Re 56 Monrerin (Umberto). — Fenomeni carsici nei calcemicascisti della. | “ Zona delle pietre verdi , (Alta valle di Gressoney) 0.00. Classe di Scienze Morali, Storiche 6 Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 10 Dicembre 1922. Pag. 78° DALmasso (Lorenzo). — Notizie lessicali in Aulo Gellio. Semasiologia DE 80 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. È ; Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 17 Dicembre 1922 Pag. 101. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 24 Dicembre 1922 Pag. Tip. Vincenze Bons Torino il A ì | REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE SRI DI TORINO n 6 PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI x i Vor. LVII, Disp. 4* e 5°, 1922-1923 di t bE Î } r ) 4 \ \ Î, / Pad; fo iv. RA È i) di pl Nas pe î "A AJ: Mag TIA 1a Mes n ai | pa TORINO Libreria FRATELLI BOOCA Via Carlo Alberto, 8. 1923 i : PUBBLICAZIONI FATTE SOTTO GLI AUSPICI DELL'ACCADEMIA Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona. Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e 134 ta- . vole in fotocollografia. Il codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino, riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis e P. Fedele. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4° di 70 pagg. e 96 tav. ns nn ata init e E RR SOMMARIO N Classe di sb Fisiche, Matematiche e Natural. sp Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 31 Dicembre 1922 . Po) hi i i 05 A Sacco (Federico). — Rinvenimento di EREDI nell’ Appennino set- tentrionale . ; , Pi ViGLEzIO (Elisa). — Calcolo diretto 0 ici PRI dr RO i h Olusino di‘ Scicnze Morali, Btorichs è Fiologiano i Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 7 Gennaio 1923. Pag. 122 Face (Adolfo). — Bacone e Locke . ; È 3 : pino Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. || Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 14 Gennaio 1928. Pag. 181. Gurpi (Camillo). — Sulla prova idraulica delle bombole per gas compressi 0 liquefatti ) i; een Lo 17 Grassi (Guido). — Resistività dell’ PRI a Sicoeo leoni: ni Ae | Burari-Forri (C.) — Flessione dei raggi luminosi stellari e sposta» mento secolare del perielio di Mercurio . 5 i; 3 n 149. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell’Atto Verbale dell'’Adunanza del 21 Gennaio 1923 . Pag. 152 Bertoni (Giulio). — Maria di Francia e il romanzo di “Enéas, , 158 Tip. Vincenzo Bona - Torine 5% î . A'TT iù i \ . | REALE ACCADEMIA DELLE SCIRNZE È DI TORINO A a a ae £ PUBBLICATI a TL (i DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI I Tui de Sura fa Ped Vor. LVIII, Disp. 6*, 1922-1923 TORINO Libreria FRATELLI BOOCA Via Carlo Alberto, 8, 1923 PUBBLICAZIONI FATTE SOTTO GLI AUSPICI DELLACCADEMIA pui Messale miniato del card, Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona. Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile ‘| per cura di C, Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in- fe) di 32 pp. e o ta- vole in fotocollografia. Il codice evangelico k della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino, riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis e P. Fedele. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4° di 70 pagg. e 96 tav. “SOMMARIO: i 0a Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 28 Gennaio 1928. Pag. | Lul Secre (Beniamino). — Genere della curva doppia per la varietà di Sk che annulla un determinante simmetrico . |. /». .. n 162. | Ponzio (Giacomo) e Ruaceri (Gustavo). — Ricerche sulle diossime MIRATI (ROTA VIDI I E I I E IE SE NA Y Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 4 Febbraio 1923. Pag. 185 Luzio (Alessandro). — Due lettere di Vincenzo Gioberti ed altri do- | ji È cumenti inediti giobertiani GG... 0.00 186 PLOT VIA RR SATA i ANAAO OS ANANAS Cai iP io TSI, BAIANO I ZII DO dava a REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. LVIII, Disp. 7*, 1922-1923 TORINO Libreria FRATELLI BOOCA Via Carlo Alberto, 3, 1923 n Messale miniato del Rari: Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona. Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile acne: dir cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. reo 3 vole in fotocollografia. 16 \ Il codice evangelico le della, Biblioteca Universitaria Nazionale di. loci riprodotto; in fac-simile. per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis. e.P.Fedele. —. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 SI in-4° di 70 pagg. _e 96 tav. Torino, Fratelli Bocéa editori, 1906, 1 vol. in- f° di 32 DIS e 134 ta- “ ) N Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e , Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza aell11 Febbraio 1928. agi Da» Ponzio (Giacomo) e AvoGanro (Lodovico). _ Ricerche sulle diossime na (Nota VIII)... ì : ie pera NA I Derri. — Richerche sulle diossime (Nota IX) VENE e - GorranI (Michele). — Il preteso carreggiamento dele Dinaridi sulle Get Alpi PERETI MOR, > . 97: SOS NOTAI a ata ati ‘Classe di Scienze Moral: Storiche e Filologiche. ) Sunto dell'Atto Verbale dell'A dunbnza del 18 Febbraio 1923 . Pag. N VIRA VIRA CO RINGASI NOOO LOD: DI. 7) w ARA gli po EMA EA ER RIC NI Dal LABINI vele di I) è (tres CU si a. PA al LARA E bo! ig Ru t: API DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DPUTRORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. LVII, Disp. 8°, 1922-1923 TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto, 3. 1923 i ua Messalo iniuiato del card, Nicolò Roselli detto il cardinale PIE - Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto în fac-simile | per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C, Cipolla. pio Torino, Fratelli Bocca editori, 1206, 1 vol. in: f° di 32 pp. e 134 ta- ..,, vole in fotocollografia. "A ; uk dediioo erangelico! k della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino, 2 riprodotto in fac-simile per cura di C. ipa; G. De Sanctis iP. Fedele. > Torino, Casa editrice Si Vine, 1913, 1 vol. in-4* di 70 pagg. ‘e 96 tav. or] | SOMMARIO. IE LIA Rondi i Ponzio (Giacomo) è Avosapro (Lodovico) _ Ricerche sulle è diosimé (Nota X) i Asterio (Alessandro). — Variazione diuthé. della distribuzione della DI i energia gui; Disco solare n STA RA 7 | Classe di Scienze Moral, Storiche e Plologiche Sulbo dell'Atto Verbale dell'A digianoe del 4 Marzo 1923” Luzio (Alessandro). — Una fonte mantovana del Guicciardini . OS "a Vip. Vinsenze Bono - Torine E ACCADENIA DELLE SCIENZE PI E [pets | PUBBLICATI | Doo = DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE -DUE CLASSI. » $- I x | Vox LVII, Disr. 9*, 1922-1923 ele TORINO | | Libreria FRATELLI BOOCA SARA ' Via Carlo Alberto, 8, y 1923 per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C, Cipolla. DÒ ‘Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in- f° di 32 pp. e 134 ta- i cera in ante di a in fel ‘Der cura di C; Cipolla, G. De Sanctis vee | Fedele. PWAITALA SR Torino, Casa editrice. a. Molfese, 1918, 1 vol. in-4° di 70 pagg. e ui tav. RIO x Pi: i - Santo dell'Atto Vorigle dell'Adunanza del 18 Marzo 1928” Penn DI Rorero (Alfonso). —- Di una. lettera al è Carlo v relativa al Sacco di Roma del Mp2 lavica OSO ‘Faeei (Adolfo). — Cartesio e Newton a DI TORINO PUBBLICATI un0o I} D DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Sa MORENO e SI Libreria FRATELLI BOOCA . to Vin Carlo Alberto, 8, - Ti 1923 > Godlice della Biblioteca ERA di os oià in fao-sistilb per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. Torino, rratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in P di 32 pp. e 184 i vole in fotocollografia. E II y r 4 i 3 n dedico evangelico Î della Biblioteca Digli RR di Torino. i ‘riprodotto’ in fac-simile per cura di e. ‘Gipelia, Jai De PADRE, 4 PR. Rodelo, i; | Torino, Cita editrice. .Molfese, 1918, 1 vol. in4* di 70 pagg. e 9a, Rat il calcolo del LR di ma di una motrice ii i RX ue x f x Glasse di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ; "Santo dell’ Atto Verbale dell ‘Adunanza dell'8 NET: 1993. r ‘Pag.’ SrAMPaNI (Ettore). — Altri saggi umanistici. — pigiare ebigrammata dI — et inscriptiones sa La pae ; - 3 7 s 3? . Maosnacar (Alberto). - sap | ASSI @Italia. nel pensiero o ‘Dante, sei ‘condo una pubblicazione fidoenbe CR i 1A . Mo. Vinoehsa Rena - Trino / \ r x f ACCADEMIA DELLE SCIENZE. CDI TORINO ' | PUBBLICATI " f - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI i I | — Von. LVII, Disp. Il°, 12° x 13°, 1922-1923 TORINO Libreria FRATELLI BOOCA | Via Carlo Alberto, 8, 1923 n Messalo tO di A NICO ASTA AEG LI cardinale d'Aragona — Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile. dad cura di C. Frati, ‘A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. ., | Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 ut im-f° di 32 pp. e NDS ta ; A vole in folocallografia, RE "ORA n I) x x + \ x î « l î i , ‘ ì 3 i ni codice evangelico x dalia Biblioteca ERRE nazionale di Torino: riprodotto ‘in fac-simile DE cura ci C. Enna G. De Sanctis e P. Fedele. ; A | Torino, Casa editrice G. Molfere, 1913, 1 vol/ in-4° di 70 pagg. 996 tar. sd TN i a SOMMARIO. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche « e Naturali. “Sento dell'Atto Vesbele dell'Adposidi del iE il 1923. D° Pag 1 ‘’. Sacco (Federico) — Talismani (?) preistorici. 0.0 tia 1 ecaRA page (Giacomo). — Ricerche sulle diossime (Nota x). via i. | 1 Classe di Scienze Morali, Storiche e Fillogiche. Sunto dell'Atto toto dell'Aguoaitie ‘del 22 ag 1928, i sa 45; | Classe di pelenzo Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 29 TR 1923. v Pag: | Sueino (Giulio). — Sulla struttura delle travature reticolari. Tot na 405 n n \. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Mi Can Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 6 Maggio 1923 i Pag. 412 hi Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. | ——’Sunto-dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 18 Maggio 1923. Pag. Aldo Ponzio (Giacomo). — Ricerche sulle diossime (Nota XII). -./ -/,° 4150 n Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell’Atto Verbale dell'’Adunanza del 20 Maggio 1923. Pag. 493 ; ParertA (Federico). — Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico i Sclopis ... 5 h ESS Ser È i Aaa n 425 e ‘oe neo E [n"2t.cTg1ì Tp + noenze Bons... Torine RRALB ACCADENIA DELLE DI TORINO r x PUBBLICATI -DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASS VC Vot. LVII, Disp. 14°, 1922-1923 i TORINO Libreria FRATELLI ; Via Carlo Alberto, 8, 1928. kh un deal miniato del card, Nicolò Roselli detto il cardinale d'Area i Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile per cura di C, Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla, Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 toh in- f° di 32 pp. e 134 ta- vole in Galina n ul codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino, riprodotto in fac-simile per cura sa C. Cipolla, G. De Sanctis e P. Fedele, i A Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4* di 70 pagg. e 96 tav. É Classe di Scienze Fisiche. Matematiche e Naturali. i | unto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 27 Maggio 1928. Pag. 439 DEN Rueaeri (Gustavo). — Sugli acidi nitrolici aromatici {. {.. , 441 Avogapro (Lodovico). — Ricerche sulle diossime | |... ua MarmRoLo (Oreste) e Gray-Levra (Piero). — Primo Elenco delle Dia- tomee fluviali dei dintorni di Torino. —. L'APE Poc®ertIno (A.) e Forc®erIs (G.). — Su le proprietà elettriche e ter- \ miche dello Jodio . 5 ; ; ; Do ATE ag CA } ‘| Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Di Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 10 Giugno 1923 . Pag. . 503 Cran (Vittorio). — Commemorazione di Carlo Salvioni .. |. ©, 5050 Ponti (Virginio Paolo). — Nota dantesca... * i x pub i Pri My. Vincenzo Bona — Boerins LR ACCADRNIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI p>, DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI .. Von. LVII, Disp. 15°, 1922-1923 | n Ì è N o TORINO . + Do Libreria FRATELLI BOOCA RA Via Carlo Alberto, 8, 1923 A 4 } Ù n Oddica della Hibligtaca nazionale di Torino Divano in fac-simile per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. . Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e 134 ta- vole in Sa riprodotto in fac-simile. per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis ievP, Fedele, i | Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4°® Si 70 pagg. ‘e 96 tav. fi. a \ | Classe di Scienze Fisiche, Matematiche o Nat Santo dell'Atto Verbale dell'Adunanea fi 4a: (gno 1923 ZAMBONINI (Ferruccio). — Commemorazione de Socio corrisponde: Giacomo Cigna 1 La Documenti inediti è; i S VALMAGGI ie — Verna, vernaculus tomia . È ni Tucci (Giuseppe). — in redazione poetica mt: itarandarygina Ì Classi Unite. Sunto dell’Atto Verbale’ dell’Adunanza del 1° o 1923 Luzio (Alessandro). — Relazione della Commissione per il premio Gautieri vata alla Storia Canzo 1919-1921) i “i Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza dell'8 Luglio 1923 11 / 9 ; MIRA LA DARE } Ve! n i] i ch x i Va NE, " A IT Da WNT Al a x hi AMNH LIBRARY DI