1; T, se a<
2h 1 quindi m> 3 eT,>-——-;
come dovevasi at
DES
3 di
Analogamente si ragiona se a cambiando solo 7,
1
in Ti. i
Fi ,
zeri della s (x), taluno dei quali può essere triplo, si contino
senza riguardo alla multiplicità.
Se invece a = 1, affinchè la proposizione si mantenga vera
occorre contare come due zeri gli eventuali zeri doppi. (È appena
necessario di osservare che la determinazione di questa multi-
plicità si fa senza ambiguità anche nel caso che s(x) debba
rappresentare una curva tracciata, perchè i detti zeri doppi sono
i punti in cui tale curva è tangente all'asse delle x).
‘ L’approssimazione con cui la proposizione ora dimostrata
determina il periodo (7, o 7) è espressa da:
È 1 1 Da 10
A=2>(--};-+b)=#j eo:
Ts
Se a=-? , la proposizione resta ancora vera, purchè gli
D'altra parte indicando con 7, quello che la proposizione
fornisce:
2d<=(m +3) 7,;
quindi:
Applicando il teorema alle derivate ridotte prima e se-
conda di s (x), e osservando che:
1>aAg7T quando a >a> (2)
1>a (È) = Tm quando (7) I. pe (FP)
si ha ancora che:
Se a è esterno all'intervallo fat ò (7) (0 coincide col secondo
36 | — MARIA LOMBARDINI
estremo) e se n è il numero degli estremi distinti di s (x) cadenti
in un segmento di lunghezza è, uno dei periodi delle sinussoidi
TOO a sa ie sci
componenti è compreso nell'intervallo | -Tz > 53): 29 p
ne
Ti
2 3
Se a è esterno all’intervallo (7) : (2) (0 coincide col se-
1 i
condo estremo) e se p è il numero dei flessi distinti di s (x) cadenti
in un segmento di lunghezza è, uno dei periodi delle sinussoidi
ed è T, se a<(1).
riodo è precisamente T, se a >
4
i 26 28: \
componenti è compreso nell'intervallo - F3 “sì e questo pe-
2 3
riodo è precisamente Ty se a>(1) ed è T, se a<(3) :
î 1
Osserviamo ancora che, per il teorema di Rolle, è certo:
n=>m_—_-l p=n_-1=>m—-2;
quindi ciascuno dei numeri:
m +3, n+3, p+3 è sempre >m_-2.
Consideriamo allora i tre intervalli:
A=( +7 2) B=(,03 a) = n= )
A seconda che a non è interno a:
(ab) Ga) a
rispettivamente B e C, A e C, A e B comprendono, qualunque
sia è, uno determinato dei periodi 7,, 7,. E poichè l’ampiezza
di questi intervalli tende a zero al crescere di è, si può sup-
porre è sufficientemente grande perchè siano distinti due inter-
valli contenenti periodi diversi. E per la precedente osserva-
zione relativa al teorema di Rolle, se due di questi intervalli
sono distinti (non parzialmente sovrapposti) essi si seguono
nell'ordine scritto, e non potrà B essere distinto (precedente)
da € senza che anche A sia distinto da C.
Pirla ei ta o ia LA
CONSIDERAZIONI @EOMETRICHE PER L'ANALISI PERIODALE 37
Da queste osservazioni segue la regola seguente:
Si considerino i 3 intervalli A, B, C. sopra indicati per è
conveniente (convenientemente grande):
1) Se A, B, C hanno una parte comune, in B sta uno
dei due periodi 7,, 73; e precisamente:
o a >+ ed il periodo considerato è 7, e sta nella
1
Tg
SERRA
parte comune a B e a A; ovvero a<(7°) ed il periodo con-
1
siderato è 7, e sta nella parte comune a B e a C;
2) Se A precede C e B ha una parte comune con C,
T, è contenuto in C; inoltre:
T; \2 Ts \8. Ti Ta
o) (FI) >a>(£) : ovvero (12) >a=>($) nel qual
caso 7, è contenuto in A;
8) Se A precede C e B ha una parte comune con DE
T, è contenuto in A; inoltre:
o 7 >e=>(#) nel qual caso 7, è contenuto in C;
ovvero SCESE
4) Se A, B, C sono distinti, 7, è contenuto in C, 7; è
contenuto in A e 7 ESE 1e- (F)°
In ogni caso dunque uno dei periodi risulta determinato
(con approssimazione) e solo nel primo caso è dubbio quale.
Conosciuto uno dei periodi, non importa di saper quale, si
può determinare l’altro con metodi noti. Basta, per es., fare la
somma di s(x) colla s (x) medesima spostata di 1/2 del periodo
conosciuto: questa somma è una sinussoide semplice avente per
periodo quello ancora incognito.
Di questa sinussoide si possono d'altronde determinare
allora anche le altre costanti (ampiezza e fase), e desumere
così quelle della corrispondente componente della sinussoide
composta: la quale si può così considerare come completamente
determinata, come si osservò nell’introduzione.
$ 6. — Se la sinussoide composta è periodica la determi-
nazione dei periodi. risultante dalla regola precedente acquista
maggior precisione. Se invero 7 è il periodo della sinussoide
38 MARIA LOMBARDINI — CONSIDERAZIONI GEOMETRICHE, ECC.
composta, si indichino con m, n, p i medesimi numeri che pre-
cedentemente, per è = 7; se m', n', p sono i corrispondenti
numeri per d' = KT (K intero) si ha:
n= kn a_n
i ò’
lim +; =" È RS
, ò’
lim +; = lim L CETO
K=% st 3 K=o 7 2 n
, ,
lim = lim ca SIA
Ri E O I m
Agli intervalli A, B, C della precedente regola si potranno
quindi sostituire i numeri A'= Ata e ali Cid
p n m
quali forniranno a seconda dei casi 1°, 2°, 3°, 4° i valori di 7
BAI E
Contrariamente a quest'opinione potrebbe opporsi peraltro
che in realtà avviene che una cosa sembri bella ad un individuo
e brutta o meno bella ad un altro e che quindi nemmeno la
contemplazione, il plauso, l'ammirazione non bastino a comple-
tare l’idea della bellezza.
Ora a tal proposito s'impone anzitutto una limitazione.
Quando si dice che l’espressione per essere bella deve provocare
l'ammirazione, questo s'intende per gli uomini dotati di sensibi-
lità e che siano in grado per la loro educazione e per le loro
qualità psichiche di sentire il fascino che da quell’espressione
emana. Certamente ad un selvaggio potrà sembrar brutta la
Venere di Milo, come a noi potrà sembrare brutto, indipenden-
temente da ragioni estranee al bello e così da considerazioni di
ordine religioso o morale od altro, un rozzo idolo di legno o di
pietra nel quale invece quel selvaggio aveva tradotto la sua
immagine della perfetta bellezza. E lo stesso si può dire del resto
dei nostri bambini, pei quali è più bello un mostriciattolo di
pagliaccio di cartapesta che non il Mosè di Michelangelo.
Ammessa questa limitazione, la confutazione dell'opposizione
viene rimessa ad un’altra scienza che non è l’estetica, ossia alla
logica; — perchè tale questione si risolve in quest'altra: se cioè
il giudizio degli uomini possa costituire un elemento per vagliare
il bello e il brutto, come anche il giusto e l’ingiusto, il vero e
il falso, il bene e il male, il morale e l’immorale, e così via. Ora
noi, senza trattare qui la questione che, come ripeto, esula dai
confini dell’estetica, possiamo ritenere, seguendo anche l’opinione
prevalente, che in realtà il giudizio degli uomini può vagliare
il bello e il brutto, il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, es-
senzialmente per la considerazione, che, riflettendo tali giudizi
sentimenti ed idee puramente umane, sarebbe illogico che altri,
all'infuori dell’uomo, potesse giudicarne.
Ad onta di ciò, potrà darsi benissimo che una cosa bella,
ad esempio un bel paesaggio alpestre, desti maggiore ammira-
zione in una più che in un’altra persona, anche se dotate en-
trambe di sensibilità estetica. Ma in tal caso bisogna distinguere
edi rr e,
52 . GUIDO AMBROSINI
il giudizio estetico propriamente detto e del quale ci siamo oc-
cupati fin qui, dal giudizio di semplice compiacimento, e che si
riferisce essenzialmente al gusto dell'individuo. In altri termini
quel paesaggio sarà giudicato bello da entrambe queste persone,
ma l’una troverà in esso un'espressione di suo gusto oltre che
degna di ammirazione, l’altra, pur trovandovi un’espressione
degna di ammirazione, non la riterrà di suo gusto. De gustibus
non est disputandum. Il che però non toglie che intatta e comune
rimanga l'ammirazione, epperò uguale il giudizio estetico nel
vero e rigoroso senso della parola.
*
RE
A completare poi il concetto della bellezza, quale noi ab-
biamo cercato di dimostrare, possono valere le seguenti consi-
derazioni sul brutto e su ciò che non è bello, senza essere brutto.
Noi abbiamo cercato di dimostrare che non ogni espressione
bellezza, ma che ogni bellezza è espressione, in quanto questa
conveniente ed è tale da provocare il plauso; l'ammirazione.
Tutto ciò quindi che non è espressione conveniente sarà
brutto. Così è brutto porre le cose fuor di luogo, e ciò indipen-
dentemente dall’esser queste cose per sè stesse belle o brutte.
Mentre invece una cosa deforme ed una cosa trista e crudele,
od addirittura tutte le forme di bruttezza fisica o morale, rap-
presentate a loro luogo possono entrare nel dominio della bel-
lezza: se cioè vengono espresse convenientemente ed in modo
tale da provocare ammirazione e plauso nel senso sopra ripetuto.
Nel campo dell’astrazione insomma abbiamo la brutta azione,
o la brutta forma, in quanto è contrastata dalla norma del-
l’azione o della forma. Nella rappresentazione estetica invece
basta che la espressione di quella immagine o di quell’azione
sia conveniente e tale da suscitare il plauso (indipendentemente
quindi da ogni relazione di bontà, di verità, di norma e via di-
cendo) perchè la medesima sia bella.
Che se poi un'espressione sarà conveniente ma incapace di
esigere il plauso e l'ammirazione, noi diremo quell’espressione
conveniente non bella, ma nemmeno brutta; bensì soltanto den
fatta, ma indifferente al nostro sentimento estetico. Così, se un
© DD
I RATE RO EPA E ESITI
Ra 9 SE PRE a
APPUNTI DI ESTETICA DS
pittore mi esprime sulla tela, come già si è detto, una bottiglia
o una sedia, che abbiano l’unico pregio di essere dipinte con-
venientemente, può darsi che le medesime ci lascino indifferenti.
Non sono quindi cose belle, ma non sono nemmeno brutte;
perchè in sostanza sono ben fatte, ed esprimono pure convenien-
temente una data impressione. Che se invece tale dipinto sarà
fatto non solo convenientemente ma in modo anche da provocare
l'assenso del nostro spirito che si traduca nell’ammirazione e
nel plauso, noi potremo dire con sicura coscienza che quel di-
pinto è bello.
La convenienza dell'espressione insomma è un elemento so-
stanziale della bellezza; ma bella veramente l’espressione non
diventa se non in quanto può provocare nel nostro spirito il
plauso e l'ammirazione.
È ovvio poi che in tal modo diviene indifferente il conte-
nuto della bellezza.
È bensì vero che da un’espressione di bellezza, ad esempio
da un’opera d’arte, possono derivare degli effetti buoni o cat-
tivi, o buoni per alcuni e cattivi per altri. Ma il giudizio intorno
al medesimi esce sempre dal campo estetico. In questo non si
conoscono effetti utili o dannosi, veri o falsi, ma soltanto o belli
o brutti.
L’Arte.
&
Accennata l’idea di bellezza veniamo ad esaminare che cosa
è l’arte, e in quali rapporti essa sta con la Bellezza.
Per Arte noi intendiamo la produzione volontaria della bel-
lezza per opera dell’uomo (1).
Volontaria, diciamo, perchè vi possono essere cose bellis-
sime, prodotte dall'uomo, ma nelle quali la bellezza non risulta
dalla sua volontà.
Ad esempio, una nave da guerra è opera dell’uomo e può
essere anche una cosa bella: ma non è opera d’arte. Perchè si
abbia un'opera d’arte bisogna che essa sia stata fatta dall'uomo
per essere una cosa bella e risulti di fatto una cosa bella; op-
(1) Vedi M. Porena, Che cos'è il bello? Milano, Ed. Hoepli.
TRILONAI
54 GUIDO AMBROSINI
pure che sia stata fatta per scopi anche affatto diversi, ma che
in qualche modo abbia pure avuto per fine e per risultato la
bellezza. Per esempio, le magnifiche berline dei re di Francia,
raccolte a Versailles, servivano principalmente da veicolo, ma
sono pure opere d’arte; opere d’arte però soltanto in quanto i
loro artefici si erano anche prefissi di farne delle cose belle, e
vi sono riusciti.
Non basta. L’opera d’arte in quanto bella, sarà una espres-
sione conveniente e riuscita, prodotta volontariamente dall’uomo
in grazia d’un mezzo espressivo e capace di destare tanto nel-
l'artista quanto negli altri ammirazione, plauso, contemplazione.
E qui bisogna intenderci. Sulla necessità dell’espressione
dell’opera d’arte non occorre trattenerci più oltre, dopo quanto
dicemmo sulla bellezza in generale. L’opera d’arte per esser bella
deve essere, appunto perchè bella, espressione conveniente e de-
stare plauso e ammirazione.
Resta invece a vedere come si attui questa ammirazione in -
chi crea e in chi contempla o ammira, e che cosa siano e come
operino queste forme espressive.
Dal fatto della produzione volontaria dell’uomo deriva subito
una grande differenza tra il fatto estetico in genere e l’artistico
in ispecie.
Nel primo il piacere estetico si attua o meglio si esaurisce
nell'atto dell’ammirazione, della contemplazione, del plauso. Da-
vanti a un bel paesaggio non vi è che l'ammirazione di chi os-
serva, e quel paesaggio diventa senz'altro l'oggetto della con-
templazione ossia l'oggetto del piacere estetico.
Nel fatto artistico invece due sono gli elementi costitutivi:
e cioè la produzione dell’opera d’arte e la contemplazione della
stessa; poichè due sono, per così dire, i personaggi della rap-
presentazione artistica: chi produce l’opera d’arte e chi la am-
mira (1). Nel fatto artistico adunque bisogna che l’artista trovi
l’espressione più conveniente alla sua impressione e tale da
destare in lui e negli altri il plauso e l'ammirazione; e che a:
sua volta una tale espressione così attuata susciti, quanto più
(1) Vedi N. Gato, La scienza dell’arte, cap. X, passim. Torino, 1887,
Ed. Roux e Frassati.
*
9: " n o» aaa e PIT 7 ;
APPUNTI DI ESTETICA 55
è possibile, l'impressione conforme in chi la contempla e la
ammira.
L'arte insomma è l’espressione di un’impressione, di una
emozione che l’uomo traduce al di fuori della sua coscienza va-
lendosi di certi mezzi espressivi, quali le combinazioni di linee,
di colori, di gesti, di suoni, di parole; per modo che tale espres-
sione, sia per chi la crea sia per chi semplicemente la ammira,
possa formare oggetto di contemplazione e di plauso.
L’artista in altre parole adopera i mezzi della propria arte
per dar modo, o con colori o con suoni o con marmi o con pa-
role, alla sua immaginazione di esprimersi convenientemente
allo scopo di fare una cosa bella: il che vuol dire ancora che
l'artista non riproduce nè copia le cose reali, raddoppiando così
le medesime o simulandole, ma suscita invece con la sua im-
maginazione o fantasia l’immagine di tutto il Mondo, noto ed
ignoto, rappresentando il sogno della sua anima coi mezzi della
propria arte.
Così ogni opera d’arte ha le sue origini nell’anima dell’ar-
tista. Una persona in posa deve dar modo di suscitare nell’anima
del pittore o dello scultore che vuol ritrarla l’immagine ideale
della persona stessa, onde l'artista possa poi esprimerla conve-
nientemente e bellamente. Noi non avremo così la fotografia di
quella persona in quel dato momento, ma l’immagine di tutto
il suo essere completo, quale l’artista la avrà lungamente elabo-
rata in se stesso e poi in bel modo espressa. Lo stesso dicasi
del pittore-paesista; il quale non ritrae un paesaggio qual'è, ma
bensì quale appare alla sua anima.
È per tal modo anzi che l’arte si libera a poco a poco dalla
natura, e può giungere così fino all’arte architettonica, nella
quale i richiami alla natura non sono possibili se non per una
specie d’analogia; — alla musica, che ne è pur essa quasi com-
pletamente disciolta; — alla poesia lirica e si può dire alla
letteratura in genere, in quanto in queste arti la rappresenta-
zione del mondo sensibile viene fatta per mezzo di simboli quasi
puramente convenzionali, quali sono le parole.
Tutte le arti pertanto appaiono come espressioni di un sen-
timento umano, di un po’ della vita dell'anima, nel senso sopra
ripetuto; ed è per questo anche che l’opera d’arte è essenzial-
mente soggettiva.
56 GUIDO AMBROSINI — APPUNTI DI ESTETICA
Nell'arte appunto si svolge e si attua la più grande e la
più alta esaltazione dell'io. Quanto la vita pratica è irta di limi-
tazioni e di rinuncie, altrettanto la vita estetica è affrancata da
ogni limite. In arte libertas!
Il pensatore indaga, l'artista crea. Che importa all’artista
delle norme, dei pregiudizi, dei vincoli convenzionali ? Egli col-
tiva in fondo all’anima il suo sogno interiore, che è poi il sogno
interiore ma confuso di tutti gli altri uomini, poichè tutti, qual
più qual meno, hanno dei momenti poetici. Ma se l’artista avrà
il Genio o anche solo l’ingegno per trovare la forma, l’espres-
sione di questo sogno, tale sogno diventerà espressione del sogno
di tutti gli altri.
Così l’artista, in quanto non cessa di esser uomo, trae dalla
vita pratica e dalla natura le sue ispirazioni, ma le elabora a
suo modo; e creando l’opera d’arte, impone accanto alla natura
l’espressione della sua anima, con quell’impronta assolutamente
particolare, che rappresenta quanto vi è al mondo di più riso-
lutamente individuale e soggettivo: lo stile.
Dicembre 1922.
L’ Accademico Segretario
GIOVANNI VIDARI
57
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 3 Dicembre 1922
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci D’Ovipro, SEGRE, PEANO, GuIDI, PARONA,
Grassi, SomieLIANA, PANETTI, Ponzio, SAcco, HERLITZKA e il Se-
gretario MATTIROLO.
Il Segretario dà lettura del verbale della adunanza prece»
dente che risulta approvato senza osservazioni.
Il Presidente comunica alla Classe la notizia della morte
del Socio corrispondente Arturo Isser, Professore nell’ Università
di Genova, che apparteneva alla nostra Accademia fino dal
14 giugno 1903. Le condoglianze dell’Accademia furono tele-
grafate al figliolo Prof. Raffaele dal Vice. Presidente PARONA,
il quale commemora con elevati ed affettuosi sentimenti di ami»
cizia e di ammirazione l’illustre scienziato, illustrandone le mol-
teplici benemerenze scientifiche. Alle parole del Vice Presidente
PARONA si associa il Presidente, che fu per molti anni collega
dell’insigne estinto, rimpiangendo con amarezza la scomparsa di
chi ebbe tanta parte importante nell’incremento dell’Università
genovese e diede opera illuminata per lo sviluppo della coltura
del popolo ligure.
La commemorazione detta dal Vice Presidente viene ac-
colta, con plauso unanime, per la pubblicazione negli Atti.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 5
Il Segretario presenta quindi una commemorazione del com-
pianto nostro Socio corrispondente Prof. Saverio BeLLI, tenuta
nella Università di Grenoble dal Prof. MaRrcEL-MIRANDE; egli
fa rilevare l’importanza di questo scritto che illustra e riconosce
le benemerenze scientifiche di un italiano che fu lustro e decoro
dell'Istituto botanico dell’Università di Torino, dove passò la
maggior parte della sua carriera scientifica prima di passare
alla Università di Cagliari.
Il Vice Presidente comunica quindi alla Classe una Nota
del Dr Umberto MontERIN dell'Istituto geologico della nostra
Università, la quale ha per titolo: Fenomeni carsici nei calcemi-
cascisti della “ Zona delle Pietre verdi , (Alta Valle di Gressoney).
La Nota del D" MontERIN viene accolta per essere pubbli-
cata negli Atti.
ee a e i i aa in
CARLO FABRIZIO PARONA — COMMEMORAZIONE, ECC. 59
LETTURE
£
ARTURO ISSEL
commemorato dal Socio CARLO FABRIZIO PARONA
Nell'anno che volge, in pochi mesi, la Geologia italiana ha
perduto tre insigni Maestri e la nostra Accademia tre soci il-
lustri. Il Taramelli prima, il Capellini poi, ed il 27 dello scorso
mese l’IsseL: tre professori di Geologia, che per vie diverse
arricchirono le fonti del sapere ed onorarono la scienza italiana,
che ne tramanderà i nomi.
Arturo IsseL, geologo e geografo, zoologo, paleontologo e
paletnologo, fu un naturalista nel senso largo della parola, e,
valutando l’opera sua, si può dire ch’Egli rappresentava una
tradizione, quella dei sapienti nostri naturalisti del secolo scorso,
fondatori di Musei, di Scuole, di Società per la Storia Naturale,
che seppero insinuare nei giovani del loro tempo l’amore alla
raccolta ed allo studio degli oggetti naturali, alla illustrazione
naturalistica del nostro paese: il Balsamo-Crivelli a Pavia, il
Cornaglia a Milano, il Meneghini a Pisa, il Pirona a Udine, il
Lessona a Torino, per ricordarne qualcuno. Egli nacque in
Genova nel 1842, e nella città nativa compì i suoi studi e
trascorse la sua vita, tranne durante i lunghi viaggi, con
rapida ascesa nella estimazione pubblica per la fama presto
acquistata come insegnante e naturalista, per le benemerenze
come cittadino, per l’operosità disinteressata, l'integrità e la
dignitosa modestia. Il nobile suo volto, espressivo ed artistico,
specchiava la bellezza e bontà dell'animo suo e l’eletta intel-
ligenza.
Ho accennato ai suoi viaggi: essi segnano date importanti
nella sua carriera di naturalista, che ebbe appunto l’inizio da
quando Egli, compagno ad Antinori, Sapeto e Beccari, fu tra i
REPAIR 3 AO RE ERI DECODER RO LITIO gr
mo uti Audi - < E]
60 CARLO FABRIZIO PARONA
primi che visitassero con intenti scientifici i dintorni di Aden,
Assab, Reita, Massaua, spingendo ardite esplorazioni anche sul-
l’altipiano di Keren. A queste seguirono le fortunose crociere
col capitano De Albertis, i viaggi in Egitto, Tunisia e nell’Ar-
cipelago Greco; e tutte le esplorazioni fruttarono ricchezze di
materiali di studio ed osservazioni consegnate in opere, delle
quali ricorderò una in particolare, l’importanza della quale è
attestata dalle cinque edizioni che se ne fecero, il volume cioè
“ Sul viaggio nel Mar Rosso ,, seguito poi da interessanti studi
sulla genesi e paleogeografia dello stesso mare. Questi viaggi
spiegano l’interessamento suo per i naturalisti viaggiatori liguri
del secolo XIX, ch’egli commemorò nel 1913, e per gli esplora-
tori in generale, per i quali dettò un volume d'istruzioni scien-
tifiche. Spiegano com’Egli dedicasse pure la sua attività alle
discipline geografiche, alla oceanografia, alla morfologia inter-
pretata geologicamente, alla quale contribuì anche con studi e
proposte dirette a fissare una terminologia razionale nella siste-
mazione dei caratteri e delle forme del suolo e dei fenomeni
che ad esse si connettono; mentre allo studio del mare portò i
risultati delle sue osservazioni sui depositi di alti fondi ed il
volume “ Pelagos ,, saggi sulla vita e sui. prodotti del mare,
pubblicato col Giglioli nel 1884 a scopo di divulgazione, così
come nel 1866 aveva raccolto in altro volume le Varietà di
Storia Naturale, dedicandole a Michele Lessona.
Le peregrinazioni lungo i litorali, che rivelano al geologo
la storia dei mutevoli rapporti fra terre e mari, certo gli sug-
gerirono, fornendolo dei dati opportuni, l’idea del suo libro sui
“ Bradisismi ,, fondamentale per le indagini sulle oscillazioni
delle linee di spiaggia, qualunque sia l’interpretazione dei fatti,
che le recenti scoperte mettono in rilievo, e delle cause che la
critica scientifica cerca e discute.
E questi studi lo attrassero inoltre ad occuparsi di altre
questioni attinenti alla geodinamica, in particolare quelle con-
nesse ai terremoti, da Lui considerati particolarmente in occa-
sione dei sismi della Liguria (1887), di Zante (1894) e di Città
di Castello (1897).
Con questi viaggi e con questi studi Egli venne raccogliendo
elementi per il suo “ Compendio di Geologia ,, che in certi ca-
pitoli ha impronta affatto personale. i
HA RIDI deri 0A e A LI
L0n S
COMMEMORAZIONE DI ARTURO ISSEL - 61
Ma il campo della più intensa, ininterrotta e appassionata
attività fu la sua Liguria; ed in gran parte si deve alla sua
azione diretta, ed indiretta per opera dei suoi allievi, se questa
terra così bella, e per tanti riguardi così interessante per gli
studiosi, se questo nodo di assai complessa struttura geologica
e di così difficile interpretazione per la parte che ebbe nelle
genesi del sistema alpino, può ritenersi fra le regioni più co-
nosciute e meglio studiate nei riguardi della Geologia, della
Paleontologia, della Preistoria e di quel ramo di scienza detto
Speleologia, del quale il nostro IsseL fu certamente uno degli
iniziatori.
Non è ora il caso di ricordare le numerose sue Memorie,
alle quali si riconosce il merito della chiarezza ed eleganza di
dizione, tanto più che l’ingente e fruttuoso lavoro fu dall’A.
riordinato e riassunto nelle due sue opere maggiori: “ Liguria
geologica e preistorica ,, corredata da Carta geologica, del 1892,
e “ Liguria preistorica., del 1907, alle quali si aggiunse più
recentemente il bel volumetto su “ L'evoluzione delle rive ma-
rine in Liguria ,, ad integrare quanto riflette la geomorfologia
di questa parte dell'Appennino.
E la descrizione della Liguria nella natura e successione
dei terreni che ne costituiscono il suolo, è l’esposizione dei can-
giamenti anche nelle fiore e nelle faune che popolarono succes-
sivamente questa terra, ora circoscritta in limiti più ristretti
di quanto non lo fosse in epoca geologica recente; ciò che lo stesso
IsseL dimostrò, facendo conoscere come i solchi delle vallate
sul versante ligure non si arrestino al mare, bensì si conti-
nuino manifesti per lungo tratto sul fondo marino. In queste
opere si legge la storia dei primitivi abitatori liguri, dallo sta-
bilirsi delle razze di Grimaldi e dall’età del Renne in poi, quale
dai paletnologi fu interpretata in base alle scoperte fatte delle
stazioni umane spelee della “ Cornice ,, più che dalle miste-
riose incisioni rupestri nelle alte valli delle Alpi Marittime.
Come nel campo della Paletnologia, l’IsseL fu maestro in
quello della Paleontologia, e sono da segnalare come più note-
voli i lavori sugli avanzi dei vertebrati; dai primi, anteriori
al 1880, sulle fiere fossili delle caverne ossifere, a quello re-
cente su alcuni mammiferi fossili del genovesato e del savo-
nese. Mi piace inoltre di ricordare come Egli applicando l’uso
dei a e e ee E a È
62 CARLO FABRIZIO PARONA — COMMEMORAZIONE, ECC.
del microscopio allo studio delle roccie, anche sedimentari, fosse
condotto ad interessanti osservazioni di carattere mineralogico
e paleontologico, quale fu quella delle radiolarie fossili conte-
nute nei cristalli di albite.
Arturo IsseL insegnò ininterrottamente nell'Università di
Genova dal 1866 al 1917, e in questo lungo periodo creò il
Museo Geologico, lo arricchì di numerose collezioni, particolar-
mente preziosa quella famosa della flora e fauna oligoceniche
di Don Perrando, riuscendo al fine, non sono molti anni, a col-
locarlo in degna sede nella Villetta di Negro. I suoi meriti di
studioso e di divulgatore della scienza furono riconosciuti e ap-
prezzati dai corpi scientifici: l’Istituto di Francia lo onorò asse-
gnandogli una medaglia d’oro, la Società Geografica Italiana gli
conferì due volte la medaglia d’argento, la Società Geologica
Italiana lo ebbe Presidente, e nel 1907, in occasione del 40° anno
d'insegnamento, solenni onoranze lo festeggiarono in Genova,
dove Egli tanto si era adoprato, con autorità riconosciuta e
con apostolato efficace, per diffondere la coltura e promuovere
l'elevazione intellettuale. Per la fama acquistata, Egli fu chia-
mato a far parte di parecchie altre Accademie e fu Socio Na-
zionale dei Lincei. Per molti anni membro del R. Comitato che
dirige il lavoro della Carta Geologica del Regno, ne fu Presi-
dente per qualche tempo, e tenne la carica con molta dignità
e con serietà di intenti. Al lavoro, che per Lui era bisogno
sentito e conforto, non ha dato riposo neppure in questi ultimi
anni, come ne fanno fede le recentissime sue pubblicazioni sulle
pietre figurate, icoliti, bioliti, pisoliti.
L'Accademia nostra, riverente alla sua pura memoria, lo
ricorda per il largo ed apprezzato contributo portato alle Scienze.
naturali e per la nobiltà della sua lunga ed utile vita di stu-
dioso e di cittadino operoso; e, associandosi al generale rim-
pianto, esprime in particolare il cordoglio al figlio suo diletto,
prof. Raffaele, che degnamente segue l'esempio paterno nel culto
della scienza e nell’attività scientifica feconda di risultati.
UMBERTO MONTERIN — FENOMENI CARSICI, ECC. 63
Fenomeni carsici nei calcemicascisti
della “Zona delle pietre verdi,, (Alta valle di Gressoney)
Nota del Dott. UMBERTO MONTERIN
Presentata dal Socio nazionale residente Parona
È noto come nelle Alpi Occidentali prevalga un tipo di
regione montuosa, che deve sopratutto le sue forme all’azione
valligena delle acque correnti superficiali; ciò in rapporto, senza
dubbio, alla natura litologica prevalentemente impermeabile di
quei monti, e per conseguenza alla scarsità di zone ad altipiani
calcarei, in cui originariamente un ricoprimento nevoso e la
permeabilità stessa del suolo avrebbero limitata l’azione erosiva
dell’acqua superficiale.
Però, come nelle regioni calcaree delle Alpi Orientali, ca-
ratterizzate dal prevalere di altipiani con pareti a picco nelle
più svariate condizioni altimetriche, così pure nella nostra zona
alpina delle “ pietre verdi ,, ove prevalgono i calcemicascisti,
non mancano degli alti pianori a mo’ di terrazzo, con margini
oltremodo dirupati ed incisi da profondi solchi. Tali sono l’alto
pianoro ondulato calcemicascistoso, che dalla base orientale del
Gran Tournalin sale in lieve pendenza alla Roisette, in valle
d'Ayas; e quelle numerose serie di terrazzi che si corrispondono
sui due fianchi dell’alta valle di Gressoney sopra Tachen nel-
l’Oberteil ed in parte anche nel Mittelteil. Tutti pendono lieve-
mente verso sud-sud-est, iniziandosi a settentrione molto in alto,
poco sotto le due crinali di spartiacque, per abbassarsi a gradi
fino al fondo valle a Stein-matto. Oltre a ciò è sintomatica la
sorprendente corrispondenza sui due fianchi della valle degli
altipiani di destra con quelli opposti di sinistra, gli uni e gli
altri posti a gradinata verso l’asse vallivo. Tali sono sul ver-
64 l “UMBERTO MONTERIN
sante destro quelli del Rothhorn e quello volgarmente conosciuto
col nome di Solaret, che, dalla base orientale della Grauhaupt,
scende lievemente a riannodarsi con quelli del Tiazhorn, di cui
gl’inferiori si continuano coll’ampio e meraviglioso terrazzo di
Alpen-zu, ed i superiori con quelli dell’Ober-Montil e di Loésche.
A tutti questi corrispondono sull’opposto versante l’altipiano
ondulato di “ Grube ,, ed i terrazzi a gradinata di Schkerpie,
di Spielmannsberg, sottostanti al Karrenhorn, e di Tschampono.
È bene tener presente che questi altipiani lievemente on-
dulati, talora ridotti per azione valligena delle acque soltanto
a serie di terrazzi a pareti abrupte, sono caratteristici delle
regioni ove compaiono i calcemicascisti, roccie assai friabili,
alle quali di solito sono intercalate, e talora in perfetta con-
cordanza, delle lenti di serpentino o dei banchi di prasiniti e
di altre rocce verdi più dure.
Per rendersi conto della corrispondenza sui due fianchi della
valle di questi altipiani a terrazzo, come pure della loro incli-
nazione verso sud, cioè del loro degradare dal nord verso il
fondo della valle per scomparire sotto i gneiss a Tschemenoal,
è d’uopo tener presenti le caratteristiche geologiche di questo
tratto di valle che si apre attraverso ad una fascia di “ pietre
verdi ,.
Infatti la valle di Gressoney dalle sue origini al suo con-
fluire con quella d’Aosta a Pont S. Martin è una tipica valle
trasversale diretta da nord a sud. Taglia quasi perpendicolar-
mente la direzione degli strati corrispondendo questi in generale
sul due fianchi. Infatti la testata della valle è formata dal-
l'ampio bacino glaciale del Lys aprentesi sul fianco meridionale
del grande elissoide gneissico e di micascisti del. Monte Rosa,
contro cui si rovescia una zona di “ pietre verdi ,, ossia calce-
micascisti, serpentine, serpentinoscisti, cloritoscisti e talcoscisti,
prasiniti, spesso cloritiche, eufotidi profondamente metamorfo-
sate, ecc., e tutte quelle altre associazioni e forme litologiche
caratteristiche di questa serie. La valle le taglia trasversal-
mente da Cortlys a Stein-matto, donde fino al suo sbocco a
Pont S. Martin si apre attraverso i gneis ed i micascisti della
serie Sesia-Val di Lanzo, che a sua volta si addossa alla zona
di “ pietre verdi ,,.
FENOMENI CARSICI NEI CALCEMICASCISTI, ECC. 65
Questi altipiani terrazzati, oltre ai margini dirupati ed
incisi da profondi solchi, di cui sono tanto caratteristici quelli
del fianco orientale della Grauhaupt, — ove naturalmente pre-
vale l’azione meccanica dell’acqua, poichè la pendenza, facilitando
lo scorrimento delle acque, ne limita di molto la filtrazione e
quindi l’azione chimica; — presentano pure qua e là sulla loro
superficie delle cavità chiuse dolineformi. Tanto quelle del Solaret
che quelle della Roisette sono tutte però di piccole dimensioni,
poichè misurano pochi metri di diametro, ed hanno forma
“a scodella ,.
Ben più interessante riesce però lo studio di quell’alta ed
isolata regione dell’alta valle di Gressoney, compresa tra i
valloni di Rikka e di Spissen e conosciuta dai montanari col
nome di Grude (1), che più propriamente si estende con forti
ondulazioni a sud-ovest del Seehorn. L'intera regione è circo-
scritta da rocce serpentinose (serpentini compatti e laminati,
serpentinoscisti passanti in alcuni punti a vere filladi serpen-
tinose), che nella parte centrale fungono pure da letto imper-
meabile ai soprastanti banchi di calcemicascisti.
Questo arido altipiano a strette ondulazioni, lievemente
inclinato a sud-sud-ovest, ha una media altitudine di 2200 m.,,
e presenta una numerosa serie di avvallamenti diretti da nord-
nord-est a sud-sud-ovest verso cui divergono un po’, e correnti
parallelamente alla crinale che dal Seehorn va al vallone di
Spissen. Nessuna vera valle solca questo altipiano, e se l’acqua
vi giunge dai pendii attigui a serpentini del Seehorn, tosto si
inabissa e scompare. Invano quindi si cercherebbe ivi un ru-
scello od una fonte: tutta l’acqua vienè assorbita dalle infinite
(1) Grube = cavità, pozzo. Denominazione oltremodo appropriata, che
ci dimostra ancora una volta il profondo intuito popolare nell’osservazione
dei fenomeni naturali. Anche a Sauris nelle Alpi Orientali, secondo il
Marinetti (Studi orografici nelle Alpi Orientali, “ Mem. Soc. Geogr. Ital. ,),
le doline vengono chiamate Grueben.
66 i UMBERTO MONTERIN
screpolature e fessure della superficie; ne viene come conse-
guenza naturale che la vegetazione per questa aridità del suolo
è molto scarsa e stentata. Il che ci spiega anche la mancanza
di qualsiasi casolare, essendo i magri pascoli esauriti assai presto
dai greggi dei pastori biellesi, che vi si fermano pochissimo
tempo. Ovunque affiorano rossastre rocce di calcemicascisti sol-
cati da lunghi crepacci, bizzarramente erosi e slabbrati, con
intercalazioni di banchi di prasiniti cloritiche; mentre ad ogni
passo si aprono delle cavità, che per lo più sono circolari, ma
che si presentano talora anche ellittiche. In queste però le
acque non possono ristagnare, perchè i calcemicascisti che av-
vallano non sono impermeabili e risultano perciò asciutte, con
crepacciamento e la conseguente formazione con l’intervento
dell'erosione esterna di complicati sistemi di fessure.
Le cavità dolineformi tendono ad allinearsi, in linea gene-
rale, in un’unica direzione, da nord-nord-est a sud-sud-ovest, e
l'allineamento nel nostro caso corrisponde a sei fratture di di-
versa grandezza, che hanno dato luogo a quattro avvallamenti
minori — che sono però, come vedremo, i più importanti —
e a due avvallamenti principali continui ed abbastanza uniformi
che si aprono lateralmente sui due fianchi opposti della zona
presa in esame.
Di questi ultimi, quello più esterno, ossia il primo verso
Bedemie, trovasi ad un’altitudine un po’ inferiore agli altri.
Quello opposto, sottostante alla crinale del Seehorn e del pro-
lungamento di questo verso il vallone di Spissen, e che è anche
di conseguenza il più interno, non ha delle vere e proprie ca-
vità chiuse a forma di dolina. I quattro avvallamenti minori
della regione mediana, compresa fra i menzionati avvallamenti
principali laterali, pur avendo una minore lunghezza e regola-
rità, racchiudono però le più grandi e tipiche doline.
Cominciando a settentrione verso il vallone di Rikka tro-
viamo alcune cavità chiuse ma informi, vicino alla strada che
conduce a Schòne-Biel, secondo un allineamento diretto da
nord-nord-est a sud-sud-ovest. Il fondo di esse è in parte rive-
stito da cotica erbosa, interrotta da sporgenze rocciose oltre-
modo alterate e cadenti in disfacimento: sono eufotidi profon-
damente metamorfosate ed alterate con la neo-formazione di
serpentino, talco, clorite, con abbondanti intercalazioni di calcite
FENOMENI CARSICI NEI CALCEMICASCISTI, ECC. 67
proveniente probabilmente dalla ricristallizzazione di quella
scioltasi dai calcemicascisti. Sul fianco orientale sorge una serie
di fantastici pinnacoli, specie di dicchi alteratissimi e friabili
ai quali segue una striscia di serpentini compatti in prosecu-
zione di quelli del Seehorn.
Vengono quindi i banchi di calcemicascisti diretti da nord
a sud, quasi orizzontali e talora debolmente inclinati ad est.
Questi banchi oltre che dalle fratture già accennate, a cui cor-
rispondono i diversi avvallamenti ricordati, sono pure rotti da
profonde spaccature, parallele fra loro e dirette da est ad ovest,
ossia ortogonalmente alla direzione degli strati. Ciò va inteso
però come carattere generale, inquantochè di frequente la dire-
zione e l’inclinazione può variare completamente per esser stati
i banchi di calcemicascisti rotti, fratturati e ribaltati in tutte
le possibili direzioni.
Ciascuno degli avvallamenti menzionati risulta formato da
una successione di cavità dolineformi del tipo “a scodella ,,
contigue le une alle altre e disposte in un'unica direzione. Di
questi avvallamenti chiusi il primo verso occidente, ossia verso
Bedemie (1) e che è anche il più basso in altitudine, presenta
a settentrione al suo inizio una prima serie di 4 doline di pic-
cole dimensioni aventi il diametro di 2 a 5 metri ed una uguale
profondità. Hanno un’apertura circolare o debolmente ovale e
sono completamente rivestite da cotica erbosa. Ad occidente
qua e là i banchi di calcemicascisti sono interrotti da rocce
prasinitiche. Più a sud, sempre nel medesimo avvallamento, ove
esso piega un poco verso occidente, ossia in direzione delle
Ekko-gafene, ed un po’ prima del suo termine e della comparsa
dei serpentini del promontorio di Tschneffo, si aprono ancora
due doline, di cui una alquanto grande col diametro di circa
20 metri e del solito tipo a scodella. La seconda è un po’ mi-
nore di grandezza.
Una ben maggiore importanza hanno però le cavità doli-
neformi della regione mediana. Questa presentasi complessiva-
(1) Bedemie = piccoli piani. È diminutivo di Bodma che è plurale da
Boden = piano. Denominazione pur essa molto appropriata, perchè riferita
a quella regione pianeggiante soprastante all’anfiteatro morenico dauniano
di Orsia.
Lesa - der'edlar|
94 LORENZO DALMASSO
Wolfflin, seguìto dallo Schmalz, fa atque atque = adque adque,
dove ad sarebbe avverbio di luogo. Meglio il Valmaggi (Ennio
cit. p. 105 v. 329) pensa “ ad uno di quei casi di sovrabbon-
danza stilistica che sono così frequenti negli scrittori arcaici ,
e ricorda Plauto trin. 756 ergo igitur, XII tab. III 2 post deinde,
Catone agric. 88, 1 in die cotidie, rinviando per altri esempi
di congiunzioni ed avverbi similmente accoppiati all’Altenburg
‘ Fleckeis. Jahrb. suppl. XXIV 488 sgg.). Sennonchè, in luogo del
raccostamento di avverbi e congiunzioni sinonime, si avrebbe la
“ pura e semplice ripetizione della stessa parola ,. Tutt'al più
si potrà aggiungere che la ripetizione pur sovrabbondante del-
l’atque riesce ad un effetto in qualche grado intensivo. i
Ed anche l’uso di atque = statim si può mettere d'accordo
con la scienza moderna, pur non coincidendo esattamente con
essa. In realtà è questo un particolare della lingua arcaica, che
adopera l’atque dopo una proposizione temporale solo per desi-
gnare l’inizio della proposizione principale (Riemann-Lejay,
Synt. lat. 505 Rem. IV; v. pure Georges I 676-77). Lo Schmalz
(Stolz- Schmalz, Lat. Gramm.4 497) spiega questo costrutto
di origine plautina non con la derivazione greca (come altri
volle), ma con la confusione dei due costrutti quom vento, video
e venio atque video che non deve stupire sulla bocca del popolo
(v. pure Stampini georg. 1, 203). Ma sembra di non potere
escludere nella congiunzione copulativa una lieve sfumatura
temporale, e forse è questo un costrutto non troppo dissimile
dall’italiano: “ Quando io giunsi, allora vidi ,, dove il valore
temporale è certo molto affievolito, ma non è scomparso del tutto.
Oscillazioni tra il valore di congiunzione e di avverbio sono
frequenti in tutte le lingue parlate, ed anche nei periodi arcaici
delle lingue, quando la tradizione letteraria non è venuta ancora
a fissare saldamente i limiti della paratassi e dell’ipotassi.
Py
Il cap. XII 9 è consacrato alle voces mediae o ambiguae e
fa parte di un gruppetto di tre capitoli (VIII 14, IX 12 e XII 9)
che discutono vocaboli di dubbio significato (Nettleship, op. cit.
272). G. li chiama vocabula ancipitia e ne distingue due classi 3
una di quelli che, come tempestas, valitudo, facinus, dolus, gratia,
BISON, E TOT 5 AT Ar ZAT
NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO 95
industria, anche al suo tempo significare et capere possent duas
inter se res contrarias, l’altra di quelli che, come periculum, ve-
nenum, contagium, avevano già perduto il senso favorevole.
Estensione di significato nel primo caso, vera e propria tras-
formazione nel secondo, osserva il Heerdegen (op. cit. 105-107).
Tra i vocaboli della seconda classe G. registra X%onos, che
ebbe anche senso sfavorevole, e in unione con ma/us fu sinonimo
di iniuria. Il luogo citato da G. è di Q. Metello Numidico (0. PR. £.?
p. 275) honorem peiorem vobis habuit quam mihi, che è quanto
dire maiore vos adfecit iniuria et contumelia quam me. Analo-
gamente il detto socratico (Plat. Gorg. p. 473 A, 489 A, 508 B)
uduiov sivar tò Adizeîv 7) tò dbrxeîodar, e più esplicitamente
Plat. ibid. p. 469 0 ei d’ dvayxaîov sin ddizeîv 7 ddizeîoda,
#loiunv @v udliov ddineîodar ddixetv (Otto, Sprichw. 175).
G. stesso dice che questo uso è rarissimo, ed i lessici non ne
dànno altra testimonianza.
*
* *
Il cap. XIII 29 (28) contiene forse una questione di lana ca-
prina: mortales, dice Frontone, ha un senso più vasto di homines
(longe longeque esse amplius, prolixius, fusius în significanda totius
prope civitatis multitudine $ 3) e si appoggia ad un luogo di
Claudio Quadrigario (fr. 76 P).
L'uso di mortales = homines compare la prima volta in
Nevio, poi Ennio (Valmaggi fr. 17 e 346), Catone, Claudio Qua-
drigario, Lucilio, Cicerone (sempre però con multi o omnes:
Krebs-Schmalz® II 204), Sallustio (più luoghi), Orazio, Livio,
Petronio, Plinio nat., Pseudoquintiliano decl. (più luoghi) e molti
altri nella decadenza (1). Non sembra però che esistesse la dif-
ferenza accennata da Frontone. Era forse questione di gusto e
Frontone stesso osserva che la differenza avviene mescio quo
pacto et quodam sensu inenarrabili. Se una sfumatura ci poteva
essere, si deduce dall’osservazione fatta dal Cramer (art. cit. 343):
laddove Quintiliano non usa mai mortales, ma sempre homines,
mortales compare 31 volte nelle diciannove declamationes maiores.
Doveva essere una di quelle espressioni enfatiche tanto care
alla retorica, specialmente imperiale!
(1) Cramer. Was heisst ‘ Leute'? ‘Arch. lat. Lex. VI 342 e 367.
a LIS FRIERTR - Li code se fia
96 LORENZO DALMASSO
*
* *
Notizie esattissime reca il cap. XIII 30. Facies latino non
designa solamente os ... et oculos et genus, quod Graeci ro6owrov
dicunt, ma ha un significato ben più largo: forma omnis et modus
et factura quaedam corporis totius a faciendo dicta $ 2, e non
solo si applica al corpo umano, ma anche ad esseri animati
(montis et caeli et maris facies, si tempestive dicatur, probe di-
citur $ 4).
Che tale sia il senso e l’etimologia di facies, confermano
tutti i lessici moderni, i quali citano come fondamentale il
luogo gelliano, confermato da Nonio 1, 52, 20 sgg. totius cor-
poris formam, non tantum mo60wrov, id est 08, posuit antiquitas
prudens. Ut a spectu species et a fingendo figura, ita a factura
corporis facies (1); da Servio Aen. 6, 560 che usa facies = species
(cfr. Gramm. suppl. 131, 20 superficies est naturalis). E facies è
ampiamente usato con riferimento anche ad esseri inanimati:
totius negotiù Sall., honesti Cic., maris, laborum, scelerum Verg.,
pomorum Hor., imminentis periculi, ripae, mali Curt., vinearum
Plinio ep., pugnae Tac., e si potrebbe continuare. Per altri
esempi v. Krebs-Schmalz® I 572.
Esatta pure l’etimologia di facies da facio. Mette in evi-
denza il Walde® 265 che non è da raccostare a fax, facula,
facetus, diapaiverr, pdos, ma a facio, con affinità a superficies
ed al fr. ‘fagon’ (factionem). Numerosi paralleli ha raccolto
l’Osthoff (2).
Ae
y) Pochi capitoli per ultimi, dedicati a questioni di de-
terminazione del significato.
Al cap. I 22 combatte un significato postclassico del voca-
bolo superesse (cfr. Nettleship, op. cit. 271): inroboravit inve-
(1) Per il rapporto fra Gellio e Nonio, che qui concordano spesso alla
lettera, vedi Hertz, op. cit. 98-99.
(2) Etymologische Beitrdàge zur Mythologie und Religionsgeschichte * Arch.
.Rel. Wiss.' VIII 64, dov'è specialmente importante la n.1, che cita e con-
ferma il capitolo gelliano.
NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO 97
teravitque falsa atque aliena verbi significatio, quod dicitur * hic
illi superest’, cum dicendum est advocatum esse quem cuipiam
causamque eius defendere $ 1. La strana accezione era diffusa
specialmente nei tribunali, che pare avessero il privilegio di
queste audacie semantiche (Romano, op. cit. 30). Un pretore
aveva argutamente risposto all'avvocato: tu plane superes, non
ades $ 6, e G. conclude il capitolo con un’altra arguzia: cavenda
igitur est non improprietas sola verbi, sed etiam pravitas ominis,
si quis senior advocatus adulescenti ‘ superesse se’ dicat.
A dir vero, nella lingua forense scritta non deve mai esser
diventato termine tecnico, perchè non si spiegherebbe come nella
vasta letteratura giuridica a noi pervenuta non compaia. Non
lo registra il Kalb (1), non il Neumann-Seckel (2), non i lessici
che non hanno per tale significato altra testimonianza affine
che quella di Svetonio Aug. 56, dove Augusto confessa cunctari ...
se, ne, si superesset, eriperet legibus reum; sin deesset, destituere
ac praedamnare amicum existimaretur.
Ad ogni modo il capitolo (che sembra attinto parte da
Probo e parte da Igino: Hosius, ed. cit. XXV; Kretschmer, op.
cit. 78) tratta ampiamente e correttamente tutti i sensi di
superesse in coloro qui integre... locuti sunt e cita, con insolita
larghezza, testimonianze di Cicerone (3) e Virgilio (le colonne
d'Ercole, come si è visto, dell'idoneità frontoniana), quasi a di-
mostrare che, trattandosi di neologismo, non ha voluto limitarsi
al più vieto arcaismo.
Nel cap. XIII 17 (16) pare che G. non abbia interamente
ragione. Humanitas vale davvero tanto piZavdomzia quanto
nadia, com’'egli dice ($ 1), ma non sembra provato che qui
verba Latina fecerunt quique his probe usi sunt vi annettessero
solo il secondo significato. A sostegno della sua affermazione
reca solo due esempi: Varrone e Cicerone. Ma in Cicerone lar-
(1) Das Juristenlatein (Niranberg 1887).
(2) Handlexikon zu den Quellen der ròmisches Rechts (Jena 1907).
(3) Su un passo discutibile ($ 8), dov'è menzionato Cicerone, v. Hertz,
op. cit. 27.
98 LORENZO DALMASSO
gamente coesistono i due sensi; nè, all'infuori della notizia
gelliana, possiamo documentare una prevalenza dell’uno sull’altro
nel periodo arcaico.
Del resto non è senza peso il fatto che Nonio, il quale
qui, come altrove, ha presente G. (Hertz, op. cit. 96) si esprime
ben diversamente (1, 52, 7 sgg.): humanitatem non solum, uti
nunc consuetudine persuasum est, de benivolentia, dexteritateque et
comitate veteres dicendam putaverunt, quam Graeci qpudav-
dowriav vocant; sed honestorum studiorum et artium adpetitum.
Dunque, secondo Nonio, coesistenza dei due significati in un
primo tempo, prevalenza di uno solo nel secondo (1).
task
* *
Nel cap. XV 5 G. non ha forse torto in tutto, ma certa-
mente imposta male la questione. Il verbo profligare, egli
dice, al tempo suo ha assunto il valore di “avvicinare al ter-
mine e profligata si dicono quae prope absoluta adfectaque sunt $ 2.
Il mal vezzo par sia diffuso tra gli avvocati, e qui, come già
altrove (p. 18), riferisce una lezione non priva di spirito che
un pretore avrebbe dato ad uno di costoro (Romano, op. cit. 30).
Non profligatum dicono in tal senso qui Latine locuti sunt, ma
adfectum, e cita a sostegno della sua tesi tre luoghi di Cice-
rone ($$ 5-8).
Che adfectus e adficio abbiano anche questo significato, è
fuor di dubbio: i luoghi di Cicerone sono calzanti, specialmente
il primo (de prov. cons. 8, 19) bellum adfectum et ... paene confectum,
ed il secondo, dove adfectus è contrapposto a perfectus. G. ripete
la stessa cosa presso a poco con le identiche parole al cap. III
16, 17-19 (2), riferendosi a Cicerone che pone nel novero dei
(1) HI Mirsca, De M. T. Varronis Antiquitatum rerum humanarum
libris XXV ‘Leipziger Studien’ V 59 spiega la differenza col fatto che qui
Nonio non avrebbe attinto a G., ma entrambi avrebbero sfruttata una fonte
comune: le Antiquitates rerum humanarum di Varrone.
(2) Questa coincidenza gli ha procurato un rimprovero dal NerTLESHIP,
op. cit. 255, che fra i difetti di composizione cita appunto il ricomparire
delle medesime cose quasi con le medesime parole. Forse il Nettleship,
così fine intenditore di G., è talvolta un po’ pessimista. Perchè G. non si
sarebbe dovuto incidentalmente servire nel cap. III 16, dove il tema è ben
diverso, di una notizia che discuterà ex professo al cap. XV 5?
NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO 99
veterum che elegantissime locuti sunt ($ 19): adfecta ... ea proprie
dicebantur, quae non ad finem ipsum, sed proxime finem progressa
deductave erant.
Ma anche profligare ha precisamente, fra gli altri, questo
significato; e la differenza tra i classici e la decadenza sta non
nell’uso di profligare= adficere, ma in quello di profligare = per-
ficere, conficere (Krebs-Schmalz® Il 393). La vera definizione di
. profligare ci è data dal Manuzio a Celio Cic. ep. 8, 9, 2 (1)
profligatum plus est quam coeptum, minus quam confectum. Spe-
cialmente probanti sono i luoghi di Cicerone stesso fam. 12,
30, 2 profligato bello ac paene sublato e T'use. 5, 6,15 profligata
iam haec et paene ad exitum adducta quaestio est (cioè la que-
stione è ‘avviata alla soluzione e già quasi definita’, come ben
traduce il Pascal, Dia. dell'uso Cic. 502), e nella medesima ora-
zione de prov. cons. 14, 35 ab eodem illa omnia, a quo profligata
sunt, confici. Anche più caratteristico Livio 21, 40, 11 cum foe-
derum ruptore deos ipsos bellum committere ac profligare, nos com-
missum ac profligatum conficere, e non meno chiaro il luogo del
Monumentum Ancyranum 20 coepta profligataque opera a patre
meo perfeci, e Floro 1, 31, 32 si quis trium temporum momenta
consideret, primo commissum est Punicum bellum, profligatum se-
cundo, tertio vero confectum est. Più esempi sono in Tacito
(v. Valmaggi, Tac. hist. 2. 4). Si avvicina invece a conficere
Svetonio Oth. 9 quam primum decertare statuit, sperans ante Vi-
telli adventum profligari plurimum posse. È veramente uguale a
perficere ed a conficere Arnobio 7, 39 ludis iam terminatis pro-
fligatisque curriculis, non multis post temporis spatium civitatem
accepisse pestilentia vastari.
Se noi potessimo penetrare un po’ meglio nelle fonti, riu-
sciremmo forse a spiegare questo errore gelliano, dove le ra-
gioni della scuola non entrano per nulla, perchè chi lo smentisce
decisamente è quello stesso Cicerone, su cui egli fonda la sua
tesi. Ma poco delle fonti si sa, e specialmente in questo brano :
a Sulpicio Apollinare pensa il Kretschmer (2), e il Nettleship,
(1) Il luogo commentato dal Manuzio è il seguente: de provinetis ... in-
terpellavit iudicium Marcelli ... in Kal. reiecta res est ... Has litteras ... dedi,
quum ad eam diem ne profligatum quidquam erat. Ut video, causa haec integra
în proximum annum transferetur.
(2) De A. Gellii fontibus (Posnaniae 1860) 106.
100° LORENZO DALMASSO — NOTIZIE LESSICALI IN AULO GELLIO
op. cit. 271 raccosta questo luogo a sei altri che, per trattare
tutti di vocaboli che hanno cambiato il loro senso dopo il pe-
riodo classico, pensa debbano risalire ad un’opera separata, ma
quale essa sia non dice.
Nonio 2, 161, 24 sgg. riproduce in parto il pensiero gel-
liano; ma, poichè aggiunge qualche cosa che nel Nostro non
c'è, giustamente hanno pensato i critici che qui Nonio abbia
tenuto davanti altra fonte oltre Gellio (L. Miiller, ed. citata
I 235; Hertz, op. cit. 717).
Come si vede, se si confrontano le notizie del Nostro coi
risultati degli studi moderni, G. ne esce bene. Talvolta è l’unica
(o la più antica) fonte latina di una determinata notizia, che
o non ricompare più o si ripete sulle tracce sue da epitomatori
posteriori che da lui hanno direttamente o indirettamente at-
tinto. Quasi sempre dà prova di lodevole moderazione, nè segue
grettamente e pedantescamente i canoni della scuola.
Alle stesse conclusioni può giungere chi esamini altra specie
di notizie lessicali, come abbiamo già fatto altrove per la for-
mazione delle parole e per i grecismi, e come faremo per altri
gruppi di notizie, come quelle virgiliane (molto interessanti),
quelle che investono questioni storico-archeologiche, quelle che
ricordano proverbi o modi proverbiali.
Alba, giugno 1922.
L’ Accademico Segretario
GrovANNI VIDARI
MI 1
101
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 17 Dicembre 1922
PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. CORRADO SEGRE
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci D’Oviprio, PrANo, Foà, GuIpI, GRASSI,
PANETTI, MAJORANA, HERLITZKA e il Segretario MaTTIROLO.
Scusano l’assenza il Presidente Rurrini, il Vice Presidente
PARONA e il Socio Sacco. +
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza che risulta approvato senza osservazioni.
Il Segretario MATTIROoLo comunica all'Accademia che nel
giorno 27 corr. si terrà a Parigi la solenne commemorazione
del Centenario della nascita di Luigi PasTEUR, nato appunto il
27 dicembre 1822 a Dòle. Quantunque il PAstEUR non fosse
Socio della nostra Accademia, pure egli ritiene di interpretare
il sentimento di tutti i Soci, rivolgendo preghiera alla Presi-
denza di voler associare il nostro Sodalizio a quelle manifesta-
zioni che da ogni parte del mondo scientifico saranno indirizzate
alla Francia, in onore del grande uomo di scienza e del bene-
fattore dell'umanità.
La proposta è accolta a voti unanimi dall'Accademia, che
dà incarico al Presidente di esprimere i sentimenti dell’Acca-
demia Torinese, incaricando a sua volta il Socio straniero
Émile Prcarp, Segretario perpetuo per le Scienze matematiche
all'Accademia di Parigi, di rappresentarla alla Cerimonia.
102
Il Presidente presenta all'Accademia un volume, edito in
400 copie, In Ricordo di Angelo Sismonda, inviato dalla Signora
Emilia FornARIS ReBAUDENGO, nipote del Prof. Sismonda che ne
curò la pubblicazione nell’occazione delle nozze d’argento di
Guido e Maria Fornaris pronipoti dell’illustre geologo.
Il volume contiene una raccolta di lettere dirette all’emi-
nente nostro Socio, da Giacinto di Collegno, Paolo Savi, Lyell,
Studer, Elie di Beaumont e J. Fournet, e ordinate dal Profes-
sore A. Roccati. Il Presidente ringrazia per l’omaggio gentile
e gradito, che ricorda le benemerenze di uno dei più illustri
nostri Consoci.
Il Socio Foà fa omaggio all'Accademia di N. 4 fascicoli
del nuovo Trattato di Anatomia Patologica da lui diretto.
I fascicoli sono: il 1° che contiene l’Introduzione all’opera,
scritta dal donatore, e la Patologia della Cellula da A. TRAMBUSTI;
il 2° tratta delle Infiammazioni ed è opera del D. E. VERATTI;
il IX è redatto da P. GurzzerTI ‘e si riferisce al Sistema nervoso
centrale; mentre l'XI di G. CaGnETTO è dedicato alla patologia
dell'Apparato genitale maschile. L'opera fa onore alla scienza
non solo, ma anche all’arte tipografica italiana. Il Presidente
ringrazia il Socio Foà per il dono importante.
Il Socio Grassi offre quindi all'Accademia e ai Soci alcune
copie del discorso da lui pronunciato alla Seduta straordinaria
della Sezione di Torino dell’Associazione Elettrotecnica italiana
nel maggio 1922, tenuta nel XXV anniversario della morte di
Galileo Ferraris.
Egli discorre dei lavori del Ferraris che hanno speciale
riguardo ai Trasformatori e riferisce come, nelle due Appendici
a detto discorso, egli abbia potuto chiarire alcuni concetti e
frasi del Ferraris, che erano state erroneamente interpretate.
L’Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
103
CLASSE
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 24 Dicembre 1922
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci De Sanctis, Bronpi, ErnAupI, BAUDI
DI Vesme, ParETTA, Prato, Cran, FAGGI, JANNACCONE e VIDARI
Segretario.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
10 dicembre u. s.
Sul verbale prende la parola il Socio DE SAncTIS per co-
municare che l’Istituto Veneto ha designato come suo delegato
nella commissione speciale della Unione Accademica Interna-
zionale pel lessico ducangiano il prof. Vincenzo UssanI; e che
il Ministero ha deliberato un contributo di L. 1500 per le spese.
Il Presidente comunica una lettera della Pontificia Acca-
demia romana di Archeologia, la quale invita la nostra Acca-
demia a partecipare alla commemorazione del primo centenario
della nascita di G. B. pe’ Rossi, che si terrà nel Pontificio Museo
Cristiano il 28 corr. Il Presidente propone che sia pregato di
rappresentare l'Accademia di Torino in tale solenne cerimonia
il Socio non residente prof. Ignazio Guipi. La Classe unanime
approva.
Il Socio ViparI dà notizia di un cospicuo dono fatto recen-
temente dal Socio PARoNnA all'Accademia. Si tratta di una rac-
104
colta di circa 70 volumi e oltre 100 opuscoli provenienti dalla
biblioteca del compianto dottor Giovanni PARONA, fratello del
nostro Socio: volumi e opuscoli tutti riguardanti la storia di
Pavia, della sua Università, del suo territorio. Il Socio VIDARI
segnala fra le altre pregevoli pubblicazioni il Codice diplomatico
dell’Università di Pavia edito dal Maiocchi, una Raccolta di
cronisti e documenti storici lombardi inediti (Milano, 1856-57),
gli scritti noti e importanti del Capsoni, del Robolini, del
Galletti, le Constitutiones dominii mediolanensis (Novara, 1597),
e infine, importante per la sua rarità, la prima edizione del
GuaLLa, Papie sanctuarium (Pavia, 1505).
E prendendo occasione dal dono PARONA, il Socio VIDARI
offre alla Accademia un’altra pubblicazione riguardante la storia
di Pavia, quella cioè, in quattro volumi, del compianto suo zio,
avv. Giovanni ViparI, intitolata Frammenti cronistorici dell’agro
Ticinese (Pavia, Fusi, 1891-92), della quale brevemente espone
il contenuto.
Il Presidente esprime a nome dell’Accademia i più vivi
ringraziamenti al Socio PARONA per l’atto suo gentile e generoso
onde si arricchisce la Biblioteca di una raccolta di pubblicazioni
molto importante, e ringrazia pure il Socio VipaRI per il suo
dono, che in certo modo integra il precedente.
Il Socio Cran annuncia prossima la commemorazione del
compianto Socio SALvionI, della quale egli era stato incaricato,
ma chiede che alla cerimonia si voglia dare una certa pubbli-
cità, per cui si rendano più vivi i contatti dell’Accademia con
il mondo degli studiosi.
Il Presidente accoglie favorevolmente la proposta; e la
Classe delibera di tenere al più presto la detta commemorazione
nel grande salone e con largo invito al pubblico.
L’ Accademico Segretario
GrovaNnNI VIDARI
ca
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105
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 31 Dicembre 1922
d È PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA
VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci D’Ovipio, PraNo, GuIpi, GRASSI,
PANETTI, Sacco e il Segretario MATTIROLO.
Scusano l’assenza il Presidente Rurrini e i Soci Foà e
NACCARI.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che risulta approvato senza osservazioni.
Il Presidente comunica una lettera del Socio straniero
Émile Prcarp, il quale ringrazia l'Accademia dell’onorevole in-
carico di rappresentare il nostro Sodalizio alla solenne Comme-
morazione del 1° Centenario della nascita di Luigi PASTEUR.
Egli presenta pure e legge una Circolare del “ Comitato na-
zionale dell’Unione internazione Geodetica e Geofisica - Sezione
di Meteorologia ,, nella quale si interessano i Soci della nostra
Accademia a voler trascrivere tutte le notizie che potranno ri-
cavare da libri antichi, stampati o manoscritti, da cronache,
storie regionali, sulle alluvioni, piene di fiumi, siccità, carestie,
nevicate, gelate, brinate, nebbie, temporali, grandine, ecc. Dette
notizie saranno raccolte dalla Segreteria della Sezione di Meteo-
rologia del Comitato, che provvederà al coordinamento e alla
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 8
106
pubblicazione delle medesime col nome dell’informatore che le
trasmise.
L'Accademia prende atto.
Vengono quindi presentate in dono dagli autori le seguenti
Memorie:
Dal Socio corrispondente W. KiLtan:
Les Régions jurassienne, subalpine et alpine de la Savoie;
Les Stades de recul des glaciers alpins et l'origine du Lac
Lauvitel (0 Bans). |
Dal Socio corrispondente A. PIUTTI:
1) Ricerche sulla formazione dell’ Elio e del Nèon nei tubi di
scarica contenenti Idrogeno (In collaborazione con E. Bogero-LERA);
2) Sopra miscele assorbenti l’ossido di carbonio;
3) Sulla diffusibilità dell’ Elio attraverso il vetro di Turingia;
4) Sulla Cotunnite e sulla Galena del Vesuvio.
(In collaborazione con D. MieLIACCI).
Il Socio Sacco presenta per la pubblicazione negli Atti una
sua Nota sul Rinvenimento di Uintacrinus nell’ Appennino setten-
trionale e brevemente ne discorre, facendo osservare che questo
tipico crinoide finora osservato nell'America del Nord, in Inghil-
terra, nella Westfalia, compare oggi per la prima volta in Italia,
dove fu trovato nelle Argille scagliose, caratteristiche del Cre-
taceo dell'Appennino settentrionale.
Il Socio PrANO presenta quindi una Nota della dottoressa
Elisa VieLezio, che ha per titolo: Calcolo diretto dei logaritmi
decimali.
Entrambe queste Note sono accolte per gli Atti.
Dopo di .che il Presidente, ricordando ai Colleghi che questa
è l’ultima adunanza dell’anno 1922, presenta loro i più cordiali
auguri per l’anno nuovo.
FEDERICO SACCO — RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. 107
LETTURE
Rinvenimento di Uintacrinus nell'Appennino settentrionale
Nota del Socio nazionale residente Prof. FEDERICO SACCO
Nel maggio di quest'anno 1922, durante escursioni geolo-
giche eseguite nell'Appennino parmense, essendomi recato
S. Andrea delle Fonti onde visitare il vecchio amico Ingegnere
Cav. C. Ponci che col suo linceo occhio di cacciatore aveva già
trovato e mi aveva dato in studio, trent'anni fa, varîì preziosi
fossili delle Argille scagliose largamente affioranti nelle vici-
nanze, fra il nuovo materiale presentatomi la mia attenzione fu
attratta da una speciale lastra fossilifera che passo a descrivere.
È un frammento di fine calcare stratificato, grigiastro, della
media grandezza di centim. 8 X 10, con uno spessore di pochi
millimetri, tutto fratturato irregolarmente; i suoi pezzi, rice-
mentati, si mostrano tra loro più o meno distanziati trasver-
salmente nonchè spostati anche nel senso ortogonale al piano
della lastra.
Sopra ed immedesimato colla lastra giace un corpo calcareo
quasi vermoide, disposto in modo ondulato-curvilineo, del dia-
metro di 3-4 millim., che si sviluppa per circa 17 centim., ma
che doveva estendersi originalmente assai più in lungo essendo
ora solo limitato dai margini di frattura della lastra stessa (Fig. 1).
Tale corpo è costituito da una serie di placchette rotonde
del diametro suddetto e dello spessore di circa un millimetro;
questi dischetti, in numero di un centinaio, sono tra loro quasi
aderenti, un po’ diseguali sia per ineguaglianza originaria sia
perchè un po’ variamente cariati sui margini nonchè talora nei
singoli corpi in modo da apparire distinti gli uni dagli altri e
foggiati taluni a corpi vertebrali; essi giacciono col loro mas-
simo diametro disposto quasi ortogonale al piano della lastra
108 FEDERICO SACCO
od un po’ inclinato ad esso in modo da assumere per certi
tratti un aspetto quasi tegolare. Molto meno appariscente è un
corpo vermoide analogo, più breve ed appena accennato sulla
stessa lastra, disposto un po’ trasversalmente al primo.
Si tratta cioè di un gracile corpo pedunculoide, costituito
da numerosissimi dischetti, che si è, a suo tempo, ondulata-
mente depositato sopra un fondo fangoso pianeggiante, rima-
nendovi impigliato in modo da fossilizzare ed indurire con esso,
subendone pure in seguito le varie fratture coi relativi sposta-
menti sovraccennati,
RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. 109
Tale fossile mi parve subito essere porzione di una gracile
colonna o di un braccio di Crinoide; ad un esame più accurato
mi risultò appunto trattarsi di parte di una delle lunghe braccia
di Uintacrinus Grinn., potendo anche confortare la determina-
zione mediante il paragone diretto con un buon esemplare, col
calice e parte delle lunghe braccia, di U. socialis di Beaver
Creeck (Kansas) conservato nel Museo geologico di Torino (Fig. 2).
Ad ogni modo, preoccupandomi ancora in seguito di tale
idee Ret i ae e IT gii
110 FEDERICO SACCO
determinazione, per l’importanza che essa. aveva sotto varî
punti di vista, nell'agosto mi recai a Parigi ad esaminarvi una
magnifica lastra calcarea della superficie di metri 1 2 circa,
esposta su una parete dello scalone del Museo di Paleontologia;
lastra proveniente pure da Beaver Creek nel Kansas, sulla quale
giacciono impigliati ed intrecciati in ogni posizione centinaia di
esemplari di U. socialis: l'esame di tali Crinoidi, colle loro nu-
merose braccia lunghe anche 20-30 centim., coi relativi dischetti
analoghi, nonchè fossilizzati e disposti nello stesso modo di
quelli della descritta lastra del Parmense, mi confermò nella
indicata determinazione generica del fossile.
Però, dato il semplice frammento di braccio conservato sulla
lastra appenninica in esame, non si può tentarne la determina-
zione specifica, tanto più che le differenze fra lo U. socîialis Gr.
d'America e lo U. westphalicus Schliit. d'Europa non sono molto
forti, cosicchè rimane persino il dubbio che possa trattarsi di
una sola specie, anche perchè tali forme libere potevano pure
essere trasportate assai lontano dalle correnti marine.
A tale riguardo si può notare che il fossile appenninieo in
esame fu trovato in un deposito di mare piuttosto profondo e
abbastanza lontano dai littorali, indicandoci che detto braccio
di Crinoide deve derivare da un individuo che natava e morì
in alto e libero mare; morte che la fantasia potrebbe anche
attribuire a noti voraci predatori, come Selacidi, Ictiosauri e
simili, caccianti colonie natanti di questi Crinoidei.
Ciò posto, alcune considerazioni, paleontologiche e geolo-
giche, si possono trarre dal rinvenimento in esame.
Anzitutto in linea generale lo Uintacrinus, finora unico
genere dell’unica Famiglia Uintacrinidae (o sottordine Utntacri-
nacea) dell'ordine Flexibilia, scoperto dapprima da Grimmel e
Meek, nel 1876, nel Niobara Kalk del Kansas negli Stati Uniti
d'America e quasi contemporaneamente in Westfalia (dove fu
studiato dallo Schliiter) e più tardi in Inghilterra, visse anche
nei mari italiani. Ciò del resto è abbastanza naturale, trattan-
dosi di forme natanti liberamente e spesso in quantità di indi-
vidui straordinaria, come già indica il nome specifico di sociali,
nonchè il numero immenso di esemplari che si possono osser-
vare sulla sovraccennata lastra del Museo paleontologico di
Parigi. È anzi strano che questo genere, forse perchè confuso
RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC. 111
talora coi Marsupites, sia stato dapprima creduto raro, mentre
poi fu constatato comune in varie località nei banchi a Marsu-
pites, Bourqueticrinus, Echinocorys, Actinocamax, ecc.
È poi interessante considerare che lo Uintacrinus nell’or-
dine dei Fleribilia è (col contemporaneo Marsupiles, del ben
diverso ordine dei istulata) una delle pochissime forme di
Crinoidei, detti già Tessellati od anche Paleocrinoidei (perchè
ebbero un magnifico sviluppo nei mari paleozoici sia per varietà
di forme sia per quantità enorme di individui), che invece compar-
vero e si svilupparono nei mari mesozoici; ciò probabilmente ap-
punto in gran parte perchè, colla perdita della colonna d’attacco
al fondo marino, tali Crinoidei, divenuti sessili, acquistarono
invece quella libertà di movimenti e quella relativa indipen-
denza che permise loro di sfuggire alle varie cause deleterie
per la vita dei Crinoidi (e di tanti altri gruppi di animali ma-
rini), che imperversarono verso la fine dell’Era paleozoica, costi-
tuendovi una vera Crisî antracolitica, come già indicai nella
Evolution biologique et humaine (Turin, 1910).
Altro fatto curioso è di veder comparire di tratto nel Cre-
taceo superiore, e svilupparvisi tosto per vastissime regioni.
oceaniche, tali forme di Crinoidi che sono presumibilmente re-
sidui sopravissuti, ma assai trasformati, di forme paleozoiche
(probabilmente pedunculate), senza che siansene finora trovate
traccie nei terreni del Trias e del Giura, periodi geologici lun-
ghissimi nei quali dovettero pur esistere le forme loro ataviche,
forse in rari e speciali accantonamenti, quasi in stato latente,
finchè speciali condizioni biologico-ambientali ne produssero quasi
l'esplosione nel periodo cretaceo.
È questo uno dei tanti fatti interessanti nel processo evo-
lutivo degli organismi che ci prova anche quanto materiale pa-
leontologico sfugga ancora alle ricerche degli studiosi, essendo
assai più numerosi gli anelli mancanti che non quelli conosciuti
nelle diverse catene degli esseri organici.
Infine non meno interessante è il dato geologico-stratigrafico
che presenta il fossile appenninico in questione, il quale fu rin-
venuto sulla dorsale di M. Carvaro (sulla destra del T. Dordone,
affluente del Taro nel Parmense) in piena formazione di Argille
scagliose ofitifere tipiche.
Orbene devesi tonsiderare che tale formazione viene gene-
MR OR TT RT CICERO, PI N IPP IR PISTA RETTE DR O OST CRISI AT
112 FEDERICO SACCO — RINVENIMENTO DI UINTACRINUS, ECC.
ralmente ritenuta eocenica (perchè su di essa sono spesso sparsi
od impigliati veri terreni eocenici mummulitiferi), mentre da un
trentennio ne vado sostenendo l’età cretacea, basandomi, sia su
dati paleontologici (tronchi di Cicadeoidee o Bennettites; Hemi-
pneustes; Inoceramus; Hamites, Scaphites, Acanthoceras, Schloem-
bachia, Pachydiscus; Ptychodus; Ichtyosaurus, ecc.), sia su dati
stratigrafici, completamente confermatimi recentemente da una
apposita campagna geologica compiuta durante la scorsa estate
attraverso tutto l'Appennino emiliano.
Orbene siccome lo Uintacrinus è una forma che, così in
America (Kansas) che in Europa (Westfalia ed Inghilterra), fu
finora trovata soltanto, e viceversa assai comune, nel Cretaceo
superiore, il suo rinvenimento sopra uno di quegli straterelli
calcarei che si alternano mille volte colle tipiche Argille sca-
gliose viene a confermare sempre più sicuramente l’età cretacea
di tale caratteristica formazione tanto estesa e potente nell’A p-
pennino settentrionale.
se
(Rio TATA ie ina iuo
one È s > Y
ELISA VIGLEZIO — CALCOLO DIRETTO, ECC. 113
Calcolo diretto dei logaritmi decimali
Nota di ELISA VIGLEZIO
Dott. Assistente nella R. Università di Torino.
Presentata dal Socio nazionale residente Giuseppe Peano.
Il libro Mirifici logarithmorum canonis descriptio, Authore
IJoanne Nepero, pubblicato nel 1614, contiene la prima tavola
di logaritmi.
Gli storici (!) fanno rimontare le proprietà delle potenze
ad Archimede. Ma le proprietà fondamentali delle operazioni .
aritmetiche sono pressochè intuitive e le possiamo riscontrare
in Euclide:
libro VIII prop. 11 (a/b)? = a?/b8,
a ge (a/6)? = a8/58,
libro IX prop. 4 (asce: a9<:b3;
IR SIOE am+n/gm = qn,
Il progresso qui consiste nella sostituzione dei simboli del-
l’algebra all'antico linguaggio delle proporzioni.
I matematici, specialmente italiani, del 1500, pubblicarono
tavole d’interessi, che sono tavole di potenze. Ma Nepero (?) pel
primo, oltre ad introdurre la parola “ logarithmo ,, cioè “ numero
della ragione ,, pubblicò una tavola, facendo vedere “ quantum
emolumenti adferent logarithmi, quandoquidem per eorum addi-
(4) Napier, Tercentenary Memorial Volume, ed. Knott, London, 1915.
(*) Scrivo Nepero come l’autore stampò nel frontispizio del suo libro.
In lettere private egli si firmò Neper, Napeir, e nel testamento Naipper.
Per la stessa ragione scriverò Briggio, invece del più comune Briggs.
114 ELISA VIGLEZIO
tionem multiplicatio, per subtractionem divisio, per bipartitionem
extractio quadrata, per tripartitionem cubica, ... omnia graviora.
calculi opera evitantur , (pag. 20).
Per lungo tempo i logaritmi naturali si dissero anche ne-
periani. Oggi molti autori negano che i logaritmi neperiani
coincidano coi naturali (8).
Esaminiamo alcune linee della tavola di Nepero.
Sinus | Logarithmi
|
|
Î
|
30° 0' 5.000 000 6931 469
45° 0' | 7071068 | 8465735
Nepero, accanto agli archi crescenti di un minuto alla volta,
pone il seno naturale, supposto il raggio di 107 = 10 000 000.
Per avere il seno, secondo il linguaggio attuale, basta separare
7 cifre decimali. Per noi sen 45°= 0°707 106 762 ... (4). Qui
Nepero scrisse il valore arrotondato alla 7? cifra decimale;
altre volte scrisse i seni abbreviati senza arrotondamento,
anche quando la cifra soppressa supera 5; così i seni di 10' e
di 1l' furono abbreviati alla 7? cifra.
Dalle tavole dei logaritmi naturali risulta:
log 05 = — log2 = — 0:69 814 718...
Quindi i logaritmi di Nepero sono i logaritmi naturali,
scritti senza segno costante —, e moltiplicati per 107, ciò a
meno di poche unità (nel nostro caso sono 2) del settimo or-
dine decimale.
(*) Vedasi: J. Troprke, Geschichte der Elementar Mathematik, a. 1921,
Zweiter Band, pag. 180. “ Die natiirlichen Logarithmen als Nepersche Lo-
garithmen zu bezeichnen, wie das heute regelmàssig geschieht, ist durchaus
falsch ,.
(‘) Uso le notazioni del Formulario Mathematico di G. Prano. Il punto
in alto indica la separazione delle cifre decimali, X=10 è la base della
numerazione decimale.
CALCOLO DIRETTO DEI LOGARITMI DECIMALI 115
Già Nepero si era accorto che non sempre la 7* cifra delle
sue tavole era esatta; “ quapropter consulo eruditis ut Tabulam
exactiorem edant , (?).
Che tutte le cifre si debbano intendere decimali, già si è
«visto a proposito dei seni.
La soppressione del segno costante — si effettua anche
oggi nelle nostre tavole, ove nella colonna sen 30° sta scritto
9:698... e si deve intendere questo numero diminuito di 10.
Quindi i logaritmi neperiani sono i naturali, poichè le cifre
sono le stesse.
Pongo a==5 000 000, quindi X-Ta = 0°5; prendo il loga-
ritmo naturale log (X7° a) = — 0‘69 ..., cambio segno, e sop-
primo il punto decimale, operazione che equivale a moltiplicare
per X°; allora la relazione fra gli uni e gli altri si esprime:
logaritmo neperiano a = — X° log (XT a).
Alcuni autori trasformano questa relazione in:
log nep a = 10" (7 log 10 — log a),
e allora non si vede più l’identità delle cifre dei logaritmi ne-
periani e naturali.
Ma possiamo anche arrivare a forme diverse.
Nel Constructio Nepero calcola le successive potenze di
1— X-7= 09 999 999; e il logaritmo di un seno è l'esponente
intero di questo numero, che produce sensibilmente (quam pro-
xime, pag. 3) il seno dato.
Possiamo verificare ciò con gli sviluppi in serie che oggi
sono a nostra disposizione.
Il logaritmo in base 1— X7 di 0°5, cioè il numero « tale
che :
(1 - XE =065
e = 69314714 590 2598...
che come si vede supera di due unità il logaritmo dato da Nepero.
(9) Mirifici logarithmorum canonis constructio ... cum annotationibus aliquot
doctissimi D. Henrici Briggii, Authore Ioanne Nepero, a. 1620, pag. 34.
116 ELISA VIGLEZIO
Prendo i reciproci, ossia invece dei seni considero le co-
secanti; il logaritmo del reciproco cambia solo segno, come
scriveva Nepero. E poichè il reciproco di 1— X7" vale 14 X77,
fino all'unità di ordine 14, avrò che il logaritmo di Nepero è
anche il logaritmo del reciproco in base 1-4 X-" = 10 000 001.
Fatto il calcolo con maggior esattezza, si ha che il nu-
mero x tale che
(1A+X79=2
vale
o= 6:931 4721521 730...
Cioè i logaritmi di Nepero sono in base 1-+ X7" = 1‘0 000 001.
Pongo y= X7" x; ciò che equivale a separare 7 cifre, nei
logaritmi di Nepero. Questo y soddisferà all’equazione:
[(1+x=)p=2.
Ossia y è il logaritmo in base (1 +4), ove n= XT,
Questa base è il numero elim (141) a meno di due
unità del 7° ordine decimale.
Quindi, a seconda del modo di leggere le cifre, possiamo
affermare che i logaritmi di Nepero sono in base 1— X7, ov-
vero 1+ X7”, ovvero (14- X7°)X, ovvero in base e, o in base 1/e;
sempre a meno di poche unità dell’ultimo ordine decimale con-
siderato.
Come altro esempio, le tavole di Nepero nella colonna del
logaritmo del sen 60° portano il numero 1438410, e dalle
nostre tavole risulta :
log sen 60° = — 0‘14 384 103...
Qui tutte le cifre sono esatte.
Dall'esame delle tavole possiamo solo conchiudere che la
base dei logaritmi neperiani o è il numero e, o ne differisce di
poche unità del 7° ordine decimale.
Nel Constructio sta la proposizione, pag. 14:
“ Hinc etiam sequitur, quod cujuslibet dati sinus numerus
artificialis, major est differentia inter sinum totum, et sinum
de altr
CALCOLO DIRETTO DEI LOGARITMI DECIMALI 117
datum; et minor differentia quae est inter sinum totum, et
quantitatem eo majorem in eadem ratione, quae est sinum
totius ad datum ,,.
Versione: “ Di ogni seno, cioè di ogni numero @ minore
di 1, il numero artificiale, cioò — logaritmo, è maggiore della
differenza fra l’unità e il numero dato; ed è minore della dif-
ferenza da uno ad uno diviso 4 ,.
Cioè :
—loga>1l—a,
1
uaar
E fatto a= 1/(14 x), ove x è una quantità positiva, risulta:
log(14-2)>/(14+ 2),
’ <%,
le quali esprimono proprietà caratteristiche dei logaritmi na-
turali.
Risulta così senza dubbio che i logaritmi neperiani sono
proprio i logaritmi naturali.
Poco dopo il 1614, Nepero e Briggio, in loro conversazioni,
videro l’utilità di usare logaritmi in base 10, e ne intrapresero
il calcolo per due vie. Questo calcolo è spiegato nel Constructio
di Nepero.
Un primo procedimento, pag. 39, è quello di calcolare le
successive radici quadrate di 10, cioè:
Xh(1/2), = X(1/4), XM(1/8),.. (9).
Si ottiene ogni potenza di 10 moltiplicando alcune di queste
radici. Questo procedimento fu esteso successivamente; e nelle
tavole dei logaritmi del Callet si travano tutte queste radici,
fino a XN(1/2 N60), con 46 cifre decimali.
($) Seguendo il Formulario: aNb=a?; uso il segno f quando l’espo»
nente è complesso. Così: Log a, sta per indicare logaritmo decimale di a.
ei ae i Sip 21777. TV
?
È
118 ELISA VIGLEZIO
Nepero (ivi, pagg. 40, 41) dà una seconda regola: “ Quae-
ritur quis numerus sit logarithmus binarii. Respondeo, numerus
locorum numeri facti ex 10 000 000 binariis invicem ductis.....
Per regulam nostram invenies 301029 995 etc. pro numero
locorum quaesito, et logarithmo binarii ,.
Versione: “ Si domanda qual’è il logaritmo, con 10 decimali,
di 2. Rispondo, l'ordine (°) di 2 elevato 10 000 000. E con la
nostra regola troverai 301 029 995 ,; e separando dieci cifre
decimali, si avrà il logaritmo cercato. Il numero delle cifre
di 2 elevato X!° vale questo numero più uno.
E più chiaramente Briggio, a pag. 48, dice in sostanza:
calcolato 21° = 1024, si conchiude (6) Log2=0*3..., poi dal
numero delle cifre di 2199, che è 31, si conchiude Log 2 = 0°30....;
dal numero delle cifre di 2199, che è 302, si conchiude
Log2 = 0'301..., ecc.
In seguito, Mercator, integrando la serie:
1+a)=1—x+2°—2+...,
ottenne:
a 13
log(l+a)=x—3+t3—--,
e la pubblicò nel 1668. Come sempre avviene, anche altri arrivò
allo stesso risultato circa nello stesso tempo. Questa serie, con
le altre che ne derivano, sono oggi lo strumento più rapido pel
calcolo dei logaritmi.
Ma i procedimenti diretti, usati dagli inventori, non sono
da trascurarsi, essendo più semplici e più elementari. La pro-
prietà del logaritmo con » decimali d’un numero di rappresen-
tare l'ordine della sua potenza 10”, può essere trasformata in
definizione:
Valore con x decimali del logaritmo in base 10
di 'a.=:X-hord {e bX?):
(*) Dicesi ordine di una quantità positiva a, e si indica con orda, il
più grande intero, positivo o negativo, x tale che 10" a. Esso è la ca-
ratteristica del logaritmo decimale di a, e, se a>1, esso è il numero
delle cifre della sua parte intera, diminuito di 1. \
CALCOLO DIRETTO DEI LOGARITMI DECIMALI 119
La Prof. Frisone (3) assume questa definizione pei loga-
ritmi, e ne costruisce una teoria affatto elementare, sufficiente
per le applicazioni pratiche, ed indipendente dalla considerazione
dei numeri irrazionali.
Il Prof. Borio (°) ne deduce la teoria comune, definendo il
logaritmo come quel numero il cui valore con » decimali è dato
dalla precedente eguaglianza.
Comunque data, nella scuola, la definizione del logaritmo
decimale di un numero, nasce il desiderio di sapere come i
logaritmi si possano calcolare o furono calcolati. La maggior
parte dei trattati di Algebra lasciano insodisfatto questo legit-
timo desiderio degli studiosi. Alcuni riproducono il metodo delle
successive estrazioni delle radici quadrate. Altri li sviluppano
in frazione continua, metodo questo complicato. Altri ancora li
determina con successive elevazioni a quadrato (1°).
Ma credo che il metodo più rapido sia ancora il secondo
indicato da Nepero e da Briggio. Occorre fare le successive po-
tenze decime del numero dato. Perciò scompongo 10=(2Xx2-+1)2,
cioè elevo a quadrato, poi nuovamente a quadrato, moltiplico per
la base, ed elevo a quadrato. Ottengo così la potenza 10.
Per elevare a quadrato mi servo delle tavole dei quadrati
dei numeri da 1 a 1000, tavole che si trovano in molte aritme-
tiche, in tutti i manuali degli ingegneri, e nelle più semplici
tavole numeriche. Come esempio determino il logaritmo di 3 e
sviluppo tutti i calcoli.
Elevo 3 alle successive potenze, e pongo il punto decimale
dopo la prima cifra significativa:
gi—3, 3°=9,. X-184=8 1, X-236— 2:43;
X-4 310 — 5:9049,
(3) R. Frisone, Una teoria semplice dei logaritmi, “ Atti R. Acc, Scienze
Torino ,; vol. 52, a. 1917.
(°) A. Borro, Una teoria semplice dei logaritmi, Cuneo, a. 1922.
(49) K. Bopr, Zwei elementare Berechnungen der gewinlichen Logarithmen,
a. 1897. Così: J. TroPrkE, loc. cit. (*), pag. 203.
Il metodo delle frazioni continue e quello delle successive elevazioni
a quadrato si trovano in T. Boato, Lezioni di algebra elementare, Genova,
a. 1906, pag. 435.
120 ELISA VIGLEZIO ©
Conchiudo
Log3 = 04...
| Bonsoa = AF4510: allora:
DIDO: eh
elevo a quadrato, uso le tavole, e mi limito a scrivere le prime
tre cifre, per difetto nel primo membro, e per eccesso nel secondo:
348
ARNO? PA 0 Lr n a
3 ro, sE m m E Lasi >
=== ri? 22 AL dea RE ET
Sp — rà E m m gi
nelle quali
te = raggio della superficie cilindrica esterna,
ri î 5 + interna,
2 = distanza del punto P dall'asse del recipiente,
1
m
p = pressione unitaria interna,
= coefficiente di contrazione trasversale,
E = modulo di elasticità normale del metallo.
(4) Cfr. C. Bacn: Elasticitàt und Festigkeit.
SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 135
Dalle formole sopra scritte risulta chiaro che è sempre
€ < €, e che es ed eg divengono massime, in valore assoluto,
per 2=r; e valgono
__ (® +1) ref + (m_-2)r?
m (re — r) È
ir = dre pe
a m(rè — ré) E"
Di queste, la prima è, in valore assoluto, maggiore della
seconda, quindi
2 pete 2
(1) eli __ +1)rf + (m—- 2)r,
m (re — r;8)
Per la stabilità deve notoriamente risultare max Fe< k
se & rappresenta il carico di sicurezza.
Quando si tratti di calcolare lo spessore del recipiente, dato
il raggio interno e posto max Ee= È, si ricava dalla (1)
2
+(1-3))
fratel fi -7- een
k—- (1 + t p
CC FINTORE O",
4. — Ritenendo, come consiglia il Bach, m = zo Si ha
ta
(RE
(2) ei = 0,4 asa E:
2
(3) max Ee = ga ca 1 de 2: 3
die e e
part k+ 0,4 p
(4) = ri ETie.
Indicando e, semplicemente con e, questa, in corrispondenza
della superficie interna, ovvero dell’esterna, diviene rispettiva-
mente
(5) cia 1,3re 4 04r? p
rr E?
(6) ce = 1,7 — Si
136 CAMILLO GUIDI
*
* *
Le precedenti formole permettono di risolvere colla dovuta
esattezza problemi molto interessanti per il collaudo dei reci-
pienti in questione; mentre l’applicazione delle note formole
valevoli pei tubi a pareti sottilissime, se può discretamente
servire pei recipienti di limitate dimensioni, conduce ad errori
gravi pei recipienti più grandi.
*
* *
5. — Un primo problema che si presenta nel collaudo di
questi recipienti è quello di calcolare il massimo cimento del
materiale.
Si tratti, ad esempio, di una bombola per la quale si abbia:
Diametro esterno D= cm. 33
È interno! d = 90
La (3) fornisce
1,3 X 16,5° + 0,4 X 15?
max Be gg ir De
mentre colla formola dei tubi a parete sottile si avrebbe
15
commettendo un errore in eccesso del 6,4°/, circa.
Per p= 0,3 */em:, cioè 300 atm. di pressione interna, si
avrebbe rispettivamente
max Ee =" 2,04 “om o=3 a.
SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 137
*
* *
6. — Il metodo pratico più semplice per accertarsi che il
recipiente non soffra deformazioni permanenti, cioè che non
venga oltrepassato il limite di elasticità del materiale sotto la
pressione idraulica di prova prescritta dai regolamenti, consiste
nell’iniettare nel recipiente acqua in pressione, finchè questa
raggiunga il valore prescritto; indi, mediante opportuno dispo-
sitivo, isolare completamente il recipiente coll’annesso mano-
metro dall'organo compressore, e verificare se l'indicazione del
manometro stesso rimane stazionaria per almeno un minuto primo.
Si potrebbe anche calcolare la variazione elastica del dia-
metro esterno della bombola
AED
ossia per la (6),
SE rî p
(7) ADI ap
e verificarla sperimentalmente; ma misurare la deformazione
del diametro della bombola è operazione molto delicata, che
richiede istrumenti di alta precisione, abilità di adoperarli, e
può trarre in errore se non si ripete la misura per più diametri
di più sezioni trasversali, e ciò a causa dell’imperfetta forma
geometrica dell'oggetto e dell’imperfetta omogeneità del mate-
riale. A conferma di ciò riportiamo i risultati sperimentali da
noi ottenuti su di una bombola delle seguenti dimensioni: lun-
ghezza cm. 132,5; diametro esterno medio cm. 20,3; spessore
cm. 0,65.
Prese in esame tre sezioni trasversali: la mediana A e due
altre B e C, la prima in vicinanza della sommità, l’altra in vi-
cinanza del fondo, l’una e l’altra a distanza di cm. 50 dalla A,
si sono misurate per ciascuna di esse le deformazioni di quattro
diametri ad uguale distanza angolare fra loro, partendo dalla
pressione di 50 atm., aumentandola a 100 ed a 150 e tornando
poi a 50. Ora ecco i risultati:
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 10
*
* «
i
f
CAMILLO GUIDI
138
GG
DE
0 0g ne
PL'IT | OST ) si OF:SI | OST
FILETTI ozio dor
0 0g 0 0g
0 0g 0 09
‘ 868L | 0SI È #IOI | OI
Ce no € NIE AMI
0 09 E RO 0g
0 08 O 0g
c9°6 OST * E RI Al OST
RE ee SL 1 ar 001
0 0S S 0) 0S
0 09 0 0g
8PII | OSI È 20°] OST
Sen Doo EI ita CALL SAT
0 09 0 0g
V DET ‘wugy | ‘wetq v ci wy
—____6mm— "—@€ —r__———————— _—_—_—_———————————————— P————_——€
I) QUOIZOS y QuoIzes
| 0S
88‘6 OSI Ha
Trai
MR 06
0 0
‘ 888 0SI Ù
AS) #4 | 001 | 88
0 0
0 0
La SPII OSI
G ‘, se
E pote piogge
Dr Se
O | 08
patois 00 Sha EST
1649 #69 007
0 0S
w Lui a Soi
qg QuoIzag x
‘'T 1I3QWEIP TOP QUOIISEIO TUOIZELIBA
sen 0___r— +++
SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 139
Questi risultati mostrano chiaramente quali notevoli diffe-
renze possono aversi nelle deformazioni dei varî diametri del
recipiente. Nella sezione mediana A l’incremento elastico del
diametro 4-4 è più che doppio di quello del diametro 2-2!
L'applicazione della (7) darebbe in questo caso
s 9,52 20; Ba
e per p=0,1/om: ossia 100 atmosfere di pressione interna,
AD= cm.0,01134 = 11,34 299/100;
cifra che va abbastanza bene d’accordo colla media aritmetica
dei risultati sperimentali ottenuti per ciascuna delle tre sezioni,
e specialmente, come è naturale, con quelli della sezione cen-
trale A. Si ha infatti dalla tabella precedente per l’incremento
di pressione di 100 atm. a partire dalle 50,
13,88+11,48-+-8,28+9,88 ___,
per Ja sez. B AD= 22/00 10,88
4
SSR pi ae
9,62
bic Ap Vlsek9a ORTI SI
La formola dei tubi a parete sottile darebbe
di, r
LR
=, p Sade Sal PIÙ = £ — mmj,. 2
AD= sE 0,65 X 3150 20,3 cm. 0,0138 == /100 13,80
con un errore in eccesso del 22 °/, circa.
7. — Quando non ci si accontenti di constatare l’inesi-
stenza di deformazioni permanenti, le quali vengono senza
dubbio avvertite colla prova pratica sopra accennata; ma si
desideri controllare la deformazione elastica complessiva della
bombola, migliori risultati possono ottenersi colla nota prova
consistente nel rinchiudere la bombola durante la prova idraulica
PRESSA GREP SE NECII el MOMENTO FO VITI INT SARTORI ENO "i
140 CAMILLO GUIDI
entro altro recipiente, nel riempire di acqua bollita o di olio
l’interstizio fra i due recipienti e nel misurare lo spostamento
di questo liquido prodotto dall'aumento elastico del volume
della bombola.
AI calcolo di tale aumento si prestano le formole prece-
cedenti nel modo seguente:
L'aumento d’area del circolo che limita esternamente la
sezione trasversale della bombola è
(8) mré(1+ e)? — nrî. = 2t6rè
e quello del circolo interno è
(9) Tr, (1 + €;)? == Tr, = (c° 2TE;7;.
Questi due aumenti stanno nel rapporto €sre° :€;r;2, e per le
(5) e (6) si ha
2
a
ai 18+04(4)
e
dal che si deduce che il volume del liquido spostato dalla de-
formazione della parete esterna nella prova sopra ricordata è
sempre maggiore del volume di liquido assorbito dalla bombola
esclusivamente per la deformazione elastica della sua parete in-
terna, prescindendo cioè dal volume consumato per la compres-
sibilità dell’acqua iniettata.
Ora si ha
AV. = 2regre le (1 — €)
se con le. s’indica la lunghezza teorica esterna del recipiente,
cioè la lunghezza di un cilindro di volume uguale a quello rac-
chiuso dalla superficie esterna del recipiente, e per le (2) e (6)
È ri p ri p
DS 2 nanna Quero
AV. =2nr2k VI ESE (1404 rà E 5).
SULLA PROVA IDRAULICA DELLE BOMBOLE, ECC. 141
Per la bombola già îndicata al n° 5 si avrebbe
AV.= 6,283 X 16,5% X 170 X
152 P 15? }
X 1,75" — 15? 2150 (14 0.6 Tapi 153 si)
ossia
AV, = 1094,9 p (1 + 0,000886 p).
Così, per es., per p = 0,3 */èm: risulterebbe
AV. = cm 328,56
mentre colle formole dei tubi a parete sottile si sarebbe ottenuto
(o) pri
$ ac PAL RE SET
AV.=2nr8el=2nr8 plh=2nr8 Ca)!
ossia
0315
SA 2 A
AV.= 6,283 X 16,5 1,5 X 2150
170 = cm3 405,76
commettendo un errore, in eccesso, del 23,5 %o.
8. — La variazione elastica AV; del volume interno della
bombola, prodotta dalla pressione interna uniforme viene
espressa da
AV.=2ne;r?l(14+ €)
nella quale /; ha il significato analogo ad 4%, e per le (2) e (5)
1;3rd +-0,4r? p it p
. 0 fer na AI a ERA I MES RI e
AVi=2mrel; DIA Ta (1 + 0,4 ATTRAE 5) 5
La misura sperimentale del AV; potrebbe anche servire
come prova di elasticità; ma oltre che, come si è visto, è
AV;3 il determinante simmetrico :
fa f1.8 ei ui lai fis
fan f2,9 ANO tagzi Tae
fai Ts CL e foca Ta
i cui termini f;x=fx; (per î,%# =1,2,..., s) siano forme affatto
generiche, di uno stesso grado m, di 5 variabili indipendenti x,
(£ = 0,1,...,4), che assumeremo come coordinate di punto in
un $,.
Se indichiamo con F;x il complemento algebrico di fix
in F®, si ha:
d FA dfi -
E) sa i Fin® (i, k= I, 2, 2359 s);
î,
onde la forma F© di S, ha doppi i punti (x) in cui si annullano
tutte le Fx, e generalmente solo questi. In generale questi
punti costituiranno una linea € priva di punti singolari, di
ordine SE m8 (1). — Ci proponiamo di determinare il genere
di questa linea. A tal uopo basterà determinarne il rango.
(4) Cfr. C. Segre, nella Encykl. der math. Wissensch., Bd. III, 2, pag. 931,
nota 499.
FASO ELIO
GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 163
Vedremo in seguito che la curva ‘) è intersezione par-
ziale di tre forme A, B, C, di S,, le quali si segano ulterior-
mente lungo una seconda curva, e si toccano lungo una terza
curva. È noto che in tal caso il rango di 9 è dato dal numero
dei punti comuni a questa linea ed alla Jacobiana J di A, B, C
e di due forme lineari generiche di S,, detrattone però il nu-
mero di quelli che cadono nei punti di appoggio (eventualmente
esistenti) di 9 colle curve ulteriori intersezioni di A, B, C.
Cominciamo quindi collo studiare il comportamento di 9, J,
in questi punti.
Consideriamo tre forme dello stesso ordine n, di S,, aventi
in un loro punto comune O uno stesso spazio tangente tm. La
rete da esse determinata contiene un fascio di forme aventi il
punto 0 come doppio; onde, preso 0 come punto fondamen-
tale (10000), e t come spazio x,= 0, la rete stessa può venir
definita dalle forme:
A=%x" x, + 20° Ang Cn dg +».
:9
B= Datz > bra ti %g +
“9
= doi 2 Chg En tg + ...
49
(ove ang=ag, ecc.; h,9=1,2,3,4). I coni quadrici tangenti
in O alle forme della nostra rete che hanno 0 doppio, costitui-
ranno generalmente un fascio: questo segherà lo spazio m se-
condo un sistema lineare = (00° od 00!) di coni quadrici ordinari
di vertice O, sistema che è quello determinato dai due coni:
va = 3 bnatrtg=0; = ZCrg%rtg= 0.
hyg h,g
Se T è la curva base della nostra rete, il punto O per essa è
almeno 4-plo, e le rette tangenti in O a f sono sempre fra le
rette basi di =. i
Il punto O sia origine di un ramo lineare yw, in ciascun
punto del quale le forme della nostra rete si tocchino. Presa
ei i cn init cagione
n= { pi Più
164 BENIAMINO SEGRE
la retta di m che tocca il ramo w nel punto O, come retta fon-
damentale (01), le equazioni di yw saranno:
to = È
cr=ri+.. (r==0)
co=ppete+...
d=pst +...
Ca= Pat +...
Poichè le forme A, B si toccano lungo yw, nei punti di questo
ramo deve aversi: i
dA dA
Ò Xi EA
2 eri 4° 2050
GEE (per = 1, 2, 3)
Ò ri dx, AI
Ma lungo vy risulta:
dr BASE,
da n Mittt. dai i fa
ab aà RE
da tera dai = 2bart+...
onde (per î = 1, 2,3) deve essere dx; = 0. Similmente cu= 0.
Pertanto: affinchè le forme della nostra rete (che già si toccano
in 0) si tocchino lungo un ramo w uscente da O, occorre che
il sistema = relativo ad O si componga di coni quadrici aventi
una retta doppia fissa: la tangente in O al ramo w.
Supponiamo ora che le forme A, B, C, che si toccano lungo
la linea w, si taglino ulteriormente lungo una seconda linea ®;
cosicchè ora la curva f si compone di w contata 4 volte e di @.
Sia O un punto d’appoggio delle due linee yw, @, semplice per
entrambe, e nel quale le tangenti ad esse relative siano due
rette Z, n, distinte. — Per quanto precede il sistema = relativo
ad O (punto di contatto delle forme A, B, C) deve comporsi
di coni aventi doppia la retta Z, e passanti tutti per n. Dunque
nelle nostre ipotesi il piano delle rette Z, n fa parte di tutti î
conî di =. i
GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 165
Chiamiamo J la forma Jacobiana di A, B, Ce di due altre
forme di S,; la matrice Jacobiana delle forme A, B, C (a meno
del fattore [n — 2] 24) è:
: 1
LN? x anent.,. x0°7? z ament... x z anecnrt ... n asl +...
eZ binaent... co? Ebmnar tb... 2087? z bh ant... 97? z dir cn +
h h
Il cng enzo |... xo ?Yonant.. 07? E conaent... 07? z conent... a? z can ent
Ri h
onde / ha sempre in O un punto doppio (almeno), avendo ivi
per. cono quadrico tangente un cono della rete determinata
dalle forme :
> din Xh DI bon La > ban due ban Ln
h h h h
=0; =
z Cin Cn 2 Con n > Con Cr 2 C3n Cn
h I h h,
Di bgn ED din Xn
h h
dI ===; 0 =
2 Conn 2 Cnr
Di h
Sono rette basi di questa rete le rette di t per 0, che hanno
uno stesso piano polare rispetto a tutti i coni di =; nel nostro
caso quindi fra quelle rette basi vi è la retta n.
Possiamo dire concludendo che: Date în S, tre forme A, B, C,
se esse st toccano lungo una curva w e si segano ulteriormente in
una curva ®, per ciascun punto comune a ®, w la tangente a ©
ha ivi generalmente incontro tripunto colla Jacobiana di A, B, C
e di due altre forme S.; onde quel punto (doppio per la Jacobiana)
assorbe generalmente tre delle intersezioni di @ con quella.
166 BENIAMINO SEGRE
LB
Posto:
fu fis fi s_2
Fe-29= fai f29 Sa di DIST fa. ss
TRL nata e,
fesa fs-2 et (e tliS=25-S=2600]
fu fis cla fis
fa fs9 Satato fas
€
Il
fica s—-2,2- Ue ce "RES
premettiamo il seguente lemma, che ci sarà utile per il seguito.
Un punto P(x) di S4 che annulli FS), FO,,._1 ed FE-2, senza
annullare tutti i minori d'ordine s — 3 estratti da F8-?, annulla
di conseguenza la matrice w.
Le espressioni di cui ora tratteremo s’intenderanno calco-
late nel punto P(x).
Poichè per ipotesi il determinante simmetrico F-2 è nullo
senza che siano nulli tutti i minori d'ordine massimo estratti
da esso, ne segue che F&-2 avrà diverso da zero qualche
minore principale d'ordine massimo; e sia, p. es., FS, +0.
Per un teorema di Hesse (?), essendo nullo F&-? si hanno
le identità:
fu GEO f1.s-3 fish 3
fa Al tit) f2,s-3 fasi
—2 Erra
— Figo. FU =
s=210-e soa fs; s_-3 Îs-9, sl
fu DET O Priszs Ts 5
cia Fe9 ta Ce E fai PA fassa fai
—2,5-2 *
elsa a CISCO Tea s-2,s
(?) Cfr. L. O. Hesse, Ein Determinantensatz (Gesammelte Werke, pp. 558-559).
GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 167
onde, essendo per ipotesi: FM = 0, F®,,--=0 ed F®-2=0,
risultano nulli tutti i minori d’ordine massimo (s — 2) estratti
dalla matrice y, che contengono le s — 3 colonne:
fu ance ©6856
BIZ NO det PUPA
falla ino ifcgaca
D'altronde la matrice da queste formata non è nulla, avendosi
supposto diverso da zero F©)s, il quale è un suo minore di
ordine massimo.
Per un noto teorema devono quindi essere nulli tutti i mi-
nori d'ordine massimo estratti dalla matrice wy.
II.
Siamo ora in grado di affrontare la questione propostaci.
Per un teorema sui determinanti reciproci è:
(1) FO. FO,.1—-|FO_ {= F0®. FO.
Un punto P(x) di S, per cui sia:
(2) FS) _- 0 ’ ROTA == 0 ’ MIC, ="
è certo doppio per la forma (1). — Tali punti P(x) offrono tre
casi a seconda che in essi /®-2 è diverso da zero; oppure
F8-2 è nullo essendo nulli tutti i suoi minori d’ordine mas-
simo; od infine F&-? è nullo senza che siano nulli tutti i suoi
minori d’ordine massimo.
Nel primo caso P(x), per la (1), dev'essere doppio per F®,
e cioè deve stare sulla curva @®; nel secondo caso il punto P (x)
sta.sulla curva doppia di F$-2, come si ha dalle considerazioni
introduttorie fatte sopra, ponendovi s — 2 in luogo di s: tale
curva (*) è di ordine E;
3 1) mì, e la diremo @&-?; nel terzo
(3) Cfr. nota (*).
RE Ter NI ISTAT
È
168 BENIAMINO SEGRE
caso, infine, il punto P(x) per il lemma visto al $ II deve
annullare la matrice y.
Inversamente si vede facilmente che un punto P(x) che
stia su p®, o che stia su p@-?, od infine che annulli y, verifica
di conseguenza le equazioni (2). i
‘I punti di S, che annullano la matrice y costituiscono una
linea generalmente priva di punti singolari, il cui ordine (*) è
DS) ù
(3) n, e che diremo ancora curva vw.
Potremo quindi dire che la curva intersezione delle forme (2)
si compone delle curve @l°, g(—2 e yw debitamente contate. —
Che questa aggiunta sia necessaria risulta dal seguente teorema:
In ogni punto della curva w, le forme (2) ed FE-® (passanti
per w) hanno uno stesso spazio tangente.
Indichiamo in generale con F® (q< s) la forma:
fia - < + fio
fa - - - faa
e con F® il complemento algebrico di f;, in F9.
Similmente alla (1) si ha:
FER Fia |a = FA FA,
Lungo y si annullano le forme FS, Fîl, FE; onde
s_-l,s—
dalla precedente identità risulta che lungo w è:
1
Di) FEDI Fe Sdi lo) PE
dai e s-2,8=2 dal
RE a (per.l= 0;1, 0
Ora Gera FEST, F@-!) = F®, onde la precedente re-
lazione esprime che lungo w le forme F-2 ed F£) si toccano.
In modo analogo si procede per le altre due forme (2) in rela-
zione con F8-9.
(4) Cfr. C. SeaRe, op. cit. in (‘), pag. 929.
GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC. 169
Dunque le forme (2) si tagliano lungo le curve g@®, (8-2)
e si toccano lungo la cnrva w; a riprova di ciò si ha l’identità :
(e-1m=("3') m°+(*3)) mì + 4.(3)mò.
Ora osserviamo che, essendo le forme f;, generiche, le
curve 99 e p&-2 non hanno punti comuni.
Supponiamo infatti che abbiano invece qualche punto a
comune. — La forma F°} non contiene 9-2), onde essa taglierà.
questa curva in un punto finito di punti P;. Poichè la forma F
contiene invece per intero la curva 9‘, quest’ultima dovrà per
l'ipotesi fatta contenere qualche punto P;. Siccome 9 sta sulla
forma F$}, si ha quindi che questa forma contiene qualche
punto P;. — Ora ciò è assurdo, poichè, mentre i punti P; (che
‘ sono in numero finito) non dipendono menomamente dalle forme
f1.s-1: fi,s, il determinante FS} dipende in modo essenziale da
queste: precisamente F$ si esprime con un polinomio di 2° grado
nelle fi,:-1, f1,s, i cui coefficienti sono generalmente diversi da
zero nei punti P,. —
La Jacobiana delle forme (2) e di due forme lineari di S,
è di ordine 3 [(s—1)m —1]. Indichiamo con a il numero degli
eventuali punti di appoggio di colla curva w; allora, per
quanto precede, e pel teorema dimostrato alla fine del $ I, il
rango r della curva ‘9 è dato dalla formola:
(3) r=(*1!)m8.3[6—1)m—1]—8a.
. Non ci resta quindi che determinare il numero a. i
Basta perciò osservare che i punti comuni a @®, F6-2)
sono tutti e soli gli a punti comuni a @ e y. Infatti un punto
di @® che annulli F@-2, non può annullarne tutti i minori
d'ordine massimo, perchè non sta mai, come s’è visto dianzi,
su g#@-2; quindi per il lemma del $ II sta su w. Viceversa,
poichè yw sta su F@-2, un punto comune a y e a pf è pure
comune a @() e F&8-2, — D'altronde in un tal punto la curva gl)
tocca la forma F&8-2; giacchè, per un teorema dimostrato sopra,
bl di et PITTORI
ti STAEZA
tri
#
170 BENIAMINO SEGRE — GENERE DELLA CURVA DOPPIA, ECC.
in ogni punto di w le forme (2) (che si segano lungo @®) toc-
cano F8-2, — Si ha quindi:
(4) da=(" 3). 6-2) m.
Sostituendo dunque nella (3) viene:
Re pun sE 20 SL DE (6).
Da qui segue per il genere p di gp‘ l’espressione:
(© p= CEIEOTI pi SCEVTI ppi,
È questo il genere che ci eravamo proposto di determinare. La
formola vale ancora, com'è facile verificare, nei casi esclusi in
cui s=2 oppure s=3.
TE,
Si ha una forma FÉ molto importante, considerando la
Hessiana di una ipersuperficie generica di Sy.
In base a quanto precede potremo dire che:
La forma Hessiana di una ipersuperficie d’ordine n di Si,
ha generalmente una curva doppia il cui ordine è 20 (n —2)8 ed
il cui genere è:
(6) 75(n— 2)4—50(n— 2) +1 (3).
(°) In base a questa formola si può determinare la classe della nostra F°).
Si ha così che °° (la quale è di ordine sm) è di classe:
st + 28°
3
(5) F. Ken, nella Nota Ueber die Transformation elfter Oradnung der
elliptischen Functionen (“ Math. Ann. ,, 15, 1879, pag. 533), ha avuto occa-
#ione (a pag. 545-546) di determinare per via affatto diversa il genere p
della curva doppia della Hessiana di una particolare forma cubica di S,.
Egli trova p= 26, che è appunto il valore dato dalla (6) per n=3.
m' — (253 + s) m® + 35°m? — sm.
—_—__—_—%__—_—_—____
GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI — RICERCHE, Ecc. 171
Ricerche sulle diossime
Nota VII del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO
e del signor GUSTAVO RUGGERI
Nella Nota II su questo argomento (!), dopo aver descritto
la metilaminogliossima CHy.C(:NOH).C(:NOH).NH,, abbiamo
soggiunto che essa si prestava ad alcune reazioni, il cui studio,
che riferiamo ora, ci ha portato a stabilire i rapporti i quali
collegano fra di loro, in modo imprevisto, detta gliossima con
alcuni acilderivati non ancora conosciuti delle azossime |[furo-
(ab;)-diazoli] e col metilaminofurazano CHg.0-— C .NHa,
N-0—N
primo termine di una serie nuova di composti di proprietà
molto interessanti.
Infatti le nostre esperienze dimostrano che il metilamino-
furazano non risulta direttamente dalla metilaminogliossima
per eliminazione di una molecola di acqua a spese dei due
ossiminogruppi
- pio
NH,.C=NOH —NH,.C=N
mediante i disidratanti e secondo i metodi generali coi quali
sì ottengono i furazani [furo-(a a;)-diazoli] dalle a-diossime,
bensì, se si impiega l’anidride acetica, per azione ulteriore del-
l’acqua sull’ossima del 3-acetil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo CH.
C (:NOH).(C,N,0).CH;.
(4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 52, I, 289 (1922).
nl A aselzi 20 ile n° ni Fnifezio ‘Ou ‘da ee ee
è n Da LE A È
172 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI
Facendo bollire con un eccesso di anidride acetica la me-
tilaminogliossima essa viene inizialmente trasformata nel suo
diacetilderivato
CHs.C—— C.NH;, CH.C ———— C.NH,
eee i
I ess
NOH NOH NOCOCHz NOCOCHy
dal quale per eliminazione di una molecola di acqua a spese
dei due atomi di idrogeno aminico e dell'atomo di ossigeno
carbonilico vicini si origina poi l’acetilderivato dell’ossima del
8-acetil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo
CH.C____CN':H;
(PE Sia
I e
NOCOCHs . NOC:O CH;
CH.CO-——_C N
| I I
NOCOcH4, N—0—C.CH;
Però a causa della facilità colla quale questo acetilderivato si
idrolizza in acido acetico e nell’ossima del 3-acetil-5-metil-
furo-(ab;)-diazolo
CH .C——_C N
[ I I ti,
NOCOCH3 N—0—C.CH;
CH; . COOH + CHy.C— C N
[ | |
NOH N—0—C.CH;
si ottiene, dopo trattamento con carbonato sodico, la suddetta
ossima, che riscaldata a sua volta con acido cloridrico diluito
reagisce coll’acqua per dare altro acido acetico e metilamino-
furazano
E PR CERN N
| I I +H0
NOH N-0—C.CH;
CH; . COOH + CH; . C C.NH;
RICERCHE SULLE DIOSSIME 173
Sulla prima e sulla terza delle reazioni ora esposte non
c'è nulla da osservare; la seconda è analoga alla sintesi delle
azossime R.C N dagli acilderivati delle amidos-
Il
Node,
sime R.C. NH; per mezzo dei disidratanti
Ì
NOH
R.CT—N:iHy: R,.C==N
See ea I |
NOCO:R, N-0—-C.R,
In quanto alla quarta, che consiste nella trasformazione di
un’azossima in un furazano (trasformazione non ancora stata
osservata, si può interpretare ammettendo che per azione di
due molecole di acqua su una molecola dell’ossima del 3-acetil-
5-metil-furo-(ab;)-diazolo risulti come prodotto intermedio una
forma labile della metilaminogliossima
CH. C C N
I Hi ME |: AAA RSS:
CHy.C
| L= P.eH;_d008
NOH HON
la quale, a differenza della forma stabile da noi descritta nella
Nota II (loc. cit.), è spontaneamente anidrizzabile in metil-
aminofurazano
In perfetto accordo col nostro modo di vedere stanno i
fatti che dal dibenzoilderivato della metilaminogliossima, per
eliminazione di una molecola di acqua a spese dell’aminogruppo
e del benzoile vicini mediante l’anidride acetica bollente, ab-
lt A) a; ù x fd CAO RCA Sa
” N A TT PIT A p)
: ate 7 c
174 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI
biamo ottenuto il benzoilderivato dell’ossima del 3-acetil-5-fenil-
furo-(ab;)-diazolo
OH 2 SN
| (i IO
NOCOGC;Hs NOC:0:CHs
Fois i P)
b)
N
| | l
NOCOGH; N—O—C.C;H;
che da detto dibenzoilderivato, per eliminazione di una molecola
di acqua come sopra e sostituzione di un benzoile con un atomo
di idrogeno mediante riscaldamento con idrossido di sodio di-
luito, abbiamo ottenuto l’ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-(ab;)-
diazolo (1)
6Hxy.0="— BW
-—>
| | ‘o:
NOCOC,H; NO C0 :C,H,
N
| I | + C;H,C00H;
NOS N 020 CH,
ed infine che per azione dell’acido cloridrico diluito abbiamo
potuto trasformare quest’ultima in metilaminofurazano
(Hi, 0 Sea
I I I OSS
NOHN:—0-—CeGHy
. 2 ;
| ] + C;H;C00H,
(‘) L'eliminazione di una molecola di acqua coll’idrossido di sodio non
è comune in questo gruppo di composti; tuttavia fu già effettuata da
Schmidtmann (Ber. 29, 1171 (1896)), il quale dal dibenzoilderivato della ma-
lonen-bis-amidossima CHy FS ottenne il cosidetto malonen-
6115/2
diazossimdibenzenile CHy (Ko SO } C,Ha)
De 2
ER pr Pre
RICERCHE SULLE DIOSSIME ] gs)
Ammettendo che soltanto le forme labili (non conosciute),
e non le forme stabili, della metilaminogliossima CH3.C(:NOH).
C(:NOH).NHy; ed in genere delle gliossime alifatiche R.C(:NOH).
C(:NOH).R, siano capaci di anidrizzarsi direttamente sotto l’in-
fluenza dei disidratanti, si spiega come dalle forme stabili (le
quali danno sali complessi di nichel e che noi chiamiamo forme 8)
non sia mai stato possibile preparare, per riscaldamento con
acido solforico concentrato o con anidride acetica, i corrispon-
denti furazani (!). È però probabile che mediante reazioni ana-
loghe a quelle da noi osservate si possano ottenere altri ami-
nofurazani da altre aminogliossime, e ci riserviamo di tornare
sull'argomento in una prossima Nota.
Limitandoci per ora al metilaminofurazano, possiamo dire
che la presenza del gruppo — NH, modifica profondamente le
proprietà dell'anello — € C— la stabilità del quale non
N_0-N
è più così grande come nei furazani KR .0 C.R; in cui
N-0_N
R ed R; sono alchili od arili. Scompaiono anche la volatilità.
col vapor d’acqua e l'odore caratteristico di questi ultimi com-
posti, mentre per contro compariscono alcune proprietà caratte-
ristiche dei C-amino-v-triazoli R .C C.NH». Infatti 1l
I Ì
I Ì
metilaminofurazano è diazotabile mediante l’acido nitroso e può
copularsi con sè stesso dando l’azoiminometilfurazano
CEN N NH.C
| ]
con tale facilità che non si riesce a far reagire il diazo, il
quale dapprima risulta, con altre basi. Inoltre mentre il gruppo
— CH; dei metilfurazani è ossidabile in carbossile — COOH,
(4) Questi si ottengono, come è noto (Wolff. Ber. 28, 69, 1895), per pro-
lungato riscaldamento delle gliossime con ammoniaca acquosa, a 160°-170°;.
forse in dette condizioni esse si isomerizzano dapprima nelle forme labili, le
quali poi si anidrizzano.
eee e eee ode AL
n;
176 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI
quello del metilaminofurazano resiste straordinariamente agli
ossidanti energici, come il permanganato potassico e l’acido
nitrico concentrati, i quali invece deidrogenano l’aminogruppo -
costituendo, coi residui di due molecole, l’azometilfurazano
CHy3.C—TC.N:N.C-—_C. CH;
I I i
Î
N ON NON
facilmente riducibile in idrazometilfurazano
CH, ie “6 -RHNEG Li — con
| I I
Nergion N" GN
a sua volta riossidabile nel precedente.
Infine il metilaminofurazano può condensarsi con alcune
aldeidi, ma non sempre allo stesso modo: p. es. colla benzal-_
deide dà il composto
N 055
Il Il
Il
NE: CH;
CH; . CHK
NE. =" ep
{ Il
N20 5N
risultante da due molecole; coll’aldeide cinnamica quest'altro
CéHs. CH:CH.CH:N.C——_C.CH;
Il Il
Il Il
N--O0—-N
risultante da una sola.
XIX. — Metilaminogliossima CH; .C(:NOH).C(:NOH),
NH,. Oltre che nei modi già indicati (loc. cit.) si può ottenere
rapidamente introducendo poco a poco in ammoniaca acquosa
d= 0,888, rimescolata con una turbina e raffreddata con
ghiaccio, la metilclorogliossima CH3z.C(:NOH).C(:NOH).CI
in fina polvere, per il che si separa in parte subito quasi pura
con ottimo rendimento.
RICERCHE SULLE DIOSSIME 177
Diacetilderivato CHy .C(: NOCOCHyg).C(:NOCOCH;).NH,.
Si prepara facendo agire sulla metilaminogliossima CHg.
C(:NOH).C(:NOH).NH; l’anidride acetica raffreddata con
ghiaccio ed in presenza di acetato sodico fuso. Cristallizza
dall'alcool acquoso in grossi prismi splendenti, od in aghi ap-
piattiti, con una molecola di acqua di cristallizzazione che non
perde nell’aria ma lentamente nel vuoto e rapidamente se scal-
dato. Il monoidrato comincia a rammollire a 75° ed è tutto
fuso a 100°; disidratato con precauzione a temperatura man
mano crescente fino a costanza di peso diventa opaco pur
conservando la forma cristallina primitiva, ed allora fonde net-
tamente a 123° senza decomposizione.
Sostanza gr. 2,0642: H,0 gr. 0,1825.
Sostanza anidra gr. 0,1482: N ce. 25,9 a 9° e 746,026 mm.
Trovato °/o: H,08;82;
Per C,H,;0,N3+ H30 cale.: 8,24.
Trovato 9/o: N 2086.
Per C,H,;0,Ng calc.: 20,89.
Anidro è discretamente solubile a freddo in alcool; molto
solubile in acetone ed in cloroformio e poco in etere; discre-
tamente solubile a caldo e poco a freddo in benzene ed in
ligroina.
È insolubile in acqua, solubile nell’acido cloridrico diluito.
Idrolizzato a freddo con idrossido di sodio sia concentrato
che diluito, od a caldo con carbonato sodico od acido cloridrico
diluito, ridà la metilaminogliossima da cui deriva.
Ossima del 3 acetil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo CH3.C(:NOH).
‘ (C,N30).CHg. Si ottiene riscaldando per qualche ora all’ebolli-
zione con un eccesso di anidride acetica in presenza di acetato
sodico fuso il diacetilderivato della metilaminogliossima, versando
in acqua il prodotto della reazione, neutralizzando con carbonato
sodico ed estraendo poi il liquido con etere; od ‘anche diretta-
mente dalla metilaminogliossima operando nel modo ora detto.
Cristallizzata da una miscela di benzene e ligroina si pre-
senta in prismetti allungati fusibili a 145° senza decomposizione.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 13
178 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI
Sostanza gr. 0,1476: N cc. 37 a 9° e 731,974 mm.
Trovato °/o: N 29,37.
Per C,H703Ns cale.: 29,78.
È solubile a freddo in etere, alcool, acetone e cloroformio;
discretamente a caldo e poco a freddo in acqua ed in benzene;
poco a caldo e quasi affatto a freddo in ligroina.
Trattando con cloruro di benzoile la sua soluzione in
idrossido di sodio al 20° se ne ottiene il bdenzo?lderivato
CHy.C(:NOCOG;Hg). (C$N0) . CH3 che cristallizza dall’alcool in
lunghi aghi fusibili a 198°-199° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1383: N cc. 20,1 a 10° e 734,671 mm.
Trovato °/o: N 17,03.
Per CeH,10OsNs cale.: LASA:
È pochissimo solubile a caldo e quasi nulla a freddo in
alcool] ed in acetone; discretamente solubile a caldo e poco a
freddo in benzene; quasi insolubile in ligroina ed in etere.
Come l’ossima da cui deriva, esso fornisce, se fatto bollire
con acido cloridrico diluito, il metilaminofurazano.
Ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-(ab; )-diazolo CHz.C(:NOH).
(C,N30). CéHs. Si forma assieme a metilaminogliossima CH3.
C (:NOH).C(:NOH). NH, riscaldando con idrossido di sodio
al 20 °/, ed un po’ di alcool il dibenzoilderivato di quest’ul-
tima CHz.C(:NOCOCHg).C(:NOCOC;H;). NH; che abbiamo
già descritto nella Nota II ('). Dopo aver diluito con acqua
(onde mantenere in soluzione la gliossima) si neutralizza il
liquido con una corrente di anidride carbonica, per il che pre-
cipita soltanto l’ossima, la quale cristallizzata dall’alcool si pre-
senta in grossi prismi fusibili a 205°-209° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1083: N cc. 18,7 a 9° e 741,348 mm.
Trovato °/o: N 20,48. i
Per C,0Hs0sN; calc.: 20,68.
-
(4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 52, I, 297 (1922).
| RICERCHE SULLE DIOSSIME 179
È molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool ed in
acetone; poco a caldo e pochissimo a freddo in benzene ed in
eloroformio; poco solubile nell’etere; quasi insolubile nella
ligroina.
Fatta bollire a lungo con acido cloridrico al 20 °/, fornisce
aminometilfurazano.
Benzoilata con cloruro di benzoile in soluzione piridinica (!)
si trasforma nel denzoilderivato CH3.C(:NOCOCHg)/. (CN30). CH,
il quale cristallizza dall’alcool in aghetti allungati fusibili a
174°-175° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1257: N cc. 14,4 a 9° e 741,348 mm.
Trovato °/o: N 13,58.
Per C7H,g0gN3 cale.: 13,68.
È solubile a freddo in acetone, cloroformio, benzene, etere;
discretamente solubile a caldo e poco a freddo in alcool; pochis-
simo solubile nella ligroina bollente.
Il benzoilderivato dell’ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-(ab,)-
diazolo CH; . C (:NOCOC6Hg) . (CN30) . CeH;, preparato come ab-
biamo detto ora, è identico in tutte le sue proprietà col composto
che si ottiene direttamente dal dibenzoilderivato della metilami-
nogliossima CHg.C(: NOCOC;Hg) . C(:NOCOC;Hy). NH, per eli-
minazione di una molecola di acqua a spese dell’aminogruppo e
del benzoile vicini mediante anidride acetica bollente in presenza
di acetato sodico fuso, ed idrolizzato per riscaldamento con
idrossido di sodio al 20 °/, ed un po’ di alcool dà l’ossima del
8-acetil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo, il che è una conferma della
struttura che gli abbiamo attribuita.
XX. — Metilaminofurazano CH;3.C-____C.NH3. Si
| I e
N-O—-N
forma, come già abbiamo detto, per azione dell’acqua (riscalda-
mento con acido cloridrico diluito) sull’ossima del 3-acetil-
5-metil-furo-(ab,)-diazolo CHz .C(: NOH).(C,N30).CH; e sulla
(4) Questa ossima non si scioglie che nell’idrossido di sodio diluito,
e dà con quello concentrato un sale sodico poco solubile.
vi det Sci 7 "POR
i
180 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI
ossima del 3-acetil-5-fenil-furo--(ab;)-diazolo CHz.C(: NOH).
(C3N30) . CHs; e si prepara nel miglior modo riscaldando alla
ebollizione per alcune ore la metilaminogliossima con anidride
acetica in presenza di acetato sodico fuso, versando in acqua
il prodotto della reazione, neutralizzando con carbonato sodico
ed estraendo ripetutamente con molto etere il liquido in cui
può essere sospesa, e per la maggior parte è disciolta, l’ossima
del 3-acetil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo
CH; .C(:NOH).(C,N,0) .CH,.
Eliminato il solvente si fa bollire per mezz'ora il residuo con
acido cloridrico al 20 °/,, ed in ultimo si scalda su bagno
d’acqua bollente fino ad eliminazione completa dell’acido clori-
drico e dell’acido acetico, cioè fino a che, col raffreddamento,
il metilaminofurazano solidifichi.
Cristallizzato dall'acqua bollente e decolorato con carbone
animale si presenta in grossi prismi bianchi fusibili a 72°-73°
senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,2905: CO. gr. 0,3869, H,0 gr. 0,1405.
Sostanza gr. 0,1114: N cc. 43,2 a 24° e 724,873 mm.
Trovato 9/0: €30,32. «Hb, 87 N42070
Per-C:H;0ONs calce.: 36,93 5,05 42,42.
È molto solubile nell'acqua a caldo e notevolmente anche
a freddo; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; molto so-
lubile a caldo e meno a freddo in benzene ed acetone; poco
solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina, dalla
quale cristallizza in laminette splendenti.
Non ha odore; non è volatile col vapor d’acqua; riscaldato
con idrossido di sodio o con acido cloridrico, anche concentrati,
non subisce alcuna alterazione. 1
Monoacetilderivato CHg . C C.NH.COCH;. Si ottiene
| i
N-0—N
acetilando con anidride acetica, in presenza di acetato sodico
fuso, il metilaminofurazano. Cristallizzato dal benzene costi-
tuisce laminette splendenti fusibili a 115°-116° senza decom-
posizione.
RICERCHE SULLE DIOSSIME 181
Sostanza gr. 0,1144: N ce. 31,2 a 24° e 723,273 mm.
Trovato %/: N 29,96.
Per C;H,0gN; calc.: 29,78.
È molto solubile nell'acqua a caldo e discretamente anche
a freddo; solubile a freddo in alcool, acetone, cloroformio; poco
solubile in etere; discretamente solubile a caldo e poco a freddo
in benzene; pochissimo solubile nella ligroina bollente e quasi
insolubile a freddo.
Si idrolizza con facilità per riscaldamento con acido clori-
drico diluito.
Benzilidenderivato CH; . CH [NH(C,N,0)CHg],. Si separa
dopo breve tempo per trattamento della soluzione acquosa del
metilaminofurazano con benzaldeide e .con qualche goccia di
idrossido di potassio. Cristallizza dall’acetone per diluizione con
acqua in aghi appiattiti fusibili a 155°-156° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,0947: N cc. 23,7 a 12° e 746,582 mm.
Trovato 0/0: N 29,52.
Per C13H,40gNe cale. : 29,37.
È solubile a freddo in alcool, acetone, etere; molto a caldo
e poco a freddo in cloroformio; poco a caldo e pochissimo a
freddo in benzene; quasi insolubile anche a caldo in ligroina,
Riscaldato con acido cloridrico diluito si idrolizza facil-
mente; resiste invece all’azione delle basi.
Cinnamilidenderivato C$Hy .CH:CH.CH:N (C,N,0) CH.
Si forma mescolando in soluzione alcoolica il metilaminofurazano
‘con aldeide cinnamica. Precipitato, dopo riposo, per diluizione
con acqua e cristallizzato dall’alcool costituisce laminette pa-
glierine fusibili a 126° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1303: N ce. 22,3 a 12° e 725,957 mm.
Trovato °/o: N 19,67.
Per C,3H,j0Ng cale.: 19,71.
È solubile a freddo in etere, acetone, cloroformio e benzene;
molto solubile a caldo e poco a freddo in alcool; poco a caldo
e pochissimo a freddo in ligroina.
Riscaldato con acido solforico diluito s'idrolizza rapidamente.
Fa
182 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI
Azometilfurazano CH3(C,N30)N:N(C,N,0)CH;. Si prepara
deidrogenando il metilaminofurazano, e nel miglior modo ag-
giungendo poco a poco permanganato potassico in polvere alla
sua soluzione in acido solforico al 30 °/, riscaldata a 60°-70°,
Purificato per distillazione col vapore costituisce laminette aran-
ciate fusibili a 107° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,0724: N cc. 28,3 a 24° e 723,273 mm.
Trovato °/o: N 42,94.
Per CoHeOsNe cale. : 43,29.
È insolubile nell'acqua; solubile a freddo nei comuni sol-
venti organici; facilmente volatile col vapore.
Si forma anche per riscaldamento con acido nitrico del
metilaminofurazano, il quale però, in dette condizioni, viene
per la maggior parte decomposto in anidride carbonica, acido
cianidrico, ammoniaca, ecc.
Idrazometilfurazano CHsz(C3N30) NH. NH (C$N30) CH. Si
ottiene idrogenando l’azometilfurazano con fenilidrazina in so-
luzione eterea, per il che si separa quasi subito dal liquido
diventato incoloro dopo lo sviluppo di azoto. Cristallizza dal-
l'alcool leggermente acquoso in prismetti bianchi contenenti
una molecola di acqua di cristallizzazione la quale non si elimina
alla temperatura ordinaria neppure in essiccatore nel vuoto,
ma soltanto per riscaldamento a 90°-95°. Sia idrato che anidro
fonde a 118°-119° con leggera decomposizione.
Sostanza gr. 0,1806:*H,O gr. 0,0156.
Sostanza gr. 0,1082: N ce. 36 a 9° e 746,026 mm.
Trovato °/: H:0 8,63. N 39,71.
Per CéHsOsN, . H30 calc.: 8,41 39:70.
È alquanto solubile nell’acqua bollente e quasi insolubile in
quella fredda; solubile a freddo in alcool ed in acetone; discre-
tamente solubile a caldo e pochissimo a freddo in benzene; po-
chissimo solubile a caldo e quasi nulla a freddo in etere, cloro-
formso e ligroina.
Sospeso in acido solforico e trattato con permanganato
potassico si deidrogena con facilità nell’ azometilfurazano, il
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Pr
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RICERCHE SULLE DIUSSIME 183
quale risulta anche introducendo l’idrazometilfurazano nella solu-
zione acquosa degli idrossidi dei metalli alcalini o di ammonio.
In questo caso si ha dapprima un liquido intensamente colorato
in rosso-vinoso, dal quale si separa immediatamente l’azocom-
posto, mentre la soluzione si decolora poco a poco.
Azoiminometilfurazano CHsg (C$N30) N : N. NH (C,N;0) CH,.
Si separa istantaneamente facendo gocciolare una soluzione
acquosa diluita di nitrito sodico nella soluzione di metilamino-
furazano in acido solforico o cloridrico al 20 °/y raffreddata in
ghiaccio. Cristallizza dall'alcool acquoso in laminette paglierine
contenenti acqua di cristallizzazione, le quali sfioriscono lenta-
mente alla temperatura ordinaria diventando bianche ed opache.
Riscaldato per breve tempo a 100° diventa anidro ed allora
fonde a 114° senza decomposizione, alterandosi qualche grado
più alto.
Sostanza gr. 0,0809: N cc. 32,7 a 11° e 731,693 mm.
Trovato 9/0: N 46,98.
Per C$H70sN, cale.: 46,88.
Anidro è solubile a freddo in alcool, etere, acetone; di-
scretamente solubile a caldo in ligroina, cloroformio e benzene.
La formazione di questo azoiminocomposto costituisce una
reazione sensibilissima per il riconoscimento del metilamino-
furazano.
Sale di argento CHsy(C,N,0) N: N.NAg(C$N:0) CHs. Si
separa trattando la soluzione alcoolica dell’azoiminometilfura-
zano con soluzione alcoolica di nitrato di argento e costituisce
una polvere bianca inalterabile alla luce; insolubile nei comuni
solventi organici; solubile nell’idrossido di ammonio é ripreci-
pitabile con acido nitrico diluito.
Sostanza gr. 0,9458: Ag gr. 0,1188.
Trovato °/y: Ag 34,95.
Per CsHgO,N, cale.: 34,15.
Riscaldato esplode violentemente.
Acetilderivato CHz(C$N30) N: N. N (COCH;) (C.N,0) CH,.
Si forma acetilando a freddo l’azoiminometilfurazano con ani-
184 GIACOMO PONZIO E GUSTAVO RUGGERI — RICERCHE, ECC.
dride acetica in presenza di acetato sodico fuso e cristallizza
dall'alcool acquoso in laminette bianche fusibili a 72° senza
decomposizione.
Sostanza gr. 0,1085: N ce. 35,3 a 12° e 725,957 mm.
Trovato %/: a CN -39;19:
Per C3Hs0OgN7, calc.: 39,04.
È molto solubile a caldo e discretamente anche a freddo
nell’alcool; solubile a freddo in benzene ed in cloroformio; poco
solubile in etere, quasi insolubile nella ligroina.
Torino - Istituto Chimico della R. Università.
Gennaio 1923. ; a
L’Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
185
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 4 Febbraio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci De Sanctis, ErnAuDI, BAUDI DI VESME,
PaTETTA, PrATO, PaAccHIONI, FAGGI, Luzio, Mosca, JANNACCONE.
Funge da Segretario il Socio Prato.
Scusano l’assenza i Soci BronDI, VIDARI, SCHIAPARELLI.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
21 gennaio u. s.
Il Socio Luzio presenta per la pubblicazione negli Atti una
sua Nota intitolata Due .lettere di Vincenzo Gioberti ed altri do-
cumenti inediti giobertiani, e ne illustra brevemente il contenuto.
LATP ARR NT RAI I CITE AI “iI
186 ALESSANDRO LUZIO
LETTURE
Duo lettere di Vincenzo Gioberti
ed altri documenti inediti giobertiani
Nota del Socio nazionale residente ALESSANDRO LUZIO
È
Una delle accuse più concrete mosse al Gioberti nel processo
del 1833 fu quella di aver diffuso gli scritti incendiari della
G. Italia non soltanto nella cerchia di amici torinesi (1), ma
anche extra moenia fra capannelli di provincia, presieduti da
suoi corrispondenti o confratelli di sacerdozio.
A Corio, p. es., avrebbe ricevuto dal teologo e cappellano
di corte siffatta merce di contrabbando l’avv. Canaperio. Lo
affermava almeno esplicitamente il commissario Gay, con un
rapporto sincrono, che a furia di “trapassi , (2) burocratici, è
andato a finire tra gli atti riservati di polizia del 1837 (Torino,
cartella 5-6).
POLIZIA DELLA CAPITALE
RapPPORTO.
Torino, li 8 aprile 1833.
Sono stato confidenzialmente informato che già da vari mesi a questa
parte sogliono seralmente radunarsi nel luogo di Corio e nell’osteria
esercita da certo Rostagno molti aderenti al sistema liberale, ove si tratta
(1) Cfr. il mio G. Mazzini carbonaro, Torino, Bocca, 1920, ultima ap-
pendice; e la lettera di Demofilo (Gioberti) ai compilatori della G. Italia
nelle Pagine Scelte dal Menzio, Torino, Paravia, p. 70 sgg.
(2) Nella cartella 1-2 di Torino 1833 il rapporto del Gay fu sostituito
dal seguente richiamo, che accompagnava i nomi de’ partecipanti alla
“ conventicola , di Corio: “ Giobert, teologò, supposto faccia passare ai
suddetti i scritti (e fogli periodici cancellato) che da essi si leggerebbono ,.
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 187
di tutti li affari politici e si leggono con entusiasmo tutti i scritti
rivoluzionari ed in ispecie l'opuscolo mensuale intitolato la Giovane
Italia, oltre le varie Gazzette riservate che vengono colà trasmesse al
sig. avv. Canaperio da certo sig. Teologo Giobert abitante in questa
capitale.
Gli individui indicati intervenienti in tale radunanza, che sogliono
essere in numero di venti e più sì annoverano specialmente li sig. avv. Data,
avv. Canaperio, li due fratelli Machiorletto, lo speziale Perero, certi Vigo,
Audi, Obert e Gioanetto, ignorandosi il nome degli altri, dei quali si
potrebbe avere con riserbatezza la loro cognominazione, facendo sorve-
gliare la località da persona confidente oppure dal sig. Comandante la
stazione dei Carabinieri Reali, se il R. Comando lo crede a proposito,
a cui se ne dà avviso per le sue provvidenze.
In base al rapporto del Gay fu ordinata un’inchiesta, che
fomentata via via da segrete sollecitatorie indirizzate da saccr-
doti a Carlo Alberto in persona si protrasse sino al 1838 (1);
e stabilì quanto meno che erano pervenuti a Corio esemplari
degli opuscoli di Mazzini, di Gustavo Modena e persino della
Guerra d’insurrezione per bande del Bianco.
Quest'ultima, mutila ma non meno preziosa, esiste nell’in-
carto, con un’accompagnatoria di Cesare Saluzzo, improntata a
sacro terrore:
“ Vi mando due orridi volumetti che mi sono stati recati da un
ecclesiastico e che sono infami a segno da non permettermi di tenerlì
° nè punto nè poco. Il luogo dove sono stati tolti è Corio in Canavese ,
(4 maggio 1838).
E mai ammissibile che dopo le repressioni del ’33 la con-
venticola di Corio osasse procacciarsi o ricevere simile dinamite?
Non è più verosimile che il libro del Bianco fosse l’ultimo con-
segnato sub sigillo confessionis di quelli 5 anni innanzi trasmessi
da Torino?
La condizione stessa del volume, tutto sgualcito e incom-
pleto e sudicio, perchè passato chi sa fra quante mani, induce
a crederlo. Checchè sia di ciò, pe’ fascicoli della Giovane Italia
(1) 1 denunciatori accusavano il Canaperio e complici di esercitarsi al
tiro, prendendo a bersaglio un’effigie del Re, contro cui avrebbero proferito
abitualmente sconcie parole irriferibili.
n
188 ALESSANDRO LUZIO
e i catechismi del Modena (1) parmi indubitabile che l’accusa
del Gay rispondesse a verità, tanto più che il commissario,
come si vede, non aveva neppure la più lontana conoscenza
personale di quel... “ certo teologo , non ancora arrestato, e
probabilmente sottoposto a sorveglianza per effetto di questa
prima denuncia. D'altra parte e le deposizioni raccolte a Torino
e la lettera stessa di Demofilo ai collaboratori della G. Italia
confortano il poliziesco supposto, senza dire che in “ Lettere
confidenziali del Lescarene al Revel , governatore di Torino si
annuncia (10 maggio 1833) la scoperta di “scritti incendiari ,
in casa dell’Oberti, amicissimo del Gioberti; si ordinano
(1° giugno) con grande riservatezza accurate indagini su tutti
gli intimi “ del noto sig. teologo Gioberti , e precipuamente
“i sacerdoti Pagnone, Bertinatti, teologo Monti , (2).
Se non da costoro qualche rilevante elemento a carico del
Gioberti emerse dalla condotta di Paolo Pallia, così sbigottito
per l’arresto dell'amico e maestro da prendere immediatamente
la fuga, riparando in Francia. Su lui la stessa cartella Torino 5-6
contiene precisi particolari; una nota anzitutto della polizia di
Torino, del 28 gennaio 1834, di questo tenore: i
“ Paolo Paglia sarà ora in età di 22 anni, nativo di Rivara, figlio
del medico di quel Comune, laureato da poco tempo in ambo le leggi,
ma non lo credo sacerdote; dimorava in Torino in qualità di maestro
di scuola de’ figli del sig. Mastro Uditore segretario della R. Camera
de’ conti Ceruti, legato in stretta amicizia con Macario e colli dete-
nuti fratelli Obert, colli condannati Scovazzi e Cariolo e sopratutto col
sacerdote Giobert, che per mezzo de’ Commissari sono informato essersi
trovata ne’ scritti di quest’ultimo corrispondenza continuata col mede-
simo; si evase nel mese di giugno dell’anno scorso, trovasi ora a Lau-
sanne, e si dice da’ suoi -parenti ch’esso da colà aspetti l’esito della
causa Obert ,.
(1) Se ne hanno esemplari, sequestrati dalla polizia o consegnati da
sacerdoti, che li ebbero da ‘ penitenti ,, in Genova 3-4 del 1834.
(2) Dal “ Calendario generale pe’ regii stati, del 1833 appare collega
del Gioberti nella carica di cappellano di corte il “ teol. Pagnone Giuseppe ,
insieme al teol. Pellico Francesco! (p. 188). Amici notissimi del G., il
teol. Giovanni Napoleone Monti e il Bertinatti.
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 189
Morì invece trentenne in esilio di mal sottile: e a lui-dedicò
Gioberti con iscrizioni soavissime la Teorica del sovrannaturale,
certo ignorando esser vero purtroppo quanto il Tommaseo svelò
nelle sue Memorie (1) — che il Pallia avesse, fiaccato di corpo
e di spirito, chiesto grazia a Carlo Alberto con suppliche equi-
valenti a ritrattazione completa!
Una prima istanza del 1836 non ci è rimasta: venne re-
| spinta, benchè (limitata alla concessione d’un temporaneo sog-
giorno per urgenti interessi domestici) fosse suffragata da rac-
comandazioni prudenti dell’ab. Peyron, a cui perdoneremo le
frasi indecorose, in grazia della buona intenzione di giovare
allo sventurato suo allievo:
Ill"° ed ecc®° S",
Torino, 22 ottobre 1836.
Debbo fare uffizio presso V.S.I. ed E. in favore del sig. Pallia,
il quale essendo in Parigi chiede la facoltà di fare una corsa in Pie-
monte per assestare gli affari di sua famiglia dopo la recente. perdita
di sua madre, che lasciò orfane quattro giovani figlie. Il predetto Pallia
mio scuolaro di lingua ebrea nella giovane età di quattro lustri mo-
stravasi nel 1832 favorevole alle idee italiane: io nol potei più compor-
tare e ricusai di vederlo sperando colla mia disapprovazione di operare
qualche cosa su lui che mi amava moltissimo. Arrestato che fu il T. Gio-
berti, egli fuggì in Francia per precauzione. Quando io |fui|] quest'anno
in Parigi ricusai di vederlo, ma come egli mi assicurò di essere rinsavito
nelle sue idee, come veramente riscontrai e dalla sua condotta e dalle
persone ch’egli praticava e dai suoi discorsi, allora gli permisi di venirmi
a vedere. Conoscendo a fondo la sincerità del suo carattere, posso assi-
curare V. Ecc. che la venuta del Pallia in Piemonte, dove si soffermerà
poco tempo per affari di famiglia, non potrà fare alcun danno, anzi sarà
di vantaggio essendo egli veramente rinsavito ....
D®"° Um”? Servitore
A. PeyRON.
Esiste nel dossier l'istanza. seconda, tutta autografa di
“ Paolo Pallia Dott. di teologia e di legge , da Parigi, 12 agosto
1837: e non si può leggerla senza una stretta al cuore. Ne re-
(1) Cfr. il carteggio Tommaseo-Capponi, I, 496; ed Epistolario di
Mazzini, II, 298.
190 ALESSANDRO LUZIO
cherò le prime linee, importanti come esplicito riconoscimento
della onestà con cui erano condotti i processi politici :
Sacra Real Maestà,
Se io avessi coscienza d’esser puro di tutte le colpe che mi sono
apposte, non dubiterei di rientrare liberamente in patria e di costituirmi
prigione per essere giudicato secondo le leggi, perchè fidando nella reli-
gione e fede dei giudici di V. Maestà sarei certo di uscir bene da quel
giudizio ch’io stesso avrei provocato. Ma la mia coscienza non mi rende
così buono testimonio. Uscii per vero di patria piuttosto per vani so-
spetti e timori che per grave colpa di cui io fossi conscio a me stesso:
ma dopo la mia uscita io devo confessare che seguendo l’empito d’in-
considerato bollor giovanile ho fatto cose, le quali se fossero cadute sotto
il rigor delle patrie leggi sarebbero per certo state in me gravemente
punite.
Continua confessando “ candidamente , le sue colpe: ma
invoca clemenza pe’ quattro anni di “ dura e tormentosa espia-
zione , che ha ormai sopportato, appartandosi “ dalle mene po-
litiche , per tuffarsi tutto “ nello studio della letteratura orientale
tra il silenzio delle Biblioteche e della sua camera ,.
Andava annesso all'istanza un certificato medico diffusis-
simo del Dott. Robecchi sulle disperate condizioni dell’infermo
“ sig. Pallia ,. A lor volta le quattro sorelle di lui scongiura-
vano il re che le salvasse da inevitabile rovina economica.
Eran rimaste di recente orbate della mamma; “il fratello mi-
nore, dopo aver studiato filosofia , s'era dato alla carriera delle
armi, servendo sotto le regie bandiere, senza d’altro curarsi.
“ Il tenue patrimonio paterno aggravato da debiti , pericolava,
se le inesperte fanciulle non trovassero appoggio almeno nel
fratello “ teolugo ed avvocato ,: degno di indulgenza, per un
errore commesso nella prima giovinezza, a causa del suo “ tem-
peramento vivace ed intraprendente, privo di consigli paterni
già dall’età di 12 anni ,.
Carlo Alberto fu irremovibile. Il ricordo del ’33 ghi era così
profondamente confitto nell'animo da soffocarvi la voce della
umanità, della commiserazione per un morente, per quattro
orfane. Il Pallia aveva collaborato alla G. Italia, partecipato
alla spedizione di Savoia: e tanto bastava per serrare senza
speranza di ritorno le porte del Piemonte a chi aveva implorato
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RETI LC E 13, PISTE n 3 TS
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fer PARTORITO TOO.
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 191
“ perdonanza e oblio del passato in nome di quel Dio che a
tutti ha perdonato e perdona ,.
Ugual sorte anche più tragica toccò nel 1843 all’autore
della Guerra d’insurrezione per bande: e a questo infausto epi-
sodio è pure associato, come finora ignoravasi, il nome del
Gioberti.
II.
Per le nozze del Principe ereditario nel 1842, i ministri
di Carlo Alberto ritennero doveroso predisporre una larga
amnistia, che, tranne i più gravemente compromessi, gli irridu-
cibili come Mazzini e C. (1), riammettesse nella patria sospirata
la maggior parte degli esuli. Le Legazioni sarde all’estero ebbero
l’incarico di riferire minutamente su ciascun emigrato, sommesso
alla loro vigilanza: e fu allora che il Crotti di Costigliole inviò
bellissimi dispacci, recentemente editi, sulla vita di pietà e di
studi, irreprensibile, esemplare, dal Gioberti condotta a Bruxelles.
La sua causa, dopo ciò, era vinta: al filosofo venne lasciata
ampia libertà di rimpatrio, sol che egli volesse.
Un veto inesorabile udì invece (2) ribadito a suo danno il
Conte Carlo Bianco di San Jorioz, malgrado gli affidamenti
(1) Si vedano nella raccolta degli Editti, quelli del 26-29 marzo 1842.
Cfr. nell’Epistolario, VII, 238 la stupenda lettera di Mazzini sulle amnistie,
da cui trovava giustissimo esser escluso. Nella cartella 17 delle “ Ma-
terie Criminali, del R. Archivio di Stato di Torino sono riunite, in un
voluminoso dossier, le istanze che nel 1842 pe’ superstiti del ‘21 furono
inoltrate o da loro stessi o dalle famiglie, chiedenti il rimpatrio, la revoca
della confisca de’ beni. Vi figurano molti tra’ capi della fallita rivoluzione
piemontese: l’Ansaldi, il Beolchi, il Crivelli, l’Enrico, il Ferrero, il Maroc-
chetti, il Trompeo, ecc. Scarsissime le istanze de’ compromessi del ’33,
perchè più recenti i fatti e notòriamente più tenaci le avversioni di Carlo
Alberto a comprendere nell’indulto del 29 marzo i seguaci della G. Italia.
(2) Cfr. Carteggio Gioberti-Massari, ed. Balsamo-Crivelli, Torino, Bocca,
1920, p. 581 sgg., pei lusinghieri rapporti del Crotti sul G. Il dispaccio
29 marzo 1842 si chiude appunto con ragguagli favorevoli, ommessi dal
Balsamo-Crivelli, sul Conte Bianco. Sul quale la polizia belga interpellata
rispondeva che lo si era dal 1834 in poi sorvegliato “ par ce qu’il était
représenté comme étant le centre où venaient aboutir toutes les intrigues
a PR bal Lat = ORI ila RI II SVITARE I RIA VELA SERI EP re OR
4 sù
an
102 ALESSANDRO LUZIO
cortesi datigli dapprima dal Crotti e dal Solaro della Margherita!
L’esilio più che ventenne, l’istanza diretta al Sovrano, le infor-
mazioni benevole della polizia belga e della Legazione, a nulla
valsero: l’autore dell’ “ infame , libro, di cui inorridiva Cesare
Saluzzo, il compagno di Mazzini, il fondatore degli Apofasi-
meni, ecc., ecc., ebbe una secca repulsa finale, tanto più dura dopo
l’umiliante sottomissione.
La fibra dell’infelice era già scossa da angosciosi dolori
domestici, da penosi imbarazzi economici, in cui temeva di
veder travolto l’onore di gentiluomo d’antica razza: con stoico
suicidio per annegamento il vecchio ufficiale del ’'21 si sottrasse
a quel cumulo di sciagure. La fine del Bianco colpì atrocemente
Mazzini, che si dibatteva a Londra contro una banda di osceni
usurai (1); ma non fu meno dolorosamente sentita dal Gioberti,
testimone immediato della catastrofe, anzi chiamato a prestare
gli ultimi uffici di carità cristiana all’estinto, alla vedova.
L'annuncio frettoloso datone al Pineili, al Fantini (2), non
permetteva di arguire così viva parte del Gioberti a quel lutto:
ma ne abbiamo sicura testimonianza in due lettere allo Sclopis,
inosservate sinora, tra il carteggio che possiede di lui l’Acca-
demia (3). Nato da una Peyretti di Condove, era il Bianco
cugino dello Sclopis: nulla quindi di più naturale che a preghiera
della Contessa il Gioberti lo informasse sollecito del lacrimevole
caso con questa lettera commossa, testualmente prodotta:
de l’émigration ,, ma non si era mai nulla di concreto potuto accertare.
Viveva ritirato, ricevendo solo di quando in quando il Principe Pietro
Bonaparte; tutti lo lodavano per bontà e generosità d’animo.
Su quali dati si basasse il Manno, Il patriziato subalpino, II, 284, per
‘asserire che il Bianco non accettasse l’amnistia del '42 non so veramente;
poichè gli atti comprovano che ed egli e sua moglie la invocarono con
suppliche al Re, non accolte.
(1) Epist., XII, 145, 161; e il- necrologio che gli dedicò nell’ Apostoluto
popolare, in Serie Politica, IX, 241.
II, 368.
(3) Da cui, non so perchè, il Carle trasse la sola lettera, puramente
officiosa, diretta allo Sclopis nel luglio ’44 (Atti di questa Accademia,
XXXVI, 756). Le reciproche dello Sclopis al Gioberti sono nella Civica di
Torino, e ne debbo cortese comunicazione all’infaticabile Balsamo-Crivelli,
‘cche sentitamente ringrazio.
(2) Lettere di V. G. a P. D. Pinelli, ed. Cian, p. 136; e Massari, Ricordi,
ci del
De ST MA
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 193
Ill"° Sig. Conte e P"° col"°
Di Bruxelles, 20 maggio 1843.
Institut Gaggia.
La S' Contessa Bianco mi commette di notificarle una orribile
disgrazia, che forse sarà già pervenuta a sua cognizione per via dei fogli
pubblici. Da qualche tempo in qua il consorte della S" Contessa dava
segni non dubbi d’alterazione di mente, che tuttavia non parevano an-
munziare alcuna sinistra intenzione e che furono probabilmente causati dal
disordine dei suoi affari e dall’essere stata sepellita l’ultima sua domanda
per la ricuperazione dei propri beni. Ebbe inoltre una febbre cerebrale
che diede qualche inquietudine: ma in pochi giorni se ne riebbe e
sì trovò bastantemente sano, benchè agli occhi e ai portamenti si ve-
desse che non aveva ricovrata la sua tranquillità antica. Nel mattino
dei nove del c. uscì di casa sotto pretesto di prendere un po’ d’aria e
di fare alcune commissioni e nel partire sì mostrò più lieto e sedato
del solito, tanto che non diede alcun sospetto. Ma dopo la sua partenza
la C** si avvide di 3 lettere che avea lasciate: l’una delle quali era
indirizzata a lei medesima, e le altre due al figlio e a me. Si lessero
e dal modo con cui erano concepite si acquistò, se non certezza, un
timore che l’infelice avesse disegnato di togliersila vita. Si corse subito
a cercarlo per ogni dove: la polizia fu avvertita e fece pur molte inda-
gini, ma inutilmente. Finalmente una settimana dopo il caso si trovò
il cadavere del povero Conte in uno dei numerosi canali che circondano
la città. Tal è il doloroso evento, che la S'* C** m’incarica di parteci-
parle, pregandola a darne notizia così alla famiglia di lei; come a quella
del defunto. Nell’adempiere questo lacrimevole ufficio, io non posso pre-
sentare a V. S. Ill"* altro conforto se non la mia ferma persuasione che
il suicidio del C'* Bianco fu un effetto di alienazione mentale e non di
libera elezione; il che se non può consolarci di tanta perdita dee pure
arrecare qualche lenimento al nostro dolore, mostrandoci nella causa
di esso, non un errore, ma un infortunio.
Le ineludo la lettera lasciata dal defunto pel C'° Alessandro suo De
‘gliuolo, acciocchè V. S. I. possa ricapitarla, usando tutti quei riguardi
che le parranno opportuni in sì tristo accidente.
La S'* C** m’impone eziandio d’informarla che potè ottenere la fa-
coltà di rendere i suffragi e gli onori ecclesiastici all’estinto, non ostante
le circostanze deplorabili della sua morte: ma che ciò porta seco l’obbli-
gazione di due funerali, l’uno nella parrocchia di domicilio, e l’altro
nel luogo dove furono trovate le spoglie del Conte. Al quale effetto
ella attende i provvedimenti opportuni dalla di lui famiglia.
Fin qui io sono mesto interprete degli altrui cenni. Ora debbo aggiun-
gere in confidenza a V. S. I che il C** Bianco nella lettera che mi scrisse
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. — 14
Pepe EE IR SEO PMO N IRR ETA e II
194 ALESSANDRO LUZIO.
prima di morire (1) mi raccomanda la sua povera moglie e m’incarica
di combattere l'accusa che potrebbero darle di essere in qualche parte
causa della determinazione da lui presa, assicurandomi sul suo onore
che ciò non è (2); sono le sue parole. M’ingiunge inoltre di provve-
derle il necessario e di spedirla in Piemonte. Ella vede qual sacro
obbligo pesi sovra di me. Io lo adempierò religiosamente, ma riguardo
all'ultimo articolo sarebbe forse bene che V. S. si degnasse di far sapere
alla sig. C** che il desiderio suo e di tutta la famiglia è conforme a
quello del defunto e che la partenza dovrebbe aver luogo al più presto.
Tal è pure l’avviso del March. Di Priè, che meco si unisce nell’offrirle
que’ servigi che per noi si possono in così doloroso frangente, quando
Le piaccia di comandarci.
Accolga, gent"° S" Conte, i sensi di alta e singolare osservanza con
cui mi reco a onore di essere
Di VESSE D®° Servitore
V. GIOBERTI.
Alla lettera giobertiana lasciò unita lo Sclopis una minuta
di propria missiva, non saprei a chi destinata, nell’intento di
far avvertire con forse superflue cautele il figliuolo del Bianco,
conte Alessandro.
Quanto a sè, confessava non essergli giunta inaspettata la
fiera novella, dacchè lieta fine non poteva coronare una vita
di continue agitazioni, non confortata da sentimenti religiosi,
fors’anzi dedita a cattive letture, ecc.
Al Gioberti tuttavia rispose il 27 maggio, esprimendo la
speranza che il Bianco fosse stato davvero vittima di delirio
e oppressione di mente: e in nome del Conte Peyretti, capo
della famiglia, consentendo alle spese più urgenti.
Le sue occupazioni, le sue attitudini rendevan penoso al
Gioberti addossarsi così spinose incombenze; pure si adoprò vo-
(1) Da qui, sino alla fine del periodo, tutte le parole si veggono, nel-
l'originale, sottolineate.
(2) Mazzini, XII, 161, scriveva, per vero: “ lascia una moglie che co-
nosco e credo gli facesse anch’essa passare una triste vita ,, mentre il
figlio lo “ negligeva , (Il figlio del Bianco, ufficiale dell’esercito, pubblicò
a sua volta libri di storia militare, che gli attirarono noie parecchie:
Manno, l. c.). Su moglie e figlio del Bianco si esprimeva sfavorevole il
Lamberti (Protocollo della G. Italia, II, 49, 83), pur avendo soccorso la.
Contessa a Parigi, per evitare sinistri commenti.
ma: Me _ Lai viadaicà: . RT {
IA RATE LT STO AT TI E E STO Po
da
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 195
lenteroso a curarne l’adempimento, dandone discarico con questa
seconda lettera, da cui non ho resecato i men utili particolari,
perchè anch’essi concorrono a far risaltare la pietosa solleci-
tudine che la dettò (7 giugno ’43):
Institut Gaggia.
Ho indugiato qualche giorno di rispondere alla lettera di V.S.I.
a causa di una leggiera indisposizione. Ella può accertarsi che quel poco
ch’io posso fare in questo dolorosissimo caso lo considero come un sacro
dovere, così per l’amicizia ch'io tenni coll’infelice, come per la riverenza
ch'io porto a Lei, a S. E. il sig. C'° Peyretti e a tutta la famiglia del-
l’estinto.
Non occorre pensare al mutuo nè che Ella mi spedisca una lettera
di cambio: io farò tutte le spese che occorrono e quando saranno ter-
minate gliene manderò la nota colle carte opportune a giustificarle nel
consiglio di famiglia. I funerali non potranno aver luogo prima del
12 e del 18 a cagione delle feste correnti. Compiuta la mesta solen-
nità, la sig. Contessa partirà subito per Torino, a tenore delle inten-
zioni che mi furono significate dal Conte Alessandro. Io bramerei di
sapere per mezzo di V. S. I. qual è la somma che posso offrire alla
sic. Contessa per le spese del viaggio.
Debbo anche prevenirla che la sig. Contessa desiderava di fare ap-
porre una lapide al sepolcro del suo defunto consorte. Non credetti di
dovere acconsentire e risposi che non poteva pigliare sopra di me di
fare altre spese che le necessarie.
Il Conte Alessandro mi offre in nome di S. E. il sig. Conte Peyretti
una carta di procura per soddisfare ai creditori del defunto. Questo è
un carico che non potrei addossarmi sia per la molteplicità delle mie
occupazioni, come pel timore di non poterlo adempiere convenientemente.
Per quanto mi è noto i debiti del C'° Bianco si possono distinguere
in due classi. Gli uni (e sono i più sacri) sono verso artigiani e operai
di minute industrie che lo accomodavano dei loro lavori: e questi debiti
non credo che facciano una somma molto notabile. Gli altri riguardano
i mutui sopracaricati da usure, le quali odo dire che siano esorbitanti.
In tal caso bisognerebbe pensare a una riduzione e ci vorrebbe una
persona proba e pratica che trattasse coi creditori. Dalle informazioni
| prese intorno agli avvocati che conoscono gli affari del defunto mi
risulta che il migliore di tutti e più al caso è M. Alexandre Joseph
Vatteeu avocat è la Cour d’Appel de Bruxelles. Siccome non lo conosco
l’ho fatto interpellare da un terzo per sapere se occorrendo riceverebbe
una procura al prefato effetto: rispose affermativamente.
Il solo debito, del cui saldo immediato potrei incaricarmi io stesso,
è quello che concerne il padrone dell’albergo dove dimora la sig. Con-
RR ISTAT TE ESE PETTO LOTO LOI
196 ALESSANDRO LUZIO
tessa, la quale mi ha manifestato il suo desiderio di scontarlo prima
di partire. L'ho pregata di darmene il conto preciso: subito che lo abbia,
lo spedirò a V. S. I. per saper le intenzioni del consiglio di famiglia.
Tutti i nuovi particolari che ho intesi dalle persone che videro l’in-
felice C'* Bianco nei giorni che precedettero la sua morte (giacchè io non
m’ero trovato seco da qualche tempo) confermano la mia persuasione
che la risoluzione funesta sia stata un effetto di un trasporto di mente
e non di un atto deliberato.
Mi reco a onore di essere con alta stima e profondo rispetto, ecc.
Interprete dell’intera famiglia, lo Sclopis ringraziò il Gio-
berti con lettera del 14 giugno per la generosità con cui aveva
egli medesimo anticipato il denaro occorrente alle prime spese:
esclamandosi felice “ d’aver constatato essere nel Gioberti le doti
del cuore pari a quelle dell'ingegno ,.
Mancano purtroppo tre lettere di Gioberti del 7, 19 e del
26 giugno (dirette al Peyretti): delle quali ci danno però la
certa data le risposte dello Sclopis, sia per accompagnare il
rimborso dovuto, sia per approvare quanto aveva disposto il
Gioberti riguardo a’ funerali religiosi.
Per tranquillare, come si è visto, i pii parenti di Torino,
aveva cercato la vedova di ottenere non una, ma due cerimonie
chiesastiche. Il parroco però suburbano non accettò la ver-
sione benevola del suicidio causato da sola alienazione mentale;
fors'anche conosceva gli antecedenti rivoluzionari del Bianco, e
rifiutò l'assoluzione alla salma. Gioberti non insistette e lo
Sclopis aderì, dichiarando il 3 luglio che fosse meglio il quieta
non movere. “ Quand’anche, osservava, si vincessero le opposizioni,
il clamore della resistenza farebbe più torto alla memoria del-
l’estinto, a cui non mancarono già i suffragi ed i supremi onori
nella chiesa di Bruxelles ,.
Del sepolcro con relativa lapide non vi sono accenni; e par
veramente un’ironia del destino che al Bianco, esaltato e “ su-
perlativo , quant’altri mai, teorico e maestro di strategia, di
tattica insurrezionali (1), le estreme onoranze, così poco conformi
(1) Oltre il citato libro della “ Guerra d’insurrezione per bande ,
(Epistolario mazziniano, V, 32; ComanpinI, L'Italia nei cento anni, II, 209,
i
MA
ARIE 8, ta - Pa rene I ns et
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 197
al suo passato — prive anzi di un marmo, che ne rivendicasse
il nome, le gesta (1) — fossero rese con un carattere così pret-
tamente anti-mazziniano dall’autor del Primato, dal già aperto
nemico de’ “ bamboli , della G. Italia. Si direbbe che così, in
pietoso silenzio, il Demofilo del ’33 tumulasse, simbolicamente,
anche le proprie illusioni d’un tempo, insieme alle spoglie del
povero Bianco, la cui drammatica morte suggellava per sempre
a’ suoi occhi la “ vanità , delle dottrine rivoluzionarie.
III.
I dispacci del Crotti pubblicati dal Balsamo-Crivelli dimo-
strano che nelle sfere officiali sarde non esistevano punto le
tenebrose avversioni, fantasticate dal Gioberti a suo detrimento,
in ispecie per supposta malignità personale del Solaro della
Margherita e de’ suoi ispiratori gesuiti. A buon conto costoro,
dopo gli attacchi giobertiani al Cousin, al Lamennais, al Ro-
smini, dopo l’apparizione ‘dello stesso Primato erano benevol-
mente disposti verso l’autore e studiosi di accaparrarselo. Lo
intuirono acutamente Costanza Arconati e Camillo Cavour (2):
lo riconfermava per diretta scienza il titolare della Legazione
sarda a Roma conte Federico Broglia di Mombello, un cui di-
spaccio preannunciava. come possibile e favorevolmente accolta
nell'ambiente Vaticano la concessione d’una cattedra pisana al
filosofo esule.
e il mio G. M. Carbonaro, p. 291), aveva il Bianco lasciato un volume ms.
intitolato Manuale del rivoluzionario italiano, raccomandandolo agli amici,
“ perchè anche morendo ei non dimenticava la patria ,. Ne prometteva
Mazzini la pubblicazione (cit. necrologia); ma per me tanto non la conosco.
(1) Sarebbe stato per il Gioberti un imbarazzo il dettare l’epigrafe del
Bianco, del quale scriveva al Pinelli, 1. c.: “ egli non aveva una gran testa,
© ma era uno dei migliori cuori che io abbia conosciuti ,.
(2) Cfr. per l’Arconati i miei. Profili biografici, pp. 53, 56, 59: in let-
tera 24 gennaio '42 ella affermava d’aver scoperto che i gesuiti “ contenti
di trovar in G. un potente avversario di Rosmini , lo portavano alle stelle
_ ed avean “ convertito , il Re di Piemonte al loro parere, sicchè G. avrebbe
“ potuto ottenere qualunque cosa ,. Quanto al Cavour cfr. nella Rassegna
storica del Risorgimento, del 1918, sua lettera 13 febbraio 1843, ed. dal
Colombo (p. 385).
198 ALESSANDRO LUZIO
Confidenziale.
Roma, 31 luglio 1843.
Avendo avuto qualche nuovo ragguaglio sulle cose del Rosmini,
mi reco a premura di rendergliene conto. L’opera che egli stava stam-
pando e che gli fu poi proibita era del razionalismo che sì vuole in-.
trodurre nelle scuole teologiche. Tutta quell’opera, ma principalmente
poi il principio ed il fine, batteva la Compagnia del Gesù, personifican-
dola chiaramente senza nominarla. Da Milano si scrive che colà si tiene
per certissimo che il Rosmini abbia interessato il Card. Castracane per
ottenere che malgrado il silenzio imposto possa pubblicare detta opera,
toltone il principio ed il fine. Chi ha informato di queste cose ‘dice che
spera non riesca, e soggiunge ch’egli ha preso in assai buon senso l’im-
posto silenzio, tal che comunicandone la notizia ai suoi scrisse esser
questa una prova che la sua dottrina non è condannata, e che si può
anzi sostenere e che perciò continuino essi ad insegnarla con calore.
Intanto in una prefazione all’ora uscito di lui fascicolo delle sue pre-
diche parrocchiali torna a toccare il Segneri. Egli non è più in quella
intimità che prima era col March. Mellerio, che ritiene sia cangiato di
animo.
Io non ho letto l’opera del Giobert sul primato morale e civile degli
italiani, ma ne ho inteso a portar questo giudizio: cioè che vi si trovano
molte belle cose, specialmente riguardo a Roma ed al primato del Papa,
ma che contiene poi tante ipotetiche asserzioni e tanti concetti oscuri
che difficilmente possono incontrare l'approvazione dei lettori dotti ed
istruiti. Ora si sa che il Giobert ha dato in torchio la ristampa del-
l’opera Errori filosofici di Rosmini coll’aggiunta di quasi due volumi
inediti. Vi è però uscita un’opera di Tommaseo in difesa del Rosmini,
nella quale si cerca di dimostrare varie contradizioni del Giobert. Non
è senza interesse la nuova che mi viene da buona sorgente sopra Giobert,
ed è che il Granduca di Toscana divisi di chiamarlo a professore in Pisa.
Vi è qua chi crede che se il Granduca realmente gli offre tal cattedra
Giobert l’accetterà .... (1).
Il sig. March. di Cavour [Gustavo] presentò a Mons. Arcivescovo
di Torino un voluminoso ms., ma l’Arcivescovo pare che non abbia
voluto da sè decidere se si poteva o no stampare: mandollo perciò
all’E"° suo fratello perchè lo facesse qui esaminare, ma fu da qui riman-
dato non giudicandosi a proposito di aderirvi, non fu esaminato e fu
semplicemente restituito....
BROGLIA.
(1) Sulle vicende di quella cattedra, rimando a una recensione delle
Pagine scelte giobertiane del Menzio, che dettai per la Stampa del 29 set-
tembre 1922; e a’ miei Profili, p. 59.
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DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 199
Non risulta che il Solaro, al quale la lettera era diretta,
se ne scandalizzasse, perchè il Broglia, qualche anno dopo, ac-
compagnava il preannuncio de’ Prolegomeni con altrettante lodi
personali, miste di rammarico per gli sfoghi anti-gesuitici ina-
spettati del Gioberti.
Confidenziale.
Eccellenza,
Roma, li 24 maggio 1845.
Sarà senza dubbio nota a Vostra Eccellenza l’opera del primato degli
Italiani ec., il cui Autore si è il Gioberti. Questi viene riputato uno
dei primi scrittori, di cui attualmente possa vantarsi l’Italia. È ammi-
rato principalmente per la facondia e pienezza del dire, per la forza del
ragionare, per la erudizione, e per la purgatezza della lingua. Il suo stile -
ridondante di pensieri, e pieno sempre di idee, si può paragonare ad
un gran fiume che scorre con magnificenza. Tale è la stima in cui si
tiene qui dalle persone illuminate il Gioberti. Malgrado ciò non man-
cano di quelli, che oltre ad una causticità di espressioni, hanno rico-
nosciuto nel sud° Autore una troppo fervida immaginazione, che forse
lo strascina talvolta, e lo conduce a delle opinioni singolari e sue proprie,
le quali mettono in avvertenza il giudizioso lettore.
Ora di una tale opera “ del primato degli Italiani , mì viene assi-
curato avere l'Autore medesimo fatta una nuova edizione in Brusselles,
premettendovi un lunghissimo discorso preliminare, in cui fa un quadro dei
Gesuiti e li dipinge coi colori i più neri che possano immaginarsi. Li
accagiona di tutti i mali che sono ora successi in Svizzera, di tutto il
sangue che ivi si è sparso, di tutte le dissensioni che ivi regnano ec. ec. ec.
In somma dice dei Gesuiti tutto il male che si può dire. Impiega in
ciò fare il lunghissimo discorso, che premette alla nuova edizione della
sua opera. Pare che l’Autore in questo discorso abbia raccolte tutte le
invettive contro la Compagnia di Gesù, e colla facondia del suo dire,
e colla energia di uno stile acre fuori dell’usato, le abbia ivi espresse.
‘Di tanto sono stato assicurato.
Dopo ciò Vostra Eccellenza potrà di leggieri figurarsi che la nuova
edizione di tale opera è tenuta lontana da Roma, ed ivi se ne vieta la
introduzione per quanto è possibile, come di un libello infamatorio.
Non saprei dire se sia ancora sotto la censura della S. Congregazione
dell’Indice; ma non mi sembrerebbe impossibile che ciò potesse essere;
quindi non istupirei di veder un giorno o l’altro comparire un decreto
che ne proibisse esplicitamente la lettura.
I P. P. Gesuiti sono qui molto afflitti, per le cose loro in Francia,
malgrado della grande fiducia che loro ispira la protezione della divina
Veg e AI NIRO RR o, CP gi REI IA
200 ALESSANDRO LUZIO
provvidenza. Temono di Mons. Arcivescovo di Parigi, il quale in altro
tempo ha esternato un suo progetto intorno ai sud' P. P. Gesuiti in
quel paese, che sarebbe di collocarli in qualità di Vicari Curati nelle
Parrocchie, disperdendoli così dalle loro case. Si sa che il medesimo
Prelato ha avuta una udienza particolare col Re Luigi Filippo, dove si
trattenne più di un’ora, e sebbene si ignori di che siasi discorso, pure
questo colloquio nelle attuali circostanze fortifica i loro timori. Il re-
stante dell’Episcopato francese non somministra altro che speranze per
essi, attesa la dichiarata fermezza che spiega in favore loro. Anzi vi è
stato un Vescovo che si è apertamente protestato, che se î Gesuiti sa-
ranno espulsi dalle loro case, egli li ritirerà nel proprio Seminario, e
per sino nel proprio Episcopio, onde, possano, vivendo uniti in comu-
nità, esercitare il Ministero.
Al Santo Padre sino a martedì p. p. non era stata fatta ancora
alcuna proposta da questo Ministro Sig. Rossi. Dei sentimenti di S. San-
tità non si dubita punto. Tutta la responsabilità di qualunque deter-
minazione si affetta di farla cadere sopra del Papa; e per ciò si teme
che si possa mandare ad effetto la minaccia che il Governo farà da sè,
se la S. Sede ricuserà di annuire alle proposizioni che le saranno fatte
in proposito.
Ho l’onore di raffermarmi col più profondo rispetto
Di Vostra Eccellenza
Um®° Dev"° Obb"°
Servitore BROGLIA.
Quanto a rinfocolare l’ardore polemico del Gioberti concor-
ressero da un lato gli ingiusti sospetti espressi dal Cavour ch’ei
trescasse co’ RR. Padri; dall'altro, la guerra impegnata in
Francia contro la Compagnia di Gesù dal Governo, dai liberali (1),
non saprei dire. Nell’abbandonarsi alla sua foga aggressiva, egli
commise a mio avviso, dal semplice punto di vista politico, un
evidente errore di tattica: poichè è ovvio riflettere che inve-
stendo con sempre maggiore veemenza i Loioliti (dopo averli
carezzati nel Primato) si alienava irreparabilmente Carlo Alberto
e Pio IX — i due capisaldi cioè del programma neo-guelfo,
(1) Col suo squisito buon senso scriveva Costanza Arconati del Quinet
(ibid.) il 4 giugno ’46 spiacerle che solleticasse “ l'inclinazione del suo
uditorio dicendo contro il Clero e contro i gesuiti cose che non sono sempre
vere... per smania di applausi ,.
i Adi
i TA RI AA ati ese e na
° ;
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 201
strozzato così, senza addarsene, in fasce dal suo stesso geni-
tore (1).
Sia comunque, che il Solaro della Margherita (ma più
ancora Carlo Alberto) si preoccupasse della pubblicazione del
Gesuita Moderno è assai verosimile. Pretta favola parmi però
la spesso ripetuta asserzione che il ministro ricorresse a sconcie
manovre per procacciarsi, a suon di contanti, dalla tipografia
di Losanna i fogli dell’opera, onde agevolare a’ gesuiti la
replica.
In realtà il Crotti di Costigliole, passato allora a Losanna,
seguiva con la più vigile attenzione le procellose interne vicende
di Svizzera, senza prestare che un orecchio distratto alle furie
del Gioberti — così irrequieto e febbrile, durante la stampa
dell’opera, da recar noia a’ suoi vicini d'albergo.
Lo narra almeno in certi curiosi ricordi il cav. Pietro di
S. Saturnino (2), addetto alla Legazione, secondo il quale avrebbe
infine il Gioberti giocato un grazioso tiro all’inviso ministro.
Una sera sul tardi, quando stava per partire il corriere della.
Legazione, fu recapitato in fretta un grosso plico dalla stam-
peria Buonamici, con l’assicurazione che racchiudeva parecchi
esemplari del tanto agognato Gesuita Moderno. Lo si spedì senza
aprirlo: ma col primo ordinario s’ebbe la mortificante sorpresa...
d’un rabbuffo da Torino, perchè in luogo dell’opus magnum gio-
bertiano. il plico conteneva non so che trattato di patologia.
È intuitivo che la burla non sarebbe stata possibile, se già la
Legazione si fosse via via a peso d’oro accaparrata le primizie
del Gesuita Moderno!
(1) Cfr. nel mio recente volume C. Alberto e Mazzini, Torino, Bocca,
: 1923, l’appendice giobertiana, in cui raccolgo le notizie concernenti la cor-
rispondenza tra Papa e Sovrano per la proibizione del Gesuita moderno.
Cfr. pure la recensione citata del buon volume del Menzio.
(2) Editi dal Prunas-Tola nella Rivista del Collegio Araldico del no-
vembre 1913.
202 ALESSANDRO LUZIO
IV.
Gli sforzi del Governo sardo, per attrarre il recalcitrante
Gioberti in patria, nel ‘48, mentre egli, sia per malferme condi-
zioni di salute, sia anche per suggestioni de’ maggiorenti dell’emi-
grazione — che lo reputavano incapace d’azione, e più utile come
scrittore alla causa italiana — propendeva a restar tranquillo
in Parigi, appaiono da’ documenti che seguono: osservabili
‘anche in quanto pongon di fronte Mazzini e Gioberti, egual-
mente temperati di idee in quel momento, per ammissione del
Lamartine.
Dispaccio Brignole, 6 marzo 1848.
Le réfugié Mazzini est arrivé à Paris, il y a peu de jours. Hieril
a assisté è une réunion de deux à trois cents italiens qui a eu lieu au
n. 45 de la Rue de Grenelle, S' Honoré, et qui s’est donnée le titre de
‘ Société Nationale italienne. Le médecin Fossati a été élu Président pro-
visoire. Mazzini a pris la parole avec beaucoup de chaleur pour établir
le but de cette association, qui doit étre, selon lui, de suivre le mou-
vement de l’Italie et de le seconder de tous ses efforts. Cette propo-
ssition a été accueillie à l’unanimité et Mazzini a été nommé Président.
Un sieur Canuti, réfugié romain, et un sieur Gianotti sont désignés
comme Vice-Présidents. Plusieurs membres ont proposé pour l’une de
«ces fonetions l’abbé Gioberti, qui ne se trouvait pas présent à la réunion;
mais d’autres ont observé qu'il valait mieux, attendu sa qualité d’ecelé-
siastique, que M" Gioberti ne prît pas une part active aux discussions
et qu’il convenait de lui laisser le ròle d’écrivain. Les réunions de la
Societe Nationale italienne auront lieu tous les dimanches.
Idem, 6 aprile 1848.
Il me revient de plus d’un còté que le Gouvernement frangais prend
quelqu’ombrage des progrès de l’armée du Roi en Italie et du probable
accroissement prochain de notre Monarchie.
On m’a aussi informé que avant le départ de Mazzini, M. de La-
martine aurait dit àè ce réfugié qu’il verrait avec assez de plaisir que
la Lombardie se constituàt en République. Ce Ministre, que j'ai tàché
de sonder, m’a avoué qu'il connaît Mazzini, qu’il a eu, il y a quelques
Jours, un entretien avec lui, mais il nie de lui avoir tenu le propos
susénoncé. Il m’a cependant assuré que Mazzini est plus raisonnable
RE POR III E TEZZE E NOR E O
ST PRO TT
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E RITA E
È EA se
Siae
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 203
qu’on ne le croit, et il a aiouté qu’il l’a trouvé persuadé que l’Italie
doit rester divisée en plusieurs États et que l’Unité italique serait im-
possible (?).
Idem, 25 aprile.
Je me suis fait un devoir empressé de chercher M. l’abbé Gioberti
et de l’exhorter è se rendre sans délai à Turin, où sa présence était
réclamée avec urgence par le Gouvernement du Roi. M. Gioberti m’a
dit qu'il se conformerait au désir que je lui exprimais, mais que l’état
de sa santé ne lui permettait absolument pas de faire le voyage ni avec
le courrier de la malle, nì par la diligence: qu’il se rendrait è Turin
en poste, mais qu’il ne possédait pas de voiture. Je lui ai répondu que
je m’occuperai de lui en procurer une et que méme j’avais ordre de
pourvoir à ses dépenses de voyage, si cela était nécessaire, mais qu'il
était important qu’il ne différàt que le moins possible son départ. Il a
répliqué d’abord qu’il se mettrait en route Lundi 24: ensuite qu'il ne
le pourrait pas avant aujourd’hui; enfin il est venu hier me dire que,
ayant été fort souffrant dimanche, il n’avait pas pu terminer tout ce
qu’il avait è faire, mais qu'il partirait sans faute demain 26, et qu’il
irait directement è Turin sans s’arréter è Lyon, comme il en avait eu
d’abord la pensée: quant aux frais de voyage il m’a itérativement assuré
qu'il n’en avait pas besoin .... ce qui lui manquait c’était seulement
une voiture...
Il Brignole Sale gli cedette addirittura la propria. Così
bon gré mal gré fu indotto Gioberti a cacciarsi nel vortice di
avvenimenti ch’egli non era affatto in grado di dominare.
Allo scrittore potente del Rinnovamento ci inchiniamo tutti
riverenti, ammiranti: ma il ministro-diplomatico del ’48-°49 fallì
all'immane còmpito, non per sola avversità di circostanze o per
altrui malvolere, sì anche per la sua impreparazione tecnica e
psicologica alla vita pubblica, per le asperità dell’orgoglioso
carattere, per le insanabili contraddizioni del suo spirito, pel
difetto fondamentale dell’arte sine qua non di maneggiar gli
uomini. Aver buone idee non basta in politica: si richiede sa-
perle tradurre in azione, vincendo o girando gli ostacoli, con-
quistando gli animi. Queste doti “ di realizzatore , non ebbe
Gioberti: convinto dell’infallibilità sua, intollerante d’opposi-
zioni, povero di pronti espedienti, ricchissimo del senno di poi.
In uggia a tutti, ripartì per Parigi, per prendersi col Rinnova-
mento solenne, clamorosa rivincita, a cui per esser perfetta
mancò solo l’elevatezza di un sincero mea culpa.
N re ORE di LIMA I 9 PRO
204 ALESSANDRO LUZIO
Avrebbe invero dovuto confessare da spirito superiore che
gli era toccata supergiù la stessa avventura dal Bandello nar-
rata pel Machiavelli. Con tutte le sue elucubrazioni sull’ Arte
della Guerra non seppe messer Niccolò far manovrare qualche
manipolo di fanti, e accorse beffardo a Sbrogliarlo Giovanni
de’ Medici.
Al Gioberti non bastò la vita per vedere la sua politica
attuata e trionfante ad opera di Camillo Cavour: il destino gli
riserbò le amarezze dell’insuccesso, le celie sguaiate de’ contem-
poranei, che dopo le prime ammirazioni iperboliche non nomi-
navano più “ il Sommo , senza un risolino di commiserazione.
Anche i più equilibrati, come il Paleocapa, i più benevoli,
come Giovanni Ruffini e Costanza Arconati (1), crollavano il capo
melanconicamente sull’arruffata politica del filosofo: e quanto
a C. Alberto, trasse un respiro di sollievo appena si vide libe-
rato da quella ch'egli reputava “ parodia di Cardinal Richelieu ,
(Rinnovamento, I, 512). Pio IX gemente sulle “ aberrazioni , di un
abate così poco sacerdote e anche meno cattolico, non aspettava
che il momento ... di scomunicarlo. Poteva mai in tali condizioni
riuscir proficua l’opera del Gioberti come “ duce , delle fortune
d'Italia?
La riluttanza a partir da Parigi non indica quanto poco
egli stesso si promettesse dalla sua azione diretta ?.
(1) Per l’Arconati e il Paleocapa cfr. il mio C. Alberto e Mazzini, p. 330.
Il Ruffini scriveva il 20 febbraio 1849 da Parigi al “carissimo, Gioberti,
confidenzialmente: “ con che fronte volete voi ch'io insista presso questo
Governo perchè ci appoggi della sua influenza per un progetto d’accordo
portante la base che la Costituente richiamerà il Papa, quando questa
stessa Costituente lo dichiara decaduto e proclama la Repubblica? ,. Il
Ruffini la pensava su ciò precisamente come Carlo Alberto nella prima
delle quattro lettere di lui al Gioberti, recate dal Balsamo- Crivelli in ap-
pendice alla memoria fondamentale più oltre citata.
Sotto il Gabinetto Gioberti furono deliberate molte missioni: del Duca
Dino di Talleyrand a Napoli; di Pier Angelo Fiorentino a Parigi; del
Rosellini in Toscana; del Cerutti a Costantinopoli; del -De Ferrari a
Roma, ecc., ecc, senza dire di quelle Arese, Rosmini, Ruffini; ma quasi
tutto l’improvvisato tramestio diplomatico d’allora si risolse in pura perdita
de’ denari spesi. Non molti per vero, dacchè il registro delle spese prova
con qual parsimonia e probità si procedesse anche ne’ più scabrosi frangenti.
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 205
Certo è che in una lettera al fido Massari, del 14 ottobre
1849, constatava con amarezza come su lui egualmente infierisse
la stampa de’ più opposti colori. “ I giornalisti moderati parlano
di me con un veleno occulto che svela il loro cuore. Ed io
dovrei certo dolermi assai più di loro che dei democratici poichè
questi in sostanza sanno che non la penso come loro... Metto
conservatori e distruttori tutti in un fascio per ricambiarli col
mio disprezzo , (Risorgimento italiano, XIV, 402).
Bellissima cosa il disprezzo; un uomo di Stato, un uomo
di genio ha diritto di sentirlo profondamente, ad un patto solo:
che egli, giunto al potere, abbia sapùto affermare ed imporre
co’ fatti la propria superiorità; o spiegato per lo meno, come
il Mazzini a Roma nel ’49, sicurezza e lucidità di visione, fa-
scino personale, avvincente eloquenza nella redazione di dispacci
diplomatici, insigni doti di vero uomo d’azione.
NE
Sulle missioni affidate nel suo effimero ministero dal Gioberti
all’Arese, al Rosmini: su quella ch’egli tentò di compiere a
x
Parigi, è ormai quasi interamente mietuto il campo dallo Sforza,
dal Pagani, dal Rosmini medesimo, nè occorre indugiarsi in spi-
golature (1).
Preferisco, sulle orme del Menzio e del Balsamo-Crivelli (2)
(1) Lo studio dello Sforza sulla missione Gioberti, uno degli ultimi
ch’egli pubblicasse, comparve nella Rassegna storica del Risorgimento del
luglio-dicembre 1921; e andrebbe completato con altre corrispondenze sin-
+ crone da Parigi, specialmente con le lettere confidenziali di Giovanni Ruffini.
L’autore del Dottor Antonio contrasse dalla sua breve carriera diplomatica
così fiera nevrastenia, da invocar disperato che lo si esonerasse subito
“ pena la vita ,, dacchè rischiava di morire di congestione cerebrale, sotto
l'impressione degli avvenimenti infausti che accompagnarono Novara.
(2) Cfr. negli Atti di quest'Accademia (LI, 659) la memoria del MenzIo,
Cenni sulle carte e sui mss. giobertiani; e nel Risorgimento del Gasorto, lo
scritto amplissimo del benemerito Barsamo-CriveLLI, La fortuna postuma
delle carte e dei mss. di V. G. (IX, r-1v). Sulla morte del Gioberti cfr. la
memoria del Coromso, Miscellanea Manno, Il, 109 sgg., e i Carteggi di
E. D'Azeglio, I, 305.
Lar aL TAI FRI TRL VGT. SAI I
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206 ALESSANDRO LUZIO
toccar brevemente delle contestazioni, suscitate dalle carte gio-
bertiane, perchè implicano una questione sempre viva e attuale,
pel diritto e dovere di cernita, di eventuale ricupero che compete
—allo Stato di fronte a chi erediti corrispondenze di alti funzio-
nari, ex-ministri.-
In piena vigoria fisica e superba maturità dell'ingegno,
Gioberti restò fulminato da un’apoplessia, di cui le frequenti
emicranie spasmodiche — causate dal febbrile, ininterrotto fer-
vore mentale — erano stati i sintomi vanamente premonitori.
Il primo annunzio ne fu dato dall’Ambasciata con queste
poche linee del segretario Rodrigo Doria di Ciriè:
26 dicembre 1852.
Je m’empresse de vous donner la triste nouvelle de la mort de
M. l’abbé Gioberti. Il a été trouvé ce matin privé de vie au pied de
son lit et il paraît avoir succombé à une attaque d’apoplexie foudroyante.
M. Cerruti consul s’est rendu immédiatement par ordre de M. le
M‘ Villamarina au domicile du défunt pour apposer les scellés. J'aurai
l’honneur de vous rendre compte demain des circonstances qui auront
pu se rattacher è ce triste évenement.
Il console Cerutti appose i sigilli, ritirò il poco denaro li-
quido, L. 940: mandò due copie dell'atto officiale di decesso,
che chiudeva l’adito ai sospetti di morte non naturale, non
ancor oggi ammutoliti.
Il Villamarina, che ormai succedeva regolarmente al Col-
legno, come titolare della Legazione, esponeva il 29 ottobre il
gran da fare che gli avevan cagionato i funerali del filosofo,
per evitare ogni attrito politico-religioso, in quegli ardui mo-
menti di trapasso dalla strozzata Repubblica al risorto impero
napoleonico. D’esserci riuscito sì vantava in prolisse missive
tanto al Presidente del Consiglio, M. d’Azeglio, quanto al Da-
bormida (come mi comunica cortesemente il prof. Colombo).
29 ottobre 1852.
Je m’empresse de vous apprendre que les obsèques de l’abbé Gio-
berti ont en lieu ce matin méme è la paroisse S'° Trinité, d’où son corps
a été transporté au caveau de la Madeleine pour y étre déposé jusqu’à
recevoir les ordres de mon Gouvernement. Je dois avouer que habitué
tectiti inii rain ittici LE:
Pa,
Ì i
PE PELO EI N N E LT TT TEO pene ene enne e]
FAR | e
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 207
comme je suis à voir l’opposition que nous fait systématiquement le
clergé en Piémont, tout d’abord je frissonnai en songeant è celle que
j'allais peut-etre rencontrer ici de la part du clergé pour obtenir la.
sépulture ecelésiastique, s’agissant d’un pretre sujet sarde, dont le nom a
été mis è l’Index avec celui de Proudhon et autres .... Dieu merci,
l’autorité cléricale a donné son consentement è la sépulture ecclésiastique
avec permission de mettre les enseignes de prétre sur la bière, de sorte
qu'on a pu donner aux funerailles de l’abbé Gioberti un caractère pu-
rement et simplement pieux et écarter ainsi tout ce qui aurait pu avoir
rapport è la politique è laquelle aurait donné lieu une sépulture civile.
Il y avait plusieurs points fort importants, sur lesquels il fallait
porter une attention tout particulière. D’abord, les conditions person-
nelles du défunt et le rang qu'il avait occupé dans le pays et è l’étranger
comme Ministre du Roi, Président de son Conseil ainsi que Président
de la Chambre des Députés. Ensuite la susceptibilité des partis et les
exigences de l’opinion publique en face d’une illustration italienne qui
n’avait point de fortune, point de parents, du moins à Paris, et beaucoup
trop d’amis.
Après cela, il ne fallait pas non plus oublier nos rapports avec Rome,
vis-à-vis de l’Eglise: et enfin ma position officielle envers le Gouver-
nement francais et le Prince Président de la République. Tout a été
pesé et j'ai la satisfaction de pouvoir vous annoncer que par les dispo-
sitions que j'ai données tout s’est passé avec le plus grand calme, dans
le plus respectueux silence et sans qu’aucun discours ni aucune démons-
tration politique soit venue augmenter nos embarras et troubler une
fonction exclusivement religieuse. Je ne veux point tenir compte de
quelques paroles prononcées après l’absoute par un certaîn M" Pons
(de l’Hérault) ancien Député et Conseiller d’Etat: paroles dont la majo-
rité des assistants a fait bonne justice en les condamnant comme incon-
venantes ou pour le moins intempestives. Voici le peu de mots prononcés
par ce Monsieur: Oh Gioberti, grande àme, regois les adieux d’un ancien
doyen de la République et prie pour mon pays.
Quant è la dépense, elle a été reduite è 2 m. francs environ, tout
compris. V. Ex. me fera parvenir ses ordres à ce sujet, car je pense
que le Gouvernement ne voudra pas permettre qu'elle soit payée par
souscription: ce qui ferait un très mauvais effet en Piémont et en Italie ....
Nella lettera al Dabormida ripeteva le stesse. cose, felici-
tandosi che dopo l’esempio di tolleranza, offerto dal clero fran-
cese, non potesse l'Arcivescovo di Torino rinnovare, all'arrivo
delle ceneri di Gioberti, lo scandalo clamoroso provocato dalla
morte del ministro Santarosa.
fretta ii acne at a n re TR
208 ALESSANDRO LUZIO
Quasi un mese più tardi il Villamarina, riferendone al
titolare degli esteri, richiamò l’attenzione sulla necessità di uno
spoglio delle carte giobertiane, per rivendicar quelle che fossero
di indubbia pertinenza statale:
22 novembre 1852.
Parmi les différents effets qui composent la succession de M. l’abbé
Gioberti se trouvent plusieurs papiers et lettres d’une très grande im-
portance dont quelques unes du Roi Charles Albert: ces lettres pour-
raient tomber entre les mains d’un héritier indiscret qui serait porté è
en faire un usage peu convenable, et je crois par conséquent que le
Gouvernement devrait prendre des dispositions ....
Terminava chiedendo istruzioni, e le ebbe a volta di cor-
riere, dacchè nel frattempo il Dabormida aveva già concluso
con la erede del Gioberti il notissimo accordo:
29 novembre 1852.
Je m’empresse de vous prévenir que la demoiselle Therèse Gio-
berti parente et héritière de l’abbé V. G. part aujourd’hui pour Paris
accompagnée de M" Lamarc son procureur et de M" l’abbé Benso pour
aller recueillir et liquider la succession. Elle apporte avec elle tous les
titres nécessaires pour constater ses droits.
Par suite de l’avis que contenait votre dépéche du 22 de ce mois
n. 19 le Ministère s’est occupé de prendre les arrangements nécessaires
‘avec l’heritière relativement aux papiers qui se trouvent parmi les effets
composant la succession et qu’il importe au Gouvernement de faire
retirer. Un accord formel a eu lieu è cet égard par acte sous seing
privé en date d’hier et je m’empresse de vous en transmettre ci-joint
une copie accompagnée de celle des articles du Règlement de 1742 qui
y est cite (1).
(1) Di questo Regolamento del 29 gennaio 1742 giova riferire dal
Dusorn, Raccolta delle Leggi, ecc., vol. X, p. 852, gli articoli che fanno al
caso nostro:
13. Dovevan giurare gli ambasciatori “di rimettere fra un mese ,
dopo la compiuta missione quante scritture di carattere pubblico posse-
dessero “ senza ritenerne alcuna neppure per copia ,.
15. Accadendo la morte dell’ambasciatore “ dovrà il primo segretario
mandare tosto l’archivista nella casa del defunto per separare e prendere
€ far portare negli Archivi di Gortè , le scritture non restituite debitamente.
16. Era obbligo del primo segretario indagare se per il passato fos-
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 209
Vous y remarquerez spécialement qu'on y a convenu les points
suivants, savoir: qu’aussitòt après la levée des scellés et en procedant
à l’inventaire on devra séparer tous les papiers mss., lettres ete. qu'on
trouvera et les placer sans qu’il soit besoin de les examiner en détail
dans une caisse qui devra étre fermée à double clef et retirée par le
Consul Chancellier pour étre envoyée à Turin où il sera procédé plus
tard d’accord avec l’heritière à la séparation des papiers et à la remise
au Gouvernement de ceux qui lui appartiennent ou qui le concernent
plus particuliètrement: que l’on devra mettre aussi dans la méme caisse
les exemplaires qu’on pourrait trouver encore de la dernière brochure
de G., dont il avait lui-méme fait retirer et détruire l’édition, préte è
étre mise en vente. Enfin que le Consul devra préter son assistance è
la confection de l’Inventaire de la Bibliothèque du défunt et que si
l’héritière se décidait à faire transporter aussi a Turin les meubles et
effets qui font partie de la succession on l’autorisera à les déposer pro-
visoirement à l’Hòtel de la Légation.
... Je crois à propos de vous renouveler ici l’invitation d’avoir pour
elle et pour ses compagnons de voyage tous les égards possibles .... La
déférence qu'elle a montrée pour les justes désirs du Gouvernement du
Roi, relativement aux papiers laissés par G. est un motif de plus pour
moi d’insister sur cette recommandation, car je pense que l’accueil obli-
geant que la dite héritière trouvera auprès de la Légation aura pour
effet d’écarter toute espèce de defiance naturelle dans une personne qui
n’a pas l’habitude des affaires et facilitera ainsi l’exacte exécution de
l’accord passé avec elle. Je vous engage encore, M" le Marquis, à lui
offrir de mettre à sa disposition l’argent dont elle pourrait avoir besoin
pendant son séjour à Paris ....
DABORMIDA.
Parve che già a Parigi la erede volesse ribellarsi agl’im-
pegni assunti, ma si arrese allora alle esortazioni del Villama-
rina, e il Dabormida ne lo complimentava:
21 dicembre.
Le Courrier de ce matin m’a apporté votre dépéèche du 18 de ce
mois n. 46 .... j'ai appris avec satisfaction que l’héritièore de M" G. se
sero rimaste scritture simili appresso gli eredi de’ Ministri od altri ufficiali
e rivendicarle. e
Disposizioni tutte, niente affatto antiquate, perchè accolte anche nei
Regolamenti attuali. x
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. T5
210 ALESSANDRO LUZIO
soit desistée de toute opposition è l’exécution de l’accord passé ici avec
elle et que les deux caisses contenant les papiers du défunt aient pu
étre expediées à Turin .... STAR
Tornata la erede in Italia ed assistita da avvocati, litigiosi
più del bisogno, le contestazioni furono risolte, come ha con
esuberante dottrina narrato il Balsamo-Crivelli. Astraendo dal
preteso movente personale delle rivendicazioni del Dabor-
mida (1), il principio di massima su cui si appoggiava era
inoppugnabile: così lo si fosse sempre rigorosamente osservato,
applicato! i
In Italia troppe volte gli Archivi privati, a spese di quelli
di Stato, s'impinguarono indebitamente di atti e documenti, di-
stratti dalla lor sede naturale, con nocumento degli studi, del
patrimonio storico nazionale. Raramente d'altronde tocca ai
carteggi privati la degna custodia, che offre a’ giobertiani la
Civica di Torino. O emigrano all’estero, o sono in patria ne-
gletti, inaccessibili, ove non vengano manomessi, dispersi, di-
strutti. Il Governo sardo invocava a ragione nel 1852 la prov-
vida legge del 1742: l’art. 76 del Regolamento attuale sugli
Archivi dà un’arma sicura e meno rugginosa per proteggere da
usurpazioni private i documenti che i suoi funzionari sono ob-
bligati a restituire allo Stato senza artificiose distinzioni (2),
quando pervenuti in lor mano per pura e semplice ragion d’uf-
(1) Dico preteso, perchè dalle lettere scambiate col Massari, la condotta
del Dabormida appare non solo immune da preoccupazioni interessate, ma
nobilissima (cfr. V. E. Dasormina, V. Gioberti e il gen. Dabormida, Torino,
1876, p. 50 sg.). Allo scorporo de’ carteggi giobertiani volle infatti atten-
dessero i tre amici più fidi del filosofo: Baracco, Bertinatti, Massari!...
(2) Per mio conto, non sarei molto disposto a menar buono il carattere
apparente di “ privato , e “ confidenziale ,, che si può facilmente conferire
a corrispondenze tra uomini di Governo “in carica ,: perchè a questo modo
resterebbe, nel più de’ casi, un pugno di mosche agli Archivi di Stato.
De’ negoziati diplomatici si conoscerebbero solo le conclusioni-finali, senza
poterne seguire lo .svolgimento, nè penetrare lo spirito animatore. Per
citare un esempio classico, il carteggio Cavour-Nigra, ad onta dell’intesta-
zione d’ogni lettera © Caro Nigra, e “ill sig. Conte ,, era officiale; e fu
bene averlo restituito alla sua vera sede, donde non avrebbe mai’ dovuto
emigrare.
» € fa ì
DUE LETTERE DI VINCENZO GIOBERTI, ECC. 211
ficio. Ammettendo il sistema abusivo Lamarmora gli Archivi di
Stato finirebbero per l’epoca moderna col ridursi a polverosi
magazzini di carta da macero.
- Poscritto. — ]l prof. Patetta mi comunica cortesemente
che, nella sua collezione Risorgimento, insieme a parecchie let-
tere importanti del Gioberti al canonico Seggiari e al D’Ocheda,
si trovano due cimeli giobertiani relativi all’episodio tragico
del 1843. Una lettera ad Alessandro Bianco, in occasione del
suicidio paterno, e un’iscrizione (a stampa) dettata più tardi
in onore della Contessa. Mi auguro che il prof. Patetta illustri
quanto prima il prezioso materiale giobertiano con la squisita
dottrina, che gli è propria anche in questo campo di studi.
L’ Accademico Segretario
GrovaNNI VIDARI
Ze ——— __——_—_—_
Lal
213
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’11 Febbraio 1928
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL "ACCADEMIA
Sono presenti i Soci PrANo, Guipi, PARONA, GRASSI, SomI-
GLIANA, PANETTI, Ponzio, Sacco, HeERLITZKA e il Segretario
MatmIROLO.
Scusano l’assenza i Soci D’Ovipio e SEGRE.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che risulta approvato senza osservazioni.
Il Socio Ponzio presenta le Note VIII e IX delle sue
Ricerche sulle diossime, che vengono accolte per la inserzione
negli Atti.
Il Socio PARONA, una Nota del Socio corrispondente Michele
GoRrTANI, Il preteso carreggiamento delle Dinaridi sulle Alpi.
L'inserzione di questa Nota negli Attî viene approvata
dalla Classe, salvo a prendere decisioni in merito al diritto dei
Soci corrispondenti di presentare direttamente lavori, senza cioè
l'intermediario di un Socio effettivo.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 16
214 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
LETTURE.
Ricerche sulle diossime
Nota VIII del Socio nazionale residente GIACOMO PONZIO
e del dott. LODOVICO AVOGADRO
Per azione dell’anilina sul perossido dell’a-fenilgliossima
(fenilfurossano) C5H;5(CsN30,H) in soluzione benzenica, Wieland
e Semper (!) ottennero una sostanza fusibile a circa 180° con
imbrunimento e decomposizione, da essi ritenuta, per il suo modo
di formazione e per l'intensa colorazione che dà con cloruro
ferrico, come l’amidossima sostituita CHs.C(:NOH).C(:NOH).
NHCG;H; e della quale non si occuparono ulteriormente.
Avendo noi già dimostrato nella Nota VI (?) l’esistenza di
due forme della fenilaminogliossima C;H; .C (:NOH).C(:NOH).
NH;, abbiamo pensato che lo stesso fatto dovesse verificarsi per
la fenilaminofenilgliossima CgyHs . C (:NOH). C(:NOH).NHCH;
(l’amidossima sostituita dei suddetti Autori), e l’esperienza ha
pienamente confermato le nostre previsioni.
Le due fenilaminofenilgliossime da noi preparate, e che de-
scriviamo in questa Nota, stanno fra di loro nello stesso rap-
porto delle due fenilaminogliossime: per conseguenza distingue-
remo col prefisso a quella che non dà sali complessi e col
prefisso B quella che risulta dalla forma a per riscaldamento
con acido acetico diluito e che dà col nichel, col cobalto e col
rame sali complessi derivanti da due molecole di gliossima per
sostituzione di due atomi di idrogeno ossimico, uno per ciascuna
molecola, con un atomo bivalente di metallo.
(4) Ann. 358, 63 (1907).
(2) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923).
RICERCHE SULLE DIOSSIME 215
La B-fenilaminofenigliossima risulta pure per azione del-
l’anilina sulla fenilclorogliossima
| CH; . C (:NOH). C (:NOH):C1 +-H'NHGHy —
CH; . C(:NOH).C(:NOH).NHGH; + HC1,
e, come l’a-fenilaminofenilgliossima, ha netta funzione basica.
Tutte e due danno infatti cloridrati assai stabili, pur essendo
anche solubili nelle basi forti; ma soltanto la forma f, e non la
forma a, possiede la caratteristica proprietà, da noi trovata (1),
di intaccare, in soluzione acquosa, alcuni metalli dell'VIII gruppo
trasformandosi nei corrispondenti sali complessi, precisamente
come tutte le gliossime che Tschugaeff (?) considera forme sin
e che noi chiamiamo forme B. i
Con una reazione analoga a quella su accennata, cioè per
azione dell’anilina sulla metilclorogliossima
CH; .C(: NOH).C(:NOH):Cl+H:NHCH, —>
CHz.C(:NOH).C(:NOH). NHGH; + HCI,
ed inoltre per azione dell’idrossilamina sull’acetilfenilisuretina
CHy.CO.C(:NOH).NHC;H, + NH,O —»
CH; . C(: NOH) . C(:NOH). NHG;H; + H,0,
abbiamo ottenuto la forma B anche della metilaminofenilglios-
sima CHy.C(: NOH).C(:NOH). NHC;H;. Questa ha pure com-
portamento di base forte, ma è instabile; dà però un sale
complesso di nichel, del quale diremo più avanti.
XXI. — a-fenilaminofenilgliossima, p. f. 188°. Si ottiene
dal perossido dell’ a-fenilgliossima (fenilfurossano), ma se, come
consigliano Wieland e Semper (loc. cit.), si fa agire l’anilina sul
perossido sospeso in benzene, non ha luogo, come ritennero detti
Autori, soltanto la reazione
CeH5 (C$N30,H) | CeH; . NH, SILA
CH; .C(:NOH).C(:NOH).NHC;H;,
(!) * Gazz. Chim. Ital. ,, 51, II, 218 (1921).
(®) “ Zeit. anorg. allgem. Chem. ,, 46, 148 (1905); Ber. 41, 1678 (1908)
“J. Chem. Soc. ,, 105, 2187 (1914).
TL, RI URI A IE TI È ge POSTI » .
216 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
poichè contemporaneamente si origina una sostanza bianca,
fusibile a 202°, della quale intendiamo occuparci in altra oc-
casione.
Ad ogni modo, operando in tali condizioni, ed agitando
a freddo la miscela, si ottiene quasi subito un liquido limpido,
dal quale col riposo si separano poco a poco cristalli. Questi,
. raccolti assieme a quelli che si ottengono per evaporazione
all’aria del filtrato benzenico, si trattano con acido cloridrico
diluito, ove soltanto la a-fenilaminofenilgliossima si scioglie,
mentre la sostanza fusibile a 202° rimane insolubile. Dalla so-
luzione cloridrica, dopo filtrazione, si precipita la gliossima per
aggiunta di acetato sodico cristallizzato e la si purifica ridi-
sciogliendola e riprecipitandola più volte collo stesso procedi-
mento fino a che si abbia un prodotto il quale sospeso in
acqua e trattato goccia a goccia con acido cloridrico diluito si
sciolga completamente.
Molto più conveniente per la preparazione dell’ a-fenilami-
nofenilgliossima è il seguente procedimento, mediante il. quale
la sostanza fusibile a 202° non si forma affatto. Esso consiste
nell’agitare il perossido della a-fenilgliossima (fenilfurossano),
finamente polverizzato, colla soluzione acquosa di un po’ più
della quantità equimolecolare di anilina: in tal modo il peros-
sido si trasforma poco a poco, ma quantitativamente, in a-fenil-
aminofenilgliossima C3Hz.C (: NOH).C (: NOH) . NHC;H; la quale,
raccolta e lavata con acqua, si ha subito perfettamente pura in
laminette bianche fusibili a 187°-188° senza decomposizione e
senza imbrunimento ed alterandosi qualche grado più alto.
Sostanza gr. 0,1595: N ce. 24,1 a 24° e 731,314 mm.
Trovato °/o: N 16,79.
Per C,,H;s0,Ns cale.: . 16,47.
Dopo cristallizzazione sia dall'acqua, che dall'alcool acquoso,
che dal cloroformio, il punto di fusione da noi trovato, e che
è notevolmente superiore a quello dato da Wieland e Semper
(loc. cit.), non varia.
La a-fenilaminofenilgliossima è quasi insolubile nell’acqua .
fredda e pochissimo in quella bollente; solubile a freddo, in
alcool, etere, acetone; poco solubile. a caldo e pochissimo a
freddo in cloroformio ed in benzene; insolubile nella ligroina.
RICERCHE SULLE DIOSSIME 217
Si scioglie negli idrossidi dei metalli alcalini e riprecipita
per. trattamento con acido acetico; si scioglie pure negli acidi
cloridrico, solforico e nitrico diluiti; dai due primi riprecipita
per aggiunta di acetato sodico, mentre è alterata rapidamente
dall’ultimo.
La sua soluzione acquosa trattata con cloruro ferrico dà
una colorazione intensamente azzurra.
Sciolta in alcool acquoso e riscaldata con acido acetico di-
luito si isomerizza lentamente in B-fenilaminofenilgliossima.
Cloridrato C3Hz.C(:NOH).C(:NOH).NHCH; .HCI. Si ot-
tiene sciogliendo la a-fenilaminofenilgliossima in acido cloridrico
al 20 °/, bollente e cristallizza col raffreddamento in lunghi
aghi bianchi fusibili a 208°-209° con viva decomposizione ed
imbrunendo qualche grado prima.
Sostanza gr. 0,4334 richiesero per la neutralizzazione cc. 15,3
di Na0H 3°.
Trovato °/o: HCl 12,88.
Per C,,H;s0,N; . HCI cale.: 12,50.
È solubile nell’alcool; insolubile nell’etere.
K discretamente stabile all’aria, rapidamente idrolizzato a
freddo dall’acqua ridando la a-gliossima.
Diacetilderivato CHsy.C(:NOCOCH;).C(:NOCOCH;).
NHC;H;g. Si ottiene acetilando a freddo la a-fenilaminofenil-
gliossima con anidride acetica in presenza di acetato sodico
fuso; cristallizzato dall'alcool si presenta in aghetti bianchi
fusibili a 179° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1274: N cc. 14,1 a 24° e 726,424 mm.
- Per C,gH;70,Ns calce. °/o: N 12,38.
trov. a 2A
È insolubile in acqua; discretamente solubile a caldo e
pochissimo a freddo in alcool ed in benzene; molto a caldo e.
poco a freddo in acetone; solubile in cloroformio; pochissimo
solubile in etere; insolubile in ligroina.
218 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
Sospeso in idrossido di sodio al 20 °/, si trasforma lenta-
mente per la maggior parte in a-fenilaminofenilgliossima &(la
quale rimane disciolta e si può ricuperare neutralizzando il
liquido basico con anidride carbonica) ed in piccola parte in
fenilaminofenilfurazano.
Dibenzoilderivato CyH; . C (: NOCOC;Hs) . € (: NOCOC;Hz).
NHC;H;. Si prepara benzoilando la a-fenilaminofenilgliossima
sciolta in idrossido di sodio; cristallizzato dall’alcool costituisce
piccoli cristalli fusibili a 201° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1614: N cc. 12,9 a 12° e 733,257 mm.
Trovato °/0: N 9,26.
Per CosH;O,Ns cale.: 9,07.
È discretamente solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool;
pochissimo solubile in cloroformio, benzene, acetone; insolubile
nell’etere e nella ligroina.
Riscaldato con idrossido di sodio al 20 °/, non si altera
sensibilmente.
Fenilaminofenilfurazano C}H3.C —— C. NHGH;. Si forma
Il |
Il
N-0-N
nel modo detto poc'anzi dal diacetilderivato della a-fenilamino-
fenilgliossima, ma conviene prepararlo facendo bollire quest’ul-
timo con idrossido al 20 °/o, per il che si separa dal liquido
col raffreddamento. Cristallizzato dall’alcool si presenta in aghi
bianchi splendenti fusibili a 158° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1018: N ce. 15,5 a 12° e 732,700 mm..
Trovato 9/0: N 17,66.
Per C,4H10Ns cale.: [WTA
È insolubile nell’acqua; solubile a freddo in etere ed in”
acetone; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in
alcool, cloroformio, benzene; poco solubile a caldo e pochissimo
a freddo in ligroina.
Si scioglie nell’acido solforico concentrato e riprecipita per
diluizione con acqua; si scioglie pure alquanto nell’idrossido di
sodio e nell’acido cloridrico bollente e cristallizza inalterato con
raffreddamento.
RICERCHE SULLE DIOSSIME 219
XXII. — $£-fenilaminofenilgliossima CH; .C(:NOH).
C(:NOH). NHC;H;, p. f. 124°. Risulta lentamente per isome-
‘ rizzazione della a-fenilaminofenilgliossima riscaldando la solu-
zione acquoso-alcoolica di quest’ultima con acido acetico diluito;
ma conviene prepararla facendo agire l’anilina sulla fenilcloro-
gliossima
CH; . C(:NOH). C (:NOH). Cl + NH,C;Hsy
—> CHs.C(:NOH).C(:NOH). NHCH; + HCl.
A tale scopo si fa bollire per qualche tempo la soluzione in
alcool assoluto di pesi eguali delle due sostanze, quindi si
diluisce con acqua, si acidifica leggermente con acido acetico e
si tratta con acetato di nichel al 20 °/0, per il che precipita il
sale complesso (C,4H,s0sNs), Ni, il quale si lava con alcool bol-
lente e si scalda con un piccolo eccesso di acido cloridrico
al 20 °/,. Dalla soluzione risultante cristallizza col raffredda-
mento il cloridrato della 8-gliossima, dal quale si mette final-
mente in libertà la base per mezzo dell’idrossido di ammonio.
La B-fenilaminofenilgliossima CH; .C(: NOH).C(:NOH).
NHC;H; cristallizzata dall’acqua o dall’aleool acquoso si pre-
| senta in piccolissimi aghetti bianchi fusibili a 124° con leggera
decomposizione e rammollendo alcuni gradi prima.
Sostanza gr. 0,1426: N cc. 21 a 24° e 730,992 mm.
Trovato °/o: N 16,35.
Per C.4H130gNs calc.: 16,47.
È un po’ solubile nell'acqua bollente e quasi insolubile in
quella fredda; solubile a freddo in alcool, acetone, etere; molto
solubile a caldo e poco a freddo in benzene e cloroformio; quasi
insolubile anche a caldo in ligroina.
Si scioglie negli idrossidi dei metalli alcalini e riprecipita
inalterata per trattamento con anidride carbonica o con acido
acetico diluito; forma coll’acido cloridrico un cloridrato e col-
l’acido nitrico un nitrato poco solubili in acqua, ma mentre il
primo di questi sali è stabile, il secondo si altera rapidamente
perchè la gliossima è facilmente decomposta dall’acido nitrico
anche diluitissimo.
In soluzione acquosa intacca lentamente a freddo e rapida-
mente verso 100° il nichel compatto; intacca pure, ma soltanto
contata; La, EVE, simili : dea TIR = È Me NZ ERO FETI SMR TE Ra OLE VASI PE I GIP NIE TI .
220 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
a caldo, il rame ed il cobalto, trasformandosi nei rispettivi sali
complessi. Trattata con cloruro ferrico dà una colorazione verde
azzurra intensa.
Cloridrato CsH;. C (: NOH).C (: NOH). NHG;H;.HCI. Si
separa spontaneamente dopo qualche istante dalla soluzione
‘della 8-fenilaminofenilgliossima nell’acido cloridrico diluito;
cristallizzato dall'acqua bollente acidulata con acido cloridrico
si presenta in tavole rombiche, talora di notevoli dimensioni,
fusibili a 210°-211° con decomposizione, imbrunendo qualche .
grado prima.
Sostanza gr. 0,1478 richiesero per la neutralizzazione cc. 5,1
: N
di NaOH ce
Trovato %o: HCI 12,58.
Per C,,H;30sNs . HCI calc.: 12,50.
È solubile nell’alcool; insolubile nell’etere.
E abbastanza stabile all’aria, facilmente idrolizzato dal-
l’acqua a caldo.
Sale di nichel (C,3H,302N3)sNi.2H,0. Risulta, come abbiamo
già accennato, per azione diretta della B-fenilaminofenilgliossima
in soluzione acquosa sul metallo; si prepara trattando con ace-
tato di nichel la diossima sciolta in acido acetico diluito. Cri-
stallizzato dal cloroformio si presenta in prismetti rosso-scuri,
ovvero in finissime lamine setacee di colore caffè-chiaro conte-
nenti due molecole di acqua di cristallizzazione che perdono
a 100°. Fonde, con decomposizione profonda, a 268°.
Sostanza gr. 0,0593; perdita di peso a 100° gr. 0,0037;
NiSO, gr. 0,0057.
Trovato 9°: Hs0 6;23 Ni 9,59.
Per C.3H,,0,NgNi.2Hs0 cale.: 5,97 9,73.
È insolubile nell'acqua; poco solubile a caldo e pochissimo
a freddo in cloroformio; quasi insolubile negli altri comuni sol-
venti organici. È facilmente decomposto dagli acidi minerali
diluiti; lentamente dall’acido acetico al 50 °/, e dall’idrossido
di sodio al 20 °/o; non reagisce coll’idrossido di ammonio.
sila.
tti Vi nta
cha siete i
cei
Li 7 x
RICERCHE SULLE DIOSSIME 221
Diacetilderivato CxH;.C(:NOCOCH).C(:NOCOCH;).NHC;H;.
Si ottiene acetilando a freddo la f-fenilaminofenilgliossima con
anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso, e cristallizza
dall’alcool in aghi bianchi raggruppati, fusibili a 150° senza de-
composizione, rammollendo qualche grado prima.
Sostanza gr. 0,1347: N cc. 14,8 a 24° e 731,314 mm.
Trovato °/o: N 12,20.
Per C,gH,70,N3 cale.: 12,38.
È insolubile nell'acqua; poco solubile in etere; solubile a
— freddo in cloroformio ed in acetone; molto solubile a caldo e
poco a freddo in alcool; poco a caldo e pochissimo a freddo in
benzene; quasi insolubile anche a caldo in ligroina.
XXIIHI.— Metilaminofenilgliossima CHg.C(:NOH).C(:NOH).
NHC;H;. Risulta, come già abbiamo. detto, per azione dell’ani-
lina sulla metilclorogliossima CH; .C(:NOH).C(:NOH).C1l +
CHsNH, —»> CH;.C(: NOH).C(: NOH). NHCGH; + HCI e
dell’idrossilamina sull’acetilfenilisuretina CHy.CO .C(: NOH).
NHCH;+ NH,0H —» CH3.C(:NOH).C(:NOH). NHG;H;+H30. .
Messa in libertà dal suo cloridrato si altera rapidamente: dob-
biamo perciò limitarci a descrivere il sale complesso di nichel
che due molecole di essa formano con un atomo di metallo.
Sale di nichel (C9H,00gN3)a Ni:
a) dalla metilclorogliossima. Si scalda per qualche mi-
nuto su bagno d’acqua bollente una soluzione alcoolica di metil-
clorogliossima e di anilina, dopo riposo si diluisce con acqua,
si acidifica leggermente con acido acetico diluito e si tratta con
acetato di nichel;
b) dall’acetilfenilisuretina. Questo composto, preparato da
noi molti anni fa (!) per azione dell’anilina sul cloroisonitroso-
acetone CH; . CO . C (:NOH). CI in soluzione eterea, si può anche
ottenere mescolando le soluzioni alcooliche delle due sostanze e
diluendo con acqua dopo riposo di qualche ora alla temperatura
ordinaria. Cristallizzato dall'acqua, ove è poco solubile a caldo
(1) “Gazz. Chim. Ital. ,, 37, II, 70 (1907).
222 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE, ECC.
e pochissimo a freddo, si Meno in laminette splendenti fu-
sibili a 119°.
Riscaldato per breve tempo in soluzione slevolica: su bagno
d’acqua bollente, colle quantità equimolecolari di cloridrato di
idrossilamina e di carbonato sodico in soluzione acquosa, si
trasforma in metilaminofenilgliossima, la quale si isola dal li»
quido per trattamento con acetato di nichel.
Il sale di nichel della metilaminofenilgliossima (C9H,00sNg)sNi
cristallizzato dall'alcool si presenta in laminette splendenti di
color rosso vinoso, fusibili a 242° con decomposizione, imbru-
nendo qualche grado prima.
Sostanza gr. 0,1818: NiSO, gr. 0,0652.
Trovato °/o: Ni 13,60.
Per CigHso04NgNi cale.: 13, 62.
È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo nell’alcool;
iaia sato a caldo e poco a freddo in benzene ed in ace-
tone; solubile a freddo in cloroformio ; insolubile in acqua, etere
e ligroina.
Si scioglie nell’idrossido di sodio al 20°/o con colorazione
rosso-bruna; non nell’idrossido di ammonio. È decomposto a
freddo dall’acido acetico al 50 °/;, resiste invece discretamente
all’azione di quello diluito.
Trattato con acido cloridrico, fornisce il cloridrato della me-
tilaminofenilgliossima CH; . © (:NOH).C(:NOH). NHCGH; . HCI,
il quale si separa, concentrando la soluzione, in laminette bianche.
Da esso mediante l’idrossido di ammonio si può isolare la base,
la quale è solida, ma si altera rapidamente.
Torino — Istituto Chimico della R. Università.
Febbraio 1923.
RE e n, P_
RI, PASO 7, TETTE
RP I PETTO
GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE, ECC. 223
Ricerche sulle diossime
Nota IX del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO
e del dott. LODOVICO AVOGADRO
In questa Nota continuiamo ad occuparci della fenilglios-
sima CgéH;y.C(:NOH).C(:NOH).H e riferiamo alcune nuove
esperienze, le quali, dimostrando la grande differenza di com-
portamento delle sue due forme, costituiscono un’altra conferma
della nostra opinione sull’inaccettabilità della teoria di Hantzsch
e Werner sull’isomeria delle a-diossime.
Di notevole importanza ci sembrano specialmente i risultati
che abbiamo ottenuto mediante l’impiego dell’acido solforico
concentrato e del cloruro di fenildiazonio. Infatti, per azione
del primo una molecola di a-fenilgliossima (p. f. 168°) perde
una molecola di acqua trasformandosi in fenilfurazano
Ced; .0= N:0H Oo C=N
| rat | DO;
H.@= NO CN
mentre due molecole di f-fenilgliossima (p. f. 180°) perdono as-
sieme una molecola di idrossilamina
2 CsHs0gNo SNO È CieH1s50gNs
e danno il composto C,gH,s30gN3 ottenuto per la prima volta
da Miiller e Pechmann (') trattando con cloridrato di idrossil-
(1) Ber. 22, 2560 (1889).
224 GIACOMO PONZIO E LUDOVICO AVOGADRO
amina il fenilgliossale C;Hg . CO . CHO, poi da Scholl (!) riscal-
dando l’isonitrosoacetofenone CH; . CO .C(:NOH).H con un
eccesso di cloridrato di idrossilamina, e da Korten e Scholl (?)
per azione dell’idrossilamina sull’ w-dibromoacetofenone CeHs.
CO . CHBr,, ed infine da Diels e Sasse (3) ossimando il prodotto
risultante dall’anidrizzazione dell’isonitrosoacetofenone con acido
cloridrico gassoso in soluzione eterea.
A detto composto Scholl (4) attribuisce la struttura di
1-fenil-3-ossiminobenzil-2-isossazolonossima
CH, .C(:NOH). CH C:NOH
| I ;
O-N=C. CH;
secondo Diels e Sasse (loc. cit.) esso sarebbe invece l’ossima
della 4-fenil-6-benzoil-4-idrossi-1,2,5-oxdiazina
C;Hs, ,0H
Su
CH, CENNO, deo e
però il SUE col quale noi l'abbiamo preparato e che sì pula
schematicamente rappresentare così
CH; . C{: BON CH Hc : NOH
N50, (;Ay.C(:NOH): di a : NOH
O—-N=0C.CH;
si accorda colla prima formola di struttura, non potendosi am-
mettere, come si dovrebbe fare adottando la seconda, che l’acido .
solforico concentrato trasformi dapprima la f-fenilgliossima in
(!) Ber. 23, 3580 (1890).
(@) Ber. 34, 1909 (1901).
(*) Ber. 40, 4057 (1907). -
(4) Ber. 30, 1812 (1897).
|
;
9
i
3
i
3
RICERCHE SULLE DIOSSIME 225
idrossilamina ed in isonitrosoacetofenone, che due molecole di
questo si condensino poi, con eliminazione di una molecola di
acqua, in 4-fenil-6-benzoil-4-idrossi-1,2,5-oxdiazina, la quale in
ultimo venga ossimata dall’idrossilamina messa inizialmente in
libertà. ;
In quanto al comportamento verso il cloruro di fenildia-
zonio abbiamo trovato che ambedue le diossime del fenilglios-
sale CH; .C(:NOH).C(:NOH).H si copulano facilmente con
esso, e che, per successiva eliminazione di azoto da un composto
intermedio instabile, risultano in definitiva le diossime del dife-
nildichetone C;H; .C(:NOH).C(:NOH).C;H; (benzildiossime)
be G(FNOH). C.(:NOH)-H . GBR0 --@H;.C(NOH).
C(:NOH).N,.CsHs Na -C5Hy-CGNOH).C(:NOB).C;Hg;
ma dalla a-fenilgliossima p. f. 168°, che non dà sale complesso
di nichel, si ottiene la difenilgliossima fusibile a 207° che non
dà sale complesso di nichel; mentre dalla 8-fenilgliossima
p. f. 180°, che dà sale complesso di nichel, si ottiene la difenil-
gliossima fusibile a 237° che dà sale complesso di nichel.
Avendo noi sempre distinto col prefisso a le forme delle
gliossime che non danno sali complessi di-nichel e col prefisso B
quelle che li danno, dovremmo per conseguenza considerare come
a-difenilgliossima la diossima del difenildichetone fusibile a 207°
(detta comunemente B-benzildiossima), e come 8-difenilgliossima’
la diossima del difenildichetone fusibile a 237° (detta comune-
mente a-benzildiossima). Ma quello che a noi interessa, e che
ha una grande importanza per la tesi da noi sostenuta, si è
che le due forme delle difenilgliossime risultanti nella reazione
suaccennata stanno fra di loro precisamente nello stesso rap-
porto delle due fenilgliossime dalle quali si parte, nel senso
che, come diremo più avanti, la difenilgliossima fusibile a 237°
‘ sì forma per isomerizzazione della difenilgliossima fusibile a 207°
nello stesso modo delle altre nostre B-gliossime dalle a, cioè
per riscaldamento con acido acetico diluito. Ora, siccome rite-
niamo di aver dimostrato nella Nota VI (!) che le due fenil-
gliossime CgH; .C(:NOH).C(:NOH).H non sono isomeri geo-
metrici, ci crediamo autorizzati di concludere che neppure le
(4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923).
226 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
due difenilgliossime CgH;.C(:NOH).C(:NOH).C;H;, fusibili
rispettivamente a 207° ed a 237°, sono isomeri di tale natura,
e che la teoria di Hantzsch e Werner, la quale fu proposta
essenzialmente per spiegare l’esistenza di tre diossime del dife-
nildichetone (benzildiossime), non è valida neppure per queste.
D'altra parte a screditare completamente detta teoria ba-
sterebbe, a nostro parere, il fatto che dai numerosissimi autori
i quali si occuparono della difenilgliossima fusibile a 237° e che
dà sale complesso di nichel (a-benzildiossima), sono state, una
dopo l’altra, ed ogni volta per ragioni ritenute inoppugnabili,
attribuite le tre diverse configurazioni
CH, .C C.CH; Unreal
Il | Il Il
HON HON NOH HON
amfi sin
Ceo
II I
HON NOH
anti
cioè tutte le possibili configurazioni che il concetto dell’isomeria
geometrica lascia prevedere, e come, di conseguenza, siano state
successivamente cambiate le configurazioni delle altre due benzil-
diossime fusibili a 207° ed a 163°.
Poichè le due fenilgliossime si possono, col procedimento
da noi descritto nella Nota VI (loc. cit.), ottenere senza diffi-
coltà allo stato di purezza, è probabile che, impiegando sali di
diazonio sostituiti, si riuscirà con esse a preparare le due forme
delle diossime di difenildichetoni monosostituiti CgH; .C (:NOH).
C(:NOH).CH,R. Inoltre, siccome esperienze preliminari da
tempo iniziate ci hanno già permesso di isolare le due forme
delle fenilgliossime RCsH,.C(:NOH).C(:NOH).H, dovrà esser
possibile stabilire anche un metodo semplice ed elegante di
sintesi delle difenilgliossime bisostituite R.CsH,.C(:NOH).
C(:NOH).GHR ed R.CH,.C(:NOH).C(:NOH).GH;R,.
L’argomento ha notevole importanza per lo studio che stiamo
facendo sui perossidi delle gliossime, e perciò ci riserviamo di
trattarlo prossimamente.
i deo Varini
RICERCHE SULLE DIOSSIME 227
XXIV. — Fenilgliossime CH; . C(:NOH).C(:NOH).H.
Azione dell'anidride propionica. In accordo a quanto asse-
risce Russanow (!), trattando con anidride acetica sia l’una che
l’altra forma della fenilgliossima abbiamo ottenuto il medesimo
diacetilderivato C;H; . C (:NOCOCH3). C (:NOCOCH) ..H, il quale
cristallizzato dall'alcool acquoso si presenta in aghetti fusibili
a 92°. Siccome, secondo le nostre osservazioni, dalla a-fenil-
gliossima, e non dalla 8, risulta contemporaneamente anche
fenilfurazano C;H; . C C.H (facilmente eliminabile per
Il |
N_-0 ca
trattamento con etere del prodotto della reazione versato in
acqua e neutralizzato con carbonato sodico), e poichè, come
diremo più avanti, l’a-fenilgliossima non è benzoilabile, ci sembra
logico ammettere che detto diacetilderivato provenga dall’ace-
tilazione della forma 8, nella quale una parte della forma a,
che sfugge all’azione anidrizzante dell'anidride acetica (cioè che
non è trasformata in furazano per la reazione CgHs. C(:NOH).
C(:NOH).H —> H,0 4 CH; (C$N30) H), viene isomerizzata.
L'anidride propionica, la quale ha proprietà disidratanti
non molto energiche, dà invece origine colle due forme della
fenilgliossima a due differenti dipropionilderivati. Infatti, scal-
dando la forma a di quest’ultima con un piccolo eccesso di
anidride propionica e trattando, dopo riposo, con acqua e car-
bonato sodico, si ottiene il dipropionilderivato della a-fenilglios-
sima CyHsz. C (: NOCOCH,CHg).C(: NOCOCH,CHs).H, il quale cri-
stallizza dall'alcool in prismetti fusibili a 75° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1584: N cc. 13,5 a 10° e 738,733 mm.
Trovato °/o: N 10,03.
Per C,4H1604No cale.: 10,14.
È poco solubile in etere; molto solubile a caldo e poco a
freddo in alcool; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo
in ligroina; solubile a freddo in acetone, benzene e cloroformio.
Trattato con idrossido di sodio al 20 °/ vi si scioglie len-
tamente trasformandosi in fenilfurazano CH; (CsN30)H e nel-
(4) Ber. 24, 3502 (1891).
DO O SAL e n a ti ile iii die
228 GIACOMO PONZIO E LODUVICO AVOGADRO
l'ossima del cianuro di benzoile CH; .C(:NOH).CN, la quale,
come è noto, risulta dal primo per una isomerizzazione pro-
vocata dalle basi forti
N CH; .C.CN
o
HCN NOH
Propionilando nel modo detto sopra la 8-fenilgliossima se
ne ottiene il dipropionilderivato CH; . C (: NOCOCH;CH3) .
C (:NOCOCH;CH;). H, il quale cristallizza dall’alcool in lami-
nette fusibili ad 89°-90° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1898: N cc. 16,4 a 10° e 739,283 mm.
Trovato °/o: N 10,18.
Per C,4H160gNs cale.: 10,14.
È solubile a freddo in acetone, benzene, cloroformio; poco
solubile in etere; molto solubile a caldo e poco a freddo in
alcool; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in
ligroina. i
Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, si idrolizza ridando
la B-fenilgliossima da cui deriva.
Azione del cloruro di benzoile. La benzoilazione dell’a-fenil-
gliossima non è possibile nè in soluzione in idrossido di sodio nè
in soluzione piridinica. Operando con quest’ultimo solvente ab-
biamo ottenuto il denzoiderivato dell’ossima del cianuro di ben-
zoile CH .C(:NOCOC;H;). CN, la cui formazione è facile a
spiegarsi quando si consideri la tendenza che tale gliossima ha
di anidrizzarsi in fenilfurazano C;H;(C$N30) H (!) isomerizza-
bile a sua volta nell’ossima del cianuro di benzoile C;H;.
C(:NOH).CN. Detto benzoilderivato cristallizzato dall’acetone
si presenta in aghetti splendenti fusibili a 139°-140° senza de-
composizione conforme ai dati di Zimmermann (?), il quale lo
aveva ottenuto per benzoilazione diretta della cianossima.
(4) Questo infatti risulta, assieme al benzoilderivato dell’ossima del
cianuro di benzoile, se si fa agire il cloruro di benzoile sulla a-fenilglios-
sima sciolta nell’idrossido di sodio al 20 %.
(2) J. Prakt. Chem. (2), 66, 363 (1902).
RICERCHE SULLE DIOSSIME 229
Sostanza gr: 01822: Nice. 17;2°a:9% e. 736,751:mm.
Trovato °/o: N 11,13.
Per CisHioNs03 calc.: 11,20.
È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed
in ligroina; molto solubile a caldo e poco a freddo in acetone
ed in benzene; poco solubile in etere; solubile a freddo in clo-
roformio.
Trattato a freddo con idrossido di sodio al 20 °/, vi si
scioglie lentamente idrolizzandosi nell’ossima del cianuro di
benzoile CH; . C(:NOH).CN, la quale cristallizza dall’acqua in
laminette bianche fusibili a 129° conforme ai dati di Meyer (1).
Benzoilando la £-fenilgliossima in soluzione piridinica se
ne ottiene invece il dibenzoilderivato CHs . C(: NOCOC;Hx).
C(:NOCOGH;) H, il quale cristallizza dall’acetone in aghi ap-
piattiti fusibili a 150° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1532: N cc. 9,6 a 9° e 748,876 mm.
Trovato °/o: N 7,48. i
Per C,:H,60gNa calc.: \ 7,52.
È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed
in ligroina; poco solubile in etere; molto solubile a caldo e
poco a freddo in acetone; solubile a freddo in benzene ed in
cloroformio.
Sospeso in idrossido di sodio al 20 °/, addizionato di un
po’ di alcool, si scioglie lentamente idrolizzandosi nella B-fenil-
gliossima da cui deriva.
Azione dell'acido solforico concentrato, Scaldando brevemente
verso 100° l’a-fenilgliossima con acido solforico concentrato essa
si trasforma in fenilfurazano CyH; . C- CH, il quale, pre-
o Il Il
N-0—N
cipitato per diluizione con acqua, distillato col vapore e cristal-
lizzato dall’alcool acquoso, costituisce prismi bianchi fusibili
a 35°-36°, senza decomposizione, cioè ad una temperatura più
elevata di quella riferita da Russanow (loc. cit.).
(4) Ber. 21, 1314 (1888).
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII]. 17
230 GIACOMO FONZIO E LODOVICO AVOGADRO
Sostanza gr. 0,1062: N cc. 17 a 11° e 741,517 mm.
Trovato %/o: N 18,78.
Per C3HsON; calc.: LO17:
È solubile a freddo nei comuni solventi organici; alquanto
solubile anche nell'acqua specialmente a caldo. Non distilla.
inalterato alla pressione ordinaria.
Nelle identiche condizioni, ma lentamente, l’acido solforico.
concentrato trasforma invece la 8-fenilgliossima in 1-fenil-3-0s-
siminobenzil-2-isossazolonossima
C;H,. C(:NOH). CH C:NOH
| |
ON=00GH;
la quale, diluendo con acqua, si separa dal liquido (in cui si
riscontra idrossilamina) come una polvere giallognola. Cristal-
lizzata dall’acido cloridrico diluito costituisce laminette bianche
pennate fusibili a 218° con imbrunimento e decomposizione, ed
è identica in tutte le sue proprietà col composto ottenuto da
Scholl (!) per prolungata ebollizione dell’isonitrosoacetofenone
con cloridrato di idrossilamina in soluzione acquosa.
Sostanza gr. 0,1071: N ce. 12,7 a 10° e 743,171 mm.
Trovato °/o: N.-14,05.
Per CieH1s0gNz calc.: 14,283:
Facciamo notare come riscaldando verso 100° l’isonitroso-
acetofenone con acido solforico concentrato si ottenga acido
benzoico. 3
Azione del cloruro di fenildiazonio. Aggiungendo poco a poco
alla soluzione raffreddata in ghiaccio della a-fenilgliossima: in
un-eccesso di idrossido di sodio al 10 °/, una soluzione diluita
di cloruro di fenildiazonio si ha dapprima un liquido limpido,
poi si inizia un moderato sviluppo di azoto e la separazione di
una resina rosso-bruna. Quando la reazione è completa, cioè
dopo circa 12 ore, si filtra e si acidifica con acido acetico di-
luito, ed il precipitato risultante si purifica ridisciogliendolo in
idrossido di sodio, riprecipitandolo con acido acetico e finalmente
(4) Ber. 23, 3580 (1890).
RICERCHE SULLE DIOSSIME 231
cristallizzandolo dall’alcool acquoso. Si hanno in tal modo lami-
nette bianche, contenenti alcool di cristallizzazione, le quali sfio-
riscono all'aria e fondono anidre a 207°-208° con decomposizione.
Sostanza gr. 0,1505: N cc. 15,2 a 10° e 739,283 mm.
Trovato °/o: N90
Per C,4H30gN3 cale.: 11,66.
Tutte le proprietà del composto da noi ottenuto sono iden-
tiche con quelle della cosidetta B-benzildiossima CsHs . C(:NOH).
C(:NOH).CsHs. Acetilato a freddo con anidride acetica in pre-
senza di acetato sodico fuso dà il diacetilderivato CyHg.
C (:NOCOCHg). C(:NOCOCHy3). CH; fusibile a 124°-125° con-
forme ai dati di Auwers e Meyer (!). Inoltre riscaldato in so-
luzione acquoso-alcoolica con un po’ di acido acetico diluito si
trasforma lentamente nella difenilgliossima fusibile a 237° e
facilmente riconoscibile sotto forma di sale di nichel.
Facendo agire nelle condizioni di cui sopra il cloruro di
fenildiazonio sulla soluzione della f-fenilgliossima in idrossido
di sodio al 10 °/ risulta invece la cosidetta a-denzildiossima
CH; (C:NOH).C(:NOH).CH;, la quale precipitata con acido
acetico diluito e cristallizzata dall’alcool si presenta in laminette
fusibili a 237°-238° con decomposizione.
Sostanza gr. 0,1461: N cc. 14,4 a 10° e 738,733 mm.
Trovato °/o: N 11,61.
Per C;;H1a0sNg cale.: . ‘1,66.
Sciolta in alcool e trattata con acetato di nichel fornisce
il caratteristico sale complesso [CyH; .C(:NOH).C(:NO—).
CHsk:Ni; acetilata a freddo anidride acetica in presenza di
acetato sodico fuso dà un diacetilderivato CH; . C(:NOCOCHy;).
C(:NOCOCH). CH; fusibile a 150°, cioè un po’ più alto di
quanto dicono Auwers e Meyer (?);
Preparazione delle fenilgliossime dall’ w-dibromoacetofenone.
L’azione dell’idrossilamina sull’w-dibromoacetofenone C;Hz.C0.
CHBr, fu già studiata da Schramm (8) e da Strassmann (4), il
(1) Ber. 21, 799 (1888).
(*) Ber. 21, 798 (1888).
(*) Ber. 16, 2186 (1883).
(') Ber. 22, 419 (1889).
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. Liza
232 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE, ECC.
primo dei quali ebbe una sostanza fusibile a 152°, il secondo
una sostanza fusibile a 162°, che descrissero come fenilglios-
sima CgHs.C(:NOH).C(:NOH).H. Ritenendo che dovesse in-
vece risultare una miscela delle due forme di quest’ultima,
abbiamo creduto opportuno di controllare le asserzioni dei detti
Autori, ed, operando nel seguente modo, l’esperienza ha confer-
mato le nostre previsioni.
Alla soluzione alcoolica di w-dibromoacetofenone si aggiunge
un piccolo eccesso delle quantità teoriche di cloridrato di idros-
silamina e di acetato sodico cristallizzato sciolti in poca acqua
e si scalda la miscela per alcune ore a 70°-80°. Avvenuta la
reazione . CHzy . CO. CHBrs + 2NH30 —». CHz.C(:NOH).
C (:NOH).H + H.,0 + 2HBr si diluisce con acqua, si aggiunge
idrossido di sodio fino a che il liquido ridiventi limpido, si filtra
per eliminare le tracce di w-dibromoacetofenone rimasto inal-
terato, si acidifica con acido acetico diluito e si tratta con un
eccesso di acetato di nichel al 20 °/,. Si raccoglie il sale rosso
di nichel della B-fenilgliossima, che precipita, si neutralizza
esattamente il filtrato con idrossido di ammonio, si filtra nuo-
vamente per separare un altro po’ di sale, che in tal modo si
separa, e si rende leggermente basico il filtrato con idrossido
di ammonio: precipita allora il composto giallo verdastro di
nichel della a-fenilgliossima. Dal primo sale, mediante tratta-
mento con acido cloridrico, si mette in libertà la B-gliossima,
che si estrae poi con etere; lo stesso si fa col composto di
nichel della forma a, e le due fenilgliossime si purificano come
è detto nella Nota VI (loc. cit.).
Il procedimento ora descritto può anche essere seguìto per
isolare la a e la B-fenilgliossime dalla loro miscela, la quale
risulta facendo agire il cloridrato di idrossilamina e l’acetato
sodico sull’isonitrosoacetofenone in soluzione acquoso-alcoolica,
ed offre sul metodo che abbiamo adottato nella Nota ora citata
il vantaggio di essere molto più rapido e di fornire una RE:
giore quantità della forma a.
Torino — Istituto Chimico della R. Università.
Febbraio 1923.
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MICHELE GORTANI — IL PRETESO CARREGGIAMENTO, ECC. 233
Il preteso carreggiamento delle Dinaridi sulle Alpi
Nota del Socio corrispondente MICHELE GORTANI
1. Introduzione. — Il prof. P. TERMIER, noto come fau-
tore della teoria dei carreggiamenti fino alle conseguenze e
applicazioni più spinte, ha recentemente pubblicato tre note
sulla struttura delle Alpi Orientali (1), esprimendo in forma di
aforismi opinioni personali con tale sicurezza di sè, da poter
forse trarre in errore chi non abbia diretta conoscenza dei
luoghi e delle circostanze di fatto.
In tali note l’autore sostiene le tesi seguenti :
1°) da Sterzing al Katschberg la catena degli Alti Tauri,
lunga 170 e larga una trentina di km., è da interpretarsi come
una finestra tettonica da cui sorge il sistema delle coltri di
carreggiamento “ pennine , (facies della zona delle pietre verdi),
nel mezzo di coltri carreggiate “ austro-alpine , o delle Alpi
Orientali, sovrapposte alle prime;
2°) la zona fra gli Alti Tauri e le Dinaridi, prevalente-
mente scistoso-cristallina con terreni paleozoici e con terreni
secondari aventi facies analoga alle Alpi calcaree settentrionali,
è la zona delle radici multiple delle “ coltri austro-alpine ,; in
particolare, fascio radicale della “ coltre austro-alpina superiore ,
è la catena delle Alpi della Gaila (Drauzug), continuata verso
(1) TermeR P., Sur la structure des Alpes orientales: fenétre des Tauern
et zone des racines. “ C.-R. Ac. Sc. Paris ,, 175, 20 nov. 1922, pag. 924-29;
— In., Sur la structure des Alpes orientales: rapports des Dinarides et des
Alpes. “ Ibid. ,, 11 dic. 1922, pag. 1173-78; — In., Sur la structure des
Alpes orientales: origine de la nappe superalpine: problème de l’àge des
grandes nappes. “ Ibid. ,, 26 dic. 1922, pag. 1366-71.
234 MICHELE GORTANI
ponente con le sue propaggini fino a Brunico (e idealmente assai
più oltre) e verso oriente con le Caravanche orientali e setten-
trionali fino al gruppo del Bacher;
3°) il limite alpino-dinarico non corre a nord delle Alpi
Carniche, ma entro queste ultime, a sud della zona paleozoica
antica; la così detta trasgressione carbonifera è una sovrappo-
sizione per carreggiamento;
4°) le Dinaridi sono state carreggiate verso nord, schiac-
ciando e laminando le Alpi;
5°) sotto la coltre carreggiata delle Dinaridi va cercata
la radice della coltre “ superalpina , o di Hallstatt; l’età di
tutte le grandi coltri di carreggiamento delle Alpi Orientali è
oligocenica.
Tali affermazioni non sono tutte nuove; l’autore stesso ci
tiene anzi a ricordare come egli fin dal 1903 abbia enunciato
le principali fra esse, e come da allora abbia continuato a in-
segnarle, senza curarsi delle dimostrazioni in contrario dei suoi
oppositori. Queste ultime tuttavia non devono essere rimaste
senza qualche effetto se, per riconfermare e completare le sue
conclusioni, l’anno passato egli ha voluto fare una corsa nelle
Alpi Orientali. Frutto di tale corsa sono le note di cui ci oc-
cupiamo.
Dei lavori precedenti in cui il TERMIER ed i suoi colleghi
toccarono in qualche modo del settore alpino che da vent'anni
assorbe la mia attività di studioso, non credetti necessario nè
opportuno occuparmi, trattandosi di affermazioni a distanza
basate su ipotesi derivate da lettura di qualche lavoro altrui
e non sulla osservazione diretta, la sola che in geologia abbia
un reale valore.
Ma questa volta il TERMIER espone argomentazioni tratte
da una visita, sia pure sommaria, dei luoghi; e cerca in qualche
modo di provarle.
Esaminiamole.
Procederemo nell’esame con tutta obiettività, dimenticando
l'offesa che egli fa ai geologi italiani — dal TarAMELLI al
Dar Praz, al Vinassa, allo scrivente — che egli ostenta di
ignorare, anche se il meglio della loro vita abbiano speso nello
studio delle Alpi Orientali; la dimenticheremo, anche se ciò gli
abbia permesso di esporre come proprie scoperte cose già dimo-
il
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IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 235
strate, e anche se la stessa terminologia da lui adottata palesi
l'animo a noi poco amico.
2. La così detta zona delle radici. — Cominciamo
da quella che il TERMIER chiama “ zona delle radici ,. Ricordate
le pieghe longitudinali della catena fra Gaila e Drava (Alpi
della Gaila), egli afferma come risultato nuovo che non esiste
alcuna faglia lungo la valle della Drava, nè lungo la valle
della Gaila. Se tali espressioni devono essere prese alla lettera,
sono contrarie ai fatti; se invece l’autore ha voluto intendere
che la linea della Drava e la linea della Gaila, lungi dall'avere
il valore e il significato di grandi linee di faglia, come un tempo
erano state ritenute, sono linee di dislocazione discontinua e
parziale e di limitata importanza, debbo osservare che, assai
prima di lui, dal Gever, dalla FurLANI, dal HrrIrscH e da me
questo era stato non soltanto detto, ma anche dimostrato (1).
Il TERMIER prosegue: “ Le faisceau de racines, courant
vers ESE, coupe cette ,vallée (de la Gail) sous un angle
très aigu, passe sur sa rive droite, est tranché en cluse par
les gorges du Gailitz et se poursuit par la chaine des Kara-
wanken, en reprenant peu à peu la direction Est. On le suit
ainsi, par le Hochobir, jusqu'au Bachergebirge, au delà duquel
il disparaît sous les plaines. Mais, plus on va vers l’Est et plus
on voit le faisceau se coucher vers le Nord: dans le Drauzug,
il était formé de plis verticaux ou presque verticaux; dans les
Karawanken et le Hochobir, c’est une série isoclinale plongeant
au Sud... Ce déversement vers le Nord annonce la naissance
du pays de nappes. Le massif du Dobratsch, où le Secondaire
est presque horizontal, n’appartient déjà plus au pays de
racines , (?).
(1) Cfr. Grrer G., Ein Beitrag zur Stratigraphie und Tektonik der Gail-
thaler Alpen in Kirnten. “ Jahrb. geol. R-Anst. Wien ,, 47, 1897, pag. 356
e segg.; — Furvani M., Der Drauzug im Hochpustertal. “ Mitt. geol. Ges.
Wien ,, 5, 1912, pag. 262 e segg.; — Herrsca F., Die dsterreichischen und
deutschen Alpen bis zur alpino-dinarischen Grenze. “ Handb. d. Region.
Geol. ,, n. 18, Heidelberg, 1915, pag. 125; — Gorrani M., Progressi nella
conoscenza geologica delle Alpi Carniche Principali. “ Mem. Soc. toscana
Sc. nat. ,, 34, Pisa, 1921, pag. 37 d. estr.
(2) Termier, l. c., pag. 929.
96 MICHELE GORTANI
Ma le cose non stanno precisamente così. I terreni delle
Alpi della Gaila (cioè il così detto fascio delle radici) non ta-
gliano ad angolo molto acuto la valle, non sono incisi dalla
Gailizza, non si continuano nella porzione occidentale delle Ca-
ravanche, non si separano dal Dobrat, e no presentano un
graduale arrovesciarsi delle pieghe verso settentrione. Con
qualche maggior particolare, diremo che a nord della Gaila
scisti paleozoici e calcari triassici continuano a mantenere anche
a ponente del Weissensee la loro direzione parallela all’asse
della valle principale; la massa calcareo-dolomitica del Dobrac,
o Villacher Alpe, fa di essi parte integrante: soltanto, la rigidità
del massiccio roccioso ha qui convertito le pieghe in fratture.
In tutta la catena, lunga un centinaio di km., le pieghe (in ge-_
nerale molto compresse) sono diritte, ovvero alquanto inclinate
indifferentemente al sud o al nord, senza che si possa indicare
una direzione prevalente della spinta. A mezzodì della Gaila la i
catena principale delle Alpi Carniche mantiene fino all’ultimo
la sua piena e perfetta individualità e si continua direttamente
nelle Caravanche occidentali. Tanto le pieghe dei terreni paleo-
zoici, quanto le altre, conservano inalterata la loro direzione
generale ONO-ESE, anch’essa parallela all’asse della val Gaila.
La Gailizza -— confine convenzionale fra Alpi Carniche e Cara-
vanche — taglia esclusivamente queste pieghe carniche prose-
guenti verso levante; e precisamente, da Tarvis in giù: 1° la
ellissoide permo-triassica di Goggau; 2° la fascia permotriassica
che lega le falde meridionali della Gòriacher Alpe al Cabin;
3° i grossi banchi di calcare permocarbonifero a Fusuline in-
terposti fra le arenarie permiane di Val Gardena e gli scisti;
4° la zona degli scisti carboniferi trasgressivi, da cui emergono:
a sinistra i prossimi dossoni devonici del Kapin, a destra i più
lontani spuntoni devonici del Pec, e, a settentrione, il nastro
calcareo neosilurico > Hohenturm (Strajaves)-Arnoldstein<. Si
aggiunga che i terreni permotriassici qui indicati hanno tipica
facies meridionale.
Le recenti osservazioni in sito del TERMIER, oltre ad essere
errate circa i rapporti fra Alpi della Gaila, Carniche e Cara-
vanche, non portano quindi alcun argomento positivo in favore
dell'idea, ormai vecchia, di considerare le Alpi della Gaila e le
loro propaggini come una zona di radici.
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IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 237
Contro tale ipotesi continuano pertanto ad avere pieno
valore le dimostrazioni in senso contrario avanzate sia da fautori
della teoria dei carreggiamenti su larga scala, .come Hauc e
KoBER (1), sia da osservatori spassionati, come Kossmar, HERITSCH
e la sig. CornELIus-FuRLANI (2). E in verità le Alpi della Gaila
sono così ristrette, così tipicamente foggiate a catena a pieghe
e unite da così strette relazioni con le Alpi meridionali, che
l’insistere per localizzarvi una grande zona di radici multiple
di amplissime coltri settentrionali ha soltanto il risultato di
mettere in luce uno dei punti più deboli della teoria.
8. Il limite alpino-dinarico. -- Devo premettere che,
insieme con i più autorevoli geologi italiani, io considero la
divisione fra Alpi e Dinaridi come una divisione artificiale.
Divisioni nette sono ben rare in natura, e non meno fra i si-
stemi montuosi che fra le innumerevoli cose che noi siamo
tentati a classificare. Ma, oltre a questa considerazione d’ordine
generale, che a nostro parere non patisce eccezione nel caso
presente, si può osservare che il complesso dei rilievi aggrup-
pati sotto il nome di Dinaridi, è diverso secondo i diversi au-
tori; come secondo i vari autori variano le idee intorno ai
rapporti delle Dinaridi con gli altri sistemi montuosi ad esse
più prossimi (Alpi Orientali, Alpi Occidentali, Appennini, Carpazi
e magari anche “ Ellenidi s e Tauridi). Particolarmente discu-
(1) Have E., Sur les nappes des Alpes orientales et leur racines. “ C.-R.
Ac. Sc. Paris ,, 148, 1° sem. 1909, pag. 1477; — Koser L., Ueber Bau und
Entstehung der Ostalpen. © Mitt. geol. Ges. Wien ,, 5, 1912, pag. 466.
(2) Kossmar F., Die adriatische Umrandung in der alpinen Faltenregion.
“ Mitt. geol. Ges. Wien,, 6, 1913, pag. 119; — Herirsca F., op. cit.,
pag. 128, 135; — Scawinner R., Dinariden und Alpen. “ Geol. Rundschau ,,
6, 1915, pag. 12; — Cornenius-FurLani M., Considerazioni orogenetiche sul
limite alpino-dinarico in Pusteria. “Atti Acc. scient. ven.-trent.-istr.,, (3),
12-13, Padova, 1922, pag. 147 e segg. — Secondo quest’ultima autrice, cui
sì unisce il Henny, il limite alpino-dinarico si aprirebbe verso oriente e
sarebbe rappresentato dall’intera catena delle Alpi della Gaila, considerata
nel suo insieme come una sinclinale complessa in cui si dilata la prose-
cuzione della sinclinale del Canavese (cfr. FurLanIi M. et Henny G., Du pro-
longement vers l’Est du synclinal du Canavèse, etc. “ Eclogae geol. Helv. ,,
16, Bale, 1920, pag. 95).
238 MICHELE GORTANI
tibile è poi, a nostro parere, la rigida separazione delle Alpi
meridionali dalle Alpi propriamente dette, per includerle invece
nel sistema dinarico. Le divisioni, che avevano prima una pre-
valente ragion d’essere nella comodità di studio e di esposizione
dei risultati complessivi, son venute sempre più assumendo, con
lo sviluppo della teoria dei carreggiamenti, il significato di di-
stinzioni genetiche profonde; acquistano per conseguenza maggior
valore le osservazioni fatte da varie parti sulle strette affinità
che terreni e facies ritenuti tipici delle Dinaridi presentano con
terreni e facies di catene attribuite ad altri sistemi, e in modo
particolare sulle affinità di facies “ dinariche , delle Alpi meri-
dionali con facies “ alpine , assai mal discernibili dalle prime;
ci basti ricordare, a mo’ di esempio, le osservazioni del DIENER,
del Haue, del TARAMELLI e del HeRITScH (1).
Ma, d’altra parte, questa stessa tendenza a valorizzare le
distinzioni fra i-singoli sistemi montuosi o raggruppamenti di
ordine anche più elevato, rende in special modo importanti le
loro delimitazioni, e fa quindi moltiplicare le ricerche lungo le
linee o le zone di contatto: principalissima quella fra le Dinaridi
e le Alpi Orientali.
Il limite adottato per quest’ultimo caso da E. Surss, e di
poi generalmente accettato — sia pure con le. accennate ri-
serve, — era segnato dalla depressione della Pusteria, dall’intero
corso della Gaila, e più ad est, oltre la piana di Villaco, dal
limite sud delle Caravanche calcaree settentrionali. La catena
principale Carnica era pel Suess (che lo afferma con chiare
ragioni in modo assai reciso e preciso) una catena indipendente,
di età varisca, estranea tanto alle Dinaridi quanto alle Alpi
propriamente dette (2). Chi seguiva solo in parte tali vedute,
come il KoBER, manteneva però sempre il limite meridionale
(1) Drener C., Bau und Bild der Ostalpen und des Kartsgebietes. Wien,
1903; — Have E., op. cit.; — Taramerri T., Se le Dinaridi costituiscano
realmente una massa carreggiata. “ Rend. R. Ist. Lomb.,, (2) 45, 1912,
pag. 1011 e segg.; — HerirscH F., op. cit., pag. 125-130; — In., Die An-
wendung der Deckentheorie auf die Ostalpen. III. “ Geol. Rundschau ,, 5
1914, pag. 559. i
(2) Surss E., Das Antiitz der Erde. Vol. III, 1, Wien, 1901, pag. 483.
Lett i init ratti
Mure
É IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 239
delle Alpi lungo la Gaila a nord delle Carniche, inglobando
queste ultime nelle Dinaridi (1).
Non intendo di occuparmi qui delle vedute del KoBER, che
del resto sono già state egregiamente ribattute (2). Tutto è
per lui carreggiato: il limite alpino-dinarico del Suess diventa
la cicatrice che nasconde le complesse radici così delle “ coltri
alpine superiori , come delle coltri dinariche; carreggiate sono
le Alpi della Gaila al pari delle Carniche e delle Caravanche
e di ogni altra catena. Asserzioni portate innanzi senza nep-
pure un principio nè un tentativo di prova, e che però tendono
a sfuggire al controllo come tutti i prodotti della fantasia; ma
che vengono a dare sempre maggiore importanza al limite
alpino-dinarico quale era stato considerato finora.
Il TERMIER non è invece di quest’opinione. Egli fa scendere
la linea del confine verso mezzodì, fino al contatto con i terreni
permo-triassici, inglobando nel sistema alpino propriamente detto
tutti i terreni antichi delle Alpi Venete. Le filladi della Pusteria
farebbero così parte integrante del sistema alpino, e precisa-
mente della zona delle radici; lo stesso dicasi dei terreni antichi
delle Carniche, che sono poi fatti sparire sotto la coltre carreg-
giata dinarica per ricomparire in finestra nell’assai più orientale
affioramento di Vellach in seno alle Caravanche.
Del preteso carreggiamento dinarico, diremo poi; ci limi-
tiamo ora a notare come sia per l’appunto esso a rendere ne-
cessaria cotesta trasposizione del limite alpino a sud, trasposi-
zione che non è per alcun altro verso richiesta nè giustificata.
Per i fautori dei grandi carreggiamenti non dovrebbe a meno
di riuscir singolare cotesto grande fascio di radici paleozoiche,
a cui non corrisponde in nessuna parte delle Alpi la più piccola
traccia di coltri o di superstiti lembi di coltri; senza contare
che tutti i lembi di Trias inclusi nella catena principale Carnica
— valga ad es. quello dello stretto golfo triassico di Bordaglia,
(1) Koser L., Alpen und Dinariden. “ Geol. Rundschau ,, 5, 1914,
pag. 197 e 200; cfr. anche la cartina a pag. 178 e la carta annessa al
lavoro precedentemente citato (Bau u. Entstehung der Ostalpen, 1912).
(2) Vedi principalmente Scawinner R., Dinariden und Alpen. * Geol.
Rundschau ,, 6, 1915, pag. 1-22; cfr. anche HerrrscHA, Oesterr. und deutsche
Alpen, l. c., pag. 129 e segg.
x OSE - sw
240 MICHELE GORTANI
a ridosso dei monti di Volaia — hanno tipica facies meridionale.
E neppure si comprende, con le idee dell’autore, come e perchè
sì siano originate le differenze di facies in seno al grande fascio
di terreni antichi appartenenti ad una medesima entità genetica
e tettonica, quale verrebbe ad essere costituita dalle Alpi della
Gaila e dalle Carniche principali.
D'altro canto, è forse giustificato lo smembramento delle
Alpi Carniche in due sistemi profondamente diversi? Dice il
Termier: “ Il y a, dans la chaîne Carnique, deux entités tecto-
niques très distinctes: un pays de plis, où l’on voit des gneiss,
des phyllites, du Silurien, du Dévonien, peut-étre aussi du Di-
nantien; et, montant sur ce premier pays, un pays d’écailles où
le Permien et le Trias ont les faciès dinariques et où l’on trouve,
sous le Permien et concordant avec lui, de l’Ouralien fossilifère.
Le pays d’écailles appartient incontestablement aux Dinarides;
il est inséparable de la région des Dolomies. Le pays de plis
appartient aux Alpes... , (1). La zona paleozoica delle Carniche
è indubbiamente una catena a pieghe; il Vinassa ed io lo ab-
biamo dimostrato da tempo, ed io ne ho data anzi recentemente
una rappresentazione grafica e una sommaria descrizione (2).
Ma ciò non toglie che si manifestino accavallamenti e talora
perfino una struttura embriciata anche in seno alla zona paleo-
zoica e anche in corrispondenza delle pieghe paleocarniche,
come conseguenza dell’intenso costipamento delle pieghe e della
diversa plasticità dei calcari a strati sottili, dei calcari massicci
e degli scisti. E a sud della zona paleozoica anche nell’area
carnica la piegatura è del pari il motivo tettonico dominante (3),
non infirmato dal fatto che esistono parziali scorrimenti e frat-
ture anche estese, inseparabili dal corrugarsi di enormi masse
eterogenee e di scarsa plasticità sotto spinte energiche e ripe-
(1) TerMIER, l. c., pag. 1176.
(2) Gorrani M., I bacini della But, del Chiarsò e della Vinàdia in Carnia.
“ R. Magistrato alle Acque, Uff. idrogr. ,, pubbl. 104, Venezia, 1920 (con
carta geologica e profili); — In., Progressi nella conoscenza geologica delle
Alpi Carniche principali. Estr. dalle “ Mem. Soc. toscana Sc. nat. ,, 34, 1921;
— Ip., Le linee orotettoniche-delle Alpi Carniche. Estr. dagli “Atti VIII Congr,
geogr. ital. ,, Firenze, 1922 (con carta orotettonica).
(3) Cfr. i miei scritti già citati.
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IL PRETESO CARREGGIAMEN:TO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 241
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tute. E ciò è, del resto, in perfetta correlazione con il tipico
motivo tettonico a pieghe offerto dalle Alpi e Prealpi Venete.
Lo smembramento delle Alpi Carniche in due sistemi diversi e
diversamente costituiti non ha quindi ragione di essere.
Osserveremo infine che non si esce da queste alternative:
o le Dinaridi, e in particolare le Alpi Venete, si vogliono car-
reggiate verso sud, come pretende il KoBerR senza darne la
benchè minima prova, e la costruzione del TERMIER crolla per
intero; o si vogliono carreggiate verso nord, e si urta contro i
fatti e le circostanze che subito passeremo ad esporre; o sono
ben radicate, come noi riteniamo per fermo, e allora lo sposta-
mento del limite alpino-dinarico verso mezzodì rende quest’ul-
timo più artificiale che mai, abbandonando senza motivo plau-
sibile una linea tettonica — sia pure discontinua e d'importanza
limitata e diversa da punto a punto -— per seguire il capriccioso
andamento del processo di denudazione.
4. Il preteso carreggiamento dinarico. — Nel cercar
di rimettere a nuovo la sua vecchia e ormai abbandonata ipotesi
dell’esteso carreggiamento delle Dinaridi verso nord, il TERMIER
crede di portare questa volta una prova decisiva: la discordanza
interpretata come trasgressione carbonifera nelle Alpi Carniche
è per lui una discordanza tettonica, la quale dimostrerebbe la
sovrapposizione e la traslazione delle Dinaridi sulle Alpi.
La trasgressione carbonifera è a lui nota soltanto nei mo-
desti limiti rilevati dal GevER nella sezione pontebbana del foglio
Oberdrauburg-Mauthen della Spezial-Karte austriaca: neocarbo-
nifero fossilifero sovrapposto ai terreni paleozoici antichi come
una placca lunga una ventina di km., dominata dal Gartnerkofel.
“Sous le Gartnerkofel et sous la Krone, qui sont des lambeaux.
de recouvrement dinariques, le contact de l’Ouralien et de la
série paléozoique plus ancienne est un contact anormal, un
contact par charriage. Le véritable substratum originel de
l’Ouralien carnique ne nous est pas connu , (1).
Lasciamo stare la Krone, che a memoria d’uomo non ha
mai avuto un coronamento dinarico, ma è sempre stata per
(1) TeRMIER, l. c., pag. 1177.
pvc N La pi E. RESTA PR RETI, 27 SPARE CECI DIRE
242 MICHELE GORTANI
intero carbonifera e non lascia scorgere, nè sotto nè attorno
a sè, alcun affioramento della serie paleozoica antica. Quest’ul-
tima viene a giorno, in corrispondenza del Gartnerkofel, solo
dal lato settentrionale; l’unica “ anormalità , che vi si riscontri
è un piccolo lembo di Permiano impigliato fra gli scisti carbo-
niferi e i calcari filladici devoniani, facilmente interpretabile
come un minuscolo disturbo tettonico locale durante le successive
intense piegature. E tutto è qui.
Come e perchè siano così perfette e perfettamente ricono-
scibili su venti chilometri di lunghezza quelle relazioni di gia-
citura che dopo la classica dimostrazione del GevER sono uni-
versalmente ritenute modello scolastico di trasgressione tipica;
come e perchè, sempre in questo settore, i fossili neocarboniferi
più delicati siano conservati perfettamente a contatto imme-
diato (1) con i calcari fossiliferi siluriani e devonianij; come e
perchè il crestone del Malvuerich (Malurch) sopra Pontebba
mostri tutti i passaggi dal calcare devonico alla breccia di
trasgressione e al conglomerato del Carbonifero; come e perchè
in nessun punto di cotesta estesissima linea di contatto dal
M. Lodìn al Rio del Bombaso sian visibili miloniti, nè strutture
cataclastiche, nè alcun altro effetto dell’intenso metamorfismo
dinamico che dovrebbe avere logicamente accompagnato la tra-
slazione delle imponenti masse dinariche (per un minimo di
150 km., secondo le precedenti asserzioni del TeRMIER) sul
substrato paleozoico alpino, — tutto ciò conta poco pel nostro
autore: ex occidente lux!
Delle prove della trasgressione il TERMIER si induce tut-
tavia ad ammetterne una; la presenza di conglomerati neocar-
boniferi ed eopermici con elementi di calcari siluriani e devo-
niani. Cerca allora di conciliare le cose; “ le substratum originel
(de l’Ouralien) doit bien étre un substratum plissé, un élément
de la chaine hercynienne: de sort que la conclusion de mes
devanciers subsiste, quant è l’histoire stratigraphique de la
région carnique , (2). Ma è logico che nè i conglomerati dicon
(1) A pochi metri dal contatto in corrispondenza del Rosskofel e di
Lanza, a pochi centimetri e perfino a pochi millimetri dal contatto in cor-
rispondenza dei monti Lodìn e Cima Val di Puàrtis.
(2) Termier, l. c., pag. 1177.
IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 243
più nulla se vengono da lontane e ignote regioni, nè volere e
disvolere
insieme puossi
per la contraddizion che nol consente.
La contraddizione risulterebbe ancor meglio se il TERMIER
non si fosse limitato alle conoscenze che sulla catena carnica
si avevano or sono vent'anni. L'estensione e il riconoscimento
della catena paleocarnica e della trasgressione carbonifera sui
più che 100 km. di lunghezza della catena, con prosecuzione
ulteriore a oriente e a occidente, sono fatti ormai acquisiti alla
scienza, e che cominciano ad avere ripercussione su varie parti
della geologia alpina ed extra-alpina. Gli scisti siluriani sono
ridotti ai nuclei delle pieghe paleocarniche erose; al Carbonifero
trasgressivo appartiene la grande massa degli scisti, prima con-
siderati parte integrante del substrato antico e riferiti in parte
al Siluriano e in parte al Culm, o tutti al Siluriano; spettano
al Carbonifero, almeno in parte, anche le filladi. Soltanto lunghe
e pazienti ricerche hanno potuto dimostrare l’unità della for-
mazione scistosa e la sua generale giacitura trasgressiva: tanto
la massa degli scisti è strettamente connessa con il substrato
silurico-devonico, tanto è stata fittamente piegata con esso nei
corrugamenti mesozoici e terziari, tanto ha subìto insieme con
esso il dinamo-metamorfismo nel versante settentrionale della
catena, alla sua estremità occidentale e nella sua prosecuzione
ulteriore verso ponente (1).
Non è pertanto il caso d’insistere ulteriormente sulle idee
peregrine del sig. TERMIER. Aggiungeremo soltanto che una co-
noscenza meno superficiale delle Alpi Carniche e della loro let-
teratura geologica avrebbe potuto dargli qualche parvenza di
prova alquanto più seria. Alludo in particolare all’accavalla-
mento del Trias sul Paleozoico, che si riscontra in più punti
della linea Pontebbana- alta Fella -alta Sava. Come ho altrove
(1) Fino a che tali condizioni di età e di giacitura non furono chiarite,
si potè perfino pensare (cfr. Tiumanwn N., Veber den tektonischen Carakter des
Paliozoikums der Karnischen Alpen. “ Geol. Rundschau ,, 2,1911, pag. 114)
ad una struttura a coltri carreggiate della catena paleocarnica, che si è
dimostrata invece una delle più tipiche catene a pieghe.
244 MICHELE GORTANI
accennato (1), si ha effettivamente un sospingimento della serie
permo-triassica sulle formazioni più antiche dal M. Salinchiét
al Rio del Bombaso, al Poludnig e al Kok; la posizione del
Trias ritorna poi normale fin oltre la Gailizza, e la dislocazione
ricompare nelle Caravanche occidentali (gruppo del Pec) e si
riprende nelle orientali a levante di Vellach. Gli esempi più
belli di tali sospingimenti sono allo Zirkelspitz (dolomia infra-
raibliana su Neocarbonifero) nelle Carniche, e alla Kopa (calcare
e conglomerato del Muschelkalk su Neocarbonifero) nelle Cara-
vanche occidentali; interessanti sono anche i lembi di Neocar-
bonifero laminato, impigliati nella dolomia infraraibliana, che
appaiono nel profondo di alcune valli (2). Ma il fatto che i
sospingimenti sono nettamente circoscritti e rilegati da tratti
in cui le condizioni di giacitura dell'intera serie paleozoico-
triassica sono normali, dimostra senza possibilità di dubbio o
di equivoco che si tratta di fenomeni locali e limitati: sono
anzi essi la più chiara prova della inesistenza del fenomeno
generale e su larghissima scala. Viene pertanto ad essere raf-
forzata la conclusione di E. Surss (3); non ostante i parziali
accavallamenti e slittamenti, manca non solo ogni prova del
carreggiamento dinarico sulle Alpi, ma abbiamo anzi le prove
che ne dimostrano l’inesistenza.
Questa conclusione fa naturalmente cadere senz'altro la
ricerca delle radici della “ coltre superalpina , al di sotto
delle Dinaridi. Tale ricerca è, del resto, oziosa per noi che
— mentre riteniamo col HeRrITscH (4) impossibile una separa-
zione tra_facies alpine orientali superiori e inferiori — giudi-
chiamo sufficienti i metodi e gli elementi della tettonica clas-
(1) Gorrani M., Progressi conosce. geol. d. Alpi Carniche. L. c., pag. 45
dell’estr.
(2) Per esempio, nel vallone di S. Caterina (Weissenbach), rel vallone
di Malborghetto, nell’alta Fella presso il forte Hensel, nel corso inferiore
del rio di Lussari.
(3) Suess E., Das Antlit: der Erde. Vol. III, 2, Wien, 1909, pag. 168
(cfr. anche pag. 178).
(4) Herirsca F., Die Anwendung der Deckentheorie auf die Ostalpen. II.
“ Geol. Rundschau ,, 5, 1914, pag. 287.
IL PRETESO CARREGGIAMENTO DELLE DINARIDI SULLE ALPI 245
sica anche per interpretare la struttura delle Alpi calcaree
settentrionali (1).
Pavia, R. Istituto geologico, gennaio 1923.
(1) Un esame delle supposte coltri, la cui sdrucitura darebbe origine
alla così detta finestra dei Tauri, andrebbe troppo oltre i limiti della pre-
sente Nota. Mi limito ad osservare che l’autore non porta alcun fatto nè
alcuna considerazione nuova in appoggio di tali ipotesi, che non sono
nuove e contro le quali continuano a sussistere le non ancora ribattute
obiezioni di valorosi geologi austriaci. E circa l'età da attribuirsi ai prin-
cipali movimenti orogenetici delle Alpi Orientali, mi sembra che il TerMIER
— prescindendo dalla esagerata applicazione della teoria dei carreggia-
menti — dia, per lo meno, troppo scarso peso alle prove positive di ener-
gici corrugamenti preterziari, e in ispecie alla trasgressione sopracretacea.
Egli sorvola anche qui su fatti accertati, di cui pure era stato segnalato
il valore e il significato anche alla luce della teoria dei carreggiamenti
(cfr., per es., Heritsca F., Das Alter des Deckenschubes in den Ostalpen.
“ Sitzber. Akad. Wiss. Wien ,, I, 121, 1912, pag. 615 e segg.).
L’ Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
E VARA “TI
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CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 18 Febbraio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. GAETANO DE SANCTIS
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono: presenti i Soci BaupIr pi VESME, Cran, PACCHIONI,
VALMAGGI, Luzio.
Funge da Segretario il Socio PRATO.
Scusa l’assenza il Socio VIDARI.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
4 febbraio u. s.
Il Socio Cran presenta il volume Gli Studi danteschi di
Carlo Cipolla (Verona, 1921), offerto in dono dalla Accademia
di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, che ne ha curato
la pubblicazione. “ Egli ne è lieto per più motivi: anzitutto per
“ l'argomento che è dantesco, poi per l’importanza sua che è
“ grande, e pel nome dell'Autore, ch’egli ricorda come di un
“ maestro e d’un amico diletto, che fu decoro di. questa Acca-
“« demia. Il volume .raccoglie il meglio dei numerosi scritti sul-
“ l’Alighieri, che l’insigne storico Veronese pubblicò sparsamente
* durante la sua vita efficacemente operosa, anche nel campo
“ delle lettere. La raccolta s’inizia con un saggio giovanile,
“ riguardante l’opinione che il Petrarca aveva del valore lette-
“ rario di Dante e si conclude con un ciclo di lezioni universi-
247
|“ tarie d’argomento dantesco, trovate fra le carte del compianto
“ maestro dell'Ateneo torinese e che basterebbero ad attestare
“con quale zelo e con quale profondità di critico Egli adem-
“ piesse al dover suo anche dalla cattedra. Fra questi Scritt:
“ culmina quello notevolissimo sul Trattato De Monarchia dî
“ Dante Alighieri e l'opuscolo De potestate regia et populi di
“ Giovanni da Parigi, che vide primamente la luce fra le Me-
“ morie della nostra Accademia. Due di questi scritti, su Maestro
i “ Taddeo del Branca, hanno un particolare interesse per noi, in
“quanto riguardano il Piemonte.
“ In generale i saggi, che compongono il denso volume,
“hanno quel carattere d’indagine storica, esterna, in forma
“d'analisi minuta e a volte minuziosa, che fu proprio della
“sterminata attività scientifica dell'Autore. Ma ve n'ha fra
“essi alcuni — come quello Di alcuni luoghi autobiografici
“ nella Div. Com. — che provano la capacità singolare che Egli
“ possedeva anche nel campo delle più fini ricerche psicologiche
“ e letterarie. Ognuno di questi Studi reca un contributo più o
“meno notevole alla conoscenza e alla critica, così complicata
“e ardua, della vita e delle opere dell’Alighieri. Uno soltanto,
“ quello Sulla data della morte di Dante secondo Ferreto dei Fer-
“ reti, dinanzi alle obiezioni mosse dai dantisti alle sue conclu-
“ sioni, non regge e, senza dubbio, il compianto Autore, se
“ potesse rivivere, sarebbe il primo a rettificarle in omaggio a
&
quella verità che ebbe da Lui un culto severo ed austero ,.
‘Il Socio Cran conclude riconoscendo le benemerenze che
l'Accademia veronese di Agricoltura, Scienze e Lettere s°è
acquistata con questa pubblicazione, pensata e promossa da
quell’altro egregio suo concittadino e compianto nostro Socio
corrispondente che fu Giuseppe Brapego. Essa non poteva ono-
rare in modo più degno Carlo CrPoLLA, recando insieme un pre-
zioso servigio agli studi, nel nome di Dante Alighieri.
Il Presidente De SancrIs ringrazia il Socio Cran rilevando
egli pure la grande importanza dell’opera ed il merito dell'A c-
248
cademia veronese di Scienze e Lettere di averne promossa e
curata la pubblicazione.
Il Presidente riferisce quindi sui risultati e le decisioni del
convegno recentemente tenuto a Parigi, ad iniziativa della
Unione Accademica Internazionale, per stabilire le modalità di
redazione e pubblicazione del Dizionario del latino medioevale.
Dà lettura della relazione presentata dal delegato italiano
Prof. Vincenzo UssanI, al Ministro della P. I., alla R. Acca-
demia dei Lincei, al R. Istituto Veneto ed alla nostra Acca-
demia; e, commentandone con parole di elogio il contenuto,
propone si confermi l’Ussani a delegato tecnico dell’Accademia
nella commissione per il Dizionario.
Propone altresì che si inviti il R. Istituto veneto a prepa-
rare per mezzo della Commissione già da esso nominata per i
Supplementa Italica Glossari Ducangiani la lista dei testi editi
e inediti da presentare a Parigi nel gennaio 1924 e il coordi-
namento degli spogli da presentare egualmente a quella sessione.
Propone pure che l'Accademia rinnovi, con l’occasione, vive
insistenze affinchè vengano finalmente attuate dal governo ita-
liano le ripetute promesse di normale finanziamento della nostra
delegazione nell'Unione.
La Classe approva all’unanimità.
Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata, procedette
alla nomina della Commissione per il premio Gautieri riservato
alla Storia (triennio 1919-1921) e riuscirono eletti i Soci Luzio,
PaTETTA, Prato e DE SANCTIS.
L’ Accademico Segretario
GrovaNnNI VIDARI
249
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 25 Febbraio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. CORRADO SEGRE
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci D’Ovipio, PraNo, Guipi, GRASSI,
SoMIGLIANA, Ponzio, Sacco, PocHerTINo e MarTIROLO Segretario.
Scusano l’assenza i Soci PARonA, NaccarI e Foà.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che risulta approvato senza osservazioni.
Il Presidente comunica all'Accademia la notizia della morte
del nostro Socio corrispondente aella Sezione di Fisica, Guglielmo
Corrado RonTGEN, avvenuta a Monaco di Baviera il giorno 10 corr.
Il Socio PocHETTINO, con brillante evocazione, commemora
l’insigne Socio RénteEnN illustrando le grandi e luminose bene-
merenze scientifiche di questo fisico il cui nome vivrà eterna-
mente legato ad una delle più importanti scoperte della scienza
moderna, la quale ha aperto la via ad applicazioni importan-
tissime nel campo specialmente della Chirurgia. La bella com-
memorazione lumeggia non solo le benemerenze scientifiche di
Corrado RoNnTGEN, ma rende doveroso omaggio al carattere di
questo scienziato che fu nello stesso tempo esempio preclaro di
modestia e di elevato valore morale.
Attt della Reale Accademia — Vol. LVIII. 18
250
La commemorazione del Socio PocHETTINO, accolta con
plauso unanime dall'Accademia, viene approvata per la pubbli-
cazione negli Ati.
Il Socio Grassi, ricordando come già fino dal 1896 egli
aveva avuto la ventura di servirsi della scoperta del R6nTGEN
per localizzare la posizione di un proiettile in un ferito, reduce
dall’infausta giornata di Abba Garima, si associa alle parole
dette dal Socio PocHETTINo in onore del RoNnTGEN, del quale egli
pure ricorda le alte benemerenze.
Il Segretario MArTIROLO, nel nome del Comitato per le ono-
ranze alla memoria del compianto nostro Socio Icilio GUARESCHI,
presenta e fa dono ai Soci di un certo numero di esemplari
della pubblicazione testè comparsa nella quale furono riuniti i
discorsi tenuti il giorno 20 maggio dell’anno ora scorso, in oc-
casione della solenne inaugurazione del ricordo al Prof. Gua-
REscHI, e la rivista bibliografica delle sue opere.
Il busto, opera egregia dello scultore Gaetano Cellini, venne
fuso nel bronzo di cannoni austriaci, all’uopo concesso dal Mi-
nistro della Guerra, e inaugurato nell'Aula di Chimica Farma-
cologica dell'Istituto fondato dallo stesso Prof. GuARESCHI.
Il Segretario riassumendo il contenuto di tale pubblicazione
espone sommariamente l’operato del Comitato che, oltre al ri-
cordo bronzeo, potè istituire un premio annuo di Lire 1000,
destinato agli studenti di Chimica e Farmacia, ed una medaglia
di argento da conferirsi, annualmente, allo studente che avrà
dato affidamento di miglior profitto seguendo il corso recente-
mente istituito di Pratica Galenica.
Così il Comitato ha creduto di onorare nel modo più con-
sentaneo ai sentimenti del compianto insigne Chimico, la me-
moria del GuarEscHI, che l'Accademia nostra si onorò di anno-
verare fra i Soci più attivi e benemeriti.
Lo stesso Segretario presenta in dono una sua Nota
pubblicata negli “ Annali del Giardino botanico di Bruxelles ,,
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251
illustrante un interessante fungo ipogeo scoperto nel Congo dal
D' Ettore Bovone, Ispettore veterinario del Governo del Congo
Belga.
Egli fa rilevare le notevoli benemerenze botaniche del
Bovone che ha saputo, malgrado difficoltà non lievi, assicurare
all'Italia e all'Istituto botanico di Torino, ingenti quantità di
materiali vegetali del Congo, i quali furono già in gran parte
pubblicati e illustrati, specialmente per quanto si riferisce ad
importanti specie nuove di Graminacee.
Il Socio Ponzio presenta quindi una sua Nota, Ricerche
sulle diossime, che sarà indicata col numero X, in continuazione
alle Note precedentemente presentate.
La Nota del Socio Ponzio è accolta per gli Atti.
Il Socio Naccari fa presentare quindi, nel nome del Socio
corrispondente Alessandro AmeRrIo, una Nota che ha per titolo:
Variazione diurna della distribuzione dell'energia sul Disco solare.
Intorno a questa presentazione prendono la parola i Soci
Segre, Guipi e Grassi per richiamare l’attenzione dell’Acca-
demia sul diritto che hanno i Soci corrispondenti di presentare
Note, direttamente, senza l'intermediario dei Soci residenti,
facoltà che, per le condizioni economiche dell’Accademia, il Con-
siglio di Amministrazione aveva temporaneamente sospesa (come
risulta dal verbale della seduta dell’8 settembre 1920) e che
sì spera possa ora riattivarsi in vista delle migliorate con-
dizioni del bilancio.
Di tale questione si delibera abbia ad occuparsi il Consiglio
di Amministrazione che sarà prossimamente convocato.
252 ALFREDO POCHETTINO
GUELIELMO CORRADO RONTGEN
commemorato dal Socio ALFREDO POCHETTINO
Alle ore 9 del giorno 10 di questo mese si è spento in
Monaco di Baviera Guglielmo Corrado Roòntgen; con Lui la fisica
tedesca, già così duramente provata in questi ultimi tre anni
con le morti, susseguitesi in breve volger di tempo, di Voigt,
di Riecke, di Rubens, ‘ecc., vede sparire uno dei pochi superstiti
. di quella schiera di maestri che aveva così potentemente con-
tribuito a dar rinomanza agli studi fisici del suo paese.
Nato il 27 marzo 1845 a Lennep in Renania, si addottorò
nel 1868 presso l’Università di Zurigo, e fu assistente del Kundt
prima in Wirzburg e poi in Strassburgo dal 1870 al 1874, anno
in cui conseguì la privata docenza presso quest’ultima Università.
Dopo un anno d’insegnamento nella scuola agraria di Hohenheim,
fu, nel 1876, assunto quale straordinario di fisica sperimentale
nell'Università di Strassburgo e quindi, nel 1879, nominato or-
dinario della stessa disciplina nell'Università di Giessen, donde
venne successivamente trasferito nel 1888 all’ Università di
Wirzburg e finalmente nel 1900 a quella di Monaco. Nel 1901
conseguì il premio Nobel per la fisica e nel 1909 ebbe conferito
il titolo di Eccellenza; membro di parecchie Accademie scien-
tifiche del Suo paese ed estere, la nostra Lo annoverava fra i
suoi corrispondenti stranieri dal 14 giugno 1903. Questo il
curriculum vitae di Guglielmo Corrado Réntgen.
Il frutto del lungo lavoro scientifico del Ròntgen si trova
come sommerso di fronte all'importanza e alla popolarità della
scoperta, da Lui fatta, dei raggi che. portano il suo nome; ma
sarebbe somma ingiustizia il non ricordare le Sue ricerche an-
COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO CORRADO ROÒNTGEN 253
teriori, che, se non hanno avuto nel campo degli studi fisici
tanta eco, dimostrano una attività scientifica e una abilità spe-
rimentale veramente notevoli, e contengono risultati che, se ora
son trascurati nel turbinio della ricerca scientifica moderna
orientata verso le speculazioni prevalentemente teoriche oggi
di moda, non potranno che riacquistare la importanza loro
dovuta quando si ritornerà a considerare al giusto valore
tutte quelle ricerche sperimentali che tendono penosamente a
preparare il materiale numerico, senza il sussidio del quale
qualunque ricerca scientifica sarebbe vana.
I lavori.del Ròntgen, estranei ai raggi X, si possono divi-
dere, qualora non si segua l’ordine cronologico della loro pub-
blicazione, in vari gruppi a seconda dell'argomento trattato.
Un primo gruppo riguarda la compressibilità dei solidi e dei
liquidi e l'influenza della pressione su le proprietà dei liquidi;
tra le numerose osservazioni e le molteplici tabelle che vanno
a completare il materiale raccolto dal Grassi, dal Quincke, ecc.,
ricorderò l’ingegnoso calcolo dimostrante la possibilità di de-
durre la compressibilità di un corpo solido da quella delle sue
soluzioni; l'ipotesi, accolta poi solo molto più tardi, che nel-
l’acqua ordinaria sussista una specie di equilibrio fra molecole
di complessità diversa corrispondenti allo stato liquido e allo
stato solido, ossia, come diremmo oggi, fra molecole di diidrolo
e di triidrolo; la constatazione dell'influenza della pressione su
la velocità di inversione del saccaroso, su la velocità della cor-
rente osmotica e su la viscosità dei liquidi; e la dimostrazione
della non validità delle leggi di Beer e di Lorenz-Lorentz
quando si tratti dell'influenza della pressione su l’indice di ri-
frazione e su la costante dielettrica di alcuni liquidi. Al Rontgen
si debbono ancora alcune determinazioni del rapporto dei calori
specifici di alcuni gas con il metodo di Clément-Desormes, nelle
quali alcune ingegnose modificazioni dell’aneroide destinato alla
misura delle pressioni consentono all’Autore di dare dei numeri
che le esperienze posteriori non fecero che confermare.
Un altro gruppo di lavori riguarda i fenomeni piezo-attino-
elettro-ottici: fondamentali fra essi sono: le ricerche su la biri-
frangenza del Quarzo in un campo elettrico; su la piezoelettri-
cità del quarzo per torsione e sul fenomeno reciproco, in cui
trovasi la constatazione della variabilità del potere rotatorio
RAS ERI E POTE o PL RIE
254 ALFREDO POCHETTINO
per torsione; su l’effetto Kerr nei liquidi, fenomeno che Egli
riesce ad osservare anche in sostanze non perfettamente iso-
lanti; in queste ultime ricerche è particolarmente importante lo
spostamento delle bande nere, che si ottengono osservando fra
nicol incrociati, quando si fa muovere il liquido normalmente
ai raggi luminosi e al campo elettrico. Sottili ed acute sono le
considerazioni con le quali il Ròntgen dimostra come i vari fe-
nomeni, osservati da Hankel e da altri nel quarzo e denominati
termo- e attino-elettrici, altro non siano che fenomeni piezoelet-
trici provocati dalle tensioni che si destano nel cristallo per ef-
fetto di un riscaldamento non uniforme.
Nei Suoi studi su la scarica elettrica fra punta e piano è
notevole la relazione trovata fra il potenziale minimo e il cam-
mino medio delle molecole del gas attraverso il quale passa la
scarica; notevole tanto più in quanto che le cognizioni su la
conducibilità dei gas erano. allora affatto rudimentali; come
pure interessante è la constatazione dell’importanza che, nella
formazione delle figure elettriche del Kundt, ha lo strato gassoso
sempre aderente ai corpi per adsorbimento.
Un altro gruppo importante delle Sue ricerche è costituito
da quelle sull’effetto magnetico della convezione elettrica; per
primo Egli tenta la ripetizione della celebre. esperienza di
Rowland sull’effetto magnetico di una vera corrente di conve-
zione quale quella che si ha con un disco conduttore carico
rotante, e, dopo molti sforzi, riesce a confermarla. Quindi di-
mostra l’effetto magnetico delle correnti di polarizzazione di-
elettrica come si ottengono con un disco dielettrico rotante in
un campo elettrico dissimmetrico rispetto all'asse di rotazione di
quello. I Suoi risultati furono confermati dalle ricerche eseguite
molto posteriormente quando sorse la celebre polemica su l’esi-
stenza o meno di tali effetti, e chi sa le difficoltà sperimentali
con cui si dovette lottare in tali ricerche non può che ammirare
1 risultati ottenuti dal Roòntgen circa venti anni prima.
Altre ricerche riguardano, la determinazione del numero
di Poisson nel caucciù, l'assorbimento del calore raggiante nei
gas, la dilatazione lineare della Cuprite e del Diamante, una
modificazione ingegnosa del metodo di Sénarmont per tracciare
le isoterme nelle lamine cristalline, l’elettrostrizione dei liquidi,
alcune esperienze da scuola, ecc. Non voglio infine passare sotto
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COMMEMORAZIONE: DI GUGLIELMO CORRADO ROÒNTGEN 25
silenzio due altre ricerche interessantissime: una, compiuta con
Exner, in cui si tenta una prima misura assoluta della costante
solare con un pireliometro a ghiaccio, e una, in collaborazione
con Kundt, con cui si dimostra e si misura il potere rotatorio
magnetico nei gas e nei vapori. Ma, come dissi, la gloria più
grande doveva venire al Ròntgen dai Suoi lavori del 1895 e 1896.
Al 1895 erano perfettamente note le proprietà principali
dei raggi catodici, grazie agli studi di Lenard; ma erano no-
zioni di interesse puramente scientifico. Fu in quell’anno che la
scoperta del Ròntgen portò un vero sconvolgimento nella scienza
e mise a rumore non solo il campo dei fisici, ma anche la fantasia
dei profani in un modo assolutamente raro nella storia della
scienza. Non si trattava di una di quelle speculazioni astratte,
di quelle concezioni filosofiche che tratto tratto vengon di moda,
cui anche il profano tributa ammirazione e fede anche senza
capirne niente; si trattava di fatti reali: il giorno 8 novembre 1895
Réontgen aveva scoperto dei raggi capaci di attraversare i corpi
più opachi alla luce ordinaria. Quando nei primi giorni del 1896
la stampa quotidiana annunciò la scoperta quasi miracolosa che
‘permetteva di rivelare forma e posizione di corpi estranei nel
corpo umano, che permetteva di vedere le ossa muoversi. nel-
l'organismo vivente dell’uomo, si ebbe dapprima come un mo-
vimento d’incredulità; certo bisogna far astrazione dalle cogni-
zioni che or sono in nostro sicuro possesso per comprendere lo
stupore di allora. Senza tema di esagerare si può affermare che
in quasi tutti i gabinetti di fisica del mondo civile si volle
tentare di riprodurre le esperienze del Réòntgen, constatare
l’esistenza, vedere gli effetti di questi raggi meravigliosi che
permettevano di indagare campi che sembravano dover rima-
‘nere perpetuamente preclusi all’indagine umana. Chi ha fre-
quentato dei laboratori di fisica in quei giorni può far fede che
un’ansia febbrile di ricerca come quella che si manifestò allora
non si vide più, nemmeno quando si annunciò la scoperta della
radioattività.
Le difficoltà di avere tubi di vetro convenienti e di otte-
nere in essi il vuoto necessario per queste esperienze, con i
mezzi di cui si disponeva allora, furono grandissime, ma l’ansia
della ricerca, la curiosità del pubblico furono tale sprone ai
256 ALFREDO POCHETTINO
fisici che in poche settimane cominciarono a comparire le prime
note confermanti la scoperta dei nuovi raggi. Così la prima di
quelle straordinarie scoperte fisiche, che hanno commosso il
mondo scientifico e profano negli ultimi anni, era resa di pub-
blico dominio. Certo anche le altre che seguirono questa e ne
discesero quasi, più o meno direttamente, non sono meno inte-
ressanti ed hanno modificato forse più profondamente le idee e
i concetti della Fisica; ma poche, forse nessuna, hanno più pron-
tamente e più intensamente colpita l’immaginazione del pubblico.
Non era dunque più necessario “ ex morte cognoscere vitam ,
come si legge nelle vecchie sale anatomiche, ma nella vita stessa
studiarne il ritmo e negli intimi penetrali dell'organismo vivente
gettare lo sguardo indiscreto dell'indagine scientifica! Come
sempre accade, le fantasie lavorarono, e. si intravidero appli-
cazioni dei raggi scoperti dal Rontgen in tutti i campi della
scienza. Che faceva il Rontgen in questo tempo? Qui è dove
la Sua figura ci appare veramente grande: tranquillo, modesto,
chiuso nel Suo laboratorio continuava lo studio dei Suoi raggi
con rara perseveranza e abilità, tanto che nelle parecchie cen-
tinaia di lavori che su questo argomento apparvero nel 1896
nei giornali scientifici, ben poco è contenuto che già compreso
non fosse nella prima nota del Réntgen, e per tutto il biennio
1896-97 i laboratori di tutto il mondo scientifico poco assai
videro più di quanto Egli non avesse già visto o non andasse
vedendo nel continuare l’opera Sua, grande quanto grande fu
la modestia del Suo atteggiamento!
Uno spirito eccessivamente caustico indusse uno scrittore
francese a scrivere a proposito della scoperta del Réntgen le
seguenti parole: “ generalmente quando gli scienziati perdono il
loro latino nello studio di un fenomeno, battezzano questo con
un nome convenientemente greco per far credere alle anime
semplici che esso non ha segreti per loro; in questo caso lo
stupore fu però tale che dimenticarono di simulare e battez-
zarono le nuove radiazioni con il nome di raggi X,. Se c'è
un caso in cui la stoccata dell’arguto scrittore non ha ragione
di essere è proprio questo: il nome di raggi X fu creato dal
Réontgen stesso ad indicare la natura allora misteriosa di queste
radiazioni, e la modesta serietà con ‘cui sono redatti i Suoi pur
fondamentali lavori su i nuovi raggi mette il loro scopritore ben
RR a TT |
COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO CORRADO ROÒNTGEN 257
al di sopra di certe satire. Del resto nel campo stesso dei fisici
tedeschi il Rintgen non doveva trovare una generale simpatia:
si parlò di scoperta casuale, come se la storia della scienza non
dimostrasse all'evidenza che quasi tutte le più belle scoperte
sperimentali ebbero origine da osservazioni casuali e spesso si
verificarono durante ricerche indirizzate a scopo affatto diverso;
si affermò che la scoperta del Rontgen era già virtualmente
contenuta nelle ricerche di Lenard su i raggi catodici, e che
quindi a questo ne spettava il maggior merito. Si. racconta che,
in una conversazione in casa di Lord Kelvin, avendo un pro-
fessore tedesco proclamato che i raggi X erano già nella mente
di Lenard, Stokes, sorridendo argutamente, abbia esclamato:
“ Lenard avrà avuto i raggi X nel suo cervello, ma Réontgen
li ha mandati fra le ossa della gente! ,.
Effettivamente è nel modo con cui lo scienziato accoglie
la, vogliamo pur dir casuale, rivelazione di un fenomeno nuovo
che si. può stabilire la grandezza del suo ingegno. Rontgen non
si dà a voli pindarici nei Suoi scritti, non si preoccupa di dare
subito una teoria dei fenomeni osservati, li studia; alla domanda
di un intervistatore, poco dopo la Sua scoperta: “ Che ne pensate
voi? ,; “Io non penso niente per ora, risponde, cerco ,. E, silen-
zioso, in due mesi mette insieme la Sua prima pubblicazione in cui
le proprietà fondamentali delle nuove radiazioni sono completa-
mente esposte: la loro propagazione rettilinea, la non esistenza
di una riflessione e di una rifrazione ordinaria, la loro inomo-
geneità rispetto al potere penetrante, la diffusione che subiscono
in gas contenenti pulviscolo o nebbie, il loro assorbimento (non
proporzionale alla massa attraversata) nei vari elementi e quindi
la relazione fra quello e ‘il peso atomico di questi, la loro pene-
trabilità attraverso i tessuti molli dell'organismo e l’opacità per
‘ essi del tessuto osseo, le loro azioni chimiche su la lastra foto-
grafica e la capacità di destare la luminescenza in varie sostanze,
la loro indifferenza rispetto ai campi elettrici e magnetici, sono
tutte dimostrate nella Sua prima Nota: Ueder eine neue Art
von Strahlen.
Nel successivo svolgersi delle ricerche su i raggi X riesce
difficile stabilire esattamente la priorità cronologica delle sco-
perte delle varie altre proprietà dei raggi Rontgen; molti fatti
furono pubblicati quasi contemporaneamente da Lui e da altri,
FAB OS TE TA DIRE I RINO ig RE RIOT, AIA
258 ALFREDO POCHETTINO — COMMEMORAZIONE, ECC.
ma, dato il metodo di lavoro del Roòntgen, non si può non at-
tribuire il merito anche a Lui. Ed ecco nelle Sue note successive
dimostrate: l'influenza della natura dell’anticatodo con l’inge-
gnoso uso di un anticatodo composito, la distribuzione non uni-
forme dell’energia irraggiata dall’anticatodo, l'emissione di
raggi X anche sulla parte posteriore dell’anticatodo se questo
è di metallo leggero, l'emissione di raggi secondari da un corpo
irraggiato con raggi X e finalmente la conducibilità acquisita
dai gas attraversati da quelli e la persistenza di essa per qualche
tempo dopo cessato l’irraggiamento.
Quanta somma di lavoro nelle tre Note del Ròntgen susse-
guitesi fra il 1895 e il 1897! Nell'opera Sua avviene qui un ar-
resto; il Suo lavoro scientifico non riprende che dopo parecchio
tempo con un lungo e magistrale gruppo di ricerche circa l’in-
fluenza dei raggi X su la conducibilità elettrica della Calcite,
con le quali dimostra che questa conducibilità può diventare
fino a 200 volte maggiore con tale irraggiamento, e che, sop-
presso questo, non riacquista il suo valore primitivo se non
dopo parecchi anni, e cioè con un processo lentissimo che si
può accelerare con un aumento di temperatura.
Segue un altro silenzio e poi ... ecco la morte!
La Fisica non dimenticherà mai come il Réntgen abbia
messo a disposizione delle sue indagini più delicate su la strut-
tura dei corpi un mezzo di straordinaria efficacia. Non è ancora
il caso di considerare quali servigi abbiano portato o possano
portare i raggi X nel campo della terapia; ancora troppo lungo
è il cammino da percorrere per giungere a risultati sicuramente
concreti. Ma basta già l’aiuto che essi hanno prestato e quo-
tidianamente prestano nella pratica chirurgica per assicurare
alla nobile e disinteressata figura di Guglielmo Corrado Rontgen
la gratitudine di quel mondo che, come a pochi è dato di fare,
non certo da debitore Egli ha testè per sempre abbandonato.
Api LI e A ti da ra AME ti
TN ORI I SE
GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADKO — RICERCHE, Ecc. 259
Ricerche sulle diossime
Nota X del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO
e del dott. LODOVICO AVOGADRO
Abbiamo detto nella Nota VI su questo argomento (!) che
per chiarire la natura dell’isomeria delle due fenilaminoglios-
sime C;Hy .C(:NOH).C(:NOH).NH,; non era possibile ricor-
rere, come nei casi precedentemente esaminati, all’impiego del
tetrossido di azoto. Una soluzione elegante del problema la
diamo ora, deducendola dallo studio del comportamento della a
e della B-fenilaminogliossima verso l’anidride acetica.
Le esperienze più avanti riferite dimostrano infatti che
detto reattivo sostituisce sempre due atomi di idrogeno con
due acetili, ma facendo agire a freddo l'anidride acetica sulla
a-fenilaminogliossima vengono sostituiti un atomo di idrogeno
ossimico ed un atomo di idrogeno aminico, risultando il diace-
tilderivato CH; . C(:NOCOCHy;). C (: NOH). NHCOCH;; mentre
facendola agire, nelle identiche condizioni, sulla B-fenilamino-
gliossima vengono sostituiti tutti e due gli atomi di idrogeno
ossimico e risulta il diacetilderivato C;H; .C(:NOCOCH;).
C(:NOCOCH;). NH;. Trattando poi, alla temperatura ordinaria,
. i due diacetilderivati con idrossido di sodio, si elimina da ognuno
di essi una molecola di acido acetico, e dal diacetilderivato della
o-fenilaminogliossima si ottiene l’acetilderivato del fenilamino-
— furazano
Oui 2 -NHCOCH
| |
NOCOCHy NOH
CeHs . C ISEE C ° NHCOCH;
OE | |
N
()- Gazz. Chim..Ital.,,°53, I, 25 (1923).
VE VIII SERRA 190 SIATE te]
260 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
mentre dal diacetilderivato della 8-fenilaminogliossima si ottiene
l’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo
CI, FO See
I Il
NOCOCHs —NOCOCH;
CH; . 0 C
I | I 1
= >»
-
La reazione che dà origine a quest’ultima procede però in
due tempi: dapprima, per eliminazione di una molecola d’acqua
a spese dell’idrogeno aminico e dell'ossigeno carbonilico vicini,
risulta l’acetilderivato dell’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-
(ab,)-diazolo
Oil 20
I Ea
NOCOCHj NOCO CH;
EB LIZA N
Bin! CORI I I Î
NOCOCH3z N-0— C.CHy
il quale viene poi idrolizzato in acido acetico e nell’ossima cor-
rispondente
CHsg.C-——_—__C N
I I Il
NOCOCH;. .N—0 —.6.€B,
CH: COOH+4 GHg.0 TG N
CARRO 3 Il .
I
NOH N—-0—C.CHy
Riscaldando, infine, sia l’acetilderivato del fenilaminofura-
zano, che l’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo con
acido cloridrico diluito, essi reagiscono con una molecola di
acqua, e, formandosi nei due casi una molecola di acido acetico,
sì origina fenilaminofurazano
CH; . € C. NHCOCH,
SS I
NICOLO
CH; . COOH + C;H; . C C.NH;y
+0 (I |
N-0-N
price
RICERCHE SULLE DIOSSIME 261
CHy,. CC N
I | I
CH; .C00H + C;H; .C C.NH,
+HLO Il
E
Il comportamento verso l’anidride acetica delle due forme
della fenilaminogliossima conferma, in modo a nostro parere indi-
scutibile, che esse non sono, come vorrebbe la teoria di Hantzsch
e Werner sull’isomeria delle a-diossime, isomeri ‘geometrici, e
che esse non differiscono fra di loro semplicemente per la posi-
zione spaziale degli ossidrili ossimici; bensì pel fatto che nella
a-fenilaminogliossima, è due ossiminogruppi non sono equivalenti,
poichè uno solo si lascia sostituire l'idrogeno coll’acetile; mentre,
nella -fenilaminogliossima, è due ossiminogruppi sono equivalenti,
poichè ambedue si lasciano sostituire l'idrogeno coll’acetile. E,
riassumendo i risultati delle ricerche da noi fatte sinora sulle
a-diossime, crediamo di poter dedurre la regola seguente: quando
una gliossima R.C(:NOH).C(:NOH).R, (ove R, può anche
essere H od R) esiste in due forme, una labile ed una stabile
(ottenibile dalla forma labile per riscaldamento con acido acetico
. diluito), queste differiscono fra di loro perchè nella forma labile
(da noi detta forma a) i due ossiminogruppî si comportano verso
alcuni reattivi come se avessero struttura differente, mentre nella
forma stabile (da noi detta forma 8) i due ossiminogruppi hanno
il medesimo comportamento verso tutti i reattivi.
Rimarrebbe da spiegare come le forme B delle gliossime,
le quali secondo noi sono vere a-diossime, diano coi metalli
dell'VIII gruppo sali complessi derivanti da due molecole di
gliossima per sostituzione di due atomi di idrogeno ossimico,
uno per ciascuna molecola, con un atomo di .metallo bivalente;
ma quanto abbiamo detto nella Nota I (!) sul modo di forma-
zione di tali sali complessi per azione diretta delle gliossime in
soluzione acquosa sui metalli compatti, ed esperienze in corso,
(4) “ Gazz. Chim. Ital. ,; ‘51, II, 213 (1921).
= GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
ci inducono a dissentire dalle opinioni finora accettate riguardo
alla loro struttura. £
Anche i dibenzoilderivati delle due fenilaminogliossime che
da queste risultano per sostituzione di due benzoili ai due atomi
di idrogeno ossimico, offrono un interesse notevole per l’argo-
mento del quale ci stiamo occupando. Il dibenzoilderivato della. —
a-fenilaminogliossima CyHz.C(:NOCOC;H;).C(: NOCOC;H;).NH,
trattato con idrossido di sodio dà contemporaneamente origine,
per le reazioni
GRFRO ON Salah hp:
I I aLe
NOCOCHs NOCOC;Hg
CH; . C C.NH;
I | + 20,H,. COOH
N-0—-N
Ci 0 CRE
I | A30) >
NOCOCHj NOCO :CH;
CREA: N
Î I ai
NOCOCGH,j, N— 0 — C. CH
o go lissa N
} ni, I Il TOT
NOCOC;H; N pi O Mia C . CgHy
CHs. CC N
I I I + C;H;. COOH
NOM: N00 He
a fenilaminofurazano CgH; .(C$N30). NH, ed all’ossima del
3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo CgHz.C(:NOH).(C,N30).C;Hg;
mentre il dibenzoilderivato della £-fenilaminogliossima CgHs.
C (:NOCOG;H;). C(:NOCOC;H;). NH; dà col suddetto reattivo. _
contemporaneamente origine, per la reazione i
CsHs .C——_—_____C., NHy
| | Con
NOCOC,H, NOCOC;H;
Coll 0 -=€NB
|
2
Il + 2CH;s. COOH
NOH:-éNOH: 3:
RICERCHE SULLE DIOSSIME 263
a R-fenilaminogliossima CH; .C (:NOH).C (: NOH).NHg, e, per
reazioni analoghe a quelle scritte sopra, all’ossima del 3-benzoil-
| 5-fenil-furo-(ab;)-diazolo CH; . C(:NOH).(C,N30).C5H;.
i Però, se dal dibenzoilderivato della f-fenilaminogliossima
non si ottiene direttamente il fenilaminofurazano, si può tuttavia
arrivare egualmente a quest’ultimo, per successivo riscaldamento
dell’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab,)-diazolo con acido clo-
ridrico diluito
i (Heep N
i | i | dan dra
CH; C C.NH,
Il Il + CeH5C00H
N-O—-N
precisamente come per ottenere il metilaminofurazano CH;.
(C.N30). NH; dal dibenzoilderivato della metilaminogliossima
(la quale è una forma 8) CHs . C (: NOCOC;H;).C(:NOCOG;Hg).
NH» è necessario passare per l’ossima del 3-acetil-5-fenil-furo-
(ab;)-diazolo CHz.€(: NOH).(C,N,0). CH; (1). Ma il metil-
aminofurazano risulta anche per riscaldamento con acido clori-
drico diluito dell’ossima del 3-acetil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo
CH3.C(: NOH).(C$N30).CH; (loc. cit.), ed il fenilaminofurazano
risulta allo stesso modo dall’ossima del 3 benzoil-5-metil-furo-
(ab;)-diazolo C;H; . C(:NOH).(C,N,0).CHg; per conseguenza
resta stabilito un metodo generale di preparazione degli amino-
furazani R.(C,N30). NH; il quale consiste nell’azione dell’acqua
sulle ossime dei 3-acil-5-alchil (od aril) -furo-(ab;)-diazoli
RSA N
Î Î I Puri CR
NODI N00 R,
R:,0 C.NH
| ] + R, . COOH
LO gra
A questo proposito osserviamo-come il comportamento delle
ossime dei 3-acil-5-aril-furo-(ab,)-diazoli sia assolutamente di-
VIARIO PT
(4) Nota VII.
VUE
x
alri ani n cre tec,
k È Ti ton
264 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
verso da quello dei loro isomeri 3-acil-5-aminoaril-furo-(ab;)-
diazoli R.CO.(C,N,0). NHAr studiati da Holleman (!), da Boe-
seken (?) e da Wieland e Gmelin (*). Infatti, per es., mentre
l’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo dà per azione del-
l’acqua (riscaldamento con acido cloridrico diluito) acido benzoico
e fenilaminofurazano, il 3-benzoil-5-aminofenil-(ab,)-diazolo dà,
per riscaldamento con idrossido di sodio, acido benzoico e fenil-
cianurea, cioè reagisce coll’acqua in questo modo:
CHE; . CO. C N
+H30__
I I
N Fr O Cr C . NHCyH;
C;Hz . COOH + C. NH .C. NHCH;
Ù |
N 0
XXV. — a-fenilaminogliossima C;H;.C(:NOH).C(:NOH).
NH; (p.f. 1549).
Diacetilderivato C;Hz.C(: NOCOCH;).C(:NOH).NHCOCH,.
Si ottiene trattando a freddo la a-fenilaminogliossima con ani-
dride acetica in presenza di acetato sodico fuso e cristallizza
dall’aleool in aghi appiattiti fusibili a 150°-151° senza decom-
posizione.
Sostanza gr. 0,1228: N ce. 17,6 a 26° e 724,700 mm.
Trovato °%/ NT4508,
Per CioHisOgNs calc.: 15,96.
È poco solubile in etere; solubile a freddo in ‘acetone;
molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in cloro-
formio; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in benzene;
quasi insolubile nella ligroina anche bollente.
Agitato con idrossido di sodio al 20 °/, raffreddato con
ghiaccio si trasforma poco a poco nell’acetilderivato del fenil-
aminofurazano C;H; . (Cy$N30) . NHCOCH; che in parte si idro-
lizza poi in fenilaminofurazano C;H; .(C,N30). NH; il - quale
(4) “ Rec. trav. chim. ,, 27, 263 (1892).
(®) “Ia. ,, 26, 306, 338 (1897) e 29, 277 (1910).
(3) Ann. 375, 297 (1910).
RICERCHE SULLE DIOSSIME 265
risulta invece esclusivamente facendo bollire il diacetilderivato
coll’idrossido di sodio.
Dibenzoilderivato CgH5.C(:NOCOC;H5).C(:NOCOC;H;).NH,.
Si forma benzoilando con cloruro di benzoile la a-fenilamino-
gliossima sciolta nell’idrossido di sodio al 20 °/, e cristallizza
dall’alcool in fini aghi fusibili a 189°-190° e decomponibili
qualche grado più alto.
Sostanza gr. 0,1166: N cc. 11,3 a 24° e 727,060 mm.
Trovato °/o: N 10,70.
Per Cs3H,70gNg calc.: 10,85.
È quasi insolubile in etere, benzene e ligroina anche. a
caldo; solubile a freddo in acetone; discretamente a caldo e
poco a freddo in alcool ed in cloroformio.
Il punto di fusione da noi trovato per questo composto è
notevolmente più elevato di quello (176°) dato da Wieland e
Semper ('); facciamo però notare che noi l'abbiamo preparato
benzoilando la a-fenilaminogliossima pura, ed essi, invece, uti-
lizzando le acque madri dell’azione dell’ammoniaca sul perossido
della fenilgliossima (fenilfurossano).
Lentamente alla temperatura ordinaria, o rapidamente se
riscaldato a 100° con idrossido di sodio al 20 °/,, ed un po’ di
alcool, si trasforma in fenilaminofurazano e nell’ossima del
3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo. Eliminando l'alcool, diluendo
con acqua e lasciando raffreddare, il fenilaminofurazano CH; .
(C$N30). NH; si separa cristallizzato; neutralizzando il liquido
filtrato con una corrente di anidride carbonica precipita l’ossima
del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab,)-diazolo CH; .C (:NOH).(C,N:0).
C;H; la quale cristallizzata dall'alcool acquoso si presenta in
fini aghi fusibili a 148° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1378: N ce. 18,8 a 10° e 726,250 mm.
Trovato °/o: N&15:991
Per C,5H102N3 calc.: . 15,84.
E solubile a freddo in etere, acetone, cloroformio; molto
solubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in benzene;
quasi insolubile in ligroina bollente. .
(!) Ann. 358, 62 (1907).
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 19
266 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
Riscaldata con acido cloridrico al 20 °/, si trasforma len-
tamente in fenilaminofurazano; è invece stabile verso l’idrossido
di sodio.
. XXVI. — f-fenilaminogliossima C;H;.C(:NOH).C(:NOH).
NHs (p..f. 195°).
Diacetilderivato CH; . C (:NOCOCH;). G (:NOCOCH;) . NH,.
Si prepara acetilando a freddo la 8-fenilaminogliossima con.
anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso e cristallizza.
dall’alcool in grossi prismi fusibili a 133°-134° senza decom-
posizione.
Sostanza gr. 0,1101: N ce. 15°5 a 13° e 728,440 mm.
Trovato °/: NT6L%
Per CieH1s04Ng cale.: 15,90.
È discretamente solubile a caldo e meno a freddo in alcool
ed in benzene; solubile a freddo in cloroformio ed in acetone;
poco solubile in etere; pochissimo solubile nella ligroina bollente
e quasi affatto a freddo.
Agitato alla temperatura ordinaria con idrossido di sodio
al 20°) vi si scioglie in breve tempo completamente, trasfor-
mandosi in parte nella gliossima da cui deriva ed in parte
nell’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab;)-diazolo. Diluendo la
soluzione e neutralizzandola con .anidride carbonica i due com-
posti precipitano; sospendendo in acqua il precipitato e trat-
tandolo con acido cloridrico diluito, la 8-fenilaminogliossima si
scioglie e può essere ricuperata aggiungendo al liquido filtrato
un eccesso di acetato sodico cristallizzato.
L’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo C;Hs .
C (: NOH). (C$N30) . CH; che rimane indisciolta si purifica per
ripetute cristallizzazioni dall’alcool o dall’acetone, ed allora co-
stituisce aghetti bianchi splendenti. Questi riscaldati fondono.
a 202°-203° con leggerissima decomposizione in un liquido il
quale lasciato solidificare fonde poi a 182°-183°: come diremo
più avanti, ha luogo in dette condizioni una isomerizzazione del-
l’ossima nell’acetilderivato del fenilaminofurazano C;H;.(C2N30).
NHCOCH,.
I POT, COTE ee
I ME CT
PRO CAROTA
RICERCHE SULLE DIOSSIME 267
4 Sostanza gr. 0,1145: N ce. 20 a 11° e 741,517 mm.
| Trovato °/o: N 20,57.
Per CioHs0OgNs calc.: 20,68.
È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed
in acetone; quasi insolubile in etere, benzene, ‘eloroformio anche
a caldo; insolubile in ligroina.
È solubile negli idrossidi dei metalli alcalini e iosecaita
inalterata per aggiunta di acidi nei quali è insolubile.
Riscaldata all’ebollizione con acido cloridrico al 20 °/, si
trasforma in fenilaminofurazano come il suo isomero acetilamino-
fenilfurazano CH; .(C$N30). NHCOCH;; per contro, a diffe-
renza di quest’ultimo, resiste all’azione dell’idrossido di sodio ed
è benzoilabile.
Trattata a freddo con anidride acetica in presenza di ace-
tato sodico fuso dà l’acetilderivato dell’ossima del 3-benzoil-5-metil-
furo-(ab,)-diazolo Cg$Hz.C(: NOCOCH3).(C,$N30). CH; il quale
cristallizza dalla ligroina in aghi fusibili a 101°-102° senza de-
composizione.
Sostanza gr. 0,0799: N cc. 11,4 a 9° e 747,916 mm.
Trovato 0/o: N 17,07.
Per Ci3H0Ns cale.: 7,14.
È insolubile in etere, solubile a freddo in benzene, acetone,
cloroformio; molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool;
poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ligroina.
L’idrossido di sodio anche diluitissimo lo idrolizza con ra-
pidità alla temperatura ordinaria, ed è per questa ragione che,
per quanto esso sia il prodotto diretto dell’azione dell’idros-
sido di sodio sul diacetilderivato della fenilaminogliossima, si
ottiene in sua vece l’ossima corrispondente.
Sciogliendo l’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-diazolo
in idrossido di sodio al 10 °/, (!) e trattandola con cloruro di
benzoile se ne ha il i CsHg . C (: NOCOGHg) .
(C$N:0) . CH; il quale cristallizzato dall'alcool si presenta in
lunghi e fini aghi fusibili a 152°-153° senza decomposizione.
baite mt. de detti nr
uit ia sedi ct e
(!) L’idrossido di sodio più concentrato lo trasforma in un sale poco
solubile.
lubile a caldo e meno a freddo in alcool ed in benzene; pochis-
simo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina ed
in etere.
GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
Sostanza gr. 0,1080: N cc. 13 a 18° e 729,183 mm.
Trovato o: N 13,89. “2
Per C17H1303N3 cale.: 13,68. i
È solubile a freddo in cloroformio ed acetone; molto so-
Dibenzoilderivato della B-fenilaminogliossima CH; -
C(:NOCOC;Hg). C(:NOCOC;H;). NH.. Ottenuto benzoilando con |
cloruro di benzoile la f-fenilaminogliossima e cristallizzato dal-
l'alcool costituisce prismetti appiattiti fusibili a 185°-186° senza
decomposizione.
quasi insolubile anche a caldo nei comuni solventi organici.
riscaldato verso 100° con idrossido di sodio al 20 °/, ed un po’
di alcool si trasforma in parte nella gliossima da cui deriva ed
in parte nell’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo, am-
bedue solubili nell’idrossido di sodio.
di anidride carbonica esse precipitano assieme; raccogliendole
e trattando la loro miscela con acido cloridrico diluito la f-fe-
nilaminogliossima CH; . C(:NOH). C(:NOH).NH; si scioglie e
si può ricuperare aggiungendo al tiltrato acetato sodico cristal-
lizzato, mentre l’ossima del 3-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo
rimane indisciolta. Quest'ultima cristallizzata dall’alcool acquoso,
si presenta in aghetti fusibili a 148° ed è identica in tutte le
sue proprietà col composto ottenuto dal dibenzoilderivato della
Sostanza gr. 0,1825: N cc. 17,6 a 24° e 727,060 mm.
Trovato °/o: N 10,64.
Per CssH170,Ns cale.: 10,85.
È poco solubile a freddo e pochissimo a caldo nell’alcool;
Lentamente alla temperatura ordinaria e rapidamente se
VETO REST E PET SET
Facendo passare nel liquido, dopo diluizione, una corrente
dd cis iride itinere Bitti
a-fenilaminogliossima. i
Sostanza gr. 0,1152: N cc. 15,6 a 9° e 730,916 mm.
Trovato °/o: N15,84.0 i
Per C,gHi;0gNy cale: 15,84. ;
ad” A ila ea dl alert dice nt
RICERCHE SULLE DIOSSIME 269
XXVII. — .Fenilaminofurazano C;H;.C
|
N—=0.=N
Si forma: @) per riscaldamento con idrossido di sodio del di-
acetilderivato della a-fenilaminogliossima CsHg . C (:NOCOCH3).
C (:NOH) . NHCOCH; e del dibenzoilderivato della stessa CH; .
C (:NOCOC;Hg). C (: NOCOC;H;) .NH3;; 5) per riscaldamento con
acido cloridrico diluito dell’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-
(ab,)-diazolo C;Hg .C(:NOH).(C,N;0).CHz e dell’ossima del
8-benzoil-5-fenil-furo-(ab;)-diazolo C;H;.C(:NOH).(C,N,0).C;H;.
Conviene prepararlo facendo bollire per qualche minuto con
idrossido di sodio il diacetilderivato della a-fenilaminogliossima
ed allora lo si ottiene con rendimento quantitativo. Cristalliz-
zato dall’alcool acquoso si presenta in prismetti bianchi; cri-
stallizzato dall'acqua in lunghi aghi fusibili a 98°-99° senza de-
composizione.
Sostanza gr. 0,1926: CO, gr. 0,4217, Hs0 gr. 0,0782.
Sostanza gr. 0,1076: N cc. 24,2 a 13° e 730,261 mm.
Trovato o: C 59,72 H 4,51 N 26,01.
Per C$H70N; calc.: 59,62 4,94 26,08.
È poco solubile nell’acqua bollente e quasi insolubile in
quella fredda; solubile a freddo in alcool, acetone, cloroformio,
benzene; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ligroina.
Gli idrossidi dei metalli alcalini, l’acido cloridrico concen-
trato, l’acido nitrico 4N, l’acido solforico concentrato non lo
alterano neppure a caldo e può essere cristallizzato dalle solu-
zioni bollenti dei tre primi e precipitato dalla soluzione nel-
l’ultimo per diluizione con acqua. Invece riscaldato con acido
nitrico d =1,4 reagisce dopo un po’ di tempo con grande vio-
lenza dando acido p-nitrobenzoico.
Monoacetilderivato CH; .(C,N30). NHCOCH;. Risulta, come
già fu detto, per azione a freddo dell’idrossido di sodio al
20° sul diacetilderivato della a-fenilaminogliossima CH; .
C (:NOCOCHy;) . € (:NOH). NHCOCH; e rimane disciolto nel li-
quido dal quale lo si precipita con una corrente di anidride
carbonica o con acido acetico diluito dopo aver separato colla
270 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRO
filtrazione un po’ di fenilaminofurazano che contemporaneamente
risulta nella sua successiva idrolisi.
Si ottiene anche riscaldando per breve tempo con anidride
acetica in presenza di acetato sodico fuso il fenilaminofurazano,
il che ne dimostra la struttura.
Infine si origina dall’ossima del 3-benzoil-5-metil-furo-(ab,)-
diazolo per una interessante trasposizione intramolecolare
CH; . C (Upi, i
NOD: IN €.)0H,
C. NHCOCH;
la quale ha luogo istantaneamente riscaldando detta ossima
alla sua temperatura di fusione (202°-203°) e non essendo quasi
accompagnata da decomposizione dà un prodotto che dopo soli-
dificazione fonde senz’altro a 181° (1).
‘In qualsiasi modo preparato il monoacetilderivato del fenil-
aminofurazano C;H; . (C$N30) . NHCOCH; cristallizza dall’alcool
in aghi splendenti fusibili a 181°-182° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,2050: CO, gr. 0,4465, H.0 gr. 0,0867.
Sostanza gr. 0,1300: N cc. 23 a 11° e 727,508 mm.
Trovato °/o: C.59,39 —H 4,69 N 20,45.
Per C,oHs0OsNs calc.: 59,11 4,43 20,68.
È discretamente solubile a caldo e pochissimo a freddo
nell’aleool; poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in ben-
zene, etere, cloroformio, acetone; quasi insolubile in ligroina
bollente.
(4) L’isomerizzazione inversa, di un furazano in un’azossima, è stata
osservata da Dodge (Ann. 264, 178 (1891)), il quale per prolungato riscal-
damento potè parzialmente trasformare il difenilfurazano in dibenzenil-
azossima (3,5-difenil-furo-(ab)-diazolo)
CsHy .C (G CeH; CiHs Mo;
RE e e e Sa
RICERCHE SULLE DIOSSIME 271
Si scioglie nell’idrossido di sodio al 20 °/, e riprecipita
inalterato per aggiunta di acidi. La soluzione trattata con clo-
ruro di benzoile non dà benzoilderivato; riscaldata all’ebollizione
si intorbida dopo qualche minuto in seguito alla separazione di
fenilaminofurazano risultante per idrolisi del monoacetilderivato
disciolto.
Dà pure facilmente origine a fenilaminofurazano per riscal-
damento con acido cloridrico al 20 0/0.
Diacetilderivato C3H; .(C$N30).N(COCH3),. Si forma fa-
cendo bollire a lungo con anidride acetica in presenza di acetato
sodico fuso il fenilaminofurazano od il monoacetilderivato di
questo. Nei due casi il prodotto della reazione contiene sempre
un po’ di monoacetilfenilaminofurazano, facilmente eliminabile
perchè insolubile nell’etere di petrolio bollente, nel quale il
diacetilfenilaminofurazano si scioglie invece alquanto. Purificato
per ripetute cristallizzazioni dall’etere di petrolio si ottiene in
grosse lamine lunghe talora parecchi centimetri e fusibili a 71°
senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,1097: N cc. 16 a 12° e 746,582 mm.
Trovato °/o: NE19,18:
Per CeHiOgN; cale.: 17,14.
È solubile a freddo in alcool, etere, cloroformio, acetone,
benzene; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in
ligroina; poco a caldo e pochissimo a freddo in etere di petrolio.
- Trattato alla temperatura ordinaria con idrossido di sodio
al 20 °/, vi si scioglie lentamente trasformandosi in monoacetil-
aminofenilfurazano CgHs; . (C$N30). NHCOCH3; riscaldato all’e-
‘bollizione dà direttamente il fenilaminofurazano, insolubile.
Azofenilfurazano CH; . (CaN30) .N:N.(C,N30).GH;. La
deidrogenazione del fenilaminofurazano con permanganato po-
tassico in presenza di acido solforico o di idrossido di potassio
non dà buoni risultati, ed è necessario effettuarla coll’anidride
cromica in soluzione acetica bollente. Però anche in questo caso
assieme all’azofenilfurazano si forma una piccola quantità di una
sostanza che non è possibile eliminare colla cristallizzazione.
Conviene per conseguenza sciogliere in etere il prodotto della
272 GIACOMO PONZIO E LODOVICO AVOGADRU — RICERCHE, ECC.
reazione e trattare con fenilidrazina; in tal modo l’azo si riduce
in idrazo, il quale purificato per cristallizzazione dal cloroformio —
si riossida nuovamente in azo riscaldandone la soluzione in
acido acetico glaciale con anidride cromica. L'azofenilfurazano
cristallizzato dall'alcool costituisce lunghi aghi aranciati fusibili
a 134°-135° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,0756: N ce. 17,2 a 10° e 725,208 mm.
Trovato /: N 26,31.
Per C.eH100sNe cale.: 26,41.
È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in alcool ed
in ligroina; molto solubile a caldo e meno a freddo in benzene;
discretamente solubile nell’etere; solubile a freddo in acetone
ed in cloroformio.
Idrazofenilfurazano C5Hz.(CsN30).NH.NH.(C,N:0).CHs.
Si ottiene trattando con fenilidrazina la soluzione eterea del-
l’azofenilfurazano, per il che, alla temperatura ordinaria, esso
lentamente si idrogena con svolgimento di azoto. Cristallizzato
dal cloroformio si presenta in laminette quasi bianche fusibili
a 169° senza decomposizione.
Sostanza gr. 0,0726: N ce. 16,2 a 10° e 734,671 mm.
Trovato °/o: N 26,14.
Per C16H1s0sN; cale.: 26,25.
È discretamente solubile a caldo e poco a freddo in cloro-
formio ed in benzene; molto solubile a caldo e meno a freddo
in alcool; poco solubile in etere; solubile a freddo in acetone;
insolubile in ligroina anche bollente.
Deidrogenato ridà, come abbiamo detto, l’azofenilfurazano.
Torino — Istituto Chimico della R. Università.
Febbraio 1923.
4 REN AI FRAME NS ITER ET
ALESSANDRO AMERIO — VARIAZIONE DIURNA, ECC. 273
Variazione diurna della distribuzione dell'energia
sul disco solare
Nota del Socio corrisp. Prof. ALESSANDRO AMERIO
Ho intrapresa una serie di misure sull’assorbimento che
subiscono, attraverso all'atmosfera solare, i raggi emessi dalla
fotosfera, e riferisco su uno dei risultati ottenuti.
Nelle mie precedenti Ricerche sullo spettro e sulla tempera-
tura della fotosfera solare (1) avevo determinata la distribuzione
dell'energia sul disco solare, eseguendo le misure in quattro
stazioni, situate a livelli compresi tra circa m. 60 e m. 4560
sul livello del mare.
Da esse risultava una debole influenza dell’altezza sulla
distribuzione dell'energia sul disco solare, in modo che il rap-
porto dell'energia irradiata dal centro a quella che proviene da
un altro punto qualsiasi, ad esempio dal bordo, cresce col cre-
scere dell’altezza. i
In conseguenza, se riferiamo le intensità della radiazione
totale che è emessa dai vari punti del disco, a quella che pro-
viene dal suo centro, presa come unità, ottieniamo lo specchietto
seguente:
|
Località Livello |Centro| 15° | 30° 45° 60° 9°
Mena 00. 67 m.| 1,000) 0,986] 0,946| 0,877| 0,772) 0,609
Mlgpnal i, 1200 , : “ 0,946! 0,876! 0,768! 0,601
Col d’Olen. ...|2900 , È & 0,945) 0,874| 0,767] 0,597
Cap. Reg. Margh. 4560 ,| , , |0,945/0,872/0,764/ 0,594
(1) “ Memorie della R. Acc. dei Lincei,, 1914,
274 ALESSANDRO AMERIO
Sono questi risultati, frutto di ben 120 serie concordi, che
palesano la variazione con l'altezza della distribuzione dell'energia
sul disco solare.
La variazione è molto piccola, perchè ammonta solo a 15
su 600 circa, per la posizione di 75°, che è quella in cui, nelle
esperienze fatte, si ha il massimo assorbimento; e se il suo
piccolo valore (2,5 °) è attendibile, è perchè le serie di misure
furono numerose e i loro errori molto piccoli.
Una conferma, sopratutto se ottenuta in condizioni molto
diverse e che rendessero più cospicuo l’effetto svelato, era de-
siderabile.
L'occasione si è presentata durante le attuali ricerche sulla
radiazione solare, che sto facendo con altri, sulle falde e sulla
vetta dell'Aspromonte, per le quali riferirò in altre occasioni.
Nell’immediata prossimità della vetta di Montalto d’Aspro-
monte, a 1950 m. sul livello del mare, fu costruita una piccola
baracca in legno, mediante un fondo straordinario fornito allo
scopo dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Da una sua finestra è possibile ricevere la radiazione so-
lare, dal levar del sole fin quasi al tramonto, e qui furono fatte,
tra le altre, le esperienze che confermano il risultato visto.
La causa dell’influenza dell’altezza, sulla distribuzione del-
l'energia sul disco solare, va ricercata nel diverso potere assor-
bente dell'atmosfera terrestre sui vari raggi, in relazione colla
loro lunghezza d’onda, e nella diversa ripartizione dell’energia
negli spettri dei singoli punti del disco. i
Infatti l'assorbimento cresce notevolmente con la frequenza
della radiazione che si considera, quindi i raggi più rifrangibili
nell’attraversare l’atmosfera terrestre subiscono un assorbimento
maggiore di quello dei raggi meno rifrangibili; e poichè lo
spettro dei vari punti del disco solare è tanto più intenso e
tanto più ricco dei primi, quanto più è prossimo al centro, la
radiazione è assorbita in proporzione tanto maggiore quanto
più il punto che la emette è prossimo al centro.
L’assorbimento cresce con lo spessore di aria attraversato,
e col crescere di questo lo spettro del centro viene attenuato
in proporzioni sempre maggiori, più che non lo spettro di ogni
altro punto, e con ciò diminuisce il rapporto fra l’energia che
viene dal centro e quella che viene da un'altro punto qualsiasi
del disco solare, o anche cresce il rapporto inverso.
n Lis
cdi
Ù
VARIAZIONE DIURNA DELLA DISTRIBUZIONE, ECC. 275
Però le variazioni non possono essere molto grandi, perchè
da Roma alla Capanna Regina Margherita, situata sulla punta
Gnifetti del Monte Rosa, per quanto si abbia un dislivello di
4500 m., non si passa in media che da mm. 754 di pressione
a mm. 440, con una variazione di soli 314 mm. su 754, cioè
del 40 °/, appena, e se essa è notevole per gli effetti fisiologici,
da costringere a sopportare grandi disagi, non può produrre
effetti cospicui nelle differenze fra gli assorbimenti di spettri
che non sono poi molto diversi tra di loro.
Ma se invece si ripetono le stesse misure in varie ore del
giorno, si ottengono, per gli spessori attraversati, delle varia-
zioni che possono essere molto superiori a quelle che si otten-
gono coi dislivelli, specialmente facendole nelle prime ore del
giorno, a mezzodì, e vicino al tramonto; e quindi si devono
ottenere degli effetti molto più cospicui di quello palesato nelle
citate Ricerche.
La disposizione sperimentale era la stessa che si trova
descritta nella detta Memoria, con piccole modificazioni dovute
alla varietà degli strumenti.
Un eliostata di Fuess porta uno specchio piano di em. 20
per 16; esso è posto su una mensola sporgente dalla finestra,
e manda un fascio orizzontale di raggi solari su uno specchio
concavo di un metro di distanza focale, nel quale l'apertura è
ridotta a 5 cm. mediante un diaframma; questo specchio lo
rinvia su un altro, pure concavo, di cm. 15 di distanza focale,
che dà un’imagine reale del Sole su apposito schermo nero.
Tutti gli specchi sono di vetro inargentato anteriormente,
e l’ultimo è fornito di viti micrometriche che permettono di
regolare con molta cura la posizione dell’imagine del Sole sullo
schermo.
Questo è in ottone, a doppia parete; nel suo centro si apre
una finestra di circa cm. 2 per 0,25, e immediatamente dietro
ad essa sta la finestrina del mio “ Pireliometro integrale , (1).
Sullo schermo sono tracciate, con una punta di compasso,
in modo da scoprire e incidere leggermente l’ottone, 11 circon-
ferenze del diametro di cm. 10, i cui centri sono sopra l’oriz-
(1) “ Rend. R. Acc. Lincei ,, 1918.
276 ALESSANDRO AMERIO
zontale che passa pel centro della finestra. Uno ha il centro
nel centro di questa; due a cm. 1,29 rispettivamente a destra
e a sinistra; due a cm. 2,5, due a 3,54, due a 4,33 e due a 4,83.
Quando l’imagine del Sole copre il cerchio centrale, nella
finestra del pireliometro entra la radiazione che proviene dalla
regione centrale del disco solare; se essa copre il primo cerchio
a destra, o a sinistra, entra nel pireliometro la radiazione emessa
da una regione che disti di 15° gradi dal centro a sinistra, o
a destra. Gli altri cerchi servono per mandare nel] pireliometro
le radiazioni che provengono da punti situati a 30°, 45°, 60°, 759,
a destra o a sinistra (1).
Un buon galvanometro Siemens, a quadro mobile, di tini
leggero, molto adatto a queste esperienze, permette le misure
delle correnti prodotte dalla pila termoelettrica del pireliometro.
‘ Le misure vennero fatte in due modi: o si prendeva la po-
sizione di riposo del galvanometro prima e dopo la lettura della
deviazione prodotta dalla radiazione di una data regione del disco
solare, e poi si passava a un’altra regione, oppure dopo presa
la posizione di riposo del galvanometro, si faceva coincidere
l'’imagine del Sole col cerchio centrale e si leggeva la devia-
zione corrispondente, indi si portava l’imagine a coincidere
successivamente coi vari cerchi prima a destra poi a sinistra
per terminare colla posizione centrale, leggendo ogni volta la
deviazione del galvanometro, e leggendo da ultimo la posizione
di riposo di questo.
In questo secondo modo si guadagna tempo, e non si perde
sensibilmente in esattezza, perchè gli spostamenti dello zero
sono molto piccoli.
Dato poi lo scopo speciale di queste misure, nelle ultime
serie, limitai l'esame al centro e ai punti situati a 60° e a 759,
a destra e a sinistra, per i quali le variazioni dell’assorbimento
sono più grandi.
Ecco un esempio per ognuno dei modi:
(1) Cfr. a questo riguardo la citata memoria.
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8'GG | 60007 081 8'SZ | 800% oSL
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PIERRE STARTER
MIN =
VARIAZIONE DIURNA DELLA DISTRIBUZIONE, ECC. 281
Le misure venivano cominciate verso le 5" e se ne facevano
varie serie di seguito, quindi venivano proseguite negl’intervalli
concessi dalle altre ricerche intraprese.
Dall’insieme di 34 serie che furono fatte tra i giorni
81 luglio e 4 agosto, durante i quali il tempo si mantenne
sereno, ho dedotta la seguente tabella, nella quale sono segnati
i valori dell'energia totale irradiata da punti che distino di 60°
o di 75° dal centro, riferita alla radiazione di questo presa
come unità:
Ora 0° 60° TUTO
5h 7m | 1,000 | 0,868 | 0,758.
. 520 ; 0,819 | 0,700,
5 37 È 0,810 | 0,692
5 52 5 0,805 | 0,676
6 43 a 0,793 | 0,665
722 3 0,786 | 0,646
Bri 3 0,785 | 0,656
12 16 i 0,788 | 0,688
RARE 0,787 | 0,651
1681./ a 0,789 | 0,659
Se portiamo come ascisse dei segmenti proporzionali ai
tempi, e come ordinate i numeri della quarta e della quinta
colonna rispettivamente, otteniamo i diagrammi I e II della
prima tavola. Essi rappresentano come variino, durante il giorno,
i rapporti tra le energie irradiate dai punti considerati e quelle
irradiate dal centro.
Se invece le ascisse sono proporzionali alle distanze dei
punti esaminati dal centro del disco solare, le ordinate sono i
‘ valori della 4, della 5* colonna, e gli analoghi ottenuti per gli
altri punti del disco solare, si ottengono dalle curve che rap-
presentano la distribuzione dell’energia sul disco medesimo alle
varie ore del giorno. Le curve I e II della seconda tavola sono
state tracciate per le 5"7" e per mezzogiorno. Esse non sono
nulla di assoluto, perchè dipendono dalla località e dalla sta-
gione, ma danno più chiaramente, che non le due precedenti,
un'idea dell’entità della variazione diurna cercata, che per la
posizione di 75° giunge al 18 °/o.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 20
282 ALESSANDRO AMERIO — VARIAZIONE DIURNA, ECC.
Come si vede, il risultato conferma pienamente la previ-
sione e quindi anche quello trovato con la ricerca precedente.
La variazione diurna si manifesta fortemente colle grandi
inclinazioni, ed è trascurabile nelle ore meridiane, e perciò non
poteva risultare dalle misure fatte al M. Rosa.
In queste esperienze fui aiutato dal Dott. Vincenzo Ricca,
allora laureando, che divise con me i disagi del soggiorno, e
lo ringrazio di cuore.
Mi è pure gradito compiere il dovere di ringraziare viva-
mente Mons. Mittiga e il Rev. Don Nasso, del Convento di
Polsi, che col loro appoggio resero possibile la costruzione
della baracca e il soggiorno lassù, provvedendo a tutto il ne-
cessario servizio.
Esprimo infine la mia gratitudine al Ministero della Pub-
blica Istruzione, pel fondo straordinario col quale rese possibile
questa ricerca e l’inizio di altre sull’Aspromonte.
Messina, febbraio 1923.
L’ Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
283
CLASSE
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 4 Marzo 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci De SanoTIS, EinAuDI, BAUDI DI VESME,
PaTETTA, Cran, VALMAGGI, Luzio, JANNACCONE, VipARI Segre-
tario della Classe. i
Scusano l’assenza i Soci Prato, PaccHIONI, Mosca.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
18 febbraio u. s.
Il Presidente dà notizia di una lettera di ringraziamento
inviata dal Socio STAMPINI.
Il Socio Luzio presenta per l’inserzione negli Atti una sua
Nota, Una fonte mantovana del Guicciardini, e ne illustra bre-
vemente il contenuto.
Il Presidente si compiace del lavoro. La Nota sarà pub-
blicata negli Atte.
PINE A o I OI SAT E RR TI O TIA
284 ALESSANDRO LUZIO
LETTURE
Una fonte mantovana del Guicciardini
Nota del Socio nazionale residente ALESSANDRO LUZIO
Nell’Appendice finale del suo Machiavelli (III’, 481 sgg.) il
Villari ribattè con efficacia le gratuite prevenzioni del Ranke (1)
sulla scarsa veracità storica del Guicciardini, additando per primo
le luminose prove in contrario, conservate tuttora nell'Archivio
familiare del grande scrittore fiorentino.
“ Una serie di 12 quaderni di gran formato ... alcuni di poche
carte, ma altri (e sono i più) di 30, di 40 e di 50, contiene gli estratti
ch’ei fece, ora scrivendo da sè ed ora facendo scrivere, dai principali
carteggi degli oratori fiorentini dal 1492 al 1539, così da lettere sciolte
originali come dai minutari o registri , (2).
Di quegli estratti esistono addirittura tre redazioni succes-
sive: la prima tumultuaria, prolissa, sconnessa; la seconda, dis-
posta cronologicamente, in forma più stringata; l’ultima, rifusa,
coordinata, elaborata stilisticamente. Come nella prima, tenne
il Guicciardini nelle due altre sempre sott'occhio gli originali,
per ritoccare, espungere, aggiungere qualche particolare; cosicchè
lo si può annoverar tra’ primissimi, che inaugurassero “ quel
sistema di critica storica seguìto poi dal Varchi e dai due Am-
mirato — di porre a base della narrazione documenti auten-
ber ec
(1) Nello scritto giovanile Zur Kritik neuerer Geschichtschreiber, confu-
tato anche dal FuetER, Histoire de l’historiographie, Parigi, 1914, p. 85 sgg.
(2) Cfr. la Storia d’Italia di F. G., sugli originali mss., a cura di A. Ghe-
rardi, Firenze, Sansoni, 1919, vol. I, p. xLvI sg.
MAL Old
sia. | Re nei Ae
EZRA Val at di
catateli
Poi dt |
UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 285
Di così folta congerie di “ spogli, la monumentale edizione
Gherardi della Storia d’Italia ci offre una rassegna diffusa, se.
non ancora completa, quanto sarebbe augurabile. Fra le narra-
zioni sincrone, ad es., messe a profitto dal Guicciardini, è indi-
cata di sfuggita, nel magistrale proemio del Rostagno, una
fonte mantovana, che credo utile collocare più nettamente in
rilievo, perchè ha un qualche speciale valore per gli avveni-
\ menti del 1495: lega italiana contro Carlo VIII, battaglia del
Taro.:
— Le citazioni testuali del Rostagno sono queste:
a) p. Lxxvin: “ la notte de’ 26 di agosto, andando grossa scorta
per menare vectovaglia in Noara, dice el Mantuano che 200 h. d’arme
e 4 mila svizeri, ecc. — “in Noara era anche el M*° di Saluzo. Quelli
di Noara uscivano , ecc. E così per un’altra pagina e mezza, conchiu-
dendo: “ Queste cose scrive el Mantuano ,,.
b) ibid. “ El Re soggiornato pochi giorni in Asti andò a Turino.
Carlo qualche volta andava a solazo da Turino a Chieri, dove, secondo
el Mantuano, era innamorato d’una gentildonna , (1).
c) p. Lxxx: “ scrive el Mantuano ,, senza precisa designazione di
oggetto.
Chi era costui, e quale la sua narrazione, consultata dal
Guicciardini?
Indubbiamente nient’altri che Jacobo Probo d’Atri, Conte
di Pianella, autore delle Chroniche del Marchese di Mantoa,
edite, di su l’autografo trivulziano, dal Visconti nell’ Archivio
storico lombardo del 1879 (p. 38 sgg., 333 sgg.).
L’identificazione balza agli occhi evidente, riproducendo i
passi delle Chroniche, corrispondenti alle due citazioni precise
del Rostagno:
a) pp. 67, 334: “ Havuto per spia che la nocte a li XXVI de
augusto li franzesi havevano determinato andarli cum 200 homini
d’arme et IIII mila alamani et metterli victuarie... El Marchese de Sa-
lutio ... se retrovava dentro da Novara , (Vedremo più oltre gli accenni
alle sortite degli assediati e alle misure prese per impedirle).
(1) Nella Storia d’Italia, p. 150, si legge: “ il Re di Francia, per essere
più propinquo a Novara, s'era trasferito a Turino e ancora che spesso an-
dasse insino a Chieri, preso dall'amore d'una gentildonna che vi abitava... ,»
286 ALESSANDRO LUZIO
b) p. 65: “ Retrovandose Karlo quando a Turino et quando a Cheri
innamorato de una bellissima donna da Solero, Anna nominata ,.
Il D’Atri non poteva dirsi in realtà “ mantuano , se non
d'adozione. Al pari dell’Equicola (storico pur egli di Mantova,
ma di maggiori pretese), era il D’Atri un meridionale, che
aveva lasciato per la patria di Vergilio la sua, attratto dallo
splendore e dalla liberalità della corte gonzaghesca. Le amabili
doti di gentiluomo, il versatile ingegno ne’ negozi politici, il
gusto per le arti e le lettere, l’intimità col Pontano e col San-
nazaro, gli avevan conciliato il costante favore d’Isabella d’Este
e di suo marito Francesco (1). Questi lo volle dapprima suo
segretario particolare; gli affidò quindi gelose missioni all’estero,
segnatamente alla corte francese; lo prepose, con trattamento
(diremmo oggi) di pensione, al Vicariato d’un importante paese
di confine — Canneto sull’Oglio (2).
Quasi tutte le rubriche della corrispondenza interna ed
estera dell'Archivio Gonzaga racchiudono lettere e dispacci del
D’Atri: pregevoli per abbondanza e curiosità di ragguagli,
acume d'osservazione, vivezza di colorito. Scritti da capo a
fondo di suo pugno sono parecchi Copialettere riservati: anzi
la serie fu iniziata da lui, che tutto compreso della grandiosità
degli eventi, a cui aveva partecipato come fido Acate (“ fidel
testimonio ,) del suo Signore, premise questa solenne epigrafe
latina ai registri del 1495 (3):
“ Archana divi Francisci Mantuani Principis et veneti exercitus
Imperatoris. Quisquis es non tangas, non legas, non laceres, hujusmodi
etenim Principum misteria ob tantam et tanti ponderis molem ad
omnes non pertinent. Et hoc a te Jacobus Hadriacus vir a secretis
fidissimus jussu Domini sui efflagitat ecc. ecc. ,. — “ Quante majestatis
et reverentie iste Codex, in quo secretiora cordis intima invictissimi
Francisci Gonziaci ... rescribuntur condunturque nemo est qui nesciet ,.
S'inginocchi il viandante come dinanzi all’oracolo di Delfo!...
(1) Cfr. nel Giorn. stor. d. Lett. it., XL, 289 sgg., le ampie notizie sul
d'Atri, raccolte dal Renier e da me, dissertando della “ Coltura e relazioni
letterarie d'Isabella d'Este: gruppo meridionale ,.
(2) Cfr. il mio recente volume sull’Archivio Gonzaga, Verona, Monda-
dori, 1922, p. 69.
(3) L'Archiviò Gonzaga cit., Corrispondenza interna, p. 74.
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ENT TT ESRI, FOOT
ME
UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 287
Le Chroniche appartengono allo stesso periodo più cospicuo
del suo segretariato: furono certamente composte quando Fran-
cesco Gonzaga veniva celebrato dalla retorica umanistica come
“ vincitor di Fornovo ,; il Mantegna lo effigiava inginocchiato
a’ piedi della Madonna del Louvre, predata nel 1797 da’ pretesi
sconfitti (1); i medaglisti gli dedicavano plaquettes con scritte
osannanti al liberatore d’Italia, al debellatore dell’insolenza
« barbarica , (2); quando insomma il Marchese di Mantova
aveva ancora dinanzi a sè un superbo avvenire, che la prigionia
veneziana del 1509 e il sozzo morbo dell’epoca (3) miseramente
troncarono, sbugiardando le predizioni del D’Atri nel magnifi-
carlo “ per virtù et per fatale dispositione solo a triumphi et
acquistare amplissimi regni destinato ,.
L’intento manifesto laudativo, cortigianesco del D’Atri si
sfoga però, lode al vero, soltanto nell’enfatica dedica-proemio:
la sua Cronistoria è in complesso encomiabile per precisione di
date, esattezza di particolari. Frammette qua e là documenti
segreti della Cancelleria gonzaghesca: e in qualche fatto culmi-
nante, senza accorgersene, sfronda un po’ con ingenue ammis-
sioni gli allori del suo eroe ... presentandolo persino in attitudini
realistiche ultra-zoliane (4).
Testimonianza dunque la sua, diretta, autorevole, sincera:
quantunque inedita, ben nota agli eruditi cinquecenteschi, che la.
tenevano nel debito conto, dacchè il Giovio ne sollecitava insisten-
temente per mezzo dell’Equicola la copia con due lettere del 1522.
“ Planellaeque Commentaria meo nomine exigito, ut ille suis lit-
| teris officiose facturum pollicitus est,. — “ Planellae comiti meo no-
mine dicas me adhuc Commentarios ejus opperiri , (5).
% (1) Cfr. il mio studio sulla Madonna della Vittoria del Mantegna, nel-
l'’Emporium del novembre 1899.
(2) Cfr. Luzio-Renier, F. G. alla battaglia di Fornovo, nell’Arch. st. it.
del 1890.
(3) Cfr. Luzio-ReNIER, Contributo alla storia del mal francese, nel Giorn.
st. di Lett. it. del 1885.
(4) P. 67: “ Gli sopragiunse una discorrentia di corpo di mala natura
per forma che la signoria de Venetia scripse che se - dovesse levare de
campo et andare in qual loco più gli piacesse ad guarire ,. Che fosse tra-
volto nella fuga de’ suoi a Fornovo è ammesso candidamente ‘dal D'Atri.
(5) Cfr. le mie Lett. ined. di P. Giovio, Mantova, 1885, p. 17 sg.
288 Ta - ALESSANDRO LUZIO
Non poteva, ciò posto, trascurarla il Guicciardini, scrupoloso
nell’appurare i fatti (1) alle fonti più genuine, per maggior si-
curezza de’ personali ricordi, accumulati nella sua lunga espe-
rienza diplomatica. I suoi contatti frequenti con la corte di
Mantova (2), nel tempo in cui il Marchese Federico resse il
bastone di.Capitano generale della Chiesa e della Repubblica
fiorentina (3), gli porsero facile occasione di procacciarsi un
esemplare delle Chroniche, per spogliarle a suo agio e in qualche
punto del II libro della sua Storia valersene, come emerge irre-.
fragabile (a me sembra) da’ riscontri che seguono.
. Cominciamo dalla battaglia di Fornovo così narrata dal
D’Atri (p. 50 sg.):
(1) Cfr. nel proemio del Rostagno le pp. cxLv-cL.
(2) Si vegga nella Storia d’Italia, II, 307, quanto il Guicciardini seri-
veva d’aver saputo — circa la liberazione di F. Gonzaga dalla prigionia
veneziana — “ da autore degno di fede e per mano del quale passava
allora tutto il governo dello stato di Mantua ,, cioè presumibilmente To-
lomeo Spagnoli (cfr. le mie riserve, in Federico G. ostaggio alla corte di
Giulio II, nell’Arch. della R. Società romana di storia patria, XI, 512).
(3) Nel mio F. Maramaldo, Ancona, 1883, p. 47, è rimasta sepolta una
bellissima lettera, scritta dal Guicciardini al march. Federico, da Parma,
settembre 1522, quando costui pretendeva il rilascio di soldati indiscipli-
nati e predoni. Il Guicciardini rispondeva fieramente al Gonzaga doversi
far più conto de’ poveri popoli straziati, e non esser egli disposto a subire
ingiuste pressioni, poichè l’onore (testuali parole, nobilissime) “è la più
cara cosa che io habbia, e per il quale non ho mai perdonato quando è
occorso di méttere in pericolo la roba e la vita ;.
Forza morale di sacrificare all’evenienza il suo “ particulare ,, non
sarebbe dunque mancata al Guicciardini: ma finì per esser sopraffatto
anch'egli dall'ambiente corrotto dell’epoca e dall’inseguirsi catastrofico
degli avvenimenti. Gli accadde in fin de’ conti quello che s’avvera spesso
in epoche di-grandi commovimenti politico-sociali: che i buoni, disorga-
nizzati, intimiditi, abbandonati ciascuno a se stesso e alle proprie sterili
querimonie, sì adagiano nell’impotenza, vi teorizzano sù, incapaci di reagire
con eroismi collettivi, e temendo quasi il ridicolo di inutili ribellioni indi-
viduali. Dal celebre, genialissimo saggio del De Sanctis alle acute, sensate
considerazioni, con cui il Faggi ha accompagnato la ristampa de’ Ricordi
politici: e civili (per la collezione dell’Utet), molto si è scritto sulla figura
morale cel Guicciardini: ma forse si è calcata un po' troppo la mano nel
foggiarne un prototipo di freddo e semi-cinico Real politiker, e per una
volta tanto imbroccò meglio nel segno il Thiers, col suo giudizio benevolo
che più oltre riporto.
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Al ee ati
An a
UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 289
“ Como la fortuna volse..., li Stratiotti greci cupidi de guadagno
se levorno da lo ordine loro et voltose a li cariagii de francesi, quali
richi et de gran numero erano, attendendo solo a robare non se cu»
rorno fare quello gli era stato imposto et per magiore errore li capi»
tanei et conductieri italiani 0 per paura o per altra causa non se spin-
sero secondo era ordinato et el bisogno rechiedeva, solamente a robare
et le fantasie a fugire: successe che li francesi se restrinsero insieme
como desperati, conoscendose morti dettero tutti adosso a quelli de
Francesco che havevano passato el fiume dil Taro et li amazorno quasi
tutti, non possendo retornare indreto essendo cresciuto el fiume per la
piogia che in quello instante era supervenuta, per forma che Francesco
apena possete reuscire salvo, essendoli morto apresso Rodolpho, Ranutio,
Joan Maria da Gonzaga et tutti quelli erano cum lui, da dui o tre in
fora. Et per questo molti et infiniti soldati impauriti, anchora che non
fossero cazati da persona se ne fugivano et non sapevano dove andare,
et Francescho benchè fosse stracho et ultra modo adolorato per il di-
sordine seguito et per la morte de tanti valenthomini dil sangue proprio,
alevi et servitori soi nobilissimi, non manchando mai dil suo animo ge-
neroso subito provide che fece fermare ogniuno et poi li fecie venire
ordinatamente al suo loco... ,.
Il Guicciardini accetta in tutto e per tutto la versione
delle Chroniche, esordendo con una amplificazione dell’accenno
all’influsso della fortuna, potentissimo in tutto, ma in ispecie
nelle cose militari. Si rilegga la p. 135 dell’ed. Gherardi, e vi
sì ritroveranno gli stessi particolari, esposti dal D’Atri, con
uguali elogi al valore personale di Francesco Gonzaga, costretto
dalla quasi totale disfatta della sua “ compagnia , a ripassare
fuggente il fiume rigonfio per la pioggia della notte.
Accoglie parimenti il Guicciardini :(p. 149) le riflessioni
del D’Atri sulla grande saggezza del Senato Veneziano (p. 59)
nei “ fare conveniente dimostratione verso tutti quelli che se
. erano ben portati nel facto d’arme... ,. Francesco Gonzaga venne
elevato a Capitano generale (1); furono assegnate pensioni “a
(1) Una pagina degli “ Spogli , riferita dal Rostagno senza indicazione
di fonte (p. Lxxvm) reca tra altre notizie: “a 15 de agosto fu dato a
Mantua in campo el bastone, con gran solennità, quale prese (?) el padi-
glione della guardia col paramento della camera di Carlo guadagnato a
Fornovo ,. Anche questo è un tratto desunto dalle Chroniche, dove leggiamo
a p. 64 sg. che il bastone fu dato al Gonzaga nel “ paviglione grande de la
29() ALESSANDRO LUZIO
la donna et figlioli de Rodolpho da Gonzaga ,; destinata una
dote alle orfane. i
“ Secondo il grado de tutti li altri manchati nel conflicto, così gli
fo ordinata degna provisione per dare animo ad ogniuno che gli haves-
sero ad servire bene et fidelmente ,,.
Il Guicciardini discute (p. 129) la dubbia attitudine di Lo-
dovico il Moro, che secondato anche da’ Veneziani, avrebbe pre-
ferito evitare il grave rischio d’una battaglia; gli uni e l’altro,
concorrendo
“ nella medesima sentenza che all’inimico quando voleva andarsene
non si doveva chiudere la strada, ma più presto, secondo il vulgato
proverbio, fabbricargli il ponte d’argento: altrimenti essere pericolo che
la timidità convertita in disperazione si aprisse il cammino con molto
sangue ,.
Identiche frasi aveva usato il D’Atri (p. 52), ma riferibili,
più ragionevolmente, all’inseguimento de’ francesi dopo lo scontro.
di Fornovo. Gli oratori del Duca di Milano lo sconsigliarono,
“ dicendo che assai_gli bastava che li nimici se ne andassero, anzi
gli pareva che se gli dovesse fare un ponte de arzento, aciò che cum
prestezza sgombrassero el suo terreno et non dargli materia de fermar-
segli et farli fare pensiero de magior male ,.
La visita di Lodovico il Moro e Beatrice d'Este agli ac-
campamenti dell’esercito della Lega e le conseguenti risoluzioni
per l'assedio di Novara son così descritte dal D’Atri (p. 60):
“ essendo venuto in campo la persona de Ludovico et Beatrice sua
mogliere, di novo fo consultato questo caso come cosa importantissima,
in la quale consisteva la salute et la ruina de la impresa. Infine fo con-
cluso non partirse de là: anci unirse cum le zente ducale che erano a
le Megnone et fortificarse bene intorno et tenire bene forniti li lochi lì
vicini a la terra et non meno Cammeriana, dove fo mandato el Crasso
cum fanti a ciò che quando li franzesi se facessero inanti fosse in suo
arbitrio de poterli andare contra et simelmente brusare Bolgari col borgo
avante che l’inimici gli havessero andare ad allogiare, però che cum
grandissima difficultà se potria tenere ,.
guardia, quale tutto era ornato de drappi de velluto cum lettere et ziglii
d'oro de la camera del Re Karlo, guadagnati al facto d'arme. Fo celebrata
una messa solemne cum cantori et musici electi , ecc.
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RE TAGLI |.
UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 291
Il Guicciardini parafrasa (1) l’intero passo: e s’attiene al
D’Atri anche per molti ragguagli sull’ossidione Novarese.
“ Havendo visto el Marchese un monasterio de l’ordine de S. Fran-
cesco vicino a le mura de la cità essere loco forte et molto al proposito
per stringere la terra, a li V de septembrio lo prese et mesegli dentro
el conte Karlo de Pian de Meleto cum 200 homeni d’arme et III milla
fanti alemani, facendolo incontinente fortificare, che non possesse rece-
vere d’alcun lato offensione ... et fo causa sgravare molte factione de
mandare zente in diversi lochi per prohibire l’intrare de le victuarie in
la cità et venne ad essere serrata la via da quella porta verso il monte
di Biandrina, dove più facilmente se posseva intrare... El giorno se-
guente essendo andato Francesco al monasterio ... pigliando animo li
fanti saltorno suso li repari del borgo de San Nazario et presero el
bastione et brusolo; et la nocte ... presero il borgo et l’altro bastione
che era in su la porta... et la fornite de gente che venne a reserare
la cità, che non posseva uscire nè intrare alcuno. Et il giorno poi es-
sendoli andato il Conte de Pitigliano ... gli fo tracto da uno schiop-
petto ... non senza periculo de morte ,.
Questa pagina del D’Atri (334 sgg.) è pressochè ad litteram
incorporata nel testo guicciardiano (p. 154).
Dalle Chroniche scaturiscono altresì particolari su quell’in-
contro fortuito e fortunato del Commines con un messo manto-
vano, che diè luogo ad avances per trattative di pace (2); poi,
tutto ciò che concerne la garanzia personale prestata dal Mar-
chese di Mantova, costituendosi ostaggio per l’esecuzione leale
de’ patti (3).
Non voglio attardarmi in altre spigolature (4), parendomi
questi i principali riscontri sicuri tra le Chroniche del Marchese
di Mantoa e il secondo libro della Storia d’Italia. La fuggevole
parte preminente di F. Gonzaga in un momento decisivo delle
sorti della penisola spiega perfettamente come l’esattezza e ve-
(1) Cfr. p. 151, e la cit. p. Lxxvi del proemio del Rostagno.
(2) Chroniche, pp. 57, 333, 339; Storia d’Italia, p. 155.
(3) Chroniche, p. 345; Storia d’Italia, p. 156.
(4) P. e. il D'Atri nomina un “ Zorzo da Petrapiana homo molto va-
loroso et de grandissimo credito fra li alamani , come ottimo duce di fan-
terie (p. 62); e il Guicciardini (p. 149) rileva tra’ capitani “ di maggiore
nome Giorgio di Pietrapanta ,.
232 ALESSANDRO LUZIO
ridicità del D’Atri gli meritassero l’onore d’esser considerato
una “autorità , fededegna. Le sue informazioni di prima mano.
andarono, tenui rivoli, a confondersi nell’onda maestosa del
gran fiume regale della narrazione guicciardiniana. L'uso fatto
di questa fonte mantovana risponde invero al metodo generale
osservato nell’opera: che s’erge superba costruzione su mate-
riale sapientemente scelto e padroneggiato da una mente supe-
riore. Checchè tolga da altri, suo è il suggello nell’analisi de’
particolari, nella valutazione de’ fatti e de’ personaggi, nella
visione sintetica.
Quali elementi a volta a volta influissero nel determinare.
il giudizio del Guicciardini, potrà solo scaturire da uno studio
delle fonti, condotto con vastità di erudizione, ma sopratutto
con fine discernimento e misura. L’aveva promesso il Gherardi
e sventuratamente non giunse (forse per essersi indugiato in
troppe minuzie, a cominciare dagli asterischi profusi nella sua
trascrizione) neanche ad iniziare questa parte più bella, più at-
traente del còmpito suo. Mi unisco al valentissimo Carli (1)
nell’invocare che altri degnamente la imprenda ed assolva.
Il testo genuino datoci finalmente dal Gherardi, dopo tante
manomissioni arbitrarie o ciarlatanesche, sfata in molta parte
la fama tradizionale della “ illeggibilità , del Guicciardini: giu-
stifica invece in tutto e per tutto l’entusiastica frase del Thiers,
che riponeva la Storia tra’ bei monumenti dello spirito umano (2).
(1) Nella eccellente recensione, pubblicata dal Giorn. st. d. Lett. it.,
LXXVI, 311 sg.
(2) Nel Proemio all’ Histoire du Consulat et de VEmpire (con la data
del 1855): il passo in lode del Guicciardini venne tradotto dal Canestrini,
preludendo alle Opere inedite di F. G., Firenze, 1857, vol. I, p. xxxv sg.
Nella Storia d’Italia celebrava îl Thiers “ une ampleur de narration, une
vigueur de pinceau, une profondeur de jugement, qui rangent son histoire
parmi les beaux monuments de l’esprit humain. Sa phrase est longue, em-
barrassée, quelquefois un peu lourde, et pourtant elle marche comme un
homme vif marche vite, mèéme avec de mauvaises jambes. Il connaissait
profondément la nature humaine et il trace de tous les personnages de
son siècle des portraits éternels, parce qu’ils sont vrais, simples et vi-
goureux ,, A onore del Thiers va detto ch’egli aveva promosso con. libe-
ralità di mezzi gli studi del Canestrini, vagheggiando per suo conto una
Storia di Firenze, quando non s’era ancora deciso pel “ Consolato e l’Im-
MO I EEE
> arie dii
ATI ET TR ©,
UNA FONTE MANTOVANA DEL GUICCIARDINI 293
Molte delle sue concioni che agli sfaccendati posson parere
vacue esercitazioni retoriche rispecchiano magistralmente le
correnti d'opinione dell’epoca: e solo per restare nel secondo
libro, che il buon D'Atri mi fornì occasione di rileggere con
squisito godimento, la orazione di Guidantonio Vespucci giu-
reconsulto famoso: contro la democrazia e le sue degenerazioni
(p. 103 sgg.) ha pensieri ed accenti di modernità, anzi di at-
tualità, meravigliosi. Certe invettive del 1495 alla vile molti-
tudine, a’ pessimi sistemi elettorali in cui i voti “ s'annoverano
e non sì pesano ,, a’ demagoghi levati tanto più sugli scudi
quanto “ manco sapranno o manco meriteranno ,, parrebbero
sfoghi di odierni giornali ultra-conservatori, se la elegante vi-
goria dell’attacco e la nobiltà della forma non ci ricordassero
sempre che per bocca d’un grande storico parla un fiorentino
del più puro Rinascimento.
pero ,, (cfr. D. Hanévy, Le Courrier de M. Thiers, Parigi, 1921, p. 163, e
la mia recensione nel volume Garibaldi, Cavour, Verdi, ecc., Torino, Bocca,
1923). Conosceva dunque di prima mano anche gli scritti inediti del Guic-
ciardini, nel quale esaltava non solo la più sorprendente chiaroveggenza
politica, ma anche un gran fondo d’onestà. Nella sua Storia d’Italia domina
(osserva il Thiers) “le ton chagrin et morose d’un homme fatigué des
innombrables misères auxquelles il a assisté, trop morose, selon moi, car
l’histoire doit rester calme et sereine, mais point choquant, parce qu'on
y sent, comme dans la sévérité sombre de Tacite, la tristesse de l’honnéte
homme ,.
L’ Accademico Segretario
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295
CLASSE
DI
‘ SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’11 Marzo 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci D’Ovipro, SEGRE, PrANO, Foà, Guipi,
Parona, SomigLiaNA, PaNETTI, SAcco, HERLITZKA, PocHETTINO e
il Segretario MarTTIROLO,
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, il quale risulta approvato, dopo osservazioni del Socio
SEGRE, relative alla facoltà dei Soci corrispondenti a presentare
direttamente Note per gli Atti.
Il Presidente comunica all'Accademia che il Socio nazionale
non residente, Levi Crvira, ha fatto omaggio alla nostra Bi-
blioteca del 1° volume delle Lezioni di meccanica razionale da
lui pubblicato in unione al sig. Ugo AmaLDI. A proposito di
tale dono parla il Socio SomreLiana, facendo notare i meriti
di un lavoro che costituisce, specialmente per l’indirizzo scien-
tifico col quale è redatto, il più notevole manuale di meccanica
razionale apparso in questi ultimi tempi.
Il Socio Levi-Crvira sarà convenientemente ringraziato.
Il Socio PocHETTINO presenta per gli Atti una Nota del
Prof. Felice GarELLI dal titolo: Formazione di solfuri, seleniuri,
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. Dal
296
tellururi di alcuni metalli. Composti del rame, Nota 1, la quale
viene accolta per la pubblicazione.
Il Socio Guipi presenta quindi una Nota dell'Ing. Ottorino
Sesini, Sul calcolo approssimato dell'influenza dello versa di taglio
| sulla deformazione dei prismi inflessi.
La Nota dell'Ing. Sesini viene accolta per gli Atti.
Dopo alcune osservazioni del Socio Gurpi sui caratteri
tipografici greci usati nella stampa di argomenti matematici,
l'adunanza è dichiarata sciolta.
FELICE GARELLI — FORMAZIONE DI SOLFURI, ECC. 297
LETTURE
Formazione di solfuri, seleniuri, tellururi di alcuni metalli.
I. — Composti del rame.
Nota preliminare di FELICE GARELLI
Presentata dal Socio nazionale residente A. Pochettino
Da molto tempo era noto che si possono ottenere piccole
quantità di solfuri metallici facendo agire direttamente lo zolfo
su talune soluzioni saline. L'osservazione più antica in proposito
è quella fatta da W. Wicke (L. Ann., 1852, vol. 82, pag. 145).
Questi, mettendo in una soluzione satura di CuS0O,, a tem-
peratura ordinaria, un pezzo di zolfo avviluppato da un filo di
rame ben terso, vide, dopo qualche tempo, lo zolfo ricoperto,
nei punti di contatto col rame, di un rivestimento cristallino
costituito da un solfuro di rame di color indaco. Pochi anni
dopo, nel 1860, il Parkmann (J. B., 1861, pag. 126) otteneva
rapidamente a caldo la formazione di solfuri di rame per azione
dello zolfo sulla soluzione di sali rameici, in presenza di un ri-
ducente (SO? o SO4Fe). Risulta quindi una differenza caratte-
ristica di comportamento fra i sali rameosi ed i rameici. Ciò
venne confermato da successive esperienze di Vortmann e Padberg
‘ (Ber. 22 (1889), pag. 2642) ed altri.
Sembra ‘invece che soluzioni acquose di altri sali metallici
(Mn, Fe, Ni, Co, Zn, Cd) non siano alterate per ebollizione con
zolfo (Senderens e Filhol, “ Bull. Soc. Chim. de Paris , [2] 6,
1891). Però il comportamento di queste stesse soluzioni con lo
zolfo, in presenza dei rispettivi metalli, non fu ancora speri-
mentato.
Dopo i vecchi lavori testè citati, null'altro si trova nella
letteratura scientifica intorno a questo argomento che meriti
298 FELICE GARELLI
di venir ulteriormente studiato. Anche per quanto riguarda la
reazione tra i sali rameici e lo zolfo in presenza di rame non
ho trovato descritta nessun’altra esperienza oltre a quella fatta
da più di settant'anni da Wicke, e tanto meno alcuno, che io
sappia, ha pensato di assoggettarla ad uno studio quantitativo.
Le ricerche che comunico in questa Nota preliminare furono
istituite appunto nell’intento di meglio studiare le reazioni fra
lo zolfo e soluzioni di sali metallici in presenza dei rispettivi
metalli e di estenderle altresì al selenio ed al tellurio. Per ora
comunico le esperienze fatte con le soluzioni rameiche.
Ho anzitutto ripetuto l’esperienza di Wicke e posso con-
fermarla pienamente. Mettendo un bastoncello di zolfo, avvolto
con filo o lastrina di rame ben tersi, in una soluzione piuttosto
concentrata di solfato o nitrato di rame e lasciando il tutto in
riposo a temperatura ordinaria si osserva, dopo poche ore, la
deposizione sullo zolfo di un rivestimento nero bluastro. Il se-
dimento che si forma e che, dopo alcune settimane, acquista un
certo spessore, aderisce assai energicamente al bastoncello di
zolfo, onde riesce difficile staccarlo.
Ho trovato poi che la trasformazione del rame in solfuro
viene accelerata se si impiega zolfo in polvere e tornitura di
rame, agitandoli fortemente entro soluzione concentrata di sol-
fato o di nitrato di rame. Così, mettendo in bottiglia chiusa
50 cm3 di soluzione di solfato di rame cristallizzato al 10 %/,
un grammo di tornitura di rame, un grammo di zolfo in pol-
vere e scuotendo energicamente in apparecchio d’agitazione, si
osserva, dopo circa 10 ore, che tutto il rame si è trasformato
in polvere amorfa, nero-azzurrognola, frammista a polvere di
zolfo. Estraendo, con solfuro di carbonio, lo zolfo in eccesso ri-
mangono esattamente un grammo e mezzo di un composto che
ha tutti i caratteri del CuS amorfo e che all’analisi effettiva-
mente risultò contenere un atomo di rame per uno di zolfo.
Ma, volendo preparare rapidamente notevoli quantità dei
solfuri di rame, è d’uopo operare a caldo. Io ho proceduto nel
modo seguente: In un dato volume di soluzione acquosa titolata
neutra di sclfato rameico ho introdotto rame metallico e zolfo
polverizzato (è bene impiegare zolfo romboedrico polverizzato,
tutto solubile in CS,, in luogo di fiori di zolfo, appunto per
IST, TER (0 SO CEI
AA ATE PRE Î.
î1 TO GA, Mia .
Mise
FORMAZIONE DI SOLFURI, SELENIURI, TELLURURI, ECC. 299
poter poscia facilmente asportare l’eccesso di zolfo) e feci bollire
in apparecchio a ricadere. Il metallo si discioglie rapidamente,
il liquido annerisce, si intorbida e si depone un precipitato nero.
Con 5 grammi di rame (ritagli di sottile lamina) e 2,62 di
zolfo cristallino polverizzato, in 100 cm di soluzione titolata
di solfato di rame (quella stessa del liquido di Fehling), si ottiene
la soluzione completa del rame in tre a quattro ore di vivace
ebollizione. Filtrando si separa un precipitato che, lavato ed
essiccato, risultò avere una composizione prossima a CuS.
calcolato
È per CuS
SINIS
1 gr. conteneva gr. 0,6364 di Cu e Cu 0,6646
i gr. 0,3590 di S S° 0,3354.
i La soluzione di solfato di rame in seno alla quale si fece
avvenire la reazione, non cambia invece la sua composizione. In-
fatti,
25 cmì di soluzione di CuS04 contenevano:
prima dell’esperienza gr. 0,2260 di Cu
dopo l’esperienza ‘©, 0,2238 «,
Le E PI OTT
Se vuolsi ottenere rapidamente il solfuro CuS è bene ope-
rare con un leggero eccesso di zolfo. Per es., avendo fatto bollire
per due ore, a ricadere, 5 grammi di tornitura di rame con
3 grammi di zolfo (il teorico per CuS è gr. 2,622) ottenni un
precipitato del peso di 8 grammi dal quale il solfuro di car-
bonio asportò esattamente gr. 0,48 di zolfo lasciando gr. 7,52
di residuo della seguente composizione:
ui E CR PE O IO E TT
trovato calcolato
è a e
Cu °/o 65,82 66,46
SR 33,10 33,54.
Anche in questa seconda prova l’analisi della soluzione di
solfato di rame, prima e dopo l’ebollizione, dimostra che essa
non subisce alcuna sensibile variazione. Impiegando la soluzione
di nitrato rameico invece di quella del solfato, la trasforma-
zione completa del rame metallico in solfuro avviene anche più
rapidamente.
300 FELICE GARELLI
Per preparare il solfuro rameico CuS basta adunque far
bollire una soluzione acquosa neutra di solfato o nitrato rameico
e introdurre in essa del rame metallico e zolfo nei rapporti dei
loro pesi atomici: meglio eccedere alquanto nella proporzione
di zolfo, che, ultimata la reazione, si può togliere agevolmente
a mezzo del CS,. Continuando ad aggiungere, ad intervalli, al
liquido bollente del rame man mano che esso si trasforma,
nonchè lo zolfo nel rapporto stechiometrico, si possono preparare
quantità notevoli di CuS. Per evitare i sussulti, dovuti al pe-
sante precipitato che si accumula al fondo, è preferibile fare
il riscaldamento in corrente di vapor acqueo. Ho così, in poco
tempo, ottenuto un centinaio di grammi di solfuro rameico, di
notevole purezza, in forma di finissima polvere nera con riflessi
color indaco.
Siccome il solfuro rameico serve come materia colorante,
ed impastato con olio di lino cotto fornisce vernici nero-grigio,
azzurrognole, di forte potere ricoprente, così il semplice metodo
di preparazione del CuS che io propongo, potrà torse ricevere
applicazione nella tecnica.
Preparazione del Cu,S. — Con lo stesso metodo si ot-
tiene il solfuro rameoso: basta introdurre nella soluzione del
sale rameico i due elementi nei rapporti stechiometrici. 5 gr. di
tornitura di rame con 1,36 di zolfo in 100 cm? di soluzione di
solfato di rame si sciolgono completamente dopo circa tre ore
di ebollizione continua in apparecchio a ricadere. Il precipitato,
dopo essiccamento, pesava gr. 6,3, e fornì all'analisi i seguenti
risultati :
trovato % calcolato per CusS
Cu 79,42 79,87
S 20,32 20,13.
Il solfuro rameoso ottenuto è amorfo, in polvere nera,
grigio-scura.
Aggiungo che la trasformazione per lo meno parziale del
rame in composti solforati si compie già, molto lentamente,
anche per ebollizione del metallo con. zolfo cristallino, in pre-
senza di acqua distillata e, meglio, di acqua acidulata con HsS0,.
FORMAZIONE DI SOLFURI, SELENIURI, TELLURURI, ECC. 301
Rame e selenio. — I seleniuri di alcuni elementi (Ni, Co,
Fe, Cd, Hg, As) vennero preparati dal Berzelius e dal Little
(L. Ann., vol. 112, pag. 213, anno 1859) scaldando il selenio
col metallo a temperatura più o meno elevata, o facendo pas-
sare il vapore di selenio sul metallo caldo (CuSe). Altri vennero
ottenuti per via umida: ad es., facendo gorgogliare corrente di
SeH, in soluzioni di SnCl, o di BiClz o di SO*Cu, si hanno ri-
spettivamente precipitati amorfi probabilmente della formola
SnSe,, BisSez, CuSe, ecc.
Parkmann (l. c.) trovò che il selenio rosso non reagisce
con soluzione di solfato nè di acetato rameico, mentre si ottiene
un precipitato nero se la soluzione di solfato è contemporanea-
mente trattata con SO,. Era quindi probabile che, rispetto alla
soluzione di sale rameico in presenza del metallo, il selenio si
comportasse in modo analogo allo zolfo, e tale previsione risultò
confermata dalle mie esperienze. Esse dimostrano che è assai
facile preparare specialmente il CusSe allo stato puro, amorfo
o cristallino e che è altresì possibile, variando le condizioni,
di ottenerè del Cuz3Se, e del CuSe.
I. — Mettendo in bevuta contenente soluzione di solfato
di rame cristallizzato al 10 °/, delle sottili laminette di rame
e su di esse adagiando della polvere di selenio, sia rosso, amorfo,
come nero metallico, nei rapporti stechiometrici di 2 atomi di Cu
per 1 di Se, lasciando il tutto a temperatura ordinaria per
alcuni giorni si vede la lamina di rame assottigliarsi, sgre-
tolarsi e sparire per ultimo, completamente, lasciando cri-
stallini assai minuti, nero-verdastri, con lucentezza metallica.
A temperatura ordinaria la reazione è ultimata dopo 7-8 giorni:
vien alquanto accelerata a 40°-50° C. Gli aggregati cristallini
separati meccanicamente dalle minuscole pagliette di rame
ancora presenti e da traccie di polvere amorfa, si sciolgono fa-
cilmente nell’acido nitrico caldo, e la determinazione del rame
e del selenio fornì i seguenti risultati:
trovato % calcolato per CusSe %/
Cu 61,90 61,61
Se Jo racon.0o 38,39.
i. a na e f mi TIME TIR Ta NI e I ITA I SIRO
302 FELICE GARELLI
All'esame microscopico il prodotto appare costituito da ag-
gregati monometrici con faccie ottaedriche, ma non completa-
mente sviluppate. La composizione chimica corrisponde, come
si vede, a quella della Berzelianite, il minerale di selenio e
rame che si trova raramente in natura. L’analisi dei seleniuri
di rame riesce difficile perchè la separazione del rame dal se-
lenio, con i consueti metodi, è ben lungi dall’esser netta (Vedi
anche Tradwell, Analisi chimica quant., II* ediz., pag. 245). Il
dottor Angeletti, che ha studiato in questo laboratorio per mio
incarico la questione, ha trovato che la separazione riesce ab-
bastanza bene precipitando il rame con il Cupferron.
Anche in questo caso l’analisi della soluzione di solfato di
‘rame prima e dopo l’esperienza dimostra che la concentrazione
della soluzione che serve da liquido elettrolita, rimane inalterata.
II. — Avvolgendo in sottile lastrina di rame un grosso
frammento di selenio metallico cristallizzato, in modo che il me-
talloide sia in grande eccesso rispetto al rame, immergendolo
poi in soluzione di solfato rameico e lasciandovelo per qualche
giorno alla temperatura di 40° C., si vede il frammento di se-
lenio disgregarsi rapidamente ed originarsi concrezioni nerastre,
con lucentezza metallica e riflessi rossi violacei, mentre il rame
sparisce completamente. Al microscopio non si osservano cri-
stalli completamente sviluppati. L'analisi del prodotto separato,
per quanto è possibile meccanicamente, dall’eccesso di selenio,
fornì i seguenti risultati:
f calcolato per
trovato Cu,Se CusSes CuSe
Cu °/o 51,2 61,61 54,63 44,49
Se %/o 48,3 38,99 45,37 55,01.
Si direbbe quindi che il prodotto ottenuto in questa espe-
rienza sia prevalentemente costituito da sesquiseleniuro CugSes,
o seleniuro rameoso rameico CusSe.CuSe. In natura trovasi, assai
raramente, un minerale, detto Umangite, di questa composizione.
Con altre esperienze spero di riuscire a stabilire le condi-
zioni necessarie per ottenere questo seleniuro in luogo del CusSe.
III — Operando all’ebollizione si ottengono invece i se-
leniuri amorfi CusSe e CuSe quasi altrettanto facilmente come
1 solfuri di rame.
ta ti atei
An a fe ict Rea red
fdt Mi iii apnttatiitc
“ Mega
FORMAZIONE DI SOLFURI, SELENIURI, TELLURURI, ECC. 303
Facendo bollire in apparecchio a ricadere 1 gr. di rame (2Cu)
e 0,65 di selenio (Se) in soluzione di solfato rameico al 10 °/o,
si ha dopo qualche ora la trasformazione quasi completa delle
lastrine di rame in un precipitato pulverolento, nero verdastro,
in gran maggioranza costituito da Cu,Se. Rimangon tuttavia
minuscole particelle di rame mescolate con la polvere di sele-
niuro ed è difficile toglierle tutte con le pinze. Ciò spiega l’ec-
cesso di rame trovato nell’analisi dei prodotti forniti in due
esperienze:
trovato
© I prova II prova calcolato per CugSe
Cu °/o 64,71 62,95 61,61
Se , 35,29 36,50 38,99.
IV. — Se invece si ripete l’esperienza con un grammo
di rame (Cu) e 1,30 di selenio (Se), si ottiene una polvere nera,
molto simile alla precedente nell’aspetto esterno, che all’analisi
fornì i seguenti risultati:
trovato calcolato per CuSe
Cu %o 42,65 44,49
Se , 56,30 55,51.
Fin'ora non sono riuscito ad ottenere a freddo, in aggregati
cristallini, il composto CuSe.
Rame e Tellurio. — Un tellururo di rame, probabilmente
della formola CusTe, fu ottenuto da Berzelius ed in seguito da
Margottet per unione diretta degli elementi a caldo.
Puskin (C. B., 1907, I, 1726) ha dimostrato l’esistenza dei
composti Cu,Te e CuTe studiando il potenziale elettrolitico
della pila Cu SO*Cu|CuTe. Il Chikasigé ha descritto il com-
pleto diagramma di stato del Cu e Te, e da esso appare pro-
babile la formazione dei due composti CusTe e Cu,Te. Parkmann
(1. c.) ha trovato che il Te non precipita le soluzioni di SO4Cu
anche dopo lunga ebollizione, mentre precipita quelle di acetato
rameico. Se invece, nella soluzione di solfato di rame, all’ebol-
lizione, si fa gorgogliare dell’SO,, il tellurio vi forma un pre-
cipitato che ha, probabilmente, la composizione CuTe.
304 FELICE GARELLI — FORMAZIONE DI SOLFURI, ECC.
Dalle mie esperienze risulta che anche il tellurio precipita
a freddo dalla soluzione di solfato di rame dei tellururi di varia
composizione se vi è in presenza del rame metallico.
In una provetta contenente soluzione di solfato rameico
al 10°/ introdussi un bastoncello di tellurio metallico, avvilup-
pato con sottile lastra di rame. Lasciando la provetta a tempe-
ratura ordinaria, e meglio a 40°-45° C., si nota un rapido disgre-
garsi del metalloide. La bacchetta si frantuma in frammenti
grossolani, mentre il rame metallico scompare e lascia il posto
ad una polvere nera. Il bastoncello di tellurio pesava gr. 4,835,
il rame che l’avvolgeva gr. 0,82. Dopo 5 giorni il rame era com-
pletamente scomparso ed il tellurio ridotto in frammenti gros-
solani. Separando questi con pinza e filtrando e lavando, rimane
una polvere nera di minuti cristallini con riflessi metallici neri
violacei, del peso di gr. 1,28. La soluzione di solfato di rame in
seno alla quale è avvenuta la reazione non cambia la sua con-
centrazione. L’analisi della polvere fornì i seguenti risultati:
trovato calcolato per Cu,Te
Cu 64,06 66,66
Te 35,34 33,34.
In altra prova, mettendo in presenza una maggior quantità
di rame (e precisamente gr. 1 di Cu e gr. 2 di Te), ottenni dopo
6 giorni a temperatura ordinaria una polvere minuta, nera, ap-
parentemente amorfa, che, liberata dai frammenti di tellurio e
da qualche pagliuzza di rame inalterati, sembra abbastanza
omogenea, ma che, probabilmente, è una miscela di diversi tel-
lururi. Infatti l’analisi fornì i numeri seguenti Cu = 39,3 °/o,
Te = 60,2 °/,, mentre per il composto CuTe si calcolerebbe
Cu= 33,16 °/, e Te = 66,84 0/0.
Ulteriori esperienze diranno se è possibile ottenere, per
questa via, allo stato puro, composti binari ben definiti di rame
e tellurio e trovare il metodo per isolarli.
Torino, Istituto di chimica tecnologica del R. Politecnico.
_r___—___——t —_____--
OTTORINO SESINI — SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 305
Sul calcolo approssimato dell'influenza dello sforzo di taglio
sulla deformazione dei prismi inflessi
Nota dell’Ing. OTTORINO SESINI
Presentata dal Socio nazionale residente Guidi
I punti dell’asse geometrico di un solido prismatico elastico
ed isotropo, sollecitato a flessione e taglio secondo un piano di
sollecitazione che supponiamo sia piano di simmetria del solido,
subiscono degli spostamenti che possiamo idealmente scomporre
in una parte dovuta alla flessione, ed in una che attribuiamo
allo sforzo di taglio.
Di quest’ultima si tiene conto nei trattati di “ Scienza delle
Costruzioni , per mezzo di formule approssimate, che si deducono
uguagliando il lavoro delle forze esterne, supposte applicate in
punti dell'asse geometrico, al lavoro di deformazione del sistema,
«ed ammettendo che nelle sezioni normali le tensioni tangenziali
siano dirette parallelamente all’asse di sollecitazione ed unifor-
memente distribuite su ciascuna corda parallela all'asse neutro.
Chi ponesse a confronto i risultati che così si ottengono, con
‘quelli che, per alcuni casi particolari, vengono comunemente
dati nei trattati di “ Teoria dell’Elasticità , come risultati della
risoluzione rigorosa del problema di Saint-Venant, sarebbe indotto
ad attribuire al primo metodo un grado di approssimazione
molto basso, assai minore di quello che, colle stesse ipotesi, si
ha nella determinazione delle tensioni tangenziali.
Ad esempio, per un cilindro circolare di sezione A e lun-
ghezza /, vincolato ad una base e sollecitato sull’altra da una
forza T, normale all'asse, se G è il modulo d’elasticità tangen-
306 OTTORINO SESINI
ziale e supponiamo che il coefficiente ” di Poisson sia uguale
ad +, le freccie f, dovute al taglio, risultano:
? ; SIIT 7 (n 4
colla Teoria dell’Elasticità fi=<=—-4-;
o GA
col metodo della Meccanica Tecnica: f*= Da 0;
,
rapporto : - = 1,26; mentre le tensioni tangenziali massime
sono rispettivamente:
/ Tisede ren Li Tina
Tmax = 3 5 Tmax = 3 45 rapporto: =" =05%
CS
Scopo del presente studio è quello di provare che per
la determinazione delle freccie, il metodo della Meccanica Te-
cnica dà, nei casi comuni, risultati assai più attendibili di quanto
il confronto ora fatto lascerebbe supporre.
A tal uopo bisogna osservare che per procedere ad un con-
fronto fra le freccie ottenute coi due procedimenti di calcolo,
è necessario anzitutto esaminare le ipotesi di vincolamento del -
solido agli assi cartesiani di riferimento, che i calcoli stessi pre-
suppongono.
La freccia data comunemente nei trattati di Teoria della
Elasticità è lo spostamento del baricentro della base libera,
quando il solido sia vincolato in modo che la base vincolata si
mantenga tangente nel suo baricentro agli assi x ed y, e l’asse y
rimanga pure tangente ad una linea segnata sulla base stessa.
In tal modo, dato che l’asse y, verticale e positivo verso
il basso, giaccia nel piano di sollecitazione, l’asse del solido
inflesso viene a formare all’origine coll’asse 2 un angolo uguale
al valore che lo scorrimento Yy: (!) assume in tale punto; questa
inclinazione è anzi la causa di quella parte di freccia che si
attribuisce allo sforzo di taglio.
Con questo riferimento, che indicheremo con a), le forze
che dobbiamo supporre applicate alla base vincolata del prisma
eseguiscono, durante la deformazione, un lavoro che general-
(4) I simboli sono quelli usati dal prof. G. Colonnetti nei Principî di
Statica dei Solidi Elastici.
nf ra
SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 3807
mente non è nullo. Tale vincolamento non coincide quindi con
quello ammesso nel metodo della Meccanica Tecnica, il quale,
uguagliando il lavoro di deformazione a quello eseguito dalle
forze applicate alla base libera del prisma, suppone implicita-
mente un vincolo così fatto da annullare il lavoro complessivo
eseguito dalle forze applicate all’altra base.
Le differenze che si riscontrano non sono perciò da attri-
buirsi soltanto all’inesattezza del metodo della Meccanica Te-
cnica, ma anche a diversità di ipotesi riguardanti il vincolo.
Il confronto deve essere fatto fra i risultati del metodo della
Meccanica Tecnica e quelli che si ottengono calcolando per via
rigorosa il lavoro di deformazione del solido di Saint-Venant,
ed uguagliandolo al semiprodotto della freccia per la forza 7.
Indicheremo con d) questo metodo di calcolo.
Come sappiamo, col procedimento a) la freccia dovuta allo
sforzo di taglio è: a:
7 dy
(1) = (de),
dy
ove E è il modulo di Young, J il momento d’inerzia della se-
zione rispetto all'asse neutro, w (xy) una delle funzioni armo-
niche a cui si riduce il problema del prisma inflesso (v. G. Co-
lonnetti, op. cit.), E), il valore che assume - polo —Wey=0
Col metodo bd) la freccia totale f"” è data da:
pi Tue —
x B =|& 2E È dV,
dove gli integrali si intendono estesi a tutto il volume V del
È x 1
solido. Siccome Fl >
, otteniamo, come freccia dovuta al taglio:
BEDA 1 Tyzì + Tar?
(2) f. = | gdr.
Confrontiamo fra loro i vari metodi, applicandoli ad un
‘prisma a sezione ellittica, di assi 2a, disposto secondo l’asse x,
e 2% disposto secondo y. Per tale sezione è:
(ey) = [12 (m+1) b9°+6ma?]5°y—[(4m +1) 5°2+(2m—1) a°](48—3y22)
Peng —- 6m (3 0°+ a?) 5
308 OTTORINO SESINI
Sostituita questa espressione a w(xy) nella (1) e nella (2)
(nella quale ty: e a sono esprimibili mediante note relazioni
in funzione di 2, y3 at “. detti a il rapporto = , ed Al’area.
della sezione, si i le seguenti freccie dovute al taglio:
_ 4(m+1)+2ma? TI
fe (m+1)(3+ a?) GA”
fia 10+ 4a? 2 ai Db
fe = Li n) FE
Posto m = 4, per 0 uguale rispettivamente ad 1 (cerchio),
ad 3 e a 0 (caso limite), si hanno i seguenti valori dei coeffi-
SH di to î
GA
dar 1
AP= 1 2 0
CÈ fi = 1400 1,354 1,833
gf = 8 (4885 LI
Col metodo della Meccanica Tecnica si ottiene per qualsiasi
valore di a:
oh =" =1,111.
Questo valore differisce notevolmente solo da quelli ottenuti col
procedimento a), mentre è in buon accordo, specialmente per
le sezioni molto allungate secondo l’asse di sollecitazione, che-
interessano in pratica, coi risultati del procedimento 8); ciò.
prova che l’influenza dell’inesattezza del metodo è molto piccola.
Le medesime conclusioni sì traggono dall'esame di un
prisma a sezione rettangolare di mediane 25, secondo y, e 2a.
secondo x, molto allungata nel senso dell’asse y. Considerando.
questa sezione come caso limite per == 0, di quella limitata.
da due lati paralleli ad y e distanti a da tale asse, e da due.
rami d’iperbole di equazione: (14 m)y? — x?=(1+ m) 8?, per
la quale sezione è:
Pa 2m+1 RIBSS DE
y (29) = ME pay 4 STI (p8y ©):
SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 309
È è . (#7
si ottiene facilmente, trascurando "i
3 TW_-y
' 3 "I
lia A fi =f*=
Osserviamo che, se nella trattazione teorica del problema
di Saint-Venant, le varie ipotesi che si possono fare riguardo
al vincolo, le quali differiscono fra di loro di un semplice spo-
stamento rigido, sono ugualmente accettabili, nell’applicazione
a casi concreti può interessare invece vedere qual’è l’ipotesi
che meglio corrisponde ai vincoli effettivi.
: Come è noto, i solidi reali, sia pel modo d’applicazione
delle forze, sia per l’impedita o contrastata deformazione delle
basi, non si trovano mai nelle condizioni previste nella teoria
del Saint-Venant, la quale si applica perciò solo in via di ap-
prossimazione.
Ad ogni modo non sembra si possa ritenere che nei casi
reali la freccia dovuta allo sforzo di taglio, dipenda unicamente
dal valore dello scorrimento nella fibra baricentrica, come viene
ad ammettere il metodo a), il quale inoltre implica un lavoro
(che generalmente è negativo, ma può in qualche caso essere
positivo) eseguito sulla base vincolata.
Più attendibili sembrano i risultati ottenuti col metodo 8)
la cui applicazione a casi reali è lecita purchè si ammetta:
1°) Che il lavoro di deformazione effettivo sia uguale a
quello del prisma teorico;
2°) Che il lavoro eseguito sulla base vincolata sia nullo;
3°) Che i punti della base libera, alla quale è applicata
la forza 7, subiscano tutti lo stesso abbassamento (come avviene
nel caso teorico).
Queste ipotesi sono accettabili, e eon esse è accettabile il
procedimento bd) al quale il metodo della Meccanica Tecnica si
avvicina notevolmente.
Si può osservare che, se una base del prisma è perfetta-
mente incastrata, l’impedimento alle deformazioni di detta base
fa diminuire il lavoro di deformazione, e perciò è prevedibile
una freccia minore di quella calcolata.
CI Mie i ae TE Me e ga e PREMO I
310 OTTORINO SESINI
Si può anche determinare la freccia supponendo che la base
vincolata, anzichè conservare fissa la giacitura di un suo parti-
colare elemento, come avviene coll’ipotesi a), assuma durante
la deformazione una posizione tale da rendere nullo il lavoro
delle tensioni normali ad essa applicate; cioè che rimanga fisso
un certo piano di compenso della superficie in cui si trasforma
la base vincolata.
Con questo metodo, che indichiamo con c), dobbiamo sup-.
porre che al sistema vincolato secondo l’ipotesi a) venga im-
pressa intorno all’asse x una rotazione rigida + da y verso 2,
tale da annullare il lavoro delle tensioni normali (0,) = — di Y
applicate alla base vincolata. Le componenti di spostamento (w)
dei punti di detta base secondo l’asse 2 sono, sempre nell’ipo-
tesi a):
Ò
= (ve) — ve -(3%) 4).
dY
La rotazione 3 deve soddisfare alla condizione:
|. (CI +3y]d4=0,
dove l’integrale si intende esteso a tutta la base A. È perciò :
233 (, pu enm — ga — ge(30) | dA +83 | giada =0;
osservato che Ti ydA=J si ottiene:
=], [yy (29) — ya] d A+ i |
III
La freccia f,
calcolata col primo metodo, cioè:
= A 4 | ve) ala.
(8) pe=pa |, ve) 9a] dd.
risulterà diminuita di +/ rispetto a quella f;
siii rei i ire etnici nti iaia
’ VOI: a Ù r È .
i SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 811
(
VETRO GR RT RO
Applicando questo risultato al cilindro ellittico già visto si
ottiene:
di HA: 20m + 23 + (8m + 2) a? — gi TI
UE 6(m+1)(3+ a?) GA
che per m= 4 e per
dà rispettivamente i valori:
1,133 1,143 1,144
mi
au Per la sezione rettangolare sopra detta
del coefficiente di
si ha:
f=(3 2a ai 3
cioè, per n=4:
con buon accordo sia col metodo della Meccanica Tecnica, sia
col. 6) dal quale quest’ultimo c) differisce solo in quanto non
ammette che il lavoro di deformazione del solido sia eseguito
soltanto dalle forze applicate alla base libera, ma tien conto del
lavoro eseguito, in conseguenza delle deformazioni della base
vincolata, dalle forze tangenziali a quest’ultima applicate.
Questo modo di valutare la freccia dovuta al taglio o l’in-
clinazione dell'asse deformato all'origine, può essere giustificato,
per esempio, in una trave appoggiata agli estremi e caricata
in mezzeria. da un carico 7, quando si supponga che il carico
e le reazioni degli appoggi. siano distribuiti sulle relative se-
zioni normali come le tensioni tangenziali applicate alle basi del
prisma di Saint-Venant. In tal caso ciascuna mezza trave può
à 3 Ù T
considerarsi come sollecitata ad un estremo da una forza — wi
(reazione d’appoggio) e vincolata all’altro estremo (mezzeria).
Essendo nella sezione di mezzo esclusi, per ragioni di simmetria,
gli spostamenti fuori del piano primitivo, ma permesse le dila-
tazioni o le contrazioni, possiamo dire che le tensioni normali
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 22
DL OTTORINO SESINI
applicate alla base vincolata eseguiscono lavoro nullo durante
la deformazione, mentre possono eseguire lavoro le tensioni
tangenziali.
Prescindendo dall’ effetto dell’impedito ingobbamento di tale
base noi possiamo accettare in questo caso il metodo c) di cal-
colo, e ritenere perciò che in corrispondenza del carico 7 gli
assi delle due mezze travi deformate formino tra di loro un
angolo:
AQ =
È È
EJ? È [ey (17) curi dA
Lo stesso angolo si può ammettere che formino le tangenti
all’asse deformato della trave immediatamente a destra e a si-
nistra di un carico 7, insistente, nel modo sopra detto, su di
una sezione qualunque.
Immaginando tanti carichi uguali a pAz, posti a distanza 42
fra di loro, e passando al limite per A2z= 0. (mantenendo p co-
stante), si giunge alla conclusione che per un carico uniforme-
mente distribuito d’intensità p l’asse della trave assume, per
effetto dello sforzo di taglio, una curvatura :
(32) = as E) la [yy (27) _ pa] dA,
EJ
tente M., si ottiene, come TE della curva elastica:
d° Mi.
Nel caso già visto della sezione rettangolare allungata, si
avrebbe:
SOI ei al 3 Î
(4) Di EJ rt i 20(m+1)]"
Il problema del prisma uniformemente caricato per tutta la sua
lunghezza è stato risolto per via rigorosa dal Prof. E. Almansi (!),
n
(4) E. Armansi, Sulla flessione dei cilindri. & Rendiconti del Circolo Ma-
tematico, di Palermo ,, vol. XXI, 1906.
SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC. 313
il quale in una interessante ricerca su tale argomento giunge alla .
conclusione che l'equazione della curva elastica del prisma è:
denoX EJ BIS?
dv dI) M. Le \q-- Mp
che per noi, avendo supposto l’asse y positivo verso il basso,
cioè nella direzione di p, e sostituendo DI al coefficiente di con-
trazione , diviene:
dio Mi a ( q
Der SEIT RI 4 + up).
Il coefficiente u è indipendente dai carichi; per la sezione ret-
tangolare allungata sopra detta l’Almansi trova:
4 1
ui (È ta 1) b?;
_q è dato dall’espressione:
1
a=— 3 | Reym+@—291]4,
nella quale l'integrale va esteso a tutto il contorno s della se-
zione; t1 e T, sono le componenti secondo gli assi x ed y delle
tensioni esterne applicate alla superficie laterale del prisma
(uniformemente lungo ciascuna generatrice).
Per fare un'ipotesi equivalente a quella posta per dedurre
la (4) dovremo ammettere t,.= 0 su tutto il contorno, e per la
tensione esterna verticale potremo, per la supposta piccolezza
di a, ritenere equivalente alla distribuzione prima ammessa
della p su tutto il volume del solido colla stessa legge delle ty;,
‘una ripartizione della t, sulle sole due faccie verticali, di al-
tezza 2b, colla legge:
LA ae Sgt ra
po (che verifica la i Ttgds= r) E
Con questo valore di ty si ottiene:
3 | 3p (+12
a=— aL | 0-9) 29) dy
814 OTTORINO SESINI — SUL CALCOLO APPROSSIMATO, ECC.
e trascurando i termini contenenti a?:
ig
Se ne deduce:
o .... Sa Taro i
dz EI VOI, m 10m Rea
N 1A l(4 9
TT SILE +) b',
dv ea Mi. Scar p ($ de 3
dat I EJ GA \5 20(m + 1)
espressione identica alla (4). Le considerazioni che ci hanno
condotto alla (4), pur non essendo rigorose, risultano dunque
ben fondate, e ciò viene a comprovare l’attendibilità del metodo
della Meccanica Tecnica, che poco differisce nei risultati dal pro-
cedimento indicato con c). Notiamo che l’applicazione del carico
alla faccia superiore del prisma (come avviene in pratica) dà,
secondo le formule esatte dell’Almansi, una freccia notevolmente
minore di quella ora calcolata, ed anche minore di quella dedu-
cibile col metodo della Meccanica Tecnica, il quale riuscirebbe
in questo caso approssimato per eccesso, e non per difetto come
dal primo confronto fatto potrebbe sembrare.
Pisa, 27 gennaio 1923.
L’ Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
PA E TIP PE I ET TA
rr i pole
VEN Re o ST N N E
CLASSE
3) GIANO
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 18 Marzo 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci Bronpi, ErnaupI, BAuDI DI VESME,
PaTtETTA, Prato, Cran, FaGGI, Luzio, JANNACccONE e VIiDARI Se-
gretario della Classe.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
4 marzo u. s.
Il Socio VipARI presenta il lavoro Dottrine filosofiche e cor-
renti letterarie del Socio corrispondente Giuseppe ZuccanTE, da
lui inviato in omaggio all'Accademia, e ne rileva il concetto
fondamentale, che è la illustrazione, fatta con felici e dotti
accostamenti di pensatori e di dottrine desunti dalla storia
greca, dal romanticismo e dal positivismo, della profonda riso-
| nanza che il pensiero filosofico ha avuto nella espressione ed
evoluzione letteraria.
_ Il Socio Prato presenta il volume Mazzini economista di
Gaetano NAvaRRA CRIMI, dove l’A. si è industriato, con diligente
e accurato lavoro, di raccogliere dagli scritti mazziniani tutto
quello che può concorrere a mettere in luce il pensiero del
«grande Agitatore in rapporto alla economia.
316
Il Socio JANNACCONE presenta due opere del prof. Alberto
DE’ STEFANI: l’una intitolata Decadenza demografica e decadenza
economica; l’altra La dinamica patrimoniale nell'odierna economia
capitalistica:
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“ Se egli dovesse caratterizzare queste opere con due sole
parole, direbbe che sono dense e sottili; sottili, per lo studio
col quale sono ad uno ad uno messi in evidenza i fili ond’è
contesta la trama dei fatti presi in esame; dense, perchè
questa minuta analisi è compiuta con grande sobrietà di
parole e senza divagazioni ed amplificazioni, di guisa che in
non molte pagine è racchiusa una gran copia di fatti e d'idee.
“ La dinamica patrimoniale è una indagine economica e
statistica, condotta principalmente sui dati forniti dalle stati-
stiche delle successioni in Francia, la quale aggiunge un ricco
materiale di studio e nuovi risultati alle ricerche sulla effet-
tiva distribuzione della ricchezza e sul suo movimento di dif-
fusione nella società: argomento fra i più interessanti per
ogni ordine di studiosi e per molti scopi pratici, ma tuttavia
fra i meno esplorati.
“ L'altra opera sulla Decadenza demografica e decadenza
economica è un’acuta ed arguta reazione ad alcune generaliz-
zazioni messe in voga da quelli fra i sociologi e gli storici, i
quali hanno creduto di poter attribuire ad una sola causa
universalmente operante la così detta grandezza e decadenza
delle nazioni. Fra queste generalizzazioni, una, che risale al
Gobineau, attribuiva il decadere degli Stati alla mescolanza
delle razze, la quale ne contamina la purezza primitiva, ed
alla infiltrazione di elementi delle classi inferiori nelle supe-
riori, la quale ne corrompe le idee, i costumi, le tradizioni.
Le osservazioni della statistica demografica intorno alla di-
versa natalità nei vari paesi e nelle varie classi sociali diedero
nuovi sviluppi a quella teoria; in quanto non soltanto le guerre
esterne e i violenti rivolgimenti politici, ma anche le trasfor-
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317
mazioni delle idee e dei costumi e il dilagare di certe correnti
di pensiero parvero potersi spiegare come la necessaria con-
seguenza del prevalere numerico delle popolazioni e delle
classi più feconde sulle meno feconde, le prime delle quali,
riproducendosi più rapidamente, propagano nei posteri in mi-
sura più larga le caratteristiche fisiche e psichiche loro proprie.
“ Sembrò anche che la Francia moderna, con la sua natalità
straordinariamente scarsa, dovesse fornire la riprova concreta
della teoria; e non mancarono, anche fra gli stessi francesi;
coloro che prima del 1914 profetarono vicina la Finis Galliae
per lé invasioni di popolazioni più feconde e pe) dissolvimento
interiore prodotto dalla sterilità delle classi più colte e più
ricche. Di questo finimondo si segnalavano anche i sintomi
economici precursori: diminuzione della produzione, ristagno
dei commerci, arresto nell’accumulazione dei risparmi, ed altri
parecchi. Ma il pe STEFANI, sempre con serena accortezza e
spesso con garbata ironia, mostra come ciascuno di quei
pretesi sintomi della decadenza economica francese vada ret:
tamente interpretato, e come taluno sia il frutto di qualche
ameno errore di osservazione, alcuni altri non abbiano nessun
nesso con le condizioni demografiche, e parecchi non siano che
manifestazioni contingenti dell’alterna vicenda dell'economia
mondiale. Queste sue pagine hanno perciò anche un valore di
esempio e di mònito per chiunque dai fatti economici, la cui
reale essenza è molto complessa, e dalle osservazioni stati-
stiche, la cui apparente evidenza è spesso illusoria, creda
poter trarre facili e generali conclusioni nel campo della
storia ,. Il Presidente Rurrini ringrazia vivamente dell’im-
portante dono.
Il Presidente RurriNI presenta i volumi: Volterra e Luni-
giana medievale di Gioacchino VoLpe, storie ambedue di vescovi
signori, di istituti comunali, di rapporti fra Stato e Chiesa nelle
città italiane dei secoli XI-XV: argomenti di molto interesse,
318
perchè riguardano l'oscuro periodo di trapasso dai reggimenti
vescovili a quelli propriamente popolareschi delle nostre città;
e che vengono dal Vorpe trattati non solo con abbondante e
precisa indagine archivistica, ma anche con una larga e in-
sieme penetrante visione sintetica dei grandi movimenti di
masse, della evoluzione degli istituti, dei contrasti politici e
giuridici fra le varie autorità. Sono monografie storiche sulla
Toscana, che fanno parte di una serie di pubblicazioni or ora
iniziate dalla R. Deputazione toscana di Storia Patria, e costi-
tuiscono un importante contributo alla ricostruzione della storia
d'Italia nel M. E.
Il Socio FaGGI presenta una Nota, Cartesio e Newton, e ne
illustra brevemente la contenenza, che ha un particolare inte-
resse in rapporto con le dispute odierne sollevate dalla teoria
della relatività. Sarà inserita negli Atti.
Il Socio PATETTA presenta una Nota del generale A. PETITTI
pi RoreTo, Di una lettera a Carlo V relativa al Sacco di Roma
del 1527, nella quale si dimostra, in base a un documento del
museo di Cherasco, che l’autore di essa lettera è Giov. Barto-
lomeo di Gattinara. La Nota sarà pubblicata negli Atti.
Il Socio BronpiI riferisce intorno al progetto di Statuto della
Unione Accademica Internazionale, esprimendo parere favorevole.
ALFONSO PETITTI DI RORETO — DI UNA LETTERA, ECC. 319
LETTURE
Di una lettera a Carlo V relativa al Sacco di Roma del 1927
Nota del T. Generale nella Riserva
Conte ALFONSO PETITTI DI RORETO
Presentata dal Socio nazionale residente F. Patetta
Fra le narrazioni di contemporanei sopra il Sacco di Roma
del 1527, scelte per cura di Carlo Milanesi (1), vi è una lettera
di un ufficiale dell'esercito del Borbone a Carlo V, tratta dalla
Biblioteca Marucelliana.
Studia il Milanesi, nella prefazione, chi possa essere l’au-
tore di questa lettera, e, dimostrata la difficoltà del problema,
si ferma su due nomi, Giovanni Bartolomeo Arborio di Gattinara
e Don Ferrante Gonzaga, dando la preferenza al primo, che egli
chiama fratello di quel Mercurino di Gattinara, stato per anni
dodici Gran Cancelliere di Carlo V, creato Cardinale nel 1529
e morto nel 1530.
Di questa stessa lettera, attribuendola nel titolo, erronea-
mente, a Mercurino Gattinara, Commissario Imperiale, avevano
dato un’edizione a Ginevra, coi tipi G. C. Fick, il prof. Gialiffe
ed il dott. Odoardo Fick.
Se ne occupa, con molta dottrina, il prof. Alfonso Corradi,
in una sua memoria, presentata alla R. Accademia delle Scienze
. di Torino, dal socio Claretta, nella seduta delli 27 dicembre 1891,
e pubblicata nel volume degli Atti dell’Accademia per gli anni
1891-92 (pag. 238-256).
Osserva il Corradi che nell’edizione di Ginevra, mentre nel
titolo la lettera è attribuita al Mercurino Gattinara, nella pre-
fazione si vuole attribuirla a Giovanni Antonio Framondo,
Cav. Aurato, Conte Palatino e intimamente addetto a Clemente VII.
(1) Edizione diamante G. Barbera, Firenze, 1867, pag. 491-530.
320 ALFONSO PETITTI DI RORETO
A prova che lo scrittore fu invece il Giovanni Bartolomeo Gat-
tinara, nipote del Cardinale Mercurino, il Corradi riporta un.
brano della narrazione del Sacco di Roma dello scultore Raf-
faele di Bartolomeo Sinibalbi, da Montelupo, riparato in Castel
S. Angelo, durante l’assedio, dove si parla del Gattinara, che
è detto Catinaro, venuto per gli accordi in Castel S. Angelo e
ferito al braccio destro di un’archibugiata, confermando così
anche questa circostanza, addotta dal Gattinara in principio
della sua lettera, che è obbligato a far scrivere da altri.
Ma un documento del Museo, donato alla città di Cherasco
dall’insigne storico P. Gio. Batt. Adriani, permette di affermare
anche meglio quello che pel Milanesi era una fondata congettura.
Consiste il documento in una copia manoscritta del prin-
cipio del secolo XVII, della lettera a Carlo V, comunicata
all’Adriani nel dicembre 1858 dal notaio novarese Giuseppe
Garone, quando già l’Adriani si occupava attivamente di Ver-
celli, di cui doveva poi, nel 1877, pubblicare gli Statuti.
Fra la copia Adriani e quella Milanesi vi è qualche leggera
differenza di parole, che però non varia il senso: la prima man-
tiene financo le lacune, che si riscontrano nella seconda, e che
la copia di Ginevra permette di colmare. Qualche maggior va-
riante si ha nei nomi propri. Quello che nel Milanesi è ripetu-
tamente chiamato Giovanni d’Orbino ed era Spagnuolo, nella
copia Adriani è erroneamente detto d’ Urbino, mentre duca di
Urbino era Franc.° M.* Della Rovere, Comandante delle forze
della Lega. Un Capitano D. Ugo di A/arcone, di cui il Milanesi
fa due persone, D. Ugo e un Alarcone, e mentre la copia di
Ginevra lo chiama Marcone, nella copia Adriani diventa un .
Alaramo.. — Un Aleramo Sarra è citato dal Cardinale nel suo
testamento come suo rappresentante in una causa nelle Fiandre,
poi suo scrivano, a cui lascia cento ducati d’oro ed un cavallo.
Qui invece si tratta di D. Ferdinando Alarcone, il Capitano
custode di Francesco I, dopo la battaglia di Pavia, bene indi-
cato per essere il custode di Clemente VII.
L’Abate di Nogera è detto più esattamente di Nagera
presso l’Adriani. Era Spagnuolo, Alfonso Manriquez de Nagera,
e fu più tardi Cardinale dei SS. Apostoli.
L'autore della lettera a Carlo V incomincia a scusarsi,
come già si è accennato, di non poter scrivere di propria mano,
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DI UNA LETTERA A CARLO V, !CC. 321
perchè, durante una delle gite fatte dal campo a Castel S. An-
gelo, per conferire col papa ed i cardinali in esso racchiusi, è
stato ferito in un braccio da un’archibugiata, il testo Milanesi
dice il primo giorno delle trattative (pag. 509); invece la copia
Adriani dice quarto giorno, in tutte lettere, come la stampa di
Ginevra.
Ma la copia Adriani è sovratutto preziosa. per alcune note,
di altra mano ed inchiostro, che la precedono e che vi sono
aggiunte. Prima dell’invocazione Sacratis.? Caesar è scritto:
“ Relatio Bartolomei Gattinariae Romae captue, Pontificis obsessi
in Castro S. Angeli, et d°° urbis exterminij sub C. V. Imp. ,, ed
in fine della lettera, dopo la data Di Roma alli 8 di giugno 1527,
si legge:
“ Haec est relatio D° Bartolomei Gattinariae [qui sei linee
cancellate e non decifrabili] Mediolani Senator [sic]. Hic d* Barto-
lomeus Gattinaria erat regens Neapolis et Aragona, Consiliarius
Caroli V Imp. et consanguineus in p° gradu Mercurini Gatti-
nariae Supremi Cancellarij Dominiu regnor Caro. V Imp. et in
uiduitate Cardinalis ,.
Ecco dunque precisato che la lettera è di Gio. Bartolomeo
di Gattinara, come supponeva il Milanesi. Senonchè questi lo
ritiene fratello del Gran Cancelliere Mercurino (prefazione,
pag. xxIx), appoggiandosi forse alla dichiarazione di chi scrisse
la lettera (pag. 530) di voler rimettere il governo della città
| di Parma e Piacenza, a lui affidate dal Principe d’Orange e
i dagli altri Capitani, a suo fratello (1). Questo errore fu ripetuto
| dal Gregorovius, che lo chiama anche Capitano (2).
Invano cerchereste il Gio. Bartolomeo fra i fratelli del Gran
Cancelliere, nominati nei vari alberi della famiglia Gattinara,
che si conoscono. Basta del resto a smentire tale attribuzione
.il testamento del Cancelliere (3), il quale, dopo aver nominati
esecutori testamentari i fratelli carissimi D. Lorenzo di Gatti-
(1) Effettivamente, secondo il Poeerati, Storia di Piacenza, all’anno 1527,
vi fu posto come governatore un fratello del Gio. Bartolomeo Gattinara,
mentre ciò è negato dal Guicciardini.
(2) Storia della Città di Roma nel Medio Evo. Venezia, 1870, VIII, 696.
(3) Vedi per esempio la versione del testamento, in latino, colla tra-
duzione italiana a fronte, del 1825, Stamperia Reale di Torino.
322 ALFONSO PETITTI DI RORETO — DI UNA LETTERA, ECC.
nara, Protonotario Apostolico, Abate di Rivalta, Amministratore
dell’Arcivescovado di Salerno, e D. Gabriele di Gattinara Canonico
Regolare dell'Ordine di S. Agostino, vi aggiunge il Magnifico
Sign. Gio. Bartolomeo di Gattinara “ mihi consanguineum, iuris
utriusque Doctorem, ac Militem Cesareae Majestatis, Consiliarium
Regentemque cancellariam Coronae Aragonum... ,.
E Monsignor Della Chiesa nella Corona Reale di Savoia
(II, 117 dell’ediz. 1657) cita fra i parenti del Cardinale: il fra-
tello cugino del Cardinale, Bartolomeo, che essendo eccellentis-
simo dottor di leggi, fu Consigliere di Stato dell'Imperatore
Carlo V e per lui reggente nei regni di Aragona e di ‘Napoli,
“ et impiegato a trattare la pace col papa Clemente VII dopo il
Sacco di Roma ,.
Quantunque non se ne faccia che il nome, in’ un grande
albero genealogico dei Gattinara, posseduto dal Museo Adriani
di Cherasco, figura un Gio. Bartolomeo, figlio di Cesare, Conte
di Sartirana, fratello secondogenito del Mercurino e che pel
testamento di quest’ultimo dovette cedere a Giorgio, erede uni-
versale, quanto possedeva in Gattinara. Ma evidentemente non
è di lui che si tratta.
Una nota dell’Adriani dice Gian Bartolomeo Arborio di
Gattinara figlio di Pietro e nipote del Gran Cancelliere, morto
nel 1544 agli 11 di novembre, e rimanda a quanto ne scrissero
il De Gregory (II, 20) nella Storia della Vercellese letteratura,
ed il Della Chiesa, già citato.
Finalmente, un alberello, in una nota del notaio Vittorio
Mandelli, che fu in attiva corrispondenza coll’Adriani e scrisse
la storia di Vercelli, dà questa parentela:
Lorenzo ARBORIO DI GATTINARA
PAOLINO DIONIGI PIETRO
MercuRINO Giro. BARTOLOMEO
Cardinale Sen. Reggente di Napoli
Ed ecco chiaramente Gio. Bartolomeo l’autore della lettera
a Carlo V, fratello cugino del Cardinale, come dice il Della Chiesa.
Cherasco, 5 marzo 1923.
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ADOLPO FAGGI — CARTESIO E NEWTON 323
CARTESIO e NEWTON
Nota del Socio nazionale residente ADOLFO FAGGI
Le polemiche e le discussioni che ha suscitato recentemente
la teoria della relatività di Einstein nella sua pretesa di sosti-
tuirsi alla meccanica classica del Newton, ci fan ritornare col
pensiero a un momento analogo nella storia della Scienza,
quando nella prima metà del sec. XVIII la dottrina del Newton
si diffuse nel continente, sostituendosi alla teoria dei vortici
cartesiani. Questa diffusione ebbe luogo dapprincipio in Francia
per opera del Maupertuis e del Voltaire. Il quale, proponendo
ai suoi connazionali come modello da seguire il pensiero inglese,
nello stesso tempo che intendeva di sostituire alla filosofia di
Cartesio quella del Locke, intendeva anche di sostituire al si-
stema del mondo di Cartesio quello del Newton. Lo studio dei
due opposti sistemi, che si trovarono allora di fronte, non sarà
inutile nell'ora presente, in cui il sistema del Newton, che
pareva ormai riposare su fondamenti granitici ed incrollabili,
è alla sua volta posto in forse da un altro sistema, che rimette
in onore un principio caratteristico di quel Cartesianismo su
cui :il Newton ebbe facile vittoria, il principio della relatività.
Per Cartesio attributo essenziale della materia è l’esten-
sione. Dove c'è materia c'è estensione, dove c’è estensione c’è
| materia, fina o grossa, visibile o invisibile. Non esiste dunque
‘ spazio vuoto. Ora fino dalla remota antichità gli atomisti ave-
vano osservato che senza il vuoto non ci potrebbe essere mo-
vimento. Se tutto lo spazio fosse pieno e le particelle della
materia (siano queste atomi o corpuscoli) si toccassero l’una
coll’altra, come potrebbero esse cambiar di luogo? Cartesio
ammette bensì fra le qualità primarie della materia il movi-
mento, perchè senza di questo non vi potrebbe essere divisibilità
della materia, nè assunzione da parte di questa di forme diverse.
Ma come si potrà ammettere il movimento nello stesso tempo
324 ADOLFO FAGGI
che si nega il vuoto? È chiaro, dic’egli, che il solo movimento
possibile ad ammettersi in uno spazio pieno è il movimento
circolare di tutta la materia. In questo caso non c’è bisogno,
per lo spostamento delle singole particelle onde la massa ri-
sulta, di spazio vuoto, perchè A entra nel posto di B, B nel
posto di C, C nel posto di D, mentre Z entra nel posto di A,
ossia nel posto che A ha lasciato.
Nel cap. 33 della parte II dei Prince. Phil. intitolato Come
in ogni movimento ci dev'essere un circolo 0 anello di corpi che
si muovono insieme, si legge: “ Dopo quanto è stato dimostrato
di sopra, cioè che tutti i luoghi sono pieni di corpi, e che ogni
parte della materia è talmente proporzionata alla grandezza del
luogo che occupa, da essere impossibile che ne riempia' uno
maggiore, nè che si rinserri in uno più piccolo, nè che nessun
‘altro corpo vi trovi posto nel mentre che essa vi è, noi dob-
biamo conchiudere che è necessario vi sia sempre tutto un
circolo di materia o anello di corpi che si muovano insieme in
pari tempo, così che quando un corpo lascia il suo posto a
qualche altro che lo caccia, entra in quello d’un altro, e que-
st’altro in quello d’un altro, e così di seguito fino all'ultimo,
che occupa nel medesimo istante il posto lasciato dal primo.
Noi concepiamo senza pena ciò in un circolo perfetto; poichè,
senza ricorrere al vuoto ed alla rarefazione o condensazione,
vediamo che la parte A di questo circolo può muoversi verso B,
purchè la sua parte B si muova in pari tempo verso €, e C
verso D, e D verso A. Ma non si avrà maggior pena a con-
cepire questo anche in un circolo imperfetto e irregolare quanto
si voglia, se si bada alla maniera con cui tutte le ineguaglianze
dei luoghi possono essere compensate da altre ineguaglianze che
si trovano nel movimento delle parti ,.
Ciò che è stato detto fin qui è necessario per ben com-
prendere la teoria dei rortici cartesiani. Su questa teoria, che
fu ai suoi tempi famosa, s'impernia tutta la concezione cosmo-
logica, ossia il sistema del mondo di Cartesio. Tre sistemi si
trovavano allora di fronte: il sistema di Tolomeo, quello di
Copernico, quello di Tycho Brahé. Il primo, cioè il sistema
tolemaico, poneva la terra nel centro dell'universo, e faceva
girare intorno ad essa il sole cogli altri pianeti. Il sole era
anch'esso un pianeta e girava intorno alla terra come la luna.
mitica cd.
CARTESIO E NEWTON 325
La Divina Commedia di Dante è costruita secondo il sistema
tolemaico-aristotelico, il quale si fondava direttamente sull’in-
tuizione dei sensi, ai quali appare veramente che la terra sia
ferma e il sole le giri intorno. Ma poichè i pianeti, come ad
esempio Venere, possono apparirci con luce or più or meno
viva, era naturale supporre che ciò dipendesse dalla maggiore
o minore lontananza del pianeta dalla terra; mentre nella con-
cezione geocentrica originaria ì pianeti, descrivendo intorno ad
essa un'orbita circolare, restano sempre alla stessa distanza
dalla terra. Furono allora escogitati gli epicicli; s'immaginò
cioè che mentre un pianeta si muove in circolo intorno alla
terra, descriva contemporaneamente un altro cerchio più pic-
colo, detto epiciclo, perchè sovrapposto al circolo più grande
chiamato eccentrico, sulla circonferenza del quale sempre dovea
trovarsi il centro dell’epiciclo. Il terzo epiciclo, cioè quello di
Venere, è appunto rammentato da Dante (Par., Canto VIII, 1-3):
Solea creder lo mondo in suo periclo
Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse volta nel terzo epiciclo.
Il sistema copernicano poneva invece il sole nel centro del
sistema; e, considerando la terra come un pianeta al pari di
tutti gli altri, la fa girare cogli altri pianeti intorno al sole
(sistema eliocentrico). Il sistema copernicano parve contrario
all'immediata intuizione sensibile; fu osteggiato, in seguito,
dalla Chiesa perchè parve contradire alla lettera di alcuni passi
della Bibbia; ma era quello che soddisfaceva meglio e in una
maniera più semplice e più logica all’esigenze dei calcoli astro-
nomici; era quello che doveva trionfare. Intermediario fra i due
era il sistema dell’astronomo danese Tycho Brahé. Questi fu
veramente un astronomo di molto valore e le sue osservazioni
del cielo ebbero una grande importanza; ma non si capisce bene
perchè egli fosse indotto a escogitare quel suo sistema cosmo-
logico, che apparisce subito così poco plausibile. Infatti egli
suppone la terra immobile nel centro del sistema, e fa che il
sole le giri attorno con tutto il corteo dei pianeti, che non gira
più intorno alla terra, ma intorno al sole. Mentre dunque il
sole gira intorno alla terra, tutti gli altri pianeti girano attorno
a lui. Ipotesi strana, che non poteva trovare molti sostenitori,
326 ADOLFO FAGGI
rimanendo perciò massimi sistemi gli altri due, quelli di Tolomeo
e di Copernico. Tycho Brahé fu forse indotto a escogitare il
suo sistema dal desiderio, puramente logico e astratto, di tro-
vare un'ipotesi intermedia fra quella dei due maggiori astro-
nomi. Egli del resto afferma contrario alla verità il sistema di
Copernico, senza dir perchè; a meno che per lui verità non si
identifichi col dato immediato e grossolano della percezione
sensibile, alla quale, come abbiam detto, pare veramente che
la terra stia ferma e il sole le giri intorno.
Ora fra questi diversi sistemi cosmologici qual è quello che
sceglie Cartesio? Egli afferma di poterli conciliare tutti e tre;
o, per dir meglio, egli crede di poter conciliare il sistema co-
pernicano colle esigenze del senso comune che afferma l’immo-
bilità della terra, da una parte, e colle esigenze della Chiesa
dall'altra, la quale non volea che si contradicesse alla lettera
dei Libri Santi. Si noti che anche il sistema di Tycho Brahé
era, in fondo, scaturito dal bisogno di conciliare la credenza
comune e generale alla immobilità della terra colla necessità
copernicana di fare del sole il centro dei movimenti planetari.
Si aggiunga che a Cartesio premeva di non entrare in urto
colla Chiesa, per evitare noie e fastidi, dai quali l'animo suo,
amante del quieto vivere, aborrì sempre. Sua è la famosa frase:
Bene vixit qui bene latuit.
Per raggiungere il suo scopo Cartesio doveva escogitare
una teoria tale, per cui la terra fosse nello stesso tempo in
quiete e in movimento. Ciò pare a prima vista contradittorio
e quindi assurdo o impossibile: ma si vedrà che Cartesio seppe
abilmente trovare una via, qualunque ella fosse, d’uscita. Bi-
sogna prima di tutto vedere quale è il concetto che egli si fece
del movimento. Egli definisce il movimento (Prince. Phil., II, 25):
Il trasporto d’una parte della materia o di un corpo, dalla vici-
nanza di quelli che lo toccano immediatamente e che noi conside-
riamo come in riposo, nella vicinanza di alcuni altri. A questa
definizione si arriva attraverso la definizione che si dà d’ordi-
nario del movimento: Il movimento è l’azione per la quale un
corpo passa da un luogo in un altro. A proposito della quale
definizione si deve appunto osservare che una stessa cosa può
in pari tempo cambiar di luogo e non cambiarne affatto; onde
si può effettivamente dire che essa si muova e non si muova
CARTESIO E NEWTON 327
in pari tempo. Poichè colui, per esempio, che è seduto a
poppa di un vascello che il vento fa andare, crede muoversi
quando non bada che alla riva dalla quale è partito, riva che
egli considera naturalmente come immobile; ma non crede muo-
versi, quando non bada che al vascello sul quale egli è, poichè
non cambia di situazione riguardo alle sue parti. Comunemente
si dice che l’uomo così seduto è in riposo, perchè egli non sente
azione in sè e non avverte un'azione sua; ma chi consideri
il movimento in sè stesso come proprietà della materia e non
come il prodotto di una supposta causa, cioè di una energia,
dovrà necessariamente, per stabilire se un corpo è in quiete
o in movimento, ricorrere al criterio posto da Cartesio nella
definizione surriferita.
Diremo dunque che un corpo è in movimento quando passa
dalla vicinanza dei corpi che immediatamente lo toccano e che
rispetto a lui si considerano in riposo, nella vicinanza di alcuni
altri. In questo senso noi diciamo che l’uomo seduto a poppa
di un vascello o in una cabina di esso è in riposo, perchè non
cambia di situazione rispetto alle parti del vascello o della ca-
bina, che immediatamente lo toccano e che rispetto a lui sì
considerano immobili. Quest'ultima aggiunta è necessaria perchè
se A cambia di posizione rispetto a BC, ciò potrebbe significare
tanto che A si muove rispetto a BC, quanto anche che BC si
muove rispetto ad A; il resultato, cioè lo spostamento contem-
plato, sarebbe il medesimo. Per stabilire che A si muove, bi-
sogna dunque considerare BC come immobile. Ciò non toglie
però che l’uomo in quistione si muova effettivamente rispetto
alla riva da cui il vascello si allontana, perchè egli si muove
con questo, sebbene non ?în questo. Ma la riva e gli alberi, per
esempio, che su questa si trovano, non sono gli oggetti che lo.
toccano immediatamente.
Si noti subito che da questi concetti del Cartesio discende
quella relatività del movimento che è stata portata a così ampie
conseguenze dalla recente teoria di Einstein. Guidato poi da
questi concetti il Cartesio può nello stesso tempo affermare
che la terra si muova e non si muova. Sappiamo da lui che il
solo movimento possibile ad ammettersi in uno spazio pieno (Car-
tesio non ammette il vuoto) è il movimento circolare, ossia un
movimento vorticoso. La materia fluida che riempie tutto il
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 23
328 ADOLFO FAGGI
cielo forma una specie di vortice che gira intorno al sole come
centro, e trascina, in questo suo movimento vorticoso, i pianeti
e quindi anche la terra con sè. Ma se la terra è trascinata dal
vortice intorno al sole, essa è, secondo la definizione data più
sopra del movimento, in quiete rispetto alle parti del vortice
che immediatamente la toccano, essa cioè è in quiete nel suo
cielo, come dice Cartesio. Siamo precisamente nel caso dell’uomo
seduto a poppa del vascello, che spinto dal vento si allontana
dalla riva.
Benchè ogni corpo in particolare non abbia che un sol mo-
vimento che gli è proprio, poichè non vi è che una certa quantità
di corpi che lo toccano e che siano in riposo a suo riguardo,
tuttavia esso può partecipare ad un'infinità di altri movimenti,
in quanto fa parte di alcuni altri corpi che si muovono diver-
samente. Per esempio, se un marinaio passeggiando nel suo va-
scello porta con sè un orologio, è certo, benchè le ruote del suo
orologio non abbiano che un movimento unico che loro è proprio,
che esse partecipano anche a quello del marinaio che passeggia,
poichè esse compongono con lui un corpo che è trasportato tutto
insieme; è certo che partecipano anche a quello del vascello e
anche a quello del mare, poichè esse seguono il loro corso; e
a quello della terra se si suppone che la terra giri sul suo asse,
poichè esse compongono un corpo con lei. Così nel grande vor-
tice che costituisce il nostro sistema planetario nel quale i pia-
neti sono trascinati intorno al sole come centro, si formano altri
vortici minori, ai quali gli stessi pianeti possono partecipare.
La terra, ad esempio, mentre è trascinata dal vortice intorno
al sole, è trascinata da un vortice minore che ruota giornal-
mente intorno ad essa.
Si vede dunque come la teoria cosmologica di Cartesio si
impernî sulla famosa dottrina dei vortici, e come per tal modo
egli riesca ad una ingegnosa conciliazione del sistema coperni-
cano col sistema tolemaico, protetto ancora dall’autorità del
senso comune, della tradizione e della Chiesa. Ma Cartesio do-
veva colla sua teoria dei vortici spiegare ancora un fatto molto
importante, e che era stato oggetto di studi e di esperienze
scientifiche da parte di Galileo, la caduta dei gravi. Notiamo
che secondo la dottrina di Aristotele il peso era una proprietà
costitutiva della materia. Per Cartesio la proprietà costitutiva
CARTESIO E NEWTON 329
della materia era invece unicamente l'estensione. La natura
della materia, egli ripete ancora al cap. 4 della parte II dei
Princ. Phil., non consiste punto in questo che essa, ovvero il
corpo, sia una cosa dura o pesante, ma solo in questo, che esso
corpo sia una sostanza estesa in lunghezza, larghezza e profon-
dità. D'altra parte, per la sua dottrina della relatività dei luoghi
e del movimento, Cartesio dovea negare la dottrina dei Zuogli
assoluti di Aristotele.
La gravità, ossia la caduta dei gravi, non era facile a
spiegare nella ipotesi dei vortici. Supponiamo che la terra sia
una gigantesca trottola in moto, e intorno a lei ci sia il vuoto,
ossia spazio libero di materia. In tal caso essa slancerebbe
lontano da sè i corpuscoli che si trovassero liberi, cioè non
infissi nella sua superficie. Ma la terra, nell’ipotesi di Cartesio,
non è una trottola che gira, perchè è invece portata dal vortice,
‘anzi da un vortice più piccolo in un vortice più grande; di più,
intorno a lei non c'è il vuoto, perchè il vuoto non esiste, e il
cielo intorno a lei è pur sempre costituito di materia, sia pure
più fine, sottile e invisibile che gira con una grande rapidità.
Ne risulterà allora, per effetto del movimento vorticoso di questa
materia sottile e della sua forza centrifuga, incomparabilmente
maggiore di quella della terra, che tutti i corpi siano respinti
e ricacciati verso quest’ultima. Ma l'ipotesi dei vortici non
spiega la tendenza dei gravi verso il centro della terra, che è
perciò chiamato da Dante il punto,
Al qual si traggon d'ogni parte i pesi;
e d'altra parte, se spiega, p. e., con la forza centrifuga perchè
i pianeti, trasportati dal vortice, non cadano nel sole, non
spiega petchè essi mantengano nel sistema il loro posto, ossia
: le loro relative distanze.
Ora parliamo della scienza del Newton, che era destinata
a sostituire la scienza di Cartesio. Isacco Newton (1642-1727)
lasciò grandissima traccia di sè nella matematica, nella fisica,
nell'ottica, nell’astronomia. Fu uno degli ingegni più maravi-
gliosi che la storia umana ricordi. In matematica divide col
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII DIE
I ADOLFO FAGGI
Leibniz l’onore di avere inventato il calcolo infinitesimale: i due
grandi uomini pare che arrivassero ciascuno per conto suo alla
scoperta di quel calcolo, chie dovea essere uno degli strumenti
più preziosi della scienza moderna. Nell'ottica Newton decom-
pose la luce bianca, dimostrandola resultante dai raggi-di diversa
rifrangibilità. Rimise in vigore la dottrina dell'emissione, per cui
dall'oggetto luminoso partirebbero tenuissime particelle, che
viaggiando attraverso lo spazio verrebbero a colpire i nostri
organi di senso. Cartesio aveva invece sostenuto che la luce
dipende dalla materia sottile diffusa per tutto l’universo, la.
quale, allorchè vibri per un qualche impulso ricevuto, è
capace di produrre fenomeni fisici di vario genere: il sole,
producendo appunto in essa un impulso, la fa entrare in vibra-
zione, e questa, comunicandosi al nostro senso visivo, pro-
duce la sensazione luminosa. In verità la teoria delle vibrazioni
o delle ondulazioni di Cartesio fu quella che prevalse, perchè,
meglio della teoria dell'emissione, si dimostrò atta a spiegare
i diversi fenomeni ottici che si andarono man man scoprendo.
e studiando; ma il Newton ebbe il gran merito di mostrare
che la luce, benchè la sua velocità sia grandissima, impiega
del tempo a propagarsi nello spazio; mentre Cartesio riteneva.
che la sua propagazione dall’oggetto luminoso all’occhio fosse
istantanea, e ciò per la sua teoria dell’impulsione (un urto co-
municato all'estremità di un bastone è risentito immediatamente
o istantaneamente all’altra estremità).
In astronomia Newton scoperse la gravitazione universale :
la stessa legge che spiega la caduta dei gravi sulla terra spiega.
il movimento dei pianeti intorno al sole. Con ciò era trovata la.
legge fondamentale dell'Universo. Ricordiamo i versi del Foscolo
nei Sepolcri, là dove, parlando della tomba di Galileo, così lo
designa:
MISE: chi vide
Sotto l’etereo padiglion rotarsi
Più mondi, e il Sole irradiarli immoto;
Onde all’Anglo che tanta ala vi stese
Sgombrò primo le vie del firmamento.
L’Anglo è Newton. Ma il Foscolo non disse cosa esatta in
questi versi: o, per dir meglio, non fu esatto che a metà.
Galileo fin dal principio dei suoi studi fisici si decise per
CARTESIO E NEWTON 331
il sistema eliocentrico, in cui cioè il sole, immoto nel centro,
irradia i pianeti che gli girano attorno. Ma tutti sanno che non
fu lui il primo a vedere la verità di questo sistema: fu Copernico
che dette appunto il suo nome al sistema. Inoltre non si può
dire, sic et simpliciter, che Galileo sgombrasse le vie del firma-
mento al Newton. Le scoperte astronomiche di Galileo sono
per la massima parte dovute alle sue osservazioni telescopiche;
ma egli non arrivò a formulare leggi generali sui movimenti
. planetari, nè si pronunziò nettamente sulla causa di questi mo-
vimenti. Pare bensì da qualche passo delle sue opere che egli
sospettasse un’analogia tra la forza di gravità che, alla super-
ficie della terra, attira i corpi verso il centro di questa, e la
forza che obbliga la luna a mantenersi, nel suo movimento cir-
colare, in vicinanza della terra, come i satelliti di Giove in
vicinanza di Giove. Si può citare questo passo: “ Le parti della
terra hanno tal propensione al centro di essa, che quando ella
cangiasse luogo, le dette parti, benchè lontane dal globo nel
tempo delle mutazioni di esse, lo seguirebbero per tutto; esempio
di ciò sia il seguito perpetuo delle Medicee (satelliti di Giove),
ancorchè separate continuamente da Giove. L’istesso si deve
dir della luna obbligata a seguir la terra ,. Dialogo dei massimi
sistemi, Giornata terza, pag. 351, Ed. Alberi. — Ma in realtà
egli non dette alcun svolgimento a questo suo concetto. Anzi,
inclinando a supporre che il movimento di rivoluzione dei pianeti
fosse una conseguenza della rotazione del sole intorno al suo
asse equatoriale, si avvicinava più alla teoria dei vortici car-
tesiani che alla teoria della gravitazione di Newton. Chi invece
sgombrò veramente le vie del firmamento a Newton fu il Ke-
plero. Galileo anzi ebbe il torto di non vedere l’importanza delle
tre famose leggi di Keplero, che dando una determinazione ma-
tematicamente esatta, nei rapporti di tempo e di spazio, dei
moti planetari descriventi un’ellissi di cui il sole occupa uno
dei fochi, sgombrò senz'altro la .via alla meccanica celeste del
grande astronomo inglese.
Ma in un altro senso, non meno importante, il Foscolo ha
ragione; e si potrebbe ancora dire che senza Galileo, Newton non
sarebbe stato. Galileo, come tutti sanno, trovò la legge della
caduta dei gravi alla superficie della terra. Fu appunto appli-
cando questa legge al movimento della luna intorno alla terra,
Pie IO i pi ©
al d : 4 dota
SAR ADOLFO FAGGI
che il Newton fu condotto alla sua teoria della gravitazione
universale. Il Voltaire ha divulgato l’aneddoto del pomo di
Newton: aneddoto, per altro, che potrebbe essere anche verità.
dice dunque che un giorno il Newton osservando la caduta
di un pomo dall’albero, dovuta indubbiamente all’attrazione ter-
restre, pensò che la stessa causa avrebbe potuto far sì che la
luna cadesse verso la terra.
Si trattava di verificare se la legge della caduta dei gravi
trovata da Galileo potesse applicarsi al movimento della luna,
Un primo calcolo, per la inesattezza dei dati che Newton pos-
sedeva, non riuscì soddisfacente. Ma più tardi, corretti i dati,
il calcolo dette una risposta perfettamente conforme alla sup-
posizione fatta. La luna cade precisamente verso la terra; e se
non la vediamo dar di colpo in mezzo ad un prato come sogna
il pastore di uno fra gli Idilli del-Leopardi; ciò avviene per la
combinazione del movimento di caduta della luna verso la terra,
con una velocità iniziale, cioè ‘con un movimento. che :già
trasportava la luna attraverso allo spazio nel momento che essa
entrò nella sfera dell’attrazione terrestre. La combinazione. dei
due movimenti fa sì che la luna compia il suo movimento» di
rotazione intorno alla terra e sia quindi DR sat per usar. la
frase di Galileo, a seguir la terra.
Così il Newton arrivò alla scoperta della scali uni-
versale, che rendeva inutili i vortici di Cartesio; dando esatta
ragione di tutti i fenomeni dell’universo planetario. Egli trovò
dunque che tutti i corpi si attraggono in ragione diretta delle
masse e in ragione inversa del quadrato delle distanze. Ma
benchè egli scoprisse, come abbiam veduto, il fatto della gravi-
tazione universale e ne determinasse matematicamente la legge,
dovette confessare la sua incapacità a trovare la causa della
gravitazione. Perchè i corpi sono attratti l’un verso l’altro nello
spazio? In che modo possiamo noi rappresentarci quest’azione
dell’uno sull’altro? Quest’azione si fa sentire a distanze enormi:
dalla terra alla luna non solo, ma dal sole alla terra e a tutti
i pianeti, poichè come la luna cade verso la terra così la terra
e tutti i pianeti cadono verso il sole. I loro movimenti di rivo-
luzione attorno al sole si compongono di questa caduta e del
movimento iniziale onde erano dapprincipio animati. Ma come
può l’azione del sole estendersi a distanza così enorme? Anzi,
e ge n
PARISI SO E MPT ATTO TTT
CARTESIO E NEWTON d08
in generale, se fra il sole e i pianeti non ci fosse che spazio
vuoto, come potrebbe un corpo agire là dove egli non si trova?
Si può ammettere un’azione a distanza? O non è essa qualche
cosa di miracoloso e d’incomprensibile?
Si noti che, per vie affatto diverse, così il Newton come
il Locke arrivavano a una specie di agnosticismo. Il Locke, pur
trovando nelle sensazioni sia esterne che interne gli elementi
con cui lo spirito elabora le sue idee, non sapeva poi pronun-
ciarsi sulla natura dello spirito stesso e non poteva escludere
in maniera assoluta che la materia fosse capace di pensare: il
Newton arrivando a determinare la legge fondamentale dell’ Uni-
verso non sapeva decifrarne la causa, nè spiegarsi il suo modo
di agire. Ben diverso era il caso per Cartesio, il quale partendo
dall'idea chiura della materia e dall'idea chiara dello spirito
trovava logico e naturale che quella fosse estesa, questo pensasse.
Quanto ai vortici, egli, come abbiamo visto, li deduceva dall’idea
chiara della materia, per cui questa, identificandosi colla esten-
sione, escludeva lo spazio vuoto; mentre in uno spazio pieno
non è: possibile che il movimento in circolo.
Ma il Newton non poteva essere proclive ad ammettere
un'azione a distanza. Anche per lui, come per Cartesio, il mondo
era un grande, un maraviglioso meccanismo; e qualunque con-
cetto del meccanismo esclude l’azione a distanza. Fra il sole e
ì pianeti non ci può dunque essere spazio vuoto: altrimenti non
si spiegherebbe la loro azione reciproca.
Fra il sole e i pianeti ci dev'essere un medium, e questo
medium è l'etere, il quale è diffuso per tutto lo spazio e tutto
pervade. In tal maniera si potrebbe spiegare come il sole possa
far giungere la sua azione ai più distanti corpi celesti del si-
stema. Così, in certo qual modo, l’azione a distanza si cambia
in un'azione per contatto. Ma perchè le masse più piccole sono
spinte verso le masse più grandi? Il Newton è proclive ad am-
mettere che l’etere sia più denso ai confini esterni dello spazio,
dove cioè non sono agglomerazioni di materia ponderabile, e
sia meno denso o più raro dove sono invece tali agglomera-
zioni. Così l’attrazione, ossia la gravitazione, si spiegherebbe
con una pressione per cui i corpi sarebbero spinti da parti dove
l'etere è più denso a parti dove è meno denso. Egli dice così:
“ Tutti i corpi, da quella parte dove il mezzo è più denso, sono
334 ADOLFO FAGGI
spinti a recedere da questa parte verso quella dove il mezzo è
più raro ,. Questa ipotesi è ben lungi dal soddisfare appieno; .
ma bisogna dire che nessun'altra escogitata in seguito per spie-
gare il modo di agire della gravitazione universale ha raggiunto
lo scopo. Però noi qui riscontriamo una cosa degna di nota.
Newton fa uso d’ipotesi? Ma non è suo il celebre detto: Hypo-
theses non fingo?
Per rispondere convenientemente a questa domanda bisogna
riportarsi alle norme logiche che Newton pone nei suoi Prin-
cipia. Come Cartesio determina le regole del pensiero e le espone
nel Discorso sul metodo, così anche egli, all’inizio del 3° libro,
stabilisce delle regole per l’applicazione dei suoi principi; se-
nonchè Cartesio svolge le sue ampiamente e spiega tutto’ il
processo psicologico per cui egli è arrivato a formularle; il
Newton invece, matematico e fisico più che filosofo e loico, si
contenta di enunciarle senz'altro. Ecco le quattro regole:
1° Ammettere soltanto le cause necessarie a spiegare i fe-
nomeni, ossia non moltiplicare le cause. Gli scolastici aveano già
detto: Entia non sunt praeter necessitatem multiplicanda: prin-
cipio che trova la sua applicazione e la sua giustificazione nelle
scienze fisiche perchè è incluso necessariamente nel concetto di
causa. Tutte le condizioni secondarie debbono essere riportate
alle cause principali, non già ad altre cause o condizioni che
modifichino il fenomeno senza cambiarne la natura. Quando una
molteplicità apparente di cause è ridotta ad una sola causa
reale, noi facciam fare un progresso alla scienza. È evidente,
da quello che è stato più sopra riferito, l’uso che il Newton
fece di questo principio nella sua scoperta della gravitazione
universale (il movimento della luna intorno alla terra non ha
una causa diversa dalla caduta dei gravi alla superficié ter-
restre).
2° Effetti dello stesso genere debbono essere riportati alle
stesse cause. Questo principio è una semplice conseguenza del
precedente (il movimento della luna intorno alla terra non -è
un effetto diverso dalla caduta dei gravi alla superficie terrestre:
dunque dev’essere riportato alla stessa causa, cioè alla gravi-
tazione).
3° Le qualità dei corpi, che non sono suscettibili nè di au-
mento nè di diminuzione e appartengono a tutti è corpi su cui si
q
sd
/
5
CARTESIO E NEWTON 395
possono fare esperimenti, debbono essere considerate pertinenti a
tutti è corpi in generale. Cioè le qualità che appariscono costanti
nei corpi debbono non essere considerate come dipendenti da cir-
costanze fortuite esterne, perchè le qualità dipendenti da queste
con queste variano, potendo apparire ora maggiori ora minori, e
non apparire in certi corpi date certe condizioni. La gravità è
appunto una delle proprietà costanti dei corpi, quando si tenga
il conto matematico delle masse e delle distanze. Essa non può
quindi considerarsi come proprietà dei soli corpi alla superficie .
della terra, ma di tutti i corpi e di tutte le masse disseminate
nello spazio. Si noti però che, come per il Cartesio il peso, così
anche per il Newton la gravità, se è una proprietà generale,
universale della materia e dei corpi, non è di questi una pro-
prietà intrinseca, essenziale o costitutiva; altrimenti non avrebbe
distinto, come distinse, la gravitazione dalla causa della gravi-
tazione. i
4° Nella fisica sperimentale le proposizioni ricavate per in-
duzione dai fenomeni debbono essere considerate, malgrado le ipotesi
contrarie, come esattamente 0 quasi esattamente vere, finchè qualche
altro fenomeno le confermi intieramente o faccia vedere che sono
soggette ad eccezione.
Questa regola ha bisogno di più ampio commento, perchè
vi si parla dell'ipotesi e del suo valore scientifico. Intanto qui
sì distingue fra ipotesi e ipotesi: vi sono cioè ipotesi che son
ricavate per induzione dai fenomeni, e ipotesi che non sono così
‘ricavate, ma sono una anticipazione indebita e frettolosa della
esperienza (ipotesi contrarie). Le prime hanno il diritto di affer-
marsi e mantenersi contro le seconde, fino al responso definitivo
dell'esperienza, che può o confermarle intieramente o far vedere
che son soggette ad eccezioni. Si risente qui l'influenza del -
metodo di Bacone, che combatte le anticipazioni che son frutto
di generalizzazioni affrettate, e non possono quindi aspirare a
nessuna scientifica validità. Esigendo che l’ipotesi sia confer-
mata intieramente dall’esperienza, Newton parla da rigoroso
seguace del metodo sperimentale; Galileo non parlerebbe in
modo diverso da lui. Egli aggiunge che l’esperienza potrebbe
mostrare che l'ipotesi adottata è soggetta ad eccezione. Ma
anche in questo caso l’ipotesi avrebbe servito alla scienza, ser-
Ando a scoprir nuovi fatti e ad allargare così le nostre cogni-
CI, DR - METEO I RD TIA
336 ADOLFO FAGGI
zioni; pare anzi dalle parole di Newton che un'ipotesi fondata,
una proposizione cioè ricavata per induzione dai fenomeni, non
possa essere smentita in modo assoluto dall’esperienza, ma
possa essere soltanto dimostrata soggetta ad eccezione; il che
vorrebbe dire che dovrebbe esser compresa in un'ipotesi più
larga e più comprensiva. Ora si potrebbe domandare se l’ipotesi
dell'etere, quale noi l'abbiamo brevemente riassunta, sia, nello
spiegare le cause della gravitazione universale, una di queste
proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni. Pare a me
indubitato che si debba risponder di no. Tanto è vero, che essa
non soddisfa intieramente, nè il Newton cercò per nulla di darle
una qualche costruzione matematica; e anche in seguito, tutte
le volte che si è cercato di dare per mezzo dell’etere una spie-
gazione della gravitazione universale, si sono sempre incontrate
gravi difficoltà. Essa non è dunque un'ipotesi in stretto senso
scientifica; è un tentativo d’ipotesi, una di quelle anticipazioni
che anche per Bacone non potevano entrare a far parte costi-
tutiva del sapere. Newton scoprì il fatto della gravitazione uni-
versale, ne determinò la legge, ma quanto alla causa non seppe
pronunciarsi. Egli stesso fu tutt'altro che soddisfatto dell'ipotesi
da lui proposta per spiegar la causa della gravitazione univer-
sale. Davanti alla certezza matematicamente esatta del fatto e
della legge egli sentì tutta la debolezza della sua ipotesi: fu
allora che egli sentenziò: Hypotheses non fingo.
Importante soprattutto è nella filosofia naturale del Newton il
suo concetto del tempo e dello spazio. Lo spazio che noi percepiamo
coi sensi è relativo, abbiamo cioè bisogno di riferirlo a un altro
spazio, e la determinazione di un qualunque oggetto nello spazio
è possibile soltanto riferendolo a un altro punto. Così, per sta-
bilire il movimento assoluto di un corpo, bisognerebbe poterci
riferire a un punto che si suppone assolutamente immobile.
Abbiamo udito su questo soggetto la discussione fatta da Car-
tesio, il quale conchiudeva appunto col concetto della relatività
del movimento.
Poichè non si può stabilire in natura l’esistenza di nessun
punto assolutamente immobile, noi non possiamo stabilire asso-
lutamente la posizione nello spazio di nessun oggetto, nè deci-
dere in modo assoluto se egli sia in quiete o in movimento.
I nostri sensi ci danno sempre uno spazio relativo, riferito cioè
POE + I
fit
rabbit i atti
IRE RO BAN
CARTESIO E NEWTON dOT
ad un altro spazio, e questo ad un altro e via di seguito. Lo
stesso dicasi del tempo. Per stabilire un tempo assoluto, noi
dovremmo misurarlo con un movimento assolutamente uniforme :
‘ora non ci è dato di cogliere in natura un movimento assoluta-
mente uniforme. Lo spazio assoluto (senza cioè alcun riferimento
a un oggetto esteriore); il tempo assoluto (che corra cioè in
maniera assolutamente uniforme) sono concetti puramente ma-
tematici. Parrebbe che Newton, da filosofo rigorosamente spe-
rimentale, dovesse conchiudere -per lo spazio e il tempo relativi,
che soli ci son dati dall'esperienza sensibile: invece egli attri-
buisce una realtà allo spazio e al tempo assoluti, che sono una
costruzione matematica. Egli ritenne che ci dovesse essere un
locus sui che servisse di misura allo spazio sensibile, locus asso-
lutamente fisso e stabile, senza bisogno di esser riferito a un
‘oggetto esteriore: nello stesso modo ritenne che ci dovesse essere
un tempo assoluto (matematico), che, dovendo servir di misura
al tempo sensibile, corresse per sè stesso con indefettibile uni-
formità. Le proprietà di un sistema sono funzioni del sistema,
variano cioè col variar delle condizioni in cui questo si trova:
tempo e spazio sono invece indipendenti dal sistema, sono as-
soluti. Ed è questo il fondamento della meccanica moderna,
della meccanica classica, che riconosce in Newton il suo fonda-
tore, e che la teoria di Einstein è venuta ai nostri giorni ad
infirmare, prendendo appunto, col riconoscere al tempo e allo
spazio il carattere relativo, il nome di teoria della relatività.
Benchè i vortici cartesiani siano passati alla mitologia, si
potrebbe dunque pur nondimeno credere che riguardo al punto
sostanziale, il principio della relatività, il duello fra Cartesio e
Newton non abbia ancora avuto il suo termine definitivo.
L’ Accademico Segretario
GIOVANNI VIDARI
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399
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 25 Marzo 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA
VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci D’Ovipro, Seere, PrANO, GuIpI,
GRASSI, SOMIGLIANA, PANETTI, Sacco, PocHETTINO, ZAMBONINI e
il Segretario MATTIROLO.
Scusano l'assenza il Presidente Rurrini e il Socio Foà.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che risulta approvato senza osservazioni. i
Il Presidente comunica una Circolare Ministeriale relativa
alla fornitura di libri tedeschi in conto riparazioni, ed una
lettera del Ministero dell'Istruzione che accompagna un esem-
plare dell’opera La Villa di Venosa in Albano Laziale, che la
Principessa TeRESA Boncompagni Lupovisi ha destinato in dono
all'Accademia.
Dell’opera insigne, sia per la eleganza della edizione, sia
per la nitidezza delle tavole, sia per il testo dovuto a scrittori
eminenti, quali Ferdinando MARTINI, Giovanni Cusoni, Emilio
CrtoveNnDA, parla il Socio MatTIROLO, facendone rilevare l’impo-
rtanza scientifica e la pratica utilità.
L’opera pubblicata dalla nobile Signora, fa onore, non solo
alla famiglia dei Principi di Venosa, ma è di lustro alla scienza
e al paese.
La donatrice sarà convenientemente ringraziata.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 24
LETTONIA RI ARIEL SD TT
340
Il Socio PANETTI presenta e fa omaggio all'Accademia della
Parte prima del suo Manuale di Meccanica applicata alle macchine
e di due lavori eseguiti nel suo Laboratorio : il primo dell'Ing. PA-
SQUALINI, Determinazione del regime delle pressioni sopra una
piastra piana, sottile, rotante con piccolo raggio, il secondo del-
l’Ing. Carlo Luigi Ricci dal titolo: Bilancia aerodinamica di
torsione presso il Laboratorio di Aeronautica del R. Politecnico
di Torino.
. Il Vice Presidente presenta quindi in dono all'Accademia la
Commemorazione di Torquato TArAmELLI che egli ha pubblicato
nel “ Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia ,, facendo
rilevare che la Commemorazione dell’insigne scienziato è accom-
pagnata da una completa rivista bibliografica delle opere pub-
blicate dal TaraMmELLI a partire dal 1863.
Infine dal Vice Presidente viene presentato in dono a nome
del P. Boccarpi il vol. 2° delle Pubblicazioni del R. Osservatorio
‘Astronomico di Pino Torinese.
Dopo la presentazione dei doni, il Vice Presidente rivolge
parole di saluto e di felicitazione al Socio ZAMBoNINI, chiamato
a coprire l’importantissimo ufficio di Direttore dell’Istituto di
| Chimica generale alla Università di Napoli, alle quali risponde
commosso il Socio ZAMBONINI, ringraziando.
Il Socio PANETTI presenta quindi per l’inserzione negli Atti
una Nota dell'Ing. Enrico PisroLEsI dal titolo: Una estensione del
Metodo di Wittenbauer per il calcolo del grado di irregolarità di
una motrice, che viene accolta per la pubblicazione.
Dopo di che l'adunanza è dichiarata sciolta cogli auguri che
il Vice Presidente rivolge ai colleghi di buona Pasqua.
|
4
È
3
ENRICO PISTOLESI — UNA ESTENSIONE DEL METODO, ECC. 341
LETTURE
Una estensione del metodo di Wittenbauer
per il calcolo del grado di irregolarità di una motrice
Nota dell'Ing. Dr. ENRICO PISTOLESI
Presentata dal Socio nazionale residente Modesto Panetti
Il metodo del WirrenBAUER per la ricerca del grado di
irregolarità di una motrice permette un’approssimazione mag-
giore di quella consentita dai metodi comunemente adoperati,
giacchè con l’uso di una forza ridotta e di una massa ridotta,
funzioni dello spazio percorso da un conveniente punto di ridu-
zione, elimina l’errore che nasce dal fare uso, come in altri
metodi, di grandezze funzioni della velocità, considerata come
costante, laddove si tratta appunto di determinarne l'andamento,
ignoto a priori. Il metodo del WirTENBAUER è quindi utilissimo
tutte le volte che le forze agenti nella motrice sono funzioni
del solo parametro dal quale dipende la configurazione della
macchina. In una mia precedente Nota sull’argomento (!) mostrai
precisamente l'applicazione del metodo al caso di motrici DIESEL,
svolgendo il calcolo approssimato della massa ridotta al perno
di manovella per una motrice con parecchi cilindri.
Peraltro il metodo del WirTENBAUER cade in difetto quando
alcune delle forze in gioco siano funzioni, non più della posi-
zione del punto di riduzione, ma della velocità angolare della
motrice. Ciò accade sovente per le coppie resistenti applicate
\
(!) Studio sull’uniformità di movimento dei motori a combustione a 6 e
8 cilindri (“Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, 19 no-
vembre 1916, vol. LII).
342 ENRICO PISTOLESI
all'albero, come nel caso in cui esse procedano da un’elica di
propulsione, da un ventilatore (caso particolare dell'elica), ov-
vero da un freno elettrico o idraulico, ecc.
La presente Nota è diretta a mostrare quali modificazioni
occorra apportare al metodo originario del WITTENBAUER per
adattarlo a questi casi.
: *
**
Il metodo del WirTtENBAUER si fonda sulla relazione
8 1 1
(1) pas Mi -1 Mo
dove Y è la forza ridotta, s lo spazio percorso dal punto di
riduzione, M la massa ridotta, v la velocità del punto di ridu-
zione. Nella (1) è manifestamente supposto che la forza ridotta F
sia funzione unicamente di s.
La (1) può essere scritta sotto forma differenziale nel modo
seguente:
(1)a Fds=d (4 Mw).
Ora supponiamo che F si componga di due parti: F, fun-
zione della sola s (forza motrice) e — F, funzione di v (forza
resistente). Sarà allora: i
(2) F, (s) ds — F;(v) ds =d (1 Mo) .
La risoluzione del problema consiste nella risoluzione. del-
l'equazione differenziale (2). Posto v° = y può scriversi:
6) F, (8) ds — Fs ())ds= 5 d (My).
La risoluzione della (3) non è possibile, in generale, con
metodi semplici di calcolo numerico o grafico; ma se si pone
mente al fatto che la variazione della velocità, e quindi della %,
è piccola, si potrà sempre porre con sufficiente approssimazione
F.(y)=a+by.
PERITI por
PIT PI.
CRESPO PICO DE POTE VO, 13 EI RSI PET NPT 1 PIT
UNA ESTENSIONE DEL METODO DI WITTENBAUER, ECC. 343
Sostituendo nella (3) si ottiene:
’ b de
E-ad-gMy=4-i My)
e posto 3 My=2 (2 non è altro che la forza viva), si ha:
d b
(4) ty (F_-9=0
cioè un’equazione del primo ordine, facilmente integrabile per
via numerica o grafica.
Se indichiamo con 2’ e 2" due soluzioni della (4) si ha:
d (e — 2) ses 9
b tI 14
ds x a)
da cui facilmente
ossia, per s= 0,
(5) zo =z0 +C
e per s=/ (spazio percorso dal punto di riduzione in un pe-
riodo della motrice)
(6) a=a/ + Ce, posto = E i ds.
Le relazioni (5) e (6) possono servire a correggere il ri-
sultato ottenuto, assumendo un valore iniziale di inesatto,
dal che risulterebbe un moto non periodico. Sia o il valore
assunto per falsa posizione. Trattasi di trovare il valore vero 20,
che deve risultare uguale a 2,. Sarà:
Azz —2z5,=C(1- e)
da cui
e quindi
344 ENRICO PISTOLESI
In generale per il calcolo di % sarà sufficiente prendere
DI fi
un valor medio di uni che indicheremo ponendolo entro paren-
tesi, scrivendo
b
21 ”
Allora la differenza fra il valore corrente di 2" e il valore
iniziale 27° sarà espressa da
O Da
ne gi gl
k : . 3 È
ed essendo n generalmente molto piccolo, sì potrà scrivere:
(7) a a=a +0.
La (7) è lineare in s ed esprime perciò che le variazioni
di 2’ rispetto al valore iniziale 2° sono uguali alle differenze
fra i valori di 2’ e le corrispondenti ordinate di una retta con-
giungente i valori estremi di 2’, cioè 29° e 27.
Quando adunque si tratti di ricercare la variazione percen-
tuale di 2, per giudicare da questa il grado di irregolarità della
motrice, sarà superfluo passare dal diagramma probabile 2' a
quello corretto 2", a meno che l’errore non sia grave. Basterà
in generale congiungere con una retta i punti iniziale e finale
del diagramma 2 e contare le variazioni di 2 a partire da questa
retta. \
Per l’integrazione grafica della (4) si scriva l’equazione
sotto la forma seguente:
(4)a . da=(F\—a)ds—2jeds.
Posto 3
(8) | E-0d=®0
sarà
b
(4)5 i d(a-®)=—27eds=— a
Ciò premesso, la tavola annessa mostra come possa proce-
dere l’integrazione grafica.
MEA È
vo al
946 ENRICO PISTOLESI
Sull’asse delle ascisse sono distesi i valori di s, e il segmento
corrispondente all'intero periodo è diviso in parti uguali (24 nella
tavola). Uno dei diagrammi (spezzato in quattro nella tavola per
ragioni di spazio) rappresenta ©.
Un secondo diagramma rappresenta 3°.
Si parte da un valore probabile iniziale 20; si ribalta sul-
l’asse delle ascisse Da ottenendo così il punto (0) e si conduce
la retta 20(0). Hl punto in cui essa incontra l’ordinata del
punto 1 rappresenta manifestamente (2 — ®),. Per avere 2,
basterà addizionare all’ordinata del punto in discorso l’ordi-
nata ®,. Si eseguisca il ribaltamento sull’asse delle ascisse
di E in guisa da ottenere il punto (1). Congiungasi 2;
con (1) e si conduca la parallela dal punto (2 — ®),. Nell’in-
sezione con l’ordinata 2 si avrà il punto (2 — ®),, a cui ag-
giunta l’ordinata (®), si avrà 2,3. E così di seguito.
Il punto finale’ del diagramma 2 avrà generalmente una
ordinata leggermente diversa da quella del punto iniziale.
Congiunti i due punti con una retta, si leggeranno a partire
da questa le variazioni di 2, che si aggiungeranno al valore
iniziale 2. La correzione del valore iniziale può trascurarsi
quando la differenza fra le due ordinate sia piccola.
Infine, se M è poco variabile, com'è il caso della figura, e
anche 2 risulta poco variabile, il grado di irregolarità della mo-
trice risulterà con tutta semplicità espresso dalla formula:
(9) i __ max. — Zmin.
2 medio
EsEMPIO.
Si è scelto come esempio il II della nostra precedente
Nota: Motore Dieser per sottomarini, a 6 cilindri, a due tempi,
con un compressore a 2 fasi (costruzione F.I.A.T.-S. Giorgio).
Nella citata Nota si assumeva una coppia resistente costante
e ne risultava, come grado di irregolarità, t = 5 -
ar SPIRA
Re er
SITO RETE
OE EEE VERE
UNA ESTENSIONE DEL METODO DI WITTENBAUER, ECC. 347
Si è fatta ora invece l’ipotesi che la coppia resistente sia
semplicemente proporzionale al quadrato della velocità angolare,
e quindi anche al quadrato della velocità v del punto di ridu-
zione (perno di manovella).
Si ha cioè
ar=0
e perciò ® non è altro che il lavoro compiuto dalle forze mo-
trici, dedotto il lavoro assorbito dal compressore.
Tale lavoro, alla fine di un giro, è uguale a 1190-70 =
1120 Kg.cm. essendo 1190 Kg.cm. il lavoro motore, 70 Kg.cm.
il lavoro consumato dal compressore.
La motrice compie mediamente 500 giri al minuto, pari ad
una velocità angolare media Q = 52.4. Il raggio di manovella
è cm. 13.5 e perciò la velocità v del punto di riduzione risulta
di 707 cm./sec. e lo spazio / percorso in un giro dal punto di
riduzione risulta di 84.8 cm.
Se ne deduce la seguente relazione approssimata:
1120 = X 7072 X 84.8
a E E
—— 10000 LI AERR 18950.
| Perciò il diagramma ca dovrebbe avere come ordinate
18950 M. Ma poichè sull’asse delle ascisse ogni centimetro rap-
presenta cm. 3.53, per usare la costruzione precedentemente
indicata converrà moltiplicare i valori di I per ra = 0.288.
Così il diagramma m ha per ordinate
0.283 X 18950 M = 536 M.
Applicando la formula semplice (9), che in questo caso è
applicabile, si ottiene:
visiti n digiaso. OT EB, Si È s b
AIN 3 “= na doi “I uè Di CIO pi silva
AR TIATE a de he)
343 ENRICO PISTOLESI — UNA ESTENSIONE DEI. METODO, ECC.
Si rammenta che nel caso della coppia resistente costante
. il D 9 i >,
si aveva 5 - Vi ha dunque, com’è naturale, un vantaggio, ma
forse meno grande di quanto potrebbe a prima vista aspettarsi.
Superfluo dire che al procedimento grafico può essere, senza
alcuna difficoltà, sostituito un ovvio calcolo numerico.
Marzo 1923.
Ke
L’ Accademico Segretario .
Oreste MATTIROLO
349
CLASSE
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza dell’8 Aprile 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci SrampPini, Bronpi, ErnAuDI, CIAN,
Luzio, Mosca e Vipari Segretario della Classe.
Scusano l’assenza i Soci De Sanctis, PrATO, PATETTA,
VALMAGGI, JANNACCONE.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
18 marzo u. s.
Il Segretario comunica che il prof. DE SANCTIS recatosi a
Bruxelles per assistere al V Congresso internazionale di Scienze
storiche che si terrà dall’8 al 15 aprile corr., è stato pregato
di rappresentare l'Accademia che vi era stata invitata nell'agosto
scorso.
‘ Il Socio SrAMPINI presenta la pubblicazione del prof. Vin-
. cenzo Ussani: Josippî [Hegesippi qui dicitur] historiae liber I
(c. I-XIV), e ne rileva con brevi parole la contenenza e il valore.
Presenta inoltre una pubblicazione americana: A sixth-cen-
tury fragment of the letters of Pliny the younger - a study of six
leaves of an uncial manuscript preserved in the Pierpont Morgan
library New-York, dovuta ai signori E. A. Lowe e E. K. Ranp;
e illustra la. bellezza e l’importanza scientifica della pubblica-
zione. La Classe delibera di ringraziare i donatori.
350
Il Segretario presenta alla Classe l'opuscolo: Gioranni Sforza
(La bibliografia de’ suoi scritti e quattro discorsi commemorativi
pubblicati a cura del Municipio di Montignoso di Lunigiana),
pervenuto direttamente dal Municipio di Montignoso. Al quale
si invieranno i ringraziamenti.
Il Presidente Rurrini offre all'Accademia una sua recente
pubblicazione: La parte dell’Italia nella formazione della libertà
religiosa moderna (Estr. dalla “ Rivista d’Italia ,, 1923, vol. I,
fasc. II). La Classe ringrazia. Il Presidente stesso presenta
pure la pubblicazione del prof. P. ReveLLI, L'Italia nella Divina
Commedia.
Il Socio VipAaRI presenta all'Accademia il volume pervenuto
dal Socio corrispondente prof. Carlo Pascat, Nerone nella storia
aneddotica e nella leggenda (Milano, Treves, 1923). La Classe
ringrazia. E presenta pure in omaggio all'Accademia la pubbli-
cazione di un suo recente discorso commemorativo di G. Bottero
fondatore della “ Gazzetta del Popolo ,. La Classe ringrazia.
Passando alla presentazione di Note per gli Atti,
il Socio StAMPINI presenta Elegiaca, Epigrammata et In-
scriptiones ;
il Socio Cran presenta uno scritto del prof. Alberto Ma-
cnaGHI, I confini d'Italia nel pensiero di Dante, secondo una
pubblicazione recente, e ne illustra la contenenza;
il Presidente Rurrini presenta uno scritto di G. Tucci,
La redazione poetica del Karandaryaha (*).
(*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo.
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pre Twegra g° e
sità Alain it
ETTORE STAMPINI — ALTRI SAGGI UMANISTICI 351
ALTRI SAGGI UMANISTICI
ELEGIACA
EPIGRAMMATA et INSCRIPTIONES
HECTORIS STAMPINI
Socii ordinarii Taurinensis
EPIGRAMMATA
L
Ap IoANNEM FALDELLA SENATOREM
Obtuli amicitiae, colui quam mente fideli,
munera quae hic parvus parva libellus habet,
parva quidem atque etiam calamo signata latino;
heu! minimi haec aetas scripta latina facit.
Sed, mihi si rarus lector continget amicus,
quid refert? lector tum mihi pluris erit.
Si et dederit plausus doctus Faldella, putabo
sidera sublimi me tetigisse manu.
DI
Ap BENEDICTUM FRACCALVIERI (!)
(prid. non. mai. an. MCMXXII)
Docte Pater, cordi semper carissime nostro,
quem colere officium est, magnificare decus,
(') Olim Rectorem Regii Ephebei Montiscalerii, nune autem Romae
summum Sodalium Barnabitarum Magistrum.
392
ETTORE STAMPINI
fulgidus ille dies iterum luxisse videtur,
quo maior solito est hic tibi factus honor,
quo Rex ipse tui viderunt noti ‘et amici
quam magni faceret teque operamque tuam (1).
Tum quoque te libuit dapibus celebrare meroque,
multaque potantes vota tulere tibi;
utque suum tibi quisque bibens recitaverat omen,
cunctae plaudentes concrepuere manus.
Nunc, redeunte tui bene fausti nominis astro,
nobis pergrato discipulisque sacro,
omina vox renovat rite inter pocula laeta, ,
dantque manus plausus ingeminantque suos.
Vota brevi stringam: longam producere vitam
sic possis felix perpetuoque valens.
III.
In GernoiooxàANewov meam (?)
Explorans medicus tactu armillaque notanti
duratas venas comperit esse meas,
multaque praecepit quae, si sunt apta medelae,
sunt mihi parenti dura reperta nimis.
Vos igitur, pernae sapidae costaeque cruentae,
et salsi pisces, iuris et omne genus
carnibus expressum, vosque omnia, farta, valete,
atque in perpetuum, vina, valete simul.
Cara meo cordi primum, mox, grata palato
quae fuerant, rapuit.sors miseranda mihi;
quamquam iussa Dei semper sum ferre paratus,
integra dum restet mens animusque vigens.
Quod si aures precibus nolit praebere faventes,
a! properet saltem fata suprema Deus.
(') Cfr. inscriptionem atque elegidion, quae edidi in Actis huius Aca-
demiae ‘vol. LV, an. 1920, p. 282 sq.) et in libro qui inscribitur Nel mondo
latino (Torino, Bocca, an. 1921, pp. 442 sq, 458 sq.).
(*) Epigramma per valetudinem compositum natali meo a. d. IV. kal,
iun. an. MUMXXII.
ALTRI SAGGI UMANISTICI 353
IE
Ap Secunpum FRroLA SENATOREM
(a. d. III. non. dee. an. MCMXXII)
Frola Comes, lumen iam pridem dicte Senatus,
Taurinaeque decus gentis et amplus honor,
quo moderante graves res urbis mente sagaci,
vidimus hanc summa prosperitate frui;
qui, eloquio praestans ac rebus natus agendis,
iura probe calles omnia et arma fori,
num tua facta queam verbis ornare decoris,
cum te habuere bonum publica fata ducem?
quive tuas possim magnas extollere digne À
laudes, quas hodie plurima lingua canet?
Scilicet at turbae me nunc miscere sodali,
communis studii quae tibi signa dabit,
festivo fremitu tibi fundens omina laeta
scriptaque plaudentum nomina multa ferens,
etsi vementer cupiebam pectore toto,
nec maerens animus membra neque aegra sinunt.
Sed — speramus enim — veniam placide adnue nobis:
cordis habes nostri cognita vota satis.
Perpetuo incolumis vivas, Fortunaque pergat
esse secunda tibi, clare Secunde, diu.
VA
Ap DeLpHinum Orsi Comitem (1)
(a. d. IV. id. dec. an. MCMXXII)
O Delphine, senis semper studiose magistri,
qui Populi sapiens acta diurna regis,
accipe laeta tibi bene quae nunc vota merenti
undique nobiscum Patria mittit ovans.
°Cfr. commentarium, qui Augustae Taurinorum prodiit sic inscriptus
10 dicembre 1922 In onore della Gazzetta del Popolo, p. 6.
354 ETTORE STAMPINI
VI.
AD ADULESCENTULUM NOBILI GENERE NATUM
Virtutes patrias sequitor faciasque caveto
nobile quae possint dedecorare genus,
sed colere id par est, tamquam venerere parentes,
dummodo ne tumeant ora superba tibi.
VII.
Omina fausta (1)
1,
Ap HenricaM MAssERANO
Post multos annos momentaque tristia rerum,
paene quibus mersus, naufraga navis, eram,
Henrica, exiguum quondam mea tempus alumna,
cui nullam poteram iungere mente parem,
cuius, in aetatis cursu, firmissima imago
excidit haud umquam pectore lapsa meo; È
te tandem vidi, te audivi dulce loquentem, 1
vox ut blanda mea nunc quoque in aure sonet. |
Ipsa mihi visa es, tamquam si temporis ala
te dubitavisset tangere tacta metu.
Sed mihi, quem nosti iam praecipitante sub aevo,
anni quot longa damna tulere fuga!
Attamen est certum vanas auferre querellas,
Musa mihi assiduam dummodo praestet opem;
dum divina meam foveat modo Gratia mentem,
adspiretque meis ausibus usque favens;
dum suaves natas mihi dilectosque nepotes
cum generis servet provida cura Dei; 3
dummodo amicitiae fidae fidique sodales
sint atque interdum me meminisse velint;; É
4 CONO Coe gr 3 I
(4) Scripta per ferias Natalicias, quae dicunter, exeunte anno MOMXXII. |
“> ko ERI
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII.
ALTRI SAGGI UMANISTICI
dum tua mi semper maneat propensa voluntas,
osque, Henrica, tuum verba benigna paret.
Interea, adveniens quoniam nos admonet annus
omina nostra tibi mittimus ecce bona.
Exoptata Deus large tibi dona ministret
inque polo faustis ignibus astra micent.
,
DI
ii
Ap LAURAM ALOISIAM OTTAVIANO
Haec, bona Laura, tuis pro votis vota rependo:
vivite felices tuque et uterque parens.
3.
Ap Arronsum M. Casori S. I.
Quae mihi misisti a Benaco vota benigna
accipiens propero reddere, amice, tibi.
4.
Ap HenRrIcuMm CoccHrA SENATOREM -
Cocchia, saepe mihi fido spectate fidelis,
vota mei cordis pectore conde tuo.
Te quoque si quondam sors funere fregit acerbo,
at gravibus tandem luctibus adde modum;
nam tibi sunt praesto dulcissima gaudia vitae,
quae merito clemens iam Deus ipse dedit.
Illa appone lucro, iucunde sodalis, et aequa
utere fortuna quae modo iniqua fuit.
5.
Ap ALoISsIUM GIACOMELLI SACERDOTEM
O qui templa Dei raris virtutibus ornas,
mi Domine, o simplex et venerande senex,
qui ingenio pollens, studiis insignis et arte,
Veronam decoras, docte poeta, tuam;
25
350
Le ils ee eten e,
356 ETTORE STAMPINI
qui legis et comis perpensis laudibus effers
quae mihi parva favens Musa latina canit;
accipe corde meo quae manant vota profundo,
quaeque tibi volui carmine missa brevi:
Sic tua, quas servas, praecepta sequantur alumnae,
ut culpam fugiant insidiasque malas;
sic tibi et, eveniant, quae suscipis, omnia fauste,
ambiat et canum Gratia sancta caput.
-6.
Ap IacoBsum GIRI
Teque tuosque simul, Giri, dilecte sodalis,
in multos annos Hector avere iubet.
rà
Ap Atrorstum MARTINI SACERDOTEM
PE er °°
Hune natalicium, Martini mi, accipe panem,
cumque tuis salve terque quaterque vale.
3.
Ap CaRroLUM Pasca
Ad te si nondum rescripta est littera nobis,
tu cave nos reputes haud meminisse tui.
Scis mihi deserto quae sit nunc vita trahenda,
quae circumveniat cura scelesta caput.
Omnis perpetuo sic est mea fracta voluntas,
subque manu tremula candida charta manet.
Sed qui corde meo possim depellere amicos,
atque adeo Caroli non memor esse mei?
Quare te veniam nunc posco supplice vultu,
accipiasque libens omina fausta rogo.
VERO PIREO SI TE I I EI da UT
hf
e PVI RA
vi,
ALTRI SAGGI UMANISTICI 357
9.
Ap FeELICEM RAMoRINO
Quod mihi perdoctum librum, carissime Felix,
misisti, veteris munus amicitiae,
cum magnas habeam tibi grates, insuper opto
adveniens annus det tibi larga bona.
10.
Ap REMIGIUM SABBADINI
O cui cognomen dant sabbata, docte sodalis,
plurima cui tantum scripta dedere decus,
sì tenues pascit spes iam provecta senectus,
quae tibi praecipue prospera fata precer?
At bona pauca seni Caelum permisit habenda:
haec habeas opto, dulcis amice, diu.
LT,
Ap Arorsium VALMAGGI
Qui tibi et uxori iam nunc novus additur annus,
is precor ut vobis munera opima ferat.
12.
Ap Aucusrinum VEDOVI SACERDOTEM
Augustine, tuo quae exoptem dulcia cordi?
lecta tibi ut Caelum fundere dona velit.
VII.
In violas ab Henrica depictas.
Picta tabella probe violas imitata revinctas,
quaeque creas veris haec potiora manus,
utraque cara mihi longe et pretiosior auro,
oscula quam vobis figere multa velim!
At Deus omnino non me sinit esse beatum :
est tabula ante oculos, sed manus illa procul.
ETTORE STAMPINI
IX.
Spes fallax et Dolor
O quae sola mihi restabas ultima diva
de tot, paulatim quae periere, bonis,
Spes, modo quae caris me vinclis blanda tenebas,
gaudia promittens, quae per inane volant,
nunc iterum saeve deceptum perfida linquis:
tu, Dolor, at remanes, o mihi fide comes!
da
Spei nulla fides
Fallax quae fuerat nuper Spes ipsa reversa
incipit ecce suos tendere blanda dolos,
ore renidenti promittens gaudia rursus
quae mihi nunc misere rapta fuisse queror.
Anne ego, cui nota est reducis pellacia divae,
insidiis capiar ceu fera vineta plagis?
Stillat adhuc multo perfossum sanguine pectus:
Spes, tibi iam numquam credulus esse volo.
Credo equidem Fato, quod numquam me angere cessat;
sed, quae blandiris, Spes, tibi nulla fides.
XL;
Ap Henricam UxoRrEM
Cur dolui demens? Non me fallebat amantem
quae modo blanda suum Spes repetebat iter;
nec sola, ut quondam, mendax mihi verba ferebat,
ast ita quae dixit praestitit illa libens,
suavis ut Henricae mihi mens animusque manusque
ipsaque iam lasso sit data vita simul.
Longa mihi tecum sie dentur tempora iuncto:
grata, Henrica, domus vitaque dulcis erit.
PRI RE II PERI RUETA SRTTI VL-
ALTRI SAGGI UMANISTICI 359
INSCRIPTIONES
Saucia ut eriperent in pugna corpora morti,
impavidi munus morte obiere suum.
At nos in tabula medicorum nomina ahena
scribimus » his addent saecula cana decus.
He
Hic ubi sunt primum mentesque manusque Latinae
ausae perfosso monte aperire viam
quae binos populos uno de sanguine cretos
iungeret et longe dissociata freta,
utraque post decimum lustrum Romana propago
foedera confirmat quae pepigere patres.
III,
‘ Aegre qui poterant sacrum contingere limen
per duras scalas innumerosque gradus,
nune facili his montis per viscera tramite ductis
Virginis in templo solvere vota licet.
* Haec inscriptio, in honorem composita medicorum Taurinensium qui
in bello annorum MCMXV-MCMXVIII pro patria ceciderunt, in pariete
atrii superioris legitur nosocomii maximi Taurinensis, cui Sancti Ioannis
Baptistae nomen v‘inditum est.
** Inscriptio in granite, qui vocatur, lapide insculpta et Bardoniscae
in fronte fornicis proposita perviae eryptae, per quam sub Frejus monte
iter ferratum Italiam cum Francogallia coniungit.
*#** Inscriptio in fronte fornicis insculpenda perviae cryptae, per quam
nunc ad sacellum B. V. Mariae a Corona, haud procul a Spiazzi in mon-
tibus Veronensibus, compendioso itinere acceditur.
TER LUI ER REI RE RAI
360 ETTORE STAMPINI — ALTRI SAGGI UMANISTICI
se
Balnea Romani iam cognita gentibus orbis,
hospes, multimodis hic renovata vides.
Hic spirans blandus tepidis sub solibus aer,
deque iugis gelidae vena fluentis aquae,
hic nemorum frigus, viridantia pascua, saltus,
cum recreent animos, corpora lassa levant.
Sed nova nunc tecta et securae commoda vitae
illecebras augent deliciasque loci,
atque invecta recens medicorum docta reperta
membra aegrota fovent ac mala longa fugant.
Namque lutum fervens fumos laticesque calentes
vere fama vetus prodigiosa vocat.
Sollicitas igitur curas si pellere quaeris,
hic remane, hic placidos experiere dies.
* Spectat haec inscriptio ad thermas Vinadii apud Cuneenses, quamquam
neque insculpta neque insculpenda est.
ALBERTO MAGNAGHI — I CONFINI D'ITALIA, ECC. 361
I confini d’Italia nel pensiero di Dante,
secondo una pubblicazione Pecente
(PaoLo ReveLLI: L'Italia nella Divina Commedia, con la ripro-
duzione diplomatica del Planisfero di P. Vesconte del 1320-21
e una cartina: “L'Italia di Dante ,. — Milano, Fratelli
Treves, 1923).
Nota del Prof. ALBERTO MAGNAGHI
presentata dal Socio nazionale residente Vittorio Cian.
In una lunga nota alla fine del volume (pp. 216-217) il
Revelli crede di poter affermare, e v’insiste a più riprese, che
il contributo dei vari lavori intesi ad illustrare l’opera di Dante
sotto il punto di vista geografico è, in genere, scarso e limitato :
vuoi per “ difetto di senso geografico ,, vuoi per “ deficenza di
metodo , e via dicendo. E al giudizio non si sottraggono, na-
turalmente, le “ varie miscellanee, relativamente non numerose,
a cui ha dato occasione il presente centenario ,. Ora, se io stesso
non avessi cercato di recare alla geografia dantesca un modesto
contributo con due lavoretti, dei quali uno fu appunto pubbli-
cato nella Miscellanea del “ Supplemento dantesco del Giornale
storico della Letteratura italiana , (1), vorrei proprio domandarmi
se nelle parole del Revelli non vi sia per caso un po’ d’esage-
razione; e credo che m’indurrei fors’anche a chiedergli, in confi-
denza, se per il fatto che, dopo tutto, codesti lavori non gli hanno
per nulla intralciato (specialmente qualcuno) la compilazione del
suo volume, non venga egli pure a cadere sotto la sanzione della
(1) A. MagnagHI, La “ Deverio Apennini ,, del “ De vulgari Eloquentia ,,
e il confine settentrionale della lingua del sì, 1921.
362 ALBERTO MAGNAGHI
sua stessa severità. Ma poichè, dunque, queste due: domande
sono l’una inopportuna e l’altra superflua, io devo limitarmi a
chiedere se il Revelli sia almeno riuscito a trar fuori qualche
cosa di nuovo intorno ad alcune questioni delle quali io stesso
mi ero precedentemente occupato: quella dei confini dell’Italia
dantesca, e soprattutto quella dei limiti della lingua del sì verso
oriente e verso settentrione.
E dirò subito che le ‘ragioni addotte dall’egregio A. a so-
stegno dei suoi punti di vista non mi sono apparse così nume-
rose e incalzanti, da indurmi a rinunziare alle conclusioni alle
quali ero pervenuto.
Ma anzitutto non sarà male esporre per sommi capi i ter-
mini della questione.
Nel 1. I, cap. 8° del De vulgari Eloquentia Dante, dopo aver
ripartito, un po’ vagamente e come potevano consentire le co-
gnizioni del tempo, i popoli d'Europa in tre gruppi, vuol deter-
minare la partizione e i limiti dell’aggruppamento, ch’era meglio
conosciuto, delle lingue derivate dal latino: “ proferentes oc me-
“ ridionalis Europe tenent partem occidentalem, a Januensium
“ finibus incipientes. Qui autem si dicunt a predictis finibus orien-
“ talem tenent usque ad promuntorium illud Ytalie qua sinus
“ Adriatici maris incipit, et Siciliam. Sed loquentes oi quodam
“ modo septentrionales sunt respectu istorum, nam ab oriente
“ Alamanos habent et a septentrione; ab occidente Anglico mari
“ vallati sunt et a montibus Aragonie terminati; a meridie quoque
“ Provincialibus et Apennini devexione clauduntur , (1).
È anzitutto evidente che qui non si tratta di confini politici
o storici; ma, trattandosi di confini linguistici, quando non si
possono far coincidere nettamente con coste marittime o catene
di monti, essi corrispondono a limiti etnografici; che nella mente
di Dante dovevano corrispondere non a linee ma a zone d’una
(1) Mi riferisco, s'intende, all'edizione del Rayna, Firenze, 1896. Anche
il testo più recentemente curato dal Rajna stesso non dà per il luogo in
questione nessuna variante (cfr.: Le Opere di. Dante. - Testo critico della
Società Dantesca Italiana, Firenze, Bemparad, 1921, vol. I, p. 326).
MESSER
ng uf» »
n,
I CONFINI D'ITALIA NEI, PENSIERO DI DANTE, ECC. 363
certa estensione, perchè nel cap. 15° del ]. I egli osserva che
Trento, Torino e Alessandria, per essere troppo vicini ai confini
d’Italia non possono avere “ puras loquelas propter aliorum com-
mistionem ,. La limitazione poi che appare contenuta nel sed
e nel quodam modo fa capire che quelli che parlano l’oîl sono
settentrionali solo in parte, e rispetto agli altri due gruppi
dell’oc e del sì, che si stendono rispettivamente a occidente e
a oriente, ma in realtà appartengono sempre all'Europa meri-
dionale; e perchè riescano settentrionali per i primi due, è evi-
dente che la zona limite deve avere una direzione da W. a E.
Ciò premesso, e riconosciuto che rimangono un po’ vaghi
i confini dell’oc, mentre più chiari e meglio determinati appa-
iono quelli dell’oil, ci si può domandare se nell’intenzione di
Dante tutti questi limiti non dovessero integrarsi e completarsi
a vicenda. Sembrerebbe logico; Dante non ha creduto di doversi
ripetere, e i confini dell’oîl, che sono dati tutto all’ingiro, ser-
vono anche per quelli, che non vengono espressamente nominati,
relativi agli altri due gruppi. Così dell’oc sono dati i confini dai
montes Aragonie, dai loquentes oil e dai fines Januensium; per il
sì dai fines Januensium, dalla deverio Apennini, dalla Sicilia è
dal promuntorium dove comincia l'Adriatico: e per il resto delle
due penisole v'è il mare, che Dante non ritiene necessario sog-
giungere perchè avrà supposto che questo fosse saputo da tutti:
a quel modo che l’autore del commento che vediamo riprodotto
nel Pianisfero di P. Vesconte (pp. 108 109 dell’op. del Revelli),
mentre dà i confini delle regioni continentali, non s’indugia a
stabilire i confini delle due penisole, ma dice senz'altro: Ytalia
patet; Yspania patet.
La lingua del sì verrebbe a trovarsi, nel pensiero dantesco,
entro limiti quasi perfettamente identici a quelli entro i quali
. la racchiuderemmo oggi noi stessi, se per deverio Apennini noi
potessimo intendere il versante delle Alpi Pennine e di parte
delle Leponzie (1) che effettivamente ci divide dal Franco Pro-
(1) Questo però sarebbe solo una parte del limite settentrionale; ma
Dante subito prima ha detto che l’idioma dell'io, comprendente un po’ alla
rinfusa Sclavones, Ungaros, Teotonicos, ecc., è limitato in parte dai fines
Ytalorum; e non v'è ragione d’escludere che codesti fines egli non li
vedesse in continuazione di questo tratto delle Alpi verso E.
304 ALBERTO MAGNAGHI
venzale, e se il promontorio dove comincia l'Adriatico potesse
identificarsi semplicemente col C. d’Otranto.
Ora, senza ripetere quanto esposi nel mio lavoro citato,
risulta per l’appunto che, sia per Dante, come per i suoi con-
temporanei e in genere per tutto il M. Evo, Alpi e Appennino
si confondono in una sola catena, e che le Alpi vengono com-
plessivamente chiamate Alpi Appennine, Alpi d’ Appennino ©
senz'altro Appennino; sicchè non si dovrebbe vedere la necessità
di far dire a Dante uno sproposito col far arrivare la lingua
d’oil all’Appennino inteso nel senso che intendiamo oggi noi, 0,
per applicargli le attenuanti, di ammettere che nella sua intenzione
l'Appennino poteva arrivare a comprendere anche le Alpi Ma-
rittime. E quanto al C. d'Otranto, non m’era parso che fosse
neppure il caso di metterlo in dubbio. Ma ecco che il Revelli
ci vien fuori ancora con “un arco delle Alpi Marittime , per
la devexio, e con qualche cosa di nuovo anche per il promun-
torium illud qua sinus Adriatici maris incipit.
E cominceremo da quest’ultimo, ossia dal confine orientale.
*
* *
Dante, fra i vari mezzi di cultura che i tempi gli consentivano,
avrà certo avuto spesso occasione di consultare carte geografiche e
di osservare quale fosse l'estremità orientale d’Italia, che per noi è
il C. d'Otranto. Anzi le carte del M. Evo, di qualunque natura e di
qualunque origine, terrestri, portulaniche, arabe, davano l’Italia
assal estesa in longitudine; e le carte terrestri adagiavano addi-
rittura la penisola quasi da W. a E. con l'Adriatico à N. e il
Tirreno a S. conforme alla descrizione che ne davano i geografi
medievali, da Orosio in poi. Nelle carte marine l'errore era meno
accentuato, ma la tendenza appare costantemente visibile; onde
è sempre logico ammettere che, a più forte ragione di quello
che facciamo noi oggi, Dante dovesse vedere l’estremità orien-
tale al C. d'Otranto. A ben pochi, credo, si presenterà l’idea
che il promuntorium dove comincia il sinus Adriatici maris
possa corrispondere al C. Promontore dell'Istria, come -- non
sì capisce perchè .— venne in mente di sostenere, non è molto,
al prof. G. Andriani in un lavoro nel quale si proponeva di
dimostrare che il Quarnaro dantesco è il braccio di mare fra
fe. VIEN RA Det ti na Dare
5
vr
ì
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 965
Cherso e l’Istria terminato, press’a poco, al canale della Fara-
‘sina (1). Tesi che potrebbe anche essere scartata a priori, perchè
Dante pone decisamente gl’Istriani fra gl’Italiani; ma se il con-
fine orientale del sì è il C. Promontore, tutto quello che è a E.
«del meridiano di questo capo dovrebbe ad un tratto apparte-
nere ad altra lingua, e il termine sarebbe così più vago che
mai perchè al di là non v'è il mare, ma continua la terraferma;
‘inoltre il Quarnaro “ che Italia chiude , e perciò la parte più
interna, dove oggi è Fiume, sarebbe rimasto per un buon tratto
fuori d'Italia; e infine noi avremmo il principio dell’Adriatico
posto proprio nella sua estremità settentrionale, ossia sempli-
«cemente nel punto dove finisce (perchè è ovvio che un’insena-
tura, un mare diramato si farà sempre cominciare là dove si
stacca nettamente da una massa acquea più estesa di Oceano
‘o di mare aperto, a quel modo che si considererà l’inizio di una
penisola là dove la sporgenza comincia a determinarsi) (2).
Ora, sembra che a codesta tesi di farmi cominciare il sinus
Adriatici maris dal C. Promontore avesse dato il suo assenso
anche il Revelli (3). Ma l’Andriani scriveva prima del Congresso
di Rapallo ...; basta, oggi può spiacere aver ammesso alias che
la lingua del sì arrivasse solo al C. Promontore, e non un po’
più in là, almeno sino al punto dove è Fiume, e il Revelli adesso
ammette senz'altro che il Quarnaro dantesco dovette trovarsi nella
parte più interna del Golfo (4). Ma quanto al Promuntorium, il
(1) Cfr. G. Anpriani, Il confine dell’Italia sul Quarnaro secondo Dante,
nel “ Boll. della R. Società geogr. italiana ,, fasc. 7-10 del 1920, p. 214.
(2) Contro questa e contro altre idee dell'Andriani cercai di opporre
«qualche argomento in un lavoro sul Quarnaro dantesco pubblicato in La
Geografia, Novara, 1921, fasc. 3-4.
(3) Cfr. AnpRIANI, p. 214, nota.
(4) Vale la pena d’una breve nota per far vedere in qual modo il R.
giunge a questa conclusione. L’Andriani, come argomento principe per so-
stenere che il Quarnaro era il braccio di mare fra Cherso e l’l:tria termi-
nante al canale della Farasina (un golfo che finisce in acqua!), si fondava
‘sopra un passo del Commento di Benvenuto da Imola: “ Est enim Carnarium
quidam gulphus in mari Adriatico in finibus Italie continens XL miliaria ,,
‘e sosteneva che facendo il circuito Cherso-Canale della Farasina-Istria sino
al C. Promontore si avevano precisamente 40 miglia. Io avevo osservato,
fondandomi sulla circostanza che le, miglia sono ettettivamente più del
«doppio e sul fatto che Jacopo della Lana commenta: ‘ golfo che dura
3606 ALBERTO MAGNAGHI
Revelli è disposto, sì, a far qualche concessione, ma ... con juicio:
cioè C. Promontore no, ma giù di lì; esso subisce un ingran-
dimento e vien fatto corrispondere (il promuntorium qua sinus
Adriatici maris incipit) all’Istria stessa, all’Istria in persona
(non vera peste; vale a dire peste sì, ma in certo senso: non
peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro
nome. Finalmente, peste senza dubbio e senza contrasto).
Or ecco come ragiona il Revelli.
L’identificazione col C. d'Otranto, ammette anch'egli, trova,
bensì, più di un argomento in suo favore, ma non è detto che
sia la sola logicamente possibile. E conviene procedere cauta-
mente, soggiunge, prima di negar ogni fede a un'ipotesi diversa
da quella più ovvia. “ Gli scrittori della tarda età medievale
“ adottano talvolta concezioni che risalgono a un’antichità remota,
“dando quindi ad alcune espressioni un valore assai diverso da
“ quello adottato da altri scrittori contemporanei. Così, se anche
“ Alberto Magno usa l’espressione ‘Adriatici maris sinus’ nel senso
“ di Adriatico, è possibile che per Dante il ‘sinus Adriatici maris’
“abbia un valore analogo a quello che l’espressione ‘ sinus Adria-
40 miglia ,, e su altri argomenti che è superfluo qui riportare, che continens
doveva corrispondere alla lunghezza della linea Sansego-C. Promontore che
forma l’imboccatura principale del golfo; e le XL milliaria vengono effet-
tivamente a corrispondere alla distanza data dai portolani. Questo era
l'elemento che interessava i marinai, perchè venendo dalla Dalmazia, do-
vevano attraversare quel tratto di mare allo. scoperto e indifeso dalla Bora
prima di raggiungere le coste occidentali dell'Istria. Ed ecco che ora inter-
viene il Revelli: Quarnaro tutto il golfo, sì; ma il passo di Benvenuto
sì riferisce sempre ad un circuito, quello della parte più interna. Ben-
venuto intenderebbe per Carnarium ‘il triangolo (sic) che ha per vertici
“ la parte centrale del canale della Farasina [in acqua!] un punto della costa
“di Volosca e lo scoglio di S. Marco. Infatti, se noi misuriamo sulla carta del
“ Vesconte del 1311 lo sviluppo della costa del continente contrapposto alla
‘ estremità settentrionale dell’isola di Cherso e il vallone di Bùccari, tro-
“ viamo una distanza inferiore a uno ‘spazio’ di 50 miglia datoci dalla scala
“della carta. E se misuriamo su una carta moderna a piccola scala lo svi-
“luppo del tratto costiero ‘ Punta di Fianona-Fiume-Porto Re’ troviamo un
“ valore non molto lontano dai 50 Km., che corrispondono precisamente alle
“40 miglia... ,. Ragionamento che assomiglia un poco alla trovata di quel
tale che annunziava d’aver scoperto il modo di conoscere l’età degli alberi;
e questo consisteva nell’attaccare alla pianta un cartellino con la data del
giorno in cuì si fissava nel suolo...
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I CONFINI D'ITALIA NEI, PENSIERO DI DANTE, ECC. 367
“ ticus’ ha nella Dimensuratio provinciarum e nella Divisio Orbis,
“non posteriori al IV sec. d. Cr.; qui ‘Sinus Adriaticus’ corri-
“sponde alla parte più interna, ossia alla sezione settentrionale
dell'Adriatico, in conformità del valore che questo nome ebbe,
“secondo il Letronne (ed. del Dicwz, p. 178), fin dalla metà del
sec. V a. Cr. In tal caso, il ‘ promuntorium’ dovrebbe cercarsi
non all’ingresso meridionale, ma all’estremità settentrionale del
mare che qualche documento cartografico chiama ‘mare Vene-
ticum’ già al principio del secolo decimosecondo, e che Dante
chiama ‘Adriaticum mare’ (De vulgari elog. I; 10, 7), ‘Adria’
“(Egl. IV. 68), mare ‘Adriano’ (Conv. IV, 13, 12)... ,.
E sarà meglio fermarci un pochino. Dopo aver letto e ri-
letto, sembra di poter capire che, dunque, per Dante l'Adriatico
è sempre l'Adriatico (basta notare, ad es., che nel luogo cit. del
Convito si tratta d’un episodio dell’imbarco di Cesare a Brindisi);
ma nel caso in questione Dante avrebbe inteso non Adriatico
in tutta la sua estensione, cioè l’insenatura del Mare Adriatico,
ma solo quel golfo, quel tale golfo del M. Adriatico; e, per rife-
rirci al promuntorium, questo si troverebbe là dove comincia,
non l'Adriatico, ma il golfo, 0 quel tal golfo dell'Adriatico... Ora ci
sembra anzitutto che, se Dante avesse voluto indicare il Golfo
di Venezia, non avrebbe avuto nessuna ragione per non espri-
mersi più chiaramente: nell'Adriatico vi sono parecchi altri
golfi; e chissà perchè, non nominandolo espressamente, si sa-
rebbe dovuto intendere proprio quello e non, ad es., il G. di
Manfredonia col Gargano! Ma per ora lasciamo stare. Piuttosto
è curioso che nè la Dimensuratio provinciarum, nè la Divisio
Orbis ci autorizzerebbero affatto all’interpretazione di un sinus
Adriaticus corrispondente alla parte settentrionale. L’An. autore
della Dimensuratio dice, sì, che pars Italiae finitur a septentrione
sinu Adriatico (1), ma dice anche che ad oriente [Italiae pars] finitur
mari Adriatico et freto, quod est inter Siciliam | Macedoniam] (2)
et Italiam; dal che si vede che il canale d’Otranto era consi-
K
(1) E sin qui risulterebbe che l’An., considerando la Penisola distesa -
da W. a E., la vedeva naturalmente limitata a N. dall’Adriatico!
(2) Orosto dice che la Macedonia ha “a favonio montes Acrocerauniae
in angustiis Hadriatici sinus , (Cfr. Riese, Geographi latini minores, p. 63).
Sicilia non avrebbe senso, a meno che anche l’An. non consideri come
Adriatico anche il mare a E. della Sicilia, come Orosio e altri.
368 . ALBERTO MAGNAGHI
derato in continuazione dell'Adriatico. E poi dice ancora che
l'Epiro, l’Acaia e la Tessaglia terminano ab occidente mari Adria-
tico (1).
Ora io non credo che lo scrittore faccia differenza fra sinus
e mare, e ritengo che li consideri come equivalenti. Ad es., Orosio
dice sempre sinus Hadriaticus quando parla di questo mare, nel
dare i confini meridionali della Dalmazia e i settentrionali
d’Italia (2); e lo stesso si ha nella Cosmographia di Etico (3);
e Guido adopera tanto sinus Adriaticus (4) quanto sinus Adriatici
maris (5), mentre mare Adriaticum tanto per lui come per l’An.
Ravennate è per lo più sinonimo di Jonio. L’Italia veniva allora.
considerata estesa “a Circio in Eurum , (6), onde l’Adriatico
restava quasi a settentrione; sicchè il vederla limitata a N.
dal sinus Adriaticus, cioè dall'intero Adriatico e non dal solo
golfo di Venezia doveva essere la cosa più naturale del mondo.
Quanto alla Divisio, la cosa è assai più semplice: “... Italia
finitur a septentrione mari Adriatico ...; Epirus, Achaia, Attice,
Thessalia finiuntur ab occidente mari Adriatico; Raetia maior,
Noricus, Pannonia, Illiricum, Dalmatia a meridie mari Adria-
tico , (7); ma quanto a sinus..., mai visto!
Ed eccoci al Letronne. Secondo questo scrittore, il sinus
Adriaticus avrebbe avuto un valore corrispondente alla sezione
settentrionale del mare fin dalla metà del sec. V a. Cr.; anzi
quel Dicuil fra parentesi può far credere al lettore che anche
l’autore del “ De mensura orbis terrae , (825 circa) abbia avuto
la medesima idea. Se si vuol dir questo, è bene sbrigarci subito
col dire che Dicuil — il quale riproduce testualmente la Divisio
(1) Riese, pp. 10, 11.
(2) Riese, p. 63.
(3) Riese, pp. 96, 97.
(41 RavennaTIS Anonimi Cosmographia et Guiponis Geographica. — Ed.
Pinper et PartHEY, pp. 485 (dove si parla della fondazione di Arpi, presso
Siponto) e 454, 464 (dove si parla di Trani).
(5) Ib., pp. 458, 454, 501, 502.
(6) Orosto, loc. cit. — Isiporo (Ethym., XIII, 17): “ Sinus dicuntur
maiores recessus maris, ut in mari Magno [Mediterraneo] Jonius, in Oceano
Caspius, Indicus, Persicus, Arabicus ,. Ib. 16°: “ Et sciendum Jonium sinum.
esse immensum, et huius partes esse Adriaticum ecc. ,.
(7) Riese, pp. 16, 17.
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANIE, ECC. 369
— parla sempre di mare Adriatico e non adopera affatto la
parola sinus.
Ma quanto al Letronne ..., siamo ad uno dei soliti tiri della
fantasia? Nella sua opera £/echerches géographiques et critiques
sur le livre “ De Mensura Orbis terrae , par Dicuil (Paris, 1814),
l’erudito francese esamina a fondo, fra altro (pp. 170-223), le
vicende dei nomi Adriatico, Tirreno, Jonio “ depuis le cinquième
siècle avant jusqu'au sixième siècle après l’ère vulgaire ,, giun-
gendo alle seguenti conclusioni, che concordano press’a poco, per
l'Adriatico, con quelle degli studi ulteriori:
1) Il nome mare A. fu limitato alla parte settentrionale
a cominciare da un’età sconosciuta [per Erodoto è incerto se
Adria fosse nome di mare o di regione] sino ai primi del
sec. IV a. Cr. Da allora discese sino all’Adria [Atri] del Piceno
(388 a. Cr.);
2) Fra quest'epoca e il 336 (circa) a. Cr. raggiunse le
Tremiti e il Gargano; i
3) Verso la fine del 3° sec. a. Cr. era disceso sino al
parallelo di Brindisi;
4) Alla metà del sec. II era giunto a toccare gli Acro-
cerauni;
5) Resta in questa accezione sino al termine del 1° sec.
d. Cr.;
6) Da questa data tende a risalire verso N sino al Gar-
gano, come dimostrano i passi relativi di Appiano, Dione Cassio,
Erodiano, Tolomeo, Dion. Periegete (cfr. p. 200 e sgg.);
7) Coi poeti latini dell’età augustea, e più tardi con i
prosatori greci come Giuseppe Flavio, Pausania, Arriano, Filo-
strato, Agatemero, ecc., è fatto scendere sempre più verso S.,
prima sino alla Sicilia, poi sino a Creta e finalmente con Orosio
.e Etico sino alla Libia (p. g15 e sgg.).
Queste le fluttuazioni che secondo il Letronne — potranno
esser discusse, non è questo il luogo d’indagare — subì il nome
Adriatico dal 5° sec. a. Cr. al 6° sec. d. Cr. Ma dove e come
abbia potuto il Revelli vedere un rapporto fra quanto dice il
Letronne e il valore del sinus Adriaticus nella Dimensuratio e
nella Divisio non è troppo chiaro; a meno che il R. non abbia
dedotto le sue conclusioni da un passo che si trova nel Letronne
alla p. 178 ch'egli cita: “ au milieu da cinquième siècle avant J. C.,
t CE, LANE A
310 ALBERTO M\GNAGHI
“ le golfe de Venise [cioè l'Adriatico attuale] était connu sous
“ deux dénominations principales: 1° le golphe Tonio (1’ *Z6v10g
“ x6Az0s de Ellanico), qui se prolongeait jusqu’au parallèle de
“ Ravenne à peu près; 2° l’Adriatique, qui occupait le fond du
“ golfe ,. Ma siamo, come si vede, abbastanza lontani dal tempo
delle due fonti citate dal R.! Anzi, proprio a cominciare dal
sec. IV d. Cr. (fine) l'Adriatico va allargando sempre più il suo
significato sino a diventar sinonimo di Ionio (An. Ravennate e
Guido) e a estendersi sino a Rodi (1). E in conclusione, poichè
anche i commentatori danteschi ci dànno il Quarnaro come un
golfo del mare Adriatico, a sostenere che il sinus Adriatici maris
fosse il golfo di Venezia attuale resterebbe soltanto Dante col
Revelli.
Ma, data la premessa, quasi a compensarci di questo re-
stringimento subìto dall’Adriatico, si viene ora all’amplificazione
del Promuntorium. Il quale “ dovette identificarsi, allora, con
“ una notevole parte, o anche con l’intera penisola istriana, piut-
tostochè colla sua estremità meridionale [sta a vedere che, a
poco a poco, anche l’Italia diventa un promontorio!]. Indubbia-
mente il ‘promuntorium’ di Dante deve avere un significato un
po’ diverso, ossia un po’ più ampio [eh! altro che un po’ più!]
del valore che può essere suggerito immediatamente dalla let-
tura di una carta moderna dove il nome di C. Promontore
spetta solo all'estremo punto meridionale dell'Istria , (p. 68).
Ho capito: se Dante intende per promuntorium ecc., dove ter-
mina a oriente la lingua del sì, tutta l’Istria, allora Fiume —
o meglio il fondo del Quarnaro dove poi sorse la città — viene
a trovarsi anche per Dante in Italia, e il Revelli si libera da
un peso, quello d'aver detto o ammesso qualche tempo fa con
l’Andriani che il promuntorium suddetto era semplicemente il
C. Promontore. Ma v’è sempre una piccola difficoltà: che tutte
le carte nautiche, che anche il R°ammette potessero esser co-
nosciute da Dante, segnano al $S. dell'Istria un C. Promentor, o
Parmentor, o Pulmentor, che deve essere stretto parente col
(C. Promontore... Non fa nulla, procediamo. “ Tanto nell’anti-
K
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“
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(1) Cfr. Partsch; art. Adria nella nuova ediz. dell“ Encyclopidia , del
Pauli-Wyssowa, e Nissen, Ital. Landeskunde, I, 89-92.
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 871
“ chità come nel medioevo il nome. ‘ promuntorium indica, in
“ generale, una penisola più o meno estesa [‘ Istria ut perinsula
“ exeurrit...’ dice infatti il buon Plinio — Nat. Hist. IV, 129 —
“ per ricordarne uno!...], come avviene delle tre cuspidi meridio-
“ nali della Sicilia, e, particolarmente, del Pachino. ,. Il Pachino
lasciamolo stare; ma io ritengo che, come concordemente am:
mettono i lessici, il vocabolo dovesse limitarsi sempre a in-
dicare un “ mons eminens in mari ,, persino nel senso più
ristretto di rupes, suacum, scopulum; e che per indicare penisole
più o meno estese servisse molto bene il termine peninsula.
Dunque: il “ promuntorium illud , indica, per lo meno, un’area
“ relativamente estesa dell'Istria meridionale. E che l’espressione
“ valga a indicare l’intera penisola istriana, è possibile per duè
“ evidenti ragioni. L’analogia con gli altri limiti ricordati da
“ Dante nella sua divisione lingurstica generale (delta del Da-
“ nubio, Mare d’Azow, Oceano, Mànica, monti d'Aragona, confini
“ dei Liguri), non solo esclude che Dante, nel fissare il limite
“ grecale del “ Volgare del sì , abbia potuto riferirsi ad un punto,
“ ma fa ritenere come grandemente probabile che egli abbia in-
“ dicato come limite grecale d’Italia, dato che ad esso abbia
“ voluto riferirsi, un’area relativamente estesa ,. Non è che
questo? Ma è semplicissima: valendomi anch'io della facoltà di
ingrandire i promontori, prendo il C. d'Otranto e lo faccio di-
ventare tutta la penisola salentina... Va bene? Ma no, non
sarà necessario ricorrere a questi estremi! Basta riflettere, che
Dante non parla per niente di un limite yrecale, ma dice chiaro
e tondo orientale, e parla di un punto sì, ma non occorreva dir
altro perchè dalle altre parti c'è il mare, in cuì non si parla
più nè il sì nè l’oc. I confini lungo linee vengono dati dove le
lingue sono a contatto entro terra; ma se si tratta di una pe-
‘ nisola, che si stende all’incirca verso Est, sfido io a dir diver-
samente di così: “si parla la tal lingua sino al suo punto più
orientale! ,. Gl’Istriani sono per Dante italiani, ma Dante al con-
fine occidentale (“ fines Januensium ,) non poteva contrapporre
un limite estremo a oriente se non nel C. d’Otranto.
Si dovrebbe poi anche dare un certo peso al fatto che l’Istria,
lungi dal venir ridotta a un promuntorium, fu sempre conside-
rata dai geografi antichi e dagli scrittori medievali come una
regione; anzi, a cominciar da Orosio — per venir poi nel
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 26
da. RIS, I TT Co et, L «BENZINE, POT Lan” LO
€, " Ue aa e a ira ione,
372 ALBERTO MAGNAGHI
M. Evo — essa segna uno dei confini della Dalmazia; e Dante
stesso la considera come una delle regioni d'Italia (De vulg. Elog.,
I, 10). Ma, pare voglia prevenire il R., Dante “ quando proce-
dette a fissare la sua divisione linguistica d’Europa ,, avrà
avuto sott'occhio una carta assai piccola, in modo da giustificare
la riduzione dell'Istria a promontorio... Sicuro! E se la carta
fosse stata ancora più piccola, addirittura piccolissima, anche
l'Europa sarebbe diventata un promontorio!...
L’altra argomentazione parrebbe consistere nel fatto che
facendo corrispondere il promuntorium all'intera penisola “ il
“ valore dell’avverbio di luogo (‘qua ’) risulta chiarissimo se ri-
“ ferito all’intera penisola istriana (‘ ed Istria vidi come nel mar
“ cova’ (1), dirà, circa mezzo secolo dopo, Fazio degli Uberti:
“ Dittamondo, II, 2), molo gigante fra due golfi dell’Adriatico
“ settentrionale ,. Faccia il piacere! — Altra buona argomenta-
zione sembra al R. la seguente: l’identificazione col C. d'Otranto
troverebbe il più valido argomento nell'ipotesi che Dante “ det-
tando il passo in questione , abbia tenuto sott'occhio una carta
di tipo tolemaico, in cui, cioè, l’Italia si fosse presentata
orientata da W. a E. in modo d’avere l’Adriatico a N.; ma
allora: “se si ammette l’influenza della cartografia portolanica
“ sull'opera dantesca, rimarrebbe a spiegarsi questo problema.
“ Perchè solo quando studia la diffusione geografica delle lingue
d'Europa Dante rinuncia al tipo di figurazione cartografica più
degno di fede per esattezza di disegno costiero e di collocazione
delle regioni? , — Ma no, guardi: anche da una carta nautica
Dante avrebbe sempre potuto vedere che il punto più orientale
d’Italia era il C. d'Otranto! E quanto alle regioni interne, le
carte nautiche non avrebbero potuto dargli di più delle carte
terrestri (2). Così anche Dante avrà fatto come poteva, e una
“
“
“
(1) Anch'io avevo citato il verso di Fazio, ma per dedurne che il poeta
doveva vederla adagiata fra due golfi, e quindi per dedurne che anche per
esso il Quarnaro doveva essere tutto il golfo, e non il canale fra Istria e
Cherso.
(2) Veda, ad es., anche il famoso Planisfero del Vesconte, che po’ di
rappresentazione ci offre dei fiumi, dei monti, ecc., appena si allontana
dalle coste. I cartografi per l'interno facevano come potevano, e attinge-
vano a Orosio e a Isidoro come tutti gli altri.
i n SÒ da
- pu
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 373
carta nautica non gli avrebbe detto nulla sui Fines Januensium,
sugli Alamanos, sui Provinciales, ecc.; e allora qui si sarà ser-
vito di descrizioni e di carte terrestri (1); mentre per le coste
e per i promuntoria si sarà servito di carte nautiche (e vera-
mente — se il R. si ricorda — quando si tratta di far corri-
spondere il sinus Adriatici maris alla parte settentrionale del-
l'Adriatico, egli non esita a porre Dante a contatto con fonti
che hanno ben poco a che fare con le carte nautiche...).
Passiamo ora al secondo punto, alla deverxio Apennini, che
formando in continuazione coi Provinciales il limite meridionale
dell'o: dovrebbe costituire logicamente il confine settentrionale
del sì. Anche oggi i competenti fanno giungere il Provenzale,
a N., sino ad una linea un po’ tortuosa che press’a poco dalla
foce della Garonna arriva sino sotto a Grenoble; e una parte
del Delfinato con la Franca Contea sino a Mombeliard e i dia-
letti romanzi della Svizzera formano il gruppo che dall’Ascoli
ha avuto il nome di Franco-Provenzale. Dato (come in genere
si ammette) che tali fossero i limiti del Provenzale anche nel
Medioevo, e posto che per Dante il Franco-Provenzale si con-
fondesse con l’oil, si dovrebbe a priori scartare l’ipotesi che
devexio Apennini possa corrispondere a flessione, arco dell’Ap-
pennino come in genere si ammise dal Trissino in poi, o anche
declivio dell'Appennino, come s’interpreta da qualche altro, del-
l'Appennino in senso proprio; perchè, se facciamo arrivare la
lingua d’oil all’Appennino, si giunge alla conclusione assurda
che per Dante il Piemonte non è nella lingua del sì (mentre
più oltre stabilisce nettamente il contrario). Al Rajna s’era pre-
sentata per un momento l’ipotesi che il termine potesse corri-
spondere a versante delle Alpi Pennine; ma poi l’abbandonò,
perchè Isidoro (Ethym. XIV, 8°) stabilisce la derivazione di
Apeninus da Alpes Poeninae, così chiamate in seguito al pas-
saggio di Annibale; e riferendosi a due versi di Lucano dove
(1) Che siasi servito di carte terrestri, e soprattutto di Orosio, risul-
terebbe, ad es., dal fatto che per Dante i Pirenei vanno da N. a $.
Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIII. 26*
x pedro re Pe
374 i ALBERTO MAGNAGHI
l’ultimo tratto dell'Appennino settentrionale viene così rappre-
sentato: i
Longior edueto qua surgit in aera dorso,
Gallica rura videt deverasque aspicit Alpes
(II, 427-28),
suppone che Dante, seguendo il poeta latino, faccia arrivare
l'Appennino al Monviso, e che perciò la devexio possa corrispon-
dere, in senso assai largo, al versante delle Alpi Marittime e
delle loro propaggini.
Ma anzitutto le Alpi Marittime costituirebbero sempre, per
la loro direzione, un confine fra l’oc e il sì in modo da corri-
spondere press’a poco ai fines Januensium; e poi versante gallico
e propaggini (le quali corrisponderebbero alle Alpi di Provenza
e a parte del Delfinato) sono un dominio del Provenzale, e
allora Dante non avrebbe avuto motivo di prolungare i Provin-
ciales con un altro confine più orientale, cioè con la Deverio
Apennini. Ora la difficoltà nella quale si sono trovati sin qui i
commentatori, sta soprattutto nel fatto ch’essi ignorano che nel
M. Evo Alpi e Appennino formano una sola catena, e che le
Alpi, in tutta la loro estensione, vengono chiamate in genere,
come si disse, Alpes Appenninae, montes Appennini, Alpi d’ Ap-
pennino (1); una volta che ciò è stabilito (sembra ammetterlo
anche il Revelli) non si dovrebbe vedere perchè si voglia a
tutti i costi continuare a far dire a Dante uno sproposito, e
non debba invece apparirci più logico l’ammettere che anch'esso
(1) Cfr. il mio lavoro cit., pp. 25-32. Una conferma ce la porge l’An:
illustratore del Planisfero di P. Vesconte riprodotto ora dal Revelli: “ La-
caedemonia habet ab oriente Messiam, ab euro Ystriam ab africo montes
Apeninos, ab occasu Galliam Belgicam, a septentrione flumen quod Galliam
et Germaniam dividit ,. Sono le stesse parole di Orosio e di Isidoro, serì-
nonchè costoro invece di Lacaedemonia dicono Pannonia, Noricus et Raetia;
mentre l’An., che già prima fa confinare la Pannonia con A/pes Apenninae,
ha avuto. sott'occhio un cod. d’Isidoro, in cui la Lacqaedemonia invece di
esser collocata subito dopo l’Arcadia è collegata con la Pannonia, della
quale si parla immediatamente dopo, ed è posta fra la Drava e la Sava
(così figura anche nel Planisfero che il R. riproduce e che, non capisco
veramente per qual ragione, vien qualificato come riproduzione diplomatica,
trattandosi semplicemente di un documento riprodotto in eliotipia).
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 375
abbia veduto i confini della lingua del sì press'a poco come
li vediamo oggi noi. A me sembra, ripeto, che dovremmo
far uno sforzo minore ad accettare questa interpretazione che
non un’altra qualsiasi, tanto più che a nessuno oggi viene in
mente di intendere deverio nel senso di arco, curva; ma il ter-
mine viene inteso nel senso di versante, declivio: e in ogni caso
VYarco formato, sia pure, dall’Appennino e dalle Marittime limi-
terà sempre la lingua del sì dal Provenzale e non certo dal
Franco-Provenzale. Tutt’al più, se si potesse provare che Dante
ha inteso deverio per arco, non vedo perchè non si debba, se
mai, riferirla alla curva formata a N. dalle Pennine con le
Graie; ma, a prescindere dal fatto che l’arco presenterebbe
all’oil la convessità, e che male ci si adatterebbe all'immagine
espressa dal clauduntur per mezzo di una linea convessa, rimane
sempre la difficoltà di conciliare il concetto di curva con ciò
che Dante dice di Torino e Trento che non possono avere
puras loquelas propter aliorum commistionem; evidentemente
perchè egli sa che nelle valli alpine a W. e a E. si sono infil-
trati numerosi elementi che non sono italici, onde versante deve
apparirgli il termine più adatto.
Ciò posto — e non mi estendo per non ripetere ciò che
già dissi altrove —, ecco intervenire il Revelli (pp. 217-218),
il quale, dopo aver detto che in proposito può esser ricordato
il mio scritto recente in cui a deverio assegno il valore di
“ versante, declivio delle Pennine e delle Leponzie , (1), afferma:
“Il termine ‘ deverio’ ha invece per noi valore fondamentale di
‘ convessità, arco’ perchè tale è il senso registrato nel glossario
di Giovanni da Genova della fine del dugento, e perchè nello
stesso De vulgari Eloquentia (I, X, 6) il concetto di versante è
reso col termine ‘ grundatorium’ ,. Che fare? Ammettere che
anche Dante lavorasse col Catholicon di Giovanni da Genova
sempre sottomano come se fosse stato il suo “ Larousse ,, €
andare a riscontrare come stanno le cose. lo potei vedere due
delle edizioni più antiche dell’opera di Giovanni da Genova,
quelle di Norimberga (1483) e di Venezia (1497) e le trovai
“
“
“
“
(1) Ma non di tutte le Leponzie, veh! A me bastava dire: Pennine e
una parte delle Leponzie.
ae dai rr PERL e ani
a Ù ; + ah” Cacao 2, TR AUT
376 È ALBERTO MAGNAGHI
identiche, salvo qualche differenza nella punteggiatura, nello
esprimersi in proposito (trascrivo dall’ed. del 1483):
Devexus, a deverto tis dicitur devexus ra xum . i . inclinatus, incur-
vatus, in rotundum versus . quasi deversus . vel dicitur a de-
veho . quia undique deorsum vehatur . et comparatur. unde
hec deveritas tatis. Et nota quod celum proprie dicitur con-
vexrum vel devexum, vel si quid aliud factum sit ,, (1).
Ma per essere più tranquillo volli farmi trascrivere, a. mezzo
di persona tanto cortese quanto competente, il passo quale ri-
sulta in qualche codice, fra altri nel Leurena. (Plut. 27 sin. 2)
che dà:
Devexus .a deverto, -tis dicitur devexus, -xa, -xum, inclinatus in-
curvatus in rotundum visum, quasi deversum. Vel dicitur a
deveo, quia undique a deorsum vehatur. Et comparatur.
Unde hec devexitas, -tatis. Et nota quod celum proprie di-
citur converum vel deverum, vel si quid aliud ita factum sit.
Anche Uguccione (Laurenz., Plut. 27 sin. 5) ha:
Deverto, tis, deorsum vel de uno loco ad alium vertere, removere.
Unde devexus, a, um, incurvatus, inclinatus in rotundum
visum, quasi deversum; vel dicitur a deveho, quia undique
deorsum vehatur. Et comparatur. Unde hec devexitas. Et
nota quod proprie celum dicitur converum vel devexum, vel
si quid aliud ita factum st.
E Papia (Plut. 27 sin. 3) è ancor più esplicito, dando sol-
tanto:
Deveo . devexi . deverum . idest declinatum, pronum.
Ora ognuno può osservare anzitutto che da nessuno dei
luoghi riprodotti risulta che compaia devezio, onis, ma si ha
sempre deveritas, tatis; sicchè ve ne sarebbe già abbastanza per
(1) Nell’ediz. francese di Reims del 1500, che raccoglie oltre al Catho-
licon voci di Uguccione, di Papia e di altri, si trova: “ Devexus, a, um,
encline, i. incurvatus, pronus, declinatus, et dicitur a deverto, is, quasi
deversus, et comparatur. Devexitas, tis, enclinement, descendement, CommaE
de montaigne, i. descensus, vel a deveho potest dici ,
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 307
concluderne che Dante, adoprando devezio, ha potuto far a meno,
in questo caso, di ricorrere a Giovanni da Genova. Ma quello
che più importa, in ogni modo, è che il lessicografo genovese
non dice esplicitamente che deverxus venga da deverto e significhi
perciò soltanto convesso, arcuato (intanto, anche con siffatta de-
rivazione, il primo significato che occorre è quello di inclinatus),
ma dice che può venire da deveho, e allora dà alla parola un
significato alquanto diverso. E il riferimento logico di deveritas
appare connesso a deveho, con cui è direttamente in relazione;
il che risulta ancora chiaramente in Uguccione. L’accenno
esplicito poi dell’applicazione a caelum dovrebbe togliere ogni
‘dubbio; mentre anche derivando da deverto, il senso di curro in
senso orizzontale rimane sempre poco sicuro. Ma concediamo
pure che uno dei significati sia quello che sembra stia a cuore
al Revelli: come si fa a non vedere o a tacere che dall'autore
citato viene giustificata anche l’altra interpretazione?
Voglio infine ammettere — ma non concedere — che Dante
siasi attenuto a quanto dice Giovanni da Genova: perchè si
deve sentenziare in modo assoluto che Dante abbia attinto dal-
l'etimologia cervellotica da deverto anzichè dalla vera di deveho?
‘Poichè il significato costante che si riscontra in tutta la latinità
sino alla più tarda, sino all'alto M. Evo, nella voce deveritas,
devexus è sempre quello di declive, di inclinato in senso verti-
cale; e se il R. vuol seguirmi brevemente nei passi che ora
citerò, troverà parecchie gride che non fanno al caso suo. Così,
per limitarmi ai luoghi in cui il termine si applica alla natura
del terreno: PLinio, Nat. Hist. 2, 165: “ quo longissime deve-
xitas litoris passa sit... ,; In., ib. 3, 147: “ qua mitescentia
Alpium juga ... molli in dextra ac laeva devexitate considunt ,;
CoLumeLLA 1, 2, 3: “ collibus vel ad orientem vel a meridie
molliter devexis ,; Ip. 1, 2,4: “agri... quasi mollissime devexi_,;
QuintIL., Declar. 388: “ litus ... molliter devexum aequali pla-
mitie ,; Amm. 22, 8, 11: “latus austrinum molli devexitate sub-
ductum ,; Crc., Div. 1, 101: “lucus Vestae a Palatii radice in
novam viam devexus est ,; Lucano, 5, 576: “ qua juga devexus
porrigit Aemus ,; Cesare, Gall. 7, 8, 1: “ ut de locis superio-
ribus haec declivia et devexa cernebantur ,; SENEcA, Dial. 7,
.25, 7: « per devexum ire ,; In., Nat. Quaest. 3,3: «“ In devexo
fluit aqua ,; In., Epist. 90, 17: “ pluviis per devexa labentibus ;;
è
vianie diri a "O
378 ALBERTO MAGNAGHI x
PLIinio, Nat. Hist. 6, 41: “ utriusque per devexa laterum Cau-
casi Armeniae ... Cephenia copulatur ,; Livio 29, 35, 14: “ vallem
ad alterum litum devexam ,; Ip. 38, 29, 10: “ urbs in mare
devexa ,; Ovipro, Met. 8, 334: “ silva incipit a plano devexaque
prospicit.arva ,; Ip., ib. 9, 334: “est lacus, acclivis devexo
margine formam litoris efficiens ,; Rur. Nam. 2, 15: “ Apennini
devexa , (1). E gli esempi potrebbero continuare; anche per gli
astri, e in senso figurato il significato è sempre unico, quello
di declive.
Ora, bisognerebbe dimostrare che Dante per l’appunto ha
creduto di dover volger le spalle ad una così lunga, costante
tradizione classica, per attenersi ad un’interpretazione che - sa-
rebbe solo autorizzata — se pure lo è — dalla barocca deri-
vazione etimologica del primo significato dato da Giovanni da
Genova.
Ma “devexio , non può essere versante “ perchè nello stesso
“ De vulgari Eloquentia (I, X, 6) il concetto di versante è reso col
“ termine ‘grundatorium’,. Bah! Di vero c’è questo, che dopo
7?
(1) Cfr.: Thesaurus Linguae latinae — editus auctoritate et consilio Aca-
demiarum quinque germanicarum ete. Vol. V, fasc. IV, Lipsia, 1912.
Lo stesso risulta dal “Corpus Glossariorum latinorum , - Thes. Glos-
sarum emendatarum — Grorc. Goetz, Lipsiae, 1901.
Il Thesaurus dal quale ho riportato i luoghi sopra citati non esita a
dare il significato di declivis anche al deveras Alpes di Lucano (2, 429).
Ma, francamente, non riesce ben chiara un’interpretazione siffatta, e può
nascere il dubbio se il poeta latino, allontanandosi con una licenza poetica
dall’accezione comune, non intenda invece dire le arcuate, le convesse Alpi.
Non si comprende bene che senso avrebbe qui: l'Appennino riceve (o vede)
le declivi Alpi, il declivio delle Alpi. Nel tratto in questione, che è quello
in cui Lucano ha accompagnato l'Appennino sino al suo termine, sino alla
sua unione con le Alpi, la caratteristica del rilievo alpino è quella di for-
mare un arco, una curva, come chiunque può oggi e poteva anche allora
constatare direttamente dall'interno. Ora possiamo noi concepire che si
dica, nel parlare dell'unione di due catene montuose, che una riceve
(o vede) il versante dell'altra? Qualche glossatore, è vero, accennerebbe a
devexas = inferiores, humiliores. Ma anche qui, pur ammettendo che gli
antichi avessero/idee relative intorno all'altezza delle montagne, e conce-
dendo che l'Appennino ligure potesse presentarsi educto dorso, come pos-
siamo pensare che vedessero questa catena più alta delle Marittime? —
Ma comunque sia, non vedo perchè Dante abbia dovuto necessariamente
trarre l'idea di deverio dall'aggettivo di Lucano.
Me
Pr
I CONFINI D'ITALIA NEL PENSIERO DI DANTE, ECC. 379
aver detto che il volgare parlato dagli Italici si può anzitutto
dividere in destro e sinistro, Dante dice che la linea divisoria
è formata dal jugum dell'Appennino, “ quod, ceu fictile culmen
“ hinc inde ad diversa stillicidia grundat, aquas ad alterna
“ hinc inde litora per imbricia longa distillat, ut Lucanus in
“ secundo describit. Dextrum quoque latus Tirrenum mare grunda-
“ torium habet; levum vero in Adriaticum cadit ,. Ma si direbbe che
il significato di versante sia assegnato alla parola latus (fianco),
e che la funzione di grundatorium sia lasciata invece all'uno e
all’altro mare! grundatorium sarebbe qui il bacino che raccoglie,
come la nostra modesta grondaia, l’acqua che grundat, che scorre
sul latus destro e su quello sinistro dell'Appennino. Il dire poi
che il levum latus cadit nell'Adriatico accentua ancor più deci-
samente la discesa, la pendenza della superficie che funge da
versante. Va bene? (1).
His fretus, il Revelli crede di poter concludere: “ La nostra
“ interpretazione si accorda con quella del Rajna in questo: la
“‘devexio Apennini’ corrisponde, nel suo tratto più meridionale,
“a un arco delle Marittime ,. Ma questo, a dir vero, non asserì
il Rajna; il quale per l’appunto non parla di arco, ma dice
versante, VERSANTE! il versante gallico, cioè, dell'ultimo tratto
dell'Appennino settentrionale e occidentale prolungato col tratto
delle Alpi Marittime, che, con le propaggini di queste ultime,
poteva esser concepito da Dante come un limite meridionale
approssimativo dell’oî2 (p. 37). — O allora?
(1) Capisco: Dante avrebbe sempre dovuto dire /atus e non deverio.
Ma, a parte la considerazione che di due termini considerati equivalenti egli
poteva adoperare l’uno o l’altro (non ci serviamo anche noi, a volte, indif-
ferentemente, di fianco, pendìo, declivio, versante ...?), non si deve escludere
‘ che Dante nel primo caso possa aver adoperato devexio perchè meglio cor-
rispondente al senso generico di inclinazione, pendenza; mentre nel secondo,
riferendosi ad una specifica funzione idrografica di due versanti contrapposti,
ha preferito adoperare la parola latus, che ha un significato concreto.
L’ Accademico Segretario
GIovaANNI VIDARI
RE E TIR Me 91 N° a
Re >
‘ 381
CLASSE
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 15 Aprile 1928
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA
VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci Segre, PrANO, Foà, SOMIGLIANA, PonzZIO,
Sacco, PocHETTINO e il Segretario MATTIROLO.
Scusano l’assenza il Presidente Senatore RuFFINI e il Socio
D’Ovipro.
È Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che risulta approvato senza osservazioni.
Il Socio Sacco fa omaggio all'Accademia di un suo recente
lavoro, Una gigantesca collana di gemme glaciali. Il Socio MaT-
TIROLO, rilevando l’importanza di questo studio, fa osservare
come esso illustri l'imponente serie di ghiacciai che rivestono
i versanti del massiccio del Gran Paradiso diventato Parco
Nazionale per la conservazione della Fauna e della Flora
alpina; egli prende da ciò occasione per comunicare all’Acca-
demia quanto la Commissione Reale per il Parco sta concre-
tando in questi giorni.
Il Vice Presidente presenta e fa dono all'Accademia del-
l'Opera del compianto suo fratello Prof. Corrado, che illustra
la Elmintologia italiana dai suoi primi tempi all'anno 1910. La
Bibliografia del vastissimo argomento è compresa nel 1° volume,
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. *
nd nt MERI A at To INR SUCRE e e LA
ot Ca PR
mentre il 2° è dedicato alla Sistematica, alla Corologia e alla
382
Storia dell'importante argomento.
L'Accademia ringrazia il donatore, lieta di possedere l’opera
insigne che è complemento necessario della classica collezione
elmintologica messa insieme dal PARONA con ricerche che du-
rarono per tutta la vita sua, e da lui donata all’Università di
Napoli.
Il Socio Ponzio comunica quindi alla Classe la sua XI Nota
sulle Diossime, la quale è accolta per la pubblicazione negli Atti.
Il Socio Sacco presenta una sua Nota, che si riferisce allo
studio di un ciottolo curioso, stato trovato nell’Appennino par-
mense nel greto di un torrente. Detto ciottolo, che il Socio SAcco
presenta all’adunanza, è notato da segni speciali, da striscie e
da incavi, paragonabili a altri che caratterizzano bronzi e pietre
ritenuti talismani. Sul significato di tale interessante formazione
interloquiscono alcuni Soci.
La Nota del Socio Sacco, dal titolo Talismani (?) preistorici,
è accolta per la pubblicazione negli Atti.
FEDERICO SACCO —— TALISMANI (?) PREISTORICI 383
LETTURE
Talismani (?) preistorici
Nota del Socio nazionale residente Prof. FEDERICO SACCO
Nella scorsa estate percorrendo l'Appennino parmense per
studi geologici ebbi dal mio vecchio amico l’Ing. Cav. C. Ponci
di S. Andrea delle Fonti un curioso ciottolo raccolto in Val
Dordone (affluente del Taro) tra la Borgata di Rocca Lanzona
‘ed il ruiniforme affioramento serpentinesco di Roccia Corva, zona
desolata di Argille scagliose su cui stanno sparsi lembi di marne
arenacee dell’Oligocene e di Calcari marnosi dell’Eocene; re-
gione interessante, sia geologicamente, sia perchè già vi si rac-
colsero cuspidi di selce che indicano l'antica presenza dell’uomo
neolitico in tali colline.
Il ciottolo in questione, di cui parmi opportuno dare un
cenno, è un frammento allungato, subtriangolare, di un’arenaria
calcarifera, fine, grigiastra, straterellata ma compattissima, che
evidentemente subì un trasporto alluviale abbastanza lungo,
come indica l’arrotondamento di tutti i suoi spigoli e delle
estremità, ma non tanto prolungato da obliterarne la primitiva
forma di frammento di roccia stratificata. Le sue dimensioni
sono di circa 14 centim. di lunghezza per 5 di larghezza, con
| uno spessore (nel senso ortogonale alla stratificazione) di circa
32 millim. (Vedi fig. 1).
L'aspetto generale della superficie lisciata indica che il
ciottolo, dopo l'arrotondamento naturale per opera torrenziale,
dovette subire un maneggiamento prolungato.
La sua superficie maggiore presenta tre profondi solchi
longitudinali, fra loro subparalleli, intersecati obliquamente da
cinque analoghi solchi trasversali, in modo da costituire una.
specie di irregolare fenestratura a losanga, con qualche mag-
Pt SIT SIE Lt ACEA ST POTTER NAT) "NI
384 FEDERICO SACCO
giore incavatura nei punti di incrocio delle solcature (fig. 1);
mentre invece sopra una superficie laterale pianeggiante osser-
vansi solo solcature incom-
plete. La solcatura fenestrata
appare chiaramente lavoro in-
tenzionale, arcaico, ma pro-
blematico è il suo scopo e si-
gnificato.
Dopo inutile consultazione
di opere, musei (1) e studiosi
di Paleoetnologia (fra cui l’il-
lustre Senatore Pigorini, a cui
portai in esame il misterioso
ciottolo a Roma), parvemi
dover escludere varie ipotesi
dapprima affacciantisi, cioè
di timbri-matrice o di spe-
ciali matrici per fondita (2), di
(1) Nel grande Museo preisto-
rico di Roma esistono, tratte da |
Terramare del Cremonese, del Man-
tovano, del Piacentino, ece., della
età del bronzo specialmente, varii
oggetti fittili ricordanti il ciottolo
in questione, sia in arenaria fine
(come quella, con foro per appen-
derla, di Pieve S. Giacomo nel
Cremonese), sia in Pietre verdi
varie, ma trattasi evidentemente
di pietre da cote, come mostra la
loro lisciatura speciale.
(2) Nella Terramare di Mara-
nello (Modenese) si trovò una sup-
posta matrice per fondita (Museo
preistorico di Roma), costituita di
due profondi solchi paralleli incro-
ciati ortogonalmente, a distanza,
con due altri solchi pure tra loro paralleli,- ricordando un po’ la lastra
sottoindicata della Collezione Chierici, ma lo scopo di matrice pare in tal
caso ammissibile, data la netta delimitazione e forma dei solchi.
Fig. 1.
CIRIE CITE
J
A
i
ge
TALISMANI (?) PREISTORICI 385
pintaderas (1), di cote (2), di politoi di selci, di ascie-mazze, di
marche di caccia e simili.
Frattanto nel visi-
tare l'importante Colle-
zione Chierici, del Museo
di Reggio, potei rintrac-
ciare nella vetrina 29,
sopra una tavoletta, fra
due lastrine (N° 68 e 70),
una lastra maggiore
(N° 69) irregolarmente
parallelepipeda (diame-
tro di circa centimetri
1/o X 5 1/5) di arenaria
grigiastra (fig. 2 dise-
gnata ad occhio davanti
all’originale) che porta
5 solcature incrociate un
po analogamente a quelle
del ciottolo in questione,
ma con fenestratura più
regolare; però con lavoro
un po’ analogo e quindi
probabilmente con inten-
zione consimile a quella
che diresse le solcature
sul ciottolo parmense.
La lastra della Collezione
Chierici è compresa nella
indicazione “ Sopra una Terramare dell’Età del Bronzo a Ca-
Fig. 2.
(1) Nel Museo preistorico di Roma sono conservati varii ciottoli allun-
gati o arnesi fittili brunastri, a forma di biscottino, dell’epoca del bronzo,
trovati, uno nella Terramare di Ceresara nel Mantova no e parecchi nella,
palafitta della Torbiera di Polada presso Lonato, i quali presentano sopra
una faccia, trasversalmente, numerose solcature punteggiate che fanno du-
bitare trattisi di grossolane pintaderas.
(2) Recentemente la pietra in esame fu usata, dal lato non solcato,
come cote dal suo ultimo possessore.
386 FEDERICO SACCO
stellarano ,, ma nel catalogo ms. Clerici gli oggetti 68, 69, 70,
assegnati alla Età del Ferro, 1° e 2° periodo, sono precisamente
indicati come provenienti da “ Cella Cassoli , frazione di Reggio,
ed interpretati come “ Peso usato a cote ,. Tale interpretazione
però non mi pare soddisfacente, per quanto si possa pensare
che dette solcature corrispondano a segni di peso o di quantità
o di misura, giacchè ancor oggi intagli analoghi si fanno dai
selvaggi e dai nostri stessi contadini su ossa, su legno, ecc.
per segnali diversi.
Intanto è da notarsi che esaminando minutamente il ciottolo
parmense si può constatare che le sue solcature non furono ese-
guite (1) secondo un allineamento qualsiasi, ma seguendo per-
fettamente speciali lineette bianche di calcite che intersecano
appunto ortogonalmente in due sensi la stratificazione originaria
della roccia e rappresentano il comune fenomeno di litoclasi in-
tersecanti strati rocciosi, riempite e cementate poi da calcite
deposta nelle fratture dalle filtranti acque calcarifere; tutto ciò
naturalmente molto prima che la roccia venisse a giorno, poi
si frantumasse, cosicchè i suoi frammenti trascinati e rotolati
dai torrenti prendessero finalmente la forma di ciottolo sulla
cui superficie vennero a spiccare le lineette bianche intersecan-
tisi variamente e spiccanti per la tinta chiara sul fondo bruno
generale, tanto da costituire talora ciottoli curiosissimi.
Ricordo in proposito che non riuscii a convincere della
semplicità fondamentale del fenomeno un mio egregio Collega,
non geologo, che anni fa mi diede in esame un ciottolo di tale
tipo, tanto strana e straordinaria gli sembrava la sua disegna-
tura bizzarramente intrecciata.
Ciò posto, per un complesso di considerazioni, senza natu-
ralmente poter escludere in via assoluta ogni altra interpreta-
zione, sembrami probabile che chi raccolse questo ciottolo (forse
bagnato in un alveo di torrente, apparendo meglio in tal caso
le lineette bianche sul fondo grigio-bruno) fu colpito forse dalla
sua forma un po’ strana, a martello od a fallo, e dalla sua cu-
(1) Non è possibile che si tratti di semplice alterazione o carie naturale
prodotta dagli agenti esterni, data la forma delle solcature, l'essere limitate
ad una faccia principale, ecc.
TALISMANI (?) PREISTORICI 387
riosa filettatura incrociata, per cui lo ritenne e poi lo lavorò,
sopra una faccia principale, a solcature intrecciate seguendo le
lineette bianche, formandone così un oggetto speciale di su-
perstizione, analogo a quelli che, costituiti pure di varie pietre
(selce, pietre verdi, granito, arenaria, ecc.), troviamo tanto fre-
quenti presso i selvaggi attuali nonchè fra i resti paleoetnolo-
gici dal Neolitico in poi, e che si sogliono indicare col nome
di amuleti, talismani e simili.
Ricordo per esempio che nel libro di CH. ABBOT, Primitive
Industry (1881) riguardante le razze indigene, i cosidetti Indiani,
dell'America settentrionale, sono indicate e figurate (fig. 359,
360, 367, ecc.) molte pietre allungate, di New Jersey, aventi
varii solchi incrociati, ma; avendo esse uno o due fori, il loro
significato di Pietra-pendaglio come amuleti o feticci risulta
abbastanza chiaro.
Nello stesso libro dell’Abbot, fra le Inscribed stones di tipo
cerimoniale o con carattere di pietra commemorativa o di ri-
cordo qualsiasi, è indicato (fig. 334) come proveniente da New
Jersey un frammento di lastra di Micaschisto con solchi incro-
ciati ricordanti quelli in questione (Vedi fig. 3).
Del resto, per quanto lunga e complessa sia la Bibliografia
riguardante tali argomenti, la distinzione fra questi gruppi di
oggetti non è sempre facile (1). Per lo più si indica come ta-
lismano un pezzo di pietra o di metallo segnato con geroglifici
o solchi o caratteri simbolici, : cabalistici, fantastici, mistici
e simili, al quale sono attribuite virtù miracolose, conferendo
un potere superiore, una speciale protezione a chi lo possiede;
mentre invece amuleto è per lo più un oggetto svariato, quasi
sempre portato indosso (e quindi relativamente piccolo e con
un foro per appenderlo con una cordicella), che preserva da
pericoli, malattie, iettature, ecc.
L’uso degli amuleti (colle forme e coi materiali più sva-
riati) fu ed è tuttora estesissimo, tanto che se ne conoscono
\ (i) Dr Lise, Des Talismans (Paris, 1636); BeLin I. A., Traité des Ta-
— lismans (Paris, 1658); PLacer Fr., Superstition du temps réconnue aux Ta-
lismans (Paris, 1668); Arre P. F., De Prodigiis Naturae et Artibus Operibus
Talismanes et Amuleta dictis (Hamburg, 1717), ecc., ecc. :
_388 FEDERICO SACCO
resti numerosi (in pietra, conchiglie, ossa, denti, bronzo, ecc.)
dal Neolitico in poi; ricordo per esempio quello di Cloritoschisto
a cerchietti incisi trovato a Ponzone e figurato dall’Issel nella
sua Liguria preistorica, ecc., senza parlare degli amuleti attuali,
alcuni analoghi agli antichi, portati dai selvaggi ed anche da
donne e ragazzi in paesi civili, come, per l’Italia, ha special-
mente segnalato il Bellucci (famoso illustratore di tali oggetti),
sinchè si giunge ai noti scapolari e simili.
Tra gli amuleti a pendaglio alcuni sono anche un po’
grandi e con segni ricordanti alquanto quelli del ciottolo par-
mense in esame; così in una sepoltura presso Vranna (Porto-
gallo), attribuita al periodo Robenhausiano (Neolitico superiore),
sì trovò una lastra parallelepipeda, di roccia schistosa un po’
e /
VELO ETA, IT I PE TSO N e
TALISMANI (?). PREISTORICI 389
tenera (con relativo foro per appenderla), avente sopra una
faccia solcature varie; così pure un pendaglio di calcare (già
figurato dall’Issel) con solcature radiali fu raccolto nella grotta
ligure delle Arene Candide.
Del resto la Litolatria, o culto della pietra, sotto diversi
aspetti, è una delle forme della Idolatria, tanto preistorica che
attuale. Diverse pietre sacre, venerate, variamente scolpite
(talune ricordanti certi MeAnirs, pure talora con incisioni varie),
vennero scoperte nell'Appennino settentrionale, come segnalò
anche recentemente l’illustre Dott. U. Mazzini descrivendo alcuni
Fig. 4a.
Monumenti megalitici e le Stele e Statue-mehnirs di Val di
Magra, accennandomi anche ultimamente la scoperta di segni
a solchi incrociati sui calcari mesozoici del M. Bermego, alta
montagna sita a N.0. della Spezia. Anzi, avendogli comunicato
la fotografia del ciottolo parmense in questione, egli ebbe la
cortesia di esprimermi la sua ipotesi trattarsi di un oggetto
di culto che poteva servire come uno scongiuro contro malattie,
pericoli o cattivi influssi di ogni genere. Di più egli volle gen-
tilmente inviarmi le fotografie di un blocchetto di bronzo tro-
vato nell’agro brugnatese (cioè nel territorio di Brugneto nella
media Val di Vara), di forma trapezoidale (fig. 4 a, b), che pre-
390 FEDERICO SACCO — TALISMANI (?) PREISTORICI
senta, sulle sue due faccie maggiori, speciali geroglifici fatti a
punzone, che paiono di carattere magico, traversati, in una faccia,
da forti solchi un po’ analoghi a quelli della lastra reggiana,
mentre che su di un’altra faccia minore laterale esiste un altro
solco foggiato quasi ad irregolare Z allungato ed obliquato;
probabilmente il lavoro dei geroglifici e dei solchi fu fatto in
due tempi successivi, fors'anche lontani fra loro.
Considerando quest’ultimo interessante ritrovato parmi
che pure esso venga in conforto all'idea che anche i due
pezzi litoidi sovraccennati si possano interpretare come og-
getti di superstizione, forse specie di talismani. Quanto alla
loro età, mentre la grossolanità della lavorazione del ciottolo
parmense gli darebbe carattere neolitico, tanto più che nella
regione del suo ritrovato si raccolsero già scheggie e cuspidi
di selce di tipo neolitico, i due altri oggetti un po’ analoghi
sovraccennati sono piuttosto riferibili all’età dei metalli, giacchè
il blocchetto brugnatese è di bronzo e la lastra reggiana è
riferita dal Chierici al periodo del ferro; ma trattandosi di
ritrovati senza giacitura regolare, la loro età rimane alquanto
incerta.
GIACOMO PONZIO — RICERCHE SULLE DIOSSIME 391
Ricerche sulle diossime
Nota XI del Socio nazionale residente GIACOMO PONZIO
Come ho dimostrato nella Nota VI ('!), è soltanto dalla
forma a (p. f. 168°), e non dalla forma B (p. f. 180°), della fe-
nilgliossima CgHs . C(:NOH).C(:NOH).H, che per azione del
tetrossido di azoto risulta il composto CgH; (CaN30,H) al quale
Scholl (?) attribuì la struttura i ——— _—— Ei di peros-
N O I9N
sido della fenilgliossima, ammettendo che derivasse da quest’ul-
tima per eliminazione dei due atomi di idrogeno ossimico.
Detto composto differisce notevolmente, nel suo compor-
tamento chimico, dalle sostanze le quali, in modo analogo,
si ottengono per deidrogenazione delle gliossime R..C(: NOH).
C(:NOH).Rk, in cui R ed R, sono alchili, arili od acili. Infatti,
p. es., mentre il perossido della fenilgliossima può addizionare
una molecola di anilina dando l’a-fenilaminofenilgliossima (3)
CeHg (CxN30H) + CH;NH,
—>- CHs.C(:NOH).C(:NOH). NHC;H;;
i perossidi della dimetilgliossima CHgy(CsN30:) CHz, della difenil-
gliossima CgH;(C$N,0,) CoHs e della B-metilbenzoilgliossima
(4) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923).
(2) Ber. 23, 3504 (1896).
(3) Nota VIII, “Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I (1923).
ai PT rà VE Lee Ng Pain CA NE fi Lai e, pera;
È x : Sai nè è
392 GIACOMO PONZIO
CH; (C2N30,) CO. CH; (4) non reagiscono; ed il perossido della
dibenzoilgliossima CsHs .CO (C2N30,) CO. CHs dà origine a.
benzanilide ed a benzoilaminofenilgliossima (benzoil-isonitroso-
acetanilid-ossima) (9)
—> CHy.CONHGH;+C;H;.C0.C(:NOH).C(:NOH).NHC;H;.
. Però, malgrado che questi fatti potessero, a mio avviso, far
pensare che il perossido della fenilgliossima, il quale fra i perossidi
citati è l’unico avente proprietà additive, dovesse possedere strut-
tura differente da quella degli altri quattro, Wieland e Semper
riprendendo lo studio del primo (9), dopo avergli assegnato la
costituzione seguente CyH;.C C H ed il nome di
E
fenilfurossano, credettero di poter concludere che tutti i composti
fino allora considerati come perossidi di gliossime non conten-
gono il ciclo esaatomico — C-———__C bensì il ciclo
| I
N_O_-O0—-N
furossanico — C
N EEN?
E per accordare la formola furossanica coi risultati delle
esperienze di Forster e Fierz ("), di Green e Rowe (8) e di
Angeli (*), secondo il quale, ammettendo nei perossidi delle
gliossime un ciclo non simmetrico, i perossidi R (C,N0,) R,, in
cui R, è diverso da R, dovrebbero, analogamente agli azossi-
composti R(N:0) R,, esistere in due isomeri, Wieland asserisce,
(*) Mie esperienze inedite.
(5) BòrsegEn, “ Rec. trav. chim. ,, 29, 275 (1910); BòEsEeKEN e van LENNEP,
‘*1d.,, 31, 196 (1912).
(9) Ann. 358, 36 (1906).
(7) “J. chem. Soc. ,, 101, 2452 (1912).
(8) “Id.,, 103, 897, 2023 (1914).
(9) “ Gazz. Chim. Ital.,, 46, II, 300 (1916).
ein st) dica Sie dar dra ite
RICERCHE SULLE DIOSSIME 393
in una Nota successiva (!°), di essere riuscito ad ottenere una se-
conda forma (labile) del fenilfurossano, fusibile a 106°-108°, cioè
più alto della forma (stabile), fusibile a 95° od a 96°-97° pre-
parata da Scholl e da Wieland e Semper (loc. cit.), soggiungendo
che dalla forma stabile non si può più riavere la forma labile.
| I fatti che più avanti riferisco mi autorizzano invece a con-
cludere che esiste un unico composto della formola CgH; (C$N30:H)
fusibile a 95°, a 96°-97°, od a 108° a seconda del suo grado di
purezza, e che il suo comportamento verso l’acido cloridrico,
verso l’anidride acetica e verso l’idrogeno nascente non si ac-
cordano nè colla struttura di perossido della fenilgliossima
CH; . C Toro ©
I
Î
Il
NE di
nè con quella di fenilfurossano
(cambiata più tardi in
ISO, }—-H
Ì i | -
NLG
bensì con quella di ossido dell’ossima del cianuro di benzoile
(ossido dell’ossiminobenzilcianuro) CH; . C
Il
NOH
realtà, come ossima, per idrolisi, esso fornisce idrossilamina e
trattato a freddo con anidride acetica dà l’ acetilderivato
CéH; .C
| Il vo ; e, come ossido di nitrile, ridotto con
NOCOCH; N
polvere di zinco ed acido acetico si trasforma nell’ossima del
cianuro di benzoile (ossiminobenzilcianuro) CsH; . C (:NOH).CN.
(1°) Ann., 424, 108 (1921).
VE TERA RA
394 GIACOMO PONZIO
Colla formola che io propongo si possono inoltre inter-
pretare senza difficoltà le reazioni per le quali il composto
CsHs (C.N30,H) trattato con soluzioni acquose di ammoniaca (1!)
o di anilina (!*) addiziona una molecola di queste ultime dando
rispettivamente origine ad a-fenilaminogliossima e ad a-fenil-
aminofenilgliossima
CH; 3 (0: paris era G Vf” NH;
Il L”70 sd
NOH N H
—-» CHs.C(:NOH).C(:NOH).NH,,
CH 0 RA TNA
I 120 +1
NOH N H
— CH,.C(NOH).C(:NOH).NHC,H,.
In quanto al modo col quale l’ossido dell’ossima del cianuro
di benzoile prende origine, avendo già dimostrato colle mie
precedenti ricerche che nelle forme a delle gliossime î due
ossiminogruppi non sono equivalenti, ammetterò che la a-fenil-
gliossima (p. f. 168°) si comporti verso il tetrossido di azoto
come la metilacetilgliossima CHy.C (: NOH). C(:NOH).C0.CH; e
l’a-metilbenzoilgliossima CHs. C (:NOH).C (:NOH). CO. CH; (18).
Ora, poichè queste ultime reagendo nella loro forma tautomera
di a-ossimino-f-nitroso-Y-chetopentano CHz.C(:NOH).CH (NO).
CO .CHsz e di a-ossimino-f-nitroso-1-chetofenilbutano CHg.
C (:NOH).CH(NO).CO.C;H; dànno rispettivamente origine
ad a-ossimino-8-pseudonitrol-y-chetopentano CHy.C(:NOH).
C(:N303) .CO.CHz e ad a-ossimino-8-pseudonitrol-1-chetofenil-
butano CH; .C(: NOH).C(:N:0;).CO.CH;s, mi sembra:logico
concludere che la a-fenilgliossima reagendo nella sua forma tau-
tomera di a-ossimino-8-nitroso-feniletano CXHg.C0 —— C-H
Il LOS
NOH NO H
si trasformi, in modo analogo, in a-ossimino-8-pseudonitrol-
(41) Ann. 358, 61 (1907) e Nota VI, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 28 (1923).
(42) Nota VIII, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 23, I-(1923).
(13) Note II e III, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 52, I, 289 e II, 145 (1922).
CHsg.C-—_C
RICERCHE SULLE DIOSSIME 395
feniletano CCHy5.C-—_CH . Però, mentre le due pseu-
] ZEN
NOH NO NO,
donitrolossime suaccennate sono stabili e si possono facilmente
isolare, quest’ultimo composto perde spontaneamente una mole-
cola di acido nitroso dando origine all’ossido dell’ossima del
cianuro di benzoile
ue CL C5H; . C
| ps
NOH NO \NO,
il quale è il prodotto finale dell’azione del tetrossido di azoto
sulla a-fenilgliossima (14).
Per conseguenza, pur riservandomi di proseguire lo studio
di questo argomento e di estenderlo ad altre gliossime R.C(:NOH).
C (:NOH).H, ritengo fin d’ora che sarebbe conveniente abban-
donare il nome di furossani pei composti R(C,$N,0,) H, conser-
vando il nome di perossidi per quelli risultanti dalla deidrogena-
zione delle gliossime R.C(:NOH).C(:NOH).R,, ai quali, in
accordo coi fatti che essi non posseggono proprietà additive e
che, a differenza dei primi, sono riducibili col metodo di Angeli,
in a-diossime, si può assegnare la formola
R.C C.R,
PAS
N N
5,
proposta da Green e Rowe (loc. cit.) ed accettata anche da
Angeli.
XXVIII. — Ossido dell’ossima del cianuro di benzoile
I | >O (ovvero CH. C(:NOH).C:N:0). Si
NOH N
ottiene senz’altro allo stato di perfetta purezza trattando con
(44) Invece, come già ho dimostrato (loc. cit.), i due gruppi > NOH
della B-fenilgliossima hanno il medesimo comportamento; ed in realtà,
per azione del tetrossido di azoto essa fornisce il fenilnitroperossido
CsHs (CaN203) NO2.
396 GIACOMO PONZIO
tetrossido di azoto la a-fenilgliossima (p. f.168°) col procedimento
che ho già descritto nella Nota VI (loc. cit.), e si separa dopo
breve tempo dalla soluzione in cristalli bianchissimi i quali comin-
ciano rammollire alquanto verso 105° e fondono a 108° senza de-
composizione, risolidificando immediatamente col raffreddamento
in una massa cristallina bianca che conserva lo stesso punto di
fusione. Ricristallizzato dai solventi organici (benzene, etere più
etere di petrolio, cloroformio più ligroina, ecc.) il suo punto di
fusione si abbassa fino a 102° (15); ma se si sciolgono nuova-
mente i cristalli in etere addizionato di una traccia di tetros-
sido di azoto e si concentra la soluzione; o più semplicemente
se si agitano con etere reso acido con detto reattivo, il punto
di fusione risale esattamente a quello iniziale (108°). Poichè il
composto si conserva inalterato in recipienti di platino, mentre
in quelli di vetro i cristalli a contatto delle pareti ingialliscono
dopo qualche tempo e gli altri rimangono per molto tempo bianchi,
io attribuisco i fatti suaccennati alla straordinaria sensibilità del-
l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile verso le basi. D'altra
parte un campione che avevo preparato due anni fa e che, con-
servato in boccetta di vetro non perfettamente chiusa, si era
alterato nel modo ora detto con un notevole abbassamento nel
punto di fusione, fu facilmente riportato al punto di fusione pri-
mitivo (108°) col procedimento di cui sopra; il che dimostra come
Wieland (loc. cit.), nell’ammettere l’esistenza di due forme del
composto, delle quali quella stabile non si potrebbe più ritras-
formare in quella labile, sia incorso in un errore.
Inoltre, contrariamente a quanto asseriscono Wieland e
Semper (loc. cit.) l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile si
altera se fatto bollire con acido cloridrico concentrato, e mentre
è vero che cristallizza per la maggior parte inalterato raffred-
dando subito la soluzione, io posso dire che prolungando il ri-
scaldamento esso finisce per trasformarsi completamente in
(45) Il punto di fusione 95° dato da Scholl e da Wieland e Semper
(loc. cit.) era evidentemente quello di un prodotto molto impuro perchè
ottenuto da una miscela delle due temi leliossime a e 8 semplicemente
lavata con cloroformio.
Sii e TA RE i eo
RI 3
EE PES. ONE TT.
Ù
RICERCHE SULLE DIOSSIME 397
benzonitrile, acido benzoico ed idrossilamina, del cui cloridrato
da 1 gr. di ossido se ne ottiene quasi la quantità teorica.
Il peso molecolare del composto purissimo (p. f. 108°) in
acido acetico è normale (trovato 165-153; per C3H0;N, cal-
colato 162).
Acetilderivato C;H; . ©
KOcocH,
l'’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile con anidride acetica
a freddo e si separa spontaneamente dalla soluzione dopo breve
riposo alla temperatura ordinaria. Lavato con acqua e cristal-
lizzato dall'alcool si presenta in aghetti bianchi fusibili a
115°-116° senza decomposizione. l
C
| vo . Risulta trattando
N
Trovato °/o: N 13,63.
Per CioHsOgNo calcolato: N 13,72.
È solubile a freddo in benzene, acetone e cloroformio;
molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco solubile
nell’etere e nella ligroina.
Riduzione. Ad una soluzione di gr. 2 di ossido dell’ossima
del cianuro di benzoile in 70-80 ce. di alcool si aggiungono gr. 4
di polvere di zinco e quindi poco a poco, e raffreddando con
acqua, 2 cc. di acido acetico glaciale. Dopo alcune ore si filtra,
si elimina l’alcool e si cristallizza il residuo dell’acqua bollente:
si ottiene così l’ossima del cianuro di benzoile CH; .C(:NOH).CN
in laminette bianche fusibili a 129°. |
Trovato %oi N 18,78.
Per C3HygON; calcolato: N 19,17.
Per conferma l’ho sciolta in idrossido di sodio e trattata
con cloruro di benzoile trasformandola nel benzoilderivato
CH5 .C(:NOCOC;Hs).CN il quale cristallizza dall’acetone in
prismetti bianchi fusibili a 139° conforme ai dati di Zimmer-
mann (16).
(49) “J. prakt. Chem., (2) 66, 363 (1902).
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 28
398 GIACOMO PONZIO == RICERCHE SULLE DIOSSIME
Sull’isomerizzazione dell’ossido dell’ossima del cianuro di
di benzoile e sul suo comportamento verso gli alchilioduri di
magnesio e verso altri reattivi riferirò prossimamente.
Torino — Istituto Chimico della R. Università.
Aprile 1923.
L’ Accademico Segretario
OresTtE MATTIROLO
399
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 22 Aprile 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: S. E. BoseLLi, DE SANCTIS, BRONDI,
Baupi pi Vesme, VALMAGGI, FaGGI, Luzio, Mosca, JANNACCONE,
Vipari Segretario della Classe
Scusano l’assenza i Soci PRATO e CIAN.
Si legge e si approva l’atto verbale dell’ adunanza
dell'8 aprile u. s.
Il Socio De Sanctis presenta alla Classe il volume: Inscri-
ptiones christianae urbis Romae. - Nova series, vol. I, Inscriptiones
incertae originis, Roma, 1922: volume dovuto alle cure di Angelo
SiLvaGnI, che lo compose, in continuazione dell’opera iniziata
da G. B. pe Rossi, sotto gli auspici della Commissione ponti-
ficia di archeologia sacra e della R. Società romana di storia
patria. Il Socio De SAncTIS dà precise notizie circa i criterii
onde la vasta opera fu condotta, e ne mette in rilievo l’alta
importanza scientifica.
Il Socio S. E. BoseLLI esprime il suo compiacimento di
poter oggi assistere alla presentazione di così insigne opera,
e ricorda che già nel 1888, essendo egli Ministro della P. I.,
400
ebbe la fortuna di ricevere dallo stesso grande archeologo
De Rossi i primi volumi della raccolta da lui iniziata delle
epigrafi cristiane.
Il Presidente Rurrini si associa alle espressioni di vivo
compiacimento per il cospicuo dono, e manda a ringraziare i
donatori.
Il Socio Mosca presenta un suo volume uscito recentemente
coi tipi della Casa Editrice Bocca intitolato: Elementi di scienza
politica. Esso consta di due parti: una prima, che è la seconda
edizione del lavoro già pubblicato nel 1896, ed una seconda
finora inedita, che rappresenta lo svolgimento e la continua-
zione della prima. Spiega inoltre per quali ragioni abbia adottato.
nella nuova edizione tale trattazione della materia.
Il Presidente RuPrINI si compiace cordialmente col Socio
Mosca della ampliata edizione del suo libro, che già al suo primo
apparire era stato così favorevolmente accolto, e che non potrà
non avere, con le importanti aggiunte fattevi, un largo successo.
A nome della Classe ringrazia.
Il Socio DE SancTIs, per invito del Presidente, riferisce
intorno al quinto Congresso internazionale delle scienze storiche
tenutosi in Bruxelles dall’8 al 15 aprile, al quale egli inter-
venne come rappresentante di questa Reale Accademia. Al Con-
gresso partecipò un numero rilevantissimo di scienziati di molte
nazioni. All’Italia fu assegnato uno dei sette posti del Consiglio
internazionale di Presidenza, e si insistette perchè un rappre-
sentante italiano facesse la sua comunicazione scientifica in una
adunanza solenne. Il Congresso si divise in molte sezioni, che
tutte compirono lavoro assai intenso e proficuo. L'ospitalità
. cortese e fraterna offerta dai Belgi agli scienziati stranieri
culminò nel cordialissimo ricevimento dato ai Congressisti da
S. M. il Re Alberto. Il Consiglio di Presidenza internazionale
stabilì di rimanere in ufficio per fissare la sede del prossimo
Congresso di scienze storiche e per studiare la istituzione di
IRR Sp NZ NPA, Dea È
lit re ù fia, Pa
ai 0) 4
3
un Comitato internazionale delle scienze storiche che sarebbe
401
incaricato di attendere ai lavori preparatorî per il prossimo
Congresso, con l'intento che ad esso partecipino nella misura
del possibile tutti i paesi.
Il Socio S. E. BoseLLi, plaudendo all’opera del Socio pro-
fessore DE SANCTIS, felice interprete dell’Accademia al Congresso,
[ropone che l'Accademia si associ alla deliberazione del Con-
gresso storico con l'augurio che essa giovi alla restituzione
della unità della cultura.
La proposta è accolta all'unanimità.
Il Socio De Sanctis riferisce inoltre intorno al quarto Con-
gresso della Unione Accademica Internazionale tenutosi in Bru-
xelles subito dopo il Congresso di scienze storiche, nei giorni
16, 17 e 18 aprile. A tale convegno egli intervenne come rap-
presentante di questa Accademia insieme col Senatore Carlo
CaLIsse, rappresentante della R. Accademia nazionale dei Lincei,
e coi professori UssanI e GiaLioLi delegati tecnici rispettiva-
mente pel Dizionario del latino medievale e pel Corpus dei
vasi antichi. Egli esprime la sua gratitudine al Ministero della
Pubblica Istruzione per avere così integrato secondo le proposte
della nostra Accademia la delegazione italiana. E riservandosi
di ritornare sui particolari tecnici circa le imprese scientifiche
studiate o assunte dalla Unione. Accademica Internazionale
quando gli siano pervenuti i testi delle apposite relazioni ap-
provate nell’ultima adunanza, per avere su di essi il parere
della Classe, riferisce intanto che si procedette alla approva-
zione dei nuovi Statuti già sottoposti al giudizio di quest’Ac-
cademia; che all’invito della Commissione per la cooperazione
intellettuale della Società delle Nazioni per darle il nostro
concorso si rispose accettando di buon grado di entrare con
essa in relazione; che alla Commissione per le iscrizioni egli
presentò il volume delle Inscriptiones Christianae di cui ha fatto
cenno in questa stessa adunanza, il quale fu accolto dal gene-
Ape CR RIO SCIA TI TRI COS siii
402
rale plauso; che infine grazie agli affidamenti dati dal Ministero
della Pubblica Istruzione si potè assicurare una larga e decorosa
partecipazione italiana ai lavori principali assunti dalla Unione
Accademica Internazionale e soprattutto al Corpus dei vasi an-
tichi e al Dizionario del latino medievale.
L’ Accademico Segretario
GIrovaNNI VIDARI
403
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 29 Aprile 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA
VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci D’Ovipro, NAccARI, SEGRE, Foà, GUIDI,
Grassi, SomieLiana, PANETTI e il Segretario MatTIROLO.
Scusano l’assenza il Presidente Senatore RurrinI e il Socio
Sacco.
Il Segretario dà lettura del verbale della adunanza prece-
dente, che risulta approvato senza osservazioni.
Il Presidente, a nome di tutti i Colleghi, rivolge al Socio
NaccariI i più cordiali auguri per la salute ricuperata e comu-
nicando all’Adunanza che l'assenza del Socio Senatore RurFINI
è motivata da fausta circostanza; saluta nel nome dell’Acca-
. demia con cordiali felicitazioni l'evento che allieta la famiglia
del nostro Presidente, e l'Accademia delibera che gli sieno
trasmesse.
Il Presidente dà quindi comunicazione di una lettera della
Société de Biologie di Parigi che celebra il 75° anniversario
della sua fondazione, e che per la circostanza invita l’Acca-
demia delle Scienze di Torino alla solenne funzione che avrà
luogo il 26 maggio p. v.
METE VP
404
Il Presidente provvederà a che l'Accademia sia rappresen-
tata in quella occasione.
Il Socio Foà comunica quindi e ) fa omaggio all'Accademia
dei Capitoli VI e VII del suo Trattato di Anatomia Patologica.
Colla consueta dovizia di illustrazioni i Dott. OrroLENGHI e
BeLFANTI trattano rispettivamente nel Capitolo VI dei Micro-
parassiti vegetali e nel Capitolo VII Della immunità. Il Presi-
dente ringrazia per il cospicuo dono.
Il Socio Guipi presenta quindi una Nota dell’Ing. Giulio
Supino di Bologna dal titolo: Sulla struttura delle travature
reticolari. La Nota è accolta per gli Atti.
arie 1 | et Le denied Lc a
GIULIO SUPINO — SULLA STRUTTURA, ECC. _ 405
LETTURE
Sulla struttura delle travature reticolari
Nota dell'Ing. GIULIO SUPINO
presentata dal Socio nazionale residente C. Guidi
Scopo di questo studio è di ricavare l’identità tra le con-
dizioni di determinazione statica e geometrica di una travatura
reticolare (mostrata successivamente dal F6ppl (*) e dal Frank (?)
con determinanti funzionali) per mezzo di un determinante nu-
merico e di introdurre, nello studio di esse, un terzo determi-
nante col quale riconduco la ricerca degli sforzi in travature
determinate, ma con vincoli esterni in numero maggiore dell’or-
dinario, alla determinazione di quelli di una travatura stretta-
mente vincolata. Considero solo travature piane: è ovvia l’esten-
sione allo spazio.
Poichè per un punto P (x,y), vincolato ad una determinata
linea, sta l’equazione:
(1) x cosa + y Sena = p
(a è l'angolo della normale al vincolo in P con l’asse x) e per
due punti A e B congiunti dall’asta di lunghezza / (il cui an-
golo con l’asse x sia £), si ha:
(2) (2, — x) cos 8 4- (yy — ys) senB=};
(') FoppL A., Theorie des Fachwerks, Lipsia, 1880.
(*) Frank Pa., Ueber allgemeine unbestimmte Systeme. “ Monatschrift fiir
Mathematik und Physik,, 1912, pag. 225.
406 GIULIO SUPINO
così, se abbiamo nel piano » punti, collegati da % aste e sot-
toposti a % vincoli semplici (!), e supponiamo di conoscere la
loro posizione in un dato istante, possiamo, considerando in
questo istante le tangenti al moto dei punti, scrivere per essi
m equazioni lineari (X del tipo (1) e % del tipo (2)); la matrice
dei loro coefficenti dà, con la sua caratteristica, il grado di in-
determinazione del sistema. Può essere r<2n e m= 2n;
considerando questi casi si hanno i vari tipi di travature (?).
La caratteristica della matrice è invariante per qualsiasi
trasformazione di coordinate: però essa conserva la proprietà
invariantiva rispetto al moto dei punti solo quando si riduce ad
un determinante (m = 2») (3). In questa ipotesi si distinguono
due casi: o il determinante così ottenuto è identicamente nullo,
o si annulla solo per speciali valori dei coefficenti: nel primo
caso si tratta di nullità strutturale che si mantiene comunque
si spostino gli n punti nel piano (4); nel secondo caso, se, per
essere 2n — 1 la caratteristica del determinante, il sistema
conserva un grado di libertà che permette il moto di due suoi
punti A e B, ciò accade perchè l’asta A-— B non si oppone
al moto (che non tende nè ad avvicinare nè ad allontanare i
due punti) e il centro istantaneo di rotazione si trova sulla retta
che contiene i punti stessi. La stessa osservazione si può fare
per un vincolo, se il grado di libertà concesso al sistema lascia
mobile il punto da esso vincolato, onde “ se una travatura reti-
colare piana con n nodi e 2n condizioni — distribuite in modo
da soddisfare a questa relazione anche in ogni parte di essa — è
labile, allora o esiste un'asta (almeno) che contiene îl centro istantaneo
(4) Se il vincolo è doppio diremo che il punto P deve trovarsi su due
rette del fascio che ha P per sostegno. Il vincolo semplice rappresenta
una linea di moto; sarà quindi una linea continua con derivata dapper-
tutto finita.
(2) Per "= 2n, m= 2 si hanno le travature determinate. Se è k=3
la travatura è strettamente vincolata. Se r=2n —p con r 2n.
(8) Considerando il determinante sotto la forma funzionale si vede che
è un “ covariante simultaneo ,.
(*) In questo caso una parte della travatura è ad aste mancanti mentre
l’altra parte è ad aste sovrabbondanti.
SULLA STRUTTURA DELLE TRAVATURE RETICOLARI 407
di rotazione nel moto relativo dei due nodi da essa congiunti, 0
esiste un vincolo (almeno) la cui normale al punto vincolato con-
tiene il centro istantaneo di rotazione del punto stesso , (1).
Anche in questo secondo caso è impossibile che il deter-
minante divenga — nel moto dei punti — diverso da 0: basta
osservare che se ciò accadesse il centro istantaneo di rotazione
dovrebbe esser fuori dell’asta o della normale al vincolo, mentre
esso non può uscirne; però se un nodo sì trova in una posi-
zione in cui il suo vincolo abbia tangente destra diversa dalla
tangente sinistra, può essere che uno dei due determinanti ot-
tenuti considerando separatamente le due tangenti sia diverso
da 0 mentre l’altro sia nullo; basta la nullità di uno di essi
per concludere che la travatura è labile.
Riferiamo ancora la travatura ad assi ortogonali: indicando
con Xi, Yo le componenti delle forze esterne nel nodo è,
con È, la reazione del vincolo v pure agente su è e con Sy lo
sforzo esercitato dall’asta 9g facente capo ad î, si hanno per
ogni nodo le equazioni: i
3 È, cos bx + = Sy cos Sx CO
(3) DE a
> E,senkheax|+3SsenSa = Yo.
Consideriamo la matrice dei coefficenti di questo sistema
di 2n equazione ed m incognite (può essere m=2n): essa
confrontata con quella relativa alle equazioni geometriche
ha le linee eguali alle colonne di quella (?). Nel caso che la
matrice si riduca ad un determinante è con ciò mostrata la
identità fra le condizioni di determinazione statica e geometrica.
Molte proprietà si deducono ora facilmente dalla teoria dei de-
terminanti; altre si ricavano da considerazioni geometriche.
Così, volendo conoscere i sistemi di forze di equilibrio per tra-
(!') Cfr. Monr, Abhundlungen der Technischen Mechanik, pag. 391 e seg.
e FRANK, op. cit.
(*?) Nel caso del vincolo doppio le rette del fascio che ha per sostegno
il punto fisso nelle equazioni geometriche saranno scelte normali alle linee
d’azione delle reazioni agenti su di esso.
spe Sire e pena ile O,
N PROTEO TITO 4
408 GIULIO SUPINO
vature ad aste mancanti, basta osservare che essi si oppon-
gono allo spostamento di tutti i nodi: allora, se manca
l'asta A— 5, si determinino col metodo cinematico del Miiller-
Breslau le tangenti (con il loro senso relativo) alle linee per-
corse dai nodi A e B; intese queste linee come forze (a meno
dell'intensità) esse rappresentano il sistema occorrente per
provocare uno spostamento dei nodi: qualunque sistema che
non sia riducibile (in tutto o in parte) a quello, sarà un sistema
di equilibrio. Un’altra osservazione di carattere cinematico è
suggerita dalle travature labili. In queste dalla relazione
S=3 (!), che si ricava per l’asta che è causa della labilità,
si dovrebbe dedurre che lo sforzo in essa è (in generale) infi-
nito; ma se è m=#=0 agisce una forza esterna normale al moto
dell’asta, forza che fa spostare i nodi finchè il centro istantaneo
di rotazione del loro moto relativo non si trova più sull’asta;
allora se esso descrive una curva continua (cioè il moto dei
‘ punti ammette anche derivata continua) gli sforzi per posizioni
vicine al limite sono enormemente grandi; diversamente, dato
il sistema di forze esterne, gli sforzi nella travatura sono de-
terminati e finiti.
II.
Data una travatura piana, determinata, le (3) permettono
per ogni condizione di carico la determinazione degli sforzi in
tutti gli elementi di essa; se consideriamo le 2n condizioni di
carico indipendenti:
| Pe ! i =0 Asg=0 Vag= Ya =
Ag="0 e Aa = Re gr ne!
(4) | 1 1 2 2
| da == 0 Y="0 Ig =0 Yy= 0/5
sì avrà, per ognuna di esse e per ciascun elemento, un certo
sforzo; indicato con Sx lo sforzo prodotto nell'elemento 4 dalla
(4) Cfr. Monr, loc. cit. L'equazione si può ricavare applicando la regola
Cdi ramer al sistema (83).
ta ir: dini em int
Me STILI an SII
+ 0
SULLA STRUTTURA DELLE TRAVATURE RETICOLARI 409
forza unitaria % del sistema (4), potremo rappresentare lo sforzo
totale prodotto da un sistema di forze (che possiamo ridurre a
due per ogni nodo agenti secondo due assi) colle 2» relazioni:
| Sia Xi Sta S1,9 ei Si,2n Y,= È,
(5) A Ss Xi = Ss,9 de + (CORONE Scan 3 E rn Es
Sani Xi + Sano Yi + alors. Si 3a = Fisn
«| ‘in cui le incognite sono le È mentre le X e Y sono date. Se
| invece si suppongono date le R e incognite le X e Y, si ha
un sistema normale di equazioni i cui coefficenti sono deter-
minati e finiti perchè la travatura è determinata e il cui de-
terminante ©
Sti DIREI Si an
So nb 2,9 è 0 000 Ss 2n
i Sagara Ssn,on
è sempre diverso da 0 perchè la sua nullità significherebbe che
è possibile la soluzione del sistema omogeneo: ossia esistereb-
bero delle forze applicate a nodi diversi capaci di farsi equi-
librio senza provocare sforzi in nessun elemento della travatura,
ciò che è assurdo. Dal sistema (5) si deduce che dati gli sforzi
nei 2n elementi di una travatura piana, determinata, esiste sempre
una (ed una sola) condizione di carico che li produce, proposizione
reciproca a quella che si deduce dal sistema (3).
Un sistema analogo a quello (5) si trova quando si cercano
gli sforzi di elementi che si vogliono sostituire a un egual nu-
mero di elementi dati: gli sforzi dei primi si possono considerare
come forze esterne incognite che debbono render nulli gli sforzi
dei secondi. Indicando con S, lo sforzo dell’elemento r®° dato
e con S,,1, 9,3... S-,m gli sforzi provocati in esso dalle solle-
citazioni:
Ar = D'ORO A0
A=="0 Dig Salo LR
410 GIULIO SUPINO
dove le _X sono prese nella direzione degli elementi da intro-
durre, si ha il sistema:
Bo RR e
(6) \ Sta D+ Sta + ri Sim An =— Sa
la S. x i SL; x Ea a Scr <#e
e se è
Sdi Spsoeoa Si
1 E RI Bi Pat
RE e Bo |
la trasformazione determina le X, X, ... X,, univocamente (1),
e sta il seguente teorema: “ Se per una condizione di carico gli
sforzi in un determinato sistema di m elementi di una travatura
sono tutti nulli, essi sono nulli anche in qualsiasi altro sistema
che sì ricavi dal primo mediante una trasformazione non degenere ,.
Infatti in tale ipotesi le (6) divengono omogenee e, per essere
il determinante (7) diverso da 0, l’unica soluzione è X}x.= X.=...
Xn= 0. Questa osservazione è fondamentale per il nostro scopo
di ricondurre la ricerca degli sforzi di una qualunque travatura
determinata a quelli di una travatura strettamente vincolata.
Infatti, supposto che nella travatura vi siano # vincoli, occorre
sostituirne 4 — 3 con altrettante aste e, determinati in queste
gli sforzi con uno dei soliti metodi, trovare quelli dei vincoli
per mezzo delle (6). Il teorema precedente rende la ricerca in-
dipendente dal sistema di aste intermediarie e dalla travatura
strettamente vincolata scelta per base.
(4) Il determinante (7) è stato introdotto per la prima volta dal Miller-
Breslau (Cfr. Die Graphische Statik der Bauconstructionen, vol. I, pag. 443,
Stuttgart, 1905) nel suo metodo delle “ Ersatzstabe ,.
SULLA STRUITURA DELLE TRAVATURE RETICOLARI 411
Se l'equazione di grado m in k:
Sti \--a k So PIDONORONO Sia
Ss Ss,9 Tr=M k 0 0000 Ss
Snia 1,3 00000 Da GTO k
ammette come radice m"? il numero 4, gli sforzi negli elementi
sostituiti sono sempre ordinatamente proporzionali (con — X fat-
tore di proporzionalità) a quelli degli elementi dati.
Bologna. — Ottobre 1922.
L’ Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
412
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE -
Adunanza del 6 Maggio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci: S. E. BoseLLi, DE SaAncTIS, BRONDI,
ErnAupI, BauDI pi Vesme, PaTETTA, PRATO, CIAN, PACCHIONI,
Fasci, Luzio, JANNAccoNE che funge da Segretario. |
Scusa l'assenza il Socio ViparI Segretario della Classe.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
22 aprile u. s. -
Il Socio Luzio presenta il secondo volume della pubblica-
zione intitolata L'Archivio Gonzaga di Mantova, illustrando la
grande importanza che il carteggio e i documenti diplomatici
dei Gonzaga hanno per la storia delle signorie, del Rinasci-
mento e della Riforma.
Il Presidente Rurrini ringrazia il Socio Luzio, nella sua
duplice qualità di donatore e di autore, della importante pub-
blicazione, rilevando che pubblicazioni di tal genere meritano
uno speciale attestato di riconoscenza per la fatica che costano
a chi attende a raccogliere e pubblicare i documenti, e per la
utilità che rendono a coloro che altrimenti non potrebbero ser-
virsene.
Il Socio Luzio presenta ancora i suoi tre volumi su Maz-
zini, cioè: La madre di Giuseppe Mazzini. — Giuseppe Mazzini
carbonaro. — Carlo Alberto e Mazzini.
413
Il Socio S. E. BoseLLi manifesta il suo vivo compiacimento
per tali opere, dalle cui pagine l’anima di Giuseppe Mazzini
appare sempre mossa da nobili sentimenti, anche in momenti
nei quali la sua attività pratica non era forse completamente
approvabile, e nelle quali la figura di Carlo Alberto rifulge di
nuova luce e purificata da certe mende con cui la leggenda
l'aveva offuscata.
Il Socio Luzio ringrazia S. E. BoseLLi delle sue nobili
parole, osservando che solo lo studio scrupoloso dei documenti
d'Archivio e la loro pubblicazione integrale potrà rinnovare la
storia del nostro Risorgimento e sostituire la verità a molte
impressioni superficiali ed a molte deformazioni partigiane.
Il Presidente RurFINI, a nome del Comitato Aretino della
Dante Alighieri, presenta un volume su Dante e Arezzo, il quale
appartiene a quella collana di opere che sono state pubblicate
in occasione del centenario Dantesco per mettere in luce le
relazioni di singole città o regioni italiane con l’opera e la
vita del grande Poeta. Presenta pure il volume Letture del Cen-
tenario pubblicate per la stessa occasione dal Comitato d’Ivrea
per le onoranze a Dante, compiacendosi che da tutte le terre
italiane si siano levate voci a glorificare il poeta, e che gli
studî pubblicati in tale occasione, sebbene di varia natura e
valore, attestano il grande progresso fatto in Italia nel campo
della storia e della letteratura.
Il Socio CraN consente col Presidente, e manda anch'egli
una parola di plauso e di ringraziamento agli autori degli studî
raccolti nei due volumi ed ai Comitati danteschi che ne pro-
mossero la pubblicazione.
L’ Accademico Segretario
GiovANNI VIDARI
Atti dellu Reale Accademia — Vol. LVIII. 29
ME OTT 0 CORI io TI tt" nat d4 "e Pao t I e PT NAT a
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a) : i ue e cca
414
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 13 Maggio 1923.
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci D’Ovipro, SEGRE, PEANO, GuInI, PARONA,
Grassi, SoMIGLIANA, PANETTI, Ponzio, HERLITZKA, POCHETTINO e
il Segretario MaTTIROLO.
Scusano la loro assenza i Soci NAccARI e SAcco.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che risulta approvato senza osservazioni. :
Il Presidente, dichiarandosi cordialmente commosso per la
dimostrazione della quale è stato fatto segno dall’Accademia,
ringrazia i colleghi. Egli comunica all’Adunanza che il nostro
Socio corrispondente CrarLes RicHET è stato pregato di rap-
presentare l'Accademia alla solenne funzione che celebrerà il
26 maggio l’anno 75° della fondazione della “ Société de Biologie ,.
Il Socio Prof. Ponzio presenta all’adunanza la sua XII Nota
sulle Diossime, che viene accolta per gli Atti.
GIACOMO PONZIO — RICERCHE SULLE DIOSSIME 415
LETTURE
Ricerche sulle diossime
Nota XII del Socio nazionale residente prof. GIACOMO PONZIO
La formola di ossido dell’ossima del cianuro di benzoile
/0X
CHs.C(:NOH).C=N ovvero C;Hs.C(:NOH).C:N:0 da
me adottata (!), in sostituzione di quella di fenil/gliossimperos-
sido C(Hg.C ——————_C.H di Scholl (?) e di quella di fe-
Il Il
NEON
— nilfurossano
CHys.C-—_ CH CHyg.C-——CT—-H
| | >O ovvero I |
N--O0—-N . N_O—-N:0
di Wieland e Semper (*), pel composto CH; (CsN,0,H) il quale
risulta trattando la a-fenilgliossima (p. f. 168°) con tetrossido
di azoto (4), non si accorda coll’asserita isomerizzazione di detto
composto in fenilidrossifurazano CsHs.C o. OH, isome-
rizzazione la quale, secondo Wieland e Semper (loc. cit.), sarebbe
provocata dagli idrossidi e dai carbonati dei metalli alcalini.
Ma, come dimostrerò più avanti, malgrado che l’esistenza di
tale isomero sia stata ulteriormente confermata da Wieland (°),
(4) Nota XI. — “Gazz. Chim. Ital. ,, 53, II (1923).
(2) Ber. 32, 3504 (1896).
@) Ann. 358, 56 (1906).
(4) Nota VI. — “ Gazz. Chim. Ital. ,, 53, I, 25 (1923).
(9) Ann. 424, 107 (1921).
416 GIACOMO PONZIO
la sostanza ritenuta da detti Autori, e descritta nei trattati di
chimica organica, come fenilidrossifurazano, non è altro che l’os-
sido dell’ossima del cianuro di benzoile, un po’ meno impuro di
quello da essi impiegato nelle loro prime esperienze.
Ciò si poteva d'altronde prevedere dalla semplice lettura
dei lavori di Wieland e Semper e di Wieland: infatti i punti
di fusione successivamente attribuiti al supposto fenilidrossi-
furazano (106°, 110°-111°, 106°-107°, 109°-110°) sono vicinissimi
al punto di fusione dell’ossido dell’ossima del cianuro di ben-
zoile, il quale puro fonde a 108°, ma può anche fondere a 111°
e perfino a 112° se riscaldato rapidamente. Questo nitrilossido,
come già ho fatto osservare nelle Note VI e XI, se purissimo
è stabile e non si altera neppure fondendo, ma bastano tracce
di impurezze (non riscontrabili all’analisi) per diminuirne la
stabilità anche alla temperatura ordinaria, per aumentarne al-
quanto la solubilità nei solventi organici e per renderlo più
facilmente solubile negli idrossidi dei metalli alcalini, cioè per
fargli assumere le proprietà attribuite da Wieland e Semper
al loro pseudo isomero. Era inoltre da ritenersi molto improba-
bile che il fenilidrossifurazano CgH;(CsN30) OH potesse avere un
comportamento analogo a quello del fenilfurazano C5H5(C,N0) H,
e che mentre quest'ultimo è isomerizzato dalle basi nell’ossima
del cianuro di benzoile
il primo si dovesse trasformare, nelle identiche condizioni, in
fenilidrossigliossima (acido ossiminobenzoilformidrossamico)
CoHsg.C-— C— 0H j Cell «€
| +.Hs0..— I i
N-O—N NOH NOH
non esistendo ragione alcuna perchè il ciclo furazanico debba
aprirsi colla stessa facilità tanto se unito all'idrogeno (elettro-
positivo) quanto se unito all’ossidrile (elettronegativo). Infine,
la formazione della fenilidrossigliossima non era stata provata
da Wieland e Semper, ma dedotta unicamente dalla colorazione
RICERCHE SULLE DIUSSIME 417
che la soluzione basica della sostanza da essi ottenuta assumeva.
se trattata con cloruro ferrico, cioè col reattivo degli acidi
idrossamici (°).
Ciò premesso, è evidente che non esistendo il fenilidrossi-
furazano (od esattamente, non formandosi esso nel modo creduto
da Wieland e Semper), viene a mancare un’altra delle ragioni
addotte da questi Autori in favore della formola furossanica pel
composto C;H;(C,N:0,H) risultante per azione del tetrossido
di azoto sulla a-fenilgliossima. Per contro, la formola di nitril-
ossido che io ho proposto nella Nota XI si accorda perfettamente
non soltanto colle proprietà già conosciute del composto stesso,
ma anche col suo vero modo di isomerizzarsi e col suo compor-
tamento verso il reattivo di Grignard, sui quali riferisco ora..
Infatti per ebollizione con xilene esso subisce una trasposi-
zione intramolecolare in 3-fenil-5-idrossi-furo-(a b;)-diazolo
CHg.0O N CeHg . C NH
I i ovvero | lE VA
NES) 8 “OH NESS "CO
risultando probabilmente come prodotto intermedio il corrispon-
dente cianato
"a EeStag CR: EIA
| |)o — | Î
OH N NOH CO
9A a |
» | PA:
Ne-0< 0, 0H
e reagendo col metilioduro di magnesio dà origine a fenilmetil-
gliossima
CoHg. CC CHyg.C-—-C.CH
i] pyo merca °°] et
NOH N NOH NOMgI
CoHg . CT C. CH3
HO! I eo
NOH NOH
(9) Fondandosi soltanto su questa reazione cromatica, Wieland e Semper
(Ann. 358, 62 (1907)) asseriscono altresì che per lungo riscaldamento del-
418 GIACOMO PONZIO
Adottando la struttura di ossido dell’ossima del cianuro di
benzoile la formazione di una idrossiazossima e di una a-diossima
colle suddette reazioni, e la riducibilità, colla reazione da me
descritta nella Nota XI, in ossima del cianuro di benzoile
CsHg.C(:NOH).CN, si possono interpretare, ed anche preve-
dere, senza nessuna di quelle difficoltà che si incontrerebbero.
colle antiche formole di fenilfurossano o di fenilgliossimperossido;
apparendo inoltre una evidente analogia col benzonitrilossido
(0)
cxH,.6= N ovvero CH;.C:N:0, il quale, secondo Wie-
land ("), si isomerizza per azione del calore in fenilcianato
CoHg.N:C:0 (8), è trasformato dal metilioduro di magnesio
in acetofenonossima C;H; .C(:NOH).CH;, ed è. ridotto da
zinco ed acido acetico in benzonitrile CgH; . CN.
XXIX. — Ossido dell’ossima del cianuro di benzoile
ZO :
CH; .C(:NOH).C=N ovvero CGHs.C(:NOH).C:N:0.
Isomerizzazione. Se si scalda per un’ora all’ebollizione il
nitrilossido con poco xilene, o se si tratta, alla temperatura
ordinaria, la soluzione benzenica diluita del nitrilossido con
fenilidrazina, si separa, nel primo caso col raffreddamento e nel
secondo col riposo, una sostanza cristallina, la quale risulta
pure, assieme ad a-fenilaminofenilgliossima CH; .C(:NOH).
C (:NOH). NHC;H;, addizionando anilina al nitrilossido sciolto
in benzene (*). Il rendimento della reazione, quasi quantitativo
impiegando lo xilene o la fenilidrazina, è scarsissimo coll’ani-
lina se si opera a freddo, ma può aumentare fino al 30 °/o
l'’ossima del cianuro di benzoile con idrossilamina risulta la fenilamino-
gliossima CsHy.C(: NOH).CN + NH:0H + C;H:;.C(:NOH).C(:NOH).NHa,
mentre secondo le mie esperienze non se ne forma traccia.
(7) Ber. 40, 1667 (1907).
(*) Il fenilcianato si polimerizza poi spontaneamente nel perossido della
difenilgliossima 2CH; N:C:0 + C;Hs(C,N30,) C;Hs; mentre il dimero
dell’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile, cioè la diossima del perossido
della dibenzoilgliossima CyHy. C (:NOH)(C3N303). C (:NOH).C5Hs, si ottiene
soltanto per via indiretta. Di esso mi occuperò in una Nota di prossima
pubblicazione. Di
(9) Pesi uguali di nitrilossido e di fenilidrazina o di anilina.
RICERCHE SULLE DIOSSIME 419
facendo bollire per alcune ore la soluzione in apparecchio a
ricadere (1°).
Cristallizzata dall’alcool, la sostanza di cui sopra si pre-
senta in grossi prismi; cristallizzata dall'acqua, in fini aghi
bianchi, fusibili a 202°-203° senza decomposizione.
Trovato %ot C 59,05 H 3,98 N 17,19.
Per CsH5g0gNo cale.: 59,25 3,70 17,28.
Essa ha tutte le proprietà del 3-fenil-5-idrossi-furo-(a b.)-
diazolo CH; (C$N30) OH ottenuto da Tiemann e Falck (1) per
riscaldamento della benzenilamidossima con celorocarbonato di
etile CH; .C(: NOH) (NH;) + CICOOC,H; — HC1+ C,H;0H +
C;H; (CxN:0) OH, salvo il punto di fusione un po’ più elevato
(202°-203° invece di 199°), il quale però è identico con quello
del prodotto da me preparato secondo le indicazioni di detti
Autori e convenientemente purificato.
A complemento di quanto trovasi riferito nella letteratura
soggiungerò che il 3-fenil-5-idrossi-furo-(ab,)-diazolo ha funzione
di acido monobasico più forte dell’acido carbonico; che in solu-
zione acquosa richiede per la neutralizzazione un equivalente
di idrossido di sodio; che il suo peso molecolare determinato
colla criometria in acido acetico è normale (trovato 162; per
CsH;0,N, calcolato 162); che non reagisce nè col bromo, nè
col cianato di fenile, nè coi cloruri di fosforo; che non è nè
acetilabile nè benzoilabile; che si scioglie a freddo nell’acido
solforico concentrato e riprecipita inalterato per diluizione con
acqua; che è solubile a caldo negli acidi cloridrico e nitrico
concentrati e cristallizza col raffreddamento. Ne descrivo inoltre
il sale sodico e l’etere metilico, non ancora conosciuti.
Il sale sodico C5Hz(Cs$N,0) ONa si ottiene trattando il
3-fenil-5-idrossi-furo-(ab;)-diazolo colla quantità teorica di car-
benato sodico sciolto in poca acqua e tirando a secco la solu-
(49) Il procedimento col quale dalla miscela si può isolare la da-fenil-
aminofenilgliossima l'ho già indicato nella Nota VIII (“ Gazz. Chim. Ital. ,,
53, II (1923)), ove ho anche detto che se sull’ossido dell’ossima del cianuro
di benzoile si fa agire l’anilina in soluzione acquosa si forma esclusiva
mente la gliossima.
(1!) Ber. 18, 2456 2468 (1885) e 29, 1475, 1482 (1886).
calata dla ira “i
DO f
420 i GIACOMO PONZIO
zione (per il che il carbonato è decomposto con svolgimento di
anidride carbonica). Costituisce una polvere bianca cristallina,
solubile in acqua, insolubile nei comuni solventi organici, eccetto
l’alcool etilico e metilico.
Trovato °/: Na 12,68.
Per Cg3H;0gNsNa cale.: 12,51.
L’etere metilico C$H; (C$N30) OCH; si forma per azione del
solfato dimetilico sulla soluzione del 3-fenil-5-idrossi-furo-(ab;)-
diazolo in idrossido di sodio al 20 °/9; ovvero per azione del
ioduro di metile sulla soluzione del suc sale sodico in alcool
metilico, e cristallizzato dall'alcool si presenta in lunghi aghi
bianchi fusibili a 116° senza decomposizione.
Trovato °/o: N 15,79.
Per CsHsOsN»s calc.: 15,90.
È insolubile nell’acqua; solubile a freddo in acetone ed in
cloroformio; poco solubile in etere; discretamente solubile a
caldo e meno a freddo nell’alcool e nel benzene; poco a caldo
e pochissimo a freddo in ligroina.
Riscaldato con idrossido di sodio diluito subisce con faci-
lità l’idrolisi.
Azione del ioduro di metilmagnesio. Wieland e Semper (1?)
dicono che i perossidi delle gliossime (da essi erroneamente con-
siderati come furossani) non reagiscono col reattivo di Grignard;
per contro l’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile (cioè il
fenilgliossimperossido di Scholl o fenilfurossano di Wieland e
Semper) è colla massima facilità trasformato in metilfenilglios-
sima CHsz. C (: NOH).C (: NOH). C;H; dal metilioduro di ma-
gnesio. Infatti, se a quest’ultimo si aggiunge poco a poco la
soluzione eterea del nitrilossido ha luogo una reazione molto
viva e tosto si separa un composto di addizione, il quale trat-
tato con acido cloridrico diluito cede all’etere una discreta
quantità di gliossima che si isola trasformandola, mediante
l'acetato di nichel, nel caratteristico sale complesso (C3Hs0gNo)sNi
(1°) Ann. 358, 67 (1907).
Li
a ee
RICERCHE SULLE DIOSSIME © 421
già da me descritto nella Nota I (15) e cristallizzabile dall'alcool
in aghetti di colore rosso-scarlatto fusibili a 239°-240°.
Trovato 9%: N 14,49.
Per CisH,g0,NNi cale.: 14,20.
Azione del carbonato sodico. Wieland e Semper (loc. cit.)
agitando per un'ora con carbonato sodico al 5 °/o la soluzione
eterea dell’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile (impuro,
fusibile a 95°, e da essi ritenuto fenilfurossano); ovvero trat-
tando allo stesso modo il nitrilossido quasi puro (fusibile
a 106°-108° e da Wieland considerato come la forma labile del
fenilfurossano) ottennero una sostanza la quale, cristallizzata
dal benzene, fondeva a 106° od a 110°-111° e che ritennero
fenilidrossifurazano CH; (C$N30) OH. Ripetendo queste espe-
rienze coll’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile purissimo
(e da me preparato per azione del tetrossido di azoto sulla
a-fenilgliossima pura), ed anche agitandolo a freddo per un’ora
con soluzione diluita, o per qualche minuto con soluzione bol-
lente di carbonato sodico al 5 °/o, ho anch'io ottenuto una so-
stanza la quale cristallizzata dal benzene o dall’alcool acquoso
fondeva, decomponendosi, a 104°-105°, ma che purificata me-
diante lavatura con etere addizionato di una traccia di tetrossido
di azoto fondeva poi a 108° senza decomposizione.
Trovato °/o: N 17,02.
Per CgH;0gN; cale.: 17,28.
Detta sostanza non è fenilidrossifurazano, ma è identica in
tutte le sue proprietà coll’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile
primitivo; infatti, come quest’ultimo:
a) sciolta in etere ed agitata con soluzione acquosa 6N
di ammoniaca si trasforma in a-fenilaminogliossima CgHs .
C (:NOH).C(:NOH).NH,;, p. f. 1549-1599;
5) agitata con soluzione acquosa di anilina si trasforma
in a-fenilaminofenilgliossima C;Hgy.C(:NOH).C(:NOH).NHCHs,
piot. 188°;
(43) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 51, II, 224 (1921):
e TR
ue Tandiy TULA SEI IR SUI SATA 7 > PA Chi figo È A
TAL rotori is DRENANTE POIZAE
422 GIACOMO -PONZIO — RICERCHE SULLE DIOSSIME
c) fatta bollire con xilene o trattata in soluzione ben-
zenica con fenilidrazina a freddo si trasforma in 3-fenil-5-idrossi-
furo-(a b;)-diazolo CgHs (C$N30) OH, p. f. 202°-203°;
Trovato °/o: NOLTA45
Per CsHsOgNs cale.: 17,28;
d) trattata a freddo con anidride acetica si trasforma
nell’acetilderivato dell’ossido dell’ossima del cianuro di benzoile
O
i /0N
CsHs . C(:NOCOCH3).C=N ovvero C;H;.C(:NOCOCH3).C:N:0,
p. f. 115°-116°.
Trovato °/o: N 13,81.
Per C.oHsOsNs cale.: 13,72.
Il vero fenilidrossifurazano C;}Hj.C ——C.0H dovrebbe
i i
N—O—N
invece avere un comportamento analogo a quello del peros-
sido della fenilidrossigliossima CH; .C C.OH di
Il Il
N 0-02 SN
Wieland (!4), e del 83-fenil-5-idrossi-furo-(a b;)- diazolo
CHj,.C—N ; il che ritengo di poter dimostrare con
| Ì
N—0-C.0H
ulteriori ricerche.
Torino — Istituto Chimico della R. Università.
Maggio 1923.
(44) Ann. 328, 255 (1903).
L' Accademico Segretario
Oreste MATTIROLO
E I
Pia Pa e in Agla O ho ug i)
9 Ret
PESCE > -
iii Rea mici iti ii
423
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 20 Maggio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. GAETANO DE SANCTIS
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci Baupi pi VeEsME, PATETTA, PRATO,
Cran, Luzio, JANNACcONE, VipaRrI Segretario della Classe.
Scusano l'assenza il Presidente Senatore RurrINI e il Socio
VALMAGGI.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
6 maggio u. s.
Il Presidente De SANCTIS, aprendo la seduta, invia un de-
ferente saluto a S. M. il Re, che oggi giunge, ospite desiderato
e acclamatissimo, in Torino, la vecchia e fedele sede de’ suoi
avi gloriosi. Associandosi all’entusiasmo del popolo, egli ne
rileva tutto il significato, che è di omaggio alla monarchia co-
stituzionale, saldo baluardo della unità e libertà della Patria.
La Classe si unisce, plaudendo, alle parole del Presidente.
Il Socio PATETTA presenta, per l’inserzione negli Atti, una
sua Nota contenente Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico
Sclopis.
Il Socio Luzio presenta, per l’inserzione nelle Memorie, una
raccolta di Documenti riguardanti i primi anni del Regno di
Carlo Alberto, da lui illustrati e collegati, e ne dimostra
l’importanza storica per rispetto specialmente ad alcune figure
di ministri e ambasciatori della Corte piemontese.
424
In conformità all'articolo 27 dello Statuto, si procede alla
votazione segreta per decidere della ammissione della Memoria:
il risultato è di sette voti su sette votanti.
Il Presidente De SancrIis dà quindi comunicazione alla
Classe della Relazione presentata dal prof. Vincenzo UssanI,
rappresentante italiano nella Commissione del dizionario medie-
vale -al Convegno della Unione Accademica Internazionale di
Bruxelles. L’UssanI vi riferisce della parte da lui presa alla
seduta del 16 aprile, nella quale furono chiariti varii punti,
che renderanno ormai effettiva e proficua la collaborazione di
tutti a una grande opera di interesse comune. L'Italia ha assi-
curata nell'opera una parte e una posizione degna, e sono am-
messe, come lingue del Bollettino informatore dei lavori, l’ita-
liano e il latino. L’UssanI inoltre accenna alle proposte da lui
fatte, e dimostrate, al Ministero per un congruo finanziamento,
che assicuri la regolare attuazione dell’opera da parte dei rap-
presentanti italiani.
Il Presidente corrobora con altre spiegazioni tali proposte,
che sono state, pure per sua parte, presentate al Ministro: dal
quale si possono attendere, come ha già dimostrato di volere,
appoggi adeguati all'importante impresa e alle altre cui l’Ac-
cademia partecipa sotto. gli auspici dell’Unione Accademica
Internazionale. Propone quindi che si prenda atto della Rela-
zione dell’UssanI approvandone in massima la direttiva; che si
deferisca l'esame delle questioni tecniche concernenti quest’ar-
gomento a una commissione di tre tecnici specialmente compe-
tenti; che si insista presso il Ministro pel finanziamento della
partecipazione italiana alle opere patrocinate dalla U. A. I,
conforme alle proposte dell’UssanIi e sue. La Classe approva e
designa a comporre la commissione accademica per il Ducange
i Soci PatETTA, VaLmagGI e Luzio.
FEDERICO PATETTA — LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO, ECC. 425
LETTURE
Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico Selopis
Nota del Socio naz. resid. FEDERICO PATETTA
1. In uno studio recentissimo (1), fatto “ con la scorta di
lettere edite ed inedite, conservate dalle eredi Ricci ,, il pro-
fessore Nunzio Vaccalluzzo si propose di mettere in rilievo la
parte avuta da Massimo d’Azeglio nell’agitazione e nella discus-
sione parlamentare originate dalla Convenzione del 15 sett. 1864.
Volendo a tal fine mostrar chiaramente quali fossero già prima
le condizioni fisiche e mentali del D'Azeglio, a parer suo “ ormai
vecchio, più d’animo che d’anni, fuori battaglia, mal contento
di tutto e di tutti ,, egli pubblicò due lettere di lui a Federico
Sclopis, del 25 agosto e del 1° settembre 1863, concernenti le
dimissioni da senatore date e poi ritirate, appunto per le insi-
stenze dello Sclopis, Presidente del Senato, e di Giuseppe Fer-
rigni, Vice-Presidente.
Ora io non voglio discutere il giudizio del Vaccalluzzo sullo
stato e sulla mentalità del D'Azeglio negli ultimi anni di sua
vita, e tanto meno intendo d’addentrarmi nell'esame generale
dei meriti e delle debolezze dell’uomo, che fu già proclamato
il Baiardo d'Italia ed è ora trattato da qualche storico con
severità certo eccessiva (2).
(1) La crisi di un uomo politico. Massimo d’Azeglio e il trasferimento
della capitale, nella “ Nuova Antologia, del 1° maggio 1923 (vol. 308,
pag. 36 e segg.).
(2) Favorevolissimo al D'Azeglio è invece il giudizio di Ettore Ciccotti,
il quale, ammettendo gli errori del deputato e del ministro, ma non accen-
nando neppure alle debolezze dell'uomo, conclude un suo recente studio
dichiarando che “a più di mezzo secolo di distanza... l’uomo, il cittadino
426 FEDERICO PATETTA
Restringendomi invece modestamente ai soli rapporti epi-
. stolari fra il d’Azeglio e lo Sclopis, dirò che gli originali delle
due lettere edite dal Vaccalluzzo si trovano nel carteggio Sclopis
posseduto dalla nostra Accademia, e che insieme vi si trovano
quattro lettere pubblicate nel 1872 da Matteo Ricci (1) e cinque
altre, probabilmente inedite.
Delle quattro lettere pubblicate dal Ricci, tre, in data 28 no-
vembre 1837, 21 giugno 1864 e 23 settembre 1865, sono dirette
allo Sclopis; una, colla sola indicazione del giorno e del mese
(sabato, 22 febbraio) ma che si può assegnare con certezza
all'anno 1862 (2), è invece diretta alla contessa Sclopis. L’edi-
zione, fatta vivente ancora lo Sclopis e col suo consenso, sì -
può dire, in complesso, abbastanza fedele. Il Ricci, per altro,
il quale, nell’avvertenza A/ lettore premessa agli Scritti postumi:
del D'Azeglio, aveva creduto di dover notare, che il suo illustre
suocero scriveva bene, ma avrebbe potuto anche scrivere meglio.
“ove avesse posseduto quell’instrumentum della lingua, ché non
possedeva che in parte ,, oltre a correggere qualche grosso
errore d’ortografia, volle anche togliere cacofonie e scorrezioni,
e stampò quindi, per esempio, “è nata da poco ,, anzichè “ di.
poco , (pag. 414, lin. 23); “ spero che tu conosca , invece di
“ spero che conosci , (ibid., lin. 29); “a che cosa serva , invece
di “a che cosa serve, (pag. 415, lin. 19); “ però m'ha giovato ,
invece di “ ma m'ha giovato , (pag. 417, lin. 10). S'aggiunga che
per l’ultimo versetto stampato a pag. 413, “ E non ti confon-
dere ,, è data nell’originale a pie’ di pagina la variante “Vivi
e lascia vivere ,; che a pag. 414, lin. 26-27, si deve leggere:
“ siamo nati troppo presto per veder la bambina grande e grossa,
e poter godere d’sua bela coumpagnia ,, mentre l’edizione omette:
brilla sempre di luce più pura e riappare come quello a cui più si vorrebbe
rassomigliare , (Massimo d’Azeglio e un aspetto della vita italiana, in “ Ri--
vista d’Italia, del 15 febbraio 1923, pag. 164).
(1) Scritti postumi di Massimo p'AzeeLIo a cura di MattEO Ricci, 2* ediz.,.
Firenze, Barbèra, 1872, pag. 410-418. i
(2) I soli due anni, nei quali il 22 febbraio cadesse in sabato e che.
possano esser presi in considerazione, sono il 1856 ed il 1862. Ma la let-.
tera, per il contenuto e per la carta su cui è scritta, va attribuita alla.
seconda data e non alla prima.
Se MARTE RT SIT RESI REN I le ne
pe:
LETTERE DI MASSIMO D’AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 427
la parola bambina e dà compagnia in luogo di coumpagnia; che
a pag. 415, lin. 25, la sigla N. N. va cambiata in Stefanoni,
nel cognome cioè di quel marchese Carlo Stefanoni, che fu
“legato all’Azeglio di strettissima ed affettuosa amicizia ,, ed
al quale sono dirette sette lettere pubblicate nello stesso vo-
lume a pag. 426 e segg. La poesia satirica contenuta nella
lettera del 21 giugno 1864 era già stata in parte stampata
dal Ricci a pag. 289-290; e un brano ne aveva dato molto
prima lo Sclopis, nella prefazione alla raccolta, pubblicata a
Torino nel 1867, intitolata L’opera pittorica di Massimo d’ Azeglio
riprodotta in fotografia da Cesare Bernieri. Alla citata lettera
del 21 giugno 1864 rispose lo Sclopis due giorni dopo con una
lettera, che fu pubblicata (1) fin dal 1893 nella Rassegna na-
zionale, vol. 71, pag. 298 e seg.
Anche le dt lettere del 25 agosto e 1° settembre 1863, pub-
blicate dal Vaccalluzzo, furono certamente tratte da copie fatte
col consenso dello Sclopis e per uso di Matteo Ricci, il quale
non se ne valse, ritenendo forse che la loro pubblicazione po-
tesse, nel 1872, sembrare tuttora inopportuna. L'edizione, salvo
piccolezze, corrisponde abbastanza bene agli originali. Il
D'Azeglio però, parlando nella prima lettera dei nuovi senatori
scaturiti da ogni parte d’Italia, usava la parola branco, che do-
vette sembrare poco parlamentare e fu quindi sottolineata nel-
l'originale con matita azzurra e sostituita nella copia, e per
conseguenza nell’edizione, con la parola caterva. Le lettere di
risposta dello Sclopis, del 29 agosto con poscritto della Con-
tessa e dell'’8 settembre con un’aggiunta del Ferrigni, furono
pubblicate nel già citato vol. 71 della Fassegna nazionale.
2. Resta a dire delle cinque lettere, che credo inedite e
che pubblicherò qui integralmente.
Queste lettere, tutte dirette allo Sclopis, appartengono a.
tempi diversi. Le due prime, senza data, furono certo scritte
da Torino quando il giovane Massimo era ancora, più che altro,
(1) Con due altre lettere, che ricorderò fra poco, e col titolo: Un epi-
sodio della vita di Massimo d’ Azeglio. Lettere di Federico Sclopis. È taciuto
il nome dell’editore, che credo sia Pietro Fea, al quale è dovuta la rac-
colta, che non ho sott’occhio, intitolata: Lettere inedite di uomini illustri
a M. d’A., 2* ediz., Firenze, Cellini, 1884.
PI (AREA, TATE O AI Pia a i erano i
428 FEDERICO PATETTA
l'artista spensierato, oggetto per l’alta società torinese di cu-
riosità e magari d’un po’ di scandalo, e trattava quindi il serio,
compassato, dottissimo e moralissimo conte Sclopis con tanto
di lei. Nella terza lettera, del 22 ottobre 1836, il lei appare
gia sostituito dal voî, un po’ meno solenne, e che, alla sua volta,
cede il Iuogo, nelle lettere del 25 agosto 1861 e del 3 di-
cembre 1863, al tx confidenziale, meglio adatto ai rapporti fra
i due illustri senatori, ex-ministri, nati nella stessa città e nello
stesso anno 1798, appartenenti entrambi al patriziato piemontese
e ormai compagni di fede e d’indirizzo politico. Del resto è detto
già nella lettera del 1836 che l’amicizia del D'Azeglio e dello
Sclopis era vecchia ormai di venticinque anni, cioè risaliva ai
tempi della loro fanciullezza; e lo Sclopis, prima e dopo la
morte dell'amico, mostrò sempre d’averne riconosciuto la nobiltà
d'animo e d'intenti, e d’aver saputo apprezzare l’efficacia del-
l’opera sua per la redenzione dell’Italia e per Pea mo-
rale e civile degli Italiani (1).
(1) È specialmente da vedersi la già citata prefazione all'Opera pittorica
di M. d’A. riprodotta in fotografia, dalla quale mi piace di trascrivere
qualche brano, perchè credo che questa raccolta sia ormai quasi irreperibile :
“.. Ne’ suoi concetti artistici e letterarj l’Azeglio cercava il bello nel vero,
come ne' suoi concetti politici il grande nell’onesto... Gli applauditi romanzi
Ettore Fieramosca e Nicolò de’ Lapi furono lezioni, che fecero pensare gli
Italiani a quel che erano stati, a quel che erano ed a quello che potevano
essere. Sul campo di battaglia, nelle aule del Parlamento, nei Consigli della
Corona lo vediamo sempre uguale a se medesimo, schiettissimo e fermo,
non mai debole, non mai piaggiatore di Principi o di Popolo... Egli, per
servirci delle sue stesse parole, volle ognora libertà vera, libertà per tutti
a un modo, libertà libera, all'incirca come i contadini dicono giustizia giusta...
Divenuto Primo Ministro, non si lasciò sopraffare dai clamori e dalle mac-
chinazioni di chi avrebbe sagrificato la salvezza del paese allo sfogo delle
passioni; la ragione finì col trionfare, ed il Piemonte, anzichè cadere nella
voragine, che gli si apriva davanti, si ricompose a segno da potere a sua
volta ricomporre l’Italia nell'aspirazione di splendidi destini. Ma non fu
dato all’Azeglio di salutare il momento cui anelava, di veder la Venezia
riunita all’Italia. Così la Provvidenza vuole che s’aggiunga il merito del
sagrifizio a quello delle opere; e gli uomini debbono tenerne conto e non
vacillar nella fede di una grande riparazione... Fra le cose che restano nel
patrimonio di una nazione sono pure i grandi esempi. Que’ che ne porge
la vita di Massimo d’Azeglio saranno .di gloria e d’ammaestramento
all'Italia. Questa sarà l’opera del gran cittadino, più splendida fors’'anche
WI TA) © E, I ST rt, Ie e
iO ra an Ri Tae re a
LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 429
Le lettere che pubblico non hanno bisogno di lunghi com-
menti.
È notevole nella seconda l'invito umoristico ad una serata,
che doveva aver luogo nel castello di Rivalta; invito fatto per
incarico del proprietario, conte Cesare della Chiesa di Benevello,
il cui nome, ben noto ai cultori delle memorie storiche ed arti-
stiche torinesi, non riuscirà nuovo ai lettori dei ‘icordî di
Massimo d’Azeglio (c. XVI). Questi infatti narra che nel 1820
villeggiava col Benevello “ora a Saluzzo ora al suo castello di
Rivalta ,, e ne traccia un ritratto simpaticissimo, che, data la
facilità d’attingere alla fonte, credo superfluo trascrivere o com-
pendiare. Poco o punto noto è invece l’accenno al Benevello,
nascosto sotto lo pseudonimo di Etiobolo, nel famoso racconto
satirico di Lodovico Sauli d’Igliano, Il castello delle Mollere (1).
di quella dell’artista e del letterato ,. Ho trascritto questi brani dal ma-
noscritto originale, non autografo ma con correzioni autografe, posseduto
‘ dalla nostra Accademia.
(1) 1 castello delle Mollere. Racconto storico fatto alle valorose donne
torinesi da Mandricardo da Sammichele, Torino, MCCCXXXIV, in benefizio
di noi altri poveri pazzarelli. La data del 1334, voluta dal Sauli, è anteriore
alla vera di cinquecento anni precisi. Su questo gustoso libretto si veda
A. Manno; Curiosità e ricerche di storia subalpina, vol. I, pag. 733-735;
G. B. Passano, I novellieri italiani in prosa indicati e descritti, P. II, Torino,
1878, pag. 676; L. Sauri D'IGLIANO, Reminiscenze della propria vita, vol. II,
Roma, 1909, pag. 237 e segg. (“ Bibl. stor. del Risorg. ,, S. V, n° 12). Narra
il Sauli come, per la pubblicazione del suo racconto, egli perdesse la grazia
del re Carlo Alberto. E-non dobbiamo meravigliarcene. Carlo Alberto
avrebbe dato prova di ben poca intelligenza se avesse creduto che potesse
esservi un’allusione a lui nel nome Mollere, interpretato da alcuni, come
dice il Manno, molle re. Con molto maggior ragione avrebbe invece potuto
vedere un’allusione alle persecuzioni politiche del 1821, e magari dei pri-
‘ mordii del suo regno, in quello che il Sauli scrive a pag. 8, d'aver cioè
un certo odio antico contro il medio evo, “ perchè la navicella d’alcuni
‘amici miei ha sofferto gran danno per essere stati inquisiti e diffamati in
genere di avversione a quella barbara età ,. Indipendentemente però da
questo, Carlo Alberto non avrà potuto perdonare le sconvenienti e chia-
rissime allusioni, a pag. 21-22, contro la contessa di Sant'Andrea e la
marchesa di Cortanze, che secondo le male lingue era stata sua amante.
Vincenzo Promis possedeva un esemplare del Castello delle Mollere con
annotazioni autografe dell’autore, delle quali ho copia e che permettono
d’identificare quasi tutte le persone ricordate nel breve scritto.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 30
i e er e e EN Me e na ALTRA i
; a dae VI VARONE RE ° Tad | LL
430 FEDERICO PATETTA
Volle infatti il Sauli scherzare garbatamente sull’insaziabdile
curiosità di spirito, che, a detta del D'Azeglio, spingeva il Bene-
vello a provarsi in ogni ramo dello scibile; e narrò quindi come
Etiobolo, a forza d’investigare, avesse “ trovato il modo di far sì
che l’acqua più non andasse alla china, ma sibbene risalisse e ser-
pentasse su per le altissime schiene dei monti ,, e come, per timore
che si quastasse il corso della navigazione, fosse stato costretto
ad interrompere i suoi esperimenti già bene avviati e molto pro-
mettenti per l'agricoltura e la pittura dei paesi (pag. 18-19). Il
Benevello fu pittore, litografo, scrittore, mecenate degli artisti,
ideatore e primo presidente della Società promotrice delle belle
arti, fondata in Torino nel 1842, alla quale appartenne subito
anche lo Sclopis in qualità di consigliere (1).
La lettera del 22 ottobre 1836 contiene un accenno ad
affari di famiglia, cioè forse ad un progetto di matrimonio, che
non so se sia quello, effettuatosi nell’anno successivo, dello
Sclopis con la contessa Isabella Avogadro.
Più importante è la lettera del 25 agosto 1861, ua con-
cerne la sotte histoire narrata ampiamente da Nicomede Bianchi
nel suo libro Carlo Matteucci e l’Italia del suo tempo, Torino,
1874, pag. 317 e segg. Il 25 luglio 1861, rispondendo confiden-
zialmente ad una lettera confidenziale del Matteucci sullo stato
e sull’avvenire delle provincie napoletane, Massimo d’Azeglio
aveva espresso idee forse nobili e generose ma certo poco pra-
tiche e poco conformi a quelle della maggioranza, che, magari
senza rendersene ben ragione, quando parla di consenso, e di
volontà, e di sovranità del popolo, intende per popolo non tutti
gli abitanti d’un paese, che abbiano idee e sentimenti e aspi-
razioni vaghe e mutevoli, ma quelli soli che sanno cosciente-
mente volere, che trasformano il loro pensiero in azione, e che
sono in grado di cooperare all’effettivo esercizio di quella so-
vranità, della quale si dicono partecipi. Secondo il D'Azeglio,
non si sarebbe invece potuto parlare di consenso del popolo se
non quando ci fosse effettivamente il consenso del maggior
numero dei cittadini, o addirittura, com’egli dice, il consenso
(1) Cfr. A. Stretta, Pittura e scultura in Piemonte (1842-1891), Torino,
1893, pag. 46 e segg.
LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 431
universale. Nè c’era per lui un solo popolo italiano, il cui volere
potesse imporsi ad ogni parte della penisola, ma tanti popoli
quanti erano gli antichi governi; e ciascuno di questi popoli
(in conformità, del resto, di ciò che si mostrò di credere indi-
cendo i vari plebisciti) avrebbe avuto il diritto d’accettare o
respingere a piacer suo l’idea dell’unità d’Italia (1).
“ Sinora (scriveva il D'Azeglio) siamo andati avanti dicendo
che i Governi non consentiti dai popoli erano illegittimi: e con
questa massima, che credo e crederò sempre vera, abbiamo
mandato a far benedire parecchi Sovrani italiani; ed i loro
sudditi non avendo protestato in nessun modo, si sono mostrati
contenti del nostro operato... Così i nostri atti sono stati con-
sentanei al nostro principio, e nessuno ci può trovare da ridire.
A Napoli abbiamo cacciato egualmente il Sovrano, per stabilire
un Governo sul consenso universale... Dunque, o cambiar prin-
cipio, o cambiar atti, o trovar modo di sapere dai Napoletani.
una buona volta se ci vogliono sì o no... Ad Italiani che, rima-
nendo Italiani, non volessero unirsi a noi, non abbiamo diritto
di dare archibusate: salvo a concedere che, per brevità, adot-
tiamo il principio in nome del quale il re Bomba bombardava
Palermo e Messina, ecc., ecc. ,.
Per indelicatezza d’un famigliare del Matteucci, la lettera
fu divulgata e quindi tradotta in francese e pubblicata nel
giornale La Patrie. Si può immaginare qual putiferio ne nascesse.
“Da otto giorni (scriveva il D'Azeglio al Matteucci in data del
20 agosto) non fo che rispondere a lettere che mi scrivono
amici, conoscenti ed ignoti, sin di Francia e di Germania, per
lavarmi più o meno la testa ,. Come vedremo, una dichiara-
(1) Il ricorrere a plebisciti regionali poteva, fino ad un certo punto,
sembrar cosa giustificata quando l'opinione pubblica oscillava ancora fra
l’idea unitaria e la federalista. Ma respinta definitivamente quest’ultima
idea, la quale, com’era vagheggiata dai neoguelfi, cioè colla formazione e
conseguentemente coll’assoluta preponderanza del regno dell’alta Italia, era
del tutto utopistica, non si sarebbe certo potuto ammettere che una o più
regioni mantenessero la loro autonomia contro il volere della maggior
parte degli Italiani. I plebisciti regionali potevano quindi esser consigliati
da ragioni d’opportunità politica, specialmente di fronte agli stranieri, ma
erano, in sostanza, la negazione, per ciò che riguarda l'Italia, dei principii
di nazionalità e di sovranità nazionale.
Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIIL 30%
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e STA - ni
439 FEDERICO PATETTA
zione analoga egli fece pure allo Sclopis, dicendogli d’aver
dovuto non più far altro che « seriver sila e che ce n'era da
caricarne un asino.
Il Matteucci fu naturalmente dolentissimo dell’accaduto, e
se ne mostrò così sinceramente contrito che il D'Azeglio finì
coll’assumerne egli stesso la difesa e col dover cercare di con-
solarlo, dichiarandogli (1) che egli della popolarità sinfischiava
e del favore dei grandi non aveva bisogno. Ù
L’ultima lettera allo Sclopis, del 3 dicembre 1863, ha poca
importanza e non richiede commenti.
8. Ecco dunque il testo delle cinque lettere.
I
Mille grazie dei due libri, che mi serviranno molto per dare al
quadro la tinta del tempo, se però vi potrò riuscire. Spero fra due o
tre giorni di poterglieli rimandare; ho tanto poco tempo disponibile,
che non son sicuro ogni giorno di poter leggere una facciata; .ciò fa
che abuserò forse della di lei gentilezza.
Giovedì. Tutto suo di cuore
Massimo AZEGLIO.
[A tergo della seconda carta]
M” le Comte Frédéric Sclopis.
II.
Benevelli (!) mi ha dato l’incarico di pregare il sig. Conte Sclopis, il
cav. Meana (2) e chi con loro, di prender le loro misure onde poter passare
a Rivalta la sera e notte dal giovedì al venerdì, onde godere della festa
che avrà luogo, decorata da un piatto di castagne, fiaschi, bottiglie,
confetti, suoni, balli, coro di dame, damigelle, cavalieri, grandi e popolo.
(1) In una lettera pubblicata dal BrancHI, o. c., pag. 819, colla data,
evidentemente falsa, del 13 aprile 1861. In luogo d’aprile si deve proba-
bilmente leggere agosto. Sulla sotte histoire sono da vedersi anche le lettere
del d’Azeglio pubblicate nella raccolta del Rendu, che citerò in seguito
(nî LKXXIX e XC); e quelle alla moglie, a Carlo di Persano, a Giuseppe
Torelli, a Diomede Pantaleoni.
(2) Dei marchesi Ripa di Meana.
Sd a] e a (
LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 433
Esattezza, pulizia, decenza, nuove decorazioni e vestiario appositamente
fatto secondo il costume del tempo fanno al Direttore sperare il benigno
compatimento di questo rispettabile Pubblico.
Non ho potuto negare al suddetto d’accompagnarlo quest’oggi a
Rivalta onde prestare l’opera mia nei vasti preparativi necessarj, e ciò
mi toglie il piacere di goder domani della compagnia degli amabili
viaggiatori, che vorranno, spero, concedermi intero perdono pensando
all’urgenza delle circostanze, e non volendo indebolire l’idea, che della
loro indulgenza giustamente mi sono formata.
Prego de’ miei distinti ossequj alla signora Contessa (1), ed ho
l’onore di dirmi
Mercoledì. Dev. ob. servo
Massimo D’AZEGLIO.
[A tergo della seconda carta]
Costanza (2) m’incarica le dia questo libro e le faccia i suoi rin-
graziamenti.
All Ill»° signor Conte Federigo Sclopis.
III
Carissimo Amico, Vi debbo essere doppiamente grato, e ve lo sono
difatti, per la relazione che m’avete mandata, e pel disagio che vi siete
preso di copiarla voi stesso, che davvero è stata troppa finezza, e che
mi ha fatto ricordare quella strofa dell’ “ Elixir d'Amore , di Donizetti
— Troppo onore, un Senatore, ec.'ec. Basta, siamo amici da 25 anni,
sicchè lasciamo i ringraziamenti e soltanto tenete conto di me ove possa
in qualche modo farvi piacere.
Ho parlato ieri a lungo d’una certa faccenda, nella quale se riu-
scissi a farlo a voi, lo farei anche a me ed a molte persone. Ne scrivo
alla bella Polissena, alla quale diplomaticamente mi rimetto, per non
entrare più di quel che mi è lecito nelle cose vostre. Aggiungo soltanto
che desidero caldamente il vostro bene ed il bene delle altre persone
che mi son care, e prego Iddio d’assestar le cose in modo che tutti sì
trovino contenti.
Salutatemi Benevello, al quale ho scritto e desidererei che sapesse
(1) Gabriella Sclopis, nata Peyretti di Condove, madre di Federico, che
è pure ricordata nella terza lettera.
(2) La marchesa Costanza d’Azeglio, nata. Alfieri di Sostegno, cognati
di Massimo.
434 FEDERICO PATETTA
che debolmente ho adempiuto il mio dovere; l’Abate (1), Sauli (2) e gli
altri amici. i
Vi prego di presentare i miei ossequj alla signora Contessa,
vogliatemi bene, e ricordatevi che, malgrado la rovina del ponte di
Sesia, la strada di Milano è però aperta, grazie alla provvida munifi-
cenza dell’amministrazione, che ha supplito con un porto mobile.
Milano, 22 ott. 1836.
Tutto vostro
Massimo AZEGLIO.
Mi scordavo di dirvi che venendo da Azeglio (8) ho trovato qui
la vostra. Ciò spiega il ritardo a rispondere,
[A tergo della seconda carta]
Monsieur M” le Comte Frédéric Sclopis.
Turin.
IV.
Cannero, 25 agosto ’61.
Caro Amico e Presidente,
Grazie del libro, che ricevei ier sera e che ho già incominciato
con vero piacere per la materia, che m'interessa, e per l’amica manus
che scrive (4). Ieri ebbi le tue nuove da Ferretti (5) che ti vede ogni
giorno, da quanto mi scrive. Ne ho piacere per ambedue, e per lui in
ispecie che è più solo. Dalla tua lettera m'è parso capire che in quella
sotte histoire della mia lettera a Matteucci egli gli dà più torti che non
ha. Ti prego di dirgli che, da quanto ho capito, v'è stata da parte sua
(1) Certamente Costanzo Gazzera, che non mancava mai alle riunioni
d’ogni sera in casa Sclopis. V. Matteo Ricci, Federigo Sclopis. Impressioni
e ricordi, Firenze, 1878, pag. 3 (Estr. dall’ “ Archiv. stor. ital. ,, S.IV, t. II).
(2) Lodovico Sauli, egli pure intimo di casa Sclopis.
(3) Il castello d’Azeglio era stato assegnato, nella divisione dell’eredità
paterna, a Massimo, che in seguito lo vendette.
(4) Deve trattarsi della memoria La domination frangaise en Italie
(1800-1814), letta dallo Sclopis all’Académie des sciences morales et poli-
tiques, e della quale esistono estratti colla data di Parigi, 1861.
(5) Probabilmente il generale Cristoforo Ferretti, uno dei più fidi e
migliori amici dell’Azeglio. A lui sono dirette le lettere, del 1855 e 1857,
pubblicate negli Scritti postumi cit., pag. 484 e segg. x
LETTERE DI MASSIMO D’AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 435
una semplice inavvertenza, della quale ha abusato ‘un tale che non mi
volle nominare, e che egli ora ha messo alla porta dicendogli il fatto
suo. Comunque sia, Matteucci m’ha scritto lettera così profondamente
desolata e d’una contrizione così sincera, che se m’avesse data una
schioppettata bisognava non parlarne più. E così avrebbe fatto ognuno.
Mi dispiace che un amico, per eccesso di zelo, ha pubblicata un’altra
lettera mia ove spiegavo il fatto, a Firenze, e senza il mio consenso.
Ne ho dovuto scrivere a Firenze, e di nuovo a Matteucci per chiarire
la cosa, che sarebbe stata poco delicata per parte mia dopo la sullodata
contrizione. Insomma, per questa sciocchezza ho dovuto non più far
altro che scriver lettere! Ce n’è da caricarne un asino!
Il fatto poi sta ed è, che certi sentimenti cardinali e fondamentali,
sui quali soli deve e può stare il consorzio umano, vengono mancando
per l’invasione di tutta la generazione di mediocrità e d’imbroglioni,
che sembrano uscir di sottoterra su tutti i punti della Penisola. Ma, pa-
zienza! Non voglio scoraggirmi. Leggendo la storia, si trova che. tutti
i paesi, dopo le gran mutazioni, per un centinajo d’anni sono in mano
della feccia e della mediocrità. Dal 1688, l'Inghilterra è in mano dei
galantuomini solamente da una sessantina d’anni circa (1).
Allegri dunque. Nel 1961 l’Italia sarà guidata da grandi ingegni
grandi caratteri, e saremo veramente liberi, persino di scrivere lettere
a Matteucci. Consoliamoci dunque; è affare d’un po’ di pazienza.
Ti prego di presentare i miei omaggi alla Contessa, saluta Ferretti
e voglimi bene.
$ M° D’AzEGLIO.
[E unita la busta coll’indirizzo):
S. E. Sig. Conte Federigo Sclopis di Salerano, Presidente del Senato
del Regno.
Torino.
V.
Caro Federigo,
Siccome penso prendere il mio volo verso il Sud ai primi della
settimana, e siccome non voglio assolutamente partire senza vederti e
ringraziarti di tutte le tue gdateries: siccome (e questo è l’ultimo)
Rendu (2) mi dice che t'ha mandato un programma che m'interessa
vedere.....
(1) Cfr., fra le Lettere del d’Azeglio al nipote Emanuele pubblicate dal
Bianchi, quella in data 20 luglio 1861 (n° CXXXVI). =
(2) Eugenio Rendu, amico comune del d’Azeglio e dello Sclopis. È no-
tissimo il volume da lui pubblicato col titolo: L’Italie de 1847 à 1865.
Correspondance politique. de Massimo d’Azeglio, Parigi, 1867; volume che
436 FEDERICO PATETTA
Così,
ti prego lasciar detto al tuo servitore a che ora ti posso trovare domani
o doman l’altro; ed io manderò il mio a prendere la risposta stasera.
Voglimi bene.
Torino, 3 Dec. ’63. Massimo A.
4. Come appendice alla presente nota, che ebbe origine da
uno scritto sulla condotta politica di Massimo d’Azeglio dopo la
Convenzione di settembre, non sarà inopportuno dare il testo
‘d’una lettera del 9 novembre 1864, non citata dal Vaccalluzzo (1),
nella quale egli esprime un sentimento, che doveva allora essere
fra i Piemontesi assai comune, il rammarico cioè di dover consta-
tare che il sacrificio dell’antica capitale e perfino i sanguinosi
eccessi di poliziotti e militari durante le tristi giornate del 21
e 22 settembre erano accolti fuori del Piemonte quasi “ colla
gioia d’un trionfo sospirato ,.
Il D'Azeglio trova però subito la via giusta per non trascen-
dere nel suo risentimento verso gli avversari ingenerosi del così
detto piemontesismo; e sa d’altra parte distinguere fra gli Italiani
suoi contemporanei e l’Italia, nel cui nome non è compreso il
solo presente ma anche il passato e l'avvenire del nostro popolo.
Per l’Italia, dice egli, e non per gli Italiani “ stati un pezzo
sotto ignobili gioghi, e non ancora rigenerati, “ s'è lavorato
e si lavora ,.
La lettera, che è nella mia collezione d’autografi, dovrebbe,
per quanto mi consta, esser stata diretta all’abate Jacopo
Bernardi, patriota e letterato veneto, che visse per quasi
trent'anni a Pinerolo, stimato ed amato da molti dei migliori
uomini del Piemonte. Essa è del seguente tenore:
contiene in gran parte lettere del d’Azeglio allo stesso Rendu. Molto inte-
ressante è pure la sua commemorazione dello Sclopis, estratta dai resoconti
dell'Académie des sciences morales et politiques: Le comte Frédéric Sclopis
associé étranger de l’Institut de France, Parigi, 1888.
(1) Fu già pubblicata, tacendo il nome del destinatario, nel giornale
* Il Baretti,,.a. IX, 1877, pag. 89.
LETTERE DI MASSIMO D'AZEGLIO A FEDERICO SCLOPIS 437
Cannero, 9 Nov. ’64.
Gentilissimo Signore,
La ringrazio dell’opuscolo, ch’Ella cortesemente m’ha inviato (1),
e che mostra sempre più l’elevatezza del suo sentire. Lo mostra altret-
tanto il rammarico ch’Ella manifesta per le poco liete venture, che
8’apparecchiano alla città dove sono nato. Sarebbe stato bene. che il
nostro sacrificio non venisse accolto colla gioja d’un trionfo sospirato.
Ma che vuole? i popoli stati un pezzo sotto ignobili gioghi non possono
avere così a un tratto alti e nobili cuori. Ci vuol tolleranza, e pensare
che. se certe cose poco si meritano gl’Italiani, le merita però l’Italia;
e per lei, non per loro, s'è lavorato e si lavora.
Grazie di nuovo, e mi creda con tutta stima
Dev. Servo
M° D’AzeeLIo.
(1) Probabilmente il carme Soperga, stampato a Pinerolo appunto nel-
l’anno 1864, e che non ho presente: non la lettera sul matrimonio civile
A Nicolò Tomaseo (Pinerolo, Chiantore, 1864), poichè ha la data del 27 no-
vembre ed è quindi posteriore alla lettera del D'Azeglio.
L’Accademico Segretario
GIOVANNI VIDARI
AL
CA sei
y
ET
CLASSE
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 27 Maggio 1923
PRESIDENZA DEL SVUCIO PROF. C. F. PARONA
VICEPRESDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti i Soci Naccari, Prano, GuIpi, GRASSI,
SomieLIANA, Ponzio, SAcco, HERLITZKA, PocHETTINO e il Segre-
tario MATTIROLO.
Scusano la loro l'assenza il Presidente Rurrini e i Soci
D’Ovipio e MAJORANA.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, che è approvato senza osservazioni.
Il Presidente comunica una lettera del Socio corrispondente
CnarLEs RicHET che, ringraziando, dichiara di accettare l’ono-
revole incarico di rappresentare l'Accademia alle feste del
75° anniversario della Société de Biologie di Parigi.
Il Socio HerLITZKA fa omaggio di due volumi che con-
tengono le ricerche eseguite nel Laboratorio dell'Istituto di
Fisiologia della R. Università di Torino. da lui diretto. — Il
primo volume raccoglie i lavori eseguiti dall'anno 1913 al 1916;
il secondo dal 1917 al 1921.
Il Socio Sacco presenta e fa dono di una sua Nota pub-
blicata nei “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei LUI
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. al
I to et
Uh p - S|
Ve
440
titolo: L’anomalia della Gravità sulla Terra, e ne discorre bre-
vemente.
Il Presidente ringrazia i donatori.
Il Socio Ponzio presenta quindi due Note:
La 1, Sugli acidi nitrolici aromatici del signor Gustavo
RoGGERI. +
La 2°, Ricerche sulle Diossime del dottor Lodovico
AvogapRro.
Le due Note sono accolte per gli Atti.
Il Socio PocHETTINO presenta quindi, in unione al signor
G. FuLcHERIs, una Nota su le Proprietà elettriche e termiche
dello Jodio, la quale viene approvata per gli Attz.
Infine il Socio MartTIROLO presenta per la inserzione negli
Atti una Nota, da lui redatta in unione al D' Piero GraJ-LEVRA,
dal titolo: Primo Elenco delle Diatomee fluviali dei dintorni di
Torino. Questa Nota contempla lo studio delle Diatomee alpine
nelle sorgive che si trovano sulla sponda sinistra del Po, presso
il Valentino (di cui è discusso il trasporto attraverso ai con-
glomerati e alle puddinghe, sulle quali formazioni è situata
Torino); e inoltre si riferisce allo studio delle Diatomee attual-
mente viventi nelle acque del Po, del Sangone, della Dora Ri-
paria e della Stura di Lanzo, e dei torrentelli che dalla Collina
di Torino scendono al Po.
GUSTAVO RUGGERI — SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 441
LETTURE
Sugli acidi nitrolici aromatici
Nota del dott. GUSTAVO RUGGERI
Presentata dal Socio nazionale residente Giacomo Ponzio
Fra i metodi generali di preparazione degli acidi nitrolici
R.C(:NOH).NO,, e cioè:
a) azione dell’acido nitroso sui mononitroidrocarburi (1),
pis CH,CHi N03 ENO CH. C(:NOH) NO;
) b) azione dell’idrossilamina sui dibromonitroidrocarburi (2),
RGS SCH. Br NO, NE. CHy. C(NOH) N04;
c) azione del nitrito di argento sui cloruri degli acidi idros-
samici (5), p. es. CH3.C(:NOH). CI AgN0:_ CHz.C(:NOH).N0;;
d) azione del tetrossido di azoto sugli a-ossiminoacidi (4),
p.es. CH;.C(:NOH). COOH N, CHz.C(:NOH).N0;;
e fra alcuni metodi di applicazione limitata, e cioè:
e) azione delle basi sui chetopseudonitroli (5), p. es. CH; .
SHX N,0;).C0.CHy Foe, CH,.CH,.C(-NOH).NO,;
f) azione dell’acido nitrico sui chetoni (5), p. es. CH3.CH,.
BOSCH; Nos CH, CGNOH).. NO,
soltanto il primo ha permesso a Wieland e Semper (7) di otte-
nere, dopo molti tentativi infruttuosi di parecchi altri chimici,
(') V. Meyer, Ann. 175, 93 (1875); DemoLe, Ann. 175, 146 (1875);
TscHERNIAK, Ann. 180, 166 (1876); V. Meyer e Consram, Ann. 214, 329,
335 (1882).
(*) V. Meyer, Ann. 175, 127 (1875).
(8) Prtory e SreInBocK, Ber. 35, 3104 (1902).
(4) Ponzio, “ Gazz. Chim. Ital. ,, 33, I, 508 (1903).
(°) Ponzio, “Id.,, 29, I, 358 (1899).
(9) Bearenp e TryLLEr, Ann. 283, 245 (1894).
(*) Ber. 39, 2522 (1906).
442 GUSTAVO RUGGERI
l'unico termine finora conosciuto degli acidi nitrolici aromatici:
l’acido fenilmetilnitrolico o benznitrolico C$Hsy.C(:NOH).NO;,
il quale risulta in condizioni speciali, e con scarso rendimento,
facendo agire l’acido ossalico sul sale potassico del fenilnitro-
metano C;H; . CH3NO; in presenza di nitrito sodico.
Io ho trovato che alcuni acidi arilnitrolici Ar.C(:NOH).N0O;
si possono facilmente preparare trattando le arilaldossime Ar.
C(:NOH).H con tetrossido di azoto, ossia ricorrendo ad un
reattivo il quale è stato finora utilizzato per trasformare dette
aldossime nei rispettivi perossidi o nei dinitroidrocarburi primari.
Come dirò più avanti, per ottenere i miei acidi nitrolici occorre
impiegare una mezza molecola di tetrossido, per il che questa
agendo su una sola molecola di aldossima ne sostituisce l’atomo
di idrogeno legato al carbonio con un nitrogruppo
/H ZN0
Snog — A'-SNOH:
Ar.C
mentre, nei casi già noti, quando risultano i perossidi delle
aldossime, una molecola di tetrossido di azoto toglie a due
molecole di queste ultime i due atomi di idrogeno ossimico
Pia CAVA
Ar. CS NOH Ar. CAN 0
cas Î
Sa RZN0H . p/N—-0
Ar. CH Ari Ck ;
Il diverso modo di comportarsi delle differenti aldossime
non è difficile ad interpretare. Infatti, siccome secondo Ponzio (8)
i ‘dinitroidrocarburi risultano dalle aldossime aromatiche in
maggior quantità facendo agire due molecole di tetrossido
di azoto invece di una sola, e siccome Behrend e Tryller (°)
hanno ossidato l’acido etilnitrolico in dinitroetano coll’acido
nitrico CHz.C(:NOH).NO, —» CHz.CHN;0,, è evidente che
la formazione degli acidi nitrolici deve precedere quella dei
(8) “ Gazz. Chim. Ital.,, 36, II, 588 (1906).
(°) Ann. 283, 243 (1894).
a e i i AM e
SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 443
dinitroidrocarburi. Inoltre, poichè, nei casi da me presi in esame
9’ ’ ’
quando risultano gli acidi nitrolici non si formano i perossidi
delle aldossime, mentre quando risultano i perossidi delle aldos-
LV
dette, siti ir na
sime od i dinitroidrocarburi non furono mai riscontrati gli acidi
nitrolici, è logico ammettere che esista una stretta relazione
fra le tre classi di composti. Ed in base ai risultati delle
esperienze che descrivo in questa Nota ritengo poter conclu-
. dere che i prodotti primitivi della reazione fra le arilaldossime
ed il tetrossido di azoto siano sempre gli acidi nitrolici,
alcuni dei quali sono stabili e si possono isolare, altri sono fa-
cilmente ossidabili in dinitroidrocarburi da un eccesso di reat-
tivo, ed altri infine sono trasformabili, con eliminazione del
nitrogruppo e riunione dei residui di due molecole, in perossidi
delle aldossime. Attribuendo agli acidi nitrolici la struttura di
H
nitroso-nitro-idrocarburi Ar. CCNO , l'ossidazione in dinitro-
NO
2
74
idrocarburi Ar. OCNO; si spiega senza difficoltà; mentre per
NO,
spiegare la formazione dei perossidi delle aldossime bisogne-
rebbe attribuire agli acidi nitrolici la ‘struttura di nitriti
Ar. CER ovvero quella di N-nitroderivati Ar.0KK 70 x
la prima delle quali conduce alla formola comunemente adottata
per detti perossidi
gala sad
a 1%
ZN0 . NO ANZ=20
Ar. CH | È Ar. CH
la seconda ad una formola
A)
2
| a |
/N0, /N=0
AN Ar. CK
444 «GUSTAVO RUGGERI
che si accorda bene con la formola nitronica delle aldossime
Ar. KO proposta da Staudinger e Miescer (1°) e sperimen-
talmente dimostrata per molti derivati di queste ultime.
Gli acidi p-clorofenilmetilnitrolico C1.C;H,.C(:NOH). NO;
e m-nitrofenilmetilnitrolico NO, .CyH,.C(:NOH).NO; da me
ottenuti con ottimo rendimento sì possono, se puri, conservare
inalterati all'aria per molto tempo. Come l’acido fenilmetilni-
trolico C;H;. C(:NOH).NO, essi sono trasformabili nei peros-
sidi delle diossime corrispondenti, ma, a differenza di quello
(instabilissimo), si possono anche benzoilare e trasformare in
azossime, le quali non provengono però direttamente dagli acidi
nitrolici per eliminazione contemporanea di una molecola di
acido nitrico ed una di acido nitroso
Î SE ENI i NO:0H i | Î -
NO:H (O.N-)_C.Ar N_ dei
bensì derivano dai perossidi delle aldossime (risultanti in un
primo tempo dagli acidi nitrolici nel modo che ho detto poc'anzi),
i quali si decompongono poi, conforme a quanto ebbero già ad
osservare Beckmann (!') e Ponzio (!2), con eliminazione di una
molecola di acqua nel modo seguente
Wa:
Ar.CGN_ 0 REC N
2N-0 3° i 0 L A
A —O— ia
Ar LIB . .
“\H
Acido p-clorofenilmetilnitrolico (acido p-clorobenzni-
trolico) Cl. CH,.C(:NOH).NO,. — Gr. 10 di p-clorobenzal-
dossima CI. CH, -C(:NOH).H sciolti-in circa 100 cc. di etere
anidro si trattano, raffreddando in miscela frigorifera, con gr. 3
di tetrossido di azoto distillato su anidride fosforica. Si osserva
(4°) “ Helvetica Chim. Acta ,, II, 554 (1919).
(5) Ber. 22, 1591 (1889).
(12) -“ Gazz. Chim. Ital. ,, 36, II, 388 (1906).
fr
SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI i 445
subito un’intensa colorazione bruna la quale passa poi al verde
smeraldo per scomparire dopo circa un’ora, mentre si separa
una piccolissima quantità (circa gr. 0,1) di una sostanza bianca
cristallina, che raccolta su filtro e lavata con etere fonde, senza
ulteriore purificazione, a 88° con viva decomposizione (!*). Il
filtrato, lavato ripetutamente con poca acqua, seccato su solfato
sodico anidro e fatto evaporare all’aria, lascia come residuo
l’acido p-clorofenilmetilnitrolico C1.C;H, .C(:NOH).NO, il
quale purificato per cristallizzazione, prima da vna miscela di
cloroformio e di etere di petrolio e quindi dalla ligroina, costi-
tuisce lunghi e fini aghi setacei leggermente paglierini fusibili
a 78°-79° con viva decomposizione (rendimento gr. 7-8 circa).
Trovato °/: N 13,86.
Per C7H50gN3CI calc.: 13,96.
È solubile a freddo in etere, alcool, acetone e cloroformio;
discretamente a caldo e poco a freddo in benzene; poco a caldo
e quasi nulla a freddo in ligroina; pochissimo in eteri di petrolio.
Si scioglie negli idrossidi e nei carbonati di metalli alcalini
con colorazione intensamente rossa e dai primi può essere ripre-
cipitato, senza che subisca alcuna alterazione, se si acidifica im-
mediatamente. Invece col tempo le soluzioni si decolorano con
separazione di una miscela di di-p-clorobenzenilazossima e di
perossido della di-p-clorobenzildiossima. Questi due composti,
non ancora conosciuti, risultano pure più o meno facilmente
dall’acido p-clorofenilmetilnitrolico per riscaldamento con alcuni
solventi organici (!4), e si ottengono nel miglior modo sciogliendo
l’acido in carbonato sodico ed isolandoli dalla loro miscela me-.
diante cristallizzazione frazionata dall’acetone.
(3) Questa sostanza non è il perossido della p-clorobenzaldossima.
(44) Nella decomposizione provocata dai carbonati l’azossima si forma
in prevalenza, mentre in quella provocata dal calore (e che è accompa-
gnata da svolgimento di gas nitrosi) si forma in maggior quantità il pe-
rossido della diossima; in quest’ultimo caso, prima di procedere alla
cristallizzazione, conviene fare un trattamento con soluzione di idrossido
di sodio per eliminare l’acido p-clorobenzoico che contemporaneamente
risulta.
446 GUSTAVO RUGGERI
N
La di-p-clorobenzenilazossima CI. CH, .C
Ì Il
Ni" SOC
ricristallizzata dall'alcool si presenta in lunghi aghi appiattiti, -
splendenti, fusibili a 180°-181° senza decomposizione.
Trovato °/o: N 9,64 CI 24,89.
Per C,,HgO0N;Cl, cale.: 9,62 24,39.
È pochissimo solubile anche a caldo in etere, alcool ed
eteri di petrolio; molto solubile a caldo e meno a freddo in
acetone, cloroformio, benzene e ligroina. Essa è in tutte le sue
proprietà identica col prodotto che ‘ho ottenuto facendo agire
l’ipoclorito sodico sulla p-clorobenzaldossima col metodo di Ponzio
e Busti (loc. cit.), il che ne conferma la struttura.
Il perossido della di-p clorobenzildiossima CI.C5H, .(CaN302).
C;H,.C1 cristallizza dall’acetone in laminette bianche allungate <
fusibili a 193°-194° senza decomposizione.
Trovato °/o: Me: 9065
Per C,4HgOgNsCl, cale.: 9,12.
È pochissimo solubile a caldo in etere, alcool ed eteri di
petrolio; poco a caldo e pochissimo a freddo in acetone; molto
solubile a caldo e poco a freddo in cloroformio e benzene; di-
scretamente a caldo in ligroina.
Benzoilderivato dell'acido p-clorofenilmetilnitrolico CI. CH, .
C(:NOCOC;H;). NO,. Si ottiene aggiungendo goccia a goccia
ed agitando, idrossido di sodio al 10°/ alla soluzione eterea di
una miscela di acido p-clorofenilmetilnitrolico e di cloruro di
benzoile, raffreddata in ghiaccio e raccogliendo su filtro il pro-
dotto che rimane dopo l’evaporazione dell’etere all’aria. Lavato
con alcool a freddo e cristallizzato da questo solvente costi-
tuisce lunghi aghi splendenti fusibili a 115° senza decompo-
sizione
Trovato °/o: N 9,17 C1.12,97.
Per C,,Hs03N3C1 cale.: 9,19 11,85
E solubile in etere, cloroformio, acetone e benzene; molto
solubile a caldo e meno a freddo in alcool e ligroina.
e II T_T NI
PR TASTI PET O TO)
SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 447
p-clorofenildinitrometano CI. C,H,.CHN;0,. Risulta. in
piccola quantità facendo agire una molecola di tetrossido di
azoto sulla p-clorobenzaldossima, e con rendimento quasi teorico
facendone agire due molecole. A tale scopo gr. 10 di p-cloro-
benzaldossima C1.C$H,.C(:NOH).H sciolti in etere anidro raffred-
dato in miscela frigorifera, si trattano con gr. 12 di tetrossido
di azoto, per il che si osserva subito intensa colorazione bruna
e notevole sviluppo di un gas incoloro. Dopo dodici ore si lava
ripetutamente il liquido con poca acqua e lo si agita con soluzione
satura e fredda di bicarbonato sodico fino a che questa si colora
in giallo. La soluzione bicarbonica si lava con etere, si raffredda
in ghiaccio, e dopo aver eliminato con una corrente d’aria l’etere
disciolto, si tratta con acido solforico al 10°. Il p-clorofenil-
dinitrometano, che precipita, impuro, in fiocchi bianchi, si secca
nel vuoto, si scioglie in alcool assoluto, e mediante idrossido di
potassio concentratissimo si trasforma in p-clorofenildinitrome-
tanpotassio il quale si lava con alcool, si scioglie in acqua fredda
e finalmente si decompone con acido solforico diluito.
Il p-clorofenildinitrometano C1.C$H,.CHN,0, in tal modo
ottenuto si cristallizza poi dagli eteri di petrolio, ed allora si
presenta sotto forma di aghi bianchi fondenti a 55° con de-
composizione.
‘Provato: 0/G: N 12,83.
Per C,H50,N3CI cale.: 12,93.
È solubile a freddo in alcool, etere, acetone, cloroformio
e benzene; molto a caldo e pochissimo a freddo in ligroina ed
eteri di petrolio.
Malgrado sia possibile trasformare nei modi anzidetti la
p-clorobenzaldossima mediante il tetrossido di azoto, sia in
acido p-clorofenilmetilnitrolico C1.C;H,.C(:NOH).NO;, che
in p-clorofenildinitrometano C1.CsH,.CHN;0, impiegando ri-
spettivamente mezza o due molecole di tetrossido di azoto, non
mi è riuscito di passare direttamente dall’acido nitrolico al
dinitroidrocarburo nè col tetrossido di azoto in eccesso, nè con
altri ossidanti, quali l’acido nitrico ed il peridrolo.
Sale potassico del p-clorofenildinitrometano (p-clorofenildinitro-
metanpotassio) CI. CH,.CKN,0,. Ottenuto nel modo già de-
hat air 1 Ride UPIIME Ne aes TARSIA a *
448 GUSTAVO RUGGERI
scritto e cristallizzato dall’acqua sì PECE in grossi prismi
giallo-aranciati (15).
Trovato 0/0: ihorsde
Per C7,H,0,N3C1K cale.: 15,95.
È molto solubile a caldo (con colorazione rossa intensa) e
poco a freddo (con colorazione giallo-aranciato) in acqua; pochis-
simo solubile nell’alcool; insolubile negli altri comuni solventi.
Evaporando l’etere, dal quale mediante il bicarbonato sodico
si è estratto il p-clorofenildinitrometano, rimane un olio che di-
stillato col vapore d’acqua fornisce un po’ di p-clorobenzaldeide
C1. CH, .CHO (p. f. 47°). Quest'ultima fu trasformata per tratta-
mento con fenilidrazina in soluzione alcoolica nel corrispondente
fenilidrazone CI. CH, .CH:N.NHC;H;, non ancora conosciuto, il
quale cristallizza dall’alcool in piccoli aghetti paglierini fondenti
a 132° senza decomposizione.
Trovato 9/o: N 12,10.
Per CB 7N301 cale.: 12,14.
È molto solubile a freddo in etere, acetone, benzene e clo-
roformio; discretamente solubile a caldo e poco a freddo in
alcool; insolubile in acqua, ligroina ed eteri di petrolio. All’aria
ed alla luce si colora dopo qualche tempo in rosso.
Acido m-nitrofenilmetilnitrolico (acido m-nitrobenzni-
trolico) NO, . CH, .C(: NOH). NO,. — Risulta nelle identiche
condizioni dell'acido p-clorofenilmetilnitrolico C1.CH,.C(:NOH).
NO,, facendo agire mezza molecola di tetrossido di ‘azoto sulla
m-nitrobenzaldossima NO, . C$H, .C(:NOH).H, però assieme al
7-8 9/5 del perossido di questa (p. f. 131°).
Operando come nel caso precedente si ottiene, dopo evapo-
razione dell'etere all’aria, una sostanza giallognola costituita in
massima parte dall’acido nitrolico, il quale, purificato per pre-
cipitazione dalla sua soluzione cloroformica mediante ligroina,
(55) Questo sale è stabilissimo: un campione conservato in boccetta
non perfettamente chiusa è ancora inalterato dopo tre anni. Se riscaldato
esplode.
gt AA 2 re PESI Cesi lai
tie dt z 3 4 ia
pri b ;
SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI 449
e cristallizzato dal benzene od anche dall’alcool acquoso, si
presenta in piccoli aghetti appiattiti leggermente paglierini fon-
denti a 89° con viva decomposizione (rendimento circa 80 9/0).
Trovato °/o: N 19,78.
Per C,H;0gN; calc.: 19,90.
È molto solubile in etere, alcool, cloroformio e acetone;
discretamente a caldo e poco a freddo in benzene; poco a caldo
e quasi nulla a freddo in ligroina.
Verso gli idrossidi dei metalli alcalini si comporta analo-
gamente all’acido p-clorofenilmetilnitrolico, cioè si può riotte-
nere inalterato trattandone subito la soluzione con acido, mentre
un prolungato contatto lo altera profondamente. La sua solu-
zione in carbonato sodico fornisce, decolorandosi dopo qualche
tempo, un abbondante precipitato costituito da una miscela di
di-m-nitrobenzenilazossima e di perossido della di-m-nitrobenzil-
diossima, le quali risultano anche per riscaldamento dell’acido
con alcuni solventi organici. Per isolarle conviene far bollire
la miscela con alcool nel quale la di-m-nitrobenzenilazossima
NO; Gio —___N
|
NES: Lei NO,
è più facilmente solubile. Questa ricristallizzata dall’alcool for-
nisce piccoli aghetti bianchi, e talvolta laminette, fondenti a 169°
conforme ai dati di Stieglitz (!5), Minunni e Ciusa (!), Ponzio
e Busti (18).
Trovato °/o: NE47=3005
Per C,,Hs0G;N, cale.: 1795:
Il perossido. della di-m-nitrobenzildiossima NO; . CH,
(C$N30) G;H,. NO,, che rimane per la maggior parte indisciolto,
cristallizzato da acido acetico glaciale, ove è discretamente so-
lubile a caldo e poco a freddo, si presenta in lunghi aghi ap
(19) Ber. 22, 3158 (1889).
(4°) “ Atti Accad. Lincei,, 14, II, 518 (1905).
(48) “ Gazz. Chim. Ital. ,, 36, II, 340 (1906).
tuta A tale ci di carie 4 "0 ji i
: MPA en ELE Sha e Vie I at, Me pr
pae ae rig) LE x
450 = GUSTAVO RUGGERI — SUGLI ACIDI NITROLICI AROMATICI
piattiti fondenti a 185° conforme ai dati di Werner (1°) e
Werner e Stiba (29).
Trovato °/o: N 16,98.
Per C,uHsOgNi cale.: ACT
Benzoilderivato dell’acido m-nitrofenilmetilnitrolico NO, .CsH,.
C(:NOCOC;H;). NO. Si separa istantaneamente trattando la
soluzione ben fredda di acido m-nitrofenilmetilnitrolico in idros-
sido di sodio al 10°/, con cloruro di benzoile. Dopo lavatura
con acqua e poi con alcool, si cristallizza da una miscela: di
cloroformio con poco alcool e costituisce allora bellissimi pri-
smetti giallognoli fondenti a 145° rammollendo qualche grado
prima.”
Trovato °/o: N 13,13.
Per C,4HsOgN; cale.: 13,33.
È pochissimo solubile in etere e alcool; solubile a freddo
in acetone e cloroformio; discretamente a caldo e meno a freddo
in benzene; pochissimo a caldo e quasi nulla a freddo in ligroina.
Torino. — Istituto Chimico della R. Università.
Maggio 1923.
(19) Ber. 27, 2848 (1894).
(20) Ber. 32, 1662 (1899).
Re RODA che To it ae e Vea AI ae e
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LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE SULLE DIOSSIME 451
Ricerche sulle diossime
Nota del dott. LODOVICO AVOGADRO
Presentata dal Socio nazionale residente Giacomo Ponzio
Dopo quanto è stato detto nella Nota VI (') riguardo alla
fenilgliossima C;Hy.C(:NOH).C(:NOH).H era logico preve-
dere che, come questa, anche i suoi derivati sostituiti nel nucleo,
quali, per es., la p-metilfenilgliossima CHsz.CyHy.C(:NOH).
C(:NOH).H (p-tolilgliossima), la p-clorofenilgliossima C1.CsH,.
C(:NOH).C(:NOH).H, la p-bromofenilgliossima Br. C;H,.
C (:NOH).C(:NOH).H, ecc., dovessero esistere in due forme.
Di tale fatto non trovasi però cenno alcuno nella lettera-
tura chimica, ed in realtà Soderbaum (?) descrive una sola
p-tolilgliossima fusibile a 165° ed una p-bromofenilgliossima
fusibile a 169°-170°; e Collet (*) una sola p-clorofenilgliossima
fusibile a 198°-199° ed una p-bromofenilgliossima fusibile a
171°-172°. Occorreva dunque fare una revisione dei lavori di
detti chimici, e ciò non soltanto per correggerne gli eventuali
errori, ma anche per poter disporre del materiale necessario al
proseguimento delle ricerche sulle diossime, da tempo iniziate
in questo laboratorio.
Ricorrendo a metodi assolutamente diversi fra di loro, vale a
dire all’azione dell’idrossilamina sùll’isonitroso-p-metil-, p cloro-,
e p-bromoacetofenone CHsy. CH, .C0.C(:NOH).H, CI. CH.
CO.C(:NOH).H e Br.CH,.C0.C(:NOH).H, ed all’azione
(4) Gazz. Chim: Ital:,; 53; I, 25 (1923).
(2) “ Beilstein,, lII, 92 e 95.
(*) “ Ball. Soc. chim. , (3), 27, 542 e 543 (1902).
Leti i Fa
i ea e de 0.
452 LODOVICO AVOGADRO
dell’idrossilamina sull’w-dibromo-p-metilacetofenone CH; .CsH,.
CO .CHBrs e sull’w-dibromo-p-cloroacetofenone CI. C;H,. CO.
CHBr,, sono riuscito a dimostrare che le sostanze ritenute
finora come le diossime del p-tolil-, del p-clorofenil- e del
p-bromofenilgliossale, sono invece ognuna miscele di due dios-
sime isomere le quali stanno fra di loro nello stesso rapporto
delle due forme della fenilgliossima. Di esse, quelle che chia-
merò forme a danno un sale di nichel verde, solubile a freddo
in acido acetico diluito, mentre quelle che chiamerò forme $
danno un sale di nichel rosso-bruno, insolubile anche a caldo
in detto acido. Le forme a fondono a temperatura, in. ciascun
caso, inferiore a quella delle forme 8 e queste, che sono le più
stabili, si ottengono dalle prime direttamente per fusione o per
riscaldamento con acido acetico diluito.
I sali di nichel delle forme 8 derivano da due molecole di
gliossima per sostituzione di due atomi di idrogeno ossimico, .
uno per ciascuna molecola, con un atomo di nichel; quelli delle
forme a (che non si possono ottenere allo stato di purezza) de-
rivano invece, con tutta probabilità, da una sola molecola: di
gliossima per sostituzione dei due atomi di idrogeno ossimico
con un atomo di metallo. Inoltre soltanto le forme f (e non le
forme a) posseggono la caratteristica proprietà di intaccare in
soluzione acquosa il nichel ed il cobalto compatti dando il re-
lativo sale complesso (4).
Anche i derivati delle p-tolil- e delle p-clorofenilgliossime,
che più avanti descrivo, presentano perfetta analogia con i de-
rivati delle fenilgliossime; però, mentre le fenilgliossime danno
un unico diacetilderivato (perchè per azione dell'anidride acetica
la forma a si isomerizza nella forma 8), la p-tolilgliossima e la
p-clorofenilgliossima danno due diacetilderivati diversi a seconda
che si tratta della forma a o della forma B. Inoltre, le forme a
della p-tolil- e della p-clorofenilgliossima, come la forma a
della fenilgliossima, non sono benzoilabili a causa della facilità
con cui esse sì anidrizzano nei corrispondenti furazani, isome-
rizzabili a loro volta nell’ossima del cianuro di p-toluile e di
p-clorobenzoile. i
(4) “ Gazz. Chim. Ital.,, 51, II, 213 (1921).
RICERCHE SULLE DIOSSIME 453
R.C-__C.H R.C Ce k.CT- CN
| | FE | | ae? |
NOH NOH N—-0O—N NOH
(R — CH, . CeHi ovvero (03 . CeH, —).
Lo stesso comportamento hanno probabilmente le p-bromo-
fenilgliossime, delle quali non ho creduto necessario studiare i
derivati, limitandomi a stabilire che la diossima ottenuta da
Collet e da Soderbaum (loc. cit.) col punto di fusione 169°-170°
o 171°-172° è la forma a, e che esiste anche una forma 8 fu-
sibile a 197°-198°.
Sulla natura dell’isomeria delle due forme delle nuove
gliossime da me preparate riferirò non appena ultimato lo
studio del loro comportamento verso il tetrossido di azoto;
posso però fin d’ora escludere che si tratti di isomeri geome-
trici, poichè già dalle esperienze preliminari mi risulta che nella
forma 8 i due gruppi > NOH sono equivalenti, mentre tali non
sono nelle forme a.
p-tolilgliossime CHy.C;H,.C(:NOH).C(:NOH).H. Secondo
Soderbaum (loc. cit.) la p-tolilgliossima cristallizza dal toluene
in fini aghi bianchi fusibili. a 165°. La sostanza ottenuta da
detto Autore (in modo non descritto) era certamente una
miscela della forma a fusibile a 170°-171° e della forma f fu-
sibile a 192°-193°, le quali prendono contemporaneamente ori-
gine, però in quantità diverse, facendo agire l’idrossilamina sia
sull’ w-dibromo-p-metilacetofenone CHs3. CH, . CO. CHBrs +
2NH;30 — CH;. CH. C(:NOH).C(:NOH).H + 2HBr, che
sull’isonitroso-p-metilacetofenone CHz.C;H,.CO.C(:NOH).H +
.NH30 —»- CH;.C;H,.C(:NOH).C(:NOH).H+- H;0 e si iso-
lano mediante i procedimenti seguenti: |
a) Alla soluzione alcoolica dell’ w-dibromo-p-metilaceto-
fenone CH; . C;H,.CO . CHBr;, preparato secondo le indicazioni
di Verley (°), si aggiunge un piccolo eccesso delle quantità teo-
riche di cloridrato di idrossilamina e di acetato sodico cristal-
(9) © Bull. Soc. chim., (3), 17, 909 (1897).
454 LODOVICO AVOGADRO
lizzato sciolti in poca acqua e si scalda a 60°-70° per qualche
ora. Avvenuta la reazione suesposta si tratta con idrossido di
sodio diluito, si filtra per eliminare l’w-dibromo-p-metilaceto-
fenone rimasto inalterato, si acidifica con acido acetico e si ad-
diziona subito un piccolo eccesso di acetato di nichel al 20 °/o:
precipita così in fiocchi giallo-rossastri il sale di nichel della
forma 8 della p-tolilgliossima (CsHs0gNo),Ni. Si filtra, ed al
filtrato si aggiunge quindi idrossido di ammonio fino a che non
si formi più precipitato di sale di nichel verde della a-p-tolil-
gliossima CsHsOgNaNi.
b) Alla soluzione alcoolica di isonitroso-p-metilacetofe-
none, preparato secondo le indicazioni di Miller e Pechmann (8),
si aggiunge un piccolo eccesso delle quantità teoriche di clori-
drato di idrossilamina e di acetato sodico cristallizzato e si
riscalda la miscela a 60°-70°: per il che dopo breve tempo in-
comincia già a separarsi dal liquido la a-p-tolilgliossima quasi
pura. Dopo alcune ore si filtra, si addiziona acido acetico alle
acque madri (le quali contengono poca a ed una grande quantità
di 8-p-tolilgliossima) e si fa bollire per qualche tempo in pre-
senza di acetato di nichel: precipita così in polvere rosso-viva
il sale di nichel della £f-p-tolilgliossima preesistente e di quella
che risulta dall’isomerizzazione della forma a.
a-p-tolilgliossima CHsz.CH,4.C(:NOH).C(:NOH).H p. f.
170°-171°. Isolato come è stato detto poc'anzi il suo sale di
nichel, lo si lava con alcool bollente, lo si tratta con acido
cloridrico diluito e si estrae quindi con etere. La gliossima, in
tal modo messa in libertà, oppure quella che si è formata di-
rettamente per azione delll’idrossilamina sull’isonitroso-p-metil-
acetofenone, si purifica dapprima sciogliendola in acetone e
riprecipitandola con acqua, ed infine cristallizzandola dal toluene.
La si ottiene allora in prismetti bianchi fusibili a 170°-171°
senza decomposizione.
Trovato °%: N 45,55.
Per C5Hx00zNa cale. 0/0: a db;73:
(5) Ber. 22, 2560 (1889).
RICERCHE SULLE DIOSSIME 455
È praticamente insolubile nell’acqua fredda e poco in quella
calda; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; pochissimo a
caldo e quasi affatto a freddo in cloroformio e benzene; discre-
tamente a caldo e quasi insolubile a freddo in toluene; quasi
insolubile in ligroina.
Si scioglie nell’idrossido di sodio al 20 °/, senza colorazione
e riprecipita inalterata per azione dell’anidride carbonica e
dell’acido acetico diluito; si scioglie pure nell’idrossido di am-
monio 6N, poco a freddo e discretamente a caldo.
Fatta bollire in soluzione acquoso-alcoolica con acido acetico
diluito si isomerizza lentamente nella forma 8, la quale risulta
pure, come sarà detto nella Nota XV, per breve riscaldamento
alla temperatura di fusione.
In presenza di acido acetico non dà sale di nichel; tuttavia
aggiungendo alla soluzione alcoolica della a-p-tolilgliossima una
soluzione acquosa di acetato di nichel si ha un precipitato
giallo-verdastro che, cristallizzato dal cloroformio per aggiunta
di ligroina, costituisce una polvere amorfa giallo-bruna insolubile
in tutti i solventi organici comuni eccettuato il cloroformio, e
che non fonde neanche se scaldata a 300°. I risultati del do-
samento del nichel (trovato °/o Ni:21,31) lasciano prevedere
che si tratti del sale semplice Cg$HsOsgNyNi (il quale richiede
Ni °/o 25,01) e non del sale complesso (C$H70gNs), Ni (il quale
richiede Ni °/, 14,20).
Diacetilderivato CHz.C5H,.C(:NOCOCH;).C(:NOCOCH3).H.
Si ottiene acetilando a freddo la a-p-tolilgliossima con anidride
acetica in presenza di acetato sodico fuso ("). Cristallizzato dal-
l’alcool costituisce prismetti bianchi fusibili a 115° senza de-
composizione.
Trovato °/o: N 10,55.
Per C,3H,40gN» calce. °o: 10,68.
È insolubile in acqua; molto solubile a caldo e meno a
freddo in alcool; poco solubile in etere; solubile a freddo in
(7) Contemporaneamente risulta anche un po’ di p-tolilfurazano CHs.
CH, .(CoN0)H, il quale però è facilmente eliminabile mediante lavatura
con etere del prodotto della reazione.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 32
SPA ITP CLIO SR CSI n ri na) ROMS
456 LODOVICO AVOGADRO
acetone, benzene, cloroformio; un po’ solubile a caldo e meno
a freddo in ligroina.
Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie len-
temente trasformandosi in p-tolilfurazano CH; . CgH, . (CN:0).H
e nell’ossima del cianuro di p-toluile CH; .CgH,.C(:NOH).CN,
suo prodotto di isomerizzazione.
Azione del cloruro di benzoile. La benzoilazione della a-p-tolil-
gliossima non è possibile, ed in realtà facendo agire il cloruro
di benzoile sulla soluzione della gliossima in idrossido di sodio
ho ottenuto il benzoilderivato dell’ossima del cianuro di p-toluile
CH; .CH,.C(:NOCOGH;).CN la cui formazione è facile a
spiegarsi data la tendenza di detta gliossima di anidrizzarsi in
furazano CH; .CgH4.(C,N30).H, isomerizzabile a sua volta
nell’ossima del cianuro di p-toluile CH; .C;H,4.C(:NOH). CN.
Questo benzoilderivato cristallizzato dall'alcool si presenta in
aghetti bianchi fusibili a 147°-148° senza decomposizione. .
Trovato °/o: N 10,47.
Per "Cig H130gN ‘cale/g:0 10;60:
È solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool e nella li-
groina; poco solubile in etere; solubile a freddo in acetone,
benzene, cloroformio.
B-p-tolilgliossima CHg. CH, .C(: NOH).C(:NOH).H p. f.
192°-193°. Come ho già detto, questa forma della p-tolilglios-
sima risulta dalla forma a sia facendone bollire la soluzione
acquoso-alcoolica con acido acetico diluito, sia riscaldandola
alla temperatura di fusione. Conviene prepararla passando per
il suo sale di nichel, che si ottiene col procedimento già indi-
cato. Il sale si lava prima con alcool bollente, quindi si
tratta con acido cloridrico e si estrae con etere. Eliminato il
solvente, si ha così la £-p-tolilgliossima CH; . CH4.C(:NOH).
C (:NOH). H, la quale purificata per'ebollizione con cloroformio
e cristallizzata dall'alcool o dall’alcool acquoso sì presenta in
laminette leggermente paglierine fusibili a 192°-193° senza de-
composizione.
Trovato °/o: N 15,66.
Per C3H,00,Ns cale. 9: 15,7
RICERCHE SULLE DIOSSIME 457
È pochissimo solubile a caldo e quasi insolubile a freddo
in acqua; discretamente solubile a freddo in alcool ed in etere;
solubile a freddo in acetone; pochissimo solubile a caldo e quasi
insolubile a freddo in benzene e toluene; quasi insolubile in
cloroformio ed in ligroina.
Si scioglie negli idrossidi dei metalli alcalini e di ammonio
senza colorazione e riprecipita inalterata per azione degli acidi
anche deboli.
In soluzione acquosa intacca a 100° il nichel ed il cobalto
trasformandosi nei rispettivi sali complessi.
Sale di nichel (C3H9OgNo) Ni. Si forma per azione diretta
della 8-p-tolilgliossima sul metallo; si prepara trattando la so-
luzione della gliossima in acqua ed alcool od in acido acetico
al 50°/ con acetato di nichel al 20 0/0. A freddo precipita in
fiocchi color giallo rossastro: a caldo in presenza di acido ace-
tico diluito in polvere rosso-viva. Cristallizzato dalla piridina
per aggiunta di alcool costituisce una polvere cristallina di color
rosso-sangue che riscaldata a 300° imbrunisce senza fondere.
Erovato9/g: Ni 14,95.
Per CigsHisO,N4N1 cale. o: . 14,20.
E insolubile in acqua, alcool, acetone; un po’ solubile in
benzene ed in cloroformio; lentamente solubile nell’idrossido di
sodio al 20 9/, con colorazione rossa; insolubile nell’idrossido di
ammonio. Gli acidi minerali diluiti lo decompongono con facilità,
invece resiste notevolmente all’acido acetico anche a caldo.
Sale cobaltoso (C$H30gNs), Co. Si forma direttamente dal me-
tallo; si prepara in modo analogo al sale di nichel e costituisce
«una polvere di color caffè.
Trovato °/o: Co 14,20.
Per C,gH30,N,Co calce. 9/0: 14,28.
(Per il sale cobaltico CyH,,0gNgCo si calcola °/, Co : 9,98).
È insolubile nell'acqua e nei comuni solventi organici;
insolubile nell’idrossido di sodio e pochissimo solubile nell’idros-
sido di ammonio. Gli acidi minerali diluiti lo decompongono
lentamente.
Ca ce are RON” Ae TN
BRE TI ROLO e SE SIAT ATEI
458 LODOVICO AVOGADRO
Diacetilderirato CHg.CH,.C(:NOCOCH3).C(:NOCOCH;).H.
Si ottiene acetilando a freddo la f-p-tolilgliossima con anidride
acetica in presenza di acetato sodico fuso. Cristallizzato dalla
ligroina si presenta in aghetti bianchissimi fusibili a _73°-74°
senza decomposizione.
Trovato i N 10,44.
Per CisApOuNo cale. 0/: 10,68.
È insolubile in acqua; poco solubile in ligroina a caldo e
quasi insolubile a freddo; solubile a freddo in alcool, etere,
benzene, acetone, cloroformio.
Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie len-
tamente trasformandosi nella gliossima da cui deriva.
Dibenzoilderivato CH3z.C5H,.C(:NOCOC;Hx).C(:NOCOC;H;).H.
Si prepara benzoilando con cloruro di benzoile la B-p-tolilglios-
sima sciolta in idrossido di sodio. Cristallizzato dall’alcool costi-
tuisce laminette splendenti fusibili a 170° senza decomposizione.
Trovato °/o: N 7,21.
Per Cs3Hg04Ns cale. o: ‘7,22.
È poco solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco
solubile in etere; solubile a freddo in acetone, benzene, cloro-
formio; poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in
ligroina. |
Trattato con idrossido di sodio al 20 °/ e qualche goccia
di alcool, vi si scioglie lentamente trasformandosi nella gliossima
da cui deriva.
p-tolilfurazano CH3z . CH, .(C$N30) .H. Per prepararlo con-
viene trattare la a-p-tolilgliossima con anidride acetica, versare |.
in acqua il prodotto della reazione (miscela di furazano col di-
acetilderivato della gliossima) e distillare con vapore. Cristal-
lizzato dall’alcool acquoso costituisce magnifici prismetti di
odore caratteristico, fusibili a 52° senza decomposizione.
Trovato °/o: N#I7;45:
Per C9H3ON; calc. °/o: 17,50.
E insolubile in acqua; solubile a freddo in tutti i comuni
solventi organici; molto facilmente volatile col vapore. Non è
RICERCHE SULLE DIOSSIME | 459
alterato nè dall’acido solforico concentrato (nel quale si scioglie
a freddo riprecipitando per diluizione con acqua), nè dall’acido
cloridrico e nitrico; per contro gli idrossidi dei metalli alcalini e
persino l’acqua bollente lo isomerizzano con facilità nell’ossima
del cianuro di p-toluile.
NOH NOH NOHss=eN
Ossima del cianuro di p-toluile (ossimino-p-toluilcianuro)
CH; .C6H4.C(: NOH).CN. Si forma dal p-tolilfurazano nel modo
anzidetto ed è in tutte le sue proprietà identico al prodotto
che, per conferma, ho preparato partendo dal nitrile dell'acido
p-tolilacetico CH. CsH,.CH3.CN per trattamento con sodio e
nitrito di amile. A tale scopo alla soluzione di un atomo di
sodio in 10 parti di alcool assoluto ho aggiunto, raffreddando
bene in ghiaccio, il nitrito di amile ed il nitrile; ho raccolto
qualche tempo dopo il sale sodico dell’ossima, il quale si separa
come un precipitato cristallino giallo-rossastro, l'ho sciolto in
acqua e quindi l’ho decomposto con acido acetico diluito.
L’ossima del cianuro di p-toluile CH; .CgH,.C(:NOH).CN
cristallizzata dall'acqua costituisce laminette splendenti fusibili
ma 1170.
Trovato °/o: N 17,27.
bet, HgON,:Gale.:0G: 17.50:
È poco solubile a caldo e pochissimo a freddo in acqua;
solubile a freddo in alcool, etere, acetone, benzene, cloroformio ;
discretamente solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in
ligroina.
| Sciolta in idrossido di sodio al 20 °/, e trattata con clo-
ruro di benzoile si trasforma nel benzoilderivato CH;.CyHy.
C(:NOCOC;H;) . CN, il quale, come già ho detto, è il prodotto
che risulta per azione del cloruro di benzoile sulla soluzione
della a-p-tolilgliossima nell’idrossido di sodio e che, a sua volta,
sospeso nell’idrossido di sodio al 20 °/ addizionato di qualche
goccia di alcool, si idrolizza lentamente nell’ossima del cianuro
di p-toluile fusibile a 117°.
a e e —
460 LODOVICO AVOGADRO
p-clorofenilgliossime C1.C;H,.C(:NOH).C(:NOH).H.
Collet (loc. cit.) scaldando a ricadere una soluzione alcoolica
di w-bromo- ovvero di w-dibromo-p-cloroacetofenone C1.CyH,.C0.
CHsBr e CI. CH. CO. CHBr, colla quantità equimolecolare di
cloridrato di idrossilamina sciolto in acqua e previamente neu-
tralizzato con carbonato sodico ottenne una sostanza fusibile
a 198°-199° che ritenne p-clorofenilgliossima.
Partendo sia dall’w-dibromo-p-cloroacetofenone che dall’iso-
nitroso-p-cloroacetofenone Cl.C;H,.CO.C(:NOH).H, io ho
invece sempre ottenuto una miscela delle due forme della p-clo-
rofenilgliossima fusibili rispettivamente a 165° ed a 188°, co-
sicchè devo concludere che il prodotto descritto da Collet era
una miscela delle diossime del p-clorofenilgliossale contenente
anche sostanze con punto di fusione molto più elevato di queste.
Il procedimento che ho seguìto per isolare la a e la f
p-clorofenilgliossima, passando per i rispettivi sali di nichel, è
analogo a quello esposto nel caso delle p-tolilgliossime, però
siccome l’isonitroso-p- cloroacetofenone non era ancora conosciuto
l’ho dovuto preparare partendo dal p-cloroacetofenone C1.C;H,.
CO . CH; nitrosandolo con etilato sodico e nitrito di amile col
metodo di Claisen e Manasse (5). Cristallizzato dal cloroformio
l’isonitroso-p-cloroacetofenone Cl.CgH,.CO.C(:NOH).H si pre-
senta in aghetti paglierini fusibili a 170° senza decomposizione.
Trovato %/: N 7,40.
Per CgHsOsNCI cale. 9/o: 7,62.
È pochissimo solubile nell’acqua bollente, e quasi insolubile
a freddo; solubile a freddo in alcool, etere, acetone; poco a
caldo e pochissimo a freddo in benzene e cloroformio; pochis-
simo a caldo in ligroina e quasi insolubile a freddo.
a-p-clorofenilgliossima C1.C$H, .C(:NOH).C(:NOH).H
p. f. 165°. Messa in libertà dal suo sale di nichel verde gial-
lastro e purificata per cristallizzazione dal benzene o dal cloro-
formio costituisce prismetti bianchi fusibili a 165° senza de-
composizione.
(3) Ber. 22, 526 (1889).
Be
di
RICERCHE SULLE DIOSSIME 461
Trovato °/o: N 13,92 CI 18,16.
Per CsH70gN3C1 calc. Ur 14,10 17,88.
È pochissimo solubile nell'acqua bollente, quasi insolubile
«in quella fredda; solubile a freddo in alcool, etere, acetone;
poco solubile a caldo e quasi insolubile a freddo in benzene,
. cloroformio e ligroina.
Fatta bollire in soluzione acquoso-alcoolica con acido acetico
diluito si isomerizza lentamente nella forma f, la quale risulta
pure per riscaldamento alla temperatura di fusione. In presenza
di acido acetico non dà sale di nichel; invece aggiungendo alla
sua soluzione acquoso-alcoolica acetato di nichel al 20° si ha
un precipitato giallo verdastro amorfo.
Diacetilderivato C1.CyH,.C(: NOCOCHy3).C (: NOCOCH;). H.
Si ottiene acetilando a freddo la a-p-clorofenilgliossima con
anidride acetica in presenza di acetato sodico fuso (°). Cristal-
lizzato dall’alcool costituisce laminette microscopiche fusibili
a 123°-124° senza decomposizione.
Trovato °/o: CI 12,53.
Per C,3H,104N3CI cale. “i 12,58.
È molto solubile a caldo e meno a freddo in alcool; in-
solubile in acqua; solubile a freddo in acetone, benzene, cloro-
formio; poco solubile a freddo in etere; poco solubile a caldo
e quasi insolubile a freddo in ligroina.
Trattato con idrossido di sodio vi si scioglie lentamente
trasformandosi in p-clorofenilfurazano Cl. CgH,.(C,N30).H e
nell’ossima del cianuro di p-clorobenzoile prodotto di isomeriz-
zazione del primo e fusibile dopo cristallizzazione dalla ligroina
a 113°-114°, cioè a temperatura leggermente superiore a quella
‘trovata da Walther e Wetzlich (1°) e da Zimmermann (!) i quali
l'avevano ottenuta per azione del sodio e del nitrito di amile
sul cianuro di p-clorobenzile.
(°) Anche in questo caso si forma un po’ di p-clorofenilfurazano Cl.
CH, .(CoN,0).H facilmente eliminabile mediante lavatura con etere.
(49) “J. Prakt. Chem., (2), 67, 193 (1900).
(44) “J. Prakt. Chem., (2), 66, 373 (1902).
462 LODOVICO AVOGADRO
Azione del cloruro di benzoile. Trattando con cloruro di ben-
zoile la a-p-clorofenilgliossima sciolta in idrossido di sodio si
ottiene in modo analogo a quanto si verifica per la a-p-tolil-
gliossima, il benzoilderivato dell’ossima del cianuro di p-cloro-
benzoile C1.C;H,.C(:NOCOC;H5g). CN, il quale, cristallizzato
dall'alcool, costituisce prismetti bianchi fusibili a 117°-118°, ad
una temperatura cioè un po’ superiore a quella ottenuta da
Zimmermann (!?) che l’aveva preparato benzoilando l’ossima
corrispondente.
B-p-clorofenilgliossima CI. CH, .C (: NOH).C(:NOH).H
p. f. 188°. Risulta dalla forma a facendone bollire la soluzione
acquoso-alcoolica con acido acetico diluito o riscaldandola alla
temperatura di fusione, ma conviene prepararla direttamente
dal p-cloroisonitrosoacetofenone passando per il sale di nichel.
Cristallizzata dall'acqua o dal toluene costituisce aghi o prismi
bianchi leggermente paglierini fusibili a 188° e decomponibili
qualche grado più alto.
Trovato °/o: N 13,92.
Per CsH703N5C1 calce. 9/08 14,10.
È solubile a freddo in alcool, etere, acetone; poco solubile
a caldo in toluene e pochissimo a freddo; poco solubile in acqua
bollente e pochissimo in quella fredda; pochissimo solubile a
caldo e quasi insolubile a freddo in cloroformio.
In soluzione acquosa intacca il nichel trasformandosi nel
sale complesso di cui dirò tosto.
Sale di nichel (C3H50sNsC1)s Ni. Si ottiene nel miglior modo
trattando la soluzione acquoso-alcoolica della 8-p-clorofenilglios-
sima con' acetato di nichel al 20 °/o. Cristallizzato dalla piridina:
per aggiunta di alcool costituisce prismetti rosso-aranciati che
incominciano ad imbrunire verso 305° senza fondere.
. Trovato °/;: Ni-1207:
Per C,6H,s0,NClaNi cale. Dior 12,94.
E insolubile nei comuni solventi organici.
(®) “J. Prakt. Chem., (2), 66, 874 (1902).
RR, I 9 e Ce |
ie Coeogre sb 4 ee bha
Ki era e
RICERCHE SULLE DIOSSIME 463
Diacetilderivato CI .CgH, .C(:NOCOCH3).C(: NOCOCH;). H.
Risulta acetilando a freddo la f-p-clorofenilgliossima con anidride
acetica in presenza di acetato sodico fuso. Cristallizzato dal-
l’alcool costituisce prismetti bianchi fusibili a 128°-129° senza
decomposizione.
Trovato °/o N 9,72.
Per CisH104NsC1 cale. Dio: 9:
È insolubile in acqua; molto solubile a caldo e pochissimo
a freddo in alcool; discretamente solubile in etere; solubile a
freddo in acetone, benzene, cloroformio; discretamente solubile
a caldo e quasi insolubile a freddo in ligroina.
Trattato con idrossido di sodio al 20 °/, vi si scioglie len-
tamente trasformandosi nella gliossima da cui deriva.
Dibenzoilderivato ‘C1.C;H,.C(:NOCOG;H;).C(:NOCOG;H;).H.
Si prepara benzoilando con cloruro di benzoile la 8-p-clorofenil-
gliossima sciolta in idrossido di sodio. Cristallizzato dall'alcool
costituisce aghetti splendenti fusibili a 159° senza decomposizione.
Trovato 9/0: N 6,67.
Per C.3H;;0,N301 cale. 9/i: | 6,77.
È poco solubile a caldo e meno a freddo in alcool; poco
solubile a freddo in etere; solubile a freddo in acetone, benzene,
cloroformio; pochissimo solubile a caldo e quasi insolubile a
freddo in ligroina.
Trattato con idrossido di sodio al 20°/ e qualche goccia
di alcool, vi si scioglie, trasformandosi nella gliossima da cui
deriva.
p-clorofenilfurazano C1.CyH, .(C$N30).H. Per ottenerlo
conviene acetilare a freddo con anidride acetica la a-p-cloro-
fenilgliossima, versare in acqua il prodotto della reazione e
. distillare col vapore. Cristallizzato dall'alcool costituisce aghetti
bianchissimi di odore caratteristico fusibili a 103°-104° senza
decomposizione.
Trovato °/o: N 15,36.
Per C3H5ON°3CI cale. %o: T5ybl:
ira pt ì, x
Sl è de Sn TENORE
464 LODOVICO AVOGADRO — RICERCHE SULLE DIOSSIME
È facilmente volatile col vapore; insolubile in acqua; so-
lubile a freddo in acetone, etere, benzene, cloroformio; solubile
a caldo e meno a freddo in alcool e ligroina.
Non è alterato dagli acidi solforico, cloridrico e nitrico con-
centrati; è invece trasformato dagli idrossidi dei metalli alcalini
nell’ossima del cianuro di p-clorobenzoile.
Cig ES 01 CH, 0 = on
I | Ha I .
NOSO SN NOH |
Questa isomerizzazione ha luogo anche per semplice ebol-
lizione con acqua.
Torino — Istituto Chimico della R. Università.
Maggio 1923.
ee Ti, © LA
ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA — PRIMO ELENCO, ECC. 465
Primo Elenco delle Diatomee fluviali dei dintorni di Torino
Nota del Socio nazionale residente ORESTE MATTIROLO
e di PIERO GIAJ-LEVRA
Le determinazioni delle Diatomee consegnate nella presente
Nota, spettanti a me sottoscritto (i), rappresentano i risultati
di un lavoro compiuto negli anni giovanili, quando appena lau-
reato in Scienze naturali e in Medicina e Chirurgia ero stato
nominato assistente alla Cattedra di Botanica della Università
di Torino.
Esse ebbero inizio nell’anno 1881, cioè quarantatrè anni
or sono, sotto la guida dell'inglese signor H. Daron, fabbri-
cante di preparati microscopici, e proseguirono quindi, quando
egli, dopo alcuni mesi di soggiorno in Torino, ritornò in patria
per dedicarsi alla fabbricazione delle Lampadine elettriche.
La ragione che mi aveva indotto ad occuparmi dello studio
delle Diatomee, era stata quella di poter dimostrare, come at-
traverso alle sabbie e agli strati di conglomerato ciottoloso del
cono di dejezione del Sangone e della Dora Riparia, sul quale
è situata la Città di Torino, avessero potuto essere trasportate
anche le Diatomee alpine.
La questione allora appassionava il pubblico torinese, perchè
era in relazione con certi progetti di derivazione di acque per
uso cittadino che si andavano studiando.
Le osservazioni del Prof. L. PAGLIANI avevano dimostrato
che i terreni diluviali sui quali sorge la Città di Torino, costi-
tuiti da grossolani materiali di trasporto, lasciano passare con
facilità le acque di scioglimento delle nevi provenienti dai monti
vicini, e che per il veicolo di dette acque si verifica nel suolo
di Torino la penetrazione, il trasporto e la diffusione di una
(1) Nell'Elenco sono precedute da un asterisco.
466 i ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
grande quantità di materiali organici varii, i quali procedono
sia nel senso verticale, che in quello orizzontale.
La spinta a queste mie ricerche era stata determinata pre-
cipuamente dalla osservazione interessante, che io riferisco sulla
fede di testimonianze avute dal Prof. PAGLIANI e dall’Ing. QuinTINO
CARRERA, che nei pozzi praticati per le fondazioni di alcuni villini
costrutti sull'area già occupata dall'antica Piazza d'Armi, pre-
cisamente nella località ora occupata dalla Via Assietta ai
Ni civici 22-24, si ebbe a riscontrare, profondamente nel suolo,
una certa quantità di peli, riconosciuti come peli di suini, i
quali evidentemente dovevano provenire dal non lontano am-
mazzatoio civico, dove, prima della fognatura, si erano costrutti
ampi pozzi profondi, così detti perdenti, analoghi a quelli pure
costrutti in quel turno di tempo nelle Carceri nuove (1).
(1) A conferma e illustrazione e complemento di queste osservazioni
mi pare opportuno citare anche alcuni dati relativi alla composizione delle
acque scorrenti nel cono diluviale della Valle di Susa, sul cui frontale è
costrutta Torino. Una serie di analisi eseguite nei mesi di marzo e di
aprile 1893 dai signori P. Foà e B. Porro progressivamente da monte a
valle diedero per i residui fissi i seguenti risultati.
(V. PaeLianIi, Trattato di Igiene e Sanità pubblica. Vol. I, pag. 198,
Milano, Vallardi. — V. pure ivi, fig. 21, pag. 104 e fig. 28, pag. 115).
Residuo fisso a 1800 in gram.
Sopra la Città . . . (1) 0.344 (2). 0.436
Entro i Re) ROZEN (4) 0.420
2 e Vi (6) 0.440
3 = rana MIE AO (8) 0.476
, s pensi (DIES0Z446 (10) 0.548
Parte più declive . . (11) 0.540 (12) 0.584.
L'esame delle acque delle cosidette sorgenti emananti dal cono dilu-
viale ha dato i seguenti risultati per residuo solido a 100° p. 1.
A monte della Barriera della Città (la falda non è passata ancora
sotto l'abitato):
Periodo di abbondanza: gr. 0.394 0.408 0.504.
: di magra ns 0.882 0.414 0.488.
Entro la Cinta daziaria, da monte a valle (falda che scorre sotto il
fabbricato cittadino sempre più denso):
Periodo di abbondanza: gr. 0.464 0.486 0.508 0.584 0.744.
A di magra x 0.452 0.528 0.402 0.520 0.626.
Il massimo di residuo solido si trova nelle acque che scaturiscono dalla
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 467
Se questi materiali avevano potuto emigrare per uno spazio
di circa novecento metri, che tanti separano Via Assietta dal-
l’ammazzatoio, era ovvio pensare che un viaggio assai più lungo
‘avessero potuto compiere, pure rimanendo vitali, le Diatomee
alpine minutissime, adatte quindi per le loro proprietà morfo-
logiche, per la constatata resistenza vitale, per la adattabilità a
vivere nel suolo, a poter essere trasportate a distanza dalle
acque attraverso alle anfrattuosità, siano pure assai minute,
esistenti nei terreni diluviali formati da grossi elementi ciotto-
losi, passaggio di acqua che non è ostacolato neppure dagl’in-
terstrati di conglomerato parzialmente cementato, come fu dimo-
strato da ricerche del Prof. C. F. PARONA, e come lo dimostra
anche lo intorbidamento delle acque delle risorgive dopo furiosi
| acquazzoni.
Io pensai allora di osservare se in quelle numerose sorgenti
che affiorano lungo la sponda del Po (a sinistra della corrente)
presso al Valentino, in vicinanza dell'Orto botanico, che rap-
presentano appunto l’uscita a giorno dell’ampia falda acquea,
la quale in atto scorre profondamente a circa 30 metri, e che
per il declivio del terreno affiora a circa 12 metri dalla super-
ficie del suolo sulla riva del Po, potessero essere trascinate le
Diatomee alpine e avessero potuto mantenersi viventi nelle
acque ivi affioranti.
Intrapresi perciò una serie di ‘osservazioni le quali mi par-
vero concludenti, perciò che rinvenni in tali acque un certo
falda acquea nei punti dove essa ha attraversato la più gran parte del
sottosuolo cittadino, ed ha perciò ricevuto la maggiore contaminazione.
Che sieno essenzialmente sali terrosi che acquistano, lo dimostra, oltre
le analisi particolareggiate delle stesse acque, il fatto che la loro durezza
totale varia rispettivamente per le sorgenti in periodi di abbondanza coi
| seguenti gradi tedeschi: 19.1 — 19.6 — 22.4 — 22.1 - 22.4 —- 22.8 - 23.8 —
27.0 (V. PaezianI, loc. cit.).
Questi risultati concordano esattamente e sono completati da quelli
ottenuti da Musso e Barrario che analizzarono le stesse acque del sotto-
suolo di Torino appartenenti alla falda acquea che dopo aver percorso il
sottosuolo sul quale è situato l’abitato della città affiorano nelle sorgenti
sulla sinistra del Po, riferentesi al contenuto dell'azoto dei nitriti e dei
nitrati (V. PaGLianI, loc. cit., pag. 224) e da quelli ancora ottenuti dal
Prof. Asa per riguardo alla presenza e alla quantità di germi microbici
(V. Paetrani, loc. cit., pag. 229-924).
E TI RM RUOLI EAU
468 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
numero di Diatomee alpine, la presenza delle quali veniva a
confermare la mia induzione, non essendo, io credo, possibile
altra spiegazione del fatto che avevo constatato, salvo che am-
mettendo l'emigrazione a ritroso di queste Diatomee dal Po, lungo
il ruscello di scarico della sorgente nel fiume.
Fra le specie ivi incontrate posso citare:
Pinnularia borealis Ehr., frequente nelle Alpi, in ispecie nelle
Alpi granitiche, nei ruscelli, fra i muschi, nelle Cascate.
Pinnularia lata Rabh., frequente nelle acque delle regioni alpine
e sottoalpine.
Diatoma hiemale Heib., abbondante nelle acque alpine.
» La var. mesodon, , LOI È
Eunotia pectinalis Ktz., comune nelle acque silicee delle Alpi.
Tutte specie che gli Autori concordemente ritengono come
specie caratteristiche delle regioni alpine (1).
Dopo avere studiato le Diatomee delle così dette sorgenti
del Valentino, estesi le mie ricerche a quelle viventi nel Sangone,
nella Dora Riparia e nel Po e nella Stura di Lanzo. Sino a che,
preso da nuovi ideali, nel 1883 abbandonai lo studio delle Dia-
tomee, dopo aver redatto un catalogo accurato di quelle da me
determinate e aver raccolto e preparato copioso materiale nel-
l’intento di studiarlo poi.
L'occasione di valermi di tale materiale mi venne circa
trentacinque anni dopo, offerta dal D" Prero GraJ-LEVRA, appas-
sionato studioso, valente e pazientissimo preparatore di Diatomee.
A lui affidai il mio Catalogo, i preparati (2) e i materiali
raccolti e non ancora studiati.
Il D' Gray-Levra, con lavoro durato parecchi anni, ebbe
cura di aggiornare la nomenclatura e la sinonimia da me usata,
e si accinse volenteroso allo studio dei miei materiali indeter-
minati, completando le ricerche ed estendendole alle Diatomee
di Stura, di Dora e a quelle viventi nei rivoli che scendono
dalla Collina di Torino al Po.
(1) V. J. Brun, Diatomées des Alpes et du Jura, 1880, Genève.
(2) I preparati delle varie Diatomee da me determinate, dove sono
individualmente separate le specie in ciascun preparato, si trovano a disposi-
zione degli studiosi, depositati nelle Collezioni del R. Orto botanico di Torino.
ae tese ANI rat de re
va 4 { 7
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 469
La duplice collaborazione ha portato così alla compilazione
del presente Primo Elenco delle Diatomee fluviali dei dintorni di
Torino, che, comunque incompleto, rappresenta un contributo
| che può già dare un'idea della flora diatomologica della regione,
annoverando esso 268 specie.
Ringrazio il mio egregio collaboratore per avermi incorag-
giato a rimettere in luce un lavoro al quale avevo atteso con
diligenza e costanza, ma che, senza il suo aiuto, non avrei ardito
pubblicare riconoscendolo troppo incompleto e manchevole.
Il presente Catalogo a buon diritto viene quindi presentato
sotto il nome dei due Autori.
Una certa utilità a questo nostro lavoro sembrami anche
essergli accordata da due ordini di considerazioni.
La prima risultante dal fatto che finora nessuno ancora
aveva preso in considerazione la flora diatomologica fluviale
della regione piemontese, la quale ha pure non lieve importanza
per gli studi planctonici.
La seconda emerge dal fatto che alcune Diatomee terricole,
come tali considerate dagli studiosi di questioni edafiche, furono
da noi rinvenute viventi anche nelle acque fluviali, ciò che di-
mostra la adattabilità a stazioni differenti di questi organismi.
Infatti abbiamo trovate abbondanti nelle acque fluviali le
5 specie seguenti, che il MurieL BrisroL ha elencato fra le
20 Bacillarieae terricole, finora note:
Pinnularia borealis Eh. — Diploneis ovalis var. oblongella CI.
Navicula Pupula Kutz. — Hantzchia amphioxis (Eh.) Grun.
Nitzchia Palea (Kutz.) W. Sm.
Ora che per tante e tante ricerche si è venuta sempre più
accentuando l’importanza dell’azione esercitata dagli organismi
terricoli, come modificatori delle condizioni edafiche del suolo,
e preparatori delle condizioni necessarie alla vita dei vegetali
superiori, l’attenzione degli studiosi si è venuta mano mano
rivolgendo all’attività di questi organismi terricoli (animali e
vegetali) considerandoli sotto il punto di vista del loro signi-
ficato per l'economia edafica. Fra questi organismi varii, una
delle attività maggiori è riconosciuta alle Alghe terricole, delle
quali numerose specie, resistenti anche alla essiccazione prolun-
gata, furono incontrate nel suolo, viventi anche a profondità
>
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470 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
abbastanza notevoli, sino a 40-50 centim. Fra le Alghe terricole
viventi nel suolo dell’Inghilterra, B. MurieL BristoL ha infatti
già descritto 24 Myxophyceae, 20 Bacillarieae, 20 Clorophyceae.
Mentre il FRANcK riteneva che le Alghe terricole avessero la
capacità di fissare direttamente l’azoto atmosferico, molti altri
Autori invece, come KossowirscH, PrinesHEIM, EsMARCH, RoBBINS,
NaAKANO, GAUTIER, DROUIN, ecc., riferiscono invece questa fun-
zione all’azione dei dacterit terricoli viventi nel suolo; ritenendo
però che fra alghe (specialmente Myxophyceae e Clorophyceae) e i
bacteri terricoli esista un rapporto simbiotico in conseguenza
del quale, anche nei terreni più sabbiosi (silicei) possano for-
marsi composti azotati per azione dei bacterii, i quali utilizze-
rebbero i prodotti idrocarbonati elaborati dalle alghe, alle quali
concederebbero parte dei materiali azotati dei quali esse hanno
necessità.
È così che queste nuove idee, confortate dai risultati otte-
nuti dagli sperimentatori valentissimi di cui abbiamo ricordati
i nomi, accordano oggi allo studio delle Alghe terricole un in-
teresse speciale che deve essere riconosciuto, secondo il nostro
parere, non solo alle Myxophyceae e alle Clorophyceae, ma anche
alle Bacillarieae che le accompagnano dovunque nel suolo, special-
mente quando in esso si verifichino condizioni adatte di umidità.
Queste considerazioni e l’interesse che, per la leggiadria
delle forme, rivestono le Diatomee, speriamo varranno presto
ad indurre i ricercatori piemontesi a studiarle, sia nel terreno,
sia nei torrenti delle elevate regioni delle Alpi, onde completare
così la massa di osservazioni sparse che, riassunte, potrebbero con-
cedere unaidea complessiva della Flora diatomologica del Piemonte.
Infatti, del Lago d’Orta già si occupò il BonarpI, studian-
done le Diatomee. — I molti laghetti intermorenici del Canavese,
colla nota competenza, furono studiati da AcHILLE ForTI che
illustrò i dragaggi del D" G. De Agostini. — La Prof RirA
MontI, continuando e completando le ricerche di PrerRo PAVESI,
ci ha dato numerosi indici di Diatomee proprie dei Laghi alpini
dell’alta Valle d'Aosta e delle valli ossolane. — L’Abate Ca-
stRACANE ha studiato le Bacillariali della Valle Intrasca e delle
Sorgenti termali di Valdieri.
R. Orto Botanico. - Maggio 1923.
Prof. Oreste MaTTIROLO.
ET, STO, VE TT TE
Rita (7 A E
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 471
ELENCO delle opere citate con abbreviazione,
alle quali si riferiscono le figure indicate per ogni specie e varietà:
A. S. Atl. = Scampt A., Atlas der Diatomaceenkunde.
V. H. Tr. Diat.= Van Hrurcx H., Traité des Diatomées. Anvers, 1899.
Fr. Meist. = Mersrer Fr., Die Kieselalgen der Schweiz. -Bern, 1912.
Dippel. = Dippet L., Diatomeen d. Rhein-Mainebene. Braunschw., 1904.
Nel presente Elenco si danno i risultati dell'esame, già
iniziato, sino dal 1881, dal Prof. Oreste MATTIROLO, e poi da
me continuato in questi ultimi anni, di materiali raccolti nel Po,
nella Dora, nella Stura, nel Sangone, nel Salice, in varie località
della Collina di Torino e nelle vasche dell'Orto Botanico di
questa R. Università.
Ringrazio qui il Prof. MattIRoLo che ebbe la bontà di per-
mettermi di frequentare per lungo tempo il R. Orto Botanico,
del quale potei esaminare la collezione di preparati di Diatomee
dei dintorni di Torino e varie opere contenute nella Biblioteca
dello stesso Orto Botanico.
Esprimo anche la mia riconoscenza al Rev. Don ANTONIO
ToneLLI, Professore di Scienze nel Seminario Missioni Estere
dei Rev. Padri Salesiani di Torino, che cortesemente mi offrì
molti campioni di materiali da Lui raccolti in Val Salice e
nella Stura.
Dott. Prero GrAJ-LEVRA.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 555
472 OKESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Melosira Ag. .
* Melosira varians Ag. — (A. S. Atl.,, T. 182, f. 17, 18).
Po, Sangone, Dora, Stura, Vasche Orto
» ‘italica Ktz. — (Fr. Meist., T.I, f. 12).
Stagno in Val Salice.
î 5 » var. crenulata Ktz. — (A. S. Atl., T. 181,
f. 59, 54).
Stagno in Val Salice.
Botanico.
* gl arenaria Moore. — (Fr. Meist., T. I, f. 2, 3).
Po.
he 5 Roeseana Rabh. — (Fr. Meist., T. I, f. 4, 5).
Po, Dora.
si distans Kta: —. (A_8, Atly7T-182,£. 4): a
Dora.
Cyclotella Ktz.
Cyclotella comta Ktz. — (V. H. Tr. Diat., PI. XXII, f. 653).
Po, Dora, Sangone, Stura, Salice, Vasche
Orto Botanico.
> 2 s var. radiosa Grun. — (V. H. Tr. Diat.,
BE XXI: 651)
‘Po, Stura.
; Kiitzingiana Thw. — (Fr. Meist., T. II, f. 9).
Stura.
; Meneghiniana Ktz. — (Fr. Meist., T. III, f. 5).
Po, Sangone, Stura, Salice.
» , operculata Ktz. — (Fr. Meist., T. III, f. 6).
Po, Sangone, Stura.
Meridion Ag.
* Meridion circulare Ag. — (Fr. Meist., T. IV, f. 2, 3).
Po, Stura, Salice, Dora, Vasche Orto
Botanico.
a constrictum Ralfs. — (Fr. Meist., T. IV, f. 4, 5).
Po, Stura, Salice, Dora, Vasche Orto
Botanico.
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 473
Tabellaria Ehr.
Tabellaria fenestrata Ktz. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 477).
Dora, Stura.
Ù flocculosa Ktz. — (V.H. Tr. Diat., Pl. XI, f. 478).
Sangone, Stura. i
Denticula Ktz.
Denticula tenuis Ktz. — (Fr. Meist, T. V, f. 4).
Po, Sangone, Stura.
: frigida Ktz. — (Fr. Meist., T. V, f. 5, 6).
Po, Sangone, Stura.
Diatoma D. C.
* Diatoma vulgare Bory. — (Fr. Meist., T. V, f. 9).
Po, Dora, Vasche Orto Botanico.
i a » Var. brevis Grun. — (Fr. Meist., T. V,
L06R0))
Stura, Vasche Orto Botanico.
- È » var. producta Grun. — (Fr. Meist., T.V,
LIO);
Stura, Vasche Orto Botanico.
5 n EI na Grun. — (Fr. Meist., T. V,
SAID:
Po, Vasche Orto Botanico.
; grande W.Sm. var. Ehrenbergii (Grun.) Meist. — (Fr.
Meist:P.:V, £-12);
Po, Vasche Orto Botanico.
‘ tenue Ag. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 468).
Vasche Orto Botanico.
0 2 , var. minus Grun. — (Fr. Meist., T. V, £. 17).
Vasche Orto Botanico.
sù x hiemale Heib. — (Fr. Meist., T. V, f. 21).
Po, Dora, Vasche Orto Botanico.
va 2 s y var. mesodon Grun. — (Fr. Meist., T. V,
f. 19, 20).
Po, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico.
474 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Fragi laria Grun.
Fragilaria crotonensis Kitt. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 444). 3
Vasche Orto Botanico.
x virescens Ralfs. — (Fr. Meist., T. V, f. 26).
Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico.
i capucina Desm. — (V. H. Tr. Diat., PI. XI, f. 446).
Sangone. 3
a z s var. mesolepta Rabh. — Fr. -Maiato 4
PVI:
Sangone, Stura, Vasche Orto Botanico.
x construens Grun. — (V. H. Tr. Diat., P1. XI, f. 450).
Stura.
x 3 »s var. venter Grun. — (V. H. Tr. Diat.,
Pl XI3£ #51):
Stura.
3 binodis Ehr. — (Fr. Meist., T. VI, f. 9).
Vasche Orto Botanico.
a intermedia Grun. — (Fr. Meist., T. VI, f. 15).
Po, Sangone, Stura, Salice.
È Harrisonii Grun. — (Fr. Meist., T. VI, f. 16).
Sangone.
| Synedra Ehr.
Synedra pulchella Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 17).
Po, Sangone, Stura.
Le Vaucheriae Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 18).
Salice.
LASCI ulna Ehr. — (V. H. Tr. Diat., PI. X, f. 409).
Po, Sangone, e Salice, Vasche Orto
Botanico, Stura.
SERI % s var. oxyrhynchus V. H. — (Fr. Meist., T. VI,
19):
Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Bo-
tanico.
x c s var. subaequalis Grun. — (Fr. Meist., T. VII,
IEZE
Po, Sangone, Salice, Stura.
nt i
ted tie intatti
nil ei ii e
sii sciiti mn e e
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 475
Synedra ulna Ehr. var. danica Grun. — (Fr. Meist., T. VII, f. 3)
Eunotia
Po, Stura, Vasche Orto Botanico.
joursacensis J. Hérib. — (Fr. Meist., T. VII, f. 4).
Po, Sangone.
acus Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 23).
Po, Sangone, Stura, Dora, Salice, Vasche
Orto Botanico.
radians Ktz. — (Fr. Meist., T. VI, f. 21).
Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo-
tanico.
capitata Ehr. — (Fr. Meist., T. VII, f. 6).
Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo-
tanico.
longissima W.Sm. — (Fr. Meist., T. VIII, f. 1).
Po, Sangone, Salice, Stura, Vasche Orto
Botanico.
amphirhynchus Ehr. — (Fr. Meist., T. VII, f. 6).
Sangone.
vitrea Ktz. — (Fr. Meist., T. VIII, f. 5).
Po.
Eunotia Ehr.
parallela Ehr. — (Fr. Meist., T. X, f. 4).
Stura.
monodon Ehr. -- (Dippel, f. 284).
Dora, Stura.
diodon Ehr. — (Fr. Meist., T. X, f. 6).
Po, Stura.
tetraodon Ehr. — (Fr. Meist., T. X, f. 8).
Dora.
arcus Ehr. — (Fr. Meist., T. XI, £. 11).
Stura, Collina di Torino.
= » forma curta (Grun.). — (Dippel, f. 278).
Stura. |
uncinata Ehr. — (Fr. Meist., T. XI, f. 16).
Stura.
pectinalis Ktz. — (Dippel, f. 268).
Po, Stura.
. 476 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Eunotia pectinalis Ktz. forma curta V. H. — (Dippel, f. 269).
Po, Stura.
x 4 » Var. media 0.m.— (Fr.Meist., T.XI,f.3).
Po; Stura.
3 S » var. minor V. H. — (Dippel, f. 272).
Po, Stura.
; x » Var. stricta. — (Dippel, f. 278).
Po, Stura. |
Li lunaris Grun. — (Fr. Meist., T. IX, f. 16).
Stura, Stagno in Val Salice.
Ceratoneis Ehr.
Ceratoneis arcus Ktz. — (Fr. Meist., T. XI, f. 19).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
Ò i » Var. amphioxys Rabh. — (Fr. Meist., T. XI, |
f. 18).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
; 3 » Var. linearis Holmboe. -- (Fr. Meist., T.XI,
f.:20). |
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
Rhoicosphenia Grun. |
Rhoicosphenia curvata Grun. — (Fr. Meist., T. XII, f. 1-3).
Po, Salice, Vasche Orto Botanico.
Cocconeis (Ehr.) Cl).
* Cocconeîs placentula Ehr. — (Fr. Meist., T. XII, f. 4, 5).
Po, Dora, Sangone, Stura, Vasche Orto
Botanico.
E P s var. lineata V. H. — (Fr. Meist., T. XII,
TT A
Po, Dora, Sangone, Stura, Vasche Orto
Botanico.
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 477
Cocconeis placentula Ehr. var. euglypta Cl. — (Fr. Meist., T. XII,
3 1985)
Po, Sangone, Stura.
var. trilineata C). — (Fr. Meist., T. XII,
L00710).
Po, Sangone, Stura.
‘ pediculus Ehr. — (Fr. Meist., T. XII, f. 11, 12).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
”» » »
”
Eucocconeis CI.
Eucocconeis flerella Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 14, 15).
Sangone, Stura.
Microneis Cl.
i Microneis minutissima Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 19, 20).
Vasche Orto Botanico.
microcephala Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 23-26).
Po, Sangone.
linearis Cl. — (Fr. Meist., T. XII, f. 27).
Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Bo-
tanico.
exilis CI. — (Fr. Meist., T. XIII, f. 1, 2).
Po, Sangone, Salice.
Achnanthidium Heib.
Achnanthidium lanceolatum Bréb. — (Fr. Meist., T. XIII, f, 12,13).
Po, Sangone, Stura, Salice.
Diploneis (Ehr.) CI.
* Diploneis elliptica Cl. — (Fr. Meist., T. XIV, f. 6).
Po, Sangone, Stura, Salice.
ovalis CI. var. pumila C1. — (Fr. Meist., T. XIV, f. 9).
Stura.
var. oblongella (Nîg.) CI. — (Fr. Meist.,
PEXTVic:10)6
Stura, Salice.
”
” »” »”
478
bio Egt = ERE Lema 4
CREA STE sano
ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Neidium Pfitzer.
* Neidium amphirhynchus (Ehr.) Pf. — (Fr. Meist., T. XIV, E-_bOL
Po, Stura, Dora.
productum (W. SM) Pf. — (Fr. Meist., TXIV, f. 19
Po.
bisulcatum var. turgidula (Lagst.) Meist. — (Fr. Meist.,
PEXVITL1):
Po, Stura.
iridis Pfitzer. — (Fr. Meist., T. XV, E"):
Po, Dora.
affine (Ehr.) Pf. var. media Cl. — (Fr. Meist., T. XV,
f. 4).
Po.
amphigomphus (Ebr.) Pf. — (Fr. Meist. T. XV, f. 6).
Po.
dubium Pfitzer. — (Fr. Meist., T. XV, f. 7).
Po.
Caloneis CI.
* Caloneis amphisbaena Cl. — (Fr. Meist., T. XV, f. 9).
Po.
Schumanniana Cl. — (Fr. Meist. T.XVL EDI
Po, Dora.
silicula (Ehr.) Cl. — (Fr. Meist., T. XVI, f. 10).
Po, Dora, Sangone, Stura, Salice, Vasche
Orto Botanico.
x sy var. major (Hérib.) Meist. — (Fr. Meist.,
TV 39):
Po, Sangone, Stura.
s » Cl. var. cuneata Meist. — (Fr. Meist.,
PIONIE LO):
Po, Sangone, Stura.
4 s var. inflata (Grun.) CI. — (Fr. Meist.,
LEVI ADI:
Po, Sangone, Stura, Salice.
= , var. undulata (Grun.) Cl. — (Fr. Meist.,
PE XVEST 13);
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
,
ui
N TI RR
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 479
Anomoeoneis Pfitzer.
Anomoeoneis sculpta Pfitzer. — (Fr. Meist., T. XVII, f. 8).
Po.
Gyrosigma Hassal (Pleurosigma W. Sm.).
* Gyrosigma attenuatum Rabh. — (Fr. Meist., T. XVII, f. 13).
Po, Dora, Salice.
acuminatum Rabh. — (Dippel, f. 184).
| Po, Stura.
i » Var. Brébissonii (Grun.) CI. —
(Fr. Meist., T. XVIII, f. 2).
Po.
Kiitzingii Grun. — (Dippel, f. 188).
Po.
Spencert: CI. — (Fr. Meist., T: XVIII, f. 3).
Po.
Frustulia Ag.
Frustulia vulgaris (Thw.) CI. — (Fr. Meist., T. XVIII, f. 4).
Sangone, Stura, Salice.
Stauroneis Ehr.
Stauroneis phoenicenteron Ehr. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 1).
Po, Dora; Stura.
3 » Var. gracilis CI. — (Dippel,
f. 174 b;-c).
Stagno in Val Salice.
g. » var. amphilepta (Ehr.) CI. —
i (Fr. Meist., T. XVIII, f. 10).
Po, Stura.
anceps Ehr. — (Dippel, f. 178 Db).
Po, Sangone, Stura, Salice.
; , «Var. amphicephala (Ktz.) C1.—(Fr.Meist.,
Po XDX;6£578);
Po, Sangone, Stura.
OTT E E SCORE, BRR) EL E
Ps piena a ira
È us ° RA
480 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Stauroneis anceps Ehr. var. elongata Cl. — (Fr. Meist., T. XIX,
f.4).
Po, Sangone, Stura.
n Smithii Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 7).
Po.
Navicula Bory.
Navicula binodis Ehr. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 12).
Po, Sangone.
ò Rotaeana Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 13).
Po;
A seminulum Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 19).
Po, Sangone, Stura.
È minima Grun. var. atomoides Cl. — (Fr. Meist., T. XIX,
f. 21).
Po, Sangone, Stura.
; bacilliformis Grun. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 23).
Po, Sangone.
o pupula Ktz. — (Fr. Meist., T. XIX, f. 25).
Po, Salice.
3 bacillum Ehr. — (Fr. Meist., T. o f. 4).
Po, Sangone.
n È » var. Gregoryana Grun. — (Fr. Meist.,
PE RARE):
Po, Sangone.
} i » Var. major Hérib. — (Fr. Meist., T. XX,
POD):
Po, Sangone.
n pseudobacillum Grun. — (Fr. Meist., T. XX, f. 5).
Po, Sangone, Stura.
ì pusilla W. Sm. — (Fr. Meist., T. XX, f. 9)
Po, Sangone.
5 cuspidata Ktz. — (Fr. Meist., T. XX, f. 10).
Po, Sangone, Vasche Orto Botanico.
> ; » forma angusta. — (Dippel, f. Hel
Vasche Orto Botanico.
5 5 » forma craticula. — (Dippel, f. 122).
Vasche Orto Botanico.
Navicula
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 481
ambigua Ehr. — (Fr. Meist., T. XX, f. 13).
Po, Sangone.
gracilis Grun. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 1).
Po, Vasche Orto Botanico.
cryptocephala Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 3).
Po, Sangone.
N » var. pumila Grun. — (Fr. Meist.,
TR © RE e)
Stura.
n » var. veneta (Ktz.) V. H. — (Dippel,
f. 87):
Po, Sangone, Stura.
rhynchocephala Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f, 9).
Po, Sangone, Vasche Orto Botanico.
hungarica var. capitata CI. — (Fr. Meist., T. XXI, f, 8).
Po, Stura,
viridula Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 10).
Po, Sangone, Stura.
radiosa Ktz. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 13).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
È s var. acuta Grun. — (Fr. Meist., T. XXI,
i GAS E
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
tenella Bréb. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 14).
Po, Sangone, Stura.
Reinhardtiîù Grun.: — (Fr. Meist., T. XXI, f. 17, 18).
Po, Sangone, Stura.
menisculus Schum. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 20).
Po, Vasche Orto Botanico.
meniscus Schum. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 19).
Po.
tuscula V. H. — (Fr. Meist., T. XXI, f. 28).
Po, Sangone, Stura.
oblonga Ktz. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 2).
Sangone, Stura, Salice.
sì » var. lanceolata Graun.—(Fr. Meist., T. XXI,
f. 24).
Sangone, Stura, Salice.
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482”
ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Navicula lanceolata Ktz. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 4). |
Po, Sangone, Vasche Orto Botanico.
gastrum Donk. — (Fr. Meist., T. XXII, £. 6).
Po.
piacennza Grun. — (Fr. Meist., T. XXII, £. 8).
Po, Sangone, Dora, Stura.
o s var. lanceolata Grun. — (Fr. Meist.,
PI XXI 9): x
Po, Sangone, Dora, Stura.
anglica Ralfs. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 12).
Po, Sangone.
dicephala W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXII, f. 15).
Po:
Pinnularia Ehr.
* Pinnularia nobilis Ehr. — (Fr. Meist., T. XXIII, f. 1).
Po, Sangone, Stagno in Val Salice.
gentilis Donk. — (Fr. Meist., T. XXIII, f. 2).
Po, Stagno in Val Salice.
viridis Ehr. — (V.H. Tr. Diat., PI. II f. 70).
Po, Dora, Stura, Stagno in Val Salice.
a s var. commutata (Grun.) CI. — (V. H
Tr eDiat= PLEASE):
Po, Stura, Stagno in Val Salice.
dactylus Ehr. — (Fr. Meist., T. XXIV, f. 4).
Po, Stura, Stagno in Val Salice.
major Rabh. — (V. H. Tr. Diat., PI. II, f. 69).
Po, Sangone, Stura, Stagno in Val
Salice.
— » Var. convergens Meist. — (Fr. Meist.,
TIVE LI)
Stura.
nodosa W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXVI, f<9)
Stagno in Val a
parva Greg. — (Fr. Meist., T. XXVI, f. 6).
Salice, Stura.
brevicostata Cl. — (A.S. Atl., T. XLII, f. 26, 27).
Stagno in Val Salice.
Reg e
DACIA pe
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 483
* Pinnularia alpina W.Sm. — (A. S. Atl.,, T. XLV, f. 1-4).
E
; lata (Bréb.) Rabh. — (Fr. Meist., T. XXVI, f. 11).
: Po.
: borealis Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 3).
i Po, Stagno in Val Salice.
È legumen Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 4).
Po, Stura.
: stauroptera Rabh. (Grun.). — (V. H. Tr. Diat., PI. II,
f. 85).
Po:
i divergens W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 7).
Po.
: Brébissonii Rabh. — (Fr. Meist., T. XXVII, f. 9).
Po, Stura, Salice, Vasche Orto Bo-
tanico.
3; È mesolepta W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 4).
Po.
ù x , var. stauroneiformis Cl. — (Fr. Meist.,
RENON 80/5).
Stura.
È tabellaria Ehr. — (V. _H. Tr. Diat., PI. II, f. 87).
Dora.
> È interrupta W. Sm. var. bdiceps CI. — (Fr. Meist.,
PBSXNAVEE 648).
Po, Dora, Stura.
5 i s var. stauroneiformis CI. — (Fr.
Meist., T. XXVIII, f. 9).
Po, Stura.
5 appendiculata Cl. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 12).
Po.
Gomphonema Ag.
Gomphonema constrictum Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 15).
Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo-
î tanico.
È capitatum Ehr. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f. 16).
Po, Dora, Sangone, Stura, Vasche Orto
Botanico. i
484 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Gomphonema angustatum Grun. — (Fr. Meist., T. XXVIII, f.19).
Sangone, Stura, Salice.
; 7 » Var. subaequale Grun.—(Fr. Meist.,
TEXXVITL£. 21);
Sangone, Stura, Salice.
s intricatum Ktz. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 1).
Stura, Salice.
È ; , var. dichotoma Grun. — (Dippel,
î, 219);
Stura, Salice.
È gracile Ehr. — (Dippel, f. 213).
Sangone, Stura, Salice.
3 È s var. dichotoma V.H.— (Dippel, f. 214).
Stura.
5 î acuminatum Ehr. — (Dippel, f. 201).
Dora, Stura, Vasche Orto Bo- |
tanico. i E
Da 7 ,s var. coronata Grun. — (Dippel, |
f. 202).
Dora, Stura.
2 s s var. trigonocephala Grun. —
(Dippel, f. 206).
Sassi, Stagno in Val Salice.
var. Brébissonii Grun. — (Dippel,
i £ 205). |
Salice. 4
È subclavatum Cl. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 9).
Sangone, Stura, Salice.
: augur Ehr. — (Fr. Meist., T. XXIX, £. 5).
Salice.
, parvulum Grun. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 11).
Sangone, Stura, Salice.
x olivaceum Ktz. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 14).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
Cymbella Ag.
Cymbella tumida V. H. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 18).
Po, Sangone, Stura, Vasche Orto Bo-
tanico.
di vi a
è
Cymbella
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 485
cistula Kirchn. — (Dippel, f. 242).
Po, Sangone, Stura.
gastroides Ktz. — (Fr. Meist., T. XXX, f. 3).
Po, Sangone, Stura, Stagno in Val Sa-
lice, Vasche Orto Botanico.
È » Var. truncata Rabh. — (Dippel, f. 238).
Po, Sangone, Stura, Salice.
helvetica Ktz. — (Fr. Meist., T. XXIX, f. 22).
Po, Sangone, Salice.
È » Var. curta C1.— (Fr. Meist., T.XXX, f.4).
Po, Sangone.
lanceolata Ehr. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 1).
Po, Dora.
maculata Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 3).
Po, Sangone, Salice.
cymbiformis Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 4).
Po, Sangone, Salice.
parva W.Sm. — (Er. Meist., T. XXXI, f. 7).
Po, Sangone.
affinis Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 8).
Po, Sangone, Stura.
delicatula Ktz. — (Dippel, f. 234).
Sangone.
naviculaeformis Auersw. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 12).
Po, Sangone, Stura.
amphicephala Naeg. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 14).
Po, Sangone, Stura.
cuspidata Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXI, f. 18).
Po, Sangone, Stura.
Ehrenbergii Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 1).
Po, Sangone.
A » Var. delecta Cl.—(Fr.Meist., T.XXXI,
i. 10):
Po, Sangone.
aequalis W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 7).
Po, Sangone.
pusilla Grun. — (Dippel, f. 232).
Po, Dora, Stura.
leptoceras Grun. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 10).
Sangone, Stura.
486
ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
# Cymbella prostrata CI. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 12).
* Amphora ovalis Ktz.
Po, Dora, Salice, Stura, Vasche Orto
Botanico.
turgida Greg. — (Fr. Meist., T. XXXII, f. 13).
Po, Stura, Vasche Orto Botanico.
ventricosa Ktz. — (Dippel, f. 246).
gracilis Cl.
” »
» ”
n »
» ©%,)
Po, Stura, Sangone, Vasche On Bo-
tanico.
s var. Auerswaldii Meist. — (Fr. Meist.,
TRADITE
Po, Sangone, Stura.
» var. ovata Cl. — (Fr. Meist,, T, XXXIII,
f. 3).
Po.
, var. lunula Meist. — (Fr. Meist,,
T. XXXIII, f. 4).
Po, Sangone, Stura.
— (Fr. Meist., T. XXXII, f. 5).
Po, Stura.
Amphora Ehr.
— (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 9).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
var. perlonga Meist. — (Fr. Meist.,
T. XXXIII, f. 8).
Po, Sangone, Stura.
var. gracilisV.H.— (Fr. Meist., T.XXXIII,
Kr):
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
var. libyca CI. — (Fr. Meist., T. XXXIII,
E all9;
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
var. pediculus V. H. — (Fr. Meist.,
Te XXXIH; È 12)
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
N eine a
È
È
|
;
È
:
si
È
4
;
(
3
E
,,
È
i 4
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC.
487
Amphora perpusilla Grun. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 13).
Po, Sangone, Stura, Salice, Vasche Orto
Botanico.
Epithemia Bréb.
Epithemia Hyndmannii W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXIV, f. 1).
”
Po, Dora, Stagno in Val Salice.
turgida Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f. 17).
Po, Dora, Vasoho Orto Botanico, Stagno
in Val Salice.
4 » Var. granulata Brun. — (Dippel, f. 256).
Po, Dora, Vasche Orto Botanico, Stagno
in Val Salice.
3 » Var. Westermannii Grun. — (Fr. Meist.,
T. XXXIII, f. 18).
Vasche Orto Botanico.
sorex Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXIII, f, 20).
Dora, Gollina di Torino.
argus Ktz. — (Fr. Meist., T. XXXIV, f. 3, 4).
Po, Collina di Torino, Sassi.
zebra Ktz. var. proboscidea Grun. — (Fr. Meist.,
ISO).
Vasche Orto Botanico.
Rhopalodia 0. M.
Rhopalodia gibba O. M. — (Fr. Meist., T. XXXV, f. 6).
»
Po.
ventricosa 0. M. — (Fr. Meist., T. XXXV, f, 8).
Ro.
Hantzschia Grun.
* Hanteschia amphioxys Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 2).
»
Po, Stura, Salice.
3 » var. pusilla Dippel. — (Fr. Meist.
P._XXXVI.fet)
Salice.
’
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 34
488 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
+ Hantzschia amphioxys Grun. var. major Grun. — (Fr. Meist.,
To RXXVI, £4);
Po, Stura, Salice (Dippel, f. 293).
Nitzschia Grun.
Niteschia angustata Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 7).
Po, Stura.
a Tm s var. constricta Meist. — (Fr. Meist.,
P.RXRXVE £9)
Po; Stura.
i dubia W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVII, f. 1).
Po.
3 sinuata Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 12).
Sangone.
A tabellaria Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVI, f. 13).
Sangone, Vasche Orto Botanico.
» È dissipata Grun. media Grun. — (Dippel, f. 315).
Dora.
È A sigmoidea W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVII, f. 6).
Po, Dora, Stura.
g lamprocampa Hantz. — (Fr. Meist., T. XXXVII, f. 7,8).
Po.
; linearis W. Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 4).
Po, Stura, Salice, Vasche Orto Botanico.
Z È s var. tenuis Grun. — (Fr. Meist,.,
PPAAXNII 4-5)
Po, Stura, Salice.
3 recta Hantzsch. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 6).
Po, Stura, Salice.
3 Heufleriana Grun. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 8).
Po, Stura.
x palea W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXXVIII, f. 9).
Po, Sangone, Salice, Vasche Orto Bo-
tanico.
z frustulum Grun. — (Dippel, f. 338).
Salice, Po.
» perpusilla Rabh. — (Dippel, f. 339).
Salice.
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 489
Cymatopleura W.Sm.
* Cymatopleura solea W.Sm. — (Fr. Meist., T. XXXIX, f. 2).
Po, Dora, Sangone, Stura, Salice,
Vasche Orto Botanico.
* ù f » Var. regula Grun. — (Fr. Meist,,
PRESSI 0)
Po, Dora, Sangone.
3 3 » Var. crassa Meist. — (Fr. Meist,,
PSSENXIE 1):
Po.
5 x y Var. gracilis Grun. — (Fr. Meist.,
RENDE E
Po, Sangone, Salice, Vasche Orto
Botanico.
; È », var. elongata Meist. — (Fr. Meist.,
TONI]
Po, Sangone.
sa S elliptica W.Sm. — (Fr. Meist., T. XL, f. 2).
Po, Sangone, Stura.
* * È s forma minor. — (Dippel, f. 349).
Po, Sangone, Stura.
È i s var. ovata Grun. — (Fr. Meist,,
DEN do
Po, Sangone.
Surirella Turpin.
_* Surirella biseriata Bréb. — (Dippel, f. 352).
Po, Dora.
aj 5 5 » var. media Dippel. — (Dippel, f. 353).
Po, Dora.
+ x linearis W. Sm. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 3).
Po;
Dr; Capronii Bréb. — (Fr. Meist., T. XLV, f. 2).
, eda
À À robusta Ehr. — (Dippel, f. 357).
Po.
490
ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA
Surirella robusta Ehr. forma minor — (Dippel, f. 358).
Po.
* x», splendida Ktz. — (Fr. Meist., T. XLIV, f. 3).
Po.
, elegans Ehr. — (Dippel, f. 362).
Po.
a gracilis Grun. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 7).
Po.
È angusta Ktz. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 8).
Po, Vasche Orto Botanico.
= i ovalis Bréb. — (Dippel, f. 364).
Po.
; 3 s var. ovata V. H. — (Dippel, f. 366).
Po, Vasche Orto Botanico.
3 5 » forma subovata. — (Dippel, f. 365).
Salice.
È i » var. minuta V. H. — (Dippel, f. 368).
Stura, Salice, Vasche Orto Botanico.
"RR spiralis Ktz. — (Fr. Meist., T. XLI, f. 2),
Po, Stura.
Campylodiscus Ehr.
* Campylodiscus noricus Ehr. var. costatus Grun. — (Fr. Meist.,
TRENI SES)
Po, Stura.
; » Var. hibernicus Grun. — (Fr. Meist.,
T. XLVII, f. 2).
Po, Dora, Stura.
Pr PIT
ER AO RIA 2) POIROT LR © LI et a
PRIMO ELENCO DELLE DIATOMEE FLUVIALI, ECC. 491
PRINCIPAEI OPERE CONSULTATE
PacLiani L., Trattato di Igiene e di Sanità pubblica. — Vol. I. Dei Terreni
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MurieL BrisroL B., On the Alga-Flora of some desiccated English Soil an
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Ip. und Orro R., Untersuchungen iiber S:ickstoff-Assimilation in der Pflanze.
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492 ORESTE MATTIROLO E PIERO GIAJ-LEVRA — PRIMO ELENCO, ECC.
Pubblicazioni che si riferiscono alla Flora Diatomologica del Piemonte
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Muffe delle Terme di Valdieri. Notarisia III, 1888, N. 9, pp. 384-386.
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Ip. Contribuzioni diatomologiche. - XIII. Le Diatomee fossili di Marmorito.
Ip. Alghe. Lo stato attuale delle conoscenze sulla vegetazione dell’Italia e
proposte, ecc. “ Atti della Società italiana per il Progresso delle
Scienze ,, ottobre 1908, p. 71.
Monti Rina, Physiologische Beobachtungen an den Alpenseen zwischen dem
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Ip. Le condizioni fisico-biologiche dei Laghi Ossolani e Valdostani in rap-
porto alla piscicultura. — R. Istituto Lombardo. - Memoria letta il
26 marzo 1903. \
Ip. Recherches sur quelques Lacs du Massif du Ruitor. “ Annales de Bio-
logie lacustre ,, Tom. I, 1906, Bruxelles.
Ip. I protisti delle Risaie. “ Rendic. del R. Istituto Lombardo ,, 1899.
Papovani, 17 “ Plancton ,, del fiume Po. — Contributo allo studio del “ Plancton ,,
fluviale. “ Zoologisch. Anzeig. ,, Vol. XXX, VII, N. 5, febbr. 1911.
Parona Corrano, Prime ricerche intorno ai protisti del Lago d'Orta, con cenni
della loro corologia italiana. “ Bullett. Scientif. ,, Anno II, Pavia, 1880.
A. POCHETTINO E G. FULCHERIS — SU LE PROPRIETÀ, Ecc. 493
Su le proprietà elettriche e termiche dello Jodio
Nota I del Socio nazion. resid. A. POCHETTINO
e di G. FULCHERIS
Esiste una grande incertezza sui valori da attribuire alla
conducibilità elettrica delio Jodio puro sia allo stato solido
che allo stato liquido, e sul genere stesso di questa conducibi-
lità: e cioè se essa sia metallica, elettrolitica o del tipo cosidetto
variabile, ossia quello che, pur crescendo con la temperatura,
non è accompagnato dal verificarsi di f. e. m. di polarizzazione
al contatto con gli elettrodi.
Se si lasciano da parte le ricerche di Gay-Lussac e di
Solly (1) che considerano lo Jodio come un isolante, quelle di
Inglis e di Knox (?) che invece concludono essere lo Jodio, per
quanto in minima misura, conduttore, e infine le ricerche di
Beetz (3), il quale crede di poter affermare che le traccie di
conducibilità, osservate dall’Inglis e da lui stesso, sono dovute
alle impurità contenute nello Jodio esaminato, il primo ad as-
segnare un valore determinato della conducibilità dello Jodio
puro è Exner (4). Questi, usando elettrodi di Platino, trova che
alla temperatura di 17° lo Jodio presenta una resistività di
1,7.107 Ohm ®/em:, che questa resistività diminuisce enorme-
mente quando lo Jodio passa allo stato liquido, e che, in questo
stato, detta resistività diminuisce al crescere della temperatura,
scendendo da 8,1.103, alla temperatura di 110° ad un valore
(1) “ Pogg. Ann. ,, 37, pag. 420, 1836.
(*) “ Phil. Mag. ,, 9, pag. 450.
(*) “ Pogg. Ann.,, 92, pag. 456, 1854.
(4) “ Wien. Ber.,, 84, pag. 511, 1881.
494 A. POCHETTINO E G. FULCHERIS
di 4,6.103 Ohm ©/em: alla temperatura di 166°; l’Exner non si
pronuncia su la natura della conducibilità osservata. i
In un lavoro alquanto posteriore il Walden (*), studiando
la conducibilità delle soluzioni di Jodio nel Cloruro di Solforile,
giunge alla conclusione che lo Jodio, in quelle soluzioni, si com-
porta come un elettrolita dissociato secondo lo schema:
Me 0 PILA
Poco appresso G. N. Lewis e P. Wheeler (?) constatano che le
soluzioni di Joduro di Potassio nello Jodio fuso conducono la
corrente così bene come le corrispondenti soluzioni acquose e,
di conseguenza, attribuiscono allo Jodio un forte potere disso-
ciante. Trovano inoltre, usando recipienti di quarzo fuso ed
elettrodi di Platino iridiato, che lo Jodio puro allo stato solido
ha una conduttività di 3.1075 circa (cioè una resistività di
3.10*4 Ohm ®2/ome, valore quindi molto lontano da quello trovato
da Exner); non si pronunciano sul tipo di questa conduttività,
ma notano che questa diminuisce col permanere dello Jodio nel
recipiente di quarzo a contatto con gli elettrodi di platino iri-
diato, senza riuscire a decidere se questo fenomeno sia dovuto
ad un cambiamento molecolare dello Jodio, alla scomparsa gra-
duale di vapor d’acqua o di altre impurità incorporate nella su-
blimazione, od infine all’assorbimento di impurità dal recipiente.
Il lavoro più recente sull'argomento è quello di von Hass-
linger (3), il quale studia il comportamento dello Jodio, fuso
in recipienti di quarzo fra elettrodi di carbone, e poi lasciato
solidificare. Egli trova che a 20° lo Jodio presenta traccie di
conducibilità, che la sua resistività si mantiene costante tra i
40° e i 110°, intorno ad un valore di 3.106 Ohm ©®/em?; questa
resistività diminuisce bruscamente quando lo Jodio passa allo
stato liquido: a 120° assume un valore di 2,7.10% Ohm ©2/em?,
che diminuisce poi lentamente con il crescere ulteriore della
temperatura. Von Hasslinger constata inoltre che il passaggio
della corrente (anche con un'intensità di qualche milliampère)
(4) “ Zeit. f. Phys. Chemie ,, 43, pag. 415, 1903.
(£) £ Zeit. f. Phys. Chemie ,, 56, pag. 179, 1906.
(*) “ Wien. Ber. ,, 115, pag. 1532, 1906.
MOTORE. >
ea Ca
»
atei
tc Me
SU LE PROPRIETÀ ELETTRICHE E TERMICHE DELLO JODIO 495
attraverso lo Jodio allo stato liquido non dà luogo a traccie
di f. e. m. secondarie; nello Jodio allo stato solido invece, alla
interruzione della corrente primaria, si ha una corrente secon-
daria nettissima che il von Hasslinger ritiene di natura termo-
elettrica provocata dall’effetto Peltier ai contatti carbone-jodio.
Noteremo infine che le soluzioni di Jodio in diversi solventi
organici presentano (!) una notevole conducibilità elettrica, spe-
cialmente le soluzioni in Nitrobenzolo (?) che hanno una con-
ducibilità dell'ordine di quella delle soluzioni elettroliche più
conduttrici.
i Fra i valori assegnati alla resistività dello Jodio da Exner,
da Lewis e Wheeler, e da von Hasslinger si notano delle diffe-
renze così forti che non possono attribuirsi che o ad un diffe-
rente grado di purezza dello Jodio usato o a qualche notevole
causa d'errore inerente ai procedimenti seguìti. Questa potrebbe
esser dovuta in primo luogo al fatto che nei dispositivi usati
dagli sperimentatori su ricordati lo Jodio viene a trovarsi per
lungo tempo entro recipienti di vetro o di quarzo nei quali è
stato*fuso e non appare sia stata presa alcuna precauzione per
preservarlo dal contatto con l’umidità dell’aria ; in secondo luogo
al fatto che gli elettrodi si introducono quando lo Jodio si trova
allo stato di fusione, e poichè esso si contrae sensibilmente soli-
dificandosi, il contatto con gli elettrodi non può essere garantito
in modo costantemente riproducibile.
Per poter quindi stabilire qualcosa di sicuro riguardo al
comportamento elettrico dello Jodio, dopo ripetuti tentativi
intesi ad ottenere contatti sicuri e riproducibili, abbiamo seguìto
il metodo di Streintz delle polveri compresse. Lo Jodio puris-
simo, tetrasublimato, gentilmente favoritoci dal Prof. Ponzio,
direttore dell’Istituto Chimico della R. Università di Torino,
veniva compresso, mediante una grossa pressa a bilanciere,
entro forme cilindriche di acciaio rivestite internamente di mica.
I cilindretti di Jodio compresso apparivano compattissimi, di
aspetto metallico; la loro densità, calcolata dal loro peso e dalle
loro dimensioni geometriche, risultò essere ‘in media 4,7, in
buon accordo dunque con il valore 4,66 riportato nel Recueil
(4) “Journ. of Phys Chem.,, 9, pag. 641.
(*) “ Proc. Chem. Soc. ,, 18, pag. 69; “ Journ. Chem. Soc. ,, 87, pag. 524.
a 0 IN RA e ‘TOR
tI) DI Ù 6 "na
496 A. POCHETTINO E G. FULCHERIS
de Constantes Physiques per il 1913 della Società Francese di
Fisica. Ogni cilindretto veniva accuratamente e uniformemente
limato su tutta la sua superficie esterna con una lastrina di
vetro foggiata a coltello onde eliminare lo strato superficiale
eventualmente inquinato per il contatto con la mica. Tutti i
cilindretti venivano poi conservati in un essicatore ad acido
solforico e, durante la loro preparazione, si usavano tutte le
possibili precauzioni per impedire contatti anche di breve durata
con sostanze che con lo Jodio potessero dare una qualche reazione.
I risultati di diverse esperienze istituite per scegliere il
materiale più conveniente con cui formare gli elettrodi ci indus-
sero a preferire la grafite semidura come quella con cui si fanno
le spazzole per le dinamo. La resistenza a Jodio era dunque
formata così: il cilindretto di Jodio descritto era compreso fra
due cilindri di grafite di ugual diametro, portanti i morsetti di
attacco; il contatto fra il cilindro centrale e i due laterali veniva
stabilito e mantenuto costante per mezzo di un morsetto a vite,
dal quale il sistema era isolato elettricamente mediante due la-
strine di vetro dello spessore di alcuni mm. Si potè constatare
che, qualunque fosse la durata e l’intensità della corrente attra-
versante il preparato, nessuna alterazione presentavano le su-
perfici di contatto dello Jodio e della grafite. Per tutta la durata
delle misure la resistenza a Jodio veniva sottratta all’azione del
vapor acqueo dell'atmosfera tenendola in un essicatore ad acido
solforico.
Il circuito adottato per le misure è rappresentato dal se-
guente schema:
qpplpe]r------ SER el |ojepobl
17,40|v,=11°099|s =, 0,476|i= 0,41 ampère
si ottenne, essendo:
.H= 0,239 X 27,15 X O,41° x 1” = 1,09 piccole calorie
h= 0,0009954, da cui si ricava:
K=0,000893 per la grafite.
502 A. POCHETTINO E G. FULCHERIS — SU LE PROPRIETA, ECC.
Se si racchiude il disco di Jodio da studiare fra due dischi
di grafite identici (per evitare il contatto fra Jodio ed ottone)
a quello di cui si è determinata la conducibilità termica con la .
misura precedente, la conducibilità termica dello Jodio K sarà
data dalla formola:
q'
K' Peo
d'' 2d
ot
dove K è la conducibilità termica della grafite, d' lo spessore
del disco di Jodio, d'" = d' + 2d lo spessore di tutto l’insieme
dei tre dischi, K" la conducibilità termica di questo insieme.
I risultati delle diverse esperienze compiute su un disco di
. Jodio del diametro medio di cm. 3,00 e dello spessore di
cm. 0,27 sono i seguenti:
1) Temperatura ambiente: 159,5; v =10°,29; v = 79,56;
v, = 69,95; 1 = 0,15 amp.; H= 0,1467pice. cal; %.=="0,0008908
IK 9001070.
K'=0,001163 (in corrispond. ad una temper. media di 249,4).
2) Temperatura ambiente: 159,5; v, = 16,56; v0 =119,5;
vs =10°,03; i=0,2 amp.; H=0,2587 picc. cal.; 4=0,0004424;
KR =..0-001005,
K'=0,001055 (in corrispond. ad una temper. media di 290, ,58).
3) Temperatura ambiente: 159,3; v1==239,96; v»=150,88;
vs =13°,8; 1=0,25 amp.; H=0,4055 picc. cal.; 4 = 0,0004931;
K" = 0,0009723.
K'=0,001006 (in corrispond. ad una temper. media di 359,42).
4) Temperatura ambiente: 159,2; v1= 339,49; ve= 219,83;
vs =200,09; #:=0,3 amp.; H==0,6115 picc.-cal.;. A = 000052578
K'=0 ‘0009948.
K'=0,001038 (in corrispond. ad una temper. media di 429,86).
Riassumendo i valori della conducibilità termica dello Jodio
puro, allo stato solido, oscillano fra 0,001006 e 0,001163 con
un valor medio di 0,001065, sensibilmente costante nell’inter-
vallo di temperatura 24°,4-42°,86.
L’ Accademico Segretario
.Oreste MATTIROLO
e,
x
ROOT. POETI ET SI ORI III RI
7
503
CLASSE
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 10 Giugno 1923
PRESIDENZA DEL COMM. PROF. GAETANO DE SANCTIS
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci ErnAaupI, BAuDI DI VESME, CIAN,
VaLmagei, Luzio, JANNAccoNE, ViparI Segretario della Classe.
Scusano l’assenza i Soci RurrinIi Presidente dell’Accademia,
Parona Vicepresidente, StAMPINI, PATETTA, PRATO.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
20 maggio u. s.
Il Presidente De Sanctis dà la parola al Socio CraNn, perchè
legga la commemorazione del compianto Socio Carlo SALVIONI.
Sono presenti parecchi invitati.
Il Socio Cran dà lettura del suo discorso commemorativo,
che è seguìto con viva attenzione dai colleghi e dal pubblico,
ed è in fine coronato da unanimi calorosi applausi.
Il] Presidente ringrazia il Socio Cran della commemorazione
dotta e commovente, che ha messo bene in luce la nobile figura
di Carlo SaLvioni nella sua intensa e feconda attività scientifica,
nelle sue ardenti aspirazioni patriottiche, nel suo austero e forte
eroismo paterno. Ringrazia pure dell’omaggio fatto, per mezzo
del Socio Cran, dalla vedova all'Accademia del volume che rac-
coglie in II ediz. le Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico
Salvioni, pio documento di così puro sacrificio compiuto per la
Patria.
Att della Reale Accademia — Vol. LVIII. 35
504
Il Socio ViparI propone di inviare alla vedova di Carlo
SaLvioni il seguente telegramma: “ Commemorandosi oratore.
“ CrAN compianto Socio SaLvioni, Accademia rinnova vivissime
“ condoglianze, ringraziando del pio volume ,. Si approva.
La commemorazione fatta dal Socio Cran sarà pubblicata
negli Atti.
Si sospende la seduta per pochi minuti; e, riapertala, si
passa alla presentazione di Note.
Il Socio Cian presenta una Nota dantesca di Virgilio Paolo
“K
Ponti di commento delle parole “ al passo , contenute nel
verso 80° del IX Canto dell'Inferno.
Il Socio VipaRrI presenta a nome e sotto la responsabilità
del Socio SramPeINI un articolo del prof. Mario VALLAURI, Il brano
della Sàrngadharasamhità sulla anatomia (*). L'articolo si compone
di una breve introduzione e — premessovi il testo — ‘della
versione italiana (la prima in lingue europee) di un brano che
espone il sistema anatomico indiano. Tale brano fa parte del
Compendio di “ Sarngadhara ,, autore medico del XII-XIII se-
colo d. Cr. Nella Nota l’autore ha cercato di precisare il signi-
ficato di diversi vocaboli teenici e di chiarire, mediante il
riscontro con molti luoghi affini che ricorrono in altri testi,
talune concezioni dell'anatomia e fisiologia indiane.
La Nota sarà pubblicata negli Atti. i
Il Presidente De SAncTIS presenta i nuovi Statuti della
Union Académique Internationale, e ne propone l’inserzione negli
Atti. La proposta è accolta. Presenta pure il rendiconto finan-
ziario dell’esercizio dell’Unione medesima chiusosi il 81 marzo
1923. La Classe ne prende atto.
(*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo.
Sa e le Ae
d
VITTORIO CIAN — COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 505
LETTURE
CARLO SALVIONI
Commemorazione fatta dal Socio naz. resid. VITTORIO CIAN
CHIARISSIMI COLLEGHI !
Allorquando, la notte dal 20 al 21 ottobre 1920, dopo una
rapida malattia che lo colpì ancora valido di corpo e di spirito,
+ sì spense in Milano Carlo Salvioni, poco più che sessantenne —
era nato il 3 marzo del 1858 in Bellinzona —, fu un lutto do-
loroso per la famiglia tutta degli studiosi. Non però di questa
soltanto; chè quel lutto ebbe nel cuore di molti altri in Italia
una risonanza insolitamente diffusa e profonda e perciò non
passeggera. Ora, certo non a me, troppo lontano da quel campo
di studi nel quale il nostro Socio defunto impresse un’orma
incancellabile, spettava l'onorevole officio di commemorarlo in-
nanzi a questo Consesso. Sennonchè a compiere il pietoso e
arduo dovere mi sono piegato anche in omaggio all'amicizia che
saldamente mi legò a Lui sino dai più giovani anni; confortato
inoltre dal pensiero che nella mia inadeguata competenza spe-
cifica in materia di glottologia, dove il mio giudizio esitasse,
potevano soccorrere — e sono soccorsi — provvidamente
«quelli degli autorevoli scienziati che mi avevano preceduto in
quest'opera di commemoratori, e d’altri da me non invano con-
sultati (1).
(1) Ricordo qui J. Jun nella Romania dell’ott. 1920, t. XLVI, n° 184,
pp. 618-21; B. Terracini nella Rivista di filol. e di istruz. classica, a. L,
fasc. 1°, gennaio 1922, pp. 189 sg., e, più ampiamente e con ricchezza d’in-
dicazioni bibliografiche, nell’ArcA. glottolog. ital., vol. XVIII, fasc. 3, pp. 15
dell’estr.; E. G. ParopI, C. Salvioni, Discorso commemorativo tenuto nella
506 VITTORIO CIAN
Comunque, di rendere tanto più doveroso il rievocare qui
la memoria dell’insigne Socio perduto — che era stato eletto
Corrispondente il 31 maggio 1908 e Nazionale non residente il
23 giugno 1918 — alle molte ragioni più ovvie quest'altra si
aggiunge, ch’Egli nella Sua promettente vigilia scientifica e di-_
dattica, in ‘qualità di libero docente, fece le Sue prime armi
nell’arringo universitario presso la Facoltà torinese di Lettere.
‘In questa, infatti, Egli tenne, durante gli anni scolastici 1885-.
1889, quattro corsi, notevoli per ampiezza e densità di materia
e per rigore di metodo, nei quali alternò opportunamente l’espo-
sizione storica generale sulle vicende delle lingue classiche e
neolatine, con trattazioni monografiche nei diversi territorî ro-
manzi, quali Ja lingua d’o?/ e quella d’oc e diversi gruppi di
dialetti, come il Catalano e il Valdese, e con letture e commenti
illustrativi di testi (1).
solenne adunanza annuale dell’Accademia il 12 febbr. 1922 all'Accademia
della Crusca, Firenze, tip. S. Davite, 1922 (estr. dagli Atti della R. Accad.
d. Crusca, anno accademico 1920-21). Dalla luminosa vibrante commemo-
razione del Parodi, anch'Esso scomparso in questi giorni, anch’Esso tanto
degno di essere pianto e commemorato, tolgo la dedica commovente:
Alla Signora | Enrichetta Salvioni nata Taveggia | vedova di Carlo Sal-
vioni | Madre dei due giovani eroi caduti | Ferruccio Enrico | Sposa e madre
italiana | Nell'’amore nel dolore nel sacrificio | Degna di Lui e di Loro ,.
Questa Commemorazione era stata preceduta da un nobile articolo com-
memorativo che il Parodi diede a L’Adula, che lo pubblicò nel n° 46 del-
l’anno IX (Bellinzona, 13 nov. 1920), numero tutto dedicato alla memoria
del Salvioni. Nella chiusa dell’articolo, il povero Parodi commentava con
queste amare e giuste parole la recente lista dei nuovi senatori: “ Natu-
“ ralmente a nessuno dei Ministri, fosse pur quello della Pubblica Istru-
“ zione, poteva venir in mente [nel novembre del 1920!) il nome di Carlo
“ Salvioni, che credeva nella Patria, che le ha dato un altissimo esempio
“e due figli, e che le ha lasciato perfino un eccellente libro di lettura per
“le sue Scuole..., le lettere scritte dal campo dai suoi due figli, poco prima
“ di morire ,. :
Qui mi è gradito esprimere la mia riconoscenza all’ottimo collega
Matteo Bartoli, che mi fu efficace consigliere in questa mia insolita e pe-
ricolosa fatica.
(1) Dai Registri delle Lezioni del Salvioni, conservati nell'Archivio della
Università torinese, desumo che nell’anno scolastico 1885-86 Egli tenne 75
fra lezioni e conferenze con letture e illustrazioni di testi sulla Grammatica
della lingua d’oîl e che la prolusione volse “ sulle condizioni attuali degli
studî di glottologia neolatina ,. Il corso del 1886-87, denso e vario, con-
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 507
Nello scegliere questa nostra Torino come prima tappa del
Suo magistero e del Suo perfezionamento scientifico il giovane
ticinese aveva obbedito al forte, irresistibile richiamo che gli
veniva dalla fama e dalla benevolenza d’un altro nostro indi-
menticabile Socio, di Colui che Graziadio Ascoli, commemoran-
dolo, disse con la sua efficace sobrietà “il modesto e geniale
‘ Flechia ,, e del quale fino dal 1872 aveva scritto essere egli, “a
tacere di altre sue preminenze, il vero e acclamato antesignano
di quanti siamo a studiare i dialetti d’Italia , (1). E fu davvero
una stagione felice per la Facoltà torinese di Lettere quella,
in cui si potè vedere accanto all’austera veneranda figura del
veterano degli studi glottologici, del grande sancritista, dell’im-
pareggiabile maestro della dialettologia italiana, quella del
biondo e roseo bellinzonese, impeccabile d’eleganza esteriore,
vivace, espansivo, vibrante di giovinezza, di forza, d’entusiasmo,
un giovine che era ormai assai più che una promessa sicura.
Possiamo dunque dire che Carlo Salvioni appartiene anche
alla storia del nostro glorioso Ateneo. Ma un altro titolo di
particolare benemerenza Egli si acquistò ben presto verso la
nostra regione subalpina con alcune indagini e illustrazioni che,
a tanta distanza di tempo, serbano intatto il loro pregio di
originalità e di precisione storica e scientifica. Alludo sovrattutto
al saggio sugli Antichi testi dialettali Chieresi e alla Lamenta-
zione metrica sulla Passione di N. S. in dialetto pedemontano,
che sono entrambi del 1886, appartengono, cioè, a quegli anni
del Suo fecondo noviziato torinese (2).
cerneva il provenzale, il catalano e il valdese, ma non fu soltanto mono-
grafico, dacchè non poche lezioni avevano un carattere generale, trattando
degli Indo-europei, dei momenti psichici e momenti fisici nella evoluzione
delle lingue, delle teorie riguardanti le parentele dei popoli Indo-europei, ecc.;
altre lezioni consistevano in lettura e commento di testi. Nel corso del 1887-88
noto una serie di lezioni sul vocalismo e sul consonantismo nel provenzale
e interpretazione di testi in lingua d'oc e di antichi testi dialettali italiani.
In quello del 1888-89, dopo sette lezioni di “ introduzione allo studio del
provenzale ,, il Salvioni ritornava alla lingua d’oc, alla interpretazione di
testi provenzali e italiani dialettali.
(1) Nel Proemio al vol. 7 dell’Arch. glottol. ital., 1872 [1873], p. xLt.
(2) Gli Antichi testi dialett. chieresi videro la luce nella Miscellanea di
filol. e linguist., Caix-Canello, Firenze, 1886, pp. 347-55; la Lamentazione
metrica sulla Passione di N. S. in antico dialetto pedemontano uscì in opu-
508 VITTORIO CIAN
Anni lontani ormai, ma il cui ricordo, punto illanguidito,
rivive ora pieno di malinconia nella mia anima e vi fa sentire
quella che Dante diceva “la puntura della rimembranza ,. Chè
l'immagine di Carlo Salvioni sta nella mia memoria tenacemente
associata al ricordo di quella età, in cui il compianto amico, in
tutto il vigore della Sua giovinezza sana e gioconda, rivelava
già tutti quelli che rimasero i tratti caratteristici e più salienti
della Sua vita di studioso. Li rivelava anche in certe abitudini
pratiche che serbò fino agli ultimi giorni della Sua esistenza
austeramente operosa. Questa, fra le altre, di destarsi innanzi
all'alba, qualunque fosse la stagione, e consacrare a mente fresca,
le prime ore del giorno al più intenso e produttivo lavoro; onde
soleva dire sorridendo — ma quanto seriamente! — che s'era
guadagnata la Sua giornata quando i più iniziavano la loro.
Così ben si capisce come dovesse guadagnarsela davvero
la Sua grande giornata questo italiano del Canton Ticino, che,
reduce dalla Germania, dove, a Lipsia, aveva preso conoscenza
diretta di quel nuovo avviamento di studî linguistici senza farsi
propriamente discepolo di alcun maestro, anche se questo prendesse
il nome del Brugmann, s'era affermato in prima fila conla Sua
tesi di laurea sulla Fonetica del dialetto moderno della città di
Milano, che, ripresa e rielaborata, diventò il noto volume stam-
pato nel 1883 e pubblicato l’anno seguente in Milano (1). Vero
è che Egli, commemorando nel gennaio del 1910 al Reale Isti-
tuto Lombardo l’Ascoli, proclamava lui, il grande figlio dell’ita-
liana Gorizia, Suo maestro “ nella più ampia, più profonda, più
piena accezione della parola , e ricordava di averne udite “ al-
cune lezioni nel 1884, (2).
scolo, edito a Torino, tip. V. Bona [1866], nel 25° Anniversario cattedratico
di G. J. Ascoli. Si direbbe che questi lavori preludessero al Nuovo Testa-
mento valdese secondo la lezione del cod. di Zurigo, nell’Arch. glottol. ital.,
XI, 308-70.
(1) Tip. Bernardini di C. Rebeschini e C. Così, senza data, nel verso
del frontespizio. Su questo e sulla copertina si legge: © In vendita presso
Erm. Loescher, Torino, 1884 ,. Nella Sua auto-bibliografia, che sarà citata
più innanzi, il S. aggiunse, fra parentesi, alla data 1884 un 1883, volendo
evidentemente indicare l’anno preciso della stampa milanese.
(2) Commemorazione di G. J. Ascoli, Milano, tip. Rebeschini di Turati,
1910 (estr. dai Rendiconti del R. Istituto Lombardo, s. II, vol. XLIII, fase. I-II),
pp. 3 e 30, n. 1.
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 509
Aveva incominciato con l’imporre a sè stesso una rigida
disciplina di lavoratore, che, sussidiata da una volontà ferrea,
da un’inesauribile energia, da un ingegno vigoroso, penetrante,
realistico, rifuggente dalle astrazioni e dalle generalizzazioni,
se non in quanto queste sono parte vitale della scienza, alimen-
tata da una cultura che s’arricchiva rapidamente, non poteva
non portarlo molto lontano per quella via maestra che Egli si
era già segnata e che doveva percorrere con passo sicuro ad
una mèta assai alta.
Sino da quel primo periodo della Sua attività era già decisa
la Sua sorte di vittorioso esploratore nei campi della dialetto-
logia italiana, che i fenomeni del linguaggio rintracciava sui
testi antichi con tutti i più severi procedimenti della scienza e li
seguiva e perseguiva attraverso i secoli, movendo dalle forme ancor
vive sulla bocca dei parlanti. Ciò facendo applicava felicemente
quella che Egli, nella citata Commemorazione dell'Ascoli, rico-
nobbe come una delle “ novità metodiche , lanciate dal grande
glottologo, nelle sue famose Lezioni del 1870, cioè “la invoca-
zione delle lingue e dei dialetti vivi a rincalzo e a spiegazione
delle lingue morte , (1). Glottologia, dunque, stretta in intimo
accordo con la filologia, con la storia e con la bibliografia.
Non dobbiamo pertanto stupirci se il Salvioni nel 1889
riuscì vincitore nel concorso per la cattedra di Pavia, che tenne
dal 1890 sino al 1902, e se in questo anno passò a Milano, a
occuparvi degnamente la cattedra alla quale era legato il nome
glorioso di Graziadio Ascoli. A questo proposito nulla mi sembra
più interessante e opportuno all'oggetto nostro che il rileggere
oggi, a tanta distanza di tempi, la Relazione di quella Commis-
sione giudicatrice, che, presieduta appunto dall’Ascoli, aveva
segnalato le qualità eminenti del giovine glottologo bellinzonese
fra gli aspiranti alla cattedra di Pavia. Da questa pagina esce
ritratta con mano sicura la fisionomia del Salvioni in quella
prima fase della Sua vita scientifica: “ Un’assai ricca messe di
“ titoli, e tanto più notevole, avuto riguardo alla giovane età
“ del concorrente, è presentata dal dott. C. Salvioni; il quale
“ ha rivolto particolarmente la sua attività di studioso alla dia-
(1) Commemorazione cit., p. 14.
510 VITTORIO CIAN
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lettologia italiana, non sì però che non si estendesse in tutta
la romanità. Ciò egli ha fatto così da storico, come da filologo
comparatore, pubblicando testi inediti ed illustrandoli con os-
servazioni e commenti. Il progresso incessante dei suoi studî
si scorge in questo, che nelle Sue pubblicazioni prende via via
maggior campo e procede sempre più largo e sicuro il criterio
comparativo , (1).
E il “ progresso , di quel giovine glottologo fm veramente
“ incessante , e si venne affermando per una sempre più piena
padronanza degli strumenti tutti dell’indagine linguistica. D’al-
lora in poi la sua attività scientifica fu un continuo susseguirsi,
un moltiplicarsi di lavori, mirabili per varietà ed estensione,
ma sovrattutto per solidità di resultamenti concreti. È una pro-
duzione sterminata di saggi, articoli, opuscoli, contributi diver-
sissimi, nei quali l’autore con una predilezione evidente e,
aggiungerei, con una soddisfazione profonda, esercitava gli ac-
corgimenti più squisiti della filologia sul testi volgari dell'età
di mezzo, rivelando una sicurezza e una penetrazione invidiabili.
Ma l’indagatore e l’illustratore dei dialetti nostri settentrionali
non tardò ad allargare, senza titubanze, ma senza iattanze, il
campo delle proprie indagini e dei proprî studî alle altre par-
late della penisola e delle isole. In questo cammino ascendente del
dialettologo, fattosi veramente maestro, si accompagnava spesso
l’etimologista esperto, il quale alla passione operosa univa un
intuito felicissimo, onde nella maggior parte dei casi le Sue
etimologie sono vere e proprie conquiste assicurate definitiva-
mente alla scienza. Sarebbe tuttavia un errore l’attribuire i co-
piosi e solidi resultati da Lui conseguiti in questo campo, sol-
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(1) Questa Relazione del concorso alla cattedra di Storia comparata delle
lingue classiche e neolatine nella R. Università di Pavia, in data del 18 ot-
tobre 1889, si può leggere stampata nel Bollettino ufficiale della Istruzione,
a. XVII, pp. 245-8. La Commissione giudicatrice era composta di G. Ascoli,
presidente, del Kerbaker, relatore, e del Rajna, del Pullé segretario e del
Monaci. Fra i titoli registrati e giudicati dalla Commissione un posto emi-
nente è assegnato alle Antiche scritture lombarde, pubblicate e annotate
nell’Arch. glottol. ital., IX. Rilevo ancora questo giudizio: “ Nel Salvioni la
“ conoscenza della linguistica classica è attestata indirettamente dal grado
“ di libero docente di Storia comparata delle lingue classiche, ottenuto per
“ via di esame nella Università di Torino e dal corso che ne ha professato ,.
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI SANE
tanto a quella passione e alla virtù quasi magica d’un Suo
intuito personale. Infatti quale grado di consapevolezza critica
Egli avesse raggiunto a questo riguardo e da quali criterî fosse
guidato e illuminato in quest'ordine d’indagini, appare chiara-
mente dal discorso ch'egli tenne il 4 novembre 1905 all’Acca-
.demia scientifico-letteraria di Milano per l'inaugurazione del-
l’anno scolastico, discorso che intitolò modestamente Di qualche
criterio dell'indagine etimologica (1).
Di queste pagine, ricche d’una bene equilibrata sapienza,
anche ai profani resa accessibile da un lucido buonsenso italico,
pacato e sereno, che a quando a quando s’insapora e colora
d’uno spirito che direi ambrosiano, di queste pagine nelle quali
‘gli accenni, sobrî ma risoluti, alle leggi regolatrici dell’etimo
si alternano con discrete e calzanti esemplificazioni, amo citarne
una soltanto, l’ultima. In questa, il Salvioni, concludendo la Sua
trattazione, rivolto agli uditori, sovrattutto ai giovani, futuri
insegnanti e studiosi, raccomandava loro la prudenza in fatto
di etimologia, quella prudenza, diceva, “ che nel ragionamento
scientifico si chiama appunto spirito critico ,. Ma quasi a corro-
borare quel consiglio finale, gli rifioriva nella mente il ricordo
del Suo, del nostro indimenticabile Flechia, così: “ Vi raccoman-
“ derei di avere presenti, allora e sempre, le parole che soleva
“ rivolgere ai suoi scolari un uomo che fu grande etimologo e
“ insieme valoroso poeta, e il cui venerato nome mi è grato di
evocare in questa solenne occasione. Diceva dunque Giovanni
Flechia — e, aggiungo io, lo diceva in lezioni nelle quali
l'etimologia trionfava — che si sarebbe ritenuto abbastanza
compensato de’ suoi sforzi di docente, se alla fine del corso i
suoi scolari avessero imparato non a fare delle etimologie... ma
a non farne ,.
Vero è che tanto il grande Flechia quanto il suo giovine e
degno continuatore dimostrarono col fatto a quali condizioni, con
quali rigorosi avvedimenti di scienza e di critica sia possibile fare
delle etimologie che non sieno vane esercitazioni cervellotiche
“
»‘
(1) [Milano, 1905]. È estr., s. n. st., dall’Annuario della R. Accad. scient.
lett. di Milano, per l’anno scolast. 1905-6. Il TerracINI, estr. cit. dell’Arch.
glott. ital.; p. 12, n., su comunicazione di M. Bartoli, informa che di questo
suo discorso il S., più tardi, non si mostrò interamente soddisfatto.
512 VITTORIO CIAN
e fantastiche ad uso dei dilettanti perdigiorni. Al Salvioni, delle
Sue lunghe fatiche etimologiche, sorrideva come un premio am-
bito, come una mèta ardentemente agognata, la compilazione
d’un grande dizionario etimologico italiano, che sarebbe riuscito
una vera miniera e del quale, troncato dalla morte, ci riman-
gono troppo scarsi materiali.
Così, nella sua tenace e progressiva attività di scienziato
che si svolgeva con una caratteristica tendenza all'indagine ana-
litica tra i fatti ben saldamente concreti, Egli, guidato da un
istinto finissimo, giungeva alla verità talvolta scostandosi più o
meno consapevolmente da quelli che erano i Suoi principî scien-
tifici. Messo al bivio fra la verità e i principî, non esitava,
quasi parafrasando fra sè un motto famoso: “Tanto peggio
pei principî! ,. La qual cosa — se non m'inganno — aceresce
il merito dell’opera Sua.
Non che il Salvioni, nella crisi profonda di ribellione, 0,
meglio, di reazione e di rinnovamento che agitò in quest’ultimo
ventennio e travaglia ancora la scienza glottologica, abbia mai
esplicitamente rinnegato quelle dottrine nelle quali Egli, neo-
grammatico, erasi venuto formando ed educando. Basterebbero
le parole con le quali, giunto alla pienezza della Sua maturità
scientifica, accennò all’atteggiamento assunto dall’Ascoli, che
definì “un neo-grammatico prima dei neo-grammatici ,, €
“ anzichè un avversario, un poderoso alleato dei neo-gramma-
“Rogi ;
Ma egli, che nella teoria rimase coerente a se stesso sino
all’intransigenza, nella pratica mostrò un superiore ossequio ai
fatti, guardandosi bene dal rinchiudersi in una sprezzante 0
disdegnosa negazione dei nuovi avviamenti della geografia lin-
guistica (2). :
(1) Commemorazione cit., pp. 78 sg.=28 sg.
(2) Cfr. Jup, op. cit., p. 620. Sulla “crisi, della linguistica, cui accenno
nel testo, e sui nuovi atteggiamenti di essa in rapporto ai neo-grammatici,
rimando alla larga esposizione di B. A. TerRAcINI, Questioni di metodo nella
linguistica storica, Firenze, Ariani, 1921 (estr. dall’Atene e Roma, N. S., a. II,
nì 1-3, 4-6).
1l BarroLi, Giornale stor., 69, 383, n. 3 (cfr. Giornale stor., 66, 175),
accenna ai due metodi diversi adottati nella interpretazione di certi fatti
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 53
Ho già detto che il Salvioni, e per l’indole Sua e per la
stessa educazione scientifica ricevuta, rivelava un tratto carat-
teristico della Sua individualità di studioso nel rifuggire dalle
questioni generali, dalle astrazioni, dalle concezioni sintetiche,
dalle esposizioni e discussioni teoriche.
Pur tuttavia questo scienziato del linguaggio che, simile
ad un batteriologo, armato di microscopio, sapeva penetrare
nelle più intime fibre di quell’organismo vivente che è la parola,
si mostrava capace di assurgere anche a sapienti e felici visioni
in forma di sintesi divulgative. Tale, un saggio sui dialetti al-
pini d’Italia, pubblicato nella Lettura (1), ed uno sul dialetto
milanese (2). Sapeva inoltre intonarsi bene, cioè con fedeltà in-
telligente, allo spirito altrui, anche quando si trovava di fronte
a concezioni vaste e nel tempo stesso. fortemente sintetiche di ‘
quei fenomeni nella cui indagine più minuta, per non dire mi-
nuziosa, era diventato maestro. Di che il documento più elo-
quente è forse la nuova edizione da Lui procurata, con sapienti
ritocchi e con aggiunte, sovrattutto bibliografiche, dell’Italia
| dialettale dell'Ascoli per l'11% edizione della Encyclopaedia Bri-
tannica. Ciò mi porge occasione di esprimere un voto, che qualche
esperto giovane nostro traduca con garbo questo articolo magi-
strale, facendone materia d’un volumetto che riuscirebbe prezioso
a tuttii lettori italiani (3).
Similmente nel memorabile discorso inaugurale Ladinia e
Italia, tenuto l’11 gennaio 1917 al Reale Istituto Lombardo —
precisamente quarantaquattro anni dal giorno in cui erano usciti
quei Saggi ladini dell'Ascoli che il Salvioni stesso giudicò,
“ dopo il Diez il più grande atto che si compisse nella lingui-
“ stica neo-latina , (4). — Egli rivelò la rara capacità di conci-
“
linguistici, fra i quali metodi, soggiunge, “ non è difficile, e a ogni modo
“è sperabile, una conciliazione; e avverrà il giorno in cui i nostri cortesi
“ avversarî troveranno, e certamente sapranno trovare, ciò che finora non
“ hanno voluto cercare ,.
(1) Lettura del 1901, pp. 715 sgg.
(2) Nella Guida di Milano, 1906 (pp. 19 sg.), edizione fuori commercio.
Sono anche certamente suoi i saggi finora pubblicati nel Touring, meno
quello della Venezia. ;
(3) Cfr. la nota del S. nella cit. Commemorazione dell'Ascoli, p. 24=74.
(4) Commemorazione cit., p. 19=69.
514 VITTORIO CIAN
liare in bella armonia le esigenze intangibili della verità scien-
tifica più rigorosa con le supreme necessità ideali della Patria,
onde Michele Scherillo bene potè dire, a titolo di lode, che anche
la scienza fu patriottismo in Lui (1).
Questo duplice intento gli additava il dovere di mettere in
piena luce le strette affinità che legano il ladino alle parlate
delle pianure italiane settentrionali e di lanciare come un
“ grido affettuoso , alle genti ladine, affinchè si volgessero
verso l’Italia madre a rigenerarvi, quasi ad una fonte sacra, la
civiltà loro.
Apertamente patriottico, dunque, sino dalla mossa iniziale
e nella intonazione dominante è questo discorso, che si rivela
subito come un saggio vigoroso di eloquenza austera e di scienza.
Sennonchè, il mezzo onde questa doppia tesi viene propugnata
e dimostrata, è scientifico nel significato più autentico della
parola. Dopo un rapido richiamo .al passo con cui Antonio Sa-
landra, nella storica Orazione pronunciata il 2 giugno 1915 dal
Campidoglio, aveva confutato le ragioni addotte dall’ Austria per
respingere le nostre richieste riguardanti l’Ampezzano, il Sal-
vioni esponeva con chiarezza cristallina l’assunto che aveva
preso a dimostrare. I Ladini, Egli diceva, hanno con noi, per
il fatto della loro lingua, rapporti assai più intimi che non con
qualsiasi altra unità romanza; e la loro favella è strettamente
affine alla nostra, sovrattutto se per italiana intendiamo, come
è doveroso fare, il complesso dei dialetti neo-latini parlati in
Italia. Ed è colorita e precisa, pur nei minimi particolari, anzi
quasi plastica, a tutto rilievo, la pagina nella quale l’oratore,
rifacendosi all'Ascoli, addita magistralmente la grande fascia
dialettale ladina che lungo le Alpi dalle pendici settentrionali
del Gottardo sino al mare, cinge con alcune soluzioni di conti-
nuità, l’Italia nostra.
Nobilissima è’ poi la conclusione, nella quale il Salvioni,
dopo respinta ancora una volta l’accusa mossa agli italiani che
nelle loro premure per il ladino s’appiattassero mire politiche,
confessa, anzi conferma, lealmente, il diritto, per non dire il
(1) Nelle affettuose “ Note biografiche , che col titolo C. Salwioni co-
municò nell'adunanza dell’11 nov. 1920 al R. Istituto Lombardo e si trovano
nel vol. LIII, fasc. 16 dei suoi Rendiconti.
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COMMEMORAZIOME DI CARLO SALVIONI 515
dovere, da parte nostra, ad un’aspirazione e ad una propaganda
d’italianità spirituale e quindi linguistica in quelle regioni gri-
gione. “ Un latino, Egli dice, non potrebbe assistere indifferente
“al naufragio d'una favella latina. Ma è un interesse italiano
“che possiamo confessare a fronte alta, un interesse ch’è in-
“sieme un grande dovere verso la nazione ,. Nel crogiuolo
delle tre civiltà esistenti nella Svizzera plurilingue, l’italiana
dovrebbe pur contare più di quanto non avvenga e per “ la te-
nuità numerica , e per “la rassegnata accidia di chi dovrebbe
“rappresentarla e favorirla. Ma se nel Ticino sono pochi e tie-
“ pidi, la loro solidarietà coi Grigioni non solo accrescerebbe
senz'altro, per il maggior numero, l’efficacia degli italiani
nella Svizzera, ma più s’accrescerebbe questa efficacia, per la
“ intraprendenza, per l’operosità, per la tenacia grigioni, le quali
“ virtù fanno sì che nella vita elvetica quel cantone ben più conti
“ che la sua consistenza numerica non comporterebbe. Acquisiti
“i ladini alla civiltà italiana, rinvigorita mercè loro l’efficacia
“ civile e politica degli Italiani della Svizzera, quella forza sa-
“ rebbe insieme forza italiana. E su quei valichi alpini, la cui
“ sicurezza tanto premeva a Venezia e deve premere a noi, le
“ cui popolazioni Venezia cercava per tutti i modi di tenersi
“ buone, noi avremmo amici fidi, più fidi che non quei trattati,
“ che possono venir considerati carta straccia da coloro stessi
“ che vi hanno messo la firma. Desiderare e promuovere una tale
“ situazione, ciascuno per la propria parte e secondo le proprie
“ speciali mire e contingenze, è diritto e dovere degl’italiani d'El-
“ vezia, è diritto e dovere degl’italiani del Regno ,.
Queste ultime parole che con tanta lucida fermezza il glot-
tologo ticinese pronunziava, si ricordi, nel gennaio del 1917, le
ho volute riferire testualmente, perchè racchiudono il suo pro-
gramma sul grave problema e ci debbono essere sacre quasi un
Suo testamento scientifico e patriottico (1).
Basterebbe questo discorso ad avvertirci che sarebbe un
errore il credere che il Salvioni circoscrivesse la propria atti-
n
>
(1) Su questo Discorso, che fu pubblicato nei Rendiconti del R. Istituto
Lombardo di scienze e lettere, vol. L, pp. 41-78, e di cui furono tirati non
pochi estratti (Pavia, tip. Fusi, 1917), si veda la notevole recensione di
Marteo BartoLI nel Giornale stor. d. Letter. ital., 72, 345-9.
510 «VITTORIO GIAN
vità entro il territorio, sia pure vasto, della dialettologia ita-
liana o della linguistica in genere. Infatti egli fu tutt'altro che
un puro glottologo; chè in Lui sovrabbondavano tanto quelle
che sono le doti caratteristiche dell’italiano, che Gli sarebbe
riuscito impossibile rinchiudersi nei confini, per quanto spaziosi,
d’una scienza sola. Perciò uno dei tratti più perspicui e cospicui
della Sua individualità di studioso fu una versatilità non comune
fra i cultori della scienza glottologica, una versatilità tutta
latina che non era dovuta, come in troppi altri, a velleità am-
biziosa e dannosa di strafare ad ogni costo per ostentazione
di genialità, ma ad un bisogno spontaneo della Sua natura,
anche perchè aveva attinenza sempre coi Suoi studî linguistici.
Questo si dica anzitutto per la bibliografia, che era in Lui
non quella innocente ma sterile manìa dello schedatore o del
raccoglitore feticista di rarità o di cimelî, che è tanto diffusa,
ma una passione viva e intelligente, quindi feconda, rafforzata
° nella Sua mente dal convincimento scientifico che una delle
prime condizioni a preparare seriamente qualsiasi lavoro, anche
nel campo glottologico, è la conoscenza, quanto più è possibile
compiuta e diretta ed esatta, del materiale bibliografico, quindi
la giusta considerazione del valore della bibliografia come di-
sciplina sussidiaria.
Ma quella del Salvioni era una bibliografia di prima mano;
che aveva anche un suo valore proprio e, a così dire, una Sua
autonomia. Così, ad es., la raccolta straordinariamente ricca
ch'Egli s'era venuto formando di vocabolarìi e di opere dialet-
tali italiane, non gli aveva permesso soltanto di offrire agli
studiosi alcuni saggi pregevoli — come quello sui dialetti tici-
nesi (1) — ma gli suggerì l’ardito pensiero, da Lui quasi inte-
(1) Bibliografia di dialetti ticinesi, Bellinzona, Stabilim. tip.-lit. Carlo
Salvioni, 1900. È il 1° dei due Saggiuoli bibliografici, pubblicati per le Nozze
Auree Salvioni-Borsa XXIV luglio MDCCCL - XXIV luglio MCM. Il 2° è
intitolato L’opera mia, dedicato con una lettera affettuosissima ai genitori
e comprende la bibliografia dello stesso Salvioni dal 1883 sino al luglio 1900.
Un altro bel Saggiuolo .bibliografico è nell’opuscolo nuziale La Divina Com-
media, L’Orlando furioso e la Gerusalemme liberata nelle versioni e nei tra-
vestimenti dialettali di stampa, Bellinzona, Tip.-lit. C. Salvioni [1902], per
Nozze Maggini-Salvioni. Questo saggiuolo fu rifatto per la parte dantesca
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI BIT
ramente effettuato, di compilare una bibliografia dialettale ita-
liana (1). Su questi fondamenti ben saldi e con la preparazione
eccezionale ch'Egli aveva acquistata ormai nel campo della dia-
lettologia nostra si capisce come gli sorridesse anche il vasto
disegno, già accennato, d’un grande dizionario etimologico dei
dialetti italiani, le cui ricchezze appaiono come preannunziate
nelle Sue Postille italiane e ladine al vocabolario romanzo (2).
Con viva curiosità e passione di studioso il Salvioni esplorò
pur quella zona assai attigua alla sua più speciale, che è 1l
folklore e anche in questo campo diede saggio di quella diligenza,
di quella sagacia e di quella esattezza severa che erano diven-
tate in Lui una seconda natura (3).
Ma, all'occorrenza, questo glottologo instancabile sapeva
pure mostrarsi un filologo consumato, quando, cioè, le Sue in-
in Dante dialettale, nel Bullett. d. Società dantesca italiana, N..S., XVI, 1
(marzo 1909), pp. 45-54.
Infine: Gli scrittori greci e latini nelle versioni, parafrasi e parodie
dialettali italiane a stampa. Saggiuolo bibliografico nella Miscellanea di Scritti
varii di erudizione e di critica in onore di R. Renier, Torino, Bocca, 1912,
pp. 651-67. Si veda nel Giornale stor., 62, 184, n. 3 la nota aggiunta dallo
stesso Salvioni per mezzo del recensente, il compianto R. Renier.
(1) L’ottimo prof. Alessandro Sepulcri mi informa che il Salvioni gli
disse più volte che il lavoro poteva ritenersi compiuto; gli mancava sol-
tanto di spigolare le indicazioni e gli accenni dialettali che si trovano nelle
opere che trattano d'altra materia.
(2) Nella Revue de dialectologie romane, IV e V. Per questa notizia sul
dizionario etimologico vedasi Jup, op. cit., p. 620.
(3) Bastino due esempî: Saggi di Folk-lore infantile lombardo raccolti
nel Cantone del Ticino [Bellinzona, Tipografia Salvioni, 1887], per Nozze
Renier-Campostrini, e la Centuria d’indovinelli popolari raccolti nel Canton
Ticino nell'Archivio p. le tradizioni popolari del Pirré, vol. IV.
L'estratto ch'io ne possiedo, reca alcune correzioni di mano dell’ Edi-
tore, che non tutte sono puramente tipografiche. Dall’Awvvertenza non posso
trattenermi di trascrivere questa prima osservazione: “ Gli ‘indovinelli ’
“che qui s’offrono ai lettori dell'Archivio, sono stati raccolti dalla bocca del
“ popolo a Bellinzona e suo contado; e siccome Bellinzona e tutto il Canton
“Ticino sono lombardi per geografia, lingua, costumi, tradizioni, infine,
“ meno che per le condizioni politiche, le quali possono. da un momento
“ all’altro mutare, pe®@tutti quei caratteri indelebili onde giustamente s’ar-
“ guisce una nazionale comunanza, così li intitolo ‘Indovinelli popolari
imorabardi *..,>
518 VITTORIO CIAN
dagini gli additavano il dovere di studiare e far conoscere, de-
scrivendolo e illustrandolo in tutti i suoi elementi e da tutti
gli aspetti, un manoscritto antico in servigio della Sua scienza
e non di essa soltanto. Al quale proposito io non posso non
rammentare con ammirazione e con grato animo la sollecitudine
viva e affettuosa con cui egli accolse, nel 1892, il mio invito
di collaborare con me nella pubblicazione e nella illustrazione,
per la parte linguistica, dei testi bellunesi del primo Cinquecento
che avevo tratto dal codice autografo di Bartolomeo Cavassico.
E fu grande ventura per gli studî glottologici ch'io rivolgessi
a Lui quell’invito e ch’Egli lo accettasse, perchè non so chi
altri avrebbe potuto con altrettanta sicurezza e larghezza di
criterî e di procedimenti e di riscontri fissare e illustrare le
forme più peculiari e più interessanti del bellunese antico a
vantaggio della sua scienza (1).
Bello è vedere come l’esempio più notevole di questa ver-
satilità del Salvioni, cioè di questi impulsi d’attività in appa-
renza punto linguistica e soltanto letteraria, avesse le sue radici
profonde precisamente nel campo della glottologia ch’Egli pa-
droneggiava con tanto vigore e rigore di intenti e di opere.
Alludo ai lunghi studi appassionati ch’ Egli consacrò a quel
Carlo Porta, che fu uno degli amori più tenaci della Sua vita.
Questo rampollare spontaneo della ricerca letteraria da quella
più propriamente linguistica e questa, direi all’oraziana, amica
coniuratio dell'una con l’altra, si possono vedere documentati .
dallo stesso Salvioni nella chiusa di quella lucida e serrata trat-
(1) Le rime di Bartolomeo Cavassico notaio bellunese della prima metà
del secolo XVI, con introduzione e note di V. Cran e con illustrazioni lingui-
stiche e lessico a cura di Carro Sarvioni, vol. I, Bologna, Romagnoli Dal-
l'Acqua, 1893, vol. II, ib., 1894. Al Salvioni appartengono, in questo II vol.,
le importanti Annotazioni fonetiche, morfologiche e sintattiche, il Lessico, le
Note critiche al testo e le Aggiunte e correzioni. A ciò si aggiunga lo scritto
dello stesso Salvioni Ancora del Cavassico e La cantilena bellunese del 1193,
nella Miscellanea per Nozze Cian-Sappa Flandinet, Bergamo, 1894, pp. 221-40.
A questo gruppo di studî sul bellunese e sul trevisano antico si ricolle-
gano i seguenti altri lavori del Salvioni: Egloga pastorale e sonetti in dia-
letto bellunese rustico del sec. XVI, editi a cura di°C. Sarvioni, nell’Arch.
glottol. ital., XVI, pp. 69-104 e IMustrazioni sistematiche all’ “ Egloga pasto-
rale e sonetti ecc. ,, nello stesso ArcAh., XVI, pp. 245-333.
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 519
tazione divulgativa sul dialetto milanese che s'è già avuto a
ricordare, ed è del 1906. Parlando di quel vernacolo Egli così
concludeva: “ Ma una volta preso l’aire e pur confortandosi
“ d'un tanto modesto posto, il dialetto nostro percorse glo-
“ riosamente la sua via letteraria e giunse a tali fastigî, da
“ dare all’Italia, nel. Porta, uno dei più grandi poeti satirici e
“ il maggiore degli scrittori dialettali ,. Ma quanti anni prima
d’allora il poeta di Giovanin Bongee era divenuto l’oggetto dei
suoi entusiasmi! Fra i ricordi più incancellabili delle deliziose
ore passate nella compagnia gioconda del povero amico, durante
il suo soggiorno torinese, è quello delle recitazioni che, pregato
da me, Egli me ne faceva. Le strofe del grande meneghino
sulla Sua bocca acquistavano un colorito, un tono, una vita
nuova; tanto quelle dizioni mi riuscivano ad un tempo quasi un
commento e una rivelazione. Il poeta prediletto esercitava’ sul
Suo spirito una virtù rasserenatrice e confortatrice, al punto
che ancora due giorni prima di morire, e sapendo di morire,
Egli ne leggeva le poesie, con la serenità consueta, a quelli che
lo assistevano (1).
Non si creda però che cotesti fossero entusiasmi e fervori di
buongustaio dilettante, piacevoli e graditi a lui, inutili agli
studî. Anche qui vigilava in Lui lo studioso, che per molti anni,
probabilmente a partire almeno dal 1900 circa, attese ad inda-
gini pazienti e sagaci attorno alla biografia e ai manoscritti
del Porta, col proposito di offrire un’edizione critica e in ogni
parte illustrata della sua opera poetica. Ch’io sappia, il primo
accenno a questa Sua attività ci è dato da una annotazione da
Lui apposta a quell’opuscolo bibliografico già citato, edito
nel 1902 per Nozze Maggini-Salvioni, dove, registrando l’edi-
zione delle Poesie portiane curata da Tommaso Grossi nel 1821,
‘ riferisce una variante della versione dell'Inferno dantesco, da
un abbozzo autografo, esistente tra le carte Porta, conservate
dalla famiglia Grossi (2). Fu un vasto lavoro preparatorio, che
(1) Lo attesta la signora Rosetra Parini CoLomsi nell'articolo comme-
morativo Il maestro, inserito nell’Àdu/a, anno IX, n° 46, Bellinzona, 183 no-
vembre 1920.
(2) Nel cit. opuscolo La Divina Commedia ecc. nelle versioni e nei tra-
vestimenti dialettali a stampa, p. 15, n. 1.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 36
520 VITTORIO CIAN
il Salvioni proseguì infaticabile con una serie di contributi pre-
ziosi, in forma di studì documentati e di articoli critici e di
recensioni svariate, intesi a chiarire la vita del Porta e la cro-
nologia delle sue poesie e le vicende dei testi, contributi nei
quali egli recava, fra l’altro, la Sua speciale competenza di
dialettologo, anzi di specialista in fatto di vernacolo milanese.
L'ultimo Suo saggio portiano vide la luce, postumo, col
titolo: Le date delle poesie milanesi di Carlo Porta, nell’ Archivio
storico lombardo del 1921 (1) e la Direzione di quel periodico,
pubblicandolo, ricordava che “ l’indimenticabile Collega , aveva
dedicato “tanta parte della Sua nobile attività di studioso ,
al grande poeta dialettale, della cui morte ricorreva in quei giorni
il centenario.
Ma occorreva anche avvertire — e mi è gradito il farlo
qui — che delle lunghe fatiche spese dal Salvioni intorno al
Porta, Egli ci ha lasciato un altro frutto ancor più prezioso,
cioè quella edizione compiuta e veramente critica del Suo pa-
trimonio poetico che era stato il sogno della Sua vita; un’edi-
(1) A. XLVII, fasc. IV. Nello stesso Archivio stor. lomb. il S. pubblicò
Lettere di Carlo Porta a Tom. Grossi, a L. Rossari, a Gaet. Cattaneo e ad
altri; e di vari amici al Porta, Milano, Cogliati, 1908 (estr. dal vol. XXXV;
fasc. XVII), Lettere di C. Porta a V. Lancetti con appendice di una lettera a
T. Grossi (vol. XXXV, fasc. XVIII, 1908) e L'episodio della “ Prineide , e il
poeta milanese C. Alf. Pellizzoni (vol. XXXV, fasc. XIX). Nel Giornale stor.
d. Letter. ital., vol.37, 1901 aveva pubblicato Lettere di T. Grossi e di altri
amici a C. Porta e del Porta a vari amici. Ancora: — Lettere ined. di
C. Porta e Camilla Prevosti a Tom. Grossi nell'Archivio storico lombardo,
S. V, 1916.
Importante, l'articolo su La biblioteca di C. Porta, inserito nella Per-
severanza del 26 sett. 1900. i
Anche da segnalare le due recensioni pubblicate dal S. nel Giornale
stor. d. Letter. ital., vol. 51, 337-483, della ediz. delle Poesie portiane, curata
da Ferd. Fontana, e nell'Archivio stor. lomb., vol. XXXVII, fase. XXVIII,
vol. XXXVIII, fasc. XXXI e vol. XL, fasc. XL quelle rispettivamente con-
sacrate alla monografia sul Porta di Att. Momigliano, all’ediz. Campagnani
e all’Antologia portiana dello stesso Momigliano; quest'ultima recensione,
particolarmente notevole per copia di nuove osservazioni e di documenti
inediti. Nel Bollett. della Svizzera ital., XXIX, 1907: Un episodio diplomatico
tra il Governo lombardo-veneto e il Canton Ticino, a proposito d’un’edizione
di poesie del Porta.
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7
COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 521
zione quasi in ogni parte allestita e che vedrà la luce, speriamo,
fra non molto, grazie all'opera amorosa di due degni discepoli
del caro Estinto, i professori Clemente Merlo e Angelo Otto-
lini (1). Dico “ speriamo ,, perchè l'edizione è ormai pronta da
più mesi e sarebbe vergognoso che un editore milanese tardasse
più oltre ad assumersene l'onere, ma anche il grande onore, che
finirebbe poi col riuscire indubbiamente fruttuoso.
Come appar chiaro dalle cose rapidamente ‘esposte, il Sal-
vioni, anche nei lavori che sconfinavano da quel territorio che
era il Suo proprio e speciale, poneva una coscienza severa di
studioso che non si smentiva un istante. E in tutti i Suoi scritti,
con diversità d’intonazione, a seconda dei casi, mostrava una
franchezza e una limpidità d’idee caratteristica, in uno stile
rapido, preciso, incisivo, non rifuggente da qualche asprezza e
durezza e da qualche forma insolita di stampo letterario, uno
stile che era veramente l’uomo, l’uomo che nella energia abi-
tuale della parola e del gesto aveva qualche cosa di risoluto e
di giovanile, quasi di soldatesco.
Col progredire degli anni Egli, senza rallentare punto la
Sua attività scientifica come glottologo, cedeva più volentieri
a certe tentazioni fra storiche e letterarie, che gli venivano
dalla Sua regione nativa e si accordavano con quei sentimenti
destinati a farsi via via più fervidi nella sua anima d’italiano.
Proprio all’ultimo periodo della Sua vita appartengono, ad es.,
le felici ricerche ch'Egli fece per illustrare storicamente e far
rivivere alla luce dei documenti, delle tradizioni locali e perfino
(1) Il prof. Ottolini, da me interpellato, mi comunicò cortesemente le
informazioni seguenti. Il compianto Salvioni ha lasciato ogni cosa pre-
disposta per il suo lavoro portiano. Aveva raccolto tutti i frammenti e
tutte le poesie, aveva ordinato il commento e le varianti, in quaderni 0 in
foglietti volanti. Si trattava di decifrare le sigle e di ordinare, trascrivere
e rivedere il materiale. Il che hanno fatto — certo con ogni coscienza —
i proff. Merlo e Ottolini, il primo dei quali ha curato la parte linguistica,
il secondo, quella storico-letteraria. Sarà necessario eseguire e pubblicare
contemporaneamente due edizioni, una critica, ad uso degli studiosi,
l'altra popolare, il cui esito dovrebbe compensare il minore spaccio e la
maggiore spesa della prima. E non sarà certo Milano a lesinare, ove occor-
resse, un sussidio a un intelligente e animoso editore.
Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIII, 36%
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dz VITTORIO CIAN
di memorie autobiografiche e topografiche alcune figure del
maggior romanzo fogazzariano, Piccolo mondo antico (1).
Ma quell’anima d'italiano, che si maturava fervidamente
nelle faticose esperienze della scienza e della vita, era destinata
a dare ben altri frutti.
Esordendo in questa mia rievocazione dell’ insigne Collega
ho accennato fuggevolmente a un particolare che ora è il mo-
mento di riprendere e di esporre in piena luce. Osservavo che la
morte prematura di Carlo Salvioni ebbe nel cuore di tutti i buoni
italiani una risonanza così larga e profonda quale non avrebbe
avuto se fosse scomparso soltanto uno scienziato, per quanto be-
nemerito degli studî e della cattedra. Gli è che con Lui era scom-
parsa anche una figura luminosa di cittadino, assertore nobilis-
simo e, con la parola e con l'esempio, maestro ai Suoi figli,
Ferruccio ed Enrico, d'un patriottismo adamantino, sublimato
fino al sacrifizio eroico.
Credo infatti di non esagerare per nulla affermando che
la storia della famiglia Salvioni potrà essere additata alle ge-
nerazioni future come un documento tipico dello sforzo dispe-
ratamente sublime compiuto dalla generazione nostra per cogliere
l'attimo fuggitivo degli eventi storici e fecondarlo di tutte le
sue virtù più pure, di tutte le più sane energie della stirpe,
per afferrare con esso la Vittoria alata e assicurare all’Italia
madre una vita nuova, più degna del suo passato glorioso.
Nella vita come nella scienza Carlo Salvioni fu, per usare
un’espressione comune d’un fatto non comune, uomo tutto d’un
(1) I preti di Valsolda nel Piccolo mondo antico, è il titolo d’un interes-
sante articolo pubbl. dal S. ne L’Adwla del 1919, n° 6. Nella stessa Àdula
del 1920, ni 8-10, fece conoscere le memorie che della propria fanciullezza
lasciò scritte Luisa Campioni Venini, la dedicataria e insieme la Luisa
Maironi Rigey del Piccolo mondo ant. Cfr. Giornale stor., vol. 75, 355. È poco
probabile che il S. conoscesse l’interessante intervista che MeLittA (Irri-
tabile genus. Tipi e figure di letterati italiani. Roma, “ Rivista di Roma,,
1912, pp. 26-7) ebbe col Fogazzaro, il quale, parlando dei personaggi del
Piccolo mondo antico, ebbe a dire che “ son tutti veri e che gli pareva di
rivederli ancora ,. Degni d'essere ricordati anche lo scritto su Alessandro
Manzoni e lo zurigano Giov. Gasp. Orelli -ne L’Àdula ni 8 e 10 e quello
Intorno all’Ode al signor “ Wirtz Il Bisogno, del Parini, ib., 1916, n° 2.
COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 523
pezzo, “integer vitae ,; ma Egli con la sua esperienza nobilis-
sima attesta ancora una volta che l’uomo così detto “di carat-
tere , non è quello che irrigidisce e quasi cristallizza l’anima
Sua, la Sua fede in una serie di postulati intellettualistici,
‘astratti, straniati dalla realtà storica, la quale si evolve ine-
sorabilmente infaticata nel suo ritmo progressivo; ma invece è
colui che la Sua dottrina e la Sua fede prova e con piena coe-
renza alimenta e occorrendo rettifica rinnovandola al contatto
di quella realtà quotidiana, storica ed umana, e rinunzia corag-
gioso alle parti di esse che si rivelano fallaci o caduche, e le
superstiti sa fecondare di nuovi moti di pensiero e di azione
veramente vitali.
Così appunto avvenne di Carlo Salvioni.
Il quale, dopo una prima audace scapigliatura politica, du-
rante gli anni giovanili trascorsi a Basilea e a Lipsia, quasi
per una di quelle vigorose, anzi violente reazioni che erano
proprie della Sua natura, tutta energia e passione repressa,
impose al Suo spirito e alla Sua coscienza una disciplina di
ferro, che fu una dedizione intelligente e consapevole a quelle
tradizioni del liberalismo conservatore lombardo, che in Milano
aveva allora il suo interprete più autorevole nella Perseveranza
di Ruggero Bonghi.
A quel foglio egli rimase per lunghi anni fedele e ne fu
anche, insieme con altri colleghi illustri, quali Pio Rajna e
Francesco Novati, a quando a quando collaboratore assai ap-
prezzato. Alieno sempre dalla vita pubblica, il Salvioni era ve-
nuto covando e maturando una Sua concezione e una passione
politica che si radicavano nell'anima Sua per un duplice ordine
di fatti. Anzitutto, lo spettacolo di abbassamento, per non dire
di triste abiezione morale, che gli offriva la vita politica ita-
liana, specialmente nella funzione parlamentare; condizioni in-
tollerabili che, per la viltà e la cecità dei dirigenti, per l'inerzia
abdicatrice delle classi medie, per la impreparazione e l’inedu-
cazione civile del così detto proletariato sobillato ad un’esaspe-
rata affermazione di diritti senza un adeguato riconoscimento di
doveri sociali, si risolvevano in una negazione mortificante dei
valori nazionali, così all’interno, come nei rapporti con gli stra-
nieri. D'altro canto — come già si è avuto occasione di rilevare
— in Lui, ticinese di nascita, figlio italianissimo di quella terra
Se Tee e e nà
nai VITTORIO CIAN
italiana, il problema, ristretto, ma — Egli stesso asseriva —
“ urgente e grave ,, riguardante la difesa nazionale, la difesa
della italianità minacciata del Ticino, acuendo, sin quasi alla
ribellione silenziosa, la Sua sensibilità politica, gli faceva sen-
tire con la stessa passione angosciosa il ‘più vasto e tragico
problema. delle Terre irredente, oppresse sotto il giogo insan-
guinato degli Absburgo.
In tal modo il Salvioni divenne l’apostolo fervido, instan-.
cabile, battagliero della italianità nella coltura del Suo Cantone,
che era orgoglioso di Lui come d'un figlio nobilissimo e ch’Egli
voleva rivendieato a parità degli altri due popoli, tedesco e
francese, di quella Confederazione.
Il sentimento ardente era in Lui sorretto da un vigoroso
pensiero e il dolore e l'amarezza leniti da una speranza sempre
più viva nell’avvenire, da una fede ostinata nella bontà della
causa nazionale. Quale fosse veramente il Suo animo possiamo
comprendere dalla commossa vibrante orazione commemorativa
ch’ Egli tenne in Bellinzona il 18 gennaio 1920, pel secondo
anniversario della morte di Giacomo Bontempi, in nome e per
incarico della Dante Alighieri. Quel discorso non è soltanto
un’alta rievocazione del degno amico, conterraneo e commilitone
scomparso: è anche un atto di fede e un programma, in cui
l'intelligenza .e la volontà più squisite e diritte s’alleano ad una
salda fede nei destini della grande patria italiana e della pic-
cola patria ticinese (1). V'è in esso una sentenza la quale, ve-
nendo dopo la gesta eroica che si concluse a Vittorio Veneto,
potrebbe considerarsi come il riconoscimento doveroso d’un gran
fatto compiuto, e, d’altra parte, valutata alla stregua degli
eventi non meno mirabili che ne sono scaturiti ai dì nostri,
cioè due anni circa dalla morte di Lui, acquista il valore d’una
magnifica profezia. Eccola: “ Quel che la gioventù vuole — Egli
esclamava —, Dio lo vuole ,.
Orbene: sarebbe uno stupendo capitolo nella storia della
psicologia del popolo italiano durante l’ultimo ventennio quello
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(1) Il testo di questo eloquente discorso si può leggere ne L’Àdula,
a. IX, n. 4, Bellinzona; 24 genn. 1920. Faccio voti che esso sia compreso
nei volumi che si preparano, destinati a raccogliere scritti sparsamente
pubblicati e inediti dell’Estinto.
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 525
che narrasse ciò che volle e per Sua volontà consapevole e se-
rena compì “la gioventù , nella famiglia Salvioni.
Ma qui non è possibile se non accennare all’effetto finale,
riprendendo il filo di quanto si è esposto già sommariamente.
Fu un giorno memorabile quello che nella casa di questo glot-
tologo — freddo in apparenza, instancabilmente operoso, rimasto
sempre estraneo alla vita pubblica, ma anche serbatosi un fiero
conservatore, ligio alla tradizione bonghiana, non per nulla ricca
di lieviti e di presentimenti rinnovatori — fu chiusa per sempre
la porta alla vecchia e ormai decaduta Perseveranza e in cambio
di essa fece il suo ingresso trionfale, festeggiata, letta avida-
mente e commentata con entusiasmo la nuovissima Idea nazio-
nale. Così quell’ambiente divenne una scuola di patriottismo
sempre più fervido, d’italianità sempre più battagliera pei due
figli giovinetti, Ferruccio ed Enrico, nel cui spirito, come in
terreno fecondo e mirabilmente disposto, attecchivano e ger-
mogliavano felicemente i semi della buona parola paterna e
materna.
Non basta. Fra le pareti di quella casa si avverò un fatto
che parve straordinario, ma pure ebbe fra noi riscontri nume-
rosi nell’epico periodo che corse fra il 1914 e il ’18. Al contatto
di quelle pure e ardenti giovinezze, tutte prese da una santa
febbre di idealità nazionali — più ardente quella di Ferruccio,
il primogenito, precocissimo e avviatosi, studente dell’Accademia
letteraria di Milano, sulle orme del padre — anche l’anima di
Carlo Salvioni si sentì raddoppiare l’ardore, moltiplicare la fede
e con esse l’impaziente aspettazione degli eventi nuovi. E gli
eventi — dal maggio 1915 — sopraggiunsero e tali da sorpas-
sare perfino quella aspettazione, da realizzare il grande sogno
di Lui, ma, purtroppo, attraversandolo d'un solco sanguigno.
Non si può pensare senza una stretta al cuore, ma anche
senza un senso di ammirazione sconfinata e di legittimo orgoglio
nazionale, ai due giovinetti immolatisi eroicamente a pochi
giorni di distanza l’uno dall’altro, nel maggio del 1916, e ai
due genitori che, degni in tutto di essi, sopportarono con uno
stoicismo commovente il colpo terribile e seppero consacrarsi al
culto dei loro morti adorati, soffocando l’angoscia, temprandosi
nella passione d’Italia che si protendeva tutta in uno spasimo
supremo verso la mèta di Vittorio Veneto.
526 VITTORIO CIAN
Fra i documenti più vivi e più edificanti della nostra guerra
sacra, rimarranno ad ammaestramento delle generazioni future,
le Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni, che fu-
rono pubblicate, la prima volta, in edizione non venale, nel 1917,
la seconda, nell’anno seguente (1). “ Memore, pio, glorioso vo-
lume ,, bene lo proclamò Pio XI, allora Mons. Achille Ratti,
prefetto della Biblioteca Vaticana, in una lettera che il 1° di-
cembre 1917 scrisse a Carlo Salvioni (2).
L’anima di Lui, che nella esaltante visione della Patria
vittoriosa tentava di comprimere l’intimo strazio, vibra tutta,
più ancora che nella nobile dedica premessa a quel volume, in
quella, laconicamente fiera, del discorso Ladinia e Italia :
ALLA MEMORIA — DE’ MIEI FIGLIUOLI — FeRRUCccIO ED ENRICO
— Caputi — ComBATTENDO PER ITALIA E LADINIA— IN TERRA
LADINA — ALLA LORO MADRE — CHE LI VOLLE EDUCATI A QUELLA
MORTE.
Oggi, questa dedica noi la possiamo, la dobbiamo integrare,
consacrando idealmente il libro prezioso anche allo spirito di Lui,
(1) La prima edizione, pubblicata Nel primo anniversario della loro
morte, reca il titolo In memoria dei fratelli Ferruccio ed Enrico Salvioni.
Schizzo biografico. Scritti. Lettere dalla guerra. Documenti diversi, Milano,
nel maggio MCMXVII. Lo schizzo biografico, seguìto dai ritratti dei due
fratelli, è di Virrorro Rossi. La seconda edizione, Lettere dalla guerra di
Ferruccio ed Enrico Salvioni con Proemio di Virrorio Rossi, vide la luce in
Milano, Fratelli Treves editori, 1918. Reca i ritratti dei due fratelli in
grigio-verde, e la dedica commovente, scritta dal Padre: “A Vor — Giovani
p'IrAaLia — Siano DEDICATE — QuestE coNFIDENTI LeTtTERE — DEI DUE FRATELLI
Trcinesti — PeR LA LORO E NOSTRA ITALIA CADUTI — LA voce CHE SALE DALLE
TOMBE — Vi AMMONISCA SEMPRE — CHE I MORTI DELLA NOSTRA SANTA GUERRA
Gp Now DEBBONO ESSERE MORTI INVANO — LA LUCE IDEALE DEL LORO SACRIFICIO
— ILLumini A Vor — LE VIE DELLA VITA ,.
(2) Questa lettera, veramente preziosa, fu pubblicata in facsimile dal.
l'Adula del febbraio 1922 e riprodotta nell’Idea nazionale del 25 febbr. di
quell’anno. Mi sia lecito ricordare — come documento delle relazioni scien-
tifiche che passarono fra il defunto glottologo lombardo e l’attuale Ponte-
fice — l’importante recensione che il Salvioni pubblicò nell’Arch. storico
lomb., XXXVI, S.IV, pp. 226-33, del volume di AcnILLe Ratti, Vita di Bo-
nacosa di Beccaloè (1352-1381) ed una lettera spirituale a Bianca Visconti di
Savoja in volgare illustre alto-italiano, ece., Milano, 1909 (per nozze Jacini- _
Borromeo).
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COMMEMORAZIONE DI CARLO SALVIONI 597
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al loro padre che i due figli gloriosi volle anch’Egli educati a
quella morte.
Agli occhi nostri, in quel volume è, pel compianto consocio,
tale un titolo all’ammirazione e alla riconoscenza della Patria
nel campo delle virtù civili, da agguagliare almeno quelli altis-
simi ch’ Egli seppe procurarsi nel campo della scienza lingui-
stica... Per questo l'Accademia nostra ricorderà sempre Lui
cittadino e scienziato, con giusto orgoglio riconoscente e ne se-
gnerà il nome fra quelli dei suoi Soci più insigni.
528 VIRGILIO PAOLO FONTI
Nota dantesca
di VIRGILIO PAOLO PONTI
presentata dal Socio nazionale residente Vittorio Cian.
La maggior parte dei chiosatori di Dante, a cominciare da
Guido da Pisa fino ai giorni nostri, interpretano le parole —
“al passo , (1) — contenute nel v. 80 del c. IX dell'Inferno: —
“ al luogo dov'era il passaggio , — “al valico, — “alguado,.
Altri spiegano : “ L'Angelo, che procedeva prima velocis-
simo, all’approssimarsi della città di Dite, rallenta la sua an-
datura , dalla corsa al passo. v
Altri ancora, che pur sembrano accorgersi di trovare e di
lasciare in quel punto delle chiose una lacuna, girano intorno
all’ostacolo senza pronunziarsi direttamente. Così il Tommaseo,
il quale però ha il merito d’aver richiamato il passo scrit-
turale: “ Qui convertit mare in aridam, in flumine pertransibunt
pede ,.
A mio avviso, i commentatori hanno, eccettuato Baldassarre
Lombardi, tutti sbagliato; tanto più che per rendere il pensiero
dantesco si appoggiano al verso che segue :
Passava Stige con le piante asciutte 81, IX
“
(1) Unico il Lombardi intende in “ al passo , “al, per “col,: “ col
proprio passo ,. — Gurpo Braci, “ La Divina Commedia , nella figurazione
artistica e nel secolare commento (in corso di stampa presso U.T.E.T., Torino)
riporta: GrazioLo per Bampagniori: “ Angelus Dei transibat hane Stygem...
in uno passu ,. — Boccaccio: “ 41 passo di Stige dove esso era passato
colla nave di Flegiàs,. — Crisrororo Lanpino: “Al luogo dove era el
passaggio ,. — Giuserpe Campi: “41 passo, intendi: il punto in cui è
il passo della palude e dove Dante stesso l’aveva sulla barca passata
(Bianchi). — Barpassarre LomBarpI: “ AZ passo per col passo; non da nave
portato,. — BraeroLi: dove era è varco del fiume ecc.
nn dini dint di tia
e Re aiar tei
NOTA DANTESCA 529
poco badando alle parole in questione e non riuscendo, con ciò,
che a travisare il concetto del poeta.
È fuori dubbio che il Messo del Cielo abbia attraversato
la — “ morta gora ,, — a piedi, ma è parimenti chiara l’ine-
sattezza dei commenti. Come si fa ad affermare che l’Angelo
perchè
Passava Stige con le piante asciutte
andava a piedi? Non può il poeta con questo verso aver voluto
dare risalto alla preoccupazione dell'Angelo ed al suo ben giu-
stificato aborrimento dagli eventuali contatti infernali?... E chi
potrebbe negare che l'Angelo per attraversare la “ belletta
negra , abbia fatto uso di una barca?
Ma se le chiose ci lasciano malsicuri dell’intenzione del
Poeta, questa, al contrario, è determinata e precisa; deter-
minazione e precisione che si affermano in modo inconfutabile
qualora alle parole “ al passo , noi diamo il loro proprio valore.
Or ecco il nocciolo della mia incursione dantesca.
“ Al passo , significa veramente “ al luogo dov'era il pas-
saggio ,?
Forse che Dante vuole, in effetto, dire che uno ed uno solo
era il valico che la “ Divina Potestate , aveva stabilito e per
i dannati e per gli inviati da Essa? Nulla di più inverosimile
che per l’Inferno la “ Somma Sapienza , abbia ordinato una
regola a cui debba sottostare anche l’onnipotènza del “ Primo
Amore ,.
L’ipotesi del rallentare dell'Angelo, in vista della città di
Dite, non può reggere in nessuna maniera. Egli manifesta ben
chiara nell'aspetto e nell’incedere la sicurezza della sua impo-
nenza e della sua forza, e tanto desiderio di uscire dall’angoscia
dell’ “ aere grasso ,, da rendere impossibile ch’egli pensi di
obbedire ad una consuetudine o necessità propria della natura
umana.
Ritengo dunque che “ al passo , qui voglia dire “ a piedi,,
corrispondente allo scritturale “ pertransibunt pede ,.
Significato letterale di “ passo , è, fra gli altri, primo:
_ quel moto dei piedi che si fa andando, dal posar dell’uno al levar
dell’altro.
Non è quindi il caso di fare discussioni di lingua.
530 VIRGILIO PAOLO PONTI — NOTA DANTESCA
Così guadagnerebbe anche l’allegoria, che, per meglio com-
prenderla, potremmo confrontare con quella contenuta nel.
c. XXII, vv. 133-144.
Infatti, mentre qui vediamo la Virtù passare “a piedi ,
senza insozzarsi, tutta una plaga di vizì, colà, Calcabrina, ossia
un Demonio, ossia il Vizio, sfiora appena, con le ali, la bollente
pegola spessa e ne resta subito inviscato.
E l’arte ne guadagnerebbe del pari. Sappiamo quanta im-
portanza ispiratrice abbia la fonte evangelica nell’estetica di
Dante.
È possibile che egli si lasciasse sfuggire l’immagine, così
suggestiva, di Gesù che camminava sulle acque del mare di
Tiberiade e che, all’occasione, non la imprimesse chiara nel-
l’opera sua? A quel fatto egli accenna appena nel Paradiso,
c. XXIV, vv. 37-39:
CALO tenta costui di punti lievi e gravi
come ti piace intorno della Fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
Ma nel c. IX dell'Inferno gli si presentò una magnifica
occasione per riprenderla e scolpirla, ritraendo nel vivo d'un
particolare concreto l’idea della Onnipotenza Divina, che in tal
caso, per ovvie ragioni d’opportunità, sdegna, più ancora che
nell’ “ Angelo nocchiero , del Purgatorio, “ gli argomenti umani ,.
Il “ Messo Celeste , qui cammina veramente sulle acque
della palude Stigia è le sue “ piante , rimangono asciutte.
L’ Accademico Segretario
GrovaNnNI VIDARI
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531
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 17 Giugno 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. CORRADO SEGRE
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci NaccarI, Prano, Foà, GuIpI, SomI-
GLIANA, PANETTI, SAcco, MAJORANA, HERLITZKA, ZAMBONINI e il
Segretario MarmTIROLO.
Scusa la sua assenza il Socio PARONA.
Il Segretario dà lettura del verbale della precedente adu-
nanza, il quale risulta approvato senza osservazioni.
Assistono alcuni amici, colleghi e ammiratori del compianto
Socio CIAMICIAN.
Il Presidente, prima di passare agli argomenti segnati nel-
l’ordine del giorno, dà la parola al Socio ZAMmBONINI per la com-
memorazione del Socio corrispondente Prof. Giacomo CIAMICIAN.
Con sentimento di affettuosa devozione e con brillante ma-
‘gistero di lingua, il Socio ZAMBONINI, dopo aver ricordati per
sommi capi i momenti più importanti della vita dell’insigne
chimico italiano, ne analizza le magistrali ricerche assurgendo
a considerazioni d’indole generale, le quali lumeggiano la ge-
nialità dell'ingegno di Giacomo Crawicran, la cui influenza sullo
sviluppo e sul progresso odierno della Chimica è universalmente
riconosciuta.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. BW,
532
La bella, dotta, sintetica biografia, degna dell’illustre com-
memorato, che ha messo in evidenza non solo i meriti scientifici
eccezionali del CramicrAaN, ma che ne ha giustamente esaltate
la candidezza dell'animo e la italianità del sentimento, è viva-
mente applaudita dai Soci e dal pubblico presente, è accolta
per la stampa negli Atti, mentre l'Autore riceve le congratu-
lazioni del Presidente.
Si procede quindi allo svolgimento dell’ordine del giorno,
e il Presidente dà comunicazione di due ordini del giorno: il
primo della Società Italiana di Scienze Naturali, sedente in
Milano; e l’altro della Società Italiana di Scienze Fisiche e Ma-
tematiche “ Mathesis ,, Sezione di Pavia.
I due ordini del giorno hanno riguardo al futuro nuovo or-
dinamento dell’insegnamento scientifico nelle Scuole medie e al
pericolo che la minacciata depressione della coltura scientifica
si ripercuota sulle fortune avvenire del Paese.
L’Accademia, dopo discussione alla quale prendono parte
diversi Soci e dopo una serie di comunicazioni d’ordine privato
fatte dal Socio Foà, delibera di associarsi all'ordine del giorno
della Società italiana di Scienze Naturali, dando incarico alla
Presidenza di segnalare la deliberazione dell’ Accademia a
S. E. il Ministro e alla Presidenza della Società Italiana.
Si passa quindi alla presentazione di omaggi.
Il Socio GuipI presenta e fa dono di una sua Nota dal
titolo: Sulle Dighe a volte multiple.
Il Socio Sacco fa omaggio di tre suoi lavori, rispettiva-
mente intitolati: i
1° Il glacialismo nel Gruppo del Gran Paradiso.
2° Come si formò il Cervino.
3° Les révolutions du Globe.
e ne discorre brevemente.
I Soci SomieLIANA e Sacco fanno dono del fascicolo 5° del
“ Bollettino del Comitato glaciologico.
TIRO ATI N pie
î Va i AA il
ll Liri ti
993
Il Socio Foà presenta i fascicoli VIII e IX del Trattato di
Anatomia patologica che contengono lavori di VoLPINo, FONTANA,
SAN Grorgerio, RAVENNA e ALmaGrà. La continuazione dell’impor-
tante Trattato è svolta con la consueta eleganza di tipi e di
illustrazioni originali, i
Finalmente dal Prof. Kresow viene presentato e donato
alla Biblioteca Accademica il 2° volume dell’ “Archivio italiano
di psicologia ,.
Il Presidente in nome dell’Accademia ringrazia i singoli
donatori.
Il Socio SomigLiANA interpella l'Accademia in merito alla
condotta che egli dovrà tenere in seno al Consiglio di Ammi-
nistrazione del R. Politecnico, per rispondere, nelle attuali con-
dizioni del Politecnico, al mandato conferitogli dall'Accademia.
L’interpellanza provoca una discussione animata, la quale
sì risolve nella dichiarazione di piena ed ampia fiducia che
l'Accademia rinnova al Socio SoMIGLIANA, onde, per il vantaggio
della Scienza, voglia continuare ad assolvere il suo mandato.
Dopodichè il Presidente, ricordando che questa è l’ultima
adunanza della Classe, prima del periodo estivo, saluta i Soci
presenti augurando loro buone vacanze.
NERI, 1), AI idr A Pte SAMIR GR STI 70 20771 CORPI
534 FERRUCCIO ZAMBONINI
LETTURE
COMMEMORAZIONE
del Socio Corrispondente
GIACOMO CIAMICIAN
Letta dal Socio nazionale residente FERRUCCIO ZAMBONINI
Quando, negli ultimi giorni di dicembre del 1921, si diffuse
per l’Italia la notizia tristissima che Giacomo Ciamician giaceva
morente in quell’Istituto di Chimica Generale di Bologna che
egli aveva reso giustamente famoso fra gli studiosi, grazie
all'opera sua indefessa e geniale di oltre un trentennio, sincero
e profondo fu il sentimento di dolore e di accoramento che si
manifestò non soltanto nella ristretta cerchia dei chimici, ma
presso quanti, in Italia, si interessano della cultura, e sentono
anche il valore morale elevatissimo, di esempio e di incitamento,
che esercita una vita tutta dedicata alla ricerca scientifica ed
alla Patria, con una austerità ed un disinteresse veramente rari.
Fervido fu l’augurio, che, ancora per lunghi anni, fosse conser-
vato all’Italia il cittadino ricco delle più egregie virtù, lo scien-
ziato eminente, il Maestro che con lena infaticata aveva istruito
diverse generazioni di giovani chimici, molti dei quali, divenuti
valenti, onoravano la scuola dalla quale provenivano. Ma il de-
siderio ardente non valse a mutare il fato inesorabile: il 2 gen-
naio 1922 Giacomo Ciamician si abbandonava al sonno senza
risveglio, proprio quando dell’opera sua e del suo esempio più
vivo era sentito il bisogno. Unanime fu il compianto per l’uomo
illustre e benemerito: il popolo intiero di Bologna circondò la
sua bara, come già, pochi mesi innanzi, quella di un altro
illustre studioso: Augusto Righi. Ed il cordoglio popolare per
la scomparsa di quei due studiosi insigni, dimostra che anche
COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 595
gli umili lavoratori sanno ammirare la luce ideale che emana
dagli indagatori geniali dei misteri della Natura, che hanno de-
dicato la loro vita a quella che un illustre chimico-fisico, Jean
Perrin, chiamava, venti anni or sono, la dea dei tempi futuri:
la pura e splendente verità.
La vita esteriore di Giacomo Ciamician è trascorsa sem-
plice e piana. Nato a Trieste il 25 agosto 1857, frequentò le
scuole medie nella città natale, studiò all’Università di Vienna,
e si laureò a Giessen nel 1880. Benchè la famiglia del Ciamician
fosse di origine armena, in quella mirabile fucina di italianità
indomabile, resistente ugualmente alla forza ed alle blandizie,
che è Trieste, il giovane Ciamician era e si sentiva profonda-
mente italiano. E rinunciando all’avvenire brillante che gli si
apriva dinanzi in Austria, egli alla patria legale preferì senza
esitazione quella del cuore, e venne in Roma, in quella scuola
di Stanislao Cannizzaro, dalla quale, come Egli stesso scrisse
in una mirabile commemorazione del Maestro, pochi anni dopo,
nel 1887, uscì trasformato, per andare ad occupare la cattedra
di Padova. Nel 1889 passò a Bologna, dove rimase fino alla
morte, fedele all’antica e storica Università. Nel Laboratorio
modesto, ristretto ed incomodo di Bologna svolse la parte mi-
gliore dell’opera sua, e fece sorgere una scuola, che presto ac-
quistò una meritata fama, anche fuori d’Italia, nuovo esempio
ammonitore che non gli edifici grandiosi, nei quali, pur troppo,
anche da noi lo Stato ha profuso milioni, ma i mezzi per le
ricerche ed i Direttori tutti presi da un amore esclusivo, entu-
siastico e riflessivo al tempo istesso, per la Scienza, sono neces-
sari per il progresso degli studì.
Giacomo Ciamician fu un.ingegno acuto e brillante, pronto
.a scendere all’esame dei più minuti dettagli, ma anche eminen-
temente versatile, desideroso degli sguardi d’insieme e delle sin-
tesi geniali. Anche sotto questo punto di vista, il Ciamician
merita di essere proposto ad esempio ai giovani, ai quali troppo
spesso sì impone una specializzazione precoce, che li induce ad
approfondire le loro conoscenze in un’unica direzione, perdendo
ogni contatto con i problemi affini, così come un viandante che
si inoltra per un viottolo fiancheggiato da alte mura vede la
via che gli si para dinanzi, se alza gli occhi un lembo di cielo,
se NERA vd Ser (Né esito x È. FINE SLA AZIO SARAI SIOE LIAN Lal
536 FERRUCCIO ZAMBONINI
ma nulla più: ignote gli rimangono le vaste distese che si svol-
gono al di là dei muri che limitano il suo sentiero!
Così, benchè Ciamician abbia iniziato il suo lavoro di in-
vestigatore nel campo della Chimica organica intorno al 1880,
quando, cioè, ancora avevano un largo credito, se pure non più
un predominio assoluto, quelle tendenze che facevano consistere
la Chimica nella preparazione pura e semplice di nuovi com-
posti, senza importanza nè teorica, nè pratica, che servivano
soltanto ad aumentare il volume dei grandi trattati (il Ciamician
li chiamò, scherzosamente sì, ma giustamente, i composti che si
trovano soltanto nel Beilstein), non pensò minimamente a seguire
il comune andazzo, ma rivolse la sua attenzione a sostanze che
hanno una parte notevole nel mondo animale o vegetale, ed
inoltrandosi sempre più su tale via feconda, nell'ultimo ventennio
della sua vita operosa abbandonò gli studîì speciali su partico-
lari composti, per quanto importanti, per dedicarsi alle ricerche,
così attraenti, sull'azione chimica della luce, ed a quelle, tron-
cate dalla morte, sulla Chimica delle piante.
‘| Veramente poderose sono le ricerche di Ciamician sul pir-
rolo, continuate con infaticato ardore per oltre un decennio,
dal 1879 al 1890. Già nel 1870 Adolfo von Baeyer aveva pro-
posto, per quel curioso costituente dell’olio animale del Dippel,
una formula. di struttura, accettata ancora oggi, ma che rap-
presentava, più che la sintesi di un complesso di fatti e di espe-
rienze, il frutto di una intuizione geniale. Del pirrolo, infatti,
allora si sapeva pochissimo. Ciamician ha precisato in modo mi-
rabile il carattere chimico di quel composto, discutendone, con
chiarezza e profondità di vedute, le relazioni che lo collegano
al furfurano, al tiofene, alla piridina, e mettendo in evidenza
sia il cosiddetto “ carattere aromatico , del pirrolo, che le ana-
logie di comportamento col fenolo. Non è il caso di entrare,
qui, nei dettagli dell’opera del Ciamician sul pirrolo: è certo,
però, che, con la preparazione e la caratterizzazione precisa di
un gran numero di nuovi derivati, egli contribuì assai, come
scrisse nella sua monografia riassuntiva che gli valse il Premio
Reale dei Lincei per il 1887, a dimostrare ciò che non era che
l’espressione di una ipotesi molto abilmente concepita. Inoltre,
quei chimici che hanno dimostrato, più tardi, come dei pirroli
costituiscano il nucleo centrale della emoglobina e della cloro-
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COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 537
filla, hanno trovato il loro còmpito facilitato assai dai lavori
del Ciamician. L'importanza sempre maggiore che va assumendo
il pirrolo nella materia vivente assicura all’opera del Ciamician
un interesse duraturo da parte dei chimici. Nè va dimenticato
che la Scuola del Ciamician, per opera sopratutto di Angeli e
di Plancher, ha portato, indipendentemente dal Maestro, contri-
buti notevolissimi alla chimica sia del pirrolo, che dell’indolo.
Se italiani, nel 1889, hanno scritto che “ per quanto concerne
la struttura chimica del pirrolo e le relazioni che lo collegano
al furfurano, al tiofene, alla piridina, ecc., è assai difficile poter
discernere la parte di merito che spetta al Ciamician nelle con-
siderazioni, del resto con molta competenza e lucidità esposte ,,
nel grande trattato di Chimica organica di Meyer e Jacobson
si legge: “Il singolare comportamento delle sostanze pirroliche
venne posto in luce specialmente da una grande serie di belle
ricerche, che dobbiamo al chimico italiano Ciamician ed ai suoi
allievi ,.
K nel commosso cenno necrologico, pronunciato nella seduta
del .16 gennaio 1922 della Società Chimica Tedesca, Paul Ja-
cobson confermava che “a Ciamician ed alla sua Scuola si deve
in prima linea, se la chimica del pirrolo appartiene oggi alle
provincie meglio studiate e più ricche di movimento della Chi-
mica organica ,.
Pur assorbito, in seguito, da altre ricerche, l’interesse del
Ciamician per il pirrolo non venne meno, e varie volte tornò ad
occuparsene, specialmente per indagare quale influenza i pro-
gressi e le nuove vedute della scienza avevano sulla interpre-
tazione dei fatti noti per quel composto.
Diminuiti dapprima, abbandonati, poi, gli studî sperimentali
sui pirroli, Ciamician passò ad altre ricerche speciali, non così
grandiose come quelle sui pirroli, ma tutte molto interessanti, e
che sarebbero bastate da sole ad affermare solidamente la fama
di un chimico. Mi limiterò a ricordare gli studîì eleganti me-
diante i quali, con grande semplicità, riuscì a chiarire la vera
natura delle cotoine, problema, questo, che era stato assai com-
plicato da altri chimici; le ricerche acute e rigorose sulla strut-
tura dell’apiolo e sulle relazioni che esistono fra l’apiolo, il
safrolo ed il metileugenolo; la Memoria, che rimarrà certamente
un classico modello di indagine, e che desta, in chi la legge,
_
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pi ; CO
538 FERRUCCIO ZAMBONINI
un sentimento di profonda ammirazione, sulla costituzione dei
principî aromatici dell'essenza di sedano. Ma una menzione tutta
particolare meritano le bellissime ricerche sugli alcaloidi del
melograno, e, specialmente, sulla pseudopellettierina, grazie alle
quali, non solo fu definita perfettamente la struttura di quelle
sostanze, ma, prima che il Willstaetter completasse i suoi famosi
lavori sulla tropina, il Ciamician potè stabilire le relazioni che
passano fra i derivati della pseudopelletierina e quelli della tro-
pina, e precisare che le basi granatiche e quelle tropiniche sì
trovano nel rapporto di quella particolare specie di omologia,
che egli, già prima, aveva chiamato nucleare.
In tutti questi lavori, fedele e valentissimo collaboratore
del Ciamician fu Paolo Silber, che aveva già preso parte non
piccola agli studì sul pirrolo, e che doveva legare in modo in-
dissolubile il suo nome a quello dell'amico e Maestro nella serie
importantissima di ricerche, cominciata nel 1900, intorno al-
l’azione chimica della luce. Veramente, fin da quando era ancora
assistente di Cannizzaro, in Roma, Ciamician aveva iniziato delle
ricerche su questo argomento, scoprendo l'importante riduzione i
del chinone a chinidrone in soluzione alcoolica, accompagnata
dall’ossidazione dell’alcool ad aldeide.
Le esperienze, iniziate in modo così felice, furono, però,
presto abbandonate, per essere riprese soltanto parecchi anni più
tardi. L'idea inspiratrice del Ciamician fu quella che “è opera
degna di plauso il tentare di far produrre alle piante in maggior
copia le sostanze fondamentali ,, ed egli volle contribuire ad un
tale tentativo, indagando quale azione eserciti la luce su svariate
sostanze organiche.
L’opera del Ciamician in questo campo presenta un inte-
resse grandissimo: dal punto di vista puramente teorico, si ri-
terrebbe opportuno, oggi, adoperare non la luce bianca, ma, invece,
radiazioni di lunghezza d’onda determinata, e premunirsi maggior-
mente contro possibili assorbimenti di energia da parte delle solu-
zioni esposte alla luce. Ma questi eventuali completamenti non
infirmano il valore intrinseco dell’opera del nostro chimico, che
ebbe a superare, insieme al suo collaboratore ammirevole, il
Silber, delle difficoltà sperimentali gravissime, ma ebbe la gioia
di ottenere risultati ai quali rimane legato il suo nome. Del
resto, quale sia il valore che i competenti veri annettono alle
COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 539
ricerche sulle azioni chimiche della luce di Ciamician e Silber
risulta dal trattato fondamentale di uno specialista, come il
Plotnikov, il quale, nelle notizie storiche sui progressi della
fotochimica negli ultimi 25 anni, contraddistingue come una
pietra miliare l’anno 1900, oltre che per altri motivi, anche
perchè in quell’anno “ gli scienziati italiani Ciamician e Silber
hanno cominciato i loro lavori importanti sulla fotosintesi orga-
nica ,. Ed altrove lo stesso Plotnikov scrive: “ Noi dobbiamo
il numeroso materiale sperimentale sulle fotosintesi in prima
linea agli studiosi italiani Ciamician e Silber ,.
Non è possibile ricordare, in questi fugaci cenni, i singoli
risultati ottenuti da Ciamician e Silber: basterà far presente
che il nostro investigatore, insieme al suo collaboratore, ha.
ottenuto, mediante la luce, fenomeni di riduzione e di ossida-
zione, polimerizzazioni, trasposizioni stereochimiche, fenomeni di
idrolisi con rottura della catena in varî chetoni, sintesi impor-
tantissime. Fra i fatti più notevoli accertati, mi limiterò a
menzionare l’interessantissimo passaggio dalla ortonitrobenzal-
deide ad acido ortonitrosobenzoico, che, come ha giustamente
osservato il Bruni, portò alla scoperta di un caso nuovo di
soluzioni solide soprasature e labili; la trasformazione del-
l’acido maleico in fumarico, che sembra condurre ad un vero e
proprio equilibrio; la polimerizzazione dell’acido cinnamico ad
acido a-trussillico, quella dello stilbene, che raddoppia la sua
molecola, e della benzaldeide ; l’idrolisi dei chetoni in presenza
di acqua, con formazione di un acido e di un idrocarburo (per
esempio di metano e di acido acetico dall’acetone), idrolisi che
nei chetoni ciclici determina l'apertura della catena, la quale,
però, non si rompe; le sintesi di varî pinaconi per riduzione dei
chetoni aromatici a spese di alcooli; la condensazione dell’ace-
tone con l’alcool metilico per formare il glicole isobutilenico e
con se stesso, formando, allora, l’acetonilacetone; le sintesi con
l’acido cianidrico.
La carriera scientifica di Giacomo Ciamician si è chiusa con
le belle ed attraenti ricerche sulla chimica delle piante, nelle
quali egli ebbe a collaboratore assiduo il prof. Ravenna. Giova-
netto, il Ciamician si era occupato di ricerche di biologia ma-
rina, nel laboratorio del Claus e nella stazione zoologica della.
sua Trieste con tanto successo, da descrivere anche una nuova
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540 FERRUCCIO ZAMBONINI
specie di celenterato: il vivo interesse per la biologia, che in
Lui non venne mai meno, lo condusse, sul finir della vita, a degli
studì di chimica biologica, nei quali non soltanto ricorse ad una
tecnica ben diversa da quella delle ordinarie manipolazioni chi-
miche, quale la inoculazione nelle piante di svariate sostanze,
la determinazione della resistenza che quelle sostanze oppongono
all’ossidazione enzimatica delle piante, l’influenza che esercitano
sullo sviluppo delle piantine di fagioli, ecc., ma, quasi presago
della sua prossima fine, lasciò libero campo alle concezioni filo-
sofiche e naturalistiche, che costituivano il frutto delle medita-
zioni di tutta la sua vita. Nel discorso pronunciato a Trieste
Sul significato biologico degli alcaloidi nelle piante , i concetti
fondamentali che hanno guidato il nostro chimico sono esposti
con ammirabile chiarezza, e riuniti in un complesso armonico
e attraente. Non sappiamo quante delle ardite idee del Ciamician
rimarranno integre nel patrimonio scientifico dell'umanità: non
vi è dubbio, però, che esse rappresentano un incitamento pos-
sente a nuove indagini, alle quali hanno segnato la via con
osservazioni precise e profonde della più alta importanza.
Ciamician è partito dal concetto che le ‘piante, per la loro
stessa costituzione, hanno bisogno di più svariati stimoli chimici
degli animali, e che esse vivono per processi chimici assai più
di questi ultimi. Contrariamente all'opinione da molti accolta
tuttora, le sostanze accessorie, e segnatamente gli alcaloidi, non
sarebbero delle sostanze di rifiuto, ma costituirebbero addirittura
gli ormoni vegetali.
Cominciò con l’occuparsi dei glucosidi, e stabilì il fatto
molto importante, che, inoculando ad una pianta un principio
aromatico estraneo, che per essa è velenoso, la pianta dà ori-.
gine ad un glucoside, che normalmente non si trova in essa.
Se, invece, si inocula un glucoside, si rinvengono nella pianta,
oltre al glucoside inalterato, anche i suoi prodotti di scissione,
e, precisamente, pare che si raggiunga un vero equilibrio. Pas-
sando, poi, ad occuparsi degli alcaloidi e di svariate altre so-
stanze, il Ciamician dimostrò che le piante sanno liberarsi
perfettamente, sia con l’ossidazione fino all’acido formico ed al
carbonico (assimilando, però, quest’ultimo nelle foglie), sia me-
diante la traspirazione, di sostanze estranee dannose od inutili
inoculate nelle piante stesse. Così, inoculando nel mais il tartrato
CARI SENO PIE IE E rene e
ila
SE UTO
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COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 541
di nicotina, questo alcaloide sfugge in parte attraverso le foglie
insieme al vapor d’acqua, ma le piante di tabacco, cimentate
in modo analogo, non emettono la loro nicotina, prova questa,
secondo il Ciamician, che se esse la producono e la conservano
nel loro organismo, ciò significa che la sua presenza corrisponde
ad una determinata funzione, e che “le piante sanno preservare
anche dall’ossidazione quelle sostanze di cui hanno bisogno ,.
Studiando l’azione sullo sviluppo di piantine di fagioli di
molti composti, il Ciamician è stato condotto ad enunciare la
regola che “in molti casi, la presenza di radicali alcoolici (me-
tili, etili o propili) o di radicali acidi (acetile, benzoile ed altri
più complessi) esalta l’azione delle sostanze fondamentali che li
contengono ,.
Esalta, si è detto, non determina, ed invero il Ciamician
ha mostrato che, quando la sostanza fondamentale è innocua o
normalmente presente nelle piante, l'introduzione di radicali
alcoolici od acidi non dà luogo a derivati tossici. Sembra, così,
possibile, il poter .dedurre dall’azione del derivato quella del
composto fondamentale.
Ma il nostro chimico si è spinto ancora più innanzi, cer-
cando di indagare per quale ragione le piante da composti più
semplici, formano derivati più complessi, con radicali alcoolici
od acidi, che possono rendere nettamente tossiche sostanze per
se stesse poco dannose. Con apposite ‘esperienze, il Ciamician
ha accertato che, almeno nei casi studiati, i composti più dan-
nosi sono quelli che meglio resistono all’azione enzimatica delle
piante, il che lo ha portato a concludere che la formazione di
quei derivati è fatta dalle piante per preservare dall’ossidazione
le sostanze delle quali abbisognano, e che l’effetto delle sostanze
organiche sulle piante deve stare in qualche relazione con la
maggior resistenza che presentano alla eliminazione.
Sono tutte queste, come si vede, delle conclusioni di un
interesse affascinante, che richiedono ulteriori studî, dal Cia-
mician stesso indicati nelle loro grandi linee nel ricordato di-
scorso di Trieste. E noi dobbiamo augurarci che i giovani chi-
mici italiani non abbandonino agli stranieri un campo di ricerche
così importante, ma, animati dall’esempio del Maestro scomparso,
ne continuino l’opera e la completino.
Benchè rivolto in modo precipuo verso la Chimica organica
Cet ie cr ai AND. FRS VINI
542 FERRUCCIO ZAMBONINI
e biologica, Giacomo Ciamician si è sempre sentito vivamente
attratto dalla Chimica generale e dalla Chimica fisica. Giovinetto
ventenne, egli pubblicò uno studio comparativo degli spettri di
elementi omologhi, appartenenti ad uno stesso gruppo del sistema
periodico di Mendeleev, giungendo alla conclusione che l’omo-
logia delle linee spettrali di elementi analoghi ha, probabilmente,
la sua causa nel fatto che gli elementi dei gruppi naturali sono
costituiti dai medesimi componenti, e che nello spettroscopio
noi abbiamo uno strumento atto a darci delle indicazioni sui
moti degli atomi. Conclusioni così eterodosse per un’epoca nella
quale l’indivisibilità dell'atomo era un dogma, valsero al giovane
autore le critiche del Mendeleev e dell’Ostwald: oggi, però, come
ha ben detto il Garbasso, rappresentano una vera anticipazione
nella storia della scienza.
La teoria della dissociazione elettrolitica di Arrhenius lo
interessò grandemente fin dal suo apparire, e nel 1892 egli pub-
blicò delle considerazioni assai importanti sul modo col quale
l’acqua determina la dissociazione degli acidi energici, delle basi
forti e dei sali. Egli ammise che l’acqua, rispetto a questi corpi,
non è una materia indifferente, ma che, al contrario, quando le
molecole d’acqua circondano in grande numero le molecole sa-
line, come accade nelle soluzioni diluite, esercitano un’azione
sugli ioni di queste ultime, fino a rompere il legame fra gli
ioni stessi, che vengono ad essere circondati da molecole d’acqua
intere. — Idee, queste, nuovissime allora ed originali, nelle quali
è anticipata la teoria dei solvati. — Notevole anche, in quel
breve lavoro, è la decisione con la quale il Ciamician parla del-
esistenza di idrati in soluzione, che allora e per parecchi anni
dopo ancora, fu generalmente negata.
Nè va dimenticato che l’ampio contributo dato dal Labo-
ratorio di Bologna allo studio teorico e sperimentale delle’ solu-
zioni solide è stato iniziato e proseguito per consiglio del Cia-
mician, il quale ebbe anche ad indicare alcuni degli indirizzi
più interessanti da seguire, come, per esempio, quello di stabi-
lire se fra le sostanze capaci di dare soluzioni solide esistono
o meno relazioni cristallografiche.
Le ricerche sulla struttura delle sostanze cristalline ecci-
tarono l’interesse vivissimo del Ciamician, il quale, insieme al
Padoa, ha pubblicato, nel 1917, delle considerazioni importanti
COMMEMORAZIONE DI GIACOMO CIAMICIAN 543
e suggestive sulla natura dell’affinità chimica e della valenza
degli atomi. La conclusione del Ciamician che, in alcuni elementi,
la forma dell'atomo nei suoi composti possa variare col tipo di
combinazione, è stata sostanzialmente confermata dalle succes-
sive ricerche di Bragg sui diametri atomici degli elementi.
A Giacomo Ciamician non mancarono gli onori in vita. Le
nostre principali Accademie inscrissero presto il suo nome nei
loro albi: il Governo lo chiamò nel 1910 a far parte del Senato.
Anche gli Istituti scientifici stranieri gli manifestarono la loro
stima. Egli fu, infatti, uno dei pochissimi soci stranieri dell’Ac-
cademia delle Scienze di Parigi, e socio onorario delle quattro
principali società chimiche straniere: l’americana, la francese,
l'inglese e la tedesca. Non solo, ma lo si volle più volte, fuori
d'Italia, a parlare dei risultati dei suoi studî. Così, nel 1904, egli
tenne un grande discorso alla Società Chimica di Berlino sul
pirrolo, nel 1908 uno sulle azioni chimiche della luce a Parigi,
alla Società Chimica francese, e nel 1912, al Congresso inter-
nazionale di Chimica applicata, riunitosi a New-York, pronunciò
uno dei quattro grandi discorsi a sezioni riunite, e svolse, con
successo memorabile, il tema attraentissimo La Fotochimica del-
l’avvenire. Il grande chimico Emilio Fischer, poi, lo propose per
uno dei premi Nobel per la Chimica, designazione il cui valore
non è diminuito dal fatto che l'Accademia di Stoccolma non
credette di seguire il parere del più illustre chimico organico
allora vivente.
E Come italiani, noi dobbiamo essere assai grati a Giacomo
Ciamician, che intorno all'opera sua di investigatore geniale seppe
riunire tanto splendore di fama, così fervido consenso fuori del
nostro Paese. Di quella fama e di quel consenso, infatti, si riflette
una parte sulla Italia nostra, che, per merito anche dell’illustre
e caro scomparso, appare agli stranieri ancora una volta non
soltanto la terra delle glorie passate, ma bensì la patria attuale
di elevatissimi valori morali.
E Giacomo Ciamician fu ben degno di far apprezzare il
nome d'Italia ovunque brilla una luce di cultura superiore. Egli
fu, infatti, un cittadino esemplare ed uno scienziato eminente,
esempio di quegli uomini giusti e preclari, esaltati dal grande
filosofo a Lui caro, che trovano la consolazione vera e migliore
Re.
VETERE e 1 ACTTE SIR RR PIT IO E PSR Re SERIE STING PESA a IRAP] RETI
544 FERRUCCIO ZAMBONINI — COMMEMORAZIONE, ECC.
della loro vita nell'apprendere, sicchè a loro bene si adatta
verso del nostro Poeta
Altro diletto che ’"mparar non provo.
La sua vita nobilissima fu tutta pervasa da
quel forte palpito inquieto
Di quei che acceso alla beltà del vero
Un raggio se ne sente nel pensiero
E ognor lo segue e non lo giunge mai.
Nel volgere tumultuoso dei nostri tempi, la pura bellezza -
dell’Idea sembra impallidire dinanzi alle imprese che hanno |
un valore semplicemente materiale. Ingegni vividi si abbando-
nano loro con ardore, sdegnando quasi ciò che, attraverso alla
scienza pura, conduce alle grandi conquiste del pensiero.
Ma Giacomo Ciamician non subì l’influenza del suo tempo,
e rimase fedele al proprio ideale. Grande anima latina, sentì
profondamente la superiorità dei beni morali, e, fissando il suo
sguardo sempre più in alto, si inspirò durante tutta la vita al
pensiero ammonitore del nostro Genio più luminoso: “ Non si
dimanda ricchezza quella che si può perdere. La virtù è vero
nostro bene, ed è vero premio del suo possessore: lei non si
può perdere, lei non ci abbandona, se prima la vita non ci
lascia ,.
L’ Accademico Segretario
OresTtE MATTIROLO
045
CLASSE
DI
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
Adunanza del 24 Giugno 1923
PRESIDENZA DEL GR. UFF. PROF. GAETANO DE SANCTIS
DIRETTORE DELLA CLASSE
Sono presenti i Soci ErnAupI, BAuUDI DI ‘VESME, SCHIAPA-
RELLI, PaTETTA, PRATO, PaccHIonI, VaLMaGGI, FaGGI, Luzio,
Mosca, JANNACCONE e il Segretario VIDARI.
Scusano l’assenza il Presidente RurrInI e il Socio CIan.
Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza del
10 giugno u. s.
Il Presidente comunica i ringraziamenti inviati dalla Signora
Salvioni per le rinnovate espressioni di condoglianza.
Il Socio PaTETTA presenta il volume di Pietro TorELLI dal
titolo: Capitanato del popolo e vicariato imperiale (elementi costi-
tutivi della signoria bonacolsiana), Mantova, 1923.
Egli nota il merito singolare del nuovo lavoro del TORELLI,
avvertendo che esso dà più di quanto il titolo prometta, poichè,
accanto ai due elementi costitutivi sopra indicati, vi sono messi
in luce, con acute indagini, altri fattori forse meno appariscenti
ma non per questo meno importanti; le basi cioè psicologiche
della nuova signoria tanto nella mentalità di Pinamonte che la
fondò, quanto nella tradizione e nella coscienza popolare, e le
DAR ae ea cea N i
Se à
x
546
condizioni di fatto determinate così dalla vastità e dal continuo
accrescersi dei fondi rustici posseduti dalla Bonacolsi come dai
numerosi acquisti che essi vanno facendo di case e palazzi nel
centro stesso della città. Speciale importanza hanno pure le
questioni di metodo sobriamente trattate in principio della mo-
nografia, e le osservazioni sull’utilità che gli studiosi di storia
medioevale possono trarre dall’analisi sistematica delle formole
usate nei documenti comunali e signorili dei periodi di transi-
zione; formole molto meno uniformi e molto meno rigide di
quelle che compaiono nei documenti regi, imperiali, e quindi
meno atte a nascondere con vecchie frasi la realtà dei fatti
nuovi politici e sociali.
Il Presidente De SanotIS ringrazia il Socio PaTETTA della
presentazione fatta, e manda a ringraziare pure l’Autore del-
l'importante volume donato all'Accademia.
Il Socio ScHiAPARELLI presenta diverse pubblicazioni del
prof. Piero BarocELLI di argomento paletnologico, e segnala
fra le altre quella intitolata: Val Meraviglie e Fontanalba
(Torino, Bona, 1921), che è rivolta a interpretare alcune iscri-
zioni rupestri di monte Bego nella valle della Roja. Il Socio
ScHIAPARELLI illustra il valore scientifico di tale pubblicazione,
che egli non esita a chiamare “ magistrale ,, e che ha riscosso
il plauso dei competenti; cosicchè il Ministero ha ordinato una
regolare esplorazione di tutte quelle valli, che presentano tanto
interesse per la paletnologia.
Il Presidente si compiace della comunicazione ed esprime
l'augurio che tali ricerche abbiano a proseguire efficacemente.
Il Socio ScHiAPARELLI presenta per la pubblicazione negli
Atti una Nota del prof. C. MARRO, Bernardino Drovetti e Cham-
pollion “ le jeune,; documenti inediti, e ne fa rilevare lo speciale
interesse per l'Accademia, in quanto il Drovetti fu il fondatore
del Museo egizio di Torino, e, al pari dello Champollion, fu
membro di questa Accademia. La Nota sarà inserita negli Atti.
547
Il Socio Luzio coglie l'occasione per ricordare che nella
Comunale di Mantova esistono materiali importanti di Egitto-
logia nel carteggio di Giuseppe Acerbi: il quale, console au-
striaco in Alessandria, non solo aiutò le ricerche dello Cham-
pollion, ma ebbe con lui assidua corrispondenza, e aveva
riassunto le proprie osservazioni sull’Egitto in un grande lavoro
storico-critico, rimasto inedito e fin qui sconosciuto.
Il Socio VALMAGGI presenta per l'inserzione negli Atti una
sua Nota: Verna, vernaculus.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 38
548 GIOVANNI MARRO
LETTURE
Bernardino Drovetti e Champollion “ le Jeune ,,
Documenti inediti
raccolti e commentati dal Dott. Prof. GIOVANNI MARRO
Docente di Antropologia e di Clinica Psichiatrica
nella R. Università di Torino.
(CON TRE TAVOLE)
Presentata dal Socio nazionale residente E. Schiaparelli.
Nel R. Museo di Antichità di Torino si collegano intima-
mente l’uno coll’altro i nomi di Bernardino Drovetti e di Jean-
Frangois Champollion, detto Champollion “le Jeune ,: perso-
naggi ambedue i quali sono stati annoverati fra i membri di
codesta Reale Accademia delle Scienze.
Bernardino Drovetti, da Barbania presso Torino — amico
del Generale Colli e di Gioachino Murat — dopo aver preso
parte alla spedizione Napoleonica in Egitto, fu mandato da Na-
poleone stesso in tale contrada, nel 1803, per tutelarvi gli in-
teressi della Francia, sopra tutto per controbilanciarvi l'influenza
dell'Inghilterra. I servizi che egli rese colà alla Francia furono
così notevoli e furono così altamente apprezzati da esservi poi
nominato Console Generale dal Re Luigi XVIII: carica che egli
tenne fino al 1829, anno nel quale dovette ritornare in Italia
a motivo delle condizioni della sua salute, gravemente scosse.
A quest'uomo — ben compenetrato della grande importanza
che doveva avere lo studio dei relitti dell’antica civiltà egiziana
— spetta il merito di essere stato il primo a raccogliere lar-
gamente, ed in certo qual modo sistematico, documenti di ogni
specie della epopea faraonica. Ed all’uopo egli compì lunghi viaggi
e spedizioni pericolose — dei cui risultati si valsero ampiamente
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i n
fra” TAL
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION <« LE JEUNE » 049
e geografi ed esploratori del tempo, fra i quali il Jomard e il
Cailliaud (1) — anche con forte nerbo di forze militari (le quali
venivano poste a sua disposizione da Mohammed-Alì-Pascià,
Vice-Re dell’Egitto, il quale particolarmente lo stimava e pre-
diligeva, sì da ricercarne e da seguirne ben di frequente i con-
sigli e le vedute nell’opera di ricostruzione civile, militare ed
economica del paese, nonchè da assecondarne ogni iniziativa).
Per tal modo, riuscì a lui possibile di adunare, nei primi tre
lustri della sua permanenza in Egitto, un materiale ingente e
preziosissimo, il quale egli fece poi trasportare a Livorno.
Dopo aver primieramente esibito la sua Collezione al Gran-
duca di Toscana (il quale la fece visitare da un antiquario di
sua fiducia, ma declinò poi l'offerta unicamente per la troppo
elevata spesa inerente), Bernardino Drovetti rimase per tre anni
circa in trattative di vendita col Governo Francese; il quale
finì di non assicurarsi un tale materiale non solo per il mancato
accordo sul prezzo, ma anche, e forse sopra tutto, per influenze
religiose: temendosi dal clero di Parigi che lo studio di quelle
antichità potesse in certo qual modo infirmare i concetti biblici
in merito all’antichità della comparsa dell’uomo sulla terra (2).
Nè è da escludersi che lo stesso Bernardino Drovetti, da
quell’abile diplomatico e buon patriota piemontese quale era,
abbia saputo così destreggiarsi da non facilitare in realtà
l'acquisto della propria Collezione da parte della Francia (3),
a disposizione della quale a lui era stato conveniente tenerla
per tanto tempo, in attesa della nomina a Console Generale (4).
(1) M. Jomarp, Voyage è l’oasis de Thèbes ete.... fait pendant les années
1815, 1816, 1817, 1818 par M. F. Cailliaud, Paris, 1821.
M. F. CarcLiauD, Journal d'un voyage fait par M. Drovetti dans l’oasis du
Dakel etc., Paris, 1821.
M. Jomarp, Voyage à l’oasis de Syouah, d’après les matériaux recueillis
par Drovetti et par Cailliaud, en 1816 et en 1820, Paris, 1823. .
(2) E di quest’ultima motivazione ho trovato io stesso una prova in
altri documenti inediti, i quali verranno in seguito pure da me pubblicati.
(3) A questo allude precisamente un passo della iscrizione della lapide
posta sotto il busto del Drovetti nel R. Museo di Antichità di Torino (vedi
pag. 551).
(4) Ciò chiaramente risulta da documenti inediti pure a mia dispo-
sizione.
Il Governo Francese acquistò poi dal Drovetti, sul finire dell’ottobre
550 GIOVANNI MARRO
Certo è che Bernardino Drovetti rifiutò offerte molto van-
taggiose anche da parte dell’Inghilterra e della Germania.
Egli cedette la sua Collezione al Re Carlo Felice il 24 gen-
naio 1824 (per lire quattrocentomila), cooperando efficacemente
all'intento, ben risulta, Cesare Saluzzo e Carlo Vidua (1). L’in-
gente e prezioso materiale fu preso in consegna a Livorno dal
Cav. Cordero di San Quintino, in allora Direttore del Museo di
Antichità di Torino, per incarico del Sovrano (2).
La Collezione Drovetti, portata a Torino — dove già si
trovavano depositate alcune pregevoli antichità egiziane, fra le
quali quelle raccolte nel secolo precedente da Vitaliano Do-
nati (3) — vi costituì il primo grande nucleo del primo grande
Museo di Egittologia che sia stato fondato; e contribuì note-
volmente ad accrescere il prestigio della Città, sì che alla me-
desima conversero gli sguardi di tutti gli archeologi, storici e
letterati. i
Ma, la Capitale dell’antico glorioso Piemonte seppe: man-
tenersi pienamente degna di un tanto deposito : con criterio illumi-
nato di scienza, con liberalità somma essa rivolse sollecita offerta
a Jean-Frangois Champollion — il quale, in quel volgere di
tempo, per l’appunto, aveva comunicato colla famosa “ Lettre à
M. Dacier , (4) di avere scoperto la chiave dell’alfabeto gero-
glifico egiziano — di porre a disposizione del suo studio la
Collezione Drovetti.
L'offerta fu accettata con entusiasmo. E quando Champollion
“le Jeune, venne a Torino vi fu accolto con grande cordia-
1827, per la somma di franchi 150.000, la sua seconda Collezione, ora al
Louvre (vedi H. HarrLEBEN, Champollion le Jeune, sein Leben und sein Werk,
Berlin, 1906).
(1) Lettere del conte Carlo Vidua, pubblicate dal conte Cesare Balbo,
Torino, 1834.
(2) Due lettere del cav. Cordero di San Quintino, relative al trasporto
della Collezione Drovetti a Torino, saranno ben presto anche da me pub-
blicate. È
(3) P. BarocELLI, Il viaggio del dott. Vitaliano Donati in Oriente (1759-1762)
in relazione colle prime origini del Museo Egiziano di Torino, “ Atti della
Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, 1911-1912. L
(4) J.-F. CÒampoLtion, Lettre à M. Dacier relative à l’alphabet des Hié-
roglyphes phonétiques, “ Académie des Inscriptions et Belles Lettres ,, Paris,
1822.
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 551
lità e con testimonianza di alta ammirazione; le quali sempre
poi lo seguirono durante tutta la sua permanenza nella Capitale
Piemontese, protrattasi per circa un anno e mezzo (1824-1825).
E nel Regio Museo di Antichità di Torino .Jean-Frangois
Champollion — con studio profondo ed indefesso, mirabilmente
assecondato da un singolare potere divinatore —. illustrò
buona parte delle dovizie inestimabili della Collezione Drovetti,
gettando tutte le poderose basi della egittologia moderna (1).
Per tal modo, l’ambiente scientifico piemontese, il quale
faceva, in quel tempo, essenzialmente capo alla Reale Accademia
delle Scienze — dopo essere stato uno dei primi a riconoscere
tutta la grandezza e l’originalità della scoperta di Champollion
“le Jeune , e ad appoggiare validamente la medesima colla
autorità della sua grande fama — venne ad acquistarsi il me-
rito di avere fornito a un tale Uomo il vere Laboratorio, nel
quale egli potè dare corpo a tale sua scoperta, e stabilire tutta
la sua gloria (scoperta e gloria le quali erano state a lui, prima,
tanto aspramente contrastate dalla maggior parte degli eruditi :
stranieri e connazionali).
La Collezione di Bernardino Drovetti fu, così, il degno campo
di cimento per il genio maturo di Champollion “le Jeune ,.
E nello statuario del Regio Museo di Antichità di Torino
due lapidi marmoree, poste l’una di fronte all’altra, documen-
tano il glorioso rapporto interceduto fra l’opera di questi due
personaggi, col tramite del Museo stesso (2).
(1) Con legittimo compiacimento io ebbi occasione di illustrare i rap-
porti fra Torino e Champollion “le Jeune , nella cerimonia accademica
per la commemorazione del centenario della scoperta della scrittura gero-
glifica egiziana, svoltasi nell'ottobre scorso a Grenoble — sotto la presidenza
del Ministro della Pubblica Istruzione e delle Belle Arti, Léon Bérard —
colà inviato in rappresentanza del R. Museo di Antichità di Torino e del
suo Direttore prof. Ernesto Schiaparelli (Vedi Giovanni Marro, Il Piemonte
e Champollion le Jeune. Conferenze e Prolusioni. Roma, 1923).
(2) Ecco il testo della iscrizione delle due lapidi:
A memoRrIA ED onorE DI BernARDINO DrovertI — DA BARBANIA — cHE Con-
soLe GeneRALE DI FRANCIA IN EGITTO — ADUNÒ IN LUNGHI ANNI DI SAPIENTI
RICERCHE — QUESTE ANTICHITÀ EGIZIANE — PROCURANDO POI CHE DIVENTASSERO —
ACQUISTO DEI NOSTRI PRINCIPI — ED UNA FRA LE GLORIE PIEMONTESI.
HonorI ET MEMORIAE - JOANNI FRANCISCI CHAMPOLLIONIS — QUI ARCANAE
AEGYPTIORUM SCRIPTURAE — RECONDITAM DOCTRINAM PRIMUS APERUIT — MONUMENTA
_ 552 GIOVANNI MARRO
*
E E
Però, fra B. Drovetti e J. F. Champollion non vi fu solo
. l'intima colleganza spirituale sopra lumeggiata — giustamente
perpetuata negli annali della scienza —; fra di essi intercedettero
anche rapporti personali improntati a schietta cordialità. Sopra
tutto in dipendenza del fatto che Bernardino Drovetti, nella
sua qualità di Console Generale della Francia in Egitto, fu in
grado di rendere, e molto volonterosamente rese, eminenti e
molteplici servizi a Jean-Frangois Champollion quando questi,
alcuni anni dopo dal suo soggiorno a Torino, potè intraprendere il
tanto agognato viaggio di studio e di raccolta di materiale in
Egitto; viaggio che si svolse precisamente nel corso degli anni
1828 e 1829 e che consentì al Champollion di continuare glo-
riosamente nella via delle rivelazioni sull’Egitto antico.
Questi rapporti personali fra Bernardino Drovetti e Cham-
pollion “le Jeune , risultano chiaramente dimostrati da molti
documenti inediti, che noi ebbimo la singolare ventura di rin-
tracciare fra la massa dei documenti, i quali si possono consi-
derare come costituenti l’ “ Archivio di Bernardino Drovetti e
Famiglia , in deposito presso il Signor M. Ozella, pronipote del
Drovetti stesso.
Tali documenti — lettere di corrispondenza — sono stati
posti molto cortesemente a disposizione del mio studio; ed a
me è stato dato, inoltre, il consenso per la loro pubblicazione.
Del che porgo sentiti ringraziamenti al prefato Sig. Ozella.
Alla pubblicazione di questi documenti noi addiveniamo tanto
più volentieri inquantochè essi comprovano ancora la grande
estimazione di cui godeva, sia nel mondo politico sia nel mondo
scientifico, Bernardino Drovetti e come egli del suo meritato
prestigio si valesse per giovare efficacemente all'incremento
degli studi dell'archeologia egiziana e per aiutare validamente la
Francia in ambite imprese.
AEGYPTIA — REGIS VicroRII EÉMANUELIS LIBERALITATE CONQUISITA — IN HIS AEDIBUS
DOCTE INVISIT DOCTE ILLUSTRAVIT — MODERATORES REI LITTERARIAE — STATIM AC
DE MORTE CELEBERRIMI VIRI NUNTIATUM EST — MENSE MARTIO ANNO MDCCCXXXII
—- PrincipATUS REGIS CAROLO ALBERTO SECUNDO.
ng”
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION < LE JEUNE » 5653
Cosicchè, dall'esame dei documenti che per ora ci limitiamo
a presentare già ben risulta che a B. Drovetti competa fama
maggiore di quella che gli viene generalmente riconosciuta di
raccoglitore poderoso e dal fiuto finissimo di antichità egiziane. .
Altre serie di documenti, dei quali tratteremo in Memorie suc-
cessive, porranno sempre più in giusta luce l’alta personalità di
questo forte Piemontese.
*
* *
I documenti formanti il soggetto del presente studio sono
lettere di corrispondenza le quali sommano a undici: sei di
Champollion “le Jeune ,, due di Champollion-Figeac, una di
Ippolito Rosellini, una del Conte di Forbin, una di certo Mecique;
delle quali dieci sono indirizzate a B. Drovetti.
Nella loro presentazione noi seguiremo il criterio dell’ordine
cronologico ; risultando tanto più opportuna l'adozione di un tale
criterio, inquantochè questi documenti si collegano più o meno
strettamente l’uno coll’altro, come verrà bene prospettato.
I DocumENTO.
Dopochè l’eletta schiera di eruditi — che il genio versatile e
comprensivo di Napoleone volle compagna alla famosa spedizione
in Egitto — richiamò particolarmente in onore gli studi della ar-
cheologia egiziana, l'Egitto fu percorso e frugato da molti ardi-
mentosi per la ricerca e per il prelievo di documenti della
civiltà faraonica (e fra gli Italiani merita di essere ricordato,
insieme al Drovetti, Giovanni Belzoni, il quale nel 1817 rinve-
niva nella necropoli di Tebe l’ipogeo di Seti I: il più pregevole,
| senza alcun dubbio, di tutti gli ipogei tebani conosciuti). Per tal
modo, venne a fondarsi sopra vasta scala il commercio delle
antichità egiziane. E maggiore impulso all’opera di esportazione
in Europa di tali antichità vennero naturalmente poi a dare le
scoperte e gli studi di Champollion “le Jeune ,.
Ora, in un breve brano del primo documento che presentiamo
— lettera di Champollion-Figeac al Drovetti, datata dall'anno 1326
— viene ritratto, ed a meraviglia, il quadro del grande fervore
di allora per gli studi egittologici e la conseguente grande
IRR TIA GEE O VAIO SOLCO TE AE NIN DILLO II SITA PIO GARE TONO) FORD SECON SRO
554 GIOVANNI MARRO
estimazione in Europa per tutto quanto proveniva dall'Egitto
antico. E ben ci compiacciamo di rilevare che da questo quadro
sintetico appare come l’Italia — la quale teneva il primato come
paese di deposito di antichità egiziane — degnamente parteci-
passe del rigoglio allora destatosi per gli studi egittologici,
anzi sopra ogni altro paese eccellesse per numero di centri in-
tesi a diffondere la specifica cultura. — Ma, il suddetto quadro è
il semplice mezzo per introdursi nell’argomento essenziale della
lettera.
Infatti, questa lettera è scritta col precipuo intendimento
di esporre a B. Drovetti tutto un piano organizzato per il pre-
lievo e per l'esportazione in Europa delle antichità egiziane,
facendo centro a Parigi per l’esitazione e la vendita delle me-
desime: piano che si prospetta come vantaggioso per la scienza
e fonte di lucro per l'Egitto; destinato ad avere, senza dubbio,
l'approvazione del Vice-Re d'Egitto, “qualora la cosa fosse stata
favorevolmente presentata al medesimo dal Drovetti.
Paris, le 22 9bre 1826.
Monsieur,
La lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’écrire est infiniment
flatteuse pour mon frère et pour moi; nous y attachons un grand prix,
et nous désirerions vous le prouver si l’occasion se présentait de vous
étre utile ou agréable en quelque chose.
Mon frère ose compter aussi sur votre entière bienveillance quand
il ira visiter l’Egypte, et il s'y recommandera avec toute confiance.
Votre position et votre caractère le mettront tout naturellement sous
votre protection. De retour de l’Italie où-il a passé 80 mois, il va con-
sacrer une année è l’organisation du Musée Égyptien du Louvre dont
il est nommé Conservateur par ordonnance Royale du 30 mai dernier,
et il pensera aussitòt après è son voyage d’Egypte. L’étude de cette an-
tique métropole des sciences et de la civilisation prend une grande at-
traction depuis la découverte de mon frère; les gouvernements forment
des musées et créent des chaires d’archéologie égyptienne; il y en a
déjà 4 de fondées, à Paris, Rome, Bologne et Pisa, et le résultat na-
turel de ces établissements est de faire rechercher les monuments
égyptiens; ils ne sont plus de simples objets de curiosité depuis l’al-
phabet publié, et chaque morceau peut étre utile è l’histoire. On nous
a dit que S. Alt. le Vice-Roi d’Egypte a mis la recherche des anti-
quités dans les attributions de l’administration publique. Cette déter-
mination peut étre utile è la fois à S. A. et aux sciences si elle est
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 555
convenablement régularisée. Je crois que le mieux serait pour S. A.
d’établir è Paris un dépòt central de tous ces monuments, et de faire faire,
à l’époque fixée, une en janvier et une en juillet de chaque année, une
vente publique. On trouverait ici une personne sùre qui serait l’homme
de confiance de S. A. qui serait capable de rédiger et d’envoyer partout
en Europe une note sommaire et assez savante des objets de chaque
vente, et ce serait sur ces notes que les commissions seraient envoyées
à Paris par les Gabinets et les amateurs. Nous donnerions nos conseils
volontiers è ces petites affaires dans l’intérét de S. A. et du public
lettré; on trouverait dans M. Dubois notre ami, dessinateur des Musées
Royaux de Paris, et le dessinateur du Panthéon-Egyptien, la personne
qui pourrait le plus sùrement répondre aux instructions de S. A. C'est
lui qui a fait les catalogues Thederat, Cailliaud, Raffaelli, Passalaqua;
c'est un homme instruit, probe, et dont les catalogues font autorité
partout et inspirent seuls la confiance nécessaire pour qu’un amateur
étranger achète sur ses indications. Il ne s’agirait, dans ce cas, que de
régler son indemnité. Je crois ce plan excellent et le seul profitable
aux vues de S. A. En établissant en principe qu’aucun objet ne sera.
vendu qu’en vente publique, S. A. trouverait toutes les garanties né-
cessaires dans cette concurrence. Nous nous ferions un plaisir d’envoyer
quelques renseignements sur les objets qu’on devrait chercher et envoyer
de préférence. Dans ces vues, nous n’avons d’autre objet que de con-
courir è une direction qui nous semble bonne, et utile à la fois à S. A.
et aux sciences. Du reste vous étes sur le lieu, Monsieur, et pouvez
mieux que personne juger de la convenance de ces idées que je jette
à la hàte par impression; il y a un point incontestable, c’est que pour
les hommes et pour les choses Paris est le véritable centre de l’archéo-
logie Egyptienne. Il n'y a qu’un regret, c'est que votre helle collection
n’en est pas été la pierre fondamentale.
Veuillez croire, Monsieur, à tout notre empressement pour tout ce
qui vous compétera, à notre désir de vous étre agréable si nous étions
assez heureux pour le prouver, et recevoir l’assurance de notre entier
et très sincère dévouement.
J. F. CHamPoLLION Fierac.
Rue Mazarine, N° 19.
à Monsieur
Monsieur le Chevalier Drovetti
Consul Général de France
à Alexandrie
EGYPTE
TROIA pi 7 TIE iii Vi ai VIT IO ITA TN
556 GIOVANNI MARRO
Questa lettera ci si prospetta quale risposta ad un’altra
che Bernardino Drovetti indirizzava a Champollion-Figeac il
6 giugno 1826, la quale è conservata nell'Archivio della Fa-
miglia Champollion a Vif (1), e che è stata stampata da Aimé
Champollion-Figeac (2).
Dalla lettera del Drovetti si rileva come già fin d’allora i
due Champollion fossero in frequente corrispondenza col Dro-
vetti, e come questi — sia direttamente, sia indirettamente per
il tramite di comuni amici — avesse esortato vivamente Cham-
pollion “le Jeune , ad un viaggio in Egitto, per il quale gli
profferiva tutta la sua assistenza; nuovamente, in questa lettera,
il Drovetti si pone a completa disposizione dello scopritore della
scrittura geroglifica nella eventualità di un tale viaggio, il quale
egli si impegna di rendere “sùr, facile et agréable ,, sopra
tutto — egli dice al fratello — per visitare “le Vallon sacré,
qu'on peut, sous les rapports scientifiques, regarder désormais
comme son apanage ,.
E tanto affidamento riponevano i due Champollion nel Dro-
vetti — vuoi come prestigio sul Vice-Re di Egitto, vuoi come
conoscenza profonda di quella contrada, vuoi come attendibilità
nelle promesse — che al medesimo esclusivamente si rivolge
Champollion “le Jeune , quando — riuscito ad appianare tutte
le difficoltà che si opponevano al suo viaggio in Egitto ed ot-
tenuto di porre il medesimo sotto gli auspici del Re di Francia
— sì accinge finalmente ai preparativi della partenza.
(1) A Vif — amena cittadina, ricca di vigneti, prossima a Grenoble —
Champollion “le Jeune, soleva andare a trascorrere i mesi estivi: nella
casa di campagna del fratello — casa passata nel patrimonio della famiglia
Champollion fin dal 1770, la quale aveva già ospitato l’infanzia e l’adole-
scenza di due grandi personalità del secolo precedente: gli abati de Mably
e de Condillac —. In questa casa di Vif, “ Les Champollions ,, apparte-
nente tuttora ai discendenti di Champollion-Figeac, sono raccolti, come in
un museo, molti ricordi di Champollion “le Jeune ,; fra i quali, preziosis-
simi, molti volumi dei suoi manoscritti, nonchè l’archivio di famiglia.
(2) Armé CrampoLcion-Fierac, Les deux Champollions; leur Vie et leurs
{Euvres, Grenoble, 1887.
dn cn nr A tira Ante e i n i ca a tà rieti
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 557
II DocumENTO.
Una lettera che esplicitamente dimostra tutto quanto si è
or ora detto — lettera di Champollion “le Jeune , a B. Drovetti
— costituisce precisamente il nostro secondo documento. Dal
quale, anzitutto, ben risulta avere continuato il Drovetti a
muovere sollecitazioni a Jean-Frangois Champollion perchè si
accingesse, senz'altro indugio, alla suddetta impresa scientifica ;
la quale doveva portare veramente all’apogeo la gloria di
Champollion, come d’altronde Champollion stesso chiaramente
presentiva.
(Questa lettera porta l'indicazione “ par duplicata ,; pro-
babilmente una prima lettera è andata smarrita).
(par duplicata)
Paris, le 18 fevrier 1828.
Monsieur, 4
J'attendais depuis longtemps des nouvelles positives de votre ar-
rivée en Egypte, désirant vous féliciter de votre heureux voyage et
vous remercier de toutes les bontés que vous avez eues pour moi. On
m’assure que vous étes arrivé è bon port; je m’en réjouis sincèrement
et me hate de recourir è vous pour des renseignements desquels peut
dépendre l’exécution d’un plan scientifique auquel vous voulez bien
prendre un vif intérét. °
Je partage pleinement votre opinion sur la nécessité d’exécuter
promptement mon excursion littéraire en Egypte: je sens chaque jour
davantage combien il importe à la science et è moi de profiter de la
noble protection que le Vice-Roi accorde si généreusement aux entre-
prises qui ont pour but l’avancement des sciences de la civilisation. Je
suis donc bien résolu de me rendre en Egypte au mois d’aoùt prochain
si les circonstances politiques ne présentent point des difficultés insur-
montables. Personne mieux que vous, Monsieur, ne peut m’assurer la
bienveillance de S. A. le Vice-Roi et me donner des renseignements po-
sitifs sur l’état intériear du pays que je me propose d’étudier. Mon
plan serait de remonter au moins jusqu’à la seconde cataracte.
Veuillez donc, je vous prie, faire auprès du Vice-Roi toutes les
démarches que vous jugerez convenables pour l’instruire du but tout.à
fait littéraire que je me propose en visitant l’Egypte, et pour l’assurer
qu’il verrait avec plaisir une entreprise dont le résultat ne peut que
relever de plus en plus l’importance du Pays soumis è ses soins.
558 GIOVANNI MARRO
Je serais heureux de faire ce voyage avec l’autorisation positive
de S. A. et d’en rapporter une part du succès à une si haute et si
honorable protection.
Je ne consulte que vous seul, Monsieur, sur l’opportunité du voyage
et le choix du temps pour l’exécuter. Vous seul en effet connaissez assez ;
bien le pays et les facilités ou les obstacles que pourraient donner ou
opposer les habitants des provinces éloignées de la Capitale, pour me
déterminer è partir sans délai aussitot que vous aurez eu la bonté de
m’écrire que la chose est praticable et que les chances de réussite sont 3
plus nombreuses que celles de non-succès. J'’attend done avec impatience ;
votre dernier avis sur tout cela. Un mot de vous et je pars. Je comp-
terais toujours comme une assurance de succès la certitude de vous
tai etnica
trouver encore en Egypte è mon arrivée. Vos lumières et votre expé--
rience pourront sans aucun doute me rendre bien facile l’exécution d’un
voyage dont les motifs et les importants résultats qu’en peut retirer la i:
science vous sont parfaitement connus. .
Permettez-moi de vous prier de répondre le plus tòt possible à cette
lettre que je vous adresse avec une pleine confiance en vos lumières,
accrue encore par la certitude entière de l’affectueux intérét que vous |
prenez à mes travaux et è tout ce qui intéresse la vieille comme la
nouvelle Egypte.
Veuillez agréer, Monsieur, l’expression sincère de mon attachement |
et de mon dévouement le plus entier.
J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE.
N° 19 Rue Mazarine è Paris. 3
III DocumEenTO.
Come terzo documento viene presentata una lettera scritta
a Bernardino Drovetti da un grande letterato e archeologo ita-
liano: Ippolito Rosellini; lettera la quale con quella testè rife-
rita di Champollion “le Jeune , è intimamente legata, poichè
tali due lettere sono state scritte previo. accordo fra i due
personaggi.
i
i
i
i
ì
Come è noto, all’ “ Exploration Littéraire en Égypte ,, che
la Francia decise di compiere, ponendovi alla testa Champollion
“le Jeune ,, dovevano partecipare scienziati di vari altri paesi
(per il Piemonte sappiamo che era stato designato Carlo Vidua);
all'ultimo momento però, sorti contrasti di varia natura, alla
spedizione di Champollion “le Jeune ,, composta di sei persone,
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION « LE JEUNE » 559
solo si aggiunse quella stabilita dal Granduca di Toscana, di
cinque persone, avente per capo Ippolito Rosellini.
Prima di intraprendere qualsiasi preparativo per la partenza
i due capi rispettivi delle spedizioni Francese e Toscana deci-
sero di rimettersi completamente al saggio consiglio di Bernar-
dino Drovetti; sopra tutto in vista delle poco propizie condizioni
politiche, in conseguenza delle quali la popolazione dell'Egitto
era manifestamente ostile a tutti gli Europei (basterà il dire
che in quel frangente di tempo le truppe del Pascià d’Egitto
combattevano in Grecia contro i soldati dell'Europa civilizzata).
Ed essi stabilirono di scrivere al Drovetti, ciascuno per proprio
conto: Champollion “le Jeune ,, scrisse la lettera surriferita ;
Ippolito Rosellini scrisse quella che precisamente ora si pre-
senta (nella quale il Rosellini molto accortamente fa presente al
Drovetti — come elemento che doveva certamente conciliargli
tutta la sua benevolenza, tutto il suo aiuto — la comunanza
di patria). i
Paris, le 11 fevrier 1828.
Monsieur,
Les droits que vous avez acquis par tant de titres è la reconnais-
sance de tous ceux qui s’occupent de recherches sur l’ancienne Egypte,
justifient assez la démarche que je fais près de vous daas ma qualité
de Directeur d’une Expédition littéraire que mon Gouvernement, celui
de Toscana, se propose de joindre à celle que Monsieur Champollion
fera par ordre du Roi. Ayant déjà recu cette agréable et flatteuse com-
mission et étant en état d’en apprécier toute l’importance, je suis extré-
mement impatient qu'elle soit exécutée, selon le désir et les ordres de
mon Souverain. Comme je vous ai dit, Monsieur, lorsque j'ai eu l’honneur
de Vous voir è Paris ce n’était que par l’incertitude des événements
politiques que nous retardions d’effectuer notre projet. Mais tenant
d’ailleurs beaucoup è ce qu'il s’exécute dans cette année et ayant surtout
le précieux avantage de vous savoir rendu à vos fonetions près de
Son Altesse le Vice-Roi, je ne puis rien faire de mieux que de m’adresser
à Vous, pour vous prier de vouloir bien nous faire part de vos conseils
sur l’exécution de notre’ voyage. Monsieur Champollion vous fera lui-
méme de son còté la méme prière.
Quoique vos services soient voués à la France par les importantes
fonctions que vous remplissez depuis si longtemps et si dignement en
Egypte, nous ne pouvons rappeler sans une espèce d’orgueil que notre
Patrie a été aussi la vòtre, et nous nous plaisons à regarder comme
bat oe IERI TT TORI
x»
560 GIOVANNI MARRO
un gage de cette flatteuse fraternité la précieuse collection qui donne
tant de lustre è une de nos capitales. D’ailleurs cette Commission To-
scane ne doit étre qu’une branche de celle envoyée par le Gouvernement
Frangais; et finalement les principes éclairés et philanthropiques de
Monsieur Drovetti donnent è chacun, de quelque pays qu'il soit, le
droit de réclamer sa faveur et ses conselis, quand il s’agit de reculer
encore les bornes qui nous empéchent de connaître è fond la Patrie
classique des Sciences et des Arts.
Notre projet serait de partir pour l’Égypte vers la fin de l’été
prochain, mais ce ne serait que d’après vos conseils sur la convenance
et l’opportunité de cette entreprise que nous nous déciderons tout-à-fait.
Je vous prie done, Monsieur, de vouloir bien nous éclairer là-dessus;
c'est une votre réponse que nous attendons avec empressement.
En vous assurant d’avance de notre profonde reconnaissance, j'ai
l’honneur d’étre avec la considération la plus distinguée
De Vous Monsieur le Chevalier
très humble et très dévoué serviteur
HiPPoLYTE ROSsELLINI
Professeur de langues Orientales àè l’Uni-
versité I. et R. de Pise et Directeur de
l’Expédition Littéraire de Toscane en
Egypte.
A la Légation de Toscane, Rue Ville
l’Évéque, N° 13; è ‘Paris:
Monsieur le Chevalier
DROVETTI
Consul Général de France
en Égypte.
Purtroppo, le vicende politiche volsero alla peggio, nel
senso che le misure di coercizione adottate contro i Turchi dalle
Potenze segnatarie del “ Trattato di Londra, portarono all’acme
l’animosità contro gli Europei in tutte le Provincie Turche,
compreso l'Egitto.
La qual cosa deve naturalmente aver reso molto perplesso
il Drovetti nel consigliare una partenza, la quale, come ben si è
visto, tanto stava a lui a cuore e la quale, prima, tanto aveva.
incoraggiato, anzi sollecitato. Ed egli indugiò in effetto alcuni
mesi prima di rispondere alle due lettere da. noi riportate del
Champollion e del Rosellini; evidentemente nell’attesa e nella
speranza che le cose assumessero piega favorevole.
lie iii i e it i init ro srt
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 561
Risulta però (1) che tanto Champollion “le Jeune ,, quanto
Champollion-Figeac (2) — ambedue di temperamento ombroso e
diffidente, sempre propensi a scorgere, in tutto quanto non col-
limava senz'altro colle proprie vedute e coi propri desideri,
elementi di ostilità o di offesa — interpretarono il ritardo
nella risposta come conseguenza delle mene del grande geo-
grafo Jomard (uno dei capi della spedizione scientifica di Na-
poleone in Egitto, il quale aveva fortemente aspirato alla no-
mina di Direttore del Museo di Egittologia di Parigi, e che
‘perciò era avversario di Champollion), collegato da antica e cor-
diale amicizia con Bernardino Drovetti (3).
Nella incertezza del parere e delle intenzioni del Drovetti, i
due Champollion — i quali, trionfando delle opposizioni molte-
plici, erano riusciti a fare bilanciare la spesa della spedizione
dalla Casa del Re e dal Governo — decisero la partenza e ne acce-
lerarono i preparativi. Sì che quando giunse alfine la risposta.
del Console Generale della Francia (4) — nella quale questi pro-
spettava, con grande rincrescimento, le gravi difficoltà che si
frapponevano, per il momento, ad un viaggio simile nell’interno
dell'Egitto; dicendo di poter solo fare sicuro affidamento sul
Vice-Re, il quale, in causa per l'appunto delle sue simpatie
palesi verso l'Europa civile, era tenuto alquanto in diffidenza
dalla popolazione stessa — i numerosi contro ordini ministeriali
inviati, più non raggiunsero Champollion “le Jeune ,, il quale
— precisamente il 31 luglio 1828 — colla spedizione al com-
pleto, aveva lasciato Tolone, in rotta per l'Egitto a bordo del
veliero 1’ “ Eglé ,.
(1) H. HarrLEBEN, Champollion “ le Jeune ,, sein Leben und sein Werk,
Berlin, 1906.
(2) Champollion-Figeac, date le poco buone condizioni di salute del
fratello, aveva, in sulle prime, avversato questo viaggio in Egitto, al quale
tanti strapazzi erano necessariamente inerenti. Però, in seguito egli vi
aveva acconsentito: persuaso della suprema importanza scientifica del me-
desimo, sopratutto perchè una tale spedizione costituiva veramente un’ap-
passionata aspirazione di Champollion “le Jeune ,; e si era fortemente
interessato per la sua effettuazione.
(3) Anzi, col Jomard il Drovetti aveva intrapreso opere di alto valore
sociale-umanitario; il che ben risulta da una copiosa corrispondenza, che
formerà il soggetto di una prossima mia memoria.
(4) Questa lettera del Drovetti, in data 6 maggio 1828, è la prima di
quelle riportate dall’HarrLEBEN nel volume: Lettres et Journaux de Cham-
pollion pendant le voyage d’Egypte, Paris, 1909.
562 GIOVANNI MARRO
IV DocumenTO.
Fra i documenti che Jean-Frangois Champollion portava
seco nel viaggio alla volta della terra dei Faraoni, la quale egli
chiamava “ mon antique patrie , (1), vi era probabilmente una
lettera di saluto per il Drovetti (2), la quale qui noi riportiamo
come IV Documento; lettera scritta dal Conte di Forbin, Direttore
Generale dei Musei Reali di Parigi e con alta carica a Corte —
il quale, molti anni prima era stato in Egitto, e vi aveva con-
dotto scavi e ricerche sotto la guida del Drovetti stesso (come
ben risulta da altre lettere, pure dell’“ Archivio Drovetti ,).
MUSÉE ROYAL
Paris, le 16 juillet 1828
Le Comte DE FoRBIN,
Directeur Géenéral des Musées Royaux
Gentilhomme Honoraire de la Chambre du Roi
A Monsieur le Chevalier DROVETTI,
Consul Général de France en Egypte, è Alexandrie..
Mon Cher Monsieur,
Vous savez trop bien apprécier Mr. Champollion le Jeune, qui pro-
fesse lui-méme la haute estime qu’il vous porte, pour que je songe è
vous le recommander. Seulement, je me félicite dans l’intérét des arts
que vous soyez tous les deux appelés à les servir d’une manière si
brillante, si neuve et si profitable. Voilà le signal d’une époque bien
(1) Ecco una quartina di Champollion “le Jeune ,, da lui scritta sotto
un suo ritratto nel quale egli è camuffato da egiziano:
Quî, Ménès, je revois mon antique patrie,
Je foule avec transport cette terre chérie,
Et le fleuve sacré, riche présent des Dieux,
Le Nil, le Nil enfin se présente à mes yeux.
(2) A tale induzione io pervenni perchè tale lettera non porta l’indi-
rizzo sul retro (come consuetamente usavasi fare nelle lettere spedite per
corriere), mancandovi, inoltre, qualsiasi traccia di suggellatura; sopra tutto
perchè essa è datata dal 16 luglio, cioè appena quindici giorni prima della
partenza di Champollion da Lione. -
PET EI
ET OE STAT E EE OR
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 563
importante; je suis très-certain que Mr. Champollion vous devra de
grandes facilités et pour ma part j’en serai fort reconnaissant. Je souhaite
aussi réveiller votre souvenir et vous renouveler l’expression de mes
sentiments d’amitié et de parfaite considération.
Votre très dévoué serviteur
le Comte DE FoRBIN.
Come ben si vede, Bernardino Drovetti viene dall’autore-
vole e competente personaggio accoppiato a Jean-Frangois Cham-
pollion nella gloria per l’incremento particolarissimo che agli
studi egittologici doveva necessariamente venire dalla spedizione
“ letteraria, in Egitto della Francia e della Toscana (1).
Ma, mentre si effettuava la traversata marittima della spe-
dizione, avente per duce in prima Champollion “le Jeune ,,
l'orizzonte politico, specialmente nei suoi riflessi sull’ Egitto,
veniva rischiarandosi notevolmente.
E all’opera diplomatica di pacificazione risulta aver preso
parte importantissima il Drovetti stesso, al quale, infatti, deve
farsi risalire, quanto meno per la massima parte, il merito di
aver preparato e fatto approvare la convenzione per l’evacua-
zione delle truppe egiziane dalla Morea (la quale si poteva con-
siderare come il vero pomo della discordia fra le Potenze se-
gnatarie del “ Patto di Londra , e la Sublime Porta). Ecco, per
(1) Dal viaggio in Egitto — protrattosi fino al 31 dicembre 1829 —
Champollion “le Jeune ,, oltre ad una cospicua collezione di pregevolis-
sime antichità, rapportava una serie numerosa di disegni dei principali
monumenti sussistenti ancora in quella contrada, nonchè due mila pagine
circa scritte di sua mano riproducenti essenzialmente copie di iscrizioni
geroglifiche — Ecco quanto egli scriveva al suo arrivo in Francia (dal
lazzaretto di Lione, 29 dicembre 1829): “ Mes portefeuilles sont de la plus
grande richesse, et je me crois permis de dire que l’histoire de l'Égypte, celle
de son culte et des arts qu'elle a cultivés, ne sera bien connue et justement
appréciée qu’après la publication des dessins qui sont le fruit de mon
voyage ,.
Ippolito Rosellini, per sua parte, raccoglieva laboriosamente, in questa
lunga traversata dell’Egitto, tutto il materiale che a lui doveva consentire
di pubblicare ben tosto, dopo il ritorno in patria, la sua opera tanto po-
derosa per mole e tanto pregevole per ricchezza di dati e di osservazioni
importanti: I monumenti dell'Egitto e della Nubia, 1832. ;
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 39
564 GIOVANNI MARRO
esempio, quanto Jean-Frangois Champollion scriveva al fratello
il 23 agosto 1828, a pochi giorni di distanza dall'arrivo in
Egitto : “ Sept jours avant notre arrivée, l’amiral Codrington
était venu faire signer au Pachà ladite convention, laborieu-
sement préparée par Drovetti ..... l’amiral anglais a voulu, en
se donnant l’honneur de cette importante négociation, se pré-
parer un moyen de rentrer en gràce à Londres. Mais le fait est
que toute cette affaire a été conduite par M. De Rigny et par
M. Drovetti ,.
Per tal modo, quando Champollion “le Jeune , si presentò
in Alessandria a Bernardino Drovetti ricevette da questi le più
vive e cordiali felicitazioni perchè la lettera inviatagli in
maggio e sconsigliantegli la partenza non fosse a lui pervenuta.
Il Drovetti garantì poi a Champollion che la favorevole matu-
razione, sia pure quasi improvvisa, degli eventi rendeva pos-
sibile di intraprendere senza indugio il progettato viaggio della
spedizione; e l’assicurò che in tale viaggio egli l’avrebbe be-
nevolmente seguìto con tutto il suo appoggio; s’impegnò, anzi,
di fargli avere ogni facilitazione possibile perchè l’impresa riu-
scisse non solo agevolata, ma, altresì, quanto mai fruttuosa.
Dell’ampio mantenimento delle pur larghe promesse di Ber-
nardino Drovetti costituiscono ineccepibile prova le lettere dello
stesso Champollion, le quali verremo ora esponendo.
V DocumenTO.
La lettera che costituisce il V Documento è precisamente
di Champollion “le Jeune ,; ma, è l’unica lettera della presente
raccolta la quale non sia stata indirizzata a Bernardino Dro-
vetti. Infatti, tale lettera è diretta al Console Francese di Lar-
naca, M. Méchain; però, in essa il destinatario è vivamente
pregato di rivolgersi al Drovetti sollecitando tutto il suo inte- .
ressamento perchè si valesse di ogni sua influenza allo scopo di
assicurare alla Francia un documento archeologico, al quale
Champollion dimostrava di annettere un valore altissimo.
Au Caire, le 29 septembre 1828.
Monsieur,
L’intérét amical que vous avez bien voulu témoigner pour moi et
mes compagnons de voyage, me fait un devoir de vous tenir au courant
era n i e ito dei
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION <« LE JEUNE » 565
de nos aventures. Notre navigation d’Alexandrie au Caire a été des plus
heureuses et en méme temps des plus agréables. J’avoue que quelque
haute idée que j’eusse de l’Égypte en ma qualité d’Aegyptiomane, elle
a surpassé mon attente: et la verdure du Delta qui m’a paru si belle
en sortant de vos sables Libyques d’Alexandrie ne sortira jamais de
«mon souvenir; j'ai profité de l’occasion pour passer une journée è
Sa-el-Hagar, l’ancienne Saîs que ce pauvre Jomard place si habilement
à 12 lieues plus au nord que ne sont les véritables ruines. J'ai vu des
choses fort curieuses, et en y reconnaissant trois nécropoles, dont l’une
est énorme pour son étendue, j'ai compris en quel lieu les villes du
Delta plagaient leurs momies.
Les monuments Arabes du Caire m’ont vivement intéressé; mais
quelque attrait que présente leur architecture si svelte et si originale,
Jai résolu de partir après-demain, mardi, pour Saccara: je ferai une
course aux pyramides de Ghizèh et retournerai à Saccara et mettrai à
la voile pour la haute Egypte.
En arrivant au Caire j'ai trouvé notre Consulat tout désorganisé;
le seul homme auquel on pùt parler et sur la complaisance duquel je
pouvais compter était hors d’état de suivre les bonnes intentions dont
il était rempli. Le peu d’instants qu'il m’a été donné de converser avec
lui a suffi pour me rendre sa perte très sensible et je me joins de bon
coeur aux regrets que lui donneront ses amis.
Je ne compte done plus, pour mes affaires de finances, que sur vos
bons offices et les soins de Mr. Cardin: je lui écrirai d’avance de Thèbes
pour lui demander les fonds dont je pourrai avoir besoin aux échéances
portées dans ma lettre de crédit.
Je vous prie de donner de mes nouvelles à Mr. Drovetti, auquel
je n’écris point encore pour ne pas l’occuper. Je serai charmé d’apprendre
que sa santé s'est améliorée et a repris son ancienne vigueur. Soyez
auprès de lui l’interprète de ma vive reconnaissance pour tout ce que
je lui dois de bon. et d’obligeant. Je le remercie également des petites
douceurs que sa bonté a fait pleuvoir sur mon bord; nous avons vidé à
sa santé, en face des ruines de Sais, deux bouteilles de son excellent vin.
Lord Prudhoe que j'ai trové ici m’a mené voir la fameuse pierre
bilingue. Dites, je vous prie, à Mr. Drovetti que cette pierre qui sert
de seuil à-une petite mosquée du Caire est véritablement une triple
inscription en caractères hiéroglyphiques, en démotique et en grec; on
n'apergoit qu’une très petite partie sur la longueur. Si, comme cela est
possible, le reste de cette pierre est masqué dans les marches intérieures
ou encastré dans les montants de la porte, ce dont il serait facile de
s'assurer, il vaudrait la peine que Mr. Drovetti se-mît en mouvement
pour se faire donner en cadeau, par S. A., ce monument inappréciable,
x
à charge de rebatir la petite porte de cette mosquée. J'insiste d’autant
CIIANIENTRE SINIS SLI RIE
566 ——GIOVANNI MARRO
plus sur cette idée que la possession d’un tel monument serait un trésor
pour la science. On l’a refusée, dit-on, au consul Anglais, c’est très-bien;
mais on ne l’a pas encore refusée au consul général de la France: ce
serait une belle et bonne victoire sur l’orgueil Britannique, et une
excellente occasion de consoler la France de la perte si cuisante du
monument de Rosette. Je dois dire que la partie visible de l’inseription
est presque effacée et illisible; cela peut provenir du frottement et il
est è croire que ce qui est engagé dans la construction est beaucoup
mieux conservé. Je recommande cette affaire è toute l'attention de
Mr. Drovetti: il serait beau è lui de retourner en Europe avec un
pareil trophée.
Au nom de tous les Dieux de l’Egypte envoyez-nous done des
lettres d'Europe: l’attente est si pénible! et Pariset n’a point paru! Je
vous supplie au nom des pères, des époux, des fils et des Amoureux
qui composent notre Caravane Scientifique, de ne point perdre une
minute pour nous faire passer les lettres qui arrivent de France ou
d’Italie. Nous sommes affamés d’en avoir; voilà deux longs mois que
nous màchons è vide. i
IoussoupH-KaAcHÈF vient de nous faire faux bond (aujourd’hui
80 7bre) le jour méme de mon départ: il prétend n’avoir rien regu
d’Alexandrie et qu’il n’avait rien de convenu avec moi quoiqu’il m’ait
répété dix fois qu'il ferait avec moi le voyage de haute Ésgypte. Ne
vous occupez plus done de lui: je fais accord avec un Drogman qui
me consolera aisément des dédains de Mr. Cachef.
Je vous prie, Monsieur et cher compatriote, de recevoir l’assurance
de mon entier et bien affectueux dévouement.
J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE.
P.S. Si Pariset arrive dites-lui de me venir joindre au plus vite
en haute Egypte en attendant son monde qu'il établirait au Caire étu-
dirait le bas pays. J'ai réservé une place pour lui dan mon
et sous ma tente.
A Monsieur
Monsieur MfcHAIN
Consul de S. M. le roi de France à Larnaka
au Consulat Général de France
à Alexandrie.
In questa lettera, Champollion “le Jeune , si è anche pre-
occupato — sia per scrupolo descrittivo, sia per meglio attirare
e fissare l’attenzione altrui, sia, e forse sopra tutto, per indi-
Si *,
PETE TE e |
— BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 567
rizzare opportunamente le sollecitate investigazioni — di pre”
sentare un chiaro disegno schematico, relativamente grande
(largo cm. 8, alto cm. 5), dell’ingresso della menzionata moschea;
nel quale disegno un tratteggio lineare riproduce la parte pre-
sumibilmente celata della pietra in questione.
E ci si spiega facilmente il grande desiderio di Champollion
“le Jeune , di vedere assicurato alla Francia il possesso di
tale pietra — ridotta, in virtù di ignorate ma certamente strane
vicende, a una tanto modesta funzione — la quale egli aveva
scoperto trilingue, riflettendo che essa a lui si prospettava
(e ben lo si comprende dalla surriferita lettera stessa) preci-
samente come il “ pendant , della famosissima pietra di Rosette
— scoperta dalla spedizione napoleonica, ma andata poi ad ar-
ricchire il British Museum di Londra — la quale tanto aveva
a lui giovato per giungere a strappare il segreto della scrittura
geroglifica egiziana (1).
VI DocumeENnTO.
Il VI Documento è un’altra lettera indirizzata da Jean-
Frangois Champollion al Drovetti: lettera brevissima, la. quale
pur presentandosi come laconica “ evasione , di una semplice
pratica burocratica, ci fornirà lo spunto per il rilievo di un parti-
colare elemerto psicologico della personalità complessa del grande
egittologo.
Aux pyramides de Gizeh, le 9 8bre 1828.
Monsieur et respectable ami,
Cette lettre vous sera remise par Mr. Bibent, l’un des membres de
mon expédition scientifique que sa santé empèche de rester en Egypte.
(1) Vedi la mia Monografia: / R. Museo di Antichità di Torino e Cham-
pollion “le Jeune ,; “ Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e
Belle Arti ,, Torino, 1923. |
L'importanza della pietra o stele di Rosette è andata in questi ultimi
tempi notevolmente riducendosi, inquantochè il ritrovo di altre pietre con-
simili (fra le quali quella pressochè intatta trovata a Canopo — contenente
un editto di Envergete — e pur essa trasportata nel Museo di Londra) l’ha
tolta dall’isolamento nel quale per tanto tempo essa aveva gloriosamente
campeggiato.
I ENI RL MORO © PRE LO PICCINA, BAN
. CS È patate
568 GIOVANNI MARRO
Je vous prie de l’aider de tous vos bons offices pour son prompt passage
en Europe, et de vouloir bien, en vertu des ordres de S. E. le Ministre
de la Marine, lui faire obtenir son passage aux frais du Roi avec le
premier bàtiment de l’État partant pour l'Europe.
Je vous prie d’agréer le nouvel hommage du dévouement et de la
reconnaissance avec lequel je suis,
Mousieur et respectable ami,
Votre très humble et très obéissant serviteur
J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE.
Mr. le Chev. DRovETTI
Consul Général de la France en Egypte.
Questa breve missiva, rispettosa, anzi deferente per il de-
stinatario, appare improntata di evidente freddezza o quanto
meno di assoluta indifferenza nei confronti del latore, per il
quale non vi ha alcuna espressione, sia pure convenzionale, di
commiserazione.
In altra lettera datata dal giorno precedente (1) Cham-
pollion “le Jeune , partecipa pure al fratello la dipartita di
questo M. Bibent, che sappiamo essere un architetto, con questa
frase: “ Le père Bibent, qui ne m’a servi à rien qu’'à mettre
le désordre parmi nous, déserte. l’expédition. Il retourne en Eu-
rope: Dieu l’accompagne! ,; nella quale anzichè pietà si può
scorgere ironico disdegno. i
In questo comportamento verso un compagno che dopo
alcuni mesi di soggiorno in Egitto si trovava costretto a ritor-
nare, per motivi di salute, in Europa (dove alcuni mesi dopo
veniva a morte) emerge un elemento poco simpatico, ma pro-.
priamente caratteristico nella individualità del grande e geniale
sapiente.
Infatti, nello studio di indole essenzialmente psicologica che
stiamo ora compiendo sulla personalità di Jean-Frangois Cham-
pollion, noi siamo giunti a stabilire precisamente come un tale
uomo — il quale già era solito a trascurare le pur necessarie
esigenze di sosta e di riposo sia per sè sia per gli altri nel
corso della ricerca scientifica — professava risentimento e di-
(1) Vedi citaz. pag. 561.
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aan tinti
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION <« LE JEUNE » 569
spregio per tutti coloro i quali in qualsivoglia modo l’ostacola-
vano e gli creavano imbarazzi sopra tutto nell’esplicazione del
lavoro scientifico.
VII Documento.
Sempre seguendo rigorosamente l'ordine cronologico giun-
giamo alla seconda lettera scritta da Champollion-Figeac a Ber-
nardino Drovetti.
Questa lettera da una parte suona cordiale attestato di
amicizia e di riconoscenza per i benefizi che il Drovetti arre-
cava al fratello ; dall’altra riveste il valore di un notevole do-
cumento ufficiale, inquantochè, scritta dalla Biblioteca del Re,
trasmette al Drovetti un desiderio del Re stesso e in nome della
Casa del Re prega il Drovetti di volere assumere alcune im-
portanti informazioni, in merito per l'appunto al desiderio del
Sovrano, e di trasmetterle sollecitamente a Parigi.
Sotto questo secondo punto di vista la lettera attuale as-
sume un interesse tutto particolare, poichè viene a documentare
‘uno dei primissimi passi della Francia nei confronti di un’ im-
presa la quale doveva effettuarsi solo nel 1836: tale lettera,
cioè, apre, per così dire, quelle lunghe trattative, le quali do-
vevano condurre al trasporto a Parigi di quel grandioso obe-
lisco monolitico egiziano, il quale tanto orna presentemente
questa metropoli, collocato al centro della piazza della Concordia.
Nuovi e più importanti accenni al trasporto dell’obelisco
sono contenuti, come vedremo, nelle due ultime lettere di Cham-
pollion “le Jeune , al Drovetti, costituenti il IX e il X nostro
Documento: accenni i quali dimostrano chiaramente come in
questa impresa della Francia spetti a Bernardino Drovetti un
merito ben maggiore di quello di avere semplicemente assecon-
. dato gli approcci in proposito.
Per tal modo, le due ultime lettere che qui presentiamo di
Jean-Frangois Champollion unitamente a questa di Champollion-
Figeac rappresentano un insieme di importanti preliminari. —
non solo inediti, ma ignorati o, quanto meno, non posti finora
in evidenza — nei confronti di un'impresa della Francia, il cui
compimento, tanto auspicato da molti e prima di ogni altro da
Champollion “ le Jeune ,, doveva assorgere all'importanza di un
avvenimento nazionale.
e A EEN orale a ee in a dr
570 GIOVANNI MARRO
BIBLIOTHEQUE DU ROI
Paris, le 25 octobre 1828.
Monsieur,
Je ne vous dirai pas toute ma reconnaissance pour le bon accueil ‘
et les bons offices que mon frère a regus de vous, parce que jose espérer
que vous ne doutez nullement du plaisir avec lequel je m’associe è sa
juste gratitude. Je serais heureux d’avoir une occasion de vous en donner
un témoignage. D’après la lettre de mon frère, à la date du 13 7bre,
je le crois à présent en Nubie: c’est done à vous que je prends la
liberté de m’adresser pour un renseignement dont j'ai besoin avant son
retour sur un objet justequel il serait bon qu'il trouvat une décision
venue de Paris lorsqu’il sera redescendu è Alexandrie.
Le Roi désire que l’obélisque que la Pachà d’Égypte a bien voulu
lui offrir, soit transporté è Paris. L’Intendance générale de la Maison
de S. M. m’a done chargé de savoir quels seraient à peu près les dépenses
nécessaires pour mettre cet obélisque à bord d’un bàtiment de la marine
Royale. Le Ministre de ta marine ayant déjà recu les ordres du Roi à
ce sujet.
D’après votre réponse, que je communiquerai à l’Intendance géné-
rale, on prendra un parti. J'’aurais soin de vous en informer. Je serais
toujours très heureux d’avoir une occasion de me rappeler à votre bon
souvenir et de vous renouveler, Monsieur, toute l’assurance de mon
entier et inaltérable dévouement.
J. J. CHAMPOLLION FiGrao.
VIII DocumeEnTO.
Il Documento VIII è la terz’ultima lettera di Champollion
“le Jeune , a Bernardino Drovetti della nostra serie: lunga
lettera improntata ad amichevole confidenza e cordialità.
In questa lettera, Champollion partecipa, anzitutto, di essere
stato incolto da uno dei suoi soliti accessi di gotta: — Espressione
di quella diatesi reumatica, la quale era veramente connaturata
nel suo abito somatico-biologico; (e le cui conseguenze perniciose
— sommandosi cogli effetti dell'esaurimento nervoso, al quale
egli era sempre, per così dire, in preda per la continua e so-
verchia applicazione allo studio glottologico ed archeologico (1)
(1) Molto precocemente Champollion “le Jeune, cominciò ad essere
molestato da fenomeni di esaurimento nervoso: assai prima ancora di
dini
OCA PTT e E TETTO TEO
RT O I IT ST SOSIA VETO A
siii CA ati
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 571
— dovevano minare profondamente e rapidamente il suo orga-
nismo ; sì da essere uno dei principali coefficienti della sua
morte prematura — avvenuta nel 1832, a soli 42 anni di età
. — come ben risulta dal Bollettino del suo decesso).
Champollion passa poi a richiedere al Drovetti parecchi fa-
vori; sopra tutto a lui rivolge la vivissima preghiera perchè
voglia particolarmente interessarsi a che la corrispondenza di
Europa gli venga inviata colla massima regolarità e sollecitudine
possibili. A questo proposito è opportuno ricordare come Cham-
pollion “le Jeune , risentisse un vero perturbamento sentimen-
tale e spirituale nel restare privo per un certo tempo di notizie
dei suoi e specialmente del fratello: sempre provando egli il
bisogno di avere continue assicurazioni sia del buon andamento
generale della famiglia, sia, e forse sopra tutto, delle faccende
relative alla sua carriera e alla sua gloria scientifica (alle quali,
in realtà, più di ogni altra cosa egli teneva): incline, come
era — dato il suo temperamento pessimistico e diffidente —
ad immaginare con facilità mali, contrattempi, opposizioni, ecc.
Nello scritto che abbiamo sott'occhio Champollion fornisce
anche dettagli sui lavori che sta compiendo nella Nubia; €
magnifica la grande importanza dei medesimi, esprimendo in
sintesi efficace l’alta sua soddisfazione: “ nous emportons tout
Ipsamboul dans nos portefeuilles ,. Però, egli manifesta, insieme,
il suo solito vezzo — il quale tradisce senza dubbio un tantino
di fatuità — di voler stabilire che egli riusciva a fare le cose
alla perfezione e di muovere sempre appunti all’opera altrui; ed
a tale proposito ricordiamo che in una delle lettere precedenti
giungere alla sua immortale scoperta. Così, per esempio, io ho trovato in
una lettera inedita — dell'Archivio di Vif — (datata dal 7 settembre 1820,
precisamente da Vif e diretta all'amico Goujon) le seguenti espressioni:
“Je me suis enfin décidé, mon bien cher ami, à venir respirer un peu
l’air de la campagne. La Bibliothèque est fermée, mes classes sont finies et
ma santé se remet peu à peu. J'ai bien par ci par là quelques étourdis-
sements, mais je résiste et cela passe. J'espère que l’automne verra ma
cervelle tout à fait debarassée ,.
Altrove io ho già avuto occasione di notare che Champollion si sob-
barcava, quasi senza tregna, ad un poderoso lavoro mentale: impossibili»
tato, forse, sotto l’eccitamento della febbre della ricerca, a risentire sana-
mente gli effetti della fatica e della stanchezza (Vedi citaz. pag. 567).
572 GIOVANNI MARRO :
{V Documento) egli dice: .....“ l’ancienne Saîs que ce pauvre
Jomard place si habilement è 12 lieues plus au nord que ne
sont les véritables ruines ,; eppure Jomard era un geografo
celebre; conoscitore profondo dell'Egitto.
Ipsamboul, le 14 janvier 1829.
Monsieur et respectable ami,
Je regus è Philae où la goutte m’a tenu huit jours en réclusion
sans me permettre de visiter les intéressants monuments qui m’environ-
naient, la lettre que vous me fites l’honneur de m’écrire en m’envoyant
les deux seules lettres que j’aie encore recues d'Europe depuis mon départ
d’Alexandrie. Quoique d’une date ancienne, elles me causèrent un plaisir
bien vrai et je vous serais on ne peut plus reconnaissant si vous pouviez
me fournir plus souvent l’occasion de le renouveler. Il est impossible
que depuis le mois de septembre il ne soit arrivé de France aucun
batiment portant des lettres pour moi et pour les miens: je crains que
les employés de vos Bureaux ne mettent un peu de négligence à faire
passer au Caire è Mr. Macardl, maintenant votre délégué, les paquets
“d’Europe è mon adresse. Je vous prie done instamment de faire à ce
sujet quelques recherches et d’avoir la bonté, par le retour de l’Exprès
qui portera celle-ci, cu par toute autre voie, d’adresser mes lettres
ainsi que celles de MM. Duchesne, l’Hòote, Bertier et Lehou, à Mr. Macardl
qui a des moyens réglés pour qu’elles me parviennent sùrement.
Partis de Huadi-Halfa le 1°" de janvier, nous travaillons ici depuis
le 3, et nous emportons tout Ipsamboul dans nos portefeuilles. Je crois
que nì Mr. Banks niì Mr. Salt n’ont jamais eu des dessins pareils à ceux
que nous venons d’y faire. Je fais copier tous les Bas-reliefs historiques
en grand avec tous les détails de leurs couleurs et toutes les inscriptions
qui. les accompagnent. On n’a encore rien fait de semblable pour ce
magnifique monument. ; i
Après-demain au plus tard nous partirons pour visiter l’Egypte;
en nous arrétant à chacun des monuments qui bordent le Nil tout le
temps nécessaire pour en extraire les dessins et les inscriptions les plus
curieuses. Je compte étre à Thèbes vers la moitié de février. Là je serais
heureux si vous pensiez à réaliser à cette méme époque la dernière
visite que vous avez l’intention de faire à la capitale des vieux Pharaons.
Je serais très empressé de vous servir de Cicérone s’'îl en était besoin
pour une personne qui, comme vous, a déjà le droit de cité à Thèbes
comme à Memphis, dans la ville de Sésostris comme dans celle d’Ale-
xandre. i
Veuillez, je vous prie, dire à Mr. Cardin que me trouvant encore
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 073
en fonds je n’ai recouru ni à sa bourse ni à son obligeance pour les
12000 francs que je devais prendre dans le mois de janvier courant.
Je lui écrirai aussitòt que j'en aurai besoin en lui indiquant l’époque
à laquelle je voudrais que cette somme en talaris et en piastres me
parvînt è Thèbes, où je séjournerai jusqu’au mois d’aoùt. Je le prierais
en attendant de m’envoyer le module des Regus que je devrai lui donner
pour cette seconde somme de 12000 frane.
Nous sommes, comme de raison, affamés de nouvelles politiques: sì
1 vous pouviez disposer de quelques vieux journaux et nous les envoyer,
| ils charmeraient nos longues soirées d’hyver et quelque ve:nées que
fussent les nouvelles, nous les recevrions toujours comme fraîches.
i Permettez-moi de vous renouveler, Monsieur et respectable ami, la
nouvelle assurance de mon entier et tout affectueux dévouement
J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE.
Permettez-moi de consigner ici mille salutations affectueuses de ma
part pour Monsieur Méchain s’îl compte encore au nombre des Ale-
xandrins.
IX Documento.
Giungiamo ora alle due ultime lettere di Champollion “le
Jeune , della raccolta; lettere di cui si è fatto precedente men-
zione, siccome quelle in ambedue le quali sono contenuti notevoli
accenni al trasporto di un obelisco dall’Egitto a Parigi.
La prima di queste due lettere reca la data del 13 feb-
braio 1829. Ora, nella corrispondenza di Jean-Frangois Cham-'
pollion al fratello dall'Egitto — raccolta e pubblicata dalla
Hartleben (1) — noi riscontriamo il preannuncio di una tale
lettera. Infatti, il 10 febbraio 1829 Champollion “ le Jeune ,
scriveva a Champollion-Figeac: “ Verrions nous enfin un obé-
lisque égyptien sur une des places de Paris? Ce serait beau!
Et je suis déjà reconnaissant de ce qu'on n’a pas reculé devant
une telle entreprise. Je la crois très praticable, et M. Drovetti
donnera là-dessus des renseignements positifs. Je transmettrai
à M. Drovetti la lettre que m’a écrit M. Mirbel... ,.
(1) Vedi cit. pag. 561.
ei tie a ei Teti
574 GIOVANNI MARRO
Entre Syène et Ombos, 13 fevrier 1829.
Monsier et respectable ami,
Mille et mille actions de gràce pour les lettres d'Europe que je
viens de recevoir! Mr. Macardl m’a fait passer celles que vous avez
bien voulu lui adresser-pour moi et votre calcul s’est trouvé juste, car
je les regois avant d’avoir entendu parler de votre domestique Ker qui
ne m'a pas encore rejoint malgré le furieux vent du Nord qui souffle
depuis 5 jours et qui a dù le pousser au Midi, puisqu’il s’obstine è
m’empécher d’aller au Nord.
Voilà quatre jours que je suis parti d’Assouan et je ne puis gagner
Ombos où j'ai affaire un jour ou deux!
Agréez mes sincères remercîments pour les provisions que vous
avez la bonté de m’envoyer: elles seront regues à bowche ouverte; vous
pensez bien que des affamés qui reviennent de la seconde Cataracte
doivent avoir l’appétit singulièrement exalté; et les provisions fraîches
porteront la joie dans toute mon ÉEscadre.
Je vous expédirai dans le temps et le plutòt possible la notice que
Mistress Jane Porter désire sur le tombeau Royal découvert par Belzoni.
J'ai besoin d’étre à Thèbes pour la rédiger avec toute l’exactitude re-
quise et aussitòt mon arrivée dans cette vieille capitale je m’en occuperai,
puisque j'ai déjà le projet d’aller me fixer pour un mois è Biban-el-
Molouk.
Permettez-moi de vous adresser, ci-incluse, une lettre que m'’écrit
Mr. De Mirbel, l’ancien secrétaire général de M. De Cazes, aue vous
connaissez sans aucun doute comme un de nos Botanistes les plus di-
stingués. Il désire que le Pacha établisse en Ésypte un jardin-pépinière
qui ne pourrait que ne tourner au profit de l’agriculture et à l’avantage
prochain du Pays. Ce motif me paraît suffisant pour étre certain que
vous mettrez de l’intérét à faire goùter ce projet è Son Altesse qui
trouvera là une belle occasion de montrer sa bienveillance pour la
contrée qu'il gouverne et qui ne peut espérer que de Lui seul de sem-
blables institutions.
Permettez-moi de vous recommander cette affaire de la manière la
plus pressante.
Une seconde me tient également è coeur. Vous avez dù recevoir
du Ministère de la Maison du Roi ou de toute autre une lettre relative
au transport à Paris de l’obélisque d’Alexandrie dont vous abandonnez
la propriété au Roi. Ayez la bonté d’envoyer le plutòt possible è Paris
les renseignements qu'on vous demande sur la possibilité et l’estimation
des frais du transport. Ne les effrayez point trop sur ce dernier article,
parce qu’ils reculeraient. Mais s’ils s’engagent une fois dans l’entreprise,
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 575
comme elle est belle et honorable, on ne s’en désistera pas. L’important
c'est qu'on mette la main à l’oeuvre. On m'écrit que le bàtiment qui
doit venir le prendre est tout prét.
Veuillez, Monsieur et respectable ami, me continuer toute votre
‘bienveillance et agréer l’expression de tout mon affectueux dévouement.
J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE.
P.S. Jai rencontré Mr. Acerbi en Nubie, le 1°" février entre TafaX
et Débordé. Il remonte jusqu'à Ouadi-Halfah. J'avais déjà rencontré
Lord Prudhoe et le Major Felix à XAoroscko entre Seboua et Amada:
ils vont au Semar et delà dans l’Inde. Ce projet me paraît gigantesque
pour la saison. Quant è Pariset il avance lorsque je recule et recule
lorsque j’avance, Dieu sait quand nous nous rejoindrons!
Molti e molti anni avanti, prima ancora di giungere alla
sua capitale scoperta, Jean-Frangois Champollion aveva espresso
la viva aspirazione a che un obelisco egiziano sorgesse nella
capitale della Francia. Infatti, già nel 1821 (1) Champollion, dopo
avere fino ad un certo punto stigmatizzato l’opera di Saulnier
e Lelorrain per il distacco dal tempio di Dendera della famosa
pietra dello zodiaco, la quale doveva allora arrivare in Francia,
scriveva: “ Il faut le dire: ces Romains, si étrangers aux sciences
et barbares sous plus d’un rapport, ont été plus justes appré-
ciateurs que nous des ouvrages de l’Égypte. Quand ils ont voulu
y puiser pour orner leur triomphe et embellir leur cité, qu’ont
ils choisi? des obélisques. Voilà de nobles trophées, voilà le vé-
ritable ornement d’une grande capitale ... ,.
Dalla lettera di Champollion-Figeac, costituente il nostro
VII Documento, e da quella di Champollion “le Jeune , testè
riferita, ben si vede come l’aspirazione di questi apparisse allora
già. bea prossima ad essere tradotta in atto.
Ma da quest'ultima lettera di Champollion “le Jeune , noi
apprendiamo ancora un particolare della più alta importanza pei
fini del presente lavoro, e il quale perciò stimiamo di dover
«mettere in speciale risalto: da tale lettera veniamo cioè ad
| apprendere che è Bernardino Drovetti stesso il quale aveva
(1) “ Revue Encyclopédique ,, Paris, 1821.
ind =} MIT etti CAO RR E a de Adi A LR RETRO»
O eo ee e le dea
Malti ); pan . LA + A \ agio n n
», L si 7 x È » x
576 GIOVANNI MARRO
fatto offerta al Re di Francia di un obelisco di Alessandria di
sua proprietà.
E non è in questo solo documento che noi abbiamo trovato
accenno ad un tale atto di donazione alla Francia da parte di
Bernardino Drovetti: altre lettere, pure da noi rinvenute nel-
l'Archivio della famiglia Drovetti, non meno esplicitamente pa-
lesano la cosa; anzi, per mezzo di esse noi veniamo a conoscere
che Bernardino Drovetti aveva fatto già parecchi anni prima,
e reiteratamente, la stessa offerta al Paese che egli tanto de-
gnamente rappresentava in Egitto. Così, per esempio, in una
fra le numerose lettere del geografo Jomard al Drovetti, datata
da Parigi il 14 agosto 1824, noi troviamo scritto: “ Le Ministre
de la Marine m’a assuré et méme écrit qu’il donnait des ordres
à un batiment de l’état de se charger de le Riche Monolithe
dont vous faites hommage à la France. Je vous engage à cette
occasion è m’adresser une lettre pour S. E. le ministre de la
Maison du Roi, dans laquelle vous le prierez de faire hommage
à S. M. de ce monument ,.
Crediamo, ora, che rivesta un certo interesse l’identificare
il monumento in questione. E ad una tale identificazione noi
giungiamo facilmente sulla base della lettura degli scritti di
Champollion “le Jeune , raccolti dalla Hartleben, nonchè della
lettera pure di Champollion che ancora a noi resta da presentare.
— Nell'“ Extrait du Voyage , del 18 agosto 1828 Champollion
narra: “ J'arrivai enfin auprès des obélisques, situés devant le
mur de la nouvelle enceinte qui les sépare de la mer dont il
sont éloignés de quelques toises seulement. De ces monuments,
en nombre de deux, l’un est encore debout et. l’autre renversé
depuis fort longtemps. Tous deux en granit rose, comme ceux
de Rome, et è peu près de méme ton; ils ont environ soixante
pieds de hauteur, y compris le pyramidion. Un léger examen
des trois colonnes d’hiéroglyphes, m’apprit que ces deux beaux
monolithes ont été taillés, consacrés et érigés devant le temple
du soleil è Eliopolis, par le Pharaon Tutmosis II , (1). Nello
(1) E. Breccra, nel volumetto Alexandra ad Egyptum (Bergamo, 1914)
ci fa presente che questi due obelischi segnavano, sotto la dominazione
romana, l’entrata o una delle entrate del Cesareum o Sebasteion, tempio
vasto e celebre dedicato al culto degli imperatori.
MII EE SEI
|
|
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BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 577
stesso scritto egli riferisce che questi due obelischi erano. de-
nominati: “ les aiguwilles de Cléopatra , dagli Europei, “ les
aiguilles du Pharaon , dagli Arabi (“ qui sont plus près de la
vérité ,).
— In una lettera, poi, del 23 agosto 1828, al fratello, Cham-
pollion scrive a proposito di questi due obelischi: “ ... Celui qui
est debout appartient au Roi, qui devrait bien le faire prendre.
Le voisin, renversé dans la sable, appartient aux Anglais... ,.
— Infine, nella lettera che ora presenteremo come X Docu-
mento, Jean-Frangois Champollion designa l’obelisco del Dro-
vetti: “ Ce pauvre éraillé du: port vieux ,.
X DocumeEnTO.
Probabilmente, alla lettera che ora presenteremo di Jean-
Francois Champollion a Bernardino Drovetti — recante la data
del 12 marzo 1829 (1) — deve attribuirsi il valore di primis-
simo preliminare per il trasporto di quell’obelisco il quale venne,
con grande pompa, eretto a Parigi nel 1836.
In questa lettera — scritta alla distanza di un mese appena
da quella immediatamente sopra riportata — Champollion esprime
il reciso parere per l’abbandono di ogni pratica relativa all’obe-
lisco di Alessandria e sollecita invece, ed assai vivamente, l’in-
tervento del Drovetti allo scopo di decidere il Governo Francese
a fare richiesta all'Egitto di uno dei due obelischi di Luqsor,
incomparabilmente più pregevoli di quelli di Alessandria, per
la Capitale della Francia (prospettando anche che la riuscita
dell'impresa relativa riuscirebbe di sommo onore per la Nazione,
per il Ministero e per il Drovetti stesso).
(1) Colla stessa data Champollion “le Jeune , scrive al fratello una
lunga lettera nella quale, parlando di Lugsor, fa il seguente accenno ai
suoi due obelischi: “J'ai revu ses beaux obélisques. Pourquoi s’amuser à
emporter celui d’Alexandria, quand on pourrait avoir un de ceux-ci pour
la modique dépense de 4.000.000 Fr. au plus? Le Ministre qui dresserait
un des ces admirables monolithes sur une des places de Paris s’'immorta-
liserait àè peu de frais ,.
=" VII a € "a i e a re li: Dai ev e =" YE FAST IRA 2
378 GIOVANNI MARRO-
Thèbes, le 12 mars 1829.
Monsieur et respectable ami,
Je ne saurais comment vous exprimer à quel point nous avons été
touchés, mes compagnons de voyage et moi, de la bonté que vous avez
eue de nous envoyer des provisions d’autant mieux appréciées par nous,
que nous sortions d’un pays où l'on trouvait è peine le strict néces-
salire: c'est gràce è vos soins que nous nageons dans l’abondance, et
que Thèbes, où nous avons retrouvé votre domestique Ker, est devenue
pour nous tous un petit Paris, un séjour de délices et de gourmandises.
Agréez tous nos remercîments et soyez persuadé que nous sommes
loin de nous croire quittes envers vous par les toast nombreux que nous
avons portés en votre honneur: ce n’est encore qu’un plaisir de plus
dont nous vous sommes redevables.
J'ai appris avec peine que vous quittiez définitivement l’Egypte et
que je devais renoncer à l’espoir de vous retrouver à Alexandrie: c'est
un véritable désappointement pour nous tous; mais si votre santé est,
comme je le crois, intéressée à ce départ, nous y applaudirons malgré
la perte que nous faisons d’un ami zélé autant que d’un protecteur sur
cette terre étrangère que nous devons habiter plusieurs mois encore.
Nous espérons toutefois que vous léguerez à votre successeur une partie
de vos bonnes intentions pour nous; mais les'lui inspirassiez-vous toutes,
ce ne sera plus, de sa part, que de simples traditions et nous perdrons
toujours au change.
Mais enfin nous tacherons de nous tirer d’affaire, en comptant un
peu plus sur notre étoile que nous ne l’avons fait jusques ici où nous
nous reposions sur votre providence.
Je n’ai point oublié l’affaire du tombeau des Rois. Je m’en occu-
perai, et vous sentez que je ne puis envoyer en Angleterre qu’une notice
soignée: il me faut donc le temps de la rédiger; mais comme vous
tenez è la transmettre vous-méme, venillez me donner une adresse qui
me permette de vous l’envoyer sùrement en Europe.
Avez-vous répondu sur le projet d’enlever l’obélisque d’Alexandrie?
Je désirerais que cette lettre vous arrivàt è temps pour suggérer è
Paris l’idée d’avoir bien plutòt l’un des obélisques de Lougsor que ce
pauvre éraillé da Port Vieux. Cela serait plus digne de la Nation, du
Ministère et de vous — quelques cent-mille francs de plus et un des plus
beaux Monolithes du monde décorera notre Capitale. Un Ministère trou-
verait là un moyen facile de s’immortaliser.
Ker repart demain matin avec le professeur Raddi qui redescend à
Alexandrie: les provisions de Pariset sont en route depuis ce matin;
I SEO ITA
a RE RRRI TRI TESO SRI DI ARA CASE RE NEO n e ene ra Sd
;
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 579
elles lui parviendront vers Syouth et le mettront au quatrième ciel, car
il m’écrit des lettres d’affame.
Recevez tous mes souhaits d’une heureuse santé et d’un prompt
voyage pour l'Europe, où j’espère vous revoir à la fin de cette année.
C'est là seulemesat qu'il me sera donné de pouvoir vous exprimer toute
ma reconnaissance. Recevez en attendant, Monsieur et respectable ami,
la nouvelle assurance de tout mon affectueux dévouement
J. F. CHAMPOLLION LE JEUNE.
P.S. Mes compliments je vous prie è Mr. Mechain.
Quale secondo preliminare per il trasporto dell’obelisco di
Lugsor a Parigi a noi si prospetta un’altra lettera di Cham-
pollion “le Jeune , scritta al fratello da Biban-el-Molouk, circa
due settimane dopo (24 marzo 1829): “Je reviens encore à
l’idée que, si le gouvernement veut un obélisque à Paris, il est
de l’honneur national d’avoir un de ceux de Lugsor (celui de
droite en entrant), monolithe de la plus grande beauté et de
soixant-dix pieds de hauteur, monument de Sésotris, d’un travail
exquis et d’une étonnante conservation. Insiste pour cela... ,.
Questa sostituzione, tanto auspicata da Champollion “ le
Jeune ,, dell’obelisco di Luqsor a quello di Alessandria, che era
di proporzioni meno colossali, accrebbe naturalmente, e di gran
lunga, le difficoltà dell'impresa; ed a Parigi si continuò a ri-
manere più propensi per l’obelisco di Alessandria (1).
In effetto — dopo le molte assicurazioni e promesse a
Champollion, anche dopo il suo ritorno in patria, alla fine
del 1829 — nel marzo dell’anno 1830 fu dato incarico al barone
Taylor di recarsi a prelevare l’obelisco di Alessandria. Il barone
(1) Ecco, per esempio, quanto Jean-Frangois Champollion stesso scriveva
al fratello quattro mesi dopo (4 luglio 1829): “Je suis aisé que le savant
ingénieur anglais ait eu la belle idée d’une chaussée de trois cent mille
francs pour dégoùter son gouvernement, et par contre-coup le nòtre, des
pauvres obélisques d’Alexandrie. Ils me font pitié depuis que j'ai vu ceux
de Thèbes... Si on doit voir un obélisque a Paris, que ce soit un de Lougsor.
La vieilles Thèbes sera consolée, et du reste, en gardant celui de Karnac,
le plus beau et le plus admirable de tous. Mais je ne donnerais jamais
mon adhésion (dont on pourra fort bien se passer du reste) au projet de
scier en trois un de ces magnifiques monolithes. Ce serait un sacrilège... ,.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 40
Si A n a gi A na SO, E SI TI 70, DAT, DI IMA ASL NL, PE
3 CILE a * j mai Pea LL petto: 5 "n
580 GIOVANNI MARRO
Taylor partì con un bastimento di carico ordinario, “le Dro-
médaire ,; ma il tentativo di trasporto fallì (1).
Solamente quattro anni dopo la morte di Champollion “ le
Jeune , il tanto ardente voto del medesimo che uno dei due
obelischi di Lugsor costituisse un ornamento di Parigi fu appa-
gato (2). Il trasporto di un tale monolito (3) — sopra un va-
scello, fatto espressamente costrurre nei cantieri di Tolone,
denominato “le Lougsor ,, il quale ebbe la scorta di un brik
di guerra — fu celebrato dalla Francia come un grande successo
della sua marina. E lo zoccolo sopra il quale l’obelisco fu in-
nalzato sulla piazza della Concordia porta scolpite tutte le par-
ticolarità dell'impresa.
XI DocumEnTO.
L'ultimo documento della nostra serie si riannoda stretta-
mente col V; cioè, con quella lettera di Champollion “ le Jeune ,,
nella quale questi muoveva preghiera quanto mai viva ed insi-
stente al Drovetti, perchè volesse adoperarsi a tutt'uomo allo
scopo di fare regalare alla sua patria quella pietra da lui
riscontrata trilingue, la quale, secondo la sua espressione, do-
veva “ consoler la France de la perte si cuisante du monument,
de Rosette ,.
La lettera è di un certo Mecique — il quale appare eviden-
temente come uomo al servizio di Bernardino Drovetti — ed a.
noi essa palesa chiaramente come il Drovetti si sia ben curato
per esaudire il desiderio di Champollion: tale missiva, infatti,
contiene essenzialmente un rapporto minuto ed assai interes-
sante in merito alle ricerche fatte sopra la detta pietra trilingue,
per ordine esplicito del Drovetti stesso.
(1) Dei due obelischi di Alessandria, uno è stato ceduto agli Stati
Uniti e decora attualmente una piazza di New-York, l’altro è stato inviato.
a Londra, dove è stato eretto sulle sponde del Tamigi.
(2) Jean-Frangois Champollion morì a Parigi nel 1832. La tomba, col-
locata a Père-Lachaise, è sormontata da un obelisco.
(3) Abbattuto e caricato a mezzo di congegni speciali escogitati dal-
l'ingegnere Lebas.
pare E a
PORZIONE TO Va 9 VE O LR TE I TTI PO
ETA
BERNARDINO DROVETTI E CHAMPOLLION «LE JEUNE » 581
Kaire, le 1° mai 1829.
Mon cher Monsieur Drovetti,
Dès que je regus votre lettre du 24, je lus è notre Jacoub le P. $.
qui concerne la pierre monumentale; cette pierre avait déjà été enlevée
depuis quelques jours par les Anglais et transportée au Consulat où
elle resta trois jours, enfin le vint l’enlever non sans difficulté;
il y eut à ce sujet de vivaces discussions, mais le but de ces Messieurs
était rempli, on céda aux offres dont Lorégu effendy était porteur; la
pierre est en mauvais état, presque tous les caractère des trois langues
en sont effacés, il n'y a pas une ligne intacte, la pierre vaut moins que
rien, m’a dit Mr. Limon; néanmoins on en a pris le calque qui a été
de suite envoyé à Londres avec un rapport où Mr. Champollion sera
fort mal traité; on est aussi fàché contre vous, mais je ne pense pas
que le ressentiment soit poussé si loin; cette pièce a donc été trans-
portée dans un magasin è Boulak où elle aurait longtemps si
votre lettre ne fùt venue l’en tirer; personne n’en avait connaissance,
on la croyait embarquée pour Alexandrie. Abib effendy, è qui j'avais
demandé l’ordre pour vous l’expédier, n’a rien voulu prendre sur lui,
il a falla que S. A. intervînt une seconde fois. Le Kavas à la garde de
qui elle est confiée doit la consigner à Mr. Rogkoz qui vous la fera
remettre.
Jacoub vous présente ses devoir: c’est lui qui a tout fait dans
cette affaire.
Je me rappelle toujours à votre amitié, et suis bien sincèrement
Votre devoué I. MEcIQUE.
P.S. Joubliai de vous dire que Jacoub m’a dit que Mr. Rogkoz
devait se rendre ici d’après l’ordre qu'on m’a transmis.
J'arrive de Boubas où j'ai fait retirer du magasin du gouver-
nement et embarquer sous la conduite de Moustapha Kavass la Stele
dont je ne croyais pas l’écriture aussi peu lisible. Si cette pierre eùt
été dans cet état lorsqu’elle servait de seuil à une porte, elle n’eùt
fixée l’attention de personne et l’on ne se serait pas donné la peine de
la faire enlever; le chef des portefaix qui a été requis pour cette opé-
ration m’a dit que lorsqu’elle fut transportée au Consulat d’Angleterre
les caractères étaient lisibles; sans doute on aura depuis employé quelque
moyen pour les faire disparaître; la pierre est belle encore enduite
d’une couche d’huile et parsemée de quelques parcelles de platre, car
il y a deux calques de tirés d’aprés le rapport qui m’en a été fait.
Limon disait bien que la pierre valait moins que rien.
582 GIOVANNI MARRO — BERNARDINO DROVETTI, ECC.
In succinto: Questa lettera dapprima racconta e colorisce,
con una certa vivacità, le varie fasi della competizione susci-
tata dalla suddetta stele fra l’elemento inglese e quello fran-
cese; dimostra poi come Bernardino Drovetti fosse riuscito a
riportare in merito “ la belle et bonne victoire sur l’orgueil
britannique , auspicata con tanta forza, ed anche con acrimonia,
dal Champollion.. Mae A
Risulta, però, che Bernardino Drovetti non ha, in definitiva, —
trattenuto questa pietra trilingue; e, come è lecito arguire,
probabilmente in causa della quasi completa illeggibilità della
iscrizione su di essa incisa, per cui il valore archeologico della
medesima si riduceva a ben poco: fosse o non fosse ciò la con-
seguenza di un intenzionale insulto iconoclastico da parte di
coloro che si erano visti costretti a cedere la pietra stessa dopo
averla rimossa e trasportata via. Il prof. Griffith di Oxford —
ebbe a dirci che questa pietra trilingue si trova presentemente
depositata — colla chiara indicazione della provenienza — nel
Museo del Cairo; e ci ha confermato che essa costituisce, in
effetto, un pezzo di importanza ben limitata per il grave e dif-
fuso suo deperimento.
TAVOLE
I Tavora — Prima pagina del X Documento.
I s — Seconda pagina del X Documento.
II n — Fine del X Documento e fine del IX Documento.
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G. MARRO - Bernardino Drovetti Tav. I Atti della R. Accademia d Scienze 1
e Champollion «le Jeune » | di Torino - Vol. Lv.
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LUIGI VALMAGGI — YVERNA, VERNACULUS 583
Verna, vernaculus
Nota del Socio nazionale residente LUIGI VALMAGGI
A verna si assegna concordemente il senso fondamentale
di ‘schiavo nato in casa’. Ma è dubbio se a ragione. Venne
già segnalata la contradizione tra un tal senso e quello del de-
rivato vernaculus, propriamente e semplicemente ‘del luogo ’,
in opposizione a peregrinus ‘di fuori’ (1). Che a vernaculus non
vada congiunta veruna idea di schiavitù, nonché dagli esempi
che si possono vedere allegati nei dizionarî, risulta in special
modo evidente dalla nomenclatura militare, vuoi che con ver-
naculi milites, vernacula legio (Cesare, B. civ. II, 20, 4; An.
peelior= 53-45 043001, de Db. Hasp: 10, 8; 12, L, ecc.)
sieno esclusivamente significate truppe reclutate nella regione o
‘territoriali’, vuoi che si designino, come taluno pensa, forse con
minore verosimiglianza, soldati non cittadini. Certo non schiavi!
Vernaculus come equivalente di verna ‘schiavo’, compare in
autori relativamente tardi: il luogo di Apuleio, Met. I, 26
(quid uxor, quid liberi, quid vernaculi?) è suscettibile di varia
interpretazione. Non sfuggi al Walde (Etym. Worterb.? s. v.) che
il confronto con vernaculus è valido argomento in difesa del-
l'etimologia, secondo la quale verna risale a *uesina ‘chi ap-
partiene al luogo’, radice *wes- ‘soggiornare’, ‘ dimorare ’. Se
cosi è ne dobbiamo desumere che il significato primitivo di
verna non fu di ‘schiavo nato in casa’, ma bensi, come nel
derivato vernaculus (le due voci non differiscono sostanzialmente
(1) Basti Varrone, L. L. V, 77 aquatilium vocabula partim sunt verna-
cula (‘latini’) partim peregrina.
TIPTERO me a tari ATI) Mii eee ee dev ang Le
584 LUIGI VALMAGGI — VERNA, VERNACULUS
se non perché verna è sostantivo e vernaculus aggettivo), quello
di ‘ uno del luogo’, ‘cosa del luogo’, sia il luogo la casa, sia
la regione o la città, quale è attestato esplicitamente da Festo
566, 6 Th. (Romanos enim vernas adpellabant, id est ibidem natos)
e rispecchiato ad esempio in parecchi noti luoghi di Marziale
(I, 49, 24 Ibi illigatas mollibus damnas plagis Mactabis et vernas
apros [‘ cinghiali del paese ’] Leporemque forti callidum rumpes
equo ; INI, 1, 6 Debet enim Gallum vincere verna liber [‘ scritto in
Roma’]; X, 30, 21 piscina rhombum pascît et lupos vernas [‘la
peschiera gli mantiene in casa rombi e ragni ’]; 76, 4 de plebe
Remi Numaeque verna |‘romano di Roma]; XIII, 43, 2 Lecta
suburbanis mittuntur apyrina ramis Et vernae |‘ nostrani’;
cfr. Plinio, N. H. XV, 47] tubures). Questa l’accezione pi
antica. Come poi da ‘uno del luogo’, ‘della casa’ la parola sia
venuta a significare ‘schiavo ’, e più precisamente ‘schiavo nato
in casa’, con trapasso analogo a quello di cui ci offre esempio
tra altre la voce ‘domestico’, non ha d’uopo di spiegazione.
Avvertivo dianzi che verna non diversifica da wernaculus
se non perché è sostantivo. L'affermazione contravviene all’au-
. torità dei lessici, nei quali presso a verna sostantivo si suol
registrare un secondo verna aggettivo. Sennonché la distinzione
non ha fondamento. Verna appartiene alla serie dei sostantivi
che il latino unisce per apposizione ad altro sostantivo in luogo
e.con funzione d’un aggettivo. Come si diceva exercitus tiro,
esercito novellino, esercito improvvisato, puer servus, giovane
schiavo, volucres advenae, uccelli di passaggio, rex dominus, pa-
drone regale, e altrettali, cosi si disse verna aper, verna liber,
verna tubur ecc., senza che verna assumesse altra natura né
ufficio dissimile da quello di sostantivo regolarmente usato in
surrogazione dell’aggettivo (1).
Resterebbe a indagare, sia pure approssimativamente, il
tempo in cui dall’originario verna ‘del luogo’ rampollò verna
‘schiavo nato in casa’. E dovrebbe essere presto, come insegnano
gli esempî dei comici. Ma di questa e d’altre questioni connesse
tratterò altrove.
(1) In esempi quale verna puer (Orazio, Sat. I, 2, 117) e simili il sostan-
tivo che sostituisce l’aggettivo nun è verna, ma il sostantivo che l’ac-
compagna.
—______-——_____”°—_’°—_”°—_°—r_r*vyrrr-
net 3 ln i ti
MARIO VALLAURI — IL BRANO, ECC. 585
Il brano della Sarngadharasamdità sull’anatomia
Nota del Prof. MARIO VALLAURI
Presentata dal Socio nazionale residente Ettore Stampini
Dell’'importanza attribuita in India alla Sarngadharasamhità
{compendio di Sàrmngadhara (1)) fanno prova le molte edizioni
del testo e i non pochi commenti e le numerose versioni del
testo stesso in diverse lingue e dialetti indigeni moderni (2).
Quest'opera, che si compone di tre libri brevi e concisi per
contenuto e per forma, ma ricchi di dati e di notizie, tratta
quasi esclusivamente della terapeutica, di quella branca cioè
che costituisce l’ultimo e più proficuo stadio dell’arte medica, la
quale, raccogliendo a tal punto i frutti dell’indagine anatomica,
patologica, igienica, e i risultati di una graduale esperienza sugli
usi più adatti e sugli effetti dei diversi ingredienti e farmachi
che compongono la materia medica e la farmacologia, si ado-
pera efficacemente a combattere i malanni che affliggono l'uman
genere.
Fra i brani notevoli del primo libro, il quale ha carattere
introduttivo e contiene argomenti che possono sembrare estranei,
ma che debbono essere considerati come preparatori alla tera-
Avvertenza. — Nella trascrizione in lettere latine dell'alfabeto devana-
garico, le consonanti con segni diacritici e l’r vocalica sono state, per ne-
cessità tipografica, distinte nel corpo della parola a mezzo di carattere
diverso, e le vocali lunghe hanno il segno dell’accento circonflesso.
(1) Circa l’età di SS. (al più tardi sec. XIII) vedi JorLy, [Indische] Me-
dicin, p. 4. i
(2) Vedi Catalogue of the library of the India Office, Vol. II — Part I
(Sanskrit books), p. 184.
Ro e e a a e er e a
586 MARIO VALLAURI
peutica (ad es.: anatomia, fisiologia, patologia), trattano del-
l'anatomia (sarîra) cinquantaquattro sloka e mezzo del quinto
adhydya.
Nella brevità che gli è caratteristica l’autore si limita ad
enunciare gli ultimi postulati dell'indagine e presuppone in chi
legge la conoscenza delle ampie trattazioni anatomiche delle
quali è prezioso documento il libro o sezione del sar?ra nei più
importanti trattati classici.
In questi trattati il sàrîra vuol. essere inteso in un signi-
ficato più vasto di quel che non abbia la moderna anatomia :
vi si trova infatti la storia genetica dell’essere vivente, e pre-
cisamente le cause trascendentali e le fisiologiche che concor-
rono alla concezione, il formarsi delle membra nella vita ute-
rina, la nascita ed infine l’anatomia dell'organismo umano.
Quest'ultima parte rappresenta l'anatomia propriamente detta, e
quasi esclusivamente ad essa si riferisce il brano anatomico
della S., al quale l’autore fa per altro seguire un breve brano
cosmogonico, che, secondo la più diffusa tradizione medica, è
fondato sulla dottrina filosofica del samkhya.
Ma gli autori medici più antichi non sono, in tema di ana-
tomia, gli unici precursori di S.; chè la nostra attenzione non
può non soffermarsi sul quarto veda ‘tradizionale ( Atharvaveda),
in cui la medicina, sebbene comparisca generalmente sotto la
tutela della credenza religiosa, della superstizione e della magìa,
pure attesta. in qualche luogo (1) uno stadio abbastanza avan- i
zato di evoluzione indipendente, sul Satapathabràhmana, nei cui i
ultimi libri ricorrono luoghi importanti, i quali ci informano di
antiche tradizioni relative alla costituzione e alla conforma-
zione dell'organismo umano, ed infine sulla letteratura giuridica
dove, trattandosi dell’uomo come soggetto ed oggetto di doverì
e di diritti, si accenna altresì alla sua origine ed alla sua co-
stituzione psicofisica.
Posto a confronto con tali precedenti, i quali hanno con
esso manifesta affinità di materia, il sdrîra di S. può davvero
essere considerato come una succinta ed esauriente esposizione
dell'anatomia; ed è sembrato che fosse prezzo dell’opera il
(1) Vedi ad es. l’inno sulla creazione dell’uomo: At. »., X, 2.
PT , v N
RS TOI TEEN LT PTT I TE I TÈ
IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL’ANATOMIA 587
9
darne una traduzione in lingua europea, corredando la tradu-
zione stessa di quelle note che apparivano necessarie ad illu-
strare i dati anatomici che il testo ci fornisce. Canone-guida in
tal sorta di commento è stato quello di ricercare nelle opere
dei più autorevoli predecessori, le tracce delle teorie anatomiche
esposte da S. e maggiormente degne di rilievo. Sonc state per-
tanto messe in luce analogie e divergenze di dottrina : sull’im-
portanza di queste ultime non è il caso di insistere, e basti il
rilevare che dall’analisi e dal reciproco confronto fra esse, mentre
sì rende manifesta la genesi naturale delle diverse teorie me-
diche, emerge altresì quasi sempre la via maestra DabLaba dalla
scienza nella ricerca del vero.
Non si è poi omesso di consultare alcuni fra i più notevoli
testi di lessicografia indigena (Amarakosa, Abhidhanacintàmani),
perchè questa serie di opere cui, chi più chi meno, sogliono
quasi tutti i moderni commentatori indigeni attingere grande
copia di notizie dichiarative ai testi, porta un prezioso contri-
buto all’ermeneutica di molti vocaboli tecnici.
La rarità delle varie edizioni della S. e le perduranti dif-
ficoltà dei transiti e degli scambi, le quali ripetono i loro dan-
nosi effetti pur in quanto concerne il commercio librario, non
mi hanno consentito di avere a mia disposizione, per la ver-
sione di questo brano anatomico, altra edizione che quella (limi-
tata al solo testo) pubblicata a Bombay (“ Nirnayasdgara ,
Press) nel 1904.
Sembrami nulladimeno che la lezione del testo sia, nell’edi-
zione ora accennata, in tutto accettabile e corretta, se pur si fa
eccezione» per qualche palese menda tipografica che ho avuto
cura di rilevare a suo luogo.
Infine, tenuto conto che il testo a stampa della S. non è
fra i più comuni in occidente e considerata la brevità del
brano preso in esame, ho ritenuto conveniente di premettere
alla versione la riproduzione del brano stesso in caratteri la-
tini: per tal modo ho potuto altresì eliminare dalle note quelle
citazioni del testo che sarebbero di frequente apparse neces-
sarie a corredare la versione e a motivare i confronti con altri
autori.
le n v viett RA LA SL PEA, Ca ge ce. (at Mi Miei Sete naso
588 MARIO VALLAURI
Testo.
h'E
dhatvasayantarasthas tu yah klegas tv adhitisthati |
dehosmanà vipakvo ya sà kalety abhidhiyate || 1 ||
kalah saptàsayàh sapta dhataval sapta tanmalaX |
saptopadhataval sapta tvacal sapta prakîrtitàà || 2 ||
trayo dosà navasatam snàyùnàm samdhayas tathà |
dasàdhikam ca dvisatam asthnàm ca trisatam tathà [| 3 ||
saptottaram marmasatam siràh saptasatam tathà |
caturvimsatir àkhyàtà dhamanyo rasavahikaA [| 4 [|
mamsapesyah samaàkyàtà nrnàm pancasatam budhai? |
strinàm ca vimsatyadhikah kandaràs caiva sodasa || 5 ||
nrdehe dasa randhràni nàrîdehe trayodasa |
etat samàsatal proktam vistarenàadhunocyate || 6 ||
màmsàasrnmedasàm tisro yakrtplibnos caturthikà |
pancamiî ca tathà ’ntrànàm sasthi càgnidharà matà || 7 ||
retodharà saptamî syàd iti sapta kalàh smrtàà |
slesmàsayah syàd urasi tasmàd amasayas tv adhaà || 8 ||
ùrdhvam agnyàsayo nàbher vàmabhaàge vyavasthita/ |
tasyopari tilam jreyam tad adhah pavanasayal || 9 ||
malàsayas tv adhas tasmàd bastir mùtràsayas tv adha? |
jivaraktàsayam uro jneyà% saptàsayàs tv amî || 10 ||
purusebhyo ’dhikàs cànye nàrinàm àsayàs trayal |
dharà garbhasaya) proktah stanau stanyàsayau matau || 11 ||
rasàsrnmàmsamedo’sthimajjàsukràni dhàtaval |
jayante ’nyo ’nyatal sarve pàcità/ pittatejasà || 12 ||
rasàd raktam tato màmsam mamsàn medal prajàyate |
medaso ’sthi tato majjà majjàyàl sukrasambhava? || 13 ||
jihvanetrakapolànam jalam pittam ca ranjakam |
karnavid rasanàdantakaksàmed/kràdijam malam || 14 [|
nakhanetramalam vaktre snigdhatvam pitikàs tathà |
jayante saptadhàtànàm malàny evam anukramat || 15 ||
stanyam rajas ca nàrinàm kàle bhavati gacchati |
suddhamaàmsabhaval snehal sà vasà parikirtità || 16 ||
svedo dantàs tathà kesàs tathaivaujas ca saptamam |
iti dhàtubhavà jneyà ete saptopadhàtava? || 17 ||
stan Lori i
IL BRANO DELLA Sdrngadharasamhità SULL’ANATOMIA 089
ojah sarvasarîrastham sîtam snigdham sthiram matam |
somàtmakam sarîrasya balapustikaram matam || 18 ||
Jneyàvabhaàsinî pàrvam sidhmasthànam ca sà matà |
dvitiyà lohità jreyà tilakàlakajanmabhù? [| 19 ||
svetà trtiyà samkyàtà sthànam carmadalasya sà |
tàmrà caturthî vijneyà kilàsasvitrabhàmikà || 20 ||
pancamî vedani khyàtà sarvakusthodbhavas tata?” |
vikhyàtà rohini sasthi granthigandapacisthitià || 21 ||
sthùlà tvak saptami khyàtà vidradhyàde/ sthitis ca sà |
iti sapta tvacal proktàh sthùlà vriîhidvimatrayà || 22 ||
vàyul pittam kapho dosà dhàtavas ca malàs tathà |
tatràpi pancadhà khyàtà/k pratyekam dehadharanat || 23 ||
sariradùsanàd dosà dhàtavo dehadhàraràt |
vàtapittakaphà jneyà malinikaranàn mala? || 24 ||
pittam pangu kaphal pangul pangavo maladhatava? |
vàyunà yatra nîyante tatra gacchanti meghavat || 25 ||
pavanas tesu balavàn vibhàgakaranàn matal |
rajogunamayal sùksmal sîto ràkso laghus cala? || 26 ||
malasaye caret kosthe vahnisthàne tathà hrdi |
kanthe sarvàngadesesu vàyuh pancaprakarataA || 27 ||
apànah syàt samanas ca prànodànau tathaiva ca |
vyànas ceti samirasya nàmàny uktàny anukramat || 28 ||
pittam usnam dravam pîtam nilam sattvagumottaram |
katutiktarasam jneyam vidagdham càmlatàm vrajet || 29 ||
agnyàsaye bhavet pittam agniràpam tilonmitam |
tvaci kantikaram jneyam lepàbhyangadipàcakam || 30 ||
drsyam yakrti yat pittam tad rasam sonitam nayet |
yat pittam netrayugale rùpadarsanakàri tat || 31 ||
yat pittam hrdaye tisthen medhàprajnàkaram ca tat |
pàcakam bhràjakam caiva ranjakàlocake tathà !| 32 ||
sàdhakam ceti pancaiva pittanàmàny anukramat |
kaphah snigdho guru svetah picchilal sitalas tathà || 33 |
tamogunadhikah svaàdur vidagdho lavano bhavet |
kaphas càmaàsaye mùrdhni kanthe hrdi ca samdhisu || 34 ||
tisthan karoti dehasya sthairyam sarvàngapaàtavam |
kledanal snehanas caiva rasanas càvalambana? || 35 ||
slesmakas ceti nàmàni kaphasyoktàny anukramat |
snàyavo bandhanam proktà dehe maàmsaàsthimedasam || 36 ||
"E e ug Ae
DIA DET DIRO
MARIO VALLAURI
sandhayas càngasandhànaàd dehe proktàh kaphanvitàà |
àdhàras ca tathàsàrah kàye ’sthîni budhà viduà || 37 |
marmàni jivàdhàràni pràyena munayo jaguà |
samdhibandhanakàrinyo dosadhàtuvahàA siràà || 38 ||
dhamanyo rasavàhinyo dhamanti pavanam tanau |
màmsapesyo balàya syur avastambhàya dehinàm || 39 ||
prasàranàkuncanayor angànàm kandarà matàà }
nàsànayanakarnaànàm dve dve randhre prakîrtite || 40 ||
mehanàpànavaktrànàm ekaikam randhram ucyate |
dasamam mastake proktam randhrànîti nrnàm viduà || 41 ||
strîinàm trîny adhikàni syuh stanayor garbhavartmana” |
sùksmacchidràni cànyàni matàni tvaci janminàm || 42 ||
tadvàme phupphusaplîhau daksinànge yakrn matam |
udaànavaàyor adhàrah phupphusal procyate budhaiX || 43 ||
raktavàhisiràmùlam plihà khyàtà mabarsibhi? |
yakrd ranjakapittasya sthànam raktasya samsrayah || 44 Il
jalavàhisiràmùlam trsnàcchàdanakam tilam |
vrkkau pustikarau proktau jatharasthasya medasa? || 45 Î
vîryavàhisiràdhàrau vrsanau paurusàvahau |
garbhàdhaànakaram lingam ayanam vîryamàtrayo? || 46 ||
hrdayam cetanàsthànam ojasas càsrayo matam |
sirà dhamanyo nabhisthàk sarvàm vyàpya sthitàs tanum || 47 [|
pusnanti cànisam vàyoh samyogàt sarvadhàtubhià |
nàbhisthah prànapavanal sprstvà brtkamalantaram || 48 ||
kanthàd bahir viniryàti pàtum visnupadàmrtam |
pitvà càmbarapîyùsam punar ùyàti vegata@ || 49 ||
prinayan deham akhilam jîvayan jatharànalam |
sarîiraprànayor evam samyogàd àyur ucyate || 50 ||
kaàlena tadviyogàc ca pancatvam kathyate budhaiW |
na jantuk kascid amarah prthivyàm jayate kvacit || 51 ||
ato mrtyur avàryal syàt kimtu rogàn nivàrayet |
yàpyatvam yàti sàdhyas tu yàpyo gacchaty asàdhyatàm || 52 ||
jivitam hanty asàdhyas tu narasyà ’pratikàrima@ |
ato rugbhyas tanum raksen narah karmavipàkavit || 53 ||
dharmàrthakàmamoksaànàm sariram sàdhanam yatah |
dhàtavas tanmalà dosà nàsayanty asamàs tanum || 54 ||
samàl sukhàya vijreyà balàyopacayàya ca | .
IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL’ANATOMIA 591
9
È| «Traduzione con note.
V. 1. Quell’umidore che, situato nell'interno delle sedi dei [7]
elementi, [vi] procede attraverso, e che è cotto (maturato)
dal calore |interno] del corpo, si chiama sostrato.
1. La concezione dei sostrati dei 7 elementi rappresenta alcuni principî
fluidi, inerenti a ciascun elemento, i quali, mentre ne costituiscono
la parte essenziale, vengono poi a formare, diffondendosi verso la pe-
riferia, una specie di involucro delle sedi degli elementi stessi e de-
terminano in tal modo una delimitazione fra essi. Alcuni luoghi di
testi medici valgono a chiarire tale concezione. (Susruta— III, 4, 2):
kalaàh Kkhalv api sapta sambhavanti dhatvasayintaramaryadéh “ e si pro-
ducono poi 7 sostrati, limiti delle cavità delle sedi degli elementi ,;
(Vrddhavàgbhata cit. in Comm. Dallana a Su. II, 4, 3-5): yas tu
dhatvasayintaresu kledo “vatisthate yathàsvam usmabhir vipakvah snayu-
slesmajardayucchannah kastha iva saro dhéturasasesalpatvat kalasamjnah
iti “ quell’umidore poi che sta nelle cavità delle sedi degli elementi,
cotto (maturato) dai calori singoli [inerenti a ciascun elemento], rive-
stito da nervi flemma e chorion, come succo nel legno, per la pochezza
dei residui essenziali degli elementi si chiama Kald (lett.: particella) ,;
(Astangahlrdaya — II, 3, 9b-10a): dhatvasayantarakledo vipakvah svam-
svam usmanà | slesmasnayvaparicchannah kalakhyah kasthasaravat
“l’umidore delle cavità delle sedi degli elementi, cotto (maturato)
dal calore proprio a ciascuno, rivestito da nervi flemma e chorion,
di nome sostrato, è come succo del legno ,; (e Comm. Arunadatta op.
e l. cit): ... yathà rasadhatvasayantarasthah kledo rasadhatismanà vi-
pakvah kalaikà bhavati, yavac chukradhatvasayantarasthah sukradhati-
smanà vipakvah saptamì kalà bhavati “ ... così l’umidore che sta nel-
l'interno della sede dell’elemento chilo, cotto dal calore dell'elemento
chilo, è il sostrato [numero] uno, laddove [quello] che sta nell'interno
della sede dell'elemento seme è il settimo sostrato ,.
Stabilito il paragone: sostrato animale linfa vegetale, i rivesti-
menti del sostrato animale per mezzo dei vari ingredienti organici
sopra ricordati (nervi, flemma, chorion) trovano un ovvio parallelo nei
diversi strati che compongono la corteccia del fusto delle piante e che
rivestono pur sempre il succo o linfa vegetale, non ostante che questa
scorra attraverso l’alburno o porzione esteriore del legno.
I 7 sostrati rappresentano nel loro insieme uno tra i primi ingre-
dienti anatomici, e appartengono già alla vita embrionale.
502 MARIO VALLAURI
2. Sette sono stati dichiarati i sostrati, sette gli organi interni
cavi, sette gli elementi essenziali, sette le loro secrezioni
impure, sette i sottoelementi, sette le pelli.
3. Gli umori [sono] tre, novecento i nervi, duecentodieci le arti-
colazioni, trecento le ossa,
4, I punti pericolosi centosette, settecento le vene, in [numero
di] ventiquattro sono stati contati i canali che portano
il chilo.
5. Dai sapienti sono stati computati in [numero di] cinquecento
i muscoli degli uomini, delle donne poi venti in più: e
i tendini precisamente in [numero di] sedici.
6. Nel corpo dell’uomo [sono] dieci aperture, nel corpo della
donna tredici: [tutto] questo, enunciato succintamente,
viene ora esposto particolareggiatamente.
7. Tre della carne, del sangue e del grasso, il quarto del fe-
gato e della milza, il quinto a sua volta degl’intestini,
il sesto poi è considerato come contenente la bile,
2. Secondo Caraka (IV, 7, 3) le pelli sono in numero di 6. Ma il numero 7,
citato dal nostro autore, è convalidato dalla Susruta—- (III, 4, 2), dal-
l’Astangalrdaya— (II, 3, 85-9a), ecc.... Anche le pelli si manifestano
nella prima vita embrionale.
3. Il numero di 300 citato per le ossa, è quello della teoria chirurgica
(Susruta — seguita in Sarîrapadmini, Bhavaprakésa, ecc. ...), laddove la
teoria medica (Caraka -, Bheda-, Astànga-, Astàngahrdaya-, ecc.),
la cui modificazione più notevole è quella di comprendere fra le ossa
32 alveoli e 20 unghie, porta a 360 il numero complessivo delle ossa.
7. Riguardo alla determinazione dei sostrati, sono da rilevarsi due diverse
. tradizioni di dottrina. Secondo l’una i 7 sostrati sono inerenti ai 7 ele-
menti essenziali (Ahdtu) — chilo, sangue, carne, grasso, ossa, midollo,
seme — i quali costituiscono uno dei capisaldi della fisiologia indiana,
e tale è la tradizione cui si attiene Hemacandra (cfr. Monrer WiLLIAMSs,
Sanskrit - English Dictionary?, s. v. kala); secondo l’altra invece i 7 ele-
menti cui si riferiscono i 7 sostrati sono : carne, sangue, grasso, flemma,
fecce, bile, seme. Che questa seconda tradizione, la quale è pur seguita
dai testi di medicina, non concordi con il noto postulato dei 7 dhdtu
classici, e che la prima si appalesi più razionale e conseguente, lo
dimostrano oltrechè l'esame del contesto nelle opere mediche, altresì
i commentatori indigeni. Così D. (Comm. Sw. III, 4, 2), per giustificare
l’intromissione fra i d/hatu — cui le Kala si riferiscono — del flemma
della bile e delle fecce (ma pur lasciando insoluta la causa dell’eli-
minazione dei 3 dhatu: chilo, ossa, midollo), scrive: dadhatiti “ dhd-
tavah ,, rasaraktamamsadayah, kaphapittapurîsany api prakrtàni sva-
sità RE ERO ee
IL BRANO DELLA Sarngadharasammità SULL'ANATOMIA — 593
8. Il settimo è [quello] contenente il seme: così sono stati
ricordati i sette sostrati. L’organo cavo contenente il
flemma sta nel petto, al di sotto di esso l'organo cavo
contenente il cibo non digerito,
9. Al di sopra dell’ombelico e nella parte sinistra è situato
l'organo cavo contenente la bile; più in alto di esso de-
vesi riconoscere il polmone destro, inferiormente a questo
l'organo cavo contenente il vento,
karmanà dadhatiti “ dhatavah , “ costituiscono, perciò costituenti
(elementi) essenziali: chilo, sangue, carne, ecc....; pure il flemma, la
bile e le fecce non alterati, con la propria azione (funzione) costitui-
scono, per cui [sono anche essi] costituenti essenziali ,. Arunadatta poi
(Comm. Astangalrdaya— II, 3, 96-10, citato in nota a strofe 1), i
quanto accenna al primo (del chilo) ed al settimo (del seme) sostrato,
riconosce indirettamente la logica genuinità della prima tradizione.
Una certa promiscuità d’uso della voce dWhatu, la quale può signi-
ficare così i tre umori (dosa) come i 7 elementi essenziali, e la fre-
quenza d’uso in medicina del vocabolo dsaya, adhara (ricettacolo,
sede), apposto a voci come dhatu (elem. ess.), rakta (sangue), vis,
pakva, mala, purîsa (fecce), ecc. ..., possono aver favorito l’intromis-
sione dei due umori — flemma e bile — e delle fecce nella serie dei
dhatvasaya (sede degli elementi essenziali), agevolando in tal modo
il formarsi della seconda tradizione. A questa si attiene anche il
i nostro autore, sebbene con qualche leggera variante dalla teoria più
) diffusa in medicina. Così il quarto sostrato è più comunemente
(cfr. ad es. Susruta— III, 4, 11) quello che contiene il flemma (slesma-
- dhara), mentre il fegato e la milza sono designati, insieme con le
vene, come gli organi nei quali, più specialmente che nella carne,
sì manifesta il sangue inerente al secondo sostrato (cfr. Susruta — III,
4,7 e Comm. Ar. a Astangahrdaya- II, 3, 96-10). Il quinto sostrato
è poi detto di solito (ad es. Susruta - III, 4, 18): contenente le fecce
(purîisadharà). Per il sesto sostrato cfr. Sarng. I, 6, 8.
8. I 7 organi-ricettacolo, dei quali s'inizia qui la serie descrittiva, con-
tengono: il sangue, i tre umori e i materiali solidi (in 2 fasi) e liquidi
di deiezione. Essi comprendono poi altri organi interni (Xosthénga,
udaravayava) di ben determinata funzione, come: cuore, polmone,
fegato, milza, ecc....
9. Crea qualche difficoltà il tasyopari tilam che a prima vista farebbe
pensare, per l'ubicazione del tila, alla parte sinistra del corpo, lad-
dove tilaka, tila = kloma, kloman (cfr. Amarakosa II, 6, 2, 16d e
Comm. D. a Su. 1II, 4, 28-31) è il polmone destro. Evidentemente qui
l’upari indica soltanto “ più in alto ,, e il tila trovasi eccezionalmente
intercalato nella serie degli organi-ricettacolo, per non determinare
RO TT E VE a nt de
ai
594 MARIO VALLAURI
10. Al di sotto di esso l’organo cavo contenente le fecce, e in
basso la vescica [che è l’]organo cavo contenente l’orina;
il petto ha l'organo cavo che contiene il sangue sano
(puro): devonsi riconoscere tali sette organi cavi.
11. In più che agli uomini [sono] poi altri tre organi cavi [pe-
culiari] delle donne: l’organo cavo contenente il feto,
chiamato utero, e le due mammelle considerate [quali]
organi cavi contenenti il latte.
12. Gli elementi essenziali: chilo, sangue, carne, grasso, ossa,
midollo, seme, nascono tutti l’uno dall’altro, cotti (ma-
turati) dal fuoco della bile.
13. Dal chilo il sangue, da questo la carne, dalla carne nasce
il grasso, dal grasso le ossa, da queste il midollo, dal
midollo la produzione del seme.
incertezza sulla topografia relativa agli organi stessi e per richiamare
chi legge; dalla parte sinistra del corpo, nella quale è sito l'organo
della bile, alla parte destra. La voce tila qui usata ricorre poi una
seconda volta allo slotfa 45 a, dove essa trovasi a breve distanza dalla
voce phupphusa che vale il polmone sinistro.
10. Vasti ha, oltre a quello di vescica urinaria, il significato più generale
di bassoventre. Cfr. Abhidhanacintàmani (ed. BònrLINGE u. Riev), p.111,
n. 6: nabher adho mitraputam vastir mitrasayo ’pi ca “ al di sotto
dell’ombelico è il bassoventre — 3 sinonimi —,.
11. Le due mammelle non sono citate in altri testi medici (cfr. Su. III,
5, 6; Astàngahrd. II, 3, 115) i quali limitano la serie degli organi
interni ai 7 organi comuni ai 2 sessi e all'ottavo (utero) peculiare
alla donna. Circa l’ubicazione di quest’ultimo cfr. Astàngarrd. 1]. c.:
garbhasayo ’stamah strînàm pittapakvisayaintare “l'ottavo [proprio]
delle donne è l’organo contenente il feto, fra l'organo che contiene
la bile e quello contenente le fecce ,.
12. La bile, come umore, costituisce il principio termico nel dinamismo
corporeo. Da essa emanano le azioni termiche caratteristiche delle
diverse funzioni e dei diversi ingredienti dell'organismo.
13. Questo sloka ricorre in Su. I, 14, 6. D., commentandolo, espone minu-
tamente ‘il processo evolutivo degli elementi e spiega altresì il per-
manere degli elementi stessi, non ostante la loro successiva trasfor-
mazione: nanu yadi parinamanti rasàdayo raktàdibhàvena tarhi sar-
vesiàm ucchedah syàt? santatyà parinàma iti cet tarhi sarvesàm pùrvesim
alpatà syàt uttaresàm bahulyam iti? naitat | tesìm rasidinim malasthi-
linubhéigavisesena trividhah parinamo bhavati | tad yathà annàt pacya-
manàt vinmitram malah, malàt [annat2] saro rasah | rasàd agnipakvat
malah kaphah, sthùlo bhàgo rasah, anubhdgo raktam | raktàd agnipakvat
pe di ri Rs
IL BRANO DELLA Sdrngadharasamhità suLL'ANATOMIA = 595
14. L'acqua della lingua, degli occhi e delle guance, la bile co-
lorante, il cerume e la materia impura che proviene dalla
lingua, dai denti, dalle ascelle, dal pene ecc...
malah pittam, sthilabhagah sonitam, anubhagas tu mamsam iti | tato ’ pi
Gtmapavakapacyamanin malal’srotranasaksiprajananddisrotomalah ,
sthàlo bhàgo mamsam, saksmo medah | tato ’pi nijavahnipacyamintin
malah svedah, sthilamso meda eva, siksmabhago ’sthi | tato “pi pacya-
manàan malah kesalomasmasrini, sthilo ’sthi, stksmas tu majjà | tato
"pi majnah pavakapacyamanan malo nayanapurîisatvacim snehah, stholo
bhago majjà, stiksmah sukram | tatah punah pacyamanad atra malo
notpadyate sahasradhà dhmaitasuvarnavat, sthilo bhagah sukram eva |
snehabhagah s&ksmas tejah ojah | “se il chilo e gli altri [elementi] si
trasformano col passaggio nel sangue e negli altri, non vi è forse in
tal caso l'esaurimento di tutti? Se v'è una trasformazione con conti-
nuità, avviene allora un impicciolimento di tutti quelli che precedono
e un incremento di quelli che seguono? — Non è così! La trasfor-
mazione del chilo e degli altri si manifesta tripartita, per la diffe-
renziazione tra secrezione impura, parte grossa e parte sottile, cioè:
fecce ed orina sono la secrezione impura [che proviene] dal cibo di-
gerito, il chilo ne è l'estratto [seguo la mia congettura: anndt];
secrezione impura del chilo cotto dal fuoco è il flemma, parte grossa
il chilo, parte sottile il sangue; secrezione impura del sangue cotto
dal fuoco è la bile, parte grossa il sangue, ma parte sottile la carne;
secrezione impura di questa, cotta dal proprio fuoco, sono le secre-
zioni impure delle aperture degli orecchi, del naso, degli occhi, degli
organi della generazione, ecc...., parte grossa la carne, sottile il
grasso; secrezione impura di questo, cotto dal proprio fuoco, è il
sudore, parte grossa certo il grasso, parte sottile le ossa; secrezione
impura di queste, cotte, sono i capelli, i peli, la barba, parte grossa
le ossa, sottile poi il midollo; secrezione impura di questo, cotto dal
fuoco del midollo, è l’untuosità degli occhi, delle fecce, della pelle,
parte grossa il midollo, sottile il seme; da questo poi cotto non vien
fuori secrezione impura, pari [qual'è in purezza] a mille volte l’oro
fuso, parte grossa è certamente il seme, parte oleosa, sottile, la quin-
tessenza [o] vigore vitale ,. Secondo Vagbhata?, l’ojas (vigore vitale)
è il mala (secrezione) del seme (Astaàngarrd. II, 3, 630-640): Kaphah
pittam malah Kkhesu prasvedo nakharoma ca, sneho ’ksitvagvisàm ojo
dhatinim Rkramaso malah “ flemma, bile, secrezioni impure nelle
aperture, sudore, unghie e peli, untuosità degli occhi, della pelle e
delle fecce, vigore vitale: sono per ordine le secrezioni degli elementi
essenziali ,; e Comm. Ar. (l. c.): yad ojah sarvadhatinam tejah sarî-
rasambhavam sa sukrasya malah “il vigore vitale, quintessenza di
tutti gli elementi, contenuto nel corpo, è la secrezione del seme,
14. L'acqua della lingua ecec.... costituisce la secrezione impura del chilo,
Atti della Reale Accademia — Vol. LVIII. 41
659 MARIO VALLAURI
15. Le unghie, la cispa, l’untuosità nella bocca e infine le pustole:
così per ordine, si producono le secrezioni impure dei
sette elementi.
16. Il latte e il sangue mestruale delle donne [e] si manifestano
[e] scompaiono [ciascuno] al tempo fissato; quella sostanza
grassa prodotta dalla carne pura (genuina) è denominata
grasso della carne (= adipe);
17. Il sudore, i denti, i peli e, come settimo, il vigore vitale:
questi devonsi riconoscere come i sette sottoelementi che
traggono origine dagli elementi essenziali.
18. Il vigore vitale è riconosciuto siccome diffuso per tutto il
corpo, freddo, oleoso, determinante la saldezza [delle parti
del corpo], della natura di Soma e alimentante l’energia
del corpo.
quella che generalmente è chiamata flemma e con esso identificata.
La bile in generale è la secrezione impura propria del sangue; il
nostro testo precisa invece una delle 5 forme della bile, la colorante
(ranjaka) così denominata perchè, stando nell’organo cavo contenente
il cibo non digerito (ovvero nel fegato e nella milza: vedi sotto,
sloka 31 e 44), colora il chilo. Cfr. Astangarrd. I, 12, 13 a: damasavas-
rayam pittam ranjakam rasaranjanàt. Secondo Sarng. I, 6, 95-10a tale
trasformazione avviene nel cuore. La terza classe di secrezioni impure,
inerenti alla carne, comprende quelle che emanano dalle aperture
(secondo il nostro testo anche “cavità , come le ascelle) del corpo.
15. La cispa, citata qui evidentemente come secrezione impura del grasso
(sebbene questa secrezione si identifichi più comunemente col sudore)
dovrebbe precedere le unghie le quali (per lo più insieme con i peli)
sono la nota secrezione impura delle ossa. L’untuosità, quale secre-
zione impura del midollo, qui riferita alla bocca, è più comunemente
riferita agli occhi, alla pelle e alle fecce (vedi nota a sloka 18).
L’ultima secrezione impura, quella del seme, è costituita, secondo il
nostro autore, dalle pustole: diversa teoria da questa e diversa altresì
fra loro, seguono ad es. Vagbhata e D. (vedi nota a sloka 13).
17. La teoria dei sottoelementi, accennata in questo e nello sloka prece-
dente e sconosciuta, a quanto sembra, alla medicina più antica, com-
prende taluni elementi e secrezioni secondarie del corpo.
18. Per le qualità e le funzioni del vigore vitale (0jas) cfr. anche Sw. I, 15,
14a e segg. — Per l’aggettivo sthira ho seguito l’interpretazione di D.
il quale fa sthira = sarîravayavasthairyakari. Che poi l’agg. somdat-
maka = saumya (avente la natura di Soma) equivalga qui, in ultima.
analisi, a “ liquido ,, sembra attendibile sull’autorità di D. (Comm. a
Su. III, 4, 1): s/esmarasasukradinàm toyatmakrànàm bhavanim rasanen-
È
|
i
19:
20.
21.
22.
23.
24.
IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità suLL’aNaTOMIA — 597
Primieramente devesi ravvisare la lucente (trasparente) ed
essa è riconosciuta come la sede della lebbra sidhma;
come seconda devesi riconoscere la rossiccia che è luogo
di nascita delle macchie nere,
Bianca è chiamata la terza: essa è sede della lebbra car-
madala; la rosso-rame devesi riconoscere come quarta,
sede delle lebbre Xilasa e svitra;
La quinta è detta la sensibile: da essa l’origine di tutte le
forme di lebbra; la sesta è chiamata la rossa, sede di
gonfiori, scrofola, tumori;
La settima pelle è detta la massiccia, e questa è la sede
degli ascessi ecc....: in tal modo sono state dichiarate le
sette pelli. La massiccia [è così detta] perchè ha la mi-
sura di due volte un grano di riso.
Il vento, la bile e il flemma sono umori nocivi ed elementi
essenziali, ed anche secrezioni impure; sono inoltre de-
nominati singolarmente in cinque modi, in quanto man-
tengono il corpo (=in quanto sono elementi essenziali).
Il vento, la bile e il flemma devonsi riconoscere quali umori
nocivi, in quanto arrecano affezioni al corpo; come ele-
menti essenziali, in quanto sostengono il corpo; come
secrezioni impure, in quanto inquinano.
driyasya ca saktiràpatayaàvasthito manaso ’dhidaivatvam Gpannah “Soma,
iti “ Soma [come quegli] che è caratterizzato dalla condizione di essere
compenetrato di potere sui costituenti organici liquidi quali il femma,
il chilo, il seme ece.... e sull’organo del gusto, [e] che ha ottenutà
la condizione di divinità che presiede al manas.,. Per quest’ultima
concezione vedi Garse, Die Samkya-Philosophie®, p. 824 nota ?).
L'ojas corrisponderebbe alla linfa.
19. La lucente (trasparente) costituisce lo strato più esterno, l'epidermide.
21. La sensibile (vedan?), in quanto detta pelle o strato di pelle corrisponde
alla cute, la quale è dotata del senso del tatto.
22. Per l’identificazione delle diverse lebbre, ascessi, tumori ecc.... vedi
x
JoLLy, op. cit., I. Wortverzeichnis. La settima pelle è chiamata in
Su. III, 4, 2: mamsadharà. L'identificazione di essa con la sth#la del
nostro testo è confermata dal fatto che le misurazioni dell’una e del-
l’altra coincidono. Ofr. Su. 1. c.: saptamiî mamsadharà nima bhrihidva-
yapramanà “ la settima chiamata mamsadharà, della misura di due
grani di riso ,.
24. In questo e nello sloka precedente sono fissate l’importanza e l’onni-
presenza nell’organismo, nonchè il carattere poliforme, pur rimanendo
598
A rta et e o ea ri
MARIO VALLAURI
25. La bile è zoppa, il flemma è zoppo, le secrezioni impure e
gli elementi essenziali sono zoppi: dove sono portati dal
vento, quivi vanno a guisa di nube.
26. Fra questi il vento è riconosciuto come dotato di forza a
causa della sua azione separatrice, accompagnato dal
costituente rajas, sottile, freddo, secco, leggiero, mobile.
27. Il vento sta nel basso ventre, sede dei materiali escremen-
tizi, nella sede del fuoco della digestione, nel cuore, nel
collo, in tutte le parti del corpo, sotto cinque forme.
identica la sostanza, dei 3 umori i quali costituiscono il cardine fon-
damentale della dottrina medica indiana. Dhdatu è l'umore al suo stato
normale, causa di benessere per l'organismo; dosa è l'umore allo stato
anormale, causa di malessere per l'organismo; mala infine è l’umore
in quanto agisce da impurità o secrezione impura, come è il caso del
flemma (cfr. Rasaratndkara ed. Jîv., Calc. 1878; p. 214 1. 7: prakrtas
tu valam slesmà vikrto mala ucyate “ il flemma allo stato normale, è
forza, alterato si chiama mala ,) e della bile (che fanno parte della
serie delle secrezioni impure), ed anche del vento, ovvero determina
le impurità a quel modo che operano il vento samana e l’apina dei
quali il primo, scomponendo gli alimenti, forma fra l’altro le fecce e
l'’orina, il secondo poi spinge verso il basso le secrezioni solide e le
liquide.
25. Questo sloka ricorre in Rasa— p. 215, ll. 11-12, con la variante varsanti
26.
in luogo di gacchanti. Per le secrezioni impure e gli elementi essen-
ziali qui nominati, vedi sloka 12-15. Il vento organico è rappresentato
come motore della materia organica inerte. Cfr. D. (Comm. a Sw. III,
4, 1): vdyus ca dosadhatumalidîinim sancaranocchvisanibsvasabhyin ca
(sott. prinayati) — dove probabilmente deve leggersi sancarenocchvésa
— “il vento fa vivere (è elemento di vita) mediante la propulsione
degli umori, degli elementi essenziali, delle secrezioni impure ecc....,
e mediante l’ispirazione e l’espirazione ,.
Fra questi, cioè “ fra i tre umori, sopra ricordati. L'azione: sepa-
ratrice del vento si manifesta fra l’altro nella scomposizione degli
alimenti. “ Accompagnato dal costituente rajas ; (cfr. Su. II, 1, 6@B:
rajobahula eva ca È e certo abbondante di rajas ,; e II, 1, 13: rajo-
bahulo vayuh “il vento è abbondante di rajas ,, dove D. commenta:
calatvòt “ a cagione della mobilità ,): l'associazione di idee riesce
evidente attesochè il rajas (2° guna) porta seco l’idea di attività,
sforzo, che sono qualità caratteristiche del vento. Cfr. — per le qualità
del vento qui ricordate — Caraka- I, 1, 30.
27. “ Sede del fuoco della digestione , è propriamente l'ombelico, Cfr. JoLLy;
Die Cikitsàkalikà des Tisatàcarya, in Z.D. M. G., LX, 1906, pp. 436, 459.
28.
29.
30.
Sl.
82.
39.
IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL'ANATOMIA 599
V'è l’apana e il samana, poi il préna e l’udana e il vyana:
così sono stati enunciati per ordine i nomi del vento.
La bile è da riconoscersi come calda, liquida, gialla, bruna,
accompagnata dal costituente sattra, di gusto pungente
e amaro; e quando è cotta (digerita) diviene acida.
Nell’organo interno contenente il fuoco della digestione si -
manifesta la bile sotto l’aspetto di fuoco, della misura
di un seme di sesamo; nella pelle devesi riconoscere
quella che conferisce lucidità e cuoce (assorbe) gli un-
guenti, le unzioni ecc.;
La bile che è visibile nel fegato è quella che trasforma il
chilo in sangue; la bile poi che sta nei due occhi è quella
che determina la visione delle immagini;
La bile che sta nel cuore produce la memoria e l’intelli-
genza: pacaka, bhrajaka, ranjaka, dlocaka,
Sadhaka: questi certamente sono per ordine i cinque nomi
della bile. Il flemma [è] untuoso, pesante, bianco, viscoso,
freddo,
28. Le 5 forme del vento organico corrispondono successivamente alle 5 sedi
29.
di azione del vento stesso, enumerate nello sloka precedente. Per tali
forme cfr. OLpeNnBERG, Die Weltanschauung der Brahmanatexte, 1919,
p. 65 e segg.; Deussen, Das System des Vedanta, 1888, pp. 362-63;
GarBE, ‘op. cit., pp. 318-19. Esse ricorrono, ad eccezione dell’udana,
in Athv. X, 2, 13. In altro luogo (XI, 8, 4) dove è taciuto il samana,
gli altri 4 sono così raggruppati: prindpanau ..... vyànodanau.
“Accompagnata dal costituente sattva ,; probabilmente perchè sono
inerenti alla bile alcune funzioni psicofisiche e morali: tali la fun-
zione visiva determinata dalla bile dlocaka, e le facoltà intellettive
e spirituali attivate dalla bile sadhaka.
Agni (fuoco), uno dei 5 elementi naturali che ha varî punti di con-
tatto con la bile e che ne vale altresì un sinonimo, è detto in Su. III,
1, 13: sattvarajobuhula “ abbondante di sattva e rajas , e ciò, secon-
dochè spiega D., prakasakatvat culatvàc ca “ a cagione della qualità di
illuminare e della mobilità ,, dove la qualità di illuminare, presa in
senso traslato, può agevolare la comprensione del sattva inerente,
secondo il nostro testo, alla bile. Cfr. — per le qualità della bile qui
ricordate — Caraka- I, 1, 30 e Su. I, 21, 8.
30. L'organo interno ece.... è l'ombelico. Vedi nota a sloka 27.
31. Errata-corrige al testo: leggi netrayugale invece di netrayugule.
83. Cfr. — per le qualità del flemma — Caraka- I, 1, 30 e Su. I, 21, 12.
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600 MARIO VALLAURI
34. Preponderante nel costituente tamas, dolce, cotto (digerito)
diviene salato. Il flemma poi nello stomaco, nella testa,
nel collo, nel cuore e nelle articolazioni
85. Standosene, determina la saldezza del corpo e la destrezza
di tutto il corpo: Kledana, snehana, rasana, avalambana,
86. Slesmaka: così sono stati dichiarati per ordine i nomi del
flemma. I nervi sono stati definiti il legame della carne,
delle ossa e del grasso, nel corpo.
87. Le articolazioni (giunture) vengono [così] chiamate in quanto
esse, provviste di flemma, congiungono le membra nel
corpo. Le ossa sono sostegno e parte essenziale nel corpo:
i sapienti [ciò] sanno.
38. I saggi hanno chiamato punti vitali (deboli, pericolosi) quelli
che verosimilmente sono sede della vita (principio vitale).
Le vene, le quali portano umori ed elementi essenziali,
formano il legame delle articolazioni.
34. “ Preponderante nel costituente tamas , è, come sembra, detto il flemma
in quanto ad esso si riconnettono le idee materiali di pesantezza,
compattezza, uniformità ecc.... Così l'acqua, uno dei 5 elementi na-
turali rispetto a cui il ina ha in comune la qualità Fon dariHatRi
di essere fluido, è detta in Sw. III, 1, 13: sattvatamobahula “* abbon-
dante di sattva e tamas, che D. commenta — relativamente al
tamas —: gurutvid Gvaranatvàce ca “ a cagione della pesantezza e della
qualità di ostruire (ricoprire) ,. Tali caratteristiche sono altresì co-
muni al fiemma.
35. In AstaàngarQrd. I, 12, 16-18, le 5 forme del flemma sono denominate —
ponendole in corrispondenza all'ordine seguito dal nostro testo —:
kledaka, tarpaka, bodhaka, avalambaka, slesaka.
37. Il flemma delle articolazioni è il quinto della serie sopra citata:
slesmaka ovv. slesaka, il quale ha funzione lubrificante e corrisponde
alla sinovia. Cfr. Su. III, 4, 12: snehabhyakte yathà tv akse cakram
sàdhu pravartate, sandhayah sadhu vartante samslistàh slesmana tathé
“come su di una sala unta di lubrificante la ruota procede bene, così
agiscono bene le articolazioni collegate dal flemma ,. Per la funzione
delle ossa, qui accennata, cfr. Su. I, 15, 1; III, 5, 185 e 19d e Ad&i*
dhanacintàmani (ed. cit.), p. 114, n. 64-66.
38. “ Umori ed elementi essenziali ,: si allude ai 3 umori ed al sangue
(cfr. Su. III, 7 passim) ed anche all’ojas (vigore vitale, linfa) (cfr. Astén-
gahrd. II, 3, 1806-19 a).
niet dbticentientitt Let
PE TTI
de riti
IL BRANO DELLA Sarngadharasamhità SULL'ANATOMIA 601
39. I canali, i quali portano il chilo, soffiano (animano) il vento
nel corpo. I muscoli ridondano a forza e a saldezza dei
mortali.
40. I tendini sono riconosciuti nella distensione e nella contra-
zione delle membra. Del naso, degli occhi e degli orecchi
sono dichiarate rispettivamente due aperture;
41. Del pene, dell’ano e della bocca è enunciata rispettivamente
una sola apertura; una decima è dichiarata nel cranio:
così [i saggi] conoscono le aperture [proprie] degli uomini;
42. Delle donne poi ve ne sono tre in più [cioè quelle] delle
due mammelle e della vagina. Sono state inoltre rico-
nosciute altre piccole aperture sulla pelle degli uomini.
43. Nella parte sinistra di questi, il polmone sinistro e la milza,
nella parte destra è riconosciuto il fegato. Il polmone
sinistro è dichiarato dai sapienti l'organo contenente il
vento udana.
39. È accennata l'etimologia della voce dhamanî dalla radice diam o
dhmà = soffiare. Cfr. D. — Comm. a Su. III, 9,1 — e Comm. A. a
Astangahrd. II, 3. 39. Le dhamanî corrispondono nel nostro testo ai
vasi chiliferi (cfr. Su. I, 14, 1), laddove funzioni più complesse sono
loro attribuite in Su. III, 9 passim. Circa la natura dei muscoli cfr. D.
(Comm. a Sw. III, 5, 34): mamsévayavasanghatah parasparanì vibhaktah
“ pesì , ity ucyate “l'unione di porzioni di carne, distinta l’una dal.
l’altra, chiamasi muscolo ,, e Abdhidhana— (ed. cit.), p. 113, n. 58:
pesyas tu tal- [sott. màmsa-] latàh “i muscoli poi sono i rami di essa
(della carne) ,.
40. I tengini sono definiti dall’anat. ind. “ grossi nervi,. Cfr. Abhidhana -
(ed. cit.) p. 115, n. 81: Xandarà tu mahasnàyur — (ugualmente in
Comm. D. a Su. III, 5, 8) “ tendine è un grosso nervo, e p. 851,
str. 631... — 81: Kandarà snayusamghàta iti vaidyàh “ tendine è la
unione di nervi: così i medici ,.
41. Secondo la teoria più diffusa, le aperture (kha, srotas, chidra, randhra
del corpo maschile sono in numero di 9 (cfr. Sv. III, 5,8; Astàngarrd.
II, 3, 405-41a; Ydajnavalkya- INI, 99; ecc....). Anche nell’Atharvaveda
(X, 2, 6) i Xha della sola testa sono ricordati in numero di 7, Il nostro
autore aggiunge la fontanella cranica.
43. Il polmone sinistro (phupphusa — voce evidentemente onomatopeica,
rivelatrice dei battiti del cuore, che si trasmettono sino alla parete
esterna della parte sinistra del petto —) è qui designato come il
ricettacolo del vento udana. Più generica l’indicazione in Astàngahrd.
I, 12, 5ba:;: urah sthanam udanasya “il petto è sede dell’udana ,. Per
Mie” Lt logi «Se è LR a RT NT I DI e O PRIN CAZZO I ATO — PI URRA
602 MARIO VALLAURI
44. La milza è stata dichiarata dai saggi la radice delle vene
che portano il sangue. Il fegato [è] sede della bile colo-
rante e dimora del sangue.
45. Il polmone destro [è] radice delle vene che portano l’acqua,
ed estintore della sete. I reni sono stati dichiarati come
quelli che alimentano il grasso che sta nell’addome.
46. I due testicoli, produttori del seme, [sono] sede delle vene
che portano il seme. Il pene, via del seme e dell’orina,
determina l’impregnazione.
il fegato e la milza cfr. D. (Comm. a Su. III, 4, 22): “yakrt,, kala-
khandam daksinapàrsvastham “ fegato = kala- (cioè: porzione azzurro-
scura) che trovasi nel lato destro ,; Abhidhana- (ed. cit.), p. 110,
str. 605: daksine tilakam kloma vame tu raktaphenajah, puspasah syàd
atha plihà gulmo ... “ il polmone destro (2 sin.) nella parte destra [al
pari del fegato prima citato] ma nella parte sinistra il polmone si-
nistro (2 sin.) e poi la milza (2 sin.),. p
44. In anatomia la milza e il fegato trovansi quasi sempre citati insieme.
Per la loro affinità di funzione, secondo la med. ind., ‘cfr. Caraka—
III, 5, 4: sonitavahinàm srotasàm yakrn milam plihà ca * fegato e
milza sono la radice dei canali che portano il sangue ,, e similmente
Su. INI, 9, 10; Sw. I, 21, 13: sonîtasya sthanam yakrtplihàanau “ fegato e
milza sono sede del sangue ,. La bile ranjaka — di cui sopra a sloka 31
— determina, nel fegato e nella milza, la colorazione del chilo, tras-
formandolo in sangue. Cfr. Su. I, 14, 1: sa Khalv apyo raso yakrtplîhànau
prapya ràgam upaiti “ certo il chilo acqueo, essendo venuto al fegato
e alla milza, prende colore (rosso),. Fegato e milza traggono origine,
nella vita embrionale, dal sangue (cfr. Su. III, 4, 22).
45. Il polmone destro è già stato ricordato allo sloka 9b. A causa della
speciale funzione assegnatagli dalla med. ind., il tila è altresì inter-
pretato quale organo-vescica. Cfr. Caraka—- III, 5, 4: udakavahanam
ca srotasàm tilu milam kloma ca “ palato e polmone destro sono la
radice dei canali che portano l’acqua ,, e ugualmente Sw. III, 9, 10;
Abhidhana- (ed. cit.) p. 349, Schol. a str. 605, 98: Ardayasya daksine
parsve tilakam udaryo jaladharah “sul lato destro del cuore il tilaka
che è ricettacolo dell’acqua, sito nella parte davanti (udarya — come
opposto a prsthya = dorsale, posteriore). Vedi anche Wunirney, A. V.
transl.; II, 38, 3: The comm. defines Xloman as “a kind of flesh-mass
in the neighborhood of te heart ,. I reni sono detti da D. (Comm. a
Su. III, 4, 28) Kuksigolakau “ globi addominali ,. Per la loro funzione
cfr. Caraka- III, 5, 4 e Su. III, 9, 10.
46. Per i testicoli cfr. Caraka- III, 5, 4: sukravahanam srotasàm vrsanau
milam sephas ca “i due testicoli e il pene sono la radice dei canali
che portano il seme,.
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IL BRANO DELLA Sdarngadharasamhità SULL’ANATOMIA 603.
47. Il cuore è riconosciuto come la sede dell’intelligenza e ri-
cettacolo del vigore vitale. Le vene ed i canali, situati
nell'’ombelico, si diffondono per tutto il corpo,
48. E lo alimentano continuamente per mezzo di tutti gli ele-
menti essenziali in contatto col vento. Il vento prana
(aria vitale), sito nell’ombelico, dopo aver toccato l’interno
del loto del cuore,
49. Esce fuori dalla trachea a bere l’ambrosia celeste; e, dopo
aver bevuto l’ambrosia celeste, di nuovo entra con impeto,
50. Confortando tutto il corpo, ravvivando il fuoco dello sto-
maco: così la durata della vita è definita dall’unione del
corpo e dell’aria vitale;
51. E per la separazione di quei due nel corso del tempo, si
dichiara dai sapienti la morte. Nessun essere [che sia]
esente da morte nasce mai sulla terra:
47. Per il cuore cfr. Caraka— IV, 7, 7: Ardayam cetanàdhisthanam ekam
“il cuore è la vera sede dell’intelligenza ,, Su. III, 4, 29: tad
dhrdayam visesena cetanàsthànam È“ il cuore specialmente è sede del-
l'intelligenza ,, D. (Comm. a Sw. III, 3, 26: “ojah , asesadhatudhama
hrdi sthitam “ — vigore vitale — la quintessenza di tutti gli elementi,
stante nel cuore ,. Per il sistema radiale, avente il proprio centro
nell’ombelico, delle vene e dei canali, cfr. Su. ILI, 7, 2-3; e 9, 1.
48. Per il vento motore e l’azione che esso esercita sugli elementi essen-
ziali vedi sloka 25. Il vento prana è l’aria vitale per eccellenza, quella
dell’ispirazione ed espirazione, le quali sono segno manifesto di vita.
L’imagine del cuore pari a fiore di loto ricorre anche in Sw. III, 4, 30.
49-50. Questa rappresentazione della respirazione e della purificazione del-
l’aria espirata, per opera dell’ambrosia celeste, adombra in forma.
poetica la realtà fisica dove, all’ambrosia celeste, corrisponde l’ossi-
geno che trovasi nell’atmosfera e del quale è noto il potere vivificante.
ol. Riportando la considerazione fisiologica generale altresì al fenomeno
apparente, notasi che uno dei più palesi sintomi di morte è quello
della cessazione della respirazione. Circa l’aure vitali, costituenti l’es-
senza vitale, ed il corpo, costituente invece la parte caduca dell’or-
ganismo cfr. Satapathabràhmana X, 1, 4,1: ubhayam haitad agre Pra-
japatir Asa, martyam caivàmrtam ca tasya prina evamrtà dsuh sarîram
martyam “ora al principio Prajapati era queste due cose, il mortale
e l’immortale: le di lui aure vitali soltanto, erano immortali; il di
lui corpo, mortale ,. Cfr. anche Rasa- p. 214 1. 1...: vayur dyur valam
vdyur dhatà vayuh sarîrinàm ... sa prinah praninim smrtah “il vento
è potere vitale, il vento è forza, il vento è conservatore dei viventi ...
esso è ricordato come l’aria vitale dei viventi,. Il concetto che la
604 MARIO VALLAURI — IL BRANO, ECC.
52. Perciò la morte è inevitabile. Ma [l’uomo] può contenere le
malattie. Per contro una [malattia] guaribile diviene mi-
tigabile, una mitigabile diviene inguaribile,
53. Una inguaribile uccide la vita, per un uomo che non vi
apponga rimedio. Perciò l’uomo che conosce la matura-
zione delle azioni difenda il corpo dalle malattie.
54. Poichè il corpo è strumento efficiente del merito religioso,
della ricchezza, del piacere sessuale e della liberazione
finale. Gli elementi essenziali, le loro secrezioni impure,
gli umori distruggono il corpo quando sono in disquilibrio;
55a. Ma quando sono in equilibrio devonsi riconoscere [come
ridondanti] a benessere, vigore e prosperità.
morte è inevitabile trovasi espresso analogamente in Rém. ed. Bomb.
VII, 30, 90-10.
52-53. A celebrare l’importanza dell’Ayurveda l’autore cita la nota grada-
zione stabilita dalla teoria medica indiana in rapporto all’entità o
gravità delle malattie: malattia guaribile (s@dhya), m. mitigabile
(yapya), m. inguaribile (asédhya); ed aggiunge che ognuno degli stadî
ora citati passa o si trasforma nel successivo allorquando non sia sot-
toposto alle cure volute dall'arte medica. All’ultimo stadio sussegue
in tal caso la morte. Il concetto espresso nello sloka 52-53 a ricorre,
con qualche variante di lezione, in Su. I, 23, 4.
54-55 a. La veste organica dell’essere nella vita individuale vale l’ingre-
diente per cui si possono conseguire i 4 oggetti dell’esistenza;
altrove 3. Cfr. Jivanandana — ed. Bombay, 1891 — str. 2* della nandî:
pragjanmiyatapahphalam tanubhrtàm prapyeta manusyakam tac ca prà-
ptavatà kim anyad ucitam proiptum trivargam vinàî | tatpràpter api
sadhanam prathamato deho rujàvarjitas tenàrogyarm abhipsitam disatu
vo devah pastinàm patih || © per gli esseri viventi la natura umana
viene ottenuta quale frutto di meriti inerenti alla. vita anteriore; da
chi poi l’ha ottenuta, quale altra cosa è piacevole ad ottenersi all'in.
fuori del trivarga? — Ma dell’ottenimento di esso è strumento effi-
ciente, in primo luogo, un corpo privo di malattie; epperò il dio Siva
conceda a voi la bramata immunità da malattie ,.
È poi citato l’assioma fondamentale della patologia ind.: lo squilibrio
e l’alterazione dei costituenti organici sono la causa di ogni malattia.
Quanto al rapporto patologico fra umori, elementi essenziali e secre-
zioni impure, cfr. Astangahrd. I, 11, 85 b: dosà dustà rasair dhàtin
disayanty wbhaye malàn “gli umori alterati dai gusti [dolce, sa-
lato ecc....] alterano gli elementi essenziali; gli uni e gli altri [alte-
rano poi] le secrezioni impure ,. Per le funzioni fisiologiche delle
3 classi di costituenti organici cfr. Sw. I, 15 passim e Comm. D.
tec a Lia
GIUSEPPE TUCCI — LA KEDAZIONE POETICA, ECC. 605
La redazione poetica del Karandavyona
Note ed appunti di GIUSEPPE TUCCI
Presentata dal Presidente Senatore Francesco Ruffini
Siccome la redazione in prosa del Karandavyiha non era
stata ancora pubblicata, chiesi alla Biblioteca della “ Société
Asiatique , di Parigi il Ms. Burnouf N° 4 con l’intento di curare
un’edizione completa dell’opera, e grazie al ben noto interessa-
mento del venerato Presidente della Società stessa Émile Senart,
che mi è qui grato pubblicamente ringraziare, ottenni il prestito
del ms. per un periodo complessivo di circa sette mesi.
Quando però ebbi copiato l’intero ms. e mi accorsi che la
recensione metrica non aggiungeva nulla di singolarmente no-
tevole alla molto più breve in prosa, siccome anche il valore
artistico dell’opera è ben scarso per non dire addirittura nullo,
ove se ne tolgano alcune inserzioni tratte da altre fonti, pensai
che sarebbe stata fatica pressochè vana da parte mia cimentarmi
ad una edizione completa del poema, da cui nulla di nuovo ab-
biamo da apprendere; mentre più opportuno mi sembrò darne
un'analisi accurata, farne lo studio delle fonti e citarne quei
soli passi che per speciali motivi offrano un particolare interesse.
Già il Burnour nella sua Introduction à l’histoire du Boud-
— dhisme indien, II ed., p. 206, ha dato un riassunto schematico
dell’opera fedelissimo nel suo insieme, ma che non sarà male
completare elencando i vari capitoli in cui Kar. si divide;
— Cap. 1° (f. 12 a) iti triratnabhajanànugamsàvadanam samaptam.
» 2° (£.20b-21a) ity avicisamoràsanadharmaràjàbhibodhana-
prakaranam. (1)
_t————É@
(1) Samàgrita ?
— 606
GIUSEPPE TUCCI
Cap. 3° (f. 33 b) iti mahegvaràdhidevasamutpàdanaprakaranam
samàptam.
4° (f. 47 a) iti sarvàkàrasarvasattvaprabodhanasaddharma-
samcàranam prakaranam samaptam.
5° (f. 52 a) iti durdantadànavaprabodhanabodhicaryàvatà-
ranaprakaranam.
6° (f. 55 b) ity adhomukhasattvoddharanaprakaranam.
7° (f. 58 b) iti rùpamayîbhùmicatuspàdapurusoddharana-
prakaranam. (1)
8° (f. 86 b) iti Balisambodhanabodhimàrgàvatàrapraka-
ranam samàptam.
9° (f.91b) iti tamondhakàrabhùmiyaksaràksasaparibodha-
nasaddharmàvatàrananavamaprakaranam.
10° (f. 95 b) iti cuddhaàvasikakundaladevaputroddharana-
prakaranam.
11° (È. (99.by iti SitalallviphràKastpartbp bas, cas
prakaranam samaptam.
12° (f. 100 b) iti vàrànagikrmikîtoddharanaprakaranam sa-
maptam.
13° (f. 103 b) iti maàgadhikasattvaprabodhanoddharanapra-
karanam samàaptam.
14° (f. 107 b) iti jetàràmavigvabhùdarganasukhàvatîpra-
tyudgamaprakaranam samaptam.
15° (f. 136 b) iti Simhalasàrthavahoddharanaprakaranam
samàptam.
16° (f. 171) iti sarvasattvoddharanasambodhimaàrgasthà-
panamahegvaramahàdevisambodhivyàkaranopadega-
prakaranam samàptam.
17° (f. 175 a) iti sarvasabhàlokasaddharmagravanotsaha-
sampramoditasvasvàlayapratigamanaprakaranam sa-
maptam.
18° (f. 187 b) iti ciksàsamcarasamuddegaprakaranam sa-
maptam.
19° (f. 195 b) iti jinacrîràjapariprechàjayagrîisambhasitam
crîmadaryàvalokitegvarasya Guarantee vv a A
rà)am samàptam.
(1) Bodhana ripetuto due volte.
Alia
ddt ML tc ict si Detti
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 607
Questo sommario dunque ci permette di cogliere a prima
vista le differenze che corrono fra il Kar. e il kàr., e che in
massima parte si riducono, in quello, alla frequente ripetizione
degli stessi episodî del kàr. (1), sebbene in forma lievemente
diversa, o attribuiti a personaggi nuovi. Mentre il kàr. ci porta
direttamente în medias res, il Kàr. comincia con un lungo pre-
ambolo, il cui sunto puoi vedere in Burnouf, p. 197 (2? ediz.),
e sul quale ritorneremo più appresso. Il contenuto dei capp. 2°
e 3° ha riscontro nel kàr., il quale però presenta, com'è suo
solito, una redazione molto più schematica e semplice; dei
capp. 4°-7° non trovo traccia nel kàr. I capp. 8°-14° corrispon-
dono al 2° cap. del kàr.; i capp. 16° e 17° alla fine del 3° e
al 4° del kàr. Il cap. 18°, come vedremo, è preso di sana pianta
dallo Ciksàsamuccaya, salvo leggeri ritocchi ed aggiunte. Il
cap. 19° ci riconduce agli stessi personaggi che compaiono nel
cap. 1° e con questo rappresenta la cornice, per così dire, entro
cui si rinchiude tutta la pesante mole dell’indigesta compila-
zione, la quale può a buon diritto considerarsi un modello ca-
ratteristico-del peggiore dei tipi dei mahayanasùtra.
La prolissità costituisce una delle precipue caratteristiche
dei libri del mahayana e trova la sua ragione nel fatto che le
lungaggini, anzichè evitate, erano da cotesti piissimi compilatori
volontariamente ricercate in quanto che, accrescendo la mole
del volume, si accresceva anche il merito di chiunque l’avesse
“scritto o trascritto o letto o fatto leggere , (È questa la for-
mula d’uso che con più o meno amplificazioni e varianti ricorre
in tutti i libri del genere).
Del resto si può ben dire che il Kaàr., dove non si limita
a diluire nei suoi gloka stentati e monotoni il kàr., è un vero
centone; perchè i suoi compilatori attinsero direttamente a
| varie fonti mahayaniche che più o meno ritoccate ed adattate
(1) D'ora in avanti mi servirò dell’abbreviazione Kàr. per indicare il
Kaàrandavyùha metrico e kàr. per quello in prosa.
Avverto inoltre che essendomi stato impossibile procurarmi l’edizione
del kaàr. curata dalla “ Buddhist Text Society, di Calcutta, ho dovuto ser-
virmi della traduzione cinese fatta da T’ien Si-tsai 980-1001 d. C., Nanjio,
N° 782.
608 GIUSEPPE TUCCI
inserirono o riprodussero verbatim nella loro fastidiosa e volu-
minosa raccolta,
Che se anche non fossimo in grado di riconoscere alcune
delle fonti che essi usarono, la varietà e la diversa provenienza
degli elementi che costituiscono il Kàr., potrebbero facilmente
dedursi dalla stessa diversità dello stile, che oscilla dai versi
stentati, sciatti, infarciti di ripetizioni tanto frequenti nei meno
notevoli dei libri mahayanici, ai più semplici e corretti dell’epi-
sodio di Simhala o a quelli stilisticamente e metricamente ela-
borati che tradiscono la mano esperta di un poeta squisitamente
dotato e che costituiscono la più gran parte dell’episodio di
Bali e della chiusa del poema.
Il primo capitolo dell’opera rappresenta, com’è d’uso nei
Puràna, una specie di introduzione in cui si indica l’occasione
che dette origine al libro; esso, come sopra si disse, manca
affatto al kàr., e del resto non ha nessuna attinenza con quanto
segue. Infatti, mentre gli altri prakarana sono tutti più o meno
direttamente volti a magnificare Avalokitegvara, cotesto para-
grafo d’introduzione — che a differenza dei seguenti è detto
nel ms. stesso avadana — non ha altro oggetto che la cele-
brazione generica del triratna, un'etichetta comune, cioè, che
può indifferentemente applicarsi alla più gran parte dei libri
mahayanici.
Che i compilatori del Kàr. non abbiano fatto altro in questo
caso che ispirarsi a qualche opera precedente è dimostrato dalla
relativa analogia che corre fra questo capitolo d’introduzione e
il 1° cap. dello Svayambhùpuràna (1). Anche in questo il con-
tenuto del libro è fatto risalire ad un colloquio fra il re Jine-
cvari (sic) e il bodhisattva Jayagri, il quale a sua volta ripete
una predica di Upagupta tenuta in presenza di Acoka, mentre
poi il nucleo principale della lunga opera è, come nel caso
nostro, posto in bocca a Cakyamuni.
Ove anche non bastasse l’identità dei personaggi che ricor-
rono nelle due opere e l’analogia della trama, le somiglianze
verbali fra il Kar. e lo Svayambhùpuràna testimoniano a suf-
(1) Ediz. Bibl. Indica, p. 4 segg.
LA REDAZIONE POETICA DEL arandavyaha 609
ficienza che una contaminazione fra le due opere ebbe sicura-
mente luogo.
f. 2. bhiksunyag cailakàg caivam upàsakà upàsikàQ |
vratino ‘pi mahàsattvàX sambuddhabhakticarikà? ||
bràhmanàg [ca] (1) ksatriyàg capi ràjàno mantrino janàà |
amàtyàh grestinah paurà) sàrthavàhà mahàjanaW ||
tathà jànapadà gràmyà/h pàrvatikàe ca naigamà?Q |
tathànyadaicikà lokà%k saddharmagurnavaficinàA ||
sarve te samupàgatya tam arhantam Jayagriyam |
yathàkramam samàbhyarcya pranatvà samupàgritàà ||
tat saddharmàmrtam pàtum krtàîjaliputà muda |
gastaram. tam samàlokya parivrtya nisedire ||.
Un confronto sommario con lo Svayambhùpuràna ci mo-
strerà analogie notevoli col nostro testo: in special modo sì
vegga Svayambh., p. 4, 1. 11 segg. e p. 19, 1. 2 segg; sebbene
oggetto del Kar. sia la triratnotpatti e dello stesso Svayambh. la
Svayambhùtpatti. Per Kàr., f. 4b:
etad dharmaviguddhatma durgatim naiva yàti sal |
sadgatisveva samjàtah prànte yàti Jinàlayam ||
iti vijhbàya ye martyàh saddharmasukhavàîicinaA |
triratnagaranam gatvà bhajantu te sadà bhave ||
etaz punyànubhàvena pariguddhaàgayà narà? |
sambodhicittam àsadya caranti bodhisamvaraw |
espressioni queste che più o meno ampliate ricorrono con sin-
golare frequenza in tutta l’opera, si cfr. Svayambh., p. 7,
1. 11 segg. e p. 42 I. 20 segg.
Non è possibile decidere quale delle due opere abbia servito
di modello all'altra, tanto più che lo Svayambhùpuràra, del quale
sì conoscono parecchie redazioni fra loro disparatissime (2), subì
‘anche esso un processo di continui ritocchi e adattamenti; il
fatto che nel Kar. al 1° cap. si dà il nome di avadana, non
esclude del resto che la fonte del Kar. e dello Svayambhùp.
(1) Il ca è da elidersi metri causa.
(2) Per la data della probabile compilazione della redazione pubblicata
nella Biblioteca Indica non è inutile richiamare l’attenzione sui frequenti
accenni alla Cina, con la quale il Nepal ebbe notevoli rapporti dalla 2% metà
del secolo VII alla 1° del secolo VIII. V. S. Lévi, Le Nepal (in “ Annales
du Musée Guimet ,, vol. XVII), vol. I, p. 161 seg.
610 GIUSEPPE TUCCI
debba ricercarsi in un modello comune, un avadaàna qualunque,
adattato dai tardi compilatori dei nostri testi a far da cappello
alle loro opere.
Ma l’interpolazione più importante la troviamo nel cap. 8°
(da fol. 58 a 86) e nel cap. 18° (da fol. 175 a 187). In tutti e
due questi casi i compilatori non si contentano di attingere
con piena libertà a opere preesistenti, come fecero per il capi-
tolo d’introduzione, ma copiano addirittura squarci interi di un
testo così importante come è il Bodhicaryàvatàra di Cantideva
dei cui 913 versi complessivi, 415 si trovano inseriti nel Kàr.
Cominciamo dall’episodio di Bali. Ecco in quale ordine si
succedono le citazioni dal Bodhicaryàvatàra:
(fol. 64b) II. 1,2,3,4, 5, 6, 7, 8, 9, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28,
29, 30, 31, 82, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42,
43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50 a, 51b, 57, 58, 59,
61, 62, 63, 64, 65, 66.
(fol. 67 a) III. 1, 2,3, 4,5 (serve a collegare il III, 5° e il I, 4°
i seguente cloka:
ity uktam Balinà tena lokegvaro nicamya sal |
sàdhu sàdhviti samràdhya tam Balim caivam abravît ||
(fol: 67 a) I. 4,5;:6) 7,:8,:9,-10,11/19/:13,14,15,16, 17, 18005
26, 27, 28, 29, 30, 31, 34, 85 a.
(fol. 68b) IV. 1, 3b, 12b, 4,5, 6a, 8b, 9, 10, 13, 17,18, 19,21,
23.b, 25, 28, 29 a, 27 a, 30; 33, 35, 39, 40.
(fol. 69b) VI. 13,10.
(ibid.) VII. 12.
(ibid.) VI. 14, 45.
(fol. 70a) VII. 15, 39, 27, 46a, 37, 38a (1), 41, 42, 43, 44, 45,48,
52, 53, 55, 56, 57 a, 58 a, 59, 64.
(fol. 70b) VIII. 5, 6, 7,8, 9,10, 11, 12, 13, 19 a, 20, 22 a, 40, 41,
60 a, 63 b, 64 b, 77, 78.
(1) Il secondo ardha suona:
kevalasvatmasaukhyàrtham yajliadànam ‘krtam tvayà.
Bali prima ha già detto che causa della sua attuale condizione di Asura
furono i sacrifici ed i doni che in altre vite fece ai Tîrthika.
È
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyuha 611
(fol. 71b) IX. 144, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159,
160; 161, 162, 169, 164,-165, 166, 167a (1),
167 b, 168.
(fol. 72b) VIII. 117, 119, 120, 121, 122, 128, 124, 125, 126, 127,
128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137.
(fol. 73b) VI. 1,2.
(ibid) V. 12b.
(ibid) VI. 6b, 7a, 9, 10, 21, 25, 33, 47, 48, 49 a, 67 a, 69,
97, 98, 99, 101, 102, 103, 105, 106, 107, 110,
111,112, 113,114, 115, 116, 117, 118, 119, 122,
123, 126, 127, 133, 134.
(fol. 76b) V. 97, 99, 100, 101, 102.
Segue all’incirca un mezzo foglio (77 a) nello stile sciatto del
Kar., e che contiene lodi e ringraziamenti e preghiere di Bali:
Namo ‘stu bodhisattvàya gubhapadmadharàya ‘te |
padmagrîbhusitam gàm jaya damakùfadharine ||
jinaràjagiraskàya sattvàgasampradàya ca |
hînadinànukampàya dinakrdvaracaksuse ||
prthivîvaranetràya bhaisajyaràjakàya ca |
sucuddhasattvanàthàya paramayogadhàrine ||
sarvadiksu sthitàn nàthàn sambuddhàmg ca munîcgvaràn |
krtàîjalih sadà smrtvà namàmi garane sthitaW Il (2)
yac ca dharmajinaiA sarvaih samadistam jagaddhite |
tat saddharmam aham dhrtvà samcarisye sadà gubhe [|
sarvàml lokàdhipàn nàthàn bodhisattvàn jinàtmajan |
tàn apy aham sadà smrtvà bhajàmi carane sthitaà ||.
(elet) 310077, 6,9; LO; AT, 12715; 14, 15,16, Li 13,19, 20,
21,22, 23, 25, 26,.27, 28, 29,30, 31, 32, 33.
{fol. 78 a) IV. 48.
(1) Fra i due ardha del 167 è inserito:
bodhivratam mahatpunyam sambodhijnaànasàdhanawm,
un verso che ricorre diecine di volte in tutto il libro.
(2) Cfr Bodhic., III, 4.
Atti della Reale Accademia — Vol. LVII. 492
612 — GIUSEPPE TUCCI
(fol. 79 b) V. 1, 2, 8, 4, 5, 6 (1), 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 22, 25, 26, 28, 29, 31, 32, 33.
Nel cap. 18° dopo una breve introduzione in stile alquanto
diverso seguono altri notevoli estratti dal Bodhicaryàvatàra nel-
l’ordine sottonotato.
(fol. 178 b) V. 1, 2, 3,4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 18, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29,
30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 88, 39, 40, 41, 42,
43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55,
56, 57, 58, 59, 70,71, 72, 73, 74, (5, ce 00
79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87; 88, 39, 90, 91,
92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102,
107, 108.
(fol. 182 a) VI. 1, 2,3, 4,5, 6, 9, 10, 11, 12, 112, 113, 126, 127,
130, 131, 132, 133, 134.
(fol. 188 b) VII. 1, 2,3.
(fol. 184 b) VIII 1, 2,3, 4,5, 6, 7,8, 9,10, 11b, 12, 13, 14,15,16.
(fol. 185 b) IX. 1, 2, 3, 4,5.
È da segnalare che fra questi versi desunti dal Bodhica-
ryàvatàra da me identificati se ne trovano altri che non figurano
affatto in questo testo, così come ci è pervenuto.
Così a fol. 75 b a proposito del viîrya si leggono dei versi
che non figurano nel Bobh.:
(2) Vîryam hi sarvagunaratnavidhànabhùtam | sarvàpadas tarati vîrya-
mahàaplavena ||
naivàsti taj jagati vastu vicintyamaànam | nà[valpnuyàd jad iha
vîryarathàdhirudhaA || 1
Yuddhesu yat kariturangapadàtimatsu | nàràcatomaraparagvadha-
samkulesu ||
hatvà ripùn jayam anuttamam Apnuvanti | visphurjitam tad iha
agli [| 2
(1) Fra 6 e 7 s'inserisce:
tasmic cittam samàdaya smrtvà raksyam prayatnatar |
cittàd eva hi sarvatra bhayam bhadram ca jàyate ||.
(2) Metro Vasantatilaka.
ind 2 BEE gli a ROTA VARIAN
RT RL
‘dia
ì 54 x
n at i ri n ina te
(1)
(2)
(5)
(6)
(7)
(10)
MI
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 613
ambhonidhîn makaravrndavighattitàmbùt- | tungàkulaàkulatarangavi-
bhangabhîman ||
vîryena gospadam iva pravilanghya gùrà%| kurvanty anàrghagu-
naratnadhanàrjanàni [| 3
ràgàdîn uragàn ivogravapuso vistambhya dhairyànvita? |
gîlam sajjanacittanirmalataram samyak samadapayet ||
martyàhk kàntataresu merugikharopàntesu vîryànvitàà |
modante surasundarîbhujalatàpàcopagùàdàg ciram [| 4
yad devà (3) viyati vimànavàsino ye nirdvandvàh samanubhavanti
saumanasyam |
atyantam viphulaphalaprasùtihetor vîryasya (sthiravihitasya) (4)
sà vibhùtià || 5
klecàrivargam tv abhibhùya dhîràXk sambodhilaksmîpadam àapnu-
vanti |
bodhyangadànam pradiganti satyà dhyànam hi tatra pravadanti
hetum || 6
janmaprabandhakararaikanimittabhùtàn ràgàdidosanicayàn pravi-
dàrya sarvàn |
aàkaàgatulyamanasah samalostahemà dhyànàd bhavanti manujà gu-
nahetubhùtàX || 7
prajiàdhanena vikalam tu narasya rùpam àalokya ràpam iva sàra-
vihînam anta? |
buddhyanvitasya phalam istam udeti vîryàd vîryam tu buddhira-
hitam svabuddhàya gatruà [| 8
yad buddho martyaloke malatimiraganam dàrayitvà mahantam |
jhanaàlokam karoti prakarati ca sadà dosavrndam narànàm ||
aàdestà cendriyànàm paramanujamanovartti sarvail prakaraiX |
prajîiàm tatràpi nityam cubhacarajananîm hetum utkîrtayanti || 9
kàyàrnave capi drdham nimagnà% sàmgràmamadhye manujàh pra-
dhaànaàh
prajbaàvacat te vijayam labhante prajîià hy ata) sàgubhahetubhùtà
tasmàt sàrvagunàrthasàdhanakarî prajîiaiva sambudhyatàm |
na prajhàvikalà vibhaànti purusà pràtal pradîpà iva ||
Svargàpavàrgagunaratnanidhaànabhùtà | etàh sadaiva bhuvi pàramità
î naràmnàm |
Jiùàtvà bhava svahitasàdhanatatparas tvam | Kuryà atah s(tata)m
l eva cubhe prayatnam || 10
saddharmasàdhanam kàyam itaràrtham na pidaye? |
evam buddhvà hi sattvànàm àgàm (11) àcu prapàraye? ||.
(1) Metro Caàrdùlavikrîdita.
(2) Metro Praharsinì.
(3) Deva ms.
(4) Così supplisco in base alla lettura di 186 b, v. pag. 10.
(5) Metro Indravajà.
(6) Metro Vasantatilaka.
(7) Metro Sragdharà.
(8) Metro Indravajà.
(9) Metro Cardùlavikridita.
(10) Metro Vasantatilaka.
(11) Ms. àsàm.
614 GIUSEPPE TUCCI
Gli stessi versi ricompaiono nel cap. 18° benchè con alcune
varianti ed aggiunte. Infatti a fol. 183 b, dopo Bodhic. VII, 3,
si legge:
tasmàd alasyam utsr]jya dhrtvà vîryam samàhitaA |
sarvasattvahitàdhanam bodhicaryàvratam caret ||.
Seguono i vv. riportati a pag. 15 con questo di diverso
che a 48a invece di vistambhya dhairyaànvitah si ha viskam-
bhavîryànvita/, a 4b nirmalataram samadapayet, evidentemente
per errore, a 5b invece di modante... si legge tisthante sura-
siddhasanghasaàhitàh ... sukham, a 6a vimanavaàsino ‘nye,
a 6b hetor vîryànvità sthiravihitasya sà vibhùtiX (sic). Quindi
sì inserisce un nuovo verso:
iti matvà sadotsàham dhrtvà sambodhisàdhanaw |
sarvasattvahitàdhànam bodhicaryàya caret (sic) || (1).
Dopo i vv. sopracitati dei canti VII ed VIII del Bodhica-
ryàvatàra si ripetono alcuni di quelli già riprodotti a pag. 9
preceduti dal seguente di carattere evidentemente introduttivo
e inseriti a mo’ di collegamento: fol. 185 a
evam yatir mahàsattvah samsàraratinisprha? |
samàdhisatsukhasakto vihared bodhimanasaA || .
Varianti: 7a vîrà% invece di dhîràA.
Si succedono quindi i vv.:
(2) Jitvà Klecàrivrndam cubhabalamathanam sarvathà (laksyate kim?) |
pràptah sambodhilaksmîm pravalagunamayîm durlabhàm ,anya-
bhùtai? ||
sattvajîanadhipàtyam vigataripubhayàh kurvate yan narendrà |
dhyànam tatraikahetum sakalakulanidhim pràhuà (sic) sarve mu-
nîndràA |
(3) mahandhakàram pravidàrya yag ca |
jianavahah samkurute samantàt |
sambuddhasùryal suramanusanà»m |
hetuA sa tatra pravaral samadhi? ||
Iti matvà samaàdhaàyà Klegàvaranahanàya |
vimàrgàc cittam àkreya samàdhau sthàpya pracaret ll .
(1) Il quarto pada è imperfetto mancando di una sillaba.
(2) Metro Sragdharà.
(3) Metro Indravajrà.
U
LA REDAZIONE POETICA DEL /{arandavyuha 615
Quale sarà mai la fonte di questi versi inseriti nella lunga
serie di estratti dal Bodhicaryàvatàra? È escluso a priori che
essi possano attribuirsi ai compilatori del Kàr; ragioni metriche
e stilistiche ci vietano assolutamente di accogliere questa ipo-
tesi. Chi compose la farraginosa mole della nostra opera sarà
stato senza dubbio animato da zelo e fervore religioso, ma affatto
privo di qualità d’artista e di poeta; ove egli si decise a scri-
vere di suo pugno, ci regalò quei versi di collegamento fra i
varì passi desunti da diverse fonti, privi quasi sempre di ef-
ficacia e di contenuto, umile raffazzonamento di frasi ormai
stantie e tradizionali, oppure attingendo a piene mani alla let:
teratura mahàyànica precedente in prosa e in poesia, diluì in
interminabili litanie ed in monotone ripetizioni il nucleo fonda-
mentale dell’opera.
Non rimangono dunque che due ipotesi: o questi versi fu-
rono desunti da un’opera qualunque sulle 6 pàramità, oppure
appartengono ad un testo del Bodhicaryàvatàra diverso da quello
da noi oggi conosciuto. Questa seconda ipotesi mi sembra la
più probabile. Chè infatti non si spiegherebbe come mai, pur
trovando sul vîrya, sul dhyàna, sulla prajìuà tanto materiale
nel Bodhic., i compilatori del Kàr., siano ricorsi per alcuni pochi
versi soltanto, perduti negli ampî excerpta dall'opera ni Can-
tideva, a fonti diverse.
Si noti inoltre che lo stile dei brani sopracitati è molto
simile a quello di Cantideva per frequenza d’imagini e perpi-
scuità di forma. I metri stessi si trovano tutti nel Bodhica-
ryàvatàra.
Questo plagio da parte degli autori del Kàr. ci serve per
stabilire il termine post quem deve porsi la compilazione del-
. l’opera, e cioè dopo e forse anche molto dopo il VII sec., in
cui, come par certo, visse Cantideva. Opinione questa che è
avvalorata dalle analogie già notate collo Svayambhùpuràna.
E, per quanto ciò interessi piuttosto il testo del Bodhica-
ryàvatàra che il nostro, torna opportuno segnalare un’altra os-
servazione che questi estratti da Cantideva ci rendono possibile.
Ed è che nessun verso vien fatto di trovare nel Kar. del X libro
del Bodhic., neppure là dove narrandosi il pranidhàna di Bali
le parole che vi si leggono sarebbero state appropriatissime.
Ciò dimostra che quando fu compilato il Kàr. un X capitolo
sE tl Me e 7. Te
S SSIS
616 GIUSEPPE TUCCI
non era stato ancora aggiunto all'opera di Cantideva, o per lo
meno non aveva avuto il tempo di divulgarsi e di affermarsi come
capitolo autentico. Ipotesi questa che, se non fosse altro, è del .
resto convalidata® dal fatto che nell'XI secolo Prajnàkaramati, .
commentando il Bodhicaryàvatàra, mostra di ignorare il X 'ca-
pitolo.
Sebbene non entri propriamente nell'argomento di questo
studio, non credo inutile segnalare le varianti che la recensione
dei frammenti del Bodh. inseriti nel Kàr. offre rispetto alle
lezioni seguite dagli altri manoscritti, presi come base delle
due edizioni del Minayeff e del De La Vallée Poussin. S'intende
che trascurerò tutte le varianti derivate da quei ritocchi e ri-
facimenti, che, per quanto lievi, non mancarono, cui i compi-
latori del Kàr. sottoposero le loro fonti: così non è infrequente
il caso che laddove Cantideva parla in prima persona, il Kar.
sostituisca la seconda, o viceversa, con tutti quegli inevitabili
cambiamenti che la sostituzione del pronome porta con sè,
metri causa. Mi limiterò soltanto alle vere e proprie differenze
di lezione più notevoli.
III, 7, c. °sthàyakac capi, 11d. diyate, 12b. kartavyam, jagatàm
mayà, 15c. sa eva tesàm.
V, 3, c. sadà invece di krstnam; 6c. proktam munindrais (e a
pag. 178b. cittàd eva sadyanti sarvesàm bhavaca-
rinàm); 7a. narake kena (a pag. 178b. samantatal
invece di prayatnatah); 8, c. tasmad kaccin na trai-
lokye; 14 volendosi abolire il mayà in a. e la 1* pers.
in c. si sostituisce: bàhyà bhavas tathà sarve na
cakyà varayitum kvacit | evam nivaryam kim evà-
nyair nivàritaià ||; 17d. guptam invece di guhyam;
18d. kim anyaih bahubhir vratail | (tyaktvà bahu-
bhil kim tapovratail fol. 179a.); 31d. aham capi
purah; 46 d. tat kasmad bhîta utsrjet; 51b. parikàra
invece di parivàra; 58 a. cirat ksanavaram praptam.
VI, 5, b. cen na sevyate; 10a. yady eva pratikàro “sti; 105 in
a. e c. mancano rispettivamente hi e ca; 118 buddha-
pujà.
In un altro caso il Kàr., discostandosi notevolmente dal
kàr., ci consente di riconoscere la fonte cui attinse, almeno
TI)
adi ei. di
LA REDAZIONE POETICA DEL Karandavyaha 617
parzialmente; e cioè nell’episodio di Simhala e delle Raksasî
che ci è noto anche per altre fonti. Oltre che dal Kar., dal
Mahàvastu, il quale lo ripete con differenze più o meno sostan-
ziali per due volte (1), e dal Divyàvadaàna (2). Nella quale rac-
colta il Simhalàvadana è riprodotto solo in parte, in quanto che
vi si legge il principio soltanto e la fine, dal ritorno di Simhala
nel Jambudvîpa al suo insediamento come re nel trono di Simha-
kalpà. L'interruzione del racconto devesi probabilmente ad amor
di brevità e alla diffusione che l’avadàna di Simhala doveva
avere; è quanto almeno può dedursi dalla formula abbreviativa
inseritavi a pag. 524 l. 19 vistarena raksasîsùtram sarvam
vàdyam. Ma gli studi dell’Huber sulle fonti del Divyàvadana,
hanno dimostrato come questo libro null’altro sia che una com-
pilazione antologica desunta dal Vinaya dei Sarvaàstivaàdin. Nel
quale infatti, tradotto da Yi-tsing, si trova per esteso tutta la
leggenda di Simhala, frammentaria nella raccolta sanscrita.
Ma prima di rintracciare quella probabile redazione del-
l’avadàna su cui si basarono i compilatori del Kar. conviene
esaminare brevemente le discrepanze che corrono fra le re-
censioni della leggenda quali ci sono conservate nei testi ac-
cessibili.
Div.; Simhala figlio di Simhaka mercante di Simhakalpà,
intraprende con una carovana un viaggio alla ricerca di
gioielli (4). Arrivati alla spiaggia del mare e preavvertiti dal
nocchiero dei pericoli, i 500 mercanti con a capo Simhala s’im-
barcano, ma da un makara la. nave è fatta colare a picco.
I naufraghi nuotando arrivano al Tàmradviîpa sede delle Raàksasì:
queste sono avvisate del sopraggiungere dei mercanti dall’agi-
tarsi di uno degli stendardi magici che sorgono nella loro città
e che presagiscono l’uno fortuna, l’altro sventura.
I naufraghi sono accolti dalle ràksasi, ciascuna delle quali,
mutato aspetto, ne sceglie uno come marito; da ogni coppia
nascono un figlio ed una figlia. Ma ai 500 mercanti è fatto di-
(1) III, 68 segg.; II 287 segg.
(2) Div., p. 523 segg.
(3) Bereo, 1905 e 1907.
(4) Qui s'interrompe il Div. cui viene in soccorso la traduzione cinese
del Vinaya.
618 GIUSEPPE TUCCI
vieto di andare verso il sud della città; questa proibizione
mette in sospetto Simhala, il quale una notte, seguendo il sen-
tiero vietatogli, giunge ad una rocca dalle mura di ferro ed
inaccessibili, entro cui, montato su un albero di girisa scopre
una folla di naufraghi colà gettati dalle Raksasî, che poco alla
volta li divoreranno.
La stessa sorte toccherà a Simhala e ai suoi compagni,
ammenochè non riescano a farsi trarre in salvamento del ca-
vallo misericordioso Balàha, il quale il 15 di ogni mese capita
in quei luoghi. Ritornato nel suo palazzo Simhala avverte i suoi
compagni del pericolo imminente ed insieme, il giorno fissato, si
aggrappano alla coda di Balàha per farsi trasportare oltre
l'oceano in patria. Ma vinti dalle seduzioni delle Ràksasi i
500 mercanti precipitano in mare e sono da quelle divorati
tranne Simhala, che ritorna sano e salvo nel Jambudvîpa (1).
Sotto la minaccia delle sue compagne la Raksasi già sposa
di Simhala, va in cerca di costui per ricondurlo nel Tàmradvipa:
lo ritrova, ma ne è respinto; ritenta la prova presso i genitori di
lui, dicendosi da Simhala abbandonata insieme col bambino nato
dai loro amori e che magicamente creato loro presenta. Non
creduta, per le tangibili prove addotte dal nostro eroe, si pre-
senta al re Simhakegarin per aver giustizia. Il re se ne inna-
mora e la accoglie nel suo harem; onde lei, di notte fatte accor-
rere dal Tàmradvîpa le compagne, divora il re e tutti gli abitanti
della reggia.
Simhala entra nel palazzo e caccia in fuga le raàksasi e
dagli abitanti di Simhakalpa è eletto re.
Mahàvastu III, p. 68; Non indica il nome del sàrthavaha,
e finisce col salvataggio operato dal cavallo Kegin di tutti i
mercanti che non prestarono ascolto agli inviti delle Raksasî
accorse sulla spiaggia del mare per impedirne la partenza. Per
il resto segue sostanzialmente la versione precedente.
Mahav. III, 287; Dharmalabdha intraprende accompagnato
da 500 mercanti un viaggio verso l’isola delle Raksasî, dopo
aver raccomandato ai propri seguaci di guardarsi bene dal ce-
dere alle seduzioni di quelle. Arrivati a destinazione i suoi
(1) Qui ricomincia il racconto del Divyàvadàna.
hi ai»
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 619
500 compagni, sordi alle sue raccomandazioni, si rifiutano di se-
guirlo quando egli parte alla volta della patria e quindi sono
divorati dalle Raàksasî. Una delle quali si propone di sedurre
Dharmalabdha e di ricondurlo nell’isola. Da qui in poi il racconto
procede sostanzialmente identico a Divyàv.
Kar. in prosa. Simhala con 500 mercanti, fatto naufragio
è gettato dai marosi sulla spiaggia delle Raksasî, le quali, mu-
tato aspetto, invitano i disgraziati a restare con loro e li con-
fortano di ogni bene e comodità. Simhala convive con la regina,
la quale gli svela che l’isola è abitata da Raksasî; se ne vuole
la prova, vada verso il Sud della città, ove troverà un luogo
chiuso da alte muraglie in ferro, in cui giacciono altri naufraghi
in attesa d’essere divorati. Simhala, assicuratosi della cosa,
chiede alla regina se v’ha un mezzo di scampare a questo pe-
ricolo e ne apprende che l’unico essere capace di salvarli è un
miracoloso cavallo che di tanto in tanto capita nell’isola. Simhala
avverte i compagni e tutti insieme, il giorno convenuto, implorano
dal cavallo pietoso la salvezza, che viene loro promessa a patto
che non si lascino sedurre dalle invocazioni e dai richiami delle
Raksasî. I suoi compagni che trasgrediscono l’avvertimento sono
da quelle divorati, mentre il solo Simhala ritorna sano e salvo
nel Jambudvîpa ove le lagrime di gioia che il suo arrivo strappa
ai vecchi genitori divenuti ciechi per il troppo piangere, rido-
nano a questi miracolosamente la vista.
La recensione del Kàr., segue in sostanza quella del Div.
e del Vinaya dei Sarvàstivàdin, con. questo di notevole che
Simhala non è più un mercante per quanto devoto e virtuoso,
che intraprende lontani e pericolosi viaggi per arricchirsi, ma
lo specchio di ogni perfezione buddhistica; lo stesso motivo
delle peregrinazioni marinare non è più la ricerca di merci pre-
ziose a scopo commerciale, ma l'acquisto di grandi ricchezze da
largire ai bisognosi; perchè, dicono i pietosi compilatori, poco
merito v’è nel donare quello che è stato accumulato da altri.
E Simhala in omaggio a questo principio non si perita di sot-
toporsi a perigliosi viaggi, pur di rendere sempre più grande
il frutto di merito derivante dalla paramità del dono che egli
pratica con tanto entusiasmo. Il tipo non è nuovo nella novel-
listica agiografica del buddhismo; si pensi a Vigvantara e più
ancora alla storia di Kalyànamkara e Pàpamkara, nella quale
620 GIUSEPPE TUCCI
troviamo fra gli altri elementi comuni, la stessa sete di libe-
ralità e carità, la stessa opposizione dei genitori già vecchi al
viaggio del figlio, lo stesso motivo della spedizione marinara (1).
Inoltre Simhala arrivato nell’isola delle Raàksasî è messo
sull’avviso dalla miracolosa apparizione della Jampada parlante
che manca in tutte le fonti che noi conosciamo di questa stessa
leggenda. Ma non sarà male riportarne qui appresso le parti
caratteristiche.
109a Aham api purà tena samràksito mahàbhayàt |
yan mamaitat (2) purà vrttam srnudhvam vaksyate ‘dhunà ||
tad yathà Simhakalpàyàm ràjadhaànyàm vanik prabho |
Simhasya sàrthavaàhasya putro ‘bhut SimhalaàbhidhaA ||
kalye ‘pi sa mahàsattvah sarvasattvahitàcaya? |
divyàtisundarah kantah sarvasattvamanohara? |
kaumàrye ‘pi sarvàsàm vidyànàw param àgataA |
sarvasattvahitam krtvà reme subrtsakàyakaiX ||
dattvarthibhyo yathàkàmam erutvà (3) nityam subhàsitawm |
gurunà satkrtim krtvà kuladharmàbhisamrataAà ||
svakuladevatàdîn ca sarvàn devàn samarcayan |
mànayan sakalàml lokàn bhrtyàn dàsaàn ca tosayan ||
jîatibandhusuhrtmitrasacivàn càbhinandayan |
yathàkàmam sukham (4) bhuktvà reme pitror anujhàyà ||
I suoi meriti crescono col crescere degli anni; ma Bali in-
vidioso di tante virtù così gli suggerisce:
109b sàdho dhanyo ‘si satputrar sarvalokàbhinandana? |
tat kulorjitasamvrtau cara dharmàrtham arjaya ||
iti tenoditam grutvà Simhala/ sa vicaksanaA |
ka kulorjitasamvrttis tad vaktum me tvam arhasi ||
iti tenoditam crutvà sa irsyàkulitàgayal |
Simhalam tam samalokya noditum evam abravit ||
janakas te mahaàbhaga sàrthavàho vanigpati? |
sadà ratnàkare gatvà sàdhayati sa sampadaA ||
(1) Sulla cui redazione cinese (B. Nanjiò, Cat. n° 1322) inserita in
un’opera che ha servito di base al testo tibetano Dsanglun tradotto e
pubblicato dallo Scumipr (St. Petersburg, 1843), v. Chavannes in T’'oung
Pao, 1914. — Ibid. la recensione uigurica edita e tradotta dal Pelliot.
(2) Ms. mame.
(3) Ms. gruto.
(4) Susukbam ms.
LA REDAZIONE POETICA DEL Karandavyaha 621
dhanyàs te eva satputrà ye kulakarmacarinaA |
anye kimpurusàs te hi bhuktvaiva grhacarina? ||
pitrdravyam samàdàya dattvàrthibhyo na te phalaw |
svàrjitam eva tàn dadyàd yacodharmàrthasiddhaye ||
tat tvam kulàrjitam vrttim dadhànar grîgunotsaha) |
abdhau ratnàkare gatvà ratnadravyàmi sàdhaya ||
tato grham samàgamya dattvàrthibhyo yathepsita»m |
yathàkàmam sukham bhuktvà samcarasva yagonvitaà ||
evam crîgunasampattiyacodharmasukhanvitaX |
svakulavrtti[m] samcàra mahotsàhaik sadà rama ||
samudre gantum utsàham pravardhayan udàcarat |
tata/ [sa] (1) Simhalo ‘mbhodhiyàtràm gantum samutsuka? ||
sàrthavàhaàtmajàn sarvàn samàmantryaivam abravît |
bhavanto ‘ham samicchàmi gantum ratnàkare ‘dhunà ||
bhavatàm yadi vancàsti pragantum mayà saha | (2)
Ottenuta l’adesione degli altri sàrtbavàha Simhala:
110a pitul pàdambuje natvà sàrjalir evam abravît ||
tàtàham gantum icchàmi ratnàkare mahàmbodhau |
tad bhavàn sudrgàm mahyam anujîiàm datum arhati ||
iti putroditam grutvà Simkal sal sàrthabhrt pità |
svàtmajam tam samàlokya savicàraivam abravît ||
putra crnu hitam vàcyam mayoditam tvam àatmaja |
yat tàvat (3) sukumàro ‘si tat katham ambudhau vraje? ||
tàvan me ‘sti mahàsampan mayà hastair upàrjità |
sarvàm etàm tavàdhinàm bhuktvà rama yathecchayà ||
yàvaj jîìvàmy aham putra tàvad grhe sukham raman |
yathàkàmam prabhuktaivam samcarasva yathepsite ||.
Su questo tono il padre lungamente insiste prospettando a
Simhala i pericoli del mare e scongiurandolo di non volergli
arrecare un sì forte dolore proprio negli ultimi giorni della
sua vita.
Ma Simhala dopo aver ripetuto concisamente le cose già
dette prima seguita : 3
1lla Ity evam svakulàcaravrttidharmàrthasaàdhinanm |
svàtmajam màm samàlokya pràbhinanditum arhasi ||
nivàrano na kaàryo ‘tra mama dharmàrthasàdhane |
tvayànujnaàpradanena nandanîyo ‘ham àatmaja? ||
(1) Ms. deest.
(2) Verso difettoso nel secondo pàda.
(3) Ms. yan tàva.
622 GIUSEPPE TUCCI
yadi daivàd vipattil syàt sarvam tirthàdhipe ‘mbudbau |
patitvà sarvam utsr]jya samprayàyàm suràlaya» ||
tathàpi (me?) mahatpunyakîrtiX samgodayet kulam |
iti vijhàya me vàta hy anujiiàm datum arhasi ||
grhe ‘pi no bhaved eva vipattir daivayogata? |
avagyambhàvino bhàvà bhaveyur eva sarvata? ||
iti gankàvisam hitvà saddbarmasmrtimaànasar |
dharmàrthasàdhane nityam mahotsàhî samàcaret || .
Da questo punto il racconto procede con una notevole con-
cordanza con le altre redazioni della leggenda. Ottenuto infatti il
permesso del padre, Simhala parte accompagnato da cinquecento
mercanti, co’ quali giunge fin sulle rive dell’oceano. Quivi s'im-
barca, ma durante la traversata è minacciato da una violenta
tempesta. Il nocchiero di fronte all’imminenza del pericolo con-
siglia i naviganti ad invocare l’aiuto delle divinità in cui cia-
scuno ha fiducia. Simhala raccoglie il suo pensiero nella devota
meditazione del triratna e la furia delle onde miracolosamente
si placa (1). Giungono così nei pressi del Tàmradvipa: ove la
nave che trasporta Simhala co’ suoi compagni è fatta naufra-
gare da venti impetuosi suscitati dalle Raksasî.
I 500 mercanti con a capo il nostro eroe riescono tuttavia
a raggiungere la riva: ove sono raccolti dalle Raksasî, confor-
tati, abbigliati: anzi ognuno di essi è scelto in isposo da una
delle Ràksasî stesse, che per non suscitare sospetti, avevano
prima magicamente mutato le loro Dio infernali in graziosi
corpi di giovani donne.
116a Athaàparaksayàyàm sa Simhalah gayanàgritaà |
triratnasmrtim àdaàya tasthau dhyàne samàhita? |
tadà tatràlaye dîpa/l sampradîpto mahojvalaXQ |
ràksasyàm nidritàyàm sa pràbhasat samprabhàsayan ||
Maravigliatosi Simhala, così rispettosamente interroga la
lampada
117a Kim artham bhasase dipa tad atra me samàdica |
ko ‘tra dîpe pravisto hì mayà na jùaàyate bhavàn |
(1) È questo un episodio comunissimo nelle pie leggende degli avadana,
Cito ad es. Divyavadana, p. 34, 332, ete.
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdrandavyaha 623
iti tenàbhisamprste pradipa/(sa) (1) samujvalan |
Simhalam tam samàmantrya prabhasan evam abravît [
Simbala kim na janàsi ràksasîyam na mànusî |
ramitvàpi yathàkàmam bhakset tvàm naiva sameaya? ||
sarvàs tàh pramada’ kantà ràksasyo naiva maànavà? |
sarvàms tàn tvatsahàyàmg ca bhaksisyanti na samgaya? ||
iti dipasamàkhyàtam erutvà bhîtalX sa SimbalaW |
kim idam satyam evam syàd iti, tam paryaprechata |
satyam eva pradîpa yam (2) ràksasîyam na mnusî ||
katbam bhavàn vijànàsi satyam etat samàdiga |
Risponde la fiaccola che s’egli non crede vada verso il sud,
‘ove, in un recinto di ferro, troverà molti sventurati che cre-
dettero alle lusinghe delle Raksasî ed ora attendono d’essere
da quelle divorati:
117b ita evam tenàkhyàtam grutvà samparibodhita” || (3)
tatra gatvà tathà drastum sarvam etat samutsuka? |
prasuptàm ràksasîm mohajalanidràvrtendriyàm ||
krtvà candraprabham khadgam dhrtvà samprasthito drutam |
tato gacchan sa ekakî nicîthe sa vilokayan ||
daksinasyàm mahàranye durgam (sa) samupàcarat |
tatràtyuccam mahàkottam ayalprakàrasamvrttam ||
gavàksadvàraniryàhavihînam lohasamskrtam |
tam drstvà samupàsrtya paribhraman samantataA [|
lokavisàdavailàpyam grutvà sa vismayàkulaA |
tatra campakavrksàgram àruhya sa samàgritàà |
mahotkàgaravenaivam àjuhàva tadagritàn ||
bhavantaX ke kiyanto ‘tra praksitptà% kena nigritàà |
kim bhuktvà vasathàtràpi tat sarvam vaktum arhatha ||
iti taduktam àkarnya tatrasthàs te vamigjanà?Q |
vrksagàkhàgram àrudham tam àlokyaivam abruvan ||
kas tvam bho katham àyàsi kasmàd ihàgatal kuta” |
sarvam etat pravrttàntam samupàkhyàtum arhati ||
Dopo aver raccontato la sua storia Simhala così è istruito
dalla gente colà rinchiusa :
yad khalu sàrthavaho ‘si jànîhi tà hi raàksasî? |
tad atra ratisamrakto màtistha vraja sva(m)puram |
vayam apy evam ambhodhau patità vyasanitàs tathà |
ràksasîbhiX samuttàrya svasvagrhe nivegità? ||
(1) Ms. deest.
(2) Si noti questo pracritismo per il regolare yat.
(8) Il primo pada è mancante di una sillaba.
624 GIUSEPPE TUCCI
bhojayitvà yathàkàmam ramitvàpi yathecchayà |
vinodya svavage sthàpya samcaritàl sukhe sadà ||
yadà yuyam iha pràptàs tadà tàbhir vayam drutam |
kotte ‘tra sarva ànîya praksiptà bandhanàlaye ||
grhîtvàmîbhir asmàkam ràksasîbhir divànigam |
khàditvà purusàn nityam samearanti yathecchayà ||
yùyam api tathàmîbhir ràksasîbhir yathecchayà |
grhîtvàtra pratiksiptvà bhaksisyadhve na samgaya@ ||
ity avacyam bhaved evam vijnàya sahasà bhavàn |
sarvàn sàrthàn samaàhùya svadegam gacchatu drutar ||
yadîtah sahasà yùyam sarve gaccheta sàmpratawm |
kugalam vo bhaven naivam yadi bhavet vinaksyata ||
iti tad uktam àkarnya Simhalal sa prabodhita? |
avatîrya drutam vrksat sahasà svaàlayam yayau ||
tata ratikaram dîpam uddiptam tam samîksya sad |
sànjalih pranatim krtvà puratalX samupàgrayat [|
tam purastham samàlokya pradîpal sa samujjvalan |
sàdho satyam tvayà drstam ity evam samàprechat || (1)
iti dîpoditam crutvà punar àha sa vismitaà |
sarvam satyam mayà drstam àdistam bhavatà yathà ||
kim upàyam ihapy asti yenetal sahasà punal |
Jambudvîpam gamisyàmas tat samàdestum arhati || .
La lampada allora indica a Simhala l’unico mezzo per
poter fuggire dalle Raksasì: il cavallo Bàlàha che di tanto in
tanto capita nell’isola e che, se pregato, facilmente consentirà
a salvare Simhala con isuoi compagni dalle fauci delle streghe.
Simhala si affretta ad avvisare i compagni e nel giorno
convenuto insieme con essi si reca, deludendo la vigilanza delle
Raksasî, sulla spiaggia del mare, nel luogo ove pascola il ca-
vallo Balàha. Dopo aver reso a questo il dovuto omaggio, ag-
grappandosi in catena alla sua coda, tutti si sentono trasportati
nell’aria, ma, ad eccezione del solo Simhala, per aver volto la
testa indietro richiamati dalle grida delle Raàksasî, i 500 mer-
canti precipitano nel mare e quindi vengono da quelle divo-
rati. Simhala, unico superstite, giunge celermente nel Jam-
budvîpa.
126 b iti tena samîdistam gerutvà sa Simhala} krtî |
tam agvam sàlijalir natvà sampagyan evam abravît ||
(1) Leggi: iti evam metri causa.
“e VET 5-1
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdarandavyaha 625
dhanyo ‘si tvam mahàsattva yan mam mrtyumukhàgatam |
adaya sahasottàrya raksasi svayam agata? ||
tat me nàtho ‘si càstà ‘pi guru tràtà suhrd gati? |
yàvaj jivam bhavatpadam smrtvà bhajeya sarvadà ||
manye bhavantam îcànanirmitam trijagatprabhum |
bodhisattvam mahàsattvam sarvasattvànupàlakam ||
ittham mam sarvadaàlokya bha(vàn) sarvatra samkate |
bodhayitvà prayatnena krpayà tràtum arhati ||
iti sampràrthya tam nàtham agvaràjam sa Simbhala? |
tridhà pradaksinîkrtya nanàma tat padau pura ||
tatal so ’evas tam àlokya kimcid dùre caran svayam |
antarhito jvaladvahnir ivàkàge yayau dràùtam ||
tam evam khe gatam drstvà Simhala% so ‘tivismita” |
yàvad drstipatham pagyams tasthau natvà krtànjaliX ||
tataX sa Simhalo dhîral pagyan màrge samàahitaX |
ekakî sankraman Jambudvîpàranyam upàyayau || .
Da questo punto ricomincia per intero il racconto nel Div.
(p. 524, 1. 22), il quale ci permette una osservazione di notevole
valore e cioè che gli anonimi autori del Kàr. non fecero, almeno
da questo luogo in poi, che adattare alle esigenze metriche il
racconto in prosa del Div.
Basta infatti confrontare gli excerpta che seguono con il
testo del Div. per averne la prova convincente. Il parallelo
può istituirsi da chiunque possegga l’edizione di quest’ultima
opera; perciò non ho creduto di insistere in note e paralleli a
piè di pagina fra le due recensioni: ho soltanto voluto ripor-
tare, per comodità del lettore, le prime righe della ripresa del
racconto del Div. anche per dare subito e senza altri commenti
un'idea del rapporto che corre fra i due testi.
Dal confronto risulta a prima vista a quali poveri ripieghi
gli autori del Kàr. siano ricorsi per cambiare con poca fatica
la prosa del Div. nella loro sciatta poesia, se poesia può chia-
marsi questa arida composizione, certo meno efficace della sem-
plice e popolare andatura del testo prosastico; non mancano le
“ zeppe , e i riempitivi che nulla dicono e a nulla servono se
non a rendere più penosa la lettura di questi versi fatta a forza.
Con questo, s'intende, non voglio asserire che la fonte cui at-
tinsero gli autori del Kar. fu proprio il Div. È infatti risaputo
che questo null'altro è se non un’antologia di passi desunti
dal Vinaya dei Sarvastivàdin come hanno dimostrato le ricerche
626 ‘ GIUSEPPE TUCCI
del Levi e dell’Huber. Sicchè è molto probabile che proprio
di questa raccolta o di altre consimili si servissero i nostri
compilatori, come con ben altro gusto ed arte fece anche
Ksemendra.
126b tada yà raàksasî bhàryà Simhalasya vanikpate? |
sakalàs tàs tàm parivrtyaivam abruvan || (1)
asmàbhir bhaksiàh sarve svàmino ‘pi svakasvakà? |
bhaksito na tvayaivaika/l svàmî nirvàhitah kathaw ||
yadi tàvat tam anîya bhaksase na tvam àatmanà |
tvàm nihatya vayam sarvà bhaksisyàma iti dhruvam ||
ity evam kathitam tàbhiX sarvàbhis tan nigamya sà |
samtrastà puratas tàsàm visannàsyaivam abravît ||
bhaginyo yadi yusmàkam nirbandha esa nigcaya? |
sarvathàham tam aniyàmi iti nigcitam || (2)
iti tayoktam àkarnya ràksasyal sakalà api |
evam cet te bhavet bhadram no cen no hitam abruvan ||
tata) sà ràksasî dhrtvà paramabhîsanàkrtim |
akàcam sahasà gatvà Simhalasya puràsarat, ||
Drstvà tàm raàksasîm bhîmàm puratal samupàsrtàm |
Simhalo ‘sim samutthàpya samtràsayitum udyayau ||
Simhalam tam asim dhrtvà nihantum mukhagatam | (3)
drstvà sà ràksasì trastà pradudràva vanàantare ||
tadà tatra varigsàrtho madhyadecàt samàyayau |
tam drstvà sundarîràpàm dhrtvà sà tad upàsarat ||
tàm kantàm sundarîm ramyam puratal samupàsrtàm |
sàrthavahal samalokya papracchaivam samadaràt ||
bhagini kà bhavantiha kaàntare bhramitàgayà |
ekakî kuta Ayàsi tat satyam vaktum arhati ||
iti sàrthabhrtà prste rudantî sà krtànjalî |
tasya sàrthapateA pàdau pranatvaivam nyavedayat ||
aham sàrthapate ràjiias TàmradvîpapateX sutà |
Simhalasyàsya bhaàryàrtham dattà tena mahîbhujà ||
anena sàrthavàhena parinàyàham àtmanà |
dattvà vierambham ànîtàm svadecagamanam prati ||
abdhitîropasampràptà naukà yadovibhagnità |
amangaleti krtvàham coritànena jangale ||
tad bhavàn bhodhayitvainam sàrthavàham mama priyam |
mayi snehaàbhisambandhe samyojayitum arhati ||
tayeti pràrthite grutvà sàrthavàhas tatheti sa? |
praticrutya tam àlokya sàrthavàham upàsarat ||
(1) Verso difettoso.
(2) Questa è vera prosa.
(38) Il secondo pada manca di una sillaba.
=—__— rp
; Pi I RAT a iti met
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdrandavyaha 627
tam drstvà samupàgaàtam (1) SimhalaX samprasàditaA |
àsane sampratisthàpya samaàlokyaivam abravît || (2).
Seguono i complimenti d’uso, dopo i quali il nuovo arrivato
intercede presso Simhala a favore della presunta sua sposa:
127b Iti tenoditam grutvà Simhalah sa samahitaA |
sàrthavàham tam àlokya punar evam nyavedayat ||
sakhe na ràjaputrîyam parinitàpi na (sic.: n0?) mayà |
ràksasîyam ihàgatà Tàmradvîpanivàsinî ||
iti tenoditam grutvà sàrthavàha/ sa vismita” |
Simhalam suhrdam tam àlokyaivam abravît || (3)
vayasya ràksasîyam hi katham evam ihàgatà |
jhatàpi ca tvayà kena tat satyam vaktum arhasi ||
iti tenoditam sarvavrttàntam vistarena sal |
Simhalas tasya mitrasya puratal samnyavedayat |}
tad uktam sarvavrttàntam grutvà sa sàrthabhrt sudhi? |
satyam iti parijiàya babhùva trasitàgayaX [|
tatal sa Simhalas tasmàt samprasthita/l samahita? |
Senza dilungarci più oltre a riportare per intero il testo
del Kàr., che segue in tutto il racconto in prosa del Divyàvadàna,
affrettiamoci a riportarne la fine.
133a tata, Simhalam àalokya sarvàs tà nispalàyitàà (4) |
prasàdaàd avatîryàgu dvàram samudaghàtayat ||
tatas te mantrino ‘màtyà janà% sarve ‘pi sainikà? |
gatvà samîksya ràjàdîn sarvàn bhuktàn vicukrusu? ||
suciram vilapitvà te sarve ‘pi mant(ri)no janàW |
amàtyàh sainikàh pauràg ciram samtrasitàgayàh |
. tato sa Simhalo drstvà sarvàms tàn mantrino janàn |
amatyàn sainikàn pauràn samàmantryaivam abravît ||
bhavanto màvicaratv atra nàsti kagcin nigàcarî |
tat sarve samupàvigya pacyantàm sarvatal punah ||
tatas te mantrino ‘màtyà janàh samvîksya sarvata” |
sarvaràjakulam... (5) tam samagodhayan ||
(1) Samàyàtam ms.
(2) Div. 524, 1. 22. Simhalabhàryà yà ràksasî sà ràksasîbhir Bhagini
asmàbhiX svakasvakàh svàmino bhaksitàs tvayà svàmî nirvaàhita/l, yadi
tàvat tam anayisyasîty evam kugalam no cet tvàm bhaksayàma sà samtrastà
kathayati yadi yusmàkam esa nibandho màm dharayisyatha ànayàmîti...
(3) Iato fra alokya ed evam.
(4) paràyitàs.
(5) Ms. saàntavîhis.
Atti della Reale Accademia —- Vol. LVIII. 43
628
GIUSEPPE TUCCI
tatas te mantrino ‘màtya bràhmarnàdîn mahàjanàn |
sannipàtya prajàg càpi samamantryaivam abruvan ||
bhavanto ‘tra mrto ràjà vameas tasya na vidyate |
tad atra kam nrpam krtvà mimîmahi vadantv ita? ||
iti tai mantribhih proktam grutvà te bràhmanàdayaX |
mahàjanàk prajàg capi sarve ‘py evam nyavedayan |
yah prajîial sàtviko vîro nîtigàstravicaksanar |
dayàkàrunyabhadràtmaà sarvadharmahitàrthabhrt ||
tam vidhinàbhigicyàtra pratisthàpya nrpàsane |
sarvaràjàdhipam krtvà pramanayantu sarvadà ||
iti tai kathitam grutvà kecit vijnà mahàjanaA |
sarvesàm mantrinàm tesàm purata evam abruvan ||
Simhala} sàrthavàho ‘yam sàtviko ... krtî |
dayàkàrunyabkadràtmà sarvasattvahitàrthabhrt ||
îdrg vîro mahaprajio dayàkàrunyasammatiA |
maitrîgrîisadgunàdhàro nàsti kagcit mahàjana? ||
tad enam Simhalam vîram abhisicya nrpàsane |
pratisthàpya nrpam krtvà mîmantàm sukarail saha ||
iti tair uditam grutvà te ‘màtyà mantrino janàh |
sarve ‘py anumatam krtvà tathàkartum samàrabhan ||
tatas te mantrino ‘màtyà bràhmanàg ca mahàjanaW |
Simhalam tam samàmantrya purata evam abruvan ||
Simhalàtra madasmaàkam (1) prajànàm api sammataA |
tad anumodya ràjye ‘tra ràjàbhavitum arhasi ||
iti tait mantribhiX sarvair amàtyail sujanair dvijaià |
pràrthitam Simhalam grutvà tatpura evam abràvît ||
bhavanto ‘ham vanigvrttivyavahàropajîvikaA |
tat katham ràjyasambhàram sambodhum abhigaknuyàwm |
tad etan mama yogyam na ksamantu tad acakyatàm |
yad yogyam karma tatraiva yojanîyo hi mantribhi? ||
iti tenoditam grutvà àmatyà mantrino janàA |
sarve tam Simhalam vîksya samaàmantryaivam abruvan ||
bhavatsadrgah sadbuddhir vîryavàn sadaya/) krtî |
sàttviko lokavikhyàtah kagcid anyo na vidyate ||
yac ca nrpatel vamgo vidyate ‘pi na kagcana | (2)
tad atredam bhavàn ràjyam anugàsitum arhati ||
iti tair mantribhiX sarvail sampràrthitam nicamya saà |
Simbalo mantrinal sarvàn samalokyaivam abravît ||
bhavanto yadi màm sarve ràjànam kartum icchatha |
samayenàham icchàmi ràjyam samaànugàsitum ||
iti tenoditam crutvà sarve te mantrino janàh |
amàtyàs tam mahàvijiam samàalokyaivam abrùvan ||
(1) Sic. leggi: tvam?
(2) Il primo pada è mancante di una sillaba.
LA REDAZIONE POETICA DEL Kdérandavywha 629
yathà bhavatàkhyàtam samayam tat tathà khalu | (1)
sarve vayam samàdhàya carisyàmal samàhitàA ||
iti tad uktam àkarnya SimhalaX sa prabodhita? |
sarvàms tàn mantrino ‘màtyà samaàlokyaivam abravìt ||
yad yetat satyam àdhàya sarve caritum icchatha |
tathàtra ràjyasambhàram sambodhum utsahe ‘py ahawm ||
tad bhavanto ‘tra me vàkyam dhrtvà dharmanusadhina? |
triratnabhajanam krtvà careyam sarvadà cubhe ||
ity anugàsanam dhrtvà mama dharmasahàyina? |
sarvasattvahitàdhàre dharme caritum arhatha ||.
D'accordo con i dignitari del regno imprende quindi una
spedizione contro le Raksasî:
tata/X sannàhya sa bhumîgvarag caturangabalaiX saha | (sic!)
samprasthito mahotsàhais tîiram pràpa mahodadhe? ||
tatra sa tàni sarvàni caturangabalàny api |
àropya vahanesv abdhau samprasthito caran mudìà ||
tatra sa santaran sarvaig caturangabalaiA saha |
svastinà sahasàmbhodheX pàratîram upàyayau ||
Taàmradvîpe tadà tatra ràksasînàm mahaddhvaja? |
ropita àpanasthàne kampito ‘sucayat bhayaw ||
tam prakampitam àlokya ràksasyo bhayamohitàX |
sarvà ekatra sammîlya mithya evam samîcire ||
bhavantya àpanastho “yam dhvajaX prakampito ‘dhunà |
Jambudvîpanrpà nùnam asmaàbhir yoddhum agata? ||
sajjîkrtvà tad asmàbhi/ sthatavyam iha sàmpratam |
iti sambhàsya tà drastum abdbitîram vpàcaran |
tatrasthàX sakalàs tàs tàn Simhalàdîn naràdhipàn |
tîràt tîrnàn mahotsàhaik dadrgur yoddhum àagatàh ||
kàgcit palàyitàh Kkàgcid yoddhum samàagritàA | (sic)
yoddhum pratyudgatàh kaàgcit kàecit tasthur nirîksya khe ||
tàs pratyudgatà drstvà Simhalas prajîiayà drutam | (2)
vidyàdharibhir àvistà vîrail gastrail praghatitàA ||
avagistà abhitrastàX Simhalasya nrpaprabhoA |
krtàùjaliputà natvà padayor evam abrùàvan ||
‘ Ksamasva no mahàràja vrajàmahl carane tava |
tad asmàn yosito bàlà hantum nàrhati ksatriyaA ||
iti sampràrthitam tàbhih grutvà sa Simhalah prabhu? |
samayena ksameyam ca iti tà vîksya cabravît ||
tac chrutvà sarvàs (3) Simhalam ksatriyadhipam
(1) Il primo pada è mancante di una sillaba.
(2) Idem.
(8) Tac chrutvà ràksasyo sarvàà.
CIARA ae ae pa dai rete ii
630 GIUSEPPE TUCCI — LA REDAZIONE POETICA, ECC.
yadîdam nagaram tyaktvà sarve ‘nyatràpi tisthata |
madvijite ca yady atra nàparàdhyatha kasyacit ||
tadà yusmàkam evàham aparàddham ksameyam hi |
tadanyathà krte yusmàh sarvà hanyàm na samsgaya? ||
iti tena samàkhyàtam crutvà tàh sakalà api |
Simhalam tam pranatvà ca samàlokyaivam abrùvan ||
svàmin tathà karisyàmo bhavatàbhihitam yathà |
tad asman yosito bàlàh sampàlayitum arhati | ,
iti sampràrthya sarvàs tà ràksasya/ paribodhitàW |
tyaktvà tad visayam gatvà vane ‘nyatra samàcrayan ||.
Segue la solita finale dei Jàtaka, che del resto ha il suo
raffronto colla chiusa del capitolo corrispondente del Divyà-
vadana.
Credo, in tal modo, di aver segnalato tutte le parti più
notevoli del Kàr., il quale, come si vede, ha un ben meschino
valore sia dal punto di vista letterario ed artistico, che come
fonte di informazione per la storia o le dottrine del Buddhismo.
L’ Accademico Segretario
GIovANNI VIDARI
631
CLASSI UNITE
Adunanza del 1° Luglio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE FRANCESCO RUFFINI
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti:
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali:
i Soci D’Ovipro, Segre, PrANO, Foà, Gurp1i, PARONA, MATTIROLO,
GrASSI, SOMIGLIANA, PANETTI, SACCO, HERLITZKA, POCHETTINO;
della Classe di Scienze morali storiche e filologiche :
i Soci De SANcTIS, StAMPINI, BronpIi, ErnauDI, PRATO, PACCHIONI,
Luzio, Mosca, JANNAcconE e ViparI, che funge da Segretario.
Scusano l’assenza i Soci CIAN e SCHIAPARELLI.
. Si legge e si approva l’atto verbale della precedente adu-
nanza delle Classi unite (9 luglio 1922).
_ Il Socio Luzio, relatore della Commissione per il conferi-
mento del premio Gautieri, legge, dietro invito del Presidente,
la sua relazione, che era stata in precedenza comunicata ai
Soci. Finita la lettura, il Presidente apre la discussione sulla
relazione.
Nessuno prende la parola. Resta inteso che nella prossima
seduta di domenica 8 corr., a norma del Regolamento, si voterà
sulla proposta della Commissione, che è di dividere il premio
per le Scienze storiche fra i signori R. Caggese e A. Comandini.
632
Si passa al secondo oggetto posto all'Ordine del giorno:
Nomina della Commissione per il conferimento del premio
Bressa.
Il Socio De SancTIS ricorda che sono da conferire due
premii, quello per il quadriennio 1915-1918 e quello per il
quadriennio 1919-1922.
Si procede alla votazione in conformità dell'art. 1 del Re-
golamento interno, e riescono eletti: per la Classe di Scienze
fisiche: i Soci PocHeTTINo, PARONA e MartTIROLO; per quella di
Scienze morali: i Soci EinAupI, DE SANCTIS e SCHIAPARELLI.
633
Relazione della Commissione per il premio Gautieri riservato
alla Storia (triennio 1919-1921).
Al premio Gautieri di Storia pel triennio 1919-1921 ha
concorso il solo prof. Romolo Caggese dell’Università di Pisa
col IN volume della sua Firenze dalla Decadenza di Roma al
Risorgimento d’Italia, col primo della sua monografia su Roberto
d'Angiò, col secondo degli Statuti della Repubblica Fiorentina.
Da’ soci Pacchioni e Vidari partì la proposta motivata di pren-
dere in considerazione speciale l’Italia neî Cento anni di Alfredo
Comandini.
Sono dunque due i candidati: apparentemente distanti fra
loro per l’epoca che trattano, per l'indirizzo che seguono.
Il Caggese, voltosi ai campi più lontani della storia me-
dioevale e moderna, già tanto dissodati dall'indagine critica
italiana e straniera, non ha mancato di apportarvi il suo con-
tributo di dotte, acute ricerche: ma ha mirato sopratutto al
còmpito vero di storico nel senso più alto della parola, a domi-
nare e rielaborare i soggetti prescelti con vaste sintesi, in po-
derosi quadri e vividi ritratti di situazioni e caratteri.
Corrette felicemente le giovanili tendenze che lo facevano
indulgere a brillanti generalità, a esagerazioni di fuggevoli mode
storiografiche, il Caggese ha saputo affermare, specialmente nel
Roberto d’ Angiò, la capacità del robusto suo ingegno a solide
concezioni personali: ha affinato le doti di scrittore, magnilo-
quente, esuberante talvolta, ma sempre signorile, forbito, at-
traente. A parte qualche secondaria riserva, merita quindi plauso
la maturità della fecondissima attività sua, che, promettendo
frutti sempre più vigorosi per l’avvenire, dà già ottimi saggi di
una armonica fusione dei criteri a cui deve informarsi la rievo-
cazione storica, con adeguato riguardo ai fattori economici e
sociali, non meno che ai politici.
634
In tutt’altre condizioni s'è svolta l’operosità di Alfredo Co-
mandini. Il Risorgimento è ancora troppo a noi vicino perchè.
lo si possa dire sottratto al malefico influsso di pregiudizi tenaci,
di passioni non spente. Tanta parte del materiale storico genuino
è tuttora racchiusa negli archivi pubblici e privati; il terreno
è ingombro da tutte le male piante della partigianeria e della
retorica, che soffocano, deformano la verità.
Una pubblicazione come quella creata, è la vera parola, dal
Comandini sarebbe già altamente salutare, se fosse ristretta a
pedestre ma precisa compilazione, a sicuro accertamento crono-
logico de’ fatti. Quando si pensi invece che ogni nota di quel
secolare Diario fu scrupolosamente vagliata da uno spirito cri-
tico spregiudicato, sagace, ardito: che in que’ fitti volumi rivi-
vono nella loro reale fisonomia avvenimenti e persone; tutta
un'epoca è ricostruita con dati autentici e suggestivi nell’infinita
varietà policroma de’ suoi elementi costitutivi; allora l’Italia
ne Cento anni non è soltanto un istrumento prezioso, indispen-
sabile di lavoro, sì anche una guida sapiente, una maestra di
serietà, di rettitudine. È
Secondo le buone tradizioni sempre osservate nell’assegna-
zione de’ premi Gautieri, il giudizio investe, oltre i limiti del
triennio, tutta la produzione e le complesse attitudini d’un can-
didato: del Comandini è perciò da ricordare che, mentre ap-
prestava con mezzi esclusivamente suoi, in un trentenne sforzo,
questo mirabile repertorio di curiosità, di erudizione, di critica,
dava anche prova di saper assorgere dall’analisi frammentaria
a libri organici, con pensiero indipendente, ed agile penna avvi-
vatrice. Tali i volumi sulle Cospirazioni di Romagna, su Milano
nel ’48, sul Principe Napoleone e le Commemorazioni italiche:
con le quali e con la spicciola collaborazione a periodici ha con-
tribuito a diffondere una conoscenza più esatta e leale de’ fasti
del Risorgimento.
Da questo esame dell’opera de’ due candidati scaturisce
evidente la conclusione: che sarebbe incongruo ed inopportuno
istituire una graduatoria di giudizio.
La Commissione concorde propone che il premio ex aequo
|
I° E eo.
635
sia diviso fra entrambi: omaggio del pari dovuto al giovane
valoroso, e al veterano provetto, infaticabile. L'Accademia, ne
siamo sicuri, coglierà lieta l’occasione di affermare che, senza
esclusivismo di scuola, siano sintetici, siano analitici, onora
egualmente que’ lavori storici, che rechino effettiva utilità agli
studi, attestino nobiltà d’intenti, personalità di visione.
Francesco Rurrini, Presidente
GAETANO DE SANCTIS
GiusePPE PRATO
FEDERICO PATETTA
ALessanpRo Luzio, relatore.
636
CLASSI UNITE
Adunanza dell’8 Luglio 1923
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. COMM. C. F. PARONA
VICEPRESIDENTE DELL'ACCADEMIA
Sono presenti:
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali:
i Soci D’Ovipro, Naccari, Segre, Peano, Foà, Guipi, MaTTIROLO,
Grassi, PANETTI, che entra a seduta già aperta;
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche:
i Soci S. E. BoseLLi, De Sanctis, StAMPINI, BRronDI, EINAUDI,
BaupI Di Vesme, PaTETTA, PRATO, CIrAN, PACCHIONI, VALMAGGI,
FaeeI, Luzio e ViparI, che funge da Segretario.
Scusano l’assenza i Soci JANNACCONE e Sacco.
Si legge e si approva l’atto verbale della precedente
adunanza.
Il Presidente apre la votazione per il conferimento del
premio Gautieri in base alle proposte della Commissione giudi-
catrice presentate nella precedente adunanza. Il risultato della
votazione è il seguente: votanti 23, 22 sì, una scheda bianca.
Il Presidente proclama vincitori del premio Gautieri per le
Scienze storiche i signori R. Caggese e A. Comandini.
Il Presidente invita il Socio Tesoriere Prato a dare all’Ac-
cademia il rendiconto finanziario dell’esercizio 1922.
Il Socio Prato legge e illustra con commenti orali le varie
voci della parte passiva e dell’attiva del bilancio 1922.
CATE I PTC
bb ila inizi
637
Il Presidente apre la discussione sulla relazione finanziaria;
ma nessuno prende la parola, onde egli dichiara approvato il ren-
diconto dell’esercizio 1922. Viene pure approvato il rendiconto
della gestione dei premii per l'esercizio 1922.
Si passa all’esame del Bilancio preventivo 1923. Il Socio
Tesoriere illustra largamente tutte le parti del bilancio, segna-
lando le benemerenze acquistate, per varii titoli, dai Soci
ErnAuDI, PANETTI, GUIDI.
Il Presidente mette in votazione il bilancio preventivo, che
viene approvato. Trae infine argomento dalla relazione PrATO
per ringraziare dell’opera data agli interessi finanziarii dell’Ac-
cademia i Soci EinauDI, PANETTI, GuInIi, PRATO.
Il Presidente rivolge infine un saluto e un augurio di buone
ferie accademiche ai Soci, e scioglie l'adunanza.
Gli Accademici Segretari
OrEsTtE MATTIROLO
GrovaANNI VIDARI
639
INDICE
DEL VOLUME LVIII.
Presenti della Reale Accademia delle Scienze di Torino dalla sua
fondazione . - : 7 È : ; RR ra . Pag. III
ELenco degli Accademici Nazionali residenti, Nazionali non residenti,
Stranieri e Corrispondenti al 31 Dicembre 1922 SEO 5 v
Mutazioni avvenute nel Corpo accademico dal 1° gennaio al 81 di-
cembre 1922 . . : È a È È ; : È E
ADUNANZE:
Sunti degli Atti verbali della Classe di scienze fisiche, matema-
tiche e naturali. : ente Ds
101, 105, 131, 161, 213, 249, 295, 339, 381, 408, 414, 439, 581.
Sunti degli Atti verbali della Classe di scienze morali, storiche
e filologiche È è i » 39, 75,
103; 122, 152, 185, 246, 283, 315, 349, 399, 412, 423, 503, 545.
Sunti degli Atti verbali delle Classi Unite. . 3 5 631, 636
PreMIo GAUTIERI:
Relazione della Commissione per il conferimento del premio
riservato alla Storia (triennio 1919-1921) n 633
AmBrosini (Guido). — Appunti di Estetica . x 5 2 . Pag. 41
Axrrro (Alessandro). — Variazione diurna della distribuzione della
energia sul Disco solare i ; } - Li 203
Avoaanro (Lodovico). — Ricerche ona SAEOA - ; i sn 451
— Vedi Ponzio (G.).
Bertoni (Giulio). — Maria di Francia e il romanzo di © Enéas, , 158
Burari-Forri (C.) — Flessione dei raggi luminosi stellari e sposta-
mento secolare del perielio di Mercurio . i î 5 a 149
Cran (Vittorio). — Commemorazione di Carlo Salvioni . ° z 205
Coenerti pe Martis (Luigi). — Osservazioni sulla Spermiogenesi di
Erinaceus. È - $ ; x : î 5 Ù ; = 11
640 INDICE DEL VOLUME LVIII
DaLmasso (Lorenzo). — Notizie lessicali in Aulo Gellio. Semasio-
logia a - î 2 : 2 o ; È È + Pag.
Facci (Adolfo). — Bacone e Locke
— Cartesio e Newton .
»
n
FuLcHerIs (G.). — Vedi Poor or
GareLLI (Felice). — Formazione di solfuri, seleniuri, tellururi di
alcuni metalli. — I. Composti del rame A
Gray-Levra (P.). — Vedi MartIRoLo (0.).
Gorrani (Michele). — Il preteso carreggiamento delle Dinaridi sulle
Alpi : È ì 2 : î : , , %
Grassi (Guido). — Resistività dell’Alluminio a diverse temperature ,
Guipi (Camillo). — Sulla prova idraulica delle bombole per gas
compressi o liquefatti . ù
Lomsarpini (Maria). — Considerazioni peo simana per l'analiai pe-
riodale
Luzro (Alessandro). — E Isttors di Sr, fo ed alte do
cumenti inediti giobertiani . ;
— Una fonte mantovana del Guicciardini . è
— Relazione della Commissione per il premio Gautieri dee alla
Storia (triennio 1919-1921) =
MacnacHi (Alberto). — I confini d’Italia nel pensiero di ‘Daga se-
condo una pubblicazione recente .
. Marro (Giovanni). — Bernardino Drovetti e Chimpallioa 5 via Temo È
Documenti inediti . .
MartiROLO. (Oreste) e Gray-LevrA (Piero). _ Posa Fisici du Dia-
tomee fluviali dei dintorni di Torino .
MonteRrIN (Umberto). — Fenomeni carsici nei Gianini della
“ Zona delle pietre verdi , (Alta valle di Gressoney) ° 5
Parona (Carlo Fabrizio). — Commemorazione di Arturo Issel . 7
ParertA (Federico) — Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico
Sclopis E ; È 5 ° : - 3 - x
Peritti DI Rorero (Alfonso). — Di una lettera a Carlo V relativa
al Sacco di Roma del 1527 .
PisroLesi (Enrico). — Una estensione del HipLana di Were ad
il calcolo del grado di irregolarità di una motrice
PocÒ®ertino (Alfredo). — Commemorazione di ‘ceri Cori
Rontgen
— e Furcarris (G.). — di le Legna eletiziohe e telmaiohie dello
Jodio (Nota 1) : ; è : i 7 ; p
Ponti (Virginio Paolo). — Nota duale E 3 ; &
80
124
323
297
233
143
133
19
186
284
683
361
048
465
63
59
425
319
341
252
493
528
Ponzio (Giacomo). — Ricerche sulle diossime (Note XI-XII) s 391, 415
— e Avoganro (Lodovico). — Ricerche sulle diossime (Note VIII-X) ,
223,
— e Rueceri (Gustavo). — Ricerche sulle diossime (Nota VII) È
Rueaeri (Gustavo). — Sugli acidi nitrolici aromatici & E È:
— Vedi Ponzio (G).
214,
259
171
441
INDICE DEL VOLUME LVIII
Sacco (Federico). — Rinvenimento di Uintacrinus nell'Appennino set-
tentrionale . : . : - È È : È . Pag.
— Talismani (?) preistorici .
Sere (Beniamino). — Genere della curva opa per SE ST di Si
che annulla un determinante simmetrico E
Sesini (Ottorino). — Contatti nella coppia vite-ruota clicvidaie "i
— Sul calcolo approssimato dell’influenza dello sforzo di taglio sulla
deformazione dei prismi inflessi . ò
Srampini (Ettore). — Altri saggi umanistici. — HlbGlaca Chicrarnnati
et inscriptiones 5
Supino (Giulio). — Sulla ina delle lavate CSV È
Tucci (Giuseppe). — La redazione poetica del Karandavyaha . È
VarLauri (Mario). — Il brano della Sarngadharasamhità sull’ana-
tomia 3 È ; : a
Varmacei (Luigi). — Verna. vernaculus È
Vipari (Giovanni). — [Breve commemorazione di Hihnpo' Mati >
VieLezio (Elisa). — Calcolo diretto dei logaritmi decimali x
ZamBonInI (Ferruccio). — Commemorazione del Socio corrispondente
Giacomo Ciamician È
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Sunto dell’ Atto Verbale dell’Adunanza del 19 Novembre 1922 Fog.
Sesini (Ottorino). — Contatti nella coppia vite-ruota elicoidale - do i
Coenerti pe Martis (Luigi). — Osservazioni sulla Spermiogenesi di‘ Ì
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Lomsarpini (Maria). — Considerazioni RE per l’analisi Lei
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Sunto dell’ Atto Verbale dut'AnGsaane del 26 Novembre > 1928 Pag. 3
Awsrosini (Guido). — ‘Apponti di Estetica . SEE . $ LEVI
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Cer cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla.
Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in- f° di 32 pp. e 134 ta-
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Monrerin (Umberto). — Fenomeni carsici nei calcemicascisti della. |
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Classe di Scienze Morali, Storiche 6 Filologiche.
Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 10 Dicembre 1922. Pag. 78°
DALmasso (Lorenzo). — Notizie lessicali in Aulo Gellio. Semasiologia DE 80
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. È ;
Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 17 Dicembre 1922 Pag. 101.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 24 Dicembre 1922 Pag.
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DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
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Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona.
Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile
per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla.
Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e 134 ta-
. vole in fotocollografia.
Il codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino,
riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis
e P. Fedele.
Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4° di 70 pagg.
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Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 31 Dicembre 1922 . Po) hi i i 05 A
Sacco (Federico). — Rinvenimento di EREDI nell’ Appennino set-
tentrionale . ; , Pi
ViGLEzIO (Elisa). — Calcolo diretto 0 ici PRI dr RO i h
Olusino di‘ Scicnze Morali, Btorichs è Fiologiano i
Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 7 Gennaio 1923. Pag. 122
Face (Adolfo). — Bacone e Locke . ; È 3 : pino
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ||
Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 14 Gennaio 1928. Pag. 181.
Gurpi (Camillo). — Sulla prova idraulica delle bombole per gas
compressi 0 liquefatti ) i; een Lo 17
Grassi (Guido). — Resistività dell’ PRI a Sicoeo leoni: ni Ae |
Burari-Forri (C.) — Flessione dei raggi luminosi stellari e sposta»
mento secolare del perielio di Mercurio . 5 i; 3 n 149.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Sunto dell’Atto Verbale dell'’Adunanza del 21 Gennaio 1923 . Pag. 152
Bertoni (Giulio). — Maria di Francia e il romanzo di “Enéas, , 158
Tip. Vincenzo Bona - Torine
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Libreria FRATELLI BOOCA
Via Carlo Alberto, 8,
1923
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pui Messale miniato del card, Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona.
Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile
‘| per cura di C, Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla.
Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in- fe) di 32 pp. e o ta-
vole in fotocollografia.
Il codice evangelico k della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino,
riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis
e P. Fedele.
Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4° di 70 pagg.
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Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 28 Gennaio 1928. Pag. | Lul
Secre (Beniamino). — Genere della curva doppia per la varietà di Sk
che annulla un determinante simmetrico . |. /». .. n 162.
| Ponzio (Giacomo) e Ruaceri (Gustavo). — Ricerche sulle diossime MIRATI
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Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 4 Febbraio 1923. Pag. 185
Luzio (Alessandro). — Due lettere di Vincenzo Gioberti ed altri do- | ji È
cumenti inediti giobertiani GG... 0.00 186
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DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. LVIII, Disp. 7*, 1922-1923
TORINO
Libreria FRATELLI BOOCA
Via Carlo Alberto, 3,
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n Messale miniato del Rari: Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragona.
Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile
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riprodotto; in fac-simile. per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis.
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Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e , Naturali.
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Ponzio (Giacomo) e AvoGanro (Lodovico). _ Ricerche sulle diossime na
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Derri. — Richerche sulle diossime (Nota IX) VENE e
- GorranI (Michele). — Il preteso carreggiamento dele Dinaridi sulle Get
Alpi PERETI MOR, > . 97: SOS NOTAI a ata ati
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DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
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Libreria FRATELLI BOCCA
Via Carlo Alberto, 3.
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Luzio (Alessandro). — Una fonte mantovana del Guicciardini .
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— Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile.
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Classe di Scienze Morali, Storiche e Fillogiche.
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Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 29 TR 1923. v Pag: |
Sueino (Giulio). — Sulla struttura delle travature reticolari. Tot na 405 n n
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Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 6 Maggio 1923 i Pag. 412 hi
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
| ——’Sunto-dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 18 Maggio 1923. Pag. Aldo
Ponzio (Giacomo). — Ricerche sulle diossime (Nota XII). -./ -/,° 4150
n Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
Sunto dell’Atto Verbale dell'’Adunanza del 20 Maggio 1923. Pag. 493 ;
ParertA (Federico). — Lettere di Massimo d’Azeglio a Federico i
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per cura di C, Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla,
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DEN Rueaeri (Gustavo). — Sugli acidi nitrolici aromatici {. {.. , 441
Avogapro (Lodovico). — Ricerche sulle diossime | |... ua
MarmRoLo (Oreste) e Gray-Levra (Piero). — Primo Elenco delle Dia-
tomee fluviali dei dintorni di Torino. —. L'APE
Poc®ertIno (A.) e Forc®erIs (G.). — Su le proprietà elettriche e ter-
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miche dello Jodio . 5 ; ; ; Do ATE ag CA
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‘| Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Di
Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 10 Giugno 1923 . Pag. . 503
Cran (Vittorio). — Commemorazione di Carlo Salvioni .. |. ©, 5050
Ponti (Virginio Paolo). — Nota dantesca... * i x
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Santo dell'Atto Verbale dell'Adunanea fi 4a: (gno 1923
ZAMBONINI (Ferruccio). — Commemorazione de Socio corrisponde:
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Tucci (Giuseppe). — in redazione poetica mt: itarandarygina
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Classi Unite.
Sunto dell’Atto Verbale’ dell’Adunanza del 1° o 1923
Luzio (Alessandro). — Relazione della Commissione per il premio
Gautieri vata alla Storia Canzo 1919-1921) i “i
Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza dell'8 Luglio 1923
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