meta r> IK NARRA ‘get dA Wa 4 vi pi, DÒ MIU Da (Mn LMPEZOO UOC D LAI e hard ® SE Ae 0%, di den dd dI HU at Ape ìu i ch po na art HOOO RON NI n fr i A si dd A i i Lt TRURO 4 ue Ni i 9A co K IIC D TRE Nea EST Rua i De ARCA 49,4 (a V M via Ù A MEI ILIC) CRONICO Monta Uta I MUNAId MICRO a a Mon VA ir Mic 3 LA dA CARIATI 4; TRENO] ‘ dA 8 Tasto, 4% GUAI (RCA La DIROANTA RA d8 IRENE IICCRCAAILA n TATO safare, Ki OSSA NINO, i Hi CCI SIEDO) MENATOIO T) dÙ Na MATA Di dd ONCICACNCAO VOSTRO 0, RENZINA) n W (RE: ‘9 Wa f LIEUALIA Pn sa LUNATA RATIO PER) 4 l1 UIALAISLIALIA wa ch Di bi xi no) io Lie (Ch RUOLO LI ORA PATTALI ti FUGA DA { UU DINI VECI PAIR ARCA A ctr A tI) NA, dA 1 "i O LAVRIOO va dei Lo o IAA ti CACAO ® Sat) IOVICNAI "at UOC Ù & RO ifed L Ri LA due DIO PO I MEFCADAROICI PUT PSTRCIaI PELI i MIR Rd da LA gie CI RA "i Rel: arte ei e DO Mu Nate ny VOCIO “ RR hei di ha so Mal: NCAA, dec el Ca URLS PENN ASOCICI Ni REID) DUI dal n a) RIT RE DA MMI N ALANiNA Fac ai de Me Ho Y Agg È API) CIRTRESCROLT (ANI 4 3A Rd URI W ni MOT vata {Ni “ Ko Mn UNTRCI i N RUS ta RITA d) LIRAATT N Foto se } N NA MEM de CRUDA Di x 6 VIII MERA ARA È MELO 9 | 4 ti}, i Ù È Ra î : 5 : IRAN sì I ERRIAZURD Î 7 ‘alia Ù NO AAT pad Ù di RITA A RE ghia fi vile: MEAAN A oe, LA LIL) RAONICO CSS de ni \ tac end A Rat OTLICSCI ICON mito DE n X Ino Mrdrargi ono, OE A ATEI AA COLI Va Du pd da e net Vini w & RUSRE pnrizacanoae Lv MACRI sa Mi (ICH vi) ua: Ri dite DI > gi IRCNCATET ri inner! EINE SI MOIA LIA LIAN Mt MYOLMCESTION Cagia dtt de Ue a Ape Nu ti RO na gog) bit "0 DYER, AA at PI VICINI Ai LAc dote db (TUR D sh voi SRARE 3 A ROIO Raz ndcniaian da Nea, tare CORONTUSI pu Men (HE) IN sn mo OSO, SUR Al # DI CIS. Ò SRO DR VANI “ Pi sh DALIUNL MUTO 4 VEL ‘RR atri ASL ILICIOA NBA siga at RISO Wa "i DORIA, VILLETTA VISTITA RAT URI) vi LETTA i Ago sa ì n° Ja I LT IRR bs) sn () POLI di di R9 NOOO da ATI Mi RUI i A de ri Ù 8) IGN { Ki ESE LARALO Mara bre pet pina) SRULIT NICE dito La due cirie pi mi da ge giù na ;R DON mat cndiv TUA Qata MR DR, INCA) al son d) x at dgr di Wi ape fai Meda 104 de d 4° th, f N di EMATICI) poi n OC Man A LA MARINAI (ERA re () i INR È HU RIORI LOD cu NOLAO pri DIILAILI LA ny iL) Ù III (RENI NERO DECISA ANI VOTATO i LI IMOLA, CANA AIO CAPA of A‘ Vasb Ù IROCMORCIA SOCCRA dui o) FIVE Mare (0! Ù 4 Na DONE UNE IRIUORII CENCI si VRTCRIIOCACIOREN A AUHO (MEDIUM ) du DOC NEVONCUCAEA MALA DISSI atri pri ge Tu mete MARONI NZIO I tn BACIO LI + I SIUATAVA UNESUICONI RIA di ba ws INC PAMOGECIOIATO DENOIOI * ROM OOO \9 MIIIDIONICOI Rab i) IAMOICIIACCA È) d'a AATETVOO alga Ù DIALALO 4 VENAIIRA IRCRONIO) “ QRIISA, Vv \ VIENE RRICIOCIOA Le MRC] è À VO Arr MONTI IMIVAZIONNI RA MATA dr ui MIRI av LAVATA Nach VE MANTRA ROCCO mes SOLA Les Di ( 3 pi da ROLO MERONI 4 pe Ù osi RIUNITO, ESCI CELA pane î ti RATIO TORE (POCC MENO, N DO) DEA dA NUGnI CI MI usi DI ui liga Li ih dIV cd VAGO N vi $ duo ) IRA ACLI RS) di pb et na atea b ar CEUTA OI Li Alea sà MT: i 0 PRIVCIO ACI NM te (a: vi ma i, 1 MOLISE, U N SPOSI A do Vila RIO \ Vanta LIRA POCO PRC UT Nara Mal i) NA di Ne % Li LI INSOMA TA IOCGI MICN ‘gtgi dimo ì MM ti ) MORÙ Nel i VAIO , ia iù vu Ma DOO IACIZOO Dal INAGicà Ul i RIUCI sa 19 NOI, ph, to Da dr la FA. Sa iL ‘RFI ITA UIL dirt dtd 4 3-4 #9 Ne GRINTA, dA Oddi NOCI dro CUI ue Y nAsY li L'ISILZAA È ERRE MERO rn HIZONI Na i FANO AAA do f Serle de i IR Leg i Nea 4 X VER IRIONZIO È IIOACANERIZR co i ARS I A un me x hi pun PCTUZI PULCI Ù MICINIATO MOST ROTOLI. Ù) OLA CET CICCO TICA ENO ICI DO ME TEREEILTO] Cha PUOI DeL IM TNONOTI MONCIA MURO TRO CI CROCI COLA pRI a ei o pn) Ja li IATA IAN LE Mae ui è 444 ded IMNECI vaio PROMO vr, DI) WA DOMATTINA RAPTOR IORIZINILA hi CRCUIOIO \ Dt. RR OBSGDORO PREUCILA I RAT LI CAMTTRRTI Ve: CAN NOA il , VIINEAENTI Ù M RORKtIX vu SOLITO Wa dra tan di VO, MICRA Ù al deh i PETRA A IIC) MESI MORICI LUSSIATALST AR ROR IRR RIMONCRLI COCCO MIS OT è CECO PRE OM TI IRONICO o) Aa d A IRENE Va Max DISO MO id OA NR) DA ped idiha è; ATA Metin LI DICANO, puriva va MEIN n e La wa PERTINI (i han prt n) di RLUCHZONO » Siege % Nba DAI Eni E'OCICNZO si er, NI PRIN v tn ne in (ate PERONI n, VMONTILCUNI i ae Lo ge ea FAMEsi Cha Wa ud tra VR: VIGNE n % € È Nono sito unta t va ary li iti Hi ein MOR VAINAIR ta Ù RGTIROCIZI Lai tina sito È Al drurgitià toto da ria i det pae) DUO L6tt pie a DIOR de a dighe POTRA Mr srt lago Wi è, DE NOLA "i E I "pi 06 EROE si pui de dai e dI Penati LI "adi COSI DOG Ù eprgab dai di co ELI boh da Dogane TIMIGUIE Catia pre eg Lo III Li A wr i I (AMICIS (ARA PIRATI DI IE ATTI DELLA SOCIETÀ TOSCANA SCIENZE NATURALI RESIDENTE IN PISA _—_t-0e0e__—_ Wool PISA TIPOGRAFIA DEI FF. NISTRI 1875 AVMIESRTISE NEZA In questo fascicolo doveva essere pubblicata una memoria del prof. Richiardi su di alcuui Cetacei, ma per ulteriori studj occorrenti al com- pimento di essa fu mestieri rimandarla al 3.° e ultimo fascicolo di questo primo volume insieme alle tav. IV e V che vi si riferiscono. ERRATA CORRIGE Pag. SS linca 14-15-16-17 etroit — pourvre étroit — pourvu — rigidos — dirigees — lé- — rigide — dirigees — vre — soudé — mandibules livre — saudé — mundi bules. >» Nota 1.aF.I INI Vedi » » » 4.3 Inseptes Insectes » S9 linca 6 stabuluus stabulans » >» 84 Duyardin Dujardin” » 90 » 4 Pontallie Pontallié » » » 10 Gamassus Gamasus » » 18 Antropodi Artropodi » » 25 micticoracis nycticoracis > >» \» 24 Hyp. garzetee Ilyp. ygarzettae » >» >» ‘29 paritodea parotidea » » » 80 nicticorax nyceticorax » Nota 2.29 5) » 91 linea 3 valve vulve » >» >» 9 Zrochodactylus Tr ichodactylus » » ». 10 Trichodactalus Tricodactylus » » » 19 Donnedieu Donnadieu >» 92 » 4 Galinacei Gallinacei » » » 10 nodolo nodulo » 938 > 80-ritenere, ritenere » 54 » 89 trocautere trocantere DUO O 6 torso tarso 97» 16 Ipodectes Hypodectes » » 20 supportali suppor tali » » >» 833 Tricodactilus Tricodactylus » 99 >» 10 Hpodectes Hvpodectes » » » 91 fossore fessure » » » 40 ciascune ciascuna > 100°» 17 nicticovacis nycticoracis Disdca >» 18 Hyq. Hyp. PROSIO La utilità delle scienze naturali è oggi così universalmente riconosciuta, ed il diletto che proviene dallo studio di esse scienze è tanto apprezzato e ricercato, che la comparsa di un nuovo giornale di tal genere non può ad alcuno recare sorpresa. Corre esso invece pericolo di passare inosservato, e venire con molti altri confuso, se chiaramente non annunci la sua origine ed il suo scopo, e se al proposto intendimento non rimanga fe- dele. Sia quì concesso l’ annuncio; i lavori inseriti manterranno la promessa. Organo di publicità della Società Toscana di Scienze Na- turali, questo giornale, al pari della Società stessa, nasce dal trovarsi quì uniti molti cultori ed amatori di quelle Scienze, i quali, o di alcuna di esse specialmente si occupano, ma sentono in pari tempo il bisogno di stare a giorno dei progressi ancora delle altre tutte; ovvero a nessuna in particolare possono in- teramente dedicarsi, perchè di altri studii o di altre faccende prevalentemente occupati, ma pur bramano quel salutare ali- mento intellettuale e lo cercano eletto, a fonte legittima e sicura. Intendono dunque la nostra Società ed il nostro giornale bat- tere costantemente una via egualmente lontana dalle due opposte e fatali tendenze, che predominano in generale nelle menti e nelle publicazioni dell’ età nostra. CL eo Sono tante le Scienze naturali, ognuna di esse è così vasta, sono così molteplici, lunghi e difficili gli studii necessari a pro- gredire anche in ciascun singolo ramo di alcuna, che all’uno 0 all’altro di essi è divenuto necessario il limitarsi per qualunque voglia utilmente contribuire ai progressi scientifici. Guai però se quella particolarità rimanga circoscritta e segregata: potrà il dotto speciale giovare coi suoi lavori ad altri, sempre però in- completamente, ma non gli sarà dato fruire di quel vantaggio egli stesso, straniero com’ è ai contemporanei progressi di tutto il mondo scientifico, nel quale non è fatto, teoria od idea che | per mille vincoli non si annodi e fecondi con quanto si conosce e con quel tanto di più che rimane ancora a conoscere. I libri popolari di scienza si moltiplicano oggidì meraviglio- samente, in ragione del bisogno e del desiderio che ne sono universalmente sentiti, ma raramente e poco rispondono così a quello come a questo: superficiali o troppo compendiosi, non riescono a dare se non quella mezza istruzione ch' è spesso peg- giore della ignoranza; ed accarezzano la immaginazione colla novità e colla sorpresa, oltre ai confini nei quali il diletto in- tellettuale è mezzo all’apprendere. Non esclusivi nella specialità dei nostri studii, nè paghi della superficialità d’illusoria scienza universale, noi vogliamo giovarci delle facili occasioni di riunione per istruirci a vicenda, profit- tando ciascuno dei serii studii degli altri, sicuri di trovare pia- cevole la istruzione per sè stessa e per la soddisfazione che sempre accompagna l’esercizio delle più nobili facoltà della mente umana. E colla publicazione dei nostri lavori, intendiamo al doppio scopo: di giovare alla scienza e di acquistarle sempre più numerosi cultori ed amatori. STATUTO DELLA SOCIETÀ TOSCANA DELLE SCIENZE NATURALI Art. 1. È costituita una Società Toscana delle Scienze Naturali con sede nella città di Pisa. La Società ha per iscopo il promuovere, favorire lo studio delle Scienze Naturali e diffondere con pubblicazioni le produzioni scientifiche dei soci. i Art. 2. Il numero dei membri della Società è illimitato e sono distinti in Soci Ordinar] ed Onorari]. I Soci Ordinari pagano una tassa annua di lire venti più cin- que di ammissione. I Soci Onorari sono esenti da qualsiasi tassa. Art. 3. Possono appartenere alla categoria dei Soci Ordinarj anche persone che non coltivano un ramo speciale delle Scienze Naturali. Art. 4. I Soci Onorarj sono scelti fra i cultori delle Scienze Na- turali che sono saliti meritamente in alta fama. Art. 5. Tanto i Soci Ordinarj quanto gli Onorarj devono essere proposti alla Società almeno da tre Soci Ordinarj, sono ammessi nella Società qualora abbiano favorevoli i voti della maggioranza dei Soci presenti all’adunanza nella quale è messa a partito la loro ammissione. Art. 6. Le cariche della Società sono cinque: un Presidente, un vice-Presidente, un Segretario, un vice-Segretario, un Economo- Cassiere. Dî STATUTO Art. 7. Il Presidente rappresenta la Società, convoca ì Soci in adunanze, le presiede ed è risponsabile della buona direzione della Società. Il Vice-Presidente supplisce il Presidente quando non possa adempiere le sue funzioni. Art. 8. Il Segretario coadiuvato dal vice-Segretario redige i processi verbali delle adunanze dei Soci, attende alla stampa degli Atti e tiene la corrispondenza della Società. Art. 9. L'Economo-Cassiere provvede alla esazione delle quote dovute dai Soci e paga dietro mandati del Presidente le spese sociali. Art. 10. Le cariche della Società sono conferite a maggioranza di voti per il periodo di due anni e possono essere riconfermate. Art. 11. L’anno sociale incomincia il primo novembre. Art. 12. Durante l’anno sociale il Presidente convoca i Soci in cinque adunanze, la seconda domenica di novembre, la seconda domenica di gennaio, la prima di marzo, la prima di maggio, la prima di luglio. Una delle cinque adunanze potrà essere tenuta fuori di Pisa. Il Presidente potrà, quando sia necessario, od in seguito a do- manda di cinque Soci, convocare in adunanze straordinarie i mem- bri della Società. Art. 18. Le pubblicazioni della Società prenderanno il titolo di: ATTI DELLA SOCIETÀ TOSCANA DELLE SCIENZE NATURALI. Sarà procurata la pubblicazione dei processi verbali delle adu- nanze nei giornali politici. Art. 14. I lavori da stamparsi negli Atti della Società dovranno essere muniti della firma degli autori e della data della presenta- zione, che sarà accertata dal Presidente e dal Segretario onde as- sicurare agli autori i diritti di precedenza. Art. 15. Non saranno accettati per la pubblicazione negli Atti i lavori che entrino in polemiche troppo vive o critiche che accen- nino a personalità. Art. 16. Quando i mezzi della Società lo permettano saranno accettati per la pubblicazione negli Atti anche lavori di persone estranee alla Società, avranno però sempre la precedenza quelli dei Soci. Art. 17.Ilavori molto dispendiosi non saranno accettati, in sul STATUTO 3 principio dell’anno sociale, per la pubblicazione negli Atti, quando i mezzi della Società non siano sufficienti ad assicurare la stampa di quelli che potessero essere presentati in seguito. Art. 18. I Soci Ordinarj ed Onorarj riceveranno in dono cin- quanta copie dei loro lavori pubblicati dalla Società, gli estranei non avranno diritto ad alcuna copia gratuita, potranno però farne stampare a proprie spese qualunque numero ed al prezzo che la presidenza avrà cura di ottenere dal tipografo per i Soci. Art. 14. Tanto i Soci Ordinarj quanto gli Onorarj hanno di- ritto ad una copia degli Atti della Società. Art. 20. La presidenza procurerà di ottenere dalle Accademie Società scientifiche, proprietari e redattori di giornali scientifici le loro pubblicazioni in cambio degli Atti della Società. Art. 21. Tuttii Soci hanno il diritto di consultare le opere che perverranno alla Società, a tale effetto dovranno farne richiesta al Segretario e quelli che abitano fuori di Pisa anticipare le spese di spedizione; qualora l’opera richiesta fosse stata ritirata da un altro Socio questi dovrà restituirla dentro il termine di quindici giorni. Le opere non potranno essere ritirate che quindici giorni dopo che saranno pervenute alla Società. Art. 22. Il patrimonio sociale si compone delle quote annue dei Soci, delle tasse di ammissione, delle copie non distribuite degli Atti, dei proventi della vendita delle medesime, delle pubblicazioni di qualunque natura pervenute alla Società e di qualsiasi altro provento eventuale. Art. 23. Il Segretario è depositario risponsabile tanto delle copie degli Atti quanto di tutte le pubblicazioni che perverranno alla Società, ne dovrà tenere regolare registro ed informare la Società nelle adunanze ordinarie e delle copie distribuite e dei cambi ricevuti. Art. 24. I Soci sono tenuti a pagare entro il primo bimestre dell’anno sociale le respettive quote nelle mani dell’ Economo- Cassiere. Onde facilitare l’esazione i Soci che nel terzo mese dell’ anno sociale non avranno fatto pervenire le loro quote all’ Economo- Cassiere lo autorizzano ad emettere a loro carico una tratta pa- gabile a presentazione. 4 STATUTO Art. 25. Nella seconda adunanza ordinaria di ciascun anno sociale il Presidente farà il rendiconto economico-morale della Società. Art. 26. Ogni Socio si obbliga di far parte della Società per il periodo di due anni. Art. 27. Quei Soci che al termine del biennio non vogliono più appartenere alla Società dovranno far pervenire tre mesi prima della scadenza la loro rinunzia alla Presidenza. Art. 28. Nel caso di scioglimento della Società il patrimonio sociale verrà diviso fra i Soci Ordmar] che la costituiranno al- l’epoca dello scioglimento. Art. 29. A meglio ottenere il suo scopo la Società si propone di trattare colle altre Società italiane congeneri un’ associazione generale, ed introdurrà nel presente statuto quelle disposizioni che più facilmente la condurranno a raggiungerlo, nessuna modi- ficazione potrà esservi introdotta prima di un anno di prova, e nel caso, dovrà sempre ottenere l'approvazione dei Soci in una delle adunanze ordinarie ed essere notificata a tuttii membri della Società. Il Presidente G. MENEGHINI. Il Segretario A. D'AcHIARDI. SOCIETÀ TOSCANA DELLE SCIENZE NATURALI I". Signore. Nell’adunanza del 12 corrente ebbe luogo la discussione dei singoli articoli dello Statuto proposto dalla Commissione che nella precedente adunanza del 8 Marzo p. p. ne aveva ricevuto l’incarico, furono in essa discussione maturamente svolti tutti gli argomenti che potessero in avve- nire indurre a circoscrivere il campo d’azione della Società più partico- lareggiatamerte di quello che risulta accennato dall'attuale suo titolo generico ovvero a collegarla in più o meno diretto ed intimo consorzio colle Società sorelle, e modificati alcuni degli articoli nel senso di questa futura eventualità, essi furono uno ad uno, e poi complessivamente approvati. Ed avendo esplicitamente convenuto tutti i Soci presenti di assumere gli obblighi e conseguire i diritti in esso Statuto espressi, la Società si dichiarò costituita. i Deliberò in pari tempo di comunicare l’accettato Statuto agli altri Soci per ottenerne l'adesione, invitandoli anche a procurare altre accettazioni. Dalla votazione infine eseguita per mezzo di schede risultò costituito il seggio: Presidente Prof. G. MENEGHINI. Vice-Presidente Prof. S. RicHzrARDI. Segretario Prof. A. D' AcHiaRDI. Vice-Segretario C. J. Forswra Mayor M. D. Economo-Uassiere R. Lawury. Pisa 21 Aprile 1874. Il Presidente Prof. G. MENEGHINI. PES Isa Ni Aa pia Meo dai xk C. I. FORSYTII MAIOR. M. D. = —_>0<>o_—_- Considerazioni sulla Fauna dei Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana. I. La Fauna dei Mammiferi del Val d'Arno superiore. » Il Museo granducale di Firenze possiede una collezione di Mammiferi fossili dei depositi pliocenici della Val d’ Arno, che non ha pari in Europa sia pella loro abbondanza, sia pella loro perfetta conservazione. Altrove ai paleontologi si presenta il cam- mino irto di difficoltà a cagione della poca evidenza di mutilati campioni; quivi i resti fossili delle medesime forme si presentano interi. Una buona monografia, convenientemente illustrata, sui mammiferi fossili della Val d’Arno, rifletterebbe sulla corona Italica una luce sì splendida come quella dei capi d’opera della Tribuna o delle Gallerie del Palazzo Pitti. Il patrocinio della Corte è stato speso per secoli ne’ modelli di cera del Museo, ma non nei magnifici resti fossili che sono lasciati in un canto sotto il medesimo tetto. Eccetto poche e disadatte memorie del Nesti, nulla di condegno al soggetto 'è stato pubblicato in Italia sopra le collezioni toscane durante l’ultimo mezzo secolo; e non posso trascurare di notare che il progresso dello studio delle faune estinte de’ terreni terziari superiori d’ Europa è stato ritardato in conseguenza di ciò di un mezzo secolo. Se queste collezioni fossero state raccolte altrove, in Siberia o nella parte setten- trionale della Vallata del Pò, i resultati generali sarebbero comu- nemente noti da lungo tempo. Fino adesso, un viaggio a Firenze è l’unico mezzo di acquistarne cognizione ,. lo) C. I. MAYOR Queste parole scritte dal Falconer 17 anni fa ('), sono pur troppo giustificate in gran parte anche oggidì. Bisogna però ag- giungere che ciò che di positivo oggidi sappiamo intorno alla Fauna mammalogica in questione, lo dobbiamo quasi esclusiva- mente al sullodato distinto Paleontologo, che intraprese parecchi viaggi in Italia per studiare i tipi principali tanto quanto lo permettevano i suoi soggiorni brevissimi. Saranno sopratutto in grado di apprezzare questi studj del Falconer coloro che sonosi trovati in simili condizioni poco favorevoli per uno studio ac- curato. Le lodi che egli tributa al buono stato di conservazione dei fossili del Val d'Arno sono dovute in gran parte agli oggetti sca- vati da Giov. Batt. Pieralli, un contadino dei dintorni di Figline, menzionato da Nesti, Cuvier, e Blainville, che scavò con gran cura 1 pezzi fossili e restaurò con molta abilità le parti rotte. Disgraziatamente finora non sono mai state intraprese esca- vazioni in grande dirette da persone pratiche. Oggidì i musei si arricchiscono coi pezzi trovati o per caso, o anche ricercati appo- sitamente dai contadini e scavati con più o meno cura. Per conse- guenza è ovvio che anche oggidì è spesso difficile di conoscere in modo preciso le località in cui giacciono i fossili; e naturalmente più difficile il rintracciare le località e giacimenti dei fossili da molto tempo esistenti nei Musei. Lo scopo della presente comu- nicazione è di fare conoscere ciò che di certo sappiamo interno al giacimento di molti fossili, di dedurne la età relativa, di stabilire i limiti fra ciò che sappiamo e ciò che ignoriamo. Riassumendo gli scritti degli autori che si sono occupati della Fauna del Val d'Arno, conviene mettere in capo il nome di Gio- vanni Targioni Tozzetti. Ai tempi del Targioni l'opinione generale, rappresentata an- che prima, da Andrea Cesalpino, Niccolò Stenone, Boccone ed altri, era, che le grandi ossa trovate nel Val d'Arno provenivano dagli Elefanti che Annibale aveva portati seco dall'Africa. G. Targioni ha pel primo combattuto quest’opinione. Così si esprime intorno all'argomento: , — perciò questa opinione è tanto accettata ed universale a giorni nostri presso chiunque ha notizia del Valdarno (1) H. Falconer. «On the species of Mastodon and Elephant occurring in the fossil state in Great Britain ». Quart. Journ, Geol. Soc. for 1857 vol. XIV. Abstract. ib. August 1865, p. 292. Nota. : MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 9 di sopra, e di questi ossi, che sembra follia di dubitarne. — Io però non solo dubito, ma non credo punto punto che questi sieno stati Elefanti condotti da Annibale, ma gli credo d'altra origine e più antichi per molti secoli (') ,,. E questo suo modo di vedere lo appoggia con ragioni storiche, statigrafiche, e zoologiche. — Dimostra che gli avanzi elefantini non possono provenire dall’ Elefante affricano molto più piccolo, e gli ascrive perciò a quello indiano; perchè in questi tempi ante- riori al Cuvier l’idea di specie estinte non si era ancora fatta strada. Ciò non di meno in un altro volume della stessa opera si trova il passaggio seguente che merita di esser ricordato: — , Per altro, non è paradosso che si possano trovare sopra terra ossa di animali di razze forse in oggi spente (v. T. VIII, p. 390) o che non vivono se non in climi differentissimi dai nostri ,, (?). Oltre gli Elefanti, dei quali descrive in parte gli avanzi e gli confronta collo scheletro di Elefante del Museo zoologico di Fi- renze (3) il Targioni fa menzione nella Val d'Arno di mascelle, mandibole e denti di cane o lupo, altre, come di pecora 0 capra; altre di cervo e sopratutto molte corna di cervo; avanzi di un bue, , che mi vien giudicato di Bufalo, ma non mi so indurre a crederla tale ,. Menziona inoltre molari di cavallo; e pare che abbia avuto anche in mano denti di rinoceronte, che però non ha riconosciuto come tali. Finalmente sembra che gli fossero stati davanti avanzi di mastodonte (5). Nel 1808 Fippo Nesti cominciò le sue monografie sui Mam- miferi del Val d'Arno. In questa prima pubblicazione (°) l’autore ammette nel Val d'Arno tre specie di Elefanti: 1’ Elephas primi genius che sarebbe secondo lui il più comune, e due altre specie proprie al Val d'Arno che descrive senza dar loro dei nomi speci- fici: la prima delle quali basata sopra una mandibola senza denti, la quale, facendo astrazione dalle dimensioni molto minori, trova rassomigliante al , gran Mastodonte, , ma oltreciò anche partico- (4) Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osser- vare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa. T. VII p. 405, 406, 1775. (Ole Rirenze CRIARI: (3) 1. c. T. V. 1773, pag. 265 e segg. T. VIII, pag. 391 e segg. (4) Le. T. VII pag. 385-391. (5) Di alcune ossa fossili di Mammiferi che s’ incontrano nel Val d'Arno (An- nali del Museo Imp. di Fisica e Storia naturale di Firenze, per il 1808; tomo primo Firenze 1808. 10 C. I. MAYOR larmente alle due specie viventi di Elefanti ('). Alla terza specie » Elefante piccolo a lunghi alveoli delle zanne, a denti con romboidi molto acute , assegna la grandezza di un bove (?). Falconer pare non avesse conosciuto nell'originale questo scritto di Nesti, perchè gli attribuisce l'avere in esso introdotto le due specie E. meridio- nalis ed E. minutus. Nello stesso lavoro di Nesti (8) sono enume- rati inoltre i seguenti Mammiferi come provenienti dal Val d'Arno: Physeter ; due grandi specie di Mastodon; Hippopotunus, Rhinoce- ros; Palacotherium magnum (che dice di esser frequente); Pa- lacotherium medium; dae specie differenti di Bove molto grande; Alce gigantesco; Ruminanti della grandezza delle Capre; forse un gran Tapiro. Di carnivori: un Canis molto affine al C. vulpes; frammenti di mascelle di un Ye/is che si avvicina alla tigre; final- mente denti che hanno analogia con quelli della Muffetta, ma tre volte maggiore delle viventi. In una seconda pubblicazione del 1811 (4) Nesti conferma la presenza nel Val d'Arno di tre E/efanti; dà in seguito la descrizione di un certo numero di avanzi di finoceronte mancanti del cranio, coll’idea preconcetta che non vi sia che una sola specie fossile, il Eh. tichorlinus, alla quale per conseguenza attribuisce questi avanzi, quantunque non gli fossero sfuggite le differenze fra di essi e quei del £/. tichorkinus descritti da Hollmann. Confessa che questa circostanza e l’altra che gli avanzi del Val d'Arno non sono per lui che poco differenti dalla specie vivente (R. unicorne ), l'avrebbero fatto dubitare, senza i lavori del Cuvier sulle differenze nei cranii dei Rinoceronti viventi e fossili, che neanche il Rinoce- ronte fossile sia una specie distinta. — In fine di questo lavoro il Nesti menziona degli avanzi di Ippopotamo, che è disposto ad attribuire a due specie: un pezzo di mascella è distinto espressa- mente dagli altri colla designazione , specie piccola d’ Ippopotamo ,. La terza memoria è del 1820 (?); in essa l’autore giunge a questa conclusione che l’Ippopotamo del Val d'Arno differisce (een paA2o (Ae 13: (£), dEtespr do: (4) Sopra alcune ossa fossili di Rinoceronte: Lettera del Prof. Filippo Nesti al sig. Dott. Gaetano Savi, Professore di Botanica nello studio di Pisa. Firenze, Guglielmo Piatti, 1814. (®) Descrizione osteologica dell’ Ippopotamo maggiore fossile dei Terreni mobili del Val d’Arno superiore in Toscana, del Prof. Filippo Nesti (Memorie di Matema- tica e di Fisica della Soc. Ital. delle Scienze residente in Modena. T. XVIII. Parte contenente le Mem. di Fisica). Modena 1820. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 11 pochissimo per la statura dalla specie vivente, , nonostante però le di lui principali ossa mostrano certe differenze, le quali sebbene non molto considerevoli, siccome si riscontrano nei diversi indivi- dui di varie età, non possono riguardarsi come accidentali ,. Le specie del Val d’Arno distinte da G. Cuvier (') sono le seguenti: Elephas primigenius Blum; Mastodon angustidens Cwv.; Hippopotamus major Cuv.; Rhinoceros leptorhinus Cuv.; Equus sp.; Lophiodon? (Tapirus?); Cervus; Bos Bison (, Aurochs,); Ursus etruscus (più tardi da lui chiamato U. cultridens); Canis; Hyaena; Hystrix. Elephas primigenius Blum. — Cuvier non ammetteva che una sola specie fossile di Elefanti (*). La seconda specie del Nesti di- chiarò appartenere al Mastodon angustidens (*). Falconer che ebbe l'occasione nel 1859 di esaminare la mandibola in questione pensa anch'egli che spetti al Genere Mastodoa (*. La terza, piccola specie del Nesti, è secondo Cuvier, che attribuiva poco valore alla forma delle lamelle di smalto per la distinzione delle specie, l’ £. primigenius. , Ainsi l’on ne peut pas considérer la minceur des lames comme un caractère de l’éléphant fossile aussi général que la largeur de ses dents, et que les formes de ses machoires et de son cràne. Cependant la largeur seule de ses machelières suffit pour les reconnaître, parce qu’ elle est beaucoup plus con- stante , (9). Hippopotamus major Cuv.— Indipendentemente da Nesti (°), il Cuvier giungeva alla conclusione che gli avanzi fossili d’Ippopo- tamo che chiamò , grand Hippopotame fossile , fossero differenti dai viventi. L’esame è basato quasi unicamente sui fossili del Val d’Arno (7). Il Cuvier parte dall'opinione già preconcetta che anche tutti i resti d’Ippopotamo di altre località, pur che abbiano le stesse dimensioni della specie del Val d'Arno, siano identici con essa; modo di vedere che fino a questo giorno non è stato com- provato dai fatti. Rhinoceros leptorhinus Cuv. (È). Un certo numero di avanzi di (4) Recherches sur les Ossements fossiles. 2.° edition. 1821-1824. OST p ad 9 2008 (&) BY pi2648 (4) Palaeontological Memoirs and Notes: 1868. II. p. 105 e nota 1. (elicap160: (6) Ciò risulta dalla nota alla p. 380 del Vol. III: Additions aux trois pre- miers volumes. (7) 1. c. Vol. I, p. 314. (8) Vol. II, I partie, p. 51. (2, C. 1. MAYOR Rinoceronte del Val d’Arno, e forse tutti, spettano secondo Cuvier ad una specie distinta dal £%. tichorltinus che descrive poi come Eh. leptorhinus e della quale il tipo è il cranio di Cortesi nel Museo di Milano. Come resulta dal seguente brano Cuvier ammette la presenza del E%. leptorhinus nel Val d'Arno in gran parte sulla prova negativa della loro differenza col R%. tichorhinus: , Quoique les dents de la màchoire inférieure du Rhinoceros de M. Cortesi solent très incompletes, cependant la forme de sa symphyse rentre entitrement dans celle des machoires de Toscane, ce qui me fait penser que celles ci appartiennent è la mème espèce, c'est à dire è celle dont les narines ne sont pas cloisonnées, et j’ étends cette conclusion è la plupart des autres os de Toscane, d’autant qu'ils se distinguent assez, come on va le voir, de ceux de l’espèce cloisonnée qu’ il a été possible de leur comparer , (1). Equus. — Cuvier conosceva l’esistenza di un Cavallo nel Val d'Arno per disegni che gli furono mandati da Fabbroni, Direttore del Gabinetto di fisica a Firenze (®). Dopo di aver passato in ri- vista tutti gli avanzi fossili del genere che erano venuti a sua co- gnizione, conclude così: , On peut donc assurer qu’ une espèce du genre du cheval servait de compagnon fidèle aux éléephants et aux autres animaux de la mème époque dont les débris remplissent nos grandes couches meubles; que cette espèce ne différait pas beaucoup pour la taille de nos chevaux domestiques de grandeur moyenne; que ses os des membres n° offraient point de differences sensibles; mais on doit remarquer en mèéme temps que les rapports ne suffisent point pour faire affirmer que cette espèce fùt l’une de celles qui vivent aujourd' hui plutòt qu’ un des animaux dont la race a été détruite par les révolutions du globe ,. Lophiodon? — Nel capitolo che tratta dei Lophiodon, o come li chiamava: , Animaux fossiles voisins des Tapirs,, Cuvier fa menzione con molto dubbio ed unicamente, come dice, ,, per pren- der nota delle minime vestigie che possono indicare delle specie fossile ,, di un bacino che comprò nel Val d’Arno da contadini. Lo dice differente molto di quelli di Equus, Bos, Camelus e di altri animali coi quali ha rapporto di dimensioni, non rassomiglia ,, que médiocrement ,, a quello del tapiro, quantunque ne differisca meno di qualunque altro; l’animale in grandezza doveva sorpassare di molto il Tapirus indicus, ed essere poco inferiore ad un bove (°). (AA icepe 2873: (E) RLCD AE (3) Vol IT. I.ep 220. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 13 Il Cuvier rammenta il genere Cervus solamente per le corna esistenti nella collezione di Targioni Tozzetti a Firenze ((). A proposito degli avanzi fossili del genere Bos sappiamo che Nesti distingue benissimo il giacimento dei grandi crani di Bison e di Bos primigemius, esistenti nel Museo di Firenze e provenienti dalla Val di Chiana, da quello dei fossili del Val d'Arno (°), quan- tunque sia erronea l’asserzione che in questi strati della Val di Chiana non si riscontrino avanzi di Elefanti. — Una estremità posteriore portata a Parigi da Brongniart (*) fa supporre a Cuvier che il Bisonte faccia parte anche della fauna del Val d'Arno (4). Ursus. — Avanzi di Orso nelle collezioni di Targioni Tozzetti e di Tartini a Firenze, studiati da Cuvier, gli fanno ammettere che l’Orso del Val d’Arno () sia specificamente distinto dall’ Orso delle caverne, mentre che si avvicina più all’Orso bruno vivente; lo chiama provvisoriamente Ursus etruscus (5), il quale nome nelle _ » Additions , (7) viene cambiato in U. cultridens, perchè Cuvier attribuiva alla stessa specie di Orso i canmi compressi e curvati di Machairodus che fin da quest'epoca erano stati trovati isolati tanto nel Val d’Arno come in Germania. Così si esprime: — , On vient de leur trouver (sc. aux ours du val d'Arno) un caractère plus marqué dans leurs canines comprimées au point qu'.un de leurs diamètres ne fait pas le tiers de l’autre. En outre le bord concave de ces canines est tranchant. Notre Muséum possède une portion de ces dents, et le modèle peint d'une entière qui est au cabinet de Florence... Je trouve parmi les dessins fossiles du cabinet de Darmstadt celui d’une canine comprimée qui me paraît ressembler de tout point è celles de Toscane; c'est ce qui me dé- termine a changer le nom d’etruscus, que j'avais donné è cet ours, en celui de cultridens ,,. Croizet et Jobert aggiungono con molta ragione a questo bra- no: , Il est à remarquer que d’après cet article, on ne peut pas juger des motifs qui ont fait attribuer ces canines è des ours plutòt quà d'autres carnassiers, aux felis par exemple , (9). Non- (4) Vol, IV. 1823. p. 101. (2) IL c. p. 142, 143. (©MERZLOt (4) I. c. p. 165. (>) T. IV. p. 378: « des màchoires d’ours...... qui ont été déterrés dans le Val d’Arno avec des os d’éléphants et d’hippopotames » . (5) 1. e. p. 378-380. (1.2. p. b16-017. (5) Croizet et Jobert, Recherches sur les ossements fossiles du Département du Puy-de-Dòme. Paris, 1828, pag. 191. 14 C. I. MAYOR ostante, l'autorità del Cuvier determinò gli autori citati a desi-' gnare i canini di Macharodus dell’ Alvernia, trovati anch’ essi isolati, col nome: Ursus cultridens issiodorensis e U. cultridens arvernensis. Il genere Hyaena è menzionato da Cuvier nel Val d'Arno die- tro l'autorità del Pentland ('). Al Canis lupus trovato in caverne Cuvier attribuisce gli avanzi di Cane del Val d'Arno, basandosi sopra una mascella mutilata. nel gabinetto del granduca e un frammento di un altra nella col- lezione di Targioni Tozzetti (°). — Dietro una comunicazione del Pentland, il Buckland nel 1823 diede la seguente lista di Mammiferi del Val d’Arno superiore. Dopo aver detto con assai esagerazione che negli ultimi dieci anni parti di scheletri di almeno cento ‘ppopotami sono stati scoperti e trasportati nel Museo di Firenze, aggiunge che con essi vengono trovati avanzi di rinoceronte ed elefante, di cavalli, bovi, parecchie specie di cervo, Jena, orso, tigre, volpe, lupo, mastodonte, cinghiale, tapiro e castoro (*). — Nel 1824 il Cuvier ricorda un molare completamente simile a quello di un grosso istrice, raccolto dal Pentland presso San Gio- vanni nel Val d'Arno superiore, , dans les mèmes couches sa- bleuses qui recèlent tant d’ossements de grands quadrupèdes , (*). Anche il Gaudry, che ha visto il dente, in questione, è d’avviso che si tratti del genere Mystrix (3). | Nel 1825 il Nesti torna di nuovo a parlare dell’ Elefante del Val d'Arno (5), del quale mantiene la differenza coll’E. primigenius contro il Cuvier (7) e propone il nome di Elephas meridionalis (8). 1 (TTETEANVAEZ05i (McaIIVe paolo (8) Rev. William Bucklanl. Reliquiae Diluvianae; or, Observations on the organic Remains contained in Caves, Fissures and Diluvial Gravel, and on other Geological Phenomena, attesting the action of an universal Deluge. London 1823, pag. 181. (3) l'Fcoe V 2: partie, 1824 (p518: (°) Animaux fossiles et Géologie de l’Attique. Paris 1862, pag. 126. (5) Lettere sopra alcune ossa fossili del Val d’Arno non per anco descritte. Sulla nuova specie di Elefante fossile del Val d’Arno (Nuovo Giornale dei Letterati. Pisa 1825, pag. 195-216. (?) Vedi anche intorno a questo argomento: Falconer, Pal. Memoirs and No- tes II, p. 104 e seg. (3) I. c. pag. 19. 2 3 ) ) ) MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 15 Nel distinguere questa sua specie il Nesti attribuisce poca impor- tanza alla conformazione dei molari, dicendo che , fra le differenze che nei diversi molari s'incontrano, nessuna pertanto merita di esser riguardata come atta a fornire un qualche dato per molti- plicare le specie di questi animali — sebbene non tutti i denti sieno fra loro simili al tutto, ma alcuni abbiano le lamine molto grosse, altri le abbiano sottili, in certi sì trovino appena sporgenti sopra la sostanza corticale, mentre in altri esse si elevano e vi formano dei grossi e rilevati orli; le quali differenze unicamente dalla età provengono, come dalla vecchiezza del dente medesimo: poichè negli individui più adulti le lamine sono più grosse che in quelli dei giovani, e nei denti vecchi degli individui più vecchi le lamine per essere più dure del resto, vengono per l’atto della triturazione a restar sollevate sopra la sostanza corticale, che è più tenera e che perciò più presto sì consuma e si deprime ,. L’attribuire poca importanza alla forma dei molari così essen- ziale nelle differenti specie di Elefanti sì spiega forse col fatto che fra i denti che erano a disposizione del Nesti, se ne trovarono anche dell’. primigenius, poco raro nei dintorni di Arezzo. For- s' anche non fa che seguire in ciò il Cuvier. Nell’enumerazione degli altri Mammiferi componenti la Fauna del Val d’Arno non si fa più menzione di Palaeotherium, nè di Physeter, nè di Tapirus; si ricordano: Elephas, Mastodon, due RWi- noceros, Hippopotamus, Equus, due e forse tre grandi specie del ge- nere Bos, varie specie di Cervus, fra i quali parecchi assai grandi. Nell'anno susseguente (1826) vedevano la luce le due ultime pubblicazioni paleontologiche del Nesti. In quella che tratta degli avanzi di Mastodonte, che il Nesti come Cuvier attribuisce al M. angustidens, l’Autore è d’avviso che possibilmente il Mastodonte non abbia coesistito cogli Elefanti, quantunque gli manchino i dati per provarlo: , Non è stato tenuto conto, a mia notizia, donde i pochi denti di Mastodonte che sono stati scavati nel Val d’ Arno sieno stati tratti, nè a quale altezza del suolo: forse questi animali vissero. mescolati, e come in armento con gli Elefanti, o piuttosto abitarono qualche cantone particolare: forse queste due grandi specie vissero in epoche successive, del che in vero non v'è prova diretta alcuna; ma qualunque si fossero le condizioni che accom- pagnarono l’esistenza di questo antico colosso, soprattutto rela- tivamente alle altre specie, unicamente dall'esame locale della 16 C. I. ‘MAYOR posizione delle diverse ossa di esso potranno dedursi, all’avvertenza delle quali io invito gli amatori dell’antica osteologia .... , (!). Questa raccomandazione fatta quasi 50 anni fà è da ripetersi pur troppo anche oggidì. È importante tener in mente che gli avanzi di Mastodonte descritti dal Nesti provenivano da una emi- nenza situata , appunto di faccia al Monte Carlo , presso San Giovanni, dunque sulla riva sinistra dell'Arno, mentre che la maggior parte degli altri Mammiferi si rinvengono sulla riva destra nelle colline dei dintorni di Figline e di Terranuova. Nella sesta ed ultima pubblicazione paleontologica del Nesti (?) si trova descritto il da lui così chiamato Ursus Drepanodon. Per rispetto pella memoria del Nesti sì continuano a indicare oggidì nel museo di Firenze ed in pubblicazioni di autori italiani, col nome generico di Drepanodon gli avanzi di Machairodus; ciò che non può essere giustificato per due ragioni: in primo luogo perchè il Nesti usa espressamente (°) Drepanodon come nome di specie, come parla anche a più riprese dell'Orso « canini falcati. Inoltre con questo nome designò e descrisse un cranio del genere Ursus, attribuendo alla stessa specie di Ursus un canino di Muchairodus trovato isolato già dal 1812 (4). — Nesti poteva tanto meno ret- tificare l'errore di Cuvier, perchè appunto in quel cranio di Ursus da lui descritto e figurato e che tuttora si trova nel Museo di Fi- renze, 1 canini superiori hanno subìto uno schiacciamento e per questa ragione vi è una qualche lontana rassomiglianza coi canini del genere Machairodus; Nesti li chiama alla pag. 8, a lamina curva 0 falcati ,. Del resto mi pare possibile che quando il Cuvier scrisse le , Additions ,, ai tre primi volumi dei suoi , Ossements fossiles ,, ebbe cognizione di questo cranio trovato nel 1823 e che ad esso appunto si riferiscono le sue parole già una volta citate: » On vient de trouver aux ours du Val d'Arno un caractère plus marqué dans leurs canines comprimées.... ,. Il Nesti da inoltre (*) la descrizione di un cranio di Felis, diffe- rente dalla /elîs spelaea, , della statura, per quanto pare, del l’Iaguar ,; lo chiama Felis antiqua, senza però che sembri che con (') Lettera seconda del sig. Prof. Filippo Nesti. Dell’ Osteologia del Mastoonte a denti stretti al sig. Prof. Luigi Canali di Perugia. Pisa, Seb. Nistri. 1826; p. 6. (*?) Lettera terza del sig. Prof. Filippo Nesti di alcune ossa fossili non peranco descritte al sig. Prof. Paolo Savi. Pisa, Seb. Nistri, 1826. (E) 'cpaot (RIC EPETO: (Allie po dt MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA Je7 questo nome abbia l’intenzione di voler accennare la identità specifica cogli avanzi di Felis della caverna di Gaylenreuth e di una breccia ossifera di Nizza dal Cuvier chiamati /. antiqua nel- l’anno precedente la pubblicazione di Nesti. Il genere Hyaena vien menzionato incidentalmente dietro una mandibola completa (!). — I seguenti nomi: Bos bombifrons, Cervus dicramius, Cervus cte- noides, sono stati attribuiti dal Nesti a tre specie del Val d’Arno, delle quali si conservano i crani nel Museo di Firenze. — I fin qui citati autori studiarono i fossili del Val d'Arno con l'opinione che appartenessero alla stessa epoca di quelli trovati nel Diluvium, dunque all’epoca che oggidì si suole indicare come post-pliocenica 0 con una espressione meno felice come quaternaria. A questa idea preconcetta si deve attribuire la tendenza in essi ad ammettere specie comuni al Diluvium ed al Val d'Arno mentre che tutte le specie del Val d'Arno delle quali eransi trovati avanzi più completi, erano stati riconosciuti sia da Cuvier, sia dal Nesti, come differenti da quelle post-plioceniche. Paolo Savi basandosi su considerazioni geologiche, così si espri- me nel 1837: , Riguardando in tale aspetto i terreni recenti della Toscana, il Terreno ossifero del Val d'Arno superiore da vari geo- logi considerato come appartenente al Di/uvium, convien conside- rarlo come formatosi nell'epoca medesima de’ terreni costituenti le colline del Val d'Arno inferiore, le Pisane, le Volterrane, le Se- nesi, vale a dire nell’epoca di tutti i nostri terreni subappenninici. Altra differenza adunque non esisterebbe fra queste due qualità di terreni, se non che i primi sarebbero stati il prodotto delle de- posizioni di grandi laghi o ristagni di fiumi, e le seconde il resul- tato delle deposizioni di quel mare, ove sboccavano i fiumi prove- nienti dal terreno emerso sul quale quelli stessi laghi si trovava- no , (2). Contemporaneamente il Savi emetteva l'idea che gli avanzi di Mammiferi delle breccie e caverne ossifere della Toscana spettassero alla stessa epoca dei fossili del Val d'Arno superiore; anche in questo basandosi sopra argomenti di ordine geologico, (@MSep.12. (2) Seconda Memoria Geologica del Prof. Paolo Savi. De' vari sollevamenti ed abbassamenti che han dato alla Toscana la sua attuale configurazione. Nuovo Giornale de’ Letterati. Tomo XXXV, Scienze. Pisa 1837, p. 215. Nota. 18 C. I. MAYOR mentre lo studio del fossili avrebbe condotto a conclusioni diffe- renti. Così anche in una pubblicazione posteriore l’enumerazione dataci dei Mammiferi del pliocene toscano comprende generi spet- tanti a queste due serie di località, di ordine e di epoca ben di- versa ('). Vedremo nel seguito che in pubblicazioni più recenti le due faune furono poi benissimo distinti dal Savi. — Nella sua Ostéographie, pubblicata dal 1841 in poi, il Blainville ha dedicato una parte larga anche alla fauna mammalogica del Val d'Arno, che gli era conosciuta per i fossili giunti a varie epoche nelle collezioni di Parigi, nonchè dagli studi suoi nei Musei «di Firenze e di Montevarchi. — Nella descrizione del genere Canis (p. 149) egli dice: , Les os de Canis se trouvent..... dans le val d'Arno avec des ossements d’Ours, de grands Felis, d’Hyène, de Castor, de Porc-épic, d’ Eléphant, de Mastodonte, de Rhnocéros, de Cheval, d' Hippopotame, de Cerfs, de Boeuf, d'Oiseaux, de Tortue, de Poissons, de Crustacées, de Coquilles d° eau douce ,. — Un poco differente è l’enumerazione dei Mammiferi che è data in un’ altro fascicolo: ,... La première vallée un peu considérable est celle de l'Arno; c'est aussi dans les énormes alluvions qui s° y remar- quent, et surtout dans ses parties supérieures que l’on a ren- contré le plus grand nombre d’ossements fossiles d’ Eléphants . .. et cela avec des os d'ippopotame en plus grande abondance en- core, de &£/Wnocéros, de Cheval, de Tapir, de Cerf, de Boeuf, de Ca- stor, de presque tous les genres de Carnassiers, Hyène, Loup, kai Panthère, Ours , (3). Dalle singole monografie ho compilato le seguenti specie spettanti secondo Blainville, alla fauna del Val d'Arno: Ursus etruscus. Canis vulpes Felis spelaca. Hyaena arvernensis Felis pardus. Elephas primigenius. Felis cultridens. Elephas (Mastodon) angustidens. Felis megantereon. —Elephas (Mastodon) tapiroides. Felis Lyna. Rhinoceros leptorlhinus Cuv. Canis lupus. Hippopotamus amphibius. Canis aureus. Anthracotherium? (Choeropotamus?). (1) Considerazioni sulla Geologia stratigrafica della Toscana dei Professori Cav. Paolo Savi e Giuseppe Meneghini. Firenze 1850. (Appendice alla traduzione della Memoria sulla Struttura geologica delle Alpi, degli Apennini e dei Carpazi ec. di Sir Rod. Impey Murchison, Firenze 1850) pag. 493. (2) Genre Elephas, p.141. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 19 Queste specie non sono però tutte date come certe e quindi occorre qualche spiegazione. Ursus etruscus Cuv. — Blainville ammette per molto possibile che questa non sia che una varietà di grandezza dell’ U. arctos. (!). La Felis spelaea è indicata con probabilità sopra un metacarpo del Museo di Firenze, ed una , carnassière , inferiore impiantata della collezione di Montevarchi (?). La F. antiqua di Nesti è per Blainville di preferenza Y. me- gantereon. PF. cultridens: il dente falcato isolato, da Nesti e Cuvier attri- buito ad un Orso. A questo proposito Blainville dice di aver os- servato nel Museo dell’Accademia di Montevarchi due canini di Orso, evidentemente dell’ Ursus etruscus. Al F. Lyna il Blainville riferirebbe volentieri gli avanzi di una quarta specie di Felis, molto più piccola delle precedenti, a giudi- care da una parte superiore di radio ed una falangina nel Museo di Firenze, nonchè una parte inferiore d’omero a Montevarchi. L’identificazione degli avanzi di Canis colle tre specie esistenti in Huropa non è data che come probabile (*). Il maggior numero degli avanzi vengono attribuiti al lupo, ed aggiunge l’autore che parecchi provengono fors' anche dal Cane domestico (!) (*). Hyaena arvernensis Croiz. et Job. Questa specie che secondo il Blainville (*) sarebbe senza dubbio identica colla H. prisca Marcel de Serres della caverna di Lunel-Viel presso Montpellier e colla H. fusca vivente, si suppone aver esistita anche nel Val d'Arno da un modello di una mascella superiore e principalmente da due mandibole del Museo di Firenze (°). Queste stesse mandibole in- sieme ad altri pezzi più recentemente acquistati dal Museo di Fi- renze mi hanno condotto ad un giudizio diverso di quello del Blainville; ne parlerò qui appresso. Elephas primigenius Blum.: Blainville non riconosce per specie distinta 1’ E. meridionalis Nesti. Riassume come segue le sue consi- derazioni: ,, Quoique l’E. meridionalis semble reposer sur quelque chose de plus spécieux, non pas cependant sur la taille et le bec de la mandibule, mais sur une différence appréciable dans la (1) G. Ursus, p. 63. (2) G. Felis, p. 163. (3) G. Canis, p. 148. (4) G. Canis, p. 128. (5) G. Hyaena, p. 56. (5) G. Hyaena, p. 50, dI. 20 €. I. MAYOR structure des dents; je ne vois pas, en supposant méème que la comparaison portàt sur des dents analogues, qu'un peu plus ou moins d’épaisseur dans les collines dentaires et dans leurs inter- valles, puissent former une difference spécifique. Je pense donc avec M. Cuvier que l’E. meridionalis et lE. primigenius ne sont quiunsi(i). Elephas (Mastodon): Blainville non ammetteva che il Mastodon fosse genere a parte, distinto dall'Elephas. Nel Val d'Arno egli conosce due specie: E. angustidens Cuv. sp. ed E. tapiroides Cuv. sp. — Chiunque conosce, foss’ anche superficialmente le collezioni paleontologiche della Toscana, sarà sorpreso leggendo la nota della pagina 381: , Parmi les dents d’Eléphants Mastodontes que nous avons vues de cette localité celèbre, dans le Muséum de Florence ou dans celui de Monte-Varchi, il nous a semblé que celles de l'Elephas tapiroides y étaient plus communes que celles de l’ Ele- phas angustidens ,. Presentemente la collezione di Firenze non contiene neanche un solo molare, da annoverarsi nel gruppo del Mast. tapirordes ; quella di Montevarchi ne contiene un solo. Non posso qui inol- trarmi a discutere se il dente in questione spetti al M. tapirordes, oppure al molto affine Mast. Borsoni; come pure se provenga ve- ramente dal Val d'Arno; ciò che ultimamente è stato negato dal Cocchi (?). Fhinoceros leptorhinus Cuv.: Il Blainville (È), seguendo in ciò il Cuvier, riunisce col cranio di Cortesi gli avanzi di Rinoceronti del Val d'Arno (f). Hippopotamus amphibius. Non viene riconosciuto come specie distinta il ZH. major Cuv. che secondo Biainville sarebbe basato solamente sopra differenze di dimensioni (°). Il genere Tapirus vien citato sull’autorità di De la Bèche 0: Il frammento di bacino da Cuvier descritto nel capitolo dei (') G. Elephas, p. 220. (*) Su di due Scimmie fossili italiane. Nota di Igino Cocchi (Estratto dal Bol- lettino geologico N.° 3 e 4, Marzo e Aprile 1872) p. 14, nota 1. (3) 1. e. Genre Rhinoceros, p. 214 'e seg. (4) E da rimarcare che i rari casi nei quali il Blainville acconsentisce di seguire le opinioni di Cuvier, sono ordinariamente appunto quelli, nei quali i pro- gressi della paleontologia non hanno dato ragione a Cuvier. (©) G. Hippopotamus, p. 61. (9) G. Tapirus, p. 49. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 21 Lophiodon, secondo Blainville andrebbe attribuito con maggiore probabilità ad un An/hracotheriwn oppure Ohoeropotamus (!). — La prima delle Memorie di Falconer così meritamente apprez- zate che tratta di Mammiferi fossili dell’Italia è del 1857 (0). In essa è contenuta fra le altre la descrizione del Mastodon arvernensis e viene discussa la fauna contemporanea. Per quel che riguarda il Val d'Arno è detto (*) che il M. arvernensis ivi è associato coll’ Ele- phas (Loxodon) meridionalis, Evnoceros leptorhinus, Hippopotamus major, insieme con specie di Tapirus, Sus, Equus, Ursus, Hyaena, Felis, Machairodus ecc.; come anche nel Piemonte e nella Lom- bardia, in varie località negli strati sub-apenninici lungo la valle del Po, ma più particolarmente neil’Astigiano, Romagnano e Du- cato di Piacenza, insieme col Mastodon (Trilophodon) Borsoni [M. Buffonis di Pomel], e cogli Elefanti estinti E. (Lorodon) meridio- nalis, E. (Loxodon) priscus, E. [ Euelephas ] sii e Leinoceros Liri Hippopotamus major ece. — Vengono poi discusse le località in Francia: Riguardo alla Fauna di Montpellier è ricordata l’asserzione di Gervais che in essa manca l’Elefante. Riguardo alle faune deil’Alvernia sono richiamate le opinioni divergenti di Bravard e di Pomel, che però sono d'accordo nell’assegnare orizzonti diversi ai Mastodonti ed Elefanti. Finalmente si trova rammentato che nell’occasione del » Congrès scientifique de France ,, riunito nel settembre 1855 a Puy, i naturalisti Croizet, Aymard et Pichot si trovavano d’ac- cordo nell’ammettere che gli avanzi di Mastodon nel Velay e nel- l’Alvernia erano di epoca più antica degli strati contenenti avanzi di Elephas. Posso qui aggiungere che anche Lartet negava qualche anno dopo (1859) la coesistenza di Mastodon arvernensis coll’Elephas nei giacimenti della Francia (‘). Secondo il Falconer (°), anche facendo astrazione dai casi dubbi nella Francia, offrirebbero prove indubitabili per la coesistenza di Mastodon e Elephas nei medesimi strati: le formazioni subapenni- (') G. Lophiodon, p. 104, 105. (*) H. Falconer: On the species of Mastodon and Elephant occurring in the fossil state in great Britain. Part. I. Mastodon. Quart. Journ. Geol. Soe. for Nov. 1857; ristampata con aggiunte in Pal. Memoirs and Notes II, 1868, p. 1 e seg. (8) 1. c. Pal. Memoirs II, p. 47. (4) Bull. Scc. Géol. de France. Tome XVI, 1859, p. 494. (@)lfte-lp.48. 99 C. I. MAYOR niche dell’Italia ed il Crag di Norfolk. In questa prima parte della Memoria in questione non sono date prove pei giacimenti italiani; ma invece si occupa in modo dettagliato delle condizioni del Crag. Falconer ritiene pliocene il ,, Red Crag , di Suffolk; menziona fra le altri specie: Mastodon arvernensis ed Elephas meridionalis; con- fessa però che vi si sono trovati anche Mammiferi eocenici e mio- cenici. Già a priori dunque questa località pare poco adattata per risolvere la questione della contemporaneità dei due Proboscidei in esame. Aggiungasi l’asserzione recente di Ray Lankester che tuttii molari di Elefanti del Red Crag non provengano niente af- fatto del Bone-bed, ma bensì dagli strati sabbiosi sopragiacenti, ciò che dice essere facile a vedersi dal loro aspetto (). Nel Crag fluvio-marino di Norwich si sono anche trovati fra gli altri, avanzi di Mast. arvernensis e di Elephas meridionalis. Falconer è d'avviso che essi hanno vissuto contemporaneamente e per appog- giare questo modo di vedere si riferisce spesso alle località dell’Ita- lia (®. Mentre secondo Lankester anche per il Crag fluvio-marino la questione non è nient’affatto risoluta. Anzi l’ipotesi seguente gli pare essere quella che ha maggiore probabilità: , We may suppose that the £. meridionalis and Trogontherium of the Norfolk stone-bed lived after Mastodon arvernensis had passed away, be- longing to a distincet fauna-period, that of the £. meridionalis, fully represented in the forest-bed. Living on the lands which already contained remains of the Mastodon arvernensis in the silt of streams, in bags etc, these animals ultimately became as- sociated with the past fauna in the Norfolk stone-bed () ,,. Nello stesso anno 1857 il Falconer presentò alla Società geolo- gica di Londra una Memoria che contiene una descrizione del- l’Elephas meridionalis Nesti e della quale allora non venne stam- pato che un riassunto (‘). Dopo la morte dell’autore, la Memoria fu pubblicata, prima nel 1865 (*) ed una seconda volta nel 1868 con aggiunte manoscritte (9). — (1) E. Ray Lankester, Contributions to a knowledge of the newer Tertiaries of Suffolk and their Fauna (Quart. Journ. Geol. Soc. Vol. XXVI, 1879, p. 495 nota). (*) Palaeont. Memoirs and Notes II, p. 52 e 59. (3) I. c. pag. 198. (4) cOn the species of Mastodon and Elephant occurring in the Fossil state in Great Britain. Part. II, Elephant ». Quart. Journ. Geol. Soc. 1857. Vol. XIV, p.81. (5) Quart. Journ. Geol. Soc. August, 1865. (8) Palaeontological Memoirs and Notes II, p. 76 e seg. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 23 Carlo Strozzi in una Memoria del 1858 (') menziona dietro le determinazioni comunicategli da Falconer i Mammiferi seguenti che si son trovati nel bacino lacustre del Val d’Arno superiore, fra Rignano e la Bocca dell’Ambra: Mastodon (Tetralophodon) arvernensis. Llephas (Loxodon) meridionalis. Elephas (Euelephas) antiquus. Rhinoceros leptorhinus (syn. megarhinus) de Montpellier. Rhinoceros tichorhinus. Hippopotamus major. Tapirus arvernensis ? Ursus arvernensis? syn. etruscus, ed altri Mammiferi. Le ossa di cavallo e di tapiro vengono indicate come rare; più ancora quelle di carnivori, che sembrano provenire da caverne che esistevano probabilmente poco al disopra il livello delle acque del lago. In una memoria più dettagliata dell’anno susseguente (8) lo Strozzi ammette nel Val d'Arno tre orizzonti diversi, fondandosi per questa distinzione sopra gli avanzi di Mammiferi. 1) Miocene superiore: basato sopra molari giudicati appar- tenere al Mast. pyrenaicus e Mast. angustidens, trovati dall'autore stesso nelle vicinanze di San Giovanni; e sugli avanzi di un Ma- chairodus delle vicinanze di Terranuova che egli dice essere proba- bilmente identico colla specie del Miocene superiore di Eppelsheim. Non vi sono nè descrizioni nè figure dei citati molari di Mastodon; perciò conviene andar cauto nel giudicare; pel momento vorrei fare osservare che secondo una comunicazione verbale del Mar- chese Strozzi questi avanzi provengono da Monte Carlo presso San Giovanni; e questa stessa collina è come abbiamo visto, la sola località autentica per la presenza nel Val d’Arno superiore del Mastodon arvernensis, provenendo di là gli avanzi descritti dal Nesti (?). 2) Secondo orizzonte. La maggior parte dei fossili seguenti, messi nell’ ordine della loro frequenza, provengono secondo lo (4) Mémoire sur quelques gisements de feuilles fossiles de la Toscane par Ch.-Th. Gaudin et M. le Marquis Carlo Strozzi. Zurich 1858, p.8 e 9. (£) Contributions à la Flore fossile Italienne. Second Mémoire, par Charles Th. Gaudin et le Marquis Carlo Strozzi. Zurich 1859, I. Partie stratigraphique par M. le Marquis Carlo Strozzi. p. 13 e seg. (£) Nesti, 1. c. p. 6. 24 C. I. MAYOR Strozzi con certezza dalle sabbie marnose spettanti al pliocene subappenninico. Cervus, più specie. Equus, idem. Bos, idem. Elephas (Loxodon) meridionalis Nesti. Hippopotamus major Cuv. Rhinoceros leptorhinus Cuv. Mastodon (Tetralophodon) arvernensis C. et Job. Ursus 2 spec. Sus. Tapirus. Hyaena. Felis. Mastodon (Trilophodon) Borsoni Hays è detto essere molto raro; località precisa ignota. Terzo orizzonte. Dalle sabbie gialle superiori al deposito di ciottoli: avanzi di Bos, Cervus, Equus. I crani del , RWinoceros hemitoechus Falc. , del Museo di Firenze, chiamato PWhinoc. ticho- rhinus nella prima memoria, proverrebbero molto probabilmente secondo l’autore dagli stessi depositi. Questa supposizione sl ap- poggia al fatto che altrove il Rh. hemitoechus si riscontra in depositi post-pliocenici; i due crani in questione sono gli stessi sui quali più tardi il Falconer fondò la sua nuova specie: £%. etruscus. La presenza nel Val d'Arno di Elephas antiquus Falc. e di Elephas priscus Goldf. è detto essere molto problematica dietro recenti investigazioni ('). — i Nel 1860 fu stabilito senza descrizione una nuova specie: &W- noceros etruscus Fale. (©). — Nel 18653 il Fa/coner caratterizzò la Fauna dei Mammiferi della Val di Chiana nelle vicinanze di Arezzo che distingue benis- simo, come risulta dall'insieme, da quella del Val d'Arno supe- riore; enumera le specie seguenti: Zlephas primigenius, Bos primi- genius, Bison priscus, Cervus euryceros, e conchiude dicendo: , Col- l'eccezione del Rhinoceros tichorhinus, la fauna fossile della Val di Chiana presenta tutti i tipi dei grandi Ungulata che accompagna- rono il Mammuth nel Nord dell'Europa, prima della sua estin- zione (8). — (4) I. c. pag. 20. (?) Nell’ appendice di un lavoro di il cf. Quart. Journ. Geol. Soc. Lon- don. for February, 1860. (3) H. Falconer: On the American fossil Elephant of the Regions bordering the Gulf of Mexico (E. Columbi Falc.); with general observations on the living and extinct species. (Natural History Review for January 1868). MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 25 Nello stesso anno 1863 P. Savi nella sua Memoria , De’ movi- menti avvenuti dopo la deposizione del Terreno Pliocenico nel suolo della Toscana ec. (') cita come Mammiferi caratteristici delle sabbie gialle plioceniche: Mastodon arvernensis Cr. e Job., Elephas meri- dionalis Nesti, Elephas antiquus Falc., Rhinoceros megarhinus de Christ., Run. hemitoechus Falc., Physeter sp., Balaena sp., Delphinus sp. La formazione d’acqua dolce della Val di Chiana è dichiarata post-pliocenia per la lista seguente di fossili: Bos primigenius Boj., Bos priscus Schl., Cervus euryceros Ald., Elephas primigenius Blum. E. africanus L., E. armeniacus Falc., RIvinoceros megarhinus Christ., Equus gigas Giul. (*). — Secondo una comunicazione fattami dal Prof. Meneghini il Savi ammetteva gli Elephas africanus ed E. ar- meniacus Falc. nella Fauna della Val di Chiana basandosi sopra due frammenti di molari nel Museo di Pisa, che si suppone pro- venire dei dintorni di Arezzo, dei quali uno, forse non fossile, | spetta senza dubbio all’. africanus, mentre che l’altro molto si- mile all’. primigenius, lasciava indeciso il Falconer se non dovesse piuttosto attribuirsi ad una specie distinta, molto affine all’. in- dicus vivente, cioè l' X. armeniacus. — La descrizione del cranio e della dentizione del Bos etruscus Falc. del Val d'Arno e dell'Astigiano venne data nel 1867 dal Itiitimeyer, il quale in questa occasione stampa anche una lettera del Falconer (del Maggio 1864) intorno allo stesso argomento (*).— Nel 1867 il Cocchi si è occupato delle condizioni geologiche e paleontologiche del Val d'Arno in una Memoria che contiene un ricchissimo materiale di osservazioni sopra tutto geologiche, ed anche paleontologiche che non si supporrebbero dal titolo del- l’opera (4). Come tipi prevalenti della fauna mammalogica del Val d'Arno superiore fra Reggello e Castelfranco sopra una spon- da dell'Arno, Gaville e Bucine sopra l’altra vanno citati, accen- nando dice egli, soltanto le forme predominanti e fin qui meglio definite: Drepanodon, Ursus etruscus Cuv., Hyaena 2 sp., Equus Stenonis n. sp. (*), Hippopotamus major, Sus, Mastodon arvernensis, (4) Estratta dal Nuovo Cimento. Fasc. di Aprile e Maggio 1863. Pisa. p. 11 nota. (O) Blcspasazio: (3) L. Ritimeyer. Versuch einer natùrl. Geschichte des Rindes. Nouv. Mém. Soc. Helv. Se. Natur. Vol. XXII, 1867. P. I. p. 97-98. IL 71:77. (4) L'Uomo fossile nell'Italia centrale, Studi paleoetnologici di Igino Cocchi (Memorie della Soc. Ital. di Scienze naturali, Tomo Il, N.° 7, Milano 1867). (5) Menzionata per la prima volta in questa Memoria. 26 C. I. MAYOR Elephas meridionalis, Bos etruscus Falc., Cervus dicranius. Inoltre grandi roditori, canidi e felidi, nè sembrano mancare i fapiri (1). A questa lista sono da aggiungersi dalle indicazioni della pagi- na 22 e 23 dell'opera citata: , Rhinoceros etruscus Falc. e Rinoc. megarhinus Christ. pro parte, rara questa, comunissima quella ,. Della seconda specie è detto che giunge a mostrarsi, in altre loca- lità nostrali, nel post-pliocenico. Quest'ultima indicazione riposa sopra determinazioni fatte dal Falconer. Ho detto in altro luogo che ritengo spettare al R%. Merckii Jaeg. sinonimo del R%. hemitoechus Falc. tutti questi avanzi post- pliocenici di Rhinoceros attribuiti al E%. leptorhinus Cuv. pro parte (Eh. megarhinus de Christ.). Inoltre ho saputo da una comunicazione verbale del Prof. Coc- chi che esso fin da quest'epoca ha riconosciuto per tali degli avanzi di Scimmia trovati nel Val d'Arno superiore. Il Cocchi distingue in somma tre faune: una pliocenica inferiore alla quale spetterebbero gli avanzi or ora nominati; una seconda del pliocene superiore, della quale non viene nominato che l’E/ephas antiquus, ed una terza post-pliocenica nei dintorni di Arezzo. Sopra tutto caratteristici per questi tre orizzonti sono secondo l’autore le tre specie di Elefanti: E. meridionalis, E. antiquus ed E. primi- genus, riguardo ai quali così sì esprime: , Le tre specie di Ele- fanti si succedettero nel tempo come si succedono nello spazio. Esse rappresentano per noi tre piani geologici distinti, e formano altrettanti orizzonti utilissimi per l’ osservatore che spinge la mente nel dedalo delle ultime formazioni precedenti l’attuale. Gli studi fatti finora portano ad affermare essere l'elefante meridio- nale caratteristico, nella nostra Italia centrale, del pliocene infe- riore e meno del superiore; l’elefante antico caratteristico del pliocene superiore e di parte almeno del post-pliocene inferiore o antico; ed infine l'elefante primigenio caratteristico del post-plioce- ne lacustre, inferiore, come anche del diluviale o superiore ,, (?). Da una conversazione col Prof. Cocchi rilevo che questa divi- sione è da ritenersi pel momento piuttosto come teoretica; regna sopratutto tuttora molto dubbio intorno al pliocene superiore così chiamato dal Cocchi, pliocene superiore che deve essere caratteriz- zato dall'El. antiquus. (4) 1. e. pag. 14. (2) L c. pag. 17. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA DATA L'asserzione che LE. meridionalis abbia coesistito coll’ E. an- tiquus nel , pliocene superiore , (') non è da intendersi nel senso che avanzi delle due specie siano stati trovati insieme nello stesso posto; ciò che in Italia non è mai avvenuto; ma piuttosto che tutte e due si sieno trovate in giacimenti che per considerazioni di ordine geologico sono considerati come contemporanei. Rispetto alla topografia dei tre piani geologici il Cocchi così riassume: ,.....ascrivo al pliocene più antico i depositi della parte occidentale e in generale quelli che ne occupano le sponde; ascrivo al pliocene più recente i depositi più ad oriente rispetto al primi, e perciò collocati più nel centro del bacino, come ap- punto doveva accadere per depositi formatisi in ritiro e colle re- gole degli ordinari delta lacustri e delle formazioni littorali; final- mente ascrivo al post-pliocenico inferiore le argille che formano l'’imbasamento dell’altipiano Aretino e della Chiana, e al superiore i depositi che mi restano a descrivere , (?). Come rappresentanti della fauna post-pliocenica dei dintorni di Arezzo vengono citati oltre l’ Elephas primigenius: Bos primi- genius, colla varietà Bos trochoceros, Bison priscus, Cervus euryceros, Equus Larteti n. sp. In una Memoria del Falconer: ,, Geological Age of fossil Ele- phants,, scritta nel 1857, ma pubblicata soltanto nel 1868, pa- recchi anni dopo la morte dell’autore, si ascrivono alla fauna del Val d'Arno superiore specie dei generi Mustodon, Elephas, Rhino- ceros, Tapirus, Equus, Hippopotamus, Sus, Felis, Machairodus, Hyaena, Bos, Cervus, Antilope, Lagomys, ed altri piccoli Mammi- feri (?). Più innanzi (p. 195) si indicano come i più frequenti pro- boscidei del Val d'Arno Tetralophodon arvernensis e Loxodon meri dionalis. L'autore aggiunge: ,, Un’ altra circostanza, specialmente favorevole per lo studio della fauna Valdarnese come associazione pliocenica è quella, che secondo la mia osservazione essa è com- pletamente libera da ogni mescolanza coi tipi della fauna post- pliocenica glaciale, quale sono il vero Mammuth, il Linoceronte della Siberia, V Elasmotherium ed i loro compagni artici ,. E più avanti (p. 190) soggiunge: , Andando verso nord incontro alle Alpi, la stessa associazione di Mammalia ci è presentata nell’allu- vione subapenninico pliocenica della Vallata del Po e dei suoi (MPa 16017 (2) 1. c. pag. 42. (3) Palaeontological Memoirs and Notes, p. 189. 28 C. I. MAYOR affluenti,.— Ed eccoci arrivati alle formazioni che servirono come principale appoggio al Falconer per la supposizione della coesi- stenza di Mastodon arvernensis coll’Elephas. Vista l’importanza dell'argomento mi sarà permesso di riprodurre in esteso le parole dell'autore: » Il più istruttivo esempio ,, dice il Falconer, , da me cono- sciuto della presenza del maggiore numero di specie fossili di Pro- boscidei nello stesso deposito, in circostanze che non ammettono dubbio intorno alla loro età comune e la loro associazione, è quello del Mastodon (Tetralophodon) arvernensis descritto da E. Sismonda. L'intero scheletro dell'animale, disteso, fù scoperto da un taglio della ferrovia fra Dusino e Villafranca, ad una profon- dità di circa 26 piedi sotto la superficie. Nella stessa località e nello stesso strato, ma ad una piccola distanza dello scheletro di Ma- stodon, furono trovati molari fossili di E. (Lorodon) meridionalis, Ehinoceros leptorhinus, insieme con corni di cervo, e vicino alla su- perficie (,, close upon the surface ,,) lo scheletro di un Lagomys. Nel terreno fluvio-lacustre, insieme con (along with) questi avan- zi, furono trovati specie di Unio, Helix, Paludina e Clausilia (1). — In un altro posto dello stesso strato, vicino a San Paolo, le esca- vazioni per la ferrovia misero alla luce abondanti avanzi di &. (Kuelephas) antiquus., [Qualche anno dopo però, quest’ultima de- terminazione diventò molto dubbiosa al Falconer, che era piut- tosto inclinato ad ascrivere al suo E. armeniacus i molari in questione (?)]. , In questo caso ,, continua il Falconer (*), , ab- biamo un esempio che non può esser messo in dubbio, della pre- senza di tre specie fossili di Proboscidei in posti quasi contigui dello stesso strato pliocenico, e non vi è luogo a dubitare che essi fossero membri contemporanei della stessa fauna. Vicino a Fer- rere (‘) nello stesso distretto dell’Astigiano, e nello stesso deposito, zanne e molari spettanti a 5 o 6 individui di Tetralophodon arver- nensis, con mascelle di Rhinoceros leptorhinus, denti di Hippopota- (4) 1. c. pag. 191, 192. — Ecco come si esprime E. Sismonda nella descrizione dello scheletro, fatta due anni dopo che fu trovato: « A poca distanza del mede- simo sì trovarono denti di Elefante, corno di Cervo, una mandibola di Rinocerente, e, negli strati più superficiali argillo-calcarei la testa di una Marmotta ». Osteogra- fia di un Mastodonte angustidente illust. dal Prof. Eugenio Sismonda. Torino 1851, (Mem. della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, Tom. XII. p. 59). (Alec pas34929%Nota: ; (3) I. c. pag. 193. (4) L'originale ha per errore «Florence ». MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 29 mus e di Tapirus? furono scavati confusi con Helici, Paludine e Clausilie. Il Professore A. Sismonda, il Dott. Bellardi e il sig. B. Gastaldi, tutti geologi perfetti, profondamente conoscitori del paese, mi assicurarono che tutti questi avanzi furono trovati negli stessi strati pliocenici alluviali ,. Disgraziatamente non ci vien detto se itre scienziati nominati abbiano osservato eglino medesimi in posto i fossili in esame; ma, se piuttosto gli avanzi sono stati trovati e scavati dai lavoratori; sarà quindi lecito di esprimere l’opinione che finora i dati non sono sufficienti per provare la contemporaneità di questi differenti luoghi. I dotti geologi di Torino mi concederanno che attualmente non sì può più considerare a priori come contemporaneo tutto ciò che tempo fa fa compreso col nome di , pliocenico subapenninico. Sentiamo piuttosto il giudizio che i geologi piemontesi stessi hanno emesso intorno alle formazioni che contengono fossili di mammiferi. Eugenio Sisnonda, al quale dobbiamo la monografia dello scheletro di Mastodonte surriferita, ha chiamato questi stessi strati fin dal 1851 , epipliocenici ,, spiegando questo termine nel modo seguente: ,.... Dall’esposto quadro chiaramente risulta che i sedimenti fiuvio-lacustri con ossa di pachidermi fanno bensì parte del sruppo terziario, anzi della formazione pliocenica, ma e per la causa che li ha prodotti, come per l'età, natura e giacitura loro si deggiono separare dal terreno pliocenico o subapennino propriamente detto, col quale essi non alternano, ma al quale stanno indipendentemente sovrapposti , (!). Tl Sismonda ammette a priori che tutti questi strati contenenti avanzi di Mammiferi che chiama , depositi pachidermiferi , e che ha riconosciuti come epipliocenici siano contemporanei fra di lo- ro (2); mentre che secondo il Gustaldi (È) gli strati contenenti , Tetralophodon arvernensis, Trilophodon Borsoni Hays, Loxodon meridionalis Nesti sp., Euelephas antiquus, Rinoceros leptorhinus Cuw., Hippopotamus major , sono più antichi di quelli che sareb- bero secondo lui caratterizzati da frequenti avanzi di Luminanti, Solipedi e Ioditori. Tanto l'opinione del Sismonda che comprende a prior: in una stessa formazione tutti quanti i depositi dell’Astigiano che hanno (4) 1. c. p. 57. (©) LCA: (3) Cenni sui Vertebrati fossili del Piemonte. Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino, serie II, T. XIX, 1858, p 45-47. 30 C. I. MAYOR fornito avanzi di Mammiferi terrestri, quanto quella del Gastaldi che escludeva a priori dalle sue , alluvioni plioceniche,, del plei- stocene (') tutto ciò che è Cervus, Bos, Equus o toditore, non riposano evidentemente sopra osservazioni dirette; quindi facil- mente si comprenderà come io dubiti che sì tratti del medesimo caso anche quando si ammette la contemporaneità nell’Astigiano del Mastodon arvernensis e dell’Elephas meridionalis. Teniamo però conto del fatto che ambedue gli autori citati vanno d'accordo nell’ammettere che gli strati contenenti avanzi dei citati grandi Mammiferi sopraincombono al pliocene marino; ma da ciò non segue con necessità, come lo vuole il Gastaldi (') che i primi siano pleistocenici. — Dopo questa digressione ritorno alle pubblicazioni che hanno più direttamente rapporto alla Fauna del Val d'Arno superiore. La descrizione del EWinoceros etruscus Falc. fu pubblicata nel 1868, dando l’editore alla stampa le note manoscritte del Falco- ner degli anni 1858-1860 (?). Nello stesso anno venne fuori un lavoro di Boyd Dawkins sopra la stessa specie, basato in parte sopra fossili del Val d'Arno (5). Inoltre le , Palaeontological Memoirs and Notes, contengono una Nota sopra una specie non descritta di Bos nel Museo di Firenze, nella quale sono ripetute le stesse osservazioni che il Falconer aveva comunicate al Ritimeyer e che furono da questo pubblicate parecchi anni prima (5). — Due anni fa credetti di potere prendermi la responsabilità di asserire che per quanto al Val d'Arno, mancano fino a quest’ora le prove incontestabili all'appoggio dell’asserzione che i generi Mastodon ed Elephas abbiano coesistito (*). Confesso di non averne a disdire nulla oggidì, dopo che per due anni non ho lasciato sfug- gire nessuna occasione che promettesse fornirmi le prove del contrario. (Ale piero (*) Palaeontological Memoirs and Notes II, p. 354-368. 1868. (3) W. Boyd Dawkins. On the Dentition of Rhinoceros etruscus Falc. (Quart. Journ. Geol. Soc. Vol. XXIV, 1868, p. 207 e seg. (4) Pal. Mem. II, p. 481: « Note of an undescribed species of Bos in the Flo- rence Museum (Bos etruscus?) » (*) Note sur des singes fossiles trouvés en Italie ete. (Extrait des Actes de le Soc. ital. des Sciences nat. T. XV, 1872, pag. 16. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 31 In uno sguardo generale dato sui Mammiferi fossili dell’Italia nel 1872, il Gervais cita fra la fauna Mammalogica del Val d'Arno superiore anche i seguenti animali: , De nombreux ossements de Boeufs, et, dans certains cas, des tètes entières, indiquant des animaux fort rapprochés des Bos priscus et primigenius — sont souvent déterrés aux mémes lieux, et il y a aussi une autre espèce du mème groupe...,, cioè il Bos etruscus ('). Questa indicazione essendo stata copiata da altri, mi pare tanto più importante il ri- petere una volta di più (°) ciò che risulta già dalle citazioni fatte più sopra (Falconer, P. Savi, Cocchi) che cioè i Bison priscus e Bos primigenius non sì sono mai riscontrati in unione coi Mammiferi del Val d’Arno superiore, compresovi il Bos etruscus. I crani di queste due specie, conservati nel museo di Firenze, come anche quelli del Museo di Arezzo, provengono dai dintorni di questa città, dove si trovano insieme, come più volte è stato detto, con una fauna ben differente. — Una mascella inferiore di Scimmia trovata nei dintorni di Mon- tevarchi nel Val d'Arno superiore fu descritta nel 1872 dal Cocchi, il quale si credè in diritto di farne un genere nuovo: Aulaxinuus florentinus Cocchi (£). Già dal 1867 nelle , Note ad un corso di geologia ,, lo Stoppani ha emesso intorno all'argomento della Fauna del Val d'Arno, idee tutto particolari, che maggiormente poi sviluppò l’anno passato nel secondo volume della nuova edizione (*). Fondandosi nello studio delle condizioni geologiche delle lignite di Leffe, nell'alta Lombardia (Provincia di Bergamo), l’autore riferisce queste al- l'epoca glaciale. Di Mammiferi vi sono stati riscontrati fra gli altri Elephas meridionalis e denti di Rinoceronte che non erano da distinguersi da quei del E/inoceros leptorhinus. Lo Stoppani con- clude adunque che questi due sono specie glaciali, caratteristiche dell’epoca glaciale ovunque si riscontrino, come per esempio nel Val d'Arno. , Un altro celebre deposito lacustre, ma non glaciale, viene a porsi immediatamente tra gli equivalenti glaciali. È questo (4) Coup d’oeil sur les Mammiferes fossiles de l’ Italie ete. Journal de Zoolo- gie, par M. Paul Gervais I, 1872, pag. 219, (*) Vedi Remarques sur quelques Mammifères post-tertiaires de l’Italie etc. (Atti Soc. Ital. di Scienze naturali. Vol. XV, 1873.). (3) Su di due Scimmie fossili italiane. Nota di Igino Cocchi (Estr. dal Bollett. Geol. N.° 3 e 4, Marzo e Aprile 1872) Firenze 1872. (4) Corso di Geologia, del Prof. A. Stoppani. Milano 1873, pag. 664 e seg. SO C. I. MAYOR il deposito della Val d'Arno, ritenuto ordinariamente come ter- ziario , ('). Concede però che vi sia anche del pliocenico nel Val d'Arno e prosegue poi in questa guisa. , Quello che è certo però è questo, che la formazione lignitica, colle argille e colle sabbie, da cui si svolgono in si gran copia gli ossami, e che costituisce la porzione superiore della formazione cioè l'immediato sottosuolo della Val d’Arno, appartiene all’epoca glaciale, contenendo tutti i fossili più caratteristici del terreno glaciale: Elephas meridionalis, Rhinoceros leptorhinus, Bh. etruscus, ed hemitoechus (sinonimi del PF. Merck), Bos etruscus , (3). Rispetto alle specie di Rinoceronte debbo rimandare a due mie note (*). Tornerò a parlare quì appresso della fauna di Leffe. Quì mi contenterò di accennare un lato solo della questione: Lo Stop- pani sembra opinare che la fauna mammalogica dell’epoca gla- ciale è stato finora pochissimo conosciuta, ciò che invero non è; parlando delle specie che esso attribuisce alla detta epoca, dice: » Eccoci dunque assicurato il possesso di una piccola fauna gla- ciale che ci promette quello di una paleontologia glaciale , (5). Facendo astrazione anche dei paesi ultramontani rammenterò che in un'altro luogo ho trattato abbastanza diffusamente di un certo numero di Mammiferi post-pliocenici (*); e nelle pagine pre- cedenti è stato accennato più volte alla fauna dell’Aretino e della Val di Chiana. Mi permetto quindi di domandare all’illustre scien- ziato che mi onora della sua amicizia, a quale epoca dovrebbero ri- ferirsi questi Mammiferi delle caverne, delle breccie ossifere, delle alluvioni del Po ec., e delle torbieri ed alluvioni torrenziali nei din- torni di Arezzo e di altri giacimenti che più tardi avrò l'occasione di citare; trattandosi quì di una fauna differentissima da quella che egli chiama glaciale; e non essendo mai stati da noi trovati insieme i singoli componenti di queste due faune diverse. È vero che nel Forest-bed di Norfolk e Suffolk riscontriamo una mescolan- za assai particolare di specie viventi ed estinte, una fauna di tran- sizione nella quale fra gli altri si trovano parecchie specie del Val d'Arno superiore, come, E. meridionalis, Rhinoceros etruscus, Ursus (>) le pas:673: (e ipar6re (3) Remarques sur quelques Mammifères post-tertiaires de l’ Italie etc. >. (Aut della Soc. Ital. di Scienze naturali. Vol. XV, 1873). — Uber fossile Rhinoceros-Arten Italiens. (Verhh. der k. k. geolog. Reichsanstalt. N.° 2, 1874, pag. 30). (4) 1. c. pag. 670. () Remarques etc. I. c. x MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA Di arvernensis (che è probabilmente identico coll’ U. etruscus) insieme con parecchie specie di cervi finora proprie di quel giacimento, con mammiferi senza dubbio quaternari, e con altri, tuttora vi- venti, ma anch’ esse quaternarie ('). Nella Fauna del Val d'Arno superiore invece ed in quella di Leffe non si è trovata neanche una sola specie di mammiferi viventi, e neppure Bos primigenius, Elephas antiquus, E. primigenius ec., tipi quaternari che si trovano anche nel Forest-bed. Ne segue indubitatamente che il Forest-bed è più recente dei due giacimenti citati, ed essendo esso sottogia- cente al Boulder-clay, dunque evidentemente preglaciale, mi per- donerà l'illustre Professore Stoppani se, al rischio anche di meri- tarmi il rimprovero di tener dietro a , pregiudizi inveterati , (*), mi vedo costretto di combattere le sue opinioni che attribuiscono all’epoca glaciale le ligniti di Leffe, le formazioni del Val d'Arno superiore e delle sabbie gialle in genere. — L’anno passato il Gastaldi pubblicò un opuscolo intitolato: n Appunti sulla Memoria del sig. G. Geikie, F. R. S. E.: On changes of climate during the glacial epoch. Nota di B. Gastaldi , (*), che non posso quì passare sotto silenzio, almeno per ciò che riguarda, le osservazioni paleontologiche in essa contenute. In un lavoro del 1850: ,, Essai sur les terrains superficiels de la vallée du Po, aux environs de Turin, comparés à ceux de la plaine Suisse , (4), (!) Ecco la lista dei Mammiferi del Forest-bed secondo Boyd Dawkins: Sorex mosrhatus. Cervus Polignacus. Sorex vulgaris. » carnutorum. Talpa europaea. » verticornis. Trogontherium Cuvieri. » Sedgwicki. Castor fiber. Bos primigenius. Ursus spelaeus. Hippopotamus major. » arvernensis. Sus scrofa. Canis lupus. Equus caballus. » vulpes. Rhinoceros etruscus. Machaerodus. » megarhinus. Cervus megaceros. Elephas meridionalis. » capreolus. » antiquus. » elaphus. ) primigenius. Non mi consta che alcuno dei numerosi geologi e paleontologi della Gran Bretta- gna che si sono occupati del Forest-bed, abbia messo in dubbio la contemporaneità degli avanzi di Mammiferi in esso trovati. (2) I. e. pag. 670. (3) Estr. dagli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. Viif. Adunanza del 20 Aprile 1873. (4) Bull. de la Soc. géol. de France, T. VII, 2.° série. d) C. I. MAYOR Charles Martins e Gastaldi sincronizzarono la lignite fogliettata di Dirnten nella Svizzera colle ,, Alluvions du Pliocène ou è Osse- ments de Pachydermes , nel Piemonte. (Non vi sì trova menzio- nato che una specie sola, cioè lo scheletro del Mastodonte di Du- sino, sotto il nome di M. angustidens; inoltre i generi R/inoceros, Hippopotamus, Tapirus). Posteriormente a quest'epoca le ligniti di Dùrnten furono ritenute dai geologi e paleontologi svizzeri come interglaciali. Ora Geikie, prestando fede al sincronismo pro- posto da Martins e Gastaldi conclude logicamente che anche le salluvioni plioceniche, di questi autori siano interglaciali, e fa anzi un passo di più; cioè perchè il Gastaldi ed il Ch. Martins avevano annoverato come caratteristiche delle sabbie marine sottostanti un certo numero di conchiglie che secondo Etheridge vivono quasi tutte presentemente nel Mediterraneo, ed in parte anche in mari nordici, il Geikie ascrive anche all’epoca glaciale queste sabbie marine. Questa opinione è combattuta energicamente dal Gastaldi che rimprovera al Geikie di aver fatto prova di non comune corag- gio scientifico. Secondo il mio modo di vedere non vi è molta dif ferenza fra le due opinioni: del Geikie che sincronizza con Dùrnten le sabbie marine con conchiglie viventi e del Gastaldi che sincro- nizza collo stesso deposito Svizzero li strati a Mastodon. Si capisce benissimo che questo ultimo parallelismo poteva farsi 24 anni fà; ma ci vien detto nel recente opuscolo che l’autore è anche oggidì disposto di sostenere lo stesso: , Se dovessimo oggi pubblicare lo scritto cui allude il sig. Geikie (,,Précis sur les terrains superficiels de la valiée du Po ,) lascieremmo probabilmente a ri- scontro ed allo stesso livello le ligniti di Dùrnten e le così dette alluvioni plioceniche del Piemonte . ...,('). Ho una troppo alta opinione del Professore Gastaldi per credere ciò; ma invece sono persuaso che se oggidì egli si trovasse nel caso supposto, il pren- der cognizione dei lavori di Gaudin, Heer, Falconer ed altri, lo condurrebbe a tutt'altre vedute sopra l'equivalente nell'Italia delle ligniti di Dùrnten. Rispetto alle ,, alluvioni plioceniche del Piemonte, le quali rac- chiudono tanti scheletri di proboscidei e di altri grossi pachi- dermi ,, e che sincronizza con quelle della valle dell’Arno e del Tevere (2), il Gastaldi dice che per lui non vi è dubbio che essi sieno preglaciali (3). (1) E te-pag 0) (e pas (3) I. c. pag. 10. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 59) Alla pagina 22 ci si dice che questo deposito che trovasi a con- tatto colle sabbie marine sottogiacenti venne da lui distinto col nome di alluvioni plioceniche, non tanto perchè volesse riferirlo al pliocene, e farne parte costituente di quel terreno, ma bensì per ben separarlo dalle alluvioni antiche, appellativo che da molti si dà al diluvium, ed anche per non chiamarlo semplicemente col nome di alluvioni post-plioceniche, appellativo il quale a lui sembrava troppo generale. Abbiamo di già fatto osservare che in una pre- cedente pubblicazione il Gastaldi enumera le , alluvioni plioceni- che , come suddivisione del Pleistocene, ciò che certamente non contribuisce a precisare l'orizzonte geologico di esse. Come Mammiferi caratteristici vengono citati nel recente la- voro: ,, lehinoceros, Hippopotamus, non poche specie di Ruminanti, Mastodon arvernensis, M. Borsoni, Elephas antiquus, ed E. meridio- nalis ,, i quali animali tutti è detto espressamente che vivevano assieme nello stesso tempo ('), cioè dunque che sarebbero post- pliocenici, ma sempre preglaciali. Gastaldi si aggira per trovare le traccie di una vegetazione lussuriosa che possa aver servito di pasto a questa fauna gigantesca e la trova nelle ligniti di Cur- gnano, Lanzo, Gifflenga, Boca, Maggiore nel Piemonte ed in quelle di Leffe nel Bergamasco. Per rapporto a questi ultimi cerca di appoggiarsi sulla autorità geologica dello Stoppani e su quella paleontologica del Cornalia. Ed infatti ecco quanto il Cornalia gli scrive in proposito. » Jo ritengo, come tu ritieni, post-pliocenico il bacino di Leffe; tale lo ritiene anche Stoppani. 11 proboscideo che vi trovai ab- bondante è l’Elephas meridionalis, che invero è indicato come pliocenico, ma per errore, perchè anche tutta la giacitura di quell’animale in Toscana (Val d'Arno) è a torto ritenuta plioce- nica; le deposizioni che lo racchiudono poggiano sulle argille plio- ceniche ma sono più recenti. Nella lignite di Leffe trovai il Castoro identico all'attuale; trovai un £#mys che è impossibile separare dalla Cistudo europaea; vi si trovano Cervi e Capra che evidente- mente sono post-plioceniche .... L'E. meridionalis pare abbia du- rato di più al mezzodì delle Alpi ed anzi io sarei per credere che gran parte degli ossami elefantini del Po a questa specie, piuttosto che all’. primigenius, debbansi attribuire; lE primigenius è invece assai raro fra noi , (°). (A) pas: 29% (3) Megipao: 23: 5 050 (Moro Lascieremmo al Professore Stoppani protestare contro il torto che gli si vuole fare citando la sua testimonianza per appoggiare la preglacialità di Leffe; — lascieremmo ai geologi e paleontologi svizzeri di rispondere alle idee del Gastaldi che le ligniti di Dùrnten e Utznach appartenessero possibilmente a più d'un epoca (') e che il terreno erratico che forma la base delle ligniti di Wetzikon e di Morschweil, possa appartenere al terziario inferiore(®). — Quì dob- biamo aggiungere due parole sulle ligniti di Leffe a quel che più sopra ne è stato detto. Per parte mia sono disposto ad assegnare ai Mammiferi in esse trovati la stessa epoca che a quelli del Val d'Arno; ma non ho per il momento il coraggio di pronunziarmi in modo assoluto sull’orizzonte; prima, perchè parecchi degli avanzi di Leffe sono troppo frammentari per permettere una determina- zione rigorosa; e poi perchè altri che da molti anni sì conservano nel Museo di Milano come provenienti da Leffe, hanno certamente una origine ben diversa. L'asserzione del Cornalia rispetto ai giacimenti dell’ E. meridio- nalis non è appoggiata con fatti. Il Castoro di Leffe poi si dice identico con quello vivente. Se- condo le mie osservazioni il Castoro del Val d'Arno non fa vedere le differenze molto caratteristiche colla specie vivente che nei mo- lari pochissimo consumati; ritengo quindi che i molari isolati di Castoro che sì conservano nel Museo di Milano come provenienti delle ligniti di Leffe, e che si trovano in uno stato medio di logo- razione, non siano adatti per permettere un giudizio positivo. Dice inoltre il Cornalia che vi si trovano Cervi e Capre che evidentemente sono post-plioceniche. Nella sua descrizione dei Ru- minanti fossili della Lombardia (*), 11 Cornalia non cita specie di Capra delle ligniti di Leffe; e non ne ho visto traccia neanche io nel 1872 nelle collezioni di Milano, Bergamo e Pavia, che conten- gono fossili di Leffe. Essendo inoltre la coesistenza di una specie di Capra coll'Elephas meridionalis, secondo quel che mi pare, un fatto molto interessante, meriterebbe certamente che le prove ne fossero rese di pubblica ragione; intanto però mi permetto di dubitarne. Di Cervi il Cornalia ha descritto tre specie delle Ligniti di (SEEN Pagni: (?) LL c. pag. 23, nota 2. (3) È. Cornalia, Mammifères fossiles de Lombardie, Milan 1858-1871 (Paléon- tologie Lombarde du Prof. A. Stoppani. 2.° série). MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA DIC Leffe: il C. Orobius Bals. e C. affinis Corn., essendo Paco non citate finora altrove che a Leffe, ad esse non possono riferirsi le parole di Cornalia che siano evidentemente post-plioceniche. U i terza, specie di Leffe è citata dal Cornalia col nome di , Cervus dama fossile , e come risulta dal testo non è ammessa che provisoria- mente ('). Non vi è questione delle particolarità caratteristiche della dentizione del Daino. La figura delia Mandibola è stata ese- guita in profilo; quindi nè descrizione nè figura permettono di formarsi un giudizio. — Due anni fa consegnai al Professore Stoppani una lista dei Mammiferi del Val d'Arno superiore, come risultava dalle indica- zioni degli autori e da pochissime osservazioni proprie fatti in una, Visita delle collezioni di Firenze, Pisa e Montevare hi. Da questa lista stampata nel , Corso di Geologia , (*), debbono togliersi È seguenti specie che vi erano state ammesse sulla fede di vari autor ma che non ho potuto rintracciare nei Musei pubblici di Pisa, Fi renze e Montevarchi, e neanche in Musei privati, fra i quali va ci- tato in prima linea quello del Marchese Carlo Strozzi; sono dun- que: Elephas antiquus Falc., Rivinoceros hemitoechus Fale., Rh. lepto- rhinus Cuv., Tapirus sp., Antilope sp., Lagomys sp. 1) Elephas antiquus Falc. L'unica indicazione positiva ri- guardo alla presenza nella regione di cui parliamo dell’£. antiquus è quella già menzionata dal Cold (*), secondo il quale i stata trovata a Malafrasca presso Levane. Rimando a quel che ho detto più sopra a questo proposito; aggiungendo quì che i denti conservati nel Museo di Firenze non possono con certezza essere ascritti all’E. antiguus, al quale certamente rassomigliano; ma vi è piuttosto luogo di supporre che si tratti di una forma non peranco descritta. Altre località della Toscana che hanno fornito questa specie sono: i depositi post-pliocenici presso Livorno (breccia ossì- fera e Panchina); nonchè i dintorni di Arezzo. Nelle breccie ossi- fere del Monte Tignoso presso Livorno, come anche nell’Aretino questo Elefante si trova associato colla seguente specie di Rinoce- ronte, come nelle caverne ossifere dell’ Inghilterra. 2) Rhinoceros Merckiù Jacg. (Rh. hemitoechus Fale.). Ho par- (1) <... elles ont les dimensions précises des dents du Cervus dama, auquel pour le moment je les rapporte ». (?) Vol. II, pag. 673. (3) L'Uomo fossile nell’Italia centrale. pag. 16. 58 C. I. MAYOR i lato altrove di questa specie ('); qui basti il ripetere che nel Val | d'Arno superiore finora non ne fu trovato vestigia. La Mandibola del Museo di Pisa, sulla quale fondandosi il Falconer era disposto ad ammettere questa specie in terreni italiani, proviene delle » Sabbie gialle , presso S. Romano nel Val d'Arno inferiore. Visto il cattivo stato di conservazione non mi permetto altro giudizio che il negativo, che cioè certamente non si tratti del RY. etruscus. Mancano delle indicazioni più precise sul luogo dove essa mandi- bola è stata ritrovata. Confermandosi la supposizione del Falconer, si tratterebbe allora di una località post-pliocenica. Vi sono del resto anche altri indizi che questo orizzonte non manchi nei din- torni di S. Romano. 3) Levinoceros leptorkinus Cuv. pro parte. Anche riguardo a questa specie mi basti l'aver qui ricordato che nessuna delle colle- zioni surriferite la contiene del Val d'Arno superiore. Gli avanzi di quella località chiamati prima con questo nome da Falconer, furono poscia da lui attribuiti al &%. etruscus. 4) Tapirus sp. Questo genere, insieme con , Antilope ,, e » Lagomys ,, fu da me enumerato come facente parte della fauna del Val d'Arno, dietro all'autorità di Falconer, quantunque fin da quest'epoca non ignorassi che non sono rappresentati nelle col- lezioni. Avanzi di Tapiro sono stati trovati, come vedremmo qui ap- presso, nelle ligniti di Casino. Inoltre mi fu fatto vedere qualche tempo fa, un frammento di Mandibola di Tapiro che sì trova in una collezione privata e che è stata rinvenuta nel tetto di una li- enite presso Castelnuovo di Garfagnana (Toscana). Finalmente il Museo dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena possiede un altro frammento mandibolare di Tapiro, di provenienza ignota. Ecco tutto quello che posso dire dagli avanzi di questo genere rinvenuti in località italiane; visto lo stato incompleto di conservazione, non ho. il coraggio di pronunziarmi intorno alla od alle specie. 5) Antilope. Non conosco avanzi di Antilope provenienti del Val d’Arno superiore. Lo stesso si può dire della fauna pliocenica di Perrier nell’Alvernia che presenta anche molte altre analogie con quella del Val D'Arno superiore, e che contiene numerosissimi avanzi di cervi ma punti di Antilopi (?). (4) Verhh. der k. k. geol. Reichsanstalt. N.° 2. 1874, pag. 30-32. — e Boll. del R. Comitato Geologico, anno 1874, N.° 3 e 4, p. 94-97. (?) « So wenig als Eichhòrnchen oder Kletterthiere in Steppen, oder achte MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 39 6) Lagomys. In località italiane non conosco la presenza di Lagomye che nella breccia ossifera di Cagliari e nelle ligniti di Casino ('); in ambedue le località si tratta del genere (0 sottoge- nere) Myolagus. Non è punto inverosimile che quest’ultimo abbia esistito nell'Italia anche all’epoca dei depositi del Val d'Arno su- periore, che è intermedio per il tempo fra il Casino e le breccie ossifere post-plioceniche di Cagliari; perchè mi pare aver meno probabilità d’ammettere una emigrazione e poi una nuova immi- grazione dello stesso genere in tempi posteriori. Quando verrà adottato un modo più ragionevole dell’attuale per impossessarsi dei tesori fossili del Val d’Arno, non c'è dubbio che anche questo genere e molti altri spettanti alla piccola fauna mammalogica ver- ranno alla luce. Un poco più di famigliarità colle collezioni paleontologiche della Toscana mi permette fin d’ora di fare qualche aggiunta alla lista dei Mammiferi del Val d’Arno superiore, data nel Corso di Geologia dello Stoppani. Ecco gli animali che fino a quest'ora mi sono conosciuti. Macacus florentinus Cocchi sp. Macacus ausonius n. sp. Felis 3 sp. Canis 2 Sp. Ursus etruscus Cuv. Mustela sp. Hyaena Perrieri Cr. et Job. CH. brevirostris Aym?). Hyaena arvernensis Cr. et Job. Machairodus 3 sp. Equus Stenonis Cocchi. Hippopotamus major Cuw. Mastodon arvernensis Croiz. et Job. Elephas meridionalis Nesti. Rhinoceros etruscus Falc. Sus Strozziù Menegh. in coll. Bos etruscus Falc. Grabethiere in Waldern vorkommen, so scharf sehen wir heutzutage allerwàirts das Gebiet der Hirsche und Antilopen getrennt ». (Rittimeyer, Uber die Herkunft unserer Thierwelt. Eine zoogeographische Skizze. Basel und Genf 1867, pag. 34). (4) Gli avanzi di Roditori nella breccia ossifera di Oliveto spettano ai generi Lepus ed Arvicola. 40 C. I. MAYOR — MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA Cervus dicranius Nesti Mss. Cervus ctenoides Nesti Mss. Cervus 2 Sp. Castor pheidens n. sp. Hystrix sp. Lepus sp. (Continua) I TERRENI SUBAPENNINI DEI DINTORNI DI S. MINIATO AL TEDESCO OSSERVAZIONI DI CARLO DE STEFANI I dintorni di S. Miniato al Tedesco capoluogo di circondario nella provincia di Firenze, come le colline più basse del rimanente della Toscana, sono costituiti da sabbie e da argille che alternano fra loro in strati più o meno potenti e che si compenetrano a vicenda, tanto che spesso l'estremità di uno stesso banco è sab- biosa mentre l’altra estremità è argillosa. A cagione di questo alternare e del compenetrarsi degli elementi diversi costitutivi del terreno è facile dedurre, che dalla semplice diversità della loro natura non si può trarre un criterio per istabilire una classifica- zione delle epoche geologiche durante le quali essi furono depo- sitati. Nemmeno si può ritenere in modo assoluto che le sabbie denotino un deposito littorale e le argille un deposito d'alto mare, nè che la loro alternanza traduca la oscillazione del fondo, basso mentre si depositavano le sabbie, materiali più pesanti e che perciò le acque influenti non trasportavano lungi nel mare, appro- fondato, mentre si depositavano le argille, tenute per lungo tempo in sospensione dalle acque marine: infatti spesso vedonsi sabbie in luoghi che certo erano assai lontani dal lido, ed argille, OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO 44 dappresso a roccie che indubbiamente erano lido al mare plioce- nico, come avviene p. es. ad Empoli e verso Vinci ai piedi del Monte Albano. Del resto anche un abbassamento od un solieva- mento, benchè di qualche metro, alla base dei monti che forma- vano in gran parte le spiaggie de’ nostri mari pliocenici, non pote- vano bastare a produrre una distanza od una vicinanza tale dalla medesima da indurre cangiamenti nella natura dei depositi di un punto determinato. Onde spiegare a modo la causa della deposi- zione di quei diversi elementi nel mare pliocenico, conviene ricor- rere, naturalmente, alla qualità diversa degli elementi che vi erano trasportati dalle acque. terrestri, alle regioni donde queste provenivano ed all’ alternare delle piene e delle magre. I terreni eocenici circondanti nella Toscana il mare pliocenico, hanno for- nito per la maggior parte i materiali e i depositi marini di quel- le epoche; le sabbie gialle come le argille turchine sono derivate particolarmente dallo sfacelo del macigno, e tuttodì alla superficie di questa roccia dove è maggiore la esposizione alle intemperie, vedonsi produrre pell’ lione della medesima argille e sabbie simili a quelle marittime plioceniche. Or naturalmente i materiali più pesanti provenienti dallo sfasciamento delle roccie, trasportati al mare, verranno depositati non lungi dal lido ed i meno pesanti saranno trasportati a distanze maggiori nell'alto mare; però il trasporto dei materiali più pesanti fino al mare è subordinato a circostanze non ordinarie, di grandi pioggie, di piene, di acque im- petuose, ed in questi casi quei materiali possono essere tenuti in sospensione lungo tempo, ed essere depositati lungi dalla spiaggia anco podi ma, dall'intervento di correnti marine. Per lo contrario in tempi ordinarii, o dopo che il fiume abbia deposi- tati i suoi detriti in laghi od in lagune, l'argilla che sempre in maggiore o minore quantità è tenuta sospesa dalle acque, può alla fine depositarsi presso il lido medesimo: questi fatti costante- mente si verificano anche al giorno d’oggi nei nostri mari. Che spesso l’alternare delle sabbie e delle argille non riproduca se non l’alternare delle condizioni dei bacini idrografici, sembra pro- vato anche da ciò, che molte volte immediatamente sopra le sab- bie sono gli strati del legno e dei materiali più leggieri traspor- tati senza dubbio dalle piene dei fiumi e de’ torrenti, e posati sul fondo dopo il deposito dei materiali più pesanti. La regolare alter- nazione di tanti e tanti straterelli sovrapposti, di sabbie, di legni 49 DE STEFANI e di argille potrebbe rivelarci una ben lunga istoria delle vicende delle stagioni e delle annate in quelle lontane epoche geologiche ('). (4) Se la distinzione fra le argille e le sabbie non ha tutta l’importanza geologica che le viene attribuita, ha però importanza tecnica ed agraria deri- vante dal vario carattere dei materiali, essendo le sabbie gialle facilmente per- meabili alle acque e più calcarifere, costituite come sono, specialmente le più grossolane, oltre che da granelli silicei, da grani e da ghiaiette di calcare; le argille turchine invece sono compatte, tenaci, non permeabili, e pregne di sali diversi e di sostanze organiche che le acque e gli agenti esteriori nemmeno con lungo lasso di tempo hanno potuto strappare a loro. Quinci ne derivano la diversa facilità e le diverse attitudini di cultura agraria secondo la qualità degli elementi chimici e secondo il modo di comportarsi rispetto alle acque atmosferiche. Di qui deriva pure la facilità e la solidità delle costruzioni, maggiore sulle sabbie che sulle argille, onde sulle sabbie sono fabbricate le città della Toscana aventi per base terreni pliocenici come S. Miniato, Volterra, Siena, Colle ec. Le argille poi, a quanto si dice, contribuiscono allo sviluppo della malaria specialmente là dove il suolo spoglio di vegetazione è più soggetto all’ alternare delle pioggie ed alle sferze del sole che lo mettono in ribollimento: come è noto le argille sono una sorgente continua di emanazioni putride e maligne derivanti dalla decomposizione degli infiniti corpi organici che vi morirono e vi rimasero sepolti mentre esse erano ancora un fondo di mare. Prove sensibili ed immediate dell’esistenza di questi prodotti di decomposizione organica, se ne possono avere parecchie; così calcinando in una storta le argille si svolge copia di gas mefitici e di carburi d’idro- geno, che sono quelli i qu impartiscono la calore turchina a tutto l’am- masso delle argille medesime. La stessa acqua pluviale dilavando superficialmente le argiile sulle quali scorre, trascina seco resti delle materie organiche e battendo e ribattendo nelle cascate e contro i sassi forma una schiuma a guisa del sapone, la quale dopo le pioggie resta visibile galleggiando in tutto il corso inferiore del- l'Arno, ed attesta la-provenienza delle acque dalle vallate secondarie al di sotto della Golfolina le quali appunto sono per la maggior parte scavate nelle argille plioceniche. Finalmente se dopo una pioggia che abbia penetrato alquanto il ter- reno si cala nelle buche e nelle fosse entro l'argilla, dove minore sia il movi- mento dell’aria, si appalesa sensibilmente il fetore di materie organiche e di gas solforati. Anche il regime della strade in molta parte delle provincie di Firen- ze, di Pisa, di Siena e di Grosseto, si risente della natura delle argille, poichè mentre le sabbie si lasciano penetrare dall’acqua che nel loro seno non ristagna, quelle sono ribelli ad assorbirla, ed assorbitala alquanto, non la lasciano penetrare in addentro laonde nel verno serbano una mota che dura fino a che non l’abbiano seccata cocenti raggi di sole. Ma pure le argille alla lor volta offrono dei vantaggi, poichè nelle vicinanze delle case coloniche vi scavano profonde cavità cui adducono per mezzo di fossi, gli scoli de’ campi e delle strade ne’ tempi di pioggia e così vi formano de’ serbatoi all’ aperto, in vernacolo delle pozze, dove l’acqua dura spesso tutta la state; in tal modo vien posto rimedio alla scarsità delle fonti per dar bere agli animali. Le fonti poi, ed i pozzi sono aperti alla base delle sabbie dove esse posano sulle argille, poichè l’acqua che goccia goccia stilla pei meati di quelle, scorre alla loro base e viene a radunarsi nelle cavità formate sopra di queste: perciò quando si scavi un pozzo nelle sabbie basta approfondarlo sino alla faccia superiore delle argille sottostanti; quando poi lo si. scavi in un piano di argille, è necessario forare queste e le sabbie sottostanti, sino OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO 43 Fra i principii minerali contenuti nelle argille e nelle sabbie di S. Miniato si possono menzionare il carbonato di soda, ed il sol- fato di calce o selenite. Il carbonato di soda forma spesso efflore- scenze ed incrostazioni sulle argille in certi luoghi esposti al sole, e durante i tempi asciutti. Il solfato di calce, o selenite, detto dai paesani vetro canino, è copiosamente sparso nelle argille come nelle sabbie: per entro a queste l’ho trovato non in cristalli ma in vene che irregolarmente traversano gli strati, e nelle quali le fibre del minerale sono come d’ordinario disposte perpendi- colarmente alle pareti; quivi, dovè esser lasciato da acque che lo tenevano disciolto e che filtrarono dopo la deposizione degli strati. Nelle argille, il solfato s1 trova invece in cristalli general- mente belli e grossi, geminati spesso a tre per volta, che sono stati studiati in parte dall’ Achiardi ('): le loro faccie più sviluppate e che danno la maggior lunghezza al cristallo sono sempre parallele alla direzione degli strati, e spesso nel loro interno si vedono dei grumi di argilla, o delle foraminifere ed altri materiali estranei che non si trovano nelle argille circostanti: talora si vedono dei minuti cristallini rivestire tutt’all’intorno frammenti d’ostraea 0 d’altre conchiglie. Le condizioni nelle quali giacciono questi cri- stalli, ed il trovarsi preferibilmente o sotto o frammezzo a strati legnosi, fanno supporre che siensi prodotti per reazioni chimiche in presenza della decomposizione di corpi organici. Altri mate- riali estranei contenuti nelle sabbie e nelle argille, ma più parti- colarmente in queste ultime, sono degli straterelli di legno più o meno carbonizzato. Impronte di foglie e frammenti di legno se ne trovano in più strati ed a diverse altezze, attestando la vi- cinanza alla terraferma o la esistenza di paludi, sebbene non vi abbia mai trovato altro documento che ciò confermasse; ma lo strato maggiore di lignite è nelle parti inferiori di que’ terreni e comparisce nel fondo delle valli p. es. nel fondo della Val d’Ensi e a trovare la faccia di un altro piano argilloso impermeabile. In taluni luoghi poi si usa scavare nelle sabbie in varie direzioni, dei cunicoli che hanno la lunghezza financo di più chilometri e che radunano gli stillicidii cadenti dalla volta, facen- doli convergere per mezzo di condotti ad un solo fil d’acqua che viene portato ai paesi. Le acque però non sono mai affatto pure, e particolarmente quelle che sor- gono in vicinanza delle argille contengono disciolti in variabili quantità bicarbo- nato di calce, cloruro di sodio, solfato di magnesia, solfato di calce, solfato e car- bonato di soda e sostanze organiche. (4) A. D’Aehiardi, Mineralogia della Toscana Vol. II, pag. 363. 44 DE STEFANI nel basso della Val d'Elsa presso al Ponte a Elsa in un luogo detto le Fontine, presso le Grotte; quivi lo strato presenta lo spessore di circa due decimetri, e nel 1866 mentre era intrapresa la strada ferrata Senese ne fu tentata la escavazione mediante due o tre gallerie; ma il materiale non ha un grande potere calorifero, oltre di chè è inquinato dall’argilla e dalla sabbia e sopratutto è in troppo poca quantità nè v’ ha speranza che questa aumenti nei- l'interno, per cui non merita che si facciano lavori speciali per estrarlo dalle viscere della terra. Questa lignite si compone di frammenti di legno, di tronchi, di frutti di conifere, ammucchiati gli uni sugli altri e che furono depositati in seno al mare poichè negli strati che li racchiudono, insieme con qualche dente di R%/- noceros trovato al Ponte a Elsa, esistono frammenti di conchiglie marine ed individui del Buccinun duplicatum, del Cerithium spina etc. Si trovano poi quà e là degli strati di ciottoli, meritevoli di essere studiati, spesso assai grossi, come p. es. alla sommità delle colline insieme con la rena grossolana detta sansino, a S. Quin- tino, a Coiano, Corniano, Capriano ec. e finalmente nelle parti in- feriori delle valli nel basso della Val d’Ensi e sopra il surramen- tato strato di lignite in Val d'Elsa. Li dissi meritevoli di essere studiati poichè per mezzo di loro si discopre quali sono i mate- riali dalla cui denudazione si formarono. Una certa uniformità si palesa quì a S. Miniato nella natura di questi materiali ai di- versi livelli ne’ quali si trovano, avendosi come è naturale una varietà maggiore lù dove i ciottoli sono più piccoli e ridotti allo stato di ghiaiette, poichè le loro minori dimensioni sono effetto del maggiore cammino percorso nel seno alle acque che li traspor- tarono da più diverse e da più lontane località. Può essere che ta- luni de’ ciottoletti derivino dalla catena metallifera, cioè dalle Alpi Apuane, dal Monte Pisano, da Jano o dalla Montagnola senese, ma io non ho mai trovato traccie di micaschisti, di anageniti, e di altre roccie che mi provassero in modo non dubbio la provenienza da quelle località che sono tutte assai lontane ed i cui detriti si trovano in altre direzioni. Ho trovato invece roccie provenienti dall’Apennino, ma non conoscendo bene tutte le località circon- vicine di questa catena non potrei dire da quali principalmente esse derivassero, per cui lascio ad altri lo scioglimento di tale questione. Questi strati ciottolosi sono però la continuazione di OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO 45 quelli della Val d'Elsa, della Val di Pesa e delle colline senesi, studiati questi ultimi anche dal Capellini (!), 1 quali tutti pale- sano la stessa derivazione Apenninica sebbene più quà e più là taluna qualità di roccia abbia predominio sull’ altra, secondo la natura delle corrispondenti pendici da cui derivano. Al Ponte a Elsa, il deposito de’ ciottoli sopra lo strato lignitifero è costituito di quarzo, di selce nera, di diaspro rosso, di arenaria grossolana e compatta come il macigno o la pietra forte, di calcare grigio come l’alberese o la pietra colombina e finalmente di una quarzite, gra- nulare, cristallina e grigio scura, il cui analogo non conosco nella Catena metallifera e che forse deriva pur essa da qualche strato Apenninico: come si vede, queste sono in generale roccie cretacee o tutt'al più eoceniche. Nell’alveo attuale dell’Elsa 1 ciottoli sono quasi della stessa natura, ma è a dubitarsi che invece d'essere strappati dai loro giacimenti originarii, lo sieno dalle stratifica- zioni de’ ciottoli già formati contenute nel terreno pliocenico, che la valle in tutta la sua lunghezza traversa. Nel deposito ghiaioso superiore, il quale vien detto volgarmente sarsino ed ha i carat- teri di una potente alluvione, sì trovano pure roccie appenniniche e queste stesse roccie ritrovansi nelle ghiaiette le quali compa- riscono in certi strati intermedii in più località p. es. in Val d’Ensi sotto il cimitero di Calenzano e nei colli della Val d'Elsa verso Poggio a Isola. I materiali di cui sono costituite quelle ghiaiette che ho esaminate sono: quarzo bianco, pietra silicea rossa, pie- tra silicea nera, diaspro verdastro, arenaria macigno compatta 0 grossolana, micacea, abbondante, schisto nero simile a quello che accompagna il macigno o la pietra forte, schisto verdolino decom- posto che si sfarina premendolo fra le dita, calcare alberese, cal- care nerastro marnoso forse cretaceo, calcare bianco, e finalmente serpentino diallagico che il mare sballottò e derivò da qualche pendice della catena serpentinosa. È legge semplicissima, che i grossi detriti circostanti alle spiaggie di un continente abbiano la natura delle roccie di questo continente, ancorchè più prossime sieno delle isole costituite da roccie diverse; infatti i continenti o le masse di terra maggiori hanno corsi d’acqua maggiori e più potenti, e producono copia più grande di detriti che sì pro- tendono maggiormente nel mare e che la vincono sopra i detriti in (') Ne fù parlato nel Congresso di Siena del 1872. 46 DE STEFANI minor quantità derivanti da masse di terra più piccole: viceversa l'estensione maggiore dei detriti verso il mare può denotare, supplendo ad altri argomenti, quale fosse il continente o l’asse orografico nei tempi cui essì appartengono. Come nelle colline in- torno al Monte Pisano i ciottoli pliocenici sono formati dalle roccie delle Alpi Metallifere che erano l’asse continentale immedia- tamente vicino, così nel Fiorentino e nel Senese lungo il contraf- forte del Chianti derivante dall’Apennino è naturale che si trovino per estesa superficie ciottoli delle roccie di questa catena, ancorchè talune isole serpentinose o delle Alpi Metallifere fossero più. vi- cine. La presenza di que’ ciottoli può essere nello stesso tempo una prova di più, che l’Apennino in quell’ epoca già prevaleva sulle altre elevazioni e già era asse orografico importante nel- l’Italia ('). Però i materiali più importanti che gli strati argillosi o sab- biosi racchiudono, sono i resti di animali fossilizzati appartenenti alle diverse classi p. es. al mammiferi, ai pesci, al crostacei, ai molluschi, ai briozoi, agli echinodermi, ai coralli ed alle forami- nifere. Resti di grossi mammiferi si trovano di preferenza negli strati ciottolosi che denotano una minor lontananza dal lido; sono specialmente gli strati superiori del sansino che presentano il mag- gior numero di que’ resti talmente che potrebbero venire conside- rati come un grande ossario, e sono ben note a tale proposito, le (4) Nei dintorni di S. Miniato, qualche volta, specialmente nel sansino, i de- triti sono semplicemente quarzosi e piecolissimi, onde formano una rena bianca adattatissima a rimpastare la calce e la quale anzi viene scavata a tale scopo in più luoghi, ad esempio a Calenzano: altre fiate, p. es. in Val d’Ensi, i granelli sab- biosi sono impastati da cemento calcarifero per cui si forma una arenaria, una spe- cie di molassa, tenera appena sia scavata, ma che all’aria indurisce, ed allorchè sia più compatta può servire qualche volta a costruire termini, capisaldi, bozze, ec. Quando il cemento calcareo è di gran lunga predominante si passa ad una vera e propria panchina come in Val d’Ensi e sotto la villa Bombardieri. Anche l'argilla stessa allorchè trovasi a contatto con grossi banchi di conchiglie si impregna del carbonato di calce prodotto dalla dissoluzione dei gusci delle conchiglie e diventa compatta a guisa di certi calcari marnosi che accompagnano la pietra-forte cre- tacea. Or qui, giacchè sono a parlare dei caratteri litologici delle roccie e della loro utilità pratica, aggiungo che le argille turchine in molti luoghi vengono sca- vate per farne mattoni, e potrebbero esserlo eziandio per la fabbricazione delle terraglie e delle porcellane essendo identiche a quelle di Montespertoli in Val d’ Elsa che vengono asportate in grande quantità per la fabbrica del Ginori: molte varietà di quelle argille poi, sarebbero adattatissime per il digrassamento o folla- tura delle lane, dei panni ec. OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI $. MINIATO 47 alture di S. Quintino, Coiano, Capriano, Corniano, Calenzano ec.. Talora però anche nelle argille furono trovate difese di elefante, ossa e scheletri interi e p. es. ai Cappuccini nelle argille sovrap- poste ad alcuni banchi di Turritellae fù trovata una difesa di Ma- stodon la quale ora si conserva nel ginnasio di S. Miniato. Negli strati inferiori presso il Ponte a Elsa un cavatore di rena trovò un dente di A/mnoceros. Nelle argille poi si trovano particolar- mente resti di mammiferi marini, ed io stesso trovai delle ver- tebre di una balenottera nelle argille della Val d’ Ensi: in una vallecola sotto la villa Bombardieri sono tuttora in posto dei resti di uno scheletro verisimilmente appartenente ad una balena. I resti di pesci si trovano più raramente; io ritrovai soltanto delle piccole vertebre isolate negli strati al convento dei Cappuccini ed in Val d’Ensino, ed uno dei così detti palati di pesce negli stessi strati sotto il convento. Più frequenti specialmente nelle argille, sono 1 denti di squalo (Charcarodon) ed è facilissimo averne in quantità, oltre quelli che di propria mano si raccolgono, poichè i contadini, che li appellano spicchi di saetta, ne tengono conto, e, per non so quale curiosa idea derivante certo dalla loro forma appuntata come quella che il volgo attribuisce al fulmine, so- gliono porli sui davanzali delle finestre come talismano contro la folgore. I crostacei abbondano e sotto varii aspetti presentano le loro forme fossilizzate nelle sabbie ma specialmente nelle argille. Gli entomostracei sono frequenti nelle sabbie superiori presso Ca- lenzano: frequenti sono pure i granchi; di questi il più spesso non sono rimaste se non le chele, generalmente incluse in glebe elis- soidali indurite per effetto della materia calcarea concentrata in- torno a loro ed in quelle glebe esse stanno completamente na- scoste o appena sporgono per una estremità, onde non destano il sospetto della loro esistenza; ma se col martello avviene che si dia un colpo sur uno dei lati più stretti della gleba nel senso della sua maggiore lunghezza, schiudesi la pietra in due parti, e viene discoperta pulitamente la chela del crostaceo. Fra le altre località, quelle glebe fossilifere sono abbondanti ai Cappuccini verso il torrente Dogaia, inferiormente agli strati conchigliferi. Ma degni di nota sono gli individui interi e di non piccole dimen- sioni che ho ritrovati negli strati sotto il Convento dei Cappuc- cini sulla strada che va in Val d’Ensino; quei corpi stanno, pari pari, nella posizione nella quale morirono e colle loro estremità 45 DE STEFANI ritirate, entro l'argilla; ma il più delle volte sono essi pure coperti e nascosti da una veste indurita nel modo delle glebe suaccennate, che conviene rompere: anche presso Meleto si trovano fossili con- simili. Altre volte p. es. nella Valle di S. Angelo, sfaldando le ar- gille secondo i loro piani di stratificazione si trovano le impronte di piccoli granchi di specie diverse e talora dopo le pioggie se ne trovano i gusci perfettamente isolati e conservati. Briozoi di varii generi sì trovano nelle sabbie superiori presso Calenzano ed anche in Val d’Ensino e negli strati più antichi al Ponte a Ensi, a Pog- gio a Isola ed altrove. Gli echini si trovano quasi dovunque se si rompono i massi delle argille secondo i piani di stratificazione; più frequente che le placche ne è lo scheletro intero, compresso e deformato, ovvero l'impronta di esso segnata in rosso dall’ossido di ferro, od in nero intenso dalla materia organica od anche in giallo forse da zolfo o da ocra gialia. Fra i coralli è frequente negli strati intermedii, a S. Quintino, verso Canneto, Meleto, e Coiano ed in basso della Val d’Ensi, la Cladocora coepistosa. Edw. et H., la quale sembra formasse in queste diverse località uno scoglio o banco posato ora sulle argille, ora sulle sabbie, sem- brandogli indifferente la natura del fondo, e bastando forse una abitazione inferiore di qualche metro al livello del mare. In quel banco dimoravano varie colonie di piccoli molluschi univalvi, ad esempio di Typhis tetrapterus Mich., di Buccinum duplicatum, Sow., di Murex incisus Brod., ec. Negli strati superiori poi trovasi quà e lù qualche individuo di una nuova Lalanopkyllia affine alla B. concinna Reuss. Le foraminifere non sono molto abbondanti e di preferenza le trovai nelle sabbie a Calenzano ed in Val d’'Ensino ma delle specie di esse non ne ho determinata alcuna. Fra i cirri- pedi finalmente si trovano due o tre specie appartenenti al genere Balanus. Più frequenti e più abbondanti di tutti sono i resti de’ mollu- schi che già il Brocchi padre della conchiologia subapennina ('), ed il Costa (£) studiarono in questi luoghi, e dei quali pubblicai un catalogo (*), 10 pure. Gli studii sulla loro distribuzione geogra- fica, sulla loro dimora e sulle loro varietà sono interessantissimi a (!) Brorchi — Conchiologia fossile subapennina. (?) O. G. Costa. — Osservazioni sulle conchiglie fossili di S. Miniato in Toscana. (3) Fossili di S. Miniato in Toscana. Molluschi bivalvi ed univalvi (Bollettino ma- lacologico Italiano 1873. OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO 49 farsi nei terreni pliocenici poichè negli altri più antichi, quindi più compatti e più metamorfosati, i resti di quegli animali com- pariscono meno evidenti ed in stato meno naturale. Nell’epoca attuale poi non possiamo raccogliere se non quelle conchiglie che vivono alla spiaggia de’ mari o che vi sono gettate confusamente, e quelle che la draga porta seco dalle profondità: nei terreni plio- cenici invece abbiamo ampie superficie e grandi spaccati di un ma- re, pietrificato per così dire in tutti i suoi tempi successivi che vengono compresi ad una volta sola sotto i nostri occhi, onde vi sorprendiamo i molluschi nella loro stazione naturale; vediamo quelli rotolati ed ammucchiati dalle correnti litoranee e da quelle plagiche; vediamo quelli viventi presso le spiaggie e quelli viventi in alto mare; quelli che preferivano fondi e seni di mare diversi; quelli che stavano isolati e quelli che stavano in colonie, e pos- siamo conoscere in modo quasi completo le faune delle diverse località ed istituire utili paragoni fra di loro. La conservazione della lucentezza e dei colori naturali nelle conchiglie è talora perfettissima specialmente in quelle conservate nelle argille. I colori meglio conservati p. es. nelle naficae, poi ne’ coni, nelle phasianellae, ne’ trochi, ne' cardii, nelle ostreae ec. sono quelli spettanti alla scala fra il rosso e il giallo forse perchè dovuti ad ossidi di ferro; anzi, che sien formati da sostanza mi- nerale meno dissolvibile che il carbonato calcare della conchiglia lo si vede da ciò, che quando il guscio è già alterato e calcinato, i punti colorati emergono rilevati sopra il resto della superficie che è stato assai più facilmente corroso e smangiato dalle acque. Talvolta i gusci conservati nelle argille hanno sulla superficie una tinta nera che svanisce colla calcinazione e ch'è cagionata dai carburi d’idrogeno rimastivi dopo la decomposizione della sostanza organica della conchiglia. Se negli strati accadde qualche pres- sione fuor dell’ ordinario o venne meno l’ equilibrio solito, le conchiglie furono depresse e deformate, senza però rompersi, ac- cennando così alla lentezza della compressione ed alla plasticità de’ materiali. Dove poi dei grani di sabbia si trovarono a contatto coi gusci, questi ne furono improntati quasi sempre, come accade de’ ciottoli di certe alluvioni e di certe roccie puddingoidi. Di rado, quando il guscio calcareo scomparve, rimase il nucleo della con- chiglia e soltanto nelle argille che furono solidificate dal carbo- nato calcare del guscio esterno disciolto. Questo sul modo di con- 4 50 DE STEFANI servazione delle specie, quanto alla loro distribuzione, in generale desse vissero nel luogo stesso nel quale stanno fossili oggidì, e di rado presentano segni di essere state rotolate e trasportate in balia delle correnti: qualche volta invece d’essere straportate le conchiglie è stato asportato e poi sostituito il terreno che le rac- chiudeva; ad esempio m' è occorso più d’una volta trovare in un letto argilloso delle bivalvi serrate ed in posizione naturale, riem- pite da un sedimento sabbioso giallo affatto diverso dal circo- stante argilloso; ciò vuol dire che quegli animali dapprima mori- rono e furono sepolti in un terreno sabbioso, di poi, cambiò la natura del deposito e spazzate via le sabbie, lasciatevi i materiali più pesanti cioè le conchiglie, vi si formarono invece strati di ar- gilla. In questo modo, come eziandio quando i fiotti del mare rincacciano verso le spiaggie materiali strappati dal nudo fondo o dagli strati molli di esso, può accadere che fossili di un terreno antico sien portati a racchiudersi in sedimenti più recenti o che animali meno antichi sieno sepolti in terreno assai anteriore ri- mescolato. Questo è accaduto ed accade a Livorno, specialmente quando viene artificialmente rimaneggiato il fondo presso il lito- rale; vi sì vedono cioè fossili pliocenici o post-pliocenici sprofon- dati ne’ fanghi littorali dell’epoca odierna, o specie viventi attual- mente, seppellite nel fondo o nel litorale argilloso post-pliocenico. Quasi tutte le specie vissero a colonie campando e lasciando le spoglie ciascuna poco lungi dal luogo dove stettero i progenitori: p.e. la Turritella vermicularis Broc., in tutte le valli ad oriente di S. Miniato forma un banco continuo che passa dalle sabbie alle argille: ora è compatto ed alto sino 2 a 3 metri, ora assai meno, nè l’ ho veduto quasi mai sparire; talora degli straterelli di questa stessa specie si ripetono varie volte successivamente per uno spes- sore sino di 9 a 10 metri come è in una vallecola sotto la villa Bombardieri. La Mactra Pecchiolu Lawley, negli strati più pro- fondi generalmente sabbiosi della Val d'Evola e della Val d’Ensi (rara essendo in Val d'Elsa), dove segna un orizonte sicuro, forma accumulazioni grandiose alte fino a 10 metri, alternate quando a quando da letti di sabbia o di argilla, e. per quanto mi sappia sinora, sta recisamente limitata in quegli strati non trovandosi nè più sotto nè più sopra di essi. Forse quello fu l’unico centro d'origine della specie, e se ciò è vero, sarebbe questa pure una riprova del come una catastrofe improvvisa, p. es. un muta- OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO DI mento di clima, un cambiamento nella profondità o nella natura dei depositi ed in generale qualunque causa anche minima che rende impossibile la vita di una specie, la possa distruggere e fare sparire quando questa viva in una regione relativamente limitata donde niun individuo possa scampare. Al contrario le specie che vivono in maggiori estensioni di superficie è assai difficile che su- biscano contemporaneamente una identica causa distruggitrice sicchè durano per lunga serie di tempo, e ben si può dire, che la durata di una specie, e l'estensione di spazio che questa occupa stanno in ragione diretta fra loro. Così fra le specie da me tro- vate ne’ terreni di S. Miniato, che vivono attualmente oltre che nel Mediterraneo anche in mari stranieri, la maggior parte stanno pure fra le poche specie, da me trovate tanto negli strati superiori come negli inferiori e scendono fino all’ epoca miocenica, anzi ta- luna sino all’ eocenica. Il confino delle specie, cioè la loro agglo- merazione in centri determinati è cagione altresì che ne’ tempi pliocenici come negli altri, ogni seno di mare, per così dire, aveva qualche abitatore peculiare. Anche sur una superficie ristretta come può esser quella dei dintorni di S. Miniato, si vede questa specie prediligere un luogo e quella un’ altro; per cui le tante volte mal si crederebbe, sopra diversità di specie, fondare distin- zioni di epoche in strati che invece sono contemporanei. Devesi pure ricordare ciò che è stato detto a principio, cioè che quivi fra le argille e le sabbie non è regolare distinzione di epoca geologica nè può intendersi che esista una diversità ben decisa di deposizione litoranea o d’alto mare, perciò le conchiglie le quali stanno nell’uno o nell'altro di que’ terreni non possono dirsi a priori e per questo solo, più o meno antiche d'età, o litorali o pelagiche. Per quanto ho veduto, nemmeno si può esa- gerare l’importanza da attribuirsi alla distinzione delle specie se- condo la varia natura litologica del fondo o sabbioso od argilloso, dove esse camparono. Certe conchiglie p. es. la Gastrochaena du- bia Pen., l'ho trovate solamente entro il solido guscio di altre conchiglie come è lor costume; altre, p. es. la Pholas candida L., l’ho trovate in maggior quantità nelle argille che nelle sabbie; altre ne trovai più nelle sabbie, come le Ostreae, forse perchè offrivano una base più solida ad affissarvisi; ma non potrei dire d’averne ritrovata alcuna abitatrice esclusiva o quasi di quelle o di queste. Se i depositi sieno formati presso il lido, a poca 59 DE STEFANI profondità od in alto fondo, apparirà dalla natura delle specie, dall'aspetto loro che palesa se furono rotolate o più o meno smosse dalle acque, dalla presenza di ghiaiette ec. In generale gli strati superiori paiono litorali, i mediani formati sotto acque più alte ed i più antichi, a profondità maggiore. Le specie di conchiglie fossili da me raccolte presso S. Miniato, sono 281, cioè 91 bivalvi e 140 univalvi; di queste 93 cioè 29 bi- valvi e 64 univalvi rembra che non vivano più oggidì nel Medi- terraneo nè in altri mari, la proporzione delle specie estinte ap- petto a quelle viventi sarebbe adunque circa del 40 per 100; ma pelle univalvi in particolare la proporzione sale al 45 per 100 mentre pelle bivalvi scende al 31. Delle 138 specie rimaste oggidì, oltre alle tante che vivono comuni al Mediterraneo ed a mari forestieri specialmente all’Atlantico Europeo, 10 se ne trovano esclusivamente in questi ultimi; cioè, una nel Mar Rosso, ed è l'Arca candida Gmel., una nei mari del Settentrione d'Europa cioè il Murex incisus Brod., e 8 nelle acque tropicali dell’ Atlantico sulle coste dell’Africa e sono la Tellina lacunosa Chemn., la Venus plicata Gmel., la Tugonia anatina Gm., la Cancellaria nodulosa Lamk. od hirta Broc., il Trochus obliquatus L., la Terebra pertusa Bast., la 7. ccuminata Bors., ed il Buccinum conglobatum Broc.. Prescindendo dai mari della costa Atlantica Europea, nei quali pella rassomiglianza del clima vivono moltissime specie di conchi- glie identiche a quelle del Mediterraneo quindi a quelle fossili de’ terreni più recenti d’Italia, il numero maggiore delle specie ancora viventi in mari stranieri identiche alle fossili suddette, è nei mari caldi ad occidente dell’Africa. Il numero delle specie rimaste ne’ mari Orientali Africani ed Asiatici è assai mi nore e le rassomiglianze sono incerte; questo è pure un argomento a supporre che nel tempo de’ fossili di cui parliamo fossero già se- gnati e spiccassero sempre più dalla parte d'Oriente i confini de’ mari, mentre le vie di comunicazione coi mari occidentali, pro- babilmente anco più ampie che ora non appaiano, permettevano da quel lato la diffusione delle specie sopra una superficie mag- giore. L'identità non dubbia di parecchie specie p. es. della Venus plicata, della Tellina lacunosa, della Tugonia anatina ec. viventi sulle spiaggie del Senegal e della Guinea, colle nostre fossili, è un argomento, da meritare assai considerazione più che non ne abbia avuta in passato, in favore dell'identità di altre specie in certi OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO 53 casi finora dubbii ed è quasi una garanzia che accrescenilo e per- fezionando le nostre cognizioni circa alle specie viventi in quelle località Africane, il numero di queste simili alle fossili italiane verrà aumentato. Quanto ai generi delle conchiglie, le Plewroto- mae, i Coni, e le Mitrae di forme sì svariate, le Cardiliae, le Te- rebrae, le Ficulae, i Buccinuli, le Niso, gli Strombi che oggidì non vivono più nel Mediterraneo .ma si trovano ne’ mari tropicali, fanno supporre pur essi una condizione di clima in que’ tempi, diversa dall'attuale. Questa volta, pei generi, le somiglianze co’ mari d'Oriente sono assai maggiori che non pelle specie, e tuttii generi sunnominati estinti poi nei nostri paesi si trovano da noi anco in terreni di epoche assai anteriori, allorquando esi- stevano ampie comunicazioni toi mari orientali pelle quali gli animali marini avevano modo di estendersi da una regione al- l’altra, continuando a vivere dopo allorchè queste regioni veni- vano separate, e perdurando nell’una di esse mentre -nell’ altra per le circostanze mutate a disfavore si spengevano. Dalla proporzione delle specie estinte colle viventi, dalle specie de’ grossi mammiferi trovate ne’ luoghi circonvicini, dai generi e dalle specie delle conchiglie come le Arcae, i Pettini, le Pfeuroto- mae, 1 Cerithi, le Cancellariae ec. tutte qualità convenzionalmente caratteristiche del pliocene, ben si vede che i terreni di S. Miniato appartengono in modo non dubbio a quest’ epoca, e non può es- sere altrimenti poichè questi veramente sono fra quei terreni che gli autori hanno preso come tipi del pliocene subapennino. Però, dividendo gli strati in tre piani, superiore, medio ed inferiore, come io ho fatto e come si può fare con una certa naturalezza benchè si tratti di una altezza di strati limitata da 200 a 300 me- tri, si può trovare in ciascuno di quei piani qualche speciale ca- rattere. Negli strati superiori ai Cappuccini, a Calenzano ec. dove trovai 208 specie, essendovene solo 80 estinte, la proporzione di queste è del 58 per 100: questi strati sono più antichi degli strati di Vallebiaia studiati dal Manzoni, ne’ quali mancano le Terebrae, le Pleurotomae, ed altri generi frequenti invece a S. Miniato, e ne’ quali è ben minore la proporzione delle specie perdute. Negli strati medii che per la grande accumulazione de’ gusci della 7? ritella vermicularis, nel Catalogo de’ molluschi fossili bivalvi ed uni- valvi (Boll. Mal. It. 1875), ho appellato strati a Turritelle e ne' qua- li la fauna è quasi uniforme dovunque, la proporzione delle specie 54 DE STEFANI estinte alle viventi è in ragione del 44 per 100, ‘avendo trovato soltanto 67 specie viventi sopra 120. A questi corrispondono pro- babilmente in gran parte gli strati pliocenici del Bolognese, del Modenese, e quelli di Orciano e quelli superiori delle colline Senesi mentre gli strati d'Altavilla nel Palermitano paiono più antichi. Negli strati inferiori ho trovate poche specie, vale a dire solo 23: di queste, soltanto 11 non vivono più oggidì delle quali 2 paiono esclusive a questi terreni ('), e 9 sono abbondanti fin nel miocene più antico de’ bacini di Tortona, della Turenna, di Vienna e del Tago: (2) altre 12 poi, (*) se giungono fino all’epoca attuale, scen- dono pur tutte fino ai terreni già conosciuti per miocenici dove stanno fra le specie più abbondanti. Codesti strati, potrebbero adunque essere attribuiti con eguale ragione al pliocene come al miocene, anzi a quest’ ultima epoca geologica vengono, talora, rife- riti de’ terreni che hanno anche minore sembiante di appartenervi. Sedimenti marini rappresentanti del miocene esistono di certo alla base degli strati Subapennini nelle colline Senesi ed in Val d'Arbia come risulta dagli studii dell’Illustre Prof. Meneghini sulle fora- minifere e dall'esame delle conchiglie come l’Ostraea Boblayi ed altre, caratteristiche del miocene in altre località; ora è probabile che gli stessi sedimenti debbano ritrovarsi nella Val d’ Elsa, nella Val d’Era e nel basso delle altre regioni plioceniche Toscane. Però conviene osservare che, se la distinzione del miocene può esser fatta con apparente naturalezza in quelle località nelle quali non esiste la sovrapposizione del pliocene, nè può vedersi quindi il passaggio a terreni di quest'epoca più recente; nei terreni nostri invece dove questa sovrapposizione esiste ed il graduato passaggio è evidente, la distinzione, se par naturale come è di logica, fra gli estremi, è affatto arbitraria e convenzionale fra gli strati inter- medii onde può accadere ed accade che due geologi o paleontologi di autorità disputino fra loro, attribuendo uno al miocene qualcuno (') Buccinulus D'Achiardiî De Stefani, Mactra Pecchioli Lawley. (*) Avicula phalaenacea, Lamk., Cardilia Michelotti Desh., Arca Turonica Duj., Buccinum duplicatum Sow. (Vienna), Murex Hoòrnesi D’Ane. (Turenna), Strom- bus coronatus Defr., Pleurotoma exoleta Costa. (Tago), Cerithium tricinctum Broc., C. crenatum Broc.. (3) Panopaea glycimeris Born., Cardium edule L., Pectunculus glycimeris L., Arca diluvii L., Ostrea lamellosa Broc., Typhis tetrapterus Mich., Murex truncu- lus L., Cerithium doliolum Broc., C. spina, Partsch (scabrum), C. vulgatum Brug., Sigaretus striatus Serr., Dentalium dentalis L.. OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO DD dei nostri terreni che 1’ altro attribuisce al pliocene. Alla fin fine non sarebbe fuori di luogo dire quì, che più della distinzione fra pliocene e miocene fatta ne’ nostri terreni sembra naturale la de- nominazione unica di Subapennino e di epoca Subapennina data una volta ad essi, o, poichè quel nome esprime più la località che l'epoca, la riunione proposta dai geologi Tedeschi di tutti gli strati miocenici e pliocenici in un gruppo solo appellato Neogene o Terziario superiore, ben corrispondente nel suo insieme e nella sua durata al periodo dell’Eocene o Terziario inferiore. Del resto la incertezza e l’arbitrio che regna nell’assegnare al pliocene i limiti inferiori, ha luogo pure quanto ai suoi limiti superiori essendovi chi attribuisce a quell'epoca medesima terreni dove la proporzione delle specie estinte è appena del 5 per 100 od anche minore, e questo deriva perchè nemmeno a distinguere il pliocene dalla epoca pliostocenica, è posto un limite retto ed as- soluto come si farebbe per i periodi storici ma sono învece apposti dei limiti elastici entro i quali è permesso ad ognuno di vagare. Ma concludendo, come gli strati superiori di S. Miniato sono in- dubbiamente tipici del pliocene, così quelli inferiori di cui finora ho parlato si possono attribuire al pliocene inferiore, o neogene moderno, e per chi volesse abbellirsi di altre denominazioni al piano Messiniano di Mayer. Gli ammassi della Mactra Pecchiolti che sembrano estendersi in modo continuo verso il mezzogiorno serviranno probabilmente a far rinvenire gli strati esattamente corrispondenti a questi, nella Toscana più meridionale e più oc- cidentale. Dopo aver discorso della deposizione di questi terreni e della loro epoca, è naturale il parlare del loro sollevamento e del modo di questo, e giù i profondi studi di Paolo Savi hanno chiarito l’ar- gomento ('). Il fondo del mare a cagione degli strati subapennini che si depositavano veniva mano mano riempito, poi era forse anche sollevato; alluvioni o correnti litorali subacquee denudavano le parti superiori dei depositi, sui quali si adagiava poi in modo non perfettamente concordante il sedimento alluvionale. Questo sedimento appellato sans:no, che siccome abbiamo detto altrove forma la sommità di tutte le colline a mezzo giorno di S. Miniato estendendosi del resto in più altre località della Val d’Era e della (1) P- Savi. Dei sollevamenti avvenuti dopo la deposizione del terreno pliocenico nel suolo della Toscana. 1863. 56 DE STEFANI Val d'Elsa, si compone di rena e di ghiaie grossolane e contiene abbondanti resti di grossi mammiferi il cui studio deciderà se il sansino di queste località, sia pliocenico o post-pliocenico. Certo esso fù un deposito alluvionale derivato dalla prossima terraferma, ma per la massima parte almeno, si arrestò sotto il livello delle acque marine probabilmente presso il lido, poichè vi trovai talora commisti alle ossa de’ mammiferi, degli individui di Ostraea pu- silla e di Panopaca gljcimeris. Questo sansino rappresenta uno dei piani superiori del terreno Subapenino ed oltre a non trovarsi in concordanza perfetta cogli strati sottostanti, forma il termine più alto della serie loro non avendo sopra di se nè altre sabbie nè ar- gille. Il sollevamento finale pel quale gli strati Subapennini To- scani divenivano terra ferma e formavano poi le colline dove ora vediamo i loro spaccati, accadeva, come il Savi ha fatto notare, lungo una linea diretta da ponente a levante la quale traversa Volterra e Siena formando un angolo non molto lontano dal retto colle criniere Apenniniche, e giungendo a quanto pare anche di lù dalle colline del Chianti fino im Val di Chiana. L'malzamento non pare d'epoca anteriore al deposito de’ terreni Subapennini, poichè le cime come si è detto, ne sono costituite dai loro strati, ed ap- parisce continuato anco dopo il post-pliocene perchè gli strati post-pliocenici della Val di Chiana paiono averlo subìto: per effetto di esso, in epoca relativamente non antica, l'Arno avrebbe mutato il suo corso come hanno dimostrato i belli studii del Coc chi (!): nulla poi esclude che il sollevamento continui anche nell’epoca at- tuale. Per la diversità della direzione e per la diversità dei terreni sollevati, sembra si tratti di un sollevamento indipendente da ogni altro; ma pure non si può prescindere dai suoi rapporti col sistema di sollevamento Apenninico col quale lo si vede stare in rapporto come asse secondario di fronte ad asse principale o quasi come spina alla colonna vertebrale di un pesce. La più grande altezza raggiunta dagli strati lungo la linea da Volterra a iena, è siccome dice il Savi, dà 500 a 600 metri; però l'innalzamento totale di ogni strato in quella posizione, è da ritenersi maggiore assai, conciossiachè gli strati allo scoperto, sulla criniera segnata da quella linea specialmente nel Senese, sieno de’ più antichi del pliocene. Ciò significa che trovandosi quella regione nel punto della (4) Ta Cocchi. L'uomo fossile. OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI S. MINIATO rd massima forza sollevatrice, probabilmente emerse prima, onde prima fù soggetta ad essere denudata e spogliata via via dei suoi strati superiori che invece sono rimasti negli altri luoghi più bassi della Toscana e che se colà pure fossero restati formerebbero la cima di colline elevate di certo più che 500 o 600 metri. Dai due lati opposti di quella criniera, acquapendono gli strati, inclinati da settentrione a mezzogiorno verso la Maremma ed il Lazio, da mezzogiorno a settentrione nella parte opposta verso Arno: l’an- solo dell’inclinazione, tanto più alla base dell’anticlinale è assai | piccolo come è facile figurarsi. Oltre al sollevamento nella dire- zione ora detta, gli strati subapennini ne subiscono un’ altro seb- bene d’importanza minore, nella direzione della Catena Apenni- nica, dalle pendici del Monte Albano a quelle del Chianti, come avviene ne’ terreni della stessa epoca che sono al di là dell'A pen- nino medesimo. Questo sollevamento che è la continuazione di quello che ha prodotto le criniere A penniniche e che tenderebbe a fare di quegli strati cintura alle roccie più antiche della Catena, impartisce loro una inclinazione verso S. 0. la quale combinandosi colla inclinazione perpendicolare impartita dal sollevamento Su- bapennino, condurrebbe senza dubbio negli strati un pendio in- termedio e diagonale ai segnalati: se nonchè essendo il solleva- mento Subapennino assai prevalente, la inclinazione da esso pro- dotta viene di poco disturbata dall’altro il quale però non cessa di essere palese a chi studii gli strati della Val d’ Elsa e della Val di Nievole. Quivi infatti gli strati suddetti sono addossati ad angolo sull’asse eocenico e cretaceo dell’Apennino e sì mostrano più elevati di quelli che sono più a ponente verso il mare. Nei dintorni di S. Miniato gli strati inclinano da E. S. E. verso 0. N.0. ma in generale con sì piccola pendenza, che ove non si considerino in grandi tratti paiono quasi orizzontali: per effetto di quella in- clinazione rimontando il corso delle valli, sia quella dell'Arno da ponente a levante, sia quelle perpendicolari dell’ Elsa, dell’ Evola, della Pesa ec. da settentrione a mezzogiorno, si passa da strati più recenti a strati mano mano più antichi. Sono a ripetersi per ultimo anche a proposito di questo sollevamento, le osservazioni fatte dallo Scarabelli sulle Alpi e sulla parte settentrionale del- l’Apennino ('), che cioè il corso dei fiumi è determinato dalle linee (4) G. Scarabelli. Sulla probabilità che il sollevamento delle Alpi siasi effettuato sopra una linea curva. 5S DE STEFANI — OSSERV. SUI TERRENI SUBAPENNINI DI $S. MINIATO de’ sollevamenti ed alla sua volta segna e riprova all’ osservatore la direzione di questi. Nella Toscana infatti, come nelle regioni sottostanti ai due citati sistemi montuosi, i corsi d’acqua che scorrono dai due versanti del sollevamento Subapennino sono perpendicolari alla linea del sollevamento piu volte citata. A mez- zogiorno la direzione delle valli è turbata dai numerosi solleva- menti di varia natura, vulcanici, o serpentinosi i quali hanno tormentata la Toscana meridionale ed il Lazio. A settentrione dove la superficie del suolo fu assai meno disturbata, la regola si manifesta in tutta la sua semplicità. Il sollevamento, dopo aver costretto l'Arno che prima traversava la Val di Chiana da settentrione verso mezzogiorno a rivoltare il suo corso salendo verso l'antica valle della Sieve per versarsi poi dove ora è la pianura fiorentina, ne segnò il corso inferiore dove esso è at- tualmente in direzione parallela al crinale subapennino e lungo la base di esso: tutte finalmente le principali valli confluenti del- l’Arno, che traversano gli strati Subapennini, e tali sono quelle della Pesa, dsll’ Elsa, dell’ Evola e dell’ Era scendono parallele fra loro dirette da S. a N. perpendicolarmente alla direzione del sol- levamento Subapennino ed al corso dell'Arno. È questa del resto una regola che si deve trovare verificata in qualunque solleva-- mento nel quale l’antichità e la lunga serie delle vicissitudini subìte non abbiano stravolta la semplicità delle cose, e nella varietà e moltiplicità delle circostanze è un effetto naturale della legge semplicissima di gravità la quale conduce le acque pioventi da una criniera a percorrere il cammino più breve per scendere il declivio sottostante. DEI RESTI DI PESCI FOSSILI DEL PLIVCENE TOSCANO NOPRA CDI ROBERLONEANISEM —— OT: Letta all’ Adunanza 31 Maggio 1874 a Pisa E certamente con poco coraggio che io mi presento quasi per la prima volta a discorrere sopra a soggetti di Scienza Naturale, ma queste mie parole saranno poche e più che altro dirette a richiamare l’attenzione di persone più capaci e munite di corredo scientifico che io non sia sopra ad una località ricca oltre modo di resti fossili di Pesci. Fù la giacitura fossilifera di Orciano scoperta e messa in evi- denza circa al 1846 dal mio più amico che precettore, Vittorio Pecchioli, che la intiera sua vita ha speso a prò degli studi delle cose naturali. Egli raccolse ricca collezione di conchiglie fossili, e molte ne rinvenne delle nuove o per la prima volta ritrovate in Toscana. E neppure veramente nuova può dirsi questa località perciò che di resti di Pesci fossili vi si rinviene, perchè ancora dalle ri- cerche del Cav. Prof. Cocchi fu citata nel suo bellissimo lavoro sopra i Pesci Labroidi; e venne dal medesimo esplorata impin- guendo con le sue ricerche la collezione del Museo di Firenze. Nè il Prof. Meneghini, nè il Prof. d’Ancona la ignorano, e vi fecero in diverse escursioni bottino e ricerche scientifiche importanti. Io per ultimo, essendomi nelle ore d’ozio dato a fare raccolta di conchiglie fossili dal 1858 in poi, ho finalmente ritrovato im Orciano, non meno che in altre località toscane, molte ed impor- tantissime specie. 60 LAWLEY Nelle ricerche fattevi ogni qual volta mi sì presentavano dei resti di Pesci fossili, li riponeva da parte, senza però la menoma intenzione di attendere al loro studio sentendo le mie forze molto al disotto del bisogno in materia così difficile e quasi nuova; e solo allora che per il venir meno delle novità conchigliologiche nei luoghi da me tante volte perlustrati e per l’aumentato numero dei resti di pesci da me raccolti e a me da altri inviati mi prese . vaghezza di attendere anche a questi, mi recai più volte apposi- tamente ad Orciano e in breve tempo vi feci amplia e importante raccolta. | E certo val ben la pena di raccogliere ed ordinare i resti fos- sili dei pesci, in quanto chè lo studio loro non sia meno impor- tante di quello degli altri vertebrati; e ben a ragione Agassiz e Pitiot fecero notare la grande importanza di questi esseri vissuti fino dalle prime età del mondo, rinvenentisi in ogni terreno stra- tificato, e testimoni quindi delle vicende delle epoche remote. La presenza loro nei diversi strati della terra; la estinzione e com- parsa delle specie diverse; i termini di paragone più o meno palesi fra loro; il passaggio dei vari generi nei terreni di un età in quelli di un’ altra, tutto contribuisce a rendere al Paleontologo prezioso sì fatto studio, che gli porge non poca luce sui rapporti fra le specie e gli agenti che ne determinarono lo sviluppo, la diffusione, le variazioni e la morte. Con una mole di materiali immensa non è difficile ritrovare dei resti assai ben conservati, da poter con un qualche studio e con un poco di pazienza giungere a restaurarli, e render loro la pri- mitiva forma; lo che non è così facile per i mammiferi, dei quali raramente avviene di avere degli scheletri intieri. L'attimnenza e rapporto dei pesci con l’acqua, la loro organiz- zazione già assai elevata daranno sempre delle cognizioni utili e sicure sui vasti mari e laghi che già ricoprivano la terra in quelle lontane epoche. E facilmente potrà essere stabilito in molti casi dai resti di un pesce intiero, se viveva in alto mare o lungo il lido, se alla superficie o nelle profonde acque, o se viveva in un fiume od abitava in qualche lago. L'esame dei resti fossili di un pesce sarà sempre dei resti di un essere intiero, e perciò sempre più preciso di quello dei resti dei molluschi, dei quali conservasi quasi sempre il solo guscio 0 conchiglia. Questi resti saranno sempre più istruttivi di quelli dei DEI RESTI DI PESCI FOSSILI DEL PLIOCENE TOSCANO 61 rettili che in minor numero si rinvengono cominciando da terreni di epoca più recente. La pelle, le scaglie, le pinne, le lische, le spine, le vertebre, le placche dermiche, le corazze dei pesci corazzati; gli Ichthyo- doruliti o lische ossose, che si trovano alle notatoje di alcuni Pla- coidi, i denti, le placche mascellari di alcuni di essi, e perfino lo studio degli Ictyotoliti od ossetti dell'organo dell’ udito saranno preziosi avanzi per il Paleontologo, e per essi potrà constatare e stabilire specie che esistevano in quelle epoche remote, e la relazione fra le specie tuttora viventi, e quelle dei terreni più o meno antichi. Non ai resti di Conchiglie e di Pesci fossili si arrestano i pre- ziosi avanzi che questa località di Orciano fornisce, ma essa sommi- nistra ancora resti di Cetacei ed in discreta abbondanza. Fornisce pure una quantità di Iettili, di Chelonidi, non meno che resti fossili di uccelli e mammiferi; e di più molti avanzi di cose preisto- riche consistenti in resti fittili benchè molto danneggiati, freccie, ed altri lavori dell’ Uomo. Questa ricchezza che in parte era già conosciuta, mi spinge oggi a richiamare la vostra attenzione, o Signori, su questa loca- lità ed il vostro concorso ed aiuto affinchè tanta copia e varietà di cose venga possibilmente messa alla luce e studiata, e con ciò si accresca l'elenco già assai esteso dei nostri resti fossili anche in questo ramo della Paleontologia, che si occupa dei Pesci. Ed io che sono un semplice raccoglitore col vostro potente appoggio prenderò lena a tentare l'impresa. Due sono le grandi difficoltà che i resti fossili dei Pesci pre- sentano allo studio. La prima inerente allo stato in che si rinvengono nel nostro Pliocene d’ Orciano ed in quasi tutte le località terziarie, cioè con denti staccati per la massima parte dalle mascelle e sparsi quà e la, cosa che rende molto difficile il determinare le differenti for- me, che una medesima mascella può possedere; e questa difficoltà specialmente si fà sentire nei pesci cartilaginei; nei quali è ben difficile trovarli uniti assieme. E lo stesso avviene in molti pesci ossei nei quali spesso la radice non è infissa nelle mascelle; e così è delle altre parti che costituiscono un pesce. A questo inconve- niente in parte ho creduto di ovviare facendo tesoro di denti, di ogni forma e conservando insieme e talvolta anche riunendo fra 62 LAWLEY loro quelli che supponeva appartenessero ad uno stesso in- dividuo. . L'altra difficoltà non è che momentanea, e consiste nella man- canza di pesci viventi per fare i relativi confronti con i resti di pesci fossili, la quale mancanza sarà presto vinta quando i nostri Musei si saranno arricchiti di termini di confronto. Ed a ciò basta la testa con i suoi respettivi denti, un pezzo di pelle con scaglie e placche dermiche, gli aculei che vi si rinvengono sopra, non meno che qualche vertebra. Ecco ora un elenco delle specie che io (quantunque dubitati- vamente per molte) ho già nominato, e che qui espongo senza la ben che minima intenzione di ritenerle per ben determinate; nè pretendendo a seguir per esse alcuna Classificazione. NOTA DEI PESCI FOSSILI. Genere Notidanus. Cuv. Notidanus primigenius Agass. N recurvus id. n microdon id. uo gigas E. Sismonda. e più 16 denti, che a questo genere si approssimano, ma con dif- ferenze tali che solo lo studio di essi e in special modo se fatto sopra un materiale più esteso potrà fornirci sicuro mezzo per de- cidere se debbano no qui annoverarsi. Genere Corar Agass. 1. Corax. falcatus Agass. A questo genere e specie molto dubitatamente riferisco tre soli denti, tanto più che Agassiz dice appartenere questa specie al terreno cretaceo, per cui non saprei se potesse mantenersi fino al Pliocene tanto più non esistendo dei rappresentanti viventi di questo genere. Genere Galeocerdo. Mull. et Kull. Galeocerdo Egertoni Agass. sa aduncus id. e più due altri denti, che potrebbero riferirsi per i loro caratteri a questo genere. DEI RESTI DI PESCI FOSSILI DEL PLIOCENE TOSCANO 63 Genere Carcharodon Smith. ]. Carcharodon megalodon Agass. 2. di angustidens id. d. A productus id. 4 a sulcidens id. D. È tenuis id. questa ultima specie sarebbe messa nella divisione che Agassiz fà dei Carcarias Cuvier. Ed oltre a queste forme, sempre dubitati- vamente indicate, ne possiedo altre 6 non attribuibili ad alcuna di esse. i Genere Oxyrhna Agass. J. Oxyrhina plicatilis id. 2. sE hastalis id. Di 5 xiphodon id. 4. Di tricodon id. 5. 3 Mantelli id. 6. n crassa id. Te a subinflata id. 8. È Desorii Id. 95 z leptodon id. 10. i, isocela E. Sismonda. Oltre ai resti riferiti da me a questo genere possiedo altre forme diverse, che uno studio più profondo sopra un materiale di con- fronto più abbondante, potrà solo decidere se appartengano a nuove specie, o se le differenze loro dipendano dalla diversa posì- zione dei denti nella mascella. Genere Lamna Cuv. 1. Lamna elegans Agass. Detta contortidens id. Su Bronnii ?? id. der Hopeil id. De cuspidata id. istat denticulata id. Un gran numero di denti possiedo pure che si ravvicinano a que- sto genere per la loro forma, e qui pure resta a decidere se le differenze loro sieno specifiche o dipendenti dalla varia posizione nella mascella. 64 . LAWLEY Genere Denter. Cuv. 1. Dentex Munsteri Meneghini. In grande abbondanza si rinviene ad Orciano; ed è il solo di una determinazione sicura, la quale debbo alla cortesia e genti- lezza del Prof. Meneghini. Genere Chimera Lin. Possiedo molti e differenti denti, che sono da attribuirsi a questo genere, ma non ancora precisati; tanto più che Sir Philipp Egerton propone la divisione in due generi 1.° /schyodon, 2.° Ganodus, ed Agassiz propone un 3.° Psittacodon pel quale prende per tipo la Chimacra Mantilliv Agass. Genere £daphodon Buckland. Anche i resti di questo genere sono specificamente indeterminabili. Genere Scyllium. Cuv. 1. Scyllium sp.? A questo genere riferisco molti denti, dietro alcuni confronti di uno Scyllium stellare che possiede il Museo di Pisa. Genere Scymnus Cuv. 1. Scymnus sp.? A questo genere credo pure di potere riportare numerosi denti, somigliantissimi a quelli che nell'opera di Odontografia di Owen trovo molto bene rappresentato di un individuo vivente, e se non erro, possiedo anche i denti della mascella superiore, ben dif- ferenti da quelli della inferiore. Ho pure altri piccoli ossetti di forma ben singolare che si trovano costantemente con essi denti. Genere Myliobates Dumeril. 1. Myliobates angustidens, E. Sismonda. Ancora di questa determinazione non dubito punto perchè costa- tata dalla gentilezza del nostro Presidente Prof. Meneghini. Pos- siedo pure al meno altre quattro ‘placche dentarie referibili a questo genere, che per ora non azzardo nominare. DEI RESTI DI PESCI FOSSILI DEL PLIOCENE TOSCANO 65 Genere Atobates Muller e Henle. 1. Atobates sp? A questo genere riferisco alcune placche dentarie, ma con molta incertezza. Genere Lepidosteus Agass. 1. Lepidosteus sp? Alcuni frammenti di mascelle, denti, ossa, e squamme possono riferirsi a questo genere. Genere Chrysophrys Cuv. 1. Chrysophrys Agassizii E. Sismonda. Una mascella inferiore con denti, può quasi certamente rapportarsi a questa specie descritta da E. Sismonda. Genere Sargus Cuv. l. Sargus sp? Alcune mascelle possono a mio credere rapportarsi a questo genere. Genere Xyphias Art. 1. Xyphias sp? Possiedo una difesa e parte della mascella inferiore. Genere Spherodus Agass. i I. Spherodus sp? Molti denti, e mascelle da me raccolte credo possano appartenere a questo genere. Genere Pharangodopilus Cocchi. 1. Pharangodopilus sp? Molte placche dentarie, che di questo genere possiedo, spero rap- presenteranno molte delle specie dal Cav. Prof. Cocchi descritte nella sua opera sopra i Labroidi. E qui termina ciò che posso dire sulle mie determinazioni. Oltre a ciò ben 70 sorta di denti e più dieci mascelle io posseggo, che non riuscii nè meno a determinare a qual genere apparten- gono per le loro forme stranissime e nuove, almeno per me. Tra questi resti alcuni probabilmente appartengono a Rettili. Dì) 66 LAWLEY. —- DEI RESTI DI PESCI FOSSILI DEL PLIOCENE TOSCANO Superbi resti di un Delfino fossile sono provenienti di una lo- calità ad Orciano limitrofa, che presto resterà determinata per le cure del sig. Prof. Richiardi. Denti di Pristiphoca occitana Gera stabiliscono secondo il mio amico sig. Major l'orizzonte di Orciano, simile alle sabbie marie di Monpellier (cioè Pliocene inferiore). Ossa di Chelonide, con impronte e porzioni del loro guscio, possiedo di questa località non meno che un numero assai grande di ossa di Uccelli di ichthyodoruliti, spine e difese assai numerose. Molte placche e ben N.° 25 specie di differenti Ictyotoliti da me furono di là raccolti; e di essi un solo può riferirsi al genere Ombrina, e qui ringrazio il sig. Castelli che mi fornì il mezzo di confronto. Questo certo non disprezzabile materiale, da me raccolto in questi pochi anni, attende, o Signori. il vostro concorso i vostri lumi, nè io dubito del vostro ajuto. SULLA MTROLITE su E ANALGNA: DI PONAA (COMI SANTA — _ >= —-- NOTA DI ANTONIO D’'ACHIARDI letta all’adunanza del 81 maggio 1874 Nel gruppo montuoso, che comprende i paesi di Castellina Marittima, Pomaja, Santa Luce, Monte Vaso, Orciatico, Monteca- tini e Riparbella, luoghi celebri per le cave di alabastro da una parte, per le miniere di rame dall'altra, copiosa ed estesa è la formazione ofiolitica, che costituisce le massime elevazioni, e che con la sua varietà di rocce dà un'impronta speciale a questi monti, onde a ragione furono dal Savi compresi sotto la denomi- nazione di Catena ofiolitica 0 serpentinosa. Quasi da per tutto le stesse rocce, quasi da per tutto s’incon- trano gli stessi minerali; la differenza sta solo nella copia loro assoluta e relativa; ma qui io non intendo intrattenermi a discor- rere di questi luoghi giù con sommo acume d’intelletto e profonda dottrina illustrati dai miei maestri; io qui altro non voglio che ricordare due specie minerali, che di recente ho trovate nell’ Eufo- tide o Granitone del Mulinaccio presso Pomaja, in una gita fattavi al primi di maggio col prof. Meneghini; le quali specie già erano note nel Monte di Caporciano presso Montecatini di Val di Cecina, ov'è scavata la celebre miniera cuprifera di questo nome. Nelle vicinanze di Pomaja ha grande sviluppo la Serpentina diallagica, che in cime erte e dirupate si eleva molto al di sopra delle roccie sedimentarie; essa è poi qua e là intramezzata di masse più o meno potenti di Eufotide, sempre però ad essa subor- dinate; e fra l’una e l’altra roccia si presentano spesso singolari 68 D' ACHIARDI filoni, a formare i quali sembra che abbiano contribuito ambedue, mostrando i caratteri loro con tanta maggiore evidenza nella, massa stessa del filone, quanto più la si osservi prossima a questa o a quella delle due pareti di contatto; onde può dirsi che si ab- biano due salbande, l'una ofiolitica e l’altra eufotidica. Altri elementi oltre questi delle due rocce sembrano pure aver preso parte alla produzione di questa sorta di filoni, che oltre a noccioletti di serpentina non diallagica cupriferi, ci mostrano anche delle venuzze, piccole sì, ma frequenti, di Calcopirite, che ne rilega la massa disgregata; e di questa Calcopirite si ha pure un qualche segno nell’Eufotide stessa. Tale è il contatto delle due rocce anche al Mulinaccio, ove si vede uno di questi filoni di contatto a rilegature auree metallifere, le quali peraltro anzichè di pirite di rame, sono di pirite di ferro. Dal lato industriale adungue nulla d’importante; non così per altro dal lato scientifico ; che là si osservano curiose modificazioni delle rocce, come il passaggio dell'Eufotide e della Serpentina in Steatite, e là trovansi cristalletti nitidissimi di specie minerali di origine posteriori all’ Eufotide, di cui non fanno parte essenziale e di cui occupano invece le screpolature; forse contemporanei alla conversione sua in Steatite, come facilmente s’induce dalla natura della roccia inalterata e dai prodotti dell’ alterazione. L'una delle due specie da me osservate si presenta in aghetti prismatici, scoloriti, del tutto analoghi alia Savite, onde non du- bito sieno essi pure di Natrolite; l’altra in cristalletti trapezo- edrici è del pari una zeolite, l’Analcima; ma che essa sia magne- sifera, come l’analoga Picroanalcima di Montecatini, non si può che indurre dall’analogia della giacitura. Abbiamo dunque da una parte della Labradorite (Saussurite) cioè un silicato di allumina, calce e soda, che si è convertita in Steatite, cioè in silicato magnesiaco idrato, perdendo quindi allu- mina, calce e soda; dall’altra la produzione di due minerali che sono appunto composti delle sostanze stesse perdute dalla Labra- dorite con aggiunta di acqua, essendochè infatti tanto la Natrolite che l’Analcima sieno silicati idrati di allumina e soda, con pic- cole dosì di calce, la quale in maggior quantità si ritrova forse in un minerale micaceo, somigliantissimo alla Margarita, che ivi pure sì osserva in immediata vicinanza, anzi sul contatto dell'Eu- fotide con la Serpentina. SULLA NATROLITE (SAVITE) E ANALCIMA DI POMAJA 69 Di più vi ha dunque soltanto l’acqua, la quale fu certo non solo veicolo di nuovi materiali, non solo cagione dell’alterazioni delle rocce originarie, ma sì bene anche principalissimo agente della produzione di nuove specie. Dal basso è l’acqua che torna in su, ma non pochi minerali dei filoni, delle vene, delle screpola- ture sonosi formati, come nel caso nostro, a spese delle roccie cir- costanti, senza bisogno di ricorrere sempre al profondo laboratorio delle parti ime della terra; e il piesto esempio da me recato sembrami molto istruttivo. K di fatti io ho creduto bene di notare la presenza di que- ste due specie nell’ Kufotide delle vicinanze di Pomaja non per importanza speciale, che esse abbiano in loro medesime, ma sì perchè con la loro natura di zeolite ci svelano l’azione dell’acqua tanto attiva nella produzione delle rocce, e perchè i fatti isolati di nessuna importanza a sè soli, l’acquistano e talvolta grandis- sima se trovano altrove, come è il caso presente, termini di paragone. | CORALLI EOCENICI DEL FRIULI _MMM——- Memoria presentata dal prof. ANTONIO D’ACHIARDI alla società toscana delle Scienze Naturali nell’ adunanza del dì 81 Maggio 1874. Fino dal 1868 io riceveva dal prof. Torquato Taramelli molti polipaj fossili del Friuli e in special modo di Cormons, Brazzano, Rosazzo e Russitz con preghiera di determinarne la specie. Gli esemplari raccolti da lui medesimo e per la massima parte in buono stato di conservazione invogliavano allo studio, e fin d’al- lora mi accinsi a ordinarli e a determinarne i migliori. A quei primi altri se ne aggiunsero di poi per mezzo dello stesso Tara- melli e del professore Pirona, che ebbe pure la cortesia d’in- viarmi i coralli fossili da lui posseduti di questa stessa regione; onde per i molti esemplari lo studio loro andò mano a mano ampliandosi e ad acquistare per ciò sempre maggiore importanza. Frattanto nel 1869 il professor Taramelli pubblicava negli atti dell’Accademia di Udine una memoria Sulla formazione eoce- nica del Priuli, dalla qual memoria appariva come nel Friuli fossero rappresentate tutte tre le comuni divisioni dell’ eocene, superiore, medio e inferiore; e come i polipa]) a me inviati per la determinazione appartenessero all’eocene medio composto dei se- guenti membri. a Strato superiore a echinodermi, roccia calcareo-marnosa e di aspetto brecciato. b Una serie di terreni comprendente i banchi madreporici e composta di vari strati. Da quest’ultimo piano provenivano dunque i polipaj a me inviati, e ivi giacevano nelle marne e nelle arenarie e non già CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 71 nelle pudinghe quarzose nummulitiche che unitamente a quelle fan parte di questa medesima formazione. Insieme alle considerazioni geologiche il Taramelli pubblicava una nota delle varie specie fossili da lui determinate, le quali per la natura loro confermavano pienamente le sue deduzioni strati- grafiche; e da queste non discordavano le determinazioni da me fornitegli delle madrepore di questi stessi luoghi e da lui pubbli- cate in questa stessa memoria. Ma io non feci allora che comuni- care al Taramelli pochi nomi di specie note che potessero servire a stabilire la cronologia; delle specie nuove non feci parola; di al- cuna non detti la menoma descrizione; ond’ ora ho stimato oppor- tuno descrivere ampliamente questa bella e istruttiva fauna, che ornò di vaghissimi atolli i mari italiani di quei tempi lontani; ed è questa descrizione che ho l’onore di presentarvi, o signori, che mi prestate benigna udienza. Ed incomincio subito a descrivere le molte specie, principiando dai polipaj semplici e riserbando alla fine le considerazioni pa- leontologiche e geologiche che ne saranno il corollario. NE ONONA Ri Fam. Gorgonidae. Isis sp. Frammenti indeterminabili. Giacitura. — Bosco di Brazzano. ZIO NUBI MADREPORARIA APORA |. Simplicia. fam. T'urbinelidae. Trochocyathus Taramellii, m. Raven 1a. Polipajo al naturale. — 1b. Calice del medesimo al naturale. — 1 c. Idem ingrandito. — 1 d. Coste ingrandite. — 1 e. Coste, mu- raglia e porzione di setti vedute di profilo. Polipajo diritto, corto, cupoliforme pedicellato o affisso per una base ristretta. 36 coste alternativamente disuguali, le maggiori 72 D' ACHIARDI essendo denticolate. Calice circolare. 4 cicli incompleti di setti pari in numero alle coste. Columella fascicolare a superficie papil- losa molto sviluppata. Più corone di pali evidentissimi, i mag- giori e più esterni dei quali corrispondono ai setti del terzo ciclo. Fra i vari Trochocyathus più che agli altri si avvicina al Tr. cupula M. Ed. e H., dalla quale specie differisce principalmente per le coste dentate e la base stretta; ma siccome di quest’ ultima mal si giudica nel nostro esemplare ivi appunto un po’ sciupac- chiato e delle coste non ho da fare il confronto che sulla figura data dal Roault (Mem. Soc. géol. France ser. 2, tom. 3, pl. 14, fig. 2), così potrebbe anche darsi che nuovi e migliori esemplari m'inducessero a riunire in una i due polipaj, che per ora ho cre- duto bene di mantenere distinti. Giacitura — Russitz presso Cormons. Trochocyathus aequicostatus. Strombodes® incurvus, Catullo (Terr. sedim. Venezie 1856, pag. 37, tav. 3, fig. 14). Parasmilia aequicostata, De Schauroth (Verzeichn. d. Verstein. im. h. miner. Cabin. zu Coburg. 1865. pag. 188, tav. 6, fig. 4. Coelosmilia acquicostata, D'Achiardi (Coral. foss. Alp. venete, 1366. tav ie, Trochocyathus aequicostatus, Reuss (Foss. Anthoz. d. Schicht. v. Cro- sara, 1869, pag. 15, tav. 27, fig. 6-9). Reuss aveva ragione nel riunire questa specie al genere Tro- chocyathus; di fatti in alcuni esemplari tanto dei terreni eocenici vicentini quanto di questi del Friuli mi è riuscito scorgere veri e propri pali, e gli spazi intersettali non sono mai completamente chiusi. Taluni individui acquistano spesso considerevole sviluppo, onde se non fossero i termini di passaggio saremmo indotti a conside- rare gli estremi come di specie diversa. Questa specie ha molta analogia col Trockocyathus conulus, M. Kdw. del gault del dipartimento dell’Aube (Francia), della quale specie ho veduto alcuni esemplari somigliantissimi ai nostri, che sono senza dubbio la stessa cosa di quelli di Sangonini di Lugo. Giacitura — Rosazzo (frequentissimo). Brazzano (id). Cormons, Russitz. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 75) Trochocyathus Van-den-Heckei. Turbinolia bilobata (pars) Michelin. Icon. zooph. 1346. p. 269, pl. 61, fix.V(momn 62 fis. b).). Trochocyathus Van-dèn-Heckei, J. Haime (Mem. Soc. géol. Fran- cesds02,iser. 20m. Ap 280,0 pli.022: fig 2! Tr. Van-den-Heckei. D’Archiac et J. Haime (Déser. des anim. foss. de l’ Inde. 1853, pag. 184, pl. 12, fig. 3. Esemplari identici a quello effigiato da Haime e da D'Archac. La specie è comune nei terreni eocenici di Palarea, Sinde e di Via degli Orti nell’Asolano. Giacitura — Rosazzo a oriente dell’abbadia. Brazzano. Trochocyathus? cyelolitoides? Turbinolia cyclolitoides, Bellardi (Not. manoser.). Turbinolia cyelolitoides, Michelin (Icon. Zooph. 1840-1847, pag. 268, tav. (01 fio 090) Trochocyathus eyclolitoides. J. Haime (Mém. Soc. géol. France 1852, ser. 2, tom. 4, pag. 280). L'unico esemplare è in forma di polipajo convesso al di sotto e terminato inferiormente con pallottolina d'attacco. Coste alter- nativamente disuguali, distinte fino dalla base, in N. di 150 circa, finamente denticolate e riunite da esilissimi cingoli esotecali. Ca- lice perfettamente circolare. Setti numerosissimi. 5 cicli completi e molti di un sesto, tutti svilppatissimi, fitti e poco differenti fra loro. Altezza del polipajo 12."", larghezza del calice 20-21.°" L'esemplare descritto somiglia moltissimo ad alcuni esem- plari, che il Museo di Pisa possiede di Palarea col nome di 7Yo- chosmilia fimbriata, M. Edw. e H., e per vero dire non potrei escludere il caso che appartenga a questa piuttosto che all’ altra specie, cui fu da me ravvicinato. Il cattivo stato di conservazione del calice e l’essere unico l'esemplare, onde non voglio romperlo per istudiarne l’interna struttura, non mi consentono un più si- curo giudizio; comunque sia non si tratta di specie nuova, ma tanto per l’un caso che per l’altro di specie cognita per gli stessi terreni, essendo la Trochosmilia fimbriata propria di Palarea e il Trochocyathus cyclolitoides trovandosi oltre che a Palarea stessa, anche nei sedimenti corrispondenti di San Giovanni Ilarione su quel di Vicenza. WA a D' ACHIARDI Finalmente potrebbe anche darsi che sì trattasse di un giévane individuo di Tyocosmilia corniculum M. Edw. e H., ma anche in questo caso si avrebbe sempre a che fare con i medesimi terreni. Giacitura — Rosazzo. Trochocyathus sinuosus. Turbinolia sinuosa, Brongniart (Mem. sur les terr. calce. trapp. d. Vi- centin 1823, pag. 83, pl. 6, fig. 17). Id. Leymerye (Mém. Soc. gécl. France 1848, ser. 2, pl. 13, fig. 7-8). Trochocyathus sinuosus, M: Edw. e H. (Hist. des Corall. 1857. T. II.). Di questa specie di cui dettero pure la figura illustrativa Mi- chelin e Reuss nelle opere sopraccitate io m’ebbi un unico esem- plare dal prof. Pirona di Udine. Questo Trockhocyathus, che non sempre riesce facile distinguere dal Trochocyathus Vanden-Heckei sopra descritto i caratteri in alcuni casì essendo intermedj fra questo e quello, trovasi pure a Sangonini ( Vicenza), a San Gio- vanni Ilarione (id.), a Palarea e a Corbiéres. Giacitura — Brazzano. Trochocyathus concinnus ? Trochocyathus concinnus, Reuss (Die foss. Anthoz. d. Schicht v. S. Giov. Ilarione 1873, S. 5. Taf. 37, Fig. 2). Esemplari mal conservati e che con dubbio riferisco a questa specie, essendo identici ad altri pur mal conservati di San Gio- vanni Ilarione, che a nessun'altra specie meglio che a questa stessa ho potuto ravvicinare. Non vi si scorgono lamelle endotecali nè meno in una sezione levigata. Giacitura — Rosazzo e Brazzano. Smilotrochus incurvus Smilotrochus incurvus D’ Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete, 1866, passi9) tav 2 LA. Id., Reuss (Op. cit. 1873, S. 6, Taf. 38, Fig. 9-10.). Esemplare mal conservato, ma da quel che rimane sembra potersi riferire allo Smilotrochus incurvus, m. di San Giovanni Ilarione. Giacitura — Rosazzo. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 15 Paracyathus Spinelli? Paracyathus Spinellii, D’Achiardi (Cor. foss. Alp. Venete 1866, pag. 19 tav. I, fig. 4.). Due mal conservati esemplari appartengono a questo genere, come ne fanno fede la larga base d’affissione, la columella, i pali e altri caratteri generici. La determinazione specifica per altro nè è impossibile e solo si può dire che fra le specie conosciute sem- brano ravvicinarsi più che alle altre al Paracyathus crassus, M. Edw. e H. di Bracklesham-Bay o meglio al Paracyathus Spinelli, m. di San Giovanni Ilarione, due specie eoceniche, all'ultima delle quali io gli ho difatti ravvicinati. Giacitura — Russitz presso Cormons. Flabellum? cuneatum? Turbinolia cuneata, Goldfuss (Petref. Germ. 1826. S. 53, Taf. 15, Fig. 9.). Flabellum cuneatum, M. Edw. e H. (Ann. Sc. Natur. 1348, ser. 3, tom. 9. pag. 260.). Pochi e mal conservati individui. Giacitura — Rosazzo, Brazzano. Flabellum sp. Frammento riferibile alla divisione del genere Flabellum, le di cui specie hanno le muraglia con creste tanto sulle facce che sui lati. Somiglia, salvo minor compressione nel nostro, al Flabellum multicristatus Reuss del miocene di Lapngy nell’Impero Austriaco. Giacitura — Rosazzo. Fam. Astraeidae. Placosmilia elliptica, m. Davhfio.27 2 a. Polipajo al naturale. — 2 b. Calice del medesimo. — Porzione di calice ingrandito. — 2 d. Sezione nella parte inferiore del polipajo per mostrare le traverse. Polipajo semplice, compresso, libero, pedicellato e curvato obliquamente nella parte inferiore. Coste numerose; 24 maggiori 46 D'ACHIARDI delle altre costituite da grosse lamine crestate e a margine ta- gliente. Fra ciascuna coppia di queste coste crestate per il solito se ne inseriscono successivamente a seconda dell’ ordine loro altre tre minori, la maggiore delle quali è pure crestata e in minime proporzioni si può dire essere tali anche le altre ‘0 minori. Verso la base sono le coste ricoperte da un sottile epitecio, che manca per il solito o è solo in brandelli nella parte superiore. Calice ellittico, onde il nome, standone i diametri come 1 a 2; assai profondo. Setti smarginanti in numero pari alle coste; 24 maggiori grossi, robusti e poco diversi fra loro arrivano fino all’asse calicinale occupato da una esilissima e molto estesa columella lamellare. Fra ogni due di questi setti maggiori per il solito ne sono altri tre più o meno sottili a seconda dell’ordine loro e talvolta compa- risce pure un qualche piccolissimo setto del sesto ciclo. Traverse endotecali abbondanti. Questa specie a prima giunta somiglia molto alla Parasnilia (Ceratotrochus M. Edw. e H.) erarata di Palarea e che s'incontra pure nelle marne eoceniche corrispondenti di Via degli Orti (Asolo); ma mentre negli esemplari di quest’ultimo luogo la columella è indubitatamente spugnosa e mentre, se non m’inganna la fossi- lizzazione, è a credersi sia anche tale negli esemplari di Palarea; in questi di Rosazzo è incontrastabilmente laminare e per essi non havvi alcun dubbio che non si tratti di Placosmilia, assai so- migliante anche ad alcune dei terreni cretacei. Giacitura — Rosazzo. Placosmilia italica, m. Tav. ig: 8 a. Polipajo al naturale. — 3 b. Calice del medesimo. — 8 c. Porzione di calice ingrandito. Polipajo semplice, libero, compresso, sottile verso l'estremità inferiore, che termina in punta e presso la quale appena appena si ricurva nella direzione dell'asse minore del calice. Questo è in forma quasi ellittica apparendo un poco sinuoso nel mezzo; i dia- metri ne stanno come 2 a 1, e l’asse maggiore è più basso del minore. Cavità calicinale mediocremente profonda. Coste semplici, numerose che nell’esemplare maggiore effigiato arrivano al nume- DO ro di 130, fra loro disuguali. Ventiquattro maggiori si dipartono CORALLI ECCENICI. DEL FRIULI Cari fino dalla base, le altre successivamente a seconda dell’ordine loro mantenendosi però sempre meno rilevate di quelle prime, fra cia- scuna delle quali se ne inseriscono tre e alle volte quattro e anche cinque, e in tal caso le coste di quarto ordine intermedie alle altre quattro acquistano verso l'orlo calicmale considerevole sviluppo, quasi uguale alle prime 24 coste. Un epitecio poco sviluppato e uasi rudimentale copre in sottili fasce nelle parti superiori le coste, fra le quali scorgonsi pure le traverse esotecali. Cinque cicli completi di setti; un sesto incompleto e solo sviluppato in alcuni sistemi. Ventiquattro setti più estesi degli altri arrivano all'asse del calice, ove appariscono un poco ingrossati e ripiegati. Fra cia- scuna coppia di questi setti maggiori per il solito stanno soltanto i tre setti del 4.° e 5.° ciclo, il mediano dei quali setti, quello cioè del 4.° ciclo, essendo più sviluppato degli altri due. Non di rado però si hanno anche i primi setti di un sesto ciclo, quelli cioè di 10.0 e 11.° ordine ossia 1. e 2.9 di questo stesso ciclo. Il margine dei setti è abraso, quindi non si può asserire che fosse integro, ma a giudicare di quel che resta al di sopra della muraglia, che sorpas- sano per unirsi alle coste, parrebbe di sì. I lati ne sono granulosi. Columella lamellare assai grossa e molto estesa nella direzione dell'asse maggiore del calice, Giacitura — Rosazzo a oriente dell’Abbadia. Un esemplare piccolissimo di Brazzano presenta molto più ri- curva la base, e poichè non so se ciò dipenda dall'età diversa o da differenza specifica, con un solo esemplare e senz’ altro carat- tere di distinzione io null’ altro posso che qui annoverarlo senza precipitare un giudizio. Placosmilia strangulata, m. Tav. I, fig. 4. 4a. Polipajo al naturale. — 4 b. Calice del medesimo. — 4 e. Porzione di calice ingrandito. Polipajo pochissimo compresso, molto più lungo che largo; curvato verso la base nella direzione dell'asse maggiore del ca- lice. Presenta numerosi rigonfiamenti e solcature circolari (onde nome) ed è molto assottigliato in punta verso l'estremità in- feriore. Calice poco profondo, largamente ellittico, standone gli assì nel nostro unico esemplare come 18 a 9. Coste nude, gra- 78 D' ACHIARDI nulose, molte e fitte, avendone contate 98 di varia grossezza e lunghezza. Quelle dei primi tre cicli si dipartono fino dalla base o almeno in grande prossimità; le altre si intercalano ad esse a se- conda dell’ ordine loro, le ultime apparendo solo in vicinanza del calice, ove le prime ventiquattro mostrano uguale grossezza e ove sono pur molto sviluppate quelle del 4.° ciclo non che le ultime quarantotto del 6.9. I setti sono 48, con differenza nella relativa grossezza molto più sensibile. Quelli dei primi tre cicli quasi uguali arrivano all'asse del calice, ove taluno si ripiega nella direzione della columella; quelli del 4.° ciclo sono molto più sottili e meno estesi, gli ultimi o del quinto anche più piccoli e non pochi rudi- mentari. I lati ne sono granulosi. Coste e setti riunendosi fanno arco sull'orlo calicinale e in questi lembi smarginanti, per quanto lascia giudicare lo stato del fossile, non apparisce traccia di denti, ma sembra anzi non doverci essere mai stati. Columella laminare assai estesa nella direzione dell'asse maggiore del calice. Giacit. — Brazzano. Placosmilia eocenica. Placosmilia eocenica, Reuss (Die foss. Anthoz. Schicht. v. S. Giov. Ilarione und Roncà 1873, Taf. 38, Fig. 5, 8.). Reuss dà il nome di Placosmalia eocenica a una specie, cui corri- spondono gli esemplari friulani, ma questa medesima specie da lui indicata con tal nome sotto la tavola litografica soprallegata è indicata invece nella descrizione col nome di Placosmilia bilobata. Giacitura — Rosazzo. Placosmilia lata, m. Mavi dfiovio: 5 a. Polipajo al naturale. — 5 b. Calice del medesimo. Polipajo semplice, breve, irregolarmente conico, trochiforme. Coste disuguali collegate da cingoli epitecali. Calice espanso con fossetta calicinale assai profonda solo nella parte centrale. Sette cicli incompleti di setti, essendo un poco maggiori quelli del 1.° e 2.° ciclo, ma tutti però molto sviluppati, tranne quelli del 7.0 ci- clo, e fra loro strettamente stipati. I lati ne sono granulosi fino ai margini loro, che sembrano integri; che se tali non fossero po- CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 79 trebbe essere il caso di una Cyathophyllia. Columella lamellare brevissima. Traverse endotecali fitte. Giacitura — Brazzano. Trochosmilia corniculum. Turbinolia corniculum, Michelin (Icon. Zooph. pl. 61. fig. 4-5). Trochosmilia corniculum M. Edw. e H. (ZZist. natur. des Corall. 1857, tom. II, pag. 156.). Individuo adulto alto sette centimetri assai compresso nella parte superiore, identico per tutte le particolarità agli esemplari - di Palarea. Giacitura — Rosazzo. Trochosmilia Spadae? Menegh. Con questo nome il professor Meneghini descrisse (non pub- blicò) un esemplare di Mortola presso Nizza, che sembra riferirsi alle Trochosmiliae. E a queste specie riporto un polipajo assai ele- vato, molto compresso e appena appena incurvato nella direzione dell'asse minore del calice. La base è troncata, nè se ne può giudicare; e quindi e per gli altri caratteri assai alterati dalla fossilizzazione l'identità specifica non può con tutta sicurezza es- sere stabilita. Trochosmilia Pasiniana, m. L'avlisfagzio: 6 a. Polipajo al naturale. 6 b. Calice del medesimo. 6 c. Coste ingrandite. Polipajo semplice, libero, compresso segnatamente nella linea mediana, cuneiforme, diritto. Muraglia nuda o appena ricoperta da qualche traccia d’epitecio. Coste numerose, distinte fino dalla base susseguendosi a più o meno di distanza da essa a seconda della loro età. Quelle dei primi quattro cicli più sviluppate delle altre spor- gono come piccole lamine a margine granuloso. Fra ciascuna cop- pia di queste 48 coste maggiori per il solito sono tre coste minori poco rilevate e risultanti da fitti e appuntiti granuli. In ciò sì ha perfetta analogia con la Leptazis bilobata m, con la quale a prima giunta si potrebbe confondere anche per la forma, ma dalla quale 80 D'ACHIARDI poi differisce essenzialmente per la mancanza della columella. Degli esilissimi cingoli epitecali collegano di tanto in tanto le coste. Calice in figura di 8 (ved. fig. 6. b.) e poco profondo. Setti numerosissimi, smarginanti, granulosi sui lati, fessuosi e i maggiori un poco ingrossati verso l’asse calicinale, che è privo affatto di columella. Se siano dentati o no non si può giudicare perchè i margini ne sono rotti; se sì, come nulla osta che siano, sarebbe il caso di una Lepfophyllia non affissa. Traverse endote- cali evidenti anche nelle parti superiori delle logge intersettali. Questa specie, da me nominata in onore del defunto Lodovico Pa- sini veneto naturalista, trovasi anche nelle marne di Via degli Orti su quel di Asolo. Giacitura — Rosazzo a oriente dell’Abbadia. Trocnosmilia cormonsensis, m. Taw.idofieooze 7 a. Polipajo al naturale. — 7 b. Calice del medesimo.— 7c. Porzione di costa ingrandita. Piccolo polipajo benissimo conservato, molto compresso e che termina in sottile peduncolo ripiegato nella direzione dell’asse maggiore del calice e che sembra essere stato affisso per una sotti- lissima base. Coste distinte fino dalla estremità inferiore, sube- suali ('), granulose e senza traccia d’ epitecio. Calice ellittico (i diametri stanno come 1 a 2), mediocremente profondo. 5 cicli completi di setti smargimanti a margine integro, arcuato. 24 mag- giori degli altri e subeguali fra loro arrivano fino all'asse calici- nale, ove non scopresi traccia di columella. Quelli del 4.° ciclo son pure assai estesi, ma meno; e molto meno poi quelli del 5.° Ha molta analogia con altra specie che in seguito descriverò, ma che ne differisce per essenziali caratteri. Giacitura — Cormons, Russitz a settentrione della villa Germak. Trochosmilia? Pironana, m. Manno La. Polipajo al naturale. — 1 b. Calice del medesimo. — 1c. Porzione del calice ingrandito. Polipajo pediceliato, affisso per larga base, avente salvo le di- mensioni minori e la figura e apparenza del calice, la forma stessa (4) Nella fig. 7 le coste maggiori appariscono un po’ esagerate. CORALLI FOCENICI DEL FRIULI SI di quello effigiato da Michelin sotto il nome di Tubinolia cernua (Trochosmilia crassa M. Edw. e H.) nella sua Zcon. zooph. pag. 286, pl. 66, fig. 1. Calice irregolarmente ellittico, profondo, a orli smer- lati. Coste numerose, disuguali e acutamente granulose. Sei cicli completi di setti, fitti, sottilissimi e portanti sui lati numerosis- simi, piccoli e appuntiti granuli. 24 di questi setti molto più svi- luppati degli altri giungono fino all'asse calicinale, che pur tal- volta sorpassano se pur non si ripieghino a destra o a sinistra. Questi setti maggiori corrispondono alle sporgenze dell’orlo calici- nale, e quelli dei primi due cicli alle maggiori di esse. Nè dentro al calice, nè in apposita sezione son riuscito a scorgere traccia di columella. In questa sezione trasversale si veggono i setti riunirsi fra di loro, quelli degli ultimi ordini ai precedenti, e per di più si veggono come interrotti non so se da Imee di frattura o da ca- naletti organici come nei Coralli porosi. Ma si tratta proprio di una Trochosmilia? Ecco la gran questione. Il calice molto pro- fondo, i setti non orizzontali costituiscono una differenza con le specie tipiche di questo genere; ma ciò non pertanto a nessuna altra fra le Eusmilinae ho saputo ravvicinare questo polipajo. — Ma è proprio un’ Eusmilna? Ecco una seconda questione che mi è impossibile di risolvere per la cattiva conservazione dei margini settali. E si potrebbe poi dimandare: ma non sarebbe forse il caso di una Trochoseris o qualche cosa di affine o piuttosto di una Eupsammia? Mi par di sentire che quì non è il suo posto, ma non ve la so togliere. Giacitura — Cormons, Russitz a settentrione della villa Germak. Trochosmilia?? elongata, m. Tav. asi Polipajo al naturale Ho dinanzi un grosso frammento di polipajo, che non so se Corallo semplice o composto. All’aspetto lo giudico semplice. Il polipajo rotto nella parte inferiore, mal concio nella superiore è molto compresso, onde i diametri di una sezione stanno presso a poco come 5 a 2 o 2 ‘/, centim. L'altezza del polipajo è indetermi- nata per la rottura, fu certo alto parecchi centim. restandone 8//,. Muraglia ricoperta di coste semplici e disuguali, Nella parte infe- 8 82 D ACHIARDI riore dodici soltanto, nella superiore 24 sono molto più rilevate delle altre, che quasi uguali fra loro e in N.° di 5 s’intromettano fra ciascuna coppia. Talvolta anzichè cinque quasi uguali fra loro se ne hanno tre bene sviluppate a due rudimentarie. Tutte sono granulose. Calice ellittico. Setti numerosi. Quelli dei tre primi cicli molto più sviluppati degli altri, che mal si contano, ma che probabilmente corrispondono in N.° alle coste. I maggiori presen- tano un forte ingrossamento verso l’asse calicinale, ove si toccano e ove manca ogni segno di columella. Tutti sono fittamente gra- nulosi e riuniti, almeno nella parte inferiore, da fitte traverse endotecali. Che sia Trochosmilia dubito assai. Giacitura — Brazzano. Phyllosmilia calyculata, m. Dovete. sa. Polipajo al naturale.— 3 b. Calice id. — 3 c. Porzione del medesimo ingrandita. — 3 d. Coste ingrandite. — 3 e. Altro polipajo al natu- rale. — 3 f. Calice del medesimo. — 3 g. Lato granuloso dei setti. A questo genere istituito da E. De Fromentel (Paléonth. frane. Terr. cret. Zooph. 1862), e distinto dai due generi affini Lophosnulia * e Placosmilia per la biforcazione delle coste, ho creduto di dover riferire alcuni bei polipajetti contrassegnati dai seguenti caratteri. . Polipajo in forma di bicchiere a calice, specialmente nell’indi- viduo minore, un poco compresso, diritto o appena curvato negli esemplari maggiori verso l’ estremità inferiore, presso la quale si assottiglia moltissimo, terminando poi con allargarsi in un’ ampia base d’affissione. Muraglia nude con qualche strozzatura. Sei o sette cicli incompleti di coste nei nostri esemplari, fini, granulose e pochissimo diverse fra loro tranne quelle dell’ ultimo ciclo, che sono esilissime e cui non corrisponde alcun setto nell’interno del calice. Le minori non s'inseriscono fra le maggiori, ma si dipar- tono da esse, onde si ha il caso di coste ramificate. Calice assai pro- fondo, irregolarmente ellittico con piccola insenatura mediana negli individui giovani e con più insenature negli adulti. Cinque cicli completi di setti smarginanti nel polipajo minore, 6 cicli scom- pleti nel maggiore, 24 dei quali setti aventi considerevole e presso. che uguale grossezza arrivano fino all’asse calicinale. Fra essi se CORALLI EOCENICI DEL FRIULI | S5 ne intercalano tre minori, il medio fra questi tre essendo pure assai sviluppato di fronte ai setti degli ultimi cicli, che sono esi- lissimi. I lati di tutti sono coperti di grossi appuntiti e fitti gra- nuli. Columella lamellare. Questa specie per la forma generale si assomiglia assai ad al- cune delle figure che De Fromentel dà della Lophosmilia cenomana (Paleonth. franc. Terr. cret. T. VII, livr. 7, pl. 15, fig. 2.); ma ne differisce per essenziali caratteri e sopra tutto per le coste non ramificate. | i Loc. Cormons, Russitz a settentrione della villa Germak. In un esemplare di Brazzano, che parrebbe potersì ascrivere a questa specie, per il cattivo stato di conservazione non son riuscito a scorgere columella e per ciò non ho creduto bene riunirla agli altri descritti sotto al nome di PhyMosmilia calyculata. Phyliosmilia crassa, m. avo nd Polipajo al naturale. Differisce dalla specie precedente per la forma più tozza (onde nome) del polipajo. Del resto se non fosse per ciò e per la diffe- renza nel calice largamente aperto, quasi circolare e poco pro- fondo, l'esemplare di cui parlo non andrebbe distinto da quello pure effigiato (fig. 3 e) della precedente specie; con il quale con- corda per il numero, sottigliezza e ramificazione delle coste, non che per altri caratteri. Questa specie ha pure una qualche analogia con alcune Lo- phosmitiae, dalle quali differisce solo per la ramificazione delle coste. Giacitura — Brazzano. Parasmilia Pironae, m. Bav.ieiodo: Polipajo al naturale. Polipajo semplice, fisso, allungato, ripiegato, assai compresso nella parte superiore e con segni manifestissimi di accrescimento intermittente. Coste rilevate, disuguali; varie in numero a seconda se in alto o in basso, poichè le più, sempre meno rilevate, vanno mano a mano inserendosi fra le maggiori e nei primi tratti appa- 84 D' ACHIARDI riscono come tante piccole crestarelle l'una dall'altra separate. Quel che contrasta con la semplicità del polipajo sono due o tre gemme laterali; ma io non so loro attribuire altro valore che di un caso di mostruosità, d'altronde facile in polipaj ad accrescimento irregolare come le Parasmiliae. Calice quasi circolare a diametro di 15 centim. 5 cicli di setti disuguali fra loro, essendo quelli dei due primi cicli molto più sviluppati degli altri. Columella spu- gnosa. Traverse endotecali evidenti. Giacitura — Brazzano. Coelosmilia forojuliensis, m. Tav Hiro, 6a. Polipajo al naturale. — 6 b. Id. veduto dall’altra parte col calice in parte sezionato. — 6 c. Coste ingrandite. . Polipajo semplice lungamente pedunculato, affisso per sottilis- sima base, verso la quale è un poco ricurvo. Muraglia nuda. Coste semplici, dodici delle quali distinte fino dalla base. A queste se ne uniscono non lungi da essa altre dodici e così formano venti- quattro, che acquistano e conservano pressochè uguale grossezza e si mantengono distanti fra loro, quasi laminose e subcrestiformi. Tra queste coste maggiori se ne interpongono altre 24 esilissime. Calice un poco ellittico. — Setti disuguali. Quelli dei due primi cicli arrivano fino all’asse calicinale, ove non vedesi traccia di co- lumella, e là arrivano quasi anche quelli del terzo ciclo, e tutti 24 hanno presso a poco uguale grandezza e sono ingrossati nella parte interna. I setti del 4.° cielo sono molto minori e più ancora, taluno del 5.° quando ne esistano allo stato rudimentario. Tra- verse endotecali rare. Questa specie somiglia assai alla Coelosmilia lara, M. Edw. e H. e diversifica dalla Parasmilia erarata (Ceratotrochus, M. Edw.), con la quale da prima l'aveva confusa (onde nella nota pubblicata dal Taramelli figura con tal nome), per la mancanza della colu- mella, che si vede benissimo negli esemplari di Palarea e di Via degli Orti nell’Asolano, somigliantissimi a questi nostri, benchè ne diversifichino anche per un maggior numero di coste minori inter- poste alle ventiquattro maggiori. Somigliano poi immensamente gli esemplari qui descritti ed efligiati ad altri di Croce Grande di San Giovanni Ilarione, da me CORALLI FEOCENICI DEL FRIULI 55 ravvicinati alla Parasnilia exarata per le analogie esteriori sol- tanto, non avendo potuto per il ‘loro pessimo stato di conserva- zione riconoscere nulla della loro interna struttura, onde potrebbe anche darsi che essi pure dovessero qui annoverarsi. Una qualche analogia si ha pure con la mia Coelosmilia vicen- tina di Gnata di Salcedo, che però credo distinta. Giacitura — Rosazzo. Lophosmilia granulosa, m. Tam Bse 7a. Polipajo al naturale.— 7 b. Calice del medesimo. — 7 c. Porzione di calice ingrandita — 7 d. Polipajo di maggior dimensione. Polipajo peduncolato con ristretta base d’affissione, com- presso, quasi diritto o appena curvo nella direzione dell’ asse mi- nore del calice. Coste alternativamente disuguali, granulose, le maggiori essendo assai sporgenti sulla muraglia. Setti alternati vamente disuguali e in vario numero a seconda della grandezza degli individui. I setti maggiori arrivano fino all'asse calicinale, che è percorso per lo lungo da un’ esile columella, a lati granulosi al pari dei setti (onde nome). Endotecio poco sviluppato. Giacitura — Rosazzo; Brazzano. — Frequente. Epismilia alpina, m. Tav das: 8a. Polipajo al naturale. — 8 b. Calice del medesimo. — Porzione di calice ingrandita. De Fromentel istituì questo genere per alcuni fossili coralliani stati confusi con le Montlwaultiae, dalle quali differiscono per l’in- tegrità dei margini settali. Le specie riferite a questo genere note fino a poco tempo fa erano tutte secondarie, se non che Reuss de- scrivendo i coralli del piano di Castelgomberto annovera una Epi- smilia fra le specie di Monte Viale, da lui detta Ep. glabrata. Or bene il nostro fossile viene a colmare questa lacuna fra quello del- l’Oligocene descritto da Reuss e i precedentemente noti dei ter- reni secondari]. Ecco ora i caratteri di questa nuova specie. Polipajo piccolo, semplice, affisso, compresso. Muraglia total- 806 D'ACHIARDI — CORALLI EOCENICI DEI FRIULI mente rivestita da un epitecio liscio. Calice irregolarmente ellit- tico, quasi in figura di rombo. Quattro cicli di setti poco o punto smarginanti. Quelli dei primi due cicli arrivano fino al centro, ove giungono quasi quelli del 3.9, cui si riuniscono, se pur non si sal- dino, i setti del 4.° ciclo. Il loro margine sembra essere stato in- tegro. Nessuno indizio di columella. Giacitura — Russitz presso Cormons. Epismilia? dubiosa, m, Tav AE, ig19: Polipajo al naturale. Non so se a questo o al genere MontHwaultia o ad altro, come sarebbe il genere Peplosmilia, vada riferito un bel polipajetto del banco madreporico di Cormons, semplice, affisso, pedicellato, sub- conico, un poco compresso e ricurvo verso la base nella direzione dell'asse maggiore del calice, che è ellittico. La muraglia è in- teramente ricoperta da un grosso e liscio epitecio, sotto del quale vedonsi le coste, che sono alternativamente disuguali. Non mi fu possibile osservare il calice otturato da corpi estranei onde i dubbi sul genere e da essi il nome. Da una sezione fattane si ricava pur poco; vi si scorgono è vero dei setti disuguali, flessuosi, ma nulla di certo sulla esistenza o no della columella, benchè siami parso scorgere una traccia di columella lamellare esilissima, che per al- tro potrebbe anch’ essere la continuazione di un qualche setto. Giacitura — Cormons. A questo genere o al genere Peplosmilia va forse riferito altro e mal conservato esemplare diverso dal precedente. (Continua) Att.Soc .Tose. Sc.Nat.VoLI D’Achiardi.tav.1 it ita AD fichtardi. dus.e lt £.Trochocyathus Taramellii=2 Placosmilia eliptica m 3.Placosmilia rtalica m. A osmilio surangulata m. 5 Placosmiha latamB-Trochosmilia Pasinia na 7 Trocho smi | 1a cormon sensi Bata Att.SocTosc.Sc. Nat.Vol. I Di Achiardi. tav.Il AD Achiardi diselit Lui. lrozam Lisa ITrochosnulta Pironana ,m-2 Trochosmilia ? elongata,m-3 Phyllosmilia calyeulata 1 } DES " sq . » {\ “mie . il'inpllosnulia crassa.uò Parasmilia Pironae,m 6. Coelosmilia loromliensis m Ù 2) (RI I 7 Lophosmilia granulosa.18 bpisunlia alpina, 9 Epismiha dubiosa STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA DACARIDE HYPODECTES CARPOPHAGA N. Sp. PERE PROESGIONVNEASNNI BA RAEDE Dobbiamo al Megnin (') la dimostrazione che i Sarcoptes passano per una serie di stadii transitori molto differenti, che si manifestano in seguito di una muta, e che le Ninfe in certe parti- colari circostanze assumono singolari proprietà, per cui furono da diversi autori credute specie distinte di Acari perfetti e come tali descritti sotto il nome di Acari senza bocca. Egli ha ricono- sciuto che questi stadii sono in numero di quattro per il maschio e di cinque per la femmina. 1.° Lo stato di uovo al sortir dal quale l’animale prende la forma di 2.° Larva exapode seguita dallo stato di 5.° Ninfa octopode. 4.° Da alcune di queste Ninfe, sortono probabilmente a. Dei maschi cogli organi sessuali; b. da altri sortono delle femmine senza ovidotti apparenti, che rassomigliano interamente alle femmine adulte di cui esse hanno tutti i caratteri, meno le uova in formazione nel corpo. Da queste femmine sortono 5.° Delle femmine cogli organi sessuali, un ovidotto molto apparente e delle uova vicine ad uscire. (!) T. P. Megnin. Recuci de Medecine Veterinaire. Paris. Aprile, Maggio, Giugno 1872. — Mémoire sur la gal du Cheval. So. Nat. f, IL leto, BARALDI Prima di muovere discorso della particolare Ninfa d’Acaride da me trovata sotto la cute nella regione pettorale di una Car- pophaga perpicellata, credo opportuno di prendere in rassegna tutti quegli autori che descrissero degli Acari senza bocca, accioc- chè gli studiosi possano dai loro detti e dalla osservazione delle figure rilevare, che questi individui classificati fra gli animali per- fetti, non sono altro che Ninfe di Acari simili a quella che io po- scia anderò a descrivere. Duges nel 1834 (') trovò sopra un Mister una specie d’ Acaro che, credendola identica a quella trovata da Herman nel 1797 sul | ventre e sul ‘piede d'una larva di Lamellicorne (Scarabee au Trichie hermite) e che la chiamò Acarus spinitarsus, fece, riferen- dosi all’ Acarus muscarum di Degeer scoperto nel 1735, il genere Hypopus, che pose nella sua famiglia degli Acari. — , Ces Aca- , riens, egli dice, ont un sucuir etroit, pourvre de deux soies ri- » gide dirigees en avant, paraissant composé d’ un livre saudé aux » palpes et les mundibules lui sont inconnues ,, . L. Dufour nel 1839 (è) fece conoscere due altre specie di que- sto genere: l'una (Hypopus Feroniarum) vivente in massa serrata sotto la testa, il corsaletto e l'addome dei Feronies; l’altro (IL Sapromizarum), vivente sui Ditteri del genere Sapromyza. Nello stesso tempo descrisse sotto il nome di Trichodactile un altro Acaro parassita degli Osmies, che Dujardin nel 1848 riconobbe che apparteneva allo stesso sistema di sviluppo degli Hypopus. Dujardin nel 1843 (?) comunicava alla Società Philomatica la descrizione di un Acaride, che trovava in certo numero sulle ali inferiori di un Ape. Non riconoscendo in questo la minima ana- logia con ciò che si era imperfettamente descritto e figurato sotto il nome d’ Hypopus, per la mancanza della bocca e delle ventose addominali lo chiamò Anoetus (parola greca che vuol dire in- compreso). | Gervais nel 1844 (‘), considerò gli Hypopus come un sottoge- (1) Annales des Scienses Naturelles. 2."° serie, F. I. pag. 37. (?) L’Institut. N.° 454, pag. 316. (3) Annales des Sciences Naturelles. 2.®® serie, T. XI, pag. 278. 9 (4) Inseptes apteres. Suites a Buffon. Rovet, Tom. 3.° ru. "a £ i irc nin STATO PART:COLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE 89 nere dei suoi Tyrogliphes, aggiungendone un quinto che chiamò Hypopus ovalis, trovato in gran numero sulle appendici boccali di certi Lithobius phorcipatus, a Parigi. Dujardin più tardi nel 1846 e 1847 riscontrò la specie di De- geer (Hypopus muscarum) talmente numerosa sull’addome e sul corsaletto della Musca stabulaus di Fallen e Meigen, a Parigi, che studiatala convenientemente s’ accorse che era organizzata come 1 suoi Anoetus, per la qual cosa dovette classificare questi con quella nel genere Hypopus. Nel 1849 rinvenne delle altre specie d’Hypopus sullo Stapki- linus fimetarius, sul Crytops hortensis, e attaccate colle loro ven- tose sulle foglie della felce (Ceterach officinarum). Questi ultimi gli presentarono un fatto notabile, cioè molti erano trasparenti e completamente vuoti, simili ai gusci che spesse volte aveva riscon- trati sulle ali delle A pi; qualcuno, molto più raro, completamente immobile, mostrava nel suo interno un altra forma di Acaride molle e ripiegata a guisa di un embrione, che occupava tutta. la cavità interna dell’ Hypopus, come se questo fosse stato il guscio di un uovo, ma di un uovo vivente e provvisto di zampe, o come la ninfa di mosca contenuta nella buccia formata dalla pelle in- durita della larva. Questi piccoli Acari inclusi avevano dei palpi e delle mascelle uguali a quelle dei Gamasus e dei Dermanyssus, e non differivano da questi che per la mollezza dei suoi integu- menti. , Diveniva adunque, egli dice, molto visibile che questi Hypopus senza bocca, senza accrescimento possibile, vivendo fissati colle loro ventose su delle superficii pulite che non potevano for- nirgli nulla, non erano che larve o piuttosto, se così vi sì può esprimere, delle uova munite di piedi e dotate di movimento, nell’interno delle quali, senza alimento venuto dal di fuori, i gio- vani Gamasus dovevano formarsi solamente a spese della sostanza in esse contenuta. (Conseguentemente a questo principio, egli aggiunge, io riscontrerò degli Hypopus dappertutto ove vivono, dei Gamasus, come ciò infatti mi avvenne ,. Oltre a queste specie d’ Hypopus studiate dal Duyardin e fin quì menzionate, egli ne trovò altri sette, una sullo Staplilinus fi- metarius lunga 0"", 15, una sul Necrophorus vespillo langa 0"", 22 una sul Canis vulpes lunga 0"", 24, una sul Bombus terrestris lunga da Omm, 22 a 0", 25, una sul Bombus lapidarius lunga 0"", 194, una sul Geotrupes stercorarius lunga da 0", 18, a 0", 21, ed una sull’Arvicola subterraneus. 90 BARALDI Genè nel 1845 (') descrisse col nome di Sarcoptes strigis un Acaride senza bocca che trovò nel tessuto connettivo sotto cutaneo del Barbagianni (Strix Flammea). Pontallie nel 1850 (*) ha osservato che i Gamasus che vivono nel mese di Febbrajo su dei passeri del genere Parus, Emberiza e Fringilla, ed in particolare sulle. Cingallegre e sulle Passere dopo di aver tessuto, per servirli di ricovero, una tela biancastra setosa, nella base delle coscie e più sovente alla parte anteriore del corpo di questi uccelli depositano le loro uova. Nel 1852 vide eziandio che i Gamassus che vivono sull’ Helix aspersa pongono le loro uova nella cavità polmonare: studiatele, riscontrò che alcune contene- vano dei Globuli ed altre racchiudevano degli Acari a diverso grado di sviluppo lunghi 0%, 30 larghi 0", 10, concludendo con ciò che gli Acaridi di cui si compone il genere Gamasus non si riproducono solamente per mezzo di Larve, munite di piedi e mancanti di bocca, come ha riscontrato il Dujardin, ma bensì anche per mezzo di uova nel modo stesso che si riproducono la maggior parte degli Antropodi. De-Filippi nel 1861 (*) ha comunicato diverse specie di Acari- di sulle quali ha fondato il suo nuovo genere sotto il nome d’Hy- podectes, trovato nel tessuto connettivo sottocutaneo dei fianchi e della regione parotidea di diversi uccelli. Quelli trovati nel tessuto sottocutaneo dei fianchi sono l’Hypodectes nicticoracis dell’Ardea nicticorax, VHypodectes alcidinis dell’Alcedo hispida, l’Hyp. garzetee dell’Ardea garzetta, V Hyp. strigis della Strix Flammea. Quest’ ul- timo, che egli ha posto fra i suoi Hypodectes, ha riconosciuto esser identico a quello descritto dal Genè sotto il nome di Sarcoptes strigis. . Una sola specie ne ritrovò nella regione paritodea, l’yp. pa- roticus dell’Ardea nicticorax. Negli Hypodectes, egli dice, è assai difficile determinare esattamente gli organi della bocca; si direbbe che essi sono saldati insieme. La parte mediana infatti sembra rappresentare il labbro e le mascelle fusi in un sol pezzo; le due parti laterali che le sono applicate, e che si distinguono per lo (1) Brevi cenni su di un Acarìdeo del genere dei Sarcopti che vive sulla strix Flammea. Seritto postumo di G. Gené. Torino 1848. (2) Annales des Scienses Naturel'es. 9 Serie, T. XIX, p. 106. (8) Archivio per la Zoologia. l Anatomia e la Fisiologia. Genova 1861. Vol. 1.0 Fast. 1: 0Opa tao: STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE: 91 stesso colore bruno degli epimeri, sono probabilmente i palpi. A poca distanza dei piedi posteriori e sulla linea mediana del ventre, una piccola fessura longitudinale munita di due valve cornee, rappresenta l'apertura sessuale. Alla parte opposta del corpo veggonsi, una piastra cornea frontale, molto allungata. La lunghezza del corpo varia nei diversi Hypodectes da 1"", 530 000. Donnadieu nel 1868 (') ha pubblicato due specie di Acaridi; il Trochodactylus xylocopae parassita della Xylopa violacea nel mese di Marzo e Aprile, ed il Trichodactalus osmiae parassita degli Ime- nopteri del genere osmia nella stessa epoca. Io ritengo, appog- giandomi alle belle figure che egli ha dato in questo lavoro, ed. al posto nel quale esso ha trovato questi Animali, che non si tratti di acaridi perfetti ma bensì di uno stadio della loro vita, e tale stadio esser quello di Ninfa. Le figure riportate rappresentano perfettamente degli Hypopus, poichè sono sprovvisti di bocca e presentano le ventose, già notate dal Dujardin, nell’addome, di cui si servono per attaccarsi a qualche corpo. Ci convinceremo maggiormente a non ritenere col Donnedieu che tali esseri sieno parassita degli insetti che li ospitano, se riflettiamo che essi vi- vono sulle loro ali e sul loro corsaletto: superficii che non possono somministrarli alcun nutrimento necessario per compiere la loro vitale carriera. Mi sono fermato un poco più lungamente di quello che io abbia fatto sugli altri autori, inquantochè il Donnadieu dà, un esatta descrizione dell’ apparato del rostro degli Acari da lui trovati, senza però che le sue figure dimostrino la giustezza dei suol detti. Vizioli nel 1868 (*) ha descritto due specie di Acaridi trovate nei Polli. La prima che ha denominato Sarcoptes nudus vive nel tessuto sottocutaneo, sotto la parete esterna del ventricolo, sul- l’omento e sul fegato; la seconda che egli denominò Sarcoptes cr sticola vive fra i muscoli della regione profonda del collo. Rivolta nel 1870 (?) osservò in mezzo a noduli di tessuto con- siuntivo sottocutaneo di una Gallina, una specie di Sarcoptes, in via di sviluppo, nel quale non riscontrando i caratteri del Sar- (1) Annales des Sciences naturelles. V.m° Serie, T. IN-X. (£) Giornale di Anatomia, Fisiologia e Patologia degli Animali domestici. Pisa 1869. Anno 1.0 F. V.0 pag. 257. (3) Giornale il J/edico Veterinario. Torino, febbrajo 1870. 92 BARALDI coptes nudus e del Sarcoptes cisticola descritto dal Vizioli, ed es- sendogli parso invece che più si avvicinasse al Sarcoptes mutans (cangiante) di Robin e Lauquetin, trovato dal Reynal produrre nei Galinacei una forma di rogna, lo ritenne per una specie affine a quest’ultimo. Ho menzionato le specie di “n descritte dal Vizioli e dal Rivolta, perchè hanno per sede comune con quello che io an- drò a descrivere il tessuto sottocutaneo dei Volatili; perchè le fi- gure date dal primo rassomigliano agli Hypopus, e perchè dal- l'esame di un preparato di Sarcoptes, trovato in un nodolo di tes- suto congiuntivo dal mio amico Rivolta, e dal medesimo fattomi esaminare, rilevai distintamente una ninfa d’Acaro dentro una buccia, nella guisa che il Dujardin aveva osservato | i Gamasus entro gli Hypopus. Io, da Luglio del 1870, trovai nel tessuto congiuntivo lasso sottocutaneo della regione pettorale di una Carpophaga perspicil- lata, morta dopo aver vissuto per aleuni mesi nel R. Giardino d’Acclimazione di Torino, e regalata dalla Direzione del R.° Museo di Zoologia ed Anatomia comparata, una enorme quantità di pic- coli corpuscoli bianco-giallognoli, che sottoposti convenientemente al microscopio a 60 ingrandimenti, sì presentavano opachi sotto forma ovulare molto allimgata tutti ugualmante grandi, lasciando scorgere dal margini otto estremità di zampe che mi posero fuori d'ogni dubbio esser quei corpuscoli degli Acaridi. Volendo determinare a quale specie appartenevano tentai, col mezzo di diversi reagenti micro-chimici, di renderli gian onde conoscere la loro organizzazione. Le soluzioni di acido ace- tico, di soda, di potassa, di nitrato d’argento; la benzina, la glice- rina, l'essenza di trementina ec. non valsero ad ottenere lo scopo. Solo l'acido solforico puro li rendeva trasparentissimi, lasciando scorgere non solo la forma dei diversi pezzi che compongono il derma-scheletro, ma ben anche i loro elementi interni. Tanto il derma-scheletro quanto gli elementi interni, erano sì identici nei diversi individui, che descrittone uno s'intendono descritti tutti. Essi sono lunghi da 80 a 82 centesimi di millimetro larghi da, On. 50 a 0", 32 (la differenza della lunghezza e della larghezza nei diversi individui dipende dall'essere più o meno schiacciati dal copri oggetti) e vi si possono considerare le differenti parti se- guenti: il corpo, il rostro (rudimentale), gli epimeri e le zampe STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE 95 anteriori, gli epimeri e le zampe posteriori, la piastra cefalica, le piastre dorsali e gli elementi interni. Corpo. — Il corpo ha forma ovoide molto allungata; è costi- tuito all’esterno da una membrana opaca molto resistente e’ sprovvista di peli, che sotto l’azione dell'acido solforico diviene trasparentissima, chiusa da ogni parte, all’infuori di due apparenti fessure nella parte inferiore posteriore di essa. Non vi sì scorge al- cun solco o ristringimento come suolsi notare nei Sarcoptidi. Nella sua faccia dorsale alla parte anteriore si vede la piastra cefalica (Fig. 2, a), ed alla metà circa della stessa faccia, le piastre dor- sali (Fig. 2, b), le quali sono aderentissime alla membrana. Sulla sua superficie si osservano otto lunghe setole (Fig. 2, c.) disposte nel modo seguente: sei nella faccia dorsale due una per parte, in corrispondenza della parte anteriore delle piastre dorsali; due alle estremità posteriori di queste; quattro nella faccia ventrale, due subito al didietro delle due prime paia di zampe, e le altre due assai più lunghe e rivolte indietro quasi all'estremità posteriore. Stanno tenacemente aderenti alla membrana che costituisce il corpo, il rostro, gli epimeri anteriori e posteriori, la piastra cefa- lica e le piastre dorsali. Rostro.— Il Rostro (Fig. 3, a.) è posto all’estremità anteriore del corpo, rappresentato da un cerchio chitinoso di un solo pezzo di color rosso-giallo cupo; la sua porzione ventrale si fonde con gli epimeri del primo paio di zampe; la porzione dorsale è libera ed a contatto con la piastra cefalica. Non si riscontra in esso alcuna di quelle parti che comunemente nei sarcoptidi vanno @ formare l'apparecchio masticatore. Perciò considerando che i di- versi pezzi che formano l'apparato masticatore negli altri sarco- ptidi, costituiscono l'apertura della bocca, non riscontrandoli in codesti, io non ho esitato punto a ritenere, questi esseri per una di quelle specie che il Dujardin chiamò, Acari senza bocca. Epimeri. —- Gli Epimeri (Fig. 3-4) sono parti dure della stessa sostanza e colore notati per il rostro, che servono di sostegno ed attacco alle zampe, e sono in numero di quattro paja. Il primo pajo (Fig. 3) come ho detto più sopra si fonde colle porzioni ante- riori al rostro rudimentale; colle porzioni interne agli epimeri del secondo paio, formando ognuno, con porzione del rostro, una specie di semicerchio colla convessità indietro, nel quale s’im- pianta il primo paio di zampe (Fig. 5), e colle porzioni interne sì 94 !°. BARALDI fonde in un solo pezzo che termina con una estremità libera rivolta verso la parte posteriore, in guisa che esso rappresenta un V majuscolo. Gli Epimeri del secondo pajo (Fig. 3) sono costituiti ognuno principalmente da un semicerchio colla convessità all’indentro e la concavità all'infuori, nella quale viene ad impiantarsi il secondo pajo di zampe. L'estremità superiore di questo semicerchio si fonde col primo paio di epimeri l’altra è libera ed appoggiata alle zampe. Una lunga branca che parte dal centro della convessità del semi- cerchio, va dal difuori al didentro e dall’avanti all'indietro quasi fino alla linea mediana, ove giunta prosegue in basso per un certo tratto, indi si assottiglia, fa due punti d’interruzione e va a ter- minare a guisa di largo uncino colla punta rivolta all'infuori ed all'insù. Una sostanza granulare chitinosa (Fig. 3 b) che contorna tutte le branche degli epimeri e che diminuisce mano mano che si allontana da queste, completa il sistema di parti dure che ser- vono d'attacco al rostro rudimentale ed alle prime due paia di zampe. Gli epimeri del terzo pajo (Fig. 1, d) sono alla faccia inferiore circa a due terzi posteriori della lunghezza dell’animale; essi sono costituiti ognuno da una branca di chitina rosso-giallo scuro in forma di sette, coll’asta orizzontale posta nel senso trasversale, e colla verticale parallela alla lunghezza dell'animale, e che. colla estremità posteriore fondesi alla metà dell’arco del quarto paio d’epimeri. Sono sprovvisti del semicerchio che negli altri serve d’inserzione alle zampe, e ne fa le veci la sostanza ani chi- tinosa la quale in questo luogo è più spessa. Gli epimeri del quarto paio sono costituiti ciascuno; dal semi- cerchio chitinoso che serve d’inserzione alle zampe, uguali a quello notato pel 1.° e 2.° paio, da un arco che parte dal centro della convessità del semicerchio e si dirige all’imdietro ed in basso e da una branca trasversale che si fonde alla linea mediana colla sua corrispondente. Anche il 3.° e 4.° paio a somiglianza dei primi due, sono circondati di sostanza granulare chitinosa, che completa il sistema posteriore di parti dure. Zampe. — Le zampe sono in numero di otto: ati per ogni lato (Fig. 1). Le tre prime paja si rassomigliano perfetta- mente, hanno uguale lunghezza e sono formate ognuno da cinque porzioni: l’anca, il trocautere, la rotula, la coscia, la gamba ed il STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE 95 tarso, (Fig. 3) e portano ad ogni articolazione due o tre piccole setole. Il tarso molto più lungo degli altri, ha all’ intorno diverse setole, e all’estremità libera ha un piccolo prolungamento obliquo al suo asse (Fig. 3, c) e cinque altre lunghe setole. Il quarto paio di zampe differisce dalle prime per avere al- l'estremità del torso una setola sola molto grossa e lunghissima. Piastra cefalica. — (Fig. 5). La piastra cefalica ha una forma irregolarissima; è costituita da sostanza granulare chitinosa iden- tica a quella notata trovarsi all’intorno degli epimeri; posta alla parte anteriore e superiore dell’animale (Fig. 2, a.) con una por- zione convessa rivolta in avanti, e due prolungamenti che guar- dano all'indietro; è molto spessa al centro, sottile alla periferia e finisce confondendosi colla pelle del corpo. Piastre dorsali. — Le piastre dorsali (Fig. 6.) hanno una forma che si può rassomigliare ad una cometa che abbia la stella ovale con un buco nel centro e la coda molto grossa e breve. Sono poste una per lato nella metà longitudinale della faccia dorsale, circa equidistanti dalla linea mediana (Fig. 2, b.) e dal margini laterali del corpo dell’animale. Sono costituiti della medesima so- stanza e colla stessa disposizione della piastra cefalica. Aperture sessuali. — Chiamo col nome di aperture sessuali quattro fessure chitinose di forma ovale strozzate nel centro (Fig. 1, e, Fig. 4, a.) che sono poste due per parte una davanti all’altra ai lati di una lamina pure chitinosa fusa colla branca trasversale dell’ ultimo paio d’epimeri. Queste aperture non pos- sono essere le sessuali inquantochè come vedremo più avanti questi animali non sono allo stato perfetto del loro sviluppo. Non ho potuto riscontrare se comunicavano colla cavità interna; non pertanto io sono persuaso che se queste fessure rappresentano le aperture genitali, devono essere rudimentali, ed acquistano il loro pieno sviluppo solamente collo svilupparsi dell'animale. Ocelli. — Gli ocelli (Fig. 1, a-b.) così chiamati dal De-Filippi (') sono tre corpiccioli del colore degli epimeri che si trovano nel si- stema anteriore di parti dure, disposti nel modo seguente; uno il più grosso, è a contatto dell’estremità posteriore delle due bran- che interne fuse del primo pajo d'epimeri, gli altri due sono situati uno per lato della linea mediana del corpo dell'animale fra le (4) Op. cit. 96 BARALDI branche parallele del secondo pajo d’epimeri. Osservati a 350 ingrandimenti si vedono costituiti, il primo da quattro corpuscoli ovali (Fig. 10, a.), strettamente uniti fra di loro ed indipendenti dagli epimeri; gli altri due, la metà ognuno più piccoli, sono co- stituiti solamente da due corpuscoli identici (Fig. 10, b.) a quelli riscontrati nel primo. Si discostano facilmente dagli epimeri, ed hanno un colore arancio-marrone. I quattro corpuscoli che for- mano l’ocello anteriore sono indivisibili anche sotto l’azione dei diversi reagenti chimici, non escluso l’acido solforico, e comunque fisicamente trattati. I due corpuscoli degli altri ocelli presentano le stesse proprietà. » Il De-Filippi (') dice, che i corpicciuoli conservati nell’Alcool sfuggono all'osservazione in grazia forse della natura particolare del pigmento ed anche per l’azione del liquido che rende opachi i delicati tessuti circostanti ,,. Non avviene certamente questo fatto in quelli da me riscontrati e descritti perchè conservo giù da tre anni molti degli animali in discorso tanto nell’alcool come nella soluzione di acido acetico, e tutti, ogni qualvolta adopero l'acido solforico come reagente, mi mostrano gli ocelli cogli stessi identici caratteri di quelli studiati freschi. Non posso poi col pre- lodato professore ritenerli come occhi, non avendo osservato nè i caratteri del pigmento nè la presenza di un globicino trasparente interno da considerarsi, come egli dice, equivalente ad un cri- . stallino. Hlementi interni. — (Fig. 7, a-b.). Gli Elementi interni sono rappresentati da un’ammasso di cellule omogenee che occupano quasi interamente la cavità del corpo (Fig. 7, a.) ho detto quasi interamente, perchè la parte superiore ed anteriore è occupata da cellule (Fig. 7, b.) che differiscono dalle menzionate pei suoi ca- ratteri fisici e chimici. Se noi rompiamo, in uno di questi animali, la membrana del corpo, e lo sottomettiamo al microscopio im- merso in un liquido indifferente, e dopo di aver fatta una leggiera pressione su di esso affinchè escano dal suo interno gli elementi che vi si trovano, vediamo una quantità di cellule di varia gran- dezza (Fig. $.), trasparentissime e rifrangenti la luce; le più grandi misurano 0"", 052, le più piccole 0"", 004; rassomigliano perfettamente alle cellule che si trovano entro le uova di molti (AO parcit STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE 97 animali, specialmente di quelli della classe degli Insetti. Versata una goccia di acido solforico sullo stesso preparato, le cellule la- sciano vedere esser costituite nel suo interno da un protoplasma granuloso con un grande nucleo trasparente ed un nucleolo pieno di granulazioni (Fig. 9.) ricordando con tale apparenza le cellule che si rinvengono nel giallo delle uova dei volatili. Quelle cellule che ho detto occupare la parte superiore ed anteriore del corpo dell'animale trattate col liquido indifferente sono tutte egual- mente grandi col diametro di 0"", 008 e tutte nucleate di un pic- colo nucleo opaco (Fig. 7, b.). Trattate invece coll’acido solforico vengono perfettamente distrutte, senza lasciare alcuna traccia della loro esistenza, mentre le altre conservano i loro caratteri anche ventiquattro ore dopo che vi fu versato lo stesso liquido. Ho in mille guise studiata l’organizzazione di questi animali e non ho mai gori che le cellule descritte. La grande ana- logia di questi animali con gl’ Ipodectes del De-Filippi m'aveva lusingato di poter vedere nel loro interno, come egli ha fatto, l’esofago, lo stomaco ed una massa gangliare. Fatta questa breve rassegna degli Acaridi senza bocca e di quelli che si potevano supportali, che fino al giorno d'oggi sono stati descritti; prima di classificare quello da me studiato esporrò alcune osservazioni sullo stato di vita di simili animali, e come si possa spiegare la loro presenza in posti nei quali non compiono tutti i loro stadii vitali. Gli Hypopus del Duges e di Dujardin, il Sarcoptes del Genè e gli Hypodectes del Dip animali tutti senza bocca, devonsi considerare uova, larve, ninfe od animali perfetti? Ecco la doman- da che si era costretti a rivolgersi dopo avere studiato questi es- seri singolari, avanti che il Megnin (') scoprisse in modo indubitato che tutti questi animali non sono altro che ninfe di acari, le quali poste in particolari circostanze, assumono caratteri speciali. Dalle esperienze da lui fatte sugli Acari parassita conosciuti sotto i nomi di Hypopus, di Homopus e di Tricodactilus gli hanno dimo- strato che non sono che uno stato transitorio dei Tyroglyphus siro. Egli mise in scatole di latta, assieme ad una gran quantità di funghi, molti tyroglyfi particolari ghiottissimi di queste cripto- ‘ (4) Op. cit. pr Ta 98 BARALDI 7 ) came, ed allorchè la materia su cui brulicavano venne ad essica- rarsi, ha osservato che gli acari adulti, i vecchi ed i più teneri di età ed ancora allo stato di Larve erapodi muoiono; mentre gli adolescenti, e le Ninfe octopodi cambiano di forma, si rivestono di una corazza che gli rende irreconossibili, ma che allo stesso tempo gli preserva dalle intemperie e dagli accidenti di un lungo viag- gio, si muniscono di un apparato d'attacco, composto di varie paia di ventose addominali, per mezzo delle quali essi si attaccano a tutti gli esseri più agili che passano loro vicino, come mosche, ragni, miriapodi ed ogni specie di insetti e anche di quadrupedì, per mezzo dei quali essi vengono trasportati altrove. Se il luogo ove si ferma l’ Animale che li porta è loro conveniente, cioè se vi sono dei funghi od un ammasso di detritus in piena decomposi- zione, il piccolo acaro corazzato discende dal suo veicolo animato, abbandona la sua corazza di forma HMypopus e ridiviene il Tiro- glifo che era prima. In seguito ad una conveniente ed abbondante alimentazione esso presto diviene adulto, si accoppia ed in meno di 24 a 48 ore ricostituisce una numerosa colonia. Dal detto si arguisce come questo Acaro non è psorico, perchè non ha alcun organo suscettibile di lacerare la pelle, e.non è un parassita, perchè desso non occupa sull’animale che un piccolo posto affine di essere portato. Per averlo il Gerlach ritrovato in gran numero sulla pelle di un Elefante di recente impagliato, lo disse, Symbiotes Elephantis; con più ragione il Furstemberh lo mise nel genere Homopus di Kock e per lo stesso motivo di Gerlach lo disse Homopus Elephantis; ma a quest’ Acaro man- cano gli organi speciali scavatori che Furstemberg gli ha dato. Non è nemmeno un Acaro perfetto come lo dissero Dugés, Kock, Gervais e Claparede. Talchè come devono cancellarsi dalla nomenclatura zoologica i generi kypopus, homopus e trichodactylus, e loro specie, lo devono essere del pari dalla categoria degli Acari psorici il Symebiotes ele- phantis di Gerlach, o l’homopus Elephantis di Furstemberg. La parola /kypopus può essere conservata come un nome che serve ad indicare la curiosa ninfa corazzata eteromorfa dei T'iro- glifi incaricata della conservazione e diffusione della specie alla quale essa appartiene ('). (!) Dalla Gazzetta Medico-Veterinaria. Sett. Ott. — Milano 1873. 99 Ora considerando che l’animale da me descritto è senza bocca, senza organi di generazione, e senza differenza di sesso; che tutti gli individui sono al medesimo grado di sviluppo, e che a guisa degli insetti, anche gli Acari, come ha dimostrato il Megnin, pos- sono compiere le tre metamorfosi, larva, ninfa, e insetto completo, io non dubito punto di riconoscere in questo animale una Ninfa corazzata di un Acaro da noi sconosciuto, ma che potrebbe essere di quelli ben studiati e classificati. La Ninfa esaminata non ap- partiene però ad alcuno dei generi indicati dal Megnin ma bensì a quello descritto dal De-Filippi sotto il nome d’ Hpodectes e che il Megnin non conosceva. Collo stesso Megnin poi non sono d’ ac- cordo nel ritenere che tutte le Ninfe corazzate di Acari dieno ori- gine a Tiroglifi, ritenendo invece che molti e forse tutti gli acari possono prendere in date circostanze quella particolare forma indicata: le Ninfe corazzate del Dermanissus scoperte dal Dujardin, la grande differenza che esiste fra gli Hypopus e gli Hypodectes vengono a conferma della mia opinione. Onde chiarire meglio che l’Animale riscontrato sotto la cute della Carpophaga e che chiameremo in seguito Hypodectes Car- pophagae, seguendo l'esempio del De-Filippi nel determinare la specie ('), esporrò i principali caratteri degli Hypopus e degli Hypodectes, per confrontarli con quelli presentati dall’ Animale da me ritrovato. SPATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE Hypodectes carpopha- Hypodectes. De-Fruri. gae. Nostro. Hypopus. Dussrpin. Lunghezza da 09m, 20 a 0mm,27. Forma ovale con solco trasver- sale. Otto zampe con uncini alle pri- me tre paja. Senza bocca. I palpi rappresentati da tuber- coli terminati da setole. Muniti di due o più ventose alla parte posteriore ed inferiore del corpo. Dne valvole in corrispondenza degli organi genitali degli acari perfetti, munite ciascu- no di due globuli. quattro paia d’epimeri riuni- te sotto la parte inferiore del corpo. . Viventi sopra gli insetti ed i mammiferi, Le (1) Op. cit. Lungo da 0m,50 a 10m, 30. Forma ovale molto allungata senza solco trasversale. Otto zampe senza uncini. Senza bocca. Senza alcun rudimento di ap- pendici boccali. Mancanza di ventose alla parte posteriore ed inferiore del corpo. Due fossure in corrispondenza degli organi genitali degli acari perfetti, munite ciuscu- na di una vulva. Le due paia d’epimeri anteriori discoste dalle posteriori. Viventi sotto la cuta degli uc- celli. ì Lungo da Omm 80 a Qmm, 82, Forma molto allungata senza solco trasversale. Otto zampe senza uncini. Senza bocca. Senza alcun rudimento di appen- dici boccali. Mancanza di ventose alla parte inferiore e posteriore del corpo. Due fessure in corrispondenza degli organi genitali degli animali perfetti, munito cia- scuue di due vulve. Le due paie d’epimeri auterio- ri discoste dalle posteriori. Viventi sotto la cute degli uc— celli. 100 BARALDI Io sono di parere col Megnin, che si debbano cancellare dalla nomenclatura zoologica tutte le Ninfe che vennero creduti acari per- fetti; ma però crederei molto utile che venissero poste classificate in appendice di quelli, conservando loro il nome che gli venne dato dagli autori che prima le descrissero, sotto il titolo generale di Ninfe acaridee. Perciò per gli Hypotectes seguirei l’ abbozzo di classificazione dato dal De Filippi onde porre al suo posto quello da me rinvenuto. Genere Hypodectes. A. Corpo assai allungato; la distanza fra il secondo ed il terzo paio di gambe all’incirca del doppio della larghezza del corpo. I rami degli epimeri delle due prime paia di zampe confluenti in modo da circoscrivere uno spazio. I due rami degli epimeri della terza e quarta gamba d’ambo i lati saldati colla loro estremità ad un pezzo corneo comune. Due setole sul corpo, una piastra cefalica e quattro dorsali. Hyp. nicticovacis. De-Filippi. Hyq. garzetae. De-Filippi. b'SCIZA LO ne B. Corpo non molto allungato; la distanza fra il secondo ed il terzo paio di gambe all’incirca uguale alla larghezza del corpo. I singoli rami degli epimeri liberi alla loro estremità. Una piastra cefalica e quattro dorsali. a. tre ocelli interni. Hyp. paroticus. De-Filippi. Hyp. alcidimis. De-Filippi. b. senza ocelli { Hyp. strigis. De-Filippi. | Sarcoptes strigis. Gené. C. Corpo molto allungato; la distanza fra il secondo ed il terzo paio di gambe all'incirca uguale ad una volta e mezzo la lar- ghezza del corpo. I due rami degli epimeri della terza e quarta gamba d’ambo i lati saldati colle loro estremità ad un pezzo chi- tinoso comune. I rami degli epimeri delle due paia di gambe liberi alla loro estremità. Una piastra cefalica e due dorsali. Le fessure genitali munite ognuna di due vulve. a. a tre ocelli. Hyp. carpophagae; nostro. b. senza ocelli. — ??..... a. tre ocelli interni UTI IZZO E | STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE 101 Se le esperienze del Megnin ci hanno messo fuori di dubbio che tutti gli acari senza bocca descritti come animali perfetti non sono altro che ninfe di cotesti acari, e ci danno ragione della loro presenza sulla piante, sui mammiferi e sugli insetti, non valgono però ad indicarci come alcune di tali ninfe si riscontrano sotto la cute degli uccelli. Su questo particolare Genè e De-Filippi tacciono affatto (1). Vizioli (*) crede invece che i Sarcoptes da lui trovati, non solo siano parassita dei polli, e che quindi si sviluppino entro il loro corpo, ma crede anche sì trasportino da un ospite all’altro, aven- doli esso riscontrati su molti individui di una stessa località. Se l’animale che ospita quei parassita, come egli dice, tende ad inca- psularli ed a calcinificarli a guisa di corpi stranieri, come mai può avvenire il loro svolgimento da esso riscontrato? A me sembra che il trovare molti acari in via di sviluppo nel corpo degli uc- celli, non voglia dire che essi sieno nati ed accresciuti in quel posto: potrebbero essere stati introdotti dal di fuori tali e quali sì sono rinvenuti! E l'essere tutti i gallinacei di una stessa loca- lità infetti dai medesimi acari come egli asserisce, non si deve attribuire a parassitismo, ma bensì al trovarsi tutti sotto le stesse cause e specialmente alimentati cogli identici cibi, coi quali è molto probabile venissero introdotti nel loro interno, gli acari, nelle diverse fasi vitali. E opinione di Rivolta (*) che i Sarcoptes trovati nei noduli del tessuto connettivo sottocutaneo di una gallina, abbiano invaso la superficie del corpo di detta gallina, e molti di essì attraversata la cute si siano portati a diverse profondità a seconda delle pro- prie forze, dove hanno trovato la tomba; oppure giunti coll’ali- menti all’intestino ed attraversatolo si siano sparsi nelle varie regioni. Io ritengo che le Ninfe di Acaro trovate sotto la cute della Carpophaga, vi siano penetrate per la via della bocca insieme a molti altri acari della stessa specie in differenti stadii, e che non essendo in un ambiente adatto alla loro vita, sia avvenuta la morte delle Ninfe exapode e degli individui adulti; mentre le Ninfe octopode attraversati i tessuti si siano portate sotto la cute del petto e per la ragione sopra indicata, cioè di non essere in un (‘) Op. cit. (2) Op. cit. (3) Op. cit. 102 ‘ BARALDI — STATO PARTICOLARE DI UNA NINFA D'ACARIDE posto adatto per nutrirsi e svilupparsi, si siano provvisti di quella, singolare corazza, che abbiamo riscontrata nei Gamasus del Dujardin (') e nei Tyroglyfi del Megnin (°), aspettando, forse in- darno, di potersene liberare onde compiere la loro carriera vitale. CONCLUSIONE Io ritengo; Che tutti gli Animali acaridei sprovvisti dell'apparato boccale e senza ‘organi della generazione, che fino al giorno d’oggi sono stati descritti e classificati fra gli Animali perfetti, debbono ritenersi per Ninfe corazzate di specie diverse di acari; Che l’acaro da me trovato sotto la cute della regione pettorale di una Carpophaga perspicillata è una specie nuova di Ninfa corazzata di un’ acaro sconosciuto del genere descritto dal De-Filippi sotto il nome d’ Hypodectes; Che le Ninfe corazzate non devono essere considerate pa- rassite degli animali che le ospitano, perchè mancando degli organi della masticazione non possono su quelli prendere alcun nutrimento; E finalmente che le Ninfe corazzate di acari trovate nel tessuto connettivo sottocutaneo degli uccelli, vi siano introdotte cogli alimenti per le vie della digestione, attraversando 1 diversi tessuti che ne li separavano. (1) Pag. 3. (2) Pag. dt. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1. Ninfa acaridea. Hypodectes carpophagae veduta nella faccia centrale. 3 » @ Ocelli anteriori. b. Ocelli posteriori. » ” 5) » ©. Rostro rudimentale. È. » d. Epimeri posteriori. di » ©. Aperture sessuali. ti » Î. Epimeri anteriori. » 2. Idem veduta nella faccia dorsale. a. Piastra cefalica. » 82) L » Db. Piastre dorsali. si betvely » 3. Epimeri con due arti anteriori. È iaimoSt 0! >» » Db. Sostanza granellosa chitinosa. » C. Uncini del tarso. » 4. Epimeri posteriori. s @ Fessure sessuali. 5. Piastra cefalica isolata. 6. Piastre dorsali isolate. » . Porzione anteriore dell’Animale trattata coll’acido solforico. Cellule interne di diversa grandezza. Cellule superiori omogenee. Rostro. s di Uncino degli epimeri anteriori. 8. Cellule interne trattate con un liquido indifferente. 9. Cellule interne trattate coll’acido solforico. 10. Ocelli trattati coll’acido solforico. $ EQUO » 3 » a Ocello anteriore. » » Db. Uno degli ocelli posteriori. Sc. Nat. f. II, NUOVE SPECIE DI PHYLLOCERAS È DI LYTOGERAS DEL LIASSE SUPERIORE D'ITALIA PROPOSTE DAL PROF. G. MENEGHINI (') Impegnato da molti anni nello studio dei fossili della Calcaria rossa ammonitifera della Lombardia, per corrispondere all’ onore- vole invito fattomi dal Prof. Stoppani di partecipare, con essa Monografia ed insieme ad altri Paleontologi, alla compilazione della sua Opera intitolata Paléontologie Lombarde, ho dovuto ne- cessariamente estendere l’ esame comparativo ai fossili della cor- rispondente Calcaria rossa ammonitifera dell'Appennino centrale, dei quali già molto innanzi mi era con predilezione occupato, non che a quelli degli altri giacimenti italiani che, sotto altre forme litologiche, egualmente rappresentano il Liasse superiore. Prese a descrivere, in precedenza a quelle di ogni altro genere, le molte specie di Ammoniti, incontrai così grandi difficoltà nel de- finirle coscienziosamente, che la pubblicazione del mio lavoro, co- minciata nel 1867, non ha ancora raggiunto il suo termine. Oltre alle molte circostanze estranee, che fatalmente contribuirono a cagionare così incresciosa lentezza, la suaccennata difficoltà mi si (4) Nell’adunanza del 5 Luglio 1874 il Prof. Meneghini presenta alla Società gli esemplari di dicianove specie, da lui giudicate nuove, di Ammoniti apparte- nenti ai sottogeneri PhyWoceras e Lytoceras, facendone rimarcare i caratteri distin- tivi, principalmente dedotti dalla frastagliatura dei setti 0, come suol dirsi, dai lobi, resi evidenti anche negli esemplari che naturalmente non li presentano, mercè particolari preparazioni. — Accompagna quindi la ostensione colla seguente Nota. NUOVE SPECIE DI PHYLLOCERAS E LYTOCERAS DEL LIASSE SUP. D'ITALIA. 105 presentò grandissima allorchè fui giunto ai due sottogeneri Phyl- loceras e Lytoceras, in causa della molteplicità, veramente meravi- gliosa di forme speciali, associata alla costanza dei caratteri ge- nerici. Anche senza poter decidere se esse forme abbiano valore di vere specie, le distinzioni come tali proposte dagli Autori, in questi ultimi anni, imponevano a me distinzioni altrettanto minute e particolareggiate, tanto più che, con singolare cortesia, altri se ne asteneva sapendomene occupato. Ora che ho, con quanta maggior diligenza potessi, condotto a termine esso mio lavoro, devo attenderne, per le inevitabili len- tezze tipografiche, e forse a lungo, la pubblicazione. Credo quindi opportuno offrire quì in compendio la indicazione delle specie che ho creduto nuove, per fissar la data della separazione loro da quelle già anteriormente conosciute, e che sono molto più nu- merose. 1. Phylloceras Lariense. Specie affine al Pl. eximium Hauer, ma distinta, oltrechè per la forma esteriore e per la carena interrotta e nodosa, anche per i particolari dei lobi: lobo sifonale più lungo; sella laterale meno profonda. 2. Phylloceras Doderleinianum. Amm. Doderleintanus Cat. ex parte. Amm. heterophyllus Auct. ex parte, non Sow. Differisce dal vero PW. heterophylum principalmente per la divisione fastigiata anzichè piramidale dei lobi, per i rami opposti del primo lobo laterale e per la struttura della sella laterale, si- mile a quella del P%. trifoliatum Neum. 3. Phylloceras selinoides. Eterofillo molto somigliante per i lobi al PR. trifolatum Neum., ma diverso nel modo d’accrescimento avendo, oppostamente a quello, l'ombelico più aperto nella prima età di quello che suc- cessivamente. Sui modelli interni di molti esemplari vedonsi i solchi lasciati dalle varici interne del guscio, ma in molti, del rimanente eguali ai primi, i solchi mancano affatto. 106 MENEGHINI 4. Phylloceras Ausonium. Ammonites Doderleinianus Cat. ex parte. Eterofillo paragonabile per la forma esteriore e per le propor- zioni al Ph. Capitanei Cat., ma, colla sella laterale difilla e con nove lobi interni. 5. Phylloceras Spadae. Distintissima specie del gruppo del PR. tatricum Pusch, para- gonabile al Ph. fadellatum Neum., al Ph. euphyllum Neum., ed al PI. ptychoicwn Quenst., e da tutti diverso per ì caratteri dei lobi: sette lobi sul fianco a diramazioni fastigiate, sella laterale trifilla, cinque lobi interni, tutte le selle interne monofille. 6. Phylloceras Bicicolae. Differisce dal Pl. disputabile Ziet. per aver la sella laterale difilla. 7. Phylloceras Stoppani. Specie paragonabile all’ Am. Hommairei d’Orb., dal quale differisce, oltrechè nella forma e nelle proporzioni, per la sella laterale trifilla. 8. Phylloceras Calais. Specie notevolissima per la forma rigonfia e la grande involu- zione, per i solchi lasciati dalle varici interne alla superficie del modello interno dei primi giri, mentre i successivi, benchè conca- merati, ne sono privi, ma principalmente per la grandissima fra- stagliatura dei lobi e delle selle, paragonabile a quella del fra- tello Zetes. 9. Phylloceras dolosum. Forma così diversa dalle consuete degli Eterofilli da crederla a prima giunta appartenente ad altro gruppo. Piccola conchiglia, molto compressa e molto involuta, il cui modello interno pre- senta sulla porzione esteriore dei fianchi leggeri solchi interposti a rilievi parimente leggeri, regolarmente disposti, incurvati sul contorno ventrale, e che solo verso la fine della spira si estendono. a tutta l’ altezza. Cinque soli lobi sul fianco, a selle difille. NUOVE SPECIE DI PHYLLOCERAS E LYTOCERAS DEL LIASSE SUP. D'ITALIA 107 10. Lytoceras Villae. Lento accrescimento, giri compressi, molto involuti, coste crenulate, flessuose, fascicolato-dicotome; modello interno liscio, senza strozzature, sella accessoria larga, riccamente frastagliata, lobulo laterale interno grandicello, separato dal mediano mercè sella bifogliata; rami trasversali del lobo antisifonale corti, obliqui. ll. Lytoceras Cereris. Ammonites fimbriatus (Sow.) Hauer ex parte, non Sow. Rapidissimo accrescimento, spira quasi disgiunta; giri con- vesso-compressi; sezione obovata; modello interno liscio, senza strozzamenti; sella accessoria piccola, suo lobulo medio tagliato longitudinalmente dalla sutura ombelicale, lobulo laterale in- terno nel mezzo della parte interna della sella; ramo trasver- sale del lobo antisifonale reflesso, così lungo da comparire sul fianco. 12. Lytoceras velifer. Spira assai compressa e molto involuta; ombelico profondo; margine ventrale sottile; sezione dei giri ovata; strozzamenti poco profondi, quasi diritti, sulla porzione concamerata, nessuno sull'ultima camera; sella accessoria molto obliqua, ma larga quanto la laterale e regolarmente quadrifogliata; rami trasver- sali del lobo antisifonale molto frastagliati, ma poco estesi. 13. Lytoceras Dorcadis. Lytoceras Germainei (D’Orb.) Zitt., non D’Orb. Giri compressi, poco involuti; sezione ellitica, strozzamenti curvati all'indietro; sella accessoria molto larga, suo lobulo me- dio molto grande ed intieramente scoperto sul fianco, lobulo laterale interno molto discosto; il ramo trasverso del lobo an- tisifonale non oltrepassa la sutura. 14. Lytoceras sepositum. Lentissimo accrescimento, giri leggermente depressi, poco involuti, sezione subquadrangolare; superficie del modello interno liscia nella parte concamerata, ornata di costicine radiali nella 108 MENEGHINI ultima camera; profonda strozzatura peristomatica alla estre- mità della spira; sella accessoria eguale ed allineata alle prece- denti; ramo trasversale del lobo antisifonale obliquo, breve. 15. Lytoceras spirorbis. Spira planulata, lentissimo accrescimento, giri appena de- pressi, sezione quasi rotonda, strozzamenti (quattro per giro) curvati all'indietro, superficie del modello interno dell'ultima camera ornata di costicine egualmente curvate all’indietro; sella accessoria molto larga, sua parte interna pochissimo profonda, lobulo laterale interno molto più grande dell’ esterno, accosto al mediano, ramo trasversale del lobo antisifonale breve. 16. Lytoceras nothum. Ammonites fimbriatus (Sow.) Hauer, non Sow. È il Fimbriato più comune nel giacimento del Medolo, ed esso, oltrechè per le proporzioni, per la depressione dei giri e per la mancanza di strozzature, differisce dalla specie tipica, per la frastagliatura molto più ricca dei lobi, e specialmente per la sella accessoria regolarmente quadrifogliata. 17. Lytoceras loricatum. Lento accrescimento, giri rotondi non involuti, quattro stroz- zamenti nell'ultima metà di giro, essa stessa concamerata, e superficie del modello interno ivi tutta cinta di costicine radiali sui fianchi, trasversali sul margine ventrale; sella accessoria larga, poco profonda, suoi lobuli laterali piccoli in forma di denticini ai due lati del lobulo mediano, esso pure piccolo, e contiguo alla sutura; ramo trasversale del lobo antisifonale obliquo e corto. 18. Lytoceras mendax. Ammonites Phillipsi (Sow.) Hauer ex parte, non Sow. La compressa della due forme dall’ Hauer riferite alla specie del Sowerby, dalla quale differisce, oltrechè nella forma e nelle proporzioni, anche nei particolari dei lobi, principalmente per ciò che riguarda la sella accessoria, la quale ha struttura affatto particolare; il Jlobulo interno essendovi rappresentato da una, punta ad angolo. retto fra la foglietta che lo divide dal lobulo mediano e quella profonda che fiancheggia il lobo antisifonale. Are NUOVE SPECIE DI PYILLOCERASY E LYTOCERAS DEL LIASSE suP. D'ITALIA. 109 19. Lytoceras Gardonense. Ammonites Phillipsi (Sow.) Haner in parte. non Sow. La forma depressa, essa pure molto diversa dalla specie del liasse inferiore, alla quale è stata riferita, oltrechè per i carat- teri esteriori, anche per quelli dei lobi, e specialmente per la sella accessoria regolarmente quadrifogliata. DI ALCUNE CONCHIGLIE TERRESTRI FOSSILI NELLA TERRA ROSSA DELLA PIETRA CALGAREA DI AGNANO NEL MONTE PISANO Nota di CARLO DE STEFANI Presentata nell’ Adunanza del 31 Maggio 1874. Le cave della pietra calcarea, di fianco alla strada lungo monte fra Asciano ed Agnano, sono aperte in un cumulo di massi caduti dalla pendice sovrastante, che è costituita dal calcare infraliassico cavernoso. Fra i massi, quando il cemento calcareo non li abbia riuniti, si hanno cavità riempite dalla terra rossa solita a trovarsi alla superficie de’ calcari impuri: in una di quelle cavità, recen- temente messa allo scoperto, è stata trovata una quantità straor- dinaria di conchiglie perfettamente conservate, talune delle quali non esistono viventi nel Monte Pisano e sono perciò interessan- tissime a studiarsi. Ecco la nota di quelle specie che ho potute raccogliere in una gita fatta colà coi naturalisti Sigg. Major, Peruzzi e Chiellini. 1. Testacella Beccarii, Issel. Gentiluomo (Catalogo dei molluschi terrestri e fluviatili della Toscana; Bull. mal. It. vol. I, 1868). Non saprei a niuna altra specie che a questa riferire un pre- zioso esemplare da me trovato. La specie finora non è stata citata se non a Firenze, ma è probabile che viva nell’Apennino e forse anche nel Monte Pisano nei luoghi più umidi, come sogliono gli individui appartenenti a questo genere CONCHIGLIE FOSSILI NELLA TERRA ROSSA DI AGNANO 111 2. Helix cinctella, Drap. Rara: la specie abita nei luoghi umidi e nelle boscaglie, anche nel piano di Pisa, e nel Monte Pisano, sebbene non nei dintorni delle cave. 3. Helix nemoralis, Linn. Abbondantissima è la varietà un/fasciata; taluni individui hanno 3 fascie inferiori, altri ne hanno 5, ed in uno esistono 2 fascie inferiori e 8 superiori fuse però rispettivamente insieme. Le dimensioni sono le seguenti, identiche a quelle degli individui viventi in S. Rossore e nel M. Pisano: lacehezza i 00255 altezza 0016: Gli individui che sono fossili nella breccia delle cave ed alla superficie delle buche, ricoperti da una veste di carbonato di calce, hanno dimensioni di un terzo maggiori, pur conservando le stesse varietà di forma. La specie vive ora frequentissima in tutta la Toscana, nei luoghi umidi e nei boschi, ne’ colli e nel monte, come nel piano. 4. H. planospira, Lamk. Abbondantissima anco più della specie precedente, e colle di- mensioni ordinarie. Si trova non solo entro la terra rossa, ma eziandio nelle breccie ed alla superficie delle pareti calcaree nelle cavità vuote e nelle buche o caverne; gli individui rimasero colà, aderenti alle pareti, nella posizione medesima che dovevano avere prima di morire, ricoperti e preservati da una veste calcarea. La specie non esiste più nei dintorni delle cave; però nel Monte Pisano, viene citata a Pozzuolo ed a Ripafratta: essa vive, sebbene di rado in numerose colonie, in tutta la Toscana nei luoghi più umidi, fra il terriccio e sotto le foglie marcie, nelle buche e nei cespugli. 5. H. obvoluta, Miill. Più abbondante di quel che non sia adesso vivente. Questa specie non viene citata nel Monte Pisano; ma è facile che vi si trovi sebben rara, essendo diffusa in tutto il resto della Toscana. I suoi modi di vivere e la sua abitazione, sono simili a quelli dell’ H. planospira. Jliz: DE STEFANI 6. H. rotundata, Mill. Pochi individui. Essa abita nei luoghi umidi e sotto le pietre, e vien citata nelle Alpi Apuane, nel Volterrano, nel Senese e nel Fiorentino. Il Carrara l’ha trovata vivente anche nel Pisano. 7. Zonites olivetorum, Gmel. Questa specie non è rara, e di solito la si trova fossile in tutte le caverne ed in tutte le breccie ossifere delle Alpi Apuane e del Monte Pisano. Attualmente vive ne’ luoghi umidi e rifugge dalle pianure; manca ne’ dintorni di Agnano ma è abbondante nella regione elevata delle Alpi Apuane, ne’ colli di Ripafratta nel Monte Pisano, e ne’ colli della Toscana meridionale. 8. Z. fulvus, Mill. Vive nei luoghi umidi ed in Toscana è citato a S. Rossore. 9. Z. lucidus, Drap. Non raro. Attualmente è assai diffuso in tutta l’Italia. 10. Bulimus obscurus, Mill. Non è citato nel M. Pisano, ma vive nei luoghi umidi nel l’Apennino. 11. Cyclostoma elegans, Drap. Abbondantissima, come lo è pure adesso, colla identica forma, ne’ dintorni della grotta. Si contenta de’ luoghi asciutti come degli umidi. 12. Pomatias patulum, Drap. Non raro e talora con dimensioni relativamente grandi. Questa specie, di abitudini settentrionali, vive alla superficie delle roccie specialmente calcaree nelle regioni più elevate e più fredde delle Alpi e dell’Apennino, ed in Toscana trovasi nelle Alpi Apuane e nella Val di Serchio. 13. Pupa cinerea, Drap. Frequente colle stesse dimensioni degli individui tuttora vi- venti nel medesimo posto. Le dimensioni sono le seguenti: CONCHIGLIE FOSSILI NELLA TERRA ROSSA DI AGNANO 1065; Lumehezza PO r000ra 0010 Diane 00058 Mi sembra opportuno notare che nelle località situate come questa delle cave, le dimensioni degli individui viventi della P. cinerea sogliono essere maggiori; ma probabilmente la minore sta- tura che quì si riscontra, è effetto di una disposizione ereditaria derivante dalla forma degli individui che vivevano altre volte nella località, e che vi sono rimasti fossili. Conoscendo per bene i rapporti che esistono fra il clima e la statura di talune specie di molluschi, fra le altre, in particolare, della P. cinerea, non sarebbe impossibile giudicare con qualche approssimazione, della tempe- ratura che predominava quando la P.cinerea ed il Pomatias patulum di Agnano vivevano là dove ora si trovano fossili. 14. P. biplicata, Mich. Abbastanza frequente. Attualmente vive nei luoghi umidi nelle colline e nelle pendici dell’Apennino: finora non è stata tro- vata vivente nel M. Pisano. 15. Clausilia rugosa, Drap. var. cruciata, Studer. Non rara. È identica alla forma che si trova nei luoghi umidi della Val di Serchio. Non vive nel M. Pisano. 16. C. itala, Martens. Non rara, in esemplari lunghi 19 millimetri, appartenenti a mio credere alla var. purctata, Mich., che è quella stessa la quale sì trova con prevalenza nelle Alpi Apuane. Questa specie sembra mancare nel Monte Pisano, sebbene si trovi non rara in Toscana. Essa non ama i luoghi troppo a solatio. 17. C. comensis, Shuttleworth. var. lucensis, Gentiluomo. Non rara: questa specie, come l’ Helix obvoluta e V IL plano- spira, abita sotto le foglie nei luoghi umidi, e finora è stata tro- vata soltanto sulle pendici delle Alpi Apuane. Ciò vuol dire che anticamente, insieme col Pomatias patulum, essa si estendeva più a mezzogiorno che non ora. 114 DE STEFANI — CONCHIGLIE FOSSILI NELLA TERRA ROSSA DI AGNANO Come sì varie specie e sì numerosi individui di conchiglie si trovino rinchiusi nella terra rossa, è facile a spiegarsi, pensando che le loro spoglie venivano portate dalle acque pioventi, insieme colla terra, a riempire le cavità della roccia; la loro accumula- zione poi dovè essere frutto di un tempo relativamente lungo. Fra le specie descritte si vedrà che salvo poche le quali vivono allo scoperto anche ne’ luoghi più asciutti, e che stanno tuttora presso le cave, le altre vogliono luoghi umidi e riparati e foglie secche e marciumi, tutte condizioni di vita le quali non si trovano più in quel posto, adesso caldo ed asciutto. Ciò vuol dire che altre volte le acque vi duravano più che non ora, e che l’ umidità era assai maggiore, forse a causa della vegetazione più lussuriosa e più ricca, che adesso invece è rappresentata dal rado e dal brullo ulivo. Si noterà poi la Clausilia comensis, e specialmente il Poma- tias patulum che sono scomparsi dal Monte Pisano e che vivono in climi non caldi, prediletti pure dallo Zonites olwetorum dalla Clausilia rugosa, e da altre delle specie mentovate. Questo fatto, come pure la mancanza allo stato fossile della Pupa Philippi Charp. e dell’Helix vermiculata Mull., che adesso sono abbondanti nei din- torni delle cave, e di altre specie di carattere meridionale, prova che il clima dei dintorni ed in conseguenza di tutto il Monte Pi- sano, era altre volte, oltre che più umido, eziandio più freddo che non ora. Per concludere, i fossili trovati nella terra rossa, attestano il succedersi di tempi più caldi ad altri più freddi, e lo scomparire incessante di specie settentrionali proprie di que’ climi più fri- gidi. Come fatto negativo, si può notare la mancanza nella terra rossa dell’Helix cingulata Stùder, specie settentrionale pur essa, e che altre volte era assai più diffusa d’ora nelle Alpi Apuane, ma che non ancora è stata trovata fossile nelle caverne e nelle breccie del Monte Pisano. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI —e00vs__ Memoria del prof. ANTONIO D’ACHIARDI. PARTE IL. (1) Circophyllia? truncata? Tav VEE 1, 2a, 3. Tre individui diversamente sviluppati. — 2b. Coste ingrandite. — 2 c. Calice. 2d. Porzione del medesimo ingrandita. Antophyllum truncatum, Goldfuss (Petref. Germ. t. I, p. 46. tav. 13. fig. 19.1826). Circophyllia truncata, M. Edw. et Haime — (Ann. d. Sc. Nat. ser. 3. Lom Re pls,fl3 1849) Alcuni esemplari rotti come quello effigiato dal Goldfuss si assomigliano sì fattamente alla figura data dal medesimo di questa specie, che parrebbero non lasciar dubbio sull'identità specifica. Ma intanto insieme a questi e con tutti i graduati pas- saggi se ne trovano altri, che mentre dimostrano esser tutta una medesima cosa, non solo fanno dubitare della identità loro con la specie summentovata del Goldfuss, ma sì bene della loro determi- nazione generica, onde i due punti interrogativi da me posti al genere e alla specie. Trattasi di un polipajo semplice trottoliforme negli individui giovani (fig. 1.), lungamente conico (fig. 2.) e talvolta quasi ci- lindrico , eccetto verso la base (fig. 3.), negli individui adulti, es- (AVAVoRRTitase A paso) 116 D'ACHIARDI sendo però in questi e in quelli ricurvo verso la base stessa e talora anche nelle parti superiori. Alla base il polipajo si assottiglia molto ed appare pedicellato. Coste numerosissime ben distinte fino dalla base; quelle dei primi quattro cicli quasi uguali; le altre un poco minori; tutte minutamente denticolate e collegate qua e lù da esilissime traverse endotecali, e da cingoli epitecali in forma di lacci, che talvolta, anzi quasi sempre, mancano negli individui giovanissimi o vi appajono scarsi, mentre si succedono fittamente negli adulti in special modo verso l'apertura calicinale. Ma su ciò non havvi regola costante; che sonovi degli individui adulti in cui pure scarseggiano a canto ad altri in cui vanno a grado a grado aumentando. | La presenza di questi cingoli epitecali mi ha fato lungamente dubitare (e dubito ancora) sulla determinazione di questa specie, mancandone l'esemplare effigiato da Goldfuss e da Milne Edwards; e se si voglia dar loro importanza assoluta ci conviene in tal caso separare questa e le due specie seguenti dal genere Circophyllia per comprenderle in un nuovo genere, se pur non si volessero ri- ferire al genere Cyathophyllia di De-Fromentel; al qual genere fu da quest’ultimo riferita una specie liassica (C. lasica) del Cal- vados, che ne differisce assai. — L’inconstanza e variabilità di questi cingoli epitecali mi hanno indotto ad attribuir loro una secondaria importanza, riferibile solo a differenze individuali o tutto al più specifiche, e per ciò, con esitanza è vero, ma ho cre- duto ben fatto non separare questa e le due specie seguenti dal cenere Circophylla. Calice circolare o appena ellittico. — Sei cicli di setti sottili, stipati, tutti collegati fra loro da fitte ed esilissime traverse endo- tecali e ricoperti sui lati da fitta granulazione. Quelli dei primi tre cicli arrivano fino alla columella, che è assai sviluppata e spugnosa; gli altri sono minori e molto sottili. Giacitura — Rosazzo, frequente. Cormons, Russitz a settentrione della villa Germack, Brazzano. Alcuni esemplari di San Giovanni Ilarione mal conservati e indeterminabili con sicurezza di giudizio si assomigliano molto a questi di Rosazzo, onde propendo a crederli appartenenti alla me- desima specie. La Circophyllia truncata tipica trovasi nei terreni eocenici di Parnes, Valmondois, Hauteville, Pau ec. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 117 Circophyllia? cingulata. m. | Tav Vit 4 Differisce dalla specie precedente, della quale ha il portamento. per la presenza di cingoli o lacci epitecali in maggior numero, onde il nome; per avere le coste fra loro assai diverse in gran- dezza, essendo quelle dei primi quattro cicli molto sporgenti ed assai meno quelle del quinto e meno ancora quelle del sesto od ultimo ciclo; e differisce pure perchè questa stessa differenza ci si appalesa anche nei setti. Giacitura — Brazzano. Circophyllia elliptica, m. Tav. VI, fig. 5. 5 a. Polipajo al naturale. — 5 b. Calice del medesimo. — 5 c. Coste ingrandite. — 5 d. Porzione di calice ingrandita. Polipajo subconico, un poco compresso, libero e ricurvo verso la base nella direzione dell’ asse maggiore del calice. Il polipajo, che comincia in basso con una sottile punta, nel crescere si al- larga fino a che non abbia acquistata nel diametro maggiore un’ ampiezza di circa 3 centimetri; allora non cresce più che in al- tezza e si dà talvolta che pur si restringe inalzandosi, lo che sì ha pure in qualche caso anche per le specie precedenti. La muraglia sottile è tutta solcata da cima a fondo da numerosissime coste granulose, subeguali o alternativamente poco diverse, le quali però si veggono solo nelle zone lasciate scoperte dall’ epitecio, che in forma di lacci tanto più fitti quanto più si avvicinano al calice, si distende sopra di esse. — Calice ellittico, onde il nome, o piut- tosto che ellittico dir sì potrebbe in forma ogivale. I diametri ne stanno come 2 a 3 decimetri. Settismarginanti, numerosi, disuguali; del di cui margine mal si giudica se fosse integro o dentato, es- sendo abitualmente rotto. I setti dei primi tre cicli e la maggior parte di quelli del quarto arrivano fino alla columella. Quelli del 5.° e 6.° ciclo si susseguono a seconda dell'ordine loro. Traverse endotecali fitte e sottili. Columella spugnosa nelle sezioni, bacil- lare-fasciculata alla superficie, e quasi direbbesi papillosa; sempre molto sviluppata, formando un considerevole rilievo in mezzo al calice. Giacitura — Brazzano al Bosco, Rosazzo. 118 D' ACHIARDI Leptaxis Reuss (Ueber die ilter. tertiarsch. der Alpen — Die foss. von Castelgomberto 1868) stabilì il genere Leptaxis per un fossile di Monte Grumi presso Castelgomberto, contraddistinto dai seguenti caratteri. , Si avvicina al genere Circophyllia, nel caso che le lamelle siano dentate come pare, distinguendosene peraltro principal- mente nella natura della columella, che non è come in esso ro- tonda a superficie granulare, ma robusta, compressa, quasi lami- nare, fimamente spugnosa e a superficie molto delicatamente in- crespata (gekràuselter). Oltre a ciò il libero margine dei setti non è intagliato in piccoli arrotondati lobi, ma ugualmente e fina- mente denticolato come nelle Leptophylliae , . A questo genere più che ad ogni altro sì ravvicinano alcune specie di polipaj friulani, che hanno appunto il carattere di una columella distesa in guisa di lamina, ma non decisamente lami- nare nella struttura, ed hanno inoltre le qualità che spettano alle Lithophylliaceae. Che se la columella fosse essenzialmente lami- nare sarebbe allora il caso di riferire queste specie al genere Ant:- lia di Duncan, ma ciò non essendo ho stimato miglior partito attenermi al genere da Reuss istituito. Queste varie Leptaxis del Friuli hanno pur molta analogia col genere Trockhocyathus, al quale le ravvicinano e la presenza di una columella, quale in quel genere si ritrova, e l’ ingrossa- mento dei setti verso l’asse del calice, ingrossamento che potrebbe far credere alla presenza di pali; e di più alcuni Trockhocyathus eocenici di Nizza, di S. Giovanni Ilarione e d'altronde ci mo- strano con esse non piccola analogia; ma d'altra parte la pre- senza di evidentissime traverse endotecali esclude affatto la possibilità di un tale ravvicinamento. Leptaxis multisinuosa, m. Daverio 1a. Polipajo al naturale. — 1 b. Calice del medesimo. 1c. Coste in- grandite. ? Turbinolia multistnuosa, Michelin (Icon. Zooph. 1846. pag. 269, pl. 61. fig. 8). ? Trochosmilia ? multisinuosa, I. Haime in d'Archiac. (Hist. du progr. d. Geol. tom. 3, pag. 228, 1850). Polipajo identico nel portamento alla Trochosmilia multisi- CORALLI EOCENICI DEL FRIULI — 119 nuosa Haime, di Palarea, e come questa variabile nelle sue dimen- sioni a seconda dell’età degli individui, raggiungendo nell’esem- plare maggiore da me osservato l'altezza di circa 7 centimetri per una larghezza di 7 ‘|, in vicinanza del calice. Il polipajo è subpe- dicellato, dritto, compresso e piegato in larghi solchi longetu- dinali, onde l'apertura del calice, che è quasi orizzontale, pre- senta delle insenature e fra esse una mediana maggiore delle altre, tutto proprio come nella figura succitata del Michelin. I diametri calicinali stanno come 7 '|, a 2 ‘|, centimetri. Coste semplici, sottili, numerosissime, distinte fino dalla base ed alter- nativamente disuguali almeno là dove le più giovani s’ inseriscono fra le più antiche; tutte poi sono granulose e direi anzi dentico- late. Di tanto in tanto si veggono delle tracce di sottili esotecali traverse fra esse; nessun segno d’epitecio al di sopra. Setti nume- rosissimi, (per lo meno sei cicli nell’esemplare effigiato), smargi- nanti, sottili, flessuosi; i principali, per lo meno ventiquattro, appariscono assai ingrossati verso l’asse calicinale; tutti poi sono coperti da granuli fitti e appuntiti, e havvi tutta l’apparenza che il margine ne fosse denticolato. Traverse endotecali fitte e mani- feste anche nella parte superiore degli spazi intersettali. Colu- mella fasciculare estesa in foggia di lunga lamina. Nella sezione appare spugnosa, alla superficie cicoriforme-papillosa.. | Se sia certo che la Trochosmilia multisinuosa J. Haime, di Pa- larea sia realmente una Trochosmilia, mi fa mestieri tener distinta in tal caso questa Leptaris del Friuli; ma se vi possa solo essere anche il dubbio che negli esemplari di Palarea possa riscontrarsi la columella, io non esiterei un momento a ritenere per certa l'identità specifica, tutto concorrendo a provarla. Intanto negli esemplari che il Museo di Pisa possiede di quest’ultimo luogo fra grandi e piccoli non son riuscito a liberare il calice dalla sostanza solida che lo riempie, e se non ho potuto per ciò assicurarmi della presenza della columella, non ho nemmeno potuto confermarne la mancanza, onde son rimasto tuttora nelle prime incertezze. Quel che è certo si è che se gli esemplari friulani avessero il calice nelle stesse condizioni di quelli di Palarea, niuno al certo, per quanto diligente osservatore egli fosse, sarebbe in grado di di- stinguere come specie diverse gli uni dagli altri. L'incertezza, con la quale J. Haime riferiva gli esemplari di Palarea al genere Sc. Nat. f. II. 9 120 D'ACHIARDI Trochosmilia è altro argomento in favore della identità specifica fra essi e questi del Friuli da me riferiti al genere Leptaris. Giacitura — Rosazzo, Cormons, Russitz a settentrione della villa Germak. Leptaxis bilobata, m. ? Turbinolia bilobata, Michelin (Icon. Zooph. pag. 269. pl. 62, fig. 1. 1846). ? Montlivaultia bilobata. M. Edw. et H. (Ann. di Sc. Nat. ser.3 .t. X, pag. 259. 1849). Differisce dalla specie precedente (L. multisinuosa) per di- mensioni anche maggiori e conseguente maggior numero di coste e di setti; per la presenza di parecchi cingoli epitecali e per l’aper- tura calicinale in forma di otto ad anse molto larghe, onde ad esempio nell’esemplarve più grande per un diametro assiale di 9 centim. presenta il calice una larghezza di soli 2 '|, cent. nel- l’insenatura mediana e di 6 nei rigonfiamenti o anse laterali. Il contorno del calice talvolta è anche un po’ irregolare; sempre però ne è l'apertura più sparpagliata che nella specie precedente; dalla quale non so poi se i soprallegati caratteri siano sufficenti a farla distinguere. Una delle ragioni che mi hanno spinto alla separazione è anche questa, che cioè tale specie, tranne l’aper- tura calicinale un poco più profonda, sta alla Turbinolia bilobata di Michelin come la specie precedente stava alla Turbinolia mul- tisinuosa del medesimo autore. A giudicare dell'insieme parrebbe proprio che le due specie eoceniche di Palarea si trovassero pure nei corrispondenti terreni del Friuli; tanto più che la differenza nella profondità dell'apertura calicinale potrebbe dipendere dal modo diverso di fossilizzazione, essendo negli esemplari friulani rotte le porzioni superiori e smarginanti dei setti. Siccome per altro anche per questa specie come per la pre- cedente havvi un carattere decisivo, la columella, che non son riuscito ad accertarmi se esista negli esemplari nizzardi, così ho creduto ben fatto ravvicinare con dubbio questi a quelli, senza pretendere di ritenerli come una medesima cosa. E a denotare questa rassomiglianza ho pure usato lo stesso nome specifico, lo che mi è parso pur conveniente per il possibile caso che ulteriori studj conducano realmente ad ammetterne l'identità specifica. Giacitura — Rosazzo. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 121 Leptaxis sulcata, m. Differisce dalla Leptaxis bilobata m., della quale ha la forma e il portamento, per la mancanza dei cingoli e lacci epitecali e per la forma delle coste, le quali sono quasi laminari a margine acuto o appena seghettato, differenza che questa specie presenta pure con la Leptaris multisinuosa m, dalla quale poi differisce anche per l'apertura molto più sparpagliata del calice, mentre le si ravvicina per la mancanza dell’epitecio. Il carattere differen- ziale di maggiore importanza è quello delle coste per le quali la muraglia apparisce come percorsa longetudinalmente da piccoli, fitti e profondi solchi, onde il nome della specie. Giacitura — Brazzano. Leptaxis Reussana, m. Mavi Visa: 2 a. Polipajo al naturale. — 2 b. Calice del medesimo. — 2 c. Coste ingrandite. Polipajo semplice, dritto, cuneiforme a base che termina in punta. Calice in figura di otto ad anse aperte o meglio di lemni- scate. Il diametro maggiore di esso sta al minore come 7: 3. Coste numerose, disuguali; quarantotto più sviluppate delle altre e molto più sporgenti compariscono con le loro lamine a margine cristato-granuloso fin quasi dalla base del polipajo, le altre molto meno rilevate e costituite da piccoli e fitti granuli tre per tre s'inseriscono fra ogni coppia di esse succedendosi a seconda.del- l'ordine loro. Per il portamento delle coste havvi perfetta rasso- miglianza con la Trochosmilia Pasiniana m. Traverse esotecali sottili, rare, evidentissime. Setti numerosi, smarginanti, disuguali. Quelli dei primi quatto cicli, fra loro poco diversi, arrivano fin quasi all'asse calicinale, ove in prossimità della columella sì ri- piegano e s’ingrossano; e ad essi maggiori s' intromettono altri più sottili e più corti. I lati di tutti sono granulosi; ma i margini furono o no dentati? È impossibile la risposta. Columella fasci- culare allungata in foggia di lamina nella direzione dell'asse mag- giore del calice; alla superficie appare cicoracea, nella sezione spugnosa. Traverse endotecali scarse, onde materia straniera 122 D'ACHIARDI nella fossilizzazione è penetrata fino a una certa profordità nelle logge intersettali; non per questo sono meno evidenti nelle parti inferiori. : Ho nominato questa specie in onore del defunto prof. Reuss. Giacitura — Rosazzo a oriente dell’Abbadia. Brazzano. Leptophyllia? Catulliana, m. Tav. VII. fig. 3-0. 3-5. Polipaj al naturale. — 3a e 4a Calici dei medesimi. — 5 Indi- viduo prolifero. Polipajo libero o tutt'al più affisso per esilissima base, abi- tualmente molto compresso e curvato nella direzione dell'asse minore del calice. Base sottile, appuntita, quasi sempre rotta. Coste numerosissime, più di 200, poco disuguali, sottili, lamimari e a margine finamente denticulato o granuloso. Calice per il solito in forma di otto non chiuso, talvolta ellittico. Esso appari sce inoltre un poco più profondo di quello che soglia essere nelle comuni Leptophylliae. Setti numerosissimi al pari delle coste, unendosi alle quali scavalcano l’ orlo calicinale. I lati ne sono fit- tamente granulosi; i margini sembrano essere stati dentati; che se non fossero, sarebbe piuttosto il caso di una Trochosmilia, cui questa specie si ravvicina anche più che alle Leptophylliae per il suo portamento, onde il punto interrogativo (?). Non sono anzi lontano dal credere che a quel genere piuttosto che a questo vada riferita, tanto più che alcune specie di Trochosmiliae, ad es. la Tr. cormonsensis hanno con questa strettissime analogie. I setti principali oltre chè più grossi sono anche più estesi e talora tanto da oltrepassare l’asse calicinale. Manca ogni traccia di columella. i Questa specie, da me nominata in onore di Catullo, oltre a somigliare per il portamento alle Trochosmiliae e particolar- mente ad alcune specie cretacee ed eoceniche, ond’ anche per questo aumenta la probabilità che vada a quest’ultimo genere ri- ferita, ha poi moltissima analogia con alcuni mal conservati po- lipaj di San Giovanni Ilarione, tanto che io credo che a lei si debbano riferire essi pure. Giacitura — Rosazzo a levante dell’Abbadia, frequente. Brazzano, Cormons e Russitz a settentrione della villa Germak. CORALLI FOCENICI DEL FRIULI 123 Leptophyllia sp. Alcuni polipajetti somiglianti assai alla mia L. panteniana debbono a questo genere riferirsi. Per altro siccome i piccoli esem- plari peduncolati, affissi e con maggiore regolarità di forme che non soglia riscontrarsi nella variabilissima specie soprallegata per ciò appunto da essa si allontanano, così ho creduto ben fatto no- tarne solo la rassomiglianza; senza dar loro nè il medesimo, nè di- verso nome specifico. Giacitura — Cormons e Russitz a settentrione della villa Germak. Pattalophyllia subinfiata, m. Esemplari identici a quelli Via degli Orti in Valle Organa su quel di Asolo. Giacitura — Rosazzo. Montlivaultia Pironae, m. Tav oeMsgnot6: 6a. Polipajo al naturate. — 6. Aspetto del medesimo nella rottura inferiore. Polipajo irregolarmente cilindrico, molto allungato. Coste diversamente sviluppate, 24 essendo assai rilevate e fra ciascuna coppia di queste maggiori standone per il solito cinque, raramente più, talvolta tre assai minori. Traverse esotecali le riuniscono di tanto in tanto e là dove la corrosione non le ha poste al nudo vedonsi ancora tracce di un epitecio pelliculare. Calice ad aper- tura minore del diametro delle parti mediane del polipajo. Setti numerosi, riuniti da fitte traverse endotecali. Nel mezzo al calice sì veggono poche papille di una rudimentale columella. Ho nominato questa specie ad onore del professore Pirona di Udine, dal quale ebbi l’ esemplare effigiato. Montlivaultia sp. Oltre alle specie precedente havvi anche un’ altra Montlvaultia 124 D'ACHIARDI — CORALLI FOCENICI DEL FRIULI tutta circondata da un grosso epitecio lacciforme. Il piccolo poli- pajo è talmente incrostato di corpi stranieri, che ne riesce impos- sibile la determinazione. Giacitura — Cormons e Russitz a oriente della villa Germak. Oltre ai suddescritti coralli semplici imperforati molti altri pure vi hanno o indeterminabili affatto o difficili a- determinarsi. Fra questi havvi forse un’ Episnilia, diverse Trochosmiliae, forse qual- che altra Lithophylliacea, le quali specie mentre non si possono determinare con sicurezza, e quindi ne ho omessa la descrizione, lasciano però intravedere molte analogie coi fossili di altri terreni eocenici e in special modo delle brecciole di Croce Grande presso San Giovanni Ilarione e di Via degli Orti in Valle Organa presso Asolo, non che anche con taluni forestieri, con quelli ad esempio descritti da Duncan dell’eocene delle Indie occidentali. (Continua) SULLA TEORIA ALGOLICHENICA Osservazioni del prof. GIOV. ARCANGELI comunicate all’adunanza del 5 luglio 1874. DI A tutti coloro che si occupano di studj botanici è ben nota l’attuale questione sulla struttura dei licheni, nella quale alcuni sostengono che i gonidi dei licheni sono organi propri di questi vegetali, ed altri invece ammettono che i licheni risultino dal parasitismo di funghi discomiceti sopra alghe che sarebbero appunto i gonidi. Tralasciando pertanto di riferire la storia di questa questione che è assai ben conosciuta, rammenterò che la teoria del pa- rasitismo è stata principalmente sostenuta ed accreditata dai lavori di Sehwender (') e di Bornet (?), e che sopra di essa fu tenuta una discussione assai prolungata in seno al Congresso Botanico ultimamente tenuto in Firenze. Aggiungerò inoltre come nuovi scritti sono ultimamente comparsi in sostegno di questa teoria, come essa vada attualmente acquistando nuovi seguaci, e passerò quindi ad esporre alcune mie osservazioni in proposito. Sì è riscontrato che alcune alghe, come quelle dei generi Cystococcus, Glococapsa, Nostoc, Scytonema, Strosiphon si mostrano con i medesimi caratteri dei gonidi contenuti nel tallo dei li- cheni, e per spiegare un tal fatto vuolsi ammettere che questi (!) Uber die vahre Natur der Flecten, in Verhandlungen der Schweizzer” schen naturforschenden Gesellschaft, 9-11. Sett. 1867. — Untersuchungen ber den Flectentallus (Nîgeli’ s Baitràge zur wissen: Botanik 1860-62) etc. (*) Recherches sur les gonidies des lichens, Ann. des Se. Nat. 5.° Série t. XVII e Ann. des Sc. Nat. 5.° Serie t. XIX. 126 ARCANGELI licheni non sieno altro che forme miste, cioè, costituite da funghi discomiceti viventi parasiti sopra queste alghe. Ciò potrebbe a buon dritto asserirsi quando si potesse ritenere come ben defi- nito il ciclo di vegetazione di tali alghe, e fosse bene accertato che esse costituiscono delle forme del tutto autonome. Ma può realmente ammettersi una tale opinione? Certo è che distinti osservatori come Thuret i Bornet, hanno riscontrato le spore in varie specie di Nostoc, che si conosce il modo di riproduzione degli Scytonema: si sa pure pei lavori di Famintzine e Bara- netzky, Voronine (') e Gibelli che i gonidi sono capaci di produrre zoospore; ma per questo può ritersi che tali alghe sieno esseri autonomi, e non sieno piuttosto forme particolari di altri orga- nismi come appunto sono i licheni? Non si ha forse esempi in gran numero di generazioni alternanti nella famiglia delle alghe e dei funghi, ed in questi pure di eteroecia e di polimorfismo che ferse nessuno per lo addietro avrebbe neppure sospettato? Alcuni sostenitori della teoria algolichenica invocano pure in sostegno delle loro asserzioni il fatto che i licheni presen- tano nei loro organi di vegetazione e di riproduzione una mani- festa somiglianza coi funghi, ed osservano che essendo i funghi incapaci di produrre clorofilla e ficocroma, i gonidi non possono essere organi propri dei licheni, ma debbono invece appartenere ad organismi di altra natura. I licheni infatti hanno il loro tallo principalmente costituito da < simili a quelli dei funghi, e por- tano le loro spore in apoteci che sono organi simili ai ricettacoli dei funghi Discomiceti. Per altro, se ben si rifletta, non può rite- ‘nersi che i funghi ed i licheni sieno senza eccezione incapaci di produrre clorofilla e ficocroma. Certamente nella famiglia dei funghi quale è ammessa attualmente dai botanici, figurano piante che mancano sempre di materia verde: pur tutta via non bisogna perder di vista che vi sono le alghe del gruppo delle Vaucherziacee che hanno moltissime affinità coi funghi, e nella famiglia dei fanghi le Saprolegnee che grandemente somigliano alle alghe e principalmente alle Vaucheriacee; tantochè è appunto la pre- senza di materia verde nelle une che le ha fatte includere nella famiglia delle alghe, e la mancanza di essa materia nelle altre che le ha fatte ascrivere alla famiglia dei funghi. Quand’ anche (4) Mém. de l’Acad. des sciences de Saint Pétersbourg, 7.° Série, t. XL — Rolanische Zeitung, 1868, p. 185 e 469. SULLA TEORIA ALGOLICHENICA 12% però un esame accurato dimostri che i funghi tutti mancano di materie verde, non così però è dei licheni; poichè per le mie osservazioni posso asserire che le spore di alcune Collemacee, come il Collema microphyllum e la Pannaria triptophylla, conten- gono nelle loro cellule dei globuli di ficocroma colorato in ver- dastro, ed in alcune pure riscontrasi che il plasma contenuto nei filamenti presenta talora una colorazione simile. Si fa pure molto conto dagli algolichenisti del fatto che nessuno per ora è riuscito a veder nascere i gonidi dai filamenti del tallo, nè da quelli che si producono nel germogliamento delle spore, mentre alcuni osservatori hanno visto gl’ ifi, nati dalle spore, avviluppare le cellule di Cystococcus che erano state loro poste in vicinanza e stabilirsi sopra queste parasiti. Anche questo argomento però non ha gran valore. Primieramente a questo proposito devesi notare che il Prof. Caruel ('), facendo «germogliare delle spore di Collema pulposum, ha osservato come i filamenti che si svolgeveno dalle spore, producevano delle cel- lule simili a quelle delle coroncine del tallo di questa specie. Sì può poi aggiungere altresì che, se non è ancora riuscito l’osservare la produzione dei gonidi dagli ifi che si svolgono nel sermogliamento delle spore, ciò è ben naturale: poichè è ben conosciuto da tutti che i gonidi si presentano sempre in parti che hanno raggiunto un grado molto elevato di sviluppo, ed è quindi ben naturale che non si mostrino in quei primi filamenti che nascono dalle spore. Alcuni asseriscono di aver visto gl’ ifi prodotti dalle spore avvolgere i gonidi, ma però non hanno osservato se i filamenti stessi avevano la facoltà di produrre cellule con materia verde. Niuno per ora è riuscito ad ottenere un vero e proprio tallo dalla cultura delle spore, per cui, in man- canza di osservazioni, dall’ aver visto che i filamenti sono in- capaci di produrre gonidi, non si può lo stesso argomentare del tallo o della fronda che sia nello sviluppo sufficientemente inoltrata. Sappiamo poi che nel tallo adulto di alcuni licheni il Frank (8) ha veduto i gonidi in tali differenti forme da po- terne dedurre come molto probabile che essi là dentro si formino. (*) Nota per servire alla storia deî Collema. Estr. dagli Atti della Soc. Ital. di Scienze Naturali, Milano 1864. (*) Bot. Zeitung, 32 Jahrgang, N° 16, 1874, p. 242. 198 ARCANGELI Quanto al fatto dei gonidi vuoti o morti che taluni hanno incontrato nel tallo dei Licheni, a me sembra che non possa co- stituire un argomento neppure- mediocre. Indubitatamente si trovano gonidi vuoti e morti o più o meno alterati in alcuni licheni, ma essi però rinvengonsi in quelle parti del tallo che sono già vecchie e che furono soggette a più o meno profonda alterazione. Non può del resto far meraviglia se nel tallo vi- vente e ben sano s’incontrino talora dei gonidi vuoti, poichè, se è vero, come è stato dimostrato, che essi producono delle zoospore, è ben naturale che vi si trovino. Per le mie osserva- zioni però posso asserire che, nei licheni sin qui da me studiati, non mi è mai accaduto d’ incontrare gonidi alterati nè morti, ogniqualvolta abbia portato le mie ricerche in quelle parti del tallo che mostransi in pieno vigore di vegetazione. Anzi i go- nidi che ho potuto osservare nelle parti sane e robuste dei licheni da me studiati, sì sono sempre presentati con tali ca- ratteri da non la cedere affatto ai Cystococcus e ai Nostoc più sani e più belli. Come può adunque ritenersi che la presenza di questi gonidi morti ed alterati, se essa è affatto eccezionale, sia dipendente dal parasitismo esercitato dagli :i sopra i gonidi? In sostegno della teoria del parasitismo si è fatto gran caso del modo di connessione degli ifi ai gonidi nel tallo. Il Bornet principalmente si è occupato di quest’argomento nel suo bel lavoro sui gonidi, ed ha figurato in una ricca serie di tavole molto ben fatte, questo modo di connessione. Si dà molto peso principalmente al fatto che gli ifi si applicano sulla superficie dei gonidi e li avvolgono ripetutamente, come per prendere da essi nutrimento, ed è pure citato il fatto d’ifi che penetrano nell'interno de’ gonidi. Debbo però avvertire che dalle mie os- servazioni resulta che il modo di connessione dei gonidi agli ifi è assai più regolare di quello che si è creduto sin qui: es- sendochè nei generi Alectoria, Evernia, Sticta, Omphalaria ed altri questa connessione avviene in direzione radiale, e non irrego- larmente in un modo qualunque. Vero è che spessissimo s'in- contrano nel tallo dei licheni e principalmente poi nei Soredi, ifi che avvviluppano gonidi seguendo un andamento irregolare; ma non mi sembra che ciò conduca ad ammettere come neces- saria conseguenza l'esercizio del parasitismo. Questo modo par- ticolare di connessione è naturale conseguenza del contegno ‘e SULLA TEORIA ALGOLICHENICA 129 della natura degli ifi. Gli ifi infatti nel loro accrescimento se- guono un andamento assai irregolare: essi hanno, come nei fun- ghi, la proprietà di saldarsi in fasci fra loro, di applicarsi ai corpi che incontrano come la superficie delle pietre e delle scorze sulle quali vegetano aderendovi tenacemente. Riferirò a questo proposito essermi accaduto non di rado di trovare sopra qualche lichene delle spore della medesima specie che per mezzo del loro primo filamento germinativo si erano saldate ad alcuni ifi del tallo. Recentemente per altro è stata da alcuni proposta una mo- dificazione molto rilevante nella teoria del parasitismo. Secondo i signori Weddel e Van Tieghem (') nei licheni dovrebbe ammet- tersi piuttosto che un vero parasitismo il consorzio di due dif- ferenti organismi. Anzi il Van Tieghem ha esposto l'opinione che in questo consorzio si verifichi il caso di un parasitismo reciproco, di una specie di convivenza cioè, nella quale, mentre il fungo prende parte del suo nutrimento dalla alga, questa alla sua volta ne riceve dal fungo: il discomiceto prenderebbe dal- l’alga gli elementi idrocarbonati che non può da sè stesso pro- durre, e l’alga prenderebbe da esso le materie azotate. Questo modo di vedere è senza dubbio molto ingegnoso e meglio in accordo coi fatti di quel che sia la teoria del semplice para- sitismo quale era stato fin qui sostenuta. Pur non ostante a me sembra che con questa modificazione sì faccia di già un passo verso l’opposta teoria: inquantochè se due forme orga- niche sono talmente fra loro consociate da scambiarsi dei ma- teriali nutritivi conservando il pieno esercizio delle loro funzioni, non si è molto lungi dall’ammettere che sieno una sola e me- desima cosa. Male si comprende poi come queste alghe possano nel consorzio conservare gli stessi caratteri che presentano quando vivono in stato di libertà, quantunque in seguito allo scambio del nutrimento sieno tanto alterate le loro funzioni. Se adunque da queste poche osservazioni si può concludere che, se vi sono buoni argomenti per sostenere la teoria Algoliche- nica, altrettanti e forse migliori ve ne sono in appoggio della opposta teoria; a me sembra che in tali circostanze non si ab- biano ragioni sufficienti per abbandonare le opinioni di Tulasne e di Nylander e seguire quelle di Schwendener e di Bornet. (1) Bull. de la Societé Bot. de France, t. XXI, Comptes Rendus, p. 330. NATURA GEOLOGICA DELLE COLLINE DELLA VAL DI NIBVOLE E DELLE VALLI DI LUCCA B DI BIENTINA MEMORIA DI CARLO DE STEFANI letta nell’ adunanza del dì 5 luglio 1874. Quel tratto di paese situato sulla destra dell'Arno fra il Monte Albano, l’Apennino, il lembo più meridionale delle Alpi Apuane ed il Monte Pisano e che comprende la così detta Val di Nievole e le pianure di Lucca e di Bientina, è tutto frasta- gliato da numerose colline, la cui costituzione geologica fu sem- pre un soggetto di dubbio fino a questi ultimi tempi. Lungo la sponda destra dell'Arno, fra il Monte Albano ed il Monte Pisano, è continuo l’argine formato dalle colline che si interrompono solo due volte, per lasciare il varco ‘alle acque derivate dal lago di Fucecchio e dalla Val di Nievole, ed a quelle del padule di Bientina, che è la diretta continuazione del piano di Lucca: fra questi due paduli e fra i piani contigui esiste un altro argine di collinette, le quali dipartendosi dall’ Apennino Lucchese vanno a raggiungere le altre di lungo Arno. Altre basse colline ghiaiose, interrotte sempre dalle aperture delle frequenti valli, cingono e le paludi ed i piani citati, formando una conti- nuazione immediata delle pendici maggiori del Monte Pisano, di un lembo delle Alpi Apuane, dell’Apennino e del Monte Albano che ne deriva. Il Savi ritenne che questi cumuli per la maggior parte ghiaiosi fossero alluvionali ed ammassati colà per effetto di correnti NATURA GEOL. DELLE COLL. DI NIEVOLE E VALLI DI LUCCA E BIENTINA 131 derivate dall’improvviso sollevamento dei terreni pliocenici nel Senese e nel Volterrano ('); soltanto incidentemente egli, come altri geologi, citò un lembo di terreno pliocenico a Cerreto Guidi. Il Prof. Moro. invece suppose che quei depositi fossero d’ origine glaciale e derivassero dai ghiacciai scendenti dalla valle di Pescia e da quella del Serchio (©). La ipotesi di una accumulazione di materiali dovuta alla catastrofe improvvisa di un sollevamento, mentre era convenevole alle idee dei tempi nei quali il Savi scri- veva, non si potrebbe più sostenere oggidì; così pure sembra do- versi escludere la ipotesi del Moro che suppone l'intervento dei ghiacciai, attesochè di questi manchino le traccie. La natura di quelle colline è prevalentemente ghiaiosa come deve avvenire in sedimenti, comunque sieno, che si trovano da ogni lato cir- condati da monti; e le ghiaie alternano in banchi veri e propri, fra loro, e talvolta eziandio con strati di sabbie: solo più quà o più là, specialmente verso l’Arno, si frappongono dei banchi di pura argilla che talora, per esempio presso il Monte Albano, pre- valgono sopra ogni altro sedimento. A ridosso del Monte Albano, a Capraia, a Lamporecchio etc., e lungo l’Apennino principale, a Montecarlo, ad Altopascio, a Porcari etc., le ghiaie sono for- mate dal macigno eocenico, il quale macigno forma pure esclusiva- mente le pendici sovrastanti. Lungo le Alpi Apuane, per esempio a Mon San Quirico ed a San Quirico, e presso il Monte Pisano, a Montecchio, a Monte Calvoli etc., vi sono ghiaie di roccie anti- che, siccome di roccie antiche della stessa natura sono fornite le pendici soprastanti e: le valli che ne discendono, fra cui mag- giore di tutte è la valle del Serchio la quale, come strada prin- cipale al corso delle acque ed alla derivazione dei frantumi roc- ciosi, dovette contribuire ad immettere una buona ‘parte di quei cumuli. Or ecco, per citare un esempio, la qualità delle ghiaie che alternano con sabbie a Montecchio ed a Monte Calvoli presso il Monte Pisano, e che sono della stessa natura di quelle di Nugola, di Ceppaiano e di altre località nelle colline Pisane sulla sinistra dell'Arno, state descritte dall’Achiardi (?). (4) P. Savi. — Dei sollevamenti avvenuti dopo la deposizione del terreno pliocenico, 1863. (?) Moro. — Il gran ghiacciaio della Toscana. 1872. (3) A. D’Achiardi. — Sulle ghiaie delle colline pisane. Bull. R. Com. geol. 1872. 11532: DE STEFANI Quarzo grasso con Ripidolite e con Oligisto; Anagenite del Verrucano; Selce nera, rosea o gialla; Diaspro rosso; Calcare grigio chiaro quasi ceroide (Infraliassico?); Calcare grigio con selce; Calcare nummulitico; Arenaria macigno. Il quarzo con ripidolite e l’anagenite, che sono piuttosto scarsi, probabilmente derivano dal Monte Pisano; anzi è questa l’unica località fra tuttii seni e tutte le elevazioni circostanti, dalla quale essi potrebbero esser venuti. L’arenaria macigno può ‘ essere stata trasportata anche dal prossimo Apennino fra Lucca e Pescia. Le ghiaie di altra natura, invece, e sono la maggior parte, non possono esser discese se non dalla Valle del Serchio e precisamente dalla parte inferiore della medesima, poichè in- fatti quivi soltanto si trovano in posto delle roccie analoghe anzi identiche, cioè dei Calcari nummulitici, dell’arenaria maci- gno eocenica, dei Calcari grigi con selce varicolore liassici, e degli schisti e dei diaspri o quarziti rossi pure liassici e cretacei. Tutte queste roccie mancano nel Monte Pisano, e solo im parte e con aspetto alquanto diverso si trovano in seno dell’Apennino dal lato di Monsummano in Val di Nievole; ma le ghiaie di Montec- chio non avrebbero potuto derivare di qua perchè di mezzo stanno i depositi ghiaiosi derivanti esclusivamente dalle roccie eoceniche dell'A pennino, e le argille della Val di Nievole. Bisogna quindi concludere che queste ghiaie sieno provenute dalla Val di Serchio; e la medesima derivazione devesi probabilmente at- tribuire alle ghiaie contigue e sotto tutti gli aspetti identiche delle colline Pisane, descritte, ripeto, dall’Achiardi. La forma elissoidale di queste ghiaie e di tutte le altre, la loro stratificazione, il loro alternare con strati sabbiosi ed ar- gillosi ed anche con tenui sedimenti vegetali, pone fuori d’ogni dubbio che la loro accumulazione avvenne quieta e regolare in un seno d'acque del quale erano lido i monti circostanti. Or la qua- lità dei fossili che si incontrano, come dirò, dimostra chiaramente che il golfo fù di natura marina e che si riempì durante l’epoca pliocenica; e così alla continuazione materiale di quelle piccole alture colle colline della sinistra dell'Arno ritenute sempre di . NATURA GEOL. DELLE COLL. DI NIEVOLE E VALLI DI LUCCA E BIENTINA 135 formazione pliocenica marina, ed alla eguaglianza della natura li- tologica, si aggiunge alla sua volta la eguaglianza della natura della formazione geologica. Ecco l’accenno di alcune località nelle quali ho raccolto, o delle quali ho esaminato dei fossili di carat- tere marino. | Cominciando da presso Capraia, che è quasi sull'Arno, si tro- vano dei frammenti di conchiglie marine entro delle sabbie gialle o delle argille turchine, che sono appoggiate con discordanza, seb- bene non esagerata, sui colli eocenici della Golfolina sulle cui pen- dici si elevano fino ad una discreta altezza; coi sedimenti terrosi, alternano quivi dei banchi di ghiaie, derivanti dalle roccie eoceni- che, e che con verosimiglianza continuano più o meno direttamente colle ghiaie delle roccie eoceniche della val di Pesa e delle altre località addossate all’Apennino del Chianti, che il Cocchi ha ri- tenute postplioceniche, mentre sono manifestamente plioceniche alternando esse alle loro estremità colle argille turchine della val d'Elsa ('). Scendendo dai colli di Capraia, si trovano quelli di Vinci, di Lamporecchio, di Spicchio presso Empoli, di Cerreto Guidi e di Fuccecchio, e tutti gli altri. verso l'interno della Val di Nievole. A Vinci si raccolgono fossili nelle argille il Melampus Serresi Tournoier e l'Arca Rollei Hbrnes, specie estinte, e per quanto mi so speciali al miocene ed al pliocene inferiore: Cerreto Guidi io stesso ho ritrovate numerose colonie di Cardium edule Linneo, e di Arca diluvii Linneo; nei dintorni di Lampo- recchio, sono frequenti le Ostreae e le Carditae, ed a Fucecchio, per attestazione del Prof. Moro, sono stati scavati dei Pecten fossili. Oltrepassata l'apertura formata dalla foce del lago di Fucecchio, si ritrovano le colline sabbiose di S.!* Croce, di Ca- stel Franco e di S.'* Maria a Monte, e finalmente quelle pre- valentemente costituite da ghiaie di Monte Calvoli, di 8.! Colomba e di Montecchio, che sono le più avanzate verso il Monte Pisano. Lungo la strada fra Montecchio e Monte Calvoli, al Bufalo ed in più altri luoghi, negli strati sabbiosi sovrapposti ed alternanti coi banchi delle ghiaie, si trovano numerosi fossili marini che già da qualche tempo io discopersi e feci notare (?). Recentemente, lungo la strada fra Montecchio e Monte Calvoli, (!) I. Cocchi. — L'uomo fossile. (*) Studii sull’asse orografico della Catena metallifera. — Nuovo Cimento. SELLEZAOVE n 1870: 134 DE STEFANI in una gita fatta col Prof. Meneghini, col Prof. Richiardi e con vari amici guidati dal gentilissimo e dotto naturalista Sig. Roberto Lawley, proprietario della tenuta di Montecchio, vi fu- rono raccolte le spoglie fossili delle seguenti specie. Psammechinus, (cadioliti); Balanus; Cladocora coespitosa, Edw et. H. Molluschi. Dentalium dentalis, L. Vermetus triqueter, Biv. Rissoa ventricosa, Desm. R. Venus, D'Orb. Odontostomia conoidea, Broc. Turbonilla rufa, Phil. T. indistineta, Mont. Cerithium vulgatum, Brug. C. lima, Brug. Triphoris perversa, L. Ostrea edulis, L. Pecten flexuosus, Poli. Pinna tetragona, Broc. Arca pectinata, Broc. Chama gryphoides, Cardium edule, L. (var. C. crassum, Defr.). Cytherea multilamella, Lamk. | C. rudis, Poli. Corbula gibba, Olivi. Gastrochaena dubia, Penn. Talune di queste specie, p. es. delle Ostreae, sono state tro- vate eziandio presso S.!* Colomba e presso Montecchio. Delle 20 specie di molluschi citate, soltanto 2 cioè l'Arca pectinata e la Pinna tetragona, sono estinte, e sono proprie dei terreni pliocenici. Nell’interno della valle però verso l’Apennino, sono fra le altre colline, aventi lo stesso carattere di quelle ora esaminate, quelle di S. Quirico presso Lucca, di Porcari e di Monte Carlo; quivi presso a S. Martino in Colle il Sig. Chiostri raccolse e depositò nel Museo di storia naturale di Pisa vari individui di Ostrea co- chlear Poli, e di O. edulis L. NATURA GEOL. DELLE COLL. DI NIEVOLE E VALLI DI LUCCA E BIENTINA 135 Adunque, per quanto si è veduto, le ghiaie dei colli della Val di Nievole e delle pianure di Lucca e di Bientina sono rego- larmente stratificate, e non derivano perciò da tumultuosa ac- cumulazione alluvionale o glaciale; i materiali che le costituiscono furono derivati tutti dalle pendici e dalle valli circostanti, cioè le ghiaie a ridosso dell’Apennino derivarono da questo, e le altre derivarono dal Monte Pisano e dalle Alpi Apuane, specialmente dalla Val di Serchio che ha foce presso Lucca e che da antica data serve di sfogo ad una importante corrente di acque. I de- positi ghiaiosi poi si formarono durante l'epoca pliocenica fino all’epoca pliocenica superiore; d’allora in poi il sollevamento prodottosi in quell'area prima occupata da un seno di mare alzò i terreni, e le valli che scendevano dai monti circostanti si prolungarono entro a questi e li solcarono si come ora vediamo, lasciando nelle depressioni formate dalle stesse acque correnti, sedimenti alluvionali, lacustri, e fluviali, più recenti, Ed intanto, con ciò, resta provato che durante l’ epoca plioce- nica il mare si estese nelle località esaminate, come nel ri- manente della Toscana; e che finita l’epoca pliocenica, come nella regione Toscana confinante, si è verificato il sollevamento eziandio alla base del M. Pisano e delle Alpi Apuane, dove prima, i geologi ritenevano che i sedimenti avessero subìto uno spro- fondamento. Sc. Nat. f. 1I. 10 SULLE SACCULINE NOTA Del Dott. S. RICHIARDI Prof. di Zoologia ed Anatomia comparata nella R. Università di Pisa. Presentata nell’Adunanza del 31 Maggio 1874. La storia delle Sacculine è stata investigata con cura dallo Steenstrup, dal Luckart e dal Lilljeborg, epperò, nel trat- tare questo argomento, io posso limitarmi alle notizie principali onde più facilmente vengano intese quelle poche che devo ag- giungere alle molte date dai diversi naturalisti che si sono occu- pati dello studio di questi singolarissimi Crostacei parassiti. Le prime nozioni le dobbiano all’oculato osservatore napoli- tano Filippo Cavolini('), il quale, sebbene non abbia ricono- sciuto come animali le Sacculine sessuate aderenti all'addome delle tre specie di Crostacei brachiuri sui quali le ho trovate, ma ritenute come tumori, pure ha stabilito che gli animaletti in essi contenuti non erano figli dell'ospite, ma appartenenti a specie bene differenti e provenienti da uova deposte nella loro pelle da altri Crostacei (A). (1) Cavolini F.— Memoria sulla generazione dei Pesci e dei Granchi. Napoli 1787. AE avviene che uno straniero animale a quel budello (intestino) appicchi la sua covata chiusa in una membrana, la quale vi s' innesta, e dal corpo del vivente animale trae il nutrimento fino a totale sviluppo. — . ..... Il colore di questa borsa è giallognolo; e talor prende una tinta di color vinato, quando è giunta alla maturità (pag. 186, 187 dell’edizione italiana, 1787). NOTA SULLE SACCULINE Td Non ostante che il Cavolini abbia date delle buone fi- sure, ed il suo lavoro sia stato anche tradotto in tedesco dallo Zimmermann (°), le sue osservazioni in proposito rimasero dimenticate fino al 1855, alla quale epoca lo Steenstrup (#) ha fatto rimarcare che il naturalista napolitano fu il primo a scri- vere di questi strani parassiti, e che di più riconobbe per veri Crostacei. Mezzo secolo dopo il Cavolini un distinto naturalista inglese, J. V. Thompson(*), ha studiato con cura la conformazione esterna, la struttura interna e lo sviluppo di questi esseri, dei quali fece un genere nuovo che denominò Sacculina, nome oggi da tuttii zoologi adottato a preferenza di quello di Peltogaster proposto dal Rathke, e Packybdella dal Diesing: non ostante per altro le accurate sue ricerche, e la perfetta conoscenza dei primi loro stadi di vita larvale, tanto caratteristici, il Thompson, che aveva studiato pure lo sviluppo dei Cirripedi, non li ritenne per Crostacei, perciò li collocò in altra classe: egli fece le sue osservazioni sulla Sacculna carcini della quale pare abbia avuto a disposizione un gran numero di esemplari, giacchè dice di avere trovati perfino tre individui su di un’ istesso ospite. Il Rathke(î) pure si è occupato di questo parassita del Carcinus menas, non conoscendo gli studi del Cavolini e del Thompson, lo credette un animale non per anco conosciuto e ne fece il genere Peltogaster, chiamandolo anch'esso, dall’ospite P. carcini; riguardo poi alle sue affinità egli pure cadde in errore credendolo un Platode, molto rassomigliante ai Trematodi, per altro per diversi riguardi da essi differente. Il Diesing, nel suo Systema Helminthum (°), sulle figure e descrizioni del Rathke, e sull’opinione da lui emessa intorno (2) Philipp Cavolini ’s Abhandlung ù. d. Erzeugung d. Fische und d. Krebse. Berlin 1792. (3) Steenstrup jap. — Bemerkungen iber die Gattung. Pachybdella DIES., und Peltogaster RATHKE ec. in: Troschel Archiv. f. Naturg. XXI jah., Ers. Bd., s. 15, (1855). — Oversigt oover det Kongl. Danske Videnskabernes Forhandlinger f. 1854, n. 3/,. (4) Thompson j. v.— Natural History and met. of an Anomalous Crustaceous parasite of Carcinus maenas, the Sacculina carcini in: Entomological Magaz. Vol. IH, 1836, p. 452. — Wiegmann Arch. f. Naturg. 1837, III jahrg. II Bd. s. 248. (5) Rathke H. — Beitràge z. Fauna Norwegens in: Acta Nat. curiosorum, Tom. XX. pars I, 1843, S. 247. (5) Diesing G. M. — Pachibdella carcini: in. Systema Helminthum, T. I, p. 435. 158 S. RICHIARDI alla natura del Peltogaster carcini, propose per questo parassita il nuovo genere Pachybdella, che collocò nell'ordine dei Myzel- minti, sottordine dei Bdelloidei, conservando poi nel genere Peltogaster del Rathke il solo parassita del Pagurus bernhardus, che collocò pure nel medesimo sottordine: più tardi però, dopo le osservazioni dello Schmidt, essendo dimostrato che apparte- nevano alla classe dei Crostacei, nella revisione dei Myzelminti (7) li radiò dalla classe dei Platodi. Lo Schmidt (8) seguendo lo sviluppo delle uova e delle ni larvali, già studiate prima dal Cavolini, poi dal Thompson, ha confermato non solo l'opinione del primo, che le Sacculine fossero veri Crostacei e non Platodi, ma ha stabilito più diret- tamente le loro affinità e provato che appartengono alla subio classse dei Cirripedi. Lo Steenstrup nel suo lavoro su questi parassiti ha fatto rimarcare che il Cavolini fu il primo a parlare e riguardarli come Crostacei; egli poi dapprima credette che la Liriope trovata nei Peltogaster non vivesse da parassita su di essi ma piuttosto fosse una loro forma larvale, perciò li riguardò come Isopodi della famiglia dei Bopiri, ma in seguito, dopo le osservazioni dello Schmidt, cambiò opinione ed esso pure li collocò fra i Cirripedi Il Lilljeborg nelle sue due memorie sulla Liriope e Pelto- gaster (*) ha dato molti dettagli intorno alla loro struttura e sviluppo e confermò l’opinione dello Schmidt che le Sacculine ed i Peltogaster sono veri Cirripedi a metamorfosi regressiva. L'Hesse nel 1866 ha descritto ('°) un piccolo Crostaceo, che (7) Diesing G.M. — Revision der Myzhelminthen, abth. Trematoden in: Sitzungsberichte d. Math.-Naturw. Classe d. K. Ak. d. Wissens. 1858, XXXII Bd., s. 307. — Estratto p. 3. (8) Schmidt O. — Zeitschrift f. d. gesammten Naturvissenschaften, Bd. II, 1853, S. 101. — Das Weltall Zeitschr. f. populàre Naturkunde, n. 3, S. 19. — Handatlas d. Vergl. Anatomie, Taf. X, f. 7. (9) Lilljeborg W. — Annals and Magaz. of. Nat. History, Sept. 1860, p. 162. — Liriope et Peltogaster in: Nova acta R. Societatis Sc. Upsaliensis; III ser. III Vol. 1859- 60. — ibid. Supplement au memoire sur les genres Liriope et Peltogaster. p. 74. ec. ec. — Annales des sciences naturelles, V. ser. Tom. Il, 1864, p. 307 et 326. (19) Hesse. — Memoire sur des Crustacés rares ou nouveaux des còtes de France in: Annales des sciences naturelles, V. Ser. Tom. VI, p. 332. NOTA SULLE SACCULINE 139 trovò attaccato al corpo di un Paguro, sul quale stava pure fissato un Peltogaster, e che egli credette il maschio di questo; secondo il suo modo di vedere perciò i Peltogaster sarebbero unisessuali, mentre da tutti sono creduti, in un colle Sacculine, ermafroditi: ma vi ha di più, il Crostaceo descritto dall’ Hesse apparterrebbe all'ordine degli Isopodi, onde egli fondandosi sopra i caratteri dell'individuo che credeva essere un Peltogaster maschio, ha staccato questo genere dalla sottoclasse dei Cirripedi, e lo ha ascritto alla famiglia dei Bopiri, conservando in quella sottoclasse le sole Saceuline: io credo che egli sia caduto in er- rore su questo proposito, ed abbia avuto sotto gli occhi qualche . forma della Liriope, inoltre egli dice che anche il Lilljeborg sarebbe del suo parere e cita come prova la frase: , pullus et sine dubio mas iisdem Bopyri admodum similes , ciò pure non è esatto perchè questa citazione è presa dalla diagnosi del genere Liriope e non riguarda il Peltogaster. Non ostante le opinioni emesse dall’Hesse, i Peltogaster e le Sacculine debbono continuare a far parte della sottoclasse dei Cirripedi, e costituire in essa, come propose il Lilljeborg, una famiglia distinta dei Cirripedi succhiatori, o Eizocefuli. (Muller). Se per gli studi e le osservazioni di tanti naturalisti è oggi bene determinato il posto che le Sacculine devono occupare nei quadri di classazione, però ancora ignoti sono quegli stadi di metamorfosi regressiva per i quali passano le larve per giungere a completo sviluppo, nel quale il loro corpo si trasforma in un sacco in cui le diverse funzioni sembrano estinte, per lasciare tutta l'energia vitale a disposizione degli organi della riprodu- zione i quali, quando nel loro interno sono accumulate ed hanno incominciato a svilupparsi le uova, empiono totalmente la ca- vità generale del corpo dell'animale; questa è, nella storia di questi singolarissimi parassiti, una lacuna che verrà difficilmente empita per le grandi difficoltà che l’ osservatore incontra: infatti è cosa assal difficile mantenere in vita allo stato di schiavitù l’ospite sul quale vivono, e finora non è stato possibile conser- varli tanto tempo da poter osservare delle larve inoltrate nel loro sviluppo oltre i due primi stadi, nei quali si presentano dapprima sotto la forma di Nauplio e quindi di Cipridina, e poi è probabilissimo che esse, giunte ad un certo periodo, vivano indipendenti e libere, per fissarsi in seguito, presentandosi loro * 140 S. RICHIARDI l'opportunità, e così sfuggono alle indagini le più accurate dei più diligenti osservatori, come altri crostacei parassiti e le larve di diverse specie di Trematodi. Per ora non sono conosciuti che i due estremi delle loro forme cioè le sessuate e le prime larvali. Il Bell (!'), il Leuckart ('*), il Lilijeborg (!°), l Hesse (15) principalmente si sono occupati della organizzazione delle Sac- culine sessuate, aderenti all'addome di diverse specie di Cro- stacei brachiuri; il v. Beneden (!) ne disse poche parole e nulla di nuovo ha aggiunto a quanto si sapeva per gli studi dei primi, così pure l’' Hesse, sebbene sia tornato sopra questo argomento, non ha fatto progredire vantaggiosamente la cono- scenza di questi parassiti. Oggi i zoologi sono d'accordo intorno all’ ufficio delle due aperture che si trovano sul corpo delle Sacculine, l'anteriore, che sta sul fondo di quella specie d’imbuto che forma l'organo mediante il quale aderiscono fortemente all’ ospite, è considerata quale apertura boccale, quella opposta, o posteriore, la sessuale, l’anale manca, perciò in esse, come in molti Trematodî, l’appa- rato digerente è incompleto. Nella descrizione di questi Parassiti io considero il Brachiuro rovesciato sul dorso, coll’addome, sul quale è fissata la Saccu- lina, disteso verso l'osservatore, così l'organo di adesione di questa è diretto anteriormente, l'apertura sessuale indietro verso l’anale dell'ospite, la superficie del corpo, che era a contatto col piastrone sternale del Brachiuro, libera volta in alto, su- periore. Il corpo delle Sacculine è limitato da un tegumento chiti- nico molto elastico, semitrasparente negli individui nei quali il sacco ovigero è disteso dalle uova, più opaco nei giovani; an- teriormente si restringe in una specie di collo, quindi dilatan- dosi nuovamente costituisce l’organo di adesione conformato a ventosa, con un margine a festoni aderente al tegumento chiti- (1) Bell Tom. — A history of British Crustacea, part. III, 1845 (4°) Leuckart Rud. — Carcinologisches in: Troschel Archiv f. Naturgeschiehte Jarh. XXV, Erst. Bd., 1859, S. 232. (13) Lilljeborg, W. — L. cit. (44) Hesse. — Annales d. Se. naturelles Tom. II, 1864, p. 276. (4) V. Beneden P.-j. — Recherches sur les Crustacés du littoral de Belgique, 1860, (Mem. de l’Acad. Belgique) — Estratto pag. 114. NOTA SULLE SACCULINE 141 nico dell'ospite dal quale non è possibile staccarlo. Per l’aper- tura posteriore, quasi sempre diametralmente opposta all’ ante- riore, assottigliandosi in una membranella finissima, s’ introflette nel sacco formato dal tegumento e costituisce una borsa interna la quale col distendersi, di mano in mano che in essa s’accu- mulano i tubi oviferi, si stende sopra l’ovario e con due espan- sioni sacciformi lo comprende e nasconde totalmente, di modo che il sacco ovigero a destra dell'osservatore, fino verso la linea mediana, è intero e da questa parte non è possibile vedere l’ovario, dalla linea mediana a sinistra è coperto dalle due ale sacciformi le quali quando vengono sollevate lasciano sco- perto l’ovario per tutta la sua metà sinistra, la destra invece è affondata nel sacco ovigero che gli forma attorno una vera borsa. Le pareti del sacco ovigero però non sono a contatto colla superficie interna del tegumento esterno chitinico, ma vi è in- terposta una membrana di tessuto connettivo ricca di fibre mu- scolari striate, dalle contrazioni delle quali dipendono i parziali cambiamenti di forma che presentano le Sacculine. Questa mem- brana anteriormente sorte dall'organo d’adesione, e prolungan- dosi fino sull’intestino dell’ospite vi aderisce per mezzo di un certo numero di appendici remose, già notate dall’Anderson (!°) e dal Fr. Miller ('"), le quali, secondo 1’ Hesse, terminerebbero con un osculo e costituirebbero un apparato di suzione dei materiali nutritizi del parassita, io ho pure veduto tali pro- lungamenti di forma tubolare, ma non mi fu possibile consta- tare alla loro estremità l’esistenza di aperture. Posteriormente questa membrana, che forma il secondo inviluppo del corpo delle Sacculine, in corrispondenza del collaretto che unisce il sacco ovigero interno al tegumento esterno, si adossa a quello senza contrarre alcana adesione colle sue pareti, s’ ispessisce e forma un’ anello molto contrattile che colle sue contrazioni funzionando da sfintere può chiuderlo e togliere ogni comunicazione della cavità interna coll’esterno, e quelle specie di piccoli bot- toncini che contornano, in numero di quattro 0 cinque, l’aper- (4) On the anatomy of Saculina, ec. in: Ann. of. Nat. Hist. IMI ser. Vol. IX, p. 232; 1859. (4?) Fr. Muller — Die Rizocephalen eine neue Gruppe schmarotzender Kruster in: Troschel Archiv f. Naturg. XXVII jahrg. 1862, Ers. Bd. s. 1. 149 S. RICHIARDI tura sessuale, e frequentemente sporgono fuori di essa, sono formati appunto da procedenze di questo anello contratto che viene spinto fuori, coll’imboccatura del sacco ovigero, dalla pressione delle uova sotto le contrazioni dei fasci muscolari. Procedendo dunque dall'esterno all’interno, e dalla faccia superiore verso l’inferiore, trovasi 1.° il tegumento chitinico, 2° una membrana contrattile, 3.° il foglietto superficiale del sacco ovigero, 4.° il foglietto interno, quindi l’ovario che occupa il centro, procedendo oltre verso la faccia inferiore, trovasi il foglietto interno, poscia l'esterno o superficiale del sacco ovi- gero, la membrana contrattile, e quindi il tegumento chitinico esterno. L’ovario è contenuto in un sacco formato dalla membrana contrattile, o secondo inviluppo del corpo delle Sacculine, la quale a sinistra dell'osservatore, passando fra l'espansione sac- ciforme superiore ed inferiore del sacco ovigero, l’inviluppa to- talmente, verso la parte posteriore presenta una piccola aper- tura per la quale escono le uova e penetrano nel sacco incu- batore, una volta però in esso accumulate s’ interrompe ogni comunicazione tra l'apertura dell’ovario ed il sacco ovigero. Riguardo agli organi maschili nulla ho da aggiungere a quanto ne dissero gli autori che si sono occupati della loro struttura. Le ricerche finora fatte da tanti naturalisti lasciano ancora dei vuoti nella conoscenza di questi parassiti, che non ho po- tuto colmare, così rimane ancora da stabilire il modo col quale le uova vengono distribuite nei tubi arborescenti i cui rami più piccoli trovansi verso il contorno del sacco ovigero, ed il mo- mento della loro fecondazione. Per mancanza di mezzi non ho potuto fare ricerche intorno allo sviluppo dell’ uovo, epperò non posso entrare nella discus- sione sollevatasi in questi ultimi tempi ed alla quale presero parte il Gerbe, Balbiani, Van Beneden figlio ed il Giard, inì propongo però di occuparmi nuovamente di questo argomento giacchè credo vi sia ancora molto da fare onde completare la storia di questi parassiti. Terminato lo sviluppo delle uova termina la carriera vitale delle Sacculine, e frequentemente, cogli ultimi embrioni, è emesso pure il sacco ovigero del quale spesso s'incontrano dei lembi lacerati sporgenti dall’apertura sessuale, in qualche caso NOTA SULLE SACCULINE 143 la disorganizzazione del parassita incomincia prima ancora che siano usciti gli embrioni, i quali rimangono liberi per la distru- zione delle pareti del corpo nel quale si sono sviluppati, ultimo a sparire è l’organo d’adesione, dal foro si vede in allora spor- gere un piccolo tubercolo carnoso attorno al quale va a poco a poco estendendosi la pelle dell'ospite e finalmente si forma una cicatrice nerastra: ho trovato molti individui i quali pre- sentavano una o due di tali cicatrici ed una nuova e bella Sacculina, ed in due esemplari due cicatrici e due parassiti bene sviluppati. Io ho fatto le mie osservazioni sulla Sacculina del Packi- grapsus marmoratus Stimp. il quale lungo le scogliere a levante del golfo della Spezia, dal Convento, presso la foce della Magra, fino a Lerici, è attaccato da tale parassita nella proporzione del dieci per cento, è pure frequente lungo quelle dell’Ardenza ed Antignano ma in proporzioni minori, circa del cinque per cento. Generalmente ciascun ospite porta una Sacculina ma spesso due e talvolta fino tre, gli individui più grossi arrivano alla larghezza di diciotto millimetri e dodici di lunghezza, i più piccoli che ho trovato sono invece più lunghi (due mill.) che larghi (un mill. e mezzo). Le loro forme sono molto variabili, contraendosi continuamente, ed in parte dipendono anche dal sesso e quindi dalla larghezza della placca addominale dell’ospite, gli esemplari conservati nell’ alcool presentano forme anche più variate, epperò non è possibile stabilire una diagnosi della specie nè sui caratteri morfologici nè sopra quello degli organi interni, cambiando pure la forma loro ed, anche i rapporti nei diversi stadi di sviluppo degli individui, Sebbene ciascuna specie di Crostaceo parassita non sia sem- pre propria di uno stesso ospite, ma frequentemente ne invada più specie, e talvolta un gran numero, come per esempio il Caligus diaphanus otto di pesci ossei, undici o dodici il C. rapax, sette il C. Mulleri, cinque 1 Homobaphes (Lernaa) eyclopterina, la Dinematura lamna otto di pesci cartilaginei, pure la massima parte è esclusivamente propria di una sola, sopra la quale anzi con grande costanza, e spesso esclusivamente, sì fissa nella me- desima località e nello stesso modo, così che, se non sempre, molto di frequente si può riconoscere la specie alla quale ap- 144 S. RICHIARDI partiene il parassita da quella dell'ospite su cui si trova: a quest’ultima categoria appartengono le Sacculine le quali, se- condo me, non possono distinguersi in specie che dall’ospite sul quale vivono, giacchè, come dissi, la grande loro variabilità di forme non permette di utilizzare nè 1 dati morfologici, nè quelli degli organi interni, e quella del Pachigrapsus marmoratus sem- bra difatti bene distinta da quelle che a Nizza ed a Napoli sono abbastanza comuni sull’ Eriphia spinifrons, e sullo ‘Xantho rivulosus, che lungo le scogliere a levante della Spezia e presso Livorno trovai sempre immuni, come: ancora da quelle della Pisa gibsii e del Carcinus meenas, che sebbene vivano nelle stesse condizioni, pure per quante ricerche abbia fatto, mai mi fu pos- sibile trovarne un solo individuo attaccato, se dunque il solo P. marmoratus vivente in mezzo ad altri brachiuri ne è con tanta frequenza esclusivamente affetto, deve ritenersi la sua Sacculina una specie differente da quelle che infestano i sud- detti Brachiuri. Devo segnalare ancora un’ ultimo fatto riguardante la forma di questi parassiti, e che mi conduce ad una conclusione diame- tralmente opposta a quella alla quale arrivarono diversi altri naturalisti. Le difficoltà che s'incontrano nello studio dell’or- ganizzazione delle Sacculine, dipendono in gran parte dalle de- formazioni che esse subiscono, derivanti dalle condizioni nelle quali vivono di continua compressione tra l'addome ed il pia- strone sternale dell’ ospite, mentre sì distendono per lo sviluppo del grandissimo numero delle uova; sottratti a tale compres- sione esse si sviluppano liberamente ed in allora si presentano colle forme dei Peltogaster. Io ho potuto verificare tale fatto. sulla Sacculina dello Stenorkynchus phalangium: l'addome dei maschi di questi piccoli brachiuri è strettissimo, generalmente porta un solo parassita il quale sporge metà a destra e metà . a sinistra della placca addominale, ma quando se ne trovano due uno aderisce al primo spazio membranoso dell’ addome, l’altro più indietro, questo ha la forma ordinaria delle Saccu- line, ma quello, collocato lateralmente, non viene compresso. e presenta costantemente la forma dei Peltogaster: io credo perciò che le Sacculine non siano che Peltogaster modificati nelle forme dalla continua compressione durante il loro sviluppo, forme che conservano invece quando non vi sono soggetti, come nel caso suddetto e quando vivono sui Pagurus. NOTA SULLE SACCULINE 145 Questi curiosi parassiti hanno fermata l’attenzione di molti naturalisti, e le osservazioni si sono moltiplicate tanto che, prima di queste poche mie ricerche, si conoscevano di già dieci specie di Decapodi brachiuri ed un’Anomuro che li ospitano: Portunus corrugatus Pens. — Cavolini a (!8) Napoli. Eriphia Spinifrons Sav. — Cavolini a Napoli; Richiardi Is. d’ Elba. Pachigrapsus marmoratus Stime. — Cavolini a Napoli; Semper alle Baleari (!9); Richiardi a Livorno e Spezia. Carcinus menas Leaca. — In diverse località dell'Atlantico, e M. del Nord; Thompson, Rathke, Bell. Schmidt, Lilljjebors v. Beneden, Hesse, Parfit (8). Hyas aranea Lesca. — Leuckart ad Helgoland e Nizza; 5. Lovén (2!) (Sacculina inflata). Portunus marmoreus Leica. — Bell; v. Beneden. Pilumnus hirtellus Leaca. — Steenstrup. Herbstia condyliata x. Epw. — Hesse coste del Nord della Francia (Sacculina Herbstia nodosa). Pisa gibsii Lrsca. — Hesse Sacculina gibsii; Richiardi Mediterraneo. Portunus holsatus ragr. — Normann (?*). Pagurus. ...% — Fritz Miller (?) (Sacculina purpurea). (8) Il Prof. P.-J. van Beneden, nel ridurre a sinonimia moderna i nomi delle specie citate dal Cavolini, dice che il naturalista napolitano ha trovato Sacculine sul Portunus puber (Rancio di rena), e sul Grapsus messor che ritiene per la specie che i napolitani chiamano Rancio spirito o spiritato, questa interpre- tazione non è esatta, prima perchè il G. messor non esiste a Napoli, quindi perchè il Rancio spirito o spiritato è il Pachigrapsus marmoratus STIMP; il Rancio piloso e di pertugio può essere l’ Eriphia spiniîfrons od il Pilumnus hirtellus, siccome però il Cavolini dice di avere avuto delle Sacculine della grossezza di una noce, così è certo trattarsi dell’ Eriphia che giungendo a grandi dimensioni porta realmente delle grosse Sacculine, mentre il Pilumnus, che è sempre molto più piccolo, non può in alcun modo somministrare parassiti di tale grossezza. (‘°) Citazione del v. Beneden L. c. p. 120. (2°) Parfit E. — Zoologist, Tom. XXII, p. 9848. (#1) Citazione del Lilljeborg L. c. pag. 17, dell’estratto — Ann. d. sc. nat. L. c. pag. 308. (22) Normann A. M. — Transactions Tyneside nat. Field Club, 1863-64, p. 185. (2) Fr. Miller — in: Troschel Archiv f. Naturg. XXIX jahrg., 1863, Ers. Bd.; Ss. 24: 146 S. RICHIARDI — NOTA SULLE SACCULINE Alle suddette dieci specie di Brachiuri devonsi aggiungere le sei seguenti pure ospitanti sacculine e delle quali finora nessuno ha tenuto parola: Stenorhynchus phalangium, n. Epw., Mediterraneo. È longirostris, È, pi Micippe aculeata Bianconi, Mozambico. Cancer Savigny M. Epw., M. Rosso. Xantho rivulosus Risso, Mediterraneo. Gonoplax rhomboides Desw. > | = At. Soc lose. Sc.Nac. vot. 1 Dehcardi, tav. VL Ì scr TO 2 » 7, a) , 4) (trcophylite trenta, mo.dh. (coppiyllea cingulata, mr: 9) Corcoppy lira ellipteca , 72 DAcbhiardi tav 40M o Nat.vot. I (é d ISC 7 (@1 oc. le Ate. 722 A P) Leptazxts li COOSSCAL2C( & DL gplaxris multisintcose , 120 L'IVOLOCCE:, 170 cetti(eck atettrane, 171, 0. Mortée. ; Leptop by lle 2 9) d., d CORALLI EOCENICI DEL FRIULI MEMORIA DEL PROF. ANTONIO D’ACHIARDI PARTE II. (!) CALAMOPHYLLIDEAE (°). Rhabdophyllia tenuis fhabdophyllia tenuis, Reuss (Die foss. Anthoz. d. Sch. v. Castelgom- berto 1868. S. 16, Taf. II, Fig. 4-9). Id., D’Achiardi (St. comparat. fra Cor. d. terr. terz. Piemonte e Alpi Venete, pag. 62, Pisa 1868). Gli esemplari friulani da me esaminati di questa specie sono identici a quelli di Castelgomberto, onde non resto in dubbio sulla identità specifica. Talune specie della creta superiore francese descritte da De Fromentel sì ravvicimano assai a questa. Giacitura — Russitz, Cormons, Brazzano, Rosazzo. (4) V. Vol, I, fasc. 1.° pag. 70 e fasc. 2.° pag. 115. (2) Per dimenticanza sono stati precedentemente omessi i nomi dei gruppi principali, in cui possono ordinarsi le numerose specie della famiglia delle Astreidi. Sc. Nat. Vol. I. fase. 8.° 11 148 D'ACHIARDI Rhabdophyllia granulosa, m. To VINO: 1-3 Frammenti di polipajo al naturale. — 1 a. Coste ingrandite. — 2 a Ca- lici, derivanti per fissiparità, ingranditi del doppio. Polipajo dendroide a polipieriti lunghi (almeno per quanto se ne può giudicare dai frammenti conservatici dalla fossilizza- zione), più o meno compressi, talvolta molto, tal’altra quasi ci- lindrici; moltiplicantisi per dicotomia con angolo mediocremente acuto. Le dimensioni dei frammenti sono variabilissime in cor- relazione alle parti inferiori o superiori che ci rappresentano del polipajo. Coste subeguali, ramificantesi. per dicotomia, forte- mente granulose, distintissime. Calici quasi circolari o ellittici e in quest'ultimo modo là dove accennano a dividersi o si dividono di fatto. Quattro cicli spesso completi di setti alternativamente maggiori e minori, essendo subeguali fra loro quelli dei primi tre cicli. I lati ne sono granulosi e riuniti da traverse endotecali. Columella spugnosa assai sviluppata. Questa specie somigiia ad alcune Rhabdophylliae giurassiche e cretacee e fra le altre alla RX. Philipsi, M. Edw. et H., che ne differisce per maggior sottigliezza e forma più costantemente cilindrica dei polipieriti. Taluni esemplari compressi e in forma più irregolare si avvi- cinano pur assai alla fhabdophyllia salsensis, J Haime, della creta superiore di Rennes les Bains (Aude); ma per il loro stato di conservazione non oso separarli dagli altri, che si trovano in- sieme ad essi. Giacitura — Russitz, Cormons, Brazzano. In appendice alle Rrabdophylliae mi fa mestieri citare un esemplaretto di Brazzano diverso dai precedenti per la sua forma più decisamente cilindrica non solo, quanto e più ancora per le coste che non si biforcano, ma si mantengono parallele per tutto il loro corso, contandosene 12 maggiori, fra ciascuna coppia delle quali se ne inseriscono tre minori subeguali. — (Quest'ultimo carattere e il portamento stesso del polipajo ravvi- cinano questa specie alla Elabdophyliia inaequalis, De Fromentel, della creta di Brigoles (Varo) in Francia. — L’imperfezione del- l'esemplare non ne consente l’esatta determinazione. A da, CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 149 Elasmophyllia gigantea, m. Ta ve SW a o RA ,ta ve Neto lE Tav. VIII, f. 4a, tav. IX, fig. 1. Frammenti del polipajo al naturale — 4-b. Calice ingrandito. — 4-c. Porzione esterna di un polipierita. Polipajo cespuglioso a polipieriti liberi per lungo tratto e l’uno dall’altro poco divaricati, anzi pochissimo, essendo piccolo l’angolo di biforcazione, onde si ha il portamento delle &/abdo- phylliae e Calamophylliae. L' esaminato cespuglio misura 29 cen- timetri nel maggior diametro e 22 nel minore. I polipieriti molto lunghi, aventi in termine medio un diametro di 1 cen- timetro, sono quasi cilindrici, tranne là dove tendono alla divi- sione, e sono esteriormente percorsi da coste fitte, non molto rilevate, granulose e alternativamente maggiori e minori. L'epi- tecio o manca o è rudimentale nelle parti superiori; sembra però esistere più sviluppato fra l’uno e l’altro polipierita nelle parti inferiori. Calice circolare o un poco ellittico, largo 9-11 mil- limetri negli individui giovani; mostrante invece un contorno al- quanto irregolare e allungato per incominciata o più o meno progredita fissiparità negli adulti. Quattro cicli completi di setti; un quinto incompleto, dividendosi il calice prima che quest’ultimo ciclo raggiunga il suo totale sviluppo. Quelli del 1.° e 2.° ciclo sono ugualmente estesi e arrivano fin quasi all'asse del calice presso al quale appariscono alquanto ingrossati. Seguono im- mediatamente e per estensione e per grossezza i 12 del terzo ciclo e così via via quelli del quarto e quinto a seconda del- l’ordine, cui spettano. Mal si giudica delle loro particolarità, ma sembra essere stati denticolati al margine e granulosi sui lati non che riuniti da traverse endotecali. Columella laminare, breve, ma evidentissima. Giacitura — Brazzano. i Da questa stessa specie non ho creduto di dover disgiungere un piccolo esemplaretto (Tav. 8, fig. 4) pur di Brazzano, che ne differisce per la dimensione di poco maggiore dei polipieriti, e per il numero dei setti un po’ superiore, ma nè men qui co- stituenti cinque cicli completi; e non ho creduto farne una specie distinta, essendochè consideri queste lievi differenze come rela- tive all’età del polipajo, trattandosi dei primi rami in quest’ ul- 150 D'ACHIARDI timo caso, e non degli ultimi come in quello. Qui si ha che fare con un giovane polipajo, che non ha anche preso il suo portamento da adulto. Calamophyllia pseudofiabellum Lithodendron pseudoflabellum, Catullo (Dei terr. di sedim. sup. d. Ve- nezie, 1847, pag. 21, tav. XI, fig. 3; 1856 tav. IV. fig. 3). Dasiphyllia Michelottii, Michelotti (Etudes sur le mioc. inf. de 1’ Italie sept. 1861, pag. 39). Calamophyllia fasciculata, Reuss (Die foss. von Oberburg. 1864, S. 55 Taf. I Rig. 196 14th): Cairo pecudoflabellumi Di (Coral. foss. d. n99A num- mulit d. Alpi Venete, parte 2.a 1868, pag. 10, tav. VIII, fig. 3-7). Questa specie descritta da Catullo e da me come propria dei terreni coralliferi di Monte Grumi di Castelgomberto e di Santa Trinita di Montecchio Maggiore e descritta pure da Reuss di questi stessi terreni col nome di C. fasciculata, nome da lui dato ad identico polipajo dei terreni di Oberburg corrispondenti a questi del veneto, è una di quelle che ha durato più delle altre attraverso la serie dei tempi. Di fatti mentre col confronto di ben conservati esemplari io poteva identificarvi la Dasyphyllia Michelottiù di Santa Margarita presso Cairo in Piemonte, ove giace in terreni analoghi a quelli di Dego, Sassello e Carcare e quindi immediatamente superiori, se non corrispondenti, al piano di Castelgomberto, Reuss (Die foss. Anthoz. v. S. Giov. Ila- rione — Wien 1873, S. 10) vi riferiva, senza incertezza e ricono- scendone l'identità con la sua Calamophyllia fasciculata, alcuni frammenti di Val di Ciuppio presso S. Giovanni Ilarione, di un terreno quindi inferiore agli altri di Castelgomberto e Montecchio Maggiore non solo, ma ben anco di Lugo, Salcedo, Lavarda e Crosara. A questa stessa specie io riferisco ora anche un piccolo polipajetto di Brazzano. Haplophyllia? eocenica, m. av SVI a 57 5 a. Polipajo al naturale. — 5 b. Calice ingrandito. De Fromentel dette il nome di MHaplophyllia a un nuovo senere di polipaj affini per il portamento loro alle Dasyphyl-. ‘ CORALLI FOCENICI DEL FRIULI ig9al Ziae, ma differenti da queste per la mancanza della columella; e a questo genere, cui per quanto io sappia non era stata fin ora riferita alcuna specie vivente o fossile, ho ravvicinato un giovane polipajetto friulano contraddistinto dai seguenti ca- ratteri. Polipajo cespitoso. Polipieriti liberi nelle loro parti superiori, non riuniti in serie, almeno nel piccolo e unico nostro esem- plare. Muraglia nuda e percorsa da 24 coste distanti fra loro e pseudolaminari, fra le quali, ma non sempre, se ne osserva una rudimentaria. Calici ellittici in armonia con la compres- sione dei polipieriti, larghi cioè da 9 a 10 mm. nel diametro maggiore e 5 a 6 mm. nel minore, a contorno smerlato con 1 rialzi corrispondenti alle 24 coste maggiori, e mediocremente profondi. Setti poco o punto smarginanti, se pur tali non ap- pariscano per corrosione, sottili, ineguali e ricurvi a turbine verso il centro o asse calicinale, ove non vedesi traccia di colu- mella. Ventiquattro maggiori degli altri corrispondono alle spor- genze dell’orlo calicinale e alle ventiquattro coste che fanno pure capo ad esse. Del loro margine mal sì giudica, per altro in alcuni meglio conservati setti sembra apparire dentato, ond’ ho pre- scelto questo nuovo genere al genere vivente EupAyllia, cui questa specie andrebbe riferita se il margine settale si provasse essere integro. Dalle Dasyphylliae, cui somiglia molto per il suo portamento, differisce per la mancanza assoluta di columella e dei collaretti murali. Giacitura — Rosazzo. EUGYRINAE Nel gruppo dell’ Eugirine ho compreso i generi stessi anno- verativi ultimamente da Reuss (D. foss. v. S. Giov. Ilarione . Roncà 1873), ma per vero dire mentre questo nome si confà completamente ai generi Packygyra e Dendrogyra, e per essi non vi ha dubbio che sotto tal nome debbano l'uno all’altro ravvicinarsi; non così è per gli altri generi Barysnulta, Bary- phyllia ec. che costituiscono come un passaggio al gruppo pre- cedente (Calamophyllideae), e lasciano incerti se realmente vadano compresi sotto un unico e medesimo nome. 152 D' ACIHIARDI Barysmilia vicetina. Barysmilia vicentina, D'Achiardi (Coral. foss. Alpi Venete 1866, pag. 39, tav INI, Nas): Id., Reuss (Die foss. Anth. d. Sch. v. S. Giovanni Ilarione und v. Ron- cà 1873, S. 8, Taf. 42, Fig. 2-3). Questa specie è comune anche ai terreni fossiliferi di San Giovanni Ilarione e di Chiampo; e colgo questa occasione per dire come sieno certamente una stessa cosa gli esemplari di questi luoghi studiati tanto da me che dal Reuss e questi del Friuli. Giacitura — Cormons, Russitz. Barysmilia brevis. Rhabdophyllia brevis, Reuss (Die foss. Anthoz. der Schicht. v. S. Giov. Ilarione und v. Roncà, 1873, S. 11, Taf. 42, Fig. 0). A questa specie debbono senza dubbio riferirsi alcuni non ben completi esemplari; la sola domanda che mi faccio si è se realmente a questo genere o non piuttosto al genere £racky- phyllia vada inscritta la presente specie, che ha pure una qualche analogia con la mia Lrachyphyllia vicetina. E siccome dalla fi- gura non vedesi che negli esemplari osservati dal Reuss esistesse columella, che egli dice essere rudimentare, e questa non si scorge nei nostri che certamente corrispondono a quelli, e sic- come per il portamento si ha maggiore analogia con il genere Barysmilia che con il genere Ehabdophyllia, così non ho esitato. ad attenermi al primo piuttosto che al secondo. Giacitura — Russitz, Rosazzo? Baryphyllia? italica, m. Tav: Dogi de 1a. Frammento di polipajo — 1 b. Sezione verticale del medesimo in- grandita tre volte. x Polipajo di cui la fig. 1 a non rappresenta che uno dei minori frammenti, avendo in alcuni esemplari per un’ altezza di 5 cen- FRASI i CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 153 timetri una larghezza di 16 e più. Esso risulta di una massa di polipieriti liberi soltanto per brevissimo tratto e che dipartendosi da un tronco corto e grosso, vanno disponendosi coi calici loro quasi tutti in un piano, che è molto esteso, essendo poi l'uno con l'altro collegati nella massa comune da un copioso cenen- chima peritecale, quale si osserva anche nei generi Galazea e Solenastraea, cenenchima peritecale i di cui strati flessuosi (fig.1) si susseguono a breve distanza l’uno sull’altro. Questa parti- colarità distingue il nostro fossile dalle Baryplylliae, alle quali sì avvicina per tutto il resto, non per tanto non ho creduto di dover fare un genere nuovo, (cui avrei dato il nome di Desmo- plujllia se non avessi temuto potesse generarsi confusione col giù noto genere Desmophylum); e non ho creduto ciò fare per motivo della non troppo buona conservazione degli esemplari di questa specie. Certo, se Baryphyllia, appartiene ad altro tipo delle £La- ryphylliae neocomiane o coralliane. — Coste assai rilevate; ma solo visibili verso l'apertura calicinale, che è raramente rotonda, per il solito ellittica, in forma di otto o altrimenti irregolare a seconda della più o meno progredita fissiparità; e che è poi del tutto superficiale, non potendo per altro asserire che ciò non possa in parte dipendere dall’avvenuta corrosione. Setti nume- rosi, fitti, disuguali e flessuosi verso il centro, ove non vedesi columella, se tutt” al più non siavi rudimentaria. Nei calici mag- giori in cui non è ancora cominciata la moltiplicazione fissipara se ne contano 5 cicli incompleti. Quelli dei primi tre cicli e se- gnatamente del 1.° e 2.° assai più grossi degli altri arrivano e fin quasi all’ asse o centro del calice, ove appariscono un poco ingrossati; gli altri son molto più corti e sottili. Il margine sembra esserne stato dentato, e dico sembra giudicando da alcuni dei setti minori difesi dai più grandi, che sono rotti. Traverse endotecali numerose, fitte, sottili e molto oblique. Giacitura — Brazzano. Thecosmilia? crassiramosa. Thecosmilia? crassiramosa, Reuss (D. foss. Anth. v. S. Giovanni IHa- rione und Roncà S. 8, Taf. 38, Fig. 11, Wien. 1878). Reuss (Mem. cit.) descrive un corallo di San Giovanni Ila- rione da lui ascritto con dubbio al genere Yhecosmilia; or bene a 154 D'ACHIARDI questa stessa specie sembrami . molto affine, se pur non sia. la medesima cosa e solo diverso nelle dimensioni delle parti per la più giovane età, un bel polipajetto costituito di quattro giovani polipieriti. % Giacitura — Rosazzo?, certamente del Friuli. Thecosmilia nana, m. Tavo 1 a. Polipajo al naturale. — 1.b. Porzione del medesimo ingrandita. Polipajo piccolo e minuto in tutte le sue parti, onde il nome, fra il cespitoso e il massiccio per l’unirsi fra loro di alcuni po- lipieriti in vario numero. Muraglia sottile. Epitecio ripieghet- tato, che giunge fin presso agli orli calicinali. Calici larghi 5-6 mm., quasi superficiali o almeno poco profondi, poichè ap- pariscono superficiali quelli soltanto che per essere più spor- genti furono più corrosi, mentre in quelli che per la posizione loro meglio si difesero dalle azioni corrosive vedesi una fossetta calicmale poco profonda sì, ma pure evidente. Setti numerosis- simi, circa 100 e anche più di 100, sottili, fitti e riuniti da numerosissime traverse endotecali, che appariscono in gran nu- mero fin dalla superficie dei calici meglio conservati, e in nu- mero anche maggiore in quelli un po’ corrosi. Columella poco sviluppata e apparente in foggia di piccolissime papille, che sembrano essere in numero anche maggiore del vero lù ove sono tuttora visibili i piccoli dentini settali, che vi si confondono e tanto meglio conservati quanto più interni. Giacitura — Rosazzo. Thecosmilia sp. Due mal conservati esemplari, l'uno di Brazzano e l’altro di Rosazzo, sembrano appartenere a questo genere; e se non ad esso al suo vicino Baryphyllia, mal giudicandosi della pre- senza dell’epitecio, che io però ritengo esista. — Trattasi di un polipajo ramoso a rami grossi, stipati, anzi aderenti per lungo tratto e liberi solo per brevissimo; portamento che ricorda quello della Baryphyllia gregaria, e nel maggiore esemplare, che CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 155 sembra la stessa cosa dell’ altro, della mia Calamophyllia plani- costata. La muraglia sembra essere stata spessa; i setti son ma- lissimo conservati; non se ne veggono che le tracce verso l'interno o asse dei polipieriti; la columella sembra mancare. Giacitura — Rosazzo, Brazzano. Plocophyllia? foroyuliensis, m. Tav. VIII, fig. 6. 6 a. Polipajo veduto per di sopra. — 6 b. Porzione di calice ingrandito. | Polipajo a portamento analogo ad alcune Plocophyliae del piano di Castelgomberto, a quelle per esempio effigiate dal Reuss nel suo lavoro , Die fossilen Anthozoen der Schichtengruppe von S. Giov. IMla- rione ec. 1873 ,, anzi nell’appendice ai suoi precedenti lavori sui Coralli di Castelgomberto e di Crosara, e portanti i numeri 1-2 tav. XLVII, 1-2 tav. XXXXIX: ed analogo pure a quello di talune Euphylliae e in qualche modo anche della mia .Mycetophyllia italica (Coral. foss. Alp. Ven. parte 2.* tav. XII, fig. 1, 1568). Alla parte inferiore termina il polipajo con un grosso peduncolo e sì espande superiormente a guisa di cesto profondamente lobato. Coste dipartentisi fino dalla base di affissione del polipajo, fitte, sot- tili, quasi laminari, un po’ serpeggianti e riunite da esili tra- verse esotecali. Calici grandi, molto espansi, a contorno lohato; talora riuniti in serie con evidenti segni di fissiparità. Centri ca- licinali sempre distinti. Setti numerosi; ne ho contati da 110 a 120 in un calice che ha giù cominciato a dividersi, ond’io. ritengo che in un calice unico raggiungano per lo meno i cinque cicli com- pleti. Dodici, e talora anche ‘più, molto maggiori degli altri arrivano fino al centro del calice, ove talvolta s'incontrano e taluno per fin si ripiega. Ai primi dodici o quanti sono ne se- guono altrettanti più sottili, ma quasi ugualmente lunghi, indi gli altri si succedono con sempre crescente sottigliezza e brevità, mantenendosi tutti per altro assai estesi. I lati ne sono finissi- mamente granulosi e riuniti da esili traverse endotecali anche nelle parti più esterne. Se i margini ne fossero dentati non so. Manca ogni traccia di columella. La cattiva conservazione delle parti esterne del polipajo non 156 D ACHIARDI. consente di giudicare se a incrostazione o a vero epitecio deb- basi un’ apparenza che di questo si ha fra un lobo e l' altro delle serie o polipieriti disgiunti e su di alcuni punti della co- mune muraglia. Che se si trattasse realmente di epitecio, forse la Thecosmilia crassiramosa di Reuss (Die foss. Anthoz. d. Sch. v. San Giov. Narione und Roncà s. 8. Taf, 38, fig. 11) ci potrebbe rappresentare un giovine polipajo della medesima specie. Che se poi il margine settale fosse stato fornito di denti converrebbe allora tenersi al genere Euplylla. Giacitura — Rosazzo. Pachygyra Savil. Pachygyra Savii, D’Achiardi (Corallar. foss. d. terr. numm. Alp. Venete, Milano 1866, pag. 40, tav. III, fig. 12). Pachygyra arbuscola, D'Achiardi (Op. cit. pag. 41, tav. III, fig. 13). Pachygyra Savii, Reuss (De foss. Anthoz. d. Sch. von S. Giov. Ila- rione und Roncà, Wien. 1873, S. 9, Taf. 40, Fig. 4-8). Convengo con Reuss (Op. cit. pag. 9.) di dover riunire in una sola le due specie da me istituite su cinque soli esemplari, dei quali due soltanto in discreto stato di conservazione; e della necessità di questa riunione, anche prima del voto autorevole del Reuss, già mi avevano persuaso i numerosi esemplari rice- vuti dopo la pubblicazione della prima parte dei miei studj sui Corallarj vicentini. A questi si uniscono ora quelli del Friuli, che con estremi anche più esagerati presentano poi tutti i ter- mini.intermedj fra le due forme, e sui quali ben si veggono la columella decisamente e sottilmente laminare, le coste fini, gra- nulose e poco rilevate, e i setti alternativamente grossi e sottili e per di più ingrossati verso l’asse, ove formano quasi una falsa columella parietale, fra cui sta la vera columella laminare. Alcuni esemplari giovani si presentano con aspetto alquanto diverso, non apparendo ben costituita la serie, e nei calici più ampli e non per anco o solo appena fusi con altri vedendosi tuttora i setti diversi a seconda dell’ordine loro, fra due mag- giori contandosene 3, 7 e per fino 9 gradatamente minori. Ma il passaggio è evidente in altri esemplari ed anche in alcune parti di questi medesimi, nè mi resta dubbio sulla loro identità specifica. Giacitura — Russitz, Rosazzo, Brazzano — frequente. CORALLI FOCENICI DEL FRIULI ES A una nuova specie di Packygyra va forse riferito un grande esemplare provenuto dal banco madreporico di Brazzano, e di- verso dagli altri per la sua forma a cesto sorretto da grosso peduncolo e a superficie piana, per la brevità delle serie cali- cinali, che oltre all'essere corte sono anche strette e per maggior copia di falso cenenchima. Mi era anche proposto di dare a questa specie il nome di Pachygyra plana, ma ripensando alle variabilità delle diverse parti del polipajo in questo genere, e confortato dal vedere in altri esemplari della P. Savi un’ esten- sione pianeggiante maggiore dell’abituale ne ho dimesso il pen- siero, tanto più che lo stato di conservazione del fossile lascia molto a desiderare. Dendrogyra italica, m. Tav pbXg fig: 2 a. Frammenti di polipajo al naturale; — 2 b. Porzione superficiale in- grandita. — 2 c. Sezione longetudinale ingrandita. Polipajo massiccio a superficie pianeggiante. Inferiormente sembra essere stato largamente affisso; ma se ne può dir poco a motivo della corrosione; in ogni modo fu pochissimo elevato. Le coste veggonsi qua e là subeguali e l'una all’altra succes- sivamente intercalantisi. Vallecule lunghe in varia misura e lar- ghe diversamente a seconda della maggiore o minor serie di polipieriti che le costituiscono, essendo più strette là dove la più numerosa serie forma più lunga vallecula. La larghezza loro, che è di 3-5 mm. in questo ultimo caso, raggiunge i 7 e per fino, benchè raramente, i 10 mm. là dove invece i ca- lici sono più circoscritti. La profondità di queste vallecule è di 2-3 mm. Le colline larghe alla base terminano per il solito in acuta cresta, ma se ne danno pur talune bifide, nel qual caso fra luna e l’altra muraglia disgiunte si veggono dei rudimenti di coste. Setti fitti, alternativamente disuguali e sottili; se ne contano per fino trenta nello spazio di 1 centimetro. Nelle serie lunghe e strette procedono quasi normali all’ asse delle vallecule ripiegandosi un poco in prossimità di esso; nelle brevi e più larghe e meglio ancora nei calici circoscritti accennano ad alcuni centri; onde nell’ insieme si ha il carattere delle Dendrogyrae, che sono a centri calicinali distinti o subdistinti, e non delle Pectinzae, 158 D' ACIIARDI in cui i centri calicinali sono del tutto indistinti, per il qual carattere si allontana pure dalle Leptor:ae, con le quali per il resto concorderebbe, poichè lo stato di conservazione del fossile non consente di giudicare se i setti fossero o no dentati. I setti principali s'ingrossano verso l’asse delle vallecule, formandovi come una specie di canaletto, in cui scorre una columella la- minare di tanto in tanto interrotta e che in taluni punti par quasi spugnosa, ond’io da prima aveva creduto si trattasse di una Maeandrina, ma che la sia laminare non havvi alcun dubbio, poichè come tale ci apparisce, oltrechè alla superficie anche nelle sezioni verticali. Traverse endotecali abbondanti e sottili. Parmi la stessa cosa o per lo meno molto affine a un po- lipajo mal conservato di Sassello in Piemonte da me ravvicinato alla Maeandrina Bellardw (Stud. compar. fra i Coral. d. terr. terz. d. Piemonte e delle Alpi Venete, 1868, pag. 12), dalla quale però differisce per le più strette vallecule e grande delicatezza delle sue parti; polipajo che per il suo pessimo stato di conservazione non può nè meno dirsi se appartenga realmente a quel genere. Già dissi della rassomiglianza di questa specie con le Leptorzae, alle quali ancor più si ravvicinerebbe se ci si potesse accertare che i setti fossero stati dentati, tanto più che lù dove le serie o vallecule sono lunghe e strette i centri calicinali sono quasi od anche del tutto indistinti. Giacitura — Rosazzo a oriente dell’Abbadia, Brazzano, frequente. SYMPHYLLIACEAF Mycetophyllia multistellata? Mycetophyllia multistellata, Reuss (Die foss. Foraminif, Anthoz. und. Bryoz. von Oberburg. Wien. 1864, S. 18, Tav. IV, Fig. 1.). 1d.? D’Achiardi (Coral. foss. Alpi Venete Parte 2.2 pag. 23.). Se non con sicurezza all’esemplare effigiato ‘dal Reuss e tro- vato fossile a Gradisca sembrami che un polipajetto friulano si possa riferire all’esemplare di Monte Viale, da me pur con dubbio riportato a questa specie. Giacitura —. Bosco di Brazzano. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 159 Mycetophyllia italica. Mycetophyllia italica, D’Achiardi (Coral. foss. Alpi Venete, 1868, par- Le Pal tav RIE Somiglia immensamente ad alcuni esemplari di Monte Grumi di Castelgomberto da me riferiti al genere Mycetophyllia e in special modo a quelli, onde fu da me istituita la specie M. italica. Nelle sezioni vedonsi chiaramente la muraglia esile, compatta, indivisa e i lati dei setti granulosi superiormente e riuniti per quasi tutta la loro estensione da traverse endotecali sottili, fitte e vessiculose. Vero è che tanto nell’ esemplare friulano che in quelli di Monte Grumi i setti sono più numerosi che non so- gliano essere nelle Mycetophylliae tipiche, ma d’ altra parte sì fatti polipaj si allontanano anche maggiormente dai generi Sym- phyllia per la mancanza della columella, IsopAhyllia per la man- canza dell’epitecio, Ulophyllia per la superficialità delle serie calicinali e per l’ assenza della columella; e per altri caratteri dai generi Tridacophyllia e Colpoplyjltia, onde, ponderato il tutto, mi è sembrato stien meglio qui che altrove. Giacitura — Brazzano. Colpophyllia Taramellii, m. Tg IDG Jia 3 3a. Porzione di polipajo al naturale. — 8 b. Porzione ingrandita di una serie calicinale e suo contatto con la serie adjacente. Polipajo massiccio a faccia superiore subplana o leggermente convessa, mal giudicandosene dall’unico esemplare, che ho sot- tocchi. La muraglia comune vedesi in alcuni punti percorsa da coste lamellari subeguali, che per il solito sono nascoste da un involucro forse epitecale, se pur non sia resultato d’ incrosta- zione. Vallecule assai profonde più o meno larghe da 15 a 20 millimetri. Colline ampie, rotondeggianti. Muraglia di separa- zione delle vallecule calicinali non mai completamente riunite; le si veggono correre parallele a brevissima distanza fra loro sulle creste rotondeggianti delle colline. Setti numerosi, sottili, larghi, alternativamente disuguali o per dir meglio in generale fra due maggiori ne stanno tre minori, essendo il medio fra 160 D' ACHIARDI questi più sviluppato degli altri due. Sembrano appartenere 4 8 cicli non completi nei calici del mezzo, più che completi verso l'estremità delle vallecule. I maggiori s'ingrossano e s’inflettono verso i centri calicinali, ove non si scorge traccia di columella, onde si ha un carattere differenziale con le Symphyllae, cui questa specie s' assomiglia moltissimo. Dei denti settali non si può giu- dicare. Traverse endotecali esili, abbondantissime e visibili fino dalle porzioni superiori delle cavità intersettali. È questa la prima specie fossile che io conosca di questo genere; e la ho dedicata al professor Taramelli. Giacitura — Cormons a oriente di Zobida, Brazzano. Colpophyllia flexuosa, m. Taro: 2 a. Polipajo al naturale. — 2 b. Porzione superiore del medesimo in- grandita. — 2 c. Sezione verticale ingrandita per mostrare le tra- verse e la disgiunzione delle muraglia. Polipajo massicio sorretto da un peduncolo, che sembra fosse assai grosso, a superficie convessa, somigliante nel suo porta- mento varie altre specie proprie dei terreni coralliferi del Vicen- tino, del Piemonte e di Oberburg, come per esempio alcune Mycetophylliae e Symphylliae e pur anco alle Hetorogyrae adulte. Sembra essere stato assai fragile e delicato, lo che s’accorda col genere da me prescelto. Della muraglia comune o esterna non può giudicarsi attesa la sua corrosione. ì La faccia superiore del polipajo è percorsa da vallecule di varia lunghezza e larghezza, piuttosto profonde (5-12 mm.), flessuosissime a guisa delle cireumvoluzioni cerebrali (onde nome) e ora costituite da pochi calici, ora da molti; ma del loro modo di essere più che una particolareggiata descrizione vale a dare idea la figura 1 a. Le muraglia sono sempre distinte e corrono parallele e a breve distanza sulle creste delle assai acute colline; nè solo si mantengono tali nelle loro porzioni superficiali, ma tali pur si osservano, quantunque più ravvicinate, anche nelle parti più profonde (fig. 2 e). Fra l'una e l’altra muraglia si veggono chiaramente le coste (fig. 2 8). Setti diversi per gran- dezza là ove i calici si circoscrivono e la vallecula è più fles- suosa, rappresentante ogni ansa un calice distinto; subeguali ed CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 161 anco uguali nei tratti adulti delle serie, la ove la muraglia della vallecula corre quasi in linea dritta. Essi appajono poco o punto smarginanti; furono dentati e per quel che si può giudicare da quanto rimane anche incavati (@rechancrés) nel mezzo, com’ è carattere del genere, ed i maggiori ricurvi verso i centri cali- cinali. Se ne contano 18-20 nella lunghezza di 1 centim.; appar- tengono certo a tre cicli e forse, ma dico forse, in qualche calice meglio circoscritto, ma pur sempre delle vallecule, havvene taluno poco sviluppato di un quarto. Il numero è assai superiore nei calici completamente circoscritti come quello eftigiato. La colu- mella manca o è tutto al più rudimentaria in alcuni calici soltanto. Traverse endotecali evidentissime, ma più grosse che nella specie precedente (C. Taramellii) e più rare, essendo alla distanza l’uma dall’altra di circa 1 '/ mm. Non mi sembra esister dubbio sulla determinazione generica di questa specie, la quale, se vero è che pur somigli a specie riferite ad altri generi, è pur vero che se ne distingue per essen- ziali caratteri. Così la si rassomiglia a prima giunta all’Heterogyra lobata di Reuss nello stato di massimo sviluppo; ma il modo della geminazione ne la separa nettamente; e se per questo carattere e per la solcatura delle colline in grazia delle muraglia ivi di- sgiunte ravvicinasi ad alcune Symphylliae, se ne allontana poi per la separazione stessa delle muraglia non come in queste solo superficiale, ma continuata in basso e per l'assenza della colu- mella. La questione a farsi è ora questa, se cioè talune delle Symphylliae solcate sul vertice delle colline non siano a riferirsi piuttosto al genere Colpophyllia, che a quello cui furono, e per talune si noti con incertezza, riferite tanto del Piemonte che di altri luoghi e sempre di terreni superiori a questi del Friuli; onde in tal caso verrebbero a colmare la lacuna fra le specie di cui ci occupiamo e le attualmente VAI che sole hanno finora costituito un tal genere. Giacitura — Rosazzo. 162 D' ACHIARDI Diploria flexuosissima. Diploria fleruosissima, D'Achiardi (Coral. foss. terr. numm. d. Alpi Ve- nete 1863, Parte 2.*, pag. 26). Questa specie è assai frequente a Croce Grande e in Val di Ciuppio presso San Giovanni Ilarione. Giacitura — Banco madreporico di Russitz, Cormons a settentrione-levante della villa Germak. Hydnophora longicollis. Hydnophora longicollis, Reuss (Die foss. von Oberburg — Wien 1864, SA9ZTaft 4 Rig 274) Id., Reuss (Die Da SU d. Schicht. von Castelgomberto, Wien 1868, S. 40 e 50). Questa specie fu dal Reuss per la prima volta descritta di Oberburg e poscia del Monte delle Carrioli e del Canal de’ Pe- ruzzi nel Vicentino; e ora io vi riferisco parecchi esemplari friulani ben conservati tanto sulla faccia superiore che nella inferiore. Giacitura — Brazzano, Rosazzo, Russitz, Cormons. Di Brazzano è pure un’altra Hydrophora, molto rassomigliante alla Monticularia Styriana. Michelin (Jcon. Zooph. T. 1I, pag. 425 pl. 68, fig. 2); ma atteso il cattivo stato di conservazione non ho creduto potervela identificare con sicurezza di giudizio. FAVIACEAE Favia Meneguzzii Favia Meneguzzii, D'Achiardi (Corallarj foss. Alp. Venete, Parte IT, p. 29, tav. XIII, fig. 2. Milano 1868). Di questa specie, giù da me descritta di Croce Grande di San Giovanni Harione, ho pur veduti più o meno grossi esemplari e talora assai grossi delle varie giaciture corallifere del Friuli. Giacitura — Rosazzo, Brazzano, Russitz, Cormons. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI — 163 Favia prefunda. Favia profunda, Reuss (Die foss. Anth. v. S. Giov. Ilarione u. Roncà. S. 13, Taf. 42, Fig. 6. Wien 1873). Esemplari del tutto identici a quelli di S. Giovanni Ilarione descritti ed effigiati dal Reuss. Giacitura — Brazzano. Alcuni esemplari da me ravvicinati con dubbio (Stud. com- par. Coral. Piemonte e Alpi Venete. Pisa 1868, p. 12.) alla Favia pulcherrima, Michelot. sì assomigliano assai a questa specie, con la quale non si possono identificare, ma dalla quale però si può ammettere siano derivati per i mutamenti indotti dal tempo. Favia exilis, m. ene dda 8 a. Polipajo al naturale veduto di sopra. — 3 b. Id. veduto di fianco. — 3 c. Calici ingranditi. Polipajo in forma di mazzo, dirò anzi di trottola poco acu- mimata, a faccia superiore lievemente convessa e a faccia inferiore ripieghettata longetudinalmente e coperta da un epitecio, che si distende dal basso all'alto con successivi rialzi. S°' assomiglia per la forma ad alcune Haviae cretacee descritte ed effigiate dal De Fromentel, ma ne differisce poi essenzialmente per gli altri caratteri. — Calici piccoli, non molto profondi, circolari quando non siano anche in atto di dividersi; più o meno allungati e irregolari a seconda della più o meno progredita fissiparità. Della forma e delle dimensioni loro dà immagine la figura 34 la quale per altro al pari delle altre tutte della medesima ta- vola fu in gran parte sciupata nella tiratura. Sono i calici sepa- rati da solchi non molto profondi, ma relativamente assai ampli (1-2 mm.), sul fondo dei quali, si toccano, se pur non si fondano insieme, le coste scendenti dall’una e dall’altra parte, poco rilevate, larghe e subeguali fra loro in grossezza. Nei calici, in cui non è anche principiata la fissiparità si contano 86 setti diversi a seconda dell'ordine loro, grossolanamente granulosi sui lati. Verso l’asse del calice appaiono ingrossati. Columella spu- Sc. Nat. Vol. I. fasc. 8.2 12 164 D'ACHIARDI gnosa poco sviluppata in alcuni calici, rudimentale in altri, ove riducesi per fino a una sola papilla. Giacitura — Brazzano. Favia turbinata, m. Tav ritionze 2 a. Un quarto del polipajo al naturale veduto di sopra. — 2 b. Id. ve- duto di fianco. — 2 c. Calici ingranditi. — 2. d. Sezione verticale ingrandita. Magnifico polipajo in forma di trottola a faccia superiore piana; altezza 8 centim., larghezza 12-13. Superficie esterna o muraglia comune increspata e percorsa da coste alternativamente disuguali e ricoperte da epitecio completo e sottile, onde vedonsi solo dove questo manchi. Calici in gran numero, circolari, più. o meno deformati e non di rado in forma di otto a seconda della non per anco cominciata o in vario grado progredita fissi parità. Fra l’uno e l’altro, più o meno accosti ma sempre però assai vicini, si veggono distintissime le coste taglienti, alte e sot- tili e alternativamente diverse. Diametro dei maggiori calici cir- colari 4-5 millimetri. Quattro cicli quasi sempre scompleti di setti nei calici circolari, nei quali se ne contano al più 40, essendone venti assai estesi e venti minori, poco meno che rudimentarj. Tutti sono denticolati ei maggiori portano un dente più grosso, paliforme verso la columella, che è poco sviluppata e trabiculare. Traverse esotecali ed endotecali evidenti. Giacitura — Bosco di Brazzano. Favia costata, m. Tav. XII, fig. 1. 1a. Un quarto del polipajo “al naturale veduto di sopra. — 1 b. Id. ve- duto di sotto. Polipajo massiccio, molto compatto, a superficie leggermente convessa, affisso per grosso e brevissimo peduncolo, a faccia inferiore percorsa da coste minutamente granulose, alternati- vamente diverse, intercalantisi l’una alle altre e ripiegata in cannoni ondulati, che si distendono con angolo acutissimo sul piano della base d’affissione, onde nel nostro esemplare per CORALLI FOCENICI DEL FRIULI 165 esempio il polipajo per una larghezza di più che 12 centi- metri non ha che un'altezza al massimo di 5. Verso la base si osservano come tanti sottilissimi stratarelli minutamente co- stulati, che l'uno sull'altro si succedono; evidentemente sono strati d’accrescimento. Calici grandi, raramente circolari sol quando non accennino a moltiplicarsi ed in tal caso larghi da 12-13 mm., per il solito irregolari, sinuosi, spesso in forma di otto a seconda della più o meno progredita prolificazione. Fra l'uno e l’altro corrono dei solchi larghi da 2 a 3 mm. sul fondo dei quali s'incontrano le coste grosse, subeguali e granulose, che scendono dagli orli calicinali. Gli spazi interposti a più di due calici hanno larghezza maggiore. Cinque cicli di setti, l’ ul- timo dei quali più o meno scompleto. Tutti son molto estesi e a prima giunta appajono subeguali, però esaminati attenta- mente si distingono bene per la grossezza alquanto diversa a seconda dell’ ordine loro. — Mal si giudica se fossero dentati, ma sembra di sì. Di denti paliformi non ho scorto indizio, e così della columella, che se vi è, deve essere rudimentale; ma nulla più se ne può dire per essere la parte mediana e più pro- fonda dei calici occupata da sostanze straniere, fra cui non rare le Nummuliti. Ma è proprio il caso di una Favia? Ne dubito assai. La muraglia comune esterna o pagina inferiore che dir si voglia, quale nelle Plocophylliae, Cyathoseris Colpophylliae ec. mancante cioè d’epitecio, percorsa da coste granulose e frastagliata in cannoni o lobi; la mancanza o rudimentale sviluppo . della co- lumella e dei denti paliformi; una certa apparenza nella molti- plicazione che accennerebbe a gemmazione marginale, non che l'insieme del polipajo, tutto fa nascere il sospetto che debba esso riferirsi ad altro genere di quello cui fu da me riferito. Ma a quale? A nessun altro dei conosciuti più si avvicina che al genere Favia e in questo per ora almeno lo lascio. Giacitura — Brazzano. Allo stesso genere Fuvia pur devesi riferire altro esemplare maggiore di quelli della specie precedente (/. exilis), in cui i calici appariscono pure più grandi, ma che per essere corroso non consente un’ esatta determinazionee. Proviene dallo stesso banco madreporico di Brazzano. 166 D' ACHIARDI Goniastraea Cocchii. Goniastraea Cocchii, d’Achiardi (Corall: foss. d. terr. nummul. Alp. Ve- nete p.i° II, p 30, tav: XII, fig. 4, Milano 1868). Esemplari del tutto identici a quelli da me descritti della Croce Grande di San Giovanni Ilarione e con di più che uno di essi molto ben conservato presenta un epitecio completo e sottile. L'identità specifica è incontrastabile. Giacitura — Russitz (Cormons). Questa specie si estende forse e se non essa la sua derivata fino ai piani superiori di Castelgomberto, di Dego e Sassello. Reuss 1’ ha pur descritta di San Giovanni Ilarione e Roncà, e ne ha date varie figure. Peraltro mentre può darsi che l’esem- plare effigiato alla tav. XL fig. 2-3 vada realmente qui riferito, lo che per altro non credo; io ritengo che non sia niente affatto una Goniastracea, non certo la mia G. Cocchii) l'esemplare effi- giato alla tav. LIII, fig. 4-5. La figura corrisponde invece agli esemplari, sì frequenti specialmente a Roncà, e che io credo vadano riferiti alla Astraea funesta di Brongniart. Le figure date dallo stesso Reuss mostrano chiaro che non si tratta di un polipajo fissiparo: esse danno la pretta immagine di un’ Astraea. Che vi debba essere un equivoco od un errore prova anche il fatto che mentre ai piè della tavola LIII le suddette due fi- ‘ gure 4 e 5 sono riferite alla Goniastraea Cocchi, si attribuiscono invece all’ /sastraea elegans, Reuss. nell'indice illustrativo delle fisure (pag. 59). Ma non si tratta nè men d’/sastraca e nè men d’Isastraea può trattarsi per l’altro polipajo effigiato sotto lo stesso nome di Isastraca elegans alla fig. 3 della medesima tavola. Goniastraea alpina, m. Tav NIUE: 2 a. Frammento al naturale di un polipajo molto maggiore. — 2 b. Ca- lici ingranditi. — 2 c. Sezione verticale ingrandita. Polipajo massiccio a superficie convesso-gobbosa. Calici po- ligonali per lo più pentagoni ed esagoni, non pochi deformati per più o meno progredita fissiparità. Nell’esemplare che ho CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 167 sott'occhio, appajono poco profondi, ma se tali per loro natura O per corrosione non si può dire con sicurezza atteso lo stato dell’ esemplare, tuttavia inclino alla prima maniera. Il diametro ne varia da 8 a 10 mm. nei calici maggiori che non presentano indizio di fissiparità; è maggiore e molto diverso in quelli in cui la divisione è più o meno progredita, minore in quelli ap- pena separatisi dal calice padre. Le muraglia son molto grosse, compatte e grossissime appajono nelle sezioni verticali. Nei ca- lici adulti, ma tuttora unici, integri, si contano 4 cicli scom- pleti di setti, la metà dei quali molto più grossi degli altri sono muniti di pali o denti paliformi e arrivano fin quasi al- l’asse calicinale; mentre gli altri oltre che essere molto più esili sono anche molto più corti. Tutti sono però guarniti sui lati di grossolana granulazione. Nei calici appena separati dal calice padre quel numero di setti è minore, contandosene solo tre cicli od anche meno, mentre in quelli che si dispongono a dividersi è d’assai superiore, arrivando per fino con la solita alternanza a 4 cicli completi. Mal si giudica dei denti, ma vi ha tutto l'aspetto che vi fossero. Columella spugnosa, quasi laminare in alcuni calici, evidentissima, ma non molto sviluppata. Giacitura — Brazzano. a Ecco dunque una seconda specie del genere Goniastraea. ri- feribile ai terreni eocenici delle provincie venete. Di questo ge- nere si conoscevano prima non poche specie viventi e taluna incerta cretacea, e l'incertezza della determinazione di quest’ ul- tima era anche favorita nella mente dell'osservatore dall’ im- menso stacco fra i tempi cretacei e gli attuali. Quella lacuna va ora colmandosi; si hanno da prima queste specie eoceniche, l'una delle quali si continua per l’oligocene nel Vicentino stesso e in Piemonte; e nei terreni oligocenici dell’ Apennino ligure si hanno poi taluni coralli, che non si discostano molto nè meno dall'altra delle due specie, dalla G. alpina. E del Piemonte cita poi molte, troppe specie Angelo Sismonda (Mater. pour servir à la Paléont. du terr. tert. du Piemont, Turin 1871) da lui e da Michelotti istituite, taluna delle quali pur si avvicina alla mia G. alpina, ma la incompleta descrizione datane e le imperfette figure non consentono un esatto paragone. Altra specie di Goniastraea (G. variabilis) cita Duncan (Quart. Journ. of. th. Geol. Soc. London 1873, Vol. XXIX N.° 116, p. 5597) 168 D' ACHIARDI dei terreni terziari delle Indie Occidentali, dimodochè va così completandosi la serie, dirò meglio la catena delle varie forme specifiche di questo genere, che le une alle altre si succedettero dal finire dei tempi secondar) al giorno d’oggi. CLADOCORACEAE Cladocora? unilateralis, m. Wav DI 8a. Polipajo al naturale. — 3 b. Il medesimo ingrandito veduto di fianco. — 3 c. Id. veduto di sopra ai calici. Polipajo dendroideo o strisciante, mal giudicandosene dall’unico e piccolo frammento che ho sotto gli occhi; fatto sta che questo sì presenta in forma di un piccolo ramo costituito da piccoli polipieriti, che sbocciano l’ uno dalla base dell'altro e tutti da una parte (fig. 3), onde il nome. Polipieriti corti (6-7 mm.) uniti fra loro, come già dissi, presso la base, a superficie esterna per- corsa da 48 coste granulose, 12 delle quali maggiori delle altre 36, che appajono subeguali, e cinte poi le une e le altre da sot- tili e talora ripiegati cingoli epitecali. Calici circolari, mediocre- mente profondi, larghi da 3 a 4 mm. Quattro cicli di setti denticolati non od appena smarginanti, di ciò mal giudicandosi per la corrosione. I 12 setti corrispondenti alle 12 coste mag- giori sono del pari più sviluppati degli altri. La columella sem- bra papillosa e circondata da piccoli pali. La forma del polipajo, il numero delle coste e dei setti, - formano quattro cicli completi (caso raro nelle Cladocorae), e l'apparenza generale del polipajo mi avevano fatto sospettare che sì trattasse prima di una £hizangia, indi di una Pleurocora, ma la maniera di unirsi fra loro dei polipieriti e la profondità dei calici escludono il nostro fossile dal primo di questi due generi, così come la presenza dell’epitecio e la differenza delle coste l’escludono dal secondo, per lo che a nessun’altro meglio che al genere Cladocora ho saputo ravvicinarlo, quantunque mi accorga che nell’abito così come nella regolarità dei sistemi settali se ne discosta d’assai. Doveva farne un genere nuovo? Con un frammento solo, e per di più così piccolo non credei ciò conveniente. Giacitura — Brazzano, CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 169 Cladocora sp. . Alcuni polipajetti appartengono a questo genere; forse anche a più specie; ma il determinar queste serebbe ardire imperdo- nabile stante il loro stato di conservazione. Giacitura — Rosazzo, Brazzano, Cormons. Astrangia princeps. Astrangia princeps, Reuss (Die foss. Anth. v. Castelgomberto S. 32, 50. Taf. 14, Fig. 1, Wien 1868; e Die foss. Anth v. S. Giov. Harione u. Roncà, S. 23, Wien 1873). Piccoli esemplari corrispondenti per tutti i caratteri ai molto maggiori da me veduti di Roncà, dei quali è fedele immagine la figura succitata del Reuss. Alcuni polipieriti isolati si pren- derebbero per Paracyathus e molto ad essi somiglia la figura che Reuss (Dee foss. v. S. Giov. Narione u. Roncà S. 22: Taf. 53, Fig. 6) dà di un polipajetto da lui riferito al mio Paracyathus Ron- coensis, che parmi tutt’ altra cosa. Fra i fossili di Brazzano e di Russitz si han però due piccoli polipajetti che realmente corrispondono al Paracyathus Roncoensis, Reuss. per la forma, qualità delle coste, estensione e numero dei setti, presenza dei pali e per gli altri caratteri tutti. Giacitura — Brazzano. STYLINIDEAE Phyllocoenia irradians? Astraea radiata, Michelin (Icon. Zooph. 1842, pag. 58, pl. 12, fig. 4). Phyllocoenia irradians, M. Edwards et Haime (Compt. rend. Acad. Se. Paris 1848, t. XXVII, pag. 469). Id. D’Achiardi (Corall. foss. Alp. Venete, parte 1.* Milano 1866, pag. 49, Id. Reuss (Die foss. von Castelgomberto Wien. 1868, S. 28, Taf. X, Fig. 5-7, Taf. XI, Fig. 1-3). A questa specie tanto diffusa nei terreni coralliferi di Castel- gomberto e altri corrispondentivi nel Vicentino e trovata pure nella Catena di Hala, ad una almeno delle tante forme in che 170 D' ACHIARDI si presenta, a quella forma in specie che per il raccoglimento dei polipieriti più si ravvicina alle Meliastreae sembra si deb- bano riferire alcuni polipajetti, che per altro per il loro stato di conservazione lasciano assai a desiderare. Giacitura — Rosazzo, Brazzano. Questa stessa specie trovasi anche nei terreni a questi supe- riori dell’Apennino ligure. Phyllocoenia Lucasana. Astrea Lucasiana, Defrance (Dict. des Sc. Natur. t. XLII, p. 380, 1826). Phyllocoenta Lucasana, M. Edwards et Haime (Mist. d. Corall. t. II, pag. 273, 1897). Descrivendo i polipaj del Vicentino io aveva riferito a questa specie alcuni polipajetti, che riconobbi poi (Stud. comparat. ec. 1868, pag. 67) appartenere invece alla .Stylina fasciculata Reuss, che è la stessa cosa della mia Plyllocoenia Monsvialensis (Ca- tullo sp.). Intanto Reuss studiava e descriveva i fossili stessi del piano di Castelgomberto ed effigiava (DV. foss. von Castel- gomberto 1863, Taf. II, Fig. 5-6) un esemplare di Monte Castel- laro, che evidentemente è un’ Heliastraca e quindi avendolo ri- ferito alla Phyllocoenia Lucasana, M. Edw. et H. a ragione con- veniva dargli il nome di Heliastraea Lucasana. Ma la vera Phyl- locoenia Lucasana, M. Edw. et H. in nulla differisce tranne le dimensioni minori dei calici e minor tendenza dei polipieriti a isolarsi dalla PhyMocoenia irradians, e ad essa non può ripor- tarsi quindi l'esemplare effigiato da Reuss, che riman sempre un’ Heliastraea. Dopo la pubblicazione soprallegata del Reuss avendo nuova- mente esaminato gli esemplari da me riferiti alla Plyllocoenia Lucasiana e trovatine alcuni, che presentavano tutti i ca- ratteri della Meliastraca Lucasana Reuss, credei che dovesse realmente adottarsi quest’ultimo nome per tutti i polipaj sino allora compresi sotto l’altro di PhyMocoenia Lucasana; ma il male si era che io aveva riferito a quest’ ultima specie esemplari che vanno realmente distinti; taluni spettano infatti al genere Heliastraea, ma altri mancanti o quasi mancanti di columella e in nulla diversi dalla PhyMocoenia irradians se non per la minor dimensione e minor tendenza a isolarsi dei polipieriti vanno in- C) CORALLI FOCENICI DEL FRIULI 171 vece riferiti al genere PhyMocoenia. Ma son poi sicuro che non possa essere altrimenti? Pur troppo no; che la abrasione delle parti superiori dei setti non consente di giudicare dei loro mar- gini; e se si trovino esemplari meglio conservati che ci svelino i denti, dovrà di nuovo questa specie ritornare al genere Melza- straca. Comunque sia quel che monta è la corrispondenza fra i fossili di un luogo e di un altro, e niun dubbio può restare sulla identità dei nostri esemplari friulani con la PAylMocoenia Lucasana M. Edw ed H. Giacitura — Brazzano. ASTRAFACEAE Heliastraea alpina. Pavia 1 3. Polipajo al naturale. — 1 b. Calici ingranditi. Heliastraea alpina, D'Achiardi (Cor. foss. Alp. Ven., Catalogo Pisa 1867, pagina 7). Questa specie non fu che incompletamente da me descritta, quasi solo rammentata, nel soprallegato catalogo, ond’ ora stimo opportuno darne la descrizione. Gli esemplari friulani corrispondono perfettamente a quelli di Croce Grande di San Giovanni Ilarione, taluno dei quali però ci si presenta più completo e ci si mostra in foggia di una massa irregolarmente cilindrico-sferica alla sommità e affissa per larghissima base. L’esemplare di Brazzano è aderente a un’ ostrica ed è di forma irregolarissima; un altro esemplare di Rosazzo presenta del pari una forma un poco diversa; tutti però si corrispondono negli essenziali caratteri. Alla superficie del polipajo appariscono i polipieriti in forma di cono troncato presso la base. Fra le sporgenze loro corrono coste assai grosse, subeguali e separate da sottil solco, che scen- dendo dagli orli calicinali si riuniscono fra loro negli spazi in- termedj sia in linea retta sia ad angolo per il solito ottusis- simo. Calici circolari o lievemente deformati; larghi in media da 6 a 7 mm. Quattro cicli più o meno scompleti di setti smar- ginanti per il solito corrispondenti in numero alle coste, di cui 172, D'ACHIARDI talvolta se ne conta taluna di più di fronte a un qualche setto rudimentale invisibile. I setti dei primi due cicli e spesso taluno di quelli del terzo pressochè ugualmente sviluppati fra loro e più degli altri arrivano fino alla columella, che alla superficie apparisce formata come da tante piccole papilline, che in parte almeno appartengono alle porzioni interne dei setti, risultando dai loro denti, onde nelle sezioni e nei calici corrosi la vera columella apparisce meno sviluppata e diversa. I setti del 4.° ci- clo e taluno pure del 5.° si allontanano poco dalla muraglia; tutti poi sono denticolati e granulosi. Sulle coste che solcano la pagina inferiore del polipajo si distende un epitecio sottilis- simo, l’uno e le altre in pochi punti soltanto visibili. Giacitura — Brazzano, Rosazzo. Heliastraea Hilarionensis? Heliastraea Hilarionensis, D'Achiardi (Coral. foss. Alpi Venete, Cata- logo Pisa 1867, pag. 7). Heliastraea immersa, Reuss (Die foss. Anthoz. v. Castelgomberto S. 30, Taf. 12, Fig. 1, Wien 1868, e Die foss. Anth. v. S. Giov. Ilarione e Roncà, S. 15 Taf. XXXX, Fig. 1, Wien 1873). Questa specie fu pure da me brevemente descritta fra i fos- sili di Croce Grande di S. Giov. Ilarione; a essa credo ora dover ravvicinare alcuni mal conservati esemplari di Russitz, con dub- bio però onde il punto interrogativo (?). — Siccome la descrizione da me pubblicata di questa specie è troppo incompleta, così stimo opportuno completarla ora sugli esemplari stessi di Croce Grande di S. Giovanni Ilarione. Polipajo massiccio cilindrico-gobboso come la specie precedente (A. alpina) largamente affisso e ricoperto d’epitecio nella pagina inferiore. Parte libera dei polipieriti bre- vissima, talvolta nulla, onde i calici appariscono come immersi nell’apparato costale. Le porzioni libere, che appena si sollevano, sono in foggia di cono molto inclinato troncato presso alla base. Coste subeguali che procedono quasi orizzontalmente da un ca- lice all’altro e incontrantesi ad angolo come nella specie pre- cedente. Calici circoiari larghi da 3 a 4 millimetri, raramente 5. Quattro cicli incompleti di setti; nei calici adulti se ne con- tano 40. Sei più sviluppati degli altri arrivano fin quasi all’asse calicinale; talora alcuno del 2.° ciclo acquista pressochè uguale CORALLI EOCENICI. DEL FRIULI 175 sviluppo in estensione a quei primi; non mai tutti sei. Furono denticolati. Columella rudimentale. Giacitura — Russitz (Cormons). Gli esemplari di Croce Grande di S. Giovanni Ilarione, chè di quelli friulani non è a tener conto, si assomigliano molto ad alcune specie cretacee effigiate da Michelin e segnatamente alle H. terminaria, putealis e altre. Si ha pure una grande rasso- miglianza con una delle figure della Meliastraca immersa data dal Reuss (Die foss. Anth. von Castelgomberto. Taf. XII, Fig. 1, Wien 1868). Credo anzi che le due specie si corrispondano, come ne emise opinione lo stesso Reuss, parlando dei fossili di San Giovanni Ilarione. La figura prima citata (Taf. 12, fig. 1 e se- gnatamente 1 a), rappresentante un esemplare di Monte Grumi (piano di Castelgomberto) si assomiglia sì fattamente ai nostri esemplari, che ne sembra la propria immagine; non così l’altra (Taf. 40, Fig. 1 a) che rappresenta invece un esemplare del piano stratigrafico di San Giovanni Ilarione, la qual figura mentre riproduce esattamente la forma del massimo numero dei nostri esemplari, non è poi ad essi paragonabile nei particolari; i calici vi appajono troppo rilevati e troppo eretto il tronco di cono che li sostiene. Non per tanto la descrizione vi corrisponde, onde non è a dubitarsi non sì tratti sempre di un’ unica specie, cui va mantenuto, come primo datole, il nome di H. Hilarionensis. La variabilità nell’elevatezza delle parti libere dei polipieriti, quale si osserva anche nei nostri esemplari, spiega la differenza; e forse chi sa che con termini intermedj che si ritrovino non si giunga ad altri ravvicinamenti. Intanto la differenza nel diametro dei calici accettata in larghi limiti dal heuss, 3, 5—8 mm. fa quasi sospettare che egli abbia riunito sotto un unico nome anche la mia H. alpina, che più che per altro differisce appunto dalla H. Hilarionensis per il diametro calicinale maggiore. Heliastraea Rochetteana. Astrea Rochettina, Michelin (Icon. Zooph. pag. 58, pl. XII, fig. 2, 1842.) Heliastracea Rochetieana, M. Edw. et H. (Hist. d. Coral. t. II, pa- gina 462, 1857). Id., D’Achiardi (Stud. comp. Coral. foss. Piemonte e Alpi Venete pag. 14, Pisa 1868). Un frammento alquanto corroso sembra appartenere a questa specie, propria dell’oligocene o miocene inferiore dell’Apennino 174 D’ ACHIARDI Ligure, ove trovasi a Dego, Sassello ec., specie che pur sì rin- viene nei terreni a questi superiori della Collina di Torino. Il nostro esemplare ha pure una qualche rassomiglianza con alcune Heliastreae dei terreni vicentini dei piani di Castelgomberto e Crosara e segnatamente con ‘la mia H. grandis, e chi sa che un attento esame su molti e meglio conservati esemplari non conduca un giorno a trovare la parentela di derivazione fra tutti questi termini somiglianti e succedentisi nella serie dei terreni per un lasso di tempo assai lungo. Giacitura — Rosazzo. Oltre a ciò si hanno anche alcuni mal conservati resti di altre piccole Heliastreae, che per quanto se ne può giudicare si ras- somigliano molto ad alcune specie dei terreni terziari inferiori vicentini e liguri. Brachyphyllia sp. Polipajo determinabile solo genericamente. Polipieriti poco alti e poco staccati fra loro. Calici larghi 2 centimetri. Coste alternativamente disuguali e molto diversamente sporgenti. Setti. fitti, lunghi, disuguali. Columella evidente. Giacitura — Russitz (Cormons). Solenastraea Koeneni. davo ed? Solenastraea Koeneni, Duncan (Cor. fr. the tert. form. fr. the Brocken- hurst. — Palaeontogr. Soc. Vol. XIX, p.41, pl. V, fig. 8-9. Lon- don 1865). A questa specie descritta dal Duncan dei terreni terziari in- feriori di Brockenhurst si ravvicina grandemente un polipajo friulano, i maggiori esemplari del quale differiscono nella forma generale, che è di una massa leggermente convessa, dal piccolo esemplare effigiato dal Duncan, negli altri caratteri concordan- dovi perfettamente. Difatti i calici hanno la stessa grandezza (4! — 6mm.), sono bassi e quasi immer si nel cenenchima eso- tecale, che appare alla superficie. Coste non se ne veggono giun- gendo quel cenenchina fino agli orli calicinali. I setti delicati formano sistemi regolarissimi essendo in tutti 4 cicli completi. TT 9 CELA EPTNA CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 175 Quelli del 1.° e 2.° ciclo sono quasi ugualmente sviluppati in lunghezza ed assai più grossi, specialmente quelli del 1.° ciclo, dei setti del 3.° e 4.°, che degradano a seconda dell'ordine loro. Furono certo denticolati e i piccoli dentini, quasi minute papille, che pur presentano in alcuni dei meglio conservati calici, pro- ducono l’apparenza di una columella maggiore di quanto è real- mente. L'unica differenza sta dunque nella forma, e non è piccola differenza; pur tuttavia non ho creduto dovermi allontanare da questa specie, propria di un piano stratigrafico non molto diverso da quello di cui ci occupiamo, mentre d’altra parte ho creduto indispensabile dar la figura del nostro maggiore esemplare, sia a complemento dell’ illustrazione di questa specie, sia per dare l’immagine di una specie nuova, nel caso che tale essa fosse. Giacitura — Brazzano, Russitz, Cormons. ?Solenastraea gemmans. Tav. XII, fig. o. Selenastraea gemmans, Duncan (Cor. fr. the tert. form. fr. the Brocken- hurst. Palaeontogr. Soc. Vol. XIV, p. 44, fig. 1-7. London 1869). Un solo esemplare con incertezza riferibile a questa specie. Giacitura — Rosazzo. Oltre a ciò havvi altra specie indeterminabile. STILOPHORINAE Stylophora distans. Astrea distans, Leymerie (Mém. soc. geol. France, ser. II, tomo I, pag. 358, pl. 13, fig. 6, 1846). Stylophora distans, Dci (Gora foss. Alp. Venete. P.!° 1.* pag. 30, Milano 1866). Id., Reuss (Die foss. von Castelgomberto, S. 25, Taf. 9, Fig. 2, Wien 1868). Esemplari identici a quelli da me esaminati di Roncà, Gnata di Salcedo (tufi inferiori), Crosara e Monte Grumi di Castelgom- berto. Reuss cita pure questa specie di Monte Grumi e Leymerie la menziona dell’eocene di Nizza, Couiza, Fonjoncouse e Dax. Si tratta dunque di una specie che tanto per le osservazioni di Leymerie, che per le mie appartiene all’eocene e all’oligocene. Giacitura — Bosco di Brazzano, Cormons, Rosazzo. 176 D'ACHIARDI. Stylophora contorta. Astrea contorta, Leymerie (Terr. numm. d. Corbières et de la Mont. Noire. v. Mem. Soc Geolog. France, ser. II, t. I, pag. 958, pl. 13, fig. 5, 1846). Stylophora contorta, M. Edw. et H. (Hist. des Corall. tom. Il, pa- gina 155, 1857). Id. D’Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete, parte 1.* pag. 26, Milano 1866). Stylophora contorta e tuberosa, Reuss (Die foss. Anth. v. Castelgom- berto, S. 25 e 46, Taf. IX, Fig. 3-7, Wien 1868 e Die foss. Anth. von S. Giov. Ilarione u. Roncà S. 12, Wien 1873). Torno ad insistere sulla identità degli esemplari da me rife- riti all’Astrea (Heliastraea) contorta, Leymerie, e quelli, su cui Reuss istituì la nuova specie Stylophora conferta e tuberosa (non St. tuberosa D'Achiardi). Reuss parla di calici grandi 1—1'/, mm ma evidentemente se le figure che ne dà sono immagine del vero quelle dimensioni debbono essere d’assai minori, quali sono appunto nei nostri esemplari, che sì potrebbero dire fedelmente effigiati nelle succitate figure del ieuss. — Sulla identità poi fra questi coralli del Vicentino e del Friuli, e quelli di Palarea, Sinde, Foujoncouse ec. descritti da Leymerie e J. Haime vedi quanto ne scrissi altra volta (Coral. foss. Alp. Venete. 1. lo, pag. 206, Milano 1866). Giacitura — Bosco di Brazzano, Cormons a oriente di Zobida. Stylophora pulcherrima, m. Lay SCI ghe 1-11. Frammenti di polipajo al naturale. — 1 b. 2 b. 4b. Aspetto diverso del polipajo in vari punti di esso veduto con ingrandimento — o b. Sezione trasversale. Poche specie sono così frequenti nel Friuli come quella della quale imprendo la descrizione. Innumerevoli frammenti se ne trovano di varia forma; ora cilindrici (fig. 2, 3.) più o meno lunghi e di tutte le grossezze da 2 a 20 e più mm.; ora diver- samente compressi (fig. 6.), talvolta schiacciati e pur anco in forma alcicorne (fig. 7, 8,11.) o di lamina (fig. 10.) Ora i rami CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 177 procedono dritti, integri mantenendosi cilindrici, ora si biforcano (fig. 8) e in qualche raro caso pure si anastomizzano, presen- tando allora forme molto compresse. In taluni esemplari mag- giori si vede l’imbasamento del polipajo, che consiste in un grosso tronco, che si sparpaglia in una specie di grossa lamina, da cui si dipartono quasi esclusivamente da una parte e a preferenza sui margini i rami con tuttii gradi della compressione, onde si ha modo di riconoscere come appartenenti ad un’ unica specie i frammenti diversi trovati od avuti isolatamente. Alla sommità i rami appajono rotondeggianti. Cenenchima assai abbondante fortemente granuloso, variandone la copia a seconda del punto ove si esamina, onde ora ci apparisce come nella fig. 1 d., ora come nella fig. 2 d. e ora manca del tutto, come vedesi nella fig. 4 b; differenze tutte non caratteristiche di una data specie, ma proprie dal più al meno alle specie tutte di questo genere. Calici per il solito separati uno dall'altro per breve tratto, più distanti nei grossi (fig. 1 b.) che nei piccoli e giovani rami (fi- gura 2 b.), più verso la base che verso l'apice del polipajo, ove non è raro e in special modo negli angoli di ramificazione che essi ci appariscono a contatto l’uno dell'altro (fig. 4b.) Tutte queste differenze si riscontrano pure nelle specie viventi St. pi- stilata, digitata, palmata ec. che assai si assomigliano a questa nostra. I calici son larghi ?|, di millimetro, circolari e abitual- mente limitati da un anello sottile, che di un poco sopravanza alle granulazioni del cenenchima (fig. 2 b), anello che talvolta manca, i calici in tal caso apparendo l’uno con l’altro a con- tatto o immersi nel cenenchima granuloso (fig. 1); e queste differenze si fanno sul medesimo esemplare, onde non possono avere, nè hanno valore specifico. Là ove i calici vengono fra loro a contatto ora sì mantengono circolari, ora diventano po- ligonali per cagione della loro stipatezza. Sei setti sottili, ugual- mente sviluppati, arrivano fino alla columella, che è stiliforme, distintissima e saliente. In qualche raro caso veggonsi i rudi- menti di un secondo ciclo, ma niente più dei rudimenti. Traverse endotecali distintissime (fig. 5 b), ed equidistanti (#/, mm.). Questa specie somiglia assai alla Sty/ophora precedentemente annoverata, che è assai comune a San Giovanni Ilarione; ma ne differisce poi per la forma, grandezza dei calici ec. ec. E molto pur somiglia questa specie alle viventi SWyl/ophorae digitata, pi- 178 D'ACHIARDI stillata e palmata, che abitano il Mar Rosso e che con le loro forme diverse si collegano ai vari frammenti di quest’unica specie. Giacitura — Rosazzo, Brazzano, Russitz, Cormons a oriente di Zobidan. Stylophora macrotheca, m. Tav. XV; fio 109. 2 a. Polipajo al naturale. — 2 b. Calici ingranditi — 3 c. Sezione tra- sversale ingrandita. Polipajo ramoso-digitato ed anco frondoso-digitato a rami compressi e rotondeggianti alle sommità. Cenenchima murale molto sviluppato, compatto, onde come una grossa muraglia (grossa relativamente) separa la cavità dell’un polipierita da quella dell'altro, e da ciò anche il nome della specie. Calici in generale pentagonali, talvolta circolari, separati da cenenchima ornato superficialmente di fitti e appuntiti granuli; sono pro- fondi e larghi da 1-1'/ mm. Manca l'anello murale, che esiste tanto evidente nella .Stylophora pulcherrima. Sei setti, che arri- vano alla columella stiliforme, grossa e sporgente e altri sei rudimentarj o mediocremente sviluppati a seconda dei calici. Il margine ne sembra integro e arcuato. Traverse endotecali sot- tili e distanti circa ‘/, mm. Differisce dunque questa specie dalla precedente (St. pulcher- rima), per maggiore ampiezza dei calici, maggior grossezza e compattezza del cenenchima murale, mancanza del cercine 0 anello calicinale, per la maggior robustezza e asprezza delle granulazioni, maggior profondità dei calici e maggior dimensione e sporgenza della columella. Per altro fra i pezzi corrosi sì dell'una che dell'altra specie la distinzione riesce difficilissima, se pure possa farsi. Se non fosse il cenenchima assai abbondante e tutto granu- loso, quasi echinulato, che separa l’un calice dall’altro e se non fosse la mancanza delle colonnette proprie delle .Stylocoeniae e aggiungo anche l'apparenza d’integrità del margine settale, si sarebbe per tutto il resto indotti a riunire i coralli qui descritti alla specie seguente, cioè alla Stylocoenia taurinensis; e malgrado tutto non oso negare assolutamente che vi possa corrispondere, tanto più che le colonnette per il solito mancano nella Stylocoenia CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 179 taurinensis e il cenenchima appare allora consimile al caso nostro, come vedesi nella figura data dal Reuss. (Die foss. Anth. v. Oa- stelgomberto. Wien 1868, Taf. X, Fig. 2, b). Giacitura — Bosco di Brazzano, Rosazzo. Stylocoenia taurinensis. Astrea taurinensis. Michelin (Icon. Zooph. pag. 62, pl. 13, fig. 3, 1842.). Stylocoenia taurinensis, M. Edwards et Haime (Ann d. Sc. Natur. ser. 3, tom. X, pag. 295, 1849). Id., Reuss (Die foss Foram., Anthoz. u. Bryoz. v. Oberburg, S. 21, Taf. 5, Fig. 2, Wien 1864). Id. D’Achiardi (Corall. foss. Alp. Venete, parte 1.* p. 42, Milano 1866, e Stud. comp. ec. pag. 9, Pisa 1868). Id. Reuss (Die foss. von Castelgomberto S. 28, 39, 44, Taf. X, Fig. 2, Wien. 1868; e Die foss. Anth. v. S. Giov. Ilarione u. Roncà, ec. S. 32, 38). Molto frequente in più o meno voluminosi e in più o meno piccoli frammenti di forma svariata. Giacitura — Rosazzo, Bosco di Brazzano, Cormons a oriente di S. Sobida. È questa una delle specie più comuni nei nostri terreni ter- ziari dell’Italia superiore e cominciando dall’eocene medio del Friuli e del Vicentino e passando attraverso tutti i terreni del- l’oligocene nelle giaciture di Crosara, Castelgomberto e Apennino Ligure giunge fino al vero e proprio miocene nella collina di Torino, nella quale questa specie è citata da Michelotti, sebbene lo non l’abbia veduta o riconosciuta fra i fossili di là prove- nienti, ma solo di Sassello, come termine superiore della serie. Stylocoenia lobato-rotundata. Astrea lobato-rotundata, Michelin (Icon. Zooph. pag. 62, pl. XIII, fig. 2, 1842). Stylocoenia lobato-rotundata, M. Edwards et J. Haime (Ann. d. Sc. Natur. ser. 3, tom. X, pag. 295, 1849). Id., Reuss (Die foss. von Oberburg. S. 20, Taf. 5, Fig. 1, Wien 1864). Id. D'Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete, parte 1.* pag. 48, tav. IV, fig.J, Milano 1866, e Stud. comp. pag. 9, Pisa 1868). Id., Reuss (Die foss. Anth. v. Castelgomberto S. 27, 48, 49, Wien 1868; e Die foss. Anth. v. S. Giov. Ilarione u. Roncà, S. 13, Wien 1878). Esemplari come quelli di Croce Grande di San Giovanni IHla- rione. In uno di essi vedesi benissimo sulla parte inferiore l’epi- Se. Nat. Vol. I. fasc. 3.° 13 1580 D' ACHIARDI tecio bene sviluppato, completo e a rilievi successivi. Le stesse considerazioni che per la specie precedente (St. faurinensis) sono da farsi sulla estensione nel tempo di questa specie, 1 di cui rappresentanti dall’ eocene medio attraversano tutto l’oligocene per giungere fino al vero miocene nella collina di Torino, poco o nulla modificandosi. Giacitura — Brazzano. Stylocoenia monticularia. Stylophora monticularia, Schweigger (Beob. auf Natur. Reis. Taf. 6, Fig. 62, 1819.). i Stylocoenia monticularia, M. Edwards et Haime (Ann. d. Sc. Natur. ser. 3, tom. X, pag. 294, 1849, e British foss. Corals. p. 32, pl. 5; fig. 2, 1850). Id., d’Achiardi (Corall. foss. Alp. Venete p.'° I, pag. 42, Milano 1866). Questa specie descritta da prima dei dintorni di Parigi e di Bracklesham-Bay fu da me rinvenuta anche fra i fossili di San Giovanni Ilarione, donde n° ebbi esemplari identici aì parigini, e non sono a confondersi essi con quelli della Stylocoenia ma- crostyla descritta da Reuss (D. foss. Anth. v. San Giov. Ilarione und Roncà, S.13, Taf. 29, Fig. 2-3. Wien 1873). Di quest’ ul- tima specie, che è ben diversa, ho io pure veduto, se non de- scritto per il loro cattivo stato di conservazione, diversi esem- plari dei terreni eocenici del Vicentino, ma nessuno finora del Friuli. Giacitura — Russitz, Cormons. Stylocoenia monocycla. Stylocoenia monocycla, Meneghini in D'Achiardi (Cor. foss. Alpi Ve- nete, Parte I, p.44, tav. IV, fig. 2.). Esemplari corrispondenti a quello da me brevemente descritto ed eftigiato e datomi come di Castelgomberto. Giacitura — Russitz, Brazzano. GORALLI EOCENICI DEL FRIULI iS1 ASTRARINAE Astrocoenia subreticulata, m. ve DIN e I Tav. XIV, fig 3; e tav XV, fig. 1. Frammenti di polipajo al naturale. — sb. 4 Calici ingranditi. — 5 Sezione longetudinale ingrandita. Polipajo gobboso-ramoso a rami o lobi che dir si vogliano molto compressi e arrotondati alle sommità (fig. 3,), ove acqui- stano quasi forma di clava. Calici abitualmente poligonali, ma con poca regolarità e gli uni dagli altri diversi oltre che per il numero e grandezza dei lati anche per larghezza e profondità, a seconda del posto che occupano, dandosene non di rado taluni che son circolari, non però mai nè sulle sommità dei lobi, nè alla loro diramazione, bensì soltanto nelle porzioni piatte e me- diane di essi; e sono allora questi calici separati l’uno dal- l’altro mercè di un solco in cui scendono dei rudimenti di coste. L'orlo di questi calici circolari o la parete di divisione quando sieno nel caso più comune poligonali e stipati apparisce come smerlato per la sporgenza dei punti di attacco dei setti. La larghezza dei calici già dissi esser varia; può in media valutarsi a circa 2 millimetri per gli adulti e maggiori, ma è anche minore per i giovani. Nel maggior numero dei calici si contano 16 setti molto delicati e sottili, raramente 18 o 20 e quasi per eccezione. Seli di questi setti sono più sviluppati degli altri e per il solito due del 2.° ciclo mostrano pressochè uguale esten- sione, onde l'apparenza più frequente è di otto sistemi. Gli altri otto setti poco diversi per grossezza dai primi sono però assai più corti. Il margine ne sembra granuloso. Columella pochissimo sviluppata, non sporgente, ridotta per il solito a una quasi mi- croscopica papilla, onde nei più dei calici si stenta a vederla. Gli esemplari ora descritti sono, tranne la forma meno ra- mosa, molto somiglianti a quelli che il. museo di Pisa possiede dell’Astrocoenia reticulata (Goldf. sp.), ond’ io sono stato lunga- mente in dubbio se a questa doveva riferirli; certo questa specie eocenica è la discendente diretta di quella specie cretacea (onde nome) o di altra a lei affine, come per esempio | Astrocoenia Konincki, M. Edw. et H. 182 D'ACHIARDI Convien poi notare la rassomiglianza di questa specie con la Stylocoenia lobato-rotundata, con la quale è facile confonderla, tanto più che può in quest’ ultima la corrosione aver fatto spa- rire le colonnette e in quella per essersi esercitata in vario modo sulle varie parti aver prodotto invece una fallace apparenza di rudimenti di esse. La distinzione più facilmente valutabile si fonda sulla minor differenza fra loro delle lamine settali tanto in grossezza che in estensione nella Astrocoenia subreticulata, ove appajono tutte esilissime, e nella quasi mancanza in essa di columella; non che pure sulla minor costanza e regolarità degli otto apparenti sistemi settali. Malgrado ciò potrebbe anche darsi che trovandosi ben conservati esemplari e dell'una e dell'altra specie ascritte a due generi distinti si potessero fare ulteriori ravvicinamenti. Finalmente altra e maggiore rassomiglianza esiste fra questa specie e 1’ Astrocoenia d’ Achiardii, Duncan (On the older ter- tiary format. of the West Indian Islands. — V. Quart. Journ. of. the geol. Soc. Vol. XXIX, N.° 116, p. 554, London 18783), rassomiglianza tanto grande, che a questa avrei riferito senz'al- tro gli esemplari friulani qui descritti, se la maggior compres- sione dei rami o lobi del polipajo non fosse stata così costante in questi ultimi. Giacitura — Rosazzo, Bosco di Brazzano, hussitz a settentrione della villa Germak(?), Cormons— Abbondante da per tutto. Astrocoenia aspera, m. Tav. MM, ie 2a. Frammento di polipajo al naturale. — 2 b. Calici ingranditi. 2.c. Se- zione verticale ingrandita. Frammenti di polipajo con apparenza di grossa (9 mm.) la- mina, d’ambedue le parti della quale stanno i polipieriti. Calici per la massima parte circolari, raramente poligonali ove sieno molto stipati, larghi circa 2 ‘/, mm. Quando sono circolari so- eliono avere muraglia distinta uno dall’|altro e fra esse veggonsi allora dei rudimenti di coste. Il loro contorno è come smerlato in 12 lobi derivanti dai dodici setti, sei dei quali bene svilup- pati raggiungono in basso la columella, mentre alla superficie CORALLI FOCENICI DEL FRIULI II85 le si approssimano soltanto senza toccarla, gli altri sei mi- nori si discostano appena dalla muraglia. Coste rudimentarie e setti producono una grande asprosità al tatto, onde nome. Columella stiliforme bene sviluppata e saliente in foggia di papilla nel fondo del calice. Traverse endotecali evidenti. Ma si tratta di un’ Astrocoenia? La figura dei calici, il non essere essi, almeno in generale, riuniti per la muraglia e la columella stiliforme sporgente starebbero contro questa determinazione; ma d'altra parte conoscendo la variabilità delle diverse parti di uno stesso polipajo nei generi Astrocoenia, Stylocoenia e affini mi è sembrato anche troppo, non che un genere nuovo, istituire una nuova specie sopra un ben conservato franimento è vero, ma pur sempre un piccolo ed unico frammento. E d’altra parte anche Duncan (Brit. foss. Cor. fr. Zone of. Ammon. angulatus, Palaeontograf. Soc. 1866, vol. XX, p. 21, pl. IX, fig. 15-17) cita talune Astrocoeniae con evidentissime coste. Giacitura — Brazzano. Astrocoenia expansa, m. lavi. 3 a. Polipajo al naturale — 3 b. Calici ingranditi. — 83 c. Sezione verti- cale ingrandita. Reuss riferisce alla Stylophora micropora Michelotti un’ Astro- cocnia di Riva Mala di Monte Viale dicendo che le due specie sono evidentemente una stessa ed unica specie di quest’ultimo genere. L’esemplare di Riva Mala sotto il nome di Astrocoenia micropora effigiato dal Reuss (Paldiont. Stud. u. d. alt. Tertiarsch. d. Alpen. II, Abth. S. 26, Taf. 45, Fig. 4 e 5, Wien 1873) cor- risponde perfettamente alla mia Astrocoenia parvistellata (Stud. comp. ec., p. 47, Pisa 1868) di Santa Trinita, di dove lo stesso Reuss ha pure osservata la medesima specie. Non credo però, come egli suppone, che la sia poi la stessa cosa della Stylophora micropora Michelot. Questa non è una Asfrocoenia, essa non è altro che la mia Stylocoenia saxulenais (Stud. compar. ec., p. 9, tive io). Questa introduzione o digressione che dir si voglia era ne- cessaria per venire a dire come una specie molto affine a questa Astrocoenia parvistellata (micropora Reuss, non Michelotti) si trovi 184 D'ACHIARDI nei terreni di San Giovanni IHarione e del Friuli inferiori stra- tigraficamente a quelli di Monte Viale e Santa Trinità, che ap- partengono al piano di Castelgomberto, specie che a prima giunta pare la stessa cosa della mia Stylocoenia sarulensis o Sty- lophora micropora, Michelot., ma che se ne distingue per essen- ziali caratteri. Il polipajo si espande (onde il nome) in lamine o strati on- dulati, talora sovrapposti, inferiormente rivestiti da epitecio. I calici sono piccolissimi, larghi tutto al più 1 mm. spesso assai meno, per eccezione più. Per la massima parte esagonali, se ne danno anche taluni pentagonali. Tutti sono l’uno dall'altro se- parati per sottile muraglia. Due cicli di setti completi, e solo per eccezione e soltanto nei calici maggiori qualche setto del 3.° ciclo. In generale si hanno 6 setti bene sviluppati, uguali, che arri vano fino alla columella stiliforme, piccolissima sì, ma eviden-. tissima. Gli altri 6 o del 2.° ciclo sono poco sviluppati. Traverse endotecali ben visibili: nelle sezioni. E fuor di dubbio, mi piace ripeterlo, che gli esemplari friulani e quello non per anche de- scritto di San Giovanni Ilarione appartengano a una medesima specie diversa dalla A. parvistellata per la forma, che in quest’ul- tima è quasi emisferica. Giacitura — Rosazzo a oriente dell’Abbadia, Brazzano. Stephanocoenia elegans. Porites elegans, Leymerie (Mém. soc. geolog. France, ser. II, tomo I, pag. 358, pl. 13, fig. 1, 1836). Stephanocoenia elegans, M. Edw. et Haime (Ann. Sc. Natur. ser. 3, tom. X, pag. 318, 1849). Non Dictyaraea elegans Reuss (Ub. foss. Koral. v. der. Ins. Java. 1866). Esemplare identico a quelli descritti ed effigiati da Leymerie dell’eocene di Couiza, Fabresan, Coustouge. Giacitura — hosazzo? Astraea. Diversi polipaj friulani mi hanno tenuto lungamente incerto se a questo o al genere Thamnastraca dovessero riferirsi; nè la CORALLI FOCENICI DEL FRIULI 155 incertezza dee recar meraviglia quando si pensi ai punti di con- tatto dei due generi, per i quali è facile la confusione. Di fatti la geminazione, il modo di saldarsi per la muraglia dei poli- pieriti, la denticolazione dei setti, l’aspetto della columella, la figura irregolarmente poligonale dei calici, i granuli spessi e sinatticuliformi, la scarsezza o mancanza dell’endotecio sono caratteri comuni tanto alle Astreae che alle Thammnastreae, onde poco resta a distinzione dei due generi. Havvi la profondità dei calici maggiori nelle Astreae, ma di queste se ne conoscono al- cune a calici quasi superficiali e delle Thamnastreae non poche presentano calici mediocremente profondi; havvi la muraglia evi- dente alla superficie nelle prime, nascosta dai raggi setto-costali nelle seconde, ma intanto si descrivono Astreae con muraglia rudimentale a setti quasi confluenti; havvi la forma incrostante propria di esse, ma non mancano Thamnastreae che pur la pre- sentino. Siamo proprio al caso di dire quale è il vero carattere di distinzione? Per talune specie non sono stato in dubbio, poichè presentavano distintissimi i caratteri più spiccati dell’ un genere o dell’altro; ma per non poche, lo ripeto, sono stato lungamente incerto e sono ancora a qual genere debbano riferirsi. Pure sic- come una via bisognava seguire, così ho annoverato fra le Astreae solo quelle che presentavano alla superficie evidente la muraglia fosse pure esilissima; le altre tutte in cui la muraglia o man- cava o era nascosta dalle lamello-coste ho ascritto invece al genere Thamnastraea. Astraea Reussana, Astrocoenia Reussana, D’Achiardi (Coral. foss. Alpi Venete Parte 1, pag. 46, tav. IV, fig. 6, Milano 1866). Questa specie come già avvertii altra volta (Stud. comparat. pag. 47, Pisa 1868) deve riportarsi al genere Astraea anzichè al genere Astrocoenia, cui da prima io l'aveva riferita. L'esem- plare friulano corrisponde perfettamente a quelli vicentini tanto del piano di San Giovanni Ilarione (alla Croce Grande) che di Castelsomberto (a Monte Carlotto). Ed esemplare identico ho poi veduto dell’eocene di Mortola presso Nizza. Giacitura — Rosazzo. 186 D'ACHIARDI. Astraea? funesta. Astraea funesta Brongniart, (Sur les terr. calc. trap. d. Vicent. pag. 84, pl. V, fig. 16 (pessima figura). Paris 1823). Id., Dici (Corall. foss. Alp. Venete, Catalogo pag. 7, Pisa 1867). Id., Reuss (Die foss. Anthoz. v. S. Giov. Ilarione u. Ln S. 19. 24, Wien 1878). Esemplari identici a quelli di Roncà e come questi presentando, secondo che già fece osservare il Reuss, grande LISSO col genere Thamnastraea. La presenza di questa specie a Roncà, donde altre non ne ebbi mai che riferir si potessero all’ Astraca funesta di Brongniart, ha pur contribuito a far riportare alla detta specie gli esem- plari di quel luogo, che sono identici, come ho detto, a quelli del Friuli. Ma si tratta realmente della specie di Brongniart, si tratta realmente di un’ Astraea o piuttosto di una Thamna- straea? Eccoci alla solita incertezza accennata trattando del primo di quei due generi e le stesse ‘considerazioni là svolte sareb- bero qui da addursi di nuovo. Dirò soltanto che la profondità dei calici e la presenza di endotecali traverse, più facili a tro- varsi nelle Astreae che nelle TRamnastreae, non che la presenza di evidente muraglia malgrado che talora apparisca accavalciata dai setti, mi hanno indotto a scegliere il 1.° anzichè il 2.° ge- nere, al quale condurrebbe la poca distinzione dei calici verso l’orlo del polipajo, ove i setti formano come una specie di frangia. Non per tanto ho posto il punto interrogativo. Noterò pure come Reuss citi di Roncà e di San Giovanni INlarione una TRamnastraea, da lui denominata eocenica, la quale giudicando dalla figura trova perfetto riscontro in alcuni esem- plari da me esaminati di S. Giovanni Harione e che grandemente si assomigliano agli altri di Roncà, da me riferiti all’ Astraea funesta, alla quale gli aveva difatti ravvicinati trattando di questa specie. — La descrizione data dal Reuss di questa sua Thamnastraea eocenica non è così completa da togliere ogni dub- bio sulla possibilità o no che le due specie debbano riunirsi in una; per altro la figura 4 della tav. XLII rende verosimile che sì tratti di una Thamnastraea. Finalmente ripeterò qui pure che mi è avviso che gli esem- CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 187 plari effigiati da Reuss (Die foss. Anth. von S. Giov. INarione u. Roncà. Taf. XXXX, Fig. 2, 3. Taf. LIII, fig. 4, 5 Wien 1873) sotto il nome di Gonzastraea Cocchii debbano qui riferirsi; almeno le precitate figure condurrebbero a questa conclusione. Giacitura — Rosazzo, Brazzano. LATIMAEANDRINAE ? Latimaeandra D’Achiardii. Latimaeandra D’Achiardii, Reuss (Die foss. Anth. v. Crosara, S. 28, Taf. 20, Fig. 2. Wien 1869). Per la imperfezione degli esemplari la determinazione loro non può ritenersi per sicura. Giacitura — Banco madreporico di Russitz, Cormons. Latimaeandra tenera, Latimaeandra tenera, Reuss (Die foss. Anth. v. Crosara, S. 47, Taf. 6, Fig. 4, Wien 1868). Esemplari mal conservati che sembrano avere i caratteri di questa specie citata da Reuss come propria dei tufi superiori di Sangonini. Giacitura + Brazzano, Russitz, Cormons a greco (N. E.) di S. Sobida. THAMNASTRAEIDAE Nel gruppo delle Thamnastracidae ho pur compreso il seguente nuovo genere per l'affinità sua con le Clausastreae e le Plesa- streae, che insieme ai generi Thamnastraca e Dimorphastraca formano il gruppo predetto, costituito dalle Astreacee a setti confluenti, talune delle quali sono contraddistinte da traverse endotecali, mentre le altre, le Thamnastracidae propriamente dette, sono invece caratterizzate dalla presenza di pseudosinat- ticule, onde fanno passaggio alle Fungidi. 188 D'ACHIARDI Reussastraea, n. gen. Ho riferito a questo nuovo genere, da me istituito e così detto in onore del defunto prof. Reuss, che tanto ha contribuito all’illustrazione dei coralli terziar], due belli e benissimo conser- vati frammenti di un polipajo affine alle Clausastreae e alle Plerastreae, ma diverso dalle prime per la presenza di una co- lumella lamellare, dalle seconde anche per la mancanza o per lo meno poco sviluppo delle muraglia. I caratteri generici sono dunque quelli stessi delle Clausastreae, tranne la presenza della columella che in esse manca e che qui è lamellare. Altro genere, che assai si assomiglia a questo nostro, è il genere Astreomorpha di Reuss, ma se ne distingue oltrechè per la columella stiliforme, anche per il modo con cui a questa si uniscono i setti e per la disposizione delle numerose traverse endotecali, che non si corrispondono nei varj spazi intersettali a guisa di un tavolato, ma formano come un tessuto a maglie così come nella fig. 2, c. della tav. XVI. Reussastraea granulosa, m. Mavi XOVIRofi o? 2 a. Frammento di polipajo al naturale. — 2 b. Calici ingranditi. — 2. c. Sezione verticale ingrandita. Dai frammenti che ho dinanzi appare il polipajo essere stato molto esteso orizzontalmente in foggia di lamina più o meno grossa, e che va riducendosi assai sottile e per fino a pochi millimetri verso i margini delle masse appiattite che forma. Della faccia inferiore mal si giudica a motivo del suo pessimo stato di conservazione; in alcuni punti però vedonsi al nudo delle coste granulose alternativamente disuguali. La faccia superiore è piana e tutta piena di calici. Questi sono diversamente distanti, chè mentre in un punto sono coi loro centri alla distanza di men che 5 mm. in altro sono lontani più assai di 1 centim. Tranne i loro centri, che sono più o meno profondi, possono i calici dirsi superficiali e riuniti fra loro per setti smarginanti e confluenti, che accavalciano quasi orizzontalmente e nascondono la muraglia, se pure esiste. Sono i setti assai grossi e in numero CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 189 vario a seconda dei calici. In alcuni piccoli se ne contano sei grossi soltanto e taluno molto meno sviluppato, in altri maggiori se ne contano 8, 10, 16, 20, e raramente anche più, bene svi- luppati e taluno che di poco si avanza verso l’interno del calice, ove si protendono i maggiori. Quelli del primo ciclo e se non tutti alcuni di essi e senza regola alcuna appajono talora molto ingrossati nel mezzo lù ove si ripiegono verso i centri calicinali. La grossezza e fittezza dei setti non è nè meno uguale in tutte le parti del polipajo, chè mentre in un punto se ne contano 16 o 17 (e questo è il caso abituale) nello spazio di 1 centim., in altri se ne contano invece 18, 20 e perfino 22. I margini ne sembrano essere denticolati, dico sembrano, ma non potrei as- serirlo: chè se non fossero converrebbe allora annoverare questo “nuovo genere a canto alle Dimorphophylliae, Reuss; ma che fos- sero dentati contribuisce a far credere oltre che una tal quale apparenza in alcuni di essi, il fatto che nella specie seguente, che ha con questa a comune tutti i caratteri generici, i denti sono visibilissimi. I lati di tutti questi setti sono fortemente granulosi, tanto che apparendo tali fino dalla superficie a prima giunta osservando questi fossili si prendono o per una Thammna- straea o per una Fungida, ma di sinatticule non vi è segno e nelle sezioni verticali del polipajo oltre all’apparire distinti uno dall'altro i granuli, si veggono poi rinchiusi fra le fitte maglie di un abbondantissimo tessuto endotecale. Le traverse sono con- formate a volta (fig. 2 c.), e l'una sull'altra si succedono alla distanza di circa ?/, di millimetro. Columella lamellare in alcuni calici costituita da una lamina sottile, increspata e larga fino a circa 4 millimetri: in altri da una lamina breve (1 mm. al più) e grossa, in altri finalmente sembra mancare, ma nelle sezioni orizzontali levigate, da me fatte a bella posta, vedesi evidentemente. Giacitura — Rosazzo. Reussastraea multilamellosa. Mai CAI 1a. Frammento di polipajo al naturale — 1h. Sezione verticale in- grandita. Differisce dalla specie precedente per un molto maggior numero di setti concorrenti a un medesimo centro calicinale, 190 D' ACIIARDI contandosene per fino 56 e 48 nei calici maggiori e meno assai nei minori; dimodochè mentre in quella nello spazio di 1 centim. se ne contavano al più 22, in questa se ne contano per fino 32 e raramente meno di 26 o 28; e differisce pure per il minore svi- luppo della columella, che in alcuni calici sembra mancare, ma che pur si vede in altri esilissima, e per la maggior intricatezza del tessuto endotecale costituito da più fitte, esili e più irregolari lamelle. Ma anche in ciò havvi differenza nelle varie parti dello stesso polipajo. Pur tuttavia ho creduto ben fatto mantenere distinti i due coralli, chè a decidere se queste da me allegate differenze debbano avere valore specifico occorrono altri esem- plari; e solo allora, a seconda che si trovino o no termini gra- duati intermedj, si potrà pure decidere con sicurezza se le due forme oggi da me separate debbano considerarsi come specie» distinte o come varietà di una medesima specie. Giacitura — Brazzano. Thamnastraea Intorno a questo genere è da avvertire che tanto vale col- locarlo qui, quanto fra le Fungidi, come altra volta credei con- veniente di fare, essendo intermedio alle due famiglie delle Astreidi e delle Fungidi; e se mi sono indotto a ravvicinarlo di nuovo alle prime, come si fa generalmente, una delle ragioni principali ne va cercata nei suoi legami di affinità con alcuni ceneri di questa grande famiglia, e segnatamente coi generi Astraca, Clausastraca e Plerastraca. V. gen. Astraea. Thamnastraea Taramellii, m. Tav 2VIU 521 2 a. Polipajo al naturale. — 2 b. Calici ingranditi. Piccolo e bel polipajo, sulla di cui determinazione generica non può cader dubbio; credo però si tratti di un polipajo gio- vane. Lo descrivo qual’ è. Polipajo turbinato, però pochissimo elevato, fisso e a faccia, inferiore o esterna coperta da costicine sottili, subeguali o tutt'al più poco e alternativamente diverse; se ne contano 5 nello spazio di 2 mm. Faccia superiore leggermente convessa. Càilici CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 191 ben distinti, poco profondi, larghi 3—9 ‘| mm. con gemina- zione submarginale evidente. 24 setti poco disuguali e diversi più per estensione che per grossezza; tutti assai grossi e con- fluenti da un calice all’altro. Il margine ne è denticolato e i denti sembrano maggiori verso il centro dei calici, ove vedesi una columella costituita di poche e piccole papille. I setti del 5.° ciclo si accostano e talor si uniscono a quelli dei cicli precedenti. i Giacitura — Russitz, Cormons. Thamnastraea hemispherica, m. Tav. XV, fig. 4 4a. Polipajo al naturale veduto di sopra. — 4 b. Id. veduto di sotto. — 4 c. Calici ingranditi. Piccolo polipajetto emisferico (onde nome), affisso inferior- mente, largo nell’esemplare effigiato 23 mm. e alto 12. Calici subpoligonali, larghi da 4 a 5 mm., quasi superficiali. Quattro cicli completi di setti passanti da un calice all’altro, tutti se- ghettati e coperti sui lati da fitti granuli, che fondendosi gli uni con gli altri dall'uno all’ altro setto formano come tante smatticule, che talora. nelle sezioni levigate si scambierebbero facilmente per traverse endotecali. I setti più giovani e più corti sono spesso saldati ai maggiori, che loro stanno da canto, così come vedesi nella figura 4 c, I denti son tanto più grandi quanto più interni e verso il centro del calice si confondono con una columella papillosa, intorno alla quale formano come una corona di pali. Giacitura — Rosazzo, Brazzano. Thamnastraea forojuliensis, m. avvia tale 1a. Frammenti di polipajo al naturale. — 1.b. Calici ingranditi. — 1 c. Sezione verticale ingrandita. Grande polipajo incrostante a superficie convessa. L°esem- plare, di cui fu effigiata una piccola porzione, ha una larghezza nei due diametri maggiore e minore respettivamente di 17 e 14 centimetri per un’ altezza al massimo di 5 !,. Altri esemplari 192 D' ACHIARDI sono assai più piccoli. Polipieriti separati da sottilissima muraglia nascosta alla superficie dai setti che l’accavalciano da un calice all’altro. Questi sono irregolarmente poligonali, a lati spesso curvi, poco profondi, anzi quasi superficiali, larghi da 2 a 3 mm. Tre cicli completi di setti e qualche setto di un 4.° ciclo; stipati, un po’ flessuosi, finamente e acutamente denticolati al margine e coperti sui lati da fitti e grossi granuli disposti in serie, così come nella figura 1 c. e talvolta fusi insieme, onde l’ apparenza di traverse endotecali o di sinatticule. I setti più giovani si uniscono ai più vecchi per il loro margine interno così come apparisce nella soprallegata fig. 1 c. Columella in forma di grossa papilla evidentissima. La non apparenza delle muraglia alla superficie, la confluenza dei setti che le nascondono, la poca profondità dei calici, la loro distribuzione quasi in serie verso il margine del polipajo mi hanno fatto prescegliere il genere Thammnastraea al genere Astraea, cui per molte particolarità si ravvicina e fra le altre per la forma decisamente incrostante. i Giacitura — Brazzano. Un esemplare di Rosazzo raccolto a oriente dell’Abbadia diversifica da questa specie per i calici alquanto più grandi e per maggior numero di setti. Per lo stato di corrosione non posso dire nè meno se sia il caso di una Thamnastraea, tanto più che sì rassomiglia grandemente all’Astraea crenulata di Goldfuss. Fam. EFungidae. Nel mantenere distinta questa famiglia ho forse dato più valore che non si meritino alle sinatticule come carattere alta- mente differenziale dalle Astraeidae. Avrei forse dovuto seguire i più, che della grande divisione delle Madrepore imperforate fanno 4 grandi suddivisioni a seconda che il polipajo sia semplice, ra- moso, confluente o globoso indipendentemente dalle traverse e sinatticule, e in ciascuna di queste suddivisioni annoverano di- verse famiglie. Avrei in tal modo ovviato alla sconvenienza di troppo vaste famiglie quali quelle adottate da M. Edwards e Haime, ma ora mai mi conviene seguire la via da prima trac- CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 1953 ciatami, e d'altronde trattandosi di un lavoro paleontologico tutte le vie son buone purchè menino a un esatto paragone dei fossili dei vari luoghi. È ciò mi son sempre studiato di fare nel miglior modo possibile; ond’ eccomi senz’ altro a dire delle diverse Fungidae friulane appartenenti, se non tutte, quasi tutte certo al gruppo delle Loploserinae. FUNGINAE Fungia? sp. Polipajo in cattivo stato di conservazione per potere essere determinato. Giacitura — Bosco di Brazzano. Hydnophorabacia, n. gen. A questo nuovo genere ho riferito alcuni esemplari, che prima giunta presentano molta analogia con le Padobaciae tro- vate nei terreni eocenici del Veneto, ma che se ne distinguono per essenziali caratteri, che sono. Polipajo frondoso a calici abitualmente distribuiti da una parte delle lamine, frondi o bitorzoli che forma, mentre dall’altra vedesi l'apparato murale fortemente echinulato e per fino ver- miculato. Calici come nelle Thamnastreae e Plerastreae, cioè quasi superficiali. Setti forniti di forti sinatticule e apparenti alla su- perficie come tante serie di granuli irradianti in vario numero e per il solito, se non sempre, da colline (coniformi nei nostri esemplari) interposte ai calici, onde si ha una rassomiglianza esteriore con le Hydnophorae e da ciò il nome del nuovo genere, Columella papillare. Hydnophorabacia variabilis. Tav. XVI, fis. 9,45. 8 a. 4,5. Frammenti di polipajo al naturale. — 3 b. Calici ingranditi — 4b. Parte inferiore di una lamina calicifera. Polipajo frondoso costituito da frondi irregolari ora in foggia di lamina (fig. 3, 4.) più o meno sottile, spesso ripiegata, tutta 194 D'ACHIARDI echinulata e per anco vermiculata da una parte così come il cenenchima della Madreporidae e calicifera dall'altra, ora in foggia di lobi o rami o bitorzoli irregolari, sui quali vedonsi promiscuamente e i calici e le porzioni granuloso-vermiculate della superficie, avendosi in queste ultime non poca rassomi- glianza col cenenchima delle Actnacis del Vicentino; però anche in questo secondo modo i calici tendono sempre a gettarsi da una parte. E per questa variabilità il nome dato alla specie. Sarebbe stato forse il caso perciò solo di fare due specie, ma preferisco tener riunite le due forme, chè ormai procedendo nello studio sempre più s'impara come molte e molte delle differenze, che han dato luogo all'istituzione di specie diverse (e chi sa quante volte io pure mi son lasciato prendere a fallaci apparenze) altro non rappresentano che individui o meglio porzioni diverse di un medesimo polipajo. Sulle porzioni calicifere veggonsi i calici quasi superficiali, ai di cui centri corrono i grossi setti in numero di 12, per la mas- sima parte scendendo da piccole colline coniformi analoghe a quelle di alcune Hydnophorae, e dalla di cui sommità irradiano per il solito in N.° da 8 a 12, apparendo in alto lamellari, mentre nelle parti depresse appajono invece costituiti da grossi granuli, che si confondono con una columella papillare, che mal si giu- dica se realmente esista o appaja perchè simulata dalle papille o granuli centrali dei setti. Là dove la superficie sia alquanto corrosa questi setti appajono costituiti da lamine così come sulle colline, onde è a credersi che anche su queste tali appariscano per corrosione. Procedono i sétti assai serpeggianti; e le granu- lazioni loro marginali o superficiali vanno diminuendo in gros- sezza dall'esterno all’interno dei calici, ove talora gli ultimi e piccoli granuli vengono come a costituire una corona di pa- ‘ pille, quasi pali, intorno a una papilla centrale. Sinatticule grosse ed evidentissime. Giacitura — Rosazzo, Brazzano. a LOPHOSERINAE Cycloseris Perezi. Cyclolites Borsonis, Michelin (Icon. Zooph. p. 266, pl. 61, fig. 2, 1846). Cycloseris Perezi J. Haime in D’Archiac (Hist. des progrès de la geolog. t..9, pag. 229 1850). CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 195 Id., D'Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete. Catalogo pag. 8, Pisa 1867, e Stud. Compar. pag. 26 e 29, Pisa 1868). Id., Reuss (Die foss. Anth. von S. Giov. Ilarione u. Roncà S. 16, u. 21, Taf. 41, Fig. 1, Wien 1873). Esemplari in cui si contano più di 200 setti, mentre in quelli della stessa grandezza, ma appartenenti invece alla C. ephip- piata, m. se ne contano 180 o pochi più. Giacitura — Brazzano. Questa specie trovasi oltrechè a San Giovanni Ilarione (Vi- cenza) e in Valle Organa (Asolo) nei terreni pure eocenici e a quelli corrispondenti di Nizza, Gap, Faudon, Saint Bonnet ec. Cycloseris ephippiata. Cycloseris ephippiata, D’Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete. Catalogo pag. 8, Pisa 1867, e Studio Comparat. p. 29, Pisa 1868). Id., Reuss (Die foss. Anth. v. San Giov. Ilarione u. Roncà. S. 17. Taf. 41, Fig. 4-6, Wien 1873). Assai frequente in esemplari benissimo conservati, per la massima parte aderenti a un’ Orbitolite o Nummulite che sia, come quelli di San Giovanni Ilarione. Si vedono benissimo le lamine settali in numero di c.* 180, poche più poche meno, tutte denticolate sul margine e percorse sui fianchi da sinatticule. Giacitura — Rosazzo a oriente dell’Abbadia, Brazzano. Non ho creduto di dover fare una specie differente di un esemplare di Brazzano, che con tuttii caratteri propri alla Cy- closeris ephippiata presenta forma di ciottoletta con distinta ca- vità calicinale, tanto più che la muraglia per il solito orizzontale e talvolta anche concava va rendendosi leggermente convessa in alcuni esemplari di questa medesima specie. Pur non ostante la differenza è notevole e perciò credo conveniente dare una figura (Tav. XVIII, fig. 1.) di questa forma, cui, se fosse specifica, per la sua analogia con la Cyclolites patera, Meneg., oggi Cycloli- topsis patera, Reuss, io proporrei il nome di Cycloseris patera. Se, Nat. Vol. I. fasc. 3.° 14 196 D'ACHIARDI Cyathoseris Taramellii, m. Tav Ioioare 8 a. Polipajo al naturale. — 8 b. Coste ingrandite. Polipajo di forma presso a poco come nella Cyathoseris in- fundibuliformis, a contorno ripiegato in più 0 meno profondi lobi e affisso per larga base. Muraglia comune percorsa da coste alternativamente poco disuguali e granulose. Calici superficiali; il calice padre molto maggiore degli altri, i minori a centri distinti così come nella succitata C. infundibuliformis, in cui i setti sono però più grossi e meno fitti. Non mi è riuscito scor- gervi columella. Le sinatticule sono evidenti. Giacitura — Brazzano. Cyathoseris? formosa, m. Tav. XVII, fig. 3. 3 a. Polipajo al naturale. — 3 b. Porzione della parte superiore del me- desimo ingrandita. Polipajo trocoide, quasi infundibuliforme, aderente per grosso peduncolo, non però molto grosso. Muraglia esterna percorsa da coste tutte granulose. Faccia superiore concava a contorno ir- regolare, dal di cui margine si dirigono verso il centro più e diversamente lunghe colline a cresta acuta, prodotte da ripiega- ture della muraglia comune. Calici a centri distinti irregolar- mente distribuiti. Setti assai lunghi ove scendono dalle colline, brevi nelle parti pianeggianti e concave; gli uni e gli altri grossi e piegati verso i centri dei calici, cui spettano. Vari di numero in alcuni calici, se ne contano circa una ventina, pochi più pochi meno, mentre in altri arrivano fin oltre 40. Il margine loro parrebbe integro; i lati ne sono coperti da.grosse serie di gra- nuli riuniti o sinatticule. Columella del tutto rudimentale, se pur non manchi affatto. Quest'ultimo carattere della columella fa differire questa specie dalle tipiche di questo genere, che presentano una colu- mella papillosa; ma con esse concorda per tutti gli altri caratteri. D'altronde anche Reuss nel suo pregevolissimo lavoro sui Co- rallarj degli antichi terreni terziari delle Alpi tante volte citato CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 197 annoverava in questo genere specie, che hanno con questa nostra grandissima affinità, come le Cyathoseris applanata, subregularis e altre, che pur non mostrano segno di columella: Anche le Dimorphophylliae e le Dimorphastreae da Reuss stesso descritte di questi terreni presentano molte analogie con le specie (non però con tutte, chè alcune spettano invece alle Tlhamnastreae) da me riferite al genere Cyathoseris. Chi sa che non apparten- gano tutte a un genere solo, che forse sarebbe mestieri distin- guere dalle Cyathoseris. Giacitura — Bosco di Brazzano. . Pironastraea, n. gen. (Questo nuovo genere differisce dalle Dimorphastreae essen- zialmente per la presenza dell’epitecio, in secondo luogo per la forma abitualmente liminoso-discoide del polipajo, quale suoisi riscontrare in alcune delle più caratteristiche Lophoserinae, ad esempio nei generi Mycedium e altri affini. Differisce poi dalle Thamnastreae per la lunghezza dei raggi settocostali. Ho dedicato questo genere al prof. Pirona di Udine, da cui n'ebbi il migliore esemplare. Pironastraea discoides, m. Tav. XVIII, (fis. 28. 2 a. Polipajo giovane veduto dal di sopra. — 2 b. Id. veduto di sotto. — 3a. Frammento di polipajo adulto. — 83 b. Porzione della faccia inferiore. — 3 ce. Calici ingranditi. Polipajo discoide, onde il nome, che in uno dei nostri esem- plari si distende in lamina assai grande e alta solo pochi milli- metri, avente cioè una grossezza di 7 a 8 millimetri nel mezzo, là ove il polipajo cominciò con l'essere affisso, e gradatamente diminuente verso i margini del disco, ove riducesi di men cha i, mm. Dissi nel mezzo del disco, ma dissi male, giacchè dai vari esemplari si rileva, che cominciando da un punto la lamina o foglia calicifera anzichè distendersi circolarmente a quel punto preso come centro, si estende invece preferibilmente da un lato, così come ho pure osservato in alcuni Mycedia viventi, che nel portamento generale si assomigliano assai a questa specie, dalla quale poi diversificano per essenziali caratteri. Muraglia esterna \ 198 D' ACHIARDI comune coperta da epitecio a pieghe concentriche, che per essere sottile e perciò facilmente cancellato dalla corrosione lascia al nudo delle costicine fitte e subeguali. Calici del tutto superficiali indicati da piccola cavità e dalla direzione dei setti, che sì ri- piegano solo nell’ultimo loro tratto. Sono i calici distribuiti come in tante serie concentriche, l'una dall'altra separata dai leggeri rilievi formati dalla confluenza dei raggi settali, che corrono quasi sempre paralleli. La distanza dei centri calicinali è varia secondo l’età e la regione del polipajo; così appariscono essi meno distinti e più ravvicinati nei giovani polipaj che nei vecchi, nelle regioni periferiche che nelle centrali. A. ciascun centro calicinale concor- rono circa 20 setti, contandosene talora qualcheduno di più o di meno a seconda dell'età e della maggiore o minore circoscri- zione del calice. Se ne contano circa 30 nello spazio di 5 milli- metri. Tutti sono finamente seghettati. Per columella non vedesi che una sola papilla. Traverse endotecali scarsissime. Giacitura — Brazzano, Russitz, Cormons, Rosazzo. MADREPORARIA PERFORATA Fam. Miadreporidae. EUPSAMMINAE Lobopsammia multilamellosa m. Tav. XVIII, fig. 4 4a. Polipajo al naturale. — 4 b. Coste ingrandite. Dal piccolo frammento mal si giudica della forma generale del polipaio. Ei sembra un piccolo mazzetto di due o tre fiori \ lapidei (fig. 4 a.). Coste subeguali o appena alternativamente di- \ verse e vermicolate, al di sopra delle quali vedesi in alcuni punti \un po’ d’epitecio in cingoli, al di sotto in altri e ove sieno corrose un tessuto tutto spugnoso (fig. 4 b.) e quale si ha soltanto nei polipaj perforati. Fissiparità per dicotomia manifestata dal modo di presentarsi dei polipieriti. Calici a contorno irregolare. Setti numerosissimi (onde nome), sottili e poco diversi in grossezza, se tali pur non sieno i primi dodici. In tutti se ne contano 5 cicli completi e non pochi del 6.° ciclo. Non mi è riuscito scorgere columella; se esiste, deve essere Tudimentalo. Giacitura — Rosazzo. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 199 ?Stereopsammia humilis. Stereopsammia humilis, Milne Edwards et J. Haime (Brit. foss. Coral. paio pi. Vertigo: Id., D’Achiardi (Stud. compar. pag. 29, Pisa 1868). A questa specie già aveva riferito un piccolo polipajo di Croce Grande di San Giovanni Ilarione ed ora ne riferisco benchè con un po’ d'incertezza un altro del Friuli. Giacitura — Russitz, Cormons. TURBINARINAE ? Astreopora auvertiaca m. ? Astrea auvertiaca, Michelin (Icon. Zooph. p. 159, pag. 44, fig.10, 1844). ? Astreopora auvertiaca, D'Orbigny (Podr. Paleonth. tom. II, pag. 426, 1850). ? Araeacis auvertiaca, M. Edwards et Haime (Hist. d. Corall. tom. II, pag. 141, Paris 1857). Astreopora convera, D’Achiardi, (Coral. Alpi Venete. Catalogo p. 10 Pisa 1867). Astreopora auvertiaca, D’Achiardi (Stud. comparat. pag. 30, Pisa 1868). b) Esemplare identico del tutto ai molti di San Giovanni Ha- rione da me prima denominati Astreopora convera (Catalogo cit. pag. 10.), e riferiti poscia (St. comparat. pag. 30) all’ Astraca auvertiaca di Michelin, tanto più che questi dice chiaramente nel testo della sua Iconografia essere la detta specie distinta per le sue otto lamelle, numero che pur predomina nei calici dei nostri esemplari veneti. Resta però a sapere se io facessi meglio quando di questi feci una specie distinta o quando li riunii all’ Astrea auvertiaca di Michelin, come riman anche a risolvere se abbia avuto o no ragione nel ripristinare la denominazione di D’Orbigny, preferendola all’ altra di Milne Edwards e Giulio Haime. La forma più decisamente convessa, spesso emisferica e talora per fino quasi sferica degli esemplari veneti farebbe supporre fosse il caso di un’ altra specie, ma quanto non variano di forma i coralli? L'altra questione del genere è subordinata a questa. Se sì tratta di una sola specie convien attenersi al genere Astreopora, perchè gli esemplari veneti a questo incontrastabil- 200 D'ACHIARDI mente appartengono; ma se si tratti invece di specie diverse, può darsi allora che si tratti anche di due generi differenti. La fisura data di Michelin (Op. cit. pl. 44, fig. 11) a me pare che rappresenti un’ Astreopora, ma finchè non ne abbia sott’ occhio l'originale la questione non può essere da me definitivamente risoluta. Questa specie è dunque certo a comune coi terreni di San Giovanni Ilarione, probabilmente con quelli pure eocenici di Auvert e Valmondois, ove fu da primo trovata l’ Araeacis auver- tiaca (e questa specie cita anche Reuss di S. Giovanni Ilarione) e per fino con quelli di San Bartolommeo nelle Indie Occiden- tali, ove fu di recente menzionata da Duncan (Older. tert. format. of the West. Indian-Islands. The Quart. Journ. v. XXIX, N.° 116, p. 561, London 1873). i Giacitura — hosazzo. Astreopora discoidalis, m. Dav XVII raigào! o a. Polipajo al naturale veduto di sopra. — 5 b. Id. veduto di fianco. — 5 c. Calici ingranditi. Il polipajo in forma di disco o moneta circolare, alto 5 mm. e largo 28, ha nell’insieme la forma stessa di molte delle Cycloseris, ephippiatae. Cenenchima echinulato alla superficie e molto spu- gnoso ove ha sofferto corrosione. Calici circolari o poco deformati larghi da 1 a 1'|, mm. e nettamente delimitati dall’ orliccio murale. Otto setti bene ed ugualmente sviluppati; altri, quando se ne veggano, brevi o rudimentarii. Si assomiglia assai alla specie precedente, Astreopora auvertiaca, dalla quale però diver- sifica per i calici un pochino più piccoli e più che per altro per la forma tanto diversa. Giacitura Rosazzo. Astreopora? dubbiosa, m. Dave NI sa 361 6 a. Frammento del polipajo al naturale. — 6 b. Calici ingranditi. Polipajo massiccio a superficie pianeggiante. Cenenchima ab- bondante, spugnoso, echinulato. Calici piccoli (1-1 ‘|, mm.) or- CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 201 dinariamente distanti ciyca 1 millim. Orliccio murale smerlato, circolare e leggermente ellittico. Setti mal conservati; per lo più mancano e solo se ne veggono i resti presso alla muraglia; in alcuni calici però se ne contano chiaramente 10 molto svilup- pati e 10 rudimentari, e che ciò sia è pur confermato dai venti piccoli seni dell’orliccio calicinale (fig. 6 b.). I setti rudimentari sono ridotti a serie di punte, come suol essere tanto nel genere Astreopora che nel genere Araeacis. La questione è appunto fra questi due generi, nè il nostro esemplare basta a risolverla, con- ciossiacchè se al di sotto delle punte crestiformi settali parmi di avere scorto dei segni di pertugi, non ho peraltro potuto accer- tarmene per modo da escludere ogni dubbio, onde il nome. A prima giunta somiglia molto alla mia Astreopora minima (Catalogo ec. pag. 10, Pisa 1867) di Monte Bastia presso Mon- tecchio Maggiore, ma ne differisce oltre chè per maggior numero di setti anche per maggior sottigliezza e delicatezza delle mu- raglia e altre parti del polipajo. La specie con la quale ha maggiori affinità è l’Astreopora auvertiaca (Araeacis, M. Edw. et H.), non differendone che per la forma e per i calici minori. Certo è diversa dagli esemplari veneti da me riferiti a quest’ ultima specie, ma non pertanto non potrei affatto escludere la possibilità, che avendo sott'occhio gli esemplari di questa Astreopora o Araeacis auvertiaca accadesse che questa specie vi si dovesse riunire o con l’uno o con l’altro nome generico e quella disgiungere per farle riprendere il pri- mitivo nome di Astreopora convera; niun dubbio restandomi che questa vada realmente riferita a sì fatto genere. Giacitura — Cormons a occidente di S. Sobida. Astreopora panicea. Heliopora panicea, Blainville (Dict. d. Sc. Natur. t. LX, p. 358, 1830). Astrea panicea, Michelin (Icon. Zooph. pl. 44, fig. 11, 1840-1847.). Astreopora panicea, M. Edwards et Haime (Hist. d. Corall. tom. III, pag. 169, Paris 1860). Id. D'Achiardi (Stud. comparat. pag. 30, Pisa 1868.). Giacitura — S. Sobida, Cormons, Russitz, Rosazzo? Questa specie trovasi anche a San Giovanni Ilarione oltrechè è Valmondois, sempre però nei terreni eocenici. 202 D' ACHIARDI Astreopora annulata, m. Dave 1-2 a. Polipajo al naturale — 1-2 b. Calici ingranditi. — 2. c. Sezione verticale ingrandita. Polipajo in forma irregolare, massiccio, lobato, laminoso. Cenenchima per il solito non molto abbondante. Calici circolari, diversamente distanti fra loro, larghi 2 '/, a 3 mm., raramente più (3 '|,) o meno. Nei calici di grandezza media e nel massimo numero di essi si hanno sei setti più estesi degli altri, ma che però non arrivano all’asse calicinale, fondendosi presso ad esso in una specie di anello poligonale a tanti lati quanti sono i setti, che in lui si riuniscono, e da ciò il nome alla specie. Oltre ai principali, che in alcuni calici più grandi raggiungono i numeri di 7, 8 e 9, si veggono poi i setti del secondo ciclo e taluno pure del 3.° quasi allo stato rudimentario; e quasi rudimentarie sono le coste, che pur si osservano intorno ad alcuni calici meglio conservati. Veggonsi chiaramente i pertugi della muraglia, al- trimenti potrebbe sospettarsi fosse il caso di una Cyathophora. Giacitura — Brazzano, Cormons, Russitz, Rosazzo. t?Astreopora spheroidalis. È Astrea sphaeroidalis, Michelin (Icon. Zooph. pl. 44, fig. 9a.). Astreopora sphaeroidalis M. Edwards et Haime (Polyp. palaeoz. p. 141). Alcuni esemplari si rassomigliano un poco a questa specie da prima studiata dei terreni eocenici di Parnes e Valmondois e indi ritrovata da me anche in quelli pure eocenici della Croce Grande di San Giovanni Ilarione. Ma non può dirsi chè della sola rassomiglianza, ogni altro ravvicinamento è impossibile. Giacitura — Brazzano, Rosazzo. Turbinaria sp. Piccoli e indeterminabili esemplari di Rosazzo. CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 203 Dendracis Gervillii. Madrepora Geroillii, Defrance (Dict. Sc. Natur. t. XXVIII, pag. 8.). Id., Michelin (Icon. Zooph. pag. 165, pl. 45, fig. 8.). Dendracis Gervillit, M. Edwards et Haime (Brit. foss. Coral. et Hist. Corall. tom. III, pag. 169, pl. E 3, fig. 1, 1860). Piccoli esemplari identici a quelli di Castelgomberto da me riferiti a questa specie, e rassomigliantissimi alla figura sopral- legata di M. Edwards e Haime, che rappresenta un fossile dei terreni terziari di Hauteville (Dep. Manche). Giacitura — Cormons. Altro esemplare di Brazzano somiglia molto alla Dendracis seriata, Ieuss, specie del piano di Castelgomberto. Actinacis delicata. Actinacis delicata, Reuss (Die foss. Anth. v. Crosara, S. 37, Taf. 25, Fig. 5, Wien 1869). Due piccoli esemplari perfettamente corrispondenti ad altri dellemarne di Crosara. Spesso però, per questi di Crosara almeno, riesce assai difficile la distinzione fra le due specie istituite da Reuss Actinacis Rollei e delicata. Quel che è certo si è la corri- spondenza fra gli esemplari friulani e alcuni di quelli di Crosara, che sembrano ravvicinarsi più al tipo della Actinacis delicata che della Actinacis Irollei. Giacitura — Rosazzo.. Fam. RPoritidae. PORITINAE tPorites Pellegrinii. Porites Pellegrinit, D’Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete, Catalogo pag. 10, Pisa 1867, e Stud. comp. pag. 30, Pisa 1868). Id., Reuss (Die foss. v. S. Giov. Ilarione u. Roncà, S. 17. 22, 24, Taf. XL, Eie(9, 10). Giacitura — Rosazzo? 204 D' ACHIARDI ? Porites (Litharaea) Ameliana. Maio io) Astrea Ameliana, Defrance, (Dict. Sc. Nat. t. XLII, pag. 384, 1826). Litharaea Ameliana, M. Edw. (Monogr. d. Porit. Ann. Sc. Nat. t. XVI, pag. 37). Esemplare somigliante assai ad altri del piano stratigrafico di San Giovanni Ilarione e di quello pur anco di Crosara, da me ravvicinati alla Litharaea Ameliana dell’eocene di Grignon. Se realmente sia il caso di questa specie, come non credo po- tersene dubitare per alcuni ben conservati esemplari di Crosara, non permette che si decida con sicurezza lo stato di conserva- zione del fossile friulano. Il quale ci si presenta in forma di una massarella convesso-gobbosa con calici grandi 2—4 mm., poco profondi e separati da una muraglia quasi putrellare. Setti bene sviluppati e in numero di poco superiore ai 24 nei calici più grandi e inferiore nei più piccoli. I setti minori si uniscono ai maggiori presso l’orlo calicinale a differenza della Litharaea bellula, neila quale questa unione ha luogo presso alla columella. Tutti hanno il margine granuloso o minutamente e fittamente denticolato. Una papilla centrale tien la vece di columella. Giacitura — Rosazzo. ? Porites (Litharaea) bellula. Astrea bellula, Michelin (Icon. Zooph pag. 158, pl. 44, fig. 2, 1844). Litharaea bellula, M. Edw. et Haime (Mon. Porit. cit. pag. 36). Gli esemplari da me riferiti a questa specie differiscono da quello precedentemente ravvicinato alla Litharaca Ameliana per 1 calici un poco più profondi e assai più piccoli (1-2 mm.); per minor numero di setti, che per il solito sono 16, raramente 20 e anche più nei calici maggiori, tutti a margine denticolato con grani dentali maggiori verso l’asse calicinale, ove simulano una corona di pali intorno a una columella, pochissimo svilup- pata e difficilmente visibile. La forma del polipajo in foggia di massa lobata a lobi com- pressi, così come nella mia Astrocoenia subreticulata, mi fa gran- CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 205 demente dubitare sulla corrispondenza specifica fra i nostri esemplari e quelli di Auvert, Parnes e Valmondois, sui quali questa specie fu istituita; in ogni modo se non con questi sus- sisterà sempre il legame specifico con altri della Croce Grande di San Giovanni Ilarione. Giacitura — Rosazzo. Dictyarea elegans? Dictyarea elegans, Reuss (Die foss. v. Castelgomberto S. 35, Taf. 15, Fig. 6, 7, Wien. 1868). Differisce dalla Dictyarea elegans di Castelgomberto per la sua struttura molto più delicata. Lo stato di corrosione degli esem- plari non consente di istituirne una nuova specie. Giacitura — hRosazzo? Dictyarea Meneghiniana, m. Tav. XIX, fig. 3,4,0. 5, 4a, 6. Polipaj al naturale. — 4 b. Calici ingranditi. A questo genere istituito da Reuss trattando dei coralli terziar] dell’isola di Giava credo si debbano riferire i numerosis- simi esemplari di un Corallo friulano contraddistinto dai seguenti caratteri. Polipajo ramoso, più grande che nelle specie fin qui cono- sciute. Calici poligonali, larghi da 4 a 5 mm. e talvolta anche più; essi sono poi più estesi nella loro porzione superiore (fig. 4). che nella inferiore. Per il solito dieci setti molto sviluppati, raramente meno o più; i superiori più lunghi in correlazione al- l’assimetria calicinale. Ho nominato questa specie in onore del mio caro e venerato maestro il prof. Meneghini. Giacitura — Brazzano, Russitz, Cormons, Rosazzo. Taluni esemplari, che a prima giunta presentano grande ana- logia con questi da me riferiti al genere Dictyaraca, ne diversi- ficano per avere i calici abitualmente circolari e brevemente sì, ma pur separati uno dall’altro, e si ravvicinano invece più ad altri generi, per es. al genere Astreopora, al quale se realmente appartenessero ben sarebbe distinguerli col nome di Astreopora ramosa, m, 206 D' ACHIARDI MADREPORARIA TABULATA Fam. Milleporidae. Polytremacis Bellardii. Polytremacis Bellardii, J. Haime {Mém. Soc. geolog. France, Ser. 2, t. IVA ip. 289] 22. fin 800): Millepora globularis, Catullo (Ter. sedim. sup. Venezie, p. 78, tav. 17, . fig. 9, Padova 1856). Heliopora globularis, D’' Achiardi (Corall. foss. Alp. Venete, Catalogo. pag. 11. Pisa 1867). Politremacis Bellardii, d’Achiardi (Stud comp. pag. 30 e 49. Pisa 1868). Heliopora Bellardii, Reuss (Die foss. v. San Giovanni Ilarione u, Roncà, S. 18, 20, 22, 24, Taf. 51, fig. 2, 3, e Nachtrag ec. Santa Trinita S. 40. Wien 1873). Esemplari molteplici ‘di varia forma e con varia grandezza dei calici, che sono poi diversamente distanti, onde se non si avessero tutti i termini di passaggio da una forma all’ altra sa- remmo facilmente indotti a riferire i più differenti esemplari a specie distinte. Circa al genere aveva io pure creduto che si trattasse di un’ Heliopora, come di recente ha sostenuto il Reuss (v. sinonimia), ma osservando dei ben conservati esemplari mi sono accorto che i setti, che nelle porzioni superiori delle cavità calicinali appena si discostano dal loro punto d’origine, sono invece molto più estesi in profondità, onde ho ritenuta per buona la primitiva determinazione di Giulio Haime. D'altronde credo io pure che la differenza nella estensione dei setti sia un cattivo e male scelto fondamento alla distinzione dei due generi fra loro gran- demente affini. Giacitura — Rosazzo, Russitz, Cormons. Di Brazzano è un esemplaretto, che sembra diverso dagli altri, CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 207 Fam. Favositidae. POCILLOPORINAE ? Pocillopora infundibuliformis. Halliroha infundibuliformis, Catullo (Dei terr. sed. sup. Venezie p. 81, tav. 18, fig. 9, Padova 1856). Pocillopora infundibuliformis, D'Achiardi (Coral. foss. Alp. Venete. — Catalogo, pag. 11, Pisa 1867, e Stud. comp. pag. 32, Pisa 1868). Polipajo che ha tutta l’ apparenza di una Favosttes o di un Chetetes e che io mi sono indotto a considerare come una Po- cillopora, malgrado la mancanza del cenenchima, avendo osser- vati sulle Pocillopore viventi analoga apparenza alla sommità dei lobi e nell'angolo interno delle loro ramificazioni. — Del resto son tutt'altro che tranquillo su questa determinazione. Giacitura — Cormons. Questa stessa specie trovasi anche a Roncà. CONSIDERAZIONI GENERALI E CONCLUSIONE Studiate e descritte una ad una le varie specie dei Coralli fossili del Friuli, è ormai tempo di considerarle nel loro insieme, di studiare cioè l’intera fauna corallina per rilevarne il signi- ficato cronologico, al qual fine fa mestieri il paragone con le faune già note di altri luoghi. E ciò mi propongo ora di fare; se non chè prima mi giova dire brevemente dell'ordine seguìto nella descrizione delle specie, sia perchè a intendere certi rav- 208 D' ACHIARDI. vicinamenti fa d’uopo una spiegazione, sia perchè in taluni le- gami fra genere e genere può prima o poi trovarsi il nesso di derivazione dell’uno dall’altro, ond’ appare fin d’ora la necessità che le classificazioni zoologiche abbiano lor fondamento nello. studio della paleontologia non solo, ma sieno tali da non rendere difficile, impossibile questo studio medesimo. Giù dissi come nella divisione in famiglie non mi fossi allon- tanato che poco dai precetti di Milne Edwards e Giulio Haime; e cominciando dalle Madreporarie imperforate (Madreporaria apora) gli avessi seguiti nell’ascrivere a ciascuna delle grandi famiglie polipaj semplici e composti contrariamente a quanto oggi usano molti, che spartiscono i Coralli a seconda del loro polipajo sem- plice, cespitoso, confluente o conglobato in quattro grandi gruppi, di ciascuno dei quali fanno poi più o meno numerose famiglie. E chi ha ragione? Gli è un fatto che specialmente trattandosi di fossili il primo carattere più appariscente, più difficilmente cancellato dalla fossilizzazione è la forma; la quale ha pure un grande significato, essendo chè la sì colleghi con il modo diverso di riproduzione; ond’ è che questa divisione fondata principal- mente su di essa giova allo studio dei fossili; ed è pur vero inoltre che i caratteri di distinzione presi nella presenza o man- canza delle traverse e delle sinatticule sono tutt'altro che asso- luti, e io stesso ho veduto traverse endotecali nelle parti inferiori delle tipiche Turbinolidi viventi, e sono tante e tante volte ri- masto incerto, e non sarà accaduto a me solo, nel decidermi a considerare come granuli, traverse o sinatticule certe apparenze, che collocano appunto certi generi sul confine di famiglie di- verse. Ad ovviare a questi inconvenienti non vi ha dubbio dunque che giovi la classazione in gruppi fondamentali a seconda della, semplicità o no del polipajo e della forma sua. Ma d’altra parte è da osservare che l’esser semplice un polipajo null'altro significa o che non va soggetto a moltiplicarsi per gemmazione o fissiparità o che l'una o l’altra non ha anche avuto luogo; dappoichè i Coralli tutti possano moltiplicarsi e si moltiplichino di fatti per uovo. Intanto credo che non vi sia corallo o poli- pajo abitualmente semplice, che non possa offrire una qualche eccezione, e io stesso ne ho veduti diversi che presentavano casi di prolificazione per gemma o per divisione. In quanto poi al secondo caso, che cioè la gemmiparità o fissiparità non abbia CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 209 anche avuto luogo, noterò come mi sia spesso imbattuto in coralli semplici con tutti i caratteri essenziali di altri decisamente composti. Or bene se si tratta di coralli effettivamente semplici perchè separarli da altri composti è vero, ma che pur offrono tutte le stesse particolarità organiche? E se si tratta invece del primo stadio di un corallo composto, chi non vede la sconve- nienza di una tale separazione, a cansare la quale non basterà sempre acume d’intelletto e d’osservazione? Per queste ed altre ragioni mi sono attenuto alle divisioni di M. Edwards e di Haime, indipendentemente dal più o meno alto valore che abbiano i caratteri di distinzione da loro pre- scelti; ma malgrado ciò, lo ripeto, per un lavoro esclusivamente paleontologico, forse giova meglio seguire la prima via. La famiglia delle 7'urbinolidae per non essere troppo vasta può lasciarsi anche indivisa o se più piaccia spartirsi nelle due sotto- famiglie delle Carsophylliaceae e delle Turbinolinae; nè per essa nulla ebbi a mutare. Non così per l’altra e maggiore famiglia delle Astreidae, per la quale, allontanandomi dai precetti di M. Edwards e Haime, non feci conto al pari di altri autorevo- lissimi autori della presenza o no dei denti settali come carattere fondamentale di primaria divisione, e ciò non solo perchè trat- tandosi di fossili quella distinzione nel più dei casi riesce impos- sibile, ma sì ancora perchè mi sia avviso la presenza o mancanza dei denti non avere così alto valore organico, da fondarvi sopra distinzioni e gruppi di primaria importanza, tanto più che si passa dal taglio integro al laciniato e aculeato per tuttii ter- mini i più diversi di denticolatura, granulazione e seghettatura marginale. Come carattere di divisione secondaria può passare, e difatti mantenendo distinti i gruppi delle Trochosmiliaceae e delle Litho- phylliaceae, ascritti ambedue nel maggior gruppo o sottofamiglia delle Astreidae semplici, fu pure come tale considerato da me medesimo. Nulla ho da osservare sui gruppi delle Calamophyl- lideae, Eugyrinae, Symphylliaceae e Faviaceae, tutti appartenenti alla seconda sottofamiglia cioè alle Astreidae fissipare. Finalmente rispetto alla terza sottofamiglia, cioè delle Astreidae gemmipare, noterò come la sia stata divisa in più gruppi a seconda che il polipajo sia cespitoso (Cladacoraceae), strisciante (Astrangiacieae), conglobato a polipieriti liberi per breve tratto (Heliastraeidae) 210 | D' ACIIARDI o a polipieriti immersi o di poco sporgenti da un cenenchima (Stilophorinae) o astreiforme (Astreinae), o a setti contluenti Tamnastracidae o a calici confluenti (Latimaeandrinae). A differenza di M. Edwards e Haime ho compreso fra le Astreidae le Stilophorae, essendochè la presenza del cenenchima dermico non mi sia sembrata di tale importanza da elevarla a carattere di famiglia, tanto più che questo cenenchima non si presenta su tutte le parti del medesimo polipajo, manca anzi nelle giovani e terminali, ove i calici venendo a contatto l’uno con l’altro presentano l’aspetto delle .Stylocoeniae, specialmente ove sono più stipati, poichè ivi sugli angoli di contatto dei ca- lici la muraglia è spesso elevata in colonnette, come facilmente si osserva e fu da me osservato anche sulle specie viventi. E le Stylocoeniae stesse non di rado nelle porzioni adulte del loro po- lipajo e segnatamente verso la base mostrano i calici separati da cenenchima granuloso, lo che ravvicina grandemonte i due generi, che per ciò appunto furono da me l’uno dopo l’altro annoverati in un medesimo gruppo. È un fatto che si ripete anche in altri generi ed è in cor- relazione alla maggiore attività di prolificazione sulle giovani parti del polipajo di fronte alle vecchie, dimodochè mentre quelle si accrescono per nuovi individui, queste si accrescono anch’ esse, ma solo o preferibilmente per il cenenchima dermico o murale, che separa l'uno dall'altro polipierita. — Per queste ragioni mi è sembrato giustificato il ravvicinamento dei due generi, tanto più che per altri caratteri trovano l'uno nell’al- tro perfetto riscontro; e tanto più pure che trattandosi di fossili e in special modo di frammenti ci troviamo spesso nella impos- sibilità, di giudicare a quale dei due generi debbano riferirsi. _ Le Astrocoeniae invece ho ravvicinato alle Astreae, essendochè vi somiglino grandemente, spesso tanto che ne riesce difficilis- sima, se non impossibile, la distinzione, e questo ravvicinamento trova pure un valido appoggio nell'essere i setti delle Astro- coeniae, certo in varie specie ad esse riferite, muniti di denti così come le Astreae. Le stesse considerazioni valgono per le Stephanocoeniae. Ho mantenuto distinte le PhyMocoeniae (Stylinideae) dalle Heliastreae e congeneri, ma confesso che le si potrebbero anche riunire a quest’ ultime e comprendere tutte sotto il nome di £ CORALLI EOCENICI DEL FRIULI CADI Heliastraeidae, che pensandoci meglio mi par preferibile all’altro dla me usato di Astraeaceae, che può generar confusione coi nomi consimili di Astraeidae e Astracinae. Delle. Thamnastraeidae già dissi a lor tempo; nè altro ho ad aggiungere sulle altre famiglie tanto delle Madreporarie im- perforate che delle porose e tabulate. Premesse queste brevi e necessarie considerazioni sull’ordine seguito nella descrizione delle specie, eccomi a considerarle ora sotto l'aspetto paleontologico in correlazione al posto che oc- cupano nella serie dei tempi, sia studiandole nelle singole loro giaciture, sia paragonandole con quelle di altre già note, per- lochè mi giova produrre qui in uno specchio i risultati e del- l’uno e dell'altro studio per poter poi dedurne le conclusioni. 3 G . 28, 2| SB c|elz - 73) o 5 =|E|E £S|F| Giaciture straniere © SIE Po ‘S E o|3 RS sels0lE ‘sle|lolSla NINE ST 0-8 22/2 sje/sO/S|2 2|2/5s = | n] .-. | = GR|e Se | aa 6 S|3] ALCYONARIA Fam. GORGONIDAE ELSA SSD AR AI EM A Epoca e ZOANTHARIA MADREPORARIA APORA Fam. TURBINOLIDAR Caryophylli cese î Trochocyathus Taramellii, Mm. ....... on GSS LA ol i DEC a » aequicostatas, De Schaur. sp. [4#|+|+|+f || -|?{+|. a » Van-den-Heckei, J. Baime. |4-|/4-| .1--f+|+#|-*| | || .| +] .| Indo. P) » cyclolitoides, Bellard. sp... A4| | 4-4] Annot, Cuteh (Indo). » sinuosus, Brongn, sp. . | 4 .[+|2]+| .| | .| .| Corbières. P » concinnus, Reuss... .... +|+ af Moi È i Smalotrachus incurvus, M. .. 0... +|. FESSA A 05 È Paracyathus Spinelli, DIE ult A] | | | | Turbinolinae 2 Mabellum cuneatum, Goldf. sp... ... |4|4 «| -| | Kocene dei Pirenti. » Fiirccala AGM || 2 ITA | | Se. Nat. Vol. I. fasc. 3,° 14 DI D' ACHIARDI Rosazzo Brazzano Russitz Valle Organa Giov. Ilarione Roncà Apennino ligure Palarea e Mortola Sangonini e Salcedo Castelgomberto Collina di Torino Cormons S Crosara Giaciture straniere Fam. ASTRAEIDAE Trocosmiliaceae { Placosmilia elliptica, m. ........ 4. o » LOCA IO RR IAI RIMANE i » stramgquiataz MA: (ada te elet » eocenica, Reuss. . +... SF » LALA ATI RI È Trochosmilia corniculum, Mich. sp... .. |t sa È » Spadae, Menegh. sp.. + » PA EIMIAMONDO NIRO » COMMONSENSIS, Me è + 60000 sii » ZOPRITONANOMTO E Ie I le ni CIEIONGALO MIA CIT N -|+ Phylosmilia calyoulata, M.. + +... +. GS CHASBALIII A A ER ; Parasmilia Pironae, Mm... 0.06 Ù IE Coelosmilia forojuliensis, M. +... Ha DE Lophosmilia granulosa, Mm. +... Saba ELI, piena tal pina SWAN Ve «|. |+ » 2 AUDIOSG,ODI Alen ene Lithophylliaceae T se ++ +... P+t.44+ + 2 Circophyllia truncata, Goldf. sp... ... » CINQUANTA IN i » elliptica, IM. tt duo | Leptaxis multisinuosa, M. + ++. 0. » EUCOLAFIIO TROIE oo : » IRCUSSANA MD SAU O at Lenna Catul'iana: AIM SP io . i Paci gia BUDINO, RSM a i Montlivaultia Pironae, m. +... e È » Sibica dialora noe 60 dipvo o OL, Calamophyllideae ì iooniviia LENUISSACUSS Ae ee A ta È granulosa, M. +... +. leale i ili GUGANLEA AAT i Calamophyllia pseudoflabellum, Cat. sp... | - | Haplophyllia ? eocenica, mM. ........ + + FE Hugyrinae | Barysmilia vicetina, M. ........ DREIRO ao ur È » bre0L87 CREUSSE Ae e e ng | i Baryphyllia ? italica, m Bs, dor RE ita i T'hecosmilia ? crassiramosa, Reuss... . .. + 2. » RANA INR » Spr osa a e Sr Plocophyllia forojuliensis, m. ....... si ar ac Pachygyra Savi, m. ....... gladio ++ Dendrogyra italica, M.. 2 9 Parnes, Valmondois, Hauteville, Pau etc. India? Oberburg. CORALLI EOCENICI Rosazzo Brazzano Russitz Palarea e Mortola Valle Organa Cormons DEL Giov. Ilarione S. Roncà FRIULI e Salcedo Sangonini Crosara Castelgomberto Apennino ligure Giaciture straniere Collina di Torino Symphylliaceae ? Myoetophyllia multistellata, Reuss. . . . Colpophyllia Taramellii, m......... » TCX UO A BRGOS Diploria flexuosissima, Mm... .... pH o Hydnophora longicollis, Reuss... . ... ‘ Faviaceae Favia Meneguzzi, Mm... oro NEDO UNI RICUSS ARTI » CUBI NAT IA De Wii, O ble voro ie o e » SCOStOAtO, SIN i n fontastraea Cocchi, m. i... » alpina, m.. . . Cladocoraceae Astrangiaceae Astrangia princeps, Reuss... ....... Heliastraeidae Phylocoenia irradians, Mich. sp. . . ... » Lucasana, Defr. sp. . .. .. Heliastraca alpina, m. ....... devo » Hylarionensis, m. ..... SE 2 » IRochetteana, Mich. Sp. . . . . diglielo oi ? Solenastraea Koeneni, Duncan. . . . .. . ? » gemmans, Duncan... . . . + Stylophorinae Stylophora distans, Leym. Sp. . . . > contorta; (LEymM. Sp. 0-0 » pulcherrima, M... +. + » macrotheca, Mm. . +... AMS Stylocoenia taurinensis, Mich. Sp... ... » lobato-rotundata, Mich. sp. . . . » monticuluria, Schweiz. sp... . » monocycla, Menegh.. . ..... Astraeinae Astrocoenia subreticulata, M. .. +. + +. . ++ SEE +. H4H4+4+. CER HERE A SE al + + 2 a - H+ H+ ++: darla ; - de +++: ++ mr + + li | Oberburg. it! Id. Oberburg. Oberburg. "vv +| .| Hala (India). -| .| Brockenhurst. O Id. .| Couiza, Foujoncouse, | n Dax Foujoncouse (Corbiè- res), Indo. .| Dintorni di Parigi, Braklesham Bay. | | | | 214 D' ACITARDÎ | ARA RISI VITI Giaciture straniere Ilarione Giov. Palarea e Mortola Sangonini e Salcedo Crosara Valle Organa - S. Collina di Torino Castelgomberto Apennino ligure Brazzano Russitz Cormons Rosazzo Roncà i Astrocoenia aspera, M. . di E 3 » CLPANBA, Mi. + 3 0 e è 00000 + i Stephanocoenia elegans, Leym. sp... ... |t E Couiza, Frabesan, Cou- 4 stoge. INA ba CA ReUSARA ANI Ho » funesta, Brongn. ..... IR ele Indo. Latimaeandrinae i? Latimacandra D'Achesrdii, Reuss. ...| | - i? >» tenera, Reuss... ..... DS lo Thamnastraeidae | Reussastraea granulosa, m........ |A ) » multilamellosa, n. a... | i Thamnastracea Taramellii, Me. i... SU | NS Bi: » hemispherica, m.. ...... Loca » forojuliensis Mil... Fam. FUNGIDAE Funginae REUNION Re E i Hydnophorabacia variabilis, m. ,..,..|t ++ Lophoserinae Gap, Faudon, Saint $ Bonnet, Indo. | Cycloseris Perezi, Mich. sp. ........ » GUAI I RATIO MONO ant ala Crathoseris Taramellii, mn <...... » DI ONIMOZ AMD AR È | Pironastraea discoides, m. .........|+ Lee IMADREPORARIA PERFORATA Fam. MADREPORIDAE Hupsamminaa | Lobopsammia multilamellosa, m. . ..: di | Stercopsammia humilis, Edw. et H. È Argilla di Londra. Turbinarinae TUTDINATIANS DIRO RR E «0 | i Astreopora? da Mich. sp. Sor f » CISCOLAE RIVA NES pa » dubiosa, Iaia es. a alam leo DER RE IECO © È » panicea, Blaninv. Sp.. se ATITA | - “| -| «| -|-| -| Valmondois. È, anulata, Mm. ..... 2a (FITTE si PAaA i esci Metz IRA A RCA a | LIRE sphaeroidalis, Mich. Sp. sa ETY Auvert, Valmondois ec. Parnes, Valmondois, CORALLI EOCENICI DEL FRIULI ; 7 3 — cai (©) =zlÉ È EA SE &iaciture straniere © EDITE ‘A s E Te) sis|3[3|2|5|=|E|5|33|z s|Nla Sis &u|2|0 Pak S|£/5|sisle).|9|8|2|\S|2lo sIASDILI NR MO|O Dendracis Gervillii, Defr. Sp. +... ... oa + sb Hauteville. | Actinacis delicata, Reuss... ........ + pill a |) Fam. PORITIDAE Poritinae ROFUESORE NCR RENANIA +... TA SIR j Porites (Litharaca) ameliana, Defr. sp... |H| |a sta E Grignon. È 5 bellula, Mich. sp... . || |. cl, Auvert, Parnes, Val- du : mondois. i? Dictyaraca elegans, Reuss... ... Rea gia il i » CANI RIONI O THA -| i MADREPORARIA TABULATA l'am. MILLEPORIDAE | Polytremacis Bellardii, Haim... ..... + 244] A+] AH] Fam. FAVOSITIDAE Pocilloporinae ? Pocillopora infundibuliformis, Cat. sp. . 09} A Delle specie annoverate in questo prospetto circa la metà di quelle determinate son nuove, le altre già note di varj luoghi; e se sì considerino tutte, anche quelle solo genericamente determi- nate, si rileva che 66 appartengono a Rosazzo, 69 o 70 a Braz- zano e 40 circa fra Russitz e Cormons essendo respettivamente esclusive 30 per Rosazzo, 30 per Brazzano, 21 fra Cormons e Russitz, due località che ho separate nel precedente specchietto, ma che non costituiscono forse che un’ unica giacitura. Circa la metà quindi delle specie descritte sono esclusive per ciascuna di queste principali giaciture, considerando però insieme quelle raccolte nelle vicinanze di Cormons e Russitz; e piuttosto che esclusive convien dire trovate solamente nell’ una o nell'altra, e vedremo or ora qual significato abbiano queste isolate comparse. Tredici specie trovansi in tutti quattro i luoghi soprallegati; 216 D' ACHIARDI 80 sono comuni a Rosazzo e a Brazzano, 19 a Rosazzo e Rus- sitz-Cormons; 23 a Brazzano e Russitz-Cormons; ma questi conti, queste cifre approdano a poco, essendochè converrebbe esser sicuri che in tutti i luoghi fossero state fatte le stesse ricerche; e intanto havvi un fatto per se evidentissimo, che prova la promiscuità delle specie dover esser maggiore di quanto appa- risca dallo studio ora fornito. Il fatto è che tutte o quasi tutte le specie che sono a comune a quei quattro luoghi sono rap- presentate da moltissimi esemplari; lo che mi porta a conclu- dere che le sieno specie più diffuse delle altre non solo, ma che debbasi appunto alla loro frequenza il caso di averle riscon- trate in ogni parte; onde poi l’altra conclusione e per molte delle rimanenti specie, che se esse non sono state trovate da per tutto, la loro mancanza debba essere piuttosto apparente che reale e da attribuirsi a maggiore difficoltà di rintracciarle in grazia della rarità loro. Ed è a credersi che con ulteriori studj e ricerche si possano ritrovare anche in quelle delle quat- tro summentovate giaciture, in cui fin ora non si rinvennero. Non per tanto ei può darsi benissimo che taluna realmente non abbia lasciato le sue spoglie che in questa o in queila, tanto più che se vero è che nell’insieme queste diverse giaciture co- rallifere del Friuli ci rappresentano un unico orizzonte o piano geologico, ciò non significa che le giacciano effettivamente tutte allo stesso livello; e T'aramelli c'insegna in fatti che mentre il banco corallifero di Rosazzo sottostà ad arenarie o pudinghe con vegetali (resto forse della flora di quelli antichi atolli), i banchi consimili di Brazzano e Russitz-Cormons soprastanno invece a quella stessa pudinga, che però in questo caso è priva di resti vegetali. Comunque sia non si tratta di faune distinte, nè possiamo o dobbiamo considerare che un’ unica fauna corallina per tutte queste giaciture fossilifere, le quali a lor volta costituiscono un unico orizzonte geologico; unicità di fauna già stata ricono- sciuta da Taramelli anche per le Nummuliti, Molluschi e altri fossili. Giova ora paragonare questa fauna madreporica con le altre d’Italia e fuori e primieramente con quelle delle due vicine pro- vincie di Vicenza e Verona, ove si hanno le classiche giaciture di Costalunga e Via degli Orti in Valle Organa presso Possagno, di CORALLI EOCENICI DEL FRIULI TIT Sroce Grande e Val di Ciuppio presso San Giovanni Harione su quel di Vicenza, e di Roncà su quel di Verona, che insieme costituiscono un determinato orizzonte, l'orizzonte detto ap- punto di San Giovanni Ilarione e Roncà; indi quelle dei tufi inferiori di Sangonini e Gnata di Salcedo e delle marne di Cro- sara, che costituiscono altro piano stratigrafico a quello supe- riore, che trae suo nome da quest’ ultimo luogo; finalmente il piano di Castelgomberto, il più ricco e più moderno di tutti e che comprende Monte Grumi, Monte Viale, Montecchio Mag- giore, Santa Trinita, Monte Carlotta, Monte delle Carrioli, Canal dei Peruzzi, Monte Castellaro, Monte Pulgo e i tufi superiori di bangonini di Lugo ec., luoghi tutti e questi e quelli famosi per la copia e bellezza dei loro fossili e per gli scritti di Catullo, Brongniart, Suess, Reuss e tanti altri. Poche sono le specie a comune col piano di Castelgomberto tutto al più 16 o 17, e nè men tutte con certezza determinabili; ne 16 o 17 sarebbero poche, se non si avesse a che fare con due faune ricchissime, la friulana con le sue 123 specie e la vicentina o di Castelgomberto con altrettante e più, onde in tutto su circa 250 specie diverse quel numero non rappresenta che circa il 7°, delle due faune complessivamente considerate o il 15% di quella di Castelgomberto; proporzione quest’ultima che diventa anche minore per Dego, Sassello, Carcare e altre giaciture corallifere dell’ Apennino ligure, e minima, quasi nulla per la collina di Torino, ove soltanto forse quattro specie si rinvengono a comune col Friuli, e di queste quattro specie non una che non si trovi pure nei terreni cronologicamente inferiori dell’Apennino ligure e tre di esse comunissime cominciando dal- l’eocene percorrono tutta la serie dei terreni oligocenici fino al vero miocene, e sono la Goniastraza Cocchit, e le due frequen- tissime Stylocoeniae taurinensis e lobato-rotudata, il cui dominio si estendeva anche al di lù dei mari italiani, come ne fanno fede i fossili di Oberbursg. | Di Crosara il numero assoluto delle specie a comune è minore di fronte a quelle del piano di Castelgomberto. Nel soprallegato prospetto fra Crosara, Sangonini di Lugo e Gnata di Salcedo (marne e tufi inferiori) non ne sono indicate che 8; ma se si pensi che la fauna di Crosara è solo rappresentata da circa 50 spe- cie, quel N.° 8 rappresenta una proporzione anche maggiore 218 D' ACHIARDI della precedente, rappresenta infatti il 16%, della fauna di Crosara . La proporzione cresce per Roncà. Le 9 specie a comune, e, se non tutte, poichè alcune sono incerte, sieno esse pur meno, rappresenteranno pur sempre un 50 o 60°, di questa piccola e singolarissima fauna roncense. Di San Giovanni Ilarione annovera 39 specie il Reuss, 44 io (Stud. comparat. ec.); or bene prendasi pure il numero maggiore, si aumenti anche fino a 50 comprendendovi alcune specie incerte e altre poche da me determinate dopo la pubblicazione del sum- mentovato Studio comparativo fra i Coralli fossili del * Piemonte e delle Alpi Venete, si avrà .ciò non ostante una proporzione superiore anche al 50°, sì avrà un 60, con le trenta specie a comune. Questa stessa proporzione sì mantiene ancora per Costalunga e Valle Organa, donde cita il Reuss 5 specie e di dove ne ho io stesso esaminate 9 o 10, delle quali non poche furono anche da me descritte (Stud. comp. cit. pag. 20). Non vi ha quindi alcun dubbio che questa fauna madre- porica friulana non corrisponda perfettamente a quelle di Roncà, San Giovanni Ilarione e Valle Organa. Ma vi ha pure un'altra classica giacitura in Italia che procede all'unisono; in- tendo dire di Palarea e Mortola presso Nizza. Bellardì deseri- vendo i fossili del terreno nummulitico di Nizza (Catal. raîson. d. foss. nummul. d. cont. d. Nice. Mém. Soc. geol. d. France, Paris 1852, Ser. 2, t. 4, p. 205) annovera 25 specie di coralli e di queste 11 sono a comune con i terreni coralliferi del Friuli; siamo dunque presso a poco alla medesima proporzione del 50%, e la piccola differenza può anche dipendere da estrinseche ragioni ed essere quindi più apparente che reale. E se ora, valendosi sempre del nostro specchio, consideriamo le giaciture straniere, troviamo che i terreni nummulitici del- l’Indo, delle Corbières e pur anco d'Inghilterra e del bacin di Parigi presentano nelle loro madrepore fossili moltissima ana- logia con questi nostri. Difatti delle 17 specie annoverate da Giulio Haime e d’Archiac del terreno nummulitico dell’Indo Descript. des animaue foss. d. group nummul. de l Inde, 1858) 8 sono a comune coi terreni friulani dei quali ci occupiamo; siam dunque alla solita proporzione del 50°. La quale se è CORALLI EOCENICI DEL FRIULI 219 minore (c.* 20°) per il bacin di Parigi (calcair grossier), ove delle 36 specie dei coralli descritti da Michelin (Zeon. Zooph.) sole 7 appariscono a comune, è invece di gran lunga superata dal terreno nummulitico dei Pirenei, ove delle 5 specie citate da Leymerie (Mém. Soc. geol. France, Ser. 2, tom. I, pag. 337) delle Corbières e della Montagna Nera, e come trovate a Couiza o Couisa, Coustouge e Foujoncouse, 4 sono proprie anche al Friuli e la quinta affine a taluna delle specie qui ritrovate. Con l’ar- gilla di Londra si hanno tre specie a comune, cioè il 7yocho- cyathus sinuosus, la Stylocoenia monticularia e la Stercopsammia humilis trovate a Brackleshain-Bay. La corrispondenza dunque con questi terreni stranieri e se- gnatamente dell’Asia e della Francia è non meno manifesta che ‘con quelli d’Italia tanto delle vicinanze di Nizza che di Valle Organa, San Giovanni Ilarione e Roncà. Da per tutto si ha un’ unica fauna con una proporzione di specie a comune del 50, 60 e perfino 80 per cento; e se così oggi, questa proporzione salirà ancora per ulteriori studj e ricerche; ma quale essa è attualmente è più che bastante a stabilire quella corrispondenza. Coi piani superiori di Crosara e di Castelgomberto trovammo minori legami, e minori son pure, come giù vedemmo testè, coi piani inferiori, per esempio con l'argilla di Londra e terreni corrispondentivi. Siam dunque al di sotto dell’Oligocene e di quella parte pure di esso che corrisponde all’eocene superiore; siamo al di sopra dei termini propri, caratteristici dell’eocene inferiore, siamo fra questo e quello, siamo dunque nell’ eocene medio. i Dopo avere in tal modo paragonata la fauna madreporica del Friuli con quella d’altri luoghi, consideriamola ora in se stessa per vedere se questo studio ci conduca alle medesime conclusioni. Delle specie friulane, fatta astrazione dalla indeterminabile Isis, 104 appartengono alle Madrepore imperforate, 16 alle po- rose e 2 sole e una di queste incertissima alle tabulate. Di queste due ultime sezioni non un solo polipajo semplice, di quella prima invece moltissimi, 42 specie su 104; frequenza di polipaj semplici oltremodo caratteristica e che si ripete nelle faune corrispondenti di San Giovanni Ilarione, Palarea, Indo, Cor- bières ec. Se. Nat. Vol. I, fase. 8.9 16 220 A. D'ACHIARDI Le 104 Madrepore imperforate si spartiscono nel modo se- guente: Caryophyllinae . .. 1 Turbinolinae . ... 3 10 Turbinolidae . . Trochosmiliaceae . . 18 Lithophylliaceae . . 11 Calamophyllideae . . Euggrinae. (2.0.4 Symphylliaceae . . . Haviaceae ni 87 Astreidae . ... Cladocoraceae. . . . Heliastracidae . . . Stylophorinae . . . . PA SIraCnoen Latimaeandrinae . . Thanmastraeidae . . Hunginde ari 2 ul Lophoserinae LI 5 9 5) 7 2 Astrangiaceae. . .. 1 8 8 6 2 5) Fungidae . . . Stragrande è quindi il predominio della seconda famiglia sulle altre due, così come in queste e in quella la prevalenza dei ge- neri e delle specie a polipajo semplice; dopo dei quali succedono per abbondanza le Madrepore conglobate. Le altre due minori sezioni danno; le Madrepore porose Eupsamminae. . .. 2 10 Madreporidae. . Turbinarinae . ... 8 6 Poritidae ...... Portinde I 6 le tabulate 1--Milleporidae ....-<.;.iLi Ls Reraea e 1 1 Favositidae? . . . . . PociMloporinae 1 Considerando i generi troviamo che per la massima parte sono di quelli in cui regnano esclusivamente, prevalgono o non mancano le specie eoceniche. Così i generi Trochocyathus, Para- cyathus, Trochosmilia, Circophyllia,G ydnophora, PhyMocoenia, So- lenastraea, Stylophora, Stylocoenia, Astrocoenia, Stephanocoenia, Latimacandra, Oycloseris, Cyathoseris, Lobopsammia, Stereopsam- mia, Astreopora, Dendracis e altri, generi tutti o esclusivi dei CORALLI FOCENICI DEL FRIULI Di tempi eocenici o prevalentemente o più o meno ampiamente in essi rappresentati, ci hanno lasciato in questi depositi friulani larga copia delle loro spoglie, circa la metà delle specie da me studiate. Gli altri generi sono di quelli che prevalsero nella creta, come i generi Smilotrochus, Placosmilia, Parasmilia, Coelo- smilia, Leptophyllia, Rhabdophyllia, Parysmilia, Baryphyllia, Bra- chyphillia, Actinacis e altri; o prevalsero invece o furono per lo meno largamente rappresentati nell’oligogene e miocene come i generi Mabellum, Mycetophyllia, Cladocora, Heliastraca, Astraeaec. Alcune specie appartengono a generi, cui si ascrissero specie della creta stessa e dell’oolite, insieme ad altre del miocene vero e pro- prio, del pliocene e pur anco attualmente viventi; ond’ ecco che queste nostre specie intermedie colmano quelle singolari lacune. Lo studio della derivazione e successione delle specie trove- rebbe largo campo di applicazioni in questi ricchi e svariati giacimenti fossiliferi italiani; ma non è questo il luogo, nè il tempo di parlarne; a me basta ora dallo studio di questa fauna in se stessa cavare nuovo argomento a conferma di quanto giù io aveva dedotto dallo studio comparativo di essa. E la conferma è piena, assoluta, evidente; la prevalenza dei generi eocenici e dei cretacei da una parte e degli oligocenici dell’altra sono la più chiara prova, che il terreno, che accoglie questa ricca fauna madreporica friulana, appartiene all’eocene medio o in altri ter- mini a quella zona dei terreni terziari che succedendo al così detto eocene inferiore precede l’oligocene. Il terreno nummuli- tico di Palarea, dell'Indo, dei Pirenei; le brecciole vulcaniche pur nummulitiche di San Giovanni Ilarione e Roncà, le marne di .Valle Organa, la calcaria grossolana inferiore del bacin di Parigi formano con esso altrettanti brani di un unico piano geologico. — Ma tutto ciò non era stato già detto; non aveva forse Taramelli già stabilito questo sincronismo dallo studio degli altri fossili? Sì certamente, nè io mi atteggio a scoperta; lo studio che ho qui finito a null'altro approda che a una conferma, ma nel campo della geologia una conferma e in special modo se ottenuta per via diversa di quella seguita nei giudizi ante- riori, val forse quanto e più di una scoperta, e se vi ha minor gloria in quella che in questa, non minore soddisfazione ne scende all’animo, e di questa son pago. ERRATA CORRIGE Pag. 75 linea 1 Spinelli Spinellii » 1606176 » 12e24Zobida S. Sobida Di 174 » il Astraeaceae Heliastraeidae » 175 > 32 Fonjoncouse Foujoncouse » 188 Did XVI XIII » 205 » 24 dieci dodici » DD » 25 raramente meno 0 più e altri meno. A pag. 75 dopo lin. 25 aggiungi Trochosmiliaceae; a pag. 79 do- po lin. 20 Giacitura — Rosazzo; a pag. 115 dopo lin. 3 Litophyl- liaceae; a pag. 123 dopo lin. 29 Giacitura — Brazzano; a pag. 169 dopo lin. 5 Astrangiaceae. C. I. FORSYTH MAJOR, M. D. Considerazioni sulla Fauna dei Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana. (') Di qualcuna delle specie qui enumerate preparo delle Monografie dettagliate; mi posso quindi dispensare di parlarne ora più a lungo. Di parecchie altre mi credo in obbligo dare quì una breve descrizione se non per altro almeno per spiegare la denominazione che ho loro dato; sopratutto perchè queste mie determinazioni sono state poste agli originali dei Musei di Firenze e di Pisa. Prima però mi pare importante di trattare un’ altra que- stione, quella cioè se tutti questi animali del Val d'Arno supe- riore, tolte parecchie specie indubbiamente post-plioceniche, ed altre, siano da ascriversi al medesimo orizzonte, se hanno vis- suto contemporaneamente. Anticipando il resultato delle osservazioni dirò subito che maggior parte dei Mammiferi sopra enumerati sono in fatti contemporanei ed appartengono ad un orizzonte che per ragioni le quali spiegherò, chiamo pliocene superiore. Ma vi sono anche tracce della Fauna del pliocene inferiore che converrà chiamare Fauna di Casino. Nonchè di un epoca più recente, cioè di tran- sizione fra il pliocene ed il post-pliocenico, fra la Fauna del pliocene superiore cioè e gran parte della nostra Fauna quater- naria. (4) Vedi Vol. I, fasc. 1.° 994 C. I. MAJOR II. La Fauna dei Mammiferi del pliocene inferiore (Orizzonte di Casino). Qui bisogna prender in considerazione in. prima linea il Mastodon arvernensis. Abbiamo di già detto che pei giacimenti della Francia molti dei Paleontologi di quel paese negano la coesistenza del M. arvernensis coll’ Elephas meridionalis; e pei Crags dell'Inghilterra è stata emessa l'opinione di Ray Lankester. Essendo provato per altro che specialmente nel Val d’Arno su- periore il Mastodonte è stato trovato in località differenti da quelle in cui furono trovati gli altri componenti la fauna, sì ca- pirà che io avevo chiesto prove migliori prima di ammettere la contemporaneità del Mastodon coll’E. meridionalis e colla mag- gior parte della fauna del Val d'Arno superiore sopra citata. E ciò anche facendo astrazione dal fatto che non tutti i denti isolati di Mastodonte trovati in Toscana sono stati rigorosamente de- terminati, e che in certi dati casi deve essere difficile distinguere i denti isolati del M. arvernensis da quelli per esempio, del M. longirostris. Queste prove saranno fornite nel seguito del presente lavoro. Prendiamo prima in considerazione l’associazione di ue specie nella fauna di Montpellier. La Fauna delle sabbie marine e marne fluviatili di Montpel- lier si compone secondo Gervais(') dei seguenti Mammiferi; esclu- dendone come incerti quelli che secondo esso erano caratteristici del Miocene: Semnopithecus monspessulanus. Macacus priscus. Chalicomys sigmodus. Lagonuys logodus. Mastodon brevirostris. Rhinoceros megarhinus (sans doute le Eh. leptorhinus établi par G. Cuvier d’après le cràne décrit par Cortesi ,,). Tapirus minor, Antilope Cordieri. Cervus Cauvieri. Cervus australis. (4) Zoologie. et Paléontologie francaises. (Di MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 22 Sus provincialis. Ursus minutus. Hyaenarctos insignis. Felis Christoli. Lutra affinis. Pristiphoca occitana. Halitherium Serresii. Delphinus pliocaenus, Rorqualus' priscus. Hoplocetus curvidens. Alla pag. 349 l’autore aggiunge: , Le Mastodon Borsoni, auquel nous avons, sans doute à tort, dans la page 68 de cet ouvrage, associé le Mastodon tapiroides ou turicensis qui appartient è la population miocène, doit ètre ajouté è la liste des Mammifères pliocènes. On ne l’a point encore observé è Montpellier, mais il se trouve è Autrey (Haute Saòne), auprès de Gaunat (Allier), aux environs d’Issoire (Puy de Dome) et au Puy (Haute-Loire).,, — Perciò che riguarda il suo JMastodon brevirostris il Gervais dice espressamente (1. c. pag. 67) che l'identità di esso col M. arver- nensis non è impossibile. Secondo il Falconer ('), le ragioni per ammettere due specie distinte sono affatto insussistenti; e dello stesso parere era il Lartet (?). Intorno al medesimo argomento il Gervais dice recentemente (*): “ le M. arvernensis, dont il ne faut sans doute pas séparer l’animal analogue enfoui dans les sables marneux de Montpellier que j'ai nommé M. brevirostris , — Non so sopra quali caratteri si fonda di Lartet (‘) per ammet- tere l’ esistenza del Mastodon arvernensis nelle ligniti di Alcoy (Spagna); nelle quali si trovano i seguenti animali, secondo Gervais: Hipparion. Hyaenarctos. Antilope boodon (molto affine agli Antilopi di Montpellier). Antilope sp. (!) Pal. Memoirs and notes II, p. 32. (2) Bull. Soc. Géol. II, tome XVI. 1858-59, p. 493. (3) Coup d’oeil sur les Mammiferes fossiles de l’Italie. Journal de Zoologie 1872, pag. 218. (eeapez9o. DO 226 C. I. MAJOR Rhinoceros. Mastodon longirostris Kaup. Sus palaeochoerus Kaup. Bisogna ora ricercare nei depositi italiani gli equivalenti delle faune di Montpellier e di Alcoy. — Il Capellini trova l'equivalente delle sabbie marine di Montpel- lier nelle sabbie marnose del Bolognese, Imolese, Modenese, Piacen- tino, Senese ec{!). Qui abbiamo a considerare solo i fatti paleon- tologici, riguardo ai quali il prelodato geologo dice alla pag. 7 dell’opera citata: , In Francia troviamo l'esatto corrispondente nelle sabbie marine di Montpellier, nelle quali si incontrano molti avanzi di sirenoidi da riferire allo stesso genere di quelli scoperti in Italia, e inoltre parecchi Mammiferi terrestri, fra i quali il Rhinoceros megarhnus, specie trovata pure nel Bolognese, nel- l’Imolese, nel Modenese, nel ‘Piacentino e nel Senese. Questa ipotesi non mi pare inverosimile, ma pel momento non è ancora abbastanza bene dimostrata. Dai dintorni di Piacenza proviene il famoso cranio di Cortesi K%. leptorlunus Cuv. la quale specie oggidì generalmente viene considerata identica col £%. me- garkinus de Christol di Montpellier. — I Falconer deduceva l’esistenza del RR. leptorhinus nell’Imolese da una mascella esistente nel Museo municipale d’Imola (*). Lartet ascrive questo fossile al PR. etruscus (£). Gli avanzi di Rinoceronti trovati nelle altre località citate da Capellini non sono stati finora illustrati. In quanto ai sirenoidi il Capellini non ammette che identità ge- nerica fra quelli di Montpellier e quelii di località italiane; la quale certamente non può essere ammessa come prova della contemporaneità dei respettivi luoghi. — Nel pliocene marino di Orciano (Provincia di Pisa) le ricerche indefesse del mio amico Roberto Lawley hanno messo alla luce avanzi di una Foca che ritengo identici colla Pristiphoca occitana Gerv. di Montpellier. Per ritornare al Val d'Arno superiore donde siamo partiti abbiamo di già detto che lo Strozzi vi ammetteva l’esistenza di tre orizzonti, cercando di porre i risultati dela Fauna in ac- (4) G. Capellini sul Felsinoterio Sirenoide Halicoreforme dei depositi littorali pliocenici dell’antico bacino del Mediterraneo e del Mar nero. Memorie dell’acca- demia delle Scienze dell'Istituto di Bologna Serie III, T. I 1872, p. 6, 7. : (*?) Pal. Memoirs and Notes IC, p. 395, tav. 31, fig. 7. (3) Ann. Sc. nat. Zoologie VII. 1867, pag. 188. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 227 cordo con quelli ai quali era giunto il suo collaboratore Gaudi studiando la flora. Quest'ultimo attribuì al Miocene superiore la flora delle Lignite e delle argille arse, provenienti dall’ incendio delle prime. Lo Strozzi credette di poter ascrivere allo stesso orizzonte due molari di Mastodon dei dintorni di San Giovanni e quindi ammetteva che fossero le specie mioceniche Must. pyre- naicus (')e Mast. angustidens. Dagli originali che ho potuto vedere in fretta mi pare invece dovere riferire quei molari al M. ar- vernensis. Sono d'accordo collo Strozzi nell’ammettere che una delle specie di Machairodus sì avvicina a un tipo che altrove è stato trovato nel Miocene superiore e quindi dubito che questa specie possa spettare ad un orizzonte un poco più antico di quello a cui appartiene la grande maggioranza dei Mammiferi del Val d’Arno superiore; e ciò corrisponde ai resultati ai quali sono stati condotti gli autori delle “ Contributions à la flore fossile , nello studio della flora delle argille. Ho detto di sopra che nel Museo di Montevarchi sì conserva un molare di M. Borsoni; i conservatori di questo Museo asse- riscono che proviene del Val d’Arno superiore; mentre che il Cocchi gli suppone un’ origine estranea, evidentemente perchè questo fossile gli pareva accennare ad un orizzonte più antico che egli non credette di dover ammettere nel Val d'Arno su- periore. Si può osservare che è molto più naturale ammettere che un fossile tanto raro come lo è un molare del Mastodon Borsoni provenga dalle vicinanze immediate di Montevarchi piut- tosto che supporre che provenga per es. dalla Francia, regalato da non so chi al Museo di Montevarchi che non contiene che avanzi di Mammiferi del Val d’ Arno. Inoltre nell’ Astigiano il Mastodon Borsoni sì trova anche, secondo il Gastaldi, negli stessi depositi col M. arvernensis. Se si verificasse la presenza del M. Borsoni nel Val d'Arno superiore, questa specie sarebbe da ascri- versi forse ad un orizzonte un poco più antico della maggior parte degli. altri Mammiferi. Così anche se si verificasse ivi la presenza del Tapiro, rammentato da varj autori, ma ora non più rappresentato, lo ripeto, nelle collezioni pubbliche e private della Toscana che io ho visitate. — Il frammento di l'apiro del (!) La determinazione del Mastodon pyrenaicus per altro pare lo fondasse anche sopra un molare del Museo di Pisa di ignota provenienza, forse americana. 228 * €. I. MAJOR Museo dei Fisiocritici di Siena ha tutta l'apparenza di quelli che provengono dalle Argille plioceniche. Non è stato pur troppo tenuto conto dei pochi avanzi di Mammiferi trovati nelle ligniti del Val d'Arno superiore, i quali andarono perduti. Però questo stesso genere di ligniti si trova molto esteso lungo tutti e due i versanti dei monti del Chianti, dove viene scavata in parecchie località. Nell'agosto del 1872, mi furono comunicati dal Professor Meneghini, per essere deter- minati, parecchi denti isolati trovati nelle ligniti di Casino presso Siena, che si trovarono appartenere al genere Tupirus ed a una piccola specie di Cervus. Questi pochi avanzi non per- mettevano alcuno giudizio intorno all’età della località nella quale si trovano. Poche settimane dopo i membri del Congresso dei Naturalisti di Siena avevano l'occasione di ammirare una piccola collezione di avanzi di piante e di animali che la loca- lità del Casino aveva nel frattempo forniti ('). I Mammiferi erano rappresentati da denti dei generi Sus — differenti dal Sus chaeroides Pomel di Monte Bamboli, nonchè dal Sus Strozziz Menegh. in Coll. del Val d' Arno superiore — Hippopotamus, Ta- pirus, Hipparion, Cervus; nonchè da corna di due Ruminanti che furono giudicati di Bos e di Capra, mentre che io li ascrivo uno ad una molto grande ed uno ad una piccola specie di Awt/ope. Hipparion ed Antilope accennano ad una analogia con Ep- pelsheim e sopratutto con Pikermi, mentre che Hippopotamus — appartenente a quel che pare al sottogenere Hexaprotodon — venne, come rammentò il Prof. Capellini, trovato per la prima volta in questo orizzonte in Europa. I fossili ricordati sì tro- vano presentemente nel Museo dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena; uno studio più accurato di essi si era riservato il Prof. Capellini il quale però gentilmente mi vuol cedere lo studio anche di questi avanzi. Sono stati messi a mia disposizione altri fossili della stessa località che in questi ultimi anni furono raccolti dal Dott. Federico Castelli a Livorno; nonchè una piccola e bella collezione regalata al Museo di Pisa dai signori Stefano e Luigi Masson, proprietari della cava del Casino, e che studiai dietro invito del Prof. Meneghini. (4) Vedi Atti della Sesta Riunione straordinaria della Società Italiana di Scienze Naturali tenuta in Siena nei giorni 22, 23, 24 e 25 settembre 1872. Milano 1873. pagg. 16, 17, 41. ? MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 229 Ecco la lista dei fossili di Casino esistenti nella collezione privata del Dottor Castelli ed in quella del Museo di Pisa ('). Semnopithecus monspessulanus Gerv. Hipparion gracile Kaup. Antilope Cordieri de Christol. Antilope Massoni Major. Cervus elsanus Major, identico probabilmente al Cervus australis di Montpellier, e col C. dicrano= cerus Kaup di Eppelsheim. Myolagus elsanus Major. Insettivoro sp. Triomye sp. Mi contenterò per ora di accennare pochi caratteri sopra i quali ho fondato la determinazione di queste specie e l'orizzonte a cui le riferisco. Hipparion gracile Kaup. Un certo numero di denti isolati. I molari e premolari superiori fanno vedere un grado di pieghet- tatura dello smalto che cerco in vano nelle figure dei denti di Hipparion di Pikermi e Mont Léberon, e che non si trova nean- che negli originali di Pikermi depositati nei Musei di Milano e Firenze; mentre invece hanno molta più rassomiglianza coi denti di Eppelsheim. Per poter confermare o respingere in modo positivo la sup- posizione dell’Hensel di due specie di Hipparion, basati in gran parte sulla conformazione dei denti cioè dell’H. gracile di Ep- pelsheim, e H. mediterraneum di Cucuron, Pikermi, Concud — sarebbe necessario di scegliere pel confronto del grado delle pie- ghe, i denti delle diverse località che corrispondono fra di loro nella loro età, cioè nel grado di logorazione, ciò che però finora non è stato fatto. Il Gaudry concede che la pieghettatura sia spesso sviluppata nei molari dell’Hipparion di Eppelsheim; però egli nega a questo (4) La pubblicazione di questa parte della presente Memoria essendo stata ritardata per ragioni pella quale sono dispiacentissimo, nel frattempo la lista pre- sente dei Mammiferi di Casino fù già pubblicata dal Prof. Ritimeyer dietro le mie indicazioni, vedi: L. Ritimeyer. Ùber Pliocen und Eisperiode auf beiden Seiten des Alpen. Ein Beitrag zu der Geschichte der Thierwelt in Italien seit der Tertiaàrzeit. Basel-Genf-Lyon 1876, pag. 45. 250 C. I. MAJOR carattere ogni costanza ('); riguardo ai denti di Pikermi egli dice: ., Si on met toutes les. maàchoires des hipparions de Grèce à coté les unes des autres, on voit un passage insensible des dents è émail très plissé aux dents è émail peu plissé, et, sur une mème màchoire, il y a quelque fois de grandes inégalités dans le plissement de l'émail des molaires ,. L’Hensel, dopo aver descritto i resti di Hipparion che erano a sua disposizione, giunge alla conclusione, che difficilmente si possa indicare una differenza assoluta, esprimibile per parole o numeri, fra la dentizione dell’ Hipparion gracile di Eppelsheim e degli Hipparion dell'Europa meridionale. , Solamente in generale si potrà riferire a questi ultimi una struttura meno complicata dei loro molari e forse ci avviciniamo più al vero esprimendo questo rapporto nel modo seguente: Il massimo della pieghet- tatura dello smalto negli Hipparion dell'Europa meridionale non raggiunge il massimo nell’ Hipparion gracile, ed il loro mi- nimo rimane inferiore a quello di quest’ultima specie, di modo chè viene a stare nei limiti della pieghettatura che si riscontra nei molari di cavallo , (?). Nei denti provenienti di Cucuron e di Pikermi non ho tro- vato un tal grado di pieghettatura come è indicato in parec- chie figure dei molari di Eppelsheim, e come ho riscontrato nei molari di Casino. Quindi proporrei di mantenere la denominazione di Hipparion mediterraneum come fu delimitata da Hensel; chia- merò Hipparion gracile la specie di Eppelsheim e provvisoriamente anche quella del Casino; lasciando ai severi sistematici la cura di attribuire a questi nomi, secondo il loro parere, il valore di specie o di razze. Fino a quest'ora, che io sappia, non si sono trovati a Ca- simo ossa delle estremità dell’ Hipparion; quindi pel momento non è possibile di decidere se l'analogia fra gli avanzi delle due località sussista anche per altri parti dello scheletro; ciò che del resto @ priori non mi pare probabile riflettendo che, come diremmo più sotto in dettaglio, l'analogia fra le Faune di Ep- pelsheim e di Casino non è punto assoluta, quindi non è pro- babile che siano affatto contemporanee. Ciò non di meno il fatto (1) A. Gaulry. Animaux fossiles et Géologie de l’Attique, pe 2948 (®) Hensel: Uber Hipparion mediterraneum (Abhandlungen d. K. Akademie di Wissenschaften zu Berlin. Aus dem Iahre 1860 (Berlin 1861), p. 111. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 251 sopra esposto, cioè chè l’Hipparion di Casino, quantunque geogra- ficamente sia più vicino alla specie di Mont Léberon, Concud e Pikermi, che non a quello di Eppelsheim, si avvicina nonostante maggiormente, per la struttura degli avanzi conosciuti, a que- st'ultimo, questo fatto, dico, pare accennare che gli Hipparion della Germania e dell’Italia siano anche più vicini nel tempo. Antilope. Nella collezione del Dott. Castelli si trovano pa- recchi molari e premolari superiori di una specie molto grande di Antilope; nel Museo di Pisa invece si conservano parecchie corna di un Antilope che per la grandezza tengono il mezzo fra i due pezzi conservati a Siena. Era naturale di cercare le ana- logie in prima linea fra gli Antilopi di Pikermi e Mont Léberon che ci sono fatti conoscere sopratutto dalle belle Monografie del Gaudry (!). — I denti del Casino sono rimarchevoli per la loro rassomiglianza con molari del genere Bos, dai quali un esame superficiale non riesce a distinguerli. Fra i denti di Antilopi di Pikermi e di Mont Léberon possono essere qui presi in consi- derazione tutt’ al più quei del Palaeorye Pallasiv. Gaud. e del Tragocerus amaltheus Roth e Wagn: sp.; il Palaeoryx Pallasii anche per la ragione che, come diremo più in giu, esiste qualche rassomiglianza fra parecchie corna di Casino con quei di Pa- laeoryx. — In tutti e due i generi però le colonnette interne dei molari superiori mancano o completamente o. sono po- chissimo sviluppate, la forma dei prismi falciformi (|, Sichel = prismer dei tedeschi) è affatto diversa e le parti esterne sono molto meno profondamente solcate, cioè le pieghe laterali sono molto meno pronunciate; si confrontino per esempio la fig. 3, PI. XLVII; e fig. 3, PI. XLIX, degli “ Animaux fossiles de l'’Attique , colle figure quì annesse. Inoltre evidentemente i denti della stessa età sono meno alti negli Antilopi di Pikermi. Molto più rapporti esistono fra i denti d’Antilopi delle ligniti d’A/coy nella Spagna, A. boodon e quelle di Montpellier (?), A. Cordieri; nel descrivere queste due specie il Gervais fece osservare la grande rassomiglianza con denti di Capra e sopratutto di os, coi quali più d’una volta furono confusi. (4) Alb. Gaudry 1. c. PI. XLVII, fig. 2, 4. «PI. XLVII, 4, e XLIX, 2, Id. o fossiles du Mont Léberon (Vaucluse). Paris 1873. PI. IX, fig. 10, 11. PI. X. - (?) Bull. Soc. Géol. France X. 1852 à 1853, p. 156-158 PI. V. — Zool. Paléont. franc. 2 ed PI. VII, fig. 5 e 6. 232 C. I. MAJOR I denti di Casino che erano a mia disposizione sono quattro molari e due premolari superiori che un esame superficiale fa infatti attribuire ad una specie di Bos. Le differenze sono per la maggior parte tali che esse li avvicinano ai denti di Cervi. Le differenze coi denti di Bos si lasciano riassumere come segue. 1) Le corone dentarie di Bos sono molto più alte; nono- stante nei nostri denti di Antilopi abbiamo, come nel genere Bos, denti cilindriformi e non come nei Cervi, piramidali, diffe- renza che in questi generi già dal 1838 fu avvertita da M. ». Meyer ('). La veste di cemento sembra mancare affatto nei denti di A. Cordieri. 2) Le due vallecole mediane (Zahnmarken) sono di giù af- fatto separate nel dente anche intatto dei Los, e quindi l’in- terstizio di dentina che li separa, appena principiato il logo- ramento, si riunisce intimamente colla parete esterna del molare, vedi per esempio le figure di molari di Bos etruscus ancora pochissimo consumate, in Ritimeyer, Versuch ec. I. Abth. PI. II, fig. 354. Nei nostri denti invece le vallecole rimangono molto più a lungo connesse fra di loro verso la parte esterna. Questa è una analogia coi Cervi e ne risulta quindi che la caratteri- stica della dentizione degli Antilopi data dal Rùtimeyer appog- giandosi sopratutto a forme viventi, in parecchi punti non è da prendersi alla lettera (?). Un’ altra analogia coi Cervi consiste in ciò che in denti poco logorati la semiluna posteriore della metà anteriore del dente non si trova ancora congiunta colla semiluna anteriore della stessa metà, di modo che in questo stadio la vallecola anteriore è aperta dalla parte interna del dente, cioè comunica libera- mente col seno interno. 3) Il seno interno è più profondo nell’A. Cordieri, cioè si estende maggiormente verso la parete esterna. 4) La colonnetta interna appare intaccata dalla logorazione più presto, ma invece rimane più tempo independente dal corpo dentario, mentre che nel Bos una volta principiato il logora- mento, si riunisce ben presto col corpo dentario. 5) La colonna mediana della parete esterna è sempre de- cisamente più grossa nei denti di Antilope di che ci occupiamo che (‘) Neues Jahrhuch von Leonhard u. Bronn 1838, pag. 413. (°) L. Ritimeyer, Versuch einer natùrlichen Geschichte des Rindes I, p. 83. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 233 in quelli di Bos. Invece nei denti di Bos le costole mediane che scorrono lungo la metà anteriore e posteriore della parete esterna sono più »rronunciate, cioè risaltano maggiormente, di modo che in denti abbastanza logorati di Bos la lamina dello smalto della parete esterna appare disposta in pieghe più pronun- ciate sul piano masticatorio; sopratutto nei denti di Bos le due colonne esterne sul margine anteriore e posteriore, sono sepa- rate da seni più profondi, dalle corrispondenti coste mediane delle metà anteriore e posteriore. In duè dentizioni di 0Oryx leucorye e di Addax nasomaculatus che ho potuto confrontare, si trovano gli stessi caratteri, ed è col loro ajuto che fu possi- bile al Rùtimeyer di determinare come Antilope un dente iso- lato fossile. 6) Il modo di logorarsi come lo fanno vedere i denti fos- sili di Antilope, che cioè la metà esterna del dente è molto più alta di quella interna, non sembra trovarsi nelle razze dome- stiche del genere Bos e neanche nel Bos primigenus e nei Bi- sonti; lo trovo però nel Bos etruscus Falconer e che non sia nean- che raro fra ‘altri generi dei Bovini, lo fa vedere la Tavola II, nel Rùtimeyer |. c. Dal gruppo degli Antilopi viventi che solo qui viene in con- siderazione, cioè quelli la cui dentizione ha l’habitus di quella dei Bovini (') ho potuto confrontare tre rappresentanti: 0ryx leucorye in due esemplari, uno affatto giovane con dentizione di latte ed un individuo vecchio; Addarx nasomaculatus (1° origi- nale dell’Antilope gibbosa di Savi); uno scheletro d’ Antilope del Museo di Firenze che porta la denominazione “ Antilope senegalensis , (Damalis®); finalmente mi son potuto giovare della bella figura della dentizione di Mippotragus niger data dal Rutimeyer (?). I denti di queste specie viventi sono più alti e ben vestiti di cemento. A. ciò corrisponde che anche le colonne interne nei denti fossili sono meno alte, ma più robuste e sembra che ri- mangano per molto maggior tempo independenti, cioè separate dal corpo del dente, che non nell’Oryx, Addax, Hippotragus ec. Le collinette basali sul margine interno, anteriore e posteriore, dei denti fossili del Casino mancano tanto al genere £0s, quanto (') Rutimeyer 1. c. p. 87. (Cona fto fiordi: 234. C. 1. MAJOR ai nominati Antilopi viventi. Così anche la sagrinatura è molto pronunciata nei denti fossili mentre nelle specie viventi, che servirono di confronto, vien osservato solamente mediante at- | tento esame. Finalmente è differente anche il modo nel quale si fa la logorazione; facendo astrazione naturalmente di denti molto vecchi nei quali sempre il piano masticatorio letteral- mente merita questa denominazione; però io trovo nei gradi mediani del logoramento una differenza fra i generi viventi d’An- tilopi sopracitati e questi denti fossili. E già stato accennato al modo in cui si fa il logoramento in questi ultimi; nei primi i quattro prismi falciformi salgono su molto taglienti, di modo che la parte mediana del molare, che corrisponde al ponte di dentina che separa le vallecole dentarie, e la colonna interna, sì trovano assai in basso. I denti di Antilope Cordieri figurati dal Gervais (') a metà del vero e quindi non con tutta la precisione richiesta, fanno nonostante vedere tutte le particolarità descritte dei denti d’An- tilopi di Casino, dimodochè non esito ad assegnare 1 due resti alla medesima specie. Nel dente meno logorato fig. 6 a, le val- lecole dentarie sono in comunicazione fra di loro e si aprono anche liberamente dal lato interno; il dente più logorato rap- presentato alla fig. 5 a, fa vedere che la chiusura ha avuto luogo dal lato interno; le due vallecole dentarie però continuano a comunicare fra di loro; il seno interno sì avanza molto verso la parte esterna; la colonna interna è indipendente. — L’ Antilope boodon Gervais di Alcoy, in Spagna, è molto affine a questa specie, ma più grande ancora. Nei molari inferiori della specie d’Alcoy è molto pronunciata la sagrinatura, che quindi certamente si trovava anche nei molari superiori; i quali però non sono stati figurati che in modo incompleto. Il Gervais fa osservare in tutte e due le pubblicazioni che le creste della parete esterna sono pronunciatissime, ciò che è anche evidente nei denti di Casino (?). Ora bisogna prendere in considerazione se l’ analogia che abbiamo trovato fra i molari d’Antilope di Montpellier e di Casino si trova anche negli altri avanzi d’Antilope delle due località, sopratutto dunque nelle corna. (4) Gervais Zoologie et Paléontologie francaises, PI. VII, fig. 5 e 6. (?). Bull. Soc. Géol. France tome X, 1852, PI. V, p. 157. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 235 Un frammento di corno del Casino da me veduto nel Museo dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena e del quale ho già fatto cenno più sopra, mi pareva, per la grandezza e la forma, che concordasse abbastanza bene coll’ Antilope Cordieri tale quale fu figurata dal Gervais ('), e tale quale lo dimostra un modello di frammento di cranio colle due corna e la parte occipitale, mandato nel 1872 dal Museo di Parigi a quello di Firenze. Le corna però regalate al Museo di Pisa dai signori Masson sono abbastanza differenti e quindi gli ho distinti col nome An- tilope Massoni. Prima di tutto le dimensioni sono differentissime; le corna dell’esemplare del Museo di Pisa accennano ad un ani- male che doveva avere poco più della metà della grandezza dell’A. Cordieri. — Quattro anni fà osservai la conformazione del gran corno nel Museo dei Fisiocritici nel seguente modo: faccia di dietro piana, i lati fatti a spigolo; parte anteriore subarro- tondata. Sul mezzo della parte anteriore delle corna dell'A. Cor- dieri decorre, come lo fa vedere benissimo la figura 3 di Ger- vals (?) una cresta molto pronunciata; la parte esterna del lato anteriore si continua senza interruzione nel lato esterno in una superficie convessa, deliminata sul davanti dalla cresta or ora nominata, sul di dietro da un altra cresta pure molto pronun- ciata che separa il lato esterno dal lato posteriore. Tale parte posteriore è piana da un lato all’altro, è separata dal lato in- terno da uno spigolo meno acuto di quello esterno. Il lato in- terno è pianeggiante. Senza aver fatto un confronto diretto del frammento di Siena colle figure oppure il modello dell’Antilope .Cordieri, non mi posso pronunciare sulla questione definitiva- mente. La direzione generale nelle corna delle due specie A. Cordieri e A. Massoni è la medesima: tanto nell’una quanto nell’ altra esse principiano con una debole tendenza a deviare al lato esterno; verso la sommità tendono nuovamente dal lato interno; nel loro insieme poi sono leggermente arcuate dall’ avanti al- l’ indietro. Le corna dell’ A. Massoni sono in numero di due, riferite a due individui diversi: un corno della parte destra connesso ad un frammento del frontale e della base del corno sinistro; l’altro (4) Zool. et Pal. franc. Atlas PI. VII, fig. 3 e 4. (2) 1. c. PI. VIL Se. Nat. Vol. I, fase. 3.0 17 29 C. I. MAJOK della parte sinistra. Quello di destra porta sulla parte anteriore, più verso il lato interno, invece della cresta dell’ A. Cordier:, una fossa abbastanza profonda nella metà inferiore e poco pro- nunziata nella metà superiore. Sul corno sinistro questa fossa è appena accennata sotto forma di una leggiera depressione. Il lato interno è uguale per la forma nelle due specie eioè quasi piano. Soltanto le due specie differiscono in questo che mentre nell’ A. Cordieri i piani formati dai lati interni delle corna sono convergenti verso la parte occipitale, nell’A. Massoni sono con- vergenti verso la fronte. Questi lati interni nell’A. Massoni sl continuano ottusi nel lato anteriore e posteriore, passando per spigoli arrotondati; nell’A. Cordier: lo spigolo anteriore è molto vivo, mentre quello posteriore è arrotondato come quello nel- lA. Massoni. Il lato posteriore nell’A. Cordieri non è un piano così esteso come nell’A. Cordierî, ma invece abbastanza stretto sopratutto nella parte superiore. oltre 1’ interstizio fra le basi delle due corna è molto stretto nell’ A. Massoni. Gervais figura due molari inferiori di un’ Antilope di Alcoy che per la grandezza deve aver uguagliata lA. Massoni ('). Le Antilopt del Casino accennano dunque ad una analogia di questo deposito con Montpellier e le ligniti di Alcoy. Una delle specie della prima località è identica con una Antilope di Montpellier e le altre accennano al medesimo tipo, il quale sì trova rappresentato anche ad Alcoy. Montpellier e Alcoy hanno fornito anche l’ Hipparion: di Alcoy questa specie è stata pubblicata da Gervais (£); la sua presenza nella fauna di Montpellier viene provata dalla testimo- nianza concordante del De Christol (8) e Marcel de Serres ('). Tra- scrivo qui in esteso le parole di questi due autori tale quale li trovo nell'opera citata dello stesso Gervais, per dimostrare che i dubbi sulla presenza dell’ Hipparion non sono guari giustificati. De Christol dice: , Un os des sables marins supérieurs (sc. de Montpellier) m'avait singulitrement occupé dans le temps, et, dans mon incertitude sur sa détermination, je ne lui avais mis (') Bull. Soe. Géol. France X, 1853, PI. X, 4. (©)Lae. (8) Ann. des. se. et de l’industrie du Midi de la France T, II, p. 25; 1832, cf Gervais Zool. Pal. Fr. 2 éd. pag. 80. (‘) Cavernes de Lunel-Viel p. 249. cf. Gervais ib. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 23% aucun nom. Cependant je le compare au canon de mon Hippa- rion et j éprouve la satisfaction de voir qu’ il y a non pas res- semblance, mais identité absolue sous tous les rapports, soit par les dimensions, soit par les formes ,. Secondo il Marcel de Serres si trova nelle sabbie marine di Montpellier ,, ... Une autre espèce de solipède, beaucoup plus petite que les aànes, qui pourrait avoir appartenu ou è cette espèce, ou è l’ Equus minutus ou peut-ètre aux ZHippariums. Nous n’ en possédons encore qu’ une seule mo- laire. Cette dent offre cette particularité que présentent les pa- reilles molaires des Hippariums, d’ avoir la presqu' île très-net- tement séparée du corps de la dent; elle a été trouvée dans les sables marins lors des travaux du chemin de fer ,. La descri- zione del dente non lascia alcun dubbio che si tratti di un molare di Mipparion. Il Gervais assicura (') di non esser mai riuscito a vedere un avanzo d' Mipparion di Montpellier, e pare voglia mettere in dub- bio l'esattezza delle asserzioni ed indicazioni di De Christol et Marcel de Serres. — Quindi non cita questo genere nella lista, della fauna mammalogica delle sabbie marine e marne fluviatili di Montpellier da me sopra riportata. Il giudizio del Gervais sembra esser stato influenzato dall'opinione generalmente am- messa che l’Hipparion sia un genere tipico pel “ miocene supe- riore ,, mentre che egli pone Montpellier quale tipo della fauna pliocenica; dimenticando però che il deposito di Alcoy da lui stesso illustrato mostra più che ogni altro, analogia con Montpel- lier, per l’Hyaenarctos, 1 Antilope boodon — Hipparion. A Casino come a Montpellier troviamo coesistenza di Cervi con Antilopi e gli avanzi del Cervo del Casino hanno anche la maggiore analogia col Cervus australis Mare. de Serres di Montpel- lier, identico probabilmente col Cervus dicranocerus Kaup d’ Ep- pelsheim (?) dalle quali il Cervus Cauvieri de Christol sarebbe secondo quest’ ultimo autore differente perchè le corna sono proviste di tre punte, mentre che sono semplicemente bifurcate nel Cervus australis (@). In tutte e due le specie poi le corna sono molto appiatite e solcate longitudinalmente. (4) Lc. pag. 80. (?) Mi manca pur troppo in questo momento la pubblicazione del Kaup. (3) Gervais, Zool. et Pal. frane. PI. VII, fig. 1. 238 C. I. MAJOR I due frammenti di corna (del Museo di Pisa) presentano i caratteri di questo gruppo; però non si può dire con certezza, se abbiano due o tre punte perchè sono rotte precisamente nel punto ove la direzione dei solchi accenna ad un principio di bifurcazione. La loro grandezza come forma concorda colla figura di Ger- vais. Gervais figura una mandibola inferiore da lui trovata nelle sabbie della cittadella presso Montpellier, che attribuisce alla medesima specie di Cervus australis; dubitando però che possa essere di una specie o razza più piccola che quella dalla quale proviene il corno da lui figurato. La mandibola è rappre- sentata di profilo, onde non si vede la superficie masticatoria dei denti. Mancando la descrizione, e per quanto è possibile giudicare dalla figura e dalle proporzioni, vi è concordanza coi molari inferiori dell'esemplare pisano, il quale prima di avere studiato avanzi di corna avevo chiamato Cervus elsanus. Qualche altro molare e premolare che fanno vedere gli stessi caratteri mi furono spediti ultimamente dal signor Luigi Masson e fanno parte di un Museo di storia naturale da lui e dal Professor Se- stini fondato nella scuola professionale di Colle di Val d’ Elsa. Myolagus elsanus Major. In varii molari isolati di un rodi- tore del gruppo dei Lagomys potei verificare i caratteri che Hensel assegna al suo genere Myolagus. Sarebbe stato interes- sante di poter fare il confronto col Lagomys lorodus Gerv. di Montpellier ('), figurato da Gervais (?), la quale specie però, quantunque aggrandita quattro volte, non è rappresentata con abbastanza esattezza. Semnopithecus monspessulanus Gervais. Ho imposto provviso- riamente questo nome ad un certo numero di molari di una scimmia del Casino nella collezione privata del Dott. F. Castelli e nel Museo di Pisa, che indubbiamente presentano tutti i ca- ratteri dei denti di Semmnopithecus. Non bisogna dimenticare però che il Mesopithecus di Pikermi presenta affatto l’ identica den- tizione del genere Semnopithecus; e non essendo conosciute ossa delle estremità nè della scimmia di Montpellier, nè di quella di (!) Trouvé dans les marnes fluviatiles de Montpellier lors des fondations entre prises pour la construction du palais de justice. (QRL i pia cene RITI en REA motto reali MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 239 Casino, vi è tuttora la possibilità che in ambedue le località si tratti di un Mesopithecus. Da quel che precede risulta che un certo numero di rappre- sentanti la così chiamata Fauna di Montpellier fu trovato, sia nella lignite di Casino, sia ad Orciano (Pristiphoca occitana Gerv.) — Palaja (Mastodon arvernensis) — S. Miniato (M. arvernensis) — Montopoli (M. arv.) — Valle del Serchio (M. arv.) — Val di Magra (M. arv.) — Piacentino (IWinoceros leptorhinus Cuv.). Però neanche uno dei rappresentanti della fauna di Montpellier a Casino fu trovato nelle altre località e viceversa. Conside- rando questo fatto, e le opinioni già emesse dagli autori sul giacimento del Mastodon arvernensis bisognava dunque ammet- tere di due cose una: 1) Il giacimento del M. arvernensis in Italia è più antico di quello che si ammette generalmente, cioè quella specie non visse contemporaneamente colla fauna della quale il tipo sarebbe la maggior parte delle specie del Valdarno superiore. 2) Sotto il nome di fauna di Montpellier vennero confusi Mammiferi di due orizzonti diversi, dimodochè il Ma- stodon arvernensis (M. brevirostris) il Ehmnoceros leptorhinus Cuv. (It. megarhinus de Christol), la Pristiphoca occitana Gerv. e pro- babilmente anche parecchi altri mammiferi marini, nonchè il Macacus priscus e l Ursus minutus (il quale ultimo però secondo il Gervais forse non è altro che un ZYyaenarctos) di Montpellier spettino ad un orizzonte più recente; mentre invece 1’ ipparion l Antilope Cordieri—i Cervus australis e Cauvieri e l’ Hyaenarctos insignis spettino ad un orizzonte più antico ('), essendo l’equiva- lente del Casino e di Alcoy in Spagna, nelle quali località non fu trovata traccia delle prime, le quali hanno il loro equiva- lente fra noi nelle sabbie compatte del Piacentino, del Senese, di Orciano, del Valdarno inferiore (Palaja, S. Miniato, Monto- poli ec.); non chè nel Valdarno superiore, nella Valle del Serchio e nella Val di Magra. Nel Valdarno superiore finora non potei verificare il posto (4) I Tapirus minor, Sus provincialis, Felis Christolii, Lutra affinis sono troppo poco conosciuti finora perchè si possa deridere a quale dei due gruppi accennati siano da attribuire. 240 C. I. MAJOR donde provenivano avanzi di Mastodon e sopratutto i molari di Mastodon scavati dal marchese 0. Strozzi. Per ciò che riguarda il Valdarno inferiore ed i dintorni di Siena, il mio amico De Ste- fani mi asseriva che i depositi di Mastodon arvernensis erano su- periori alle ligniti del Casino. Il Prof. Capellini poi essendosi recato a Montopoli presso S. Romano nel Valdarno inferiore per rintracciare esattamente il giacimento di una Balena “ /Wiocetus Guicciardinii Cap., ivi scavata nel 1854 ('), intraprese un piccolo scavo nelle vicinanze di Montopoli e precisamente a Montevecchio a pochi metri di distanza dal posto dove nel 1852 fu trovato uno scheletro intiero di M. arvernensis, il quale si trova in uno stato molto incompleto nel museo di Firenze. Il prodotto di questo scavo fu un certo numero di avanzi di Mammiferi ter- restri, ossa e denti cioè di due Cervi che pajono identici a due specie del Valdarno, ed un’ astragalo di £quus, che gentilmente mi fu consegnato affinchè me ne potessi giovare pella Mono- grafia dei Cavalli fossili italiani. L’astragalo presenta tutti i caratteri dell’ Equus Stenonis Cocchi, però è di una razza al- quanto maggiore che non i numerosi avanzi di Equus che si rinvengono nel Valdarno superiore. Inoltre il Prof. Capellini si compiacque fornirmi le indicazioni seguenti sui giacimenti di Montopoli, di cui ebbi occasione di verificare l'esattezza in una recente visita: , Il luogo preciso dove fu scavato lo scheletro di Mastodon di Firenze dicesi Poggetto di Montevecchio, sì trova parecchi metri superiore al livello della fattoria Guicciardini e corrisponde al piano sul quale poggia la torre dell’orologio di Montopoli, detta la Rocca. Questo poggetto come il precedente ed altri dello stesso genere sono divisi fra loro per profonde erosioni e denudazioni. Un banco di ostriche soprastava al gia- cimento del Mastodonte, e la base è costituita da strati ghiaiosi, veri depositi littorali. Gli avanzi di cavallo e di due cervi stanno allo stesso livello e qualche metro più sotto del piano del Ma- stodonte, dove le ghiaie si intercalano con delle sabbie grosso- lane un poco marnose; il posto dista orizzontalmente cinque o sei metri dal posto (Uccelliera), ove fu trovato lo scheletro di Mastodonte ,. 16) Capellini G. Sulle Balene fossili toscane. Estratto dal tomo 3.°, Serie II.® degli Atti della Reale Accademia dei Lincei. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 241 Debbo poi al Professore C. D'Ancona la determinazione delle conchiglie raccolte nella sabbia nella quale erano involte le ossa del Mastodon: ‘ Solen sp. Ostrea lamellosa Brocc. (due esemplari di questa Ostrea sono aderenti alla zanna del Mastodon, parte la più com- pleta che rimane dello scheletro). Cardium edule Linn. var. crassum Defr. Cerithium tricinctum Broce. Finalmente mi sono rivolto al Dott. De Stefani pregandolo di darmi indicazioni sui giacimenti a Mastodon arvernensis a lui noti nelle nostre parti. Ecco quanto egli mi scrive in proposito con data del 12 marzo 1876. » ll M. arvernensis, in Toscana, fa parte di quella fauna delle argille turchine e delle sabbie gialle che è considerata come tipica per questi terreni. Di pochi luoghi della Val d’ Arno inferiore (così detta) ne’ quali sia stato trovato il M. arvernen- sis, ho notizia esatta; ma di questi ti dico subito qualche cosa. Una zanna che tu hai veduto al Ginnasio di S. Miniato fu tro- vata nelle argille, di formazione litoranea, dei Cappuccini presso quella città, al di sopra di uno strato di conchiglie, le più ca- ratteristiche delle quali erano: Venus plicata Gmelin, V. Amidei Meneghini, V. Islandicordes Lamk, V. umbonaria Lamk, Cardita pectinata Brocchi, C. intermedia, Brocchi, Arca Rollei Hòrnes, A. pectinata Brocchi, A. mytitoides Brocchi, A. Turonica Dujar- din, Pinna tetragona Brocchi, Pecten latissimus Brocchi, Bucci num clathratum Linneo, B. Basteroti Michelotti, 8. bdufo Doder- lein, Zerebra subcinerea D° Orb., T. Basteroti Nyst, Murex Sowerbyi Michelotti, M, absonus Jan, M. brevicanthos Sismonda, M. Hornesti D'Ancona, M. rudis Borson, M. truncatulus Foresti, M. Pecchiolianus D'Ancona, M. plicatus Brocchi, Fusciolaria fim- briata Brocchi, Pleurotoma rustica Brocchi, P. interrupta Brocchi, P. exoleta Costa, P. Brocchi Bonelli, Raphitoma plicatella Tan, R. submarginata Bonelli, E. vulpecula Brocchi, Conus pyrula Broc- chi. C. ponderosus Brocchi, C. Mercati Brocchi, ©. striatulus Brocchi, Cancellaria varicosa Brocchi, Cylichua convoluta Brocchi, Niso eburnea Risso, Turritella vermicularis Brocchi, T. cochleata Brocchi. 249 C. I. MAJOR , Tutte queste conchiglie giacchè le altre ancora viventi non le ho indicate, sono estinte oggidì, e furon proprie de’ tempi pliocenici posteriori all’ epoca degli strati del Casino, sebbene talune si trovino anche nei terreni miocenici antecedenti. Gli strati più recenti dei dintorni de’ Cappuccini, sovrastanti a quello nel quale era la zanna del Mastodonte, contengono buona parte delle specie sopra accennate oltre alla Clavagella bacillum Broc- chi, Cardium multicostatum Brocchi, Ostrea pusilla Brocchi Mitra striatula Brocchi, (M. affinis Cocconi), Terebra fuscata Brocchi, Triton Doderleini D'Ancona, Pleurotoma cataphracta Brocchi, P. intermedia Bronn. Cancellaria calcarata Brocchi, T. cassidea Brocchi, Trochus patulus Brocchi, Dentalium elephantinum Linneo. Non si può dubitare adunque che la serie dei terreni di quel luogo, sia pliocenica, e più propriamente del pliocene medio, se taluno volesse porre nel pliocene inferiore gli strati a Congerie e quelli un poco più recenti del Casino, e nel pliocene superiore gli strati di Vallebiaia. Quasi le stesse circostanze, e la stessa qualità di fossili che si trovano a S. Miniato, si ripetono presso Montopoli, là dove fu trovato il famoso .scheletro di Mastodonte che viene conservato a Firenze; non vi ha quindi luogo alcuno a dubitare che si tratti di terreni diversi. Altre notizie dei dintorai di Siena, ti darò quanto avrò trovato i miei relativi appunti. In- tanto ti parlerò del Masfodon della Val di Serchio del quale due denti furono presentati dal Dini al congresso degli scienziati mi pare nel 1836. Nella Val di Serchio sono due antichi dacini lacustri: uno dei quali a Barga, nè cui terreni lignitiferi, che formano la zona inferiore fù trovata la mascella del A/inoce- ros etruscus Falc., conservata nel Museo di Pisa. Nel bacino su- periore di Castelnuovo, ecco in qual modo stanno le cose. La conca la quale una volta serviva di recipiente al lago è formata tutto all’intorno dagli strati dell'’Eocene medio e superiore, che pendono da ogni parte esattamente verso il fondo del lago. In questa conca furono sedimentate le argille e le ghiaie plioceniche, fino a che riempirono il lago che prima esisteva, e con esse si accumularono i resti vegetali derivati dalle circostanti pendici, trasformati poi in lignite ed oggigiorno scavati. Una di tali cave fra le altre, è sulla destra del Sauro, presso il luogo detto le Fornaci, nella comunità di Castiglione. Quivi, sotto al banco della lignite, son degli strati di argilla, che riposano immedia- MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 243 tamente sopra il Macigno, nella parte superiore dei quali, sca- vando la terra da mattoni, fù trovata la mascella di Tupirus che tu conosci. in questa argilla, presso alla lignite, trovai delle frequenti spoglie di Cypr:s, delle impronte di pesce, una Pupa non bene conservata, e delle foglie analoghe a quelle della; lignite sovrastante, appartenente, secondo le determinazioni del Dottor Peruzzi al Quercus etymodris, al Glyptostrobus europaeus, alla Cassia lignitum, e ad altri generi di piante veramente plioce- niche. Sopra le ligniti, sono altri banchi di argilla, ricoperti alla lor volta da banchi di ghiaie improntate, provenienti dalle Alpi Apuane, e precisamente dalla Valle d’Arni che sta dirimpetto, per l'altezza di 50 o 60 metri. Nella parte inferiore di queste ghiaie, a S.* Lucia, furon trovati i denti del Mastodon arver- nensis che tu potrai esaminare, benchè ridotti a cattivo stato, nella collezione Dini a Castelnuovo di Garfagnana. Quasi nello stesso strato fù trovata una ZMelix, che probabilmente è 1. Turonensis Deshayes, specie pliocenica. Ora che ho finito, abbimi pel tuo Affezionatissimo DE STEFANI. Dalle precedenti cose consegue adunque che nel Casino ab- biamo una fauna la quale in ogni caso è più antica dei depo- siti toscani dove fù trovato il JM. arvernensis, mentre che ha molti e stretti rapporti con Pikermi, Mont Léberon, Eppelsheim, ma più stretti ancora con quella delle ligniti di Alcoy e con quella parte della fauna di Montpellier che ha un tipo più antico. Senza sapere se veramente il Einoceros, il Mastodon, il Ma- cacus priscus, la Pristiphoca occitana, ecc. di Montpellier erano contemporanei dei Semnopithecus, dell’Hyaenarctos, degli Antilopi, dei Cervi, dell’Hipparion ecc. della medesima località, non sì po- trà pronunziarsi con certezza sull’orizzonte di Casino, decidere cioè se sia più recente di Pikermi, di Mont Léberon, di Ep- pelsheim. Nel caso affermativo, allora i depositi di Montpellier e per conseguenza anche quelli analoghi di Alcoy e di Casino prendano un’ impronta più recente che Mont Léberon, Pikermi ed Eppelsheim. In caso negativo Montpellier, Alcoy e Casino si avvicinano molto di più all'orizzonte di Pikermi, Mont Léberon 244 C. I. MAJOR ed Eppelsheim, sopra tutto a quest’ultima località, almeno per quel che riguarda Casino per i suoi avanzi di Zipparion del Cervo e la presenza del Tapero. Il fatto che quella parte della fauna di Montpellier che ha ‘un tipo più antico, non si è trovata in nessun altro deposito insieme con quella che accenna ad un orizzonte più recente, la quale ultima invece fa parte fra di noi, di una fauna più recente, mi fa dubitare che abbiamo che fare con membri di due faune differenti, rimescolati insieme nelle marne fluviatili e le sabbie marine di Montpellier nello stesso modo che nel Norvich Crag esiste certamente una associazione non originaria di Mammiferi, e forse anche nel Forestbed d’ Inghilterra. In ogni caso sarebbe desiderabile un nuovo accurato studio geologico-paleontologico dei depositi di Montpellier, e speriamo che presto venga intrapreso da uno scienziato di colù. Il Gaudry (') ha discusso la questione se le differenze nelle faune di Eppelsheim da una parte, di Mont Léberon e Pikermi dall’ altra accennino ad una maggiore o minore antichità della prima sulla seconda; ritiene difficile il deciderlo, ma viene però alla conclusione che i motivi per la supposizione di una età un poco più remota di Eppelsheim siano in maggior numero, Le ragioni da egli messe innanzi sono le seguenti: L’ avanzo di una scimmia trovata a Eppelsheim deve aver più analogie colla scim- mia di Sansan; mentre che il Mesopithecus di Pikermi sì avvi- cina più alla scimmia pliocenica di Montpellier, nonchè ai qua- drumani viventi. Da quanto credo, gli avanzi di scimmia di Eppelsheim consistono in un osso solo, del quale a quel che pare non si sapeva e non si sa bene a che genere attribuirlo; almeno non è mai stato nè descritto completamente, nè figurato. Se poi ha rapporti colla ‘scimmia di Sansan, ciò vuol dire che ne ha anche cogli antropomoformi viventi. Non attribuiremo grande importanza alla assenza in Ep- pelsheim delle Jene, Giraffe ed Antilopi sui quali si fonda il Gaudry, essendo essa una prova negativa. È notevole infatti che nel deposito di Eppelsheim esplorato con tanta cura dal Kaup non si siano trovati Antilopi, che s'incontrano in numero così (!) Animaux fossiles du Mont Léberon (Vaucluse) Paris 1873, pag. 83 segg. MAMMIFERI FOSSILI DELLA TOSCANA 245 stragrande a Pikermi e Mont Léberon, e si trovano anche a Ca- sino ed Alcoy. Se è da annettere importanza a questo fatto, esso potrebbe essere portato anche contro la supposizione di una epoca più antica di Eppelsheim. A Sansan per esempio, che senza alcun dubbio è più antico delle tre località quì discusse, sono state trovate Antilopi secondo la testimonianza di Lartet, Ger- vais e Gaudry. La loro mancanza a Eppelsheim è del resto da spiegarsi anche con una differenza di habitat, da una diversità nelle condizioni della vegetazione (') la quale a Eppelsheim non parrebbe stata adatta per gli Antilopi; e di certo queste condi- zioni si sono mutate dalle epoche più remote fino alle più recenti. Un' altra ragione per ritenere Eppelsheim più antico di Pi- kermi e Mont Léberon, sarebbe secondo il Gaudry la presenza nella prima di queste località del Dorcatherium, che deve essere affine all’AmpWhitragulus del miocene inferiore. Si potrà far os- servare che tutti e due i generi non sono ancora abbastanza ben noti per poter giudicare dei loro rapporti relativi. La sup- posizione di Gaudry pare che si fondi alla presenza di un quarto premolare inferiore, che è comune a tutti e due. E così anche il Cervus anocerus di Eppelsheim non è stato ancora sufficientemente confrontato col cervo di Montabuzard D:- crocerus aurelianensis e coi Palaeomeryx di Sansan. Ammesso an- che che l’ Anoceros appartenga al tipo dei Cervi del miocene medio, la presenza a Pikermi del Leptodon, genere paleoteroide, è di molto maggior peso, ed anche altri fatti dallo stesso Gaudry addotti parlano in favore di una età più remota di Léberon e Pikermi. In conclusione non avrei per ora per parte mia il coraggio di pronunziarmi nè prò nè contro. Nuovi fossili del Casino, di cui mi fu già segnalata una nuova spedizione dal tanto bene- merito signor Luigi Masson ci porteranno ancor più di luce in tutte tali questioni. (4) Vedi sopra pag. 38, nota 2. Per ritardi indipendenti affatto dalla direzione la continuazione e fine della presente memoria del Socio C. MAJOR sarà pubblicata insieme alla tavola relativa in uno dei venturi fascicoli. SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALANOPTERA MUSCULUS NKORIRA Del Dott. S. RICHIARDI Prof. di Zoologia ed Anatomia comparata nella R. Università di Pisa. Presentata nell'adunanza del 31 Maggio 1874. (Lav. Willie stV): Nel giorno 10 giugno 1871 le onde del mare gettavano nel piccolo seno detto delle Corazze, tra l'Ardenza e l’Antignano, presso Livorno, un Cetaceo in istato di avanzata putrefazione, il Dott. Federico Castelli, che a quell'epoca non avevo ancora la fortuna di conoscere, non potè darmene avviso, però prov- vide, nel modo migliore che gli fu possibile, affinchè fosse uti- lizzato facendolo consegnare al sig. Prampolini, il quale, estratto dalla pelle l’ olio ed impiegate le altre parti molli alla fabbri- cazione di guano, ne salvò la maggiore e migliore parte dello scheletro; questo fu da lui più tardi donato allo spettabile Mu- nicipio di Livorno, e quegli amministratori giudicando sapien- temente fosse miglior partito, nell'interesse della scienza, che venisse conservato in un pubblico stabilimento scientifico, ne fe- cero generosamente dono al nostro Museo zoologico-zootomico, ad Essi pertanto, al Dott. F. Castelli, al sig. Prampolini, mi faccio un dovere di dirigere oggi pubblicamente i più vivi rin- graziamenti. SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALZNOPTERA MUSCULUS 247 Il Cetaceo era una Balenoptera musculus di sesso femminile, della lunghezza di poco più di nove metri, e dell’ età approssi- mativa dagli otto ai dieci mesi. Lo scheletro non è completo ma nondimeno assai interes- sante essendo uno dei più piccoli che furono raccolti e studiati, eccettuato difatto quello dell'individuo catturato a porto Vendre nel 1859, e che si conserva nel museo di Perpignano, tutti gli altri che si trovano nelle diverse collezioni appartengono ad individui molto più avanzati in età e di dimensioni assai mag- giori. Le ossa che mancano andarono perdute o perchè non an- cora completamente sviluppate, o molto piccole, oppure circon- date da gran quantità di parti molli non furono viste da co- loro che, privi di qualsiasi nozione intorno all’organizzazione dei Cetacei, attesero alla scarnificazione dell'animale, quindi il teschio manca delle ossa zigomatiche e delle lacrimali, così pure andarono perdute le ultime vertebre comprese nella natatoia caudale, una parte delle emapofisi, la massima parte di quelle del carpo, metacarpo e falangi, e lo sterno. La Balenoptera musculus è oggidì la specie di cetaceo più conosciuta, essendo la più comune ed estesa, perciò quella nella quale sono più frequenti e meglio note le variazioni individuali, delle quali interessa stabilire l’estensione e la costanza onde poter valutare il valore dei caratteri specifici, quindi, non ostante i molti lavori recenti del Flower, Gray, Sars, Malm, Murie, Gervais e v. Beneden, e del Dwight, credo cosa utile descri- vere le più importanti particolarità che presenta lo scheletro dell'individuo gettato alla costa presso Livorno. Osso occipitale — Dalle descrizioni di quest’osso date dai di- versi autori, e dal teschio di un individuo adulto che possiede il nostro museo, rilevo, nell’occipitale della Balenoptera muscu- lus, costanti le seguenti particolarità: la superficie esterna della porzione squamosa (suroccipitale) è sempre scabrosa; la linea semicircolare superiore bene distinta, meno ed appena segnata l’inferiore; la cresta occipitale esterna molto sporgente, col mar- gine leggermente convesso, incomincia a 0”,05 dal margine anteriore lambdoideo, nel suo decorso limita lateralmente due solchi relativamente stretti; i paraoccipitali rivolti indietro, una linea retta tirata dai loro margini esterni, a livello dei condili, 248 S. RICHIARDI non li tocca, ma, nel teschio d’individuo adulto sul quale rilevo questi particolari, stanno a 0", 06 al davanti della medesima; il margine lambdoideo anteriore è circolare, stretto, s’allarga quindi bruscamente in basso; il V. Beneden ritiene tale forma dell’occipitale, molto stretto in alto, ed assai largo in basso, per il grande sviluppo degli exoccipitali e paraoccipitali, come ca- ratteristica della Balemoptera musculus (!). Confrontando ora l’occipitale del teschio della giovane Ba- lenottera (Tav. III, 0, P.) con quello sopra descritto, si rile- vano molto evidenti le seguenti differenze: la superficie esterna della porzione lambdoidea perfettamente liscia; la linea semi- circolare superiore appena segnata da piccole rugosità, man- cante totalmente l’inferiore; la cresta occipitale esterna poco sporgente, col margine molto concavo, ha origine a 0", 15 del- l'orlo superiore del foro occipitale e termina al margine fron- tale anteriore, limita nel suo decorso a destra ed a sinistra due ‘ampie depressioni che vanno gradatamente diminuendo di pro- fondità verso il margine esterno o parietale; i paraoccipitali poco piegati indietro, una linea retta tirata a livello dei condili li tocca, il margine lambdoideo anteriore o frontale è pressochè retto, largo, crasso (Tav. III, 0). Nella sua forma generale, e nei suoi dettagli, l’occipitale di quest’ individuo non rassomiglia affatto a quello della B. musculus, ma, per il taglio quasi retto del margine lambdoideo frontale, all’occipitale del teschio della B. rostrata descritto e figurato dall’Eschricht (?), e della Mega- ptera boops dal Cuvier (*), per le proporzioni della porzione squamosa e della parte posteriore, formata dall’ insieme degli ex e paraoccipitali, alla B. laticeps. In coerenza all’assunto che mi sono imposto devo ancora fare notare che, ritenendo esatte le figure dei teschi di £. musculus date dal Cuvier, dal'Dwight (5), e dal V. Beneden, si riscon- trerebbero nella forma generale dell’occipitale e nelle sue pro- porzioni differenze ragguardevoli: così negli esemplari figurati (4) V. Beneden et Gervais— Ostéographie des Cétacés vivants et fossiles p. 189. (?) Eschricht, D. Fr. — zoologisch-Anatomisch-Physiologische Untersuchungen uber die Nordischen Wallthiere, Leipzig 1849, Taf. IX, fig. 1. (3) Cuvier G. — Recherches sur les ossemens fossiles, Paris 1823; Tom. V, Di E plISXXVISnio2I i (4) Dwight Thomas. — Description of the Ba/enoptera musculus in: Memoirs of the Boston society of Natural History; vol. II, part. IL, n. II. SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALZNOPTERA MUSCULUS 249 dai due primi il diametro trasversale dell’occipitale, preso in corrispondenza della metà dei condili, sarebbe molto più propor- zionato all’ antero-posteriore della porzione lambdoidea, mentre nel teschio fatto rappresentare dal V. Beneden è sproporziona- tamente largo il diametro trasversale, brevissimo il lambdoideo: le figure del Cuvier e del Dwight rappresentano esattamente l’occipitale del teschio adulto che trovasi nella nostra col- lezione zootomica, ne differisce assai quella data dal V. Be- neden. Temporale — La porzione squamosa di quest’ osso, confron- tata colla corrispondente del temporale del teschio adulto, non presenta importanti differenze, però l’apofisi zigomatica ha la base molto grossa, diretta dall’indietro all’innanzi, nella sua lunghezza non è piegata all’indentro, come la s'incontra ge- neralmente e si rileva da tutte le figure, ma è quasi perfetta- mente diritta. Parietali — La superficie esterna dei parietali è poco con- cava, quindi le fosse temporali sono pure proporzionatamente meno profonde, e quantunque l’animale fosse giovanissimo, pure sono saldati coi margini lateral-anteriori dell’ occipitale tanto intimamente, che non scorgesi più traccia delle suture squamose già esistenti; nell'altro teschio appartenente ad indi- viduo adulto, perciò completamente sviluppato, i parietali non hanno contratto alcuna adesione coll’occipitale, ma estendendosi sotto la porzione marginale di questo, tanto sui lati, quanto an- teriormente, vengono in parte coperti da esso, sporgendo per altro sul vertice della testa, sotto forma di sottili lamine, fra i frontali ed il margine lambdoideo anteriore dell’occipitale. Frontali — Anche queste ossa della nostra giovane Balenot- tera, confrontate con quelle rappresentate nella figura del V. Beneden e del teschio adulto che esiste nella collezione zooto- mica del nostro museo, presentano delle differenze, le quali seb- bene siano di minore importanza di quelle dell’ occipitale, pure meritano di essere segnalate. Normalmente la porzione dei frontali che concorre a for- mare il vèrtice della testa sporge qualche volta sotto forma di sottile lamina, ma più spesso non oltrepassa il margine ante- riore dell’occipitale; nel teschio giovane invece si prolunga assai di più e la sua superficie è relativamente ampia (Tav. III, F.), 250 S. RICHIARDI estendendosi poscia in avanti, sotto l’apofisi ascendente del ma- scellare, dell'estremo posteriore degli intermascellari, e delle ossa nasali, si prolunga in una quantità di sottili laminette verticali parallele, dirette dall’indietro all’innanzi inclinate in basso, e separate da profondi solchi, nei quali s'immettono altre consimili esistenti sulla faccia inferiore dell’apofisi ascendente del mascellare, due o tre dell’ estremità posteriore degl’inter- mascellari, e sulla regione mediana formano una depressione nella quale stanno incastrate le ossa nasali. La lamina orbi- tale, (Tav. III, D), di forma quasi esattamente rettangolare, ha, il suo margine anteriore appena inclinato indietro dalla base all'angolo anteriore del margine sopraorbitale, il posteriore per- fettamente dritto: con tale forma questa porzione dei frontali non rassomiglia affatto nè alla corrispondente dell'individuo fatto rappresentare dal V. Beneden, nè a quella del teschio adulto che ho preso per confronto, ma piuttosto a quella figurata dal Dwight ('), ed alla lamina orbitale della B. laticeps fatta dise- gnare dal Cuvier (?) e dal Brandt e Ratzeburg (£). Essendomi proposto di descrivere solo le particolarità più importanti che presenta lo scheletro di questa giovane Balenot- tera non farò parola dello sfenoide e dell’ etmoide sui quali trovo delle differenze di poca entità. Mascellari superiori — Queste ossa hanno una forma che ras- somiglia assai poco a quella che viene data come caratteristica nella B. museulus, il margine esterno infatti non corre dritto dalla, radice del processo zigomatico alla loro estremità anteriore, ma è lesgermente convesso nella sua lunghezza, (Tav. III, A.), quindi il rostro, invece di decrescere gradatamente ed essere affilato, è largo e breve, quasi troncato all’apice. Le ossa mascellari, di poco più corte degli intermascellari, terminano a breve distanza dall’apice di questi e rassomigliano per questo riguardo a quelle della 5. laticeps, meno le strozzature che in questa si trovano immediatamente al davanti della radice del processo zigomatico e di quella dell’apofisi ascendente. Una particolarità poi molto singolare che ho incontrato solo (4) L. c. pl. VI, fig. 1; e. (ILA) (5) Brandt J. F. und Ratzeburg J. T. C. = Medizinische zoologie; I Bd. Taf. XVI, fig. 2. SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALENOPTERA MUSscuLus = 25 nel nostro giovane individuo, e non ho mai visto nè trovato descritta in altri, si è la curva della punta dei mascellari stessi i quali, piegati in basso e l’uno verso l’altro, danno al rostro la forma dell’ apice della mascella superiore degli avoltoi. Intermascellari — La faccia superiore dei due terzi anteriori degli intermascellari è molto larga, e sul mezzo sono separati l'uno dall’altro da una fossa assai ampia, dovuta al gran svi- luppo della cartilagine etmoidale che scorre nel solco del vo- mere, all'apice loro queste ossa sono pure, come le mascellari, piegate in basso, indentro, ed appena di qualche centimetro più lunghe di queste, sul terzo posteriore molto ricurve infuori, in tutta la lunghezza per la faccia loro esterna s’adattano perfet- tamente sull’interna dei mascellari, ed invece di terminare al margine anteriore esterno delle ossa nasali, od appena framet- tersi fra esse e la radice dell’apofisi ascendente, giungono fino sui frontali, interponendosi in un solco tra i nasali ed i ma- scellari come nella £. rostrata, B. laticeps, B. Sibbaldii, e Me- gaptera boops; questi stessi rapporti fra gl’ intermascellari ed i frontali dovevano pure esistere nel teschio dal quale il Cuvier ha fatto ritrarre la sua figura del teschio di £b. musculus (B). Ossa nasali — Le ossa nasali larghe, brevi, colla faccia an- teriore incavata profondamente, ed inclinata dall'alto al basso e verso l'angolo esterno, rassomigliano in tutto a quelle fatte rappresentare dal Flower ('), esse sono le sole ossa che in quest’individuo conservano perfettamente la vera forma carat- teristica di quelle della B. musculus: avverto pure in proposito che se la figura data dal v. Beneden è precisa in tutti i suoi dettagli, le ossa nasali del teschio dal quale fu disegnata ras- somiglierebbero più che a quelle della B. musculus, a quelle della Megaptera longimana; almeno stando alle figure del Flower delle quali il v. Beneden riconosce l'esattezza quando ammette il grande vantaggio, che sotto il punto di vista sistematico, si può ritrarre dall’ esame delle medesime di forma sempre carat- teristica per ciascuna specie del genere Ba/enoptera (E). Mascella inferiore — Le due branche della mascella inferiore hanno i loro processi coronoidi lunghi, appuntati, piegati al- (i) Flower W. H.— On the Sheletons of Whales in the Museums of Holland and Belgium in: Proceedings of the zoologicat Society of London 1864, part. II, p. 390, fig. 4. Se. Not. Vol. I, fasc. 3,0 18 202 S. RICHIARDI l’infuori, carenati sulla faccia esterna; la loro estremità ante- riore esageratamente piegata in alto, e più lunghe del rostro lo. sormontano sporgendo molto al disopra del livello del piano superiore del medesimo. Credo non debbano ritenersi come normali, neppure in que- st'individuo, le curvature dell’estremità anteriore delle ossa mascellari ed intermascellari, e delle due branche della mascella inferiore, ma dipendenti da condizioni speciali accidentali, e for- s'anche morbose, sebbene il tessuto osseo non presenti alcuna lesione, nè altri caratteri per i quali si possa ritenere in stato patologico. ; Il vertice della testa della nostra giovane Balenottera, for- mato dal margine lambdoideo anteriore dell’ occipitale saldato colla parte interna dei parietali, dalla porzione mediana dei frontali, dalle apofisi ascendenti dei mascellari, dalle estremità posteriori degli intermascellari e delle ossa nasali, ha una forma del tutto speciale che colpisce immediatamente l'osservatore: difatti è estremamente largo, sproporzionato in confronto delle altre parti del teschio, il suo diametro trasversale (0", 27) eguaglia quasi quello della lamina orbitale del frontale (0", 35) e non solo non rassomiglia al vertice delle teste di 5. musculus figurate dal Cuvier, dal v. Beneden, dal Dwight ma a nessuna della, spe- cie del genere Balenoptera,.la regione corrispondente del teschio adulto che sempre ho preso per confronto è proporzionatamente assai più stretta e confrontata ancora colla lamina orbitale pre- senta i rapporti: diametro trasversale del vertice 0", 38, della lamina crbitale 0”, 52. Tale forma del vertice della testa non può dipendere dal- l’età, od incompleto sviluppo dell'individuo, perchè non è un carattere embriologico, e poi ho avuto la fortuna di esaminare nel museo di Siracusa un teschio di individuo pure assai giovane nel quale tale regione aveva dimensioni regolari ed era propor- zionatamente molto più stretta. La fossa prenasale è pure di un' ampiezza straordinaria, e tale suo sviluppo è dovuto in parte alla grande escavazione del quarto posteriore della faccia interna dei mascellari, sulla quale s'adattano colla loro curva gl’ intermascellari, ma sopratutto dipende dalla gran larghezza delle ossa nasali, e dall’interpo- sizione, tra esse e l’apofisi ascendente, dell’estremità posteriore SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALZANOPTERA MUSCULUS 205 degl’ intermascellari: il suo diametro massimo trasversale è 0", 25, mentre nel teschio adulto, che misura nella sua lunghezza to- tale tre metri e trenta centimetri, è larga appena 0”, 30; per tale ampiezza si vedono in fondo ad essa non solo i margini del vomere, ma ancora gli interni inferiori dei mascellari, e più indietro i superiori interni delle ossa palatine. Per queste par- ticolarità differisce ancora il teschio di questa giovane Balenot- tera da quello adulto col quale l'ho confrontato sempre, e da tutti quelli che furono figurati dagli autori che scrissero della B. musculus, e rassomiglia molto a quello della £. rostrata. Principali dimensioni del teschio d’individuo adulto e di quello delia giovane Baienottera. Lunghezza del teschio in ÎIincea retta. » > » » » » » Larghezza » » » » della porzione squamosa dell’ i. i della lamina orbitale del frontale presa sulla fac- | cia inferiore dal palatino. SALI del rostro presa dalla radice del processo zigo- matico del mascellare. . . . . . del mascellare presa dall’ estremità dell’ spot ascendente Nea : ; della mascella inferiore in linea retta » » seguendo la curva. dell’ intermascellare . massima della base del cranio . IE IENE dell’ occipitale in corrispondenza della metà dei condili . del vertice della testa. i della lamina orbitale alla base... . . . » » . alla estremità esterna del mascellare al davanti della radice del processo zigomatico . CRUI. VIVA del medesimo alla metà della sua licheza dal PLOCCSSORZICOMAGCO RAI massima del cranio in corrispondenza dell’ apice del processo zigomatico del temporale in li- nea retta . DRS massima della fossa prenasale Aitezza del processo coronoide . sali Diametro massimo antero-posteriore dei condili » » trasversale dei medesimi . . Individuo adulto gm. 21 0, 69. Individuo giovane 1,15 0, 41 (06) 0) (or SJ SI —_ LS i » 954 S. RICHIARDI Disgraziatamente la colonna vertebrale della nostra giovane Balenottera non è completa constando solo di cinquantatre ver- tebre cioè: delle sette cervicali, delle quattordici dorsali, delle quindici lombari, e diecisette delle caudali. L’atlante ha la forma caratteristica della specie: le sue due apofisi trasversali grosse, brevi, ottuse mancando l'apice che ancora cartilagineo andò perduto nella macerazione. L'asse presenta le due apofisi trasversali inferiori grosse il doppio delle superiori, ed entrambe così poco sviluppate che manca all’anello, che esse formano negli individui adulti, il se- emento esterno il quale era ancora cartilagineo; sulla regione me- diana della faccia inferiore il corpo è incrostato da iperostosi. Le apofisi trasverse della terza vertebra cervicale sono molto più sottili di quelle dell’ asse, però le inferiori più sviluppate delle superiori, le quali sono esilissime: anch’ essa ha sulla fac- cia inferiore del suo corpo una quantità di iperostosi. Il corpo della quarta è sviluppato inegualmente: dalla parte sinistra ha lo spessore normale, ma a destra è sottilissimo e rimane incastrato fra il corpo della terza e della quinta, in modo che comparisce appena fra esse sotto forma di esile disco inter- vertebrale; a sinistra l’'apofisi trasversale inferiore è più grossa della superiore, ma a destra sono entrambe molto sottili e pres- s'a poco egualmente sviluppate: quasi tutta la faccia inferiore del suo corpo è pure incrostata d’iperostosi che sotto forma di placche estendendosi sul corpo della quinta lo saldano ad essa. La sesta vertebra ha le apofisi inferiori brevi ma grosse, ed invece di convergere come nelle precedenti in alto, verso le su-. periori, sono piegate in basso e molto più sviluppate delle cor- rispondenti della quinta, quarta, e terza, ma meno delle inferiori dell’ asse. La settima manca di vere apofisi trasversali inferiori, esse sono rappresentate da due piccolissimi rilievi appena distinti, le superiori invece sono bene sviluppate. Nessuna delle vertebre cervicali ha le apofisi laterali supe- riori ed inferiori ossificate completamente, epperò in tutte l’anello è molto incompleto. Le vertebre dorsali sono quattordici e le loro apofisi spinose hanno tutte l’apice irregolare, smarginato, indizio certo della loro incompleta ossificazione. SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALZNOPTERA MUSCULUS = 255 . La regione lombare è formata da quindici vertebre che non presentano alcuna particolarità importante. Le vertebre caudali dovrebbero essere in numero di venti- quattro o venticinque, ma mancando le sette ed otto ultime, im- pegnate nella natatoia, che non furono raccolte da coloro che attesero alla scarnificazione dell’ animale, ne esistono solo dicia- sette; fra queste due devonsi considerare come costituenti la regione sacrale, giacchè le ossa pelviane, di poco più lunghe del diametro antero-posteriore del corpo di due vertebre, e di uno spazio intervertebrale, si estendono in direzione orizzontale dai margini anteriori della seconda emapofisi ai margini poste- riori della quarta. L'ottava vertebra caudale, e sopratutto la nona, sono total- mente deformate da iperostosi che a guisa di spesso anello cir- condano il loro corpo, e si ripiegano anche per breve tratto sulle loro faccie anteriori e posteriori; tale sviluppo anormale di abbondanti osteofiti non è un fatto straordinario, essendone più o meno affetti quasi tutti gli individui di questa specie al- meno in corrispondenza dell’apice delle apofisi spinose di qualche vertebra. Il v. Beneden dice che la 5. musculus ha costantemente quindici paia di coste, e che negli scheletri nei quali se ne tro- vano sole quattordici manca l’ultimo paio, (') che possono fa- cilmente andare perdute essendo solo sospese alle apofisi traverse delle vertebre corrispondenti per mezzo di legamenti, ma in una nota aggiunge che pare che in qualche individuo il numero normale sia di quattordici; anche il Flower nella diagnosi di questa specie (?) ammette come carattere il numero di quindici paia, ma in una nota egli pure avverte che nel museo della Società filosofica di Hull esiste uno scheletro nel quale dicesi se ne trovino sedici, e che se ne citano pure altri con un numero minore; lo scheletro esistente nella nostra collezione zootomica toglie ogni dubbio in proposito giacchè ne ha solo quattordici paia, e quelle costituenti l’ultimo sospese alle apofisi trasverse della loro vertebra mediante legamenti, e colla forma molto ca- ratteristica dell’ ultimo paio, cioè torte sopra se stesse verso la metà della loro lunghezza; di più è oggidì bene accertato che (4) V. Beneden Osteographie des Cétacés; pag. 193. (?) L. c. pag. 392. 256 S. RICHIARDI il numero degli individui nei quali se ne sono riscontrate solo quattordici e press’ a poco eguale a quello in cui se ne rinven- nero quindici paia; per tale variabilità quindi il numero delle coste non può più ritenersi come carattere distintivo della specie. Le coste del primo paio si articolano solo sopra le estremità della apofisi trasversali della prima vertebra dorsale per mezzo di parte delle loro tuberosità, il loro collo è affatto rudimen- tale: quelle del secondo e terzo paio hanno il collo abbastanza sviluppato ma ad esso manca il capitello articolare, quindi non arrivano fino ai corpi delle vertebre sulle quali dovrebbero apog- ciare, ma si articolano esse pure solo per le loro tuberosità. Le scapole hanno il loro diametro massimo trasversale, e l’acromion assai più sviluppato del processo coracoideo. Nel trattare questo argomento delle variazioni individuali della, B. musculus non posso tralasciare di dire brevi parole in- torno al teschio che trovasi nel museo di anatomia comparata della università di Bologna, proveniente da un’individuo che fu portato nella pescheria di quella città nell’anno 1771, e che dopo di aver fatto parte delle collezioni zoologiche fino al 1846, passò alla collezione di anatomia comparata nella quale conservasi tuttora sotto il nome che gli fu dato nella sua antica determi- nazione di Balena boops Linn. (Balenoptera musculus auct.). Il Professore v. Beneden visitando nel 1874 quelle collezioni ha fatto avvertire che il suddetto teschio non è di Bb. musculus ma di B. rostrata, io non divido con lui tale opinione perciò ho creduto opportuno pubblicare ma figura (Tav. IV) colla quale potranno essere meglio apprezzate le ragioni per le quali non convengo nelle sue apprezzazioni. Prima di tutto finora nessun individuo di B. rostrata fa mai catturato nè nel Mediterraneo nè nell'Adriatico, essendo tale specie affatto nordica e quand’ an- che si volesse supporre che dopo morte potesse essere stato, l’individuo del quale si conservò il suddetto teschio, trasportato dalle correnti nel Mediterraneo e quindi nell'Adriatico dove fu preso, tale supposizione avrebbe poco valore perchè nel cadavere sarebbe stata talmente avanzata la putrefazione da non poter SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALENOPTERA MUSCULUS dol essere più trasportato lungi dalla spiaggia del mare, e venire esposto al pubblico nella pescheria della città di Bologna. Per la sua forma generale poi il detto teschio non rassomi- glia affatto a quello della £. rostrata ma a quello della B. mu- sculus appartenente ad individuo adulto che conservasi nella nostra collezione zootomica. Analizzando le sue parti principali non sì può negare che alcune non abbiano qualche rassomi- glianza colle corrispondenti della B. rostrata ma le più importanti conservano totalmente quella della 5. musculus. Nella £. rostrata l’ occipitale è molto largo posteriormente, la sua porzione squamosa breve, col margine anteriore tron- cato, retto, largo; il vomere brevissimo, le ossa intermascellari all'estremità anteriore del rostro assai più lunghe delle mascel- lari, largo il vertice della testa, il diametro antero-posteriore del cranio brevissimo in confronto del trasversale: nel teschio . del museo di Bologna invece l’occipitale ha la porzione squamosa talmente sviluppata che il suo diametro antero-posteriore, preso dal margine superiore del foro, eguaglia il diametro trasversale della sua porzione posteriore, col margine anteriore stretto a contorno circolare, ed i margini parieto-temporali verso la metà della loro lunghezza, divisi da un’angolo molto pronunziato in due porzioni, le anteriori divergenti dell’avanti all’ indietro, le posteriori invece leggermente convergenti posteriormente; il vomere di poco più breve delle ossa mascellari, gl’intermascellari all'estremità del rostro appena sporgenti oltre l’estremità delle ossa mascellari: per queste particolarità non rassomiglia affatto al teschio di B. musculus del quale il v. Beneden dà la figura (') ma perfettamente al teschio adulto di questa specie che esiste nelle nostre collezioni. Le ossa nasali e le lamine orbitali del frontale presentano maggiore rassomiglianza con quelle della 5. rostrata, che non colle corrispondenti della musculus, ma tale rassomiglianza po- trebbe dipendere in parte da variazioni individuali, che sappiamo. essere tanto comuni in questa specie, in parte poi dipende certo dall'essere i margini delle dette ossa ancora incompletamente svi- luppati, trattandosi di un individuo giovanissimo. (gs Tav MILNE he: 258 S. RICHIARDI Il Professore v. Beneden ha raccolto in un suo opuscolo (') il catalogo degli scheletri completi ed incompleti dei Cetacei esisten- ti nelle diverse collezioni, e pregò coloro che hanno delle notizie da aggiungere, o rettificazioni da fare al medesimo, di volergliele comunicare, onde soddisfare a tale sua richiesta approfitto della presente occasione per correggere le molte inesattezze contenute nella nota che egli diede dei materiali esistenti nel nostro museo, ed aggiungere l’ enumerazione di quelli che io ho introdotto dopo il 1.° maggio 1871 epoca nella quale ho preso la direzione del medesimo. Nota pubblicata dal v. Beneden. Balona misticetus, mascella inferiore e vertebra. Pterobalena communis, cranio com- pleto. Physeter ‘macrocephalus, scheletro completo esistente nel- Rettificazioni Balanoptera musculus, le due bran- che della mascella infe- riore e diverse vertebre. » » Teschio in- completo (?). Physeter macrocephalus, mascella inferiore (5). l’atrio del giardino bo- tanico. Balcenoptera musculus, porzione del teschio, la maggior parte delle vertebre e delle coste (4). Ziphius cavirostris, scheletro presso- chè completo rimontato nel 1872 (5). Globicephalus melas, £ scheletro montato nel 1872 (5). Hyperoodon rostratum, scheletro. Globicephalus melas, scheletro. (1) P. — j. v. Beneden= Les squelettes de Cétacés et les muséges qui les renferment in: Bulletins de l’Academie R. de Belgique Tom. XXV, pp. 88-125. (*) Donato al museo nel 1939 dall’ avvocato Giuseppe Mazzei di Marciana (Elba). (3) Donata dal Sergente maggiore Fortunio Desideri di Populonia al Granduca Cosimo III de’ Medici e da lui accettata con lettera del 26 gennaio 1715. (4) Donate dal Sergente maggiore F. Desideri al Granduca Cosimo III de’ Me- dici e da lui accettate con lettere del 10 aprile e 29 settembre 1714. (5) Gettato dalle onde sulla spiaggia presso il forte dei marmi (Pietrasanta) nel 1823. (5) Gettato sulla spiaggia del Gombo nel mese di ottobre 1867 e donato al museo da S. M. Vittorio Emanuele II. SULLE VARIAZIONI INDIVIDUALI DELLA BALZNOPTERA MUSCULUS 259 Delphinus tursio, scheletro. Delphinus tursio, scheletro da rimon- tare. Delphinus delphis, scheletro. Delphinus delphis, teschio mancante di molti denti. Beluga albicans, scheletro dell'oceano Beluga albicans? artico. Monodon monoceros, scheletro. Monodon monoceros, dente ensiforme. Materiali introdotti nella collezione dopo il 1.° maggio 1871. Balanoptera musculus, scheletro quasi completo, 1872 ('). atlante ed asse, 1872. lat: 255a ev cervicalesede sei prime dorsali, 1873. una branca della mandibola infe- riore, 1873. osso ioide e diverse coste, 1573. radio ed ulna, 1874. dana tursio ", , scheletro completo, 1873. » » » ” 1873. È iui vertebrale e teschio, 1874. Delphinus phoccena, scheletro completo, 1873. Delphinus . ...® Teschio mancante della porzione squamo- : sa dell’occipitale, 1874. . Orca gladiator, scheletro completo di feto, 1875. Monodon monoceros, dente ensiforme, 1874 (?). » b2) » »” (4) Ricavato dall’individuo 9 gettato dalle onde del mare nel seno delle Co- razze presso Livorno il 10 giugno 1871 e donato al museo dal Municipio di quella città. (?) Donato al Museo dal sig. Emanuele Pardo-Roquez. di AMt.Soc.Tose.Sc. Nat Val cizlio PR PLL i I DI REIT 7 >, Lit. Gozani Pisa. Arr Noce@llose Ne Nat.Vol. I. Tav.IV dia T VAL Pa? , p: ; tte : ve lose DA 1697 Vol Vi 596 IA crli Veda VII 7, p Yo, Fb liha bAopliyltec GIULCAMOSCO, de P.AL ALESIT6 opolrigitite Ai Gorit (edi, 19? € È x 4 « e Sllaptoprylle 2? eocerted, 122.0 Loco oli ig lle foropiden stes, tre. ESSE Miotto * Ca n s ta z ri 0 ST 7 f % DAchiardi GC 2 Vendrogyra celate, 77% IJALEAOCE PEZZA ; SASSI (0 SI2OPlL 6; llece I É / LS Att 77% CPAATICC 5 f Coppopte gl (224 -) A. MA (pi ; let Soc lose Se Vat To. Je DI lelearai tav A "i Tifeo VARE ti. dit uo vi Laryphytia stadio, 70.2. Colpropryltia fe NACOSC, DI ds \ n le tayrll r Mi VIA sf birati ri ter feti ld r 1 Ibecosniilia nana, 0.2 LC 5 714% Jo lose Seat fol. Il, i 14 hard VISTO Rodi 1 NY 2'b LI ES Vane le destitt IZZA) let st Ia di (Cor LOIRA SA A È RA, : 1 favi: costata, m. 2 Gonmastraca alpina, m..dladocora uulat ralis Mi. DARI 0° DAI to 5 ‘ Cusio INIT 1.2 DSolenastraca Aocreni Puttcan. 9 Solenastraca gemma, Duncan: Sd Ur de MUSRPE po N a Att Soc lose. Se Noe VOLL. DAchuardi Lav. NIN Ant ll fcheardi ds.e ll. fpa vice Vl Bell AIA Stglophore puleherrima , YZ, Hut. Soc. Tose Sc Nat. Vol. L. DAchiardi. inv ALL r1 : 3, Ant. Dildhiardi dis e lt sorensetil. Ballagni / Flrastraca alpina MOZZI dA Stylophora mucrotheca , Ill . .) = 3I_3 Lidstrocoenta subreticulala, 110. Ì i LCCO.._i Va fi D'Acheiardi Coi cduded di uo paia ps wa) a © o AA EAGLE aim gara QI 7, 177, eli CANATACA DR Ai ni AC OCOCLAA SPO /2C772 cspehere P7 4 de tThamnastraca I f 5 : CHE, Iséroc POSOACI CS[ANTSCL, 170. let Soe.Tose. Se Nat. Vot.1 D'Achiardi Tao XVI dI Ki 7 (9) ) Ihamnnastraca foroyutienses, 22% lewssastraca qrascttlose, tr PI Mydrophorabaca rartabilis , 111, CAIELA ‘neh { Ate. Sove.Tos. Sc Nat. Vel L. lavrameltio 778 I, (2A tHecSerecod CC It ‘AA1?? l< f ?, 777? 3 ; $ CILILCISCOL"L + POLVIZEO?S / f P) fi CAS STASI ri Soe. ose: Sc Natur Vol L. : DAchiarde.: Tiw. XVHL. “a pria r ; : - © © À / Cipetoserts phiyppiala, rar poctli, 1 23 lironastraca descoutles, tt / ì À - e : $. fobopvamnica muttelaziettosea, n.d Istregpora discordalisin0 Iitroopora dubrose,m. «Soc Jose Fe A eb) Vol % 1) CIRO] /, Tav ALEX È, SISI } (DA br OPOPA corcrlale 17 SAorvddos (LihartedAnceliana Lod SL 7 FRI 7 y 7 13 Deiclifcere CCA Ifenteghieritcertà 120 (Lea DELLE MATERIE GONTENUTE NEL PRIMO VOLUME Fascicolo 1. INTRODUZIONE STATUTO DELLA Sonno io delle So Naturali . LETTERA CIRCOLARE. ; C. IL ForsyrH Masor M. D. — Coro un dano dei Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana . De STEFANI. — I Terreni subappennini dei dintorni di San Miniato al Tedesco LAawLEY.— Dei resti di pesci un del nin ga D’AcHÒÙiarpi.— Sulla Natrolite (Savite) e Analcima di Pomaja D’AcHiarpI. — Coralli eocenici del Friuli. HEascicolo 2. BARALDI. — Stato particolare di una ninfa D’Acaride, Hypodectes Carpophage i MeNnEGHINI. — Nuove specie di Pili e di Ly iogans del Liasse superiore d’Italia _ De STEFANI. — Di alcune conchiglie foi “galli 106 terra rossa della Da calcarea di Agnano nel Monte Pisano D’ACHIARDI. — Coralli eocenici del ‘Friuli ARcANGELI — Sulla teoria algolichenica . Lr DE STEFANI. — Natura geologica delle colline 5016 val di Nievole e delle valli di Lucca e di Bientina. RicHiarDI. — Sulle Sacculine Fascicolo 3. D'AcHiarDI. — Coralli eocenici del Friuli C. LI Forsyra Mayor M. D.— Considerazioni sulla Riina del Mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana. RicHiarpI. — Sulle variazioni individuali della Balaenoptera Musculus . Pag. » » » » » » » » » » » » » » » » IRC, per Ti i Di] È LIO CALO ILA \ONBAZSI HSONIAN INSTITUTION LI BRA DN LI [iù