Ss SI Aibrarp of the Wusem OF COMPARATIVE ZOOLOGY, AT HARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS. TFounded bp pribate subscription, in 1861. DIDN--<--- No. 7274 i VARO AO “i «BA. Hay ESERG/ L’ Annuario si vende presso Carlo Vincenzi Tipo- grafo-Librejo, sotto i Portici del Collegio in Modena. Per la Germania, la Francia e l' Inghilterra, dirigersi in Torino alla Libreria Lea Via Carlo — Alberto N.' 5. ANNUARIO DELLA SOCIETA DEI NATURALISTI IN NEO Dis NA ‘ Mopena, Macario 1866. TIPOGRA ETA (DI CARLO VINCENZI. STATUTO della Società dei Naturalisti in Modena —-—sEO-— ArricoLo . La Società dei Naturalisti in Modena ha lo scopo di promuovere lo studîo delle Scienze naturali nel senso più lato, e nei loro rapporti pra- tici ed iniziare pari Società nelle altre città dell Emi- lia per fondarle poi tutte in una più vasta Associazione che potrà aver per titolo: Società dei Naturalisti dell’ Emilia. Art. II I mezzi per raggiungere lo scopo sud- detto sono : A. Adunanze a periodi regolari. Esse sono pub- bliche. I soli Socii potranno fare per sè o per altri comunicazioni e prender parte alle discussioni. 2. Istituzione di una biblioteca di Scienze natu- ‘rali a seconda dei mezzi sociali. 5. Raccolta di oggetti naturali e industriali della provincia. 4. Studii pratici dei prodotti e fenomeni naturali della provincia per mezzo di commissioni. 5. Lezioni popolari di Scienze naturali. 6. Pubblicazione di un Annuario. Art. II. Tutti i lavori letti e tutte le comunica- zioni fatte nelle Adunanze saranno pubblicati per sunto o per intero, purchè | autore v' acconsenta e dietro il voto di una Commissione speciale nominata dal Presidente nella stessa Adunanza. Art. IV. La Società consta di Socii ordinarii. Tali sono quelli che nella prima adunanza dichiarano di vo- lerlo essere od aderiscono allo Statuto approvato nella prima adunanza entro il termine di un mese, ed anche quelli che saranno in seguito presentati da tre socil. Il numero dei Socii è illimitato. Per proposta di un Socio. ed approvazione a maggioranza di voti della Società si nomineranno dei Socii onorarii fra gli Scienziati che dimorano fuori dell’ Emilia. | Art. V. La Società è retta da un Presidente, da un Vicepresidente, da un Segretario e da un Vicese- gretario. Il Presidente convoca e presiede le Adunanze, dirige le discussioni e nomina le Commissioni. Egli rappresenta la Società. Il Vicepresidente sostituisce il Presidente quando questi sia impedito nelle sue funzioni. Il Segretario tiene i processi verbali delle Adu- nanze, mantiene le corrispondenze d’ accordo col Presidente e coordina i lavori per la stampa dell’ An- nuario. Il Vicesegretario sostituisce il Segretario quando questi fosse impedito ed ha la gestione economica della Società. La Presidenza stabilirà il Regolamento interno. Art. VI. Queste cariche sono formate dalla So- cietà a maggioranza di voti e durano un anno. Esse possono essere riconfermate. Art. VII. L’anno Sociale incomincia col 1° aprile. Arr. VIIL Il fondo Sociale è stabilito: 4A. Dalla tassa d’ ingresso in Lire dieci che paga ‘ogni socio ordinario. 2. Dalla tassa annua di Lire dodici pagate dai Socii ordinaril. 5. Dalla vendita dell’ Annuario. Arr. IX. Ogni Socio ha diritto ad una copia dell’ Annuario. Arr. X. Ogni Socio può ritirarsi dalla Società in fine dell’anno previa dichiarazione di tre mesi. Art. XI. Dato il caso dello scioglimento della Società dei Naturalisti di Modena, quanto essa pos- siede diverrà proprietà del Municipio. Si rissuarderà sciolta quando ridotta. a dieci Socii, questi dichiarino espressamente lo scioglimento. Arr. XII. Nella previsione della formazione della Società dei Naturalisti dell Emilia, i membri compo- nenti la Presidenza della Società di Modena stabili ranno d'accordo colle Commissioni delle altre città lo Statuto generale. Presidenza della Società Presente . . . Prof. Dott. Giovanni Canestrini Vice-Presmente Prof. Dott. Luigi Vella Srererario. . . Prof Dott Massimiliano Calegari Vice-Seererario Prof. Bott. Giovanni Generali OGGETTI DELLE TERREMARE MODENESI ILLUSTRATI DAL PROFESSOR GIOVANNI CANESTRINI Io illustrai in una piccola Memoria pubblicata nell’ Ar- chivio per la Zoologia, |’ Anatomia, e la Fisiologia Vol. IV, Fasc. Il. alcuni oggetti trovati nelle nostre terremare e feci menzione di altri senza illustrarli con apposite figure. I seguenti Cenni e le Tavole annesse servono di com- plemento alla suddetta memoria. Prima di far cenno degli oggetti d’ arte delle nostre mariere, credo opportuno di ritornare sulla questione relativa alla natura delle terremare. Il dott. Carlo Boni nel suo lavoro che porta il titolo.: « Notizia di alcuni oggetti trovati nelle terremare mo- denesi, Modena 1865 » parla delle due teorie, quella dei roghi e quella delle stazioni antiche, come di due ipotesi di ugual valore e dice in proposito quanto segue : « Ora qual cosa varrà a togliere la incertezza de’ giu- dizii, ed a stabilire una sola e comune opinione fra tutti i dotti, sieno propugnatori delle stazioni o fautori de’ roghi? A mio creder il più utile mezzo si è il continuare cogli studi le ricerche, sperando che sorga qualche nuovo fatto, che, o per se stesso o dilucidando le interpretazioni ipotetiche e controverse de’ fatti oggidì conosciuti, ci tolga dai chiarori crepuscolari ne’ quali con incertezza ci ag- giriamo. » (L. c. pag. 6). AE goa È vero che di molti fatti, offertici dalle terremare, non possiamo ancora dare una soddisfacente spiegazione; ma credo che rispetto alle due teorie, dei roghi e delle stazioni, dopo quanto fecero osservare in proposito (Ga- staldi, Strobel, Pigorini ed io, non sia più possibile di esimersi dall’ accettare |’ opinione, che le terremare deb- bano essere riguardate come avanzi di stazioni antiche. Per confermare quest’ opinione giunge opportuna la sco- perta fatta recentemente dal prof. Strobel a San Vicent di una terramara in via di formazione. La lettera qui sotto riportata fu diretta dal prof. Strobel al dott. Pigorini e mi fu da quest’ ultimo gentilmente comunicata perchè la pubblicassi. Mio carissimo amico Luigi Pigorini Quando, nello scorso gennaio, il signor Cavedoni di Modena pubblicò la memoria intitolata -« Cenni archeo- logici intorno alle terremare nostrane » allo scopo di provare come le Zerremare medesime siano avanzi del rogo pe funerali sì de’ Galli e sì de’ Romani, cercando distruggere la nostra opinione, che cotali acervi siano in vece avanzi di stazioni di più antichi popoli, 10 era troppo” occupato nei preparativi pel viaggio transatlantico, da po- tere trovar tempo di ribattere gli argomenti del Cavedonz; quindi a voi ne lasciai la cura, tanto più che a voi specialmente egli avea diretta la sua scrittura. Non intesi però allora di rinunziare affatto a rispondergli io pure, e nemmanco vi rinunziai dopo; quantunque voi (1), e quasi contemporaneamente, il prof. Canestrini di Mo- dena (2), aveste validamente confutate le argomentazioni del nostro oppositore, e chiestagli spiegazione, secondo la sua teoria, della esistenza di palafitte sotto alcuna delle (A) Picorini. Lettera a monsignor Celestino Cavedoni, inserita nella Civiltà Italiana. Anno 4, n. 10, p. 446. (2) CanestRINI. Riflessioni, sulle mostre terremare, inserite nel Pa- naro 1865, marzo n. dI. ME terremare (4), circostanza che il sig. canonico passò sotto silenzio, sebbene nella nostra Secanda Relazione (2) aves- simo richiamata su di ciò la speciale attenzione del let- tore (3). Ora credo giunto anche per me il di della ri- vincita essendomi dato di narrarvi un fatto del più grande rilievo in appoggio della accennata nostra opinione sulla origine delle terremare; fatto che io ebbi la fortunata ventura di osservare, durante le sole tre ore di fermata a San Vicente. È quest'isola una delle minori e più sterili del gruppo d’ isole del Capo Verde. Ivi piove assai di rado, e nem- manco ad ogni anno: perciò scarseggia di sorgenti, ed è povera di verzura. Per quanto si può vedere dal porto verso l'interno, che lentamente ascende a N. E. e nello spazio limitato che ebbi tempo di percorrere intorno al- l’ abitato, il terreno è quasi nudo. Appena quà e colà è coperto da qualche erba strisciante, e da taluna cespu- gliosa. Del resto non potei scorgervi che pochissimi alberi : alcuni, varii, entro ed intorno il recinto murato della sola (1) Il prof. Strobel, nel momento in cui dettava la presente let- tera, non poteva essere informato della risposta del ch. Cavedoni data all’ invito fattogli di toccare delle palafitte giacenti sotto le ferremare. Per fermo Jo Strobel non potrà tenersi dal fare le meraviglie, sapendo come il monsignore, nella Appendice aì cenni archeologici intorno alle terremare nostrane di fresco uscita, non siasi degnato scrivere nem- manco un rigo su quell’ argomento. Il silenzio non potrà certamente valere mai a distruggere il fatto delle palafitte medesime, o a togliere la loro importanza e il loro significato. Col tirar via senza prenderle ad esame, nel discorrere delle terremare, par proprio il monsignore con- fessi, come scrisse il ch. prof. Canestrini, creare le palafitte degli im- barazzi alla sua teoria. — Lurci PiGoRINI. (2) StRoBEL e Pigorini. Le terremare e le palafitte del Parmense Seconda relazione, inserita nel vol. VII degli Atti della Società Italiana di scienze naturali. (3) Il sig. Canonico non fece cenno alcuno dello spaccato della terramara di Castione, di cui bavvi la figura a pag. 15 della citata seconda relazione. Eppure nemmeno questo fatto può spiegarsi quando non si voglia supporre essere le terremare avanzi delle dimore di an- tiche popolazioni. e fonte che colà vidi, la quale sgorga poco al di sopra e a N. E. del porto; e tre palme piantate in riva al mare che vi campano meschinamente, nulla ostante le grandis- sime cure che se ne hanno. Anche la composizione geo- gnostica del terreno contribuisce all’ aridità di quell’ isola poichè consta di sabbia fina lungo la spiaggia; di pudinga e di breccia calcare dalla spiaggia salendo verso la casa degl’ impiegati regi portoghesi, nella accennata direzione N. E., indi di scisto calcare argilloso, ferruginoso, modi- ficato dalle doleriti o dalle trachiti, le quali sporgono già a pochi passi ed a N. 0. del porto formandovi un promontorio. Sul promontorio medesimo sorge il piccolo forte e di fianco ad esso, verso il porto, presentasi la casa degli impiegati del magazzino di carbon fossile inglese, stabilito da pochi anni in San Vicente per la eccellenza del porto. Alla fondazione di quel magazzino soltanto devesi lo stan- ziamento nell’ isola di una colonia di africani, dal colore bruno chiaro, e di pochi europei in massima parte por- toghesi. Tale colonia riceve quasi tutti 1 commestibili di cui abbisogna, dalle vicine isole, meno sterili (1) di Sar Vicente, dal contimente africano poco discosto ; e dall’ Eu- ropa. Sul dorso, e nella direzione di due collinette che, siccome speroni del promontorio, partendo dalla casa inglese si prolungano quasi parallele ad oriente verso l’ interno, ossia verso la casa portoghese, veggonsi disposte in una” sola serie su cadauna collina, alquante capanne di Negri, piccole, di legno, colorite di bianco nell’ esterno con una porta ed alcune finestre. Si fu appunto nella valle, o meglio nella depressione del suolo esistente fra le dette colline, ove osservai il fatto che mi faccio a narrarvi. Già il Ganestrini notò come gli abitanti delle nostre palafitte e ferremare fossero più barbari de’ selvaggi ame- ricani; quindi li furono certamente più degli antichi Mes- sicani e Peruani, e più dei Negri in discorso, i quali si trovano a contatto della civiltà europea. Eppure anche (1) Come quella di Sant’ Antonio. e, MES questi, al pari di quanto usavano fare i primi, gettano i rifiuti del pasto, e tutti gli oggetti dell’ economia domes- tica e delle industrie divenuti inservibili, non che gli stessi avanzi di queste ultime (4) entro la valletta di cui tenni parola pocanzi, fuori appena della porta delle loro capanne; per modo che, fra non molti lustri, quella de- pressione ne sarà riempita. Così si va formando a Sar Vicente per opera dell’uomo, un deposito il quale, mentre per proprie condizioni locali si distingue e dalle terremare nel significato stretto della parola, e dai K/oekkenmoeddings, tiene nel suo complesso, e delle une e degli altri, e risulta un deposito analogo (2). Rassomiglia al Kjoekkenmoeddings per la sua postura vicina al mare, per contenere molte conchiglie e le spoglie di altri animali marini (3), per formarsi all’ asciutto, anzi al secco, senza intervento di acqua corrente nè di tranquilla, e quasi anche senza l’aiuto di acqua meteorica. assomiglia poi grandemente alle terremare per contenere, come queste, molte ossa di animali domestici, cocci (4), oggetti di metallo. — (4) Assicelle, scattole di legno e di latta, ferramenti, scarpe, stracci, cocci e pipe ecc. (2) Quali vi dissi più volte che avrei rinvenuti anche fuori di Europa. (3) Reste di pesci; gusci di granchi e di ricci di mare (Echinvs); conchiglie appartenenti ai generi Patella, Purpura, Ranella, Trochus, Ostrea, Arca e Spondylus. (4) Cioè di capra piccola cornuta, a mantello vario: di bue, pure piccolo, col fusto osseo delle corna e col fronte uguali a quelli del bos brachyceros delle ferremare: (vidi anche un zedù che tirava un carro di campagna, a due ruote; probabilmente questo bue fu importato nel- l’isola da qualche inglese): — di porco piccolo, nerastro, con orec- chie pendenti: — di gallina: — lo sterco pure non manca nel deposito di San Vicente. Oltre poi i mammiferi domestici in discorso, vivono nell'isola varie razze di cane, ed una razza, direi nana, di asino. Sin- golarmente incontrammo, tanto in questo paese eccessivamente secco e sterile, quanto ne’ luoghi umidi come erano le paludi ed i laghi ove abitarono gli uomini delle palafitte, delle razze piccole di animali do- mestici. Lo stesso però non potrei dire della razza umana di San Vicente, originaria della costa africana al nord della Guinea, razza ro- it Nelle terremare si rinvengono degli oggetti intieri, an- cora servibili; e il Cavedoné non può spiegarsi questo fatto, ove que’ depositi non si riguardino, come facciamo noi, nulla più di una sorta di emmondezzai. Ebbene io lo invito ad una gita a San Vecente, oppure alle porte di questa città di Buenos Ares, città europea, e mi lusingo che in pochi istanti egli supererebbe le difficoltà e svani- rebbero i suoi dubbi. Nei depositi di San Vicente, cam- minando solo rapidamente sopra di essi, raccolsi chiodi, una pipa nuova en/0era di creta, e se avessi avuto tempo di scavare un poco entro que’ depositi, sebbene ancora superficiali (1), ritengo che non avrei per fermo trovato in proporzione, un numero di oggetti piccoli interi mi- nori di quelli che si scavano nelle ferremare e nei de- positi analoghi della Svizzera e della Danimarca, ove ciò non ostante se ne raccolgono sempre pochi (2) qualora si paragoni il numero loro colla grande estensione dei depositi entro de’ quali sono sepolti. Fuori delle mura di Buenos Atres poi il stg. Cavedoni vedrebbe una quan- tità di gente occupata in frugare entro le puzzolenti im- mondezze, che a carri si esportano dalla città in cerca appunto degli oggetti sfuggiti o per incuria 0 per ab- bondanza (3). — Spero che questi pochi cenni baste- ranno a stabilire nuove prove di fatto, in favore della ‘ nostra teoria circa l’ origine delle /erremare, e quindi li raccomando a voi perchè siano portati a cognizione dei paleoetnologhi italiani. busta, laboriosa, intelligente e cordiale, come i Negri Minas che vidi nel Brasile, sebbene appartengano allo screditato tipo etiopico. Le stoviglie fabbricate nel paese, sono fatte a mano e di color rossastro. (4) Il porto di San Vicente non può dirsi popolato che da un lustro circa. (2) Già il prof. Canestrini rinfacciò al sig. canonico l’inesattezza con cui si esprime riguardo a questi oggetti. È una esagerazione il dire di tanti aghî crinati e rotelle che irovanst di sovente nelle terremare. (3) H prof. Canestrini osserva, e con ragione, che la sbadataggine è in ragione inversa della coltura e dei mezzi di custodire gli oggetti. MR Prima però di por termine a questa mia lettera con- viene che giustifichi una omissione di cui il sig. Cavedoni ci muove querela, poichè cotale omissione sarebbe sin- golarmente imputabile a me naturalista, — e poichè di quell’ accusa voi non credeste di dovervi curare nella vostra risposta, non risguardando essa che un punto af- fatto accessorio della quistione. Il Cavedoni (pag. 5 nota) ci rimprovera di non avere avvertito, accennando alle ghiande che si mangiano nella penisola iberica come siano q proprio mangerecce e di sapore squisito. » Sebbene io non mi assumerei l’ impegno di determinare, quando un frutto sia proprio mangereccio (4), pure per dovere di esattezza, avrei accettato l’ insegnamento del nostro op- positore, ove nella nostra cede relazione non si fosse parlato che di quella sola specie di ghiande. Nel caso nostro però, trattandosi vagamente di ghiande in genere e facendosi menzione, oltre a quelle d’ Iberia, anche di ghiande di Turchia, Francia, Scozia e Norvegia, si avreb- bero, secondo il mio sommesso parere, varcati i confini segnati dall’ indole della nostra memoria e convertitala in un trattato di botanica, se come voleva equità ed im- parzialità, si fosse parlato di tutte Îe specie di ghiande dei citati paesi, colla prolissità reclamata dal sig. Gave- doni — altri giudichi! Vi abbraccia cordialmente il vostro Buenos Aires, maggio 1865. affezionatissimo PELLEGRINO STROBEL. (1) Si sa benissimo, ed io lo so pure per esperienza, che nel nostro paese vi sono delle ghiande amare e delle dolci, e che queste, anco senza essere %beriche, nè proprio mangereccie, sarebbero comme- stibili se lo si volesse; e tali potevano essere anche per gli uomini delle nostre terremare. I. Pentole Olla uniauriculata m. Ved. Tav. I, Fig. 1. Fig. 3; Ved. inoltre Pigorini e Strobel, Terramara — Alterthiimer Tav. I, Fig. 10; Tav. IV. Fig. 8. La pentola figurata nella nostra tavola fu trovata a (Gorzano; essa è alta Mill. 52, larga superiormente Mill. 144 ed alla base Mill. 52. La medesima è nera e poco lucente; l’ orecchietta è sì stretta che riesce impossibile lintrodurvi il dito mi- snolo. Tale oreechietta non poteva adunque servire per portare la pentola, bensì per appenderla col mezzo di una funicella. La pasta non dimostra di aver subita l’azione del fuoco. Il vaso veniva probabilmente portato sulla palma della mano e perciò non si può supporre che esso fosse destinato a contenere dei liquidi molto caldi. Alla stessa specie appartiene la pentola illustrata nella Tav. I, Fig. 3; anch'essa fu trovata nella terramara di Gorzano, è alta Mill. 41, larga superiormente Mill. 47, ed alla base Mill. 30. Essa è di color grigio e poco lucente; l’ orecchietta è assai stretta. Questa si diparte sotto al margine superiore della pentola e la faccia su- periore non è convessa, ma piana. Olla bipyramidata m. Ned. Tav. I, Fig. 2; Ved. in- oltre Pigorini e Strobel 1 c., Tav. I, Fig. 12. Questo piccolo vaso è largo nel mezzo e si restringe verso la estremità superiore ed inferiore; esso è nero e privo di Rig ogni lucentezza. È notevole che i vasi interi che si trovano nelle terremare sono quasi sempre assai piccoli; ciò av- venne senza dubbio perchè i vasi piccoli poterono più facilmente sfuggire agli occhi degli abitanti e rimanere illesi sino al presente. Olla cochleariformis m. Ned. Tav. Il, Fig. 4. Trovai nella terramara di Gorzano un esemplar» di questa specie che vedesi illustrato nella tavola citata. Esso è alto Mill. 27 e largo superiormente Mill. 37; il manico è un po’ ricurvo in basso verso l’ apice ed è lungo in linea retta Mill. 49. La pasta è di color grigio e mal cotta; tutta la pentolina è assai rozza. Non saprei dire con qualche fondamento a che scopo servisse questo piccolo vaso, pare che sia stato o un oggetto da giuoco pe’ fanciuili od abbia servito da cucchiajo. Il prof. Galegari (Ved. Panaro n. 202) suppone che simili vasi fossero destinati a conservare il veleno pelle freccie, ma questa idea esige conferma. Olla caudata m. Ved. Tav. I, Fig. 5. Questo vasetto trovato a Gorzano rassomiglia al precedente ma il manico è perforato. Siccome questo è rotto, non si può dire se era retto o curvo. Il vaso è alto Mill. 25 e largo supe- riormente Mill. 30. Anche intorno all'uso di questo vaso è difficile il dire qualche cosa di preciso. II. Ornamenti delle pentole Talvolta le pentole sono ornate di solchi retti, come vedesi dal coccio figurato nella Tav. II, Fig. 3; altre - volte si osservano dei cocci forniti di solchi stretti, curvi e paralleli tra loro; tale è il coccio della Tav. III, Fig. 2. Sono frequenti inoltre i cocci coperti di numerosi tuber- coli come appiccicati sulla faccia esterna dei medesimi; ved. Tav III, Fig. 3. III. Orecchiette La Fig. 2 della Tav. II rappresenta una Aurzcula pertusa m. Queste orecchiette sono estremamente comuni, di grandezza e di forma assai varia. Esse sono talvolta oe abbastanza larghe perchè vi si possa introdurre l'indice; altre volte esse sono molto strette ed in questo caso non servivano senonchè 1a dar passaggio ad una cordicella, colla quale si appendeva il vaso. A questo medesimo scopo servivano le orecchiette della specie Aurzcula canaliculata di cui vedesi un esemplare illustrato nella Tav. I, Fig. 4. IV. Manichi a corna Ansa longaurita m. Ned. Tav. I, Fig. 1. L’esemplare illustrato proviene da Redù; le corna del medesimo sono cilindriche alla base e compresse lateralmente nella parte superiore; la. parte allargata è triangolare. Ansa cornigera m. Ved. Tav. IN, Fig. 4. L’ esemplare . illustrato proviene da Redù; le corna sono cilindriche ed all’apice più strette che alla base. I manichi di que- sta forma sono quasi sempre disadorni. Ansa biconica m. Ved. Tav. I. Fig. 5 e Fig. 6. Gli esemplari figurati provengono da S. Ambrogio. Le corna sono disadorne, coniche, larghe alla base ed ottuse al- l’ apice. V. Beccuccio di vaso Rostrum tubulosum m. Ved. Tav. II. Fig. 4. 1 beccucci di questa specie sono i più frequenti; il tubo di cui essi sono formati varia assai di lunghezza e di larghezza. Vedi inoltre Strobel, Avanzi preromani Tav. IV, Fig. 17. VI. Spilli Acicula glomiformis m. Ved. Tav. III, Fig. 5. Questo spillo di bronzo fu trovato a S. Ambrogio; esso è alto soli 35 Mill. Mentre l’ estremità inferiore è assai acuta, la superiore è ravvolta quasi in gomitolo. Acicula involuta m. Ved. Tav. II, Fig. 6. Questo spillo, che come il precedente è di bronzo e proviene da 5. Ambrogio, è alto Mill. 43. L’ estremità superiore è ravvolta a spira e fa un giro e mezzo. SERE Acicula trina m. Ved. Strobel, Avanzi preromani Fasc. II, Tav. VII, Fig. 34. Un esemplare di questa specie, ornato di tre anelli all’ apice, uno mediano e due late- rali, fu trovato dal prof. Leonardo Salimbent nella sua terramara di Redù. Spiegazione delle Tavole Tavola I. . Olla uniauriculata. —Gorzano. 1/9 » bipyramidata. » Grand. naturale » uniauriculata. » » . Auricula canaliculata. S. Ambrogio. » . Ansa biconica » » » » t/a Tavola II. 1. Ansa longaurita. Redù. Grand. naturale 2. Auricula pertusa. Gorzano. » 8. Coccio con solchi retti. S. Ambrogio. » 4, Olla cochleariformis. —Gorzano. » 5. » caudata » » Tavola III. . Ansa cornigera. Redù. Grand. naturale Do Lew . Coccio con solchi curvi. » . Rostrum tubulosum. » . Acicula glomiformis. S. Ambrogio. » tubercoli. Gorzano IO guy » involuta. » INTORNO A UN CASO D’ INDURIMENTO DI UN FETO BOVINO NOTA DEL PROFESSOR GIOVANNI GENERALI , ( letta li AT luglio 1865) Il feto intorno al quale intendo parlarvi venne parto- rito da una vaccina, la quale avendo manifestati i sintomi della più fisiologica gravidanza fino al sesto mese circa, da quest'epoca innanzi presentò una graduata diminuzione nel volume dell’ addome; sicchè venne sospetto di falsa gravidanza. Al decimo mese circa dalla gravidanza però fu espulso un feto che è quello che a voi presento. Questo feto pesa circa 600 grammi, ha la lunghezza di centim. 46, ha una durezza come di osso, è di un colore bronzino scuro, ed il suo corpo era certaments sicoperto da peluria abbondante che venne tolta via dal proprietario che mi diè questo pezzo a forza di ruvidi sfregamenti e lavature di sapone e spirito. Le estremità tanto anteriori che posteriori sono for- nite di unghie in via di formazione. La lunghezza del feto, l’ aver già formato le ungh‘e, i fenomeni della gravidanza, la loro durata, l’ epoca ‘in cui diminuì il volume del basso ventre, fanno ritenere che il feto abbia I’ età dei 5 ai 6 mesi. La posizione del feto sarebbe la normale; se non che in grazia di svariati contorcimenti l’ arto anteriore sinistro è portato verso la colonna vertebrale, si aggira al di sopra del capo pas- sando frammezzo alle orecchie; e gli arti posteriori, quantunque per loro stessi in posizione naturale, pure vengono deviati in causa di un mezzo giro di torsione SR della colonna vertebrale, la quale è contorta tanto nel senso superiore-inferiore, quanto lateralmente. La cute ed i sottoposti tessuti cellulare e muscolare sono come fusi, e addensati l'uno sull’ altro con ripie- gature in varii sensi e direzioni. Gli arti sono proprio ridotti a pelle ed ossa, riscontrandovisi però tendini € muscoli, dove questi erano più polposi o in grandi masse. Dalla parte laterale destra della bocca esce un pez- zetto di lingua variamente ripiegato e indurito come lo intero feto. Deserivendo questo feto rilevai che quantunque fosse in posizione pressochè normale, tuttavia gli arti posteriori avevano subito un notevole spostamento in causa di uu mezzo giro di torsione della colonna vertebrale in tutti sensi deviata e contorta. La deviazione della colonna vertebrale si può dire un fatto quasi costante in consimili casi d’indurimenti fetali. Si osserva diffatti tale deviazione in varii feti bovini induriti che si conservano nel Museo Zooiatrico di Modena. Un eguale deviamento, quantunque assai meno sen- sibile, riscontrai in un feto bovino ottimestre, che mi venne mostrato dal Direttore del macello di Milano e che fu trovato in una vaccina sanissima ivi macellata. Così pure nell’ Anatomia patologica di Cruveilhier si legge che in un feto umano indurito 0 petrificato la co- lonna vertebrale trovasi sensibilmente ricurva sopra se stessa nella sua parte inferiore. È Non appena ebbi notata la frequenza per non dire costanza di tali contorcimenti vertebrali nei feti induriti mi nacque il sospetto che vi potesse essere una relazione fra l'uno e l’altro fatto. Ma più attentamente conside- rando la cosa fu forza rigettare l'ipotesi. Osservando diffatti due feti bovini bimestri induriti che sì trovano nel nostro Museo Zooiatrico, rilevai bensì che la colonna vertebrale era contorta, ma un poco ancora lo erano le ossa tenere e cartilaginose degli arti. Dippiù è da osser- varsi che il contorcimento della spina dorsale è tanto più manifesto e maggiore, quanto minore è l'età pel feto, che subi l’ indurimento. Finalmente e nel pezzo medesimo PS) che vi ho presentato, e in altri consimili da me veduti si può notare un tale contorcimento essere avvenuto dovunque sonovi mobili articolazioni, sicchè la deviazione della colonna vertebrale non costituisce per me un fatto che abbia importanza alcuna nè come causa della morte del feto, nè come causa della trasformazione del mede- simo, ma lo considero il risultato di una cagione comune agente sopra tutto il feto e capace di determinare 1 più svariati contorcimenti dovunque v abbiano mobili articolazioni. i Avanti di parlare della natura di queste trasforma- zioni credo non sia fuori di proposito dire qualche parola intorno alla storia di queste anomalie. Ben poco si è scritto su questo argomento e per quanto io abbia cercato e domandato altrui ho potuto solo trovare qualche scarsa notizia di simili trasformazioni nei libri di umana medicina, nè mi avvenne di trovarne cenno fra gli scrittori di Veterinaria, non essendovi nem- manco il nome di questi indurimenti nel Dizionario di Hurtrel di Harbovar, quantunque consimili casi sieno assai frequenti negli animali domestici e frequentissimi a con- fronto delle altre specie, nella bovina. Ecco le notizie raccolte: Albosio in una storia intitolata == Lihopedium por- tertosum, seu embrion putrefactum urbis senonensis ete. (1582) — narra di un feto trovato in una donna di Sens morta a 70 anni e ritenuta incinta da 28, nell’ utero della quale si rinvenne un feto colle mani e coi piedi duri quanto il marmo o l avorio « pedebus et. pedum digitis ita inter se compactis et lapide factis ut facto ex oculis, et tactu judicio totum istud opus esse dixisses ali cujus Phidae, qui vel ex chore, vel ex marmore mature atatis embrit absolutissimum iconem expressissent. Tommaso Bartolino racconta d’ un’ altra donna di 50 anni, la quale dolevasi di sentire una massa petrosa nell’ utero e provava una sensazione di considerevole peso tre dita trasverse sotto l’ombellico. Morta in conseguenza di una caduta si trova neil’ addome un feto del volume di una testa umana, in via di ossificazione avviluppato e (I in una membrana densissima e durissima e unito alle parti circostanti per mezzo di molteplici aderenze. Nella Repubblica delle lettere del Settembre 1685, si trova l'osservazione di una donna di Tolosa, che portò per 10 anni un feto nell’ utero, e Bussiere cita un fatto consimile. Dopo la morte delle due donne, i feti furono trovati intatti e talmente duri che si dichiararono pe- trificati. Nell’ Anatomia Patologica di Cruveithier è narrato un fatto di una donna che mortà di 77 anni aveva portato per 35 un feto nella estremità della tromba destra. Di questo feto il Cruveilhier dà la seguente descrizione: La sua attitudine è quella nella quale sta ordinariamente ol feto nella cavità uterina; il sesso fu impossibile de- lerminarlo: niun vestigio di cordone ombellicale; tutta la superficie, dî cui perfettamente si trovano distinte le di- verse parti è ricoperta da una crosta calcare, grossa, assat compatta, fragilissima e senza alcuna traccia d’' or- ganizzazione. Lo si sarebbe detto un feto disseccato, mum- mificato e quale sarebbesi avuto dopo averlo esposto al- l’azione di una temperatura così elevata da assorbirne tutta l umidità senza alterarne la consistenza e èl colore. Nella stessa opera viene narrato 'di una donna, che dopo 14 anni, dacchè sembrò imminente il parto, morta. per febbre putrida le si trovò un feto i cui muscoli, le membra, tutte le parti esterne erano ossificate. Il Cruveilhior succitato racconta di un feto trovato. in una donna di Troyes morta a 641 anni per malattia di petto. Alla necroscopia riscontrossi una massa ovozde del volume della testa di un uomo del peso di circa 8 libbre, attaccata ali’ epiploon, al peritoneo, al mesenterto, al fondo dell'utero; sezionata questa massa vi si rinvenne un feto maschio perfettamente conservato e non circondato da liquido di sorta alcuna. La pelle di esso st mostrava assat grossa, esistevano è capegli e due denti incisivi vedevansi & fior di gengiva su ciascuna mascella. L' invi- luppo del feto era in parte osseo, în parte cartilageneo. Hamilton narra d’ un feto trovato in una donna morta 32 anni dopo la gravidanza. Il feto vedevasi ricoperto da RESOR (y/ 0 un sottile strato di sostanza calcare, ed aveva il peso di 7 libbre. Alla R. Accademia delle Scienze nel 1748 Bourdon e Chomeran medici a Ioigny parlarono d’un feto petrificato. Infine negli Annali Universali di Medicina dell’ anno 1830, vol. 56, viene narrato dal dott. De Angelis d’ Avel- lino un caso di feto umano il quale a differenza dei casì citati dagli altri scrittori, venne partorito dalla madre sopravissuta lungo tempo dopo l’ uscita del feto. E questo ultimo fatto toglie tutti i dubbii del Cruveilhier, il quale non è ben deciso d’ ammettere l’ utero per sede di simili feti induriti. Studiando i fatti non molto numerosi riferibili a simili indurimenti fetali si scorge, di leggieri, che ad indicare questa trasformazione ora viene usato il nome di ossi- ficazione, ora quello di eburnizzazione, ora l’altro di pe- trificazione e mummificazione. E quantunque indifferen- temente vengano questi nomi adoperati a significare tanto un modo, quanto un altro d’ indurimento, tuttavia mi pare che si dovrebbe adattarne il nome un poco meglio alla qualità e natura della particolare trasformazione subita dal feto, Di tre maniere sono gl’ indurimenti cui nella vita intrauterina suole andar soggetto il feto. Talora fra i tessuti dell’ organismo si doposita una sostanza calcarea e i tessuti acquistano qualità osseiformi o il corpo del feto è incrostato di uno strato calcare, talora invece la sostanza depositata ‘è assai più dura e compatta della ossea e pare eburnea e marmorea come nel caso di Al- bosio, talora infine può accadere che i tessuti non abbiano subito aicun cambiamento chimico, non sia in essi depo- sitata alcuna sostanza estranea alla loro normale compo- sizione, ma siensi semplicemente disseccati e col prosciugarsi induriti. Alle prime due maniere d’indurimenti potrassi dare il nome di ossificazione od eburnizzazione, secondo che la durezza ha più dell’ osseo o dell’ eburneo ed alla terza serberemo il nome di mummificazione. In quanto alla denominazione di petrificazione, che vediamo da taluni usata per significare la maggior durezza US = di tali metamorfosi mi sembrerebbe assai giusta 1’ osser- vazione del Percy e del Laurent ( Dictionnaire des Sciences Medicales, art. Litopede) cioè che non possa veramente darsi il nome di petrificati a questi feti se_ non quando l’analisi chimica li abbia trovati o incrostati o trasfor- mati in sostanza lapidea; cosa per vero assai poco pro- babile, non essendo questo un modo che si verifichi nelle molteplici trasformazioni patologiche degli organismi ani- mali e che io ritengo impossibile confermandomi in questa opinione dopo avere ‘osservato nel Museo di ana- tomia patologica della Scuola Zooiatrica di Milano, un cervello bovino trasformato in una sostanza durissima che si direbbe lapidea ma invece è ossea, od eburnea. Premesse queste riflessioni e venendo al caso con- ereto fu ben facile constatare che nè ai primi ossificati nè ai secondi eburnizzati apparteneva questo feto, ma era invece da annoverarsi fra i mummificati o vogliamo dire semplicemente induriti per essiccazione. Sottoposte diffatti varie parti di esso feto alla osser- vazione microscopica e chimica si ebbero i seguenti risultati. In qualunque punto della superficie cutanea esplorata si riscontrano cellule epidermiche tanto più manifeste, quanto più erano imbevute d’acqua. Osservato un pez- zetto di tessuto linguale si trovò composto esteriormente di cellule epidermiche, e lo strato più profondo era co- stituito manifestamente di tessuto muscolare scorgendovisi perfino le fibre striate vieppiù palesi quanto più prolun- gata fu l’ imbibizione nell’ acqua stillata. Tessuto elastico e tessuto connettivo sì rinvenne nei residui esplorati dei visceri della cavità craniana etc. etc. Nè in alcuno dei tessuti osservati, nè più particolar- mente frammezzo al cutaneo aveavi deposizione di s0- stanza calcarea, dalla quale inferirne l’ indurimento, giac- chè trattate le raschiature della cute con acido idroclo- rico mentre erano sotto il microscopio, non avvenne di rilevare nè sviluppo di bollicine gazose, nè scioglimento di sostanza, nè ‘mutamento alcuno nella forma delle parti sottoposte all’ azione dell’ acido. RIA 10) Che se da questi esperimenti non fosse ancora ab- bastanza constatato che questo 4 un feto disseccato e mummificato, basterà a togliere ogni dubbiezza la più semplice e ad un tempo più concludente sperienza, l’ im- mersione cioè del pezzo in discorso nell’ acqua. Immersa diffatto e tenutavela per circa 24 ore l’ estremità poste- riore del feto, questa si rese così molle e pieghevole che si potè sollevare l' estremità caudale prima rinserrata fra le natiche, divennero cedevoli i tegumenti esterni, i ten- dini, i legamenti induriti; e tale fu la cedevolezza acqui- stata dalle articolazioni che la zampa posteriore destra prima aderente immobilmente al tronco, ora, come ognuno può osservare, la può discostarsi dal medesimo senza che la si rompa, o guasti. «Come avvenne e per quali cagioni questa mummifi- cazione? Il Cruveilhier parlando di questi feti disseccati dice « la quale essiccazione in niun altro modo intender po- trebbesi se non se ammettendo nelle pareti del sacco con- ‘tenente il feto tal forza de assorbimento che superando di gran lunga l'azione degli esalanti, determini non solo l’assorzione delle acque entro le quali è nuotante il feto, ma quello ancora del liquido da cui è corpo di esso è compenetrato. » Ma questa spiegazione che il Cruveilhier ammetteva come l’ unica che si potesse dare, viene da lui stesso messa in dubbio, anzi rigettata « non potendosi, egli dice, mettere d'accordo col fatto oramai constatato dalla espe- rienza, che in qualche caso la morte del feto può essere posteriore al termine naturale, della gravidanza, e che la maggior parte deo fette mummificati sembra possino riquar- darsi quali feto a termine etc. etc. Una seconda ipotesi è spiegata dal dott. De Angelis nel caso sopra menzionato. Egli dice così « pare che él feto fosse cresciuto nell’ utero fino all'età di 5 a 6 mest e quindi a poco a poco per l'ostruzione della placenta che era piccola, rotonda e tutta impietrita perdendo il nutrimento, sta morto rimanendo stazionario nell’ utero come corpo estraneo altri 4 a 5 mest. » e O) Quale delle due opinioni sia applicabile al caso con- creto non saprei veramente dirlo, mancandomi tutti i dati per un preciso e retto giudizio. Stimerei però assai più probabile che in generale sif- fatti disseccamenti dipendessero da ostruzioni placentali, da restringimenti del funicolo ombellicale, anzichè ripe- terli unicamente dalla causa supposta dal Cruveilhier: giacchè se è pur possibile di spiegare come avvenga l’ es- siecamento del feto scarseggiando prima, e mancando poscia 1’ umore nutritivo, nom si saprebbe trovar motivo delli: avvenuta mummificazione invece della putrefazione ove si ammettesse che il feto giunto al quinto o sesto mese di età fosse morto senza avere previamente subiti tali cambiamenti da rendere ragione del perchè sia av- venuto l’ esito straordinario della mummificazione invece del più ordinario e comune della putrefazione. NOTA SUGL’ IMENOTTERI PARASSITI DELLA CECIDOMYA FRUMENTARIA DEL PROF. CAMILLO RONDANI Dopo le mie considerazioni pubblicate a proposito della scoperta dei Professori Canestrini e Generali di due specie di parassiti entro le larve della cecidomya del fru- mento, ho ricevuti per la cortesia del Prof. Generali stesso, alcuni esemplari di quella specie indicata dagli scopritori come appartenente al genere Platygaster, più qualche individuo di un’ altra specie di recente osservata nelle larve della cecidomya vivente nel farro (triticum far- rum?) ed alcuni brani di quell’ Imenottero che dai Prof. modenesi viene ascritto al gen. Methoca. Dalle osservazioni istituite sopra questi insettini mi è risultato che quelli riferiti al gen. Platygaster appartengono veramente a questo gruppo, secondo 1 caratteri del Walker, ma il Westwood avendone staccate alcune specie per formarne il gen. Epemeces, quella da me esaminata, si deve a quest’ ultimo riportare. L'altro parassito scoperto recentemente nelle larve abitatrici del farro, è invece un genuino Platygaster del Latreille e dello Spinola, anche secondo i caratteri del Walker e del Westwood. Dalla specie che fu creduta Mezhoca non ho potuto rilevare che la mancanza di ali ed i caratteri delle an- tenne e dell’ addome, ma da questi però risulta sicura- mente che deve essere considerata come una Chalezdita ossia una Deiploleparia dello Spinola che può essere col- O — locata nel genere Lesthia di Haliday o Theocolax di Westwood. I caratteri principali di questi tre generi, studiati sulle specie che ci occupano saranno i seguenti: I. Epimeces Westw. Platygaster Latr. Spin. Walk. Ale venis et collo costali destitute, pilose et fimbriate. Antenne prope os inserte, articulis decem instructe, ad secundum articulum non vel parum geniculate, art. 1 sat longiore; a tertio ad ultimum ceteris distincte et gradatim maioribus. Abdomen depressum segmentis ultimis coarciatis, terebra non producta. Pedes simplices, non crassiusculi, tarsis articulis quinque preter tuberculum apicale (in nostra specie). II. Platygaster Latr. Spin. Walk. Westw. Alarum nota, et numerus articulorum 10 in antennis ut in Epemeces, sed antennarum articulus tertius, vel aliquo alio preter primum, distincte longioribus, a quarto ad nonum gradatim crassioribus, ultimo minore ei cum precedente majusculo clavam subovatam constituente. Abdomen paulo petiolatum, depressum: segmentis ultimis non altenuatis. Pedes validiusculi, femoribus paulo clavatis, tarsis quinque articulatis. i III Laesthia Halid. Teocolax? Westw. Ale nulle vel subnulle in utroque sexu. Antenne ad articulum secundum distinctissime ge- niculate: articulis instructe 10 in mare, 9 in foemina: articulo primo elongato, ultimo longo, crasso ovato: a tertio ad ultimum gradatim crassioribus. Caput quadratum subhorizontale. Abdomen subovatum, terebra paulo producta. Pedes simplices, non crassiusculi. Parmi che i tre piccoli parassiti di cui ci occupiamo non siano stati descritti nè nominati, e perciò li distingue con nome specifico, e ne do una breve diagnosi, come segue : N. 1. Epimeces Canestrinii mihi. Niger, levis. Antennarum articulus primus longior medietate flagelli: secundus paulo major sequentibus pro- ximis; ultimus paulo longior et vix crassior pracedente. Ale sublimpide, superis magis pilosis et postice fim- briatis. Abdomen ad apicem setis aliquibus instructum; tarsi articulo quinto, tuberculo et fere articulo parvo supra- numerum terminato. Larvas Cecidomye frumentarie occidit, in corpore earum degens et vivens. N. 2. Platygaster Generali mihi. Niger. Antennarum articulus primus sat longus, tertius quadruplo circiter longior secundo, et magis quarto : pen- ultimus crassior. i Ale pilose et fimbriate, superis partim fuscescentibus, fuscedine bifida, lata, diluta. Pedes antici fusco rufescentes, tibiis in uno sexu ad apicem bicalcaratis, calcare supere minore. In larvis dipteri, caules tritici farri rodentibus. N. 5. Lesthia litigiosa mihi (fem). Nigricans. Antenne articulo primo et ultimo sat lon- gioribus, ultimo crassiore et paulo breviore primo, se- cundo longiusculo: a tertio ad apicalem coeteris gradatim majoribus. Abdominis segmentum ultimum, superne paulo pro- ductum subacuminatum, terebra instructum exili, et mo- dice porrecta. In corpore vivit larvarum Cecidomye frumentarie, an parassita Platygastri vel Epimecidis? (NB) Il colore del torace, dell’ estremità e della base delle antenne sarebbe ferruginoso, secondo la descrizione SIRIA del Prof. Canestrini, il che non ho potuto rilevare dai frantumi degli individui da me esaminati. Le attuali osservazioni non combinando completamente con quelle da me prima istituite, e con quelle dei Prof. di Modena, nasce dubbio fondato, che alle specie qui accennate possano essere aggiunte alcune altre che furono con esse confuse, il che potrà essere verificato con in- dagini ulteriori, LI AVVERTENZE PRATICHE SULL’ ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA N O.T. A DEL PROF. CAV. LEONARDO SALIMBENI ( leita li 17 luglio 1865 ) i. Malattia dei bachi e sua diffusione. — Sono già pas- sati parecchi anni dacchè il preziosissimo insetto che ci for- nisce la seta rimase colpito dalla malattia che tutti purtroppo conosciamo pe’ disastrosi suoi effetti, nè finora alcuno seppe efficacemente combatterla. — In questo periodo alcune loca- lità privilegiate in Francia, in Turchia, in Italia rimasero esenti dal morbo, evidentemente per le loro condizioni cli- matologiche, per la loro esposizione, per la qualità della fo- glia di cui i bachi si nutrivano, anzichè per speciali avve- dimenti o cure dei coltivatori. Infatti ricordiamo le eccezio- nali e prosperose coltivazioni delle Orsoline di Montigny sur Vingeanne (Cote d’ Or), del Capitano Jacquiner a Troyes, del Mercier a Thonon in Savoia, del Marin a Ginevra, e fino allo scorso anno del Signor Buffagni presso Sassuolo. Nella primavera del 1864 si era creduto che a lungo andare le sementi nostrane avrebbero trionfato; si gridò con- tro l’ introduzione delle sementi estere, e balenò alle menti la lusinghiera speranza che la malattia dominante fosse sul declinare. I fatti vennero assai presto a dileguare questi sogni do- rati e il maligno influsso, prese amplissime proporzioni, non risparmiò quei luoghi fortunati che lo avevano spontanea- mente scongiurato. QI A Oil Negli allevatori fu quasi generale lo scoraggiamento. Al- cuni abbandonarono questa coltivazione divenuta per essi passiva, altri si ostinarono a conservare le sementi del paese. altri finalmente introdussero sementi di altre regioni, ere- dendo che le razze già coltivate fossero degeneri: aleuni però di questi ultimi avevano disgraziatamente posto fede nell’ e- stera provenienza di sementi confezionate in Italia. I bachicultori e gli scienziati entrarono in campo per rintracciare la natura e le cause della malattia e da espe- rienze isolate trassero conseguenze contradditorie, che ac- crebbero l’ incertezza e portarono nuove delusioni. 2. Opinioni diverse sulla malattia. — Gli uni sostennero che la foglia dei gelsi è infetta, che una spora di un alga. unicellulare alligna sul gelso e cagiona l’ attuale epizoozia. Quatrefages trovava una notevole differenza fra i gelsi na- turali o selvatici e gli innestati, e citava dei fatti che dimo- strerebbero essere fatale ai bachi la foglia del gelso innestato. Questo confronto non è per noi una nuova conquista della osservazione. — Sono trent’ anni che Matteo Bonafous die- de conto delle esperienze da lui istituite sulla foglia del gelso d’ innesto paragonata a quella del gelso selvatico e conclu- deva doversi preferire quest ultima, notando specialmente che (2 numero dei bachi ammalati o morti fu minore in “quelli nutriti con foglia selvatica. — Altri, il Bellotti, riduceva quest alterazione del gelso alle foglie già compiutamente svi- luppate ed adulte, non ai teneri germogli. — Guérin-Menne- ville l’ attribuiva a una causa meteorologica universale. La dolcezza degli inverni che modifica il sonno letargico delle piante e le predispone a contrarre la malattia. Altri invece pensava che l’ infezione si manifesta nel baco per corruzione del tessuto adiposo; e vi ha chi professa la opinione che gli organi generatori della seta stanno in con- dizioni opposte a quelle dell’ apparato di riproduzione, qua- sichè vi fosse qualche rapporto fra lo stato perfetto dell’ in- setto e la sua fase di bruco e avessimo da trovare una din Mio corrispondenza fra gli organi riproduttivi e gli apparati setigeri. - Ma queste ipotesi non reggevano all’ esame severo del- l’ esperienza. — Non reggeva la prima perchè una stessa qua- lità di semente, allevata col medesimo metodo in due distinte porzioni e in case diverse, con foglia dei medesimi gelsi, dava due risultati ben diversi. — Io ho ripetuto 1’ esperimento di Quatrefages con foglia selvatica e con foglia innestata, e i bachi andarono a male in entrambi i casi: sarebbe nondimeno necessario fare altre prove con sementi sane. — Nè può dirsi che i bachi allevati coi teneri germogli e colle foglioline morbidissime non vadano anch’ essi perduti. — Non abbiamo dimenticata la considerazione già fatta dai coltivatori esperti che, prima della comparsa dell’ odierna malattia, si guarda- vano dal somministrare alle loro partite le foglie delle estre- mità dei rami, perchè riconosciute dannose ai bachi. Che l'alterazione sia nella materia adiposa non può so- stenersi con maggior fondamento, perchè basta esaminare il corpo della larva e le varie sue parti, non che le sostanze contenute nei vasi, per avvedersi che codesta disorganizza- zione ( se così è permesso di appellarla ) si palesa ora in un punto, ora nell’ altro; ora nella cute, ora nel sangue, ora nel tubo digerente e talvolta in tutte Ie parti del eorpo, come può vedersi dagli importanti studi del Cornalia. La cagione del morbo potrà essere una sola ma il suo modo di manife- starsìi è proteiforme. Talvolta infatti vi è atrofia, tal’ altra vi è ipertrofia. Nel- l'un caso arresto di sviluppo, tisichezza, maeilenza, immo- bilità; nell’ altro esuberanza di materie adipose, turgidezza manifesta dei vasi e dei segmenti, fino a produrre un’ appa- rente restringimento ‘degli anelli di separazione fra un seg- mento e l’altro, trasudamento della cute, vomito, e infine uno sfacelo completo che si conosce sotto i nomi di géal- lune, 0 di megrone. Che sia il mal del segno, o la petecchia, come disse per SO) TA celia un’ autore, che sia la cacochimia o la cachessia, la pe- brina dei francesi, la moscardina o gattina, nomi che in ul- tima analisi designano non definiscono il morbo dominante. il fatto vero è che se ne ignora la causa e che non si trovò ancora un mezzo terapeutico efficace per combatterla. Speriamo che le perseveranti ricerche dei dotti possano alfine portare qualche luce su questo involuto argomento e dare qualche aiuto alla languente industria serica. Forse si potrà rinvenire un trattamento preventivo efficace: se volete, un rimedio. Forse fra tante sostanze impiegate ve ne è al- cuna che, somministrata al baco in determinate dosi e con opportune avvertenze, lo renderà meno soggetto all’ infezio- ne, o almeno ne accrescerà il vigore al punto che esso giun- gerà ad eliminare i principi deleterj che penetrano negli or- gani o si formano a spese dei tessuti. 5. Rimedi proposti. — Io non passerò in rassegna tutte le esperienze e i tentativi fatti negli ultimi otto anni, perché iroppo ci verrebbe ed abuserei della vostra sofferenza, nè questo è l’ oggetto della presente comunicazione; tuttavia darò un rapido cenno delle principali. Voi conoscete, o signori, le esperienze del prof. Giovanni Polli coi solfiti e gl’ iposolfiti: nelle memorie dell’ Istituto Lombardo si trova un importante saggio di questo metodo, che sembrava decisivo. | Il prof. Joly di Tolosa fece molti tentativi coll’ aceto e coll’ aleool diluiti, col cloruro di calce, col carbone in pol- vere, collo zolfo sublimato, collo zuechero, ecc. De Retz suggerì Il impiego dello zolfo e del carbone. E chi non ricorda il processo dell’ Onesti? Egli credeva che la fuliggine fosse la vera panacea, il vero specifico del morbo. Ne era tanto conviuto che concorse in Francia a un premio proposto dal Ministero di Agricoltura e Commercio. Il risul- tato delle prove fatte con questo metodo e il rapporto della Commissione che lo esperimentò è noto a tutti. Fu anche questo un amaro disinganno. LIERAC) 17 OSE L’infaticabile Quatrefages mise in opera la valeriana, la senape, la china e la genziana. “ Si fecero anche lavature con infusione di aconito e si tentarono inutilmente altri suffumigi. Si fregarono i cannicci e le stuoie coll’ aglio, colla sal- via, col mentastro, ecc. Ma non se ne ricavò alcun vantaggio. Si abbruciò la lignite nella bigattiera dal sig. Thiollière; ma queste vecchie esperienze furono ben presto abbandonate, come le altre. — Qui però c’era l’azione di un gas che convenientemente applicato potrebbe avere una decisa effi- cacia, il gas acido solforoso. Niuno ignora come fra noi il prof. Grimelli proponesse alcuni anni fa, l insolforazione delle farfalle e delle sementi, le frequenti fumigazioni di acido solforoso, preparando egli all'uopo le carte solforate, e facendo un miscuglio di zolfo, nitro e erusca, che acceso facilmente ardeva, spandendo in copia il gas solforoso. Recentemente si trovò utile porre alla radice dei gelsi una mescolanza di calce viva, con solfato di ferro; altrove si inzolforarono i gelsi anche esternamente, come suol pra- ticarsi per la vite. Ma tutti questi esperimenti non furono sufficientemente variati, nè si fecero allevamenti comparativi, diretti da ba- eologi esperti e che conoscano a fondo il processo di colti- vazione dei bachi, l’ andamento della malattia e il modo con eui si.manifesta. 4. Caratteri della malattia. Colorazione del sanque. — Il mio amico prof. Grimelli sosteneva in tesi generale un principio, sul quale alcuni allevatori non convenivano con lui. Gli pareva di aver riscontrato invariabilmente nel sangue, estratto pel cornetto dal vaso dorsale del baco, un carattere empirico dell’ infezione nell’ annerimento del liquido. Cosic- chè, secondo questa dottrina, il sangue di un baco sano con- serva il suo color naturale, bianco o giallo; se invece il baco sia malato, il sangue prende una tinta più o meno scura a ce Se norma del grado dell’ infezione. — Troviamo espressa una idea analoga in uno scritto del chiarissimo Cornalia, inserito nel T. II.° degli Atti della Società italiana di Scienze natu- rali, pag. 257. i « Se il sangue del baco o della farfalla è rieco di cor- « puscoli viene raccolto sopra una lamina di vetro, lo si vede «meno limpido del sangue sano e leggermente vischioso. « Lasciato essiccare, quasi sempre diviene nero e presenta «una serie di forme cristalline molto interessanti, di urati « di soda, di urati d’ ammoniaca, di leucina, ecc. » Corpuscoli oscillanti. — Contro quest opinione si solle- varono molte: obbiezioni e nel Comizio agrario di Modena si tennero discussioni animatissime, alle quali io stesso parte- cipai col nostro collega e presidente prof. Canestrini. Noi sostenevamo che questo carattere non è costante, non può dare alcun indizio certo dello stato dei bachi; che piuttosto si doveva prestar fede alle indicazioni del microscopio che mette in evidenza i corpuscoli ovoidi vibranti, che nuotano nel sangue e negli umori del sangue del baco infetto, delle farfalle, delle crisalidi, delle uova. Il Ciccone, che è certamente una delle autorità più ri- putate e più competenti in siffatta materia, non considera come anormale il fatto della colorazione più o meno bruna del sangue, nè trova una condizione patologica nella presen- za dei corpuscoli oscillanti, ma solamente nella loro quantità. Secondo lui i globetti ovoidi sono elementi organici del baco, i quali nel sano si ‘manifestano sempre nel. periodo della metamorfosi da bruco a crisalide e da crisalide a far- falla, mentre nel baco malato si riscontrano in tutte le fasi; che la loro origine principale sta nelle granulazioni delle vesciche e dei canaletti del corpo grasso. La divergenza fra il Canestrini e il Grimelli era troppo grave perchè il nostro Comizio non si studiasse di dissiparla e fu allora nominata una commissione che ha già eseguite e va continuando molte osservazioni sui bachi di molte par- Lie title e di ogni provenienza e stiamo attendendone con ansietà le ultime conclusioni. Alcuni degli esperimenti della nostra commissione in- durrebbero a ritentare le prove coll’ acido solforoso: ma non voglio prevenire il giudizio che essa pronunzierà. Che diremo dell’ acido urico ed ippurico che secondo il Chavannes di Ginevra, lasciano i loro cristalli aghiformi nei residui del sangue evaporato, mentre nei bachi selvatici non ne esiste traccia? — I bachi sarebbero gottosi in causa delle coltivazioni forzate, perciò si dovrebbe allevarli all’ aria libera. 5. fimedio estremo. — Finalmente, per completare 1 es- posizione, dirò di quell’ estremo e radicale spediente che uno serittore del Journal d’ agriculture pratique nell’anno scorso proponeva « Si restringano, egli ci diceva, gli allevamenti e cove cccorra si abbandonino; si abbattano i gelsi e sì sosti- « tuiscano altre. piante produttive. Così troncheremo il male e « aspetteremo qualche tempo prima di ricominciare le prove.» Il senatore Dumas in un recente suo discorso, accennando alla malattia dei bachi che infierì dal 1688 al 1710, ci nar- rava che in quell’ epoca appunto gli allevatori avevano ri- nunciato al raccolto della seta ed avevano finito per sradi- care i gelsi. Questo rimedio oggi sarebbe peggiore del male. Nè può dirsi interamente perduto 1° utile che dal gelso traevasi. — La foglia di questa pianta può infatti servire di sostanzioso e sanissimo nutrimento al bestiame bovino. Ma troppo mi dilungai in questa breve rivista retro- spettiva ed ora passerò a trattare di quelle avvertenze che formano il precipuo oggetto di questa nota. 6. Mezzi preservativi. — Se la cagione della malattia dei bachi da seta è tuttora ignota, se non fu scoperto alcun efficace mezzo curativo: non vi sarà norma alcuna da se- guire per minorarne le disastrose conseguenze? L’ esperienza non avrà giovato a dare qualche utile direzione agli alle- vatori? Ri N Sono convinto che sebbene gli sforzi incessanti degli allevatori e degli scienziati non siano stati valevoli a for- nire alcuna innovazione utile negli allevamenti, al difuori di quei precetti che furono sempre la regola dei migliori bacologi, abbiamo però alcune generiche indicazioni che ci persuadono a raccomandare alcuni speciali avvertimenti, i quali se non meritano il nome di preservativi, hanno tut- tavia il pregio di non esporre i coltivatori a perdite troppo gravi. I 7. Scelta del seme. — La scelta delle sementi è il primo requisito. Oggi pochi sono i bacai pratici che non siano per- suasi essere ereditaria la malattia regnante. Fino dal 1861, in una nota da me presentata al Comi- zio agrario di Modena, intorno a varie razze di bachi col- tivate in quell’ anno e sopra alcuni rilievi che ebbi occa- sione di fare, sostenni | importanza e la necessità della in- troduzione di sementi sane da quei paesi che rimasero im- muni dal morbo. I fatti osservati negli esperimenti poste- riori mi confermarono in questa idea. L° infezione si mani- festa tanto più presto e devasta con tanta maggiore vio- lenza le partite, quanto più debole per costituzione è la razza. — Ora per la natura della malattia, che nella sua intensità aumenta dal suo primo stadio fino alla crisalide, noi abbiamo nelle suecessive generazioni una corruzione crescente fino al punto che le uova fecondate, o non pro- ducono bacherozzoli, o se questi nascono, muoiono nei primi giorni della loro prima età. Anzi per questo pensai che potrebbesi avere un ottimo indizio dei progressi o della diminuzione della malattia, con- servando 50 grammi di seme di una partita, scelta fra le migliori, per sottoporla ad un secondo allevamento; indi confrontando il raccolto di questo (se pure si ottenga qual- che prodotto ) con 1’ altro dell’ anno precedente, arguire dal confronto l’ andamento del morbo. Evidentemente allora io era vittima di un’ illusione; io i sperava di trovare alla perfine una diminuzione del flagello sterminatore dei poveri bachi. Questa illusione era mece divisa dal collega professor Grimelli e ci dettò una espres- sione di dolee compiacenza in una relazione che presen- tammo al Comizio agrario nel 1865 sopra un allevamento che, in condizioni invidiabili, si ripeteva da più anni nella casa del signor Carlo Buffagni sopra Sassuolo e si basava sopra certi altri indizi che avevamo giudicati di ottimo au- gurio. Ricorderete, o signori, quanto fossero ricercate nel 1861 le sementi di Turchia, dei Principati Danubiani e della Ma- cedonia; sapete come anche nella campagna serica del 1862 la semente di Bukarest avesse la preminenza. — Ma si do- vette presto rinunciare anche a queste razze, perchè la nia- lattia era penetrata nel Levante e vi si era estesa. Si dovette pensare alla China e al Giappone. — Ad onta delle molte difficoltà di queste lontane spedizioni, poterono acquistarsi dei cartoni di quelle fortunate contrade che sono iuttora illese dalla malattia. Ma per mala sorte si era ven- duta in Italia della semente giapponese confezionata in Ita- lia; sia proveniente da un secondo allevamento di vera sc- mente asiatica già importata prima, sia ricavata da bozzoli dei mostri mercati e deposta sui cartoni del Giappone o so- pra cartoni contraffatti — Né dobbiamo meravigliareene, perchè il nostro secolo che è quello delle grandi invenzioni e delle grandi applicazioni della scienza alle arti e alle in- dustrie d’ ogni genere, potrebbe anche dirsi per antonomasia il secolo delle grandi contraffazioni. Di quì la poca fede che nel modenese si aveva per quelle sementi: anche ad onta che dalla vicina Lombardia sì portasse vanto dei raccolti che se ne erano oitenuti: e ciò anche perchè quei bozzoli così piccoli, quantunque bene incartati, non hanno troppo credito sul nostro mercato. Ma l’ esperienza è sempre la gran maestra, ed oggi vi è una specie di delirio per la semente del Giappone, alla — 54 — quale dobbiamo i principali raccolti dell’ alta Italia. Anche il Baroni nel suo resoconto finale delle prove precoci dei semi serici, mentre sostiene |’ opinione del professor Pesta- lozza, favorevole alle razze giapponesi, confida che queste razze siano l’ ancora di salvezza dell’ industria della seta(4). Credo che sia ormai molto diffusa 1’ opinione che, men- tre continua l’ infezione, si debba rinnovare la semente ogni anno. — Vi sono però certi piccoli proprietari che, stando sempre alle apparenze, vanno al pavaglione ed acquistano le più belle qualità di galetta per farne semente; inoltre, nate che siano le farfalle, accudiscono alla loro scelta, agli accoppiamenti, alla deposizione del seme, nel modo che tutti sanno. — Certo non vorrei augurare a questi proprie- tari, ai quali non mancano mai gli espedienti e le fortune ( mentre alla loro trascuratezza si deve in gran parte attri- buire l’ insistenza del morbo ), e neppure vorrei augurare a coloro che bonariamente fanno acquisto della loro derrata, quello che avvenne a me ed a parecchi miei conoscenti. Diffidate, o signori! Le più belle partite del pavaglione sono quelle che vi daranno la semente più scarsa e quel che è peggio più malsana. | O almeno chi non voglia abbandonarsi troppo legger- mente al capriccio della sorte, fosse abbastanza cauto da consultare al microscopio il sangue di un certo numero di erisalidi; forse questo esame preventivo potrebbe svelare molti arcani, potrebbe rendere meno buono od anche pes- simo quel che prima sembrava ottimo. i La semente deve poi sempre esaminarsi al microscopio, col metodo seguito dal Cornalia, per stabilire se sia vera- mente sana: ovvero, se vi si trovino i corpuscoli oscillanti, determinare il grado d’ infezione. Anzi per meglio coordinare le osservazioni proporrei che la nostra Società aprisse una sottoscrizione per l’ acqui- (1) Sericoltura Anno I." p. 89. di: Gora sto di un buon microscopio, strumento indispensabile alle ricerche e agli studi del naturalista. Così nell’ interesse pub- blico si moltiplicherebbero le esperienze sopra una vasta scala e si avrebbero delle norme più sicure per gli alle- vatori. Presentemente possiamo poi considerare come accertato un altro fatto, cioè: che non vi ha semente alcuna, confe- zionata nei nostri paesi, che sia esente dalla malattia. — Ne scende la conseguenza naturale di provvedere all’ estero se- menti sane e di accertarsi bene della loro provenienza. Nel genovesato da qualche anno si coltiva con successo una razza di bachi dell’ isola di Corsica ed ogni anno si mandano persone incaricate di preparare la semente. Que- st anno volli tentare una prova con 129 grammi di questa semente e ne ricavai un terzo di raccolto, cioè 90 chilo- grammi di bozzoli sufficientemente incartati. Il professor Celi ecbbe un ottimo risultato da un cam- pione di grammi 15 di semente della Serbia. — Si potrebbe perciò ricorrere a queste sementi, dando pur sempre la pre- ferenza alla giapponese (1). 7. Incubazione. — Un’ altra circostanza che predispone il baco al morbo, credo dipenda dalla temperatura alla quale sì ottiene lo schiudimente delle uova. — Si continua infatti nel rozzo costume di far nascere i bachi con un calore che non può regolarsi e che d’ ordinario eccede di gran lunga la massima temperatura richiesta per lo schiudimento. — Aleuni allevatori hanno suggerito delle macchinette inge- gnose, delle piccole stufe fornite dei loro termometri: per dirigere e moderare il calore crescente dell’ incubazione. Ma (1) Da ragguagli che mi vennero forniti dal signor Angelo Formiggini par- rebbe che nella provincia di Brescia il baco giapponese a bozzoli verdi avesse dato un prodotto più rilevante di quello a bozzoli bianchi. — Pel primo si avrebbero in media chilogrammi 32 per cartone e pel secondo chilogrammi 20. Il prodotto dell’ intera provincia di Brescia sarebbe di due milioni di chi- logrammi. — La rendita al fornello varia per le galette bivoltine da oncie 12 a 16 il peso ( Chil. 8) per le annuali da oncie 22 a 28. POR: questi piccoli apparecchi offrono diversi inconvenienti che ne dissuadono dal loro uso. Non so quale metodo possa suggerirsi più semplice e ad un tempo più economico e sieuro di quello che viene da molto tempo praticato da me e dal marchese Fontanelli. Si costruisce in gesso con 120 o 150 mattoni, in un ambiente piccolo una stufa della larghezza di 50 centimetri, la quale presenta una grande superficie di riscaldamento, occupa uno spazio ristretto e consuma pochissimo combu- stibile. — Con essa noi conserviamo la temperatura costante per tutto il tempo necessario. Ed ho più volte osservato, col termometrografo a massima e minima del Bellani, che la massima oscillazione che si è verificata nelle ventiquattro ore non eccedette mai un mezzo grado. Si deve dunque cominciare dall’ esporre la semente al- l’aria libera aprendo le finestre dell’ ambiente. Notare la temperatura indicata dal termometro e nella sera sostenere questa temperatura col calorifero, se occorra. Nel secondo giorno si mantiene il medesimo calore. Indi poco prima del- V albeggiare del terzo giorno si aumenta il calore di un grado e così successivamente ogni ventiquattro ore fino ai + 17.° — Sarà bene conservare questa temperatura per due o tre giorni, aspettando quella tinta pallida che prende la semente e che si manifesta più o meno sollecitamente. secondochè il seme in incubazione fu tenuto nella prima- vera in luogo più o meno caldo. Dopo si alza la temperatura a + 18.° e in generale la buona semente deve schiudere a questo punto: talvolta però occorre oltrepassare questo limite e portarsi fino a + 20.0 per accelerare la nascita. Ma in tal caso vi è già da sospet- tare sulla buona riuscita. Nè bisogna omettere di conservare nell'ambiente un certo grado di umidità ( circostanza non ancora bene studiata dai bacologi ), ponendo un recipiente d’acqua sulla stufa ed inaffiando più volte il pavimento. — È dimostrato che gli. sbalzi repentini di temperatura negli co By ultimi stadi della vita embrionale del baco, possono far abor- tire il seme, o produrre bachi rossicci o scottati. Noi crediamo utilissimi gli avvertimenti dati a questo proposito dal cav. Delprino e dal professor Pestalozza. — È impossibile misurare le conseguenze disastrose di questa operazione mal diretta e se fu sempre essenziale il consa- crare le cure più assidue alla covatura del seme, oggi è una condizione indispensabile; e sarebbe a desiderare che ogni proprietario se ne incaricasse personalmente, invece di affidare la semente ai contadini inesperti e troppo tenaci delle vecchie abitudini, per quanto stolide ed assurde. 8. Frazionamento delle partite. — Anche un'altra av- vertenza ci viene data dagli allevamenti sperimentali. Come in tutte le epidemie ed epizoozie, così in quella che infie- risce sui bachi riscontransi effetti più funesti e più pronti, quanto maggiore sia la partita allevata. Fino dal 1861, nella memoria citata, richiamai |’ attenzione del Comizio sopra questo argomento, in opposizione all’ opinione manifesta da un insigne nostro bacologo. — Le grandi bigattiere debbono restare inoperose, sinchè duri la malattia, nell’ interesse dei proprietari e nell’ interesse dell’ industria serica. — Sono scorsi quattro anni e dovetti confermarmi in quell’ idea. Bi- sogna frazionare le partite ed allevarli in locali diversi e possibilmente in altrettante case, non assegnando ad ognuna di esse una quantità maggiore di 50 grammi di semente. — Ciò deve inoltre persuaderci della necessità di tener radi e leggieri i bachi sopra ogni canniccio. Oltre tutti i suggerimenti che ci vennero sempre incul- cati dai più distinti bacologi, non deesi dimenticare di di- | struggere tutti gli oggetti ed utensili che servirono ad un allevamento; o almeno di lavare con una soluzione di calce ciò che vuolsi conservare, non che i pavimenti delle stanze e di farne imbiancare le pareti. Certi successi favolosi si debbono a mio avviso in gran parte alle buone condizioni in cui trovansi i piccoli alleva- Sic) menti. — IH maresciallo Vaillant nel 1860 fece a Milano una eeltivazione di bachi, prendendo dei rami di gelso il gambo dei quali teneva costantemente immerso nell’ acqua, ed‘espe- rimentando in una sala aperta continuamente. — Il seme tratto da questo allevamento non presentò che il 9 per cento di uova infette, sebbene i bachi provenissero da seme infetto e avessero dato segni d’ infezione. Ma la qualità del prodotto ottenuto in questo caso de- vesi anzitutto attribuire alla piccola quantità di seme impie- gato, e ciò fu notato anche dal Quatrefages in una sua me- moria all’ Accademia delle Scienze di Parigi. 9. Pasti in proporzione colla temperatura. — Anche nel modo di alimentare i bachi si procede generalmente a caso e senza aver riguardo alla temperatura. Dai 14° ai 19° Réau- mur il baco esige pasti più frequenti nella stessa età. Una scarsa nutrizione rende il baco debole, una nutrizione ec- cessiva lo rende adiposo e gli fornisce una quantità di umori che non possono eliminarsi e che trasformandosi creano uno stato patologico. i Suppongo l’ allevatore istrutto sulla proporzione che deve mantenersi nei pasti delle cinque età, sull’ aumento che deve farsi della foglia di ogni pasto nei primi giorni di ognuna di esse, sulla diminuzione della foglia medesima negli ultimi. Ma indipendentemente da ciò si deve anche guardare il ter- mometro che può segnare notevoli oscillazioni di tempera- tura. Così p. es. se il bachicultore abbia deciso di dare nella terza età quattro soli pasti nelle 24 ore e la temperatura si abbassi, converrà che diminuisca il numero dei pasti, oppure che sostenga la temperatura colle stufe. Se invece la tem- peratura si elevi, allora dovrà crescere il numero dei pasti fino a cinque e gli sarà facile accorgersene dalla maggiore rapidità colla quale i bachi avranno divorato la foglia. Tanto è vero che la durata della vita del baco sta in relazione col clima e varia altresì da un anno all’ altro per le influenze meteorologiche. Nelia China la vita del baco an- RR (0, RA nuale a quattro mute è in media di 24 giorni; in Italia que- sta media è di 50 a 52 giorni e ad Ucele nel Belgio ove abbiamo la bacheria più settentrionale da 52 a 54 giorni (1). Da noi questa media è di circa 36 giorni. Ma sappiamo dallo Spreafico, nelle sue note a Dandolo, che variando la tem- peratura si può accelerare il raccolto in modo da compiere l'allevamento in 24 giorni, o ritardarlo fino a 44 giorni (2). Ma anche i pasti debbono variare di numero. — Coloro che in addietro seguirono il metodo Freschi sanno come si ab- breviasse la vita del baco, che si riduceva a 28 giorni; i pa- sti però dovevano accrescersi notevolmente, anche perchè la foglia col calore presto si dissecca. Ma rispetto a ciò la miglior guida sta nella pratica: per- chè abbiamo notevole differenza anche nelle razze. 10. Epoca degli allevamenti. — Un altro fatto si è notato dai bachicultori anche prima della comparsa dell’ attuale ma- lattia dei bachi. Gli agricoltori sogliono ritardare alquanto I’ incubazione delle semente per trovarsi al pavaglione nella seconda metà di giugno. Questo ritardo può cagionare un gravissimo danno. La semente deve mettersi alla stufa quanto più presto si può e non appena si aprono le gemme del gelso. Le siepi di gelso possono somministrare le prime foglie. Generalmente coloro che mettono a nascere i bachi pri- ma degli altri sfuggono più facilmente alle occulte cagioni del morbo o, se le loro partite ne sono colpite, ne risentono un danno minore. Io stesso ho fatto per diversi anni questa esperienza e n’ ebbi costantemente il medesimo risultato. — Una differenza di dieci o dodici giorni fra due partite di una stessa razza, alimentate colle foglie dei medesimi gelsi e con un metodo identico, stava sempre a scapito della partita nata più tardi. (1) Phipson. Utilisation of minute life. London 186%. p. 18. (2) Il Bacofilo. Manuale. Milano 1853. p. 66. E -— {Ciò si spiega facilmente e si concilia con diverse dottrine e segnatamente con quella delle spore dei professori Rondani e Passerini e con quella del dottor Bellotti. Qualunque sia infatti la causa dell’ infezione, qualunque sia la natura e l’ origine dei corpuscoli oscillanti, è naturale che lo sviluppo di quei germi o di quelle spore, l’altera- zione di quei tessuti avverrà tanto più rapidamente, quanto più elevata sia la temperatura e quanto più favorevoli sa- ranno le circostanze atmosferiche e fisiche. Anche il signor Caillet, bachicultore nei Loiret, si av-. vide fino dal 1857 di questo dato prezioso della pratica. Riassumerò per sommi capi le avvertenze che ci sono dettate dall’ esperienza e delle quali ho parlato. 1.° La scelta del seme e il suo rinnovamento. 2.° L’incubazione e nascita del seme. 5.° Il frazionamento delle partite e il loro isolamento. 4.° Il numero dei pasti proporzionato alla temperatura. 5.° L’ epoca degli allevamenti che debbono cominciarsi in aprile, senza perder tempo, quanto più presto si può. Queste cautele hanno la sanzione dell’ esperienza e pos- sono minorare i danni cagionati alla preziosa industria serica dalla malattia del baco. Le raccomando agli allevatori. SULLE LINEE ISEORICHE DELLA PENISOLA ITALIANA RSU TALUNE ALTRE PROBLEMI RISGUARDANTI LA DISTRIBUZIONE » DELLE TEMPERATURE IN ITALIA MEMORIA DEL PROF. DOMENICO RAGONA ( letta li ar gennaio 1866 ) Dò il nome di linee (scoriche (da ico eguale a «wp oscil- lazione ) alle lince che congiungono quei luoghi della super- ficie terrestre che hanno la medesima escursione termome- trica. Per quante mi sappia non si è fatto sinora attenzione a queste linee, che son degne di uno studio accurato e pro- fondo, per |’ esatta cognizione e completa descrizione dei fenomeni climatologici e fisici. Quantunque siano immature ed appena iniziate le ri- cerche su queste linee, sembra che esse in Ivalia abbiano due sistemi quasi rettangolari di giaciture. Uno principale che si estende parallellamente alle coste, così lungo il Tir- reno come lungo l’ Adriatico. Anche nell’interno riscontransi linee :iseoriche che hanno prossimamente questa giacitura. L'altro sistema che manifestasi in talune regioni d’Italia, fa col primo un angolo alquanto maggiore del retto, con l’ aper- tura rivolta a Nord. Quando per. 1° accumulo dei materiali e degli elementi opportuni, si possederanno più ampie no- zioni su queste importanti curve termiche, ne darò la con- figurazione accompagnata dalle relative notizie. Per ora espongo i risultati concernenti la primavera e I estate del 1565, e riguardanti le stazioni che sono in corrispondenza con la Direzione generale di Statistica del Regno d’ Italia. hi cl fp PRIMAVERA 1865. ( Marzo, Aprile, Maggio ) Medie Escursioni Termometriche.- Genova. i et ee TO07 (GE Centa Palermo: eee Ancona, Sto, deo 00 01639 San: Remo... e do, 5 Napoli S.A li 07 Perigià i e 387 Alessandria... x 20059 Guastalla ji: iz 20,70 Moncalieri ue. B'orliet e A022220] “Pavigteh, Viet e ea 29-50 Cremona i 22,00 Milano 27 Ferraba na eee 57 Bologna... ili «i et 20,90 Pivenzesno.Hsv) vi dins 2465 Estate 1865. ( Giugno, Luglio, Agosto ) Medie Escursioni Termometriche. Genova: fiale) ava. (41611103 GrssCenti San; Remo. e ai Palermo! 5) Ancona . deb iaia. dad An sie Napoli 0. U.. .. .0. . 16,20 Gr. Cent. Napoli”S® Ri.) obi6no0. noe 160027 Romi 70037 Moncalieri;i;o. fisse iii 000118167 Alessandria) .;i i. 010021001 :18;:87 Giemonatianost. puoi nidi SD MONI7 Lugano: ai 0 aste1993 Modena cinsie! lasciuntonar 81:14935 Bivorno )/sdzioni tto 1074997 Urbino;ttaf: énignne 0, L70004 OZ Aosta: ina ZIO MURA, ORIO REETOREI Bologna . ..... OLTRE Me IR048 Cremona; 04200, 9101070895) 02700028 Cuneo: VAGO, 4 DIZORLIOA0 9, 9 Berra eo 0.07 ..0,09.. 0,10... 0,08. . 0,0S Firenze fs 0: 32 0346/0000 0049100, 41 042 Boglioaniae 0:20 2072900501 020 0026 Genova . ..... 002104 053002 0A 0327 OR R0027 S. Gottardo. 09.180. 42000 14 A60 712504 Guastalla... .. 0443-0190) 2006000707 Livorno... 0; 10024: 0515: 016/00 01530015 Lugano. it 120 Zoe 48600 eo en 158 Milano: 0164-009200 1001 ASIA 084 Modena . ..... 0,28, 4004007 0045 11005600757 Moncalieri. . . . . ii ei 76 46M) Napoli,;0.,Wj:2,00095;.(0:596,000 59 Dea Napoli: SiR. 280074 102 0 1040910095 Palermo)... n Malt 00 490 04900 0 Pavia: ta eli OSE 0601 170,660 0999 0550 Perugia... Ss H9 75. 5,105, SNO 77.02, 4 Pinerolo... ... IRR 49 BET TRAI 16, 2922 SisRemo.,. 0° 0409084019 014 POETA 0A Romazs. it 009 0027 028 Sienagiià 0 1: 52 LO. 185) 1 0200 Sondrogs. a di ed DI Iena I 002 UEbINO. e IIS ASS 0a adi DESIO 7) A Facendo uso di queste riduzioni, le temperature ridotte al livello del mare della primavera ed estate del 1865 sono: PrIMAVERA 1865. Peru sia e E A0021 SAnSRemoa; i 14,96 GEROVA tt ei TT, 87 Ancona a A 74 Cuneo galatina rinata bad IEvoraos. Enti ierdet h clnamd 9 Rirenzege at Rat dal adddnda CELMONA at atte sean ded Moncalieri z:t it sh: eri 19,99 Miano sarrssige ai adenii si 95d2 Guastalla teo OPERE T9025 BOlomniat pt, PIRA Sd DILOZEREISI 1) Pavia e i e Oo Alessandgia/bic: n ax 4 12-69 BO eee eee o Estate 1865. e Palermo; itgt soiegico if ar2D: S4 Perugia sigg) db dodo 1 2584 Ancona: dg li Fed ae Ba Sondrio: pesarrgntiti. dual 25, DA Siena (i reo (e L92700) ROMA a DZAZ0) IGCHNOVAZtAt Deo e 2471607 Moncalieri iti... gu 2455 Rinenze:iti e, O SD 92 MOR o 24,729 Moderna si dna bii Sia 10024025 San :Remofi siii, 8090, 0124025 LINOTDO SERE e ERBA IZZINAS Guastalla #384 navigo. 25094 Alessandria ee e e Forlì MS Pavone ra ee II Chiuderò questi cenni col riferire una formula da me stabilita per la determinazione delle linee isoterme d’ Italia. Occupato recentemente di taluni studì su tali linee, mi sono accinto all’ improba fatica di legare in unica espressione, col metodo dei minimi quadrati, quelle temperature medie ( ri- dotte a livello del mare ) di varì luoghi d’ Italia, che ripo- sano sulle serie più lunghe e apprezzate di osservazioni ter- * mometriche, tenendo conto non della sola latitudine L, ma ancora della. longitudine / contata dal meridiano di Parigi. La mia formula è la seguente: T= — 18,596 + 45,998 Cos L — 1,054 Sen 4. Ecco intanto il confronto tra le temperature medie che risultano da questa formula, e quelle realmente osservate, e ridotte a livello del mare. \Nel seguente specchietto que- st’ ultime son quasi tutte estratte dal quadro termografico che accompagna |’ opera dell’ ingegnere Serra- Carpi sulle linee isoterme d’ Italia, opera il cui dono debbo alla genti- lezza di S. E. il Principe Boncompagni. Temp. med. al liv. del mare Anni Cale. (isserv. di Osserv. Palermo AZIO IATA 0 ARROSTI: Cagliani to 0 004702 RIA O ES. Napoli .. &#.d& 16,2, 16,5... ... 2&aBapbeci 1821-44 Monte. Cavale & 1058, (60015, bean ili. S. Autorità DR 0) SA Temp. med. at liv. del mare Anni Nalorità Cale. (ssery. di (sserv. WU re î Rome Za Aa) Belnedereigi. o 0, 0 S. Nazar i Re A 8 n (2) Pisa e Re ra out, ibnone dei 1445 i 0 Ren iS. Camajore. . . . . AZ ir AS Bolponatti. 14 3 4 LS. Modena dita 142 a 0430 dei DER RRRIE VEA) LAGORAI, i/08 0 IRE TORE ? Colla Manera doi Majoechi porno AZ A 107 n. LS. Padoa ea cala to. Weneziale geni 1a. IMPERIO aa UR GO E IR E RIO REANO Milano 197 a 006 SI lipiesterz ia. A dn Conesliano.d,. 13,5. 13,D a 11 S Seiibernagdo,i 43:00 19:40. 21 S. orzo do deo da 7 D0Si (Unespano:../-0.../135,0... 19,2. 6 PESI VITE, 9/08 40) L4S) MEento, i iii eo. 2 DIS Questi confronti sono molto soddisfacenti, trattandosi di 27 stazioni tra cuì si trovano le più rieche di lunghe serie di osservazioni, principalmente considerando che mentre ta- lune di esse sono quasi a livello del mare, altre ve ne ha che sono straordinariamente elevate, come Ivrea 263” Cre- spano 320" Belvedere 525” Urbino 4514” Monte Cavo 960" (1) Calandrelli e Conti da 23 anni di osservazioni dedussero 15,7. (2) Osservazioni del dottor Hartwig (1855-57 ) manoscritte nell’ Ist. cent. met. di Vienna e riferite dal Vivenot ( Palermo ecc. Tav XXIII ). — 50 — S. Bernardo 2527". In quest’ ultima stazione la temperatura media è — 10 e la riduzione al livello del mare + 14, 4. La mia formula conferma che le linee isoterme d’ Ita- lia non corrono esattamente nella direzione dei parallelli, ma sono un poco inclinate verso Est, come anche deriva, con una inclinazione alquanto maggiore, dalla equazione ge- nerale di esse isoterme, che ho fondato sulla posizione as- segnata dal Berghaus al polo di massimo freddo. È notevole che nella mia formula il coefficiente del Co- seno della latitudine coincide con lo stesso coefficiente di una formula empirica trovata dal Barone Plana nel 1862, con lo scopo di determinare la temperatura climaterica di Torino, e inserita in una No/a pubblicata nel tomo XX Se- rie II delle Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino. La formula del Plana è la seguente: D — 45795500580 9, 02 e fu dedotta da due temperature medie osservate a Parigi per 29 anni, e a Milano per 70 anni, e da una osservazione fatta al Cairo per mezzo di un termometro calato in un pozzo alla profondità di 65 metri, senza alcun contatto con | acqua del pozzo. La forimula del Plana non tien conto della lon- gitudine. Essa fu stabilita, come si è detto, per determinare la temperatura media di Torino, non avendo il Plana molta fiducia, come nella sua Noa ci fa conoscere, nelle osserva- zioni meteorologiche di Torino. Il Plana assegna a Torino la temperatura media 15,04 desunta dalla sua formula, di- chiarando espressamente che questa temperatura sarebbe segnata da un termometro posto al Nord, all’ ombra, e al- l’ altezza di cinque o sei metri dal suolo. Essendo il suolo di Torino alto 240 metri sul livello del mare, la temperatura media 15,04 sarebbe relativa all’ altezza di 243 metri all’ in- circa, a cui corrisponde la riduzione 1,57, e perciò la tem- peratura media di Torino al livello del mare sarebbe giusta — id — il Barone Plana 14,41 che non è poi molto discosta dal va- lore 14,14 che deriva dalle osservazioni di Torino. La formula da me proposta dà risultati sotto vari aspetti molto soddisfacenti. Ciò non ostante non si deve perder di vista, che le osservazioni su-cui è fondata sono considere- volmente varie di numero nelle diverse stazioni, ed eseguite con istrumenti non comparati fra loro, e inoltre che le tem- perature medie sono dedotte con metodi differenti. In talune stazioni per esempio, si sono ricavate da tre osservazioni diurne, in altre da quattro cec. Le ore delle osservazioni non sempre sono distribuite in modo da poterne esattamente dedurre la temperatura media, e talvolta si è preso il me- dio complessivo di diversi periodi di osservazioni, ciascuno dei quali aveva un’ orario speciale. In queste materie è preferibile alla indigesta multipli- cità, accurata discussione di un numero di anni non molto? esteso, purchè nelle varie stazioni le osservazioni siano iden- tiche di numero, fatte con istrumenti esattamente compa- rati, e nelle ore medesime, essendo quest’ ultime opportuna- mente prescelte. Se le pubblicazioni meteorologiche periodi- che della Direzione Generale di Statistica continueranno in- defesse, e sempre col metodo, sinora egregiamente seguito, di estendere perfezionare e rendere sempre più proficua la raccolta delle osservazioni, saranno per esse risoluti molti importanti problemi della meteorologia Italiana, tra cui quello da me qui toccato, sul quale spero poter tornare altra volta. Basando la trattazione in discorso sopra elementi inconcussi e sicuri, si potranno, come in altra occasione sarà dimo- strato, disporre le equazioni di condizione in modo da ri- cavarne altresì il coefficiente da adoperarsi per le riduzioni al livello del mare, anche a costo di rendere la soluzione di tali equazioni alquanto più lunga e laboriosa. _— geo NUOVA PROPOSTA SULLA RABBIA CANINA CONSIDERATA COME ARGOMENTO DI POLIZIA MEDICA DIL PROFESSORE ANTONIO GHISELLI ( letta li 17 luglio 1865 ) La Rabbia canina, orribile. e funesto morbo, fu argo- mento di tanti, così profondi e indefessi studi, che nel tor- nare ancora sul medesimo, non si può a meno di ripetere ‘le osservazioni e le sperienze fin quì stabilite, specialmente se il discorso venga a cadere sopra le cause, i sintomi e la terapeutica di questo morbo. Pensando all’ obbligo che mi era assunto per |’ odierna adunanza, e al miglior modo di scioglierlo, andava cercando se nella lunga e luttuosa storia della Rabbia canina vi fosse alcuna parte accessibile ancora a nuove investigazioni, al- . lorchè il Consiglio Sanitario di questa Provincia, al quale ho l'onore di appartenere, m’ incaricava di studiare la prefata malattia considerata nel rispetto politico -sanitario, che ap- punto è la parte nella quale le indagini e gli esperimenti sono riusciti finora infruttuosi; e il risultato de’ miei poveri studi, poco fa sottoposto al giudizio di quel savio Consesso, presento oggi a questa eletta Società. Scorrendo le varie disposizioni e prescrizioni che in di- versi tempi e prossimi e remoti si promulgarono così in Italia come fuori contro la Rabbia canina, ho dovuto rico- noscere che quelle ebbero piuttosto a scopo di impedire la comunicazione della malattia all’ umana specie, che di to- gliere le cause che fa generano spontanea nel cane. o ro Malagevol cosa è certo, queste cause anche conosciute, tener lontane, e non fa meraviglia che siasi cercato. con mezzi indiretti d’ impedirne o almeno diminuirne gli effetti. Le proposte che il dotto professore Corvini ha testè presentate al Consiglio sanitario di Milano, costituiscono al- ‘trettanti di questi mezzi, i quali, sebbene non sieno nuovi quanto al concetto, sono però stati così opportunamente rae- colti e logicamente ordinati, che la esposizione dei medesimi è senza dubbio il miglior lavoro di simil genere; e la pub- blicazione che ne fecero i giornali, e il plauso del pubblico furono per verità meritati. Le dette proposte si ricapitolano così: istruzione popolare da pubblicarsi ogni anno intorno ai fenomeni caratteristici della rabbia: imposizione di una tassa uniforme su tutti i cani, eceettuati quelli delle case rurali e delle gregge: applicazione di museruola robusta € di collare portante incisi su lamina mettallica il nome e il domicilio del proprietario, e munito della prova legale della insecrizione, cioè della placca: il cane trovato senza questi contrassegni non dovrebbe più essere restituito: le escur- sioni o perlustrazioni degli accalappiatori saranno frequenti improvvise e fatte ogni giorno di buon mattino e di sera: rigorosa vigilanza alle porte o barriere sopra i cani che entrano e sortono senza guida, e vaganti: sequestro assai prolungato dei cani sospetti, e uccisione immediata di tutte le bestie arrabbiate: obbligo dei padroni di cani, e dei ve- terinari di denunziare i casi sospetti, e tutte le malattie de- vianti dal quadro normale delle ordinarie affezioni; giudi- cato meritevole di pena chi si prende diletto di aizzare i cani; interdetta la circolazione per le vie alle cagne in ca- lore: dichiarati responsabili e tenuti al risarcimento dei dann! cagionati da cani rabbiosi coloro che ne sono i proprietari‘ promulgazione in tutti i Comuni del Regno degli esposti provvedimenti. Nell’ ammirare la saviezza di queste prescrizioni, non sì può del pari disconoscere la somma difficoltà di appli- De sarle a tutti i cani, diflicoltà che se anche potrà vincersi, e ammettiamo che si vinca rispetto ai cani delle città, ci faremmo una ben grande illusione supponendo di egualmente superarla riguardo ai cani delle campagne. Eppure è nelle campagne, o Signori, più che altrove, che spontanea erompe la Rabbia canina: né queste cose af- fermo per solo mio convincimento, essendochè gli espedienti fin qui suggeriti furono già messi in.gran parte alla prova non solo in Italia, ma nelle vieine nazioni, nè in verità eb- bero a scemare per essi, se pur non crebbero, i casì di rabbia. Non parlerò degli effetti ottenuti nella nostra penisola dall’applicazione di eguali o consimili discipline, non essen- dosi fatte statistiche di confronto; ma prendendo a specchio la Francia, si rileva dalle statistiche del Fernois che dal 1857 al 1858, il numero dei cani scemò in quello stato per la sola imposizione della tassa, di 59,278, mentre i casì de- nunziati di rabbia aumentarono di quattro. Eguali effetti fu- rono riconosciuti dal Tardieu, e dal Renault per Y applica- zione della tassa im Prussia, e tutti e tre questi osservatori unanimamente conchiusero che dalla prescrizione così della tassa, come di altre discipline più o meno rigorose, ron si otteneva che una sensibile diminuzione nel numero dei cani senza che questa contribuisse a far diminuire i casi di rabbia. A quelli poi che, o avversi a! cani o intimoriti anche solo del vederseli vicini, ripongono ogni sicurtà nell’ appli- cazione di robusta, fitta e ben serrata museruola farò 0s- servare che se io fossi di coloro che ogni causa credono buona allo sviluppo della rabbia, potrei non a torto sospet- tare che i uso della museruola, fosse deile mille una, impe- roechè avendo bisogno il cane di respirare, specialmente ne- gli estivi ardori con la bocca aperta, e la lingua pendola, e di smorzare Pavida sete col bever frequentemente, e per P osta- colo della museruola non lo potendo, quali non possono essere MURAT le tristi conseguenze di sì crudeli patimenti? Ciò nonostante se questo mezzo potesse proprio adoperarsi su tutti i cani sempre, e senza eccezione non esiterei un’ istante a rico- noscere nell’ applicazione della muscruola una valida difesa contro la comunieazione della rabbia; ma le tante difficoltà che si affacciano nella pratica sicura e generale di questo mezzo, ne distruggono ogni efficacia; e ammesso pure il buon volere dei possessori di cani nell’ osservanza di que- sta prescrizione, le involontarie ommissioni così facili ad occorrere per la troppo frequente applicazione che se ne deve fare, ci lasciano dubbiosi e malsicuri. Non illudiamoci! Le prescrizioni fin quì praticate e quelle ultimamente pro- poste, sebbene perspicaci, minuziose, e dicasi anche vessa- torie, non raggiungono la meta. Convinto che la principalissima causa della rabbia spon- tanea del cane risieda nell’ appetito venereo vivamente ec- citato e non soddisfatto, come bene lo dimostrano il Cap- pello, il Toffoli, il Greve, il Cattaneo e dipoi. molti altri, penso che se con mezzi di facile applicazione ci sarà dato di rimuovere questa causa, avremo fatto un grande, un im- menso bene, essendochè lo sviluppo della rabbia sarà limi- tato nella peggiore ipotesi a quei soli e pochi casi, che po- tessero mai dipendere da cagioni diverse da quella che ho riferita, sulla natura e dicasi anche sulla. esistenza delle quali vi hanno però controversie ed incertezze, sapendosi per prova che il cane sottoposto ad ogni sorta di privazioni e patimenti non ebbe mai ad arrabbiare, il che viene ogni giorno riconfermato nelle molteplici esperienze del fisiologo. dove, ad onta dei molti ec gravi tormenti a cui soggiace in quelle prove il povero cane, non fu mai caso di rabbia. Or dunque tra una causa specifica ormai accettata da tutti come la principale produttrice della rabbia, e una serie in- definita di cause comuni, alle quali essendo il cane conti- nuamente esposto, i casì di rabbia non potrebbero non es- sere più frequenti, non si può e non si deve più stare in cc he forse nell'accettare i mezzi pei quali giunger si possa ad escludere quella prima e specifica cagione. La riproduzione della specie canina, o mal diretta, o abbandonata al naturale istinto degli individui, devesi pren- dere in considerazione per istabilire prima di tutto se ab- Diansi da tollerare le mille varietà della specie ereseiute e inoltiplicate con tanta eonfusione, che il naturalista trova ormai impossibile il elassificarle, o se piuttosto non si abbia da determinare il numero e la qualità delle razze, sbandendo tutte quelle che rappresentano T estrema degradazione della specie, e che per una follia imperdonabile sono tenute nel regno della moda come una cosa bella, e di gran valore. Tutti i cagnolini da grembo la cui mole organica vediamo artificialmente ridotta alle minime proporzioni, sono veri mostri dei quali ha ribrezzo la stessa natura, che indignata di tanio degradamento, ne condanna il maggior numero alla sterilità, pur lasciandoli straordinariamente lascivi. Le razze da conservarsi potrebbero essere distinte in categorie, comprendenti per esempio, i cani da caccia, i cani da guardia, i cani di compagnia; e senza qui precisare le varietà di ciascheduna categoria, dirò in generale che non si ammettano che quelle che discendono da tipi conosciuti e distinti. Cacciate così le razze degradate, che sono le più pro- clivi alla rabbia, è duopo occuparsi della riproduzione delle razze accettate. È da desiderarsi che s’ instituiscano uftizi, o commissioni di sorveglianza sui cani al doppio fine: 1.° di conservare e migliorare le razze ammesse: 2.° di preservare gl’ individui dalla rabbia. Quanto al primo, è necessario che la riproduzione sia tolta dall’ arbitrio e dalla licenza in eui si trova presente- mente, e venga sottoposta a speciali discipline. Chiunque pertanto voglia attendere all’ allevamento delle razze, do- vrebbe chiederne P approvazione agli uffizi di sorveglianza, che P accorderanno quando i richiedenti posseggano ripro- dr geo. duttori idonei, ed abbiano i comodi necessari pel richiesto allevamento. L’ instituzione delle razze dovrebbe poi essere favorita e incoraggiata con annuali esposizioni e premiazioni, e qualora l’esperienza lo dimostri utile anche coll’ esenzione dalla tassa. I predetti uffizi dovrebbero compilare un rego- lamento, comprendente quelle discipline che fossero tenute le migliori sul proposito delle razze. Quanto al secondo fine, che riguarda la preservazione degl’ individui dalla rabbia, mi sono occupato distintamente dei medesimi, e in primo luogo degli individui maschi. A pre- servare questi dalla rabbia considerata come effetto di ar- dente e non appagato desiderio dell’ accoppiamento, |’ unico mezzo sicuro è la castrazione praticata nella tenera età. Ben so che questo mezzo altre volte proposto non trovò favore, che anzi fu combattuto da mille obbiezioni e riscosse perfino risa e sarcasmi, ma non trovo le ragioni di tanta opposi- zione e di tanto affaticarsi perchè si rispettino nel cane or- gani, che senza compassione si tolgono al generoso cavallo, e al robusto maschio della specie bovina. La mutilazione di questi animali non è certo opera di un capriccio. Potrem- mo noi assoggettare il bue ai faticosi e necessari lavori del campo, senza la castrazione? Sarebbe follia il supporlo. Co- me dunque si pratica questa operazione nel cavallo per renderlo soggetto e docile, nel bue per sottoporlo mite e paziente al giogo, e per averne buona carne, così dobbiamo praticarla nel cane per allontanarne la cagione precipua della rabbia e per averne ancora altri vantaggi, quali una maggiore e più costante affezione, una vigilanza assidua, un’ obbedienza somma. Nè si creda che la castrazione lo renda pigro o inetto come taluno ha creduto: le esperienze e da altri, e da me stesso più volte ripetute, hanno dimo- strato che la castrazione praticata nella tenera età, non toglie alcuna delle qualità che si richiedono ai varì usi a cui il cane è per natura inclinato, e che anzi ne rende più acuti i sensi, specialmente udito e i odorato. Vero è che il cane Ò) Si) castrato inelina alquanto all’ ingrassamento, e tanto più se vi sia per natura proclive, ma questa inclinazione si può correggere nel regolare le attitudini delle razze, escluden- done quei produttori che mostrano tendenza alla pinguedine riconoscibile di leggeri da certi esteriori caratteri, quali sono le ossa minute, le gambe corte, il corpo gracile, e prefe- rendo invece i riproduttori snelli, muscolosi, a gambe alte, e a prominente ossatura. L’ applicazione agli individui ma- schi di questo mezzo preservativo, che ho detto essere la castrazione, può farsi direttamente e indirettamente. Nel pri- mo caso l’ Autorità la impone, nel secondo alletta ad accet- tarla: quella può essere giudicata violenta e riuscire perciò imbarazzante, questa invece diffondendosi a poco a poco e volontariamente diventerà senza dubbio generale. Essa con- siste in provvedimenti miti e benevoli pei cani. castrati, in severi e vessatori pei cani interi. I primi saranno sottoposti ad una tassa annua leggerissima, non maggiore per esempio di due lire, i secondi ad una tassa sei volte maggiore: quelli potranno seguire il padrone senza museruola e senza guin- zaglio: questi nel percorrere le vie dovranno essere guidati colla catena, essendochè pronti sempre all’ accoppiamento, possono prendere i castrati per femmine, e talvolta anche preferirli, per lo che dovranno tenersi alla catena anche nei recinti, sia delle corti, sia delle botteghe, officine e simili, tanto di giorno quanto di notte, così nelle città come fuori senza alcuna distinzione. I maschi, che non si allevano come riproduttori non potranno essere venduti, o ceduti dagli al- levatori se non castrati. Dopo i maschi mi sono occupato delle femmine, nelle quali il natural bisogno dell’ accoppiamento non si presenta che nei periodi della frega. Sebbene non si ammetta che le cagne, almeno nelle condizioni attuali della specie, possano arrabbiare per eccessiva bramosia di coito, nondimeno è pru- dente il prescrivere, che le medesime si. tengano nel tempo degli amori ritirate e lontane da tutte quelle occasioni, che possano accrescere il naturale orgasmo. Si pigra Le cagne poi considerate singolarmente come animali e da caccia o da guardia, o da compagnia, e che apparten- gano a tali che non siano allevatori non potranno servire alla riproduzione della specie. La castrazione sarebbe da tentarsi anche in queste, nel che, col tempo e coll’ esercizio sì riuscirebbe, come è avvenuto che si riesca nella castra- zione delle serofe. La cagna, partecipe degli stessi favori accordati al cane castrato, per quanto riguarda 1’ uso della museruola e della catena, dovrà però essere sottoposta alla medesima tassa del cane intero. Gli allevatori obbligati a denunziare tutti i prodotti, sì dovrebbero sottoporre al pagamento di una tassa annua eguale per ogni razza, in compenso dell’ accordata privativa, ed in luogo della tassa sui cani, dalla quale andrebbero per conseguenza esenti i produttori e i prodotti delle razze. Tutte le tasse proposte sarebbero da applicarsi in tutti i Comuni del Regno senza distinzione di grandi o piccoli, di aperti o chiusi, si tratti o di cani da caccia, o da guar- dia, o di compagnia. Tutto il prodotto delle tasse non che delle ammende o multe che l’ Autorità fosse per istabilire nei casi di con- travvenzione, si vorrebbe assegnato per le pubbliche esposi- zioni e premiazioni, ed anche per quelle straordinarie ricom- pense che fossero per meritarsi coloro i quali 1’ Autorità suole adoperare per l’ osservanza delle prescritte discipline. + Ben veggo di non aver fatto gran cosa, essendomi at- tenuto soltanto all’ esposizione di massime generali, conformi ai principi della scienza, delle quali non ho toccato, quanto all’ applicazione che i punti più importanti. ifo però il fermo convincimento che questa sia la vera via da battere per giugnere una volta e per sempre a liberare 1’ umana fami- glia dal flagello della rabbia. eo —— OGGETTI D'ARTE DI ALTA ANTICHITÀ RECENTEMENTE SCOPERTI NELLE TERREMARE MODENESI DESCRIZIONE DEL DOTTOR CARLO BONI ( letta li 17 luglio 1865) Allo scopo di agevolare gli studi di confronto fra le di- verse terremare dell’ Europa per risolvere la questione della loro rispettiva origine ed epoca di formazione, credo non ‘affatto inutile il pubblicare la descrizione de’ pochi oggetti che mi fu dato aggiungere alla mia collezione nel corso del- l’anno 1865, e che ‘finora sono nuovi per le terremare mo- denesi. Ripeterò inoltre la descrizione di alcuni ‘oggetti da me annunziati ma non figurati nel 26 giugno scorso, perché ne riesca più chiara la intelligenza. TAVOLA V. Fig. 1.° ridotta a '|, dal vero. — Frammento della pa- rete di un amplissimo vaso o catino di terra nera medio- cremente fina, che ha subìto inegualmente 1’ azione del fuoco. Presso al labbro del vaso veggonsi due fori del diametro di 16 millimetri, che servirono forse ad appenderlo mediante una corda. Dalla svasatura della curva del labbro risulta che questo enorme recipiente aveva un’ apertura di 72 cen- timetri di diametro. Meritano particolare osservazione i bassi rilievi che ne adornano la parete. Vedesi in essa chiara- mente effiggiata una scure simile per la forma alla securis x RARO simplex che usavano i Romani nei sacrifizi (1). L’ espres- sione simbolica del bassorilievo può condurre all’ ipotesi che un tal vaso venisse adoperato ne’ riti sacri de’ popoli cui appartenne. Lascio di diritto agli archeologi il carico di trarre le conseguenze di tal fatto che non può non avere una grave importanza. Trovato a S. Ambrogio. Fig. 2.* !|, dal vero. — Frammento di vaso nero di qualità fina con ornati non comuni. Dalla ristaurazione di questo vaso, si può arguire che il diametro dell’ apertura della bocca ne fosse di 23 centimetri. È di S. Ambrogio. Fig. 5.* Grandezza naturale. — Frammento di un pic- colo vasetto di terra nera. È particolare la forma del piede di questo vasetto diversificando dalle forme abituali nelle terremare, perchè dal fondo del vaso si rialza all’ esterno un cordone circolare che forma una concavità opposta a quella del vaso, e questo cordone è trapassato da nove fòri, che variano dai 5 ai 4 milimetri di diametro, disposti sim- metricamente attorno al piede il cui diametro è di 25 mil- limetri. Appartiene alla terramara di Gorzano ed è forse po- steriore alla terramara e contemporaneo degli uomini in essa sepolti. Fig. 4.8 *|, dal vero. — Frammento di vaso nero me- diocremente fino col fondo perfettamente piano. La parete laterale ne è alta 5 centimetri, la circonferenza ne conta 21 di diametro. Il fondo è disseminato di sottilissimi fòri del diametro di un millimetro. — Rinvenni pure un’ altro frammento uguale i fori del quale misurano 4 millimetri. Entrambi di S. Ambrogio. Fig. 5.à Grandezza naturale. — Piccolo vasetto di terra nera, alto 4 centimetri, largo 5, apertura del labbro centi- metri 5. Porta alla metà circa della parete tre tubercoli, al posto del quarto havvi un manico con fòro passante che può dar adito soltanto ad una sottilissima funicella. È ridotto (1) Vedi Orazio. Carminum, Lib. 3. Od. 23. v. 12. — Ovidio. Tristium, Lib. 4. Eleg. 2. v. 5. — 62 — per l’azione di un fuoco intenso, deformato nelle propor- zioni, allo stato di scoria leggiera. È della terramara di Gor- zano, comunicatomi gentilmente dal signor dottor Alessan- dro Coppi. Un altro vaso identico per la forma ma di di- mensione cinque volte maggiore, e non deteriorato dal fuoco esiste nella mia collezione, e proviene dalla terramara di Monte Barello. Fig. 6.2 *|, del vero. — Ciottolo di arenaria calearea ver- dognola, adatto per la forma e dimensione ad essere stretto in pugno. Da una parte è smussato ed appianato, e serba traccie d'aver servito per triturare. È di Castellarano. Altro simile ma di serpentino rinvenni a S. Ambrogio, ed altro di quarzo compatto terroso a Gorzano. Fig. 7.2 *|, del vero. — Manico di terra nera malcotta; trovato a S. Ambrogio. Fig. 8.2 Grandezza naturale. — Altro manico di terra nera fina lucente, pure di S. Ambrogio. TAVOLA VI. Fig. 1.2 '|, del vero. — Manico di forma inusitata di terra fina nera lucente con solchi regelarissimi ed eleganti. Di Gorzano. Fig. 2. Grandezza naturale. — Fusajuola. È di terra nera foggiata ‘a capezzolo; oltre al foro mediano porta disposti attorno alla periferia altri cinque fòri di diametro uguale al centrale. È dî Gorzano. Fig. 5. Grandezza naturale. — Fusajuola di terra nera riccamente ornata. È di Castellarano. Fig. 4.8 Grandezza naturale. — Fusajuola di terra nera. È formata da due coni uniti per la base, disegualmente svi- luppati e diversamente ornati. L'uno è corso da setie cir- coli concentrici; l’ altro è diviso in quattro sezioni mediante quattro fasei di tre solchi ciascuno, che partendo dal ver- tice del cono vanno -a raggiungerne in linea retta la base. È di Castellarano. i SE pg Fig. 5.8 *|. del vero. — Frammento di vaso di ierra nera finissima lucente, trovato a S. Ambrogio. Fig. 6.8 '|, del vero. — Manico di terra nera poco fina sul. cui vertice sorgono due tubercoli, che appajono, direi quasi, embrione di quelle corna, che passando per tutte le gradazioni raggiungono in certi vasi |’ estremo grado di svi- luppo. È di S. Ambrogio. Fig. 7. *|, del vero. — Manico a corna di terra nera poco fina rozzamente ornato a solchi. Di S. Ambrogio. Fig. 8.2 '|, del vero. — Manico di terra nera poco fina rozzamente ornato con solchi. Di Castellarano. Fig. 9.2 *| del vero. — Disco di terra cotta nera gros- solana. Ha 5 centimetri di spessore, e 12 di diametro con foro al centro, tra questo e la circonferenza appariscono in parte altri cinque fòri di 28 millimetri circa di diametro. È di proprietà del signor dottor Coppi. Trovato a Gorzano. Fig. 10.2 */, del vero. — Scodella di terra nera finis- sima di Gorzano. Alta centimetri 6, diametro dell’ apertura della bocca centimetri 12 ‘/, a fondo piano. Ne tengo altra simile per la forma ma più vasta essendo alta centimetri 7 col diametro dell’ apertura della bocca di centimetri 22. TAVOLA VII. Fig. 1.2 *|, del vero. — Vaso grande di terra nera poco fina, di Gorzano, in parte ristaurato. Alto centimetri 15; dia- metro dell’ apertura della bocca centimetri 16: a fondo piano. Nel ventre del vaso sonovi tre cordoni o rialzi di 5 milli- metri di grossezza e di centimetri 6‘/, di lunghezza para- lelli e distanti V uno dall’ altro 2 centimetri; tal gruppo di cordoni si ripete tre volte, colla distanza di dieci centimetri circa da ogni gruppo. In altri frammenti ho rinvenuti i me- desimi cordoni sempre in numero di tre per gruppo, ma in- vece di essere isolati nel mezzo della parete si staccano di- rettamente dal labbro del recipiente. pu Fig. 2.2 |, del vero. — Manico verticale, di terra nera grossolana cui sono frammisti grossi cristalli di spato calca- reo ferruginoso. È di S. Ambrogio. Fig. 5. ‘|, del vero. — Manico con tubercoli ossiano corna embrionali analogo al descritto nella tav. VI fig. 6. Di terra fina nera, trovato a Gorzano. i Fig. 4.2 *|. del vero. — Peso. Una sfera di 8‘/, centi- metri di diametro cui è sovrapposto un cono rotondato al vertice, con foro di 58 millimetri di lunghezza, passante e portante traccie di cordicella. La sfera è composta di cinque strati, della grossezza media di 3 millimetri, soprapposti l'uno all’ altro e tutti ad una piccola sfera che serve come nucleo a diverse incrostazioni offrendo |’ aspetto delle onici e delle ooliti; sembra formata per la successiva immersione della sfera centrale in una sostanza calcarea densa di colore azzurrognolo volgente al bruno. L’ appendice che serve a sostenerlo non è stratificata ma forma un tutto continuo collo strato esterno del peso. È di Monte Barello, e forse del periodo più recente. Fig. 5.2 Grandezza naturale. — Falciuola di bronzo. È della terramara di Gorzano; la prima ed unica rinvenuta finora nel Modenese. Ha 10 centimetri di lunghezza tenuto conto approssimativo della punta fratturata. Nella parte in- terna è affilata, nella parte esterna è corsa da un cordone o rilievo in senso longitudinale. Finisce in una sporgenza . destinata ad agevolarne 1’ inserzione ad una impugnatura. È della forma di quelle trovate a Campeggine di Reggio dell’ Emilia descritte dallo Strobel. Avanzi preromani ete. Fig. 6 e 7, tav. II Fig. 6.8 *|, del vero. — Stampo per fondere in metallo. È un paralellepipedo di calcarea grigio -nerastra scolpito e raffigurante in getto un disco al cui centro sorge un tuber- colo di 8 millimetri di diametro, che sovrasta a tre circoli concentrici ciascuno soprapposto a gradino al successivo partendo dal tubercolo. Ogni circolo emerge 3 millimetri — 05 — dall’ altro ed ha un millimetro di rilievo. Il diametro del- l’intero getto è di 58 millimetri circa. Della palafitta di S. Ambrogio. Fig. 7. Grandezza naturale. — Manico di pugnale? di paleo di cervo. Lungo 9 centimetri; trovato a Gorzaro. Fig. 8.8 Grandezza naturale. — Manico di lesina? È formato nella tibia della capra delle terremare, è lungo 9 centimetri. Da un lato è fratturato, dall’ altro è foggiato a punta coll’ opera di un arnese tagliente. Trovato nella terra uliginosa di S. Ambrogio. Fig. 9.2 Grandezza naturale. — Terzo metacarpo del sus scrofa palustris = Riitimeyer; annerito dal soggiorno nella terra uliginosa. Da un lato porta due fòri passanti del diametro di due millimetri. Di S. Ambrogio. Fig. 10.8 Grandezza naturale. — Spilla d’ osso bianco, elegantemente intagliata, lunga 68 millimetri, trovata nella terra uliginosa della palafitta di S. Ambrogio. Fig. 11.8 Grandezza naturale. — Ago d’ osso nero lu- cente. È lungo centimetri 9 tenuto conto di una piccola frattura dal lato della punta; all’ altra estremità presenta una compressione unita ad allargamento, nel cui centro esi- ste un piccolo foro che non raggiunge un millimetro di dia- metro. Della terra uliginosa di S. Ambrogio. Fig. 12.8 Grandezza naturale. — Fibula del cane mi- nore; da un lato finisce in punta allargata, rotonda c levi- gata; dall’ altro lato porta due fori esilissimi nella cui pros- simità furono tentati altri fori non terminati. È lungo 85 millimetri. Trovato come sopra in S. Ambrogio. Fig. 15.8 Grandezza naturale. — Romboide di corno cervino con fòro passante nella grossezza. Sulla faccia su- periore si veggono tre rosoncini formati geometricamente mediante circoli concentrici incavati. Proprietà del signor dottor Coppi. È di Gorzano, probabilmente degli strati su- periori. Fig. 14.8 Grandezza naturale: — Rotella o fusajuola? — 66 — di corno di cervo. È formata da un disco della grossezza di due millimetri con foro centrale e porta da un lato una specie di mozzo. Il disco è tutto unito mancando di raggi trafori od ornati. Di Gorzane. Chiuderò quest’ arida descrizione osservando che ho, trovate comuni nelle terremare Modenesi le spatole foggiate nel corno del cervo, i cocci di vasi di terra nera che hanno a distinguersi in fini, poco fini e grossolani, con grande va- rietà, tanto nella forma sia dei vasi che dei manichi, quanto nella ornamentazione, che abbraccia due specie, cioè, nel maggior numero dei casi, ornato ad incavo pei vasi fini ed ornato a rilievo pei poco fini e grossolani. Sono pure co- muni a tutte le terremare nostrane le macine a mano e le pietre da affilare. SUI MUTAMENTI DI COLORE CHE AVVENGONO NEL SANGUE DI ALCUNI INSETTI QUANDO L' UMORE SANGUIGNO È RSPOSTO ALL’ ARIA ATMOSFERICA INMONOV VAN DEL PROFESSORE GIOVANNI GENERALI ( letta il 17 luglio 1865) Nel Comizio Agrario di Modena insorse più volte qui- stione sul valore patologico e diagnostico del coloramento del sangue del baco da seta quando |’ umore sanguigno estratto dal canale dorsale o dalle zampine si esponeva all’ aria at- mosferica. Allora dal Comizio stesso venne nominata una Commis- sione alla quale io stesso apparteneva, all’ oggetto di stabilire il valore e il significato patologico - diagnostico di tale fatto, e constatare se aveavi e quale relazione fra il mutamento del colore del sangue e la dominante malattia. La Commissione dopo lunghi studi e ripetute esperienze per mezzo mio riferì al Comizio Agrario i risultamenti delle fatte indagini concludendo fra le altre cose che a il sangue estratto dal baco infetto talora annerisce, talora no: e il si- mile avviene anche pel’ baco sano: è che qualunque sia le stato del baco, il sangue del medesimo sottoposto all’ azione di determinati reagenti, si otiiene che o conservi il colore proprio od assuma invariabilmente la tinta nera. Così avviene che raccolto il sangue sopra carta imbevuta d’ acetato di piombo costantemente il sangue diventa nero, e raccolto in- vece sopra carta con iposolfito di soda offresi di colore bian- — 63 — co o giallo come esce dal baco: e qualora il sangue anne- rito naturalmente o artificialmente coll’ acetato di piombo e conservandosi ancora umido, venga investito da gas acido solforoso ripiglia il colore bianco o giallo primitivo: d le erisalidi insolforate nel bozzolo in ragione della insolforazione protratta dai dieci ai trenta minuti offrono il sangue naturale, avvertendo che ove si prolunghi l’ insolforazione per un ora le crisalidi vengono soffocate nè possono sfarfallare. La Commissione si contentò di riferire i fatti, e quan- tunque escogitasse varie ipotesi per interpretarli, non credette di esporre le concepite supposizioni sì perchè ciò era estra- neo allo scopo cui era stata nominata, sì perchè non poteva appoggiare |’ înterpretazione supposta ad argomenti indubbi e concludenti. Questo fatto però dei mutamenti di colore subiti dal sangue dei bachi da seta esposto all’ aria atmosferica preoc- cupò vivamente gli animi di tutti i componenti la commis- sione, e ognuno s’ avvide qual campo d’ interessanti osser- vazioni scientifiche s’ apriva intorno a tale argomento. Dai ricordati studi io presi le mosse e l indirizzo per dedicarmi a nuove osservazioni, ed avviare possibilmente a soluzione l’ interpretazione dei mutamenti di colore che su- bisce il sangue di alcuni insetti quando è esposto all’ aria atmosferica. ; E prima di esporre i fatti nuovi osservati mi occorre di rettificare alcune osservazioni istituite sui bachi da seta di una partita di bivoltini allevata da me in campagna. Al citato $ b della relazione bacologica si stabiliva come avvenimento costante, che mercè determinati reagenti si otte- neva che il sangue assumesse invariabilmente una tinta nera, e ciò sarebbe accaduto quando fosse raccolta la goccia san- guigna sopra una carta imbevuta di acetato di piombo. Negli esemplari da me conservati vi sarà facile di scor- gere come in molti casi il sangue non prendesse la tinta nera sulle carte preparate col piombo, e qui senza dare al- — 609 — cun peso ad osservazioni che meritano d’ essere riconfermate e ripetute in via di nota dirò che i bachi i quali diedero un sangue di colore immutato in presenza dell’ accennato reagente erano bachi atrofici, o in generale quelli che io te- neva digiuni dalle 8 alle 16 ore. Ma passando dalle osservazioni sui bachi a quelle fatte sopra altri insetti specialmente lepidopteri, ecco il risultato delle mie indagini. Nei nostri boschi abbondano verso la metà del settem- bre i lepidopteri fitofagi del genere Macroglossa. Fu su que- sti che feci le prime indagini sui mutamenti del colore del sangue esposto all’ aria atmosferica. Il sangue di questi lepi- dopteri sia che venga estratto dal vaso dorsale o verso la coda, o verso il capo o nel mezzo, sia che si estragga ta- gliando le zampine esce sempre di un colore giallo limone chiaro .ed esposto all’ aria tanto sopra carte con acetato di piombo, quanto sopra carta comune resta inalterato nel co- lorito e solamente acquista un colore più carico dovuto al concentramento che la goccia subisce per l evaporazione del- laequa che contiene. Tale inalterabilità di colore è propria così del sangue ricavato dalle larve di recente cibate, quanto dalle larve tenute a digiuno dai due fino ai dodici giorni, quanto dell’ umore delle loro crisalidi. Le osservazioni più numerose feci sulle larve d’ insetti appartenenti a varie specie del genere Cnethocampa. Il sangue estratto da questi animaletti che ne danno in grande abbondanza tanto dal canale dorsale quanto dalle zampine è di un colore verdognolo, chiaro (di vetro ), è as- sai denso, vischioso, tiene il filo ed è ricchissimo tanto di albumina che versandone una goccia nell’ alcool questa si precipita immediatamente in una massa fioccosa. Ed io gio- vandomi di questo rapprendersi così sollecito dell’ albumina in presenza dell’ alcool onde osservare a varie riprese ed a vari periodi il sangue di queste larve, dopo aver fatta una incisione al canale dorsale e averne cavata quella quantità Sele & umore che mi oceorreva, era solito immergere | estremità ferita nell’ alecol e di questa maniera cessava quasi subito io sgorgo del sangue, e 1’ animale rimanendo e mi ser- viva ad ulteriori indagini. Tutti questi lepidopteri diedero sempre un sangue ver- degnolo guando usciva, il quale cominciava ora ai margini, ora in mezzo, ora a punti sparsi nella goccia ad assumere una tinta tra celeste e verde finchè dopo circa mezz’ ora {une solo eccettuato ) era divenuto nero come inchiostro tanto allora che faceva | esperimento sulla carta comune, quanto sulla carta col piombo, tanto se si prevava P espe- rienza col sangue del vaso dorsale nei vari suoi punti, col sangue estratto dalla recisione deile zampine, tanto se l ani- male erasi di recente cibato, o fosse stato da un giorno fino a diecinove digiuno. Il sangue così annerito, succedeva tal- volta che si asciugasse sulla carta completamente, talora in- vece rimaneva come sciropposo e ciò specialmente nelle gior- nate umide. Sia che |’ esperimento si facesse al sole diretto o all'ombra sempre avveniva io stesso fenomeno. Accadendo poi che sotto la tortura dell’ operazione la larva vomitasse o facesse dejezioni alvine, la materia liquida che ne usciva restava inalterata di colore, se ne togli quel- imbrurimento appena sensibile che derivava dalla evapo- razione dell’ acqua. Di tali bruchi essendovene nell’ ottobre molti per le cam- pagne ho potuto moltiplicare le osservazioni che sempre mi condussero ad un eguale risultato, salve le modificazioni in- dottevi dalle seguenti esperienze. 1.° Quando il sangue estratto dalla larva si sottoponeva immediatamente al gas acido solforoso, 1 umore sanguigno da verdognolo diventava. giallo- canarie e tale si conservava fino all’ essicamento della goccia, senza che più mutasse co- lore, nè sulla carta di piombo, nè sulla comune. 2.° Quando la goccia ancora umida e in via d’ imbru- nimento si sottoponeva all’ azione dell’ acido solforoso, il di o sangue ripigliava un colore più chiaro del naturale, diveniva giallo canarie, nè anneriva più, così sulla carta comune co- me su quella con piombo. 95.° Sottoposi una larva vivente di questi insetti all’ acide solforoso. La larva dopo essersi agitata per un poco di tem- po, trascorsi dieci minuti non dava più segno di vita quan- tunque la tormentassi in varia guisa. Allora estrassi dal vaso dorsale e dalle zampine alcune goccie di sangue che a stento uscivano e solo a forza di premiture. Questo non era più verdognolo ma giallo - canarie e tale rimase esposto all’ aria sulla carta comune, divenendo però bruno nella carta con piombo. Dopo mezz’ ora circa la larva cominciò a muoversi, e come se quel salasso I’ avesse risuscitata si riebbe da quella specie d’ asfissia. Il sangue estratto un giorno dopo dalla medesima era sempre giallo-canarie nè imbrunì mai. 4.° Sollecitando col calore 1° evaporazione dell’ acqua, e ottenendo così quasi istantaneamente l’ essicamento della goc- cia, l umore raccolto appena appena divenne più earico di colore. Voleva ripetere queste esperienze mutando le condizioni della prova ma non rinvenni altre larve. Ho accennato ad una eccezione che verificai nei molti esperimenti fatti su queste larve, e credo doverla notare per- chè avendola osservata una volta sola riesce forse più inte- ressante. Una larva di questi lepidopteri notturni e fitofagi rac- colta sulle alpi Modenesi mi diede i soliti risultati di anne- rimento del sangue. Questa stessa larva rinchiusa entro una scatoletta divenuta tutta nera in causa dell’ umore che con- tinuò a sgorgare, giunto a Modena, dopo 12 giorni era ancor viva, e la ferita s’ era rimarginata. Aprii nuovamente il vaso dorsale e recisi le zampine estraendo da quello e da queste piccole goccie d* umore; ma I umore non annerì, solamente divenne di un colore verde più carico. Dubitando che al di- giuno si dovesse questa diversità di risultato, condannai altre de ge” larve ad una astinenza egualmente ed anche più prolungata, ma non mi accade mai di riconfermare questo fatto. Altre specie di Creshocampa furono da me studiate e tutte mi diedero i soliti annerimenti, tranne d’ una specie il cui sangue giallo - rossastro annerì sulla carta col piombo e non sulla carta comune. Sui lepidopteri fitofagi dei generi Satyrus ed Eunomos feci consimili ma poche osservazioni, e il sangue loro rimase sempre e in qualunque condizione inalterato nel colore. Egualmente immutato nel colorito fu l’ umore di parec- chie scolopendre, miriapodi e libellule, comuni nelle nostre campagne. / i Giunto al termine di queste osservazioni non temo di confessare che la fantasia vorrebbe provarsi a dare una spie- gazione dei fatti osservati, e come è disgraziatamente sua natura amerebbe di teorizzare; ma molte cose avrei dovuto indagare avanti di poter stabilire in modo positivo la vera causa per cui in alcuni insetti avvengono gli esposti muta- menti sanguigni. Sarebbe stato necessario di sperimentare a quale degli elementi atmosferici sia dovuto il fenomeno del- l’ annerimento, se questo avveniva anche nel vuoto, sarebbe stato necessario di osservare mieroscopicamente 1’ umore san- guigno, prima, dopo e nell’ atto dell’ imbrunire e altre cose che io nè feci, nè poteva fare ‘sprovvisto di tutto ciò che mi sarebbe occorso per eseguirle. Ond’ è che mi contenterò d’ avere esposti i fatti sempli- cemente come li ho osservati, solo credendomi autorizzato a far notare più specialmente che le mutazioni nel colorito del sangue le verificai di sovente negli insetti fitofagi, giam- mai negli insetti carnivori come sono appunto le libellule e le scolopendre. CATALOGO DEI PESCI D' ACQUA DOLCE D’ ITALIA COMPILATO DAL PROF. GIOVANNI CANESTRINI (Con una tavola. Ved. T. IV.) i. Perca fluviatilis E,. (V.il mio Prospetto critico dei pe- sci d’ acqua dolce d’Italia. p.12) Pesce persico. Perca fluviatile. fovio Paolo, De Romanis piscibus Libellus ad Ludovi- «cum Borbonium, Cap. XXIV. — Rondelet, Libri de Piscibus fluviatil. Cap. XXII. — A/drovandi, De piscibus Lib. V, 622. — Lacepede, Hist. nat. VII, 25. — Bonaparte, Fn. Ital.; Cat. met. 59. — Hamilton, Synopsis of the families, genera and species of Brit. Fish. ( Natural Library Vol. XXXHI, 547.) — De-Filippi, Cenni 6. — Heckel und Kner, Sussw. 5. — Nardo, Prosp. sist. 76, 92. — Siebold, Sùussw. 44. — De-Betta, Ittiol. Ver. 41; Materiali 151. — Gunther, Cat. of the Acanth. Fish. I, 55. — Malmgren, Fisch-Fauna Finlands era s Ar- chiv XXX, 268 ). 2. Lucèoperca sandra Cur. (Prosp. crit. 13 ). Lucioperca sandra. Aldrov., De pise. V, pag. 667, De schilo sive nagemulo Germanorum. — Lacep., Hist. nat. VII, 259, Centropomus sandat. — Cuv., Regno. anim. Îllustr. Poiss. 28. — Bonap., Cat. met. 56. — Meck. und Kner, Sussw. 8. — Giinth., Cat. I, 75: — De- Betta, Ittiol. Ver. 57. — /ecitteles, Prodr. Fn. Vert. Hung. sup. 45. — Siebold, Sissw, DI. Ch — 74 — . LaBbrax lupus Cuv. ( Prosp. crit. 14 ). Labrace. Lupo. Spigola. Ragno. Jovio, De Rom. pise. IX, De Spigola sive Lupo. — Ron- del., De pise. stagni mar. pag. 141, De Lupo. — A/drov., De pise. IV, 490. — Lacep., Hist. nat. VII, 254. — Bonnater- re, Ichthyol. 127. — fisso, Hist. nat. HI, 406. — Naccari, Ittiol. Adr. 558. — Cuo., Regn. anim. Poiss. pag. 19. — Cuv. et Val., Hist. nat. II, 56. — Bonap., Fn. Ital., Cat. met. 56. — Costa. Fn. Nap. — Giinth., Cat. I, 65. — Minni, Cenni 62. A. Biwgil ceplalus €Cauv, ( Prosp. crit. 16 ). Muggine cefalo. lovio, De Rom. pise. X. — Rondel., De pise. mar. IX.— Aldrov., De pise. pag. 505. — Ginanni, Istor. civ. e nat. 582. — Artedi, Synonim. pisc. 69. — Lacep., Hist. nat. X, 156. — Naccari, Ittiol. Adr. 411. — Risso, Hist. nat. HI, 388. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 60. — Cuv. et Val. Hist. nati Niard9: = Nardo, Prosp. sist. 77, 95, 94, 95, 99. — Giinti., Cat. II. 417. — Ninni, Cenni 65. _d. Piugtl chelo Cuv. ( Prosp. crit. 17 ). Muggine chelone. Rondel., De pisc. mar. IX, 266. — isso, Iehthyol. 346: Hist. nat. HI, 589. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 60. — Cu. et Val., Hist. nat. XI, 50. — Nardo, Prosp. 77. — Giinth., Cat. HI, 454. — Ninni, Cenni 63. — Canestr., Catalogo dei pesci del golfo di Genova, Archiv. per la Zool. Tom. I, 265. o 6. Atherina lacustris XEp. ( Prosp. crit. 18). Latterino di lago. Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 59. — Martens, Wiegm. . Arch. XXI, 167. — Gineh., Cat. II, 594. I. Cyprinus carpio Lin. ( Prosp. crit. 21). Carpa. fovio, De Rom. pise. Cap. XXXVII De Rayna sive Burbaro. — Rondel., De pisc. lacustr. Cap. IV, 150. — A0- drov., De pisc. V, 657. — Ginanni, Ist. civ. e nat. 589. — Lacep., Hist. nat. X, 292. — Cuv., Regn. anim. Poiss. 213. — Naccari, Ittiol. Adr. 412. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 26. — Hamilton, Brit. Fish. sp. 95. — De-Fil., Cenni 9. — Giinth., Fische des Neckars 55. — Meck. und Kn., Silssw. 54, 62. — Nardo, Prosp. 72, 91, 99. — I/ettt., Prodr. 49, 50. — Dybo- wski, Cyprinoiden Liviands 56. — Ninni, Cenni 56. — De- Betta, Ittiol. 58; Mat. 155. — Steb., Sussw. S4. — Steindu- chner, Monstr. Kopfbild. Zool. bot. Gesellsch. in Wien 1865; Catalogue prelim. des Poiss. d’ eau douce de Portugal p. 3. — Kner, Zool. bot. Gesellsch. Wien 1864. S. Carassèus vulgaris Mèls. ( Prosp. crit. 23 ). Cuv., Regn. anim. Poiss. 216. — ZManilt., Br. Fish. Sp. 96 e 97. — Bonap., Cat. met. 27. — Giinth., Fische des Neckars 53. — ZMHeck. und Kn., Sissw. 70. — 2Lybowski, Cypr. Liv. 58. — /eitt., Prodr. DI. — Sieb., Silssw. 98. — Mulmgren, Fisch-Fauna Finl. sp. 45. sr Je DO. Tinca vulgaris Cuv. ( Prosp. crit. 25 ). Tinca. Iovio, De Rom. pise. Cap. XXXVI. — Rondel., De pisc. lac. Cap. X, 157. — Ginanni, Ist. 582. — Lacep., Hist. nat. X, 559. — Cuv. R. a. Poiss. 219. — Naccare, Ittiol. Adr. 415. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 28. — Hamilt., Br. F. sp. 101. — Costa, Fn. Nap. Tav. XII. — De-Fil., Cenni 10. — Giinther, Fische d. Neck. 50. — Heck. und Kn., Sùssw. 75. — Nardo, Prosp. 72, 91, 99. — Dybowski, Cypr. Livl. 66. — Steind., Fischf. d. Isonzo. — /ettt., Prodr. 52. — Sieb., Silssw. 186. — Ninni, Cenni 45. — De-Betta, Mat. 155. : 10. EBarbus plebejus Val. (Prosp. crit. 33 ). Barbo. | Rondel., De pise. fluv. Cap. XIX, pè 194. — Aldrov., De pisc. L. V, 597. — Lacep. Hist. nat. X. 520. — Cuov., R. a. P. 27. — Bonap. Fn. It.; Cat. met. 27. — De-FI., Cenni 9. — Heck. und Kn., Sussw. 82, S4. — Nardo, Prosp. 72. — Steind., Fischf. des Isonzo ( Verh. Zool. bot. (Gesellseh. Wien 1851, p. 145 ). — Dybowski, Cypr. L. 78. — Sieb., — Sussw. 112. — Ninni, Cenni 59. — De-Betta, Mat. 154. — Canestr., Note ittiol. Archiv. HI, 1. > 1. Sarbus caninus Val. ( Prosp. crit. 33 ). Barbo canino. Risso, Hist. nat. III, 437. — Cuv., R. a. Poiss. 217. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 27. — ZMeck. u. Kn., Sùussw. SÒ. — Dybows., Cypr. Livl, 78. — Steind., Fischf. d. Isonzo. Mi gie: >» 42. Rarbus fluviatilis Ag. ( Prosp. crit. 35 ). Barbo. Linneo, Syst. nat. I, 525. — Bloch, Oek. Naturg. der Fische Deutschl. I. 109, Tav. 18. — Cuv. ec Val., Hist. nat. XVI, 125. — Bonap., Cat. met. 27. — Ginth., Fische d. Neck. 40. — Heck. n. Kn., Sùussw. 79. — leiti., Prodr. 52. — Steb., Sussw. 109. Ls. Gobio fiuviatilis Cuv. ( Prosp. crit. 39 ). Gobione. Lacep., H. nat. X, 553. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 27. — Hanuit., Br. F. sp. 100. — 2De-Fu., Cenni 7. — Giinth., F. des Neck. 44. — Heck. u. Kn., Sussw. 90. — Nardo, Prosp. 72, 91, 99. — Ieiti., Prodr. 53. — Dybowska, C. Livl. 72. — De-Betta, Ittiol. 77, Mat. 154. — Ninni, Cenni 42. — Sieb., Sussw. 112. 14, a. Alburnus alborella Be Fil. ( Prosp. crit. 13). Avola. De-Fil., Cenni 16. — Bonap. Cat. met. 55. — Meck. u. Kn., Sussw. 157. — Nardo, Prosp. sist. 75. — Dybowskti, Cypr. Livi. — WDe-Beita, Ittiol. 84; Mat. 155. — Ninni, Cenni 58. i 54, bh. L. Albunrnus alborella laterislriga Canestr. ( Prosp. crit. 49 ). . Vedasi la Tav. IV. fig. 6. Heck. u. Kn., Siissw. 158, fig. 72, Alburnus fracchia. — Bonap., Cat. met. 55. — Dybowski, Cypr. L. 158. — Ninni, Cenni 76. — Canestr., Note ittiol. Archiv, HI, I der peo: 15. Scaunrdintus crapifirophihealimoes Earn. ( Prosp. crit. 45} Sceardola. Rondel., De piscib. lac. Cap. VI. 154. — Aldrov., De pise. L. V, Cap. XLII, 641. — Gimanni, Ist. 585. — Lacep., Hist. nat. X, 595. — Cuo., R. a. Poiss. 222. — Naccare, Ittiol. Adr. 415. — Bonap., Fn. It.; Cat. met. 52. — Hamil- ton, Br. F. sp. 111. — De-Fil., Cenni 13. — Giinth., Fische d. Neck. 80. — MHeck. und Kn. Sissw. 155. — Nardo, Prosp. 72, 91. — Ieiti., Prodr. 59. — Dybows., Cypr. L. 151. — Ninni, Cenni 56. -— De-Betta, Mat. 155. — Steb., Silssw. ‘180. — Canestr., Archiv. II, I. — Malmgren, Fischf. sp. 55. 16. Scardinius Hegeri Ag. (Prosp. crit. 50). Lasca dell’ Heger. Agassiz, Mem. Soc. Hist. nat. Neufchat. I, 58. — Cu. et Vat., Hist. nat. XVII, 256. — Bonap., Fn. Ital.; Cat. met, 5. — Dybows, Cypr. L. 155. 17. Levciscus aula Ep. ( Prosp. crit. 51 ). Triotto. Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 29. — De-Fil., Cenni 14 e 15. — Heck. u. Kn., Sissw. 162-163. — Dybows., Cypr. L. $$, $9. — De-Beita, Ittiol. S4, $5; Mat. 155. — Ninni, Cenni 50: — Sieb., Silssw. 185. — Steind., Cat. prel. p. 4 18. Leuciscus adspersus Heel. (Prosp. crit. 56). Heck., Fische Syriens. — Meck. u. Kn., Siissw. 167. — Dybows., Cypr. Livl. 91. BI 7/1 A 19. Leuciscus pigus Lace. ( Prosp. crit. 56 ). Pigo. Iovio, De Rom. pise. Cap. I. — Rondel., De pisc. sta- gni mar. Cap. I, 153. — A/drov., Cap. LVII, 664. — Lacep., Hist. nat. XI, 86. — De-Fl., Cenni 11. — Bonap., Cat. met. 29. — Heck. u. Kn., Silssw. 175. — Nardo, Prosp. 72, 92, 99. — De- Betta, Ittiol. 37; Mat. 156. — Dybowski, Cypr. L. 95. — Nimi, Cenni 52. 20. Lewciscus roseus Honap. (Prosp. crit. 58). Lasca rosata. Bonup., Fn. Ital.; Cat. met. 29. — Dybows, Cypr. Livl. 92. 21. Squaltus cavedanus Ep. (Prosp. crit. 59). Cavedano. Aldrov., De Pisc, V, XVII, pag. 600. — Bonap., Fa. It.; Cat. met. 51. — De-Fil., Cenni 12. — Meck. u. Kn. Sissw. 184, 198. — Nardo, Prosp. sist. 72, 91. — Dydbows., Cypr. Livl. 114. — Steind., Fischf. d. Isonzo. — De-Betta, Ittiol. Ver. $9, Mat. 156. — Ninni, Cenni 54. — Steind., Cat. prelim. 4. 22. Squalius illyricus Heel. Fin. (Prosp.crit. 64). Heck. u. Kn. Sissw. 195. — Dybowski, Cyprin. Livl. 117. 28. Squalius brutius Costa. (Prosp. crit. 64). Costa 0. G. — Cuv. et Val., Hist. nat. XVII, 245. — Dybows., Cypr. Livl. 117. RO a PA. Squaltus mtcrolepis Heck. (Prosp. crit. 67 ). Heck. u. Kn., Silssw. 199-205. — Dybows., Cypr. Livl. Tg, 04143. i >. Telestes muticellis Ep. ( Prosp. crit. 71 ). Vairone. Mozzetta. Bonap., Fn. Ital.; Cat. met. 50. — De-/0., Cenni 15. — Heck. u. Kn., Sùssw. 206, 208. — Nardo, Prosp. 75. — Steind., Fischf. d. Isonzo. — Dybows., Cypr. Livl. 110. — De-Betta, Ittio.. Veron. 91. — Ninni, Cenni bD4. — Steb., Silssw. 212. — Canestr., Note ittiol. Archiv. Vol. INI, F. 1. 26. Prorinus laevis Ag. (Prosp. crit. 72 ). Fregarolo. Sanguinerola. Rondel., De piscib. fluviatil. Cap. XXVII e XXIX, p. 204 e 203. — A/drov. De pisc. Lib. V, p. 582. — Bonnaterre, Ichthyol. p. 194, PI. 79, fig. 528; Enyclop. method. p. 125. — Lacep., Hist. nat. X, 582. — Cuo., R. a. Poiss. 225. — De- Fil., Cenni 10. — Giinth., Fische des Neck. 55. — Bonap., Cat. met. 28. — MHeck. u. Kn., Sissw. 2, 10. — Kessler, Ausziige 20. — ritsch, Fische Bohm. 6. — Dybows. Cypr. Livl. 104. — /eitt., Prodr. 60. — Steind., Fischf. des Ison- zo. — De-Beita, Ittiol. Ver. 95; Mat. 157. — Ninni, Cenni 49. — Steb., Silssw. 225. — Malmgr., Fischf. sp. 57. 2%. Phorinellus alepidotus Heel. (Prosp.crit.75). Heck., Fische Syr. 50. — Bonap., Cat. met. 28. — Meck. u. Kn., Silssw. 215. gi — 28. Chondrostoma soétia Hp. (Prosp. crit. 76). Savetta. Soetta. Naceari, Ittiol. Adr. 415. — Bonap., Fn. It.; Cat. met. 28. — De-Fil., Cenni 10. — Meck. u. Kn., Sissw. 221. — Nardo, Prosp. 72, 91. — Dybows., Cypr. Livl. 209. — De- Betta, Ittiol. Ver. 96. — Ninni, Cenni 46. 29. Chondrostoma Genei Ep. (Prosp. crit. 78). Lasca. Bonap., Fn. It.; Cat. met. 28. — De-Fi., Cenni 11. — Heck. u. Kn., Sissw. 220. — Dybows., Cypr. Livl. 208. — De-Betta, Itt. Ver. 95; Mat. 157. — Ninni, Cenni 47. — Steb., Silssw. 250. SO. Chondrostoma Finerièî Heel. (Prosp.crit.80). Heck., Fische Syr. — Meck. u. Kn., Sissw. 225. — Dy- bows., Cypr. L. 208. SI. Chondrostoma phorinus Heel. (Prosp. crit. 81). Heck., Fische Syr. — ZHeck. u. Kn., Sùssw. 225. — Dy- bows., Cypr. L. 209. 2. Lebias calaritana Cuwv. (Prosp. crit. 81). Nono. Risso, Hist. nat. HI, 458. — Cuv., R. a. Poiss. 228. — Costa, Fn. Nap. Tav. XVII, fig. 1 e 2. — Bonap., Cat. met. 25. — Nardo, Prosp. sist. 72, 95, 98. — Ninni, Cenni 55. SL gg ds. Fogrmatlus vulgaris Niels. ( Prosp. crit 83). Temolo. Aldrov., De pisc. Liber V, Cap. XIV, pag. 595. — La- cep., Hist. nat. IX, 515. — Cuo., R. a. P. 258. — Hamult., Br. F. sp, 159. — De-Fil., Cenni 17. — Bonap., Cat. met. 25. — MHeck. u. Kn., Sùssw. 242. — Nardo, Prosp. sist. 71, 94, 99. — JZeitt., Prodr. 65. — Steind., Fischf., d. Is. — De- Betta, Itt. 100, Mat. 158. — Ninni, Cenni 51. — Malmgr., Fischf. sp. 66. 34. Salmo salvelîins Len. (Prosp. crit. 85). Salmarino. Salmerino. Aldrov., De Piscib. Lib. V, Cap. XI, pag. 585. « Tri- dentini piscem sibi peculiarem, Salmerinum nuncupant no- mine, ut conijcio, a Salmone detorto,... quasi Salmo lacu- stris.» — Bonnut., Eneycl. meth. Text. pag. 545; Planch. pag. 165, PI. 67. fig. 275. — Lacep., Hist. nat. IX, 266. — Cuv., R. a. Poiss. 256. — Hamilt., Br. F. sp. 150. — Bonap., Cat. met. 25. — Meck. u. Kn., Silssw. 280, 255. — Ginih., Br. Charrs, Proceed. of the Zoolog. Society London, Feb. 11, 1862. — AKner, Verh. der zool. bot. Ges. Wien 1864, 82. — Malmgr., Fischf. sp. 65. bo. Frutta carpio E. ( Prosp crit. 87). Carpione. lovio, De Rom. pisce. Cap. XXXV et XLI. — Rondel., De piscib. lacustr. Liber, Cap. XII. pag. 158. « Recte igitur vocabitur Salmo vel Trutta Benaci lacus, quod in nullo alio reperiri omnes affirment. Ferunt olim in Italia Pione appellatum,. deinde quum quidam cui carius piscis hic ven- Le RIE ditus fuerat facete dixisset se Carpione emisse, inde vocari coeptum pro Pione, Carpione. » — Aldrov., De pise. Lib, V. Cap. L, pag. 655. « Circa lacum Benacum, in quo solum- modo reperiri eum ajunt, Carpione appellatur, a carpendo auro, ut nonnulli volunt. Ajunt enim auro vesci. » — Bo- nat., Eneycl. meth. Text. pag. 80; Planch. pag. 161, PI. 76, fig. 271. — Naccari, Ittiol. Adr. pag. 410. — De-Fil., Cenni 17. — Bonap., Cat. met. 25. — ZMeck. u. Kn., Sùssw. 271.— Nardo, Prosp. 71, 92, 99. — De-Betta, Ittiol. 110. DeL Ninni, Cenni 28. — Steb., Fische des Ober-Engadins 189. BG. Truila furto L. ( Prosp. crit. 89 ). Trota. Iovio, De Rom. pise. Cap. XXXV. — Rondel., De pisc. fluv. Cap. IV, pag. 169. — A/drov., De pise. Lib. V, Cap. XII, pag. 585. — ZBonat., Ichthyol. 160; -PI. 66, fig. 266. — Lacep., Hist. nat. IX, 256. — Cuv., R. a. P. 256. — Hamilt., Br. F. sp. 127. — De-Fil., Cenni 17. — Bonap., Cat. met. 25. — Giinth., Fische des Neck. 115. — ZMeck. u. Kn., Silssw. 248. — Kessl., Ausz. — Zill, Annal. des Se. nat. IV. Ser. Tom-®IX. — Fritsch, Fische Bohm. 7. — Nardo, Prosp. 71. — Costa, Annuario Anno I, 14. — gettt., Prodr. 64. — De-Betta, Ittiol. 102; Mat. 158. — Ninni, Cenni 29. — Steb., Sitssw. 319. — Sleind., Cat. prelim. 5. — Malmgr., Fischf. sp. 65, Var. €. dI. Trutta obluirostris Heel. (Prosp. crit. 92). Salviani, Hist. aquat. p. 97. — Meck. u. Kn., Sùssw. 253. 3S. Truila genivittata Heel. Him. (Prosp.crit.92). Heck, und Kn., Siissw. 260. TR BD. Trutta dentex Heel:. (Prosp. crit. 93). Heck., Reiseb. II. Anh. ( Sitzungsb. der-k. Akad. der Wiss. Wien, 8 Bd, 5 Heft ). — Meck. und Kn., Sùssw. 256. — £teind., Fischf. d. Isonzo. i 40. Esox lucîws E. (Prosp. cri. UU). A Luccio. Iovio, De Rom. pisc. Cap. XXXVII. — Rondel., De pi- scib. fluv. Cap. XIII, pag. 188. — A/drov., De piscib. Lib. V, Cap. XXXIX, pag. 650. — Ginanni, Ist. 582. — Lacep., Hist. nat. X, 20. — Cuveer, R. a. P. 250. — Naccari, Itt. Adr. 410. — Hamult., Br. F. sp. 117. — De-Fil. Cenni 17. — Bonap., Cat. m. 25. — Ginth., Fische d. Neck. 107. — Heck. u. Kn., Sùussw. 287. — Nardo, Prosp. 72. — Steînd., Fischf. d. Is. — /estt., Prodr. 66. — De-Betta, It. 112; Mat. 158. — Ninni, Cenni 51. — Steb., Silssw. 523. — Malmgr. Fischf. sp. 69. [2] 41. Alosa vulgaris Val. ( Prosp. crit. 97). Alosa. Jovio, De Rom. pisc. Cap. XVII. Rondel., De piscib. Lib. VII, Cap. XV, pag. 220. — A/drov., De piscib. Lib. IV, Cap. IV, pag. 499. — Bonnat. Eneyel. meth. p. 10; 75, fig. 512. — Lacep., H. nat. X, 218. — Naccari, Itt. 412. — De-Fil., Cenni 16. — Bonap., Cat. met. 54. — Meck. u. Kn., Sissw. 228. -— Nardo, Prosp. 75, 92, 100. — De-Betta, Ittiol. 97; Mat. 157. — Ninni, Cenni 59. — Sieb., Sussw. 528. — Steind., Cat. prelim. 5. Lg MP, Cobitis barbatula L. (Prosp. crit. 100 ). Cobite barbatello. . Aldrov., De Piscib. Lib. V, Cap. XXXI, pag. 618. — Bonnat., Eneycl. met. 175, PI. GI fig. 241. — Lucep., Hist. nat. IX, 10. — Cuo., Regn. anim. P. 225. — Bonap., Cat. met. 26. — Mamilt., Br. F. sp. 115. — Gunth., Fische des Neck. 104. — Heck. u. Kn., Silssw. 501. — Jeitt., Prodr. 67. — De-Betta, Itt. 115; Mat. 159. — Ninni, Cenni 55. — Steb., Sussw. 597. — Malmgr., Fischf. sp. 4f. AB. Cobitis leaernta EL. (Prosp. crit. 102). Cobite fluviale. Lacep., Hist. nat. IX, 10. — Cuv., R. a. P. 225. — Ma- milt. Br. F. sp. 116. — De-Fil., Cenni 7. — Bonap., Cat. m. 26. — MHeck. u. Kn., Siissw. 505. — Nardo, Prosp. 72, 92. — Steb., Siissw. 598. — Ninni, Cenni 55. — De-Betta, Mat. 159. — /estt., Fische d. March. 18. — Malmgr., Fisehf. SPoa/20] Bd. Cobitis larvata De Fil. (Prosp. crit. 106). ( Ved. Tav. IV, fig. 7) De-Fil., Revue et Mag. de Zool. 1859. — Canestr., Note, ‘ittiol. Archiv. Vol. II, Fase. 2. Bo. Cottus gobio IL. ( Prosp. crit. 198 ). Ghiozzo. Iondel., De piscib. fluv. Cap. XXV, pag. 202. — A/- drov., De piscib. Lib. V, Cap. XXVII, pag. 615. — Lucep., Hist. nat. V, 3524. — Hamilt., B. F. 555. — De-Fil., Cenni 6. — Ginth., Fische d. N. 17. — Bonap., Cat. m. 62, 95. — Legge fieck. u. Kn., Sùssw. 27, 52, 54. — Nardo, Prosp. 78, 92, 100. — Giinth., Cat. II, 156. — Steind., Fischf. d. Is. — /estt., Cottus-Arten des Silssw. Archivio Vol. I. — De-Betta, Htiol. 47; Mat. 151. — Ninni, Cenni 64. — Stzeb., Sissw. 62. — Malmgr., Fischf. Finlands. LG. Gasterasteus aculeatrs IL. (Prosp. crit. 111). Spinarello. Rondel., De pise. fluv. Cap. XXX. — A/drov., De pisc. Lib. V, 628. — Lacep., Hist. nat. V, 584. — Cuv., R. a. P. 76. — De-Fu., Cenni 17. — Bonap., Cat. m. 71. — Costa, Fn. Nap. — /eck. u. Kn., Sussw. 58. — Nardo, Prosp. $1.— De- Betta, Itt. 50; Mat. 152. — Ninni, Cenni 60, 70. — Giinth., Cat. I, 2-3. — Sieb., Silssw. 66. — Malmgr., Fischf. Finl. — Canestr., Note ittiol. Archivio per la Zoologia ecc. Yol. III, Fasc. 2. £9. Lota vulgaris Cu. ( Prosp. crit. 162 ). Bottatrice. Rondel., De pise. lacustr. Cap. XIX. — A/drov., De pisc. Lib. V, 648. — Lacep., Hist. nat, IV, 209. — ZMamult., Br. F. sp. 159. — De-Ful., Cenni 7. — Bonap., Cat. m. 44. — — Ginth., Fische d. Neck. 124. — Heek. u. Kn., Sissw. 515. — Nardo, Prosp. sist. 74, 100. — De-Betta, Itt, 157; Mat. 159. — feitt., Prodr. 68. — Giinth., Cat. IV, 559, — Steb., Siissw. 75. — Malmgr., Fischf. sp. 55. BS. Gobius fluviatilis Ebon. ( Prosp. crit. 164 ). Ghiozzo. De-Fil., Cenni 6. — Bonap., Cat. 64. — Meck. u. Kn., Siissw. 47. — Nardo, Prosp. 79, 92. — Ninni, Cenni 67. — De-Betta, Mat. 152. — Gunth., Cat. II, 15. pil Roda: dI. Gobius Panizzae Verga (Prosp. crit. 165), Verga, Atti della 3.* Riunione degli Scienz. Ital. Firenze 1841, p. 597. — Heck. u. Kn., Silssw. 49. — Nardo, Prosp. 79, 95, 100. Giinlh,, Cat. NI, 16. — Ninni, Cenni 68. 0. Gobèus punetafissimmus Camnestr. (Prosp.crit. 122). Ved. Tav. IV, fig. 1-5. Canestr., Note ittiol. Archivio per la Zool. Vol. HI, Fase. s I e Vol. III, Fasc. IL DA. Mlennius vulgaris FPollimi (Prosp.crit. 125). Pollini, Viagg. al Lago di Garda. — Murtens, Wiegm. Archiv. XXIII. — Cuv. et Val., Hist. nat. XI, 249. — Bo- YUP.-, Fn. It.; Cat. met. 67, 68. — De-/l., Cenni 6. — Zeck. u. Kn., Silssw. 44. — Nardo, Prosp. 80, 92. — Giinth., Cat. HI, 217. De-Betta, Ittiol. 55. 32. Platessa passer Esp. (Prosp. crit. 129). Pianuzza passera. lovio, De Romanis piscibus Libellus, Cap. XXV. — Aon- del., De piscib. Lib. XJ, Cap. VII, pag. 516. — A/drov., De piscib. Lib. II, p. 245. — Ginunni, Ist. 581. — Lucep., Hist. nat. VIH, 520. — Bonnat., Eneyel. meth. 507, PI. 40, fig. 157. — Naccari, Ittiol. Adr. 554. —— Bonap., Fn. It.; Cat. met. 48. — Costa, Fn. Nap. — Nardo, Prosp. 74, 92, 95, 98. — Canesir., Pleuronettidi del golfo di Genova, Archivio per la Zoologia Vol. 1, Fasc. I — Ninni, Cenni 62. — Ginth., Cat. IV, 452. Ps. Anguilla vulgaris Flem. (Prosp. crit. 131). Anguilla. Aristotele, De animalibus histor. Lib, VI, Cap. 13,7. — fovio, De Rom. pisc. Cap. XXXII. — Rondel., De piscib. fluviat. Cap. XXHI, pag. 198. — A/drov., De piscib. Lib. IV, Cap. XIV, pag. 542. — Ginanni, Ist. 580. — Lacep., Hist. nat. III, 290. — Spallanzani, Opuscoli sopra diversi animali, che servono di appendice ai viaggi alle due Sicilie, Tom. VI, pag. 195. — De-Fil., Cenni 17. — Bonap., Cat. met. 5S. — Giinth., Fische d. Neck. 128. — Heck. u. Kn. Silssw. 519. — /eîtt., Prodr. 69. — Nardo, Prosp. 75, 92. — De-Betta, Ittio]. 117: Mat. 159. — Ninni, Cenni 60. — Steb., Silssw. 542. — Steind., Cat. prel. 5. — Malmgr., Fisehf. sp. 59. GA. Acîpenser sturto L.(Prosp. crit. 134). Storione comune. Iov. De Rom. Pisc. Cap. IV. — Rondel., De pise. Lib. XV. Cap. XII, 450. — A/drov., De pisc. Lib. IV, Cap. XI, 517. con figura alla pag. 526. — ZBonnat.. Eneyel. meth. pag. 159. — Naccari, Itt. Adr. 415, sp. 94. — Risso, Hist. nat. II, 166. — ZBonap. Fn. It.; Cat. met. 21. — De-Fil., Cenni 6. — MHeck. u. Kn. Sissw. 562. — Nardo, Prosp. sist. . 71, 92, 94, 68. — De-Betta, Itt. 128; Mat. 140. — Ninni, Cenni 27. — Sieb., Siissw. 565. Malmgr., Fischf. sp. 75. L) do. Acipenser Vaccari Hp. (Prosp. crit. 135). Storiene del Naccari. Naccari, Itt. Adr. 415. — Bonap., Fn. It.; Cat. met. 24. — De Fil., Cenni 6. — Heckel und Kn., Sùssw. 5d9. — Nardo, Prosp. 71. — De Betta, Ittiol. Veron. 151. — Ninni, Cenni 28. MERO) ERA 56. Acipenser Nardoèî Heck.:( Prosp. erit. 137). Heck., Reiseb. I, Ant. 69, T. II, fig. 2. — Meck. u. Kn, SÙUSSW. 395. — Nardo, Prosp. 71, 92. 57. Acipenser huso IL. (Prosp. crit. 139). Bonap., Fn. It.; Cat. met. 22. — Meck. u. Kn., Silssv. 3565. — Nardo, Prosp. sist. 92. — Sieb., Silssw. 564. 0S. Pelromiyzon marines E. (Prosp. crit. 140). Lampreda marina. Rondel., De piscibus Lib. XIV, Cap. III, pag. 398. — Aldrov., De pise. Lib. IV, Cap. XHI, pag. 536. — Bonnat., Eneycl. meth. 517. — Naccari, Itt. 418. — Bonap., Cat. met. 91. — De-Fil., Cenni 18. — Giinth., Fische d. Neck. 151. — MHeck. u. Kn., Sussw. 574. — Nardo, Prosp. 83, 97. — De-Betta, Itt. 152; Mat. 140. — Ninni, Cenni 71. — Sieb., Silssw, 068. — Malmgr., Fischf. sp. S0. 59. Petromigcon fluviatilis E. (Prosp. crit. 141). Lampredone. . Rondel., De pise. Lib. XIV, Cap. HI. — A/drov. De pise. Lib. IV, Cap. XHI, pag. 540. — Bonnat., Enceyel. meth. 517. — Naccari, Itt. 418. — Bonap., Cat. met. 91. — De-Fel., Cenni 18. — Gunth., Fische d. Neck. 154. — Heck. u. Kn., Sùssw. 377. — Nardo, Prosp. 86, 92. — De-Betta} Itt. 125; Mat. 141. — Ninni, Cenni 72. — Steb., Sissw. 572. — Malmgr., Fischf. sp. 78. 7 22000 GO. Petromyzon Planerè EBI. (Prosp. crit. 160). Piccola lampreda. Bonap., Cat. met. 91, 92. — De-Fil., Cenni 18. — Giinth., Fische des Neck. 153. — A. Miller, Note sur le dévelop- pement des Lamproies (Ann. d. Sc. nat. Zool. Ser. IV, Tom. V, 575). — Meck. u. Kn., Siissw. 580. — Nardo, Prosp. 86, 97. — De-Betta, Itt. 123. — Ninni, Cenni 72. — Sieb., Silssw. 375. — Malmgr., Fischf. sp. 79. OGGETTI TROVATI NELLE TERREMARE DEL MODENESE ILLUSTRATI PER CURA DEL PROF. GIOVANNI CANESTRINI SECONDA RELAZIONE AVANZI ORGANICI I monumenti che servono di guida alle ricerche dello storico non giungono che fino ad una certa epoca del pas- sato, al di là della quale lo storico coi suoi mezzi non può spingere le investigazioni. Egli deve perciò cedere il campo al naturalista, il quaie solo conosce la lingua che parlano i sassi e le ossa. Lo studio delle terremare non è che un frammento di quello studio più largo ed esteso che si riferisce alla anti- chità dell’ uomo, di quello studio dal quale la storia riceve- rà una base soda e reale, e 1’ antropologia un profondo co- noscimento della origine e dello sviluppo della più elevata specie tra i mammiferi. Io trattai già in altro luogo degli avanzi d’arte che trovansi nelle mariere, quì tratterò degli avanzi organici che sin’ ora vi furono scoperti; essi provengono tutti da mariere dell’ epoca del bronzo. Gli avanzi organici appartengono alle seguenti specie. 1. Canis familiaris minor. m. Da » major. m. ò. Ursus arctos L. 4. Equus caballus minor. m. Data » major. m. 6. Equus asinus L. 7. Bos agilis m. Se ge 8. Bos agilis validus m. Gao elatior m. 10. Capra hircus L. 11. Ovis aries capricornis m. 12. » » domestica Rùut. Str. 15. Cervus capreolus L. Io elaphus L. iS» dama L. 16. Sus scrofa antiquus m. KM. o» ferus (Rub 18. » » domesticus Rit. 19. Anser segetum Meg. 20. Ardea cinerea Lath. 21. Gallus domesticus Briss. — ? 22. Diverse specie di molluschi. 25. Diverse specie vegetali. MAMMIFERI Homo sapiens (L'uomo). Nessun osso riescii sin’ ora a scavare nelle terremare che potesse essere riferito agli antichi autori di questi acervi, Si è indotti a credere che la venerazione per gli estinti fosse già in quel tempo assai grande e che i cadaveri, per sal- varli dall’ingordigia dei carnivori, siano stati abbruciati a _ qualche distanza dalle capanne. (1) È naturale che, mancando lo scheletro, nessuna opinione fondata si possa esprimere relativamente alla stirpe cui quei popoli appartenevano. (1) Ciò ammette anche Lyell, il quale dice: « Il parait y avoir très-peu d’ exemples bien authentiques de cranes pouvant se rapporter à la pèriode du bronze; il faut sans aucun doute aittribuer cette circonstance à la coutume en vigueur chez les populations de cette èpoque, de brùler leurs morts et de recueillir leurs os dans des urnes funéraires. » ( L’ anciennetè de 1’ homme prou- vèe par la gèologie ecc. Traduit per M. Chaper pag. 16). Lu 3 de Noi abbiamo però alcuni fatti per giudicare che i più antichi popoli dell’ Europa e del nostro Paese in particolare doveano essere di razza piccola e microchira. Sappiamo che la mascella inferiore umana trovata a Moulin — Quignon apparteneva ad un individuo vecchio ed è sì piccola che I’ uomo il quale la possedeva dovea essere di una statura molto al dissotto della media d’oggidi. ( Ved. L’ homme fossile ètude de philosophie zoologigue par W. de Fonvielle ). Le impugnature delle spade e dei pugnali trovate nelle terremare del Parmense sono assai corte. Strobel e Pigorini danno la misura massima della impugnatura che è di 70 a 75 millimetri. « Dalla brevità di questi manichi bisogna de- durre, che l’ uomo, il quale li impugnava, avea mani ben più piccole, che non le persone adulte di bassa statura della nostra razza. » ( Strobel e Pigorini, Le terremare e le. pala- fitte del Parmense pag. 151 ). ; Nella terramara di S. Ambrogio il Sig. Besini trovò un arnese di corno di cervo che serviva forse da brunitoio. La parte inferiore del medesimo ossia il manico è poco lavorato ed ha una lunghezza di soli 70 Mill. A Gorzano si trovò un peso da telajo che porta delle impronte fatte colle dita e probabilmente coll’indice. Verso il margine superiore di ogni impronta si nota una profonda incisione fatta coll’ unghia. È difficile il dire se queste im- pronte avessero un qualche significato o meno; certo si è che esse sono piccole, poichè nelle più grandi la ‘massima larghezza è appena di 42 Mill. Tutti questi fatti insieme accennano ad una piccola sta- tura degli abitatori delle terremare, per cui, come dicono Strobel e Pigorini bisogna « ammettere, che anche 1 uoma, similmente a quanto rilevammo essere accaduto delle razze di animali domestici, sia, col progresso del tempo, cresciuto in mole, forza, vigore, ed intelligenza. » (Le terremare e le palafitte del Parmense pag. {51 ). e Qi Gli scheletri umani della terramara di Gorzano. Nella terramara di Gorzano trovansi degli scheletri uma- ni, che meritano di essere particolarmente studiati. © lo dissi già in altra occasione che essi furono sepolti nella terramara quando questa si era già formata ( Vedi Archivio per la Zoologia, l’ Anatomia e la Fisiologia Vol. II. Fasc. 2. 1864). Io devo, dopo nuovi ed accurati studii fatti sul luogo, confermare pienamente questa opinione, tanto più che recentemente il Dott. Carlo Boni, nello scavare lo sche- letro di uno di quei cadaveri trovò aderenti alle ossa iliache due anelli d’ ottone di filo compresso insieme con una fib- bia di ferro unita agli anelli ( Vedi Notizia di alcuni oggetti trovati nelle terremare modenesi, Modena 1865). La nostra collezione conta tre cranii della mariera di Gorzano; tutti e tre sono di tipo brachicefalo, poichè nel cranio più piccolo il diametro antero-posteriore è uguale a Mill. 150, » medio » » » ») SAI » più grande » » » » 178, mentre il diametro trasversale è wel°eranio; più ‘piccolo! dit Milli. 0.400 6, AVIR, 81359; » medio Milone ti OD SRI SI00K3%1 » più grande Deli 0 OOO He 9 153, per cui gli indici cefalici sono i seguenti: 92° 6, 85:2; 887. Il cranio più piecolo rappresenta chiaramente il tipo li- gure quale fu delineato dal Nicolucci (La stirpa ligure in Italia ne’ tempi antichi e ne’ moderni. Napoli 1864). Esso apparteneva ad un individuo maschio di circa 16 anni. Il cranio è estremamente corto e largo e s’ accosta assai alla forma sferica. La fronte è larga e bassa, 1’ arcata sopraciliare è poco distinta, le gobbe frontali sono ben sviluppate; 1° ar- cata orbitaria è interrotta dal foro sopra-orbitale. La linea che procede dall’ apofisi orbitaria esterna e che limita ‘su- periormente la fossa temporale è poco marcata. Notasi una Quo leggerissima traccia della sutura frontale presso il centro della sutura coronaria. Le gobbe parietali sono ben svilup- pate, la protuberanza occipitale è quasi nulla. Se si colloca il cranio, privo della mascella inferiore, sopra un piano oriz- zontale, il margine alveolare e la porzione basilare dell’ osso occipitale poggiano su quel piano, mentre non lo raggiungono le apofisi mastoidee. Il grande foro occipitale è collocato piuttosto indietro ed ha un diametro maggiore di Mill. 55-53 ed un diametro minore di Mill. 26° 0. Il diametro verticale del cranio, dal margine anteriore del grande foro occipitale al vertice, è di Mill. 126. La faccia è lunga 105 Mill. e lar- ga 106 Mill. Le orbite sono grandi e di forma che s°’ avvi- cina alla circolare. Il teschio è decisamente ortognato. Non deve sorprenderci in questo cranio l'indice cefalico molto grande (di 92-6), poichè sappiamo che i cranii dei ragazzi tendono alla sfericità. Il cranio medio appartiene ad un individuo maschile di circa 25 anni e differisce alquanto dal sopra descritto. La fronte è larga e bassa, le arcate sopraciliari sono rudimentali, le gobbe frontali poco distinte. L’ arcata orbitaria è interrotta dalla incisura sopra-orbitale; la linea temporale è poco di- stinta; notasi una evidentissima sutura frontale. Il diametro verticale del cranio è di Mill. 151; la faccia è lunga 102 Mill. e larga 121 Mill. La forma delle orbite s’ accosta alla quadrata, lo spazio interorbitale è relativamente più grande che nel cranio precedente. Questo cranio è notevole non, già per la sutura frontale, la quale nei brachicefali non è rara, ma per le sue piccole dimensioni. Il cranio più grande differisce in qualche rapporto dai precedenti. Esso apparteneva ad un individuo maschile di circa 40 anni. La fronte è larga e medioeremente alta, 1° ar- cata sopraciliare è molto sviluppata, le gobbe frontali sono poco distinte. La linea frontale è assai saliente, non v° è trac- cia di sutura frontale. La protuberanza occipitale e la cre- sta occipitale sono ben ‘marcate. Il cranio collocato sopra — 96 — un. piano: orizzontale tocca questo piano coi denti molari e colle apofisi mastoidee. Il diametro verticale del. cranio è. di Mill, 152; la faccia è lunga Mill. 127 e larga Mill. 155. Le orbite sono grandi e la loro forma s’ accosta alla quadra- ta; lo: spazio interorbitale è largo. Non ostante le differenze accennate i tre cranii conser- vano il medesimo tipo brachicefalo e offrono più o meno nettamente i caratteri della stirpe ligure. Questi. cranii confermano. L'idea del Nicolucci, che. 1 I- talia: era un giorno abitata dai Liguri di stirpe turaniana, i quali Liguri furono più tardi dalla stirpe ariana respinti nelle attuali loro sedi, la Liguria ed.il Piemonte. L’unione di queste due stirpi in una sola nazione non può che. apportare forza e vigoria alla nazione stessa, poi- ché sappiamo che i eonnubii troppo intimi e. per molte. ge- nerazioni continuati indeboliscono i discendenti, mentre. gli inerociamenti non solo tra ‘razza ‘e razza, ma anche tra stir- pe. e stirpe. ingagliardiscono la prole. CARNIVORI Tra questi non possiamo registrare che due specie cioè il cane e l’ orso. Canis familiaris L. (Il Cane). Ved. Riilimeyer, Die Fauna der Pfablbauten in der Schweiz pag. 116. Strobel'e Pigorini, Le terremare ele palafitte del Parmense pag. 45. Dagli avanzi del cane sin’ ora trovati nelle nostre ma- riere risulta, che questo carnivoro. nell’ epoca del bronzo era rappresentato nella nostra provincia da due razze, l una mi- nore e | altra maggiore. Anche Strobel e Pigorini trovarono nelle mariere del Parmense gli avanzi di due razze o sotto- razze distinte. Riitimeyer chiama la razza minore Canis familiarispa- — Ta lustris, nome accettato anche dallo Strobe/, ma che non corrisponde al fatto di trovarsi nelle terremare formatesi all’ asciutto. Io chiamerò la razza minore Canis familiaris minor e la razza maggiore Canis fam. major. Canis fam. minor. Gli avanzi di questa razza sono assai più frequenti che quelli della razza maggiore. Teschio. Uu teschio quasi intero fu trovato a S. Ambrogio; non mancano che gli archi zigomatici e qualche osso della fac- cia. Un frammento di un teschio della stessa razza fu tro- vato dal Dott. Carlo Boni nella stessa località. Un terzo teschio frammentario fu trovato dal Prof. £. Salimbeni a Redù; questo teschio porta le traccie di un colpo di bastone ricevuto sulla parte posteriore del cranio dall’ animale viven- te, poichè si osserva che la cresta parietale è interrotta e ripiegata alla sinistra nella metà posteriore della sua esten- sione; inoltre notansi sulle ossa parietali presso l’ interruzione della cresta due profonde impressioni, le quali però non interessano l’intero spessore di dette ossa. La tabella annessa dà le misure di questi tre teschi. È Cane Cane da di pastore terramara !recente Distanza tra il margine ant. dell’ alveolo i del 4. Prem. ed il margine ant. del fo- | ramen occip. magnum... . .... 1124°0- 1550. 1255 Distanza tra il margine post. della cre- i sta occip. e la punta post. delle ossa MASALA). de. see 9900-9951 95:0 Lunghezza delle ossa parietali nella i lineagmediama: ini 0 I 4019-570310 RSI NEUTRI e Ta Lunghezza delle ossa frontali nella li- nea o “at 2 cpr Larghezza della mascella sup. ‘misurata tra i margini alveolari presso i centri dei | due ani. A Larghezza tra i Proc. orbit. delle ossa | frontale id PIRAS OO GT C (O IRRIGETAE ROTA. Diametro maggiore del foramen occip. magnum. Diametro minore del foramen occip. magnum. . Altezza posteriore del cranio, data dal- la verticale calata sul basilare dal punto | più elevato della cresta parietale . ... Cane Cane da di pastore terramara recente 50:0-55:0.| 52:0 51:5| 540 47*5-D41‘0| 56:0 18:0-19:0| 18:0 14:5| 140 50:0-56:0| 5266 Il cane da pastore recente al qiiies si lerifériseGno le misure sopra notate è di statura mediocre. Hascella superiore. Diametro maggiore dell’ ultimo tritore Distanza tra îl margine post. dell’ al- veolo dell’ ultimo tritore ed il margine post. dell’ alveolo del 5.° Prem... (... Distanza tra il medesimo punto ed il margine anteriore dell’ alveolo del ferino Mascella inferiore. Distanza tra il margine post. dell’ al- veolo dell’ ultimo tritore ed il margine anter. dell’ alveolo del ferino. Lunghezza del ferino. ..... Lunghezza della serie dei moldni e ei premolari . A O mg corretti op catt co) aliene 00 o terramara 10:0-10:3, 290-540 541:0-53:0. Cane di terramara (Cane da pastore recente Cane da pastore recente ii GOL | Cane Cane da ‘ di pastore terramara recente Altezza della mascella tra il 4.° Prem. | | edpilisferinosp; Livi aa e e 17:5-19:D| 18°0 Altezza della mascella tra il 2.° e 5.° | O DPR AA ES PANE i 15°8-17:0| 18:22 Larghezza ossia diametro maggiore del | COAOrn PRO aa 19:0-25:0| 228 Scupola. A Redù si trovò un frammento di scapola appartenente al cane minore. L’acromion si eleva di 20 Mill. sulla faccia esterna della scapola; la spina ha una lunghezza di Mill. 120. Il diametro maggiore della cavità glenoidea ascende a Mill. 25, mentre il minore non è che di Mill. 15. L’ apofisi cora- coidea è sviluppata normalmente, come mel nostro cane re- cente. Omero. Si trovarono sin’ ora tre omeri di cane, tra i quali due sono perfettamente uguali e appartengono ad un medesimo individuo, l’altro è alquanto maggiore, ma tuttavia, come cre- do, della razza minore come i precedenti. La tabella annessa ci dà le dimensioni degli omeri accennati. Cane Gane rec. di di statura terramara mediocre | I Massima lunghezza dell’ omero .... {148:0-158:0 1620 Massimo diametro trasversale della te- | SEMAClIOMErO e i 25°0-24°0/ 260. Larghezza della faccia articolare in- | feno lti Le vin iaia 18:0-20:5) 210 Diametro maggiore del foro olecranico 70-80) 35 — 100 — Cubito. Un cubito intero, scavato nella terramara di Redù, offre le seguenti dimensioni Cane 'Gane rec. di di statura terramara . | mediocre Lunghezza totale dell’ osso. . .....i 175:0...|165:0 Massimo diametro antero-pesteriore, dato da una linea che parte dal becco dell’ olecranon e sta perpendicolare sullo spigolo posteriore del cubito . ...... 23:0....| 25°0 Distanza tra il becco e la sommità | delli olecranonigp ge | PIANI FELT ETTI rn Bacino. Della stessa razza del cane trovai un frammento di bacino composto d’ una parte dell’ ileo e deli’ischio. La cavità cotiloidea ka un diametro di Mill, 21. Tibia. Una tibia scavata a Gorzano offre le seguenti dimensioni. Essa ha una lunghezza totale Mill. 158; la estremità artico- lare superiore è larga Mill. 27:2 e l'estremità articolare in- feriore Mill. 17:2. Il cane, cui apparteneva questa tibia, dovea essere di statura meno che mediocre. Metatarso. A questa stessa razza appartiene anche un osso del metatarso trovato a Monte Barello. Esso è lungo 60 Mill., largo all’ estremità articolare superiore Mill. 63 ed all’ estre- mità articolare inferiore Mill. 7. — 101 — Canis fam. major. Di questa razza non vidi sin’ ora che un frammento di teschio, composto dell’ occipitale, dei parietali e di frammenti dei frontali, ed inoltre due mascelle inferiori. Il teschio offre le seguenti dimensioni Cane Cane da di past. rec. terramara © |dhststure Diametro maggiore del foramen occip. Masai Li 00 Diametro minore del foramen occip. magiumett vit PIE GARE RA SIZO Lunghezza delle ossa parietali nella iena e, 63:5..). «01: dd: Altezza posteriore del cranio, data dalla verticale calata sul basilare dal punto più elevato della cresta parietale .... | 64:0....| 52:6 Se si confrontano insieme i due teschi, quello del cane minore e quello del cane maggiore, si riscontrano le seguenti differenze. Il primo teschio è assai più piccolo del secondo. In quello la cresta parietale non è che mediocremente spor- gente e finisce dove incominciano le ossa frontali; in questo all'incontro la cresta parietale è assai rilevata e si estende non solo tra le ossa parietali, ma si prolunga in avanti tra le ossa frontali, diminuendo gradatamente di altezza e per- dendosi sulla parte posteriore di queste ultime. Nel teschio minore il foramen occipit. magn. è di forma quasi circolare, mentre il medesimo nel teschio maggiore è di forma ellittica- La protuberanza occipitale è nel primo relativamente più pronunciata che nel' secondo. Alla razza del cane maggiore appartengono anche due mascelle inferiori trovate l’ una a S. Ambrogio e Y'altra a Gorzano. — 102 — Le dimensioni delle medesime sono le seguenti: Distanza tra il margine post. dell’ alveolo dell’ ultimo tritore ed il margine ant. dell’ alveolo del ferino . 54:5-56:2 Lunghezza del ferino. . . |. Ma Ba . 21°0-22:0 » della serie dei molari e dei o soi 70:0-71:0 Larghezza ossia diametro massimo del condilo. 22:5 Altezza della mascella tra il 4. Prem. ed il ferino. 19:0-20:3 © » » » VM e IL Siccome il cranio maggiore è frammentario e la cavità craniana è aperta, devesi inferire che il cane servisse in quell’ epoca per usi tecnici e mangerecci. Se tuttavia qual- che mascella inf. è intera, ciò non può recare maraviglia, poichè si trovano talvolta intere anche delle mascelle di capre, di pecore e di altri animali che al certo venivano mangiati. Le piccole mascelle potevano benissimo andare talvolta smarrite o venire abbandonate intatte per la scarsità del prodotto che avrebbero potuto fornire. Il Canis familiaris minor, come risulta dalle misure so- pra notate, era di statura piccola o tutt’ al più mediocre e corrisponde quasi esattamente al cane da pastore recente. Ciò si comprenderà facilmente se si riflette che i popoli delle mariere erano principalmente pastori, mentre l’ agricol- tura e la caccia erano poco esercitate. i A ciò aggiungasi che il cane da pastore dovea al certo essere una delle razze primitive, poichè meglio che molte altre s’ accosta al lupo ed alla volpe, insieme ai quali, giu- sta la teoria del Darwin, dovrebbe derivare da uno stipite unico. Anche al presente il cane da pastore è molto frequente nelle colline modenesi ed anzi se ne osservano due varietà, luna assai comune, di statura mediocre; l’ altra più rara, di statura grande. Quest’ ultima discende probabilmente dalla prima e fu prodotta dall’ elezione dell’ uomo. Il Canis familiaris major era di statura più alta ed assai più muscoloso del cane minore e costituiva una razza di- stinta. — 105 — Non; si può opporre che la razza minore ci rappresenti i giovani, la maggiore gli adulti d’ una stessa razza, poichè le ossa sopra notate appartenevano ad individui perfetta- mente adulti. Non è probabile che il cane in quei tempi servisse per la caccia, poichè le armi da caccia erano assai imperfette e poichè gli avanzi di animali selvaggi nelle mariere sono estremamente rari. Annotazione 1. Le razze del cane si sono dall’ epoca del bronzo in poi nella nostra Provincia assai moltiplicate ed oltre le accennate due varietà del cane da pastore ( Ca- nis pecuarius ) sono più o meno comuni le seguenti razze: il levriere o veltro (€. grajus), sì il grande che il piccolo; l’ alano ( C. molossus ) ed il Carlino ( €. frieator ); il mastino (C. lanarius); il segugio (C.sagax); il cane da ferma (C. avicu- larius.) ; il cane da tasso ( C. vertagus ); il barbone (C. genui- nus ); il griffone (C. gryphus ); il cane pomero (€. pomera- nus ); lo spagnuolo e 1’ inglese con numerose varietà (.C. exta- rius ); si vede inoltre qualche esemplare del cane danese ( C. danicus ) e del cane di Terranova (C. aquatilis ). Annotazione 2. Nessun avanzo del gatto potei sin’ ora tro- vare nelle nostre mariere. Mi fu bensì portato da Monte Barello un frammento di cranio di questo carnivoro, ma il colore delle ossa ed il buon stato di conservazione delle parti più delicate mi fanno giudicare che questo cranio non sia stato trovato nelle terremare. Da Ritimeyer (1) e da Strobel e Pigorini sappiamo che nemmeno nelle abitazioni lacustri della Sviz- zera nè nelle terremare e palafitte del Parmense si trovò il x gatto domestico, per cui è certo che i popoli delle mariere (1) Secondo Rufimeyer è cosa incerta, se 1’ omero trovato a Chavannes si riferisca al gatto domestico od al selvaggio; Zyell lo riferisce al domestico ( Ved. Riitimeyer l. c. pag. 170 e Lyell I. c. pag. 27 ). Quand’ anche i’ omero della suddetta località appartenesse al gatto domestico, ciò non modifichereb- be le riflessioni sopra esposte, poichè la collina di Chavannes è di data assai recente, secondo Troyon del VI. secolo d. Cr. ( Ved. Colline de Sacrifices de Chavannes sur le Veyron, Archeologia Vol. XXXV, p. 396). — 104 — non conoscevano. quest’ animale ‘allo stato di domesticità. Secondo Aristotele il gatto era già animale domestico in Europa nel 550 av. C.; ma probabilmente 1° addomestica- mento del gatto (che credesi derivato dal gatto selvaggio dell’ Africa settentrionale Felis maniculata Riupp.), risale ad un’ epoca alquanto più remota. Questo fatto ci fornisce un mezzo per determinare la relativa età delle nostre mariere dell’ epoca del bronzo che devono essersi formate dopo 1’ in- troduzione nella nostra Provincia del cane domestico ed in- nanzi alla introduzione del gatto. Ursus aretos EL. (L'orso). Di questa fiera non si trovò fin’ ora che un dente ca- nino raccolto a Pontenuovo; pare che si confermi l’idea di Strobel, che cioè questa belva in quell’ epoca abitasse gli Apennini e scendesse in pianura solamente negli inverni più rigidi. SOLIDUNGULI Equus cabalius (Il cavallo). Ved. Rutimeyer I. c. pag. 122. — Strobel e Pigorini 1. c. pag. si. Il cavallo è rappresentato nelle nostre terremare da po- che ossa bensi, ma è cosa certa, ch’esso esisteva in quei tempi remoti allo stato di domesticità. Le ossa scoperte ac- cennano a due razze cavalline, come si vedrà dalle misure qui sotto indicate. — 105 — Mascella inferiore. di terramara ‘recente adulto | giovane Cavallo Dc È Distanza tra il dente canino ed il 1.° LULELS 0 de A Ae a RO 56:0.....| 75:0 Altezza della mascella sotto il margine pese OMO dn ua 480. ...| 450 Bunehezza-del-1° Mol.. . 0... 2 AZIO Lunghezza della sinfisi della mascella | 84:0....| 88:0 Altezza del 1.° Mol. compresa la radice { 59:0....| — | Massima larghezza del 1.° Mol. .... 170 0 | Mascella superiore. La lunghezza totale dei primi tre molari è di Mill. 85:0; la lunghezza del 1. Mol. ascende a Mill. 56:0, quella del 2. Mol. a Mill. 275 e quella del 5. Mol. a Mill. 25:0. Il 1. Mol. è largo Mill. 25:0, il 2. Mol. Mill. 24°0, il 5. Mol. Mill. 25:0. Omero. Due frammenti di omeri trovati P uno a Redù e l’altro a S. Ambrogio offrono le seguenti dimensioni. i Cavallo cav: alto Î di terramara ee Massima larghezza dell’ estremità ar- ticolare infer. comprendente ta. trochlea | eaieondilo, ivi I paglia I 67:0-70.5 | 79:2 Altezza ossia diametro verticale della ; faccia esterna della trochlea . ...... 591:0-55-:0 | 41:0 Altezza ossia diametro verticale del PAOLO II ETNIE LE ATER RI ATI AD 090 106 — Radio. Cavallo Cavallo di terramara |recente Diametro maggiore della faccia arti- colare superiore... .....-. 69:00 ero Diametro minore della medesima pres- È sol ilerialzo: MEediano.s 0 ie 200 00 I due radii indicati sono rotti nella metà della loro lunghezza per potere estrarre il midollo. Metacarpo. Due metacarpi interi, trovati l’ uno a Pontenovo e 1° al- tro a Gorzano, offrono le seguenti dimensioni. Cavallo «Cavallo di terramara | recente PWUOSheZzzI O e 210:0-215:0| 241:0 Larghezza della estremità superiore. . | 46:0- 47:0| 55:0 » » inferiore . . { 46:0- 46:5| 540 Femore. I femori frammentarii che possediamo accennano all’ esi- stenza di due razze cavalline all’ epoca del bronzo. La tabella qui sotto riportata fa vedere che luna di queste razze era piccola e di forma snella, mentre l’altra era maggiore e grossolana. — 107 — Cavallo di terramara | CO Razza minore|Razza magg. | - Altezza ossia diametro verti= | cale del condilo esterno. . . . . 440... | ©2°0 sirca 580 Massimo diametro orizzontale | del condilo esterno ....... 50:0.../45:0...] 450 Massima larghezza della estre- mità inferiore del femore, com- prendente i due condili. . ...{81°0...|— —| 1000 Grossezza della estremità in- feriore del femore, data da una retta che dal punto più promi- nente della faccia anteriore del condilo esterno va alla metà del labbro esterno della trochlea. .|76:6...{95°0... 92°0 Rotula. Una rotula trovata a Redù. offre una massima altezza di Mill. 64:0 ed una massima larghezza di Mill. 660. Tibia. A Castelvetro trovai una tibia quasi intera del cavallo delle terremare. Essa ha una massima lunghezza di 540 Mill.; la distanza che passa tra l’ apice della spina ed il punto più distante del margine esterno della tuberosità interna e superiore è di 47 Mill.; l’ estremità inferiore ha una massi- ma larghezza di 70 Mill. La distanza tra il foro nutritivo e l'apice della spina. ascende a Mill. 114. Le impronte che lascia il muscolo tibio-falangeo (tibio-phalangien Gir.) sulla faccia posteriore della tibia sono mediocremente sviluppate. Inoltre trovai due estremità inferiori dello stesso osso, | una a Redù e l’ altra a Pontenovo. Esse hanno inferiormente una massima larghezza di Mill. 640-700. — 108 — Calcagno. Massima. lunghezza dell’ osso . ........ Mill. 97:0. Altezza dell’ osso all’ estremità superiore.» 143°0. » » » inferiore. . » 540. Cavallo | Cavallo Astragalo. È di terramara. | recente Lunghezza del labbro interno della tro- pete TRENO Mil, ehlea in linea retta... if agi 49:0-50:5| 67:0 Massimo diametro della faccia poste- {i TOree: o fedi cano D'eldao: : 460) 58:0 Metatarso. A Gorzano si trovarono quattro metatarsi, due interi e due frammentarii. Le dimensioni sono le seguenti: Lunghezza totale dell'osso... ... Mill. 244:0-259°0 Larghezza massima della superficie ar- ticolare Superiore. i. 0 Re a a » 42:0-47:0 Larghezza massima della superficie ar- UCOlare INferiore n. Po SITO » 400-454. Prima falange. Massima ‘lunghezza. i. i. Mill. 87:0 » larghezza all’ estremità super. . » dS°d » » » infer.. » 46:0 Larghezza nella metà della lunghezza . » 3S°0 Terza falange. Una 5° falange quasi intera, trovata dal Dott. Boni a Gorzano offre queste climensioni. — 109 — Distanza tra il centro del margine inferiore delle. falan- ge e l'apice della eminenza piramidale. ... . ... Mill. 42:5 Distanza tra il centro della cresta semilunare ed il centro del margine inferiore della falange... » 254 Distanza tra il centro del margine inferiore della falange ed il centro del margine posteriore slellagmmedesimalit st i N, SRI » 450 Diametro maggiore della faccia articolare su- penso Wdell'iossotioatio seal rego Ti 9059 Diametro minore della stessa cia tra le 2 sini: SERA e A RL Anche le ossa del convatteti sono comunemente fratumate, la quale cosa dimostra che i popoli delle mariere sì cibava- no di questo animale. Ne ciò deve sorprenderci se riflettia- mo che i selvaggi nei Pampas mangiano la carne dei Cimar- rones e che molte tribù orientali apprezzano molto la carne cavallina, mentre noi solamente negli ultimi tempi abbiamo incominciato a trarne profitto. ( Società ippofaghe ). (1) Il cavallo dovea essere molto utile a quei popoli antichi ai quali si possono riferire le parole di Brelm. « Presso un popolo che vive poco numeroso sparso sopra un vasto spa- zio, che meno di noi occidentali è attaccato al suolo, la cui occupazione speciale è la pastorizia, il cavallo deve ne- cessariamente essere altamente apprezzato e direi quasi sti- mato » (Illustrirtes Thierleben, 25. Heft ). Se tuttavia il ca- vallo non era sì comune come potrebbesi aspettare ciò si deve attribuire al suolo in allora assai paludoso. Quanto ai servigi che in quel tempo prestava il ca- vallo noi dobbiamo ritenere ch’ esso servisse per portare e non da tiro. Ciò si può inferire sì dalla mancanza di strade in quell’ epoca, come dalla mancanza nelle mariere di ar- nesì analoghi ai carri, ed in fine dal fatto che al presente (1) Ved. inoltre la mia Prima Relazione nell’ Archivio per la Zoologia l’ Anatomia e la Fisiologia Vol. IV, Fasc. 1, pag. 3. — 110 — S le popolazioni barbare e semibarbare si servono del cavallo solamente come animale da soma. Fquus asinus L. (L’asino). Ved. Strobel e Pigorini l. c. pag. 52. Anche di questo animale si trovarono nelle nostre ma- riere alcuni pochi avanzi, cioè un omero, due tibie ed un radio. Omero. Il frammento d’ omero, trovato a Pontenovo, rappresen- ta l’ estremità inferiore di quest’ osso ed ha le seguenti di- mensioni. L' estremità articolare, comprendente il condilo e la trochlea ha una massima larghezza di Mill. 592; l altezza x - ossia il diametro verticale della trochlea è di Mill. 55°5. og Asino | Asino Tibia. di terramara 'recente Larghezza della estremità inferiore . . 54:0-54:0 56-5 Distanza tra il foro nutritivo e l’ e- stremità inferiore misurata sulla faccia Posteriore. er TIZI =————————_______—_.__._._.r...__—€€+€m@T6 renna rr . x Asino Asino Radio. di terramara | recente Larghezza della estremità articolare | | Shperiore WWianiiene sto da stereo 55:0 | 35:0 Come si vede, Il asino delle terremare non differiva molto dal recente, poichè le tibie del primo sono bensì al- quanto più strette che quella del secondo, ma il radio è — Ill — meno largo in questo che in quello, oscillazioni che si pon- no osservare anche al presente. Le tibie sono spaccate trasversalmente all’ incirea nella metà dell’ altezza della spina e ciò evidentemente, perché in questa parte il vuoto interno è più vasto che. altrove e racchiude una maggior copia di midolla. Questo fatto dimostra in pari tempo che in quei tem- pi si traeva profitto dell’ asino sia come cibo sia per uso tecnico; le difficoltà che può suscitare tale ‘opinione sono state da me discusse nella Prima Relazione. (1) Dopo quanto dissero Strobel e Pigorini nella Prima Re- lazione pag. 25, negli Avanzi preromani Tav. V. fig. F. e nella Seconda Relazione pag. 52, e dopo quanto fu. sopra esposto non vi può esser più dubbio alcuno intorno all’ esi- stenza dell’asino come animale domestico all’ epoca del bron- zo, almeno nell’ Emilia. Gli avanzi dell’ asino devono però sempre chiamarsi rari, ancor più rari che quelli del cavallo. E si comprenderà facilmente questo fatto se si pensa, che le nostre terremare sono situate in pianura od in vicinanza della medesima e che la razza cavallina era piccola e perciò con quasi tutte le buone qualità dell’ asino univa maggior celerità. RUMINANTI La pastorizia si occupa principalmente dei Ruminanti ed è appunto perciò che noi troviamo nelle terremare un grande numero di avanzi dei medesimi. Gli avanzi fin’ ora raccolti appartengono al bue, alla capra, alla pecora, al ca- priole, al cervo ed al daino. Eos (Il bue) Ved. Riltimeyer, l. c. pag. 130. — Strobel e Pigorini le c. pag. 53. Gli avanzi del bue sono, dopo quelli del majale, i più comuni nelle nostre mariere. Lo stabilire però, a quante (1) Archivio per la Zoologia ecc. Vol. IV, Fasc. I, pag. 3. — 112 — razze queste ossa appartengano è congiunto con gravi difli- coltà, poichè sappiamo che le razze attuali sono distinte tra loro non sempre per la statura, ma talvolta solamente pel colore del mantello, pel eolore delle corna o per altri carat- teri che non hanno alcun riscontro nello scheletro. A ciò aggiungasi che la minore o maggiore statura non può sempre fornire dei caratteri distintivi delle razze, giac- chè è noto che ’ età, il sesso, il nutrimento più o meno copioso rendono tali caratteri incostanti. Tuttavia dal complesso di numerose. osservazioni può emergere un risuliato positivo e lo studio delle ossa di bue delle nostre mariere conduce, secondo il mio avviso, alla . conclusione, che all’ epoca del bronzo esistettero tre razze di bue, che chiameremo Bos agilis (il bue agile), Bos vali- dus (il bue tozzo) e Bos elatior (il bue maggiore). Si noti però che tale distinzione è fondata esclusiva- mente sullo studio delle ossa e principalmente dei metacar- pi sin’ ora raccolti nelle mariere della nostra provineia, per cui il numero tre delle razze è il minimo che si possa sta- bilire, giacchè è possibile, come fu sopra notato, che. ne esistessero più che tre razze, in parte non distinie tra loro per caratteri osteologici. Cranio. Un solo frammento di cranio potei sin’ ora trovare, ap- partenente al bue maggiore. Esso fu scavato a Gorzano ed è composto di un pezzo di frontale sinistro con fusto fram- mentario del corno, del parietale ed occipitale sinistro e del temporale coll’ apofisi zigomatica. Siccome nessuno di queste ossa è perfettamente intero, riesce diflicile il dare delie esatte misure di questo frammento di cranio. La distanza tra il margine inferiore del fusto del corno ed il margine superiore del condotto uditivo misura 66 Mill, mentre in una vaccina recente la stessa distanza è di 69 — 115 — Mill.; la fossa temporale, verticalmente sopra la massima convessità dell’ apofisi zigomatica, è alta nel cranio antico Mill. 41, in un cranio recente di bue Mill. 55. R Fusti di corna 1. Potei esaminare cinque fusti di corna che apparten- gono certamente ad una medesima razza e dei quali quattro furono trovati a Gorzano ed il quinto nel Reggiano. In:questi fusti la base è compressa ed il diametro mi- nore è, relativamente al maggiore, tanto più piccolo quanto più lo si misura vicino all’ apice del fusto. Tutto il fusto si curva sin dalla base ed è distinto dal frontale mediante uno strozzamento abbastanza marcato. Il tessuto. è mediocremente compatto, tutta la superficie è riccamente bucherata. Le dimensioni di questi tre fusti sono le seguenti. Circonferenza alla base. . ...... Mill. 103-152. Lunghezza seguendo la gran curva. » 151-161. Diametro minore della base . .... » 27- 55. » maggiore » RARI BASI Siccome di questa razza di bue non ho alcun teschio, è difficile il dire che direzione prendessero le corna; l’ e- same dei fusti però sembra indicare che le corna fossero dirette da prima all’ infuori ed in alto, poi all’ avanti ed all’ indentro. 2. Un fusto frammentario, diverso dai precedenti, fu tro- vato a Pontenovo; esso è molto depresso e di struttura as- sai compatta. Le sue dimensioni sono le seguenti. Cireonferenza alla base. . . .. Mill. 161:0 Diametro minore della base .. » 420 » maggiore » AIDA DO Questo fusto è un po’ curvato e lungo la gran curva notasi un spigolo marcato; la superficie offre dei piccoli fori poco numerosi e ben circoscritti. 5. Due altri fusti, l'uno di Gorzano e 1’ altro di Castel- — I14 — larano, differiscono dai precedenti ed offrono le seguenti di- mensioni: Circonferenza alla base . ..... Mill. 140:0-156:0 Diametro minore della base. ... » 41:0- 45°0 » maggiore » SERI» IN 48:0= 9250. I fusti suddetti sono distintamente separati dal frontale, fanno una curva leggera e sono diretti, supposta la fronte orizzontale, in fuori ed in avanti, senza elevarsi sopra il piano della fronte; il loro tessuto è assai poco compatto e la superficie porta una grande quantità di fori e di solchi irregolari. Un fusto simile fu trovato dal Signor L. Besini in una terramara del Bolognese. 4. In fine trovai due altri fusti frammentarii a Gorzano; il più piccolo di questi fusti è unito al pezzo di cranio sopra descritto. Le dimensioni sono le seguenti: Circonferenza alla base. ..... Mill. 1490-1650. Diametro minore delia base ... » = 58:0- 45°0. » maggiore » e OZ La direzione dei fusti e delle corna non può essere ben difinita, stando ai frammenti che noi possediamo; ciò che si può stabilire si è, che, supposta la fronte orizzontale, il fusto da prima è diretto in fuori ed in addietro, elevandosi di poco sopra il piano della fronte. I fusti sono di struttura mediocremente compatta e la linea della loro separazione. dal frontale è poco marcata. I fusti descritti al Numero 1 appartengono al bue agile; quelli deseritti al Numero 5, al bue. tozzo; queili descritti al Numero 4, al bue maggiore. Il fusto infine del Numero 2 o apparteneva ad una delle tre razze accennate o ad una quarta razza osteologicamente non diversa dalle tre suddette. Mascella superiore. Un solo frammento della mascella superiore riescii sin’ ora a trovare nelle nostre mariere; questo rappresenta quasi — 113 — l’intera mascella superiore destra e fu trovato a S. Ambro- gio. L’ individuo cui appartiene era adulto. Lunghezza della serie dei denti. . ...... Mill. 1190 » dei, Prem:}2pendd asino gi Blond FAO » dei.Mol. 2 e.3....... sissi al 40:0 . Massima larghezza della faccia di logoranza del dgMolsorado bin si misi ishi UR diana che ina 140 Mascella inferiore. Lo studio delle mascelle inferiori offre delle gravissime difficoltà, poichè sappiamo che la dentiera varia non solo secondo le razze, ma anche secondo il sesso e più ancora secondo l’ età degli individui. Tuttavia, esaminando le di- verse mascelle sin’ ora scavate nelle nostre terremare, è facile il persuadersi che esse appartengono a diverse razze e non ostante la sopra accennata difficoltà si ponno scorgere ‘le tre razze, alla distinzione delle quali ci conduce lo studio di tutte le ossa. Quando non si abbiano delle mascelle di individui di età eguale, la lunghezza dei singoli denti o quella della intera serie dei denti è di poca importanza per la de- terminazione delle razze; la stessa cosa dicasi della altezza della mascella nelle diverse sue parti. Maggiore importanza, io credo, hanno la forma dei molari e della faccia logorata dei medesimi; quest’ ultima in ispecie sta in rapporto colla struttura dei denti e colla consistenza più o meno grande delle diverse parti del dente. In due mascelle trovate a Gorzano, appartenenti ad individui giovani, i mascellari sono stretti e relativamente lunghi, il 1 molare specialmente è notevole per la sua lunghezza che è di Mill. 29:0-29°3, mentre il 2 molare non è lungo che Mill. 25:0-25:5; lo strozzamento che divide il dente in un cilindro anteriore ed in un cilindro posteriore è assai profondo e marcato: inoltre i molari aumentano sensibilmente di larghezza dall’ al- to in basso, come notasi ancora nei molari di una vaccina .— 116 — nostrana recente; aleune altre mascelle delle mariere nostrane (di Gorzano e di S. Ambrogio ) hanno i denti relativamente più larghi, meno distintamente strozzati e separati in due cilindri; inoltre la corona è in tutta la sua aitezza di quasi uguale larghezza; tra questi due ‘estremi notansi dei denti di una forma intermedia; a ciò aggiungasi ‘che nei molari per i primi accennati la faccia logorata è assai obliqua, quasi piana nei molari larghi; di direzione intermedia negli ultimi. lo credo di dover riferire le mascelle accennate alle tre razze di Pye che già conosciamo. Condilo della mascella inferiore. Î i Înd Vacca Bue di Bue tozzo maggiore LE vi recen Massimo diametro tra-1 } È sversale; 2, 0n 0: . |, 2450 |96:3-40:D 47:0 460 Larghezza dell’ apofisif _ È 89 coronoide alla base... .| 98°0 |55:0 58:0-61°:0) 550 Omero. Sin’ ora trovai alcune estremità inferiori di omero ed un omero quasi intero. La tabella annessa dà il risultato delle misurazioni eseguite sopra gli avanzi indicati. Bue Bue tozzo maggiore Bue agile | | Massima larghezza dell’ estre- pei Lasa ta mità articolare inf. comprendente | la trochlea ed il condilo . ... ‘61 ‘0-66 072:0 Altezza ossia diametro verti- cale della faccia esterna della FOCE Ae rosi HE nes - 117 — Bue | Bue tozzo ; maggiore Bue agile ——'y1r{{tius Grossezza della estremità inf. rappresentata da una linea che parte dalla metà del margine. esterno del condilo e sta per- pendicolare sulla faccia poste- Fiore dell’omero....... RT COLA Larghezza della fossa olecra- | nica, misurata da una linea oriz- zontale che scorre tra l’ apice dell’ epicondilo e quello dell’ e- pitreeblea----ir nea — | 56:3...|500... Massima altezza ossia massi- mo diametro verticale del con- ila i 99°0.. di Massimo diametro della iosa | coronoidea . .(.... 0 iL 480... Li 5-57-:0) 62°0. . Nel bue maggiore, quantunque l omero sia di maggior mole che nelle altre razze, pure la distanza tra l’ epitrochlea e l’epicondilo è minore che in queste; ciò avviene perchè nel bue maggiore l’ epicondilo è sporgente all’ indentro verso la cavità olecranica e si ravvicina per tal guisa all’ epitro- chlea, cosa che non riscontrasi negli omeri delle altre razze. Radio. I diversi radii sin’ ora scavati sono tutti frammentarii ad eccezione di uno solo; le estremità superiori sono nella nostra raccolta rappresentate da un numero maggiore di esemplari che le estremità inferiori. Anche i radii accennano alle solite tre razze di bue, come osservasi dalle misurazioni contenute nella tabella qui sotto riportata. — 118 — T—r_o-—@——ZmÈÈ-l<—<——.È—@—4»£m@@@-» Bue Bue agile 5 maggiore Bue tozzo Massimo diametro trasver- sale della faccia articolare su- È PEriore nai o Ero Ma abi 150:0-56:2| 62:0-72:0 | 78:0 Diametro antero-posterio- re della faccia articolare su- periore sopra il rialzo che separa le due cavità di detta faccia i 20:2-25°0| 240-262 | 29-0 Lunghezza totale del radio. — — ‘|260:0-270:0| — — Metacarpo. I metacarpi sono assai atti a rendere evidente la esi- stenza delle tre razze di bue da noi accennate e a darci qualche schiarimento sulla statura e sulla robustezza delle medesime. i Bue o] x Bue agile Bue tozzo maggiore Massima lunghezza del- | ; L'asse al i 168-0-168:5/172:0-185:0] 200:0 - Massima larghezza del- | la superficie articolare su- i fari penioce can 43°5- 488] 50:0- 55:0| 95°0 Massima larghezza del- la superficie articolare in- |. __ Plata je fERORC E N 47°0- 500) 95°0- ve i Falangi anteriori. Lo studio delle falangi va unito a gravi difficoltà, poi- chè fa d’ uopo tener conto non solo delle oscillazioni che ponno essere prodotte dalle diversità dell’ età e del sesso, ma bisogna anche valutare le differenze che esistono in un — 119 — medesimo individuo tra le falangi anteriori e le posteriori. I risultati ai quali io arrivai sono deposti nella tabella che qui sotto riporto. Bue Bue tozzo maggiore Bue agile Prima fulange. Lunghezza della falange tra il margine esterno della cavità glenoi- dea esterna ed il condilo | EER A A RECON 45.0-460) 46:0-46:5 1 50:0 Massima larghezza all’e- | _ di stremità articolare superiore. | 25°0 . . .|26:0-27:5 | 28:0 - Massima larghezza all’ e- i Li stremità articolare inferiore. | 22:5-25:4| 28:0-51:0 | 50:2 Seconda falange. Lunghez- | _ Nolte za della falange come sopra. | 25:35. . . . |26:0. ... .|27°5 Massima larghezza all’ e- stremità articol. superiore . | 210... .|24:5. ...|25:0 Massima larghezza all’ e- stremità articolare inferiore. | 248... .|29°0....|29:0 Terza falange. Massima | lunghezza alla base... .. — “— |60:0....|69-0 Massima larghezza della ie NO e ARRIVO Massima altezza della fa- i BORE lange dei ei LE DICI Femore. Sin’ ora non trovai che due estremità inferiori di femori entrambe scavate a Gorzano. Io credo di doverle riferire luna al bue tozzo e l altra al bue maggiore. In questa i condili sono più grandi e confinati da margini più distinti che in quella; nel bue maggiore le due fossette del condilo esterno sono più profonde e la fossa intercondiloidea è più larga che nel bue tozzo; inoltre in quest’ ultimo la trochlea è meno larga, più obliqua e confinata da un labbro interno assai più rialzato che nel primo. — 120 — La trochlea è lunga nella linea mediana nel bue tozzo 58 Mill. e nel bue maggiore 55 Mill.; il condilo esterno ha una massima altezza di 44 Mill. nella. prima e di 47 Mill. nella seconda razza; in quella la massima larghezza della estre- mità articolare inferiore, comprendente i condili, Pene a Mill. 74, ed in questa a Mill. Ss. Tibia. I dodici frammenti di tibie che potei esaminare rappre- sentano tutti delle estremità inferiori; la superficie articolare inferiore di 4 tibie smilze è larga Mill. 55:0-56:0;. nelle. al- tre tibie questa larghezza ascende a Mill. 58:0 -45:0. Credo che le prime 4 tibie appartengano al bue agile e le altre al bue tozzo. Sì tra quelle come tra queste qualcuna è fornita di marcatissime impronte muscolari. | Astragalo. Trovai cinque astragali del bue agile, cinque del bue tozzo ed uno del bue maggiore. La seguente tabella ne dà le dimensioni. Larghezza massima all’ e- }_ sins lu 1 stremità pogterigre,.;...3 «,p,: f90:9-96°0. 98:0-59:0 | 420 Bue: agile Bue tozzo fat. cune agile | Boe to | mule | ® LE Lunghezza massima del- |__|... LI 3 Posso an 50*0-57:0 50:5-59.5 | 640, Larghezza massima all’ oi ia (È nin anteriore . . . . .. {92°0-57:0 572-410 412 Calcagno. Posseggo cinque calcagni, dei quali due soli sono interi, mentre gli altri sono frammentarii. Tuttavia si riconosce che questi 5 esemplari appartenevano alle tre razze sopra nomi- O — 12 — nate. Gli esemplari interi appartenenti al bue maggiore offro- no le seguenti dimensioni. Massima lunghezza dell’ osso Mill. 127:5-129:0; massima altezza presso l’ estremità posteriore Mill. 49:0-51:0; massima altezza presso |’ estremità anteriore Mill. 354°0 - 58°0. Metatarso. Bue agile Bue maggiore Massima lunghezza dell’osso . |192:0-208:5! 210:0-212:0 Massima larghezza della super- ficie articolare superiore . ..... 98:2- 4040 | 45°5- 445 Massima larghezza della super- ficie articolare inferiore. ...... 44°5- 465 | 51°0- 550 Prima falange post. Bue agile Bue maggiore | Lunghezza della falange tra il margine esterno della cavità gle- noidea esterna ed il condilo e- SICRNO TORO 800 VANI 50-0 390 Massima larghezza all’ estremi- tà articolare superiore. ....... 240 i 200 Massima larghezza all’ estremi- tà articolare inferiore ........ 25°6 ! 270 Seconda falange post. Bue agile | Bue tozzo Lunghezza come sopra ..... 26.5 300 Massima larghezza all’ estremi- tà articolare anteriore. ....... 200 21:0-21:5 Massima larghezza all’ estremi- tà articolare posteriore . ...... 24:92 252-278 SIA REI RITA STU 9 — 122 — Una sola terza falange riescii sin’ ora a scavare; essa ha le seguenti dimensioni. Massimo diametro longitudinale della cavità AFticolare AREA, AA i I Mal 27 0 Massimo diametro trasversale della cavità © AFtiCOlare: "9 varia n RO e LORETO A LIU EZIO Altezza rappresentata da una verita ca- lata dal margine anteriore della cavità artico- i lare nie sli ES ROSE URLO. È difficile il dire a quale razza bovina questa falange appartenga; probabilmente essa è di una delle due razze mipori. Le dimensioni sopra notate dei metacarpi e dei meta- tarsi c' insegnano che il Bos agilis è sinonimo del due mi- nore var. snella secondo Strobel, il Bos validus del bue minore var. tozza Strobel ed il Bos elatior del bue mezzano Strobel. Siccome i fusti ossei delle corna c’ inducono a stabi- lire per lo meno tre razze, io ho creduto di dovere staccare il Bos validus dal Bos agilis e farne una razza distinta, mentre Strobel non ammette che una razza con due varietà. Il Bos agilis m. è più piccolo del Bos brachyceros Ri- tim., come si rileva dal confronto delle dimensioni delle ossa. Nel Bos brachyceros p. e. il metacarpo è lungo Mill. 179-182, mentre nel Bos agilis la lunghezza del detto osso: ascende a soli Mill. 168; il metatarso del Bos braehyceros all’ estremità articolare inferiore è largo Mill. 52, mentre nel Bos agilis la detta larghezza ascende solamente a Mill. Ah°5 - 465 Se si confrontano le dimensioni dei fusti ossei del bue tozzo sopra notate con quelle attribuite da /iit4meyer ai fusti del Bos brachyceros, si trova quasi perfetta concordan- za. Inoltre le dimensioni delle ossa del Bos brachyceros non differiscono che assai poco da quelle del Bos validus, come risulta dalla annessa -tabella. — 125 — Bos Dr: Bue brachyceros pos VIE minore 10770 Riitimeyer i Strobel Massima larghezza dell’ estremità articola- re infer. dell’ omero...| 70:0- 75°0| 72:0- 72:51 — — Mass.? lunghezza del IOGIACANPo i. 179:0-182:0|172:0-135-0 162:0-185:0 Larghezza dell’ estre- mità articolare superio- re del metacarpo..... 45*0- 50:0| 50:0- 55:01 — — Larghezza dell’ estre- mità articolare inferiore del metacarpo ....... 46:0- 55:0) 55:0- 58:0| 57:0- 69-0 Si vede da ciò che il Bos validus costituiva una razza assai affine al Bos brachyceros; il primo era però di forme alquanto più tozze del secondo. È difficile il dire se il Bos validus sia una razza distinta dal B. brachyceros, oppure una semplice varietà locale, poichè nessuno ha segnato i limiti tra le razze e le varietà. Il nostro due maggiore (Bos elatior) non è sinonimo del bue maggiore Str. nè del Bos primigenius Rit,; il Bos elatior corrisponde al bue mezzano delle mariere Strob. La verità di queste asserzioni si potrà rilevare dalla tabella annessa. SONA aida O ea [e Cianor Riitimeyer | Strobel Strobel È Larghezza del radio all’ c- | stremità articolare superiore. . . 105:0?2| — — |! — — | 780 Lunghezza totale del calcagno. {173:0-1990| — — | — — |127:5-1290 Massima lunghezza del me- CO e RATE eni ae 212:0 | 163-0-200-0 200-0 Massima larghezza della su- perficie artic. inf. del metacirpo. | — — 69:0| 50-0- 62:0 58°5 Massima lunghezza del me- ARONA A RA — — |246:0-219:0|185-0-2160 | 210:0-212:0 Massima lunghezza della su- perficie artic. inf. del metalarso. Y — = — | 58:0- 610] 50-0- 57:0| 54:0- 50:0 (cs rccolcoc@@@rr—"—“e-[s:-@ — 124 — È vero che le sopra citate dimensioni del Bos primi- genius si riferiscono all’ animale selvaggio, maggiore del do- mestico, ma le differenze sono tanto grandi che è impossi- bile il riunire in una razza il Bos primigenius ed il Bos elatior. Il bue maggiore nel senso. di Strobel non esiste nelle nostre terremare; non ostante i molti scavi da me praticati e le migliaja di ossa raccolte, non riesci a trovare un avan- zo solo riferibile al bue accennato. Da quanto fu sopra esposto, sembra che si possa giu- stificare I’ asserzione che all’ epoca delle terremare esistevano tre distinte razze di bue. Il Bos agilis era di statura piccola e di forme snelle; le corna erano corte e sottili e dirette da prima all’ infuori ed in alto, poi all’avanti ed all’ indentro. lì Bos vulidus era di statura alquanto maggiore ed as- sai più tozzo e robusto del precedente. Mentre nel Bos agilis la massima larghezza della superficie articolare inf. del me- tacarpo sta alla lunghezza totale del osso medesimo come 1: 5:45, nel Bos validus vi sta come 1: 5:15. Le corna era- no dirette, facendo una curva, in fuori ed in avanti, senza elevarsi sopra il piano della fronte. Il Bos elatior era maggiore dei precedenti, più tozzo del Bos agilis ed assai più snello del Bos validus. Nel Bos elatior la larghezza della superficie artic. inf. del metacarpo sta alla lunghezza totale dello stesso osso come 1: 5:41. Le corna erano direite in fuori ed in addietro, elevandosi di poco so- pra il piano della fronte. i Siccome in quel tempi l’ agricoltura era poco avvanzata e non si trovano degli arnesi analoghi ai nostri carri, è da supporsi che il bue fosse allevato non già come animale da tiro, sibbene come animale da macello. E come tale questo mammifero dovea essere di grande utilità. Con ragione dice Brehm parlando del bue: Schon in vorgeschichtiichen Zeiten benuizte der Mensch dei Dienste und Erzeugnisse der ge- — 125 — zihmten Thiere. Auf den tltesten Denkmalen der Baukunst sind sie abgebildet; die ersten Sagen gedenken ibrer. Sie waren bereits in Alterthume iber die ganze Welt verbreitet. ( Illustr. Thierleben, 29. Heft S. 660). Annotazione. — Anche attualmente osservansi nel Mo- denese tre razze principali di bue che sono la razza di mon- tagna, la razza di pianura e delle valli e la razza formentina. La prima porta delle corna corte, dirette in alto ed in avanti, talvolta inoltre all’ apice ritorte in addietro, bianche alla base e nere verso la punta, la coda è nera all’ estremità e la statura è piuttosto piccola. La razza di pianura è di sta- tura maggiore e possiede delle corna corte e molto grosse. La razza formentina è di statura grande e robusta, di color formentino e porta delle corna mediocremente lunghe, nere all’ apice, bianche alla base, rivolte in fuori ed in alto, tal- volta inoltre alla cima dirette in avanti; la coda è bianca all’ apice oppure benchè raramente d’ un- rosso chiaro. Po- trebbe darsi che queste tre razze siano derivate dalle tre razze antiche sopra citate, ma nulla posso dire di preciso su tale argomento. Capra hireus EL. (La Capra). Ved. Rutimeyer, l. c. pag. 124. — Strobel e Pigorini Ì. c. pag. 58. È molto difficile il distinguere le mascelle della capra da quelle della pecora; tuttavia furono indicati da /tiitime- yer e da altri autori alcuni caratteri che possono servire per fare una tale distinzione. Tra i varii caratteri indicati dagli autori credo che i seguenti siano i più costanti ed i più pratici. Nella mascella superiore gli spigoli mediani esterni, quelli cioè che separano l uno dall’ altro i due cilindri dei denti, sono assai più acuti nella capra che nella pecora; nella pri- — 126 — ma essi sono inoltre più pronunciati. Meno buono è il ca- rattere desunto dallo spigolo che scorre lungo la metà del cilindro anteriore e che fu indicato da Bojanus e Riutimeyer. Questo spigolo è sì nella capra che nella pecora più chiaro nei Molari 2 e 5, mentre negli altri denti o manca od è indistinto. Nei Premolari 1 e 2 scorgesi bensì uno spigolo, ma lo riguardo come corrispondente allo spigolo mediano esterno dei Molari, non allo spigolo che scorre lungo la metà del cilindro anteriore. - Un buon carattere ci viene offerto dalla forma degli spigoli mediani esterni. Questi sono nella capra ripiegati in avanti, specialmente nel Mol. 5, mentre nella pecora scorrono verticali sulla faccia esterna del dente. \ Un altro distintivo ci recano gli spigoli anteriori esterni dei denti. Anche questi spigoli scorrono nella pecora retti dall’ alto in basso, mentre nella capra, essendo ripiegati in avanti, coprono lo spigolo posteriore del dente antecedente. In fine devesi notare che nella pecora il 1 Mol. è, ri- spetto al secondo Molare, relativamente più piccolo che nella capra. Ecco il rapporto desunto da un teschio di pecora e tre teschi di capra. 1 Mol. di pecora. Lunghezza . ...... Mill. 11:5 Di » DA e te » 17:35 Rapporto come 11:5:17.5 ossia come 1: 1:55. 1 Mol. di capra. Lunghezza. . ... Mill. 14:0-15:5 9 » » » ANI DE) 17:2-19:0 Rap.° come 140 -15:5: 17:2- 19-0 ossia come 1: 1:14-1:22. Quanto alla mascella inferiore delia capra e della pecora, io mi persuadei che esistono le seguenti differenze. Nella pecora i denti stanno meno obliqui che nella capra; in quella essi si toccano a larghe faccie, mentre ciò non avviene in questa. Guardando la faccia interna della mascella della pe- cora, tutti i denti, ad eccezione dell’ ultimo, sono collocati in un solo piano verticale, mentre nella capra il margine — 127 —- posteriore di cadaun dente sporge in fuori e copre in parte il margine anteriore del dente successivo. In fine i denti della capra sono più smilzi che quelli della pecora. Gli altri caratteri fondati sulla strettezza e compattezza della dentiera e sulla posizione più o meno obliqua della faccia logorata dei singoli denti sono meno buoni e sicuri. Che alcune ossa della pecora (le ossa lacrimali, 1 interma- scellare, le nasali ) possano distinguersi dalle ossa corrispon- denti della capra, notarono già Bojanus, Qwen, Blasius e Ritimeyer; quest ultimo notò inoltre la differenza che passa tra il foramen infraorbitale dell’ uno e quello dell’ altro tra i citati animali; ma rare volte occorre di esaminare queste ossa perchè sono rare. i Fusti delle corna. I fusti delle corna della: capra sono molto rari, io ne trovai uno solo e frammentario. Se si confrontano insie- me i due diametri in diversi piani sopra la base del fu- Sto, si trova che il diametro trasversale sta al diametro an- tero - posteriore come 18: 28, 17: 26, 16: 24, 15: 25, 11: 18 ossia come 1: 1:55, 1: 1:52, 1: 1:50, 1: 1:55, 1: 1:65, in me- dia come 1: 1:54. Un fusto di capra trovato dal Dott. C. Bo- ni a Gorzano offre le seguenti dimensioni. Circonferenza alla base Mill. 81; lunghezza della curva anteriore Mill. 180; diametro maggiore della base Mill. 51; diametro minore del- la base Mill. 18. Un fusto consimile ai precedenti vidi inol- tre nella raccolta del Sig. L. Besini. Cranio. Nessun cranio intero fu scavato nelle nostre mariere; un frammento abbastanza grande però fu trovato a Gorzano; esso è composto degli occipitali, dei parietali e di parti dei temporali, dei frontali e dello sfenoide. Questo cranio fram- mentario apparteneva certamente alla capra ed è notevole — 123 — che gli occipitali ed i temporali portano delle profonde e marcate impronte muscolari. Mascella inferiore. "Capra di | Capra rec. { terramara Esempl. Esemplari |esaminati 2, esaminati 2 mas. et fem. Lunghezza dei 5 Prem. e dei 5 Mo- ET SEN ZZZ Z007S Lunghezza dei 3 Prem. e dei 2 pri- mi Wa 50:0 55:5-D45 Lunghezza del 2 e 5 Prem. e dei SOMOLIIE ne «e 000 #6060:59-67:0|69:0-71°5 Altezza della mascella tra il 2 ed il 9*Molare sano 6% î » 00 $276-29:0 | 50°0-51°0 Altezza della mascella da il 3 i Prem. eduli Molare 0, SRO SE Pre Omero. Un omero intero della lunghezza totale di Mill. 122:0 ed alcuni frammenti di omero trovati a S. Ambrogio, molto smilzi, compatti e forniti di marcate impronte muscolari possono essere riferiti alla capra. La faceia articolare inf. ha una massima larghezza di Mill. 25*0-24:6, mentre la stessa faccia articolare in una capra recente è larga Mill. 506. Alla capra devesi riferire ancora | estremità superiore d’un omero trovata a Redù, la quale fa vedere interi la testa dell’ omero, il grande ed il piccolo trocantere. Radio. Trovai nel Modenese alcuni radii, che eredo di dover riferire piuttosto alla capra che alla pecora, e ciò principal mente perchè il diametro minore della faccia articolare su- periore, sopra il rialzo mediano trasversale, è assai piccolo. La seguente tabella, ne dà le dimensioni. — 129 — Capra di Capra i terramara recente Totale lunghezza del radio . ...|126:0-156:0| 175-0 Diametro maggiore della faccia | anbicolare? superiore; ii00 lc. i, 25:0- 280 31*0 Diametro minore della faccia ar- | Heolane ss periore”, ESS 10:2- 15:0 15:0 Larghezza massima della faccia | articolare inferiore ............ i 22°0- 240 290 Metacarpo. Capra di Capra terramara. recente. Esemplari Esemplari esaminati 2 esaminati 1 Lunghezza del metacarpo...... 110:0-124:0 125:0 Larghezza massima all’ estremità SUPPMOres o. rela] uno «| 20:0- 225 26°5 Larghezza massima all’ estremità ITER LA RR AI IE 240, 285 Tibia. Le tibie della capra sono rare volte intere, comunemen- te sono rotte e non si può osservare che una delle due estremità. Capra di Capra terramara recente Lunghezza della tibia... .... fo 1810 | 2510 Massima larghezza all’ estremità articolare superiore... .. RITI, A, 390 455 Massima larghezza all’ estremità Jrbcolare uUnferiore?. 00.1.0000 20:5-21:0 260 2 {30 — [re rrrt@@@@@coscu@u@u@@r@@6acsceuocoscscstonticss i Capra recente. Indiv. esam. 1 n Capra di terramara. Metatarso. Indiv. esam. 6 senza coll’ epifisi IRR | coll’ epifisi Lunghezza del metatarso. 121-0-152:0 | 106-0 | 156:0 Larghezza della estremità SUPeriore. o LE ee 18:0- 20:0| 175]. 240 Larghezza della estremità TMferiore”:; (arno vie .| 21:5- 25°:0| — 25:0 1.2 Falange posteriore. Capra di terramara Massima lunghezza della falange .......... È Massima larghezza all’ estremità anteriore. .. .. Massima larghezza all’ estremità posteriore. ... do. Falange posteriore. Il Dott. C. Boni trovò a S. Ambrogio una 3.° falange, di cui nella tavola aggiunta vedonsi le dimensioni, confron- tate con quelle che offre 1° osso analogo della capra recente. Capra di Capra terramara recente Massima lunghezza della falange. ...] 240 dI°0 » larghezza » «SER 95 » altezza » -.| 12°0 15:6 » larghezza della faccia artico- leg e e SRO sella 7:0 8:2 — 151 — Nulla sappiamo intorno all’ origine della capra domestica; lo studio delle terremare però ci fa fare un passo innanzi, poichè c’'insegna che la capra recente proviene dalla capra delle terremare che era più piccola e più smilza della at- tuale, come risulta dalle misure sopra accennate. La capra dell’ epoca del bronzo rassomigliava alla pe- “cora contemporanea assai più di quanto questi due animali si rassomigliano al presente fatto, il quale interpretato nel senso della teoria del Darwin, proverebbe che questi due animali domestici provengono da uno stipite comune. È probabile che non tutte le capre derivino immedia- tamente dal medesimo stipite, poichè il Hircus reversus, il H. angorensis, il H. laniger, il H. mambricus, il H. thebaicus ece. sono tra loro ben diversi, in modo che, se non fossero animali domestici, sarebbero da tutti gli zoologi riguardati come altrettante buone specie. La nostra capra comune divide molti caratteri coll’ //7- rcus aegagrus, per cui la provenienza da questo non sembra incontrare delle gravi difficoltà. Le estremità snelle e fornite di marcate impronte mu- scolari della capra dell’ epoca del bronzo dimostrano ch’ essa passava gran parte dell’ anno (e forse tutto l’ anno) all’ a- perta. Quest’ animale dovea essere in allora molto prezioso, sia perchè mangia di quasi tutte le specie di piante, poichè su 576 specie ne mangia di 449 specie ( Brehm), sia perchè arriva presto a riprodursi essendo già adulto all’età di sei mesi, sia in fine perchè oltre la prole e la propria carne fornisce del latte e la sua pelle. Per ciò si comprende per- chè esso, ora generalmente negletto, fosse in allora allevato e tenuto in grande quantità come si fa anche al presente in alcune parti della Svizzera, del Tirolo, della Grecia, nel- l’ Africa centrale ecc. O®vis aries. EL. (La pecora). Ved. Rutimeyer l. c. pag. 127. — Strobel e Pigorini Ì. c. pag. 57. La massima parte delle ossa di pecora appartengono ad una razza piccola; un solo osso di cui sarà fatta menzione sembra appartenere ad una razza maggiore. 7 Ovis aries capricormis m. Mascella inferiore. Pecora di | Pecora terramara | recente Lunghezza dello spazio occupato dai 5 Prem. e primi 2 Molari....! 59:2-41:0 56:0 Lunghezza dell’ ultimo molare. .| 20-2-20.8 — — Altezza della mascella tra i Mo- larta2Me tg, dll oO 24:0-28°0 55:0 Altezza della mascella tra il Preto i gredsirMolt 19:12 98): AR Clo 18:5-18°6 26:0 Omero. Dell’ omero non trovai sin’ ora che alcuni frammenti muniti della estremità articolare inferiore. La faccia artico- lare ha una massima larghezza di Mill. 248 -27:0, mentre in. un esemplare di agnello recente la detta larghezza misura Mill. 28-0. Metacarpo. Pecora di terramara Indiv. esam. 3 Lunghezza del metacarpo ..... “ani i 101:0 Agnello recente Indiv. esam. f Larghezza del metacarpo all’ e- Strenail a) (SUperiore e e 20:00 Larghezza del metacarpo all’ e- Soma Inferiore eo MN IROIASE 270) 27:0 Femore. Trovai a Gorzano due femori di pecora bene conservati e talmente uguali tra loro che devono essere riferiti ad una medesima specie. L’ uno però è assai più grande dell’ altro e si potrebbe quasi concepire il sospetto che il primo ap- partenga ad una razza maggiore, il secondo ad una razza minore di pecora. Ma quest’ ultimo offre tali caratteri da essere riferito ad un individuo giovane, per cui suppongo che le differenze siano da attribuirsi all’ età. Pecora Pecora giovane adulta Lunghezza massima dell’ osso . . | 156:0 187:0 Massima larghezza presso l’ estre- urafsipenore ne ee a. 450 45*0 Diametro antero-posteriore del ca- i PONdIRrartico lazione Li Uli2% 17:5 21:6 Larghezza massima all’ estremità inferiore SORA PRE 1) 1109 Lio alex) Larghezza minima del solco in- iereundilerdeo PNR AO TESTATO 758) 9-0 Larghezza della irochlea . Vr, 15:2 15:44 Tibia. Pecora di Agnello Lunghezza della tibia ........ 186° 0-214:0| 175:0 Larghezza della estremità artico- lare an Bi EIA EE (IR BEST ANGRI BOCA MO Larghezza della estremità artico- lane Smperione Sd. Vote nn iz 04010! S750 PN ILA LITI DITE ZIA N ZU EZIO VIZI TTI — 154 — Astragalo. A Gorzano trovai l’astragalo d’ un giovane ruminante che credo di dover riferire alla pecora. Pecora Pecora di terramara recente Massima lunghezza dell’ osso. . . 28°0 285 Larghezza all’ estremità anteriore. 165 x:19:0 Larghezza dell’ estremità poste- PIOFCS RR ee O SE 15:0 18:2 Metatarso. Pecora di Pecora terramara. recente Ind. esam. 3 Lunghezza del metatarso......{119:0-127:0| 146:0 Larghezza della estremità supe- FIONCHSI SAREI. A . | 20°0- 2150 210 Larghezza della estremità infe- NOTO SI RIE -| 22°8- 240 240 Ovis aries domestica Rut. Str. Della pecora maggiore non s° è trovato sin’ ora che un. radio, alquanto problematico anch’ esso. Pecora magg. | Agnello di terramara | recente Massima larghezza all’ estremità articolare ginferiore eten _ 280 29:0 Massima grossezza all’ estremità arucolare inferiore n 135 22:0 — 159 — Quando si conobbe la pecora, la capra fu man mano soppiantata, poichè la prima offre dei vantaggi maggiori di quest’ ultima specialmente pel suo prezioso integumento. Se la pecora non si diffuse rapidamente, ciò devesi, almeno in parte, attribuire al nostro terreno in allora paludoso e perciò non molto propizio alla coltura di quest’ animale che desidera luoghi aridi e montuosi. La pecora subì dei grandi cambiamenti in seguito alla domesticità e noi vediamo che quella delle terremare dif- feriva assai dalla attuale. La prima era un animale snello, simile alla capra ed avea delle corna come questa. Al pre- sente le pecore capricorni sono rare e non si osservano che nelle isole Shetland ed Orcadi, nelle montagne di Walles e di Cipro e nell’ Oberland in Svizzera (Ritimeyer ); qualche esemplare di questa razza vedesi anche nel Modenese. Annotazione. — La forma delle corna delle attuali pe- core è assai varia e possonsi distinguere le seguenti varietà modenesi. I. Pecore a corna assai lunghe, ripetutamente ravvolte a spira dirette orizzontalmente all’ infuori sin dalla base. Esse sono comunemente bianche. II. Pecore a corna lunghe, parcamente ravvolte a spira dirette dapprima in basso ed in avanti, da ultimo in alto. Esse sono nere o bianche. ì III. Pecore capricorni. Le corna sono corte, appena vi è traccia di un ravvolgimento a spira; esse sono dirette a foggia d’ arco in addietro. Il colore di queste pecore è nero o bianco. IV. Pecore prive di corna. V. Osservasi qualche pecora con due corna in cadaun lato, delle quali uno ha la forma delle corna caprine, l’ al- tro quella delle corna di pecora. Quest’ ultimo trovasi al- quanto spostato in basso per la presenza del primo. Due di Queste pecore tengonsi vive presso la nostra Scuola zooja- trica. Cervus capreolus L. (Il capriolo ). Ved. Riitimeyer l. c. pag. 61. — Strobel e Pigorini l. c. pag. 40. Di questo animale si trovarono tre corna cadute natu- ralmente dall’ animale. Cadauno di queste corna porta tre palchi; la lunghezza delle medesime varia dai 200 ai 240 Mill. Due corna sono regolarmente conformate ed il fusto è dapprima curvato in addietro e poi in avanti. Esse sono quasi perfettamente cilindriche e munite di numerosi tuber- coli. Nel terzo corno il fusto è retto ed i palchi sono alla base assai compressi. Le 5 corna provengono da località diverse, cioè da Gor- zano, da S. Ambrogio e da Castellarano. Siccome il genere Capreolus conta al presente una sola specie (poichè la specie asiatica è preblematica e viene da molti riguardata come una semplice varietà del capriolo co- mune ), e siccome osservansi anche tra i nostri. caprioli di sovente delle mostruosità, non credo opportuno di ammet- tere che il corno retto ed allargato sopra descritto apparten- ga ad una varietà distinta dalla attuale. È notevole che nessun avanzo di capriolo fu trovato ( sino al 1861) nelle palafitte elvetiche dell’ epoca del bron- zo. ( Ved. Ritimeyer, Pfahlbauten der Schweiz pag. 61 ). I caprioli, cui appartenevano le tre. corna sopra riferite, erano all’ incirca della statura degli attuali. Cervus elaphus E. (Il cervo). Ved. Riitimeyer ]. c. pag. 56.,— Strobel e Pigorini 1. c. pag. 40. Nelle nostre, terremare e principalmente in quella di Gorzano trovansi numerose corna di cervo. Quasi tutte sono — 157 — cadute vivente l’animale, per cui devesi supporre che gli abitanti delle mariere le avessero trovate nelle selve e por- tate nelle abitazioni. La durezza del tessuto dovea render le corna oggetti assai preziosi e come fu detto nella Prima Relazione, molti arnesi venivano foggiati con corno di cervo. Alcune corna dimostrano d’ esser state lavorate con ar- nesi taglienti. Nessun corno intero fu sim’ ora trovato, ma se dai frammenti che esistono si può giudicare della grandezza del corno e dell’ animale, certamente questo dovea arrivare a dimensioni ragguardevoli. Diametro della radice del corno di cervo. Cervo Cervo di terramara recente ds, 77,79) 74 Il corno intero del cervo recente è lungo Mill. 940, per cui le corna trovate nella terramara dovrebbero esser lunghe Mill. 758, 978 e 1005, supponendo che l’ altezza del corno aumenti proporzionatamente al diametro della radice. Le ossa del cervo sono rarissime nelle nostre terremare, vi trovai un frammento di mascella superiore, alquanto problematico, e alcuni pezzi di cranio. Cervus dama L. (Il daino). ® Ved. Riittimeyer l. c. pag. 62. Di questio elegante cervino si trovarono sin’ ora due avanzi, cioè due frammenti di corno. Nel primo nasce soli 11 Mill. sopra la radice, che misura 76 Mill., un palco di- 10 — 153 — retto in avanti; quesfo è grosso ed alquanto ricurvo in alto. I suo diametro è di 45 Mill. alla base, la qual cosa fa ere- dere che l individuo cui apparteneva fosse vecchio e di statura gigantesca. i Il secondo frammento è un pezzo di corno assai. com- presso, in modo che su 50 Mill. di larghezza è grosso soli 19 Mill. Esso porta le impronte d’ uno. strumento tagliente col quale fu staccato dal corno intero. È noto che anche il cervo comune in età avanzata porta delle corna in parte piatte, ciò non ostante io credo di dover riferire gli avanzi suddetti al daino. Ritimeyer, 1. c. pag. 62, crede che |’ esistenza del dai- no nelle terremare meriti conferma, Strobe/ nella sua seconda Relazione non fa alcuna menzione di quest’ animale. Siccome il daino è proprio delle regioni del Mediterra- neo, non deve recar sorpresa se esso si trova nelle nostre mariere e poichè non vi si trovano che delle corna, bisogna inferire, che queste furono raccolte nelle selve e portate nelle capanne. i È sommamente probabile che il daino vivesse a quell’ e- poca selvaggio nella nostra provincia, tanto più che esso trovasi anche al presente in Sardegna. Bonnuparie nella sua ‘ Iconografia Tom. I. dice in proposito: « Senza uscir però dall’ Europa, e senza andare a rintracciare il daino nell’ Abis- sinia, nella Persia, nella Cina, come pure han fatto taluni, abbiamo un’ isola italiana del Mediterraneo in cui vive. sel- vaggio, ed è sparso in copia tale che se ne uccidono da tre mila all'anno. Questa è la Sardegna. » PACHIDERMI Sus ( Il porco). Gli avanzi suini raccolti nelle nostre terremare si rife- riseono a due e forse a tre varietà e sono il majale delle terremare, il cignale ed il majale corrispondente all’ attuale. — 159 — Sus serofa antiquus ma. (Il majale delle terremare ). VARIETÀ DOMESTICA Ved. Riilimeyer l. c. pag. 119. — Sltrobel e Pigorini |. c. pag. 47. Cranio Uno solo frammento di cranio fu trovato nelle terremare modenesi; esso viene da Gorzano ed è composto dell’ occi- pitale superiore e di frammenti dei parietali e dei frontali. Ebbi un pezzo maggiore di cranio suino da S. Polo nel Reggiano, costituito dell’ occipitale superiore, degli occi- pitali laterali coi processi paramastoidei, dei parietali e di frammenti dei frontali e dei temporali. In entrambi questi cranii 1’ occipitale superiore è stret- to, poichè la massima sua larghezza non ascende che a 65 Mill., mentre la medesima in un majale recente, raggiunge 75 Mill.; nel cranio del Reggiano l’ osso accennato ha una massima altezza di 65 Mill.; questa è di Mill. 84 in un cranio recente del Modenese. L’ occipitale superiore è nella sua parte superiore inca- vato a sella ed il suo margine superiore forma dietro alla sutura lambdoidea un’ angolo, che è molto grande nel cranio di Gorzano, minore in quello di S. Polo e minore ancora nel cranio recente. La distanza che passa tra il vertice di quest’ angolo ed il centro della sutura coronaria è di Mill. 5/:5 nel eranio di Gorzano, di Mill. 570 in quello di S. Polo e di Mill. 29-0 nel cranio recente sopra citato. La distanza che passa tra il centro della sutura coro- naria ed il foro sopraciliare è di Mill. 62-6 nel cranio di S. Polo e di Mill. 57:0 nel cranio recente; i processi orbi- tali sono più sviluppati in questo che in quello. Se si uni- sce mediante una linea perpendicolare | apice di un pro- — 140 — cesso orbitale colla sutura sagittale, la detta linea è lunga nel cranio di S. Polo Mill. 490 e nel cranio recente Mill. 55.0. Nei teschi antichi la fronte è perfettamente piana, men- tre è un po’ convessa nel majale recente. Da queste misure risulta che il majale antico avea una testa bassa ed assai stretta, e relativamente più lunga che quella del majale recente. Mascella superiore ed inferiore. i Sus scrofa palustris ferus | Sus scrofa antiquus secondo Rutimeyer del Modenese Lunghezza dell’ ultimo molare O della mascella superiore .. . .{ 0-40... ... 26:0-52°5 Lunghezza dell'ultimo molare | i 0 della mascella inferiore . . . .| 59-57 25-0-55°0 Lunghezza dei 3 molari della | mascella superiore . . . . .. IO 470-650 Lunghezza dei 5 molari della | ) mascella inferiore |... OT ae A A 60-0-65-0 Altezza della mascella inferiore 4 i tra /Prem: lege Oeue ch a 128-905, da x 92:5 Devo fare una speciale menzione di una mascella su- periore trovata a S. Ambrogio, che porta tutti i denti e che perciò si presta bene pel confronto col majale recente. Majale recente Majale di terramara |._,._. 2 Joe È individuo giovane Lunghezza della serie dei molari e DIMORE O ero "(O EZE(I Prata Cota _ Lunghezza delia serie dei premolari e 2; primigmolazi fog 9e@d i: 6;0ifarzion: 87:0 Lunghezza della serie dei 4 premolari 40:00 in 46:0 Lunghezza dei 2 primi molari . . . DOM e 420 — 14l — Scapola. . Le scapole fin qui trovate non offrono che le parti inferiori; le spine sono comunemente rotte. Non notai al- cuna differenza importante tra la scapola del majale antico e quella del majale recente, solamente osservai che nel primo la fossa sottoscapolare è più profonda che nel secondo. Le cavità glenoidee delle scapole del majale antico hanno un diametro maggiore di Mill. 25-:0 — 28:0 ed un diametro minore di Mill. 20-0 — 25:0, mentre il primo dia- metro nel majale recente ascende a Mill. 57:0 ed il secondo a Mill. 510. Omero. Posseggo un omero intero, trovato a Gorzano, ed alcune estremità inferiori di quest’ osso; in tutti questi esemplari sì osserva che il fondo della cavità olecranica è perforato; il foro è bensì ora più ed ora meno grande ma non manca mai. Come si vedrà dalle misure quì sotto riportate il ma- Jale delle mariere era. assai più piccolo del majale recente. Majale di terramara Majale recente Lunghezza totale dell’ osso | 1940... .. 2220 Larghezza massima della | superficie articolare inferiore, } comprendente il condilo e la | i 240-510... 360 della faccia esterna della tro- | BL lei Massimo diametro del per- | tugio della cavità olecranica . | 19:0-25:0 . .. 23:0 7:0-12:0 MD Cubito. I cubiti del majale sono abbastanza frequenti nelle no- stre mariere, ma essi sono comunemente sì frammentarii che riesce difficile il darne Je misure. Negli esemplari da me raccolti il diametro antero-posteriore dell’ olecranon, dato da una linea retta che parte dal becco e sta perpendicolare sul margine posteriore del cubito, ascende a Mill. 52:0 - 40-0 ( nel majale recente a Mill. 460 ); il massimo diametro della cavità sigmoide è di Mill. 19*0-26-5, ( nel majale recente di Mill. 32 ). Radio. I radii della nostra raccolta offrono le seguenti di- mensioni. Majale di terramara | Majale recente Lunghezza totale del radio . | 150:0-157:0 175:0 Diametro. maggiore ossia lar- ghezza della estremità artico- lare rs Upertiore Por 25°0- 285 36*0 Diametro minore ossia gros- | sezza della estremità articolare superiore sopra il rialzo tra- sversale mediano. . . . . NOAA 15:2- 172 19:0 Diametro maggiore della e- stremità articolare inferiore. . SION 59°0 Metacarpo e fulangi. Un terzo metacarpo del majale antico ha una lunghezza di 72:5 Mill., mentre l’ osso analogo del majale recente è lungo Mill. 85°0. — 145 — Una terza falange del secondo dito anteriore è lunga Mill. 22:0 ( nel majale recente Mill. 528 ) ed ha una mas- sima larghezza della base di Mill. 100 ( nel majale recente Mill. 14.0). Femore. I femori sono piuttosto rari ed i pochi che sì trovano sono talmente frantumati che è difficile il raccapezzare le loro dimensioni. È probabile ch’ essi, venissero, più che altre ossa, ridotti in pezzi per ricavarne il midollo di cui sono ricchi. Tibia. Nel majale antico la tibia è lunga Mill. 180:0 ( nel majale recente Mill. 215:0 ); la faccia articolare della estre- mità inferiore dello stesso osso è larga Mill. 20:5-21*2 ( nel majale recente 24:2 ); la faccia articolare superiore è large Mill. 40:0-44:0 ( nel majale recente Mill. 49:0). È facile il notare che nel majale antico la cresta tibiale è più affilata che nel recente; inoltre notasi che la tibia del primo offre delle impronte muscolari più mancate che quella del secondo. Astragalo e Calcagno. Due astragali del majale antico offrono una massima lunghezza di Mill. 54:2-59:5 ed una massima larghezza di Mill. 19.0-21:5; 1° osso analogo del majale recente è lungo Mill. 45:5 e largo Mill. 25:35. Un calcagno di majale antico trovato a Gorzano ha una lunghezza totale di Mill. 744, una massima altezza verso l’ estremità posteriore di Mill. 26-0 e verso | estremità ‘an- — 144 — teriore di Mill. 18:0; un calcagno di majale recente giovane che misurai è lungo Mill. 85:0 e le due altezze ascendono luna a Mill. 51:5 e l’altra a Mill. 190. Primo metatarso. Un primo metatarso di Gorzano ha una lunghezza to- tale di Mill. 58-6; il diametro maggiore ( verticale ) della estremità anteriore dell’ osso è di Mill. 15-6. Secondo metatarso. Un secondo metatarso trovato a Redù offre le seguenti dimensioni. Majale di terramara | Majale recente Lunghezza totale del 2.° me- e aa st RI, ST _ 890 Larghezza dell’. Contanità ar- ticolare anteriore. . . . i EGEO a da 14°0 Larghezza dell’ estremità 4 ar- ticolare posteriore sone one 15:0 I! majale delle nostre mariere non concorda col selvaggio Sus scrofa palustris, perchè nel primo i denti sono assai più che nell’ ultimo risolti in numerosi tubercoli; esso non concorda inoltre col majale recente, perchè la sua statura è costantemente minore e perchè il fondo della cavità ole- cranica è perforato. Tra le ossa del majale, le mascelle, i frammenti del- l omero e quelli del radio e della tibia sono i più frequenti. I frammenti delle mascelle superiori sono ugualmente frequenti come quelli delie mascelle inferiori. Tutte le ma- scelle sin’ ora trovate sono frammentarie e le fosse alveo- lari sono aperte per ricavarne il midollo. — 145 — La scapola sembra relativamente più piccola delle altre ossa; la cavità sottoscapolare è assai profonda ed il becco dell’ apofisi coracoide è assai pronunciato. È probabile che in quei tempi remoti i majali vagas- sero la massima parte dell’ anno nelle nostre selve pascen- dosi di ghiande, sorvegliati e custoditi solamente da pastori, perchè non andassero smarriti. Credo che solo nella stagione invernale si tenessero in apposite stalle per difenderli dal freddo. Questa opinione è appoggiata dal fatto che. nelle mariere trovasi qualche ghianda, che fu probabilmente rac- colta non già come cibo per gli abitanti sibbene pel nutri- mento dei majali. I nostri monti e le nostre colline doveano a quell’ epoca essere ricchi di ghiandiferi. Visono anche al presente delle provincie, in cui i ma- jali vivono gran parte dell’ anno o tutto |’ anno liberi o poco custoditi nei boschi ( Russia, Principati Danubiani, Grecia, Sardegna, Francia meridionale, Spagna, Scandinavia, Unghe- ria, Croazia, Slavonia, Bosnia, Serbia ). i Sus serofa ferus Hunt. (Il cignale). Ved. Riitimeyer, Fauna de Pfablb. pag. 26. — Strobel e Pigorini, Le terremare e Ie palafitte del Parmense pag. 42. Pochi avanzi furono sin’ ora trovati nelle nostre terre- mare di questo animale, essi si riducono ad un frammento di mascella superiore, alcuni canini ed un radio. Il frammento di mascella superiore non porta che i tre molari; gli alveoli dei denti sono aperti. Mascella superiore. Lunghezza dell’ ultimo molare... .. . Mill. 57:35 » delipenultino pot... W40 8000 01122:5 » deleterzultimorio. appalto retina 190 i e Massima larghezza dell’ ultimo molare. . Mill. 160 » » del penultimo»... » 158 » » del terzultimo » .. >» 150 I canini variano di lunghezza; noi ne possediamo tre interi, lunghi, seguendo la curva, Mill. 95, 120 e 155. Il radio che credo di dover riferire al cignale antico offre le seguenti dimensioni. Esso ha una lunghezza totale di Mill. 202:0, il diametro maggiore della estremità articolare sup. è di Mm. 58.5; il diametro minore sopra il rialzo me- diano antero-posteriore di Mm. 22.0. Il diametro maggiore della faccia articolare inferiore ascende a Mill. 57:2. Le im- pronte muscolari sono assai profonde, tutto l’ osso è molto compatto. Sus serofa domestieus Rut. ( Il majale corrispondente all’ attuale ). Ved. Riitimeyer l. c. pag. 26. Devo fare una speciale menzione di un secondo meta- tarso trovato nella terramara di Montebarello, il quale in. ogni sua parte concorda coll’ osso analogo del majale attuale. Le seguenti misurazioni faranno ciò meglio apparire. | 2.° metatarso 2.° melatarso di majale di majale trovato nella terram. | recente Lunghezza totale del meta- LAFSO sii ga Lao 19001 ata: 89:0 Larghezza della faccia arti- colare all’ estremità anteriore. LO 0 1450 Larghezza della faccia arti- colare all’ estremità posteriore f 15°0 .... 15:0 Questo metatarso è troppo piccolo per essere riferito al cignale e non ha il tessuto abbastanza compatto per appar- — 147 — tenere al medesimo. D'altra parte esso è troppo grande per appartenere al Sus scrofa antiquus, per cui sembra doversi riferire al majale recente. Tuttavia il far risalire V antichità del majale recente sino all’ epoca delle terremare, fondan- dosi sopra un unico osso, è cosa troppo azzardata e perciò bisogna attendere i risultati di ulteriori scavi e studii. UCCELLI. Ved. Riîtimeyer l. c. 113. — Strobel e Pigorini l. c. 37. Pochi avanzi di uccelli si scavarono sin’ ora nelle no- stre mariere. Essi appartengono alle seguenti specie. Amnser segetum Meyer (0ca della neve). Di quest’ uccello fu trovato un frammento della furcula cioè la metà destra della medesima. L’ osso corrisponde esat- tamente all’ osso analogo dell’ oca della neve recente. Quest’ avanzo fu trovato a S. Ambrogio, dove esiste una terramara dell’epoca del bronzo, contenente una pala- fitta. Quest’ oca al certo non era tenuta in domesticità, ma fu presa selvaggia e servi di cibo a quei popoli. Ardea cinerea Lath. Nella terramara di S. Ambrogio si trovò 1’ estremità in- feriore di un omero che devesi riferire al genere Ardea e probabilmente all’ Ardea cinerea Lath. L’ estremità articolare è larga Mill. 26:5 ed ha alla di- stanza di 34 Mill. dalla estremità inferiore verso la estremità — 143 — superiore un diametro maggiore di Mill. 15:5 ed un diame- tro minore di 10 Mill. Trovai inoltre un femore destro alquanto frammentario che non potei sin’ ora determinare con esattezza; credo ch’ esso appartenga ad un palmipede. Gallus domestiens Briss. A Di questo uccello mi furono dati due avanzi, cioè un tarso intero ed una tibia frammentaria e fui assicurato ch’ es- sì erano stati scavati nella terramara di S. Ambrogio. Il tarso porta uno sprone robusto; io ne do le dimen- sioni senza però guarentirne la provenienza. Lunghezza totale dell’ osso... ........ Mill. 95:5 Massima larghezza all’ estremità articolare super. » . 15:0 Massima larghezza all’ estremità articolare infer. » 160 fo devo rivocare in dubbio 1’ esistenza del gallo dome- stico all’ epoca della formazione delle nostre terremare mo- denesi, poichè io stesso non potei sin’ ora trovare alcun osso di quest’ animale e poichè nelle abitazioni lacustri della Sviz- . zera il detto gallinaceo non esiste che in pochi depositi po- stromani riferiti al 6.° secolo ( Vedi Lyell, 1. c. Cap. Il. pag. 27). Annotazione 1. Strobel e Pigorini trovarono nelle ma- riere del Parmense degli avanzi dell’ Anas boschas Lin. che. io non potei sin’ ora riscontrare nei nostri depositi. Annotazione 2. Come si vede da quanto fu sopra riferito, gli avanzi degli uccelli sono assai rari nelle nostre mariere. Steenstrup e Lyell attribuiscono la scarsezza di questi avanzi nei kjokkenméòddings della Danimarca alla presenza del cane ( Ved. Lyell, L’anciennitè de 1’ homme ece. traduit par Cha- per pag. 15); non si può ammettere altrettanto per le no- stre terremare, poichè in queste sono scarse non solamente le parti più tenere dello scheletro, ma tutte le ossa anche — 149 — quelle delle estremità. Per cui sono propenso ad ammettere che gli abitatori delle nostre mariere non conoscessero al- cun uccello allo stato di domesticità. MOLLUSCHI. Ved. Strobel e Pigorini l. c. 35. I molluschi sin’ ora trovati nelle nostre terremare ap- partengono alle seguenti specie. Cyclostoma elagans Muill. Helix ericetorum Mill. » cespitum —Drap. » sylvatica — Drap. » aspera Mall. » vermiculata Miill. Achatina lubricoides Br. Pupa tridens Drap. Clausilia laevissima Ziegl. Unio pictorum Lam. PIANTE. Gli avanzi vegetali furono determinati dall’ illustre mio collega ed amico cav. Ettore Celi e sono i seguenti. Pali ed assi della Castanea vesca Gaertn. Semi di Quercus pedunculata Willd. alli Corylus avellana L. DIO » Olea europaea L. » e fusti di Vitis vimifera L. A Gorzano si trovò inoltre del frumento carbonizzato ( Tritietum vulgare Vill. ); ma esso non esiste entro la ter- ramara, bensì sopra la medesima ( Ved. Carlo Boni, Notizia di alcuni oggetti trovati nelle terremare modenesi, Mode- na 1869). Conclusioni generali. Gli studii sin’ ora fatti e quì brevemente esposti con- ducono alle seguenti conclusioni generali. — 150 — 1. Nelle terremare trovansi sì degli avanzi animali che degli avanzi vegetali. I primi sono assai più numerosi dei secondi. La scarsità degli avanzi vegetali potrebbe essere attri- buita all’ azione dell’ aria e dell’ acqua che scompone il tessuto vegetale, mentre lungamente vi resiste il tessuto osseo. Ma noi vediamo che alcuni semi della vite, dell’ olivo ecc. si sono conservati benissimo entro la terramara e per- ciò devesi ritenere che la suddetta scarsità sia originale e non dovuta agli agenti atmosferici. Da questo fatto risulta che i popoli delle mariere erano più carnivori che fitofagi, e perciò i medesimi doveano esercitare o la caccia o la pastorizia od entrambe queste industrie. Lo studio degli avanzi d’ arte e’ insegna ehe gli arnesi da caccia erano a quel tempo assai imperfetti, per cui sia- mo indotti ad inferire che i popoli delle mariere vivessero principalmente dei prodotti della pastorizia, opinione che è appoggiata anche da altri fatti che più tardi ‘noteremo. 2. La maggior parte delle ossa e delle corna che tro- vansi nelle mariere appartiene ad animali domestici. Lo studio di questi avanzi e’ insegna che nell’ epoca del bronzo erano già addomesticati i seguenti animali: il cane, il ca- vallo, l° asino, il bue, la capra, la pecora, il majale. L’ opi-. nione che anche il gallo vivesse a quel tempo in domesti- - cità, a mio credere, esige conferma. 5. Alcune ossa e corna appartengono ad animali sel- vaggi, tra i quali possiamo annoverare i seguenti: 1’ orso, il capriolo, il cervo comune, il daino, il cignale, P oca della neve, l’ Ardea cinerea ed un palmipede di specie incerta. 4. Si trovano inoltre nelle mariere degli avanzi di ani- mali avertebrati, che vi rimasero sepolti accidentalmente. Una eccezione fa | Unio pictorum che è molto frequente e la quale serviva probabilmente per usi tecnici e forse anche come cibo. I — 151 — 5. Alcuni dei sopra nominati mammiferi domestici erano rappresentati nell’ epoca del bronzo da due o tre razze. Noi abbiamo distinte due razze di cane, due di cavallo, tre di bue, due di pecora e forse esistevano due di majale. | Giò conferma l’ opinione sopra esposta, che cioè i po- poli delle mariere erano principalmente pastori, in appoggio della quale viene anche il fatto che il cane più comune delle mariere apparteneva alla razza del cane da pastore. 6. Quasi tutti gli animali domestici dell’epoca del bronzo appartenevano a razze diverse ed assai più piccole delle recenti. Erano per esempio di statura piccolissima il bue agile, la capra, la pecora capricorne, il majale antico. — Si vede che da quel tempo a questa parte l uomo si occupò del perfezionamento delle razze e che i suoi sforzi conse- guirono un felice risultato. Il solo asino tra i mammiferi sembra di natura poco plastica e perciò meno arrendevole alla elezione artificiale. 7. Alcuni animali selvaggi subirono una diminuzione di statura, la qual cosa noi osserviamo nel Cervus elaphus e nel Sus scrofa ferus. A “quanto pare, queste specie non sono più adatte alle condizioni di vita in cui si trovano ed è probabile che in un non lontano avvenire scompariranno dalla superficie della terra. 8. Si le ossa degli animali domestici, quanto quelle degli animali selvaggi sono spaccate per ricavarne il mi- dollo. i I popoli delie mariere mangiavano, tra i mammali do- mestici, non solo i ruminanti, ma anche il cane, il cavallo e |’ asino. 9. La presenza nelle mariere di ossa spaccate e non bruciate, appartenenti ad animali domestici e selvaggi, la presenza di pali e di assi costituenti le palafitte, |’ assoluta mancanza di ossa umane confermano | opinione che le ter- remare siano gli avanzi di stazioni antiche e non di roghi. Quest ultima ipotesi non merita nemmeno di essere ulte- -— 152 — riormente discussa, poichè è tale che fa a pugni con tutti i fatti offertici dalle mariere. (1) 10. Nessun osso umano fu trovato nella terramara, coe- taneo di questa. Gli scheletri liguri di Gorzano vi furono sepolti quando la terramara si era già formata. 11. È al presente impossibile di determinare con pre- cisione l’ antichità alla quale rimonta la formazione delle nostre mariere. In favore dell’ opinione che queste siano assai antiche militano i seguenti fatti. 1. Gli oggetti d° arte sono assai rozzi e ben diversi da quelli che si conservarono sino ai nostri giorni dell’ epoca dei Romani e da quella de- gli Etruschi. 2. Manca nelle nostre mariere ed anche in quelle del Parmense il gatto domestico. 3. Manca ancora nelle nostre mariere il bue maggiore nel senso di Strobel, mentre trovasi nelle mariere del Parmense e del Reggiano. 4. Gli animali domestici delle terremare appartengono a razze di- verse e più piccole delle attuali. 5. Alcuni animali selvaggi subirono da quell’ epoca a questa parte una notevole dimi- nuzione di statura. 6. A questi fatti aggiungasi quello sopra notato, relativo agli scheletri liguri. ° (1) Sarebbe cosa assai interessante il sapere, se i Nuraghes della Sardegna fossero sepolcri, come crede |’ abate Peyron; oppure abitazioni, come sup- pone il Can. Emmanuele Marongio-Nurra. Questi nuraghes, de’ qualiì nella Sardegna se ne conta all’ incirca 3000, sono edifizii « fabbricati di sassi acco- modali a maniera di ciottoli egregiamente politi all’ esterno, e strettamente ben commessi gli uni sopra gli altri, or d’ una grandezza enorme, or ‘medio- cre, or comune conforme alla qualità delle pietre, e delle roccie vicino esi- stenti, od a qualche distanza dal sito, in che sono eretti. Queste moli sono rotonde, in forma di torri diminuentisi regolarmente dalla sua base, crescenti in figura conica, e terminanti gradatamente in un grande o* minor piano, o sia terrazzo, a misura del diametro che manifestano i primi giri delle fonda- . menta. » Ved. Considerazioni filologiche intorno ai Nuraghe, lette nell’ Acca- demia di Sassari dal Can. Torritano D. Emm. Marongio-Nurra al suo torno nell’ anno 1840. — I nuraghes, a quanto pare, rappresentano una delle molte forme di abitazioni umane, ehe incominciarono colle caverne, continuarono colle palafitte e le terremare e giunsero alla perfezione che offrono oggidì. Peccato che il Marongio-Nurra nulla ci dica degli avanzi d° arle e degli avanzi organici di quelle costruzioni, i quali assai meglio delle numerose citazioni di passi della Genesi potrebbero mettere in chiaro 1’ antichità dei nuraghes. . l'erremare. in Canestr in Modena Tom [FL Ta Isù Società del Natural Bologna, Lit. 6. Wenk. O 0. Nannini dis dI Sac POSA Ieri dei Naturalisti im Modena, Tom [. E I Tay.IL ieta DOC b Hi Bologna, Lit. G Wenk. o 18° 0. Nannini d - l'erremare. mm (anestr Societa dei Naturalisti in Modena, Tom.[. P.I Tav.IIL. 0 Nannini di een Bologna, Tit. 0 Wenk. O DI Società dei Naturalisti in Modena. Tom LEI Tav IV Canestrini Pes q ì ol. O. Namini, dis, Bologna, Iut.GW = Pe; liane da Ginananelia iva serrati Boni, Terremare. Societidei Naturalistiin Modena. Vol. IL Tav. Ò. DANA URRA NE ANITA TETTI AIN aci MTIFFIIA A AMIN ET TE PAM LORI NIN TA SA VATIBTE INAIL MERONE TILT MIA \ a ù a ras - RETCSSSÌ DUNST EPTALIDENTON VPI POV ATTANI PATO NERA LOI A ANI TONO IGT) DI IONTZIE NASA STILEMI ITS NANI NANI NINE AITA UMPNEST SNO ILRAISIEI AVI ATENIN LATIN ANITA ATM CL ANTE Sp AVARIATI ENFATIZZARE DITTA N RTAOTZZA PAN LITI PA ERARIAA RATE NIE DITNAAIAA NASALE ATA HAITI IRICHA A ALIA EVA FA 7 A E a TRO Si Dr try de Pei vasto cosina di Lili mio eÌ rorunia. d - vo, va S Ù CROATIAN ANTINORI IV ELTNINNI TINA TZLI FINA BINTAAIIIONI IATA INANTIII POTRA cus» arI. Modena. Lit. A. Ferr nu Pata Boni, Terremare. in Modena.VoL.I Tav. 6. i .dei Naturalist MAI TATA DI EIA DEAN TAZIOATE TANI] AND MELIA OILA AFTEY A TINI ORTA EIA PIA PATINATA NI TOTI A IPOTIZZATA VT INTINTOLI - leta Soc ll DIPANA TATA VERI MAZEN LATI TRINITA ADI TOY LIT ANNATA EUTANASIA ETA? SV UAAGIMATA TANTE PATUNI NP ILAIODPAPART TA ZAR SIA II A be 1 fe] i ra PINA AAA PITTI PIATTI Ma eri Van ALLA A ENIT ALLA OI IA I EA IMA RIMEDI e CI PONE IVANA (ELAINE SAVE ATTI RIINA NT PEDRO RARA ST IABATIAPE VE CHATTA MITE AN STERILI ATRIA SVEN DESTRA MNT AOL ATI TA DT DITE LTENTE MI MA ATA I RIMANERE ZIP AP CITATO ALA PERI (agi LN PATTI SIL LISTINI ANTI RITA PRIA II TATA TM OPOLE MOTI PIE INI ZITTA ITA] PRATT SISMI E ALIANI NETTI TESE EFESTO Imneaniotzana: AMT OTT TN AITINA IRINA MIA NASIR ST MAZZA ALAIN RE ‘TATI. Modena. Lit. A. Fei STE KO NRE SRI RIINA ADELE INZUMAS LADY] ROLE LOBEIIST ATL TIZI SP INR LP Terremare. O) î NATE NS ZAIMA IMSA TANNINI ALICI . Dr i VBNPII FIA IA IO RACER in Modena.Vol. I. Tav. 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Osservatorio di Modena nell’anno 1864. - Archivio per la Zoologia, 1’ Anato- mia e la Fisiologia, Vol. I, Vol. II, Vol. HI, Vol. IV, fase. 1.° Notizie sopra una Mortella dell’ Au- stralia. — Osservazioni sopra una malattia del cotone detta pelagra. — Sul cammino di un micelio fungoso. — Sulla melata dell’ uva. — Sulla origine del calice mo- nosepalo e della corolla monope- tala. Nuove osservazioni su taluni agenti artif. che accelerano la maturazione nel fico. GARBIGLIETTI D.' ANTONIO, Intorno all’ opusc. del D." Davis sul cranio umano di Neanderthal. — Sopra i funghi sospetti e velenosi secondo il D. Serini. — Anoma- lia dell’ osso jugale. — Relazione intorno a due opere manoscritte del Dr L. Maschi. — Sulla Sim- bologia comparata del Carus. — Sull’ opuse. del Davis Dutch An- thropology — Sopra due memo- rie paleoetnologiche del Nicolucci. "INDICE DELLE MATERIE Oggetti delle terremare modenesi del Prof. Canestrini . . pag. 1. Intorno a un caso d’indurimento di un feto bovino del Prof. Generali. . . ..... LE a Sugl’ imenotteri parassiti della Cecidomya frumentaria del Prof.«Rondabi:-- oa e na Avvertenze pratiche sull’ allevamento dei bachi da seta del Prof. Salimbeni... ....... PE LOVE SRG Nuova proposta sulla rabbia canina del Prof. Ghiselli. -. Oggetti d’arte di alta antichità recentemente scoperti nelle terremare modenesi del Dott. Boni. .......... Sui mutamenti di colore che avvengono nel sangue di al- cuni insetti quando l’umore sanguigno è esposto all’ a- ria atmosf. del Prof. Generali... .......% Oggetti trovati nelle terremare del Modenese. Seconda Re- lazione. Avanzi organici di G. Canestrini . ...... . Prezzo Italiane Lire sei. 13. at n y (Ate #3 vi 66 ZEZ 90L troz € LILLINMIMG KTD a - si dg 4 i DR « 10 TOA A stili ì si i » dai N fis i N ‘ o N ì i I n a X Ù ; Ul n DI hi la % a ; 3. 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