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Librarp of the Musenm OF COMPARATIVE ZOÒLOGY,

AT HARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS.

Founded bp pribate subscription, in 1861.

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No. 787 7a

Nov.10.1979. UA Moay 8 (851

ANNUARIO

DELLA

SOCIETÀ DEI NATURALISTI

MODENA

ANNO III

MODENA

TIPOGRAFIA E CARTOLERIA DELL’ EREDE SOLIANI

Annuario si vende presso Carlo Vincenzi Tipografo-Librago sotto i Portici del Collegio in Modena.

Per la Germania, la Francia e Vl Inghilterra, dirigersi in Torino alla Libreria Loescher, Via Carlo Alberto N.° 5.

Presidenza della Società

Presidente

Pro. GIOVANNI CANESTRINI

Vicc-Presidente

Pror. LEONARDO SALIMBENI

Segretario

Dorr. PAOLO BONIZZI

V. Segretario-Cassiere

Pror GIOVANNI GENERALI

DESCRIZIONE ‘© DEI QUARZI DI PORRETTA

PER LUIGI GAMBARI

DOTTORE IN SCIENZE NATURALI

Non molte località offrono come Porretta in un’area di pochi kilometri argomenti tanto interessanti alle in- vestigazioni del naturalista. Quivi sorgenti termali mi- nerali che esercitano sull'economia vivente le più salubri influenze. Quivi pure particolari emanazioni gazzose combustibili di carburi d’ idrogeno, parte dei quali esa- lano liberamente nell’ atmosfera, parte ancora conve- nientemente raccolta, viene utilizzata per l’ illuminazione dei stabilimenti balneari ivi costrutti. Una flora (1) abbastanza ricca di piante spontanee; utili formazioni litologiche (2) fra le quali predomina la pietra serena o macigno compatto ottimo materiale da costruzione : non pochi minerali sempre relativamente alla limitata

(a) Questa descrizione è desunta da una più estesa memoria letta alla R. Università di Modena, per esame di libero insegnamento.

(1) Bertoloni ( G. ) Notizie intorno alle piante spontanee dei monti Por- rettani. Mem. dell’ Accad. delle Scienze deli’ Ist. di Bologna.

(2) Bianconi (G. G.) Escursioni geologiche e minerologiche del terri- torio Porrettano. Bologna, 1867.

È imminente la pubblicazione di una bellissima carta geologica del Bo- lognese del Prof. Cav. G. Capellini.

1

CESSI DU

estensione della località, quali ad esempio la steatite le cui vene assumono talora l’ apparenza di filoni, la cal- cite e la dolomite spatiche e cristallizzate, calcedonrio, agate, serpentino, ferro idrossidalo, piriti cristallizzate i fibrosoradiate, quarzo fibroso, e infine quello con par- ticolarità tanto svariate che credo meritare un’ esame speciale, e mi provo quì a darne una descrizione. Piuttosto che dal numero delle facce cristalline delle quali il patrimonio della scienza ne conta oltre 140 si- stemi diversi, (5) i quarzi in esame interessano princi- palmente, per le varietà dipendenti dalle distorsioni per gli aggruppamenti svariati, per l abbondanza della va- rietà aeroidra, pel loro giacimento ecc.

Senza premettere a questa descrizione generalità al- cuna sul quarzo, avverto sin da principio che le deno- minazioni addottate sono quelle che trovano nella maggior parte dei trattati di mineralogia ed accettate generalmente sin da quando le propose Hauy. Le no- tazioni invece sono quelle del Descloizeaux delle quali ne i principali simboli.

P. facce del romboedro primitivo nel dodecaedro.

e: facce del romboedro inverso nel dodecaedro.

e* facce del prisma.

i' facce plagiedre.

î facce rombifere.

Le forme cristalline dei quarzi di Porretta hanno fin quì offerto all’ osservazione le seguenti serie di facce espresse dai loro simboli

(3) Descloizeaux. Memoire sur la cristallisation et la structure interieure du quartz, Annales de Chimie et Phisique XXLV.

IRINA

Varietà dodecaedra.

Po. e

Quantunque ordinariamente di piccole dimensioni, si trovano miriadi di cristallini dodecaedri isolati di una perfezione sorprendente. Alcuni sont limpidissimi (Lizzo), ‘altri nebulati o aventi nell’ interno quasi centro in cui si originarono i cristalli; un nucleo di materia bruna carboniosa che si elimina alla fiamma del canello; in altri ancora, questa materia è disseminata quasi rego- larmente nella loro massa. I cristalli dedecaedri più vo- luminosi isolati si trovano a Monte acuto Ragazza ma raramente limpidi, e il più delle volte con piccoli cri- stallini geminati. Oltre a questi se ne trovano in ag- gruppamenti ed in geodiì.

La fig. 1 rappresenta un. dodecaedro alquanto in- grandito.

Varietà - prismata.

Presilies.

Non meno frequenti di maggiori dimensioni de- gli anzidetti si trovano frammisti particolarmente a Lizzo dei cristalli esagonododecaedri isolati completi. La loro perfezione è tanto maggiore quanto più piccolo è il loro volume. Ancor questi ora sono limpidissimi, ora nebulati, o colla materia carboniosa che ho detto precedentemente. Lo sviluppo delle facce del prisma è vario: se ne trovano alcuni che le hanno appena sensi- bili, in altri invece prevalgono a quelle deile piramidi. Nei cristalli prismati di queste località come in quelli d’ ogni altra, si osserva che tre faccette esterne delle piramidi hanno uno sviluppo troppo prevalente, fatto

BI, AIR

che conferma l idea teorica ch’ essi risultano dalle combinazioni di due romboedri, diritto l uno, l’ altro INVerso.

Si trovano ancora esagono-dodecaedri aggruppati fra i quali si riscontrano dimensioni notevolmente maggiori a quelle degli isolati. La fig. 2 da un’ esempio di cri- stallo prismato isolato assai ingrandito, le cui facce del prisma dimostrano fa media del vario sviluppo.

Distorsioni.

Molte varietà che dipendono dai fenomeni di di- storsioni sono abbastanza comuni in molte località. Ma quelli di Porretta offrono uno speciale interesse riguardo al loro modo di trovarsi, essendo alcune di queste va- rietà quasi esclusive, o grandemente prevalenti in strati o giacimenti particolari, ciò che dimostra che questi fenomeni dipendono dalle condizioni generali in cui si formano i cristalli.

(aa Varietà Spalloide.

Quelle varietà nelle quali due facce contigue di una piramide hanno un’ estensione prevalente e sono alterne ad altre due similmente sviluppate nell’ altra piramide, viene splendidamente rappresentata in alcuni quarzi di Porretta.

E da notarsi che 1 cristalli spalloidi di queste località sono tanto più limpidi quanto più il carattere delle va- rietà è manifesto. Le fig. 5 e 4 riproducono le forme di bellissimi quarzi spalloidi. Il primo è completo, per- fettissimo, notevolmente simmetrico, compresso limpido, lungo m. 0. 0210 largo 0. 0120. Non meno bello è l’altro, ma incon:pleto: avendo esso altra particolarità sarà esaminato in appresso. Vi sono inoltre moltissimi

RI altri cristalli spalloidi assai più voluminosi, ma non belli ed istruttivi quanto i descritti. Vedi fig. 7, 22.

(6) Varietà Cuneiforme.

Carattere di questa varietà è la dominante estensione di una zona di sei facce contigue, quattro delle quali spettanti alle piramidi, due al prisma, essendo oriz- zontale l'asse di essa zona.

Le fig. 5, 8, 9, 19, danno esempi di questa varietà ma in nessuna di esse il carattere è generale, essendo incompleti o esistendo solo parzialmente.

(c) Varietà Compresso.

Questa varietà si collega alla precedente e ne diffe- risce da ciò che solamente due facce opposte del pri- sma hanno un maggiore sviluppo in modo da impar- tire ai cristalli una forma schiacciata, appiattita o come dicesi i: Sono compressi i cristalli delle fig. 5, 16, 19.2. Le compressioni si riscontrano soventi an- che nei ge aggruppati come ad esempio quelli della fig. 20, nella quale si osserva una singolare disposizione di questi cristalli che stanno come le dita in una mano. Questo gruppo è parte limpido e parte nebulato; porta delle tremie, rilievi lanceolari, strie ecc. ed è aeroidro.

(4) Varietà Cuneiforme basoide.

Più frequenti dei cuneiformi propriamente detti, si trovano a Porretta dei cristalli cuneiformi basoidi, quelli cioè nei quali hanno prevalente sviluppo due facce pi- ramidali fra loro opposte e parallele spettanti ad una medesima zona. Il cristallo della fig. 7 uno dei più

MIRA gift belli esempi di questa varietà: è con:pleto limpido, porta dei rilievi lanceolari molto pronunciati sulla faccia

basoide P. (e) Varietà Cuneiforme assimetrico.

La singolare abbondanza in questa località di cristalli cuneiformi assimetrici non si può ripetere che dalle condizioni generali nelle quali si sono formati. Amerei dare una cifra che rappresentasse la proporzione nella quale stanno questi quarzi in un numero stabilito, ma questo non può essere che approssimativa e non si può avere un criterio esatto per motivi facili a indovinarsi: mi basti il citare che fra cento esemplari di quarzo con distorsioni, che fanno parte alla ricca collezione che passo in rivista, se ne trovano 530. Il quarzo della fig. $ riproduce un cristallo di questa varietà: in essa si 0s- servano molto estese le facce P ei opposte dalla pira- mide superiore, nella inferiore invece hanno prevalente sviluppo le contigue P ez, sviluppo tanto pronunciato da togliere ogni simetria al cristallo, d’ onde il nome. della varieta. Questo esempiare potrebbe servire di tipo per tutti i quarzi cuneiformi assimetrici. di Porretta. Esso è completo limpido, con vacui interni, piccole scre- polature longitudinali, solcato da strie sulle e?. Un altro esempio consimile è dato dalla fig. 9 nel quale si os- serva un piccolo geminato nella piramide cuneiforme: questo cristallo porta delle tremie interne e superfìi- ciali, strie, rilievi lanceolari elegantissimi, anelli colorati, argilla inclusa ecc. ecc. particolarità tutte che non pos- sono rappresentarsi coi semplici contorni delle figure che offro. altra parte è nota la grande difficoltà di riprodurre nelle tavole i dettagli dei minerali in ge- nerale.

(f) Varietà Cuneiforme trasposto.

La fig. 10 presenta un bellissimo esemplare di Por- retta spettante a questa varietà. E un cristallo completo che si può considerare come risultante dalla fusione in un solo individuo di due forme del primo tipo ruotate per limitata trasposizione con un’ angolo di 60.° Potrei dare pochi altri esempi di questa varietà, essendo quasi unico nella collezione che passo in rivista.

Soppressioni di facce.

Accadde talvolta che alcune facce delle piramidi pren- dono uno sviluppo tanto considerevole da implicare la soppressione di altre. È chiaro che queste piramidi non saranno più esagone; e per distinguerle a seconda del numero delle facce superstiti, accetto ben volontieri le denominazioni che mi sono proposte di Tetrachisaedre e Pentachisaedre.

La mancanza di una sola faccia si osserva in parec- chi cristalli; assai raramente quella di due; ma io credo potersi riferire ai tetrachisaedri ( pir. a.4 facce) tutti i cristalli nei quali una faccia è affatto mancante e viene appena accennata un’ altra, come si osserva soventi. E Tetrachisaedro il cristallo della fig. 5 reso tale dalla grande estensione delle facce spalloidi e di quella rela- tiva di due facce opposte alle medesime, talchè le altre non hanno potuto svilupparsi. La fig. 11 da esempio di un Pentachisaedro; esso è alquanto voluminoso, piut- tosto compresso, ha interne screpolature e piani di pseu- dosfaldatura, strie ed iridescenze, cinque sole facce nella piramide superiore, nell’ opposta invece ha ten- denza alla varietà cuneiforme.

ETNIA

Gruppi regolari.

Si trovano a Porretta molte volte dei cristalli aggrup- pati aventi per le loro facce omologhe una identica orientazione, talchè trascurando gli angoli rientranti e le discontinuità prodotte necessariamente dal diverso numero dei cristalli del gruppo, e considerandoli nel loro complesso, si ha l’idea di un solo e voluminoso cristallo.

Questo fatto traduce in modo grossolano se vogliamo ma molto evidente il concetto teorico ammesso sulla co- stituzione dei cristalli in generale. I singoli cristalli di questi gruppi, starebbero a rappresentare quei poliedri primordiali che colla loro unione regolata da norme di- verse, dipendenti da una legge generale e costante, co- stituiscono le forme definite offerte dal regno minerale.

Accanto alla fig. 12 che riproduce uno dei gruppi in discorso, vi è pur quella (15) di un cristallo unico, iso- lato, distorto. Basta confrontarli per conchiudere che PP uno e l’ altro sono quasi l istessa cosa. Nel primo, il solido è formato da tanti elementi che non si uniscono perfettamente, la defficenza di materiale cristallizzante, fors’ anche la presenza di sostanze eterogenee, ed influ- enze tuttora sconosciute, hanno intercettata la continuità della massa; nel secondo caso invece non avendovi con- corso queste accidentalità, il cristallo si è formato com- pletamente. Altri analoghi gruppi si osservano nelle fig. 15, 20.

Cristalli geminati.

In tutte le varietà offerte dai quarzi di Porretta so- venti volte si riscontrano dei cristalli geminati. La loro posizione è varia rispetto ai più voluminosi, ma vi

PE RE stanno sempre con quel carattere di regolarità che è pro- prio. delle geminazioni in generale. La fig. 14 mostra un gruppo geminato ne! quale un voluminoso cristallo è impiantato normalmente agli altri. Per altri esempi vedi fig. 6, 9 ecc.

Cristalli con tendenza alle facce basali.

Le facce che si riferiscono alle basi sono estrema-

mente rare nei quarzi di qualsiasi località, e i pochi esempi che si conoscono, sono citati nella maggior parte dei trattati di mineralogia. (1) Se Porretta è mancante di questa varietà vi si trovano però esemplari nei quali la tendenza ‘alle basi è ben manifesta. La fig. 15 rappresenta un voluminoso cristallo incom- pleto, multiplo, parte limpido e parte nebulato, con pro- fonde tremie specialmente sulle facce della piramide inferiore, stratterelli di argilla inclusa, numerose ed in- terne screpolature, rilievi lanceolari, geminazioni, di- Stersioni, compressioni, ai quali fatti tutti associa | e- senziale di una manifesta tendenza alle facce basali : esse sono rappresentate da piani in corrispondenza loro ad una sola estremità però del cristallo multiplo: questi piani sono formati dagli apici di tante piramidi di mi- nutissimi cristallini, in forma di aguglie le cui basi ed apici sono tutti disposti parallelamente. Non meno istruttivo del citato esempio è quello offerto dalla fig. 16 nella. quale si riscontra analogamente la ten- denza. alle facce basali; quest’ esemplare è un fram- mento di cristallo voluminoso che porta nell’ interno dei vacui aeroidri.

SANI (3 ere

Varietà Plagiedra.

Piet

Un solo cristallo fra i moltissimi quarzi di questa località offre il fatto della plagiedria ed snelle nel modo non più istruttivo.

La varietà plagiedra è caratterizzata dalla presenza di faccette obblique sugli angoli di combinazione del prisma colla piramide che stanno ad indicare | associa- zione del prisma, stesso colle facce di scalenoedri di destra o di sinistra a seconda che le faccette in discorso si trovano in questa o in quella posizione. Siccome i valori degli angoli delle faccette di plagiedria sono va- riabilissimi e da una parte finiscono per confondersi colle facce del prisma, così I esempio che offro nella fig. 19 sarebbe uno di sugli clin termini che danno gli an- goli più ottusi.

Varietà Rombifer: Pez ,e? (ir rombif)

La varietà rombifera data dalla presenza di una fac- cetta romba sugli spigoli di combinazione del prisma colla piramide ha qualche rappresentante nei quarzi di Porretta. La fig. 5 e 17 ne danno esempi.

Varietà Pie en tes i

Questa varietà rara anzichenò viene offerta da un solo e singolare cristallo nella ricchissima collezione che ho potuto esaminare (fig. 19). La faccia e* si trova nella zona delle faccie del prisma; essa porta dei rilievi lan-

quis "MM ei ceolari: inoltre il cristallo è incompleto solcato da pro- fonde strie distorto ‘cuniforme nella piramide superiore.

Varietà b' P ea, e?

Più raro ancora della varietà precedente è la presenza della faccia 6' che ho rinvenuta pur essa in solo esem- plare. Il cristallo della fig. 17 porta questa faccetta ni- tida ed abbastanza sviluppata sopra due spigoli opposti della piramide superiore: è singolare d’ altra parte il cristallo di cui è parola per le curvature simetriche di quattro facce del prisma, e per esser rombifero.

Facce curve.

Nella descrizione dei cristalli passati fin qui in rivista ho accennato parecchie volte la presenza di facce curve: non essendo questo un fatto della minore importanza se lo è di secondaria, ripeterò che a Porretta si rin- vengono dei quarzi con facce curve ma che in generale mancano quegli esempi più manifesti che si osservano nei quarzi di molti altri giacimenti: pochi fra questi di Porrelta mostrano le a curve perfettamente liscie e ‘-levigate, il più delle volte sono solcate da strie, e mo- strano piani di decrescimenti dai quali dipendono. Le fig. 17 e 19 danno i più belli esempi di queste curva- ture che abbia osservato fra i quarzi di questa località.

Tremie.

Un fatto frequentissimo generale a riscontrarsi in que- sti quarzi e direi quasi caratteristico è la presenza di tremie. Ora incavano una sola faccia oppure due conti- gue, tre quattro ed anche tutte sei. Le facce del pri-

BARI TC sma portano pur esse delle tremie, e si può dire tutte le volte che se ne trovano in quelle delle piramidi ; però gl’ incavi da esse prodotti sono generalmente assai più profondi in queste ultime. Spesso le tremie si limitano ad una semplice incavatura in vicinanza agli angoli. Non è raro osservarle internamente massime sulle piramidi. In generale le tremie si trovano nei quarzi che presen- tano delle impurità e prevalentemente dell’ argilla: fra questi poi i più voluminosi: le fig. 20, 21 ne danno due dei moltissimi esempi che potrei citare.

ftilievi lanceolari.

Non scarso numero fra i quarzi in esame ha una par- ticolarità che ho potuto riscontrare assai raramente in quelli di altri giacimenti. Sono prominenze più o meno sensibili che si trovano sulle facce dei cristalli, le quali partono più spesso dagli angoli, si dirigono verso il centro della superficie esterna, e finiscono in certe punte a forma di lancia detti perciò rilievi e lanceolari.

Essi si trovano nei cristalli che portano tremie o ‘che ne hanno la tendenza. Questo fatto si connette alle tremie stesse, e si spiega abbastanza bene ammettendo che gli angoli dei cristalli. essendo centri di attra- zioni più attivi per la materia che va a costituirli, sot- tragga delle particelle che sono dirette al centro delle facce, in casi speciali e per la deficenza di materiale cristallizzante o per rapida cristallizzazione; in questo caso bisogna evidentemente ammettere delle condizioni opportune, quella in special modo che quantunque le particelle siano sovrapposte alle facce, possano tuttavia obbedire alle attrazioni menzionate. Fig. 6, 7, 12.

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Cristalli negativi.

Alcuni quarzi della località in esame portano nel loro interno dei vacui limitati da piani che riproducono la forma di esagono dodecaedri. Considerando i cristalli ne- gativi come risultando dall’ unione intima di particelle poliedriche come dissi in altra occasione, il fatto ora men- zionato trova la sua spiegazione. } cristalli negativi sa- rebbero originati da una locale discontinuità di materia la quale si può ripetere da molte cause: i punti nei quali la materia è mancante sono limitati dagli ele- menti poliedrici (facce, angoli ecc.) circostanti, onde la- sciano un vacuo circoscritto da una forma o stampo, se mi è permessa l’ espressione, di ciò che ha mancato a mantenere la continuità fra le particelle interne.

Quarzi con materie incluse. (a) Cristalli Aeroidri.

Porretta è una località privilegiata del quarzi aeroidri essendo essi rari in moltissimi giacimenti il più delle volte affatto mancanti.

La quantità di liquido (1) contenuta nei quarzi in ge- nerale è estremamente, piccola difficilmente determinabile: questo liquido è reso manifesto da una bollicina gassoza il cui diametro può esser quello di un seme di miglio a quello di un piccolo grano di pisello. Però nella ric- chissima collezione dalla quale ne traggo la descrizione presente se ne trova una eccezionale che ne do la figu-

(4) I liquidi e gas che si trovano nelle cavità aeroidre sono carburi d’ idrogeno studiati principalmente da Brevvster e dal Dana, da essi distinti coi nomi di Brevvsterina, Criptolina ece.

Vedi, A System of Mineralogy by. I. D. Dana, A. M. London 1855.

IN

RO ALRSS ra (22) uno dei più belli se non unico fra i quarzi di Porretia.

La goccia che contiene stà in corrispondenza della faccia P più estesa del gruppo; la bolla gassoza che in essa vi nuota è della grandezza di quella disegnata. Il cri- stallo è incompleto semilimpido superficialmente nebu- loso nell’ interno; porte delle tremie dei rilievi lanceolari, molte e finissime screpolature ed iridescenze interne. Parecchi altri fra i cristalli descritti sono aeroidri. Il numero delle goccioline nei quarzi di Porretta varia da una a cinque. Negli oltre 200 esemplari aeroidri che ho potuto esaminare, ben inteso tutti della stessa loca- lità, non mi è stalo possibile stabilire regola alcuna circa la posizione che le goccioline occupano, ne le va- rietà cristalline nelle quali entrano. Questa posizione è varia, trovandosi ora in corrispondenza al centro delle diverse facce, o verso gli angoli o gli spigoli: di pre- ferenza però si trovano verso gli angoli, e corrispon- dono coi vacui delle tremie interne. Con molta proba- bilità si possono trovare anche al centro dei cristalli ‘quantunque non se ne scorgono, sfuggendo all’ osserva- zione, sia per lo spessore dei cristalli stessi, come per l’ alterata limpidita dei quarzi che in molti casì si ve- rifica.

Un fatto nuovo finora almeno nei quarzi aeroidri di Porretta, è la presenza di corpuscoli neri probabilmente carboniosi nuotanti nelle goccioline liquide c che seguono le bollicine gassoze nei movimenti prodotti da semplici cambiamenti di posizione di questi cristalli. In tutta la collezione accennata non ne ho rinvenuti che tre esempi.

(5) Quarzi con minerali inclusi.

Minerali inclusi si trovano raramente in questi quarzi. La fig. 25, dimostra uno dei pochissimi esempi che

5-

potrei dare: è un cristallo incompleto isolato cuneiforme nebuloso che sulle facce Pe3 più sviluppate della pira- mide superiore porta dei cristallini nitidissimi di Mesi- tina alcuni dei quali si scorgono agevolmente anche ad occhio nudo; alla superficie delle facce accennate si tro- vano dei piccoli incavi romboedrici dovuti a cristalli negativi di Mesitina che probabilmente sono stati elimi- nati da cause esteriori.

\

() Quarzi con argilla inclusa.

Fra le materie estranee che contengono i quarzi di Porretta |’ argilla è la più frequente ed abbondante a riscontrarsi. Nei cristalli di preferenza che offrono delle tremie e dei vacui interni essa vi entra quasi sempre fedele compagna. La disposizione di quest’ argilla non è casuale ne indifferente. Essa si trova più spesso si- tuata parallelamente ai piani delle diverse facce e in stratterelli più o meno sottili a seconda della grandezza dei vacui che va a riempire. Come venga introdotta nei cristalli non è facile a provarlo. In qualche caso si hanno delle aperture che mettono in comunicazione |’ esterno coll’ interno e allora si potrebbe pensare che vi sia pe- netrata dopo che i cristalli furono formati; ma altre volte queste aperture mancano affatto: l argilla vi sta rinchiusa nello stesso modo che sostanze estranee di- verse si trovano nei quarzi di altre località. Per dare un’ interpretazione a questo fatto parmi potersi ammet- tere che la materia cristallizzante si trovava mescolata coll’ argilla nell’ atto della formazione dei cristalli: che in certi momenti nei quali le forze cristallogeniche agi- rono in modi particolari trascinavano qualche sostanza quasi meccanicamente ma sempre in direzioni determi- nate, e alternandosi questi momenti colla normale for- mazione dei cristalli si ottengono gli strati di argilla e

SIAE TEA di quarzo che accadde le mille volte di osservare. Que- sto punto di vista è in analogia a quanto succede in molti casi nella formazione artificiale di cristalli di altre sostanze. Inoltre da questo fatto avressimo una plausi- bile spiegazione del come si formano i quarzi così detti in camicia.

Quarzi limpidi, nebulosi, colorati.

La limpidità nei quarzi di Porretta si può dire pre- dominante: in molti casi è perfetta, in generale più o meno alterata. I cristalli più limpidi si trovano negli isolati dodecaedri ed esagono dodecaedri di minime di- mensioni, e fra gli spalloidi. Al contrario altri cristalli presentano relativamente opachi, di un bianco traente al lattiginoso, chiamati con vocabolo abbastanza signifi- cativo, nebulose.

Circa alle colorazioni, se si eccettuano quelli tinti in violetto sporco, da ossido di manganese, che peraltro non si trovano nelle maggiori vicinanze di Porretta, (Pianoro) e pochi esempi di affumicati, finora non se ne conoscono altre.

Quarzo fibroso.

Accennerò per ultimo che oltre alle varietà esaminate fin qui vi è pure la fibrosa.

E a Lizzo principalmente che si rinviene quando di pochi millimetri e quando di parecchi centimetri di spessore. Molte volte accompagna le varietà dodecaedra ed esagono dodecaedra che ho detto trovarsi in cristal- lini minutissimi, dai quali è soventi rivestito.

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Giacimento ed origine.

]] giacimento dei quarzi di Porretta ci offre un vasto campo di considerazioni; ma per non subordinare af- fatto lo scopo puramente descrittivo che mi sono pre- fisso, mi limiterò solamente a ciò che mi è indispensa- bile di dire per completare la mia descrizione.

La litologia di Porretta si può considerare preva-

lentemente costituita da formazione stratificata di ma- cigno a banchi ben distinti di limitata potenza, sollevati, resi verticali ed un tempo, rovesciati quindi nella parte più elevata. Fra questi strati a distanze più o men grandi s' interpongono letti di melma argilloso marnosa inclu- denti senz’ ordine sensibile una grande abbondanza di cristalli di quarzo.

Nella circostanza che si | praticarono i perforamenti delle numerose gallerie della ferrovia che traversa quella località, si riscontrarono parecchi letti argilloso quar- ziferi e si potè constatarvi la ricchezza loro di questo minerale.

Alcuni degli strati marnosi portano delle varietà som- mamente prevalenti e aspetti ben distinti da quelli of- ferti in altri. Le dimensioni dei cristalli, le forme loro ed il modo di aggruppamento, le materie incluse e la disposizione delle medesime, sono altrettanti fatti che si osservano quasi neltamente distinti, che impartono un’ aspetto caratteristico ai quarzi appartenenti a letti diversi, onde travede la facilità di dividerli in gruppi a seconda dei parziali giacimenti dai quali provengono. Per es. presso Pracchia uno dei tali letti produce quasi sempre dei cristalli aeroidri. Nel versante N. È. del monte Granaglione s' incontrano di preferenza quarzi di notevoli dimensioni in aggruppamenti regolari sva- riatissimi includenti argilla grigia o-bluastra. A Riola

2

quest’ argilla passa allo stato di ocra gialla nei cristalli della galleria ove se ne trovano con tremie profon- dissime.

A Lizzo piccoli ma nitidissimi ed assai regolari cristal- lini d’abito dodecaedrico sostituiscono i gruppi assai vo- luminosi ora citati. Varia quivi peraltro la natura del giacimento connettendosi invece assieme al quarzo fibroso colle serpentine recenti.

Da questi fatti si comprende facilmente che i diversi aspetti dei quarzi sono dipendenti da condizioni gene- rali nelle quali si originarono. L’ acqua che in tanta copia imbeve le marne argillose, che contengono i cri- stalli deve aver concorso alla loro produzione. Senza trascurare quella quantità che deriva per infiltrazione dall’ alto al basso, la maggior parte di essa però deve provenire in senso inverso e specialmente da sorgenti termali, le quali abbenchè in gran parte scomparse at- tualmente in quella località, hanno lasciati molti testi- moni della loro azione nel passato.

Da quest aqua in condizioni opportune di pressione, di temperatura, e presenza di elementi alcalini, si può ripetere il materiale siliceo indispensabile alla formazio- ne del quarzo. i

L’acqua stessa una volta infiltrata attraverso ai ban- chi di macigno, trattenuta in molta parte dalle marne interstratificate, e quindi per cambiamenti delle primi- tive condizioni, sarebbe passata in quelle favorevoli per le quali le particelle disciolte potessero obbedire alle . mutue attrazioni, e quindi produzione di silicie anidra, e genesi dei cristalli. L’ origine del quarzo per via umida in questo caso è manifesto tanto da non insi- stervi a provarlo. L’ abbondanza della varietà aeroidra, e la presenza di materie carboniose, escludono ogni dubbio in proposito; inoltre, altri fatti conducono alla medesima con clusione.

La descrizione fatta, è desunta dall’ esame di circa 800 esemplari scelti che si trovano nella bella e ricca collezione mineralogica della R. Università di Bologna, tanto saggiamente disposta ed illustrata dal mio chiaris- simo maestro, prof, cav. Luigi Bombicci: ed a Questi amo render qui un tributo della più sentita gratitudine, sia per il prezioso insegnamento di cui le sono debi- tore, come per la garbatezza di lasciare a disposizione del mio studio i minerali che furono soggetto di quanto ho esposto fin qui.

LARVA E PARASSITO

DELLA TISCHERIA COMPLANELLA Lin. Osservazioni del Prof. CAMILILO RONDATNIEI (Tav. IV.)

La sola specie che forma nei Microlepidopteri il ge- nere Fiseheria fondato dallo Zeller, cioè la Tinea complanella di Linneo, non fu osservata fino ad ora allo stato di Larva, e fu per caso se io potei in que- st’ anno scoprirla; dico per caso perchè vivendo essa fra le epidermidi delle foglie di quercia, produce in esse delle macchie pallide che hanno le stesse apparenze di quelle formate da altre larve già conosciute e di lepidopteri affini, e del piccolo curculionide Orchestes quercus, e non mi sarei proposto di studiare le larve produttrici di quelle macchie, se un mio amico non mi avesse mandate molte foglie di quercus pedunculata in- vase da bacolini e perciò macchiate, desiderando di co- noscere la causa di quell’ alterazione.

Collocai le foglie sotto campana senza esaminare le larve, credendo che appartenessero a specie che furono gia osservate in tale stato, aspettando che ne sortisse l insetto completo per dirne qualche cosa di certo all’ amico, e dopo alcuni giorni vidi che si aggiravano

Li ONT sei nel recipiente due farfalline che cercavano una sortita, ma queste erano diverse molto da altre Tineinae che si conoscono già come minatrici delle foglie di quercia, e studiata la specie la riconobbi per l Elachista Compla- nella per cui il Zeller fondò il genere Tischeria (1). Nei giorni seguenti altre ne sortirono .e cessò la com- parsa nella fine di luglio, avendo cominciato verso la metà del mese stesso.

Sapendo essere non osservata questa specie nelle prime fasi di sua vita, sortite le prime farfalline cercai di studiarne le larve, ma erano già mutate in pupa, tranne alcune che erano perite e disseccate prima di trasformarsi, ed alcune altre sformate da parassiti che le avevano uccise, e di questi trovai alcune ninfe in vece della pupa dei lepidoptero.

Per poter conoscere i caratteri delle larve di Tische- ria ne collocai alcune di quelle morte senza causa ap- parente, entro un vasetto con acqua, e scorse alcune ore mi parve avessero acquistate le apparenze presso a poco delle vive, e ne osservai 1 caratteri compilando la diagnosi: seguente :

Larva Apoda, seu pedibus indistinctis; foco pedum ad latera rugulosa, seu tuberculosa Caput coriaceum, ferrugineum, segmenta sequentia pallidissime sublutea, et paulo translucida, ultimis exceptis in unico magno confusis ferrugineo: segmento primo, seu cephalico, la- tiore, macula supera -nigricante, subquadrata signato: sequentibus vitta dorsuali longitudinali, lutescente vel fusco-lutea; omnibus ad latera pilis aliquibus exiguis proeditis. V. Tab. IV. Fig. 8.

Intra epidermides parenchimo folioram Quercus Pe- dunculatae et forte etiam aliarum specierum, vivit.

(1) V. Tab. 1V. Fig. 4,2. 2-12.

O

Contemporaneamente alla sortita delle Tischerie ven- nero alla luce alcuni individui dei due sessi di un pic- colo imenottero che vive delle larve del micro-lepidot- tero, e ne uccide non poche.

Alle prime osservazioni conobbi che il Parassito ap- partiene alla famiglia delle Calcididae, ed alle stirpe delle Encyrtinae (2), ma non mi fu permesso di ascri- verlo ad alcuno dei Generi già istituiti nelle opere an- che recenti che ho potuto consultare; anzi ho commu- nicata al Chiar. Haliday la mia opinione sulla novità dell’ insetto, e sulla necessità di istituire per esso un genere nuovo, ed ho avuta la soddisfazione di trovarlo d’ accordo con me, che pel complesso de suoi caratteri quantunque si avvicini a parecchi dei Generi del suo gruppo, non può essere incluso in alcuno, e che un nuovo genere debba essere istituito per esso.

Questo genere lo chiamo Fineophaga e lo distin- guo dagli affini pei caratteri seguenti:

Antennae septem articulatae, seu scapo et articulis sex flagelli instructis in utroque sexu: primo articulo flagelli brevi, caeteris in foemina sub-ovatis, in mare oblongio- ribus, quorum tribus, in hoc sexu, filamento longo fim- briato praeditis.

Alae superae extensae, vena costali exilissima, appen- dicula apicali obliquae in dilatatione terminante: et alia venula spuria prope marginem posteriorem, longitudi- naliter decurrente ulira medium praeditae.

Abdomen apice subacuminato et sursum paulo incur- vatum, basi angustatum.

Pedes simplices, tibiis intermediis mm tarsis omnibus quinque articulatis.

Species typica generis vocanda erit. Tischeriae et sic distinguenda.

(2) V. Annuario dei Naturalisti - Modena 1867.

pae, PSR Hineophaga Tischeriae (5).

Nigra, nitida, glabra. Maris et Feminae antennae ni- grae, articalo primo flagelli sat breviore sequentibus; maris articulis secundo tertio et quarto appendice longa praeditis filiformi, breviter fimbriata, articuli secundi longiore, quarti minore.

Abdomen maris ad barim in medio paulo albidi trans- lucidum Alae limpidissimae, nudae.

Pedes femoribus late nigris: tibiis cum coxis anterio- ribus totis albis, posticis apice nigricante: tarsis omni- bus albis apice fusco.

Kjus larva in Tischeriae (Elachista) Complanella lar- vis vivit.

(5) Vide Tab. IV. Fig. 5 ad 7.

DIPTERA ALIQUA IN AMERICA MERIDIONALI LECTA

A Prof. P. Strobel annis 1866-67 DISTINCTA ET ANNOTATA, NOVIS ALIQUIBUS DESCRIPTIS

A

Prof. CAMILILO RONDANI

Fam. SYRPHIDAE Leach.

Gen. Velueella Geofr. 1. Sp. Obesa Fabr. Wdm. Macq. Rndn. - Rio Janeiro.

Gen. Rristalomya Rndn (1). Eristalis p. Alior. 2. Sp. Angustata Rndn. (2) - Rio Janeiro.

Gen. Syreplaas Fabr.

5. Sp. Duplicatus Wdm. Macq. Rndn (5). - San Carlos ( prov. Mendoza. )

4. Sp. Tridentatus Mihi m. - Patagonia.

Antennac, facies, et pars anterior frontis lutescentes: vertex et Occiput nigricantia.

(i) Prodrom. 1857 - Parma.

(2) Dipt. Brasiliana 1848 - Studii Entomologici. Torino. (5) Dipt. Am. Aequat. 1850 - Nuovi annali delle Se. Nat. Bologna.

PESO, ARSSI

Oculi vix in puncto anteriori subcontigui.

Thorax niger pallide pilosus; humeris et fascia tran- sversa pleurarum pallidis,

Scutellum nigrum pallide pilosum, linea marginali lu- tescente. Halteres pallide lutei.

Abdominis segmenta duo basalia superne, nigra late- ribus anguste luteo tinctis; tertio et quarto nigris, ma- cula ad unumquodque latus, elongata, et vittis tribus intermediis lineiformibus, postice convergentibus: quinto lutei et nigricantis vario.

Pedes fulvescentes; posticorum femora basi fusca, et anulo sub-apicali nigricante, tibiis propriis prope basim nigre-anulatis; metatarso fere toto nigro, et articulis api- calibus tarsorum fuscis.

Alae sublimpidae, vitta costali fusca: vena quarta longitudinali extrinsecus paulo sursum incurvata.

Fam. MUSCIDAE Latr.

Gen. Epa!ipus Andn (Dipt. Bras.). (Stirps 7achi-

ninae). Char. Gen. praecipui. |

Antennae articulo secundo plus vel minus breviore tertio sed non brevissimo; aristae articuli duo Dasales longiusculi Palpi subnulli.

Oculi nudi Proboscis non producta ultra episto- mium, istud magis vel minus porrectum.

Abdominis segmenta superne etiam in disco setosa. Von 1-2)

5. Sp. ftostratus mihi m. - Prov. Mendoza (Porte- zuelo de Bonilla (4)).

Totus niger etiam in squamis calyptrorum, exceptis tantum facie et fronte albidi sericei nitentibus, et ge- nis paulo rufis.

(4) Pron. Boniglia.

RO)

Antennarum articulus tertius sat latus, sub-rotundatus, parum iongior praecedente.

Aristae articali duo primi longitudine subaequales. Epistomium sat porrectum, subrostriforme: genae setis sparsis munitae: peristomio setis longis et validiusculis marginato.

Alae dilute fuscescentes, costa ad basim saturatiore. Angulus venae longitudinalis quartae non appendiculatus.

Gen. Sarcophaga Mgn (Stirps Dexinae).

6. Sp. Chrysella Desv: f. - Bahia ( Brasiliae).

Adde brevi diagnosi [esv:

Pleurae fiavo-maculatae - Abdominis latera paulo fla- vescentia - Setulae sat exiguae ad latera faciei - Abdo- minis segmentum secundum ut primum setis dorsuali- bus dentini

7. Sp. Oralis mihi f. - Bahia (Brasiliae).

Similis praecedenti cujus characteres fere omnes prae- bet, sed distinceta genis prope os macula rufa distincta signatis.

8. Sp. Nurus Rndn (5) m. - Haemorrhoidalis Mgn ( non Fall) - Buenos Aires.

Sp. in tota Europa vivens: forte translata in America mercibus ova vel larvas vel pupas ejusdem continentibus.

Gen. Semomyfa Rndn Bertol: J. (6) (Stirps. Mu- scinae) - Calliphora-Lucilia ete. Desv. Macq.

9. Sp. Fulvipes Macq: - Buenos Aires, Mendoza (Cruz de Calia), (*) Entre-Rios (Concordia).

10. Sp. Rubrifrons Macq. - Buenos Aires.

Gen. Miusea Lin. It. Sp. Domestica Lin cum varietatibus Aurifacies,

(3) Atti della Soc. Ital. di Scienze Natur. Milano 1861. (6) Atti dell’ Accad. delle Scienze di Bologna 1861. (*) Pronune. Cruss de Cagna.

MI

Campestris etc. Desv. - Vicina Macq. et forte etiam Consanguinea Rndn - Buenos Aires, Patagonia, et re- giones interpositac.

In tota Europa vivens ut in fere tota America meri- dionali, ibi forte translata cum mercibus europeis.

In speciminibus pluribus a Prof. Strobel lectis in plagis variis americanis, varietates observavi quae jam notae sunt in exemplaribus europeis, quae tamquam species distinctae ab aliquo entomologo considerantur.

Scilicet exemplaria observavi fronte albida et. plus vel minus flavicante - facie nigricante albidi sericea, et plus vel minus rufesceate - Vitta frontali varie lata, nunc nigricante, nunc rufescente - Abdomine utriusque sexus late, anguste, vel angustissime lutescente ad ba- sim etc.

i

Fam. ANTHOMYDAE Rndn. Prodr. 1856.

Gen. Limmnophora Desv. Rndn (Stirps. Antho- myinae ). Ophyra Desy. Macq.

12. Sp. Caerulea Macq. - Buenos Aires.

Generi Zimnophorae, juxta characteres quibus cum distinxi in parte VI Prodromi, Sp. ista referenda, quam- vis habitu et colore corporis Op/hiris similis.

Sed coloris et habitus notae, quibus non respondeat organica structura, specificae tantum considerandae.

Gen. Piyantha Rndn - Homalomyia? Buch.

13. Sp. Fusconotata Miki f. - Mendoza, Sud (Estacada). Nigricans, antennarum basi rufa Abdomen basi iute- scente, postice fusco griseum, maculis subrotundis fu- scioribus signatum.

Ualyptra albicantia - Pedes testacei, tarsis atris - Alae limpidae.

sar

Gen. Chortophila Macq.

14. Sp. Liturata Mihi - Buenos Aires.

Nigricans grisei adspersa - Calyptra albicantia - Hal- teres lutei - Alae dilute fusco-lutescentes, lituris quatuor nigris, duabus in venis transversis, una ad apicem venae longitudinalis secundae in costa, quarta supra apicem areolarum basalium. Spinula costalis validiuscula et erecta: vena transversa exterior incurva Pedes testacei, fe- moribus anticis et tarsis omnibus nigris.

Gen. Seiomyza Fall - (Stirps Sciémyzinae).

15. Sp. Armillata Mihi - Buenos Aires.

Ferrugineo-fusca - Antennis, apice abdominis, pedibus- que testaceis; istorum femora antica superne, bla pro- priae ad apicem, et tarsorum articuli tres apicales nigri- cantia.

Facies fulva - Frons fusco-rufescens, macula ocellari, punctisque parvis ad originem setarum nigricantibus.

Halteres lutei - Alae dilute fusco-lutescentes.

Gen. Pterotaenia Mihi - (Stirps Ortalidinae ). Ortalis Wdm.

Char. Gen.

Frons non distincte producta ultra oculos - Facies sub perpendicularis - Antennae articulo tertio elongato, apice extrinsecus acutiusculo: secundo latitudine non distincte longiore - Arista nuda.

Scutellum quatuor-setosum.

Alarum vena prima integra: secunda distinete producta ultra transversam anteriorem: quarta et quinta non neque parum convergentes extrinsecus: transversa ante- vior magis proxima exteriori quam interiori antica - Areola basalis postica angulo infero valde elongato.

lio Le Gen. inter Herinam et Myennem Desv. locandum. 16. Sp. Pt. Fasciata Wdm - Mendoza.

Gen. Strobelfa Mihi - Tephritis Latr. - Tripeta Mgn.

Char. Gen.

Frons valde inclinata - Antennae breves, insertae sub medium oculorum, articulo ultimo dorso recto et parum longiore praecedentibus - Arista nuda. Proboscis non bi- cubitata - Scutellum 4 setosum. Alae spinula costali va- lidiuscula; venis longitudinalibus secunda et quarta ci- liatis: ista et quinta rectis, parallelis extrinsecus: tran- sversae intermediae distantia a basi areolae retro positae, non dupla distantiae ab apice: areola basalis postica apice concavo, sed angulo infero non distincte elongato. V. Fig. 3-4-5.

17. Sp. Baccharidis Mihi - Buenos Aires.

Rufescentis, grisei, et nigricantis variegata, capite, an- tennis et pedibus luteis.

Frons punctis nigris tredecim maculata, tribus ocella- ribus, quatuor in margine antico, et sex in lineas duas laterales dispositis - Setae frontales nigrae, marginalibus verticis, parvis, pallidis.

Facies ad marginem oris punctis sex nigris, et alio retro oculos notata.

Thorax ferruginosus, fusci et nigricantis variegatus, et punctatus; pleuris pallidioribus, fusco-punctatis.

Scutellum fusco-rufescens, punctis quatuor nigris mar- ginalibus.

Abdomen fascia duplici dorsuali macularum nigrican- tium. f. terebra brevi depressa, basi rufa, apice nigra - Pedes femoribus qualuor posterioribus inferne nigro- bimaculatis.

Alae fuliginosae crebre punctatae, punctis antice parum, postice magis pallidis: in parte basali punctis latis, con- fluentibus, pallidioribus, in maculam irregularem con- junctis.

30

Larva spec. vivit in interiori caulis herbacei, et ra- mulorum vegetalis ad Bahiam blancam frequentis, in Prov. Buenos Aires, et ibi apellati /chò (7) mamuèl, quae generi Baccharidi spectat.

Ubi larva degit, humor affluit qui extrinsecus conso- lidatur gradatim, formam spongiolae albac sumens, vo- luminis circiter seminum ciceri.

Procreationes istae lectae sunt ab indigenis, quibus utuntur ad detergendos dentes.

18. Sp. St. Rubiginosa Mili - Mendoza. l'erruginea, capite, antennis, pedibusque luteo-testaceis. l'rons pallide setosa, puncto ocellari fusco, et punctis ‘quatuor in margine antico nigris - Facies ad marginem oris punctis sex nigris signata, quorum duobus majori- bus sub antennis.

Thorax vitta fusca dorsuali; pleurae longitudinaliter fusci et pallidi fasciatae - Scutellum ferrugineum.

Abdominis segmenta ad basim infuscata: faeminae te- rebra brevis, depressa, nigricans, lateribus paulo rufe- scentibus. sati

Alae ferrugineae, lutei crebre et ubique punctatae, punctis prope basim, in medio, latioribus et pallidiori- bus, aliquibus in margine posteriori sat parvis, albis.

Gen. 'Feplaritis Latr. (ut limitatum a Schin. et Rndn).

19. Sp. Viftipes Mihi - Mendoza (Alto del molino).

Nigricans, grisci-pallidi tomentosus et pubescens; fronte, antennis, pedibus, halteribusque pallide luteis. Frons pallide setosa, puneto ocellari et occipite nigri- cantibus - Scutellum late lutescens. Alae fuscae, punctis. albidis, numerosis, discretis ubique cribratae: spinula

(7) Pron. /ciò. Baccharidi Ulicinae Hook el Arn. maxime affinis. An Sp. nova? Cesuli.

MI,

costali distincta et erecta, a puncto nigro oriente: Costae inter spinulam et apicem venae secundae puncta duo, inter secundam et tertiam puncta tria, gradatim decre- scentia, albida. |

Maris femora posteriora in parte basali infera, vitta nigricante signata.

Faemmae pedes toti lutei; terebra parum elongata nigricans.

Adde tamquam characteres genericos.

Antennae articulo tertio dorso recto, non concavo.

Vena longitudinalis secanda tantum, non etiam quarta, ciliata: quarta et quinia extrinsecus rectae et sub paral- lelae: transversa intermedia duplo circiter distans a basi quam ab apice areolae retro-positae, etc,

20. Sp. T. Daphne Wdm - Mendoza (Alto del molino). Similis Radiatae Fall. (europeae), et paulo etiam Chi- lensi Macq. (exoticae). (*)

Gen. BPiophîla Fall. - (Stirps Loncheinae).

21. Sp. Casei Lin. - Buenos Aires.

Sp. in tota Europa vivens, facilius cum cascis vel salsamentis in America deportata.

Fam. AGROMYZIDAE Rndn.

Gen. Vopromyza l'all. - (Stirps Copromyzinae ). Borborus Alior.

22. Sp. Alternata Mihi - Buenos Aires.

Proxima sed distineta a Borboro hirtipede Macq.

(*) In genere hoc species duae includendae a Clar Macquartio Nomine specifico unico nuncupatae Stellata. Prima in parte tertia volum. 2.' Dipt. Exotic., secunda in quarto supplemento: sed vocabulum hoc jam adbibitum erat a Petro Rossio pro specie congenere europca, inde pro una et altera exolicarum mutandi;m. et cas voco.

Veph. Siderata mihi quae descripta in vol. 2.° Dipt. Exot. et Teph. Ra- diosa mihi quac in supplemento quarto.

52

Niger, antennarum basi rufescente, pedibus luteo anulatis - Alis fuscis, nigro et albo vittatis et punctatis.

Halteres nigricantes - Pedes praesertim postici hirti.

Femora anulo luteo in medicetate apicali: tibiae anu- lis duobus, uno apicali, et uno non ionge a basi, cum geniculis lutescentibus.

Alae ad apicem venae primae, in costa, puncto albo: ad apicem venae secundae macula fusca; vena tertia longitudinali a transversa intermedia ad apicem, alterna- tim nigro et albo vittata:

Vena quarta ad apicem fusco-marginala ut transversa exterior: quinta maculis fuscis duabus, a spatiis albican- tibus sejunctis: traneversa exterior paulo remota a mar- gine postico non eodem subcontigua; vena quinta mar- gini posteriori non producta.

Gen. Eplhydra Fall. - (Stirps Ephydrinae).

25. Sp. Ciligena Mihi - Buenos Aires.

Habitu et colore similis Eph. Coarctatae Fall. (euro- peae) sed notis diversis sat distineta, ut in diagnosi.

Frons nigricans - Facies lutei nitens, breviter pilosula, et setulosa, setulis aliquibus majoribus prope oculos ct ad peristomium - Buccula non manifesta.

Abdomen nitens - Halteres lutei - Pedes basi tarso-, rum minus obscura, sed non lutea.

Alae dilutissime fuscescentes; vena prima costalem attingente contra non ante transversam anteriorem, et ‘apici punceto, seu macula parva fusco-nigricante notata.

Fam. ASILIDAE Leach.

Gen. Erasipogem Fabr. - (Stirps Dasipogoninae). 24. Sp. Anulitarsis Mihi - Santa-Fé et Cordova (8). Testaceus. Antennae fulvae, apice nigricante; articulis

(8) A Rio Cuarto ad Rosarium: pron. Rossario.

BI: 4) (O duobus primis subaequalibus, secundo seta infera lon- giuscula nigra, tertio setulis parvis aliquibus in dorso praeditis - Setae duae nigrae ocellares.

Facies et frons pallide luteac, pilis et mistace sub albidis, barba alba - Thoracis dorsum griseum, nigri- cante-trifasciatum, pleuris in medio nigricantibus, pectore et coxis nigro-maculatis - Scutellum in medio nigricans. Metathorax macula lata nigra signatum - Halteres fulvi.

Abdominis maculae fuscae laterales et dorsuales, el segmenta prima et ultima ad basim fusca: primo ad latera setis tribus validiusculis nigris et aliquibus luteis inferis munito.

Pedes fulvi, unco apicali tibiarum anticarom, spinis sparsis, tibiarum posticarum apice, articulis duobus ul- timis tarsorum omnium, et apicibus articuloraum prae- cedentium nigris.

Alae vix dilutissime lutescentes, vena prima lutea.

Gen. Proctacanthus Macq. - (Stirps Asilina). 25. Sp. Rubriventris Macq. - Mendoza (Molino de Palmira ).

Fam. BOMBYLIDAE Leach.

Gen. Hiyemonenra Wdm - (Stirps Falleniinae ). 26. Sp. Lurida Mibi - Mendoza (San Carlos). Nigricans, grisei, albidi, et nigri hirta.

Antennae articulo primo nigro, duobus ultimis rufis: pritito et secundo nigro-setosis, ultimo arista apieili ni- gra. Oculi fusco-hirti - Pleurae ut venter albo pilosae, et abdomen fasciculis lateratibus, pilis albissimis con- textis - Halteres lutei - Pedes lùride latei, albo pilosi, Vibiis posticis et tarsis omnibus paulo fuscioribus.

Tibiarum posticarum latus internum breviter, et cre- bre fusco ciliatum. I

Ea

Alae sublimpidae, costa tantum, seu venis costae et

basis crassioribus et fuscis; septem extrinsecus parallelis, sejunctim margini productis. V. Icon. 10.

27. Sp. Strobelii Mihi f. - Santa-Fé et Cordova (9).

Griseo-cana - Antennae totae fulvae, albo pilosae.

Arista articulata, articulis distinguendis. duobus ad basim minoribus, sequente longo, et alio gracili brevi apicali.

Frons et facies albidae, ista albo-pilosa, vertice fusco, ocellis nigris, elevatis - Fronte antice nuda, puncto parve nigro.

Thorax dorso griseo piloso, pleuris, seutello, et basi abdominis albo pilosis - Scutellum, et protuberantiae posteriores thoracis paulo rufescentia;- Halteres albidi.

Abdominis dorsum cinerascens, margine postico seg- mentorum infuscato, et vittis, seu lineolis brevibus im- pressis nigris, quarum quatuor distincetiores in segmen- tis tertio, quarto et quinto; duabus posterioribns, istis a lateribus magis remotis: segmentum ultimum in tere- bram elongatum.

Pedes testacei, femorum et tibiarum apice,, praesertim in posterioribus nigricante: tarsi postici toti, et articuli apicales anteriorum nigri.

Alae sublimpidae, basi et costa anguste fuscis.

Venae longitudinales septem extrinsecus parallelae, et omnes sejunctim marginem attingentes. V. Icon. 11.

Gen. Hiyperalonia Rndn (10) - (Stirps Bombylinae). Exoprosopa p. Macq. 28. Sp. Erythrocephala Fabr. Wdm Macq. Rndn, V. Icon. 6. - Patagonia.

(9) A Rio Cuarto ad Rosarium. (10) Diptera Exot. ( archivio per la Zoologia ete. Modena 1365 ).

a; 1 [rl Gen. Bxoprosopa Macq. 29. Sp. Sancti Pauli Macq. V. Icon. 7 - Buenos Aires (Bahia blanca).

Gen. Biulio Latr.

50. Sp. Marginalis Mihi - Buenos Aires ( Bahia blanca).

Niger (subdenudatus) - Antennis artieulo primo rufo, nigro-setuloso - Proboscis modice elongata.

Facies et pars anterior frontis fusco-rufescentes, luteo- tomentosae, selulis parvis, paucis, sparsis - Frons superne et retro nigricans, occipite albo tomentoso, el pubescente.

Thoracis pili laterales pallidissime lutescentes, setulis nigris permixti - Scutellum rufescens extrinsecus - Pleu- rae fusco-griseae, pallide pilosae.

Halteres capitulo albo, stipite nigricante.

Abdominis dorsum pallide pubescens (pubescentia fere tota deest), lateribus albidi et nigri pilosis, ventre pi- lis albidis, segmenta ultima rufescente-limbata.

Pedes picei, tomento sericeo albido adspersi, nigro spinulosi, tarsis nigris.

Alae costa nigricante, latius ad basim, retro dilutis- sime fuscae, venis transversis intermedis limbo fusciore.

(Nota) Antennaram et alaruin notis proximus Mulio videtur Exoprosopae, sed distinguendus longitudine pro- boscidis. V. observat. in diagnosi Sp. sequentis et Icon. 8.

54. Sp. M. Lateralis Mibi - Mendoza (San Carlos).

Antennae piceae, articulo secundo fusciore: duobus primis brevibus sub-aequalibus, tertio longo sub-ensiformi, stilo brevi apicali - Proboscis modice elongata.

Facies et pars anterior frontis fulvescentes, albo pu- berulae: frons superne et retro fuscior, nigro-setulosa; occipite nigricante, albo-pubescente.

Thorax nigricans, pleuris griseis albo-pilosis, ut margo.

la anterior, et latera thoracis - Scutellum rufum - Halteres capitulo albo, stipite lutescente.

Alae limpidae, costa anguste, et basi lutescentibus; venis rufis, costali nigra.

Abdomen fulvum ad latera et in ventre, basi et fascia lata dorsuali, irregulari, nigricante, dorso niveo-pube- scente, lateribus ad basim albo-pilosis.

Pedes fulvi, setulis sparsis et apice tarsorum nigris.

(Nota) Antennas comparando istius et speciei prae- cedentis carum distinetio generica facile adoptanda, sed aliis Mulionibus studendo, in quibus articuli antennales varie elongati, tamquam congeneres melius consideran- dae. V. Icon. 9.

Gen. Anthrax Fabr. |

52. Sp. Barbiventris Mihi - Mendoza ( Portezuelo de Bonilla).

Nigra. Facies et frons nigro-pilosa - Thoracis latera et pleurae, pilis albis et nigris permixtis villosa.

Scutellum piceo-nigricans, lateribus albo-pilosis.

Abdomen lateribus albo-barbatis, fasciculis pilorum nigrorum in segmentis ultimis, apice et ventre nigro- pilosis - Halteres nigricantes.

Pedes partim argentei tomentosi.

Alae limpidae, costa anguste fusca, ad basim nigricante.

Fam. TABANIDAE Leach.

Gen. Agelanius Rndn (11) V. Icon. 12. Tabanus alior. Oculi hirti - Antennae articulo tertio basi parum lato etc. 53. Sp. A. Albipalpis Mihi f. - Santa-Fé et Cordova.

(if) bipt. Exot. 4365.

nin (1) Acton

Antennae articulis duobus primis et basi tertii rufis, isto apice nigro - Palpi albidi, brevissime nigro pilo- suli.

Facies et frons in parte anteriori pube nivea tectae, et albo-pilosae, vix pilis aliquibus intermixtis nigrican- tibus.

Gallus frontalis latus, subrotundatus, lucidas, piceus: Frons postice grisea, puncto ocellari fusco.

Thorax nigricans, pallide et fusco-pilosus, macula tes- tacea ante radicem alarum, in pleuris extensa.

Halteres lutei, capituli puncto fusco.

Abdomen fuscum, fasciis longitudinalibus fuscioribus, quarum duae intermediae magis distinetae: segmentis intermediis, margini postico et ad latera, paulo lutescen- tibus.

Pedes, coxis, basi femorum, et tarsis late nigricanti- bus; tibiarum apice fusco, alibi luteo-testacei.

Alae sub-limpidae, venis tamen paulo fusco limbatis, et vitta fusco-lutescente sub apicem secundae longitudi- nalis: vena quarta ad originem angulata, angulo appen- diculato.

54. Sp. A. Duplovittatus Mihi - Buenos Aires ( Bahia blanca).

f. Antennae rufae, articulis minutis apicalibus nigris. Palpi pallide lutei - Frons rufo-testacea albo-pubescens, callo nullo, antice ut facies albicans, pilis et barba al- bis - Scutellum. rufescens.

Thorax dorso cinerascente, vittis latiusculis sex fuscis; pleuris albido-cinereis.

Abdomen griseum, fascia dorsuali duplici fusca.

Halteres pallidissime lutescentes, capitulo albo.

Pedes pallide testacei, tarsis obscuris.

Alae sublimpidae, costa anguste lutescente, vitta sub- costali fusco-lutea: vena longitudinali quarta ad basim

ARA nunc appendiculata, nunc appendicula nulla, etiam in eodem individuo.

553. Sp. A. Interpositus Mihi - Mendoza (Cruz de cana) (12).

f. Nigricans; antennae atrae, articulo primo rufo.

Facies et pars anterior frontis albidae, albo-pilosae, Istius pars posterior sub-rubescens, albidi adspersa, et ‘breviter nigro-pilosula; occipite griseo, albidi tomentoso et_piloso: Callus frontalis lucidus, latus, transversus, piceo-subrufus.

Thoracis dorsum grisei vittatum, pilis lateralibus al- bidis et nigricantibus, macula testacea ante radicem alarum, in pleuris albo-pilosis extensa.

Halteres capitulo nigricante, stipite pallido.

Abdominis segmenta, linea albicante postice marginata etiam in ventre.

Pedes testacei, ima basi femorum, tarsis anticis totis, posterioribus partim, et tibiarum anticarum apice nigri- cantibus.

Alae sublimpidae, venis obscuris, vitta costali fusco- lutea; vena quarta basi non appendiculata.

56. Sp. A. Acupunctatus Mibi - Patagonia.

Grisescens. Antennae articulis duobus primis et basi tertii rufis, alibi nigrae - Frons apici ut facies albida, albo-pilosa: barba alba - Callus frontalis latus piceus; frons postice subrubescens albo-tomentosa, occipite albo- piloso.

Palpi albicantes, brevissime nigro-pilosuli.

Thoracis dorsum lineis tribus pallidis, pleuris einera- scentibus; macula rufescente lata ante radicem alarum - Halteres capitulo fusco-nigricante, stipite pallidiore.

(12) Pron. Cruss de Cagna. x

IAA) TENTA Abdomen, vitta lata, fusca, subrubiginosa, dorsuali; segmentis postice paulo lutei limbatis, praesertim poste- rioribus: omnibus punctulatis, punctis impressis distin- ctissimis, in lineas dispositis; lineis aliquibus transversis ad basim segmentorum, aliis obliquis lateralibus. Pedes testacei, tarsis anticis et tibiis propriis apici nigris, tarsis posterioribus nigricantibus, basi excepta. Alae sublimpidae, costa anguste et dilute lutescente, venis transversis vix dilutissime fusco limbatis; quarta longitudinali basi angulata, angulo appendiculato.

Gen. Bichelacera Macq.

57. Sp. D. Nubipennis Mihi - Mendoza (Rio Piceuta ).

Nigra, flavo-pilosa - Antennae ut palpi atrae.

Facies albicans, in medio albo-pilosa, ad latera pilis pallide-luteis: barba flavo-fulvescens - Oculi hirti.

Frons nigricans, brevissime nigro-pilosa, vitta inter- media atra, glabra, punctulata, postice attenuata - Occi- pite grisei-tomentoso, limbo supero fulvo-pilosulo.

Thorax, praesertim ad latera cum pleuris fulvopilosus.

Abdominis segmenta duo basalia superne, et serie macularum dorsuali in segmentis sequentibus flavo-fulvi pubescentibus.

Pedes nigri, tibiarum medietate basali flavo fulva.

Halteres nigricantes - Caliptra infuscata.

Alae ad costam flavo-lutescentes, in medio nube fusca variae, alibi dilutissime fuscae, vel griseae.

Fam. BIBIONIDAE WIK.

Gen. Bibie Fabr.

58. Sp. Subaequalis Mihi f. - Buenos Aires.

Similis aliis Bibionibus americanis, sed ab omnibus distinetus uno vel alio characterum sequentium.

Niger, thorace ferrugineo, femoribus fere totis rufis, alis infumatis.

2 i

Thorax supra, cum collare ferrugineus, pleuris tantum maculatis, maculis irregularibus, fuscis - Scutello nigro, lateribus ad basim rufis, et metatorace nigro - Halteres nigricantes.

Abdomen nigrum, nigro-pilosum - Alae ad costam obscuriores, macula nigricante.

Pedes nigri, femoribus omnibus rufis, apice anguste nigro; coxis anticis rufo-maculatis, tibiis posticis piceis; unco apicali tibiarum anticarum ferrugineo-piceo.

Gen. EBiloplius Mgn.

39. Sp. D. Similis Mihi - Buenos Aires.

Aliis Dilophis americanis similis, sed ab illis, vel istis distinguendus.

Capite toto atro nitido - Thorace toto cum collare, scutello, pleuris, pectore et metathorace rufo, rici tantum spinularum in collare nigris.

Abdomine atro, nigro-pilosulo - Halteribus nigris.

Alis nigricantibus, venis pluribus dilutius marginatis, costa fusciore, vitta nigra.

Coxis anticis totis, intermediis partim rufis: femori- bus anticis fere totis, intermediis anguste ad basim in- terius rufis: pedibus posticis totis nigris ut tibiae et tarsi anteriorum.

LA FARFALLA CORPUSCOLOSA

DEL

BACO DA SETA

Studi ed Osservazioni di

LEONARDO SALIMBENI

Na maggio del 1862 il prof. Gaetano Cantoni pro- poneva negli Annali d’ Agricoltura un suo piano per ottenere semente sana di bachi da seta, facendo una scelta accurata di quelle uova che sono deposte da far- falle esenti da corpuscoli. Il metodo del Cantoni non diversifica sostanzialmente da quello proposto più re- centemente dal Pasteur dietro diligenti studj da lui compiuti per incarico avutone dal Ministero Agricol- tura, Commercio e Lavori pubblici di Francia.

Soltanto dopo le osservazioni del chimico francese, che tutti i dotti conoscono’ quale valentissimo micro- ‘grafo, si è levato un gran rumore sui pregi straordi- nari di questo processo dal quale molti si ripromettono la pronta rigenerazione delle molte razze indigene del baco da seta.

Nelle gravi angustie in cui versa tuttora questa im-

portante e lucrosa industria noi procuriamo di afferrare d

Agg gonne

col massimo trasporto quei mezzi che vengono a quando a quando decantati, e senza lasciarci mai fuor- viare da allucinazioni cui troppo facilmente gli scien- ziati vanno soggetti, il più delle volte per amore di si- stema, ci affidiamo talora alle poche tavole di salute: non disperando di trovare quella che valga a salvarci dal naufragio.

Sono note le esperienze e le osservazioni della Com- missione nominata dal Comizio Agrario di Modena, che riassumono nella determinazione del carattere pre- dominante della presente infezione dei bachi, quello della presenza dei corpuscoli o psorospermi che d’ordi- nario si rinvengono nella crisalide più copiosi che nella larva e nella farfalla anche in quantità maggiore che nella crisalide. Gli studj della Commissione però eb- bero specialmente per oggetto lo stato delle larve. Ravvicinando a questi studj le induzioni dei più celebri micrografi Lebert, Frey, Osimo, Cornalia, Ciccone, Maestri, Quatrefages, Balbiani e Pasteur, ovvia ne con- segue la necessità di cercare o la semente sana e priva di corpuscoli, o i riproduttori che ne rimasero incolumi, o l una e l'altra cosa ad un tempo.

Nell’ intento di mettere a prova il metodo adottato dal Cantoni e dal Pasteur per la scelta e il confezio- namento del seme, intrapresi sul finire del giugno scorso una serie di osservazioni sulle farfalle di alcune partite indigene eccezionali, che avevano dato un prodotto sod- disfacente, e sono arrivato ad alcune conclusioni che mi parvero di qualche valore dal lato scientifico e dal lato pratico e credetti per ciò FORNELIENE di redigerne una compendiosa relazione.

Premetterò che delle farfalle io gettava le più imper- fette, le macchiate, le adipose e quelle che non presen- tavano un certo vigore. Le coppie di farfalle prescelte erano tenute in disparte e disposte separatamente le

La

une dalle altre. L’ accoppiamento veniva protratto per I’ intervallo di sette ad otto ore, indi, staccate le fem- mine, si deponevano una dopo altra in altrettante cellette di carta numerizzate e foggiate a guisa delle curvine Delprino. —- Quivi ogni farfalla deponeva le proprie uova, dopo di che veniva sottoposta all’ osser- vazione microscopica.

lo non conosceva quale fosse il procedimento seguito dal Pasteur e mancandomi precise norme se dovessi fare una sola osservazione, schiacciando ciascuna far- falla e allungando una piccola goccia dell’ umore di essa con acqua distillata, oppure se le osservazioni dovessero partitamente eseguirsi sui diversi tessuti dell’ insetto, mi attenni al secondo metodo.

Presi nota della apparenza esterna delle farfalle ed esaminai successivamente col microscopio (1) il sangue del vaso dorsale, le orine, le squame addominali, le squame del corsaletto, le antenne, le zampe, le ali, le uova in- feconde che non erano state deposte dalla farfalla, il contenuto della vescichetta copulatrice e il tessuto giallo epidermico.

Il

L’essermi accinto a queste pazienti indagini mi diede occasione di rilevare i seguenti fatti:

I corpuscoli si trovano il più delle volte localizzati nel sangue del vaso dorsale e se non vi ha organo del- l’animale che ne sia interamente privo, pure quel li- quido nutritizio ne è senza alcun dubbio le sede prin- cipale fra le parti interne.

(1) Nachet. Ordinariamente impiego l’ oculare N. 2 e l’ obbiettivo N. 4.

sei Se

Anche il liquido giallo-rossiccio dei vasi renali e le orine contenenti quel denso sedimento, che somiglia a finissima polvere di mattoni stemprata nell’ acqua, pre- senta, in corrispondenza dello stato corpuscoloso del sangue, fra le opache e fittissime granulazioni di cui è composto una determinata quantità di corpuscoli che, per la loro speciale trasparenza e per la luce che riflet- tono, si distaccano nettamente dalle oscure tinte della ambiente materia granulare.

Il contenuto della vescichetta copulatrice non è sem- pre in relazione alle indicazioni fornite dall’ esame del sangue e delle orine. Però anche in questo umore ge- latinoso nuotano i corpuscoli frammisti ai filamenti sper- matici.

Nel corso di queste osservazioni mi si affacciò alla mente il dubbio che i psorospermi potessero invadere anche le parti esterne delle farfalle, come le antenne, le tre paia di zampe toraciche, le squame aghiformi del corsaletto, le squame addominali e finalmente le ali; intrapresi perciò un’ altra serie di ricerche le quali mi condussero all’ accertamento di un fenomeno della mas- sima importanza. I

Di tutte le parti esterne superiormente enumerate trovai che le ali sono quelle che ci somministrano le indicazioni più sicure sull’ infezione corpuscolosa e in armonia con quelle tratte dall’ esame del sangue.

Ma v' ha di più. In tutto il corpo della farfalla non vi ha alcun punto che presenti una quantità così grande di psorospermi; pertanto come nelle parti in- terne pare che il sangue del vaso dorsale sia la precipua sede di questi organismi microscopici, così fra le parti esterne soggiornano di preferenza nelle ali, anzi la loro proporzione in queste ultime è di gran lunga maggiore che nel sangue. Dalle mie note infatti risulta che la dove il sangue offriva rari, o pochi, o discreti corpuscoli

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le ali ne offrivano molti, o anche una immensa quan- tità: e si osservi bene che questo fenomeno si è veri- ficato sempre.

Ne sorgeva spontaneamente il quesito, quale fra le parti dell’ ala ne fosse impregnata e mi applicai tosto a risolverlo. questo studio mi presentò tali difficoltà che non potessi facilmente superare.

Nelle squame che formano il pulviscolo delle ali, i corpuscoli erano molto rari o non se ne incontravano menomamente. Îl loro centro di elezione era dunque la membrana dell’ ala.

Ma per mettersi in condizione di osservare chiara- mente i corpuscoli, non basta sottoporre al microscopio la membrana denudata dalle squame che la ricoprono e che sono inserite sulle due pagine della membrana, ma bisogna inoltre comprimere e schiacciare la membrana stessa sulla lastrina di vetro, bagnandola prima con qual- che goccia d’acqua distillata. In tal caso 1 corpuscoli, resi liberi, diventano talmente chiari e palesi che non rimane dubbio e nel campo dello strumento si possono fare i più opportuni confronti.

Se coll’ operazione meccanica del raschiamento delle squame i corpuscoli non vengono asportati, evidente- mente giacciono o nel tessuto della membrana o nello spazio compreso fra le due lamine della membrana stessa che abbraccia le nervature.

lo inclinerei a credere che i corpuscoli trovansi prin- cipalmente fra le due lamine e sono sospesi in quel li- quido che si raccoglie fra le medesime lamine fino a renderle varicose. Tuttavia, osservata la membrana per semplice trasparenza e senza comprimerla, ho veduto anche nel tessuto di essa molti gruppi di corpuscoli rac- colti come in speciali areole intorno ai tubi squamiferi, sebbene si debba arguire che sono aderenti alla super- ficie interna anzichè all’ esterna di ciascuna pagina.

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Per completare questa esposizione mi rimane a dire qualche parola di ciò che potei scoprire nelle uova non deposte dalle farfalle. Aperto l’ addome sceglieva dieci o dodici, dando la preferenza a quelle che tro- vavansi nell’ ovidotto e in mancanza di queste alle al- tre o delle trombe o degli otto tubi ovarici. Lava- tele accuratamente ne schiacciava due o tre sulla la- strina di vetro e, rimosso il guscio, allungava una goccia del liquido ottenuto con tre o quattro goccie di acqua distillata.

Per bene osservare lo stato più o meno corpuscoloso dell’ uovo si deve por mente alla densità diversa delle materie in esso contenute. La goccia di liquido, prepa- rata come ho detto, può dividersi in tre strati abba- stanza distinti coll’ avvicinare il microscopio all’ oggetto a minimi gradi d’ avanzamento.

Nel primo strato superiore si presentano delle parti- celle di materia grassa o bollicine giallastre e meno dense che galleggiano alla superficie della goccia liquida.

Nel secondo strato, che è quello di mezzo, appari- scono le finissime gr paia della. sostanza xibellita!

Nel terzo strato inferiore del liquido più chiaro e trasparente si vedono i noti corpuscoli i quali, per es- sere più densi di tutte le altre granulazioni rimangono al fondo della goccia 0 a pochissima distanza dal fondo. Anzi può dirsi che in questo ultimo strato non si sco- pre altra materia all’ infuori dei noti corpuseoli.

Noto questo fatto, che nelle mie osservazioni si è ri- petuto e verificato costantemente, a conferma dell’ opi- nione del Cornalia e in opposizione a quella dell’Osimo,

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che scrisse: « essere i corpuscoli più leggieri dell’acqua » @ di quasi tutti gli elementi onde il baco risulta. » (2)

Riassumendo i risultati delle mumerose osservazioni fatte su questo punto sempre allo scopo di confrontarle alle conclusioni precedenti, ho dovuto convincermi che in generale il contenuto delle uova infeconde della far- falla ci una quantità di corpuscoli. proporzionata- mente minore di quella degli altri liquidi e tessuti del- l’animale. Dico ‘in generale per denotare il maggior numero dei casi, perchè mi è occorso talvolta di osser- vare il fenomeno opposto, quello cioè di trovare nelle uova infeconde di alcune farfalle una proporzione di corpuscoli assai più grande di quella rinvenuta nel sangue.

Sia detto da ultimo per incidente che nelle mie 0s- servazioni non omisi di investigare se vi fosse qualche traccia di divisione trasversale o longitudinale dei cor- puscoli, ma non potei verificare il fatto della ripro- duzione scissipara-trasversale secondo una sezione per- pendicolare all’ asse maggiore osservato da Lebert, da Frey e da Pasteur, quello della divisione nel senso di questo asse longitudinale descritto dal Béchamp.

I frequenti ammassi di corpuscoli assai più piccoli ed indistinti che comunemente si vedono fra i corpuscoli liberi e completamente sviluppati, mi farebbero propen- dere a ritenere che i corpuscoli si riproducano a forma germipara analogamente alle gregarine e ai psorospermi in generale, cioè nel seno di vescicheite o cisti gene- ratrici. (9)

(2) Atti della Società Italiana di Scienze Naturali. T. II., p. 258.

(5) Ciò sarebbe conforme alle induzioni ed osservazioni del Vlacovich e del Balbiani. Atti dell’ Istituto Veneto. T. XI., pag. 1209 e segg. Jour- nal de Anatomie et de la Physiologie de M. Charles Robin. T. IV., p. 329.

esige

siyhe

A quali conseguenze conduce la discussione dei feno- meni precedentemente descritti? La pratica coltivazione dei bachi da seta può trarne qualche utile insegna- mento? Vediamolo.

Le osservazioni precedenti ci dimostrano anzitutto che generalmente nel sangue dell'insetto risiede il prin- cipio venefico che spandesi più o meno rapidamente in tutto il corpo dell’ animale. Quindi la relazione co- stante fra le indicazioni tratte dalle orine e dal sangue, perchè i corpuscoli sono trasportati anche in seno alle altre secrezioni dei vasi renali.

Il fenomeno più notevole che merita particolarmente di essere studiato e che può essere di qualche aiuto nella investigazione del modo con cui la malattia si pro - duce nel baco sano, e si diffonde in tutte le parti del suo organismo, consiste nella grande quantità di corpu- scoli che trovansi agglomerati nella membrana delle ali.

Per formarci un concetto adeguato dell’ importanza di questa osservazione, ricorderemo alcune delle meta- morfosi cui da luogo la trasformazione della crisalide in farfalla. |

Insieme alle cellule nucleate' che danno origine alla membrana e ne ingrossano le pagine si osservano nella crisalide quelle granulazioni che vanno a formare i nuovi tronchi tracheali delle ali. Da principio queste gra- nulazioni nuotano nel liquido che bagna tutti i visceri, liquido nel quale, secondo il Cornalia, ogni parte si forma, nel mentre esso ritrae i suoi elementi dalla fu- sione del tessuto cellulare. (4) În seguito l'elemento

(4) Cornalia. Monografia del bombice del Gelso, p. 178 e 255.

spirale concorre alla formazione del tessuto della mem- brana; anzi pare dimostrato che le trachee si spogliano anche in questa ultima metamorfosi della loro mem- brana interna, non altrimenti di quello che avviene nelle mute della larva, e che quelle che non riuscirono a penetrare nel corpo dell’ inseito perfetto scorrono fra le membrane della crisalide.

Non sembra dunque improbabile che nella evolu- zione degli elementi della larva per la formazione della farfalla avvenga un agglomeramento o condensamento dei corpuscoli sul tessuto delle spire tracheali, ovvero che nell’ ultimo stadio della fase della larva 1 corpu- scoli stessi siansi-propagati più rapidamente nelle trachee.

Non sarebbe in tal caso questo un indizio che l’aria infetta delle bigattiere di bachi corpuscolosi è il veicolo principale del germe sottilissimo della infezione? Non verrebbe allora chiarito il fatto della comunicazione del morbo ai bachi sani allevati nello stesso ambiente in vicinanza di una partita infetta?

Veniamo ora partitamente a considerare quali conse- guenze possono a rigor di logica ricavarsi dai risultati ottenuti nella osservazione delle uova non deposte dalle farfalle.

Abbiamo veduto che il grado d’ infezione di queste uova è in generale minore di quello che presenta il sangue o che si riscontra nelle ali, ma noi sappiamo che per menomo che sia il principio che origine alla epizoozia regnante nci bachi essa procede sempre con crescente violenza dall’ uovo alla larva e da questa alla crisalide e alla farfalla.

Se adunque fosse provato che una farfalla corpusco- losa può generare uova meno corpuscolose di essa od anche prive affatto di corpuscoli, ne deriverebbe che l’os- servazione della farfalla non basta ma che l’indagine deve estendersi anche alle sementi o uova deposte dalla medesima.

mea agi e

In questo anno spero potrò completare gli studj di cui si tratta coll’ osservazione delle uova e delle larve provenienti dalle farfalle corpuscolose che ho esaminato nel giugno 1867: ma intanto fa d’ uopo che noi diamo tutto il peso al riflesso precedente che può ritenersi formi una seria obbiezione al metodo propugnato dal Pasteur, quando sia preso nei termini precisi posti dal diedesimib eminente osservatore.

Il fatto ‘enunciato, che fu osservato anche da altri bacologi (5), rimane ancora circondato da qualche in- certezza, perchè fu gia notato da noi che in alcuni casi si è avverato il fenomeno inverso, quello cioè di rinve- nirsi nelle uova non deposte ed infeconde della far- falla un sensibile peggioramento dallo stato della mede- sima, un grado maggiore d’ infezione contraddistinto dalla maggiore quantità di corpuscoli. Possiamo peraltro fondatamente stabilire che non esiste una relazione co- stante fra lo stato corpuscoloso degli elementi ‘embrio- nali dell’ uovo e quello della farfalia.

Ma quì amiamo chiarire un punto che potrebbe ri- cevere una interpretazione inesatta dal contesto delle parole di cui abbiamo fatto uso per esporre il nostro modo di vedere del fenomeno che ci si presenta nello studio al microscopio delle uova infeconde.

La fecondazione infatti può introdurre nel contenuto dell’ uovo delle modificazioni favorevoli, fu ancora dimostrata influenza dello elemento maschile, general mente più sano e vigoroso, sulla formazione dell’ em- brione della larva. Secondo il Balbiani le cellule della sostanza vitellina, contenenti 1 psorospermi, sono il veicolo di questi nella cavità intestinale: ma i psoro- spermi vi si trovano anche prima della fecondazione, ed

(5) ZL arrive trés-frequemment que de papillons corpusculeux fournissent des oeufs qui ne le sont pas. Pasteur. Rapport à Son Exe. M. Le Ministre de Il Agriculture, du Commerce et des Travaux Publics. 25 Julliet 1867, p. 5.

mat ES è perciò verosimile che I elemento maschile non vi in- troduca nuovi germi parassitici. Anche le deduzioni del Grimelli, verrebbero in appoggio di questa opinione, ri- scontrando una minore infezione nei farfallini che nelle farfalle femmine.

Giova nondimeno ripetere che sebbene dalle espe- rienze istituite si rilevi che Y attuale malattia è eredi- taria insieme e contagiosa, si possono però incontrare, anche fra le partite più infette, dei bachi rimasti inco- lumi o almeno attaccati leggermente.

È qui mi sia permesso ricordare che fino dal 1861 in una relazione che presentai al Comizio agrario di Mo- dena io avvertiva nella malattia un certo andamento più o meno rapido a seconda della originaria costitu- zione e sanità della razza e con ciò stabiliva il carat- tere ereditario della infezione.

Allora io scriveva: « La semente sana che schiudesi » regolarmente e procede con sviluppo normale, durante » un periodo più o meno lungo della vita slk larva, s arriva ad un certo stadio in cui subisce prontamente » gli effetti del morbo; essendo fale epoca più o meno » remota dal giorno della nascita a norma dello stato » costitutivo delle larve e della loro originaria salu- » brità e vigoria. Per tal modo ora tu vedi | agri- » coltore esposto alla perdita dell’ intero prodotto fino » dalle prime ore in cui i bacherozzoli uscirono alla » luce, ed ora lo vedi frustrato amaramente nelle sue » speranze solo al momento desiderato di cogliere il » frutto delle sue fatiche e delle spese sostenute. »

Questo fatto prova, a mio credere, |’ esistenza degli

gii,

ignoti germi, o per meglio dire, germi tuttora inesplo- rati della infezione, la quale rimane latente per un pe- riodo indeterminato, ma dipendente in generale dallo stato delle razze e dalle circostanze accidentali dell’alle- vamento. Il Pasteur, nel rapporto citato (6), rico- nosce la Zenta incubazione del male e ne trae argomento in favore del suo metodo di confezione del seme e spera che con questo mezzo si escluderà il germe della malattia. i

Dunque la esclusione delle uova deposte da farfalle corpuscolose conduce, secondo lui, a togliere il germe latente del male il quale, se non è riposto nella infe- zione stessa parassitica, ne va sempre accompagnato e diffuso con questo mezzo, almeno nella grande genera- lità dei casi.

Per quanto sia intima e stretta la relazione fra il predetto germe latente e 1 noti corpuscoli caratteristici, non si è riscontrato finora il punto di partenza, la vera causa generatrice di tale infezione.

vale a darci qualche spiegazione l’esperienza fatta dal Vlacovich e ripetuta dal Pasteur, della produzione artificiale della malattia. Ammettiamo come dimostrato che la somministrazione di foglia infetta di corpu- scoli (7) ai bachi sani produce senza fallo la malattia corpuscolosa; per noi è questo un fatto della più alta portata, ma non ci dimostra che la comparsa del cor- puscoli sia la causa e non |’ effetto del male. È in- fatti chiaro che il germe della malattia, diverso dai cor-

(6) Un ver ne peut pas présenter de corpuscules et èlre néanmoins assez envahi par le germe du mal pour que la chrysalide et le papillon auxquels il donnera naissance soient remplis de ce produit anormal que l’ on appelle les corpuscules des vers à soie - loc. cit. p. 4.

(7) Per rendere corpuscolose le foglie si bagnano con acqua nella quale si è schiacciato tutto il corpo o solamente un frammento d’ una larva, 0 d’ una crisalide o d’ una farfalla che siano corpuscolose. Pasteur, Mem. cit. p. 12. Vlacovich. Att dell’ Istituto Veneto. T. XI, p. 4251.

59 de

puscoli in discorso, può essersi introdotto con essi, ov- vero che i bachi sani che ne rimasero infetti, contene- vano già nel loro sangue il germe latente; che il loro organismo infermo non potè eliminare i corpuscoli estranei e da ciò la conseguente facile propagazione di essi nel sangue, nel tubo digerente, ecc.

Per queste ragioni è opportuna la distinzione di tre categorie di bachi. Quelli perfettamente sani, quelli che essendo già attaccati dal male non offrono corpuscoli in qualsiasi parte del loro corpo, quelli in fine che ci offrono i noti corpuscoli, qualunque sia la causa prima del male.

Per noi lo stato corpuscoloso dell’ insetto svela il grado più elevato dell’ infezione e quando persista per l’ incuria degli allevatori, che aspettano che la provvi- denza li voglia liberare da questo flagello come da quello prodotto dall’ oidio nelle uve, senza darsi alcun pensiero di scongiurare colla solerte loro intelligenza gli agenti perturbatori dell’ ordine delle leggi naturali, produce da ultimo la degenerazione e anche la estinzione della razza. Questi agenti sono il più delle volte parassiti vegetali o animali che trovano nelle circostanze anor- mali, nelle vicende meteorologiche, nell’ indebolimento e deperimento delle specie, derivanti altresì dalla poca avve- dutezza e dall’ ignoranza degli agricoltori, le condizioni più acconcie al loro sviluppo e alla loro disseminazione.

Vorremmo che.si studiasse quella serie continua di rapporti che collegano e rendono fra loro solidarie tutte le specie del mondo organico, che si estendessero quelle importanti osservazioni di cui il Darwin ci diede ri- marchevoli esempi nella sua celebre opera sulla origine

delle specie. (8)

(8) Carlo Darwin. Su! origine delle specie per elezione naturale, ov- vero Conservazione delle razze perfezionate nella lotta per | esistenza. Traduzione di G. Canestrini e L. Salimbeni, Modena, Zanichelli e Soci. 1864. p. 49 e segg.

Lei

VI.

Agli allevatori spetta il dovere di seguire costante- mente le norme che la scienza ci va dettando e che fra non molto finiranno, lo speriamo, per vincere gli osta- coli che si incontrano, specialmente nella pratica.

Occupiamoci sopratutto della ricerca delle sementi sane e prive di corpuscoli, indigene od esotiche e applichia- mo un rigoroso metodo di elezione nella preparazione domestica delle sementi migliori ( grainage domestique dei francesi ).

Questo metodo rigoroso di scelta o cerna potrebbe, a senso di alcuni, aver luogo nelle partite anche le più ammorbate. (9) Non mi fermerò quì a dire quanto

(9) Il mio amico e collega prof. Grimelli in un suo lavoro intitolato: « Conclusioni bacologiche modenesi » inserito nel T. VIMI.® degli Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, sostiene che si è riscon- trato nella malattia dei bachi un periodo crescente dalla prima alla quarta generazione e un altro periodo decrescente della quarta alla settima.

Ho già dichiarato in una mia lettera al Grimelli ( stampata nel Panaro, Gazzetta di Modena, N.° 214 del 1867 ) in qual conto debba tenersi questa opinione che non fu, che io mi sappia, mai convalidata dagli allevamenti “spe- rimentali, come potei anche accertare da recenti notizie pervenutemi sui raccolti serici di Lombardia degli anni scorsi.

Ma non posso esimermi dal toccare di volo al concetto che informa un pregevole articolo che intorno alle Conclusioni bucologiche del Grimelli ver- gava il dotto nostro concittadino dott. Geminiano Luppi e che si legge nella Revue universelle de Scricullure di Lione ( Nov. 1867, p. 166 ).

La malattia, egli dice, non sarebbe scomparsa se noi non fossimo andati in cerca di sementi esotiche? Non sarebbe siato più saggio consiglio procu- rarsene delle ammalate che avessero soggiaciuto per tre generazioni di se- guito agli attacchi e alle fasi dell’ epidemia? Pare ai nostri contradditori che il rinnovamento del seme, per quanto indispensabile dal punto di vista economico, sia affatto impotente a sradicare la malattia; pure vediamo nel- la prima delle conclusioni Grimelliane consigliato di attenerci alseme giap- ponese di immediata derivazione da quei luoghi.

Noi potremmo convenire col Luppi se si fosse attuato fino dall’origine del- I’ infezione quel metodo di confezionamento del seme che oggi viene tentato

Li le sarebbe improvvido e disastroso questo sistema; l’espe- rienza che ne abbiamo fatta in Italia, esperienza che ci costò enormemente, lo ha condannato. (10)

Cerchiamo dapprima le sementi nei paesi che sono

tuttora immuni dalla malattia e non tralasciamo di ro- vistare tutti gli angoli Europa per scoprire le partite meno colpite. Ma anche le sementi sane contrarranno prontamente ! infezione, quindi la necessità di fare ogni sforzo per la loro preservazione. Di quì la oppor- tunità di ricorrere al metodo Pasteur per la scelta delle uova deposte da farfalle prive di corpuscoli, e al me- todo Vittadini e Cornalia per la scelta delle uova non corpuscolose. Questa maniera di apprestare le sementi potrà man- tenere sane le sementi esoliche importate e potrà forse somministrarci ancora delle buone sementi indigene da sostituirsi a quelle che hanno degenerato.

pare con qualche successo; se fino dal primo apparire del male si fossero possedute le cognizioni che presentemente si hanno (che sono il frutto della esperienza ) sulla natura e suli’ andamento della malattia e la scelta fosse caduta sulle farfalle e sulle sementi rimaste esenti in quei primi anni. Allora potevamo forse fare a meno delle sementi esotiche.

Ma questi metodi, e neppure i più ovvii ed elementari della pratica, non furono attuati quando si era in tempo di farlo.

« éerivais réecemment a M. Dumas, dice il Pasteur (Mem. cit. p. 5) « que depuis vingt années que sévit la maladie et que l’on propose toutes « sortes de moyens de reconnaitre qu’ une graine est saine ou malade, 02 « n’ a peut-étre pas jete un kilogramme de graine à la riviere. Ou donne « la mauvaise graine ou on la vend è chers deniers et Y immoralité de ce « commerce est telle que plus une graine est suspecte, plus est élevé, en « general, son prix de vente. »

Così si fece anche in Italia da dieci anni e seguì il continuo peggio- ramento delle sementi indigene. —— Non sarebbe dunque un consiglio serio e neppure marque au coin d’° une prévoyance que l on ne saurait assez appreécier, come dice il nostro amico Luppi, (loc. cit. p. 169) quello di sce- gliere la semente di bachi ammalati, anzi dei più ammalati, come sarebbe consentaneo all’ opinione del Grimelli, nell’ ipotesi del periodo di un settennio nelle fasi della malattia. i

(10) Avvertenze, pratiche sull’ allevamento dei bachi da seta. Annuario della Società dei Naturalisti. Anno I. Modena, Vincenzi. 1866- p. 25.

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Le farfalle destinate al grainage saranno isolate luna dall’ altra col mezzo delle curvine, indi sottoposte al- l’ osservazione microscopica dopo la deposizione delle uova.

Basterà osservare la membrana delle ali denudata dalle squame per decidere quale sia la semente che debba conservarsi come derivante da farfalle non cor- puscolose ; non occorrerà dunque che una sola osserva- zione per ogni farfalla. Si compiranno poi le osser- vazioni, sottoponendo al microscopio le sementi conser- vate. Due osservazioni per ogni curvina saranno sufficienti, impiegando quattro o cinque uova per cia- scuna.

Ma per rendere veramente proficui gli allevamenti sperimentali, sarebbe a desiderarsi che il Ministero di Agricoltura e Commercio istituisse premi da conferirsi a quegli agricoltori che sapranno realizzare i migliori prodotti di bozzoli sia per la quantità corrispondente ad ogni oncia di seme, sia per la loro qualità e peso. Questi premi potrebbero anche destinarsi in parte alla fabbricazione delle sementi, erogandone una metà ai pos- sessori delle sementi approvate da apposite commissioni di sorveglianza, o dai delegati dei comizi agricoli più vicini e non assegnando loro l’altra metà se non quando sia provato che il prodotto di quella semente fu supe- riore alla media, come fu saggiamente proposto dalla Commissione francese di sericoltura.

SUI COEFFICIENTI OZONOMETRICI DELL’ UMIDITÀ E DELLA TEMPERATURA

Nota DEL PROF. D. RAGONA

DIRETTORE DEL R. OSSERVATORIO DI MODENA

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Aics in questo R. Osservatorio sottoporre ad attenta disamina le proprietà dell’ ozono atmosferico, ho immaginato vari processi sperimentali che andrò succes- sivamente mettendo in pratica, e ho cominciato dal ri- cercare le relazioni esistenti tra il gradò ozonometrico e gli aumenti o decrementi della umidità e della tem- peratura. Per procedere convenientemente in tali studi, mi era indispensabile collocare le note cartine nello stesso luogo in cui trovansi gli apparecchi meteorologici, accanto al termometro esterno, allo psicrometro etc., dentro la finestra meteorologica esposta a Nord. Era poi condizione precipua delle mie sperienze, quella di possedere un mezzo tanto semplice e pronto quanto si- curo ed esatto per determinare i medì valori diurni dei vari elementi meteorologici. A ciò si prestano egregia- mente le tre osservazioni fondamentali di questo R. Os- servatorio “a 4* sera, mezzanotte ed 8% mattina. Final- mente mi era altresì indispensabile, possedere una scala cromatica, destinata a rappresentare con la maggiore esattezza i vari gradi di colorazione che assumono le cartine nelle circostanze speciali delle mie sperienze.

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OA I OS In una lettera al Ch.° Padre Secchi (1) ho parlato della scala ozonometrica, che un’ insigne artista pose a mia disposizione. Qui aggiungerò che questa scala, che nac- que originariamente in 10 parti, fu poi ridotta a 20 di- visioni, ‘completando la serie delle colorazioni, per gra- ibn) vicinissime e successive.

Le cartine restano esposte per la durata di 24 ore, e si cambiano a mezzodì. Le circostanze meteorologiche appartenenti a una data esposizione sono quelle del giorno astronomico che finisce nell’ istante in cui si toglie la carta. Queste osservazioni ebbero principio al 1.° dello scorso febbrajo. I medì mensili dei gradi ozo- nometrici osservati nell’ anno meteorologico 1866-67 sono contenuti nel seguente specchietto, al quale ho aggiunto la durata delle notti e dei giorni.

Medî Durata Durata ozonometrici | del giorno | della notte

fé“ zx è; oeyà RR h

Mesi

Dicembre 1866 Mia 8.8 15.2 Gennajo 1867 Spa 9.4 14.9 Febbrajo » d.5 10.4 15.6 Marzo » ni708 14.8 12.2 Aprile » 5.2 135.4 10.6 Maggio » 5.9 14.8 9.2 Giugno » 7.7 AB 8.5 Luglio » 5.6 45.2 8.8 Agosto » 7.9 14.0 10.0 Settembre.» 7.3 12.5 11.5 Ottobre» 8.7 441.0 13.0 Novembre » 6.8 9.5 14.5

(1) Bull. Met. del Collegio Romano 1867.

MEET VE Questi medî mensili sembrano a prima prima vista procedere irregolarmente e senza alcun’ ordine. Però considerandoli più da vicino, e mettendo in calcolo i cambiamenti contemporanei dell’ umidità e della tem- peratura, cessa l’ irregolarità del loro andamento, e viene a desumersi la legge generale a cui essi obbediscono. Per giungere a tale scopo, riferisco le osservazioni ori- ginali eseguite nel periodo da febbrajo a novembre 1867 ordinandole giusta il grado crescente dell’ ozono atmo. sferico.

i Ozono Temp. Umid. 1 1 ke I60 8 4 6.7 ble) 2 2 4.5 65 414 2 8.9 32 14 2 6.7 74 29 2 9.1 66 25 2 9.6 65

6) hi 4.0 77 15 4 7.5 81 19 4 9.6 79 26 h 9.0 76

4 h) 3.5 85 21 6) 9.6 70 2 5 7.6 70 10 6 7.8 81 17 6 8.2 90 18 6 9.5 87

7 7 6.7 D6

9 7 7.5 79 15 7 D.d 72 20 7 8.1 - 85 25 3 6.9 84

6 9 3.8 88 27 9 7.8 78

b) 40 1.8 9 12 10. 5.6 9 16 10 8.1 87 28 10 | 3.0 81

Ozono

O 00 00 00 00 i vt E NO NO DI DI NO NO DO O

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OLIO UO JIJSAILIUUTOUSIVSV>RO LU LI

Umid.

Mo

o N Q S : 0 |164| 22 8 1]22.2| 46 O |43.2| 50 || 10 41|228| 57 2|16.0|29| 4| 2|45.9| 61] 2|416.5| 56 6 2494] 55 5 |160.5| 49 9 225.0] 44 | 3 14,2 | 50| 5| 3|47.2) 49 5 |14.7| 58 Ti 5 |21.0| 47 5 |20.2| 359 || 41 5 | 2214 | 55 5 |14.2| 58 | 14 5|22.7| 47 5 | 16.7] 55 || 24 5 |141| 40 5 |46.9| DI | 25 5 |16.0| 47 4 | 8.4| 62 21 4 |20.7| 47 4 |453.8| 52 | 50 4 {24.6 | 56 4 |45.5| 57 2 5 |13.9| 55 4 {19.6 | 48 | 12 SO ZA 2 5 | 8.4] 63 | 15 5 |21.4| 45 5 |10.5.| 65 || 19 5 |20.0 | 47 5 |17.6| 52 | 20 5 |19.3.| 52 5 |19.5| 52 | 54 5 | 25.2) 60 5 [165] 54 46 618.5 | 55 6 | 15.7 | 64 | 25 6 | 12.8 | DI 647.0] 75 | 48 7|20.2| 53 8 (13.7) 54 | 26 TA E 8 |45.8| 44 | 29 7|24.0 | 64 DAD ZA 8 | 18.8 | 56 9 i 75 1 | 9 io 69 9 | 40.4] 84 | 28 | 40 [12.5] 66 9 |18.0| 67 5 | 412 |14.7| 64 10 | 15.5 | 751 45 | 42 21.14] 68 47 |417.5|) 79 || 27 | 15 (19.4| 67 || 22 | 20 |1614| 75

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206.2 DAS 25.0 292.1 DIS 25.6 UA 20.4 DISPEI QUA 25.7 25.4 22.4 24.5 20.5 25.6 19.5 25.92 22.3 415.7 2445 20.9 20.6 22.0 24.9 25.9 47.5 15.3 20.5

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CERETTO 01 01 SD o 00 00 DO IU uao u dia i DIE LIDI LUI VI NI N MD N N N

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1867 Agosto

Oo e 0 1 uu uve DI III VIN N 00

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Temp.

2.9 DIA 27. 27.5 28.9 202, 26.0 21.7 247 25.9 25.8 22.0 26.2 DI 20.8 2000) 24.7 24.7 25.0 22.6 22.4 21.8 25.0 22.5 22.0 19.5 IDA) 22.1 25.5 20.5 139

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1867 Settembre

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1867 Novembre

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Umid.

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Su questi elementi si è formata una serie di equazioni - normali, ciascuna risultante dal medio di cinque o sei giorni consecutivi. Ecco le equazioni normali da feb- brajo a novembre 1867.

Febbrajo Luglio Ozono Temp. Umid. Ozono Temp. Umid. 4.67 = x 6.78 + y 67.5 20 = x 26.78 + y 59.6 3.60 7.9% 75.6 2.8 25.56 4A .6 5.50 7.70 80.2 4.0 25.86 56.4 7.20 6.86 75.2} 48 25.28 48.4 9.67 5.02 86.5 7.6 23.64 57.8 | 14.5 22.58 62,8 Marzo Agosto Doni 472 + 06.60 24275604 2 3.0 12.54 69.8 5.6 25.10 512 7.6 11.58 77.0 5.0 25.70 bI.4 9.8 4.78 87.6 7.8 235.58 65.2 40.6 8.64 87.8 11.0 22.65 65.6 12.67 945 835.85 è 16.17 21.15 78.0 Aprile Settembre 14 = x 15.68 + y 97.2 Dl 25.28 + y 558 3.0 46.00 52.0 4.2 25 42 55.6 3.8 14.84 54.0 6.0 17.04 61.6 5.0 414.56 DS2 7.8 21.98 65 0 7h 14.78 61.8 45.2 18.50 75.8 10.8 15.16 75.4 Maggio Ottobre 4.6 = 20.26 + y 48.0 S4 = x 10.2 + y 60.8 3.0 19.42 47.6 5.2 41.6 Th.h 4.2 18.98 55.0 7.6 43.02 81.2 5.2 20 88 54.4 8.6 12.46 75.0 7.0 13.66 55.6 18.8 15.02 844 12.67 OD 67.67 è 16.8 13.2 86.8 Giugno Novembre 9.060 = x 25.58 + y 50.6 22 —=x 6.02 + y 65.2 4.6 25.44 50.8 3.0 234 68.0 6.6 22.76 62.8 4.2 3.80 75.0 7.0 22.60 59.75 12 8.56 90.0 8.8 20.14 67.6 10.0 9.80 88.6 15.8 20.32 70.0. è 14.0 8.78 78.4

i (4

Da questi valori risultano le seguenti equazioni, nelle quali denota la temperatura centigrada, e U-l° umi- dità in centesimi di saturazione.

Febbrajo 4867 Ozono A41.45641 7 + 0.20024 Marzo P) 0.35209 + 0.14155 Aprile » 0.55332 + 0.24281 Maggio ”» 0.79441 + 0.53655 Giugno » 0.62120 + 0.55618 Luglio » 0.54029 + 0.26961 Agosto » 0.49754 + 0.55052 Settembre » 0.47821 + 0.28491 Ottobre ”» 0.66307 + 0.22654

Novembre » + 1.49220 0.01252

Queste equazioni riproducono con molta esattezza 1 medì mensili ozonometrici, sostituendo in esse per cia- scun mese i valori corrispondenti di e 4. Si ottiene difatti :

Ozono Mesi T U Calcol. | Osserv. Febbrajo 1867 6.32 714 5.6 | 5.5 Marzo È) 8.55 71. 8.0 7.8 Aprile » 15.44 50.4 5.9 5.2 Maggio » 419.24 54.7 5.9 5.9 Giugno ”» 22.05 59.8 7.6 1.7 Luglio » 24.52 54.5 5.6 5.6 Agosto 23.37 | 59.9 7.9 7.9 Settembre» 21.45 65.2 7.8 7.5 Ottobre > | 12,58 76.6 9.0 8.7 Novembre» 6.52 T19) 6.7 6.8

Esaminando i coefficienti sopra esposti, si vede che essi da febbraio ad ottobre sono di segno negativo per la temperatura, e di segno positivo per la umidità. Dunque in tutto questo periodo l ozono ha diminuito col crescere della temperatura, e aumentato col crescere

IT

della umidità. È evidente che dopo un lungo periodo di osservazioni, si potranno in questo modo determinare esattamente i valori numerici dei coefficienti, e così si giungerà a conoscere con qual legge cresce o diminuisce lazione della temperatura e della umidità sull’ ozono atmosferico.

Il mese di novembre è il primo in cui cambia la legge dei segni. Vi è dunque un limite in cui la dimi- nuzione della temperatura o | aumento della umidità cessano di far crescere i segni dell’ ozono atmosferico. Dippiù non è improbabile che così la direzione come la forza del vento, e anche la quantità della pioggia in- fluiscano sul grado ozonometrico osservato. Or siccome in natura 1 fatti negativi hanno la stessa importanza dei positivi, conviene innanzi tutto ricercare in che le circostanze meteorologiche di novembre 1867 diversifi- cano da quelle predominanti nei mesi anteriori dell’anno medesimo da febbrajo ad ottobre. Nel quadro seguente ho riunito alcuni elementi, che possono apprestare qual- che luce su questa disamina,

Mesi Pioggia Temperat. VE Vento 4867-Norm. |1867- Norm. di ERA] nto dae | mm. | cent. kilom. | Febbrajo 1867 444 | + 5.1 80.45 SO Marzo » + 17.0 + 0.8 10.80 SO Aprile » 55.8 + 2.2 141.66 SO Maggio ”» 40.0 + 1.4 9.82 SO Giugno » + 66.8 0.8 9.55 SO Luglio ”» 55.5 0.5 9.49 E Agosto + 61.4 0. 3.61 E Seltembre » 4- 61.9 + 14.9 8.48 NE Ottobre » + 24.6 2.5 3.92 NE Novembre » 44.7 0.8 6.90

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RIESCO

Da questo quadro detegesi, che il mese di novembre ebbe una pioggia minore della normale, ma anche an- tecedentemente vi furono altri mesi nelle stesse condi- zioni, e due (febbrajo e maggio ) di quasi ugual quan- tità, e uno (aprile ) anche di maggior quantità. Si noti però che il mese di novembre scarso di pioggia, suc- cesse a tre mesi consecutivi in cui la pioggia fu costan- temente maggiore della normale. La temperatura media di novembre fu alquanto inferiore alla normale, ma lo stesso ancora ebbe luogo in altri mesi del 1867.

Le sole circostanze in cui decisamente e senza alcun, dubbio, il mese di novembre 1867 diversificò meteorolo- gicamente dagli altri mesi superiormente calendati, sono le due seguenti: 1. la forza del vento fu in novembre molto più piccola che in tutto il resto dell’ anno. 2. Il mese di novembre fu il primo, relativamente ai mesi contenuti nell’ antecedente specchietto, in cui la tempe- ratura cadde sotto lo zero. In febbraio giammai la tem- peratura minima fu inferiore allo zero, mentre in no- vembre ciò accadde per otto giorni di seguito, e oltre a ciò anche la temperatura notata nelle ore di osserva- zione più volte fu negativa. Diffatti mentre in febbrajo mancò totalmente non dico la neve ma anche la brina, in novembre al contrario non di rado le tegole della città si trovarono sul far del giorno ricoperte di brina, e il giorno 22 si rovesciò per più di un’ ora la neve.

Questi dati possono somministrare qualche luce sulle condizioni meteorologiche che permutano il segno dei coefficienti ozonometrici, e guidare la nostra attenzione su quei punti più degni di attenzione in questo impor- tante argomento. Evidentemente le osservazioni del cor- rente inverno 1867-68 potranno riuscire di molta utilità in questo genere di ricerche, che regolarmente e siste- maticamente proseguonsi in questo Reale Osservatorio Astronomico.

INTORNO A UNA VARIETÀ DI CALCOLI ORINARI

‘della specie bovina

NOTA DEL PROF. GIOVANNI GENERALI

Gr animali domestici vanno soggetti, qual più qual meno, alle affezioni calcolose, e se ne avrebbe, io stimo, un assai maggior numero di quello che realmente si riscontri, se molte di simili morbosità non passassero inosservate durante la vita.

La specie bovina non raramente viene attaccata dalle affezioni calcolose, specialmente dell’ apparato urinario.

Per quanta cura siasi data dai patologi onde ricono- scere per qual modo, per quali condizioni, e per quali processi avvengano negli organi vari questi depositi cal- colosi, non lo si è ancora ben saputo per tutti i casi egualmente determinare.

Certo è che in ordine all’ elemento prossimo di loro formazione sono a distinguersi due casi, e cioè di cal- coli che hanno e di calcoli che non hanno per nucleo un corpo estraneo.

Nel primo caso la formazione dei calcoli è un fatto, se non in tutto, almeno in massima parte fisico, e la spiegazione del loro formarsi non è difficile.

Ma nel secondo caso il processo di loro formazione

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è assal più complicato potendosi attenere, come spesso si attiene, ad elementi di causalità assai remoti, ed estra- nei affatto allo stato degli organi nei quali avviene il deposito calcoloso.

Allorchè un calcolo si forma e non ha per nucleo un corpo, estraneo qualunque, a conoscere il processo di sua evoluzione è d’ uopo considerare | elemento etiologico che diremo prossimo, e l'element to etiologico che di- remo remoto.

L’ elemento prossimo della formazione di un calcolo (e qui parlo degli urinari) si può riferire alla qualità dell’ urina segregata, e degli umori di secrezione coi quali I’ urina trovasi a contatto, od al soffermarsi troppo lungamente |’ urina stessa negli organi di deposito.

Così avviene che i calcoli si formino o dall’ essere esuberanti relativamente od assolutamente nell’ urina alcuni princip) insolubili o pesanti.

Così può accadere che altri calcoli si formino per troppo prolungato ristagno dell’ urina nella vescica, pro- ducendosi o iniziandosi in questo serbatoio la scompo- sizione urinaria.

Così infine può succedere che il muco dell apparato urinario e più specialmente il vescicale determini nel- l’ urina mutamenti chimici tali per cui alcune sostanze ch’ erano sciolte nel liquido urinoso, passino a combi- nazioni insolubili, precipitino e diano origine a calcoli.

Ma comunque sia l’ elemento prossimo della forma- zione del calcolo, il più delle volte avviene che l' ele- mento prossimo stesso quando consista nella qualità dell’ urina segregata, s’ attenga ad un elemento di cau- salità più remoto che può essere la qualità dell’ alimen- tazione o della bevanda, o il modo di eseguirsi dei pro- cessi organici nutritivi.

E qui ognuno comprende che se non è tante volte difficile riconoscere |’ elemento causale remoto attinen-

PL (pe

tesi alle qualità dell’ alimento o della bevanda, è assai difficile, sempre possibile stabilire le condizioni del_ secondo, o solo è da supporlo quando sia fatta e pro- vata l’ esclusione del primo.

Premesse queste considerazioni generali vengo ora a parlare del propostomi argomento.

Fu dal Veterinario Comunale di Campogalliano, signor Corradini, che ricevetti questa piuttosto rara varietà di calcoli orinari.

Il bue che li fornì, apparteneva alla razza nostrana, aveva l’ età di circa 6 anni.

Non si è potuto ‘avere notizia alcuna intorno ai pre- cedenti giacchè il proprietario presso il quale 1’ animale si trovava, n’ era divenuto possessore da poco più d’una settimana.

Una sera, dopo | ordinario lavoro d’ aratura, l' ani- male venne preso da dolori acutissimi, che da principio non avevano sede ben circoscritta, ma che indi a poco fissaronsi alla regione della vescica orinaria.

Ad onta dei premiti e degli sforzi continui |’ animale non emmetteva pur una ‘goccia d’ urina.

L'esplorazione della vescica diè a conoscerne lo stra- ordinario distendimento e la ripienezza; distendimento che crebbe in poco tempo così a dismisura da minac- ciare lo scoppio del serbatoio orinario.

La diagnosi pel veterinario non fu dubbia. Ma per quante esplorazioni diligentemente praticasse non gli venne fatto di riconoscere la presenza dei calcoli nei punti esplorati dell’ uretra.

L’ animale venne abbattuto nel macello comunale di Campogalliano, ed il Veterinario prementovato vi riscon- trò quanto segue:

La vescica enormemente distesa e piena d’ urina, era infiammata al fondo, dove si trovarono in buon numero , i calcoli che ora descriverò. Nell’uretra membranosa era

Lime

impegnato e come incuneato il più voluminoso fra i calcoli, sicchè ne chiudeva perfettamente il lume. I pol- moni dell’ animale presentavano miriadi di piccoli tu- bercoli duri e resistenti. Del resto, tutto era nello stato fisiologico.

Il numero dei calcoli raccolti fu di 247; però molti dei più piccoli, andarono dispersi nel levarli dalla vescica.

La loro figura è perfettamente rotonda ed hanno un volume che varia tra un piccolo grano di sabbia e un grano di senape bianca. Uno solo, ed è il calcolo che tro- vavasi impegnato nell’ uretra, ha la grossezza di una piccola fava, è di forma irregolare, somigliante a un dente molare umano senza radici.

Il peso totale dei calcoli, escluso il più grosso, è di 1 grammo e 21 centigr. Il grosso pesa gr. 0, 74.

Sono formati da una serie di strati concentrici e la- mellari, non difficilmente separabili 1’ uno dall’ altro. Non hanno nucleo, come risultò da minute indagini fatte coll’ aiuto laconi del microscopio.

L'aspetto loro è brillantissimo, ed 1 piccoli calcoli paiono pallini da caccia inverniciati d’oro. Si direb- bero calcoli dorati.

Il Prof. Maissen da me pregato di fare l’ analisi chi- mica dei calcoli, ottenne per risultato ch’ essi erano com- posti di carbonato di calce, e di una sostanza organica che possiede gran parte dei caratteri della Cistina.

I caratteri, e Il’ aspetto dei calcoli ora descritti s’ ac- cordano pienamente coi caratteri e coll’ aspetto di quei calcoli che il Taylor denominò perlati, che il Dott. Bird disse perle urinarie, e che forse con più esattezza si potrebbero dire calcoli dorati vescicali del bue.

E una varietà di calcoli piuttosto rara, tutta propria della specie bovina, e della quale la descrizione più esatta venne data dal suddetto Taylor nel 1849. Esso pure ne trovò un buon numero (150) nella vescica del

Sa

bue; il più grosso pesava 7 grani (gr. 0.55). Erano privi di nucleo, formati a strati concentrici sottilissimi. La loro composizione risultò di carbonato di calce e materia organica.

Nel Recueil de Medicine Vétérinaire (1861, pag. 215) è pur fatta menzione di simili calcoli, che il Caussè de- nomina dorati o grigiastri. Esso dice che il loro centro è formato da un punto nero o grigiastro, di natura san- guigna o mucosa. Il Caussè ne trovò 250 nella vescica di un bue, ed avevano per nucleo una cinquantina di piccoli peli del colore stesso del mantello dell’ animale. La loro composizione chimica risultò di carbonato di calce p. 81, carbonato di magnesia p. 12, fosfato di calce p. 5, muco e perdita p. 2, sopra parti 100. E inu- tile, o per lo meno sarebbe sterile fatica, il ricercare per quali cagioni e processi tali calcoli si producessero, attesa la mancanza di notizie così in ordine al regime dietetico, come in ordine allo stato degli organi ed alla qualità delle urine dell’ animale che era affetto. Sola- mente noterò che le affezioni calcolose urinarie frequenti assai nelle montagne della nostra provincia, piuttosto rare in alcune regioni del piano modenese, assunsero da qualche anno anche qui maggiore frequenza, come me ne fece testimonianza il Veterinario che mi fornì i cal- coli ora descritti.

DELL’ANESTESIA LOCALE

APPLICATA CON FELICE ESITO

IN UN GASO DI ZOPPICATURA DI UN CAVALLO

PRODOTTA DA REUMATISMHO

NOVA DEL PROF. ANTONIO GHISELLI

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Ni la metà del p. p. novembre fui invitato dal Sig. Alessandro Bonaccini di questa città a visitare nella prossima villa di S. Ambrogio sul Panaro una bellissima cavalla da tiro di mezzo sangue inglese, zoppa da ben sette mesi della gamba sinistra anteriore, senzachè le cure praticate in questo lungo periodo di tempo da ve- , terinari della nostra città e della vicina Bologna, aves- sero recato alcun vantaggio, comunque fossero di va- ria e talor opposta natura, secondo il diagnostico che 1 diversi curanti ebbero a fare sull’ indole e sulla sede della malattia.

La prima cura difatti fu diretta sulla spalla, essendosi giudicato di una meccanica distrazione dei muscoli di questa regione, e conseguentemente si adoperarono da prima i bagni astringenti e ripercussivi, indi si ricorse all’ applicazione di un vescicante ma con poco o nessun frutto. La durata di questa prima cura fu di quindici giorni, circa. Sopravvenne un secondo veterinario, che

camel

non trovò alcuna lesione imputabile alla spalla e stabili la sede della malattia nel piede cui giudicò come una specie di spostamento prodotto dalla deviazione della linea normale di gravitazione della gamba sul piede stesso, o, come direbbero i francesi, da viziato appiombo, in conseguenza di errata ferratura. Varie furono le forme che si diedero e al ferro e al piede, seguendo, giova pur dirlo, più che le regole dell’ arte, quelle di una pratica insipiente, e allorchè dopo lunghe e reiterate prove, si era fatta sempre maggiore la zoppicatura, si applicarono vescicanti e caustici sulla corona del piede e sul pastorale. Questa cura affatto empirica irrazionale non ebbe altro vanto che quello di prolungarsi per quasi quattro mesi, ed altro risultato che di lasciare maggiormente zoppa la cavalla. Fu allora che il proprie- tario risolvette di sentire il parere di un esperto zooja- tro bolognese: prima però di esporre quale si fosse il costui pensamento in proposito, non posso passare sotto silenzio un fatto, che reputo se non nuovo, per lo meno assai raro nella storia veterinaria, voglio dire un con- sulto magnetico che il proprietario medesimo ebbe in Bologna colla sonnambola Anna Amico sulla diagnosi e prognosi della zoppicatura in discorso. Non è da me- ravigliarsi se il Bonaccini, questo giovine signore superstizioso, mancante delle cognizioni necessarie e convenevoli, si ridusse al meschino passo d’ interrogare la felsinea sibilla, stancato com’ era dalle inutili anzi dannose cure dell’ arte ippiatrica. oracolo parlò; le sue parole furono scritte sul papiro, ed io le riproduco fedelmente. = La vostra cavalla è zoppa nella spalla sinistra: nessuno la guarirà: sarete costretto a venderla per vil moneta. = Come vedete il responso è chiaro, ha doppio significato come l’ ibis redibis non morieris del prisco oracolo. Ma se il Bonaccini ne fu momenta- neamente scoraggiato, cedette nondimeno al suo buon Ò

e

senso, e ricorse di nuovo alla scienza e all’ arte salutare. Lo zoojatro bolognese riprovò le medicazioni al piede, e confermato il giudizio del primo curante di una mor- bosa lesione alla spalla, che qualificò per una miotite cronica, prescrisse l’ uso dei rubefacienti e vescicanti da applicarsi e riapplicarsi sulla località inferma interpola- tamente fino ad aver raggiunta la guarigione. Questa nuova medicazione fu regolata ed eseguita da un pseudo- veterinario e maniscalco di questa nostra città con ri- sultati però così sfavorevoli, che si dovè desistere dal- l’opera intrapresa, essendochè la cavalla non poteva più movere la gamba.

Giunte le cose a questo punto piacque al sig. Bonac- cini di ricordarsi di me o ad altri di suggerirgli il mio nome, e venni chiamato. I fenomeni morbosi ch’ ebbi a riscontrare nella mia prima visita erano più propri del- l’ artificiale alterazione prodotta dalla prolungata azione dei topici irritanti, che della essenziale affezion patolo- gica, dalla quale procedeva fin da principio la zoppica- tura: ond’ è che i sintomi propri della vera malattia re- stavano come oscurati dagli epifenomeni suscitati dalla im- propria medicatura. Questo solo potei stabilire che dal piede all’ antibraccio inclusivamente non esisteva alcuna lesione, e rivolsi per conseguenza le mie cure ad elimi- nare dalla regione della spalla le complicazioni morbose, che la precedente ultima medicazione vi aveva fatto na- scere. Per dodici giorni si applicarono sulla località in- ferma cataplasmi ammollitivi preparati colla farina di lino, e se ne ottenne la perfetta guarigione delia pelle, che per le irritazioni patite era tutta rugosa e qua e la screpolata, ed il ristabilimento della normale tempe- ratura della parte: persisteva nondimeno il dolore, e i movimenti dei due raggi superiori omero e scapola si facevano con visibile stento, e con leggera rotazione in fuori del braccio sulla spalla. Mediante una esplorazione

DEB POI

accurata si faceva manifesta una straordinaria tensione e come una specie di contrazione tonica dei muscoli, che rivestono la faccia esterna della scapola, segnata- mente dell’antispinoso e del retrospinoso e degli abdut- tori lungo e corto del braccio. Probabilmente a stabi- tire questa morbosa tensione avevano contribuito le pro- lungate irritazioni prodotte dalla medicazione epispastica, ma non si può escludere che questo stato non ricono- scesse la sua primitiva origine da un’ affezione di na- tura reumatica, anzi da un vero reumatismo. Pensai da prima di combattere questa miopatia colla cura idrote- rapica, che applicai difatti per alquanti giorni con assai leggero e troppo fugace miglioramento. Eravamo alla metà di dicembre allorchè si affacciò alla mia mente I idea di rimovere la tensione muscolare colle sostanze narcotiche e stupefacienti. Se trovo un rimedio, dissi fra me stesso, che sia capace d’ indurre nei muscoli uno stato opposto a quello che vi osservo, cioè il, rilassa- mento, o le condizioni del movimento si miglioreranno e, forse anche torneranno normali, o sarò guidato da questo esperimento a meglio stabilire la vera natura del male. Degli anestitici applicati localmente aveva letto qualche. cosa sui trattati di materia medica e terapeutica umana e specialmente nel trattato di simile materia del Trousseau, ma non era a mia cognizione che alcun ten- tativo di questo genere fosse stato fatto dall’ arte vete- rinaria. Fra le diverse sostanze medicamentose capaci di produrre l’ anestesia locale prescelsi pel primo espe- rimento il cloroformio. Bagnai con 120 grammi di que- sto farmaco e colla maggiore possibile celerità, tutta la regione della spalla, cui tosto ricopersi con larga benda di tela e con pannolano. Sorse immediatamente un vi- vissimo dolore manifestato da insoliti e disordinati mo- vimenti e da una specie di frenesia a cui abbandonò l’animale, che scalpitava, impennavasi e faceva sforzi

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per mordere e lacerare I’ apparecchio; ma questa viva concitazione, questa smania furiosa durò poco tempo, un quarto d’ ora circa, e la calma si ristabili di grado in grado pienamente. Visitando nel successivo giorno la parte vidi che il cloroformio aveva operato sulla pelle alla maniera dei vescicanti, producendo il sollevamento dell’ epidermide ed una viva trasudazione, la qual cosa mi fece in sul momento dubitare, che in luogo di un miglioramento non si fosse provocato invece un maggior male. Ma quale non fu la mia sorpresa, allorchè, ecci- tando la cavalla a muoversi nella stessa sua posta a destra e a sinistra, la vidi eseguire questi vari movi- menti con una giustezza ed armonia tanto più ammira- bili, quantochè non aveva mai potuto fino al giorno precedente compire cosiffatti movimenti, senza dar segno della più penosa claudicazione; e non ho poi termini che valgano ad esprimere questa mia sorpresa e quella di tutti gli astanti, allorquando condotta fuori della scu- deria, fu vista camminare con passo e trotto così spedito ed eguale, che si sarebbe detto non essere mai stata zoppa! E per vero gli effetti di questa prima clorofor- mizzazione sarebbero stati prodigiosi, se fossero anche stati permanenti, il che non avvenne. Non già che la zoppicatura si fosse di nuovo manifestata in tutta la sua primiera intensità, la qual cosa avrebbe forse fatto disperare anche di questa medicazione; solamente ebbero a notarsi verso il terzo giorno da quello della intrapresa cura anestetica, i primi sintomi di una rinascente ten- sione muscolare, e meno liberi i movimenti della spalla. Sebbene gli effetti anestitici del cloroformio si fossero manifestati nel modo più luminoso, indipendentemente dall’ azione irritante esercitata sulla pelle, nondimeno sarebbe stato oltremmodo imprudente il riapplicare di nuovo questa sostanza su di una parte già offesa, e per le precorse medicature già predisposta facilmente alla

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infiammazione. Era quindi necessario trovare un succe- daneo dal cloroformio o a dir meglio un rimedio di egual potenza anestitica, ma privo di azione irritativa e questo rimedio trovai additato dal Trousseau laddove, parlando della medicazione anestetica locale, cita le espe- rienze dell’ Aran e conchiude che il migliore degli ane- stetici per la cura esterna si è l’ etere cloridrico clorato. Adoperai da prima questo rimedio allungato in acqua alcoolizzata e poscia unito a grasso in forma di pomata e furono così compiti e durevoli 1 suoi benefici effetti, che non saprei come abbastanza commendare così pre- zioso medicamento per | anestesia locale. Sei o sette giorni bastarono a dissipare del tutto quella così ribelle tensione muscolare, e la quantità di questo farmaco epicraticamente consumata in questo lasso di tempo nelle varie forme di bagno e di pomata fu di 140 grammi, circa. Guidato poi da ragioni economiche e più a sug- gello della cura e stabilità della guarigione, che allo scopo di cambiare medicazione, applicai finalmente per due o tre giorni un bagno alla spalla preparato con 50 grammi di cianuro di potassio in un litro di acqua di- stillata. Così nel breve volgere di 15 giorni mi fu dato di guarire colla medicazione anestetica locale un’ invete- rata zoppicatura, intorno alla quale invano l’ arte si era affaticata con altri mezzi, e di vedere disperso e sbu- giardato il sinistro vaticinio di malaccorta Cassandra; perlocchè fino dal 50 dicembre p. p. la cavalla potè riprendere |’ usato servizio, che ha fino al presente con- tinuato e tuttavia continua, senz’ aver più sofferto, nep- pure per un istante, della superata claudicazione.

Nell’ accingermi a scrivere per la nostra Società la storia di questo caso, mi sono dato cura d’ indagare se per avventura altri zoojatri, prima di me, avessero usato, ed in quali circostanze, dell’ anestesia locale; sul quale proposito il mio amico e collega nostro, Prof. Gio. Ge-

RI ZANNI Lene

nerali, mi ha suggerito di consultare, offerendomelo esso stesso, il nuovo trattato di materia medica e terapeutica veterinaria del Tabourin, attuale professore alla scuola imperiale veterinaria di Lione. Nel quale trattato, ricco di erudizione e veramente superiore ad ogni elogio, ho bensì trovato una diffusa e ben elaborata descrizione dell’ anestesia generale applicata agli animali domestici, ma perciò che riguarda l’ anestesia locale e propriamente l’ utilità pratica di questa medicazione, non vi trovo accennato alcun fatto, anzi | opinione dell’ Autore è chiaramente espressa in questi termini: « L’ emploi des anesthèsique locaux, trèsrare du reste ches les animaux, n’ offre rien de particulier. » (N. T. de matière mèdi- cale Vetèrinaires par M. F. Tabourin. Tome premier. Paris. 1865.) Il perchè sarei indotto a credere che spe- rimenti di tal sorta non si fossero fatti prima d’ora, lieto perciò di poter additare ai cultori dell’ arte zooja- trica un metodo curativo destinato probabilmente ad una maggiore e più estesa applicazione. Spetterà al sa- vio discernimento del pratico il riconoscere in quali condizioni morbose, in quali circostanze ed in qual pe- riodo della malattia, potrà riuscire opportuna e proficua l’ applicazione di cosiffatta medicatura.

METODO METEOROLOGICO

PER PRECONOSCERE E PREDIRE

LE ME TEORE ACQUEE

del

PROF. GEMINIANO GRIMELLIO

Nar instituire apposite osservazioni meteorologiche mediche, cioè attinenti alla Scienza e all’ Arte Salutare, cui incominciai ad intendere fin da quando ebbi affi- dato l’ insegnamento patologico, presso questa Regia Università modenese, mi è stato di tal guisa dato di ravvisare, e raggiungere, un Metodo Meteorologico fon- dato combinate cospiranti indicazioni termometriche, igrometriche, barometriche, per preconoscere e predire le Meteore Acquee d’ ogni forma, quali pioggia, neve, tempesta o grandine.

Così è che mentre si preparano e stanno, dirò pen- denti, e sono per cadere dall’ atmosfera, le accennate meteore, avviene di riscontrare le indicazioni meteoro- logiche, termometriche, igrometriche, barometriche , come tendente ognuna a procedere, e volgere in sua maniera, verso la rispettiva media annua, sul luogo d’ osservazione. Egli è invero attorno siffatta complessa media annua che aggirano i procedimenti meteorolo- gici in discorso, con vicende cospiranti, più o meno simultaneamente, a rendere preconoscibili e predicibili le meteore acquee d’ ogni guisa.

Tali procedimenti, comunque vogliansi riguardare in

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rapporto al dinamismo termico, ossia alla teoria dina- mica del calore, fatto è che offrone le indicazioni ter- mometriche, igrometriche, barometriche, in loro comune tendenza verso la media rispettiva, quali riscontri e contrassegni costanti delle meteore acquee. Riscontrasi per tal guisa che le accennate indicazioni meteorologiche, ove soprastanti alla media loro propria, ed ove tendano a volgere e volgano effettivamente verso la media stessa, con abbassamento comune, ne suole conseguire o piog- gia, o neve, o grandine. Che se consimili indicazioni sottostanno per avventura a ciascuna loro media, e volgano, pur ciascuna, verso la media rispettiva, con elevamento comune, ne consegue anche a tal modo il procedimento meteorico acqueo sia pluviale, sia nevoso, sia grandinato. .

Ove poi occorra che le stesse indicazioni meteorolo- giche offrano contingenze le più vaghe, così che mentre luna, quale la termometrica, sta elevandosi, e al tempo stesso altra, come la igrometrica, sta abbassandosi, altresì con le più vaghe vicende barometriche, si ravvisa pure in simili casi che, dietro il combinarsi di tali indica- zioni, verso la loro media rispettiva, ne consegue di leggieri la meteora acquea, sia di pioggia, sia di neve, sia di grandine. Maniere di vicende per le quali avviene che, fra le maggiori oscillazioni termometriche, quanto più si verificano » procedimenti medj, igrometrici e barometrici, tanto più si hanno di tal guisa i contras- segni precursori della meteora acquea in qualsiasi forma. E come nelle varie stagioni la temperatura trovasi ora al di sopra, ora al disotto della media annua, così av- viene che, nel primo caso quale d’ estate, precede, accompagn®, consegue un certo tal quale fresco alla pioggia, e nel secondo caso, quale d’ inverno, precede, accompagna, consegue invece un certo tal quale rattem- pramento di freddo, quasi tepore, al prodursi e cadere della neve.

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Le prefate indicazioni poi termometriche, igrometri- che, barometriche, quanto più produconsi simultanee, nella giornata, tanto più si offrono come riscontri certi e contrassegni costanti delle meteore acquee. È qualora occorrano successivamente da un giorno all’ altro, con vicende altresì vaghe, irregolari, anomale, contradditorie, ne resta incerta e indeterminata ogni precognizione e predizione meteorologica di qualsiasi forma. A pari guisa, ove una sola delle predette indicazioni, sia la termometrica, sia la igrometrica, sia la barometrica, volga alla media sua propria, senza concorso fino anco in contradditorio delle altre, resta il tutto incerto e indeterminato, in via di precognizione e predizione meteorologica, anzi colle più facili illusioni e delusioni comunissime.

Epperò conchiudesi che all’ oggetto di preconoscere e predire le meteore acquee in discorso, è necessario attenersi alle combinate indicazioni termometriche, igro- metriche, barometriche, tendenti e procedenti, più o meno simultaneamente, verso le rispettive loro medie annue, abbassandosi od alzandosi categoricamente, e col dichiarato metodo. Laonde siffatto Metodo Meteoro- logico consiste nell’ osservare diligentemente le indica- zioni termometriche, igrometriche, barometriche, e nel verificarne il loro procedimento verso la media annua, per così preconoscere e predire la meteora acquea di qualsiasi forma o pluviale, o nevosa, o grandinata. È le osservazioni comparative, instituite in ordine a que- sta stessa materia nei diversi climi, e nelle varie sta- gioni, addimostreranno poi fino a quale estremo di precisione fisica e matematica, sia perfettibile |’ ora accennato Metodo di osservazione, precognizione, pre- dizione meteorologica pratica.

GRIMELLI

CENNI SU ALCUNI FOSSILI CRISTALLIZZATI

e

SU LA LOCALITÀ LORO, OVE SI RINVENGONO NEL MODENESE

per il

DOTT. FRANCESCO COPPI

o

Poi alla base nord-est di un colle detto i Caprili, il quale fa in oggi parte alle terre del Comune di Ma- ranello nella sezione di Torre della Maina, una piccola Ertezza, che, per quanto io conosco, credo non essere fino ad ora stata osservata od almeno rammentata da alcun Geologo o Naturalista che sia; poichè meno I’ illustre prof. Doderlein, il quale tanto investigò e studiò queste terre del Modenese, per costruire la sua ottima Carta Geognostica, ne fa pur cenno. Sembran- domi intanto che una tale Ertezza, per le particolarità che offre, non meritasse di essere del tutto dimenticata, ma anzi.studiata fui indotto a scrivere alcuni cenni in quel modo, che meglio potrò giudicandomi poco atto alla trattazione di siffatta materia.

La piccola Ertezza o Erta Ripa o Scoglio, come denominare si voglia poco importa, giacente nella ora indicata localita del colle i Caprili, costituisce un breve tratto della sponda sinistra di un Rio il quale si ap- pella Rio Bagalo, o dai villici del luogo Rio Beghel, denominazione forse derivata dal grande limo molle o pastoso, di cui sempre o quasi sempre è fornito il suo

Sgr

letto e specialmente poi nella località della quale ora è discorso; e può essere cagione di ciò la natura delle roccie che formano il letto del Rio istesso e che sono per lo più marne argillose, che presentando incavi più o meno ragguardevoli trattengono facilmente le acque. Tale Ertezza consta di sabbie per lo più calcaree, poi- chè danno luogo ad una grande effervescenza se si ce- mentano con l’ acido nitrico od altro acido qualunque con poche ed esilissime laminette di mica argentea; e colorate disugualmente in giallo o giallo -rossastro, da qualche sostanza metallica, che probabilmente sarà un ossido di ferro. Sabbie che stimo identiche o almeno contemporanee delle sabbie gialle plioceniche, che il già citato Chiarissimo Prof. Doderlein dice coronare le col- line del Modenese e del Reggiano e che soprastanno immediatamente alle marne furchine plioceniche con- chiglifere. La stratificazione delle sabbie che costitui- scono | Ertezza in discorso è male definita, il che può facilmente eziandio dipendere dalla ristrettezza del luogo in cui si osservano: tuttavia in alcuni interrotti tratti si fa più appariscente e si mostra in estratti inclinati verso Nord-Est, cioè nello stesso senso, nel quale si presenta quel versante settentrionale del già più volte accennato colle i Caprili. Quei strati, che meglio appa- riscono hanno uno spessore di pochi decimetri ed hanno una consistenza maggiore dell’ intiero deposito, per una sofferta cementazione calcarea la quale in alcuni punti si offre cristallina, con cristalli, più spesso, di piccolis- sime dimensioni. Alla loro consistenza è dovuta la fa- cile loro manifestazione, perchè ponno più resistere agli agenti atmosferici, ed agli altri agenti esteriori e così formano risalti nell’ Ertezza medesima. In riguardo pei alla cementazione e cristallizzazione della roccia, io sono del parere essere l’ una che l’ altra dovuta ad una semplice azione chimica, derivata da infiltrazione

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di acqua minerale, e non gia ad azione metamorfica del calore, poichè quella localita non indizio dell’esi- stenza di un tale agente; inoltre la disposizione degli strati, 1 quali benchè oggi leggermente inclinati, pure nella loro origine doveano essere orizzontali o quasi orizzontali essendo deposito sedimentario; onde in tale senso non credo possa manifestarsi gli effetti del calo- rico; di più posso aggiungere che talora si osservono prolungamenti, quasi direi stalattitici che protendono alquanto nei strati sottostanti incoerenti. Se adunque debbo escludere 1’ effetto del calorico, dovrò di neces- sità ammettere la prima delle cause indicate, I’ azione chimica.

Da quello che ho ora esposto emerge di dovere am- mettere l’ esistenza di una sorgente di acqua minerale nella località in quistione. A provare questo mi sia solo concesso di fare una supposizione, che si potrà dire es- sere del tutto gratuita, ma per altro non la credo im- possibile ma sibbene molto probabile, per non dirla quasi certa; ed ecco quale è la supposizione che io faccio: che esistesse un tempo su quella falda setten- trionale del colle i Caprili una lussureggiante vegeta- zione. Ciò posto credo opportuno di passare all’ esame orittognostico il colle stesso, per servirmi di questo a provare in seguito quale andamento dovesse di neces- sità avere la sorgente minerale. Le roccie adunque che compongono il colle. sono per la maggior parte marne argillose conchigliacee, le quali formano tutta la falda meridionale dalla base del colle fino alla sommità, e la falda di levante e ponente pure dalla base quasi fino verso l’ apice, ma in questo rimangono sempre più basse a misura che si procede dal mezzogiorno verso la falda settentrionale, nella quale falda si trova da prima il suolo o terreno coltivabile, e verso la base della stessa falda dopo il suolo comparisce la sabbia calcarea che

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forma Il’ Ertezza. Da quanto ho io adesso esposto si po- trebbe dedurre essere il colle isolato, ma questo non è realmente; poichè dalla parte meridionale si continua con gli altri colli che vanno poi a fondersi con la prima catena delle montagne; e se io dissi essere quel fianco composto di marna argillosa, lo dedussi dall’ osservare essere pure tali le altre due parti o fianchi attigui, i quali mostrano porzioni denudate e trasformate in bu- roni o scogli come si suole appellare, composti di pura marna argillosa. È sono questi scogli che sempre molto utili tornano al naturalista, perchè gli offrono veri ta- gli della corteccia terrestre, ne’ quali bene appariscono le disposizioni degli strati od anche dei terreni in ge- nere; e perchè ivi si rinvengono più che in ogni altra località gli avanzi fossili ed in modo principale quelli dei molluschi nell’ intiera catena delle nostre colline subapenniniche, e perchè ivi si possono eziandio trovare nella posizione in cui giacevano al punto del loro sot- terramento all’ epoca della formazione del deposito, dalla quale posizione emergono altri più giusti criterii sia relativi al deposito stesso che ai fossili che racchiude. Ma ciò basti; altrimenti anderei troppo a lungo se vo- lessi tutte enumerare le utilita che apportano sifatti scogli o burroni al Naturalista indagatore degli avveni- menti terrestri, mentre arrecano danni più o meno rag- guardevoli ai possessori dei terreni; e mostrerei con ciò di avere dimenticato l’ oggetto principale di questi miei cenni. Quindi è che adesso di nuovo mi riduco coll’ osservare come l’ acqua meteorica caduta nella falda settentrionale del colle i Caprili, supposta già questa ricoperta di buona vegetazione, avrà essa (vegetazione) necessariamente lasciati nel suolo molti detriti, i quali con la loro decomposizione avranno dato luogo ad uno sviluppo abbastantemente considerevole nel suolo che nell’ atmosfera circostante di acido carbonico, si sarà

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facilmente appropriata un tale acido, essendo essa allora del tutto o quasi affatto priva di ogni altro principio mi- nerale; usando io una tale espressione non già jin istretto senso, perchè allora I’ acqua istessa pure si compone di due principii minerali, idrogeno ed ossigeno, ma sib- bene intendo con ciò di indicarla priva di quei prin- cipii eterogenei, per così esprimermi, alla propria intima composizione, che sono poi quelli i quali le fanno con- ferire l epiteto minerale quando ne possiede. acqua appropriatosi così l’ acido carbonico, che avrà incontrato prima nell’ atmosfera circostante a quel luogo, indi nel suolo di questo istesso; continuando ad obbedire alle forze della gravità avrà teso a portarsi nelle parti più basse. È qui torna opportuna l’ osservazione, già più sopra indicata, dell’ andamento inclinato verso il nord che hanno le marne argillose costituenti il colle, le quali marne essendo prevalenti in argilla sono poco penetra- bili dall’ acqua; onde questa più facilmente che attra- versarle, per tendere al centro di ogni gravità, sarà tra- scorsa alla superficie delle medesime offrendogli un piano inclinato verso il nord; per indi portarsi ad infiltrare il deposito sabbionoso, che è per natura più permeabile e che trovasi nella più volte indicata falda settentrionale del colle in prossimità della base. Quale ulteriore anda- mento abbia l acqua seguito? Credo impossibile stabi- lirlo, avendolo indicato fino la ove | acqua ritorna in possesso dei segreti della natura. Intanto l acqua per- correndo un tale viaggio, incominciando dalla sua ori- gine nella sommità del colle, fra roccie che contengono principii calcarei, li avrà con facilità sciolti, essendo essa acqua in parte mineralizzata dall’ acido carbonico, e soggetta ad atrito contro le roccie dovendo infiltrarsi nei piccoli meati che le roccie stesse le potevano pre- sentare per la propria loro natura, ed in quelli che I acqua medesima poi si poteva formare con la soluzione

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delle minime particelle calcaree; la infiltrazione del li- quido sarà stata dovuta alla gravità del liquido, e da ciò alla pressione maggiore che avranno sofferto le mo- lecole liquide trovantesi alla parte inferiore del colle, di quella che soffrivano le altre successivamente supe- riori. Trovandosi così a livelli differenti in vasi comu- nicanti, doveano tendere le molecole acquee a disporsi alla orizzontalità ed uguaglianza di livello; e quindi le più alte molecole acquee doveano premere le altre suc- cessivamente sottostanti per discendere. Da ciò ne segue il continuato movimento delle molecole acquee diretto dall’ alto al basso; movimento il quale avrà durato fino a tanto che sarà caduta acqua meteorica in quella lo- calità, la quale per altro essendo molto ristretta, non sarà al ‘certo, stata continuamente soggetta a pioggie o ad altre cadute di acque meteoriche; onde di necessità ne viene che il movimento nelle roccie non potè essere continuato ma anzi intermitente, secondo cioé la caduta o no delle acque meteoriche. Non essendo pertanto la sorgente minerale continuata, si può, credo, da ciò ra- gionevolmente dedurre, che i primi corsi di acqua acì- dificata, dall’ acido carbonico, non avranno fatto altro che formare piccoli vuoti nella roccia sabbionosa, ove la natura stessa della roccia presentava i principii atti ad essere sciolti in condizioni più favorevoli; ed i suc- cessivi corsi di acqua avranno formato altri vacui in altri punti della roccia, per poi precipitare la sostanza minerale in quei piccoli spazietti formati dalle prime acque, che queste avranno lasciati vuoti, continuando il loro decorso verso le parti basse e non essendo per allora più rinforzate nella loro origine. La sostanza mi- nerale precipitata in alcuni punti non avrà servito ad altro che come cemento della roccia, mentre in altri punti, e posso supporre in quelli ove erano vacui più grandi e liberi da ogni altro principio, la sostanza mi-

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nerale si sarà deposta allo stato cristallino. Ed ecco adunque quale sarebbe stato il modo di cristallizzazione di quei strati dell’ Ertezza; modo del tutto meccanico e chimico e non già metamorfico per azione del calore. Per altro può anche darsi che non fossero le prime mo- lecole acquee dei corsi successivi che dessero luogo alla cristallizzazione, come or ora ho supposto, ma sibbene fossero le ultime molecole acquee dei primi corsi, le quali trovandosi sature della sostanza minerale ed es- sendo gradatamente in esse diminuita la pressione, per- chè non erano seguite da altre molecole acquee come lo erano le prime che formarono a loro i vacui, le quali perciò non potevano dare luogo allo sviluppo dello gas acido carbonico che manteneva sciolta la sostanza mi- nerale, perchè soggette sempre alla pressione, mentre per le ultime di esse molecole poteva sibbene cagionarsi lo svolgimento del gas ed indi la precipitazione cristallina del principio minerale. Siccome questa seconda maniera meglio spiegazione dei fenomeni, così la giudico assai più probabile della prima. Continuando in tal modo il processo delle cose, pel corso di tempo indeterminabile si saranno originati quei strati cementati o cristallini, che fino da principio ho indicato farsi appariscenti nel- I’ Ertezza, de’ quali benchè si può accertare avere pic- cole dia in ispessore giacchè ci si presentano in testata, non si può egualmente giudicare delle estensioni loro in lunghezza e larghezza che sono nascoste dalle roccie soprastanti.

Mentre io venivo scrivendo le ora esposte cose, mi sorse alla memoria, che alcuno avrebbe potuto - obbiet- tarmi che quel terreno sabbionoso erasi depositato prima della formazione della collina e non potersi quindi ay- verare l’ andamento che io supposi nell’ acqua minerale. Ma se è vero, come è, che il deposito sabbionoso sia anteriore alla formazione del colle od in generale di

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quella catena a cui esso colle appartiene, poichè la non orizzontalità degli strati lo manifesta, da ciò non credo però potersi negare l’ andamento supposto nell’ acqua minerale, perchè la giudico di origine posteriore assai alla formazione del deposito sabbionoso e del colle istesso, e quindi anche la cementazione o cristallizzazione del deposito essere accaduta dopo assai alla sua formazione. Ed a questo riguardo mi sembra alquanto troppo avan- zato 1l giudizio che emette l On. Sig. Montagna al fl. 155 del suo lavoro intitolato generazione della terra, ove dopo di avere parlato delle verità e fatti risguar- danti le sorgenti termali dice: « Se | arenaria si vedrà a succo calcareo, si giudicherà che soluzioni di carbo- nato di calce accompagnavano la formazione del depo- sito. » lo non dissi essere falso un tale giadizio che non è, ma troppo avanzato, poichè se si interpretasse alla lettera, come forse io feci, si dovrebbe ammettere la contemporaneità del cemento alla formazione del de- posito, dalla sola osservazione del fatto di trovare una roccia cementata. Non voglio negare la possibilità del fatto, che sarebbe un errore; ma solo io sono del pa- rere che più spesso si debba ammettere I origine del- l’acqua minerale o cementante posteriore alla formazione del deposito cementato e molto più quando questo sia di origine acquea; e quando non si venisse ad amettere in quella qualsiasi localita del deposito l’° azione dei sollevamenti e dei abbassamenti; giacchè trattandosi di depositi sedimentarii fino che questi saranno coperti dalle acque, l’ azione del cemento potrà poco manife- starsi se non trattasi per caso speciale di cementazione idraulica, che può accadere ogni qualvolta un’ acqua contiene chimicamente sciolto il carbonato calcare e meccanicamente sospese materie argillose. Per ripren- dere il filo di questi miei cenni e tralasciare di pro- nunciare alcun giudizio sui lavori altrui, che non sa- 6

Deli 17, MACOS

rebbe altro che un male mio ardire, debbo fare osser- vare il fatto di avere l acqua minerale percorso strati intermedii principalmente del deposito, di quello che averlo abbracciato tutto, come mi sembrerebbe essere dovuto accadere, ammettendo | origine della sorgente minerale posteriore già alla formazione dell’ intiero de- posito. Questo fatto però può darsi essere avvenuto per accidentalità inerenti a quei strati, vuoi per la disposi- zione delle particelle minerali che li compongono, vuoi anche perchè potevano essere di natura diversa da quella degli altri strati, e reputo anzi questa una delle cause principali che indussero una tale modalità di struttura o di consistenza nei strati della roccia; poichè quantun- que alla semplice osservazione fatta ad occhio nudo non sembrino essi strati diversi dagli aitri, pure munendosi l'occhio di una lente si vede in quelli e specialmente nelle parti più cementate una grande quantità di piccole conche di molluschi framiste a framenti più o meno grandi appartenenti ad altre conche di maggiori dimen- sioni. Non una parola più aggiungo alla descrizione della localita e della supposta sorgente minerale per venire ora a trattare dei fossili che V Ertezza rinserra.

Gli avanzi organici che una siffatta £rtezza racchiude. appartengono tutti a molluschi marini, per quello che fino ad ora io conosco, e principalmente deli’ ordine dei conchiferi, tra i quali posso annoverare i seguenti ge- neri: Venus, che è il più abbondante, Citherea, Lucina, Tellina, Cardium raramente; e per ora non mi fu dato di ritrovare che un unico individuo appartenente ai Ga- steropodi, il quale mi sembra spettare al genere Rostel- laria e forse anche alla specie molto comune in quasi tutti 1 depositi terziarii cioè la R. Pespelicani, questo non posso asserire che in modo assai dubbio. Non sono i gusci o testi dei poco anzi indicati molluschi che una tale località ci conserva ma i soli loro modelli in-

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terni o nuclei, e quello che più interessa è il diverso loro modo di conservazione; poichè ve ne ha di quelli che sono formati di calcare o calcite pura e cristallizzata, altri constano di calcite in parte cristallizzata ed, in parte di sabbia, altri di sola sabbia allo stato. coerente ed altri ancora di sabbia incoerente. E quindi passo a parlare di ciascuno di questi modi in particolare. Incominciando dal primo degli accennati modi di con- servazione dei modelli interi, da quello cioè che. ci offre i modelli di puro carbonato calcare o calcite. cristalliz- zata osservo che quando si ha |’ intiera forma del mo- dello non si può conoscere sotto quale figura cristallina si presenta il carbonato calcare; ma quando si ha una forma del modello più o meno incompleta, la calcite. si offre più generalmente cristallizzata. nel tipo schalenoe- drico dell’ On. Prof. Bombicci o metastatico di Haiy; e quello che è più notevole si è che si vedono talora . addossati alle faccie dei cristalli tante laminette trian- golari sempre disposti in ragione decrescente, le quali credo indicare la maniera di formazione dei. cristalli istessi, onde potrebbero anche servire alla determina- zione delle leggi cristallografiche. Ho detto che la calcite è pura, ma questo non è per tutti i casi, che anzi più spesso si trova compenetrata da sostanza minerale, che sarà al certo quella. medesima che già indicai. colorire la roccia intiera, cioè un ossido di ferro, il quale. non toglie alla cristallizzazione la sua trasparenza, ma solo le partecipa in alcuni casi un colore più o meno gial- lastro; e che in alcuni modelli forma talvolta una lieve crosta alla loro superficie esterna, che nasconde in. tale modo ia struttura cristallina che pure ha il modello istesso nel suo interno; crosta che forse va aumentando col stare il modello esposto agli agenti atmosferici nella roccia e può anche darsi che siano questi che gliela producono. Ciò che si deve eziandio notare in questi

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modelli cristallizzati si è che la maggior parte sulla loro superficie offrono dei rialzi ad angoli vivi, i quali si diriggono o per linea retta o per linea curva in tutti 1 sensi ed anche incrocicchiandosi fra loro. Rialzi che altro non indicano che quando Ja conca fu penetrata dalla sostanza mineralizzatrice era già spezzata in varii framenti, i quali però conservavano tuttavia 1 loro mu- tui rapporti, da lasciare ancora suscitare |’ interna forma della conchiglia. Ed 1 rialzi si sono formati per protra- zione della sostanza minerale nelle crepature o fessure che lasciava l'uno frammento con l’altro attiguo; crepa- ture le quali più spesso presentarono la loro massima apertura nella faccia interna della conchiglia, come facil- mente si può rilevare datla forma prismatica triangolare dei rialzi istessi essendo una delle faccie del prisma triangolare poggiata od imedesimata con il modello; non è però questa la sola forma che hanno 1 rialzi giac- chè sono molte ed indescrivibili. Altre volte invece di rialzi si hanno porzioni incavate nella superficie del mo- dello istesso, le quali dimostrano che alcuni dei fra- menti si erano più internati. degli altri nel cavo della ‘conchiglia. Il fatto troppo certo di trovarsi le conche in frammenti e nel tempo stesso non disordinati, mi sem- bra chiaramente provare, che la sorgente minerale, la quale diè il cemento e la cristallizzazione alla roccia e quindi anche ai modelli di conchiglie, che essa roccia racchiude, ebbe una origine posteriore alla formazione di quel deposito. Le crepature delle conchiglie che pure osservano nei modelli perfettamente cristallizzati, bi- sognerà ammettere che non apparissero alla defi esterna della conchiglia o fossero talmente a contatto da non permettere alla sabbia del deposito di insinuarsi con l’ acqua minerale nel loro cavo interno; qualora non si ammettesse essere accaduta prima la cementazione della roccia esterna, nel quale caso mi sembrarebbe

ol pi i see molto difficoltato anche | ingresso dell’ acqua minerale. I modelli che si presentano più completamente cristal- lizzati appartengono più spesso ad individui di piccole dimensioni sia che fossero tali per specie e perchè gio- vani di età. La via di formazione di questi modelli com- pletamente cristallizzati, giudico potersi spiegare nello stesso modo che io supposi la cristallizzazione della roc- cia, sostituendo ai vacui presupposti nella roccia istessa i vacui o le camere delle conchiglie. Qui però sembra impossibile la conservazione della conchiglia, che pure bisogna ammettere per avere la forma del suo spazio 0 camera interna e come il modello lo dimostra, essendo essa conchiglia costituita di puro carbonato calcare con poca sostanza organica, la quale anche nel caso in qui- stione era forse quasi del tutto svanita; ma a questo riguardo posso osservare che quando I’ acqua minerale giungeva ad occupare lo spazio della conchiglia per ivi cristallizzare poteva essere satura al suo massimo grado per non essere più capace di sciogliere altro carbonato calcare; possibilità che io giudico potersi dedurre dal grado di perfezione dei cristalli e dalle dimensioni loro che ci presentano i modelli. Hl fatto, poi già menzio- nato, di avere più spesso i soli modelli di piccole di- mensioni cristallizzati, mi sembra venire in aiuto di tale supposto, perchè il. precipitato cristallino, quasi in un atomo, avrà costituito | intiero modello, essendo anche più perduratura la conchiglia di individui giovani, come abbondante in sostanza organica. Non avendo però io escluso il caso di darsi modelli delle più grandi dimen- sioni che quel deposito ci offre, e giacchè io stesso ne conservo alcuni nel piccolo Lio di mia famiglia, si saranno formati nello stesso modo adesso ni ma quello che noto in questi di rimarchevole, nel loro interno presentano come dei frammezzi ossia delle in- terruzioni di cristallizzazione, le quali se non erro giu-

0% =

dico esse venire a comprovare che la sorgente minerale era interrotta e non continuata. Poc’ anzi ho dimostrato la necessità di dovere ammettere la conchiglia all’ epoca in cui si formò il nucleo, appunto per avere questo, ed il fatto abbastanza chiaro lo prova, pure vengo in adesso a fare osservare che la conchiglia non più esiste nel deposito ad eccezione di alcuni casi in cui si hanno pochi frammenti, i quali sono egualmente ridotti alla struttura cristallina. Nulla più aggiungo rispetto a que- sto primo modo per venire a trattare del secondo su- periormente indicato.

Impertanto il secondo indicato modo di conservazione è quello di avere il nucleo composto non più di sola pura calcite, ma a questa è unita della sabbia della stessa natura di quella della roccia; e cosa degna di os- servazione è di essere la stessa sabbia ora libera od in- coerente ed ora cementata. Se è libera o poco coerente quando il modello si leva dal proprio deposito si spo- glia di essa sabbia e rimane più o meno incompleto secondo il posto che ella occupa in confronto della parte cementata e cristallizzata. E vero che il volere tentare la spiegazione di tutti i fatti ed avvenimenti che acca- dono od ‘accaduti sono nella natura, e specialmente nei suoi segreti come sono i fatti di cui io tratto, è cosa troppo azzardosa, e spesso non espone ‘che a idee false ‘e assai dubbie; tuttavia non tralascio di esprimere le mie idee relative a questo modo di formazione di modelli, come per gli altri che verrò in seguito ‘esponendo. Ed ecco quali sono intanto quelle relative al modo ora in quistione. Trovandosi la conchiglia in posto con le sue valve ‘perfettamente chiuse e con lo spazio interno vuoto essendo anche le valve in frammenti, come ‘può rile- varsi dai ‘rialzi o porzioni alquanto depresse ‘nelle parti cristallizzate del nucleo istesso, abbia potuto ‘penetrarsi da prima ed assai lentamente la sola acqua ‘mineraliz-

PAIR, LOI

zatrice ed incominciare entro la conchiglia stessa il pro* prio lavoro di cristallizzazione. Giacchè giungendo l acqua lentamente nel cavo delle conche, che essendo prima vuoto, avrà ivi di necessità sofferto meno pressione e quindi non più potere racchiudere in se eccesso di acido carbonico, il quale costituiva il bicarbonato calcare solubile nell’ acqua, dal quale svolgimento di acido car- bonico ne deriva la conversione del bicarbonato in car- bonato calcare che è insolubile nell’ acqua e che perciò questo dovette precipitare allo stato cristallino. Siccome poi in questi modelli si osservano generalmente cristalli di piccole e piccolissime dimensioni così, reputo di po- terne dedurre, per la stessa ragione, benché in caso inverso, poco sopra accennata, che |’ acqua minerale dovea essere scarsa. Ora a completare la spiegazione del modo di generazione di tali nuclei, mi valgo dello svi- luppo del gas acido carbonico, che avrebbe avuto luogo, nell’ ora supposto modo di comportarsi l’ acqua mine- ralizzate e del liberarsi di questa di tutta o quasi tutta la parte minerale, che ha depositato allo stato cristallino, per aremettere così la formazione di una nuova acqua aciduieta nell’ interno della conca istessa, la quale poi avrebbe intaccato e cominciato a sciogliere quella parte del guscio non ancora occupata dalla cri- stallizzazione, da formarne così aperture e da permet- tere alla roccia sabbionosa di insinuarsi in quel rima- nente cavo. Frattanto così procedendo le cose la nuova acqua si sarà mineralizzata a saturazione da dare ce- mento alle prime sabbie che si addentrarono nel cavo. E quando la nuova acqua mineralizzatrice formatasi nell’ interno della conchiglia non sarà stata a sufficienza per logorare l’ intiera conca nell’ atto della formazione del nucleo, e cementare tutta la sabbia che potè in essa insinuarsi, è gioco forza ammettere dovere essere una porzione di questa sabbia rimasta incoerente. Nel quale

Beat (tica

caso si può vedere il modello completo o quasi com- pleto solo quando si osservi nell'atto che esso si estrae dal deposito, perchè la sabbia incoerente non può a lungo conservare la forma che ha assunta nella conchi- glia. Però alcune volte accadde, anche quando si faccia I’ osservazione nel luogo del deposito, di estrarre mo- delli del tutto incompleti, composti di alcune parti cri- stallizzate. Può questo spiegarsi, a mio giudizio, col- IP ammettere la formazione della nuova acqua acidulata talmente celere ed abbondante, da potere logorare tutta quella parte della conchiglia libera da precedente cri- stallizzazione, prima che potesse internarvisi la sabbia ed assumerne Ja forma, offrendogli essa acqua il cemento. Altrimenti può essere eziandio ciò avvenuto perchè la sabbia esterna attorniante la conchiglia era di già stata cementata dall’ acqua della sorgente minerale primaria e non poteva così obbedire alla forza di gravità che avrebbe obbligata a discendere nel cavo quando si fosse trovata allo stato incoerente, come dovette essere per il caso in appresso accennato; e così opporsi anche alla forza meccanica di trasporto dell’ acqua infiltrante. Allorachè poi avvenga di osservare modelli incompleti in parte cristallini ed in parte di sabbia cementata; ciò posso supporre essere stato per una azione intermedia alle due precedenti; cioè, l acqua di sorgente primaria avrà incominciata la sua cristallizzazione, quindi la nuova acqua acidulata che si sarà formata in tale processo, “avra esercitata lentamente la sua azione nella conchiglia e formare così delle fessure in quelle parti che per altri agenti o per la posizione stessa della conchiglia erano più deboli; per tali fessure entrata la sabbia 1’ avrà ce- mentata, non essendo sufficiente ad empiere |’ intero cavo prima che per la continuata azione distruttiva della conchiglia, venisse questa consumata. Così il modello sarà rimasto incompleto libero e talora anche con ec-

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cesso di sabbia cementata, dall’ acqua che ne portò |’ in- tiera distruzione delle conche, sotto forme svariate ed indescrivibili,

Un altro modo sotto il quale ci si presentano gli stessi avanzi organici e nel medesimo deposito è quello di modelli interni di pura sabbia incoerente senza menoma traccia di cristallizzazione e senza anche potere osser- vare il guscio del quale ne rappresenta la forma interna. Cosa che credo non potersi altrimenti spiegare se non se ammettendo che non vi sia giunta | acqua minera- lizzatrice, o che questa vi sia pervenuta quando la conca era già riempiuta di sabbia, la quale benchè incoerente pure ci offre un principio di adesione maggiore, di quello che ha la roccia istesea attorniante. È questo forse per essere stata compressa nel cavo della conchi- glia quando essa venne interrata, priva già dell’ ani- male e che quindi le sue valve non erano tenute stret- tamente aderenti, con forza una all’ altra, e rimanendo alquanto aperte la sabbia ne avrà invaso ogni vuoto, ed in seguito sarà stata compressa per il proprio peso a cagione de’ nuovi strati che si depositarono successi- vamente su quello che racchiuse la conchiglia istessa. Per renderci ragione del come trovasi il solo nucleo, dovrassi di necessità supporre, che dopo che si fu for- mato sarà stato invaso da acqua acidulata la quale avrà sciolta la conchiglia, o perchè anche fu essa trasportata dall’ azione meccanica dell’ acqua, essendo in essa sva- nita la sostanza organica ed indi ridotta allo stato pol- verulento, qualunque sia stata |’ azione che fece svanire la sostanza organica.

Un quarto e per ora ultimo modo di nuclei o mo- delli, che venne dato di osservare nello stesso deposito sabbionoso è quello di muclei pietrosi non offrenti in parte alcuna traccie di cristallizzazione, e che in- vece si trovano tuttora attorniati dalle conche; cosa

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che mai o quasi mai si presenta in tutti gli altri modi superiormente indicati; conche poi che si riducono in polvere quando siano appena tocche e levate dal posto loro, e più ancora scompariscono se si espongono i nu- clei agli agenti atmosferici.

Fino ad ora ho ‘parlato dei nuclei considerati in se e non ho fatto cenno del modo loro di ritrovarsi nella roccia per costituire quello che puossi denominare de- posito di fossili, e nel quale adesso mi fermerò con po- che parole. I nuclei o modelli perfettamente cristallizzati si trovano più specialmente dispersi od ammucchiati, non mai in grande quantità nella parte sud dell’ Ertezza in quei strati che fanno più mostra di se nella mede- sima Ertezza. Non è però che i detti nuclei cristallizzati si trovino solamente in questi strati; giacchè quantun- que più raramente, furono anche trovati solitari al di- sopra e più al disotto degli indicati strati, nella roccia incoerente, ma sempre però nel lato meridionale della Ertezza. Gli altri modelli cristallizzati in parte, ed in parte di sabbia cementata si trovano frammisti ai cristal- lizzati nei strati resistenti. Quelli poi di sabbia incoerente si rivengono in modo speciale al disotto delle tante volte accennati strati resistenti, sempre solitari e sono anche ‘alquanto rari; rarità forse anche proveniente dal non ‘poterhi ‘osservare che quando si scavi la roccia in luogo ‘e ‘con certa cura perchè facilmente si confondono con la roccia istessa. Da ultimo i nuclei realmente petrefatti trovano confusamente mescolati in uno strato resi- stente che apparisce verso il lato nord dell’ Ertezza strato resistente per cementazione della roccia che non è mai in alcun punto cristallino, come ciò talvolta si osserva negli altri strati resistenti situati verso il lato meridio- nale, ove si rinvengono eziandio i nuclei cristallizzati.

Tutto questo che ho fino adesso riferito circa i fossili verte su modelli interni di molluschi bivalvi, perchè

op 1] O VARESE

sono i soli si può dire che si trovino in tale deposito. Tuttavia ho eziandio riscontrato, come in altro incontro indicai, un univalve, il quale perciò merita speciale men- zione. Questo univalve mi sembra con molta probabilità appartenere al genere Rostfellaria e con molta dubbiezza alla specie comune dei depositi terziarii pliocenici, R. Pe- spelicani; e questa dissi con molta dubbiezza perchè non se ne vede che una minima parte, essendo la restante chiusa in una porzione di roccia indurita, e nella quale si trovano pure altri tre nuclei di bivalvi, che offrono disposizioni diverse ed intrecciate, onde difficilmente si potrebbe levare la Rosfellaria senza portare il dissesto e rottura negli altri tre nuclei e così togliere il bello che l’ insieme presenta. La porzione della ftostellaria posta in tal modo, che si può osservare è la sua parte superiore conica che è in parte cristallizzata, la vera estremità, la quale per altro mancando di una piccola porzione dell’ apice ci fa vedere che la sfaldatura o clivaggio della massa cristallina, non potendo usare con proprietà del termine cristallo, perchè non ci pre- senta vera forma geometrica come si dovrebbe inten- dere coll’ uso di un cotal termine, si mostra in dire- zione parallela all’ andamento della spira istessa. La porzione intermedia non ci offre la struttura cristallina perchè è involta da una crosta calcareo-sabbionosa in- durita la quale ci da ancora grossolanamente la forma della conchiglia e ci lascia ben vedere le prominenze che attorniano | angolo superiore della spira.

La rarità e quasi totale mancanza di conchiglie uni- valvi in questo deposito, può essere dovuta alle circo- stanze speciali che erano inerenti a quella porzione di fondo o spiaggia di mare da non potere alimentare cd almeno permettere il soggiorno e la vita dei detti mol- luschi univalvi in esso luogo. Ma si può ‘eziandio attri- buire a cause posteriori alla formazione del deposito

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istesso, unite alle condizioni individuali che presenta la conchiglia univalve; e queste sono di avere essa sempre la bocca aperta quando sia stata abbandonata dall’ ani- male, e da ciò altra conseguenza naturale di essere facilmente riempiuta dalla sabbia o limo, che fosse, fino quando il deposito era in via di formazione. Così in- tiero cavo della conchiglia e specialmente poi dove presenta le sue più ampie dimensioni occupato dal limo, avrà impedito all’ acqua mineralizzatrice d’ internarsi e compiere la sua cristalizzazione, come potè fare nelle conchiglie bivalvi e segnatamente in quelle che diconsi chiuse, e queste sono quando il margine dell’ una conca si adatta perfettamente su tutti i punti del margine dell’ altra conca, come appunto ce ne offrono bei esem- pii i generi Venus e Zucina; e le Veneri sono quelle che ci hanno trasmesso i più bei nuclei cristallizzati. La chiusura delle conchiglie bivalvi non si deve però intendere che fosse tale da impedire | ingresso nell’ in- terno suo vuoto all’ acqua minerale; mentre nell’ uni- valve ho supposto non potersi internare | acqua perchè il suo vuoto era prima occupato dal limo. L’infiltrazione dell’ acqua minerale nelle prime poteva essere anche per la via delle fessure che si trovavano fra i vari frammenti in cui la conchiglia bivalve era certamente ridotta, come in antecedenza ho fatto rilevare; mentre la rottura nelle conchiglie univalvi è più difficile perchè hanno più spesso dimensioni minori delle bivalvi, perchè di pareti più grosse, e perchè essendo il loro cavo riempito dal limo, quantunque non potesse essere in esso compresso a motivo della continuità della parete della conchiglia, ponno offrire una resistenza maggiore alle pressioni alle quali possono andare soggette in se- guito. Fra tanto mentre io voglio dimostrare la facile scomparsa delle conchiglie univalvi dal deposito, adduco ragioni e fatti comprovanti l opposto; ma questo feci

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per dimostrare le difficoltà che l acqua minerale dovea avere per internarsi nei loro cavi e cristallizzarl:; e mi serviranno anche a provare il mio asserto quando ag- giunga ad essi alcune osservazioni come ora farò. | fatti esposti sono al certo verità incontrastabili per quei ter- reni che hanno la proprietà di trasmetterci la vera conchiglia, come sono la maggior parte delle marne subapennine conchiglifere terziarie e non gia pei terreni che ci lasciano il modello della conchiglia come ci pre- senta il piccolo deposito che è in quistione. Quantunque eziandio questo deposito si può supporre abbia avuto ne' suoi primi tempi una siffatta proprietà di conservare le conchiglie; e l' abbia in seguito perduta dopo l’ av- venuta sorgente dell’ acqua minerale, la quale da prin- cipio soltanto acidificata avrà intaccato e sciolto le con- chiglie; ed anche meccanicamente asportate le particelle calcaree. E con ciò credo comprovato il mio asserto. Però rimane una cosa ad essere più dichiarata, ed è che avendo presupposto la conchiglia riempita di limo, dovrebbe questo lasciarci il modello anche dopo che la conchiglia scomparve, ma essendo della stessa natura della roccia, può facil cosa scomparire alla osservazione non attenta, ed inoltre questo anche più facilmente quando ne sia susseguita la cementazione della roccia e del modello insieme.

Da tutte le premesse cose ne traggo alcune conse- guenze, che se non m’ inganno credo giustamente po- tersi dedurre, e così volgo.verso il termine di questi miei cenni.

La prima intanto delle conseguenze che traggo è: che il cemento di una roccia non è indizio almeno sempre dell’ antichità di essa roccia cementata in con- fronto di altra anche della stessa natura non cementata.

Il.* Che la cristallizzazione di una roccia non deve sempre giudicarsi effetto di metamerfismo prodotto

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dal calore; ma anche effetto chimico di un’ acqua mi- nerale.

IIT.® Che sebbene per via ordinaria si reputino i modelli o nuclei dei molluschi cd altri animali più an- tichi, che la vera conchiglia conservata fossile; onde taluno anche da 11 nome di fossili ai primi, e di subfossili alle seconde; tuttavia si può dare casi. come un esempio ce lo offre quello del quale ho fino ad ora tenuto in discorso, di avere modelli o fossili come si dice più recenti delle conchiglie fossili o subfossili. È questo sarebbe stato per la località in discorso, anche senza il supporre come feci la sorgente minerale di un’ epoca posteriore alla formazione del deposito; poichè io stesso, fino da principio di questi cenni, credei di potere rife- rire tale deposito al primo che apparisce dei terreni terziarii ammessi dal prof. Doderlein nella nostra Pro- vincia; e quindi dopo esso vengono tutti gli estesi de- positi delle marne conchiglifere, che sono quelle che ci danno tutti o quasi tutti i subfossili dei terreni terziarii. Adunque la sola posizione di quel deposito sabbionoso ci indica una età più recente delle marne sottostanti ed intanto ci esempii di fossili più cue di subfossili, stando al vero significato di tali parole per alcuni adot- tato, che sarebbero appartenuti agli ultimi periodi del- l'epoca terziaria, e forse anche ai primi tempi della susseguente epoca la quaternaria, qualora io errassi nell’ assegnare tale deposito contemporaneo alle sabbie gialle terziarie, che sarebbero le ultime in via di for- mazione, perchè sono le prime ad apparire procedendo dall’ esterno e andando. verso interno nelle osserva- zioni geognostiche, quando non vi siano stati dissesti posteriori mei depositi che possono avere sovvertito ordine delle formazioni.

Queste sono le conseguenze che a mio parere sem- brano discendere legittimamente dalle premesse osser-

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vazioni; e quantunque dedotte da un luogo ristretto ed anzi ristrettissimo; pure non è improbabile che ciò possa avvenire e sia anche avvenuto. poste le identiche o quasi identiche condizioni, su più ampia scala come suolsi dire e come veggo spesso supporre anche un illu- stre ed odierno benemerito della scienza il sig. Lyell.

Così pongo termine a questi miei cenni col pregare la Società dei Naturalisti a volerli pubblicare nell’ An- nuario, per rendere noti i fatti che quella località ci presenta, i quali mi sembrano di qualche interesse; e nor per merito del lavoro, che è meschina cosa ren- dendomi io stesso giusto giudice, non curando l’ afori- rismo legale: nemo est judex in causa propria. Onde poi se vi avrà qualcuno dotato di più ingegno e più edotto indagatore degli avvenimenti terrestri, che si degneraà di passare a lettura questo lavoro potrà dare migliori spiegazioni dei fatti stessi e dedurre poi anche più giuste ed opportune conseguenze di quello che io feci.

INTORNO MT LABROIDI DEL MEDITERRANEO

STUDI

del

PROF. GIOVANNI CANESTREINI

Anto avuto recentemente degli studi generali assai diligenti intorno ai Labroidi, pubblicati da Kner, Bleeker e Ginther. Ma lo studio delle specie ciano di questa famiglia è tutt'altro che completo. È perciò che reputo non senza interesse le osservazioni che seguono, risguardanti parecchie specie nostrane, raccolte in parte da me, in parte ricevute dalla Sardegna dal prof. Meloni- Baille e da Venezia dal dott. Ninni, in parte avute in comunicazione dal civico Museo di Milano per la cortesia del prof. Cornalia e del dott. Bellotti.

Per confrontare direttamente tra loro le dimensioni delle varie parti del corpo, mi giovo degli indici. Éd intendo per indice la dimensione di una parte del corpo relativamente alla lunghezza totale del pesce, supposta questa uguale a 100.

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I. Labrus turdus BI. Schn. Tav. VI, Fig. 1.

II muso è mediocremente allungato e piuttosto acuto; il profilo ascende in linea retta dal muso sino al primo raggio dorsale. indice dello spazio interorbitale è minore di 4,5. L’ altezza del corpo è pressochè uguale alla lunghezza laterale del capo. Alla base degli ultimi tre raggi dorsali esiste una macchia allungata nera; dall’ occhio alla base della codale scorre una fascia argentea più o meno distinta ed anteriormente o su tutto il suo corso orlata di nero. La linea laterale è formata di tubi semplici e ben distinti; sopra ciascun occhio notasi una serie di porî ben marcati.

Formula de’ miei esemplari.

18-19 D. 11:12? À. 9. NE Sq. I. I 45- 43, Vert. 38.

Formula secondo Ginther.

D. 17-19 A.

Tati? sa Sq. I. 1. 45, Vert. 20]21.

Formula generale.

De

mon) Menti Sq. 1. 1. 45-48, Vert. 58-41.

Le misure prese sopra tre individui mi diedero i seguenti indici.

Indice dell’ altezza . . . . . . 25,0-25,9. » della lunghezza del capo . 25,5-26,5. > dello spazio preorbitale . . 7,2- 7,8. ”» » interorbitale . 4,0- 4,2. bo) dell'orbita sonia 5,7- 7,0.

In alcuni esemplari freschi che il prof. Meloni-Baille 7

i

mi mandò da Cagliari, il colore generale del corpo è un verde che tira. al giallognolo sugli opercoli. La sud- detta fascia argentea longitudinale è ora più ed ora meno distinta. Talvolta si osserva qualche macchia ar- gentea sotto alla fascia predetta. Le pinne sono verdi giallastre col margine ranciato. o sono interamente ran- ciate; le pettorali hanno sempre quest’ ultimo colore.

La macchia alla base degli ultimi tre raggi dorsali non

manca in nessuno dei miei esemplari. Potei esaminare

individui della Sardegna, di Venezia e dell’ isola di Le- sina; il più grande tra i medesimi misura in lunghezza

528 millimetri.

L’ osso faringeo inferiore rassomiglia a quello del Labrus festivus. Ciascuno delle due corna è all’ apice troncato obliquamente, in guisa che la faccia di tron- catura guarda in basso; mancano le alette. Î denîi sono collocati sopra una superficie pressochè triangolare; la base di questo triangolo, ossia il lato posteriore, che è assai più lungo degli altri e leggermente concavo, porta nel mezzo due denti ottusi più grossi degli altri. Sr i quali se ne vede uno alquanto più piccolo.

Iovio, De romanis piscibus cap. XX, Turdus. Sunt et Turdi subviridi colore et frequentibus guttis. ut in volucribus videmus, variegati atque insignes.

Rondelet, De piscibus lib. VI. L'autore ha un intero capitolo, che porta il titolo: De Turdoruin generi- bus. E difficile lo stabilire le sinonimie colle figure e descrizioni inesatte dateci dal Rondelet. Forse il primo ed il terzo genere si riferiscono al Labrus turdus. Bonaparte e Giinther credono |’ Exocoetus del Rondelet, figurato e descritto nel lib. VI, cap. XV, riferibile a questa specie; ma mi sembra più probabile che sia il Labrus festivus, stante la piccola altezza del corpo.

Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. 1U, De Turdo.

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Linneo, Systema nat. Labrus num. 32.

Artedi, Genera pag. 54; Synonim. pag. 57.

Bonnaterre, Eneyclop. method. pag. 402; Tabl. ency- clop. 114, Labrus turdus. L. pinna caudali rotun- data; dorsali ramentacea; corpore oblongo, subvi- ridi, maculato. L’ autore descrive le tre varietà di questa specie, osservate dal Brunnich, tra cui la seconda forse corrisponde al nostro Labrus festivus.

Lacepède, Hist. nat. des poiss. VI, 152, L. psittacus, L. turdus. i

Risso, Hist. nat. III, 505, L. turdus. L. corpore viride- scente maculato: linea longitudinali rubro-argentea; piuna dorsali radiis ultimis imo basi nigris. É cosa dubbia, se il L. saxatilis dello stesso autore rife- risca alla medesima specie. poichè la diagnosi e la descrizione sono assai vaghe. Ecco la diagnosi che ci fornisce il Risso: L. corpore virescente fusco; fascia laterali caerulea: abdomine argentato. La susseguente descrizione non parla che del colore.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 62, L. turdus. Il L. viridis dei medesimi autori, descritto nel tomo XIII, pag. 75 e figurato nella tavola 570, secondo Ginther è probabilmente sinonimo del L. turdus.

Nordmann, Faune pontique 449, L. turdus.

Bonaparte, Catalogo metodico pag. 82. sp. 751.L. turdus. Egli cita come sinonimi il L. luscus? L. Val. ed il L. ossifagus? Riss.

Nardo, Prospetti sistematici pag. 89. L’ autore cita nel Prodromus Adriaticae Ichthyologiae pag. 15 un L. viridis (Verdachio, Donzella verde), forse sinonimo del L. turdus.

Kessler, Ausziige pag. 89. L’ autore crede il L. turdus assai raro nel Mar nero.

Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova 264.

Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 71.

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Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico spec. 238. Nome volgare a Trieste: Liba.

II. Labrus festivus Risso. Tav. VI, Fig. 2.

Il muso è piuttosto allungato ed acuta; il profilo ascende in linea quasi retta sino al primo raggio dorsale. L’ al- tezza del corpo è minore della lunghezza laterale del capo. Gli ultimi raggi dorsali portano alla base una macchia nera; la faccia superiore del capo ed il preorbitale sono adorni di fascie longitudinali nere; tra l occhio e la base della codale scorre una fascia longitudinale argentea più o meno distinta, che talora manca affatto; sotto a questa fascia esistono delle macchie argentee disposte in serie longitudinali. La linea laterale è for- mata di tubi semplici e ben distinti; sopra ciascun occhio vedesi una serie di tri ben marcati.

18-19

aa, Sul 464) 12-15) E u

Le. misure prese sopra quattro esemplari, tra cui 2 del golfo di Venezia, 1 della Sardegna ed 1 dell’ isola di Lesina, mi condussero ai seguenti indici.

Indice dell’ altezza del corpo . 19,2-22,4. » della lunghezza del capo. 26,0-27,3. » dello spazio preorbitale . 7,9-10,6. ”» interorbitale. . 3,9- 4,5. ni 'ideltotibità tico il 650.

Un esemplare fresco avuto da Cagliari dal prof. G. Meloni-Baille offre i seguenti colori. Il dorso è bruno con macchie nere sparse quà e irregolarmente. La suddetta fascia argentea e le fascie nere del capo' sono distintissime. Le guancie sono argentee; la gola è di

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questo medesimo colore generale, ma percorsa da tratti ranciati. L’iride è rossa di fuoco. Il labbro inferiore porta sulla faccia inferiore due macchie laterali ed in mezzo una linea longitudinale nera. La metà in- feriore del tronco è irregolarmente macchiata di tratti argentei e bruni. La porzione spinosa della dorsale è bruna, macchiata di punti più oscuri; la porzione molle della medesima, la codale e anale sono ran- ciate ed ornate di macchie brune disposte in serie; le pettorali e le ventrali sono puramente ranciate.

L’ osso faringeo inferiore corrisponde esattamente a quello del Labrus turdus.

Alberto Perugia, nel catalogo dei pesci dell’ Adriatico pubblicato a Trieste li 12 marzo 1866, addusse una nuova specie di Labrus, denominata Z. nardii. L’ autore ne da la seguente diagnosi: « Longitudo capitis fere equalis altitudini, quae est paullo minor quartae partis

longitudinis totius. Diametrus oculi Li ut longitudo ca-

pitis et situs paululun: ad extremitatem ejusdem. Color generalis ruberater, et reflexis viridibus, maculae cae- ruleae, alvus argentea cum maculis citreis, omnes pin- nae, praeter ventrales quae sunt nonnihil flavae, sub- nigrae et albis maculis. D. 1a, À. î 6.15, P 12, Vi >

lo ebbi un esemplare del Labrus nardii dalla Dal- mazia; esso era stato confrontato dal Trois cogli esem- plari del Perugia e trovato a questi identico. Questo esemplare concorda essenzialmente col Labrus festivus e perciò credo la nuova specie del Perugia sinonima di questo. Il suddetto Labrus della Dalmazia ha una lunghezza totale di 255 millimetri, porta sul dorso 18 spine e 13 raggi molli, nell’ anale 5 spine ed 11 raggi molli, ed offre 1 seguenti indici.

110

Indice dell’ altezza del corpo. . 22,5. » . della lunghezza del capo. 26,2. » dello spazio preorbitale . 9,0. » ”» interorbitale. 4,5. » del diametro dell’ orbita. 5,1.

Il dott. Nardo ha descritto nel suo Prodromus Adr. Ichthyol. pag. 21, num. 96, un Zabrus pincus, cui as- segna i seguenti caratteri: « Lab. pedalis et ultra, flavo hacer maculis pustulosis undique sparsus. D. do, A. 15° P. 15, V. 6, C. 15. Arupeni frequens, an Psoro antiquorum referendus. » Il numero dei raggi dorsali molli di 51 deve essere un errore di stampa invece di 15; ciò ammesso, credo di non errare, se riferisco il L. pincus del Nardo al L. festivus Risso. Rondelet, De piscib. lib. VI, cap. VI, pag. 177. Bona-

parte riferisce il settimo genere al Labrus festivus; forse vi si riferisce anche Exocoetus del lib. VI, cap. XV.

Aldrovandi, De piscib. lib. 1, cap. III.

Willughby, Hist. pisc. 525, Turdus oblongus fuscus,

_ maculosus.

Risso, Hist. nat. IlÎ, 504, Labrus festivus ( L. paré, sera). L. corpore obscuro, virescente azureo guttato; linea longitudinali argentea; abdomine aureo rufo argen- teoque variegato.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 71.

Bonaparte, Tala sio pag. 82, spec. 732. L' au- tore cita come sinonimi il L. zione Raf. Cocco, il L. zittus? Raf. ed il L. ballan Risso.

Nardo, Prodromus Adr. Ichthyol. pag. 21, UL. pincus; Prospetti sistematici pag. 89, L. festivus.

Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Eerora, pag. 264.

Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 72. Ecco come ll’ au-

SUR

tore descrive il colore: Reddish-olive on the back; the scales becoming gradually silvery towards the belly; an indistinct silvery band along the side of the body; praeorbital with irregular brown bands; the lower half on the side of the head reticulated with orange-yeliow. The soft parts of the vertical fins with pearl-coloured ocelli edged with violet.

Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, sp. 259, L. festivus; spec. 243, L. nardii.

II. Llabrus merula L.

Ved. fig. Cuvier, Regn. anim. Ill. pl. 86, fig. 1.

Il muso è piuttosto allungato e mediocremente acuto; il profilo ascende in linea quasi retta sino al primo raggio dorsale. IL diametro dell’ orbita sta circa A 172 volte nello spazio preorbitale. indice dello spazio in- terorbitale è maggiore di 4, 5. altezza del corpo è pressochè uguale alla lunghezza laterale del capo. La linea laterale è formata di tubi semplici, più distinti sulla coda che nella parte anteriore del tronco. Sopra ciascun occhio vedesi una serie distinta di pori. Il corpo è bruno od olivastro con qualche macchia bruna.

D. SI A. pig Sg: LL 45-46, Vert. 38.

Un esemplare della lunghezza totale di 334 mill., che ebbi occasione di esaminare a Venezia, era di colore uniformemente bruno volgente all’ azzurro, avea le pet- torali gialle oscure e l anale orlata di celeste. Dall’ esame di questo esemplare e di un altro più piccolo, lungo 151 mill., fui condotto ai seguenti indici.

Indice dell’ altezza del corpo . . 24,5-27,2. » della lunghezza del capo . 24,2-25,1.

dello spazio preorbitale.. . 7,9- 8,9. » interorbitale. . 4,9- 5,6. a dell'orbita io e 6

112

Iovio, De rom. piscibus, cap. XX, Merula.

Rondelet, De piscibus lib. VI, cap. V, pag. 172, De Me- rula. Merula piscis est marinus, ex saxatilium ge- nere, tincae fluviatili similis corporis habitu, colore ex indico nigrescente, maris color magis ad viola- ceum accedit: foemina ex vario nigrescit.

Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. VI, pag. 32, fig. pag. 35, De Merula.

Willughby, Hist. pisc. pag. 520, Turdus niger.

Linneo, Sist. nat. Pisces thoracici, Labrus num. 40.

Artedî, Synonim. Labrus num. 7.

Bonnaterre, Encyclop. method. pag. 251, Labrus me- rula; Tabl. encyclop. pag. 109, pl. 52, fig. 201. Labrus pinna dorsali ramentacea; corpore toto cae- ruleo-nigricante.

Lacepède, Hist. nat. VI, pag. 146 e 224, L. merula. L'autore assegna a questa specie sole 10 spine e 15 raggi articolati nella pinna dorsale.

Risso, Hist. nat. Ill, 306, L. corpore supra ferrugineo; latere linea logciidiai caerulea; aa argenteo azureo punctato.

Cuv. et Val., Hist. nat. XII, 80 e 89, Li merula, L.

- limbatus.

Bonaparte, Catalogo metodico pag. 82, spec. 735. au- tore adduce come specie sinonime le seguenti: L. livens Brunn., i. lividus? Val., L. psittacus Riss. Hist. nat., L. limbatus? Val.

Nardo, Prodromus Adr. Ichthyol. pag. 15; Prospetti sistematici pag. 83, L. merula (Tenca de mar). Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova, Ar-

chivio per la zoologia I, 264.

Ginther, Gat. of Acantb. Fish. IV, 72. Uniform brown (in spirits), or greenish-olive with some obscure blackish blotches.

Graells, Manual practico de piscicultura, pag. 115, L. merula (Mero); L. limbatus (Griva).

115 Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, spec. 241 (Liba).

IV Labrus mixtus L.

Ved. fig. Yarrell, Brit. Fish. 3.° ediz. I, pag. 491 e 495. - Cuv. Val., Hist. nat. pl. 369.

Ii muso è allungato e piuttosto acuto; il profilo ascende in linea quasi retta sino all’ occipite e quindi con leg- gera curva sino al primo raggio dorsale. Il diametro del orbita sta circa due volte nello spazio preorbitale; l altezza del corpo è minore della lunghezza laterale del capo. Il colore varia; la codale, l anale e talora anche le altre pinne sono orlate di azzurro; le prime spine dorsali portano una fascia o macchia bruna o profondamente azzurra.

ia 11-14 TT du

L'esame di due esemplari mi condusse ai seguenti

indici.

5g: 1.1. 46-55, Vert. 59.

Indice dell’ altezza . . . RT » della lunghezza del no 2 027/5-29.0. » dello spazio preorbitale . . 12,2-12,5. ”» ”» interorbitale . di, 1- 5,4. » dell'orbita . . . : 3.3- 6 DI

Il colore dei maschi di spal suole diierisso da quello delle femine. I primi portano delle striscie az- zurre sul capo o sul tronco, oppure una fascia longitu- dinale nera, talvolta sono di colore quasi uniforme; le seconde vanno munite di una sino a tre macchie nere nella metà posteriore del dorso. Si possono distinguere come fece Gunther, quattro varietà di maschi e due di femine, che tra loro differiscono pel colore del corpo e delle pinne.

SE

Le corna dell’ osso faringeo inferiore finiscono all’ apice con faccia ellittica e sono prive di alette. La faccia in- feriore del corpo di quest’ osso è convessa, tuttavia l’apice di questa convessità non raggiunge interamente la base orizzontale, su cui | osso fosse collocato. La faccia poste- riore è concava. I denti mediani posteriori sono mag- giori degli altri e rotondati. i

Il-dott. Nardo ha espresso già nel 1827 ii sospetto, che il Labrus carneus sia specificamente identico al L. trimaculatus. Nel Prodromus Adriaticae fchthyologiae pag. 15 e pag. 20, sp. 95, dove trattasi del L. carneus, leggiamo quanto segue: « An species unica cum Lab. trimaculato, Risso pag. 219, et Lab. trimaculato, Bon- nat. pag. 98, num. 44. »

Bonnaterre, Tabl. encyel. pag. 115, pl. 98, fig. 401, Labrus trimaculatus (La Triple-Tache). È. pinna” caudali subrotunda; rostro cblongo; fasciis tribus latis in dorso. L. c. pag. 112, L. bimaculatus, L. “pinna dorsali ramentacea; macula fusca in latere medio et ad caudam. Queste due specie sono due varietà della femina; il L. ossifagus ne è probabil- mente il maschio. Ved. loco citato pag. 112, dove troviamo la seguente diagnosi: L. ossifagus, labiis plicatis, pinna dorsali radiis 50. Encyclop. me- thod. pag. 220 e 281.

Lacepède, Hist. nat. VI, pag. 145, L. trimaculatus (fem.), L. mixtus (mas.), pag. 154, L. variegatus (mas.); pag. 155, L. coquus (mas.); pag. 151, L. ossiphagus.

Risso, Hist. nat. Ill, 299-508, Labrus pavo, corpore vi- ridi aureo, caeruleo aurantio variegato; pinna dor- sali lutea; caeruleo maculata; L. ossiphagus, cor- pore supra fuliginoso, pinnis viridibus, ad apicem caeruleis; L. quadrimaculatus, corpore rubro carneo, maculis quatuor dorsalibus ornato; L. mixtus, cor- pore flavo caeruleoque variegato; dentibus anterio- ribus majoribus.

115

Cuv. et Val., Hist. nat. XHI, pag. 45 e 58, pl. 369, L. mixtus, L. trimaculatus.

Yarrell, Brit. Fish. I, 491, L. mixtus mas.; pag. 495,

LL. mixtus foemina.

Hamilton, Brit. Fish. sp. 85, L. mixtus (Cook, or Blue- striped Wrasse); sp. 84, L. trimaculatus ( Three- spotted, or Red Wrasse ).

Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 82, spec. 729 e 750, E. mixtus, L. carneus.

Nardo, Prodr. Adr. Ichthyol. pag. 15 e 20; Prospetti, sistem. pag. 39.

Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova, Ar- chivio Ì, 264.

Giinther, Cat. of Acantàh. Fish. IV, 74.

Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 19, spec. 256 e 257 (Nome volgare a Trieste: Liba ).

V. Labrus lineolatus Cuv. Val.

Il muso è grosso ed ottuso; it profilo è convesso tra l apice del muso e l occipite, da questo discende rapi- damente al primo raggio dorsale. altezza del corpo è pressochè uguale alla lunghezza laterale del capo. Alla base degli ultimi raggi dorsali esiste una macchia nera allungata. Sotto alla linea laterale scorrono 9 a 10 striscie brune longitudinali, sopra un fondo bianco. od argentato, specialmente nella regione pettorale. La linea laterale è formata di piccoli tubi poco distinti; sono appena RT î Re sopra gli occhi.

D. i NT Sql lz43:

L esemplare del Mediterraneo da me esaminato ap- partiene al civico Museo di Milano; esso ha subito lun- gamente | azione dell’ alcool ed è di un colore bruno

116

rossastro uniforme, solo alquanto più oscuro sul dorso e più chiaro sul ventre.

La lunghezza totale è di... mill. 154. L'altezza del corpo di... . . » 492. La lunghezza laterale del capo di CT IDOPAZCL (I Vi riscontrai i seguenti indici. Indice dell’ altezza del corpo . . . . 27,2. » della lunghezza del capo . . . 26,6. » dello spazio preorbitale. . . . 8,7. » ”» interorbitale . . . 5,3. »\LUdell''orbita;. 0. 6,7.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 90, Labrus lineola- tus. Secondo questi autori la testa è più corta della massima altezza del corpo; si vedono striscie brune longitudinali in numero di 9 a 10 sotto alla linea laterale; lo spazio che corre tra queste linee è reso chiaro da macchie biancastre od argentate, più brillanti nella regione pettorale che altrove; il nu- mero dei raggi è il seguente:

Ia 11-12 9

Bonaparte, Catalogo metodico pag. 82, spec. 756. L’au- tore riferisce questa specie al Labrus tessellatus del Risso. i

Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 69. E fatta semplice menzione nella nota.

VI. Crenilabrus pavo Cuv. Val. Ved. fig. Cuv. et Val., Hist. nat. pl. 372.

LI

Il muso è mediocremente lungo; il profilo ascende in linea retta sino all’ occipite e di con leggera curva sino al primo raggio dorsale. Il diametro dell’ orbita stu due e più volte nello spazio preorbitale; lo spazio

117

interorbitale è contenuto più di due volte nel preorbi- tale. Il suborbitale porta 4-5 serie di squame. "Il pre- opercolo è liscio od indistintamente crennto. Generalmente osservansi sul tronco due macchie brune, l una sopra la base delle pettorali, l altra alla base della codale.

IL UT A. dm Sq. l. I. 54-53, Vert. 53

Le misure prese sopra due esemplari mi condussero ai seguenti indici.

Indice dell'altezza 0/0. 0.00 26,6-27,0. » della langhezza del capo . 26,6-27,0. ‘». dello spazio préorbitale . . 12,5-153,5. interorbitale . —5,5- ò, ò. dell'orbita: oi SEE OOo

lo ebbi dal conte Ninni tre esemplari freschi di que- sta specie, pescati a Venezia. In due si notano chiara- mente le suddette due macchie, nel terzo manca | an- teriore. Nell’ esemplare maggiore vedonsi sul tronco so- pra un fondo verde giallastro tre larghe fascie longitu- dinali brune, miste a macchie rosse; la prima fascia scorre lungo la carena del dorso, la seconda tra an- golo superiore della fessura branchiale ed il margine superiore della radice della coda, la terza tra la base della pettorale e la macchia codale. Lo spazio preorbi- tale è bruno in tutti e tre gli esemplari; sul capo os- servansi macchie e lineette purpuree. Le pinne sono variamente colorate; la porzione molle della dorsale e dell’ anale è gialla alla base, rossa all’ apice, ornata di macchie rotonde celesti; le pettorali sono gialle.

Le corna dell’ osso faringeo inferiore non sono cilin- driche e non finiscono con una faccia ellittica, come nelle specie di La}rus sopra descritte; ma sono lateral. mente compresse e finiscono in due lamine sottili poste obliquamente, guardanti in basso ed avanti. Il corpo di

118

quest’ osso è posteriormente convesso e porta alla faccia

superiore dei denti globosi, tra cui 1 mediani della fila

posteriore sono maggiori degli altri. Lo stelo nell’ esem- plare da me esaminato porta un’ unica fila di denti piccoli ed ottusi.

In uno scheletro da me esaminato trovai, in confor- | mità coll’ osservazione del Giinther, 35 vertebre, tra cui 18 codali.

Tra gli altri esemplari potei studiarne uno prove- niente dall’ isola di Lesina e comunicatomi dal civico Museo di Milano; esso concorda perfettamente cogli altri miei esemplari di questa specie.

Rondelet, De piscib. lib. VI, cap. YI, pag. 175. Secundi generis turdorum is recte censebitur, qui a nobis distinctionis gratia pavo nuncupatur.... Colore ex viridi caeruleo, vel indico, colorem colli pavonis referente in pinnis omnibus, et in cauda. Forse si riferisce a questa stessa specie il primo genere di tordi dell’ autore.

Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. HI, pag. 28-30, De Pavone Salviani.... Jure supracitatis locis a DD. Am- brosio, atque Isidoro, Pavi avis colorem aemulari, colluamque et dorsum vario colore pictum habere dicitur. |

Bonnaterre, Encyclop. method. HI, 285, Le Paon; Tabl. encyclop. 111, Le Lapin, Le Paon. L. lapina, pin- nis pectoralibus flavis, ventralibus caeruleis, reliquis violaceis, maculis caeruleis.... L. pavo, viridi, caeru- leo, sanguineo canoque varius; pinna caudali in- - tegra.

Lacepède, Hist. nat. VI, 145, L. pavo. Quinze rayons aiguillonés et dix-sept rayons articulés à la dorsale; le corps et la queue d’ un verd melé de jaune, et persemé, ainsi que les opercules et la nageoire cau- dale, de taches rouges et de taches bleues; une

119

grande tache brune auprès de chaque pectorale, et. une tache presque semblable de chaque coòté de la queue. E evidente che Vl autore parla del Crenila- brus pavo; solo non si comprende come egli ad- duca 17 raggi molli nella dorsale.

Risso, Hist. III, 515, Crenilabrus lapina, corpore vire- scente, rubro guttato; pinnis pectoralibus flavis, ventralibus caeruleis, reliquis violaceis, rubro ma- culatis; Cr. Geoffroi (1. c. pag. 514), corpore fusco, aurato argenteoque variegato; lateribus basique cau- dae nigro maculatis.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 149, pl. 372, Cr. pavo.

Bonaparte, Catalogo metodico pag. 83, spec. 742. au- tore cita, tra gli altri, i seguenti sinonimi: Labrus pavo Brann. nec L., L. polichrous Pall., L. tancoi- des Lacep., Cr. lapina Nordm. il Bonaparte poi ri- ferisce il Cr. Geoffroi Risso al Cr. Roissali Riss., ma credo con torto.

Nardo, Prodr. Adr. Ichthyol. pag. 15, Labrus pavo (Sperga? Tenca de mar? Cragnisso? Donzella? Lepa Arupeni ); Sinonimia moderna delle specie registrate nell’ opera dell’ ab. Stefano Chiereghini, pag. 123- 124, Labrus foetidus Chier. et L. verdutius Chier. ( Volg. Pesce spuzza); Prosp. sist. 83.

Kessler, Auszàge pag. 90, Cr. lapina.

Kner, Zur Charakteristik und Systematik der Labroi- den, Sitz. der k. Akad. der Wiss. in Wien, XL. Band, Seite 46, Taf. I, Fig. 1.

Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova, pag. 264.

Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 78.

Graells, Manual pratico, pag. 4115 (Budior, Pinto, Merlon).

Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, spec. 245.

120

VI. Crenilabrus mediterraneus L. BI. Schn. Tav. VI, Fig. 3.

II muso è corto, ottuso e convesso. Il diametro del- l orbita sta un po più di una volta nello spazio pre- orbitale. Lo spazio interorbitale è contenuto circa 1 1}2 volte nello spazio preorbitale, e 4-3 volte nella lunghezza laterale del capo. Alla base di ciascuna pinna pettorale osservasi una macchia profondamente nera, ed un’ altra tale esiste generalmente alla base: della codale sopra la linea laterale.

dr de’ miei esemplari.

De A 1, Sq. IL. 52.34, Vert. 50. 9 F rn secondo Giinther. 16-18 a i ; Jd.L . 13717. D - SUA: CITI = , Sq.1. I. 54, Vert. 15] Formula generale.

15-18

pei Sq. 1. 1. 32-34, Vert. 530.

L’ esame di quattro individui mi condusse ai seguenti indici.

Indice dell’ altezza del corpo . . 25,3-28,0. » della lunghezza del capo. . 24,5-26,1. » dello spazio preorbitale . . . 9,1-11,1. DO) dell’ orbita . . 6,9- 6,8.

In esemplari freschi il colore generale è rosso, talvolta azzurognolo. Si notano le suddette due macchie nere. Il tronco porta generalmente delle fascie trasversali nere che si estendono, più o meno distintamente, anche sulle pinne verticali; queste fascie sono ben marcate sul dorso, meno sul ventre, e sono assai sfumate lungo la metà del tronco. Talora esse mancano e vedonsi invece sul

121

tronco alcune fascie ranciate. Alla base della codale os- servasi in esemplari giovani una stretta fascia nera che gira attorno alla radice della coda. L’ ano ha un cer- chio azzurro. La dorsale e l'anale sono rosse o giallastre, orlate di azzurro, con macchie nere e rosse. La parte superiore del capo, la superiore-anteriore del dorso, la gola, il petto ed il ventre sono percorsi da linee azzurre.

Nell’ osso faringeo inferiore le corna finiscono con due distinte alette; il margine posteriore del corpo di quest’ osso è leggermente convesso, la sua faccia in- feriore è convessa.

Ho avuto occasione di esaminare un esemplare del Crenilabrus pittima Raf. Bp., proveniente da Nizza e favoritomi in comunicazione dal civico Museo di Milano. Mi potei persuadere che questa specie non differisce essenzialmente dal Cr. mediterraneus.

Bonaterre, Tabl. encycl. 151, Perca mediterranea. Non ostante il nome che porta questa specie, Vl autore le assegna per patria 1’ America, errore che fu poi corretto dal Lacepède. Encyclop. method. pag. 586.

Lacepède, Hist. nat. VII, 148, Lutjanus mediterraneus, L. brunnichii?, L. massiliensis, L. bidens. Nella diagnosi di quest’ ultimo leggesi (1 c. pag. 151 ): « Neuf rayons aiguillonnés et seize rayons articules a la nageoire du dos. » Essendo la nostra formula

Lo:13, scorgesi tanta differenza che si è indotti

a supporre, essere avvenuto un errore tipografico. Risso, Hist. nat. III, 518, Cr. mediterraneus, Cr. brun- nichii, Cr. nigrescens, Cr. boryanus. Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 185, 186, 189, Cr. brun- nichii, mediterraneus et boryanus. Bonaparte, Catalogo metodico p. 83, spec. 740, 741, 745. Nardo, Prodromus Adriat. Ichthyol. pag. 15, Lutianus bidens ( Donzela, Smergo, Gardelin, Pesce Cava- a)

ò

122

lier ); Prospetti sistematici pag. 89, Cr. mediter- raneus, Cr. boryanus.

Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.

Ginther, Cat. of Acant.hÌ. Fisch. IV, 79.

Graells, Manual pratico, pag. 115 ( Canari ).

Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, spec. 246, 251.

VU. Crenilabrus melanocercus Risso.

Il muso è corto ed alquanto acuto; il profilo ascende in linea retta 0 con dolce curva sino alla prima spina dorsale. Il diametro dell’ orbita è all’ incirca uquale alla lunghezza dello spazio preorbitale; lo spazio in- terorbitale sta 4-4 172 volte nella lunghezza laterale del capo. Il pesce è di colore castagno, più oscuro sul dorso, più chiaro sul ventre. Sotto l’ occhio scorre una striscia curva azzurra; la codale è gialla alla base ed al margine posteriore, e tinta profondamente in nero nel mezzo. Le pettorali portano talora una macchia nera sut loro raggi.

Formula degli a da me esaminati.

D. = A, Y- = Formula del Cr. melanocercus secondo Gunther. A 6-7

Formula del Cr. caeruleus calli Gunther, 16 5) DEA 7 8

Formula generale.

16-17 GU D. ° =——=@®©@" S © l. I. 54-55. gran) sg i

125

I due esemplari che potei esaminare appartengono al civico Museo di Milano, e provengono l uno da Nizza, altro dall’ isola di Lesina. Vi riscontrai i seguenti indici.

Indice dell’ altezza del corpo » della lunghezza del capo » dello spazio preorbitale . 5,8- 7,8. » dell’ orbita si 0:819/, Di

Il Crenilabrus caeruleus isso, a mio avviso, non è che una varietà del Cr. melanocercus. Il minore dei due esemplari sopra menzionati, quantunque pel complesso dei suoi caratteri sia un Cr. melanocercus, s' accosta in qualche rapporto al Ur. caeruleus. Se esaminiamo le diagnosi date da Ginther di queste due specie, ci con- vinceremo facilmente della verità del mio asserto. Gun-

25,8-26,3. 29,0-25,6.

ther dice quanto segue.

Crenilabrus melanocercus. 107, 6) D. n? A. n

The height of the body is one fourth of the total length.

Brownish ; a curved blu- ish streak from the eye to beneath the lower jaw.

Caudal fin dark-coloured towards the hind margin, with some blackish spots.

Pectoral pale, with a black spot on the extre- mity of the upper rays.

Crenilabrus caeruleus. 4 KR 3 e ie 7 8

The height of the body is two-sevenths of the to- tal length.

Brownish, with an indi- stinet streak below the eye.

Caudal fin yellow at the base, and black on the po-

sterior extremity, which

has a yellow edge. Pectoral without spot at its extremity.

In queste due specie dunque troviamo una piccolis-

124

sima differenza nel numero dei raggi delle pinne dor- sale ed anale, e nell’ altezza del corpo. Quanto al nu- mero dei raggi, siffatte oscillazioni sono frequenti tra i Labroidi entro una medesima specie; notisi poi che i nostri due esemplari offrono solo 16 spine dorsali, quan- tunque nel maggiore di essi sia ancora distinguibile la macchia nera sulle pettorali. E inoltre insignificante la differenza nella relativa altezza del corpo. Quanto al co- | lore, abbiamo in ambo le specie tre caratteri costanti, cioe la fascia nera della codale, la striscia oscura sotto all’ occhio ed il colore generale bruno del corpo; un carattere variabile costituisce la macchia nera delle pet- torali. Fatti analoghi sono comunissimi nei Labroidi entro una unica specie.

Risso, Hist. nat. HH, 516, Cr. melanocercus, corpore rube- scente, brunneo violaceo, caeruleoque variegato, maxillis inaequalibus, cauda nigra; Cr. caeruleus, corpore toto caeruleo, abdomine rufo, maxillis aequa- libus.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 215.

Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 754 e 755.

Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, pag. 80, num. 4 e num. 5.

Graells, Manual pratico, pag. 115 ( Lambrega ).

IX. Crenilabrus roissali Risso. Tav. VII, Fig. 2.

Il muso è corto e piuttosto ottuso; il diametro del- l orbita sta un po’ più di 1 volta nello spazio preor- bitale. Il profilo ascende in linea retta fino all’occiptte. Lo squarcio della bocca è appena obliquo. Fra il mar- gine anteriore dell’ orbita ed il labbro superiore scorre una larga fascia bruna; una seconda fascia dello stesso colore, ma più stretta della precedente, scorre lungo il

125 margine inferiore dell’ orbita, da cui si stacca ante- riormenle per andare in basso ed avanti. La pinna dorsale porta delle macchie brune. 14-15 DIDO RIDI Ò Le misure prese sopra due individui mi conducono ai seguenti indici.

Indice dell’ altezza del corpo . . 29,6-50,9. » della lunghezza del capo. . 25,8-26,1. » dello spazio preorbitale . . 9,1- 9,5. Ji idellionbita tti ono: ua 69-69:

Il colore di questa specie varia assai. Talvolta la pinna dorsale porta due macchie brune, altre volte ne porta cinque; la base della codale è ora ornata ed ora sfornita di una macchietta bruna; V anale è pure 0 provvista o sfornita di due macchie oscure.

Parecchi esemplari freschi avuti da Cagliari dal prof. Meloni-Baille offrono i seguenti colori. Il tronco è verde oscuro con tratti bruni, verso il ventre il colore passa all’ argenteo. La dorsale è verde con linee rosse di mi- nio. La porzione molle della medesima porta due mac- chie nere, l’ una anteriore più grande, tra il primo e terzo raggio; l’ altra posteriore più piccola, tra il sesto ed ottavo raggio. Alcuni degli esemplari hanno tre macchie sulla porzione spinosa della dorsale. Alla base della codale, immediatamente sotto alla linea laterale, scorgesi una macchia bruna. La codale e |’ anale sono verdi, macchiate di minio, quest’ ultima con margine nero e talvolta con due macchie brune. Le ventrali sono rosee, le pettorali verdi giallastre. Le labbra sono ranciate.

Bonnaterre, Tabl. encyclop. pag. 118, Labrus gulttatus.

Lacepède, Hist. nat. VI, 248, L. guttatus.

Risso, Hist. nat. HI, 517, 523-525, Crenilabrus tigrinus, corpore fulvo virescente, nigro guttato, testa lineis

126

duabus elevatis transversis cincta; Cr. roissali, cor- pore caeruleo, luteo, argenteoque variegato; maculis duabus nigris, fulvo cinctis, in pinna dorsali; Cr. varius, corpore purpureo viridi, caeruleo nigroque variegato; Cr. quinquemaculatus, corpore viridi ar- genteo, squamis fuscis, caeruleis, reticulatis, pinna dorsali quinquemaculata.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 205, 220, 5253, Cr. rois- sali, Cr. capistratus.

Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 752, 755.

Kessler, Auszuge pag. 96, Cr. aeruginosus. L’ autore cita come sinonimi il Labrus aeruginosus Pallas, il L. frenatus Pall. ed il L. capistratus Pall.

Nardo, Prospetti sistematici, pag. 89.

Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 82.

Canestrini, Catalogo, Archivio I, pag. 264.

Perugia, Catalogo dei pesci dell’Adr., pag. 20, spec. 249, 250 (Nome volgare a Trieste: Liba ).

X. Crenilabrus griseus LIL Ved. fig. Nordmann, Fn. pont. pl. 18, fig. 2.

Il muso è piuttosto lungo ed acuto; il diametro del- l orbita sta meno che 1 1)2 volte nello spazio preor- bitale. IL profilo del capo ascende in linea retta fino all’ occipite. Il capo porta supertormente una gran- dissima quantità di pori. Sulle prime spine dorsali esiste una macchia nera; un’ altra tale notasi general mente alla base della codale sul margine inferiore della radice della coda, talvolta se ne nota una terza sul margine superiore della radice medesima.

i ela elio 9-10 9-10

Le misure prese sopra tre individui mi condussero ai

seguenti indici.

Sq. 1132-55, Vert. SI

127

Indice dell’ altezza del corpo. . 24,6-26,5. » della lunghezza del capo. 25,7-26,4. » dello spazio preorbitale . 9,1-10,0. ”» ”» interorbitale. 5,6- 6,8. delli orbita agi e 0 Ze

Negli esemplari freschi che il conte A. P. Ninni mi mandò da Venezia, osservai che il colore generale del corpo varia; talvolta il dorso è bruno ed il ventre ar- genteo; altre volte il dorso ed il ventre sono di un rossastro scuro; vidi inoltre degli individui di un verde intenso. Sul capo notansi, sotto all’ occhio, delle linee ondeggianti azzurre ; lo spazio preorbitale è bruno. La dorsale e l anale sono talora orlate di verde, hanno verso la base dei tratti obliqui ranciati e verso | apice delle macchie celesti chiare. Le ventrali sono rossastre alla base e verdi od azzurre o bianche verso l'apice. Le pettorali sono leggermente ranciate alla base, nel resto incolore, solo negli esemplari verdi di un verde sudicio. La papilla genitale è azzurra ed ingrandita nel- l’ epoca della frega.

Potei esaminare un esemplare del Crenilabrus masse Risso, proveniente dal Mediterraneo ed avuto in comu- nicazione dal civico Museo di Milano. Esso ha perduto i suoi colori per l’ azione dell’ aleool e non. differisce specificamente dal Cr. griseus.

Note anatomiche. Contansi 541 vertebre, con 12 paja di coste. Le emapofisi della 14. vertebra e delle suc- cessive sono riunite.insieme e dirette verticalmente in basso; quelle delle vertebre che precedono la 14.° sono dirette od obliquamente in basso e fuori, od orizzontal- mente in fuori; esse non si riuniscono però mai. Il corpo dell’ osso faringeo inferiore è pressochè di forma triangolare; la sua faccia inferiore è convessa, per cui quest’ osso, se venga posto sopra una base aio tocca questa base non solo col margine inferiore di

123

ciascun’ aletta e coll’ estremità anteriore dello stelo, ma anche coll’ apice della predetta convessità. Le alette sono ben sviluppate ed hanno il margine esterno-posteriore alquanto incavato nel mezzo. —- I lobi olfattorii sono poco sviluppati e posti interamente sulla parte anteriore della faccia inferiore degli emisferi. Questi rappresentano un unico corpo colla faccia superiore quasi ellittica, poco distintamente diviso in due metà laterali; la linea che indica questa divisione è più marcata anteriormente che posteriormente. I due lobi ottici sono grandi, ben sepa- rati l uno dall’altro; ciascuno supera in volume i due emisferi riuniti insieme. Il cervelletto, visto per disopra, presenta una faccia circolare. I lobi inferiori (hypoaria Owen) sono ben distinti e nettamente separati |’ uno dall’ altro; la loro forma è allungata. L’ ipofisi, vista per disotto, presenta una forma triangolare ed ha nel mezzo un leggerissimo solco longitudinale. Lo « haema- tosac » Ow. è trasversalmente allungato e diviso in due porzioni laterali mediante un solco intermedio. Non

vidi il conario che credo perciò mancante.

Lacepède, Hist. nat. VI, 146, Labrus cinereus (Le Labre

| cendré).

Risso, Hist. nat. III, 526, Crenilabrus masse, corpore obscuro, luteo viridique aureo; pinna caudali basi inferiore macula caerulea, nigro cincta; Gr. Cottae (I. c. pag. 315), corpore argentato, fusco punctato, maxilla inferiore paulo longiore; Cr. cornubicus (I. c. 525), corpore macula prope caudam magna, pinnaque dorsali radiis primis nigris. Il Cr. cornu- bicus del Risso è diverso dalla specie di ugual nome illustrata da Yarrell tom. I, pag. 504.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 202, 204.

Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 750, 751.

Nardo, Prospetti sistematici, pag. 89.

Kessler, Auszùge pag. 92, Cr. fuscus. L'autore cita

129

come sinonimi il Labrus fuscus Pall., il Cr. staitii Nordm. ed il Cr. pusillus Nordm. Giinther, Cat. of Acanth. Fish. 1V, 85, Cr. griseus. Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adr. pag. 20, spec. 254, 255.

XI. Crenilabrus ocellatus Forsk. Tav. VII, Fig. 1.

Il muso è corto ed ottuso ; il profilo del capo ascende in linea curva fino all’ occhio, poi in linea retta. fino all’ occipite. Il diametro dell’ orbita sta circa 1 172 volte nello spazio preorbitale. Lo squarcio della bocca è alquanto obliquo. L’ opercolo porta una macchia vio- lacea oscura, orlata di rosso oppure di rosso e di az- zurro chiaro; alla base della codale osservasi frequen- temente una macchietta nera.

ii i Papi 9-11 9-11 O

Le misure prese sopra tre esemplari mi condussero

ai seguenti indici. Indico dell’ altezza del corpo. . 24,7-51,9. » della lunghezza del capo. 26,1-26,7. » dello spazio preorbitale . 7,9- 8,6. 2aiidell'iorbita; i.) (0! 7 .4,,5;9-)0,9.

Risso descrive il Crenilabrus olivaceus, cui assegna questi caratteri: G. corpore ovato, viridi olivaceo, abdo- mine albo; operculis apice caeruleis; macula caudali ni- gra. Questi e gli altri caratteri indicati dall’ autore nella descrizione della specie sono poco importanti che non autorizzano a risguardare come buona la specie G. oli- vaceus.

Risso fa inoltre menzione del Crenilabrus littoralis, di cui questa diagnosi: « C. corpore elongato, vire- scente argentato ; operculis caeruleo notatis; cauda nigro

150

maculata. » Tale specie differirebbe dal C. ocellatus per le fascie longitudinali argentee che spiccano sopra un fondo verde; per sei striscie azzurre di cui vanno or- nate la gola e le estremità opercolari; per una grande macchia alla base della coda; per dimensioni più pic-

cole e pel numero dei raggi che è il seguente: D. Di

5) : È : i È À. 10: Come si vede, il numero dei raggi e la macchia

codale non costituiscono caratteri differenziali; le altre

proprietà si riferiscono quasi esclusivamente al colore,

per cui Ginther, con ragione, sospetta che il C. litto-. ralis sia sinonimo del C. ocellatus.

Tra 1 caratteri attribuiti da Gunther al C. ocellatus troviamo anche il seguente: « Cheek with three series of scales. » Ciò è inesatto, poichè talvolta osservai quat- tro serie di squame sulle guancie.

Potei esaminare un esemplare di questa specie prove- niente da Nizza ed appartenente al civico Museo di Mi- lano. Esso offre tutti i caratteri del Cr. ocellatus, solo è alquanto più allungato degli altri miei esemplari; ad esso è dovuta la notevole oscillazione dell’ indice dell’ al- tezza del corpo.

Lacepède, Hist. nat. VII, 144, 145, Lutjanus ocellatus, L. olivaceus; VI, 155, Labrus reticulatus.

Risso, Hist. nat. II[, 521, Cr. olivaceus, Ur. ocellatus, Cr. littoralis.

Nordmann, Fn. pontique 458, 459, pl. 17, fig. e 2.8; pl. 18, fig. e 4.8, Cr. ocellatus, Labrus per- spicillatus, L. argenteostriatus.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 1953.

Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 746, 747, 748. L’ autore cita, tra gli altri, i seguenti sinonimi del Cr. ocellatus: Labrus venosus Gm. Riss., L. mandarella Raf., Cr. morelli Nordm.

151 Kessler, Auszuge pag. 95. Nardo, Prospetti sistem. pag. 89. Giinther, Catal. of Acanth. Fish. IV, 85. Perugia, Catal. dei pesci dell’Adr. pag. 20, spec. 247, 252.

XII Crenilabrus rostratus. BI. Ved. fig. Cuv. Val., Hist. nat. pl. 376.

Il muso è allungato ed acuto, in quisa che il diame- tro dell’ orbita è contenuto 1 1}2 - 2 volte nello spazio preorbitale. Il profilo del capo è alquanto concavo, lo squarcio della bocca molto obliquo. La lunghezza late-

rale del capo è notevolmente maggiore della altezza del .

corpo. La dorsale porta anteriormente quasi sempre una macchia bruna.

e via Dall’ esame di tre individui risultano i seguenti indici. Indice dell’ altezza del corpo. . 22,7-25,0. » della lunghezza del capo. 30,4-30,7. » dello spazio preorbitale . 11,7-15,0. 2ipadell'orbitat. lips si 044-045: In questa specie notansi alcuni indici ben diversi da quelli delle altre specie congeneri, come si può rilevare dall’ annessa tabella.

Tudtice Indice Indice |Indice del| Num.® della dello diametro | degli SPECIE dell’altezza se i ; È NE del corpo lunghezza | spazio del esempl.

del capo |preorbitale| orbita [esamin.

Grenilabrus pavo 26,6-27,0 | 26.6-27,0 | 12,5-13,5 | 5.0-5,4 2 » mediterraneus | 25,3-23,0 | 24,3-26,1 9A-14.Î 6.5-6,8 h » melanocercus | 23,8-26,5 | 22,0-25,6 | 5,8- 7,8 | 6,8-7,5 2 » Roissali 29,6-30,9 | 23,8-26.1 | 9.1- 9,5 | 6.9-6.9 2 » griseus 24,6-26,5 | 25,7-26,4 | 9,1-10,0 | 6.9-7,4 6) » ocellatus 24,7-51,9 | 26,1-26.7 | 7,9- 8.6 | 5,5-6,9 3 » rostralus 29,7-25,0 | 30.4-50,7 | 11,7-15,0 | 6,7-7.5 3 DINNIUINCA 24,0-24,8 | 25,9-25.5 | 8.2- 9.0 | 6,8-7,0 2

152

In alcuni esemplari provenienti da Venezia osservai i seguenti colori. Si ponno distinguere due varietà di Subietto, l'una di colore verde, l’altra di colore grigio o bruno sul dorso ed argenteo sul ventre. Nella prima osservansi dei tratti dorati sul tronco; il capo porta quasi sempre sulle guancie numerosi punti rossi; rare volte notasi una fascia bruna che dalla mascella supe- riore attraverso all’ occhio scorra fino dietro le pettorali; la dorsale e l’anale sono verdi macchiate di rosso, la prima con una macchia profondamente azzurra sui tre raggi anteriori; la codale e le ventrali sono verdi gial- lognole, le pettorali rossastre. Nella seconda varietà esiste ana Di retta longitudinale più o meno distinta tra la mascella superiore attraverso all’ occhio fino dietro lano; punti e macchie di rosso più o meno chiaro ed in numero maggiore o minore ornano le guancie, gli opercoli ed il ventre; sulle prime spine dorsali esiste una macchia bruna ; numerose macchiette rosse disposte in 2-5 file longitudinali osservansi sul rimanente della i e sull’ anale; le ventrali e le pettorali sono ros- sastre; la codale è macchiata di rosso; l’ano è azzurro.

Contansi, in un esemplare da me esaminato, 32 ver- tebre; nella 15. e successive le emapofisi sono riunite insieme e dirette verticalmente in basso; nelle vertebre che precedono la 15.° I’ emapofisi di un lato non si riu- nisce con quella dell’ altro lato. La prima vertebra è priva di coste, la seconda ne porta due piccole, le suc- cessive portano coste bene sviluppate fino alla 15.* ver- tebra esclusivamente, per cui contansi in complesso 13 paja di coste. Il tubo digerente forma un’ unica piega nella metà posteriore della sua lunghezza; tra l’ intestino tenue e crasso notasi una distinta valvola circolare. Il fegato, abbastanza voluminoso, è posto in massima parte al lato sinistro del pesce.

L’osso faringeo inferiore ha le corna lunghe e termi-

155

nate da alette ben sviluppate, per cui se sia posto sopra

una base orizzontale, esso tocca questa solamente colla

estremità anteriore dello stelo e col margine inferiore

di ciascun’ aletta.

Artedi, Synonim. piscium, spec. 9, Labrus sursum re- flexo, cauda in extremo circulari.

Lacepède, Hist. nat. VII, 211, Lutjanus rostratus (Le Lutjan groin).

Risso, Hist. nat. III, 351 e seg. Coricus virescens, cor- pore viridi, luteoque variegato, capite lineis viola- ceis transversis ornato; Cor. lamarckii, corpore gri- seo obscuro, aureo argenteoque variegato, lineis guttisque rubris notato ; Cor. rubescens, dorso fusco rubro, fascia longitudinali roseo argentea, cauda basi nigro maculata.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 256, pl. 576, Coricus rostratus; Cuvier, Regn. anim. Ill. pl. 88.

Bonaparte, Fn. Ital.; Catalogo metodico pag. 86. L’ au- tore cita come sinonimo il Labrus verdolinus Raf. ed il Symphodus fulvescens Raf.

Nordmann, Fn. pontique, 465, pl. 20.

Kessler, Auszùge pag. 99.

Nardo, Sinonimia moderna, pag. 126, Labrus lutiolus Chiereghini, L. donzella Chieregh.; Prospetti siste- matici pag. 84.

Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.

Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 86.

Perugia, Catal. dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, spec. 257 (Nome volg. Liba).

XIIL Crenilabrus tinca Brunn. Tav. VII, fig. 3.

Il muso è mediocremente lungo ed ottuso, di poco più lungo del diametro dell’ orbita. Il profilo è leggermente

154

concavo sopra È’ occhio. La lunghezza laterale del capo e l altezza del corpo sono pressochè uguali. Una larga fascia bruna, interrotta dall’ occhio, scorre dall’ apice del muso sino alla parte superiore della base della co- dale; sotto e sopra questa fascia notansi due altre bian- che argentee. Alla base della codale, sopra la linea la- terale, vedesi una piccola macchia nera; l ano è nero. La pinna dorsale non porta anteriormente alcuna mac- chia bruna.

D 14- Barto, pod > S

10-11

I miei due esemplari, nnt dall’ isola di Lesi- na, offrono queste dimensioni. Lunghezza totale. . . . mill. 72,5-75,0. Altezza del corpo. . . . » 18,0. Lunghezza laterale del capo » 18,5-19,0. Nei medesimi riscontra i seguenti indici. Indice dell’ altezza del corpo. . 24,0-24,8. » della lunghezza del capo. 25,3-25,5. » dello spazio preorbitale . 8,2- 9,0. ”» interorbitale 5,3- 5,5. >. (dell’'orbita! 0 apra 6 8147.01 Quantunque i miei due esemplari abbiano lungamente subita l azione dell’ alcool, pure i colori indicati nella diagnosi sono ancora bene conservati; in un esem- plare vedonsi inoltre, sotto alla fascia argentea longitu- dinale inferiore, delle striscie rossastre collocate in serie longitudinali.

Risso, Hist. nat. III, 315, Cr. tinca, corpore rubescente, dorso nebuloso, lateribus radiis obscuris caeruleisque ornatis. 1 colori di questa specie sono poco ben descritti.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 199.

. Yarrell, Brit. Fish. 3.2 ediz. I, 498. L’ autore cita i

seguenti sinonimi: Cr. melops C. V., Labrus me-

Sq. I I. 55-55.

-- 155

lops L., Cr. norvegicus C. V., Cr. pennanti C. V., Cr. donovani G. V., Cr. tinca Risso ecc. | nostri esemplari differiscono da quelli illustrati da Yarrell st pel colore, quanto per la relativa lunghezza del capo.

Bonaparte, Catalogo metodico pag. 84, spec. 749.

Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 86.

Graells, Manual pratico, pag. 115 (Zorzal, Serrano, Vello).

Perugia, Catalogo pag. 20, spec. 248.

XIV. Ctenolabrus iris C. V. Ved. fig. Bonaparte, Fn. Ital. Cuv. et Val., Hist. nat. pl. 374.

bi

Il muso è allungato ed acuto. anale porta 10 raggi molli. Gli opercoli sono percorsi da una fascia oscura che si dilequa dietro la spalla. Il colore generale del corpo è un rosso scarlatto o carnicino. Una macchia nera rotonda trovasi sui raggi medii della pinna dor- sale; una seconda notasi sulla porzione posteriore dei raggi medi della codale.

16 6) A Sa 1.57: ETA lo posseggo un esemplare alquanto più allungato di quelli descritti dal Bonaparte e dal Gunther; esso oftre 1 seguenti indici.

Indice dell’ altezza del corpo... . 17,9. » della lunghezza del capo . . . 25,5. » dello spazio preorbitale. . . . 7,0. EL) 9 interorbitale . . . 4,d. Vdellorbita\a,.0u: - SIA Z,

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 256, pl. 374. Bonaparte, Fn. Ital. « Non lo abbiamo udito distinguere

1356 con apposito nome volgare da verun pescatore; ed in Roma passa insiem con altri della famiglia sotto quello di Pappagalletto ». Catalogo metod. pag. 85, spec. 770. Gunther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 90.

7

xv. Acantholabrus palloni Risso.

Ved. fig. Cuv. et Val., Hist. nat. XII, pl. 375.

Il corpo è compresso ed allungato. Le pinne verticali vanno munite di squame; le squame del tronco sono piuttosto grandi, pentagone, e finiscono posteriormente in una punta. La radice della coda porta al suo mar- gine superiore una macchia nera.

10° A. _ , Sq. 1 1. 42-45, Vert. 36.

Dall esame di due esemplari risultano i seguenti

indici. Indice dell’ altezza . . . . . 17,9-19,8.

» della lunghezza del capo. 23,6-25,0.

» dello spazio preorbitale . 7,0- 7,6.

”» ”» interorbitale. 3,2- 6,6.

»0 dell'orbita. Nei 66-06) Il colore del pesce fresco è un roseo pallido con mac- chie dorate, disposte in serie longitudinali su tutto il tronco. La gola ed il ventre sono bianchi. La dorsale, secondo Risso, è di un verde giallastro con tratti oscu- ri; lanale è bianca, le ventrali sono rosee, le petto- rali giallognole.

Non credo opportuno il tener distinto |’ Acantholabrus couchii dall’ Ac. palloni, poichè le differenze sono mi- nime, come si vede dalle due diagnosi del Gunther, qui sotto riportate l’una accanto all’ altra.

157

Ac. palloni. D. Li KO:

The height of the body is less than one-fourth of the total length.

A black spot on the back of the tail, at the base of the caudal fin; another on

Ac. couchii. p. 2! il DU A L, The e of i. body

is less than one-fourth of the total length.

A black spot on the back of the tail, at the base of the caudal fin. .

the last dorsal spines (so-. metimes absent).

Come si vede, non hannovi che leggere differenze nel numero dei raggi dorsali ed anali, tali, quali sono fre- quenti entro una stessa specie nei Labroidi. Se le pre- dette differenze fossero sufficienti per tenere separate due specie, io sarei costretto ad elevare al rango di nuova specie un esemplare avuto da Venezia, il quale porta sole 19 spine nella dorsale; ne posseggo inoltre uno fornito di 10 raggi molli nella stessa pinna.

Risso, Hist. nat. III, 329; Crenilabrus exoletus, corpore rosaceo, pinna ani spinis quinque, maxilla superiore dentibus majoribus. i

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 243, pl. 375, kon tholabrus palloni; |. c. pag. 248, di cadi

Yarrell, Brit. Fish. I, pag. 514, Ac. Cochi, (The scale- rayed Wrasse).

Hamilton, Brit. Fish. spec. 90.

Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 85, spec. 762 e 764.

Nardo, Sinonimia moderna, pag. 123, Labrus nellus Chiereghini; Prospetti sistematici, pag. 85.

Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 91-92.

Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adr. pag. 20, spec. 256.

158

XVI. Iulis mediterranea Risso. Ved. fig. Bonaparte, Fn. Ital. Yarrell, Brit. Fish. I. 521.

Il capo è interamente nudo; la linea laterale non è interrotta ; le squame sono piccole; il corpo è compresso ed allungato. Contansi 75-80 squame nella linea late- rale, 12 raggi divisi nella dorsale ed altrettanti nel- l anale. L altezza del corpo sta circa 5 volte, la lun- ghezza laterale del capo 4-5 volte nella lunghezza totale del pesce. La punta dell’ opercolo porta una macchia celeste oscura.

: Da A. È Sq. 1. 1. 75-80.

lo comprendo in questa diagnosi anche la lulis giof- fredi Risso Bp., poichè non sono finora riescito a tro- vare delle notevoli differenze tra questa specie e la lu- lis mediterranea o vulgaris. Esaminando alcuni esemplari avuti da Venezia, fui spesso imbarazzato nel determi- nare la specie, ed osservai tra 1 medesimi una serie non interrotta tra i tipici della I. gioffredi e quelli della I. vulgaris. L’ anello di congiunzione mi viene fornito da un esemplare che è privo della fascia ranciata den- tellata, privo inoltre della macchia nera dietro 1’ inser- zione della pettorale e che tuttavia porta una macchia nera sui primi raggi dorsali.

Sottopongo questa questione all’ esame degli ittiologi; frattanto addurrò le seguenti mie riflessioni.

Bonaparte queste diagnosi. /ulîs vulgaris, supra atro-caeruleus, lateribus argenteis sub fascia plus minus aurantiaca infra supraque dentata, macula magna elon- gata utrinque atra: radio secundo pinnae dorsalis cae- teris valde longiori. Iulis gioffredi, supra ruber vel atro-caeruleus, lateribus abrupte argenteis sub linea reeta

159

semiaurata : macula nigricante ad angulum praeoperculi : radiis pinnae dorsalis omnibus subaequalibus. Se si fa astrazione dai caratteri offerti dal colore, la differenza sta nel secondo raggio dorsale, che è allungato nella prima, non allungato nella seconda specie. Ma tale ca- rattere è fallace, poichè in esemplari, ch'io ebbi da Ve- nezia per la gentilezza del dott. Ninni, talvolta sono allungati il 2.° e 3.° raggio dorsale, talvolta il 2.° sola- mente, e talvolta nessuno, quantunque non manchino tutti gli altri caratteri attribuiti alla lulis vulgaris.

Nella descrizione il Bonaparte cerca di meglio carat- terizzare la Iulis gioffredi, e dice: « Non però il colore rosso della schiena lo distingue abbastanza dall’ antece- dente Iulis vulgaris, ma sibbene la forma più terete del corpo, e la dorsale più umile, e più eguale in tutta la sua lunghezza; attesochè in questa specie anco più che in quella variano infinitamente le tinte del dorso, che in alcuni è rosso perfin di corallo, in altri è di paonazzo quasi nero. » Si comprende facilmente che i caratteri: corpo più terete e dorsale più umile, sono troppo vaghi, perchè possano servire come caratteri spe- cifici; si aggiunga poi che in giovani esemplari non si osservano siffatte differenze.

I caratteri differenziali addotti da Cuvier e Valencien- nes sono assai poco precisi. Questi autori dicono: « La girelle Giofredi parait avoir le corps un peu plus ar- rondi, la dorsale plus basse; ses premiers rayons épi- neux ne depassent pas les suivants; ils sont aussi plus i | 49 (408

Anche Gunther cerca di tener separata la Zulîs giof- fredi dalla I. vulgaris ed adduce questi caratteri diffe- renziali: Julis vulgaris: « The height of the body is one-fifth of the total length, the length of the head nearly one-fourth. Anterior dorsal spines somewhat ele-

roides. Le nombres sont les mèémes: D

140

vated. A posterior canine tooth etc. » Julis gioffredi. « The height of the body is one-fifth or a little less than one-fifth of the total, the length of the head rather more than one-fourth. Anterior dorsal spines not ele- vated etc. » Mentre l'altezza del corpo non costituisce una differenza, sembra dalle diagnosi citate, che questa sia offerta dalla lunghezza laterale del capo. Ma io devo muovere dubbio contro la validità di questo carattere. Esaminai cinque esemplari tipici della Zulis vulgaris e trovai che la lunghezza laterale del capo (non compreso il lembo membranoso dell’ opercolo ) stà alla lunghezza totale del pesce come 1 a 4,4-4,7; in quattro esemplari tipici della Julis gioffredi riscontrai la proporzione di 1 a 4,5-4,6. lo non trovo perciò nemmeno nella lun- ghezza del capo buoni caratteri differenziali. L’ aggiunta tabella reca alcuni particolari in appoggio della mia as- serzione.

Iulis vulgaris Iulis gioffredi

I Lunghezza totale| Lunghezza laterale ||Lunghezza totale | Lunghezza laterale

del pesce del capo ! del pesce del capo 186,0 41,0 107,0 22,0

195,0 42,0 I paia | pala

L’ esame di tre esemplari mi condusse ai seguenti indici. indice dell’ altezza del corpo . 18,5-20,5. » della lunghezza del capo. 21,1-22,1. » dello spazio preorbitale ., 7,1- 7,6. ”» ’» interorbitale. 4,5- 4,7. » dell’orbita . . . . . 5,5- 4,6.

141 Rondelet, De piscibus lib. VI, cap. VII, pag. 180, De

lulide (con figura).

Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. VII, pag. 37, con figura alla pag. 39.

Linneo, Sist. nat. 476, Labrus julis.

Artedì, Synonim. pisc. pag. 80.

Bonnaterre, Tabl. encyclop. pag. 108, pl. 52, fig. 199; Encycl. meth. pag. 185.

Lacepède, Hist. nat. VI, 224, Labrus julis.

Naccari, Ittiologia Adriatica, pag. 337 (Volg. Donzella). L’ autore distingue le varietà: Donzella de baro, Donzella fasciata, Donzella verde, Donzella puntata.

Risso, Hist. nat. III, 509-311, Iulis mediterranea, dorso viridi, caerulescente , lateribus vitta longitudinali aurantia utrinque dentata; lulis gioffredi, dorso ruberrimo, lateribus linea longitudinali recta, aurata; lulis speciosa, dorso rubro fusco, lateribus fasciis

| transversalis luteis.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 561, 3571 e 575; pl. 584 e 585.

Yarrell, Brit. Fish. I, 521, lulis mediterranea (The rainbow wrasse).

Hamilton, Brit. Fish. spec. 953.

Ma Fn. Ital. con figure; Catalogo metodico,

pas.

Nardo, n Ichthyol. Ade pag. 15; Sinonimia mo- derna, pag. 115 e 125; Prospetti sistematici, pagi- ne 84 e 89.

Gemmellaro, Ittiologia del golfo di Catania, Atti del- lAccad. Gioenia, tom. XIX, ser. II, pag. 144.

Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.

Giinther, Cat. of Acantb. fish. IV, 195-197, Coris julis, C. gioffredi.

Perugia, Catalogo pag. 20, spec. 258, 259 e 260 (Nome volg. Girella).

142

XVII. Hulis turcica Risso, Ved. fig. Cuvier, Regn. anim. Ill. Poiss. pl. 87. fig. 4. = Cuv. Val., Hist. nat. pl. 586.

Il capo è nudo ; la linea laterale non è interrotta; le squame sono grandi; il corpo è compresso ed allun-, gato. Contansi tutt al più 50 squame nella linea late- rale, 15 raggi divisi nella dorsale ed 11 nell’ anale. I lobi caudali sono prolungati. Le pettorali portano una macchia nera verso l apice ed un’ altra più piccola alla base. Il tronco ch’ è verdastro o rossastro, porta dietro alla pettorale una fascia trasversale obliqua ce- leste, orlata di rosso e più o meno distinta. La dorsale porta nel mezzo una fascia longitudinale bruna; una

simile scorre lungo la base dell’ anale. IT capo è varia- mente percorso da linee celesti.

\

8 bee 9 5 A. i ?_ Sq. 28-50, Vert. 25.

L’ esame di un esemplare mi condusse al SEGUeso indici.

Indice dell’ altezza del corpo. . 21,0. » della lunghezza del capo. 20,6. » dello spazio preorbitale . 7,4. E) 29 interorbitale. 4, Db. » dell'orbita . . . lb,

Risso, Hist. nat. IHÉ, 512, Lulis birth pera laete vi- ridi aurato; quae fascia ct rubra, margi- nata pictis.

Cuvier, Regn. anim. Il. Poiss. pl. 87, lulis pavo.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 377 e 422, I. pavo, 1. Blochii.

Bonaparte, Cat. met. pag. 86, spec. 777, Chlorichthys pavo. .

Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 179, lulis pavo.

145

XVII. Xyrichthys novacula Cuv. Ved. fig. Cuvier, Regn. anim. Il. Poiss. pl. 89, fig. 5. (Cuv. Val.,

Hist. nat. pl. 591.

Le prime due spine sono flessibili; notansi alcune poche squame rudimentali sotto all’ orbita. Le ventrali sono appuntate e si estendono fino all’ ano. Il pesce è roseo con striscia verticale azzurra su ciascuna squama; il capo porta numerose linee verticali celesti. L’ anale è ornata di linee oblique, la codale di linee verticali ondulate. Il ventre porta una macchia argentea.

9 11-12) L’ esame di un esemplare mi condusse ai seguenti indici. Indice dell’ altezza del corpo . . 27,8. » della lunghezza del capo . 20,4. » dello spazio preorbitale . . 12,6. ”» » interorbitale . 5,6. dell'orbita (li 4. Bonaparte cita nel suo Catalogo metodico tra i sino- nimi dello Xyrichthys novacula, la Novacula coryphaena del Risso (Hist. nat. III, 554). Bonaparte non sarebbe caduto in quest’ errore, se avesse letto attentamente i caratteri attribuiti dal Risso alla sua Nov. coryphaena; la sola formula dei raggi delle pinne (D. 38, A. 25) avrebbe dovuto bastare a farlo cambiare d’ avviso. Plinio, Hist. nat. lib. XXXII, cap. II, Novacula. Rondelet, De pisc. lib. V, cap. XVII, pag. 146, De No- vacula pisce. Aldrovandi, De pisc. lib. Il, cap. XXVII, pag. 205, De pectine Romanorum. Artedi, Synonim. pisc. pag. 28.

A. d; Sq. 1 1 26-27, Vert. 23.

144

Bonnaterre, Tabl. encyclop. pag. 59, pl. 33, fig. 127, Coryphaena novacula; Encycl. method. 327.

Lacepède Hist. nat. V, 262.

Cuvier, Regn. anim. Lu. Poiss. pl. 89.

Cuv. et Val., Hist. nat. XIV, 37, pl. 591, Xyrichthys cultratus.

Bonaparte, Cat. met. pag. 86, spec. 779, X. novacula.

Nardo, Prospetti sistematici, pag. 89.

Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 169, Novacula cultrata.

Gemmellaro , Ittiologia del golfo di Catania, Atti del- I’ Acc. Gioenia, ser. II, tom. XIX, pag. 146 ( Sici- liano, Pettini).

Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.

Perugia, Catalogo, pag. 20, spec. 261.

SOPRA ALCUNI CRANE ANTICHI SCOPERTI NEL TRENTINO ENEL VENETO PER

iriovanni Canestrini

H. avuto recentemente dal civico Museo di Rovereto per mezzo de’ miei egregi amici F. Menestrina, farma- cista, e F. Zeni, distinto naturalista, tre crani scoperti in una tomba presso Rovereto; un altro mi fu gentil- mente comunicato dal cav. Ed. De Betta, proveniente da uno scavo fatto nei dintorni di Verona.

Mi sembra che questi crani siano di qualche interesse pegli antropologi e perciò ho creduto opportuno di illu- strarli e descriverli.

I. Crani di Rovereto

Ved. Tav. V.

Intorno alla loro scoperta il sig. F. Zeni mi comunica quanto segue: « Il 15 marzo 1864, nella campagna del sig. Filippo Jacob, detta ai Sabbioni alti, situata fuori della citta di Rovereto, oltre il pubblico passeggio a settentrione, smovendo la terra, i lavoratori imbatte- rono in alcune tombe, le quali, progredendo nello scavo, ascesero a 10-12. Andato sul luogo, vidi, che erano

9

146

formate per la maggior parte di semplici pietre, mes- sevi senza cemento ed ineguali, altre constavano di te- gulae (ossia embrici ), mattoni a risalto. La terra vi era penetrata tanto da colmare ogni vacuo ed ogni foro. Desse davano l’ idea d’ un sepolcreto di persone certa- mente non agiate, e, le pietre, i mattoni porta- vano lettere od ornati. Vi rinvénni monete da 23 anni av. Cr. fino a 595 anni dopo Cr., una rozza fibula, delle bullette di bronzo, dei pendenti di vetro azzurro legati in bronzo, un frantume di pettine di osso di cervo, una perla forata in smalto giallognolo, una daga lunga 44 centim. e larga 4 1]2 centim., una fusaiuola cotta al sole, ed un’ altra cotta al forno e fatta al torno. Uno dei cranj lo trovai in tomba a pietre unite senza cemento, gli altri due in tombe ad embrici » (1).

Il prof. P. Strobel, trattando di queste stesse tombe, aggiunge che tra le due fusaiuole saddette una è di pasta simile a quella delle stoviglie dell’ epoca prero- mana del ferro; | altra di argilla ben cotta, come la pasta delle figuline romane (2).

Le notizie precedenti possono indurci a riferire i crani roveretani all’ epoca romana; resta ora a vedersi se debbano essere considerati come romani o meno.

Questi crani appartengono l’ uno ad un maschio adulto di circa 55 anni, l altro ad una femina adulta di circa 50 anni, ed il terzo ad un individuo giovane di circa 10 anni. Tale diversità nel sesso e nell’ età è per noi di molto interesse, imperocchè ci permette di stabilire le differenze sessuali e di età, cui andava soggetto il cra- nio del popolo antico di cui si tratta.

(1) F. Zeni, Manoscritto. _ (2) P. Strobel, L’ Adige, anno II, numeri 519, 520.

» 147 a. Cranio maschile

Dapprima ci occuperemo del cranio maschile adulto, perchè in esso, più che negli altri, dobbiamo aspettarci di rinvenire i caratteri distintivi della nazione di cui faceva parte. Esso è completo, se si faccia astrazione da alcuni denti che sono mancanti nella mascella supe- riore che nell’ inferiore, e dalle ossa nasali, alle quali manca la parte apicale. Ciò che colpisce | occhio a tutta prima, guardando il cranio di faccia, si è il forte svi- luppo delle arcate sopraciliari, per cui la radice del naso apparisce profondamente impressa sotto al frontale. Le orbite s’ accostano assai alla forma quadrangolare, ed è notevole la grande differenza che esiste tra il dia- metro, che dalla metà del margine superiore dell’ orbita va alla metà del margine inferiore della medesima, e che chiameremo diametro verticale ( = 530,5 ), ed il diame- tro orizzontale ossia esterno-interno (= 42,2). La fronte è stretta, ma alta ed elegantemente inarcata con curva regolare. Nella mascella inferiore, l’ apofisi mentoniera è mediocremente sviluppata; la linea obliqua esterna e la miloidea sono robuste, per cui doveano essere forti i muscoli che vi si inserivano, ed è profonda la doccia del lembo anteriore racchiusa dalle predette linee. Ro- busta è inoltre l’ apofisi coronoide e mediocremente sviluppata 1’ apofisi genia. Dell’ età avanzata dell’ indi- viduo, a cui accennano tutti gli altri caratteri, ci è te- stimonio anche il grande angolo della mascella. La fossa canina è larga e piuttosto profonda. La faccia deve dirsi corta, ma tale cortezza devesi unicamente alla breve distanza che corre tra la radice dei nasali e la spina nasale, mentre la linea che congiunge questa spina col- l'apice del mento è di lunghezza mediocre. Manca la sutura frontale e le gobbe frontali sono quasi intera-

148

mente dileguate, per cui la glabella rappresenta uno spazio distintamente triangolare colla base in alto ed il vertice in basso.

Guardando il cranio di profilo, due sono le cose che risaltano e che meritano di essere menzionate, cioè la dolicocefalia della forma e la notevole sporgenza dello occipite. La, sutura coronale è in parte scomparsa nella sua porzione laterale ed inferiore. Le apofisi mastoidee sono mediocremente voluminose ed assai rugose; se il cranio, privo della sua mascella inferiore, sia posto so- pra un piano orizzontale, le dette apofisi non raggiun- gono il piano citato. La fossa temporale è profonda, e la grande ala della sfenoide, che prende parte alla for- mazione della medesima, è ricca di scabrosità.

Se si guarda il cranio dal di dietro, si osserva, che la porzione posteriore della sutura sagittale va scompa- rendo, mentre incomincia a dileguarsi anche la sutura lambdoidea verso il punto più elevato del suo corso. La protuberanza occipitale è leggermente sviluppata, è invece di notevole robustezza la cresta occipitale esterna.

Se guardiamo il cranio dal disotto, vediamo il foro occipitale in posizione normale, con un diametro antero- posteriore di mill. 36 172 ed un diametro trasversale di mill. 54 12. Se congiungiamo con una linea retta gli apici delle apofisi mastoidee, questa passa innanzi al centro del grande foro occipitale e lascia dietro di se una notevole porzione dei condili occipitali.

La vista del cranio dal disopra nulla offre che meriti di essere notato; solo osserveremo che le gobbe parie- tali compariscono poco marcate.

Se la circonferenza orizzontale del cranio viene tagliata da due linee che elevino perpendicolarmente dai meati uditivi, si troverà divisa in due parti disuguali, tra cui l’ anteriore è mollo minore della posteriore, misurando quella millimetri 245, questa mill. 273.

149

Le misure prese sopra questo cranio mi condussero al seguenti risultati. Lunghezza del cranio, dalla sutura nasale

“all OCcIpite ssi ot. Rina 1847, Larghezza del cranio tra le o: parietali » 151.

”» ”» figura È centri delle

squame temporali. . . . . » 152. Diametro bilaterale ( maggior diamo

trasversale)... .. .0. E TI)

Altezza del cranio, dal margine anteriore del grande n occipitale al vertice » 148.

Circonferenza orizzontale... . » BIS. Distanza in linea retta tra i punti i della sutura sagittale. . /. . .. » 121.

Distanza in linea retta tra il margine an-

ter. del grande foro pi e la

sutura nasale. i... AD 10 Distanza in linea retta tra il lneiine po-

steriore del grande foro occipitale

e la punta anteriore della sutura sa-

gittale . ELIO RENE 150. Lunghezza dell’ arco tra un foro eo el'altro peli vertice 0000. iVioni »l 343:

Lunghezza dell’ arco frontale . . . . » 127. Larghezza del frontale tra i punti estremi

della coronale . . . . » 114. Larghezza del frontale tra le lince semi-

circolari, sopra le orbite . . . 95. Larghezza della faccia tra le arcate Liga

matiche .-. . . ata? 151. Lunghezza della faccia tra La Sutra na-

sale e la. punta del mento. . . . » 108. Diametro verticale dell’ orbita . . . . » 30,5.

”» orizzontale BOSIO si 209,

Indice della larghezza, ossia diametro bila-

150

terale, supposto uguale a 100 il dia- metro antero- e Re inzio ie Indice dell'altezza . . . IVA SE) SAP7: La delicatezza del cranio non permette di misurare la capacità coi metodi ordinariamente usati. Se però cerchiamo di determinarla col metodo proposto dal Broca, riceviamo un valore approssimativo che la Tappriescnta, di 1655 centim. cubici.

b. Cranio feminile

Il cranio feminile di Rovereto differisce in parecchi rapporti dal precedente. Se lo si osserva di faccia, si vede, che le arcate sopraciliari sono solo leggermente indica per cui la sutura nasale risulta più accostata che nel maschio alla generale superficie della faccia. Le orbite avvicinano alla forma circolare, essendo il dia- metro verticale uguale a mill. 33,5, ed a mill. 37,5 il diametro orizzontale. La fronte è relativamente al- quanto più stretta fra le linee semicircolari. Nella ma- scella inferiore, l’ apofisi mentoniera è ben sviluppata, ma le linee obbliqua esterna e miloidea sono debo- lissime. E inoltre leggermente sviluppata l’ apofisi ge- nia, e la fossa canina è assai poco profonda. La faccia è mediocremente lunga; manca ogni traccia di sutura frontale; le gobbe frontali sono distinte.

La vista del cranio di profilo ci dinota, come nel precedente, la distinta dolicocefalia e la notevole spor- genza dell’ occipite. La sutura coronale è chiara in ogni sua parte, le apofisi mastoidee sono piuttosto deboli, fossa temporale è profonda con molte scabrosità della . sua parte interna.

la sutura sagittale, la lambdoidea tendono a dileguarsi; la protuberanza occipitale è leggerissima, ed appena accennata è la cresta occipitale esterna.

»

151

Il grande foro occipitale è spinto molto in avanti, in guisa che, se riuniamo insieme con una retta gli apici delle apofisi mastoidee, questa retta passa pel centro del predetto foro, e lascia quasi interamente innanzi a se i condili occipitali.

Guardando il cranio dal disopra, notasi una leggera as- simmetria, essendo la gobba parietale destra alquanto sti- rata in avanti, in confronto della gobba parietale sinistra.

Le misure prese sopra questo cranio condussero ai seguenti risultati.

Junghezza"del'erapio tt. mill. 472; Larghezza del cranio tra le gobbe parietali » 126.

”» » trai centri delle squa-

Mete porali!ti 819. CISITeRO 10090 Diametro bilaterale (maggior diametro

trasversale)... . Rio 3. Altezza del cranio, nel senso ii Wielcher! LUI, Circonferenza o LS ORERO, RAR 405 Distanza in linea retta tra i punti estremi

della sutura 'sagittale. 0 0.0.0. 00» 105.

Distanza in linea retta tra il margine an-

ter. del grande foro i) e la

sutura TE PIA ARRALI, II RRGEGR AA DAR, 93. Distanza in linea retta tra il ILICE po-

ster. del grande foro occipitale e la

punta anter. della sutura sagittale . » 155. Lunghezza dell’ arco tra un foro uditivo

ciltaltro? pellivertice SR 2901 Lunghezza dell’ arco frontale . . . . » 122. Larghezza del frontale tra i punti estremi

della coronale . . . . CLERO Lidi: Larghezza del frontale tra le lie semI-

circolari, sopra le orbite . . . » 87.

Larghezza della faccia tra le arcate Lio Magiehe) Sir RO e id, 121.

152

Lunghezza della faccia... . . . . mill. 115. Diametro verticale dell’ orbita . . . . » 533,5. » orizzontale EL Vi IVO 22, 97,5. Indice della larghezza. . . /.... » 77,5. » dell'altezza. . . ”» 72,6.

Se anche di questo cranio si calcola la capacità col metodo di Broca, si giunge al valore approssimativo di 1241 centim. cubici.

c. Cranio infantile

Le dimensioni che offre questo cranio, poco possono interessarci, in questo studio antropologico, avendo il medesimo tutti 1 caratteri giovanili, i quali in gran parte cancellano i distintivi delle razze e delle naziona- lità. Faremo perciò notare solamente le seguenti tre dimensioni.

Lunghezza del cranio . . . . . . . mill. 164.

Larghezza del cranio tra le gobbe parietali » 151,5.

Altezza del cranio, nel senso di Welcker » 129.

Faremo osservare ancora, che manca ogni traccia di sutura frontale, quantunque si tratti di individuo assai . giovane; che il cranio offre una notevole assimmetria, es- sendo la gobba parietale sinistra portata notevolmente in avanti, in confronto della gobba parietale destra; che in fine vi esistono tre ossa wormiane distintamente sviluppate, il primo nel mezzo circa della porzione si- nistra della sutura coronale, il secondo sulla sutura lam- © bdoidea, al lato sinistro, a due centimetri circa di di- stanza dall’ angolo superiore dell’ occipitale, ed il terzo sulla stessa sutura, al lato destro del cranio, e ad un centimetro circa di distanza dall’ angolo predetto del- l’ occipitale.

f

1535

Ora che conosciamo i caratteri di questi crani, po- tremo fare qualche confronto di questi con altri già conosciuti e descritti.

Innanzi tutto vogliamo confrontare il cranio maschile di Rovereto con quello di San Polo, da me illustrato e descritto nell’ Annuario della Società dei Naturalisti di Modena, anno ll.° tav. 1.*, pag. 1. Tale confronto è consigliato dalla uguale o quasi uguale antichità di que- sti due crani. Il seguente specchietto servirà all’ uopo. Notisi che gli indici sono i valori delle dimensioni, sup- posta uguale a 100 la lunghezza del cranio.

| Cranio {Cranio masch. {

i di S. Polo | di Rovereto /Dimens 1. Dimens. Lal i assolute ul RR] micio: Lunehezzaddeliicranio >. i... ll ld 106 100 $ 181 | 100 | Diametro bitemporale . . . . ....% 157 69,8Î 451 72,5 | » verticale . . c - | 145 72,9) 448 81.7 | Larghezza del frontale tra i punti. più di- ] i - stanti della sutura coronale . . . .% 12% 65.21 144 62.9 | Lunghezza dell’ arco frontale . . . .| 129 65,8f 127 70,9 | » » » tra un foro uditivo Ì i j e l’altro pel vertice . . . ..|. 349 | 4178 515 | 17532) Distanza in linea retta tra la radice dei | È | nasali ed il centro della coronale . . i 115 58,0] 410 60,7 | Distanza in linea retta tra i punti estre- - È i mi della sutura sagittale . . . IONDLIO7: 64,7% 121 66.8 |

Distanza in linea retta tra il margine an- ; |

teriore del grande foro ‘occipitale e | j

fa sutura nasale . . . .j 103 52,51 104 37,4 | Distanza in linea retta tra il margine po- i

steriore del grande foro occipitale e | I

la punta anteriore della sut. sagittale | 155,5 | 79,5 156 86.1 | Larghezza della faccia tra le arcate zigo-

mMaviehe gt. De ed | 67,8 151 72,91

Da questo UA devesi inferirè quanto segue.

1. Il cranio roveretano è, assolutamente, assai più corto del reggiano.

2. L'indice del diametro bitemporale in quello è no- tevolmente maggiore che in questo.

5. Il cranio roveretano è eminentemente alto, para- gonato col reggiano.

4. La fronte in quello si eleva a maggiore altezza che in questo.

154

5. L'indice della larghezza della faccia, nel cranio roveretano, è considerevolmente maggiore che nel cranio reggiano.

Ho potuto confrontare il cranio di Rovereto con uno tra quelli scavati nella piazza reale di Modena nell’ au- tunno 1865 e riferibili al 4.° o 5.° secolo della nostra éra. La seguente tabella porta alcune misure pei con- fronti opportuni.

Cranio Cranio rover. masch.j modenese

Dimens. .__| Dimens. ; assolute |Indic assolute I Indico

Lunghezza ide] fera DONARE 181 100 185 | 100 Diametro bitemporale . ./.0/./.... 154 72.5 135 72.6 Alza caleino Poi dele Seo 448 84.7 158 784

Larghezza della fronte tra le linee semi- È : CILCOAFIA NO e MEA ARi eroe 95 54,3 95 50,8

Queste misure c’ insegnano, che il cranio roveretano accosta al modenese antico per la sua lunghezza asso- luta, pel suo indice cefalico e per la larghezza assoluta e relativa della fronte; ma allontana dal medesimo per la sua grande altezza verticale. Potei inoltre rile- vare dal confronto dei due cranit, che il primo è più largo tra le arcate zigomatiche ed ha una fronte assai più elevata del secondo.

Ora possiamo domandarci, se il cranio roveretano possa dirsi romano. i)a notizie gentilmente fornitemi dal distinto nostro antropologo G. Nicolucci, e da quanto espose il dott. Antonio Garbiglietti nel Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino numeri 15, 14 e 15 del 1866, rilevo, tra altri, i seguenti caratteri del cranio romano.

Î. Brevità relativa del diametro verticale. Questo dia- metro, secondo Nicolucci, non supera quasi mai i 140 millimetri.

II. Indice cefalico che oscilla fra 75 e 78 (secondo Nicolucci ).

159

II. Distanza tra i due zigomi oscillante fra i 118 e 120 millimetri (secondo Nicolucci).

IV. Ragguardevole depressione della sommità del cra- nio ( Garbiglietti ).

Ora il cranio maschile roveretano offre un diametro verticale assai elevato, cioè di mill. 148, ed inoltre la larghezza della faccia, essendo di mill. 151, supera di molto quella dei crani romani. Le osservazioni sopra esposte c’ insegnano, credo, chiaramente, che i crani di Rovereto sono diversi da quello di S. Polo, da quello della piazza reale di Modena ed infine dai crani romani.

In seguito a questi' risultati negativi, cercai di scio- gliere la questione confrontando i crani antichi di Ro- vereto con moderni della stessa località. Î signori Me- nestrina e Zeni me ne procurarono tre di questi ultimi, due di bambini ed uno di femina adulta. Quest’ ultimo concorda benissimo col femminile antico, come rilevasi dall’ annessa tabella.

Cranio | Cranio | ant.fem.frec.fem.

di Rovereto

Lunghezza del cranio . . SR A OZ 172 174 Larghezza » » tra le gobbe varietali UR 126 126

» » » tra i centri delle squame temporali "131 451 Maggior diametro trasversale... . . 0... 3 155 155 ATTEZZIMO CICERO NN O AE ORO OLO 125 124 Circonferenza orizzontale . . - E 492 4992 Distanza in linea retta tra i punti estremi della sutura

sagittale . . ; 105 99 Distanza in linea retta tra” i margine anteriore del

grande foro occipitale e la sutura nasale... . . 95 9

Distanza in linea retta tra il margine posteriore del grande foro occipitale e la punta anteriore della

sutura sagittale . . . : SU Ina ; 159 157 Lunghezza dell’ arco frontale. . . 5 122 127 Larghezza della fronte tra le linee semicircolari sopra

LeFORDITE RANE AREA 37 91 Larghezza della faccia tra ‘le arcate zigomatiche CNRS 121 121 Maggior diametro verticale dell’ orbita” AO I STIRO 99,ò 611

» » orizzontale » DR TIFOSO <57,5 38 Rate Cali Ara eZzZA o eee oo 771,5 78,7

» dell’ altezza . 72,6 70,7 Capacità craniana approssimativamente, ‘centim. ‘cubici . È 424 1259

156

Vediamo ora il risultato che si presentò in seguito all’ esame di crani maschili del Trentino, tra cui ne misurai uno di Trento, due di Vervò nella Valle di Non e tre di S. Romedio della stessa valle. La seguente ta- bella offre il risultato de’ miei confronti. Nella prima rubrica trovansi le misure del cranio antico maschile di Rovereto, nella seconda i limiti di oscillazione osser- vati nei predetti crani; la terza offre la media risultante dalle sei osservazioni.

= | Crani trentini Ss £ moderni maschili SS Bal SI: ; E Ei Oscillazioni Medie Lunghezza del cranio. . . Pon] ENI 168-178 173 Larghezza tra le gobbe D RRIelani LI RELARE - | 131 127-159 134 » tra i centri delle SAURO temporali . 1 132 122-140 132 Diametro bilaterale . . . gno onto] Ao 152-151 142 INITEZza NA elFcra nio OR IS 150-154 151 Circonferenza orizzontale . . . . | 518 915-529 | 518 Distanza in linea retta tra i PUDA estremi della ) sutura sagittale . . . . | 121 108-114 141 Distanza in linea retta tra il margine ant. del grande foro occipitale e la sutura nasale. . { 104 92-101 96 Distanza in linea retta tra il margine post. del grande foro occipitale e la punta ant. della SUTURA RO NS IU 145-148 146 Lunghezza dell’ arco frontale . . . . | 127 150-157 154 Larghezza della fronte tra le linee semicircolari . | 99 95-105 97 » » faccia tra le arcate zigomatiche . | 151 120-157 | 451 Indice della larghezza. +... 75.1 78- 89 82 » dellialtezza LO e AR 81,7 72- 80 75

Ù

Da questa tabella si vede, che il cranio maschile an- tico di Rovereto concorda in molti rapporti coi crani trentini recenti. Solo due differenze risultano chiara- mente dai numeri citati, e sono le seguenti:

1. Il cranio roveretano antico offre un indice cefalico minore dei crani trentini recenti; esso è più allungato e più stretto di questi.

2. Il medesimo ha un’altezza che supera la media osservata nei crani trentini recenti, quantunque tra que-

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sti sianvi delle forme che s’ accostano assai a quella che presenta il primo.

Non ostante queste differenze, dopo qualche esitazione, credo di dover riferire anche il maschio antico di Ro- vereto al tipo indigeno trentino; specialmente fui in- dotto a tale conclusione dal vedere che anche attual- mente vi esistono dei crani di elevata altezza, come p. e. la offre uno di Vervò, il. quale essendo lungo soli mill. 168, è alto mill. 154.

Concludo perciò colle seguenti asserzioni che credo ben fondate negli studi che precedono:

1. Ì cranj antichi roveretani vanno riferiti agli anti- chi abitatori del Trentino, dai quali discesero gli abi- tanti odierni.

2. Gli abitatori del Trentino durante epoca a cui risalgono le tombe scoperte a Rovereto, erano dolico- cefali. o

5. A contatto con altri popoli, e specialmente coi Ro- mani e Veneti di cranio piuttosto corto e basso, in se- guito all’ incrociamento con questi, il cranio trentino si fece più corto e più basso, ed assunse que’ caratteri che offre oggidi, i quali lo collocano nella serie dei po- poli brachicefali.

4. Tuttavia osservasi anche a’ nostri giorni qualche tipo che concorda quasi perfettamente coi crani antichi di Rovereto, ed è probabile, come lo fa supporre il caso da me osservato, che il tipo antico siasi mantenuto più puro nelle regioni settentrionali e montuose del Trentino, anzichè nella parte meridionale.

5. Il cranio feminile sembra aver subito delle modi- ficazioni leggerissime.

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II. Cranio di Verona

Ved. Tav. V. bis.

Questo cranio è stato trovato nell’ escavo della Fossa maestra presso Verona alla profondità di metri 5 1]2 sotto il piano della Valle in uno strato di terriccio nero. Non posseggo più dettagliate notizie intorno alla giaci- tura di questo avanzo umano.

L’ egregio mio amico cav. Edoardo De Betta volle comunicarmelo per oggetto di studio ed io sono lieto di poterlo illustrare, giacchè i caratteri che presenta lo rendono interessante pegli antropologi.

{l cranio antico veronese appartiene ad una donna di circa 54 anni e si fa notare per i seguerti tre ca- ratteri. i

1. La fronte è estremamente stretta, in guisa che la sua larghezza sopra le orbite tra le linee semicircolari non misura che mill. 85.

2. ll cranio è anteriormente assai stretto, ed apparisce perciò molto largo nella sua porzione posteriore. Mentre la distanza tra i punti estremi della coronale non misura che 115 mill., il diametro che congiunge i due punti omologhi tra loro più discosti dei parietali conta 159 millim.

5. Manca completamente la sutura sagittale, e la su- tura coronale comincia a dileguarsi nelle sue porzioni laterali inferiori.

Aggiungerò ancora, che il cranio è alquanto assim- metrico, essendo il parietale sinistro più convesso del destro, quest’ ultimo come stiracchiato in avanti.

Ho creduto opportuno di confrontare il cranio antico di Verona con un recente della stessa località, favori-

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tomi, anche questo, dallo stesso De Betta. La tabella annessa ne contiene i risultati.

Si noti però, che sul primo non potei prendere tutte quelle misure che avrei desiderato, non essendo com- pleto. Mancano infatti la mascella inferiore, |’ osso tem- porale destro, la mascella superiore, porzioni delle due orbite ed una parte dei nasali. Se ciò non ostante si trova misurata la distanza tra le arcate zigomatiche, questa dimensione è calcolata coll’ aiuto della metà si- nistra del cranio.

i Cranio I Cranio

i antico Jrecente nia del cranio 180,6 183,9 Larghezza ira le gobbe parietal 156 145 Diametro: bilaterale . ; 159 44 Allezza del cranio i 497 130 Circonicrenza orizzontale . ò . | DI4 327 Distanza in linea retta tra il margine ant. del grande foro occipitale e la sutura nasale ; 98 98 Distanza in linea retta tra il margine post. del grande foro occipitale ed il centro della sutura coronale. 139 146 Lunghezza dell’ arco frontale. 152 122 Larghezza della fronte tra le linee semicircolari 85 96,5 » della faccia tra le arcate zigomatiche 128 128 Maggior diametro verticale dell’ orbita . di 06 » » orizzontale » » RA 99 39 Indicegdelle@blaneheZza e e 76,9 784 DACIA TEZZE e 70,3 70,8

Se si riflette che tra i due crani misurati È antico è di femina vecchia, ed il recente di maschio trentenne, comprenderà cli leggieri, come le piccole differenze che si sono manilestile. possano essere trascurate. A mio parere, l antico cranio veronese appartiene a quello stesso tipo che dimora attualmente a Verona. In questo Weisbach e Nicolucci trovarono un indice cefalico di 82. Da questa media non si scosta molto indice cefa- lico da me notato nel cranio veronese recente, e se al- quanto se ne allontana |’ antico, devesi riflettere che si tratta di un individuo feminile antico che per -soprap-

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più è affetto di precoce ossificazione di alcune sue suture.

Un solo carattere non può essere trascurato, quello che si riferisce alla strettezza della fronte. Ma esso non può essere, da solo, ritenuto carattere di stirpe, sibbene ed unicamente carattere individuale. É poi sommamente probabile, che la strettezza della fronte e la differenza nella larghezza tra la porzione anteriore e la posteriore del cranio, dipendano dalla sinostosi della sutura sa- gittale.

FORMICIDAE NOVAE AMERICANAR

COLLECTAE A PROF. P. DE STROBEL DESCRIPTAE

A DOTT. GUSTAVO MAYR

SEZ TT—__

f. Camponotus PUNCTULATUS N. Sp.

Operaria: Long. 4-7:4 mm. Rufa abdomine nigro, aut rufa capite (mandibulis antennisque exceptis) et abdomine nigris, aut nigra mandibulis, antennis pedibus- que rufis; lhaud copioso pilosa, sparsissime et subtilis- sime pubescens; caput, thorax et petioli squama ut in Camp. sylvatico Oi.; mandibulae sexdentatae, nitidae, sublaeves (subtilissime coriaceae) punctis dispersis, ca- put et thorax densissime et subtiliter reticulato-punctata et subopaca, genae Iinsuper punctis dispersis minutis et occiput postice punctis lineolatis; clypeus acute carina- tus antice vix productus margine antico recto; abdomen nitidum densissime et subtiliter transversim rastratum; tibiae absque pilis abstantibus.

Femina: Long. 11 mm. Rufa, capite postice opaco nigro, antice obscure castaneo-fusco, mandibulis castaneis, antennis laete castaneis, thorace supra subnitido casta- neo, abdomine nitido nigro; sparse pilosa, sparsissime et subtiliter pubescens; caput ut in Operaria; clypei margo anticus in medio paulo emarginatus; thorax su-

10

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pra subtiliter coriaceo-rugulosus, lateraliter partim ru- gulosus, partim dense punctulatus; petioli squama tra- pezoideo-obovata; abdomen subtilissime transversim strio- lato-coriaceum et insuper punctulis dispersis; tibiae absque pilis abstantibus,

Lecrus in provinciis: Cordova (Rio Cuarto), San Luis, Mendoza (Mendoza et San Carlos) et Buenos Ai- res ( Bahia blanca et Carmen de los Patagones); men- sibus aestivis, Decembre usque ad Lars, annis 1865 ad 1867. Srr.

2. CAMPONOTUS BONARIENSIS N. Sp.

Operaria: Long. 6:6-9 mm. Rufo-testacea, nitida, co- xis femoribusque pallidioribus, abdomine nigro-fusco, segmentis 2 anticis plus minusve testaceis, scapis, tibiis et metatarsis saepe fuscis; sparsissime pilosa et pube- scens; mandibulae 5-6 dentatae, subtilissime rugulosae (dentibus laevibus) et punctis dispersis; caput Operariae majoris cum mandibulis subtriangulare, thorace latius, Operariae minoris vero marginibus lateralibus subparal- lelis, subtiliter coriaceum, clypeo et genis dispersissime rude punctatis, fronte punctis nonnullis subtilibus; cly- peus carinatus et antice haud aut parum productus, margine antico in medio recto; scapus capitis marginem posticum superans; thorax subtilissime coriaceo-rugulo- sus et petioli squama ut in Camp. sylvatico Ol.; abdo- men subtilissime transversim rugulosum; tibiae absque pilis abstantibus.

Camponoti sylvatici OI. varietate clara simillima differt clypeo anlice parum producto, pilositate abstante . spar- sissima et brevi (capite et abdomine ante apicem et infra copiosius pilosis) et sculptura subtiliori.

Caprus in locis urbi Buenos Atres propinquis; anno 1866. Sra.

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BRACHYMYRMEX nov. gen.

Operaria: Mandibulae haud latae, ad apicem modice dilatatae, margine masticatorio quadridentato. Clypeus cuculliformis mandibulas partim obtegens, non carinatus, transversim fortiter, longitrorsum modice fornicatus, an- gulo postico rotundato inter antennarum articulationes vix intersertus. Fossa clypealis et fossa antennalis conjun- ctae. Laminae frontales breves. Antennae 9 articulatae&; scapus longus; funiculus articulis secundo ad penultimum funiculi apicem versus sensim majoribus, articulo apicali maximo, incrassato et fusiformi, Area frontalis distincte impressa. Sulcus frontalis tenuis. Ocelli minutissimi. Oculi mediocres, parum convexi, paulo ante capitis late- rum medietatem. Caput postice late emarginatum. Tho- rax crassiusculus, inermis, supra absque strictura, lon- gitrorsum subrectus, antice et postice rotundato-declivis, mesonotum lalius quam longius. Petiolus uniarticulatus supra cum squama inermi rotundata, antrorsum decli- nata. Abdomen, a supra visum, segmentis quinque, ano apicali. Pedes postici calcaribus rectis, simplicibus et haud longis.

Mas: Mandibulae breves, sublineares, apice subacuto, a elypeo obtectae, absque margine masticatorio. Clypeus et area frontalis ut in Operaria. Laminae frontales bre- ves. Antennae 10 articulutae; scapus longus, tenuis; funiculus scapo paulo crassior, articulis secundo ad pen- ultimam subaequalibus, cylindricis, articulo basali lon- giore, crassiore et subclavato, articulo apicali longissimo articulis 2 penultimis ad unum paulo longiore. Ocelli magni, distantes. Oculi magni. Caput in thoracis parte inferiori insertus et inde thorax antice gibbosus. Thorax inermis supra deplanalus; pronotum brevissimum; me- sonotum antice transversim gibbosum; metanotum con-

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vexum, declive. Petiolus uniarticulatus supra cum squama minuta transversa, antrorsum inclinata. Alae antlicae cum cellula cubitali una, discoidali nulla.

5. BrAcHymyRMEX PATAGONICUS N. Sp.

Operaria: Long. 1:35 mm. Fusca, nitida, clypeo ma- gis castaneo, mandibulis, antennis pedibusque plus mi- nusve testaceis; sparsissime abstante pilosa, haud copiose adpresse pubescens; subtilissime coriaceo-rugulosa capite

subtilissime punctulato, clypeo laevissimo.

| Mas: Long. 12 mm. Fuscus, nitidus, mandibulis, an- tennis, thorace pedibusque rufo-testaceis; absque pilis abstantibus; sublaevis; alae subhyalinae costis testaceis.

Invenrus nidus hujus speciei ad ripam fluminis Rio Negro prope Patagones, provinciae Buenos Aires; mense Februario anni 1867. Srr.

4, HyPocLineA HUMILIS N. sp.

Operaria: Long. 2:6 mm. Sordide ferruginea, micans, mandibularum parte apicali flavescenti, abdomine nigro- fusco, tarsis et nonnunquam tibiis testaceis; microsco- pice adpresse pubescens, absque pilis abstantibus; sub- tilissime coriaceo-rugulosa, mandibulis nitidis sublaevi- gatis punctis nonnullis; ciypeus margine antico late haud profunde emarginatus; thorax inter mesonotum et metanotum paulo at distincte constrictus, pronoto fornicato, mesonoto longitrorsum recto, transversim con- vexo, metanoto inermi longitrorsum fornicato pronoto paulo altiori; petioli squama compressa rotundata.

Ad subgenus Iridomyrmex pertinens.

Leera in locis urbem Buenos Aires ambientibus; anno 1866. Sra.

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DORYMYRMEX Mayr.

Operaria: Mandibvlae triangulares margine externo longe curvato, margine masticatorio dentato antice dente magno. Palpi maxillares sexarticulati, articulis primo et secundo brevissimis, articulo tertio longissimo, curvato, apicem versus incrassato. Palpi labiales quatuorarticulati. Clypeus triangularis angulo postico rotundato paulo inter antennarum articulationes intersertus, haud carinatus. Fossa clypealis transit in fossam antennalem. Laminae frontales breves, lineares, parallelae, postice paulo diver- gentes. Antennae 12 articulatae ad clypei marginem in- sertae; scapus longus tenuis; funiculus filiformis articu- lis a basi ad funiculi apicem sensim breviores, articulo basali longissimo et penultimo brevissimo. Area frontalis subtrigona. Oculi ovati in capitis parte superiori sub- aeque distantes a capitis marginibus antico et positivo. Ocelli distincti. Capilis margo posticus haud forte ar- cuatim excavatus, margines laterales parum curvati. Ca- pitis pars inferior circulo pilorum longorum barbata. Thorax inter mesonotum et metanotum constrictus, me- tanoto fornicato supra aut dente aut conulo obtuso. Petiolus uniarticulatus aut cum nodo aut squama. Abdo- men, a supra visum, segmentis quatuor, ano infero. Pedes graciles, calcaribus posticis pectinatis longis.

5. DoRYMYRMEX PLANIDENS N. sp.

Operaria: Long. 6-64 mm. Ochracea, nitidissima; palpi copiose, mandibulae et clypeus sparse pilis longis abstantibus, thorax sparse, metanotum copiosius pilis erectis brevibus, abdomen sparse pilis brevibus abstan- tibus, pedes sparse pilis paulo longioribus modice abstan- tibus et e punctulis nigris orientibus; mandibulae lae-

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vigatae disperse punctatae; palpi maxillaris articulus quintus ante articuli quarti apicem insertus; caput, pro- notum, petiolus, abdomen et pedes laevissima, mesono- tum et metanotum coriaceo-rugulosa; mesonotum elon- gatum; metanotum fortiter elevatum et fornicatum, su- pra dente compresso erecto; petiolus supra cum nodo rotundato, compresso.

Caprus in provinciis San Luis et Mendoza; mensibus aestivis, annis 1865 et 1866. Srr, |

6. DorywyRmEx TENER N. Sp.

Operaria: Long. 5:8-4 mm. Rufa, micans, mandibulis, antennis pedibusque fuscis, abdomine nigro; modice at subtiliter adpresse pubescens, fere absque pilositate ab- stanti; corpus totum subtilissime et dense coriaceo-pun- ctulatum, mandibulis striatis; palpi maxillaris articulus quintus ad articuli quarti apicem inserlus; melanotum subconicum, haud altum, supra conulo minutissimo obtuso, parte basali retro ascendenti, transversim convexa, parte declivi paulo deplanata et descendenti; petiolus supra cum squama ovata infra crassiuscula, supra attenuata.

Inventus frequens ad radices arborum, in aditu mon- tium Andium, inter Mendoza et Santa ftosa de los An- des sito, et ab Uspallata (pron. Uspagliata) nuncupato; mense Januario, anni 1866; altitudine circiter 5000 m. STR.

7. Lasipus STROBELI N. sp.

Mas: Long. corp. 16 mm. long. alae ant. 17 mm. Testaceo-rufus, vertice, mesonoto partim, scutello et petioli disco, nonnunquam etiam pronoto partim et me- tanoto plus minusve infuscatis aut nigricantibus, oculis nigris; copiose flavo-sericeo-adpresse pubescens, caput

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supra, thorax et petiolus infra, abdominis pars postica et coxae dense, thoracis et abdominis dorsa disperse abstante pilosa; caput parvum; mandibulae ad basim subrectae, ante apicem curvatae; laminae frontales bre- vissimae; scapus brevis ocellum lateralem haud attingens, funiculus long. 48 mm.; sulcus frontalis ad ocellum anticum extensus; ocelli in linea curvata siti, laterales in verticis parte altissima; thorax antice supra capitem productus; scutelli discus fere in eodem planitie disci mesonoto; metanoti pars basalis in medio brevissima, lineola brevi indistincta longitudinali, pars declivis sub- verticalis, plana, marginibus lateralibus rotundatis; pe- tiolus abdomine paulo angustior, brevior quam latior, disco convexo, infra tuberculo instructus, marginibus lateralibus parallelis, angulis anticis fortiter rotundatis, posticis rotundato-rectangularibus; abdomen inter seg- menta, praecipue supra, paulo constrictum; alae anticae costis rufo-testaceis, ramo cubitali externo (costa trans- verso-cubitali prima) inter cellulas 2 cubitales sigmoi- deo, costae transversae parte interiore (transverso-cubi- tali secunda) recta, costae cubitalis ramo interno mox in medio conjuncto costae recurrenti et deinde incras- sato, cellula radiali postice acuminata; pedes breves absque pilis abstantibus.

Haec species pertinet ad Westwoodi (Monograph of the Hymenopterous Group Dorylidae) sectionem secun- dam petioli lateribus parallelis haud elevatis atque ad divisionem petiolo breviore quam latiore et pedibus bre- vissimis.

Caprus frequens, in aedibus, nocturno tempore, lu- mine attractus, advolans, in provincits San Luis, Men- doza ( San Carlos) et Buenos Aires (Bahia blanca); mensibus aestivis, Decembre usque ad Februarium, an- nis 1865 ad 1867. Sra.

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8. LaBmus suLcatus n. sp.

Mas: Long. corp. 7:5 mm., long. alae ant. 7 mm. Testaceo-rufus, occipite oculisque nigricantibus; dense flavido-pubescens pilis plerumque adpressis, ad scapum et abdomen postice atque ad pedes abstantibus; mandibu- lae curvatae; scapus ocellum lateralem attingens; laminae frontales fortiter elevatae, parallelae, sulcum frontalem profundum includentes, ante ocellun: anticum extrorsum directae; ocelli in linea curvata siti; thorax altior quam latior, antice modice supra caput productus, postice trun- catus; petiolus supra convexus, quadratus, abdomine vix angustiore, angulis anticis rotundatis, posticis re- ctangularibus paulo acuminatis; abdomen conico-cylindri- cum; pedes breves; alae costis festaceis, costae cubitalis ramo externo. cellulas cubitales separanti, sigmoideo, ramo interno pone inserlionem costae recurrentis in cellulae cubitalis 2. medium vix incrassato.

Lecrus in locis urbi Buenos Aires propinquis; anno 1866. Srr.

9. Eciron NITENS N. sp.

Operaria: Long. 2:8-6:5 mm. Rufa, nitida, mandi- bulis genisque antice obscure castaneis; mandibulae for- titer striatae, margine masticatorio subdentato; caput subquadratum, supra nitidissimum, laevigatum, punctu- lis dispersis piligeris, pilis minutissimis adpressis, absque pilis abstantibus; laminae frontales absque dente recur- vato; scapus disperse punctatus; funiculi articulus ba- salis secundo brevior, articulus secundus tertio vix lon- gior; vertex inermis postice fortiter arcuatim excavatus; oculi nulli; pronotum et mesonotum haud pilosa, nitida, disperse punctulata; thoracis latera et metanotum inerme

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opaca et densissime punctata, partim coriacea; petiolus subliliter coriaceo-rugulosus et disperse punctatus, supra pilis abstantibus nonnullis, segmento antico rotundato- cuboideo, infra dente acuto, segmento postico rotundato- subcuboideo. antico latiori, antice paulo angustiori quam postice et paulo breviore quam latiore, infra antice tu- berculo antrorsum directo; abdomen laeve, nitidum, modice pilosum; pedes graciles, haud dense pilosi, un- guiculis simplicibus.

iv. coeco Ltr. (vastatori Sm. ) simillima differt ungui- culis simplicibus et capite atque thorace vix abstante pilosis, a ceteris speciebus distincta est oculis carentibus, metanoto inermi, tibiis haud compressis et unguiculis simplicibus.

Inventus nidus hujus speciei prope urbem Buenos Aîres; anno 1866. Srr.

POGONOMYRMEX nov. gen.

Operaria: Mandibulae triangulares margine masticato- rio dentato. Palpi maxillares quatuor, labiales tri-articulati (Pog. coarctatus ). Clypeus planus inter antennarum ar- ticulationes intersertus. Laminae frontales breves. Anten- nae 12 articulatae funiculo vix clavato, articulis funiculi secundo ad penultimum longitudine subaequalibus. Area irontalis profunde impressa angulo postico obtuso. Ocelli nulli. Caput infra semicircuio pilorum longorum. Thorax brevis, non constrictus, supra longitrorsum plus minusve convexus, suturis indistinetissimis, metanoto Dispinoso aut bidentato. Petiolus biarticulatus, segmento primo antice pedunculo fortiter compresso, postice supra nodo elevato antice perpendiculariter ascendenti, retro descen- denti, segmento secundo subgloboso aut subcampanulato, infra onco aut tumore transverso. Tibiarum calcaria sim- plicia aut breviter pectinata.

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‘° Femina: Mandibulae triangulares margine masticato- rio dentato. Clypeus, laminae frontales, antennae et area frontalis'ut in Operaria. Caput infra semicirculo pilorum longorum. Thorax brevis metanoto declivi. Petiolus ut in Operaria, nodo postico infra tumore transverso. Alae breves, alae anticae cellulis cubitalibus duabus (?), cel- lula discoidali, cellula radiali completo clausa.

Mas: Mandibulae triangulares margine masticatorio dentato. Clypeus haud longus, parum convexus, postice non intersertus inter antennarum articulationes et mar- gine postico rotundato. Laminae frontales breves, pa- rallelae. Antennae filiformes 15 articulatae; scapus haud longus, oculos superans, capitis marginem posticum vero non attingens; funiculus articulo basali brevissimo, se- cundo longissimo, sequentibus ad funiculi apicem sensim paulo brevioribus, apicali longiore. Mesonotum absque lineis convergentibus. Metanotum obliquum, modice convexum. Petioli segmentum anticum postice nodi- forme, segmentum posticum subcampanulatum. Calcaria postica simplicia.

Ad hoc genus pertinent Myrmica Gayi Spin., Myrmica barbata Smith, Atta crudelis Smith, sequentes species novae, et verisimiliter Formica badia Ltr.

10. PoconomYRMEX COARCTATUS n. sp.

Operaria: Long. 7:5-11 mm. Ferruginea, mandibulis, funiculis abdomineque nigricantibus; copiose (capite pa- rum) haud longe pilosa; mandibulae haud dense stria- tae; clypeus et area frontalis longitudinaliter rugosa; caput nitidum dispersissime punctatum et insuper sub- tilissime et valde superficialiter longitrorsum rugulosum, aut (ad Operariam majorem) plus minusve laevigatum fronte antice et saepe in medio, vertice nonnunquam in medio, genis et capitis lateribus subtilissime et dense

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longitudinaliter striolatis; oculi ante capitis laterum me- dietatem; thorax rude striatus, pronotum antice et me- tanolum transversim, pronotum postice et mesonotum longitudinaliter striata, metanotum spinulis duabus ere- ctis, divergentibus, parum distantibus; petiolus rugulosus; shot laeve.

Caprus in provinciis Santa Fe (Rosario), Cordova (Rio Cuarto) et Buenos Aires ( Bahia blanca); mensi- ‘bus aestivis a Decembre ad Februarium; annis. 1865 ad 1867. Srr.

11. Poconomwrrmex RAsTRATUS n. sp.

Operaria: Long. 6-7:2 mm. Ignea aut ferruginea, se- rieco-micans, mandibulis, antennis, pronoti parte antica collariformi pedibusque nigricantibus; breviter niveo- pilosa; mandibulae striatae; caput supra longitudinaliter striatum, inter strias subtiliter coriaceo-rugulosum, infra laeve et nitidum; oculi paulo ante capitis laterum me- dietatem; pronotum postice et mesonotum longitudina- liter rugoso-striata, pronoti pars aatica collariforme sub- tiliter coriaceo-rugulosa, metanotum transversim striatum spinis duabus oblique sursum et retro ascendentibus cet divergentibus; petioli nodi transversim striato-rugosi; abdomen segmento primo antico et in medio densissime et subtilissime longitudinaliter striato (rastrato), postice saepe striolis extrorsum curvalis, ad marginem posticum et segmentis alteris plus minusve subtiliter et PUBRTE, cialiter coriaceo-rugulosum.

Inventus humi, in planitie vasta Pampa de Canota dicta et in montibus prope Mendoza posita; mense Ja- nuario anni 1866. Srr.

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12. PoGoNOMYRMEX CARBONARIUS N. Sp.

Operoria: Long. 6:5 mm. P. rastrato simillima dif- fert colore nigro, tarsis (metatarsis exceptis) et plus minusve ano fulvis, atque metanoto dentibus 2 trigonis instructo.

Frequens formicetum hujus speciei in planitie vasta, Gran Pampa del Sur appellata; operaria lecta inter ri- vulum subterraneum Agua caliente et torrentem Rio del Diamante nominatum; mense Februario 1866. STR.

\

15. PHEIDOLE ABERRANS N. Sp.

Miles: Long. 45 mm. Flavescens, aut rufo-testaceus, aut plus minusve castaneus, nitidus, mandibulis et saepe partim capite ferrugineis; corpus totum longe et copiose pallide pilosum; mandibulae laevigatae, disperse puncta- tae, ad basim striatae, margine masticatorio nigro; caput thorace et abdomine latius, elongato-quadrangulare inter laminas frontales depressum, margine postico arcuatim excavato; clypeus in medio transversim concavus et sublaevigatus, lateraliter striatus et transversim convexus; laminae frontales dilatatae, longae, oculos superantes, fortiter divergentes et scapos tote ocultantes; scapus brevis lamina frontali paulo brevior; funiculus brevis; area frontalis indistincta; sulcus frontalis tenuis; frons et verticis pars anterior subtiliter et longitudinaliter ru- guloso-striatae, striis postice versus capitis angulos po- sticos flexis, vertex postice carina transversa distinctis- sime arcuata, angulos capitis posticos conjungenti, pone hane transversim et arcuatim carinato-striatus; genae longitudinaliter striatae; oculi minuti; pronotum et me- sonotum ad unum fortiter elevata, utrimque supra. tu- berculo crasso rotundato, inter tubercula rugoso-partim

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arcuatim transverse striato-rugosa; scutellum distinetum, laevigatum, transverso-toriforme; sutura scutello-metano- talis profunde impressa; metanotum spinulis duabus ereclis, paulo extra curvalis, parte basali subtiliter co- riacea, parte declivi sublaevigata, lateribus infra striatis; petioli rugulosi modus anticus transversus margine su- periore parum aut vix arcuatim emarginato, nodo po- stico transverso supra lateraliter rotundato; abdomen laeve.

Operaria: Long. ?:3-2:7. mm. Rufa, nitida, abdomine nonnunquam nigricante; corpus totum longe et copiose pallide pilosum; mandibulae laevigatae punctis nonnullis, ad basim striatae; caput, thorace latius, disco laevigato punctis nonnullis dispersis, ad latera longitudinaliter ru- gulosum et postice rugulis nonnullis transversis; cly- peus longitrorsum striatus, in medio sublaevis; laminae frontales haud lorgae, longitudinaliter striatae, antice mo- dice dilatatae; genae striatae; pronotum antice subtiliter rugulosum, postice transversim arcuato-carinato striatum; mesonotum disco subcirculariter carinato-striato; scutel- lum rugulosum distinctissimum, triangulare et elevatum; sutura scutello-metanotalis profunda; metanotum subti- liter reticulato-punctulatum spinulis 2 erectis, paulo di- vergentibus; petioli nodi subtiliter et superficialiter reticulato-punctati ( coriaceo-rugulosi ), nodi antici margo superior rotundatus, nodus posticus Ref ne o abdo- men laeve.

Inventun formicetum hujus speciei in locis urbi Buenos Atres propinquis; anno 1866. Sr.

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14. PuemoLE coRDICEPS n, Sp.

Miles: Long. 45-48 mm. Testaceo-flavus, nitidus, mandibulis rufis, abdomire fusco; longe pilosus; caput cordiforme; mandibulae laevigatae punctis dispersis, ad basim striatae; clypeus in medio laevis, lateraliter stria- tus, margine antico in medio distincte emarginato; frons, genae et capitis latera longitudinaliter rugosa, vertex laevigatus punctis dispersis piligeris; area frontalis ad foramen occipitale extensa; pronotum postice elevatum utrimque tuberculatum, inter tubercula laevigatum; me- sonotum laeve, postice ante suturam meso-metanotalem profundam toro transverso elevato; metanotum spinulis 2 brevibus erectis, partibus basali et declivi transversim striatis; petioli sublaevis nodus anticus postico vix altior, margine superiore rotundato, nodus posticus transversus utrimque rotundatus; abdomen laeve; pedes pilis longis abstantibus.

Operaria: Long. 5 mm. Flava, nitida, abdomine fu- scescente; longe et copiose pilosa; mandibulae laevigatae punctulis dispersis; clypeus margine antico in medio emarginato; caput laevis genis striatis et fronte antice Inter laminas frontales et aream frontalem rugulis non- nullis longitudinalibus; pronotam antice rugulis nonnullis transversis, postice laeve; mesonotum laevigatum, in medio carina transversa utrimque subdentiformi; sutura meso-metanotalis impressa; metanotum spinulis 2 brevi- bus erectis, parte basali reticulatim punctulata et rugu- lis nonnullis transversis, parte declivi transversim striata; petioli nodus anticus nodo postico paulo altior margine superiore rotundato, nodus posticus transversus, utrim- que rotundatus; abdomen laeve; pedes pilis longis ab- stantibus.

Haec species simillima est P. laevigatae Mayr, et Miles

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P. cordicipitis diflert corpore majori, pilositate copio- siore et multo longiore, toro mesonoti fortiter promi- nente, metanoto transversim striato et spinulis metanoti verticalibus nec non brevioribus. Ceterae species Ame- ricae meridionalis differunt a P. cordicipite in hoc modo: P. cephalica Smith capite maximo quadrato et petioli nodo secundo lateraliter conulis instructo, P. opaca Mayr, diversa Smith, fimbriata Roger, chilensis Mayr et cu- baensis Mayr vertice haud laevi; P. flavens Roger sulco frontali nullo, P. praeusta Roger et fimbriata Roger capite elongato quadrangulari lateribus parallelis, petioli segmento secundo lateraliter angulato.

Invenrus nidus hujus speciei prope urbem Buenos Aîres; anno 1866. Srx.

13. SoLENOPSIS PARVA N. Sp.

Operaria: Long. 1:6 mm. Flava, nitida, capite postice et abdominis fascia elute paulo fuscescentibus; sparsis- sime abstante pilosa, tibiis pilis brevibus subadpressis; caput laeve; mandibulae laevigatae et dispersissime pun- ctatae, dentibus distinctis quatuor fuscis; clypeus bicari- natus et bidentatus; thorax inter mesonotum et meta- notum constrictus; petiolus nodo antico postico altiore, nodo postico rotundato, a latere viso angulato.

Lecra prope urbem Mendoza; mensibus aestivis, a Decembre 1865 ad Martium 1866. Sra.

16. CRYPTOCERUS QUADRATUS N. Sp.

Operaria: Long. 5-8 mm. Niger, micans, capite antice paulo rubescenti, antennis pedibusque rufo-testaceis, abdominis segmento primo maculis quatuor minutis fla- vis (2 anticus et 2 posticis); apsque pilis abstantibus, sed pilis minutis albicantibus e punctis orientibus obtecta,

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abdomine subnudo; caput quadrangulare, rude puncta- tum, pronoto aequilatum, paulo longius quam latuis, antice concavum utrimque marginibus acutis crenulatis, angulis anticis rotundatis, posticis rectis, marginibus la- teralibus parallelis; fossa antennalis profunda, brevis, ad oculi marginem inferiorem extensa; laminae frontales indistinctissimae; oculi pone capitis laterum medietatem, sed a capitis angulis posticis magis solito remoti; vertex carinula transversa; thorax punctis ocellaribus dense obtectus, antice latuis quam postice; pronotum retro ascendens utrimque dente minuto: mesonolum supra et metanoti pars basalis ad unum transversim paulo convexa, longitrorsum recta, horizontalia; sutura meso-metanotalis tenuis; mesonotum utrimque tuberculo subtriangulari obtuso; metanotum utrimque dente brevi obtuso crasso, parte basali transversa, postice inter dentes leviter et late emarginata, parte declivi perpendiculari et laevigata; petioli nodi utrimque dente acuto recurvo, nodus po- sticus antico latior; abdomen elongatum densissime punctulatum, antice emarginatum angulis anticis non laminatis.

Caprus in pastibus latifundii (estancia ) Salvador dicti, prope urbem San Luis; mense Decembre 1865. Srr.

Vindobone, mense Aprile 1868.

ENUMERATIO FORMICIDARUNM, quas P. STROBEL

in ARGENTINIA MERIDIONALI COLLEGIT,

a G. MAYR pISTINCTARUM

INDICATIONE ADJECTA EARUM HABITATIONUM

Camponotus sonariensis Mayr, n. sp. Prope Buenos Aires. mus Rog. In provinciis: Cordova (Rio Cuarfo), San Luis et Mendoza (San Carlos) mensibus aestivis, Decembre usque ad Martium. puncTuLATUS Mayr, n. sp. In provinciis: Cordova (Rio Cuario), San Luis, Mendoza (Mendoza et San Carlos) et Buenos Aires (Bahia blanca ac Patagones) mensibus aestivis a Decembre ad Martium.

Brachymyrmex praraconicus Mayr, n. sp. Midus; in provincia Buenos Aires (atagones) mense Februario.

Prenolepis ruva Mayr Operaria et mass prope Buenos Aires.

Hiypoclinea rsumus Mayr, n. sp. = Prope Buenos Aires.

Dorymyrmex rnivescens Fab. Femina et mas; in pro- vincia Buenos Aires ( Patagones) et prope Mendoza men- sibus aestivis, Decembre usque ad Martium.

PLANIDENS Mayr, n. sp. In provinciis San Luis et Mendoza mensibus aestivîs.

TENER Mayr, n. sp. In provincia Mendoza ( Uspallata) mense Januario.

Ectatomma quapripens Fab. In provincia San Luis ( Sal- vador ) mense Decembre.

T.abidus Srroseli Mayr, n. sp. In provinciis San Luis, Men- doza (.San Carlos) et Buenos Aires (Bahia blanca) men- sibus aestivis a Decembre ad Februarium. -

suLcaTus Mayr, n. sp. Prope Buenos Aires.

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Eciton nrens Mayr, n. sp. Formicetums prope Buenos Aires. Atta Luni Guér. Niduss in provincia Buenos Aires (in urbe Buenos Aires et prope eam; Bahia blanca, Patagones) mensibus aestivis. sexpENS L. prope Santa Fe. stRIata Rog. In provinciis Santa (Rosario), Cordova ( Zio Cuarto), Mendoza (Estacada, San Carlos) et Buenos Aires ( Bahia blanca, Patagones) mensibus aestivîs. Pogonomyrmex carsonarius Mayr, n. sp. Formicetum; in provincia Mendoza (Gran Pampa del Sur) mense Fe- bruario. coarcratus Mayr, n. sp. In provinciis Santa (Rosario), Cordova (Rio Cuarto) et Buenos Aires (Bahia blanca) mensibus aestivis, Decembre usque ad Februarium. RASTRATUS Mayr, n. sp. in provincia Mendoza ( Zampa de Ca- nota) mense Januario.

Pheidole aserrans Mayr, n. sp. Niduss prope Buenos Aires. corpiceps Mayr, n. sp. Formicetumys prope Buenos Aires. Solenopsis cemnara Fab. Niduss in provinciis Cordova

( Rio Cuarto), San Luis, Mendoza ( Estacada, Manantial del Atuel) et Buenos Aires ( prope urbem Buenos Aires, Bahia blanca, Patagones) mensibus aestivis. PARVA Mayr, n. sp. Prope Mendoza -— mensibus aestivis. Cryptocerus quapratus Mayr, n. sp. In provincia San Luis (Salvador) mense Decembre.

Parme, mense Majo 1868.

SULLA GENERAZIONE

DEL

PHOLCUS PHALANGOIDES WALCK.

NOLA DEL DOTTOR PAOLO BONIZZI

( Letta nella seduta del 9 marzo 1868)

O_o TTT

Ana frequente è questa specie di aracnide nelle no- stre case, sulla quale ho potuto fare le seguenti osser- vazioni.

Nel giugno dello scorso anno presi una femmina e la collocai entro un vaso di vetro abbastanza ampio; il ragno fabbricò subito la sua ragnatela nella parte su- periore del vaso, e il giorno dopo mi accorsi che aveva deposto le ova. Le ova di questa specie sono di un color bianco sporco che si direbbe volgente ad una sorta di rossiccio, hanno un diametro di quasi 1 mm., il loro numero supera il 20, non sono chiuse entro un involucro proprio come nelle Licose, nelle Tarantole ed in altri ragni, ma sibbene aderenti le une alle altre essendo la loro superficie esterna alquanto attaccaticcia, e formano nel loro insieme un ammasso quasi sferico od ovoidale. La femmina ha l abitudine di tenere le ova sospese agli uncinetti delle mandibole e non le abbandona mai anche minacciata dal pericolo della vita. Ho provato più volte a togliere le ova a femmine

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di questa specie, ma oltre la più accanita resistenza che queste fanno, si lasciano piultosto uccidere che ab- bandonarle. Volli poi osservare ciò che sarebbe avve- nuto delle ova allorchè Y animale dovesse cibarsi; e introdotta quindi una mosca nel vaso, vidi che lasciò le ova le quali rimasero sospese ad un» filo proprio, attaccato agli altri della ragnatela, osservazione poi che ho fatto anche in animali liberi. Notai oltre che il secondo e terzo pajo di zampe sono adoperate dall’ ani- male per assicurarsi la preda e per tenerla in direzione opportuna all’ atto che ne succhia l’ umore, mentre il quarto pajo serve per avvolgerla rapidamente nel filo, che va svolgendo dalla filiera, onde renderla incapace di qualunque movimento. Verso la fine del tempo vo- luto alla incubazione delle ova ebbi a notare che il ragno col secondo e terzo pajo di zampe faceva ruotare la massa delle ova intorno al filo di sospensione, ed a ciascun ovo pareva che cercasse di rompergli |’ involu- cro o guscio, afferrandoli ognuno a sua volta colle man- dibole e poscia ritirandole rapidamente, ond’ io credetti che questi movimenti fossero dovuti a sollecitare il prossimo schiudimento delle ova medesime. Infatti la mattina del giorno susseguente a questa mia osserva- zione ne erano sbucciati i piccoli, i quali stavano tutti aderenti alla superficie della massa delle ova, e dopo alcune ore li trovai sparpagliati quà e la per la ragna- tela, mentre gli involucri delle ova erano caduti in fondo al vaso. La madre stava loro vicino al disotto dello spazio da essi occupato; il che ho potuto verificar sem- pre anche negli individui liberi.

Introdussi in seguito nel vaso alcune mosche, tosto la madre imprigionatene parecchie nel consueto modo, le apprestò in cibo ai suoi piccoli, i più robusti dei que corsero a vene gli insetti così bene a loro preparati.

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Il tempo che durò | incubazione di queste ova fu di giorni 19. In altra mia osservazione notai soltanto 17 giorni.

Non è meno curioso |’ accoppiamento che si osserva in questa specie in cui il maschio è assai più piccolo della femmina. GCollocai pertanto nel vaso in cui teneva l' in- dividuo femmina un maschio; i due animali stettero qualche tempo immobili, poscia il maschio si avvicinò alla femmina con assai precauzione.

E noto che gli aracnidi sono di natura assai crudeli; non risparmiano neppure la propria specie, e spesso neanche il diverso sesso. Le femmine molte volte sono più robuste del maschio e lo uccidono quando non sia molto lesto ad accoppiarsi con esse.

Nelle osservazioni che io feci sulla specie in discorso, il maschio stette assai lungo tempo irrequieto prima di congiungersi alla femmina e notai ancora che di quando in quando mandava forti tremiti. L’ accoppiamento che ebbe luogo durò quasi un’ora e mezzo, e durante que- sto tempo gli animali mostrarono insensibili alle scosse che io dava al vaso passeggiando con esso per la stanza, mentre fuori di questa circostanza le scosse del vaso erano avvertite dagli animali, dando luogo a quel loro movimento rotatorio. Finito l’ accoppiamento il maschio si allontanò rapidamente dalla femmina e si collocò il più lontano possibile da essa cioè, in fondo al vaso.

ALCUNE OSSERVAZIONI

INTORNO

ALLA STORIA NATURALE DELLE ARGILLB SCAGLIOSE

Lettera di Emilio Stòhr

AL PROF. G. CANESTRINI

Cio inaspettate m’ hanno allontanato per qualche tempo dal Modenese e non potei quindi finire i miei studî sulle argille scagliose, 1 cui risultati inten- deva di presentare a codesta Società di Naturalisti Tuttavia credo che non saranno senza interesse alcune osservazioni, tanto più che anche nel giornale di mine- ralogia del Leonhard e Geinitz, 1867 pag. 829, inserii alcune brevi notizie su questo argomento.

Le argille scagliose furono esattamente descritte da parecchi geologi e specialmente dal Bianconi, per cui posso supporle già conosciute. Solo questo debbo osser- vare, che esse constano di due sorta di prodotti, cioè di una pasta argillosa di colore diverso, che diede al- I’ intera formazione il nome di argille scagliose; e di una quantità di frammenti di roccie le più svariate, come albarese, calcare a fucoidi, marne compatte, maci- gno, molasse, misti con aragonite, spato calcare, barite, marcellina (pezzi calcarei coperti di ossido di manga- nese ), cristalli di selenite, pietre geometriche, legni si-

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lificati, petroselce ecc.; e talora anche con pezzi di solfo, piriti, rame nativo ecc.

In certi casi le vere argille scagliose sono quasi pure e contengono appena dei frammenti litici. In allora le acque, solcandole, hanno dato origine a creste e coni i più strani, e le località offerenti queste argille dei colori più vivi, ( grigio, rosso, verde, nero } e prive di ogni vegetazione, hanno assunto un aspetto sterile ed in pari tempo fantastico. Ma in altri casi i frammenti litici sono così numerosi, che la formazione sembra composta unicamente dei medesimi, per cui un’ in- tera località dell’ estensione di parecchie miglia appa- risce un vasto ammasso di frantumi. Le argille scagliose di questa forma non differiscono punto dai prodotti di eruzione delle salse attuali (p. e. di quella tanto conosciuta di Sassuolo ), giacchè hanno con quelle co- muni i frammenti litici; fatto che rende impossibile il decidere se tali prodotti debbansi riferire alle ar- gille scagliose o se abbiansi a risguardare come prodotti di eruzione delle salse.

Seguendo l’ esempio di Pareto, soglionsi generalmente risguardare le argille scagliose come contemporanee del caleare a fuccidi, o per meglio dire, come formatesi dalla decomposizione di esso, come dimostrò il Santa- gata; si collocano quindi nell’ eocene superiore, rite- nendo per altro, che in tempi posteriori sieno state va- riamente metamorfosate, specialmente per l’ azione di sorgenti termali a modo dei geiser. Le roccie sovra- stanti alle medesime non sono mai più antiche delle mioceniche, e recentemente il Bianconi nel suo esatto lavoro « escursioni nel territorio porettano » ha fatto vedere, che il supposto macigno eocenico che in qualche località ne forma il tetto, in realtà non è che un pro- dotto miocenico. Al profilo di Monte Cavallo da esso re- cato alla pag. 41, io ne potrei aggiungere un altro di

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una localita a ponente di Pavullo, dove presso il tor- rente Cogorno, a breve distanza da Miceno, si eleva dalle. argille scagliose il monte a cono Rochetta. Questo cono acuto si alza rapidamente di circa 60 metri sul fondo della valle, ed ha una forma di pane di zucchero, che lo farebbe credere da lontano composto di una roccia serpentinosa. În realtà però esso consta di strati fortemente innalzati, inclinati verso occidente, di macigno-molasse dell’ epoca miocenica. Questo profilo è tanto più inte- ‘ressante, giacchè il vero agente sollevatore non si scorge in posto che dopo diligente ricerca ad oriente del cono citato nel letto del fiume, manifestandosi per una roccia serpentinosa coperta da argille scagliose.

Le roccie costituenti il tetto delle argille scagliose appartengono generalmente all’ epoca miocenica; ma talvolta esse mancano e vi sono sovrapposti pro- dotti pliocenici e più recenti. Nella memoria citata, il Bianconi crede le argille scagliose contemporanee del-, l’albarese e del calcare a fucoidi, e le riferisce all’oriz- zonte geologico dell’ epoca eocenica. Quest’ opinione è certamente inesatta, giacchè le argille scagliose, quantun- que ordinariamente sovrapposte a roccie eoceniche e sottoposte alle mioceniche, pure in certi casi hanno per letto le roccie mioceniche. Ciò, per esempio, osservasi a Monte Gibio, località geologicamente interessante per molti rapporti. Nel 1862 il prof. Doderlein descrisse a Siena, al congresso degli scienziati italiani, una di quelle località, posta sul versante meridionale di Monte Gibio, in cui due strati di argille scagliose alternano con roccie mioceniche; è questa in pari tempo la località, in cui Doderlein raccolse molti fossili miocenici. Ritorno ora al profilo citato, completandolo. Nella parte superiore della valle del Rio delle Bagole (Rio Videse ) si riscon- trano non solo 2, ma 4 strati di argille scagliose, inserti tra gli strati miocenici. La vetta più meridionale di

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Monte Gibio è Monte Biancone; al mezzodì di questo, separate per mezzo della valle citata, trovansi le erti pareti calcaree, costituite da banchi di corallo, di Monte Pernice, che si estendono fino a Monte Baranzone Uno spostamento locale ha reso gli strati di Monte Biancone inclinati verso oriente, mentre quelli di Monte Baranzone si abbassano verso mezzogiorno. Le pareti calcaree di Monte Baranzone appartengono al medio miocene e sono caratterizzate dalla Lucina apenninica Dod. (pomum?) e da diversi coralli ( Delbocyathus, Ceratostrochus, Tro- chocyathus etc.). Il versante meridionale di Monte Bian- cone appartiene al miocene superiore, e fra questi due monti giacciono in fondo della valle le argille scagliose, sia che realmente trovinsi poste tra quei due prodotti miocenici; sia, ciò che è pure possibile, che le argille scagliose più profonde affioriscano nello scavo della valle. Se esaminiamo più da vicino il versante meridionale di Monte Biancone, si offre la seguente stratificazione. In cima trovasi superiormente un conglomerato di ciottoli lentiformi o pisiformi, che per l’ azione dell’ aria si scompone in una ghiaia che copre i campi. Al disotto con inclinazione di 30° verso levante esiste una molasse giallastra portante concrezioni e striscie di sabbia, sotto cui segue uno strato di argille scagliose della potenza di soli pochi metri; al disotto ancora vedonsi potenti banchi di molasse e più in basso un nuovo strato di argille scagliose. Sotto al medesimo fino nel fondo della valle seguono argille grigie-azzurognole sabbionose, in cui si scoprono numerosi fossili miocenici; ma due volte esse sono interrotte da potenti strati di argille scagliose, alternanti colle medesime.

Posso citare altri casi, in cui le argille scagliose hanno per letto formazioni mioceriche; e mi limito a citare i seguenti dei dintorni di Monte Gibio. Al sud-ovest di Monte Gibio, dove il Rio delle Bagole sbocca nella Valle

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Urbana, riscontrasi il seguente profilo. Il rivo è sca- vato il suo letto nella molasse offiolitica miocenica, i cui strati sono inclinati verso mezzodì. Alla riva occiden- tale del torrente trovansi in alto, sovrapposte alla mo- lasse, con stratificazione discordante, le argille scagliose; tra queste e quella giace un conglomerato a grossi ele- menti della potenza di circa tre quarti di metro e leg- germente inclinato verso settentrione. Risulta da queste osservazioni, che, nel caso citato, le argille scagliose si depositarono sopra gli strati di molasse dopo il rialza- mento di questi. In questo luogo, come nel primo citato, le argille scagliose constano principalmente dei frammenti litici succitati; nella località invece che in appresso stu- dieremo predomina la pasta argillosa.

Ad oriente di Montegibio, presso il torrente Sevretta, al disotto di Caseletta osservansi in posto nel fondo del torrente della molasse e della marna; tra questo torrente ed un torrentello tributario di esso, osservasi una cre- ‘sta acuta composta inferiormente di argille sabbionose mioceniche, coperte da argille ‘scagliose. Seguendo il torrente in basso, a breve distanza, compariscono le marne turchine plioceniche, cosicchè quì le argille sca- gliose si trovano sul confine tra formazioni mioceniche e plioceniche.

L’ interposizione delle argille scagliose tra formazioni mioceniche è fuori di dubbio dopo le precedenti osser- vazioni. Si offre quindi il seguente dilemma: 0 le ar- gille scagliose non sono tutte di uguale età e non ap- partengono tutte al tempo eocenico; oppure esse giun- sero per dislocazione, posteriore alla loro deposizione, tra le roccie più recenti dove talora attualmente si os- servano. Doderlein è di quest’ ultimo parere e risguarda tutte le argille scagliose, che secondo lui non si trovano nella loro supposta primitiva posizione, come prodotti di salse oggi estinte, la cui attività un giorno sarebbe stata

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straordinariamente estesa ed intensa. Per certe località ciò sembra ammissibile; ma V estenderlo ad altre con- durrebbe ad ammettere per quei tempi un’ azione così ingente, quale non sembra probabile. Ma anche ammessa tale opinione, le argille seagliose non potrebbero in alcun modo essere considerate come un orizzonte geognostico, imperocchè, se anche tutte le argille scagliose fossero deri- vate dai calcari a fucoidi eocenici successivamente meta- morfosati ed interposti fra strati più recenti; tuttavia quelle non potrebbero essere riferite all’ epoca eocenica, giacchè non si tratta di semplice dislocamento di questi strati, ma di prodotti affatto nuovi, per la cui forma- zione le roccie più antiche non fornirono che il mate- riale, condizioni analoghe a quelle che si verificano nella formazione di quasi tutte le arenarie. E inoltre assai probabile, che non tutto il materiale, con cui si formarono le argille scagliose, derivi dal calcare a fu- coidi eocenico, quantunque ciò si possa ammettere per la maggior parte dei casi; pare che anche roccie più recenti vi abbiano contribuito. Dalla qual cosa sembra doversi inferire, che il nome di argille scagliose non sia che una denominazione petrografica, e che quindi in av- venire si debbano distinguere argille scagliose eoceniche, mioceniche e forse anche più recenti, distinzione che dovrà farsi anche colorando le carte geologiche. Finchè però ciò possa farsi con esattezza, sembra opportuno servirsi per tutte le argille scagliose di un colore particolare, il quale però non esprimerebbe la contemporaneità delle medesime, un orizzonte geognostico.

Quali possono essere state le cause della formazione delle argille scagliose? Se si osserva una carta geolo- gica degli Appennini, risulta, che i diversi serpentini (tra cui comprendo tutte le roccie della stessa famiglia) sono circondati costantemente da argille scagliose, tra le quali si sono sollevati, per cui si presenta l’ idea, che

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le argille scagliose stiano in stretti rapporti coi serpen- tini, (1) rapporti di cui fecero cenno tutti i geologi che se ne occuparono. Che le argille scagliose in certi casi offrano l’ aspetto di ammassi di frantumi, fu già detto precedentemente; vorrei inoltre credere, che traggano origine dal sollevamento dei serpentini. Questi hanno contorti gli strati sollevati, li hanno portati seco in alto, depositati in forma di frane e metamorfosati. Così si po- trebbe spiegare la presenza di Inoceramus ed Ammoniti, i cui avanzi furono osservati, un’ unica volta, da Mor- tillet nelle argille scagliose. La vera pasta argillosa si presenterebbe come il prodotto dello sfregamento avve- nuto per l’ innalzamento dei serpentini; e siccome que- sto era un processo idroplutonico, risulterebbe come un deposito nell’ acqua. Che poi pello sfregamento possano formarsi tali prodotti, ce lo dimostra chiaramente la miniera di Monte Catini, dove tra il serpentino ed il gabbro rosso. si scorge indubitatamente un prodotto di sfregamento, ( Losima ) che in piccoli pezzi non è in modo alcuno discernibile dalle argille scagliose. Quanto ai serpentini dell’ Appennino è noto già da lungo tempo, che appartengono a periodi diversi ed emersero in tempi diversi. Savi e Meneghini hanno ammesso per la Toscana almeno due periodi di eruzione, di cui } uno cadrebbe nel tempo eocenico, |’ altro nel miocenico, a cui devesi aggiungerne probabilmente un terzo riferibile alla fine dell’ epoca miocenica. Se le argille scagliose altro non sono che ammassi di frantumi ed i prodotti di sfrega- mento generati dai serpentini, è naturale, che essendo di età diversa i serpentini, anche le argille scagliose debbano essersi formate in tempi diversi. Una gran parte dei serpentini dell’ Appennino settentrionale non è certamente più antica dei serpentini della così detta

(1) Bianconi, catalogo rag. delle collezioni geogn. dell’Apennino Bolognese.

agg

seconda eruzione della Toscana, quindi riferibile all’ epoca miocenica, come lo accertano le molte roccie mioceniche sollevate dai serpentini stessi; alcuni di questi però potrebbero essere più recenti. I prodotti della eruzione delle salse in tal caso sarebbero le argille scagliose col- locate più profondamente ed appartenenti ad epoche anteriori, venute alla superficie, che furono dislocate per la seconda volta in seguito all’ eruzione delle salse. Ulteriori osservazioni ci diranno, se le idee sopra esposte si appongano al vero; per l’ interesse geologico che hanno le argille scagliose, credetti opportuno di enunciarle fin d’° ora per promuovere nuove ricerche.

Firenze, li 6 giugno 1868.

NUOVI ARACNIDI ITALIANI

per GIOVANI GALTISTRIIMI

TE =-

Bysdera Ninnii nov. sp.

Il cefalotorace è ovale, il capo mediocremente con- vesso. Le mandibole sono deboli, nel maschio più ro- buste che nella femina, sulla faccia anteriore fornite di scarsi peli, col margine interno rivestito di peli lunghi e fini. Lo sterno porta dei peli fini e corti. L’ addome è cilindrico, profondamente separato dal cefalotorace, portante all’ apice le filiere molto allungate. Le zampe portano peli corti e scarsi, 1 soli tarsi ne vanno più ricchi, Il colore dell’ animale è il seguente. Il cefaloto- race e le mandibole sono di un bruno giallastro, con numerosissimi pori visibili colla lente, i soli uncini delle mandibole suno rossi. Gli occhi hanno colore bian- castro e sono circondati di nero alla base. Lo sterno è giallo sudicio, orlato di rosso. L’ addome è uniforme- mente grigio. Le zampe sono di un bel giallo chiaro, con colorazione rossa presso le articolazioni e coll’ e- strema punta nera. ll cafalotorace è nel maschio re- lativamente più lungo che nella femina. Questo ragno fu osservato nel Trentino, nel Veneto e nel Modenese.

Il maschio adulto misura in lunghezza, non comprese le mandibole e filiere, mill. 8, la femina mill. 8 172.

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Dimensioni.

Lunghezza del cefalotorace nella fem. mill. 3,0.

”» di una zampa del pajo . » 8,0. 59 29 22 . 29 6,7. ’» del cefalotorace nel maschio » 9,6. » di una zampa del pajo . » 10,5. >” 29 90 29 ° 99 10,0.

Bysdera grisea nov. sp.

Gli occhi intermedii anteriori sono tra loro meno di- scosti di quanto importa il diametro di uno di essi. La femina ha il cefalotorace e le mandibole di colore rosso giallastro, il primo orlato di nero; le sue zampe sono gialle sudicie colle articolazioni tinte in rosso, lo sterno è giallo contornato di bruno, gli occhi sono bianchi verdastri. Il maschio ha il cefalotorace verda- stro orlato da sottile linea nera, talora mancante, con breve rima mediana; le sue mandibole sono verda- stre, volgenti al rosso verso l’ apice; le zampe ed i palpi sono di colore verde giallastro, con tinta rossa presso le articolazioni, questi ultimi coll’ apice rosso chiaro; lo sterno è giallastro, fornito di peli bruni, più fitu alla periferia. L’ addome è grigio biancastro in ambo i sessi, coperto di numerosissimi peli bruni. I femori del pajo di zampe portano alla faccia in- terna verso l’ articolazione superiore 4-5 setole nere aggruppate insieme in piccolo spazio ; quelli del pajo ne portano 4 disposte in serie longitudinale ; quelli del pajo ne portano 2 file, di cui ciascuna comprende 5-5 setole; quelli del pajo pure due file, tra cui la posteriore si estende lungo tutto il femore e conta 5-6 setole, mentre |’ anteriore raggiunge solo la

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metà della lunghezza del femore e si compone di 4 se- tole. Nelle zampe del e pajo anche la tibia ed il metatarso vanno muniti di numerose setole disposte in file longitudinali. Il maschio è lungo mill. 6, la femina mill. 7. Vive nel Trentino e nell’ Emilia.

Blicaria aurata nov. sp.

Il cefalotorace è lungo quanto la tibia e patella del pajo di arti riunite insieme. Gli occhi sono neri e disposti in due file tra loro quasi parallele; gli inter- medii anteriori sono più grandi e più sporgenti dei la- terali anteriori. Il cefalotorace è ovale, rossastro, fitta- mente coperto di pelo dorato, con un leggero solco sul confine tra il capo ed il torace, e con una macchia triangolare bruna nel mezzo; manca la rima mediana. Le mandibole, le mascelle e lo sterno, sono gialli ros- sastri. L’ addome è ellittico, nero, con lucentezza verde, e con una bella fascia bianca trasversale nel mezzo della sua lunghezza. Il ventre è nero; le filiere sono bianche. Le anche ed i trocanteri sono gialli, i femori bruni, le altre parti delle zampe gialle, solo nelle 4 zampe po- steriori con sfumatura bruna. Vive nel Modenese.

La femina, su cui è compilata la descrizione, ha una lunghezza totale di mill. 5, tra cui mill. 1,4 costitui- scono la lunghezza del cefalotorace.

Rficaria exilis nov. sp.

Tutto l’animale è assai sottile ed allungato. Gli occhi della fila anteriore sono tutti di eguale grandezza. Il cefalotorace è lungo quanto la patella e tibia insieme del pajo di zampe ed è di colore uniformemente nero. Manca la rima mediana. Le mandibole sono superior- mente nere, all’ apice ed inferiormente giallastre ; le ma-

si

scelle ed il labbro inferiore sono neri alla base e gialla- stri verso l'apice. Lo sterno è più lungo che largo, roton- dato anteriormente, appuntato all’apice posteriore, nero e rivestito di scarsi peli. L’ addome è nero con bellis- sima lucentezza metallica rossa, specialmente alla faccia inferiore, e porta due paja di fascie bianche trasversali oblique, il primo pajo trovasi alla base, il secondo nella metà della lunghezza, dove osservasi una leggera im- pressione trasversale dell’ addome. Le citate fascie non raggiungono la linea mediana dell’ addome e quindi ciascuna di ogni lato resta staccata dall’omologa del lato opposto. Le zampe del pajo sono nere dalla radice sino presso all’ apice del Lelnore, le altre parti sono bianche; le anche del 2°, e pajo sono bianche con anello nero presso l'apice; il trocantere ed il femore del e pajo sono neri, il resto è bianco; nel pajo il trocantere e la parte inferiore del femore sono neri, la parte superiore di questo, la patella e tibia sono bianche con screziatura nera, il metatarso è nero, il tarso bianco. 1 primi due anelli dei palpi, nella fe- mina, sono neri, gli altri bianchi. Lunghezza totale mill. 4, lunghezza del cefalotorace mill. 1, 4. E affine alla M. myrmecoides Ohlert. Vive nel Modenese.

Blelanophora Hochî nov. sp.

La mandibola ed i palpi sono uniformemente gialli e rivestiti di numerosi peli corti. Il cefalotorace è di un giallo oscuro lurido, coll’ orlo nero, con un V nero nel mezzo e con striscie oscure, poco distinte, che dal mar- gine corrono verso il centro. L’ addome è nero, ricca- mente peloso, con una corena di peli diretti in avanti al margine anteriore. Lo stesso porta quattro punti in- fossati, due anteriori, e due posteriori, questi alquanto

più discosti tra loro che quelli. Lo sterno, il labbro in- 12

194

feriore e le mascelle sono di un giallo sudicio, il primo orlato di nero, le ultime colla punta nera. Le piastre polmonali sono gialle chiare. Le zampe sono unifor- memente gialle alla base ed all’ apice, gialle miste ad un verde oscuro nel mezzo; il tarso e metatarso vol- gono talora al rosso. Gli occhi sono chiari verdastri, ad eccezione degli intermedii anteriori che sono bruni. Lunghezza totale circa mill. 5. Vive nell’ Emilia.

Dimensioni di una femina adulta.

Lunghezza totale... /. .. 0. . mill. 4,4. dell'addome; (Lil i lele 2,5. Larghezza massima dell’ addome. . . » 1,3. Lunghezza di una zampa del pajo » 5,5. 99 23 be) 99 6,0.

Rielanophora gracilis nov. sp.

Il cefalotorace è più lungo che la patella e tibia in- sieme del pajo di zampe ed è colorato uniforme- mente in nero; è molto stretto anteriormente e tagliato in linea retta al suo margine posteriore. L’ addome è allungato, quasi ugualmente largo in tutta la sua lun- ghezza, di color nero uniforme, rivestito di numerosi peli corti e fini, con una corona di peli più lunghi alla base. Lo sterno è ovale, posteriormente appuntato, bruno verdastro, lucente, con scarsi peli finissimi. Le zampe ed i palpi sono riccamente pelosi. Le anche ed i tro- canteri sono di colore verde oscuro con sfumature brune; i femori, le patelle e le tibie bruni verdastri, il femore del primo pajo con macchia trasparente alla base della faccia interna; i metatarsi e tarsi sono di colore verdastro o rossastro assai chiaro. Lunghezza

195

della femina mill. 5; lunghezza del maschio adulto mill. 2 1j2. Questo piccolo ragno vive nel Modenese.

Lunghezza delle zampe del maschio adulto.

ds pajogiio tie it timillt43:0. DM A LEI DINO DM E i IR 29 a ° ° ° 29 9,1.

Clubiona pulchella nov. sp.

Il cefalotorace è lungo quanto la patella e tibia in- sieme del pajo di zampe. Gli occhi intermedii anteriori sono più discosti tra loro che dai laterali anteriori. Le tibie del pajo di zampe portano inferiormente 2 se- tole. Le mandibole s’ abbassano verticalmente. Le zampe più lunghe sono quelle del pajo, cui fanno seguito quelle del pajo, le più corte sono quelle del pajo. Le mandibole sono rosse brune, scarsamente rivestite di peli; gli occhi sono circondati alla base di nero, ed hanno un colore giallo chiaro, ad eccezione dei mediani anteriori che sono oscuri. Il cefalotorace è giallo rossa- stro chiaro, con rima mediana breve, e stretto orlo nero. L’ addome è di un rosso oscuro, fittamente picchiettato di piccole macchie bianche rotonde. Alla base del me- desimo nasce nel mezzo una figura longitudinale, che si estende fino dietro alla metà della di lui lunghezza, diminuendo continuamente in larghezza, cosicchè fini- sce in punta. Questa figura è orlata di bianco lungo il suo corso, e dietro la punta seguono quattro accenti circonflessi ( X ) bianchi. Il ventre è bianco, lo sterno è uniformemente giallastro. Le zampe sono di color giallo chiaro uniforme. Vive nel Trentino.

196

Dimensioni di un maschio adulto.

Lunghezza totale. . . . . . . . mill 10,2. del cefalotorace . . . . » 4,0. Massima larghezza dell’ addome . . » 3,0. Lunghezza di una zampa del pajo » 9,0. 29 9) 29 99 10,8.

Armatura delle zampe.

Pajo e 2°. Femore: sopra 1,1,1; davanti 1. Tibia: sotto 2,2.

Pajo e 4°. Femore: sopra 1,1,1; davanti 1; di dietro i. Patella: di dietro 1. Tibia: davanti 1,1; di dietro 1,1; di sotto 1,1.

Enyo italica nov. sp.

Mùschio. Il cefalotorace è lungo quanto addome, anteriormente ristretto, posteriormente largo e rotondato. Gli occhi della prima fila sono disposti in linea retta, i due laterali della stessa fila sono disposti obliquamente, colla divergenza in dietro. I due occhi laterali della serie posteriore sono assai ravvicinati ai laterali della fila anteriore. ll cefalotorace è giallo rossastro colla rima mediana ben distinta ed è munito di alcune striscie che dalla rima mediana vanno verso la periferia, e di due linee curve a modo di x innanzi alla rima. Gli occhi anteriori mediani sono neri; gli altri bianchi. L’addome è nero sul dorso, grigio ai lati e sul ventre. Lo sterno è bianco giallastro, con orlo rossastro. I fe- mori sono gialli rossastri, le altre parti delle zampe sono di colore giallo biancastro. 1 palpi sono colorati come i femori. Le filiere sono bianche, circondate di

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nero, con una macchia bianca rotonda superiormente verso il dorso.

La femina è alquanto più grande del maschio, il suo addome è più lungo del cefalotorace. Nelle quattro zampe anteriori 1 femori sono bruni rossastri, nelle quattro posteriori gialli sudici. I palpi sono alla base bruni rossastri, come i femori anteriori.

Questa specie differisce dall’ Enyo graeca principal- mente per la disposizione degli occhi; dall’ È. germanica

pel colorito e per la statura. Vive nel Veneto e nel Modenese.

Dimensioni di una femina.

Lunghezza dell'addome . . . . mill. 2,3. del cefalotorace . . . . » 1,5. ”» di una zampa del pajo » 53,3. 9% 3 4,0. >” 99 99 29 9,6. 29 29 293 29 5,9.

Il maschio raggiunge una lunghezza totale di 5 mill.; la femina di mill. 3,9.

Formicina mutinensis nov. gen. et sp.

Caratteri del genere Formicina Canestr.

Affine al genere Pachygnatha Sund. Le mandibole però non divergono fra loro ad angolo quasi retto, ma appena si scostano l’una dall’ altra verso l'apice. Inoltre I addome si unisce al cefalotorace mediante un lungo stelo nodoso, che ricorda le formiche, e non è depresso, ma globoso. Quanto ad altri caratteri, osservasi, che gli occhi mediani sono collocati sopra una comune ele- vazione; che tra essi i posteriori sono più discosti dai

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laterali posteriori che tra loro; che gli occhi me- diani anteriori sono talmente avvicinati l'uno all’altro, che quasi si toccano; che inoltre i laterali si toccano a vicenda. Il cefalotorace è assai allungato e stretto; tra le zampe quelle del pajo sono le più lunghe, cui fanno seguito, decrescendo, quelle del 2°, e pajo.

Caratteri della specie Formicina mutinensis Canestr.

Il cefalotorace e le mandibole sono uniformemente colo- rati di rosso oscuro; i palpi sono rossastri, cogli ultimi due articoli volgenti al bruno. Lo sterno è bruno con stretto orlo nero. L’ addome ha superiormente un fondo giallo verdastro, su cui vedesi una linea mediana longitudinale bruna, intersecata da lineette brune, le quali anterior- mente presso il cefalotorace danno origine ad una mac- chia in forma di punta di freccia. Ai lati della linea longitudinale esistono delle macchie brune rotonde, ed all’esterno di queste delle macchie bianche argentee in due file parallele, 4 in ciascuna fila, tra cui una mag- giore delle altre sopra ano. I lati dell’ addome ed il ventre sono bruni verdastri, colle parti genitali ros- seggianti. Le zampe sono uniformemente gialle, i soli femori portano alla base una macchia nera. Vive nel Modenese.

Dimensioni di una femina.

Lunghezza totale . . . . . . . mill. 3,8. dell’ addome. . . ...° » 1,9 » di una zampa del pajo » 6,5. be) 99 DO 99 29 3,0. 29 b) di 99 99 d,Ò.

33 22 99 29 4,9 è

199

HFormicina pallida nov. sp.

Il cefalotorace, le mandibole e lo sterno sono di un rosso uniforme chiaro; i palpi sono rossi giallastri. L’ addome è più corto che nella specie precedente, quasi perfettamente sferico; superiormente di colore bianco giallastro, con una linea bruna longitudinale nel mezzo assai sbiadita, tagliata da lineette trasversali, tra cui la prima è la più distinta e per essere curva origine ad una macchia della forma di punta di freccia. Nella metà posteriore dell’ addome esistono 4 macchie nere, poste in quadrato, ed 8 macchie argentee in 2 file. 1 lati dell'addome sono giallastri, attraversati da una striscia oscura che in ciascun lato parte dalla mac- chia bruna posteriore e scorrendo obliquamente in avanti ed in basso va a confondersi col bruno dei ventre. Il ventre è bruno verdastro con una serie di macchiette chiare in ciascun lato. Le zampe sono uni- formente gialle chiare, solo i femori dell’ ultimo pajo ( e talora anche quelli del 5°) portano alla base poste- riormente una macchietta bruna. Vive nel Modenese.

Dimensioni di una femina.

Pupghezza totale ini at. de. mill 3,8: B,, dell’ addome. . . . . 79 de di una zampa del pajo » 7,0. 29 99 De 29 99 6,0. 79 39 30 39 29 9,7.

”» 4°» 2ENOI0:

200

Linyphia rubecula nov. sp.

Tutto il corpo è di un bel color rosso, alquanto tirante al giallo, che si fa più chiaro o perfino bianca- stro nell’ alcool. Gli occhi spiccano sopra base nera e sono di un giallo verdastro ad eccezione dei mediani anteriori che sono neri. Le parti genitali sono colorate in nero. L’ addome, le zampe ed i palpi sono rivestiti di peli fini e fitti; 1 palpi sono tinti in nero all’ apice; le zampe sono di colore giallo rossastro uniforme. |

maschi sono di poco più piccoli delle femine. Lun- ghezza totale circa 2 mill. -- Vive nel Veneto. e nel Modenese.

Epeira ornata nov. sp.

Gli occhi intermedii anteriori sono più piccoli e tra loro più discosti degli intermedii posteriori. Gli occhi laterali sono posti l’ uno dietro all’altro, non si toccano a vicenda, e sono di uguale grandezza. Il cefalotorace è bruno; nel mezzo esiste un triangolo giallo rossastro, colla base anteriore ed il vertice posteriore; entro que- sto triangolo vedonsi anteriormente dei punti neri. Le mandibole sono brune rossastre, cogli uncini più chiari. Le mascelle ed il labbro inferiore sono verdi giallastri uniformi. Lo sterno è del colore delle mandibole. L’ ad- dome porta due tubercoli bassi ed ottusi, ed è bianco giallastro, munito superiormente di una fascia longitu- dinale uniforme nerissima, che nasce alla base, si estende allargandosi sulla faccia anteriore dei tubercoli e conti- nua poi, gradatamente restringendosi , sino all’ ano. Questa fascia porta dietro i tubercoli, ai lati, dei pro- cessi, tra cui i primi e più lunghi sono diretti obliqua- ina in avanti, gli altri orizzontalmente in fuori.

201

Ciascuno dei lati dell’ addome porta una fascia nera crenata al margine superiore. ll ventre è giallastro con fascia oscura nel mezzo. Le anche sono gialle, i femori sono gialli alla base, neri superiormente; le altre parti degli arti sono nere e portano anelli gialli. I palpi sono gialli, macchiati di nero; il digitale è giallo, solo alla faccia anteriore-interna è bruno, e porta una breve striscia trasversale alla base. Vive nel Modenese.

Dimensioni del maschio adulto.

Lunghezza totale . . . .. . . mill. 5,0. dell’ addome. . . . . dI. Massima larghezza dell’ addome . . » 5,0. Lunghezza di una zampa del pajo » 8,0. 99 29 29 23 6,5. EL) 29 5% 2) 29 42. 3 TINTI

Epeira biocellata nov. sp.

La specie cui più si accosta è la E. sollers Walk. Il cefalotorace è di un giallo rossastro assai chiaro, con una breve striscia longitudinale rossastra nel mezzo. Gli occhi sono posti in quadrato, i laterali si toccano tra loro e sono sulla stessa linea dei mediani posteriori. Questi sono più grandi dei mediani anteriori e gialli alla periferia e neri nel mezzo, mentre i mediani ante- riori sono interamente bruni. I palpi sono gialli rossa- stri. Le mascelle, il labbro inferiore e lo sterno hanno color biancastro. L’ addome è giallo sudicio, anterior- mente orlato di bruno, con due macchie profondamente nere nel mezzo, poste l’ una accanto all’ altra. Verso I’ apice dell’ addome vedonsi due linee brune, poco distinte, convergenti, che presso l’ ano quasi si toccano.

202

Il ventre è uniformemente bianco giallastro. 1 femori delle zampe sono bianchi, le parti rimanenti gialle su- dicie, con anelli rossigni distinti. Le zampe portano peli rigidi, i quali sono neri alla base e bianchi verso l'apice. Lunghezza totale del maschio adulto mill. 52. Vive nel Modenese.

Scytodes unicolor nov. sp.

Il cefalotorace è quasi circolare, depresso, di colore bianco giallastro uniforme, rivestito di peli neri scarsi e lunghi. Gli occhi sono circondati alla base di nero ed offrono un colore biancastro. Le mandibole si ab- bassano obliquamente, sono del colore del cefalotorace, solo al margine esterno finamente orlate di rosso, e munite di uncini rossi. Le mascelle, il labbro inferiore e lo sterno sono bianchi. Il labbro inferiore è corto, quasi triangolare, col vertice ottuso. L’addome è allun- gato, cilindrico, di un colore grigio oscuro. Le zampe ed i palpi sono di colore giallo verdastro senza traccie di anelli. Lunghezza totale della femina mill. 5. Vive nella Toscana.

Drassus laticeps nov. sp.

Il cefalotorace è breve e largo; la sua lunghezza è uguale a quella della patella e tibia insieme del pajo di zampe. La rima mediana è breve; innanzi ad essa esiste una leg- gera impressione. Gli occhi della fila anteriore sono collocati sopra una linea curvata in basso; i mediani sono molto maggiori ed assai più sporgenti dei laterali. Anche la fila degli occhi posteriori è curvata in basso; tra questi i me- diani distano più tra loro che dai laterali; la distanza tra 1 mediani posteriori è maggiore che quella tra i mediani anteriori. Il cefalotorace e le mandibole sono di colore

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bruno rossastro uniforme; gli occhi sono bianchi gial- lastri, ad eccezione dei mediani anteriori che sono bruni. Lo sterno è rettilineo anteriormente, appuntato poste- riormente, raggiunge la maggior larghezza nel mezzo ed è colorato di rosso giallastro oscuro. L’ addome è ovale, superiormente ed ai lati bruno verdastro, con due fascie gialle poco distinte nella faccia superiore, le quali dalla base si estendono in addietro fino circa alla metà della lunghezza; negli esemplari immersi nell’ alcool vedonsi dietro questa fascia alcune lineette gialle for- manti degli accenti circonflessi poco marcati. Il ventre è bianco giallastro, colle parti genitali rosseggianti. Le zampe sono gialle coi metatarsi e tarsi rossastri. Lun- ghezza totale di un esemplare feminile mill. 6, lun- ghezza del cefalotorace mill. 2 172. Vive nel Modenese.

Pyrophorus venetiarumn nov. sp.

Le mandibole sono larghe, superiormente piane, in- ternamente munite di robusti dentelli, colorate di nero. L’ uncino è lungo, munito al margine interno di un dente lungo ed acuto a breve distanza dalla base, e di due piccolissimi rialzi a guisa di asprezze innanzi al dente predetto. L’ uncino è nero alla base, rossigno verso l’apice. Il capo è superiormente piano e di colore nero, posteriormente incavato, per cui gli occhi laterali posteriori stanno sopra due eminenze ottuse. Il capo risulta diviso dal torace per mezzo di due solchi late- rali, semicircolari, colla concavità rivolta in avanti, che non raggiungono la linea mediana. Il torace è rosso giallastro orlato di nero. L’ addome è inferiormente e lateralmente di un nero intenso; alla faccia superiore nella metà anteriore del colore del torace, nella poste- riore nero. Nella metà anteriore si notano in ciascun lato due figure nere, che sporgono entro il campo rosso

204

giallastro ; l anteriore di esse è breve, di forma triango- lare e dista molto da quella del lato opposto; la pos- teriore è lineare, scorre obliquamente in avanti e rag- giunge quasi l’ omologa dell’ altro lato. Il colore generale delle zampe è giallo; quelle del pajo hanno il femore ed il metatarso nero, quelle del pajo portano sulla faccia interna una striscia nera e sulla faccia inferiore del trocantere un punto nero; quelle del pajo hanno l'anca ed il trocantere sul lato esterno macchiato in nero; quelle del pajo hanno l’ anca ed il trocantere alla faccia esterna percorsi da linea nera, il femore bruno verso l’ apice, la patella e tibia esternamente percorsi da linea nera, ed il metatarso nero. Lunghezza del- l’animale, non comprese le mandibole, mill. 5, 2. Lun- ghezza dell'addome mill. 5. Lunghezza delle mandibole senza l’ uncino mill. 2.

Vive nel Veneto, dove fu raccolto dal dott. A. De Ninni.

Amaurebius 12 - maculatus nov. sp.

Il cefalotorace è lungo quanto la patella e tibia in- sieme dei primo pajo di zampe. La rima mediana è breve e profonda; da essa partono dei solchi profondi che scorrono verso la periferia. Gli occhi anteriori sono disposti sopra una linea retta; i mediani distano tra loro un po’ meno che dai laterali. La fila posteriore degli occhi è incurvata, essendo i laterali collocati più in basso dei mediani; questi distano ugualmente. tra loro e dai laterali. L’ addome è ovale, anteriormente rotondato, posteriormente finito in punta. Il cefalotorace è bruno rossastro, le mandibole sono più chiare e lu- centi; lo sterno è ora del colore del cefalotorace, ora nero. L’ addome è nero e porta 12 macchie gialle al- lungate, poste obbliquamente a paja, 6 in ciascun lato;

203

esse decrescono gradatamente dall’ avanti all’ indietro; inoltre il pajo di esse dista assai più dal pajo, che le altre paja tra loro. Le zampe sono gialle con anelli neri; di questi se ne vede uno nella metà supe- riore del femore, uno sulla patella, un altro presso Ly apice della tibia, un altro presso | apice del meta- tarso; la punta del tarso è nera.

Dimensioni di un maschio adulto.

Lunghezza totale... . . . . mill. 6,0. ”» del cefalotorace . . . TONI) Larghezza maggiore dell’ addome . » 2,1. Lunghezza delle zampe del pajo » 7,0. 29 29 90 2) 29 6,0. 29 29 SO 29 22 do: be) 29 49 29 99 6,1.

Questa specie non è rara nel Modenese sotto alle pietre.

Philodromus Generaliî nov. sp.

Il cefalotorace è più largo che lungo coi margini laterali semicircolari. La porzione corrispondente al torace è bruna con margine giallastro, quella corri- spondente al capo è grigia. Tra gli occhi mediani po- steriori scorrono due linee nere, parallele, e dietro ciascuno di essi osservasi un’ altra lineetta più breve delle citate, ma con queste parallela. Le mandibole sono bianche. L’ addome è pentagono, bruno rossastro, portante numerose macchiette gialle. Queste si accumu- lano al margine anteriore per formare due macchie maggiori, e nella metà posteriore dell’ addome per for- mare in ciascun lato una estesa macchia irregolare. Sul

206

ventre, due linee trasversali nere segnano il limite delle piastre polmonali; il ventre è nel mezzo grigio oscuro ed ai lati bianco, e porta quattro serie di punti neri. Le zampe sono gialle, e non portano anelli; invece osservansi su ciascuna 3 striscie nere, che prendono origine sul femore e si estendono senza interruzione sino all’ apice del tarso; lo stesso colore offrono i palpi. Le tibie del pajo di zampe portano anteriormente e posteriormente 2 setole, ed un uguale numero se ne osserva sulla faccia inferiore.

Le specie che più si accostano alla presente sono il Ph. margaritatus Clerck, ed il Ph. cinereus Westring.

Dimensioni di una femina.

Lunghezza totale . . . . . . . mill. 5,5. 9 dell’ addome. . . . . DO ”» di una zampa del pajo » 5,1. 3? 29 da 29 29 9,0. 4°» 4,9. i

Un unico esemplare di questa specie fu raccolto nel Modenese dal prof. Giovanni Generali.

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LIBRI ricevuti in cambio od in dono dalla Società

VIERTELJAHRSSCHRIFT der Naturf. Gesellschaft in Zurich, redigirt von Dott. R. Wolf, 1856 fino 1866.

RENDICONTO delle sessioni dell’ Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna, anno accad. 1867-63.

VERHANDLUNGEN des naturhistorisch-medicinischen Vereins zu Heidel- berg, Band HI, e B. IV, 1-4.

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VASCO Cav. AMEDEO, Retour au grainage domestique pour le choix des cocons sur la bruyère, 1867. Osservazioni sulla scomparsa della membrana nell’ uovo del baco da seta. Sperimenti con alleva- menti precoci di seme serico.

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Errata=Corrige

Pag. 157. Ommettere le ultime 2 linee. « 184. Riga 19, Riferisce all’ considera come un

INDICE DELLE MATERIE

PER NOME D'AUTORE

BONIZZI P. Sulla generazione del Pholcus DIEM

Walck . È CANEST'RINI G. Intorno ai Labroidi aci Medusa aneo » » Sopra alcuni Crani antichi scoperti nel Trentino e nel Veneto . » » Nuovi Aracnidi Italiani

COPPI F. Cenni su alcuni fossili cristallizzati e su i località loro, ove rinvengono nel Modenese.

GAMBARI L. Descrizione dei Quarzi di Porretta .

GENERALI G. Intorno a una varietà di calcoli orinari della - specie bovina.

GHISELLI A. Dell’ Anestesia locale agro con Re oo în un caso di zoppicatura di un cavallo prodotta da reumatismo . ... . »

GRIMELLI G. Metodo meteorologico per preconoscere e ne dire le Meteore Acquee .

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» » Diptera aliqua in America meridionali lecita a Prof. P. Strobel annis 1366-67 .

SALIMBENI L. La farfalla corpuscolosa del baco da seta

STOEHR E. Alcune Osservazioni intorno alla Storia Naturale delle Argille Scagliose.

Prezzo dell’ Annuario Lire Sei.

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