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VITTORIO SIMONELLI A SOPR'A LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE E NELL’ANCONITANO Soggetto della presente nota è lo studio di una piccola serie di fossili miocenici del Bolognese e dell’Anconitano, a me co- municata gentilmente dai Professori Carro De Srerani e MARIO Canavari. Provengono questi fossili dalla vasta e potente for- mazione marnosa, che, per analogie faunistiche e litologiche con lo Schlier di Ottnang, appunto col nome di Schlier si trova indicata in parecchi lavori del Manzoni e del Fucgs (!); forma- zione che offre il doppio interesse di una fauna nota solo par- zialmente e di un'età non ancora esattamente determinata. Basta dire che mentre da taluno la si vede riferita al primo piano mediterraneo (*), viene da altri riferita al secondo e messa immediatamente sotto al Tortoniano tipico (5). Nello scritto “ Die Gliederung des Tertitirbildungen am Nor- dabhange der Apenninen von Ancona bis Bologna ,, che tradotto in italiano apparve anche nel Bullettino del nostro Comitato (4) Vedi fra gli altri: Manzoni — Lo Schlier di Ottnang nell Alta Austria e lo Schlier delle colline di Bologna (Bull. d. Com. Geol. d’It.; 1876). Dello stesso, Geologia della Provincia di Bologna (Annuario della Soc. dei Nat. di Modena, anno XIV; 1880), ed Echinodermi fossili dello Schlier delle Colline di Bologna (Denkschr. ‘d. Akad. d. W., math. naturw. Cl, XXXIX Bd., II Abth; 1878). — Fuchs. - Die Gliederung d. Terticirbild. am Nordabhange d. Apenninen von Ancona bis Bologna (Sitz. d. Ak. d. Wiss., LXX Bd., 2. Abth; 1875 — etc. (*) Fuchs Th. — Geolog. Uebersicht der jimgeren Tertiirbildungen des Wiener Beckens und des Ungar. - Steierischen Ticflandes (Zeitschr. d. Deutsch. geol. Gesell- schaft, 1877, 4. Heft.) S. 699. (*) Giimbel — Grumdziige der geologie. 1888. S. 938. Sc. Nat. Vol. XII. 1 4 V. SIMONELLI Geologico ('), il Fucus insiste sulla corrispondenza assoluta della molassa marnosa di Bologna e di Modena con lo Schlier austriaco, e la mette con questo nel primo piano mediterraneo del Susss. Mentre dal Prof. CareLLINI (?) questi depositi marnosi erano stati distinti in due piani, uno più antico (Marne bluastre) at- tribuito al Langhiano ed Elveziano di Mayer, uno più recente (Marne biancastre) riferito al Messiniano, dal geologo austriaco vengono riuniti in unico piano: lo Sechlier. Numerose e gravi obiezioni a questa e ad altre vedute del Fucus furono dal CapeLuni svolte nei due lavori “ Su terreni terziari di una parte del versante settentrionale dell’ Apennino , (3) e sulle “ Marne glauconifere dei dintorni di Bologna , (5). Il quadro sinottico unito alla prima di queste pubblicazioni, mostra i depositi miocenici bolognesi classificati nell'ordine seguente: Messiniano inferiore o Sarmatiano o È sj . A 3] GS Marne a Cardita Jouannetie loro equivalenti | Sogliano, Lojano, Scanello, 2 = i; è Si dro =, 3 Conglomerati con qualche ciottolo ofiolitico | Rumici, Gesso, Carbona. $ DS + Si) Sabbie quarzose bianche o bionde succi- E È w 5 nifere che passano alle molasse con | Gajate, Montecucolo, Mon- | £ £ 3 S Orbitoidi ete. LS | 9 tese nel Modenese, San | £ ,$ SI IS Molasse serpentinose con detriti di calcare a o gogli ici = 3 E Cellepore, Pentacr. Gastaldi ed Echinidi Marino, Sogliano. SIE 3 Si 7 È È È A Macigno a entrochi che si lega colla molassa & E) e >| o | s S| US © EE i E CNC Molassa grigia o giallastra succinifera che i SSL passa a marna sabbiosa con straterelli | Lojano, Montoyvolo, Vergato. =| 0 sp di lignite o È " $ R Cale. a Cellepore di S. Marino Valle della Marecchia pei dA S bel Oligocene L’esplicito parere emesso dal Fucas sopra l’età delle mo- lasse marnose bolognesi sembra accettato, non senza qualche riserva, nelle pubblicazioni numerose che il Manzoni ha dedi- cato a questo terreno. È bensi vero che fino dal 1876 il Max- (3) Ni 7 e 8, Luglio e Agosto 1875. (&) Vi. la Carta geologica dei dintorni di Bologna. (8) Mem. Ace. d. Sc. d. Ist. di Bologna. Ser. III, T. VI, p. 622 e 623. 1875. (4) Rendic. d. Ace. d. Sc. di Bologna. 1877. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 5) zonI (1) identificava paleontologicamente le marne del Bolognese con lo Schlier di Hall e di Ottnang; ma quanto al tempo della loro formazione egli riteneva che dal Miocene medio avessero continuato. a depositarsi lentissimamente fino al Pliocene infe- riore. Analoga opinione viene espressa dall'autore medesimo nella “ Geologia della Provincia di Bologna , (*) pubblicata nel 1880. — Sempre nel 1880, annunziando la scoperta di una fauna prettamente tortoniana nelle molasse quarzose di Lojano, Vada, Monzuno, e nelle argille del Monte delle Formiche (3), il Max- zoni scriveva che “ dove queste molasse si trovano in contatto con lo Schler, questo è sempre immediatamente soprastante, come è facile osservare nei frequenti contatti di queste due formazioni ,. Onde non è facile intendere come un anno più tardi, nel quadro sinottico unito alla memoria sulla “ Mioce- nicità del Macigno ,, (4) lo Schlier si trovi collocato nel Miocene medio, sotto alle molasse quarzose ed alle argille tortoniane con Ancillaria glandiformis; contradizione che ha dato nell’ occhio anche al GixseL, come si rileva dall’ interessantissimo studio “ Die miocinen Ablagerungen in oberen Donaugebiete , (°). Descrivendo le marne compatte e le molasse marnose del- l’Anconitano, comprese fra la Creta e la formazione sarmatica, il Capettini le dice corrispondenti a quelle del Bolognese e le riferisce all’ Elveziano-Langhiano. “ La difficolta pratica, egli scrive (5), di separare dall’Elveziano le marne compatte e mo- lasse marnose langhiane caratterizzate dall’ Aturia Aturi, Pecten denudatus, Solenomya Doderleini, oltrechè dai caratteri litologici è avvalorata dalla concomitanza della A. Aturi con la Lucina (1) Lo Schlier di Ottnang nell’ Alta Austria e lo Schlier delle Colline di Bologna. B. del R. C. Geol. It,, Anno 1876, p. 128 e seg.ti 1876. (2) Annuario della Soc. dei Nat. di Modena, Anno XIV, f. I, pag. (dell'estratto) 23, 1880. (3) Il Tortoniano e i suoi fossili nella Prov. di Bologna. Bull. d. Com. Geol. It., Anno 1880, p. 512, 1880. (4) Della Miocenicità del Macigno e dell'unità dei terreni miocenici del Bolognese. Bull. d. Com. Geol. Ital., Anno 1881, pag. 56. 1881. (9) Sitzb. d. mat.-phys. CI. d. k. bayer. Akad. d. Wiss. 1887, Heft, II (5) Capellini — Str. a Congerie e marne compatte mioceniche dei dintorni d'An- cona. (Atti dell’Acc. dei Lincei. Mem., 1879). P. 146. 6 V. SIMONELLI Delbosi, o L. apenninica, o L. pomum (+) ) che finora si ritiene come il fossile più importante dell’ Elveziano ,. La corrispondenza, ammessa generalmente, tra la fauna delle marne bolognesi o anconitane e quella del tipico Schlier di Ottnang, era, in fondo, l’unico argomento per attribuirle, almeno in parte, al promo piano mediterraneo, e segnatamente al Langhiano. Di ragioni stratigrafiche valevoli non so che se ne potessero addurre: fra le argille scagliose e i gessi del Bo- lognese, fra la Creta e il Sarmatico dell’ Anconitano, c'è posto per tutta una lunga fila di piani e di sottopiani miocenici. Ora che gli studi, già una volta accennati, del GimseL han dimostrato occupare lo Sehlier dell'alta Austria uno dei più alti livelli del Miocene medio, al di sopra anche degli strati di Grund (*) parrebbe che lo Schlier d’Italia dovesse subire lo spo- stamento medesimo. Spostamento che per la parte nostra non sarebbe però giustificato quando non trovasse conferma nel paragone della fauna con quella di orizzonti geologici ben de- terminati, di posizione indiscussa. Appunto a questa ricerca credemmo poter contribuire utilmente dando notizia di un buon numero di forme che sinora non erano state indicate nel nostro Schlier, e di queste come delle altre già note esaminando la distribuzione verticale e il significato cronologico. Ci si potrà forse muover l'appunto di aver accettato con eccessiva larghezza e senza critica i dati relativi alla persi- stenza di molte forme organiche traverso a lunghe serie di piani geologici; persistenza che da molti si ritiene più appa- rente che reale, e in gran parte dovuta ad imperfezione di ri- (1) Citando la ZL. pomum Duj. tra i fossili di una isoletta del lago Birket-EI- Qurùn, lo stesso Mayer è costretto a dire: Nun kann ich mit dem besten Willen keinen Speciesunterschied zwischen «diesen Typus (del Tongriano e dell’Aquitaniano) und der in Synonymie citirten (L. Volderi Nyst, L. Vicaryi Arch., L. subvicaryi Arch., L. Pharaonis Bell., L. cycloides Bell.) meistens als Steinkerne vorkommenden Arten finden, ja ich sehe mich genòthigt, auch die bis ins Tortonian hinauf reichende grosse und kugelige Lucina, welche im Helvetian III Oberitaliens (Pino torinese, Serravalle- Scrivia, Carrezzano bei Tortona, Sassuolo bei Modena) so hàiufig ist, als immer noch dieselbe L. pomum zu betrachten, denn die mittelgrossen Exemplare davon stimmen mit gleicherossen von Bordeaux iusserlich und inwendig vollkommen iiberein. Die Art reicht also, wenn nicht schon vom unteren Londinian des Monte Postale bei Vi- cenza, so doch vom unteren Parisian (Belgien, Schweiz) bis zum Tortonian. (Die Ver- steinerungen der tert. Schicht. v. d. Westlichen Insel im Birket-el-Quriin-See (Pa- laeontogr., XXX Bd., 6, 1883, S. 70). (*) Die mioc. Ablag. in ob. Donaugebiete. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER » NEL BOLOGNESE EC. ‘ cerche. Ripugna, ne conveniamo anche noi, l’ ammettere che certe specie passino invariate dall’ Eocene all'attualità; ma dal- l’altra parte non crediamo punto dimostrato che tutte le mo- dificazioni subìte da una forma organica vadano precisamente a scolpirsi nelle parti suscettibili di fossilizzazione, e vi si tra- ducano in caratteri differenziali determinati, costanti, pratica- mente apprezzabili. Chi studia gli esemplari di una data specie raccolti a differenti livelli geologici in una stessa regione, non sarà lungamente imbarazzato per trovar diversi quelli più an- tichi dai più recenti e per dar la diagnosi delle mutazioni. Bisognerebbe vedere se sia facile ugualmente la distinzione a caso vergine, quando non è determinata l’età geologica del- l'esemplare. Pesci 1. Oxyrhina plicatilis Agassiz. Rech. sur les poiss. foss., T. III, p. 279, PI. XXXVII, fig. 14, 15. (1836). La presenza di rare ma bene sviluppate pieghe longitudi- nali nella faccia esterna dello smalto ci fa riferire a questa specie un dente assai ben conservato, che per l'aspetto gene- rale ricorderebbe invece la O. hastalis Ag. L'asse coronale è mediocremente obliquo, debole lo spessore, piccola la larghezza della base in confronto all'altezza, onde la forma del cono den- tario risulta notevolmente slanciata. La faccia interna è rego- larmente convessa, l'esterna pianeggiante; corrono su quest’ ul- tima, oltre alle pieghe caratteristiche già accennate, due solchi paralleli e contigui ai margini laterali, estesi per circa ?/3 del- l'altezza del cono. La radice è mutilata. Dimensioni: Altezza della corona nella faccia interna mm. 35, nella esterna mm. 33. Larghezza della corona alla base mm. 21, spessore mm. 8. Altezza della radice nella faccia interna mm. 9. Provenienza: Colline bolognesi (Collez. Manzoni, acquistata dal Museo dell'Istituto superiore di Firenze). 2. Species sedis incertae. Fra gli avanzi rarissimi di pesci sinora offerti dal cosid- 8 V. SIMONELLI detto Schlier (*) vanno menzionati certi singolari modelli delle cavità vertebrali di un selaciano. Questi modelli, che si po- trebbero dire costituiti da due coni depressi, aderenti l’un con- tro l’altro per la base, hanno la superficie ornata da fitte pieghe concentriche assai regolari; il loro maggior diametro arriva a. 33 mm., mentre dall’avanti all'indietro misurano circa 20 mm. Provenienza - €. s. Cefalopodi 3. Aturia Aturi (Basterot). Clymenia Morrisi Michelotti, Descr. d. foss. mioc. de VU It. sept., p. 349, PI. XV, fig. 4. 1847. Questa specie si trova già citata in vari scritti del Fucss, del Manzoni, etc., come uno dei fossili più caratteristici dello Schlier bolognese. Il Canavari ne ha raccolto un bell’ esemplare anche a Pergola. In Italia Il A. Aturî non è stata mai, per quanto io sappia, riscontrata con sicurezza in terreni più antichi di quelli che si soglion riferire al Langhiano; dal BeLvarpi (?) la vediamo indicata anche nel Miocene superiore (Monferrato, Alba e Clavesana). PFieropodi 4. Vaginella Calandrellii (Michelotti). Bellardi, Moll. tere. del Piem. e della Liguria. P.I., p. 35, Tav. II, fio. 17, 1872. Numerosi ed assai ben conservati esemplari in un pezzo di marna indurita dei contorni di Bargi (Coll. Manzoni). Nell’Italia settentrionale questa specie sembra limitata al Miocene medio; ma il Poxzr l’ha riscontrata anche nelle marne a pteropodi del M. Vaticano, che il Fucus e il Manzoni riferi- scono al Pliocene. (1) Nella sua nota « Lo Schlier di Ottnang nell’ AltaAustria e lo Schlier delle Col- line di Bologna » il Manzoni cita un dente di Notidanus primigenius Ag., da lui rac- colto nel Bolognese. Questa specie non si trova fra il materiale che ci venne comunicato (®) Moll. terz, d. Piem. e Lig., Vol. I, p. 23. 1872. No) SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER , NEL BOLOGNESE EC. o. Balantium braidense Bellardi. Moll. terz. del Piem. e della Liguria, P.I.*, p.32, Tav. III, fig. 12. 1872. I nostri esemplari corrispondono abbastanza bene alla de- scrizione ed alla figura del Berrarpi per la forma generale ‘è per le dimensioni; ma le tre costole longitudinali sono un po’ più divergenti, e le rughe trasverse o sono del tutto obliterate o si estendono indifferentemente sull’intera superficie, lasciando libera soltanto una stretta benda marginale. Il giacimento indicato dal Bellardi per questa specie è il Miocene superiore di Monte Capriolo presso Brà. Provenienza. Tassignano in Valle del Santerno presso Imola (Mus. di Firenze). 6. Balantium pedemontanum (Mayer). Cleodora pedemontana Mayer, Descr. d. Coq. d. terr. tert., Journ. de Conch., Vol. XVI, p. 104, Tav. II, fig. 2. 1868. Individui notevoli per le dimensioni, di gran lunga ecce- denti la media; taluni arrivano fino a 32 mm. di lunghezza. Il B. pedemontanum è indicato non solo in più giacimenti langhiani ed elveziani, ma anche in quelli tortoniani di Ser- ravalle Scrivia e di Aqui. Provenienza. Colline bolognesi. Mus. di Firenze. Gasteropodi 7. Scaphander Grateloupi (Michelotti). Bulla Grateloupi Michelotti, Descr. d. foss. d. terr. mioc. de l° It. sept., p. 150. 1847. Per la forma generale e per le dimensioni (lungh. mm. 19, diam. mm. 8) l’unico esemplare si accorda assai bene con la diagnosi del MicreLorti; mancano però i caratteri dell’orna- mentazione, essendo il guscio profondamente corroso, Soltanto 10 V. SIMONELLI verso le due estremità si scopre qualche traccia delle strie trasversali, finissime e numerose. Lo Sc. Grateloupi sembra limitato al Miocene medio: nelle formazioni più recenti dell’Elveziano viene sostituito dallo Se. lignarius Li. È Provenienza. U. s, 8. Cylichna Brocchii (Michelotti). Bulla Brocchii Michelotti, Descr. d. foss. d. terr. mioc. de V It. sept., p. 151. 1847. Questa specie, rappresentata da un solo e cattivo esemplare allo stato di modello interno, ha poco o punto valore crono- logico per la sua grande estensione verticale. Anche senza uscire d’Italia la troviamo infatti citata nell’ Aquitaniano. nel Lan- ghiano, nell’ Elveziano ete., fino all'attualità. Provenienza. Sasso molare. (Coll. Manzoni, Mus. di Firenze). 9. Conus (Leptoconus) Puschi Michelotti. Riferiamo a questa specie quattro esemplari della collezione Manzoni, uno fra i quali notevolissimo per la buona conserva- zione e per la non ordinaria grandezza. Esso misura non meno di 123 mm. di lunghezza per 37 mm. di maggior diametro. Il C. Puschi avrebbe fatto la sua prima comparsa nell’Aqui- taniano, se aquitaniani davvero fossero i terreni di Reggio in Calabria ove lo cita il Secuenza (1). Quel che è certo è che la specie acquista la massima diffusione nell’Elveziano e nel Tor- toniano, se pur non giunge fino al Pliocene inferiore. (2). Nel bacmo di Vienna ed in Serbia (3) il C. Puschi si trova limitato al 2.° Piano Mediterraneo. (1) Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio. Mem. d. Ace. dei Lincei, Ser. IIL, Vol. VI, p. 50, 1879. (£®) Ponzi — I fossili del M. Vaticano. Mem. d. Ace. d. Lincei. Ser. II. Vol. DI, p. 939, 1876. (3) Ziyovie: — Geol. Uebersicht des Kinigreichs Serbien, Jahrb, d. k, k. Geol, Reichs. Wien 1886, p. 102. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER , NEL BOLOGNESE EC. 11 10. Conus cfr. elatus Michelotti. Descr. d. fioss. ‘mioc.. de VI. sept., p. 841, PI XIII, fig. 16. 1847. Dubitativamente ravvicino a questa specie tortoniana un modello assai deformato, con l’ultimo giro fortemente ango- loso, con la spira piuttosto slanciata, composta di giri acuta- mente carenati nel mezzo. Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manzoni. Museo di Firenze). 11. Genotia ramosa (Basterot). Bellardi - Moll. tere. del Piem. e della Lig., P. IL*, p. 84, Tav. III, fig. 4. 1877. Determinazione fatta sopra una cattiva impronta di piccola parte del guscio, onde non può escludersi in modo assoluto che sl tratti invece di qualcuna delle numerose forme vicine alla G. ramosa. La specie è comune al Miocene medio e superiore, e non sì estingue che nel Pliocene. Provenienza. C. s. 12. Surcula cfr. Bardini Bellardi. Moll. terz. del Piem. e della Lig., P. IL.*, p. 74, Tav. II, fig. 26. 1877. A questa specie riferisco dubitativamente l'impronta di un grande pleurotomide fusiforme, allungato, a coda sviluppatis- sima. Dal tipo descritto e figurato da BeLrarpi differisce per la maggiore lunghezza (mm. 64 invece di 42) per l'angolo spirale più acuto, per gli anfratti meno convessi e per le coste. un po’ più allungate. Il solo giacimento che troviamo indicato per la S. Bardini è il Miocene medio dei Colli torinesi (Termo-fourà, Rio della Batteria, Baldissero ecc.). Provenienza. CU. s, 12 V. SIMONELLI 13. Pleurotoma rotata (Brocchi). Murex rotatus Brocchi. Conch. foss. subap., Vol. II, p. 434. Tav. IX, fio. 11. 1814. Frammento di un cattivo modello interno, proveniente da Sasso molare. (Coll. Manzoni). È noto come la PI. rotata dal Miocene medio passi al Tor- toniano e duri fino al Pliocene superiore. 14. Halia praecedens Pantanelli. Cenno monografico intorno alla fauna foss. di Montese, P. IL®, p. 16, 1887. (Atti d. Soc. dei Nat. di Modena. - Mem., Ser. III, Vol. VI.). Negli esemplari del Bolognese, come in quelli di Pantano e di Paullo, di Goos e di Porzteich, manca quella ottusa an- golosità dell’ ultimo anfratto che il PanrAnELLI considera come specialmente caratteristica della vicinissima H. helicoides Br. I giacimenti dell’ H. praecedens nel bacino di Vienna apparten- gono al 2.° Piano mediterraneo. 15. Cancellaria spinifera Grateloup. Conchyliologie foss. d. terr. tert. du bassin de l’Adour, Atlas, PI. XXV, fig. 15. 1840. Modello fortemente compresso e mutilato, ma che presenta tuttora ben conservati gli ornamenti della superficie. La C. spinifera fa la sua prima comparsa nei faluns azzurri dell'Aquitania (Langhiano inferiore o Léognanon di Mayer) ed acquista fin dall’ FÈlveziano una notevole diffusione. Loc. Colline bolognesi (Coll. Manzoni. Mus. di Firenze). 16. Mitra spec. indet. Cattivo modello interno, che per la forma generale ricorda SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 13 la M. planicostata Bell. del Pliocene inferiore. Da una piccola parte di guscio che è rimasta aderente al modello si può ve- dere come l’ultimo anfratto fosse liscio nel ventre, e solo nella regione anteriore portasse qualche raro funicolo spirale. Provenienza. O. s. 17. Nassa spec. indet. Anche per questo genere, rappresentato da tre o quattro modelli che il Manzoni raccolse a Sassomolare, bisogna rinun- ziare a qualunque tentativo di determinazione specifica. Tutto quel che possiamo dire è che non si tratta della N. subqua- drangularis Michti., citata come uno dei fossili comuni alla for- mazione marnosa del bolognese ed allo Schlier di Ottnang; e ciò perchè manca ogni traccia dei caratteristici tubercoletti che nella N. subquadrangularis sono formati all'incontro delle coste trasversali con le longitudinali. La superficie porta esclusiva- mente coste trasversali. 18. Cassis variabilis Bellardi et Michelotti. Saggio Orittografico, p. 54, Tav. V, fig. 3. 1841. In uno dei nostri esemplari sì contano cinque ordini di tu- bercoli ’nell’ ultimo giro e due nel penultimo, sicchè par che rappresentino la varietà E di BeLrarpi e Micarcormi; la varietà F sarebbe rappresentata da un altro esemplare, ove gli ordini dei tubercoli sono sei nell'ultimo anfratto e tre nel penultimo. I due esemplari differiscono anche per la forma dei tubercoli (grossi ed ottusi in quello riferito alla varietà E, acuti, subspi- nosi nell’ altro) e per il profilo del penultimo anfratto. La C. variabilis dura dal più antico piano del Miocene medio fino all’Astiano. Da BenLarpi e MicgeLomti la Var. F_ è segnalata esclusivamente in un giacimento langhiano, la Var. E nel Tor- toniano. Provenienza. (Colline bolognesi, Coll. Manzoni. Museo di Firenze), 14 V. SIMONELLI a 19. Cassis Haueri Hòornes. C. variabilis (non Bell. e Michti) M. Hòrnes, oss. Moll. d. Wiener bBeckens ISIMMO Ta EVA a 0) Dalla forma tortoniana del bacino viennese l’ unico nostro esemplare diversifica per la totale confluenza delle nodosità nelle coste longitudinali dell'ultimo anfratto. La specie è citata in Italia nelle arenarie di Montese e di Pantano (Langhiano?) e nel Tortoniano del Monte della Verna. Provenienza. C. s. 20. Cassis aff. Thesei Brongniart. Mém. sur les terr. de sédiment sup. calc.-trapp. du Vicentin, p. 66, PIT est 525% Il modello interno che dubitativamente ravviciniamo a que- sta specie mostra nel terzo posteriore dell'ultimo giro alcune coste longitudinali divise da lunghissimi intervalli, grosse, pro- minenti, rotondate, che presto svaniscono andando verso l’estre- mità anteriore. Gli altri giri sono affatto lisci. Dimensioni = Lunghezza mm. 24. Diametro mm. 16. La C. Thesei sarebbe una forma molto antica, rimontando all’Eocene medio (Parisiano superiore o Grignonino del Mayer). BexLarpi e Micurtorti la citano anche nel Miocene medio (?) di Termofourà e Rio della Batteria presso Torino (Saggio oròtto- grafico. Pag. 52. 1840). Provenienza. C. s. 21. Cassis saburon Bruguière? Hérnes - Moll. d. Wien.-Beck., I. Bd., S. 177, Taf. XV, Fig. 2-7. 1856. Anche questa specie è rappresentata soltanto da un cattivo e mutilato nucleo, che non consente una determinazione sicura. La C. saburon è comune a tutti i piani del Neogene ed abita anche attualmente le coste del Mediterraneo e di piccola parte dell'Atlantico. Provenienza. 0. s, SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, DEL BOLOGNESE EC. 15 22. Cassidaria (Galeodea) echinophora (Linneo). Hornes - Moll. des Tert. Beck. v. Wien, I. Bd., S. 183, Taf. XVI, fig. 4, 6. 1856. È ‘questo il gasteropode più comune dello Schlier bolognese e marchigiano, a giudicarne dai numerosi e ben conservati mo- delli che lo rappresentano nelle collezioni a noi comunicate. Le differenze di forma e di ornamentazione tra i singoli indi- vidui sono così pronunziate, che se non si conoscesse l'estrema variabilità della C. echinophora si potrebbe credere d'aver che fare con altrettante specie diverse. 1. La forma tipica è rappresentata da alcuni grandi esem- plari, lunghi fino a 72 mm., con gli anfratti acutamente care- nati e con tre o quattro cingoli tubercoliferi nell'ultimo giro. Essi corrispondono segnatamente alle figure 4 e 5 della Tav. 16 dell’ HòrxEs. 2. Un altro esemplare, pur conservando bene sviluppata la carena che bipartisce gli anfratti, manca di tubercoli nel- l’ultimo giro, ma li presenta sviluppatissimi nei giri precedenti. Davanti al cordone carenale la superficie dell'ultimo giro pre- senta due o tre coppie di cingoli spirali più larghe e più rile- vate, che segnano il posto occupato normalmente dalle nodo- sità. Anche questo esemplare è di ragguardevoli dimensioni, misurando circa mm. 80 per la lunghezza e 58 mm. per il diametro. 8. Scompariscono in tutti i giri i tubercoli, diviene uni- forme il rilievo dei cingoli, ma sempre si mantiene pronunzia- tissima la carena in alcuni altri grandi esemplari, che ricor- dano la figura data dal CareLuni (*) per la Cassidaria del ma- cigno di Porretta. 4. Alla vivente var. Thyrrena corrispondono esattamente alcuni individui, nei quali non soltanto sono obliterate le no- dosità, ma è scomparsa anche ogni traccia della carena, pre- sentandosi gli anfratti regolarmente convessi. (1) Il macigno di Porretta e le roccie a Globigerine dell'’Ap. bolognese. Tav. II, fig. 1. 1888. 16 V. SIMONELLI 5. Abbiamo per ultimo una forma più piccola delle pre- cedenti, che sembra accostarsi alla C. cingulifera Horn. u. Auing. dell’Elveziano austriaco, ed alla C. stephaniophora Font., del Pliocene dei Pirenei orientali. Qui la spira, composta di 6 (2) giri crescenti sotto un angolo di circa 90°, forma circa 1/4 del- l'altezza totale della conchiglia. Il penultimo e l’antipenultimo giro, regolarmenti convessi, portano sei cordoncini spirali, al- ternanti con più sottili filetti intermedii; il 2.° ed il 3.° cor- doncino a partir dalla sutura posteriore sono forniti di minu- tissimi tubercoli allungati trasversalmente. L'ultimo giro, gran- dissimo e fortemente rigonfio, rapidamente attenuato in avanti, reca 25 coste spirali quasi uguali fra loro in larghezza ed in rilievo, con gl’intervalli bipartiti da un minutissimo filetto. La 3. e la 4.8 costa a contar dalla sutura presentano una ventina di tubercoletti pochissimo sviluppati. — Collegandosi con le varietà precedentemente indicate per termini di graduale pas- saggio, questa forma non deve, a parer nostro, essere staccata dalla C. echinophora. Provenienza. Pergola, Ascoli Piceno (Coll. Canavari) Colline bolognesi (Mus. di Firenze). 23. Pyrula condita Brongniart. Mém. sur les terr. de sédim. sup. du Vicentin, p. 75, PI. VI, fig. 4. 1824. Anche questa specie è abbondantemente rappresentata da bellissimi modelli, che conservano i più minuti particolari del- l’ornamentazione. Quanto alla estensione verticale della P. condita ricorde- remo che senza uscire d’Italia la si trova indicata dall’ Aqui- taniano fino al Tortoniano. Anche nel bacino di Vienna la specie è comune ai due piani mediterranei. Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manzoni. Museo di Firenze). 24. Cerithium (?) sp. ind. Cattiva impronta di una conchiglia ad angolo spirale acu- tissimo, a giri bassi, piani, bipartiti da un profondo e largo SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, DEL BOLOGNESE EC. 17 solco spirale mediano, ornati anteriormente e posteriormente da un cingolo di grossi tubercoli. Provenienza. C. s. 25. Xenophora testigera (Bronn). Hornes - Tert. Moll. v. Wien, II. Bd., S. 444, Taf. XLIV, fig. 14. 1856. Un discreto esemplare tuttora provvisto del guscio, facil- mente riconoscibile per la forma alta e slanciata, con angolo spirale di circa 75°. — Nei primi giri osservansi alcune costi- cine radianti dell’apice, e negli ultimi si vedono due o tre sot- tili pieghe spirali, contigue alla sutura anteriore. Questa specie, particolarmente diffusa nel Miocene superiore, non scende, per quanto io sappia, oltre l’Elveziano, e dura fino al Pliocene superiore. Provenienza. C. s. 26. Xenophora Deshayesei (Michelotti). Phorus Deshayesei Michelotti, Descript. d. foss. mioc. de V It. sept., p. 173. 1847. A questa specie, pur largamente estesa nelle formazioni neogeniche, dal Langhiano al Tortoniano, crediamo poter rife- rire un modello proveniente dalle colline bolognesi, che misura alla base circa 90 mm. di diametro. La forma è assai meno elevata di quel che non sia nel tipo, ma questa differenza può ben dipendere dalla compressione subìta dall’esemplare. 27. Natica sp. in. Piccoli nuclei provenienti da Sassomolare, specificamente indeterminabili. 28. Scalaria (Cirsotrema) lamellosa (Brocchi). Turbo lamellosus Brocchi, Conch. foss. subap., Vol. IL, p. 379, Tav. VII, fig. 2. 1813. L'unico esemplare, benissimo conservato, rivaleggia per le dimensioni con i grandissimi del Subappennino; misura infatti 18 V. SIMONELLI circa 50 mm. di lunghezza per 22 mm. di diametro. L'angolo spirale di poco eccede la media offerta dagli individui plioce- nici, giacchè arriva appena a 25°. La Scalaria lamellosa, per quanto è a mia conoscenza, non fu trovata sinora in terreni più antichi dell’Elveziano (4). Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manzoni. Museo di Firenze). 29. Trochus sp. ind. Cattivi modelli interni riferibili a questo genere provengono da Sassomolare e da altre località del Bolognese. Sono speci- ficamente indeterminabili. 30. Pleurotomaria felsinea nov. sp. Conchiglia trocoide lar- ghissima e depressa, ombe- licata. Anfratti pochissimo elevati, leggermente con- vessi, rapidamente cre- scenti sotto un angolo spi- rale un po’ maggiore del retto. L'ultimo giro, che insieme a piccola parte del penultimo è tutto quel che ci rimane della pre- ziosa conchiglia, doveva formar circa un terzo della sua lunghezza totale: esso mostra alla periferia una carena tagliente, il cui sviluppo apparisce esage- rato per la compressione subìta dal fossile, ma che pur do- veva essere abbastanza acuta anche prima: la base è mode- ratamente convessa, la cavità ombelicale ampia, imbutiforme. Fig. 1. (!) Fontannes — Mollusques pliocènes de la Vallée du Rhone et du Roussillon. T. I, Gastéropodes, p. 123. 1879-1882. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 19 La fascia del seno è chiaramente indicata nella metà anteriore di quella parte dell'ultimo giro che è compresa fra la sutura e la carena periferica. La superficie della con- chiglia, a giudicare dal sottile e fragile strate- rello madreperlaceo tut- tora conservato, era or- nata alla base da fitte ed esilissime strie sigmoi- dee radianti dall’ombe- lico, associate in vici- nanza della periferia a sottili cingoli spirali, leg- germente granulosi. La regione posteriore del- l’ultimo anfratto (e ve- rosimilmente l’intera su- perficie dei giri prece- denti) è munita di pieghettine e di strie trasversali, che muo- vendosi dalla sutura si dirigono con dolce curva verso l’in- dietro, ma incontrata la fascia del seno si dirigono con curva opposta verso la bocca. Diametro mm. 66. Altezza mm. 35 (2). Le specie più vicine per età a questa che noi descriviamo sono la P. Sismondai Goldf. dell’'Oligocene di Binde, e la P. tertiaria Mac Coy del Miocene d'Australia. Non possiamo istituir paragoni con la specie australiana, perchè non abbiamo potuto trovarne la diagnosi nè le figure. Quanto alla P. Sismondai (di cui si conserva nel Museo paleontologico di Monaco l’esem- plare originale) per la forma assai più elevata, per la fascia del seno molto più vicina alla sutura posteriore, pei filetti gra- nulosi che ne coprono tutta la superficie, possiamo con sicu- rezza dirla affatto diversa dalla P. felsinea. Così pure nessun rapporto ha la nostra specie con le raris- sime congeneri dell'attualità (1). Possono queste infatti venire Fi® 2. (') Crosse — Les Pleurotomaires de l époque actuelle. Journ. d. Conchyliologie. 1882. P. 6. Sc. Nat. Vol. XII. 2 20 V. SIMONELLI ripartite in due sezioni, l'una delle quali è caratterizzata dalla presenza dell’ombelico e della posizione sopramediana dell’in- taglio, l’altra dall'assenza dell’ombelico e dall’intaglio infra- mediano. — Ora nella nostra specie si associa un carattere della prima sezione, l’ombelico, con uno della seconda, l’in- taglio inframediano; associazione che, per quanto sappiamo, non ha riscontro fra le specie viventi. Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manzoni. Museo di Firenze). Scafopodi 31. Dentalium cfr. badense Partsch. Hornes - Moll. d. Wien.-Beck., I Bd., S. 652, Taf. L, fig. 30. L'assai ben conservato esemplare del Bolognese ha presso l'apice una dozzina di coste ben rilevate, che rapidamente si accrescono in numero per interposizione di nuove ed alquanto minori costicine, fino a divenire circa 25 all'estremo orale; gli intervalli fra costa e costa rimangono però notevolmente più larghi che negli esemplari di D. Badense del Bacino viennese, rendendo perciò alquanto incerto il ravvicinamento. Lamellibranchi 32. Ostrea (Gryphaea) cochlear Poli. Test. utriusg. Sicil., Vol. II, pag. 179, tab. XXVIII, fig. 28. 1791. Valve sinistre di forma notevolmente allungata, assai con- vesse, con l’umbone prominente e ripiegato, con rare lamine concentriche nella superficie. Rappresentano a parer nostro la var. navicularis (1) (0. navicularis Brocchi) specialmente diffusa (!) Foresti — Dell Ostrea cochlear e di alcune sue varietà. Mem. d. Acc. d. Sc, di Bologna, Ser. IV, T. I, pag. 549. 1880. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 21 nel Miocene e nel Pliocene inferiore, mentre nel Pliocene re- cente e nella attualità viene sostituita dalla forma tipica. Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni. Museo di Firenze). 33. Amussium anconitanum (Foresti). Pecten anconitanum Foresti, Contribuzioni alla conch. foss. ital., p. 19, io O eli: Un bell’esemplare comunicatomi dal Prof. Canavari si ac- corda per molti caratteri con la descrizione e le figure del Foresti, pure offrendo qualche particolarità che riputiamo degna di nota. Le dimensioni sono già sensibilmente diverse, arri- vando il diametro umbo-ventrale dell'esemplare nostro a 30 mm., mentre in quello illustrato dal Foresti non passa i 24 mm. Non sì riscontra però diversità sensibile nella forma, che anche qui st mantiene suborbicolare allungata e leggermente obliqua. Le coste raggianti, invece di arrestarsi a circa un terzo dal margine, si prolungano fino a distanza assai minore dal mar- gine stesso, equivalendo la loro lunghezza a circa 5/6 del dia- metro umbo-ventrale; e nel loro decorso, invece di mantenersi diritte come nell’esemplare del Foresti, s'incurvano alquanto in alto. La valva destra per la forma generale, per il grado di con- vessità, per l'andamento e la disposizione delle coste raggianti, sembra non differisca dall’opposta valva. Ma mentre in que- st'ultima sono ben pronunziate le strie longitudinali dell’esterna superficie, che insieme alle minutissime linee concentriche for- mano un leggiero reticolato, quella è fornita unicamente di linee concentriche ben rilevate. Un altro esemplare favoritomi dal Prof. De Srerani ha le coste raggianti diritte come quelle dell’individuo tipo, ma pro- lungate addirittura fino al margine. L'esemplare descritto dal Foresmr proveniva dalle marne indurate della Pietra alla Croce presso Ancona (Langhiano se- condo il Prof. CapeLtimi). Il P. anconitanum fu anche indicato dal Carici nei calcari compatti e marnosi della regione S. E. di Da V. SIMONELLI Sicilia, riferiti ai piani Langhiano ed Elveziano (!). I nostri esemplari provengono l'uno dalle colline bolognesi, l’altro dal taglio della strada nuova di Pergola. 34. Amussium Philippii (Michelotti). Pecten Philippii Michelotti, Dese». des foss. d. terr. mioc. de Vl It. sept. pag. 85, tav. III, fig. 5. 1847. A questa certamente, non alla specie molto vicina A. duo- decimlamellatus Bronn, va riferito il bell’esemplare del Bolo- gnese comunicatomi dal Prof. De Srerani. È infatti non orbi- colare, ma allungato nel senso umbo-ventrale, non eleganter et dense concentrice-striatum (?), ma affatto liscio all’esterno. Le coste radianti, terminate all'apice con un tubercoletto, sono in numero di dieci. Dimensioni. Diametro antero-posteriore mm. 6. Diametro umbo-ventrale mm. 9. Il giacimento indicato dal Michelotti per lA. Philipp è Tortona, dunque verosimilmente il Miocene superiore. In for- mazioni più antiche l’ hanno indicato il Coppi (4) (Calcare bian- castro della Tagliata [Elveziano]) e il Panranetti (9) (Pantano e Montese). Dal Poxzi (°) finalmente lo vediamo citato tra i fossili delle marne vaticane, che è quanto dir nel Pliocene. 35. Amussium denudatum (Reuss). Pecten denudatus Reuss, Die fossile Fauna der Steinsalzablagerungen von Wieliceka. Taf. VII, Fig. 1. 1867. Un solo esemplare rappresenta nella collezione Manzoni questa specie, che secondo l’ Hòrnes juniore (4) rimpiazzerebbe (4) I. Cafici — Sulla determinazione cronologica del calcare a selce piromaca ete. Boll. del Comit. geol. ital, Vol. XI, pag 500, 1880, (®) Bronn — Italiens Tertiéir-Gebilde. S. 116. 1831. (3) Coppi — Il Miocene medio nei colli modenesi. Boll. d. Comit. geol. d’It, Vol. XV, pag. 186. 1884. (4) Pantanelli e Mazzetti — Cenno monogr. sulla fauna foss. di Montese. Atti d. Soc. dei Nat. di Modena, Ser. III, Vol. VI, p. 37. 1887. (9) Ponzi — I fossili del Monte Vaticano. Atti dell’Acc. dei Lincei. Ser. II, Vol. VI, P. II, pag. 944. 1876. (5) R. Hoernes — Die Fauna des Schliers von Ottnang. Jahrb. d. k. k. Geol. Reichsanstalt, XXV Bd., S. 383. 1875. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, DEL BOLOGNESE EC. 23 nello Schlier il Pecten cristatus del Pliocene. Bisogna però os- servare che talvolta le due specie coesistono nel medesimo giacimento, come succede nelle marne ad Aturia Aturi di Malta studiate dal Fucns ('). Come l'A. cristatum scende per lo meno fino all’Elveziano, così l'A. denudatum continua nel Miocene superiore e non si estinguerebbe, stando al Seguenza, che nel Pliocene inferiore. Il Secuenza (?) lo cita infatti nel Tortoniano di Benestare, di Falcò, di Ambutì, e nello Zancleano di Ter- reti e di Stilo. Provenienza. Colline bolognesi. 36. Pecten substriatus d’ Orbigny. Prodr. de Paléont. stratigr., T. III, p. 128, N 2409. 1852. Non senza qualche dubbio riferisco a questa specie una cattiva impronta della valva sinistra, raccolta a Labbante nel Bolognese. Dal tipo, quale vien descritto e figurato dall’ Hòr- nes (3), diversifica per la forma un po’ meno oblunga, quasi orbicolare, per le costicine raggianti più sottili, e peri solchi intercostali proporzionatamente più ampi. Dimensioni. Diametro umbo-ventrale mm. 20, diametro an- tero-posteriore mm. 19. Il P. substriatus, che raggiunge la massima diffusione nel- l’ Elveziano, non scende, per quanto è a mia conoscenza, in strati più antichi dei Faluns di Saucats. Di rado, e non sap- piamo quanto giustamente, si trova indicato nei terreni plioce- nici (4), dove il suo posto è preso dal Pecten pusto. 37. Pinna Brocchii d'Orbigny. Prodr. de Palèont. stratigr., T. III, pag. 125. — Hérnes - Die foss. Moll. d. Tert. Beck. v. Wien., II Bd, S.372. Taf. L., fig. 1-2. 1870. Parecchi modelli assai ben conservati e qualche esemplare tuttora fornito di parte del guscio. L’ornamentazione corri- (4) Th. Fuchs — VUeb. den sogennanten “ Badner Tegel,, auf Malta. (Sitzb. d k. Akad. d. Wissensch. LXXISI Bd.) S. 3. 1876 (£) Seguenza — Le form. terz. nella prov. di Reggio. pag. 122 e 188 1879. (3) Foss. Moll d. tert. Beck. v. Wien., II° Bd., S. 408, Taf. LXIV, Fig 2. (4) Seguenza — Form. terz. di Reggio, pag. 187 (Zancleano). 1879. 94 V. SIMONELLI sponde perfettamente a quella degli esemplari tipici del bacino di Vienna. Anche questa specie fa la sua prima comparsa in terreni indicati come langhiani e non si estingue che nel Pliocene. Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni nel Museo di Firenze). 38. Limopsis aurita (Brocchi). Arca aurita Brocchi, Conch. foss. subap., Vol. II, pag. 485, Tav. XL, fig. 9. 1813. Esemplari numerosi e benissimo conservati, in tutto corri- spondenti a quelli del nostro pliocene. Come le specie precedenti anche questa ha una estensione verticale così ampia, che perde ogni valore come documento cronologico. È citata dal Mayer (*) nel Langhiano di Mohe- ring presso Traunstein; acquista di già una diffusione notevole nell’ Elveziano, passa nel Tortoniano e nel Pliocene. Vive tut- tora nei mari d'Inghilterra (?). Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manz. Museo di Fir.). 39. Nucula Mayeri Hornes. Foss. Moll. des Wiener Beckens, II Bd., S. 296, Taf. XXXVIII, fig. 1. 1870. La forma generale si accorda perfettamente con quella del tipo descritto dall’ Hòrnes. Lo stesso non sarebbe dell’ornamen- tazione, negli esemplari viennesi costituita secondo l’Hòrxes da sole strie concentriche poco marcate, mentre nel nostro esem- plare alle strie concentriche si associano ben distinte linee ra- diali. Notiamo però che gli esemplari di N. Mayeri provenienti da Grusbach, che ho potuto esaminare nel Museo di Monaco, offrono, al pari del nostro, strie concentriche e radiali riunite. (4) Cat. syst. et descriptif des foss. tert. du Mus. de Zurich, Ile Cah,, pag. 118 et 56. 1868. (2) Seguenza — Dell’antica distrib. geogr. di talune sp. malacologiche viventi, p. 12. Bull. Malac., Anno II, 1870, SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER , NEL BOLOGNESE EC. 25 Non so che la N. Mayeri passi oltre il Tortoniano, dove è molto diffusa (Lapugy, Serravalle, Benestare in Calabria etc.). Nè d'altra parte trovo per essa indicazioni sicure di giacimenti più antichi dell’ Elveziano inferiore (Grundon del Mayer). Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni, Museo di Firenze). 40. Psammobia sp. ind. A questo genere crediamo vadano riferite alcune cattive impronte di una conchiglia trasversalmente molto allungata, inequilaterale, rotondata nel lato boccale e posteriormente subtroncata, coperta di fitte strie concentriche. — Materiali così mal conservati rendono poco meno che impossibile la de- terminazione specifica. Provenienza. C. s. 41. Lutraria (?) sp. nov. In condizioni poco diverse da quelle degli esemplari sopra ac- cennati si trova una valva sinistra di piccole dimensioni (mm. 31 di lunghezza per 19 di altezza) che dubitativamente riferisco al genere Lutraria. È questa valva di forma trasversalmente al- lungata, inequilaterale, appiattita. Il lato anteriore è breve, at- tenuato, rotondato all'estremità. Il lato posteriore è un poco più lungo, dilatato, troncato obliquamente, ottusamente ango- loso all’incontro del margine cardinale con l’anale. Il margine ventrale è fortemente arcuato, l’umbone piccolo e poco spor- gente. La superficie è coperta di minutissime e fitte pieghe con- centriche assai regolari. Fra le specie del genere Lutraria a me note, l'esemplare in parola ricorda sopratutto la L. Hoernesi Mayer (L. oblonga non Caemnirz, HòrNES, Foss. Moll. d. Wiener Beck., II.° e Bd., S. 68 (p.p.) Taf. V, fig. 6) rimanendone però distinta per il lato anteriore assai più depresso e per il posteriore meno sviluppato in lun- ghezza. Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manzoni, Museo di Firenze). 26 V. SIMONELLI 42. T'eredo norvegica Spengler. Skrift af Naturh. Selskab., Vol. II, P. I, pag. 102, tab. 2, fig. 4-6, B. Determinazione empirica, perchè fatta sui tubi calcarei senza aver potuto esaminar la conchiglia. La materia legnosa entro cui doveva stare innicchiato il mollusco si è sottratta alle fos- silizzazione. i La T. Norvegica, che vive tuttora anche nei nostri mari, è frequentemente citata nei terreni neogenici, a partire dai più bassi piani del Miocene. Bisogna però notare che nella maggior parte dei casi la determinazione della specie non ha più fon- damento della nostra. Provenienza. C. s. 43. Lucina globulosa Deshayes. Encyel. méth., Vol. II, p. 573. 1830. — Hornes, Foss. Moll. d. Tert. Beck IINBd, 187223, Dato XXXII he 5 SZ: Varî modelli interni di grandi dimensioni, lunghi dall’avanti all'indietro fin 120 mm., e così fortemente convessi che lo spes- sore uguaglia in qualche caso 8/10 del diametro anteroposteriore. La sottigliezza del guscio, parzialmente conservato in qualche esemplare, la fortissima convessità, la debole profondità dei solchi radiali c inducono a ritenere che si tratti della L. g/o- bulosa piuttosto che della L. pomum, per i caratteri esteriori tanto vicina. Numerosi giacimenti sono indicati per la L. globulosa, fino dal Nummulitieo superiore (S.'* Avit). Arriva certamente fino al Tortoniano, dove la vediamo citata dal Foxrannes (4) (Marne a Cardita Jouanneti di Cabrières) e dall’ Hòrnes (Lapugy); ed alla sua presenza nel Sarmatiano accenna dubitativamente il Prof. CapeLLINI (2). Provenienza. Tassignano in Valle del Santerno presso Imola. (4) Fontannes — Les terrains néogènes du Plateau du Cucuron, Pag. 57. 1878 (*) Capellini — Il macigno di Porretta e le roccie a Globigerine dell’ Apennino bolognese. Mem. d. Acc. d. Sc. di Bologna; Ser. IV, T. II, Pag 193. 1881. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 27 Colline sopra la stazione delle Pioppe fra Marzabotto e Ver- gato, sulla sinistra del Reno. (Coll. Manzoni, Mus. di Firenze). 44, Lucina cfr. callipteryx Tournouer. Description des Coquilles fossiles des Fuluns. V. Journ. de Conchyl., lied fpas SS ERI A questa specie del Miocene medio di Bordeaux sembra potersi ravvicinare una Lucina molto compressa “ appiattita come una Tellidora o una Myodora , ornata da una diecina di strette pieghe concentriche regolarissime, equidistanti. Le sue dimensioni sono di 24 mm. per il diametro antero-posteriore, di 22 per il diametro umbo-ventrale, e di 3 mm. soltanto per lo spessore. Provenienza. Colline bolognesi (Museo di Firenze, Collezione Manzoni). 45. Axinus transversus (Bronn). LI Lucina transversa Bronn, Italiens Terticir-Gebilde, S. 95, N.° 532. 1831. Fra i molti esemplari riferibili al g. Axinus uno soltanto può essere determinato specificamente con sicurezza, ed è quello qui indicato come A. fransversus. Gli altri più o meno defor- mati, ridotti a modelli interni quasi completamente spogliati del guscio, rappresentano probabilmente una o più specie diverse. L'A. transversus fa la sua prima comparsa in terreni rife- riti al Langhiano e non si estingue che nel Pliocene superiore. Provenienza. Colline bolognesi (Collezione Manzoni, Mus. di Firenze). 46. Tellina sp. ind. Rinunziamo alla determinazione specifica di alcune cattive impronte riferibili a questo genere, dopo aver inutilmente ten- tato di ravvicinarle a qualcuna delle forme conosciute. Quel che possiamo accertare è che la 7. ottnangensis R. Hòrnes, più volte citata dal Manzoni e dal Fucas tra i fossili dello Schlier 28 V. SIMONELLI bolognese, non è rappresentata nel materiale da noi esaminato. Vi si trovano invece delle forme non molto lontane da quelle comprese nel gruppo Peronaea (T. planata L. ete.). Provenienza. C. s. 47. Cuspidaria sp. ind. La cattiva conservazione degli esemplari e sopratutto la mancanza di ogni traccia della cerniera rendono impossibile un minuto confronto con le altre specie di questo genere, dove appunto i caratteri tratti dall’apparato cardinale hanno la massima importanza. Dalla C. cuspidata (Olivi), la forma più comune e più frequentemente citata dei nostri terreni neoge- nici, questi esemplari si distinguono a colpo d'occhio per le dimensioni di gran lunga maggiori (mm. 41 di diametro antero- posteriore, compreso il rostro, e mm. 15 di diametro umbo- ventrale) per la sottigliezza del lunghissimo rostro, e per la forma ottusamente angolosa del lato anteriore. Provenienza. Colline bolognesi (Coll. Manzoni, Museo di Firenze). 48. Solenomya Doderleini Mayer. Descr. d. Coq. foss. des. terr. tert., (Journ. de Conch., Vol. IX, pag. 358). 1861. Questa specie sembra piuttosto comune nelle colline bolo- gnesi, a giudicarne dal numero degli esemplari a noi favoriti dal Prof. De Sreraxi. È fuor d'ogni dubbio la corrispondenza col tipo, quale vien descritto e figurato dal Mayer e dall’ Hòrwrs (1). L'abbondanza della S. Doderleini nello Schlier di Ottnang, di Hall, Kremsmiinster etc., in confronto alla relativa sua rarità nelle formazioni ascritte al 2.° piano mediterraneo, l’ha fatta considerare come una specie caratteristica del Langhiano. Cade questa conclusione quando si accettino le vedute del Gimbel sopra la vera posizione dello Schlier austriaco, e quando si pensi che la S. Doderleini non si estingue che nel Tortoniano (strati a grosse Lucine di Pino Torinese). (') Foss. Moll. d. Wiener Beckens, Ile, Bd., S. 217, Taf. XXXIX, Fig. 10. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER , NEL BOLOGNESE EC. 29 49. Solenomya gigantea Mayer. Descr. d. Coq. foss. d. terr. tert., Journ d. Conchyl., Vol. XVI, PAS 02ARE I fio Alla forma tipica e non alla var. subquadrata descritta dal Foresm (!) appartengono i grandi e bellissimi esemplari che ci stanno sott'occhio. Superano per le dimensioni quelle degli in- dividui illustrati dal Mayer, arrivando a 90 mm. di diametro antero-posteriore per 42 di diametro umbo-ventrale. Non conosco per la ,S. gigantea altro giacimento sicuro al- l’infuori di quello delle marne a pteropodi del Torinese (Lan- ghiano). La S. gigantea Ponzi (?) della fauna vaticana (Pliocene secondo Fucas e Manzoni, Tortoniano secondo il Ponzi) rappre- senta per altro, se non la vera S. gigantea Mayer, una forma grandemente analoga. Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni, Museo di Firenze). 50. Pholadomya margaritacea (Sowerby). Cardita margaritacea Sowerby, Min. Conch., Tab. 297, fig. 1. 1821. Non posso escludere che qualcuno degli esemplari che ho rife- riti alla Ph. margaritacea rappresenti invece la Ph. alpina Math. È noto come la distinzione di queste due specie riposi su ca- ratteri tutt'altro che determinati e costanti, e difficilmente apprezzabili quando non si disponga di materiali numerosi e ben conservati. Il limite inferiore della P%. margaritacea sembra essere il Londiniano: arriverebbe secondo il MorscxÒ (*) fino al Miocene superiore. Non possiamo però tacere che il giacimento indicato dal Morsca come Ober Miocciin, St Géours de Maremme presso Bayonne, fa pensare piuttosto all’Oligocene medio. Provenienza. C. s. (1) Contribuz. alla Conchiologia foss. ital, Mem. dell’Ace. d. Se. di Bologna. Ser. IN, T. X, pag 124, Tav. IL fig 7. 1879. (2) I fossili del M. Vaticano, P. 18, Tav. II, fig. 1. 1884. (3) Monugraphie der Pholadomyen, S. 118, Taf XXXVII, Fig. 6, 8. Taf. XXXIX, Fig. 1-6. 1874. 30 V. SIMONELLI 51. Pholadomya (Procardia) Canavarii Simonelli. Sopra una nuova specie del gen. Pholaudomya, Bull. d. Soc. Malacolog. It., Vol. XIII, fase, I, Tav. I. 1888. Rimando alla mia nota del 1888 per la descrizione di questa specie, limitandomi a confermarne la corrispondenza con la PV. Ludensis non Desh., Gimbel (4), del Liguriano di Haring, che ho potuto esaminare nelle collezioni della Oberberg u. Salinen Administration di Monaco, ove reca il nome di P%. subalpina Giimbel (ined.). Ricorderò anche come il Fucxs (?) abbia recen- temente indicati due nuovi giacimenti per la PX. Canavarti; le marne bianche con avanzi di pesci sottoposti al calcare gros- solano di Porto Cheri (Zante) e le marne azzurre con pteropodi dei dintorni di Torino. Parimente dal Torinese proviene un bell’esemplare che ho veduto nel Museo paleontologico di Mo- naco, sotto il nome di Pecchiolia Gastaldii Michelotti (ms.). Provenienza. Pergola (Prov. di Ancona) Ascoli Piceno. Coll. Canavari. 52. Pholadomya spec. ind. Cattivi modelli di aspetto mitiloide, col lato anteriore estre- mamente ridotto, allungati e dilatati posteriormente, subcilin- drici. Le valve acquistano la massima convessità lungo una linea diretta obliquamente dall’umbone verso l'estremità po- steriore, ed acquistano la massima larghezza al principio del terzo posteriore. Il marginale ventrale ed il cardinale sono per lungo tratto quasi rettilinei e fanno tra loro un angolo di appena 18°; il margine anteriore scende quasi verticalmente verso il margine ventrale; l’ estremità posteriore è cuneiforme. Umboni acuti, fortemente obliqui. Superficie ornata di costicine radiali estremamente sottili, fittissime, e da minute strie con- centriche. Dimensioni. Diametro antero posteriore mm. 65. Larghezza mm. 31. Massimo spessore mm. 35. (1) Geogn. Beschreib. d. bayer. Alpengebirges, S. 674. 1861. (®) N. Jahrbuch fiir Mineral. u. Pal., 1890. I1® Bd. S. 160. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 31 Questa forma non trova riscontro fra le congeneri neoge- niche a me note; ma per l’imperfezione degli esemplari mi astengo dal proporla come nuova. Provenienza. Colline bolognesi. (Mus. di Firenze). Brachiopodi 53. Terebratula spec. ind. Non oso proporre alcun nome specifico per l’unica Tere- bratula rinvenuta fra il materiale proveniente dal Bolognese. Si tratta di un esemplare assai malconcio, che per la forma ovata, per il rostro molto curvo ed assai obliquamente tron- cato, per l’angusto forame non interessante il deltidio, ricorda una varietà della 7. Rovasendiana Seguenza (Brach. mioc. delle Prov. Piem., Ann. dell’Acc. degli Asp. Nat. di Napoli, Ser. III, Vol. 6.°, An. 1860, p. 10, T. I., £. 1) raccolta alla Grancia presso Torino. Antozoi 54. Ceratotrochus duodecimcostatus (Goldfuss). Turbinolia duodecimcostata, Goldfuss, Petref. Germ., p. 52, Tab. V, fig. 6. 1826. Due giovani individui, molto malamente conservati. La specie, comunissima nel Pliocene, è indicata anche in più giacimenti tortoniani (Tortona, M.° della Verna, Benestare). Provenienza. Sassomolare. (Mus. di Firenze). 55. Flabellum avicula (Michelotti). Turbinolia avicula, Michelotti, Spec. Zooph. diluv., p. 58, Tab. III, fig. 2. 1833. Cattivo esemplare che riferiamo a questa specie per il rap- porto degli assi del calice fra loro (1:2) per il quasi uguale sviluppo delle coste primarie, secondarie e terziarie, per l’an- solo molto aperto formato dalle estreme coste laterali. 99 V. SIMONELLI Il E. avicula, che per limite inferiore avrebbe il Langhiano, se davvero langhiano fosse il giacimento di Stilo come tale indicato dal Seguenza, non si estingue che nel Pliocene. Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni, Museo di Firenze). 56. Flabellum ausonium Canavari (in sch.). In tutti e cinque gli esemplari a me comunicati solo una faccia del magnifico polipaio trovasi allo scoperto, ed. infrut- tuosi riescono i tentativi per isolar dalla roccia l’opposta su- perficie. Apparisce la faccia libera in forma di ampio e rego- larissimo disco, profondamente intaccato da una insenatura che si spinge fino a poca distanza dal centro, occupando un settore di quaranta gradi all'incirca. Un pedicello brevissimo e forte- mente compresso sporge dal fondo di questa insenatura, che lateralmente viene limitata da due lobi massicci corrispondenti SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, DEL BOLOGNESE EC. 83 alle estremità del grande asse del calice. Irradiano dal pedicello venti a trenta coste ben rilevate, spesso alternanti con minori costicine, diritte nella regione mediana del disco, ma ricadenti in basso con elegantissima curva nelle regioni laterali. Esse coste vengono attraversate da forti rughe concentriche ondu- late a festoni, sviluppate principalmente in vicinanza del mar- gine, e nei punti d’intersezione ingrossano e si sollevano in tubercoletti subspinosi. Le coste sono bipartite da un profondo ma sottilissimo solco longitudinale, e solchi analoghi, o per dir meglio, strie, dividono i larghi intervalli [fra costa e costa. . Come nel vivente 7. pavoninum son questi solchi appunto che segnano il posto occupato internamente .dai setti, corrispon- dendo al piano di contatto fra le due lamine calcaree che li costituiscono (1). Tenendo conto del numero dei solchi si può giudicare che i setti formassero sei cicli completi; nella faccia libera se ne contano infatti oltre 160. Ai setti dei primi quattro cicli corrispondono le coste nodose, fra loro pochissimo diverse nello sviluppo; quelle del quarto ciclo soltanto, per la minore estensione e il più debole rilievo delle nodosità, possono in generale distinguersi dalle altre. Rompendo con le debite precauzioni uno degli esemplari, ho potuto rilevare come l’opposta faccia del polipaio, invece di essere piana e regolare al pari di quella descritta, fosse ai lati convessa, debolmente concava nella regione mediana, e nella parte marginale rovesciata all'infuori. L'altezza sua ri- sulta inferiore a quella dell’altra faccia, e il piano dell’aper- tura fa con l’asse verticale del polipaio un angolo di 50° al- l’incirca. Il rapporto fra l’asse minore del calice e l’asse mag- giore è di circa 4:10. Dimensioni TO NELEA) ELIO RIVE Diametro della faccia di compressione allo scoperto. . mm. | 40 | 69 | 80 | 98 Altezza (misurata dal pedicello) . . . . . . . . mm. | 38 | 45 | 53 | 61 Le forme più vicine al FI. ausonium si trovano nel gruppo del E. pavonium Less. (FI. extensum Mich., HI. Vaticani Ponzi, FI. solidum Seg. (?) ). In nessuna di queste troviamo però quella (1) Vedi Fowler. Anat. of Madreporaria. III. (Quart. Journ. of Micr. science, 1888) PI. II, fig. 16 a. 17. 34 V. SIMONELLI singolarissima forma subcircolare delle faccie di compressione, che fa pensare ai Diploctenium della creta. Anche nel 7. Va- ticani le estreme coste laterali sono orizzontali e la curva del calice circoscrive un segmento non superiore alla mezza circonferenza. Si aggiunga ancora che nella specie del Ponzi, (insistiamo sul paragone perchè il Manzoni e il Carici la citano tra i fossili del nostro SeX/ier) il numero dei cicli è di cinque soltanto. Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni). Pergola [Anconitano] (Mus. di Pisa). 07. Trochocyathus obesus (Michelotti). Turbinolia obesa Michelotti, Foss. d. terr. mioc., p. 29, Pla fig. 1, 22. 1847. Il calice dei nostri esemplari è totalmente mascherato dalla roccia, onde la determinazione si basa soltanto sulla forma generale e sui caratteri della superficie esterna. Lo sviluppo un poco minore delle coste secondarie è la sola differenza che possiamo rilevare dal confronto di essi esemplari con quelli descritti dal MicasLorti, dal Mine Epwarps ecc. Provenienza. Colline bolognesi (Collez. Manzoni. Museo di Firenze). Per il Tr. obesus non trovo indicato alcun giacimento al- l’infuori del Miocene superiore. Per rendere un po’ più significativo l'elenco dei fossili del nostro Scklier, credo utile riportare anche le specie che furono indicate in precedenza negli scritti del Prof. CareLLini, del Max- zoNI, etc., ricordandone in pari tempo la distribuzione verticale: Monatherium sp., (Capellini, Str. a Cong. e marne compatte d’Ancona 1879). Ancona. Carcharodon megalodon Ag., (Cap. loc. cit.). Ancona. — Dura, secondo il Lawcer, fino al Pliocene; risale, secondo il Greses, fino all’ Eocene. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 35 Notidanus primigenius Ag., (Manzoni, Lo Schlier di Ottnang etc., p. 128) Bolognese. C. s. Conus antediluvianus Brug. (Manz. loc. cit.). Ibid. — Appa- risce nell’Aquitaniano (Secuenza) e dura fino al Pliocene. Dolichotoma cataphracta (Br.). (Manz., loc. cit.). Ibid. — Comincia nel Miocene inferiore, ma è principalmente caratteri- stica del Pliocene. Terebra Fuchsi Hòrn. jun. (Manz., loc. cit.) Ibid. — Dal- l’Hòrnes la specie è indicata solo nello Schlier di Ottnang. Mitraefusus ottrangensis Hbrn jun. (Manz., loc. cit.) Ibid. — 0. s. Nassa subquadrangularis Michti. (Manz., loc. cit.) Ibid. — Da R. Horxes è citata non solo tra i fossili di Ottnang, ma anche fra quelli di Rohrbach (Sabbie del Leithakalk.). Arriva dunque di certo fino all) Elveziano superiore. Cassis Neumayri Hòrn. jur. (Manz. loc. cit.) Ibid. — Anche per questa specie non possiamo indicare altro giacimento che Ottnang. I Natica helicina Br. (Manz., loc. cit. Ibid.) — Estremamente diffusa nelle formazioni neogeniche inferiori e superiori, dura fino all'attualità. Trochus patulus Br. (Cap., loc. cit.) Ancona. — Comparso nel Langhiano, dura fino al Pliocene superiore. Dentalium intermedium Hòrn. jun. (Manz., loc. cit.) Bolo- gnese. — Ottnang. Ostrea crassissima Lam. (Cap. loc. cit.) Ancona. — Nel ba- cino di Vienna è comune ad ambo i piani mediterranei. Pecten aff. rethiolum Ponzi (Cap. loc. cit.) Ancona. — E ve- rosimilmente l’Amussium anconitanum Foresti da noi già citato. Psammobia feroensis (Chm.) (Cap. loc. cit.) Ibid. — Benchè indicata anche nei piani più bassi del Miocene, ha nel, bacino mediterraneo significato quasi esclusivamente pliocenico (1). È tuttora vivente. Lucina ottnangensis Horn. jun. (Manz., loc. cit.) Bolognese. — Schlier di Ottnang. Axinus subangulatus Hòrn. jun. (Cap., loc. cit., e Manz., loc. cit.) Ancona e Bolognese. — Schlier di Ottnang. (1) « Je ne crois pas (scrive il Fontannes) qu'on en connaisse d'un étage antérieur au Tortonien (M. Gibio) ». (Moll. Plioc. de la vallée du Rhone. T. II, p. 27. 1879-82). $c. Nat. Vol. XII. 3 36 V. SIMONELLI A. sinuosus Don. (Manz., loc. cit.) Bolognese. — Tuttora vivente. Tellina ottnangensis Horn. jun. (Manz., loc. cit.) Ibid. — Schiier di Ottnang. Thracia papiracea Poli (Cap., loc. cit.) Ancona. — Tuttora vivente nel Mediterraneo. Cardium fragile? Br. (Cap. loc. cit.) c. s. — Forma assai diffusa nel Pliocene, e citata in tutto il Mioc. medio. Tuttora vivente. Mactra triangula Ren. (Manz., loc. cit.) Bolognese. — Ap- parisce, secondo Mayer, nell’ Aquitaniano e dura fino all’ at- tualità. Leda pellucidaeformis Hé6rn. jun. (Manz., loc. cit.) Bolo- gnese. — Schlier di Ottnang. Corbula gibba Olivi (Manz., loc. cit.) Ibid. — Giunge fino all'attualità dal principio del Miocene. Anatina Fuchsi Hérn. jun. (Manz., loc. cit., e Cap., loc. cit.) Bolognese e Anconitano. -- Questa forma, che 1’ HòrxEs dice estremamente comune ad Ottnang, fu indicata dal Foresti (!) nelle. marne di S. Luca e di Paderno, attribuite al Tortoniano- Elveziano (?). Dorocidaris papillata Leske (Manz., Echin. dello Schlier), Bolognese. — Tuttora vivente. Brissopsis ottnangensis Hòrn.jun. (Manz., loc. cit) Ibid. — Schlier di Ottnang. Pericosmus callosus Manz. (Manz., loc. cit.) Ibid. — Elve- ziano del Piemonte (8). Hemipneustes italicus Manz. (Manz., loc. cit.) Ibid. Maretia Pareti Manz. (Manz., loc. cit.) Ibid. Spatangus chitonosus Sism. (Manz., loc. cit.) Ibid. — Elvez. del Piemonte. Spatangus austriacus non Laube, Manz., (Manz., loc. cit.) Ibid. — Sembra differire dal vero S. austriacus e corrisponde allo Sp. Manzonti trovato da me nel Tortoniano del M. della Verna. Heterobrissus Montesii Manz. e Mazz. (Manz., loc. cit.) Ibid. (!) Le marne di S. Luca e di Paderno e i loro fossili. Rendic. dell’Acc. delle Sc. di Bologna. A. 1877-78. (£) Foresti — Contrib. alla Conch. foss. ital. P. 15. 1879. (3) Sacco — Cat. pal. del bac. terz. del Piem., pag. 326, 1890. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 37 Schizaster Desorîù Wright. (Manz., loc. cit.) Ibid. — Ton- griano del Piemonte. Flabellum atî. Vaticani Ponzi (Cap., loc. cit.) Ancona. Ceratocyathus sp. (Cap., loc. cit.) Ancona. In quali condizioni batimetriche si effettuasse il deposito del nostro Schler, facilmente può rilevarsi dalla fauna che ab- biamo passato in rivista. Già dallo studio dei soli Echinidi il Maxzoni era arrivato a concludere che sì trattava di un depo- sito di mare profondo, e a questo medesimo risultato ci con- duce l'esame di tutti gli altri organismi. L'estrema frequenza delle Globigerine e dei molluschi pelagici (Aturia Aturi, Vagi- nella, Balantium) suggerisce anzi l'ipotesi che quelle marne si formassero addirittura nella zona abissale: in quella zona dove prosperano anche oggi Pholadomya, Limopsis, Cuspidaria, Nu- cula, Amussium, Axinus, Pleurotoma, Scaphander, Cylichna, Te- rebratula, Flabellum etc., e si accumulano fanghi a Pteropodi e a Globigerine. — E di grandissima profondità di deposito potrebbe anche essere indizio il fatto singolare della presenza di certe forme di tipo antico, che in una fauna neogenica si direbbero fuori di posto. Tale fra i Gasteropodi la Plewroto- maria felsinea, che non con le rare congeneri recenti, ma piut- tosto si connette con qualcuna del Cretacico; tale fra i Lamel- libranchi la Pholadomya Canavarii, ultima discendente delle cretacee Procardia, e fra gli Echinidi l' Hemipneustes italicus, rappresentante anch’ esso di un tipo che si credeva estinto nella Creta superiore. È vero che i congeneri attuali di alcune fra le specie fos- sili nello Schlier sogliono abitare a profondità molto limitate, e non mi nascondo che questo fatto sembra in contradizione con quanto dicevo or ora sul probabile livello batimetrico dello Schlier medesimo. Bisogna però riflettere che la plaga marina ove lo Schlier si depose, non poteva in tutta la sua vasta esten- sione presentare assoluta uniformità di livello. Risalivano cer- tamente le pareti della conca verso la costa apenninica, of- frendo adatta dimora agli organismi proprii delle zone litorali; e dai sedimenti in queste zone formati provengono a mio cre- 38 V. SIMONELLI dere quei pochi fossili di cui non si potrebbe intender la pre- senza in una melma abissale. In due formazioni cronologicamente diverse fra loro come topograficamente lontane, noi possiamo vedere riprodotte con mirabile esattezza le principali caratteristiche della fauna del nostro Schlier; nelle marne inferiori del Monte Vaticano e nelle marne liguriane di Haring nel Tirolo. Già fin dall’Autunno del 1888, quando per concessione gen- tile dei signori Professori K. A. von ZirteL e C. W. von GumseL mi fu dato esaminare le interessanti serie di fossili di Hàring che si conservano nel Museo paleontologico di Monaco e in quello della Oberberg und Salinen Administration, mi colpì la somiglianza estrema che il complesso di quella fauna presen- tava con la nostra del Bolognese e dell’Anconitano. Rileggendo il catalogo del Giimser (4) e tornando a guardar la collezione del Museo paleontologico, dopo avere studiato in dettaglio i fossili dello Scklier d'Italia, debbo anche oggi riconoscere stret- tissima quell’ analogia di faczes. La nostra Aturia Aturi è rappresentata nelle marne di Haring da un grosso cefalopodo nautiliforme, che misura fino 20 centimetri di diametro, ma che disgraziatamente non lascia vedere l'andamento dei lobi: esso reca in collezione il nome di Nautilus diluvii (*) Michti (= A. Aturi Bast.) e potrebbe dav- vero esser tutta una cosa con l'A. Aturî. Il posto della Cassi- daria echinophora è occupato dalla C. depressa v. Buch, forma che gli è tanto vicina da far ritenere a qualche paleontologo che si tratti di una specie sola (?). Invece dell’Amussium Phi- lippi vediamo VA. Gimbelii Mayer, piccolissimo anch'esso, e ornato di dieci costicine interne che arrivano a poca distanza dal margine; un’ altra specie, pure del gruppo del P. dwuode- cimlamellatus, si sostituisce al nostro A. anconitanum: è VA. Bronni Mr. e Gimb. La Procardia Canavarii si ritrova tale e quale ad Haring col nome di Pholadomya subalpina Gimb (m. s.), mentre la Ph. margaritacea viene rappresentata da una specie dello stesso gruppo, che è la Ph. Puschi o l Alpina. La nostra Pinna Brocchi trova la sua corrispondente nella P. cfr. helve- (1) Geognostische Beschreibung des bayerischen Alpengebirges. 1861. Pag. 670. (®) De Gregorio — Studi su talune conchiglie viventi e fossili. Siena, 1884-85. pag. 113. ic en SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 39 tica C. Mayer, la Gryphaea cochlear nella G. Brongmarti Br., la Xenophora Deshayesei in un’ altra Xenophora pure grandissima e depressa. E così via via, per i generi Scaphander, Genotia, Dentalium, Axinus, Lucina, Teredo etc. etc. Quanto alle marne inferiori del Monte Vaticano, è tanto spiccata la loro analogia faunistica con lo Sekler bolognese da giustificare fino ad un certo punto la determinazione cro- nologica del Ponzi, che le riferiva al Miocene superiore e non al Pliocene, come fecero più tardi il Manzoni ed il Fucrs. Sono a comune le specie seguenti: Pleurotoma rotata, Cassidaria echi- nophora, Conus Puschi, Teredo norvegica, Solenomya gigantea, Limopsis aurita, Amussium Philippîi, Vaginella Calandrellii; mentre sono rappresentate da forme più o meno affini Cylichna Brocchi (C. infundibulum Ponzi), Xenophora Deshayesei (X. in- fundibulum Br.), Pholadomya margaritacea (Ph. Vaticani Ponzi), Axinus sinuosus (A. quadratus Ponzi), Corbula gibba (C. nucleus Lk.), Nucula Mayeri (N. placentina Lk.), Pecten denudatus (P. cristatus Br.), Amussium Anconitanum (P. retiolum Ponzi), Pinna Brocchii (P. sp.), Balantium pedemontanum (B. Riccioli), Spatan- gus Parkinsoni (Sp. sp.), Brissopsis ottnangensis (B. Genei Des.), Trochocyathus obesus (Tr. Umbrella Pzi.), Hlabellum ausonium (AI. Vaticani Ponzi). Im complesso, come esclama il Fucss (1): Kann man sich eine hùbschere “ Schliergesellschaft , denken! Le intime relazioni tra la fauna delle marne bolognesi e quella del tipico ScAhler di Ottnang debbono interpetrarsi an- ch’esse come semplice corrispondenza di fuczes, o non piuttosto come prova di sincronismo? Mi sembra che senza esitazione dobbiamo attenerci a quest’ ultimo partito, quando si conside ra che invece di un più o meno spiccato parallelismo tra le forme organiche, troviamo in questi due giacimenti un numero con- siderevole di specie a comune. Esse sono: Aturia Aturi, Conus antediluvianus, Terebra Fuchsi, Nassa subquadrangularis, Cassis Neumayri, Pyrula condita, Mitraefusus ottnangensis, Dolichotoma cataphracta, Pleurotoma rotata, Xenophora Deshayesei, Natica helicina, Dentalium intermedium, Teredo norvegica (?), Anatina Fuchsi, Corbula gibba, Mactra triangula, Tellina ottnangensis, Lucina ottnangensis, Cryptodon subangulatus, C. sinuosus, Soleno- (1) Studien b. die Glied. d. jung. Tertitirbildungen Ober-Italiens. S. 5. 1878, 40 V. SIMONELLI mya Doderleini, Nucula Mayeri, Leda pellucidaeformis, Pinna Brocchi, Pecten denudatus, Brissopsis ottnangensis. In tutto circa un terzo delle specie sicuramente riconosciute nelle marne bo- lognesi si ritrovano ad Ottnang. Se riconosciamo col Gimger (1) che lo Schlzer dell'Alta Austria occupa “ eine der hòchsten Lagen in der Reihe der mittelmio- cànen Schichten , ed ammettiamo la sua contemporaneità con le marne di Baden (?) (Tortonien I o Badenon secondo Mayer (3), associandoci anche alla opinione del Trerze, del Brrrtner e del De SteraAnI, i quali considerano come assolutamente artificiale la distinzione fra 1.° e 2.° piano mediterraneo (4), non pos- siamo fare a meno di applicare lo stesso giudizio allo SchZier del Bolognese. Lasciando ora impregiudicata la grave questione del valore cronologico e dei possibili rapporti fra loro dei termini Elve- ziano e Tortoniano, l'insieme della fauna non si oppone per nulla a che la formazione del Bolognese e dell’Anconitano venga aggregata a quelle che si considerano come costituenti il se- condo piuno mediterraneo. Noi abbiamo veduto come una buona metà dei molluschi arrivino sicuramente fino al Pliocene (Vaginella Calandrelli, Cylichna Brocchii, C. antediluvianus, Genota ramosa, Dolichotoma cataphracta, Pleurotoma rotata, Cassis variabilis, C. saburon, Cas- sidaria echinophora, Xenophora testigera, Scalaria lamellosa, Ostrea cochlear, Amussium Philippii, Pecten substriatus, Pinna Brocchii, Limopsis aurita, Teredo norvegica, Axinus transversus, Solenomya gigantea, Corbula gibba, Mactra triangula, Cryptodon sinuosus) mentre nella metà che rimane troviamo specie che quasi tutte arrivano al Tortoniano ( Aturia Aturi, Balantium braidense, B. pedemontanum, Conus elatus, Conus Puschi, Hulia praecedens, Cassis Haueri, Solenomya Doderleini, Pholadomya mar- garîtacea, Pyrula condita, Xenophora Deshayesei, Nucula Mayeri, Lucina globulosa etc.) 0 per lo meno fino all’ Elveziano tipico (1) Die mioctinen Ablagerungen in ob. Donaugebiete. S. 325. 1887. (*) Giimbel — Grundzuge der Geologie. 1888. S. 938. (£) Tableau des terrains de sédiment. — Glasnik Hrvatskoga naravoslovnoga druztva. - Soc. hist. nat. croatica. Zagreb 1889. p. ll. (£) De Stefani — L’Apennino fra il Colle dell’ Altare e la Polcevera. Boll. della Soc, Geol. It., Vol. VI, fasc. 3,9 - Pag. (dell’estratto) 31. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER , NEL BOLOGNESE Ec. 41 (Nassa subquadrangularis, Amussium anconitanum, Scaphander Grateloupi). Rimangono le specie d’incerta determinazione, le pochissime nuove, e quelle che solo ad Ottnang hanno trovato finora le loro corrispondenti. L’interessante fauna echinoder- mica illustrata dal Maxzowi, sommamente caratteristica come espressione di faczes, dal punto di vista cronologico non si presta a deduzioni rigorose; offre una proporzione un po’ troppo vistosa di forme nuove (5 : 9) ad estensione orizzontale limita- tissima. Tra le quattro specie riconosciute in orizzonti geolo- gici ben determinati, una dura fino all'attualità (Dorocidaris papillata) tre persistono fino all’ Elveziano (Schizaster Desorti e Brissopsis ottnangensis, Spatangus chitonosus). Quanto agli scarsi Antozoari, eccezion fatta dal Fabellum ausonium, appartengono a specie che giungono fino al Tortoniano (Trochoc. obesus) se non fino al Pliocene (Elab. avicula, Ceratotrochus duodecimcosta- tus). — Con qual fondamento si potrebbe dunque sostenere che lo Schlier del Bolognese e dell’Anconitano occupi nella serie geologica un posto più basso del suo omologo dell'alta Austria? È vero che certi sedimenti miocenici d'Italia, da strettis- simi rapporti paleontologici legati allo Schlier, vengono per quasi unanime consenso degli autori riferiti alla parte inferiore del Miocene medio, al Langhiano del Mayer. Ma se si studia la distribuzione verticale delle specie componenti quelle faune, sl arriva a questa conclusione: o quei sedimenti sono posteriori al Langhiano, o il Langhiano manca di caratteri peculiari de- terminati e deve essere unito al secondo piano mediterraneo, opinione che a noi sembra la vera. C'è, per esempio, nella regione S. E. della Sicilia una for- mazione costituita da calcari compatti e marnosi ricchi di Glo- bigerine, addossati alle roccie del Cretacico superiore, che per la fauna corrisponde a puntino alle nostre marne dell’Anconi- tano e del Bolognese. Il Carici (*), illustrando quella formazione, la riferiva “ al Miocene medio, e segnatamente ai piani Elve- ziano e Langhiano , dei quali riconosceva impossibile la se- parazione; ma per appoggiar l’idea che si trattasse almeno parzialmente di Langhiano non aveva altro argomento che la (1) Sulla determinazione cronologica del calcare a selce piromaca e del calcare compatto e marnoso ad echinidi nella regione S. E. della Sicilia. Boll. d. Com. d. Comit. Geol. Ital., 1880. Pag. 502. 49 V. SIMONELLI presenza della Aturia Aturi e della Solenomya Doderleini. Ora abbiamo già visto come, senza uscir dalla classica regione dei contorni di Torino, queste due specie passino indifferentemente dal Miocene medio al Miocene superiore (1). Nelle isole di Malta e di Gozzo, fra gli strati bormidiani ed il calcare di Leitha, il Fucas trovava una formazione mar- nosa con Aturîa Aturi che sul principio non ebbe difficoltà a identificare col “ Badner Tegel , del bacin di Vienna (?). Ma due anni più tardi, visitate le formazioni terziarie del Bolognese e studiati in dettaglio i fossili delle marne maltesi, cambiò di opinione, e la ritenne corrispondente dello SehZer austriaco (3), che allora, come è noto, passava per Langhiano inferiore. Eb- bene, anche qui la fauna mon ci presenta una specie sola che si possa dire caratteristica di terreni più antichi del così detto secondo piano mediterraneo. Dell’ Aturia Aturî sappiamo già cosa pensare: della Sepia sp., la cui frequenza il Fucas as- severa “nicht minder charakteristisch , perchè questi avanzi “in Nord-Italien ebenfalls fast ausschliesslich auf die Schlier- bildungen beschrànkt sind und nur ganz ausnahmweise auch im Badner Tegel und den entsprechenden Ablagerungen von Tortona auftreten ,, basterà dire che tra le dieci Seppie de- scritte dal Bellardi, nove sono del Miocene superiore e una sola del Miocene medio. Quanto alle altre specie di molluschi, escluse le due nuove e le indeterminate, si ritrovano tutte nel Tor- toniano ed anche più in alto. (Nassa granularis Bors., Margi- nella Deshayesei Michs., Chenopus pes-pelecani Phil., Murex va- ginatus Jan., Pleurotoma cataphracta Broc., PI. ramosa Bast., Xenophora testigera Br., Vaginella depressa Daud., Lucina si- nuosa Don., Leda fragilis Chm., L. pellucida Phil.). Nella provincia di Reggio in Calabria sono le argille bluastre e le molasse di Guardavalle e di Stilo, che paleontologicamente sembrano corrispondere allo SchZier del Bolognese e dell’Anco- nitano. Il Secuenza (4), illustratore dottissimo di quei terreni, ci (*) Toura indica l'A. Aturi anche nel Tegel di Walbersdorf (Verhandl., 1885, p. 240, p. 226). (®) Th. Fuchs — Das Alter der Tertiirschichten von Malta. (Sitzb. d. k. Ak. d. Wissensch., Bd. LXX.) S. 6 1874. (£) Th. Fuchs — Ueber den sogenannten “ Badner Tegel ,, auf Malta (Sitzb. d, k. Akad. d. Wissensch. Bd. LXXII. 1876. (4) Seguenza — Form. terz. di Reggio. SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, DEL BOLOGNESE EC. 43 ha lasciato un catalogo abbastanza ricco dei Molluschi rinvenuti in essa formazione, e invano, come ha fatto notare il De Ste- FANI (*), vi cercheremmo una specie sola caratteristica del preteso Langhiano. Sopra 53 specie, escluse quelle tuttora viventi che ammontano alla bella cifra di 18, ce ne son 17 che arrivano al Pliocene (Niso eburnea, Tellina elliptica, Venus Dujardini, Turbo carinatus, Phos polygonus, Dentalium badense, Cardium multicostatum, Arca diluvii, Pectuneulus inftatus, Pinna Brocchi, Pecten cristatus, Ostrea tenuiplicata, O. Boblayi, Venus scalaris, Cytherea pedemontana, Card. discrepans, Anomia costata) 9 tor- toniane (Oliva cylindracea, Fusus glomoides Genè (Modenese, sec. DoperLEIin) Xenophora cumulans, Ancillaria glandiformis, Turritella Archimedis, Cytherea erycinoides, Cardium taurinum, Lucina columbella, L. Agassizi, Janira Gray) ed 8 Elveziane: (Janira subradiata, revoluta, Besseri, Lima Hoernesi, Lucina miocenica, L. Dujardini, Trochus Amedei, Scaphander subligna- rius): totale 53. — Di 13 Celenterati neppure uno se ne trova che manchi all’ Elveziano: anzi sei di questi sono comuni anche al Tortoniano (Ceratocyathus verrucosus, Trochocyathus pirami- datus, Bellingeri, mitratus; Flabellum avicula, Ceratotrochus mul- tiserialis). Quanto alle Foraminifere, senza neppure uscir dalia Provincia di Reggio, senza consultare altri lavori che quello del Secuenza, troviamo che 18 arrivano fino al Sahariano (No- dosaria raphanistrum, Dentalina pauperata, Polystomella crispa, P. Fichteliana, Marginulina raphanus, Robulina cultrata, R. vor- tex, Pulvinulina Partschiana, Rotalia Beccari, Orbulina universa, Globigerina bulloides, Truncatulina Dutemplei, T. lobatula) 9 al Siciliano (Nodosaria raphanus, Polystomella subumbilicata, Itobu- lina rotulata, R. calcar, Uvigerina pygmaea, Bulinina Buchiana, Siphonina fimbriata, Bigenerina nodosaria, Biloculina amphiconica) 7 all’Astiano (Robulina inornata, Spheroidina austriaca, Globi- gerina triloba, Truncatulina variolata, Clavulina cylindrica, Ple- canium abbreviatum, PI. Mariae) 10 allo Zancleano (Dentalina pauperata, D. elegans, D. Scharbergana, D. Vernewilii, Nonto- nina scapha, Robulina imperatoria, LR. austriaca, Globigerina qua- triloba, Truncatulina Schreibersii, Asterigerina planorbis) 8 al Tortoniano (Vaginulina legumen, Polymorphina austriaca, Trun- (1) De Stefani — Esc, scient. nella Calabria, pag. 123. 1884, 44 V. SIMONELLI catulina Badenensis, T. propinqua, Textilaria curinata, Cassidu- lina punctata, Quinqueloculina Badenensis, Q. concinna). Le poche specie che non son citate dal Secuenza stesso anche in terreni reggiani superiori al suo Langhiano, sì trovano in Toscana, nel Piemonte, nel bacino di Vienna, o nell’ Elveziano o nel Torto- niano o in terreni anche più recenti. Onde ben fondata resulta l'opinione del De Srerani (1) che le argille e le arenarie e i conglomerati di Guardavalle e di Stilo riferisce senz'altro al Tortoniano, Gran parte delle specie riconosciute nelle marne e nelle molasse del Bolognese e dell’Anconitano si ritrovano nella pro- vincia di Modena negli strati di Montese, di Pantano e di Paullo, ben conosciuti per i lavori del Manzoni, dell’ Ab. Maz- zerti e del Prof. PawxraneLui. E già più volte il Manzoni aveva insistito sulla corrispondenza cronologica di questa formazione con quella del così detto Schlier. Quanto all’età degli strati di Montese il PanraneLLI pure riserbando ad un futuro lavoro più estese considerazioni geologiche, li riferisce al Miocene medio e li ritiene sincroni con quelli di Superga (?). Intanto, fra gli orizzonti del Miocene medio, la fauna di Montese e soprattutto la ricchissima serie di Molluschi fatta conoscere dal PantANELLI, ci sembrano indicare abbastanza chia- ramente l’ Elveziano. Come rare eccezioni vi compariscono certe forme tongriane (Pecten fallax Michti, ‘’. miocenicus Michti, Lucina Rollei Michti, Cardium fallax Michti) o parisiane (Cassîs Aeneae Brg., C. Thesei Brg.), d’incerto significato cronologico perchè non ancora riconosciute in piani intermedii: e contro queste sta non soltanto il numero considerevole delle specie che finora risultano limitate al secondo piano mediterraneo del bacino di Vienna o all’ Elveziano d’Italia, ma ben anco di quelle che in Italia non si erano vedute scendere sotto il Tortoniano (Pecten aduncus, opercularis, Arca cuculliformis, Leda concava, Hoernesi, Lucina borealis, Cardita scabricosta, Cardium pectina- tum, Cytherea erycina, Siphonodentalium triquetrum, Dentalium badense, Chiton sulcatus, Delphinula Bellardii, Turbo rotellaris, Scalaria lanceolata, Turritella communis, dertonensis, Monophorus (1) De Stefani — sc. scient. nella Calabria. Mem. d. Acc. dei Lincei. 1884. (2) Pantanelli — Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese. Pag. 3. 1887, SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER ,, NEL BOLOGNESE EC. 45 Bruguierii, Erato incrassata, Cyprea amydalum, Pirula vernensis, Triton tuberculiferum, Doriae, Murex Lassaignei, Nassa exculpta, quadriserialis, Mortilleti, Paretoi, bisotensis, Mitra cupressina, Bronni, scalarata, Marginella marginata, Deshayasei, Drillia Pa- retoi, Bellardii, Scillae, Pleurotoma spiralis) o sotto il Pliocene (Pinna tetragona, Yoldia longa, Leda clavata, Eulimella Scillae, Nassa Aldovrandi, Mitra scrobiculata s. 8., fusiformis, Daphnella Romani). Negli Studien ib. die Gliederung der giinger. Terticirbildungen Ober-Italiens (Sitzb. d. Akad. d. Wissensch., LXXVII Bd., I. Abth., 1875) il FucHs, descrivendo il potente complesso di sabbie serpentinose e di marne azzurre che costituiscono la massa principale delle colline Torinesi, lo dichiara affatto corrispon- dente al primo piano mediterraneo, ossia agli Horner Schichten ed allo SchZier del bacino di Vienna. È degno di nota il fatto che al ricco catalogo dei fossili raccolti nelle marne azzurre del Giardino Roasenda presso Sciolze il FucHs fa seguire le con- siderazioni seguenti : Se si considera in base a questo catalogo la fauna di queste marne, avanti a tutto si vede come scarsamente rappresentati siano qui quei tipi che altrove valgono come caratterizzanti lo Sehlier, anzi come i più dei medesimi manchino affatto. “ Wiirde man nur diese Fauna vor sich haben, so viirde man vielmehr auf Badner Tegel als auf Schlier denken, womit auch die Be- schaffenheit des Tegels und die Erhaltungsart der Fossilien mehr ibereinstimmen wirde , (Pag. 55). Motivo capitale, per non dire unico, del riferimento di questi strati al primo invece che al secondo piano mediterraneo è il fatto, che essi sono ricoperti dalle marne indurite con Aturza Aturi, Pteropodi, Solenomya Doderleini ete., insomma con quelle tre o quattro solite medaglie, di valore cronologico fino allora indiscusso. Senza queste ultime il Fucas non avrebbe certamente esitato a lasciare le sabbie serpentinose e le marne azzurre di Sciolze in un livello superiore ai Grunder Schichten, come il Mirer aveva fatto quattordici anni prima (1). E della analogia di fauna tra le marne del Giardino Roasenda e i Badner Tegel (!) Tabella sineron. delle form. langh. (Mayencien), in Syst. Verz. d. foss. Reste v. Madeira, P_ Santo u. S.ta Maria; in Hartung, Geol. Beschr, d. Ins. Madeira w. P, Santo. Leipzig, 1864, S. 278, 46 v. SIMONELLI — SOPRA LA FAUNA DEL COSÌ DETTO “ SCHLIER , EC. (la cui evidenza par che s' imponga anche all’osservatore non spoglio di preconcetti) si sarebbe valso per attribuire le sopra- stanti marne indurite ad un livello ancora più alto nel secondo piano mediterraneo. Dalle considerazioni finora esposte ci riteniamo autorizzati a concludere: 1.° Che nella fauna del cosiddetto Schlier di Bologna e di Ancona non si trova alcun elemento che non sia comune ad altri terreni compresi finora nel 2.° piano mediterraneo; 2.° Che l'insieme di essa fauna indica invece una forma- zione di mare profondo non più antica di quelle generalmente designate come Elveziane; 8.° Che ad essa formazione corrispondono cronologica- mente ed in parte anche batimetricamente il così detto ScAlier di Malta, le argille e le molasse di Reggio in Calabria (Lan- ghiano del Secuenza) i calcari ad Aturia delia Sicilia (Langhiano- Elveziano del Carici) gli strati di Montese, e lo Schlier delle colline di Torino. Incombe all'autore l'obbligo di esprimere quì la viva sua gratitudine non solo verso i Prof.” Canavari e De SteFANI che gentilmente gli comunicarono il materiale descritto, ma ancora verso il Prof. K. A. von ZirteL, che con signorile liberalità volle accordargli l’uso della privata sua Biblioteca e delle Col- lezioni ricchissime del Museo paleontologico monacense. Monaco di Baviera - Istituto paleontologico. 1.° Settembre 1890. VirTORIO SIMONELLI. Istituto Anaromico peLLa L. Università DI CAMERINO SULLO SVILUPPO DEI PROLUNGAMENTI DELLA PIA MADRE NELLE SCISSURE CEREBRALI DO RICERCHE Del Dott. GIULIO VALENTI PROFESSORE DI ANATOMIA Non è ancora ben conosciuto per quale causa penetrino entro alle ripiegature della primitiva vessicola cerebrale gli strati più profondi della capsula craniense, nè perchè sì insi- nuino entro alle cavità ventricolari i prolungamenti della pia madre. Secondo Dursy (1) tanto gli uni che gli altri seguono passivamente le introflessioni della superficie encefalica; mentre Kéolliker (2), osservando che per accettare questa ipotesi biso- gnerebbe ammettere un differente modo di sviluppo per le due superficie del cranio poichè la esterna non subisce alcuna in- fluenza di quelle introflessioni, ritiene più probabile che dagli strati interni dell’invoglio primitivo partano dei prolungamenti i quali si sviluppino parallelamente e simultaneamente alle trasformazioni della vessicola cerebrale. Senza venire a con- cludere se essi rappresentino il fenomeno iniziale determinante le ripiegature, oppure si formino secondariamente per occupare il terreno abbandonato nella formazione di queste, Koliker fa notare che nello sviluppo dei plessi coroidei le proliferazioni vascolari rappresentano senza dubbio il fenomeno determinante. Una simile questione esiste per la genesi dei prolungamenti della pia madre entro alle scissure degli emisferi. — Reichert (') Dursy — Zur Entwicklungsgeschichte d. Kopfes d. Menschen u. d, hoheren Wirbelthiere. Tibingen 1869. (*) Kolliker — Embryologie, 1882, pag. 538. 48 G. VALENTI sostenne che quest’invoglio vascolare, insinuandosi fra la so- stanza cerebrale, fosse la causa formatrice di esse, insieme alla pressione esercitata dai grossi vasi. Quest'ultima fu ammessa da Mihalkowichs (*) per alcune scissure principali; da Romiti (2) per la scissura di Silvio, ma parzialmente; da Poggi (3) per al- cune scissure anomale. D'altra parte Chiarugi (4), attribuendo la formazione delle scissure alla eredità, cioè ad una causa insita nella stessa corteccia cerebrale, che egli ritiene possa consistere in una minore attività di proliferazione nei punti corrispondenti al loro fondo, nega che esse si producano pas- sivamente per cause esterne al cervello, e porta potenti argo- menti in appoggio della sua opinione. Ma delle speciali ricerche tendenti a far conoscere meglio che con la semplice osservazione grossolana i rapporti che du- rante la formazione delle scissure ha la pia madre con la su- perficie cerebrale, per quanto io sappia, non sono state prati- cate; mentre si conosce molto esattamente, per opera di Dursy(°), di Rathke (5), di KoMliker (*) di Gegenbaur (), la morfologia dello sviluppo dei prolungamenti dell’invoglio primitivo, e per opera di Kollmann (°), di Kolliker stesso, di Hensen, e di Romiti (19) quella dello sviluppo dei plessi coroidei. Avendo in mente che lo studio di quei rapporti, che si pos- sono osservare in condizioni dell'encefalo molto diverse a quelle corrispondenti all’epoca della formazione di questi ultimi pro- langamenti e dei plessi coroidei, potesse offrire qualche argo- mento utile a far progredire le sopra-accennate questioni di causalità, ho intrapreso alcune ricerche in proposito. Per materiale di studio ho preferito cervelli di coniglio, (4) Mibalkowichs — Enthwickl. d. Gehirns. Leipzig, 1877. Ù (©) Romiti — Lezioni di Embriologia. Siena, 1882. (3) Poggi — Varietà delle circonvoluzioni cerebrali nei pazzi. Rivista di Fre- niatria e Med. legale. Reggio, 1883-84. (4) Chiarugi — La forma del cervello umano ecc. Siena, 1886, p. 176. (?) Dursy = Loc. cit. (5) Rathke — Ueber die Entwickl. des Schiidels der Wirbelthiere. Kinigsberg, 1839. (7) Koòlliker — Embryologie. 1.8 ed. (5) Gegenbaur — Das Kopfskelet der Selachier als Grundlage zur Beurtheilung der Genese d. Kopfskelets des Wirbelthiere. Leipzig, 1882. (*) Kollmann — Die Entwick. der Adergsflechte. 1861. (1°) Romiti — Sulla formazione dei plessi e tele coroidee ed in specie del plesso del ventricolo laterale. Atti Soc. Tosc. Scienze nat. Pisa, 1882. SULLO SVILUPPO DEI PROLUNGAMENTI DELLA PIA MADRE EC. 49 nei quali in un’ epoca alquanto avanzata dello sviluppo si può osservare la prima manifestazione delle scissure e contempo- raneamente il modo di comportarsi della pia madre con queste; ma ho eseguito dei preparati anche in cervelli di embrioni di gatto, di gatti adulti, ed in cervelli di feti umani. Per mettere in evidenza i vasi, in alcuni cervelli embrionali ho praticato con mezzi meccanici una forte iniezione di sangue mentre l'embrione era in vita, cercando che poi si mantenesse du- rante la fissazione. Più estesamente ho praticato iniezioni di liquido di Miller, di una soluzione al 0,50% di nitrato di ar- gento, e di varie masse coloranti; preferendo fra queste ultime la soluzione acquosa di bleu di Prussia, la quale, oltre ad es- sere molto penetrante, ha il vantaggio sulle masse consolidantisi di ben conservare la direzione ed i rapporti dei vasi. Per evi- tare che il diverso grado di coartazione che l'alcool esercita sopra i varîì tessuti alterasse i rapporti fra la pia madre e la superficie cerebrale, ho usato spesso l’indurimento per mezzo del liquido di Miller facendo poi delle sezioni a mano. Per i cervelli induriti con l'alcool ho preferito l'inclusione in cel- loidina. Im sezioni di cervelli di conigli fra il 25° ed il 26° giorno di sviluppo embrionale, nei quali alcune scissure della faccia esterna degli emisferi sono rappresentate da leggiere depres- sioni appena avvertibili ad occhio nudo, la pia madre, non ancora differenziata dall’aracnoide, segue esattamente queste depressioni mandando dalla sua faccia inferiore molti vasi che sì insinuano entro alla sostanza cerebrale nello stesso modo che nel resto della superficie dell'emisfero. Questi rapporti va- scolari non sono però i soli che nella vita embrionale sì os- servano fra il cervello ed il suo invoglio vascolare. Altri, e maggiori, sono costituiti da elementi cellulari provveduti di numerosi e sottili prolungamenti, i quali da una parte vanno ad unirsi alla pia madre e dall'altra alla superficie cerebrale (Fig. I). Questi elementi (m) che si trovano sparsi irregolar- mente anche nella pia madre (p.m.) e nello strato fibroso esterno del cervello (s.f.e), vanno gradatamente diminuendo in numero verso lo strato cellulare (s. grigio), e pochi, a quest'epoca, giun- gono sino a questo. Non sono più abbondanti attorno ai vasi che ali rove, presentano un protoplasma granuloso, un nucleo 50 G. VALENTI grande, ovale (n), e spesso delle figure cariocinetiche (m'). Quelli che congiungono la pia madre con la superficie cerebrale sono situati ad un livello molto irregolare relativamente a quest’ ul- tima, in modo che appare manifesto per la loro disposizione come anche per la decrescenza del loro numero verso l'interno, che provengono dall’invoglio vascolare e vanno insinuandosi entro agli strati cerebrali più esterni. Tali elementi non soltanto si. trovano all’epoca sopra indicata, ma anche prima della comparsa dei vasi, ed ho potuto chiaramente vederli in sezioni colorate con l’ematossilina di Kleinemberg o con il picro-carminio. Evi- dentemente rappresentano quegli elementi mesenchimali desti- nati a costituire, almeno in parte, la mnevroglia; come per il midollo spinale del pollo ha dimostrato il Lacki (4). Ma, senza intrattenermi sulle ulteriori trasformazioni di questi elementi, nè sulla lunga questione che riguarda l'origine della nevroglia, poichè ciò ha formato l’oggetto di altre mie ricerche che spero di poter presto pubblicare, seguito la descrizione di ciò che si riferisce al titolo della presente comunicazione. — In cervelli di conigli a termine (28 giorni), neonati, e di pochi giorni (2-5), mentre che vanno aumentando di numero i vasi che dalla pia meninge sì portano entro alla sostanza cerebrale e divengono più sottili, come già altra volta (?) ho avuto occasione di di- mostrare, quelli elementi cellulari si fanno sempre più radi, la pia madre si rende sempre più indipendente dalla superficie cerebrale, ed in corrispondenza dei solchi si mostra sdoppiata in due foglietti (Fig. II). Di questi l’inferiore () segue la in- troflessione cerebrale (8) fatta maggiore, insieme ai vasi che per mantenersi perpendicolari alla superficie della scissura pren- dono una disposizione raggiata, e l’altro (s) passa come un ponte da un margine all’altro di questa in modo che intercede uno spazio triangolare fra ambedue. Che tale disposizione non rappresenti un artifizio di preparazione dovuto a coartazione degli strati più esterni della pia madre, può facilmente essere escluso, poichè si osserva anche in cervelli i quali mai han su- bito l’azione dell’alcool e sono stati induriti con il liquido di (1) Lachi — Contributo alla istogenesi della nevroglia nel midollo spinale del Pollo. Atti Soc. Tosc. di sc. naturali. Pisa, 1890. (*) Valenti e D’Abundo — Sulla vascolarizzazione cerebrale di alcuni mammiferi. Atti Soc. Tosc. di sc. naturali. Pisa, 1890. SULLO SVILUPPO DEI PROLUNGAMENTI DELLA PIA MADRE EC. 51 Miiller. E neppure può essere emesso il dubbio che il superiore di quei due foglietti rappresenti l’aracnoide (della quale in quello stadio appena può farsi parola) poichè è provvisto abbondan- temente di vasi che in alcune sezioni si presentano di un dia- metro molto maggiore che quelli dello strato sottostante. La stessa disposizione ho riscontrato anche in cervelli di embrioni di gatto lunghi da 8 a 9 cent. ed in cervelli di embrioni di pecora lunghi circa 15 cent. In cervelli di coniglio maggior- mente sviluppati (8-10 giorni) lo spazio triangolare esistente fra i due foglietti della pia madre in corrispondenza delle scis- sure non più si mostra vuoto come in epoche meno avanzate, ma contiene dei prolungamenti connettivali e vascolari che dal foglietto superiore, e specialmente dagli angoli che questo fa con l’inferiore, portandosi in basso, si insinuano sempre più nel solco il quale a poco a poco viene ad esserne occupato quasi comple- tamente (Fig. III, p.c. - p.v.). I vasi di tali prolungamenti. si anastomizzano fra loro e con quelli del foglietto che è in di- retto rapporto con la superficie encefalica, ed alcuni penetrano nella sostanza cerebrale. In cervelli di conigli e di gatti adulti, come in cervelli di feti umani all'ultimo mese di gestazione, si trovano entro alle scissure, oltre alle ripiegature della pia madre che ne rivestano la superficie, dei prolungamenti con- nettivali provenienti dall’aracnoide; ma questi sono sempre più sottili che nell’embrione e sprovvisti di vasi. Tornando ora alla causa per cui penetrano entro alle scis- sure cerebrali i prolungamenti della pia madre, mi sembra che per le descritte disposizioni, e specialmente per la divisione dell’invoglio vascolare primitivo in due foglietti, si possa con ragione concludere che il suo foglietto interno segue passiva- mente le modificazioni della superficie cerebrale essendo tra- scinato sia dai vasi che dagli elementi cellulari che lo tengono con essa in rapporto già da molto tempo prima della forma- zione delle scissure; e che i prolungamenti connettivali e va- scolari dipendenti dall'altro foglietto che resta teso come un ponte fra i due margini di quelle non siano altro che il pro- dotto dell'attività proliferatrice uniformemente diffusa per tutta la pia madre. Se infatti quest’invoglio possedesse un'attività di accrescimento maggiore in corrispondenza dei solchi che al- trove, male si comprenderabbe perchè questa dovesse manife- Sc. Nat. Vol. XII. 4 52 G. VALENTI starsi prima nei suoi strati inferiori e ‘più tardi»nei superiori, e piuttosto esso non si insinui in uno stesso tempo per tutto il suo spessore entro alle scissure. Starebbe poi in contraddi- zione con questa speciale attività proliferatrice, il fatto del- l’atrofia dei vasi provenienti dal foglietto esterno della pia madre. Un egual modo di vedere si può seguire, mi sembra, per la formazione dei prolungamenti dell’invoglio primitivo en- tro alle prime ripiegature della vessicola cerebrale. Anche al- l'epoca in cui queste si producono la superficie interna di quell’invoglio è in intimo rapporto con la superficie cerebrale, se non per vasi che ancora non si sono formati, per elementi cellulari che da esso passano entro alla vessicola stessa. Ed anche in questo caso non tutti gli strati dell'invoglio si pro- lungano per egual tratto entro a quelle ripiegature. Anzi, come la Fig. IV dimostra, neppure la pia madre per tutto il suo spes- sore va a costituire i plessi coroidei delle cavità ventricolari. In quella figura, che rappresenta un preparato tolto dal cer- vello di un embrione di coniglio di 25 giorni, si vedono alcuni vasi (v) che dalla parte della pia madre che riveste un emi- sfero (e) si portano all'altra che riveste il cervello intermedio. Questi vasi, che ad un maggiore ingrandimento sono rappresen- tati dalla figura V, corrispondono, come è facile intendere, al foglietto esterno dell'invoglio cerebrale che resta teso come un porte sopra alle scissure. E quindi da ritenere che mentre i prolungamenti della faccia interna dell’invoglio primitivo pe- netrano entro alle primitive ripiegature della vessicola cere- brale perchè passivamente vengono trascinati dalle modifica- zioni di questa, ad un certo punto della formazione delle ri- piegature stesse gli strati più interni di quei prolungamenti si separino dagli altri. Ciò può avvenire facilmente perchè, a causa della formazione dei vasi, la unione di questi strati in- terni con la vessicola cerebrale si fa sempre più forte che quella con gli esterni (dura madre) scarseggianti di vasi. Contro questa ipotesi, per cui viene negata una speciale attività di proliferazione ai prolungamenti della pia madre, po- trebbe opporsi il fatto che nella formazione dei plessi coroidei l'accrescimento dei vasi costituisce il fenomeno determinante (Kolliker); ma è anche da notare che le condizioni dei punti della vessicola cerebrale corrispondenti ai plessi stessi sono SULLO SVILUPPO DEI PROLUNGAMENTI DELLA PIA MADRE EC. 59 molto diverse da quelle dei punti della corteccia cerebrale cor- rispondenti alle scissure. Nel primo caso le pareti della vessi- cola sono tanto assottigliate che, non potendo ricevere entro al loro piccolo spessore dei vasi, cedono all’accrescimento di questi. E la sola forza di accrescimento, per cui in altre parti essi penetrano entro alla sostanza cerebrale, può essere suffi- cente per spiegare le modificazioni successive alle quali vanno incontro quelle pareti nella formazione dei plessi, senza che sia necessario di ammettere per questi un’ attività prolifera- trice maggiore che in altri punti dell’invoglio vascolare. Ciò spiega anche il significato dei plessi coroidei, che vengono ad essere costituiti da vasi rudimentali per il fatto che l’invoglio vascolare della vessicola cerebrale, nel seguire le modificazioni della superficie di questa, è divenuto inutile nei punti ove essa stessa è andata assottigliandosi. Nello studiare lo sviluppo dei prolungamenti della pia ma- dre, ho voluto anche ricercare se all’iniziarsi dell’ infossamento della superficie cerebrale per la formazione dei solchi esistano delle differenze istologiche le quali dimostrino direttamente quella mancanza di attività di proliferazione degli elementi della corteccia, per la quale secondo Chiarugi (*) essi si for- merebbero; e sebbene le mie ricerche abbiano portato ad un resultato negativo, pure non stimo che sia affatto inutile di farne parola. Per queste ricerche mi sono servito di cervelli di coniglio non iniettati, alcuni dei quali ho fissato con subli- mato, colorendone poi le sezioni con varie soluzioni di car- minio, con safranina, con ematossilina e fucsina; ed altri ho trattato secondo il metodo del Golgi (reazione cromo-argentica), che per i cervelli embrionali soltanto mi ha corrisposto quando ho tenuto per circa 10 settimane il preparato nella miscela osmio-cronica. Per quante preparazioni con metodi diversi ab- bia eseguito, debbo confessare che non mi è riuscito di met- tere in evidenza alcuna differenza istologica nei punti della vessicola cerebrale corrispondenti alla formazione delle scis- sure. Lo strato grigio, o cellulare, oltre ad avere in quei punti la stessa quantità di elementi cellulari con la stessa propor- zione di figure cariocinetiche che nel resto, non presenta nep- (1) Chiarugi — |. c. 54 G. VALENTI pure alcuna traccia di avallamento nei primi tempi della for- mazione della scissura. Lo strato fibroso esterno, finchè solo ne è interessato, mostra in corrispondenza di essa uno spes- sore minore che altrove, ma ha sempre la stessa struttura; e possiede ovunque un egual numero degli elementi cellulari provenienti dalla pia madre. Questi anche, sia per la forma che per la frequenza delle figure cariocinetiche, non presentano in quei punti delle differenze apprezzabili. In conclusione debbo dire che, sebbene non mi sia riu- scito di porre in evidenza alcuna differenza istologica nei punti della corteccia cerebrale corrispondenti all’inizio delle scissure, le mie ricerche sullo sviluppo dei prolungamenti della pia ma- dre tendono a dimostrare che quelle si producono indipenden- temente da quest'invoglio, e che esso passivamente, cioè in conseguenza delle modificazioni della superficie cerebrale, per la sua uniforme attività di accrescimento, si insinua nelle scissure. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (disegnate con la camera chiara di Abbe). (Tav. I) Fig. I. Tolta da una sezione di cervello di coniglio al 26° giorno di sviluppo. — Hartnack. Ob. 9. Oc. 3. p.m. strati interni della pia madre. s.f.e. strato fibroso esterno dell’ emisfero. m. cellule che tengono unita la superficie interna della pia madre alla superficie cerebrale. n. muclei di queste cellule. m'. le stesse cellule con figure cariocinetiche. v. frammenti di vasi. Fig. II. Tolta da una sezione di cervello di coniglio al 28° giorno di sviluppo. — Hurtrack. Ob. 2. Oc. 3. S. infossamento della superficie cerebrale corrispondente all’inizio della scissura longitudinale superiore. p.m. pia madre. s.f.e. strato fibroso esterno dell’ emisfero. s.c. strato cellulare. s. foglietto superiore ; E î NES della pia madre. ii foglietto inferiore Fig. III Tolta da una sezione di cervello di coniglio di 9 giorni. — Hartnack. Ob. 2. Oc. 3. S. sezione della scissura longitudinale superiore. p.m. pia madre. p.c. prolungamenti connettivali ) del foglietto superiore (Fig. II s.) p.v. prolungamenti vascolari | della pia madre, 56 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. IV. Tolta da una sezione di cervello di embrione di coniglio di 25 giorni. e. emisferi. c.i. cervello intermedio. v.l. ventricolo laterale. v.m. ventricolo medio. c.I. parte della circonvoluzione dell’ Ippocampo. t.c. tela coroidea del ventricolo medio. v. vasi che attraversano il solco esistente fra gli emisferi ed il cervello intermedio. Fig. V. Tolta dalla stessa sezione rappresentata dalla Fig. IV; disegnata ad un più forte ingrandimento per meglio dimostrare la disposi- zione dei vasi (o. — Lettere come nella Fig. IV. Istituto Anaromico peLLA ReGia Università DI Pisa DA Dott. DANTE BERTELLI Dissettore RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO SPINALE UMANO Intorno ai rapporti della pia-madre con i solchi del midollo spinale è controversia fra gli anatomici. Tali rapporti furono così descritti da Bellingeri (*). “ Multae, et prolungatae productiones piae matris alte in substantiam medullae immittuntur in late- ribus externis sulcorum collateralium posteriorum; ubi nempe scissuras, brevesque sulcos superius descriptos relinquunt in superficie medullae... In sulco autem medio posteriori, non vera subit plicatura piae matris, sed multae ipsius productiones fi- brarum adinstar, pleraque vasa sanguimea, quae profunde de- scendunt in dictum sulcum usque ad contactum cinereae substan- tiae, ipsamque vasa sanguinea subeunt et enutriunt. In scissuris quoque collateralibus anterioribus penetrant plus minusve latae productiones piae matris, et vasa sanguinea profunde substan- tiam medullae subeuntia. Tandem in sulco medio anteriori, per totam medullae longitudinem, immittitur sat crassa plica- tura piae matris, quae per lineam unam, vel unam cum dimidio in dictum sulcum descendit; in fundo autem sulci istius, plica- tura piae matris in fibratas abit productiones, quae cum mini- mis vasis sanguineis profunde penetrant in substantiam albi- dam in fundo dicti sulci positam ,. Hirschfeld (2) e Cruveilhier (3) ammettono che la pia-madre tappezzi le due pareti ed il fondo del solco mediano anteriore. (!) Bellingeri C. F. — De Medulla spinali. (Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Tomo XXVIII). Torino, MDCCCXXIV. (*) Hirschfeld L. — Traité et Iconographie du système nervenax. Paris 1865. (*) Cruveilhier J. — Traité d’Anatomie descriptive. Paris, 1862. 58 D. BERTELLI Gerlach (1) affermò che la pia-madre manda nel solco me- diano anteriore sino alla commissura bianca entrambi i suoi foglietti; che nel solco mediano posteriore invia soltanto il fo- glietto interno. Hyrtl (2) crede che nei solchi mediani anteriore e posteriore penetri una piega della pia-madre. Rolando (3), Valentin (4), Quain (°), Macalister (5), Gegenbaur (7) ammettono che la pia- madre mandi una piega nel solco mediano anteriore. Henle (8), Schwalbe (°) e Rauber (1°) sono di opinione che scenda nel solco mediano anteriore e nel posteriore un setto della pia-madre. Ammettono che nel solco mediano posteriore penetri un setto anche Cruveilhier (*), Hirschfeld, Macalister, Sappey e Gegenbaur (1). Macalister e Rauber chiamano incom- pleto il setto posteriore. Secondo Rolando nessuna piega della pia-madre penetra nel solco mediano posteriore. Sappey ammette .essere il setto del solco mediano anteriore costituito da due fogiietti che rappresentano un prolungamento dello strato profondo di questa membrana, il quale scenderebbe su l’uno dei margini del solco fino alla commissura anteriore per risalire quindi sul margine opposto. Key e Retzius (!2) scrivono che nelle scissure del midollo (4) Gerlach I. - Von dem Riickenmark. — Handbuch der Lehre von den Geweben des Menschen und der Thiere herausgegeben von S. Stricker. Zweiter Band. Leipzig, 1872. (?) Hyrtl G. — Istituzione di Anatomia dell’uomo. Versione italiana del Prof. G. Antoneli. Napoli. (3) Rolando L. — Struttura del midollo spinale. (Dizionario periodico di Medicina esteso da Luigi Rolando e Lorenzo Martini. Sez. II. Articolo ottavo). Torino, 1822. (4) Valentin G. — Traité de Névrologie traduit de l'Allemand par A. J. L. Jourdan. Paris, 1843. (£) Quain’s — Elements of Anatomy. London, 1382. () Macalister A. -- A Text-Book of human Anatomy. London, 1889. (?) Gegenbaur C. — Lehrbuch der Anatomie des. Menschen. Leipzig, 1890. (8) Henle J. — Handbuch der systematischen Anatomie des Menschen. Braun- schweig, 1871. È (?) Schwalbe G. — Lehrbuch der Neurclogie. Erlangen, 1881. (!0) Rauber A. — Die Lehre von dem Nervensystem und den Sinnesorganen. Exr- langen, 1886. (*) Quando ricordo Autori che ho già citati e in nota non metto indicazioni, in- tendo riferirmi al Lavoro di essi, già indicato. (45) Sappey Ph. C. — Traité d’Anatomie descriptive. Paris, 1876. (!°) Key A. und Retzius G. — Studien in der Anatomie des Nervensystems und des Bindegewebes. Stockholm, 1875, RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 59 non solo si affonda l’ Intima piae, ma anche gli elementi dello strato esterno. Questi formerebbero la parte mediana dei setti. Volli osservare quali degli anatomici avessero scritto se- condo il vero intorno ai rapporti della pia-madre coni solchi del midollo spinale; nel fare però questa semplice ricerca mi convinsi che non solo era necessario stabilire da quale parte stesse l'errore, ma che qualche cosa di nuovo rimaneva a dirsi su questo argomento. Ho fatte le ricerche nell'uomo e i risultati ai quali esse mi condussero convalidai con indagini comparative. Prima ren- derò conto delle ricerche macroscopiche. Incominciai a studiare i ràpporti della pia-madre con il solco mediano anteriore che si presta benissimo ad essere aperto. Sulla faccia anteriore di frammenti di midolli umani freschi incidevo la pia-madre a destra ed a sinistra della linea mediana, a pochi millimetri da questa e sollevavo i lembi che rimanevano dalla parte del solco. Liberavo per mezzo di una fina dissezione il setto dalle pareti del solco, quindi toglievo la sostanza midol- lare situata lateralmente al setto, così questo da una parte restava unito ai due lembi di pia-madre sopra ricordati, dal- l’altra aderiva al fondo del solco. Staccato finalmente il setto anche nel suo margine posteriore, lo ponevo nell’ acqua ed allora scorgevo che è costituito da una membranella sottile biancastra, splendente. Sospesi alle parti laterali di essa si ve- dono pochi filamenti sottilissimi del colore della membranella che costituisce il setto. Filamenti come questi ed altri più grossi di colore rossastro si osservano anche nella porzione di setto che era in rapporto con il fondo del solco. Se la dissezione sopra descritta si fa in midolli induriti e si arresta al momento nel quale il setto del solco è liberato da ogni parte tranne che per il suo margine posteriore, allora facendo leggere trazioni sul margine anteriore si constata ma- nifestamente che la porzione del setto la quale è in rapporto con la commissura anteriore, presenta modalità degne di nota. Raggiunta il setto la parte mediana della commissura ante- riore si divide in due foglietti, i margini dei quali sono rivolti allo esterno. Da questi margini si staccano quei filamenti sot- tilissimi e gli altri più grossi che ho detto originano dal setto nel fondo del solco mediano anteriore. Anche dallo spazio com- 60 D. BERTELLI preso tra i due foglietti partono radi, sottilissimi filamenti che sì recano perpendicolarmente alla commissura bianca; per ve- derli basta incidere nettamente un midollo indurito, togliere la sostanza midollare che è intorno al setto e di questo la- sciare in sito solamente la porzione che è in rapporto con la commissura anteriore. Facendo allora trazione sul margine an- teriore del setto e guardando di fronte la parte media del margine posteriore del setto, si scorgono i radi sottilissimi fi- lamenti. Di tutti questi filamenti quando vengono strappati, solo quelli più grossi lasciano al loro posto piccoli fori, visi- bili ad occhio nudo. Questi fori trovansi su due file nelle parti laterali del fondo del solco mediano anteriore. Le file sono pa- rallele ma i fori di una fila non trovansi che eccezionalmente di fronte a quelli dell'altra, sono invece alternati. Degli altri filamenti sia in midolli freschi, sia in midolli induriti, quando vengono tolti, non rimane traccia. Visto come la estremità posteriore del setto si dividesse in due foglietti, tentai di separarli e vi riuscii usando il me- todo di dissezione che ora descriverò. Prendevo frammenti di midollo indurito e incominciando ad inciderli nella parte me- diana della faccia posteriore, conducevo il taglio in modo da venire a cadere con esso nel fondo del solco mediano anteriore sulla linea nella quale il setto si divide in due foglietti; allora scostando delicatamente le due metà del midollo incise e di- staccando i deboli legami che riuniscono i foglietti, potevo se- parare questi fino alla faccia interna della pia-madre. Con tale metodo di dissezione si possono osservare benissimo anche i filamenti che partono dai margini liberi dei due foglietti. In- fatti arrestando il taglio nel fondo del solco mediano anteriore e allontanando cautamente i due frammenti del midollo inciso, i foglietti si divaricano nella loro parte posteriore e allora si vedono i filamenti grossi e i piccoli tesi fra i margini liberi dei foglietti e la parte laterale del midollo. Tutte le modalità che si riferiscono al modo di terminare del setto anteriore si scorgono chiaramente nel rigonfiamento cervicale. Ora riferirò delle indagini microscopiche fatte intorno al setto anteriore della pia-madre. Osservando al microscopio se- zioni trasverse di midollo spinale nelle quali sia conservata la pia-madre nei suoi rapporti con il solco mediano anteriore, sì Mr RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 61 stabilisce bene la origine del setto. Giunta la pia-madre sulla linea mediana della faccia anteriore del midollo (Fig.I) perde l'aspetto nastriforme e si ispessisce assumendo una forma trian- golare. Il lato superiore del triangolo è formato da un sottile foglietto che seguita il decorso primitivo della pia-madre, gli altri due lati sono costituiti da foglietti che questa membrana invia entro il solco mediano anteriore a costituire il setto. Nel triangolo è l'arteria spinale anteriore tagliata di traverso, giacente subito sotto al foglietto che costituisce il lato supe- riore del triangolo. In questo si scorgono oltre la spinale an- teriore, tagliati trasversalmente o un po’ obliquamente, uno 0 due vasi arteriosi. Questi hanno diversa origine. Nascono dalla spinale anteriore rami che nello spessore della pia-madre si recano verso le parti laterali della faccia anteriore del midollo, altri vanno nel fondo del solco mediano anteriore. Alcuni di questi, appena originati, prima di recarsi verso la commissura anteriore, decorrono per tratto più o meno lungo paralleli o quasi al solco mediano anteriore. La spinale anteriore riceve rami di rinforzo a seconda delle regioni che traversa, dalle cer- vicali ascendenti, dalle vertebrali, dalle intercostali, dalle lom- bari. Di tutti questi vasi la parte che trovasi in vicinanza del tronco della spinale anteriore, nelle sezioni trasverse, resta ta- gliata trasversalmente o più o meno obliquamente. Nel trian- golo è compreso di sovente anche il tronco della vena spinale mediana anteriore e taluni dei suoi rami; di questi, alcuno se ne vede sempre. Lo spazio che intercede tra i vasi è riempito da tessuto connettivo costituito da fascetti che hanno il decorso descritto comunemente nella pia-madre. La membranella formata dalla riunione dei due foglietti che la pia-madre invia nel soleo mediano anteriore, raggiunta la commissura bianca, si sdoppia nel modo che descrissi quando riferii intorno alle ricerche macroscopiche. Tra i due foglietti rimane uno spazio che è riempito da tessuto connettivo e da vasi. Così anche l'estremità posteriore del setto anteriore ap- parisce di forma triangolare. Questo triangolo è riempito da tessuto connettivo i fasci del quale appariscono per la massima parte tagliati obliquamente, gli altri sono in direzione longi- tudinale ed in prossimità dei foglietti, paralleli al decorso di essi, Scorgesi nel triangolo, quasi sempre, qualche venuzza ed 62 D. BERTELLI una o due arterie. Questi ultimi vasi sono i più bassi di quelli che fanno parte del reticolo formato nel setto anteriore dai rami provenienti dalla spinale anteriore ed hanno andamento parallelo o quasi, al soleo mediano anteriore. La membranella che costituisce il setto ha la struttura della pia-madre dalla quale proviene, soltanto i fasci di connettivo modificano quivi la loro direzione; di questa modalità scriverò fra breve. Lo spessore del setto nelle porzioni cervicale e dorsale è in me- dia mm. 0,042, nella porzione lombare è mm. 0,051. Queste misure sono prese in corrispondenza della parte media del de- corso del setto. Dissi già che dai margini liberi dei foglietti si distaccavano filamenti grossi di colore giallastro e filamenti più sottili bian- castri, splendenti. Gli uni e gli altri sono vasi sanguigni accom- pagnati da lamelle e guaine che provengono dal setto. Le guaine accompagnano i più piccoli, le lamelle i più grossi. I vasi san- guigni più grossi, nello staccarsi dai margini liberi dei foglietti del setto, traggono seco porzione di questo margine sotto forma di lamelle che li accompagnano per breve tratto verso la sostanza grigia. Queste lamelle sono molto più corte ma del resto simili a quei prolungamenti della pia-madre spinale che costituiscono il setto posteriore (Fig. II) e che Key e Retzius hanno descritti in altre parti del midollo spinale. Si osservano chiaramente in preparazioni istologiche fatte con frammenti di setto. I fasci di fibre connettive che costituiscono la membranella del setto sono molte a decorso longitudinale, poche a decorso verticale, po- chissime a decorso obliquo; le prime e le ultime cambiano di- rezione in corrispondenza della origine delle lamelle; quivi si fanno parallele ai vasi che recansi alla sostanza grigia. Questa disposizione dei fasci sì vede nei tagli trasversi del setto, ma assai meglio in frammenti di setto sottoposti, dopo i consueti trattamenti, alla osservazione microscopica. Finita la lamella il vaso rimane avvolto da una semplice guaina dipendente dalla lamella, Ia quale accompagna il vaso fino alla sostanza grigia. Questa ultima modalità si osserva bene quando nei tagli tras- versi del midollo si incide il vaso in quel tratto che intercede tra la commissura anteriore e la sostanza grigia. Anche i radi, sottilissimi filamenti che recansi alla commissura bianca sono vasi provenienti dalla spinale anteriore. e RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 63 Quando con i tagli trasversi si cade sopra uno dei grossi vasi che vanno alla sostanza grigia o sopra la parte della lamella vicina al vaso, 1 margini dei foglietti del setto sono messi be- nissimo in evidenza perchè il vaso o la lamella che lo accom- pagna, fissandosi alla parte laterale del midollo, li tiene tesi. Quando il taglio cade fra le lamelle, i margini dei foglietti si osservano retratti; in fondo al solco mediano anteriore si scorge la estremità posteriore del setto di forma triangolare o clavata libera o unita, raramente, alla commissura anteriore per sottili filamenti che a questa si recano dalla parte mediana del setto. Nel lavoro di Waldeyer (!) “Il midollo spinale del Gorilla , si trova esattamente riprodotta alla Tavola 18 Fig. 2* ed alla Tavola 19 Fig. 10* la terminazione posteriore del setto in forma di triangolo e di clava. Waldeyer in questo lavoro, a scopo di ricerche comparative, riporta anche figure di midollo spinale umano e tali sono appunto quelle alle quali ho alluso. Nel Trat- tato di Istologia di Toldt (?), alla Fig. 54, il setto anteriore della pia-madre è riprodotto in abbozzo. Uno strato di nevroglia riveste la superficie del midollo e le pareti dei solchi che in esso si trovano. Debbo dire breve- mente di questo strato a causa dei rapporti che prende con i prolungamenti della pia-madre nei solchi. Golgi (3) scrive in proposito. “ Lo strato di tessuto affatto privo di elementi ner- vosi, che sta applicato a tutta la periferia del midollo, non che alle due contrapposte superfici corrispondenti alla scissura an- teriore, differisce dallo stroma interno per ciò solo che offre una struttura più stipata, e perchè i corpi cellulari, relativa- mente alla massa fibrillare, sono molto scarsi, ed in oltre per la maggior robustezza e rigidità dei prolungamenti cellulari. Tutto lo strato presenta infine i caratteri di un tessuto più compatto. A formare lo strato medesimo concorre gran numero di prolungamenti delle cellule, situate più o meno profondamente entro il midollo; d’altra parte, i prolungamenti delle cellule formanti questo strato, penetrando nell'interno, concorrono @ (1) Waldeyer W. — Das Gorilla - Riickenmark. Berlin, 1889. (2) Toldt C. — Lehrbuch der Gewebelehre. Stuttgart, 1888. (8) Golgi C. — Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. Milano, 1886. 64 D. BERTELLI formare lo stroma interstiziale dei cordoni bianchi ,. Golgi (1) aveva espressi questi concetti già nel 1872. Tale reperto conduce a ritenere questo strato, indipendente dalla pia-madre, Gerlach e Sappey lo considerarono come fo- glietto interno della pia-madre, Schwalbe come pia-madre. E devono aver considerato pia-madre soltanto questo strato tutti coloro che scrissero discendere la pia-madre nella scissura an- teriore appoggiata ad una delle pareti di essa, tappezzarne il fondo e risalire per l’altra parete. Colorando le sezioni di midollo spinale, involto dalle sue membrane, con Ematossilina di Delafield, la pia madre acquista un colore giallognolo, lo strato di nevroglia un colore turchino sbiadito. I prolungamenti della pia-madre occupano nei solchi del midollo la parte centrale. Quando i solchi sono molto angusti, la pia-madre sta strettamente addossata allo strato di nevro- glia, ma è sempre questo strato quello che riveste le pareti dei solchi. Per tale ragione non mi sembra esatta la Fig. 214 che Rauber riporta nel suo Trattato di Nevrologia. Key e Retzius affermano che nelle scissure del midollo spi- nale penetra non solo l’ Intima piae, ma anche lo strato esterno della pia-madre e che questo trovasi sulla parte mediana delle scissure. Veramente se togliesi la parte di pia-madre che tro- vasi sulla limea mediana delle scissure, come Intima piae, mi pare, non possa considerarsi altro che lo strato di nevroglia il quale ne riveste le pareti. Ma ritorniamo all'argomento. La pia-madre invia al midollo numerosi prolungamenti, io mi limiterò a descrivere quelli che nascono dal setto anteriore. Questi prolungamenti per recarsi alle parti laterali del midollo devono necessariamente passare a traverso allo strato di ne- vroglia che riveste le pareti ed il fondo del soleo mediano an- teriore. Ecco come si comportano con questo strato. Se i pro- lungamenti sono sottili lo perforano e si recano nelle parti laterali del midollo. I grossi prolungamenti sono accolti in solchi rivestiti di nevroglia (Fig. I). Questa disposizione mi fa supporre che i grossi prolungamenti provveduti la massima parte dai (1) Golgi C. — Contributo alla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. (Rivista Clinica di Bologna. Febbraio 1872). RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 65 margini liberi dei foglietti del setto, per andare alle parti la- terali del midollo portino innanzi a loro lo strato di nevroglia producendo nella sostanza midollare un solco. I prolungamenti di connettivo sostengono vasi i quali certamente avrebbero la parte principale nel produrre la modalità ora descritta. Adam- kiewicz (1) accenna a questi solchi nel descrivere i rami delle Arterie solco-commissurali. Le ricerche comparative confermano i risultati ai quali sono giunto studiando il setto anteriore. Nel Bove, nel Cavallo®@nel- l’Asino, nella Pecora, nel Cane, nel Coniglio il setto inferiore della pia-madre, alla sua origine, presenta una superficie trian- golare analoga a quella descritta nell'uomo. Due foglietti pro- venienti dalla pia-madre formano la membranella del setto, che giunta in prossimità della commissura bianca manda in questa e nelle parti laterali del midollo fitti prolungamenti. Quindi il margine superiore del setto inferiore (analogo al setto anteriore della pia-madre nell’uomo) termina in questi mammiferi come nell'uomo; non si riflette cioè nel fondo del solco, ma quivi in vece finisce mandando numerosi prolungamenti laterali e unendosi con la sua parte mediana alla commissura bianca. Ranvier (?), alla Fig. 389, riporta un taglio trasverso (porzione dorsale) del midollo del Macaco (Macacus cynicus); in questo preparato si vede chiaramente che il setto inferiore termina come nei mammiferi già ricordati. Da quanto ho sopra esposto mi pare si possa concludere che nel solco mediano anteriore penetra un setto della pia- madre composto da due foglietti (setto anteriore della pia-madre); che i foglietti costituenti il setto si scindono in corrispondenza della commissura anteriore e i loro margini liberi sono rivolti allo esterno; che partono da questi margini prolungamenti i quali vanno trasversalmente alla sostanza grigia; che traggono origine prolungamenti anche dalla parte mediana della estre- mità posteriore del setto e questi si recano verticalmente alla commissura bianca; che i grossi prolungamenti sono accolti in solchi rivestiti di nevroglia; che i prolungamenti sottili perfo- (1) Adamkiewicz A. — Die Blutgefiisse des menschlichen Ruickenmarkes. Sitzungsbe- richte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Matematisch-naturwissenschaftliche Classe. LXXXIV Band. IV Heft. Wien, 1882. (2) Ranvier L. — Traité technique d’' Histologie. Paris, 1889. 66 D. BERTELLI rano lo strato della nevroglia; che i prolungamenti del setto forniscono lamelle e guaine ai vasi i quali dal setto vanno alla sostanza grigia ed alla commissura anteriore. Ora riferirò il resultato delle indagini fatte intorno al rap- porto della pia-madre con il solco mediano posteriore. Ma prima è necessario che tratti brevemente del solco. A questo propo- sito tolgo da Sappey i dati storici che seguono. “ Les deux lèvres de ce sillon (sillon médian postérieur) sont séparées par la cloison médiane postérieur de la pie-mère spinale, cloison extrèmement mince, en sorte que cette séparation ne s’opère pas sans difficulté. De là sans doute l’erreur de Huber et de Keuffel, qui ont nié son existence; celle de Haller, qui ne le regarde pas comme constant; celle de Chaussier et de quelques autres anatomistes, qui le croient moins profond que l' an- térieur ,. Kolliker (1) afferma. * Diese, funiculî posteriores, stossen zwar in der hinteren Mittellinie scheinbar zusammen, indem die von Manchen angenommene hintere Langsspalte, mit Aus- nahme der Lendenansehwellung und der oberen Cervicalgegend, beim Menschen nicht vorhanden ist ,. Nello studiare i rapporti della pia-madre con il solco me- diano posteriore ho trovato che esso presenta una disposizione la quale giustifica il concetto che i vecchi anatomici ebbero su questo argomento. Il soleo mediano posteriore apparisce bene manifesto sulla linea mediana della faccia posteriore del midollo sotto forma di stretta, superficialissima infossatura. Per accertare quanto sia poco profondo basta prendere frammenti di midollo, spolti delle meningi, non molto induriti in liquido di Muller e fare sulla faccia posteriore di essi leggere trazioni lateralmente al solco. Quando sulla linea mediana della faccia posteriore del mi- dollo si scorge un solco che arriva fino alla commissura grigia, questo solco è per la massima parte artificiale. Concorrono ad indicare il solco mediano posteriore piccole aperture apparen- temente circolari, situate nella linea del solco una in prossi- mità dell'altra, aventi diametro diverso. Tra le aperture in- (') Kolliker A. — Handbuch der Gewebelehre des Menschen. Leipzig, 1867. RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 67 tercedono cordoni di sostanza midollare. Se questi vengono incisi sulla linea mediana della faccia posteriore del midollo o si lacerano facendo trazioni laterali a questa linea, si produce artificialmente un solco che arriva alla commissura grigia e le pareti di esso ci appariscono liscie e parallele come le ha de- scritte, quale disposizione normale, Henle. Se i pezzi hanno dimorato lungo tempo in liquido di Mtiller od anche in alcool, questo solco artificiale si produce facilissimamente perchè la sostanza midollare è divenuta friabile. Il prodursi di questo solco sulla linea medjana è in stretto rapporto con la disposi- zione del setto posteriore. La presenza dei cordoni di sostanza midollare difficilmente si dimostra con sezioni microscopiche fatte in senso trasversale e di ciò vedremo fra breve la ragione. Ma in sezioni longitu- dinali, con il piano di taglio perpendicolare al setto posteriore della pia-madre, si scorgono con la massima evidenza questi cordoni ed i forellini interposti ad essi. Dei fori i più grossi appariscono di forma ovalare, i più piccoli di forma ovalare o rotonda. Nel contorno dei fori, nelle sezioni colorite con Car- minio litico, si vede il solito strato di nevroglia che circonda la superficie del midollo. Osservando tagli longitudinali fatti in serie si scorge questo strato anche profondamente, in stretto rapporto con gli elementi del setto posteriore. Il solco mediano posteriore dal principio del rigonfiamento lombare va leggermente affondandosi fino a circa la metà di esso, poi risale per tornare superficialissimo nel cono terminale. La profondità massima del soleo mediano posteriore, in questa porzione del midollo, può raggiungere poco più di un milli- metro. Nel fondo di questo tratto del solco mediano posteriore si vedono i soliti forellini. Il solco mediano posteriore, tranne che nella porzione lombare, è indicato dalla serie dei piccoli fori esistenti sulla linea mediana della faccia posteriore del mi- dollo e da leggerissimi avvallamenti interposti ai fori. Capita spesso di osservare midolli nei quali i fori sono piccolissimi e radi, allora in qualche tratto, tra i fori, non è possibile |di scorgere la presenza di un solco. Che il solco mediano posteriore abbia nell'uomo questa di- sposizione me lo dimostrano le ricerche macroscopiche e le mi- croscopiche. Non ho avuto opportunità di poter fare a questo Sc. Nat. Vol. XII. h) 68 D. BERTELLI proposito estese ricerche comparative, pure in due midolli di Cavallo, due di Asino, tre di Cane, due di Gatto ho constatato, alla osservazione macroscopica, che il solco mediano posteriore ha disposizione identica a quella dell’uomo. Leuret e Gratiolet (1) ammettono che il solco mediano po- steriore raggiunga la commissura grigia. Affermano che è oltre modo malagevole mettere in evidenza questo solco e in prova di ciò allegano la grande difficoltà che si incontra nel separare le pareti di esso in corrispondenza della porzione cervicale del midollo del Gatto. Feci tagli longitudinali nella parte cervicale del midollo del Gatto ed osservai che cordoni di sostanza mi- dollare si trovano interposti ai prolungamenti inviati dalla pia- madre verso la commissura grigia. Anche per studiare i rapporti della pia-madre con il solco mediano posteriore ho fatte prima ricerche macroscopiche. In frammenti di midollo spinale indurito incidevo al lato della linea mediana la pia-madre e la sollevavo fino in corrispon- denza del solco mediano posteriore. Con trazioni laterali ed alutandomi con il bistori, producevo una scissura artificiale che essendo il seguito del solco mediano posteriore arrivasse alla commissura grigia. Sopra una delle pareti di questa scissura procuravo che restassero attaccati tutti i prolungamenti che la pia-madre invia, sulla linea mediana, verso il centro del mi- dollo. Asportavo poi la porzione di midollo che non aveva più rapporti con questi prolungamenti e mettevo allo scoperto la commissura posteriore. Si scorgeva bene allora, in alcuni mi- dolli, il setto posteriore applicato alla parete del solco e a quella della scissura artificiale e si vedeva che è costituito da piccole e sottili lamelle di forma irregolare (Fig. II). Sembra che ori- ginino dalla faccia interna della pia-madre dalla quale nascono le une accanto alle altre. Tra queste lamelle sorgono dalla faccia interna della pia-madre anche sottili filamenti (Fig. II) che si recano entro il solco e sono presto intercettati dai pro- lungamenti che partono dai margini delle lamelle. Queste pare terminino con la loro estremità anteriore nella commissura grigia. Dai margini e dagli angoli delle lamelle nascono fila- (1) Leuret FR. et Gratiolet P. — Anatorete comparte du Système nerve. Paris, 1839-1857. RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 69 menti i quali si anastomizzano fra loro e con i prolungamenti sottili che provengono dalla faccia interna della pia-madre fra le lamelle, formando un reticolo a larghe maglie (Fig. II). Le lamelle decorrono un po’ oblique dall’alto al basso o trasversalmente o dal basso all'alto. Molte hanno la direzione che ho ricordata la prima, poche sono dirette trasversalmente, la direzione dal basso all’alto è rara. Queste tre specie di lamelle sono riprodotte alla Fig. II che rappresenta un tratto di setto posteriore tolto al principio della porzione dorsale. Le lamelle, più o meno al disotto della loro origine, si espan- dono (Fig.II). A causa di questa espansione e a causa del re- ticolo prodotto dalle anastomosi dei prolungamenti di esse, i cordoni midollari che ho descritti sulla linea mediana della faccia posteriore del midollo, poco sotto al loro principio ri- mangono quasi totalmente distrutti. Restando adunque questi cordoni tra il solco mediano posteriore da una parte, le lamelle ed il reticolo dall'altra, si comprende bene perchè sia difficile mantenere unita in sottilissime sezioni trasverse la sostanza che li costituisce. Estendendosi le lamelle ed il reticolo dalla faccia inferiore della pia-madre in linea retta alla parte media della commissura posteriore, si comprende bene che deve essere fa- cilissimo produrre su questa linea una scissura artificiale avente pareti in apparenza levigate. Lasciando il setto posteriore applicato ad una delle pareti del solco e della scissura artificiale nel modo sopra descritto, può, usandosi una grande precauzione, essere tolto e le lamelle ed ii reticolo che lo costituiscono sono tanto sottili da po- tersene fare buone preparazioni istologiche. Allora si vedono meglio, guardando anche ad occhio nudo, tutte le modalità sopra descritte che poi si confermano alla osservazione micro- scopica e questa dimostra ancora che tra le lamelle ed i pro- lungamenti filiformi è una membranella a margine libero on- dulato (Fig. II). Questa si trova entro il solco mediano poste- riore e deve essere la pressione esercitata dal suo margine li- bero sopra la parte mediana della faccia posteriore del midollo, che produce i leggeri avvallamenti interposti ai fori. E della pressione il margine della membranella ne deve fare perchè le lamelle e i prolungamenti sottili tra i quali è distesa, tendono a condurla verso la commissura posteriore. La presenza di que- 70) D. BERTELLI sta membranella fa si che al posto del solco mediano poste- riore sì scorga sempre nelle sezioni trasverse un prolungamento della pia-madre. Se in queste sezioni il taglio cade in corri- spondenza di un foro (Fig. III) o della parte vicina a questo, che è occupata dal resto della lamella strettamente unita alla nevroglia, allora si scorge sulla linea mediana della faccia po- steriore del midollo un solco che talvolta giunge fino alla commissura grigia, ma questo devesi nella parte più esterna al modo col quale è stato fatto il taglio, nella parte più in- terna devesi alla disposizione che ho descritta nel setto poste- riore della pia-madre. Osservando al microscopio in sezioni trasverse il setto po- steriore si vede che a formare i prolungamenti che lo costi- tuiscono concorrono due foglietti della pia-madre (Fig. III) i quali alla loro origine si comportano come i foglietti che co- stituiscono il setto anteriore. La pia-madre arrivata in corri- spondenza del solco mediano posteriore si addensa prendendo la forma triangolare. Nel triangolo sono fasci di tessuto con- nettivo dei quali fra breve esporrò la direzione e sezioni tra- sverse o un po oblique dei rami delle arterie e delle vene spinali posteriori. I due foglietti che si recano dentro il solco e verso la commissura posteriore dopo breve decorso (Fig. III) si riuniscono e formano le lamelle, i prolungamenti filiformi e la membranella che è accolta nel solco mediano posteriore. Delle lamelle rimane a descrivere l’ estremità anteriore. Questa recasi alla parte media della commissura grigia e si di- sperde mandando prolungamenti obliqui e verticali nella parte di mezzo della commissura e prolungamenti laterali, disposi- zione che nei Trattati e nelle Monografie viene riprodotta in esatte figure. Tale modalità presenta molta analogia con quella osservata nel setto anteriore e sta a dimostrare che veramente anche il setto posteriore è costituito da due foglietti. Esaminando al microscopio sezioni trasverse di midollo spi- nale si confermano le modalità del setto posteriore osservate macroscopicamente e microscopicamente nelle preparazioni fatte con frammenti di setto. Capita spesso di osservare nel setto posteriore interruzioni, ciò avviene quando il taglio incide le maglie del reticolo. Talvolta vedesi sezionata soltanto parte di una lamella, ciò avviene perchè questa è sfuggita al taglio RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. ra! a causa del suo decorso obliquo. Nelle parti che non sono inter- cettate da sostanza midollare si vede strettamente addossato alle lamelle ed al reticolo lo strato di nevroglia che ho detto riveste la superficie del midollo spinale e le pareti della scis- sura anteriore. Le lamelle che costituiscono il setto posteriore sostengono vasi. Sono vasi sanguigni anche i prolungamenti filiformi che nascono dalla pia-madre tra le lamelle e sono vasi sanguigni tutti i prolungamenti che concorrono a formare il reticolo del setto posteriore. Tutti questi vasi sono avvolti da una guaina fornita loro dal setto. I fasci di connettivo nel setto posteriore hanno andamento parallelo ai vasi. Lo spessore delle lamelle, poco sotto la loro origine, è un po’ meno della metà di quello stabilito per il setto anteriore. Alle lamelle, ai prolungamenti sottili, alla membranella tesa fra questi e le Jamelle, al reticolo spetta, mi pare, il nome di setto posteriore della pia-madre perchè tali elementi mancano mai; perchè riuniti fra loro formano un sepimento quasi com- pleto; perchè trovansi sempre su di un piano verticale che passando per il solco mediano posteriore si estende dalla faccia interna della pia-madre alla commissura grigia. Nelle sezioni longitudinali che abbiano il piano di taglio per- pendicolare al setto posteriore si vede che i forami disposti in linea retta sulla parte mediana della faccia posteriore del mi- dollo, sono occupati dai vasi. I margini delle lamelle sì insi- nuano tra i cordoni interposti ai fori, sicchè la estensione di questi cordoni che ad occhio nudo apparisce cospicua, è di molto ridotta dal modo di comportarsi delle lamelle. Riassumendo quanto ho esposto nella seconda parte del la- voro, concludo; che il solco mediano posteriore è indicato dalla serie di piccoli fori esistenti sulla linea mediana della faccia posteriore del midollo e da leggerissimi avvallamenti interpo- sti ai fori; che soltanto nel rigonfiamento lombare si affonda e quivi può raggiungere un millimetro di profondità; che il setto posteriore risulta di prolungamenti sottili e di lamelle provenienti dalla pia-madre; che i prolungamenti sottili si ana- stomizzano con le lamelle e con prolungamenti filiformi sorti dai margini delle lamelle; che questi ultimi si anastomizzano fra loro; che le lamelle hanno prevalentemente direzione dal- 72 D. BERTELLI l'alto al basso, possono averla anche trasversale, più rara- mente dal basso all’ alto; che le lamelle in corrispondenza della commissura grigia finiscono mandando prolungamenti obliqui e verticali alla parte mediana della commissura e proluugamenti laterali; che lo spessore delle lamelle, poco sotto la loro ori- gine, è un po’ meno della metà di quello stabilito per il setto anteriore; che fra le lamelle ed 1 prolungamenti sottili è tesa una membranella con margine libero ondulato; che le lamelle, i prolungamenti sottili e la membranella interposta a questi elementi risultano di due foglietti provenienti dalla pia-madre; che i fasci di tessuto connettivo hanno nel setto posteriore andamento parallelo ai vasi. I rapporti della pia-madre con i solchi collaterali anteriori e posteriori sono molto semplici, specialmente con i primi. Le ar- terie radicolari per raggiungere la sostanza grigia seguono le radici anteriori e posteriori dei nervi rachidici. Esaminando sezioni trasverse di midollo spinale in corri- spondenza della uscita delle radici anteriori, si scorge il più delle volte, la superficie di esso regolarmente tondeggiante, ri- coperta dalla pia-madre. Sappey vorrebbe non si ammettesse un solco collaterale anteriore. I vasi sono accompagnati da piccole lamelle sottilissime. Le arterie radicolari posteriori raggiungono la sostanza gri- gia passando al davanti e al di dietro della radice o tra il fascio esterno ed interno di essa. La prima modalità è la più frequente, più rara è l’ultima. I vasi sono sostenuti dalle so- lite lamelle le quali occupano quei leggeri avvallamenti che trovansi nella sostanza midollare al davanti e al di dietro della origine apparente della radice. In un midollo di grosso cane nel quale era riuscita bene la iniezione al Bleu di Prussia potei constatare che all’esterno della radice i vasi erano sostenuti da una membranella bene distinta. Ma nell'uomo le lamelle che sostengono i vasi sono solamente contigue, ciò scorgesi nelle sezioni poste in serie. Nel solco intermediario anteriore, come ebbi già ad affermare in altro mio lavoro ('), si insinua un setto della pia-madre. Questo, quando i solchi intermediarii anteriori sono bene svi- (4) Il solco intermediario anteriore del midollo spinale umano. Pisa, 1890. RAPPORTI DELLA PIA-MADRE CON I SOLCHI DEL MIDOLLO EC. 13 luppati, può facilmente togliersi con il metodo che ho usato per liberare il setto del solco mediano anteriore. Posto nel- l’acqua apparisce come membranella sottilissima ed esaminata al microscopio presenta nelle parti laterali prolungamenti fili- formi e nel suo margine posteriore lamelle. Quando i solchi intermediarii anteriori sono poco sviluppati è impossibile iso- lare la membranella, ma può dimostrarsi la continuità di questo setto, per mezzo dei tagli posti in serie. Il setto prende origine dalla pia-madre con due foglietti. Come il setto del solco intermediario anteriore ha grande analogia con il setto della scissura mediana anteriore, così il setto del solco intermediario posteriore (Fig. III) presenta, in proporzioni ridotte, le stesse modalità del setto posteriore della pia-madre. È costituito da prolungamenti provenienti dalla pia- madre, dei quali alcuni hanno la forma delle lamelle che ho trovate nel solco mediano posteriore, altri sono filiformi. Questi, le lamelle ed i prolungamenti che derivano dai margini di esse costituiscono un delicatissimo reticolo analogo a quello che ho descritto nel setto posteriore. Anche gli elementi che costitui- scono il setto del solco intermediario posteriore prendono ori- gine dalla pia-madre con due foglietti. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. II). Fig. I. Tolta da una sezione trasversa di midollo spinale umano di adulto, fatta al principio del rigonfiamento cervicale. A — Pia-madre. B — Solco mediano anteriore. C — Setto anteriore della pia-madre. D — Canale centrale. E — Arteria spinale anteriore. F — Ramo dell'arteria spinale anteriore. G — Strato della nevroglia. Fig. IL. A — Pia-madre sollevata. B — Setto posteriore della pia-madre. Fig. III Tolta da una sezione trasversa di midollo spinale umano di adulto, fatta in corrispondenza della parte media del rigon- fiamento cervicale. A — Pia-madre. t B — Solco intermediario posteriore. C — Setto del solco intermediario posteriore. D — Strato della nevroglia. EE’ — Setto posteriore della pia-madre. F — Canale centrale. APPUNTI STRATIGRAFICI E PALEONTOLOGICI SOPRA VALLEBBIAIA COMUNE DI FAUGLIA IN PROVINCIA DI PISA NOTA per il Dott. L. BUSATTI Libero docente nell’ Università di Pisa Lo studio delle sabbie silicee intrapreso da me in diverse località toscane e che da tempo cerco, per quanto mi è pos- sibile, seguitare diligentemente ed accuratamente non solo in gabinetto per la parte mineralogica ma anche in campagna per rilevarne i rapporti di posizione con le altre sabbie e per rac- cogliere tutti quei fatti che interessano i nostri studi minera- logici e geologici, mi è stato di incitamento a dare la pubbli- cità a queste mie osservazioni stratigrafiche e paleontologiche che ultimamente ho potuto compiere nella classica località di Vallebbiaia. La quale ho percorso collo scopo principale di stu- diare i giacimenti sabbiosi silicei che si trovano nei pressi della detta località (*). Anche anteriormente a queste mie escursioni conosceva Vallebbiaia per avervi raccolto numerosi fossili che ora fanno parte delle ricche collezioni paleontologiche del mu- seo geologico pisano, affidate alla cura e solerzia del prof. Ca- navari. À cui, per debito di gratitudine devo qui esternare la mia schietta riconoscenza per avermi messo a disposizione i fossili da esso pure raccolti in Vallebbiaia non solo, ma per (4) Alle sabbie silicee di Tripalle, già da me fatte conoscere, rassomigliano per la giacitura e minerali che contengono, le sabbie silicee che si ritrovano in alcune altre località delle colline pisane. — Non si rassomigliano invece ad esse per quei caratteri le sabbie silicee di altre località toscane. Sc. Nat. Vol. XII. 6 ‘6 i. BUSATTI l’aiuto datomi nelle considerazioni peleontologiche che con pia- cere ho veduto confermare le osservazioni stratigrafiche com- piute sulla localiltà della quale imprendo a parlare. Vallebbiaia è una piccola valle al N. N. 0. di Fauglia ser- rata da leggeri colli che si protendono per ondulazioni di ter- reno più o meno sentite fino alle maggiori elevazioni che co- stituiscono le belle ed ubertose colline pisane. Il terreno è di natura prevalentemente sabbioso e di color giallo quasi ocraceo: di questo terreno sono altresì costituite le circostanti colline. In questo deposito sabbioso si distinguono alcuni piani, e cioè: 1 — superiormente sabbie gialle prive di fossili; 2 — sottoposte a queste altre sabbie di poco spessore con- traddistinte da banchi di Cladocora coespitosa Edw. et H., ed a cui sono associate Ostrea e Chama; 3 — più in basso si trovano sabbie un poco argillose ric- chissime di fossili benissimo conservati; 4 -— chiude la serie un terreno prevalentemente argilloso e che emerge tra le sabbie a guisa di collinette, laddove l’ ero- sione si è spinta fino a questo piano. Anche in queste argille, ma più raramente, si raccolgono fossili. La serie stratigrafica accennata è qua e là ricoperta dalla formazione dei ciottoli del verrucano che a lembi staccati sì trova oggi sulla cima delle diverse colline poste a settentrione di Fauglia, quali ultimi avanzi della denudazione postquaternaria. Se risalendo Vallebbiaia si gira il Poggio dei Venti e gli altri che fanno corona a Fauglia si osserva con continuità lo strato ad ostriche che ricopre il deposito fossilifero di Valleb- biaia. Associati alle ostriche si trovano in molti luoghi nume- rosi Pecten. Procedendo verso Tremoleto e Lorenzana o verso Luciana il deposito ad ostriche ricopre altre sabbie, le quali diventano in basso gradatamente argillose per convertirsi poi nelle argille turchine fossilifere, le quali senza intermezzi con- tinuano sino ad Orciano. Nelle sabbie argillose predominano i fossili. Ad occidente di Fauglia, nelle colline di Castell’ Anselmo, sopra le argille turchine collegate a quelle di S. Regolo, si tro- vano sabbie gialle, che continuano anche al nord dello stesso Castell’Anselmo, e gradatamente si convertono in calcari sab- biosi, ricoperti poi dai ciottoli del Verrucano. Cosicchè questi APPUNTI STRATIGRAFICI E PALEONTOLOGICI SOPRA VALLEBBIAIA EC. 1‘ calcari sabbiosi corrispondono stratigraficamente al giacimento di Vallebbiaia. In essi sono frequenti Ostrea e Pecten associati a numerosi Briozoari. I calcari sabbiosi accennati sono quelli che il Reid (1) ha paragonati al Crag coralligeno dell’Inghilterra. Da questo esame stratigrafico emerge l’intima connessione del deposito di Vallebbiaia con le argille turchine di Orciano; esso occupa certamente la parte superiore della serie, ma riesce impossibile staccarlo dai nostri terreni pliocenici. Il Manzoni (?), che con grande autorità studiò paleontologi- camente il nostro giacimento, vi trovò 234 specie di molluschi, di cui 22 estinte. Da paragoni istituiti fra questa fauna e le altre conosciute di Rio Orzo (Castell'Arquato) e Monte Mario (Roma), il Manzoni conchiuse che la fauna di Vallebbiaia era la più recente e da rapportarsi ai piani superiori dell'orizzonte Astiano e quasi da considerarsi come un termine di congiun- zione tra il pliocene ed i depositi quaternari. Il De Stefani (*) parlando dei terreni subappennini di S. Mi- niato al Tedesco incidentalmente ricordò che essi erano più antichi di quelli di Vallebbiaia, senza precisare a qual piano pliocenico questi dovessero rapportarsi. Non starò a ricordare tutti gli autori che hanno parlato di Vallebbiaia, nè le discussioni relative alla divisione dei terreni pliocenici per non uscire dal breve argomento che mi sono proposto di svolgere. — Non posso però esimermi dal menzio- nare che nel trattato di Neumayer (4), Vallebbiaia, Monte Mario presso Roma e Monte Pellegrino presso Palermo, sono consi- derati tutti contemporanei e corrispondenti alla parte superiore del pliocene e più particolarmente al Crag di Norwich. Perchè risulti più facilmente chiara la posizione che Vallebbiaia occu- perebbe secondo Neumayer nella serie dei terreni pliocenici, (4) C. Reid — The pliocene deposits of Britain. Memoirs of the geological Survey of the United Kingdom. London, 1890. (£) A. Manzoni — Saggio di conchiologia fossile subappennina: fauna delle sabbie gialle. Imola, 1868. (3) C. De Stefani — I terreni subapennini dei dintorni di S. Miniato al Te- desco. Att. Soc. Tosc. d. Se. Natur., Memorie, Vol. I, fasc. 1, Pisa, 1875. (4) Neumayr — Erdgeschichte. 11 B. pag. 358. Leipzig, 1887. 18 L. BUSATTI riporto la classazione del pliocene come si deduce dall'opera di questo autore: 5 ; { Vallebbiaia — Monte | Crag di Norwich con punte spe- \ Mario — Monte Peli ; ; grino — Cos — Rodi i cie nordiche î Superiore Cipro. cie meridionali e con 15 spe- Crag rosso con 19 specie meri- dionali e 1l specie nordiche | / i; Pliocene \ Subappenino — Mes- \_ Medio Crag bianco o coralligeno con | siniano di Seguenza co- 0 28 specie meridionali e 1 spe- me facies di mare pro- Astiano cie nordica fondo - Fauna del Val- | darno. \ \ Inferiore i, : È | s \ Fauna a Mastodon longirostris e fauna di È Pikermi. \Pontico | Se col recente lavoro del Reid (1) la fauna di Vallebbiaia viene paragonata a quella del Crag di Sufflok, le corrispondenze osservate vengono espresse dal quadro in cui sono emesse le specie proprie di Vallebbiaia che ammontano a 142.— In questo numero sono comprese pure quattro specie che non sono an- noverate nel Saggio di conchiologia fossile subappennina del Man- zoni, e ritrovate a Vallebbiaia dal prof. Canavari; esse sono: Pecten inflexus, Poli (frequente), Trochus patulus, Broc. (3 esem- plari), Cerithium turbinatum, Brug., Pinna Brocchi, Linn. (1) C. Reid — Vedi memor, cit. APPUNTI STRATIGRAFICI E PALEONTOLOGICI SOPRA VALLEBBIAIA EC. 79 Specie di Vallebbiaia Coralline Crag | Red Crag | Norwich Crag Gasteropada Actaeon tornatilis, Linn. Aporrhais pespelicani, Linn. Bulla acuminata, Brug. s truncata, Adams s scabra, Mull. Calyptraea chinensis, Linn. Capulus ungaricus, Lin. Cerithiopsis tubercularis, Mont. . Cerithium Metaxa, Delle Ch. 3 perversum, Linn. Cypraea europaea, Mont. Erato laevis, Don. Eulima polita, Linn. È subulata, Don. Bulimella acicula, Pl. Fissurella costaria, Basf. È graeca, Linn. . Marginella clandestina, Broc. Mitra ebenus, Lam. Murex corallinus, Scac. Nassa costulata, /ew. . n Imcrassata, MUll. niimnata, (Chem. Mi sIVa, (Broc. s mutabilis, Linn. Natica Guillimini, Phil. , millepunctata, Lam. . Odostomia conoidea, Broc. È interstineta, Mont. , pallida, Mont, 5 plicata, Mont. Pleurotoma attenuata, Mont. È brachystoma, Pil. . È crispata, Jan. +P+4++++4++++t+t++++ ana L+ +4+" A ESE ++" + + 80 L. BUSATTI, Specie di Vallebbiaia Coralline Crag Red Crag Norwich Crag Pleurotoma Leufroyii, Mick. È linearis, Mont. s nebula, Mont. È septangularis, Mont. À striolata, Phil. . Scalaria trevelyana, Leach Scaphander lignarius, Linn. . Tectura virginea, Mill. Trochus Adansoni, Payr. Turbo rugosus, Linm. . Turritella terebra, Linn. . Scaphopoda Dentalium dentalis, Linx. Lamellibranehiata Anomia ephippium, Linm. Arca diluvii, Lam. . silacteaniZunno 3 tetragona, Poli . Artemis: exoleta, Linn. Astarte incrassata, Broc.. Cardita calyculata, Linn. n corbis, Phil. Cardium decorticatum. S. Wood 3 echinatum, Linn. A fasclatum, Mont. 3 papillosum, Poli n tuberculatum, Linn. Chama gryphoides, Linn. Circe minima, Mont. i Corbula gibba, Olivi. . Cytherea Chione, Linn. > rudis, Poli Diplodonta rotundata, Mort. Gastrochaena dubia, Penn. i Leda pella, Linn. Rea -# “da ARR + Pot RR e ' AF ++++ APPUNTI STRATIGRAFICI E PALEONTOLOGICI SOPRA VALLEBBIAIA EC. 81 ASA ne | Coralline Norwihc Specie di Vallebbiaia Crag | Red Crag Crag Lima Loscombii, G. B. Sow. + | s subauriculata, Mont. | RCA Limopsis pygmaea, Phil. . 5 sn Sat: Lucina borealis, Linn. + + RIE Lutraria elliptica,, Lam. . an al Mactra triangula, Pen. - | i Modiola barbata, Linn. Ri = costulata, isso . "ln DALE Sdi Mytilus edulis, Linn. . ar ua + Neaera cuspidata, Olivi ita CL i Oskreafedulis, Linn. iu n ODE sl + Panopaea Faujasii, Men. de la G. da ale E, Pecten opercularis, Linn. sr Sr + a varius, Linn. ? ARCA ID Pectunculus glycimeris, Linn. . se sà + a pilosus, Linn. Î stà Pinna pectinata? Mont. ar * Psammobia ferroensis, Chem. în e Solecurtus strigillatus, Linx. da È Solen ensis, Linn. . 3P 3È Tellina balaustina, Linn. ata ora » donacina, Linn. se + » pulchella? Lam. . sE MIS ErrAta, Broc.. deal SARI Thracia papyracea, Poli . nr ale 5 pubescens, Pult. . + degta Venus casina, Linn. + ja 5 per fasciata, Da C. A + + n ovata, Pen. . + P Pcoclyzoa (Bryozoa) Biflustra delicatuta Busk. Dia Lepralia violaca, Johnst. . sù Membranipora nolostoma, S. Wood . H+ Sun 5 Savartii, Aud. LARE L 100 edi er dere 82 L. BUSATTI — APPUNTI STRATIGRAFICI E PALEONTOLOGICI EC. Se si tiene conto dell'assenza a Vallebbiaia degli ospiti nor- dici (Cyprina islandica, Buccinum undatum, Punopea norvegica ec.) che secondo il Seguenza (!) in Sicilia ed in Calabria caratteriz- zano i depositi superiori all’ Astiano viene ad essere avvalorata l'opinione della marcata pliocenità del nostro deposito. Dob- biamo poi aggiungere che i calcari sabbiosi delle colline di Castell’Anselmo, corrispondenti come abbiamo detto a Valleb- biaia e contenenti numerosi Briozoari, vengono ad aumentare le affinità plioceniche del giacimento di Vallebbiaia, per le ana- logie che essi calcari sabbiosi presentano col Crag inglese. Pisa, dal Gabinetto mineralogico dell’Università — Luglio 1891. (!) G. Seguenza — Le formaz. terziarie nella prov. di Reggio (Calabria). Att. d. R. Acc. dei Lincei, 1879-80, Memorie. Vol. VI, Roma 1880. Istituto AnatoMIcoO DELLA L. UniveRsITÀ DI CAMERINO CONTRIBUTO ALLA - TIGTOGENESI DELLA CELLULA: NERVOSA E DELLA NEVROGLIA CERVELLO DI ALCUNI PESCI GONDROSTEI lavavavavi RICERCHE del Dott. GIULIO VALENTI Professore di Anatomia IL Per quanto numerose già siano le ricerche che in questi ultimi tempi, con vertiginosa rapidità, si sono praticate allo scopo di conoscere sempre meglio la complicata struttura, la origine e le diverse fasi evolutive degli elementi istologici com- ponenti il sistema nervoso, non si può certamente affermare che piena luce sia stata fatta in proposito. E più specialmente per quello che riguarda il modo di formazione e la natura della così detta nevroglia sono state emesse da eminenti osservatori svariate opinioni. La ragione di tale divergenza mi sembra che principalmente sia da ricercarsi in due fatti che sorgono evidenti dalle osser- vazioni morfologiche e fisiologiche comparative, quali sono la maggiore antichità del periodo evolutivo degli elementi istolo- gici, relativamente a quella degli organi differenziati, ed il di- saccordo morfologico e funzionale, nella filogenesi, fra gli ele- menti componenti gli organi, e gli organi stessi. Per il primo di questi fatti si ha che le diverse fasi eyolutive degli elementi, nello sviluppo dell'individuo, si compiono con rapidità molto maggiore che quelle degli organi differenziati, e forse non tutte si ripetono; ed in conseguenza dell'altro possono trovarsi in animali molto bassi nella scala zoologica delle forme istologiche tanto complicate, e forse più, che in animali superiori. Ap- Sc. Nat. Vol. XII. 7 » 84 G. VALENTI punto per questo Darw?n (*) ha scritto che “.... può esservi una straordinaria attività mentale unita ad una piccolissima massa assoluta di materia ..... ed il cervello della formica è uno fra i più meravigliosi atomi di materia del mondo, forse anche più meraviglioso del cervello dell’uomo , Quindi, se non vogliamo che sorgano Troni è neces- sario di studiare gli elementi istologici in un campo molto vasto (più vasto di quello che sia necessario per gli organi) prima di pronunziarsi sulla loro origine e sulle loro ulteriori trasfor- mazioni. Avendo questo convincimento, ho voluto portare il mio de- bole contributo alla istogenesi degli elementi cellulari del si- stema nervoso studiando quelle trasformazioni che essi subi- scono nella ontogenesi di vertebrati molto bassi quali sono i pesci condrostei. Se ho scelto questo materiale di studio, è stato più special- mente perchè poche osservazioni si hanno sulle trasformazioni istologiche che subisce il sistema nervoso di questi animali nelle prime fasi del loro sviluppo, mentre che nei medesimi allo stato adulto già da lungo tempo si vanno praticando numerose e diligenti ricerche, tanto sulla struttura del loro cervello in ge- nerale che su quella di alcune parti di esso, quali ad es. i /obi elettrici della Torpedine. II. Se diamo uno sguardo alla vasta letteratura riflettente l'argomento del quale ho voluto occuparmi, ci sarà facile di rilevare che mentre sulla istogenesi della nevroglia sono state emesse svariatissime opinioni, su quella della cellula nervosa le divergenze riguardano più che altro il modo di moltiplica- zione degli elementi che alla cellula stessa danno origine. Sono infatti in accordo molti osservatori nel ritenere che la cellula nervosa si origini dalle cellule ectodermiche che costituiscono primitivamente la doccia midollare. A questa conclusione por- tano i seguenti lavori che brevemente riassumo tralasciando quelli che esclusivamente si occupano della istologia. (1) Darwin — Origine dell'uomo. Trad. Lessona. p. 109. CONTRIBUTO ALLA ISTOGENESI DELLA CELLULA NERVOSA ECC. 85 Duval (*) in seguito a ricerche sullo sviluppo del seno rom- boidale degli uccelli dichiara che le cellule ectodermiche del tubo midollare (le quali si moltiplicano dal centro verso la periferia come più tardi A/tmann(?) ha scoperto; Merk (3), Rau- ber (4) ed altri han confermato) non solo danno origine alla ne- vroglia pertependimaria ma a molte cellule nervose. His (°) trovò che le cellule isolate costituenti dapprima le pareti del cervello e del cervelletto, emanando dei prolunga- menti, vengono ad unirsi fra loro ed a formare una vera in- telaiatura (Neuro o Myelospongium) dalla quale si originano le cellule nervose. Lowe (6) studiando la ontogenesi del cervelletto vide che dall’epitelio dell’ependima posteriore si forma il primo sottile strato molecolare il quale poi dà origine ai tre strati distinti. ‘Il Bellonci e lo Stefani (*) han conservato, riguardo al cer- velletto, le vedute del Lòwe, sebbene siano rimasti in dubbio riguardo all’ origine dell’ ependima; ed hanno poi dimostrato che anche le cellule del Pur%ynié si originano da elementi di quello strato molecolare. Lahousse (*), il quale pure ha studiato lo sviluppo del cer- velletto, ha descritto molto dettagliatamente le trasformazioni che subiscono le cellule ectodermali del tubo midollare, da lui dette cellule madri, per costituire dapprima un tessuto omoge- neo che egli chiama nevroglia embrionale, dal quale in seguito non solo le cellule nervose prenderebbero origine ma anche la nevroglia dell'adulto e le fibre nervose. (3) Duval — Sur le sinus rhomboidal des ciseaue. Gazzette médicale de Paris n.0 34. — Journal de l’Anat. et de la Physiol. de Ch. Robin, Janvier, 1877. (*) Altmann — Ueber embryonales Wachstum. Vorl. Mith. Leipzig 1881. (3) Merk — Die Maitosen in Centralnervensystem. Ein Beitrag zur Lehre vom Wachstum desselben. Denkschriften der Wiener Akademie. Bd. LIII, 1887. (4) Rauber — Die Kerntheilungsfiguren im Medullarrohr d. Wierbelthiere. Arch. fiur mik. Anat. Bd: XXVI, 1887. (5) His — Die Entwick. der ersten Nervenbahnen beim menschlichen Embryo. Arch. f. Anat. u. Physiol. 1887. — Die Neuroblasten und deren Entstehung im em- bryonalen Mark. Arch. fiir Anat. u. Entwickel. Leipzig, 1889. (9) Lowe — Bestr. zur Anat. u. zur Entwick. des Nervensyst. Bd. II. Leipzig 1883. (?) Bellonci et Stefani — Contribution à V histogenèse de l écorce cerébellaire. Archiv. Italiennes de Biologie. T. XI. 1889. (8) Lahousse — Recherches sur Vontogenèse du cervelet. Archiv. de Biologie. T. VIII, 1888, p. 43-95. — Ed anche vedi « La cellule merveuse et la mevroglie » . Anatomischer Anzeiger, 1886, n.95. p. 114. 86 G. VALENTI Il Rauber (*) anche nei batraciani trovò che dagli elementi più interni del tubo midollare si originano gli elementi nervosi. In appoggio della origine ectodermica delle cellule nervose stanno poi le ricerche del Ro%n (?) sull’'Amphioxus lanceolatus, secondo le quali in sezioni del midollo nella regione ove prima corrispondeva la doccia midollare si trovano disposte trasver- salmente delle cellule gangliari fusiformi; quelle del Rezche- nheim (*) che han dimostrato nel midollo spinale della Torpe- dine vicino all’epitelio del canale centrale ed in mezzo a que- st’ epitelio molte cellule gangliari; ed anche quelle del Berger (5) »che nella midolla spinale dei serpenti han dimostrato dietro èl canale centrale delle cellule con due prolungamenti simmetrici che si potevano seguire fino alle corna posteriori, ed un pro- lungamento mediano che si poteva seguire fino al canale cen- trale; ed in sezioni vertico-frontali mostravano un prolunga- mento che si estendeva medialmente verso il cervello. È inutile aggiungere che importantissime sono le ricerche di Berger poichè prima di esse soltanto negli invertebrati per opera di Her- mann (°) furono descritte delle cellule gangliari mediane. Sebbene tutte queste ricerche che, per quello che riguarda l'origine della cellula nervosa, confermano quanto già per opera del Flechsig (5), dell’ Hensen (*) e del Koliker () era conosciuto, sì trovino concordi nel dimostrare che la cellula nervosa si origina dalle cellule epiteliari della doccia midollare, pure del modo per cui da esse si origina, cioè del modo di moltiplica- zione di quelli elementi primitivi, e della moltiplicazione delle cellule nervose stesse, poco si sa. Da chi infatti molto si è oc- (3) Rauber — Die Kerntheilungsfiguren in Medullarrohr d. Wierbelthiere. Arch. f. mikr. Anat. 1886, B. XXVI. (®) Rohn — Untersuchungen i. Amphyoxus lanceolatus. Wien, 1882. Vedi Tav. VI, fig. 52. (*) Reichenheim — Ucber das Rickenmark und den electrischen Lappen von Torpedo. Heidelberg, 1876, Vedi Fig. 10. (4) Berger — Des cellules ganglionnaires médianement situés dans la moelle épi- nière des serpentes. Comptes rendus hebdomadaire de la Société de Biologie. Paris 1888. T. V. Serie VIII. (3) Hermann — Centralnervensystem von Hirudo medicinalis. Minchen, 1875. (5) Flechsig — Die Leitungsbahnen im Gehirn und Riickenmarck, 1876. (?) Hensen — Entwick. d. Kaninchen u. Meerschweinchens. — Zeitsch. f. Ana- tomie u. Entwick. T.I. 1876. (5) Kolliker — Embryologie. CONTRIBUTO ALLA ISTOGENESI DEILA CELLULA NERVOSA ECC. 87 cupato di questioni citologiche, come ad es. dal Flemming e dal Carnoy, non è tenuta parola su quest’ argomento, e da altri sono state emesse opinioni contradittorie. Mentre il Lòwe (1) asserisce di non aver mai veduto figure cariocinetiche negli elementi ependimali che danno origine allo strato molecolare primitivo, il Lahousse (2) descrive delle cellule ectodermali (cel- lule madri) con cigli vibratili e molte figure cariocinetiche (ectodermale Uranlagezellen). Secondo alcune ricerche del Magini (3), nei cervelli em- brionali di mammiferi (compreso l’uomo) le cellule epiteliari ci- lindriche che tappezzano le cavità delle vessicole cerebrali pre- sentano dei prolungamenti con varicosità, per cui si assomigliano alle cellule nevro-epîteliari degli organi di senso. Il Magini crede che da quelle varicosità si originino le cellule nervose. Il Falsacappa (4) in cervelli embrionali di uccelli (Columba kvia) ha descritto delle grandi cellule sferiche od emisferiche, a contorni irregolari, con prolungamenti protoplasmatici, di- sposte a gruppi nelle parti periferiche, le quali per gemmazione danno origine ad altre cellule che, rimanendo fra loro unite da un filamento, formano dei cordoni a coroncina (cordoni a nostoc) ed esse stesse prendono l'aspetto di varicosità di tali cor- doni. Paragona questa disposizione ai prolungamenti delle cel- lule cilindriche della membrana ependimale del corpo striato descritte dal Marchi (9), agli elementi descritti dal Tartuferi (5) nella retina, dal Golgi e Manfredi (*) nello strato intergranu- lare della retina del cavallo. Quelle varicosità prenderebbero in seguito l’aspetto delle cellule della nevroglia e più tardi darebbero origine, in parte, alle cellule nervose. (1) Lowe — I. c. (£) Lahousse — Ontogenèse du cervelet. 1. c. (3) Magini — Nevroglia e cellule nervose cerebrali nei feti. Pavia 1888. — Nou- velles recherches histologiques sur le cerveau du foetus. Arch. Ital. de Biologie. T. X. 1888. p. 384. - Atti della R. Acc. dei Lincei, A. 1888. Serie IV. (4) Falsacappa — Genesi della cellula specifica nervosa e intima struttura del sistema centrale nervoso degli uccelli. Boll. della Soc. di Naturalisti in Napoli. S. I. V. II. Anno II. Fasc. I. 1888. (©) Marchi — Sulla fine struttura dei corpi striati e talami ottici. Reggio-Emi- lia, 1887. (9) Tartuferi — SullAnatomia della Retina. Arch. per le Sc. mediche. Vol. XI, p. 3. Torino 1887. (7?) Golgi e Manfredi — Annotaz. istologiche sulla retina del cavallo. Torino, 1872. 85 G. VALENTI Riguardo alla origine ed alla natura della nevroglia in due parti principali si sono divise le opinioni. Molti han creduto che essa fosse di origine e di natura connettivale e molti altri di origine e di natura ectodermica. Ma dopo che per opera del Gotte (1), dell’ Hertwig (2) e del KoMiker fu dimostrato, con- tro alla teoria di RemaX (3) che i foglietti primitivi possono dar luogo a tutti i tessuti, fu anche da alcuni ritenuto che la nevroglia, pur essendo di natura connettivale, si sviluppasse da elementi del tubo midollare. Da altri però è stata emessa anche la opinione che la nevroglia abbia una origine mista, cioè si origini in parte da elementi del tubo midollare ed in parte da elementi connettivali. Senza dilungarmi di troppo nel riassumere i molti lavori che sono stati pubblicati in propo- sito, mi limiterò ad enumerare quelli principali, raggruppandoli secondo le varie opinioni che in essi vengono espresse. Fu pri- mitivamente ritenuta la nevroglia di natura connettiva e di origine mesodermica dal Virchow (4), il quale ad essa dette anche il nome ( Nervenkitt ), dal Bidder, dallo Schultze, dal Kolliker (?) e da altri. Secondo l’ Eichorst (9) si originerebbe da corpuscoli bianchi del sangue, che egli chiama embrionale Ne- urogliazellen, i quali, nell'uomo, verso il 4.° mese dello sviluppo embrionale trapelerebbero dai vasi. Il Bol! (*) anche ed il Ran- vier (8), sebbene la ritengano originata o dagli elementi com- ponenti il tubo midollare (202) o dalle cellule ependimali di questo (Ranvier), attribuiscono alla nevroglia una natura con- nettivale. A questo concetto che ha dominato per lungo tempo si op- posero molti fra i quali sono da citarsi 1’ Hernle, lo Stephany, (3) Gitte — Die Entwicklungsgesch. der Unke, Leipzig, 1875. (®) Hertwio — Die Actinien. Jènaische Zeitschrift. B. XIV. (3) Remak — Untersuch. viber die Entwickl. der Wirbelthiere. Berlin, 1850-55. (4) Virchow — Zeitschrift fiir Psychiatrie, 1846. — Ueder eine im Gehirn u. Riickenmark gefundene Substanz mit der chemische ' Reaction der Cellulose. Arch. f. pathologische Anatomie und Physiol. B. VI. 1853. (5) Kolliker — Hand. der Gewebelehre des Menschen. Leipzig (varie edizioni). (5) Eichorst — Ueder die Entwih. d. menschlichen Riichenmarkes u. seiner Form- element. Virchow's Archiv. 1875. Bd. LXIV. (?) Boll — Die Histologie u. Histogenese der nervòsen Central organe. Archiv. fiir Psychiatrie u. Nervenkrankeiten. Bd. IV, 1874. ; (3) Ranvier — Sur les élements conjonetives de la moelle épinière. Comptes Rendus de l’Academie des Sciences, 1873. T. 94. - 1882 p. 1536. -- Arch. d. Physiol. et Pathol. 1883. Serie III, T.I, n.0 2. p. 177. CONTRIBUTO ALLA ISTOGENESI DELLA CELLULA NERVOSA ECC. 89 l Usselmann, lo Stilling, il Mauthner, il Wagner (*); e dopo che Ewald e Kihne (?) scuoprirono la refrattarietà del tessuto della nevroglia alla tripsina e la presenza nel sistema nervoso di cheratina, si incominciò ad escludere la natura connettivale della nevroglia. Ma fu più specialmente in seguito alle diligenti ricerche del Golgi (3) che si parlò, con più serietà, della sua natura nervosa. In appoggio di questa nuova opinione stanno molte ricerche embriologiche le quali tendono a dimostrare una origine comune delle cellule nervose e delle cellule della nevroglia, e specialmente che la nevroglia sì origina, almeno in parte, dalle cellule ectodermiche che primitivamente costituiscono la doccia midollare. Basterà ricordare fra le più importanti quelle di Duval (4), di Unger (°), di Lòwe (5), di Ranvier (1), del Gierke (*), del Merk (°), del Rauber (1°), di Vignal (14), di His (1?) etc. etc. E fra questi è da segnalare più specialmente il Lowe il quale sostiene francamente la natura nervosa della nevroglia, ed alle obiezioni mosse dallo Schwalbe il quale, pure riconoscendo che in parte la nevroglia si origina dalle cellule epiteliari del tubo midollare, non crede che debba considerarsi come tessuto ner- voso perchè si cheratinizza, risponde che “ la cheratinizzazione non è fenomeno di morte e noi ancora non conosciamo 1 rap- porti fra la composizione chimica di un tessuto e la sua fun- zione fisiologica ,. Una origine mista della nevroglia oltre che (1) Vedi Golgi — Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. 1871-1886. (®) Ewald u. Kilhne — Die Verdauung als Ristologische Methode. Verhand. des natur. hist. medicinischen Vereins zu Heidelberg. 1877. (°) Golgi — Contribuzione alla fine anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. Rivista clinica. Novembre 1871. (4) Duval — IL. c. () Unger — Untersuchungen di. die Entwickl. d. cerebralen Nervengewebe. Si- tzungsb. d. kais. Akad. d. Wissensch. zu Wien. Bd. LXXX. 1879. (9) Lowe — L c. (?) Ranvier — L. c. (8) Gierke — Die Stutzsubstanz des Centralnervensystems. Arch. f. mikr. Anat. Bonn. 1885. Bd. XXV-XXVI. (°) Merk — Die Mitosen in Centralnervensystem. Denkschiften der Wiener Aka- demie, Bd. LIII, 1887. (19) Rauber — Il. c. (1) Vignal — Developpement des élements du systeme nerveux cérebro-spinal. Paris, 1889. p. 125. (1°) His — Die Neuroblasten etc. (già citato). 90 G. VALENTI dal Ranvier, dal Kolliker e dallo Schwalbe che abbiamo già ri- cordati, viene ammessa dall’ His, secondo il quale le cellule a pennello di Boll, di Ranvier e di Gierk, ed altre che si trovano nella sostanza bianca non sono da identificarsi con le cel- lule ectodermiche, mentre egli crede che queste possano dare origine alla nevroglia, nell'uomo, fino al 2.° mese di vita in- trauterina. Il Lachî (*) in un diligente lavoro sulla istogenesi della nevroglia nel midollo spinale del Pollo viene alla conclu- sione che alla formazione della nevroglia in un primo periodo prendono parte degli elementi ectodermici (spongioblasti) e, più tardi, degli elementi connettivali provenienti dalla pia madre, non escludendo che fra questi possano trovarsi dei globuli bianchi sanguigni. II Per le ricerche propostemi ho avuto a disposizione alla Stazione zoologica di Napoli, embrioni di Musteli, di Pristiuri, di Torpedini e di altri pesci; ma più specialmente nel Mustelus vulgaris, nella Torpedo ocellata e nella Torpedo mormorata ho potuto seguire lo sviluppo del sistema nervoso dalla prima ma- nifestazione della doccia midollare, con poche interruzioni, fino in individui adulti. I metodi che mi hanno dato migliori re- sultati e dei quali soltanto terrò parola, sono stati i seguenti. Per la fissazione, l'immersione dell’intiero embrione o del solo sistema nervoso quando era possibile di isolarlo, nella soluzione di Sublimato corrosivo, od in una soluzione all’ 1° di Acido osmico, od anche in una miscela di quest’ultimo e di liquido di Muller, secondo le norme ordinariamente conosciute. Per co- lorire gli elementi della nevroglia ho trovato eccellente il me- todo suggerito da Heidenheim (*) alla Ematossilina e Bicromato di Potassio, ed anche il metodo combinato del Carminio ammo- niacale ed alluminico raccomandato dal Gierke (3). Per colorire le cellule nervose nei preparati fissati con il Sublimato mi han (1) Lachi — Contributo alla istogenesi della nevroglia nel midollo spinale del pollo. Pisa, 1890. i (*) Heidenheim — Eine neue Verwendung des Himatoxylin. Arch. fir mik. Anat. Bd. XXIV. H. 3. s. 467. (£) Gierke — I. c. CONTRIBUTO ALLA ISTOGENESI DELLA CELLULA NERVOSA ECC. 91 servito le comuni soluzioni di Carminio, e specialmente mi han dato buoni resultati il Carminio alluminato (Grenacher) ed il Picro-carminio (Ranvier). Ho usato anche i metodi del Golgi (Bicromato di Potassio e Nitrato d’ argento — Bicromato di Po- tassio e Bicloruro di Mercurio — miscela Osmio-cromica e Ni- trato d’argento) ma soltanto ho potuto ottenere buone prepara- zioni quando i pezzi trattati con quei metodi appartenevano a cervelli d’individui adulti. Per mettere in evidenza le figure cariocinetiche mi sono servito della fissazione con il liquido di Flemming (Acido cromico all’1°% - 15 parti; acido osmico al 2° -4 parti; acido acetico glaciale - 1 parte), immergendo poi le sezioni per 24 ore in una soluzione di Saframina e lavandole in acqua ed in alcool assoluto con Acido cloridrico. Buone pre- parazioni, anche del sistema nervoso di embrioni, ho ottenuto con il processo del Paladino al Cloruro di Palladio. Per fare le sezioni ho preferito l'inclusione in celloidina che, specialmente quando si tratta di tessuti embrionali, conserva meglio:gli ele- menti che la inclusione in paraffina. In embrioni di Torpedini, nei quali la doccia midollare non era ancor chiusa in alcuna sua parte (stadio © di Ba/four ()), questa si presenta costituita da elementi cellulari strettamente addossati fra loro, e maggiormente verso la limitante interna che la esterna, in modo che presentano una disposizione a co- lonne raggiate. Negli strati più interni, molti di quelli elementi si distinguono dagli altri per un volume maggiore, un proto- plasma più chiaro, una forma quasi sferica, e per contenere fi- gure cariocinetiche, fra le quali più specialmente si distinguono lo stadio a monaster e quello a diaster ( Keimzellen di His). Gli elementi che non sono in corso di divisione nucleare pre- sentano una fornia ovale, un protoplasma granuloso, ed un nucleo pure ovale, ancor più granuloso. Poco differiscono fra loro nel volume, avendo quasi tutti il maggior diametro della lunghezza dai 16p ai 18p. All’azione di vari reagenti ( Acido cromico — Acido osmico) e di varie sostanze coloranti si comportano tutti egualmente. In embrioni nei quali il tubo midollare incomincia a formarsi per il chiudersi della doccia nella sua porzione a (4) Balfour — A monograph on the development of clasmobranch fisches. Lon- don, 1878. 92 G. VALENTI cefalica, mentre è aumentato lo spessore di questa, le colonne cellulari mantengono la loro disposizione raggiata allontanan- dosi fra loro verso l'esterno, come se la produzione cellulare che manifestamente si fa negli strati più interni della doccia stessa (Alt#mann etc.) (*) non fosse sufficente a riempire lo spazio che questa va occupando alla periferia. Tale disposizione non si mantiene per un lungo periodo poichè contemporaneamente al chiudersi della doccia si fanno irregolari quelle colonne; ed alla prima manifestazione delle vessicole cerebrali le pareti di queste sono costituite da cellule irregolarmente disposte, come mostra la Fig. I(e), un poco più serrate fra loro negli strati interni, le quali solo ricordano la precedente disposizione rag- giata per avere il loro maggior diametro in direzione perpen- dicolare alle membrane limitanti (2. e—/. 7). Im questo stadio si vedono ancora molti di questi elementi in corso di divisione nucleare (e-e°), meno abbondanti però che negli stadi prece- denti; ed invece di essere limitati agli strati interni, sono sparsi per quasi tutto lo spessore della parete cerebrale. Il loro asse di divisione non ha una direzione determinata. In embrioni di Musteli e di Pristiuri esaminati agli stessi stadi di sviluppo che gli embrioni di Torpedini finora ricordati, si riscontrano fondamentalmente gli stessi fatti. Soltanto vi è differenza che i nuclei cellulari sono più piccoli e più rotondeggianti ( cioè meno ovali) e la limitante interna è meno distinta. In embrioni di Torpedini nei quali è già completamente chiuso per tutta la sua lunghezza il tubo midollare, mentre le cellule più interne di questo (cellule ependimali) vanno sem- pre più serrandosi fra loro (Fig. II e. è) e riprendono quella di- sposizione che avevano alla prima manifestazione della doccia, quelle esterne (ee) van diradandosi sempre più e prendono, in- sieme al nucleo, una forma rotondeggiante; quest’ultimo pre- senta un protoplasma più sottilmente granuloso, e meno si colorisce, con varie sostanze coloranti, che quello delle cellule interne. Ad uno stadio un poco più avanzato, quando il Tri- gemino incomincia a formarsi (stadio G di Ba/four), gli elementi cellulari degli strati più esterni delle pareti cerebrali emettono dei prolungamenti (Fig. III), i quali incrociandosi in vario jsenso (*) Vedi pag. 6 note 2, 3, 4. CONTRIBUTO ALLA ISTOGENESI DELLA CELLULA NERVOSA ECC. 93 fra loro e sempre più allungandosi formano attorno alle pareti cerebrali stesse, e dapprima presso alle parti laterali di queste, un sottile reticolato (Randschleir) che precede lo strato fibroso esterno costituito principalmente da fibrille nervose elementari. Non è improbabile che da alcuni di quei prolungamenti nascano delle fibrille nervose, ma non potrei emettere alcun giudizio in - proposito (!). E da notare che mentre quei prolungamenti si formano, la membrana limitante esterna va gradatamente scomparendo e le cellule stesse si trovano in diretto rapporto con elementi connettivali circostanti alle vessicole cerebrali. È più special- mente in quelle parti corrispondenti ai solchi che separano fra loro le varie vessicole cerebrali, degli elementi connettivali si insinuano nello spessore di quelle e si trovano alcuni frammi- schiati ai loro propri elementi. Nei Pristiuri e nei Musteli la penetrazione di elementi con- nettivali in mezzo alle pareti delle vessicole cerebrali si ha molto più presto che nelle Torpedini e forse anche in mag- gior copia, poichè più presto scompare la limitante esterna in questi animali. Tali elementi però non giungono mai in nessuno di quegli animali, almeno per quanto ho potuto rilevare dai miei preparati, negli strati più interni. Come ulteriormente si comportino, cioè se vengano riassorbiti oppure si trasformino unitamente agli, elementi coi quali sono frammischiati, neppure ho potuto verificare per mancanza di stadi embrionali inter- medì. La penetrazione di questi elementi era ben manifesta per tutta la periferia della wvessicola oculare primitiva sia in embrioni di Torpedini (Fig. IV) che di Musteli e Pristiuri. In embrioni di Torpedini ancora più avanzati, cioè in em- brioni nei quali già il canale del rene primitivo incomincia a differenziarsi, ed entro alle pareti cerebrali, e più specialmente negli strati più esterni di queste, già molti vasi sono penetrati, si trova che queste pareti sono costituite fondamentalmente (1) Come è noto, l’origine diretta dei tubi nervosi dalle cellule nervose non è ammessa da tutti; e mentre è stata già da molto tempo accennata da Helmoltz e so- stenuta da Balfour, Hannover, Will, Bruch, Wedl, Faivre, Qwsjanikow, Buchholz, Cheron, Brandt, Stieda, Berger, Yung, Claus, Lang, Spengel, Michels, Freud, Kostler, Rohde, Poirier, Kastschenko, His ed altri; Leydig, Waldeyer, Hermann, Hans Schultze, Krieger, Vignal, Pruvot, Viallones, F.v. Wagner, ne han sostenuta l'origine indi- retta da una massa granulo-fibrosa. Laydig e Waldeyer ammettono però che possa es- servi anche una origine diretta, ma eccezionalmente, e Walter, Solbring, Bellonci, Bohmig, Haller, Nansen ammettono che ambedue questi modi di origine possano verificarsi. 94 G. VALENTI da cellule provvedute di sottili, fini e granulosi prolunga menti anastomizzantisi fra loro, composti di protoplasma finamente granuloso e contenenti un nucleo rotondeggiante. Questi elementi vengono a formare un tessuto, simile a quello che da Lahousse vien descritto nel cervelletto dei mammiferi col nome di ne- vroglia embrionale. Nelle sezioni non tutte quelle cellule si mo- strano dello stesso volume; ma credo che difficilmente potrebbe stabilirsi se ciò rappresenti la realtà, oppure se le più piccole rappresentino delle sezioni periferiche, come è più probabile, poichè per tutti gli altri caratteri sono identiche (Fig. V n. e). Frammischiati a questi elementi se ne vedono molti altri più grandi (con 22 w di diametro) rotondeggianti e moriformi, che senza dubbio sono dei /eucociti usciti dai vasi (Fig. V /.). Infatti in sezioni trattate con una soluzione di Acido acetico o colorite con soluzioni aniliniche es. di Safrarina, essi mostrano anche uno o più nuclei identici ai nuclei dei globuli bianchi. In embrioni di Torpedini ancora più avanzati, che presentano già 1 veni primitivi bene sviluppati, si possono distinguere nelle pareti cerebrali oltre a dei leucociti, in minor numero che nello stadio precedente, due forme di elementi cellulari. E più spe- cialmente questa distinzione può farsi perchè attorno ad alcune di quelle cellule con prolungamenti dimostrate dalla Fig. V, costituenti la nevroglia embrionale, per il diradarsi di quei filamenti stessi si formano delle larghe maglie, in modo che le cellule (Fig. VI n.) sì presentano come se fossero contenute in una cavità ed unite alla parete di questa per sottili prolunga- menti. Il protoplasma di tali cellule si presenta leggermente striato, il loro nucleo pochissimo si colorisce e presenta la cro- matina raccolta al centro; altre (Fig. VI s.) conservano di più la loro forma e le loro proprietà primitive. In questo stadio sì possono vedere anche alcuni leucociti emettere dei prolun- gamenti ed approssimarsi alla forma di queste ultime cellule. Per le trasformazioni che si vedono subire ulteriormente da, questi elementi ed anche per i caratteri ai quali ho accennato può dirsi che gli elementi » rappresentano le future cellule ner- vose (neuroblasti) (*) e gli altri (s) le future cellule della nevroglia (spongioblasti) (1), e si può anche asserire che a formare queste ultime molti leucociti prendono parte. Esaminando infatti delle sezioni di cervello di Torpedine a quello stadio di sviluppo in (1) Vedi His — Die Neuroblasten etc. CONTRIBUTO ALLA ISTOGENESI DELLA CELLULA NERVOSA ECC. 95 cul i reni primitivi sono entrati nel periodo di regressione, si possono vedere diversi stadi di transizione di quegli elementi. Fra i prolungamenti dei neuroblasti, alcuni si retraggono e scompaiono; mentre altri si ispessiscono, si allungano e restano in rapporto con i corpi cellulari. Questi, ingrandendo alla loro volta, e dopo esser passati per diverse forme poligonali ir- regolari, assumono finalmente la forma caratteristica delle cellule nervose (Fig. VII x. c). I nuclei conservano per maggior tempo tutti i caratteri dei nuclei dei descritti neuroblasti: il protoplasma diviene presto decisamente striato; le striature si vedono continuare per qualche tratto anche nei prolunga- menti della cellula stessa, che presto si possono distinguere in prolungamenti protoplasmatici (p. p.) ed in prolungamenti a ci- lider axis (p.c.). Gli spongioblasti al contrario, come pure i leucociti provveduti di prolungamenti, rimpiccoliscono molto, 1 prolungamenti stessi si assottigliano e si allungano sempre più; finalmente si trasformano in vere cellule della nevro- glia (n. g.). Come vanno a terminare i prolungamenti protoplasmatici delle cellule nervose non ho potuto determinare; i metodi del Golgi usati ancora con le precauzioni suggerite dal Martinotti, a questo stadio di sviluppo come pure in stadi inferiori, non mi hanno dato dei buoni resultati neppure dopo aver tenuto per molto tempo i preparati nella miscela osmio-cromica se- condo il consiglio del Fe/sacappa (1). Come può vedersi nella Fig. VIII alcuni di quei prolungamenti tanto si avvicinano fra loro che sembra si anastomizzino (?) specialmente quando si trovano in una stessa direzione. Ma che veramente tali ana- stomosi si facciano non ho potuto mai mettere in evidenza. E notevole però che nella stessa sezione dalla quale ho tolto la Fig. VII, si vedono delle cellule ependimali unite manifesta- mente fra loro come la Fig. VIII dimostra (a). A partire dallo stadio ora descritto si vedono insinuarsi entro agli strati cerebrali più esterni molti elementi connet- tivali provenienti dalla pia madre, od isolatamente od insieme (5) Falsacappa — I. c. (®) Vengono descritte delle anastamosi fra cellule nervose della Torpedine (lobi elettrici) da Schroder, van d. Kolk, Lenhossek, Mauthner, Jacubowitz e Fonke; mentre vengono negate da M. Schultze, Kolliker ed altri. Vedi in Golgi — Rechèrches sur V histologie des centres nerveux. Arch. ital. de biologie. TT. III. 1883. 96 G. VALENTI a vasi (Fig. IX). Questi elementi presentano una forma stel- .lata assomigliandosi molto a quelli che il Gierke (1) descrive negli strati più esterni del cervello della Pecora ed il Lackz (?) alla periferia del midollo spinale del Pollo. Prima di penetrare nella sostanza cerebrale (c. p.) mandano dei prolungamenti che sì insinuano per lungo tratto nella sostanza cerebrale stessa attraversando quasi per tutto il smo spessore lo strato fibroso esterno. Im embrioni di Pristiuri e di Musteli a stadi più avanzati che quelli precedentemente ricordati, si osservano .fondamen- talmente gli stessi fatti. Soltanto nella forma e nel volume degli elementi qualche differenza potrebbe notarsi, ma non è per ora mio proponimento di occuparmi di questo. IV. In conclusione le ricerche esposte, sebbene poco estese ed in molte parti incomplete, tendono a dimostrare: a) che dagli elementi ectodermici costituenti primitiva- mente la doccia midollare si originano tanto cellule della ne- vroglia che cellule nervose; b) che in mezzo a quegli elementi, in un periodo di svi- luppo molto precoce, cioè prima che si manifesti alcun indizio di invoglio cerebrale, si insinuano degli elementi connettivali embrionali i quali molto probabilmente, in seguito, divengono cellule della nevroglia; c) che alla formazione della nevroglia dell’ adulto pren- dono parte anche elementi connettivali provenienti dalla pia madre, i quali o isolatamente od insieme ai vasi si insinuano nella sostanza cerebrale; questi elementi sono, o cellule con- nettivali o leucociti stravasati; d) che in conseguenza di tali fatti dobbiamo ammettere due specie di nevroglia, delle quali una di origine e di natura connettivale che funziona come tessuto di sostegno, e l’altra, di origine ectodermica, che probabilmente ha una importanza di molto maggiore che quella di un semplice tessuto di sostegno. (4) Gierke — Die Stiitzsubstanz des Centralnervensystems. Arch. fiir mikros. Anat. Bd. XXVI. Hft. II. s. 196. (*) Lachi — Il. c. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (disegnate con la camera chiara di Abbe - Hartnack Ob. 9. Oc. 3). (Tav. II). Fig. I. Tolta dalla vessicola cerebrale media di un embrione di 7'orpedo ocellata, nel quale la doccia midollare non era chiusa in alcuna sua 7) parte. I. e. membrana limitante esterna. (His). UO 5 n interna. (His). e. elementi ectodermici costituenti la parete della vessicola ce- rebrale. e'.e'. gli stessi elementi in corso di divisione nucleare (e' - fase monaster, e’ - fase diaster). Fig. II Tolta dalla vessicola cerebrale media di un embrione di Torpedo ocellata, nel quale il tubo midollare incominciava a formarsi. li. m. limitante interna. e. i. cellule degli strati interni che presentano un volume minore che quelle dimostrate dalla Fig. I; ma conservano ancora la stessa forma di esse. e.e. cellule degli strati esterni, che hanno assunto una forma ro- tondeggiante. Fig. III. Rappresenta alcune cellule degli strati più esterni della vessi- cola cerebrale media di un embrione di Torpedo ocellata in cui in- cominciano a formarsi alcuni nervi craniensi (stadio G di Balfowr). Fig. IV. Tolta dalla vessicola oculare primitiva dello stesso embrione al quale apparteneva la sezione che ha servito per la Fig. III. e. cellule costituenti la vessicola oculare, le quali presentano gli stessi caratteri che quelle costituenti le vessicole cerebrali nei loro primi stadi. 98 G. VALENTI — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE c. elementi connettivali che sì insinuano in mezzo agli strati più esterni di quelle cellule e. Fig. V. Tolta dal cervello anteriore di un embrione di Torpedo ocellata, nel quale il canale dei reni primitivi incomincia a differenziarsi. n.e. elementi cellulari uniti fra loro da una grande quantità di prolungamenti (nevroglia embrionale). I. leucociti. Fig. VI. Tolta dal cervello di un embrione di Torpedo ocellata, nel quale le due cavità pericardiche sono già riunite fra loro ed i reni primi- tivi bene sviluppati. n. future cellule nervose (neuroblasti). s. future cellule della nevroglia (spongioblasti). Fig. VII. Tolta dal cervello di un embrione di Torpedo osellata, nel quale i reni primitivi incominciavano ad entrare nel periodo di regressione. c.n. cellule nervose già formate. p. p. loro prolungamenti protoplasmatici. PACIS 5 a cilinder axis. n. g. cellule della nevroglia. Fig. VIII. Tolta dalla stessa preparazione che ha servito per la Fig. VIL V. cavità ventricolare. c. e. cellule ependimali. p. i. prolungamenti interni di quelle cellule. Tn A esterni delle medesime. a. anastomosi fra due cellule ependimali. Fig. IX. Tolta dal cervello di un embrione di Torpedo ocellata poco più sviluppato del precedente. s.f. strato fibroso esterno della parete cerebrale. - 0. Vaso. c. p. cellule connettivali della pia madre. c. n. cellula nervosa. n. elementi della pia madre che penetrano nella parete cerebrale. Isrituto DI ParoLocia GeneRALE DELLA R. UniveRrsITÀ DI Pisa D.r ENRICO BURCI - Dr VITTORIO FRASCANI mn CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA DELLA CORRENTE CONTINUA Fra i vari agenti fisici uno che in questi ultimi tempi, per il modo svariato di repartizione e di trasformazione della sua, energia, per la facilità di dosare e localizzarne l’azione, si è raccomandato grandemente alla terapeutica, è senza dubbio l'elettricità. Però mentre essa trovava larga applicazione nel campo della medicina, non veniva (malgrado gli studi special]- mente del Ciniselli) che parcamente utilizzata nel campo delle affezioni chirurgiche, e ben poco al di là dei confini della gi- necologia; nella quale specialmente dopo i lavori ed i resul- tati annunziati dall’Apostoli, ha trovato dei fautori, quantunque molti continuino a contestarne i vantaggi, e non pochi l’'accet- tino non senza grande titubanza. In ogni modo però nel campo della chirurgia, per lo meno fino a tempi recentissimi, si è cercato di utilizzare quasi sempre l’azione della elettrolisi sui tessuti, e quindi uno dei suoi ef- fetti l’azione galvano-caustica chimica, facendo conto special- mente di quella del polo positivo. Soltanto, dopo recenti ri- cerche sperimentali sopra l’azione elettrolitica della corrente galvanica, si è pensato da alcuno di ottenere lo svolgimento di questa in ambienti liquidi per utilizzarne gli effetti chimici, collo scopo di facilitare l'assorbimento di alcune sostanze me- dicamentose; ed anche, dopo avere in proposito sperimentato vr 100 E. BURCI - V. FRASCANI nelle provette, alcuni altri hanno voluto vedere se era possi- bile di raggiungere con questo mezzo la distruzione dei micror- ganismi, che in una data regione sì potessero trovare a rap- presentare la causa efficente del male. Le prime ricerche relative alla facilitazione dell’ assorbi- mento di sostanze medicamentose per mezzo della corrente, si debbono a Fabré-Palaprat nel 1833, e successivamente hanno contribuito il Munck, l’ Onimus ed il Lauret a cercare di de- terminare la dose delle sostanze medicamentose assorbite per la decomposizione elettrolitica. Il Gautier basandosi sul fatto, che “ gli elementi nascenti dalle sostanze decomposte per mezzo della elettrolisi sogliono esercitare una azione biologica ener- gica , (1) ha voluto servirsi di uno di essi ed ha prescelto l’iodio allo stato nascente, sviluppatosi appunto in seguito alla azione elettrolitica sull’ioduro di potassio, come coadiuvante della cor- rente stessa nella cura di varie malattie. Noi prima ancora che comparisse il lavoro di Gautier, avevamo cominciata una serie di esperimenti, basati pur essi sullo svolgimento dell’iodio da una soluzione iodurata per mezzo della corrente continua, ma con scopo diverso. Gautier pure applicando la corrente, in queste date condizioni, su superfici suppuranti non ha cercato di ve- dere, se oltre che un rafforzamento dovuto all’iodio dell’azione risolutiva e dissolvente semplice quale è riconosciuta alle cor- renti costanti, avesse il merito almeno, in parte, dei resultati ottenuti il potere battericida spiegato dall'iodio. È nota già da tempo (dopo gli studi del Koch) questa pro- prietà dell’iodio, considerevolissima poi se allo stato nascente, ed in via indiretta, in tal caso, lo hanno anche sufficentemente dimostrato il De Mattei e lo Scala nel loro lavoro pubblicato negli Atti della R. Accademia Medica di Roma, laddove studiano come esercitino una efficacia antisettica l’iodoformio e l’iodolo. Riguardo a ciò che si riferisce ai dettagli degli studi fatti fino a quì sull'azione battericida della corrente dallo Schiel (?), (1) Revue internationale d’ Electrotherapie. Mars 1891. (*) Deutsch Arch. f. Klin. med. T. XV, 1885. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 101 da Cohn e Benno-Mendelsohn (*), da Apostoli e Laquerrière (?), da Prochownick e Spaeth (*) è trattato con giustezza somma di criteri nella rivista critica che il Duclaux (4) ha fatto negli Annali dell’ Istituto Pasteur. Dobbiamo però citare oltre a queste le ricerche di Bonardi e Gerosa (*), quelle più recenti del Di Pietro (*), quelle dello Spilker e del Gottstein (9) sull'azione della corrente indotta sui batteri, ed infine l’ultimo lavoro di Apostoli e Laquerriere (8) nel quale raccolgono i resultati di un numero considerevole di importanti ricerche sperimentali che s’ estendono dal 23 ottobre 1888, al 10 luglio 1890. Diremo fin d'ora che noi non abbiamo sperimentato la cor- rente indotta, perchè avendo avuto sempre in modo specialis- simo di mira l'applicazione pratica sul malato, non potevamo riconoscerla come rispondente al caso, e perchè, a dire il vero, è ritenuto dagli altri sperimentatori tutti, che essa sia pei bat- teri di poca o punta efficacia. Il Bonardi e Gerosa adoperando fortissime correnti indotte, per uno e tre giorni, sviluppate da un grande rocchetto di Ruhmkorff ad interruttore di Foucault, cui furono applicati successivamente 6-5-10 elementi Bunsen di grande modello, osservarono che lo sviluppo dei microrga- nismi avveniva in modo normale, come se lo stato delle solu- zioni non fosse turbato, fatto già notato da Cohn e Mendel- sohn. E a dire il vero, gli esperimenti di Spilker e Gottstein sul micrococcus prodigiosus, sul micrococcus tetragenus, sul bacillus fluorescens liquefaciens hanno sempre avuto una durata talmente lunga da non pensare, non fosse altro per codesto, che fosse possibile trarne alcun profitto pei casi nostri. (1) Cohn’s Beitriige zur Biologie der PAanzen. T. III, fase. 4°. (®) Comptes rendus de V Academie des Sciences. 1890. (®) Deutsch med Wochenschrift, 1890, N.0 26. — Munch. med. Wochenschrift. 1890; N.0 27. (4) Annales de V Institut Pasteur. 25 oct. 1890. (9) Nuove ricerche intorno all'azione di alcune conlizioni fisiche sulla vita dei microrganismi. 1888. (5) Giornale di Clinica, Terapia e Medicina pubblica. 1891. (?) Centralblatt fitr Bakt. Vol. 99, N.9 3-4. (8) Répertoire de Police sanitaire véttrinaire et d' Hygiène publique. 189. 102 E. BURCI - FE. FRASCANI Oltre a questo, con tutte le riserve possibili, ci sia permesso di non essere completamente d'accordo con questi autori circa l’interpetrazione data al modo di comportarsi della corrente nei loro esperimenti. Essi, adoperando un vaso di vetro o di terra refrattaria, ed elettrizzando coll’intermezzo di quello il liquido nel medesimo contenuto, hanno pensato di avere uti- lizzato in tal guisa soltanto l’azione fisica della corrente in- dotta. Noi ci domandiamo se si possa pensare davvero che in queste condizioni gli autori abbiano ottenuto l’effetto che si erano proposti, o se invece malgrado il sistema adottato essi abbiano potuto avere, durante il passaggio della corrente nel liquido adoperato, anche una decomposizione elettrolitica del medesimo. E fatti elettrochimici di maggiore importanza pos- sono essere avvenuti, allorquando in luogo dell’acqua distillata hanno adoperato acqua di canale, miscele di acqua e sangue. Oltre a questi si debbono essere verificate condizioni notevol- mente sfavorevoli alla vita dei batteri per dato e fatto dei processi di putrefazione, quando, prolungando per molte ore l'esperimento, si servirono per questo di visceri di animali morti. A noi sembra che non sia fuor di luogo il pensare, che buona parte dei resultati che questi autori tedeschi hanno ot- nuto, possano essere dipendenti appunto da quei processi elet- trochimici, che sia pure in minime proporzioni debbono essere avvenuti. Ci domandiamo anzi se i resultati negativi ottenuti in tali condizioni da altri sperimentatori, e quelli avuti, dopo applicazioni sempre considerevolmente lunghe, dai due sopra citati autori, non dipendano forse da che appunto impiegando essi la corrente indotta, abbiano avuto produzione pochissimo considerevole di fatti elettrochimici, ai quali basandoci special- mente sulle ultime importanti ricerche di Apostoli e Laquer- rière, riteniamo pur noi che debbano riferirsi i vantaggi ott2- nuti da altri e da noi stessi, applicando a scopo battericida la corrente continua. Ci preme anzi dall’importante lavoro dei due autori francesi, di mettere in risalto fra le altre le seguenti con- clusioni che hanno trovato conferma in esperimenti nostri e che ci hanno guidato nelle ricerche successive sugli animali; cioè, CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 103 che la sola azione nettamente costatata è al polo positivo, e che resta nulla al polo negativo e nel circuito interpolare, che questa azione è purannente chimica o elettrolitica, e che è in rapporto coll’intensità della corrente, mentre la durata dell’applicazione è un fatto secondario. Noi non abbiamo voluto ripetere gli esperimenti in vetro gia fatti da altri, facendo svolgere la corrente continua nel- l’acqua, o nella soluzione di cloruro di sodio, abbiamo voluto invece ricercare, non essendovi osservazioni in proposito, ciò che avveniva nelle soluzioni iodurate. Tenendo poi conto di ciò che resultava da tali esperimenti fatti da altri o da noi, e dalle osservazioni istituite in casi cli- nici (Apostoli-Prochownick) abbiamo creduto opportuno di pren- dere in esame ciò che avviene negli animali, essendo possibili in essi ricerche di controllo impossibili in clinica, anche al più abile e più minuto osservatore. Con questo scopo abbiamo cer- cato di studiare l'efficacia dell’azione elettrolitica della corrente continua sui batteri piogeni nei tessuti animali viventi, facendo svolgere questa in un ambiente di H,0, oppure di soluzioni @ diversa concentrazione di Cloruro di sodio, come pure ottenendo lo svolgimento dell’Iodio per la decomposizione elettrolitica di una soluzione di ioduro di potassio. Fra i piogeni abbiamo scelto i più potentemente patogeni, lo stafilococco piogeno aureo e lo streptococco. Abbiamo voluto per ora in vetro, sperimentare anche sopra alcuni batteri della fermentazione ammoniacale dell’ orina, con- fortati in ciò dagli studi di Miquel il quale ha trovato che l’Iodio ad una soluzione corrispondente all’1 su 500 riesce a distrug- gerli. Queste nostre ricerche sui piogeni e sui batteri della fer- mentazione ammoniacale dell’orina, come ben si comprende, hanno avuto per scopo ultimo di vedere, quanto successo si potesse sperare dall’applicazione della corrente continua, in casi di affezioni legate a questi microrganismi. Le nostre osservazioni cliniche istituite per ora da uno di noi in casi di catarro vescicale, dall'altro in casi di endome- trite, sono troppe poche perchè si possa per ora tenerne conto. 104 E. BURCI - V. FRASCANI In ogni modo possiamo dire fino da questo momento cha dagli esami batteriologici fatti accuratamente volta per volta per mezzo di culture piatte, abbiamo potuto osservare rapidamente delle diminuzioni considerevolissime nel numero dei batteri, e che (ciò che potrebbe sospettarsi) lo sviluppo dell’iodio allo stato nascente, sia nella vescica che nell’utero puerperale o no (!), adoperato entro certi limiti e colle dovute cautele, non da in- convenienti apprezzabili. Raccolto che avremo un numero suf- ficente di osservazioni rigorosamente fatte e controllate, ci fa- remo un dovere di pubblicarle a conforto ed illustrazione di alcune delle ricerche sperimentali, delle quali ora riferiamo. Per tenere un ordine cominceremo dall’ esporre i resultati delle nostre ricerche in vetro. I- Serie Ricerche sull’efficacia dell’iodio ottenuto allo stato nascente per mezzo dell’azione elettrolitica. In questa prima serie di esperimenti ci siamo occupati di ricercare in vetro l’efficacia dell’iodio svoltosi per l’azione elet- trolitica da soluzioni d’ioduro di potassio. Come sopra abbiamo detto le nostre ricerche nelle provette si sono estese soltanto ai composti dell’iodio, non essendo a nostro giudizio di alcun interesse ripetere esperimenti gia fatti da altri. — Noi ci siamo serviti di tubi ad U abbastanza grandi, cercando di mettere i poli a distanza sufficente per non avere in seguito ad attività considerevole del lavoro elettrolitico e di quello chimico di sin- tesi, effetti termici rilevanti in modo da metterci in imbarazzo nella interpetrazione dei resultati delle nostre esperienze, e per (!) Per impedire che l’iodio, svoltosi dalla soluzione iodurata, potesse, nelle ap- plicazioni cliniche fatte, indurre (come induce veramente) delle alterazioni sulla muc- cosa vaginale, abbiamo costruito un apposito eccitatore uterino che ci permette di riem- pire la cavità della matrice colla suddetta soluzione, e nello stesso tempo, una volta riempitala di chiuderne l’ orifizio esterno. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 105 non attenuare per mezzo della ricombinazione, l'efficacia della singola azione chimica polare. Per essere garantiti che l’ ele- vamento della temperatura non era tale da influire sulle con- seguenze del nostro esperimento, abbiamo volta per volta, per tutta la durata di esso osservato il grado di temperatura per mezzo di termometri introdotti nelle branche del tubo ad U, o nei recipienti che ci servirono per gli esperimenti della terza serie. Senza ripetere di continuo l'osservazione termometrica, diciamo fin d'ora che non abbiamo tenuto conto di quelle espe- rienze nelle quali la temperatura oltrepassò i 38 centigradi. In un tubo ad U sterilizzato abbiamo versata una determinata quantità di una soluzione pur essa sterilizzata, titolata, d'ioduro di potassio ed una data quantità di un liquido o di una cul- tura in brodo contenente i batteri da sperimentare, in modo da conoscere la proporzione esatta dell’ioduro. Dopodichè, me- scolati accuratamente questi due liquidi, si affondava nella branca A del tubo un reoforo di platino in comunicazione col polo positivo e nell'altra B l’altro reoforo in rapporto col ne- gativo. Si riassumono in questa tavola i risultati delle nostre esperienze. 106 E. BURCI = V. FRASCANI TAVOLA I. 2 Microrganismo | Liquido nel quale Vi E | SL = in si trovano sospesi Li, == | isultati ioni d'ordine cali SÒ »i della corrente Ss = Risultati Osservazioni 33 esperimento | i microrganismi = | c==| | 1-2 |21/,9/°| stafilococco cultura milliampères 10 \minuti 30 Distruzione, Era stata provata piogeno in brodo (come ci fanno| con ricerche di con- aureo rilevare le cul-| trollo la virulenza 3 _| della cultura adope- ture) del ha tte rata. Quantunque fos- TI0 nel tubo 0-| se sufficiente il fatto ve sl trovava| che nella branca B il polo + e nel| non si aveva distru- quale si svilup-| zione del batterio, pava l'iodio, facemmo miscele di nell’altra bran-| controllo dalla cultu- ; ra in brodo con la DE DI Ve soluzione al 5°/; d’io- rilca QUESTO! quro di potassio ed fatto. osservammo che in essa il microrgani- smo si manteneva vi- i vo e virulento. 3-4 | idem | streptococco idem idem idem idem idem stafilococco A Di 190 piogeno idem milliampères 2 | minuti 5 idem idem aureo ; 6 |1%o | streptococco idem idem _|_ idem idem idem stafilococco 7 |0,66°0/°) piogeno idem idem idem idem idem aureo 8_|0,66°/0| steptococco | idem idem idem idem idem 9 (2% bacillus orina milliampères 10 |minuti 30 idem Dalle culture piatte ureae fatte dall’orina con tre diluzioni non si era ottenuto che il bacillo sul quale si è praticato l’esperi- È mento. 10. |1,70°/o idem idem idem minuti 15 idem idem IUS 2'/39/0 idem idem idem minuti 30 idem idem (2 |Y09 idem idem idem minuti 15 idem idem 13 | 49/0 spore di Diluzione |milliampères 5-10\minuti 10 idem Identiche ricerche carbonchio | in H?O ste- di controllo ed iden- rilizzata tici resultati a quelli ottenuti negli espe- rimenti 1-8. 14 | 39/0 idem idem idem idem idem idem 15 29/o idem idem idem idem idem idem 16 19/o idem idem idem idem idem idem NB. Mentre che per le grandi intensità adoperammo una batteria di Gaiffe con amperometro (R=®©19), per le piccole invece ci siamo serviti di una macchina Leclanché capace d’intensità da 0 a 20 milliampères. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 107 Abbiamo voluto istituire gli ultimi quattro esperimenti re- gistrati nella tavola sopra esposta, per studiare la efficacia della corrente sui batteri, che per le condizioni loro potessero opporre una considerevole resistenza, ed abbiamo appunto a tale scopo prescelte le spore del carbonchio, tenendo il seguente metodo. Fatte delle culture di carbonchio su patate, le ponemmo nel termostato a 37°, e verificato dopo alcuni giorni per mezzo di preparati che si aveva una quasi completa sporificazione della cultura, ne abbiamo, ottemperando alle volute cautele, diluita in acqua sterilizzata una certa quantità e di questa diluzione ci servimmo per le miscele. Ad evitare le obiezioni le quali ci potrebbero essere fatte, che cioè insieme con la cultura sotto- posta all'esperimento si potesse avere portato sotto la pelle dell’iodio e che perciò le inoculazioni di riprova nelle cavie avessero dato risultati negativi, quantunque non si sappia con- cepire come l’iodio se non avesse fatto risentire la sua in- fluenza nella provetta avesse poi potuto esercitare la sua azione sotto la pelle, pure abbiamo istituita un'altra serie di ricerche, seguendo il metodo che ora descriviamo. Intrisi nella diluzione delle spore di carbonchio in acqua distillata sterilizzata, dei grossi fili di seta e portatili in una stufa, li abbiamo esposti ad una temperatura di 70° e ciò per due volte successive, alla distanza di 24 ore. Con alcuni frammenti di questi fili facemmo delle culture in gelatina che dettero risultati positivi, con altri d’identiche dimensioni a quelli che ci servirono per gli esperi- menti successivi, inoculammo due cavie di controllo in una tasca sottocutanea. Questi due animali hanno soccombuto uno dopo 2, uno dopo 6 giorni dalla inoculazione e la necroscopia come anche le culture ed i preparati fatti dai visceri degli animali morti hanno dato risultati affermativi. I fili vennero poi introdotti nella branca del tubo ad U (contenente una soluzione di ioduro di potassio) nella quale si trovava il polo positivo e dove ap- punto per l’azione della corrente si sviluppava l’iodio. Dopo un tempo determinato si estraevano i fili, e lavatili prima in una soluzione iodurata al 5 s/° e poscia in acqua distillata ste- rilizzata, servivano in parte per le culture, in parte per le ino- 108 E. BURCI - D. FRASCANI culazioni negli animali. Non ottenemmo mai in questo caso nè culture affermative, nè effetto alcuno sugli animali inoculati. — Ad evitare il caso che ci si potesse obiettare che i fili, con i trattamenti e le lavande di metodo a cui si sottoponevano, ve- nissero ad essere spogliati della cultura, abbiamo sempre con altri pezzetti dello stesso filo, non sottoposti alla corrente, ma successivamente trattati nello stesso modo, eseguite ricerche di controllo per mezzo di culture e di inoculazioni negli ani- mali, ed il resultato fu costantemente positivo. Riassumiamo nella seguente tavola gli esperimenti istituiti: TAVOLA II. 9 Proporzione ai ag 2 = .£| dell’ioduro |Microgamsm da E S E|di potassio da Titerone = $ 4 RÌ 5 TRO ; della corrente 3 E Risultati 3 Ò esperimento = FA | i adoperata 5 = © de 99/0 Spore di car-| milliampères 10 | minuti 15 | Distruzione bonchio delle spore 2 40/0 | idem » 10 idem idem 3 3 /o idem » 10 idem idem 4 20/ idem » 10 idem idem f |5 40/0 | idem » 10 | idem idem Dai risultati di queste ricerche ci sembra di essere autoriz- zati a ritenere che l’iodio, svoltosi per dato e fatto della azione elettrolitica della corrente continua in soluzioni di ioduro di potassio, ha potere distruttivo con piccole e talora piccolis- sime intensità fatte agire anche per breve tempo sullo stafi- lococco piogeno aureo, sullo streptococco, sul bacillus ureae e sulle spore del carbonchio. E crediamo di dover dare una im- portanza tutta speciale all’Iodio, senza occuparci per lo meno in prima linea di altre sostanze chimiche che possono essere messe in libertà nei liquidi adoperati, dalla elettrolisi, e fra CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 109 le quali Apostoli e Laquerrière prendono in particolare consi- derazione l'ossigeno. La grande differenza della intensità di cor- rente necessaria ad ottenere effetti utili che esiste fra i nostri e gli esperimenti dei due autori francesi, dimostra chiaramente come l'efficacia grande nel caso nostro si debba a qualcosa di diverso, e noi crediamo di essere nel vero attribuendola ap- punto all’iodio, che si libera accumulandosi al polo positivo, come dimostrano la colorazione speciale che ivi prende il li- quido, e la reazione caratteristica che ivi solo sì ottiene per mezzo della colla d’amido. Per quante ricerche si siano fatte non ottenemmo mai effetti battericidi nel tubo ove pescava il polo negativo. II° Serie Applicazione della corrente continua direttamente sui tessuti ammalati. Risultando dalla letteratura riguardante tale soggetto, che già anche per il passato era stato fatto qualche tentativo di applicazione della corrente su parti affette da infezioni loca- lizzate, abbiamo voluto pur noi istituire da prima qualche ri- cerca, per vedere se era possibile di ottenere realmente qualche vantaggio in alcune affezioni, che per la loro sede con difficoltà risentono benefizi notevoli dai rimedi applicati topicamente, e fra queste abbiamo prescelto per gli esperimenti nostri l’eri- sipela. Non vi è dubbio che queste poche prime ricerche diffe- riscono dalle successive, ed escono un poco fuori della traccia che avevamo posto pel nostro lavoro, giacchè non abbiamo utilizzato in esse come mezzo curativo gli effetti elettrochimici prodotti in certi determinati ambienti dalla corrente elettrica, ma bensì quei fatti, tuttora poco noti, che avvengono nell’in- terno dei tessuti sottoposti all’ azione dell'elettricità continua; nonostante ci sia permesso di far cenno ancora di esse e di riassumerle nella seguente tavola: 110 E. BURCI - V. FRASCANI TAVOLA II. | | | si) Bi: | dar | . | "LI- E i Animale | n HI Trattamento SMI _,_.| ficialmente Ri Resultato Osservazioni si adoperato | prodotta successivo i | I I 4 | Coniglio Eresipela | Viene lasciato per Grave eresipela |Guarisce circa dopo dell’orecchio | controllo. dell’orecchio. 10 giorni — Cuttu- ottenuta per | re di riprova affer- | mezzo di ino- mative. culazione di cultura di | streptococco 2 idem idem Si applica dopo 2 Nei due giorni |Allontanandosi mag- giorni la corrente | successivi l’ orec- | giormente dal mo- continua, mettendo | chio apparisce più | mento della appli- l'orecchio fra due | sottile di quello del | cazione la tumefa- reofori foggiati a | controllo, nelpunto | zione eresipelatosa piastra, ed impie- | ove fu fatta l’ap- | dell’ orecchio, assai gando per 15 minu- | plicazione. Però le | più rilevante alla ti una intensità di | culture piatte fatte | periferia, riguada- | 20-30 milliampères. | dall’essudato sca- | gna grado a grado rificando l’ orecchio | il centro, dimodo- prima e dopo l’ap- | chè dopo un certo plicazione stessa, | tempol’orecchiotut- non danno a dive- | to ritorna unifor- dere notevoli dif- | mementetumefatto. | ferenze. Le culture riusci- rono affermative. 3 idem idem Si applica la cor- | Nel punto di appli- |Culture avanti e do- rente nel solito mo- | cazione l'orecchio | pol’applicazioneaf- | dosubitodopol'ino- | si mantiene sottile | fermative. culazione esolo dopo 4giorni, cessato l’uso della | corrente, si tumefà lentamente. 4 idem idem Si applica nel soli- Stessi fatti del idem to modo la corrente | caso precedente, ma dopo !/ ora dalla | assai meno intensi. | inoculazione. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. IND Da questi pochi esperimenti si può rilevare che l’applica- zione della corrente continua direttamente su superfici di tes- suti affetti da eresipela non porta che effetti ben poco rilevanti, se fatta quando l’erisipela si è svolta, che invece un certo ri- tardo ed una minore intensità di fenomeni si ottiene qualora l'applicazione venga fatta subito o meglio dopo pochi momenti dalla inoculazione. Ciò, mentre prova che anche nei tessuti lo’ streptococco risente gli effetti della corrente, ci sembra non possa apportare un vantaggio reale riferendosi alla terapia del- l’erisipela nell'uomo, dappoichè sarebbe impossibile nella pra- tica intervenire, prima che la fenomenologia non fosse venuta in scena in modo evidente. III Serie. Effetti della applicazione della corrente continua sui tessuti attaccati dai piogeni, quando essa si svolga in ambienti liquidi. Nella seguente tavola riassumiamo tutti gli esperimenti fatti in proposito, sia quelli nei quali ci siamo serviti come mezzo liquido dell’acqua distillata, sia gli altri nei quali adoprammo soluzioni di cloruro di sodio e d’ioduro di potassio. Diremo fin d'ora che non ripetemmo varie volte gli espe- rimenti fatti nell'acqua distillata perchè sebbene ci fossimo serviti di forti intensità (150-250 mi/Qampères per !/2 ora) e si fosse fatta la prima applicazione dopo 24 ore circa dalla ino- culazione e la seconda dopo sole 5 ore, non ottenemmo alcun vantaggio, e le culture, fatte avanti e dopo nel primo e nei giorni successivi, non ci dettero notevole differenza di sviluppo. Di fronte a questo nessun vantaggio ottenuto con tal mezzo nelle diverse applicazioni fatte sugli stessi animali, avemmo luogo di osservare, che ad ottenere una intensità di 250 m2%2- liampères occorrevano quasi tutti gli elementi della batteria di Gaiffe e (tenendo, bene inteso, tutti due i reofori immersi nel- 162 E. BURCI - V. FRASCANI l’acqua) era necessario che aimeno uno di questi, il positivo, avesse una superficie notevolmente estesa, condizione questa, che non sarebbe compatibile coll’ applicazione nei casi speciali delle affezioni da noi prese in esame. Questi fatti permettono di mettere in dubbio la innocuità di tal mezzo, senza che pos- sano dimostrare alcun benefizio speciale ottenuto da quello; ed ammesso che dei vantaggi potessero derivare dall'uso di correnti di maggiore intensità, ci sembra che all'atto pratico sarebbe imprudente l’adoperarle. Prima di esporre la tavola vogliamo descrivere il metodo che abbiamo tenuto in tali ricerche. Rasato il pelo dell’ orec- chio del coniglio, lavatolo diligentemente con sapone e quindi con soluzione di sublimato e poi con alcool ed etere vi si prati- cavano delle scarificazioni lineari sulla superficie esterna, avendo cura di non ferire vasi di una certa importanza, giacchè I’ emor- ragia avrebbe ostacolato l'innesto della cultura. Dopodichè si portava sulla parte scarificata per mezzo di una spatola di pla- tino la cultura della quale ci volevamo servire, e vi si disten- deva omogeneamente colla spatola stessa. S'involgeva allora l'orecchio nel maXintoch chiudendovelo con ovatta sterilizzata e fissavamo il tutto per mezzo di una fascia. Volta volta che si inoculava con una stessa serie di culture un dato numero di ani- mali, non tralasciavamo mai di assicurarci per mezzo di culture e di inoculazioni in animali di controllo della vitalità non solo, ma anche della virulenza del batterio da adoperarsi. Diremo fin d'ora senza ripeterlo ad ogni esperimento, che i controlli degli animali che ci servirono dettero sempre un risultato affermativo. A diversa distanza di tempo venivano sfasciati gli orecchi inoculati per essere sottoposti all’azione della corrente, previa lavatura con acqua sterilizzata. Le soluzioni adoperate venivano pure sterilizzate frazionatamente a 100° ed i reofori di platino per mezzo della fiaccola a gas. Oltrechè dei controlli come sopra sì è detto, altri conigli abbiamo inoculati nei quali dopo otte- nuta la suppurazione nell'orecchio, si immergeva questo in una soluzione identica a quella adoperata per l'esperimento, onde dimostrare che essa da sola non avrebbe potuto portare alcun CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL’ AZIONE BATTERICIDA EC. 105) effetto; ed i risultati ne hanno dato ragione. Immediatamente avanti e dopo ogni singola applicazione facemmo, strisciando con una spatola sulle superfici suppuranti dell’ orecchio, le culture che ebbero quel risultato. che caso per caso esporremo. Questo abbiamo voluto premettere per non perdersi in ripetizioni inu- tili nell’esporre succintamente i singoli esperimenti. 114 E. BURCI - V. FRASCANI TAVOLA IV. È | HBES 5 Animale E 338 z Condizioni © | #88 2 Risultati Osservazioni | adoperato 5 o #@ & dell’ esperimento 1 | Coniglio | stafilococco | Dopo 24 ore dalla ino- | Nel punto ove fu ap- piogeno culazione applicazione | plicato il polo negativo aureo | della corrente continua | si produsse un’ escara | per ‘/3ora, 150 milliam- | abbastanza profonda. | pères, tenendo immer- | L’orecchio dopo alcuni so nell’acqua distillata | giorni si necrotizza e coll’orecchio il polo + | cade. e l’altro ben fasciato | Le culture fatte avanti sulla radice dell’ orec- | e dopo le applicazioni chio medesimo. Dopo | riuscirono affermative. 2 giorni seconda ed ul- tima applicazione. 2 jdem idem Dopo 5 ore dalla ino- | La suppurazione si culazione applicazione | mantiene malgrado le della corrente continua, applicazioni, e nelle 200 a 250 milliampères, culture fatte prima e tenendo ambedue 1 reo- dopo di essa si ha svi- fori immersi insieme al- luppo di stafilococco l’ orecchio in acqua di- piogeno aureo. stillata sterilizzata per 1/- ora.Questa applica- zione si ripete per 3 giorni consecutivi. 3 idem idem Dopo 3 giorni appli- La suppurazione seb- La virulenza cazione della corrente | bene sembri un poco | dello stafilococ- continua, 200 milZiam- | minore che nell’ orec- | co piogeno au- pères, tenendo il polo | chio di un coniglio di | reo ottenuto dal- positivo immerso con | controllo la durata ne | le culture fatte l’orecchio nella solu- | fupressoapoco uguale. | dopo 1’ applica- zione di cloruro di so- Le culture dopo l’ap- | zione si man- dio1°/,il negativo sul- | plicazione presentano | tiene fortissima. la radice dell'orecchio leggerissimoritardo nel- stesso per 20 minuti. | lo sviluppo che è anche Altre due applicazioni | un po meno abbondante nei giorni successivi. 4 idem idem Dopo 48 ore dalla ino- Vi è differenza di svi- culazione applicazione della stessa corrente, 200 malliampères, con soluzione di cloruro di sodio 29/0 per !/, ora, immergendo tutti due i poli insieme all’orec- chio nel liquido. luppo nelle culture fat- te dopo l’ applicazione. Il coniglio però muore il giorno successivo. Alla necrosco- pia si trova le- ptomeningite ed otite media pu- rulenta. Anche il coniglio di controllo muore dopo 48 ore. Lo stafilococco pio- geno aureo do- veva essere vVi- rulentissimo. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 115 Condizioni dell’ esperimento Risultati Osservazioni Dopo 24 ore applica- zione della corrente in soluzione di cloruro di sodio 5 °/o, intensità 200 milliamperes, du- rata '/, ora. Ambedue i poli nel liquido insie- me coll’orecchio. 2.2 applicazione gior- no successivo. Orecchio sempre sup- purante anche dopo le applicazioni. Le culture fatte avan- ti e dopo danno risul- tato presso a poco identico. Dopo 6 ore 1/, appli- cazione della corrente continua in soluzione di cloruro di sodio 5 °/o, intensità 300 muliam- peres, durata ’/, ora. Ambedue i poli nel li- quido come sopra. Le culture avanti e dopo danno risultati affermativi con lievi differenze. - L'animale muore il giorno suc- cessivo. Il controllo guarisce più pre- sto. Alla necrosco- piai soliti risul- tati che dette il numero 4. Ri- cerche batterio- logiche afferma- tive. Dopo 24 ore dalla ino- culazione si sottopone alla corrente continua in soluzione di cloruro di sodio al 5 9/0, inten- sità 150-200 mQham- peres, durata 20 minuti 2.8 e 3.2 applicazione nei due giorni succes- sivi. Si mantiene la eresi- pela e la suppurazione nei giorni successivi finchè ilconiglio muore al 4.0 giorno. Le culture non danno nei primi giorni diffe- renze apprezzabili. Dal sangue si ottengono cul- ture di strepto- cocco. El MESSO 3 È FISESE = Animale | &4us 3 So 5322 G adoperato| 8 3 Aa & E O Rio) .9 Zi | Fi SIR 5 Coniglio | stafilococco piogeno aureo 6| idem idem 7 idem |streptococceo 8| idem |! idem 9 idem idem Si ottiene un ascesso dell'orecchio Dopo 3 giorni dalla inoculazione si sotto- pone alla corrente con- tinua immergendo l’ o- recchio in soluzione di cloruro di sodio 2 °/o, intensità 200 malliam- peres, durata 1/, ora. Nella applicazione del 2.9 giorno si porta la intensità della corrente a 300 milliamperes - medesima durata. Dopo 3 giorni incisio- ne dell’ascesso ed ap- plicazione previe lavan- de con acqua steriliz- zata di corrente conti- nua 200 milliamperes nelle stesse condizioni che sopra. Lo stessoil giorno suc- cessivo in cui la inten- sità della corrente si porta a 300 milliam- peres. Le culture tanto avan- ti che dopo l’applica- zione non mostrano dif- ferenze notevoli A13.0 giorno dalla 1.8 applicazione cessa la suppurazione. Continua la eresipela per di- versi giorni do- po cessata la suppurazione. Risultati identici. Tl coniglio muo- re dopo 4 gior- ni dalla prima applicazione. E. BURCI - V. FRASCANI IE DERE S| Animale I S E z, Condizioni Ss #3 0a DI Risultati Osservazioni 9 ladoperato| #9 =2 9 dell'esperimento (=) si = | = FESR | 10 Coniglio | stafilococco | Dopo 2 giorni appli- | Notevole miglioramen- | Si sospendono piogeno cazione della corrente | to: minore e ritardato | le applicazioni aureo continua in soluzione | sviluppo nelle culture | perchè il coni- di ioduro di potassio | fatte dopo le applica- | glio di‘controllo 59/o, per lo minuti, in- | zioni. dopo 5 giorni tensità 20-30 millam- è guarito. peres. Ambedue i poli immersi coll’ orecchio nel liquido. 2.» applicazione il giorno successivo. 1l| idem idem idem idem idem 12| idem idem idem idem idem 13| idem idem Applicazione c. s. ad Notevole differenza eccezione che il polo + | per minore e ritardato è immerso coll’orecchio | sviluppo dopo le prime nel liquido, il — sulla | due applicazioni. An- base dell’orecchio. che le condizioni locali Dopo 2 giorni 2® ap- | migliorano notevolmen- plicazione. te. — Nessuno sviluppo Dopo altri 2 giorni | dopo la terza. 3.2 applicazione. | 14 idem idem Applicazione c. s. sal- | Condizioni assai mi- vo che ambedue i poli | gliori del caso prece- sono immersi nel liqui- | dente. — Anche in que- do insieme all'orecchio. | sto nessuno sviluppo Dopo 2 giorni 22 ap- | dopo la terza. plicazione. Dopo altri 2 giorni 3.8 applicazione. 15) idem streptococco idem Trovo alla 2.8 appli- cazione l’animale quasi completamente guarito 16] idem idem Applicazione c. s. me- ! Sviluppo in ambedue | Alla necrosco- no chè il polo + nel | le culture fatte avanti | pia si osservava liquido, l’altro — alla | e dopo, però minore | eresipela all’ o- base dell’ orecchio. sviluppo in quelle fatte | recchio del lato 2.2 applicazione dopo | dopo. — Muore dopo | opposto. Dalle 2 giorni - 3.a dopo 4 | 6 giorni. culture fatte dal giorni. sangue e dalla milza si ha stre- ptococco. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 117 (<>) ter | S|, | 8838 RO) | Animale was è Condizioni DI I { d #99 4 o È isultati Osservazion adoperato] #29 =2 dell’ esperimento = AGES 17| Coniglio | streptococco | Applicazione della cor- | Notevole ritardo nello | Risultati delle rente il giorno succes- | sviluppo delle culture | ricerche necro- sivo, per 20 minuti in | fatte dopo la prima ap- | scopiche nega- soluzione di ioduro di | plicazione: nessunosvi- | tivi. potassio 10 0/0. Inten- | luppo dopo la seconda. sità 100 milliamperes. | Muore il 4.0 giorno, e Immersione diambedue | le culture fatte dal- | i poli nel liquido. l'orecchio riescono ne- | 2.8 applicazione il | gative. \ giorno dopo. 18) idem stafilococco | Applicazione dellacor- | Sebbene ci sia un mi- |Si cessa dalle ap- rente il giorno succes- | nore e ritardato svi- | plicazioni per- sivo in soluzione di io- | luppo, pure riescono le | chè il controllo duro di potassio al 10°/o | culture fatte avanti e | è già guarito do- per !/, ora. Intensità | dopo la 1.8 e 2.2 ap- | po3giorni. Que- 100 malliamperes. Am- | plicazione. sto coniglio muo- bedue i poli nel liquido. re al 7° giorno. 2.8 applicazione dopo Dal sangue e 2 giorni. dalla milza si hanno cultura di stafilococco pio- geno aureo. 19) rdem idem idem Dopo la 2.2 applica- | Dal sangue e zione cessa la suppu- | dalla milza si razione, e le culture | hannoculturedì riescono sterili; però | stafilococco pio- il coniglio muore dopo | geno aureo. 6 giorni. 20) idem idem Applicazione dopo 5- | Considerevolmente mi- | Ricerche ne- 6 ore in soluzione di | nore lo sviluppo nelle | croscopiche ne- ioduro di potassio al | culture dopo l’applica- | gative. 10 0/0 per !/, ora. In- | zione. tensità di 300 milliam- | Muore il giorno dopo peres. Ambedue i poli nel liquido. 21| idem idem Applicazione per !/, Scarsissimo sviluppo idem ora della corrente, di | nelle culture fatte dopo 50 milliamperes di in- l applicazione. Però | Escaregul dor- tensità, ponendo il polo | l’animale muore con fe- NSA li- + coll’ orecchio in una | nomeni nervosi gravi O b SERIE soluzione di ioduro di | il giorno successivo. A D ni RI potassio al 10/0 ed il olo pi polo — a larga super- polo, ficie sul dorso. 22) idem idem Applicazione c. s. col- | Scarsissimo sviluppo idem la differenza che la in- tensità della corrente è di 30 milliamperes. 2.8 applicazione dopo 2 giorni. nelle culture dopo la |.1 applicazione, nes- suno dopo la seconda. Muore con fenomeni | nervosi dopo 5 giorni, 118 E. BURCI - V. FRASCANI Non ci sembra necessario dopo ciò che abbiamo premesso di tornare a concludere relativamente agli esperimenti fatti sull’applicazione della corrente nell'acqua distillata. Le cor- renti adoperate, secondo Apostoli avrebbero appartenuto con- trariamente alla opinione di altri, a quelle di media intensità, ed erano rese necessarie, volendo ottenere con questo mezzo la distruzione dei batteri piogeni presi in esperimento. Mentre non abbiamo tentato di provare intensità maggiori, per le ragioni già esposte, non abbiamo neppure voluto prolungare la durata della applicazione risultando anche a noi da osservazioni fatte durante i nostri esperimenti, essere esatto ciò che Apostoli e Laquerrière asseriscono, che cioè per la stessa intensità e per condizioni identiche, conviene tenere poco conto della durata della applicazione, restando sempre l'intensità della corrente il fattore principale. E neppure buon effetto abbiamo ottenuto dall'uso della corrente in soluzioni di cloruro di sodio, al contrario di ciò che ci saremmo aspettati, tenendo conto dei resultati degli esperimenti in vetro del Prochownick e dello Spaeth. A noi risulterebbe che per ottenere qualche effetto (bene inteso par- ziale) occorre adoperare, oltre che intensità assai forti, solu- zioni nella proporzione all'incirca del 5°; ed in ogni modo anche in questo caso sebbene si siano avute differenze in meno nello sviluppo delle culture fatte dopo ripetute applicazioni, si è potuto osservare che le suppurazioni malgrado ciò continua- vano tanto lungamente, che talora il controllo è assai più presto guarito dell'animale sottoposto alla cura. Le culture fatte in diversi casi dopo la morte dell'animale e dall'orecchio dopo le applicazioni hanno dimostrato che il batterio oltre che la vita non perdeva la sua virulenza. Relativamente a ciò che abbiamo potuto osservare appli- cando la corrente in soluzioni d'ioduro di potassio, si può con- cludere che adoperando soluzioni fra il 5 ed il 10°/ ed inten- sità non molto forti, si sono ottenuti dei resultati soddisfacenti. E questi sono migliori ponendo ambedue i poli nel liquido, non perchè il polo negativo possa avere efficacia diretta in questo caso, ma perchè le decomposizioni elettrolitiche si compiono in modo più pronto e più vivace, e perchè anche proteggendo assai CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'AZIONE BATTERICIDA EC. 119 i tessuti, portati direttamente a contatto con questi, è difficile a forti intensità di impedire i suoi effetti necrotizzanti (1). ‘ Certo la statistica potrebbe essere più brillante per la pron- tezza delle guarigioni, ma a noi giova osservare, che questo mezzo ha corrisposto assai meglio degli altri finora proposti, e che del resto anche adoperando in casi di suppurazione, si- mili a quelle prodotte sperimentalmente, gli antisettici più potenti, gli effetti non sono migliori. A controllo di questa no- stra idea e colla intenzione di dimostrare che possono rite- nersi discreti i resultati ottenuti, abbiamo immerso per alcuni giorni consecutivi l'orecchio suppurante di alcuni conigli, per 10-15 minuti, in soluzioni di sublimato al 2 °/0, ed abbiamo osservato che con questo mezzo si ottenevano effetti tutt'altro che migliori che coll’applicazione elettrica nella soluzione di ioduro di potassio. E ciò si comprende assai bene avendo avuto occasione di osservare un certo numero di suppurazioni; nei quali casi almeno noi ci siamo dovuti convincere che i pronti resultati non si hanno (quando la parte ammalata sia accessi- bile) che accopiando un atto chirurgico alla terapia antisettica della regione. Abbiamo avuto in alcuni casi la morte dell'animale che ci servì per l'esperimento, ed era necessario investigarne le cause. Tenendo conto delle condizioni dell'esperimento stesso e delle risultanze delle ricerche necroscopiche ci pare di essere auto- rizzati a ritenere, che in vari casi la morte sia avvenuta perchè l’infezione prodotta (specialmente adoperando lo streptococco) non è rimasta localizzata al punto inoculato, che in alcuni altri (e forse influì anche nei primi) nei quali i resultati delle ricerche necroscopiche furono negativi, abbiano influito la intensità della corrente adoperata, e gli effetti da questa prodotti sull’assor- bimento dell’iodio, forse avvenuto in questi casi in proporzioni un poco troppo considerevoli. (!) Occorre qui notare due cose: 1.° che nelle applicazioni fatte fin qui sui ma- lati abbiamo posto sempre al di fuori il polo negativo, e perchè non azzardavamo di tentare l’ esperimento con un mezzo che desse luogo a più rapido e più abbondante sviluppo di iodio, e perchè la parte difesa da largo impiastro di terra refrattaria non suol risentire i danni che è capace di arrecare il polo negativo; 2.0 che anche se im- mersi nel liquido, occorre cercare di evitare che i poli abbiano contatti prolungati coi tessuti vicini, essendo anche in queste condizioni capaci di produrre delle escare ab- bastanza profonde. E. REGÀLIA UNGHIE AT DITI I E II DELLA MANO IN UCCELLI ITALIANI Il processo verbale dell’ Adunanza del 6 maggio 1888 con- tiene una mia Nota col titolo sopraseritto, alla quale la pre- sente fa seguito. Tralasciata ogni considerazione d'ordine generale (4), mi restringo a dare i nomi delle specie, nelle quali dopo d'allora ho trovato unghie a uno dei due primi diti della mano o ad am- bidue, con una breve descrizione delle unghie stesse. Aggiungo però, senza descrizione, le specie della Nota dell’ 88, parendomi poter tornare non inutile il presentare riunite tutte quelle, che le mie ricerche mi hanno permesso di riconoscere fornite delle curiose formazioni in parola: si avrà così un complesso, quale forse prima d'ora non era noto. (*) Quel mio primo lavoretto ha avuto l’onore di una recensione nell’eccellente periodico inglese « Ibis >, e più estesa di quanto è nelle consuetudini di quel giornale. To la vidi alla sfuggita: si trova, se ben ricordo, nel 1.° fascicolo del 1889. E. qui debbo una giustificazione a me stesso ed al cortese autore di quella notizia biblio- grafica. Nella quale era detto, che si facevano delle riserve circa la mia asserzione del non essere conosciuta l’esistenza di un’unghia nel dito indice delle Carinate (così, presso a poco). Io non avevo emesso propriamente un’ asserzione: prima avevo detto soltanto, che a me quel fatto « non risultava finora », e poi esprimevo dubita- tivamente l'assenza di unghia nell'indice delle Carnate, perchè domandavo se era ammesso tuttavia, come un zoologo mi assicurava essere avvenuto fino a poco tempo innanzi, che tale assenza costituisse un carattere differenziale tra l’ordine suddetto e le Ratite. Ma io ero dunque male informato, ciò che non mi fa meraviglia, e si conoscevano Carinate con unghia nel secondo dito. Io non sono adesso meglio informato d'allora in quanto alle specie, nelle quali il fatto si conosceva. Ciò però non guasta per il mio compito modestissimo, che è quello di segnalare l’esistenza di unghie della Mano in un numero qualsiasi di specie, nelle quali non sia finora conosciuta. UNGHIE AI DITI I e II DELLA MANO IN UCCELLI ITALIANI 121 Specie aventi il pollice unguicolato Macrochires 1. Caprimulgus europeus, Linn. (ex Bell.). 2. Cypselus Apus (Linn. ex Bell.) —- Trovo notato, ma con qualche dubbio, di aver veduto l'unghia in un solo pollice esa- minato, biancastra, ottusa, assai piccola. Poi si è staccata ma è rimasta un’ eminenza di forma simile. 3. Cypselus Melba (Linn.) — 9? Nel pollice destro l'unghia è lunga 1 mm., grossa 0. 4, un po’ curva., irregolare, nerastra, a sezione cilindrica; nel sinistro è lunga 2.5 mm., regolarmente appuntata e ricurva. Ambedue sono rigide. Accipitres 4. Cerchneis Tinnunculus (Linn. ex Gesn.), 5. C. vespertinus (Linn.). 6. Pandion Haliaétus (Linn.) (ex Gesn.) — 7°? Unghie in ambi i pollici, grosse circa 1 mm. alla base, e lunghe una 7 e l’altra 9, appuntate, biancastre alle base e poi nerastre. Nulla ai diti II. 7. Nisaetus fasciatus (Vieill.) — 9 ad. Unghie in ambi i pol- lici. Quella sinistra lunga quasi 10 mm., alta alla base 1.3 e grossa 1, perchè un po’ compressa, alquanto curva, assottiglian- tesi regolarmente, cenerognola scura. Non è però escluso il dubbio che in questa specie sia unguicolato anche il secondo dito, perchè trovo scritto: Nello scarnire la Mano sin. dal- l'apice del dito II si è staccata una calottina di materia bigio- biancastra, che quindi per la sede, la forma e il colore avrebbe analogia con un’ unghia. Anseres 8. Casarca rutila (Pall.), ® 9. Mareca Penelope (Linn.) (ex Gesn.), 10. Mergellus Albellus (Linn.). Fulicariae 11. Ortygometra Porzana (Linn.) (ex Aldrov.), 12. 0. Bailloni (Vieill.), 13. Orex pratensis, Bechst. (ex Gesn.). 22 E. REGÀLIA 14. Porphyrio ceruleus (Vandelli) — Esaminata la sola Mano sinistra. Pare che al pollice vi sia una seconda falange, distin- tamente articolata, inguainata in un’ unghia color corno, al- quanto curva, molto appuntata. Falange e unghia sono lunghe, prese insieme, da 7 a 8 mm. Limicola 15. E&dicnemus scolopax (S. G. Gmel.), 16. Vanellus Capella, Schàaff. (ex Bellon.), 17. Himantopus candidus, Bonnat., 18. Pe- lidna subarquata (Gùld.), 19. Actodromas minuta (Leisl.), 20. A. Temmincki (Leisl.), 21. Limosa melanura, Leisl., 22. Nume- nius tenuirostris, Vieill.,, 23. N. Pheopus (Linn.) (ex Gesn.), 24. MAgialitis curonica (J. F. Gmel.) (ex Beseke). 25. Agialitis Hiaticula (Linn.) (ex Aldrov. — gd? Unghia in ambi i pollici, sottile in proporzione alla lunghezza, un poco ricurva, regolare, nera; lunga 1 mm. a sin. e un poco più a destra. Gavia 26. Sterna fluviatilis, Naum., 27. Sternula minuta (Linn.), 28. Hydrochelidon leucoptera (Schinz), 29. H. nigra (Linn. ex Briss.), 30. Larus fuscus, Linn., 81. L. cachinnans, Pall. 82. Larus Audouini, Payr. — Unghie in ambi i pollici, ir- regolarmente coniche, larghe circa 1 mm. e poco più lunghe: si staccavano bene, per il colore, dalla pelle, che era scura mentre esse erano giallognole. 33. Rissa tridactyla (Linn.) — 9. Unghie in ambi i pollici, ma non, pare, ai diti II. Le dette unghie sono molte piccole per rapporto alla statura dell'animale, e di un nero intenso, lunghe 1.2 mm., larghe alla base 0. 8. Nella metà basale sono coperte da una guaina bigia e alquanto trasparente. Sono com- presse dall'esterno all’interno, considerando la Mano nella po- sizione naturale, ottusamente falciformi ma appuntate. 84. Lestris pomatorkinus (Temm.) — Magnifica unghia nel pollice destro: è diretta, contrariamente alla regola generale, nel senso dell’ asse del dito, invece di presentare una deviazione, la quale in certe specie non è lontana dall'angolo retto; è UNGHIE AI DITI I E II DELLA MANO IN UCCELLI ITALIANI 25 lunga 5 mm., grossa alla base 0.8, ha l'apice fatto a uncino, è nerastra. Non ho visto nulla al dito II. Le stesse cose nella Mano sin.: l'unghia però devia un poco dall'asse del dito. 35. Lestris crepidatus (J. F. Gmel. ex Banks) — 9. Unghie in ambi i pollici, ma non nei diti II. Codeste unghie sono lun- ghe 2 mm., con un diametro basale di 0.6, nerastre, alquanto curve, appuntate. Pygopodes 36. Fratercula arctica (Linn.) (ex Clus.). Specie aventi il solo indice unguicolato. Herodiones: ° 1. Botaurus stellaris (Linn.) (ex Bell.). Tubinares: 2. Oceanites oceanicus (Kuhl) — 9. Non ho visto unghie ai pollici ma bensì in ambi i diti II: erano meno lun- ghe che larghe, e larghe forse 0.5 mm., nerastre. Specie aventi il pollice e l'indice unguicolati. ? Anisodactyle Coracias Garrula, Linn. (ex Gesn.) — Ho esaminato colla lente, ad un forte ingrandimento, ambe le Mani dopo che erano bollite, e mi è parso che ai pollici, in un tubercolo formato dal- l’integumento fosse incluso un cono del colore stesso della pelle, o almeno poco distinguibile perchè giallastro. In uno dei diti II ho visto un’ eminenza, lunga 0.5 e grossa 0.25 mm., che malgrado le minuscole proporzioni aveva l'aspetto di un’unghia, e, toccata, si è disfatta, scoprendo uno strato giallognolo sotto l’esteriore, che era color di corno: ciò avviene anche in vere unghie e di maggiori dimensioni. Nell’altro dito II l'unghia (®) era caduta, nonostante ogni riguardo usato nello strappare le penne, ma era rimasto ben riconoscibile il luogo in cui essa era impiantata, una specie di alveolo. Striges 1. Syrnium uralense (Pall.) — 9 ad. Sono disposto a con- siderare come certa la presenza di unghie in ambi i diti II: 124 E. REGALIA ho visto qualcosa di molto simile staccatasi da un pollice, onde ritengo alquanto probabile l’ unghia anche in questo dito. Quella dei II, o piuttosto una di esse, la più intatta, aveva la forma di un cilindro sezionato obliquamente all’asse: all’ estremità si vedeva un orlo e dentro a questo un piccolo rilievo. Tutta ' l'unghia era molle e giallognola, lunga poco più di 1 mm. e grossa 0.7. Sia per la somiglianza con unghie osservate in altre specie, sia per non avere l’animale presentato una sola penna in via di sviluppo, propendo molto a ritenere che i due corpic- ciuoli tanto simili, e in identica posizione sulle falangi termi- nali dei secondi diti, fossero unghie. Accipitres 2. Circus cyaneus (Linn.) — 2. D'ambo i lati ai pollice non vi ha che un tubercolo, coperto dalla pelle e nel centro del quale vi ha forse un rudimento di unghia. Ho esaminato poi il solo dito II destro, e a meno di 1 mm. dall’estremità della falange terminale vi è, ad angolo retto con questa, un’ unghia cilindro-conica, un po’ curva, lunga 1.5 mm. e con un diametro di 0.6 alla base. 3. Hypotriorchis Subbuteo (Linn.) ex Aldrov.) — 7. Unghie ai diti I e II, e in ambidue è più grande quella sinistra. Nel secondo dito destro è ottusamente conica, alta 0.5 mm., mentre nel sinistro è lunga 1.25, grossa alla base 0.4, biancastra e di una certa rigidezza. Nel dito I, a sinistra sarà 1 mm., o quasi, più lunga che a destra e lunga 4.5, grossa 0.6 alla base: è di un nero cenerognolo, curva, appuntata, rigida. 4. Cerchneis Naumanni (Fleisch.) — de. Unghia al pollice sin., il solo osservato, lunga quasi 4mm., grossa 0.7 alla base, dove è di color carnicino, bianco-giallognola nel resto, poco rigida. Unghia in ambi i diti II, più lunga nel destro, dove è 1.25 mm. e grossa 0.4, irregolare, giallastra e terminante in bianco, poco rigida. Odontoglossa: 5. Phenicopterus roseus, Pall. Anseres 6. Nettion Crecca (Linn.), 7. Fulix ferina (Linn.). UNGHIE AI DITI I E II DELLA MANO IN UCCELLI ITALIANI 125 8. Fulix Marila (Linn.) — ©. Nella Mano destra, unghia al pollice lunga 3, grossa alla base 0.6 mm., alquanto curva, appuntata, color di corno; al dito II unghia piccolissima, lunga forse 0.6 e larga 0.4, irregolare, del detto colore. 9. Bernicla brenta (Pall.) ex Jonst. — d°. Unghie ai diti I e II di ambe le Mani. Quella del pollice, di color cenerognolo, ha una lunghezza di 4 mm., è più estesa dal lato esterno che dall'interno della Mano, ed è rigonfia verso la metà, termi- nando in punta ottusa. È sostenuta da una falange, chiara- ramente articolata, che dal lato esterno viene ad essere sco- perta per circa 1.5 mm. e più ancora dal lato interno. L’un- ghia del II è un cono ottuso e un poco compresso, situato più sulla faccia esterna che sull’interna del dito, avente un mas- simo diametro di 1 mm. e un'altezza di 0.7. E di colore più scuro di quello della prima. 10. Anser cinereus, Meyer. — Nei pollici unghie lunghe 5 mm. la sinistra e 6 la destra, con diametri di circa 1 alla base, di poco diminuenti verso l’ apice, che è arrotondato. Colore affatto bianco, poca la curva complessiva, direzione generale nel senso dell'asse del dito. Sono sostenute da fusti ossei, alquanto curvi, appuntati, lunghi 1.5, larghi alla base 1 mm., e che offrono un movimento angolare a partire da 3 mm. di là dalla loro base. Le unghie dei diti II sono lunghe 1.5, grosse 1 mm., cilindriche alla base, con apice arrotondato, affatto bianche. ? Alectorides: Gyus communis, Bechst. Limicole 11. Gallinago celestis (Frenzel ex Rzac.), 12. Totanus fuscus (Linn.) (ex Briss.), 13. Totanus nebularius (Gunn. in Leems.). 14. Totanus Glareola (J. F. Gmel. ex Linn.) — Unghie nei diti I e II. Sono molto simili per dimensioni e colori: sono lunghe 1.5, grosse alla base 0.5; però quella del pollice è forse un poco più sottile e quella dell'indice lunga anche 1.75. La prima va assottigliandosi più regolarmente, la seconda ha forma di linea spezzata e termina a punta ottusa. Sono nerastre per un tratto e poi, dal lato basale, rivestite d'una guaina bian- castra, la quale in quella dell’indice è estesa circa il doppio del tratto nerastro. Ho osservato ambe le Mani e veduto che l'unghia del dito II destro era più piccola di quella del sinistro. 126 E. REGALIA 15. Squatarola helvetica (Linn.) (ex Briss.) — o. La Mano destra è la sola osservata. Al pollice l’unghia è grossa 0.8 mm. alla base, lunga 1.3, appuntata, curva, color di corno rossastro; nel II è un poco più sottile, lunga quasi 2 mm., meno ricurva, nera. 16. Actodromas fuscicollis (Vieill.) — Ho veduto unghie in ambi i pollici e i diti II, in uno di questi però con qualche dubbio. Le prime sono larghe circa 0. 4, lunghe 0.6, mm., molto appuntate, nere, con apice biancastro; le seconde poco visibili a occhio nudo, meno lunghe che larghe, e larghe 0.3 o poco più. Le prime sono impiantate in una base relativamente ri- levata. Gavia 17. Thalasseus cantiacus (J. F. Gmel.) (ex Lath.) — 9? Unghie in ambi i pollici, acute, arcuate, nerastre, lunghe 1.8 mm., grosse alla base 0.6. In ambi i diti II, e più chiaramente destra, vi ha qualcosa che pare un’ unghia. All'estremità della falange terminale, che, guardata per trasparenza, è ben rico- noscibile al suo color rosso, vi ha un astuccio nero, orlato di bianco, lungo 0.6 e largo altrettanto, alquanto compresso e che contiene una masserella anch'essa nera. Questi caratteri si at- tagliano assai bene ad un’ unghia rudimentale. A sinistra l’astuc- cio non è aperto ed è più piccolo. 18. Sterna Dougalli (Montag.) — d'. Unghie in ambi i pol- lici e i diti II: le prime ricurve, appuntate, compresse, lunghe nel lato concavo poco più di 1 mm., nere solo nel lato con- vesso; le seconde più larghe che lunghe, e larghe 0.7, tutte bianche. 19. Ohroocephalus melanocephatus (Natt.) — Unghia in un pollice, il solo osservato, un po’ curva, appuntata, lunga 2. mm., grossa alla base 0. 5. Non l'ho osservata che dopo la bollitura, ed era di color giallo carico. Ho esaminato anche il secondo dito e vi ho visto una piccolissima eminenza, di un diametro di 0.4, di color perlaceo, recinta da un orlo cutaneo giallastro. Ho sollevato quella calotta, e sotto vi era l'estremità ossea, semisferica, della falange. Perciò quella calotta, staccatasi men- tre intorno rimaneva fermo l’integumento, mi sembra avere i caratteri di un’ unghia. UNGHIE AI DITI I E II DELLA MANO IN UCCELLI ITALIANI 127 20. Larus canus, Lion. — @. Unghie ai diti I e II della Mano destra, la sola esaminata. La prima è lunga 1.5 mm., assottigliantesi assai decisamente, parecchio incurvata, termi- nante in punta ottusa, nera; la seconda larga e lunga circa 0.5. Pygopodes 21. Colymbus arcticus, Linn. ex Willugh., 22. C. septentrio- nalis, Linn. 29. Colymbus glacialis, Linn. — Ambi i primi diti della Mano hanno un’ unghia. Quella del pollice è appena curva, grossa 0.8 e lunga 4mm., cenerognola: la falange è uno stiletto breve, sottile. Quella dell'indice consiste in un tubercolo largo e alto 1 mm. 24. Podiceps fluviatilis (Tunst. ex Briss.). 25. Podiceps cristatus (Linn.) (ex Gesn.) — Unghie ai diti I e II, questa più grande di quella e compressa di fuori in dentro, assai piccole entrambe. Dopo la bollitura sono fatte le osservazioni seguenti: in ambi i diti I e II vi ha una piccola unghia, ma una tozza e triangolare, l’altra allungata e lunga poco più di 1] mm. 26. Podiceps cornutus (J. F. Gmel. ex Briss.) — Pollice e in- dice unguicolati. L’ unghia del primo è lunga 1 mm. e larga alla base 0.6; quella del secondo è larga e lunga forse meno di 0.5. Ambe sono. nerastre. 27. Podiceps migricollis, C. L. Brehm. — 9. Unghie ai diti T e II della Mano: la prima lunga 0.8 e larga 0.5 alla base; la seconda larga e lunga 0.5 mm. o meno; ambedue nerastre. Dopo le osservazioni il desiderio che sorge spontaneo, è quello di un poco di statistica. Ma il numero delle specie esa- minate è troppo esiguo perchè i risultati che se ne avrebbero, si potessero considerare come aventi un’ approssimazione alla realtà. Stimo per ora lecito il rilevare soltanto, che dei tre casi, unghia al pollice, all'indice, ad ambi i diti, il secondo è di gran lunga il più raro, dato che sia reale. La prevalenza, invece, del primo caso sul terzo non può ancora meritare considerazione. DANTE PANTANELLI TESTUDO AMIATAF N. SP. Dai dintorni di Cinigiano ho potuto procurarmi una testug- gine fossile che per la natura dei terreni che avvicinano detta località, per la natura della roccia che riempie la cavità dello scudo e del piastrone e per lo stato di fossilizzazione, giudico pro- venire dagli strati d'arenaria eocenica così ampiamente sviluppati attorno al Monte Amiata ed attorno a Cinigiano in particolare. Il guscio di detta testuggine è discretamente conservato, è un po’ schiacciato irregolarmente da un lato e i margini ante- riori e posteriori dello scudo sono danneggiati e un po’ defi- cienti per minute rotture; le placche ossee dello scudo e del piastrone sono egregiamente conservate ma mentre nel pia- strone sono tuttora visibili le suture ossee, nello scudo sono completamente sparite, eccetto che per alcuna delle ossa costali. Una certa concavità centrale delle ossa del piastrone lascia supporre che fosse di sesso maschile. Scudo. La prima cosa che colpisce in questo individuo con- frontato con la 7. Graeca è la forte convessità dello scudo e la sua altezza; seconda, la con- vessità delle diverse placche os- see e in speciale delle dorsali anche maggiore assai di quello che non sia nelle giovani della graeca. La prima placca dor- sale è pentagonale spuntata in avanti dalla placca nucale, con i due lati confinanti con le la- terali concavi, mentre nella (1) Testudo amiatae; scudo ‘/s del vero. (4) La figura è stata ottenuta da una fotografia al citrato di ferro, contornata a mano, decolorata e riprodotta in zincotipia. TESTUDO AMIATAE N. SP. 129 graeca sono generalmente convessi; le due successive sono esa- gonali, la quarta è irregolarmente pentagonale per una ano- malia delle placche laterali che quattro a destra (dell’ osser- vatore) sono tre a sinistra, l’ultima è trapezoidea con il lato esterno convesso. Le placche laterali, meno l'anomalia succi- tata e che sposta la ultima dorsale dalla linea mediana, non offrono nulla di singolare; le marginali sono pure simili a quelle della graeca, solo il rapporto della lunghezza loro in confronto delle laterali è maggiore, ossia appajono più corte di quelle della graeca; le linee di sutura tra le dorsali e le laterali, sono assai più angolose di quello che non si verifichi nelle adulte della graeca e anche delle giovani della medesima. Le strie delle placche hanno la stessa disposizione di quelle della specie vivente, solo limitano un’ areola fortemente de- pressa, mentre nella graeca l’areola centrale delle placche dello scudo è quasi sempre piana o rialzata. Piastrone. Per quanto questa parte sia apparentemente più danneggiata per molte rotture e sia stata schiacciata da un lato dentro lo scudo è anche la più conservata; in essa si possono vedere benissimo le traccie delle suture ossee, oltre alle suture delle placche; tanto le une che le altre non meritano una descrizione spe- ciale, che meglio risulterà nei con- fronti numerici successivi, essendo la loro disposizione simile a quella della graeca; solo il xiphiplastrone appare più corto: ordinariamente nella vivente la linea di sutura delle Testudo amiatae; piastrone 1/s dalvero ossa marginali con le ossa del pia- strone è rettilinea, nella fossile la sutura superiore del meso- plastrone che cade contro la sesta marginale si unisce a questa col vertice di un angolo della marginale stessa; questa dispo- sizione non è però speciale, avendola ritrovata in un esem- plare della vivente ed in uno solo tra i molti che ho osservato. La testudo fossile è alta 86 mm., e la lunghezza del pia- strone è mm. 106,4; altri numeri per le dimensioni non è stato possibile di prendere con approssimata esattezza. 130 D. PANTANELLI Confronti numerici con la 7. graeca. Mi sono procurato il maggior numero possibile di esemplari della vivente ed ho preso sulle medesime tutte quelle misure che potevo prendere sulla fossile; in queste ricerche sono stato aiutato dai sigg. Della Valle, Del Prato, Brogi, Fiori, Macchiati, Piccaglia, Pollonera, Soli ed approfitto dell’ occasione per rin- graziarli vivamente. Le misure prese sono le seguenti che dispongo per ordine della loro importanza. I. Altezza del guscio e lunghezza del piastrone; II. Lunghezza delle placche dorsali laterali e delle placche marginali; III. Misure delle ossa dermiche del piastrone; IV. Distanza dei seni ascellari e femorali; V. Misure delle placche del piastrone. Come si vede sono tutti poveri confronti meno le prime due; riferendosi la prima alla forma generale, e la seconda alla lunghezza delle costole e come si vedrà più sotto sono quelle che si mantengono più costanti; la distanza dei seni ascellari è variabile assai nella vivente, come sono variabili tutti gli altri elementi che ho dovuto misurare per il seguente confronto; fatto d'altra parte ben conosciuto e già da lungo tempo, basti per ciò rivedere quello che ne dice Dumeril nella erpetologia generale pubblicata nel 1835. I. Altezza del guscio. Prendendo il rapporto tra la lunghezza del piastrone mi- surata sulla linea mediana tra i due intagli gulare e caudale e l'altezza del guscio misurato dal piano tangente al piastrone al punto più alto sulla terza dorsale, nella fossile è espresso da 123 una media tra 16 femmine della vivente darebbe psi tra undici maschi 1, 38 TESTUDO AMIATAE N. SP. dS4 I massimi scarti per le femmine sarebbero di 1,41-—1,59; per i maschi, 1,41—1,31; credo che un esame di un numero mag- giore d'individui non farebbe variare d’assai le medie prece- denti; ritenendo come si è già detto che la specie fossile sia stato un maschio, rimane sempre tra essa e il rapporto medio la differenza 0,15 della altezza del guscio, ossia una maggiore altezza di 0,15X86 = mm. 12,90 dalla media dei maschi della vivente; prendendo tra i maschi esaminati il più alto cioè quello per il quale il rapporto è 1,31 la differenza dell'altezza si ri- durrebbe a mm. 7,3... Gli scarti individuali precedenti possono a prima vista sembrare assai grandi, effettivamente sono pic- coli, se si confrontano con quelli delle misure seguenti. II. Rapporti tra le placche dorsali laterali e le marginali. Le placche dorsali laterali terminano contro la fine delle ossa costali, e la sutura delle placche laterali con le marginali corrisponde alla sutura delle ossa costali con le ossa margi- nali; i numeri seguenti indicano il rapporto tra la lunghezza della seconda placca dorsale laterale e la marginale corrispon- dente. Questo rapporto nella fossile è 1581 da media di trentadue viventi misurata sui due lati che si cor- rispondono a meno di un millimetro, è 1,45 con un massimo di 1,58 e un minimo di 1,27: quindi la dif- ferenza dalla media della fossile è 0,36 in più ossia di un terzo della lunghezza della placca marginale, mentre i massimi scarti nella vivente sono di + 0,13 a —0, 18 cioè di gran lunga in- feriori a quello della fossile: il sesso non ha influenza su questo rapporto. Se si riferiscono poi le due placche ad una stessa unità di misura, cioè alla lunghezza del relativo piastrone abbiamo per la fossile i rapporti ONOR 0A il rapporto stesso, medio di trentadue viventi, è 0, 406 0, 285 Sc. Nat. Vol. XII. 10 132 D. PANTANELLI con uno scarto massimo di 10033 0018 ed uno minimo di — 0,037 , — 0,031 mentre le differenze tra la fossile e la media vivente sono + 0, 174 + 0, 034 quindi effettivamente le placche dorsali sono più lunghe mentre per le marginali lo scarto potrebbe rientrare negli estremi della vivente. III. Rapporti tra leîossa dermiche del piastrone. Le misure prese sono le seguenti: Epiplastrone, lunghezza sulla linea mediana. Ectoplastrone, È z 3 È larghezza al termine delle suture del- l’hyoplastrone. Hyoplastrone, lunghezza sulla linea mediana. larghezza della sutura coll’ ectopla- SIE D E » strone. F. Mesoplastrone, lunghezza sulla linea mediana. G semilarghezza della sutura coll’hyo- H » plastrone. Xiphiplastrone, lunghezza sulla linea mediana. M. 5 semilarghezza deila sutura col meso- plastrone. Presi i rapporti delle diverse lunghezze con la larghezza della sutura del mesoplastrone coll’hyoplastrone che è stata chiamata G; si è ottenuto per la fossile e da una media di ven- titrè individui della specie vivente, i seguenti numeri: mo | Iunonezza È d. piastrone > Do (x) (=) m m TI Fossile 0,212| 0,651| 0,525) 04 0,432| 0,798 0,484| 0,775| 2,63 Media di ventitrà individui. | 0,279| 0,446] 0,438| 0,496) 0,355| 0,767] 0,520] 0,748) 251 Differenze con la fossile . | —0,067 | +0,205 | +0,087 | —0,007 | +0,077 | +0,031 | —0,036 | +-0,057 |+0,12 Scarti massimi dalla media. » +0,122 | +0,111 » + 0,042! 40,095 » +0,066 |+0,21 eee 0067 » » — 0,147 » » —0,070| » » TESTUDO AMIATAE N. SP. 133 Quindi le differenze con la testudo media rientrerebbero negli scarti della vivente, meno che per l'altezza dell’ectopla- strone e per la larghezza delle suture tra l’epiplastrone e l’ hio- plastrone: sarebbe quindi l’ectoplastrone più allungato e la parte superiore del plastrone relativamente più larga nella fos- sile che nella vivente. È stata presa per unità di misura la lunghezza G per evitare una sproporzione nei rapporti che avrebbe dato in seguito, delle differenze apparentemente grandi, come è successo per i numeri dell'ultima colonna, i quali come gli altri ridotti in misura assoluta media della lunghezza G che è mm. 41,4 ritornano ‘ad oscillare dentro limiti non troppo differenti tra loro. IV. Rapporti delle distanze dei seni ascellari e femorali. Le misure sono state prese perpendicolarmente all’ asse me- diano tra i punti nei quali le suture degli scudi pettorali e femorali si perdono nei seni rispettivi; i numeri seguenti rap- presentano i rapporti con la lunghezza del piastrone sulla li- nea mediana: per la fossile questi rapporti sono ascellare 0,559 femorale 0, 676 la media di cinquantatrè esemplari viventi è ascellare 0, 521 femorale 0, 608 per i quali 1 massimi scarti sono ascellare 0,597—0,442 femorale 0,764—0, 519 quindi le differenze della fossile, a, ascellare + 0, 038 femorale + 0,068 stanno dentro i limiti osservati nelle viventi che sono, ascellare + 0,076, — 0,079 femorale + 0,156, — 0, 089. V. Rapporti tra le lunghezze delle placche scudali. Le misure sono state prese sulla linea mediana, avvertendo che quando le due suture corrispondenti non s' incontravano 134 D. PANTANELLI esattamente sulla linea mediana di valutarle secondo una media tra le due suture. Chiamando a, b, c, d, e, f le successive lun- ghezze a cominciare dalla gulare e prendendo i rapporti con la lunghezza del piastrone tra gli intagli gulare e caudale si hanno i seguenti numeri: quiare | omerale | pettorale! | abdominale | femorale | caudale a b c d e f Fossile 2/2 2 | 0,109), 10,234] (0:064) 704230406) MOIO Media di cinquantatrè viventi. . - -| 0,149] 0,169| 0,084| 0,367| 0,096] 044 Differenze. . . . . . . - . |—0,040|] +0,065|-—0,020|+0,056|+0,010| —0,080 Massimi valori singoli nella vivente. + | 0,179) 0,223| 0,128) 0,402| 0,115) 0,169 Differenze in più con la media. . - » +0,054| >» +0,035 | +0,019| » Minimi valori singoli nella vivente . .| 0,108| 0,136| 0,057| 0,3143| 0,060] 0,108 Differenze in meno con la meda . .|—0,041| >» 0102 » — 0,033 Si scostano sensibilmente dalla media le lunghezze pettorali, abdominali e caudali; per le prime due lo scarto è piccolo e potrebbe forse sparire con l'esame di un maggior numero di esemplari; per l’ultimo invece è fuori della probabilità che possa trovarsi una specie vivente nella quale lo scudo caudale sia così ristretto: il valore assoluto per la fossile e il valore medio per la vivente sarebbe per lo scudo caudale. fossile mm. 6,4 vivente media mm. 16, 3. Avendo trovato due individui viventi col minimo rapporto 0, 108 le lunghezze assolute delle placche caudali, essendo le lunghezze del piastrone 111 e 92, sono 10 e 12 mm. respetti- vamente (misurate). Non mi sono accorto che le differenze sessuali o d'età con- dacano ad un ordine speciale di differenze nei numeri prece- denti; solo come si è già detto le differenze sessuali influiscono sull’altezza. IR TESTUDO AMIATAE N. SP. 135 Confronti con le specie fossili. Le testudo fossili conosciute d'Europa sarebbero le seguenti: A AO dl . T. antiqua. Bronn. Nov. act. Accad. Leopold 1831, vol. XV, Parte II, pag. 203, Tav. LXII a LXIV. Hohenhòwen. . CRAVERI. (E. Sism.). Portis, Alcun. foss. tert. Piem. e Liguria del- l’ord. Chel. Mem. Acc. Scien. {Torino Ser. II, Vol. XXXII, pag. 113, Tav. 3, fig. 1-2. S. Vittoria. . EscHERI. Pictet et Humbert. Mon. des Chel de la moll. de la Suisse 1856, pag. 17, Tav. I, II, III Weltheim. È Biedermann, Chel. tert. des environs de Winterthur (Trad. di Bourrit), pag. 19, Tav. IV, V. Ellg. . cicas. Bravard. Consid. sur la distrib. des mamm. tert. foss. dans le depart. du Puy-de-Dòme, 1844 pag. 13. Bournoncle-Saint- Pierre. . Lamanoni. Gray Syn. rept. ex Lamanon et Cuvier. Recherches sur les ossements fossiles. Vol. 5, 2 p. pag. 225. Tav. XIII, fig. 9, LORA a . marmorum. Gaudry. Anim. foss. et geol. de l’Attique. pag. 316, Pikermi. . PIcrETI. Biedermann (1. c.) pag. 18, Tav. II e IIa. Winterthur. . PERPIGNANI. Depéret. Vertébrés foss. du Roussillon. Ann. scienc. géol. 1885, Vol. 17, pag. 214, Tav. IV, fig. 13, 14. prarcers. Haberlandt. Jarb. der k. k. geolog. Reichsan. 1876, Vol. XXXVI, pag. 243, Tav. XVI. Kalksburg. punorata. À. Brongnart. Tableau des terrains etc. 1829, pag. 381. Mont la Molière. viroDURANA. Biedermann (1. c.) pag. 13, Tav.Ia I, II. Winterthur. Alle quali per la completa serie delle testudo fossili sì po- trebbero aggiungere le specie di Leidy dell'America ed alcune specie indeterminate specificamente di Pictet, Gaudry, Portis ec. Di tutte le specie precedenti le uniche che possono essere prese a confronto con la specie di Cinigiano sono la antiqua Bronn, la escheri Pict. e Humb., e la praeceps Haber.; le altre o non sì prestano per il confronto, o sono imperfettamente descritte o sono tali da escludersi per le loro grandi differenze con quella che qui si esamina. Dalla antiqua differisce principalmente per la larghezza ascel- lare e femorale, il rapporto tra queste larghezze alla lunghezza 136 D. PANTANELLI del piastrone è presso a poco la metà di quello che si trova nella graeca e nella fossile, e giustificano Bronn di avere av- vicinato la sua specie piuttosto alla 7. tabulata Walb. che alla T. graeca L.; sarebbe forse da osservarsi se non si dovesse piut- tosto avvicinare alla 7. nemoralis Ald., ma Bronn era buon pa- leontologo, ed avendo avuto a sua disposizione sette esemplari, non è permesso dalle sole figure insistere su questa questione. Per le differenze dalla escheri oltre l’ornamentazione super- ficiale differente trovo che la larghezza ascellare non conserva con la femorale quel rapporto che ha con la graeca e con quella di Cinigiano, cioè; mentre i quattro seni segnano in queste due ultime i vertici di un trapezio, nella escheri il trapezio è assai più prossimo al rettangolo di quello che non succeda nelle altre due. La placca caudale della escher:? è meno alta che nella graeca, non mai tanto come in quella che ora si esamina; l’ectoplastrone nella escherî almeno nelle figure, è nettamente esagonale come, nella vitodurana ed anche nella pictetî, mentre nella fossile è subpentagonale, nella vivente può essere subpen- tagonale, subesagonale ovale, ma sempre a linee suturali ar- rotondate; la maggiore differenza è nel rapporto tra le placche marginali e le laterali, che sono alte nella escheri (marginali) e basse in quelle del Monte Amiata, mentre le placche late- rali sono nella fossile più lunghe che nella escher: e il guscio viene ad essere quindi più alto e più convesso. La sua altezza potrebbe avvicinarla alla praeceps della quale non si conosce che il modello interno, ma il carattere comune a questa e alla escheri dell’ altezza delle placche marginali, l’allontana da ambedue: Per queste ragioni propongo per la testuggine di Cinigiano il nome specifico di Testudo amiatae ricordando tal nome la sua provenienza (1). Appartiene come la escheri, la praeceps ed anche l'antiqua al gruppo della 7. graeca dalla quale differisce principalmente nelle parti paragonabili per, 1.° una maggiore convessità dello scudo; (1) L’esemplare appartiene al Museo di Geologia della R. Università di Modena, TESTUDO AMIATAE N. SP. 137 2.° per la maggiore altezza delle placche laterali dorsali; 8.° per l'altezza delle placche marginali minore di quella che ordinariamente non sia nella graeca; 4.° per l’ectoplastrone più allungato; 5.° per lo scudo caudale più ristretto. A queste differenze che sono le più marcate, si potrebbero aggiungere le altre minori indicate nelle singole descrizioni. Resta a dir qualchecosa della anomalia sul numero delle placche che come si è avvertito è di quattro dal lato destro (lato figurato) e tre dal sinistro. La deviazione dal numero normale otto per le placche dorsali laterali nelle chersiti, ra- ramente accennata dagli autori, è meno rara di quello che si possa credere; essendomi passati per le mani molti esemplari della graeca ho trovato che il numero nove è raggiunto diverse volte; in un unico esemplare ne ho riscontrate undici cioè, sei dal lato destro e cinque dal sinistro; la quinta soprannume- rario sinistra era piccola e s'incastrava tra la prima e la se- conda senza raggiungere le placche dorsali, la sua ornamenta- zione era però simile a quella delle maggiori vicine: le sei placche a destra sembravano normali, per quanto naturalmente tutte più ristrette: in un solo esemplare ho trovato da un lato dodici marginali. Non essendomi mai occorso alcun caso nel quale il numero delle placche fosse minore del normale, mi nasce legittimo il dubbio che l'anomalia sia dal lato destro e che la Testudo amiatae dovesse avere normalmente sei placche dorsali laterali; questo dubbio, che non potrebbe essere risolto definitivamente che con un secondo esemplare, è avvalorato dal fatto che la la placca dorsale caudale è normale dal lato sinistro ossia delle tre placche, e deviata dal lato opposto. È stato detto in principio di questa nota che la Testudo amiatae doveva provenire da strati eocenici: è deplorevole che io non conosca la località precisa del suo invenimento; sono sicuro che proviene dai dintorni di Cinigiano: l'interno essendo sempre riempito d’arenaria in tutto simile a quella eocenica dei dintorni di Cinigiano, l’illazione che provenga da dette are- narie è perfettamente logica; potrebbe nascere il dubbio se in prossimità di detta località possano esistere arenarie apparte- nenti ad altri periodi geologici; questo è perfettamente escluso; 138 D. PANTANELLI — TESTUDO AMIATAF N. SP. arenarie simili non potrebbero appartenere che al cretaceo o al miocene; le arenarie cretacee non si trovano non solo at- torno al Monte Amiata, ma non credo neppure in Toscana, ammeno che non si venga a qualche straterello intercalato tra la pietra forte e in ogni caso assai lontano dal Monte Amiata; le arenarie mioceniche sono egualmente rare, mancano affatto attorno al Monte Amiata e anche a distanze considerevoli; per contrapposto le arenarie eoceniche sono enormemente svilup- pate in tutto il contorno del Monte Amiata e in tutti i monti vicini. Sarebbe per conseguenza la specie presente, la più antica del genere sufficientemente definita; il genere è conosciuto già nell’eocene, la 7. lamanoni Gray dedotta dalle figure di Cuvier (vedi nota preced. delle T. fossili) proviene dai gessi di Aix cioè dal parisiano superiore. È notevole la persistenza del tipo. Indubbiamente come è stato già detto, la 7. amiatae appartiene al tipo della 7. graeca come vi appartiene la 7. escherî e la T. praeceps: quindi, esso dall’eocene si sarebbe per il miocene perpetuato con leggiere variazioni sino al nostri giorni. Questa persistenza non era però completamente imprevedi- bile, conoscendosi altri fatti dello stesso ordine: la Lutremys del bacino pliocenico di Leffe è stata senza esitazione rife- rita da Sordelli e da Portis alla L. europaea vivente. Haber- landt aveva già notato la somiglianza tra la escheri, la prae- ceps e la graeca e lo stesso autore Capellini della Protosphargis veronensis del cretaceo di Vallpolicella, non ha nascosto le molte sue affinità con la Sphargîs coriacea Gray, unica vivente del ‘genere. Vuol dire che nonostante la ampiezza dei limiti dentro i quali può variare questo tipo, esso impiega o meglio ha im- piegato a partire dall'eocene per giungere a modificazioni di una probabile costanza, un tempo lunghissimo appena propor- zionale a quello che ad esso è necessario per adempiere alle diurne necessità della vita. Modena, Novembre 1891. A. D'ACHIARDI LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D’'AGNANO NEI MONTI PISANI Nel libro intitolato Considerazioni sulla Geologia della To- scana (1551) Savi e Meneghini parlando dei Monti Pisani inte- starono un capitolo —- Verrucano, sue anageniti e suoi schisti, e ne descrissero la serie litologica come risultante “ da anageniti quarzoso-steatitose, arenarie quarzose con talco, filladi e scisti composti degli stessi minerali, steascisti ec., cioè da rocce i cui elementi quasi sempre identici, il quarzo ed il talco, sono me- scolati in varie proporzioni e hanno varie dimensioni e varie forme. ,— Dell’anagenite dissero più particolarmente essere co- stituita di frammenti di quarzo collegati da pasta silicea e tal- cosa; definirono le arenarie come psammiti quarzose a grana fine di colore lionato, e come vere ardesie o filladi gli schisti tal- coso-silicei giallastri, rossicci o violacei costituiti di elementi minutissimi. E come tali furono sì fatte rocce considerate fino a che il De Stefani (!) nel 1876, riferendole al trias, le giudicò micacee anzichè talcose, ammettendo in esse la presenza di damourite o più probabilmente di pregrattite, potassifera però le prima, sodifera la seconda. Più tardi (1888) il Lotti nella sua memoria intitolata Un problema stratigrafico del Monte Pisano (?) riferisce queste mede- sime rocce al permiano, denominandole scisti micaceo-arenacei, () Geologia del Monte Pisano. Mem. del R. Comit. geolog. d'Italia, vol. III, parte 1.2, pag. 47. 1876. (2) Bollet. Comit. geol. d’Italia. 1888. N.0 1-2. pag. 30. Se. Nat. Vol. XII. 11 140 A. D'ACHIARDI arenaria quarzitica e pudinga quarzosa (verrucano). E le dice costituite da elementi allotigeni di quarzo bianco e roseo e di tormalinite nera cementati da un minerale micaceo autigeno. Questo vario modo di considerare tali rocce da prima come talcose indi come micacee toccò ad altre molte tanto italiane che forestiere, e fra gli altri il Groddeck (!) ci descrive gli schisti di varie regioni d’oltre Alpe e del Veneto da prima ritenuti come talchischisti e da lui indubbiamente riconosciuti come sericitici; e l’ Hintze (?) nel suo recente manuale di mineralogia parlando della sericite riporta una lunga litania di nomi e di lavori dal più antico del List (1550) ai più recenti di questi ultimi anni come contributo alla conoscenza di questa varietà di muscovite, il più spesso microcristallina, stata ben di sovente per lo innanzi scambiata col talco, fino a che l’analisi chimica ne smascherò la vera natura sotto la stessa apparenza, che i due minerali hanno al microscopio. Nessuna meraviglia quindi che anche le ricordate rocce del Monte Pisano abbiano subìto la sorte comune; ma poichè di esse nessuna minuta descrizione dei loro caratteri microscopici fu pubblicata, per quanto almeno io mi sappia, quindi il desi- derio in me e la ragione di questo lavoro, che concerne appunto queste rocce del Monte Pisano che più intimamente si colle- gano a quella nota col nome di anagenite e con l’altro locale di verrucano. Le rocce qui descritte furono in parte raccolte da me presso le sorgenti della così detta valle delle fonti d’Asciano, e pre- cisamente presso alla Scarpa d'Orlando e in parte e la mag- giore dal prof. Canavari nella stessa valle e nelle contigue d’Asciano e d’Agnano in alcune escursioni che vi facemmo re- centemente; e mi giova anzi qui riportare la serie rilevata dallo stesso prof. Canavari, ch’ ebbe pur la ventura di rinvenire nuovi fossili, probabilmente carboniferi, nella parte inferiore della serie stessa, onde convalidata in lui l'opinione, che fu anche di Savi e di Meneghini, le rocce del Verrucano doversi aseri- vere ai tempi paleozoici e verosimilmente almeno in parte al carbonifero superiore e permiano inferiore. (1) Zur Kenntniss einiger Sericit-Gesteine, Neues Jahrb. Miner. Geol. u. Pal. 1882. Beil. Bd. II. H. 1. S. 72. (£) Handb. d. Miner. Leipzig 1894. Lief. 4, S. 610. LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D' ASCIANO E D'AGNANO EC. 141 Le rocce da me studiate sono anageniti di grana diversa, arenarie quarzitiche e schisti, spesso intercalate fra loro e se- suentesi nell'ordine sotto allegato dalla valle d’Asciano per la Faeta, Scarpa d’ Orlando, fino al fianco sinistro della valle d’Agnano, procedendo da ponente a levante e stratigraficamente dall'alto al basso. 1. Schisti grigio-giallognoli assai compatti, che fan passaggio alle sot- ‘toposte arenarie, con le quali anche alternano. — A sinistra del fosso d’Asciano poco lunge dalla sorgente del Fusi. 2. Arenarie quarzitiche di color cecio o lionate. — Dalla casa della Toppa al colle di Mirteto. 8. Schisti grigio-violacei per struttura intermedi alle precedenti arena- rie (N. 2) e alle filladi immediatamente seguenti (N. 4). — Cima della Faeta. 4. Schisti filladici violacei con piccole macchie ovoidali bianche sparse qua e là. — Presso alla cima della Faeta. 5. Anagenite superiore in pochi strati. — Prato Nocell. 6. Schisti filladici grigio-violacei con macchie bianche ovoidali come N. 4. — Casa del Caprajo. 7. Arenaria quarzitica bianco-grigiastra più compatta e più chiara delle allegate al N.° 2. — Sopra Scarpa d'Orlando. 8. Anagenite inferiore. — Scarpa d'Orlando. 9. Schisti grigio-violacei con macchie violacee più scure o grigio-violacei di tuono più chiaro e giallognoli. — Presso alla sorgente della Scarpa d’ Orlando. 10. Arenarie quarzitiche grigio-giallognole e ceciate. — Monte di Costa Grande. 11. Schisti grigio-giallognoli chiari. — Fianco sinistro della valle d’Agnano. 12. Schisti grigio-verdognoli che si sfaldano più a lastre che a sfoglie. Sono in parte fossiliferi, ed è in essi che il prof. Canavari rinve- niva le impronte e modelli fossili di Lamellibranchi. — Fianco si- nistro della Valle d’Agnano. Tutte queste rocce, indipendentemente dalla loro posizione stratigrafica, si possono dividere in tre gruppi per la respettiva loro apparenza strutturale. Originariamente frammentarie non diversificano che per la grandezza degli ‘originari elementi, e procedendo a seconda di questa si hanno, senza nemmeno netti confini in ogni caso fra le une e le altre, I. Anageniti (Verrucano). II. Arenarie quarzitiche. III. Schisti. 149 A. D'ACHIARDI I. Anageniti. L’anagenite, che oltre alle cime montuose testè ricordate, altre pure ne forma, come alla Verruca, ond’anco il nome di verrucano, considerata quale una pudinga quarzosa dal Lotti e da me (!) per la natura del cemento, ritenuto micaceo, quasi come una grauvacca a grossi elementi, è l’ unica di queste tre sorta di rocce, nella quale si possano a occhio nudo o con la semplice lente riconoscere i minerali, che essenzialmente la co- stituiscono. Risulta di grossi frammenti allotigeni di quarzo, più o meno arrotondati, irregolari nella forma, bianchi per il solito, talvolta leggermente rosei per un pigmento che gli sporca all’esterno ma non sempre li compenetra, i quali giacciono in- viluppati in un cemento per gran parte almeno micaceo, e in parte quarzoso, l'una e l’altra sostanza cementizia autigena. La mica bianco-argentina o aureo-rossigna, minutamente in- crespata, è a credersi sericite o varietà affine. Altri minerali non sempre, nè facilmente si distinguono a occhio nudo; non mancano però, e lo studente Turi, che nel laboratorio da me diretto ne ha preso argomento per tesi di laurea ha in questo stesso anno nell’anagenite della Verruca oltre a queste specie essenziali e già note riconosciuto anche come grandemente su- bordinate tormalina, zircone, granato, anfibolo?, mu- scovite e rarissima biotite fra le allotigene; ematite, ru- tilo, talco? fra le autigene. Questi stessi minerali si rinvengono nell’analoga anagenite, che fa parte della serie delle rocce da me studiate. — Il peso specifico in esemplari a grana ordinaria e con proporzione me- diana di minerali costituenti riscontrai in più prove variare da 2,66 a 2,67. II. Arenarie quarzitiche. Dalla forma di conglomerato pudingoide, come nell’ anage- nite, rimpiccolendosi gli elementi allotigeni e insieme con essi rendendosi meno evidenti anche gli autigeni o cementizi, si (5) Guida al Corso di Litologia. Pisa 1888, 248. LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO F D'AGNANO 143 passa alle arenarie, dette quarzose dal Savi e dal Meneghini, quarzitiche dal Lotti, e volgarmente designate anche col nome di quarziti, di cui infatti hanno d’ordinario l'aspetto e in parte anche la costituzione. Di queste arenarie non tutte però formano un manifesto passaggio graduato alle anageniti. — Le superiori (N.° 2) e le inferiori (N.° 10) all’anagenite, e pur taluna (N.° 7) intercalata agli schisti, quelle tutte di colore grigio-biancastro e più co- munemente ceciate, o lionate come anche furono dette, ne di- versificano oltrechè per l'aspetto e colore in parte anche per la costituzione mineralogica e sopratutto per l’invertita pro- porzione dei carbonati e dell’ematite. Invece hannovi rocce pur esse di questa medesima serie, come le indicate al N.° 3, le quali con una certa tendenza alla schistosità presentano grana fine sì, ma più di anagenite che di schisto, e costituiscono un vero passaggio dall’anagenite alle filladi, rocce tutte violacee per larga copia di ossido ferrico. Conviene pertanto discorrerne separatamente, riserbando in modo speciale alle prime il nome di arenarie quarzitiche e riferendo le altre agli schisti sotto al nome di schisti anagenitici. Le arenarie quarzitiche della parte superiore (N.° 2) presen- tano tutte una grana più o meno fine essendo ora molto com- patte, ora con tendenza alla schistosità. Hanno colore grigio- giallastro, come di cecio, che osservato con la lente si risolve in un fondo grigiastro tutto pizzicato di punti gialli, in corri- spondenza ai quali non è raro osservare piccolissimi pertugi, che in taluni sono così fitti e copiosi da rendere microspugnosa la roccia, specialmente se raccolta alla superficie. Negli esemplari a grana più grossolana si riconoscono an- che con la lente i frammenti luccicanti di quarzo allotigeno immersi in una massa bianco-grigiastra appena tralucida. Con l'acido cloridrico tutte fanno effervescenza in polvere e a caldo, ma debolissima con bolle scarse e lente. Il peso specifico varia secondo la porosità della roccia da 2,45 a 2,64, quest’ultima cifra per altro non essendo stata da me riscontrata che per un esemplare di non comune compat- tezza, in tutti gli altri avendo trovato 2,45 —2,90. Al microscopio la roccia appare costituita essenzialmente e principalmente da piccoli pezzi allotigeni di quarzo, che in- 144 A. D ACHIARDI sieme a frammenti in numero incomparabilmente minore di altri minerali stanno immersi in una massa fondamentale o ce- mentizia autigena, che a luce ordinaria si distingue dal quarzo scolorito, fresco e trasparente che involge per la sua apparenza di vetro spulito. A nicol incrociati e con debole ingrandimento si ha immagine come di uno smalto alla veneziana. I frammenti di quarzo irregolari nel contorno variano per grandezza da strato a strato della roccia, ma pur anco, benchè in proporzioni di gran lunga minori, nello stesso esemplare. Ove la grana è più fine oscillano da mm. 0,05 a 0,15, di rado più piccoli, eccezionalmente più grandi. In ogni modo ne suole essere il diametro anche in esemplari a più larga grana abi- tualmente inferiore a mm. 0,25 ed anche assai meno. Eccezio- nali i grani di 1 mm. e più. D'inclusioni presentano frequentissime e spesso anche co- piose le liquide in foggia di irregolari minutissime livelle, come nel quarzo granitico; più rare di altre sostanze fra cui aghetti esili e lunghi di rutilo, che nulla hanno a che fare con i mi- croliti autigeni della stessa specie. Non però in tutti i pezzi di quarzo sì vedono queste inclusioni, e pur anco le liquido- gassose, che sono abbondantissime in alcuni, mancano in altri, lo che forse potrebbe far credere a provenienza diversa. E fi- nalmente a notarsi come nelle fenditure dei frammenti quar- zosi si osservino talvolta straccetti comunicanti all’esterno del minerale micaceo della massa fondamentale, prova evidente della sua generazione in posto. Cristalli o frammenti di cristalli feldispatici con evidenza delle loro qualità specifiche rari o mancanti; scarsissimi sopra tutto quelli di plagioclasio, di cui in una sola sezione giunsi a riconoscere due frammenti con la significativa struttura po- lisintetica tuttora manifesta malgrado la subìta alterazione. Dell’ortose invece se rari sono i frammenti ancora rico- noscibili all’ottico contegno, benchè sempre più o meno alte- rati, assai più frequenti sono le pseudomorfosi loro nella stessa sostanza della massa fondamentale. Infatti si vedono anco a luce ordinaria sezioni apparenti come di vetro spulito, e nelle quali è facile riconoscere talora le forme dell'ortose, e ne ho potuto misurare anche gli angoli fatti dall'incontro delle facce 001:100, 100: 101, 100:201.— Il più spesso però ci manca questo crite- LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 145 rio, trattandosi di sbriciolature, ma bastano i pochi esempi certi per avvalorare la presenza di frammenti di originario ortose in maggior numero che non apparisca. Per la massima parte, e insieme con essi la materia argillosa che verosimilmente gli accompagnava, sono scomparsi per dar luogo alla materia ce- mentizia; i rimasti con l'abito loro, osservati a nicol incro- ciati si presentano come un fitto e minuto feltro di selce e dello stesso minerale micaceo della massa fondamentale. Queste pseudomorfosi sono abituali di sì fatte rocce originariamente clastiche ; e il Groddeck (!) le menziona anche, benchè di altri feldispati, per le rocce sericitiche da lui descritte. Fra i minerali allotigeni debbono mentovarsi ancora; la mu- scovite scarsa; la biotite osservata in poche laminette ed in un solo esemplare; lo zircone in cristalletti e in frammenti arrotondati per rotolamento e più di rado come inclusione mi- crolitica nel quarzo; la tormalina scarsa e in frammenti di cristalli osservati in due sole delle varie sezioni di roccia esa- minate e cioè in quelle che tendono alla schistosità; ancora più scarso il granato ed osservato esso pure soltanto in alcune sezioni, e così e non sempre facilmente determinabile l’apatite. La massa fondamentale o cementizia derivata, almeno in massima parte, dalla decomposizione dei più decomponibili fra i minerali clastici originari, in particolar modo dai feldispa- tici, è principalmente costituita da silice, mica e siderose, se non sia altro carbonato ferruginoso affine. A piccolo ingrandimento già dissi come la si mostri con ap- parenza di vetro spulito, nel quale sieno praticati numerosi pertugi, facilmente riconoscibili a nicol incrociati e delimitati dal contorno limonitico, prodotto della decomposizione del car- bonato ferroso. Con forte ingrandimento e segnatamente poi a nicol incrociati silice e mica appaiono chiaramente distinti. La silice è per la massima parte in forma di quarzo au- tigeno costituito da piccolissimi grani cristallini a contorno po- liedrico sia incorporati col minerale micaceo, sia, come d'or- dinario, l’uno sull'altro addossati, onde frequenti aree e ve- nule più o meno estese nel campo del microscopio in foggia di mosaici a polarizzazione di aggregato. Oltre a ciò si ha pure (1) Neues Jahrb. Min. Geol. u. Pal. 1882. Beil. Bd. II; H. 4. S. 72. 146 A. D ACHIARDI apparenza in qualche punto di silice calcedoniosa e forse anco opalina, quale si osserva talvolta sulle pareti dei vacui lasciati dal carbonato decomposto. La mica è in così minuti straccetti che per ben individua- lizzarli occorrono forti ingrandimenti di 500 diametri e più; e la sì mostra allora in brindelli o lamine luccicanti a luce or- dinaria, e con disposizione e colori d’interferenza, quali sono anche propri del talco, onde il dubbio che potrebbe ancor ri- manere fra questa specie e una mica bianca. Il dubbio è però sciolto in favore di questa dalla osservazione che può farsi anche macroscopicamente dello stesso minerale nell’anagenite e dallo studio fisico-chimico fattone più specialmente per gli schisti (v. più sotto pag. 150). Credo siailcaso di sericite o varietà affine, intermedia forse ad essa e alla paragonite, se pur non sieno presenti tutte due le miche, l’una e l’altra avvicinandosi al talco per la disposizione delle lamelle. Le quali nelle varietà più compatte della roccia si distribuiscono per ogni verso abbrac- ciando come entro maglie i frammenti allotigeni di quarzo, da cui perifericamente irradiano, mentre nelle schistose o tendenti a schistosità in parte si dispongono anche per piani a questa paralleli; ed è a notare la prevalenza del cemento siliceo nelle prime, del micaceo nelle seconde. Terza materia cementizia autigena per ordine di abbondanza fu la siderose o altro carbonato affine; e dissi fu perchè del- l'originario minerale oggi non restano abitualmente che i vacui in forma di sezioni romboedriche sparse qua e là a profusione nella roccia e con tanto maggiore frequenza quanto più la roc- cia stessa ci appaja spugnosa e minore ne sia il peso specifico. La forma abituale di queste sezioni è del romboedro fonda- mentale 100, e i molti angoli, per i quali con l’oculare-goniome- tro trovai valori di circa 107° quasi mi assicurano che si tratti di siderose. Certo escludono la mesitina e altri carbonati misti di magnesio e ferro, essendochè i valori ottenuti non abbiano mai superato i 107°; onde se non di siderose, non può trattarsi che di specie intermedia a questa e alla calcite. Dell’autigeno carbonato per altro, almeno negli esemplari rac- colti presso alla superficie e da me esaminati, soltanto poco ci resta nelle trasparenti porzioni di laminette gialle, che quale residuo occupano ancora parte di quelle sezioni. Im maggior co- LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 147 pia, come prodotto della sua decomposizione, ivi è laiimonite, che in foggia di materia informe gialla e giallo-bruna contorna le sezioni stesse e spesso anche come leggero pigmento giallo- gnolo si diffonde nella massa circostante. Con la limonite in taluni dei vacui si osserva anche un po’ di silice opalina. Alcune sezioni oltre alle facce del romboedro fondamentale quelle pure presentano di altre forme; nè sempre sono isolati i cristalli, che talvolta anzi ci si mostrano a piccoli gruppi. Nella stessa massa cementizia e autigeni del pari si osser- vano, benchè soltanto con i più forti ingrandimenti, minutis- simi microliti semplici e geminati di rutilo, in numero però imcomparabilmente minore che negli schisti. E col rutilo qui pure scarsa anche l’ematite, che in esili laminette di color rubino o rosso-arancio, sparse qua e là, mi fu dato osservare soltanto in alcune sezioni. Dallo studio di queste rocce si vede come fra tutte le are- narie più che ad altre per il cemento siliceo si avvicinino alle quarziti; ma d'altronde la natura in parte anche micacea e carbonata del cemento le ravvicina pure alle grauvacche e ai macigni se non meglio alle arenarie ferruginose. In tale stato di cose anzichè denominarle decisamente quarziti, come sarei propenso a fare, accetto il nome dato loro dal Lotti di are- narie quarzitiche, che rivela il legame con le quarziti, preferendolo all’altro di arenarie quarzose usato da Savi e da Meneghini, che accenna solo alla natura del prevalente mine- rale allotigeno. Analoga alle precedenti è l’arenaria (N.° 7) che sta più in basso fra le due anageniti, e precisamente al di sopra del- l’anagenite inferiore. L’apparenza ne è per altro un poco diversa sia per la compattezza maggiore, ond’ anco il più alto peso spe- cifico, 2,66, sia per la tinta più chiara, bianco-sporca, sia an- che per la relativa scarsità dei punti gialli dovuti alla siderose o limonite derivatane. I frammenti allotigeni di quarzo, ricchissimi di piccole inclusioni liquide a livella, al solito irregolari nella forma e aventi ordinariamente un diametro maggiore di mm. 0,2—0,5, stanno immersi nella consueta massa fondamentale, in cui l’ele- mento micaceo è qui ancor più minuto. Molto più scarse sono le sezioni romboedriche di siderose e predominante il cemento 148 A. D' ACHIARDI siliceo, sia come quarzo granulare a polarizzazione d’' ag- gregato, sia con apparenza calcedioniosa; onde il carattere di quarzite più manifesto in questa che nalle superiori arenarie. Con le quali ha poi a comune, anche per la scarsità della loro comparsa, gli altri minerali accessori tanto allotigeni come zir- cone, tormalina e granato, quanto autigeni, quali il ru- tilo, la limonite e l’ematite. Mentre questa arenaria non forma che pochi strati; al di sotto dell’anagenite inferiore e precisamente degli schisti che a questa sottostanno è ben altrimenti sviluppata l’arenaria quar- zitica, che costituisce per intero il Monte di Costa Grande fra le due valli delle Fonti e d'’Agnano. L'aspetto ne è quasi come nelle superiori; e uguale pure il colore ceciato-chiaro, uguale la composizione mineralogica, almeno nelle poche sezioni da me esaminate. Vero è che in queste mi apparvero più abbon- danti i frammenti di feldispato alterato e l'alterazione spesso anche minore; e perciò anche meno sviluppata la mica strac- ciforme allotigena; più abbondanti l’ematite e il rutilo, meno la siderose, e l’ematite conservante ancora il nucleo rosso-arancio limonitizzata perifericamente; ma le son tutte differenze più di proporzione che di sostanza, e poichè forse anche nè meno costanti non valgono certo a sciogliere quei legami che connettono tutte queste rocce quarzitiche annove- rate in questo capitolo. III Schisti. Van distinti schisti anagenitici e filladi con schistosità evi- dentissima in queste, spesso appena accennata in quelli; la di- stinzione è però più di struttura che di sostanza. b. Schisti anagenitici. Struttura quasi di microanagenite presentano certe rocce (N.° 8) intercalate alle superiori arenarie quarzitiche e alle fil- ladi soprastanti alle anageniti, con le quali così come con queste hanno a comune il colore violaceo. E poichè si manifesta in esse una tendenza alla schistosità, e vedremo l'esame micro- scopico rivelare in tutte uguale costituzione per materiali solo LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 149 diversi nelle dimensioni, quindi il nome di schisti anagenitici per denotare la parentela e il passaggio dall'una all'altra. La grana ne è minuta, il colore grigio-violaceo-chiaro con macchiette gialle in alcuni esemplari come di minerale deco m- posto che abbia lasciato dei vacui. Con la lente si vedono anche dei punti bianchi luccicanti che paiono di mica. Il peso speci- fico è 2,61; quindi un poco minore di quello dell’ anagenite, in ragione verosimilmente di quei piccoli vacui. Osservata al microscopio con deboli ingrandimenti la roccia appare costituita in gran parte di frammenti di quarzo allo- tigeno, irregolari, con spessi segni di geminazione e immersi nella solita massa fondamentale con apparenza di vetro spu- lito, tutto sporco per altro qua e là da macchie grigio-nera- stre, che per riflessione danno bagliori grigio-metallici. I fram- menti di quarzo più o meno vicini fra loro, talvolta anche contigui, grandi abitualmente da 0,15—0,530 mm. e più se- condo la grana, occupando quindi d’ordinario così come nelle precedenti arenarie tutta la grossezza della preparazione ap- paiono ugualmente con franca tinta di polarizzazione, che è in- vece incerta e sfumata nelle filladi.— Con forti ingrandimenti mostrano le solite inclusioni liquide con unica bolla gassosa, d’ordinario molte, piccolissime e irregolari nella forma e solo per eccezione a contorno esagonale, ora sparse senz’ ordine, ora allineate; nè mancano di microliti cristallini, fra cui di zircone. Oltre al quarzo predominante come minerali allotigeni ri- scontransi qui pure: Ortose in piccoli frammenti rarissimi se conservati in modo da riconoscersi alle ottiche proprietà specifiche, più frequenti se per l'alterazione sofferta non conservano che il contorno della forma originaria e più spesso dei pezzi di sfaldatura. E in questo caso qui pure la sostanza feldispatica convertitasi negli stessi elementi della massa cementizia, in selce cioè e in mica microcristallina. Oligoclasio del pari rarissimo; forse in parte esso pure alterato e inriconoscibile. Granato in piccoli frammenti arrotondati; talvolta come di polvere granatica. In alcuni dei meglio conservati sono an- cora riconoscibili le facce rombiche. Taluni presentano un con- torno di alterazione chelifitica (/Celiplyt). 150 A. D ACHIARDI Muscovite in laminette flessuose a colori d’'interferenza vivacissimi rara. Corrisponde ai punti argenteo-luccicanti che si vedono con la lente e anche a occhio nudo. Clorite in esili lamelle più rara ancora, ed incerto se siavi e se allotigena. Zircone in cristalli rotolati, piccoli frammenti e inclusioni microlitiche nei quarzo. Tormalina in cristalletti rotti e a tinte giallo-verdastre. Rara essa pure. Apatite scarsa. La massa fondamentale o cementizia è costituita al solito. Osservata con forte ingrandimento si risolve prevalentemente ed essenzialmente in silice e mica autigene. La prima in foggia di quarzo microcristallino e calcedonioso si mischia alla seconda od occupa preferibilmente aree a se sola e talvolta anche assai estese. La seconda irradia dai frammenti di quarzo allotigeno, qui pure da lei imprigionati come in tante maglie, e solo là ove la roccia mostra segni di schistosità tende essa pure a distendersi nel verso di questa. Simile irradia- mento dai frammenti di quarzo fu già notato dal Wichmann (1) negli schisti sericitici del Taunus. L’apparenza ne è al solito di minuti stracci, somiglianti ai tricomi od emergenze interne di uno spicchio di limone, se osservata a luce ordinaria, alle lamelle di talco se a nicol incrociati. Tutto porta qui pure a ritenerla per sericite o per una varietà intermedia a questa e alla paragonite come farebbe credere l’analisi che ha fatto della roccia il mio aiuto dott. L. Busatti, e che qui trascrivo: SEO ran Ai EMMI TON ATTORI RE o 1 GR. PRETORIO O RO neo Re RO Caorso ae 09 Ro DEE ERE EA 02 Nas 0a a RL i ERRE Perdita per arroventamento . . . . 1,87 Magnesia, titanio, fosforo . . . . tn 100, 53 (4) Verh. Natur. Ver. Bonn. 1877. 4. 4.4. 4 3 - LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D ASCIANO E D AGNANO Sil Infatti mentre per più che metà delle loro dosi vanno certo riferiti la silice al quarzo e l’ossido ferrico all’ematite, da null'altro devono derivare A1,0,, Na,0 e K,0 che dalla mica, se ne togli una piccola parte che duri ancora come residuo dell’ alterazione dei minerali originari clastici. Se oltre alla mu- scovite allotigena sieno presenti due miche autigene, potassi- fera l'una sodifera l’altra, oppure una varietà intermedia alle due nè l’analisi, nè l'osservazione microscopica bastano a de- cidere. Al microscopio non osservasi diversità alcuna, e d’al- tronde l’abituale associazione della soda alla potassa in tutte le miche alcaline e la corrispondenza di tipo strutturale nelle molecole della muscovite (H,K AI, [Si 0,];) e della paragonite (H, Na AI, [Si0,];) rendono probabile l'associazione loro in una varietà all'una e all'altra specie intermedia. Inoltre si cono- scono miche, come la eufillite (EupAyllit) di Unionville in Pen- silvania, che furono riferite alla muscovite malgrado le preva- lenti .dosi della soda, e inversamente altre con predominante potassa che furono ascritte alla paragonite; e nelle sericiti stesse si contiene sempre più o meno e non di rado anche quantità notevole di soda; onde, malgrado le dosi un po’ esa- gerate di alcali e specialmente di soda può dirsi che l’analisi confermi la diagnosi di mica bianca affine alla sericite e alla paragonite, mentre esclude addirittura il talco come specie cementizia fondamentale. Le tracce, sensibilissime sì ma sempre tracce di Mg0, se non alla mica stessa, sono verosimilmente dovute a qualche rara, sporadica laminetta di clorite, di cui sospettai la presenza in un solo esemplare. Oltre a sì fatta mica e alla silice, a differenza delle pre- cedenti arenarie è qui nel cemento abbondante l’ematite, sparsa in rare laminette rosse-rubino e rosse-arancio o ammuc- chiata in cumuli di grani cristallini, che han quasi aspetto di grafite e si presentano come macchie nere a luce trasmessa e nelle immagini fotografiche. L’ossido ferrico svelatoci dall’ana- lisi è per la quasi totalità dovuto a questa ematite, che funge anche da pigmento specialmente in foggia di minutissimo pul- viscolo, quale soltanto con i più forti ingrandimenti può risol- versi nelle caratteristiche lamelle rosse-rubino. La siderose o calcite ferrifera che sia od in sua vece i residui della propria alterazione, così frequenti nelle arenarie 152 A. D ACHIARDI quarzitiche superiori sono qui di gran lunga subordinati al- l’ematite; non mancano peraltro, che se in alcuni esemplari è difficile riscontrarli, in altri e di altri strati hannosi invece as- sai di frequente. Ne fa testimonianza anche l’effervescenza, de- bolissima sì, ma pur visibile con acido cloridrico, in scarse e lente bollicine gassose. Il rutilo autigeno in microliti entro la massa micacea è raro, e ciò in accordo con quanto fu già osservato nelle filliti, nelle quali la sua abbondanza è in ragione inversa di quella dell’ematite. b. Filladi. Delle rocce decisamente schistose che fanno parte dell’in- tera serie sopra allegata conviene distinguere la superiore a tutte (N.° 1), l’intermedie di colore violaceo che s'intercalano alle anageniti e con le quali hanno i più stretti legami di co- stituzione e le inferiori (N. 11 e 12) della valle d’Agnano. Lo schisto superiore grigio-giallognolo è quasi una forma schistosa delle sottoposte arenarie quarzitiche, alle quali anche fa passaggio e s'intercala. Al microscopio infatti ci rivela la stessa struttura salvo la minore dimensione dei frammenti al- lotigeni di quarzo, la mancanza delle sezioni romboedriche di siderose e la copia di ematite, che lo ravvicina agli schisti anagenitici. Nel quarzo aliotigeno le solite inclusioni liquide. Degli altri minerali pure allotigeni più frequenti la musco- vite, la tormalina, non raro lo zircone. Copiosa la si- lice cementizia in foggia di quarzo microgranulare, di opale e calcedonio; copiosa anche la solita mica autigena in piccoli stracci, orientati sì in tutte le direzioni, ma con pre- valenza in determinati piani corrispondenti alla schistosità, in armonia allo stato della roccia intermedio al psammitico e allo schistoso. I microliti di rutilo sono anch'essi in proporzione intermedia. Intermedio ne è pure il peso specifico 2,67. Fra gli schisti anagenitici (N. 3) della valle d’Asciano e le arenarie quarzitiche della Costa Grande a piani diversi e in- tercalati alle anageniti stanno le filladi violacee, che costitui- scono i piani acquiferi d’Asciano, degli Ontanelli, della Scarpa d'Orlando adducendo alla superficie l’acqua raccolta e filtrata dalle anageniti e altre rocce quarzitiche. i) 4 LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 153 La struttura è decisamente schistosa; la grana finissima in tutte e benchè meno pur sempre sottile anche nell'unica rac- colta sul contatto superiore dell’anagenite (N.° 5) e che per la minore schistosità fa quasi passaggio agli schisti anagenitici. ll colore è violaceo con tuono e sfumature diverse, ora scuro, ora grigio-violaceo chiaro, ora come di spigo, ora come di fec- cia di vino. Spesso si osservano qua e là piccole macchiette ovoidali bianche, specialmente negli schisti superiori, tal’ altra volta, come presso alla Scarpa d'Orlando, chiazze violette in fondo più chiaro, e macchie giallastre non sono rare special- mente in esemplari presi presso alla superficie. Con la lente poi e in parte anche a occhio nudo si veggono qua e là lucci- care piccolissime laminette di mica bianca, che ben si distinguono dall'altra mica, che negli esemplari più decisamente schistosi pur vedesi distesa sui piani stessi della schistosità come un esilissimo velo increspato aureo-argentino. Il peso specifico tro- vai variare da 2,67 a 2,74; maggiore quindi che in tutte le altre rocce della serie studiata. Con gli acidi non fanno effer- vescenza. Al microscopio anche questi schisti appaiono essenzialmente costituiti da frammenti allotigeni di quarzo immersi in una massa cementizia siliceo-micacea ricchissima di ematite. I frammenti’ di quarzo sono ben più piccoli che nelle are- narie quarzitiche e schisti anagenitici, di rado raggiungendo mm. 0,05--0,10; eccezionalmente mm. 0,2 e più; onde avviene che non occupando spesso tutta la grossezza della preparazione non ci mostrano a nicol incrociati contorni nitidi e franche tinte di polarizzazione come nelle arenarie quarzitiche, ma om- bre e sfumature nero-grigio-azzurrognole. I frammenti maggiori appaiono assai distanti fra loro; ma fra essi innumerevoli sono forse i minori, che in foggia di polvere quarzitica per il so- vrapporsi dei grani sottilissimi riesce difficile distinguere dal quarzo microgranulare autigeno. Nei grani frammentari il contorno è sempre più o meno scabro per l'attrito sofferto e non è raro di osservarvi le significative inclusioni liquide a li- vella. Con forti ingrandimenti e in sezioni normali alla schi- stosità si vede anche una prevalente disposizione per piatto nel piano di questa. Di altri minerali allotigeni, ma sempre e di gran lunga su- bordinati od accessori, si hanno: 154 A. D ACHIARDI Ortose — Assai più raro che nelle arenarie quarzitiche, e quasi esclusivamente alterato in mica e silice, riconoscibile, e solo eccezionalmente, alla forma dei pochi frammenti meglio conservati. Oligoclasio — Rarissimi frammenti riconoscibili alla strut- tura polisintetica e angoli di estinzione. Ed esso pure al pari dell’ortose non riscontrato che in alcuni esemplari e quasi per eccezione. Muscovite — In laminette argenteo-lucenti, flessuose e qua e là sparse nella massa cementizia, dalla cui mica auti- gena si distinguono facilmente per la tanto maggiore grandezza, rottura e distacchi delle lamine superficiali, onde alle volte, e forse per un principio anche di alterazione che ne deriva, appaiono a nicol incrociati come costituite da una lamina me- diana omogenea, più o meno grossa a vivaci colori d’interferenza corrente fra due strati sopra e sotto ancora più flessuosi, fina- mente striati (per il distacco delle lamine) e con bassi colori d’interterenza come di silice. Le porzioni alterate ora mancano affatto, ora sono più o meno estese; in qualche caso anche manca invece la parte mediana inalterata. Questa mica allotigena abitualmente in scarse lamine e di gran lunga subordinata alla autigena, diventa se non preva- lente su questa, almeno molto copiosa in un solo degli esem- plari da me esaminati e di quella roccia violacea meno schi- stosa delle altre e che già dissi costituire come un passaggio agli schisti anagenitici. Ed è in questo stesso esemplare che le laminette allotigene di muscovite presentano al massimo grado quell’alterazione periferica testè ricordata. Biotite — Osservatane una sola laminetta fra i molti esem- plari di roccia esaminati. Tormalina — Assai frequente in piccoli cristalletti e fram- menti di cristalli, il cui diametro trasversale è spesso inferiore a mm. 0,5, avendone misurati pur molti di più piccoli fra mm. 0,010, 03, e anche meno. Questi cristalli o frammenti giacendo per la massima parte distesi a seconda dei piani di schistosità si scorgono ditficilmente nelle sezioni normali a que- sta, mentre nelle parallele li fa subito riconoscere il forte pleo- croismo con notevole assorbimento. Il colore ne è assai chiaro da un celeste-verdognolo palli- ni er 3 si LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 155 dissimo nel verso del minimo assorbimento a un verde-violaceo nel verso del massimo, od anche da un giallo-celestognolo ad aZzurro-Spigo. Zircone — Per il solito in piccoli frammenti o in cristal- letti rotondeggianti per il sofferto rotolamento; in qualche raro caso anche con le forme tuttora riconoscibili del prisma e della piramide (100, 111). | Granato — Più raro assai dello zircone in piccoli granel- lini giallo-rosei pallidi, estinti completamente o quasi fra i nicol incrociati. Apatite — In rari e piccolissimi cristalli bacillari come in- clusione di altri minerali allotigeni. Pirosseno e peridoto incerti — Se mai qualche piccolo frammentino, che verosimilmente potrebbe meglio riferirsi allo zircone tanto più che sogliono mancare molti dei segni sicura- mente significativi dell'una e dell'altra specie. Incerta pure e se mai in un solo esemplare osservata la presenza dell’an- dalusite. Finalmente come singolare corpo allotigeno un radiolo o aculeo siliceo di una Radiolaria, spuntato all'estremità supe- riore e con largo canale interno. Il medio diametro trasversale è di mm. 0,025 circa. Per la forma richiama alla memoria i radioli di Heliosoma e Dictyophimus descritti recentemente dal Rust (4), e specialmente del Dictyophimus dubius del carbonifero di Sicilia. Tutti questi minerali sono inviluppati dalla massa fondamen- tale cementizia qui pure prevalentemente costituita di mica- sericite e di silice e qui anzi con maggiore sviluppo che nelle forme quarzitiche. La silice, più visibile nelle sezioni parallele che nelle nor- mali alla schistosità, non appare più con prevalente e ma- nifesto carattere di quarzo autigeno microgranulitico a po- larizzazione d’aggregato, ma con tinte e lumeggiamenti più di opale e di calcedonio. Nè posso asserire che questa appa- renza sia sempre dovuta a silice autigena, che vi è certo e forma anche con aspetto opalino o calcedonioso piccole vene; la potrebbe anche in parte almeno, e propendo per crederlo, (1) Beitr. zur. Kenntn. d. foss. Radiolarien aus Gesteinen d. Trias u. palaco- zoisch. Schichten. — Palacontograf. Stuttgart 1892. 38. 3-6. Se. Nat. Vol. XII 12 156 A. D'ACHIARDÎ essere data da minutissima polvere allotigena di quarzo. La so- prapposizione dei suoi minuti grani spiegherebbe quei lumeg- giamenti ondulati e sfumanti. La mica è la stessa delle altre rocce descritte; è una mica bianca, stracciforme, con apparenza di talco al microscopio e con prevalente disposizione delle sue piccole lamelle distese nei piani della schistosità, come in special modo si osserva ponendo la preparazione con questi stessi piani ad angolo di 45° coi nicol. La stessa apparenza ho pure osservato in vari schisti fo- restieri e fra gli altri nei così detti Erucktschiefer di Torpersdorf presso Oetnnitz (Sassonia) nei quali si attribuisce a sericite. È a sericite o altra varietà affine di muscovite già dissi che debba pur riferirsi la mica autigena stracciforme di tutte queste rocce, come mi confermano anche per queste filladi al- cuni saggi microchimici fatti col metodo di Boricky, e lo stesso peso specifico che tenendo conto del quarzo e della silice amorfa, non potrebbe essere così elevato se si trattasse di talco. A queste due specie tien dietro per abbondanza l’'ematite, onde il colore violaceo della roccia, abbondante sì, ma molto meno che negli schisti anagenitici precedentemente descritti. Al microscopio appare in laminette di colore rubino o rosso- arancio e tralucide se sottili e isolate, scure e grigio-metalliche per riflessione se grosse o accumulate. Innumerevoli e picco- lissime sono quelle della prima sorta, fittamente sparse per tutta la roccia e segnatamente in mezzo alla mica e alla silice autigene, mentre accumulata ed opaca l’ematite osservasi pre- feribilmente attorno ai frammenti di quarzo allotigeno, ma in ogni modo sempre come parte della massa cementizia. Innumerevoli sono pure e d’ordinario anche estremamente piccoli i microliti giallognoli o quasi scoloriti di rutilo, ora isolati ora e più spesso in sciami. Se il numero però ne è sempre grande, è pur molto variabile da esemplare a esemplare e an- che grandemente ridotto ove sovrabbondi l’ematite. A dif- ferenza dei microliti sottilmente aghiformi inclusi nel quarzo allotigeno, questi, che sono invece autigeni, non appaiono mai così sproporzionatamente allungati, ma sono invece compara- tivamente brevi e spesso anche in più modi geminati. Ne ho misurati diversi coll’oculare-micrometro a vite, e ho trovato 4 p' . >, LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'Agnano 157 di rado lunghezze superiori ai mm. 0,005, mentre d’ordinario nel diametro trasversale non raggiungono mm. 0,001. In taluni e più fini esemplari (e sempre e non pochi in tutti) sono tanto piccoli che non son riuscito a prenderne la misura con ingran- dimenti di 600 volte, restando il loro diametro trasversale in- teramente coperto dal filo del reticolo. Negli esemplari a meno evidente schistosità ne è il numero molto minore. La siderose, tanto frequente nelle arenarie quarzitiche, scarseggia invece, se pur non manchi, nelle filladi violacee, nelle quali ne tiene il posto l’ematite. Per altro non manca e ne ho osservato alcuni pochi cristalli alterati al solito con scom- parsa più o meno completa del carbonato e con residuo giallo di limonite diffusa attorno attorno. In alcuni pochi esemplari ho pur veduto qualche rara la- minetta di clorite. Tali i minerali autigeni e allotigeni di queste filladi, in ta- lune delle quali già dissi apparire nel fondo violaceo piccole macchie biancastre ovoidali. Osservate al microscopio queste aree bianche mostrano la stessa struttura della rimanente roc- cia, salvo la mancanza o quasi dell’ematite. Ivi i soliti fram- menti di quarzo e di tormalina; ivi la solita mica strac- ciforme, ivi i soliti microliti di rutilo ec. E questi sono anzi in numero incomparabilmente maggiore, come era da preve- dersi per la mancanza dell’ematite, le due specie compensandosi a vicenda. L’apparenza di steatite, che a occhio nudo pre- sentano queste macchie, qui più che altrove mi aveva fatto sospettare della presenza del talco. Per accertarmene trattai la sostanza con acido idrofluosilicico secondo il metodo Boricky, e vidi formarsi in gran numero piccoli cristallini, cubici e cubo- dodecaedrici di fluosilicato di potassio e altri pochissimi un poco più grandi e romboedrici verosimilmente di fluosilicato di magnesio. La grande prevalenza dei primi conferma che il minerale stracciforme a vivaci colori d’interferenza debba qui pure ascriversi alle miche bianche potassifere. Dallo studio di questi schisti risulta per me chiaramente che non sono talcosi; che si avvicinano alle filliti, dalle quali però diversificano per la mancanza o quasi della clorite e as- soluta assenza di cloritoidi, mentre per l'abbondanza e picco- lezza dei microliti di rutilo si avvicinano agli argilloschisti. 158 A. D' ACHIARDI A questo stato intermedio io volli riserbato il nome di fil- ladi (4), e quantunque in questi schisti violacei non sia ricono- scibile un vero e proprio residuo argilloso allotigeno, pure nella presenza della indetinita polvere quarzosa in parte almeno vi s' intravede, e così io ritengo che anche ad essi schisti possa applicarsi il nome di filladi. Per me non sono che una facies speciale dell’anagenite o verrucano, e cioè la forma filladica della stessa formazione. Al di sotto delle arenarie quarzitiche di Costa Grande (N.° 10) succedono schisti d'altro colore, grigio-giallognoli (N.° 10) e gri- gio-verdognoli (N.° 12), quest’ ultimi, che chiudono la serie stu- diata, fossiliferi. Gli schisti grigio-giallognoli superiori ai fossiliferi hanno grana fine omogenea e nella frattura non poca rassomiglianza con alcuni calcischisti; ma di calcare poco o nulla contengono perchè trattati con acido cloridrico non danno che scarsissime bollicine gassose. Sul fondo giallastro si osservano con la lente rarissime laminette lucenti di mica nei piani della schistosità. Il peso specifico varia da 2,59 a 2,62. Al microscopio la roccia si mostra costituita da una massa quasi scolorita, biancastra tutta cosparsa d’innumerevoli lamelle e granuli di forma per lo più irregolari, semitrasparenti o tra- lucide e di colore giallo-chiaro, più di rado giallo-arancio. Con forti ingrandimenti questa massa si risolve in più parti, osser- vandovisi minerali allotigeni e altri autigeni che costituiscono la vera massa fondamentale. Tra i minerali allotigeni vengono qui pure primi per copia i soliti frammenti di quarzo piccolissimi (di rado mm. 0,05) avvolti in fasce parallelamente ondalate di mica bianca strac- ciforme, ricchi d’inclusioni microlitiche e fra le altre anche di apatite. Seguono la muscovite in rare laminette fles- suose, lo zircone in cristalletti o frammenti ricco pur esso d'inclusioni, il granato in rari granellini e più che negli altri schisti frequente la tormalina. La quale in frammenti o in cristalletti quasi scoloriti se osservati nella direzione del mi- nimo assorbimento e di colore spigo se in quella del massimo, non è raro che presenti faccette, specialmente all'estremità, (1) D’Achiardi — Guida al Corso di Litologia. 1888, p. 408. LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 159 con evidenza di emiedria. Ho misurato con l’oculare-goniometro diversi angoli e riconosciuto in alcuni cristalli le terminazioni 111 e 100-111; 100-110 e 111. Fra i minerali autigeni della massa fondamentale primo è la solita mica stracciforme quasi esclusivamente distesa nei piani della schistosità, indi il minerale giallo in piccole la- melle, e con esso il rutilo in microliti innumerevoli, ancor più numerosi e più piccoli che nelle filladi violacee, sparsi in tutto il fondo della roccia indistintamente, e il tutto cementato poi da silice con avparenza opalino-calcedionosa. Alcune delle lamelle gialle tralucide sono di ematite alterata; ne fa testimonianza anche il contorno spesso esagonale, il colore più intenso quasi aranciato, e sovente anche un nucleo rosso che internamente ripete la figura dell'esterno contorno, onde un’ ap- parenza zonale, ed è come il residuo dell’originaria ematite. A nicol incrociati l'estinzione costante nelle sezioni esagonali e a 0° in quelle allungate nel senso dell'asse sono altra conferma della determinazione specifica. Là ove queste lamelle ematiti- che si accumulano ivi anche a occhio nudo si scorgono mac- chiette di colore più scuro sul fondo della sezione. Le altre lamelle, non esagonali, il più spesso irregolari prive affatto di colorazione zonale, a tinta giallo-pallida, a traluci- dità maggiore, che non si estinguono come quelle e presentano non di rado in lor vece un vacuo di soluzione, ritengo sieno qai pure da attribuirsi piuttosto alla siderose quantunque le se- zioni romboedriche non appariscano che per eccezione. L'ultima roccia della serie, lo schisto grigio-verdolino, in nulla diversifica dalla precedente tranne nella scarsità della sostanza gialla, che in quella costituiva il pigmento, onde la colorazione diversa. Il peso specifico ne è 2-68. I frammenti di quarzo allotigeno sono ancora più piccoli, essendone il dia- metro ordinariamente al di sotto di mm. 0,04, e stanno anche a maggior distanza fra loro per maggiore prevalenza che qui acquista la massa autigena derivata dalla parte decomponibile dell'originario materiale argilloso di sottigliezza estrema. Più fitti appaiono questi frammenti nelle sezioni normali alla schi- stosità apparendo anche distesi nel verso stesso della mede- sima. Abbondantissima è la tormalina in cristalletti poli- cromi e in frammenti ancora più piccoli che d’ordinario, ma 160 A. D'ACHIARDI con terminazioni emiedriche non di rado anche determinabili. Null’altra differenza ho a notare con lo schisto precedente. Entrambi differiscono dalle altre rocce tutte e pur anco dalle schistose dell'intera serie più che per i minerali predominanti, quarzo e mica presenti sempre, per i secondar), e specialmente per la scarsità o mancanza dell’ematite inalterata e maggior frequenza e copia in sua vece di rutilo e di tormalina. ’ Dallo studio di tutte queste rocce si può adunque conclu- dere essere le une alle altre collegate per stretti legami di parentela, quantunque minori per le due ultime, confermandosi per ciò quanto già avevano intraveduto Savi e Meneghini. L'aspetto diverso di anagenite, di arenaria o di fillade è solo in relazione alla grossezza degli originari materiali allotigeni, questi però furono sempre gli stessi salvo forse le proporzioni alquanto diverse, e furono verosimilmente quarzo, feldispati e mica come principali costituenti, e come subordinati tormalina, zircone, granato ec., minerali tutti che accennerebbero a una provenienza per sfacelo di rocce granitiche, gneissiche o altre affini; deduzione più che supposizione convalidata anche dalla presenza nei frammenti di quarzo di numerose inclusioni li- quide con bolla gassosa. 0.$ Di questi originari materiali allotigeni il quarzo, salvo forse in alcuni casi un po’ di superficiale corrosione, si è conservato in tutte dai grossi frammenti come nell’ anagenite ai grani mi- nutissimi di polvere di appena qualche centesimo di millimetro come nelle più fini filladi. Così pure i frammenti di tormalina, di zircone, di granato ec.; questi ultimi però talvolta superfi- cialmente decomposti. E conservata si è pure la mica muscovite le cui lamine per altro non si possono dire scevre affatto di alterazione, almeno nelle porzioni superficiali che sonosi spesso come sfogliate. E alterazione certa e profonda devono aver su- bito le lamine di mica nera, che verosimilmente accompagnò gli altri minerali granitici, dappoichè solo per eccezione osser- vata, e così con essa, se vi erano, anche l’anfibolo e il piros- seno non meno facilmente decomponibili. Degli altri minerali allotigeni i feldispati sono in generale completamente alterati, e negli schisti anche maggiore è l'al. LE ROCCE DEL VERRUCANO NELLE VALLI D'ASCIANO E D'AGNANO 161 terazione, onde mentre nell’arenarie non è raro che i cristalli o frammenti loro conservino ancora l'originario contorno, nelle filladi invece quasi più non se ne conserva traccia, in ragione certo della maggiore minutezza dei materiali allotigeni di queste, i quali soffersero nel loro trasporto più facili e profonde al- terazioni. Forse in parte almeno nell’atto del deposito già eransi trasformati in materia caolinica, fondamento delle argille, alle quali verosimilmente a tempo della loro sedimentazione, queste rocce oggi filladiche avrebbero dovuto ascriversi. I prodotti della alterazione feldispatica furono senza dubbio silice e mica potassio-sodifera, che come autigene costituiscono la ma- teria cementizia, interstiziale non solo, ma pseudomorfica anche dello stesso ortose a dimostrarne maggiormente la derivazione. La differenza comincia per le varie rocce negli altri mine- rali avendosi ora ematite più che rutilo, ora siderose in- vece di ematite, ma se si pensi che siderose ed ematite sono due specie dello stesso metallo, il ferro, la cui prove- nienza va verosimilmente ricercata nella scomparsa di mine- rali ferriferi, quali le miche nere, gli anfiboli e i pirosseni, se non nella stessa magnetite ossidatasi in oligisto, e se si pensi che il titanio non solo è nel rutilo, ma può essere an- che nell’ematite, si sarà propensi ad attribuire sì fatte dif- ferenze da roccia a roccia anzichè a diversa costituzione e de- rivazione degli originari materiali ad azioni secondarie e di minore importanza. La proporzione diversa dei materiali allotigeni in ragione della distanza percorsa, le alterazioni loro pure diverse a se- conda di questa e della dimensione dei frammenti, come sa- rebbe in un'arenaria di fronte a un argilla, la diversa per- meabilità degli originari sedimenti e successiva azione di acque circolanti più o meno facilmente in essi e forse anche diver- samente mineralizzate, sono altrettante cagioni, che insieme ad altre che sfuggono all'indagine, dovrebbero bastare a spie- gare queste apparenti diversità. Sono certo per me più che sufficienti per insistere ancora nell’ affermare o meglio nel con- fermare che si tratti soltanto di facies diversa di rocce spet- tanti ad un'unica formazione litica. ION I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS NEL SARRABUS (SARDEGNA) ___ DESCRIZIONE PETROGRAFICA per il dott. LUIGI BUSATTI Aiuto e Libero Docente di Mineralogia nell'Università di Pisa Dall’ing. Stefano Traverso fu donata al Museo geologico universitario di Pisa una bellissima ed importante collezione di rocce del Sarrabus, una delle regioni sarde, come è noto, me- glio studiate sotto l'aspetto geologico e minerario dall'ing. C. De Castro (!) e dall'ing. Stefano Traverso (?) e dallo stesso (3) anche recentemente illustrata in un lavoro geologico sulla Sar-. degna. Il direttore del predetto museo prof. Mario Canavari, dettemi incarico di apparecchiare di questa collezione le sezioni microscopiche ponendo così a mia disposizione un tanto ricco materiale di studio. Sono in grado oggi di dare principio alla pubblicazione dello studio eseguito di questa collezione prendendo le mosse dai por- fidi di Tuviois, i quali ne costituiscono buona parte e perchè di questi non dettero analisi microscopica il dott. Lacroix (4) del Collegio di Francia, l’ing. V. Sabatini (9) del Corpo delle Mi- niere ed il prof Bucca (°) di Catania, i quali si occuparono della determinazione micrografica di rocce provenienti da varie lo- (1) C. De Castro — Descrizione geologico-mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Sardegna). Memorie descrittive della Carta geolog. ital. Vol. V, Roma 1890. (2) S. Traverso — Note sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus (Sardegna). Torino 1890. (?) S. Traverso — Note sulla tettonica del siluriano in Sardegna, Att. d. Soc. Ligust. d. Sc. nat. Ann. III. Vol. III, Genova 1892. (4) S. Traverso — Note sulla geologia ecc., pag. dl. (5) (6) C. De Castro — loc. cit., pag. 30, 31, 32. I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. 163 calità del Sarrabus. Dal Lacroix però fu già data la determi- nazione di un campione di roccia proveniente da Tuviois ed a pag. 13 della memoria del ricordato ing. Stefano Traverso “ Note sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus , la troviamo indicata con la denominazione di “ Porphyre à quartz globulaire, passant au porphyre pétrosiliceux ,. Anche il De Castro (!) ricorda i porfidi di Tuviois incidentalmente, ri- ferendoli ora ai “ porfidi felsitici , ora ai “ porfidi microgranu- litici ,, non dando però di essi alcun cenno dello studio mi- croscopico. Se a queste ragioni, si aggiunge la conoscenza che porto di alcuni minerali nuovi del tutto per i porfidi di Tuviois e delle particolarità che ho ritrovato negli altri minerali già noti, mi sembra di avere giustificato lo scopo di questo mio lavoro; il quale se anche tenuamente contribuirà allo studio della petro- grafia sarda, ne sarò ben contento. Prima di passare alla descrizione macroscopica e microsco- pica di ciascuno dei cinque campioni che ho scelto tra i por- fidi della miniera di Tuviois avverto che per le notizie geolo- giche riguardanti queste rocce, i loro rapporti di posizione e correlazioni che hanno con le altre della medesima località rimando agli scritti già citati del Traverso e del De Castro; «non dovendo io dare in questa nota che i resultati del parti- colareggiato studio mineralogico quale si può fare in gabinetto. I cinque campioni sono contrassegnati ciascuno dal numero che portano nella collezione. Essi hanno anche la seguente scritta: Porfido verde incassante il filone . (Campione N.° 1) Porfidi petrosiliciosi . . . . . (Campione N° 3) ROLE MR RR (CAMPIONE IN 17) Forio ere eee (Campione N18) Porfido petrosilicioso . . . . . (Campione N° 24) Campione N° 1. È roccia di colore grigio e grigio-verdastro specialmente nelle fratture fresche: è compattissima tenace omogenea in massa. (1) loc. cit. 164 L. BUSATTI Con la lente non si riesce a scorgervi alcuna struttura e vi si riconoscono quarzo e cristallini di ortose porfiricamente dis- seminati insieme 4 due altri minerali. Questi non frequenti come i testè ricordati: uno è brunastro e per la forma non sempre bene definibile, perchè ora si presenta in grumetti ora in forme allungate. Preme notare la opacità sua e l'aspetto che offre come di sostanza alterata. L'altro minerale è in granuli gri- giastri translucidi ed anche questo alterato perifericamente. Il primo minerale è pinite il secondo cordierite. Lo studio delle sezioni sottili della roccia confermò la determinazione di queste due specie. Al microscopio a luce ordinaria risulta di una massa scolorita o leggermente torbida, nella quale non si riesce a fare distinzione netta delle parti che la costituiscono. Qua e là sì veggono ac- cumulate lacinie di colore verdolino appartenenti a sostanza cloritica e pigmenti limonitici in minor quantità e cir- coscritti. Vi si nota anche una sostanza opaca di colore bruno- nerastro in forma di corpiciattoli o masserelle, alcune delle quali lasciano molto dubbio sulla forma che più propriamente con- verrebbe ascriverle: sembrano piccoli cubi di pirite alterata. A luce polarizzata ed a nicol incrociati oltre farsi nettamente la distinzione tra gli elementi che concorrono a costituire la massa fondamentale, questa si risolve in una struttura criptocristallina dovuta a particelle minute di silice globuliformi confusamente disposte il cui insieme dà il fenomeno della po- larizzazione di aggregato e colorazioni grigio-bluastre. In molte parti si ha tutta l'apparenza della silice calcedoniosa; in altre però si scorge che si ha a che fare con quarzo minutissima- mente granulitico di seconda formazione e che per sovrappo- sizione dei granuli dà la stessa apparenza del calcedonio. Se- gregazioni dal magma sostituiscono totalmente od in parte la or descritta sostanza. Sono feldispatiche e siliceo-feldispatiche a struttura prevalentemente cristallina e con tendenza alla forma sferulitica, come rilevasi dal modo con cui avviene l’ estinzione specialmente in alcune, sulle quali si fa in direzione radiale delle piccole sfere; altre sono criptocristalline. Esse generaronsi nel- l’ultima fase di consolidamento e sono frequentissime in alcune plaghe delle preparazioni studiate impartendo alla massa fon- damentale un aspetto brecciforme. Spesso si incorporano le une pa = x I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC» 165 nelle altre. Nella sostanza calcedoniosa sopra ricordata ho pure incontrato alcune sferoliti a croce nera. Tra gli inclusi nella massa fondamentale oltrechè l’ortose ed il quarzo, la pinite e la cordierite bisogna ricordare lo zircone l’oligoclasio e la mica. I primi due minerali si mantengono costantemente frequenti nelle preparazioni esa- minate e l’ortose più del quarzo. Degli altri minerali, la pi- nite si ritrova assai abbondante come pure lo zircone; gli altri sono rarissimi. Così è dell’apatite che ho veduto sem- pre in forma di microliti. Tra i prodotti di alterazione devonsi ricordare: la clorite che è abbondantissima in questa roccia, la quale deve ad essa il sapere di verde, ed alcune lamine di epidoto. I cristalli di ortose e di quarzo, di prima generazione, hanno dimensioni variabilissime: ora sono molto piccoli ora grandi tanto da occupare tutta la porzione della preparazione che è visibile nel campo del microscopio. Quelli di ortose mostrano un’ alterazione avanzatissima e generale su tutta la superficie delle sezioni dovuta per la massima parte ad azioni sofferte in seno al magma. Le alterazioni consistono; in un prodotto terroso caolinico abbondantissimo che rende torbide ed opache le sezioni di ortose; in silice la quale in forma di squamette è inclusa nel caolino; ed in una sostanza verde che si trova perifericamente ed internamente in alcuni cristalli di ortose ed in immediato contatto con gli altri prodotti di alte- razione. I caratteri ottici di questa sostanza stanno per l’epi- doto. Vi sono anche cristalli di ortose geminati ma sempre irregolari e smangiati nei contorni come i semplici. — Il quarzo è in forme rotondeggianti, limpido e di aspetto fresco; le parti periferiche però mostrano all'evidenza gli effetti subìti dal magma corrodente. Anche per questa specie si hanno perciò margini frastagliati insenature profonde, spesso profondissime che attra- versano intieramente o quasi da parte a parte le sezioni di al- cuni cristalli con evidente intrusione del magma, di maniera che sembrano come divisi in due pezzi rimasti vicini e nella mede- sima posizione come si giudica dall’estinzione simultanea che danno. Questo quarzo è ricco di inclusioni liquide a bolla im- mobile anche se riscaldate. Inclusioni vetrose non ne ho vedute. La pinite si presenta in grossi e piccoli cristalli immersi 166 | L. BUSATTI nella massa fondamentale. I primi in contatto con i cristalli di quarzo, verso il quale sembrano come sospinti, si mostrano in sezioni allungate di forma prismatica terminati dalla faccia basale od irregolarmente per rotture dovute all’ alterazione pro- fonda e generale che hanno sofferto. Riesce pertanto difficile sì nelle sezioni quadratiche allungate quanto nelle altre poche rotondeggianti, ottenute normalmente all’ allungamento del cri- stallo (2), poter rilevare con sicurezza le facce che le compon- gono. Dallo studio di queste sezioni rilevasi come i cristalli di pinite non siano strutturalmente omogenei in tutta la loro massa: risultano quasi intieramente, oppure per un buon tratto della loro porzione centrale, di una sostanza bianca traspa- rente o leggerissimamente velata in bigio o giallognolo, la quale a forte ingrandimento appare come formata da venule da vacui da fenditure sinuose circoscriventi delle aree poligonali: è un prodotto di decomposizione di natura colloide riferibile alla silice opalina. Nelle parti periferiche di questi cristalli ed in alcuni proprio lungo lungo ai bordi delle loro porzioni margi- nali si presentano colorazioni bruno-rossastra, verde o giallo- verdastra a seconda dei cristalli in esame od anche riunite sullo stesso individuo. Queste colorazioni sembrano rinchiudere la sostanza bianca come entro un astuccio. La colorazione giallo- verdastra è dovuta a sostanza con pigmento limonitico, la quale non sì può giudicare identica sempre alla verde che sì riscontra a preferenza nei cristalli piccoli che descriverò più avanti, non avendo come in questi ultimi una struttura decisivamente fibrosa e non essendo dicroica: si ritrova pure nell'interno dei cristalli in forma di inclusioni tra la sostanza bianca. Credo debba ri- ferirsi ad un ulteriore prodotto di decomposizione della sostanza verde pinitica, ad una sostanza cioè serpentinosa. La colora- zione bruno-rossastra è dovuta a corpiciattoli opachi e ad una sostanza, pure opaca in parte, che si intromette fra essi e che manifesta aspetto fioccoso e terroso a luce riflessa, somigliando molto ad un prodotto di caolinizzazione. I corpiciattoli sì alli- neano uno di seguito all’altro nei bordi delle sezioni ed è con forte ingrandimento che meglio si rileva non essere essi con- tigui, ma anzi interrotta la serie loro; appariscono anche come indipendenti e sospesi nella sostanza opaca che li include. Al- cuni sono granuliformi ed in altri si intravedono diversi piani I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. 167 che farebbero pensare ad una forma poliedrica, ma con certezza non può dirsi quale sia: così nulla può asserirsi sulla compo- sizione mineralogica dei corpiciattoli. Avverto che si ritrovano pure nell'interno delle sezioni della pinite non che inclusi nella sostanza bianca colloide; ma eccezionalmente. Questi cristalli più grandi così costituiti, qualunque posizione prendano rispetto alle sezioni dei nicol incrociati, rimangono costantemente estinti confermando così quanto ho detto sopra riguardo alla loro com- posizione mineralogica. Fanno eccezione a questo contegno ot- tico porzioni ristrette ove compaiono lumeggiamenti e colori d’interferenza; esse porzioni preferibilmente si riscontrano verso la periferia dei cristalli ma anche nell'interno di essi. Questo comportamento differente che parti ristrette di cristalli di pi- nite assumono di fronte all'intera lamina cristallina è in rela zione con le inclusioni ricordate nella sostanza bianca o con le sostanze eterogenee che la circuiscono. Preme aggiungere che in qualche cristallo in cui verso la periferia si notano plasma- ture, relativamente espanse, di sostanza giallognola e verdastra, già ricordata, si ha la polarizzazione di aggregato fibroso: il qual fatto avvalora quanto già ho espresso sulla composizione mine- ralogica di questa sostanza, che sia cioè di natura serpentinosa. «Nei cristalli più piccoli la porzione interna o non è alte- rata nella nota sostanza bianca o lo è in proporzione ristretta. Si presentano sotto forma di colonnette a testimonianza della forma prismatica che domina in questi cristalletti; sono colorati in verde deciso o verde marcio e rivelano una struttura fibrosa. Se ne contano in maggior numero dei cristalli grandi sopra de- scritti; sono spesso piccolissimi e laciniati, e si ritrovano tra i prodotti di decomposizione dei feldispati e confusi tra la clorite. Alcuni sono molto allungati in forma di bacchettine ed in questi soli predomina internamente la sostanza bianca, la verde es- sendo ridotta alle due estremità ed in brandelli lungo i mar- gini. In diverso grado ma tutti presentano pleocroismo: il co- lore verde erba si ha quando con il loro allungamento si diri- gono parallelamente alla sezione del nicol, giallo verde se di- sposti perpendicolarmente a detta sezione, a seconda cioè che le vibrazioni si compiono parallelamente o normalmente al- l’asse [001]. Tra i nicol incrociati danno estinzione perfetta a 0° e 90°, e colori di interferenza non sempre bene spiegati va- 168 L. BUSATTI riando con la colorazione che presentano nelle sezioni in esame. Inclusioni in forma di corpiciattoli e che somigliano a quelle già notate per i cristalli maggiori, si ritrovano pure in questi cristalli verdi. Per alcuni dei suoi caratteri questa pinite, specialmente nei cristalli piccoli, assomiglia a quella del porfido quarzifero di Donoratico (!). Somiglia anche alla pinite, che ebbi occasione di studiare, del micascisto granatifero di Monteleone (Calabria) già ricordata dal prof. De Stefani (?), il quale anzi descrive dei grani di pinite di detto schisto “ più o meno alterati, i quali cominciano a diventare di colore verde chiaro e poi si fanno interamente bianchi , (*). La cordierite si ritrova rarissimamente nelle preparazioni microscopiche di questa roccia. Credo che questa rarità sia sem- plicemente apparente e che debbasi attribuire al cercine di al- terazione, il quale contribuisce a fare distaccare i granelli di cordierite coll’ assottigliare le preparazioni. Non saprei ad altra causa attribuire certi piccoli strappi rotondi che spesso ho ri- trovato nelle preparazioni in cui manca la cordierite. Ho ve- dute due sole sezioni quadratiche ottenute con taglio parallelo alle facce prismatiche. In un cristalletto si intravede la forma più abituale della cordierite risultante dalla combinazione (110, 100, 001) con fenditure parallele alle facce prismatiche. Si hanno anche sezioni rotondeggianti; le quali non devono sempre at- tribuirsi a sezioni fatte normalmente all'asse del cristallo, ma alla forma più abituale a grani che per corrosione sofferta la cordierite ha preso in questo porfido. Anche nell'interno dei granuli, studiandone le sezioni con forte ingrandimento, si scor- gono fenditure irregolari ed inclusioni che tolgono trasparenza e rendono torbida la cordierite. — È scolorita; a luce polariz- zata ed a nicol incrociati si manifestano colori d’ interferenza più o meno vivaci, mantenendosi nei tuoni grigiastri ed azzurri; estinzione a 0° nelle rarissime sezioni che opportunamente si prestano per questa osservazione. Ho ritrovato due geminati (1) D’Achiardi — Della trachite e del porfido quarziferi di Donoratico. Atti Soc. Tosc. di Scienz. natur. Vol. VII, Pisa 1886. (*) De Stefani — Escurs. scient. nella Calabria (1877-78). Att. Ac. dei Lincei, Ser. 3, Memorie, Vol. XVIII, pag. 51. (*) De Stefani — I. c. 1 PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. 169 somiglianti a quelli che giù nelle rocce vulcaniche furono os- servati da A. von Lasaulx, da Hussak, dal D'Achiardi e da altri. Si presentano con la solita forma di granuli rotondeggianti per corrosione periferica ed a luce polarizzata tra i nicol incrociati si risolvono in più individui cristallini. Uno vedesi diviso in sei settori appartenenti a cristalli che si uniscono fra loro, prob: bilmente secondo 110, in posizione diversa come si rileva dalla estinzione che dànno i settori contigui ed alterni. I cristalli di zircone, frequenti in alcune preparazioni, sì presentano in forma oblunga rotondi alle loro estremità e con rilievo e contorno d'ombra spiccatissimo. Sono scoloriti e tor- bidi per inclusioni aghiformi ed altre quali quelle che frequen- temente si osservano nello zircone. In un bel cristallino si os- serva anche una struttura interna zonale. Il grado e la qualità dei colori d’interferenza di cui si adornano tra i due nicol con- vengono pienamente a questa specie minerale. Hanno dimen- sioni variabilissime: i più grandi misurano mm. 0, 006. Il plagioclasio si distingue benissimo dall’ortose alla strut- tura polisintetica che manifesta. Dagli angoli di estinzione, co- stantemente piccoli, si può giudicare senza dubbio che si tratta di oligoclasio. Anche questo alteratissimo, come l’ortose. La mica può dirsi veramente eccezionale in questa roccia e non si riconosge che in alcune laminette che conservano an- cora il loro carattere. Si tratta di mica bruna, prevalente- mente ferro-magnesiaca come dimostrano i suoi prodotti di alterazione. La clorite è in laminette laciniate i cui minuzzoli si ri- trovano disseminati ovunque nelle preparazioni microscopiche. Le lamine maggiori sono allungate ma più spesso di forma espansa e sempre con contorni sfrangiati. Si ritrova anche in forma di scagliette sovrapposte dando idea così di aggregato fibroso. E colorata in verde di varie intonazioni dando spesso in giallastro. Inclusioni di pigmenti ferruginosi sono frequenti in queste laminette di clorite, le quali ne sone anche spesso contornate; alcune danno accenno di un leggerissimo pleocroismo e di colori di interferenza pure leggerissimi. — Questa clorite proviene da decomposizione della mica; così dimostrano ancora le pochissime lamine riconoscibili di quest’ultima specie, colle quali sono in diretta dipendenza le lamine di clorite. Non si 170 L. BUSATTI può escludere però che in piccola parte possa derivare anche dai prodotti pinitici coi quali è anche in relazione e di vici- nanza e per alcuni caratteri. Oltre alla limonite che si ritrova come pigmento tra i prodotti di decomposizione feldispatici ed altri notati, è da ricordare una sostanza alterata opaca di colore bruno-nerastro in forma di corpiciattoli o nuclei, alcuni dei quali si avvicinano un po alla forma di piccoli cubi, e che sono spesso circondati da macchie rossastre. E pirite limonitizzata. Anche nel por- fido del permesso Taconis (Sarrabus) il prof. Bucca (!) rileva una quasi identica sostanza, la quale riferisce “a limonite pseudomorfa in pirite , . Dell’apatite basta averla ricordata in principio. Così per l'epidoto. Campione Ne 3. Macroscopicamente somiglia per tutti i caratteri all’ esem- plare portante il N.° 7, ad eccezione del colore che è grigio- rossastro: però anche questa roccia tende al verdastro in molte parti in causa della clorite la quale come prodotto secondario proveniente dall’anfibolo vi è disseminata abbondantemente. Ciò sì rileva dallo studio delle sezioni microscopiche. La massa fondamentale differisce da quella del cam- pione precedente solo per questo, che gli elementi silicei cal- cedoniosi scarseggiano di fronte alle segregazioni sferolitiche le quali sono in grande prevalenza e con accenno alla croce nera più marcata. In oltre il quarzo granulitico di seconda ge- nerazione vi è più abbondante e forma delle plaghe a struttura microgranulitica: per il quale carattere fa passaggio al cam- pione N.° 17, che descriverò più avanti. Gli inclusi nella massa fondamentale sono: quarzo ortose pinite zircone anfibolo. Il quarzo e l’ortose sono frequenti e si presentano con i soliti caratteri di corrosione periferica. Il quarzo è ricco di inclusioni liquide con bolla gassosa, e sono spesso fittissime ed allineate in doppia serie. I cristalli di ortose, semplici e gemi- (1) C. De Castro — I. c. pag. 31. I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. dr nati, sono interamente caolinizzati. Un grosso cristallo fa ec- cezione: in questo l'alterazione in sostanza terrosa caolinica, impregnata di ossidi di ferro, è localizzata in porzioni ristrette ed il rimanente del cristallo rivela uno stato quasi perfetto di freschezza. Le aree alterate non sembrano qui in relazione con le linee di sfaldatura. La pinite e lo zircone non sono frequenti e mancano intieramente in alcuni preparati microscopici. Questo campione è caratterizzato dalla presenza di lami- nette listiformi verdognole, policroiche, con assorbimento ed altri caratteri propri all’anfibolo. I cristalli maggiori di que- sta specie sono convertiti in clorite mentre quelli che si presentano con carattare quasi di microliti sono meglio con- servati lasciando scorgervi benissimo i contorni delle sezioni cristalline secondo il loro allungamento 010 :100. Le linee di estinzione in queste sezioni variano con angoli da 0° a 17°. Nella clorite prevale la struttura lamellare alla fibrosa, e tra i nicol incrociati si adorna di vivaci colori di interferenza, tra 1 quali domina il giallo: ciò conferma la derivazione di questa clorite dall’ anfibolo (1). _ Anche in questa roccia si ritrova la sostanza metallica bruna. Campione N° 24. La roccia rappresentata da questo campione è colorata in bigio-scuro ed ha apparenza di vetro. È opaca in massa, tra- slucida sui bordi; durissima tenace, a frattura scagliosa ed a spigoli taglienti. Cristallini di mica bruna e di feldispato bianco a lucentezza viva vi stanno qua e là disseminati. In sezioni sottili osservata al microscopio alla luce naturale, appare costituita di una massa fondamentale in molte parti macchiata da una sostanza grigia e bruna, la quale spesso si addensa in fiocchi. A luce polarizzata tra i nicol incrociati questa massa si risolve in una struttura criptocristallina, do- vuta a particelle minutissime globiformi e regolari per distri- (!) Fouqué e Michel Lévy — Miner. microg. Roches trupt. frangaises. Paris 1879, pag. 439. Sc. Nat. Vol. XII. 13 172 L. BUSATTI buzione, assumendo apparenza di mosaico a piccoli elementi. Le particelle silicee sono in prevalenza sulle feldispatiche. Man- cano le grandi segregazioni sferolitiche. Gli inclusi nella massa fondamentale di prima generazione sono: feldispato mica pinite e zircone. La pinite e lo zircone sono rarissimi, tanto è vero che li ho ritrovati in una sola sezione microscopica. Il primo mi- nerale apparisce con un contorno bruno di alterazione ed in- ternamente costituito di sostanza eterogenea verdognola e si- licea con inclusioni di colore nero globuliformi. Lo zircone si presenta con i soliti caratteri. La mica biotite è in belle lamine allungate listiformi e striate nel senso longitudinale. È di colore bruno-cuoio, ecce- zionalmente verde-bruno per alterazione. Pleocroismo ed assor- bimento spiccatissimi e propri a questa specie. Si ritrova anche dispersa ed accumulata tra gli elementi della massa fonda- mentale in stracci, in lacinie. In questa roccia sono più frequenti le massarelle metal- liche di colore bruno già notate per i sopra descritti cam- pioni. Alcune hanno decisa lucentezza metallica e riflessi bron- zati; ciò si osserva specialmente in quelle che si presentano in sezioni esagone, pur rimanendo costantemente opache. Non si tratta sempre di pirite e non escludo che alcune laminette ap- partengano a pirrotina. Una sostanza di color bruno-rossastro e grigiastro avvolge la sostanza metallica dalla quale deriva per alterazione e che poi sì ritrova in forma pienza sparsa qua e là nella massa fondamentale. I cristalli porfirici di feldispato meritano speciale men- zione oltrechè per l'aspetto costantemente fresco, delineando- sene perciò bene tutti i contorni, ancora perchè ai cristalli di ortose e di oliglocasio si unisce l’albite in questa roccia. L’ortose è comunissimo in tutti i preparati microscopici, men- tre delle altre due specie non può dirsi altrettanto. Le sue se- zioni sono quadratiche esagone e di altra forma, ottenute, la massima parte almeno, da cristalli risultanti dalle combinazioni di 100, 010, 101, 001. La sfaldatura basale è ben netta in al- cune sezioni, in altre si ha una struttura zonale: vi ho veduto inclusioni in foggia di microliti aciculari, alcuni dei quali appar- I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. 173 tengono all’apatite. Geminati frequenti a seconda della legge di Carlsbad. Anche a luce naturale i cristalli di feldispato lasciano spesso scorgere una linea ben netta che li separa in due parti. Ciò poi risulta all'evidenza quando i cristalli si osservano alla luce polarizzata tra nicol incrociati. In questo caso non ritengo trattarsi di geminazione ma meglio di accrescimento parallelo di ortose con plagioclasio. Una delle metà del cristallo si estin- gue tutta a 0° con traccia di detta linea corrispondente all’ al- lungamento delle due porzioni cristalline, mentre l’altra metà con manifesta struttura polisintetica dà estinzione variabile per angolo (11°—20°) a seconda degli esemplari. In altri casi non sì ritrova semplice contatto, ma vera compenetrazione delle laminette di plagioclasio nell'interno dell'altra metà costituita da ortose. Esse estinguonsi contemporaneamente, e sotto uno stesso angolo, alla lamina plagioclasica, nella quale si ritrovano alcune volte delle lamine ortosiche. Un altro fatto si osserva sebbene più raro: porzioni cristalline si alternano e circondano altre le quali manifestano, a differenza delle prime, una strut- tura zonale. L’estinzione non avviene simaltaneamente in tutta .la superficie delle sezioni cristalline sì fatte, ma gradualmente. In quest'ultimo caso i cristalli si possono interpetrare come formati di parti feldispatiche a diversa acidità, ma quando ab- biamo, come negli altri casi, unione e compenetrazione di parti cristalline spettanti ad individui distinti conviene riconoscervi quella struttura speciale detta perthitica. Ciò è avvalorato dall’osservazione che le laminette emitrope plagioclasiche ap- partengono, almeno nel maggior numero dei casi, al plagio- clasio albite. L’albite è stata accertata con reazione microchimica. Un bel cristallino giudicato per alcuni caratteri ottici per questa specie fu convenientemente trattato con acido idrofluosilicico seguendo il metodo Boricky. Ottenni dopo lunga evaporazione dei bellissimi cristallini di fluosilicato di sodio in prismi ac- corciati ed allargati terminati dalla base ed alcuni da piramidi. L'oligoclasio è benissimo riconoscibile ai suoi caratteri : marcata e regolare struttura polisintetica e per le linee di ‘estinzione. 174 L. BUSATTI Campione N° 17. Per la durezza e compattezza questa roccia somiglia alla precedente (N.° 24); però non possiede tutti gli altri caratteri citati a proposito di essa. E di colore bigio-chiaro e tiene in- clusi in abbondanza quarzo ed ortose. Al microscopio la massa fondamentale si manifesta con una struttura spiccatamente granulitica. È composta di quarzo di seconda formazione e dei soliti globuletti di silice calcedo- niosa: il primo è grandemente in predominanza e tanto da con- sentire che questa roccia sì possa considerare come un passaggio alla microgranulite di Fouqué e Michel Lévy. Manca la strut- tura sferulitica nelle rare segregazioni che si hanno in questa roccia. I cristalli di feldispato di prima generazione inclusi nella massa fondamentale sono alteratissimi: oltre a quelli di or- tose vi si riconoscono anche quelli di un plagioclasio che pro- babilmente è oligoclasio. Tra i loro prodotti di alterazione si ritrova: l’epidoto in laminette di colore verde erba, allun- gate e disposte spesso in forma di raggi a ventaglio, policroiche e con colori di interferenza vivaci; altre volte è una sostanza in forma di spalmature, anch'essa di colore verde e verde- asparagio con caratteri ottici che non convengono all’ epidoto. Non è improbabile che sia clorite confusa tra gli stessi prodotti di alterazione feldispatica e proveniente dalla mica. Il quarzo porfirico di prima formazione ha il solito aspetto e presenta una particolarità nei suoi cristalli. Manife- stano rotture e screpolature frequenti, lungo le quali sembrano come spostate scivolate le parti rotte lasciando delle cavità per irregolarità di superficie totalmente ripiene di gas. Le inclusioni liquide con bolla gassosa vi sono fittissime e disposte in linee in serie e di tutte le dimensioni e forme; cristallini di zircone vi sono pure inclusi. Le intrusioni del magma in questo quarzo sono più marcate per la forma di piccole vene quasi filiformi che si dividono in alcuni cristalli spartendoli in più aree e perchè ostrutte da laminette di mica alterata ivi trascinate dal magma. La mica inclusa nella massa fondamentale è in grande ab- bondanza di fronte agli altri minerali pure di prima formazione. I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. ITS È in lamine cristalline isolate ed aggruppate ed ammassate fra loro in nidi in cumuli, i quali occupano spesso tutta la porzione del campo visivo del microscopio; che se fresche, presentano caratteri tali da farle ritenere come appartenenti alla specie biotite, se alterate come è caso più abituale,. li presentano meno ‘manifesti. La conversione della mica per alterazione in clorite sì può studiare in ogni stadio di formazione: comincia col perdere la colorazione bruna, sì fa verde poi verde-giallastra, giallo-paglia perdendo gradatamente la marcata fibrosità nelle sezioni perpendicolari alla base. Le lamine micacee rimangono alterate talvolta in parte talaltra per intiero, dividendosi poi in lacinie in brandelli. Questi rimangono vicini ai cumuli mi- cacei o si disperdono e si insinuano tra gli interstizii degli altri minerali e tra gli elementi della stessa massa fondamentale. In alcuni punti sono veri sciami di laminette di estrema picco- lezza. In questa mica e specialmente nella alterata si trovano dei corpiciattoli di colore bruno in forma di inclusioni e spal- mature bruno-rossiccie: sono prodotti secondari ferruginosi. Lo zircone non solo come inclusione nel quarzo, ma nella massa fondamentale ho anche ritrovato in bei cristaletti sco- loriti. “Tra gli inclusi di prima generazione nella massa fondamentale merita speciale menzione l’apatite, la quale si ritrova in cri- stalli porfirici di varia grandezza alcuni dei quali raggiungono nella loro massima lunghezza mm. 0,340. Anche i più piccoli non si presentano qui col carattere di microliti. È incolora e con contorni benissimo delineati nelle sezioni cristalline, le quali non mostrano indizio di alterazioni sofferte per azioni secondarie: ha apparenza di rilievo spiccatissimo e spesso anche di sagrinatura. Giudicando dalle sezioni parallele all'asse di simmetria che hanno forma quadratica esagona ottagona si può ritenere che i cristalli dell’apatite siano combinazioni delle forme 101, 111 e di queste con piramidi. Le strie di sfaldatura parallele alla 111 vi sono bene distinte nelle sezioni lungo all'asse [111] e sono perfettamente ad angolo di 90° con la traccia delle facce del 101. La sfaldatura parallela agli spigoli del prisma non è ben distinta. Si vedono anche rotture e fenditure nelle se- zioni parallele e perpendicolari all'asse [111]. Un cristallo è 176 DL. BUSATTI rotto nella direzione della sfaldatura basale con intrusione del magma. In una delle sezioni basali si vede in sfuggita la stria - tura fitta e parallela ad un lato dell’esagono, come appunto Fouqué e Michel-Levy (1) descrivono quale particolarità nelle sezioni basali dell’apatite per distinguerla dal quarzo e dalla nefelina con i quali minerali in certi casi si potrebbe confon- dere. Tra i nicol incrociati alcune delle sezioni basali riman- gono sempre estinte qualunque posizione prendano rispetto alle sezioni dei nicol, altre no: questo differente contegno è in re- lazione solo con il taglio ottenuto nei cristalli. Le sezioni pa- rallele alle facce prismatiche si estinguono a 0°. Colori d’in- terferenza in tinte grigio-azzurognole. Raramente si osservano in questa apatite inclusioni; le poche che ho vedute sono gas- sose ed altre solide, consistenti in corpiciattoli bruni. — Nella soluzione di questo campione ottenuta per trattamento con acido cloridrico, si produce con molibdato ammonico un abbondan- tissimo precipitato giallo di fosfomolibdato ammonico. Le solite forme di pirite limonitizzata si trovano in questa roccia. Campione N° 18. La roccia rappresentata da questo campione è di colore bianco-grigiastro volgente al rossiccio in alcune parti ristret- tissime. Ha una facile fissilità secondo piani di separazione. Per il carattere della durezza compattezza ed omogeneità della massa rimane sempre vicinissima alle sopra descritte rocce. V'è in abbondanza il quarzo bipiramidato nel quale si nota la seguente particolarità: una sostanza dallo aspetto di calce- ‘ donio ne avvolge a guisa di cercine i cristalli. Il feldispato scarseggia molto di fronte al quarzo. È macchiata in varie parti da ossido di ferro, a cui forse è dovuta la colorazione rossiccia sopra notata; le macchie si dispongono specialmente lungo i piani di separazione nei quali si annida un minerale in foggia di scagliette di colore verde-oliva con lucentezza viva madre- perlacea. Isolato il minerale dalla roccia ed esaminato al mi- croscopio a luce parallela le scagliette accennano alla forma (4) Opera cit. pag. 305. I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. 177 esagonale e si presentano con colorazione verdolina alcune, altre quasi scolorite aventi tutte contegno costantemente isotropo. Alla luce convergente queste laminette basali non presentano alcuna figura assiale e se ne può dedurre la biassicità per due iperbole divaricate che si adombrano solamente. Dall’ acido clo- ridrico questo minerale è inattaccabile sì a freddo che a caldo: è fusibile al cannello ferruminatorio. Per alcuni saggi chimici constatai la presenza in questo minerale dell’ allumina e potei escludervi la magnesia: ebbi pure tracce sensibilissime di al- cali. La piccola quantità del minerale non permetteva le prove quantitative, ma per quello che ne ho detto mi sembra asso- dato sufficientemente che questo minerale debba classarsi per una mica alcalina del gruppo della muscovite. Le prove mi- crochimiche confermano questa determinazione non solo, ma la fanno più particolarmente riconoscere per potassica. Infatti in più esperimenti col metodo di Boricky ottenni grande quantità di piccoli e scoloriti cristallini monometrici di fluosilicato di potassio dalle combinazioni (100, 111) (110, 100): in due cri- stallini più grossi si scorgono degli indizi di tremie. Al microscopio in sezioni sottili questa roccia rivela carat- teri e struttura per i quali la massa fondamentale somiglia ‘molto a quella degli altri campioni ma più specialmente al primo (N.° 1). Le segregazioni sono pure frequentissime ma più di rado criptocristalline, essendo spesso in forma di grandi pla- ghe intieramente cristalline con un’ unica orientazione ottica per tutta la loro estensione, come rilevasi alla luce polarizzata. Le completamente silicee hanno quasi l’aspetto del quarzo al- lotriomorfo dei graniti. In queste sì fatte ho potuto col me- todo di Becke assicurarmi che l'elemento feldispatico vi è in poca quantità o vi manca del tutto. Quelle infatti intieramente silicee non si coloravano sotto l’azione dell’anilina, non rima- nendone imbevute al pari dei cristalli del quarzo di prima ge- nerazione, mentre le altre sì mostravano più o meno estesa- mente colorate a seconda appunto della quantità del feldispato. Il metodo del prof. Becke (4) corrisponde benissimo per fare rilevare ed apprezzare molte particolarità nelle sezioni sottili (‘) Becke — Untersch. v. Quarz u. Feldspath ecc. Tschermak's miner. u. petro- graph. Mitth. X, 1889, pag. 90; XII, 1891, 3, pag. 257. 178 L. BUSATTI delle roccie e specialmente nella loro massa fondamentale. — Ho veduto alcune sferoliti a croce nera. Il quarzo porfirico di prima consolidazione è in grossi gra- nuli arrotondati ed in sezioni esagone parallele e normali al- l’asse [111]. Ha aspetto fresco e di vetro. Le solite corrosioni marginali, le solite intrusioni: più rare vi si trovano le inclu- sioni liquide a bolla gassosa. Nelle sezioni microscopiche dei cristalli di quarzo appare ancor più manifesto il fatto sul quale ho richiamato l’attenzione parlandone dall’aspetto macroscopico. Il cercine che li circonda si risolve come composto di silice criptocristallina estimguendosi contemporaneamente ed intiera- mente alle sezioni del quarzo. Ciò non può spiegarsi che am- mettendo essersi le particelle silicee, mentre si liberavano dal magma, addossate intorno intorno ai cristalli di quarzo assu- mendone la medesima orientazione ottica. Questo comportamento del cercine è visibile tanto nei cristalli a margine smangiato quanto in quelli a contorni intatti ed in sezioni bene delimitate. L'ortose ed il plagioclasio non sono molto frequenti in questa roccia e spesso quasi irriconoscibili in causa della loro alterazione avanzatissima. In questa roccia se non può dirsi abbondante, è assai fre- quente la cordierite. Si presenta in cristalli che resultano dalle facce 110, 100, 010, 001 come rilevasi dalla misura di al- cuni angoli nelle loro sezioni rettangolari ed esagone. È senza colore, ma raramente limpida per inclusioni numerose di corpi- ciattoli allungati o di altra forma. I cristalli di questa cordierite sono semplici ad eccezione di pochi nei quali laminette emitrope si associano parallelamente al prisma (110); a primo aspetto alcune sezioni rettangolari si scambierebbero per plagioclasio. Però il contorno di esse, le alterazioni, le inclusioni ed i piani di separazione secondo 001 tolgono ogni confusione. — La cor- dierite è spesso alterata in sostanza pinitica verdastra fibrosa, la quale si ritrova nelle parti interne indifferentemente collo- cata o preferibilmente distribuita lungo le linee di sfaldatura, le quali si fanno sempre più manifeste quanto più nei cristalli è avanzato il processo di alterazione. Alcuni cristalli sono con- vertiti totalmente in pinite e tra i nicol incrociati danno la polarizzazione di aggregato fibroso e per alcune porzioni rive- lano un contegno ottico proprio di sostanza isotropa. I PORFIDI DELLA MINIERA DI TUVIOIS ECC. 179 tI In tutte queste rocce abbiamo veduto: che è identico l’aspetto macrostrutturale, per il quale assumono apparenza di felsiti; che v'è analogia di composizione mineralogica nella massa fon- damentale; che questa in tutte si risolve con struttura identica ed ha uguale contegno ottico; che non vi ha materia amorfa nè segni di fluidalità. Perciò, non tenendo conto delle differenze a suo luogo notate, le quali lo studio microscopico ci ha sve- lato esistere dall'una all’altra roccia non solo, ma anche da una sezione microscopica all'altra della medesima roccia, pos- siamo tutte considerarle come il portato finale del consolida- mento di uno stesso magma di analoga provenienza in ambienti di cristaliizzazione poco diversi. Sostanziali infatti non sono le differenze della massa fondamentale, dimostranticene anzi i pas- saggi che abitualmente sì riscontrano in rocce sì fatte del me- desimo tipo. Tra i minerali inclusi porfiricamente nella massa fondamen- tale il feldispato ortose è il solo che costantemente si ritrova in tutti e cinque i campioni esaminati e che li fa considerare come appartenenti alla medesima famiglia: a quella cioè delle rocce ortoclasiche. Tra queste li classo nel gruppo delle or- ‘ tofelsiti e più particolarmente seguendo il prof. D'Achiardi (1), li chiamo felsofiri. L'abbondanza di alcuni minerali originari porfirici, come la cordierite convertita in pinite nella roccia rappresentata nel campione N.° 1, l’anfibolo nel N.° 3, la mica nel N° 77, laficordierite nel N 18, il plagioclasio nel N° 24 di fronte alla: scarsità ed alla mancanza assoluta dei medesimi minerali or nell’una or nell'altra roccia darebbe modo di le- gittimare le varietà che potrebbero essere distinte fra questi felsofiri. Mi limito solo a richiamare l’attenzione sul quarzo porfirico di prima generazione, del quale, vedemmo, la presenza essere più costante che degli altri minerali or ricordati in- clusi nella massa fondamentale di questi felsofiri: infatti manca nel campione (N.° 24) ed è presente in tutti gli altri (N.' 7, 3, 17,18). Ricordo in riguardo ai cristalli di questo quarzo che tutti hanno lo stesso aspetto e portano sole inclusioni liquide. (1) D’Achiardi — Guida al corso di Litologia. Pisa 1888, pag. 274. 180 L. BUSATTI Fatto questo notevole perchè consente anche maggiormente lo avvicinamento ai graniti di questi felsofiri, nei quali per di più, come a suo tempo notai, si riconosce la presenza di plaghe microgranitiche. Il prof. D'Achiardi (!) riferendosi alle inclusioni che si ritrovano nelle ortofelsiti fa notare che le vetrose so- gliono mancare in quelle che più si avvicinano ai micrograniti. Il tenore della silice in queste rocce è tanto elevato da ri- tenerle tra le più acide, come rilevasi dal seguente prospetto nel quale do anche i pesi specifici dei campioni sopra descritti. N°018 No24 N°383 No1 Nol SION SIA 0 MATO Pes..spec. — 2,40. 2730259 2,50 2099 L’acidità maggiore in queste rocce non è sempre in rela- zione con la presenza del quarzo porfirico di prima formazione e del granulitico: infatti ad eccezione del N.° 18 in cui la silice raggiunge il 75, 85 °, nelle altre, in cui abbonda il quarzo di più generazioni, la quantità della silice è minore che nel N.° 24 nel quale manca il quarzo di prima formazione e molto scar- seggia il granulitico. Di ciò dà ragione sufficente la abbondanza dei minerali anfibolo pinite mica apatite che occupano buona parte nella massa fondamentale come fu a suo tempo descritto. Anche il peso specifico è in relazione con la frequenza dei detti minerali e non: potrebbe spiegarsi altrimenti quello elevatissimo del N.° 77, in cui oltre i frequenti cumuli di mica vedemmo trovarsi grande copia di apatite. Pisa, dal Gabinetto mineralogico dell’ Università — giugno 1892. (1) D’ Achiardi — Guida al corso di Litologia, Pisa 1888, pag. 273. C. ROSSETTI MD___- - NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA VASCOLARE DELLA TOSCANA PREFAZIONE Dopo la comparsa della Contribuzione alla Flora della parte Nord-Ovest della Toscana (!), ebbi l'opportunità di effettuare diverse erborazioni nei dintorni di Firenze, Pisa, Lucca e Li- vorno, nei monti Pisani, nell'Appennino Pontremolese e più spe- cialmente nel gruppo delle Alpi Apuane, di cui, oltre alle nume- rose e anguste valli ed alle erte pendici che guardano il Luc- chese, la Garfagnana, la Lunigiana e il Tirreno, esplorai pure la _ maggior parte dalle eccelse vette che spesso raggiungono altezze considerevoli (2). Frutto di queste ricerche è la presente nota, (') F. Poggi e C. Rossetti — Contribuzione alla Flora della parte Nord-Ovest della Toscana. Nuovo Giorn. bot. italiano, vol. XXI, pag. 9, Firenze, 1889. (?) Elenco delle principali elevazioni della Toscana da me esplorate, rilevate dalle carte topografiche del R. Istituto Geografico militare di Firenze. — (Non vi figurano i monti della Versilia, che ho già riportato nella mia Seconda Contribuzione alla Flora vascolare della Versilia pubblicata nei Processi Verbali dell'adunanza della nostra So- cietà del dì 15 maggio 1892. Appennino î M. Porreta (1250) (Sopra Careggine) Alpe di S. Pellegrino (1700 m. sul mare) i » Prana (1220) (sopra Camajore) M. Orsajo (1830) (sopra Pontremoli) i » Brugiana(975 (sopra Massa-Carrara) » Tavola (1455) (id. ) i » Belvedere (897) (id. id.) Lago Santo (1507) (id. ) i » Ghilardona (467) (sopra Massarosa) Alpi Apuane : » Piana Maggio (409) (sopra Massa- M. Pisanino (1946) - Carrara) » Tambura (1890) >» Cavallo (1889) (sopra Gramolazzo) Monte Pisano » Grondilice (1805) î M. Serra (9418) » Garnerone (1794) : » Spuntone di S. Allago (866) » Pizzo d’Uccello (1789) î » Faeta (829) » Sumbra (1765) : » Moriglion di Penna (545) » Sagro (1749) î » Verruca (536) » Sella (1723) i » S. Giuliano (327). 182 C. ROSSETTI comprendente circa 350 specie oltre a diverse varietà (1). Delle piante più interessanti (fra le quali 16 nuove per le Alpi Apuane e 7 per la Toscana) ho citato tutte le nuove località di qualche importanza: di quelie meno rare invece ho riportato qualche nuova stazione soltanto allorchè ho creduto che potesse giovare alla conoscenza della loro distribuzione. Vi figurano inoltre le località inedite di talune piante importanti da me riscontrate nell’ Erbario dell’ Istituto Botanico Pisano. Alcune indicazioni di nuove località mi furono gentilmente favorite dai signori Giovanni Sandri, dott. Eugenio Baroni, marchese dott. Antonio Bottini, dott. Felice Poggi, prof. Giovanni Arcangeli, prof. Teo- doro Caruel, e principalmente dal mio ottimo amico Pietro Pellegrini (2). Nè ho creduto dover tacere di alcune piante, che o già trovansi comunemente inselvatichite presso di noi, o ten- dono più o meno a naturalizzarvisi ritenendo che ciò possa es- sere utile per lo studio della loro diffusione. Allorchè le mie osservazioni me lo hanno permesso, non ho mancato di aggiungere per talune specie delle brevi note re- lative a qualche particolarità morfologica, alla variabilità delle forme, all'influenza della natura chimica del suolo e così via; nè mi sono lasciato sfuggire l'occasione per rettificare alcune poche inesattezze in cui ero inavvedutamente incorso nella mia prima Contribuzione. Per la determinazione delle piante ho approfittato altresì delle migliori e più recenti opere fitografiche, senza seguirle peraltro nel soverchio sminuzzamento delle forme, allorquando le mie osservazioni mi rendevano persuaso che ciò non fosse giustificato. Le forme critiche furono confrontate parte da me stesso cogli esemplari dell’ Erbario Pisano, e parte dai signori Ugolino Martelli, dott. Emilio Tanfani e dott. Emilio Levier con quelli dell’ Erbario Centrale di Firenze, e coi loro Erbari privati. Al chiarissimo sig. prof. G. Arcangeli che mi fu largo di (') Non figurano nel presente elenco le piante da me ultimamente raccolte nella Versilia delle quali ho già tenuto parola nella mia Seconda Contribuzione alla Flora vascolare della Versilia 1. s. c. (2) Per le località dove la pianta fu raccolta da altri vi ho sempre aggiunto (fra parentesi) il nome del raccoglitore, a cui faccio seguire il segno ammirativo (!) quando io stesso ne potei esaminare gli esemplari autentici. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 153 aiuto e di consiglio ed a tutti gli altri che cooperarono a questo lavoro, parecchi dei quali mi furono pure compagni di escur- sioni, mi è grato di esprimere i più vivi ringraziamenti. Quanto all'ordine mi sono attenuto al metodo naturale di De-Candolle adottato pure dal prof. Caruel nel suo pregevole Prodromo della Flora Toscana Pisa, 25 maggio 1592. CORRADO ROSSETTI. FANEROGAME (). DICOTILEDONI Thalictrum aquilegifolium Linn. — Alpi Apuane a Vianova sopra Careggine in Garfagnana. Anemone alpina Linn. gf. millefoliata Bert. — Alpi Apuane al M. Sumbra. A. coronaria Linn.-- Nell’Agro pisano fra S. Giuliano e Ri- goli nei campi presso la villa Agostini, dove non è raro. A. hortensis Linn. g. pavonina Dec. (flore pleno). — Nelle basse pendici delle Alpi Apuane dal lato di mezzodì nei declivi del M. Ghilardona a Fibbialla sopra Massarosa in una vigna presso il paese, in compagnia della rara Tulipa Oculus-Solis S. Am., probabilmente inselvatichita. Ranunculus bulbosus Linn. 8. Aleae (Wilk.) — R. Aleae Wilk. var. multiflorus Freyn. — R. bulbosus Caruel (pro (!) Le specie contrasseguate coll’asterisco * sono nuove per le Alpi Apuane, quelle con due non erano ancora state indicate della Toscana. 184 C. ROSSETTI max. part., non Linn.) teste cl. Freyn (!*). — R. bulbosus 8. napulosus Caldesi (2). — A Massa (*) dove è comune nei luoghi erbosi del piano e dei colli. A Pisa nei luoghi erbosi dell'Orto botanico!, alle falde meridionali del M. Pi- sano presso Agnano!, in San Rossore (Erbario pisano! 10 maggio 1808) ed altrove su cigli dei fossi (Erbario pisano, Pietro Savi! giugno 1865) e al M. Argentario (Erbario pi- sano, F. Mayor! 1883) (5). Tanto fra i numerosi esemplari da me raccolti quanto in quelli esistenti nell’ Erbario dell'orto botanico di Pisa ho potuto riscontrare diverse forme di passaggio, che principal- mente per le fibre radicali sottili, con qualcuna solo un po ingrossata e pei peduncoli fortemente solcati si avvici- nano assai al R. bulbosus Linn., tanto da fare con ragione dubitare della convenienza di tenere separate in due specie distinte le due forme. Sebbene non ne abbia potuto vedere gli esemplari au- tentici, tuttavia, dall'esame della breve diagnosi con cui il Caldesi distingue il suo È. dulbosus B. rapulosus, ritengo non possa esservi dubbio intorno alla sua identità col R. Aleae Wilk. Caltha palustris Linn. — Nell’appennino di Lunigiana al Lago Santo presso il M. Orsajo sui confini settentrionali della Toscana. Helleborus viridis Linn. var. odorus (Kit.) — H. odorus Kit. — Assai comune nei luoghi boschivi delle parti basse e medie delle Alpi Apuane e delle adiacenti pianure (special- mente nei terreni calcarei) dove io ho incontrato unicamente questa varietà, e l'ho raccolta: nei dintorni di Massa; al M. (*) E. Levier e S. Sommier — Addenda ad Floram Etruriae. Nuovo Giorn. bot. it. vol. XXIII, pag. 246. Firenze 1891. (*) L. Caldesi — Florae Faventinae tentamen. Nuovo Giorn. bot. it. vol. XI, pag. 327, Firenze 1879. (3) Rammentando Massa, senz’altra indicazione, intendo parlare di Massa di Carrara. (4) Nelle citazioni di località di cui esistono esemplari nell’Erbario pisano, ho creduto opportuno di riportare, oltre il nome del raccoglitore, le indicazioni relative al luogo e all’epoca della raccolta, ecc.; quando non l'ho fatto vuol dire che man- cavano. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 185 Prana sopra Camajore (a 800 m. circa); lungo il corso della Pedogna fra Pescaglia e Lucese, sopra Gallicano, lungo la Turrite Secca fra Castelnuovo e Pizzorno, a Vianova sopra Careggine (a 1000 m. circa) e nelle pendici settentrionali del Pisanino sopra Gramolazzo in Garfagnana; nella Valle del Lucido fra Ajola e Vinca, fra Marciaso e Pulica lungo la Pescioletta e fra il Ponte a Monzone e Tenerano in Lu- nigiana. H. foetidus Linn. — Piuttosto frequente lungo i torrenti e nei luoghi selvatici (principalmente calcarei) in tutto il gruppo delle Alpi Apuane dalla loro base fino ad una discreta al- tezza: così a Marciaso, fra il Ponte a Monzone e Tenerano, fra Gragnola e Gassano ed altrove in Lunigiana; fra Car- rara e Colonnata; nel M. della fortezza, nel M. Brugiana, alle sorgenti del Frigido, alla fortezza di Montignoso e in altri luoghi nei dintorni di Massa; nelle vicinanze di Pie- trasanta, Seravezza, Stazzema ecc. in Versilia; al M. Prana sopra Camajore; a Bozzano presso Massarosa; in molti luo- ghi delle pendici che guardano la Garfagnana come sotto Pescaglia lungo la Pedogna, in Palagnana lungo la Turrite Cava, sopra Gallicano e al Forno Volasco (a 500 m. circa), presso Castelnuovo lungo la Turrite Secca, alle radici orien- tali della Tatmbura sopra Vagli (a 1000 m. circa), al Pisa- ;_ nino sopra Gramolazzo, ecc. Aquilegia pyrenaica Dec. — Alpi Apuane al M. Sumbra. Papaver dubium Linn. — Inselvatichito nelle ajuole dell’orto botanico di Pisa, dove abbonda. Corydalis ochroleuca Koch — Nelle pendici settentrionali delle Alpi Apuane lungo }]a via fra Ajola e Vinca in Lu- nigiana. Barbarea praecox R. Brown. — A Chiatri sopra Massarosa nel Viareggino. Arabis apennina Tausch. — A. albida Stev. — Alpi Apuane +al M. Prana sopra Camajore, al Pisanino e nelle pendici settentrionali del M. Grondilice sopra Gramolazzo. Cardamine resedifolia Linn. — Nelle pendici elevate del M. Orsajo in Lunigiana dal lato di mezzogiorno. * C. trifolia Linn. — Alpi Apuane lungo la Turrite Cava fra Palagnana e le Fabbriche e lungo la Turrite Secca sopra 186 C. ROSSETTI Castelnuovo di Garfagnana, rara. Noto finora in Toscana solo dell'Appennino casentinese e pistojese. Dentaria pinnata Lam. — Alpi Apuane al Pisanino. Cochlearia saxatilis Linn. — Al Pizzo d’ Uccello nelle Alpi Apuane. Thlaspi perfoliatum Linn. — A Pisa lungo l'Arno fuori di Porta alle Piagge dov’ è assal comune (Pellegrini! marzo 1887-1892). Iberis sempervirens Linn. — I garrexiana All. — Alpi Apuane lungo la via fra Ajola e Vinca in Lunigiana. I. pinnata Linn. — A Pisa lungo l'Arno fuori di Porta alle Piagge, poche piante (Pellegrini! maggio 1890). Biscutella laevigata Linn. — Alpi Apuane lungo la via fra Ajola e Vinca in Lunigiana e alle cave di Colonnata sopra Carrara. Malcomia parviflora Dec. — Pisa, alle Cascine vecchie e a Boccadarno. Sisymbrium Alliaria Scop. — Nelle basse pendici delle Alpi Apuane dal lato di mezzogiorno a Bozzano e a Fibbialla nel Lucchese. Erysimum perfoliatum Crantz. — Conringia orientalis An- drz. — A Pisa sugli scarichi presso 'Porta a Mare, poche piante (Pellegrini! giugno 1890). Lepidium Draba Linn. — Nelle colline Pisane a Fauglia e a Nugola. L'ho pure osservato in diversi luoghi del Valdarno inferiore fra Montelupo e Signa lungo la ferrovia. Aethionema saxatile R. Brown. — Alpi Apuane nell'alveo sassoso della Turrite Secca fra Pizzorno e Piastrigoli. Neslia paniculata Desv. — A Viareggio, e a Quiesa presso Massarosa. Myagrum perfoliatum Linn. — A Massaciuccoli nel Viareg- gino nei campi. Diplotaxis muralis Dec. — Nelle colline Pisane a Collesal- vetti, nel Valdarno inferiore a Varramista presso S. Romano, e a Fiesole nei ruderi dell’ anfiteatro. Senebiera Coronopus Poir. — In Lunigiana lungo la via fra Aulla e Fivizzano a Moncigoli, poca in un luogo ristretto. Reseda lutea Linn. — Alle falde settentrionali del M. Pisano presso Vicopelago nel lucchese, rara. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 187 Helianthemum italicum Pers. — Alpi Apuane al M. Fiocca, al M. Sumbra, al Sagro nelle pendici elevate sopra la Valle di Fratteta e al Pisanino. Viola biflora Linn. — Alpi Apuane nelle faggete fra il M. Sumbra e il M. Porreta, all’ Altare sotto il Pisanino e nelle pendici elevate del M. Grondilice e del M. Cavallo dal lato di settentrione. ** Wiola gracilis Sibth. et Sm. f. imsinlamris A. Terracciano var. acinensis (Raf) (')— V. aetnensis Parl. — Scoperta dal marchese dott. Antonio Bottini nell'Isola d’ Elba al M. Capanne sopra Marciana-Castello fra i cespugli di Astragalus siculus Biv. il 13 marzo 1885. Sarebbe nuova per la Toscana. Drosera rotundifolia Linn. — Nel padale di Massaciuccoli nel Viareggino alla Piaggetta. Poligala Carueliana Burnat — Nell’inserto della P. vulgaris Linn. dell’ Erbario dell’orto botanico di Pisa vi sono esem- plari di una /oligala raccolta dal prof. Pietro Savi nelle Alpi Apuane alla Tambura, nel luglio del 1843, e dallo stesso in- dicata col nome di P. vulgaris f. oxyptera Koch, a cui ag- giunge il sinonimo di P. oxyptera f. pratensis Reich., i quali principalmente per avere le ali del calice lanceolato-acu- minate e un po’ falcate e il frutto quasi sessile spettano senza dubbio ‘alla P. Carueliana Burnat. È specie propria delle nostre Alpi Apuane, dove finora era stata trovata, per quanto io sappia, soltanto nei castagneti fra Carrara e Colonnata, dove la scoperse il sig. Burnat, e alle sorgenti del Frigido sopra Massa dal sig. Beccari (?). P. monspeliaca Linn. — Raccolsi questa pianta, non molto comune nella Toscana, alle falde meridionali del M. Pisano ad Agnano nei colli calcarei aridi della tenuta del sig. dott. Oscar Tobler, dove non è rara, in compagnia del prof. G. Arcangeli e dei signori Sommier e Gemmi, il 22 maggio 1892. Dianthus Carthusianorum Linn. * var. atrorubens (All.) — D. atrorubens All. — Alpi Apuane nei pascoli presso la vetta del M. Prana sopra Camajore, a 1100 m. sul mare, e probabilmente altrove. (') A. Terracciano — Ze Viole italiane spettanti alla sezione Melanium. Nuovo giorn. bot. it. vol. XXI, pag. 327, Firenze 1889. (2) F. Parlatore — Y/ora italiana, vol. IX, parte 1.2 pag. 117, Firenze 1890. 14 188 C. ROSSETTI D. Armeria Linn. — Nelle colline Pisane presso Collesalvetti, e a Livorno nei colli presso i bagni dell’ Acqua Puzzolente e fra Antignano e la Torre del Romito. Gypsophila repens Linn. — Alpi Apuane al M. Sumbra. Saponaria Ocymoides Linn. — Alpi Apuane alla Tambura. Vaccaria parviflora Moench. — Saponaria Vaccaria Linn. A Pisa sugli scarichi presso Porta a Mare e lungo l'Arno fuori di Porta alle Piagge, poche piante (Pellegrini! giu- gno 1889). Silene auriculata Smith. f. lanuginosa (Bert.). — S. lanu- ginosa Bert. — Alpi Apuane al M. Sumbra e al M. Fiocca in Fatonero. S. conica Linn. — A Pisa sugli scarichi presso Porta a Mare, poche piante (Pellegrini! giugno 1890). S. Vallesia Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca fra Campagrina e Fatonero e sulla vetta del M. Sumbra. S. viridiflora Linn. — Nel Valdarno di sotto a Varramista presso S. Romano nei boschi di abeti nel parco della villa del marchese Farinola a forse 50 m. sul mare, rara (giugno 1891). Nota finora in Toscana di poche località. S. Otites Smith. — Nelle pendici settentrionali delle Alpi — Apuane lungo la via fra Aiola e Vinca e nel littorale di Massa a S. Giuseppe. Sagina glabra Koch. — Alpi Apuane sulla cima del M. Prana sopra Camajore, al Passo di Sella, al M. Sumbra, al Pizzo d' Uccello, nelle pendici settentrionali del M. Cavallo e nei dirupi del lato orientale del M. Garnerone sopra 1’ Orto delle donne. Appennino lucchese a S. Pellegrino. Alsine liniflora Linn. — A. Bauhinorum Gay — Sulla cima del M. Sumbra nelle Alpi Apuane. Arenaria saxifraga Fenzl. — Al M. Orsajo in Lunigiana. Alpi Apuane al M. Prana, al M. Sumbra, e sotto la cresta del M. Garnerone verso la Valle di Gramolazzo. Cerastium brachypetalum Desp. — A Pisa nei luoghi erbosi lungo l’Arno fuori di Porta alle Piagge (Pellegrini! mag- gio 1889). Corrigiola litoralis Linn. — A Pisa nel letto dell'Arno fuori di Porta alle Piagge, non comune (Pellegrini! settembre 1890). Herniaria glabra Linn. — Livorno all’Ardenza. Selva Pisana NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 189 a Palazzetto. Nell’Erbario dell’orto botanico di Pisa vi sono esemplari inediti (con etichette del prof. Pietro Savi) delle seguenti località toscane: Migliarino cotone contiguo al palazzo nuovo (9 giugno 1861!), Lame di fuori presso Boccadarno (25 maggio 1862!), Monte del Gabbro (giugno 1864!), Ma- remma a Campiglia! e a Rocca S. Silvestro (maggio 1869!). Lepigonum rubrum Wahl. — Alpi Apuane nelle faggete fra il M. Sumbra e il M. Porreta in Garfagnana. Elatine triandria F. Poggi e C. Rossetti (') (non Schk.). — Montia fontana Linn. — Tutti gli esemplari da noi raccolti nelle Alpi Apuane ed erroneamente riferiti all’ Elatine triandria Schk. spettano in- vece alla Montia fontana Liun. Anche Vl Elatine triandria Schk., indicata dal sig. Duthie e citata dal prof. Arcangeli nella sua Flora italiana (?) sulle sponde del Lago Nero nell'Appennino pistojese, non sarebbe altro (sulla testimonianza del sig. E. Levier) (*) che una forma minuscola della Peplis Portula Linn.. Per cui l’ Elatine triandria Schk. è da togliersi per ora almeno dal novero delle piante toscane. Linum alpinum Linn. — Alpi Apuane al M. Sumbra. L. viscosum Linn. -- Appennino di Lunigiana al M. Orsajo. Althaea cannabina Linn. — A Livorno poche piante lungo _ il torrente Ugione. Hypericum Coris Linn. — Nelle colline Pisane presso Col- lesalvetti. i H. humifusum Linn. — Alpi Apuane: nella Valle del Lucido fra il Ponte a Monzone e Vinca in Lunigiana; sopra Carrara fra Colonnata e la Foce Luccica; nel M. Porreta sopra Ca- reggine, e sotto Convalle lungo la Pedogna in Garfagnana. Nel M. Pisano sopra Calci ai Tre Colli, al Colle di Calci fra il M. Serra e lo Spuntone di S. Allago e sopra Vorno. Nel- l' Erbario pisano vi si trovano esemplari toscani inediti delle seguenti località: Lungo il Frigido fra Massa e Canevara!, Pescia (Chiostri! 1848), Monte-Carlo (Pietro Savi! maggio 1848) e nei poggi del M. Pisano (Pietro Savi! maggio 1843). H. hirsutum Linn. — Alpi Apuane lungo la Turrite Cava fra (') F. Poggi c C. Rossetti — Contribuzione alla Flora della parte nord-ovest della Toscana. Nuovo Giorn. bot. it., Vol. XXI, pag. 183, Firenze 1889. (3) G. Arcangeli — Compendio della Flora Italiana. pag. 114, Torino 1882. (2) E. Levier e S. Sommier — Addenda ad Floram Etruriae. Nuovo Giorn. bot. ital. vol. XXIII, pag. 249. Firenze 1891. 190 C. ROSSETTI Palagnana e le Fabbriche in Garfagnana e nelle colline Pi- sane presso Collesalvetti. L’esemplare dell’ Erbario pisano raccolto alla Gorgona dal prof. Pietro Savi, e da esso de- terminato dapprima e pubblicato col nome di H. ciliatum Lam. (!), spetta invece all’ H. lirsutum Linn., e di questo erasi già accorto il Savi stesso correggendo in seguito di suo pugno l'errore sull'etichetta annessa alla pianta. Acer Opalus Mill. — Alpi Apuane sopra Massa alle sorgenti del Frigido. Vitis vinifera Linn. — La vite trovasi qua e là inselvatichita presso di noi nelle macchie e nelle siepi; così nelle pendici settentrionali delle Alpî Apuane fra il Ponte a Monzone e Tenerano e a Marciaso in Lunigiana; nei dintorni di Massa alla fortezza di Montignoso (Pellegrini! giugno 1887) e nel littorale di S. Giuseppe; nelle macchie di Viareggio e di Mi- gliarino; nelle colline Pisane presso Collesalvetti; ai Cister- nino ed altrove nei colli Livornesi. Erodium alnifolium Guss. — Nelle colline Pisane presso Col- lesalvetti, non comune. Impatiens Noli-tangere Linn. — Alpi Apuane al Pisanino nelle faggete sopra Gramolazzo. Paliurus australis Gaertn. —- Qua e là nelle siepi, non co- mune: in Lunigiana lungo la via fra Aulla e Fivizzano e precisamente fra Rometta e Pallerone, nelle pendici occi- dentali delle Alpi Apuane a Casoli sopra Camajore, nelle colline Pisane presso Collesalvetti, nei colli Livornesi vicino ad Ajaccia, e nel Valdarno di sotto al Castel-del-bosco presso La Rotta e alle Capanne di Montopoli presso San Romano. Zizyphus sativa Gaertn. — Trovasi allo stato selvatico in cespugli nelle macchie del littorale di Massa al Poveruomo dov'è assai comune (Pellegrini! settembre 1891). Rhamnus alpinus Linn. — Alpi Apuane nelle pendici orien- tali del M. Prana sopra Camajore lungo il Rio Lucese e in Garfagnana fra Eglio e Vergemoli, piuttosto raro. Alcuni esemplari raccolti in quest’ ultima località portano delle foglie la cui lamina misura fino a 18 centimetri di lunghezza (1) Pietro Savi — Florula Gorgonica. n.° 43, Firenze 1844. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 191 per 8 !/ di larghezza mentre il picciuolo raggiunge appena la lunghezza di 2 cm. Rh. pumilus Linn. — Alpi Apuane al Solco d'Equi e lungo la via fra Ajola e Vinca in Lunigiana, e in Garfagnana so- pra Gallicano lungi la Turrite dirimpetto all’ Eremita. Rbh. Alaternus Linn. -- Nelle basse pendici delle Alpi Apuane dal lato di mezzodì a Fibbialla sopra Massarosa, a Pisa sulle mura fra Porta Nuova e le Sta//ette e presso Porta Fiorentina (Pellegrini! marzo 1889 - C. Rossetti! marzo 1892) e a Fi- renze sulle mura fra Porta S. Giorgio e Porta S. Miniato. L’Ailantus glandulosa Desf., albero oriundo dell'Asia Orientale e coltivato di frequente presso di noi nei passeggi, nei parchi ecc. e già in- dicato dal prof. Caruel come naturalizzato in “ molti luoghi della To- scana , (!), trovasi qua e là inselvatichito nelle siepi, nelle macchie, lungo i corsi d’acqua ecc.: così nei dintorni di Massa a S. Giuseppe, in Tu- rano e lungo il Canal Magro, nella Garfagnana in più luoghi fra Castel- nuovo e Piazza al Serchio, nel lucchese presso Massa Macinaja, nelle colline Pisane presso Collesalvetti, a Firenze lungo le mura fra Porta S. Giorgio e Porta S. Miniato: e quasi dappertutto mostra tendenza a diffondervisi sempre più. Ononis reclinata Linn. — Massa a S. Giuseppe (Pellegrini! settembre 1887). Medicago tuberculata Willd. — Nelle colline Pisane a Col- lesalvetti (Erbario pisano, Arcangeli! maggio 1883 - C. Ros- setti! agosto 1889), e nel Monte Pisano ad Asciano. Melilotus alba Desr. — Nelle colline Livornesi presso Nugola. * M. sulcata Desf. — A Massa sopra il Mirteto, non comune. Trifolium pallidum W. et K. — A Viareggio. T. maritimum Huds. — Dove il precedente. T. squarrosum Savi — T. panormitanum Presl. --- Nelle colline Pisane a Collesalvetti e nei campi della sottostante pianura di Vicarello dov'è assai comune, e nelle colline Li- vornesi presso Nugola. T. lappaceum Linn. — A Viareggio. T. vesiculosum Savi. — Nelle colline Pisane presso Collesal- vetti e in quelle Livornesi nei boschi presso il Cisternino. (1) F. Parlatore — Flora italiana continuata da T. Caruel, vol. VI, pag. 123, Firenze 1890. 192 C. ROSSETTI T. caespitosum Reyn. — Appennino di Lunigiana al M. Or- sajo. Alpi Apuane al M. Sumbra, al M. Fiocca in Fatonero e nelle pendici settentrionali del M. Cavallo sopra Gra- molazzo. T. filiforme Linn. -- A Massa lungo il Canale della Ròcca verso "l'urano (Pellegrini! aprile 1590) e a Nocchi sopra Camajore. Psoralea bituminosa Linn. — A Livorno sulle scogliere ma- rittime fra Calafuria e la Torre del Romito. La Robinia Pseudo-acacia Linn., originaria dell'America set- tentrionale e coltivata comunemente presso di noi come albero d’ orna- mento e per trarre profitto dal suo legname, trovasi di frequente insel- vatichita nelle boscaglie e lungo i corsi d’acqua: p. es. a Massa nelle macchie del littorale presso S. Giuseppe, lungo il Frigido, lungo il Ca- nale della Rocca, lungo il Canal Magro, presso Montignoso ecc.; in Gar- fagnana lungo il Serchio presso Gallicano, ed altrove; in Lunigiana lungo la Magra; in più luoghi della Versilia; a Pisa lungo l’Arno e nel Monte Pisano; ecc. Galega officinalis Lam. — In Lunigiana presso Bagnone e lungo la Pescioletta fra Pulica e Marciaso. Alla foce del Canal Magro presso Massa (Pellegrini! agosto 1888). ** Amorpha fruticosa Linn. -— Questa pianta, nativa del- l'America settentrionale, e già naturalizzatasi nel Reggiano lungo il Po e nel Modenese lungo il Panaro e probabilmente in altre regioni d'Italia (*), fu scoperta dal mio amico Pietro Pellegrini sugli argini dell’ Arno fra Pisa e le Cascine Nuove, dove cresce in abbondanza per tratti assai estesi e dove la raccolse con fiori e con frutti per due anni consecutivi nel- l'estate del 1890 e del 1891! Non conoscevasi finora, per quanto è a mia cognizione, della Toscana. Astragalus hamosus Linn. — Nella bassa Lunigiana ad Al- biano (*) lungo la Magra (Poggi, giugno 1891 (3)). (') G. Gibelli ed R. Pirotta — Mora del Modenese e del Reggiano, Modena 1882. (©) Indicando Albiano di Lunigiana senz'altro, intendo parlare del paese di tal nome situato presso la sponda destra del F. Magra non lungi dalla sua confluenza col F. Vara, fra Sarzana e Aulla, e non di quello che trovasi nell’ alta Valle della Au- lella (altro affluente superiore della Magra) sopra Casola presso i confini della Garfa- gnana, nè di altri omonimi ehe potessero esservi: e così deve intendersi per la mia prima « Contribuzione alla Flora della parte Nord-Ovest della Toscana » in collabo- razione coll’ amico Felice Poggi. (3) Comunicazione epistolare del 1.0 marzo 1892. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 193 A. aristatus L’Her. — Alpi Apuane sulla vetta del M. Pisa- nino e su quella del M. Sumbra. #* A. siculus Biv. — Riporto questa specie sulla testimo- nianza del mio amico marchese dott. Antonio Bottini che l'osservò all'Isola d’ Elba nel M. Capanne sopra Marciana- Castello nel terreno granitico il 13 marzo 1885. Sarebbe nuovo per la Toscana. Ervum pubescens Dec. — Vicia B. et H. — A Vecchiano e nei poggi di Filettole al nord di Pisa (Erbario pisano, Pietro Savi!) e a Bientina (Erbario pisano! 1806). E. gracile Dec. — Vicia Lois. — Nel Valdarno di sotto alla Rotta sopra Pontedera. Vicia pannonica Jacq. p. purpurascens Koch —- A Pisa sugli scarichi presso Porta a Mare (Pellegrini, giugno 1889). V. hybrida Linn. — A Massa presso S. Giuseppe (Pellegrini! giugno 1889). V. peregrina Linn. — A Pisa sugli scarichi presso Porta a Mare, rara (Pellegrini, giugno 1889). Lathyrus variegatus Godr. et Gren. — Nel M. Pisano sopra Pozzuolo. .L. niger Wimm. — Nel Valdarno di sotto nel parco della villa del marchese Farinola a Varramista presso S. Romano. Coronilla varia Linn. — In Lunigiana a Mocrone presso Ba- gnone e a Biglio sopra Pontremoli; a Massa lungo il Fri- gido presso S. Leonardo (Pellegrini! giugno 1885); sotto Ca- majore, e in Garfagnana a Castelnuovo lungo la Turrite secca. Hedysarum coronarium Linn. — Trovasi allo stato selva- tico qua e là sui poggi erbosi, lungo le vie, ecc., a Pisa lungo l'Arno fuori di Porta alle Piagge e verso le Cascine Nuove, a Navacchio, a Pontedera ecc. Onobrychis sativa Lam. — L'ho raccolta spontanea, a Pisa sui cigli dei campi lungo la via Calcesana e nelle colline Pisane presso Fauglia. Dryas octopetala Linn. — Alpi Apuane al Pizzo d’ Uccello nei dirupi sopra la Foce del Giovo, e nelle pendici elevate del M. Grondilice verso la Valle di Gramolazzo. Rubus Idaeus Linn. — Al M. Orsajo in Lunigiana. Potentilla caulescens Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca fra Campagrina e utonero, al M. Sumbra, al Pisanino, e alle Capanne del Giovo sopra Vinca. 194 C. ROSSETTI | P. alpestris Hall. — Al M. Orsajo in Lunigiana (Erbario pi- sano, Pietro Savi! — C. Rossetti! agosto 1888). Alchemilla alpina Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fa- tonero, al M. Sumbra, nelle pendici settentrionali del M. Ca- vallo e del M. Grondilice verso la Valle di Gramolazzo e sulla cresta orientale del Pizzo d’ Uccello sopra la Foce del Giovo. Rosa alpina Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fatonero e fra Careggine e Vianova in Garfagnana. Cotoneaster vulgaris Lindl. — Mespilus Cotoneaster Linn. — Alpi Apuane sulla vetta del M. Sumbra e nelle pendici settentrionali del M. Sagro sopra la Valle del Catino, raro. Pyrus communis Linn. — Cresce selvatico in forma di ce- spugli o di alberetti qua e là nei boschi delle colline Livor- nesi: così lungo il Rio Ardenza fra Collinaja e Popogna, lungo il Rio Maggiore verso Valle Benedetta, nei dintorni di Ajaccia e di Nugola ecc. P. Aria Ehrh. — Alpi Apuane al M. Fiocca, e a Vianova so- pra Careggine in Garfagnana. P. torminalis Ehrh. — Nelle colline Livornesi verso Valle Be- nedetta lungo il Rio Maggiore, nelle colline Pisane presso Collesalvetti, e nel Valdarno di sotto a Varramista presso S. Romano, nei boschi, non comune. P. crataegifolia Ott. Targ. — Crataegus fiorentina Zucc. — Nelle colline Pisane a Collesalvetti nei boschi presso la villa Carmignani ed altrove, e nelle colline Livornesi vicino a Nugola, piuttosto raro. P. Sorbus Gaertn. — Il sordo cresce spontaneo alle falde delle Alpi Apuane sopra Massa alle Grazie (Pellegrini, ago- sto 1890); nei boschi delle colline Livornesi fra Collinaja e Popogna lungo il Rio Ardenza, verso Valle Benedetta lungo il Rio Maggiore, presso i Bagnetti lungo il Rio dell'Acqua Puzzolente e fra il Cisternino e Vallirona; e nelle colline Pisane presso Collesalvetti, dov’ è assai frequente nei luoghi boschivi. * Epilobium spicatum Lam. — Alpi Apuane nelle faggete fra il M. Sumbra e il M. Porreta in Garfagnana, raro. E. hirsutum Linn. — Alpi Apuane nel letto del Lucido presso Equi e lungo la Pescioletta fra Marciaso e Pulica in Lu- nigiana e a Careggine in Garfagnana. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 195 E. lanceolatum Seb. et Maur. — Non raro nei luoghi boschivi delle pendici basse o non molto elevate delle Alpi Apuane e dei Monti Pisani: così nelle Alpi Apuane fra Tenerano e Marciaso lungo il torrente Bardinello, e fra Marciaso e Pulica lungo il torrente Pescioletta, fra Pulica e Fosdinovo e nei dintorni di Vinca in Lunigiana; fra Gramolazzo e Piazza al Serchio, fra Careggine e Filicaja, al M. Fiocca in Fatonero, lungo la Turrite di Gallicano fra il Forno Vo- lasco e Trombacco ed altrove, lungo la Turrite Cava fra Pascoso e le Fabbriche, sotto Convalle lungo la Pedogna ed altrove in Garfagnana; a Nocchi sopra Camajore; ec. Nel M. Pisano sopra Calci ai Tre Colli, sopra S. Andrea di Com- — a Guamo, a Vorno, fra Pozzuolo e la Grotta omonima e sopra le Mulina di Quasa E. palustre Linn. — Alpi Apuane sotto o e lungo la Turrite di Gallicano fra il Forno Volasco e Trombacco nei luoghi umidi. E. virgatum Fries. — Nelle pendici settentrionali del M. Pi- sano nei luoghi umidi lungo il Rio Visona di Compito. E. tetragonum Linn. — Nelle pendici settentrionali delle Alpi Apuane a Pulica sopra Fosdinovo in Lunigiana. E. alsinefolium Vill. —- Alpi Apuane sopra Vinca nei ruscel- letti fra la Foce del Pollaro e la Foce del Giovo, presso Careggine, e lungo la Turrite di Gallicano tra il Forno Vo- lasco e Trombacco. Circaea lutetiana Linn. — Nell’ Appennino di Lunigiana a Biglio sopra Pontremoli. Punica Granatum Linn. — Trovasi selvatico, in cespugli, presso Massa nelle macchie del littorale al Poveruomo, dove è assai comune, nel declivio meridionale del M. Piana Maggio a Co- depino ed altrove (Pellegrini! maggio 1888). Bryonia dioica Jacq. — In Lunigiana sopra Pracchiola nel Pontremolese e lungo il Lucido sopra il Ponte a Monzone; in Garfagnana alle falde del Pisanino sopra Gramolazzo; nei dintorni di Massa presso la fortezza di Montignoso; e nelle pendici orientali del M. Prana sopra Camajore lungo il Rio Lucese. Montia fontana Linn. a. minor Willd. — M. minor Gmel., Koch Syn. ed. 2.* 196 C. ROSSETTI 8. major Willd. - M. rivularis Gmel., Koch Syn. ed. 2.* La var. a. L'ho raccolta nei castagneti umidi dei colli dei dintorni di Massa alle Grazie e sopra Montignoso; la var. f. al Forno sopra Massa nei luoghi acquitrinosi. — Io ho rin- venuta sempre questa specie in terreni silicei. Nei nume- rosi esemplari da me raccolti ho riscontrato che i semi sono ugualmenta tubercolato-scabri e quasi opachi nelle due forme, mentre, secondo il Koch (!), lo sarebbero soltanto nella var. a., e sarebbero invece sottilmente granulato- puntati e nitidi nelle var. f. Sedum atratum Linn. — Nei luoghi aridi e sassosi delle parti più alte delle Alpi Apuane al M. Fiocca, al M. Sumbra, nelle pendici verso la Valle di Gramolazzo dei monti Cavallo, Grondilice e Garnerone, al Sagro e al Pizzo d’ Uccello. S. monregalense Balb. — Nel M. Pisano sopra S. Andrea di Compito verso Bisantola. Sempervinum tectorum Linn. —- Alpi Apuane al M. Fiocca, al M. Sumbra, al Pisanino, al Sagro nelle pendici verso set- tentrione sopra la Valle del Catino, e lungo la via fra Ajola e Vinca. *S. arachnoideum Linn. — Sulla cima del M. Pisanino nelle Alpi Apuane, raro. Saxifraga oppositifolia Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca, al M. Sumbra, al Passo di Sella, nelle pendici settentrionali del M. Cavallo sopra Gramolazzo e al Pizzo d’ Uccello sulla cresta sopra la Foce del Giovo. S. aspera Linn. — Alpi Apuane nelle pendici settentrionali del M. Cavallo sopra Gramolazzo. Appennino pistojese alle Tre Potenze (Erbario pisano, 0. Beccari! luglio 1861). *S. aizoides Linn. 8. atropurpurea Sterub. La var. p. non è rara nelle parti elevate di tutto il gruppo delle Alpi Apuane. Della forma tipica ne ho incontrata, qual- che pianta, insieme colla varietà, al M. Sumbra, e nelle pen- dici settentrionali del M. Cavallo presso la Focora di meso (?). (4) Koch — Synopsis Florae Germanicae et Helveticae, ed. 2.» pag. 218, Lipsiae 1857. (2) Statami indicata con tal nome da alcuni pastori di Massa (che passano lì presso l'estate coi loro armenti) e da intendersi probabilmente Foce di mezzo anche per la posizione rispetto ad altri due passaggi alpestri poco distanti che gli stanno ai lati. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 197 Ho potuto riscontrare numerosi termini di passaggio fra la var. 8 e la forma tipica, variando gradatamente il colore dei petali dal rosso-scuro con punti di rosso ancor più intenso e quasi neri, al giallo d’oro con punti di color giallo appena più carico, talvolta anche nello stesso cespo: anche le foglie variano alquanto e per la larghezza e per la densità dei cigli tanto nel tipo quanto nella varietà f. 5. muscoides Wulf. — Nelle parti elevate dei monti Fiocca e Sumbra nelle Alpi Apuane. Sanicula europaea Linn. — Nelle pendici meridionali, delle Alpi Apuane fra Chiatri e Fibbialla sopra Massarosa e fra Lucca e Camajore nella Valle della Freddana presso Val- promaro; nelle colline Pisane presso Collesalvetti. Eryngium creticum Lam. — Nell'agosto del 1890 ho tro- vato questa pianta, rara per la nostra penisola, a Livorno fuori della barriera Vittorio Emanuele (dove già la sco- perse il conte Carlo Costa-Reghini nel 1895) (!) e fuori di Porta alle Colline, assai abbondante in alcuni argini lungo le vie e nei luoghi aridi incolti, però sempre in località piuttosto ristrette. Astrantia pauciflora Bert. — Alpi Apuane al M. Sumbra dov'è assai comune e al M. Fiocca in Yutonero. Apium graveolens Linn. — Livorno al Calambrone. Sison Amomum Linn. — In Lunigiana a Mocrone presso Ba- gnone, fra il Ponte a Monzone e Gragnola e fra Marciaso e Pulica. A Bientina fra Lucca e Pontedera lungo la via che conduce alle Cascine di Buti. Amni Visnaga Lam. — Nelle colline Pisane nei campi dei dintorni di Collesalvetti, e nel Livornese lungo il torrente Ugione al Pian di Rota presso il Cisternino e nei colli presso Nugola. Pimpinella saxifraga Linn. fp. alpestris Spr. — Al M. Or- sajo in Lunigiana e nelle Alpi Apuane sopra Colonnata fra la Foce Luccica e la Foce del Pollaro. P. Tragium Vill. — Alpi Apuane nella Valle del Lucido sopra Monzone in Lunigiana; fra Carrara e Colonnata presso le cave dei marmi; sotto la cresta del M. Sumbra, al M. Fiocca (') G. Arcangeli. — Alcune notizie riguardanti la Flora Italiana. Processi della Soc. Toscana di sc. nat., adunanza del 14 nov. 1886. Sc. Nat. Vol. XII. 15 198 C. ROSSETTI fra Campagrina e Fatonero e lungo la Turrite Secca fra Torrite e Pizzorno in Garfagnana. Bupleurum opacum (Cesati) Lange — B. aristatum Caruel Prodr. (non Bartling) — B. cernuum Ten. -- Alpi Apuane a Massa nel colle di Pruneta e nel M. della Foce sopra il Mirteto; sulla cima del M. Prana sopra Camajore; e in Gar- fagnana a Focchia sopra Pescaglia. Aethusa Cynapium Linn. — In Garfagnana a Nicciano sopra Piazza al Serchio. Cnidium apioides Spreng. — Alpi Apuane lungo il Lucido sopra Monzone, nel M. Bandita fra il Ponte a Monzone e Tenerano, e lungo la via fra Ajola e Vinca in Lunigiana; lungo la Turrite Secca fra Torrite e Piastrigoli, sopra Gal- licano dirimpetto all’ Eremo di Colomini, lungo la Turrite Cava fra Palagnana e Focchia in Garfagnana; e nelle pendici settentrionali del M. Prana sopra Camajore presso Lecceto. Trochiscanthes nedifiorus Koch — Appennino di Lunigiana nelle faggete del declinio meridionale del M. l'avola sopra Pontremoli. Ferula Ferulago Linn. — Alpi Apuane nella Valle del Lu- cido fra il Ponte a Monzone e Vinca in Lunigiana e fra la Grotta all’'Onda e Lecceto sopra Camajore. ** Peucedanum venetum Koch — Raccolsi questa pianta, non indicata finora, per quanto e a mia conoscenza, nella Toscana, alle falde settentrionali delle Alpi Apuane nella Valle del Lucido fra il Ponte a Monzone e Gragnola in Lu- nigiana a circa 200 m. sul mare, dove la trovai in fiore alla fine di luglio del 1891 in compagnia degli amici sigg. G. San- dri e dott. P. Fantozzi. Cresceva in discreta quantità sopra un argine erboso arido lungo la via per un tratto non molto esteso. P. Cervaria Lep. — Nelle pendici settentrionali delle Alpi Apuane fra il Ponte a \Monzone e Tenerano in Lunigiana. Nelle colline Pisane presso Collesalvetti, e nei colli Livor- nesi sopra Collinaja presso il Mulino Corridi, non comune. P. schottii Bess. fp. petraeum Noé. — P. petraeum Ard. — Palimbia Chabraei Bertol. fl. it. (in parte). — Alpi Apuane sulle rupi calcaree aride lungo la Turrite Secca fra Torrite e Pizzorno in Garfagnana. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 199 Heracleum Panaces Linn., Bert. — Spondilium Branca Scop. x. latifolium Tanfani, in Parlatore FI. It. — Alle radici set- tentrionali delle Alpi Apuane lungo il fiume di Gramolazzo presso il paese omonimo in Garfagnana. H. Pollinianum Bert. — Spondylium Branca Scop. è. am- plifolium Tanfani, in Parl. FI. It.— In Garfagnana a Eglio nei declivi orientali delle Alpi Apuane. Tordylium apulum Linn. — Nel Valdarno inferiore a Mon- telupo ed altrove lungo la ferrovia fra Firenze e Pontedera. Leserpitium Siler Linn. — Alpi Apuane nella Valle del Lucido sopra Monzone, fra Ajola e Vinca e al Solco d’ Equi in Lu- nigiana e sopra Castelnuovo lungo la Turrite Secca fra Tor- rite e Pizzorno in Garfagnana. Turgenia latifolia Hoffm. — Caucalis Linn. — Ai bagni di Casciana (Poggi! luglio 1887). Torylis heterophylla Guss. — Caucalis B. et H. -— Alle ra- dici orientali delle Alpi Apuane nei luoghi aridi lungo la via fra Carrara e Colonnata. Nell’Erbario pisano vi sono esemplari raccolti dal prof. Pietro Savi nell'Isola di Gor- gona al Campo dei Morti! Chaerophyllum hirsutum Linn. e. glabratum (Dec.). Alpi Apuane: la forma tipica nei pascoli del M. Fiocca in Fatonero; la var. 8. nei luoghi umidi presso Careggine e so- pra il Forno Volasco. Conium maculatum Linn. — Nelle basse pendici delle Alpi Apuane a Vinca e al Ponte di Monzone in Lunigiana e a Careggine in Garfagnana. Physospermum aquilegifolium Koch. — Nelle faggete delle pendici meridionali del M. Orsajo in Lunigiana dove nel- l'agosto del 1888 lo raccolsi in compagnia degli amici dott. F. Poggi e dott. A. Benedicenti. Bifora fiosculosa Bieb. — B. testiculata Rchb. — Nelle colline Pisane a Collesalvetti. Lonicera implexa Ait. R. adenocarpa Guss. Il tipo della specie nei boschi di Balbano sopra Massa- ciuccoli (Erbario pisano, Mezzetti e Beccari! maggio 1859). La var. pf. nei colli di Pescia (Erbario pisano, Pietro Savi! luglio 1858). 200 C. ROSSETTI Asperula taurina Linn. Nella Garfagnana alle radici orien- tali delle Alpi Apuane sopra Gallicano nei luoghi freschi lungo la Turrite. Galium sylvaticum Linn. 8. foliis lineari-lanceolatis Tan- fani, in Parl. FI. it. — G. aristatum Linn. — G. laeviga- tum Linn. — Appennino di Lunigiana nei boschi di faggi del M. Tavola sopra Pontremoli. Alpi Apuane nelle faggete delle pendici occidentali del Pisanino fra Gramolazzo e la Forbice e nei castagneti lungo la Turrite di Gallicano fra Trombacco e il Forno Volasco a circa 350 m. sul mare. Nel M. Pisano lungo il Rio di Vorno e lungo la Visona di Com- pito sopra S. Andrea a circa 300 m. sul mare, dove lo rac- colsi coll’amico Pietro Pellegrini nel giugno 1891. G. Sylvestre Poll — Nei pascoli e nei luoghi sassosi aridi delle parti più elevate delle Alpi Apuane: al M. Fiocca, al M. Sumbra, al Sagro e al Pisanino. G. olympicum Boiss. — Nei luoghi aridi delle parti elevate delle Alpi Apuane al M. Fiocca, al M. Sumbra, e nelle pen- dici dei monti Grondilice e Garnerone verso la Valle di Gramolazzo. Scende, ma di rado, in basso lungo il corso dei torrenti, ed io l’ho raccolto nell'alveo ghiajoso della Tur- rite Secca fra Torrite e Pizzorno a circa 300 m. sul mare. Valeriana tripteris Linn. — Alpi Apuane nella Val d’Arni al M. Fiocca in Fatonero a 1500 m., e al Solco d’Equi alle ra- pici settentrionali del Pizzo d’'Uccello sulle rupi calcaree a circa 300 m. sul mare. V. saxatilis Linn. — Alpi apuane, nei luoghi assai elevati, al M. Sumbra, nel declivio settentrionale del M. Cavallo verso la Valle di Gramolazzo e nei dirupi delle pendici orientali del Pizzo d’' Uccello sotto la vetta. L'ho pure raccolta al Solco d'Equi presso le falde settentrionali del Pizzo d’Uc- cello a circa 300 m. sul mare. Cephalaria transylvanica Schrad. — Nelle colline presso Li- vorno fra il Cisternino e Bellavista, nelle colline Pisane presso Collesalvetti e nella sottostante pianura fra le For- nacette e Levajane presso Pontedera. Scabiosa graminifolia Linn. — Al M. Fiocca fra Campagrina e Fatonero, al M. Sumbra e al Pizzo d’' Uccello nelle Alpi Apuane, NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 201 S. Succisa Linn. — Nelle colline Pisane presso Collesalvetti. Adenostyles alpina B. et F. — Al M. Orsajo in Lunigiana nelle pendici elevate dal lato di mezzodì. Alpi Apuane al Solco d’Equi, al Pisanino sopra l’ Altare, e lungo la Turrite di Gallicano presso il Forno Volasco. Petasites albus Gaertn. — Non raro nei luoghi umidi delle parti elevate delle Alpi Apuane: così fra Careggine e Fili- caja, lungo la Turrite Secca sotto Pizzorno, lungo la Tur- rite di Gallicano tra il Forno Volasco e Trombacco e lungo la Turrite Cava fra Palagnana e le Fabbriche in Garfagnana; lungo il Rio Lucese e a Lecceto nel M. Prana sopra Camajore; sopra Massa nella Valle d’Antona, ecc. Bellidiastrum Michelii Cass. — Nei luoghi aridi rupestri delle parti elevate delle Alpi Apuane: al M. Fiocca, al M. Sumbra, nelle pendici settentrionali del M. Cavallo sotto la Focora di meso e al Pizzo d’ Uccello. L'ho pure raccolto sulle rupi lungo la Turrite Secca sotto Pizzorno a circa 300 m. sul mare. Erigeren acris Linn. — Alpi Apuane nell’alveo del Lucido presso Equi, al Pisanino, al Pizzo d’ Uccello, al M. Fiocca, lungo la Turrite Secca sotto Pizzorno e al M. Prana sopra Camajore. i *. alpinus Lam. — Appennino di Lunigiana nelle parti elevate del M. Orsajo. Alpi Apuane nelle pendici orientali del M. Garnerone sopra l’ Orto delle donne, al M. Sumbra, e nel M. Fiocca in Futonero. Stenactis bellidiflora Al Braun. — Erigeron annuus Pers. — A Pisa lungo l’Arno fuori di Porta alle Piagge (Pellegrini! maggio 1889). Bellis annua Linn. — Nelle ultime pendici delle Alpi Apuane dal lato di mezzodì nei colli presso Filettole. B. sylvestris Cyr. — A Massa dove è comune nei luoghi er- bosi: così al Ponte nuovo ed altrove lungo il Trigido, nel M. della fortezza, in Turano, al Mirteto, a Pariana, verso S. Giuseppe ecc. A Livorno fuori di Porta Fiorentina verso S. Stefano. Inula britannica Linn. -- Nelle colline Livornesi sopra Sal- viano nei campi presso la Villa Corridi, non comune. Nel padule di Bientina (Erbario pisano!). Pulicaria vulgaris Gaertn. — A Livorno nel littorale fra il 202 C. ROSSETTI Marzocco e il Calambrone, lungo il torrente Ugione presso S. Stefano, ed altrove, però non comune. Buphthalmum fiexile Bert. — Assai comune nei pascoli, nei luoghi sassosi, sul margine dei boschi nelle Alpi Apuane dalle loro radici fino alle parti assai elevate: come (per ri- portare solamente le località non pubblicate finora nè da me nè da altri) fra Ajola e Vinca, al Solco d’Equi, sopra Mon- zone lungo il Lucido e fra il Ponte a Monzone e Tenerano in Lunigiana; al Pisanino, lungo la Turrite Secca sotto Piz- zorno, lungo la Turrite di Gallicano dirimpetto all’ Eremita e lungo la Turrite Cava fra Palagnana e le Fabbriche in Garfagnana; nel M. Prana sopra Camajore presso Lecceto, ed altrove. Asteriscus aquaticus Mnch. — A Pisa lungo l'Arno fuori di Porta alle Piagge (Pellegrini! giugno 1890). Bidens frondosa Linn. — Nella bassa Lunigiana presso Al- biano (Poggi! ottobre 1886). ** Galinsoga parviflora Cav. — Il mio amico Pietro Pellegrini, raccolse alcune piante di questa specie (originaria dell’Ame- rica meridionale, ed ora divenuta avventizia in varii luoghi d'Italia e in altre regioni di Europa) a Pisa sugli scarichi fuori di Porta Nuova, nell'agosto del 1891. Per quanto io sappia, non era stata finora indicata in Toscana. Anthemis Triumphetti Dec. — In Lunigiana sotto Pracchiola nel Pontremolese. A. Cota Linn. — Massa ai Quercioln nei campi (Pellegrini! giugno 1887). A. mixta Linn. — A Lucca lungo il Serchio presso il Ponte a S. Quirico. Achillaea tanacetifolia All. — Alpi Apuane fra Careggine e Filicaja in Garfagnana. Diotis candidissima Desf. — Sul littorale di Follonica (Erbario pisano!). Artemisia Absinthium Linn. — Alpi Apuane a Fosdinovo sopra Sarzana, e in Garfagnana a Nicciano e a Gramolazzo. A. coerulescens Linn. — Io l’ho raccolta nelle colline Livor- nesi fra Nugola e Bellavista dove non è rara nei fossetti lungo le vie e nei luoghi argillosi. Nell’ Erbario pisano vi sono esemplari toscani inediti di questa specie delle seguenti NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 203 località: Piaggia d'Arno (Pietro Savi! settembre 1869-— sub A.maritima Linn.); Colline del Volterrano (Pietro Savi! estate 1855 — sub A. coerulescens Linn.); luoghi argillosi presso Lorenzana (Arcangeli! settembre 1863 — sub A. coerulescens Linn.): gli esemplari di A. coerulescens Linn. raccolti dal prof. Gaetano Savi (4) alla Paludetta presso Livorno (dove la trovai io pure nell'agosto del 1890) e da esso determi- nati e pubblicati con tal nome spettano realmente a questa specie; e così pure spettano a questa specie gli esemplari raccolti dal prof. Pietro Savi nella medesima località e de- terminati per la vicina A. marittima Linn.j non vi sono saggi toscani di quest’ultima specie. Gnaphalium luteo-album Linn. — Nei dintorni di Massa lungo il Canale della Ròcca, al Canal Magro, sotto Montignoso ec. G. uliginosum Linn. — Nelle radure dei boschi di faggi fra la cima del M. Sumbra e il M. Porreta nelle Alpi Apuane. Filago minima Fries. — Alpi Apuane alle loro {radici setten- trionali sulle roccie ofiolitiche fra Nicciano e Gramolazzo nell'alta Garfagnana, e nel M. Prana sopra Camajore sulla cima e presso Lecceto. M. Pisano sopra Calci a LBisantola e sopra Vorno. Senecio viscosus Linn. — Appennino di Lunigiana nelle pen- dici meridionali del M. Tavola sopra Pontremoli. Alpi Apuane tra Fosdinovo e Pulica in Lunigiana; nelle selve fra Nic- ciano e Gramolazzo e lungo la Turrite Secca sotto Pizzorno in Garfagnana. S. lividus Linn. (?). — Gli esemplari del Pago presso Seravezza in Versilia, da noi erroneamente riferiti a questa specie, spettano invece al vicino S. sylvaticus Linn. S. erucifolius Linn. — Qua e là nei coltivati dei dintorni di Livorno a Montenero, presso Collinaja ecc. Echinops ruthenicus Bieb. — Sul margine dei boschi nelle colline fra Livorno e Nugola presso Bellavista, raro. * Carlina lanata Linn. — Alpi Apuane nelle pendici setten- trionali del M. Prana sopra Camajore, non comune. Carduus carlinaefolius Lam. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fatonero, sulla cima del M. Sumbra, al Pizzo d’ Uccello, al (') G. Savi — Botanicum Etruscum, vol. IV. pag. 77, Pisis 1825. (2) F. Poggi e C. Rossetti, 1. c., pag. 19. 204 C. ROSSETTI Pisanino, e nelle pendici dei monti Cavallo e Grondilice verso la Valle di Gramolazzo. C. polyanthemum Dec. — Nel Pisano a S. Giuliano lungo i fossi delle acque termali. C. Bertolonii Spreng. -- Cnicus Bert. — Alpi Apuane nelle faggete fra il M. Sumbra e il M. Porreta, e nelle pendici settentrionali del M. Grondilice verso la Valle di Gramolazzo. C. acaule Scop. — La forma tipica (acaule monocefala) lho tro- vata piuttosto comune nei pascoli elevati dell'Appennino di Lunigiana (al M. Bove, al M. Tavola, al M. Orsajo ed altrove sopra Pontremoli), dell'Appennino lucchese (a S. Pellegrino) e* di tutto il gruppo delle Alpi Apuane. Tanto nelle Alpi Apuane quanto nell'Appennino ho talora incontrato la varietà (del tipo acaule) con fiori bianchi, e la varietà caulescens por- tante per lo più da 2 a 4 capolini (ambedue già indicate in Toscana nell’ Appennino pistoiese dal dott. E. Levier) (!), e di quest’ultima ne raccolsi nell'alveo ghiajoso della Turrite Secca sopra Castelnuovo di Garfagnana fra Torrite e Piz- zorno un esemplare notevole per la sua grandezza, misu- rando non meno di 15 cent. di altezza e portando ben 9 capolini di fiori (rossicci), e riferibile certamente al Cnicus dubius Willd.; vi ho pure osservato qualche pianta, acaule, con più capolini agglomerati presso la radice, e da ripor- tarsi probabilmente al Cirsium gregarium Boiss. (?). ‘'olpis umbellata Bert. —- A Pisa lungo l'Arno fuori di Porta alle Piagge e nelle colline Pisane presso Collesalvetti. Bobertia taraxacoides Dec. — Alpe Apuane al Pisanino (di dove il prof. Caruel la riporta dubitativamente come indica- tavi dal Vitman sotto il nome di Hyoseris radiata Linn.) (3) nelle balze sopra l’ Altare, e nelle pendici dei monti Garne- rone e Grondilice verso la Valle di Gramolazzo. Leontodon autumnalis Linn. — Nei pascoli elevati delle pen- dici meridionali del M. Orsajo in Lunigiana. L. pyrenaicus Gouan. — Dove il precedente. IL. anomalus Ball. — Questa specie, nota finora (per quanto (1) E. Levier e S. Sommier, I. c., pag. 259. (*) C. Naégeli — Dispositio specierum generis Cirsù, in Koch, Synopsis Florae Germanicae et Hetveticae, cd. 22, pag. 746, Lipsiae 1852. (*) Caruel — Prodromo della Flora Toscana, pag. 396, Firenze 1860. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 205 io sappia) delle alte montagne della Toscana settentrionale, incontrasi assai di frequente sulle rupi calcaree delle parti piuttosto elevale delle Alpi Apuane, ma però scende sovente anche assai in basso, specialmente sulle sponde lungo il corso dei torrenti, fino anche a 300 m. appena sul mare; ed io l’ho raccolta (per ricordare soltanto le località fin qui non pubblicate) al Solco d’'Equi, fra Ajola e Vinca, sopra Monzone lungo il Lucido e nel M. Bandita fra il Ponte a Monzone e Tenerano in Lunigiana; al M. Fiocca, lungo la Turrite Secca fra Torrite e Pizzorno e lungo la Turrite di Gallicano dirimpetto all’ Eremita in Garfagnana; fra Carrara e Colonnata presso le cave; e fra Lecceto e la Grotta all’Onda sopra Camajore. * L. Villarsii Lois. — Nei colli delle pendici meridionali delle Alpi Apuane a Chiatri sopra sopra Massarosa sui cigli dei campi presso la chiesa. Nei colli Livornesi sopra Collinaja e presso Salviano, e nel Valdarno di sotto alla Rotta sopra Pontedera e a Varramista presso S. Romano. Tragopogon pratense Linn. — Alpi Apuane alle radici setten- trionali fra Nicciano e Gramolazzo nell'alta Garfagnana e nelle pendici orientali al M. Prana sopra Camajore. Lactuca Scariola Linn. — Qua e là nei coltivati della pianura e delle colline nei dintorni di Livorno. Crepis bulbosa Froel. — Aetheorhiza Cass. — Alle falde meri- dionali delle Alpi Apuane a Bozzano presso Massarosa nel Viareggino. C. paludosa Moench. — Nell’Appennino di Lunigiana al M. Or- sajo nei luoghi umidi presso al Lago Santo sugli estremi confini settentrionali della Flora Toscana, e nelle Alpi Apuane lungo la Turrite di Gallicano sotto il Forno Volasco in Gar- fagnana. Laurentia Michelii A. Dec. — Nei dintorni di Massa nelle col- line presso Romagnano e nella Valle dei Tecchioni nelle pen- dici meridionali del M. Belvedere (Pellegrini! agosto 1888), e sull’argine della ferrovia sotto Montignoso. Phyteuma orbiculare Linn. — Alpi Apuane nelle pendici set- tentrionali del M. Cavallo presso la ocora di meso, e sulla vetta del M. Sumbra. Campanula glomerata Linn. — Nei pascoli elevati delle pen- dici meridionali del M. Orsajo in Lunigiana, 206 C. ROSSETTI C. persicifolia Linn. — Alpi Apuane fra Vergemoli e il Forno Volasco in Garfagnana e al M. Prana sopra Camajore. Ap- pennino lucchese fra Chiozza e S. Pellegrino. Vaccinium uliginosum Linn. — Alpi Apuane nei boschi di faggi alle falde del M. Sagro sopra Vinca presso la Foce del Pollaro. Primula vulgaris Huds. a, calycantha Ces. — P. acaulis fp. caulescens Koch — P. grandifiora c. calycantha (Ces.). * p. rubra FI. Gr. — P.grandifiora f. rubra Ces.? — P. Sib- thorpii Hort. et Rchb. Il tipo della specie l'ho incontrato assai comune nei luoghi boschivi e freschi delle Alpi Apuane nei dintorni di Massa, in varii luoghi della Versilia, ecc.; la var. . sopra Massa alle Capannelle e alle sorgenti del Frigido. La var. Bf. trovasi parimente nei dintorni di Massa presso 11 Mirteto e alla base del M. Brugiana (Pellegrini! aprile 1888) e alle Capannelle (C. Rossetti! 1887) insieme al tipo, però sempre in piccola quantità. Androsace villosa Linn. — Raccolsi questa pianta, assai rara per la Toscana, (oltrechè sulla cima del M. Sagro, dove già la raccolse il prof. G. Bertoloni) (1), sulla vetta e nelle pen- dici occidentali del M. Sumbra, dove abbonda, nell’ agosto del 1889. Lysimachia nemorum Linn. — Nel M. Pisano presso la Casa di Serra alta nei ruscelletti (Caruel, Erbario, 20 maggio 1876) e lungo il Rio di S. Antonio sopra Buti, a circa 500 m. sul mare, in compagnia del raro Pterygophylum lucens (L.) Brid., assai abbondante in una sola località, fresca, as- sai ristretta. Già raccolta “ nel M. Pisano in Serra dal prof. Mori (maggio 1876) , (2). È pianta rara in Toscana, essen- dovi indicata (per quanto mi è noto) oltrechè del M. Pi- sano, solo dell'Appennino Aretino. Centunculus minimus Linn. '— Non raro nei castagneti e in altri luoghi freschi ed un po’ umidi delle basse pendici delle Alpi Apuane: così a Massa nel M. di Pasta e al Colletto (4) A. Bertoloni — Flora italica, vol. II, pag. 362, Bononiae 1835. (£) G. Arcangeli — Contribuzione alla Flora della Toscana. Ricerche e lavori eseguiti nell’ Istituto botanico dell’ Università dì Pisa, Fasc. I, pag. 21, Pisa 1886, NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 207 (Pellegrini! agosto 1891); a Nocchi e sopra Torcigliano presso Camajore; alle falde settentrionali del M. Pisanino sopra Gramolazzo, fra Castelnuovo e Torrite lungo la Tur- rite Secca, lungo la Turrite di Gallicano fra il paese omo- nimo e Trombacco e lungo la Pedogna sotto Convalle in Garfagnana. Nell’ Erbario pisano esistono esemplari toscani inediti, raccolti a Viareggio nei luoghi uliginosi delle pi- nete (Mezzetti e Beccari! luglio 1857), a Castagnolo (Savi! aprile 1862) e nella Val della Lima sotto Perpiglio (luglio 1861!). Periploca graeca Linn. — Selvatica nelle macchie di Migliarino presso Viareggio, nel padule di Massaciuccoli alla Piuggetta presso Massarosa, e nel Pisano dove la trovai copiosa e in piena fioritura in una siepe lungo la ferrovia fra la Ma- donna dell’ Acqua e Palazzetto il 26 maggio 1892! Gentiana verna Linn. — Al M. Fiocca e al M. Sumbra nelle Alpi Apuane. G. asclepiadea Linn. — Nei luoghi freschi e ombreggiati delle pendici settentrionali del M. Pisano lungo la Visona di Com- pito, ai Pianettoli sopra S. Maria del Giudice e lungo il Rio di Vorno sopra il paese omonimo, non comune. Cuscuta major Dec. — C. europaea Linn. (escl. la var. B.). — Nelle Alpi Apùane a Careggine in Garfagnana e a Lucese sopra Camajore, parassita sull’ Urtica dicica Linn. ed altre piante. Echium plantagineum Linn. — Nel lucchese a Guamo lungo l'acquedotto, e a Livorno. Lycopsis arvensis Linn. — Nei campi presso Gramolazzo nel- l'alta Garfagnana. Lithospermum officinale Linn.— Nei luoghi selvatici asciutti delle Alpi Apuane, dove non è raro: lungo la Turrite Cava fra Palagnana e le Fabbriche e sotto Pascoso, lungo la Tur- rite Secca fra Castelnuovo e Pizzorno, e al Pisanino alle falde presso Gramolazzo e nelle pendici meridionali sotto la vetta verso l’ Altare in Garfagnana, e a Nocchi presso Camajore. Pulmonaria officianalis Linn. — Assai frequente nei luoghi boschivi freschi delle Alpi Apuane; così nei dintorni di Massa sopra Altagnana e nelle pendici meridionali del M. Brugiana 208 C. ROSSETTI sotto Bergiola Maggiore; al M. Prana sopra Camajore; lungo la Turrite di Galiicano sotto Trombacco, lungo la Turrite Secca fra Torrite e Pizzorno, fra Careggine e Filicaja, e nelle pendici settentrionali del Pisanino sopra Gramolazzo in Garfagnana. Cynoglossum officinale Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fatonero e nelle pendici settentrionali del Pisanino sopra Gramolazzo. Linaria minor Desf. — Nell’Appennino di Lunigiana sopra Pracchiola. Nelle Alpi Apuane dove non è rara nei luoghi aridi e nelle ghiaje dei torrenti: così nel letto del Lucido sotto il Ponte a Monzone in Lunigiana; fra Carrara e le cave di Colonnata; sopra Vagli, a Campagrina in Val d’ Arni, fra Vergemoli e il Forno Volasco, lungo la Turrite Cava + fra Palagnana e le Fabbriche, nell'alveo della Pedogna fra Pescaglia e Convalle, e in altri luoghi della Garfagnana ; nel M. Prana e nel M. Pedona sopra Camajore; ecc. Nel M. Pisano sopra S. Giuliano ed altrove. Scrophularia Scopolii Hopp. — S. grandidentata Ten. — Alpi Apuane al Pisanino presso l’A/fare. Veronica spicata Linn. — Nei boschi delle colline Pisane presso V. V. Collesalvetti, non comune. aphylla Linn. f. longistyla (Ball). — V. longistyla Ball — Alpi Apuane nelle pendici occidentali del M. Garnerone sopra Vinca, e al M. Sumbra nei dirupi sotto la vetta verso Fa- tonero. . peregrina Linn. --- Inselvatichita nell’ajuole dell'Orto bo- tanico di Pisa dove abbonda. E la seconda località della Toscana fin qui conosciuta per questa pianta, essendo finora stata trovata allo stato selvatico soltanto nell’Orto bota- nico di Firenze (Burci) (!). Cymbalaria Bod. — A Chiatri sopra Massarosa nel Viareg- gino nelle pendici meridionali delle Alpi Apuane. Melampyrum nemorosum Linn. — Nei boschi delle colline Pisane presso Collesalvetti, dove non è raro. Orobanche hederae Dub. — Alpi Apuane a Torcigliano sopra Camajore, e nella Selva Pisana a Palazzetto, parassita sulle radici dell’ Hedera Helix L. (4) F. Parlatore, 1. c. vol. VI, pag. 518, Firenze 1885. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 209 Mentha sylvestris Linn. 6. glabra Parl. — M. viridis Linn. — A Pisa sugli scarichi fuori di Porta alle Piagge e sui poggi della piazza d'Armi, ma in poca quantità (Pellegrini! lu- glio 1890). Lycopus europaeus Linn. var. exaltatus (Linn.) — L. exal- tatus Linn. — Presso Bientina lungo la via fra Lucca e Pontedera. Un esame comparativo delle due forme mi ha indotto a ritenere il L. eraltatus Linn. come semplice va- rietà del L. europaeus Linn. Calamintha grandiflora Moench. — Satureja Scheele. — Nelle faggete del M. Tavola sopra Pracchiola in Lunigiana. C. montana Lam. — €. officinalis Moench. — Satureja Ca- lamihtha Scheele. — Alpi Apuane lungo la Turrite di Gal- licano fra il paese omonimo e Trombacco, lungo la Turrite Secca fra Castelnuovo e Pizzorno e alle falde settentrionali del Pisanino sopra Gramolazzo in Garfagnana. Salvia Sclarea Linn. — Nell’ Agro Aretino (Erbario pisano, Savi! luglio 1842, comunicavit Ad. Targioni). S. verticillata Linn. — A Massa nel letto del Frigido verso S. Giuseppe (Pellegrini! settembre 1890) e alle falde meri- dionali del M. Pisano sopra Calci ai Tre Colli, rara. Ziziphora capitata Linn. — Ritrovata dal sig. Pietro Pelle- grini in piccola ‘quantità a Pisa nel letto dell'Arno (giugno 1890!) dove già la scoperse il prof. Pietro Savi. * Nepeta Cataria Linn. — Alle radici settentrionali delle Alpi Apuane sulle roccie serpentinose lungo la via fra Piazza al Serchio e Gramolazzo nell'alta Garfagnana. Stachis heraclea All. — Nelle colline Livornesi nei dintorni di Nugola e fra il Cisternino e Bellavista e nelle colline Pi- sane presso Collesalvetti, nei luoghi aridi, rara. S. germanica Linn. var. italica (Mill.). — S. italica Mill. — A Pisa nei prati verso Castagnolo, non comune. S. palustris Linn. — A Massa lungo il Frigido presso il ponte della ferrovia (Pellegrini! agosto 1886), e a Pontedera lungo la via ferrata presso la città e lungo l’Arno sopra le For- nacette. Galeopsis Tetrahit Linn. — Nelle pendici settentrionali del M. Pisano lungo il Rio Visona di Compito. Statice minuta Linn. 210 C. ROSSETTI var. virgata Martelli (4) — S. virgata Willd. — S. oleaefolia Ten. var. multiformis Martelli. — S. virgata Willd. f. dictyoclada (Boiss.) Nel littorale di Livorno: la var. virgata all’Ardenza sul- l’argine del pubblico passeggio verso il mare, non comune; la var. multiformis sulle scogliere marittime fra Antignano e la Torre del Romito, dove abbonda. -- Debbo la determi- nazione delle forme di questo intricatissimo genere da me raccolte al chiarissimo monografo delle Statice italiane sig. Ugolino Martelli. Plantago maritima Linn. 8. serpentina All. Il tipo della specie l'ho raccolto al Passo di Sella nelle Alpi Apuane; la var. f. nelle colline Pisane a Collesalvetti e presso Livorno nel littorale fra il Marzocco e il Calam- brone nei colli argillosi vicino a Nugola. P. Cynops Linn. — A Pisa lungo l’Arno fuori di Porta alle Piagge, poche piante (Pellegrini, agosto 1891). Atriplex rosea Linn. — Presso Livorno alla Paludetta (Erbario pisano! 1860) e fra l’Ardenza ed Antignano lungo il mare (C. Rossetti! agosto 1890). Chenopodium ambrosioides Linn. — In Lunigiana nei luoghi sassosi lungo la Magra sotto Mocrone luogo detto al Ghiagone, assai copiosa in una località piuttosto ristretta. A Pisa nei luoghi erbosi lungo fuori di Porta alle Piagge (Pellegrini! giugno 1889-91). Nell’Erbario pisano esistono esemplari ine- diti di Ch. ambrosioides Linn. portanti soltanto l'indicazione “ fra le pietre della Gonfolina lungo l’Arno , scritta di ca- rattere del prof. Pietro Savi; non vi sono altri esemplari toscani. Ch. polyspermum Linn. — Alle radici orientali delle Alpi Apuane presso Castelnuovo di Garfagnana lungo la Turrite Secca. Ch. olidum. Curt. — Nei dintorni di Massa e di Livorno. #* Roubieva multifida Moq. — A Livorno, dove nell'agosto del 1890 ne trovai poche piante lungo il mare sugli scali (!) U. Martelli — Rivista critica delle specie e varietà italiane del genere Statice, Firenze 1887. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA Ze del Cantiere Orlando e dove probabilmente era avventizio. Non indicata finora, per quanto io sappia della Flora Toscana. Amarantus viridis Linn. — A. adscendens Lois. — Già ripor- tato dubitativamente di Pisa dal prof. Caruel (*), come no- tatovi dal prof. G. Savi col nome di A. Bltwm Linn. Sp. pl. — Io ve l’ho raccolto nei coltivati presso la città e nelle col- line di Collesalvetti. A. Blitum Linn. — A. sylvestris Desf. — A Massa, a Castel- nuovo di Garfagnana e a Livorno. A. incurvatus Gren. et Godr. — A. patulus Gren. et Godr. (non Bert.). — Massa ai Quercioli ed altrove, a Castelnuovo di Garfagnana e nelle colline Pisane a Collesalvetti. A. retroflexus Bert. — Alle falde settentrionali delle Alpi . Apuane a Vinca, a Equi, fra Soliera e Rometta in Luni- giana; ed in quelle orientali a Gramolazzo e a Castelnuovo in Garfagnana. A Pisa fuori di Porta alle Piagge (Pelle- grini! settembre 1890) e nei dintorni di Livorno al Poggetto presso S. Stefano e al Cisternino. A. albus Linn. — A Massa nei campi presso S. Giuseppe e @ Livorno nella pianura intorno a Salviano e nelle colline sopra Ajaccio. ** Polyecnemum majus Al Braun. — Ho raccolto questa specie, non pubblicata finora (per quanto io mi sappia) della To- scana, a Livorno nei luoghi ghiajosi fra i binari della fer- rovia presso la stazione di S. Marco (agosto 1890) e nel- l'alta Garfagnana nei colli serpentinosi lungo la via fra Nicciano e Gramolazzo a circa 600 m. sul mare (agosto 1891). È stata osservata da parecchi anni anche a Firenze nel letto dell'Arno in copia assai abbondante dal dott. Le- vier (?). Nell’ Erbario Pisano vi esistono esemplari toscani inediti raccolti nei campi argillosi delle colline a Forci nel ‘ Lucchese (Mezzetti e Beccari! settembre 1860 — sub P. magus), a Volterra presso i monumenti lungo la strada (Amidei! — senza nome), a Radda nei campi di Galestro (0. Beccari! luglio 1861 — sub. P. majus) ed altrove nel Chianti (sub P. arvense Linn!) e nell'alveo del Bisagno in faccia a Movassi (2). Caruel, 1. c. pag. 544, Firenze 1860. (*) Da comunicazione epistolare del 5 aprile 1892. Se. Nat. Vol. XII. 212 C. ROSSETTI (Erbario Rosellini! giugno 1840 — sub P. arvense Linn.). Il P. majus tipico si distingue assai facilmente dal vicino P. arvense Linn. oltrechè per la maggior robustezza e per le altre sue parti più sviluppate, per avere i semi quasi il dop- pio più grandi. Non mancano però delle forme intermedie, che e per i semi di mediana grandezza e pel minore svi- luppo delle altre parti, lasciano in dubbio a quale delle due specie debbano riferirsi. Polygonum dumetorum Linn. — A Pracchiola sopra Pon- tremoli in Lunigiana. P. mite Schrank. — Alle radici settentrionali delle Alpi Apuane nei luoghi umidi sotto Gramolazzo nell'alta Garfagnana. * Rumex scutatus Linn. — Sulle rupi di macigno nelle pen- dici meridionali del M. Orsajo in Lunigiana e nell'alta Gar- fagnana nei colli aridi serpentinosi lungo la via fra Nic- ciano e Gramolazzo alle radici settentrionali delle Alpi Apuane. Daphne alpina Linn. — Sulla cima del M. Prana sopra Ca- majore nelle Alpi Apuane. D. oleoides Schreb. — D. glandulosa Bert. — Alpi Apuane nelle pendici settentrionali del M. Grondilice verso la Valle di Gramolazzo sopra Vinca fra la Foce del Giovo e la Foce del Pollaro e sulla cima del M. Prana sopra Camajore. Passerina annua Wik. — Thymelaea arvensis Lam. — A Livorno nei campi presso Collinaja. Thesium intermedium Schrad. — Alpi Apuane al M. Sumbra e al Pisanino. Oxyris alba Linn. — Nelle macchie del littorale di Massa al Poveruomo (Pellegrini! settembre 1891). Cytinus Hypocistis Linn. — Nel maggio del 1892, in com- pagnia del mio Maestro prof. G. Arcangeli e del collega P. Pellegrini, ritrovai quella bella pianta in discreta copia e in piena fioritura, nella Selva Pisana a Palazzetto, parassita sulle radici del Cistus salviaefolius L., in un luogo arenoso, un po’ aprico, non molto esteso alla base di una duna, e non lungi dalla località dove fin dalla primavera 1886 l'avevo raccolta coll’ amico dott. Felice Poggi (4). Tutti gli esemplari (') F. Poggi e C. Rossetti — Contribuzione alla Flora della parte nord-ovest della Toscana, Nuov. giorn. bot. it. vol. XXI, pag. 23, Firenze 1889. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA DIS) da me veduti presentavano un bel colore giallo vivo, e solo le brattee un po’ rosseggianti al di fuori specie nel mezzo. Euphorbia thymifolia Burmann. — Presso le stazioni ferro- viarie di Sarzana, Carrara e Lucca sulla ghiaja fra i binari e (qualche pianta) a Pisa nei viali del giardino del palazzo arcivescovile. Sebbene l'abbia diligentemente ricercata nei dintorni di Pisa e di Livorno, e specialmente nei siti ghiajosi lungo le ferrovie, dove (nei luoghi in cui la trovai) prospera a meraviglia, allo scopo rintracciare l'introduzione di que- sta pianta, propria delle regioni tropicali, presso di noi, e di seguirne possibilmente la diffusione, non mi venne fatto d’incontrarla altrove nei dintorni di Pisa all'infuori del- l'Orto botanico (dove già la raccolsi nel 1885) (4) e in nes- sun luogo presso Livorno. * E. spinosa Linn. — Nelle pendici settentrionali delle Alpi Apuane nei luoghi sassosi e sulle rupi calcaree aride lungo la via fra Ajola e la Maestà di Vinca in Lunigiana, a circa 600 m. sul mare, non comune. Mercurialis perennis Linn. — Alpi Apuane nelle faggete fra il M. Sumbra e il M. Porreta, a Vianova sopra Careggine e lungo la Turrite Secca fra Torrite e Pizzorno in Garfagnana. Urtica urens Linn. — Nei Pisano a Cascina dove è comune. Ostrya carpinifolia Scop.-- Alpi Apuane fra Carrara e Co- lonnata e in Garfagnana lungo la Pedogna sotto Convalle fra Trebbio e Lucese, non comune. Quercus Pseudo-Suber Sant. — Io la raccolsi a Firenze nel M. degli Scopeti presso S. Andrea nel settembre del 1888. Nell Erbario pisano vi sono esemplari inediti della mede- sima località (Arcangeli! giugno 1878), di Settignano (Ar- cangeli! ottobre 1889), di Livorno! e di Monte Valeri (ex Herb. Michelii!). Q. Suber Linn. -- Nelle colline Livornesi presso il tO e sopra Stagno alle Ghiacciaje, non comune. Salix cinerea Linn. — Presso Livorno, nelle macchie di Tom- bolo sulla destra del Calambrone vicino al mare, non comune. S. nigricans Smith. — Alpi Apuane a Vianova sopra Careg- gine in Garfagnana nei luoghi umidi lungo i ruscelli. (') F. Poggi e C. Rossetti — Contribuzione alla Flora della parte nord-ovest della Toscana, Nuovo giorn. bot. it., vol. XXI, pag. 23, Firenze 1889. 214 C. ROSSETTI S. crataegifolia Bert. — Alpi Apuane nelle pendici setten- trionali del M. Cavallo verso la Valle di Gramolazzo. S. grandifolia Ser. — Nell’Appennino Lucchese a S. Pellegrino e nelle Alpi Apuane lungo la Turrite Cava fra Palagnana e Focchia in Garfagnana, non comune. SÌ capraea Linn. — Sulle sponde del lago di Massaciuccoli nel Viareggino alla Piaggetta. Populus Tremula Linn. — Alpi Apuane sE falde setten- trionali fra Marciaso e Pulica lungo la Pescioletta in Lu- nigiana ed in quelle occidentali nel colle di Pruneta presso Massa; nella Selva Pisana in Tombolo vicino al mare e in S. Rossore a Palazzetto; e nel Valdarno di sotto nei colli di Varramista presso S. Romano. Nell’inserto del P. canescens Smith. dell’ Erbario Pisano vi sono (determinati con questo stesso nome dal prof. Pietro Savi) esemplari toscani inediti di P. Tremula Linn. rappre- sentati da giovani rami coi fusti e colle foglie superiori pu- bescenti (e di qui probabilmente l'errore) delle seguenti lo- calità: Tendajo sotto S. Pellegrino (luglio 1841!), Fonda-. chette (maggio 1869!), Ragnaja di Desiderio! Ho incontrato questa pianta presso di noi sempre in scarsa copia e mai in grandi alberi. Betula alba Linn. — Alpi Apuane nei colli sulla destra del fiume Gramolazzo sotto il paese omonimo, e a Vianova e nel M. Porreta sopra Careggine (dove è assai abbondante) in Garfagnana. — Ho sempre incontrata questa specie, nei luoghi sopra indicati, in cespugli od arboscelli: mai in grandi alberi. Alnus incana Dec. — Alpi Apuane ‘nel M. Porreta sopra Ca- reggine (dove è comune) e tra Filicaja e il Poggio in Gar- fagnana. MONOCOTILEDONI Epipactis palustris Crantz. — Livorno al Calambrone. Platanthera chlorantha Reich. — All’Alvernia (Erbario Pi- sano, Nic. Chierici! 1841). Anacamptis pyramidalis Rich. — Nelle colline Livornesi presso Nugola. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA Zio Orchis ustulata Linn. — Sulla cima del M. Prana sopra Ca- majore, rara. Iris germanica Linn. — A Massa nel M. della fortezza sui vecchi muri. I. foetidissima Linn. — Massa al Mirteto lungo il Canale della Foce e sotto Castagnola lungo il Frigido. Ajax Pseudo-Narcissus Haw. — A Massa negli uliveti del Monte della fortezza, per lo più con fiori doppi, non tanto comune (Pellegrini! aprile 1887). Narcissus papyraceus Gawl. — A Massa nel lato orientale del M. della fortezza nelle spaccature delle roccie e sulle vecchie mura del forte e negli uliveti attigui, non comune (Pellegrini! aprile 1887). * Agave americana Linn. — A Massa nel M. della fortezza nelle fessure delle rupi e sui vecchi muri (con fiori e frutti). Asparagus tenuifolius Linn. — Nelle pendici settentrionali delle Alpi Apuane lungo la Turrite Secca fra Turrite e Piz- zorno, lungo la Turrite di Gallicano fra il paese omonimo e Trombacco e nel M. di Brucciano fra Vergemoli ed Eglio in Garfagnana. Polygonatum officinale All. — Alpi Apuane a Vianova sopra Careggine in Garfagnana. Paris quadrifolia Linn. — Dove il precedente. Tulipa Oculus Solis Suint-Aimans. — Trovai questo raro tu- lipano nelle basse pendici meridionali delle Alpi Apuane a Fibbialla sopra Massarosa nel Lucchese, in discreta quan- tità in una vigna presso il paese (in compagnia dell’ Ane- mone hortensis Linn. B. pavonina Dec.) probabilmente insel- vatichita. — Il chiarissimo monografo di questo intricatis- simo genere, dott. Emilio Levier, a cui inviai alcuni saggi del tulipano in discorso, mi confermò trattarsi realmente di questa specie (1). Lilium Martagon Linn. — Sotto la cima del M. Prana sopra Camajore dal lato verso levante, rara. Endymion campanulatus Parl. — Scilla Ai. — A Massa negli uliveti del M. del forte dal lato di levante (Pellegrini! aprile 1898 — C. Rossetti! aprile 1884), e sopra la Ròcca (1) Da comunicazione epistolare del 24 novembre 1891. 216 C. ROSSETTI lungo il Canale omonimo, assai abbondante (Pellegrini! aprile 1886). Hyacinthus orientalis Linn. — A Massa negli uliveti delle pendici settentrionali del M. della fortezza presso l’ abitato, probabilmente inselvatichito (Pellegrini! aprile 1889). Allium Chamae-Moly Linn. — Nel M. Pisano alla Verruca, dal lato di mezzogiorno sotto la fortezza (Baroni! gennaio 1889). * Allium oleraceum Linn. — Alle radici settentrionali delle Alpi Apuane sui cigli dei campi fra Nicciano e Gramolazzo nell'alta Garfagnana. * A. Ampeloprasum Linn. — A Massa, negli orti del M. della fortezza (Pellegrini! maggio 1888). Phalangium ramosum Poir. — Alpi Apuane: nella Valle del Lucido sopra Monzone lungo la via che conduce alle cave del Sagro, fra Ajola e Vinca e nel M. Bandita fra il Ponte a Monzone e Tenerano in Lunigiana; fra Carrara e Colon- nata; e lungo la Turrite Secca fra Castelnuovo e Pizzorno in Garfagnana. Colchicum alpinum Dec. — Appennino di Lunigiana al M. Tavola sopra Pontremoli. Alpi Apuane a Gramolazzo (a circa 600 m. sul mare) e a Vianova sopra Careggine in Gar- fagnana. Veratrum album Linn. — Al M. Tavola sopra Pontremoli in Lunigiana. Luzula vernalis Dec. — L. pilosa Willd. — Alpi Apuane nelle basse pendici dal lato di mezzogiorno tra Valpromaro a Montemagno lungo la Freddana, ed altrove. Nel Valdarno inferiore a Varramista presso S. Romano. Juncus depauperatus Ten. — Nelle colline Livornesi presso i Bagnetti dell’ Acqua Puzzolente (Erbario pisano, Arcangeli! giugno 1876 — C. Rossetti! agosto 1890) e fra stagno e Ajaccia. Nel M. Pisano a Vicopelago nei castagneti (Erbario pisano Mezzetti e Beccari! giugno 1860), sopra Calci ai Tre Colli e sulla cresta fra il M. Serra e lo Spauntone di S. Allago a Bisantola, sopra Buti lungo il Rio di S. Antonio, a S. Quirico lungo l'acquedotto di Lucca, ai Pianettoli sopra S. Maria del Giudice nelle pendici settentrionali del M. Faeta e a Pozzuolo. A Partigliano in Val di Serchio nelle selve NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 217 (Erbario pisano, Bicchi! luglio 1850). Nel Valdarno di sotto a Varramista presso S. Romano. J. capitatus Weig. — A Nocchi sopra Camajore nei castagneti. Cyperus fuscus Linn. — Nei dintorni di Massa nel littorale presso S. Giuseppe, sotto il Mirteto, ecc. C. rotundus Linn. — A Sarzana, a Migliarino fra Pisa e Via- reggio, a Livorno ecc. Cladium Mariscus R. Br. — Presso Livorno al Calambrone nei luoghi paludosi. Scirpus Savii Seb. et Maur. — Nelle pendici settentrionali delle Alpi Apuane fra Marciaso e Tenerano lungo il tor- rente Bardine in Lunigiana. Nelle colline Livornesi fra il Mulino Corridi e Popogna. Carex echinata Murr. — C. stellulata Good. — Nell’Appen- nino di Lunigiana nelle pendici settentrionali del M. Orsajo presso il Lago Santo, sull’esterno limite settentrionale della nostra flora. Nel M. Pisano nella Valle di S. Maria del Giu- dice aî pollini presso il podere del Tarabacci (Erbario pisano, Pietro Savi! maggio 1865) e lungo il Rio di Vorno e la Vi- sona di Compito. C. paniculata Linn. — Sulle sponde del lago di Massaciuccoli nel Viareggino alla Piaggetta. C. distachya Desf. — Linkii Schk. — Nelle pendici setten- trionali delle Alpi Apuane nei colli sopra Viareggio a Boz- zano presso Massarosa, a Chiatri, a Fibbialla, ed altrove. C. mucronata All. — Nelle pendici meridionali del M. Fiocca nelle Alpi Apuane. C. macrolepis Dec. — Sulla cima del M. Sumbra nelle Alpi Apuane. C. stricta Good. — Sulle sponde del lago di Massaciuccoli presso Viareggio alla Piaggetta. C. pendula Huds. — C. maxima Scop. — Nei dintorni di Pisa alle Cascine Nuove, a Palazzetto ed altrove nella Selva e lungo il Canale di Ripafratta verso S. Giuliano; nel M. Pisano a S. Maria del Giudice, a S. Andrea di Compito e sopra Buti; nelle colline Pisane presso Collesalvetti; e nel Valdarno di sotto a Varramista presso S. Romano. C. refracta Balb. (fide C. Ascherson) — 0. tenax Reut. — C. ferruginea Caruel Prodr. (non Scop.) — ©. macrosta- 215 C. ROSSETTI chys Bert. (1). — Al M. Sumbra ed al Pizzo d’ Uccello nelle Alpi Apuane. C. flava Linn. — Livorno al Calibro nei luoghi umidi. Pollinia Gryllus Spreng. — Crysopogon Trin. — Andro- pogon Linn. — Raccolta dal mio amico dott. Felice Poggi in Lunigiana a Ceparana sui confini settentrionali della nostra flora (giugno 1891). Andropogon hirtus Linn. var. pubescens (Vis.). Nell’Erbario Pisano vi sono esemplari toscani inediti, della forma tipica raccolti presso Rosignano (Arcangeli! maggio 1882) e della var. pubescens dei colli calcarei aprici del M. Pisano presso Agnano. Phleum Michelii All. -- Nelle pendici orientali delle Alpi Apuane lungo la Turrite Secca fra Castelnuovo e Pizzorno in Garfagnana. Milium multifiorum Cav. — Livorno a Salviano. Lasiagrostis Calamagrostis Linn. — Alle radici settentrio- nali delle Alpi Apuane nel Solco d'Equi in Lunigiana. Stipa Aristella Linn. — Nelle colline Livornesi presso i Ba- enetti lungo il Rio dell'Acqua Puzzolente. Calamagrostis sylvatica Host. — Alpi Apuane nelle parti elevate del Pisanino sotto La Forbice e nei dirupi sotto la vetta del M. Sumbra dal lato di ponente. Trisetum flavescens P. B. — Appennino lucchese a Pratofio- rito (Erbario pisano, Pietro Savi! giugno 1863). Avena Scheuchzeri All. — Nei pascoli elevati del M. Sum- bra nelle Alpi Apuane. Sesleria tenuifolia Schrad. — Alpi Apuane al M. Sumbra, al Sagro, al Pizzo d’' Uccello e lungo la Turrire Secca fra Castelnuovo di Garfagnana e Pizzorno. Nell’ Erbario pisano vi sono esemplari inediti raccolti fra Seggiano e Vico (Ar- cangeli! giugno 1888) e a Tereglio! Poa alpina Linn. (forma typica) — Al M. Fiocca e al Pizzo d’ Uccello nelle Alpi Apuane. P. nemoralis Linn. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fafonero e sotto Careggine in Garfagnana. (4) E. Levier e S. Sommier, 1. c. pag. 268. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA FLORA DELLA TOSCANA 219 Bromus asper Linn. — Alpi Apuane alle falde settentrionali del Pisanino nei castagneti sopra Gramolazzo e lungo la Turrite Secca fra Palagnano e le Fabbriche in Garfagnana. Festuca spectabilis Linn. — F. elatior Bicchi. Agg. fl. lucch. (non Linn.). — Nel M. Pisano sopra Calci ai Tre Colli e sotto Pozzuolo (!). Lepturus incurvatus Trin. — A Viareggio nel littorale, arenoso. Psilurus nardoides Trin. — Nei dintorni di Massa sugli ar- gini della ferrovia sotto Montignoso e nel Valdarno di sotto a Varramista presso S. Romano. PROTALLOGAME Salvinia natans Hoffm.— Livorno al Calambrone, non comune. L’Azolla Caroliniana Willd., nativa dell'America e intro- dotta dal prof. Arcangeli nei fossi del Pisano, dove ora è divenuta comunissima (*), e diffusasi pure in altre parti della Toscana, l'ho trovata in piccola quantità in un fosso della pianura di Lucca verso Guamo lungo l'acquedotto, nel giu- gno 4891. Lycopodium Selago Linn. — Nell’ Appennino di Lunigiana al M. Orsajo, e nelle Alpi Apuane al M. Cavallo nelle pen- dici sopra Gramolazzo. Equisetam ramosissimum Desf. —- A Viareggio. Ophyoglossum Lusitanicum Linn. — Nel M. Pisano ad Asciano (Pellegrini! marzo 1888). Hymenophyllum Tumbridgense Smish. — Alpi Apuane so- pra Massa nella Valle d’Antona sotto Altagnana. Sebbene ve l'abbia diligentemente ricercato, anche nelle recenti er- borizioni da me effettuatevi nel giugno del 1891, non mi fu dato d’incontrarlo in nessuna località del M. Pisano. (1) Il chiarissimo dott. Enrico Tanfani a cui ne inviai alcuni esemplari (insieme ad alcune altre poche piante appartenenti a generi più o meno critici) pel confronto coi saggi degli erbari del R. Museo di Storia Naturale di Firenze, confermò la mia determinazione. (2) G. Arcangeli — Sull’Azolla Caroliniana nei Processi verbali della ‘Soc. tosc. di Sc. nat., adunanza del 2 nov. 1882. Sc. Nat. Vol. XII. 17 220 C. ROSSETTI Avendo pure accuratamente riesaminati i numerosi esem- plari da me raccolti in diverse località delle Alpi Apuane e quelli delle stesse montagne esistenti nell’ Erbario pisano, allo scopo di accertarmi se fra di essi ve ne fosse qualcuno riferibile al vicino H. unilaterale Wils (H. Wilsoni Hook.), (che nasce in varie regioni dell’ Europa settentrionale e cen- trale, spesso in compagnia dell’ H. Tumbridgense Smith, dal quale si distingue principalmente per avere l’indusio con valve ovate ed intere nel margine e con peduncolo lungo circa la metà di esso ed inoltre per le foglie meno divise e coi lobi arricciati da un lato) (1) ebbi a convincermi che spettavano tutti realmente all’H. Tumbridgense Smith., e non incontrai nessuna forma di passaggio che mostrasse di avvicinarsi, neanche lontanamente, all'altra specie. Polypodium Phaegoptoris Linn. — Nelle pendici settentrio- nali delle Alpi Apuane al M. Fiocca in Fatonero, al M. Sum- bra, e a Vianova sopra Careggine in Garfagnana. Nel M. Pisano lungo il Rio Visona di Compito sotto Bisantola. Pteris cretica Linn. — Alpi Apuane sotto Vergemoli lungo la Turrite di Gallicano ia Garfagnana e a Nocchi sopra Camajore. Asplenium septentrionale Hoffm. — Alpi Apuane al Pizzo d’' Uccello, lungo la via fra Piazza al Serchio e Gramolazzo sulle roccie ofiolitiche, e fra Vergemoli e il Forno Volasco in Garfagnana. A. viride Huds. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fatonero, nelle pendici verso la Valle di Gramolazzo dei monti Cavallo, Grondilice e Garnerone, al Sagro, al Pisanino, ecc. Cystopteris fragilis Bernh. — Appennino di Lunigiana al M. Orsajo: nelle parti elevate dal lato di mezzogiorno. C. alpina Link. — Al M. Fiocca e al M. Sumbra nelle Alpi Apuane. Aspidium Lenchitis Swartz. — Alpi Apuane al M. Fiocca in Fatonero, nelle faggete fra il M. Sumbra e il M. Porreta, nelle pendici orientali del M. Garnerone verso la Valle di Gramolazzo e all’Altare sotto il Pisanino in Garfagnana. A. aculeatum Doll. — Alpi Apuane fra Pulica e la Foce di (!) Hooker — Species Filicum, Vol. I, pag. 95, London 1846. NUOVA CONTRIRUZIONE ALLA FLORA DELLÀ TOSCANA 221 Fosdinovo in Lunigiana; nei boschi di faggi delle pendici orientali del M. Sella sopra Vagli in Garfagnana; e alle falde del M. Prana sopra Camajore lungo il Rio Lucese. . Thelypteris Swartz. — Nephrodium Stremp. — Alpi Apuane lungo il Rio delle Campore alle radici meridionali del M. Piglione di Pascoso in Garfagnana. LABORATORIO DI FisioLOGIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PALERMO IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL’AVVELENAMENTO PER OSSIDO DI CARBONIO Po RICERCHE Gi A. MARCACCI Prof. di Fisiologia nella R. Università di Palermo “L'ossido di carbonio uccide impedendo ai globuli rossi di respirare ,. “La morte per ossido di carbonio si riduce in realtà a una morte per soppressione di sangue ..... (De “ Il globulo rosso è divenuto inerte: esso circola nel sistema vascolare senza possedere alcuna azione vitale, esattamente come lo farebbe un corpo estraneo, un grano di sabbia , (?). “ L’ ossido di carbonio una volta arrivato sul globulo, vi si fissa solidamente, e non può più esserne scacciato dall’O., (3). Così compendia il Bernard le sue idee sul meccanismo della morte per CO: le ho raccolte da diversi punti dei suoi libri sugli Anestesici e sull’Asfissia, e sulle Sostanze medicamentose. Si può aggiungere, in un modo assoluto, che, con poche varianti, sono le conclusioni che hanno adottato tutti gli sperimentatori e trattatisti che sono venuti dopo di lui: difficilmente anzi, in materie sperimentali, si trova un accordo così perfetto come su questo punto. Parrà dunque ardito il mio proponimento di dimostrare che l'’asserto del Bernard, almeno se preso in modo assoluto, non è esatto: ma i fatti da me raccolti mi autorizzano a sostenere questa proposizione. (!) Bernard — Les anesthesiques. pag. 395. (3) » » » » 403. (3) » » » >» 407. IL MECCANISMO DRLLA MORTE NELL’AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 223 E, per enunciare con più chiarezza il problema che mi son proposto di risolvere, dirò che la morte per CO può avvenire con un meccanismo in cui ha maggiore importanza la qualità del luogo e dell’organo su cui esso agisce, che la quantità del gas fissata dai globuli rossi: in altre parole, che si può morire, e che si muore difatti, anche quando in circolo non è pene- trata una dose del gas creduta finora mortale. Per il Bernard invece “ è verosimile che tutti i globuli sien colpiti nello stesso momento, ma moderatamente dapprima e progressivamente, di modo che essi perdano le loro proprietà poco a poco ed è quando son colpiti al grado sufficiente (*) per impoverire il san- gue che l’animale muore ,, (1). I dubbî sulle conclusioni così assolute del Bernard nascono leggendo i suoi libri stessi: dopo aver detto infatti, come ab- biamo visto, che il CO si fissa solidamente sui globuli e non può esserne più scacciato dall’ ossigeno, in un altro punto scrive: “ l’uso dello spettroscopio ci insegna che il CO si fissa sul glo- bulo, e che si elimina poco a poco dall'organismo , (?). I dubbî si accrescono quando, dopo aver ben fissato che dosì infinitesimali, respirate per il polmone, conducono con cer- tezza alla morte, egli cita le esperienze in cui la iniezione di uno o due litri di CO sotto la pelle di un cane non bastano talora a produrre la morte, quantunque vengano assorbiti. “ Noi abbiamo visto che il CO sotto la pelle non è tossico che a forte dose: quando si iniettano due litri di gas, per es., l’ani- male muore dopo 8 o 10 ore, e presenta i caratteri della morte per CO: ma se non se ne inietta che un litro o un litro e mezzo sotto la pelle, l’animale può sopravvivere e non essere avve- lenato , (3). L'ossido di carbonio veniva dunque assorbito, e doveva ar- rivare un momento (sia pure che l'assorbimento si facesse len- tamente) in cui, vista la stabilità e durevolezza della fissazione del CO sul globulo, l’animale doveva considerarsi come dis- sanguato, o seguendo sempre le espressioni del Bernard, con globuli rossi circolanti ridotti a dei “ grani di sabbia ,. Ep- pure malgrado ciò gli animali sopravvivono a dosi veramente (!) Lecons sur les Anestesiques et sur V Asphyxie, p. 440. (2) Loc. cit. pag, 377. (*) Loc. cit. pag. 377. 224 A. MARCACCI enormi. Dunque il meccanismo della morte non era lo stesso nei due casi in cui poteva aversi per dosi minime e per dosi massime. Mi pare che valgano a confortare queste idee anche le ri- cerche più recenti dello Zalescki (!) instituite con vedute di- verse, ma con metodo che si avvicina d’assai a quello del Ber- nard: egli vide che delle iniezioni di 50-150 cc. di ossido di carbonio puro nella cavità peritoneale, ad es., di un gatto, non portavano mai alla morte dell'animale: una parte dell’ ossido di carbonio veniva emessa tal quale coll’aria espirata. Se dunque, in questo caso, una parte dell’ossido di carbonio veniva emessa tal quale, ciò significava che, in un dato mo- mento, nel circolo sanguigno se ne trovava tal quantità da soddisfare alla avidità estrema dei globuli rossi del sangue, e alle leggi di solubilità di questo gas nel plasma sanguigno, tanto che, variate nel polmone le condizioni di tensione, esso poteva uscire dal polmone stesso, come ne esce la anidride carbonica. Dato questo, è certo che non solo i globuli rossi si dovevano trovar saturi di CO, ma circondati da un atmosfera ricca dello stesso gas. Non si può quindi neppure obiettare, in questo caso, che il sopravvivere degli animali fosse dovuto al lento assor- bimento del gas deleterio: se ne assorbiva tanto da soddisfare la naturale avidità della emoglobina, e le leggi fisiche di so- lubilità. Che se si ammette come nulla, o quasi, la solubilità del CO nel plasma, e si vuole spiegare l'uscita del gas dal globulo rosso dal polmone come una scissione che avvenga per legge fisica nel polmone stesso, dove va la tanto decantata fissità di combinazione? Dove le ricerche che dimostrano, come vedremo, che il CO per essere emesso deve trasformarsi in CO°? Se si ammette dunque che in queste condizioni il sangue abbia campo di saturarsi di CO (e lo dimostrerò io stesso in seguito iniettandone dosi enormi nella cavità addominale) non si spiega per nulla il fatto di una morte fulminea quando il sangue si satura rapidamente. “ Se l’intossicazione, dice il Ber- nard, si produce in atmosfera formata d’ossido di carbonio (1) Stanislaus Zalescki. — Ein Beitrag 2. Frage der Auscheidung des CO aus d. Thierkòrper Arch. f. Esp. Path. u. Pharm. Bd. XX, p. 34. 9) pira IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMETO PER OSSIDO ECC. 255 quasi puro, i fenomeni sono rapidissimi; il sangue si satura prontamente, e l’animale cade come fulminato . . , (!). Perchè, domando io, non cade fulminato anche quando il sangue sia saturato per la via del peritoneo? Eppure vi deve essere un momento in cui le condizioni del sangue devono essere identiche! Da tutto questo sempre più appare evidente che al Bernard, e a tutti quelli che ne seguono la opiniane, deve essere sfug- gito un momento causale della morte per CO che, a mio modo di vedere, è della massima importanza. Eppure, oltre tutte le considerazioni che abbiamo esposte, alcuni fatti e ricerche di non poca importanza dovevano mettere sull’attenti lo stesso Bernard. Il Bernard racconta infatti che, essendo stati sorpresi dai vapori di CO, e nello stesso ambiente, un tifoso ed un sano, il ti- foso fu in grado di chiamare al soccorso, quando il sano, il quale certo avrebbe dovuto presentare una maggior resistenza all’avve- lenamento, aveva già da qualche tempo perduto la conoscenza (?). Esso spiega il fatto dicendo che, in certe condizioni patologi- che, la resistenza alle azioni tossiche è accresciuta: ma con ciò il fatto rimane nella oscurità la più assoluta; si constata un fatto, ma non si spiega: poteva darsi invece che la malattia avesse portato delle modificazioni in qualche organo dell’infermo, e tali da annullare un'azione del gas, più temibile che quella da lui esercitata sul sangue? Spero che le mie ricerche potranno fare luce anche su questo punto tanto interessante. Leggendo le ricerche del Grehant, raccolte con cura nella sua recente operetta “Les Poisons de l’ air ,, (3) ho potuto racco- gliere alcuni fatti che confortano la tesi che io sostengo. Tra le altre, la mia attenzione è stata richiamata dal capitolo nel quale il Grehant tenta di fissare le dosi mortali dell’ossido di car- bonio: trovo ad es. (pag. 45) che un cane non muore dopo aver respirato 200 litri di una mescolanza al 1 per 300 di CO, men- tre muore, usato un’ altra volta, dopo aver respirato soltanto 146 litri di gas allo stesso titolo preciso. Questi fatti, ripeten- dosi in quasi tutte le esperienze del Grehant, lo costringono a concludere nel seguente modo: “ Si vede dunque che nel cane, (1) Bernard, loc. cit. pag. 442. (2) Citato dal Grehant “ Les poisons de l’air , pag. 146. (?) Il Grehant Les poisons de l’air. Paris 1890. 226 A. MARCACCI vi sono certe differenze individuali: la dose tossica è stata in un animale 1 per 300, in un altro 1 per 250. —- E certo che anche nell'uomo, esistono delle differenze individuali: di due persone che hanno respirato lo stesso miscuglio tossico, vapore . di carbone, accade spesso che l'una muore, l’altra cade appena. malata e ritorna in salute ,. Se d'altra parte il CO uccidesse soltanto fissandosi sull’ emo- globina, sarebbe ragionevole il pensare che tale gas dovesse riuscire quasi innocuo negli animali sprovvisti di sangue rosso. Ora le chiocciole, secondo le ricerche del Linossier (?) risen- tono, come gli altri animali, dell’azione dell’ ossido di carbonio. Tutte queste indicazioni, mentre fanno dubitare fortemente che il meccanismo della morte per CO indicato dal Bernard, non sia, per lo meno, l’unico col quale un tal fatto può avve- nire, non ci danno per nulla la prova sperimentale che ne esista un altro, nè tanto meno ci fanno intravedere quale quest’ ul- timo possa essere. To credo anzi che nessuno abbia mai pensato alla possibi- lità che ne potesse esistere un altro, vista l'autorità somma del Bernard, e le belle ed eleganti ricerche con cui sosteneva la sua tesi. Un fatto curioso mi pare degno di nota nelle ri- cerche del Bernard e dei lavoratori che vennero dopo di lui; ed è che l’attenzione è tutta fissata sul globulo rosso; cuore, vasi sanguigni, nervi sensitivi ecc. sono trascurati: tutto sì spiega colla formazione di carboossiemoglobina, sia pure che bisogni ricorrere a dei giri forzati di ragionamento. Per fornire dunque le prove sperimentali che non tutti i fenomeni dell’avvelenamento erano dovuti alla formazione della carboossiemoglobina, ho creduto conveniente cominciare col ri- petere le esperienze del Bernard e dello Zalescki, colle quali essi tentano di studiare gli effetti del CO introdotto per una via che non sia quella del polmone. Ho preferito per questo il metodo delle iniezioni intrape- ritoneali dello Zalescki, accrescendo però le dosi usate da que- st ultimo fino a raggiungere quelle del Bernard, cioè 1 litro e mezzo. La ragione per cui non ho preferito il metodo sotto (4) G. Linossier. — In/uence de V’oxide de carbone sur la germination. - Comp. Rend. de la Soc. de Biologie de Paris. 20 juin 1888, pag. 565. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 227 cutaneo del Bernard è facile ad intendersi: l'iniezione sotto- cutanea rapida di due litri di gas deve corrispondere ad una decorticazione quasi completa di un cane; con quanto vantaggio della esperienza si capisce facilmente. Questo metodo offriva inoltre un mezzo acconcio per vedere che differenza corresse tra il quadro fenomenico dato dallo av- velenamento per la via del polmone e quello per assorbimento sottocutaneo o intraperitoneale : dirò anzi che fu l'estrema dif- ferenza che corre tra la fisonomia presentata da queste due vie di intossicazione che mi spinse a studiarne il perchè. Ecco intanto l’esperienze. 81 Maggio. — Grosso cane bastardo. Si fissa nella doccia: dopo le- gato dà 94 Pulsazioni al 1’, robustissime: Resp. 36° al 1’. La temperatura ascellare è di 36°, 9. quella rettale 39°, 6°. Ore 3,8. — Si comincia a iniettare CO nella cavità peritoneale, per mezzo di una cannula in comunicazione con un gassometro graduato. L’ossido di carbonio è assolutamente esente di CO?, come ce ne assicura un saggio all’acqua di barite: è stato preparato col noto metodo del- l’acido ossalico e acido solforico (1). Ore 3,32. — Si cessa dall’iniettare il gas: la quantità iniettata è di litri 1,200. Subito dopo si trova: Pols. 104 Resp. 16 Temp. rettale 39°, 3 3 ascellare 36°, 9 Ore 3,40. — Si scioglie l’animale: esso non presenta nell’ aspetto nulla di anormale; nel camminare tiene le due gambe posteriori un po’ divaricate; il che è dovuto certo all’estrema tensione del ventre. Ore 4,5. — L'animale non presenta nulla di anormale, forse è un po’ più abbattuto del consueto. Polso 170 Resp. 18 Temp. rettale 39,3 s ascellare 38, 6 Non si seguita nello stesso giorno la osservazione. L'indomani, primo giugno, l'assorbimento del gas dalla cavità addominale sembra completo, per quanto se ne può giudicare dalla nessuna tensione delle pareti ad- dominali, e dalla disparizione del suono timpanitico, del giorno prece- dente. L'animale sta benissimo, e mangia con appetito. 25 Maggio. — Cane di media grossezza. Pulsaz. norm. 65 Resp. 16-18 Temp. rett. 39°,8 Temp. all'inguine 38°, 5 all’ ascella 38°, 3. (i) Dirò, una volta per sempre, che queste precauzioni sono state prese in tutte le esperienze che seguono, 228 A. MARCACCI Ore 2, 15. — Si comincia l'iniezione nella cavità peritoneale di CO puro. Ore 2,30. — Si continua l’iniezione che procede molto lentamente. » 2,37. — Sì sospende l’iniezione del gas perchè la cavità addo- minale è tesissima. La quantità di questo è di litri 1,300. Si nota ab- bondante salivazione. Ore 2, 44. — Puls. 80 Resp. 18. Temp. rett.. 39°, 6 cu laseglb S7%8 s 2,55. — Polso 96 Temp. rett. 39°, 6. Si toglie l’animale dalla doccia in cui è stato fin ad ora legato: dopo averlo lasciato un po’ in libertà si nota un’ accentuazione rapida in tutti i fenomeni d’avvelena- mento: Le pulsazioni salgono a 168, le respirazioni a 28 al 1°. La tem- peratura è nel retto 39°, 7, all'inguine 38°, 5, all’ascella 39°, 5. Ore 3, 45. — L'animale nen mostra che un leggero Fespizo affan- noso: è un po’ inquieto. — Puls. 170 Resp. 28. Ore 4. — Pulsaz. 190 Resp. 30. Si mette allo scoperto il vago si- nistro e si eccita: sl ottiene l’ arresto del cuore; ma è poco duraturo. Dopo il taglio del vago sinistro il numero delle pulsazioni è sceso a 120 (?). Ore 4,12. — Temp. asc. 39°, 3. inguin. 39° rett. 39°, 4 26 Maggio. — L’animale non presenta e non ha presentato durante la notte dal 25 al 26 nulla di anormale: sta ora benissimo. Il gas sem- bra quasi del tutto assorbito. In un altro cane ho iniettato, per mezzo di una cannula, nell'intestino tenue 1 litro di gas: non ho avuto, neppure in questo caso, fenomeni molto degni di nota. I fatti più importanti che si verificano dunque con questo metodo di studio dell’azione del CO, si possono ridurre ad un aumento notevole del numero delle pulsazioni cardiache e ad una maggior frequenza del respiro: (ho notato in alcuni casì che l’accelleramento del polso era preceduto da una passeg- gera diminuzione del polso stesso); ad una leggera diminuzione della temperatura rettale, e ad un aumento notevole di quella periferica. Non ho potuto osservare mai nulla di veramente notevole da parte del sistema nervoso: mai accessi tetanici, mai diminuzione di sensibilità cutanea; sul qual punto confesso però di non aver portata tutta la mia attenzione. Quel che mi preme di fissare a questo punto è il fatto se- guente; che cioè i fenomeni dell’avvelenamento vero per os- sido di carbonio si verificano anche iniettandolo per la cavità addominale e tra questi fenomeni metto in prima linea gli ef- IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 229 fetti sul cuore, che sono identici a quelli che si hanno quando il veleno penetri, ad es., per il polmone: nel resto, il quadro nei due casi, come vedremo differisce in modo assoluto. Nel caso delle iniezioni addominali il quadro manca, per così dire di molti personaggi, che pure hanno una parte principalissima in quello che si ha nell’avvelenamento per il polmone: nel primo caso si hanno i fenomeni veri dell’avvelenamento spogli di compli- canze, nel secondo si ha l'aggiunta di fenomeni concomitanti, do- vuti in massima parte come vedremo ad un'azione locale del gas. E mi preme di insistere di nuovo su questo punto, che cioè la differenza tra i due quadri dell’avvelenamento non può es- ser dovuta ad un più rapido assorbimento per il polmone: in certi casi di avvelenamento per quest’ultima via l’animale muore prima che si sieno raggiunti i fenomeni dell’avvelena- mento per l'addome, prima cioè che il cuore abbia accelerato i suoi battiti, quando per conseguenza non è ancora penetrata in circolo quantità di gas necessaria a produrre quest’aumento Sarebbe qui il caso di contrapporre al quadro dei fenomeni che si sono notati nell’avvelenamento per iniezione intraperi- toneale, quello dato dall’avvelenamento rapido per il polmone se essi non fossero troppo noti, e se non dovessimo più volte tornarci su in seguito: basta riassumerli dicendo che il principio dello avvelenamento è accompagnato da un'estrema agitazione, da grida; il respiro si fa più ampio, più frequente: il cuore ral- lenta dapprima i suoi battiti, poi li accelera, finchè in un ul- timo periodo si rallenta nuovamente fino all’arresto: la sensibi- lità sparisce e questa disparizione è accompagnata da un pe- riodo di contrazione tetanica di quasi tutti 1 muscoli, a cui suc- cede un rilasciamento muscolare che coincide col massimo della insensibilità cutanea. Mentre nel caso infine dell’iniezioni intra- peritoneali dosi enormi di CO non arrivano a uccidere l’ani- male, qui dosi piccolissime, variabili possono portare la morte istantanea. Studiare il perchè si aggiungono tutti questi fenomeni nel caso delle inalazioni di. CO per il polmone; ecco il problema che deve ora occuparci. La prima idea che mi venne fu quella che i fenomeni ag- giunti o concomitanti, fossero dovuti ad una azione locale che l’ossido di carbonio esercitasse sulle prime vie respiratorie, e 230 A. MARCACCI che, per mezzo dei nervi sensitivi che vi terminano, portasse un cambiamento in tutto il quadro dell’avvelenamento, special- mente per quel che riguarda il cuore ed il respiro, e il periodo - d’agitazione precursore dell’ anestesia. Rivolsi, fin da questo momento, tutti i miei sforzi alla ve- rificazione dell'ipotesi suaccennata, mettendo in opera varî arti- fizi che andrò esponendo nell’ ordine che mi sorsero via via in mente. Se si tratta di una azione locale del gas sulle primissime vie respiratorie, facendolo penetrare nel polmone da molto più in basso, i fenomeni che accompagnano questo avvelenamento devono modificarsi: ecco quel che pensai di sottoporre dappri- ma alla riprova sperimentale. Introdussi dunque nella trachea di un cane una lunga can- nula metallica, diretta dall’alto in basso, cioè verso l’albero bronchiale, in modo da arrivare a pochi centimetri dalla bi- forcazione della trachea: la cannula era in rapporto, per mezzo di un tubo di caoutchouc, con un gassometro graduato ripieno di CO purissimo: ad ogni inspirazione facevo penetrare nel to- race del cane un getto di gas, getto che impedivo nella espi- razione comprimendo il tubo di caoutchouc fra due dita. Ecco l’esperienza: 3 Giugno 1892. — Cane da caccia. Pulsazioni normali 104. Respi- razioni 14 al 1. Ore 3, 11. — Si iniettano nel polmone, nel modo suddetto, 250 ce. di CO puro. Durante l’iniezione il cane si agita furiosamente, orina e va del corpo in modo spasmodico. Polso 142 Resp. 20 più profonde: il torace si trova un po’ più contratto sui lati. Ore 3,15. — Si iniettano altri 250 ce. di CO: si notano i soliti fe- nomeni di eccitazione, e di estensione forzata degli arti: il polso durante l'iniezione si fa lentissimo, ma rimane molto robusto. La rigidità degli arti cessa dopo qualche minuto dall’arresto dell’insufflazione di CO: ri- piglia anche il respiro, che si era pur momentaneamente arrestato, con respirazioni profonde ma aritmiche. Ore 3,30. — Il cane si è completamente rimesso: il polso che era divenuto lentissimo è ora molto frequente (168 puls. al 1°) ma più com- pressibile. Ore 3,35. — Sì iniettano altri 250 ce. di CO: si ha al solito agi- tazione, rigidità muscolare, emissione d’orina, rallentamento del polso i 4 i î TL MECCANISMO DELLA MORTE NELL AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 231 (108 al l': respiraz. 28): la pupilla è ristretta, ma reagisce bene alla luce. Ore 3,45. — Si ricomincia l’iniezione del gas che si prolunga fino a che non sieno penetrati, di seguito, 750 ce. Dopo il solito periodo d’agitazione, l'espansione toracica non è più ampia, il torace è contratto sui lati: il cuore rallenta a poco a poco i suoi battiti, fino a dare po- chissime pulsazioni al 1': infine il torace si arresta in inspirazione, e‘ quest’ arresto è seguito poco dopo da quello del cuore, e l’animale muore. Alla sezione si trova il sangue del colore caratteristico dell’ avvelena- mento per CO, rosso lacca: il fegato è del colore della carne di bue: tra gli intestini, che sono pallidissimi, il termometro segna 39°, 2. Con questo metodo, come si vede, quasi tutti i fenomeni concomitanti sussistono: ma era esclusa, in queste condizioni, la possibilità che le prime vie respiratorie potessero risentire l’azione locale del gas® No: certo, perchè il gas, quantunque tentassi di spingerlo prevalentemente nell'atto della inspira- zione, poteva benissimo diffondersi in alto, ed esercitare l’azione che io tentavo di eliminare, almeno in parte. Per tagliar fuori dunque le prime vie respiratorie ricorsi al metodo della tracheotomia, facendo poi penetrare, per la cannula tracheale, e a getto inspiratorio, il gas nel polmone. Vediamo se il quadro si modifica: 4 Giugno. — Grosso cane: si pratica la tracheotomia ‘e si introduce nella cannula tracheale una lunga cannula messa in comunicazione col gassometro contenente ossido di C puro. — Polso 102 Resp. 18 al 1’. « Ore 3,35. — Si spinge la cannula verso la biforcazione della trachea, e in 2 minuti, senza interruzione, si fanno penetrare nel polmone, a getto inspiratorio, 750 cc. di gas. L'animale, durante il getto, non presenta alcun fenomeno d’eccitazione, non si notano cioè, come nell’ esperienza precedente, pause respiratorie e convulsioni spasmodiche. Il polso diviene solo estremamente frequente. Poco dopo cessato il getto del gas, comincia un periodo di eccitazione, che si manifesta solo con respirazioni affrettate, ma ritmiche. I muscoli del tronco e degli arti non prendon parte alcuna a questa eccitazione. Dopo ogni periodo di agitazione e respirazione affret- tata, il torace si arresta per pochi minuti. Ore 3, 48. — Si iniettano altri 335 cc. di gas. Nulla durante l’inie- zione: il solito periodo d’ eccitazione dopo. Ore 3,50. — Altri 250 cc. di gas s’iniettano infossando anche di più la cannula nella trachea, e non si ottiene nulla di notevole. Ore 3,57. — Si introducono altri 250 cc. di gas. Calma durante l’iniezione. DA A. MARCACCI Ore 4. —- Si iniettano altri 500 ce. I periodi di agitazione, sempre localizzata come sopra, continuano a manifestarsi con maggior frequenza e forse più intensi. Ore 4,2. — Si notano convulsioni generalizzate: quando queste co- minciano la pupilla si ristringe: il cuore non rallenta i suoi battiti, in modo notevole, neppure durante l’accesso convulsivo: in generale le pul- sazioni si mantengono frequentissime. Ore 4,10. — Si iniettano altri 500 cc. di gas. Alla 38.° inspirazione, vale a dire al 38° getto di gas, si manifestano le convulsioni: è polso resta frequente: l’animale va del corpo; miosi potente. Ore 4,15. — Si fa nuovamente respirare del gas: alla 34.? inspira- zione l’animale entra in tetano: il polso resta frequente. Si continua fino a che non resta più gas nel recipiente, fino a che cioè ne abbia respi- rato, a riprese, oltre 1 tre litri. Ore 4,30. -— L'animale, disciolto, si è rimesso completamente e non mostra di aver nulla sofferto. A nessuno certo potranno sfuggire le differenze fondamen- tali che esistono tra il quadro fenomenico presentato dal cane del 3 giugno, e quello che ci è presentato dal cane con tra- cheotomia. Mentre nel primo un getto inspiratorio di 250 ce. bastava a produrre un notevole rallentamento del polso, nel cane tracheotomizzato questo rallentamento non si è avuto neppure con una dose doppia e tripla: lo stesso dicasi per il respiro. Fa inoltre un gran risalto la differenza tra il periodo d’agitazione quasi furioso nel cane del 3 giugno, e la calma con cui il cane tracheotomizzato riceveva dosi doppie di gas: se in quest ultimo caso un periodo di agitazione si verificava ciò avveniva dopo cessata l'iniezione, ed era dovuto ad un azione ben diversa dall'azione locale, cioè all’assorbimento del gas. A me sembra poi notevolissima un'altra differenza ed è questa: mentre nel cane del tre giugno si riuscì ad ottenere la morte con un getto continuato di 750 cc., nel cane tracheo- tomizzato non si riuscì neppure a rallentare il cuore; e mentre nel primo la morte avvenne dopo aver respirato, a riprese, un litro e mezzo di CO, nel secondo tre litri, pure a riprese, non riuscirono a produrre la morte non solo, ma neppure a portare disturbi molto gravi. Tutto questo ci spinge di necessità ad ammettere che gli effetti più temibili del CO sul cuore e sul respiro, e il periodo d’agitazione che si manifesta al principiare delle inalazioni IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL AVVELENAMENTO PER OSssIDo EC. 233 del gas, si debbano ad una azione di quest’ultimo sulle pri- me vie respiratorie, azione puramente d’indole reflessa. Siamo qui, come si vede, in faccia ad un fatto in tutto e per tutto simile a quella che P. Bert ha verificato per il cloroformio. Ognuno conosce queste esperienze del Bert: egli facendo ina- lare il cloroformio per la trachea, come noi abbiamo fatto per il CO nel secondo cane, riusciva ad impedire gli accidenti più temibili della cloroformizzazione, vale a dire il periodo d’ec- citazione e la sincope primitiva respiratoria e cardiaca. Ecco intanto un primo fatto che ravvicina un anestesico al CO: in ambedue i casi l'arresto del cuore e del respiro, tal- volta fulmineo, (il Bernard e altri lo hanno dimostrato per il CO) è dovuto all’eccitazione, riflessa sul bulbo, dei nervi sen- sitivi delle prime vie respiratorie per opera o dell’ agente ane- stesico, o, nel caso nostro, del gas ossido di carbonio. Questo riflesso non si produce più quando, con la tracheotomia, ab- biamo tagliato fuori una parte delle vie respiratorie sulle quali il CO o l’anestesico, possano esercitare l’azione loro più pe- ricolosa. A qualcuno forse parrà strano che si possa coMocare tra gli agenti irritanti il CO, quando nessuno ha mai dimostrato o sentito gli effetti della sua azione locale. Ma l'osservazione non rimarrà perciò meno puerile: i nervi sensitivi che, come sentinelle avanzate, sono all'entrata delle prime vie respira- torie sanno ben essi rendersi conto della nocività di un gas come il CO, e reagiscono per lui come per il cloroformio, il quale del resto non lascia sulle vie respiratorie tracce locali maggiori o più durature di quelle del CO. Rimarrebbe dunque a sapersi qual sensazione provi un uomo nel respirare CO puro; i fatti clinici non sono molto espliciti in proposito; e non credo prudenza che qualcuno tenti la prova per soddisfare la nostra curiosità scientifica. Io credo però che se il maggior pericolo della sincope pri- mitiva riflessa viene per la massima parte dall’irritazione dei nervi sensitivi delle prime vie respiratorie (trigemino, laringeo, pneumogastrico) pure un certo grado di azione riflessa poss esercitarsi sul cuore e sul respiro, anche per eccitazione delle terminazioni polmonari del vago, che rimangono al di sotto del punto in cui si suole collocare la cannula tracheale. 234 A. MARCACOI Non ho in proposito esperienze personali, ma me lo fanno credere le antiche ricerche del Traube, che, con gravissimo danno, sono state sempre trascurate dopo i lavori del Bernard. Egli ha veduto (!) che degli animali morfinizzati e resi apnoici con una potente respirazione artificiale, reagivano subito con movimenti respiratori quando sì faceva entrare un getto di CO per la trachea: questa reazione non avveniva quando, invece di CO, si faceva penetrare dell’aria semplice, o la mescolanza del CO e dell’aria, fatta penetrare attraverso alla trachea, era inferiore al 3° di CO. -— Che l’effetto fosse dovuto in questo caso ad un'azione locale, si rileva anche dal fatto che l’ani- male apnoico reagiva immediatamente o pochi secondi dopo l’in- sufflazione del CO, e che la respirazione provocata si arrestava malgrado che il Traube continuasse a insufflare CO e aria (Vedi loc. cit. Esp. II, Mai 1865, Ore 12. 18°). Ora se l’effetto fosse dovuto all’assorbimento del gas, la dispnea dovrebbe crescere col crescere del CO nel sangue: quindi ho ragione di ritenere che tutto questo deponga per un effetto irritante locale capace di smuovere, in via reflessa, l'atto inspiratorio. i Potrebbe obbiettarsi a questo mio modo di vedere che lo stesso Traube ha dimostrato che la reazione respiratoria in un animale fortemente morfinizzato e reso apnoico può esser pro- vocato dall’iniezione in un arteria (moncone periferico ad es. della crurale) di sangue saturato di CO: quindi l’effetto si deve ad un’ eccitazione centrale diretta del sistema nervoso. Del valore però che possono avere le esperienze del Traube, praticate colle iniezioni di sangue ossicarbonico, per provare questa idea, ce ne possiamo render conto leggendole atten- tamente. Si nota subito che mentre la reazione respiratoria era si- cura, immediata quando il CO veniva introdotto per la trachea, e che si poteva ripetere parecchie volte cessando il getto di CO a intervalli, e rendendo apnoico di nuovo l’animale, nel caso delle iniezioni di sangue ossicarbonico è invece incerta, tarda a prodursi, e non si produce più alla seconda iniezione di san- gue avvelenato. | D'altra parte si è proprio noi sicuri che nel caso delle inie- (4) L. Traube. — Ueder die Wirkungen des CO auf den Respirations u. Cir- culations apparat. Verhandl. der Berl. med. Gesellsc. Bd. I, 1866. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO Ec. ‘ 235 zioni per un’ arteria, sia il CO fissato sul sangue quello che produce la reazione respiratoria? Leggendo le esperienze del Traube si trova un fatto che fa credere il contrario: una inie- zione di acqua calda a 39° e a 38°,5 produce per due volte forte reazione respiratoria!!.. (Loc. cit. Esp. II, 26 juni 1865 Ore 12. 15). L'aria pura (che si può dire il corrispondente dell’acqua nel caso delle insufflazioni per il polmone) non ar- rivò mai a produrre una reazione respiratoria! Del resto anche ammesso, come risulta dalla maggior parte delle esperienze del Traube, che il sangue ossicarbonico possa provocare reazione respiratoria come la provocano le inalazioni di CO per il polmone, perchè non possiamo del pari ammet- tere che in ambedue questi casi si tratti dello stesso mecca- nismo di produzione, cioè di una eccitazione /ocale delle ter- minazioni polmonari del vago? Nel caso della penetrazione del CO per il polmone l’effetto è più pronto, più sicuro, si fa per una corrente di gas che va dal di fuori al di dentro: nel caso del CO per il sangue l'eccitazione è più tardiva, meno sicura, si fa per una corrente che va dal sangue alle terminazioni del vago, e che è capace di distruggere la sensibilità di queste ter- minazioni in un modo più duraturo che nel caso delle insuf- flazioni, tanto che esse sono incapaci di risentire l’ effetto di una seconda iniezione di sangue ossicarbonico. Si ottempererebbe, con questa interpretazione, alla legge necessaria che lo stesso effetto (reazione respiratoria nel caso nostro) deve esser pro- dotto sempre dalla stessa causa, (azione locale del CO). Inutile insistere qui sulle ragioni per cui io non credo che sì possa trattare di un effetto centrale: avendo accennato a quelle che depongono, in modo perentorio, per una azione lo- cale, non potevo cercare di mettere d'accordo i fatti che su questa base. Del resto nel seguito del lavoro avremo di che persuaderci sempre più di questo fatto. Le prove che abbiamo fin qui fornite in favore di un azione locale del CO, che porta delle modificazioni gravi sul cuore e sul respiro, e tali da condurre per se sole alla morte, non mi son sembrate però sufficienti, ed ho voluto spinger più oltre l’analisi. Dapprima ho pensato: se uno dei pericoli per la vita è rap- presentato dalla sincope primitiva, mettendo in un ambiente con Se. Nat. Vol. XII. 18 236 A. MARCACCI CO un animale normale ed uno tracheotomizzato, quest’ultimo dovrebbe presentare probabilità di maggiore resistenza. Ho sottoposto questa mia ipotesi al crogiolo dell'esperienza, ed ecco i resultati: 7 Giugno 1892. — Cagna del peso di kil. 8, 100, venuta da poco dallo stabulario municipale. Ore 2, 47. — Si mette in una grande cassa di zinco, che serve d’ or- dinario per l’analisi dei prodotti della respirazione, e che si chiude er- meticamente con una grossa e larga campana di vetro, da cui può ve- dersi il contegno dell’ animale durante l’ esperienza. La capacità è di circa un metro cubo. Ore 2,48. — Si fanno entrare nella cassa 1100 ce. di ossido di carbonio. Ore 2,49. — Si arresta il passaggio del gas. »s 2,54. — L'animale è entrato in un periodo di fortissima agita- zione. Emette dell’orina in modo spasmodico. Ore 2,57. — Al periodo di estrema agitazione è subentrato del tre- molio e della debolezza muscolare; l’animale piega con facilità le ginocchia. Ore 2,59. — Dopo alcuni conati di vomito seguito da vomito effet- tivo, scoppia un accesso tetanico fortissimo. Ore 3. — Le labbra si alzano e si abbassano in modo sincrono ad ogni atto inspiratorio: sembra che, per essere le due mascelle fortemente contratte, esso tenti di far passare attraverso ai denti l’aria che non può far passare, a gran getto, attraverso alla bocca spalancata. Ore 3,3. — Respirazione frequentissima: sembra vi sia rigidità quasi tetanica dei muscoli: lo stato di irrigidimento si può provocare, a yo- lontà, sbattendo colla mano contro le pareti della cassa: agisce come un animale stricnizzato. Ore 3,18. — L'animale è sdraiato nella cassa; è molto abbattuto: la respirazione è affannosa e difficile (18 al l'), tanto che non vi è di- latazione toracica corrispondente allo storzo grandissimo che fa l’animale per ottenerla. — Si toglie l’animale dalla cassa nello stato di anestesia la più completa: si pratica rapidamente la tracheotomia, ma l’animale cessa di vivere durante l’atto operativo. L’animale è rimasto nella cassa dalle ore 2,47 fino alle 3, 18, vale a dire per lo spazio di minuti 31. 7 Giugno. — Dopo aver ben nettata la cassa, vi si colloca un ca- netto del peso di kil. 5, 200, vale a dire kil. 5, 900 meno del precedente, ma tracheotomizzato: viene, come quello, dallo stabulario municipale. Ore 3, 51. — Si introducono nella cassa 1100 cc. di ossido di carbonio come nel caso precedente. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTÒ PER OSSIDO EC. 237 Ore 3,52. — Si arresta il passaggio del gas. , 4,12. — Si è notata finora soltanto una certa sonnolenza; l’ani- male non ha mostrato la menoma agitazione: giace disteso sul fondo della cassa. Ore 4,22. — Si toglie l’animale dalla cassa: è abbattuto, anestesico: vomita poco dopo. Il polso è robusto e frequente ; la respirazione tranquilla. - Ore 4,28. — Il cane s’ è rimesso completamente. Il cane è rimasto nella cassa dalle 3,51 alle 4,22, vale a dire minuti 31, come il pre- cedente. Ecco due cani che soggiornano lo stesso tempo, nella stessa atmosfera, e in cui si arriva allo stesso punto di avvelena- mento (l'anestesia completa), senza che sia possibile ravvicinare minimamente tra loro il quadro dei fenomeni esterni, attra- verso ai quali tale estremo è stato raggiunto. Nel cane nor- male, periodo di eccitazione prolungato, spasmi, convulsioni, re- spirazione affannosa, morte; nel cane tracheotomizzato quiete completa, mancanza di convulsioni, ritorno rapido allo stato normale. Quando anche io non volessi prenderla come criterio asso- luto di una resistenza maggiore all’azione dell’ ossido di car- bonio, quest’ esperienza ci servirebbe però sempre bene a di- mostrarci che la semplice variante del fare arrivare al polmone il gas venefico per le vie respiratorie sotto-laringee, anzichè per le sopra-laringee, basta a far cambiare il quadro dell’ av- velenamento e forse a rendere assai meno pericolosa l’azione del gas. i È inutile che io faccia notare come queste due esperienze si ravvicinino a quelle del 3 e 4 Giugno, di cui possono esser considerate come una variante, e contribuiscano perciò a ras- sodare le conclusioni che ho creduto legittimo di trarre da quelle. i ‘ Senza occuparci per ora del meccanismo preciso con cui la sincope primitiva respiratoria e cardiaca può avvenire, conti- nuiamo a fornire prove che il raggio di incidenza (nervi sensi- tivi laringei) ha sede nelle prime vie respiratorie, che il centro riflettente è nel bulbo, e il raggio riflesso nei nervi che vanno al cuore o ai muscoli respiratorî. Abbiamo già visto che l’effetto del CO sulle prime vie respi- ratorie, in un animale normale, è quello di portare dapprima 238 A. NARCACCI acceleramento, poi, continuando l’azione del gas, arresto del cuore e del respiro. Se così stanno le cose, e se l’effetto è prodotto in via reflessa da eccitazione che, partendo dalle vie respiratorie, si riflette dal bulbo sui nervi che vanno al cuore o ai muscoli inspiratori, distruggendo il bulbo, o tagliando il vago, non si dovrà più avere l’acceleramento dapprima, poi l’ar- resto del cuore. Ho praticato quest’ultima. prova, vale a dire ho studiato come si comporta il cuore in un animale a cui si faccia respi- rare del CO dopo tagliati i vaghi. 6 Luglio. — Cane del peso di kil. 10, 500. Polso normale 92 al 1’, Resp. 11 al 1’. Si tagliano i due vaghi. Dopo questo taglio si hanno i fenomeni caratteristici del polso, che diviene frequentissimo, e del re- spiro che si fa difficile, stentato, e accompagnato da agitazione forte del- l’animale che si dibatte sulla doccia su cui è fissato, tanto che bisogna lasciare in quiete l’animale fimo al giorno dopo. 7 Luglio, mattina. — Polso 300 Resp. 8 al 1°. Mettendo all’ animale la maschera di inalazione del miscuglio di CO e aria (2 °/,) sì agita. Ar- riva appena ad inalare 6 '/a litri del miscuglio con profonde e rare in- spirazioni, e brevi espirazioni. Il polso si fa sempre più frequente, tanto che riesce impossibile contarlo: diviene poi celere, filiforme, indi scom- pare del tutto, e solo si scorgono sulla cassa toracica, arrestata in inspi- razione, gli ultimi movimenti del cuore. In questa esperienza si nota il fatto interessante che il re- flesso cardiaco è impedito, non quello respiratorio: il cuore non rallenta i suoi battiti malgrado l’ azione del CO sulle prime vie respiratorie, ma questa stessa azione produce l’ arresto in ispi- razione del torace, si mantiene infatti nella sua completezza il meccanismo della sincope respiratoria, manca un fattore (arco riflesso) alla sincope cardiaca primitiva. Il reflesso cardiaco non si produce più neanche dopo la di- struzione del bulbo, vale a dire del centro riflettente. 20 Luglio. — Due rane, ad una delle quali si è distrutto completa- mente il bulbo, sì mettono, su un galleggiante, in una campana rove- sciata sull'acqua; dalla campana si aspira l’aria in modo che si riempia completamente d’acqua: per l'apertura e pel tubo da cui si è aspirata l’aria si fa penetrare l’ossido di carbonio, che, cacciando l’acqua, in- volge completamente le due rane. * IL MECCANISMO DRLLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO Ec. 239 Dopo 65 minuti si tolgono le rane da questa atmosfera e si trova che, nella rana normale, il ventricolo del cuore è arrestato completamente, e che solo le orecchiette danno qualche rara e languida pulsazione: nella rana a cui è stato distrutto il bulbo il cuore batte normalmente, quan- tunque il sangue abbia acquistato il massimo del colore rosso lacca, ca- ratteristico. In qualunque punto dunque venga interrotta la via per la produzione del riflesso, quest’ultimo viene impedito. Ammesso che tutto ciò fosse esatto, si poteva pensare an- che a mettere le esperienze sotto altra forma, evitando la via cruenta. A questo scopo ricorsi all’atropina; e, lo dico subito, con ottimi risultati: il meglio è dunque cominciare dal riferire semplicemente le esperienze. 14 Giugno. — Si collocano, con l’artifizio descritto, due rane sotto una campana: una di esse ha ricevuto in precedenza, e sotto la pelle, gr. 0,001 di atropina. Nella campana, che contiene un po’ d’aria, si in- troduce mezzo litro di ossido di carbonio. Dopo un’ ora le due rane non presentano più movimenti respiratorî e sembrano morte, o paralizzate completamente: si tolgono dalla cam- pana; esse non reagiscono più affatto agli stimoli dolorifici. Si mettono allora allo scoperto i due cuori: il cuore della rana atropinizzata batte ancora în modo regolarissimo; 1 ventricolo della rana normale è arrestato, si nota qualche raro movimento delle orecchiette: sangue color lacca in ambedue le rane. 24 Luglio. — Si mette allo scoperto il cuore in due rane, di cui l’una è atropinizzata, con gr. 0,001 di solf. d’atropina, e si fissano, voltate sul dorso, su una tavoletta di sughero, che si colloca sotto una campana sull'acqua: con l'aspirazione si fa salire il galleggiante sino ad un certo livello della campana, senza che l’acqua vada a toccare i due cuori messi allo scoperto. Ore 1.30. — Si fa penstrare, per il tubo aspiratore, il CO del gas- sometro nella campana, in modo che i due cuori si trovano a contatto con un’ atmosfera quasi satura di CO. Ore 6,30. — Il cuore della rana normale si è completamente arre- stato: l’altro pulsa normalmente. Verso le otto, quando si lascia il la- boratorio, pulsa sempre. Questi risultati sulle rane sono stati di una costanza ve- ramente ammirevole, tanto da far dire a qualcuno che in una grande quantità di rane normali messe confusamente sotto una campana (contenente CO) con altre leggermente atropinizzate, 240 A. MARCACCI si sarebbero potute discernere con sicurezza queste ultime dalle altre osservando i soli effetti sul cuore. Vediamo ora come si comportano i conigli in queste con- dizioni. 19 Giugno. — Ad un coniglio del peso di kil. 0,900 si iniettano sotto la pelle gr. 0,02 di solfato d’atropina: dopo 15’ dall’iniezione si mette insieme ad un altro normale (del peso di kil. 1,030) nella grossa cassa di zinco che abbiamo già descritto. Ore 4,56. — Si fanno penetrare nella cassa 1,500 cc. di CO. » 5,8. — Il coniglio normale è agitatissimo. 3 5,10. — Il coniglio normale sì mostra ancora molto agitato e barcollante: orina: l’altro sembra che dorma. Ore 5, 15. — Tutti e due i conigli sì sono accovacciati sul fondo della cassa; prima il coniglio normale, poi quello atropinizzato. Respirazioni: coniglio normale 72; coniglio atropinizzato 74 al 1°. Ore 5,22. — Il coniglio normale orina nuovamente. »s 5,27. —- Respiraz. Coniglio norm. 58, Atrop. 68 al 1’. La respirazione è calma nel secondo; stentata, difficile nel primo. Ore 5,30. — Il ‘coniglio atropinizzato ha tentato varie volte di rî- mettersi in piedi, ma fielibnoalo: il coniglio normale non ha mai avuto questi movimenti intenzionali. Ore 5,38. — Coniglio normale Respir. 20 al 1’ difficili, stentate, in- complete. Coniglio atropinizzato Resp. 38 al 1’, relativamente tranquille. Ore 5,40. — Arresto del torace in inspirazione nel coniglio normale, che fa sforzi inutili per respirare: il torace è come immobilizzato. Il co- niglio atropinizzato ha respirazione calma. Ore 5,41. — Si tolgono i due conigli dalla cassa. Appena messi al- l’aria libera, i movimenti respiratori sì fanno più liberi nel coniglio atro- pinizzato: anche il torace, finora immobile o quasi, del coniglio normale comincia a fare qualche leggero movimento di inspirazione. Ore 5,42. — Si può constatare un’ anestesia completa nel coniglio normale; le palpebre sono dilatate. Nel coniglio atropinizzato le palpebre sono chiuse, ed esiste la reazione corneale; l'orecchio è pallidissimo, men- tre è rosso nel coniglio normale. Ore 5,45. — Non è ancora tornata la sensibilità nel coniglio nor- male, l’altro è sensibile agli stimoli meccanici. Ore 5,47. — È comparso il reflesso corneale nel coniglio normale. 20 Giugno. — I due conigli sono tornati a stare benissimo. 22 Giugno. — Ad un coniglio di kil. 0, 950 sì iniettano sotto la pelle del dorso gr. 0,02 di solfato d’ atropina: insieme Sud un altro normale di kil. 1,150 si mette nella solita cassa. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER ossipo Ec. 241 Ore 10,42. — Si fanno entrare nella cassa 1500 ce. di CO. Durante il passaggio del gas il coniglio atropinizzato, che si trovava col muso in prossimità del foro d'entrata del gas, reagisce con salti e movimenti con- vulsivi, poi cade accasciato sul fondo della cassa. Ore 10,50. Coniglio normale: respirazione frequentissima, 104 resp. all. Coniglio atropinizzato: orina; respira placidamente; 80 resp. al 1’. Ore 11. — Il coniglio normale si corica sul fianco: respiraz. 68 al 1’. — Il Coniglio atropinizzato tenta alzarsi, ma non vi riesce. Ore 11,30. Coniglio norm. Resp. 52: atrop.:72 al 1. s 11,35. — Il coniglio atropinizzato fa ancora dei movimenti per rialzarsi. Ore 11,50. — Si fa entrare nella cassa un altro mezzo litro di CO. » 11,56. — Conig. norm. Resp. 40 assai ampie. 5 3 atrop. , 44 regolari, ma non molto ampie. s 12. — Si fa entrare nella cassa un altro mezzo litro di CO. >» 12,10. — Coniglio norm. R. 48. Coniglio atrop. 32 al 1. n 12,25. — È TNO0Ì A FAZIO MAM 12,45. — Il coniglio normale fa sforzi grandissimi per respirare, Timbra sg estremi: il respiro dell’ altro è calmo, regolare, poco profondo. Ore 12,50. — Con. norm. R. 12: Con. atrop. 28 al 1. » 12,52. — Arresto del respiro nel coniglio normale: 1’ altro re- spira ancora assai calmo. Si tolgono i due conigli dalla cassa: il coniglio normale è morto: l’altro riprende rapidamente, e dopo una mezz'ora comincia a mangiare. Non meno interessanti riescono i fenomeni nei cani atropi- nizzati o no; e siccome sono, presso a poco, della stessa natura di quelli osservati nei conigli, credo utile riferirli senz'altro. 15 giugno 1892. — Si mettono nella solita cassa due cani, l’uno scuro del peso di kil. 7,400, l’altro bianchiccio del peso di kil. 7, 700: il primo ha ricevuto, quindici minuti prima di introdurlo nella cassa e per iniezione sottocutanea, gr. 0,01 di solfato di atropina. Ore 3,40. — Si fanno penetrare nella cassa 1500 cc. di CO. Nella cassa si trova una capsula con pomice imbevuta di potassa caustica, allo scopo di diminuirne il soverchio accumulo di CO?. Il cane atropinizzato si è accucciato tranquillamente sul fondo della CASSA. Ore 3,45. — Si fa penetrare nella cassa un po’ d’ ossigeno. » 3,48. — Agitazione e caduta repentina del cane normale: un mi- nuto dopo si verifica un accesso convulsivo accompagnato da forti grida. 242 A. MARCACCI — Tranquillissimo il cane atropinizzato, che pare osservi con stupore il collega in convulsione. Ore 3,50. .— Il cane normale si è rimesso dall’ attacco convulsivo: orina: sforzi al vomito poco dopo. Ore 3.54. — Si ha agitazione leggera e lamentio anche nel cane atropinizzato. Ore 3,57. — Respirazioni Cane normale 28 al 1‘. P. n Aatrop. line » 3.58. — Conati di vomito infruttuosi nel cane atropinizzato: re- spira però tranquillo come nel sonno: nell'altro la respirazione è affan- nosa, frequente, difficile; il torace si dilata pochissimo. Ore 4,5. — Si fa penetrare un altro mezzo litro di CO: subito dopo il respiro si fa più difficile e più superficiale nel cane normale, e poco dopo si arresta. L'altro respira ancora tranquillamente. Ore 4,7. — Creduto morto il cane normale si tolgono ambedue dalla cassa; il cane normale dà però ancora qualche rara e superficialissima respirazione; il cuore è frequentissimo: il tipo respiratorio è quasi esclu- sivamente addominale; il torace è dilatato a botte, e a pareti rigide: la pupilla è ristretta. L'altro cane respira tranquillamente. Ore 4,10. — Nel cane normale la respirazione si fa più profonda e più frequente, ed il torace, dilatandosi, comincia a prender parte attiva alla ventilazione polmonare: il polso è però filiforme. Ore 4,15. — Respirazioni Cane normale 96 al 1°. È PIRGGICL LIO (O NOI 2! ONIO Nei due animali vi è perdita della sensibilità; è più completa in quello atropinizzato, nel quale si può far poggiare tutto il peso del corpo su un orecchio, fino a farne uscir sangue, senza che l’animale reagisca. Ore 4,25. — Polso: cane normale 176 al 1’. ; aiiatrop 200008 Ore 5. — La sensibilità è tornata in ambedue, però con maggiore rapidità in quello normale. Ambedue i cani sono ora in grado di reg- gersi in piedi, e non presentano nessun fenomeno apparente del subìto avvelenamento per CO. Le esperienze coll’atropina possono anche esser variate nella forma di esecuzione; le riassumerò per brevità. a) Inalazioni tracheali di CO col metodo della puntura per mezzo di cannula metallica (vedi pag. 11). Con questo me- todo ho potuto iniettare nel polmone di un cane di dodici kil., atropinizzato, 2500 cc. di CO puro (e senza interruzione) in 15°: il cane, se si eccettua un po’ di agitazione, dovuta forse in parte all’avvelenamento per atropina, non ha presentato nulla di no- . IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 243 tevole nè rispetto al cuore nè rispetto al respiro; quest’ultimo è stato solo più frequente. Con questa dose» enorme non si è arrivati neppure all’anestesia corneale, ed il cane, una volta di- sciolto, era in grado di reggersi bene in piedi. In altro canetto invece, del peso di kil. 4,400, 1100 cc. di CO hanno prodotto la morte in 9’, con fenomeni di agitazione grandissima, ral- lentamento, poi arresto del cuore e del respiro. Si potrebbe in quest’ultimo caso fare obbiezione alla dif- ferenza grandissima del peso: ma posso assicurare che, nelle moltissime ricerche che ho fatto sul CO, il peso ha poca o nes- suna importanza sulla resistenza dell'animale all’azione tos- sica del gas. L'azione riflessa infatti si lascia poco influenzare dalle quantità dell'agente: del resto nel caso dell’ esperienza citata il cane grosso, con una dose quasi tripla dell’ altro, non solo non è morto, ma ne ha risentito tanto poco da non rag- giungere neppure l'anestesia corneale. Si ricordi inoltre che nell’ esperienza del 13 Giugno con 750 cc. di CO iniettati di se- guito nella trachea siamo riusciti ad arrestare cuore e respiro. 6) Respirazione di miscugli titolati di CO e aria atmosfe- rica. Gli animali atropinizzati hanno, anche in queste condi- zioni, mostrato maggior resistenza all’azione del gas, e l’ hanno subìta, se mi è permessa l’espressione, con aria più rassegnata. Così un cane del peso di kil. 7,00 normale è morto dopo aver inalate 400 cc. di CO (miscuglio 1,5 per 100 d’aria), mentre in un altro del peso di Kil. 17, 440, atropinizzato, non si è ar- rivato neppure all’anestesia corneale con il doppio di gas. Riassumendo ora i risultati di tutte le esperienze, che ab- biamo riferito, sugli animali, atropinizzati o no, sottoposti al- l’azione dell’ossido di carbonio, credo di essere autorizzato @ dire che: 1.° Gli animali atropinizzati presentano una maggior re- sistenza all’azione del CO: dosi certamente mortali sono pa- ralizzate dall’ azione dell’atropina. 2.° Questa maggior resistenza è dovuta al fatto che l’atro- pina impedisce gli effetti riflessi del CO sul cuore e sul respiro, che possono condurre, e conducono, nel maggior numero dei casi, alla morte per sincope riflessa primitiva del respiro e del cuore. 244 A. MARCACCI 3.° Il quadro dell’avvelenamento nei due casi differisce in modo essenziale: mentre, in generale, negli animali normali il CO produce agitazione, accessi tetanici, acceleramento dap- prima poi rallentamento e arresto del cuore e del respiro, e anestesia cutanea, in quelli atropinizzati manca tutto ciò, e si arriva nel silenzio dei fenomeni all’anestesia completa che pre- cede la morte. Con queste conclusioni che, a me sembra, scaturiscono na- turalmente dalle esperienze con l’atropina, concordano tutte le altre che abbiamo riferito prima, e giustificano i dubbî da me emessi al principio di questa memoria, che cioè l’unico peri- colo per l’esistenza, nell’avvelenamento per CO, potesse ve- nirci dalla formazione della carboossiemoglobina: il maggior pericolo invece, quello che più rapidamente può minacciar l’esi- stenza, ci viene dalla sincope riflessa che il CO può provocare sul cuore e sul respiro per un'azione locale esercitata dal gas sulle prime vie respiratorie specialmente. A mio modo di vedere dunque il CO può minacciare l’ esi- stenza in due modi; cioè, in un modo rapido, col meccanismo che ci siamo studiati di porre in rilievo, o in modo lento, che può verificarsi quando il primo pericolo sia stato evitato. Que- st' ultimo modo per me rappresenta l’azione vera del gas, sce- .verata da tutti i fenomeni concomitanti che possono anneb- biarla quando la penetrazione del gas avvenga per il polmone. Con queste conclusioni potrei chiudere il mio lavoro: ma avendo io tentato di deviare un po’ l’attenzione, per quel che riguarda il pericolo di morte, dal globulo rosso, portandola su altro campo anatomico, ho per necessità dovuto modificare an- che il.,modo di considerare il gas dal punto di vista farmaco- logico: ed è per questo che, prima di finire, sento il bisogno di dire la mia opinione, corredata dal più che ho potuto di prove, sul posto che spetta all’ossido di carbonio fra le sostanze tossiche, e, lo spero, anche medicamentose. Che l’azione del CO, e i pericoli che ne derivano, non sia stata sempre fissata sul globulo rosso, reso un grano di sabbia messo in moto dal cuore, incapace di dare e di avere qualche cosa dai tessuti, e che uccide quest'ultimi privandoli sempli- cemente d'ossigeno, lo dimostrano le prime ed interessanti ri- cerche del Tourdes. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL’ AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 245 Il Tourdes, fin dal febbraio del 1853, considerava,il CO come un agente anestesico, insieme all'idrogeno protocarbonato e bicarbonato e all’ anidride carbonica. Nel 1857 (') ripeteva in pubblico le esperienze destinate a provare il suo asserto. I due fatti fondamentali che risultano, secondo lui, dalle sue espe- rienze sono, l’innocuità del gas, e la sua azione anestesica, ana- loga a quella del cloroformio e dell'etere. “ Un animale, egli dice, può essere anestetizzato più volte di seguito, e si rimette dopo ogni prova, prontamente e completamente. Questa prova può esser ripetuta più giorni sullo stesso animale, senza che la sua vita sia compromessa. Gli animali sottoposti all’azione del CO cadono in una anestesia profonda, che può andare fino alla morte apparente: insensibilità, risoluzione delle membra, niente manca al quadro: si può prolungare questo stato continuando l’azione del gas. Quando si prolunghi l’azione del gas l’ani- male muore: bisogna arrestare tostochè l'anestesia è completa. La morte può esser brusca, con grida e convulsioni: il più spesso è dolce: il passaggio dal sonno alla morte è insensibile: la re- spirazione si arresta: l’ossido di carbonio sembra uccidere pa- ralizzando i muscoli respiratori ,. Dall’ osservazione sperimentale passa alle applicazioni pra- tiche: egli fa notare, prima di tutto, che sì son visti dei casì in cui nell'uomo il CO è riuscito innocuo, come in certe ope- razioni metallurgiche in cui viene usato questo gas negli alti forni (processo di Ebelmann): in questi casi infatti si son visti operai colpiti da asfissia, vale a dire anestesia subitanea, ritor- nare rapidamente in vita. Per consiglio del Tourdes stesso, il Cozè applicò il CO, sotto forma di doccia uterina gassosa, contro i dolori atroci provo- cati da un cancro ulcerato (?), e riuscì a sedarli. Lo stesso Cozè trovò utile l’uso del CO nelle coxalgie, nei dolori reumatici delle articolazioni, nell’isterismo sotto forma di docce vaginali. Questi resultati del Tourdes e del Cozè, e il concetto sul modo di azione del CO che questi autori avevan tentato di farne scaturire, son rimasti fin ad oggi o ignorati, o trascurati come degni di poca attenzione. (1) Tourdes. — Memoire sur l'action anesthésique du Gaz Oxide de Carbone. — Comp. Rend. Acad. d. Sc. T. XLIV, pag. 96, 1857. (3) Cozè. — Note sur l’emploi therapeutique de V Oxide de Carbone. - Comp. Rend. Acad. d. Sc. XLIX, 1857. 1 sem. 1857, pag. 492. 246 A. MARCACCI E ciò io, credo sia avvenuto principalmente per due ragioni. La prima di queste è basata sulla autorità massima del Ber- nard, il quale giudica poco concludenti le esperienze e sba- gliato il concetto del Tourdes; la seconda riposa principalmente sul fatto del non essere in realtà il Tourdes stesso riuscito a provare l’asserto che il CO sia un anestesico e ne abbia tutti i caratteri. Ho detto che l'autorità del Bernard può aver distolto, giu- dicando poco favorevolmente le ricerche del Tourdes, dal de- siderio di verificare se potesse in qualche modo sostenersi l’idea, emessa dal Tourdes: il sommo fisiologo parlando della me- moria di quest'ultimo dice: “ Io devo segnalarvi questo fatto della insensibilità perchè è stato proposto l’ossido di carbonio come anestesico, e M. Tourdes, (di Strasburgo) ha anzi para- gonato la sua azione a quella del cloroformio. È vero che l’os- sido di carbonio può essere anestesico, ma, a questo titolo, l’acido carbonico lo sarebbe lo stesso. Ora la parola anestesico, così generalizzata, potrebbe applicarsi ad una grande quantità di sostanze: infatti l'emorragia stessa è un anestesico, perchè il suo primo effetto è di distruggere la sensibilità: ma é0 credo che si debba riservare questa parola alle sostanze che producono la anestesia senza far correre gran pericolo all'esistenza , (4). Se posso convenire che le sole esperienze del Tourdes non sieno bastanti a far risaltare l’individualità del CO come ane- stesico, non posso del pari convenire che questo concetto debba sparire, o essere abbandonato, perchè il CO appartiene alle so- stanze che possono far correre grave rischio all’ esistenza. A questo stesso titolo potrebbero, se messi in mani inesperte, cancellarsi dalla lista dei veri anestesici anche il cloroformio e l'etere. D'altra parte le asserzioni del Tourdes, e le ricerche mie, svelando un angolo inesplorato dell’azione pericolosa del CO, ci mettono in grado di togliere quell’aureola ingiustificata di gas sommamente venefico, che si è andata accumulando per tanto tempo intorno all’ ossido di carbonio. Per queste e per moltissime altre ragioni, conseguenze ge- nuine di dati sperimentali, che esporremo in seguito, mi è parso che il concetto del Tourdes dovesse, senza preconcetti, esser (1) Bernard. — Leg. sur les Anesth. et sur V Asfyxie. pag. 420. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 247 rimesso allo studio, per vedere se in realtà il CO resiste alle prove dalle quali, uscito vittorioso, può esser dichiarato un anestesico. La prima prova a cui mi parve di dover sottomettere il CO, si fu quella di vedere se questo gas possiede unzversalità d'azione; vale a dire se le proprietà dell'elemento anatomico vivente, ve- getale o animale, possono essere sospese e poi distrutte dal- l’azione del CO, come lo sono dai veri anestesici: — rappre- senta, per me, la prova del fuoco. ell Bernard per il primo tentò delle esperienze in questo senso (!): fece, ad es., soggiornare qualche tempo del lievito di birra in un atmosfera di CO, poi, foltolo da questa, lo mise in contatto con una soluzione di zucchero; la fermentazione al- coolica si produsse: non vide invece germogliare dei semi di crescione in un'aria che conteneva !/6 d’ossido di carbonio: li stessi semi invece germogliarono benissimo, nelle stesse con- dizioni, nell'aria semplice. I semi che avevano soggiornato nel- l’ossido di carbonio, tolti dalla campana e messi nell'aria, ger- mogliarono benissimo. Queste prove, quantunque poco numerose, avrebbero deposto per una azione sospensiva del CO, simile a quella degli ane- stesici: ma le recenti ricerche del Linossier (*) fanno credere, per lo meno, che quest’azione sospensiva non possa esser data dalle piccole quantità di CO, misto all'aria (!), volute del Bernard: esso ha visto che l'atmosfera può contenere fino al 50° di CO senza che si manifesti il menomo influsso sulla germinazione: sopra il 50 °/ diminuisce un po’ la germinazione e lo sviluppo delle giovani piante. Ma queste esperienze del Linossier non dimostrano per nulla che, anche nel caso in cui impedisce il germogliamento, l’ ossido di carbonio si comporti come un anestesico: esso potrebbe agire come un gaz indifferente, ad es., come l’H, impoverendo cioè talmente l'atmosfera, in cui si trovano i semi, d'ossigeno, da renderne impossibile lo sviluppo: e certo in questo caso nes- suno potrebbe considerarlo come un anestesico. Bisognava dunque provare che esso agisce in modo diverso (') Bernard. — Lecons sur le substances toxiques et medicamenteuses. p. 200. (*) Linossier. — Loc. cit. 248 A. MARCACCI dai così detti gas indifferenti (H. Az.) e che esercita invece una azione sospensiva sul germogliamento del seme, tolta la quale esso può di nuovo cominciare a svilupparsi. L'esperienza non poteva esser fatta che in modo. compara- tivo con un gas indifferente, e l’aria: come gas indifferente scelsi l'idrogeno, ed ecco come disposi l’esperienza e quali ne furono i risultati: 19 Agosto. — Si preparano tre galleggianti di sughero, perfettamente uguali, e ricoperti da un grosso strato di flanella: su questa, e per fia- scun galleggiante, si incollano leggermente 50 semi di grano. Dopo che la colla forte si è seccata, e i semi sono aderenti alla flanella, si collo- cano i tre galleggianti sotto tre grosse campane, uguali, che pescano nell'acqua di un ampia vasca di zinco. L'aria esce dall'alto delle cam- pane, ed i galleggianti si fermano sull'acqua circa ad un terzo dell’ al- tezza delle campane. Per mezzo di un tubo, che va fino alla parte più elevata della campana, sl aspira tutta l’aria che rimane nelle campane, le quali, naturalmente, si trovano ripiene di acqua: i galleggianti son ricoperti dall'acqua, ma i semi non sì mescolano a questa perchè fissati sulla flanella. Per il tubo d'aspirazione dell’aria si fa ora penetrare, in uguale quantità, idrogeno nella prima campana, ossido di carbonio nella seconda, aria nella terza: si chiude con una forte pinzetta a pressione il tubo d’entrata e si lasciano le tre campane e i semi alla temperatura ordinaria del laboratorio. 24 Agosto. — Sin dal 22-23 i semi posti nell'aria danno segni di incipiente germogliamento, e così pure alcuni di quelli posti in CO: ma questi ultimi sono restati fino ad oggi, 24, sempre allo statu quo, men- tre in quelli posti all'aria la germinazione progredisce e già in uno si nota l'emissione della plumula, lunga circa 1 cm. e provvista di cloro- filla. Nei semi rimasti nell'atmosfera di idrogeno, e che sono discretamente rigonfi, non si osserva alcuna traccia di germogliamento: alcuni anzi presentano delle bolle ripiene di liquido, formate dal sollevamento della pellicola del seme: il liquido è di aspetto lattiginoso. Presentano anche un leggero odore di putrefazione, dovuto probabilmente non a tutti i semi, ma solo a qualcuno di essi. Dei semi posti in CO solo undici pre- sentano le tracce di germogliamento a cui abbiamo accennato: gli altri rassomigliano nell’aspetto esterno a quelli posti in idrogeno. Quei pochi semi posti nell'aria, e non ancora germogliati, non sono punto rigonfi. È in queste condizioni che si tolgono i semi, oggi 24, dalle campane, e si mettono a galleggiare nella vasca all'aria aperta, in buone ed eguali condizioni di umidità e di calore. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 249 26 Agosto. — I semi che avevano soggiornato, dal 19 al 24, nel- l’ossido di carbonio, germogliano con rapidità sorprendente; prima che gli altri quegli undici che avevano già dato segni di germogliamento nel CO, poi molti altri; fra tutti forse 15 non sono germogliati. I semi, re- duci dall’ H., non accennano punto a germogliare; anzi, mentre prima erano rigonfi, ora sono retratti, grinzosi. I semi che avevan soggiornato nell'aria sotto la campana, dopo tolti dalla campana stessa hanno di molto rallentato il loro sviluppo. Quest’ esperienza a me sembra decisiva: il CO non agisce in questo caso come un gas indifferente (H), ma sospende la ger- minazione, e mantiene il seme in tale stato di conservazione da permettergli di riprendere con vigore la sua vitalità appena tolto da un ambiente che glie lo impediva. L'idrogeno invece, gas indifferente, se è riuscito ad impedire la germinazione, non è però stato in grado di opporsi ai processi di putrefazione del seme, che ne hanno impedito poi il germogliamento. A mio modo di vedere questo fatto ha una grande impor- tanza per ravvicinare l’azione sospensiva del CO a quella del clo- roformio e dell'etere: tutte queste sostanze possono esercitare tale azione impedendo non solo i primi movimenti di sviluppo dello embrione del seme, ma anche arrestando tutti quei pro- cessi di sviluppo di microrganismi che, invadendo il seme come nel caso dell'idrogeno, possono distruggere e l'embrione e le raccolte di riserva del seme. E con questo mio modo di pensare sta d’accordo il fatto già osservato dal Bernard, che il CO può esser considerato come un mezzo di conservazione dei globuli rossi, e della carne: “ Si è anche tentato, aggiunge il Bernard, con qualche successo, di usarlo per la conservazione di cadaveri, sia come processo di imbalsamazione, sia dal punto di vista dei servizi anatomici e delle sale di dissezione , (1). Come si vede il CO possiede il carattere di generalità d'azione in comune cogli anestesici: lo che ci permette di spingerci, con maggiore speranza di buon successo, ad esaminare se, anche rispetto all’azione sui singoli organi e funzioni, esso possa rav- vicinarsi al gruppo degli anestesici. Ricordo, senza soffermarmici perchè ne abbiamo a lungo (1) Bernard. — Leg. sur les Anesth. et sur VAsphyaie. pag. 424. 250 A. MARCACCI parlato, che l’ossido di carbonio ha in comune cogli anestesici e col cloroformio specialmente, il periodo che precede l’ ane- stesia, e che ne costituisce uno dei pericoli maggiori: periodo che può essere, per così dire, saltato o abbreviato per mezzo di artifizi (atropina, insufflazione per la trachea ecc.) valevoli ugualmente in ambedue i casi. Passiamo invece ad esaminare se il modo d’invasione dei tessuti per parte del CO, segue quella gerarchia fisiologica che sogliono d’ordinario tenere i veri anestesici: e qui cedo volen- tieri la parola al Bernard, perchè, senza volerlo, mi pare abbia data la più esatta descrizione del fatto che noi vogliamo stu- diare: “ Le proprietà del sistema nervoso, egli dice, sono le prime a sparire, e fra queste, in prima linea la coscienza e la sensibilità sensoriale; poi i fenomeni di sensibilità tattile: la sen- sibilità generale sparisce in seguito: allora più movimenti ri- flessi. I nervi motori muoiono più tardi, e infine i muscoli son gli ultimi a perdere le loro proprietà. L'ordine col quale muoiono questi diversi tessuti mostra dunque il posto gerarchico che devono occupare nell'insieme dell'organismo , (1). Se il Bernard avesse voluto descrivere l'ordine gerarchico con cui un anestesico vero invade i tessuti, non avrebbe po- tute, io credo, usare espressioni diverse; dapprima infatti si nota l'invasione del cervello e la soppressione delle sue fun- zioni più elevate (coscienza, sensibilità) poi quella del midollo spinale (abolizione dei riflessi) che, (questo va aggiunto) esten- dendosi al bulbo può portare la paralisi respiratoria e cardiaca: gli ultimi a risentire gli effetti del CO sono, come nella ane- stesia volgare, i nervi motori e i muscoli. Il CO possiede dunque i due caratteri generali più spiccati degli anestesici, cioè la generalità d’azione e l'invasione elet- tiva di certi organi piuttosto che di certi altri; e, cominciando, come quelli, dal tessuto nervoso, ne estingue, in ordine ge- rarchico, le proprietà essenziali. Potrei aggiungere molte altre particolarità del suo modo d’agire, ad es., sul respiro, sul cuore, sui vasi sanguigni, che molto lo ravvicinano agli anestesici più conosciuti. Ma ciò mi porterebbe troppo in lungo, e mi farebbe deviare dal problema che mi sono proposto di studiare. (') Bernard. — Leg. sur les Anasth. et sur VAsphyxie. pag. 444. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 251 Non posso però astenermi dal citare una osservazione che ho fatto sugli effetti dell’avvelenamento cronico per ossido di car- bonio: e ciò per due ragioni; prima perchè ciò non è stato an- cora studiato da nessuno; secondo perchè ho potuto osservare dei fatti che si riattaccano legittimamente al mio modo di concepire l’azione del CO, considerandolo come un anestesico. Ed ecco subito i fatti osservati: sono costretto a riassumerli perchè, l'osservazione essendo durata qualche mese, sarebbe tedioso ed inutile citare la diaria di un tratto così lungo di tempo. L'osservazione è cominciata il 21 luglio di questo anno, e si è protratta fino al 13 settembre. Il soggetto d’ esperienza era una cagna del peso di kilogr. 11, 500, in ottime condizioni. Durante tutta l’esperienza essa fu nutrita con lo stesso vitto, pasta cotta nel brodo di carne, con qualche osso: la razione era pesata giornalmente, e veniva data all'animale subito dopo essersi riavuto dalle inalazioni di CO. Tutti i giorni, alla stessa ora, la cagna veniva fissata su una doccia, e, per mezzo di una musoliera a chiusura perfetta, le si faceva respirare un miscuglio di aria e CO, al 2°, nel modo che abbiamo già minutamente descritto. Le inalazioni venivano arrestate appena si era ottenuta l'anestesia corneale, e la sin- cope cardiaca e respiratoria minacciava di produrre effetti le- tali: la cagna veniva allora rimessa in libertà, e le veniva of- ferta la sua razione di vitto. L'osservazione si è potuta così prolungare per ben 55 giorni; eccone in sunto i risultati. Si può dire che, rispetto ai fenomeni dell’avvelenamento, dal principio alla fine dell’osservazione vi è stato un progres- sivo aumento nella sensibilità dell'animale verso l’ossido di carbonio, rimanendo qualitativamente sempre li stessi. Per giu- dicare di questa maggiore sensibilità ho preso come termine fisso la comparsa delle contrazioni tetaniche che susseguono immediatamente al periodo di agitazione, e che precedono l’ar- resto del respiro: esse sono state assolutamente costanti du- rante tutta l'osservazione. Ora, mentre la cagna entrava in te- tano nelle prime osservazioni dopo aver respirato molti litri di miscuglio, nelle ultime osservazioni la quantità necessaria ad arrivare a questo punto era ridotta quasi alla metà. Inoltre Sc. Nat. Vol. XII. 19 252 A. MARCACCI quel periodo di calma relativa (che io chiamerei volentieri pe- riodo di azione cumulativa latente) che precede l'agitazione ed il tetano, andò via via facendosi più breve: così mentre dal 21 luglio al 6 agosto questo periodo di calma durava dai 4 ai 5 minuti primi, si fece di tre da quest'epoca al 20 agosto, fino a che si ridusse in seguito a due minuti. La quantità assoluta del CO necessaria ad arrivare a quel momento in cui giornalmente si arrestava l’esperienza, e che era l'arresto del respiro e il rallentamento massimo del cuore, sì fece via via minore: così mentre nella esperienza del 21 la cagna potè sopportare 35 litri del miscuglio, negli ultimi giorni si era ridotti a 10-15 litri. A queste varianti quantitative fanno riscontro gli effetti del- l’avvelenamento cronico, che sono veramente notevoli. Il peso dell'animale è andato gradatamente diminuendo, quantunque abbia sempre mangiato la sua solita razione di vitto e con buon appetito. La diminuzione del peso non è stata però regolarmente graduale: giacchè mentre occorsero 20 giorni (dal 21 luglio al 9 agosto) per diminuire di un kilogrammo, calò di un altro kilog. dal 14 al 23, di un quarto Kil. dal 23 agosto al 6 settembre. Alla fine dell’ esperienza la cagna pesava kil. 7, 600, vale a dire era diminuita di peso di Kil. 3, 900. Riassumo i dati relativi alla perdita del peso: 21 Luglio, principio dell’esperienza, peso kil. 71, 500 DO RA TATA. 11,200 QU . 11, 050 3 Agosto È 10, 900 CEE È 10, 700 a Lo, Ù 10, 600 Ga I (dim. 1 Kil.) 20, 500 TO SOrE } ; 10, 300 Lea a 5 9, 800 MAST (dim. 2 kil.) 9,500 6a RN A 9, 300 2.000 ag 7 8, 900 II, (dim. 3 Kil.) 8,500 Oa Ano ; 8, 400 90 RE Ae A 8, 200 DISCLLEMPEERE IZ È 8 — 6 } O LC (dim E) 0900) 13 Lie e (dia 8 IVO) Z600 IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 299 La diminuzione del peso fu accompagnata da disturbi trofici alla pelle molto importanti: copio a questo proposito dalla diaria: 16 Agosto. — La cagna è coperta di piccole piaghe, specialmente alle natiche e sul torace. 19 Agosto. — L° animale è letteralmente ricoperto di piccole piaghe, specialmente alle natiche, sul torace, ed alle articolazioni.’ 28 Agosto. — Le alterazioni trofiche vanno man mano scomparendo: le piaghe alle natiche sono però ancora molto estese. 13 Settembre. — Al momento della morte le piaghe alle natiche (c. 6 X 3) ed alle articolazioni degli arti anteriori e posteriori sono este- sissime. Mentre all’esterno si verificavano queste gravi alterazioni, non si ebbero mai segni che accennassero a disturbi nutritivi degli organi interni, e specialmente del fegato o dei reni: l’orina saggiata anche nel massimo dei disturbi trofici cutanei, anche subito dopo le inalazioni di CO, non dette mai tracce nè di zucchero nè di albumina. Quantunque l’ orina non fosse raccolta giornalmente, pure, a giudicarne da quella che emetteva quasi costantemente, a principio e alla fine dell’osservazione, durante le inalazioni, sembrò diminuita notevolmente. L'appetito, cosa strana, si è sempre mantenuto buonissimo dal principio alla fine: la cagna ha sempre mangiato comple- tamente l'abbondante razione di vitto, che le veniva sommi- nistrato: solo una volta e transitoriamente ebbe della diarrea. Dopo le prime applicazioni del CO, la cagna non si rimet- teva più rapidamente come soleva avvenire nei casi ordinari, appena l’animale era sottratto all’azione del gas: essa veniva presa come da una certa ubriachezza che trovo così descritta nella diaria: 8. Agosto “... dopo l’esperienza la cagna vien legata con una funi- cella abbastanza lunga al tavolo da legnaiolo, che si trova nel labora- torio, come di consueto. Al solito resta coricata sul fianco ed in com- pleta risoluzione muscolare per pochi minuti; poi si alza e comincia a girare descrivendo un semicerchio il cui raggio è dato dalla lunghezza della corda. Questo movimento dura per circa due minuti senza interru- zione, e l’animale arrivato al muro, a cui è addossato il banco, sì gira bruscamente rifacendo il cammino percorso sino all’ altra estremità del banco, presso la quale, quasi di sorpresa, cambia direzione , . 254 | A. MARCACCI Interrogato l’inserviente, questi assicura do sin dalla 6 6.0 7.3 volta in cui fu sottoposto all’inalazioni di CO, la cagna ha sempre eseguito questo movimento rotatorio, che infatti 1 non è mai mancato nelle esperienze successive. L'autopsia non ha mostrato nulla di clomamDO: copio dal giornale d’ esperienze: “ estesissime ulcerazioni alle. natiche (cm: 6 X 3)-ed alle articola- zioni sia degli arti anteriori che dei posteriori: sangue rosso vermiglio: nessuna alterazione macroscopica sia negli organi addominali che nei to- racici; si nota solo un leggero grado di degenerazione grassosa nel cuore e nel tessuto corticale dei reni: il cuore è arrestato in diastole ,. Prima di andare oltre mi piace riportare i risultati otte- nuti da P. Bert nell’avvelenamento cronico per cloroformio: questo ci permetterà di raffrontare meglio i caratteri dei due agenti: li riassumo dal libro del Dastre “ Les Anesthesiques ,, pag. 98. Un cane di sei chilogrammi fu sottomesso alla cloroformiz- zazione durante 32 giorni di seguito, e durante 35 minuti ogni giorno, per mezzo di una mescolanza titolata di cloroformio e aria. L'animale era sottomesso a un regime regolare: 1’ ane- stesia era ripetuta tutti i giorni alla stessa ora. Il tempo ne- cessario per ottenere l'anestesia non ha variato: gli effetti del- l'abitudine non si son manifestati a questo riguardo: sono ab- bisognati sempre 10 a 12 minuti per aversi l'anestesia: l’abi- tudine si è fatta però sentire per quel che riguarda il periodo iniziale d’eccitazione: sul principio l’animale provava una viva ripugnanza, resisteva, si. dibatteva; la fase d’eccitazione era violenta: poco a poco si abituò a queste inalazioni giornaliere; non resisteva più, anzi manifestava quasi una certa premura a farsi cloroformizzare. L'animale aveva perduto l'appetito; mangiava poco, e a partire dal 12.° giorno egli era immerso in una sonnolenza continua. Morì al 32.° giorno durante la clo- roformizzazione: aveva perduto il 28 °/o del suo peso, che s'era abbassato da 6 Kil. a 4 Kil.800: il tessuto cellulare aveva perduto il suo grasso, i muscoli erano atrofizzati e pallidi, il fegato in steatosi. I pigmenti biliari eran passati nelle orine: l’ elimina- zione dell’urea era aumentata: l’ orina non aveva contenuto in nessun momento nè albumina, nè zucchero, nè cloroformio (1). (') P. Bert. — Soc. Biol. 14 aoùt 1885. IL MECCANISMO DELLA MORTE NELL'AVVELENAMENTO PER OSSIDO EC. 255 Dal raffronto dei dati che si possono trarre dalle mie espe- rienze e da quelle del Bert, si può subito rilevare un fatto fon- damentale comune ai due agenti (cloroformio e (‘0) che ci di- mostra come l'uno e l’altro sieno dei veleni protoplasmatici, che a poco a poco attaccano e sconvolgono i processi nutritivi, riducendo gli animali ombre di se stessi, tanto da aversi una perdita di peso del 28°» nel caso del Bert, del 33% e più nel caso mio. E se dovessi esprimere la mia opinione personale, direi che mi sembra più potente l’azione denutritiva del CO, come accennano le estese piaghe a tutto il corpo dell'animale, e la diminuzione maggiore del peso. Questo punto estremo, questa meta comune a cui porta il loro uso continuato, sono però raggiunti percorrendo vie con ca- ratteri differenti: mentre nel caso del cloroformio si verificano gli effetti dell'abitudine (parola impropria per esprimere in modo semplice un fatto molto complesso) la quantità dell’ agente ri- mane la stessa dapprincipio alla fine della ricerca per raggiun- gere un punto fisso dell’anestesia, nel caso del CO quest’ as- suefazione non si verifica: la quantità del gas necessaria a rag- giungere in un punto fisso dell’avvelenamento, (tetano) va dimi- nuendo col diminuire del peso dell’animale. Inoltre mentre nel caso del cloroformio ebbe a verificarsi disappetenza, sonnolenza quasi continua, passaggio di pigmenti biliari nelle orine, non si ebbe nulla di tutto questo nel caso del CO. Tutte queste differenze tengono forse alla rapidità maggiore con cui l’os- sido di carbonio si elimina, ed anche all’azione meno energica, perchè meno duratura, di quest’ultimo. Riassumendo, i risultati di questa seconda parte del lavoro dirò che essi, mi pare, conducono alla necessità di far variare il posto che fin ad oggi, è stato concesso al CO in farmacologia: dal gruppo dei veleni del sangue (gruppo assai mal definito e forse illogico) esso passerebbe in quello dei veleni del proto- plasma, e, in modo più speciale, in quello degli anestesici. E nutro anzi un po’ di speranza che le mie ricerche, ed in specie quelle che servono a svelarne il meccanismo d'azione e ad indicare il modo di scansarne i momenti più pericolosi, riescano a togliere a questo gas la cattiva fama di agente sem- pre ed unicamente pericoloso, e ci spingano a cercarne qualche utile applicazione. A. BOTTINI BIBLIOGRAFIA BRIOLOGIGA ITALIANA Nelle pagine seguenti ho riunito le citazioni di tutti i lavori che trattano della Briologia dell’Italia geografica, Delle due parti in cui la bibliografia è divisa, la prima o ge- nerale si compone del catalogo alfabetico e del catalogo cronolo- gico; la seconda o speciale consta dei cataloghi parziali propriî di ogni singola regione d’ Italia. Una classificazione delle opere per materie non poteva aver luogo; perchè le pubblicazioni briologiche relative al nostro paese, essendo, senza eccezione d’indole sistematica e geografica, si trovano legate l’una col- l’altra da tale affinità che è necessario comprenderle tutte sotto una sola e medesima categoria. Mi sono dato ogni premura affine di riuscire esatto e com- pleto. Quanto alle mende involontarie, nelle quali potessi essere incorso, rimarrò grato a coloro che me le vorranno indicare. Nutro fiducia che la mia fatica sarà bene accolta dagli ama- tori dei Muschi, permettendo loro di rilevare dai tempi remoti fino al dì d'oggi i progressi della Brielogia in Italia; e che potrà recare altresì qualche giovamento alla scienza, coll’ aver tratto dall'oblio una quantità di lavori antichi, tutti, quali più quali meno, meritevoli di essere riveduti ed illustrati. Dal Gabinetto botanico della R. Università di Pisa, 21 Novembre 1892. 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Nuovo Giorn. bot. italiano, Vol. 17, n.° 3, p. 161-184. Firenze, 1885. 221. — Alcuni appunti sopra varie specie di Muschi italiani. n.° 2, p. 67-74. — Osservazioni sopra alcune Briinee critiche 0 rare raccolte dall’ Abate A. Curestia. n.° 4, p. 297-304. — Nuovo Giorn. bot. italiano, Vol. 18. Firenze, 1886. 222. — L’Orthotrichum Rogeri Brid. Rev. bryol. Année 14, p. 228 224. 225. 226. 227. 58-60. Cahan, Paris, 1887. . — Barbulae rurales. Rev. bryol. Année 17, p. 49-53. Ca- han, Paris, 1890. — e Bottini A. Enumerazione critica dei Muschi italiani. Atti della Soc. crittogamol. italiana, Serie 2, Vol. 3, Di- spensa 3, p. 158-227 e p. 1-79 delle copie separate. Va- rese, 1884, Viviani D. Florae italicae fragmenta. Barbula squamifera n.° 70, p. 191-192, tab. 36, fig. 2-3. Annales botanici, Vol. 1, Pars 2. Genuae, 1804. W. Warnstorf C. Brachythecium Venturii nov. sp. Flora, Jahrg. 64, n.° 84, p. 541-542. Regensburg, 1881. — Neue européiische Sphagnumformen. 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Opuscula botanica posthuma a Joanne Jacobo filio in lucem edita. Musci: p. 13-14, 49, 83. Vene- LiisAal90) 233. — Istoria delle piante che nascono ne’ Lidi intorno a Ve- nezia. Opera postuma di G. G. Zannichelli accresciuta e pubblicata da Gian Jacopo figliuolo dello stesso. Musci: p. 188-190, tav. 204, fig. 1, tav. 211, fig. 2. Venezia, 1735. 1007033: 1729 128. 1730 232. d00MN233. 1745 197. 1753 110. 1754 198. 1763 111. 1764 112. 1768 90. Si oi 0M0R19) 1785 di MR 2 1795 1806 1797 1819 1801 10. » ) oi 1842 1802 126. » 203. 1804 225. 187. 52. 1798 188. II. — Catalogo cronologico 1697. Boccone BP. 1700-1799. Micheli P. A. Zannichelli G. G. Zannichelli G. G. Séguier J. F. Linnaeus C. Séguier J. F. Linnaeus 0. Linnaeus C. Haller A. Burmann N. L. Bartalini B. Allioni C. Bellardi L. Santi G. Bridel S. E. Savi G. 1800-1809. Balbis G. B. Hedwig J. Mazzari Pencati G. Suffren. Viviani D. 1830 178. Re G. 11. Balbis G. B. 30. Biroli G. 176. Raddi G. 1810-1819. 22. Bertoloni A. 174. Pollini C. 25. Bertoloni A. 12. Balbis G. B. 68. Corinaldi J. 177. Raddi G. 184. Ruchinger G. 189. Savi G. 24. Bertoloni A. 1820-1829. 146. Nocca D. e Balbis G. B. 195. Schleicher J. C. 145. Nocca D. 206. Tenore M. 175. Pollini C. 53. Bridel S. E. 143. Naccari F. L. 190. Savi G. 139. Moris G. G. 142. Miller F. A. und Bruch Ph, 1830-1839. 60. Candolle de A. P. et Du- by J. E. BIBLIOGRAFIA BRIOLOGICA ITALIANA . Schwaegrichen F 74. Fiorini Mazzanti E. 16. Balsamo G. e De Notaris G. 280 1830. 196 1831 4 1832 25 1833800013 » 14 1834 15 1836 67 » 147 1837 113 » 137 » 148 SM deo 1843 $ 1837 1866 ) ° 1838 16 » 51 » 149, » 150 1839 140 1840 191 » 208 1841 75 1842 209 1844 28 1845 88 » 106 1848. 199 1851 1848 i % 1856 $ © 1850. 155 1851 92. . Bertoloni A. . Balsamo G. e De Notaris G. . Balsamo G. e De Notaris G. . Balsamo G. e De Notaris G. 7. Colla L. . Notaris de G. . Lisa D. . Montagne ©. . Notaris de G. . Garovaglio S. 58. Bruch, Schimper et Giimbel. . Bivona Bernardi A. . Notaris de G. . Notaris de G. . Moris G. e De Notaris G. 1840-1849. 91. Schimper W. Ph. . Trevisan V. . Fiorini Mazzanti E. 9. Trevisan V. . Bertoloni G. . Grigolato G. . Lesquerreux L. . Sendtner O. » N77? Miiller C. . Bertoloni A. 1850-1859. . Pasquale G. A. Heufler L. » 200. Simi E. 1857 158. Montagne C. 1858 1862 21. Bertoloni A. 1860-1869. . Heufler L. . Lorentz P. G. . Schimper W. Ph. ;5. Cesati V. 5. Roze E. 98. Juratzka J. . Milde J. . Notaris de G. . Tassi A. . Cesati V. . Molendo L. . Piccone A. . Juratzka J. 18. Lorentz P. G. 50. Milde J. 1. Milde J. 55. Molendo L. 5. Schimper W. Ph. . Bescherelle E. et De Mer- cey A. . Bolle C. . Molendo L. . Notaris de G. . Molendo L. . Weiss E. . Juratzka J. . Lorentz P. G. . Lorentz P. G. und Molendo L. . Lange T. M. 1. Pfeffer W. . Venturi G. . Notaris de G. . Pasquale G. A. 1870-1879. 7. Jager A. . Heufler L. pe A. BOTTINI 1871 107. Licopoli G. 1881 » 162. Pfeffer W. 1883 1872 157. Pasquale G. A. e Licopoli G. 1882 » 185. Saccardo P. A. » dine si 18780) » 1872 È » 1878 07. Terracciano N. "e 1873 65. Cesati V. 1883. 1874 9. Bagnis C. » 76. Fiorini Mazzanti E. » » 101. Juratzka J. » 1875 4. Anzi M. » » 105. Lange M. T. » » 156. Molendo L. » 1876 172. Piccone A. 1884 » 194. Schimper W. Ph. » 1877 50. Bracciforti A. » » i Ì » 1878 77. Fiorini Mazzanti E. n » 79. Freyn J. » » 84. Gillot X. » » 212. Venturi G. 1892 1879 69. Dewies M. 1885 » 81. Geheeb A. » » 85. Giordano G. C. » » 213. Venturi G. » » é » 1882 214. Venturi G. a 1880-1889. 5 1880 54. Braithwaite R. » » 163. Philibert H. » » 179. Renauld F. » PN 5 Venturi: » 1881 78. Fitz-Gerald C. e Bottini A. 1892 » 95. Husnot H. 1886 » 109. Lindberg S. 0. » » 164. Philibert H. » » 1902. Scagnetti A. M. » » 216. Venturi G. » » 226. Warnstorf C. » 82 281 Geheeb A. . Bottini A. . Cesati V. . Juratzka J. . Marchal E. Philibert H. . Venturi G. . Bottini, Arcangeli e Mac- chiati. . Bozzi L. . Nicotra L. . Philibert H. . Saccardo P. A. e Bizzozero G. . Venturi G. . Boulay N. Lojacono Pojero M. . Philibert H. . Renauld F. . Venturi G. e Bottini A. . Warnstorf C. . Husnot T. . Amann J. . Barbey W. . Bizzozero G. . Boulay N. . Giordano G. C. . Macchiati L. Mari G. L. . Venturi G. . Venturi G. Warnstorf C. . Limpricht G. . Amann J. . Bottini A. . Cardot .J. . Fiori A. 5. Geheeb A. Lojacono Pojero M. 282 1886 158. 182. 221. 42. DL. TAL BIBLIOGRAFIA BRIOLOGICA ITALIANA 1889 250. Warnstorf €. Payot V. Roll J. Venturi G. . Arcangeli G. . Bottini A. . Bottini A. . Bottini A. . Bottini A. . Olivier du Noday. . Philibert H. . Venturi G. . Bottini A. . Farneti R. . Macchiati L. 9. Philibert H. . Pichi P. e Bottini A. . Strobl G. . Warnstorf C. . Arcangeli G. . Arcangeli G. Bottini A. Brizi U. Farneti R. 1253. Marcialis E. 125. Mari G. L. 2072. Toni de E. 1890-1892. Bottini A. . Brizi U. . Lojacono Pojero M. . Payot V. . Payot V. . Philibert H. . Tanfani E. . Venturi G. . Baur W. . Bottini A. . Bottini A. EBEIZIAUE . Farneti R. . Grilli C. . Micheletti L. . Solla R. È Arcangeli G. . Baroni E. . Brizi U. . Cardot J. . Giordano G. C. 103. 181. Kindberg N. C. Rodegher Venanzi E. BIBLIOGRAFIA SPECIALE Cataloghi parziali proprî di ogni singola regione d’Italia (!) Piemonte Prov. di Cuneo, Torino, Alessandria, Novara. ilo Allioni. 2. Amann p. 247-249, 254, 258-260, 262-268, 270, 271, 275, 278, 279, 283, 285. . Amann p. 147, 149, 151-153, 156. . Bagnis. . Balbis. . Balbis. . Balbis. . Balsamo e De Notaris. . Balsamo e De Notaris p. 329-333, 337, 340, 343, 344, 346, 349, 350. . Bellardi. . Biroli. seBoulayApido, 1491200247182) 94, 118, 124, 125, 128, 129, 134, 135, 139, 148, 158, 160-162, 182, 190, 1953, 197, 199, 202, 207, 241, 222, 228, 229, 231, 236, 243, 244, 253, 254, 257, 258, 261, 262, 268, 269, 276, 279, 280-282, 287-289, 291, 292, 305, 306, 303.-310, 344, 315, 317, 330, 362, 365, 366, 370, (Di DO 374, 373, 377, 380-383, 390, 392, 405, 410, 416, 437, 440, 462, 465, 472, 482, 483, 486-488, 490-493, 496, 500, 501, 503, 505, 507, 525, 534, 535, 553, 580, 581, 583-585, 587-590, 597, 598. 2. Bridel (1798) p. 98, 100, 140, 113, 152, 170, 176, 177, 190: (1801) p. 3, 6, 92, 94, 118, 128: (1803) p. 25, 92, 125, 168: (1806) p.147, 192: (1842) p. 75: (1819) p. 77, 187. 53. Bridel I p. 200, 350, 396, 440, 609:: II p. 64, 452, 598, 600, 607, 638. . Brizi p. 265, 268, 273, 275, 281, 282, 350-307. 57. Brizi. 2. Cardot p. 112. Cesati. . Cesati. . Cesati. . Colla. . Dewies. . Hedwig (1801) p. 125, 134, 160: (4811) p. 173: (1828) tab. 233. . Husnot. . Tiger (1869-70) p. 251, 252, 254: (1) Per buona parte delle opere concernenti più di un paese, ho creduto opportuno dare la citazione completa delle pagine relative a ciascuna delle varie regioni d’Italia. Sc. Nat. Vol. XII. 21 284 106. 108. 113. 124. 123. 136. BIBLIOGRAFIA (1870-71) p. 361, 365, 366, 388, 393, 398, 401, 405, 425, 441: (1871-72) p. 363, 377, 405, 484, 487: (1872-73) p. 68, 69, 75, 79, 83, 85, 88, 99, 105, 109, 168, 177, 184, 185, 199, 204, 211: (1873- 74) p.58, 77, 84, 139, 143, 158, 174, 175: (4876-77) p. 243, 219, 232, 257, 302, 323, 336, 339, 340, 388: (1877-78) p. 314, 327, 330, 333, 334. Lesquerreux p. 7, 14, 15, 18, 30, 34 39, 50), 04. Limpricht. Lisa. Macchiati. Marchal. Molendo p. 28, 32, 33, 38, 39, 45, DR} (65, 2091 27451276) 277. . Miller I p. 32, 113, 122, 273, 289, 308, 328, 365, 370, 444, 514, 773, 786: II p. 33, 327, 364, 397, 478, 489, 626. . Notaris de. . Notaris de p. 6-8, 10, 11, 13, 15, 17, 19, 24-23. . Notaris de p. 291, 305, 311, 313, 316, 318, 322. . Notaris de p. 16, 30, 38, 43, 45, 48, 51. . Payot. . Payot. . Payot. . Philibert p. 3-6, 33-36. . Philibert. . Pollini. . Re. . Roze. . Schimper. . Schleicher. - Grimmia Donti, Tetra- plodon angustatus, Bryum Schlei- cheri: Monte S. Bernardo. - Zieria BRIOLOGICA 103. 106. 108. 4124. 125. 136. 141. ITALIANA Julacea, Hypnum molle: Sem- pione. . Venturi. . Venturi. . Venturi p. 41-47. . Venturi p. 42-47. . Venturi p. 61-64. . Venturi p. 60-66, 94-95. . Venturi. Venturi p. 297-304. . Waxnstorf. Cantone Ticino . Amann p. 263. . Balsamo e De Notaris. . Balsamo e De Notaris p. 330, 342, 345. . Bottini p 113-115, tav.5, fig. 22-27. . Bottini. . Bottini. . Bridel (41798) p. 100: (1819) p. 27, 196. . Bridel I p. 151: II p. 146. . Brizi p. 350, 352, 355. . Brizi. Cardot p. 64, 65. . Cesati. . Haller p. 24, 55. . Tiger (1869-70) p. 251, 254: (4871- 72) p. 364, 458, 484: (1872-73) p. 68, 78, 176, 185, 234: (1873-74) p. 67, 143, 173, 228: (1874-79) p. A74: (4876-77) p. 212, 249, 257, 322, 365. Kindberg. Lesquerreux p.14, 28, 30,38, 41-43. Limpricht. Mari. Mari. À Molendo p. 50, 52, 65, 66, 96, 138, 140, 158, 208, 232. Miiller I p. 286, 545: II p. 104. A. 161. Pfeffer. 162. Pfefter. 175. Pollini. 191. Schimper. 195. Schleicher. — Physcomitrium acu- minatum: Locarno. 2411. Venturi. 215. Venturi p. 102-103. 216. Venturi p. 82, 85. 222. Venturi. 223. Venturi. 228. Warnstorf. Lombardia Prov. di Pavia, Milano, Como, Sondrio, Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova. Porzioni italiane del Cantone dei Grigioni Val Mesocco, Val Bregaglia, Val Poschiavino. 4. Anzi. 13. Balsamo e De Notaris. 14. Balsamo e De Notaris. 15. Balsamo e De Notaris. 16. Balsamo e De Notaris p. 338-340, 343, 346, 348, 349. 49. Bozzi. 52. Bridel (1812) p. 125, 188, 199. 53. Bridel I p 176, 399, 581, 647, 656: TI p.55, 144, 245, 428, 492, 529, 594, 600, 626. 55. Brizi p. 355, 307. 57. Brizi. 62. Cardot p. 82, 100, 101. 63. Cesati. 70. Farneti. 72. Farneti. 80. Garovaglio. 96. Husnot p. 157. 97. Jager (1869-70) p. 251, 254, 257, 293, 295, 298: (1870-71) p. 358, 361, 366, 371, 383, 401, 425, 488, 441: (1871-72) p. 328, 331, 364, BOTTINI 108. 119. 120. 135. 136. 106. 141. 145. 146. 148. 149. 151. 161. 162. 170. 175. 181. 182. 10} Zllo 285 399, 402, 429, 458, 484, 488: (1872-73) p. 69, 76, 78, 79, 81, 86, 87, 101, 105, 109, 168, 174, 185, 193, 201, 227: (1873-74) p. 58, 59, 77, 103, 134, 139; 143, 148, 149, 152, 153, 165, 167, 178, 180, 201, 206: (1874-75) p, 171: (1875-76) p.292: (1876-77) p.213, 2097, 301, 322, 324, 328, 329, 336, 304, 441: (1877-78) p. 283, 285, 297, 298, 304, 309, 311, 314, 316, 325, 326, 335, 348, 406, 444. Lesquerreux p. 7, 10, 11,14, 17, 18, 22-24, 26, 30-33, 30-39, 41, 42, 52. Limpricht. Lorentz. Lorentz und Molendo. Molendo. Molendo p. 39, 43, 52, 59, 64, 65, 70,76, 82,87, 90, 1041, 110, 112, 120, 138, 148, 149, 154, 166-168, 185, 187, 190, 198, 208, 209, 211, 210,242) 245, 247, 248, 251, 253; 261, 263. Miller I p. 44, 106, 122; 107, 235, 279, 298, 306, 414, 475, 603, 607, 604, 770, 793: II p. 33, 250, 364, 414, 429, 489. Nocca. Nocca e Balbis. Notaris de p. 6, 12, 14, 19. Notaris de p. 305, 311, 313, 315, SMS 2280920Ì Notaris de p. 18. 30, 45, 48, 51, 00. Pfeffer. Pfeffer. Philibert. Pollini. Rodegher Venanzi. Roll. Schimper. Venturi, BIBLIOGRAFIA BRIOLOGICA ITALIANA . Venturi. . Venturi p. 102-103 . Venturi p. 41-47. . Venturi. Tirolo italiano . Amann p. 264. . Bizzozero. . Bridel (1819) p. 76. - Bridel I p. 766, 822, 827, 835, 850: II p. 740. . Geheeb (1881) p. 201. . Heufler. . Heufler. . Heufler. . Husnot p. 157, 168, 187, 189. . 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Molendo p. 29, 45, 50, 52, 54, 58, 64, 75, 80, 85-87, 90, 95, 99, 100, 112, 115-117, 120, 125, 131, 134, 137-141, 146, 149, 150, 153-155, 159, 163-165, 176, 182, 185, 188, 190, 194, 196, 207, 209, 215, 217, 218, 222,223, 225, 2272300351 239-241, 243, 245, 247, 248, 255, 207, 258, 260-262, 268, 269, 277. Miiller I p. 280, 308, 515, 594, 654: II p. 84, 118, 364. Notaris de p. 9. Notaris de p. 17, 30. Philibert. Pollini. Pollini. Saccardo e Bizzozero. Schimper. Venturi. Venturi. Venturi Venturi p. 23-26. Venturi p. 31-32, 47-48, 82-85. Venturi p. 42-47. Venturi p. 52-55. Venturi. Venturi. Warnstorf. Warnstorf. Warnstorf. Veneto Prov. di Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia, 16. 32. 03. 88. 94. DT Treviso, Belluno, Udine. Balsamo e De Notaris p. 335. Bizzozero. Bridel I p. 844: II p. 199, 740. Grigolato. Heufler. Tiger (1869-70) p. 279: (1871-72) p. 380: (1873-74) p. 84, 150: A. BOTTINI 287 (1876-77) p.341: (1877-78) p.305, 53. BridelTp.86:II p. 80,81, 588, 594. 314, 326, 406. 62. Cardot p. 64, 65. 108. Limpricht. 79. Freyn. 117. Lorentz p. 20. 97. Jiger (1869-70) p. 279: (1871-72) 118. Lorentz p.90, 91, 98, 102, 108, 121. p. 391, 400, 401: (1872-73) p.81, 120. Lorentz und Molendo. 234: (1875-76) p. 292: (1876-77) 126. Marzari Pencati. p- 218, 242, 349. 132. Molendo. 99. Juratzka. 133. Molendo. 100. Juratzka. 136. Molendo p. 30, 38, 46, 58, 60, 62, 102. Juratzka. 79, 77, 82, 85-87, 9, 107, 115, 108. Limpricht. 117, 122, 155, 164, 165, 177, 178, 117. Lorentz p. 7, 13. 185, 189, 1941, 203, 214, 218, 225, 136. Molendo p. 81, 82. 227, 235, 241, 246-248, 255, 257, 441. Miller I p. 253, 277, 571, 585, 2058, 260, 261. 587, 640, 662, 795: II p. 98, 118, 141. Miller I p. 417, 472, 662. 372, 462, 475, 480. 143. Naccari. 154. Notaris de p. 38, 45. 148. Notaris de p. 8, 10, 16, 18, 19. 199. Sendtner. 149. Notaris de p.305, 314,316, 319,322. 201. Solla. 151. Notaris de p. 60. 210. Venturi. 165. Philibert p. 17-20. 231. Weiss. 174. Pollini. 232. Zannichelli p. 13-14. 175. Pollini. 184. Ruchinger. Emilia raro. Prov. di Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, 186. Saccardo e Bizzozero. Ferrara, Ravenna, Forli. 197. Séguier. 198. Séguier. 28. Bertoloni. 203. Suffren. 50. Bracciforti. 2072. Toni de. 62. Cardot p. 112, 113. 208. Trevisan. 7A. Farneti. 209. Trevisan. 73. Fiori. 24. Venturi. 78. Fitz-Gerald e Bottini. 216. Venturi p. 82-85. 82. Geheeb. 220. Venturi. 175. Pollini. 223. Venturi. 219. Venturi p. 01-55, 66-67. 232. Zannichelli p. 49, 83. 224. Venturi p. 67-74. 233. Zannichelli. Liguria Gorizia, Trieste, Istria Prov. di Porto Maurizio, Genova. Nizza, Principato di Monaco 43. Bottini p. 259. 02. Bridel (1819) p 86. 16. Balsamo e De Notaris p. 347. 113. 120. 136. 441. 142. 149. 151. 154. 163. 171. 172. 175. 210. 225. . Bertoloni. . Bertoloni (1848) p. 27. . Bescherelle et de Mercey. . Bottini. . Boulay p. 95, 150, 174, 175, 181, 182, 211, 214, 244, 265, 270, 283, 299, 301, 346, 322, 349, 378, 379, 386-388, 392, 397, 409, 412, 444, 416, 418, 419, 428, 430, 432, 434, 437, 445, 447-449, 474, 493, 506, 523, 536, 556, 558, 567, 605. . Bridel (1817) p. 86. . Brizi. . Husnot. . Jiger (1871-72) p. 323, 344, 391, 393, 400, 403: (1872-73) p. 2418: (1873-74) p. 72, 137, 168: (1874- 75) p. 119: (1876-77) p. 221, 340: (1877-78) p. 333. Lorentz p. 83, 90, 94, 93, 1014, 104, 108. Lorentz und Molendo. Molendo p. 77, 82, 240. Miller I p. 549, 571. Miiller und Bruch. Notaris de p. 295. 325. Notaris de p. 15. 16, 22, 25, 28 30, 37, 39, 45. Olivier du Noday. Phlibert. Piccone. 3 Piccone. Pollini. Venturi. Viviani. Toscana, Arcipelago toscano Prov. di Massa e Carrara, Lucca, Pisa, Livorno, 6. TI Firenze, Arezzo, Siena, Grosseto. Arcangeli. Arcangeli. BIBLIOGRAFIA BRIOLOGICA 153 16. 104. 105. 108. 109. ITALIANA Balsamo e De Notaris. Balsamo e De Notaris p. 344, 347, 348. . Bartalini. . Bertoloni. . Bertoloni. . Bertoloni. . Bertoloni. . Bertoloni. . Boccone. . Bottini. . Bottini. . Bottini. . Bottini. . Bottini. 2. Bottini p. 101-112 tav. 3-5. . Bottini p. 259-260. . Boulay. . Bridel (1806) p. 130, 141, 168, 171, 173, 264: (1812) p. 34,107, 145, 163: (1817) p. 48: (1819) p. 15, 52, 79, 88, 95, 133, 137, 186. . Bridel I p. 844: II p. 170, 199, 245, 324, 516, 658, 678. 2. Cardot p. 52, 64, 60, 102, 112, 113. . Corinaldi. . Fiori. . Fitz-Gerald e Bottini. . Geheeb (1881) p. 290, 295, 296: (1883) p. 484, 488, 489. . Geheeb . Hedwig (1841) p. 106. . Husnot. . Husnot p. 168. . Jager (1871-72) p. 368: (1872-73) p. 109: (1873-74) p. 84: (1874-75) p. 119: (1875-76) p. 297: (1876- FT) pi2I222A 88176 Lange. Lange. Limpricht. Lindberg p. 75. 123. 127. 128. 136. 437. 140. 14. 148. 149. 451. 166. 167. 173. 175. 176. 177. 107/8) 180. 137. 188. 189. 190. 200. 204. 205. BIT 218. VAT Marchal. Micheletti. Micheli. Molendo p. 77. Montagne p. 242, 243. Moris e De Notaris. Miiller I p. 44, 122, 786: II p. 32, 479. Notaris de p. 8, 18, 20, 22. Notaris de p. 316, 324. Notaris de p. 15, 28, 30, 37, 39, 42, 68. Philibert. Philibert p. 36-37. Pichi e Bottini. Pollini. Raddi. Raddi. Renauld. Renauld. Santi. Savi. Savi. Savi. Simi. ‘Tanfani. Tassi. Venturi p. 4-6. Venturi p. 92-50. Marche Prov. di Pesaro e Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, . Arcangeli. . Baroni. . Brizi p. 308-362. . Grilli. . Jager (1877-78) p. 302, 427. . Molendo p. 140. . Miller II p. 479. . Notaris de p. 60. BOTTINI 1902. Scagnetti. 211. 212. 217. 289 Venturi. Venturi. Venturi p. 85-87. Romano Prov. di Perugia, Roma. . Balsamo e De Notaris p. 336, 349, 300. . Bridel (1812) p. 28, 104, 105, 107, 114, 125, 145, 147, 163, 170, 188: (4817) p.17, 18, 68, 70, 87: (1819) p. 13, 15, 16, 30, 44, 46, 62, 70, 76, 79, 84, 88,93, 98, 133, 167, 187, 204. . Bridel I. p. 64, 184, 224, 343, 360, 486, 554, 558, 587, 593, 655: II p. 424, 210, 402, 405, 446, 555, 585, 588, 600, 684. . Brizi. ). Brizi. ° Brizi . Fiorini Mazzanti. . Fiorini Mazzanti. . Fiorini Mazzanti. . Geheeh. . Hedwig (1816) p. 239. . Tiger (1871-72) p. 396, 398, 454: (1872-73) p.109: (1873-74) p. 182: (1876-77) p. 212, 350, 353, 367. . Limpricht. 2. Macchiati. . Marchal. . Miller I p. 121, 253, 576: II p. 348, 401, 462, 654. . Notaris de p. 18. . Notaris de p, 295, 305, 311, 313, 325. . Notaris de p. 15, 28, 39, 45, 54, 63. . Philibert p. 17-20. 290 BIBLIOGRAFIA BRIOLOGICA ITALIANA Abruzzo Prov. di Teramo, Aquila, Chieti, Campobasso. o. Arcangeli. ‘8. Arcangeli p. 214, 216-218. 18. Baroni. 65. Cesati. 85. Giordano p. 51, 56-58, 60, 62, 64, 66-70, 73, 78, 81-84, 86, 88, 89,92. 87. Giordano p. 42. 155. Pasquale p. 118, 123. Campania, Isole del Golfo di Napoli Prov. di Caserta, Napoli, Benevento, Avellino, Salerno. 8. Arcangeli p. 213-219. 16. Balsamo e De Notaris p. 328, 331. 334. 34. Bolle. 52. Bridel (1801) p. 164: (1812) p. 158, 184: (1819) p. 62, 72, 76, 96, 98. 53. Bridel I p. 653, 587. 55. Brizi p. 270, 274, 276. 76. Fiorini Mazzanti. 85. Giordano p. 50-98, 102. 86. Giordano. 87. Giordano p. 40-45. 97. Jiger (1870-71) p. 366, 437: (1871- 72) p. 368, 391, 398, 441: (1872- 73) p.218: (1873-74) p.137: (1876- TT) p. 224, 302, 329, 350, 353: (1877-78) p. 309, 406, 448. 107. Licopoli. 123. Marchal. 136. Molendo p. 130. 144. Miller I p. 424, 442: II p. 462, 625. 151. Notaris de p. 60. 155. Pasquale p. 116-125. 156. Pasquale. 165. Philibert p. 17-20. 166. Philibert. 206. Tenore. 207. 218. Terracciano. Venturi p. 52-55. Basilicata Prov. di Potenza, . Brizi p. 268. . Giordano p. 50, 51, 53, 34, 59, 60, 66-68, 71-73, 76, 78, 80, 82-88, 90, 93. . Giordano p. 40-42, 44. - Pasquale p. 117, 119, 123. Puglie Prov. di Foggia, Bari, Lecce. 8. Arcangeli p. 213, 244, 217, 219. 141. 155. 16. 47. . Giordano p. 60, 66, 78, 86, 9. . Jiger (1871-72) p. 393, 396, 400, 401, 442, 449. . Miller I p. 572, 076, 585, 587, 630, 637. . Notaris de p. 26. . Pasquale e Licopoli. Calabria Prov. di Cosenza, Catanzaro, Reggio. . Balsamo e De Notaris p. 328. . Bottini. . Bottini, Arcangeli e Macchiati. . Bridel I p. 331, 703: IL p. 17, 210, . Brizi p. 266, 267, 269-274, 273-275, 277, 280. . Giordano p. 50, 51, 53, 56, 38-64, 63-65, 68-72, 74, 77, 80, 82, 83, 85, 86, 94-93, 98. . Giordano p. 40-42, 44. . Jiger (1871-72) p. 391: (1873-74) p. 84, 137. Miller I p. 472. Pasquale p. 116-125. Corsica Balsamo e De Notaris p. 328, 337. Boulay p. 10,87, 93, 105, 111, 115, 03. 09. 60. 62. 84. 96. 97. 137. 138. 441. 148. 165. 166. 167. 168. AS, 120, 162, 174, 174, 178, 180, 182, 187, 198, 200, 244, 217, 220-223, 226, 237, 252, 253, 266, 270, 283, 284, 286, 289, 294, 299, 300, 302, 323, 327, 349, 351, 363, 379, 385, 393, 412-414, 416-448, 427, 444, 459, 467, 515, 530, 546-548, 5909, 603. Bridel I p. 760, 779, 803, 820, 844, 849: II p. 746, 750. Burmann. Candolle de et Duby p. 548, 570. Cardot p. 82, 83, 112. Gillot. Husnot. Jiger (1871-72) p. 381, 391, 441, 449, 460: (1872-73) p. 218: (1873. 74) p. 93, 168: (1874-75) p. 115: (1876-77) p. 241, 363. Montagne p. 247. Montagne. Miller I p. 122, 125, 282, 448. Notaris de p. 7. Philibert p. 9-11. Philibert. Philibert p. 90-9I. Philibert. Sardegna, Isolette adiacenti 16. Balsamo e De Notaris p. 328, 332, Alfa 43. 07. 62. SL 96. 97. 334, 337, 341, 350. Barbey. Bottini p. 261. Brizi. Cardot p. 50, 102, 112, 144. Hedwig (1842) tab. 306. Husnot p. 180. Jiger (1869-70) p. 279: (1871-72) p. 335, 337, 342, 343, 349, 381, 390, 391, 393, 396, 398, 400, 404, 414, 4414, 426 430, 436, 439, 441, 442: (1872-73) p. 67, 69, 75, 109, BOTTINI 101. 108. 291 208, 218, 223, 232, 234: (1873- 74) p. 72; 104, 153; 168, 182: (1874-75) p.157: (1876-77) p.212, 221, 317, 329, 344, 363, 366: (1877-78) p. 402. Juratzka. Limpricht. 1232. Marcialis. 136. 139. 141. Molendo p. 80. Moris. Miller I p. 23, 27, 33, 110, 121, 122, 125, 253, 277, 282, 299, 412, 448, 504, 347, 548, 554, 555, 571, 572, 576, 584, 585, 587, 598, 602, 610, 615, 622, 625, 626, 630, 637, 640, 660, 662, 667, 704, 786: IT p. 85, 354, 371, 399, 544, 622. . Muller und Bruch. . Notaris de p. 6, 12-14, 16, 17, 20. . Notaris de p. 288, 291, 293, 296-300, 303, 305, 306, 313-315, 319-321. . Notaris de p. 16, 19, 23, 25, 27-30, 33, 37, 39, 55, 60, 63. . Venturi p. 93-94. . Venturi. Sicilia . Balsamo e De Notaris p. 327, 328, 332, 334, 337, 350. . Bivona. . Bottini p. 261-266. . Brizi p. 266, 267, 269-272, 275-281. . Brizi. . Husnot p. 157. . Jiiger (1871-72) p. 381, 398, 414, 441, 449: (4872-73) p. 184, 223: (1873-74) p. 84, 168: (1876-77) p. 363, 368. . Juratzka. 114. 115. 116. Lojacono Pojero. Lojacono Pojero. Lojacono Pojero. BIBLIOGRAFIA BRIOLOGICA . Molendo p. 138. . Miller I p. 121, 125, 282, 448, 472, 504, 602, 637. . Nicotra. . Notaris de p. 6. . Notaris de p. 288, 296, 349, 321. . Notacis de p. 28, 33, 60. . Strobl. Malta 0. Baur. 00, Brizi p. 265, 266, 273, 274, 277, 279. Italia intera, comprese le Isole del Tirreno . Bertoloni. . Bottini. . Bridel (1819) p 62. . Bruch, Schimper und Giimbel. . Notaris de p. 294, 304, 307. . Notaris de. . Notaris de p. 21, 31, 35, 46, 50. 53, 54, 57, 58, 61. . Notaris de. . Notaris de. 2. Schimper. . Schimper. . Venturi e Bottini. Italia, senza ulteriore specifica- 16. 02. zione della località Balsamo e De Notaris. — Italia su- periore p. 347. — Italia meridio- nale p. 328. Bridel (1803) p. 148: (1812) p. 2, 7, 76, 100, 104, 105, 109, 410, 122, 149, 163, 167, 176, 180, 187, 191, 207, 213: 11817) p. 46, 54, 69: (1819) p. 17, 76,92, 133, 134. — Italia superiore (1819) p. 125. —- Appennini (1817) p. 85, 90: (1819) p. 126. I. 97. ITALIANA . Bridel I p. 75, 171, 199, 244, 529, 586, 594: II p. 57, 119, 170, 254, 369, 404, 406, 409, 428, 469, 471, 492, 507, 581, 628, 641, 729. Hedwig (1816) p. 243, 249, 337: (1824) p. 161: (1842) tab. 313. Tiger (1869-70) p. 279: (1870-71) p. 437: (1871-72) p.325, 330, 366, 367, 390, 402, 405, 410, 414, 439, 450: (1872-73) p. 84, 104, 108, 174,183, 212, 218, 223, 225, 234: (1873-74) p. 58, 168, 237: (1874- 75) p. 147, 157: (1875-76) p. 214: (1876-77) p. 226, 228, 244, 245, 246, 261, 346, 324, 348, 359: (1877-78) p. 283, 286, 290, 297, 300, 302, 306, 324, 326, 340, 343, 348, 445. . Linnaeus p. 1570. . Linnaeus p. 1570. . Lorentz. — Alta Italia p. 13. . Miller I p. 125, 282, 412, 439, 501, 583, 591, 596, 598, 602, 629, 667, 704: II p. 32, 69, 98, 118, 168, 374, 377, 480. . Notaris de p. 6. . Notaris de p. 289, 340. — Italia superiore p. 290, 324. — Italia mediterranea p. 291. . Notaris de. — Italia superiore p. 44, 65.-Italia super. e centr. p. 66. . Venturi. Venturi p. 60-76. . Venturi p. 54-60. Citazioni generali, implicitamente riferibili anche all’Italia . Braithwaite. . Cardot. . Linnaeus. . Schwaegrichen. A. FUCINI MM_a__ ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE E DELL'APPENNINO DI LUNIGIANA Dall’ egregio prof. Carlo De Stefani ho avuto in comunica- zione alcuni fossili, esistenti nella collezione paleontologica del Museo di Firenze, stati in gran parte raccolti negli anni 1864 e 1866 dal prof. Igino Cocchi. Essi provengono da due loca- lità distinte sebbene cronologicamente identiche. La maggior parte delle specie è dovuta ai calcari grigi dei dintorni di Restì nell'Appennino di Lunigiana; il maggior numero d’individui pro- viene invece dai calcari neri di Ugliancaldo nelle Alpi Apuane, ricchi di macchie spatiche e spesso formati da una vera luma- chella di Terebratula punctata, Sow. I calcari in discorso sono incontrastabilmente riferiti al Lias inferiore e spetta al Savi e Meneghini (!) ed al Cocchi (?) per quelli di Restì e al De Stefani (3) per quelli d’Ugliancaldo l’averne stabilita l’ età geologica. Il De Stefani li riferisce ai calcari grigio- cupi del Lias inferiore della Spezia rappresentanti in gran parte la zona ad Aegoceras angulatum. Il Lotti (4), comunicando la scoperta fatta nella valle della Torrite di fossili, identici a quelli d’Ugliancaldo, appartenenti ai generi Terebratula e Rhincho- (1) Savi e Meneghini. — Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana. (In Murchison) 1850. (*) Cocchi. — Sulla geologia dell’ alta val di Magra (Mem. d. soc. ital. d. se. nat. Vol. II, N. 5. Pag. 5, 6). (9) De Stefani. — Considerazioni stratigrafiche sopra le roccie più antiche del- V Alpi Apuane e dei M. Pisani. Pag. 67. Roma. 1875. (4) Lotti. — Alcuni nuovi fossili delle Alpi Apuane. (Processi verbali d. Soc. tosc. d. sc. nat. Pisa, 3 luglio 1881). 294 A. FUCINI nella, li dice nettamente determinati da schisti a battrilli im- mediatamente sottostanti e da calcari rossi ad Arieti imme- diatamente sovrapposti. Tali calcari appartengono dunque alla zona ad Angulati che corrisponde alla parte media del Lias inferiore. La loro posi- zione stratigrafica è benissimo determinata oltre che dalla re- lazione con i terreni sopra e sottostanti anche dai fossili che 1acchiudono e specialmente dalle specie di cefalopodi. Di que- «st ultimi il De Stefani cita: RAacophillites stella, Sow.; Lytoce- ras Phillipsi, Sow.; L. subbiforme, Can.; Ectocentrites Meneghini, E. Sism.; Arvetites Carusensis, D'Orb.; Schlotheimia catenata, Sow. Le altre specie di fossili delle quali ho intrapreso lo studio sono: Pentacrinus sp. Ehynchonella plicatissima, Quenst. Eh. cfr. latifrons, Stur. Rh. subtriquetra, Can. Rh. apennina, De Stef. Eh. Canavarii, sp. n. Eh. cfr. Deffneri, Opp. Terebratula punctata, Sow. T. Cocchii, sp. n. Anomia apuana, Sp. n. Lima sp. Avicula sinemuriensis, D' Orb. Chemnitzia restiensis, sp. n. Prima di cominciare la descrizione di questa fauna, la quale appoggia le conclusioni tratte dalla stratigrafia, è mio obbligo strettissimo di ringraziare il prof. De Stefani per avermi data occasione di fare questo studio che, sebbene meschino, pure, per l’importanza della regione dalla quale provengono i fossili, può avere qualche interesse. CRINOIDI Gen. Pentacrinus. Miller. Pentacrinus sp. Nel calcare nero di Ugliancaldo si trovano numerosi fram- menti di crinoidi che appartengono al genere Pentacrinus. A ca- ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 295 gione però del loro cattivo stato di conservazione, ne è dub- bia ogni determinazione specifica. Tali frammenti sono talvolta costituiti anche da otto o nove articoli che non raramente si sovrappongono in linea curva a raggio molto grande. Il mas- simo della larghezza dei trochiti è di 4”, mentre lo spessore è diet2, A Restì nel calcare grigio si trovano consimili Pentacrini, però molto meno frequenti e con gli articoli un poco più alti misurando essi lo spessore di 1,4. Credo che sia la medesima specie riferita al Pentacrinites basaltiformis, Mill. dal Savi e Meneghini (1) i quali ebbero dai calcari grigi di Resti una colonna lunga 15", formata da 9 en- trochi da 3° a 4" di diametro. BRACHIOPODI Gen. Elhynehonella. Fischer, Rbh. plicatissima, Quenst. Tar Mile L24540) 1852. Rhynchonella plicatissima, Quenstedt. Handbuch der Petrefacten- kunde. Pag. 451. Tav. XXXVI; fig. 3. 1889. x - De Stefani. Le pieghe delle Alpi Apuane. (Pubbl. d. R. Ist. d. stud. sup. prat. e di perfez. in Firenze). Pag. 27. 1891. È A Fucini. Molluschi e brachiopodi del Lias inferiore di Longobuceo. (Bull. d. Soc. ma- lac. ital. Vol. XVI, Pag. 22). La Eh. plicatissima Quenst. si trova, sempre poco nume- rosa, tanto nel calcare nero di Ugliancaldo quanto in quello «di Restì. Così il De Stefani (!) descrive gli esemplari della prima lo- calità. “ Conchiglia piccola, non molto convessa, pressochè trian- golare, più alta che larga. Le valve sono a struttura fibrosa molto palese e sono ornate da coste angolose, ben rilevate, le - (4) Savi e Meneghini. — Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana. (In Murchison). Pag. 120 (396). (®) De Stefani. — Op. cit. in sinon. Pag. 27. 296 A. FUCINI quali per lo più si partono direttamente dall’apice e vanno al margine. La grande valva piuttosto depressa, presenta un seno, che si estende per quasi tutta la larghezza della fronte, nel quale scorrono 4 coste angolose e che è lateralmente limitato da altre due coste alquanto più grosse; a queste ne succedono altre con caratteri alquanto diversi a ciascun lato, cioè 4 ben distinte da una parte e dall'altra, dopo le quali rimane liscio o solo con ottusa traccia di coste, un tratto quale potrebbe essere occupato da due coste ordinarie. Così le coste della grande valva negli individui da me osservati sono 13. Nella piccola valva, alquanto più convessa della grande, in corrispon- denza del seno mediano di questa, è un lobo ben distinto con 5 coste cui ne succedono da un lato 3 ben marcate, dall'altro pure 3, di cui l’ultima è meno marcata; viene quindi, come nell’altra valva, uno spazio liscio; vi sono così 11 coste. Le coste partono direttamente dall’apice ed il loro rilievo aumenta coll’avvicinarsi alla regione frontale; però delle 6 coste che sono nel seno della grande valva partono dall’apice solo le due di mezzo e le due più laterali, le altre due intermedie partono dagli interstizii. La congiuntura laterale delle valve è leggermente ondulata; l'apice della grande valva è ricurvo, acuto, con breve tratto di spigoli laterali. La falsa area è poco sviluppata; il forame è piccolo e compreso dalle due linee che limitano il deltidio. Lunghezza 9"; larghezza 87,5. Questa specie diversifica dalla RA. portuvenerensis, Cap. perchè più triangolare, colle coste angolose e direttamente irradianti dall’ apice. Essa ha qualche rassomiglianza colla R%. calcicosta, Quenst. e colla EX. Glevensis, Smithe, da cui la distinguono la forma più alta che larga quasi triangolare ed il numero delle coste ,. L’esemplare che proviene dai calcari grigi di Restì (Tav. IV, fig. 2 a, b, c) è esso pure di piccole dimensioni, più alto che largo, sub-ovale e piuttosto rigonfio. La valva grande porta 16 coste nette, ben rilevate, non tanto angolose, le quali tutte si origi- nano all’ apice e delle quali una delle mediane è bifida per piccolo tratto sotto l'apice e le più estreme sono rudimentali. Il seno che si trova in essa valva non è molto profondo ed è composto da 6 coste, 4 vi scorrono dentro e due più rilevate lo limitano ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 297 lateralmente. La valva piccola è un poco più rigonfia della grande, ha pure 16 coste, uguali nella forma a quelle della valva grande, e delle quali alcune si originano dagli interstizii. Il lobo è poco distinto ed è formato da 5 coste di cui le due laterali sono separate dalle altre da un intervallo maggiore. La commessura è sinuosa tanto lateralmente quanto alla fronte. L'apice non completamente conservato, sembra essere assai ri- curvo, piuttusto alto e grosso, e con brevi spigoli laterali. La forma di Restì differisce dalla £. plicatissima di Uglian- caldo per essere più rigonfia e per avere il seno ed il lobo meno marcati e forma più rotondeggiante. La Eh. plcatissima Quenst. è specie propria del Lias infe- riore, ma pare che si trovi anche nel Lias medio. * Rbh. cfr. latifrons, Stur. Tav. IV, Fig. 3a, db, c. 4a, db. 5a, db. 1889. RAynchonella latifrons, Geyer. Ueber die liasichen Brachiopoden des Hierlata bei Hallstatt. (Abhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Band. XV, Heft I) Pag. 54, Tav. VI, fig. 25-31. Ho potuto osservare tre esemplari, non certamente in buono stato di conservazione, che credo con dubbio doversi riferire alla specie dello Stur descritta dal Geyer. Tutti e tre proven- gono da hestì. La conchiglia è più larga che alta, poco rigonfia, slargata, arrotondata alla fronte. Le valve sono ugualmente convesse. Le coste, piuttosto rotondeggianti, in numero di 15 o 16, sono ben spiccate dalla fronte all'apice, in vicinanza del quale spesso e senza regola si uniscono a coppie. In questo modo all'apice se ne hanno, in numero, circa i due terzi di quelle che si tro- vano alla fronte. Il seno della grande valva, pochissimo pro- fondo ma ben distinto, contiene 6 coste, delle quali le due più laterali sono alquanto più larghe delle altre. Ai lati del seno, per ciascuna parte, si hanno tre coste sempre bene evidenti e sempre comprese nel margine frontale; dopo queste se ne tro- vano altre quattro, due per ogni lato, che escono propriamente ai fianchi, delle quali le laterali sono meno rilevate. Il lobo della x piccola valva è pochissimo sporgente, quasi indistinto e non è 298 A. FUCINI delimitato da alcuna costa diversa. La commessura è diritta ai lati della regione cardinale, sinuosa alla fronte. L’apice in due dei miei esemplari manca; nell’ altro, rappresentante un giovane individuo, è molto alto ed un poco compresso lateralmente. Questa specie si avvicina alla R%. plicatissima, Quenst. dalla quale differisce per minore globosità, per maggior larghezza della fronte, per essere più larga che alta e per le coste meno acute ed angolose. La bipartizione, sotto l'apice di buon nu- mero di coste ravvicina la nostra specie alla RA. fissicostata, Suess, ma questa è molto più rigonfia, generalmente più grande, con numero di coste maggiore e con seno e lobo molto più pronunciati. La specie cui fu paragonata è propria dei depositi di Hierlatz. Altezza 12"”—6"; larghezza l4"—6%,5; grossezza 5, b—35 Rh. subtriquetra, Can. Tav. IV, fig. 6 a, d. 1881. Rhinchonella subtriquetra, Canavari Beitr. zur Fauna des unt. Lias von Spezia (Palaeontogr., XXXIX, Bd., IMI Lief., pag. 131 (9); Tav. XV (I) fig. 6. 1888. ; 3 Canavari. Contribuzione alla fauna del Lias inferiore di Spezia (Mem. d. R. Comit. geolog. Vol. III. Parte seconda. Pag. 57, tav. I, fig. 6). s De Stefani. Lias inferiore ad Arieti del- V Appennino. (Estr. d. atti d. Soc. tosc. d. Sc. nat., Vol. VIII, fasc. I). Pag. 30. 1889. 3 7 De Stefani. Le pieghe delle Alpi Apuane. (Pubbl. d. R. Ist. d. st. sup. prat. e di perf. in Firenze. Sez. d. sc. nat.) Pag. 28. 1886. 3 Piccola conchiglia, quasi triangolare, larga quanto alta o più alta che larga, non molto convessa, con la piccola valva leg- germente più rigonfia della grande e con 8 o 10 costicine ir- regolari, ottuse, più rilevate alla fronte ed evanescenti al centro della conchiglia. Nella piccola valva si ha un seno, quasi indi- stinto, limitato da due coste, una per ciascun lato, un poco più grosse e più rilevate delle altre. Nel seno, cui non corri- sponde nella piccola valva un lobo deciso, scorrono solo quattro ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 299 costicine. Oltre le coste che limitano il seno se ne hanno da ciascuna parte altre due o tre, le quali sono tanto meno pro- nunciate quanto più sono laterali. La commessura è leggermente sinuosa; l'apice piuttosto ottuso ma ricurvo è quasi senza ca- rene laterali. Il deltidio è indistinto ed il forame piccolissimo. Il Canavari avvicina questa sua specie alla £%. triquetra, Gemm. ed alla R7. flabellum, Mgh. dalle quali differisce per la forma decisamente equilatera e per lo spessore minore. La Rh. subtriquetra si avvicina anche alla R%. Deffneri, Opp. = kn. triplicata-juvenis, Quenst. ma ne differisce principalmente per la forma decisamente triangolare e per il maggior numero di coste le quali si avanzano maggiormente verso l’ apice. Il Canavari trovò questa specie a Parodi, presso Spezia, e la cita anche di Castelnuovo di Garfagnana ove fu raccolta dal Lotti. Il De Stefani (!) la ricorda di Resti e della Torrite Secca nelle Alpi Apuane. È specie dei terreni della parte alora del Lias inferiore di Spezia e si trova a Restì e ad Ugliancaldo. Altezza 6”,5; larghezza 6,5; grossezza 3,5. Rh. apennina, De Stef. m. s. Tav eva oa: . Conchiglia quasi equivalve, triangolare poco rigonfia, più larga che alta. La grande valva, regolarmente e non troppo convessa, non presenta seno distinto ed ha dieci od undici coste, divise da solchi di ugual lunghezza di esse e marcate tanto più quanto più sono centrali. I fianchi sono lisci o con ottusissima traccia di costa. Anche la piccola valva ha da dieci ad undici coste aventi i medesimi caratteri di quelle della grande valva. Le coste, più spiccate ai margini, svaniscono circa un sesto dell'altezza della conchiglia prima d’arrivare all'apice, il quale rimane perfettamente liscio; alcune di esse però si originano dagli interstizii. Ai fianchi le valve si uniscono sopra un me- desimo piano e la commessura vi è ondulata; questa alla fronte è quasi diritta e dentellata. L'apice è acuto, pochissimo spor- gente, con piccolissimo forame e con spigoli laterali corti. La conchiglia è poi ornata da linee d' accrescimento assai evidenti. (') De Stefani. — Op. cit. in Sin. Sc. Nat. Vol. XII, 22 300 A. FUCINI x Questa specie è oltremodo vicina alla RX. fabellum, Mgh. dell'Appennino centrale e di Sicilia e ricorda specialmente quella forma che il Canavari (!) distinse come var. II; ne diversifica alquanto per l’apice un poco più alto, per le coste più minute, più regolari, più angolose divise da spazi intercostali maggiori, che non si originano dall’apice e per la commessura laterale sinuosa. La Eh. apennina si avvicina anche molto alla RA. Capellini, Par. (?), che si rapporta certamente al gruppo della RX. Aabel- lum, Mgh., ma se ne distingue per le coste che non si originano dall’apice e che sono più minute, meno rilevate, più fitte al centro della conchiglia e meno distinte ai lati i quali sono quasi lisci e per minor globosità. Le differenze notate tra la nostra specie e la £%. fadellum, Mgh. quantunque certamente non molto spiccate, acquistano un buon valore specifico quando si tien conto del terreno più antico in cui fu trovata. I pochi individui che ho potuto esaminare e che non sono ben conservati, provengono dai calcari grigi di Resti. Altezza 12”,5; larghezza 16”; grossezza 7”. Rh. Canavarii, sp. n. Tav. IV, fig. 9a, b, c, d. Questa specie, proveniente dai calcari grigi di Restì, si scosta assai dalla forma subtriangolare che hanno la massima parte delle RAynchonelle. La sua struttura fibrosa, evidentissima, non lascia però dubbio sulla determinazione generica. Conchiglia inequivalve, leggermente asimmetrica, ovoidale, rigonfia, molto più alta che larga, con fronte ristretta, con la maggior larghezza sotto il centro e con lo spessore massimo poco sopra ad esso. Le coste, 11 per valva, crescono molto in rilievo presso ai margini e sono piuttosto arrotondate e distinte fino all'apice. Di esse le 4, che nella piccola valva formano il (1) Canavari — LI brachiopodi degli strati a Terebratula Aspasia Mgh. nell’Ap- pennino centrale. (Estr. d. Att. d. R. Accad. d. Lincei. Vol. VIII, Serie 3.2) Pag. 28, tav. IV, fig. 4-7. ; (2?) Parona — Contributo allo studio della fauna liassica dell'Appennino centrale. (Estr. d. Att. d. R. Accad. d. Lincei. Anno CCLXXX, 1882-83), Pag. 105, tav. IV, fig. (a, b, c, d), 6 (a, di). ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 501 lobo, e le 5, che nella valva grande costituiscono il seno, sono flessuose e molto più spiccate delle laterali delle quali le più estreme sono affatto rudimentali. Le coste presentano fra loro notevoli differenze. Una di esse nel lato destro della piccola valva è bifida dall’ apice fino al centro, poi corre semplice fino alla fronte. Nella parte sinistra della medesima valva si ha invece una costa semplice dall’apice fin quasi al centro ove si arresta piuttosto bruscamente senza punto turbare l’ anda- mento delle coste che le sono laterali; queste, conseguente- mente, fino al margine sono separate da un intervallo maggiore di quello che si interpone fra le coste corrispondenti dall’ altra parte della valva. Nella valva grande e nella sua parte destra si ha una costa che è bifida dall’apice fin quasi al centro. La piccola valva è appena meno convessa della grande ed ha la sua maggior convessità fra l'apice ed il centro. La commes- sura lateralmente è dritta nella parte superiore e ondulata nell’inferiore, sinuosa obliquamente alla fronte. L’'apice assai alto non è molto acuto; ha carene laterali corte e ottuse e falsa area quasi nulla. Il deltidio è largo ma non molto alto ed il forame piuttosto ampio. Tutta la conchiglia è poi ornata da fitte ed irregolari strie d’accrescimento. Altezza 11"; larghezza 8"; spessore 7°. R. cfr. Deffneri, Opp. TEN id 40 1851. FAynchonella triplicata juvenis, Quenstedt. Hundbuch der Petrefacten- kunde. Pag. 451; tav. XXXVI, fig. 2. 1858. a È E Quenstedt. Der Jura. Pag. 73; tav. VII, fig, 17-23. 1861. 5 Deffneri, Oppel. Brachiopoden des unteren Lias. Zeitscrift der deutschen geologischen Ge- sellschaft. Bd. XV. Pag. 515. 1878. 3 triplicata juvenis, Davidson. Supplement to the britich Jurassic and Triassie. Brachiopoda. Paleontographical Society. Vol. XXXII. Pag. 211; tav. XXVIII, fig. 35, 36. 1881. È Deffneri, Haas. Monographie der Rhynchonellen der Juraformation von Elsass. Lothrîn- gen. Pag. 5; tav. II, fig. 1-19. 302 A. FUCINI 1884. Rhynchonella Deffneri, Hnas. Étude monographique et critique des brachiopodes Ehétiens et jurassiques. Pag. 36, tav. III, fig. 32, 37, 45-46. 1889. a A De Stefani. Le pieghe delle Alpi Apuane. (Pubbl. cit.) Pag. 28. Conchiglia di piccole dimensioni, ovale arrotondata, rigonfia, poco più alta che larga, ornata di coste ottuse, larghe, spic- cate al margine ed evanescenti prima di giungere al centro. La grande valva ha un piccolo seno poco profondo, non tanto ben limitato da due coste appena poco più rilevate delle al- tre due, talvolta anche una, che scorrono in esso. Oltre le coste che limitano il seno si ha per ciascun lato un’ altra co- sticina meno evidente di tutte le altre. Così nella grande valva si trovano 5 o 6 coste. Nella piccola valva, leggermente più convessa della grande, le coste sono pure 5 o 6; due occupano il lobo pochissimo sporgente e quattro, due per parte, sono laterali. Di queste, al solito le due estreme sono meno spiccate delle altre. L’apice è poco acuto ed elevato ed ha spigoli late- rali brevi ed arrotondati e falsa area quasi nulla. La commes- sura è leggermente sinuosa. Più d'ogni altro i nostri esemplari somigliano a quello rap- presentato dal Quenstedt sotto il nome di R%. triplicata juvenis con la fig. 20 della tav. 8 (1). I pochi individui che ho potuto esaminare provengono dai calcari grigi dei dintorni di Restì. Il De Stefani (?) cita questa specie ad Ugliancaldo. Anche per il riferimento del De Stefani ho creduto che i miei esemplari dovessero riferirsi alla multi- forme KR. Deffneri, ma non posso escludere in modo assoluto che essi nel nostro caso possano rappresentare individui gio- vani della già piccola PRA. Subtriquetra, Can. Mentre a questa li ravvicinano la forma e l'andamento delle coste, ne li distin- guono la forma arrotondata, non veramente triangolare, le coste meno numerose ed evanescenti più presso al margine. La RA. pusilla, Gemm. (*) è certo molto vicina alla specie (1) Quenstedt. — Der Jura. . (*) De Stefani. — Le pieghe delle Alpi Apuane. Pag. 28. (3) Gemmellaro. — Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Pag. 73, tav. XI, fig. 12. ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 303 in discorso, ma se ne distingue per l'apice carenato, per la falsa ‘area chiara e circoscritta e per non avere affatto seno frontale nella grande valva. Altezza 4", larghezza 4”, grossezza 2°, 5. Gen. F'erebratula, Klein. Terebratula punctata, Sow. Tay. IV; fi. 100; bic da. Ada, bi ci di : 1818. Zerebratula punctata, Sowerby. Mineral Conchiology of Great-Bri- tain Vol. I, pag. 46, tav. XV, fig. 4. 1889. 7 È De Stefani. Le pieghe delle Alpi Apuane. (Op. cit.) Pag. 27. 1891. È 3 Fucini. Molluschi e brachiopodi del Lias inf. di Longobucco. (Op. cit.) Pag. 27. SONE 5 È Di Stefano. Il Lias medio del M. S. Giuliano (Erice) presso Trapani. (Atti d. Accad. Gioenia d. Sc. nat. in Catania. Vol, III, ser. 4.°) Pag. 105. 1892. 3 » Parona. Revisione della fauna liassica di Goz- zano in Piemonte. (Estr. d. Memorie della R. Accad. d. Sc. di Torino. Serie II. Tom. XLIII). Pag. 40. La forma del calcare nero di Ugliancaldo, località dalla quale provengono tutti i numerosi individui di questa specie, è stata esattamente descritta dal De Stefani (Op. cit. in sin.) nel modo seguente: “ Conchiglia inequivalve, non molto convessa oblunga, quasi di un terzo più alta che larga, liscia; valva perforata convessa, colla convessità a quasi un terzo dall’apice che si abbassa poi alla fronte. Apice piccolissimo, robusto incurvo poco sporgente senza traccia di carena ai lati; forame piccolo quasi contiguo all’umbone; falsa area molto piccola. Valva brachiale assal poco convessa, colla convessità circa alla metà; congiun- tura delle valve retta alla fronte, lateralmente un poco sinuosa verso gli apici, retta nel resto. Punteggiatura finissima irrego- lare. Sotto certi punti di luce alcune strie raggianti dall’ apice appariscono alla superficie di alcuni esemplari; oltre a ciò si vedono sottili strie d’accrescimento. Gli individui giovani sono alquanto oblunghi e più depressi ,. 304 A. FUCINI “ Non pochi individui mostrano un contorno alquanto subpen- tagonale, essendo il margine frontale per breve tratto quasi retto invece che regolarmente convesso; dalla fronte si parte un tratto non convesso ma leggermente pianeggiante che si va perdendo verso l'apice. Questi individui acquistano una certa somiglianza colla Waldheimia perforata Piette; la linea congiun- tiva frontale delle valve rimane invariata. Qualche rara volta le linee d’accrescimento si trasformano in forti rughe ,. “ Questa specie è certo vicinissima alla 7. punctata propria del Lias inferiore e medio; nondimeno ne è forse una varietà per le sottili strie raggianti dall’ apice che talora vi si vedono, per la punteggiatura disposta irregolarmente anzichè a linee ondulate, per la congiuntura frontale che è retta anzichè leg- germente sinuosa ,. Lunghezza 18"; larghezza 11”; grossezza 6” ,. La 7. punctata di Ugliancaldo differisce dalla forma di Lon- gobucco (*) per costanti minori dimensioni, per minor conves- sità, per forma generalmente più arrotondata, per l'apice molto meno robusto, più schiacciato, senza angoli laterali o corti e ottusissimi, per la commessura meno flessuosa sempre diritta alla fronte, per la falsa area quasi nulla e per il forame più piccolo. Si trova in ogni piano del Lias inferiore e nel Lias medio di molte località d'Europa. T. Cocchii, n. sp. May IN iù Rab Piccola conchiglia inequivalve a contorno pentagonale, tron- cata alla fronte, rigonfia senza aver le valve molto curvate, più alta che larga e con leggere strie d’accrescimento. Le valve sono poco e quasi ugualmente convesse e la loro maggiore con- vessità è sopra alla metà dell'altezza. La conchiglia ha la sua maggior larghezza poco sopra la regione di maggiore conves- sità. La piccola valva è ornata da sottili strie radianti dal- l’apice. Dalla grande valva si partono lateralmente due robuste carene, più angolose in vicinanza degli apici, le quali si ab- bassano fino a ricongiungersi alla fronte, seguendo il contorno (1) Fucini. — Molluschi e brachiopodi del Lias inferiore di Longobucco 1891. (Bull. d. Soc. Mal. ital. Vol. XVI). Pag. 27. ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 305 delle valve. Simili carene, ma meno forti e più arrotondate, si trovano anche nella piccola valva. Per tale particolarità le valve sì congiungono per una commessura che scorre nella metà su- periore in una specie di infossatura limitata dalle due carene o, in altre parole, scorre nell’areola. A questo carattere il , Rothpletz dà grande importanza. Nella parte inferiore le valve si uniscono sopra un piano. La commessura è diritta alla fronte, leggermente sinuosa ai fianchi. L’apice è basso e schiacciato. Il forame, nel nostro unico individuo, è poco ben conservato, ma sembra di piccole dimensioni. Il deltidio è nascosto. Proviene dai calcari neri di Ugliancaldo. In segno di deferenza verso l’esimio geologo che scoprì e raccolse molti dei fossili che vado illustrando, chiamo questa nuova specie 7. Cocchii. LAMELLIBRANCHI Gen. Anomia, Lin. Anomia Apennina, sp. n. Tav. IV, fig. 16 a, db, c. Piccola conchiglia, subequilaterale, larga quanto alta, a con- torno rotondeggiante, relativamente assai rigonfia, percorsa da poche pieghe concentriche, larghe e irregolari. Oltre alle pieghe concentriche vi si trovano numerose strie di accrescimento fini ed irregolari delle quali una, fra piega e piega, è generalmente più distinta. E ornata poi longitudinalmente da costicine fi- nissime, raggianti, irregolari, tortuose, non interrotte al pas- saggio sopra le pieghe concentriche e separate da intervalli almeno il doppio più larghi di esse. L’apice ben distinto, ele- vato sopra il piano della conchiglia, non sorpassa il margine cardinale. (Questa specie è molto vicina all’A. MortiZleti, Stopp. (4) dalla quale credo debba tenersi distinta per la forma più rotonda e (') Stoppani. — Paléontologie lombarde. Monographie des fossiles des schistes noîres, Pag. 139, tav. 32, fig. 14, 15. LI 306. A. FUCINI regolare, per le strie raggianti meno fitte, più irregolari, fles- suose e separate da intervalli più larghi e per l'apice che non sorpassa affatto il margine cardinale. Essa proviene dai calcari grigi di licoa. Altezza 5”, larghezza 5°. Gen. Lima, Bruguière. Lima? sp. Tav. IV, fig. 13. Un frammento di bivalve mi sembra doversi riferire al ge- nere Lima per i suoi ornamenti. La specie, mancante di apice, è di dimensioni piuttosto piccole. Da ciò che rimane può de- dursi che il nostro esemplare è rigonfio, un poco obliquamente allargato, e presenta circa 30 coste raggianti, rilevate, rego- lari, alquanto rugose, un poco più larghe degli spazi interposti; questi longitudinalmente sono percorsi da una sottile costicina. La specie potrebbe paragonarsi con la Lima Georginae, Fuc. (1) di Longobucco che io avevo riferita al genere Cardita. Incorsi nell'errore perchè i due esemplari che primieramente esaminai avevano così bene e pulitamente corrose le orecchiette da non sembrare possibile che potessero appartenere al genere Lima. Già da parecchio tempo, per avere avuto da Longobucco un bello esemplare con le orecchiette conservate, mi era avvisto dell'errore che non prima di ora ho avuta occasione di ret- tificare. Proviene dai calcari grigi dei dintorni di Restì. Gen. Avicula. Klein. Avicula (Oxytoma) sinemuriensis, D'Orb. Tav. IV, fig. 15. 1812. Avicula inuequivalvis, Sowerby, Mineral conchiology of Great-Britain. II, Pag. 78, tav. 244. (non var. A). , sinemuriensis, D’Orbigny. Prodròme. Etage Sinémurien. N. 125. 1850. (') Fucini. — Molluschi e brachiopodi di Longobucco. (Bull. d. Soc, Mal, ital, Vol. XVI, pag. 54). ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DELLE ALPI APUANE EC. 307 1881. Avicula (Oxyt.) inaequivalvis, Lundgren. Molluskfaunan i sveriges dildre mesozoiska Bildeningar. (Aftr. Lunds Uni- vers. Arsskrift, V. XVII, pag. 30, Tav. 5. fig. 6). SITR 3 Fucini. Molluschi e brachiopodi del Lias in- & feriore di Longobucco. (Bull. d. Soc. mal. ital. Vol. XVI, pag. 48). 1 PE È Parona. Revisione della fauna liassica di Goz- zano in Piemonte. Pag. 14. x E specie non rara nel calcare grigio di Restì. Gli esemplari di questa località hanno un numero maggiore di coste di quello figurato dal Sowerby. Essi sono di dimensioni piuttosto grandi; hanno 14 o 15 coste raggianti, assai spiccate, separate da grandi intervalli occupati da circa 8 costicine minute, irregolarmente disposte, irregolari d’andamento e delle quali Ja mediana o qualchevolta anche due delle mediane sono più grosse. I miei individui, dei quali nessuno ha le orecchiette ben conservate, sono molto inequilaterali, forse anche più di quello figurato dal Parona (!) col quale del resto si accordano assai bene. Molti autori chiamano ancora questa specie A. inaeguival- vis, conservandole il nome datole da Sowerby. Ma questi riunì sotto quel nome due specie di terreni diversi. Il D'Orbigny giu- stamente le separò conservando il nome del Sowerby per la specie del Kelloviano e assegnando a quella del Lias inferiore il nome di A. sinemuriensis. Oltre che nel Lias inferiore la specie è citata anche nel Lias medio del Piemonte e della Sicilia. GASTEROPODI Gen. Chemnitzia, D'Orbigny. Chemnitzia (Oonia) restiense, sp. n. Tav. IV, fig. 14. Piccola conchiglia, allungata, conica, senza ombelico e a spira piuttosto breve, acuminata e composta, a quanto sembra dal suo (1) Parona. — I fossili del Lias inf. di Saltrio in Lombardia. (Estr. d. Atti d. Soc. ital. d. Sc. nat. Vol. XXXIII). Pag. 22, tav, II, fig. 7. 308 A. FUCINI — ALCUNI FOSSILI DEL LIAS INFERIORE EC. andamento giacchè mancano i primi anfratti, di circa 6 giri lisci, mediocremente convessi e divisi da suture profonde. La spira fa un angolo apiciale di circa 45°. L'ultimo anfratto è molto più grande degli altri, leggermente carenato inferior- mente ed occupa più della metà dell'altezza di tutta la con- chiglia. La bocca, con il labbro esterno non ben conservato, è arrotondata esternamente, angolosa nella parte posteriore e con una leggera callosità columellare. Questa specie somiglia molto alla Phasianella Morencyana, Piet. del Lias inferiore di Laval-Morency; ma da essa diffe- risce per un più stretto angolo spirale, per gli anfratti più ri- gonfi, l’ultimo carenato inferiormente e per diversi caratteri del peristoma; essa è strettamente affine ad alcune specie di Oonie del Lias inferiore di Sicilia (0on. Gregorii, Gemm., Oon. euspiroides, Gemm., Oon. turgidula, Gemm. etc.). La nostra specie, come molte delle precedenti, fu raccolta dal Cocchi nei calcari grigi di Restì. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. IV). Fig. 1 Aynchonella plicatissima, Quenst. di Ugliancaldo. È LION. 5 u di Restì. Mao, cfr. latifrons, Stur. di Restì. » 4 d, b. ”» » » » » » 1 o a, db. È S Li o ni Grandi jz. o 6a, db. ; subtriquetra, Can. ro Grand:3;, > MORA apennina, De Stef. , |, Se CAINE io DIRO VI pi aa a OGG Canavarii, Fuc. TN » 10a,b,c,d. Terebratula punctata, Sow. di Ugliancaldo. melita sore. i A SEA 5 > IAC È Cocchi, Fuc. » 13. Lima? di Restì. » 14. Chemnitzia (Oonia) restiense, Fuc. di Restì. n n » 15. Avicula (Oxytoma) sinemuriensis, D’ Orb. di Restì. ns 16 a. Anomia apennina, Fuc. di Restì. » 14 bd. La stessa ingrandita 4 volte. » 16 c. Particolari della stessa veduti con forte ingrandimento. E. BURCI SUL MODO DI CONPURTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI TRAUMATICHE ESTESE DELLA GUAINA E DELLA TUNICA AVVENTIZIA Fino dagli ultimi del secolo decorso Hunter ed Home (*) con ricerche sperimentali avevano dimostrato come lesioni della guaina ed anche della porzione più esterna della parete arte- riosa non erano capaci di indurre gravi conseguenze. Essi dis- secarono a tale scopo sui cani le tuniche della parete di grosse arterie tanto da lasciare una fine membrana attraverso alla quale (essi dicono) potevasi vedere il sangue seguire il suo corso. Esaminando le arterie operate dopo 3-6 settimane tro- varono che un lavorìo di riparazione aveva rimediato (almeno tali erano le apparenze) in modo completo la lesione della pa- rete, ed il vaso non presentava nè dilatazione nè chiusura. Malgrado queste osservazioni, forse anche perchè esse re- starono ignorate, i chirurghi successivi, senza che ricerche nuove avessero abbattuto i resultati ottenuti dalle prime o avessero dimostrato entro quali limiti esse fossero accettabili, ebbero grandi timori nell’isolare per un tratto anche relativamente . limitato, un arteria. E ne è prova l'avere tramandato le più severe raccomandazioni in proposito, come risulta evidente- mente a chi scorra i manuali di chirurgia anche più recenti, ove trovasi ripetuto regolarmente nel modo più assoluto un tale precetto. (!) Transactions of a Society for the improvement of medical and chirurgical knowldge, 1793. E. BURCI SIL A cercare con mezzi di esperimento più precisi e più esatti la giustificazione o la condanna dei termini categorici coi quali esso precetto viene tuttora enunciato, non mi ha spinto certa- mente l’idea che il chirurgo debba essere autorizzato a trascu- rare di ledere più limitatamente che può, i rapporti di un’arteria colla sua guaina e gli strati più esterni della parete. Sarebbe questo un controsenso inconciliabile coi precetti generali di chirurgia conservatrice. Ma da questo al cercare di assicurarsi se, 0 fino a qual punto ed a quali condizioni certe lesioni siano pericolose è grande distanza. E in tal guisa che il chirurgo può uscire da un pelago di dubbi e di difficoltà e vedere la via da seguire nei casi di gravi lesioni traumatiche o di altre affezioni aventi rapporto con tronchi arteriosi cospicui, ed è dalla so- luzione scientifica di tali problemi che può esser resa più fa- cile l'applicazione di alcuni atti operativi che debbono entrare prima o poi certamente nella pratica chirurgica. Nè la considerazione che la clinica ha potuto dare talora la prova pratica di questi fatti è una ragione sufficiente per tra- scurare opportune ricerche sperimentali. Prive di queste, tali nozioni resterebbero allo stato empirico anche per le difficoltà e la impossibilità frequente d’indagini anatomo patologiche nei casi osservati dal clinico. E sempre bene ricordare quello che diceva il Porta (4), dando ragione degli esperimenti suoi nume- rosissimi ed importanti sulla legatura e sulla torsione delle ar- terie, che cioè, occorre completare anche quello che è praticamente un possesso acquisito colla dimostrazione scientifica, per dare luce e fondamento all'arte. Nelle mie ricerche ho avuto per scopo non solo di verifi- care semplicemente se esiste di fatto la possibilità di denudare assai estesamente un ramo arterioso cospicuo, ma ho voluto cercare per quali processi fisiopatologici può avvenire un com- penso, quali sono le condizioni nelle quali esso si verifica, quali le altre che possono ostacolarlo, e quali infine le conseguenze della sua mancanza. Sperimentando in tal guisa ho avuto la oppor- tunità di mettere in evidenza alcuni fatti che possono avere una certa importanza per interpretare alcune questioni che occupano in modo speciale il patologo e che furono soggetto (') Delle alterazioni patologiche delle arterie per la legatura e la torsione. — Milano, 1885. SU SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. di lavori importanti del Thoma e della sua scuola. — Ma di ciò a suo tempo. Siccome il fatto principale del quale temonsi gli effetti nell’isolamento di un’ arteria è il disturbo di nutrizione che ne sussegue nella parete, ho voluto nei miei esperimenti esa- gerare le condizioni che esso è capace di produrre, escidendo anche li strati meno interni dell’avventizia. Ho fatto ciò sa- pendo come per quanto vi sia stato anche fino a poco tempo ad- dietro discrepanza non poca sul decorso dei vasa vasorum e sul loro approfondarsi nella parete delle singole arterie, le ricerche di Gimbert (4), di Plotnikoff (?), di Westphalen (3), di Thoma (5) confermando le vedute di Weber, di Robin e di altri, abbiano dimostrato chiaramente che essi penetrati dalla guaina nella avventizia formano una fitta rete negli strati meno interni di questa. È nello stesso tempo nell’avventizia che i nervi si in- trecciano in un plesso di fibre midollari dal quale nascono le fibre amieliniche che innervano i muscoli vasali. Solo qualche rara eccezione si ha nel decorso dei vasa va- sorum (quando non siano avvenuti certi fatti morbosi) in ar- terie di massimo calibro ed in grossi mammiferi, nei quali essi arrivano fino agli strati più esterni della tunica media. Però tali eccezioni non hanno importanza speciale per il caso mio, poichè intendo che le mie ricerche trovino applicazione nell'uomo nel quale la vascolarizzazione e la innervazione della parete arteriosa in condizioni fisiologiche, avviene siccome sopra ho accennato. Ed io ho voluto accertarmene prima di comin- ciare il mio lavoro e ne ho avuto la riconferma avendo pra- ticato le opportune ricerche istologiche sopra grosse arterie di bambino iniettate con tutte le volute cautele con gelatina al Bleu di Prussia, mentre identici fatti osservava iniettando an- che quelle degli animali sui quali mi accingeva a praticare i miei esperimenti. Date queste condizioni anatomiche della parete arteriosa, ben si comprende come dissecando ed asportando per un certo (4) Memoire sur la structure et la texture des Arteres. — Journ. de l’Anat. et de la Physiol. norm. et path., 1865. pag. 636. (*) Untersuchungen ‘iiber die Vasa vasorum. — Dorpat, 1884. (*) Histologische Untersuchungen iiber den Bau einiger Arterien. — Dorpat, 1886. (4) Ueber Gefass-und Bindegewebsneubildung in der Arterienvaud. — Beitrige zur path. Anat. und zur allg. Path., BX, H 5. E. BURCI allo tratto la guaina e la porzione connettivale dell’avventizia si debba abolire, o quasi, la vascolarizzazione e la innervazione di quel dato tratto della parete vasale. Dirò fin d'ora che per studiare i rapporti dei vasa vasorum colla parete delle arterie operate tentai dapprima in alcuni casi la iniezione con gelatina al Bleu di Prussia. Siccome ciò distur- bava grandemente l'osservazione di certi-fatti di somma im- portanza relativi all’intima vasale, mi limitai in seguito a cer- care che il vaso e le sue pareti rimanessero per quanto era possibile iniettate dal sangue circolante. Con questo scopo (aven- domi corrisposto bene un tal metodo anche in alcune ricerche preparatorie) esegui la legatura in massa del fascio nerveo- vascolare dal lato periferico ad una certa distanza dal punto operato, e quindi ripetei la stessa pratica dal lato centrale. Il vaso rimane in tal guisa iniettato di sangue e colla dop- pia colorazione ottenuta col picrocarminio o adoperando il car- minio e l’auranzia, sono sempre riuscito a mettere in evidenza abbastanza bene, mercè la tinta gialla che prendono i globuli rossi, anche i più piccoli rami capillari della parete arteriosa. Questo metodo presenta poi il vantaggio di impedire, che nelle varie manipolazioni di tecnica istologica vengano a risentire danni la superficie interna del vaso. i Di lavori sperimentali che abbiano avuto per scopo di trat- tare un soggetto analogo al mio io non ne conosco altri al di fuori di quello di Hunter e Home più sopra citato. Qualcosa di simile ha fatto il Ferraro (!). Egli però parte da un punto di vista diverso dal mio ed in ogni modo non essendo indi- spensabili al caso suo, fanno difetto nella parte sperimentale, che si avvicina per metodo alla mia, ricerche istologiche ne- cessarie alla interpetrazione esatta e completa di alcuni fatti macroscopicamente osservabili. Egli si è proposto di dimostrare che la integrità dell’endotelio delle arterie non è una condi- zione indispensabile a che il sangue si conservi liquido nell’ani- male vivente, ma che occorre che la parete arteriosa sia for- nita di nutrizione vasale. Per questo egli ha denudato la ca- rotide di un cane per 7 centimetri ed ha quindi distrutto l’ en- dotelio iniettando per mezzo di una collaterale acqua ad 80°. (') Sulla fisio-patologia delle arterie. — Esperimenti e nuovi risultati. Morgagni, novembre 1883. 314 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. Ciò fatto ha isolato con collodione il vaso impedendo così che nelle prime 48 ore si potessero rigenerare i vasa vasorum di- strutti. Al 3.° giorno trovò l'arteria trombosata. Più che questo interessano però al caso mio gli altri espe- rimenti che ha fatto per indagare per quali vie riceve la sua nutrizione l’intima, isolando il vaso e distruggendo il più che era possibile i vasa vasorum per un tratto di circa 7 centimetri. Della tecnica, dei resultati, e della interpetrazione data dal- l’autore a questi esperimanti dovrò occuparmi in seguito, quando me ne forniranno la opportunità i dati desunti dalle mie os- servazioni. Come materiale di esperimento mi sono servito della caro- tide primitiva o della femorale di cani, e della carotide pri- mitiva di grossi conigli, e nella esecuzione mi sono attenuto con tutta cura alle regole della più scrupolosa antisepsi. Ho diviso i miei esperimenti in due serie. Nella prima aspor- tata la guaina e dissecati per 4-8 centim. (a seconda dell’ ani- male e del suo volume) gli strati più esterni dell’avventizia, ho abbandonato il vaso così denudato fra i tessuti circostanti, precisamente come potrebbe avvenire di dover fare al chirurgo. Nella seconda invece, prima di abbandonarla a sè, ho avvolto l'arteria talora con makintoch, talora con velo di guttaperka più o meno sottile. L'atto operatorio non ha mai presentato alcuna difficoltà. L'emorragia che appariva talora assai significante, e che si fa- ceva da qualche vaso nutritizio più voluminoso, specialmente in prossimità degli estremi della lesione, cessava abbastanza rapidamente, il più delle volte, con un poco di compressione. Ed ora credo opportuno di esporre dettagliatamente per quanto nel modo più succinto possibile, gli esperimenti fatti ed i resultati dell’osservazione macroscopica e delle ricerche istologiche. PRIMA SERIE DI ESPERIMENTI Esperimenti sui cani. N.° I. — Inuncane da caccia piuttosto vecchio isolo completamente dalla sua guaina la carotide primitiva sinistra per un tratto di circa 7 cent. e quindi accuratamente disseco gli strati più esterni della sua tu- E. BURCI 315 nica avventizia. Ciò fatto la abbandono in mezzo ai tessuti vicini e su- turo a strati la ferita praticata nel collo. Dopo due giorni lego il vaso sopra e sotto il tratto operato e lo asporto così pieno di sangue, rispet- tando i rapporti suoi nuovamente contratti coi tessuti circostanti. Fisso il pezzo portandolo in soluzione acquosa satura di sublimato corrosivo, e dopo averlo passato per il tempo necessario in alcool addizionato con qualche goccia di tintura iodica, completo l’induramento in alcool assoluto. Monto varj frammenti dell’arteria in celloidina per poterla esaminare in sezioni longitudinali e trasversali in corrispondenza del punto ove fu de- nudata e nei tratti a confine colla parte intatta. Colorate le sezioni o col picrocarminio, o col carminio allimaninoso, od anche con questo e coll’auranzia, le chiudo in balsamo al xilolo. Esaminatele a piccolo e quindi a forte ingrandimento osservo i seguenti fatti. Il vaso è ridotto alla tunica interna, alla media ed a poco più della porzione elastica dell’avventizia. Questa parte più esterna è in rapporto diretto coi tessuti vicini per mezzo di un resistente e fitto reticolo fibri- noso, nelle cui maglie sono raccolti globuli sanguigni alterati, pigmento sanguigno, e numerose piccole cellule rotonde, che hanno migrato inoltre in numero considerevole nell’ avventizia e negli strati più superficiali della muscolare, ed all’esterno fra i tessuti circostanti all’arteria. I vasi di questi tessuti sono notevolmente dilatati; da essi partono gettoni di nuovi vasi che si affondano nel reticolo fibrinoso che circonda l’arteria. I vasa va- sorum rimasti nell’avventizia sono trombosati da trombo recente cruoroso. Qua e là si notano, specialmente in prossimità dei vasi più sottili, pic- cole emorragie. Le fibre elastiche avventiziali danno evidenti segni di necrosi; si pre- sentano infatti rigonfie, irregolarmente ondulate, poco refrangenti. La tu- nica media non presenta gran che di anormale; solo il nucleo delle fibre muscolari lisce assume un poco meno intensamente il colore ed il con- torno apparisce sfumato e poco bene definito. La tunica elastica interna è normale e così l'intima nella sua massima parte. Però in alcuni punti molto limitati, si ha un lieve spessimento dovuto a sovraopposizione di qualche elemento cellulare rotondeggiante. Nelle sezioni longitudinali si osservano gli stessi fatti. In quelle pra- ticate nei punti a confine fra la parte lesa e la parte intatta dell’arteria si nota una dilatazione ragguardevole dei vasa vasorum, e che un nu- mero discreto di questi si spinge a contatto o quasi colla tunica media. N° 2. — In un cane da caccia pratico identico esperimento sulla ca- rotide destra, che tolgo colle accennate precauzioni dopo 8 giorni. Dall'esame istologico delle sezioni mi risulta che fra i tessuti peri- vasali ed il vaso si ha un’ intiltrazione parvicellulare considerevolissima. Sc. Nat. Vol. XII. 23 316 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. Si osservano ancora delle isole di fibrina (che ha preso però un aspetto più finamente granuloso) le quali racchiudono dei globuli rossi disfatti; accumuli di pigmento sanguigno, cristalli di ematoidina, un numero assai considerevole di elementi bianchi, altre cellule rotondeggianti più volu- minose alcune delle quali contenenti del pigmento sanguigno. I tessuti perivasali sono pure notevolmente infiltrati da elementi bianchi accumulati in special modo all’intorno dei vasi. Da questi tessuti par- tono in direzione del vaso dei tratti di tessuto connettivo a diversi gradi di sviluppo. In qualche punto si ha in mezzo ad una sostanza omogenea o lievemente granulosa un numero considerevole di cellule epitelioidi ed anche qualche cellula gigante contenente talora pigmento sanguigno, fram- menti di cellule disfatte, e frammenti di corpi estranei (peli ec.): si as- siste talora alla comparsa di gettoni vascolari. In altri punti invece si ha un connettivo giovane ricco di elementi cellulari e di vasi. Questo tessuto di nuova formazione si approfonda in quella parte del- l’avventizia che è rimasta a far parte della parete, e che presenta i suoi elementi in avanzata necrosi ialina. Già le cellule connettivali di essa non sono quasi più affatto riconoscibili, e le fibre elastiche appariscono rigonfie, ineguali, poco refrangenti; i vasa vasorum sono completamente trombizzati. Piccole cellule rotonde hanno invaso la muscolare fino ad una certa profondità. Le fibro-cellule presentano specialmente nelli strati più esterni il nucleo meno bene colorito e contorni leggermente sfumati. La tunica elastica interna è normale; l’intima apparisce in alcuni punti lievemente ispessita per sovrapposizione di 2, o 3 file di cellule roton- deggianti a grosso nucleo. Alcuni di questi elementi si trovano fra sdop- piature delle lamine che in queste arterie del cane costituiscono la tu- nica elastica interna, ed anche negli strati più profondi della muscolare, ove non è arrivata (e per questo si distingue) la migrazione parvicellu- lare proveniente dall’esterno. Ai punti di confine colla parte lesa dell'arteria, nell’avventizia i vasi sono dilatati e taluni presentano un certo grado di ipertrofia delle loro pareti. Alcuni si dirigono verso la media fino a venirne a contatto, men- tre certuni sottili penetrano negli strati più esterni di essa. N° 3. — In un cane bastardo di media statura pratico per 6 cent. la stessa operazione sulla carotide primitiva destra, ed asporto dopo 16 giorni colle solite precauzioni il tratto operato. Dall'esame istologico delle sezioni si rileva come la tunica interna sia perfettamente normale. Nella muscolare quà e là osservansi piccole zone di necrosi altrettanto limitate per gravezza che per estensione. Fra gli strati più esterni di fibre muscolari, sono interposti in alcuni punti giovani elementi connettivali. L’avventizia è stata quasi completamente sostituita da un giovane tessuto connettivo ricco di vasi, i quali si spin- E. BURCI 517 gono fino alla muscolare. Respinte da questo tessuto a ridosso della tu- nica media si notano le fibre elastiche avventiziali, rigonfie, mal refran- genti, inegualmente ondulate, rotte in alcuni punti. Questo tessuto, che può chiamarsi un’avventizia di nuova formazione è in rapporto coi tessuti vicini per mezzo di un connettivo più adulto che ai due estremi del tratto operato si continua colla guaina vasale. In questo connettivo, e nei tessuti che col suo intermezzo sono in rap- porto coll’arteria, si trovano numerosi vasi sanguigni dilatati ed iper- trofizzati nelle loro pareti, certo per ragioni d’iperfunzionalità. N° 4. — Ripeto nella carotide primitiva sinistra dello stesso cane esperimento analogo al precedente, e le sezioni dell’ arteria mi rivelano all'esame istologico fatti simili a quelli già descritti per esso. Solo si nota di diverso come essendo stati lesi anche gli strati più superficiali della muscolare, si abbiano dei lembetti di essa distaccati più o meno completamente in mezzo al tessuto connettivo, il quale in corrispondenza di tali lesioni insieme a piccoli vasi si approfonda negli strati più esterni della tunica media. N° 5. — In un grosso cane restone opero nello stesso modo la ca- rotide primitiva destra per 8 cent. e la asporto dopo 38 giorni. Dall’ esame istologico rilevo come l’intima sia perfettamente normale e così pure la tunica media, soltanto al limite esterno di questa si tro- vano in alcuni punti come dei lembi distaccati più o meno completamente. Questi lembi sono circondati da connettivo, ed i vasi nutritizi che arri- vano in buon numero fino a contatto della muscolare, in codesti punti vi si addentrano insieme al connettivo stesso (V. fig. 4). Le fibre elastiche dell’avventizia presentano come di solito gravi alterazioni necrotiche. Esse sono respinte a ridosso della muscolare; le più esterne si trovano spezzettate, e mentre frammenti più grossi si trovano circondati da gruppi di piccole cellule, altri più piccoli si ritrovano nell'interno di fagociti. Fra mezzo ad esse, come fra esse e la muscolare si trovano in alcuni punti elementi connettivali, ed all’esterno si ha un ;tessuto connettivo adulto ricco di vasi. Parallelamente al contorno delle vecchie fibre elastiche alterate e su- bito al di fuori di esse, si osservano quà e là in mezzo al connettivo non molto stipato di nuova formazione delle sottili fibre, di aspetto omo- geneo, ondulate, fortemente refrangenti, che debbono interpetrarsi a pa- rere mio, come fibrille elastiche neoformate. Esse infatti reagiscono come le altre alle sostanze che elettivamente le colorano, quali ad es. 1’ auranzia. Del resto che vi sia nuova formazione di fibre elastiche lo dimostra il fatto, che è possibile sorprendere il processo neoformativo a diversi stadi. Si notano infatti oltre alle fibrille, dirette nello stesso senso, delle cel- lule.a zig zag, con ondulazioni a forma diversa, con nucleo fusiforme 318 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. molto allungato, con scarso protoplasma, ed aventi lunghi prolungamenti filiformi ondulati ad uno e talora ad ambedue i poli. Di queste cellule se ne osservava a periodi diversi. Da un periodo di sviluppo pochissimo avanzato, nel quale il protoplasma è relativamente abbondante ed il pro- lungamento od i prolungamenti finamente granulosi, si arriva ad un altro nel quale appena si riconosce il punto ove esisteva il nucleo, ed i pro- lungamenti in special modo od una certa distanza da esso, hanno le ap- parenze caratteristiche delle fibre elastiche. All'esterno del tessuto neoformato colle caratteristiche ora descritte, e che deve considerarsi per i suoi carattari, ed i suoi rapporti come un’ avventizia di nuova formazione, il vaso si trova in rapporto coi tes- suti circostanti per mezzo di un connettivo lasso, che si continua in alto ed in basso colla guaina vasale, ricco di grossi vasi, contenente filamenti nervosi, e che devesì interpetrare per la guaina nuovamente formata. Si ha dunque in questo caso una restitutio ad integrum nel senso com- pleto della parola. N° 6. — Nella carotide di un grosso cane da caccia ripeto esatta- mente lo esperimento che sopra, ed ottengo dalle ricerche istologiche identici resultati. Esperimenti sui conigli. N.° I. — Pratico sulla carotide primitiva destra di un grosso coniglio un esperimento analogo a quello eseguito nei cani, che riesce abbastanza facilmente malgrado la piccolezza del vaso e la sottigliezza discreta delle sue pareti. Il denudamento, e la dissezione dell’avventizia si fa per circa 4 cent. Asporto il vaso dopo 24 ore. Dall’ esame istologico delle sezioni rilevo all'incirca gli stessi fatti osservati nelle sezioni della ca- rotide del cane che servì per il primo esperimento. Soltanto per un tratto che equivale circa ad un terzo della circonferenza, ove evidentemente la lesione traumatica fu profonda tanto da ledere gli strati più esterni della muscolare, si hanno in questa tunica fatti assai gravi di necrosi delle fibre muscolari, delle quali solo in poche il nucleo si colora e debolis- simamente, e delle fibre elastiche della medesima, che presentano, sebbene meno gravi, alterazioni analoghe a quelle già descritte per le fibre ela- stiche dell’avventizia. In codesto tratto la parete arteriosa non presenta il suo contorno normale, ma si è lasciata distendere e respingere verso l'esterno in modo che rappresenta come un ellisse. È ragionevole dubitare se la parete avrebbe in codesto punto resistito, qualora però non fossero intervenuti certi compensi, che nella esposizione degli esperimenti successivi si osserverà essere soliti a verificarsi in casi simili, ma che nel caso attuale non potevano per il breve tempo decorso essersi ancora determinati. E. BURCI 319 N.° 2. Esperimento analogo al precedente. L’esame istologico rivela gli stessi fatti, eccettuate le gravi alterazioni della tunica media, essen- dosi la lesione traumatica limitata agli strati più esterni dell’avventizia. ‘Solo qualche fibra muscolare degli strati più superficiali, presenta il nu- cleo meno intensamente colorato, ed ha contorni meno bene delimitati, leggermente sfumati. N.° 3.—- Opero analogo esperimento sulla carotide primitiva destra di un grosso coniglio. Asporto dopo 7 giorni il vaso. operato. L’ esame istolo- gico delle sezioni di questo mi fa rilevare come l’intima sia normale in quasi tutto il suo contorno, solo in qualche piccolo tratto è leggerissi- mamente ispessita per sovrapposizione di 2-3 file di elementi cellulari rotondeggianti. La muscolare presenta solo quà e là qualche limitata zona, nella quale le fibre hanno un nucleo poco colorato, e contorno poco net- tamente distinto Nei suoi strati più esterni si ha un certo grado di in- filtrazione di piccole cellule rotonde. L’avventizia fu indubbiamente lesa molto profondamente; di essa non si riconosce che ciò che rimane delle fibre elastiche respinte ed addossate alla tunica media. Esse sono rigonfie, mal refrangenti, irregolarmente ondulate, rotte. In mezzo ad esse si no- tano alcuni giovani elementi connettivali. Il contorno del vaso si con- tinua coi tessuti vicini per mezzo di un tessuto di apparenze diseguali. In alcuni punti si ha come una sostanza granulosa giallastra infiltrata da elementi bianchi con isole di aspetto più omogeneo che assumono de- bolmente il colore, e nelle quali si osservano, variamente disposte, cel- lule rotonde uninucleate, cellule di aspetto epitelioide, e cellule giganti. Alcune di queste cellule contengono masserelle di pigmento sanguigno e dei frammenti di pelo, certamente là rimasti dopo l'atto operativo. An- che qualche piccolo frammento di elastica è stato incorporato da fagociti. Altri frammenti di fibre elastiche più grossi sono circondati da gruppi di piccole cellule rotonde. In altri punti si ha vera formazione di un tessuto giovane connettivale con vasi di nuova formazione, che si spingono in direzione della parete arteriosa. Nei tessuti perivasali si nota una mi- grazione considerevole di elementi bianchi, che si trovano accumulati in special modo all’intorno dei vasi, i quali si mostrano dilatati ed ipertro- fizzati nella loro parete. N° 4. — Esperimento analogo al precedente sulla carotide primitiva destra di altro coniglio, con identici resultati. N.° 5. — Esperimento analogo sulla carotide primitiva sinistra di un coniglio. Per quanto in questo caso adoperassi tutte le precauzioni anti- settiche come negli altri, sopravviene suppurazione. Si ha grave emor- ragia al 9.° giorno e morte dell’animale. Asporto il vaso che si trova come isolato in una cavità suppurante e che presenta in un punto limi- tato della sua parete una perdita di sostanza, e lo tratto conveniente- 320 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. mente per le successive ricerche istologiche. Le sezioni trasversali del- l'arteria praticate nel punto ove avvenne la rottura presentano i seguenti particolari. — L’intima presenta una considerevole proliferazione che sporge nell'interno del vaso e che è notevolmente più cospicua dal lato che corrisponde al punto nel quale la parete vasale si ruppe. Gli elementi che costituiscono questo tessuto neoformato non hanno identiche appa- renze, ma se si considera che la loro forma e la loro direzione si modi- fica quasi in modo regolare a seconda della posizione loro, si trova giusto interpetrare le varie modalità come dipendenti dalle condizioni nelle quali gli elementi si trovano nei rapporti colla tunica elastica interna, e quindi dalla resistenza di questa da un lato e dalla pressione endoarteriosa dal- l’altro. Relativamente alla forma si osserva infatti come gli elementi che si trovano a ridosso della elastica si presentino schiacciati, appiattiti e vadano a farsi più rotondeggianti via via che si allontanano da codesti primi strati. Il nucleo mentre si presenta negli elementi più prossimi al- l’elastica allungato ovalare, assume pur esso negli altri una forma ro- tondeggiante. Alcuna cellula contiene più d’un nucleo. Questi elementi, nei diversi strati che costituiscono la proliferazione, assumono, come si comprende facilmente, una disposizione diversa se- guendo le ondulazioni della tunica elastica interna; e mentre si accostano talora ad una direzione parallela al raggio del lume vasale, altri sono invece paralleli alla circonferenza del lume medesimo. Coll’esame di se- zioni appartenenti a frammenti di arteria fissati in soluzione di sublimato od anche nella miscela osmio-acetica di Flemming si osservano in questo tessuto alcune forme cariocinetiche. Gli elementi cellulari che costituiscono tale proliferazione hanno su- bìti, ove la parete vasale si è rotta e nei tratti prossimi a questo, una necrosi. Dai resti sfrangiati di questa neoformazione connettivale Jaddove corrisponde ai margini della soluzione di continuo, appare evidente il fatto che l'alterazione necrotica ha proceduto dall’ esterno verso l’interno. Di fatto mentre nei lembi esterni aderenti ad un coagulo misto essa in- teressa la neoformazione a tutto spessore, allontanandosi gradatamente da codesto punto, è limitata alla parte più esterna, che si continua colle masse necrotiche che stanno al di fuori nelle quali per un certo tratto non si riconosce più traccia di muscolare, nè di avventizia. A forte ingran- dimento si nota come le alterazioni necrotiche della neoformazione con- nettivale siano caratterizzate da una fusione dei protoplasmi degli ele- menti cellulari incapaci di assumere le materie coloranti, e che dà l’ ap- parenza di una sostanza finamente granulosa, percorsa quà e là da strie ialine refrangenti con resti di nuclei sformati nella più varia guisa e ca- paci ancora di colorarsi col carmimio. i La muscolare presenta una necrosi più estesa di quella della neofor- E. BURCI 321 mazione endovasale. Essa apparisce nel suo complesso assottigliata, le fibro-cellule esili atrofiche, gli spazi fra le lamelle elastiche ravvicinati. Avvicinandosi al punto ove esiste la rottura, non si riconoscono più af- fatto gli elementi muscolari, e codesti spazi appariscono ripieni di una sostanza finamente granulare con zolle informi capaci di colorarsi col carminio. Dell’avventizia non si riconoscono più che le fibre elastiche ri- gonfie, poco refrangenti; fra mezzo ad esse si ha infiltrazione di ele- menti bianchi, dei quali un numero considerevole aderisce alla superficie esterna del vaso, ed infiltra anche considerevolmente i tratti più grave- mente attaccati da necrosi. Buon numero di queste cellule hanno i ca- ratteri morfologici degli elementi del pus. La suppurazione ha indubbiamente impedito in questo@ caso (che fa così evidente eccezione dagli altri tutti) i processi destinati a riparare direttamente la lesione prodotta artificialmente nella guaina e nell’ avven- tizia vasale. La nutrizione della parete ne ha sofferto grandemente in modo speciale in un punto, nel quale forse la lesione fu accidentalmente più grave. Qui essa non ha resistito alla pressione endovasale e si è rotta malgrado che fosse avvenuta ivi, più considerevolmente che altrove, quella proliferazione dell’intima, che gli esperimenti della 2.* serie (sui quali dovrò trattenermi in seguito) mi pare che autorizzino a ritenere come un compenso che si verifica costantemente quando persistono per un certo tempo condizioni di deficente nutrizione del vaso. N° 6. — Eseguisco uno dei soliti esperimenti sulla carotide primi- tiva destra di un coniglio, ed asporto dopo 48 giorni il frammento di arteria operato. — Coll’esame istologico si rileva come primo fatto che il lume e le dimensioni del vaso sono normali, eccettuato in un punto che misura l'ottava parte della circonferenza. Ivi si osserva sovrapposto alla tunica elastica interna un tessuto che ha i caratteri di un connet- tivo ricco di elementi cellulari, al disopra del quale s’intravede una li- neola ondulata, refrangente, che mi sembra debba interpetrarsi per una elastica interna di nuova formazione. La tunica media non presenta par- ticolarità degne di nota. La vecchia avventizia è sostituita da un tessuto connettivo adulto, ricco di vasi, fra mezzo al quale si notano cellule gi- ganti e grossi fagociti contenenti frammenti dell'antica tunica elastica avventiziale e frammenti di pelo o di corpi estranei rimasti rinchiusi fra 1 tessuti nella operazione. Le fibre clastiche avventiziali non refrangenti, deformate, rotte sono respinte verso la tunica media ed al di fuori si assiste, come si è osservato negli esperimenti N.° 5-6 sui cani, ad un processo neoformativo di fibre elastiche. In corrispondenza del punto nel quale è avvenuta quella neoforma- zione connettivale dell’intima, alla quale ho accennato più sopra, sì os- serva come i vasi avventiziali siano più numerosi, e come alcuno di essi 322 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. venga a contatto colla tunica media, e talora vi si approfondi un poco insieme ad elementi connettivali. Codesto punto corrisponde indubbiamente ad un tratto più maltrattato della parete vasale, come dimostra il fatto che mentre in tutto il rimanente della periferia si ritrovano le vecchie fibre elastiche avventiziali alterate, in codesto punto non se ne ha quasi traccia. L’avventizia di nuova formazione si continua in alto ed in basso con quella normale del vaso, ed all’esterno è unita ai tessuti vicini per mezzo di un connettivo più lasso ricco di vasi, che può stare pei suoi rapporti a rappresentare la guaina riparata. N° 7. — Eseguisco sulla carotide primitiva sinistra di un coniglio un esperimento analogo al precedente, ed asporto pure il vaso al 48.° giorno. Varj fatti interessanti fa rilevare in questo caso l’esame istologico. Anche a piccolo ingrandimento esaminando le sezioni trasversali di quest’ arteria, per un certo tratto, colpisce a prima giunta il fatto che il suo lume è considerevolmente ed irregolarmente ristretto per tessuto neo- formato nella sua parete interna in tutta la sua superfice. Esso tessuto mentre per un terzo della circonferenza è di uno spessore di circa la metà di quello della muscolare va aumentando via via che si avvicina al punto diametralmente opposto nel quale arriva ad avere uno spessore 6-7 volte maggiore. In corrispondenza di codesto punto si nota in molte sezioni una perdita di sostanza della muscolare (v. Fig. 3). — Esaminando a forte ingrandimento sì osserva come la periferia del vaso sia in rapporto coi tessuti vicini per mezzo di un connettivo con particolari analoghi a quelli notati pel caso precedente. Le fibre elastiche avventiziali presentano le stesse alterazioni. La muscolare mostrasi alterata profondamente in tutta la circonfe- renza, ma in un punto che corrisponde al maggiore ispessimento del- l’intima, esiste un rammollimento necrotico che ha dato luogo in varie sezioni per le manovre di preparazione ad una perdita di sostanza. In- torno a questo punto si ha infiltramento notevole parvicellulare, ed al- cuni vasi attraversano la tunica media. Sulla superfice interna di questa si osserva ancora abbastanza bene per due terzi circa della circonferenza la vecchia elastica interna, ‘e più internamente il tessuto neoformato al quale ho più sopra accennato, e che è costituito da connettivo adulto ricco di vasi. Quà e là si trova in questo del pigmento sanguigno in parte libero in parte contenuto da cellule globulifere. In corrispondenza del punto ove si nota quella più grave lesione della muscolare, gli elementi cellulari neoformati, fusati, mentre hanno altrove direzioni varie, sono disposti parallelamente col loro asse maggiore al contorno del vaso. Nella sezione trasversale accade quindi di vedere ele- menti cellulari con protoplasma ialino allungato, con nucleo a forma di bastoncello, talora rotondo od ovalare, nel qual caso rappresentano evi- E. BURCI 323 dentemente sezioni trasversali od oblique dei primi. È molto probabile che questo tessuto di nuova formazione in diretto rapporto colla musco- lare preesistente del vaso, sia destinato a compensare la profonda lesione della muscolare stessa. È infine interessante a notare che sulla superficie interna del tessuto di nuova formazione, si trova una lineola ondulata refrangente che accenna ad una elastica interna di nuova formazione, ciò che mi sembra possa stare a significare l'arresto avvenuto del pro- cesso endoarteritico. Da questa prima serie di esperimenti si possono intanto porre in rilievo i seguenti fatti. Denudando della sua guaina per tratti abbastanza estesi un’arteria e ledendo anche abbastanza gravemente l’ avventizia, e con essa gli organi destinati ad assicurare la nutrizione e la funzionalità degli elementi costituenti la parete arteriosa, se si abbandoni il vaso in mezzo ai tessuti circostanti non sì ha emorragia, nè obliterazione. Di più questo si mantiene o quasi di dimensioni normali: una sola eccezione ho osservato e di questa voglio occuparmi a parte. Un processo normale di cicatrizzazione distinto in tutte le sue diverse fasi (come dimostrano gli esami istologici fatti a diversa distanza di tempo) si stabilisce e compie prontamente la sua evoluzione, tanto che verso il 15.° giorno esso suole es- sere completo, e la circolazione della parete vasale ristabilita. Degli elementi istologici delle tuniche arteriose le cellule con- nettivali della porzione residuale dell’avventizia presentano per le prime gravi fatti di necrosi, e così pure le fibre elastiche di questa tunica. Necrosi parziale e generalmente non molto grave (se la lesione traumatica non fu relativamente troppo forte) pre- senta. di solito la muscolare, ed in special modo negli strati più esterni. In questa tunica coll’andare del tempo tali fatti scom- paiono, tanto che in seguito essa non suole presentare più al- terazioni apprezzabili. Alla semplice riparazione per tessuto con- nettivo della perdita di sostanza della guaina e dell’avventizia vasale non si arresta il processo di riparazione, ma il connet- tivo neoformato assume apparenze macroscopiche e microsco- piche tali da riacquistare i caratteri delle parti lese. Nell'av- ventizia inoltre a completare il processo riparativo, al di fuori delle vecchie fibre elastiche, che costituivano la, così detta, tu- 324 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. nica elastica avventiziale, e che vanno lentamente scomparendo, si nota dopo un certo tempo una vera neoformazione di nuovi elementi elastici con direzione e disposizione analoga a quelle. Tenendo conto dei particolari del processo per mezzo del quale codesta neoformazione avviene, mi pare che trovi in esso con- ferma la opinione appoggiata dalle ricerche di Pansini (*) sulla origine cellulare delle fibre elastiche. Questi i fatti che si desumono dal complesso degli esperi- menti, merita però il conto di fermarsi sopra alcune partico- larità notate nei singoli casi. Un leggerissimo e parziale spessimento dell’intima si è os- servato in alcuni casi, nei primi giorni dopo l'operazione, quando ancora la circolazione della parete arteriosa non si era ristabi- lita o molto imperfettamente. Mentre nel tratto operato i vasa vasorum che rimangono nella parete sono tutti trombosati, nei punti a confine colla parte operata essi sono dilatati, ipertro- fizzati talora nelle loro pareti, e si approfondano più del so- lito ed in maggior numero negli strati più interni dell’avven- tizia, fino ad arrivare qualche volta anche nei più superficiali della tunica media. Laddove questo fatto si verifica, elementi bianchi invadono nei primi giorni gli strati più esterni della muscolare. È da notare che in codesto punto l’intima non pre- senta varie volte traccia alcuna d’ispessimento. Questo fatto e l'avere osservato che fra i tratti esterni della tunica media nei quali la migrazione cellulare proviene evidentemente dal- l'esterno, ed i più interni ove pure si osservano elementi mi- grati laddove esiste un certo grado di proliferazione nell’intima, rimane una zona ove non sì trovano o quasi piccoli elementi rotondeggianti fra i fasci di fibre muscolari, autorizzano già a pensare: 1.° che il processo neoformativo dell’intima sia indi- pendente dai processi di riparazione che hanno il loro punto di partenza dall’ esterno; — 2.° che mentre gli elementi cel- lulari della tunica interna proliferano in direzione centripeta, aumentando lo spessore di essa, alcuni varchino all’esterno i limiti della tunica elastica interna e migrino nella muscolare. Avvenuta la riparazione della parte lesa del vaso, e rista- bilitasi una circolazione abbondante nella parte più esterna della (1) Sulla genesi delle fibre etastiche. — Progresso medico, 1887. E. BURCI 325 sua parete, cessa, se esiste, il lavorìo di proliferazione dell’in- tima, o se non si è iniziato, non si produce più altrimenti per lo meno come conseguenza delle modificazioni fatte subire ar- tificialmente al vaso stesso. E ciò, torno a ripetere, non avviene neppure in quei punti nei quali, vasi ed elementi connettivali neoformati si appro- fondano nella parete fino ad invadere gli strati più esterni della tunica media, maltrattati e distaccati quasi nella operazione. (Esp. N° 5 sui cani). In alcuni esperimenti sui conigli si è verificato qualcosa di diverso da quanto ho finora accennato. Nell’ esperimento N.° 5 sui conigli, ebbi al 9.° giorno una emorragia. Soltanto in questo caso (l’unico nel quale siassopravvenuto un processo suppurativo) si è avuta la rottura del vaso. A rafforzare la parete vasale assottigliata, e deteriorata grandemente nella nutrizione dei suoi elementi per l'atto operativo e successivamente per l'insorgenza di un processo suppurativo, è mancato, per effetto di questo, il compenso del processo di riparazione che in condizioni normali parte dai tessuti che si trovano a contatto del vaso. Nè la for- mazione connettivale dell’intima, verificatasi in quella piccola arteria non molto prontamente, fu un compenso sufficente ad impedire che la parete si rompesse resistendo alla pressione sanguigna. Negli esperimenti N.° 1-5-6 praticati sui conigli la parete arteriosa aveva evidentemente risentito gravi danni. Nel primo l'osservazione istologica mi permetteva di dubitare se, lasciata più lungo tempo in sito, l’ arteria avrebbe potuto resistere tanto da impedire una emorragia, o se pure non fosse stata possi- bile in avvenire la formazione di un’ aneurisma. Tali alterazioni io credo che siano da riferirsi alla poca resistenza delle pareti della carotide del coniglio, ed alla sottigliezza loro, ed alla dif- ficoltà che ne sussegue di limitare la lesione alla sola avven- tizia e specialmente agli strati più esterni di essa. Prova ne sia che anche nel cane sono arrivato a ledere in alcuni punti la tunica media, senza che per questo la parete arteriosa abbia presentata ivi alcuna modificazione di una certa gravezza. Di fronte però ai sospetti, che appariscono giustificati dopo l'esame della carotide del coniglio N.° 1, stanno le due ultime osservazioni, le quali danno veramente diritto a ritenere che 326 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. fatti siano pure compensativi, ma che cambiano più o meno le condizioni normali della parete e del lume vasale si verificano in arterie molto piccole, delle quali mi sono servito soltanto per mettermi anche nelle condizioni di esperimento le meno favorevoli. Giova nonostante osservare che la presenza di una tunica elastica al disopra del tessuto neoformato dell’intima, accenna ad un arresto nella iperplasia degli elementi di questa, e dà ragione di ritenere che per quanto rimpiccolito il lume vasale non si sarebbe obliterato. SECONDA SERIE DI ESPERIMENTI Esperimenti sui cani. N.° I. — In un cane da caccia opero nel modo consueto la carotide primitiva sinistra per un tratto di 8 centimetri e la isolo successivamente dai tessuti circostanti involgendola con makintoch. Tolgo il vaso dopo 4 giorni, previa legatura al di sopra ed al di sotto del tratto operato. Esaminando a piccolo ingrandimento le sezioni trasversali si osserva che il vaso è pervio; il lume però apparisce un poco rimpiccolito per una neoformazione di tessuto ubicata al di sopra della tunica elastica interna (V. fig. 1). La parete vasale si presenta costituita dall’ intima notevolmente ispessita per questo tessuto neoformato, dalla muscolare, e da porzione dell’avventizia, la quale in alcuni punti è resa talmente sottile che la tunica media rimane quasi allo scoperto. — Esaminando a più forte in- grandimento si osserva come gli elementi connettivali della porzione ri- masta dell’avventizia siano notevolmente alterati per necrosi, e le fibre elastiche avventiziali si trovino rotte in alcuni punti ed ovunque poi ir- regolarmente tortuose, rigonfie, mal refrangenti. I vasa vasorum rimasti sono completamente trombizzati. La tunica media presenta gli elementi elastici in condizioni normali, e solo negli strati più esterni si osservano zone di fibre muscolari con contorni non ben definiti e con nucleo debolmente colorato. Quà e là sia nella porzione residuale dell’avventizia, che nelli strati più esterni della tunica media si trova qualche piccola cellula rotondeggiante. Aderente della tunica elastica interna si osserva un tessuto di nuova formazione che occupa tutta la superfice sporgendo più o meno nei var] punti nell'interno del vaso. In alcuni punti riempie appena le sinuosità dell’elastica in altri invece ha uno spessore assai considerevole. Gli ele- menti che costituiscono questo tessuto neoformato presentano le mede- sime particolarità morfologiche già descritte di quelli osservati in con- E. BURCI 327 dizioni analoghe nella carotide del coniglio N.° 5 (Serie I.* di espe- rimenti) . Esaminando le sezioni longitudinali al punto di confine fra la parte operata e la parte sana si trova che vasi anche assai voluminosi sì ac- costano alla muscolare fino a venire a contatto cogli strati più esterni di questa. Ivi assumono un andamento per quanto tortuoso, di sovente parallelo all’asse longitudinale dell’arteria. Si nota una discreta migrazione di elementi bianchi nell’avventizia e fra i fasci di fibre muscolari; consi- derevole è l'accumulo dei medesimi nella guaina e nei tessuti prossimi, accumulo che si verifica specialmente all’intorno dei vasi. N.° 2. — In una cagna da presa metto allo scoperto nel solito modo la carotide primitiva destra per una estensione di 8 centim., e ne disseco l’avventizia. Per un movimento brusco della cagna viene ferita in senso longitudinale la parete del vaso per un tratto di circa 4 millimetri. Freno facilmente l'emorragia con due punti di sutura e quindi involgo |’ arteria nel makintoch. Al settimo giorno essendo avvenuto per la ferita un po’ di emorra- gia asporto il tratto operato del vaso fra due legature. Dall’ esame anche grossolano si rileva come il punto per il quale è avvenuta l’ emorragia sia molto limitato e corrisponda a porzione del tratto ferito e suturato. È da notare che l'operazione non era riuscita completamente asettica. Esaminando a piccolo ingrandimento le sezioni trasversali dell’arteria si osserva come il suo lume si conservi ovunque pervio, per quanto lie- vemente impiccolito per una proliferazione dell’intima, analoga (siccome permette di rilevare l'esame a più forte ingrandimento) a quella osser- vata nel caso precedente. Tale proliferazione si continua anche sul punto corrispondente alla ferita suturata. Questa laddove ha resistito è riparata per mezzo di un trombo bianco, di forma conica colla base rivolta verso il lume vasale, La parte più periferica di essa ben si riconosce nelle sue caratteristiche istologiche essendo poco infiltrata da elementi bianchi, ma quello che si trova interposta fra la tunica media nella metà sua centrale è talmente infiltrata che sembra quasi costituita esclusivamente da un accumulo dei medesimi. Le pareti del vaso sono ridotte in alcuni punti alla tunica interna ed alla muscolare, in altri anche alla parte più interna dell’ avventizia. In questa gli elementi connettivali non sono più riconoscibili e le fibre elastiche presentano le solite alterazioni. Quà e là vi si trova qualche piccola cellula rotondeggiante ed alcuna è anche addossata a quella parte che in tali condizioni rappresenta la superficie esterna della parete vasale. Tali elementi sono indubbiamente migrati dai confini col tratto leso, come dimostra il fatto che il loro numero è maggiore avvicinandosi ad 328 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. essi, e raggiunge il suo massimo nella guaina e nell’avventizia della porzione integra dell'arteria prossima al punto maltrattato, e nei tessuti circostanti al vaso. Nella muscolare l’infiltramento parvicellare è assai considerevole ed è disposto a strati concentrici che occupano gli spazi esistenti fra i sin- goli fasci di fibre muscolari. Queste sono evidentemente atrofiche, spe- cialmente negli strati più esterni, e più specialmente poi in prossimità della ferita, ove non sono assolutamente riconoscibili. Qui le lamelle ela- stiche si trovano irregolarmente retratte, rigonfie, poco refrangenti, ed il rimanente tessuto circostante apparisce giallastro granuloso infiltrato da elementi bianchi, dei quali un certo numero è poi accumulato ove si tro- vano i fili che hanno servito per la sutura. Elementi un poco più grossi analoghi a quelli che costituiscono la proliferazione endoteliale sono re- spinti ed addossati ai tratti più interni delle labbra della soluzione di con- tinuo, sulle quali trovasi aderente un trombo bianco, ed interposto ad esse altro trombo recente, cruoroso. Nei punti a confine col tratto operato si ha dei vasi abbastanza grossi ed una rete di capillari che nell’ avventizia si approfondono fino a venire a contatto colla muscolare. Alcuno di questi si addentra nei suoi strati più esterni. N.° 3. — In un cane da caccia disseco per un tratto di 5 centim. l’avventizia nella femorale destra dopo averla completamente isolata dalla sua guaina. Occorre legare un ramo collaterale: involgo l'arteria nel makintoch, e suturo. Dopo 8 giorni trovo il cane morto per emorragia. Messo allo scoperto il vaso, osservo come la parete si sia rotta nel punto ove a ridosso di essa fu allacciato il vaso collaterale. Esamino sezioni del vaso in corrispondenza del punto rotto, e a diversa distanza da esso. Anche a piccolo ingrandimento colpisce subito l’occhio dell’ osservatore lo spessore della tunica interna, che in taluni punti acquista addirittura quello della muscolare. L’accrescimento degli strati dell’intima si è fatto con una certa regolarità centripetamente ed ha per lo più lo spessore identico in tutta la circonferenza vasale, però in taluni punti esso è al- quanto maggiore tanto da deformare visibilmente il lume vasale. Tra le fibre elastiche dell’ avventizia esiste una infiltrazione cellulare, che si ha poi notevolissima nella muscolare. In questa tunica è dato vedere che gli accumuli cellulari sono prin- cipalmente disposti concentricamente al lume del vaso fra gli strati di fibre muscolari e le fibre elastiche che li dividono. Di questi strati nel- l'arteria che si ha sott’ occhio se ne trovano fino quattro paralleli fra di loro, riuniti a volte per mezzo di file di cellule disposte fra i primi in modo perpendicolare ed obliquo. Tutto questo, ben si comprende è visibile ad un piccolo ingrandimento per la intensa affinità dei nuclei delle cellule migranti per la sostanza colorante. E. BURCI 329 A più forte ingrandimento la proliferazione endovasale apparisce com- posta da elementi cellulari aventi parvenze morfologiche identiche a quelli che in caso analogo ho descritto più sopra. Questa neoformazione si vede a volta fatta a spese dell’intima vera e propria, altre volte la sì rinviene fra le lamine della membrana ela- stica che rimane così sdoppiata e notevolmente divaricata (v. fig. 2.). Alcuni elementi hanno poi evidentemente oltrepassato i limiti di essa ed hanno invaso gli strati più interni della muscolare. In questa tunica si nota il fatto che l’infiltrazione cellulare è più marcata alle parti peri- feriche che a quelle centrali. Nelle prime a volta è tale che non si riesce più a distinguere alcuna fibra muscolare, mentre invece nelle parti più centrali si riconoscono le fibre muscolari evidentemente atrofiche con pro- toplasma carico di granulazioni giallo brunastre, con limiti irriconoscibili ed i nuclei sformati e poco colorati. A differenza di ciò verso l’ interno sì osservano altri elementi muscolari, nei quali non si apprezzano, o quasi, tali alterazioni. Dalla osservazione emerge come fatto indubitato la profonda alterazione necrobiotica degli elementi costituenti la tunica media, comprese le fibre elastiche, che appariscono discretamente rigonfie. Questo fatto è sopra ogni altra cosa evidente nell’avventizia ove gli strati elastici hanno acquistato più del doppio dello spessore normale, e sono gli uni dagli altri divaricati da una sostanza amorfa finamente gra- nulare (probabilmente succo linfatico coagulato dai liquidi fissatori) in mezzo alla quale trovansi piccoli elementi rotondeggianti. Laddove avvenne l'emorragia si trova un trombo cruoroso. Sui mar- gini della perdita di sostanza, che presentano fatti avanzatissimi di necrosi è depositato però un trombo bianco infiltrato nei tratti esterni da elementi bianchi. Sopra questo si continuava indubbiamente (e lo si ritrova infatti respinto ed addossato alle pareti della perdita di sostanza) un tessuto analogo a quello che costituisce la proliferazione dell’ intima. Esaminando sezioni longitudinali dell’ arteria nei punti a confine col tratto leso, si osservano i soliti fatti relativamente al modo di compor- tarsi dei vasa vasorum. Questi, come i vasi dei tessuti vicini si presen- tano dilatati ed anche sovente ipertrofizzati nelle loro pareti. Le alterazioni della muscolare sono meno visibili via via che ci si avvicina al punto ove cessa la lesione, fino a che a poca distanza da questo essa apparisce normale. Però la infiltrazione parvicellulare si con- tinua. Solo fra i fasci di fibre muscolari si nota in codesti punti anche elementi più adulti coi caratteri di vere cellule connettivali. Un’ osser- vazione accurata ci da ragione di ritenere che la migrazione deve avere avuto in eran parte il suo punto di partenza dai confini della lesione arteriosa, sia dai vasi e dal connettivo dell’avventizia e della guaina, come pure dei tessuti circostanti all’ arteria. * 330 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. N.° 4. — In una grossa cagna da presa isolo nel solito modo per 6 centimetri la carotide primitiva destra, e ne disseco l’avventizia e la avvolgo con makintoch. Uccido l’animale dopo 9 giorni, e tolgo il vaso dopo avere tentato la iniezione di esso e dei vasa vasorum con gelatina al Bleu ‘di Prussia. Coll’esame istologico si osservano presso a poco i fatti osservati nel caso precedente. Solo meno gravi sono le lesioni necrotiche della musco- lare, limitate a zone di essa. Si ha infiltrazione parvicellulare della parte residua dell’avventizia e della tunica media. La proliferazione dell’intima apparisce meno abbondante che nel caso precedente. In alcuni punti essa è stata evidentemente guastata dalla massa d’iniezione. Per questo (avendo anche in altri esperimenti osservato guasti analoghi), non ho ripetuto in seguito la iniezione delle arterie operate, e dei casi nei quali essa fu pra- ticata non ho tenuto conto che del presente. L'esame istologico dei tratti a confine rivela pur esso fatti analoghi a quelli descritti per l'esperimento precedente. N.° 5. — Opero nella solita guisa la carotide primitiva destra di un grosso cane per un tratto di circa 7 cent., e la involgo in velo di gut- taperga. Tolgo il vaso operato dopo 19 giorni. Esaminando le sezioni di esso trovo che il lume ha forma e dimensioni normali. A forte ingrandimento l’intima apparisce normale in quasi tutto il suo contorno, solo in qualche piccolo tratto si ha un leggero spessimento costituito da sovrapposizione di 2-3 file di cellule. La tunica media ha pure apparenze presso che normali solo nelle parti più esterne presenta qualche fibra meno distinta nei suoi contorni, e con nucleo non intensamente colorato. Fra i fasci di fibre sì trova un certo numero di elementi bianchi. AI di fuori della tunica media si osservano le fibre elastiche avventi- ziali, ad essa addossate, rigonfie, mal refrangenti, spezzate in alcuni punti, e più esternamente un tessuto connettino neoformato ricco di vasi in mezzo al quale si vedono varie piccole isole di una sostanza amorfa finamente granulosa contenenti qualche. elemento bianco e qualche cellula più grossa rotondeggiante con nucleo vessicolare. Alla periferia di questo connettivo si osserva nelle singole sezioni un discreto infiltramento par- vicellulare e più esternamente un invoglio giallastro, che evidentemente non è altro che il velo di guttaperga che servì ad involgere il vaso. Esso apparisce costituito da strati concentrici più o meno regolarmente paralleli l’uno all’altro; fra mezzo .-a questi sono raccolte in numero con- . siderevole piccole cellule rotondeggianti. Analizzando questi fatti si comprende come il velo di guttaperga si sia lasciato sfibrare e come sia stato possibile così che sollecitamente una migrazione considerevole di elementi bianchi sia avvenuta verso la E. BURCI 381 periferia dell’ arteria maltrattata. Si spiega in tal guisa abbastanza chia- ramente come si sia avviato un processo di riparazione della perdita di sostanza, e come sia stato possibile a vasi neoformati, aventi direttamente rapporto con quelli della porzione intatta dell’arteria, di compensare il difetto di nutrizione artificialmente prodotto nella parete -vasale.- Ksaminando infatti sezioni longitudinali comprendenti i punti a con- fine colla parte operata sl osservano vasi assai voluminosi, alcuni dei quali con pareti ipertrofiche, che si approfondano nell’ avventizia e si mettono in rapporto con quelli del connettivo neoformato fra il velo di gutta- perga e la parete arteriosa, decorrendo specialmente per quanto in modo tortuoso in senso parallelo ad essa. Si staccano da questi alcuni piccoli vasellini che penetrano anche negli strati più esterni della tunica media. Notevole infiltrazione parvicellulare si ha nei punti a confine col tratto leso, e nei tessuti che si trovano al di fuori del velo di guttaperga. N° 6. — In una cagna da caccia isolo nel solito modo la carotide sinistra. Dissecando l’avventizia si ha una emoraggiola da un vas vasorum di discreto volume che freno per mezzo di un punto di sutura. Involgo l'arteria con makintoch. La ferita cutanea in 10.° giornata è guarita. Verso il 15.° giorno si comincia a notare un tumoretto nel collo, al di- sotto della cicatrice, che nei giorni successivi aumenta di volume e si fa pulsante. La cicatrice si assottiglia ed in 25.° giornata si rompe dando luogo ad una emorragia abbastanza imponente. Uccido il cane e disseco accuratamente la regione. Trovo che sì era formato un’ aneurisma spurio nella cui cavità sono contenuti in quantità considerevole dei coaguli cruorosi in massima parte recenti. In mezzo a questi trovasi respinto il makintoch adoperato per involgere il vaso. Questo poi presenta una perdita di sostanza (che corrisponde indubbiamente al punto ove fu posto il punto di sutura) diretta parallelamente all'asse longitudinale del vaso col suo diametro maggiore, per una estensione di 5 millimetri. Un coagulo re- cente a bottone da camicia sporgente da una parte nel vaso dall’ altra nella cavità aneurismatica occlude temvoraneamente la rottura. Dal lato opposto a questa l'arteria è aderente ai tessuti vicini. È logico indurre che il makintoch, allontanandosi i suoi estremi, non abbia circondato per- fettamente il cilindro vasale; che tale allontanamento sia grado a grado cresciuto, quando rottasi la parete il sangue lo dovette respingere, fino a scostarlo completamente dalla arteria. Può essere così avvenuto il sal- damento coi tessuti circostanti di quel tratto di parete vasale rimasta, per tali condizioni, con essi a contatto fino dai primi giorni. Tale con- cetto trova la sua conferma nel reperto istologico. Nei tratti che non coincidono colla lesione di continuo, le sezioni tra- sversali dell'arteria fanno rilevare una considerevole proliferazione con- nettivale dell’intima. Però essa non ha le stesse dimensioni su tutto il Sc. Nat. Vol, XII. 24 332 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. contorno del vaso, e mentre presenta il suo massimo spessore (analogo a un dipresso a quello della muscolare) in un punto diametralmente op- posto a quello nel quale è avvenuto il saldamento coi tessuti vicini, va poi gradatamente diminuendo fino a fare quasi completamente difetto ove tale unione è avvenuta. Questa corrisponde circa alla metà della circon- ferenza del cilindro arterioso. Però mentre per un tratto mediano che può valutarsi per la terza parte della parete saldata l’ unione è fatta per © mezzo di un tessuto connettivo ricco di vasi, negli altri due terzi late- rali la si ha invece per un tessuto costituito quasi esclusivamente da cel- lule rotondeggianti con qualche vasellino neoformato con parete esclusi- vamente endoteliale. Che tale unione si sia fatta in secondo tempo e che non dipenda da una imperfezione dello esperimento (se non bastasse la certezza mia di aver ripetuto esattamente le pratiche adottate per gli altri casì) lo di- mostrerebbero: 1.° le apparenze istologiche diverse dei tratti periferici da quello centrale, ciò che accenna a saldamento avvenuto in periodi diversi di tempo — 2.° l’esistenza, anche nel punto ove l’unione è avvenuta, delle solite alterazioni delle fibre elastiche dell’ avventizia. La muscolare presenta in corrispondenza del punto saldato lesioni ne- crotiche dei suoi elementi non molto gravi, se sì mettono specialmente in confronto con quelle che si osservano via via che ci si allontana da esso, e tanto più poi con quelle che si notano nelle sezioni corrispon- denti al tratto che avvenne la rottura, ed in special modo nei punti pros- simi a questi. Le particolarità istologiche dei margini della soluzione di continuo e dei tratti vicini non sto a descriverle, mi limito a dire che esse sono identiche a quelle descritte nella prima serie nell’ esperimento N.° 5 sui conigli, ed osservate negli altri casi, nei quali avvenne la rottura della parete e l'emorragia. N° 7. — Opero nel modo consueto la carotide destra di un cane barbone per un tratto di 5 cent. e la involgo in velo di guttaperga. La tolgo dopo 48 giorni colle consuete precauzioni e trovo che all’esterno del velo di guttaperga, den conservato, si è formato un tessuto connettivo che si continua ai due estremi del tratto operato colla guaina vasale. Incido questo tessuto, tolgo il velo e tratto nel modo opportuno l’ arteria per procedere al suo esame istologico. Il lume del vaso è pervio e di dimensioni normali. Niente di speciale si osserva nell’intima e nella tunica media. Soltanto la esterna presenta alcuni fatti che si allontanano dalle condizioni normali. In essa a ridosso della muscolare si veggono le vecchie fibre elastiche rigonfie spezzettate con qualche frammento inglobato da fagociti ed altri incassulati da gruppi di piccole cellule rotonde. Al di fuori di esse, in mezzo ad elementi con- E. BURCI 333 nettivali adulti diretti col loro asse maggiore in senso trasversale con- centricamente all'asse del vaso si scorgono elementi elastici di nuova formazione. Al di fuori di questo tessuto si ha un connettivo più giovane ricco di vasi, che si continua ai due estremi della lesione colla guaina e colli strati più esterni dell’avventizia. Coi vasi di queste sono in diretto rapporto quelli che trovansi nel tessuto neoformato, i quali si approfon- dano verso la muscolare addentrandosi talora nei suoi strati più esterni. Questo fatto si verifica anche nei punti sani a confine col tratto che fu leso. : In questo caso la lesione fu compensata. Il compenso è partito più specialmente dalla guaina e dall’avventizia dei punti confinanti colla le- sione. Con esse ha rapporto sia il connettivo neoformato che circonda il vaso, come quello che ha incassulato (per così dire) il velo di gutta- perga che servì ad involgerlo. Con tali fatti, che devonsi essere indub- biamente verificati di buon’ ora, credo di poter mettere in rapporto il non essersi verificata nessuna proliferazione degli elementi dell’intima. N.° 8. — Eseguisco un esperimento identico al precedente sulla ca- rotide primitiva sinistra dello stesso cane ed ottengo i medesimi resul- tati. In questo caso però il velo di guttaperka era aderente al contorno del vaso, per cui non cerco di distaccarlo e comprendo pure esso nelle sezioni per l'esame istologico, col quale esso apparisce sfibrato, e note- volmente infiltrato da elementi bianchi. N.° 9. — Eseguisco la solita operazione sopra un tratto lungo 6 cent. della carotide primitiva destra di una cagna da caccia. Asporto dopo 57 giorni il vaso ed in corrispondenza del punto operato lo trovo completa- mente obliterato per una estensione circa di 4cent. L'esame istologico delle sezioni di quest’arteria mette in evidenza avanti tutto come il lume di essa sia completamente obliterato per la presenza di un tessuto organiz- zato. La lesione dell’avventizia vasale è riparata da connettivo con ca- ratteri molto simili a quelli già descritti pei due casi precedenti, però un poco meno abbondante. Fatti pure identici si osservano relativamente alle vecchie fibre elastiche avventiziali. Agli estremi del tratto leso il connettivo neoformato si continua col- l’avventizia aderente alla guaina vasale. Da esso partono poi dei vasi i quali si approfondono, insieme ad elementi connettivali, nella muscolare tanto da attraversarla seguendo gli spazi esistenti fra i fasci di fibre muscolari. La tunica muscolare presenta tracce evidenti di lesioni necrotiche : molte fibre hanno contorni mal definiti ed il nucleo ed il protoplasma si colorano quasi omogeneamente con tinta pallida. Però quà e là se ne trova diverse abbastanza bene conservate. Normali sono gli elementi ela- stici della tunica media. Normale pure la tunica elastica interna. All’in- 334 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. dentro di questa occupante completamente il lume del vaso si osserva un tessuto connettivo ricchissimo di vasi. Esso trae evidentemente il suo punto di origine dalla superfice interna del vaso come dimostrano la di- rezione, la disposizione, ed i rapporti degli elementi, che ci fanno rife- rire quanto in questo caso si osserva, a quei fatti di proliferazione del- l’intima già notati in altre arterie trattate alla stessa guisa di questa ed esaminate dopo un tempo più breve. In mezzo a questo tessuto connettivo che riempie il lume vasale si trova una quantità considerevole di pigmento sanguigno in parte libero, in parte contenuto nell’interno di cellule globulifere. L’esame delle sezioni longitudinali praticate in corrispondenza dei punti a confine colla lesione, e laddove termina il trombo, dimostra come in essi i vasi si approfondino nella muscolare assai meno che nel tratto corrispondente alla parte media del trombo. Apparisce inoltre in queste sezioni come la neoformazione endoarteriale presenti alle sue estremità una serie di vacuoli che lasciano penetrare il sangue circolante nel vaso, ed apparisce abbastanza evidentemente come da codesti traggano origine, o siano per lo meno in rapporto, alquanti vasi di quelli che attraversano il connettivo che ha obliterato il lume arterioso. Sebbene anche in questo caso sia stata compensata all’esterno la le- sione dell’avventizia vasale, pure la proliferazione dell’intima è stata tal- [I mente abbondante che l’arteria n'è rimasta completamente obliterata. Esperimenti sui conigli. N. I. — Opero nel modo consueto in un grosso coniglio per l’ esten- sione di circa 4 centimetri la carotide primitiva di destra e la isolo cir- condandola con velo di guttaperga. Tolgo il vaso, previa legatura sopra e sotto, dopo 2 giorni. L'esame microscopico delle sezioni dell’arteria mi fanno rilevare come la sua parete sia ridotta quasi esclusivamente alla tunica media ed alla interna. La tunica muscolare tutta è assottigliata, le fibro-cellule esili, atro- fiche, gli spazi fra le lamelle elastiche ravvicinati. L’intima non presenta alcun che di speciale. N° 2. — Esperimento identico al precedente ed analoghi resultati. Soltanto la tunica muscolare presenta lesioni necrotiche meno gravi nelli strati suoi più interni. N° 3. — Esperimento analogo al precedente colla differenza che il vaso viene asportato dopo 5 giorni. I resultati però delle ricerche isto- logiche non differiscono da quelli dell’ esperimento N.° 2. N° 4. — Esperimento identico al precedente con identici resultati. N.° 5. — Pratico le stesse lesioni sulla carotide primitiva sinistra di DI E. BURCI 395 un coniglio, la involgo con velo di guttaperga e la asporto dopo 7 giorni. L’esame istologico rivela alterazioni necrotiche della muscolare analoghe a quelle descritte nell’ esperimento N.° 1. Nessuna altra particolarità de- gna di nota. N.° 6. — Pratico le medesime lesioni sulla carotide primitiva sinistra di un coniglio, la involgo, come al solito, in velo di guttaperga, e la asporto dopo 9 giorni. Coll’esame istologico trovo da notare le solite alterazioni della tunica media, e nel rimanente solo un lievissimo spes- simento dell’ intima. N.° 7. — Esperimento identico al precedente con identici resultati. N.° 8. — Pratico le solite sezioni sulla carotide primitiva destra di un coniglio. Dopo 12 giorni avviene una emorragia imponente e la morte. Asporto il vaso e le sezioni di esso esaminate al microscopio mi fanno rilevare i seguenti fatti. La forma del lume del vaso è notevolmente al- terata; essa ha assunto, più o meno regolarmente l'aspetto di un trian- golo isoscele coll’angolo superiore molto allungato e rotto in quelle se- zioni che corrispondono al tratto di arteria ove esiste la soluzione di continuo della parete per la quale avvenne l'emorragia. Certamente, te- nendo conto della forma assunta dal vaso, codesto tratto di parete no- tevolmente indebolita per il trauma portatovi e per le sue conseguenze cedè grado a grado alla pressione sanguigna fino a lasciarsi rompere. Ed infatti a codesto tratto corrisponde il massimo delle lesioni ne- crotiche della parete arteriosa, poichè mentre nei rimanenti tre quarti essa è rappresentata da porzione dell’avventizia, dalla muscolare e dal- l’intima, nel quarto che corrisponde a quella sezione del vaso ove trovasi la rottura è ridotta soltanto alle due tuniche interne. In questa arteria si ha una enorme proliferazione dell’intima vasale, proliferazione che è indubbiamente più cospicua dal lato nel quale il vaso cedette alla pressione sanguigna e si ruppe. Ed è da notarsi come un fatto molto interessante che in alcune sezioni prossime al punto ove av- venne la rottura, a rappresentare per un certo tratto la parete, trovasi il solo tessuto di proliferazione endoarteriale, osservazione che mi era già capitato di fare, esaminando le sezioni dell’ arteria appartenente al cane servito per l'esperimento 6.° di questa seconda serie. La neoformazione dell’intima ha i caratteri istologici descritti già per altri casi, però lad- dove la parete arteriosa ha ceduto, gli elementi cellulari di nuova for- mazione per un tratto cospicuo hanno subìto una necrosi. Come già osservammo nel caso N.° 5 della I.* serie (esperimenti sui conigli, ed è evidente in quello N.° 6 della serie II.* (esperimenti sui cani), anche in questo caso appare evidente che l'alterazione necrotica ha pro- ceduto dall'esterno verso l’interno. I particolari istologici che per mezzo di forte ingrandimento si mettono in evidenza nel punto ove avvenne la 396 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. rottura e nei punti prossimi sono analoghi a quelli già osservati nei due casi sopracitati ed altra volta descritti. Analoghe pure sono le alterazioni necrotiche della muscolare e del- l’avventizia, nei loro gradi diversi a seconda dei punti più o meno vi- cini al tratto, nel quale le lesioni furono talmente gravi da permettere la rottura della parte arteriosa. N° 9. — Pratico la solita operazione sulla carotide primitiva sinistra di un coniglio, e la involgo in carta chinese. Uccido l’animale dopo 20 giorni. Trovo che il vaso è aderente ai tessuti vicini e che non è pos- sibile riconoscer> in mezzo a questi la carta che servì ad involgerle. Esa- minando le sezioni convenientemente colorate di quest’arteria si osserva già a piccolo ingrandimento, come il vaso sia pervio ed il suo lume solo leggermente rimpicciolito per un sottile strato di tessuto neoformato che occupa i quattro quinti della tunica interna. A forte ingrandimento si osserva come questo tessuto sia costituito quasi esclusivamente da cellule piuttosto ‘grosse, allungate, ed un poco schiacciate, con nucleo abbastanza grosso ovalare, col massimo diametro parallelo al contorno del vaso. La muscolare presenta pochi dei suoi ele- menti riconoscibili. Le fibre elastiche appariscono addossate le une alle altre così che deve ritenersi che vi sia stata vera scomparsa di buona parte degli elementi muscolari normalmente ad esse interposte. Fra mezzo ad esse sì trovano disposti a file concentriche degli elementi bianchi. Più gravi sono le alterazioni delle fibre elastiche residue dell’avventi- zia. Esse si trovano indossate alla tunica media, rigonfie, mal refrangenti spezzettate. L° avventizia è sostituita da un tessuto connettivo ricco di vasi che si continua direttamente alla periferia coi tessuti circostanti. Esso racchiude frammentata la carta che servì ad involgere il vaso. Piccoli frammenti di essa sono contenuti in grossi fagociti ed in cellule giganti, che vi si trovano in numero discreto. Altri più grossi sono circondati da gruppi di piccole cellule rotonde. In questo caso la riparazione è avve- nuta quasi nella stessa guisa che nei casi della 1.° serie attesa, io credo, la poca resistenza della materia adoperata per avvolgere il vaso. Soltanto il compenso deve essersi fatto dallo esterno meno prontamente che nei casi della 1.* serie, come permette di arguirlo il fatto della neoforma- zione connettivale discreta verificatasi nell’intima, alla produzione della quale non è forse estranea la gravezza delle lesioni verificatesi nella mu- scolare. N.° 10. — Opero nel modo consueto la carotide primitiva destra di un coniglio per circa 4 cent., e la involgo in velo di guttaperga. Uccido il andai dopo 50 giorni ed asporto l'arteria. ala le sezioni trasversali a piccolo ingrandimento si osserva come la sua parete sia ridotta alle due tuniche più interne, ed a parte E. BURCI 337 della esterna, e come il lume di essa sia non solo assai rimpiccolito per un ispessimento considerevole dell’intima, ma anche notevolmente defor- mato. Esso ha assunto la forma di un 8 in cifra, e si trova, per l’ esten- sione di qualche millimetro, chiuso nel tratto che intercede fra le due parti rigonfiate dell’ 8. Al di sopra ed al di sotto di questo punto che corrisponde alla parte mediana della porzione lesa, le pareti arteriose sono avvallate e ravvicinate ma non saldate fra loro. Esaminando a forte in- grandimento si osserva come la neoformazione dell’intima sia rappresen- tata quasi esclusivamente da elementi coi caratteri delle cellule connetti- vali adulte. Nel punto ove il vaso è parzialmente chiuso la proliferazione di un lato ha aderito a quella del lato opposto ed apparisce come tessuto continuo. Gli elementi muscolari si trovano in gran parte più o meno gravemente colpiti da necrosi; in alcuni punti essi sono assolutamente scomparsi, ed ivi le tuniche elastiche sono ravvicinate fra loro. Fra queste si trova quà e là qualche fila di poche cellule bianche disposte parallelamente al con- torno del vaso. Le fibre elastiche della tunica media appariscono refran- genti meno bene del normale ma non presentano gravi alterazioni necro- tiche, quali si osservono in quelle dell’ avventizia. In questa tunica oltre le fibre elastiche non si riconoscono altri dei suoi elementi normali, ed in una sostanza omogenea non si osserva che qualche raro elemento bianco migrato. N.° 11. — Pratico sulla carotide primitiva sinistra di un coniglio un esperimento analogo al precedente, solo tolgo il vaso operato dopo 52 giorni. L’esame istologico delle sezioni a piccolo ingrandimento dimostra come la forma del lume del vaso anche in questo caso non sia più rotondeg- giante. Esso si è lasciato schiacciare in modo che per due punti diame- tralmente opposti le pareti vengono ad essere notevolmente ravvicinate, e più o meno a seconda che ci si avvicina o allontana da un tratto nel quale vengono quasi a contatto. Però non si ha saldamento. A forte ingrandimento si osserva come i’intima sia normale, normale di spessore la media. Le sue fibre elastiche non presentano traccia di al- terazione e fra gli elementi muscolari solo qualche fibra a contorni poco netti, e con nucleo poco intensamente colorato. La tunica elastica avven- tiziale spezzettata, rigonfia, si trova addossata alla media, e frammenti di essa si osservano nell'interno di fagociti. Al di fuori si ha un tessuto connettivo adulto, ricco di vasi, alcuno dei quali si spinge fino a con- tatto degli strati più esterni della tunica media. All’intorno dei vasi si osserva in alcuni punti aggruppamenti di elementi bianchi. Negli strati più prossimi alla tunica media si ha evidentemente una neoformazione di elementi elastici. Bhje) SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. In questo caso la riparazione della lesione si è verificata per mezzo di un tessuto connettivo avente la sua origine da elementi provenienti dai punti a confine colla lesione stessa (come dimostrano chiaramente sezioni longitudinali fatte in codesti punti) e migrati fra il vaso ed il velo di guttaperga, che si è ritrovato perfettamente a posto, allorquando l’ ani- male fu ucciso. Sta in certo qual modo a confermare codesto concetto il fatto che il compenso non deve essere avvenuto con molta sollecitu- dine, poichè forse altrimenti la deformità del lume vasale non si sarebbe verificata. È pur vero che manca ogni traccia di proliferazione dell’intima, ciò che di solito non si verica in tali casi quando il processo riparatore della lesione esterna manca o ritarda, ma ciò mi sembra debba mettersi pro= babilmente in rapporto col fatto che nei conigli (per quanto almeno ri- sulta dai miei esperimenti) tale proliferazione suole sempre aversi con un certo ritardo. Dagli esperimenti di questa seconda serie ho ottenuto in un caso (nel quale una piccola ferita della parete arteriosa era stata suturata ed in cui era mancata l’asepsi) una emorragia al 7.° giorno; in altri due casi emorragia all’ 8.° ed al 12.° giorno; ed in uno formazione di un falso aneurisma ed emorragia in 25.8 giornata. Un fatto interessante che si osserva il più delle volte, è un rimpiccolimento del lume arterioso per una neofor- mazione connettivale endovasale più o meno abbondante, la quale ha portato in un caso alla sua obliterazione. In generale i fatti che si osservano coll’esame istologico si succedono nell’ ordine seguente. Denudato il vaso, dissecata l’av- ventizia, ed isolatolo dai tessuti vicini, si verifica prontamente necrosi grave degli elementi connettivali ed elastici della por- zione rimasta della tunica esterna, necrosi anemica della mu- scolare, più sollecita, più estesa e più grave negli elementi degli strati più esterni. Continuando a mancare un compenso, queste alterazioni guadagnano in estensione e gravezza. Contemporanea- mente però si comincia a notare al di sopra della tunica elastica interna, una neoformazione connettivale molto analoga a quella che si osserva nei comuni processi endoarteritici. A seconda che le lesioni neocrotiche sono più o meno gravi, tale neofor- mazione suole essere più o meno abbondante. E questo fatto non si nota soltanto nelle diverse arterie, ma anche nella me- desima a seconda dei punti nei quali i fatti di alterata nutri- ® E. BURCI 339 zione sono più gravi, come ne hanno dato un esempio bellissimo (oltre l'esperimento N.° 5, sui conigli della I.* serie), il N.° 6 sui cani ed il N.° 8 sui conigli della serie seconda. E caratteristico in vero nel primo di questi ultimi due il fatto che la neofor- mazione mancava quasi laddove per una accidentalità di tecnica il vaso era rimasto a contatto coi tessuti vicini ed aveva ad essi aderito per mezzo di un tessuto cicatriziale, e da codesto punto andava crescendo gradatamente fino a raggiungere il massimo dello spessore in corrispondenza di quella sezione longitudinale del vaso nella quale avvenne la rottura. Coi mezzi adoperati per isolare l'arteria non si può impe- dire in modo assoluto che elementi migrino fra l’oggetto iso- lante e la parete del vaso. Può intervenire quindi prima o poi un compenso alla lesione prodotta (come dimostrano alcuni degli esperimenti descritti) il quale provveda anche più o meno lentamente a che si riparino le lesioni necrotiche secondaria- mente verificatesi nelle due tuniche più esterne. A seconda che dai confini del tratto leso, muove e procede con maggiore o minore rapidità il processo riparatore, la neo- formazione endovasale può arrestarsi, come può invece arrivare alla completa obliterazione del vaso. Qualora poi il processo neoformativo sia insufficiente a compensare la gravezza e la ra- pidità di prodursi dei fatti regressivi, si ha la rottura del vaso, ed è in questi casi che sopravviene la emorragia. Anche in questa serie si è avuta qualche differenza nei re- sultati degli esperimenti praticati sui conigli. Si è notato in- fatti facile deformazione del lume vasale; schiacciamento delle pareti in due casi, in uno dei quali avvenne saldamento dei punti venuti a contatto; e soprattutto lentezza nel prodursi la neoformazione connettivale endoarteriosa. Diversità queste che riferisco alle medesime condizioni che determinarono le diffe- renze notate nella I. serie di esperimenti. Esiste dunque un divario notevole fra i resultati della 1. serie e quelli della II.?, del quale devesi indubbiamente ricer- care le cause nelle condizioni diverse di esperimento. Giacchè se in quelli della I.*, la riparazione delle lesioni prodotte av- venne regolarmente e con rapidità senza che (uno solo eccet- tuato) si verificasse nè obliterazione del vaso nè emorragia, i resultati diversi della II° non possono riferirsi che all’impedi- 340 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. mento ed al ritardo sensibile opposto artificialmente al processo riparatore. Stanno in appoggio di ciò due fatti — 1.° l’ essersi verificati fatti simili a quelli osservati frequentemente negli esperimenti della II.*, nel 5.° sui conigli della I.* serie, nel quale la suppurazione sopravvenuta aveva impedito lo svolgersi del processo riparativo ; — 2.° la mancanza completa di tali fatti in quelli esperimenti della seconda serie (esp." N. 5, 7, 8 sui cani - 9, 11 sui conigli), nei quali essendosi sfibrato il velo di guttaperga adoperato come isolante, oppure per altra via, è stata possibile una migrazione considerevole di elementi bianchi che hanno provveduto abbastanza prontamente alla riparazione. (Giova in ogni modo osservare che anche se questa è ostacolata, la rottura della parete e l'emorragia consecutiva non avven- gono con frequenza. Essa si è verificata specialmente quando è sopraggiunta la suppurazione, oppure quando le lesioni furono notevolmente profonde (tali in un caso da richiedere la sutura), o quando si dovè legare a ridosso della parete arteriosa dei piccoli rami recisi. Ponendo dunque in condizioni sfavorevoli di nutrizione un’ ar- teria col denudarla estesamente della sua guaina, e dissecarne l’avventizia, e rendendo anche difficili i processi riparativi, av- vengono non infrequentemente compensi tali che provvedono a rinforzare in primo tempo la parete indebolita, e più tardi alla riparazione delle lesioni prodotte, e di quelle avvenute in seguito a queste, e come conseguenza delle condizioni speciali create coll’ esperimento. Con maggior ragione si può dunque concludere (per quanto resulti già evidentemente dalla I? serie di esperimenti) che lesioni estese della guaina ed anche dell’avventizia di arterie di discreto volume, non solo sono compatibili col mantenimento della funzione, ma non danno neppure luogo a modificazioni per- manenti della parete vasale, qualora non sì verifichino condizioni che impediscano od ostacolino gravemente i descritti processi riparativi. Di queste all'atto pratico occorre guardarsi special- mente da una, dalla suppurazione. È quindi necessario evitare qualunque più lontana causa di sepsi, nello stesso tempo che occorre cercare di mantenere per quanto è possibile l'arteria denudata strettamente in rapporto coi tessuti vicini. Ed ora stabilito questo fatto che a parer mio ha una impor- E. BURCI 341 tanza non comune per le applicazioni che possono trarsene nella pratica chirurgica, credo opportuno di portare l’attenzione sopra alcune particolarità che si rilevano dalle cose osservate, e trarne qualche considerazione di un certo interesse per alcune que- stioni che agitano tuttora il campo della fisio-patologia. Abbiamo osservato che frequentemente quando il processo ‘ riparatore manca o ritarda si verifica un fatto di grande in- teresse, che cioè sulla tunica elastica interna si produce un tes- suto di nuova formazione capace di portare in qualche caso alla obliterazione del lume arterioso. È interessante vedere in- tanto a spese di quali elementi esso si forma, e quali condizioni ne determinano lo sviluppo. Se si tiene conto dei particolari notati nella esposizione degli esperimenti, si comprenderà come non si possa porre dubbio sull'origine sua a spese degli elementi dell’intima, al qual giu- dizio ci porterebbe per analogia l'osservazione dei fatti simili che si verificano nei comuni processi endoarteritici. L'interpe- trazione data da alcuno sulla origine di simili neoformazioni endovasali da elementi provenienti dall'esterno cade inevita- bilmente nel caso nostro, laddove lo sviluppo suo anche con- siderevole avviene quando ancora non si è potuta fare in quel punto della parete una migrazione di elementi bianchi, o al- meno solamente in proporzioni tali da non avere importanza. . Giova ricordare inoltre un fatto interessante registrato nel- l'esperimento N.° 3 sui cani serie II°, e che ho potuto riscon- trare anche in altri due casi molto simili a questo, che cioè la neo- formazione endovasale aveva rivestito (indipendentemente da quelli elementi migrati, poco numerosi, che occupavano la parte periferica) la superfice interna del trombo bianco depositatosi nel punto ferito, e vi si era anzi in alcuni punti più o meno completamente sostituita. Neppure poi vale l’idea che per il primo ha sostenuto l’Hertz (*), che*gli elementi della neofor- mazione provengano dal sangue circolante. Parlano evidente- mente contro codesto modo di vedere i caratteri morfologici delle cellule che trovansi, fino dai primi periodi, a costituire il tessuto neoformato e (come fanno rilevare anche Cornil e Ran- vier(?)) i fenomeni di divisione che è dato osservare nei nu- (‘) Citato da Rindfleisch. — Traité d’ Histologie pathologique, pag. 244. Paris 1888. (?) Manuel d' histologie pathologique. t. I, 18841. 342 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. clei degli elementi dell’intima. A conferma di questo fatto serve anche quanto risulta dallo studio delle condizioni che ne de- terminano lo sviluppo. Un mezzo per interpetrare lo svolgersi di esso è quello di studiare quali punti di contatto si possono avere fra le condi- zioni che lo determinano e quelle nelle quali (secondo quanto c'insegna l'anatomia patologica) si svolgono fatti analoghi. Tali condizioni si sogliono riassumere in due tipi principali: in quelle che portano la loro azione direttamente sull’intima (come la presenza nel sangue di agenti infettivi o dei loro prodotti, o di prodotti di alterato ricambio) ed in altre che agiscono meno direttamente e che si svolgono in parti più periferiche del vaso, e nei tessuti perivascolari. Credo intanto che si possano mettere fuori di discussione nel caso mio le condizioni appartenenti al primo tipo: in quanto poi alle altre giova osservare come possano essere di natura ben diversa. È un fatto già da tempo ben noto che legami stretti di pa- rentela esistono fra i processi endoarteritici, ed alterazioni in- dotte da processi infiammatori sulle parti periferiche di un’ ar- teria o sui tessuti perivascolari; e che fatti iperemici che durano in un distretto di vasi nutritizi sono capaci di portare altera- zioni della tunica interna. Ma se nel caso nostro dovesse interpetrarsi in tal guisa la genesi della neoformazione connettivale dell’intima, avremmo dovuto osservarla piuttosto nella prima serie di esperimenti non già nella seconda, ove i tessuti perivasali irritati per l'atto operativo sono allontanati dalla parete arteriosa, ed ove gli ele- menti delle tuniche esterne disturbati gravemente nella nutri- zione non sono adatti per conto loro a prendere parte attiva al processo. I fatti osservati dimostffano evidentemente come segna l’in- verso: la causa sta dunque in condizioni di altra natura. Per la loro interpretazione sembrami importante prendere in esame le ricerche interessanti del Thoma (!), ch'io qui brevissima- mente riassumo. Questo illustre patologo ed alcuni suoi scolari hanno dimo- (©) ANC® È. BURCI 343 strato che ogni rallentamento della corrente sanguigna in un vaso, quando abbia una certa durata, viene compensato da una contrazione della tunica media, ciò che trova la sua conferma in quello che si osserva nei monconi di amputazione, e che ha di- mostrato nella lingua della rana il Goldenblum (!). La misura nella quale la contrazione della media diminuisce il lume è in proporzione della diminuzione della tensione della parete del vaso. Quando poi essa non si verifica od è insufficiente inter- viene una neoformazione connettivale nell’intima. Confermato in questo concetto dalle ricerche sue, il Thoma ritiene che ad esempio l’arteriosclerosi e la fiebosclerosi, diffusa o a placche, abbiano il loro sustrato patologico in un indebolimento della parete vasale dipendente da svariate alterazioni generali di nu- trizione, indebolimento che si manifesta fisicamente con una diminuzione della elasticità (come provano ampiamente le ri- cerche sue e di Kaefer (2)) e che porta ad una dilatazione del vaso, e rallentamento della corrente. Tanto la contrazione che si verifica nella media, come la neoformazione connettivale ristringono il lume in modo rego- lare così che questo venga adattato alla corrente sanguigna. Per quello che si riferisce alla contrazione, il Thoma, basandosi su ciò che risulta dalle esperienze di Goltz e di altri fisiologi, ritiene che avvenga perchè i nervi della parete essendo in grado di sentire i minimi cambiamenti che avvengono nella pressione endovasale, modificano la contrazione della tunica media diver- samente a seconda del modo diverso di esplicarsi di essa. Per quanto non se ne possa negare il rapporto, perchè la neoformazione connettivale dell’intima adatta nella massima parte dei casi precisamente, quasi geometricamente, alla forma della corrente la forma del lume del vaso, è più difficile a com- prendersi il modo di produzione del connettivo nel rallenta- mento della corrente. Thoma per interpetrare ciò, basandosi sulle osservazioni di Kéòster (*), Ranvier (4), Plotnikow (?), ha (1) Versuche diber Collateralcirculation und himorrhagischen Infarct. Dorpat 1889. * (®) Ueber die elasticitàt gesunder und kranker Arterien. Arch. f. pathol. Anat., Vol. CXVI. (3) Sitzungsberichte der miederrheinischen Gesellschaft in Bonn, 1875. (4) Traité tecnique d' ristologie, 1875. (ul. c: 344 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. rivolto la sua attenzione sui vasa vasorum. Poichè laddove in condizioni fisiologiche si ha uno spessimento dell’intima, egli ha osservato un maggiore sviluppo di vasa vasorum nell’avven- tizia e vascolarizzazione della media, e nel tempo stesso neo- formazione connettivale nelle due tuniche esterne; e siccome questo fatto si verifica anche nelle arterie malate sulle quali egli ha fatto numerose ricerche, ritiene (per quanto possa sem- brare azzardato) che la neoformazione dell’intima sia preceduta da uno sviluppo maggiore dei vasa vasorum e che possa mettersi in rapporto colla vascolarizzazione più abbondante degli strati esterni della parete e colla neoformazione connettivale in essi. L'indole di queste ricerche, e l'entità delle osservazioni e delle dottrine svolte dal Thoma, non mi permettono di entrare nel merito della questione, ed io mi limito ad esaminare come si presti l’interpetrazione data da esso, a spiegare i fatti da me osservati, tenendo conto delle condizioni speciali nelle quali sì sono prodotti. Colle lesioni portate sulla guaina e sulla parete vasale non solo io produco in primo tempo un indebolimento materiale della parete, ma do ragione al determinarsi di una lesione di nutrizione grave, a carico specialmente della tunica elastica avventiziale e della tunica media. i In tali condizioni si comprende facilmente come debbasi avere un rilasciamento della parete, dilatazione di un tratto limitato del vaso e quindi rallentamento di circolo. Quando il compenso della lesione prodotta non avviene od è insufficiente, tali condizioni si mantengono e quindi interviene il secondo dei fatti compensativi, già presi in esame dal Thoma, vale a dire la neoformazione dell’intima. Per quanto manchino ancora molti dati alla nozione esatta della innervazione della parete arteriosa e dei suoi rapporti, pure sarebbe presumibile che colle lesioni prodotte sia stata alterata cogli elementi nervosi la possibilità di percezione delle mutate condizioni del circolo, e che per questo manchi o sia insufficiente il compenso’ che suole portare la contrazione della muscolare. Sta però contro un tale concetto, preso in modo assoluto, il fatto che identiche lesioni si sono create nella prima serie di esperimenti, e per quanto non sia possibile ammettere che i nervi lesi si siano riparati con molta rapidità, pure il sta) È. BURCÎ 345 compenso è avvenuto senza che si sia avuta, o quasi, una neo- formazione dell’intima. È logico quindi ritenere che negli espe- rimenti della serie II. la cagione della mancata contrazione compensativa si debba ricercare in massima parte nelle altera- zioni gravi di nutrizione alle quali vanno incontro gli elementi della tunica media. Il verificarsi di una neoformazione connettivale dell’intima nei casi della seconda serie, laddove i vasa vasorum, furono di- strutti e quelli rimasti si trovano trombizzati, fa giustamente pensare che per lo meno non sia un rapporto costante quello che il Thoma vorrebbe stabilire fra la neoformazione dell’in- tima e quella di vasi e di connettivo nelle tuniche esterne. Ho trovato nei miei casi che tale neoformazione era invece proporzionale alla gravezza delle lesioni della parete dei diversi vasi non solo, ma dei varj punti di una stessa parete. Oltre a questo mi veniva a mancare, o quasi, negli esperimenti della I. serie, nei quali si ristabilisce prontamente una notevole va- scolarizzazione dell’avventizia, e si ha all’esterno abbondante neoformazione connettivale, e dove talora vasi e connettivo neo- formati si approfondono nella tunica media. Tale mancanza si è poi verificata in quegli esperimenti della serie Il." nei quali fu possibile abbastanza presto un compenso alle lesioni prodotte, ed in tutti gli altri nei punti a confine col tratto leso, ove si ha evidentemente neoformazione di connettivo e di vasi, e dove questi si approfondono più del normale nella parete arteriosa. Così stando le cose si deve ricercare, almeno nel caso mio, il movente della neoformazione dell’intima in condizioni di- verse. Analizzando attentamente le circostanze nelle quali il fatto si svolge, sembrami che si sia indotti a ricercarne le cause in condizioni capaci di esercitare direttamente uno stimolo sugli elementi dell’intima, e la mia attenzione sì posa in special modo sopra due possibilità : 1.* la pressione maggiore risentita a lungo dagli elementi della tunica interna, a causa del disturbo di cir- colo che sussegue alla dilatazione vasale, quando processi ri- parativi, svoltisi nelle pareti arteriose non compensino pronta- mente questi fatti successivi alla prima lesione — 2.* una irri- tazione esercitata sui medesimi dai prodotti della necrosi degli elementi delle altre tuniche. Questa seconda possibilità sem- brami che trovi appoggio nel fatto che verso i punti, ove i 346 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. fatti necrotici si sono determinati, certo per attrazione che- motattica, avviene una migrazione non solo dall’esterno, ma che sì sorprende, indipendente dalla prima, nei tratti interni della tunica media, proveniente indubbiamente dall’ intima. Ammet- tendo questa interpetrazione si comprenderebbe bene come fa- cendosi risentire maggiormente tali stimoli, la proliferazione dell’intima sia generalmente proporzionale al grado ed alla durata delle lesioni che siî determinano nella parete arteriosa. Comunque sia io credo che sopra un fatto non possa sorger dubbio, che cioè la neoformazione dell’intima in tali condizioni debba essere interpetrata come un vero compenso. Per quanto alcuno ritenga che il tessuto endoarteritico ab- bia il suo inizio dagli elementi endoteliali, io credo (daccordo con ciò che in proposito hanno osservato De Martino e De Bonis (!)) che vi partecipino gli elementi connettivali dell’'in- tima, e quelli pure che in arterie di un certo calibrio si tro- vano frapposti alle lamine della elastica interna. A riprova di ciò sta il divaricamento considerevole che si osserva abbastanza sollecitamente (v.i Fig. 3) fra le lamine stesse per dato e fatto del connettivo di nuova formazione. Questo fatto potrebbe avere una certa importanza relativa al modo diverso col quale si con- sidera dai varj autori la tunica elastica interna nei suoi rap- porti diretti coll’intima o colla tunica media, trovando un ap- poggio in altro fatto, da me pure osservato nelle mie ricerche, che cioè quando la neoformazione dell’intima si arresta, al- l'interno di essa coll’intima di nuova formazione ricompare una tunica elastica interna. Un fatto che ha richiamato vivamente la mia attenzione si è quello che mentre, distrutti i vasa vasorum gli elementi dell’avventizia e della muscolare vengono colpiti da necrosi, quelli della tunica interna non solo resistono, ma assumono una attività proliferativa notevolmente maggiore. Accenna que- sto indubbiamente ad una indipendenza più che sufficiente del- l’intima da quei mezzi che servono alla nutrizione delle altre due tuniche. Mancano ancora moltissime cognizioni sui rapporti di nu- trizione fra le diverse parti della parete arteriosa. (4) Ricerche sperimentali sulla proliferazione dei nuclei propri delle pareti dei vasi. Ace. delle Scienze Napoli, 1870. E. BURCI 347 Ho già detto come mercè le ricerche del l'homa del Plotchni- koff, del Westphalen e di altri sia stato messo in chiaro che vasi sanguigni non trovansi normalmente che nella tunica esterna delle arterie. Però mi sembra che nasca giustamente l'ipotesi dell’esistenza nella tunica media di canalini nutritizi basan- dosi sui seguenti fatti: 1.° che questi potrebbero essere i rap- presentanti di una vascolarizzazione più perfetta che si osserva nella tunica media delle arterie maggiori di alcuni grossi mam- miferi — 2.° che esiste in certi stati patologici la possibile com- parsa di vasi nella muscolare in rapporto di continuità con ‘ quelli dell’avventizia — 8.° l'avere tanto i primi che i secondi un modo di distribuzione analogo —4.° l'avere osservato che gli elementi bianchi migrati nella tunica media delle arterie da me operate hanno una disposizione determinata molto simile a quella dei vasi che compariscono in essa nelle condizioni sur- ricordate. Questo fatto ed il notare che tali elementi non stanno in proporzione numerica con quelli che si osservano nelli avanzi della tunica esterna ed al di fuori di essa, permettono che si affacci l'ipotesi, che la migrazione avendo come punto di par- tenza i vasi avventiziali dei tratti sani, abbia potuto seguire certe vie determinate. Tutto questo avrebbe molta analogia con quanto avviene in altri tessuti sprovvisti di vasi (per es. la cornea) nel determinarsi di processi infiammatori, come an- che nello stabilirsi una neoformazione vasale. Se sono possibili delle congetture sul modo di distribuzione del materiale nutritizio nella media, mancano però dati anche approssimativi per interpetrare come avvenga la nutrizione del- l’intima. Si è pensato che essa tragga gli elementi nutritivi dal sangue circolante col quale essa è in continuo contatto, e si è trovato un appoggio a tale opinione nel fatto che i vasi piccolissimi ed i capillari che possono considerarsi come una diretta continuazione dell’intima delle arterie sono sprovvisti di vasa vasorum e quindi è supponibile che traggano il nutri- mento dal sangue circolante. Laddove come in questo caso la ricerca anatomica pura riesce insufficente a dare spiegazione donde arriva la nutrizione in una parte di un organo, interviene frequentemente la fisiopatologia ‘a completare le sue cognizioni, valendosi per la interpetrazione dei criteri funzionali. Ecco perchè mi è sembrato importante Sc. Nat. Vol. XII. 25 348 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. fermare l’attenzione sul fatto da me sopra notato. Esso accenna evidentemente ad una certa possibile indipendenza nella nutri- zione della intima da quella delle altre tuniche. E dico ad una possibile indipendenza, perchè per quanto non si abbiano prove materiali di rapporti nutritizi fra esse, pure vi sono dei fatti che non permettono di escludere in modo assoluto la loro esi- stenza. Fra questi ha certo valore quello al quale accenna il Ferraro (1) che allorquando si ha per cause diverse da lesioni della parete una coagulazione (come nella legatura di un vaso) l’intima non muore, ma serve anzi colla sua vita rigogliosa alla organizzazione del trombo. Stanno in appoggio di ciò varie 0s- servazioni fatte sulla parte che prende l’intima alla organizza zione del trombo nella legatura delle arterie, e fra esse giova citare quelle di Durante (?), e quelle eseguite nel laboratorio del prof. Tizzoni dall’Apollonio (5). Stabilito questo a me preme porre in rilievo il fatto (con dati desunti dai miei esperimenti) che la nutrizione perviene indubbiamente all’intima anche dal sangue circolante, ed in proporzioni tali da permettere non solo la sua vita, indipen- dentemente da quella delle altre tuniche, ma che essa proliferi attivamente dando luogo ad una neoformazione connettivale talora abbondante. E qui mi occorre prendere brevemente in esame gli esperimenti coi quali il Ferraro ha cercato di portare un contributo alla interpetrazione delle sorgenti della nutrizione dell’intima, perchè avendo adoperato una tecnica apparente- mente molto simile a quella da me usata nella II* serie di esperimenti, potrebbe sembrare strana la diversità dei resultati. Egli ha voluto osservare a tale intento com'è che avviene la necrosi dell’intima; se abolendo il passaggio del sangue oppure distruggendo i vasa vasorum del tratto corrispondente. Ha ese- guito per questo 12 esperimenti. In uno ha praticato ciò che io ho ripetuto esattamente nelle mie esperienze. Ha isolato la carotide di un cane dalla guaina e l’ha spogliata per quanto era possibile dall’avventizia, isolandola poi con avvolgerla in seta protettiva di Lister. Dopo 24 ore trovò obliterazione del (4) 1. e. (°) Wien. med. Jahrb. 1874, p. 3241 — 1872, p. 143. (3) Ricerche microscopiche sulla organizzazione del trombo melle arterie. Rivista clinica, 1887. E. BURCI 5 349 vaso per un trombo giallo rossastro aderente. In un altro non ha impedito che parzialmente il contatto coi tessuti vicini e dopo 24 ore non trovò segno di trombosi. Negli altri 10 per isolare più perfettamente il vaso prima di avvolgerlo nella seta protettiva ha fatto talora colare della cera fusa, talvolta ha spalmato con collodione la superficie, talvolta l’ha spennellata con acido fenico liquido. In cinque di questi esperimenti ha tro- vato trombosi ed egli ne trae la conclusione che l’intima si sia necrosata, desumendo ciò dal fatto che è avvenuta in quel punto coagulazione del sangue, poichè secondo i suoi esperimenti pre- cedenti essa avverrebbe, quando un tratto anche limitato della parete sia mortificato. A me sembra che la diseguaglianza dei resultati in esperi- menti non solo simili fra loro, ma talvolta assolutamente eguali, stia contro le conclusioni che il Ferraro ne trae. E la mia op- posizione ad accettarle si fa tanto maggiore se tengo conto dei resultati dei miei esperimenti, confortati dall'esame istologico. In essi ho osservato costantemente un fatto inverso; aumento cioè di vitalità degli elementi dell’intima e proliferazione loro spesso notevole, proporzionale (può dirsi) ai guasti delle due tuniche esterne. In alcuni vasi nei quali queste erano non solo necrosate ma rotte, ho trovato a costituire da sola la parete, l’intima proliferata, resistente, sia pure temporaneamente alla pressione sanguigna. E giova anche pensare che a facilitare in tutti questi casi la trombosi si aveva, pei fatti passati in esame più sopra, una condizione favorevole nella dilatazione passiva di quel tratto della parete vasale, e nel consecutivo rallentamento della cor- rente. Non so spiegarmi il resultato del primo esperimento del Ferraro, se non pensando a condizioni inerenti all'animale ado- perato, ma della diseguaglianza degli altri sembrami che dia ragione sufficente l’uso delle sostanze adoperate per agire sulla parete del vaso, delle quali non potevasi certamente limitare in modo costante l’azione a distanza e quindi gli effetti sull’ en- dotelio. Giova ricordare in proposito come il Boccardi (*) iniet- tando in un’ arteria una miscela di acqua ed etere avesse coa- (4) Ricerche sperimentali sulla fisiopatologia dei vasi sanguigni. Riv. internaz. di med, e di chir., 1885, N.0 1. 350 SUL MODO DI COMPORTARSI DELLE ARTERIE PER LESIONI EC. gulazione nei vasi nutritizi della parete arteriosa, e come Ger- suny Georgievic (!) abbia provato che l'applicazione di certe so- stanze più o meno attivamente caustiche sulla superficie esterna della vena giugulare di conigli e di cani dia luogo a trombiz- zazione del vaso. Credo dopo tutto ciò di essere autorizzato a concludere che i miei esperimenti danno sufficente ragione a ritenere che l’in- tima di un’ arteria può trarre, indipendentemente da altre sor- genti, i mezzi di nutrizione necessari dal sangue circolante, col quale essa è a contatto. Nelle arterie da me operate non avvenne mai trombosi com- pleta. Senza intenzione di entrare dettagliatamente nella que- stione della importanza delle diverse tuniche arteriose nel man- tenimento del sangue allo stato liquido, mi limito a stabilire il fatto — che ledendo gravemente ed estesamente la tunica esterna e con essa i rapporti vasali di un’ arteria, e provocando in tal guisa una necrosi talora gravissima della tunica media, se l’intima rimane intatta od anche se diviene notevolmente iperplasica non si ha la coagulazione del sangue in quel tratto del vaso. Questo dimostra indirettamente l’importanza in tal caso della tunica interna, messa in rilievo già da tempo dal Durante (?), e più tardi con ricerche dirette ad interessare il solo endotelio dal Boccardi (3), il quale ha voluto precisare con tecnica più esatta quanto in proposito aveva sperimentato il Ferraro. Possono infine avere una certa importanza alcuni dati de- sunti dalle mie osservazioni come contributo alle ricerche fatte per riconoscere a spese di quali elementi avviene l’ organizza- zione del trombo. Credo opportuno premettere che a porre anche meglio in chiaro certi fatti ho istituito una serie di esperimenti per os- servare come tale processo si svolge in arterie legate, dopo avere distrutto estesamente i vasi nutritizi col metodo consueto, iso- landole o no dai tessuti vicini. Dei resultati di esse mi propongo di occuparmi a parte quando abbia terminato le osservazioni opportune. Intanto però sembrami di poter rilevare come (per (!) Arch. f. klin. Chir. XII, 3. Le (3) 1. c. E. BUKCI Dl la parte importantissima che ha in tal processo fisio-patologico) debbasi mettere in prima linea la proliferazione dell’intima e dell’endotelio concordemente a. ciò che osservarono già Wal- deyer (!), Thiersch (?), e Durante (3). Però non può certamente negarsi che possono prendervi prima o poi una parte attiva an- che elementi provenienti dall’avventizia o da tessuti perivasali. Ho potuto osservare infatti a periodi diversi migrazione di ele- menti bianchi nella tunica media con direzione dalle parti pe- riferiche verso quelle centrali, e ad un periodo più inoltrato presenza di connettivo e di vasi, i quali possono arrivare a mettersi in rapporto col tessuto neoformato che trovasi sovrap- posto alla tunica elastica interna. Così dimostrano l'esperimento N.° 7 sui conigli della I.* serie, e quello N.° 9 sui cani della serie II°. Questa compartecipazione di elementi provenienti dal- l'esterno è certamente subordinata in gran parte alla maggiore o minore difficoltà che alla migrazione frappongono in special modo gli elementi elastici dell’avventizia, della media, e la tu- nica elastica interna. In accordo con questo gli esperimenti d’Apollonio dimostrano come ciò avvenga ove le lesioni atro- fiche della parete sono maggiori, e più sollecitamente in quei punti nei quali le lamine elastiche, non trovandosi avvicinate e compresse fra loro, non costituiscono una barriera assai re- sistente alla infiltrazione. Ritengo quindi anch'io che l’organizzazione è un processo fisio-patologico abbastanza complicato e che devesi tener conto in esso della proliferazione dell’intima e dell'attività degli ele- menti migrati dall'esterno aventi origine dall’avventizia o dai tessuti perivasali; ponendo mente che non in tutti i casi, e non in tutti i punti nello stesso tratto vasale è necessario ch’esso compia la sua evoluzione nella medesima guisa e colle stesse modalità. (1) Wirchow' s Arch. XL, p. 300. (2) Pitha-Billroth, I, p. 581. (Aule. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. V). Fig. 1. Sezione trasversale di carotide di cane adoperato per l’ esperi- mento N.° 1 della serie II.* (Micr. di Leitz oc. 1, ob. 3, tubo chiuso). A. neoformazione dell’intima. Fig. 2. Parte di una Sezione trasversale di femorale di cane adoperato per l'esperimento N.° 3 della serie II.* (Micr. di Leitz oc. 3, ob. 7, tubo chiuso). A. neoformazione dell’intima; B. tunica media con migrazione parvicellulare; O. fibre elastiche avventiziali alterate; D. lamelle della tunica elastica interna divaricate da tes- suto neoformato. Fig. 3. Sezione trasversale di carotide di coniglio adoperato per l’espe- rimento N.° 7, della I.* serie (Micr. di Leitz oc. 1, ob. 7, tubo chiuso). A. neoformazione dell’ intima; B. vasi sanguigni nel tessuto di nuova formazione; C. vaso sanguigno nella muscolare; D. elementi fusati, paralleli coll’asse maggiore al con- torno del vaso, corrispondenti ai punti più lesi della muscolare ; E. perdita di sostanza della muscolare; F. tunica elastica interna. Fig. 4. Sezione trasversale di carotide di cane adoperato per l’ esperimento 5.° della I.* serie (Micr. di Leitz oc. 1, ob. 3, tubo chiuso). A. vasa vasorum di nuova formazione situati profonda- mente nell’avventizia; B. vasi che si approfondano nella muscolare in un punto, nel quale essa fu lesa. 29 TINI DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME » V. Simonelli — Sopra la Fauna del così detto “ Schlier , nel Bolognese e nell’ Anconitano Ra pao G. Valenti. — Iicerche sullo sviluppo dei dini Lu pia madre nelle scissure cerebrali MOI | D. Bertelli. — Rapporti della pia-madre con Dea del CHI spinale umano . Si AT L. Busatti. — Appunti str Da e Ri sopra Val- lebbiaia, comune di Fauglia in provincia di Pisa . SENTO G. Valenti — Contributo alla Istogenesi della cellula nervosa e della nevroglia nel cervello di alcuni pesci condrostei . TSO, E. Burci e V. Frascani. — Contributo allo studio dell’ azione bat- | tericida della corrente continua . ARS) JE. Regalia. — Unghie ai diti Ie II della mano in nali italiani 0) . Pantanelli. — estudo amiatae n. sp. SRI 8 A. D'Achiardi. — Le rocce del verrucano nelle valli dstiano e d’Agnano nei monti pisani 5 IO L. Busatti. — I porfidi della miniera di i da uk (Sardegna) — Descrizione petrografica — 02 C. Rossetti. — Nuova contribuzione alla Flora passage della Toscana . MALI PANE A CIR DI Rea RE clnci A 533) A. Marcacci. — 1 meccanismo Vl morte nell avvelenamento per ossido di carbonio . . n 0222 A. Bottini. — Bibliografia briologica Sita ; » 256 A. Fucini. — Alcuni fossili del Lias inferiore delle Alpi E) e dell'Appennino di Lunigiana ORSO n 2983 E. Burci. — Sw modo di comportarsi delle arterie per lesioni traumatiche estese della guaina e della tunica avventizia . 310 Ati Soc. Tosc. Sc. Nat Vol .XII.Tav.I. 6. Valenti. Sullo sviluppo dei prolung. della pia madre etc. FIG.IV. Ali FIG.V. ant Gis Stab, Lit. Bartolucci & Fravega, Pisa di i Soc.Tosc Se.Nat.VoLXII Tav.IT. D.Bertelli. Rapporti della pia madre con i solchi del midollo spinale umano . \ di » x È È, È Ù i Di s à di x ni | TER) I (fer i i na AI x 4 lì Stab. Bartolucci & Fravega, Pisa Fe 1 ui» p9a Atti della Soc lose di Sirenze nal INAMI Sao dl G Valenti Slogenest ele. Cla? Lit. Bartolucci-Ghelli Pisa Lung'Arno Gambacorhi Nî20 * % 4 Tav.]V Fucini - Alcuni foss. Linf. Ap. Ap. ei da - Pipa «Stab-lit-A-Bartolueci -Ghelli nni SE Ù SCSLICOTOI i BEAIT Gi i È 1 i All i Sor. Vs Nasi VOLAMI Tau. © E-BURCI Su nodo di comportarsi delle Urterie. ele 13 3 9088 01316 4066 Tim»