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GUGLIELMO ROMITI PROFESSORE DI ANATOMIA IN PISA ua IL SIGNIFICATO MORFOLOGICO DEL PROCESSO MARGINALE NELL'OSSO ZIGOMATICO UMANO —_—_—+ DI Molto, ed assai estesamente, hanno dato opera gli Anatomici per studiar tutte le particolarità descrittive ed antropologiche presentate da quel singolare processo dell'osso zigomatico umano, noto nei Trattati di Anatomia con il nome di processo marginale, processus marginalis. Nelle scritture di ScHuLrz !), ScHWEGEL *), HòLDER 3), LuscHKa 4), WERFER °), STIEDA 5), TARUFFI "), sino alla più recente e buona Monografia di PA- NICHI 5), trovasi convenientemente ricercato questo processo nella sua forma, nei suoi rapporti, nelle ragioni dell’esistenza sua, nel suo valore 1) G. J. ScnuLrz. — Bemerkungen dber den Bau der normalen Menschen- schéidels. St. Petersburg. 1852. 2) A. ScaweGEL. — Knochenvariettiten. (Henle’s und Pfeuffer’s Zeitschrift fiir rationelle Medicin. 1859, pag. 283). 3) H. v. HòLDER. — Beitrige zur Ethnographie von Wiirtemberg. Stutt- gart, 1867, pag. 5. 4) H. v. LUscHKA. — Die Anatomie der Menschen. III. 1.° Die Anatomie des menschlichen Kopfes. Tibingen. 1867, pag. 271. Chiama il processo « Kam- martigen Vortsatze » . — Der Processus marginalis des menschlichen Jochbeins. (Archiv. fiur Anatomie, Physiologie und wissenschaftliche Medicin. 1869. p. 226). 5) M. WERFER. — Das Wangenbein des Menschen. Inaugural-abhandlung zur Erlangung der Doctorwiirde in der Medicin un4 Chirurgie. Tibingen, 1869. 6) L. Sriepa. — Zur Anatomie des Jochbeins des Menschen. (Archiv. fiir Anatomie, Physiologie und wissenschaftliche Medicin. 1870, pag. 112). *) C. TarurrI. — Delle anomalie dell'osso malare. (Mem. dell’Accademia di Bologna. S. IV, 1°, 1880, pag. 20 dell’ estratto). 5) R. PanicHI. — Ricerche di Craniologia sessuale. Tesi di Laurea. (Ar- chivio per la Antropologia e la Etnologia. Firenze 1892, pag. 49). Se. Nat., Vol. XVII 1 4 G. ROMITI come segno di razza; fino alla sua importanza come carattere sessuale. Manchevoli assolutamente sono le cognizioni relative al suo significato morfologico, allo studio cioè fatto comparativamente con quanto avviene negli animali inferiori all’uomo. E tutto quello che si sa sopra il pro- cesso in parola viene riportato nei recenti Trattati di Anatomia del- l’uomo (TestuT, PorRIER, DEBIERRE, QUAIN, BARDELEBEN, RAUBER, ROMITI). Essendomi occorso di osservare un cranio nel quale, oltre ad altre im- portanti varietà ossee, era spiccato ed aveva forma singolare il processo marginale, cercai del mio meglio completare su di esso le ricerche man- canti, e consegno in questa Memoria il risultato delle mie osservazioni. Come ognuno sa, chiamasi processo marginale, processus marginalis *), dell'osso zigomatico una sporgenza ossea che talvolta esiste nel margine posteriore dell’osso in parola, di contro la porzione più alta sua, cor- rispondendo al processo orbitario ?), o di contro lo incurvamento supe- riore dell’ S allungata alla quale può paragonarsi il margine stesso. Il processo marginale trovasi più comunemente sul limite tra il terzo su- periore ed il terzo medio dell’osso: non di rado però nella metà sua (LuscHKA). La forma e la figura del processo variano estesamente: esso può essere o una sporgenza smussa, oppure presentarsi più o meno aguzzo: più spesso appare a mo’ di cresta schiacciata, volta in dietro ed in alto. Dalla completa assenza del processo, fino alla esistenza d’un processo robusto, possono farsi vari tipi (PANIcHI), utili per possibili classificazioni di esso. Benchè SommERRING 3) accennasse certamente al processo marginale, allorquando, descrivendo l’osso zigomatico, nota come il margine posteriore fatto ad S romano, nella porzione superiore sua, “ alcuna volta è provveduto di un angolo saliente ,; pure è più giusto si riconosca nello ScHuLrz *) colui che descrisse per il primo il processo marginale, come “ un robusto processo nel margine temporale, 1) Questa denominazione viene da LuscHKA: essa è adottata dalla odierna Nomenclatura determinata dalla Società anatomica e fissata nel Congresso di Basilea (B. N. A). Processus Sommeringii (StIEDA), Spina zigomatica (Broca, PANICHI), apofisi marginale (TESTUT). 2) Apofisi piramidale (PANICHI). 3) S. T. SéommeRRINE. — Della fabbrica del corpo umano. Trad. ital. di P. Berti. Firenze, 1818, T. I, pag. 150. AMioeMeiti IL SIGNIFICATO MORFOLOGICO DEL PROCESSO MARGINALE ECC. 5 processo volto in alto ed in dietro ,. ScHuLTZ trovò il processo più spiccato a destra; e lo vide più spesso mancante nei crani di popoli meridionali, relativamente a quelli appartenenti a elementi mongoli della razza slava, ove è più frequente. Ma questa presunta relazione tra esi- stenza del processo marginale e razze, tale da potere costituirgli un valore antropologico; come pure un possibil rapporto tra la presenza del processo e l’ indice cefalico (HòLpER), fu assolutamente negato dalle ulteriori osservazioni di WEeRFER, LuscHKa, ScHwEGEL, StIeDA (V. in PANICHI); sicchè il processo marginale è a considerarsi come una sem- plice particolarità individuale dell’osso zigomatico (LuscHKA), congiunto ‘a maggior larghezza dalla sua porzione ascendente o processo orbitario. PANICHI, studiando il processo marginale dal punto di vista di un suo possibile valore quale carattere sessuale del cranio, dopo una serie di accurate e ben condotte ricerche, conchiude che il processo è più ro- busto nel maschio che nella femmina, e che in ambedue ha speciali caratteri: nel maschio si avvicina a taluno degli 8 tipi da esso PANICHI accennati, laddove nella femmina si limita ad altri. Se, per caso, un cranio femminile presenta un processo marginale assai robusto, si tratta di un cranio a caratteri maschili: inoltre nel maschio il numero di frequenza oscilla assai, mentre nella femmina l'oscillazione è minore. WERFER, nella sua molto diligente Dissertazione fatta sotto gli au- spici di LuscHka, esaminò per il primo il rapporto del processo mar- ginale con le parti molli vicine. Dissecando la regione temporale, notò come il foglietto profondo dei due nei quali si biforca in basso la fascia temporale, presenti talvolta dei fasci fibrosi distinti che volgono più comunemente verso il punto ove suol trovarsi il processo marginale (pag. 44): una volta trovò un fascio fibroso isolato che si inseriva al processo marginale esistente. Mai trovò dirette inserzioni muscolari sul margine dello zigomatico, e quindi nemmeno sul processo marginale: fu però di avviso che la trazione del muscolo avesse non diretta influenza sullo sviluppo del processo, esercitandosi sulla fascia temporale, che a questo si inserisce. Questa spiegazione è seguita da HENLE !). LuscHKA (p. 329) ritenne invece che il processo marginale potesse non essere altro che una parziale ossificazione della fascia temporale. Conclude giustamente nella sua Memoria “ doversi lasciare all’Anatomia Comparata il decidere se il processo marginale dell’osso zigomatico umano non rappresenti forse 1) J. HenLE. — Handbuch der systematischen Anatomie. I. Braunschweig. 6 G. ROMITI la ripetizione del tipo stazionario nell’osso zigomatico di un qualche ver- tebrato ,. E questo è appunto il compito che mi sono prefisso, potendo disporre, per la deferenza del mio Collega prof. RicHIARDI, del ricco e ben ordinato materiale del nostro Museo Zootomico. Il cranio che ha data occasione a questo lavoro; cranio che, come vedremo, è importantissimo per altre singolari particolarità, appartenne ad un maschio giovane, ucciso per proiettile d’arme da fuoco nella te- sta: l’ucciditrice con lo stesso modo si tolse la vita. Il cranio venne dal colpo comminutivamente fratturato; e ne rimase soltanto integra la metà anteriore, con il frontale e gli ossi della faccia. Nella unita tavola, un mio studente, il sig. Massar, ha fedelmente ritratte quelle parti dello scheletro della testa, nelle quali bramo fissare l’attenzione del lettore (filo: (102). Il cranio dopo essere stato riunito nei frammenti suoi, appare abba- stanza voluminoso e con i caratteri maschili straordinariamente mani- festi. Ha molto sviluppate le creste e le impronte muscolari e possiede un indice cefalico di 83,42: è perciò spiccatamente brachicefalo. È lie- vemente asimmetrico per plagiocefalia, essendo minore il diametro obli- quo che a destra parte dal frontale e volge verso la metà destra dell’oc- cipite. Giusta la classificazione di SERGI !) il cranio apparirebbe di forma Sphenoides rotundus. Nell’osso zigomatico di destra (V. fig. 1) il processo fronto-sfenoidale 2) è più largo del comune, ed offre nel suo margine posteriore un processo marginale di forma e di volume notevoli ed as- sai differenti dai tipi noti di siffatto processo; quali ad esempio sono delineati nella Tavola che accompagna la Memoria di PanIicaI. In ge- nerale il processo fa sporgere di più, con linea regolare ed: unita, il segmento superiore convesso del margine temporale dell’osso zigomatico. Qui invece vi ha una eminenza ossea ovale col massimo asse volto ver- ticalmente, e con una sorta di lieve strozzamento o di peduncolo alla base sua. Tutta la superficie del processo è finamente scabra, come sca- bro ne è il margine libero. La lunghezza verticale del processo mi- sura 8 !, mm. L'altezza sua, viene presa col metodo di PANICHI, 1) G. SerGI. — V. spec.: Le varietà umane — Principi e metodo di classi ficazione. (Atti della Società Romana di Antropologia, Roma. I, 1893. pag. 16). ?) Apofisi orbitaria: nella nostra descrizione si segnano le denominazioni B. N. A. î 1 ET ni IL SIGNIFICATO MORFOLOGICO DEL PROCESSO MARGINALE ECC. I determinando la distanza che decorre tra l’estremo più sporgente del processo e l’incontro con una linea tirata tra l'estremo posteriore della sutura fronto-zigomatica, ove vi termina la linea temporale del frontale, e l’angolo tra il processo fronto-sfenoidale e quello temporale dello zigo- matico. Determinata in questo modo, l'altezza del processo, misura 8mm. Come vedesi (cf. PANICHI) si tratta di un processo assai notevole per l'altezza, ed esistente in un cranio assai robusto, come è nella os- servazione di PanicHi. Anche sulla superficie malare !) dell’ osso le asprezze muscolari sono assai spiccate. Nell’osso zigomatico di sinistra (V. fig. 2) il processo fronto-sfenoidale è più stretto di quello del destro: il processo marginale ha la forma comune, ed è alto 5 mm.: il suo margine e la sua superficie malare sono lievemente scabri. Le altre molte varietà anatomiche che offre il nostro cranio in parte sono riprodotte nelle figure. Alcune di queste varietà hanno singolare importanza; ma vengono, per brevità, solamente accennate. Tanto a si- nistra come a destra (V. le figg.), trovansi una serie di ossetti intercalati tra il frontale ed i lacrimali, e tra il processo frontale della mascella e i nasali: altri ossetti son posti in serie lineare tra i nasali ed i processi frontali della mascella. Vi è traccia della sutura metopica, e la glabella e gli archi sopracigliari sono assai sviluppati. Notasi a sinistra un piccolo ossicino intercalato tra l'osso zigomatico e la mascella: le due ossa nasali sono parzialmente saldate in alto: spiccati assai sono i solchi palatini, contornati da spiccate creste ossee: ampia è la fessura orbitaria superiore. Ricorderò infine come esista una fossetta occipitale media di mediocre ampiezza; ed un osso suturale interparietale, stretto e lungo, decorrente tra il quarto anteriore della sutura sagittale, e poggiante con il suo estremo anteriore su quella coronale. Della dentatura mancano assolutamente i terzi molari. Di tutte queste varietà coesistenti con il processo marginale, meri- terebbe speciale nota quella costituita da tutti quegli ossetti intercalati tra l’osso frontale, i nasali, la mascella e i lacrimali; poichè mi sembra che potrebbero stare a rappresentare delle ossa prefrontali nell'uomo. Ma accenno solamente all'idea; chè questo dei prefrontali e postfrontali nell'uomo è argomento di grande importanza nella umana Osteologia, ed oggetto di ricerche, in parte tuttora incompiute, di STAUREN- 1) Cutanea. 8 G. ROMITI eHI !) e di Mace °). In ogni caso questi ossetti nel nostro caso sono sì bene spiccati e così numerosi da meritare considerazione, tanto più che mai ho osservato crani con simile ricchezza di ossetti intercalari in quella regione. Prima di dire dei risultati comparativi, noterò quanto, a conferma ed a complemento delle cose esposte nelle scritture di WERFER e di LuscHKA, ho verificato esaminando nel fresco la disposizione delle parti molli o sul processo marginale se esisteva; oppure intorno al tratto osseo ove suole corrispondervi: tanto più che serbavo ricordo di osser- vazioni fatte fare da MARTINI *) molti anni or sono sulla regione tem- porale, ma condotte ad altro fine. È prima di tutto da non dimenticare come sia un fatto generalmente ammesso, che nei crani di neonati mai trovisi accenno di processo mar- ginale: ciò risulta dalle osservazioni di WERFER (pag. 34). È soltanto dopo i primi anni che, secondo gli Autori, apparisce più sporgente e ru- goso il tratto ove suole trovarsi il processo in parola. WERFER ne trovò un accenno abbastanza spiccato nel cranio di un bambino di due anni, a destra: PanIcHI (pag. 81), ebbe ad imbattersi in un caso di processo marginale in un bambino di 13 ‘|, mesi: nelle sue ricerche ulteriori poi incontrò quasi sempre un accenno dell’ angolo ove corrisponde il processo marginale: quando questo esiste, lo sviluppo completo suo si ha relati- | vamente assai presto: cioè dai 15 ai 18 anni; trovandosi uguale la media che offrono gli indici di questo gruppo con quella generale fissata per gli adulti (pag. 88). Le mie ricerche autorizzano a modificare l'assoluta conclusione di WereER. Nella raccolta di crani di feti a termine del nostro Museo, ho trovato di già tre casi di processo marginale. Due esistevano in cerani di neonati morti, maschi; ed in ambedue i casi i processi erano a de- stra: essi avevano forma aguzza, a spina; notevoli erano in ambedue i crani la grossezza loro, lo avere più spiccati i processi ossei muscolari, es.: l'angolo della mandibola; ed essere l’osso zigomatico di destra, ove 4) C. SrauRENGHI. — Dell'inesistenza di ossa pre e post-frontali nel cranio umano e dei mammiferi. Milano, 1891. ?) L. MaGGI. — V. spec. Postfrontali neù mammiferi. (Rendiconto nell’ Isti- tuto Lombardo. Serie II, Vol. XXX. Milano, 1897). I 3) V. MARTINI. — Sul rapporto del pericranio con gli strati della regione temporale dell’uomo. (Rivista Clinica. Bologna, 1893, pag. 316). senti a VT IL SIGNIFICATO MORFOLOGICO DEL PROCESSO MARGINALE ECC. 9 era l’abnorme processo, notevolmente più voluminoso che quello di si- nistra: notisi che ambedue i crani sono dolicocefali. Il terzo caso trovasi in un cranio di feto a termine, di sesso femminile, brachicefalo; ed il processo marginale è pure a destra; e sono bastantemente accennate le altre sporgenze ossee muscolari; l’osso zigomatico di destra è più largo: il processo marginale ha l’estremo arrotondato. Il modo di comparire e di presentarsi del processo marginale dell’osso zigomatico, ed il potersi trovare esso anche nei feti, guidano e con- fortano per intenderne il significato, riconoscendolo uguale a quella di tutte le altre possibili sporgenze ossee. Il processo marginale è conse- guenza della nota legge del principio formativo (WIepERSHEIM). Esso, e meglio verrà confermato da quanto viene esposto in seguito, è un effetto indiretto di trazione muscolare: non è costante, perchè le condizioni neces- sarie alla sua evoluzione non sono costanti: se ne può trovare un accenno nel feto per due ragioni: primo, per possibile carattere ereditario: come processo osseo ereditario; secondo, perchè può verificarsi anche nel feto un esagerato sviluppo muscolare ed aponevrotico come può esistere nel- l’adulto. Che l’azione del muscolo temporale sia quella che determini la forma delle superfici ossee con le quali è a contatto, mostrò conveniente- mente Dara Rosa !); e questa fondamentale ragione mi servì altra volta °) per dare spiegazione di una abnormità dell’arco zigomatico. Circostanza singolare è appunto il trovarsi il processo marginale nei feti sempre a destra, come ScHuLtz ve lo aveva trovato nell’adulto. Non sarebbe forse lungi dal possibile il ritenere che la posizione o l’atteg- giamento della testa fetale nell’utero, possa condurre a differenti con- dizioni di accrescimento dello zigoma e del muscolo ed aponevrosi tem- porale di destra, relativamente a quelli di sinistra. Esaminando con attenzione il foglietto profondo della fascia tempo- rale, veggonsi i fasci fibrosi mai tenere un decorso speciale. La divi- sione nei due foglietti, superficiale e profondo, dalla fascia temporale, avviene all'incirca all'altezza della unione tra il terzo superiore ed i due terzi inferiori del margine posteriore del processo fronto-sfenoidale 1) L. DaLLA Rosa. -- Daus postembryonale Wachstum des menschlichen Schléi- fenmuskeln und die mit demselben Zusammenhangenden Vertinderung des knochernen Schédels. Stuttgart, 1886. 2) G. RomrtI. — Sopra la incompiutezza dell’ arco zigomatico in un cranio umano notevole per altre varietà. (Memorie della Società Toscana di Scienze na- turali. Pisa, XIV, 1895, pag. 352). 10 G. ROMITI dell'osso zigomatico. In questo punto trovasi, più o meno sviluppato, ma un accenno l’ ho trovato costante, un fascio di fibre aponevrotiche della fascia temporale, appartenente al foglietto profondo di essa, fascio di forma triangolare, molto obliquo in alto ed in dietro oppure orizzon- talmente, e che coll’apice suo si attacca a quel punto dell’osso zigoma- tico ora ricordato. Questo fascetto si attacca perciò esattamente sul punto ove suole apparire il processo marginale (WERFER). Talvolta, esi- stendo il processo, il fascio fibroso in parola è più robusto e nastriforme: a me non occorse mai imbattermi nella disposizione che una volta os- servò e descrisse WERFER (pag. 44): del trovarsi cioè con un processo marginale un fascio distinto ed isolato dalla fascia temporale. In una testa di vecchio, nella quale era robusto il processo marginale, vidi un fascio triangolare a larga base, e che si irradiava da tutto il terzo an- teriore della fascia temporale, traendo inserzione fin nella linea tempo- rale della superficie temporale dell’osso frontale, attaccandosi poscia con un apice largo a tutto il margine libero del processo marginale. Che perciò, nella regione dell’osso zigomatico ove può trovarsi il processo marginale, ed ancora sul processo stesso, quando esiste, torrisponda l’in- serzione d’un fascio distinto dalla aponevrosi temporale, è fatto costante e di capitale importanza. Ugualmente importante è lo studiare e determinare il rapporto o le connessioni del muscolo temporale con il margine corrispondente del- l'osso zigomatico. È più specialmente da considerare la porzione più su- perficiale del muscolo, quella che si attacca alla superficie profonda della fascia temporale, porzione per la quale giustamente il muscolo tempo- rale ha il carattere di muscolo bipennato; e per il valore morfologico di questa porzione rimando al lavoro di Fusari !. Le fibre muscolari si attaccano solamente nella parte più alta della superficie profonda della fascia temporale; ma non di rado questa inserzione è più estesa, fin- chè ancora in basso alcune fibre nascono dalla superficie profonda del- l’arco zigomatico; fibre che, talvolta in fasci assai sviluppati, formano un capo muscolare a sè. Nel comune dei casi la porzione inferiore della superficie profonda della fascia temporale è sprovvista di fibre musco- lari, o tutto al più ve ne sono alcune scarse e rudimentali, visibili so- lamente al microscopio (Fusari). Perciò può asserirsi che comunemente 1) R. FusaARI. — Contributo alla conoscenza morfologica del muscolo tempo- rale. (Monitore zoologico italiano. Firenze, VIII, 1897, pag. 213). IL SIGNIFICATO MORFOLOGICO DEL PROCESSO MARGINALE ECO. 11 sul tratto del margine dell’osso zigomatico ove suole corrispondere il processo marginale non si trovano inserzioni di fibre muscolari diretta- mente sull’osso; ma sibbene vi dispiegano la loro azione indirettamente, per mezzo di quel fascetto aponevrotico triangolare sopra ricordato. Ma la mancanza di inserzioni muscolari sul margine temporale del processo fronto-sfenoidale dell'osso zigomatico e sul processo marginale, quando esiste, non è assoluta, come volle stabilito WERFER; ma nelle mie ri- cerche ho veduto in qualche caso di processo marginale in individui a muscolatura bene sviluppata, che fasci di fibre muscolari si estendevano sopra tutta la superficie profonda del fascetto triangolare fibroso, fin sopra il margine osseo. Ma ben s'intende come per la ragione che ha lo sviluppo del processo marginale, questa circostanza non ha eccessivo valore. Che la trazione attiva sul margine dell’osso avvenga direttamente per fibre che si inseriscano in esso, oppure indirettamente per mezzo di espansione tendinea, l’effetto ultimo, la forza traente sull’osso, ugualmente si dispiega. Venendo ora a ricercare il valore morfologico del professo marginale, è a ricordare una circostanza di fatto che insegnano le indagini com- parative, e che conferma sempre più quel principio fondamentale di di- retta dipendenza della forma dell'osso zigomatico dalle azioni esterne di esso. Non solamente lo sviluppo dell’osso zigomatico; ma ancora la configurazione sua dipendono dalla forma e dalla configurazione della mandibola. Infatti, se grande è il volume e la estensione dei movimenti. della mandibola, assai sviluppato è l’osso zigomatico e viceversa: come quando, ad es., esso o manca oppure è corto incompleto l’arco zigoma- tico im quei mammiferi nei quali è poco sviluppata la mandibola. Nei vari mammiferi esaminati, appariscono varie gradazioni di pro- cesso marginale: dalle semplici asprezze, al processo ben sviluppato come trovasi abnormemente nell’uomo. Asprezze o scabrezze sul margine del- l’osso, come trovansi nell’uomo nei gradi minori di presenza del pro- cesso marginale, esistono in varie Scimmie: nell Orang-Utan, nel Ma- cacus nemestrinus: sporgenza maggiore o presenza di piccolo processo marginale, è manifesta nei vari Cedus, e nel Semmnopithecus nasicus. Sporgenze maggiori, o processi maginali come sono quelli più sviluppati abnormemente nell’uomo, con i quali perciò hanno perfetta analogia, trovansi tra le Proscimmie nel Tarsius spectrum (PaALL.) e nel Tarsius 12 G. ROMITI Fischerì (DEs.): ed ancor di più tra i volitanti nel Noctilu leporinus e nel Molossus ursinus (PET.), nei quali, specialmente nel primo, il pro- cesso marginale ha forma aguzza, è voluminoso, ed è diretto orizzon- talmente in dietro. Ancora in altri mammiferi, oltre i ricordati, trovansi come disposi- zione normale, dei processi marginali nell’ osso zigomatico. Assai spic- cato è il processo marginale negli Arctiodattili, nel Camelus bactròanus e nel Camelus dromedarius; nei quali il processo si mostra come una grossa sporgenza, scabra e ben spiccata. i Nel Bradypus cuculliger, tra gli Anisodentati, con arco zigomatico incompleto, vi è solo accenno al processo marginale. Nei Marsupîiali Di- tremi, nel Macropus giganteus, ho trovato esistente il processo margi- nale; come presenza di esso è nel Didelphys aurita e nel Phascolaretos cinereus. Processo marginale è ancora nell’osso zigomatico dei osè- canti: nel Pedetes caffer e nel Castor fiber; come nel Oricetomis gam- brianus può rappresentare il processo marginale quella eminenza roton- deggiante che è parte nel margine superiore dell’osso zigomatico. Nel- l’ Hydrochoreus capybara, il processo marginale, posto nel margine po- steriore dell’osso, è irregolarmente scabro e sporgente. Tra i Carnivori, nei quali la cavità orbitaria è fusa con la fossa temporale, vi è accenno al processo marginale, come nel Bradypus, in una sporgenza del mar- gine superiore dell’osso zigomatico. Così è, ad es., nel Meles ta2us, ed anche più nella Enlydris marina; e maggiormente spiccato, nel Procyon lotor. Questa stessa disposizione è molto accentuata nell’ Ursus arctos, ‘ove il processo aguzzo volge in alto ed in dietro; e la stessa sporgenza è manifesta nel Cercoleptes caudivolvolus, ove è piccola, sottile ed aguzza. È chiaro dunque come anche il processo marginale dell’ osso zigo- matico dell’uomo abbia perfetto riscontro od analogia con identici pro- cessi che normalmente si trovano nell’osso zigomatico dei vertebrati inferiori, Istituto ANATOMICO DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI PISA DOTT. GIUNIO SALVI 1.° DISSETTORE E LIBERO DOCENTE rara ARTERIA DORSALIS PEDIS RICERCHE MORFOLOGICHE s COMPARATIVE ee: Gli anatomici sono concordi nel riconoscere il gran numero di va- rietà per le quali la disposizione dei vasi arteriosi del piede può tro- varsi allontanata dal tipo descritto come normale. Già altra volta ebbi ad occuparmi di alcune anomalie della arteria dorsalis pedis e ne detti la spiegazione con disposizioni osservate in animali inferiori. Le numerose ricerche che ho fatte in seguito su questo soggetto mi hanno convinto che la descrizione classica non riproduce la dispo- sizione che deve considerarsi normale, come non risponde ai criteri morfologico-comparativi ai quali deve informarsi l'anatomia dell’ uomo. La statistica fatta su gran numero di casi mi ha mostrato che la disposizione descritta come normale non è quella che si riscontra con maggior frequenza. Le ricerche anatomo-comparative sono venute a completare ciò che da sola la statistica non avrebbe potuto fare e, con le omologie che mi hanno permesso di stabilire con le disposizioni inferiori, mi hanno mo- strato la primitiva, la vera disposizione delle arterie del dorso del piede dell’uomo, essere tutt’altra da quella che si descrive. Ed è in base a ciò che ho potuto ricostruirne il tipo normale. Infine, ho osservato qualche vaso trascurato per l’addietro o non de- scritto, il quale ha invece un alto valore morfologico, come quello che, ridotto nell'uomo adulto sta a rappresentare disposizioni normali e co- stanti negli animali inferiori e transitorie nell’ embrione della nostra specie, e che dimostra ancora più chiaramente la omologia. 14 3 G. SALVI Li La descrizione, divenuta poi classica delle arterie del dorso del piede, è dovuta a TIEDEMANN !), prima del quale questi vasi furono descritti in vario modo dagli antichi anatomici. Questo fatto ha valore perchè di- mostra come quei primi osservatori non avessero trovato un tipo co- stante. CoLomBo non descrisse sul dorso del piede alcun ramo arterioso più importante degli altri e che potesse esser considerato come la conti- nuazione della arteria tibialis antica. Egli infatti dice che questa: sub transverso tarsì vinculo una cum eorum tendinibus permeans, în pedis su- perior disseminatur sub muscolis praedictos digitos extrorsum flectentibus. In VERHEYEN °) trovasi invece accennata la arterìa dorsalis pedis, ma non una disposizione tipica delle sue diramazioni. Leggesi infatti che l'arteria tibiale anteriore, germinat insignem ramum cuius propagines per superiorem parten tarsi, metatarsi et quarumdam digitorum longe latéque diffunduntur. La stessa disposizione trovasi press’a poco riprodotta alla figura XXV di EustAcHIO, ed in WisLow 4) trovansi finalmente menzionate la termina- zione dell’arteria al 1.° spazio interosseo e le diramazioni che staccan- dosi dall’una parte e dall’ altra di essa, si anastomizzano con quelle della tibiale posteriore e della peronea e si spingono a vascolarizzare le parti molli del metatarso. La descrizione di TrepEMANN fu seguita da THEILE °), e non m’ è riu- scito trovare nella letteratura posteriore un anatomico che in seguito Sì sia discostato da esso. In tal modo parlano di queste arterie tutti i Trattatisti e tutti coloro che in un modo o nell’altro se ne sono occupati, ascrivendo alla categoria delle varietà tutti i casi che da tale tipo furono veduti allon- tanarsi. 1) TINDEMANN. — Tabulae arteriarum corporis humani. Carlsruhe 1822, 1824. 2) CoLompo. R. — De re anatomica. Venetiis MDLIV. 3) VerHRYEN F. — Anatomiae corporis humani. T. I, p. 871. Coloniae MDCCOXII. 4) WisLow. — Esposizione anatomica della struttura del corpo umano, Ed. Bertinelli. Venezia 1767. 5) Tmers F. G. — Traité de miologie et d’ oO, Trad. A.J.L.Jourdan, pag. 566. Paris 1843. 5 ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 15 Veggansi a tale proposito LautH !), Murray ?), BarcLAY 5), BLANDIN 4), Hopssox 5), Bizor 5), DusrurIL *), CruverLzIER 5), Hier *), SappEY 19), DesieRRE 11), Krause 1°), HenLe ‘), GeGENBAUR !), RauBER !5), Tr- stut 1), HrrrzManN 1), StieDA 1), Quan !9), WROBLEWSKY, PoOIRIER °°), Romiti >). Non mancò poi chi, come TOUSSAINT, diede opera a qualche statistica, ma qui conviene osservare che la statistica ha un valore molto rela- tivo, quando non sia fatta con un criterio appoggiato sopra l'anatomia i) LaurH E. A. — Anomalies dans la distribution des artères de V homme. Mem. de la Soc. d’hist. nat. de Strasburg. Paris T. I, L. 2. 2) MurRrAY A. — Descriptio arteriarum corporis humani tabulis redacta. Upsal 1783, 1798. 3) BarcLAay J. — A description of the arteries of the human body. Edimburgo 1818. 4) BLANDIN. — Nouveaux éléements d’ anatomie descriptive. Paris 1838. 5) Hopason J. — Traité des maladies des artères et des veines. Trad. par J. BrecHET. Paris 1819. 5) Bizor. — Recherches sur le coeur et le système artériel. Mem. de la Soc. medicale d’ observation. T. I, pag. 262. Paris 1836. 7) DusruBIL F. M. — Des anomalies arterielles. Paris 1847. 8) CRUVEILHIER. — Traité d’ Anatomie descriptive. T. III, p. I, Paris 1867. °) HrrrL G. — Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Wien 1889. 10) Sappey PH. — Traité d’ anatomie descriptive. Paris 1876. 14) DEBIERRE CH. — Traité élémentaire d’ anatomie de l’ homme. T. I. 12) KrAUSE. — Specielle und macroscopische Anatomie. Annover 1879. Bd. II. 13) HenLE J. — Anatomie. Lehrbuch der Geftisslehre des Menschen. Braun- schwei® 1876. 14) GEGENBAUR C. — Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Leipzig 1892. 15) RAUBER. — LeAhrbuch der Anatomie des Menschen. Leipzig 1892. Gefcisslehre. pag. 160. 16) Tesrur L. -— Traité d’ anatomie humaine. Paris 1889. 17) HeIrrZMANN C. — Die descriptive und topographische Anatomie des Men- schen. Wien 1884. — Anatomia umana descrittiva e topografica. Ediz. ital. Lap- poni. Bologna 1897. 18) StiepA L. — Ein Vergleich der Arterien des Vorderarmes des Unterschen- kels. Verhandlungen der Anatomischen Gesellschaft. Achten Versammlung in Strassburg. Jena 1891, pag. 108. 19) QuaIn ’s Elements of Anatomy.V. II, p. II. London 1892. Quan J. — Trattato completo di Anatomia umana. Trad. LacHi. Milano. 20) Porrier P. — Traité d’ anatomie humaine. Paris. 2) Romiti G. — Trattato di anatomia dell’ uomo. Vol. I. 16 G. SALVI comparata e l’embriologia. Esistono varietà arteriose date solo dall’ au- mento di calibro di un vaso collaterale e dalla diminuzione di uno prin- cipale, e queste fra tante altre cause di ordine meccanico possono be- nissimo dipendere dalle speciali attitudini dell’individuo, trattandosi spe- cialmente di vasi così superficiali, e nello stesso tempo così in rapporto con lo scheletro e con le articolazioni. In una nota precedente io ebbi già a richiamare.l’attenzione sopra alcune anomalie dell’arteria dorsale del piede, e ciò mi trasse a fare qualche considerazione con quello che avevo osservato in una scimmia del genere macacus sinicus. Ricerche ulteriori più estese sia nell'uomo che nei mammiferi infe- riori unite ai risultati ottenuti da altri osservatori, mi hanno messo di-. nanzi a tali fatti che mi hanno convinto che un altro ordine di descri- zione dovesse esser dato a queste arterie. Materiale e metodo di studio. Ho dissecato i piedi di 100 individui di età e sesso diversi e, per quanto è possibile in cadaveri che vengono alla sala anatomica, di di- verse attitudini. Per le scimmie non ho potuto avere che individui ap- partenenti ai generi Macacus sinicus, Macacus erythraeus, Rhesus nemestri- nus, Hapale penicillatus e molto ho dovuto valermi dei dati con differente indirizzo e per vario scopo raccolti da altri ricercatori. Per gli altri mam- miferi la scelta e la raccolta del materiale m’è stata più facile ed ab- bondante. Per le iniezioni mi sono servito quasi esclusivamente della massa di TricaMANN alla quale ho apportata però una leggiera modifi- cazione. Uno degli inconvenienti di questa massa è la difficoltà che si incontra a prepararla tanto dura che, una volta evaporato il liquido solvente (etere o solfuro di carbonio) la pasta rimanga tale che non possa più fuoriescire dai vasi alla minima lesione. Se la si inietta troppo densa è molto difficile farla penetrare nelle diramazioni più piccole; se troppo fluida, solidifica tardi e perdendo del suo volume lascia vuoti i vasi. Ho ovviato a questi inconvenienti mescolando alla pasta nello scio- glierla, una piccola quantità di acetato dî piombo. In tal modo la pasta anche se iniettata piuttosto liquida solidifica ben presto. Ho trovato poi utilissima in queste iniezioni la cannula a vite ideata dal prof. HocHSTETTER. | ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 17 Ho usato anche le iniezioni a sego e cera, ma queste non danno buoni e costanti resultati, quando si tratta di riempire vasi situati profon- damente ed in special modo fra le ossa. Infine debbo avvertire che ho ridotto tutte le differenti denomina- * zioni, che attraverso la letteratura anatomica hanno ricevuto i vasi che im- prendo a studiare, alla nomenclatura adottata dalla Società Anatomica. 18 G. SALVI RICERCHE... Ho divise le mie ricerche in 3 parti. La prima comprende / omo, la seconda primates e prosimiae, la terza gli altri mammiferi. Uomo. Secondo le mie osservazioni, e tenendo conto anche di quelle di altri Fic. 1 ricercatori, le disposizioni che può I i assumere la arteria dorsalis pedìs nell'uomo, si possono ridurre a tre VI A tipi. Viene anzitutto quella così detta normale, nella quale il tronco primo 4 è l'arteria dorsalis pedis e suoi rami pra collaterali sono: la. tarsea lateralis, le aa. tarseae mediales e Va. arcuata con la rete dorsale pedis interposta ad esse, le aa. metatarseae dorsales e le aa. digitales dorsales originan? tisi dalla a. arcuata (fig. 1). Riproduco + questa disposizione alla fig. 1 nel modo, dirò così, più classico che io abbia osservato, e quale trovasi ripor- tata nei trattati. Questa disposizione in 200 piedi non l’ho trovata che 19 volte, e tale fatto non deve stu- pire, giacchè da quanto verrò espo- nendo si vedrà come basti la minima variazione di essa per cadere in quella che ora vado a descrivere. Il secondo tipo è caratterizzato dalla mancanza della a. arcuata. In questa disposizione si ha la. tarsea Avterie del dorso del piede destro di uomo. lateralis molto sviluppata, Spesso di A, A. tibialis antica; B-C, A. dorsalis pedis calibro maggiore della a. dorsalis pedis, della descrizione classica; D, A. tarsea il più delle volte di calibro uguale, lateralis; 7, AA. metatarscae dorsales; } } sg E, Rami anastomotici sagittali fra a. ed è da essa che si vedono originare VRNSORTIAACEALSIe TRL RT CURIE: le aa. metatarseae dorsales spesso di tutti talvolta dei soli (fig. 2) 2 ultimi spazi interossei, mentre quella del ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 19 2.° il più comunemente nasce dal tronco dell’a. dorsalis pedis. La dispo- sizione stessa trovasi riprodotta alla fig. 2, e se si confronta questa x con la fig. 1, si vede subito che essa è dovuta alla esagerazione di calibro assunta dai rami della così detta rete dorsale tarsi, i quali evidentemente rappresentano la porzione più prossi- male delle aa. metatarseae dorsales atrofizzate, mentre hanno assunto mag- giore sviluppo quelle anastomosi che esistono od esistevano fra esse in cor-: rispondenza della base dei metatarsi, e l'insieme delle quali costituisce l’a. arcuata. La statistica conferma questa ipo- tesi e dà il primo posto a questa se- conda disposizione; infatti su 200 casi l’ho osservata, con leggiere varianti, 137 volte. Il 3.° tipo apparisce subito, ove si dia uno sguardo alla fig. 3 che lo rap- presenta, come una condizione per così dire esagerata dello stato di. cose de- scritte. La «a. tarsea lateralis prevale sopra la a. dorsalis pedis, onde questa è ridotta ad un ramo collaterale di quella ed apparisce come una (fig. 3) comune a. metatarsea dorsalis simile alle altre 3 che insieme ad essa originano dalla a. tarsea lateralis. Sopra 200 piedi ho trovata questa disposizione, più 0 meno variata, 35 volte. Le considerazioni alle quali portano questi fatti sono molto semplici. La statistica dimostra evidente- Fia. 2. al nai J N02 Arterie del dorso del piede destro di uomo. A, A.tibialis antica; -B, A. dorsalis pedis comunis; €, A tarsea medialis; D, A. tarsea lateralis; 7, AA. metatarseae dorsales risultanti dalla continuazione stabilitasi fra è vasi E, F della fig. 1. mente essere il 2.° tipo il più costante: bisogna quindi vedere se appog- giandosi ad essa, e stando sempre alla pura osservazione dei fatti possa venire questo tipo interpetrato come il normale; e se e come gli altri possono riportarsi ad esso e venire spiegati come varietà. Sc. Nat., Vol. X VII 20 G. SALVI Stando alla disposizione tipica riprodotta dalla fig. 2, noi vediamo l'a. tibialis antica continuare in una a. dorsalis pedis, la quale ben Fic. 3. Arterie del dorso del piede destro di uomo. A, A. tibialis antica; -B, dorsalis pedis comunis; D, A. tarsea lateralis forte- mente sviluppata; F, AA. metatarseae dorsalis; C, A. tarsea medialis afrofica e ridotta al volume di una a. metatarsea dorsalis. presto si divide in due rami pres- sochè uguali di volume e dei quali uno va al 1.° spazio a rinforzare il circolo plantare, o rinforzato da esso, e fornisce la 1.8 e talvolta la 2.* a. metatarsea dorsalis. L'altro volge in- vece lateralmente costituendo l'a. tarsea lateralis degli autori, ed è quello che provvede di sangue la maggior parte della superficie dor- sale del piede. Esso infatti oltre le aa. metatarseae dorsales degli ultimi due spazi e talvolta anche del 2.° dà rami al m. extensor digitorum brevis ed alle parti molli del seno del tarso e del dorso e del margine laterale del piede. Se si tiene conto quindi delle parti che i due rami devono provvedere, è certo che l’importanza maggiore spetta al laterale, e ciò spiega il suo volume, mentre il calibro uguale e talvolta anche maggiore del ramo me- diale deve essere certamente derivato dalla larga inosculazione con la a. plantaris lateralis mediante il ramus plantaris profundus. A queste consiì- derazioni desunte dal puro esame dei fatti vedremo come in seguito se ne aggiungeranno altre di maggiore im- portanza ispirate dalla anatomia com- parata. Importante è poi che in molti trattati, come per esempio in HENLE 4), 1) HenLE. — Anatomie. Gefcisslehre. p. 318, fig. 101. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 21 Quan !), Krause ?), DEBIERRE *), RAUBER 4), HEITZMANN °), l'arteria dorsalis pedis trovasi fisurata secondo il tipo da me descritto, mentre la descri- zione è fatta poi secondo quella classica. Questo evidentemente devesi spiegare col fatto che la figura riproduce un preparato. Un altro esempio si trova nel recentissimo Atlante di ToLpt %), dove l'a. tarsea lateralis è fisurata dello stesso calibro dell’a. dorsalis pedis. In altri trattati poi, come per esempio in PorrieR ‘), le figure sono anche più istruttive. La arteria è rappresentata secondo la descrizione classica, ma è tale la di- sposizione dei vasi della così detta rete dorsale tarsi che le considerazioni da me fatte appaiono subito evidenti. La rete dorsale tarsi è costituita da rami prevalentemente a decorso sagittale i quali in generale sono 3: i due più laterali si distaccano dall'arteria tarsea lateralis, il mediale dalla dorsalis pedis, e vanno tutti a raggiungere la. arcuata in corrispondenza della origine delle metatarseae dorsales (fig. 1 de), essendo riuniti da anastomosi trasversali. Essi rappresentano la porzione prossimale delle aa. metatarseae dor- sales e, se si conservano bene sviluppati, allora queste appariscono, come veramente sono, originate dalla a. tarsea lateralis; se si atrofizzano e si sviluppano invece per il compenso i rami anastomotici trasversali, allora si forma l'a. arcuata. Il seguito di questo lavoro dimostrerà come oltre la frequenza stati- stica, altre e più potenti ragioni stiano a dimostrare ‘che la prima di- sposizione deve essere considerata come normale. Per il tipo 3 la spiegazione è ancora più facile. Esso dimostra l’importanza della «. tarsea lateralis. L’anastomosi della dorsalis pedis (a. tarsea medialis) con la a. plantaris lateralis è ridotta, e quella ha preso il suo vero carattere: di una, la 1.8, delle aa. metatarseae dorsales. 1) Quan’s Elements of Anatomy. V. IL, p. II, pag. 501. London 1892. 2) Krause. — Speczelle und macroscopische anatomie. Annover 1879, Bd. II, pag. 659, fig. 403. 3) DeBIieRRE Ch. — Traité élmentaire d’ Anatomie de V homme. T. I, pag. 639, fig. 266. 4) RAUBER. — Loc. cît., pag. 160, fig. 124. 5) HEITZMANN C. — Loc. cit., pag. 234. Ediz. ital. 750, pag. 537. 6) ToLpr C. — Anatomischer Atlas, p. 633. Wien und Leipzig, 1898. 7) Porrier P. — Traité d’ Anatomie humaine. Paris T. II. Angetologie, pag. 844, fig. 455. 99. ‘G. SALVI Vi possono essere poi dei casi, ed io ne ho trovato alcuno, nei quali l’a. dorsalis pedis proviene dal ramus perforans della a. peronea, o da una sorta di anastomosi per convergenza fra questa e la tibialis antica. Questi casi si spiegano facilmente. È normale una ampia (fig. 5) anastomosi fra il ramus perforans e l’a. tarsea lateralis: ‘questa anastomosi può prendere un forte sviluppo e costituire essa il tronco della a. dorsalis pedis, la quale trovasi in tal caso spostata lateralmente. L°a.tibialis antica termina il più delle volte con un esile ramoscello, che si inoscula in quella rappresentando la vera . a. dorsalis pedis atrofica. Ho trovato questa varietà solo sei volte, e mi sembra che dimostri ancora di più l'importanza della a. tarsea lateralis. ‘ E qui passo a descrivere una disposizione vasale costante, che io credo di avere osservata per il primo, e che il seguito di questo lavoro dimostrerà quale importanza abbia. Gli antichi anatomici, TIEDEMANN ‘), HALLER ?), LuscHKA 5) accennarono vagamente ad una piccola arteria la quale, nascendo dalla arteria trasversa del dorso del tarso (a. tarsea lateralis) o da un’altra del dorso del piede, si insinuava nel seno del tarso e sboccava nella pianta anastomizzandosi con la a. plantaris medialis. Sebbene non ne abbiano data alcuna descrizione, sembra però che essi ritenessero questa arteria sboccare alla pianta del piede perpendicolarmente, passando fra lo scafoide ed il cuboide per raggiungere appunto l’a. plantaris lateralis. Hyrmt ‘) dichiara quest’ arteria costante, e descrive come anomalia un caso nel quale essa, sviluppatissima, rappresentava un’ampia anastomosi fra il circolo dorsale e quello plantare del piede. LeBoucq °) studiando la morfologia del tarso ha trovato un vaso vo- 1) TIEDEMANN. — Loc. cit. pag. 36, Tav. IX... ?) HALLER. — Icon. anat. 1853. 3) LuscHKAa H. — Die Anatomie der Glieder des Menschen. III, I, pag. 456. Tiibingen 1865. 4) HvyrtL. I. — Normale und Abnorme Verhiiltnisse der Schlagadern des Un: terschenkels. Denksch. d. Kais. Akad. Bd. 23. Wien 1864. : 5) LeBouco. — Sur la morphologie du carpe et du tarse. Anat. Anz. 1866, pag. 18. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 23 luminoso, il quale scorre nello spazio che rimane, allorchè il sustentaculum tali non è ancora sviluppato, fra l’astragalo ed il calcagno, ed il quale, allorchè il sustentaculum stesso si sviluppa e lo spazio si restringe, di- minuisce di volume. LEBOUCQ opina che questo grosso vaso rappresenti nell’embrione quello descritto da TreDEMANN e da HyRrL nell’adulto, e che l’anomalia riscontrata da HyRrL non sia che la permanenza della condizione embrionale. I trattati successivi non parlano di quest’arteria anastomotica, tra- scurandola completamente. LeBOUCQ osservò questo vaso in sezioni istologiche del piede di un embrione umano di 18 mm. ed io non posso che confermare ciò che egli ammise. Allorchè il sustentaculum tali non è ancora sviluppato si trova appunto al suo posto un vaso molto voluminoso, il quale in sezioni oriz- zontali del piede apparisce tagliato trasversalmente. ‘ Stando alle descrizioni già date ed alla osservazione di LEBOUCQ, questo vaso, sviluppandosi il sustentaculum tali, dovrebbe essere come spostato in avanti per situarsi nel canale che si viene a formare fra i quattro ossi: calcagno ed astragalo in dietro, scafoîde e cuboide in avanti, onde sboccare nella pianta del piede per anastomizzarsi con la. plantaris medialis. Ma in realtà ciò non avviene, e LeBouco non l’ha potuto notare, perchè ha osservata la cosa solo incidentalmente. Ho iniettato piedi appartenenti ad individui di varia età, a feti a termine, e ad embrioni, e per i più piccoli di questi sono ricorso allo studio di sezioni in serie, ed ecco quanto ho constatato. Dal tronco dell’arteria tibialis postica, molto prima della sua divi- sione nelle due aa. plantares, nasce un ramo cospicuo il quale volge subito verso la tuberosità dell’astragalo che limita medialmente il solco del flessore proprio dell’alluce. Circonda questa tuberosità passando sotto il tendine del m. flexor digitorum longus e quindi sotto quello del wm. tibialis posterior e costeggia la articolazione fra l’astragalo ed il calcagno, passando al di sotto del malleolus medialis (fig. 5). Giunta qui l’arteria si divide in 2 rami. Uno seguita trasversalmente in avanti, penetra nell’articolazione tibio-astragalica, scorrendo lungo la superficie mediale dell’astragalo e si distribuisce all’articolazione stessa: è un vero ramus articularis. L'altro si approfonda subito sotto il liga- mento mediale della articolazione tibio-astragalica fino all’orifizio del 24: G. SALVI canale che rimane fra le superfici articolari corrispondenti, prossimali e distali, dell’astragalo e del calcagno, penetra in questo canale e lo Fia. 4. | 2241}, Arteria tibialis postica e arteriae plantares dell'arto destro di uomo. I, A. tibialis postica; M, A. plantaris medialis; L, A. plantaris lateralis; 47, A. anastomotica tarsi (tronco plantare). percorre seguendone la direzione dall’ indietro all’avanti e dall’ interno allo esterno, fino a che viene a sboccare nel seno del tarso. Qui l’ar- teria si divide in vari rami. È un vaso cospicuo e che ho trovato perfettamente costante nei vari individui e nelle varie età. Nel piccolo è proporzionalmente più grosso. Le sue terminazioni si anastomizzano ampiamente con un’altra arteria che proviene dal circolo dorsale del piede. Questa arteria nasce come un tronco di volume ragguardevole il più spesso dalla arteria tarsea lateralis, potendo però presentare alcune va- rietà che ho osservate e che descriverò in seguito. Contorna la testa (fig. 6) dell’astragalo e penetra nel seno del tarso fino all'imbocco del canale sopra rammentato. Qui si anastomizza am- piamente con quella proveniente dalla tibiale posteriore e la anastomosi spessissimo non si fa solamente per le terminazioni, ma per un grosso ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 25 tronco che si continua direttamente con l’altro. Ho trovata questa di- sposizione più marcata e più frequente nel piccolo. Fic. 5. Arterie del dorso del piede destro di uomo. A, A. tibialis antica; B, A. dorsalis pedis comunis; €, A. tarsea medialis; D, A. tarsea lateralis; H, A. anastomotica tarsi (tronco dorsale). Seguendo questo vaso nelle sezioni in serie del piede di un embrione Fic. 7. Preparato fatto disarticolando dall’a- stragalo le altre ossa del tarso. Faccia plantare dell’astragalo destro di uomo. Piede destro di bambino di 1 anno. e. A. tarsea medialis; D, A. tarsea lateralis; 7, I, A. tibialis postica; 7, A. anasto- A. tibialis postica; H, A. anastomotica tarsi. motica tarsi. umano di mm. 22, ecco quanto ho osservato. 26 G. SALVI Il sustentaculum talì è poco sviluppato ed esiste quindi un largo canale attraverso il tarso. In questo canale è un grosso vaso il quale, seguìto nelle sezioni, apparisce evidentemente come una arcata arteriosa anastomotica fra il circolo della tibialis antica e quello della #ibialis postica. In embrioni più avanzati, sviluppatosi completamente il sustentaculum tali, il vaso trovasi rimpiccolito e spostato alquanto lateralmente, ma questo spostamento è solo apparente, giacchè il sustentaculum saldan- dosi al corpo del calcagno produce lateralmente quella doccia, che con- tribuisce a formare il canale del tarso, onde l’arteria rimane pressa poco al suo posto. In tal modo, esiste normalmente e costantemente un vero cerchio arterioso fra la tibialis anterior e la tibialis posterior attraverso l’arti- colazione della prima fila delle ossa del tarso (fig. 7 e 8). Dò a questa arteria il nome di arteria anastomotica tarsi. La disposizione che ho descritta va soggetta ad alcune leggiere variazioni : L’a. anastomotica tarsi il più spesso nasce dalla a.tarsea lateralis, ed è così grossa che ne apparisce come un ramo di biforcazione. Tal- volta apparisce invece come la terminazione di quest’arteria. L’ho vista nascere separatamente dal tronco della a. dorsalîs pedis comunis ed una volta anche dalla a. malleolaris lateralis. Riassumendo. In base alla statistica ed alle considerazioni che emer- gono dall’osservazione e dall'esame critico delle disposizioni da me ri- scontrate su 200 casì e dai ricercatori che mi hanno preceduto, io credo che il tipo da ritenersi normale nei vasi del dorso del piede umano sia il seguente: L’arteria tibialis antica termina nella a. dorsalis pedis comunis, la quale a vario livello (talvolta subito) si divide in arteria tarsea lateralis ed arteria tarsea medialis. L’arteria tarsea medialis è la dorsalis pedis degli autori, e continua verso il 1.° spazio interosseo fornendo le aa. metatarseae dorsales del 1.° e del 2.° spazio, i rami tarseì laterales e il ramus profundus. Essa è omologa ad una comune metatarsea, ed il suo calibro maggiore è dovuto all’ampia anastomosi col circolo plantare attraverso il 1.° spazio inte- rosseo. Il seguito di questo lavoro dimostrerà come il ramus profmdus to ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 27 sia uno dei rami perforantes prossimales, che esistono fra le aa. meta- tarseae dorsales e le plantares, sviluppatosi in seguito alla atrofia forse dell’a. anastomotica tarsi, che in altre condizioni stabiliva la comunicazione fra circolo plantare e circolo dorsale. L’arteria tarsea lateralis volge lateralmente, e vascolarizza tutte le parti molli del tarso. Dà le metatarseae dorsales III e IV e l'arteria anastomotica tarsi. Varietà dell’ arteria dorsalis pedis. In 200 casi da me osservati ho trovato molte disposizioni dei vasi del piede, le quali, per quanto possano essere raggruppate sotto i 3 tipi presi in considerazione, pure meritano di essere descritte. Alcune di esse furono già osservate dai ricercatori che mi hanno pre- ceduto, ma descritte e spiegate con altro indirizzo, altre non trovo ram- mentate nella letteratura. Ciò nonostante mi limito solo a quelle che possono avere interesse per il presente lavoro e delle quali dovrò servirmi in seguito. 1. L’arteria tibialis antica si divide in a. tarsea lateralis ed a. tarsea medialis in corrispondenza del ligamento trasverso del tarso. Qui l’arteria arcuata non è rappresentata che da quel piccolo ramo trasversale che, in corrispondenza dei cuneiformi, rappresenta l'origine della arteria me- tatarsea dorsalis II originantesi dalla I o dal tronco della tarsea me- dialis; e da quello che rappresenta l’origine della metatarsea III dalla IV (fig. 8). Ho trovata questa disposizione molto frequente, e in 3 casi la divi- sione avveniva al di sopra del ligamento trasverso. È caratterizzata quindi dalla mancanza di a. dorsalis pedis comunis. 2. La divisione avviene tanto in basso che l’u. tarsea lateralis decorre addirittura trasversale sul dorso del piede. È certo una dispo- sizione simile che, osservata dagli autori, valse a questa arteria il nome di a. trasversa del tarso. Si comprende che quanto più la divisione av- viene in basso tanto più la a. tarsea lateralis tende a divenire trasver- sale. Ciò può esagerarsi al punto da non apparire più come una divisione dicotomica, ma come se la a. tarsea medialis nascesse dalla convessità della lateralis. 3. Quella rete arteriosa sottile che riunisce fra loro, in corrispon- denza della base dei metatarsi, le arterie metatarsee, può differenziarsi 28 G. SALVI sotto forma di un tronco anastomotico più grosso fra le metatarseae dorsales II, ITI onde si comincia ad avere un passaggio alla disposi- zione descritta come normale. Fic. 8. 4. Le tre prime aa. metatarseae dorsales vengono dalla @. tarsea me- dialis e solo l’ultima dalla lateratis. Oppure avviene l'inverso. Un grado più avanzato della prima disposizione porta evidentemente al tipo classico. 5. L’arteria tarsea medialis appa- risce come la continuazione dell’arteria tibialis antica e da essa si dipartono successivamente tre rami che vanno agli spazi interossei, (aa. metatarseae dor- sales II, III, IV). Il più prossimale di questi rami, quello che va. al 4.° spazio, rappresenta l’a. tarsea lateralis ed è infatti da essa che si dipartono i rami che vanno al m. extensor brevis, al margine laterale del piede, al seno del tarso, e l’a. anastomotica tarsi. Questa disposizione è molto rara ed io non l'ho trovata che una volta. Altre varietà sono relative poi oltre che ai rami secondari, ai tronchi delle aa. tarseae medialis e lateralis ed inte- ressano più specialmente il volume e la direzione di esse. Arterie del dorso del piede destro di uomo. Sono frequenti ed accoppiate spesso A, A. tibialis antica; 0, A. tarsea medialis; alle altre Sopra descritte. D, A. tarsea lateralis. 1. L’a. tarsea medialis può essere solo spostata lateralmente in modo da apparire, a seconda del suo calibro, più o meno come un ramo della a. tarsea lateralis. In tal caso nulla è cambiato nella distribuzione, e si ha solo un cambiamento di rapporti nei tronchi principali. 2. Una esagerazione di ciò si ha nell’altro caso, nel quale l'a. tarsea medialis è tanto piccola da eguagliare in volume le altre tre metatarseae ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 29 dorsales, ed allora si hanno 4 rami uguali nascenti dalla convessità del- l’a.tarsea lateralis. Questa varietà costituisce il 3.° tipo. In essa abbiamo quattro rami arteriosi uguali, che percorrono sagittalmente il tarso e che possono nascere più o meno aggruppati. In un caso i tre ultimi nasce- vano da un peduncolo comune. 3. Può invece, pur mantenendosi la disposizione descritta, conservare l'a. tarsea medialis il suo volume normale ed essere più piccola invece la lateralis. In tal caso l’a. dorsalis pedis appa- risce solamente spostata come se fa- cesse una curva all’esterno, ma siccome dall’ apice della curva emergono le arterie che vanno al margine laterale del piede, il tratto che è al di sopra rappresenta evidentemente l’«. tarsea lateralis. Avvalora questa ipotesi il fatto che da esso nasce la. anasto- motica tarsi, e l’altro che può mancare la metatarsea I, e le digitales corri- spondenti esser date dal circolo plan- tare. x 4. L’a. dorsalis pedis volge late- ralmente verso il seno del tarso e quindi, piegando in avanti, dà origine dopo vario percorso ed in vario modo alle arterie metatarsae dorsales. Il più delle volte manca l'a. metatarsea I e le aa. digitales corrispondenti vengono dal circolo plantare (fig. 9). Il ramo obliquo rappresenta anche qui la. tarsea lateralis, perchè dalla curva sì distaccano i rami che vanno al margine laterale del piede, e qui l’arteria riceve l’anastomosi del ramus Fia. 9. Arterie del dorso del piede destro di uomo. A, A. tibialis antica; B, A. dorsalis pedis comunis; D, A. tarsea lateralis; H, A. anastomotica tarsi. perforans della peronea, e della malleolaris lateralis. Di più da esso origina l'arteria anastomotica tarsi. Il tronco può conservarsi unico fino al metatarso, spiccando nel suo 30 G. SALVI tragitto solo un’ esilissima metatarsea prima rappresentante dell’a. tar- sea medialis. 5. L’arteria tibialis antica si divide in tre rami: uno mediale e due laterali. Di questi ultimi uno va al margine laterale del piede, e l’altro dà le ultime due o tre aa. metatarseae dorsales. Il ramo mediale non è che la. tarsea medialis. (fig. 12). Questo fatto rappresenta la prema- tura divisione dell'a. tarsea lateralis.. Infatti il 1.° ramo è più specialmente destinato alle parti molli del tarso e continua direttamente nella a. anasto- motica tarsi. Fic. 10. Richiamo l’attenzione sopra questa disposizione, perchè l'ho trovata piut- tosto frequente . (circa 12 volte con qualche leggiera variante) e perchè ha gran valore come apparirà dal seguito di questo lavoro e da un altro che terrà dietro a questo. Infine altre varietà si riferiscono più specialmente all’ origine dell’a. dor- salis pedis. Ho già accennato all'origine dall’a. peronea. Gli altri casi che ho osservato sono ‘ i seguenti: ‘ 1. L’a. tibialis antica e Va. pe- ronea (ramus perforans) sì riuniscono ad angolo subito al di sotto dei malleoli e dalla riunione si ha una nuova divi- sione in aa. tarseae lateralis e media- Arterie del dorso del piede destro di uomo. A, A. tibialis antica; B, A. dorsalis pedis comunis; €, A. tarsea medialis; D, A. tarsea lateralis; H, A. anastomotica lis. Questa disposizione riproduce una tarsi. x specie di lettera X: non è prodotta che dall’abnorme grossezza del ramo anastomotico della peronea. 2. L’a. tibialis antica seguita in basso costeggiando il tendine del m. tibialis anterior e, giunta allo scafoide, si anastomizza ad arcata con ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 31 la peronea perforans e dall’arcata nascono le quattro metatarseae; la I medialmente, le altre 3 raggruppate insieme lateralmente. In realtà il ramo trasverso dell’arcata rappresenta anche qui l’ a. tarsea lateralis. Lo dimostrano le diramazioni che da esso si dipartono e l’anastomosi stessa, qui abnormemente sviluppata, col ramus perforans della arteria peronea. Di molte altre varietà da me osservate non faccio parola, perchè già conosciute o perchè poco dissimili da quelle che ho già descritte. Passo invece alle osservazioni anatomo-comparative dalle quali rice- veranno luce e conferma i fatti, che ho reso noti in questa prima parte. Primates. La scarsezza del materiale e la difficoltà di procurarmelo, hanno ridotto in molti punti queste mie ricerche sui primates e sulle prosì- miae al puro controllo, però la quantità delle osservazioni e l’ autorità degli osservatori che mi hanno preceduto, mi hanno dato largo mate- riale ad un esame critico e di questo ho approfittato. In altri punti ho avuta la fortuna di portare anch’io il mio con- tributo. In seguito alle ricerche di Barkow !, TariLE ?), FicALBI ), Po- POWSKY 4), Royeoky °), EIssLER %), ZUCKERKANDL °), SPERINO *), ecc. noi 1) BarKkow I. C. — Disquisitiones circa originem et decursum arteriarum mammalium. Lipsiae 1829, Caput. IX. Descriptio arteriarum plurimarum Cer- copitheci Sabaei. 2) Tage W.-- Veber das Arteriensystem v. Simia Innus. Miller ’s. Arch. 1852. 3) FicaLBI E. — Contribuzioni alla conoscenza della Angeologia delle Scimmie. Atti della R. Accad. dei Fisiocritici. Serie IV, Vol. I. Siena 1889. 4) Popowsky I. — Phylogenesis des Arteriensystems der unteren Extremi- titen bei den Primaten. Anat. Anz. VIII, 1893, pag. 657. Popowsky I. — Das Arteriensystems der unteren Extremitiiten bei den Primaten. Anat. Anz. X, 1894, pag. 55. 5) RoJECKY. — Sur la circolation arterielle chez le Macacus cymolgus et le M. synicus. Journal de l’Anatomie etc. 1889, 41. 5) Eisser P. — Das Gefass. u. periphere Nerwensystem des Gorilla. Halle 2/, 1890. 7) ZUCKERKANDL. — Zur Anatomie und Entwicklungsgeschichte der Arterien des Varderarmes. Meckel’s und Bonnet's Anat. Heften 1894. 8) SperINO C. — L’ Anatomia del Chimpanse. 32 G. SALVI possiamo dire che il tipo della. circolazione dorsale dell’estremità del- l’arto pelvico nei primates possa riassumersi generalmente in tal modo: I vasi arteriosi del dorso del piede sono forniti dalla arteria saphena per mezzo del suo ramo anteriore. Questo ramo, contornando il margine mediale della gamba si fa ven- Fis. 11. (ILA Piede destro di scimmia. A, Ramo anteriore dell’ arteria saphena; €, A. dorsalis pedis superficialis; D, A. dorsalis pedis profunda; H, A. ana- stomotica tarsi. trale ed a vario livello si divide in due rami, uno mediale ed uno laterale. Il mediale provvede il primo dito ed il lato mediale del secondo formando la prima. a. metatarsea dorsalis e le aa. digitales cor- rispondenti. Il laterale dà rami al tarso, al muscolo pedidio, al margine laterale del piede, e ter- mina con le tre ultime arterie metatarseae dorsales e le aa. digitales corrispondenti. Il primo di questi vasi passa al disopra del tendine del muscolo tibiale anteriore e . al di sopra del ligamento trasverso del tarso e ha ricevuto il nome di «. dorsalis pedis superficialis; l’altro passa al disotto ed è detto a. dorsalis pedis profunda. Tale disposizione è soggetta a varianti nei diversi generi di primati, ma queste interes- sano solo l’origine e la terminazione dei due rami, i quali si osservano costantemente. Tro- vasi riprodotta alla fig. 11. Fatta astrazione dalla origine di questi vasi dalla a. saphena invece che dalla a. ti- bialis antica, l’omologia con la disposizione umana da me descritta come normale appa- risce subito evidente e perfetta. Tenendo conto del decorso e del modo di distribuzione del tutto simile salvo la divisione più in alto, la. dorsalis pedis superficialis della scimmia non è che l'a. tarsea medialis dell’uomo, mentre la. dox- salis pedis profunda corrisponde all’arteria tarsea lateralis. Se si vengono poi a studiare queste disposizioni vasali nei singoli generi di primati, le prove di questa omologia si moltiplicano. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 33 Stando sempre alle ricerche di PoPowsky !), noi vediamo p. es. in Ateles ater la divisione della safena nelle due aa. dorsales pedis farsi molto in alto, mentre in Orang satyrus si fa addirittura, sul dorso del piede. Finalmente in Hapale yaccus noi troviamo una disposizione, la quale rammenta molto quella umana della descrizione classica, pur conservan- dosi in essa intatto il tipo scimmiesco primitivo. In questo animale l’a. tarsea medialis (a. dorsalis pedis superficialis), prima di divenire a. metatarsea prùma, spicca un ramo il quale volge lateralmente incro- Fia. 12. ciando le terminazioni dell’a. farsea lateralis, anastomizzandosi con esse e contribuendo alla formazione delle aa. metatarseae ed alla circolazione delle dita. Le mie osservazioni sono state fatte in individui appartenenti ai generi: Macacus sinicus, Macacus erythracus, Rhesus neme- strinus ed Hapale penicillatus. In Macacus sinicus ho trovato l'a. dor- salis pedis superficialis molto esile, mentre l’a. dorsalis pedis profunda più grossa, si divideva a sua volta in due rami subito al disotto del ligamento anulare del tarso, uno dei quali diveniva poi la 2.* metatarsea, e l’altro la 3.* e la 4*. Questa disposizione ri- chiama molto quella umana nella quale la. tarsea lateralis trovasi assai più sviluppata della a. tarsea medialis (fig. 12). In Macacus erythraeus le due aa. dorsales pedis erano pressochè uguali di volume, però ’iede destro di Macacus sinicus. le aa. metatarseae dorsales 2.* 3.3 e 4.° non 4, Ramo anteriore dell’arteria nascevano come nella fig. 12. iaia, i ERO e perficialis; D, A. dorsalis La a. dorsalis pedis profunda decorreva pedis profunda; H, A. anasto- verso il 2.° spazio intermetatarseo continuando = ®tier-tasi. qui con una a. metatarsea molto grossa. In prossimità della base dei 1) PopowsKy J. — Loc. cit. 34 G. SALVI metatarsi si staccava da esso un ramo il quale, decorrendo trasversal- mente e lateralmente, dava la a. metatarsea III e terminava nella IV. Questa disposizione (fig. 16) accenna un po’ a quella della descri- zione classica nell’uomo (fig. 1), e dimostra la possibilità di arteriae metatarseae dorsales, le quali originino da un tronco comune trasversale alla base dei metatarsi. In Khesus nemestrinus la divisione delle due dorsales pedis avveniva subito al disotto del ligamento trasverso del tarso; erano di calibro di- Fre. 13. Fia. 14. e Piede destro di Rbesus nemestrinus. Piede destro di Hapale penicillatus. A, Ramo anteriore dell'a. sapheua , A, Ramo anteriore dell’a. saphena ; C, A, dorsalis pedis superficialis ; C, A. dorsalis pedis superficialis ; D, A. dorsalis pedis profunda; H, D, A. dorsalis pedis profunda; H, A. anastomotica tarsi. anastomotica tarsi. suguale essendo la profonda più grossa, e si distribuivano al metatarso ed alle dita come alla fig. 13. E importante questa disposizione perchè. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 35 riproduce più di tutte quella umana: vediamo di fatti la divisione delle due aa. dorsales pedis avvenire proprio sul piede similmente a quella delle due aa. tarseae dell’ uomo. In Hapale penicillatus la divisione avveniva molto in alto e le due arterie erano di calibro uguale. In corrispondenza della base dei meta- tarsi, distaccavasi dalla dorsalis pedis superficialis la a. metatarsea IL. Dalla dorsalis pedis profunda originavansi le a a. metatarseae III, IV, (fig. 14). Tale disposizione richiama quella umana rappresentata dalla fig. 2. Gli autori, per quante ricerche io abbia fatte nella letteratura, non parlano di un ramo arterioso, il quale congiunga il circolo dorsale al circolo plantare del piede attraverso il tarso e sia quindi omologo al- l’a. anastomotica tarsì che ho descritta nell'uomo. Solo ErssLER ‘) nel Gorilla accenna ad una piccola arteria, ramo della a. dorsalis pedis, la quale va nel seno del tarso. i Le mie ricerche mi hanno mostrato nei generi da me studiati una a. anastomotica tarsi perfettamente omologa a quella dell’uomo. Essa però non è perfettamente uguale in tutti per l’origine sua. Ecco le disposizioni da me osservate: Macacus sinicus. — L’a. tibialis postica, proveniente dalla a. poplitea, seguita nella pianta del piede con le aa. plantares. In corrispondenza della articolazione tibio-astragalica, si distacca da essa un ramo molto esile il quale scendendo in basso penetra nel canale del tarso. Dal ramo laterale (fig. 12) della «. dorsalis pedis profunda si di- stacca invece subito al davanti del sinus tarsi un grosso ramo, il quale penetra nel canale del tarso e termina inosculandosi in quello prove- - niente dalla a. tibialis postica. Degno di nota è il fatto che in questa a. anastomotica tarsi il ramo dorsale è più grosso del plantare, e si spiega con questo che da esso sì dipartono una quantità di piccole diramazioni destinate alle parti molli ed alle ossa. Macacus erythracus. — Anche qui la. tibialis postica molto grossa seguita direttamente nelle aa. plantares. Il ramo plantare della anasto- motica tarsì nasce come in Macacus sinicus e solo un po’ più in basso, cioè presso al punto di biforcazione delle arterie plantari (fig. 16). 1) EissLeR P. — Loc. cit. Se. Nat., Vol. XVII 3 36 G. SALVI Il ramo dorsale invece nasce da un grosso ramo, il quale si origina dalla a. dorsalis pedis profunda e decorre lateralmente parallelo all’ a. malleolaris lateralis e subito al disotto di questa verso il margine late- rale del piede. Scende perpendicolarmente nel tarso, è dapprincipio molto grosso e si assottiglia in seguito per le diramazioni secondarie che manda. Rhesus nemestrinus. — La. tibialis postica molto assottigliata, viene rinforzata al quarto inferiore della gamba dal ramo posteriore della a. saphena che si unisce ad essa ad angolo acuto. È questa una dispo- sizione molto importante sulla quale dovremo tornare in seguito. Il ramo dorsale della a. anastomotica tarsi nasce dalla a. malleolaris lateralis, ramo della a. dorsalis pedis comunis, il plantare dalla @. ti- bialis postica (fig. 13). Hapale penicillatus. — L’a. tibialis postica, molto assottigliata, si esaurisce nei muscoli posteriori della gamba e viene sostituita in basso dal ramo posteriore dell’a. saphera, quello stesso che in Rhesus néme- strinus si anastomizza con la tibialis postica. Da esso nasce il ramo plantare i della a. anastomotica tarsi, mentre il dorsale nasce dalla dorsalis pedis profunda in prossimità del sinus tarsi e penetra in questo dopo breve tragitto (fig. 14). Il decorso intratarsale di questa arteria anasto- motica tarsì è press’ a poco uguale in tutti i generi esaminati. Il ramo dorsale molto più grosso del plan- tare dà molti ramoscelli alle parti molli delle arti- colazioni ed alle ossa e, assottigliato in tal modo, si inoscula nel ramo plantare costantemente più esile Fia. 15. e senza diramazioni. La fig. 15 rappresenta la disposizione in un gio- Piede sinistro vane individuo di Macacus erytraeus. di Macacus erythraeus. da te 6 " Non mi è stato possibile proseguire queste ri- Sono state disartico- È a H ER late dall’astragalo le Cerche nei primati superiori (antropomorfi) per man- altre ossa del tarso, canza di materiale, ma spero di poterlo fare in seguito. e messo allo sco- perto il canale del tarso. D, A. dorsalis Rimane adesso a stabilire l’omologia fra questa edis profunda; 77 È 5 5 " 5 -S0a E Fi o postica; @teria dorsalis pedis delle scimmie originantesi dal- H, A. anastomotica l'arteria saphena e l'arteria dorsalis pedis dell’uomo, tarsi. continuazione della a. tibialis antica. Divide ZUcKERKANDL ‘) le arterie della gamba, seguendone lo sviluppo 1) ZUCKERKANDL. — Loc. cît. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 37 filogenetico, in primarie e secondarie ed occupandosi più specialmente delle arterie posteriori. Seguendo questo Fia, 16. criterio ed applicandolo a quelle ante- lA riori, noi vediamo nelle scimmie una ar- teria tibialis antica primaria la quale si O esaurisce nei muscoli della regione ante- riore della gamba, mentre le arterie del dorso del piede vengono fornite dalla arteria safena. Dimostrò però PopPowsky in alcuni generi di primates un ramo anastomotico che univa la terminazione di questa arteria tibialis antica con l'a. dorsalis pedis pro- funda. Ho riprese e continuate le ricerche di PoPowsKy e, valendomi anche delle osservazioni di altri, sono giunto a poter stabilire definitivamente lo sviluppo filo- genetico dell’arteria dorsalis ‘pedis del- l’uomo. La fig. 16 rappresenta la disposizione delle arterie della regione ventrale della gamba e del piede in un individuo del genere Macacus erythraeus. In questo animale noi abbiamo una arteria fibialis postica molto sviluppata, la quale passa direttamente nel piede termi- nando con le due arteriae plantares. La tibialis antica invece, più esile si esaurisce nei muscoli della regione ventralé del- l’arto. L’arteria saphena, discretamente svi- luppata, al disotto dell’articolazione del ci anteriore della gamba e del piede destro di Macacus erythraeus. ginocchio si divide in due rami. Uno ven- ione trale, molto più grosso, tanto che appa- riore dell’a. saphena; €, A. dorsalis : ; n È pedis superficialis; D, A. dorsalis risce come la continuazione dell’ arteria, Dedis' profunda; (PD, Ramus perfo- sì divide poi nelle due arferiae dorsales ans della. peronea; R, Ramo ana- pedis (superficialis 5 profunda), l’altro stomotico; 4, A. anastomotica tarsi. posteriore, è esilissimo e termina anastomizzandosi con l’a. tibialis postica. \ l\ NI "lt, AN il I i I ) | 38 G. SALVI Fra la tibialis antica e la dorsalis. pedis intercede una anastomosi più ampia di-quella osservata da Popowsky in Ateles ater. Essa può dirsi doppia. Un raino cospicuo della tibialis antica accompagna il nervo omo- nimo e, giunta al disotto del ligamento trasverso, si getta sulla a. dor- salis pedis profunda. Un altro ramo decorre profondamente, addossato alla membrana in- terossea e si anastomizza ampiamente col ramus perforans della a. pe- ronea e con un ramo collaterale della dorsalis pedis profunda parallelo alla. malleolaris lateralis, la quale trovasi più in basso. Fra l’a. dorsalis pedis profunda, e la. dorsalis pedis Bei intercedono al di sotto del legamento trasverso molti rami anastomotici. Negli altri generi esaminati ho sempre trovate poi più o meno svi- luppate queste anastomosi. i Tali resultati fanno la luce su alcuni punti della filogenesi delle ar- terie della gamba e del piede lasciati insoluti dalle ricerche di PoPOWSKI e di ZUCKERKANDL. Infatti, avendo Erowue dimostrata nelle scimmie una anastomosi fra la terminazione della a. tbialis antica e la a. dorsalis pedis profunda, se ne poteva dedurre che, atrofizzata la saphena e diventata questa la via principale sanguigna, l’a. dorsalis pedis dell’uomo provenisse dalla a. dorsalis pedis profunda delle scimmie mentre l’a. dorsalis pedis super- ficialis avrebbe subìto lo stesso destino della saphena. Le mie ricerche tolgono questo dubbio. Prima di tutto fanno vedere come in taluni ge- neri di primates, possa la divisione delle due aa. dorsales pedis avvenire molto in basso, al di sotto del ligamento trasverso, ed al di sotto quindi della anastomosi con la a. tibialis antica. In secondo luogo le anastomosi dimostrate fra le due aa. dorsales pedis sul dorso del piede, spiegano come possa avvenire più facilmente ancora lo spostamento in basso di quella divisione. Infine, l’anastomosi fra ramus perforans dell’ a. peronea, tibialis antica e a. dorsalis pedis spiega ampiamente la possibilità che la. dorsalis pedis stessa apparisca provenire dalla prima. Questi dati trovano poi conferma nelle osservazioni di altri ricercatori. Nello Chimpansé, ZUcKERKANDL *), descrive e figura un’ampia anasto- mosì fra la tibialis antica, la dorsalis pedis profunda ed il ramus per- forans dell'a. peronaca. In questo animale il ramo anteriore della safena 1) ZUCKERKANDL. — Loc. cît. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 39 dava una dorsalis pedis superficialis sviluppatissima ed una esile invece dorsalis pedis profunda, alla quale veniva ad unirsi, rinforzandola, la termi- nazione della a. tibialis antica. Nell’Orang poi, lo stesso autore ha osservato un grado di evoluzione assai più avanzato. Il ramo anteriore della safena dà solo l'a. dorsalis pedis superfi- cialis, mentre la a. d. p. profunda viene data, come continuazione, dal- l’a. tibialis antica. ZuckERKANDL non parla di un ramo anastomotico fra le due, ma confessa che l’iniezione del soggetto non era riuscita molto bene. FissLEer nel Gorla trovò: dal lato sinistro il circolo dorsale del piede provveduto dalla «. saphena, mentre a destra la a. tibialis antica conti- nuava in una a. dorsalis pedis, la quale provvedeva il m. pedidio, man- dava un piccolo ramo nel seno del tarso, dava medialmente una piccola anastomosi alla a. saphena nel 3.° spazio e terminava quale arteria tar- sea lateralis nel 3.° o 4.° spazio ed al margine fibulare del piede. Di- sposizione questa simile a quella osservata da ZUucKERKANDL nello Orang. In tal modo, in base alle omologie stabilite con i primati, noi pos- siamo ricostruire l'origine filogenetica delle arterie del dorso del piede e della gamba dell’uomo. Nelle condizioni più basse (Hapale, Nyctipithecus, Ateles), tanto l’ar- teria tibialis antica che la. tibialis postica non arrivano al piede ed è l’a. saphena che ne fornisce la circolazione. Poi, noi vediamo che è la. tibialis postica quella che per la prima acquista la sua continuità (Macacus, Rhesus), per l’atrofia del ramo po- steriore dell’arteria safena e lo sviluppo dell’anastomosi fra la termi- nazione dell'a. tibialis postica primaria ed esso. Nello stesso tempo prende maggiore sviluppo l’anastomosi fra la terminazione della a. tè- bialis antica primaria ed il ramo anteriore della saphena. In seguito, avviene anteriormente cio che è avvenuto posteriormente. L’anastomosi prende maggiore sviluppo, mentre la safena seguita ad atro- fizzare e si ha un momento nella filogenesi (Oramg, Gorilla), nel quale l’anastomosi è talmente sviluppata, che la a. tibialis antica continua con la dorsalis pedis profunda, mentre l’esile safena continua con l’esile dor- salis pedis superficiali. Finalmente prendono sviluppo le anastomosi che esistono fra le due a. dorsales pedis, la a. safena sparisce del tutto, e si giunge’ alla dispo- 40 G. SALVI sizione dell’uomo, nel quale l’a. tibialis antica continua con le due ar- teriae tarseae (lateralis e medialis), omologhe respettivamente alle arteriae dorsales pedis: profunda e superficialis delle scimmie. Nell'uomo il ramo laterale che nelle scimmie in genere è esile, diviene spesso molto grosso, ma ciò è dovuto evidentemente al forte sviluppo assunto dalla sua anastomosi (ramus profundus) con il circolo plantare. Lo dimostra il fatto che quando esso è esile, l’anastomosi è ridotta 0 non si trova affatto. L’anastomosi stessa infine non è che uno dei rami perforanti comuni a tutte le aa. metatarseae dorsales e che fanno comu- nicare queste col circolo plantare profondo, ed il suo sviluppo è dovuto forse al tipo di deambulazione e alle attitudini dell’individuo. Riassumendo, risulta anzitutto evidente come la disposizione umana che meglio riproduce quella dei primates, sia quella da me trovata come più costante nell'uomo e che ho descritto come normale. In secondo luogo comincia ad apparire come l’importanza maggiore non spetti al ramo mediale sinora descritto come arteria dorsalis pedis, ma sibbene al laterale che è quello che vascolarizza maggior parte del piede e che filogeneticamente è anche in più antica e diretta conti- nuazione con l’arteria tibiale anteriore. i; In terzo luogo risulta evidente dall’esame delle figure che riporto come nei vari generi di scimmie presi in esame si trovi di che spiegare tutte le varietà dell’a. dorsalîs pedis umana come ritorni atavistici. In base a ciò, quindi, e in appoggio a quanto la statistica aveva per le mie osservazioni stabilito, l'a. dorsalis pedis dell’uomo deve es- sere descritta come divisa in due rami. Prosimiae. Non ho potuto osservare animali appartenenti a quest’ ordine. Stando però alle ricerche di ZUcKERKANDL *), in Lemur varius e in Lemur catta si trova l'arteria saphena rudimentaria anastomizzarsi con la a. dorsalîis pedis profunda, la quale viene data dalla @. peronea per mezzo del suo ramus perforans. Questo fatto trovasi come vedremo in seguito isolato nella filogenesi dei mammiferi, onde non è lecito dare ad esso soverchia importanza. Ce ne serviremo solo per spiegare i casi di variata dispo- 1) ZUCKERKANDL. — Loc. cit. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 41 sizione umana che questa rammentano. Inoltre ZUcKERKANDL non dice come termina in questi animali la a. tibialis antica, e se esiste una anastomosi fra questa e la dorsalis pedis. Le anastomosi da me trovate nei primati e riprodotte alla fig. 16 possono benissimo spiegare come avvenga che qui la dorsalis pedis appa- risca originata dalla a. peronea. Chiroptera. Ho esaminato individui appartenenti ai generi Vesperugo noctula, Plecotus auritus, Rhynolophus ferrum equinum. ZuckERKANDL ed HocHsrETTER ') in Pteropus osservarono che l’a. fe- moralis, uscita dall’addome, passava direttamente nell’a. saphena, la quale poi a sua volta diveniva a. tibialis postica primaria, mentre alla parte posteriore della coscia trovavasi un’arteria, che egli chiama a. ischiadica, la quale, unica i entro il bacino, si divideva all’uscita in due 4 107 rami. Il mediale penetrava nelle parti profonde della regione posteriore della coscia e forse corrispondeva all’a. inte- rossea, mandando poi una a. tibialis antica primaria; il laterale piegava intorno alla fibula per recarsi al dorso del piede. ZUCKERKANDL non potè dir nulla dei rami terminali di queste arterie. Dopo aver molto faticato per superare le difficoltà offerte dall’iniezione di vasi così piccoli, ecco quanto ho osservato nei generi da me esaminati. L’arteria femoralis si mantiene real- mente molto superficiale e seguita con la Faccia dorsale del piede e di tutto tibialis postica. Questa, giunta al tarso, de eo dà due rami che possono ritenersi omo- loghi ad aa. malleolares e termina poi dividendosi a pennello in quattro rami che sono le aa. metatarseae plantares. TSI, A? n,._*x«x««-y«|vy|vyv|v'\)1.v-x=xw- 2 <<< K, Arteria ischiadica. 1) HocHsTETTER F. — Beitrige zur Entwicklungsgeschichte des Venensystems des Amnioten. III. Siuger. — Morfh. Jahrbuch. XX. Bd. 4. Heft. 42 G. SALVI Posteriormente fuoriesce dal bacino una grossa arteria, la quale ac- compagna il nervo ischiatico e merita quindi realmente il nome di a. ischiadica. Essa si divide subito in due rami. i Uno di questi si addossa all’arto decorrendo sulle masse muscolari alle quali si distribuisce abbondantemente. L’altro invece si distacca dal- - l’arto decorrendo nella spessezza della membrana, fa una curva e, giunto al tarso, si riaccosta all’arto dividendosi in due rami. Uno di questi, plantare, si anastomizza con la a. tibialis postica, 1’ altro, dorsale, volge in basso e in corrispondenza della testa dei metatarsi fa una curva vol- gendo lateralmente. Dalla curva nascono quattro arterie metatarseae dorsales. i L’a. tibialis antica esilissima, viene data dal 1.° ramo dell’ischiadica e si getta nell’arcata del tarso lateralmente, completandola. Mi è stato possibile, malgrado le difficoltà di iniezione e di disse-. zione, osservare un esile vasellino il quale, attraverso il tarso, faceva comunicare il circolo plantare col dorsale (Vesperugo noctula). Da quanto ho esposto risulta come in questi animali esistano due arterie, una ventrale e l’altra dorsale, le quali provvedono alle regioni respettive dell’arto. Questo fatto, che non trovasi così manifesto in nes- sun altro mammifero, è forse dovuto allo speciale adattamento dell’arto di questi animali ed alla sua conformazione, per la quale la pianta del piede e la superficie plantare della gamba corrispondono alla superficie ventrale della coscia. Ciò farebbe sospettare che l’archetipo della circolazione nell’ arto pelvico fosse appunto quello di due arterie: una ventrale (femorale) ed una dorsale (ischiatica) le quali provvedessero le parti corrispondenti dell’arto stesso. Importante per le nostre conclusioni è il fatto che anche qui sono due le arterie, che provvedono il dorso del piede riunendosi ad: arcata. Insectivora. L’arteria safena è molto sviluppata e seguita posteriormente come a. tibialis postica ricevendo l’anastomosi della esilissima tibiale poste- riore proveniente dalla poplitea. i AI di sotto del ginocchio manda anteriormente un esile ramo, il quale giunto al tarso invia rami al primo ed al secondo dito, e quindi vol- gendo ad arcata si anastomizza con l’esile #ibialis antica. Da quest’ ul- ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 43 tima provengono le altre aa. metatarseae dorsales e l'arteria amasto- motica tarsi, la quale si inoscula con un grosso ramo proveniente dalla tibialis postica. In questo animale abbiamo quindi due tronchi distinti che provve- dono alla circolazione del dorso del piede. L’uno, proveniente dalla safena, è omologo alla a. dorsalis* pedis superficialis delle scimmie ed all’ a. farsea medialis dell’uomo, l’altra alla a. dorsalis pedis profunda delle scimmie ed alla a. tarsea lateralis dell’ uomo. Tale omologia è basata sopra i rami che da esse arterie si dipartono e sul fatto che anche in qualche primate (Gorilla, Orang utan) abbiamo visto i due tronchi giungere separatamente al piede. Toglie poi ogni dubbio il fatto che ho potuto osservare ampie anastomosi fra i due rami al di sopra del ligamento trasverso del tarso. Fic. 18. Carnivora. Canis familiaris. — L’a. saphena è molto svilup- pata, mentre l’a. tibialis postica è atrofica e si di- . Faccia anteriore della . ? Na SH n ì regione tibio-tarsica sperde nei muscoli, sostituita alla pianta del piede di Erynaceus euro- dalla safena stessa. IDA LOU TARRA: L’a. tibialis antica, al disotto del ligamento . 4 A- tibialis antica dea ; È S, A. saphena; C, A. trasverso del tarso, diviene a. dorsalis pedis, la quale tarsea medialis; D, seguita verso il 2.° spazio ove si infossa, diviene A: tarsea lateralis; A dà ; ; È H, A. anastomotica plantare, e dà alla pianta del piede rami ascendenti tarsi; L, Anastomasi che si anastomizzano con le aa. plantares della safena = !!* ® e Galica i Eredi le 1 e a, saphena. e tre grosse arterie digitali discendenti. Sul dorso del tarso si distacca da essa un ramo, a. tarsea lateralis, il quale volge lateralmente e-poi indietro con decorso ricorrente, si ap- profonda nel seno del tarso, contorna la testa dell’astragalo e si com- porta come nell'uomo. Un ramo che si diparte dalla safena (arteria tibialis postica primaria) entra nel canale del tarso e viene ad incontrarlo anastomizzandosi con esso. Dal tronco della safena, al disopra della articolazione del ginocchio, si diparte un vaso il quale, seguendo il ramo anteriore della vena sa- 44 G. SALVI fena, si fa anteriore e si anastomizza con la a. dorsalis pedis e con le aa. metatarseae dorsales. Qui abbiamo la disposizione umana riprodotta fedelmente. Il ramo anastomotico della safena con la dorsalis pedis e con le me- tatarseae dorsales, prelude alla disposizione delle scimmie, nella quale, atrofizzata la tibialis antica, supplirà esso alla circolazione del dorso del piede. Felis catus. — L’arteria safena è bene sviluppata. Essa diviene a. tibialis postica primaria terminando nelle aa. plantares. . La. tibialis antica dà due aa. malleo- lares molto grosse e poi seguita nella a. dorsalis pedis. Da questa nasce una a. tarsea lateralis la quale vascolarizza il tarso, la porzione laterale del piede e dà rami me- tatarsei dorsali. L’a. dorsalis pedis si infossa al 1.° spazio per continuarsi alla pianta con le aa. digitales, anastomizzandosi con le ar- terie plantari. L’a. anastomotica tarsì nasce o dal tronco della dorsalis pedis o dalla tarsea lateralis o dalla malleolaris lateralis. Dalla a. saphena si diparte un ramo il quale viene anteriormente ad anastomiz- zarsi con la a. dorsalis pedis e con le aa. Fic. 19. Faccia anteriore della regione tibio- tarsica di Canis familiaris. Arto metatarseae II, III. destro. A, A. tibialis antica; S, Ramo ana- : stomotico dell’a. saphena; B, A. Rodentia. dorsalis pedis comunis; €, A. . ne dio Lepus cuniculus. — La. saphena è molto grossa mentre l’a. tibialis antica è esile, e l'arteria tibialis postica si esaurisce nei muscoli della regione posteriore della gamba. L’arteria tibialis antica prima dell’articolazione tibio- astragalica, talvolta fin dalla perforazione della membrana interossea, si divide in due rami. Uno superficiale e mediale diviene @. dorsalis pedis, percorre sagit- talmente il tarso e, giunta alla metà del 2.° spazio intermetatarsico, si ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 45 infossa dando la a. metatarsea dorsalis dello spazio stesso e quelle del 1.° e del 3.° lateralmente. L’altro ramo, profondo e laterale, scende anch’esso in giù e si di- vide a sua volta in altri due rami. Uno va al margine laterale del piede ove si sperde, l’altro penetra nel canale del tarso dando una esilissima a. anastomotica tarsi. Un ramo molto grosso di questa a. tarsea late- ralis volge medialmente, passa sotto alla a. farsea medialis e si anasto- mizza a pieno canale sul margine mediale del piede con un ramo della a. saphena divenuta a. tibialis po- stica. Da questa nasce il ramo del canale del tarso il quale all'origine è molto grosso. È costante un ramo cospicuo il quale si diparte a vario livello dalla a. saphena, il più spesso al terzo inferiore della gamba e si anastomizza ampiamente con la a. tibialis antica 0 con la tarsea lateralis quando la divisione è già avvenuta. In questo animale l’omologia con la disposizione umana e con quella delle scimmie apparisce evidente. L'esile tibialis antica viene rinforzata in basso dalla anastomosi con la safena. Il debole sviluppo della a. anastomotica tarsì è certo dovuto a quello forte as- sunto da quel ramo che riunisce arteria tarsea late- ralis e arteria safena, passando sul dorso del tarso Stesso. Artiodactyla. Ovis aries. — L’arteria saphena è molto sviluppata. La a. tibialis antica è molto grossa e, giunta al tarso, seguita come arteria dorsalis pedis, pure molto grossa la quale a sua volta continua sul metatarso con una a. metatarsea dorsalis. Questa giunta allo spazio interdigitale vi si affonda e si biforca per dare alla superficie interna delle dita le due aa. digitales. Sul tarso si dipartono dalla a. dorsalis pedis due rami. Uno, più prossimale, volge lateralmente ed entra nel seno del tarso, dopo aver dato rami alla parti molli ed al margine laterale dell’arto. Fia. 20. Faccia anteriore della regione tibio-tarsica di Lepus cuniculus. Arto destro. C, A. tarsea lateralis; D, A. tarsea media- lis; H, A. anastomo- tica tarsi; .S, Ramo anastomotico dell’a. saphena; ZL, Anasto- mosi fra le due aa. tarsea. Uno, più distale, penetra nel canale della estremità prossimale del 46 G. SALVI LE metatarso e, fattosi plantare, decorre in basso distribuendosi alle parti molli del metatarso stesso. L’arteria safena termina nelle plantari molto esili e manda il ramo anastomotico molto grosso nel canale del tarso. Questo ramo, cammin Fic. 21. Faccia anteriore della regione tibio-tarsica di Ovis aries. A, A. tibialis antica; ,S, Ramo anastomotico dell’ a. sa- phena; B, A. dorsalis pedis comunis; €, A. tarsea me- dialis (pedidia metatarsea); D, A. tarsea lateralis e anastomotica tarsi. Bos taurus. facendo, manda molti ramuscoli articolari ed ossei, onde si riduce molto e l’a. anastomotica tarsì diviene piccola. L’a. plantaris medialis, che è la più grossa, si getta sulla a. metatarsea plantare. Ho trovato costante un esile ramo della safena il quale si distacca dal tronco circa alla metà della gamba, contorna la tibia, e, fattosi anteriore, si anastomizza con la a. tibialis antica. In questo animale, adunque, si ha forte-. mente sviluppata l’a.tibialis antica, onde Va. dorsalis pedis è una continuazione di essa. Il ramo che continua il decorso è omologo all’a. tarsea medialis dell’uomo e la sua comu- nicazione col circolo plantare (ramus profundus), si fa attraverso il metatarso invece che per uno spazio interosseo. Il ramo che attraversa il tarso è invece omologo alla a. tarsea lateralis dell’uomo e degli animali sin qui studiati ed alla a. anastomotica tarsi. Questa è piccola per il forte sviluppo assunto dalla perforante metatarsea e per il trovarsi molto ravvicinata ad essa a causa del piccolo sviluppo del tarso. La disposizione è come nella pecora, eccetto che la @. anastomotica tarsi qui è molto sviluppata e prende il nome (CHAUVEAU et ARLOING) di arteria pedidia perforans, anastomizzandosi ampiamente col circolo plantare. Ciò non fa che confermare maggiormente l’omologia già stabilita. Perissodactyla. Equus caballus.— Esiste un’arteria safena molto ridotta. L’arteria po- plitea sì divide in #ibialis antica e tibialis postica. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 47 L’a. tibialis antica è molto grossa e termina nella a. dorsalis pedis. Questa si divide in 2 rami. Uno, più grosso, percorre sagittalmente il tarso e quindi decorre sul metatarseo mediano (arteria pedidia metatarsea di CHAUVEAU et ARLOING 1), facendosi sempre più laterale, fino a che diviene plantare passando nello spazio inte- rosseo, che è fra metatarseo mediano e metatarseo laterale. L’altro volge lateralmente, si approfonda nel canale del tarso (arteria pedidia perfo- rans di CHAUvEAU et ARLOING), lo percorre e, fattasi plantare, riceve l’anastomosi delle due aa. plantares, terminazioni della a. ti- bialis postica. Dopo ciò volge in basso fino a che, attraverso lo spazio interosseo ram- mentato, si congiunge con la a. metatarsea dorsalis. In Equus asinus ho trovato i due rami perfettamente uguali in volume. CHAUveAU e ARLOING ?) fanno omologa la a. pedidia perforans alla dorsalis pedis del- l’uomo, considerando la a. pedidia metatarsea come una a. metatarsea dorsalis. ZUCKERKANDL ha osservato in un caso la pedidia perforante molto grossa, apparente ,.ccia anteriore PIL IO ARR cioè come la continuazione della a. dorsalis —tarsica di Equus asinus. Fia. 22. pedis, mentre la metatarsea dorsalis era 4, A.tibialis antica; S, Ramo ana- molto piccola. Egli dice non esser questa —stomotico dell’a. saphena; 3, A. dorsalis pedis comunis; (€, A. una anomalia molto rara. tarsea medialis (pedidia meta- Ha trovato pure la safena molto svilup- . tarSe8); D, A. tarsea lateralis © a. anastomotica tarsi (a. pedidia pata, concordando in questo con LEISERING perforans). e MuLLER *), e l’ha vista sostituire poste- riormente l'a. tibialis postica, come in alcune scimmie ed in altri animali, terminando essa nelle arterie plantari. 1) CHaUuvEAU A. et ArLoIne S. — Traité d’anatomie comparée des animaux domestiques. Paris 1890. 2) CHAUVEAU et ARLOING. — Loc. cit. p. 633. 3) LeiseRING A. J. T. und MùLLER C. — Handbuch d. Vergl. Anat. d. Haus- ciuget. Berlin 1885. 48 G. SALVI Io ho osservato il ramo anteriore della safena, quello che accompagna la radice anteriore della vena safena, anastomizzarsi con la arteria dor- salis pedis. i In base a questi fatti, credo che la a. pedidia metatarsea sia omologa per la sua porzione più prossimale alla a. farsea medialis dell’uomo, e che la pedidia perforans sia invece omologa alla tarsea lateralis ed alla a. anastomotica tarsi dell’uomo stesso. Nel cavallo, si ha comunemente atrofia della safena e quindi sviluppo . della tibialis antica la quale continua nella dorsalis pedis, e le osserva- zioni di LeisERING, MUÙLLER, ZUCKERKANDL e le mie provano come si possa abnormemente e non di rado, avere maggiore sviluppo della safena e quindi un accenno alla disposizione delle scimmie, la quale verrebbe com- pletata ove l’anastomosi fra il ramo anteriore della safena e la dorsalis pedis si svilupasse anch'essa di più. i Il fatto poi dell’ampia anastomosi che esiste attraverso il tarso fra il circolo dorsale ed il circolo plantare, anastomosi che può assumere tanto sviluppo da divenire il tronco principale, una sorta di arco arte- rioso dal quale si dipartono le arterie del segmento più distale del- l’arto, spiega il significato di quell’arterìa anastomotica tarsi che più o meno sviluppata abbiamo trovato in tutti i mammiferi presi in esame. Conclusioni generali. Alle brevi considerazioni fatte in fondo ad ogni capitolo, faccio se- guire alcune conclusioni generali che serviranno ad un tempo di riepi- logo a queste ricerche. Ho estese agli altri mammiferi le ricerche fatte da Popowsky nei primati sopra la filogenesi delle arterie della gamba ed ho confermati con nuove prove i resultati di questo osservatore. Ho trovato infatti costante negli animali a safena atrofica una anastomosi fra questa e la tibialis anterior, come PoPowsky nei primates l aveva trovata tra la #2- bialis anterior atrofica e la saphena che forniva le arterie del dorso del piede. Questo fatto è come una controprova che dimostra la giustezza delle osservazioni, e conferma il rapporto di vicarietà che esiste fra #%- bialis anterior e saphena nel fornire le arterie del piede. ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 49 Non posso però concordare con ZUCKERKANDL circa la divisione delle arterie in primarie e secondarie, la quale non è applicabile che alle scimmie ed all'uomo. Se nei Marsupiali, Hrrri *), BARKOW °) e ZUCKERKANDL trovarono la fi- bialis antica atrofica terminare nei muscoli della gamba e la circolazione del piede essere fornita dalla safena, ed HrrtL ed HocHsTETTER *) nei Mo- notremi (Echidna, hornitorincus) videro la femorale decorrere superficial- mente e terminare sul dorso del piede; nei Perissodattili, Artrodattili, Roditori, Carnivori ed Insettivori esaminati da me, le arterie dorsali del piede sono date dalla arteria tibialis antica e l'arteria safena vi contri- buisce solo come anastomosi. Nelle Scimmie invece noi vediamo ancora la saphena assumere forte sviluppo esostituirsi all’ arteria tibialis anterior sul dorso del piede, e nell’uomo atrofizzarsi di nuovo la saphena in grado anche maggiore, e ristabilirsi il circolo arterioso per la tibialis antica. Ciò fa escludere un processo evolutivo e fa invece invocare come agenti modificatori, la conformazione dell’arto e le attitudini dell’animale. Il tipo più semplice di circolazione, si trova a parer mio nei Chi- rotteri. In questi animali la conformazione dell’arto pelvico è tale, che tutti i suoi segmenti hanno conservata la medesima orientazione e la pianta del piede è ventrale, e noi vediamo fuoriescire dal bacino due tronchi arteriosi distinti (femoralis ed ischiadica), destinati respettivamente alla parte ventrale ed a quella dorsale dell’arto stesso. Negli altri animali, in seguito alla conformazione assunta dall’arto per la deambulazione, vediamo atrofizzarsi il tronco dorsale (?schiadica) e la circolazione della gamba e del piede farsi tutta a spese del tronco ventrale (femoralis). A questo punto il tipo si biforca. Da una parte prende sviluppo la circolazione profonda e noi vediamo le arterie del piede fornite dalle tibiali, dall'altro prende il sopravvento la circolazione superficiale ed alla circolazione del piede provvede allora l'arteria saphena. Fra questi due tipi netti ne esistono altri di passaggio nei quali può trovarsi an- 1) HirrL J. — Beitrige z. Vergl. Angiologie. Denkschrift d. Kaiserl. Akad. Bd. 6. Wien 1854. — Das arterielle Geftisssystem der Monotremen. Ibid. 1853. ?) BARKoW. — Comparat. Morphol. Breslaw 1862. 3) HocasteTTER F. — Bettrige zur Anatomie und Entwickelungsgeschichte des Blutgeftisssystems der Monotremen. Iena 1896. 50 G. SALVI teriormente un tipo e posteriormente un altro e questi sono forse i più numerosi. Lo dimostra il quadro seguente il quale comprende le osser- vazioni mie, quelle di PoPowsKY e quelle di ZUCKERKANDL. Le arterie dorsali e le arterie plantari del piede provengono rispettivamen- te dalle tibiali. Non esiste la safena o è molto rudimentaria. Le arterie dorsali e le arterie plantari del piede provengono dalla safena. La tibialis antica e la tibialis po- stica atrofiche terminano nei mu- scoli della gamba. Perissodactyla (Equus caballus, Equus asinus). Homo. Marsupiali (?) Monotremi (?) Primates (Hapale yaccus, Hapale penicillatus, Nyctipitecus vociferans, Cynocefalus, Hamadrias). Le arterie dorsali del piede provengono dalla safena, le plantari dalla tibialis postica. Primates (Macacus sinicus, Macacus ery- traeus, Orang satirus, Chimpansé). Le arterie dorsali del piede provengono dalla tibialis antica le plantari dalla safena. Le arterie dorsali del piede provengono dalla anastomosi di due tronchi pro- ‘© venienti respettivamente dalla safena e della tibialis antica. |. Artiodactyla (Ovis aries, Bos taurus). Rodentia (Lepus cuniculus). Carni- vora (Canis familiaris, Felis catus). Primates (Gorilla, Orang utan). Insectivora (Erinaceus europeus). Pri- mates (Orang, Chimpansé, Gorilla). Le arterie della pianta del piede proven- gono dalla anastomosi di due tronchi uguali della safena e della tibialis po- stica. Prosimiae (Lemur catta). Primates (Rhesus nemestrinus). Nelle prosimiae (Lemur catta, Lemur varius) ha trovato ZUOKERKANDL la arteria dorsale del piede provenire dalla peronea per mezzo del ra- mus perforans. Questo fatto ha però poca importanza vista l’ ampia ana- stamosi che io ho trovata fra questo ramo e la #ibialis antica e la saphena nei promates come dimostra la fig. 16. i ai è et ARTERIA DORSALIS PEDIS - RICERCHE MORFOLOGICHE E COMPARATIVE 51 Comunque originata, l'arteria dorsalis pedis presenta sempre una traccia di biforcazione e il maggiore o minore sviluppo dell’uno o del- l’altro dei due rami dipende dallo sviluppo del tarso e del inetatarso ed in genere dalla estensione delle parti che è destinata a nutrire. Mancano osservazioni nei mammiferi più bassi, ma nei perissodattili (E. caballus, E. asinus) noi troviamo una vera biforcazione in un tronco destinato al metatarso (pedidia metatarsea) ed in uno destinato al tarso (pedidia perforans). La stessa disposizione trovasi presso a poco ripetuta negli artiodat- tili (Bos taurus, Ovis aries) con la differenza che in Ovis aries il ramo del tarso trovasi più ridotto di volume. Nei roditori (Lepus cuniculus) abbiamo invece una divisione spicca- tissima, la quale può farsi anche 'sino dall’origine della a. tibialis an? tica ed aversi quindi questo vaso duplice. Uno dei rami è destinato esclusivamente al metatarso, l’altro invece, un po’ più grosso, va più specialmente al tarso mandando però anch’esso qualche esile dirama-. zione al metatarso. Nei carnivori (Canis familiaris, Felis catus) la divisione avviene molto in basso. Negli insettivori (Erinaceus europeus) due tronchi, la safena e la ti- biale anteriore, si riuniscono ad arcata per fornire le metatarseae ed i rami del tarso, i quali però più specialmente provengono dalla tibia- lis antica. Nei chirotteri sono pure due i tronchi (safena e ischiatica), che prendono parte alla costituzione della arcata arteriosa del tarso, ed anche qui è dall’ischiatica che più specialmente provengono i vasi del tarso e l'arteria anastomotica tarsi. Venendo poi alle scimmie, noi troviamo ancora questi due rami riuniti in una origine comune dalla safena e qui per lo sviluppo as- sunto dal tarso, dal metatarso e dalle dita noi vediamo più distinta, più specializzata la destinazione dei due rami, uno per la parte mediale ed uno per la laterale del piede. In qualche primate però, (Gorilla, Orang Chimpansé) noi vediamo riaffacciarci l'antica *duplicità dei Chirotteri e degli insettivori, provenendo il ramo mediale dalla zibialis antica, quello laterale dalla saphena. L'uomo, come il più vicino alle scimmie, per quanto differente sia l'origine della sua arteria dorsalis pedis, risente di questa disposizione e la conserva in forte grado. Sc. Nat., Vol. XVII 4 "90 È î .G. SALVI Degni di nota sono poi i fatti seguenti: . Il ramo del metatarso (ramo mediale delle scimmie e dell’ uomo) non «dà che diramazioni ‘alla superficie dorsale del piede, mentre il tronco si fa plantare in vario modo a seconda della conformazione dello scheletro e si distribuisce alle dita. i Il ramo del tarso (ramo laterale delle scimmie e dell’uomo) fa pres- s°a poco lo stesso, comunicando col circolo plantare. Ho trovato questa anastomosi in tutti gli animali da me esaminati più o meno sviluppata, ma costante ed ho dato al vaso il nome di Arteria anastomotica tarsi. Sviluppatissima nel cavallo e nel bove, dove prende il nome di ar- teria pedidia perforante, trovasi ridotta negli altri animali, ma la traccia di essa si trova sempre. Nell’ uomo è abbastanza sviluppata e molto più lo è nell’embrione e nel piccolo. Essa costituisce la vera via di comunicazione fra il sistema dorsale ed il sistema plantare attraverso lo scheletro del tarso, riunendo le due tibiali o i due rami della safena o una delle prime con uno degli altri, a seconda che da essi provengono i vasi del piede. Il tipo quindi della circolazione del piede sarebbe quello di due vasi, dei quali uno più specialmente destinato al metatarso sorpassa come tronco il tarso, vascolarizza il metatarso, si approfonda facendosi plan- tare, e si distribuisce alle dita come via principale sanguigna, in alcuni animali, come via secondaria in altri. L'altro ramo si distribuisce al tarso vascolarizzandone le parti molli e lo scheletro e si fa quindi anch'esso plantare comunicando col circolo posteriore attraverso il canale del tarso, Allorchè il metatarso prende molto sviluppo, anche da questo vaso si dipartono arterie metatarseae, le quali congiungendosi (uomo, scimmie) a quelle plantari più robuste, prendono parte alla circolazione delle dita. In base quindi a questi dati desunti dalla anatomia comparata, in base alla statistica fatta su 200 casi l'arteria dorsalis pedis dell’uomo deve essere descritta come dividentesi in due rami. Uno: arteria tarsea medialis è omologo all’ a. dorsalis pedis superficialis delle scimmie ed alla a. pedidia metatarsea dei mammiferi inferiori. L'altro, arteria tar- sea lateralis, è omologo ‘all’ arteria dorsalis profunda delle scimmie ed alla a. tarsea lateralis e pedidia perforans dei mammiferi inferiori. t È | GIOVANNI D'ACHIARDI LIBERO DOCENTE DI MINERALOGIA NELL’ UNIVERSITÀ DI PISA (a ha I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE È noto come in molti luoghi si rinvengono entro alle masse di gesso cristalli di quarzo, singolari per l'abito loro e spesso anche per il colore ordinariamente rosso o bruno. A differenza dei cristalli impiantati nei filoni o nelle geodi di rocce cristalline sono abitualmente semplici e sempre completi alle due estremità non presentando alcun punto di at- tacco. Per ciò, e per la prevalenza delle facce piramidali sulle prismatiche, offrono analogia coi cristalli diesaedrici dei porfidi, analogia la cui causa va probabilmente cercata nel modo di origine in mezzo ad una massa in cui da ogni parte dovevasi avere libertà di movimenti molecolari verso i centri di cristallizzazione. Certo questa libertà non va intesa come sa- rebbe in una soluzione o in un liquido di fusione del tutto omogeneo e senza altra sostanza sciolta o fusa tranne quella che cristallizza. Tanto nel magma di fusione per i porfidi quanto nella massa rocciosa che si trasforma in gesso i materiali eterogenei presenti devono solo essere in tale stato da non impedire la cristallizzazione del quarzo per ogni verso. E così essendo, mentre questa si effettuava, è naturale che ne dovessero rimanere imprigionati, non disturbando però la cristalizza- zione stessa, la quale anzi sembra essere risultata semplicissima. Così vediamo pure essere avvenuto per altri minerali, ad esempio per la cal- cite di Fontainebleau, i cui cristalli malgrado che contengano anche oltre il 50 °/o di granelli silicei dell’ arenaria iù cui stanno, presentano abitualmente semplicissima forma romboedrica. Per ciò, uno studio il quale ponesse in evidenza se e in qual rapporto stassero tra loro i cri- stalli di quarzo e le sostanze incluse, mi sembrò che dovesse avere ab- bastanza interesse anche per intendere il modo di origine non solo di questi stessi cristalli, ma sì anche della roccia gessosa che li contiene; 54 G. D’ACHIARDI e poichè io aveva nel Museo di Pisa molto materiale a mia disposi- zione credei bene tentarlo. | I cristalli da me studiati provengono da Soraggio nell’Alpe di Cor- fino (Alpi Apuane), dal comune di Sovicille nella Montagnola Senese, dalle vicinanze di Chianciano e da Campiglia d'Orcia pure nella pro- vincia di Siena. î i I cristalli dell'Alpe di Corfino, in generale più piccoli degli altri, sono tuttora impiantati nella roccia madre, un gesso granulare di colore più o meno grigiastro derivato per alterazione dal calcare liassico. Essi furono già ricordati da mio padre nella Mineralogia della Toscana ‘), nella quale peraltro non ne fece che semplice menzione. La fig. 11 della tav. III mostra una sezione di questa roccia con un cristallo di quarzo. I cristalli della Montagnola Senese furono per la massima parte do- nati dal senatore CHIGI, appassionato cultore di Scienze Naturali. Sem- pre uguali nell’aspetto e nelle proprietà loro dimostrano di provenire dallo stesso originario modo di giacimento, benchè non sempre raccolti nello stesso luogo. Infatti quelli donati dal CHIGI provengono dalla sua fattoria di Cetinale nel comune di Sovicille e più particolarmente dai poderi di Cetinale e di Bagnaia sotto al podere del Poggio. Altri pro- vengono invece dai campi e boschi delle Reniere, di proprietà del sig. G. Nomis, pur sempre nello stesso comune di Sovicille, e con ogni pro- babilità appartengono allo stesso giacimento. Son tutti cristalli isolati raccolti erratici, nè mi fu dato vederne alcuno nella madre roccia; e lo stesso senatore CHIGI, cui ne fu scritto da mio padre per avere notizie, risposegli di avergli sempre ed esclusivamente rinvenuti in letti di an- tiche alluvioni non mai in posto. Non esclude però che possano essere derivati da qualche lembo di calcare retico gessificato non per anco riconosciuto o denudato. Lo studio che io ne ho fatto non ammette anche per questi cristalli altra roccia che il gesso o l'anidride come loro ori- ginario giacimento. Ultimamente lo stesso senatore CHIGI ne inviava altri inclusi in una roccia biancastra argillacea, ma è facile accorgersi, come notava egli stesso, che se da questa roccia possono derivare in gran parte i cristalli trovati sciolti nel terreno coltivabile, non sono certo originari in essa, trovandovisi spesso e in gran numero rotti e rotolati. Della stessa regione, ma più particolarmente di Lecceto, furono questi 1) Vol. I, pag. 222. Pisa 1872. I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 55 quarzi ricordati anche dal Santi !) e più tardi dal BroccHi *), che di questo stesso luogo rammenta “i cristalli regolarissimi di quarzo bruno e grigio terminati in ambe le estremità, e in alcuno dei quali manca il prisma intermedio ,. I cristalli di Campiglia d'Orcia furono donati dal prof. C. DE Ste- FANI e in maggior numero ancora regalati dal prof. L. BomBrccI ?) in una gita a Bologna da me fatta nella scorsa primavera; e là oltre che sciolti, erratici nel terreno, si rinvengono tuttora impiantati nel gesso derivante dal calcare infraliassico, e il senatore CHIGI scriveva che il prof. VirroRIo SimonELLI gli “ mostrò due magnifici esemplari di quarzi neri incastonati nel gesso ,,. Dalla gessificazione di questo stesso calcare, secondo notizie avutene dal professore DE STEFANI, deriverebbero oltre questi di Campiglia d’Or- cia e di Cetinale anche i quarzi di Chianciano, che furono fra i più anticamente descritti e dei quali mio padre parla assai diffusamente nella Mineralogia della Toscana *) descrivendone le forme e notandone la particolare distribuzione dei colori e il peso specifico (2,632-2,648) minore che nei limpidi cristalli di Carrara. Questi cristalli ricordati dall’ALpovranpo ?) col nome di Iris nigra, o con l’altro di pietre cancanute dal BALDASSARI, furono anche menzio- nati dal Santi %) come cristalli di monte neri e isolati formati di due piramidi, ora con un prisma intermedio, ora senza e come provenienti dal luogo detto le Piane al di sopra delle sorgenti dell’ Acqua Santa sul poggio della Bacherina. Di Chianciano oltre i numerosi che il Museo di Mineralogia già possedeva furono in quest’ anno gentilmente inviati, dietro mia richiesta, più che 300 cristalli dal sig. P. MANcIATI farma- cista di S. Casciano dei Bagni. Al senatore CHIGI, ai professori BomBicci e DE STEFANI, al sig. MAN- CIATI i miei più vivi ringraziamenti per l’aiuto prestatomi nel mettere insieme un ricco materiale di studio. 1) Viaggi în Toscana. 1795-98. ?) Catalogo ragionato di una raccolta di rocce per servire alla Geognosia dell’Italia. Milano 1817; pag. 275. 3) Il prof. BomBiccI mi dette insieme alcuni cristalli sciolti e frammenti della roccia in cui sono impiantati di Legonchio (Appennini), del tutto identici e gli uni e l’altri ai quarzi e gessi delle Alpi di Corfino. 4) Vol. I, pag. 92. Pisa, 1872. 5) Musacum metallicum. 1648. 6) Op. cit. i 56 G. D’ ACHIARDI | Di Gessaiola sul Monte Amiata, di Poggio Paulorio presso Selvena . nel Comune di Pitigliano, delle Petricce nel comune di Castellina del Chianti, di dove A. D’AcHiarpI ricorda i quarzi citati dal Santi e dal GruLi, ravvicinandoli con una qualche incertezza a questi di Chianciano, nulla posso dire non avendone osservato alcuno. Si può però ritenere che ove si abbia analogia di giacimento nulla si opponga, sia anzi ve- rosimile che questi stessi quarzi vi si rinvengano. Dove non gli ho mai osservati è nei gessi sedimentari, non mai negli alabastri, onde è d’uopo per me ammettere l'origine loro dovuta a quello stesso metamorfismo, onde un’ originaria roccia calcare si gessificava lungo una fessura, che dava adito ad esalazioni solfatariche. Per altro se l’azione solfatarica, come in una putizza, in un soffione, basta a spiegarci la gessificazione di un calcare, non basta a farci intendere là presenza del quarzo, e si vedrà più tardi, reso conto dello studio fatto dei cristalli, quali altre condizioni debbano aggiungersi a questa per intendere come essi abbiano potuto costituirsi. Per ora basti il dire che i cristalli di cui imprendo la descriziohe provengono esclusivamente dai gessi metamorfici ordina- riamente grigiastri, come grigi o brunastri per materie carboniose o bi- tuminose erano i calcari o dolomie da cui derivano. I cristalli da me esaminati, circa un migliaio, a qualunque siasi delle località citate essi appartengano, sono tutti indistintamente costituiti 0 dalle sole facce romboedriche {100} e j221| (tav. II, fig. 7 e 8), o da esse insieme anche a quelle del prisma i le quali sogliono essere molto subordinate (tav. II, fig. 4). Però non sono nemmen tanto rari cristalli nei quali sono pur molto sviluppate le facce prismatiche (tav. II, fig. 3). Nessuna faccia di altri romboedri, nessuna traccia di plagiedria sono riescito a scorgere nel migliaio di cristalli esaminati attentamente ad uno ad uno. Tutti hanno a comune, come dissi in principio, la compi- tezza loro con nessun segno o traccia di impianto. Esterni segni di geminazione eccezionali, solo pochissimi cristalli ho veduto compenetrati fra loro, taluni anche l'uno sull’altro associati, a differenza di quel che avviene per altri cristalli in consimili giacimenti, come ad es. per i così detti giacinti di Compostella, nei quali la com- penetrazione è comune. Le misure angolari sono molto difficili per la qualità de facce or- dinariamente poco riflettenti, scabre e cariate. Per altro in alcuni cri- stalli di Cetinale e di Chianciano per essere abbastanza lucidi volli I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE if tentarne alcune per vedere se la copia delle inclusioni avessero deter- minato perturbazioni notevoli dai valori normali. Trovai per tutti gli angoli valori di poco diversi dalla normalità e tali da escludere una de- cisa influenza piuttosto su di una faccia che su di un’altra. 5 Angoli Limiti Medie Valori dati dal Dana {100} : {221} —46°17'—46°26' 46019 46°16' {100} : {211} 37°56'—38°16" 3809 38°13' Per le misure prese risulterebbe quindi soltanto una maggiore acu- tezza della piramide appena superiore alla generalmente adottata; non si ha però come si vede, in media che una differenza dai 3' ai 4' nei valori angolari; trattandosi di, facce non pérfettamente riflettenti e di imagini spesso un po’ deformate non se ne può certo trarre alcuna con- clusione per stabilire una differenza. Credo anzi che se ne possa. con- cludere la copia delle inclusioni non averne determinata alcuna essen- ziale di fronte ai casi ordinari. Le facce della piramide spesso hanno tutte uno sviluppo presso a poco uguale fra loro, ma non mancano cristalli in cui talune sono più sviluppate di altre, talora anche con regolare alternanza per i due rom- boedri (tav. II, fig. 8). Però questa regolarità di alterno sviluppo che in alcune varietà di quarzo è abituale, si verifica in questa solo per ec- cezione. Le facce in generale hanno superficie scabra, bucarellata come per carie, la corrosione, se tale, apparendo quando sia alquanto avanzata, avvenuta prevalentemente nelle parti meno periferiche. Sugli spigoli in- fatti appaiono ancora quasi intatti i resti delle facce, le quali sembrano per ciò inegualmente incavate, mentre gli spigoli sembrano linearmente rilevati (tav. II, fig. 5). Rilievi si osservano talora pure sulle facce del prisma e pur là anche dove si ha piuttosto apparenza di faccia incom- pleta che corrosa (tav. II, fig. 2). Questi stessi rilievi sugli spigoli della piramide lo SPEZIA !) osservò pure che si formavano nelle sue impor- tantissime esperienze sulla soluzione e ricostituzione del quarzo. Difficile è determinare la figura degli incavi. In alcuni pochissimi cristalli si vedono delle cavità triangolari (tav. II, fig. 9), ciò che è abi- tuale per cristalli di altre località. Il margine di questi incavi appare in guisa di triangolo isoscele allungato, con la base rivoltà verso l’apice del cristallo e parallela allo spigolo {100} :{221} e dei tre piani che ne 1) Contrib. di geol..chim. — Esperienze sul quarzo. Torino 1898. Atti R. Acc, Se. Torino, Vol. XXXIII. Fig. 1, 58 G. D'ACHIARDI discendono al fondo a guisa di tramoggia, come si vede a destra e in basso della fig. 9 della tav. II osservata con la lente, due eguali infe- riori corrispondono alle due facce romboedriche vicine; la terza o supe- riore alla faccia sottostante del prisma. Della corrispondenza si giudica bene dalla simultaneità dei riflessi, e per la nitidezza di questi, per l'esattezza dei contorni io ritengo che in questo caso si tratti piuttosto di ripetizione di piani che di veri effetti di corrosione, quali sono le ca- vità triangolari descritte ed effigiate dallo SPEZIA nel suo lavoro testè ricordato. A corrosione però credo che anche nei cristalli da me descritti deb- bano probabilmente attribuirsi le apparenze di carie sopra ricordate, (tav. II, fig. 5), ben più frequenti e senza aver mai la forma di re- golari e profonde cavità. Osservando però al microscopio a luce riflessa queste superfici cariate non è difficile rilevare che i riflessi si fanno per tre piani principali. E non più osservando al microscopio, ma semplice- mente girando il cristallo guardato contro luce, si riconosce anche per la simultaneità loro con il riflesso delle attigue facce dei romboedri {100} e {221} e del prisma {211}, che gli stessi riflessi spettano come nel caso delle su ricordate cavità triangolari a piani equivalenti a queste stesse facce. Si ripete dunque qui, quantunque apparentemente in modo più irregolare, come effetto di corrosione ciò che in alcune poche facce si ha come ripetizione di piani originari. La differenza nella maniera di presentarsi di queste figure, che si corrispondono, di corrosione o di struttura, oltrechè essere un caso generale avendosi sempre per corro- sione superfici scabre ineguali e appannate e per struttura spesso lu- centi e rettilinee, in parte almeno, e più specialmente per quel che ri- guarda l'irregolarità di contorno, può anche imputarsi alla copia delle inclusioni, che per essere più o meno solubili lasciano vacui indipendenti dalla struttura del quarzo. È vero per altro che le inclusioni abbondano più verso il centro che verso la periferia dei cristalli, ma non sempre mancano verso l’esterno, anzi possono talora esservi copiose. Nessuna differenza si riscontra per questi incavi tanto di corrosione che di struttura fra le facce del romboedro {100} e del suo inverso {221}. In taluni cristalli invece di cavità si osservano dei rilievi trigonali formati da due piani eguali più estesi e un terzo diseguale dagli altri due con disposizione invertita ai piani degli incavi testè ricordati, ma evidentemente ad essi corrispondenti, o meglio che corrispondenti, poichè l’inclinazione ne è diversa, accennanti anche in questo caso alla stessa i I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 59 influenza orientatrice. Questi rilievi rarissimi (tav. II, fig. 1) da me os- servati solo in pochi cristalli appaiono pure egualmente e simultanea- mente sulle facce di {100} e di {221}. Essi ricordano i rilievi lanceolari già citati ed effigiati dal BomBicci !) per alcuni cristalli di Porretta. Sono a superfici lucidissime, nè presentano carattere alcuno di es- sere effetto di corrosione. Hanno piuttosto l’ apparenza di piani vicinali come si incontrano spesso sulle facce dei minerali, che specialmente negli ultimi momenti della cristallizzazione sogliono andare soggetti ad oscil- lazioni che ne turbano l’assettamento dei piani molecolari. In questi stessi cristalli, così come in quelli ad es. di tormalina, già da me studiati, e di altre sostanze a struttura zonale, l’ esame delle se- zioni dimostra dall’originaria semplicità andar sempre aumentando il numero dei piani cristallogenici. Quando si giunge alle ultime fasi si ha come l’esagerazione di questo stesso fatto nell’ apparire delle così dette facce vicinali anche là dove manchino segni di geminazione, che si sa essere condizione favorevole alla poliedria. Si ha però sempre in ogni caso che tutti questi cambiamenti o perturbazioni sono strettamente col- legati all’abito del cristallo. Nelle sezioni, già dissi per altre specie, dirò ancora per questa che i lati delle zone di struttura secondano per il numero e per l'andamento loro gli elementi esteriori del cristallo; qui si ripete lo stesso fatto e i piani di questi rilievi si riferiscono alle facce esistenti dei romboedri {100}, {221} e del prisma {211}, di cui rap- presentano una perturbazione o spostamento con leggera differenza nei valori angolari. Queste ed altre figure a differenza di quelle osservate da MOoLEN- GRAF °) sopra altri quarzi non presentano orientazione e sviluppo ac- cennante a struttura plagiedrica. Mancano di ogni segno di dissimetria e la differenza, per esse importantissima, la ritengo in ragione del di- verso edificio cristallino, mancando in questi cristalli delle gessaie to- scane ogni manifestazione di struttura plagiedrica. A conferma di ciò ho ricercato queste stesse figure nelle centinaia e centinaia di cristalli di quarzo che il Museo di Pisa possiede di Car- 1) Descriz. della Mineralog. generale della prov. di Bologna. Parte II2, pag. 127. Bologna 1874. — Corso di Mineralogia. Parte II®, Vol. II, pag. 626. Bologna . 1876. — Sulle guglie conoidi rimpiazzanti le piramidi esagono-isosceloedriche ecc. Bologna 1892. 2) Studien am Quarz. GrotH’Ss, Zeit. XIV, pag. 172. Leipzig 1888. — Ueb. Néturl, u. Kiinst. Aetzvers. am Quarz. Idem. XVII, 137. 1 60. i G. D' ACHIARDI rara e di Palombaia (Elba), nei quali le facce plagiedriche sono eviden- tissime e non di rado bene sviluppate. In pochissimi dei tanti di Carrara mi fu dato osservarle, e benissimo e con perfetta corrispondenza di forme soltanto in uno solo. Ma a differenza di quelle dei quarzi delle gessaie le stesse precise figure appaiono invece inclinate verso le plagiedrie nello stesso modo che per altre figure MoLENGRAF aveva, riscontrato per questi stessi cristalli di Carrara e dell'Elba come pure di altre lo- calità. Questa osservazione conferma dunque quanto diceva. testè. sulla struttura di questi cristalli. Fra i tanti da me osservati delle gessaie soltanto in uno e precisamente in quello effigiato nella figura 9 della ta- vola II apparrebbe dalla fotografia più che dall’ osservazione diretta. aversi una leggiera e contraria inclinazione e non di egual valore nella cavità di due facce contigue di romboedro, come in un cristallo plagie- dro a sinistra effigiato dal MorenGRAF !) ma le tre facce formanti queste cavità lungi da corrispondere a facce plagiedriche come nei cristalli osservati da MoLENGRAF corrispondono invece esattamente come per le, altre cavità consimili alle adiacenti di romboedri e di prismi. Non credo. quindi di dovere attribuire troppo valore a siffatta eccezionale apparenza. Le facce del prisma ordingriamente non appaiono striate. Solo in qualche caso presentano dei rilievi e solchi che corrispondono a ripe- tizione delle facce romboedriche e ciò in quei cristalli nei quali sì os- servano pure gli incavi strutturali sopra ricordati (tav. II, fig. 3 e 6). Ma negli altri cristalli in cui sono corrose le facce romboedriche lo sono abitualmente anche le prismatiche e per esse si dà pure che essendo minore la corrosione verso gli spigoli, questi appaiono spesso come ri- lievi periferici a far cornice al piano più depresso, benchè non sempre sia facile il distinguere se si abbia a che fare con disuguaglianze di so- luzione o di originaria struttura, come piuttosto apparrebbe dalla fig. 2 della tav. II. Osservando al microscopio queste superfici cariate o a di- slivelli si vedono quattro direzioni di riflessi, che due più vistosi accen- nano a sopra e sotto giacenti facce romboedriche e due alle adiacenti facce del prisma. Notevole è il fatto che taluni di questi cristalli presentano una fascia bianca (tav. II, fig. 4) che ricuopre più o meno interrottamente queste facce del prisma, nei cristalli in cui appaiono cariate nelle porzioni sco- perte. È quarzo scolorito che come stracci di velature talvolta si osserva 1) Studien am Quarz ecc.; tav, III, fig. 2. I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 61 in questi stessi cristalli sulle facce romboedriche. Ha tutta 1’ apparenza di essere quarzo secondario, riedificazione forse di quella stessa silice asportata prima per corrosione. In queste velature quarzose si possono osservare anche dei piani marginali corrispondenti alle facce romboedriche e prismatiche adiacenti a dimostrarci chiaramente l'influenza orienta- trice del cristallo su cui si deposero. In altri cristalli, e in special modo in quelli in cui si osservano i rilievi già descritti ed effigiati per le facce romboedriche, si hanno pure rilievi sulle facce prismatiche, rilievi di veri piani vicinali che accennano essi pure principalmente alle sopra e sottogiacenti facce romboedriche e in minor grado assai alle laterali del prisma. Incavi, rilievi, ripetizioni di piani cristallini, effetti di corrosione o di poliedria tutto è in correlazione con la semplice struttura di questi cristalli, nei quali mi è stato impossibile constatare altre forme che le {100}, {221}, {211}. La sfaldatura parallela alle facce romboedriche è più o meno facile secondo i cristalli; in alcuni la si ottiene con superfici piane e lucenti, e probabilmente perchè in essi è facilitata anche dalla disposizione delle materie eterogenee nei piani stessi di sfaldatura. Il colore varia da un bianco sporco a nero avendosene di tutti i tuoni sul grigio-bruno, non di rado anche con macchie rossastre. I più neri fra quelli da me osservati sono di Campiglia d'Orcia e alcuni pochi anche di Chianciano, i meno quelli di Corfino o Soraggio che sia, ma g anche di Chianciano e di Cetinale ne ho veduti di quelli torbidi sì, ma leggerissimamente brunastri, quasi scoloriti. Del resto eccetto in alcuni pochi nei quali si ha apparenza di uniformità di tinta nera il pigmento si riconosce facilmente essere dovuto a sostanze estranee ed eterogenee, che tali all’esame microscopico delle sezioni appaiono an- che là dove sembra omogenea la colorazione. La copia di queste ma- terie incluse dà ai cristalli un’ abituale torbidezza che li rende poco atti alle osservazioni ottiche. Il colore nero sembra dovuto a materie carboniose e l'odore fetido che non di rado tramandano questi cristalli rompendoli, lo scolorirsi dei più neri nell’ arroventamento e la colorazione seura di molte inclusioni fluide lo confermano. Però non è difficile che in parte sia anche dovuto a ‘minerali di ferro, poichè nell’ arroventa- mento della polvere non è raro che questa si arrossi per conversione in ossido ferrico di minerali a minor grado di ossidazione dello stesso me- tallo. Le macchie rosse sono dovute ad ematite, che l'osservazione diretta 62 1 | G. D' ACHIARDI vi riconosce e vi scuopre l’analisi chimica, ematite ocracea derivante. forse dall’alterazione di altri minerali dello stesso metallo, verosimilmente solfuri (pirite). Per il peso specifico ebbi valori assai discordanti dall’una all’ altra determinazione fatta colla boccetta di Gay-Lussac. Le determinazioni furono sempre eseguite in cristalli interi e scelti di colore più che fosse possibile uguale. Non volli ridurli in pezzetti, sia per evitare la fuga di gas, sia la soluzione delle sostanze incluse solubili nell'acqua e più specialmente presenti nelle parti interne dei cristalli. Come medie delle varie pesate, distinguendo i cristalli chiari dagli scuri, ottenni per i quarzi delle seguenti località: CRISTALLI n 1 — chiari scuri Cetinale (podere di Bagnaia) . . . . . 2,68 2,64 Chianciano Magoni co earn ici oo 2,65 Campiella farcia e 2950 2,65 Da queste misure apparirebbero minori differenze fra le varie loca- lità per i cristalli scuri che per i chiari. Specialmente per alcuni di Campiglia d’Orcia il peso specifico mi è risultato assai piccolo onde volli provare se ciò si verificasse anche per cristalli fra i più chiari delle altre località e che per la grossezza loro non poteva introdurre nella boccetta di Gay-Lussac, onde ne feci la determinazione per mezzo di tubi graduati. Per alcuni di Chianciano trovai valori da 2,39 a 2,54. Malgrado ciò non oserei sostenere che i cristalli meno coloriti do- vessero essere costantemente i più leggieri. Certo dalle mie determina- zioni parrebbe che ciò fosse, e la spiegazione di ciò potrebbe trovarsi anche nella natura della stessa materia pigmentizia. La quale già dissi (pag. 11) che se in parte sia a ritenersi carboniosa, in parte anche sem- bra ferruginosa, e la presenza di uno o più minerali di ferro nell’in- terno di questi cristalli di colore scuro potrebbe bene spiegarci il loro maggior peso specifico se nella natura delle altre inclusioni non se ne trovasse pure facile spiegazione. Tutti, chiari e scuri, questi quarzi hanno un peso specifico diverso dal normale, un peso specifico minore, come già aveva notato mio padre (op. cit.), non superando mai anche per le mie pesate il valore di 2,653 dato come minimo del quarzo puro, stando ordinariamente più o meno al disotto, malgrado che vi abbondino in- clusioni di corpi a peso specifico maggiore di quello del quarzo. La dif- ferenza va quindi attribuita ad altri inclusi meno pesanti e in special I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 63 modo fluidi, non che alle frequenti cavità che rompendo i quarzi si pos- sono facilmente constatare sia con la lente, sia anche ad occhio nudo. Per tanto non può per i nostri cristalli valere il peso specifico a determinare le proporzioni degli inclusi, come già fece 1’ HoLLanp 1) per i quarzi con inclusioni nel gesso di Mari nelle Indie. Dato il peso specifico dell’anidrite di 2,90 a 2,98 dai valori intermedi a questi e a quello del quarzo puro ne deduceva quelle proporzioni. Per i nostri quarzi ciò sarebbe impossibile; non soltanto la copia della cavità e delle inclusioni fluide, ma la natura diversa degli ospiti solidi, le cui propor- zioni variano da cristallo a cristallo, ci mettono in questa impossibilità. Ove si hanno valori bassissimi, ciò è ad attribuirsi a cavità piene di fluidi; ma poichè malgrado la copia dell’anidrite si hanno valori non mai superiori e d’ordinario inferiori a quelli del quarzo puro, anche in cristalli ove cavità ‘non si vedono, inclusioni fluide mancano o appena si scorgono e si hanno per giunta segni abbondanti di ematite o di altro mi- nerale di ferro, conviene in tal caso attribuire la differenza in meno ad altre inclusioni abbondanti anche quanto l’ anidrite, a quelle inclusioni che più tardi vedremo doversi attribuire ad un solfato di magnesia, che quale esso sia, deve aver sempre peso specifico d’assai minore di quello del quarzo. E poichè queste inclusioni di solfato di magnesia sono maggiori nei cristalli più chiari che nei bruni, nei quali più abbondanti sono gli in- clusi ferrici, così a ciò pure si può attribuire in parte almeno la diffe- renza sopra notata nel peso specifico fra i cristalli chiari e quelli scuri. Le sezioni tagliate perpendicolarmente all'asse di simmetria princi- pale nei cristalli relativamente più limpidi, a qualunque delle località sopra citate essi appartengano, e aventi una grossezza sufficiente, nè a luce parallela, nè convergente danno segni di polarizzazione rotatoria. I bracci della croce nella figura di interferenza si tagliano nel centro come in qualunque cristallo uniassico non plagiedrico. In nessun modo sono riescito a veder spirali di Arry, che facilmente si scorgono nelle sezioni di ametista, onde non vale per questi cristalli a spiegar l’ ecce- zione della mancanza di faccette plagiedriche e relativa polarizzazione rotatoria la struttura per alternanza di lamine a segno contrario. Se mai sembra che si abbiano segni di biassicità. 1) Chem. a. Phys. Notes on rochs from the Salt Range, Peinjdb. Rec. geol. Survey of India. Calcutta 1891, XXIV, 4. 64 G. D'ACHIARDI La mancanza assoluta di faccette plagiedriche è verosimile che si connetta con la struttura semplicissima di questi cristalli, fatto singolare perchè escluderebbe che la cagione della polarizzazione rotatoria do- vesse ricercarsi per il quarzo nella struttura dissimetrica della molecola, non potendosi ammettere che questa avesse costituzione diversa nei cri- stalli della stessa specie. Sembrerebbe piuttosto doversi per il quarzo cercare nel diverso assettamento dell’edificio cristallino dando esso luogo per disposizione destrorsa o sinistrorsa, al pari che nelle lamine di mica sovrapposte dal REuscH, ai fenomeni di rotazione come nei quarzi pla- giedri di Carrara, o per sovrapposizioni di strati destrogiri e levogiri alle spirali di Atry come nell’ametista, o per regolare simmetrico ordi- namento delle molecole alla mancanza di polarizzazione rotatoria come nei quarzi delle gessaie. [ La stessa mancanza di polarizzazione rotatoria ho riscontrato in altri quarzi semplicissimi, completi e simili cristallograficamente a questi delle gessaie, ma di giacimento diverso. Fatto importante che dimostra non già con’ il giacimento, ma essere la differenza in relazione con il modo di formarsi dei cristalli. Lo studio ottico, che ho intenzione di in- traprendere di questi cristalli di Monte Acuto Ragazza (Appennino Bo- lognese), che mi furono forniti gentilmente dal prof. L. BomBrccr, ne di- mostra una costituzione singolare sì, ma non dissimetrica. Non meno importanti sono i saggi chimici fatti di questi quarzi, che ne rivelano una complicata composizione dovuta alle molte e abbondanti inclusioni. Le prove di arroventamento e l’odore che si ha anche alla semplice: rottura dei cristalli rivelano la presenza di fluidi idrocarburi, materie carboniose, e minerali di ferro di sopraossidazione. La presenza del ferro fu da me constatata anche col: trattamento all’acqua regia e successi- vamente con l’idrato ammonico nella soluzione, da cui ottenni un pre- cipitato facilmente riconoscibile per idrato ferrico. Con l’arroventamento la polvere finissima non dà che piccola per- dita. Riscaldata fra gli 80° e i 100° ‘fino a peso costante non dette che 0,3 °/o di perdita in peso, perdita verosimilmente imputabile ad acqua igroscopica ed altri fluidi inclusi che sfuggono. Riscaldata poi per arro- ventamento in crogiolo di platino perde ancora il 2 °Jo. Trattata la pol- vere con acqua distillata e filtrata e aggiuntavi poi qualche goccia di acido cloridrico, se nella soluzione si versi cloruro baritico si ha il ca- ratteristico precipitato bianco di solfato baritico a dimostrare la pre- I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 65 senza dei solfati, fra i quali abbondante il solfato di calce, la cui pre- senza fu da me constatata anche col trattamento all'acqua regia e suc- cessivamente con carbonato ammonico nella ottenuta soluzione. A questi saggi ne aggiungo altri fatti in laboratorio dal dottore E. Manasse su cristalli di Chianciano e di Bagnaia, che per completa ana- lisi qualitativa fattane dettero risultati fra loro identici. Ottenne egli da entiRinbi, silice, calcio, magnesio, carbone, sodio, alluminio. Dopo la Silice prevalgono calcio e magnesio quasi nella stessa proporzione; se- .guono il ferro, e le sostanze carboniose, indi scarso il sodio, e come traccia l'alluminio. Quanto ai generi salini constatò la presenza di sol- fati, cloruri e solfuri, di cui i primi grandemente predominanti. Escluse la presenza del solfuro idrico, così come dello zirconio ricercato col me- todo dato dal Rrvor !), ricerca che mi interessava per la conoscenza di alcuni inclusi. Lo studio chimico preclude la via a riconoscere la natura delle molte inclusioni ‘di questi quarzi, le quali ci appaiono in due modi diversi, in- viluppate nella sostanza stessa quarzosa o tappezzanti le pareti di pic- cole irregolari cavità geodiche, che non di rado si scuoprono nei cri- stalli spezzandoli. A studiare le une e le altre occorre quasi sempre il microscopio e perciò dei cristalli di tutte le località su menzionate do- vetti sacrificarne non pochi specialmente per farne, sezioni in direzioni differenti e più particolarmente poi parallele all'asse essendo per queste facilitata la confezione dalle facce del prisma, quando sieno presenti. Un esame anche grossolano della sezione, talvolta anche della sola superficie levigata per alcuni cristalli, basta a farci riconoscere la copia delle inclusioni nella massa quarzosa e talora anche la loro regolare di- stribuzione a seconda dei piani cristallogenici quale si vede nella figura 10 della tavola II, che ci dà l’imagine per luce riflessa di una sezione pas- sante per il mezzo del cristallo e semplicemente levigata. In questo caso è una materia rossa ematitica che dà origine alle zone colorate in scuro nel fondo grigio. Per altri cristalli, nei quali le facce zonali sono prodotte da inclu- sioni scolorite e trasparenti, può anche poco o nulla vedersi non solo a luce riflessa, ma ancora a semplice luce trasmessa. In tal caso con- viene osservare a nicol incrociati girando le lamine cristalline fino ad 1) Docimasie. Traité d’ analyse des substances minérales ece. T.II, pag. 418. Paris 1886. ; 66 G. D'ACHIARDI aversi l’estinzione del quarzo, nel quale appaiono allora innumerevoli punti lumeggianti dovuti alle inclusioni birifrangenti che non si trovano simul- taneamente nelle posizioni di estinzione (tav. III, fig. 10 e 11) e questi punti si risolvono in lamine cristalline (tav. III, 1, 4 e 12) quando si osservino con forti ingrandimenti. È da notarsi che mentre in molti cristalli queste inclusioni sembrano sparse alla rinfusa, in molti altri, e specialmente in quelli di Campiglia d'Orcia, donatimi dal prof. L. BomBIccI, presentano un prevalente e non di rado anche regolare ordinamento secondo i piani cristallogenici (tav. INI fig 509) Sono spesso varie, talora moltissime zone che si seguono l’una al- l’altra e si ripete quello che già notai per le tormaline del Giglio (4), che cioè numero, estensione e andamento dei lati di queste zone poli- gonali secondano il progressivo e spesso anche variabile sviluppo della superficie del cristallo nelle varie fasi di sua costituzione. L’interna zona è per il solito più semplice delle altre; disegna in generale la proiezione di piani molecolari o di sfaldatura (tav. III fig. 5, 10, 12); indi seguono le zone più esterne, nelle quali s’aggiungono nuovi lati sia per il formarsi di nuove facce, come quella del prisma (tav. II, fig. 3 a 5), sia di spigoli per distorsione delle facce già esistenti (tav. II, fig. 10). Nei vari casi in cui si abbiano più subindividui associati in un unico cristallo questa associazione si rivela pur essa da queste stesse figure zonali (tav III; fig. 9). Queste zone, ognuna delle quali corrisponde ad una medesima fase di accrescimento, studiate nella grossezza loro rispetto alle varie dire- zioni cristallografiche, ci consentono anche di misurare il diverso grado di accrescimento dei cristalli stessi in queste direzioni. Cominciano essi, quando ancora non si veggono tracce di facce prismatiche, con l’ accre- scersi quasi ugualmente per ogni verso in ragione del rapporto vicino all’uguaglianza (1: 1,099) fra gli assi secondari e l’asse di simmetria principale, onde l’interne figure zonali appaiono quasi quadrate (tav. III, pag. 5 e 12). Però mano a mano che accrescendosi il cristallo compa- riscono i piani prismatici, l’inapprezzabile differenza dell’accrescimento sì esagera, e questo tanto si fa maggiore nel verso dell’asse di principal 1) Osservazioni sulle tormaline dell'isola del Giglio. — Ann. Univ. Tose., T. XXII. Pisa 1897. sa I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE E 67 simmetria quanto più si allungano i lati del prisma, onde le fasce zonali da prima apparentemente eguali in tutto il loro percorso vanno a pre- sentare sempre maggiori differenze verso la periferia con una larghezza minima perpendicolarmente all'asse di principale simmetria, massima pa- rallelamente e media nelle direzioni oblique. Solo in rari casi l’accrescimento sembra essere stato maggiore oriz- zontalmente, ma sempre nelle prime sue fasi, e si vede allora nelle sezioni comparire un lato orizzontale che sulla superfice del cristallo stesso cor- risponde ad uno spigolo formato dall’incontro di due facce piramidali opposte più sviluppate delle altre (tav. II, fig. 10). La tendenza quindi dei cristalli di quarzo ad accrescersi prevalentemente nel verso dell’asse verticale, tendenza evidentemente dimostrata dai bei lavori di geologia chimica sul risarcimento dei cristalli di quarzo del prof. SPEZIA, il quale ebbe la squisita cortesia di mostrarmene i risultati nel suo laboratorio in Torino nello scorso mese di giugno, non si mantiene sempre nella stessa misura. Essa va mutando non solo nelle condizioni diverse di giacimento come fra gli ordinari cristalli filoniani e i porfirici, ma sì ancora nelle varie fasi di accrescimento di uno stesso cristallo come in questi delle gessaie. È notevole anche che le inclusioni abbondano più spesso verso l’in- terno che verso l'esterno. In alcuni cristalli sono anche limitate alla sola area centrale (tav. III, fig. 11), in tutti o quasi tutti, anche in quelli ove si osservano in vicinanza delle parti esterne, lo strato periferico ne è libero o quasi (tav. III. fig. 3). Se le sezioni invece di essere fatte parallelamente all’asse sieno fatte normalmente si vedono per il solito varie bande esagonali concentriche di inclusioni, essendone libera solo una zona esterna, oppure queste appaiono come ammucchiate regolar- mente al centro. Se le sezioni poi abbiano una direzione qualsiasi, le figure che si vedono sulla superficie di rottura sono svariatissime, però sempre for- mate da rette corrispondenti a facce del cristallo. Questa struttura zo- nale sembra facilitare la frattura dei cristalli, poichè quelli di Campiglia d'Orcia, nèi quali è più frequente e manifesta, si trovano anche più fa- cilmente spezzati. Una delle più frequenti e più abbondanti fra le sostanze incluse è senza dubbio l’ anidrite. Si presenta in lamine ordinariamente rettango- lari, con linee di sfaldatura caratteristiche; osservandosi talvolta per speciali inclinazioni dei cristalli e per riflessi sullo spessore stesso della Se. Nat., Vol. XVII ‘ 5 68 GIOVANNI D’ACHIARDI preparazione anche i tre piani pinacoidali costituenti dei parallelepipedi (Cavo): Le laminette rettangolari sono senza colore affatto e presentano a nicol incrociati e in special modo per contrasto quando il quarzo inclu- dente sia estinto, colori vivacissimi di interferenza di alto ordine. Si estinguono perfettamente a zero coi loro lati di contorno rettangolare e presentano nel verso del loro allungamento l’asse delle vibrazioni di massima velocità ottica (a) corrispondente quindi all’asse cristallografico verticale, lo che va d’accordo col carattere della birifrazione dell’ ani- drite, che ha il piano degli assi ottici parallelo a {010} e la bisettrice acuta positiva normale a {100}. L’indice di rifrazione, determinato col metodo di BECKE, rispetto al quarzo includente, appare più elevato che non sia l’indice di questo. i Altre inclusioni si osservano nella stessa anidrite, fra le quali sin- golarissima quella di un minerale verde o giallo verdastro più o meno intenso per trasparenza, spesso rosso per riflessione, in tavolette costan- temente esagonali (tav. III, fig. 1), ma non sempre con eguale sviluppo dei lati. Questo minerale per la forma fa pensare alle laminette di mica, clo- rite o oligisto, ma da quest’ ultimo l’allontanano le apparenze dei suoi colori nelle condizioni su indicate, così come fra gli altri due io credo che si tratti della seconda non tanto peri saggi analitici, quanto e più ancora perchè si conoscono diverse varietà di cloriti di questo stesso color rosso. Le traccie di alluminio svelateci dall’analisi sono probabil- mente imputabili a queste laminette cloritiche. In alcune lamine di anidrite, in poche però, si osservano anche in- clusioni fluide. Non è la prima volta che l’anidrite si trova nei cristalli di quarzo dei gessi o terreni connessi. Fu già citata da BraucEY 1) per i quarzi rossi o giacinti delle argille salifere dei Pirenei, da Tgomas H. Hox- LAND ?) per i quarzi bipiramidati che si trovano incastrati nel gesso di Marf nella Salt Range nel Peinjàb (Indie) e sono dagli indigeni detti diamanti dì Mari; da G. ZscHimmeR 8) del pari per i giacinti"nel gesso 1) Inclus. d’anhydrite dans les quarti bipyramides des argilles salifères pyrénéennes. Bull. Soc. Frang. Minér. XII, 6, 396. Paris 1889. >, Op. cit.} pag. 230. 3) Die Hyacinten (Quarze) der Gypse des Roths bei Jena. TscuermaK’s Mitt. XV, 457. Wien 1896. I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 69 delle vicinanze di Jena. Nei cristalli di quarzo giacintino di questa ul- tima località insieme all’anidrite lo ZscHimmeR avrebbe osservato anche numerose inclusioni di gesso, che io pure, e quasi esclusivamente, ho trovato in una sezione fatta del così detto giacinto di Compostella; in essa le lamelle numerosissime di gesso appaiono geminate secondo {100}. Insieme alle lamelle di anidrite e pur esse molto frequenti, special- mente nei cristalli di Campiglia d'Orcia e di Cetinale, sono altre in- clusioni di forma ordinariamente globulare, spesso a contorno leggermente sinuoso, quasi come formate da quattro cristalli in fascio concorrenti ad un centro, ove si osserva una sostanza scura (tav. III, fig. 1). Talvolta però presentano più semplice apparenza e più regolare contorno come si osserva specialmente in una sezione di Campiglia d’Orcia (tav. III, fig. 4), ove queste inclusioni si vedono meglio che in tutte le altre con il loro caratteristico nucleo più rilevato e più scuro del contorno, che qui ha tendenza a figura irregolarmente quadratica ed esagonale. Queste inclusioni ora appaiono isolate, come in questa sezione di Campiglia d’Orcia ove rassomigliano a pustole; spesso anche accumulate l'una sull’ altra, talvolta anche zonalmente distribuite. Hanno minore tra- sparenza delle lamine di anidrite e leggera sfumatura di tinte grigiastre con segni talora di debolissimo pleocroismo roseo-verdognolo o roseo- cilestro, sparendo ogni traccia di colore nella posizione intermedia ai massimi di differenza. Delle lamine di anidrite hanno pure maggior rilievo e quindi anche più elevato indice di rifrazione e ritengo anche più elevati colori di in- terferenza quantunque appaiano d’ ordinario molto meno vivaci, anzi grigiastri. Infatti se grigi non hanno essi l’apparenza di grigio di primo ordine, ma di alto ordine sul grigio madreperlaceo, e se tali nel mezzo della sezione, sul margine di essa, ove spesso è più sottile, presentano invece una vivace iridescenza. E se si faccia il confronto con il colore del quarzo includente si ha che dove questo dà il giallo-chiaro, esse danno il grigio-madreperlaceo, e ove il grigio di primo ordine esse un roseo ma- dreperlaceo, apparendo iridate sui margini. E che non si tratti di grigio di primo ordine dimostra anche la prova con la lamina di gesso a rosso di primo ordine, con la quale non si passa già al giallo o all’azzurro, ma si riman sempre sul grigio-madreperlaceo. Sono quindi senza dubbio colori di interferenza altissimi paragonabili a quelli dello zircone (di cui la presenza viene esclusa per i saggi chimici), della cassiterite e del- l’anatasia, vinti soltanto dal rutilo, dalla calcite e dalla dolomite. 70 GIOVANNI D’ ACHIARDI Mal si giudica in generale dall’ estinzione per la difficoltà di avere esatte linee di riferimento sul contorno abitualmente smarginato. Pure in alcuni cristalli o gruppi cristallini e specialmente nella succitata se- zione di Campiglia d’Orcia, si riesce ad abbastanza buone determina- zioni, per le quali si può escludere che si tratti di cristalli monoclini, o triclini, avendosi per alcune sezioni allungate e poligonali estinzione perfettamente a 0° con l’ allungamento, e per altre rombiche diagonale. Escludo quindi che queste inclusioni possano essere di gesso, dal quale si discostano anche per il rilievo e per l'indice di rifrazione che nel gesso è inferiore al quarzo, non che per la mancanza dei segni della caratteristica sua sfaldatura e per la stessa figura di interferenza. Questa non è facile ad osservarsi, pure per alcune sezioni di cristalli, e con l’uso del diaframma ad iride ad eliminare l’influenza del quarzo avvol- gente, sì giunge ad osservare assai nitidamente, ed ha tutta l’ apparenza di figura uniassica. E se la croce nera in alcune osservazioni sembri de- formarsi in iperbole, la deformazione sempre piccola è più del tipo di cristalli anomali che di biassici; ad ogni modo ammessa anche la bias- sicità, come non credo, l'angolo ne sarebbe sempre piccolissimo. La stessa figura di interferenza si ha tanto nelle parti periferiche che nel nucleo, il quale non so spiegarmi se sia dovuto a struttura zonale dei cristalli per variabile composizione o ad inquinamento di materie etero- genee che siasi fatto principalmente verso il centro. Tali i caratteri di questo minerale che ha l’ apparenza di essere unias- sico, piuttosto dimetrico che romboedrico e che fra le specie a me note e dati i risultati dell'analisi chimica a nessuna so ravvicinare. Dai saggi qualitativi si desume che non può essere che un minerale di magnesio. La magnesia infatti che l’analisi scuopre abbondante, quasi quanto la calce (e ciò in armonia con la gessificazione di rocce dolomitiche), se ne togli le incommensurabili tracce imputabili alle minuscole e rare lami- nette di clorite, non può riferirsi che a questo minerale che altra na- tura non può avere che di solfato, poichè il poco cloro va attribuito al salgemma, e la mancanza delle anidridi carbonica, fosforica, borica e altre escludono che si tratti di carbonato, fosfato, borato ecc. Non ne restano esclusi i silicati (la piccola presenza di solfuri è ad attribuirsi a quelli di ferro), ma nessuno fra i silicati noti di ma- enesia vi corrisponde, e d’altra parte non si intenderebbe facilmente perchè dall’ originaria dolomia il carbonato di calce dovesse essersi nella gessificazione convertito in solfato e il carbonato di magnesia in sili- I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 71 cato. Tutto porta quindi a ritenere che si tratti di un solfato, ma fra i solfati di magnesia noti o per una ragione o per l’altra nessuno vi corrisponde. Fra gli anidri nessuno se ne conosce; fra gli idrati con- verrebbe cercarne il corrispondente fra quelli a poca acqua, dappoichè pochissima se ne ottenga per arroventamento: e la perdita che si ha per questo, come fu detto a pag. 14, di circa 2°, debba in parte anche attribuirsi a idrocarburi, materie carboniose e acqua sviluppata dal- l’idrossido ferrico. ‘Fra i solfati con poca acqua la kieserite (Mg SO, - H,0) oltre ad essere monoclina, ha un grande angolo degli assi ottici (2.E,,=90°). L'epsomite (Mg SO, + 7H,0)è assai ricca di acqua, trimetrica e ha grande angolo degli assi ottici (2E,,=77°,44), basso indice di rifrazione, men- tre il notevole rilievo, la prova di BEckE, mostrano per il nostro mine- rale indice di rifrazione maggiore non solo del quarzo includente, ma anche della stessa anidrite. Per questo stesso carattere non può riferirsi alla liweite (0 = 1,491; := 1,494), cui ravvicinerebbesi per le forme cri- stalline, così come alla blodite per la cristallizzazione monoclina e grande angolo degli assi ottici in questa. Da altri solfati misti come la polialite ecc., è esclusa per la man- canza del potassio ecc.; onde l’ipotesi più probabile è che si tratti di un nuovo solfato di magnesio poco idrato, forse anche anidro, (in ana- logia all’anidrite) e come tale formatosi per le speciali condizioni della sua origine, poichè i solfati di magnesia sogliano cristallizzare approprian- dosi abitualmente più o meno di acqua. Del resto la perdita per arrò- ventamento può benissimo essere in parte almeno dovuta ad acqua cri- stallizzata in un solfato di magnesio. La poca nitidezza dei lati delle sezioni di questi cristalli, il cui contorno dissi apparire come smangiato, può bene andare d’accordo con la grande solubilità e deliquescenza dei solfati di magnesio. Non abbondanti, nè frequenti sono le inclusioni di ematite in lami- nette spesso esagonali aranciate e trasparenti. Se ne osservano alcune anche dentro i cristalli di anidrite, laminette che trovai abbondantissime nei giacinti di Compostella esaminati per confronto. Sono invece assai frequenti le inclusioni di ematite ocracea, opaca per trasparenza, rossa per luce riflessa, in causa della trasmissione delle radiazioni attraverso le particelle superficiali, come è il caso delle polveri. Queste inclusioni ocracee, sia per la forma loro, sia per altri caratteri, sembrano dovute a pseudomorfosi di altro minerale di ferro in gran parte discioltosi. 0. G. D'ACHIARDI Oltrechè sparse si vedono talora distribuite in zone nella massa del quarzo (tav. III, fig. 12). In un cristallo di Corfino ho veduto piccolissimi cristalletti penta- gono-dodecaedrici che sembrano di pirite, la cui presenza è resa pro- babile anche dall’ analisi qualitativa, che rilevava la presenza dei solfuri. Lo stato di alterazione e disfacimento delle su ricordate massarelle, ta- lora incavate, di ocra rossa non mi consente di dire se derivino esse stesse o no dalla pirite. È però verosimile. Le inclusioni carboniose variano molto da sezione a sezione; in al- cune (tav. III, fig. 2), come nei quarzi più neri di Campiglia d'Orcia sem- brano abbondanti, in altre se ne scorgono appena le tracce e si ha come una minuta disseminazione di polvere bruna o nera, che talvolta segue essa stessa prevalentemente certe direzioni e tende pure ad assumere un ordinamento zonale (tav. III, fig. 3), assai meno però delle inclu- sioni cristalline; e sono questi quarzi più neri che più scoloriscono con l’arroventamento a conferma della materia carboniosa. Ove più abbonda questa sostanza carboniosa, abbondano anche grandi inclusioni fluide (tav. III, fig. 2), abitualmente brunastre, senza livella, a differenza delle aeroidre del quarzo granitico, inclusioni che mancano quasi affatto, o per lo meno scarseggiano in alcune sezioni, ove la ma- teria carboniosa manca o scarseggia essa stessa. Per la massima parte sono inclusioni gassose, non ne mancano però anche di liquide come si rileva dalla meno marcata linea d'ombra, e le une e le altre sono pre- feribilmente nella massa quarzosa, più di rado, e di piccolissime dimen- sioni allora, anche nelle stesse laminette di anidrite (pag. 67). Non credo che sieno aeroidriche perchè dall’acqua male si spiegherebbe il prolun- gato contatto col solfato anidro di calce e peggio anche di magnesia. Se non tutte, almeno in parte, è facile che sieno di carburi in connes- sione con le materie carboniose che accompagnano. L'odore fetido che questi quarzi tramandano nel romperli ne viene in conferma. Altre inclusioni fluide, scolorite del tutto, piccolissime, onde occor- rono forti ingrandimenti per osservarle, che appaiono anche là dove la materia carboniosa manca e ove scarseggiano le lamelle di anidrite, che presentano quasi costantemente una livella sono verosimilmente idriche sia o no di aria la livella. È in queste inclusioni che si osservano spesso dei picolissimi cubetti (tav. III, fig. 7, 8), anche insieme alla livella, così I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 73 come CoHnEN !) e RosENBUSCH ?) effigiarono per i quarzi di un granito porfirico di Cornovaglia. Questi cubetti completamente estinti quando si estingue il. quarzo includente e con esso il liquido della bolla fluida, attribuisco io pure al salgemma, confortato anche dai saggi chimici che scoprirono tracce di cloruro di sodio. Le cavità non sono rare in questi quarzi, talvolta anzi rompendoli si scuoprono piccole geodi, talora umide, e tappezzate di scoloriti, pic- colissimi lucenti cristalli, che si riconoscono facilmente essere di gesso, di cui posseggono le abituali facce di {111}, {110} e {010}. Distaccati e osservati al microscopio (tav. III, fig. 6) se ne può facilmente deter- minare la sfaldatura basale e l'estinzione a circa 38° dalla linea del loro allungamento. : Il gesso quindi che non si trova incluso nella massa quarzosa, si trova invece cristallizzato in queste geodi, nelle quali io credo sia di origine posteriore all’ anidrite della massa quarzosa, sia che nella ca- vità rimanesse inclusa, sia che penetrasse successivamente una soluzione selenitosa formatasi sul gesso incassante, dalla quale per lenta evapo- razione il gesso si sarebbe poi separato di nuovo cristallizzando. In quanto al giacimento già dissi in principio tutti questi quarzi ritrovarsi nei gessi metamorfici derivati per gessificazione del calcare do- lomitico, o anche vera dolomia, e dissi pure come secondo le osservazioni del prof. De STEFANI questa e quello siano a riputarsi liassico a Sorag- gio e infraliassico o retico nei vari luoghi della provincia di Siena. Ag- giunsi anche come non ne abbia ritrovati esempi nei gessi sedimentari e nè meno negli alabastri. Altrove sembrerebbe che consimili quarzi, bruni o giacintini che sieno, sì rinvengano nelle marne gessifere, negli strati di salgemma e in gessi stratiformi; ma intanto molti degli esempi prima citati sono messi in dubbio, taluni anche contradetti, e sempre più si restringono i casi cer- tamente noti a giacimenti simili ai nostri nei gessi metamorfici. ZrirkeL, MacpeRSON e altri attribuiscono oggi ad azione solfatarica o di fumarola, o ad acqua salata sulfurea la presenza dei gessi quarzi- 1) Sammlung von Mikrophotographien ece. Tav. VII, fig. 4. Stuttgart 1881. ?) Mikroskopische Physiographie ece. T.I, Tav. VI, fig. 4. Stuttgart 1892. 74 G. D'ACHIARDI feri nei Pirenei !), e così per tanti altri esempi citati dallo ZscHmImMER (mem. cit.), compreso il gesso del Réth delle vicinanze di Jena, del qualé descrisse i cristalli dicendo essere esso indubbiamente di secondaria co- stituzione dimostrata anche dalla forma filoniana del giacimento; e così pure per il gesso di Mari nella Salt Range, che l’ HoLLanp (mem. cit.) dice non di origine acquea o sedimentaria (Gypsum masses are not of acqueous or sedimentary origin). hi Secondo l’HoLLanp si sarebbe prima formata l’anidrite per azione di acido solforico sul calcare probabilmente ad alta temperatura e in presenza di acque sopra riscaldate, come per azione solfatarica. Indi in lei si sarebbero formati i cristalli di quarzo, che ne mostrano quindi le inclusioni e la cui origine avrebbe preceduto quella della conversione in gesso dell’anidrite per un processo di idratazione. Anche lo ZscHImMER ritiene i gessi quarziferi delle vicinanze di Jena formatisi per idratazione dell’ anidrite, ma ritiene simultanea la gessifi- cazione di questa e la formazione dei cristalli di quarzo, confortato forse a ciò dall'avere egli insieme alle inclusioni di anidrite riscontratevi quelle di gesso. Attribuisce l’ origine dei cristalli di quarzo a infiltrazioni di soluzioni contenenti acido silicico e carbonato di magnesio. Che per azione di fumarole o soffioni o putizze in rocce calcaree si con- vertano queste in solfato è fuori di dubbio, e gli esempi se ne incontrano ad ogni passo, ma non è egualmente vero che là ovunque si abbiano acque o vapori ad alta temperatura, come ad es. nei soffioni di Larderello, debba sempre formarsi anidrite. Io ho esaminato al microscopio le masse fibrose vacuolari, spugnose, spesso giallo-rossastre che si incontrano intorno ai soffioni e le ho trovate costituite prevalentemente se non totalmente di gesso. È facile anche scorgervi nei minuti cristallini, che talvolta ter- minano i raggi fibrosi, il consueto abito dei cristalli di gesso con le facce di {111}, {110}, {010}. Quello che non vi ho mai trovato è il quarzo, e certo non voglio dire che non vi possa essere, ma anche se fosse realmente assente ciò non mi farebbe specie poichè le condizioni necessarie alla sua costituzione non sono per nulla quelle della gessifi- cazione, che può benissimo avvenire senza che quarzo si formi. L'azione seyseriana silicifera, la solfatarica idrosolforica possono stare ognuna da sè; se concomitanti, e nulla si oppone a che lo siano, o se succeden- 1) ZigkeL. — Lehrbuch d. Petrographie. Leipzig 1894. II, 675. dui I QUARZI DELLE GESSAIE TOSCANE 75 tisi nello stesso campo, possono ben dare simultaneamente o successiva- mente origine a gesso o ad anidrite e a quarzo. A Sasso per esempio i soffioni boraciferi, che attraversano a diffe- renza degli altri l’arenaria, depositano talora l’jalite 1), ciò che di- mostra in essi una certa quantità di silice disciolta, che l’analisi chi- mica ha pur trovato fra le-materie depositate da altri soffioni. Nei quarzi da me studiati essendo inclusa l’ anidrite, parrebbe che ciò venisse in conferma della supposizione fatta da ZscHIMMER e da HoLLAND che cioè si fosse da prima formata l’anidrite, che sarebbe ri- masta inclusa nel quarzo. Il gesso di Corfino, di cui la fig. 11 della tav. III, mostra la massa osservata al microscopio in sezione sottile, gesso che all’arroventamento subisce una perdita in peso da 21,17 a 21, 61°/ in modo che imputandone un po’ all’acqua igroscopica corri- sponde a quella della specie pura (20,9), contiene anche rare laminette di anidrite, ma dal modo con cui queste si presentano paiono piuttosto formatesi insieme al gesso, che un residuo della gessificazione di una massa che in origine fosse tutta anidritica. La quistione è più complessa che non si creda e io ho pochi dati e troppe poche osservazioni spe- cialmente nei luoghi stessi del giacimento per arrischiarmi a pronun- ziare un giudizio definitivo. Quello che mi pare resulti e dalle mie e dalle osservazioni di altri è la concomitanza della presenza dei quarzi con un’ origine metamorfica dei gessi che li contengono, siansi fino dalla origine formati come tali o derivati anche in tutto o in parte da anidrite, e parmi che risulti pure che debbasi ammettere un’ azione geyseriana per presenza di acque silicifere sopra riscaldate, e solfatarica o di fumarole per presenza di solfuro idrico, sieno esse concomitanti o l’ una all’ altra susseguentisi. Ve- rosimilmente, come l’analisi delle acque geyseriane dimostrano, e come gli esperimenti dello SPEZIA portano a credere, la presenza di un sili- cato alcalino, con ogni probabilità di soda, avrà favorito il formarsi dei cristalli di quarzo. Per giudicare degli effetti di queste azioni geyseriana e solfatarica non dobbiamo prendere argomento soltanto da ciò che avviene alla su- perficie. Sotto diverse pressioni e diverse temperature possono aversi fenomeni differenti e le stesse acque silicifere, che alla superfice produ- 1) De STEFANI. — I Soffioni boraciferi della Toscana. Roma, 1897. pag. 13. alina, possono bene , come nei filoni, così. i sua fase metamorfica si pi e addensantisi per ogni verso a. Ea % ? î ,; A ; Li } i rta i Laboratorio di Mineralogia dell’ Università. — Pisa 1 lr N ar” e SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola II. Le fotografie sono tutte eseguite a luce riflessa. Fig. 1.— Faccia romboedrica mostrante rilievi lanceolari. Località: Chianciano. Ingrandimento 5 diametri. i » 2.— Faccia di prisma rilevata presso gli spigoli con ripetute ondulazioni di piani. Località: Chianciano. Ingrandimento 5 diametri. » 8.— Cristallo a facce prismatiche molto sviluppate e mostrante ripetizione di piani romboedrici. Località: Campiglia d’ Orcia. Ingrandimento 5 diametri. » 4.— Cristallo a facce cariate con velature dl quarzo incoloro ricostituito sulle facce prismatiche. Località: Chianciano. Ingrandimento 2 diametri. » 5.— Facce romboedriche corrose con rilievi lineari fra l’una e l’altra. Lo- calità: Chianciano. Ingrandimento 5 diametri. » 6.— Faccia prismatica, con ripetizione di piani romboedrici, che nella fig. 1 si vede in basso e in nero. Località: Chianciano. Ingrandimento 5 diametri. » T.— Cristallo bipiramidato senza facce di prisma. Località: Chianciano, Ingrandimento 3 diametri. » 8.— Idem. idem. con alterno sviluppo di facce. Località: Chian- ciano. Ingrandimento 4 diametri. » 9.— Facce romboedriche con incavi triangolari visibili specialmente presso lo spigolo di combinazione col prisma nella parte destra della figura. Località: Campiglia d'Orcia. Ingrandimento 5 diametri. » 10.— Sezione lustrata parallela all’ asse nel mezzo di un cristallo. Mostra la struttura zonale dovuta alla disposizione alterna delle inclusioni di varia natura. Località: Chianciano. Ingrandimento 5 diametri. Tavola III. Le fotografie sono fatte a luce trasmessa non polarizzata ad eccezione delle 6, 10, 11 eseguite a nicol incrociati, coi piani di polarizzazione paralleli ai mar- gini della tavola. ì 78 Fig. » » G. D’ACHIARDI 1.— Sezione mostrante inclusioni laminari di anidrite e globulari di un solfato di magnesia (?). La lamina centrale di anidrite mostra due inclusioni esagone, verosimilmente di clorite. Località: Cetinale. Ingrandimento 150 diametri. 2.— Sezione con numerose inclusioni fluide e carboniose. Località: Ceti- nale. Ingrandimento 150 diametri. 3.— Sezione parallela all’ asse nel mezzo del cristallo mostrante minuta dissemiriazione carboniosa con tendenza a distribuzione zonale verso l'esterno. Località: Cetinale. Ingrandimento 5 diametri. 4.— Sezione con inclusi di un solfato di magnesia (?) a forte rilievo e nucleo centrale. Località: Campiglia d'Orcia. Ingrandimento 34 diametri. 5. — Sezione mediana parallela all’ asse mostrante la distribuzione zonale delle inclusioni, apparendo in chiaro le zone di quarzo che ne sono libere. Amano a mano che compariscono le facce del prisma il contorno poligonale delle zone si modifica. Località: Campiglia d’ Orcia. Ingrandimento 5 diametri. 6.— Piccolo cristallino di gesso trovato in una cavità entro al quarzo. Località: Chianciano. Ingrandimento 39 diametri. 7-8.— Imelusioni liquide con cristallini cubici di salgemma. Località: Ceti nale. Ingrandimento 200 diametri. 9. — Sezione mediana parallela all’asse mostrante la corrispondenza delle zone interne con la struttura polisintetica del cristallo. Località: Cetinale. Ingrandimento 5 diametri. 10.— È la sezione di fig. 5 che osservata a nicol incrociati mostra in nero la zona prima limpida di quarzo e in mezzo al campo estinto di questi copia grandissima di inclusioni birifrangenti. 11.— Sezione della roccia gessosa dell’ Alpe di Corfino con entro un cristallo di quarzo sezionato quasi normalmente all’ asse. Nell’interno del quarzo quasi estinto si vedono accumulate verso il centro le inclu- sioni, prevalentemente di anidrite. Ingrandimento 30 diametri. 12.— Rappresenta la parte centrale delle fig. 5 e 10. Nel pseudo-quadrato costituito da inclusioni ematitiche si vede un cumulo di lamelle di anidrite. Ingrandimento 40 diametri. DOTT. GIUSEPPE D’ANCONA SZ) IL LOTUS CORNICULATUS 0 GINESTRINO Tra i fiori di piante che troviamo crescere spontanee in tutte le pendici dei nostri monti, nei prati delle colline e del piano, lungo le viottole delle campagne, sulle sponde di rivi o fossatelli, come ancora in vicinanza del mare, uno dei più graziosi per forma e pel suo bel colore di un giallo puro dorato o aranciato, appartiene al Lotus corniculatus dei Botanici, più comunemente noto coi nomi di Ginestrino o di Mul- laghera. Pianta già da lungo tempo compresa nella Flora foraggiera, nondi- meno neanche oggi si può dire con esattezza sin da quando, e se pure ne faccia menzione nella sua “ Agricoltura , il TartI lucchese (Venezia 1561) vien ricordata piuttosto come pianta utile in usi farmaceutici, che non per alimento del bestiame: sembra infatti allora servisse con effi- cacia essenzialmente nella cura di malattie degli occhi. Certo che primi ad apprezzarla come foraggio furono gli Inglesi, e già nel 1681 il WoR- LIDGE (Mystery of Husbandry) la annoverava tra i migliori: tuttora le hanno mantenuto il più ampio favore, e la designano coll’ appellativo di Birdsfoot little wild broom. In Germania, segnalatavi agli agricol- tori dallo ScHwERZ, vien detta Lotuspflanze, Zierlicherbse, Schotenkee od Hornklee: ma più diffusa è in Svizzera, per merito principale, se- condo ci dice lo STEBLER, di un piccolo proprietario di Wangen (Olten), il quale con pazienza raccolse i semi della pianta spontanea, e dello STROMEIER, distinto agricoltore di Basilea, che particolarmente curò la cultura se ne estendesse nelle varie regioni del suo paese. In Francia, oltrechè il nome di Lotier corniculé, ne ha ricevuti popolarmente mol- tissimi, quali, Trèfle cornu, Trèfle jaune, Cornette, Pois joli, Pied d’oiseau, Mariée, petit Sabot, Pied de bon Dieu, de pigeon ou de poule, Lotier des près ou d’Allemagne, e altri ancora. 80 G. D’ ANCONA Da noi vien chiamata Ginestrino, Mullaghera, Baccellina cornicolata, Moscino giallo, Trifoglio giallo, Trifogliolino, Veccia grigiolata, Veriolo, Loto a cornicelli, ecc. Ma in Italia non è molto diffusa: e nella mag- gior parte dei diversi Trattati vien per lo più solo citata come pianta che trova ottimo posto nei miscugli dei Prati stabili, ove si può dir quasi sia indispensabile, e di rado se ne ha particolare ricordo perchè | sia coltivata o debba coltivarsi nei Prati artificiali regolarmente avvi- cendati. Nondimeno ne parla a lungo il prof. M. MonrANARI nel suo pregevole “ Trattato di Agricoltura , (Napoli, Marghieri 1889), e nel vo- lume riguardante la Toscana dell’ Inchiesta Agraria, già la troviamo di- chiarata come la foraggiera dell’alto Mugello: ed il prof. N. PELLEGRINI nella sua “ Praticoltura , (Milano, Vallardi 1897) scrive averla veduta coltivata nel Padovano, per provvedere in special modo i semi richiesti e ben pagati da agricoltori lombardi. In Toscana intanto va estendendosi oltre i confini del solo Mugello, in certe località e per certi terreni: e giova sperare, e tutto fa credere pei risultati che può dare, non abbia a mancarle un avvenire favore- vole. Ed il fatto di appartenere alla provvida famiglia delle leguminose, può rendere alla cultura della nostra pianta più agevole il propagarsi anche in Italia, come già in Inghilterra ed in Svizzera, a sostituirne altre di maggiori esigenze, o minor convenienza di essere specializzate. Si noti ancora che niun’ altra leguminosa ha nel terreno durata possi- bile pari a quella del Ginestrino, il quale può mantenervisi sin oltre venti anni, resistendo benissimo agli eccessi di aridità o di umidità del suolo, e può senza inconvenienti irrigarsi. Tolgo la seguente descrizione botanica dall'opera ricordata del Mox- TANARI, e dalla “ Flora Italica , del BeRtoLONI. — Radice fittonata fu- siforme a testa inspessita, da cui partono i getti in fascio-serrato: steli di 20-60 cm. angolosi, protesi alla base, ma non radicanti, che divengono ascendenti a poco a poco, glabri o pubescenti. Foglie sparse, molto bre- vemente picciolate, con 5 foglioline obovate cuneiformi od oblungo-lan- ceolate, verdi scure di sopra e glauche di sotto: uno spazio assai lungo corre fra le due foglioline inferiori e le tre superiori. Stipole abortite ridotte a peli ispidi o glandulosi. Fiori relativamente grandi, brevemente pedicellati, riuniti in glomerulo di 2-6 «sopra peduncolo ascellare sor- passante la foglia. Brattea trifogliata alla base del glomerulo. Calice a campana, glabro o villoso. Corolla giallo d’oro screziata di rosso prima e spesso anche dopo l’antesi, e poi divenente a poco a poco verde- IL LOTUS CORNICULATUS 0 GINESTRINO 81 bluastra. Vessillo a unghia stretta, a lembo drizzato verticalmente e convesso in avanti. Ali rigonfie, che viste dal davanti, presentano forma emisferica. Carena prolungata in becco conico, ove sono nascosti gli or- gani riproduttivi. Ovario-pluriovulato, lineare, curvato in alto. Legume cilindrico lungo mm. 25-27 e grosso 2-3, bruno, con superficie rugosa, reticolata, a molti semi, separati da inspessimenti cellulosi, aprentesi in due valve che poi si torcono in senso opposto. Semi ovoidi legger- mente appiattiti, bruno lucenti, lunghi 1mm. o poco più, a ilo biancastro arrotondato. a Tre sono le varietà che offrono importanza in agricoltura: 1.° Il Lotus corniculatus vulgaris, che è la più comune; 2.° Il Lotus corniculatus villosus; 3.° Il Lotus corniculatus tenuifolius, a foglioline più piccole, che sembra una varietà meridionale, adatta specialmente nei terreni salma- strosi, contenenti cioè apprezzabili quantità di cloruro di sodio. Lo STEBLER pensa che la varietà vulgaris, in ogni modo la più pregiata come quella che è più produttiva e duratura, sia coltivata solo in Sviz- zera nel Giura. Nelle Flore italiane, anche ristrette a singole località, figurano tanto la vulgaris, quanto la tenuifolius, e credo non errare as- serendo di averle vedute ambedue in coltivazione presso di noi. Ma del resto le tre varietà possono facilmente confondersi, secondo 1’ autorevole parere dello StEBLER medesimo. Il Lotus corniculatus è una delle piante che la natura ha più este- samente disseminato in tutte le parti del mondo, poichè fa parte, per dir così, di tutte le associazioni vegetali. Bisogna riconoscere che sia proprio indifferente a terreno, clima e altitudine, poichè è sparso in tutta l’ Europa (eccettochè in Russia settentrionale ed in Lapponia), nel Nord dell’ Africa, ed in Asia nel Caucaso, Anatolia, Urali, Altai e nel Giappone: manca nell’ America del Nord, ma è stato con successo na- turalizzato in Australia. Lo troviamo alle maggiori altezze: Bossier lo indica nel mezzodì della Spagna sino a m. 1600 di altezza, e nelle re- gioni alpine sino a m. 3300, ma allora va considerata come altra va- rietà detta glacialis, cui deve certamente riferirsi anche il Lotus alpinus di Ramonp. De CAanpoLLE l’ha segnalato sulle Alpi Svizzere sino a m. 2600 e WAHLEMBER6 a 2200. LepeEBOUR nel Caucaso da 300 a 2400 m. e nel Taliisch tra 1600 e 2000. Anche nei nostri Appennini è frequentissimo ed io stesso l’ho veduto quasi ai 2000 m. E potendo assoggettarsi ad ogni clima e modificarsi secondo i luoghi e le condizioni che la circon- 82 G. D’ANCONA dano, questa pianta deve, come avviene, trovarsi in tutte le latitudini. Secondo il Lecocq (Études de Géographie Botanique) ecco i suoi limiti di estensione: Sud — Abissinia 190 NEO Latitudine 58° Nord — Loffoden 70° | Occidente — Madera 19° O. ic no Oriente — Siberia 980 E, | OTSIUINO Quadrato di espansione 6122. La cultura della nostra Foraggiera, a detta dei diversi autori, deve essere possibile in tutti i terreni, e più specialmente in quelli aridi e magri di montagna, ove l’esperienza fatta permette di ritenerla supe- riore a qualsiasi di altre leguminose. Nel Giura (scrive lo STEBLER) il Lotus corniculatus è prezioso pei campi a suolo ricco in calcare, me- diocremente concimati e lontani dalle fattorie. Prospera poco nei ter- reni ricchi di sostanza organica, che possono favorire lo sviluppo delle cattive erbe, e specialmente della Cuscuta, formidabile suo nemico. L°es- sere facilmente attaccato da questa pianta parassitaria, e, come vedremo in appresso, il non avere grado molto elevato di germinabilità, costitui- scono i suoi maggiori difetti, gravissimi senza dubbio, ma sopra i quali poi in fin dei conti possono le cure dell’uomo trionfare. In Toscana si- nora ha dato buoni risultati solo, ch'io mi sappia, nei terreni silicei o nei siliceo-argillosi: negli argillosi, che pur son tanto frequenti, non mi consta sia stata esperimentata: e poichè si suol fare eccezione pel suo adattamento solo ai terreni torbosi, gioverebbe tentarvene la prova. In Svizzera lo si semina in marzo o aprile e già in luglio è in fiore, ma da noi conviene seminarlo in Autunno per falciarlo poi a Primavera: permette un secondo taglio in agosto, e talvolta ne è possibile pure un terzo, o almeno sino a novembre possono lasciarvisi le bestie in pa- stura. In generale si suole consociarlo con altre foraggiere; che per of- frir fusto più resistente, mantengono più dritta la nostra, la quale poi si presta benissimo a riempire i vuoti, rendendo così più copioso il com- plessivo raccolto. Seminato da solo, occorrono di seme ad Ea. kg. 15-20, del quale un El. pesa kg. 75 circa. Il seme, come già ho accennato, ha bassa facoltà percentuale germinativa, solo del 61/, secondo STEBLER, del 59°/o secondo Toparo. Ma di contro può conservarla molto più a lungo di altre leguminose, come dimostrano i recentissimi studil in pro- posito del dott. F. Toparo (Stazioni sperimentali Agrarie, Vol. 31): ed : i } Ì È IL LOTUS CORNICULATUS 0 ‘GINESTRINO 83 è dovuto sopratutto all’ elevato percento di seri duri che d’ordinario contiene, se nel Ginestrino si trovano gradi abbastanza elevati di ger- minabilità anche dopo una conservazione del seme di sette od otto anni. Non richiede poi il Ginestrino cure particolari di lavorazione, se non quelle comuni a tutte le piante del genere. Dà molto prodotto: lo STE- BLER al 2.° anno in tre tagli ha ottenuto in aiuola di 2 m.? kg. 13,5 di erba verde: il SincLAtrR da terreno tenace ha avuto q.' 36 di fieno ad Ea.: il MontANARI dichiara che il prodotto in fieno per Ea. può essere di q.' 40-50. Anche nel Mugello dà forte produzione, secondo i dati co- municatimi, e questo deve essere tenuto nel dovuto conto dai nostri pra- tici: l’unità di prodotto delle piante presso di noi coltivate per foraggio è in generale piuttosto scarsa. Contrariamente ad una vecchia opinione gli animali tutti, equini, vaccini ed ovini, se ne cibano volentieri, tanto verde, in stalla o in pa- stura, quanto secco. Però volendoglielo far mangiar fresco è utile fal- ciarlo precocemente, perchè i fiori sono un po’ amari, ed il loro colore intenso può comunicarsi al latte ed al burro, che pur non ne risentono affatto per qualità. Nel seccarsi a fieno si riduce circa del quarto: NicgLes da 100 kg. di erba ne ha ottenuti 25 di fieno: RIirTHAUSEN ha trovato nel foraggio verde il 79,2°/o di acqua. In prove accurate di af- fienagione eseguite in Mugello e nell’ Aretino, per mio desiderio, da 100 kg. di erba si sono ottenuti di fieno rispettivamente kg. 27 e kg. 31, compresi però 3 kg. circa di foglie che naturalmente si erano staccate: e questo insegna che deve porsi molta cura nell’ affienarlo. Sulla composizione chimica della nostra pianta ho potuto trovare alcune analisi abbastanza complete, dovute a scienziati stranieri, che mi piace riportare: I. Analisi del MAERcKER publicata nella “ Deutsche Landwirtschaftliche Presse, 1887. N. 6. Acqua eee 15 i Sostanze azotate . 13,5 Acido fosforico. 6,51 Per 100 di so- : i È Per 100 ; Grassi greggi. . 2,8 i Calce. «0.034,10 stanza sec- “DR, : di à ,__+. | Estrattivi inazotati 39,7 Magnesia. . . 7,60 cataall’aria ] ; cenere pura Fibra greggia. . 24,6 Potassa . . . 19,02 Ceneri. 49 Sc. Nat., Vol. XVII 6 84 * G. D’ ANCONA II. Analisi riferite da SaEBLER e SCHROETER: “ Les meilleures plantes fourragères ,. (Berna. Wyss, 1894). dovute a KIRCHNER e HAGEN, @ KELLGREN e NILSON ed @ STEBLER e SCHROETER. Per 100 di sostanza seccata all’ aria Media Minima Massima Sostanza azotata greggia. . . . . 12,1 1 13,6 Grassi, stegoli te de ZA 2,3 398 Rstrattivi inazotabi Rie 83506 28,4 41,2 Cellulosatore So Ae RN 3082 15,9 35,8 CENEriE rato A SAT AIN 4,9 11,4 Per 1000 di sostanza seccata all’ aria Azoto . . . 25,1 (Cane o ie O Acqua . . . 140 Acido fosforico 10,9 Potassa . . . 23,8 Soda So 0,9 Calce 82058 Magnesia . . 5,2 Acido solforico 2,4 Acido silicico . 7,3 E poichè niuna di queste analisi era stata compiuta in Italia, volli eseguirne due io pure, su campioni fornitimi, l’uno dal sig. G. CHIARUGI, agente alla Fattoria del Palagio presso Scarperia (Mugello) di proprietà del marchese ToLomri, l’altro dal conte ALEssio PANDOLFINI: si abbiano qua i miei dovuti ringraziamenti, anche per le indicazioni cortesi colle quali hanno accompagnato i campioni medesimi, e di cui già in addietro più volte mi son valso. Il campione N. 1 (Mugello) è di un secondo taglio di Ginestrino, eseguito alla metà di luglio, coll’erba in piena fioritura, in prato di terreno siliceo-argilloso, esposto a Mezzogiorno. Il campione N. 2, proveniente dalla Tenuta di Col di Gragnone (Arezzo), pure di secondo taglio, fu falciato in agosto quando i semi erano già appariscenti nei legumi, di un’altezza di cm. 65: aveva ve- getato in terreno tufaceo argilloso, contenente pochissimo carbonato di calce, in cui prospera il castagno. L’analisi chimica dei due campioni, seccati all’aria e resi in polvere, fu compiuta nel Laboratorio di Chimica Agraria della R. Università di Pisa, per gentil concessione del Direttore, prof. Fausto SESTINI, ed al mio ottimo Maestro giungano le espressioni di mia viva gratitudine. Iì lavoro analitico fu interamente eseguito avendo a guida i “ Me- todi e Norme per l’ analisi chimica delle materie di uso agrario , (Pisa, Mariotti 1895), publicati dal Laboratorio medesimo. Ed ho cercato di presentare i risultati, nel modo il più completo che mi fosse possibile. IL LOTUS CORNICULATUS O GINESTRINO 85 Nondimeno neanche dalle cifre da me raccolte può trarsi il rapporto nutritivo della nostra leguminosa, perchè se a me fu concesso, seguendo il metodo della digestione artificiale, che porta il nome da STUTZER, poter determinare le sostanze azotate digeribili, niun metodo, al pari di quello di effetti scientificamente sicuri, è offerto al chimico per uguale determinazione della parte nutriente delle altre sostanze che compon- gono i vegetali. Ciò potrebbe ottenersi colle prove accurate di alimen- tazione diretta del bestiame, che solo forse possono condurre a termine scrupolosamente Istituti o Scuole Agrarie meglio ancora che privati, e che escivano affatto naturalmente dal campo delle mie esperienze. Simili prove sono state già per quasi tutti i foraggi compiute in Istituti di Germania, d’ Inghilterra e di Francia, ma non, ch'io sappia, pel nostro. — Ecco quanto ho determinato nei due fieni: PER 100 DI SOSTANZA Seccata all’ aria Secca a 110° C. INS N. 2 N. 1 N. 2 DITTE PI IAA RIVER AIC IAS PRESORESPEOTIRRE 15,150 | 13,954 » » Sostanze azotate (N. proteico X 6,25) . 14,808 | 13,813 | 17,440 | 15,868 Sostanze grasse (Estratto etereo). . 3,113 3, 231 3,670 3, 700 MIPrARotege pia, i su ole nata 28,243 | 30,037 | 33,168 | 34,507 WERErSgp urna i a se. 6,103 7,186 7,192 8,255 Sostanze estrattive inazotate . . . 32,583 | 31,779 | 38,530 | 37,670 | Pentosani . . 9,128 9,656 | 10,757 | 11,233 > delle quali} Carboidrati sac- carificabili e ari Oa 15,845 | 14,979| 18,674) 17,408 100,000 | 100,000 | 100,000 | 100,000 Sostanze azotate digeribili. . . . 6, 900 T, 175 » » Nucleina indigeribile (1)... . 7,908 6, 638 » » cio e ER] CSA 2,520 2,450 » » Azoto proteico. . . . ia 2,010 1,900 » » Azoto digeribile . . . ; 1,104 1,148 » » (') LojSturzER indica con questa denominazione convenzionale la differenza tra la sostanza azotata totale e quella digeribile, 86 G. D’ ANCONA Ossido ferricc-alluminico » calcico . » magnesiaco » potassico » Sodico . Anidride fosforica » solforica » silicica.. Cloro Differenza tra Cl, e O Sostanze non determinate e perdite Per 100 di Ginestrino seccato all'aria Per 100 parti di Cenere pura No 1 No 2 No 1 No 2 0,222 | 0,364 | 3,637 | 5,066 1,524 | 1,698 | 24,969 | 23,629 0,310 | 0,294 | 5,082 | 4,091 1,340 | 1,580 |21,954 | 21,987 0,452 | 0,486 | 7,405 | 6,772 0,612 | 0,768 |10,026 | 10,687 0,290 | 0,315 | 4,915 | 4,383 J 1,268 | 1,605 |20,781 | 22,335 0,053 | 0,074 | 0,884 ! 1,029 6,071 | 7,184 | 99,653 | 99,979 0,012 | 0,016 | 0,202 | 0,235 6,059 | 7,168 | 99,451 | 99,744 0,044 | 0,018 | 0,549 | 0,256 6,103 | 7,186 | 100,000 [100,000 Da queste analisi del foraggio ridotto a fieno si può facilmente rico- . struire la composizione chimica del Ginestrino allo stato naturale, tenendo conto di quanto già abbiamo veduto che perde nel seccarsi. Acqua Sostanze azotate Sostanze grasse Fibra greggia . Ceneri Sostanze estrattive inazotate . ( Pentosani » delle quali ì Sostanze azotate digeribili Nucleina indigeribile Azoto totale Azoto proteico Azoto digeribile Carboidrati saccarificabili e amido . Per 100 di sostanza naturale Ne 1 N. = 80,285 | 76,489 3,429 | 3,730 0,723 | 0,872 6,563 | 8,113 1,418 |. 1,937 7,582 | 8,859 2,120 | 2,608 3,693 | 4,046 100,000 |100, 000 1,615 | 1,937 1,814 | 1,593 0,585 | 0,662 0,468 | 0,515 0,256 | 0,310 IL LOTUS CORNICULATUS 0 GINESTRINO 87 Composizione della Cenere N61 N. 2 Ossido ferrico-alluminico . : ; 7 ; 0, 051 0, 098 » calcico. : È - 2 i È 0,354: 0, 407 » magnesiaco . È : 5 : - 0,072 0,079 » potassico . 2 7 : 5 2 0,311 0, 426 » Ssodico. . È ; i È : 0,105 | 0,151 Anidride fosforica . 5 : - . o 0, 142 0, 206 » solforica . o o ì 0 £ 0, 069 0, 084 » Silicicantttà : 5 " c . ‘0,294 0, 432 Cloro . 3 > Say VE z : : 0,012 0,019 1,410 1,932 Differenza tra Cl, e O. . : È È 0, 002 0, 004 1,408 1,928 Sostanze non determinate e perdite ; - 0,010 0,009 1,418 1,937 Esaminando con attenzione le quantità dei chimici costituenti il Lotus corniculatus, può trarsene facilmente la conclusione, che in realtà deve annoverarsi tra i migliori foraggi, poichè contiene in buona proporzione gli elementi nutritivi. E se pur vero, che grave suo difetto sia anche quello di indurire notevolmente invecchiando, allo stato di fieno, sia il primo nell’anno a concedersi al bestiame in istalla. E poichè il Gine- strino permette annualmente più tagli, ottima cosa potrà essere il so- vesciare l’ultimo di essi, come già mi scrive l’egregio conte PANDOLFINI di aver praticato nella sua tenuta presso Arezzo. In tal modo egli ha potuto restituire al terreno, per dir solo dei componenti principali, ad Ettaro: di Azoto ; z c . è - 3 kg. 132,400 di Acido fosforico . - 5 _ : . » 41,200 di Potassa . - 5 . ” ; à » 85,200 88 G. D' ANCONA E per i computi di Statica Agraria, per coloro i quali ad essa at- tribuiscono quella relativa importanza, che pur le spetta,.ecco quanto un medio raccolto di kg. 20000 di Ginestrino fresco, pari a quintali 50 di fieno, esporta dal terreno, in cui vegeta, a suo profitto, degli elementi minerali del suolo medesimo: giova avvertire che le quantità qui sotto indicate non sono desunte solo dalle analisi ch'io ho eseguite, bensì in base alla media di tutte quelle che della pianta ho potuto conoscere. Contenuto in 100 parti Estratto da Un ettaro — della pianta naturale di terreno Ossido ferrico-alluminico Kg. 0, 074 14, 800 » calcico » 0, 465 93, 000 » magnesiaco » 0, 093 18, 600 » potassico » 0,398 79,600 » Sodico » 0,112 22, 400 Anidride fosforica » 0,219 43, 300 » solforica. » 0, 070 14, 000 » silicica » 0,210 42,000 Da tutto quanto ho raccolto oggi sopra il Lotus cormiculatus, frutto di estese ricerche e di esperienze mie proprie, credo potermi sentire sicuramente indotto a raccomandarne la coltivazione agli agricoltori del nostro paese: ed auguro vivamente che in pratica i fatti non vorranno smentire la mia modesta parola. Laboratorio di Chimica Agraria della R. Università di Pisa febbraio 1899. ALLEGATO Risultati di analisi del Lotus corniculatus N. 1 | N.2 1. Determinazione dell’ umidità. Peso del vasetto con sostanza . 3 : o . Gr. | 33,2700 | 32, 8920 » del vasetto vuoto , c 0 7 x : » | 23,2700 | 22, 8920 » della sostanza adoperata . 3 : 0 20 »| 10, » LOM » del vasetto colla sostanza seccata a 110° C. | » | 31, 7550 | 31,4966 Mt IO | 13954 Umidità °/, di sostanza . o - c , ; » | 15,150 | 13,954 Sostanza secca . È o 5 page ide . ° »| 84,850 | 86,046 2. Determinazione delle sostanze azotate. Foraggio seccato all’ aria adoperato . E : . Sai IbLO se LO Peso del residuo dei diversi trattamenti . 7 , »| 8,9932 | 8,9122 Adoperati di questo per la determinazione dell’ azoto. »| 1,6482| 1,4032 Azoto trovato . ; . È , : 5 7 » | 0,037 0, 032 Sostanza azotata corrispondente °/, di sostanza . . » | 14,808 | 13,813 Sostanza azotata corrispondente °/, di sostanza secca. » | 17,440 | 15,868 Azoto proteico . c c c È È : £ »| 2,010 1,900 3. Determinazione dell’ estratto etereo (Grassi). Sostanza adoperata . : 3 5 7 5 ; »| 6,4100 | 6,3720 Peso del palloncino colla sostanza grassa . ; ” » | 35,8620 | 35, 8640 Peso del palloncino vuoto . È 3 ; 7 . » | 35,6268 | 35, 6274 Peso della sostanza grassa . o : ; 0 i; »| 0,2352 | 0,2366 Sostanza grassa corrispondente °/, di sostanza . . —»| 3,1136 | 3,2313 Sostanza grassa corrispondente °/, di sostanza secca . »| 3,670 | 3,700 4. Determinazione della fibra greggia (Cellulosa). Sostanza secca e digrassata adoperata c è c EI 2, » Peso della fibra greggia separata . : È .»| 0,7050| 0,7254 Fibra greggia corrispondente °/, di sostanza . - » | 28,243 | 30, 037 Fibra greggia corrispondente °/, di sostanza secca . —»| 33,168 | 34,507 90 G. D' ANCONA 5. Determinazione della cenere impura. Sostanza adoperata Peso del crogiuolo colla cenere . Peso del crogiuolo vuoto Peso della cenere Cenere impura corrispondente °/, di sostanza 6. Determinazione dell’anidride carbonica. Peso dell’ apparecchio con cenere Peso dell’ apparecchio vuoto Peso della cenere adoperata Peso dell’ apparecchio dopo svoltasi 1° CO, . ‘Perdita in peso . Anidride carbonica °/o 7. Determinazione della sabbia e carbone. Residuo ìnsolubile in soda caustica 10 °/, . Sabbia e carbone °/ . 8. Determinazione della cenere pura. Cenere impura Sabbia e carbone e anidride carbonica Cenere pura Cenere pura corrispondente °/, di sostanza. Cenere pura corrispondente °/, di sostanza secca 9. Determinazione dei pentosani. Sostanza adoperata Peso del floroglucide precipitato. Pentosani corrispondenti °/, di sostanza Pentosani corrispondenti °/, di sostanza secca x No 1 IN. DD 50, >» 50, » 58,2367 | 65, 5160 54, 3284 | 60, 0248 3,9083 | 4,4912 7,8166 | 8,9824 92, 9504 | 93, 5428 89, 0524 | 89, 0516 3,8980 | 4,4912 92,5780 | 92,9607 0,3724 | 0,5821 0, 7448 | 1,1642 0,4841 | 0,3159 0,9682 | 0,6318 3,9083 | 4,4912 .| 0,8565| 0,8980 3,0518 | 3,5932 6,108 | 7,186 7,192 | 8,255 2,5000 | 2,5000 0,1660 | 0,1756 9,128 | 9,656 10,757 | 11,233 I IL LOTUS CORNICULATUS O GINESTRINO 91 10. Determinazione dei carboidrati saccarificabili (come Amido). Sostanza adoperata . . : . . : gi (Gi Quantità media di soluzione zuecherina occorsa per ridurre cc. 10 del reattivo di FRHLING . Îe i O, Glucosio °/, di sostanza... e, ; Gi Amido corrispondente °/, di sostanza . x Amido corrispondente °/, di sostanza secca . o » 11. Determinazione delle sostanze azotate digeribili. Sostanza secca e digrassata adoperata. 2 0 o » Azoto trovato . : 7 ; : ò . 5 » Azoto digeribile corrispondente °/, di sostanza . 5 » Sostanza azotata digeribile corrispondente °/, di sostanza » 12. Determinazione dell’ azoto totale. 1.2 PROVA Sostanza adoperata . È L 5 , - . » H,S0, N. adoperato . : . , 7 : Rice. NaOH » occorso . : . o : c : » H,SO, » saturato . È 2 : ; o ; » H,SO, » dalla prova in bianco . - 7 6 » H,SO, » dall’ N della sostanza x : 3 : » 2.3 PROVA Sostanza adoperata . ; , : . È Gr H,SO, N.° adoperato . : - : o . 0 NaOH » occorso . : È : . ' È » H,SO, » saturato . . : ; È ; i; » H,S0, » dalla prova in bianco ; ) . i, » H,S0, » dall’N della sostanza È . - ; » Azoto totale corrispondente °/, di sostanza. =» Sc. Nat., Vol, XVII No 1 N. = 10, » LOI 28,4 30, 6 17,605 | 16,643 15,845 14,979 18, 674 17,408 VAN) 2, » 0, 0220 0, 0229 1,104 1,148 6,900 1,175 Io IÙ, » 20, » 20, » 178) le Za Di do 0,3 0,3 1,8 DAT 2, » 2, » 25, » 25, » 20,8 21,1 4,2 9,9 0,3 0,3 9,9 3,6 2,520 2,450 7 92 G. D’ ANCONA 13. Determinazione dell’ ossido ferrico - alluminico (eseguita in 100 ce. della soluzione cloridrica di 500 cc.). Peso del crogiuolo col precipitato raccolto . » del crogiuolo vuoto » del precipitato complessivo » da defalcarsi della P,0. » dell’ ossido ferrico-alluminico Ossido ferrico-alluminico °/o di sostanza Ossido ferrico- alluminico °j, di cenere pura 14. Determinazione dell’ ossido calcico (in cc. 100 di 500). Peso del crogiuolo col precipitato » del crogiuolo vuoto » del precipitato Ossido calcico °/, di sostanza / » calcico °/, di cenere pura 15. Determinazione dell’ossido magnesiaco (in cc. 100 di 500). Peso del crogiuolo col precipitato » del crogiuolo vuoto » del pirofosfato magnesiaco . Ossido magnesiaco corrispondente °/, di sostanza » magnesiaco corrispondente °/, di cenere pura. 16. Determinazione dell’ ossido sodico (in 50 cc. di 500). Peso della capsula coi cloruri » della capsula vuota » dei cloruri di Na e K. Cloruro di K calcolato dal cloroplatinato Cloruro di sodio . Ossido sodico corrispondente °/, di sostanza » sodico corrispondente °/, di cenere pura. Gr. x % 4 x d »d x DA 2A DA x x x x x x x % DA Ne 1 N. 20, 9358 | 20, 9426 20, 8676 | 20,8678 0,0682 | 0,0748 0,0460 | 0,0384 0,0222 | 0,0364 0,222 | 0,364 3,637 | 5,066 19, 7756 | 21,0374 19, 66232 | 20,8676 0,1524 | 0,1698 1,524 | 1,698 24,969 | 23,629 20, 9530 | 19, 7040 20, 8674 | 19,6230 0,0856 | 0,0810 0,810 | 0,294 5,082 | 4,091 34,9452 | 34,9758 34,8052 | 34,8050 0,1400 | 0,1708 0,1060 | 0,1250 0,0340 | 0,0458 0,452 | 0,486 7,405 | 6,772 IL LOTUS CORNICULATUS O GINESTRINO 17. Determinazione dell’ossido potassico (in 50 ce. di 500). Peso del cloroplatinato potassico. Cloruro potassico corrispondente. Ossido potassico corrispondente °/, di sostanza Ossido potassico corrispondente °/, di cenere pura 18. Determinazione dell’anidride fosforica (în ce. 75 di 500). Peso del crogiuolo col pirofosfato magnesiaco » del crogiuolo vuoto » del pirofosfato magnesiaco . Anidride fosforica corrispondente °/, di sostanza Anidride fosforica corrispondente °/, di cenere pura . 19. Determinazione dell’anidride solforica (in cc. 100 di 500). Peso del crogiuolo col solfato baritico , » del crogiuolo vuoto » del solfato baritico Anidride solforica corrispondente °/, di sostanza, Anidride solforica corrispondente °/, di cenere pura . 20. Determinazione dell’ anidride silicica (nel liquido separato dalla sabbia e carbone ) Peso del crogiuolo colla sostanza » del crogiuolo vuoto » della sostanza Anidride silicica corrispondente °/, di sostanza . Anidride silicica corrispondente °/, di cenere pura N». 1 N». 2 0,3418 | 0,4072 0,1060 | 0,1250 1,340 | 1,580 21,954 | 21,987 20, 9392 | 20, 9270 20, 8672 | 20, 8670 0,0720 | 0,0600 0,612 | 0,768 10,026 | 10,687 19, 7078 | 20, 9596 19,6234 | 20, 8676 0,0844 | 0,0920 0,290 | 0,315 4,915 | 4,383 21,4514 | 21,6694 20, 8672 | 20, 8668 0,5842 | 0,8026 1,268 | 1,605 20,781 | 22,335 Sostanza adoperata . (. ci AE ni Soluzione di nitrato d’ argento occorsa " i 5 Cloro precipitato da un ce. di soluzione . . Cloro corrispondente °/o di sostanza E TI Cloro corrispondente °/o di cenere pura... Differenza fra cloro e ossigeno Ce °/o di sostanza. Differenza fra cloro e ossigeno ta °/o di cenere pura. Be È M. CANAVARI HOPLITI TITONIANI DELL’APPENNINO CENTRALE (Tav. V [I]). Nel Museo di Pisa si trovano conservati tre esemplari di Ammoniti dell'Appennino centrale appartenenti al genere Hoplites e non corrispon- denti a nessuna delle specie conosciute. Essi provengono molto proba- bilmente dal Titoniano superiore; uno, Hopl. aesinensis n. sp., fa parte della serie dell’ Hop. Chaperi Pict., e gli altri due, Hopl. heterocosmus n. sp. e Hopl. Bonarellii n. sp., si riuniscono alla serie dell’ Hopl. Eu- thymi Piotr. Il desiderio di recare un nuovo contributo, sia pure tenuissimo, alla conoscenza delle faune secondarie dell'Appennino centrale, m’induce oggi a pubblicare la descrizione dei tre Hopliti su ricordati. Hoplites aesinensis n. sp. Tav. V [I], fig. 1a-d. DIMENSIONI Diametro approssimativo . . ; 7 ; mm. 123 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al TIRA o 0,34 Spessore » » » 7 0,19 Larghezza dell’ ombellico » » : 0,31 Il frammento conservato di questo Hoplites corrisponde circa alla metà di una conchiglia molto compressa, tutta concamerata, con accre- scimento piuttosto rapido e con piccolo ricoprimento. Fianchi pochissimo convessi con il massimo spessore ai ?/, della loro altezza dal contorno ombellicale; regione esterna subpiana, sezione trasversale subpentagonale compressa, intaccata inferiormente dal ritorno della spira. Sulla parte 96 ad M. CANAVARI del giro esterno conservato e presso il contorno ombellicale, ove i fianchi scendono rapidamente all’ombellico, si hanno undici tubercoli compressi lateralmente; altrettanti e della stessa forma costituiscono una seconda serie situata ai “|, dell'altezza del giro, in corrispondenza cioè del mag- giore spessore. Nella direzione radiale i tubercoli sono riuniti a due a due mercè una costicina originata dai loro prolungamenti. Da ogni tu- bercolo poi della seconda serie partono due coste, in sul principio poco manifeste, poi alquanto acute, piegate anteriormente, e aumentanti in grossezza verso l'angolo di riunione dei fianchi con la regione esterna, ove terminano con spiccato ispessimento, che a grado a grado verso la parte più sviluppata della conchiglia prende l'aspetto di deciso tuber- colo. Oltre alle coste che confluiscono a due a due nei tubercoli della serie centrale, se ne hanno interposte altre due tra ogni coppia, rara- mente una sola, le quali, cominciando all’esterno con un tubercolo al- lineato con quelli della serie esterna e della stessa forma di essi, sva- niscono poi verso la serie mediana come è indicato nella figura (Tav. V [I], fig. 1a). I tubercoli marginali limitano la regione sifonale liscia, subpiana e un poco depressa. Nella parte conservata del penultimo giro la doppia serie interna dei tubercoli non si avverte più, e nulla può dirsi intorno all'andamento delle coste perchè il frammento è molto corroso. Il numero però di esse, verso la regione esterna, doveva es- sere assai considerevole, perchè nel fianco opposto a quello figurato, presso la sutura di ricoprimento, se ne hanno le tracce di circa 45. I lobi sono evidentissimi su tutta la porzione dell’ ultimo giro rimasto. La terz’ultima linea lobale è quella figurata (Tav. V [I], fig. 1d); essa pre- senta questi caratteri: Sella esterna ampia, profondamente bipartita in modo però che la porzione interna rimane più alta della esterna; prima sella laterale appena più bassa e più stretta della precedente, bipartita da un lobicino non molto profondo; seconda sella laterale bassa, molto ridotta, non spiccatamente suddivisa: segue una sola sella accessoria assai pic- cola. Lobo sifonale nella regione subpiana interposta ai nodi, con sel- letta sifonale ben sviluppata; primo lobo laterale piuttosto stretto, tri- partito e circa !/, più profondo del sifonale; secondo lobo laterale assai ridotto e un poco meno profondo del sifonale. Semplicissimi e alquanto piegati all’esterno sono i due lobi seguenti, l’ultimo dei quali appena sorpassa in profondità il secondo laterale e trovasi sulla parete circum- bellicale. Tutta la linea lobale è poi molto frastagliata e le foglioline presentano quasi sempre nella parte terminale una piccola intaccatura. HOPLITI TITONIANI DELL’APPENNINO CENTRALE ONT] La forma descritta è grandemente vicina all’ Hopl. Chaperi Prot. 4), da cui si distingue solo per la serie esterna dei tubercoli ?) e per le coste ombellicali meno numerose. Altre specie dello stesso gruppo che possono citarsi a titolo di con- fronto sono: Hopl. Vasseuri Ki., Botellae Kiu., Malladae KiL. e Ta- rinì Ki. Hoplites Vasseurì Kin. ®) ha due sole serie di tubercoli, la circum- bellicale e l’ esterna. Hoplites Botellae Ki. *) ha coste fasciculate, più flessuose e i tuber- coli della serie mediana irregolarmente distribuiti ed accrescimento un poco più lento. Hoplites Malladae Kix. %) che ha anche la serie esterna di tubercoli, presenta però coste diritte ed accrescimento molto più lento e quindi giri in proporzione più bassi. Hoplites Tarini Kxn. 5) ha coste esterne più numerose, la regione sifonale più larga e l'apertura più rettangolare. La linea lobale non è conosciuta in nessuna delle cinque specie ri- cordate, quindi in riguardo ai caratteri desunti da essa non può isti- tuirsi alcun confronto. Possiamo solo dire che i lobi della nuova forma appenninica ha spiccatissimi i caratteri degli Hopliti ?); per il loro fra- stagliamento sono poi diversi da quelli osservati nell’ Hoplites heteroco- smus n. sp. e forse da tutti gli Hopliti del gruppo dell’ Hopl. Euthymi Prot. 1) Prorer F. J. — Mel. paléont., 4.° livr., pag. 242, pl. 37, fig. 1-3. Genève, 1868. 2) Il Toucas (Faune des couches tith. de l’ Ardèche. Boll. Soc. géol. de France, 3.° sér., tome XVIII, pag. 606, pl. XVIII, fig. 8. Paris, 1890) dice appunto che l’Hopl. Chaperi Picr. ha le coste molto piegate all’ avanti terminanti sul contorno esterno senza formare una terza serie di tubercoli. 3) Kiran W. — Mission d’Andalousie. I. Le gisement tith. de Puente de los Frailes. II. Etudes paltont. sur les terrains second. et tert. de V Andalousie. Extr. du tome XXX de l’Acad. des sciences de l’ Inst. de France, pag. 663, pl. XXX, fig. 2. Paris, 1889. 4) KiLian W. — L. c., pag. 664, pl. XXXI, fig. 5; — Toucas. A.- L. c., pag. 606, pl. XVIII, fig. 9 e 10. 5) Kiran W.— L. c., pag. 669, pl. XXXI, fig. 6. 6) KiLran W. — L. c., pag. 667, pl. XXX, fig. 4. °) Si vegga per es., a titolo di confronto, la linea lobale dell’ H7oplites ambly- gonius in NEUMAYR et UnLIG. Ueber Amm. aus den Hilsbild. Nordeutschl. Pa- laeont., Bd. XXXII, Taf. XXXVI, fig. 1c. Cassel, 1881. 98 M. GANAVARI Il frammento descritto, fu raccolto nei monti: della Rocchetta che seguono a Nord il gruppo del Sanvicino e proviene dal Titoniano su- periore. Hoplites heterocosmus n. sp. Tav. V [I], fig. 2a-c. DIMENSIONI Diametro . i i ; £ o . ; . mm. 95 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . 0,34 Spessore » » » . 0,31 Larghezza dell’ ombellico » » o 0, 43 Conchiglia discoidale, pochissimo involuta, con ampio ombellico, com- posta da circa quattro giri con accrescimento piuttosto lento. Fianchi molto convessi, col maggior rilievo ad un terzo circa dal contorno om- bellicale; regione esterna larga e convessa nella prima metà dell’ultimo giro, poco convessa invece e quasi pianeggiante verso l’apertura, ove la sezione trasversale si presenta subpentagonale appena intaccata dal ritorno della spira a causa del suo piccolo ricoprimento. I giri interni sono ornati da costicine che appaiono semplici e che gradatamente di- ventano sempre più grosse; nel penultimo giro se ne contano circa 21: presso il contorno ombellicale esse manifestano una spiccata nodulosità che aumenta con l'accrescimento. Oltremodo caratteristici sono poi gli ornamenti dell’ultimo giro. Consistono essi in circa 16 forti tubercoli compressi radialmente e quindi costiformi, che hanno la maggiore spor- genza presso la maggiore convessità dei fianchi. Questi tubercoli non sono molto evidenti nel primo terzo di esso ultimo giro per la conser- vazione poco buona dell’ esemplare; si presentano invece evidentissimi ed assai sporgenti nei restanti due terzi dove se ne contano 9: gli ul- timi 4 sono poi parzialmente rotti. Essi si prolungano verso il contorno ombellicale a guisa di costicina diminuendo però ben presto d’ intensità. Dalla parte esterna i tubercoli sono più larghi e ad ognuno succedono due ondulosità o coste, e talvolta, come in prossimità dell’ apertura, ne succede anche una sola, pochissimo rilevate o indistinte, piegate poste- riormente. Queste ondulosità o coste ingrossano verso i margini esterni dei fianchi e terminano poi in altri tubercoli molto sporgenti, aculeiformi, anch’ essi piegati all’ indietro come le coste e compressi lateralmente. Nella regione sifonale tra gli aculei terminanti le coste di un fianco e HOPLITI TITONIANI DELL'APPENNINO CENTRALE 99 quelli corrispondenti del fianco opposto si presenta una superficie liscia e alquanto depressa. Le suture lobali, solo parzialmente conservate, arrivano sino alla prima metà circa dell’ultimo giro; quindi la seconda metà dello stesso ultimo giro appartiene alla camera di abitazione. È su questa parte che i tubercoli dei fianchi raggiungono il loro maggiore sviluppo. ‘ Lobo sifonale stretto e poco profondo; primo lobo laterale non molto ampio e quasi un terzo più profondo del sifonale; secondo laterale molto piccolo e profondo quanto il sifonale; segue un ampio lobo suturale quasi punto frastagliato. Sella esterna alta e stretta quanto il primo lobo la- terale; sella laterale ampia e un poco più bassa della esterna; succede ad essa una piccola selletta monofilla posta nella parete circumbellicale e poi una lieve ondulosità presso la sutura (Tav. V [I], fig. 20). La nuova specie è strettamente affine all’ Hoplites Euthymi Pict 1). Diversifica da questo per lo spessore maggiore dei giri, per la presenza di due serie sole di tubercoli, mancandovi la serie che si trova presso la sutura ombellicale, e per il maggior sviluppo dei tubercoli stessi. La forma della sezione trasversale del giro, la posizione dei tuber- coli sul maggior rilievo dei fianchi ad un terzo circa del contorno om- bellicale, la grossezza degli aculei marginali e la mancanza dei tuber- coli cireumbellicali, separano poi la specie appenninica dall’ Hoplites Mal- bosi Picr. ?). L’ Hoplites Andreaei Kix. *) del Titoniano superiore di Cabra (Anda- lusia), che ha la sezione dei giri simile a quella del nostro esemplare, presenta ornamenti più regolari, un numero maggiore di coste verso l'esterno dei fianchi, e quivi tubercoli molto meno sviluppati. L’ Hoplites Bergeroni Ki. #) si distingue subito per avere tre serie di tubercoli invece di due. Lo stesso carattere unito all’ accrescimento più lento della spira, alla sezione del giro e alla forma allungata lon- gitudinalmente dei tubercoli esterni, separano facilmente la nostra specie dall’ Hoplites radiatus Brua. 5). 1) Prorer F. J. — ME. paltont., Deux. livrais., pag. 76, pl. 13, fig. 3. Genève, 1867. — Vedi anche Toucas A.- Faune des couches tith. de V Ardèche. Bull. de la Soe. géol. de France, trois. sér., tav. XVIII, pag. 605, pl. XVIII, fig. 7. 5) PiotaT F.:J. — L. c., pag. 7, pl. 14. *Ricran Wi — LL... pag. 600, pl. XXXII, fig. 1. *) Kanran W. — L.c., pag. 672, pl. XXXII, fip. 3. ?) D’' ORBIGNY A. — Paléont. frang. Terr. cretacées, pag. 110, pl. 26. Paris, 1840. 100 M. CANAVARI L’ Hoplites asperrimus D’ ORB. *), raccolto nel Neocomiano inferiore di Senez e di Cheiron presso Castellane in Francia e di Fuente de los Frailes nella Spagna, può esser pure paragonato alla specie descritta per l'assenza dei tubercoli cireumbellicali; esso però è conosciuto solo in esemplari piccoli. Quello più grande del Neocomiano inferiore di Luc- en-Diois descritto e figurato dal SAYN ?) per i peristomi interni, avver- titi anche dal KILIAN 3), e per gli ornamenti appare molto diverso dalla nostra specie, e più legato all’ Hoplites neocomiensis D’ORB. che non al- l’ Hoplites Euthymi Picr. i In riguardo alla linea lobale da me osservata non si può passare sotto silenzio il fatto che essa presenta frastagliamenti molto minori di quella degli Hoplites tipici sviluppati particolarmente nel Neocomiano. Ricorda però senza dubbio quella di alcuni Hoplites del Giura superiore già menzionati, rimanendo però sempre ben distinta. Così per esempio la linea lobale dell’ Moplites Malbosi Pror. 4) ha le due selle, esterna e prima laterale, più spiccatamente bipartite e la seconda sella laterale più sviluppata. La linea lobale dell’ Hoplites Euthymi Pior., che certa- mente è la specie più vicina alla nostra, non fu figurata da nessuno. Quello che può rilevarsi però da ciò che ne scrisse Picret aumenterebbe le analogie avvertite. Il PicteT °) infatti dice di aver osservato un grande lobo laterale superiore (corrispondente al nostro primo lobo laterale) e un laterale inferiore più piccolo (secondo lobo laterale) seguito da un solo ausiliare, come appunto accade nel nostro esemplare. La specie descritta, rappresentata dal solo ‘individuo figurato, fu raccolta nei monti della Rocchetta a Nord del gruppo del Sanvicino e deve provenire certamente dal Titoniano superiore. Hoplites Bonarellii n. sp. Tav. V [I], fig. 3a-d. DIMENSIONI Diametro . . : c 2 - o $ 5 mm. 80 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro Li 0,35 Spessore > » » ; 0,30 Larghezza dell’ ombellico » » ; 0,45 1) D'’ORBIGNY A. — L. c., pag. 206, pl. 60, fig. 4-6. 2) Savn. — Note sur quelques Amm. nouvelles ou peu connues du Néocomien inférieur. Bull. de la Soc. géol. de France, 3.° sér., t. XVII,;pag. 684, pl. XVII, fig. a,b. Paris, 1889. 3) KiLian W. — oss. du crétacé infér. de Provence. Bull. de la Soc. géol. de France, 3.0 sér., t. XVI, pag. 681. Paris, 1888. 4) Prorer F.J. — Mel. paléont. L. c., pl. 14, fig. 1d. 5) Piorat F.J.— L. c., pag. TT. HOPLITI TITONIANI DELL’APPENNINO CENTRALE 101 Conchiglia discoidale, con accrescimento piuttosto lento, composta di 3-4 giri pochissimo involuti. Fianchi convessi, aventi la maggiore convessità ai °/ circa della loro altezza dalla sutura ombellicale; poi scendono a guisa di un piano inclinato verso l’ esterno, riunendosi sotto un angolo ottuso con la regione esterna abbastanza ampia e depressa. Sezione trasversale subesagonale, tendente alla subpentagonale. Gli or- namenti dell’ ultimo giro consistono in coste semplici sui *|, interni della sua altezza, che cominciano nel contorno ombellicale con una nodulosità poco spiccata e terminano con un distinto tubercolo; da questo partono generalmente due coste poco rilevate che nella riunione dei fianchi con la regione esterna finiscono in tubercoli conici. Nell’ ultimo giro, non completamente conservato, dovevano presentarsi circa 40-42 di tali tu- bercoli marginali, e circa 20-21 delle altre due serie interne. Nel pe- nultimo giro le coste sono alquanto più regolari e non tutte dall’esterno confluiscono a due a due verso la serie mediana dei tubercoli, ma al- cune si mantengono semplici sin presso il contorno ombellicale, ove ge- neralmente la serie dei tubercoli è molto poca distinta. I fianchi man- tengono la stessa convessità e forma, e la sezione di esso penultimo giro (Tav. V [I], fig. 3 d) si mantiene proporzionatamente identica a quella dell'ultimo. La depressione sifonale sembra essere alquanto più distinta. La linea lobale non è ben conservata, nè è stato possibile prepa- rarla. Una delle ultime suture è quella in corrispondenza della rottura sulla metà circa dell’ ultimo giro, quindi è conservata parte della camera di abitazione. Può rilevarsi solo su ogni fianco l’esistenza di due selle piuttosto ampie e di una molto piccola. Il primo lobo laterale appare più profondo di tutti gli altri, compreso il sifonale. Questa forma, come l’ Hoplites heterocosmus, appartiene al gruppo dell’ Hoplites Euthymi Prcr. Si collega strettamente alla specie tipica per la triplice serie dei tubercoli sui fianchi, tanto che lo ZrttEL ch’ ebbe l'esemplare in esame sarebbe stato propenso di riferirlo ad essa. Se ne allontana per la posizione un poco più interna della serie mediana dei tubercoli, per lo spessore maggiore dei giri e per la forma quasi subpentagonale della loro sezione trasversale. I due piccoli esemplari delle argille di Speeton paragonati dal PavLow 1) all’ Hoplites Euthymi Picr. si distinguono dalla forma tipo di 1) Pavrow A. — Ammonites de Speeton et leur rapports avec les Ammonites des autres pays. Bulletin de la Soc. impér. des Natur. de Moscou, année 1891, N. 4, pag. 463, pl. XVII (X), fig. 7 .e 9. Moscou, 1892. 102 M. CANAVARI questa specie, oltrechè per le coste un poco più numerose, anche per il loro spessore più grande. Avverte il PAvLow che queste differenze molto probabilmente dipendono dall’ età, tanto più che lo stesso PicrET !) dice che la conchiglia è molto compressa nello stato adulto. La sezione dei giri dei due esemplari inglesi, come si rileva dalle figure date dal PAvLOW, è quasi esagonale (fig. 76) o subesagonale (fig. 95), ed avendo la mag: giore ampiezza non in vicinanza del contorno ombellicale assume una forma molto diversa dal nostro esemplare. Anche il frammento di Ho- plites raccolto nel calcare breccioide del Titoniano superiore di Chomerac (Ardèche) e riferito giustamente dal Toucas ?) all’ Hoplites Euthymi Picr., si distingue facilmente dalla specie descritta, per la convessità limitata dei fianchi, per l’unione quasi ad angolo retto di essi con la sezione esterna e quindi per la sezione del giro pressochè rettangolare, non che poi per la posizione nel mezzo dei fianchi della serie mediana dei tubercoli. Per le analogie e differenze che la nostra forma presenta con le altre affini spettanti al gruppo dell’ Hoplites Euthymi, può vedersi ciò che è stato detto nella descrizione dell’ Hopltes heterocosmus, 0 ciò che scrisse il PavLow *) nella descrizione dell’ Hoplites cfr. Euthymi Prior. Può solo aggiungersi che la triplice serie nei fianchi dei tubercoli, la distingue subito dall’ Hoplites heterocosmus; la regione esterna liscia e depressa e la vicinanza verso il contorno ombellicale della serie mediana dei tubercoli la separano dall’ Hoplites Malbosi Pict. 4) che, come è noto, ha fianchi più convessi dell’ Hoplites Euthymi Picr. L’ Hoplites Bergeroni Ki. °) si distingue per la posizione della serie mediana dei tubercoli al di là del mezzo dei fianchi, per la forma dei tubercoli esterni allungati nel senso tangenziale, oltrechè per la man- canza di vere e proprie coste sull’ ultimo giro. L’ Hoplites Andreaei Kit. *) ha la sezione dei giri quasi identica a quella della nuova forma appenninica, presenta però coste più numerose 1) Picrot F. J. — MéI. paléont. L. c., pag. 16. 2) Toucas A.— Faune des couches tithoniques de l’ Ardèche. Bull. de la Soc. géol. de France., 3.0 sér., t. XVIII, pag. 605, pl. XVIII, fig. 7. Paris, 1890. 3) PavLow A. — L. c., pag. 464. 4) Pico F. J. — Mel. paltont. L.c., pag. 7, pl. 14. 5) KiLian W. — Mission d’ Andolousie ece., L. c., pag. 672, pl. XXXII, fig. 3. 6) Kitan W. — L. c., pag. 670, pl. XXXII, fig. 1. | r SE Sd HOPLITI TITONIANI DELL’ APPENNINO CENTRALE 103 e ornamenti assai più irregolari. Infine potrebbero citarsi a titolo di lontano confronto anche Hoplites Undorae Pavir. ed Hoplites subundo- rae Pavi. trovati negli strati con Aspidoceras acanthicum della Russia orientale 1). L'unico esemplare descritto fu raccolto insieme con 1° Hoplites hete- rocosmus n. sp. del Titoniano superiore dei Monti della Rocchetta a Nord della catena del Sanvicino. 1) PAvLOW A. — Les Ammon. de la Zone à Aspid. acanthicum de V Est de la Russie. Mém. du Comité géologique. Vol. II, N. 3, pag. 79, pl. V, fig. 1-3. St. Pétersbourg, 1886. SPIEGAZIONE DELLA TAV. V [I]. Gli esemplari figurati si trovano nel Museo geologico di Pisa . la-c. — Hoplites aesinensis n. sp. Monti della Rocchetta a Nord del San- vicino, — pag. 95 [3]. 1d. — Hoplites aesinensis n. sp. Disegno della terz’ultima linea lobale conservata, in grandezza naturale, — pag. 96 [4]. 2a,b. — Hoplites heterocosmus n. sp. Monti della Rocchetta a Nord del Sanvicino, — pag. 98 [6]. 2c. — Hoplites heterocosmus n. sp. Disegno della penultima linea lo- bale in grandezza naturale in corrispondenza della metà circa del- l’ultimo giro, — pag. 99 [7]. 3a-c. — Hoplites Bonarellii n. sp. Monti della Rocchetta a Nord del San - vicino, — pag. 100 [8]. 8d. — Hoplites Bonarellii n. sp. Sezione in corrispondenza della rottura sulla metà circa dell’ultimo giro, — pag. 100 [8]. È i | nn n — e eta P. RICCARDO UGOLINI SOPRA: ALCUNI PRTTINIDI: DELLE ARENARTE MIOCENTCHE DEL CIRCONDARIO DI ROSSANO IN CALABRIA (CPavi VI (1): I Pettinidi che mi sono proposto di studiare in questa nota, fanno parte di una collezione di fossili terziari della Calabria che oggi si con- servano nel Museo geologico di Pisa e.furono raccolti dai dottori A. Fu- cini e B. Greco in diverse località mioceniche del circondario di Rossano. Per quanto il loro numero ascenda ad un’ ottantina circa di esemplari, di tutte le dimensioni e più o men bene conservati, pure, dopo un esame accurato e minuzioso, ho dovuto persuadermi che appartengono a non più di sette specie. Stante l’esiguità del numero di queste forme, qua- lunque loro studio un poco particolareggiato potrebbe sembrare di primo aspetto non troppo interessante. Considerando però che più della metà di esse non furono mai ricordate per la Calabria, e che una specie ap- pare assolutamente nuova, io credo che valga di per se solo questo sem- plice fatto a giustificare i pochi cenni descrittivi che mi sono prefisso di dare. Queste specie provengono tutte dai qui sotto indicati giacimenti che già dal De STEFANI !) riferiti al miocene superiore, furono poi dallo stesso, e dopo di lui, dal Fucini ?) e dal GrEco 8), più giustamente riportati al miocene medio. 1) Da STEFANI. — Escursione scientifica nella Calabria. Atti R. Acc. Line., ser. III, vol. XVIII. Roma, 1883. ?) Fucini. — Studi geologici sul circondario di Rossano in Calabria. Catania, 1876. 3) Greco. — Il lias inferiore nel circondario di Rossano Calabro. Atti Soc. tosc. Sc. nat., vol. XIII. Pisa, 1893. i 106 P. RICCARDO UGOLINI Arenarie calcarifere con'-Clypeaster e Pecten di Rossano, Cropalati, Pietrapaola e Campana, sovrastanti ai conglomerati rossi del miocene inferiore e sottoposte al calcare marnoso senza fossili del miocene su- periore. Questa formazione, come ben si rileva anclie dalla carta geologica del dott. Fucini, mostrasi sufficientemente estesa; e, pur presentando dovunque lo stesso aspetto generale, si manifesta tuttavia nelle singole località con qualche differenza litologica, specialmente per la variabile grossezza degli elementi che la compongono. Così mentre a Rossano ed a Cropalati le arenarie sono costituite di piccoli granuli prevalentemente silicei, ed, in generale, assai poco cementati, a Pietrapaola questi sono più grossolani ed a Campana vi si uniscono ghiaie e ciottoli arroton- dati. La colorazione della roccia è giallastra, e solo qua e là tende al turchino. Dal giacimento di Rossano proviene l’unico bellissimo esemplare di P. Koheni FucHs rinvenuto fino ad ora in questi strati; presso Cropa- lati furono raccolti un esemplare di P. Besserì AnpRz. e diversi di CHI. scabrella Lmx.; a Pietrapaola, presso Le Chiate del Mulino, è straordi- nariamente diffusa quest’ultima specie e vi si trova in belli esemplari, di dimensioni assai grandi, il P. Fucinti nov. sp., il P. Karalitanus McA., ed il P. Vindascinus Font.; dirò anzi che, a giudicarne dal numero no- tevole di individui che furono raccolti in questa località, essa può con- siderarsi come uno dei più ricchi, se non come il più ricco giacimento fossilifero miocenico del circondario di Rossano. Provengono infine dalle arenarie di Campana alcuni esemplari imperfettamente conservati di P. solarium Lmx., di P. Besserì Anprz., e di P. Fuciniù nov. sp. Fam. Pectinidae LAMARK 1881. Gen. Chlamys Botten 1798. Chlamys scabrella Lux. 1819. Pecten scabrellus Lamarck. Hist. Nat. d. An. s. vert., p.I, pag. 183. 1869. — — Corpi. Cat. foss. mioc. e plioc. Mod., pag. 229. ISS, — De Srrrani. Il Tort. d. alta valle d. Tevere. Proc. verb. Soc. tosc. Sc. nat., pag. 114. 1887. — — Mariani e Parona (cum syn.). Foss. tort. d. Capo S. Marco in Sardegna. Atti Soc. it. Sc. nat., XXX, pag. 63. 3 $ : < il i _ SOPRA ALCUNI PETTINIDI DELLE ARENARIE MIOCENICHE ECC. 107 1897. Aequipecten scabrellus Sacco (cum syn.).I moll. d. terr. terx. d. Piem. e Liguria. XXIV, Pectinidae, pag. 24. 1898. Pecten — Cerunui-IreLLi. Moll. foss. plioc. di Palombara Marcellina. Boll. Soc. geol. it., XXVII, pag. 90. È una delle poche specie di Pecten che in abbondanza notevole si raccolgono nel miocene dei dintorni di Rossano. Alcuni esemplari pro- vengono dalle arenarie sabbiose massiccie giallo-scure di Cropalati 1); ma la maggior parte di essi fu raccolta nella molassa grossolana gial- lastra di Pietrapaola e più precisamente in una località detta Le Chiate del Mulino. Ne ho a disposizione una settantina all’incirca, ma pochis- simi sono gl’individui ben conservati e con ambedue le valve; quasi tutti invece hanno la conchiglia più o meno mal ridotta, oppure sono tal- mente ricoperti dalla roccia che aderisce alla superficie loro, che assai difficile riesce il liberarneli. La stessa specie fu raccolta dal SEGUENZA ?) nelle formazioni mioceniche della provincia di Reggio, a Crudeli, Am- buti, Benestare, Malochia, Falcò, S. Barbara e Monteleone; e dal DE STEFANI *) pur anco riconosciuta negli strati miocenici superiori del Monte Tavolerìa, già dal SeGuenzA 4) riferiti al pliocene inferiore (Zan- cleano Sec.), a Benestare ed in altre località. Arenarie di Cropalati (17 esemplari), Molassa di Le Chiate del Mu- lino (55 esemplari). Gen. Pecten BreLox 1553, MULLER 1776. Pecten Koheni Fuc®s. Vv VIII fig. di. 1876. Pecten Koheni Fucas. Ueber den sogenannten « Badner Tegel >» auf Malta. Sitzb. der K. Akad. der Wissensch. Bd. LXXIII, pag. 3, Tav. I, fig.1,2. 1) Greco. — Op. cit., pag. 99. ?) SEGUENZA. — Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria). Atti R. Acc. Line., ser. III, vol. VI, pag. 74. Roma 1879. 3) DE STEFANI. — Op. cit., pag. 123, 128. 1) SEGUENZA. — Studi paleontologici sulla fauna malacologica dei sedimenti pliocenici depositatisi a grandi profondità. Boll. Soc. mal. it., vol.II, pag. 23. Sc. Nat., Vol. XVII $ 108 P. RICCARDO UGOLINI Sotto le rupi di Rossano fu raccolta la valva sinistra di un bellis- simo Pecten che qui presento. Si tratta di una specie che, nonostante le più accurate indagini e le più minute osservazioni, non sono riuscito a riunire ad alcuna delle forme di Pecter sino ad ora conosciute per il nostro miocene; ma, confrontata invece con il P. Koheni Fucgs di Malta, gli rassomiglia perfettamente. Nel mio esemplare, come si può vedere, si riconoscono infatti nettamente distinte le piccole orecchiette e l’an- damento e conformazione delle coste che, in numero di 14-15, angolose e prominenti nella metà superiore, vanno successivamente allargandosi ed abbassandosi nella metà inferiore, sino a confondersi coi solchi in una superficie lesgermente ondulata. i Un carattere che si riconosce a colpo d’occhio, ma che meglio si può osservare con la lente d’ingrandimento, consiste nella particolare ornamentazione delle coste radiali, che tutte, ma in ispecial modo quelle del centro, sono longitudinalmente percorse da due solculi, più o meno leggermente escavati, i quali determinano la divisione delle coste in tre costicine assai piccole, di cui la mediana è sempre la più prominente. Gli spazi intercostali, da principio conformi allo sviluppo delle coste, vanno, come quelle, successivamente estendendosi verso il margine. Tanto la superficie esterna della valva, quanto quella delle orecchiette, sono poi per tutta la loro estensione adornate di sottilissime strie d’accre- scimento; e le orecchiette mancano di qualsiasi traccia di strie radiali. Stando alla descrizione ed alla figura che ne dà il FucHs, la valva destra differisce dalla sinistra, oltrechè per la presenza di un’ altra leg- gera costolina secondaria, che divide longitudinalmente i solchi, anche per gli aculei che si trovano lungo il margine cardinale e per le squam- mule che adornano la superficie delle coste in prossimità dell’ umbone. Per questi caratteri, dice il FucHs, la specie conserva qualche lieve af- finità col P. spinulosus Munst., ed anche col P. cristatus BRONN. Non credo che altri, dopo l’autore, abbiano accennato alla presenza di questa specie nelle formazioni mioceniche italiane; tuttavia bisogna convenire che, nonostante ciò, non deve considerarsi come rara in Italia, giacchè ne posseggo diversi esemplari, uno dei quali molto ben conser- vato, che furono raccolti nei giacimenti miocenici che si addossano al Gran Sasso. Non è improbabile che questa specie, non mai citata nei nostri terreni terziari, sia stata confusa con qualcuna di quelle che le sono affini. Arenarie di Rossano, SOPRA ALCUNI PETTINIDI DELLE ARENARIE MIOCENICHE ECC. 109 Pecten Besseri Anprz. 1830. Pecten Besseri AnprzesosckI. Notice sur quelgq. coq. foss. de Volyn. Podol. Boll. Soc. nat. Moscou, II, pag. 103, Tav. NIECiESI, 1870. _ — Hornes. Die foss. moll. d. Tert.-Beck. v. Wien, II, pag. 404, Tav. LXII e LXIII, fig. 1-5. 1873. _ — SreGuenza. Brew. cenn. int. alla sex. terx. d. prov. di Messina. Boll. Com. geol. it., vol. IV, pag. 264. 1874. — — Fvucxs. L'età d. strati terx. di Malta. Boll. Com. geol. it., vol. V, pag. 380. 1875. — —. Fucus. I membri d. form. terx. nel vers. sett. d. App. tra Ancona e Bologna. Boll. Com. geol. it., vol. VI, pag. 253. 1883. _ — Simonetti. Il Monte della Verna e i suoi fossili. Boll. Soc. geol. it., vol. II, pag. 270. 1883. _ — De Srerani. Escurs. sce. nella Calabria. Atti R. Acc. Line., ser. III, vol. XVIII, pag. 144. 1887. _ — Parona (cum syn.). App. per la pal. mioc. d. Sarde- gna. Boll. Soc. geol. it., vol. VI, pag. 313. 1889. — — Kan. Etud. pal. sur les terr. sec. et tert. de V Anda- lousie. Mém. d. Sc. d. Ist. d. France, vol. XXX, pag. 707. 1896. —_ — Fuori. Stud. geol. s. circ. d. Rossano in Calabria, pag. 61, Catania. i 1897. Flabellipecten— Sacco (cum syn.). I moll. di terr. terx. d. Piem. e Liguria, parte XXIV, Pectinidac, pag. 32, Tav. INastig: D5Tave At dig 1-5; Riferisco a questa specie tre esemplari dei quali uno è quasi intiero, ma decorticato della parte superficiale della conchiglia e privo di orec- chiette; uno è un poco più completo, ha però la superficie ben conser- vata e presenta anche porzione di una orecchietta ; il terzo rappresenta un piccolo frammento. Tutti e tre sembrano corrispondere alla valva destra, ed il frammento presenta così bene espressi i caratteri delle coste e dei solchi da non far sorgere alcun dubbio sulla esatta deter- minazione. Fossile nelle molasse di Cropalati (1 esemplare) e di Campana (1 esemplare ed' 1 frammento). 110 P. RICCARDO UGOLINI Pecten solarium Lux. 1819. Pecten solarium Lamaror. Hist. nat. d. An. s. vert., vol. VI, parte I, pag. 179. 1879. — _ De SterAnI. Il Tort. dell’alta valle d. Tevere. Proc. verb, Soc. tosc. Sc. nat., vol. II, pag. 114. 1887. — —_ PARONA (cum syn.). App. per la pal. mioc, della Sar- degna. Boll. Soc. geol. it., vol. VI, pag. 313. 1887. — _ Mariani e Parona (cum syn.). Foss. tort. d. Capo San Marco in Sardegna. Atti Soc. it. Sc. nat., vol. XXX, pag. 65. Riferisco a questa specie un piccolo ed incompleto esemplare di valva destra, ed un frammento rappresentante la regione cardinale della stessa valva di un individuo adulto. Quest’ ultimo corrisponde perfettamente alla forma del bacino di Vienna, descritta e figurata alla Tav. LX, fig. 1 da Hornes. Nonostante il cattivo stato di conservazione di ambedue, quanto rimane è sufficiente per dimostrare la perfetta loro somiglianza con la specie tipica di LAMARCK. Campana. Pecten Karalitanus Mox. 1857. Pecten Karalitanus MeneGnINI. Palcont. de lile de Sardaigne, pag. 583, Planche H, fig. 12, 12', 12". 1887. — -— Parona. App. per la pal. mioc. della Sardegna. Boll. Soc. geol. it., vol. VI, pag. 315. Con questo nome il MENEGHINI !) descriveva una nuova forma di Pecten del calcare grossolano giallastro dei dintorni di Cagliari e di altre località mioceniche della Sardegna. Il P. XKaralitanus è specie molto prossima al P. solarium Lmx., ed al P. Besserì AnpRrZ.; ma si distingue notevolmente dal primo per avere l'angolo apiciale più aperto (120° in- vece di 112°) e le coste più ristrette e più numerose (19-20 invece di 16); dal secondo per avere l'angolo apiciale più chiuso (120° invece di 138°), le coste più larghe, minori di numero (19-20 invece di 23), e arrotondate invece che a sezione trapezoidale. Secondo Locarp ?) il P. 1) MENEGHINI. — Op. cit., pag. 583. 2) Locarp. —- Descr. de la faune des terr. tert. moy. de la Corse, pag. 129, Paris-Genéeve, 1877. pa PI e SOPRA ALCUNI PETTINIDI DELLE ARENARIE MIOCENICHE ECC. 111 Karalitanus deve considerarsi come sinonimo del P. planosulcatus MATA. o tutt'al più come una semplice varietà di questo; ma credo fermamente che un tale giudizio debba accettarsi con qualche riserva, giacchè, stando alla descrizione che ne dà l’autore medesimo *), e lo stesso LocaRrD ri- porta nella sua memoria, il P. planoswcatus ha la valva destra provvista «di un numero relativamente esiguo di coste (14-15 all’incirca), cosa che non si riscontra effettivamente nella specie di MENEGHINI: e, per di più, queste coste, per l'andamento e la conformazione, non si accordano con quelle del P. Karalitanus. Mentre infatti esse si conservano in questa specie uniformemente sviluppate partendo dagli umboni e procedendo verso il margine palleale, nella specie di MATHERON invece sono più pro- minenti ed arrotondate in vicinanza degli apici; ed a misura che si avvicinano al margine si fanno vie più schiacciate ed estese sino a fon- dersi con i solchi intercostali in una superficie unica, leggermente on- dulata e fittamente solcata da sottilissime strie concentriche. Attribuisco al P. Karalitanus due soli esemplari di valva destra, di dimensioni disuguali, di cui il maggiore corrisponde esattamente al- l'esemplare descritto e figurato dal MENEGHINI, del quale ho sott’occhio l originale. i Fossile nelle arenarie di Pietrapaola, a Le Chiate del Mulino. Pecten Fucinii nov. sp. Tav. VI [I], fig.2 e 3. DIMENSIONI Diametro longitudinale . ‘ O Eni 15,2 15,0 » trasversale . - ; TO 14,3 14,0(?) Spessore (a valve unite) È È » 5,6 4,4 ? Angolo apiciale . : 7 . gradi 140 130 ? Conchiglia generalmente grande, orbiculare, arrotondata, equilate- rale; la valva destra piuttosto rigonfia in corrispondenza dell’umbone diviene sempre più declive procedendo verso il margine ventrale; è provvista di 17-18 coste che sono più prominenti e ristrette nella re- gione umbonale, e vanno successivamente facendosi più larghe verso la periferia, pur conservando la medesima elevatezza iniziale; verso i mar- 1) MATHERON. — Cat. méth. et descr. des corps org. foss. du dép. des Bouches- du- Rhone, pag. 188, Tav. XXXI, fig. 4,5. Marseille, 1842. IR. i | P. RICCARDO UGOLINI gini laterali esse svaniscono quasi repentinamente, lasciando due spazi relativamente abbastanza estesi, in cui manca affatto qualunque traccia delle coste. I solchi intercostali sono molto più angusti delle coste ed uguali all’incirca alla metà di esse, e le orecchiette sono notevolmente sviluppate, ma non presentano vestigia di strie radiali e concentriche ‘e quindi appaiono totalmente liscie. Lo stesso deve dirsi della superficie della valva la quale è pure apparentemente liscia. La superficie interna evidente in uno solo degli esemplari di cùi dispongo, non è liscia, ma fortemente ornata di coste corrispondenti ai solchi della superficie esteriore; queste arrivano sin quasi sotto agli apici, in prossimità dei quali divengono sempre meno distinte. Alla nuova specie sono prossimi il P. solarium Lwmx., il P. Karali- tanus McH., e più di tutti il P. Besserà AnDpRZ. Da questo il P. Fucinti differisce però sempre, per il numero mi- nore di coste radiali, per il loro maggiore sviluppo, e per la diversa conformazione (essendo esse a sezione arcuata e non trapezoidale); inoltre, per la diversità dei solchi più angusti e per le orecchiette di notevole estensione e non ristrette ed allungate trasversalmente. La mancanza, come già feci osservare, delle strie radiali distinguono poi queste orecchiette da quelle del P. Besseri; dal quale il P. Fucino ri- mane diverso anche per la linea cardinale che, invece di essere perfet- tamente dritta, fa all’ apice un leggero angolo ottuso. Fossile a Pietrapaola (2 esemplari) ed a Campana (2 esemplari). Museo di geologia e paleontologia della R. Università di Pisa, Maggio 1899. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI [I] Fig. 1. — Pecten Koheni FucHs. Arenarie di Rossano (Calabria). Coll. pal. Mu- seo di Pisa, — pag. 107, [5]. » 2. — Pecten Fucinii nov. sp. Arenarie di Pietrapaola (Calabria ). Coll. pal. Museo di Pisa, — pag. 111 [9]. » 3. — Pecten Fucinii nov. sp. Arenarie di Campana (Calabria). Altro esem- plare incompleto. Coll. pal. Museo di Pisa, — pag. 111 [9]. GIOVANNI D’ACHIARDI LIBERO DOCENTE DI MINERALOGIA NELL'UNIVERSITÀ DI PISA STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO Delle sostanze dotate di polarizzazione rotatoria è noto come alcune posseggano questa proprietà anche in soluzione, altre solamente allo stato solido, ed è pure noto come si ammetta essere il fenomeno dovuto ora alla struttura dissimmetrica delle molecole o degli joni, ora alla di- sposizione dissimmetrica delle parti nell’edificio cristallino. Nel primo caso persiste sempre nei cristalli il carattere costante della molecola in una stessa sostanza, che sarà quindi sempre destrogira o sempre levogira, nel secondo in dipendenza dell’ordinamento ora a destra, ora a sinistra delle parti costituenti i cristalli, potranno questi, e pur sempre nella stessa specie, avere carattere opposto dall’uno al- l’altro e anche per le varie aree di uno stesso cristallo quando resul- tino di più individui destrogiri o levogiri compenetrantisi per gemina- zione. Tale sembra essere il caso del quarzo per il quale si incontrano indifferentemente cristalli plagiedri a destra e plagiedri a sinistra, e per il quale pure se ne incontrano anche, come quelli del granito di San Piero in Campo (Elba), in cui la simultanea presenza di plagiedria de- stra e sinistra è in rapporto alla compenetrazione di individui ad opposto carattere. È noto anche come alcune varietà di quarzo, l’ametista ad esempio, manchino di sì fatte plagiedrie, e insieme del normale carattere della polarizzazione rotatoria, onde MALLARD ed altri ne spiegano l’ edificio cristallino ritenendolo costituito da una pila di innumerevoli, esilis- sime lamelle, alternativamente destrogire e levogire, che compensan- dosi negli opposti caratteri, così come annullano il fenomeno della ro- tazione, non danno luogo neppure alla manifestazione della struttura die ia ito STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 115 dissimetrica alla superficie del cristallo con le faccette plagiedriche. Indi l'osservazione delle spirali di Atry, riscontrate da vari, fra cui il BomgBiccr '), ciò che dà non poco valore a questa ipotesi, la quale però potrebbe forse meglio trasformarsi nell’altra più consona alle mo- derne vedute sulla polarizzazione rotatoria, d’ accordo pure con le in- dagini del ReuscH, che cioè anzichè alternanza di lamelle destrogire e levogire, si abbia invece alternanza dell'ordinamento delle lamelle o molecole, non differenti tra loro in altro che nel modo dell’ordinamento stesso. Se le molecole del quarzo non sono dissimmetriche, e che tali non sieno già fu detto desumersi anche dal mutabile carattere della pla- giedria o enantiomorfia nei suoi cristalli, così come per l'ordinamento loro ora spiralmente a destra, ora a sinistra si hanno i cristalli destro- geri e levogiri, per es. quelli del marmo di Carrara, così come per la mutabilità nello stesso cristallo di quell’ordinamento si hanno cristalli, come le ametiste, presentanti le spirali di AtRY, così come per compenetra- zione di cristalli di opposto carattere, si hanno nella stessa sezione nor- male all'asse, per es. in quelli del granito di San Piero in Campo, aree levogire e destrogire, è razionale ritenere anche che sia possibile il caso in cui si abbiano cristalli di quarzo assolutamente privi di potere rotatorio per simmetrica disposizione delle molecole. Studiando i cristalli di quarzo delle gessaie toscane ?) colpito dal fatto di non aver mai trovato in uno solo dei cento e cento da me esaminati una faccetta plagiedrica, ne sottoposi non pochi all’esame ottico in sezioni normali all’asse per vedere se con la mancanza della plagie- dria si avesse anche mancanza di potere rotatorio. In nessuno ne tro- vai il minimo segno, come pure nessuna traccia di spirali di ArrY, che mi autorizzassero a ritenere la mancanza della apparente dissimmetria e del fenomeno rotatorio dovuta all’ alterno ordinamento delle molecole, onde conclusi col ritenere la mancanza di polarizzazione rotatoria fosse dovuta invece al regolare simmetrico ordinamento delle molecole. (1) Sulla coesistenza delle due inverse plagiedrie sopra una faccia di un cri- stallo di quarzo di Carrara, e sulle spirali di Airy presentate da una sezione ottica dello stesso cristallo e dì altri. Mem. R. Acc. d. Se. dell’ Istituto di Bologna. Ser. V, T.II, 1892. (2) IZ quarzi delle gessaie toscane. Atti Soc. Tose. Sc. Nat. Memorie, Vol. XVII. Pisa, 1898-99, 116 G. D’ACHIARDI Nel 1897 il WALLERANT in una memoria sulla quarzina e sulla origine della polarizzazione rotatoria nel quarzo!), sostiene che calcedoina, quar- zina e lutecina non sono che una stessa sostanza biassica, diversa solo per la direzione dell’allungamento della fibra e che questa sostanza a cui può darsi il nome di quarzina è la stessa di quella che costituisce i cristalli di quarzo. Questi elementi biassici di quarzina per un ordi- namento intorno all'asse ottico, o di simmetria principale, con sovrap- posizione ora a destra, ora a sinistra e ad angolo di 120°, come nella pila di lamine di mica del Rrusca, darebbero per dato e fatto di que- st’ ordinamento origine alla polarizzazione rotatoria. Aggiunge inoltre che la quarzina per se stessa presenterebbe forme semplici. Lo studio dei cristalli di quarzo acquista anche per ciò nuovo inte- resse e poichè quelli delle gessaie della Toscana potevano lasciar qualche dubbio per la piccola loro trasparenza e a cagione delle numerose e torbide inclusioni sparse in tutta la massa del cristallo, così volli esa- minare altri cristalli, che avessero la stessa identica semplicità di forme e offrissero per la loro maggior trasparenza miglior mezzo di indagini. A ciò si prestavano assai bene alcuni cristalli di quarzo del Bolo- gnese, sia quelli che si trovano a Lizzo sulla riva destra del Reno, sia quelli di Monte Acuto Ragazza in prossimità di Grizzana, nel circon- dario di Vergato, i quali sebbene presentino essi pure abitualmente delle inclusioni sono queste quasi sempre limitate alle parti centrali del cristallo e quindi sono sempre più trasparenti degli altri e meglio adatti alle ricerche che mi ero proposto di fare. Già qualche campione possedeva il Museo mineralogico di Pisa, ma in molto maggior numero furono gentilmente donati, dietro mia richiesta, dal prof. L. BomBrcci, dal quale erano stati raccolti e già a suo tempo descritti ?), e al quale rendo qui pubbliche grazie per il materiale messo a mia disposizione. I cristalli tutti sono costituiti quasi esclusivamente dalle facce della bipiramide esagonale, soltanto in pochissimi apparendo come lineari lumeggiamenti quelle del prisma, che si trovano con più frequenza negli esemplari provenienti da Lizzo. Nessun'altra faccetta sono riuscito a scorgervi, ma tutte quelle delle bipiramidi presentano ondulazioni che (1) Méemoire sur la quartzine et sur l'origine de la polarisation rotatoire du quartz. Bull. Soc. frang. de Minéralogie. T. XX, N. 1-2, pag. 52, Parigi 1897. (*) Descrizione della Mineralogia generale della provincia di Bologna Parte Il; pag. 129. Bologna 1874. Estratto dalla Ser. III, T. V delle Mem. Acc. d. Sc. del l’Ist. di Bologna. si | | DA | % . STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 117 non si possono riferire a piani elementari, ma piuttosto sembrano ef- fett di perturbazioni cristallogeniche, e queste ondulazioni dando al goniometro imagini numerosissime e più o meno distorte, mi hanno impedito di prendere qualsiasi misura con una certa esattezza. Le sostanze incluse, che tutti questi cristalli presentano, per il solito limitate alla parte centrale, il BomBIccI ci dice essere di natura car- boniosa. i Si hanno non di rado segni di unioni parallele di individui, sia ac- collantisi l'uno all’altro per il piano basale (fig. 1) con la stessa appa- renza della lutecite effigiata da MicHeL-Lévy e MuNIER-CHALMAS 4), sia unentisi parallelamente all’asse di simmetria (fig. 2). Numerosi cristallini poi tempestano quelli maggiori (fig. 3), e sono distribuiti prevalentemente sugli spigoli culminanti di questi o se sui Fis. 1. Fia. 2. Fic. 3. laterali in vicinanza degli angoli tetraedrici, e vedremo più tardi ciò essere in accordo sia con la struttura senaria del cristallo con assi cristallogenici normali agli spigoli laterali, sia con il contegno ottico. Fra l’ uno rispetto all’altro però, e fra essi e il cristallo che li sostiene non sembra esservi alcuna corrispondenza nell’ inclinazione dei piani fa- ciali; anzi non si ha mai parallelismo fra le facce loro. Questi cristal- letti minori possono facilmente distaccarsi dal maggiore che li sostiene, e sul quale allora restano cavità striate, così come striata appare la su- perficie d’ attacco del cristallo distaccato, nell’un caso e nell’ altro dovute le strie a successivi strati di accrescimento. Questi piccoli cri- stallini, che ci appaiono incompleti nella porzione imprigionata, dovettero rimanere rinchiusi nella massa del cristallo maggiore mentre l’uno e 1) Mémoire sur diverses formes affectées par le réseau élementaire du quarte, Bull. Soc, frang. Minér. T. XV, N.° 7, pag. 178, fig. 17 Parigi, 1892. 118 G. D’ACHIARDI gli altri andavano crescendo e formandosi. Forse sì formarono prevalen- temente nelle direzioni sopra accennate, come direzioni di equilibrio fra le varie forze cristallogeniche agenti intorno al centro del cristallo prin- cipale secondo le linee assiali, e anche in ciò si ha accenno a simmetria senaria piuttosto che ternaria come nei comuni quarzi plagiedrici. Gli uni e gli altri hanno continuato a crescere insieme; furono embrioni di cristalli, non cristalli completi che rimasero presi nella massa dei cristalli maggiori. Su questi cristalletti più piccoli poi spesso altri ancora minori sono a lor volta impiantati sempre in vicinanza o sopra i loro. spigoli. Taluni di questi cristallini minori per essere più limpidi degli altri si prestano anche meglio alle osservazioni ottiche, e tanto di questi che dei maggiori io ho fatto numerose sezioni in special modo normali al- l’asse principale di simmetria, tranne alcune poche invece parallele o ad una faccia della bipiramide esagonale o all’asse principale di simmetria. Delle prime alcune furono eseguite da KoritsgA a Milano; ma in maggior numero da me stesso nel laboratorio di Mineralogia di questa Università. E furono tenute di dimensioni differenti, talune di appena qualche centesimo di millimetro, altre da uno sino a tre millimetri. Tutte, se si tien conto delle differenze dovute alla varia grossezza, hanno un identico contegno ottico tanto se di cristalli maggiori, che dei piccoli su di essi incastrati. In tutte si hanno cioè segni di biassicità e tutte grosse e sottili, più evidentemente quelle di queste, se normali all’asse e osservate a nicol incrociati, si dividono in sei settori triangolari, de- limitati dalle linee che congiungono gli angoli opposti dell’ esagono di sezione. La biassicità di taluni cristalli di quarzo è nota da parecchi anni. Riscontrata in special modo nei cristalli delle roccie eruttive venne d’or- dinario considerata come anomalia ottica dovuta ad interne tensioni, mentre WIrousorr !) e altri, quasi tutti francesi, la ritengono come ef- fetto di pseudo-simmetria, ammettendo una costituzione per lamelle biassiche, dal cui ordinamento levo o destrogiro già dissi che fu fatta anche dipendere la polarizzazione rotatoria. I più si occuparono dell’ametista e di altre varietà a contegno ano- malo rispetto alla polarizzazione rotatoria, ma il contegno di questi cri- 1) Nowvelles recherches sur la structure des cristaue doués du pouvoir ro- tatoire. Bull. Soc. frang. Miner. T. XIII, N.° 6, pag. 215. Parigi, 1890. STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 119 stalli non ha nulla a che fare con i nostri, che solo hanno un qualche riscontro nelle recenti osservazioni del MicHEL-LÉvy, di MUNIER-CHALMAS e di WaLLeRANT sul contegno ottico di alcune forme speciali di anidride silicicà designate coi nomi di quarzina e di lutecite. Manca affatto nei nostri cristalli ogni segno di polarizzazione rota- toria. Le lamine tagliate normalmente all’asse, se non si estinguono completamente a nicol incrociati, nè meno si estinguono per rotare dell’analizzatore a luce monocromatica, nè mutano colore a luce bianca sia per rotar dell’analizzatore stesso, sia in ragione della loro grossezza. E neppure a luce convergente mostrano alcun segno di potere rota- torio, apparendo anzi allora anche più evidenti i caratteri della bias- sicità non rotatoria. Le sezioni normali all’asse quanto più sono sottili, tanto meno ap- paiono luminose fra i nicol incrociati, ma non per dato e fatto, come a prima-giunta potrebbe credersi, di potere rotatorio che produce lo stesso effetto in ragione dello spessore delle lamine cristalline, ma solo per la debolissima potenza birifrattiva che queste sezioni normali all’asse presentano, onde in esse anche se con spessore di un millimetro e più si hanno sempre i più bassi colori di interferenza sul grigio. Estinzione completa non si raggiunge nè meno girando un poco la lamina con l’apparato di rotazione di KLEIN a correggere la posizione, se mai spostamento di qualche minuto dalla normalità si fosse avuto nel taglio della sezione. Invece si ha sempre diverso tuono di grigio ed estinzione parziale a seconda dei vari settori in cui si vede divi- dersi la lamina. Le fig. 4-8 danno imagine di questa apparenza quale si ha in tutte le sezioni. I sei settori appaiono quasi sempre come fasci di fibre nor- 120 G. D’ACHIARDI mali ai lati del contorno esagonale, con apparenza quasi di tante la- melle contigue, che con opportuna illuminazione si possono anche se- guire nelle facce ancora rimaste della bipiramide. Quelle che proven- gono dall’esterno sembrano tuffare alquanto verso l'interno, e inversa- mente altre che s’assottigliano verso l’esterno e inclinandosi anch'esse s’intralciano con le prime assai più numerose e più sviluppate. Or bene queste pseudo-fibre non si estinguono tutte simultaneamente l’una ac- canto all’ altra e non è raro vedere in alcune di esse rifrazioni di segno opposto alle altre adiacenti dello stesso settore. E si osserva che le fibre provenienti dall'esterno mostrano costantemente nell’ allunga- mento loro l’asse delle vibrazioni di minore velocità ottica, le altre di maggiore, queste apparendo gialle, quelle azzurre con la lamina di gesso a rosso di primo ordine, quasichè le une avessero contegno di quar- zina, le altre di calcedonio. Inoltre si hanno anche settori nei quali questa stessa differenza di segno procede mal definita pure in zone 0 fasce normali all’apparente andamento delle fibre, onde con la lamina di gesso, dati i bassi colori di interferenza, parte si vedono colorate in azzurro, parte in giallo. 1 Si ha in questa alternanza quasi lo stesso contegno che MicHeL-Lévr e MunIER-CHALMAS descrissero ed effigiarono (mem. cit. fig. 2 nel testo e tav. 1, fig. 1) per talune sferoliti caleedoniose, mentre per la divisione in sei settori, per l'apparenza loro fibrosa, si ha moltissima analogia con le sezioni da essi illustrate di piccoli cristalli di lutecite (fig. 16 e 19 nel testo, tav. IV, fig. 5) salvo nell’andamento delle apparenti lamelle o fibre che nelle nostre sezioni appaiono costantemente normali ai lati 4 STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 121 dell’ esagono, mentre in quelle della lutecite appaiono parallele alle diagonali. Maggiore analogia nell’andamento delle fibre hanno con quelle osservate e effigiate dal WALLERANT per sezioni normali all’asse (mem. cit., tav. I, fig. 5), se non che queste, oltre ad essere più irrego- lari, si riferiscono a tre soli settori, mentre nei cristalli di Monte Acuto e di Lizzo sono evidentemente disposte in sel con accenno ad ordinamento senario anzichè ternario. i WALLERANT distingue anche tre sistemi di fibre fra oro diversi per l'ottica orientazione; che questa non sia eguale per tutte anche nelle nostre sezioni lo dimostra la diversità del contegno ottico, ma non mi sembra aversi corrispondenza con l’ andamento osservato dal WALLERANT. Quanto più si assottigli la sezione, e quanto più si accresca l’ingran- dimento del microscopio tanto meno visibili si rendono queste pseudo- fibre lamellari, due fatti che sembrerebbero stare in favore della loro reale esistenza, quasi per il diminuito spessore o della lamina o del campo di fuoco visivo non si potessero allora più seguire in profondità. Nelle sezioni parallele all'asse di simmetria principale, osservando a nicol incrociati, se sottili non si scorgono le fibre, ma se un po’ grosse si scorgono distintamente procedere verso i lati di sezione. Se la sezione risultò esattamente parallela si vede il campo diviso in quattro settori diversi per l'andamento della laminazione ap- parente; se leggermente inclinata, a questi quattro altri due piccolissimi si aggiun- gono paralleli all’asse di simmetria come si può vedere nella fig. 9. Però in tutte queste sezioni di spessore assai grande, la distinzione in settori non ci è rivelata che dall'andamento delle fibre poichè otticamente non sì mostrano diversi, nep- pure osservando con la lamina di gesso, essendo forte la birifrazione; e in quelle sottili, e ciò anche in quelle perpendicolari od oblique all’asse, non si vedono che i soliti colori di interferenza propri del quarzo. Nelle sezioni parallele ad una faccia della bipiramide a nicol incro- ciati non si scorge alcun sistema di fibre, o solamente delle tracce, e quando queste si abbiano, sono dovute a non essersi mantenuta la sezione perfettamente nel piano della faccia piramidale, tanto è vero che guar- dando obliquamente sulle faccie stesse della bipiramide, in quelle sezioni Fia. 9. 122 G. D’ACHIARDI basali in cui esse non sieno state consumate dallo smeriglio, non è dif- ficile vedervi la continuazione di quelle stesse fibre che più chiaramente appariscono sui piani normali all’asse di simmetria principale. Dall’insieme di tutte queste osservazioni si può argomentare che queste apparenti fibre o lamelle si debbano rivolgere alle facce della bi- piramide, onde tanto più difficili a vedersi in una sezione quanto più essa si avvicini al perfetto parallelismo con quelle facce e onde pure il tuffare di esse verso l’interno nelle sezioni normali all’asse. A me restava il dubbio se quest’ apparenza fibroso-lamellare fosse dovuta solamente ad azione ottica oppure ad una speciale condizione di struttura e in questo caso se si trattasse di vere e proprie fibre oppure di linee fra loro vicinissime parallele a piani di più facile separazione e prodotte appunto dal distacco delle particelle cristalline o a tutte queste cause insieme. Per ciò ricorsi ad una minuta osservazione a luce ordi- naria. Ad occhio nudo, o meglio con semplice lente di ingrandimento, si vedono le sezioni traversate come da tante fenditure, ma non con molta chiarezza, perchè esilissime e confuse al centro con le inclusioni e talora intralciate dai solchi prodotti nell’arrotare con lo smeriglio, e che non sono scomparsi completamente con la politura successiva. Osservando al microscopio avviene anche che le sezioni essendo quasi tutte abbastanza grandi, per la ristrettezza del campo visivo, mal si arriva a capire se queste fibre o fessure procedano accidentalmente oppure con orienta- zione fissa e determinata. Fu allora che ricorsi alla fotografia, e le prove ottenute a luce ordi- naria, con un microscopio KoRITSKA a largo campo di visione, non lascian più alcun dubbio sulla esistenza di una reale laminazione, o di sistemi di fessure seguenti direzioni costanti insieme ad altre fessure ad anda- mento incerto, talora vicino al parallelismo coi lati di sezione (fig. 4, 6, LONeM2): Le fig. 10-13 ottenute, con lastre ortocromatiche e posa lunghissima, da sezioni di cristalli di Monte Acuto e di Lizzo mostrano con tutta evidenza questa disposizione di fibre o fessure nel cristallo collegata ad una simmetria senaria concordante con quella che si osserva a luce polarizzata sia per le sezioni normali all’ asse di principale simmetria (fig. 10, 11 e 12), sia parallele (fig. 13). La struttura fibroso-lamellare che in queste sezioni si manifesta sia a luce ordinaria che a nicol incrociati io non la credo però niente affatto dovuta a riunione di numerosi cristallini aciculari, che come negli arnioni dA; ———T——rTr——___=_— ___=—_—_———_e_—e_ r__= STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 123 di sperchise o nelle mammille di malachite si partono irraggiando da un centro comune, ma a cause ben differenti. Per me non si ha a che fare con vere e proprie fibre, ma con semplici fenditure e laminazione ottica, Fic. 11. che obbediscono a leggi determinate e quindi si distribuiscono più o meno regolarmente. Nell’interno di tutti questi cristalli ho detto trovarsi sempre inclu- sioni più o meno abbondanti; ora è in relazione con esse che si presen- tano sempre queste apparenze fibrose, onde in quelle sezioni dove il nucleo sia ridotto piccolissimo queste linee più difficilmente si vedono, mentre sono abbondantissime in quelle ad inclusioni molto maggiori (fig. 12). p Per me queste sostanze incluse, rimaste imprigionate dentro la massa cristallina hanno disturbato l’ equilibrio dell’edificio che si formava e per Se., Nat. Vol. XVII 9 a° 124 G. D’ACHIARDI esercitate tensioni, in relazione forse alla loro natura carboniosa, sono avvenute deformazioni accompagnate anche da distacchi parallelamente ai piani di minor resistenza. É resistenza minore in questi cristalli si ha appunto in queste date direzioni quando si ammetta una struttura esa- gonale subordinata ad un reticolato molecolare, in cui siano assi cristal- logenici di orientazione intorno ad una prima molecola, sei direzioni equi- valenti egualmente inclinate sull’asse di principal simmetria e non tre come si ammette per la struttura romboedrica. Ora queste tensioni interne, che fecero sentire la loro azione coor- dinatamente alla struttura senaria del cristallo, come hanno potuto pro- durre le fessure che si vedono osservando a luce ordinaria, così agendo in queste stesse direzioni di più facile separazione hanno pure costi- pato le molecole del quarzo onde è venuta fuori una struttura ottica lamellare. Infatti le fibre che si osservano a nicol incrociati corrispon- dono per l'andamento loro alle fessure che si osservano anche a luce ordinaria, benchè non sieno le stesse. E se la fotografia ci mostra che in molti settori in cui a luce ordinaria si scorgono pochissime fessure è invece evidentissima la segmentazione ottica, è sempre però questa parallela a quelle. Quindi la stessa origine hanno per me avuta le fes- sure e la laminazione ottica. st Con questa inclinazione di assi cristallogenici s'intende anche lim- mergersi verso -l’interno delle apparenti lamelle nelle sezioni normali all’asse e per la compenetrazione di queste direzioni di minor coesione dei settori opposti, anche l’ apparire di alcune di esse immergentisi verso l'esterno e quindi anche con carattere opposto di rifrazione. A queste tensioni e distensioni, onde si produssero le fessure, credo quindi dovuto anche il contegno ottico anomalo, non attribuibile per me a pseudo-simmetria per struttura mimetica. E poichè i piani di più fa- cile separazione sono diversi nell’andamento loro a seconda dei sestanti della piramide da ciò la divisione in settori e poichè in ognuno di questi le tensioni devono aver prodotto i loro effetti di compressione normal- mente a questi piani, quindi anche la loro orientazione ottica diversa in rapporto a questa sestuplice divisione. Questa diversità da settore a settore è chiaramente e anche me- glio dimostrata dall’ esame a luce convergente. Infatti quando le se- zioni normali all’asse si osservino a luce convergente mostrano le figure di interferenza proprie dei cristalli biassici, con piano degli assi ottici non sempre egualmente disposto da settore a settore, ma sempre più 0 STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 125 meno vicino alla direzione del lato esterno del respettivo settore. In alcune sezioni sembra questo piano esservi costantemente parallelo, ma nella maggior parte di esse, mentre per alcuni settori tale si mantiene, per altri se ne allontana, ordinariamente non più di 10°, di rado più, talora anche meno fra i 5°-6°, con frequente ma non costante corrispon- denza per due settori opposti. L'angolo degli assi ottici misurato sia nelle grosse sezioni per mezzo del conoscopio di GRoTA, sia in queste e nelle sottili con l’apparecchio rotativo del KLEIN, applicato ad un microscopio Furss N.° I, è risultato nella massima parte dei settori variabile da 12° a 18° (2Ea). Solo in rarissimi casi ho trovato valori maggiori, sino anche a 24°. La figura d’interferenza poi ora appare regolare, ora più o meno deformata. Si ha dunque un contegno analogo a quello riscontrato in alcuni minerali spettanti alla classe oloedrica del sistema esagonale, per es. nella ro- sterite (varietà di berillo) studiata dal professor GRATTAROLA !), che vi osservava l’area basale divisa in sei settori, il piano degli assì ottici ora parallelo, ora ad angolo sino a 7° con i lati dell’esagono e l’ angolo degli assi ottici con apertura che giudicò essere approssimativamente di 15°. Per ogni settore nel piano degli assi ottici corre in generale l’asse delle vibrazioni di maggiore velocità ottica, e quindi normale, o quasi, ai lati dell’ esagono l’asse delle vibrazioni di minore velocità, che vedremo poi dallo studio ulteriore essere di media velocità, il quale quindi se- conda anche l’allungamento delle apparenti fibre, che in queste sezioni appaiono perpendicolari a quei lati stessi. Ma si hanno, come già notai, differenze anche da punto a punto dello stesso settore, dando quelle pseudo- fibre segno ora di rifrazione positiva, ora negativa nel loro allungamento. Nelle sezioni parallele ad una faccia della bipiramide si vedono cir- coli d’interferenza attraversati da una unica barra nera; nelle parallele all'asse di simmetria principale, e quindi a una faccia del prisma, si ha la figura d’interferenza di cristallo biassico, quale suole essa presentarsi appunto in sezioni parallele o quasi al piano degli assi ottici, onde il contegno di queste sezioni concorda con quello delle sezioni normali all’asse, nelle quali il piano degli assi ottici corre infatti parallelo o quasi alle facce del prisma. Osservate le sezioni parallele alle facce del prisma con la lamina di 1) Sopra una nuova varietà (rosterite) del berillo elbano. Riv. Sc. Industr. Firenze 1880, n.° 19. 126 . G. D’ACHIARDI gesso, se sottilissime, ci mostrano l’asse delle vibrazioni di minore velo- cità parallelo all’asse del cristallo e normale quello di maggiore; onde facendo il raffronto fra il contegno di queste sezioni normali all’asse, si ha che la bisettrice acuta intorno a cui si aprono gli assi ottici è asse delle vibrazioni di minima velocità (c), si ha quindi il carattere positivo dalla birifrazione, come nel quarzo tipico. Ciò concorda con quanto il WALLERANT scrive ( mem. cit. pag. 85) della relazione fra quarzo e quarzina: “ Dans les fibres situtes dans des plans perpendiculaires à Vaze du quarte, le plan des axes optiques est perpendiculaire à la direction d’al- longement des fibres, direction qui coincide par suite avec l° are ‘moyen d'élasticité ,. e concorda pure con quanto egli e Mrc®eL-Lfévy e MuNIER . CHaALMAS dissero della quarzina, la direzione del cui asse c coincide con quello del quarzo di cui è noto il carattere positivo della birifrazione. Da tutto quanto si è detto si rileva che mentre appare in ogni se- zione evidente il contegno ottico biassico, quando si volesse attribuire struttura mimetica a questi cristalli, per la frequente variabilità di con- tegno da settore a settore non potrebbe in ogni caso ammettersi per subindividui esclusivamente trimetrici o esclusivamente clinoedrici, quali il WALLERANT (mem. cit. pag. 74 e seg.) suppose per la quarzina, che egli ritiene costituita da tetraedri triclini, ma converrebbe ammetterla per associazione ora di soli subindividui trimetrici, ora insieme di tri- metrici e clinoedrici, una condizione che, come ben dice il KLEIN in molte delle sue memorie che si occupano del contegno anomalo dei cri- stalli, non è certo favorevole alla spiegazione della anomalia per strut- tura mimetica. Contro questa interpetrazione oltre la variabilità di orientazione e valori pur nello stesso settore sta pure il contegno da me osservato in alcune sezioni di cristallini incastrati in cristalli mag- giori, nelle quali mentre si osserva la solita segmentazione ottica in sei aree triangolari, non ne è più il segno della rifrazione diverso da settore a settore, ma eguale per tutta la sezione, che osservata con la lamina di gesso mostra pochissima differenza in tutta la sua esten- sione nella tinta differenziale che si produce. Verso il punto di im- pianto sembrano alquanto distorti i cristalli e che vi sia diretto per tutti i settori l’asse c. La spiegazione di ogni fenomeno non è sempre facile, pure ritenendo anche per lo studio di altre sostanze che le anomalie ottiche dei cri- stalli sieno, anche se diversa la causa, sempre più o meno evidentemente collegate con la loro simmetria strutturale e abito di cristallizzazione, STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 127 che ne è in diretta dipendenza, dal contegno eguale in tutti questi cristalli da me esaminati in quanto alla sestuplice segmentazione ottica parrebbe che se ne dovesse concludere per una struttura diversa da quella degli ordinari quarzi, nei quali abito e struttura ternaria sono evidenti. e nei quali si ha anche abitualmente potere rotatorio che qui manca affatto. _ La costante mancanza delle faccette plagiedriche e di ogni segno di sfaldatura romboedrica, la grande riduzione, o abitual mancanza asso- luta delle facce del prisma, l’eguale sviluppo e corrispondenza di ca- rattere delle facce tutte della bipiramide a differenza dei quarzi enantio- morfi rotatorii tutto viene in appoggio di questa supposizione. La sestuplice divisione in settori nei quali l'andamento della lamina- zione procede normalmente ai lati nelle sezioni perpendicolari all’ asse di principale simmetria, e quindi con differenza di andamento se si pa- ragonino queste nostre linee di fenditura e di laminazione ottica alle fibre dei quarzi plagiedri rotatori descritti da WALLERANT, MIicHEL-LEÉvy ece., nei quali vanno sempre parallele alle diagonali, mi rende propenso a rite- nere queste direzioni perpendicolari ai lati dell’esagono come direzioni cristallogeniche. In tal caso i cristalli anzichè considerarli come d’ ordi- nario costituiti dalle facce dei due romboedri {100} e {221} e del prisma ;211} quando vi sia, si devono ritener composti da un isosceloedro 0 bipi- ramide di secondo ordine j412} e dal prisma {101}, come è d’ordinario mei cristalli oloedrici di-tipo senario. Del resto la struttura senaria fu già ammessa per altri cristalli di quarzo dal WIirouBoFF (mem. cit.) e dal WaLLERANT, che sul finire dell’anno scorso scriveva ! doversi ammettere tre modi diversi di struttura nel quarzo secondo che esso sia rotatorio a destra, a sinistra o neutro e nel sistema reticolare do- versi considerare ora gli assi binari di primo, ora quelli di secondo or- dine. Gli elementi costituenti di certi cristalli, egli dice, hanno subìto una rotazione di 30° intorno all’asse senario relativamente agli elementi degli altri cristalli e le proprietà ottiche ne sono naturalmente modificate. È lungo le linee di divisione fra un settore e l’altro, è lungo gli spigoli e agli angoli della bipiramide che vi corrispondono, che quasi in posi- zione di più stabile equilibrio fra due direzioni cristallogeniche ad an- 1) Théorie des anomalies optiques, de l’ isomorphisme e du polymorphisme. Bull. Soc. frang. Minér. XXI, 7, 1898. x 128 G. D’ACHIARDI : goli eguali con esse, che si sono prevalentemente distribuiti i cristalli minori sui maggiori e con questa distribuzione io ritengo anche in parte sia collegata l’anomalia ottica. La quale se si volesse attribuire a strut- tura mimetica per distinti subindividui di quarzina converrebbe ammet- tere per questa struttura tetraedrica, come già ammise il WALLERANT per altri quarzi, essendo i tetraedri elementari rappresentati da ogni sestante di ciascuna piramide costituita da quattro facce di cui due sole eguali fra loro, con abito quindi clinoedrico. \ Ma io propendo invece ad ammettere anomalia dovuta principalmente alle tensioni, che come hanno prodotto le fessure in direzioni di più facile separazione hanno anche disturbato l’orientazione ottica primitiva. del quarzo, e la segmentazione ottica in distinti sestanti è verosimil- mente dovuta a questa principalissima causa. Ma poichè questa orien- tazione potè in parte essere successivamente disturbata nel suo ma- nifestarsi dalle. stesse inclusioni che la determinarono, come pure i molteplici centri di cristallizzazione, non sempre egualmente distribuiti, nè sempre dotati della stessa forza attrattiva in relazione alle diverse dimensioni dei cristalli associati, devono aver cagionato nuove pertur- bazioni, ecco le anomalie secondarie che si rivelano con l’incostanza tanto dell’ orientazione del piano, quanto del valore dell’angolo degli assi ottici, non che col valore della potenza birifrattiva. A dimostrare la reciproca influenza dei vari centri di cristallizzazione sta anche il fatto che nei cristallini più piccoli, la deformazione ottica seconda la disposizione loro verso il cristallo che li sopporta. Inoltre io credo che la irregolare poliedria delle facce sia in relazione con que- Sta stessa causa. i All’esame ottico con luce polarizzata, avvalorato dalle imagini fotogra- fiche e a luce ordinaria e a nicol incrociati, volli aggiungere anche le prove di corrosione. È noto come nei quarzi a tipo decisamente ternario la corro- sione con acidi determina figure che non solo sono diverse fra le facce dei due romboedri {100}, 221} ma sì anche fra le contigue del prisma 1211}, che appunto corrispondono come forme limiti rispettivamente al- l’uno e all’altro di quei romboedri. Volli quindi provare se attaccando con acido fluoridrico i cristalli, sia immergendoli in esso, sia facendoli circondare da vapori sviluppantisi o per azione dell’ acido solforico sulla fluorina a caldo, o dall’acido fluoridrico stesso riscaldato in muffola, si avessero differenze nell’attacco delle contigue facce della bipiramide. Queste differenze, e operando in un modo o in un altto è la stessa STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 129 cosa, non si ebbero come del resto era prevedibile per l’eguale appa- renza ed estensione di tutte le sei faccie. Invece nelle sezioni normali all’asse si ebbero effetti molto espres- sivi, poichè l’acido penetrando fra le numerose fessure che si trovano in questi cristalli e attaccando più facilmente nelle direzioni in cui le molecole sono meno costipate, spartisce al solito il campo in sei settori che fra loro differiscono per l'andamento delle linee di corrosione. In talune inoltre verso l'esterno si mostra anche una linea più corrosa, più o meno esattamente parallela ai lati dell’esagono, e che certo corrisponde ad una di quelle già osservate in altre sezioni e figurate (fig. 4, 6, 10 e 12); il contorno poi si mostra come seghettato, sempre in reldzione alle direzioni sopra rammentate. Quindi anche da queste prove con l’acido fluoridrico si manifesta evidente la struttura senaria di questi quarzi. | Quarzo «li Selvena. — A complemento di questo studio volli esaminare anche alcuni cristalli di quarzo di Selvena nei quali non si riscontrano mai, come già aveva notato mio padre !), faccette plagiedriche, mentre si ha l’abito comune dei cristalli di quarzo e cioè grande estensione del prisma e faccette romboedriche con accenno ad alterno sviluppo. Quindi un tipo tutto diverso da quello dei cristalli precedentemente descritti, malgrado la mancanza delle plagiedrie, la quale sappiamo verificarsi anche in altre varietà di quarzo, per es. l’ametista, che presentano come i co- muni quarzi tutti i caratteri di simmetria ternaria. Or bene le sezioni perpendicolari all'asse di simmetria principale danno segni manifesti qui pure di biassicità, qui pure si ha segmenta- zione ottica della sezione, ma in tre settori cor- LA rispondenti alle facce del romboedro {100} e con tracce di altri settori periferici (fig. 14), accen- nanti alle facce poco sviluppate del romboedro in- verso {221}. Le linee di divisione dei 3 settori corri- spondono ai piani degli assi romboedrici, e quindi anche al mezzo dei lati dell’esagono di sezione anzichè agli angoli come nei cristalli di Monte Acuto e di Lizzo e il piano degli assi ottici, il cui angolo non raggiunge ì valori che in questo, sembra nei vari settori coordinarsi piuttosto ad 1) Mineralogia della Toscana. T.I, pag. 77. Pisa 1872. 1380 G. D’ACHIARDI essi che ai lati dell’esagono. Di più i vari settori sì estinguono quasi simultaneamente e non uniformemente e a luce convergente mostrano qua e là evidentissime tracce di spirali di Atry. In fine manca ogni traccia di fessure come di inclusioni. Un contegno quindi nel suo complesso che ravvicina questi cristalli alle ametiste, contegno di simmetria ternaria del tutto diverso da quello dei quarzi bipiramidati testè descritti. Dal presente studio credo poterne trarre le conclusioni seguenti: 1.° Come si hanno diverse forme di anidride silicica, dimetriche nella cristobalite, esagonali nel quarzo, clinoedriche nella tridimite, nulla s'oppone a che le forme romboedrico-esagonali riferite ad unica spe- cie, il quarzo, possano nei vari casi essere subordinate a diverse con- dizioni di simmetria per diverso ordinamento delle molecole, sieno esse eguali o anche strutturalmente diverse e riferibili quindi a due distinte classi dello stesso sistema. _ 2.° Disponendosi le molecole subordinatamente alla simmetria se- naria, che costituisce il più elevato grado di simmetria del sistema esagonale, possono dar luogo a bipiramidi riferibili alla classe oloedrica del sistema stesso. Il modo di origine di questi cristalli in condizione tale di aver libertà di movimenti molecolari per ogni verso, secondato dalla loro compitezza per ogni parte, come ne spiega la semplicità delle forme ne rende anche probabile il più alto grado di simmetria. 3.° Disponendosi invece le molecole rispetto ad assi di simmetria ternaria danno luogo a cristalli enantiomorfi o no secondo che l’ordi- namento loro rispetto a questi assi avvenga dissimmetricamente o sim- metricamente pur essendo eguali le molecole in ambedue i casiì. Se avvenga «con ordinamento destrogiro o levogiro se ne hanno i cristalli con potere rotatorio a destra o .a sinistra e l'ordinamento dis- simmetrico nell’edificio cristallino è sempre secondato dalle faccette enantiomorfiche o plagiedriche. L’ essere in uno stesso cristallo, come in quelli del granito elbano, faccette plagiedriche destre e sinistre e aree con opposto carattere rotatorio è solo dovuto a geminazioni di individui diversi destrogiri e levogiri compenetrantisi parallelamente all’asse di simmetria. 4.° Se l’associazione avvenga parallelamente alla base, quando si com- pensino vicendevolmente le contrarie rotazioni, viene a mancare la rota- zione del piano di polarizzazione, come viene anche a mancare la ma- sasa crd STUDIO OTTICO DI QUARZI BIPIRAMIDATI SENZA POTERE ROTATORIO 1851 nifestazione dell’enantiomorfismo, e i cristalli risultano come quelli delle ametiste, o quelli da me descritti limpidissimi incolori di Sel- vena. Le spirali di Arry, che si manifestano non di rado in questi cri- stalli specialmente nelle sezioni sottili, e tutte quelle irregolarità di con- tegno ottico che spesso essi presentano in relazione a questo ordina- mento e alla ineguale composizione degli strati molecolari di contrario carattere, fanno anche testimonianza che sì fatti cristalli non devono rite- nersi subordinati ad un modo di simmetria diverso dagli altri e riferirsi come questi alla tetartoedria enantiomorfica di tipo ternario. 5.° Le anomalie ottiche, che i cristalli di quarzo presentano tanto se di tipo ternario che senario, non sono da attribuirsi a struttura mimetica per subindividui biassici corrispondenti ai diversi settori ottici. La fre- quente biassicità che spesso vi si osserva è una delle solite anomalie che nei vari casi potrà anche.avere diversa causa, ma che nei suoi effetti appare sempre collegata con la simmetria e con l'abito del cristallo, come ha sostenuto KLEIN per molte altre specie anomale, e come appare con tutta evidenza nel caso presente in cui sembra collegata ai piani di diversa coesione in relazione sempre alla simmetria strutturale. 6.° Anche in questo caso si conferma per me quanto ho già sostenuto per altre specie, che cioè mentre la divisione in settori con orientazione ottica diversa è sempre in relazione alla struttura cristallina del mine- rale, e quindi seconda anche il suo abito esterno con questa connesso, si devono invece ritenere come anomalie secondarie quelle che si mani- festano con leggiera aberrazione di orientazione, piccole differenze nei valori dell’angolo degli assi ottici, sempre collegate a poliedria, irregola- rità di sviluppo ecc. Queste anomalie devono per me attribuirsi a cause secondarie o se la causa debba essere unica bisogna ricercare la spie- gazione nella diversa intensità e modo con cui questa causa fa sentire i suoi effetti nelle diverse direzioni. Laboratorio di Mineralogia dell’ Università. Pisa, 25 aprile 1899. Se., Nat. Vol. XVII 10 *> P. RICCARDO UGOLINI LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO (Tav. VII [I]). Sino dal 1884, in questo Museo geologico, giacevano quasi totalmente abbandonati, i resti fossili di un Cetaceo provenienti dalle colline plio- ceniche di Orciano in provincia di Pisa, e dal LawLEY regalati in quel- l’epoca al compianto prof. MeneGHINI. Consigliato dal prof. CANAVARI ad intraprenderne lo studio, accettai di buon grado l’invito, non perchè quegli avanzi avessero l'aspetto di offrire qualche cosa di nuovo da ag- giungersi a quanto già si conosceva in materia di Cetologia fossile; ma unicamente perchè, appartenevano essi ad una specie non ancora cono- sciuta per il Pliocene della Toscana. Così incominciai l’esame di quelle ossa non senza aver prima ten- tato di rafforzare alla meglio, sopra lo scheletro di cetacei attualmente viventi, le mie deboli cognizioni di osteografia cetologica. A compier meglio questo lavoro mi furono di sommo aiuto l’opera magistrale del Gervais e VAN BENEDEN !) e le numerose pubblicazioni di Cetologia fossile, tra cui principalmente quelle relative agli Steno 3); ma sopra ogni altra cosa mi valse l'appoggio validissimo prestatomi dal chiarissimo prof. RicHIARDI, direttore di questo Museo zoologico, che 1) GervaIs e VAN BENEDEN. Ostéographie des Cétacés vivantes et fossiles. Paris, 1880. 2?) BRANDT. Ergaenzungen zu den fossilen Cetaceen Europa’s. Mem. d. Acad. Imp. d. Sc. d. St.-Petersbourg, ser. VII, vol. XXI. St.-Petersbourg, 1875. — PortIs. Catalogo descrittivo dei Talassoteriù rinvenuti nei terreni terziari del Pie- monte e della Liguria. Mem. R. Accad. d, Sc. di Torino, ser. II, vol. XXXVII. Torino, 1885. LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO 133 tanto gentilmente volle offrirsi in mio favore ponendo a mia disposizione le ricche collezioni del Museo e la sua preziosa Biblioteca privata. Non so se il modesto resultato delle mie osservazioni risponderà adeguatamente allo scopo prefissomi; ad ogni modo spero che mi si vor- ranno condonare i possibili errori in cui io, novizio in tal genere di studi e privo di un ricco materiale di confronto, così necessario a questo ‘scopo, sarò forse incorso, specialmente allorchè ebbi ad occuparmi della determinazione di alcuna delle parti più rovinate e quindi più difficil- mente riconoscibili. Dopo avere accuratamente separato l’ una dall’altra le diverse parti che in quell’ammasso di avanzi scheletrici mi fu possibile riconoscere, “e dopo averle esaminate minutamente un per una, giunsi non senza gravi difficoltà a concluderne che il delfino di Orciano doveva indub- biamente venir riferito al genere Sfero e più precisamente a quella specie che il PortIs aveva descritto col nome di Steno Bellardìi. Gli avanzi dello scheletro che io ho avuto luogo di esaminare si ri- ducono dunque ai seguenti: a) Numerosi pezzi della scatola cranica, quasi tutti indecifrabili a causa del loro stato di conservazione oltremodo incompleto. b) Una porzione di uno dei temporali. c) I due periotici e la cassa timpanica destra. 4) I due rami della mascella privi della loro porzione anteriore, mancanti di denti, ma provvisti delle traccie ben distinte dei loro alveoli. e) Una porzione del lato sinistro del vomere. f) I due intermascellari privi di una buona parte della regione anteriore. g) I due rami della mandibola di cui il sinistro mancante di tutta .la porzione della sinfisi e della regione articolare, ed il destro rappre- sentato solamente da cinque pezzi che non mi fu possibile di collegare insieme; tutti e due i rami mancano dei denti, ma presentano essi pure ben marcate le traccie degli alveoli dentari. h) 32 denti isolati e conservati per intiero. i) 8 vertebre dorsali prive affatto dell'arco neurale, dei processi trasversi, ed, in parte, anche dei respettivi dischi epifisiari. k) 9 vertebre lombari sprovviste delle apofisi spinosa e tra- sverse, e mancanti pur essi della maggior parte delle epifisi. 134 R. UGOLINI }) 7 coste incomplete del lato destro, e 6 del sinistro. m) 27 frammenti di coste assolutamente indecifrabili. . n) 1 pezzo unico di stenebro (?). o) Numerosi frammenti di ossa, a cui, stante la notevole loro ridu- zione e la totale mancanza di particolari riconoscibili, non fu possibile assegnare un posto qualunque nel sistema scheletrico dell’ animale. Di queste ossa ho particolarmente parlato nella descrizione delle singole parti dello scheletro, studiandomi di porre in rilievo i rapporti di questo con le altre specie di Steno viventi e fossili, e di dimostrare sopratutto le numerose sue affinità con lo Steno Bellardi Portis. CRANIO. a) Scatola cranica. Occipitale, Frontali, Nasali, Etmoide, Sfenoide, Giugulare, Palatinì e Pterigoidei. — I numerosi frammenti delle ossa del cranio ridotti a minime proporzioni, non mi permisero di riconoscere con sicurezza al- cuna delle diverse parti componenti il cranio medesimo che potesse ve- nir ad accrescere il numero dei termini da confrontarsi con le altre forme di Delfinidi più prossime all’ esemplare in esame, e quindi anche a facilitarne maggiormente la determinazione. Nulla adunque dirò del- l’occipitale, dei frontali e di tutte le altre ossa che costituiscono insomma tutta quanta la cassa cranica; salvo a ricordare una porzione del temporale, probabilmente destro ed un frammento appena rico- noscibile di uno dei parietali; ma appunto per il loro stato di eon- servazione troppo ineompleto, sarebbe temerario qualunque confronto di tali frammenti con le corrispondenti ossa degli altri delfini fossili. Ossa auditive.— Della capsula auditiva rimangono perfettamente conservati i due periotici e solo in parte la cassa timpanica de- stra. Queste ossa che per le importanti variazioni di forma cui vanno soggetti, facilitano notevolmente la distinzione dei generi e delle specie, sono oltremodo caratteristiche nei Delfinidi; ma più della cassa timpa- nica si distingue il periotico, che ha sempre la faccia posteriore d’arti- colazione con la cassa intieramente solcata e l’apofisi anteriore, breve, stretta ed affatto liscia. Per tali caratteri i periotici del nostro cetaceo corrispondono esattamente a quelli dei Delfinidi ed in particolar modo ai periotici del gen. Steno; anzi avendo avuto la possibilità di confron- LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO 135 tare queste ossa con quelle che presentano le diverse specie di Steno attualmente viventi, m’è stato facilissimo di rilevare una straordinaria somiglianza tra i periotici dell'esemplare in esame e quelli dello Steno (Delphinoronchus) plumbeus Duss. riprodotto da GeRvAIS e VAN BENE- DEN !). La stessa cosa non può dirsi invece della cassa timpanica destra, l’unica che posseggo, la quale, appunto perchè incompleta e priva di una porzione del margine più sottile, non può con altrettanta sicurezza venire ravvicinata a nessuna delle specie viventi tuttora. Non conosco le ossa auditive delle due uniche specie fossili del gen. Steno, cioè dello Sf. Bellardìì PortIs e dello St. Gastaldiù BRANDT; ma poichè è il primo quello che più si assomiglia allo St. plumbeus Duss., per molti caratteri vicinissimo al mio esemplare, così a quello piutto- stochè alla specie del BranpT ho preferito riferirlo; ma, come vedremo, ben altre e non meno importanti particolarità mi condussero ad una tale determinazione. La superficie esterna della cassa timpanica del nostro cetaceo è ru- gosa, e, completata ad occhio, misura una lunghezza di cm. 3, per una larghezza massima di cm. 1,8. I due periotici invece hanno una lun- ghezza di cm. 3,1 ed una larghezza di cm. 2,1. Dalle dimensioni di queste ossa risulta evidente la giovane età dell'individuo; ma di questo ci persuaderemo maggiormente in seguito, allorchè verremo ad esami- nare la forma dei denti e la costituzione delle vertebre. b) Rostro. Del rostro, conservato solo in parte e notevolmente sottile ed al- lungato, rimangono i mascellari superiori alquanto danneggiati, porzioni degl’ intermascellari ed un piccolo frammento del vomere. È lo St. Bellardiù Porms la specie fossile che più gli si avvicina per la conformazione e per l’aspetto di questa regione del cranio; mentre tra le specie viventi quella che maggiormente gli rassomiglia è lo St. plumbeus Duss. Anzi, confrontando i resti di questo rostro con quello dello St. plumbeus, ed applicando per il primo uno dei metodi già usati dal PortIs per determinare approssimativamente la lunghezza di tutto il cranio intiero ricostruito, riuscii a trovare per questa dimensione un valore all'incirca di cm. 45,33. 1) Op. cit., Tav. XXXVII, fig. 5. 136 R. UGOLINI Ed infatti, mentre la parte conservata del rostro del nostro esem- plare misura una lunghezza di cm. 32, la parte corrispondente dello St. plumbeus considerata nella figura del GeRvaIs (Tav. XXXVII, fig. 5), non ne misura che 12, ed il cranio completo soltanto 17. Facendo quindi la proporzione fra le due misure rilevate per il cranio dello Sf. plum- beus e quella della porzione di rostro in esame, ed eseguendo le ope- razioni nel modo qui esposto si. ha che: 12 9 1r=Z93% (dove x sta ad indicare il valore che si deve cercare per la lunghezza del cranio restaurato), 17.82 __, TONLUR 49,99% È chiaro adunque che, tenuto conto della giovane età dell’ individuo, tale lunghezza del cranio è direttamente proporzionale a quella del cranio dell'esemplare del Portis, già molto adulto, come egli stesso afferma. Giustamente osservavo poco fa che lo Sf. plumbeus Duss. è tra le viventi la specie che più si assomiglia all’esemplare in esame; ma, per quanto notevoli sieno le affinità che avvicinano questo a quella specie, è d’uopo convenire che non pure meno importanti sieno le differenze che distinguono profondamente l’ una dall’altra. La più marcata, e quindi anche la più visibile di tali differenze, sta nella diversa conformazione dei mascellari superiori. Ed infatti, mentre nel nostro esemplare essi vanno immediatamente restringendosi nel punto in cui si distaccano dalla porzione espansa del cranio, assumendo una lunghezza che si man- tiene sempre uguale fino quasi all’ estremità del rostro (carattere che si osserva pure nello St. Belardi 4); nello St. plumbeus non avviene tale restringimento repentino dei mascellari superiori; ma essi vanno a poco a poco perdendo di larghezza fino alla metà circa del rostro, il quale da questo punto in poi conservasi perfettamente uniforme. Inoltre il distacco del rostro dalla superficie superiore del cranio, che è molto pronunciato nella nostra come nella specie del BELLARDI, 1) PoRTIS. Op. cît., pag. 107. LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO 137 x lo è molto meno, o per dir meglio non lo è affatto, nello St. plumbeus, ove la superficie superiore del cranio si confonde con quella del rostro in una superficie unica che va gradatamente discendendo verso l’estre- mità anteriore senza fare il benchè minimo angolo. Altra differenza si verifica poi nel numero e nelle dimensioni dei denti che, nell’individuo in esame, come nello Sf. Bellardi, sono pic- coli e non più di 32 all’ incirca, mentrechè nello St. plumbeus sono quasi sempre più di 35 e di ancor minori dimensioni. Delle altre specie viventi anche lo St. rostratus Cuv. e lo St. fron- tatus Cuv. presentano qualche affinità col nostro esemplare, ma si al- lontanano da questo per avere il rostro molto più sviluppato in lar- ghezza ed i denti assai più grossi e minori di numero. Non parlo poi dello Sf. compressus Gr. nè dello St. sinensis DESM., nè infine dello Sf. attenuatus Gr., dei quali, i primi due differiscono notevolmente dall’in- dividuo în esame sol per avere denti più piccoli ed in numero mag- giore; ed il terzo se ne allontana soprattutto per il minore sviluppo in larghezza degl’intermascellari, per la minor lunghezza e convessità del rostro e per un maggior numero di denti. Prima di riferire decisamente gli avanzi del mio Delfinoide alla spe- cie di PortIs cercai attivamente se esso avesse potuto presentare qual- cuno dei suoi caratteri comuni con lo St. Gastaldiî; ma ben presto dovetti persuadermi che per quanta affinità esistesse tra le due forme, nessun ravvicinamento sarebbe stato possibile del mio esemplare alla specie di BranpT; ed ispecial modo per il numero dei denti che in questa sono di dimensioni molto più sviluppate ed in numero notevol- mente minore (quasi sempre 25 invece di 32). Fu appunto in seguito a tali considerazioni, e sopratutto dopo le più insistenti ricerche, che venni alla conclusione che allo Sf Bellardii PortIs dovessero decisamente venire riuniti gli avanzi fossili di questo Cetaceo. Mascellari superiori. — Nonostante che manchino della porzione an- teriore sono tuttavia in stato assai buono per lo studio; ma il sinistro è però un poco più danneggiato del destro. Tutti e due hanno ben con- servata la superficie del palato, e, tenendo conto di quanto manca a ciascuno, si può calcolare che la loro lunghezza non doveva essere in- feriore ai 27 cm. e mezzo. Supponiamo infatti, come dice il PortIs, che nello St. Belardi la 138 R. UGOLINI parte espansa del cranio, vale a dire la scatola cranica, raggiunga una lunghezza media uguale ai sette diciottesimi della lunghezza totale del cranio compreso il rostro ; allora, dividendo la lunghezza totale del cranio che abbiamo già trovato essere uguale a cm. 45,33 per 18 e molti plicandola poi per 7, otteniamo un valore in cm. che è uguale a 17,62 e ci rappresenta la lunghezza della scatola cranica. Togliendo poi questo valore dalla lunghezza totale di tutto il cranio troviamo per il rostro una lunghezza uguale a cm. 27,71. Inferiormente i mascellari hanno una regione salle ristretta, e, verso l’estremità anteriore, presentano ben delineato il canalicolo assiale; superiormente poi confinano cogl’intermascellari per una delimitazione che, per opera della corrosione, subìta durante la fossilizzazione, appare molto più distinta oggi di quello che non fosse stata in origine. Quale fosse il numero dei denti si ricava con molta approssimazione dagli al- veoli che in ambedue i mascellari sono assai bene distinti ed uguali circa a 32 per ciascuno. Vomere. — È malamente rappresentato da un piccolo frammento corrispondente alla regione mediana della porzione sinistra; mancano quindi tutta la regione montante superiore e quella anteriore di sinistra, oltrechè tutta l’intiera porzione di destra. Mandibola. — Anche la mandibola non è completa; e dei suoi rami rimangono solo una buona porzione del sinistro, lungo circa 22 cm. e privo della regione della sinfisi e di quella posteriore, e cinque fram- menti del destro. Su quanto rimane idel ramo sinistro, come il meglio conservato, ho basato il mio esame della mandibola: la superficie esterna è liscia, generalmente convessa, e solo alquanto pianeggiante verso la regione posteriore. Questo ramo si mantiene quasi totalmente diritto, fino ad un certo limite in corrispondenza del quale sembra che rientri per una certa lunghezza verso l’ interno, facendo un leggiero angolo ot- tuso, dopodichè ritorna nuovamente mella direzione iniziale. Anche per questo carattere il nostro esemplare non va disgiunto dalla ‘specie del Portis nella quale i rami della mandibola presentano una conformazione simile. Inoltre tanto il ramo sinistro della mandibola dell’individuo in esame, come i frammenti del destro, sono distintamente ornati, lungo il margine superiore della faccia interna, da mumerosi ‘alveoli dei denti che più non vi sono. i I E e Ve e qitestettnetitii. dtt LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO 139 Denti. — Nessuno dei denti della mascella e della mandibola trovasi ancora al suo posto; ma soltanto una trentina ne furono raccolti iso- lati fuori dai respettivi alveoli. Sarebbe quindi oltremodo temerario qua- lunque tentativo di volere ritrovare a ciascun di essi il posto che .oc- cupavano in origine, tanto più poi che in un individuo giovane come questo, non può certo applicarsi alcuno di quei criteri che ci servono generalmente di guida per la collocazione in posto di questi organi. E, solo ammettendo che il troncamento della porzione superiore della co- rona, che si produce per logorazione, sia sempre meno pronunciato in quei denti che sono situati più verso l’interno delle fauci, ho potuto ritenere che 16 di essi appartengano alla regione anteriore, e 14 alla regione posteriore della bocca. Tanto meno poi avrei potuto stabilire dal numero dei denti super- stiti il numero di quelli posseduti in origine dall’individuo, ove non avessi ricorso all'esame degli alveoli che, tanto nella mascella come nella mandibola, non superavano certamente i 32 per ciascun lato; ra- gione per cui il sistema dentario del nostro Delfinorde sarebbe appros- 32-32 32-32” prevalentemente conica e più o meno ricurva, e, misurati dall’ estremità della radice a quella della corona non oltrepassano mai la lunghezza di cm. 1,85 ed uno spessore massimo di cm. 0,4. Lo smalto che riveste la corona è di un colore scuro, quasi nero e percorso da sottili strie longitudinali; la superficie di corrosione è perfettamente nera. simativamente espresso dalla formola: I denti hanno una forma Joide, stiloidee.— Tra i numerosi frammenti delle ossa del cranio, non mi fu possibile rinvenirne alcuno che potesse con qualche sicurezza venire riferito all’ioide od alle stiloidee, alla cui forma nè il Branpr per il suo Steno Gastaldi, nè il Portis per lo Steno Bellardti, non accennano minimamente. COLONNA VERTEBRALE. La colonna vertebrale non è molto ben rappresentata nel nostro Del- finoide; rimanendone infatti 17 vertebre soltanto, e tutte più o meno 140 R. UGOLINI dell’arco neurale. Le epifisi che per l'età molto giovane dell’ind non erano ancora completamente fuse con i respettivi corpi verte Vertebre cervicali. — Delle vertebre cervicali nessun frammento e quindi nessuna traccia, sia dell’atlante sia dell’epistrofeo. Non è a dirsi quanto avrebbe interessato nel nostro esemplare la presenza di queste ossa sopratutto per la determinazione esatta della specie; giac- chè, stando a quello che ne dice il PortIs lo Steno Gastaldii differirebbe dallo Steno Bellardà massimamente per la separazione ben delineata di queste due ossa le quali in tutte le altre specie del genere sono invece fortemente saldate tra di loro a formare un osso unico. Vertebre dorsali. — Come testè feci osservare, nulla ho potuto rife- rire intorno ai caratteri delle vertebre del collo; ma la stessa cosa non posso dire invece delle successive vertebre dorsali e lombari. Le dorsali sono in numero di 8 solamente e prive quasi affatto del loro processo spinoso e dei processi trasversi; ma dalle tracce che di questi ancora rimangono si riconosce facilmente a qual parte della colonna vertebrale debbano con sicurezza riferirsi. Le epifisi mancano nella massima parte della vertebre e soltanto in poche aderiscono tuttora alla superficie dei corpi vertebrali. Stante la notevole loro riduzione non mi fu possibile di stabilire con esattezza l’ordine di successione di ciascuna vertebra, ed il posto preciso di ognuna; ma, avendole disposte in serie, l’una dietro all’ altra, secondo la crescente lunghezza del corpo e il pro- gressivo restringimento del foro neurale, sono riuscito a distinguere quelle spettanti alla regione dorsale anteriore, caratterizzate da una minima lunghezza del corpo (uguale ad /, circa dell’altezza) da quelle proprie alla regione posteriore. Le dimensioni di ciascuna di queste vertebre, prive dei rispettivi dischi epifisari e disposte in ordine progressivo di accrescimento, sono espresse in millimetri nel quadro seguente: LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO 141 diam, Jong. diam. vert, diam, trasv, m. 0,011 m. 0,024 m. 0,038 0,015 0, 024 0,032 0,018 0, 024 0, 028 0,020 DO = 0,021 L = 0,022 0,025 0,027 0,023 0,026 0,027 0,024 0,026 0,027 Da queste dimensioni ne risulta che, mentre il diametro longitudi- — nale del corpo di ciascuna vertebra aumenta progressivamonte di 1 mm. circa, e va pure crescendo anche il diametro verticale, sebbene assai più lentamente, il diametro trasversale diminuisce, sicchè il corpo della prima delle 8 vertebre misura mm. 11 di diam. long., mm. 24 di diam. vert., e mm. 38 di diam. trasv., mentre quello dell’ultima ne misura invece 24 di diam. long., 26 di diam. vert., e 27 di diam. trasv. Ben si comprende adunque che se noi potessimo avere a nostra disposizione anche le altre vertebre dorsali susseguenti, ve ne sarebbe tra queste certamente una la quale avrebbe tutte e tre le dimensioni a un dipresso uguali, e l’ultima di esse presenterebbe senza dubbio un diametro tra- sversale minore ed un diametro longitudinale maggiore delle altre due dimensioni. E questo appunto coinciderebbe con quanto il PortIS già af- fermava nella descrizione delle vertebre dorsali del suo Steno Bellardiì. Vertebre lombari. — Alla regione lombare del nostro Delfinoide ap- partengono 9 vertebre che per avere i processi trasversi nascenti diret- tamente senza fondersi colle origini dell’arco neurale ed il corpo infe- riormente provvisto di una carena longitudinale assai rilevata e carat- teristica nei corpi vertebrali di questa regione, debbono indubbiamente considerarsi come vertebre lombari vere e proprie. Anche a queste, come alle dorsali, non m’è riuscito di assegnare il posto che occupa- vano in origine nella regione lombare della colonna, ma: avendole di- sposte in serie, secondo il criterio già precedentemente applicato per le vertebre dorsali, non mi riuscì gran cosa difficile fare un’approssima- tiva separazione delle lombari anteriori dalle posteriori. A ciascuna di queste vertebre mancano le apofisi trasverse e l’apofisi spinosa, e sol- tanto una piccola parte di esse è provvista ancora dei dischi epifisiari. 142 R. UGOLINI A scopò di brevità, ho creduto superfluo dar qui le dimensioni del- l’arco neurale nelle diverse vertebre; dimensioni che avrebbero potuto indubbiamente calcolarsi con l’ esame delle tracce che ancora rimangono delle origini dell’apofisi spinosa. E mi limiterò a riportare soltanto le di- mensioni dei corpi di ciascuna vertebra lombare, come già feci per le dorsali. diam, long. diam. vert, diam. trasv, m. 0,026 m. 0,028 m. 0,028 0, 028 0,030 (?) 0, 030 0, 029 i 0,031 0,031 0, 029 0, 032 0, 032 0,030 0,032 0, 032 0,030 0, 032 0,032 0,031 0, 033 0,034 0,032 0,035 0,035 0,033 |, 0, 035 0,035 Anche nel nostro esemplare, come in quello descritto dal PoRtIs, si verificano press’a poco, tra le tre dimensioni dei corpi delle vertebre lombari, le medesime relazioni che il prof. PoRTIS aveva riscontrato nella sua specie di Steno. Ed infatti, come risulta dal quadro, il rapporto che passa fra le tre dimensioni di ciascuna vertebra è un numero che oscilla costantemente da 1 a 1,10; dunque i tre diametri hanno in ogni corpo vertebrale lo stesso valore. ‘ Vertebre caudali.— Della regione caudale non ho trovato alcun fram- mento, sia di vertebre sia di emapofisi, che potesse offrire qualche nuova cognizione intorno a questa specie incompletamente conosciuta. Non è a credersi di qual somma importanza sarebbe riuscito adunque un tale rinvenimento, tanto più che l’esemplare descritto dal PortIs non pre- sentava esso pure alcuna traccia di questa regione tanto interessante. COSTE. Frammenti minutissimi rappresentano le coste dei lati destro e si- nistro e delle regioni anteriore e posteriore. Non senza grandi fatiche giunsi a collegare insieme alcuni pezzi che appartenevano alla medesima costa, ma riuscì vano ogni tentativo di completarne alcuna. Per queste ragioni sarebbe adunque poco esatto qualunque confronto di queste ossa con le corrispondenti dello Steno Bellardii, e solo ho potuto verificare fragiiz ode e e e ei n LO STENO BELLARDII PORTIS DEL PLIOCENE DI ORCIANO PISANO 143 che le coste anteriori del nostro esemplare sono prevalentemente schiac- ciate e provviste di una tuberosità molto sviluppata, come nella specie del PoRTIS. STERNO E COSTE STERNALI. Non ho rinvenuto alcun frammento che potesse venire riferito allo sterno che sappiamo già trovarsi quasi sempre molto raramente allo stato fossile. Credo invece di poter con qualche sicurezza riferire ad uno sternebro un pezzetto di osso che per la sua conformazione si avvicina moltissimo alle coste sternali. ESTREMITÀ. Nessuno dei numerosi pezzi che non poterono essere determinati sembra riferibile ad alcuna delle ossa componenti Vetremità. Niente adunque posso aggiungere a quanto in proposito già disse il PorTIS per lo Steno Bellardti. Dall'esame riassuntivo di queste ossa e da tutto quanto dal prin- cipio di questa nota venni esponendo sin qui, scaturisce evidente la per- fetta somiglianza del delfino fossile di Orciano con quello di Bagnasco. A questo adunque ho decisamente riferito il mio esemplare, contribuendo con questo fatto a stabilire l'esatta determinazione di una specie che, istituita dal PorrIs sopra un delfino raccolto per la prima volta nelle colline di Bagnasco (Asti) nel 1876, non era stata sino d’allora più rinvenuta nelle nostre formazioni plioceniche. Pisa, R. Istituto geologico della R. Università. — Giugno 1899. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VII [I] Fig. 1. — Rostro veduto dalla sua faccia superiore (‘/, d. grand. nat.), — pag. 135, [6]. ; » 2.— Lo stesso veduto dalla sua faccia inferiore (*|, d. grand. nat.), — pag. 135 [6]. 5 » 3. — Lo stesso veduto di profilo (|, d. grand. nat.), — pag. 135 [6]. » 4. — Sezione verticale antero-posteriore del rostro. a) porzione del lato sinistro del vomere ('/, d., grand. nat.), — pag. 138 [9]. ; » Db. — Porzione del ramo mandibolare sinistro veduta dalla sua faccia esterna (*/, d. grand. nat.), — pag. 138 [9]. . — La stessa veduta dal di sopra ('/, d. grand. nat.), — pag. 138 [9]. . — Vertebra dorsale veduta anteriormente (grand. nat.), — pag. 140 [11]. . — Vertebra lombare veduta anteriormente (grand. nat.), — pag. 141 [12]. . — Bulla timpanica destra veduta dall'interno (grand. nat.), — pag. © 134 [5]. » 10. — Periotico destro veduto dal lato rivolto verso l'osso timpanico (grand. nat.), — pag. 134 [5]. » 11. — Periotico sinistro veduto dal lato opposto all'osso timpanico (grand. nat.), — pag. 134 [5]. » 12. — Varie sorta di denti isolati (grand. nat.), pag. 139 [10]. o 0A DI ISTITUTO ANATOMICO DI PADOVA PROF. D. BERTELLI SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO DIVISIONE DELLA CAVITÀ CELOMATICA DEGLI UCCELLI —_—__--——T INTRODUZIONE. Riguardo all’ apparecchio respiratorio degli uccelli merita ancora di essere studiato lo sviluppo dei sacchi aeriferi. Le ricerche sullo sviluppo dei sacchi intermedii anteriori e posteriori ci offriranno la opportunità di indagare in qual modo avvenga la divisione della cavità celomatica. Intorno alla morfologia dei sacchi aeriferi degli uccelli molto è stato scritto. La letteratura su questo argomento fu raccolta con grande di- ligenza da SapPEY !), da CAMPANA ?) e da RocHé *). Lo studio della mor- fologia dei sacchi, fino a questi ultimi tempi, fino cioè al lavoro di RocHÉ, fu mal condotto. In fatti mentre i ricercatori si perdono nella descri- zione dei più minuti particolari, usano un materiale molto scarso ri- spetto alla classe e generalizzano alla classe i risultati di osservazioni fatte in numero limitatissimo di specie e per fino in una sola. RocHÉé estendendo ad un grande numero di specie le ricerche ed usando rigo- rosi metodi di tecnica, ha portato largo contributo di nuove conoscenze utili non solo al zoologo, ma anche al fisiologo perchè le svariate dispo- sizioni dei sacchi possono essere in rapporto con le abitudini di vita dei diversi uccelli e possono offrire il modo di interpetrare la funzione. Debbo 1) Sappey PH. — Recherches sur Vl appareil respiratoire des oiseaux. Paris, 1847. 2) CAMPANA. — Physiologie de la respiration chez les oiseaux. Paris, 1875. 3) RocHb G. — Contribution à l’ étude de l’anatomie comparée des réservoirs aériens d’ origine pulmonaire chez les oiseaux. (Annales des Sciences naturelles. Tome XI, Paris, 1891). £ 146 i D. BERTELLI però osservare che GrraRpI !) fino dal 1784 aveva affermato, riguardo alla morfologia dei sacchi aeriferi, che:“...non solo nei differenti ge- neri si riscontrano delle diversità rimarcabili, ma ben anche negli uc- celli della specie medesima ,. GIRARDI ebbe però il torto di dichiarare che: “.... il descrivere tutte queste varietà sarebbe troppo lungo e spiacevole ,,. Sulla struttura dei sacchi aeriferi abbiamo un lavoro di FicALBI ?) e poche notizie di LeypIe 5), di EsERTA *), di ScHULZE 5) e di TOURNEUX ed HERRMANN %). Si occuparono della struttura. dei sacchi anche alcuni di coloro che ne studiarono la morfologia e cioè GurLLoT "), SAPPEY, CAMPANA. Sullo sviluppo dei sacchi aeriferi esiste un solo e breve lavoro di SELENKA *). RATHKE °) accenna al modo di origine dei sacchi nel riferire risultati di indagini fatte sullo sviluppo dell’ apparecchio respiratorio degli uccelli. Mentre le ricerche embriologiche avrebbero giovato mol- tissimo a chiarire la morfologia e la struttura dei sacchi, i ricercatori le hanno trascurate. Se gli anatomici invece di insistere nelle ricerche di morfologia e di istologia avessero studiato accuratamente lo sviluppo, 1) GrrarDI M. — Saggio di osservazioni anatomiche intorno agli organi della respirazione degli uccelli. (Memorie di Matematica e Fisica della Società italiana. Verona, 1784). %) FicaLpi E. — Alcune ricerche sulla struttura istologica delle sacche aeri- fere degli wecelli. (Memorie della Società toscana. di scienze naturali. Vol. VI, 1885). 3) LeyDIG F. — Lehrbuch der Histologie des Menschen und der Thiere. Frank- furt a. M., 1857. 4 EsERTH, C.J. — Weber den feineren Bau der Lunge. (Zeitschrift fur wis- senschaftliche Zoologie. Zwéòlfter Band. Leipzig, 1863). 5) ScauLzm F. — Die Lungen. (Handbuch der Lehre von den Geweben des Menschen und der Thiere, herausgegeben von S. STRICKRR. Leipzig, 1871). 6) TOoURNEUX F. et HERRMANN G. — Recherches sur quelques. épithéliums plats. dans la série animale. (Journal de l’Anatomie et de la Physiologie. Paris, 1876). 7) GuirLor N. — Mémoire sur lappareil de la respiration dans les oiseaux. (Annales des Sciences naturelles. Troisième Série, Tome cinquième. Paris, 1846). ) Sauna E. — Beitrag zur Entwickelungsgeschichte der Luftséicke des Huhns. (Zeitscrift fir wissenschaftliche Zoologie. Sechzehnter Band. Leipzig, 1866). 9) RaTtHKEB H. — Ueber die Entwickelung. der Athemwerkzeuge bei den Wéogeln und Stiugethieren. (Nova Acta physico-medica Academiae Caesareae Leopoldino- Carolinae Naturae curiosorum. Bonnae, MDCCCXXVIII). SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 147 si sarebbero avute riguardo alla morfologia ed alla struttura conoscenze esatte che avrebbero risparmiato tempo e fatica a tanti ricercatori i quali hanno voluto rendersi conto della anatomia dei sacchi aeriferi stu- diandoli solamente nell’ adulto. i Nel pollo sono nove sacchi aeriferi sulla conformazione, su i rap- porti e sulla struttura dei quali furono fatte molte ed accurate ricerche. Esiste ancora disaccordo riguardo alla nomenclatura di essi. Su questo argomento necessita che m’ intrattenga, prima di passare allo studio dello sviluppo. I sacchi aeriferi furono denominati o dai rapporti che presentano con regioni, con visceri, con organi o dalla posizione che hanno gli uni rispetto agli altri o dal posto che occupano nella cavità toracica e nella cavità addominale, intese queste cavità in modo diverso dai diversi ri- cercatori. GurLLor divide i sacchi in due gruppi, uno comprende i sacchi to- racici e l’altro i sacchi addominali. SaPPEY denomina anteriori i sacchi cervicali ed il sacco toracico, medii i sacchi diaframmatici, posteriori i sacchi addominali. MriLxe-Epwarps !) dopo avere descritti i sacchi aeriferi ne riassume la topografia considerandoli, come SapPEY, in tre gruppi. Campana basò la nomenclatura esclusivamente sulla posizione reci- proca dei sacchi. Li considera situati in tre piani soprapposti che chiama: superiore, medio, inferiore. Il piano superiore comprende due sacchi, il superiore-anteriore e il superiore-posteriore. Nel piano medio sono quattro sacchi, due a destra, due a sinistra, che chiama medti-superiori e medti- inferiori. Il piano inferiore contiene due sacchi, uno a destra ed uno a sinistra: i sacchi inferiori. HuxLEy *) si servì per la nomenclatura dei sacchi di nomi tolti in parte dai rapporti che essi hanno con i bronchi, in parte dai rapporti di posizione che gli uni presentano con gli altri. Pose nome di sacchi intermedi anteriori e posteriori ai sacchi medii di SAPPEY e conservò il nome di posteriori a quelli che universalmente sono conosciuti con il nome di addominali. 4) MiLNnE-EDwARDS H. — Lecons sur la Physiologie et V Anatomie comparée. Tome deuxième. Paris, MDCCCLVII. ?) HuxLey T.— On the respiratory organs of Apteryx. (Proceedings of the zoological Society of London. 1882). Se., Nat. Vol. XVII Li 148 D. BERTELLI Sappey e MiLne-EpwaRpDS avevano usato le denominazioni di sacchi medii e posteriori nel fare la sintesi della topografia dei sacchi e per la nomenclatura avevano invece usato di nomi speciali. HuxLEY applicò giustamente ad alcuni sacchi la nomenclatura della quale SapPpEY e MiLne-EDwARDS si erano serviti per 1 sacchi in generale. HuxLEY chiama il sacco cervicale: prebronchiale e l’interclavicolare: subbronchiale. Meglio è conservare le denominazioni in uso di sacchiì cervicali e di sacco in- terclavicolare che precisano egualmente la situazione. Ho voluto esporre un po’ estesamente in qual modo si giunse alla nomenclatura proposta da HuxLev perchè i singoli autori non hanno affatto curata la bibliografia. Adotterò per i sacchi aeriferi le seguenti denominazioni: sacchi cer- vicali (sacci cervicales); sacco interclavicolare (saccus interclavicularis); sacchi intermedii anteriori (sacci intermedi anteriores); sacchi intermedii posteriori (sacci intermedii posteriores); sacchi posteriori (saccì posteriores). Con questa nomenclatura vengono tolte di mezzo tutte quelle deno- minazioni errate che si basano sopra una divisione sbagliata della ca- vità celomatica e sopra false interpetrazioni del diaframma. Sviluppo dei sacchi aeriferi. Da quanto ho sopra esposto riguardo alle conoscenze che possediamo intorno alla morfologia, alla struttura ed allo sviluppo dei sacchi aeri- feri risulta che lo sviluppo venne trascurato. Per questa ragione mi in- dussi a fare le ricerche delle quali ora rendo conto. Ho studiato lo sviluppo dei sacchi aeriferi nel pollo. Correr !) accennò per il primo ai sacchi aeriferi. Harvey ?) scoprì le aperture polmonali ed ebbe chiara idea dei sacchi aeriferi. MiLne-Epwarps e SIEFERT *) ammettono che Correr abbia scoperto le aperture polmonali. Correr non vide certamente queste aperture, af- fermò che la sostanza del polmonale è “ ubique pervia ,; con tali parole 1) Correr V. — Externarum et internarum principalium humani corporis partium tabulae atque anatomicae exercitationes. Noribergae, 1573. 2) Harvey W. — Zxercitationes de: Generatione animalium. Exercitatio 3. Amstelaedami, 1651. 3) Sturert E. — Ueber die Athmung der Reptilien und Vogel. (Archiv fur die gesammte Physiologie. Vierundsechszigster Band. Bonn, 1896). SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 149 non poteva accennare alle aperture che immettono nei sacchi, essendo queste, poche e grosse. Anche FuLp !) ricorda piccoli orificii sparsi su tutta la superficie dei polmoni, errore nel quale cadde anche LERE- BOULLET °). Coloro che fino a RaTHKE si occuparono della morfologia dei sacchi aeriferi li considerarono come appendici dei polmoni, ma nessuno studiò quale fosse, riguardo alla genesi, il rapporto tra polmoni e sacchi. RATHKE in un lavoro sullo sviluppo dell’ apparecchio respiratorio degli uccelli e dei mammiferi accenna anche allo sviluppo dei sacchi aeriferi e stabilisce che essi provengono dai polmoni. Secondo RATHKE i sacchi prendono origine dalla parte interna della superficie inferiore del pol- mone, su di un tratto che chiama porzione vescicolosa (blasige Theil). Al nono giorno di incubazione osservò quattro sacchi che riprodusse in figure da embrioni di undici e di dodici giorni. RATHKE tratta solo in- cidenta)lmente dello sviluppo dei sacchi aeriferi e mentre reca un con- tributo assai modesto riguardo alle modalità dello sviluppo, stabilisce d’altra parte il fatto fondamentale della provenienza dei sacchi dai polmoni. SELENKA trovò gli abbozzi dei sacchi posteriori al quinto giorno di incubazione, quali ispessimenti claviformi situati in corrispondenza degli estremi posteriori dei tubi polmonali. Alla fine del decimo giorno di incubazione riconobbe gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori e po- steriori. Il superiore è situato come piccolissima sacca nella superficie ventrale, concava del polmone, l’inferiore sporge in forma di vescicola peduncolata dall’ angolo esterno e posteriore di questo viscere. Alla metà dell’undicesimo giorno verificò la presenza degli abbozzi di tutti i sacchi. BurLER *) accenna alle disposizioni che presentano i sacchi intermedii ed i posteriori del pollo dall’ottavo al dodicesimo giorno di incubazione. La massima parte dei Trattatisti di Embriologia e di Anatomia com- parata tacciono riguardo allo sviluppo dei sacchi aeriferi; quelli che se ne occupano recano solo scarse ed incomplete notizie. RATHKE e SELENKA fecero le ricerche esaminando il polmone ir toto. 1) FuLD. — De organis quibus aves spiritum ducunt. Wurtzbourg, 1816. ?) LEREBOULLET. — Anatomie comparée de Vl appareil respiratoire dans les animaux vertébrés. 1838. 3) BurtLeR G. W. — On the subdivision of the Body-cavity in Lizards, Cro- codiles, and Birds. (Proceedings of the zoological Society of London, 1889, Part IV). 150 | D. BERTELLI _ Con i mezzi di tecnica istologica moderna si possono fare su questo argomento indagini che diano risultati molto più soddisfacenti di quelli ottenuti da RATHKE e da SELENKA. Ho incominciato a seguire lo sviluppo dei polmoni in stadii molto giovani, da quando gli abbozzi dei polmoni non sono che due tubi sem- plici. i A ore 72 di incubazione si hanno i tubi polmonali semplici, accolti alla loro origine nel mesenterio primitivo, per il resto nei legamenti polmonali-epatici. Solo in corrispondenza degli ultimi tagli dei tubi pol- monali apparisce la sezione del recesso del sacco dell’omento e del re- cesso sinistro, così che solo per breve tratto i tubi polmonali si trovano accolti nei legamenti polmonali-epatici. In vicinanza dell’estremo caudale i tubi presentano un leggerissimo rigonfiamento che è il primo accenno ai sacchi aeriferi posteriori. Al quarto giorno di incubazione i tubi polmonali si mantengono sem- plici, sono ingrossati ed allungati. Gli abbozzi dei sacchi posteriori (fig. 17) sono divenuti fusiformi. A questo stadio non sono apparsi abbozzi di altri sacchi. Al quinto giorno di incubazione i tubi polmonali incominciano a pre- sentare diramazioni. Anche a questo stadio i tubi polmonali per tratto non breve sono compresi nel mesenterio, poi sono accolti nei legamenti polmonali-epatici. i Gli abbozzi dei sacchi posteriori si sono allungati, ma in grossezza di poco hanno progredito; si mantengono fusiformi. A questo stadio esistono a destra ed a sinistra due simmetriche, bre- vissime diramazioni del tubo polmonale, le quali prendono origine dopo brevissimo decorso da che il tubo polmonale è compreso nei legamenti polmonali-epatici. Quelle poste più cranialmente (fig. 1) sorgono dalla metà dorsale della periferia dei tubi polmonali; si ripiegano in avanti e situate dorsalmente ed a piccola distanza dai tubi polmonali decor- rono parallelamente ad essi (fig. 1). Tali diramazioni sono gli abbozzi dei sacchi aeriferi cervicali. Immediatamente al di dietro di queste di- ramazioni appariscono le due altre che hanno origine identica a quelle descritte e che si dirigono dorsalmente. A questo stadio sono apparsi gli abbozzi dei sacchi cervicali. - Al sesto giorno di incubazione esistono poche diramazioni bronchiali; è sempre facile seguire il decorso dei tubi polmonali (fig. 2, 5,13). Incominciando a seguirli dall’innanzi all’indietro si trovano da prima RE IM DI 10 ne | | SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 151 nel mesenterio, posti ventralmente al tubo digerente, a breve distanza da questo; poi incominciano a spostarsi lateralmente e dorsalmente si- tuati immediatamente al di sotto ed allo esterno del recesso del sacco dell’omento e del recesso sinistro. Lo spostamento in direzione laterale e dorsale seguita tanto che i tubi polmonali quasi raggiungono la su- perficie esterna e superiore del polmone. In fine i tubi polmonali si spostano un po’ in dentro parallelamente alla superficie superiore del polmone. Gli abbozzi dei sacchi cervicali, che nello stadio precedente abbiamo trovati inclusi nei legamenti polmonali-epatici, si sono allungati ed in- grossati (fig. 2, 5); rivestiti da connettivo polmonale si sono spinti in avanti nelle cavità pleuriche. Il connettivo polmonale apparisce in forma di due corti coni, uno per lato, a sommità anteriore. Gli assi dei coni sono percorsi dagli abbozzi dei sacchi i quali migrando hanno spinto innanzi a loro il connettivo polmonale, che fornirà la parete dei sacchi. Gli estremi anteriori delle cavità pleuriche sono per brevissimo tratto vuoti, poi in mezzo ad essi appariscono gli apici di quei coni connettivi che ho sopra ricordati e in corrispondenza degli apici si trovano gli estremi anteriori degli abbozzi dei sacchi cervicali. I prolungamenti con- nettivi trovansi liberi per brevissima estensione in mezzo agli estremi anteriori delle cavità pleuriche (fig. 2). Gli abbozzi dei sacchi cervicali sono assai stretti in corrispondenza dell'estremo craniale, poi vanno gradatamente allargandosi e in vicinanza del punto di origine si restrin- gono, assumendo così la forma di sacchi peduncolati. Dagli abbozzi dei sacchi cervicali, a piccola distanza dagli apici, pren- dono origine, sulla metà laterale della periferia, due diramazioni, una a destra ed una a sinistra, cortissime, dirette dall'interno all’esterno e lievemente ‘dall’ alto al basso (fig. 5), le quali sono gli abbozzi del sacco interclavicolare. Nell’adulto il sacco interclavicolare è unico, ma proviene anche esso, come tutti gli altri sacchi, da due abbozzi. Questi sono situati molto dorsalmente e lateralmente in confronto della posizione che il sacco in- terclavicolare ha nell’adulto, ma vedremo negli stadii successivi, che questi abbozzi discendono e si spingono verso la linea mediana. Appena le diramazioni che dettero origine agli abbozzi dei sacchi cervicali hanno raggiunto i tubi polmonali, da questi sorgono gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori (fig. 9), situati in vicinanza della superficie mediale dei polmoni, in corrispondenza dei legamenti polmonali accessorii, 152 D. BERTELLI del recesso del sacco dell’omento e del recesso sinistro. Appena sorti si rigonfiano lievemente, hanno l'estremo terminale rivolto in basso e un po’ lateralmente. Dalla parte ventrale dei tubi polmonali, dopo breve decorso da che sono rimasti soli nei legamenti polmonali-epatici, nascono due dirama- zioni, una per lato (fig. 13), le quali presentano nel loro estremo ter- minale una vescicola sferica che è l’abbozzo dei sacchi intermedii po- steriori. Questi abbozzi, per la sede, rispetto alla superficie laterale dei legamenti polmonali-epatici e un po’ per la conformazione, hanno somi- glianza con quelli del sacco interclavicolare. Tale somiglianza si fa più accentuata in stadi di sviluppo più avanzato. Gli abbozzi dei sacchi posteriori si scorgono in sezione trasversa tondeggianti sulla metà superiore dei legamenti polmonali-epatici; sono benissimo manifesti perchè ingrossati e perchè in corrispondenza di essi su i legamenti per molta estensione non esistono diramazioni bronchiali. Verso la fine vanno gradatamente assottigliandosi e terminano a punta. A questo stadio sono apparsi gli abbozzi del sacco interclavicolare e quelli dei sacchi intermedii anteriori e posteriori; così a Testo) stadio esistono gli abbozzi di tutti i sacchi. Al settimo giorno di incubazione gli abbozzi dei sacchi hanno di poco progredito nello sviluppo. In embrione di otto giorni gli abbozzi dei sacchi cervicali hanno raggiunto l’apice delle cavità pleuriche. Il loro calibro è aumentato, si mantengono rigonfii nella parte media, ristretti alle estremità. Gli abbozzi del sacco interclavicolare sono discesi ed hanno spinto lievemente innanzi a loro il connettivo polmonale (fig. 6) che in corri- spondenza di essi si è abbassato in forma di piega. Le diramazioni dalle quali gli abbozzi hanno preso origine sono sempre in comunicazione con le diramazioni che produssero gli abbozzi dei sacchi cervicali. Gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori hanno assai progredito nello sviluppo (fig. 10, 14); sono situati immediatamente sopra alla su- perficie ventrale dei polmoni; in sezione trasversa appariscono ovoidali, con il grande diametro diretto quasi bragversalmente, parallelo alla su- perficie ventrale dei polmoni. Gli abbozzi dei sacchi intermedii posteriori presentano grande somi- glianza con quelli del sacco interclavicolare; anche questi abbozzi hanno spinto lievemente in basso il connettivo polmonale (Fig. 14). Mentre nello stadio precedente avevano forma di vescicola, in questo si sono fatti SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 153 cilindrici, si sono estesi orizzontalmente all’indietro della diramazione che loro ha dato origine. Gli abbozzi dei sacchi posteriori, accolti nei legamenti polmonali- ‘epatici (fig. 18), hanno seguitato lentamente la loro evoluzione, ai due estremi sono ristretti; raggiungono il massimo di grandezza nella parte media. Al decimo giorno di incubazione gli abbozzi dei sacchi cervicali tro- vansi al di fuori delle cavità pleuriche, inclusi nel tessuto mediastinale, lateralmente all’ esofago (fig. 3); terminano un po’ al di dietro delle estremità anteriori delle cavità pleuriche. Queste estremità si incontrano prima vuote, poi in mezzo ad esse appariscono gli apici polmonali. Gli abbozzi dei sacchi non si avanzano, come negli stadii precedenti, dagli apici dei polmoni, gli apici rimangono dorsalmente e lateralmente agli abbozzi (fig. 3), i quali sorgono dalla superficie mediale dei polmoni. Nei primi tagli gli abbozzi sono cilindrici, a pareti lisce; poi, quando sì mescolano alle diramazioni bronchiali, si fanno pieghettati, si formano pieghe longitudinali che danno aspetto stellato ai tagli trasversi. Tro- veremo questa disposizione anche negli abbozzi degli altri sacchi. Gli abbozzi del sacco interclavicolare trovansi sul margine inferiore dei polmoni (fig. 7). Le pieghe che li sostengono, le quali nell’ embrione di otto giorni erano appena accennate, quivi hanno preso grande svi- luppo. Gli abbozzi si sono estesi al davanti della diramazione che loro ha dato origine e si sono estesi un po’ anche caudalmente. Gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori (fig. 11) si presentano molto ampii, più ampii di quelli dei sacchi posteriori che nell’adulto sono assai più vasti dei sacchi intermedii anteriori. Sporgono alla su- perficie ventrale del diaframma; la loro parete inferiore si è costituita col tessuto connettivo diaframmatico, si sono molto estesi trasversalmente e si sono allungati. Agli estremi craniale e caudale sono ristretti, rag- giungono il massimo di ampiezza nella parte media. Gli abbozzi dei sacchi intermedii posteriori si trovano inclusi nel diaframma (fig. 15, 19) vicini alla periferia. Sono assai ampii, pieghet- tati, posti ventralmente ai sacchi posteriori. A misura si spingono in dietro, si spostano in basso e in dentro, tanto che terminano facendo sporgere un po’ la superficie ventrale del diaframma (fig. 19). In sezione trasversa appariscono tondeggianti. A questo stadio la disposizione della cavità celomatica ha subìto un forte cambiamento. Il tessuto connettivo che primitivamente costituiva ee 154 D. BERTELLI i legamenti polmonali-epatici e che poi è diventato tessuto polmonale, ha raggiunto la parete laterale del corpo, si è a questa unito, ha quasi completamente separato la cavità addominale dalle cavità pleuriche con- tribuendo potentemente a costituire il diaframma (fig. 15, 19). Le pieghe connettive che sostenevano gli abbozzi dei sacchi intermedii posteriori si sono fuse con il diaframma; così si spiega perchè gli abbozzi dei sacchi intermedii posteriori si trovino ora inclusi nel diaframma e alla periferia di esso. Dorsalmente e un po’ medialmente agli abbozzi dei sacchi intermedii posteriori trovansi nel polmone (fig. 15) gli abbozzi dei sacchi posteriori. Hanno pareti pieghettate. Finito il polmone, sono accolti prima nel diaframma (fig. 19), poi nei legamenti polmonali-epatici. Solo l’ estremo caudale degli abbozzi seguita oltre i legamenti polmonali-epatici e così resta libero nella cavità addominale tra la parete laterale di questa, il corpo di WoLrr e l’intestino a sinistra, tra la parete laterale dell’ad- dome, il corpo di WoLrr e il fegato a destra. Dal lato destro l’abbozzo è più piccolo. All’undecimo giorno i sacchi cervicali hanno raggiunto la base del collo (fig. 4); ci appariscono nel loro estremo craniale come strette fes- sure poste, per la estensione di due o tre tagli, al davanti degli apici delle cavità pleuriche, situate di traverso nel tessuto connettivo che trovasi lateralmente e ventralmente ai muscoli cervicali profondi. Hanno pareti pieghettate. A misura si procede caudalmente nell’esame delle sezioni si trovano i sacchi sempre più estesi in direzione trasversale fino a che non si incontrano i primi tagli dell’apice polmonale; al di dietro di questo vanno restringendosi lentamente fino alla origine. A misura procedono caudalmente, si avvicinano all’esofago che però non raggiungono. A poca distanza dalla origine dei sacchi cervicali incominciano, cau- dalmente a questi, i sacchi interclavicolari (fig. 8) che sono accolti nel diaframma. Appariscono in forma di piccole fessure poste trasversalmente, a pareti pieghettate. Dopo breve decorso comunicano con una dirama- zione bronchiale. Le pieghe connettive che sostenevano gli abbozzi dei sacchi nell’embrione di dieci giorni, si sono fuse con il diaframma. Ha seguitato quel movimento di discesa al quale accennai nel descrivere gli abbozzi del sacco interclavicolare di altri stadii. I sacchi intermedii anteriori trovansi, al solito, immediatamente sotto al diaframma, le loro pareti si sono fatte pieghettate. SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 155 I sacchi intermedii posteriori sono situati nella periferia del dia- framma, posti prima subito al di sopra dei fascetti muscolari diafram- matici, poi tra questi e la superficie inferiore del diaframma, ventral- mente ai sacchi posteriori. Finito il diaframma, trovansi nella parete laterale dell'addome, rivestiti dal peritoneo, appoggiati al connettivo che riveste i muscoli di questa parete, su la quale lentamente riducen- dosi di volume, terminano. Il movimento di discesa, anche in questi sacchi ha progredito. Verso l'estremo caudale del polmone, subito sopra ai sacchi inter- medii posteriori, trovansi i sacchi posteriori, assai più voluminosi degli intermedii. Cessato il polmone, i sacchi posteriori sono accolti nel dia- framma insieme soltanto ai sacchi intermedii posteriori, tutte le dirama- zioni bronchiali sono scomparse. Finito il diaframma si trovano inclusi nella parete laterale dell’addome; all’esterno sono limitati dallo strato di connettivo che riveste i muscoli, dorsalmente dal connettivo che riu- nisce l’estremo esterno dei reni primitivi alla parete laterale dell’ad- dome, ventralmente e medialmente sono ricoperti dal peritoneo. Il con- dotto di MùLLER si trova prima lateralmente, poi dorsalmente ai sacchi. A misura si procede caudalmente nell’ esame dei tagli, si trova che i sacchi si fanno sporgenti nella cavità addominale e che dall’estremo mediale di essi parte una piega la quale li tiene tesi, unendoli al mesenterio. Questa è la solita piega che in stadii più giovani si vede unire i legamenti polmonali-epatici al mesenterio. Al quattordicesimo giorno i sacchi cervicali si sono fatti molto vo- luminosi e si sono spinti assai in avanti nel collo. Le loro estremità anteriori sono accolte nel connettivo che riveste i muscoli cervicali pro- fondi; quella del sacco destro è situata lateralmente ai muscoli, quella del sacco sinistro ventralmente. A misura si procede caudalmente nel- l’esame delle sezioni, si trova che i sacchi vanno allargandosi; che il sacco destro si spinge anche ventralmente ai muscoli cervicali; che il sacco sinistro estendendosi dorsalmente viene a mettersi in parte allo esterno dei muscoli cervicali. Con l'estremo mediale i sacchi cervicali sì trovano più vicini che nello stadio precedente, all’ esofago. F sacchi interclavicolari sono accolti in mezzo al tessuto diaframma- tico. Hanno progredito notevolmente nello sviluppo, sono situati più in basso e più medialmente che nell’ embrione di undici giorni. Ha segui- tato lo spostamento in basso e medialmente, che deve condurli alla si- tuazione definitiva. ° 156 D. BERTELLI Grande sviluppo hanno preso i sacchi intermedii anteriori. In sezioni trasversali appariscono come strette e lunghe aperture (fig. 12), appli- cate alla superficie inferiore del diaframma. La parete dorsale dei sacchi è costituita dal diaframma (fig. 12), così i fascetti diaframmatici si attaccano al tempo istesso alla periferia del sacco ed alla periferia del diaframma. I sacchi intermedii posteriori (fig. 16, 20) trovansi compresi prima nella porzione periferica del diaframma, poi nel connettivo che è tra i muscoli delle pareti addominali ed il peritoneo.‘ Sono situati ventral- mente ai sacchi posteriori. i ‘ Grande sviluppo hanno preso anche i sacchi posteriori (fig. 16, 20). Il sacco posteriore destro è accolto nella parete laterale dell’ addome. In corrispondenza della estremità craniale trovasi nel connettivo che è tra la parete laterale dell’addome e il rene primitivo, ma dopo breve de- corso la parete interna del sacco si fa libera nella cavità addominale, rivolta verso l’ estremo laterale del rene primitivo. Ha da prima forma irregolarmente ovoidale con il grande diametro quasi parallelo all’asse x . del corpo. Con l’estremo dorsale il sacco è unito all'estremo esterno del rene primitivo, con l'estremo ventrale è unito al mesenterio. Finita questa ultima unione, la parete interna del sacco e l’estremo inferiore prendono forma irregolare, modellandosi sulla convessità del rene primitivo e delle anse intestinali. Talvolta il sacco posteriore destro, là ove incomincia con la parete interna a farsi libero nella cavità addominale, si presenta di forma semilunare. Il sacco posteriore sinistro (fig. 16, 20) incomincia ad apparire cra- nialmente come stretta fessura accolta in una piega di tessuto connet- tivo che è tesa tra la superficie ventrale del diaframma ed il mesenterio. Sappiamo donde deriva questa piega. È situato tra il rene primitivo ed il tubo digerente, più in dietro è in rapporto dorsalmente anche con il condotto di MùrLeR. Ben presto trovasi la comunicazione a traverso al diaframma tra sacco ed una grossa diramazione bronchiale. Finito il polmone ed il diaframma, il sacco, con la sua porzione più larga, che corrisponde all’ estremo esterno, è accolto in mezzo a quello strato di tessuto connettivo che trovasi nella parete laterale del corpo interna- mente ai muscoli; l’altra porzione è sostenuta dalla solita piega nella cavità addominale tra il rene primitivo ed il tubo digerente. È assai esteso; dalla parete laterale dell’ addome raggiunge il mesenterio, ma è anche assai vasto. È posto quasi trasversalmente, un po’ obliquo dall’ e- LI sterno all’interno, dall'alto al basso. € a tn e IO TA SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 157 Abbiamo seguito lo sviluppo dei sacchi aeriferi fino a stadii dai quali è facile comprendere come si giunga alle disposizioni definitive. Nel trattare del modo come avviene la divisione della cavità celo- matica seguiremo lo sviluppo dei sacchi intermedii fino alle disposizioni dell’ adulto. Divisione della cavità celomatica negli Uccelli. Si ammette comunemente che un diaframma detto toraco-addominale divida la cavità celomatica degli uccelli in addome e torace. Questo setto sarebbe applicato sulle pareti dei sacchi aeriferi intermedii e aderirebbe intimamente al pericardio. Tale opinione è erronea, come ho già affermato in altro lavoro 1). Il setto che viene descritto quale diaframma toraco-addominale non è altro che la parete ventrale dei sacchi aeriferi intermedii e la parete posteriore del pericardio. i Altri ammettono negli uccelli una cavità toraco-addominale che sud- dividono confusamente. Il diaframma toraco-addominale non solo è universalmente ammesso, ma ne furono stabilite anche le omologie. BaRToLINO ?) credè che fosse omologo ai pilastri diaframmatici dei mammiferi. SAPPEY trovò estremamente giudiziosa questa idea di BaRr- TOLINO. OwEN 3) ammise che esista omologia tra il diaframma della Apterye australis e il diaframma dei mammiferi. HuxLEY, seguito da Gapow 4) e da SrerERT, stabilì omologia tra questo diaframma, che egli chiama “ oblique septum , ed il tessuto mediastinale dei mammiferi. BurLER ammette che il setto obliquo proviene dal diaframma ornitico, prodotto dalla formazione dei sacchi intermedii. Riconosce con HUxLEY che la parte centrale del diaframma degli uccelli corrisponde al tessuto mediastinale dei mammiferi, ma è di opinione che la parte laterale, più 1) Contributo alla morfologia ed allo sviluppo del diaframma ornitico. (Mo- nitore zoologico italiano. Firenze 1898). ?) BARTOLINI C. — Diaphragmatis structura nova (ManeeTI J. Bibliotheca anatomica. Tomus primus. Genevae, MDCXCIX). 3) Owen R. — Memoir on the Apteryx australis. (Transactions of the zoolo- gical Society of London, 1844). 1) Gapow H. — Végel. (Bronn’s Klassen und Ordnungen des Thier-Reichs. Leipzig, 1891). 158 D. BERTELLI estesa, possa essere omologa al diaframma dei mammiferi. CavaLié *) in un lavoro nel quale la parte che si riferisce alla morfologia ed allo svi- luppo del diaframma è molto manchevole, ammette che il diaframma toraco-addominale corrisponda ai pilastri ed alla porzione sterno-lombare del diaframma dei mammiferi. Per stabilire il significato che deve attribuirsi al così detto dia- framma toraco-addominale continueremo a seguire lo sviluppo dei sacchi intermedii. i Riprendiamo a considerare le disposioni che i sacchi intermedii pre- sentano al quattordicesimo giorno di incubazione. A questo stadio il diaframma ornitico ha isolato completamente dal- l'addome i polmoni. Il diaframma toraco-addominale non esiste. I sacchi intermedii anteriori sono applicati contro la superficie ven- trale del diaframma, dalla quale sporgono nell’ addome. A misura che lo sviluppo prosegue, progredisce il movimento di di- scesa dei sacchi nell’addome e'così si comprende la formazione di parte del setto che è chiamato diaframma toraco-addominale. I sacchi intermedii posteriori al quattordicesimo giorno sono com- presi nel diaframma € nella parete laterale dell'addome (fig. 16, 20). In stadii più avanzati si sollevano dalla superficie ventrale del dia- framma e dalla parete laterale dell’addome, invadono progressivamente Ja cavità addominale e si fondono cranialmente con la parete posteriore dei sacchi intermedii anteriori, contribuendo alla formazione del dia- framma toraco-addominale. I sacchi intermedii anteriori si uniscono al pericardio e si addossano in corrispondenza della linea mediana; così il diaframma toraco-addo- minale si completa. Lo studio dello sviluppo dei sacchi intermedii ci conduce a conclu- dere che il setto descritto come diaframma toraco-addominale non è altro che la parete ventrale dei sacchi intermedii e la parete posteriore del pericardio. Questo setto non divive la cavità celomatica in addome e torace; è porzione di addome anche quella occupata dai sacchi intermedii. I sacchi posteriori a torto vengono chiamati addominali; sono addominahi anche gli intermedii. Con ricerche macroscopiche si conferma quello che riguardo al dia- framma toraco-addominale ci rivela la embriologia. 1) CAVALIB M. — De V innervation du Diaphragme. Toulouse, 1898. SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 159 Ho esaminato giovani individui di oca, di anitra, di pollo. Iniettavo dalla trachea nei sacchi alcool comune in modica quantità e ponevo il pezzo ad indurire in alcool comune. Oppure distendevo con insufflazione moderata i sacchi ed aperto l’addome ponevo il pezzo ad indurire in alcool. In questo caso i sacchi si mostrano più distesi e si prestano ottimamente alle ricerche. Avvenuto l’indurimento studiavo i pezzi. Se si tagliano le pareti dei sacchi intermedii alla periferia e si sol- levano, si vede chiaramente che il setto descritto come diaframma to- raco-addominale non è altro che la parete ventrale dei satchi intermedii e la superficie posteriore del pericardio. Campana crede che negli uccelli esista una sola cavità splancnica, la quale corrisponderebbe alla cavità addominale dei mammiferi; con- sidera l’apparecchio respiratorio come parte integrante, parietale, della cavità splanenica. Non ammette il diaframma toraco-addominale, ma ha il torto di negare anche il diaframma. ornitico, il quale divide la cavità celomatica in cavità addominale e in cavità pleuriche. CAMPANA per sostenere che il diaframma toraco-addominale non esiste, afferma che il piccolo apparecchio muscolare ammesso in questo dia- framma da SAPPEY, non possiede altri elementi contrattili che fibre lisce. Tale argomento sembra a CAMPANA che basti da solo per togliere ogni omologia tra diaframma toraco-addominale e pilastri del vero diaframma. L'argomento recato da CAMPANA è affatto insufficiente per negare il diaframma toraco-addominale. Sono esclusivamente i risultati delle ri- cerche embriologiche che assegnano il giusto valore a questo setto. Stabilito il significato che deve attribuirsi al diaframma toraco-ad- dominale, è tolto di mezzo il grande imbarazzo nel quale si trovavano gli anatomici quando dovevano descrivere i rapporti tra sacchi inter- medii e diaframma toraco-addominale, tra pericardio e diaframma toraco- addominale; perchè nell’un caso e nell’altro avevano da descrivere due setti e ne esisteva uno solo. i; Anche la struttura dei sacchi intermedii viene ad essere modificata perchè da essi si escludeva la parete ventrale che presenta struttura molto interessante e degna di essere ancora studiata. Roucer *) afferma che da una striscia di tessuto muscolare del dia- 1) Roucer CH. — Le diaphragme chez les mammifères, les oiseaua et les reptiles. (Bull. Soc. de Biologie. Tom. III, 1851). 160 D. BERTELLI framma toraco-addominale si distacca un fascio molto sviluppato, spe- cialmente a sinistra, il quale si reca su l’esofago là ove questo viscere traversando il diaframma penetra nell’ addome. RougeT considera questa disposizione analoga allo sfintere diaframmatico dei mammiferi. TestUT 1) ha accolto favorevolmente questa opinione di RouGET. Omologia tra pareti dei sacchi intermedii e diaframma dei mammi- feri non può essere assolutamente stabilita, quindi le vedute di RougET non devono essere accolte. La cavità celomatica degli uccelli viene divisa dal diaframma orni- tico in cavità dddominale e in cavità pleuriche, Se esaminiamo un embrione di pollo al decimo giorno di incubazione si trova che i legamenti polmonali-epatici unitisi alla parete laterale e dorsale della cavità celomatica hanno contribuito potentemente a costi- tuire il diaframma ornitico (fig. 15, 19). Così i polmoni vennero isolati nella porzione dorsale della cavità celomatica e si costituirono le cavità pleuriche. Solo caudalmente resta una stretta apertura che fa comuni- care le cavità pleuriche con la cavità addominale. Questa apertura è compresa tra la parete laterale della cavità celomatica, il mesenterio ed il legamento polmonale-epatico. Più caudalmente questa apertura è limitata in dentro dal rene primitivo, che nel suo estremo laterale so- stiene il condotto di MuùLLER. Il connettivo polmonale seguita ventral- mente nel diaframma ornitico. I polmoni oltrechè al diaframma sono uniti al mediastino per la estensione che corrisponde all’ esofago, per il resto sono liberi in vere e proprie cavità pleuriche (fig. 15, 19). All’undicesimo giorno di incubazione la inserzione sul mediastino si è spinta un po’ più dorsalmente. I polmoni si sono avvicinati alla pa- rete laterale della cavità pleurica e in qualche breve tratto la superficie polmonale si è unita alla superficie della cavità pleurica. Ventralmente, al solito, il tessuto connettivo polmonale è fuso con il tessuto diafram- matico. Esistono sempre, ma rimpiccolite, le aperture che fanno comu- nicare caudalmente le cavità pleuriche con la cavità addominale. Al quattordicesimo giorno di incubazione le superfici mediali dei polmoni sono unite al mediastino per tutta la estensione di questo, sono libere in corrispondenza del corpo delle vertebre ma poggiano stretta- mente su di esso; la superficie esterna è unita alla superficie laterale delle cavità pleuriche, solo di tratto in tratto la unione manca, spe- i) Tesrurt L. — Traité d’anatomie humaine. Paris, 1893, =" siii Vaio tot © SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. 161 cialmente in corrispondenza delle coste e così si formano delle piccole lacune; la superficie ventrale è fusa con il diaframma. L’apice polmo- nale è libero in cavità. Per breve tratto sono libere al di dietro del- l’apice anche le superfici laterali dei polmoni. L’embriologia ci dimostra che a certi stadii esistono negli uccelli vere e proprie cavità pleuriche. Riguardo alle pleure degli individui adulti si hanno cognizioni scarse, incomplete, contradditorie. Caprar !), guidato da risultati ottenuti con ricerche embriologiche, studiò le pleure degli uccelli negli individui adulti. Afferma che la pleura esiste negli uccelli, ma allo stato rudimentario; che i suoi due foglietti sono liberi in corrispondenza delle doccie vertebrali e aderiscono su i lati; che sul diaframma non è sierosa. Mise in evidenza per mezzo del nitrato d’argento l’epitelio della sierosa e lo riprodusse in una figura. Devesi a Caprat la prova irrefragabile della esistenza delle pleure negli uccelli, ma dei risultati ai quali Egli giunse non fu tenuto conto. Per questa ragione e perchè Capra solamente sfiorò l’interessante argomento, mi propongo di trattare in altro lavoro delle pleure degli uccelli. Conclusioni. Per i sacchi aeriferi adottai le seguenti denominazioni: sacchi cer- vicali (sacci cervicales); sacco interclavicolare (saccus interclavicularis) ; sacchi intermedii anteriori (sacci intermedìì anteriores); sacchi intemedii posteriori (sacci intermedii posteriores); sacchi posteriori (saccì posteriores). Con questa nomenclatura vengono eliminate tutte quelle denomina- zioni che si basano sopra una divisione sbagliata della cavità celomatica e sopra false interpetrazioni del diaframma. Gli abbozzi dei sacchi aeriferi hanno al loro apparire parete liscia, poi, in varii stadii di sviluppo che variano a seconda degli abbozzi, la mucosa si solleva in pieghe longitudinali che danno aspetto stellato alle sezioni trasverse. Tutti gli abbozzi dei sacchi aeriferi provengono direttamente dai tubi 1) CADIAT. — Du développement de la portion céphalo-thoracique de l’embryon de la formation du diaphragme, des plèvres, du pericarde, du pharyna et de l’oesophage. (Journal de l’Anatomie et de la Physiologie. Paris, 1878). 162 D. BERTELLI polmonali, eccetto quelli del sacco interclavicolare che prendono origine dagli abbozzi dei sacchi cervicali. Gli abbozzi dei sacchi posteriori sono i primi ad apparire. Alla set- tantaduesima ora di incubazione i tubi polmonali presentano in pros- simità degli estremi caudali un leggerissimo rigonfiamento che è 1’ ab- bozzo dei sacchi posteriori, incluso nei legamenti polmonali-epatici. Gli abbozzi dei sacchi posteriori ed i sacchi posteriori sono accolti nei le- gamenti polmonali-epatici, nel polmone, nel diaframma, nelle pareti la- terali dell’addome dalle quali sollevandosi invadono la cavità addominale. Al quinto giorno appariscono gli abbozzi dei sacchi cervicali. Pren- dono origine dalla metà dorsale della periferia dei tubi polmonali. Si spingono in avanti prima nelle cavità pleuriche, poi nel tessuto media- stinale e così raggiungono il collo. Al sesto giorno di incubazione sono sorti gli abbozzi del sacco in- terclavicolare, dei sacchi intermedii anteriori e posteriori. 7 Nell’adulto il sacco interclavicolare è unico, ma sorge anche esso, come tutti gli altri, per mezzo di due abbozzi. Questi derivano dagli abbozzi dei sacchi cervicali. Al loro apparire sono situati, rispetto alla posizione che il sacco interclavicolare occupa nell’ adulto, molto dorsal- mente e lateralmente, ma negli stadii successivi si spingono in basso e medialmente per raggiungere la posizione definitiva. All’ottavo giorno sono già molto discesi, una bassa piega connettiva li accoglie in cor- rispondenza del margine inferiore del polmone. Questa piega al decimo giorno è molto sviluppata; all’ undecimo giorno si è fusa con il dia- framma; così si spiega perchè i sacchi interclavicolari a questo stadio si trovano inclusi nel diaframma. Appena le diramazioni che dettero origine agli abbozzi dei sacchi cervicali hanno raggiunto i tubi polmonali, da questi sorgono gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori, situati vicini alla superficie mediale dei legamenti polmonali-epatici, in corrispondenza dei legamenti polmonali accessorii, del recesso del sacco dell’omento e del recesso sinistro. A misura che vanno sviluppandosi si recano, nei primi stadii, lateralmente e ventralmente e si avvicinano così alla superficie inferiore del polmone. Quando si è costituito il diaframma, si sollevano da questo, discendendo nell’addome. Il diaframma fornisce ai sacchi intermedii anteriori la pa- rete ventrale e con la superficie inferiore li limita dorsalmente. Dalla metà ventrale della periferia dei tubi polmonali, dopo breve decorso da clie sono rimasti soli nei legamenti polmonali-epatici, nascono SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECC. i 163 due diramazioni, una per lato, le quali presentano nell’estremo termi- nale una vescicola sferica; questa è l’abbozzo dei sacchi intermedii po- steriori. Anche questi come quelli del sacco interclavicolare trovansi all'ottavo giorno sul margine inferiore del polmone accolti in una bassa piega connettiva, ma al decimo giorno questa piega discendendo si fonde con il diaframma. La fusione con il diaframma avviene prima per questo abbozzo che per quello del sacco interclavicolare. In stadii più avanzati i sacchi intermedii posteriori sono accolti anche nelle pareti laterali del- l'addome. Per raggiungere lo stato definitivo si sollevano dal diaframma e da queste pareti entro all'addome. Conosciuta la origine dei sacchi, si comprende chiaramente la ragione degli intimi rapporti tra sacchi e diaframma, la continuità dei sacchi per mezzo delle aperture polmonali con i bronchi e si comprende chia- ramente anche la struttura dei sacchi. Lo studio dello sviluppo dei sacchi intermedii ci conduce a conclu- dere che non esiste un diaframma toraco-addominale. Il setto descritto come diaframma non è altro che la parete ventrale dei sacchi intermedii e la parete posteriore del pericardio. Questo setto non divide quindi la cavità celomatica in addome e torace, è porzione di addome anche quella occupata dai sacchi intermedii. Non devono perciò essere accolte le omo- logie stabilite tra questo setto ed il diaframma. La struttura dei sacchi intermedii viene ad essere modificata perchè ad essi si sottraeva la parete ventrale. Il diaframma ornitico isola completamente i polmoni dalla cavità ad- dominale. In alcuni stadii del periodo embrionale esistono vere e proprie cavità pleuriche le quali poi divengono incomplete per la unione delle superfici polmonali con le pareti delle cavità pleuriche. Nella superficie ventrale del polmone non esiste sierosa, perchè con- nettivo polmonale e diaframma sono in continuità. Sc., Nat. Vol, XVII 12 A. s.c. — Abbozzo del sacco cervicale. A. s.î. — Abbozzo del sacco interclavicolare. A.s.î.a. — Abbozzo del sacco intermedio anteriore. A.s.%. p. — Abbozzo del sacco intermedio posteriore. A.s. p. — Abbozzo del sacco posteriore. L. p. e. — Legamento polmonale-epatico. IP, — Polmone. Ji 8 — Recesso sinistro. R.s.0. — Recesso del sacco dell’omento. \Sfic? — Sacco cervicale. ISTE — Sacco interclavicolare. S.î.a. — Sacco intermedio anteriore. S. i. p. — Sacco intermedio posteriore. S. p — Sacco posteriore. a Icy — Tubo polmonale. Fig. 1. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di cinque giorni. A destra SPIEGAZIONE DELLA TAV. VIN [I]. si vede l’abbozzo del sacco cervicale che è in unione col tubo pol- monale. A sinistra l’ abbozzo del sacco cervicale è isolato dal tubo polmonale, è posto più cranialmente dell’ altro abbozzo. 2. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di sei giorni. A destra ed a sinistra entro le cavità pleuriche si vedono gli abbozzi dei sacchi cervicali avvolti da connettivo polmonale. A destra si vede l’apice dell’ abbozzo. 3. — Sezione trasversale d’ embrione di pollo di dieci giorni. A destra ed a sinistra si vedono nel tessuto mediastinale gli abbozzi dei sacchi cervicali. A sinistra oltre l’abbozzo del sacco si vede la sezione del polmone in vicinanza dell’ apice. 4. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di undici giorni. A destra ed a sinistra si vedono i sacchi aeriferi alla base del collo. 5. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di sei giorni. A sinistra si vede l’ abbozzo del sacco cervicale dal quale si è distaccato l’ab- bozzo del sacco interclavicolare. A destra si vede l’abbozzo del sacco cervicale. Fig. SVILUPPO DEI SACCHI AERIFERI DEL POLLO ECCO. 165 6. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di otto giorni. A sinistra si vede l’abbozzo del sacco interclavicolare accolto in una bassa piega formata dal connettivo polmonale. T. — Sezione trasversale d’ embrione di pollo di dieci giorni. A sinistra si vede l’ abbozzo del sacco interclavicolare accolto in una piega molto sviluppata, costituita dal connettivo polmonale. 8. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di undici giorni. A destra ed a sinistra si vedono i sacchi interclavicolari accolti nel dia- framma. 9. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di sei giorni. A sinistra si vede l’abbozzo del sacco intermedio anteriore. 10. — Sezione trasversale d’ embrione di pollo di otto giorni. A destra ed a sinistra si vedono gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori si- tuati immediatamente sopra alla superficie ventrale dei polmoni. 11. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di dieci giorni. A destra ed a sinistra si vedono gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori che si sono sollevati alla superficie ventrale del diaframma. 12. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di quattordici giorni. Si vede il sacco intermedio anteriore sinistro. La parete ventrale del sacco è libera, la parete dorsale è costituita dal diaframma. Alla peri- feria del diaframma sono i fascetti muscolari. 13. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di sei giorni. A sinistra si vede che dal tubo polmonale prende origine l’ abbozzo del sacco intermedio posteriore. 14. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di otto giorni. A sinistra si vede l’abbozzo del sacco intermedio posteriore accolto in una bassa piega, costituita da connettivo polmonale. A destra ed a sinistra si vedono gli abbozzi dei sacchi intermedii anteriori, posti più caudalmente di quelli della fig. 10. 15. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di dieci giorni. A destra ed a sinistra si vedono nello spessore del diaframma, alla periferia, gli abbozzi dei sacchi intermedii posteriori. A sinistra, dorsalmente , e medialmente all’abbozzo del sacco intermedio posteriore si vede nel polmone l’abbozzo del sacco posteriore. 16. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di quattordici giorni. Nello spessore del diaframma, alla periferia, si vede il sacco intermedio posteriore di sinistra. Da questo lato si vede anche tra il corpo di WoLrr ed il tubo digerente il sacco posteriore verso il suo estremo craniale. 17. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di quattro giorni. A sinistra è sezionato l’abbozzo del sacco posteriore, a destra si vede la se- zione del tubo polmonale al davanti dell’abbozzo del sacco. 18. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di otto giorni. A destra ed a sinistra si vedono gli abbozzi dei sacchi posteriori accolti nei legamenti polmonali-epatici. 166 D. BERTELLI Fig. 19. — Sezione trasversale d’ embrione di pollo di dieci giorhi. A sinistra si vede l’abbozzo del sacco posteriore a pareti pieghettate, accolto nello spessore del diaframma. Al di sotto di questo abbozzo è nel diaframma l'estremo caudale dell’ abbozzo del sacco intermedio posteriore. A destra, nello spessore del diaframma, è l’ abbozzo del sacco intermedio posteriore. » 20. — Sezione trasversale d’embrione di pollo di quattordici giorni, Si vede il sacco posteriore sinistro libero per lungo tratto nella cavità ad- dominale. Al di sotto del sacco posteriore è nella parete addomi- nale il sacco intermedio posteriore. Istituto ANATOMICO DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI PISA DOTT. GIUNIO SALVI 1.° DISSETTORE E LIBERO DOCENTE ARTERIAE DORSALES CARPI Contributo alla Morfologia della circolazione nell’arto toracico 0 Seguitando lo studio morfologico del sistema arterioso delle estremità espongo in questo lavoro il risultato di una serie di ricerche compara- tive sopra le arterie dorsali del carpo. Queste ricerche per mezzo delle omologie fra le disposizioni umane e quelle di altri mammiferi tendono a stabilire le omodinamie fra quelle dei due arti, toracico e addominale, dell’ Uomo. L’esame della letteratura anatomica dimostra che gli antichi autori non si occuparono di questi vasi tralasciandoli completamente nelle loro descrizioni. i a VesaLio,! FaLLoPPIO? e CoLomo* infatti parlano solo del tronco della a. radialis e della distribuzione di questa nella palma della mano, e nemmeno nelle tavole di EustAcHIo trovansi raffigurate arterie sul dorso del carpo. Solo alla tav. XXIV vedesi una a. ènterossea dorsalis la quale però non giunge alla mano e nella spiegazione di ALBINo* viene chiamata arteriae inter supinatores breves et abductores longos pollicum penetrantes ad cubitorum exteriorem partem. i Notevole poi è il fatto che VesALIO descrive come normale una di- sposizione della a. radialîs che oggidì invece si ascrive alle anomalie. Egli dice infatti che: ramus qui secundum radium fertur, non procul a brachialis radice sobolem derivat quae sub tendinibus pollicem extendentibus ad manus externam sedem procurrit, in musculos digesta, quì inter primum pollicîs os, et postbrachialis 08, indicem sustinens, collocantur. Quando ramus radio exporrectus illam emisit sobolem, una cum tendinibus digitos flecten- 168 G. SALVI tibus, transversum brachialis ligamentum transgreditur, et sub dilatescente in manu tendine, in tres ramos discinditur. Ciò molto probabilmente deve dipendere dal fatto che il sommo anatomico là dove non poteva giungere con la dissezione di cadaveri umani, compensava con quella delle scimmie. Ed infatti è quella la disposizione che normalmente riscontrasi in molti di questi animali. La stessa decrizione è riportata da VaLvERDE®. La descrizione classica di questi vasi viene di solito attribuita a Trepemann® alle figure del quale si riporta TaEILE"”, ma nell’Atlante di Carpani* le arterie del dorso del carpo sono figurate con una tale esat-. tezza che, la maggiore non potrebbe desiderarsi. La figura di CALDANI rap- presenta una rete-carpè dorsale alla quale convergono i rami dorsali della a. radialis, della a. ulnaris e della a. înterossea volaris. La rete è limitata distalmente da una arcata arteriosa che nel testo viene chiamata: anasto- moses ramorum dorsalium carpi ‘tam inter se quam cum ulnari. La descrizione degli anatomici successivi seguì, pur rimanendo fonda- mentalmente la stessa, due vie. Alcuni, e furono i più (LuscHKA,? THEILE," Hente,!® Krause,!! Hirtt,!? RauBER,!3 ToLpr,!* MonsELISE,!° Hemz- MANN, !5 Hrs,!" GeceNBAUR,!8 Romrri!*), hanno conservata la rete carpi dorsale. Altri, e questi furono specialmente i francesi (CRUVELHIER,?° WisLow,?! Brczat,?? Sappry,?3 DEBIERRE,?4 Trsrum,?> MeckEL, THANE,?" PorrieR?5), hanno ammesso invece l’arcus dorsalis carpîì per una sorta di analogia con le disposizioni arteriose della palma della mano. Alcune leggiere varianti si trovano poi in coloro che ammettono due reti o due arcate, una superficiale ed una profonda (Luscnxa,® RauBER,! HenLE!®), ed in quelli che (HentE,!° Romi, !? Porrier?5) ammettono an- che un arcus dorsalis metacarpì. 3 In realtà, l’arcus dorsalis carpîì trovasi, se non descritto, raffigurato in tutti i libri di anatomia e dal suo grado di sviluppo dipende il carat- tere e la denominazione che assume. Gli autori che non lo ammettono lo raffigurano però come il limite distale della rete carpì dorsale. Nello stesso modo, l’origine delle aa. metacarpeae dorsales ha su- bito nelle varie descrizioni alcune varianti. Per coloro che ammettono la rete carpîì dorsale senz'altro, esse ori- ginano dai vasi più distali della rete stessa; per coloro che descrivono l’arcus è dalla convessità di questo che esse si dipartono. Non mancò poi chi ammise che esse in tutto (LuscHKA?) od in gran parte (RAUBER!®) provenissero dall’arcus volaris profundus per mezzo dei rami perforantes. Nella letteratura anatomica poi non trovo che siasi mai dato spe- ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 169 ciale valore od importanza ad uno più che ad un altro dei vasi della rete dorsale nè che siasi tentato di interpetrarli morfologicamente. Infatti, allo stato attuale delle cognizioni anatomiche e dietro le ve- dute più moderne di ZuckERKANDL®® e di STIEDA,®° si ammette che tanto l’a. radialis che l'a. unaris non siano rappresentate nell’arto addomi- nale, ma che tutto al più esse possano venire paragonate a rami mu- scolari. Dal punto di vista delle omodinamie, KrausE!! paragonò l’a. transversa dorsalis carpî (a. carpea dorsalis radialis) alla a. transversa dorsalis tarsì (a. tarsea lateralis). Materiale e metodo di studio. Ho eseguito 100 dissezioni nell’ Uomo, in individui per età, per sesso e per attitudini diversi. Desiderando poi in questo lavoro limitarmi allo studio delle arterie della mano, per la comparazione mi servirò esclusivamente dei Primati giacchè, essendo la mano una formazione per filogenia del tutto recente, scendendo ad animali inferiori i termini del paragone verrebbero di troppo alterati per l'influenza della confor- mazione e dell’uso differente. Presento quindi un buon numero di os- servazioni nelle specie Hapale penicillatus, H. jaccus, Macacus symnicus, M. erythraeus, M. nemestrinus, Cynocephalus papio. Divido infine il lavoro in tre parti: Nella prima sono prese in considerazione e discusse dal punto di vista del normale e delle varietà e così pure della statistica, le dispo- sizioni vascolari della mano dell’ Uomo. Nella seconda invece si tratta di quelle dei Primati. Nella terza si stabiliscono col sussidio delle osser- . vazioni precedenti le omodinamie fra la mano ed il piede dell’ Uomo e si fanno le considerazioni di indole generale che tali osservazioni ispirano. La massa di iniezione adoperata è quella di TEICHMANN ed il me- todo quello stesso indicato in altro mio lavoro.3! La nomenclatura seguita è quella adottata dalla Società anatomica!". PARTE I. Gli autori descrivono ben poche varietà nelle disposizioni vascolari della rete carpi dorsale. Esse si riducono solo ai rari casi di mancanza della a. radialis ed allo sviluppo eccessivo della a. interossea volaris. 170 G. SALVI (DuBRrUEIL,3? BLanpIN,53 Krause, !! Hrrt1,!? Quarn,?” ScHwALBE 4). Se i due fatti esistono insieme, la costituzione della rete carpì dorsale non viene di molto alterata, se esiste solo il primo, allora questa è assai ridotta e le aa. metacarpeae dorsales, provengono in gran parte, per mezzo dei rami comunicantes, dal circolo volare. A chi però osservi con minuziosa attenzione ed in preparati ben riusciti la costituzione della rete carpî dorsale, pur rimanendo nel campo della disposizione considerata come normale, ed estenda l’osservazione a gran numero di casi, non possono sfuggire i fatti seguenti: 1.° L’arcus dorsalis carpî esiste normalmente cioè esiste una arcata arteriosa la quale limita distalmente la rete carpè dorsale e che può essere più o meno sviluppata. 2.° La rete carpì dorsale o l’arcus dorsalis carpì di alcuni autori, non sono costituiti da elementi uguali da parte della a. radialis e della a. ulnaris. Il ramus carpeus dorsalis della a. radialis è sempre più grosso di quello della a. ulnaris e talvolta assai cospicuo. 3.° L’anastomosi fra i due non si fa diretta ed a pieno canale, ma il più delle volte indirettamente e per mezzo di esili diramazioni collate- rali, e l’anastomosi stessa si fa molto vicino al margine ulnare della mano. 4.° Nella maggior parte dei casì il ramus carpeus dorsalis della a. w- naris è molto esile e giunge appena a partecipare a quella rete di esili diramazioni secondarie che emanano dai rami maggiori percorrenti il carpo. 5.° Delle a. metacarpeae dorsales, la I proviene dal tronco della a. ra- dialis ed anzi può esserne considerata come la continuazione; la II, la IMI e la IV provengono tutte dal tronco della a. carpea dorsalis radialis. Ciò si rende più evidente quando questa arteria è molto sviluppata, ma lo è anche sempre per il fatto che il ramus wInaris scende nel carpo con direzione diversa da quello radialis cioè quasi longitudinalmente, onde il punto di anastomosi può essere delimitato con molta precisione. 6.° Il ramus carpeus dorsalis della a. ulnaris non dà che la a. di- gitalis ulnaris digiti V e la sua congiunzione col suo corrispondente della a. radialis, nelle rare volte in cui si fa direttamente, avviene allorchè quest’ultimo si incurva in avanti per continuarsi con la a. metacarpea dorsalis IV od anche dopo che questa si è originata. La disposizione che nelle mie ricerche ho riscontrata il massimo nu- mero. di volte e che quindi ritengo normale, è la seguente: ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 171 Dal tronco della a. radialis, generalmente in corrispondenza dello scafoide, nasce il ramus carpeus dorsalis il cui diametro all’origine, sta di solito rispetto a quello del tronco come 1 a 2. Esso si dirige ulnarmente ed in basso secondo una linea che va dallo scafoide alla base del metacarpale V e dà origine successivamente alle arteriae metacarpeae II, III e IV. Il ramus carpeus dorsalis della a. ul- naris, molto esile, contorna l’apofisi stiloide dell’ulna e con decorso quasi verticale viene ad anastomizzarsi con la terminazione del primo nel margine ulnare della mano. I rami collaterali di queste arterie, uniti a quelli terminali delle aa. interosseae costi- tuiscono la rete carpì dorsale. Le aa. metacarpeae dorsales quindi nella maggioranza dei casi provengono dal ramus carpeus dorsalis della a. radialis e solo alla formazione della IV può parteci- pare il ramus carpeus dorsalis della a. ul- naris. I casi per i quali questa disposizione può allontanarsi dal normale, possono rag- grupparsi sotto 3 tipi. Tipo 1.° — Caratterizzato da variazioni di volume della arteria carpea dorsalis ra- dialis. Aumento di volume. — Su 100 osserva- zioni 73 volte appariva come il più grosso dei rami della rete carpì dorsale, 9 volte era di volume pressochè uguale al tronco della a. radialis onde questa appariva come bi- forcata in due rami dei quali uno diveniva il ramus perforans e l’altro l’arteria carpea dorsalis; 1 volta era più grosso. Fia. 1. NN : Arteriae dorsales carpi dell’ arto destro di Uomo. R, A.radialis; U, A. ulnaris; ID, A. interossea dorsalis; 1Y, A. interos- sea volaris; £2D, A. carpea dorsalis radialis. Diminuzione di volume. — 14 volte l’arteria carpea dorsalis era molto esile, ma in questi casi notavasi un corrispondente aumento della a. én- terossca volaris e maggiori anastomosi fra questa e le terminazioni della a. interossea dorsalis. Assenza. — Due sole volte l’ho vista mancare. In un caso l’a. ra- 172 G. SALVI dialis passava tutta nella palma della mano continuandosi nell’ordinario ramus radio-palmaris. Nell’ altro l’arteria giunta all’inizio del quarto inferiore del radio si biforcava in due rami di pari volume corrispon- denti l’uno al tronco normale del vaso e l’altro al ramus radio-volaris, Fia. 2. fue, i Va 1 ID ASINO [NIE Si IV IBBMIEE RAR) LOTTA iLR {IR f# \\_RD 2--3NED i [DI I AI Rn o ) Ì i Arteriae dorsales carpi dell'arto de- stro di Uomo. Arteriae dorsales carpi dell’arto de- stro di Uomo. ID, A. interossea dorsalis; IV, A. ID, A. interossea dorsalis; IV, A. interossea ventralis; £, A. radialis; ‘ interossea volaris; , A. radialis; ED, A. carpea dorsalis radialis. RD, A. carpea dorsalis radialis. ma dal primo non nascevano che alcune esilissime diramazioni le quali si esaurivano ben presto sul dorso del carpo. Tipo 2.° — Caratterizzato dal differente livello al quale il ramus carpeus dorsalis si origina. Questa varietà non è mai stata presa in considerazione per l’addietro, ma, per quanto i suoi limiti non siano molto estesi, essa, come vedremo, è molto interessante. ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 173 In 100 dissezioni, la maggior parte delle volte l'origine della a. car- pea dorsalis si faceva circa un centimetro al disotto del processo stiloideo del radio. Non di rado però (17 volte) essa si avvicinava molto a que- sto processo, fino a toccarlo, e 2 volte l’ho osservata distaccarsi al di sopra di esso. Devo però avvertire che questi ultimi casi erano quasi sempre le- gati ad un’ altra anomalia della a. radialîs la quale dividevasi in ramo palmare e dorsale, molto al disopra del consueto. Le figg. 2, 3, 4 rappresentano i gradi per i quali dalla disposizione normale si va a quella massimamente variata. Nel caso riprodotto alla fig. 4 l’a. car- pea dorsalis si origina in corrispondenza del processo stiloideo del radio, ma oltre a ciò il suo volume è press’a poco uguale a quello del tronco dorsale della «. radialis onde questa apparisce come divisa in due rami di ugual volume. Il ramo laterale (ra- diale) va al 1.° spazio interosseo dove di- viene perforante emanando la «a. digitalis radialis digiti I e la a. metacarpea dorsalis I. Il ramo mediale (ulnare) scende obliqua- mente verso la base del V metacarpale e da esso originano successivamente le «aa. metacarpeae dorsales II, III e IV. I due rami possono essere chiamati rispettivamente a. carpea dorsalis medialis e a. carpea dorsalis lateralis. Tipo 3.° — Rappresentato dall’abnorme sviluppo della a. înterossea volaris e dal di- scendere essa sul carpo sotto forma di grosso tronco arterioso. In tal caso l’a. carpea dor- salis è molto ridotta di volume o manca affatto e la rete carpì dorsale è costituita dai rami terminali delle aa. interosseae. Le fi- gure 5 e 6 rappresentano due gradi di questa anomalia. Nel primo, l’a. radialis è nor- male e solo manca od è molto piccola e ru- Fia. 4. 1 10 IE 2 UT GI FD DR _IV _R \ CL À CM 4 CÀ 0) Ù ù Arteriae) dorsales carpi dell'arto de- stro di Uomo. ID, A. interossea dorsalis; IV, A. in- terossea volaris; È, A. radialis; CZ, A. carpea lateralis; CM, A. carpea medialis. dimentaria la. carpea dorsalis; nel secondo l’a. radialis continuasi 174 G. SALVI tutta col suo ramo radio-volaris mentre dorsalmente non va che un esile ramo anastomotico. i Nel 1.° caso l’a. interossea volaris, fattasi dorsale, scende al carpo dividendosi in due rami i quali dànno le aa. metatarseae dorsales II, Fia. 5. Fia. 6. Arteriae dorsales carpi dell'arto de- Arteriae dorsales carpi dell’arto de- stro di Uomo. stro di Uomo. I, A. interossea; È, A. radialis; ED, I, A. interossea; PR, A. radialis. A. carpea Jateralis. II, IV, mentre la a. carpea dorsalis radialis esilissima, dopo breve tragitto (1 cm.) si divide in due rami: uno ascendente che si anasto- mizza a pieno canale con uno analogo della @. interossea, ed uno di- scendente che va a prender parte alla formazione della a. metacarpea I Nel 2.° all’atrofia del ramo dorsale della a. radialis, ha corrisposto uno sviluppo maggiore della anastomosi di questo con l’a. interossea per mezzo del ramo ascendente sopra accennato, ed allora noi vediamo l’a. interossea giunta al carpo, dividersi in due rami dei quali il laterale ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. — 175 (radiale), costituisce l'a. metacarpea 1°, mentre l’altro mediale (ulnare) fornisce le altre tre. I due rami, perfettamente omologhi a quelli descritti nella fig. 3 me- ritano come quelli il nome di «. carpea lateralis e a. carpea medialis. Ho trovata questa disposizione nei suoi vari gradi di sviluppo 9 volte, ciò che è in aperta contradizione con ciò che leggesi comunemente nei libri di Anatomia. Spiego ciò col fatto che gli Autori non hanno considerato che i casi estremi della varietà, mentre facevano rientrare tutti gli altri nella grande categoria della classica rete carpî dorsale. PARTE II. Esaminate e brevemente descritte le disposizioni umane, passo a studiare quelle dei Primatè per vedere se sia possibile stabilire un confronto. Saranno successivamente prese in considerazione quelle della mano e quelle del piede. Mano. — Le osservazioni di MECKEL,*° THEILE,3° BiscHorr,*" BARKOW, 88 VRoLIcK,*? GratIoLET,i° Arix,1° HumpaRy,4*! EissLer,t° Rosecky,*4 Fi- CALBI,*° SPERINO,*° ecc., hanno dimostrato come esista nei Primati una disposizione simile a quella dell’ Uomo. Vi si trova la rete carpì dorsale nel costituire la quale v'è rapporto di vicarietà fra la a. radialis e l’a. în- terossea. 4 Quanto all’a. radialis spesso si continua nel ramo radio palmare, mandando al dorso della mano solo una esile diramazione (FrcaLBI,4° SPERINO,*° FALCONE 4”). La distribuzione di tali vasi sul dorso della mano, fu studiata partico- larmente da Rosecky* nel genere Macacus (M. cynomolgusy M. synicus), e mi piace riportare le conclusioni di questo ricercatore perchè anche la maggior parte delle mie osservazioni sono state fatte in individui appartenenti a tal genere di Primati. Secondo Rosecky** l’a. radialis, in questi animali, si divide al princi- pio del terzo distale dell’avambraccio in due tronchi di volume ineguale: uno palmare più grosso (ramus radio-vdlaris), uno dorsale più piccolo. Quest’ ultimo, contornato il processo stiloideo del radio, si porta in basso e ulnarmente verso il 2° spazio intermetacarpeo dove si incurva per formare un arcus dorsalis carpi dal quale si dipartono tutte le aa. me- IMA G. SALVI tacarpeae dorsales, compresa la I. Il ramo dorsale della @. radialis si continua così nella a. carpea dorsalis. Nelle mie osservazioni ho trovato anche tale disposizione, ma riu- nendo questa alle altre, mi è risultato evidente che il tipo fondamentale è quello riprodotto alla fig. 7 e che descrivo in un individuo di Ma- cacus erythraeus. Il ramo dorsale della a. radialis si divide dal radio-volaris molto in alto e contorna il radio circa all’ unione dei ?/, prossimali col '/, distale del- l’avambraccio. Giunto al disopra del processo stiloi- deo, si divide in due rami di egual volume: uno laterale ed uno mediale. Il ramo laterale (radiale) seguita il decorso della arteria verso il 1° spazio intermetacarpeo ove dà le aa. digitales digiti I e la a. digitalis radialis digiti II. Il ramo mediale (ulnare) volge ulnarmente e, con leggiera curva a concavità prossimale, va a terminare alla base del metacarpale V. Da esso originano successivamente le aa. metacarpeae dorsales II. ILI. IV. Il ramus carpeus dorsalis della a. ulnaris giunge appena ad anastomizzarsi con esili diramazioni col- laterali del ramo mediale sopra descritto. L'insieme costituisce la rete carpì dorsale. L’a. interossea volaris scende discretamente A AIN sviluppata fin sul carpo e si anastomizza diretta- l’arto toracico destro di mente col ramo laterale molto vicino alla sua Macacus. Fia. 7. origine. I, A. interossea; R, A. ra- o a S 7 i a Talvolta il ramo mediale è meno sviluppato medialis, (ulnaris); CL, dell’altro ed allora abbiamo la disposizione descritta A. carpea lateralis (ra- d4 dialis). da RoJECKY*°. È Il confronto di questa disposizione con quella umana riesce assai facile ed è specialmente il tipo 2.° che vi si presta (fig. 4); possiamo anzi dire che la disposizione è la stessa e che le lievi differenze che vi si possono riscontrare sono riferibili solo a varia- zioni nel calibro dei due vasi ed all’altezza alla quale si separano l’uro d’altro. Il grado massimo di varietà umana rappresentato alla fig. 3 cor- risponde esattamente alla disposizione normale dei Primat?. Perciò, riepilogando, la disposizione che nell’ Uomo è solo dovuta ad ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 177 aumento della «. carpea dorsalis radialis, senza che per nulla ne venga alterata la classica distribuzione dei vasi nel dorso del carpo, è omologa a quella che è comune e normale nei Primati. In ambedue il tronco dorsale della «. radialis si divide nella a. car- pea lateralis dalla quale proviene l’a. metacarpea dorsalis I e nell’a. car- pea medialis da cui provengono le aa. metacarpeae dorsales II, III e IV. Piede. — Le arterie del dorso del piede provengono per la massima parte dalla a. saphena. (MeckeL,5° BArKow,5* TurILe,55 FicaLBI, 4 Po- POWSKyY,*5 Royecky,** EIssLER,“* ZUCKERKANDL,?° SPERINO,45 ecc.). La disposizione più costante, osservata da me come tipica pure nei generi che ho studiato, DAGLI è la seguente: Il ramo dorsale dell’ arteria saphena con- torna la tibia a livello variabile, generalmente al !|, distale della gamba e, giunto al piede, si divide in due rami, uno mediale ed uno laterale. Il ramo mediale (tibiale) si dirige verso il 1.° spazio intermetatarseo ove diviene perfo- rante e fornisce la a. metacarpea dorsalis I con le aa. digitales allucis e la a. digitalis tibialis di- giti II. Il ramo laterale (fibulare), volge con lieve curva a concavità prossimale verso la base del metatarsale V e dà origine successivamente alle aa. metatarseae dorsales II, III, IV. Gli autori chiamano i due rami rispettiva- mente a. dorsalis pedis superficialis e a. dorsalis pedis profunda; in altro mio lavoro?! proposi chiamarle a. farsea medialis e a. tarsea lateralis. Confrontando dal punto di vista della dispo- sizione e dell’aspetto generale i vasi che abbiamo ice dorsales tarsi del- vu 4 } F l'arto addominale destro di descritti nella mano e nel piede della scimmia, —mMacacus. la loro omodinamia non avrebbe bisogno di altre 7 AR tibiale antigas, A. dimostrazioni. Essa apparisce evidente dal para- Saphena; TL, A. tarsea la- teralis; 7.M, A. tarsea me- gone fra le figg. 7 ed 8. dialis. Però tale omodinamia si presta alla critica ove si esaminino i fatti dal punto di vista di quei rapporti con gli 178 \ G. SALVI organi vicini (ossa, muscoli, tendini, fascie, nervi), la importanza dei quali fu messa in evidenza e propugnata da Ruer e dei quali per l’ad- dietro non si usava tener conto. Le differenze alle quali alludo sono le seguenti: 1.° La divisione delle due aa. tarseae avviene molto in alto, al |, inferiore della gamba mentre quella delle aa. carpeae avviene nella mano. 2.° L’a. tarsea lateralis (fibularis) passa al di sotto del ligamento trasverso del tarso, mentre l’a. carpea medialis (ulnaris) non presenta un rapporto simile. 3.° L’a. tarsea medialis (tibialis) passa al di sopra del tendine del m. tibialis anticus mentre l’a. carpea lateralis (radialis) non presenta tale rapporto coi due mm. radiales che a quello corrispondono (Bardeleben). A queste obiezioni si può però rispondere nel modo che segue: 1.° Fra le due aa. farseae esistono molteplici rami anastomotici che le riuniscono ed in qualche primate (Macacus nemestrinus) ho potuto ve- dere la divisione avvenire distalmente al ligamento trasverso onde al di sotto di questo passava l’intero ramo dorsale della «a. saphena. 2.° Tanto l’a. tarsea lateralis che la sua corrispondente a. carpea medialis passano al di sotto di tutti i tendini dei mm. extensores i quali alla loro volta passano sotto il ligamento trasverso. 3.° Le modificazioni morfologiche e funzionali della mano e del piede possono benissimo spiegare il fatto che un tendine od un muscolo se- guendo la conformazione dello scheletro sì trovino spostati dal vaso che [I conserva il suo decorso perchè non è cambiata la sua distribuzione. PARTE II. Nel lavoro precedente più volte citato, facendo considerazioni mor- fologiche e statistiche sopra le disposizioni vascolari osservate in 200 piedi umani, richiamai l’attenzione sopra il fatto che la descrizione clas- sica della a. dorsalis pedis non era conforme alla verità, nè morfologi- camente giusta. Dimostrai infatti che la così detta arteria arcuata era una formazione non solo non normale ma nemmeno frequente, e dovuta solo allo svi- luppo eccessivo di esili anastomosi che in corrispondenza della base dei metatarsali esistono fra le arterie che percorrono longitudinalmente il piede (aa. metatarseae dorsales). DR | da | ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 179 In base alla statistica ed alla anatomia comparata, l’a. dorsalis pedis doveva invece venire descritta in tal modo: L’a. tibialis antica termina nella a. dorsalis pedis comunis la quale a vario livello (talvolta subito al disotto del legamento trasverso) si di- vide in a. farsea medialis e a. tarsea lateralis (fig. 9). L’a. tarsea me- dialis è l'a. dorsalis pedis degli autori, e continua verso il 1.° spazio intermetatarseo fornendo l’a. metatarsea dorsalis I e talvolta anche la II, i rami tarsei mediales ed il ramus profundus. La. tarsea lateralis è l'a. transversa tarsi della descri- MO: zione classica, volge lateralmente verso la tuberosità del metatarsale V con breve curva a concavità pros- SEGIVA simale, e dà le aa. metatarseae dorsales III, IV e spesso anche la II. i Si Paragonai questa disposizione con quella nor- ‘male nei Primati e stabili le omologie che ri- 2] sultano evidenti paragonando le fig. 8 e 9. In tal modo noi abbiamo cominciato con omolo- \ : CRE ORO SII gizzare la disposizione della mano dell'Uomo con _\tx quella della mano del Primate. Quindi abbiamo sta- bilite le omodinamie fra le arterie della mano e quelle del piede del Primate. In seguito abbiamo dimostrato l’omologia fra le disposizioni arteriose del piede del Primate e quelle del piede dell Uomo: non ci resta che a tirare la conseguenza di ciò, e questa si è che esiste la stessa corrispondenza omodinamica fra 9) le arterie del dorso della mano e quelle del dorso ° ly 9) del piede dell’Uomo. L’a, carpea lateralis (radialis), a. radialis della descrizione classica, è omodinamica della a. tarsea TA, A. tibialis antica; 5, medialis (tibialis) o a. dorsalis pedis degli autori; —A.saphena; TL, A. tar- la. carpea medialis (ulnaris) o ramus dorsalis carpi. S°*'steralis; TI, ALtar- sea medialis. arteriae radialis dei classici, corrisponde alla «a. tarsea lateralis (fibularis) 0 a. transversa tarsi della comune nomencla- turà (1). a o_>——5 Arteriae dorsales tarsi del- Varto destro di uomo. (') Questa divisione in due rami terminali (@a. carpeae, aa. tarseac) è più apparente che reale giacchè l’a. carpea radialis e la sua omodinamica a. tarsea Sc. Nat., Vol. XVII 13 1801 | G. SALVI L'unica differenza è data dalla origine diversa respettivamente delle suddette arterie. Infatti le aa. dorsales carpì provengono normalmente nell’uomo dalla. a. radialis la quale, a detta' dei più moderni osservatori non ha corri- spondente nell’ arto addominale, mentre le aa. dorsales tarsi provengono dalla «a. tibialis antica la quale trova nella a. interossea dorsalis la sua omodinamica dell’arto toracico. i Il seguito del lavoro dimostrerà qual valore abbia tale differenza. Considerazioni generali e Conclusioni. Gli studi più recenti di ZuckERKANDL ?° e di SriepA,5° accettati da THANE,°° Romiti, !? PorrieR ?5 e dagli altri più moderni, dimostrarono che come seguito della a. princeps dell’arto, fosse da considerarsi nella gamba l’a. peronaca, e nell’ avambraccio l’a. interossea volaris. Circa le altre arterie da principio STIEDA 3° credè che omodinamica della a. tibialis (posterior) fosse Va. radialis, ma in seguito, accostandosi alle vedute da ZUuckKERKANDL °° ritenne la a. tibialis corrispondere alla a. me- diana dell’avambraccio e sostenne non essere rappresentata l’a. radialis nella gamba altro che da rami musculares. Lo stesso leggesi in QuaIn ?°. Però in un precedente mio lavoro sopra la morfologia dei vasi nel- l’arto addominale, sostenni che, dal momento che nell’arto stesso entra- vano dalla cintura due arterie: preassiale l’una (a. femoralis) postassiale l’altra (a. ischiadica) le quali nella serie dei vertebrati e nell’embrione stesso della nostra specie si sostituiscono, come ha dimostrato HocHSTETTER, alternativamente nel grado di arteria princeps, senza però che dell’altra spariscano le traccie, era logico ricercarle ambedue nella gamba e nel piede e non una sola. Dimostrai allora come la a. saphena magna fosse da ritenersi rappre- sentare il seguito della a. preassiale (a. femoralis), mentre della a. postas- stale, coinvolta nello sviluppo delle masse muscolari flessorie, più difficili erano a ritrovarsi le traccie. Ciò nondimeno ritenni che essa seguitasse tibialis possono venire considerate come l’origine prematura delle aa. metacarpea I e metatarsea I. Esistono infatti casi di anomalia nell’Uomo, e disposizioni nor- mali nei Primati nei quali tale fatto è reso più evidente da una forte riduzione nel calibro di quei vasi. i È ian Letti nitriti dritti Pen ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 181 nella gamba con le diramazioni satelliti del nervo peroneo e con l'a. saphena parva. Ora contro l’asserzione che l’a. radialis non sia rappresentata nella gamba, posso opporre per adesso i fatti seguenti. Essi sono desunti dall'esame delle disposizioni vascolari dei.due arti in un Primate del genere Macacus. Arto toracico. — La circolazione dorsale della mano è provveduta dalla a. radialis. Questa arteria scende in basso, sottocutanea, costeggiando il lato preassiale (radiale) dell’ arto e, giunta a breve distanza dalla mano, si divide in due rami: uno palmare ed uno dorsale. Il ramo palmare, più grosso, va alla palma della mano ove si unisce alla a. mediana per co- stituirne la circolazione. Il ramo dorsale, giunto alla mano riceve l’ana- stomosi della a. interossea e termina dividendosi Fio. 10. nelle due aa. carpeae medialis, e lateralis. Arto addominale. — La circolazione dorsale del piede è provveduta dalla a. saphena. Questa arteria, sorpassato il condilo mediale del femore scende in basso sottocutanea costeg- giando il margine preassiale (tibiale) dell’ arto e, giunta a breve distanza dal piede, si divide in due rami: uno plantare ed uno dorsale. Il ramo plantare si anastomizza con una esile a. tibialis postica, ramo della a. poplitea e forma il circolo plantare. Il ramo dorsale, giunto al piede riceve l’ana- stomosi della a. tibialis antica e della a. peronaca —Arteriae. dorsales del- (ramus perforans), e termina dividendosi nelle due a cia” aa. tarseae, medialis e lateralis. e ì 4 I, A. interossea; R, A. ra- L’a. tarsea medialis (tibialis) perfora il 1.° dialis; CM, A. carpea spazio intermetatarseo, generalmente molto grossa, ERA Agi GAI per prender parte anch’ essa al circolo plantare. L’a. carpea lateralis (radialis) dà anch'essa un ramo il quale perfora il 1.° spazio intermetacarpeo, per anastomizzarsi col circolo palmare. In realtà questi rami perforanti sono omologhi a tutti gli altri che sì dipartono da ogni arteria metacarpea e metatarsea. 182 G. SALVI Da quanto ho esposto mi sembra adunque logico concludere che Fia. 11. Arteriae dorsales della gamba di Macacus. TA, A. tibialis antica; S, A. saphena; TL, A. tarsea la- teralis; 71M, A. tarsea me- dialis; P, A. peronaea. l’ultimo tratto della a. radialis, equivale nei Primati all’ ultimo tratto della a. saphena. Vediamo ora se gli stessi ragionamenti si possano applicare all’ Uomo. Data l’ omologia fra la disposizione della mano dell'Uomo e quella del Primate, è logico asserire che anche la a. radialis di quello sia omodinamica alla «a. saphena di questo. Ove però si confrontino fra di loro le disposizioni dei due arti dell'Uomo, noi ci troviamo di fronte nel piede ad una a. saphena rudimentaria e ad aa. tarscae le quali provengono invece dalla @. tibialis antica. Però, se tale apparente diversità esiste allo stato normale, vi sono le anomalie che riportano le due disposizioni allo stato pri- mitivo di perfetta omodinamia. Dimostrò infatti Popowsky 8 che la conti- nuazione nell’ Uomo delle aa. plantares con la a. tibialis postica proveniva dalla riduzione jdel ramo plantare della a. saphena e dal conse- guente sviluppo della normale anastomosi che riuniva al segmento distale di questo, la termi- nazione della a. tibialis postica. Dimostrai altra volta, doversi allo stesso modo la continuazione nell’Uomo della a. dor- salis pedis con la a. tibialis antica alla riduzione del ramo dorsale della a. saphena (costante come rudimento nell’uomo) ed allo sviluppo della ana- stomosi con la quale ad essa si unisce in tutti i mammiferi provvisti di a. saphena, la termina- zione della esile @. tibialis antica. Hirm1,!* Du- BRUEIL,°° PopowsKY,4* ecc. dimostrarono infine potersi la primitiva disposizione della a. saphena ristabilirsi tale e quale nell’ Uomo come anomalia. Nello stesso modo procedono i fatti nell’arto toracico. L’a. interossea volaris fattasi dorsale si divide in rami ascendenti e in rami discendenti. I primi si anastomizzano con l’a. înterrossea dorsalis, . po ARTERIAE DORSALES CARPI - CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA ECC. 183 gli altri con l’u. radialis o più comunemente col suo ramus tarseus me- pialis. In tal modo l’a. ènterossea dorsalis, omodinamica della a. tibialis antica, comunica con le arterie del dorso del carpo. Ove si ammetta sviluppata abnormemente questa anastomosi e atro- fizzata invece la a. radialis si ha esattamente riprodotta la disposizione vascolare del piede (confrontinsi a tale scopo le figg. 6 e 9). Nè alla mano si arrestano le prove di rassomiglianza e di omodi- namia fra l'a. saphena magna e la. radialis. L’a. saphena, nella sua disposizione tipica, quale si presenta nei Primati ed in altri mammiferi, e nell’ Uomo (allo stato rudimentario ) normalmente, giunta alla gamba si divide in un ramo plantare ed uno dorsale, i quali si anastomizzano respettivamente con l’a. tibialis postica e l’a. tibialis antica. L’a. radialis normalmente nell’Uomo passa per la maggior parte al dorso della mano mentre alla palma non invia che l’esile ramus radio- volaris. ta Però lo studio delle varietà insegna che il ramus radio-volaris può essere di frequente più grosso dell’ordinario (a somiglianza di quello che avviene in molte scimmie) fino a raggiungere il volume del tronco dorsale ed anche a superarlo. In altri casi, e nelle mie osservazioni ne ho trovati 2, i due rami sono dello stesso volume, ma si separano l’uno dall’altro molto più in alto, fino circa la metà dell’avambraccio. I due rami poi si anastomizzano rispettivamente con la. interossea e con l’a. mediana omodinamiche alla loro volta dell'a. tibialis antica e dell’a. tibialis postica. Esistono infine casi di varietà nell’ Uomo per i quali l’a. radialis de- corre superficiale come quella delle scimmie. In base quindi allo studio delle disposizioni normali, dell'Uomo e dei Primati, in base alle varietà umane la maggior parte delle quali rientrano nella categoria di quelle per inversione di volume, mi sembra di poter concludere che nell’ultimo segmento degli arti v'è perfetta omodi- namia fra le disposizioni arteriose. Le arterie dorsali del carpo, aa. carpeae dorsales (lateralis, medialis) corrispondono a quelle del tarso, aa. tarseae dorsales (medialis, lateralis). Di più l’ultimo segmento della a. radialis corrisponde per posizione, rapporti e distribuzione a quello della @. saphena. IT 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. BIBLIOGRAFIA . AnprREAE VesaLII. Anatomia (De corporis humani fabrica) Venetiis. Liber III, p. 307. . GaBRIBLIS FaLLOPPI. Opera omnia. Francofurti MDC. . CoLompo R. De re anatomica. Venetiis MDLIV. . BaRNARDI SIGFRIED ALBINI. Explicatio tabularum anatomicarum Bartolomaei Eustachii. Leidae MDCCLXI. . JoANNE VALVERDO. 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Più di sessant’ anni fa EmANUELE REPETTI nel suo celebre dizionario *) parlando del bellissimo Monte Pisano, che sorge direttamente dall’ampia ed ubertosa pianura dell'Arno, così si esprimeva: “ Situato nel mezzo a due celebri e popolose città, che colle sue limpide e perenni acque si dissetano; fiancheggiato da due grandi fiumi e dal maggior lago della Toscana; coperto nei suoi fianchi e nell’insenatura dei suoi valloncelli da alberi di alto fusto, da selve di castagni, da vigneti e da oliveti; popolato a mezza costa, e presso alla sua base da più di 40 parrocchie, da numerosi villaggi e borgate; reso ridente da frequenti palazzi e case di piacere, in un’ atmosfera tepida e"balsamica, può senza dubbio dichia- rarsi il Monte Pisano una delle più deliziose e delle più popolate mon- tuosità d’Italia ,. Il Monte Pisano sorgendo così ad un tratto dalla pianura, e privo di montagne vicine colle quali paragonarlo, ha l’aspetto assai imponente; tuttavia l'altezza delle più eccelse vette non oltrepassa mai i mille metri. Ecco qui infatti, riportato dalle Carte dell’ Istituto militare, un pro- spetto delle altezze principali della catena: Monte Serra 2). 3 . : ‘ . metri 918 Monte Pruno ; : 5 : ; ‘ » 870 Spuntone di S. Allago . . 6 ò ; » 866 1) Dizionario geografico, fisico e storico della Toscana, III, pag. 460. Fi- renze 1839. i ?) Così segnato sulle carte militari; ma il nome appartiene invece a località prossima: il punto più alto si chiama La Oroce dei Termini. LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 187 Monte di Faeta . E i ? ; . metri 829 Monte Verruchino ; x i - - wall. Monte Cimone . . ; 7 : i ; » 704 Punta della Dolorosa . ; } È - » 680 Monte Lombardone ') . ; 3 : : » 638 La Verruca ; x ; B È ; » 536 Monte Maggiore . È È è 5 3 » 454 Seguono poi le minori altezze, come ad es. i Monti Bianchi o delle Cave la cui punta più alta arriva a m. 291 ed il Monte Castellare alto appena m. 163. Nella parte che guarda l’ Arno, la porzione certamente più bella e più pittoresca, sono numerosi paeselli, che si specchiano con grazia civettuola nell’ Arno, o si arrampicano su per le falde del Monte, mezzo nascosti trai lussureggianti uliveti, che danno sul grigio giallastro della roccia una macchia di verde argentino. Nella valle profonda di Calci si adagia questa grossa borgata, che tiene tuttora nell'industria e nella agricoltura un posto importante. In un punto solamente il Monte Pisano si spinge innanzi verso l'Arno, ed immerge quasi le sue pendici nel fiume. Anzi, prima che imponenti lavori di arginatura avessero costruito una terra artificiale, sulla quale oggi sorgono estesi fabbricati ed un vasto ed elegante giardino, il fiume scorreva a ridosso del monte, dando appena passaggio alla strada pro- vinciale di Piè Monte. Ed in tempi ancora più antichi il passaggio tra Arno e Monte era così piccolo, ché appena vi capiva un sentiero, per la qual cosa i viaggiatori che da Pisa andavano a Vico discendevano di vettura e facevano a piedi il punto scabroso. È precisamente in questo luogo, nel quale il Monte sta a ridosso del fiume, che sorge l’ameno paesello di Uliveto, celebre per le sue acque fredde e termali. Uliveto da pochi anni a questa parte non si riconosce più assolu- tamente. Là dove scorreva l’Arno a ridosso della strada, ora mediante grandi piloni è stata creata una fertile terra ove verdeggiano spaziosi giardini. Ed eleganti costruzioni, ogni anno aumentate, fanno pensare con commiserazione a quei meschini fabbricati, che un giorno davano alloggio ai frequentatori delle sempre celebri terme di Uliveto. 1) Non segnato sulla carta militare; si trova rappresentato da due punte colle quote 631 e 638 sotto il Passo di Prato Arreto, così segnato sulla carta, e che invece è Prato alto, in vernacolo Prat’ Erto o Prat’Arto. 188 P. VINASSA DE REGNY La ferrovia che passa a brevissima distanza dallo Stabilimento e che ha | prossime a questo le tre fermate di Cascina, S. Frediano e Navacchio; il tram a vapore Navacchio-Calci, che a Caprona, a poca distanza dalle terme, ha una fermata, sono comodissimi sistemi di trasporto per recarsi ad Uliveto. Del resto poi le strade, come in generale quelle di tutto il Pisano, sono in ottimo stato di manutenzione, e non mancano nei vari paesi comode ed eleganti vetture. I bagni di Uliveto e con essi la fonte dell’acqua destinata alla bi- bita sono conosciute sino dall’antichità. Già sino dal 970 negli antichi statuti pisani si parla di Oliveto, e dei bagni si fa menzione certa in un documento del 1286. Il RePETTI così parla nel suo già citato Dizionario (pag. 763) di Uli- veto: “ Dove il monte declina verso la riva destra dell’Arno, sulla strada di Piedimonte o Vicarese, esiste una chiesuola detta di S. Martino al Bagno Antico. Il nomignolo le venne da un bagno, presso il fiume Arno, del quale fa menzione lo Statuto Pisano del 1285 al Libro IV, rubrica 28 sotto il vocabolo di Bagno della Carrajola. Allora esso era sotto la tutela del Comune di Pisa, talchè il Podestà doveva ordinare ai cava- tori delle vicine cave che invece di gettare nell’Arno li spurghi delle dette cave, dovessero questi portarli nel piano del Bagno situato sopra l’Arno, onde meglio conservarlo; finalmente ivi si ordinava di far ripu- lire quanto occorreva il Bagno e la Fontana dagli uomini del Capita- nato di Piedimonte, per modo che maschi e femmine vi si potessero "comodamente bagnare ,. E nella piccola chiesina di cui parla il REPETTI, esiste tuttora questa epigrafe: SAN MARTINO AL BAGNO ANTICO PADRONATO DI CASA LANFREDUCCI RESTA- URATA DAL PRIOR DI PAVIA COM. DI FAENZA PALERMO E MONTEFIASCONE F. FRANCESCO LANFREDUCCI L'ANNO MDCV. Il documento di cui parla il RePETTI è riportato dal BonaInI !), ed è del seguente tenore: 1) Stat. ined. della città di Pisa. Breve Pisani Communis, An. MOCLXXXVI, Liber quartus XXVIII. pae 79” LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 189 De Balneo Carcaiole Et teneamur nos Potestates et Capitanei, quo infra duos menses ab in- troitu nostri regiminis, faciemus eligiì per Antianos duos prudentes viros: quos electos ère compellemus ad balneum Carcajole, qui debeant providere quanta terra est utilis et necessaria dicto balneo privatarum personarum, per latitudinem et longitudinem que est ibì a lateribus ipsius balnei; et ipsam terram extiment, vel faciant extimari secrete per aliquos legales viros, eligendos ab eis, antequam inde discedant; et alia que ibi fieri opor- tent, provideant pro hominum utilitate et personarum que in dicto balneo balneari voluerint. Et secundum provisionem inde factam, dictam terram ememus, vel emi faciemus pro Communi pisano de bonis pisani Communis. Et dictam terram ibi habentes compellemus vendere, et tradere Communi pisano pro extimatione praedicta. Et magistratos et cavatores lapidem contrate dicti balnei, infra predictum terminum, coram nobis vel assessori nostro venire faciemus. Quos jurare compellemus, et eos cogemus proicere ghiariam quam proiciunt de petraris corum in Arnum, proicere a balneo supra, ad hoc ut ipsum balneum impodietur, et melius conservetur; ad penam librarum decem denariorum, tollendam ab eis qualibet vice qua contra fecerint. Et quod balneum et fontanam cavari faciemns per homines capitanie Pedemontis quotiens expedierit, ita quod homines et foemine se m co possint comode balneare. Dal suesposto documento si rileva che la maggior parte del terreno circostante ad Uliveto è costituito dai detriti delle cave, oggi limitati esclusivamente alla porzione occidentale del paese. Il bagno e la fontana del documento su citato, già da avanti il se- colo XIII erano adunque conosciuti e stimati, e continuarono senza in- terruzione ad essere frequentati. Col tempo vennero aumentati i comodi a favore dei bagnanti, ma sempre in misura limitata. Così in una pub- blicazione del 1883 !) si diceva che sino a pochi anni avanti nella sta- gione estiva si costruivano rozze capanne attorno alle pozzanghere nelle quali si facevano i bagni. Ed il prof. TassinARI e MARCHETTI che ana- lizzarono tanto le acque termali quanto quelle per la bibita nel 1874 dicevano, che le acque sgorgavano da un fondo melmoso. Oggi le acque termali sono regolarmente incanalate e condotte a 1) Le acque gassose-acidule-alcaline con Litina alle antiche terme di Uliveto. Pisa, Tip. Pieraccini, 1883. 190 P. VINASSA DE REGNY DS vasche di marmo, e la sorgente dell’acqua destinata alla bibita è con somma cura racchiusa in un forte condotto in muratura, ed il riempi- mento delle bottiglie, sterilizzate sul luogo stesso ove vengono riempite, avviene in un elegante locale tutto rivestito di marmo. La sorgente poi è priva di chiavetta di chiusura cosicchè l’acqua ne sgorga continua- mente con notevole portata, e viene così impedita qualunque formazione di deposito alla chiusura. i Questi nuovi lavori dovuti alle cure serupolose che il proprietario cav. uff. Grassi MARIANI ed il direttore sanitario dott. Innocenzo FEL- LoNI hanno apportato, secondo i dettami scientifici moderni, alla sorgente, modificarono, migliorandola, la costituzione chimica dell’acqua stessa. È più che naturale infatti che se nel 1874, quando l’acqua cioè sgor- gava da un fondo melmoso, si rinvenivano tracce di materie organiche, ammoniaca ecc. sia pure in minima quantità, oggi tali tracce siano in- teramente scomparse. ì La prima analisi di TassimaRI e MarcHETTI infatti dava i seguenti risultati: Acqua calda. Temperatura 32976 — Densità 1,0046 Ocra sospesa gr. 0,0118 SO, ò 7 . c È 6 . gr. 0,818270 NO, o 3 2 ; : i i? tracce CIOrO RI PR RI, 1) ZE o ORIGINE Iodio . - : : 5 c Sao tracce CO, . : . È 3 1 °°» 11056495 Potassio , È : c È o tracce Sodio . x i È S : . » 0,696200 Ammoniaca, . È ‘ TRE DR gua tracce Litio 0 A dIUL. SIANO SUL Tai MONO NDS Magnesio 7 È . È c +.» 0,110270 Calcio . i ‘ ) ; 5 . » 0,648820 Fosfati . - ; o O È . » 0,005000 Silice . > 3 . ; 5 . » 0,035800 CO, libera . : € 2 o . >» 0,703174 CO, dei carbonati acidi. —. . —». » 0,774763 Per l’acqua fredda destinata alla bibita l’analisi diede i resultati LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 191 seguenti i quali poco differiscono da quelli ottenuti per l’acqua calda. Temperatura: 23° — Densità: 1,0034 Ocra sospesa . . gr. 0,0026 SO, . . i. ; i ci . gr. 0,241440 NO; 2 $ . ; è 3 Sia tracce Cloro . 7 ; ; : 7 . » 0,195440 Todio . , è : ; ; EEA) tracce CO, : 7 È È È o feta 1094574 Potassio . 3 c 7 c ; ala tracce Sodio . ; - x z : . » 0,424724 Ammoniaca . ; È i c DM tracce Litio . c È : o : . » 0,0006306 Magnesio z - o o È . » 0,035676 Calcio . 0 c : c È . » 0,507640 Fosfati . 5 ” c ; ‘ « » 0,004500 Silice . ò ) ; c c . » 0,020300 coberogi e e ann 03016290 CO, dei carbonati acidi. . 3 . » 0,8026685 Da queste analisi venne dedotta la seguente composizione delle due acque, per ogni litro: Acqua calda Acqua fredda Solfatoxsodico,, ce pa le 0 «+. sa, 1,2103370 0, 3971371 Cloruro sodico... +... . + + 0,7737210 0, 3220542 » ICCOR Re NEeee ON019t28 _ ll ‘‘magnesiaco! |. . . . . 0. 0,3046507 - Carbonato magnesiaco . . . . . . 0,1165710 0, 1248618 » calcieogfinia ir liz ia n Said, 6220500 1, 2691000 » SOdICORMI Ne e eo on _ 0, 4261571 » LI CONA IA — 0, 0033337 alluminico Fosfati | terrosi DETRITI 07000000 0, 0045000 \ ferrico SIR i AR tan 0;,0358000 0, 0203000 COS berot ae ee e at La 070310 0, 3916292 CO, dei carbonati acidi . . . . . . 0,7747630 0, 8026854 Nîtrati, ioduri, sali di potassio, ammo- Ì niaca e sostanze organiche . tracce tracce Come si vede adunque da queste analisi, nel 1874, avanti cioè che fossero fatti gli importanti lavori moderni, in queste acque, sia pure in quantità minima, esistevano nitrati, ammoniaca e sostanze organiche. 192 ‘ P.: VINASSA. DE REGNY Mi sono quindi rivolto all’ egregio prof. Avrony dell'Istituto chimico universitario di Pisa, uno dei consulenti chimici dello stabilimento, per avere da lui nuovi dati sulle analisi, che il proprietario fa eseguire pe- riodicamente. È questo un lodevole uso, che vorremmo seguìto da tutti i proprietari di sorgenti medicinali, in esecuzione anche al deliberato della commissione convocata a Roma nel 1896 per discutere e formu- lare lo schema di un progetto di legge per le acque di uso medico ed igienico. L’egregio prof. ANTONY è stato così cortese da ripetere nuo- vamente le analisi per-ciò che si riferiva alle sostanze organiche, all’ am- moniaca ecc. Dalle nuove analisi è risultata una mancanza assoluta, tanto delle sostanze organiche quanto della ammoniaca, dei nitrati e dei nitriti. Questo risultato, naturalissimo quando si considerino i lavori fatti per rendere assolutamente isolata la sorgente, è anche confermato dal- l’analisi batteriologica eseguita dal. prof. GASPERINI; analisi che ha di- mostrato esser l’acqua di. Uliveto una delle più pure tra tutte le acque medicinali italiane. La temperatura delle acque, tanto delle termali quanto delle fredde è rimasta identica. Quella delle acque calde è ancora di circa 34°. Della acque fredde si hanno due sorgenti staccate, le quali differiscono di poco tra loro nella temperatura. Dapprima, avendo esse identica composi- zione chimica, le due sorgenti erano mescolate e destinate a fornir l’acqua per la bibita: oggi esse sono separate. L'una più fredda, la cui temperatura è 22° circa, è destinata al riempimento delle bottiglie; l’altra ha una temperatura di circa 25° ed è destinata alla bibita nello stabilimento stesso, ove la Direzione sanitaria la destina a quelle spe- ciali malattie che richiedono anche un grado superiore di temperatura. Le sorgenti di Uliveto sono poste lungo una linea diretta da SSE. a NNW. Quella destinata alla bibita sgorga a circa 4 metri sotto il li- vello della strada, ed a nemmeno 5 metri di distanza dallo affioramento superficiale della roccia calcarea del Monte Pisano. Ora poichè tale roc- cia è inclinata verso l’Arno, così si può ben dire che la sorgente sgorga dal vivo sasso. Prima di vedere la natura geologica di questa acqua e di ricercarne l'origine, sarà utile di dare un rapido sguardo alle rocce che costitui- scono i Monti Pisani, e prevalentemente a quelle poste in immediata vicinanza della sorgente. LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 193 Il Monte Pisano sino dall'epoca di PaoLo SAVI si sapeva costituito da tre sorta di rocce: la Breccia da Macina più antica, alla quale se- guiva il Calcare e quindi il Macigno. Questo non comparisce però nella regione studiata attorno ad Uliveto e di esso non parleremo. La Breccia da Macine venne dal Savi chiamata Verrucano, perchè cavata preva- lentemente dalle rupi della Verruca, ed il nome venne universalmente adottato. Il Verrucano costituisce la massa più estesa ed il nucleo di tutto quanto il Monte Pisano. Esso è costituito prevalentemente da tre qualità di rocce. La vera breccia da macine, detta anche anagenite e puddinga quarzosa è la roccia più rara. Se ne trovano bellissime masse specialmente presso al diruto castello della Verruca. Essa è costituita da ciottoli di quarzo bianco o nero, grossi quasi come una nocciola, ce- mentati tra loro da un rilegamento in gran parte micaceo, ma anche quarzoso. Gli altri tipi più comuni sono l’Arenaria quarzitica e lo scisto o fillade anagenitica. Tali rocce furono recentemente studiate dal prof. A. D’AcHIARDI in una sua importante memoria !). Tutta questa massa di Verrucano appartiene al Paleozoico. Alcuni vollero ritenerla più re- cente, ma i fossili, specialmente piante, che per somma ventura si rin- vennero in vari punti di questa grande massa, accennano ad una età che possiamo ascrivere od al Carbonifero superiore od al Permiano. Sopra a questa grande massa, che, come dicemmo, va considerata come il nucleo di tutto quanto il Monte Pisano, seguono dei calcari di età diverse. Tali calcari in alcuni punti sono compatti, biancastri, talvolta fossiliferi: questi calcari appartengono al Lias, e non si rinvengono nei dintorni di Uliveto. Qui invece si trovano dei calcari magnesiferi, ceru- lei o grigi, in alcuni punti porosi, o meglio cavernosi, in altri punti compatti, raramente fossiliferi, riferiti all’infralias, e che compaiono qua e là in masse isolate più o meno grandi, di cui certo la maggiore è quella sovrastante ad Uliveto. Tali masse calcaree si rinvengono ai Bagni della Duchessa presso Asciano, poi sopra Agnano, quindi da Caprona sino a Lugnano e sono la massa più estesa; compariscono poi, ad oriente di Lugnano, al Monte Castellare, dopo del quale si perdono assolutamente. Tali calcari furono analizzati dallo StAGI ?) il quale vi rinvenne i corpi seguenti: 1) Le Rocce del Verrucano nelle valli d’ Asciano e d’ Agnano nei Monti Pi- sani. Atti Soc. tose. Se. nat. (Memorie), Vol. XII, pag. 139. ?) Ricerche chimiche sui calcari dei Monti Pisani. Atti Soc. tose. Se. nat., I, pag. 72. [| 194 P. VINASSA DE REGNY Caprona Asciano Anidride carbonica .. . . . . 43,350 41,920 Anidride solforica . . . . . . 0,012 0,009 Ossido di calcio . . . . . . 53,200 51,092 Ossido di magnesio . . . . .° 1,428 1,040 OSSICORICLEOSO MR RO N I RO 02 0, 224 OSsidoBfertico RR N AT OO). 0,300 Idrogeno solforato... . . . . tracce tracce ACQUA MT I PRO I86 1,930 Sostanze bituminose . . . . «+ 0,509 0,405 99, 967 — 96,920 Rispetto alla sua tettonica il Monte Pisano, salve alcune modifica- zioni e complicazioni, si può dire precipuamente costituito da una grande cupola ellissoidale: nei dintorni immediati di Uliveto si trova il calcare dolomitico cavernoso inclinato verso SW., ed anche le filladi e le Ana- geniti del. Verrucano hanno all’incirca la stessa inclinazione. Oltrepas- sando però di poco più che 1 km. la Verruca si ha negli strati una inclinazione opposta. Data questa inclinazione del calcare, se esso fosse impermeabile, l’acqua piovana scorrerebbe tutta lungo gli strati; ma l'assorbimento avviene a causa della cavernosità e delle grandi fratture che traversano la massa calcarea. Della regione immediatamente circostante ad Uliveto si troverà in fine a questa nota una cartina geologica al 25 mila. In essa è segnato il Verrucano il quale occupa la porzione principale. Esso a N. ed a E. si continua per altre grandi estensioni; a W. va a terminare nel piano delle due Zambre; a SW. e a S. poi viene a contatto del calcare ca- vernoso, salvo che presso Lugnano e Cucigliana, ove viene quasi a con- tatto dell'Arno. Il confine del Verrucano è quasi esattamente segnato dal torrente che scende a Crespignano venendo dalla :C. Focetta per il versante occidentale; e per l’orientale segue pure il torrente che da C. Focetta arriva poco più a Nord di Noce: da qui risale al'di là della valletta di Noce sin presso C. S. Paolo dietro al Monte Bianco, poi piega bruscamente in direzione dell’Arno, scende verso Lugnano se- guendo per un poco il torrente; più in basso però tutto quanto il tor- rente è scavato negli scisti verrucani, inclinati con fortissima pendenza di circa 50° a WSW. Dopo, come dicemmo, il Verrucano si spinge sin LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 195 verso l’Arno, e non è più interrotto che dal calcare cavernoso del M. Castellare sopra S. Giovanni alla Vena. Il calcare cavernoso forma adunque tutto il M. Bianco, poi il M. delle Cave o Monti Bianchi. In questa massa però si possono distinguere al- cuni piani, e cioè il calcare cavernoso infraliassico, gli strati con Avicula contorta ed il cosidetto Dachstein. Il calcare cavernoso è il più esteso: esso arriva lungo la via di Pie- dimonte sino presso la S. Annunciata; ricomparisce poi a Nord nello sprone caleareo che termina a Caprona. Ad esso segue una zona ricurva di un calcare che contiene qualche mal conservato fossile, tra cui è fa- cilmente riconoscibile 1’ Avicula contorta caratteristica del Retico. Sopra a questi strati viene un calcare privo di fossili, che semplicemente per ragioni stratigrafiche si riferisce al Dachstein. Il calcare fossilifero si rinviene pure ad Asciano ed al M. Castellare. Il Savi ed il MenEGHINI !) crederono poter riconoscere tra i fossili i ge- neri: Terebratula, Myophoria, Cerithium, e Turbo; ed il senatore CAPEL- LINI ?) per il primo giudicò infraliassici gli strati di Caprona, e sincroni con quelli della Spezia da lui splendidamente illustrati. Finalmente presso Caprona, nelle spaccature del calcare cavernoso, sì trova una breccia calcarea postpliocenica con avanzi di ossa di mam- miferi, e si trova pure abbondante la terra rossa, che del resto riempie ì crepacci e ricopre la superficie di tutto quanto il calcare. La breccia fu originata per effetto di acque cariche di carbonato calcare, scorrenti a traverso i meati e le fessure della roccia calcarea, e che impastavano gli avanzi degli organismi colà vissuti. Quanto alla terra rossa essa è certamente di origine idrica, come spero aver agio di poter dimostrare in un prossimo lavoro. Tutto il resto della pianura è dovuto alle alluvioni dei fiumi e tor- renti, ma prevalentemente dell’Arno. Al di sotto della pianura al di là dell'Arno, il calcare cavernoso si continua: infatti, come ho già detto in una mia precedente nota *), per- forandosi dei pozzi artesiani a S. Casciano a m. 32 di profondità si trovò la viva roccia calcarea. Un taglio ideale a traverso il M. Pisano, pas- 1) Consider. sulla geolog. stratigraf. della Toscana, 1851, pag. 290. 2) Studi sull’infralias del Golfo della Spezia. Mem. Acc. Sc. Bologna, se- rie II, Vol. 1, pag. 312, 317. 3) I pozzi artesiani nel Comune di Cascina. Boll. Soc. geol. ital., Vol. XVII, pag: 232. Sc. Nat., Vol. XVII 14 Frizzi =t=i=t2Avno” SI -Sorgenle di Uri veto 196 P. VINASSA DE REGNY sando per la Verruca, ci presenterebbe l’aspetto indicato nello schizzo seguente, nel quale si vede il calcare cavernoso del M. delle Cave, ap- poggiarsi quasi concordante sulle rocce sottostanti del Verrucano, scisti, | quarziti ecc. N n (>) 2 = x = TI Ù Ù D i Rio, -Rio. lupz--------- do -------Vdi Focefta. \ 4, si SSW Livello del Mare GZAVER [OR] AVCANO EScusc caverna EE ALLuvione Sezione geologica da Montemagno alla pianura dell’Arno 1 :25000. CY \ Come ha giustamente osservato De STEFANI !) le rocce del Verrucano per essere schistose subiscono delle contorsioni fitte e ripetute, che non appariscono mai nel soprastante calcare più rigido, meno plastico. Questa . secondo De STEFANI è la ragione per la quale le rocce sembrano di- scordanti, mentre in realtà non lo sono. Sta il fatto però che sino oltre la Verruca la massa del Verrucano è inclinata più o meno fortemente verso l’Arno, e che il calcare cavernoso vi si adagia sopra con inclina- zione, ed anche direzione diversa. La cima più alta presso Uliveto è la Verruca; da qui lo spartiacque a W. scende sopra Crespignano; poi a N. si volge verso il Lombardone e la Punta Dolorosa, ad E. scende verso la C. Campo dei Lupi e Cu- cigliana. Il bacino è limitato, i torrenti sono pochi e pochissimo impor- tanti; quasi nulle le sorgenti nella regione del Verrucano ; quanto alla massa calcarea la possiamo dire a dirittura priva di acque. È naturale quindi che tutta la grande massa d’acqua che cade an- nualmente in questo bacino deve essere assorbita e venire alla luce sotto la forma di sorgente. Va poi osservato che la inclinazione degli strati del Verrucano verso Arno contribuisce ad inviare al calcare anche buona parte di quell’acqua che il Verrucano stesso riceve. Ora il calcare, impermeabile di per sè stesso, è una delle roccie che più facilmente si imbeve d’acqua, la quale circola traverso alle nume- 1) Geologia del M. Pisano. Memorie R. Comit. geol. Vol. II. LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 197 rose fessure e fratture, e nel suo percorso si carica di sostanze chimiche diverse, che essa a lungo andare discioglie. Ora il calcare cavernoso, come quello che sovrasta ad Uliveto è una perfetta spugna per le acque piovane, che a traverso le porosità ed i meati di esso vanno sino a raggiungere notevoli profondità, circolano per condotti inesplorati ed a noi ignoti, e vengono poi per misteriose vie alla superficie, cariche di sostanze minerali spesso di somma utilità medica. E che anche nel caso di Uliveto sia il soprastante calcare cavernoso il deposito ed il fornitore prevalente delle acque termali e fredde è per me fuori di dubbio. Basterà notare che precisamente presso ad un’altra massa dello stesso calcare cavernoso, non molto lontano da Uliveto, si trovano altre fonti medicamentose. E che nel calcare cavernoso del M. Pisano abbiano sino dai tempi più remoti, avuto le acque grande influenza, lo prova la cavernosità stessa del calcare, derivata, come ben disse DE STEFANI !), dalla solu- bilità diversa dei componenti la roccia: così il primo a disciogliersi è il carbonato calcare, al quale segue più tardi il magnesiaco; e nelle cel- lette rimaste vuote le acque hanno spesso successivamente deposto cal- cite cristallina purissima. Altre prove delle azioni delle acque sono le numerose grotte in genere assai comuni ed alcune anche celebri; così ad es. quella di Cucigliana, ricca di avanzi fossili molto importanti e studiati. Altre grotte servono oggi da ottime cantine. Graziosamente poetica è la grotta del Pippi, che si apre a pochi metri sopra ad Uliveto, oggi purtroppo pericolosa per il continuo distacco di massi dalla volta, e della quale un poeta °), mio caro maestro, cantò: Si apre, da lungi fosca, nel grigio Monte la grotta, figlia dei secoli, In forma di loggia superba Ovver d’antica scena deserta. A tre sublimi archi continuo S’affaccia il sole, come di porpora Le rocce disegnansi e come Glauchi arabeschi le stalattiti. 1) Geologia del M. Pisano, pag. 68-69. 2) MANNI, Rime. Firenze, Chiesi 1880. 198 P. VINASSA DE REGNY Quieto innanzi si volve il cerulo Arno, fiorenti, beati stendonsi I memori piani di Pisa» Sino all’ estrema Livorno e al mare. E sotto arride, bello agli occidui Soli, Uliveto. E se tali grotte si rinvengono all’esterno è probabile siano numerose anche nell’interno della massa calcarea, e aiutino così la circolazione ed il deposito delle acque. Queste adunque, circolando nella massa calcarea, fanno un lungo cammino, scendono a notevoli profondità, si caricano cammin facendo di svariati composti chimici, che l’analisi ci svela anche in minime quantità, e finalmente trovano una frattura che le riporta alla luce. Se là ove tali acque sboccano, possano venir raccolte in modo che non risentano l'influenza di acque superficiali, esse possono a dirittura dirsi ottime, poichè sgorgano dopo aver fatto tale cammino a traverso le masse rocciose, che nessuno strumento di filtrazione riu- scirebbe a dare lo stesso risultato. Ma, come già dicemmo, oltre le acque assorbite dalla massa calcarea del M. delle Cave, per la stratificazione, inclinata verso Arno, di. tutti quanti gli scisti e le quarziti verrucane anche le acque che cadono in questo bacino sono portate al basso. Le acque cadendo trovano tutte le testate degli strati volte verso l’alto, cosicchè possono penetrare tra strato e strato, imbevere le rocce permeabili, scorrere lungo le impermeabili e discendere giù giù verso l'Arno, sempre caricandosi di sostanze chi- miche che disciolgono lungo il loro percorso, ed aumentando di tempe- ratura e di pressione. Ammettendo, cosa molto probabile, che le rocce verrucane si conti- nuino con la medesima inclinazione sotto al calcare cavernoso, si può calcolare che presso Uliveto si debbano trovare a poco più;di 200 metri di profondità. Sopra di esse sta la massa calcarea, piena di fratture, che anch’essa porta al basso le sue acque, e presenta poi dei meati adat- tatissimi a riportare alla superficie le acque che dal basso cercano uno sfogo. Riprendiamo adesso le analisi delle acque di Uliveto, e guardiamo i corpi che in essa si contegono. Vi troviamo sodio, litio, potassio, ma- gnesio, calcio, alluminio, ferro, silice, solfati e carbonati insieme ad acido carbonico libero. LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 199 L’analisi del calcare di Caprona, fatta dallo StAGI e riportata più sopra, ci dice intanto che nel calcare cavernoso si hanno carbonati di calcio e magnesio e dei solfati; ci dice pure che vi si trova del ferro in quantità assai notevole. Il ferro invece disciolto nell'acqua di Uliveto è pochissimo; l’acqua però porta seco dell’ocra di ferro sospesa. L’analisi dello StAGI non poteva servirmi da sola potendo essere stati trascurati alcuni corpi, sian pure in quantità minime, ma che interes- sano il geologo, poichè le acque che a grandi temperature e con forti pressioni in masse notevoli stanno a contatto delle rocce disciolgono parte di tali sostanze, che sono poi le più importanti per le loro virtù medicamentose. E perciò ho creduto bene ricorrere nuovamente alla cor- tesia del gentilissimo prof. AntoNY, acciò ripetesse l’analisi qualitativa sommaria del calcare di Uliveto, del quale avevo scelto opportuni campioni. L’analisi ha confermato in gran parte quelle precedenti, ed ha dimostrato che il calcare è alquanto argilloso. Nella porzione solubile in acido cloridrico manca quasi del tutto il litio. Esso però si rinviene nella parte inattaccabile dall’acido; in fatti nel prodotto della disgrega- zione la linea del litio si riscontra chiaramente allo spetroscopio. Sotto l’azione dell’acqua e dell'anidride carbonica il silicato si scompone ed il litio passa nelle acque come bicarbonato. Le rocce del Verrucano studiate dal D’AcHIARDI hanno svariati com- ponenti, i quali tutti possono avere ceduto all’acque circolanti una pic- cola parte. Oltre al quarzo ed a vari sali di ferro, si notano in esse la muscovite, specialmente sericite, la biotite, la clorite, la paragonite, poi lo zircone, il rutilo, il granato, l’apatite, la tormalina. Si ha come si vede una buona quantità di minerali, non certo molto facilmente solubili, ed a questi le acque potrebbero anche aver preso le sostanze meno rappresentate nei componenti solidi disciolti nell’ acqua della sorgente. Così l'alluminio ed il potassio, di cui si rinvennero tracce potrebbero pure esser derivati della soluzione delle rocce verrucane, così il litio potrebbe provenire dalle miche e dalle tormaline, così le tracce di fo- sfati dall’apatite. La piccola quantità di tutti questi prodotti sta a dimostrare che le acque hanno dovuto attaccare corpi difficilmente solubili, o che essi si trovavano in quantità minima nella roccia imbevuta. Quanto al cloruro di sodio non è bisogno che io rammenti com’esso MITO i - "Lr VV 200 P. VINASSA DE REGNY sia diffusissimo in tutte le rocce marine, e specialmente nelle rocce triassiche. Onde la sua origine dal calcare cavernoso è indubitata. Va notato però che l'alluminio, il litio,.il potassio son corpi diffu- sissimi ovunque sulla terra. Quanto al litio si sa che moltissime sono le rocce che lo contengono, ond’ è comune nelle sorgenti in piccole quan- tità, e da esse passa nei fiumi, nel mare e nei suoi depositi, come dimo- strò il DIEULAFAIT. Esso del resto è contenuto nel calcare cavernoso. Lo stesso dicasi dei fosfati di cui si può asserire ogni roccia porti le tracce. Per queste ragioni adunque nulla si può decidere se anche le acque del Verrucano si uniscano a quelle del calcare cavernoso. Le ragioni stra- tigrafiche farebbero propendere ad ammettere questa mescolanza; i ri- sultati. chimici, mentre non apportano conferma, nemmeno però fanno contro a tale idea. ; Rispetto poi alla anidride carbonica questa si rinviene nelle acque di Uliveto in quantità notevolissime, avendosi, nelle acque fredde, di ani- dride dei carbonati acidi gr. 0,8026854 e di anidride libera arrivan- dosi a gr. 0,3916292 per ogni litro. L’origine dell’anidride carbonica è dalla maggior parte degli autori ascritta all’anidride dell’aria che si discioglie nelle acque meteoriche. . Così le acque piovane cariche di CO» penetrano nella roccia, cominciano ad attaccarla chimicamente ed a formare dei carbonati solubili. Tali soluzioni poi, continuando l’acqua a circolare sempre più nel profondo con aumento di temperatura e di pressione, agiscono chimicamente sem- pre con maggior potenza. È indubitato che a grandi profondità con pressioni e temperature notevoli, con grandi masse d’acqua, a lungo an- dare di tempo devono avvenire reazioni potenti e ben superiori e di- verse da quelle dei nostri laboratori. La presenza in quantità di anidride carbonica libera nell’acqua di Uliveto non si può poi spiegare, come ha fatto il prof. CoccHI per l’acqua di Sangemini *), con un passaggio di essa acqua a traverso ad un suolo vegetale e ad un terreno ricco di sostanze organiche, mancando esso nei dintorni di Uliveto. E questo non è certo una disgrazia. Non si può ammettere quindi tale anidride libera che considerandola immessa nella sorgente da soffioni di questo gaz. Ed infatti si trovano presso alle sorgenti di Uliveto dei veri e propri soffioni di acido carbonico misto ad aria. Il prof. TAssINARI e ‘MARCHETTI che analizzarono anche questo gaz trovarono in 100 ce. 1) Le sorgenti di Sangemini. Atti V. Congresso idrol. e climatol. Firenze, 1898. turn Rota e e i iti DEIR LA SORGENTE ACIDULO-ALCALINO-LITIOSA DI ULIVETO 201 ACGIGORGREMOMICO NE "= Li e a e, 99,42 VARI ce e ORI dei i e DAS) USSISene A er OO Tali soffioni sboccano assai numerosi nelle diverse polle ed è per me indubitato che son essi quelli che forniscono l’acido carbonico alle acque termali e fredde. Quanto all’origine di tali soffioni forse non è difficile che essi prendano il loro gaz dalla risultanza delle reazioni della grande massa d’acqua acidulata sopra il calcare. Ed ora mi resta a dire due parole sulla temperatura delle acque in questione. Si sa in generale che 30 o 40 metri di profondità o di addentramento nella roccia danno un aumento di 1° di calore, oltre ad un certo punto di temperatura fissa. Ponendo a 16° la media della temperatura esterna, noi dovremmo arguire che la sorgente fredda che segna 22°, provenga da una profondità di 180 o 200 metri; la sorgente più calda, a 25°, proverrebbe da 270-300 metri, mentre per la sorgente calda a 33° dovremmo ammettere quasi 600 metri di profondità. Ora credo che non vi sia niente affatto bisogno di supporre un’origine così profonda per le acque di Uliveto. Certamente le reazioni chimiche che avvengono nelle profondità devon servire a dare il calore a tali acque. La composizione, identica delle due sorgenti a 22° e 25°, ci dimostra che l’unica differenza della temperatura è «da ricercarsi probabilmente soltanto nella differenza di profondità. Per l’acqua termale però, la maggior quan- tità dei sali disciolti ci fa supporre non tanto maggior profondità quanto più attive reazioni chimiche. Se l'aumento di calore fosse dovuto solo alla profondità, allora non vi potrebbe più essere alcun dubbio che le acque del Verrucano vengano a contatto con quelle del calcare, poichè a tale profondità si devono quasi certamente rinvenire le anageniti, le quarziti e gli scisti che servono di base al calcare cavernoso. Anche per le acque di Montecatini l’ing. ZAccAGNA ammette, onde spiegare il maggior calore, che le reazioni chimiche abbiano grande in- fluenza, oltre alla profondità dalla quale provengono le acque. ® Le conclusioni che si possono ricavare dallo studio sin qui fatto sono molte ed importanti. Ci limiteremo ad accennare le principali. 1° — L’acqua di Uliveto ha veramente diritto di chia- marsi alcalina, in quantochè, a differenza di altre acque impro- 202. — ‘’P. VINASSA DE REGNY ‘ priamente dette alcaline, in essa si trovano la soda e la litina. ed anche in quantità assai notevole. 22 — Tale acqua deriva tutta quanta dall’ assorbimento delle acque meteoriche che cadono sullg massa del cal- care infraliassico, e forse anche da quelle assorbite dalle prossime rocce verrucane. 3. — Le acque passano a traverso una potente massa di centinaia di metri di roccia, che funziona da ottimo ed in- superabile filtro. La loro temperatura infatti ci dimostra che pro- vengono da notevole profondità. 3 4.° — L'anidride carbonica libera è data dai soffioni di questo gaz, che sono comuni nella regione delle sorgenti: la sua origine parte può ripetersi da quella disciolta nell'atmosfera, parte può essere il prodotto di reazioni chimiche sul calcare. Una origine da materie organiche, come fu ammessa per altre acque, è assolutamente da escludersi, e ciò a tutto vantaggio della salubrità dell’ acqua di Uliveto. 5.° — La vicinanza immediata del Monte, il fatto anzi che la sor- gente è nella viva roccia pone l’acqua di Uliveto in una invidia- bile superiorità rispetto alle altre acque, non essendo possibili inquinamenti dal soprasuolo. 6.° — La piccolissima estensione intercedente tra il monte e l’Arno, impedisce che possano venire inquinamenti alla sorgente. Inoltre essa sbocca al di sopra del livello normale dell’ Arno, onde nessun inquinamento potrebbe in ogni caso venirle arre- cato dalle acque fluviali o da altre freatiche. 7. — A differenza di altre sorgenti che sgorgano lontane dal monte e in mezzo a letti di argille, l’acqua di Uliveto, sgorgando dal monte stesso, non ha da temere gli inquinamenti probabili in causa di qualche frattura nei banchi di argilla, frattura che può mettere a contatto coll’ acqua medicamentosa altre acque della pianura soprastante. i 8° — La sorgente di Uliveto, situata nel punto più stretto tra l’Arno ed il Monte, può colla mass@ma facilità difendersi da qualunque inquinamento; e, non avendo presso di sè alcuna estesa pianura, non ha da temere nessun danno dalle acque superficiali. Bologna, dal Regio Istituto geologico della Università, diretto dal Sen. G. Capellini — Marzo 1900. ror ————_——_—_.____EÉÈ€T'ùRÉET“TNRNRMRRE AEM tt E. MANASSE STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO La presenza all'isola d’ Elba di specie appartenenti al gruppo delle zeoliti fu notata la prima volta dal prof. A. D’AcHIARDI *), il quale, fra molti minerali provenienti dal granito di S. Piero in Campo, riconobbe la stilbite, 1’ heulandite, e un’altra sostanza pure idrata, che l’autore, stando ad un’ analisi eseguita nel laboratorio chimico del Bechi, ravvi- cinò con grande incertezza alla cookeite. E di questa distinse una forma lamelloso-cristallina lucente e altra in foggia di croste quasi compatta, luna e l’altra sempre però al di sopra delle tormaline. Più ampia descrizione di queste specie diede poi lo stesso autore sia in un’altra memoria pubblicata nel Boll. del Com. geologico ?), sia nella Mineralogia della Toscana *). Il vom RatH *) si occupò della stilbite e dell’heulandite, confer- mando pienamente tutto quanto su queste due specie era già stato detto dal prof. A. D’ACHIARDI; e si occupò pure, in special modo anzi, di un’altra zeolite, che per le analisi fatte ritenne specie nuova, cui diede il nome di foresite. La sostanza lamelloso-cristallina, che ricopre le tormaline di una crosta di lucenti scagliette e che fu da A. D’AcRIARDI ravvicinata alla cookeite dietro un’analisi fatta da altri e forse non troppo cor- retta, per confronto fattone poi con lo stesso prof. A. D’AcHTARDI sugli esemplari originali, non risultò che foresite. Se cookeite vi abbia sarà ‘ 1) Minerali nuovi per l’Elba. Nuovo cimento, serie 22, vol. V-VI, giugno 1872. 2) Lezeoliti del granito elbano. Boll. R. Com. geol., vol. V, 1874, pag. 306-312. 3) Mineralogia della Toscana. Vol. II, pag. 113-118, Pisa 1873. 4) Sulla Foresite, nuovo minerale della famiglia delle zeoliti rinvenuto nelle geodì tormalinifere dell’isola d’ Elba. Boll. R. Com. geol. d’Italia. Vol. V, 1874, pag. 239. Sc. Nat., Vol. XVII 15 204 E. MANASSE se mai sotto l’altra forma, non sotto questa che rientra nella nuova specie del vom RATA. Oltre A. D’AcHIARDI e il vom RATE contribuirono con belli studi al- l'illustrazione delle zeoliti elbane il GrATTAROLA e il SAnsoNI, al primo del quali in special modo devesi la conoscenza di altre specie, non sol- tanto nuove fino allora per l’isola d'Elba, ma anco per le altre località, ove più abbondano i minerali zeolitici. Ed infatti oltre la cabasite 1), dal prof. GRATTAROLA ritrovata subito dopo la scoperta della stilbite, dell’heulandite e della foresite nello stesso granito tormalinifero dei din- torni di S. Piero in Campo, dal GRATTAROLA stesso si rinvennero l’idro- castorite ?), l’orizite, la pseudonatrolite 3); quest’ ultima ad un primo sommario esame scambiata per natrolite per la sua grande rassomi- glianza con questa specie, da cui differisce però per la composizione chimica. Il SansoNI 4) infine si occupò pure delle zeoliti del granito di S. Piero in Campo. Avvalorò il suo studio con numerose analisi fatte da lui medesimo o in collaborazione col prof. GRATTAROLA ?) e da tutto trasse valido argomento a sostenere l'origine idrica non solo, ma secondaria delle zeoliti, in ciò d’accordo col prof. A. D’ACcHIARDI 6) e contrariamente all'opinione dei signori PuLLé e Capacci ?) e dello stesso vom RATE *). Ho così riassunto per sommi capi tutto quanto fu scritto sulle zeo- liti elbane. È da notarsi però che mentre per la maggior parte di esse nulla oggi sarebbe da aggiungersi per l’esatta interpretazione loro data dai diversi autori, per altre invece, come la stilbite e la foresite, esi- stono ancora non poche incertezze sulla loro cristallizzazione e se deb- bano considerarsi o no come specie distinte. La stilbite o desmina, già 1) Sopra alcuni minerali dell’isola d’ Elba non ancora descritti 0 accennati. Boll. R. Com. geol. d’Italia. Vol. III, 1872, pag. 288. 2?) Minerali nuovi o poco conosciuti dell’ Elba. Boll. R. Com. geol. d’Italia. 1876. N. 7 e 8, pag. 323. 3) Orizite e Pseudonatrolite, due nuove specie del sottordine delle zeoliti. Atti (memorie) della Soc. Fosc. di Sc. nat. Vol. IV, 1879, pag. 227-232. 4) Sulle zeoliti dell’isola d’ Elba. Atti (memorie) della Soc. Tosc. di Sc. nat. Vol. IV, 1879, pag. 311-325. 5) Studi chimici sopra l Heulandite e la Stilbite. Atti (memorie) della Soc. Tosc. di Sc. nat. Vol. IV, 1879, pag. 173-176. 6) Memoria citata. 7) Un viaggio nell’ arcipelago toscano. 1874. 8) Memoria citata. — Rn Oni È LI STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 205 x creduta trimetrica, è oggi per generale consenso ritenuta clinoedrica; ma mentre i più la riferiscono al ‘sistema monoclino, non mancano altri, come il LANGEMANN !), che la ritengono triclina. Il LANGEMANN stesso però rimane incerto circa la risoluzione del problema se le apparenze ottiche, che tale gliela fecero ritenere, siano da considerarsi come se- condarie o come inerenti all’originario edifizio del cristallo. La foresite fu giudicata trimetrica dal vom RATA, ma intanto il Des CLOIZEAUX ?) la ravvicina alla stilbite per l’abito di cristallizzazione e per l’ottico contegno; e gli altri che la ricordano poi nei trattati, come il DANA ), l’Hinmze 4), la ravvicinano pure alla stilbite, considerandola tutto al più come una sua varietà. Aggiungasi che nelle analisi non si ha mai per l’una e per l’altra specie perfetta concordanza, onde la ragione dei dubbi che ancora restano sui loro mutui rapporti di parentela. Pertanto avendo a mia disposizione nel Museo di Pisa un abbon- dante materiale di queste zeoliti proveniente dai dintorni di S. Piero in Campo, mi determinai a intraprenderne nuovamente lo studio, nella speranza di risolvere taluno almeno di quei dubbi e sopratutto la que- stione se foresite e stilbite sieno specie distinte o no. L’esame delle due sostanze, associate fra loro intimamente negli stessi esemplari e in modo da non lasciar dubbio sulla loro simultanea origine secondaria, presentantisi con caratteri appariscenti notevolmente diversi, l’una, la foresite, in scagliette bianco nivee, l’altra, la stilbite, in aggregati e incrostazioni cristalline giallognole, lascia subito l’impres- sione che spettino a due specie diverse, non comprendendosi altrimenti la ragione per la quale una stessa sostanza nelle medesime condizioni di cristallizzazione si dovesse presentare in modo tanto diverso. Per- tanto la necessità di ripeterne più e più volte le analisi, per vedere il valore che debba attribuirsi a certe apparenze fisiche che fecero a ta- luno considerare i due minerali l’uno come varietà dell’altro e come appartenenti entrambi alla medesima specie. Il mio lavoro è quindi prevalentemente chimico e per ciò, prima di 1) Beitrige zur Kenntniss der Mineralien: Harmotom, Phillipsit und Desmin. Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie. 1886, II Band. Zweites Heft, pag. 83. ?) Neues Jahrbuch fiir Mineralogie. 1876, pag. 640. 3) The System of Mineralogy. 1892, pag. 585. 4) Handbuch der Mineralogie. Zweiter Band, 1897, pag. 1823. 206 E. MANASSE procedere alla descrizione di queste due specie, dirò poche parole in- torno al metodo tenuto nelle analisi’ loro. Un unico metodo, semplicissimo del resto, mi valse ugualmente per le zeoliti analizzate, poichè identicamente costituite qualitativamente da acqua, silice, allumina, calce e soda. L’acqua totale fu determinata dalla perdita in peso all’arroventa- mento fino a peso costante. Allorquando fu determinata la perdita del- l’acqua a diverse temperature furono prese nelle relative pesate le mag- giori precauzioni a causa dell'estrema facilità con cui le zeoliti assor- bono, quando non siano state completamente arroventate, l'umidità atmosferica. 5 Per la determinazione della silice, dell’allumina e della calce oc- corse sottoporre le zeoliti alla disgregazione con ‘carbonato sodico-po- tassico, poichè se l’acido cloridrico concentrato attacca fortemente tanto la stilbite, quanto la foresite, non le attacca completamente. Per la determinazione quantitativa della silice il prodotto della fu- sione con carbonato sodico-potassico fu ripreso con acqua prima, indi con acido cloridrico concentrato e fu scaldato a bagno-maria fino a secchezza completa per 12 ore circa. Fu ripresa la massa disseccata con acqua acidulata di acido cloridrico e sul filtrato ripetuta più volte la mede- sima disseccazione. Con tal sistema la silice rimase quasi completamente indietro e, raccolta e lavata, fu pesata. Sempre poi ne fu verificata la purézza sottoponendola a trattamento con fluoruro ammonico e acido- solforico. Il liquido separato dalla silice fu trattato dapprima con cloruro am- monico, indi con idrato ammonico e scaldato a un lento calore fino quasi ad eliminazione di ammoniaca. Per tal modo precipitò l’idrato allumi- nico, che, raccolto, fu ridisciolto in acido cloridrico e sul liquido otte- nuto fu ripetuto il trattamento con cloruro e idrato ammonico. Questo secondo trattamento fu necessario per eliminare le piccole quantità d’idrato calcico che nella prima precipitazione potevano avere accompa- gnato l’idrato alluminico. Lavato allora questo e seccato fu arroventato e pesato come ossido. Per verificare la purezza dell’ allumina fu questa fusa con bisolfato potassico, indi ripreso con acqua il prodotto della fu- sione e il residuo (trascurabili tracce quasi sempre), dovuto a silice, fu detratto dal peso totale dell’allumina ed aggiunto al peso trovato per la silice. Nel liquido alcalino separato dall’allumina versai ossalato ammonico, STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 207. scaldando a un lieve calore e lasciando a sè il tutto circa 12 ore. Rac- colto e lavato l’ossalato calcico così formatosi, fu fortemente scaldato in crogiuolo di platino, ove, dopo raffreddamento, aggiunte poche gocce di acido solforico, fu trasformato in solfato. E come solfato fu il calcio pesato, dopo avere cacciato l’ eccesso di acido solforico dapprima scal- dando lentamente in muffola, indi anche direttamente arroventando un poco. Per la determinazione della soda fu sottoposta la polvere zeolitica al disgregamento con fluoruro ammonico prima a un debole calore, a più forte calore indi; e, cacciato in tal guisa completamente il fluoruro ammonico in eccesso, furono ricondotti i fluoruri metallici a solfati, per mezzo di acido solforico concentrato, scaldando in muffola lentamente prima, indi anche arroventando. La massa dei solfati così ottenuti fu disciolta a caldo in acido cloridrico concentrato. Ottenutane la soluzione furono precipitate, con i metodi già indicati, allumina e calce; e, sepa- rate dal liquido, questo fu evaporato a secchezza, arroventato, onde po- tesse perdere tutti i sali ammoniacali presenti nella soluzione per la precipitazione di allumina e calce, e trasformato poi in solfato con poche gocce di acido solforico; del quale tolto l’eccesso al solito in muffola, fu il sodio pesato come solfato. Stilbite. Nelle druse tormalinifere del granito di Fonte del Prete trovasi la stilbite in forma di rivestimento o per lo meno sempre cristallizzata al disopra dei minerali originari delle druse stesse insieme a foresite, heulandite e altri silicati idrati, i quali tutti, sia per la loro costitu- zione, sia per il modo loro di presentarsi ci attestano la loro origine secondaria. I minuti cristallini abitualmente laminari, sempre geminati, sempre di un colore bianco-giallognolo, lucenti per splendore madreperlaceo, sono costantemente associati in fasci con disposizione radiale, dando luogo a modi diversi di aggruppamento, ora in foggia di sferule, manne e govoni, quali furono ricordati da quanti prima di me descrissero la stilbite elbana, ora d’incrostazioni quali sono comunissimi negli esem- plari da me esaminati, e nei quali in foggia di setti spesso paralleli fra loro, sembrano conservare ancora nel loro insieme la forma schele- trica dei cristalli di feldispato, dalla cui alterazione in parte almeno derivano. 208 E. MANASSE Disfacendo con la pressione questi aggruppamenti, come quando si comprimano fra due lastroline porta-oggetti, sieno essi dell’uno o dell’altro tipo, si ottengono esilissime laminette, prevalentemente allungate in una direzione, che è quella dei raggi degli aggruppamenti stessi. Queste la- minette osservate al microscopio appaiono scolorite, trasparenti e, se an- cora in parte non distaccate l’una dall’altra, se ne può misurare l’an- golo di divergenza che è piccolissimo. Disponendosi esse sulla lastrolina porta-oggetti a seconda dell’ una o dell’altra delle due facce più estese e parallele fra loro, se integre, ci appaiono rettangolari dall’una estremità (quando gli angoli non sieno terminati come generalmente avviene, da faccette oblique e simmetri- camente disposte dalle due parti), appuntite invece a bietta triangolare dall’altra, che concorre al centro dell’irraggiamento. Se infrante si con- figurano secondo il punto della rottura, e più che altro secondo il fram- mento osservato. Ben osservando le lamelle cristalline si vede che alcune sono real- mente rettangolari e altre, le più, tali appaiono soltanto. Abitualmente i cristallini sono geminati e facce riconoscibili in essi sono le {001}, {010}, 5110} e {101}. L'abito prismatico dei cristalli devesi al loro allunga- mento a seconda dello spigolo (001) :(010) come nei feldispati, la lami- nosità al prevalente sviluppo di {010}. Le facce {110} sono generalmente poco sviluppate e talvolta mancano affatto; solo in qualche caso pren- dono però notevolissimo sviluppo. Grande estensione hanno generalmente invece le facce {001} e {101} che per fare angolo fra di loro di 89°, 30° determinano l’ apparente rettangolarità delle lamine cristalline. Se queste siano adagiate per una faccia basale {001} appaiono allora semplici e rettangolari per la mutua inclinazione ortogonale degli spigoli (001) : (010) con (001) :(101) o simmetricamente troncate agli spigoli per la presenza di lati corrispondenti a (110) :(001). In questo caso anzi è facile vedere nella loro inclinazione le faccette del prisma {110}, che talora, caso però assai raro, sono sviluppate tanto da far sparire le {101}. Ordinariamente però i cristallini giacciono sulla lastrolina porta- oggetti, su cui è stata sparsa la polvere cristallina, per una faccia {010}, sia perchè queste facce sogliono avere prevalente sviluppo, sia perchè è questo il piano più facile di sfaldatura, ed è quindi secondo di esso che si separano le lamelle, che poi si osservano al microscopio. Queste la- melle appaiono sempre geminate a piano di geminazione (001), con di- STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 209 rezione quasi simmetrica di estinzione dall'una e dall’altra parte della linea di unione ad angolo piccolissimo, che non raggiunge o passa di poco i 5°; ed infatti nella stilbite il piano degli assi ottici è parallelo _ a {010} e la bisettrice acuta inclinata sull'asse OX di circa 5°. In questa direzione di estinzione corre l’asse delle vibrazioni di maggior velocità, onde il carattere ottico negativo. In alcune lamelle cristalline delle più complete si osserva anche la compenetrazione a croce degli individui geminati, onde a nicols incrociati esse appariscono divise in quattro settori, che si estinguono alternativa mente. Il contorno di queste lamelle giacenti su {010} è al solito in re- lazione alla presenza e sviluppo delle sopraindicate faccette di }001}, {101} e {110}. Nessuna distinzione di forma sono riuscito a riconoscere fra le la- melle derivanti dai più resistenti aggruppamenti sferici o a govone e dalle più facilmente disgregabili incrostazioni. Nelle une e nelle altre si han sempre le forme della stilbite. Presso che uguale ho pur tro- vato il peso specifico, e, cioè, 2,07 nelle prime, 2,09 nelle seconde; inferiore quindi a quanto fu trovato dal vom RATE *) (2,207). Malgrado tale rassomiglianza e di queste e di quelle volli fare ac- curate analisi per vedere se una qualche differenza chimica non secon- dasse il diverso abito di aggruppamento cristallino. Al minerale abitualmente incrostante disposto a setti cristallini spet- tano le analisi I-IV. La I e la II si riferiscono a una stessa polvere, per la quale determinai anche la soda; ad altra polvere la III e la IV. Al numero V è riportata la media delle quattro analisi e al numero VI son date le proporzioni centesimali della composizione teorica (com- putando a calce la soda presente) secondo la formula H*(Na?, Ca) Al?Si50!3 + 4H?0, data dal DANA ?) o l’altra (Na?, Ca) AI?Si*015 -- 6H?0 data dal Grote *), Hintze 4) ecc. secondo che tutta l’acqua o in. parte soltanto si consideri di cristallizzazione. 1) Memoria citata. 2) Opera citata. 5) Tabellarische Uebersicht der Mineralien ecc. 1898, pag. 166. 4) Opera citata. 210 E. MANASSE I lil III IV V VI H?0° 17890 18,050 IT: 61° 17, 48017 SO SO? 56,25 56,35 56,78 57,01 56,59 57,64 Al*0* 17,36 17/280 18,19 (18 1° 17073406 (OO RE A O LO RA CE, SH NASO rta 1,73 TT, Ia — 100, 39 100,86 100,96 101,20 100,83 100,00 Con l’interpretazione data dal CLARKE !) alla struttura molecolare della stilbite, delle sei molecole di acqua svelate dall’ analisi due sol- tanto dovrebbero considerarsi come facenti parte integrante della mo- lecola stilbitica e quattro come di cristallizzazione, onde, raddoppiando la formula, si avrebbe: AO AlI-Si0*= H? NSiO5 He i | Ca + 8H°0 |, Si°0° = Ca AI Si*0*= H? \Si®0* AI Ad ammettere l’acqua come in parte di costituzione non portereb- bero le recenti e numerose ricerche del FRIEDEL, almeno per quelle zeoliti da lui studiate, come l’analcima ?), la cabasia 8), il mesotipo 4). Il FRIEDEL considera in esse tutta l’acqua come interclusa nel reticolato molecolare, non fissa quindi, ma mobile e soggetta ad essere eliminata e ripresa in condizioni differenti senza che lo stato cristallino della zeolite sparisca. 1) The Constitution of the Zeolites. American Journal of Science. Vol. XLIII, sept. 1894. Di 2) Sur quelques propriétés nouvelles des zéolithes. Bulletin de la Société Frangaise de Minéralogie. Tome XIX, 1896, pag. 94. 3) Nouveaux essais sur les zéolithes. Bulletin de la Société Frangaise de Mi- néralogie. Tome XXII, 1899, pag. 5. 4) Nouveaux essais sur les zéolithes (suite). Bull. de la Soc. Frangaise de Minéralogie. Tome XXII, 1899, pag. 84. STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 211 Io feci alcune prove circa la perdita dell’acqua subìta da questa zeolite a diverse temperature fino a peso costante, considerando come costanti due pesate successive anche se diverse solo di gr. 0,0002. Tali prove concorderebbero bene per questa stilbite con la formula di strut- tura ammessa dal CLARKE, quando si consideri come acqua di cristal- lizzazione quella perduta alla temperatura di 250° circa e come acqua di costituzione quella perduta a temperature superiori. Pongo qui a confronto le proporzioni di acqua, che si calcolano dalla formula del CLARKE (I), nel concetto che l’acqua di cristallizzazione e di costituzione sieno eliminate rispettivamente a 250° e a temperature superiori, con quelle da me appunto ottenute a codeste differenti temperature (II): I II Remus b0bale e 0 LT, 2000 LT, DD Acqua perduta sotto 250° . . 11,47% 11,87% A E SOPra 2002 90 5, 68%/o Riporto qui sotto i risultati ottenuti circa la perdita di acqua alle varie temperature eseguita su gr. 1,8181 di sostanza: è; Perdita °/o Nell'essiccatore {in'12' pormi). 0 1,09 Dar TON e e e ce 1 LI 80 MAE ORO RN TO È NA n ina Aes opa (6 sr € BA ai RE CAPIRE e O Ae RE (1) ECRRCON CULI ORI E I e LI, dI In altre prove potei constatare che parte dell’acqua perduta ad una data temperatura può essere ripresa lentamente quando si esponga la polvere della stilbite alla temperatura dell’ambiente. Così questa zeolite scaldata fino a peso costante a 235° perse l’ 11, 72°/0 del suo peso; per- dita che si ridusse dopo esposta la zeolite all'aria (temperatura dell’am- biente) per 24 ore circa al 2,79°/o. Arroventata invece e indi esposta al- l’aria la sostanza non riprese che 0,0004 sopra gr. 1,4928 su cui feci la prova e anche messa in contatto di acqua questa se ne andò tutta alla temperatura di 100°-105°. Esaminata la polvere al microscopio dopo arroventamento, non mi riuscì più scorgere alcuna forma cristallina, ma tante massarelle biancastre, informi, non aventi nessuna azione sulla luce polarizzata. 212 E. MANASSE Questo diverso contegno mi proverebbe che quest’ultima acqua non dovesse considerarsi nello stesso modo della prima, e verrebbe in ap- poggio della sopra allegata struttura molecolare. Secondo le numerose esperienze che il FRIEDEL *) eseguì su varie specie zeolitiche queste non solo possono riassorbire l’acqua perduta a una data temperatura, ma anche altre sostanze, fra le quali non ultima l’aria atmosferica; onde la determinazione dell’acqua delle zeoliti fatta per la semplice perdita in peso alle diverse temperature, eccezion fatta di quella d’arroventamento (nel qual caso perdono esse la proprietà di riassorbire acqua e altre sostanze), non è secondo il FRIEDEL stesso ri- gorosamente esatta. Nelle prove ch'io feci sembrerebbe che anche la stilbite avesse la proprietà di sostituire parte almeno della sua acqua con l’aria atmosferica. Infatti, scaldata essa a 120° perse il 2,38 °/o del suo peso, ma lasciata raffreddare nell’essiccatore e tenutavi 16 ore la perdita si limitava a 1,63°/o e dopo 20 giorni raggiungeva soltanto 0, 71°/o; inoltre parzialmente disidratata a 160° perse 7,02% e la- sciata per 16 ore nell’ essiccatore la perdita in peso era soltanto di 4, 09; a 220° la perdita era 11,:56°/, e dopo 16 ore nell’ essiccatore era soltanto 8,53°/. Se le diverse pesate, anzichè farsi ad intervalli di ore, si fanno entro pochi minuti, le differenze che si notano per le diverse pesate sono minime; tali quindi da farci accorti che 1’ assorbi- mento dell’aria atmosferica, per parte di questa zeolite almeno, avviene lentamente molto; onde, pur andando incontro ad errori per la deter- minazione dell’acqua alle varie temperature fatta per semplice perdita di peso, tali errori, prendendo le dovute precauzioni, sono minimi. Anche del minerale in sferule e in altre apparenze fasciculate feci pure quattro analisi su due polveri diverse (I e II) (III e IV); analisi che unitamente alla media loro (V) qui sotto riporto: 1 TI III IV V H?0 14,88. 14, 79; I TA, 198 MIRI Si0? 61ASO N 6106 19 62 ore AI?03 148314788 A09,12) Io 2400001 Ca 0 6, 46 6, 63 TELO) 6, 80 6,74 Na?0 RTS 1,78 2,04 2,04 1,90 99, 75. 99,68 100,76 100,31 100,11 1) Memoria citata. STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO ZI La perdita dell’acqua determinata sopra gr. 0, 7810 di sostanza fu alle varie temperature la seguente: Perdita °/, J'essiccatoreNGaroz giorni) 0), 2,07 TIVI ti rt RES Dl tl e e o i OO a A OA ° RR i ao ia MAI a SANA eni io 08 Ù gf 6 ROOT RA A E E VD) Bear venigmento i ot. i cole 14,98 Inoltre osservai pure per questa zeolite che l’acqua perduta da essa a una temperatura qualsiasi poteva essere in gran parte ripresa a tem- perature inferiori. Così potei osservare che la zeolite che alla tempera- tura di 180° aveva perduto il 4, 97° del suo peso, abbassata la tem- peratura a 85°, aveva in gran parte riassorbito l’acqua, poichè la perdita in peso si era ridotta a 2,22°/,; ed esposta in seguito all’ aria, alla tem- peratura di 11° circa, la perdita in peso si limitava a 0, 10°. E mentre alla temperatura di 340°-345° essa aveva perduto il 12,92°/ del suo peso, abbassando dopo avere scaldato a 340°-345°, la temperatura a 180° la sua perdita era un poco inferiore e uguale a 11,67°/o. Arroventata infine ed esposta lungamente (26 ore circa) all’aria alla temperatura ambiente (7°-8°) la zeolite non riacquistò niente in peso pur avendo già perduto il 14,98°/ di acqua. Si avrebbe quindi una stilbite, se come tale debba considerarsi il nostro minerale ad aggruppamenti sferici o a govone, con tenore in si- lice maggiore dell’ ordinario, così come già si conoscevano termini a dosi minori, quali la stilbite di Skye (52,40), Bombay (52,80), Curico (52,67), che il DANA !) distinse già con il nome di ipostilbite. I nostri esemplari per la composizione chimica si ravvicinerebbero invece alla epistilbite H* (Na?, Ca) A1?Si50!3 + 3H?0, che non differisce dalla stil- bite che per una molecola in meno di acqua di cristallizzazione e che pur si presenta in aggregati radiali sferici come quelli di Fonte del Prete. Ma l’epistilbite, oltre all'essere ancora meno ricca di silice, non vi corrisponde poi per i rapporti cristallografici, benchè monoclina essa 1) Opera citata. ne Bacci ai Ri 214 E. MANASSE stessa, onde venne riferita anche ad altro gruppo di zeoliti. Conviene quindi ricercare piuttosto se non convenga meglio nel concetto della costituzione del CLARKE ravvicinarla alla tipica stilbite; e vi si può in- fatti facilmente riferire per-la mutua sostituzione da lui ammessa dei due gruppi tetravalenti [Si 04] e [Si* 0*]. Il paragone delle due for- mule mostra chiaramente il legame: Stilbite tipica Stilbite più ricca in Si0? Si04= AI STOSZZIAI ne —Si04= H8 NAST) se ]bl° sio= \Si505= H? | Pa Ca + 8H ?0 ni + 8H?0 Pod VA Ca —Si*08== ce AI-Si308= H3 ita AI Si04= Al Un gruppo [Si0*4] della tipica stilbite è sostituito da un gruppo [Si #0]. Le proporzioni centesimali seguenti, calcolate dalla formula ora scritta, computando per calce la soda: EOLIE a REI SOR e n I NA APOSIAR dirai atei CIO. (labii ia aree PRESO 100, 00 corrispondono a quelle delle analisi; e pure corrispondono le proporzioni dell’acqua; infatti, sempre nel concetto che l’acqua di cristallizzazione sia perduta dalla nostra zeolite a 250° circa, soddisfacentemente si ac- cordano le proporzioni dell’ acqua teoricamente dedotta dalla formula supposta (I) e dell’acqua avuta nei miei saggi (II), chè si ha: I II Aqua nto ae Rc es 6005 14, 98 DER AU LIZA OR ee OI 9798 v n Soprani? 15 Ro 00 5,05 Io volli con tutta cura ripetere più volte le analisi (pag. 12) di queste ag- gregazioni a superficie sferoidale, perchè le analisi già fattene da un ignoto allievo del BecHi (I) (vedi D’AcziARDI Mineralogia della Toscana) e dal STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 215 GrartAROLA e SansonI ‘) (II) avevano dato risultati non concordanti coi miei: I II ERO 4 TAgST8 19, 23 SIRENA 1 56 52, 34 ATEO, O TESORI) 16, 94 URONRAEe Zi n 08 9, 22 Mg0 3 0, 41 203% sel E nio ar T Na?0 1,80 ORTO o n 101 99, 94 Nella prima analisi Ja presenza di dosi assai forti di magnesia, le piccole proporzioni dell’ allumina, quelle troppo elevate invece della soda, son tali da far ritenere se non poco corretti i risultati, riferibili forse ad altra sostanza. Dalla seconda parrebbe aversi piuttosto a che fare con un caso d’ipostilbite che di un minerale eccedente nella proporzione della silice che si ha nella stilbite normale. D’ onde derivino queste dif- ferenze nei risultati analitici non saprei indicare. Stando ai risultati delle mie analisi non posso che ripetere ancora che questi aggregati cristallini sferici, se non corrispondono perfettamente alle più comuni stilbiti, gran- demente vi si avvicinano. Del resto col concetto del CLARKE ammettendo la sostituzione dei due soliti gruppi [Si04] e [Si®0*] l’analisi del SAnsonI e del GRATTAROLA porterebbe pure a composizione entro i limiti della serie stilbitica. Di fronte alla normale struttura molecolare anzichè sostituito un gruppo [Si*05] ad un gruppo [Si 04] si avrebbe l’inverso, sostituito cioè un gruppo [Si0*] a un gruppo [Si*05| e quindi: 2S808= Al AI-Si0*= H° \Si0* = H? | fi + 8H?0 SiO=—TCa nÉSsio ZH S1°0*= AI 1) Memoria citata. 216 E. MANASSE Le proporzioni centesimali qui sotto riportate, calcolate su questa formula (I) computando potassa, soda e magnesia a calce, corrispon- dono infatti assai bene a quelle date dall’analisi del GRATTAROLA e ‘Sansoni (II): I II OR A ROC 0, 19,23 IO AR 52, 34 NEON N ros 16, 94 CROATA 925 NEO IR Ro 0, 41 Na: KOS 1, 80 100, 00 99, 94 In conclusione le tre formule strutturali della stilbite tipica, della stilbite più ricca dell’ordinaria in silice secondo le mie analisi, e della stilbite più povera della ordinaria in silice secondo l’analisi del Grat- TAROLA @ SANSONI, ci rappresentano termini gradatamente diversi della serie stilbitica. La formula generale infatti di essa, appunto per le dif- ferenze che le analisi della stilbite hanno dato, fu dal CLARKE indi- i cata con: in cui X rappresenta indifferentemente l’uno o l’altro dei due gruppi tetravalenti [Si04] e [Si® 0%]. E si avrebbe: Stilbitetipica Sini re 1040 Stilbite ricca ‘in silice”. (000 S10*S108— MER Stilbite povera in silice . - . SiOf:Si*0*=2-1 | SA STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 217 Foresite. Menzionata la prima volta dai sigg. PuLLÉ e CAPACCI !), questa specie fu poi descritta dal vom RATE ?), che le diede il nome. Il vox RaTH la ritenne cristallizzata nel sistema trimetrico in prismi rettangolari dovuti alla combinazione dei due pinacoidi {100}, {010}, ter- minati dalla base ordinariamente un poco curva e talora spuntati dalle facce dell’ottaedro. Nelle forme e nei valori angolari, che il vom RATH potè misurare, apparve del tutto analoga alla stilbite; da questa però differente per il più elevato peso specifico ragguagliante 2,403-2,407 e per la com- posizione chimica, dalla quale dedusse la formula: 1 2 7 RA ; 2A1°0; 6 Si0*; 6 H°0 vicinissima del resto a quella della stilbite, già riportata trattando di questa specie. Tale rassomiglianza nella composizione chimica e più ancora la per- fetta analogia nelle forme cristalline fece nascere più tardi al SANSONI *) il dubbio che la foresite potesse essere specie distinta dalla stilbite, quantunque nell’analisi chimica fattane lo stesso SAnsonI ne ebbe ri- sultati di pochissimo discordi da quelli del vom RatH. Nuovi dubbi poi circa la specie foresite furono sollevati dal Des CLorzeaux 4), che, esa- minandone otticamente un cristallino, per quanto a detta stessa del- l’autore la prova riuscisse molto difficile, trovò che il piano degli assi ottici e la bisettrice erano orientati precisamente come nei cristalli di stilbite. Esistendo tali divergenze su questa specie ne ripresi lo studio. La foresite, come la stilbite, è un minerale sempre incrostante. Essa incrosta infatti quasi esclusivamente la tormalina, ricoprendone con un guscio dello spessore di 2-4 millimetri non solamente le facce pri- smatiche, ma anche le facce basali; talvolta incrosta pure i cristalli d’ortose e di quarzo e si ritrova anche in lamine isolate assai esili. i) Memoria citata. ?) Memoria citata. 3) Memoria citata. 4) Nota citata. * PRI 218 E. MANASSE Osservata al microscopio oltre al presentare le stesse forme cristal- line della stilbite e le stesse geminazioni, ha anche il piano degli assi ottici, come già aveva osservato il Des CLorzeAux, normale al piano di geminazione e la bisettrice acuta inclinata di 5° circa sull'asse OX; e nelle lamine di più facile sfaldatura il carattere ottico è negativo pur sempre come nella stilbite. Tutto quindi concorderebbe a farla ritenere un’unica specie con quella; e confesso ch'io pure prima di farne l’ana- lisi come tale l'aveva ritenuta. Bene osservando però anche macroscopicamente appariscono diffe- renze fra le due specie. La foresite infatti è sempre in elementi più minuti assai della stibite; quella ha un colore bianco-niveo candidissimo, questa un colore bianco-giallognolo; a quella spetta un peso specifico di 2,405, a questa assai minore e uguale a 2,09. Maggiormente visibili sono poi questi caratteri distintivi quando le due specie sieno insieme . associate; e già dissi che non potrebbesi spiegare, ove fossero la me- desima cosa, come mai nello stesso esemplare presentassero differenze riconoscibili anche ad occhio nudo. Ciò che però fa veramente riconoscere la differenza fra le due specie è l’analisi chimica. Della foresite io feci due analisi; l’ una (I) data da una grande crosta che ricopriva completamente un grosso cristallo di tormalina, l’altra (II) data da diverse croste più piecole assai, pure in- volgenti dei cristalli di tormalina e nella quale la soda non fu deter- minata. Pongo a confronto la media (III) ottenuta dalle due analisi con le analisi del vom RatE (IV) e del Sansoni (V): I II III IV Vv H?0 L7,401.,,160,:32 (165106 (545, 07 Nd, SiOAT 4971228à 486489 ZO AJ%O® 27,450 27, 0270680 2740 MZ DELI Mg0 — — — 0,40 traccie Ga. 8/01, 560 ra K?0 n traccie traccie .0,77 0, 46 Na?0 1,14 1,14 IORLA 1, 38 99,83 99,09 99,45 100,45 99,73 Le mie analisi condurrebbero quindi alla formula 12 Si0?, 13 H?0, 4A1?08, 2Ca0 (Na?0), cui spetterebbe la seguente composizione cente- simale, calcolando a calce la soda presente: STILBITE E FORESITE DEL GRANITO ELBANO 219 Hierro e 15788 BIOARAS I 48/98 RR EE 6090527, 62 Cao a RR COSTI 100, 00 Tale formula non differisce che per piccola quantità nelle propor- zioni dell’acqua da quella già ammessa dal vom RaTH per la foresite, cui assegnò le proporzioni teoriche seguenti: MRO ei ae ud4,,78 A i Sea 49, 27 PO EA ae PRESERO? PIC. Coe n ile a DATO NA e lt 205 100, 00 Strutturalmente interpretata la composizione secondo ie vedute del CLARKE !) e sui resultati analitici del vom RatH si avrebbe: Si04]= Al NAS i [Si04] = H? se =" Ca + H?0 Î SA Os P=H? AI-[Si04] == H? [Si04] == Al .e per le mie analisi andrebbe aumentata di una sola molecola l’acqua di cristallizzazione per ogni due molecole del composto silicato. Per altro le prove circa le perdite dell’acqua alle diverse tempera- | ture non porterebbero al reparto dell’acqua stessa quale risulta dalla soprallegata formula, in cui solo una piccolissima parte di essa viene considerata come di cristallizzazione. Infatti io ho ottenuto: 1) Memoria citata. Sc. Nat., Vol. XVII 16 220 E. MANASSE Acqua totale e Man NR RE 099 ID perdita a 26007 LA CI E DI a nisopra:2600% Mi EM a ISIN I O si nega valore all’interpretazione del modo con cui l’acqua entra nel composto a seconda che essa si liberi a 250° circa o a temperature superiori e allora può adottarsi sempre la formula di struttura testè riportata, o mantenendo questa interpretazione, come già si è fatto per la stilbite precedentemente descritta, giova considerare in altro modo la costituzione della foresite. E forse essa potrebbe essere espressa dalla formula seguente: SIO4==A] 241 (OH)? Asi O ATTORE Si0*=H' Ca + 7H°0 | Si°08=Ca /A1 (OH)? Alga SOA OE NE ammettendo come per varie zeoliti ammettono il CLARKE stesso, il GRoTH e altri, la sostituzione del gruppo monovalente AI(OH)? all’ idrogeno. S’interpreti nell’un modo o nell’altro la formula di costituzione, credo sempre, concludendo, che stilbite e foresite non sienv a confondersi; ma mantenendole distinte come consigliano a fare anche i loro caratteri macroscopici e altre considerazioni sopra esposte, debbono però consi- derarsi l’una come isomorfa all'altra; come già furono sotto questo aspetto ravvicinate fra loro armotoma, phillipsite e stilbite. Giacimento e origine delle zeoliti elbane. Le zeoliti dell’isola d’ Elba già dissi in principio come sì rinvengano specialmente a Fonte del Prete, subito sotto il paese di S. Piero in Campo, donde provennero pure i bei cristalli di tormalina, berillo, gra- E STILBITE E FORESITE DEL GRANATO ELBANO 221 nato, cassiterite ecc. che hanno arricchito i musei mineralogici di Fi- renze e di Pisa. E ivi si rinvengono nelle geodi di bianche vene d’ap- parenza pegmatitica nel granito normale biotitico, analoghe a quelle di Grotta d’Oggi, della Speranza ece., benchè in queste ultime, almeno nelle porzioni esplorate, sieno le zeoliti e altri prodotti del pari secondari come il Castore e il Polluce, meno frequenti. Circa l’origine di queste bianche vene tormalinifere è stato molto discusso, nè la questione, può dirsi, è stata ancora completamente esau- rita; come non esaurita d'altra parte è stata la questione relativa all’età del granito in cui si rinvengono. Alcuni autori come Pareto *), CoccHI ?), LotTI 3) le considerano in- fatti druse allungate dovute ad un'ultima fase nel consolidamento del magma granitico, od anche dovute ad una posteriore secrezione effet- tuatasi nelle cavità del granito stesso. Altri (SAvi e MENEGHINI ‘) le considerarono come filoni differenti principalmente dalla massa del gra- nito normale circostante per la mancanza di mica nera, per il carattere più o meno spiccato di pegmatite e per la presenza di tormaline, be- rilli ecc.; ammettendo inoltre la presenza loro dovuta a masse di gra- nito pegmatitico intruse per effusione entro al granito normale già for- matosi. Il vom RaTH °) infine ammise per esse un’origine idrotermale. Ma a parte la difficile questione circa l’origine di questi filoni 0 geodi tormalinifere, a parte anche la non meno difficile questione circa l’età di questo insieme di rocce, a me interessava soltanto indagare come e quando si formassero le zeoliti e seguire se fosse possibile la via della paragenesi. Per ciò mi era necessario studiare la composizione delle rocce incassanti e sopratutto dei suoi materiali dallo stato di fre- schezza a quello della più progredita alterazione. Il granito incassante le vene e da esse distinto per il suo più fosco colore, è un granito biotitico. Elementi essenziali quindi: quarzo, feldi- 1) Sulla costituzione geologica dell’ isola di Pianosa ecc. Annali Univensità di Pisa. T. I, 1844-45. 2) Descrizione geologica dell’isola d’ Elba. Memorie del R. Com. geol. d’ Italia. Vol. I, 1871, pag. 82. 3) Descrizione geologica dell’ isola d’ Elba, pag. 239, Roma 1886. 4) Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana, pag. 498. Fi- renze 1851. °) Geognostisch-mineralogische Fragmente aus Italien. III Theil. Die Insel Elba. S. 663., Bonn 1870. 229 E. MANASSE spato, mica nera, nella solita distribuzione e apparenza propria dei gra- niti tipici. Però dei due feldispati, ortose e oligoclasio, il primo s’in- contra anche qua e là in grandi cristalli entro alla massa uniformemente granulare e la biotite sembra talora accumularsi in nidi che in foggia di macchie più scure risaltano sul fondo grigiastro della roccia. Il peso specifico della roccia è = 2,575. Microscopicamente vi si osserva manifesta struttura olocristallina ipidiomorfa e vi si riconoscono i minerali sopraricordati nel loro tipico aspetto granitico. Dei due feldispati, ortose e plagioclasio, quello gene- ralmente è assai torbido, cosparso di tante granulazioni scure indeter- minabili e talora anche a struttura fibrosa; questo assai più fresco e abbondante quasi quanto l’ortose, geminato sempre secondo la legge dell’albite, talvolta anche, (ciò che è notevole perchè rarissimo nei gra- niti), esso freschissimo presenta un bello aspetto zonato, con uno strato esterno quasi fibroso a fibre contorte e irregolari. Ritengo tal plagio- clasio debba considerarsi più come oligoclasio che come albite, stante la quantità notevole di calce, contenuta nella roccia. La mica biotite, ‘ generalmente è più o meno alterata, talvolta in clorite, onde ha quasi del tutto perduto il suo pleocroismo; non mancano però lamine di biotite inalterata. Il quarzo, allotriomorfo sempre, è ricchissimo d’inclusioni, sia solide, sia liquide con livella. Di minerali accessori osservai magne- tite scarsa, ematite scarsissima, abbondanti invece apatite e zircone; dubbioso il rutilo, di cui credo di aver osservato due esilissimi aghetti, inclusi l’uno nel quarzo, l’altro nella mica. L’apatite si presenta nei soliti cristallini aciculari allungatissimi (mm. 0,04-0,09) e di spessore ordinariamente piccolissimo (mm. 0,01-0,02), nei quali sono di consueto riconoscibili le tracce della sfaldatura basale. La sua relativa abbondanza è svelata anche dall’ analisi chimica che diede 0;24°/, di anidride fosforica. Trovasi l’apatite inclusa nella biotite e nell’ortose più abbondantemente, nel quarzo e nel plagioclasio più raramente. Lo zircone si presenta in cristallini o grani a contorno rotondeg- giante, di colore giallo-verdastro, fortemente rilevati e con colori d’in- terferenza vivissimi. Tali cristallini di dimensioni piccolissime general- mente (mm. 0,02-0,05 in lunghezza e mm. 0,01-0,02 in larghezza) sono inclusi nella mica, nell’ortose e nel quarzo. Ho visto anche dei eri- stalli assai più grandi prismatici, nitidamente terminati; uno di questi aveva una lunghezza di mm.0,3 circa e uno spessore di mm. 0,06. STILBITE E FORESITE DEL GRANATO ELBANO 223 L’analisi da me eseguita su pezzi tolti nella massa tipica della roc- cia diede: Hem en, 0959 E o o 609,00 ROM: DEe e L) DUE ACT RP RRETO NOT LINi TP: MAFIE, 4,97 Mare nia sotracce WE on LFACCO ALSO pr VIE) iz IE 15, 68 Ronn er fee 1Y°98 MEO aa IGO RR 3, 18 Rie) Sage EIAORIO oil 101, 30 I noduli scuri che in forma di macchie rotondeggianti si trovano ir- regolarmente distribuiti nella massa del granito normale, studiati chi- micamente e microscopicamente si palesarono essi pure di granito, ma ad elementi più minuti molto, onde apparisce come un microgranito, per quanto talora esso involga dei cristalli maggiori di feldispato e di biotite. Gli elementi che lo costituiscono sono gli stessi del granito normale con le precise inclusioni; delle quali però assai più abbondante l’apatite (infatti l’ analisi diede 0,29°/, di anidride fosforica) e assai più scarso lo zircone (chè infatti all’ analisi chimica non ebbi nemmeno tracce di anidride zirconica) che nel granito normale. Il colore più cupo è dovuto alla più abbondante quantità di biotite ed infatti la quantità di magnesia e di ossido di ferro è un poco superiore a quella del granito normale. Ma tolte queste e altre sempre lievi differenze chimicamente pure la roccia microgranitica corrisponde a quella granitica normale. Il micro- granito infatti diede all’analisi: TESTO © fedi ORPRRIRI MIPORINT AO (‘I 0, 48 0A ee (00011 ic e savoia i 9, 03 MR e e ein tracce SO) NE E 70 AD) ct i SA a MEGANE) a ccnine 13 Ad) tUT (07 I i.) lo 825 NETTI, e RARE 3, 66 Pe e a (29 101, 82 224 E. MANASSE Differente invece è la struttura dei bianchi filoni o geodi tormalini- fere. Sono essi costituiti da una pasta bianco nivea, pegmatitica, quar- zoso-feldispatica, in cui qua e lè sono scarsamente disseminate delle la- mine assai grandi di. mica nera e dei cristalli incompleti di tormalina. L'analisi chimica svelò pure differenze nell’acidità assai superiore a quella del granito, poichè diede: E FLO IE RITMO co OL 0, 45, SIOE IR I RI ROTTI AO E e STAR Fe0Q0 a nbae DI Met GLIE ME AO E Gal CAO E RL Meu ate ao ic NEGO o (00) On: RAI ROTA ASSI BOL ata ener ene 99, 93 I filoni tormaliniferi portano poi grandi cristalli di ortose e di quarzo generalmente affumicato o nero, grandi lamine di lepidolite, le tormaline, i berilli, i granati, le varie specie di zeoliti, il Castore, il Polluce ed altri minerali. Ed è notevole che mentre generalmente la roccia incassante presenta aspetto di freschezza, le vene pegmatitiche, e sopratutto nelle loro geodi, presentano evidenti segni di alterazione sofferta e tanto mag- giore quanto più vi abbondino questi minerali idrati di tipo prevalen- temente zeolitico, e sulla cui origine secondaria non può restare alcun dubbio, sia per l'esame sul posto, sia per l’esame anche dei pezzi di filone distaccatine e conservati per i musei. La massa delle vene tor- malinifere perde il suo colore bianco-niveo per prenderne uno gial- lastro, perde inoltre la sua consistenza ed assume una friabilità straor- dinaria. E non solo la pasta dei filoni, ma anche i minerali che in essi sì trovano si presentano in generale più o meno alterati. L’alterazione non è però uguale per tutti. Il quarzo nulla o quasi nulla si altera, spesso nemmeno le tormaline, che però in alcuni casi di più avanzata azione delle cause modificatrici possono essere anche completamente disfatte; e alla facilità o no di alterarsi contribuisce certo la loro diversa AIRES. LIO SOT SOSIO CERI TA I LOTO ti n I i LO EIA I STILBITE E FORESITE DEL GRANATO ELBANO 225 costituzione fra le varietà diversamente colorite. Quarzo sempre o quasi, tormalina spesso, si riconoscono inalterati alla superficie togliendo il ri- vestimento zeolitico, che ordinariamente ne ricopre i cristalli, i quali, denudati da esso, mostrano ancora le strie e altre particolarità delle facce. La lepidolite si altera più facilmente, perde il suo colore roseo diventando violacea o bianca-argentina. L’ alterazione più frequente, maggiore, talvolta completa, la presenta l’ortose come è facile riscon- trare negli esemplari di granito alterato a zeoliti del Museo mineralo- gico di Pisa. L’ortose in alcuni cristalli si mantiene freschissimo; in altri perde in consistenza acquistando invece una specie di untuosità; in altri poi mentre esternamente conserva le forme cristalline sue proprie, avendo però perso levigatezza e splendore, è nell’interno diviso in tanti setti quasi paralleli rivestiti da incrostazioni di stilbite, e se questi setti manchino può anche conservarsi soltanto la parete esterna, tutta inter- namente tappezzata da croste di stilbite. Sembrerebbe dunque che nel- l’alterazione dell’ortose non sempre si fossero avuti gli stessi prodotti, avendosi nel primo caso una trasformazione caolinica, nel secondo zeoli- tica. Le analisi fatte confermano questa deduzione. Difatti avendo preso diversi di tali cristalli che sia per il loro aspetto, sia per l’esame microscopico accennavano ad una trasformazione caoli- nica nei suoi diversi stadi, a partire da un cristallo apparentemente inalterato (I), ad altro con incipiente alterazione (II), fino a un terzo profondamente alterato (III), ottenni: I II III H?0 0, 81 o SU TASON Si0? 64,85 51, 64 45, 44 Ù ATSO5518014 VE, Ue 32, 88 Fe?0? — 0, 18 tracce Ca 0 0,24 3, 82 2, 08 KO 1 41 ia: Na?0 4,14 (5, 01) 1) (4, 63) ) 997159 100, 00 100, 00 Si vede chiaramente dalle analisi come perdendosi in gran parte gli alcali e diminuendo le proporzioni della silice, messa parzialmente in 1), 2) per differenza. 226 E. MANASSE libertà, accrescendosi quindi relativamente quelle dell’allumina e per l'aggiunta sempre di notevoli quantità di acqua si passi da ortose a — caolino. i Ma ponendo attenzione ai resultati delle stesse analisi si vede anche come insieme alla trasformazione caolinica, siasì iniziata anche la tra- sformazione zeolitica, alla quale debbono certo imputarsi le dosi non indifferenti della calce; trasformazione zeolitica che diventa quasi esclu- siva nell’altro caso, in cui gli originari cristalli feldispatici sono come trasformati in tanti alveari, costituiti da setti zeolitici. i L’analisi fatta di uno fra questi cristalli a vacui, tolte per quanto si poteva le incrostazioni zeolitiche sulle pareti dei setti stessi, mi diede: BROS, 10 AME SOL 0 ei Pia inn 61, 54 Oa aan e Dil Relosr ta Koei Mr RI MRO ECE CIO pe CR RI) TEO IR a, Na, Lo Hastasatanik N08 100, 98 Come si vede si ha un cristallo di ortose in quasi completa trasfor- mazione stilbitica. Si aggiunga ancora un poco di acqua che porti nuova calce in sostituzione della potassa che vi rimane ancora e si avrà la com- posiZione stilbitica delle prette zeoliti di questo giacimento testè de- scritto. Non parmi quindi che possa restar dubbio sulla genesi dei mi- nerali stilbitici dall’alterazione dei feldispati. Forse anche altre zeoliti di questo stesso giacimento e che io qui non ho. studiato, vi debbono essere geneticamente connesse; ma verosimilmente alcuni almeno di questi minerali idrati totalmente o in parte debbono l’origine loro ad altera- zione di altri minerali; così dall’alterazione della, lepidolite e della tor- malina si ha il Castore o petalite, così forse anche il Polluce. Castore e Polluce accompagnano sempre le zeoliti elbane; e talora il Castore è esso pure incrostato o tappezzato nell’interno da minerali zeolitici, sia da idrocastorite, come già osservò il GRATTAROLA, sia da stilbite come io ho potuto osservare in alcuni degli esemplari di granito tormalinifero +09 Srna ZAC I PEPE IA e e STILBITE E FORESITE DEL GRANATO ELBANO 227 esistenti nel Museo mineralogico di Pisa. E poichè in questo caso il Castore ha perduto il suo aspetto abituale vetroso e fresco, pur dando sempre alla fiamma la colorazione caratteristica del litio che lo fa rico- noscere, è da ritenere anche che eccezionalmente, per quanto esso pure indubbiamente di origine secondaria, abbia in qualche modo contribuito alla formazione di quelle zeoliti che lo incrostano. Trasformazione analoga a quella dell’ ortose deve aver subìto anche l’oligoclasio, e siccome la trasformazione di tutti questi minerali sembra che altrimenti non si possa ammettere che per invasione di acque aci- dule, queste o contenevano di per loro stesse più o meno di bicarbonato calcico, o fu loro fornito dall’ alterazione del silicato alluminio-sodio- calcico, quale è l’oligoclasio, operata dall’acido carbonico. Nell’ un modo o nell’altro si ha soddisfacente spiegazione ad intendere la genesi dei minerali zeolitici, e per il caso nostro in particolar modo delle stilbiti. Tale credo che sia la loro origine, ma anche se qualche dubbio po- tesse elevarsi su ciò, nessuno ne potrebbe restare sulla loro genesi se- condaria. Laboratorio di Mineralogia dell’ Università. Pisa, 6 maggio 1900. Sc. Nat., Vol. XVII 17 Istituto ANATOMICO DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI Pisa DOTT. GIUNIO SALVI 1° DISSETTORE E LIBERO DOCENTE —_re___— CIRC ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI Che i vasi edi nervi i quali decorrono satelliti nelle varie parti del corpo, fossero compresi in un comune invoglio connettivale, anche dagli antichi anatomici era conosciuto. HALLER chiamò questi invogli vaginae, comprendendo sotto tal nome tanto quelli che circondano i vasi edi nervi più grossi degli arti, come quelli che trovansi all’intorno dei vasi i quali penetrano nella spes- sezza dei visceri. Scrive infatti HaLLER !): In drachio robusta tela arteriam cum nervo colligat et sensim eatenuatur. In crure perinde cruralis nervus cum ar- teria in fasciculum colligitur. Non aliae sunt celebres illae vaginae quae in haepate FrANcIScUS GLIsson descripsit, in pulmone LANCISIUS, èn liene JAcoBUS RAU. Nè i moderni libri di anatomia sono più ricchi di osservazioni e di dati sopra la struttura di queste vagine. Esse sono in generale consi- derate talvolta come duplicature di aponevrosi, talvolta come un invoglio comune di tessuto connettivo destinato a tenere uniti i vasi ed i nervi satelliti ©d a fissarli in pari tempo alle parti vicine, senza che ricerche speciali abbiano tentato di investigare se la disposizione e la struttura dell’invoglio stesso insieme ai rapporti reciproci dei vasi in esso contenuti si prestassero a qualche considerazione fisiologica o di altra natura. 1) HaLLER A. — Elementa physiologiae corporis humani. Lausannae MPccLVII pag. 61. RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 229 Osservando quanto su tale argomento è stato scritto per l’addietro, noi vediamo che sono stati più specialmente i cultori dell’anatomia chi- rurgica quelli che hanno prese in considerazione queste vagine stu- diando quelle che presentavano maggiore interesse pratico, dal punto di vista della maggiore o minore permeabilità alle infiltrazioni (VEL- PEAU !), MALGAIGNE ?)) mentre molto maggior numero di osservazioni ha riunito la vagina propria dei vasi, quella vagina che HALLER stesso de- scrisse e chiamò col nome di tunica cellulosa e della quale ScARPA 3) dette una così ampia ed esatta descrizione. La trascuranza delle une e la maggiore considerazione avuta per le altre hanno fatto sì che spesso sono state confuse insieme onde fre- quentemente sentesi dire in anatomia di vagine dei vasi le quali fanno insieme l’ufficio di invogli fibrosi resistenti, e di sierose rudimentarie destinate a facilitare il movimento dei vasi nel tempo stesso che sop- portano i vasa vasorum. Uno studio delle vere vagine comuni fu fatto invece da FARABEUF ‘). Paragona FARABEUF queste vagine a quelle tendinee e vi considera una specie di spazio sieroso che chiama sierosa periarteriale nel caso dell’ar- teria, ammettendo che entro ad essa i singoli vasi decorrano ciascuno in un canale proprio. Attratto da tale trascuranza di un argomento che alcune ricerche personali mi avevano dimostrato non privo di interesse, già da molto tempo ne avevo intrapreso lo studio e nel 1895 pubblicai una prima nota °) illustrando alcuni dei fatti che avevo riscontrati, quando poco dopo cioè nel 1896, comparve un lavoro di Bize 5) nel quale le vagine comuni dei vasi e dei nervi venivano studiate assai diffusamente. Di tale la- voro dovrò spesso parlare nel corso di questo mio, essendosi le nostre ricerche incontrate in taluni punti senza però portare alle medesime conclusioni. Ammette Bize all’intorno dei fasci vascolari e nerveo-vascolari un ispessimento che egli chiama guaina, prodotto o da addensamento del 1) VeLrRAU A. L.M.—Traité complet d’ Anatomie chirurgicale. Bruxelles, 1834. 2) MALGAIGNE I. F. — Traité d’Anatomie chirurgicale. Bruxelles, 1838. 3) Scarpa A. — Sull aneurisma. Pavia, 1804. 4) FARABEUF. Precîs de manuel operatoire. Paris, 1895. 5) SaLvi G. — Le guaine comuni dei vasi (nota preventiva) Monit. Zool. Ital. A. III, 1896, fasc. I. 5) Bize L. — Les gaines vasculaires. Toulouse, 1896. 230 G. SALVI connettivo che forma l’invoglio, o da sdoppiamento delle aponevrosi in rapporto con le quali trovasi il fascio. Ammette inoltre che da questa vagina si dipartano verso l'interno dei sepimenti fibrosi (cloîsons) i quali insinuandosi fra l’un organo e l’altro verrebbero a costituire altrettante concamerazioni tubulari nelle quali gli organi stessi (vasi e nervi) decorrono, trovandosi in tal modo isolati l’uno dall’ altro. Afferma infatti di essere riuscito a trarre fuori i singoli organi dalle loro concamerazioni onde la vagina isolata, si presentava sotto la forma di un duplice o di triplice tubo a seconda dei casi, e ne dà una figura che è molto simile a quella che riporta anche FARABEUF. Circa all’ ufficio, ammette Bize che, trovandosi fra la parete delle singole concamerazioni e l'organo contenutovi, del tessuto connettivo assai lasso, questo, nel caso dell’arteria, rappresenti una sorta di sie- rosa rudimentaria destinata a favorirne i movimenti. Non spiega però perchè la stessa disposizione si abbia, come descrive, per le vene e per i nervi. Termina infine studiando la disposizione di queste vagine in una quantità di fasci vascolari e nerveo-vascolari. Tali ricerche, accettate più tardi completamente e riportate da CHARPY, comparvero nel momento nel quale io mi accingevo a con- cretare i risultati delle mie, e mi spinsero a ripetere e ad allargare le osservazioni, onde rendermi maggiormente sicuro della giustezza di esse. Bize studiò poco i fatti dal lato istologico, basandosi specialmente sopra osservazioni macroscopiche. Io ho invece conservato alle mie ricerche il primitivo carattere isto- logico e solo ho ripetuto le esperienze di Bize come controllo. Ho studiato la struttura delle vagine comuni dei vasi in quei fasci ove esse si presentano più tipiche e prendendo successivamente in ‘con- siderazione i seguenti quesiti: 1. Rapporti reciproci degli organi decorrenti nella vagina comune. 2. Natura, minuta struttura e disposizione dei tessuti che costitui- scono l’invoglio. 3. Decorso e distribuzione dei vasi e dei nervi. Di questi fatti poi ho studiate le modificazioni a seconda del vo- lume, della natura e della destinazione del fascio. RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 231 Materiale e metodo di studio. Le ricerche sono state eseguite esclusivamente sull’ Uomo, esami- nando i fasci più diversi per natura, grossezza e posizione e la tecnica usata è stata la seguente: Scelto il fascio, ne isolavo un tratto di due o tre centimetri avendo cura di lasciarvi aderente parte dei tessuti circonvicini; e, prima di re- secarlo lo legavo ad un pezzetto di legno per evitare qualsiasi retra- zione. Asportato il pezzo, veniva subito immerso nel liquido fissatore. Di questi pezzi sono state fatte sezioni trasverse e sezioni verticali, mettendone il più delle volte in serie la lunghezza di un centimetro. Per i preparati comuni ho praticata di solito colorazioni in massa, usando a preferenza la cocciniglia di Czocor. È questa una sostanza che dà dei risultati infinitamente superiori a quelli di tutti i carmini, e, se non è usata molto, ciò dipende io credo, dal fatto che è molto difficile ottenerla buona. Io la preparo secondo la formula di Czocor, ma ado- perando invece della cocciniglia polverizzata, che non si ottiene buona nemmeno dalle case migliori, quella intera della varietà bruna che pol- verizzo al momento di servirmene per fare la soluzione. In essa le sezioni si coloraon in pochi minuti. Altri pezzi ed altre sezioni sono stati trattati con le reazioni e le co- lorazioni caratteristiche dei singoli tessuti onde la natura e la disposi- zione ne venissero meglio rivelate. Per il tessuto elastico ho adoperato nel principio delle mie ricerche il metodo di ErxHEIMER lievemente modificato; più tardi quello di UNNA- TAENZER modificato da Livini. Buonissimi risultati mi ha dato pure quello di Burci, il quale è prezioso specialmente allorchè si vuole impiegar poco tempo nella colorazione. Per il tessuto adiposo ho usata la rea- zione dell’acido osmico e la colorazione col Sudan II di DADDI. Per i nervi e per le loro terminazioni il metodo di WEIGERT-VASSALE e quello di GoLeI. Peri vasi sanguigni ho dovuto fare una quantità di prove prima di poter giungere a risultati soddisfacenti. Le iniezioni di gelatina al car- minio ed al bleu di Prussia che adoperai da principio, dovetti ripeterle più volte prima di poter ottenere qualche preparato che rispondesse allo scopo. Esse infatti presentano l'inconveniente di distendere forte- mente i vasi principali del fascio onde la vagina ne viene compressa e 232 G. SALVI nei suoi piccoli vasi malagevolmente penetra l’iniezione. Ricorsi allora alle masse a glicerina ed a quelle ad albume d’ uovo (IoSEPE) e a gomma arabica (BseLussow), e furono queste che mi diedero migliori resultati. Ecco in che modo procedevo per queste iniezioni. Mettevo allo sco- perto il fascio, scegliendo di preferenza il radiale od il brachiale, ed al- lacciavo tutte le diramazioni che da esso vedevo dipartirsi. Ciò fatto introducevo il tubo all’estremo prossimale e spingevo la massa. Eseguita l’iniezione, comprendevo un segmento di fascio lungo al- cuni centimetri fra due legature ed asportatolo l’immergevo nel liquido destinato a coagulare la massa (acqua, acqua acidula, alcool secondo i casi) aprendo subito dopo il fascio ad uno dei capi affinchè ne uscisse la massa che riempiva i vasi principali e questi non rimanessero sover- chiamente distesi. Altre volte e specialmente allorchè volevo ottenere preparati per di- stensione della vagina mi contentavo di mettere in evidenza i vasi co- lorando con l’eosina e con l’ematossilina di WEIGERT il sangue in essi rimasto. Ricerche. Osservando i molteplici fasci vascolari di cui ci offre esempio il corpo umano, risalta subito allo sguardo una differenza essenziale nella loro costituzione. Lo sviluppo della vagina non è in ragione diretta della grossezza degli organi in essa contenuti, anzi noi possiamo dire che l’uno è ge- nera]mente in ragione inversa dall’altra. Infatti i piccoli fasci che decorrono nella spessezza dei visceri o dei muscoli, sono attorniati da grande quantità di connettivo; nei fasci in- termuscolari quali ad esempio il radiale o il tibiale posteriore, l’invo- glio è ancora assai abbondante tanto che esso ricopre completamente gli organi in esso contenuti. Andando invece verso i fasci maggiori noi troviamo, ad esempio, la vagina già assai ridotta, in ragione del volume dei vasi, nel fascio bra- chiale, e molto di più in quello del collo ed in quello dei vasi iliaci primitivi. Qui l’invoglio è tanto scarso che gli organi sporgono all’esterno e si possono ben delimitare l’uno dall’altro, ee SII e lei en > eee ini n RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 233 A tale regola però esistono alcune eccezioni e la principale ci viene offerta dal fascio femorale. Di queste non si occupa il presente lavoro. Considerato grossolanamente l’invoglio comune si presenta come una continuazione del tessuto connettivo degli organi nei quali i vasi decor- rono o delle fascie ed aponeurosi che su di essi o fra di essi decorrono. La prima questione che si presenta perciò, è relativa ai rapporti che l’invoglio assume con i vasi in esso contenuti: se esso si presenti ovunque omogeneo, o se offra particolarità di struttura tali che possano farlo considerare come un organo a funzione più importante di quella che viene ad esso comunemente attribuita. Incomincio la descrizione da quei fasci che sono costituiti dai vasi degli arti. Essi infatti ci presentano il tipico aggruppamento di una arteria con le sue due vene satelliti, hanno un abbondante invoglio e sono co- stituiti da vasi di calibro medio. Inoltre ci presentano esempi tanto di fasci sotto-aponeurotici che di fasci inter-muscolari e per tali caratteri si prestano assai bene a stabi- lire fatti generali. Da essi passeremo poi a quelli maggiori ed a quelli minori, onde studiare le eventuali differenze che possano riscontrarvisi. Come esempio di fasci sotto-aponeurotici prendo il fascio radiale nella sua porzione distale, come esempio di fasci intermuscolari prendo il fascio cubitale nella sua porzione prossimale. Struttura di un fascio vascolare di medio calibro. Il fascio radiale, esaminato su sezioni trasverse ci presenta le seguenti particolarità: La parte mediana è occupata dai tre vasi: in mezzo l’arteria, ai lati le due vene satelliti, disposti in modo che il centro di essi viene a corrispondere press’ a poco sul. medesimo asse. La sezione dell’arteria apparisce rotondeggiante, quella delle vene invece costantemente schiac- ciata in modo che il diametro maggiore risulta perpendicolare all’ asse suddetto. All’ intorno dei vasi è un abbondante invoglio di connettivo il quale a sua volta è limitato perifericamente da uno strato fibroso. Esaminando questo ,strato si vede come esso sia una dipendenza dell’aponeurosi antibrachiale. Però i due foglietti dello sdoppiamento non si congiungono nettamente ai lati, ma vengono riuniti da una serie di fasci fibrosi che passano irregolarmente dall’ uno all’ altro e fra i quali è interposto tessuto connettivo lasso e adipe. Questo strato fibroso forma perciò un canale completo entro il quale decorre il fascio, nè mai ho 234 G. SALVI osservato che dalla sua superficie interna si dipartissero sepimenti che andassero a situarsi fra un vaso e l’altro. La superficie stessa anzi finchè è in rapporto coi vasi è nettissima ed esattamente delimitata. In tal modo non posso affatto confermare l’affermazione di Bize di CHARPY e di altri, che l’invoglio fibroso formi altrettanti canali quanti sono gli organi che compongono il fascio. Nel fascio cubitale lo strato fibroso limitante è assai meno evidente. Esso è costituito da uno ispessimento irregolare, qua e là interrotto, ed assai incompleto, onde fin da ora possiamo dire che questo strato che io chiamo vagina fibrosa, non si presenta sempre uguale. In alcuni fasci è fortemente sviluppato, in altri meno, in alcuni forma un invoglio com- pleto, in altri è assai irregolare. È costituito di solito da fasci fibrosi paralleli, ricchi di grosse fibre elastiche e diretti nel senso della cir- conferenza. i Talvolta si trovano divisi in due o più piani fra i quali è interposto tessuto adiposo o tessuto lasso. Non presenta nè vasi nè nervi. Ho stu- diato questo strato fibroso in altri fasci e mi sono convinto che esso esiste solo là dove il fascio vascolare trovasi direttamente in rapporto con qualche aponeurosi. Negli altri casi gli elementi che costituiscono la vagina comune non hanno per limite che i margini stessi dello spazio nel quale il fascio decorre. Allo strato sopra descritto ne succede un altro il quale presenta le seguenti caratteristiche. È costituito da tessuto connettivo lasso, lamellare, nel quale si può anche trovare qua e là dell’ adipe e scarse fibre elastiche. Questo strato in taluni fasci ed in taluni individui si trova discre- tamente abbondante, in altri è molto scarso. La sua straordinaria las- sezza fa sì che esso si distacchi con la massima facilità dallo strato fibroso. Quando questo non esiste, esso è generalmente più sviluppato. Vi ho notato talvolta delle fessure che non ho potuto interpetrare come pro- dotte dalla preparazione, perchè presentavano le traccie di un rivesti- mento endoteliale. i Io trovo questo strato per la sua struttura molto simile a quello che una quantità di anatomici hanno descritto attorno ai vasi isolatamente e considerato come una sierosa rudimentale; e trovo quindi che può ri- cevere giustamente il nome di strato sieroso. A differenza però degli autori che io conosco essersi occupati di tale argomento, sostengo che RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 235 questo strato non è proprio a ciascun vaso, non serve a facilitare lo scorrimento di ciascun vaso nella sua vagina, ma è comune invece a tutti i vasi contenuti nella vagina comune. Ne viene di conseguenza che, mentre secondo FARABEUF, Bize e CHARPY i vasi sono indipendenti l’uno dall’altro, secondo le mie ricerche essi sono strettamente uniti e si muovono insieme nell’ unico canale che li accoglie. i A questa seconda porzione della vagina ne sussegue una terza la quale si dimostra per struttura assai differente. Prima di giungere alle avventizie dei tre vasi noi incontriamo una zona di tessuto la quale per la sua struttura non può essere affatto con- fusa nemmeno con queste. Nei preparati comuni questa zona è caratterizzata da una densità maggiore del tessuto, i fasci del quale appariscono disposti concentrica- mente e da una grande ricchezza di piccoli vasi i quali appariscono per la maggior parte sezionati trasversalmente. Questi vasellini formano una specie di zona ininterrotta la quale circonda completamente il fascio vascolare apparendo però assai più fitti in corrispondenza dell’arteria, e non sono affatto a confondersi coi vasa vasorum dell’avventizia i quali appariscono al loro posto. Trattando poi i preparati con le reazioni specifiche del tessuto elastico, noi vediamo che in questa zona il tessuto stesso assume una disposizione ben diffe- rente da quella che si trova negli altri strati della vagina comune già descritta e nelle avventizie. Sono grosse fibre elastiche poco ondulate e disposte nel senso della periferia dei vasi. Esse occupano uno spazio relativamente ristretto e si trovano prevalentemente al lato esterno dello strato vasale più sopra descritto, in modo da isolarlo completamente dallo strato sieroso. Di tratto in tratto poi si riscontrano grosse fibre elastiche molto av- volte su se stesse. Appartengono alla vagina comune perchè si estendono tutto all’intorno dei tre vasi. Ma quello che colpisce maggiormente nell’esame di sezioni trasverse dei fasci di cui ci occupiamo è la disposizione del tessuto adiposo. Questo tessuto trovasi raggruppato sotto forma di 4 ammassi ben ‘distinti e ben netti in corrispondenza di quegli angoli che sono limitati dalle superfici curve dei vasi contigui. Gli ammassi hanno forma triangolare coni lati ben netti e si spin- 236 ) G. SALVI gono a guisa di cuneo fra un vaso e l’altro. Raramente arrivano a con- giungersi quelli dei due lati, ma ciò può avvenire ed allora fra le av- ventizie dei due vasi contigui trovasi interposto uno straterello continuo di adipe. Questo prolungarsi degli ammassi, può inoltre verificarsi anche all’esterno, lungo cioè la periferia dei vasi in modo che questi vengano completamente abbracciati da un cerchio di tessuto adiposo. Ho notato che ciò avviene più di frequente da parte delle vene che da parte del- l’arteria. Questa disposizione del tessuto adiposo è un’altra prova della dif- ferenziazione dello strato del quale adesso ci occupiamo, tanto da parte di quelli che abbiamo descritti quanto da quella delle avventizie dei vasi. Infatti lo strato di adipe trovasi sempre all’interno di quello ela- stico più sopra descritto e comprende entro di sè la corona di vasellini di cui abbiamo già parlato. Gli ammassi adiposi sono molto costanti. Nei fasci che ho presi come tipici, li ho trovati anche in individui ridotti al massimo grado di emaciazione, ciò che li farebbe ascrivere alla categoria dei così detti organi adiposi di Tonpr 1). La minuta struttura di essi è la seguente. Risultano di grosse cel- lule adipose tenute insieme da tramezzi connettivali assai robusti e ric- chissimi di fibre elastiche. In taluni fasci e specialmente nei maggiori l’adipe scarseggia o anche può mancare del tutto, ma gli ammassi triangolari rimangono, e sono costituiti allora da tessuto elastico sotto forma di grossi fasci incrocian- tisi a larghe maglie. Nel mezzo degli ammassi poi trovansi piccoli vasi arteriosi e venosi e piccoli cordoni nervosi i quali appariscono sezionati trasversalmente ed i piccoli vasi formano tutta una serie continua con quelli che abbiamo descritti nelle altre parti dello strato profondo della vagina onde i tre vasi principali vengono ad essere abbracciati da una corona ininterrotta di vasellini. Per questo fatto lo strato merita il nome di vascolare. Una particolarità poi degna di attenzione è quella che ci viene offerta dalla speciale disposizione del tessuto elastico in prossimità di questi ammassi adiposi. Nella nota già rammentata ebbi a descrivere in un fascio vascolare di Camelus dromedarius quattro gruppi di fibre elastiche straordinaria- 1) Romiti G, — Trattato di Anatomia dell’uomo. Ed. Vallardi vol. I, p. 75. © RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 237 mente densi ed isolati situati in corrispondenza del lato esterno degli am- massi adiposi. Questi aggruppamenti erano inoltre costituiti da fibre eccezionalmente grosse ed avvolte su se stesse a larghe volute. Nell'uomo, almeno nei fasci presi in esame, non ho riscontrato ciò che in grado assai minore, ma. certo si è che anche qui, in corrispon- denza del lato esterno degli ammassi adiposi il tessuto elastico trovasi assai più addensato che altrove. L’ultima parte dell’invoglio che ci rimane a considerare è rappre- sentato dalla sua porzione più profonda, da quella cioè che si intromette fra vaso e vaso. Parlando degli ammassi di adipe, abbiamo già detto come questi possano prolungarsi nell'intervallo fra un vaso e l’altro fino a toccarsi ed a congiungersi, ed in tal modo abbiamo già considerato uno degli aspetti che può prendere qui il tessuto dell’invoglio. Ma anche nei fasci nei quali il fatto sopra accennato non avviene, noi vediamo che le avventizie dei due vasi contigui le quali a tutta prima sembrerebbero toccarsi e confondersi, sono invece nettamente separate l’una dall’ altra per uno strato di tessuto che presenta una differente struttura. Trattando i preparati con le colorazioni caratteristiche del tessuto elastico si nota lungo la linea suddetta una zona nella quale le fibre ela- stiche assumono una disposizione ben differente da quella che ci presentano ‘ le avventizie dei vasi. Qui le fibre elastiche formano reti a larghe maglie allungate nel senso dell’asse onde nella sezione trasversa esse appari- scono per la massima parte tagliate di testata. Là invece le fibre stesse assumono una disposizione del tutto inversa; sono cioè dirette preva- lentemente nel senso della circonferenza. Ma anche nelle sezioni colorite con le comuni sostanze coloranti la distinzione apparisce del pari evidente. Qui le modificazioni del tessuto non appariscono che poco, ma la linea di demarcazione viene rivelata e posta in evidenza da una serie di piccoli vasi sezionati trasversalmente e messi in fila. Seguendo poi la serie dei vasellini la si vede far capo a quei vasi un po’ più grossi che abbiamo descritti nel mezzo degli am- massi adiposi e, quando questi si prolungano fra vaso e vaso, la piccola catena vascolare viene a trovarsi immersa in uno strato di adipe. In tal modo il terzo strato della vagina comune non solo circonda i tre vasi in uno strato continuo ma si intromette anche fra l’uno e l’altro separandole. 238 i G. SALVI Differenze che può presentare la struttura della vagina comune. I fasci maggiori come abbiamo già detto, presentano una vagina comune meno sviluppata. Difetta o manca totalmente l’ adipe, si ha grande pre- valenza del tessuto elastico. Esso forma degli ammassi o cuscinetti al posto degli ammassi adiposi che abbiamo sopra descritti. i Lo strato fibroso periferico esiste in specie quando il fascio trovasi direttamerîte in rapporto con aponeurosi. Nei fasci minori intramuscolari e intraviscerali, la vagina si continua col connettivo che riempie lo spazio senza che sia possibile scorgervi uno strato più ispessito limitante. Gli ammassi adiposi si conservano assai bene nei piccoli fasci intra-muscolari ma poi spariscono ed al loro posto non si vede che una maggiore abbondanza di fibre elastiche. Lo strato vascolare si perde col diminuire di calibro del fascio. Da quanto più sopra abbiamo dettagliatamente esposto risulta adun- que che la vagina comune dei vasi consta di tre strati ben distinti. — 1.° Uno strato fibroso periferico il quale è dipendenza delle aponeu- rosi e che può essere più o meno completo o anche mancare del tutto. Im esso non sono che scarsissimi i vasi ed i nervi. 2.° Uno strato di connettivo lasso il quale per la sua funzione può , venir chiamato assai giustamente strato sieroso. Esso è scarso nei fasci provvisti di strato fibroso, abbondante in quelli che non ne hanno, ed in questo caso giunge fino alla parete dello spazio nel quale il fascio decorre. È anch’esso povero di vasi. 3.° Uno strato vascolare costituito da uno stroma ricco di fibre ela- stiche a decorso circolare nel quale scorrono molti vasi a decorso longi- tudinale. Questo strato circonda tutto il fascio, ma si intromette anche fra un vaso e l’altro. " In corrispondenza degli interstizi sì trovano ammassi di adipe i quali appartengono evidentemente a questo strato della vagina comune perchè si possono trovare più o meno estesi sempre nei confini dello Strato stesso. Colpito dalla peculiare disposizione degli elementi di questo ultimo strato, volli completarne lo studio ricercando in qual modo decorressero RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 239 in esso i vasi e i nervi che vi si osservano nelle sezioni, e qual con- nessioni esistessero fra di essi. Sono giunto a ciò moltiplicando le sezioni in serie, sia trasversali che longitudinali, ed ottenendo con molta pazienza dei preparati di vagina vascolare distesa in superficie. Questi preparati li ho ottenuti più specialmente nel fascio brachiale e nel fascio radiale ed ecco in che modo procedevo. Asportavo del fascio prescelto un segmento di qualche centimetro di lunghezza e lo fissavo con spille sopra una tavoletta di cera: e quindi con le pinzette e col bistouri sollevavo e tagliavo lo strato fibroso. Ciò fatto afferravo lo strato di tessuto rimasto aderente ai vasi e sollevavo anche questo. Se il pezzo era iniettato, mi servivano di guida i vasi che con l’aiuto della lente vi vedevo decorrere. Naturalmente insieme alla va- gina, veniva asportata porzione dell’avventizia dei vasi, ma più tardi, osservando il preparato al microscopio potevo facilmente differenziare le due parti. Con lo stesso procedimento, ma con maggiori difficoltà sono riuscito anche ad isolare porzioni di quel tratto di vagina vascolare che si in- sinua fra l’un vaso e l’altro. Altre osservazioni ho potute fare in sezioni longitudinali del fascio cadute appunto in corrispondenza della vagina vascolare. Il primo fatto che potei mettere in tal modo in evidenza fu che quei vasellini che nelle sezioni trasverse della vagina vascolare apparivano come una serie continua abbracciante a guisa di corona il fascio ed insinuantesi fra un vaso e l’altro di esso, costituivano nella spessezza della vagina stessa una fitta rete vascolare a maglie assai allungate nel senso dell’asse. Ciò apparisce chiaro nei preparati in superficie e spiega perchè nelle sezioni trasverse del fascio quei vasellini appariscono ta- gliati trasversalmente. Ho potuto anche accertarmi che i vasellini sono più fitti fra un vaso e l’altro, un po’ meno lungo la periferia dell’arteria, meno ancora da parte delle vene. Ma quello che è più interessante è il modo onde si comportano i vasi che decorrono nel mezzo degli ammassi di adipe o del tessuto che li sostituisce. Ho già detto come questi vasi sieno di calibro più grosso che quelli i quali costituiscono la corona dello strato vascolare e come questi ul- timi facciano capo ad essa. 240 ù. SALVI Essi trovansi al centro di una specie di trivio dal quale si dipar- tono i rami che vanno ad abbracciare rispettivamente l'arteria e la vena e quello che si insinua fra l’uno e l’altro, e decorrono verticalmente. Nei preparati in superficie sopra descritti mi sono potuto convin- cere che i vasi costituenti la rete dello strato vascolare tolgono appunto partenza da questi ultimi. Ciò avviene in modo seriale e continuo e per mezzo di rami a decorso obliquo in alto od in basso. Accertato ciò, volli ricercare come si originassero e come terminas- sero quei vasi più grossi a decorso verticale, e dopo una’ quantità di tentativi ho avuto la fortuna di potermi assicurare che essi prendono origine da vasi collaterali che emanano dal fascio nel modo seguente: Ho potuto vedere da una di queste diramazioni della arteria origi- narsi il vasellino in discorso il quale va a terminare anastomizzandosi con uno analogo della diramazione successiva. Con delle iniezioni fini e ben riuscite questi fatti si possono dimostrare anche macroscopica- mente, con l’aiuto della semplice lente. In tal modo nel tipico fascio vascolare preso in esame noi abbiamo quattro catene anastomotiche longitudinali “situate negli interstizi fra un vaso e l’altro e dalle quali origina la rete vasale che circola nell’ultimo strato della vagina. Da queste reti poi traggono origine evidentemente i vasa vasorum che penetrano nelle avventizie. Nervi della vagina vascolare. — In sezioni trasverse trattate coi co- muni metodi di colorazione, nel centro degli ammassi adiposi vedonsi dei piccoli cordoncini nervosi sezionati trasversalmente. Nelle altre parti della vagina il fatto è più difficile a verificarsi: pure non è raro vedere qualche esilissimo cordoncino tagliato pure trasversalmente. Si osser- vano meglio queste particolarità ove si coloriscano le sezioni col metodo di WEIGERT. Ho trattato col .metodo di GoLei fasci vascolari completi che ho quindi tagliati trasversalmente e vagine isolate che ho preparate quindi in superficie, ed ho osservato i fatti seguenti. Parallellamente alla rete vasale, decorre nella vagina vascolare anche una rete nervosa costituita da un plesso di esili fascetti. La rete ha le maglie allungate nel senso dell’asse del fascio, ed è assai fitta. Essa origina dai cordoncini più grossi i quali decorrono vertical- mente nella spessezza degli ammassi adiposi per mezzo di rami colla- terali che si distaccano ad angolo assai acuto e da essa si dipartono i RICERCHE ISTOLOGICHE SOPRA LE VAGINE COMUNI DEI VASI 241 piccoli filamenti nervosi che penetrano nell’avventizia dei vasi distribuen- dovisi a formare il plesso fondamentale di RANVIER. Non mi è mai avvenuto di trovare in questi fasci che ho presi in esame i corpuscoli di Pacini che in relazione con le vagine vasali sono stati de- scritti da KrAuSE, PRZEWOSKY, ARNDT, THOMA, RATTONE, HARTENSTEIN !) ecc. quindi non posso dire altro sul conto di essi, se non che mi sembrano per lo meno estremamente rari. Considerazioni generali e conclusioni. Da queste ricerche risulta anzitutto che le vagine comuni dei vasi sono organi ai quali per la peculiare struttura che presentano, deve certamente spettare una funzione ben definita. La posizione reciproca di vasi di diversa natura rinchiusi spesso in un astuccio non dilatabile, la particolare disposizione del tessuto adiposo e del tessuto elastico, fanno pensare alla possibilità che si verifichi anche qui quell’influenza reciproca fra la circolazione arteriosa e quella venosa che, secondo le ricerche del Treri ?) si esplicherebbe in taluni organi come funzione regolatrice. Resulta poi in modo sicuro che non esistono canali fibrosi speciali ai singoli vasi e nei quali questi si muovano indipendentemente gli uni -dagli altri, ma che l’astuccio fibroso è uno solo per tutti. Questa vagina fibrosa non esiste sempre ed è prodotta da sdoppia- menti aponevrotici; talvolta è rappresentata da un lieve ispessimento periferico, non continuo, della vagina comune; quando manca, ne fanno veci le pareti dello spazio nel quale il fascio decorre. Essa non pre- senta vasi, come hanno sostenuto molti autori (Bize, CHARPY). Alla vagina fibrosa sussegue uno strato di connettivo lasso povero di fibre elastiche il quale funge da sierosa rudimentale e che merita quindi il nome di vagina sierosa. È più o meno sviluppata non entra affatto fra un vaso e l’altro, non è comune a tutti i vasi del fascio. Anch’essa non presenta vasi che siano degni di nota. Finalmente si pre- senta uno strato più profondo il quale è ricco di vasi e merita quindi il nome di vagina vascolare. 1) HARTENSTEIN F. — Die fopographische verbreitung der Vater’schen Kor- perchen beim Menschen. Dorpat, 1889. 2) Tiri A. — Intorno all’apparecchio anatomico del meccanismo compensa- tore del circolo sanguigno. (Gazz. med. feder. Tosc. vol. II, 1852. 2492 G. SALVI Essa è assai complicata di struttura. Consta di uno stroma connet- tivale a fasci concentrici e ricco di fibre elastiche le quali hanno la stessa direzione e si addensano specialmente nella porzione più perife- rica a guisa di una sorta di strato limitante. Può presentare in mag- giore o minore quantità dell’adipe, il quale si accumula specialmente negli angoli che sono fra i vasi contigui sotto forma di guancialetti adiposi ed elastici assai caratteristici e si spinge anche fra un vaso e l’altro. Questa vagina vascolare oltrechè di vasi è ricca anche di nervi. I vasi hanno la disposizione seguente: Negli angoli fra un vaso principale e l’altro si trovano piccoli vasi arte- riosi e venosi a decorso longitudinale, i quali si originano dalle diramazioni collaterali del fascio e stabiliscono fra di essi una catena anastomotica. Da questi vasellini si originano altri più piccoli i quali vanno a di- ramarsi nella vagina vascolare anastomizzandosi sotto forma di una rete a maglie assai allungate nel senso dell’asse del fascio. Da questa rete sl originano i vasa vasorum dei singoli vasi principali. I nervi seguono i vasi. I cordoni principali più grossi accompagnano i vasi a decorso longitudinale negli angoli dei quali è fatta sopra men- zione. Da essi, originansi diramazioni collaterali più esili le quali vanno a formare un fitto plesso entro la vagina vascolare. Da questo plesso originano i rami che penetrano nelle avventizie. GIOVANNI D’'ACHIARDI LIBERO DOCENTE DI MINERALOGIA NELL'UNIVERSITÀ DI PISA MINERALI DEL SARRABUS (SARDEGNA ) 1. Pirargirite e Proustite. — 2. Baritina. — 8. Armotoma Nello scorso mese di aprile l'ingegnere G. B. TRAVERSO, l’indefesso raccoglitore e illustratore di minerali sardi, inviava a questo Museo di Mineralogia, parte in dono e parte per istudio, molti e belli esemplari di specie mineralogiche diverse provenienti da varie località del Sar- rabus (Sardegna). Per alcune di queste specie, poco note o solo somma- riamente descritte, ho creduto non del tutto inutile l’ifitraprenderne lo studio, e per quattro di esse ‘comunico oggi alla nostra Società i resultati ottenuti accompagnandoli con alcune figure delle forme cristalline più tipiche per ogni singola specie. Pirargirite e proustite. La pirargirite fu menzionata dal prof. BomBicci nel 1877 in una nota, nella quale dava alcune notizie Suè minerali delle miniere del Sarrabus (1), che gli erano stati inviati in dono dallo stesso ingegnere TravERSO. Dice che trovasi in lamelle e grani frammista alla galena e in cristalli rudimentali, ma senza forme nitidamente costituite, entro,la matrice litoidea dei filoni argentiferi di Monte Narba. Aggiunge però che una geode con nitidi cristallini ne fu spedita all’esposizione di Vienna nel 1873, e che in un esemplare del Museo civico di Genova (N.° 1704) ne ha pure osservato un piccolo cristallo, che giudica costituito dalle fac- cette e, et (j211}, {110}) e di cui dà la figura (vedi tav. II, fig. 37); non è però data alcuna misura di angoli. i 1) Contribuzioni di Mineralogia ital. Mem. R. Ace. Sc. Bologna. S.*III, vol. VIII. Sc. Nat., Vol. XVII 18 244 G. D’ACHIARDI Il dottor EmANUELE ZoccHeEDDU *) non cita alcuna varietà di argento rosso fra i minerali sardi, mentre l'ingegnere G. B. TrAvERSO ?) e suo fratello STEFANO *) citano nelle loro memorie la pirargirite di diverse località del Sarrabus. G. B. TRAVERSO nella sua ultima la ricorda di Monte Narba, Giovanni Bonu, Masaloni ecc. Cita le specie con cui è associata, fra le quali l’argirose, la stefanite, la galena, la ‘calcite, nelle cui geodi per il solito si annidano i migliori cristalli, come si può ve- dere dai numerosi campioni del Museo civico di Genova da lui raccolti (citati col numero di catalogo). Esso pure non dà misure angolari della pirargirite, ma fa notare come si presenti in eleganti gruppetti di sca- lenoedri trasparenti, brillanti se nelle geodi della calcite, mentre nelle cavità in mezzo alla galena e alla blenda suole presentare abito pri- smatico-esagonale bipiramidato e un colore grigio cupo con riflessi rosso- rubino. I primi proverrebbero dalle miniere di Baccu Arrodas, Monte Narba e Giovanni Bonu, i secondi di Masaloni. La pirargirite può presen- tarsi pure in piccole venule o massarelle che attraversano le matrici dei filoni, non che in sottili laminette e rivestimenti dendritici nei piani di divisione delle matrici stesse. Fio. 1. I cristalli mandati dall’ingegnere G. B. TRAVERSO a questo Museo provengono, quelli impiantati sulla roccia da Giovanni Bonu e Baccu Arrodas, di dove credo che sieno pure quelli isolati di argento rosso di abito prevalentemente scalenoedrico e di colore rosso assai vivo; mentre proviene probabilmente da Masaloni un gruppetto di cristalli di colore grigio scuro e di abito cristallino diverso e conforme alla descrizione data dal Traverso della pirargirite di questa miniera. Questi cristalli di colore grigio-scuro metallico lucente mostrano la presenza delle facce del prisma {101} sempre associate a quelle prevalenti dello 3 scalenoedro {201}, come ci rivelano i valori di circa 35° e 74°, ottenuti per gli spigoli culminanti con semplici riflessi a un goniometro Wot- | 1) Sulle principali specie mineralogiche sarde. Cagliari, 1877. ?) Giacimenti a minerali di argento del Sarrabus e di alcune specie di mi- nerali provenienti ecc. Ann. Museo civico di St. Nat. di Genova, vol. XVI, feb- braio 1881. — Sarrabus'e suoi minerali. Alba, 1898. 3) Note sulla geologia e sui giac. argent. del Sarrabus. Torino, 1890. MINERALI DEL SARRABUS (SARDEGNA) 245 raston. Alla sommità appaiono altre faccette indeterminabili per esatte misure, verosimilmente di {310} (Fig. 1). Le facce, meno quelle prismatiche, sono profondamente striate, onde impossibile affatto esatte misure per ri- flessione del segnale. Gli altri cristalletti con abito prevalentemente se non esclusivamente scalenoedrico, a colore rosso-vermiglio, polvere rosso- aurora, fanno subito pensare che sieno piuttosto di proustite che di pi- rargirite come i primi. G. B. Traverso dice che le molteplici indagini fatte in svariati esem- plari del Sarrabus, sia cristallini che compatti, non rivelarono mai la presenza dell’ arsenico, dando invece sempre marcatissima la reazione dell’antimonio, però nota anche come il trovarsi spesso l’argento rosso in compagnia di minerali arsenicali fa sospettare l’esistenza di un vero solfuro arsenicale di argento (proustite) o per lo meno di una miscela dei due solfuri multipli, come succede in altri giacimenti. E il presentimento del TRAVERSO si è avverato, poichè i cristalletti a color rosso vivo e ad abito scalenoedrico non sono di pirargirite, ma di proustite. I saggi al cannello sul carbone mi avevano lasciato nell’incertezza, poichè l’odore caratteristico d'aglio dei minerali arsenicali non si riu- Sciva quasi a distinguere, forse a cagione dei vapori solforosi che con- temporaneamente si svolgono; ma l’analisi per via umida non lascia alcun dubbio. Nella soluzione cloridrica del minerale, separato il cloruro di argento che si forma, l’idrogeno solforato dà un precipitato assai ab- bondante di color giallastro, costituito quasi essenzialmente di solfuro di arsenico come dimostrano la sua solubilità in acido nitrico e il pre- cipitato rosso-mattone, solubile in acqua ammoniacale, di arseniato d’ar- gento, che si forma trattando la soluzione nitrica del solfuro con nitrato di argento. Di antimonio nei pochi saggi da me fatti nessuna traccia o appena visibile. Quindi fra le specie di argento rosso del Sarrabus va annoverata, oltre la pirargirite, anche la proustite; anzi mentre per la prima non mi è riescito prendere alcuna misura per la seconda potei ottenerne diverse che più sotto riporto. Predomina nei cristalli di proustite del Sarrabus lo scalenoedro {201}, le cui facce sono striate parallelamente agli spigoli di combinazione fra le superiori e le inferiori (Fig. 2), onde difficili anche qui le misure, e talora solo possibili per i riflessi a lente abbassata dell’ oculare: 246 G. D’ACHIARDI Angoli misurati dati da MiERs !) (201) : (210) 35° 58°—36° 18" 35018 CODE (020) 70M Sono valori soltanto approssimativi, ma pur tali da non lasciar dub- bio sulla presenza di questo scalenoedro, che è il più comune, abituale della proustite. Ad esso si associano quasi sempre le facce più lucenti, spesso lineari, di {111} (Fig. 2 e 3) e in altri cristalli anche di {110} (Fig. 3) striate paral- lelamente allo spigolo di combinazione (110) : (111), e benchè più di rado e meno evidenti, anche di {100}, che sono però più lucide delle altre ?). Le misure prese dettero: Angoli misurati i calcolati (MIERS) (201): (111) . 36081’—37°39" 37°19' 30” (110) : (011) 42° 3'—42028" 42° 46" (110) : (111) 36° 46—36° 47 36°4730” (110) : (100) 36° circa — 8606". 1) Contributions to the Study of Pyrargyrite and Proustite. Min. Mag. a. Journ. of the Min. Soc. Vol. VIII, N.37. London, 1888. ?) Nella fig. 3 deve leggersi 201 e non 201. MINERALI DEL SARRABUS (SARDEGNA) 247 Tali le forme di questi pochi e bei cristallini di proustite. Le mi- sure prese, se per le condizioni delle facce non sono di grande esat- tezza, sono certo più che sufficienti a stabilire l’ abito loro nella pre- senza di forme già note. Baritina. Il BomBiccr nella memoria già citata ricorda la baritina di Baccu Arrodas (comune di Murevera) a struttura saccaroide, lamellare, scagliosa, talora con grosse lamine cristalline, nelle quali è affatto irregolare e con- fuso l’adunamento della massa, ma che alla superfice si associano in sistemi lenticolari. S. TRrAaveRSO (mem. cit.) osserva come la baritina nel Sarrabus dif- ficilmente si presenti in cristalli e come se ne trovassero dei piccolis- simi, ma molto nitidi a Baccu Arrodas e a Tuviois. G. B. TRAVERSO ricorda i nitidi cristalli tabulari nelle geodi a Giovanni Bonu sovra cri- stalli di calcite e dice che a Baccu Arrodas, S'Arcilloni, Tacconis e Tu- viois i cristalli mostrano il prisma primitivo e sono fra loro elegante- mente aggruppati, jalini, incolori a Baccu Arrodas, colorati in giallognolo o giallo-verdastro a S’Arcilloni e Tuviois. Di altre regioni sarde è citata la baritina in magnifici cristalli di Montevecchio, che furono descritti ed effigiati da G. B. NeeRI ‘), il quale vi rinvenne 24 forme in numerose combinazioni. Di Nebida in piccoli cristalli tabulari secondo {001} fu stu- diata dal Riva ); della miniera di Malfidano presso Buggerru sono ci- tati i cristalli laminari semplicissimi da F. MILLOSEVICH #). Sui campioni cristallini limpidi trasparenti di Tuviois, inviatimi per istudio da G. B. TravERSO, io potei prendere diverse misure angolari, che mi servirono alla determinazione delle forme presenti in tutti o quasi tutti i cristalli: {111}, {110}, {101}, {010}, {001}. Le misure angolari non sempre riescono esatte per le striature e 1) Sopra le forme cristalline della baritina di Montevecchio (Sardegna) e di Millesimo (Liguria). Riv. di Min. e Crist. ital. Vol. XII. Padova 1892. ?) Sopra alcuni minerali di Nebida. Rend. Ace. Linec., Vol. XI, 1° sem., serie 5, fasc. 12. Roma 20 giugno 1897. 3) Zolfo ed altri minerali della miniera di Malfidano presso Buggerru (Sardegna). Idem. Vol. VII, 2° sem., ser. 5%, fase. 9. Roma 6 nov. 1898. 248 G. D’ACHIARDI ondulazioni delle facce, onde alcune sono solo approssimative, però tali © sempre da non lasciare alcun dubbio sulla determinazione delle forme: Angoli misurati calcolati (NEGRI) (010) : (110) 50° 32'—50° 55/ 50° 51’ (010) : (001) 89° 31’—90° 32’ 90° 00° (110) : (111) 25° 5" — 26° 30' 25° 42” (111) : (001) 63° 46/—64° 00° 64° 18 (101) : (101) 62° 50'—63° 14 63° 38 (101) : (001) 57° 46/—59° 18 58° 11’ L’abito dei cristalli è in generale tabulare per grande sviluppo delle facce basali (Fig. 4), sulle quali appaiono esilissime strie parallele agli spigoli di combinazione col Fia. 4. prisma. | In alcuni cristalli appaiono altre faccettine esilissime mal de- terminabili per esatte misure: per la posizione loro potrebbero appar- tenere alle forme {011}, {102}, {121} o altre di tipo corrispondente. Talora si hanno unioni parallele di due cristalli per la faccia basale, onde appaiono angoli rientranti tra le facce {101} dei due individui. Armotoma. Fra gli esemplari avuti per istudio dall'ingegnere G. B. TRAVERSO ve ne hanno parecchi provenienti da Giovanni Bonu, nei quali insieme a fluorina cubica bianco-verdastra, calcite laminare, baritina ecc., appaiono come degli stratarelli, incrostazioni costituite da minuti cristallini di ar- motoma, che rispetto agli altri minerali sui quali si trovano sembrereb- bero di più recente formazione. " G. B. TRAvERSO nelle due memorie sopra citate è il primo per quanto io mi sappia a ricordare l’armotoma del Sarrabus, che dice fu ritrovato soltanto nelle miniere di Baccu Arrodas e di Giovanni Bonu. Ne de- scrive i cristalli ora jalini con splendore adamantino, ora bianchiccio- lattiginosi, più raramente di colore oscuro. Ne ricorda le facce 5 !/, {111}, m}110} e p{001} in cristalli che dice presentare la geminazione sem- plice simulando forma unica e più comunemente la doppia per compe- MINERALI DEL SARRABUS (SARDEGNA) 249 netrazione di due macle semplici come nell’ armotoma di Andreasberg. Non sono date però misure angolari, sebbene gli angoli possano misu- rarsi con sufficiente approssimazione, malgrado la piccolezza dei cristalli, dai 2 ai 3 mm, e la striatura delle facce già notata dal TRAVERSO. Nè misura alcuna e conseguente determinazione di forme dà il Lo- visaTo, il quale accenna all’armotoma, trovato nei filoni argentiferi del Sarrabus dall’ingegnere G. B. TraveRSO, in una comunicazione fatta all'Accademia dei Lincei !). Fu per questo che io credei opportuno a più sicura determinazione prendere le misure che mi furon possibili nei cri- stalli inviatimi, che corrispondono alla descrizione data dal TRAVERSO. Non potrei asserire se alcuni, in ogni modo rarissimi cristalli, ab- biano costituzione di semplici gemelli; quelli da me esaminati presen- tano tutti costituzione multipla per la compenetrazione abituale dell’ar- motoma di Andreasberg effigiata da FRESENIUS ?), KLoos *), HINTZE 4) ecc. Dei cristalli dà anche imagine la figura pubblicata da Des CLorzrAUX nell’atlante, che fa seguito al primo volume del suo Manuale di Mine- ralogia *), figura stata riportata in altri trattati; e si capisce come senza esatte misure il TRAvERSO ad essa o altre consimili abbia riferito i cristalli del Sarrabus attribuendo loro le facce {111}, {001}, {110}, non essendo forse a sua cognizione che lo stesso Des CLOIZEAUX, nel suo secondo volume fra le aggiunte all’ errata del primo, sopprime addirit- tura quasi l’intiera pagina 413 relativa all’armotoma e quindi con i va- lori angolari dati in essa anche la figura. In molti cristalli del Sarrabus le facce del prisma {110} striate pa- rallelamente agli spigoli di combinazione con {010}, così come nelle succitate figure dell’ Hintze, FRESENIUS ecc., sono così prevalenti da fare sparire del tutto, o quasi, altre facce sulla terminazione dell’apparente prisma quadrato prodotto dalla quasi fusione nello stesso piano delle 1) Notizia sopra un heulandite baritica di Pula con accenno alle zeoliti fi- nora trovate in Sardegna. Rend. Ace. Line. Vol. VI, 1° sem. ser. 52, fase. 7°, Roma 4 aprile 1897. 2) Ueber den Phillipsit und seine Beziehungen zum Harmotom und Desmin. GrotH’ s Zeit. III, 44. Leipzig, 1879. 3) Ueber Harmotomzwillinge von Andreasberg. Neues Jahrb. f. Min. u. s. w. Bd. II; Hft. III, pag. 212. Stuttgart, 1885. 4) Handbuch der Minéralogie. II, 1792. Leipzig, 1897. 5) Manuel de Minéralogie, t. I, 412-415, 1862; e t. II, pag. LI, 1874; atlante, tav. XXXII, fig. 187. 250 G. D’ACHIARDI facce {010} e {001} di due individui adiacenti, oppure per la scomparsa presso a poco completa delle seconde. Ma in non pochi però sono assai subordinate, come nella figura data dal K1oos *), per dar posto ad altre. Le facce che in questi cristalli poligemini a prima giunta si scambierebbero con le {100} rappre- sentate nelle figure più volte citate, vanno invece riferite per la loro inclinazione diversa ad altra forma, la {710}, pur sempre della zona (100) : (010). Quindi le forme riscontrate da me in questo armo- | toma del Sarrabus sarebbero (Fig. 5): {110}, {710}, {010}, {001} di cui la seconda è nuova e fu da me calcolata partendo dalle costanti di Des CLOIZEAUX cioè: AO 703152540 BEST Le misure angolari non sempre facili a prendersi non tanto per la, piccolezza dei cristalli quanto per la striatura specialmente di alcune facce confermano non pertanto soddisfacentemente la fatta determi- nazione: Angoli misurati calcolati D) Limiti Medie (010) (CAO) 90 27’ —60°7 59° 45" 45” 60°0° 30% — 14°45% (010) (7al0) 650 —- 85997. 850267 8501712” 4- 848" (110): (710). 25°5° —25055° 25026’ 25016742” 4 918” Le {710} contigue sul piano di geminazione basale fanno fra loro un angolo misurato di circa 10°, che se di poco differisce dal normale, 902336”, così come differiscono pure tutte le altre, non è a far mera- viglia in cristalli poligemini come questi, poichè è noto che le anomalie angolari sono tanto maggiori quanto più complicata è la geminazione. Del resto come fra le facce di uno stesso individuo, così fra quelle di individui adiacenti, difficili sono a prendersi le misure per la molte- i) Mem. cit., tav. VIII, fig. 8. MINERALI DEL SARRABUS (SARDEGNA) 251 plicità delle imagini, onde volta per volta bisogna accertarsi da dove esse imagini provengono per non incorrere in erronee misure. Come effetto della complicata geminazione deve pure ritenersi il comparire di piccole faccette, o meglio ondulazioni delle facce principali, che si risolvono in ottusissimi spigoli, quali già aveva nell’armotoma di Andreasberg osservati anche il KLoos e indicati nella figura citata con la lettera è. Lo STRENG !), che osservò queste faccette sui cristalli rom- boedrici di cabasia, del pari compenetrati a croce, le aveva qualificate come Durchbruchsflichen. Quantunque potessi ritenere superfluo un saggio chimico ad accer- tarmi che i cristalli da me esaminati erano realmente di armotoma e non, per es., di phillipsite, pur non volli trascurarlo. E la sostanza pol- verizzata e attaccata a caldo con acido cloridrico lasciò indietro silice granellosa, carattere dell’armotoma e non della fillipsite che dà silice gelatinosa, e dalla soluzione cloridrica con solfato calcico ottenni ab- bondante precipitato di solfato baritico a conferma della. fatta deter- minazione. Laboratorio di Mineralogia dell’ Università. Pisa, 25 maggio 1900. 1) A. SrrENnG. — Ueber den Chabasit. Ber. der Oberhessischen Ges. fir Natur-und Heilkunde. XVI, 74; Giessen, 1877. PRN-IDeE CE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME G. Romiti. — /! significato morfologico del processo marginale nel- l'osso xigomatico umano (Tav. I) i DRS G. Salvi. — Arteria dorsalis pedis. Ricerche morfologiche e com- parative . G. D’Achiardi. — / Quarzi delle gessaie toscane si Hi mm) G. D'Ancona. — Il Lotus Corniculatus o Ginestrino (Tav. IV) M. Canavari. — Mopliti titoniani dell’ Appennino centrale (Ta- vola V ) CEE RE te P. R. Ugolini. — Sopra alcuni pettinidi delle arenarie mioceniche del circondario di Rossano in Calabria (Tav. VI) . G. D’Achiardi. — Studio ottico di Quarxi bipiramidati senza po- tere rotatorio P.R. Ugolini. Lo Steno Bellardii Portis del Pliocene di Orciano pisano (Tav. VII) . SR 3 D. Bertelli. — Sviluppo dei sacchi aer di del o — Divisione della cavità celomatica degli uccelli (Tav. VIII) . G. Salvi. — Arteriae dorsales carpi — Contributo alla Morfologia della circolazione nell’ arto toracico Trana P. Vinassa de Regny. — La sorgente acidulo-alcalino-litiosa» di Uliveto (Studio idrogeologico) (Tav. IX) E. Manasse. — StH/lbite e Foresite del granito Elbano G. Salvi. — Ricerche istologiche sopra le vagine comuni dei vasi G. D’Achiardi. — Minerali del Sarrabus (Sardegna) — 1. Pirar- girite e Proustite. — 2. Baritina. — 3. Armotoma . » » 105 114 132 " dia ig i ARR \ , vi ) » N \, TE EV nre pe ve al } | Atti Soc.Tos.Sc.Nat.Vol: XVII .Tav.I. Romiti Il Signif. Morf. del processo marginale ete. R:Lit:Gozani 3 C.Pisa G. D'ACHIARDI - 1 QUARZI DELLE GESSAIE, Ecc. Tav. II. XVII. Nat. Vol. Atti Soc. Tosc. Sc i J Z (0) î [A RK x ti lu (DI (o) n J o N J n (3] [e] BI L'AUTORE FOTOGRAFÒ, cai G. D'ACHIARDI - 1 QUARZI DELLE GESSAIE, Ecc. , < L'AUTORE FOTOGRAFO. ELIOT, CALZOLARI E FLRRARIO, MILANO, 2 ARIMST a > da Atti Soc:Tosc. Sc.Nat. Vol. XVII. Tav. IV G.D'Ancona_ll Lotus Corniculatus SESTO POE (Sisto Sa PD E Lia a ua ini rientri iii iii dii ii | | ere ada ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO, MILANO | Oo attua, day: Ù ua Atti. Soc.Toso, Sc. Nat.Vol. XVII.Tav.V. M. CANAVARI - ZHopliti titon. del’ App. centrale [ Tav. TO: CRISTOFANI DIS. ELIOT: CALZOLARI & FERRARIO. MILANO di Calabria [ Tav. 1]. 1 INIOCENICI R. UGOLINI - /'e/tinid. > > (0) È = x o > + gd Ne Dj n d (ie) o E (S) e) È MILANO CALZOLARI & FERRARIO. ELIOT. CRISTOFANI DIS. (1 delu UCUL À :\ NA > NUINAZIONE UEGII SUTAl ata FOTOGRAFIA RUGANI - PISA. ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO. MILANG RI & FERRARIO. MILANG FOTOGRAFIA RUGANI - PISA. arri inn U La Di ù ai del fi Banai = | = duri igm a doi ide ae ai iii ppi ness ijbap auoizeuipu| «A iI apposj a jewsa] quabuog MH dla e + 34 Fay È, 3 "AR BUOIANI]Y{ — I SE 0 È ve Su ci (EUOUdE9 IP NEU]g) n ° eieuJajenD BavedjeO ero UO urajsyoe q A tiproduzione riservata I Vinassa Sorg. di Uliveto ì] RIPA. “Come: E}JQ]U09 E|NOIAY UO09 Neu | COFIDA dI) (AN REG dea \ 00ISPI|EJ}UI OSOUIAAEI see) ] OUBINIJA/ jap muabeue a Nizyenb sio ERA are, 1900 grafico Milit fuBay ap EsseuIA d EP 6681 Quue |jjau epena/1} 0}9AI]() Ip 1u10)uIq Tp VOINDOTO HI VLUVI Mem.d Soc.toscana d Scmat. Vol. XVII. Tav IX. Istituto Geo P, Men CI. fee a ie rr a ex URRA n fi == n —————<—t_ 490. (69 34 3 DA ere ASTE DELLA SOCIETÀ TOSCANA SCIENZE NATURALI RESIDENTE IN PISA —_—_omeett—_ MEMORIE Vol. XVII. PISTE . TIPOGRAFIA SUCC. FRATELLI NISTRI 1900 INDIGE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME G. Romiti. — // significato morfologico del processo marginale nel- l'osso, sigomatico umano (Var. 1) | Tee G. Salvi. — Arteria dorsalis pedis. Ricerche morfologiche e com- sifaparative “i Si i LT G. D’Achiaggi. — I Quarxi delle gessaie toscane (Tav. II, IMI) » (58 G. D'Ancona. — Il Lotus Corniculatus 0 Ginestrino (Tav. INGROSSO M. Canavari. — Hopliti titoniani dell’ Appennino centrale (Ta- o) RE di SOLAR ME 0 P. R. ai — Sopra ea 1... delle arenarie diva a del circondario di Rossano in Calabria (Tav. VI) . ... .. >» 105 G. D’Achiardi. — Studio ottico di Quarzi bipiramidati senza po- tere rotatorio. . PAM il P. R. Ugolini. Lo Steno Bellardii i His del sui di Odi pisano (Vane. 0... » 132 D. Bertelli. — Sviluppo dei sacchi aer riferi (1) doud: — pa della cavità celomatica degli uccelli (Tav. VII). . . ... > 145 G. Salvi, — Arferiac dorsales carpi — Contributo alla Morfologia della circolazione nell’ arto toracico . . >» 167 P. Vinassa de Regny. — La sorgente 21° als litiosa di Uliveto (Studio idrogeologico) (Tav. IX) . . . ... +.» 186 E. Manasse. — Stilbite e Foresite del granito Elbano . . . . >» 203 G. Salvi. — Iicerche istologiche sopra le vagine comuni dei vasi.» 228 G. D’Achiardi. — Minerali del Sarrabus (Sardegna) — 1. Pirar- girite e Proustite. — 2. Baritina. — 3. Armotoma . . LC Sedi i ERE IRIININI SONIA Ufficio di presidenza per gli anni 1899-900, 1900-901. Presidente . . — Prof. Sebastiano Richiardi, Pisa. ha D — Prof. Giovanni Arcangeli, Pisa. ice prestdenti ca 3 — Prof. Fausto Sestini, Pisa. Segretario . . — Prof. Antonio D’Achiardi, Pisa, Via S. Martino, N; 12. Vice segretario — Prof. Mario Canavari, Pisa. Cassiere. . . — Bartolommeo Caifassi, Pisa, Via S. Andrea, N. 25, 2.9 p.° SEDE DELLA Societa — Museo di Storia Naturale in Pisa. PERRIN VOTA al Gli atti della Società (memorie e processi verbali delle sedute) si pubblicano per lo meno sei volte all’anno a intervalli non maggiori di 3 mesi. Ii 3 9088 01316 4108