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NISTRI p Cc, GIÀ ERATELLL NISTRE 1576 SULA CORDIERITR NEL CRANITO NORMALE DELLLA SULLE CORRELAZIONI DELLE ROCCE GRANITICHE CON LE TRAGHITICHE NO TA DI ANTONIO D’ACHIARDI presentata nell’adunanza del 4 Luglio 1875. cs Esaminando in questi ultimi giorni diversi esemplari di Granito, posti nel museo pisano di Storia Naturale fra i minerali e le rocce delle isole dell’ Elba e del Giglio, m'accorsi di una so- stanza diversa dalle abituali di questa roccia e sospettai subito fosse il caso di Cordierite più o meno alterata. È noto come per gli studj di molti e autorevoli scienziati, fra i quali piacemi ricordar qui con onore i nomi del Targioni, del Savi, dell’Hoffmann, dello Studer, del Krantz, del Coquand, del Fournet, del Bombicci, del Cocchi e del Rath, siensi fatte cono- scere molte e molte specie minerali delle isole del Mar Toscano, segnatamente dell’ Elba, e molte e molte particolarità sulla loro giacitura e sulle correlazioni fra le varie rocce. Ma su ciò non intendo intrattenermi, bastandomi per il caso attuale avvertire come delle due sorta di Granito comunemente distinte fra noi, il normale e il tormalinifero, che in esso forma druse o filoni, sia del primo che cade oggi l'opportunità di parlare, del primo che quantunque considerato come mancante affatto di Tormaline, pur talora qualche raro cristallo qua e là ne presenta. In questo Granito normale, che forma il Monte Capanne e di cui si hanno cave antichissime a Seccheto, in questo Granito di cui bellissimi esemplari provengono da Marciana e da altri punti Sc. Nat. T. II, f. 1.° 1 9 D' ACHIARDI della parte occidentale dell’ Elba e che trovasi pure nella vicina isola del Giglio, secondo le recenti osservazioni del Rath (Die Insel Elba, 1870) si contengono i minerali seguenti, cioè, Ortose, ‘Oligoclasio, Quarzo, Biotite come elementi essenziali e come ac- cessorj e spesso riconoscibili sol con la lente Anfibolo verde-cupo sporadicamente disseminato, Titanite in piccoli cristalli giallo- chiari vivamente splendenti, Magnetite, Clorite in'rare scagliette, Pirite di ferro arrugginita e Ortite in grani non sicuramente de- terminabili. A queste specie minerali annoverate dal Rath nel Granito normale dell'Elba conviene aggiungerne un'altra, la Cor- dierite, da me osservata in diversi esemplari di Granito del museo pisano e da me riconosciuta per i seguenti caratteri. La si presenta per il solito in grani più o meno grossi, in mas- sarelle non decisamente cristallizzate, e quando queste sono in forma di prismi non mostrano mai nitide facce, nè taglienti spi- goli, gli uni e le altre apparendo smangiati. Riesce assai difficile separare questi imperfetti cristalli dalla roccia madre, che com- pletamente gli involge, e quei pochi che pur son riuscito a libe- rare dal Granito, son tutti rotti all’ estremità, nè presentano altre faccette tranne quelle dei pinacoidi e prismi verticali e queste se- condo il solito disadatte all’ osservazione goniometrica per ‘la imperfezione loro e per la mancanza di vivo splendore. Ciò non ostante in grazia di una lucentezza grassa assai manifesta, che presentano le facce, riesce; possibile il prendere alcune misure, benchè solo approssimative; ed ecco appunto i resultati di quelle da me prese al goniometro di Wollaston. Valori trovati Id. valori dati da me, media. da Des-cloizeaux. 110:100 . . . . 119,90) gg a 190,80 | 120,25 121°,30! 110:010.... 149,0 149°,0' 150°,0 | 149°,48' 1490,35/ 1500,0! 151°,0' CORDIERITE DELL’ ELBA 3 Valori trovati Id. valori dati da me. media. da Des-cloizeaux, 110:310.... 1490 | 149°,30 150°,0" 1500,0” 150,0 151°,0" 100:310.... 14990 149°,30' 1500,0" 15190" ) 150,25" 150°,25/ 1519,0' 15100" 151°,30 1499,55/ 150° Come si vede i numeri della prima colonna, che ci danno i re- sultati delle varie misure prese, sono assai diversi uno dall'altro, ma pur sempre vicini a quelli propri della Cordierite, e quasi coincidono con questi i termini medj che se ne ricavano; onde per la cristallizzazione, benchè imperfetta di questa sostanza, si ha un primo argomento a ritenerla per Cordierite. I cristalli somigliano molto quelli di Bodenmais presentando per il solito gli spigoli arrotondati con l’ apparenza, come dice Des-cloizeaux, di un principio di fusione. Sono allungati nella direzione dell'asse z o asse verticale e delle poche facce che vi si osservano appariscono più estese delle altre le 310, indi le 010 e meno le 110 e 100. (g?, %, mn, 9g). Sfaldatura non nitida, ma assai facile parallelamente a 100, onde i cristalli nella frattura della roccia ci appariscono spesso come schiappati per lo mezzo. Frat- tura ineguale con tendenza alla concoide. Questa sostanza è per il solito opaca, di rado tralucida. Lu- centezza grassa. Colore raramente verde come nella Praseolite, per il solito verde-bruno assai cupo ed anche verde-rossastro- bruno, variandone i toni e l'intensità della tinta a seconda del- l'alterazione. In generale la Cordierite elbana si assomiglia per il suo colore a quella di Bodenmais e segnatamente alla Pinite 4 D'ACHIARDÎ di Schneeberg, agli esemplari almeno che di questi luoghi ne possiede il museo di Pisa, e sopra tutto poi si assomiglia ad alcuni cristalli di questa Pinite di Schneeberg, sulla di cui superficie si ha una tinta un po’ rossastro-bruna, quasi di Limonite; lo che tanto nei forestieri che nei nostri esemplari dell’ Elba credo sia da attribuirsi a un principio d’idrossidazione del ferro, poichè nel- l’interno dei cristalli e massarelle ritorna prevalente il fondo di tinta verde. Polvere bianca, leggermente giallognola nelle parti superficiali. | Durezza circa 3. Con alcuni esemplari si graffia la Calcite, con altri no; e questa differenza è verosimile che sia in correla- zione con la diversa alterazione della massarella sottoposta alla prova. La rientra però sempre nei limiti della durezza della Pi- nite, che varia da 2,5 a 3,5. Peso specifico 2,57, e forse potrebbe essere un po’ superiore, ma appena superiore, essendomi stato impossibile sceverare del tutto i pezzetti pesati da ogni sostanza straniera. Al cannello ferruminatorio si fonde con difficoltà sugli spigoli in smalto bianco al pari della Pinite. Col borace fondesi pure dif- ficilmente, anzi non son riuscito a fondere completamente i pez- zettini adoperati, che s'imbiancano e danno nella perla boracica non intensa reazione di ferro. Riscaldata in un tubo aperto sviluppa poca o punta acqua. Con acido solforico è attaccata debolmente con separazione di si- lice, che vedesi notante nel liquido. Mi fu impossibile per la imperfezione dei pezzetti distaccati dalla roccia osservare come si comportava con la lente dicrosco- pica e al microscopio polarizzante, come fu pure impossibile farne l’analisi quantitativa per la poca materia a mia dispos:- zione; ma pur non ostante non può restar dubbio sulla vera na- tura di questa sostanza, la quale fra le molteplici varietà di Cor- dierite più che ad altra ravvicinasi alla Pinite. Nel Granito in cui giace vedesi intimamente collegata con la Mica bruna-tabacco propria, anzi essenziale del Granito stesso e generalmente considerata come Biotite; e questa Mica non solo trovasi sparsa come sempre entro al Granito, ma in quelli esem- plari ove appare la Cordierite io ne ho vedute le laminette lu- centi intimamente adese sulla faccia dei granuli cristallini di quest’ ultima sostanza e taluna anche nell’ interno dei suoi stessi CORDIERITE DELL’ ELBA 5 eristalli disposta sui piani di sfaldatura. Nè questa associazione può recar meraviglia, poichè sappiamo come sia più che evidente in taluni casi la derivazione della Mica e per fino Mica-Muscovite dalla Cordierite; del che larghe prove somministra il Bischof nel suo pregevole manuale di Geologia fisico-chimica. Son però ben lunge dal ritenere, che a tutta la Mica dei Graniti debbasi attri- buire un’ origine pseudomorfica. Oltrechè nel Granito del Monte Capanne (e gli esemplari os- servati provengono verosimilmente dalle vicinanze di Marciana), anche nei porfidi quarziferi dell’isola stessa e particolarmente in quelli dell’ Enfola osservasi una sostanza verde, a lucentezza grassa, ora compatta, ora sfogliosa e che richiama alla mente talune varietà verdi di Cordierite. Probabilmente si avrà qui pure a che fare con questa specie, ma nulla più posso dirne per man- canza di osservazioni, quali si richieggono per un sicuro giudizio. L'analogia della roccia porta poi a credere che così come nel Granito normale delle isole questa specie debba ritrovarsi anche in quello che gli corrisponde a Gavorrano sulla penisola; ma per ora non mi è riuscito osservarla nei non pochi esemplari di questo Granito da me attentamente esaminati. La presenza della Cordierite nelle rocce granitiche della To- scana non è cosa singolare, poichè questa specie minerale predi- lige appunto sì fatte rocce, come ne porgono esempio i Graniti di Bodenmais, Capo di Gates, Kragerde, Tunaberg ec. ec.; ma per noi ha un'importanza speciale perchè costituisce un legame di più agli altri che già esistono fra i Graniti normali e porfirici del- l’isole del Giglio e dell’ Elba e le rocce trachitiche del continente toscano, nelle quali ultime la Cordierite fu trovata nella valle del Giardino presso Campiglia e a Rocca Tederighi. Appartengono le Trachiti toscane alla: famiglia delle quarzi- fere, contengono Oligoclasio come 1 Graniti dell’ Elba oo Giglio e come i Porfidi quarziferi ed augitici di Campiglia; la Mica comune agli uni e alle altre è la Biotite; per gli elementi essenziali unica differenza quindi fra i Graniti insulari e le Trachiti peninsulari è nel Feldispato, che è Sanidina in quest'ultime, ma il quale poi ha pur nel Granito del Monte Capanne, del Giglio e più ancora in quello di Gavorrano un aspetto quasi vetroso, onde fu notata da molti la rassomiglianza di quel Granito con la Trachite del Monte Amiata. Aggiungi poi che si hanno in Toscana dei porfidi de- vi i) D'ACHIARDI cisamente sanidinici, e che quindi collegansi anche più intima- mente con le Trachiti. Non parlo delle analisi che si fecero dell’ Ortose dell’ Elba, perchè quelle almeno di cui ho cognizione spettano tutte all’ Or- tose del Granito tormalinifero; non posso però fare a meno di no- tare come alcune di esse ci svelino un’ assai grande quantità di soda (3, 40 °%, secondo Rath, Die Ins. Elba 1870).— E se sì guardi ora agli elementi accessorj o per lo meno subordinati, noi tro- viamo l’Anfibolo tanto nel Granito dell’ Elba e di Gavorrano che nelle Trachiti del Monte Amiata e di Rocca Tederighi, la Magne- tite tanto in queste che in quelle ed anco nei blocchi sanidinici del Casone e di Corte del Re presso Pitigliano; e così la Semelina, varietà di Titanite i di cui cristalletti spruzzano di piccole mac- chiette gialle-arancio i Graniti dell'Elba e del Giglio, ritrovasi poi con il medesimo aspetto nei surrammentati blocchi sanidinici, la di cuì origine vulcanica non è posta in dubbio da alcuno, e nelle Trachiti del Monte Amiata. Si aggiunga ora la Cordierite e avremo un tal numero di minerali che si corrispondono fra le due sorta di rocce, le granitiche e le trachitiche, da farvi pensar sopra se- riamente e spingere il pensiero a ricercare qual nesso di origine esista fra esse. E quello che vale per il nostro paese vale anche per altri, poichè la è generale la rassomiglianza, dirò anzi la cor- rispondenza fra i componenti delle due soprallegate qualità di rocce. L'argomento è bello, attrattivo; e io allontanandomi dal primo soggetto, omai esaurito, mi lascio volentieri trascinare da esso. Molte e diverse sono le opinioni sul modo di origine delle rocce trachitiche e granitiche, nè io qui intendo non che discu- terle, manco enumerarle; bastandomi rammemorare soltanto come da taluni si considerino queste e quelle quali prodotti di azioni vulganiche avvenute in condizioni diverse di pressione, cane ec., e da altri si considerino i Graniti quali rocce ori- ginariamente trachitiche convertite in Granito col processo del tempo per le azioni metamorfiche sotterranee; e la mancanza delle Trachiti nelle antiche formazioni, così ricche di Graniti, ad- ducono a sostegno della loro opinione. Non cito nomi, nè altro aggiungo, che l'argomento mi porterebbe troppo più per le lun- ghe che non desideri; ma d’altra parte mi faceva mestieri allegare quelle opinioni, conciossiachè la tesi che andrò sostenendo ne sia almeno in parte la confutazione. CORDIERITE DELL’ ELBA i Io guardo a dove e come sì trovino i Graniti e le Trachiti; a quali elementi abbiano a comune, a quali ne siano le differenze, e mi viene spontanea la conclusione, che se un nesso di origine deve essere fra le Trachiti e i Graniti, esso va cercato non già da quelle a questi, ma inversamente. Io propendo in altri termini ad ammettere che le Trachiti derivino dai Graniti per uno dei tanti processi metamorfici del vulcanismo o se non sempre da essi dai materiali almeno che sarebbero atti a produrli quando il meta- morfismo si esercitasse al di fuori dell’influenza dell’acqua ma- rina, che è il principale agente del valcanismo. Non mi tratterrò a discorrere dove e come si presentino queste due sorta di pietre, che a tutti è noto, come i Graniti si trovino in ogni parte di isole e di continenti, la dove sottoposti a potente coperta di rocce po- terono ridursi tali, e come le Trachiti e con esse le altre rocce vul- caniche trovinsi invece in vicinanza del mare o se distanti, tali non fossero per lo passato quando si produssero, del che senza cercare esempj lontani fanno fede i colli del Vicentino e del Vero- nese, le di cui formazioni basaltiche sono inghirlandate da costru- zioni madreporiche fossilizzate. — E basti aver ciò accennato ad intendere il legame che passa fra la situazione dei vulcani e i loro prodotti. I quali, come ognun sa, si possono dividere in due grandi classi, in quelli cioè in cui predominano i feldispati più silicati come l’ Ortose e l’Oligoclasio e non è raro il Quarzo e in quelli in cui prevalgono invece i feldispati meno silicati, la La- bradorite e l’Anortite; e se si tenga conto degli elementi basici in quelli in cui prevalgono gli alcali e in quelli in cui prevalgono invece le terre, calce e magnesia e con esse l’ossido ferroso. Alla prima sorta appartengono le Trachiti ei Porfidi sanidinici più o meno antichi, che probabilmente hanno origine vulcanica, svelataci anche dal loro apparire in dighe e colate; alla seconda i Basalti, e le Dioriti, i Melafiri e i Diabasi, che stanno a quei primi come i surrammentati Porfidi sanidinici alle Trachiti. Studiando la natura e la storia delle eruzioni vulcaniche ve- diamo come le non sieno uguali nè fra i vari vulcani, nè per tutte le fasi di uno stesso vulcano; e l'esempio del nostro Vesuvio i di cui prodotti cambiarono natura col tempo ce ne porge testimo- nianza. Ma che significa ciò? E a che approda pel caso nostro? La differenza dei prodotti vulcanici è certo in correlazione con la diversità dei materiali della crosta terrestre caduti successiva- 8 D'ACHIARDI mente o nei vari luoghi sotto l’azione del vulcanismo; e questi materiali debbono pur essere quelli stessi che più qua e più là compariscono alla superficie. Non consideriamo quelli che hanno secondaria importanza sia per estensione, sia per rarità di com- parsa; atteniamoci a quelli soltanto che realmente prendono una parte importante nella costituzione di questa crosta terrestre, entro alla quale si restringono appunto i fenomeni vulcanici. Questi materiali ci. appariscono uguali da per tutto, così come uguali sono i prodotti vulcanici in ogni regione; ma si badi però di non esagerare il significato di questa eguaglianza; io non ho inteso dir altro se non che si trovano rocce trachitiche e basal- tiche in ogni paese che porti tracce di interna azione vulcanica, così come Graniti e Micaschisti s'incontrano per ogni paese ricco di rocce cristalline. Tra quei materiali che costituiscono la crosta terrestre abbiamo come principali da una parte rocce prevalentemente alcaline e quarzose, Graniti, Gneiss, Micaschisti ec.; dall'altra prevalentemente terrose e in special modo magnesiache o ferro-ma- gnesiache, Pirosseniti, Anfiboliti, Cloroschisti, Talchischisti, Ser- pentini, Lehrzoliti ec.; una doppia serie di rocce cristalline collegate da termini intermedj, come per esempio la Sienite ec.; e alle quali conviene aggiungere e Calcarie e Argille e Arenarie, che co- stituiscono le rocce sedimentarie tipiche, e le quali pure al pari delle prime possono e debbono prender parte ai fenomeni vulea- nici. I quali si sa o almeno si crede con molto verosimiglianza avvenire indipendentemente dalle rocce di questa o quella regione là ove si manifestino condizioni opportune di temperatura e pres- sione e afflusso copioso di acqua marina, condizioni che non si possono verificare quindi che in vicinanza del mare e solo là dove questo occupi depressioni e non dove lambisca spiagge formate da sedimentazioni recenti; lo che è pienamente confermato dalla distribuzione geografica dei vulcani. Se è però indipendente dalla natura delle rocce che l’azione vulcanica sì manifesti in una regione, ove si verifichino quelle condizioni atte a produrla, tali non ne possono essere al certo i prodotti, i quali avranno sempre correlazione con la roccia madre, che si trovò nel campo dell’azione, e della quale conserveranno in gran parte la natura, modificata per altro dai nuovi agenti del vulcanismo. E siccome fra essi cccupa il primo posto l’acqua ma- CORDIERITE DELL’ ELBA 9 rina e questa più che di ogni altra sostanza è ricca di cloruro di Sodio, così è da aspettarsi che le maggiori modificazioni siano in- dotte da questo sale, e l’esame delle rocce vulcaniche pienamente conferma la supposizione. Infatti siano esse trachitiche o basal- tiche sono sempre più o meno ricche di soda, la di cui presenza in parte almeno è dunque da attribuirsi al metamorfismo vul- canico. Se non che non è qui il momento di dire delle rocce basaltiche e donde abbiano tratto la magnesia, la calce e il ferro oltre alla soda di cui fu giù fatto parola. Io dissi di voler limitare la mia digressione alle Trachiti e a queste ritorno. — Qual’ azione può avere l’acqua marina a convertire in Trachite una roccia preesi- stente sotto l’ influsso del vulcanismo? Ripetute esperienze provano che il cloruro di sodio in con- tatto di sabbia silicea e sotto l'influenza di vapor acqueo e di una certa temperatura vetrifica quella sabbia producendo del silicato di soda e provano pure che se venga sotto le stesse condizioni in contatto di una roccia ortosica espelle porzione del potassio, dando origine da una parte a silicato di allumina, soda e potassa, quale si ha nella Sanidina, dall'altra a cloruro potassico, che frequente- mente trovasi efflorescente alla superficie dei vulcani. — Vero è per altro che quest’ultimo cloruro insieme anche al cloruro di magnesio, la di cui azione non è a trascurarsi, trovasi sciolto nell'acqua del mare. I Graniti dunque ci appajono quali rocce atte ad arricchirsi di soda per l’azione dell’acqua marina sotto l'influenza del vulca- nismo; e siccome la differenza fra Graniti e Trachiti consiste più che in altro nella natura più o meno sodifera e diverso aspetto dello stesso Feldispato, così comprendiamo facilmente che effetto di quell’azione possa essere la conversione del Granito in Trachite. Ma da ciò non dee credersi che io ne faccia derivare la conse- guenza che ogni Trachite debba necessariamente derivare in tal modo da preesistente Granito. — Siccome questa roccia con ogni probabilità sembra derivata, in molti casi almeno e insiem con essa il Gneisse, da rocce sedimentarie profondamente metamorfo- sate, così non ritengo come improbabile che quelli stessi mate- riali che dettero o possono per metamorfismo produrre Gneisse e Graniti possano in condizioni diverse produrre ed abbiano infatti prodotto Trachiti e Porfidi sanidinici, La condizione diversa per 10 D' ACHIARDI dare origine a questi o a quelli io credo debba cercarsi nell’ acqua che omai da tutti è ammesso essere principale fattore di muta- menti nel regno inorganico, e la quale a seconda della sua natura dolce o salsa, e a seconda della copia e qualità della salsedine convien pure ammettere che possa produrre effetti in parte al- meno diversi. Si ha nell’un caso la così detta azione plutonica, nell’ altro la vulcanica, e mentre questa abitualmente almeno si esercita per l’acqua marina, quella suolsi esercitare invece per l’acqua dolce che caduta e fluente sulla superficie terrestre, filtra per le rocce, le penetra e si spande, e per esse e per le fessure scendendo sem- pre più in basso giunge a tal profondità, che coadjuvata dalla pressione e dalla temperatura ivi esistente diventa il primo fattore del metamorfismo lento e profondo che può appunto designarsi col nome di plutonico, e i di cui effetti a differenza di quelli del metamorfismo vulcanico, non ci si appalesano che molto più tardi, quando Natura colla denudazione e i movimenti del suolo sia riuscita a porre a nudo la roccia modificata dalla soprastante coperta di sedimenti, che ne impedirono la uscita a giorno. Ma si può obiettare; non contengono forse soda e i Graniti e i Gneisse e altre rocce prevalentemente ortosiche? Non v' ha dubbio; ma si può pure rispondere che le acque dolci cadute dal- l'atmosfera e circolanti poi nella terra in essa si arricchiscono più o meno di sali e quindi possono esse pure benchè in pro- porzioni minori contribuire alla costituzione di minerali sodi-. feri; e sarebbe poi da cercarsi se più o meno di soda non potesse essere contenuta in quei materiali originar), che subirono il meta- morfismo, e soda (c.* 2 °,) contengono difatti talune rocce sedi- mentarie come gli Argilloschisti, che dal Bischof si ritengono come la probabile roccia madre dei Graniti e delle Trachiti. Se non che tali ricerche ci porterebbero in un campo troppo vasto e pieno di ostacoli, nè io intendo di incaminarmici. La maggior ricchezza in soda delle Trachiti di fronte ai Gra- niti è cosa provata, ed essa parmi che trovi plausibile spiegazione nel modo da me indicato; e se vi hanno Graniti che sono ricchi di soda e furono anche per ciò distinti col nome di sodiferi, e se vene hanno pure di quelli che talmente somigliano alle Tra- chiti da quasi confondervisi, che prova ciò? Mi è avviso non sem- pre essere possibile una netta distinzione fra le due sorta di CORDIERITE DELL’ ELBA 1l rocce, specialmente quando manchi alla Trachite la forma lavica e costituisca invece cupole, ammassi analoghi a quelli che spesso presenta il Granito. Tutte le gradazioni di salsedine, tempera- tura, pressione si possono essere verificate a produrre effetti pur graduati, termini di passaggio fra uno e l’altro estremo, senza impedire per altro che questi rimangono pur sempre distintissimi se non per i chimici almeno per i fisici caratteri, i quali sì colle- gano col modo di consolidazione della roccia, con la più o meno rapida cristallizzazione, come dimostrano fra le altre cose le in- clusioni vetrose nelle Trachiti, cristalline nei Graniti. E se taluno domandasse perchè le rocce granitiche sieno ca- ratteristiche dei terreni più o meno antichi, spesso antichissimi, e le trachitiche dei più o meno recenti fino agli attuali, potrebbe rispondersi che i Graniti recenti non possono esistere, essendo ne- cessaria alla loro produzione una potente coperta di terreni. Anche oggi si formeranno sì dei Graniti nelle viscere della terra, ma solo a spese di rocce profondamente giacenti e quindi più 0 meno antiche, e verrà giorno in che saranno essi pure portati alla luce, come già furono molti dei precedentemente formati. Ciò valga per la mancanza dei Graniti fra le formazioni recenti, che comprendono invece le rocce trachitiche prodottesi e producentesi a spese esse pure di rocce stratigraficamente profonde, ma messe in facile comunicazione con l’esterno dai movimenti del suolo, comunicazioni per altro che modificano più la pressione che la temperatura propria della sotterranea regione, rendendo gli ef- fetti delle sotterranee azioni dinamiche-molecolari visibili e pal- pabili alla superficie in parte almeno nell'atto stesso che si producono o poco dopo. Per le Trachiti si ha quindi una condi- zione del loro apparire opposta a quella dei Graniti; per esse gli effetti del metamorfismo si rendono ostensibili immediatamente 0 per lo meno sollecitamente; per questi ben tardi; ma siccome per gli uni e le altre si producono a spese di rocce profondamente sepolte, così si può intendere come debbano mancare le rocce tra- chitiche nei più antichi terreni; mentrechè se in quei remotissimi tempi eruzioni o intrusioni vulcaniche pur ebbero luogo, esse do- vettero farsi a spese di rocce di altra natura e sottogiacenti a quelle sedimentarie che poi somministrarono i materiali alla pro- duzione dei Graniti e delle Trachiti, e ciò convalidano le vestigia che sì hanno dei prodotti vulcanici dell'antica èra paleozoica. 12 D'ACHIARDI E a giustamente apprezzare la scarsità o mancanza delle for- mazioni vulcaniche in alcuni terreni convien pur tener conto della configurazione geografica, quale s' induce essere stata per lo pas- sato dallo studio di quelli stessi terreni; essendochè, come già fu detto, sia intimo legame fra la distribuzione dei vulcani e la con- figurazione e costituzione delle terre. Da queste brevi considerazioni da me svolte troppo per le lunghe come una digressione, ma troppo rapidamente avuto ri- guardo all'importanza dell'argomento, spero sia fatto palese lo scopo cui mirava, di far cioè comprendere in qual modo intenda la parentela fra le rocce trachitiche e le granitiche; cosa che mi sembrò opportuna discorrere, trattandosi di rocce, che qui da noi in Toscana, in così ristretto paese, offrono tanti punti di somi- glianza. E questa, lo ripeto, è talora grandissima; alcuni esem- plari che il museo di Pisa possiede del Granito di Gavorrano si scambierebbero con altri di Trachite del Monte Amiata; e questi ultimi si assomigliano talora sì fattamente al Granito di Monte Capanne, che la rassomiglianza non sfuggì ai più acuti osserva- tori delle rocce e minerali dell’ Elba. Ma non per questo si dee credere che io divida l'opinione di taluno che considerò il Granito dell’ Elba addirittura come una Trachite; no; quel Granito è sem- pre, null'altro che Granito; e così quello del Giglio e quello di Gavorrano. Le mie considerazioni non tendono a identificare cose diverse, esse tendono solo a cercare qual nesso, qual correlazione di origine abbia prodotto tanta comunanza di elementi fra rocce di carattere diverso. L'occasione che mi si è porta spontanea trattando della Cordierite comune alla Trachite e al Granito mi ha spinto forse troppo oltre nel campo dell’induzione, ma io ho preferito spingermi in esso guidato dalla considerazione di fatti parlanti alla semplice descrizione, dirò meglio anzi enumerazione di una specie fra le tante che già si conoscono dell'Elba. Una specie più o una meno nulla monta se si consideri a se sola; ma studiata comparativamente rispetto alle associazioni e alle giaci- ture acquista ben maggiore importanza; e ciò che io ho tentato di fare, e se non vi sia riuscito non ne è certo da incolpare la mia buona intenzione. DELL’OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO NOIA: DEL PROF. G. BARALDI letta nell’ adunanza del dì 23 Gennaio 1875. Il dì 25 Ottobre 1872 lessi nell’Adunanza della R. Accademia Medico Chirurgica di Torino una memoria che intitolai , Alcune osservazioni sulla Craniogenesi dei Mammiferi, nella quale mi fermai un poco più, di quanto avevo fatto sulle altre ossa, & discorrere dell’osso malare; sembrandomi che il conoscere lo svolgimento di esso sia molto importante; perocchè dal numero dei nuclei che lo originano nell'uomo è dal trovarlo talvolta dupplice in alcuni mammiferi, qualche autore ha tratte fuori alcune leggi, che servivano a spiegare lianomalia riscontrata nel cranio umano adulto, consistente in una anormale biparti- zione dell'osso medesimo. In quella memoria presi di mira gli scritti di due distintis- simi antropologi, il sig. Dottor Antonio Garbiglietti socio ordi- nario dell’Accademia Medico Chirurgica di Torino ed il signor Dott. Enrico Morselli Segretario della Società dei Naturalisti di Modena, e convalidai le poche parole dette presentando all’Ac- cademia sopraindicata dei crani di mammiferi nei quali si vedeva chiaramente che avevano il malare formato di un solo pezzo, 14 G. BARALDI mentre uguali mammiferi erano stati indicati dagli stessi autori come aventi il malare formato di due porzioni (!). Perciò ri- fiutavo le leggi che essi avevano erette sulla duplicità del malare di alcuni mammiferi per spiegare l’anormale bipartizione che si riscontra in qualche cranio umano. Di più presentai un certo numero di crani di feti umani non oltrepassanti il terzo mese, i quali anche essi mostravano l’ osso di cui trattiamo formato di un solo pezzo; e questi li presentai per combattere l'opinione del sig. Dottor Garbiglietti che ritiene svilupparsi nell'uomo per due punti di ossificazione. Questo egregio anatomico ha risposto alle obbiezioni da me mossegli con una eruditissima memoria, letta nelle Adu- nanze del 6, 2 e 27 Febbraio 1874 alla KR. Accademia di Me- dicina di Torino (?), colla quale si fa a sostenere di nuovo che i mammiferi da Lui indicati nella prima memoria, hanno nor- malmente il malare bipartito e che nell'uomo si sviluppa per due punti di ossificazione, aggiungendo che i crani dei mammi- feri da me presentati all'Accademia non mostravano il malare diviso, perchè appartenevano ad individui vecchi, e quelli del- l’uomo a feti troppo maturi. Nelle stesse adunanze fece pure delle note ed appunti al mio lavoro sulla Craniogesi dei Mam- miferi. i To o Signori, per rispondere all’ Egregio sig. Dottor Garbi- glietti, riprendo ora a sostenere di nuovo, appoggiandomi ad altri fatti ben osservati, che il malare umano si sviluppa per un germe osseo solo, e che i casi di duplicità del malare che si riscontrano in alcuni mammiferi non sono un fatto inerente alla specie, ma sono una accidentalità individuale. Mi riserbo poi a rispondere agli appunti mossimi, dal prelodato sig. Dot- tor Garbiglietti, sulle altre ossa del cranio in altra prossima occasione. (1) Morselli. Sopra una rara anomalia dell’ Osso malare, Modena 1872. Pub- blicata nell’Annuario della Società dei Naturalisti di Modena, Anno VII, Fasc. 1.0. Garbiglietti. Note ed Osservazioni anatomiche fisiologiche intorno allla Me- moria del Dott. E. Morselli sopra una rara anomalia dell’ Osso malare: Relazione letta nelle adunanze delli 19 e 26 Luglio 1872, alla R. Accademia Medico-Chirur- gica di Torino. — Torino, 1872. (2) A. Garbiglietti. Ulteriori considerazioni Anatomiche-Fisiologiche intorno al- l'osso malare ossia zigomatico ed al suo sviluppo, coll’aggiunta di note ed appunti al libro del Prof. Giovanni Baraldi sulla Craniogesi dei mammiferi. Stampata in seguito a deliberazione e per cura della R. Accademia di Medicina di Torino. DELL'OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO 15 Divido questa mia nota, per maggiore chiarezza, in tre parti, nella prima parlo della osteogenesi del malare umano, esponendo due nuovi fatti e ricordando gli anatomici che credano alla ori- gine di questo osso per un germe solo e quelli che ne hanno riscontrati due o più. Nella seconda prendo in rassegna ad uno ad uno gli autori, che hanno parlato della duplicità del malare ri- scontrata in alcune specie di mammiferi, per stabilire quale valore possano avere i loro detti nella questione che stiamo trattando, e quale sia il numero delle specie di essi e su quanti individui si è riscontrato doppio, onde riconoscere se il numero che risulterà sara sufficiente per ritenere che il malare doppio sia una nor- male condizione della specie, oppure una anomalia: e quindi se st debbono o no, citare in favore delle leggi stabilite da diversi anatomici e dall’esregio Dott. Garbiglietti per spiegare la anor- male bipartizione del malare, che alcune volte si riscontra nel cranio umano. E nella terza dirò alcune parole sulla bipartizione anormale dell'osso zigomatico nel cranio umano. Osteogenesi dell’ Osso malare nell’ Uomo. L’osso malare si sviluppa per uno, per due o per più punti di ossificazione? Ecco la domanda che ero costretto rivolgermi dopo d’ avere consultati una serie di anatomici, essendovene al- cuni che dicono svilupparsi per una, altri per due, ed altri per tre; come potrete rilevare più sotto là dove ne prenderò di- Versi ad esaminare. Volendo mettere in chiaro questa controversia, mi misì a sezionare feti umani molto giovani non oltrepassanti il terzo mese di gestazione e ad esaminare quelli già preparati in alcuni Musei anatomici, ed ebbi a convincermi che quest’ osso s° inizia per un punto solo di ossificazione. Allora pensai bene di presentare all'Accademia di Torino 14 teschi di feti umani non oltrepassanti il terzo mese di ge- stazione, i quali mostravano il malare in un solo pezzo, per com- battere l'opinione di quelli che credono svilupparsi per più nuclei e del Craniologo torinese, il quale asseriva, che feti non oltrepassanti quell’età l'avevano diviso, e che riscontrò tale fatto su 15 individui ('). (4) Garbiglietti. Note ed osservazioni ec. Op. cit., pag. 61. 16 G. BARALDI . Alla domanda che gli rivolsi , ove esistano quei 14 crani di feti umani, mentre sul 15. non cade alcun dubbio, non oltrepassanti l’età dei tre mesi (che certamente egli avrà conservati, essendo preparati di una grande importanza) od a chi li abbia presentati e mostrati, perchè si potessero fare anche noi le nostre osserva- zioni, ('); Esso si è mostrato molto risentito di tale osservazione e crede che io abbia voluto mettere in dubbio le sue asserzioni. To debbo su ciò fare una dichiarazione, che cioè, non dubitavo che Egli non avesse realmente visto nei 15 feti l'osso malare in due pezzi; ma che fosse stato ingannato dall’ apparenza, stante la grande difficoltà che vi è nel preparare ossa così piccole e fra- gili, e che la divisione da Esso osservata non fosse altro che una rottura accidentale, la quale suole avvenire in un punto dell’ osso più debole, come dimostrerò più sotto, formando due pezzi uno superiore od orbitale ed in uno inferiore temporo-mascellare. Vi sembrerà strano che io ritenga essersi ingannato un sì distinto anatomico, ma pure permettetemi almeno di dubitarlo poichè i nuovi malari di feti giovanissimi che sottoporrò wi vostri occhi sono anch’ essi formati di un solo pezzo. A me pare sia assai facile cadere in isbaglio, nel vedere un osso così piccolo diviso in due, e ritenere quella divisione un fatto normale, mentre poi non è che una rottura accidentale. È certo che per riconoscere se i margini corrispondenti delle due porzioni del malare siano normali o non, resta molto malage- vole; ma però non impossibile per mezzo degli ingrandimenti a cui si possono portare gli oggetti col microscopio. Quanto diffi- cile adunque è il dimostrare se la divisione di un malare sia dipendente da rottura o da normale separazione, altrettanto è facile (nè può lasciare alcun dubbio in chi l’osserva, non potendo il malare diviso in due essere unito in un solo pezzo senza che l'osservatore se ne accorga) il riconoscere che l'unicità è dovuta ad un fatto puramente embriogenico. L’egregio Dottor Garbiglietti non potendo negare che i feti da me mostrati all'Accademia avevano il malare di un sol pezzo, e ciononostante volendo sostenere che si sviluppa per due punti, ha dovuto cambiare quanto aveva asserito nella relazione (?) cioè: (1) Baraldi. Cranzogenesi dei Mammiferi, pag. 73. Memoria letta all’Accade- mia di Medicina di Torino nell'adunanza 25 Ottobre 1872. (*) Garbiglietti. Note ed osservazioni ec. Op. cit. DELL’ 0SS0 MALARE 0 ZIGOMATICO 1% s per riconoscere, egli diceva, che il malare si sviluppa per due punti di ossificazione bisognava anatommizzare feti non oltre- passanti i tre mesi ,, asserendo invece nelle sue ulteriori consi- derazioni a pag. 25 (') quanto segue: , Nessuno al certo gli , contesterà (a Baraldi), di aver trovato nel malare di 14 feti , al disotto di tre mesi un solo apparente centro osseo, ed io , pel primo m'’affretto a riconoscere la .realtà di questi fatti, essendochè ai suddetti 14 feti io ne posso aggiungere quasi » altrettanti da me osservati, e tutti pure al disotto di tre mesi, , tutti medesimamente col malare di già ridotto ad un centro unico. Ma tutti questi fatti non infirmano per nulla la » Suespressa mia asserzione; imperocchè da que’ feti non sì possa , inferire altro, se non se essersi di già nei loro malari operata, e precocemente operata, l’intima fusione dei primitivi germi ossei. Corpe diem, mi giova ripetere; bisogna cogliere il tempo opportuno alle osservazioni, ed afferrare l'occasione propizia, » spesse volte fuggevole, onde poter constatare la presenza , Simultanea dei due germi di ossificazione. Ella è cosa rarissima che i due pezzi ossei, ond’è originariamente formato il malare » rimangano disuniti dopo il terzo mese di gestazione. La pre- , Senza dei due germi distinti in questo osso è osservabile so- sy lamente, nella immensa maggiorità dei casi, durante il primo s periodo della vita fetale, e sovente ancora avviene, come dissi , testè, che la intima fusione dei germi sia di già un fatto com- » piuto fin dai primordi dello svolgimento dell’osso, e, (come , asserisce a pag. 24 (?)) che l'unificazione dei due {germi sia, » di già un fatto compiuto fin dai primi giorni in cui è incoato s nel malare il lavorìo osteogenico , . Di fronte ad un tal modo di vedere la fusione dei diversi germi d'ossificazione che varranno i miei tre nuovi malari umani che vi presento appartenenti uno ad un feto di 7 setti- mane, uno a 10 ed un altro a 12 settimane, i quali hanno co- dest’osso formato di un solo pezzo? A Voi HMustri Naturalisti la risposta. To aggiungerò solo essere bensì vero che accade spesse volte d’incontrare la precoce fusione di due germi di un osso di una » b2) » »” » » (!) Garbiglietti. Ulteriori considerazioni ec. Op. cit. (*) ldem. Scar I ISO 2 18 G. BARALDI data specie d’animale, e che in un’ altra specie avviene assai più tardi, la fusione degli stessi germi; ma essa però ha sempre luogo ad una data epoca determinata tanto per l’una specie che per l’altra; e non ho mai incontrati due germi di un osso di una: data specie, 1 quali in differenti individui, sempre della stessa specie, si fondessero a diverse epoche della vita, come pretende- rebbe l'egregio Dottor Garbiglietti avvenisse per il malare uma- no (!). Per esempio le ali dello sfenoide posteriore si saldano col corpo in epoche assai differenti secondo i diversi animali, nel- l’uomo, nella scimmia e nel leone avviene sempre dopo la na- scita, e le stesse parti si fondano assieme nelle prime epoche della vita fetale nella capra, nella pecora e nel bue, e non ho mai incontrato un teschio di feto umano fra i tanti sezionati che avesse.le ali fuse col corpo prima della nascita, nè staccate le ali dal corpo dello sfenoide in nessun feto pecorino o bovino ad età molto inoltrata ec. ec. Se esiste una legge per la fusione ad un epoca determinata per queste ossa e così di tutte le altre, perchè la stessa legge non dovrà regnare per i germi ossei del malare? To confesso francamente, quella teoria non mi soddisfa e sono convinto che se il malare si.originasse per germi multipli questi dovrebbero fondersi 1’ uno coll’altro sempre alla stessa epoca. Non avendo mai riscontrato più di un germe, sui molti crani da me sezionati come in questi che ho l'onore di sottoporvi, io debbo credere che la divisione vista dal Garbiglietti sia da attribuirsi ad un fatto puramente accidentale. L'onorevole antropologo appoggia le sue asserzioni ad un eran numéro d’anatomici, i quali io prenderò in rassegna per sta- bilire il valore dei loro detti. Prima però di passare in rassegna gli autori, che ritengono svilupparsi il malare per due o più germi, credo opportuno di fare osservare in qual modo ho riscontrato l’iniziamento di questo osso, appoggiando i miei detti con tre nuovi preparati di malari di feti umani. Nella maggior parte dei mammiferi il malare, come tutte le ossa che provengono da tessuto connettivo, ha origine per tante isolette (Fig. 1.*, a) formate da cellule pe rlo più ovali molto grandi (,) Garbiglietti. Ulteriori considerazioni ec. Op. cit. pag. 24 e 25. DELL OSSO MALARE E ZIGOMATICO 19 nucleate chiamate dagli istologi osteoblasti. A quaranti giorni, per esempio nei ruminanti, le cellule che sono nelle isole cen- trali della regione del malare (') mostrano dei prolungamenti, e negli spazi nta si nota già secreta la sostanza calcare sotto forma di piccole granulazioni. Le isole allargandosi ed inspessendosi per nuova formazione di cellule (Fig. 1.*, b.) ven- sono a fondersi le une colle altre per modo che costituiscono una rete cogli spazi molto irregolari (fig. 1.*, c.). Mentre continua- mente avviene questo in tutta la regione dell'osso, nel centro si forma un nuovo strato ed alla periferia nuove isole. Pertanto le cellule che si trovano nel centro degli strati più profondi mo- strano i loro prolungamenti ramificati; insomma sono già diventate cellule ossee. Un nuovo strato di isole sopra le vecchie, e nuove isole che si generano alla periferìa è il lavorio osteogenetico di tutte le ossa del cranio secondario, il quale dura regolarmente in tutta la superficie ed alla periferìa fino al completo loro sviluppo, oppure fino a che s'ingrana con un osso vicino. La sovraposizione di nuovi strati non sempre è uguale in tutta la superficie, ma dif- ferisce per ciascun osso, dando luogo ad un centro che rassomi- glia, per la forma, all'osso che da esso avrà origine. Nell'uomo ed in alcuni altri mammiferi come nel cane, il malare differisce nel suo apparire in ciò, che invece di co- minciare con tante isolette, come si osserva nei ruminanti (Fig. 4.*) si inizia per una sola grande isola (Fig. 2.*, 3,° e 5.8) nel centro della quale, come potete rilevare anche dai rispet- tivi preparati che vi presento, si vedono le cellule ossee più fitte, perchè formate di più strati ossei, dare origine a tre raggi ognuno dei quali va a costituire un apofisi. (vedi le Fi- cure 2.2, 8.* e 6.* A, B, D.). — La fig. 2.* rappresenta un malare di feto umano lunso dalla sommità del capo al calcagno (non tenendo calcolo degli angoli degli arti e della curva del corpo) mill. 47, dalla sommità della testa al cocige mill. 41, della sommità della groppa al ginocchio mill 9, e dal ini al calcagno mill.i 8: perciò dell’età circa di 45 giorni. Esso ma- lare è lungo dall’ estremità dell’apofisi mascellare all'estremità dell’apofisi frontale (Fig. 2, A, B.) mill. 1, 10 e dal margine or- bitale all’apofisi temporale (G,D) mill. 0, 75» La Fig. 3. rap- (!) Chiamo regione lo spazio di tessuto connettivo sdoppiato destinato a ciascun osso del eranio secondario. 20 ‘ G. BARATDI presenta un malare di feto umano lungo dalla sommità del capo al calcagno mill. 98, dalla sommità del capo al cocige mill 75 dalla sommità della groppa al ginocchio mill.' 20 e dal ginocchio al calcagno mill. 17, e perciò dell'età circa di 10 settimane. Questo malare misura dall’ estremità dell’apofisi mascellare al- l'estremità dell’apofisi frontale (Fig. 3.8 A, B) mill 4,50 e dal margine orbitale all’apofisi temporale (G. D) mill. 3: è simile al precedente maggiormente sviluppato, e nel centro dei tre raggi si sono già formati gli spazi midollari o trabecole allun- gate nella direzione dei raggi stessi (Fig. 3.°, a). Nella Fig. 6.* è disegnato un malare di feto umano di circa 3 mesi ingrandito cinque volte e mezzo. A sette mesi della vita fetale il zigomatico (Fig. 7.2, 8.) e già completo e si articola colla ossa vicine. È da notarsi nella sua faccia interna e posteriore un avvallamento in fondo del quale si apre un foro, pel passaggio di vasi sanguigni (Fig. 7.* a), e nella faccia esterna un solco Fig. 8.* a.) in questo punto, assai più debole che in tutte le altre parti. Per cui volendolo rompere colle dita ci si riuscirà colla massima facilità dividendolo in due porzioni che corrisponderebbero a quelle riscontrate nelle anor- mali bipartizioni dei molari dei crani umani adulti. Mentre a me, come avete potuto ben accertarvi dai preparati che vi ho presentati, avviene di riscontrare sempre il malare svilupparsi per un punto solo di ossificazione, ad alcuni altri invece, e fra questi l’egregio antropologo torinese, è avvenuto di riscontrarlo svilupparsi per due. Perciò non sarà male, ora, che io prenda in rassegna codesti autori, e specialmente quelli citati dal nostro avversario, per riconoscere, come dicevo dap- prima, il vero stato delle cose e stabilire quale valore debbono avere 1 loro detti. Il sig. Dottor Garbiglietti ha divisi gli autori ehe hanno visto il malare svilupparsi per più punti di ossificazione in antichi e moderni, fra gli antichi ha posti Kerkring che scriveva nel 1729, Nesbitt nel 1736, Mayer nel 1783, Senff nel 1802. Portal nel 1804, Brechet nel 1814, e Spix nel 1815, e fra i moderni Rambaud e Renault nel 1864, Hamy nel 1872, e Gruber nel 1873 (!). Con- trasteremo le asserzioni degli antichi con un numero maggiore di (!) Garbiglietti. Ulteriori osservazioni ec. pag. 17-18-29, (nota) 123 appendice. DELL’ OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO 2 altri anatomici meno antichi e non meno valenti di quelli per risparmiare di fare noi delle osservazioni ad uomini sì illustri. Gli autori che dicono iniziarsi il malare per un solo punto di ossi- ficazione sono: Meckel che scriveva nel 1825, Clochet nel 1826. Boyer nel 1829, Bayle nel 1833, Blaudin nel 1838, Beclard nel 1859, Sappey nel 1850, Leyh nel 1850. Iamain nel 1853, Stram- bio nel 1854, Gruveillier nel 1862, Calori nel 1869, Malescott ‘nel 1869 (') e Chaveau nel 1871: e diremo qualchecosa degli autori moderni che credono svilupparsi il malare per punti d’ossifica- zione multipli. Tali autori sono i sig." Rambaud e Renault, Hamy e Gruber. I signori Rambaud e Renault valenti osservatori e anatomici, autori di un bellissimo ed interessantissimo libro, con stupendo atlante, sullo sviluppo e origine delle ossa nel corpo umano, disgraziatamente non avranno potuto osservare il primo inizia- mento dell’ osso malare col mezzo di un microscopio (istrumento iadispensabile per questo studio), perchè hanno asserito che » Nous l’avons (l’os molaire) toujours vu s’ossifier par un seul centre, mais composé de trois points. Ces points comme ceux des maxillaires, apparaissent de tres bonne heur et se reunissent très- vite. Le malaire de la fin du deuxième mois, est séparé du crois- sant orbitaire par un sillon cartilagineux dont la trace persiste longtemps chez le foetus et l’ enfant , (?). Se codesti osservatori avessero potuto vedere un malare dell'età di cui noi abbiamo de- scritto (Fig. 2.*), certamente avrebbero detto piuttosto che il ma- lare si sviluppa per un punto solo dal quale partano tre raggi ossei, e non per un centro solo con tre punti. Difatti come si possono immaginare tre punti d’ossificazione senza che ognuno di essi abbia un centro? come diversamente spiegare il loro accre- scimento per poi andare a saldarsi assieme? Sicuramente poi questi anatomici dovevano essere sprovvisti di microscopio, perchè hanno creduta cartilagine ciò che è tessuto connettivo stipato. È cosa omai elementare per gli embriologici che l'osso malare ha origine direttamente da tessuto connettivo e che perciò appartiene al cranio secondario: serie di ossa della testa nelle quali non si riscontra mai in nessuna età della car- tilagine. (') Depaoli. Lezioni d' embriologia di Molescott. Torino 1869. (2) Pag. 161-162. 29 G. BARATDI Il sie. Hamy non può essere tenuto fino ad ora come autorità assoluta su tale materia perchè non sappiamo ancora quali fatti adduca in appoggio delle sue asserzioni, cioè che il malare, come egli asserisce, si sviluppa per tre punti di ossificazione. Noi non sappiamo altro di questo distinto anotomico, che ha presentata all'Accademia Filomatica di Parigi una memoria colla quale tende dimostrare che l’osso in discorso si sviluppa per tre punti; e come si rileva dalla Gazette Hebdomadaire de Medecine et de Chirurgie de Paris n.° 48, 28 Novembre 1873, in cui vien riferito che nella adunanza del 22 Novembre 1872 della Società Filomatica di Pa- rigi il Dottor Hamy dimostrò aver luogo lo svolgimento dell’osso malare per punti multipli di ossificazione. In questi termini si esprimeva il predetto giornale: , M. Hamy demonstre que | os malaire se développe par trois points d’ ossification, l’ un vers l’apophyse, l’autre dans la portion orbitaire, le dernier dans la partie inférieure de l’ os. Le point apophysaire se retrouve chez l’hippopotame ,,. i Se il Dottore Hamy avesse basata la sua opinione sugli autori antichi stessi riportati dal Garbiglietti, e le sue osservazioni le avessero dimostrato che si sviluppa per tre punti ed un centro solo come hanno ‘asserito Rambaud e Renault, non vi pare 0 Egregi naturalisti che non si potrebbe per ora accogliere tale opi- nione? Non si potrebbe ritenere che quelli, che loro chiamano punti di ossificazione non fossero altro che i tre raggi ossei cen- trali che formano il triangolo del malare da noi più sopra de- scritto ? Il signor Dottor Morselli naturalista modanese ed il signor Dottor Garbiglietti hanno accettato senz'altro la opinione del- l'’Hamy. Difatti ecco come si esprime codesto ultimo in nota a pagina 23 (!): , Di questa nota del Dott. Hamy sull’osso malare, s trovo inoltre fatta menzione in una pubblicazione recentissima » dell’egregio mio Collega ed Amico Dottor Enrico Morselli di s Modena sopra un cranio scapoide, statomi gentilmente inviato » in dono dallo stesso autore, nel giorno 3 marzo 1874. In questo s importante lavoro, scritto con soda e non comune dottrina, con » fine acume di critica e col corredo di ampia erudizione, il Dot- » tor Morselli, nel far breve cenno del libro del Professor Baraldi, » Sulla Craniogenesi dei Mammiferi, così si fa a dire: , Le ricerche (') Garbiglietti. Ulteriori considerazioni ec. op. cit. DELL’ OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO 93 » mimuziose dell’egregio Prof. Baraldi non hanno fatto avanzare di » troppo la scienza, se attualmente il Dottor Hamy studiando » l’ osteogenesi del malare è ritornato ad ammettere cogli antichi » osservatori, come Spinx, Mayer, Portal, lo sviluppo di esso da » tre punti ossei, ad onta delle osservazioni categoriche del Ba- ; raldi sull’unicità di ossificazione, ad onta anche delle mie osser- » Vazioni in proposito ,. Io prima di pronunciarmi pro o contro al distinto anatomico sig. Dottor Hamy aspetterò che esso abbia reso di pubblica ragione le sue osservazioni. Tuttavia mi sia le- cito fin d'ora il dire; ma come mai debbono capitare tutti a mei malari che si sviluppano per un punto solo? io davvero non mi so dare ragione! Anche il Prof. Gruber ultimamente ha fatta una estesa mono- grafia nella quale (secondo quanto asserisce il sig. Dott. Garbi- glietti nella sua appendice a pag. 125) (!) prende in rassegna i vari casì di duplicità dell'osso in questione registrati negli annali della scienza e da una minuta descrizione di dieci nuovi casì da lui trovati in crani umani adulti: indi discorre della normale bi- partizione del malare presso alcuni mammiferi; e finalmente ri- serba un capitolo per la osteovenesi del zigomatico passando accuratamente in rivista le varie e disparate opinioni degli em- briologi. Esso però non ci dice che si sviluppi per più punti di ossificazione. Sono dolente di non possedere questa monografia per sentire 1] resultato delle sue ricerche intorno all’osteogenesi del malare umano. In quanto alla normale bipartizione del malare presso alcuni mammiferi, dall’nutore della monografia citati, mi riserbo dirne qualche cosa più avanti. Stringendo l’arsomento sull’ orisime del malare umano mi pare si possa concludere che se molti autori antichi ammisero la bipartizione e tripartizione di esso, altri ed in maggior numero e più moderni, i quali certamente erano provvisti di mezzi migliori di osservazione, ritengono inniziarsi lo stesso osso per un solo germe. Se fra i moderni abbiamo da una parte il Dottor Hamy, il quale, senza aggiungere forse nuovi fatti, e l’egregio nostro av- versario, credono alla bipartizione del malare; dall’ altra parte stanno le osservazioni del Dottor Morselli, il quale mi comunica (4) Garbiglietti. Ulteriori considerazioni ec. Op. cit. 24 G. BARALDI per mezzo di una lettera che la opinione espressa nella sua me- - moria intorno ad un cranio scafoide (') è basata su una ventina di crani di giovani feti umani che presentavano il malare di un sol pezzo; e le mie dimostrazioni fatte alla R. Accademia di To- rino di 14 malari di feti umani non oltrepassanti i tre mesi ed i tre altri, che alle SS. VV. ho presentati, tutti originati da un nu- cleo solo. Considerando questi fatti, credo debba nascere in voi la indubitata convinzione che l’osso più volte citato abbia ori- gine per un solo punto di ossificazione. Gli autori che generalmente hanno osservata l’ anomalia della duplicità nel malare umano adulto hanno creduto di poterla spiegare colla legge dell’ atavismo, perchè, come loro asseriscono, questo fatto di duplicità del malare si riscontra normalmente in alcuni mammiferi. E il sig. Dottor Garbiglietti senza ammettere l'anomalia come un fatto atavico , trova però essa, come egli si esprime, il suo analogo riscontro nello stato normale di alcuni pochi mammiferi ,. Passiamo ora a vedere quali, quanti, come sia e da chi è stata descritta questa normale bipartizione del malare in alcuni mam- miferi, | Normale bipartizione del malare in alcuni mammiferi? I mammiferi registrati negli annali delle scienze naturali che sì dice abbiano il malare doppio, sono, il Circopithecus sabeus — menzionato da Laurillard, Mycetes stentor — da Brechet, Mycetes seniculus — da Laurillard, Callithrix sciurea — da Cuvier, Trichechus rosmarus — da Meckel, Pagophilus Groenlandicus — da Meckel, Pander ed Alton, Phascolomys fossor — da Gruber. Altri ve ne sarebbero ancora, ma è stato già riconosciuto che gli autori, i quali li descrisseso, avevano confuso altre parti del cranio e ritenute queste per un secondo’ zigomatico. Ed ecco quanto giustamente ci fa noto in proposito il sig. Garbiglietti (1) Morselli. Sopra un Cranio scafoide. Memoria letta alla Società dei Natu- ralisti di Modena nell’adunanza degli 8 Gennajo 1874 e ‘pubblicata nell’Annuario, Serie II, Vol. VIII, fasc. I. d » ” 2 SJ - I » » DELL'OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO 25 pag. 10 (): “ L’anatomico parigino Brechet nella sua memoria intorno all'osso malare, e dopo di lui il Dottore Enrico Mor- selli nella succitata sua Disertazione sopra una rara anomalia dell'osso malare, enumerarono ancora, oltre a quelli stati da me citati, parecchi altri mammiferi, i quali, secondo essi, pre- sentano anche la duplicità del malare, e di più il Brechet ci diede eziandio le figure di codeste ossa zigomatiche da esso lui credute bipartite. I mammiferi dai prefati autori giudicati muniti di duplice osso malare sono i seguenti: » L'Ippopotomo-Hppopotamus amplubius (Tav. 8, fig. 8): il Castoro — €. Castor fiber (fig. 4): il Porcospino d’Asia — Hystrix cristata (fig. 5): l’Oritteropo del Capo — Orycteropus Capensiîs: il Formichiere propriamente detto — Myrmecophaga didactyla, Lin. (fig. 1): il Yurumi o Becchino o Tamanara — Myrmecophaga jubata (fig. 3). s Se non che, ad eccezione dell'unico caso finora conosciute di teschio d’ Ippopotamo col malare bipartito, in tutti gli altri mammiferi or ora menzionati e citati dai Dottori Brechet e Morselli, l'osso malare non trovasi mai diviso in due porzioni, nello stato normale. y 1 sullodati due anatomici sono stati tratti in inganno dall’apparenza, ed il Prof. Baraldi ha tutta la ragione d’im- pugnare la veracità dei fatti da essi riferiti. i » In vero, nel Castor fiber, e nell’Hystrix cristata fu eviden- temente scambiata per una porzione dell'osso malare una per- sistente epifisaria porzione dell'osso mascellare superiore, e medesimamente nella Myrmecofaga Dydactila, e nell’ Oryeteropus capensis fu considerata come un secondo osso malare la por- zione terminale del processo zigomatico del temporale. Nella Myrmecophaga jnbata poi fa l'osso lacrimale preso pel vero osso zigomatico, e quest’ultimo invece fu considerato quale semplice porzione inferiore del zigomatico. » Il Brechet inoltre, nell’ Uano o Bradipo ditattilo — Cho- lopus didactylus, e nell’Ai o Bradipo tridattilo — Lradipus tridactylus, considerò quali due ossa distinte e particolari l’estre- mità del processo zigomatico del temporale, non che l’estre- mità del processo masseterico del zigomatico. (1) Garbiglietti. Ulteriori considerazioni ec. op. cit. DÒ Sd (. BARALDI » In quanto all'osso malare dell’Ippopotomo, di cui pari- » menti il Brechet ci diede la figura, esso è realmente, mediante y, una sutura verticale, diviso in due porzioni, una anteriore 0 » mascellare, e l’altra posteriore. Ma una siffatta bipartizione, » di cui finora non si conosce nell’Ippopotomo che un solo esem- » pio, per essere totalmente diversa da quella che osservasi » nelle Scimie, e talvolta nell'uomo, se non erro, debbesi rite- , nere quale un semplice fatto eccezionale ,. Vediamo ora quale reale valore hanno i malari ritenuti come normalmente doppi nelle 7 specie di mammiferi qui sopra notate. 1.:— È indubitato che in Un cranio di Callitrix sciurea è stato riscontrato il malare formato di due porzioni, ma con ciò non possiamo ammettere che nella Callitrix si sviluppi normalmente in tutti gli individui per due germi, come molti autori vorreb- bero farci credere. Difatti nessuno, fin ad ora, all'infuori di Cuvier, ha descritto nuovi casi di duplicità del malare, nella Callitrix. Ed anche l’egregio antropologo nostro avversario lo cita esponendo un brano della 1. edizione delle sue lezioni di- menticando però le prime parole del periodo, che per me hanno un certo valore. Ecco quanto esso ha trascritto (') , Quelques » espéces. (de quadrumans), comme le Callitriche, ont. un os , particulier qui remplace langle zygomatique de l’os de lapom- » mette; il forme presque tout le bord inferieur de l’arcade » qu'il paroit doubler en dohors. Le sutures de cet os s°effacent s de bonne heure ,: mentre, volendo io far conoscere che Cuvier non era ben certo che nella Callitrix vi fosse sempre l'osso ma- lare diviso, così, vi riporterò testualmente come incominci il pe- riodo stesso trascritto dal Garbiglietti. ,, /l para cependant que » quelques especes (de quadrumans) comme le Callitriche etc. » etc. (*),. Ed aggiungerò di più che nella 2.* edizione corretta ed aumentata da suo fratello Federigo e Laurillard (8), e nella 3.° edizione raccolta e pubblicata da Dumeril (*) sta precisamente (*) Vedi Garbiglietti, Ulteriori considerazioni ec. ec. Op. cit. pag. 15. : (£?) G. Cuvier, Lecons d’anatomie comparée. Tom. IN, pag. 39; Paris 1805. (3) F. Cuvier et Laurillard, Lecons d’ anatomie comparee, par Géorge Cuvier. Paris 1837, 2.2 edit.,, tom. II, pag. 385: i (4) Dumèril, Lecons d’ anatomie comparée, par G. Cuvier. Paris 1896, 3.° édit., tomiNi paiolo: DELL’ OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO PAT; scritto in tuttedue le edizioni ; Nous avons retrouvé dans Une » tete de callitriche la mème division du jugal che nous avons » décrite dans l’ homme ,. 2. Su due crani di Cercopithecus sabeus il Brechet (') dice d'avere riscontrato il malare doppio. Non voglio credere possi bile che realmente questo autore non abbia visto il malare doppio su queste due scimmie; ma però vedrei volentieri con- fermato questo fatto da altri anatomici per convincermi asso- lutamente che esso non ha confuso altra parte delle ossa del cranio con una porzione di malare, come è stato dimostrato essergli avvenuto per altri animali (). E ben vero che il mio onorevole avversario dice a pag. 15 che questo stesso fatto è stato pure osservato da Laurillard, e di ciò non ne dubito punto: solo desidererei sapere ove quell’autore lo abbia annunciato. 3.° — Lo stesso Laurillard (*) trovò doppio il malare in tre te- schi di Mycetes seniculus, due dei quali appartenenti ad individui vecchi , Deux tètes d’alouattes adultes, ed une autre plus jeune, , nous ont montré de chaque còté cette méme division du jugal, , en tout semblable à ce que nous avons déja décrit dans l'homme , e dans le callitriche ,. Per questa specie il Dottor Garbiglietti awrebbe detto che Laurillard trovò su quattro crani il malare diviso (4). Il solito Brechet nello stesso lavoro citato dice d'aver riscontrato il malare doppio in un cranio di Mycetes seniculus. Non dubito menomamente che gli autori 1 quali parlano del malare del Mycetes seniculus abbiano potuto confondere una cosa coll’altra, ma metterò solamente in rilievo che l’arcata zigomatica di queste scimmie è costituita in maniera che, un esame superficiale, potrebbe facilmente trarre in inganno 1’ os- servatore. Se si guarda la faccia interna, -dei crani anche adulti. dell’arcata zigomatica è facile credere essere l’osso malare di- viso in due (Fig. 9); e ritenere la porzione 6 per la temporo- jugale e la porzione d per l’orbito-jugale: mentre nella faccia (4) G. Brechet, Recherches sur differentes pièces osseuses du squelette de l'hom- me et des auimave vertèbres; 2.° Mémoire. De los malaire ou jugol, dans les An- nales des se. natur., 3.° sér. Zoologie, Tom. I, Paris. 1814, pag. 84; 3, PI. VII, fig. 7. (?) Vedi pag. 25 di questo lavoro. (3) Op. cit. pag. 386. (4) Non so dove il sig. Garbiglietti abbia veduto seritto nella edizione da esso citata. ‘del Laurillard, ehe due crani di Cercopithecus Sabeus o quattro di Mycetes seniculus invece di tre, hanno il malare doppio. 28 G. BARALDI esterna è molto manifesto essere il malare formato di un solo pezzo. Nel punto però che nell'interno corrisponde il pezzo è (Fig. 9.*) nella faccia esterna si riscontra una fossa limitata da margini rilevati (Fig. 10.°, a) e che potrebbesi da taluni, non attenti, ritenere per la ossificazione del margine superiore della porzione temporo-jugale col margine della porzione orbito- jugale, mentre non è altro che la superficie la quale dà punto d'attacco al massetere. 4.4 — Brechet (') ha detto che in un cranio di Mycetes stentor ha visto il malare doppio. Io vi raccomando solo di guardare alla figura da esso riportata per convincervi che ha confusa una por- zione del mascellare per una metà del malare stesso. 5. — Nel 7richechus rosmarus si riscontra nel zigomatico un piccolo osso accessorio, descritto dapprima da Pander e da Alton, e confermato da Meckel. Questo celebre professore alemanno nel suo classico trattato di anatomia comparata mise im dubbio che quel piccolo osso non fosse altro che il lacrimale un po’ spo- stato. Ed ecco come si esprime (?): , Un conformation digne de » remarque dont ne connais pas d’ autre exemple chez les mam- » miferes est présentee par la morse. La partie antérieure du »Jugal est près de la moitié plus haute que la postérieure; une » portion considérable de cette éminence est opérée, sur le cràne sd’ un jeune individua que j'ai entre les mains, par un os al- » longé, apointi en haut, qui est appliqué uniguement sur le »Jugal, e qui fait è peine une septiéme du tout. Sur tous les , autres crànes que j' ai examinés, J' ai vu cette pièce confondue , avec le reste du jugal, quoique les autres sutures de plusieurs » de ces tètes existassent ancore. Cet os est-il le lacrymal, qui , se serait fortement déjété dehors? , È vero che Hallmann ci ha fatto conoscere che nel Tricheco esistono realmente le ossa lacrimali ridotte a piccole proporzioni e quasi allo stato rudimentale, ma però non ci avverte che oltre alle ossa lacrimali rudimentali sì riscontri anche l’osso acces- sorio applicato al zigomatico descritto da Meckel. Ciò che ci conduce a credere che Hallmann abbia descritto giustamente per (4) Op. cit. (2) T. F. Meckel. Tradté General d' Anatomie comparéc. Tom. IV, pag. 303. Paris 1829. — Traduit de l’Allermand par MM. Riester et Alph. Sanson. DELL'OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO 2g ossa lacrimali ciò che per Meckel era un osso accessorio del zigomatico. i Più tardi nel 1844 Késtlin dice d’avere visto in vari teschi di Tricheco soventi volte il malare perfettamente bipartito. I Professori Siebold e Stannius affermano che qualche volta esiste un piccolo osso accessorio applicato sull’jugale. , Chez le » Morse, il existe en autre, parfois, un petit os accessoire ap- » pliqué sur le jugal (!) ,. Il Dott. Garbiglietti (*) invece avrebbe dimenticato le tre parole nel riportare testualmente quanto as- seriscono codesti autori, parole che io ho voluto aggiungere, perchè mi pare che cambino di molto il senso. Tali parole sono en outre parfois, cosicchè egli ha trascritto il periodo dei due anatomici in questa guisa , Chez le Morse @l existe un petit 0s » Gccessoire applique sur le jugal ,. 6.* — Meckel asserisce che nella Pagophilus Groenlandicus (Foca Groenlandica) si nota una traccia dell'osso accessorio riscon- trato nel Tricheco, ed ecco come si esprime , Sur un grand nombre de crànes de phoques il n° y a que celui du phoque « croissant (phoca groenlandica) qui m° offre une trace de cette piéce osseuse (trovato nel Tricheco) (?) ,. 0.2 — Infine a questi mammiferi, già da lunga pezza di tempo registrati negli annali della scienza siccome muniti di duplice malare, il W. Gruber ne aggiunge un altro, sul quale egli potè pel primo constatare tale anatomica conformazione. Questo mam- mifero, della famiglia dei marsupiali è il Vombato , conosciuto anche sotto il nome di Tasso di Australia (Phascolomys fossor). Garbiglietti pag. 125. Queste adunque, o Signori, sono le sole specie di mammi- feri, nelle quali si dice trovarsi normalmente il zigomatico bi- partito, ed i soli autori che le osservarono e descrissero. Debbo opportunamente avvertire che se molti furono gli anatomici che asserirono essere le summenzionate specie di mammiferi munite di duplice malare, essi però, senza accrescere un nuovo fatto, non fecero altro che ripetere ciò che dissero quelli, ed anzi alcuni, secondo che gli conveniva meglio, ommisero od aggiun- (1) Siebold e Stannuis, Nouveau manuel d' anatomie comparce. Paris, 1849, tom, II, pag. 399. (2) Op. cit., pag. 12. — Ulteriori considerazioni ec. (3) Meckel. Op. cit. pag. 304. 30 G. BARALDI sero o cambiarono qualche parola, la quale mutava il valore che realmente aveva la prima descrizione. Perciò ora considerando, Che in Un solo cranio di Callitrix sciurea, (senza che si sappia se il cranio appartenesse ad un individuo giovane o no), Che su due soli crani di Cercopithecus sabeus descritti dal Brechet, Che su tre crani di Mycetes seniculus due adulti ed uno giovane indicati da Laurillard, ed un altro da Brechet (senza dire l'età), Che in un Mycetes stentor descritto da Brechet (senza dire l'età), Si è riscontrato, in tutti, nel malare una bipartizione si- mile a quella che si osserva anormalmente in alcuni crani umani adulti; Che nel Trichechus rosmarus e nel Pagophilus Groenlan- dicus si è trovato solamente un piccolo osso accessorio applicato al jugale, E che nel Phascolomys fossor si osserva il malare diviso. È da ritenere, Che il malare doppio visto nella Callitrix sciurea sia sem- plicemente un fatto accidentale, Che nei due crani di Cercopithecus sabeus il Brechet abbia confusa la porzione di un osso che si articola col malare con una porzione del malare stesso, come ciò gli è avvenuto posi- tivamente per altri animali, Che, .molto probabilmente, nei Mycetes seniculus sia stata scambiata l’apofisi zigomatica del mascellare per una POZIORA di malare, Che lo stesso errore sia avvenuto per il Mycetes stentor. Che l’ossicino accessorio del Tricheco e della Foca groen- landica non sia altro che il lacrimale rudimentale spostato: come ci aveva già espresso il dubbio Meckel, E che il fatto del Phascolomys fossor non sia altro che. una accidentalità individuale. Jo ritengo, lo ripeto, che tutti i casi di duplicità osservati in alcuni mammiferi, si devono attribuire ad una accidentalità individuale, piuttosto che ad un fatto normale della specie: e questa mia opinione è avvalorata dai seguenti fatti: DELL’ OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO 51 Esistono nei Musei d’anatomia comparata . di Torino e di Pisa Sca Callie e GOESii di Cercopithecus sabeus . Eee 2 di Mycceesssemne nu sei lE le di Myeecesgstentor. e ea, l di Iaicheelustrosmafus i Wei di Pagophilus groenlandicus. 3 — » di Phascolomys fossor....— -—, e tutti appartenenti ad individui giovani come si dl dalle suture delle ossa, le quali non si sono ancora saldate, ed anzi alcuni appartenenti ad individui di pochi mesi di vita extra ute- rina, i quali crani, anche i giovanissimi, non presentano traccia di normale od anormale bipartizione del malare. Bipartizione anormale del malare nel cranio umano. Il numero abbastanza rilevante di anomalia di duplicità nel malare che si riscontra nel cranio umano (') ha interessato tutti gli antropologi a studiarla per riconoscere se essa sia subordinata ad una legge organica animale. Le leggi e le teorie fino ad ora emesse dai diversi anatomici che ne hanno parlato, secondo il mio modo di vedere mi sembra che non valgano a spiegare come tale anomalia avvenga, per le ragioni che esporrò. Le due porzioni del malare che formano la rara anomalia non sono sempre uguali nei differenti individui non solo, ma neanche nell’individuo stesso paragonato le destre colle sinistre. La sutura che le divide ha una differente direzione, alcune volte è retta, altre volte curva, spesso fa un angolo col vertice o ri- volto in basso o rivolto in sù: rare volte è bifida, spesso non divide interamente l'osso; e finalmente in tutte queste varietà di direzione le dentellature dei margini corrispondenti delle due (4) Secondo le osservazioni di Gruber (*) sopra il numero di 500 a 1000 te- schi s'incontra un caso di duplicità del malare sia da ambidue i lati sia semplice- mente da un solo lato. (*) Monographie iiber das Zweigetheilte ITochbein, os zygomaticum bipartitum, bei dem Men- schen und den siugethieren, und Bericht riber die Leistungen der pralitischen Anatomie an der Me- dico-Chirmugischen Akademie in St-Petersburg in den Jahren 1858, 59 — 1871, 72 von Dr. Wenzel Gruber Professor und Director des. Institutes der praltischen Anatomie in St-Petersburg, mit einer Uuthographirten L'afel. Vien, 1373. (Garbiglietti pag. 123). SR G. BARALDI porzioni sono di forma e dimensione diversa. Molte volte 1° ano- malia non si riscontra che da un lato solo sia destro o sinistro indifferentemente ('). Tutte queste diversità mi fanno supporre che non sia una legge costante invariabile, la quale origina l'anomalia in discorso, ma che dipenda invece da una accidentalità, la quale varia nel suo agire tanto per il tempo che per il modo. I Essa si riscontra colla stessa frequenza tanto nei cranii di razze umane antiche quanto nelle razze moderne per cui non sì può ritenere carattere di razza come alcuni autori hanno asserito. i Non si può neanche accettare la teoria di chi crede dipenda l'anomalia , da un arresto del processo evolutivo di quest’osso nel feto per guisa che persista anormalmente nell’adulto (Gar- biglietti ,; primieramente perchè ‘il malare si inizia per un solo germe osseo, come abbiamo visto più sopra, secondariamente, anche ammettendo per un momento che realmente si inizi per due, l'anomalia di esso dovrebbe riscontrarsi costantemente identica, avere cioè la sutura che li divide nella stessa posi- zione, ed avere una eguale direzione in tutti gl individui, nei quali si osserva; ciò che non avviene come abbiamo altra volta detto. Non è supponibile che quest’osso si sottragga alla legge generale d’ossificazione! Tutte le volte che incontriamo una sutura che divide due ossa, essa, anche quando avviene la fu- sione precoce delle due ossa stesse, come si verifica negli inter- mascellari coi mascellari umani, ha sempre una identica direzione e la divisione è perfettamente uguale, paragonata nei differenti individui della stessa età e specie. Nè tampoco l'anomalia si può considerare come un fatto atavico, un ritorno cioè alle forme primitive, per la ragione che non riscontriamo un doppio malare in nessuna classe di vertebrati (2). I casi di dublicità del malare descritti e trovati in (!) Vedi per la verità di queste osservazioni le figure dateci da Sandifort, Obsesvatione-pathologicae; da Blumembachii, Decades collectiones sue craniorum di- versarum gentium illustra; da Garbiglietti, Rara anomalia dell’ Osso jugale; da De- Lorenzi, Nuovo caso di rara anomalia dell’ osso malare; da Nicolucci, da Morselli ee. (2) Nella prossima seduta d’autunno 1875 parlando della omologia fra gli organi accessori della respirazione dei pesci e gli organi accessori dell’ apparato dell’udito dei mammiferi e più specialmente fra le ossa opercolari dei pesci e le DELL’ OSSO MALARE 0 ZIGOMATICO Sa alcuni mammiferi e ritenuti come un fatto normale della specie, mi pare di avere bastantemente dimostrato che per essersi ri- scontrati in un piccolo numero di individui si debbano ritenere per una anomalia individuale piuttosto che per un fatto nor- male embriogenico della specie. Io confermo di nuovo che l'anomalia dell'osso malare ri- scontrata in alcuni crani umani consistente nella sua duplicità sia originata da una causa simile a quella che dà origine alle ossa vormiane e quindi che si debba ricercarla in una acciden- talità che agisca in diverso modo ed in diverso tempo nei di- versi individui. — Questa . accidentalità è meccanica?? Agisce sempre durante la vita fetale o durante le prime epoche della vita extra-uterina?? — È un fatto, e questo spiega anche la rassomiglianza e non l'uguaglianza dell’anomalia fra quelle ri- scontrate in diversi individui e negli individui stessi, quando noi vogliamo rompere meccanicamente il malare di un giovane individuo, e meglio di un feto, la rottura è sempre simile alla duplicità che si riscontra nei crani adulti, per la ragione, come abbiamo detto altra volta, che il malare umano ed anche delle scimmie in quella regione si presenta più debole, vuoi per la distribuzione delle trabecole ossee, vuoi per la sua sottigliezza, vuoi infine per la presenza di un foro che serve di passaggio a dei vasi sanguigni. cartilagini del padiglione dei mammiferi, dimostrerò, appoggiato anche dai celebri anatomici Huxley, Gegenbaur ed altri, che l’ 0sso ipotimpanico 0 timpano-jugale 0 quadrato proprio degli uccelli, dei rettili e dei pesci, da alcuni ritenuto come un 2.0 malare, è l’omologo della incudine (ossicino dell’udito) dei mammiferi. Quindi non essere accettabile la omologia che qualche anatomico ritiene fra l’osso tim- pano-jugale e l’anormale pezzo inferior-posteriore del malare umano. Sc IVat IO LIA IR SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fic. 1.° — Porzione marginale di parietale di feto bovino di 8 settimane, trattata e vista coll’oc. 2, obb. 4, Microscopio d’Hartnack. a) Isole ossee. 5) Punto di fusione di due isole. c) Spazi interisolari. s 7 2.* — Malare di feto umano di circa 45 giorni, trattato colla gli- cerina e visto coll’ ocul. 2, obb. 7 del Micros. d’Hartnack. a) Punto di convergenza dei tre raggi. » 9.2 — Malare di feto umano di 10 settimane circa, tratto e veduto come il N.° 2. a) Spazi midollari o trabecole (schematiche). b) Punto di convergenza dei tre raggi. » 4. — Malare di feto bovino di 8 settimane circa, trattato e veduto come il N.° 1. - »s 5.° — Malare di feto di cane di 10 settimane circa, trattato e veduto come il N.° 1. » 6. — Malare destro di feto umano, di 3 mesi circa, faccia interna, ingrandito 5 volte e mezzo. s 7.* — Malare destro di feto umano di 7 mesi circa, faccia interna, grandezza naturale. a) Avvallamento in fondo del quale si aprono dei fori pel passaggio di vasi sanguigni. n 8. — Idem, faccia esterna. a) Solco. » 9. — Faccia interna dell’arcata zigomatica destra di un Mycetes seniculus. a) Apofisi zigomatica del temporale, b) Margine inferiore ed anteriore del malare o zigomatico, c) Apofisi zigomatica del mascellare. d) Porzione della faccia interna e posteriore dell’apo- fisi temporale del malare. » 10.8 — Faccia esterna dell’arcata zigomatica destra di un IMycetes seniculus. a. Superficie, che dà attacco al massetere. F. Zigomatico o malare. G. Apofisi zigomatica del temporale. H. Apofisi orbitale del frontale. T. Mascellare. I CRINOIDI TERZIARIE INSOLITA: Presentata nell'adunanza del di 24 Gennaio 1875. Avendo le recenti scoperte di animali viventi nelle grandi profondità dei mari richiamata l’attenzione dei Paleontologi sui Crinoidi terziarii, ho creduto opportuno render note le poche osservazioni da me pure raccolte intorno ad esso interessante argomento. Mi vi confortò principalmente la generosa coopera- zione dell’illustre collega ed amico il Prof. C. Zittel, confidan- domi per qualche tempo tutta la collezione dei Crinoidi terziarii del Museo paleontologico di Monaco. G. MexnegHINI. Pentacrinus didactylus, d’Orb. Pentacrinus didactylus, (d’Orb.), d’Arch. Fossiles rec. par M.Thorentete. Mém. ‘dela ‘Soc. geéol. ‘dd. Fr. 2. Ser. II, 1846, pag. 200) CRISI fig. 16, 18 (ex parte et excl. fig. 17); Descript. des foss. du gr. nummol etc. Bull. 2. Sér, IV, 1847, p. 1006; Mem. etc. III, 1848, p. 417; Hist. des progr. etc. 1850, p. 246. — Guiscardi, I Crinoidi del per. terz. 1874, p. 2 (ex parte)? Pentacrinus subbasaltiformis, (I. de C. Sowerby), Forbes, Monogr. of the Echinod. of the Brith. Tert. Palacontogr. VII, 1852, p. 34, PI. IV, fig. 8? (ex parte et excel. fig. 9, 10). Pentacrinus diaboli, Bayan, Sur les terr. tert. de la Ven. Bullet. de la Soc. géol. de Fr. 2.° Sér. XXVII, 1870, p. 486. Le tre forme figurate dal Prof. Forbes sono notevolmente luna dall'altra diverse, ma la descrizione si riferisce particolar- I CRINOIDI TERZIARII X 30 mente alla fig. 8. Articoli eguali, piani e quasi lisci all’esterno; cirri opposti o quasi opposti, la cui inserzione turba la simmetria delle facce articolari sulle quali si effettua. Nella fig. 9, gli articoli hanno una zona mediana trasversale di tubercoletti, in rispondenza alla quale sembrano aver maggior diametro, quasi fosse una carena, e le articolazioni ne risultano leggermente incavate. La superficie articolare apparisce concava, le fogliette ovali ne sono molto distinte ed a margine unifor- memente denticolato, fin quasi alla estremità centrale. Nella fig. 10 è leggermente indicata la zona mediana dei tu- bercoletti, ma senza alcun rilievo della superficie, la quale si con- serva piana. Le suture invece sono fortemente denticolate. Le fogliette della faccia articolare sono cuneate, a grossi denti nel- l’arco esteriore, minuti e rapidamente minori nei lati contigui. L'A. avverte riscontrarsi anche altre varietà: ,, The fragments of stems vary much in degree of rotundity and indication of lobation. Young ecemples are more distinctly five-lobed than old specimens ,. Il Visconte d’Archiac figura e descrive tre forme, esse pure notevolmente diverse. Nella fig. 16, che sembrerebbe dover rappresentare la forma tipica, indipendentemente dalla compressione che non si può ri- guardare come specifica, la superficie esteriore è liscia, le impres- sioni puntiformi interarticolari sono leggere, le inserzioni dei due cirri non turbano la simetria delle due fogliette che vi rimangono comprese da un lato e delle tre interposte dall’ altro; ciascuna di esse è romboidale ed ha margine fittamente ed uniformemente denticolato, anche nei lati contigui, separati da profondo solco. Nella fig. 17: ,articulations portant, vers le milieu de la hauteur, une rangée de granulations irrégulibres, diversiformes ,. Ed in cor- rispondenza ad essa zona, si può dire essere ciascun articolo for- nito di decisa carena sporgente, risultandone incavate le articola- zioni, come nella fig. 9 del Forbes, ma con maggiore evidenza. Due inserzioni di cirri sulla stessa faccia articolare, come nel caso precedente, ed analoghe per forma e denticolazione le fogliette. Sembra che lo stesso A. escludesse più tardi questa forma, omet- tendone la citazione nel quadro della fauna nummulitica (ist. des progrès etc. L. c.). La fig. 18 è citata dubbiosamente dal Forbes come apparte- nente al P. subbasaltiformis, e lo stesso Visc. d’Archiac accenna Bite, G. MENEGHINI come probabile questo ravvicinamento (Mém. ete. IH, p. 417). La superficie esteriore è perfettamente liscia , sans granulations ,; le impressioni puntiformi interarticolari molto marcate, ed, alter- nanti colle cinque serie di esse, in corrispondenza alla sommità delle fogliette articolari (in questo caso rotondate anzichè an- golose), altre leggere impressioni longitudinali. L'A. avverte: , Outre ces trois varietés de tige, il en existe plusieurs autres , . Il Prof. Guiscardi descrive i sei pezzi di gambo del P. di- dactylus provenienti da Biarritz e facienti parte della collezione del Visc. d’Archiac, ora posseduta dal Museo di Geologia di Napoli. Nel primo di essi (a), gli articoli hanno sul mezzo dell’al- tezza un cingolo di tubercoletti, ed altro cingolo poco rilevato alle suture; due braccia ascellari corrispondenti a due serie al- terne di depressioni, ad una estremità della colonetta di 31 ar- ticoli, un solo braccio in corrispondenza della serie che intercede, alla estremità opposta. i Nel secondo (6), gli articoli non hanno cingolo alle suture, quattro tubercoli posti a croce nel mezzo dell'intervallo fra le depressioni, e da due a cinque nel rimanente spazio; due inser- zioni di braccia ascellari a ciascuna estremità della colonnetta di 18 articoli. Il terzo (c) è compresso, ha articoli ineguali, alternanti, al- quanto convessi, con rarissimi tubercoletti, zone dentate assai larghe, e nessuno dei 15 articoli porta traccie di rami Jaterali. Ineguali ed alternanti sono pure gli articoli del Quarto esem- plare (d), i più alti inegualmente sporgenti e convessi, senza tubercoli, senza rami. i Ineguali, ma così disposti che fra tre di maggiore altezza stanno due copie di meno alti, sono gli articoli del quinto (e) esemplare, provveduti nel mezzo dell'altezza di ottusa carena ornata di tubercoletti, profonde e quadrate lo fossette interar- ticolari; faccia articolare concava. Subeguali, alternanti, leggermente convessi e più ornati di tutti 1 precedenti sono gli articoli dell'ultimo (f) esemplare: nei più alti, un cingolo di tubercoletti alla metà dell'altezza; nei meno alti, pochi tubercoli presso gli angoli rientranti; in tutti, due tubercoletti su ogni spigolo sagliente, che ne dividono l’al- tezza in tre parti uguali; zona dentata meno rilevata ma a denti più numerosi che nel caso precedente. I CRINOIDI TERZIARII 39 Alcune altre minute particolarità, oltre alle esatte dimen- sioni, sono diligentemente notate dal Prof. Guiscardi in ciascuna delle sei forme, ma i principali caratteri qui riferiti sono suffi- cienti a dimostrare che nessuna di esse corrisponde ad alcuna delle tre figurate e descritte dal Vise. d’Archiac, sotto al nome di P. didactylus, nè ad alcuna delle tre figurate dal Prof. Forbes sotto a quella di P. subbasaltiformis. Se si voglia attribuire valore specifico alla zona mediana più o meno variabile di tubercoletti, con più o meno manifesta carena, separandone gli esemplari ad articoli lisci ed a superficie esteriore piana, si avranno da una parte le figure 9 e 10 del Forbes, la figura 17 del d’Archiac e gli esemplari a, 5, c, e, f del Guiscardi; dall’altra la fig. 8 del Forbes, le figure 16 e 18 del d’Archiac e l'esemplare d) del Guiscardi. Ma a quale dei due gruppi si dovrà attribuire il nome subbasaltiformis, a quale quello di didactylus se gli esemplari tipici delle due proposte specie (S di Forbes, 16 di d’Archiac) sono per l'appunto compresi nello stesso gruppo ? Potrebbe soltanto osservarsi che nell’esemplare tipico del Forbes (fig. 8) la superficie è detta quasi liscia, e dalla figura apparisce deciso indizio della zona trasversale di tubercoletti. Resterebbero quindi attribuibili al P. subbasaltiformis tutte le figure del Forbes, la fig. 17 del d’Archiac, e tutti gli esemplari descritti dal Guiscardi, eccetto 11 solo esemplare d), che, insieme alle figure 16 e 18 del d’Archiac, apporterebbero al P. diductylus. Ma appunto in proposito di quell’unico esemplare affatto liscio, esaminato dal Guiscardi, esso accuratissimo osservatore avverte ch'è eroso, non escludendo il dubbio (benchè non gli sembri pro- babile) che alla erosione debba attribuirsi la totale sparizione dei tubercoli. Fra gli altri caratteri, astrazion fatta dalla forma più o meno compressa o cilindrica, ad angoli più o meno sporgenti, ad articoli eguali o variamente disuguali, tutte varietà indivi- duali o regionali o di età, non rimarrebbero a considerarsi che i particolari delle faccie glenoidee, i quali nelle tre figure del Forbes sono differentissimi, mentre nelle tre del d’Archiac sono consi- mili fra loro, ma notevolmente diversi dai particolari di ognuna di quelle. Le esatte descrizioni del Guiscardi dimostrano l’ esemplare €) 40) G. MENEGHINI distinto da tutti gli altri per la piccolezza ed il maggior nu- mero dei denti; ancor più diverso da tutti l'esemplare f), nel quale i margini delle foglioline non sono separati da un solco, e le corrispondenti porzioni di zona dentata vi sono inclinate verso la sutura, dando origine ad una piccola doccia; mentre a tutti gli altri possono approssimativamente convenire le figure date dal d’Archiac. Nel solo esemplare e) è indicata la superficie interna delle foglioline concava, mentre negli altri è piana. Consegue da questa lunga discussione mancarci i dati per decidere se due o più specie si comprendano sotto ai due nomi più volte menzionati. Il sig. Bajan propone il nome di P. diaboli per gli esemplari di Mossano e delle altre località delle Prealpi Venete, ai quali asserisce impropriamente attribuito dal Bar. de Zigno il nome di P. didactylus: , Les articles sont bien nettement pentagonaua, n° of- frent pas les ornements caractéristiques de Vl espèce de Biaritz; les cotes sont lisses, on n y voit que les clivages du rhomboèdre ca- ractéristique des crinoides, et au milieu de la commissure des deux articles, un petit renfoncement. L’ étole è cinq pétales est nettement marquée sur la surface articulaire ,. (1. c. p. 486). Per le precedenti considerazioni risulterebbe invece, doversi appunto per la mancanza di ornamenti esteriori, propri al P. sub- basaltiformis, riferire i nostri esemplari al vero P. didaciylus. So- migliantissimo infatti alla fig. 16 del Visc. d’Archiac, per la com- pressione e per ogni altro carattere, è un esemplare proveniente dal terreno eocenico di Albettone (Eugonei), con ciò solo di di- verso che ad una delle estremità porta le articolazioni, anzichè di due, di quattro cirri laterali: uno solo degli spazii interfo- gliolavi ne manca, piccola quindi ne risulta l’ assimmetria. Sette per lato, 14 nell’insieme, sono i grossi e larghi denti del mar- gine libero di ciascuna fogliolina, pochi ne succedono rapida- mente minori, così che, nella maggior parte del tratto pel quale sono contigui, que’ margini appariscono lisci, separati da pro- fondo solco. Altri esemplari, della stessa provenienza, sono rego- larmente pentagoni o subcilindrici, come nella figura 18 del Vise. d’Archiac, alla quale corrispondono pure per le dimensioni e per ogni altro carattere. In taluno subcilindrico e di minori dimensioni (7”" di diam.), i denti periferici si riducono a soli 10. in una colonnetta subcilindrica di 6"" di diam., della lunghezza I CRINOIDI TERZIARII SOA] di 50”, costituita di 24 articoli, la faccia articolare dell'ultimo mostra le articolazioni di cinque cirri, una delle quali, anzichè corrispondere, come le altre, allo spazio interfogliolare, sembra spostata da un lato (Collez. del Bar. de Zigno). Che la super- ficie ne sia normalmente liscia, e non per effetto di erosione, lo dimostrano gli esemplari in parte ancora inclusi nella calcaria marnosa, e la impronta da essi lasciata nella roccia stessa. Molto variabile è la evidenza delle impressioni puntiformi inter- articolari; talvolta appena accennate, talaltra grandi, profonde e quasi confluenti in un solco continuo. Semplicemente pentagoni ed egualmente riferibili, anche per dimensioni, al tipo della fig. 18, sono alcuni esemplari favoritici dal Prof. Pellegrini, che li raccoglieva nel terreno eocenico di ‘ Bragole nel Veronese. Altri invece sono irregolarmente compressi e ad angoli sporgenti, come nella fig. 16 ('). Esemplari consimili, in parte semplicemente pentagoni, in parte pur pentagoni ma ad angoli sporgenti, raccoglieva lo stesso Prof. Pellegrini in una calcaria marnosa a Breonio (Veronese), ch'egli era incerto se ascrivere dovesse all’eocene od al miocene. Subcilindrici o decisamente pentagoni, ad angoli più o meno sporgenti, talvolta irregolarmente compressi, ma con dimensioni minori dei precedenti (i maggiori appena 6"" di diametro), sono numerosi esemplari provenienti da Mossano (Berici) ed apparte- nenti al Museo di Monaco. In alcuni di essi, una delle faccie articolari porta le articolazioni di due cirri, come al solito, col- locati a due foglioline da una parte, a tre dall'altra d’intervallo. Numero dei grossi denti periferici in proporzione del diametro, ed anche della forma, che consente porzione più o meno grande di margine libero a ciascuna fogliolina, ridotto nei casi estremi a soli 9 od anche 7. (4) Dalla medesima provenienza, lo stesso Prof. Pellegrini ci favoriva un 0g- getto per noi enigmatico e che qui riferiamo dubbiosamente. È una colonnetta di 14m di altezza e 10" di diametro, ottusamente pentagonale, formata di 8 articoli, a superficie articolare perfettamente corrispondente agli altri casi, per quanto al- meno si può rilevare, essendone oscurata porzione da irregolare frattura. Corri- sponde a questa, sulla superficie di tutta la colonnetta e per un 4/; della periferia, decisa interruzione nella continuità dei singoli articoli, sostituendevisi per ciascuno due o tre placche polisone, d’ineguale forma e grandezza e non allineate in rispon- denza agli articoli stessi, ed esse placche si commettono, a guisa di mosaico, ad occu- pare quello spazio. Ciascuna è leggermente convessa, e le suture ne sono impresse. È forse un modo di abnorme moltiplicazione degli articoli, come nell’ Enerinus moniliformis (Goldf. Petrof. Germ. p. 178, Tab. LIMI, fig. 8, u, v.)? 49 G. MENEGHINI Esemplari consimili, provenienti da Fumane e da Novare in Val Policella, si conservano nella collezione del Bar. de Zigno. Di soli 5"" di diametro una breve colonnetta, proveniente da Bolca (Museo di Monaco), pentagona ad angoli poco spor- genti, presenta più visibili del consueto le denticolazioni nelle suture, ma in tutto il rimanente è eguale alle precedenti. Una colonnetta trovata nel terreno eocenico di Castelrotto (Veronese) di 10"" di altezza, pentagona, ad angoli acuti sa- glienti, ed ottusi rientranti, formata di 8 articoli, di circa 4"" di complessivo diametro, presenta notevole somiglianza con quella figurata dal Prof. Forbes, sotto al nome di Pent. Oakeshottianus (1. c. p. 35, Voodc. p. 36), ma non sembra specificamente diffe- rire dalle altre. Molto maggior dubbio devesi esprimere riguardo ad una co- lonnetta trovata dal Bar. de Zigno, insieme a quelle delle consuete forme, ad Albettone (Eugonei). Ha 14 di lunghezza, è cilin- drica, tre soli articoli la costituiscono, breve l’intermedio, d’ine- guale lunghezza gli altri due, e ciascuno di questi ha un cin- golo molto sporgente ma liscio, il meno lungo a metà dell’ al- tezza, il più lungo ad un terzo. Nella faccia articolare vedonsi le sole porzioni periferiche del margine dentato delle cinque fo- gliette, ciascuna di sei od otti soli denti. Articoli di Pentacrino vedonsi sulle superficie corrose dagli agenti esterni della Calcaria nummulitica di Mosciano, presso Fi- renze. I maggiori hanno 6"® di diametro, e, per quanto la cor- rosione consente rilevarne, non differiscono sensibilmente da quelli delle Prealpi Venete. Lo stesso deve dirsi degli esemplari di Wockowice e di Bistsiz nei Carpazi, di soli 4"" di diametro, ma meglio conser- vati (Museo di Monaco) ed in tutti, 1 caratteri corrispondono a quelli tipici superiormente descritti. Pentacrinus Guiscardii, n. sp. Articoli stellati, forniti di cingolo rilevato ai margini e di altro cingolo molto più rilevato a metà dell'altezza. Colonnetta di 12"" di altezza, costituita da 10 articoli stel- lati, a cinque angoli acuti sporgenti e cinque angoli ottusi rien- tranti: dal centro all'apice d'ogni fogliolina son 4, 5", e per I CRINOIDI TERZIARII 43 metà di quella lunghezza, ciascuua foglietta è liberamente sporgente. Ciascuna è ovale, ad estremità acuta, ed il margine n'è fornito di circa 15 denti per lato, i più grossi e lunghi alla metà di essa, degradando così verso l'apice esteriore come verso il centro. Ma quanto più il margine ad esso centro si avvicina tanto maggiormente si allontana dal cingolo marginale dell’ar- ticolo, risultandone una doccia interarticolare. Il cingolo me- diano, formato dalla confluenza di grossi tubercoli, ha la sua massima sporgenza nella concavità degli angoli rientranti, ove talvolta i tubercoli maggiori ne restano distinti e separati; e, quasi tubercolo distinto, sporge il cingolo mediano anche agli spigoli saglienti, sporgendovi del pari, in forma di doppio tuber- coletto, il doppio cingolo marginale dei due articoli contigui. Trovata nelle argille terziarie di Bragole (Veronese) dal Prof. Pellegrini. i La grande analogia coll’ esemplare proveniente da Biarritz, descritto dal Prof. Guiscardi, sotto la indicazione della lettera f), c’induce a proporre come nuova questa specie, sotto al patro- cinio del suo nome. Forse anche l'esemplare a), descritto dallo stesso Prof. Guiscardi, appartiene alla specie medesima. Altra colonnetta, raccolta dallo stesso Prof. Pellegrini nel ter- reno eocenico di Breonio, ha gli angoli rientranti meno profondi, e meno evidenti, per sofferta corrosione, gli ornamenti della superficie, ma presenta gli stessi essenziali caratteri della pre- cedente. Per la presenza del forte cingolo mediano e dei cingoletti marginali, la nostra specie ha qualche analogia col Pentacrinus Sowerbiù Wetherell, (Trans. Geol. Soc. Lond. 2. ser. V, p. 132, pl. VIII, fig. 4; Forb. lc. p. 35, Woode. p. 36.), ma la forma esteriore e le aree articolari ne sono troppo diverse per osar proporre un ravvicinamento. Pentacrinus Pellegrinii, n. sp. Articoli pentagonali, ornati di tubercoli trasversalmente confluenti, irregolarmente disposti in tre serie trasversali. Colonnetta di 8"" di altezza, formata di 6 articoli, a suture impresse, tre serie di tubercoletti sui fianchi, spesso fra loro confluenti per tratti più o meno estesi, taluna di quelle serie 44 GC. MENEGHINI alle volte obliqua, e qualche tubercoletto maggiore fuori di serie. Le cinque foglioline glenoidali disgiunte fin presso al centro, con ampio spazio triangolare piano interposto, margine loro fornito di pochi ma grossissimi denti. Trovato dal Prof. Pellegrini a Bragole (Veronese). Pentacrinus Gastaldii, Mich. Pcentacrinus sp., Gastaldi, Bullet. Soc. géol. d. Fr. 2. sér. II, p. 53; ibid. III, p. 485. Pentacrinus Gastaldi, Michelotti, Descript. des foss. du terr. mioc. etc. 1847, p. 59, pl. XVI, fig. 2; Etudes sur le mioc. infér.1861, p. 28. — Manzoni, Rarità paleont. Bollett. R. Comit. Geol. 1874, p. 152. I molti articoli staccati, provenienti dal conglomerato ser- pentinoso della Collina di Torino, favoritici dal sig. Michelotti, sono subcilindrici, pentagoni od anche ad angoli alquanto sa- glienti, ma rotondati, nel qual’ ultimo caso i lati interposti sono leggermente escavati. Il diametro ne varia da 2"" ad oltre 6"; l'altezza n'è sempre piccola, non raggiungendo in alcuno 1"", ma le variazioni non ne sono proporzionate a quelle del diametro. Le cinque fogliette sono chiaramente distinte sulle faccie arti- colari, ma aperte verso il centro ove l’area depressa del loro interno si fonde con quella, relativamente ampia, che circonda il forellino centrale. I due archi marginali di ciascuna foglietta comprendono 18 a 15 grossi denti, 7 ad 8 per lato, i maggiori e più prolungati dei quali corrispondono alla metà dell’ arco, si prolungano anzi nello spazio triangolare interposto tra fo- glietta e foglietta, confluendo in forma di staffe ad occupare parte di esso spazio: degradano poi, con eguale misura, così verso l’apice esteriore come verso il centro. Anche in quelli di soli 2"" di diametro, le fogliette sono sempre distinte e chiuse all’esterno: solo i denti che corrispondono ad essi apici ed i più vicini giungono al margine. Un’ articolo, nel rimanente eguale agli altri, ha una delle faccie più decisamente pentagona del- l’altra, cogli angoli ed i rispondenti apici delle fogliette un poco rilevati sul piano della faccia stessa. Allorchè due articoli sono ancora congiunti, e se gli angoli siano saglienti, la depressione interposta, colla sutura ben evidente, benchè non rilevata, ha I CRINOIDI TERZIARII 45 un' aspetto paragonabile a quello figurato del Visc. d’Archiac per il Pent. sp. ind. di Biarritz (Mém. etc. IU, p. 200, PI. V, fig. 19), nella supposizione che, non uno, ma due articoli con- giunti ivi fossero rappresentati. La stessa varietà di grandezze e di forme, e la stessa co- stanza di essenziali caratteri, in numerosi articoli provenienti dal terreno miocenico superiore di Serravalle di Scrivia, che ci furono favoriti dal sig. Michelotti. Nel confronto col vivente P. Caputmedusae Mill., ben a ra- gione avverte il Dott. Manzoni (1. c.) che i denti delle foglioline sono in questo più grossi, meno numerosi ed altrimenti con- formati che nel P. Gastaldui.. Pentacrinus Zancleanus, Seg. Pentacrinus Zancleanus, Seguenza, Bollett. del R. Comit. Geol. 1875, p. 84. Il Pentacrino scoperto dal Prof. Seguenza nel terreno ter- ziario dei contorni di Messina, da lui denominato P. Zancleanus, differisce notevolmente dal P. Gastaldi. Gli articoli variano: nella forma, dalla cilindrica alla penta- gonale ad angoli rotondati, punto o pochissimo saglienti; nel diametro, da 2"" a 4", La massima altezza è di 1, 6®", nella maggior parte 1”, e spesso anche meno, senza rapporto al diametro: una colonnetta di quattro articoli d’ineguale altezza è lunga 4“. Le cinque foglioline delle superficie articolari sono così largamente aperte verso il centro ed all'apice, ed i margini ne sono così confluenti nella parte esteriore, che conviene no- minarle, solo a titolo di confronto colle altre specie. Più chia- ramente sì descriverebbe la faccia articolare dicendola costituita dalla superficie piana di una stella a cinque raggi larghi e li- neari, fino alla periferia, con un foro relativamente ampio nel mezzo, e cinque piccoli spazii triangolari ad essi interposti, ciascuno de’ quali occupato da sei ad otto grossi e lunghi denti rilevati, convergenti verso il centro dell’arco o del lato della periferia ch’ è base a quel triangolo, maggiori quelli del mezzo e spesso, per la convergenza, o impediti nello sviluppo o de- formati: Ad essì denti corrispondono sensibili denticolazioni alle 46 G. MENEGHINI suture, sulle faccie piane o leggermente concave delle colonnette. Una di queste termina con un articolo la cui faccia libera ha i cinque angoli saglienti e rilevati: la faccia non presenta traccia alcuna di denti, nè alcun altro rilievo, ed oscuramente indicato vi si vede appena il foro centrale, ed il confronto col caso analogo osservato nel P. Gastaldii induce a credere che ad essa superficie dovesse corrispondere l’ articolazione del calice. Conocrinus pyriformis, Miinst. sp. Bourgueticrinus pyriformis, Mus. Mon. Eugeniocrinites pyriformis, Minst. in Goldf. Petref. Germ. 1826, p. 169, tabSl fo 0: Asterias ind., Bell. in d’Arch. Mist. d. progr. d. la Géol. III, 1850, p. 246. Bourgueticrinus T'horenti, (d’Arch.), d’Arch. Mém. de la Soc. géol. de Fr. III, 2.° p.* 1850, p. 418, PI. IX, fig. 27-32. — Rouault, ibid. p. 467, PI. XIV, fig. 13, 14. — Schauroth, Verzeichniss der Ver- stein. 1865, p. 188, Tab. VIII, fig. 5. — Guiscardi, I Crinoidi del per. terz. 1874, p. 9. — non d’Arch. Mem. de la Soc. géol. de Fr. II, 1.°° p. 1846, p. 200, PI. V, fig. 20. Bourgueticrinus italicus, Mgh. Siena e suoi cont. 1862, p. LXVII, Navest./fi 902, Goniaster, sp. ind., Bellardi, Cat. rais. des foss. nummul. etc. in Mém. de la Soc. géol. d. Fr. 2.* Sér. IV, 1852, p. 262, PI. XXI, fig. 1,2. Il calice ottimamente figurato dal Goldfuss si conserva nel Museo Paleontologico di Monaco (n.° 1268), ed è noto non pro- venir esso dal terreno giurassico, come supponeva il Goldfuss, ma bensì dall’ eocenico del Veronese. Fissati alla stessa tavo- letta sono altri due calici, uno dei quali minore e più allungato (altezza 5,5"" diam. sup. 4, 5®"), l’altro invece maggiore e più turgido (alt.* 7°", diam. sup. 6"). Numerosi altri esemplari, appartenenti allo stesso Museo ed al Museo di Pisa, provenienti da Mossano (Berici), hanno di- mensioni eguali o minori ed anche piccolissime, proporzioni e forme ancor più variabili, ma in generale nulla presentano di notevole da aggiungere alla figura superiormente citata. Giusti- ficano pienamente l’asserzione del Visc. d’Archiac: ,, 0 #°y a pas deux qui soient identiques ,. Uno solo di essi offre importanza: ha 5"" di altezza, e 3, 6” solamente di diametro superiore; esso è costituito da quattro, anzichè da cinque elementi, ed anche I CRINOIDI TERZIARII 47 la configurazione esteriore ne risulta ottusamente quadrango- lare; in uno di essi elementi, come in ciascuno dei cinque di tutti gli altri esemplari, sono distinte e vuote le due fossette articolari, in ciascuno degli altri tre invece è conservata la placca basilare del braccio che, coprendo le due fossette, occupa la complessiva loro lunghezza, sporge sul margine del calice, con- tinuandone la superficie esteriore, oltre le punte che separano gli attacchi brachiali, e termina con superficie arcuata nel senso longitudinale, rotondata nel traversale e tutta liscia. Tutte le cinque placche sono conservate al posto loro in uno degli esem- plari figurati dal Visc. d’Archiac (fig. 28, 28° non 27, come è citato nella descrizione). Sulla stessa tavoletta del Museo di Monaco sono fissate, in- sieme ai tre calici superiormente indicati, sei porzioni di colon- netta di due a tre articoli, di 98"" a 4”"" di diametro. Insieme ai calici, che si conservano nel Museo di Pisa, furono pure rac- colti a Mossano numerosi articoli del caule, di dimensioni e pro- porzioni molto variabili. Un articolo a faccie articolari ellittiche molto allungate, disposte così che i loro assi maggiori si tagliano ad angoli di 111° e 69°, ha 7"" di altezza: le faccie articolari hanno 10" di lunghezza, 5®® di larghezza, terminando ad angoli rotondati ma acuti; nel mezzo, l'articolo ha 7"" di spessore, risultandone la forma di clepsidra, diploconica, compresso-obliqua, caratteristica. Le faccie articolari presentano il consueto listello sporgente nel diametro maggiore, interrotto nel mezzo, ma i minuti partico- lari vi sono in gran parte mascherati da inerostazione calcare. Un’ articolo a faccie articolari molto meno allungate, ma egualmente disposte, ha pure 7”" di altezza, ma appena 6”" di spessore, e la lunghezza delle faccie articolari non è che di 7"", mentre la larghezza oltrepassa i 5"", Molto sporgente il listello longitudinale, ed ampio il foro centrale. Intermedii per la forma e le proporzioni ai due descritti, molti altri, con ciò solo di no- tevole che le estremità di ciascuna faccia articolare sono talvolta ambedue sporgenti e terminate da faccetta articolare, talaltra invece rotondate, od una sola di esse offre la prima condizione, come nella citata fig. 14 del Rouault. E riguardo ai particolari delle faccie articolari, nei meglio conservati si vede il foro cen- trale incompletamente diviso in due dal listello mediano, inter- 48 G. MENEGHINI rotto per un tratto minore che il diametro del foro stesso. Esattamente descrive il Rouault essa condizione: ,, mos articu- lations de tiges ont une ouverture, qui parait, à la face glénoidale, come formée de deux cylindres creux qui se réunissent sans confondre leur diamètre; de telle sorte que l’ouverture est plus longue dans le sens le plus étroit de cette face. , (1. c.). Più numerosi gli articoli minori, ed ancor più variate le forme loro. Articoli di 5”"" di altezza, e 4"" di spessore nel mezzo; fac- cie articolari di quasi 5"" di lunghezza e poco più di 8"" di larghezza. Colle stesse dimensioni delle faccie articolari, l'altezza non è che di 4"" in altri articoli; mentre in altri di questa stessa altezza, le faccie articolari. hanno 4” di lunghezza e svn di larghezza, come in altri di 5®" di altezza e soli 3" di spessore nel mezzo. Ambedue le estremità di una faccia artico- lare attenuate e sporgenti, così da conseguire il diametro mag- giore di 4", col minore di soli 2"", in articoli di 3"" di al- tezza, mentre l’altra faccia articolare non ha le punte sporgenti, ed arriva solo a 3" di maggior diametro. In altri, è prolungata solo la parte di un lato di una sola faccia. Le stesse varietà, in articoli di soli 2"" di spessore nel mezzo e 5"® di altezza. Nessuna colonnetta di più di tre articoli, corrispondendosi ap- prossimativamente con ordine alterno i diametri del primo con quelli del terzo, , e ne consegue che codeste sporgenze degli ar- ticoli si trovano sul gambo allogate su due linee elicoidali. , (Guiscardi 1. c.). Ed esse linee elicoidali, in alcune colonnette sono destrorse in altre sinistrorse. Anche gli articoli isolati manifestano se appartengono all'una o all'altra categoria: collocata trasver- salmente in piano una delle faccie, l’anzolo acuto anteriore risulta o costantemente a destra o costantemente a sinistra. Il passo della elicoide è costante in ciascuna colonnetta, ma variabile dall'una all'altra, perchè la obliquità dei due assi varia da 106° e 14° a 118° e 62°, risultandone approssimativamente intermedia, quella di 110° e 70° rilevata dal Prof. Guiscardi. Pochi esemplari di articoli, segnati nel Museo di Monaco come provenienti da Brendola, presentano gli stessi caratteri e la maggior parte delle varietà dei precedenti: 6"" di altezza e e 5, o"" di spessore; 5" di altezza e 9"" di spessore; 5"® di altezza e 4,5" di spessore. I CRINOIDI TERZIARII 49 Molta varietà di forme e di proporzioni si riscontra in una serie, benchè non molto numerosa, di esemplari provenienti da Spileco (!). Articoli di 3,5"" di altezza, 4"" di spessore nel mezzo, diametro maggiore delle faccie articolari 5"", listello molto sporgente, e margine elevato. Due di tali articoli sono congiunti obliquamente a gomito. Articoli di 8"" di altezza e 2m”" di spessore nel mezzo, mentre le faccie articolari hanno ap- punto 2"" di diametro maggiore e solo 1, 5"" nel minore, ri- sultandone una forma a botticella; e quelle piccole faccette han lor listello sporgente ed ampio foro centrale. In opposizione al precedente, abbiamo articoli di 4"" di lun- ghezza e poco più di 1"" di spessore nel mezzo, mentre le faccie articolari hanno quasi 2" di maggior diametro. E fra questi estremi, tutte le forme, grandezze e varietà di proporzioni in- termedie. Le varietà stesse s'incontrano in una numerosa serie di ar- ticoli raccolti nel Bolca (?): sottili e lunghi 5®" e 2"", od anche 4un e 1, 9"", e colle faccie articolari più o meno elittico-allun- gate, od invece eguali od anche minori allo spessore, quindi con forme angustate o rigonfie; corti e grossi 4"" e 3, 5U“ o 5" e 4, e questi pure o a botticella o colle faccie articolari più o meno sporgenti. Siamo condotti da questi confronti a dichiarare appartenenti a questa medesima specie i numerosi esemplari descritti e figu- rati altra volta sotto al nome di .. italicus e paragonati allora al Bb. Londinensis, Ed. Forb. Una erronea indicazione ce li aveva fatti credere raccolti a Pienza, mentre è verosimile provenissero dal Veronese, insieme a molti altri fossili aggiunti dal Santi alle sue collezioni. E riguardo allo stesso 5. Londmensis, Ed. Forb. (Echinod. of the British Tertiar.; Palaeontogr. 1852, p. 36, Woodcut fig. 4. a—d), non possiamo escludere il dubbio, trattarsi pure di questa me- desima specie. Nella calcaria nummulitica di Mosciano, presso Firenze, si trovano articoli di Conocrino o di Bourgueticrino, di varia gran- dezza e forma. Taluni fortemente strozzati: 5, 5"" di lunghezza, (1) Bajan (Bul, de la Soc. Geol. Fr. 2.° Ser. XXVII, 1870, p. 452). (2) Bajan, l. e. p. 464. Se. Nat. T. II, f. 1,° 50 G. MENEGHINI gmm di spessore nel mezzo, faccie glenoidali elittico-allungate di 3"" e 1,75%" di diametro; ovvero 1, 75" di lunghezza, 0, 75"”" di spessore nel mezzo, 1" di diametro maggiore delle faccie glenoidali; e, fra questi estremi, molte gradazioni inter- medie. Altri quasi cilindrici: 2, 5"" di lunghezza, 2"" di spessore, faccie articolari leggermente ellittiche. Ci sembra prudente, fino ad ulteriori scoperte, ascrivere dub- biosamente anche questi incompletissimi resti al C. pyriformis. Conocrinus Thorenti, d’Arch. sp. Bourgueticrinus Thorenti, d’Arch. Mém. de la Soc. géol. d. Fr. II, 1.°° p.° 1846, p. 200, PL. V, fig. 20 — non d’Arch. Meém. ete. III. 2.° p.°, 1850, p. 418, PI. IX, fig. 27-32; non Roualt |. c. Benchè variabile nelle dimensioni e nelle proporzioni, la forma clavata del calice, ed i cinque grossi denti inflessi verso il centro, nei quali terminano i pezzi radiali, distinguono ad evidenza questa specie dalla precedente. Fra i molti esemplari provenienti dal Bolca e conservati nel Museo di Monaco ed in quello di Pisa, sciegliamo i più completi per darne le dimensioni e la forma generale: 1) Lungh. 7, 6*%:; faccia artic.? 1, 20" diam.® sup. 2, Vomn. Più che tutti si avvicina alla forma figurata dal Visc. d'Archiac. 2), Lungh, 6nn- -faecia- arie. e: dame supe ona partire dalla faccia articolare inferiore, s'aumenta tosto rapi- damente in diametro, assai più lentamente verso la metà, e di nuovo rapidamente verso la sommità. i 5) Lungh. ‘"”, faccia artic.® 1%, diametro super.? 2, bm»; forma decisamente clavata, benchè tanto meno turgida di quella figurata. 4) Lungh. 8", faccia articolare 1,25%; diametro mag. giore 3, 0"" verso la sommità, ma che poi rapidamente dimi- nuisce, la stella terminale dei cinque tubercoli radiali non avendo che 1,5" di diametro. Il restringimento piccolissimo, ma mani- festo, al terzo inferiore. 5) Lungh. 6“, faccia articolare 1”, massimo diame- tro 2,5"", presso alla sommità, la quale è contratta, ripetendosi, in minori dimensioni, la forma del precedente. ì CRINOIDI TERZIARII Dil 6) Lungh. c.*è 11""; estremità inferiore rotta; alla rottura diam.° 2"", lentissimo accrescimento nella metà inferiore, rapido | verso la sommità, che consegue 4,5"" di diametro. Un’ esemplare proveniente da Monte Spileco ha 8"" di lunghezza, appena 0, 75"" di faccia articolare, diametro della sommità quasi 3"", misurandola dalle sommità dei pezzi radiali, meno inflessi del consueto verso il centro. La forma è sempli- cemente conica, anzichè a clava. Decisamente a clava è invece un’ esemplare proveniente dai Monti Berici, di 7"" di Innghezza, appena 0, 75"" di faccia articolare, 3" di diametro alla sommità, con sensibilissimo restringimento alla metà della lunghezza. In nessuno dei calici vedesi, all’esterno, indizio alcuno di separazione fra i cinque pezzi radiali, ma la separazione ne apparisce nella sezione, rappresentata da cinque sottili linee dif- ferentemente colorate, del pari. che la piccola. area circolare centrale rappresentante la cavità viscerale. Condotta la sezione verso la base, non ci riuscì vedere che oscuri indizi di quelle linee, ma collocate nei medesimi raggi, e non alterne colle superiori, come dovrebbero essere se esistessero i pezzi basali distinti, figurati dal Visc. d’Archiac, il quale per altro non ne asseriva con certezza la esistenza, soggiungendo ,, sì nous ne nous sommes pas trompé ,. È perciò che, anche per questa specie, del pari che per la precedente, sembra doversi accettare il genere Conocrinus, pro- posto dal d’Orbigny. Sembra che lo stelo di questa specie sia conformato come quello della precedente, così da rendere assai difficile, se non impossibile, la distinzione, quando i resti delle due specie si tro- vino promiscuamente nel medesimo giacimento, o gli articoli del caule si trovino scompagnati dai calici. | Fra i piccoli fossili raccolti dal ben conosciuto Meneguzzo a Castello Zies, presso Possagno, abbiamo trovato, insieme ai calici del Conocrinus Thorenti, alcuni articoli. Taluno è a botticella: 3, o"n di altezza, quasi 3"" di spessore nel mezzo, mentre le due faccie glenoidee, collocate fra loro al consueto angolo, hanno appena 2, 29"" di maggiore diametro. Altri invece, molto più sottili e fortemente strozzati nel mezzo: lunghezza 2, 25""; spes- sore nel mezzo 1”; diam.° maggiore delle facce glenoidali 2". 592 G. MENEGHINI Conocrinus Seguenzai, n. sp. Bourgueticrinus sp. Seguenza, Bullet. del R_Comit. Geolog. 1875, p. 87. Insieme a molti articoli del fusto di questa distintissima specie, il Prof. Seguenza ci favorì pure due calici, molto incom- pleti, ma certamente diversi da quelli del C. Thorenti: sempli- cemente obconici, anzichè clavati, a sommità subpentagona, - ciascun lato del pentagono leggermente elevato in dolce curva, gl’intacchi interposti leggermente angolosi; di contro a ciascun lato elevato, due fossette articolari, separate da leggero rilievo radiale. Il meglio conservato ha 4" di lunghezza: la faccia su- periore ha 2,5" di diametro; la estremità inferiore non arriva ad un millimetro di diametro, ma è rotta. L'altro calice ha b"® di lunghezza, la stessa sommità, e conserva in parte la faccia articolare inferiore, con ampio foro centrale. Gli articoli, di dimensioni e di forme molto varie, hanno a carattere comune la grande ampiezza della cavità centrale che, entro al sottile margine dell’orlo, occupa tutta la faccia artico- lare, eccetto i due brevi tratti sporgenti del listello mediano, come nel KWizocrinus Rawsoni Pourt. (Zoolog. Res. of the Hassler Exped. IMustr. Cat. of the Mus. of comp. Zool. at Harvard Coll. 1874, p. 27, PI. V, fig. 3.). I maggiori hanno 2°" di altezza e gum di spessore, e il diametro maggiore delle faccie elittiche di 2,5%" molti hanno un solo millimetro ed anche meno di al- tezza, e proporzionate le altre dimensioni. Particolarmente no- tevoli quelli a strozzamento mediano, cioè a forma di clepsidra: gum di altezza, 1"" di spessore nel mezzo, diametro maggiore delle faccie 1, 5”"; angolo fra i diametri maggiori delle due faccie 118°. La stessa forma fortemente strozzata nel mezzo, in un’ articolo di un solo millimetro di altezza. Dal terreno miocenico di Serravalle di Scrivia, in Piemonte, abbiamo alcuni calici, in cattivo stato di conservazione, varii di forma e dimensioni. Il più piccolo, ma meno imperfetto, è obco- nico-piriforme, ha poco oltre 3"" di altezza e 2”" di diametro alla sommità, ch'è sensibilmente pentagona, benchè ad angoli I CRINOIDI TERZIARII ; DO, rotondati, in corrispondenza ai punti leggermente depressi del- l'orlo; la faccia articolare inferiore ha poco più di 0,5" di diametro. - Ci sembra probabile trattarsi della stessa specie scoperta dal Prof. Seguenza. Bourgueticrinus? cornutus, Schafh. sp. Apiocriuus cornutus, Schafhéutl, Beitr, s. n. Kentniss d. Bayer. Alp. in Jahrb. Leonh. u. Br. 1853, p. 315. Apiocrinus ellipticus, (Mill.), Schafh. Jahrb. Leonh. u. Br. 1846, p. 688; ? Neu. Petref. d. Sudbayer. Vorgeb. ibid. 1851, p. 420, Taf. VII, Fig. 13. Bourgueticrinus goniaster, Giimb. Geogn. Beschreib. des bayerisch. Alpengeb. 1861, p. 596, 656. Gli articoli, che in tanta copia si trovano nella famosa roccia nummulitica di Kressenberg, corrispondono per la massima parte alle dimensioni assegnate da Schafhàult: spessore 6"", altez- za 5", diametri delle faccie articolari 7"" e 5, 5: raramente e ben di poco le eccedono, conservando le medesime proporzioni; ma ve se ne trovano anche di minori, e di proporzioni un poco diverse: altezza 4, 5"", spessore 3,5"; diametri delle faccie 4, 5"" e 3, on: altezza 2", spessore 2, 6", faccie articolari 3"" e 2, 28m, Sono forme e proporzioni che abbiamo riscontrate anche negli ar- ticoli trovati a Mossano, insieme ai calici del Con. pyriformis; ma ivi prevalevano in numero gli articoli più piccoli e di altezza maggiore allo spessore, quì invece vediamo, accanto a centinaia di articoli delle dimensioni assegnate dallo Schafhault o di poco maggiori, pochi di più piccoli, ed anche fra questi, rarissimi i più lunghi che grossi. Speciale menzione ci sembrano meritare alcuni di questi ar- ticoli, di varia dimensione, e che in piccolo numero si trovano mescolati agli altri, dai quali differiscono per un rigonfiamento che, in forma di zona più o meno angusta li cinge trasversal- mente nel mezzo: articolo di 4"® di altezza, 4"" di massimo spessore, e 2, 5"" di diametro maggiore delle faccie articolari; la parte rigonfia del corpo occupa approssimativamente */, del- l'altezza, mentre le due rimanenti porzioni, ciascuna di ‘/, dall’al- tezza, precedono, a guisa di collo, la leggera sporgenza laterale 54 G. MENEGHINI delle faccie articolari: articolo di 3"" di altezza, 3%" e 2" nei dia- metri delle faccie articolari, rigonfiamento mediano, e incavi che lo fanno risaltare, specialmente in rispondenza ai lati lunghi di ciascuna delle faccie articolari. Gli altri, compresi, per dimensioni e per varietà di forme, fra questi due estremi. La obliquità reciproca degli assi maggiori delle due faccie articolari varia fra gli estremi di 99° e 81°, e 118° e 62° e sono in numero quasi eguale gli esemplari destrorsi ed i sinistrorsi. Le faccie articolari sono raramente abbastanza bene conser- vate per poterne rilevare con certezza i particolari, poco con- sentendo di aggiungere alla descrizione datane dal sig. Schafhault. E appunto sulla particolarità che suggeriva all’illustre Autore il nome specifico, che crediamo dover fare qualche osservazione. » Ciascuna (egli dice) delle faccie ellittiche di articolazione sporge all’esterno ed all’ insù, alla estremità dell’asse maggiore, in due corna. Due articoli successivi non potevano quindi toccarsi che per le punte di esse corna, ed il movimento non poteva avve- nire che normalmente alla direzione di essi due punti .....,. La sporgenza delle corna terminali sopra il piano dell’articola- zione apparisce soltanto negli esemplari logorati, ed il grado della logorazione determina la più o meno decisa concavità della faccia articolare, la quale origmariamente era piana, come lo è sempre negli esemplari meglio conservati. Ad impedire la logora- zione verso le estremità, in confronto alla parte centrale, con- corre la resistenza offerta dal listello mediano, interrotto in corrispondenza all’ampio foro. 1 | Devono essere menzionati separatamente, come separatamente si conservano nel Museo Paleontologico di Monaco, ma prove. nienti dalla stessa roccia di Kressemberg, numerosi articoli, notevoli per piccolezza, con varietà grandissima di forme. 1 maggiori hanno 2"" di altezza, altri sorpassano appena 1”; e questi e quelli or cilindrici, or invece rigonfi nel mezzo, e colle faccie articolari più o meno ellittiche e più o meno sporgenti, con una delle estremità di una delle due facce talvolta più sporgente delle altre, ad indicare l'articolazione di un ramo laterale, come nel C. pyriformis, e come suole essere nella parte inferiore o radicale dei A/izocrinus. (oi (Sh | i CRINOIDI TERZIARII Bourgueticrinus? didymus, Schaur. Bourgueticrinus indet. d’Arch. Hist. d. progr. de la Géolog. etc. III, 1850, p. 246. Bourgueticrinus didymus, Schaur. Uebers. d. geogn. Verhiiltn. d. Geg. von Recoaro (Sitzungsb. d. k. Akad. d. W. XVII, 1855, p. 547). ? Bourgueticrinus ellipticus, (Schloth. sp.), Schaur. ibid. p. 546, Taf. III, fis. 10; Verzeichn. der Verstein. etc. 1865, p. 188, Tab. VII, fig. 4 (excl. syn.). Il Schauroth descrisse e figurò esattamente i grossi arti- coli di Bourgueticrino frequenti nella calcaria nummulitica di Priabona, Euchelina, Breonio ec. e nei tufi basaltici di Ciuppio, di S. Giovanni Illarione ed, in generale, nel piano C del terreno eocenico delle Prealpi Venete, secondo la serie stabilita dal Bajan (Bul. Soc. géol. de Fr. 2. Sér. XXVII, 1870, p. 461). Benchè il Schauroth preferisse riferire dubbiosamente questa forma al B. ellipticus, anzichè intitolarla distintamente con un nuovo nome, pure, dopo aver addotto i caratteri che a lui sembravano farla differire dal 5. cornutus Schafhàult, propone, per il caso che come nuova specie fosse accettata, il nome che inscriviamo in testa di questo articolo, quantunque i caratteri che a noi sembrano auto- rizzare la distinzione siano altri da quelli proposti dal Schauroth, ed il nome stesso esprima una condizione tutt'altro che esclu- sivamente caratteristica della specie. Il carattere che distingue questi articoli da quelli del £. cornutus, oltre alle dimensioni tanto maggiori, è di essere turgidi nel mezzo, non a botticella, come vedemmo esser talora il caso per quelli del C. pyriformus, ma con rilievo distinto, non limitato ad un’ angusta zona me- diana, come talvolta nel 5. cornutus, bensì esteso a tutta l’'al- tezza, meno un’ angusto infossamento, che lo separa dal margine elevato dell’una e dell’altra faccia articolare. La obliquità re- ciproca degli assi maggiori di esse faccie è, anche qui, variabile fra i consueti limiti da 99° a 118%; ma varia notevolmente il grado di allungamento della loro forma ellittica, essendone i dinette 9 RnS ine 0a pani omega Le io articoli che hanno tutti = di altezza; 7"" e 10m; 6, b"® e J]m, in articoli di 7, 9"" ed 8"" di altezza. L'orlo ne sporge sen- 96 G. MENEGHINI sibilmente, in forma di sottile listello, sulle due facce laterali che corrispondono alla compressione, e vi succede un infossa- mento, che va scemando, fino a svanire, verso le due punte spor- genti in corrispondenza all’asse maggiore. Fra i due infossamenti, superiore ed inferiore, il corpo dell’articolo è panciuto, conse- guendo il maggior diametro in corrispondenza alla bisetrice del- l'angolo ottuso dei due assi maggiori, mentre la superficie del fianco, che unisce i due apici in rispondenza all'angolo acuto, è quasi piana. Oltrechè lateralmente, l'orlo di una delle due faccie articolari sporge pure dalla superficie di essa. faccia, giungendo allo stesso piano del listello sporgente mediano: ciò non avviene nella faccia opposta, ove esso listello sporge leggermente dal piano dell’orlo, raggiungendo la sua massima sporgenza ai due capi della interruzione mediana. Fra il margine ed il listello mediano, la superficie è leggermente concava in ambedue le faccie; ma, oltre alla sottile linea impressa che accompagna il rilievo dell’orlo in una delle due faccie, nessun’ altra impressione si rileva sulle faccie stesse, allorchè sono bene conservate. So- lamente nel caso di più o meno avanzata alterazione, appari- scono, parallelamente al contorno, linee variamente depresse, e corrispondenti agli strati di successivo accrescimento che, ad al- terazione più progredita, facilmente si sfogliano. Così il solco mediano del listello (avvertito dal Schauroth) si manifesta sol- tanto quando un qualche grado di logorazione ne abbia tolto lo spigolo. L'apertura centrale è comparativamente ampia: oc- cupa ‘|, dell'asse maggiore, e complessivamente oltre | del mi- nore, ma in essa seconda direzione apparisce costituita, a ciascuna estremità, da due aperture ellittiche confluenti per c.* ‘|, di uno dei lati maggiori, corrispondendovi i capi del listello mediano, sporgenti, anche nell'interno, in direzione elicoidea, in corrispon= denza alla invertita posizione delle due faccie. È a questa con- dizione che alludeva il Schauroth, proponendo il nome specifico didymus, ma la figura (10°) non ne dà fedele immagine. Due, tre od anche quattro articoli sono congiunti in colon- netta, or destrorsa ed or sinistrorsa, e giudicando dalla leggera. diminuzione di diametro, sembrerebbe potersi dedurre essere in- feriore la faccia a orlo prominente, superiore quella che ha pro- minente il listello mediano. La superficie di esse colonnette è il più delle volte in gran parte invasa da colonie di Briozoi. I CRINOIDI TERZIARII 57 Rhizocrinus? Santagatai, nob. Apiocrinites ellipticus, (Mill. in Goldf.), D. Dom. Santagata, Nuovi Ann. d. Sc. Nat. Bologna, I, 1838, p. 59, Tav. II, fig. 2. — Pilla, Distinz. d. terr. Etrurio, 1846, p. 71, Tav. I, fig. 16. (non Mill., non Goldf.). Ehizocrinus sp., Manzoni, Bollett. d. R. Com. Geolog. 1874, p. 158. — Bianconi, Int. alle Argil. Scagl. 1875, p. 4. L'esemplare figurato dal Prof. Santagata, che si conserva nel Museo di Pisa, presenta, aderenti ad un pezzo di marna dei contorni di Bologna, varie porzioni di colonnette cilindriche o ir- regolarmente compresse e come schiacciate, di 1, 5"" di diametro, formate di articoli di varia lunghezza: tre di essi occupano ap- prossimativamente 10"". Le articolazioni sono contrassegnate da un listello tondeggiante, leggermente sporgente, che non riesce rilevare a quale appartenga delle due estremità che vi si arti- colano, nè alcuna faccia di articolazione si vede libera, in questo od in altri esemplari, mentre frequenti sono, nella medesima marna, le sezioni trasversali. Vedesi in queste il foro centrale comparativamente ampio, distinto, al pari del margine, per co- lorazione oscura, mentre candido e di frattura spatica è il ri- manente. Esso foro per altro, o la colorazione oscura che lo rappresenta, conserva forma rotonda, in tutti gli esemplari che abbiamo potuto esaminare; solo nel caso dello schiacciamento, apparisce deformato e perfino lineare nella sezione, ma mai angoloso. Oltrechè è impossibile determinare il genere di un Crinoide senza conoscerne il calice, convien confessare che anche l’ana- logia lascia qualche dubbio sul proposto ravvicinamento gene- rico. Nel hizocrinus Loffotensis di Sars_ , les articulations sont longues, coniques; entre ces articulations sont ménagés des espaces qui alternent de chaque còté de la tige, comme chez les Bourqueti- crinus . . . y. (M. W. Thomson, Les crinoides des mers actuelles. Journ. de Zoolog. par M. P. Gervais, IV, 1. 1875, p. 52, fig. 3). Nel Rhizocrinus Ravsoni di Pourtalès: , The stem composed of joints proportionally shorter and more cylindrical ... being seldon as much as two of their diameters in length, generally much less; the. articulations are less elongated. The double articular excavation is larger and deeper ,. (L. F. de Pourtalès, Crinoids and Corals. IUustr. Cat. of the Mus. of comp. Zoolog. at Horvard Coll. VIII, 58 G. MENEGHINI 1874, p. 27, PI. V.). Ed essa doppia escavazione delle faccie ar- ticolari ha molta somiglianza con quella dei Lourqueticrini. V’ ha forse qualche maggior somiglianza collo stelo del Ba- tycrinus gracilis, W. Thoms., giacchè in esso: , les articulations ont la forme d’entonnoirs, comme celles du Rhizocrinus; allongées et amincies vers la partie inférieure de la tige, elles ont, au milieu, ann de longeur sur 0,5" de largeur; les extrémités présentent un renflement qui porte leur largeur à 1"% ,. (Lc. p. 56, fig. 4.). Ma neppur ciò sembra bastare alla determinazione del genere, e poichè il ravvicinamento precedente fu da altri dubbiosamente proposto, sembra doversi conservare la indicazione di quel dubbio, piuttosto che proporne uno nuovo, forse egualmente arbitrario, tanto più che la esistenza del genere £/izocrinus nei terreni ter- ziarii è stata recentemente riconosciuta anche altrove (Beyrich, Sed. 26 Ottobre 1874 della R. Accad. delle Sc. di Berlino). Rhizocrinus ? sp. ind. Insieme agli articoli ed ai calici di Conocrinus Seguenzai, il Prof. Seguenza ci favoriva una serie di articoli brachiali che, ad evitare ogni arbitrario ravvicinamento, descriviamo a parte, dubbiosamente riferendoli alla famiglia, piuttosto che al genere dei Rizocrini. Un articolo a base irregolarmente ellittica di 2" nel mag- gior diametro, ha 0, 75"" di altezzà ad una estremità, appena 0,5% all'altra, ch’è rotta e sembra fosse interrotta da poco profondo intacco. Ambedue le superficie profondamente concave: presso alla estremità del maggiore spessore, un listello sporgente, obliquo, trasversale, con un forellino nel mezzo, su ciascuna delle due faccie, con obliquità invertità; ma su una delle due, altro listello longitudinale, dal citato forellino, verso la e dell’opposta estremità. La stessa disposizione di parti nelle due He di un’ arti- colo di solo 1%,5 di diametro e quasi rotondo, ma irregolare. Ed irregolari pure numerosi altri articoli, di grandezze in- termedie. In una seconda serie di articoli, che stavano mescolati ai primi, e di 1, 6" a 2°" di maggior diametro, una delle faccie piana ornata di 20 a 25 raggi leggermente usi intorno ad I CRINOIDI TERZIARI 59 un piccolo foro centrale; mentre l’altra faccia, come nella serie precedente, è concava e con un solo listello sporgente, obliquo, laterale, con un forellino nel mezzo; con molta irregolarità per altro, cosicchè non se ne vedono due di perfettamente eguali, variando anche la forma esteriore, e la differenza di spessore fra le due estremità. ) Un solo articolo di forma diversa dagli altri tutti: diametro maggiore 2"; l'una delle faccie irregolarmente ellittica, oltre al listello obliquo ed eccentrico, tre altri listelli molto sporgenti irraggianti dal margine rilevato del forellino mediano del primo; sulla faccia opposta, ch’ è di forma diversa, sì che il fianco ne risulta flessuoso, e ad orlo rilevato, un solo listello mediano, che all’uno e all’altro capo parte dall’orlo rilevato del foro me- diano, ma nella più lunga delle due parti è solcato, così che apparisce doppio. E innegabile l'analogia di queste forme con quelle degli ar- ticoli brachiali e digitali dell’ Apsocrinites obconicus, quali sono figurati dal Goldfuss (Petref. Germ. I, 1826-33, p. 187, Tab. LVII, nos, IL nok Devesi inoltre, a titolo di confronto, rammentare la struttura delle braccia del EWizhocrinus Loffotensis: » Un article sur deux porte une pinnule; les pinnules alter- nent de chaque coté de l’are du bras. L'article qui ne porte pas de pinnule est réuni par une syzygie à l'article supérieur, qui en est pourvu: ainsi les articulations avec liens musculaires alternent avec les syzygies sur toute la longeur du bras ,. (M. W. Thomson, Les Crinoides des mers actuelles; Journ. de Zoolog. par M. P. Ger- vais, IV, 1.® 1875, p.55.). Lo stesso sembra essere nel RWizo- crinus Rawsonii: , The arm-joints are very short, broader than long, every other joint being a 2yzygium ,. (Pourtalès, Orinoides and Corals, Iustr. Cat. of the Mus. of comp. Zool. at Harvard Coll. VIII, 1874, p. 28.). Le faccie raggiate rappresenterebbero i zizigi, e gli articoli che le portano sarebbero alternanti con quelli che ne sono privi. Somigliantissimi articoli brachiali si trovano pure nelle marne _subappennine di Castelarquato, ma i saggi che ne abbiamo sot- t' occhio (appartenenti al Museo di Monaco) sono troppo in- completi per poterci accertare della perfetta corrispondenza. ALCUNE OSSERVAZIONI Sur GENERE SPHOERODUS Agass. NOTA DEL SOCIO R.0.B.E R:T.O. L'AWIiL.E.X letta nell’Adunanza del 9 Maggio 1875. Nella mia nota letta nel Maggio 1874 dissi che diversi denti di Sphoerodus che possedeva, avrebbero potuto rappresentare molte delle specie descritte da Agassiz nella sua opera , recherches sur les Poissons Fossiles ,; ma era ben lontano da sperare di essere così fortunato da venire in possesso di quattro Mascelle di uno stesso individuo di Sphoerodus cinctus Agas., che oggi ho l’onore di potervi mostrare. Come vedete tre di esse sono completissime mancando solo di pochi denti, la quarta pure è pressochè completa mancando solo una piccola porzione. | Agassiz stabilì il genere Sphoerodus più con la sua gran pratica ed il suo genio, che con pezzi completi, non avendo avuto a sua disposizione che denti isolati o frammenti di Ma- scelle; e dalle osservazioni microscopiche di essi, confermate poi dall’Owen, argomentò si trattasse di un genere dagli altri di- stinto della famiglia dei P ycnodontes. Di più con la sua perspicacia riteneva che le specie di questo genere dovevano avere dei denti incisivi appuntati, indotto in questa opinione dal trovare nelle località dove esistevano denti circolari di Sphoerodus, degli altri conici. Queste mascelle come vedete confermano pienamente l’opinione dell’Agassiz. OSSERZAZIONI SUL GENERE SPHOERODUS AGASS 61 Le prime traccie di resti di Sphoerodus si trovano nel terreno triassico, ma il maggior numero delle specie conosciute sono del Giurassico, e. continua il genere ad essere rappresentato fino nei Terreni Terziari. Non ha però nessun riscontro nei generi viventi. Questi denti per la loro forma, lucentezza e grossezza hanno sempre attirato gli sguardi degli osservatori, e nei tempi antichi furono da alcuni posti in una classe di Oggetti detti Buffoniti, che sì componeva in gran parte di cose ignote, e sopratutto di denti di Pesci, e di Ichthyodoruliti. Da altri vennero ,creduti Occhi di Pesci o di Rane; e certo si dovevano formare in tal modo un'idea falsa delle forme, e dimensioni di questi animali. Se confrontiamo gli Sphoerodus per 11 rapporto che esiste fra la dentizione ed il corpo dei generi affini, da questo si potrà desumere che essi devono essere stati pesci di assai grandi di- mensioni, quando fossero giunti alla loro maggior crescita ('). Genere Sphoerodus, Agass. I. Sphoerodus cinctus, Agass. Pavilion 2 Credo che non possa sorgere alcun dubbio sulla determina- zione di queste mascelle. I denti sono per la maggior parte inegualmente emisferici, più o meno alti e d’inegual grossezza; da venti millimetri di diametro, fino a millimetri uno e mezzo. Nella mascella inferiore fig. 2, sono disposti in due file, alla base presentano degli anelli circolari in rilievo e sulla base della radice segnati sì mostrano da molte pieghette verticali distintivo di questa specie; i denti più grossi ne occupano la parte centrale interna. Gl'incisivi sono conici e di disuguale altezza, fig. 6 e 7, i maggiori misurano millimetri venti di altezza, e millimetri sette di larghezza, essendo pure segnati da diversi anelli fino circa alla metà, e con le solite pieghette verticali alla base. Dietro la prima fila di essi se ne trovano degli altri egualmente conici, meno sviluppati, come pure di forma conica sono i piccolissimi che (1) Agassiz. Recherches sur les Poissons Fossiles. Vol. 2.9 tav. G, fig. 2, dà una figura restaurata di un pesce come poteva presso a poco ritenersi la forma del Ge- nere Sphoerodus. 62 R. LAWLEY stanno verso la parte interna dell’estremità posteriore delle mascelle. Sulla mascella superiore fig. 1, i denti stanno per la maggior. parte disposti su tre file, i canini sono più lunghi e potenti di quelli della Mascella inferiore; disgraziatamente però nella destra manca un incisivo, ma il solo attacco circolare sulla ma- scella mostra distintamente la sua grossezza. Tutti i denti sono cavi internamente, e aderiscono alla mascella per tante piccole laminette dirette con grande regolarità dall'interno all’esterno, alle quali corrispondono sull’osso altrettanti solchi, pure rego- larissimi. Le due mascelle superiori aderiscono, fig. 1 l'una all'altra anteriormente per circa la metà della loro lunghezza, poscia in fuori si allontanano in modo da limitare uno spazio triango- lare a lati presso a poco uguali. Le due branche della mascella inferiore fig. 2. sono unite per una Sinfisi poco estesa, si allontanano immediatamente l’una dall'altra, limitando uno spazio più amplio di quella della ma- scella superiore, ma pure a lati presso a poco uguali. La mascella superiore è nella sua maggior larghezza di millimetri 40, e lunga di millimetri 105, l’inferiore è larga milli- metri 35 e lunga millimetri 95. Non si può con certezza rilevare la forma del di sopra della mascella superiore, nè del disotto della mascella inferiore essendo i pezzi incompleti. In altro frammento fig. 3, di mascella appartenente ad un altro individuo si può vedere come i denti si sviluppano nella spessezza dell'osso e come i nuovi denti, col loro crescere spin- gono in alto e staccano dalla mascella i vecchi scstituendoli. Tal fatto era sopratutto visibile nelle sezioni dei pezzi prima del loro restauro. Il nuovo dente ha già esso pure i suoi anelli come pure le sue pieghette verticali alla base. Se si osservano molti denti staccati dalle mascelle, si pre- sentano con forme assai differenti, secondo l'altezza nella quale si sono rotti, quali rotti nel loro segmento superiore, quali rompendosi portando seco parte della mascella il che facilmente potrebbe far credere che essi fossero denti appartenenti ad altra specie, e nello stesso errore potrebbero fare incorrere molti pic- coli denti della parte posteriore delle mascelle presentando no- vevoli differenze. OSSERVAZIONI SUL GENERE SPHOFRODUS AGASS 63 Insieme alle suddette mascelle, trovai pure diverse vertebre probabilmente appartenenti allo stesso individuo, le quali danno un idea della sua grossezza, ma quantunque dovesse essere adulto; pure riterrei per denti di maggior mole appartenenti ad altri individui, che gli Sphoerodus possano arrivare a dimen- sioni ancora maggiori dell'esemplare del quale vi presentai i resti. Nella località nella quale abbondano maggiormente i resti di questa specie, sono le argille del Volterrano: ne possiedo altri rinvenuti ad Orciano, a Chianni, ed a Siena. Il Dott. Eugenio Sismonda ne rinvenne i denti nell’Arenaria terziaria media delle colline di Superga, e nelle sabbie subapennine dell’ Astigiano, come dice nella sua Memoria , Sui Pesci Fossili del Piemonte. Torino 1856 ,; e come pure nei terreni terziari della Sicilia fu rinvenuto dal Prof. Gaetano Giorgio Gemellaro, come cita nelle , Ricerche sui Pesci Fossili della Sicilia. Catania 1858 ,. Non posso però terminare senza fare i miei sentiti ringra- ziamenti al sig. Prof. Richiardi per l’ajuto che mi prestò nello studio e per i confronti che insieme volle fare. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. Mascella superiore dello Sphoerodus cinctus Agass. | dove si vedono gli attacchi circolari di alcuni » denti con i solchi, e correspettive lamine, non che le varie forme dei denti medesimi. Mascella inferiore del suddetto. Frammento di altra mascella nella grossezza della quale si vede la formazione di due denti che subentrano ai vecchi già caduti. su Vertebra dello Sphoerodus cinctus Agas. 5,e5.* Denti della mascella di forme emisferici. 6, e 6.° Denti incisivi del medesimo. 7,e7.* Denti in vicinanza degli incisivi. LE CONCHIGLIE MORTE RD I BRIOZOK DELLA SPIAGGIA DEL LIDO PRESSO VENEZIA NOTA DEL DOTT. ANGELO MANZONI PRESENTATA DAL PROF. MENEGITNI - nell’adunanza del dì 4 Luglio 1875 A] piede del cordone littorale di sabbie che 1 marosi hanno accumulato lungo la spiaggia sottile del Lido si rinviene una grande quantità di conchiglie rigettate dal mare nei tempi di . forti burrasche. Queste conchiglie possono esser riportate alle più comuni e meglio conosciute specie di molluschi che abitano i fondi sabbiosi dell'Adriatico; e sono perciò in massima parte di molluschi bivalvi, e per di più presentano poca diversità di forme, per contrario grande abbondanza d’individui. Queste conchiglie appartengono alle seguenti specie: Pectunculus violacescens, Lk. — Pholas dactylus, Lin. var. gracilis.i — Mactra corallina, Lin. — Cardium edule, Lin. — Arca tetragona, Poli. — Ostrea edulis, Lin. — Modiola barbata, Lin. — Venus gallina, Lin. — Pecten glaber, Lin. var. sulcatus, Lk. — Pecten varius, Lin. — Solen vagina, Auct. — Solen si- liqua, Lin. — Venus verrucosa, Lin. — Tellina planata, Lin. — Murex erinaceus, Lin. var. Tarentina. — Ceritium vulgatum, Brug. Fra queste conchiglie la predominante è, senza confronto, il Pectunculus violacescens. Le valve separate di questo mollusco si trovano, come ho detto, seminate abbondantemente al piede Se. Nat. Vol. II. fasc. 1.° n) 66 A. MANZONI del cordone littorale di sabbia che segna la linea raggiunta dalle onde nelle massime burrasche, e invece non si trova af- fatto, o solo scarsamente, lungo l'orlo delle acque a mare calmo e basso. Quivi invece si raccolgono le valve di Venus gallina, di Donax trunculus e di Solen vagina, di cui gl’ individui viventi si trovano abbondantemente, sotterrati nelle sabbie appena ba- gnate dalle acque del mare. Il Pectunculus violacescens abita invece più addentro in maggiori profondità, e colà trova due specie di nemici che ne uccidono buon numero d’individui. Questi nemici sono quegli animali che tarlano il guscio delle conchiglie e che sono attribuiti ai generi Cliona, Talpina, Den- drina, ed inoltre il Murex erinaceus che ha la potenza di tra- panare col suo apparato buccale le conchiglie le più solide e resistenti. Le valve di detto Pectunculus per tal modo tarlate e perfo- rate hanno perso molto del loro peso normale e quindi si pre- stano con maggior facilità ad esser trasportate a terra dalle onde, che nei tempi di burrasca spazzano la zona di fondo di mare sulla quale vive ordinariamente il citato mollusco. Però prima che questo accada interviene uno spazio di tempo durante il quale le valve disgiunte dell’estinto mollusco rimangono gia- centi sul fondo nativo, e sono scelte, nella loro faccia interna, a dimora di numerose e ben sviluppate colonie di Briozoi. Non vi è valva tarlata di Pectunculus violacescens, che si raccolga lungo il cordone IlIttorale di sabbia della spiaggia sottile del Lido, la quale non offra nel suo interno colonie più 0 meno diffuse delle seguenti specie di Briozoi: Membranipora monostachys, Bk. Cat. Mar. Polyz. pag. 61, E 40) Membranipora calpensis, Bk. Cat. Mar. Polyz. pag. 60, PI. 104, fio. Lepralia Pallasiana, Moll. Bk. Cat. Mar. Polyz. pag. 81, RIE89 ei Lapralia spinifera Jonst, Bk. Cat. Mar. Polyz. pag. 69, PI. SI, iero Queste colonie di Briozoi si trovano anche tappezzare 1° in- terno delle valve disgiunte e tarlate o trapanate dell’ Arca LE CONCHIGLIE MORTE E I BRIOZOI DEL LIDO PRESSO VENEZIA 67 tetragona della Pholas dactylus, del Mytilus barbatus e presso a poco di tutte le conchiglie sopra citate, le quali mostrano di vivere nella stessa zona di fondo marino, assieme al Pectunculus violacescens, in qualche metro di profondità. Tutte le spiaggie sottili offrono più o meno conchiglie riget- tate dai flutti. Ma per queste spiaggie non vale il caso della spiaggia del Lido, per la quale si tratta di un piccolo insieme di molluschi che abitano la parte più bassa e profonda della zona littorale, dove buon numero di questi trovano morte per opera di un altro insieme di animali perforanti e dove le valve degli estinti molluschi vengono scelte a dimora di numerosi Briozoi. Così si succedono tre razze ben distinte di animali, e col tempo le loro traccie ed i loro avanzi sono sospinti a terra dal moto ondoso del mare. Che i Briozoi incrostanti prediligessero le conchiglie morte a quelle contenenti ancora l’animale vivo per .loro soggiorno era cosa che già mi era perfettamente nota. L'osservazione fatta sulle conchiglie morte del lido mi ha sempre più persuaso che questi esigui ed eleganti animali impiantano le loro colonie pre- feribilmente sul guscio invecchiato o disabitato dei molluschi marini. RICERCHE CHIMICHE SUL CALCARI DEI MONTI PISANI ESEGUITE DAL DOTT. FRANCESCO STAGI (!) I Monti Pisani che fanno parte della spezzata catena metallifera, e ne costituiscono per così dire un’ anello, sono importantissimi perchè vi sì nota l’intera serie dei terreni che rinvengonsi pure nelle altre parti della Toscana, cominciando dall’ Eocene fino al terreni paleozoici inclusive costituiti dal Verrucano. E dico paleozoici in generale perchè in questi nostri Monti Pisani non si sa bene qual periodo dell’èra paleozoica precisamente rap- presenti la formazione del Verrucano, non essendosi in verun luogo dei monti suddetti ritrovato alcun fossile, il quale ci possa veramente svelare il posto che esso Verrucano debba cronologi- camente occupare nella serie geologica; ma verosimilmente al- meno gli strati superiori devono riferirsi all’ epoca carbonifera, come lo fanno credere i fossili che furon trovati dai chiarissimi professori Paolo Savi e Giuseppe Meneghini a Jano nella zona superiore della formazione medesima. Al di sopra del Verrucano stanno i terreni secondari costituiti per la massima parte da: rocce calcari più o meno metamorfosate unitamente a rocce argilloso-schistose: a questi terreni poi sì addossa la formazione terziaria. (4) La Società, nella prima adunanza tenuta dopo la morte del Dott. Fran- cesco Stagi, deliberava di pubblicare ne’ suoi Atti questo lavoro del defunto Socio. RICERCHE CHIMICHE SUI CALCARI DEI MONTI PISANI 69 Il Verrucano che rappresenta i terreni paleozoici negli sparsi membri della catena metallifera, come nelle Alpi Apuane, nel Volterrano, nel Golfo della Spezia, nell’ Isola d'Elba ec., è gran- demente sviluppato nei Monti Pisani costituendone tutta la parte centrale: consta di schisti talcoso-nodulosi, di schisti filladici, di arenarie quarzose e di anageniti. , Gli schisti talcoso-nodulosi » Son rocce molto argillose di diverse colorazioni in cui ritro- , vansi abbondantissime le laminette di Talco insieme a noduli ,e venuzze di Quarzo. Questi schisti hanno poca importanza » industriale; solamente è da avvertire che decomponendosi for- , mano un materiale adattatissimo alla fabbricazione di mattoni s refrattari. Le Filladi differiscono dagli schisti talcoso-nodulosi » per esser prive di noduli di Quarzo: in alcune località sono , importanti perchè vanno a queste riferite le Ardesie o Lavagne, » le quali però non si rinvengono nei Monti Pisani. Le arenarie » quarzose dette volgarmente Quarziti risultano di granelli silicei , cementati da una costanza pure silicea; la grossezza dei gra- , nelli è varia come vario ne è il colore; si ritrovano abbondante- , mente nel Monte Pisano, e servono come pietre da costruzione » Surrogando il macigno. Le Anageniti finalmente sono composte , da frammenti di Quarzo cementati da una sostanza siliceo- » talcosa: esistono in molte località e sono impiegate con buon , Successo per farne macine da molino ,. Di tutte queste rocce io non ho istituita analisi siccome estranee al tema dal quale mi era prefisso di non escire; ed infatti nessuna di esse è costi- tulta neppure in parte da calcare. Le rocce che nei Monti Pisani rappresentano la formazione secondaria, sono prevalentemente costituite, come più sopra ho già avvertito, da calcari più o meno puri, più o meno modificati; ed è appunto di queste rocce che intendo occuparmi nel presente. lavoro, di ciascuna di esse esponendo i resultati da me ottenuti per l’analisi chimica, che ne feci sopra esemplari appositamente raccolti in posto od ottenuti dal prof. Meneghini. 1. Calcare grigio cupo senza selce. Questo calcare ritrovasi immediatamente al di sopra del Ver- rucano in molti luoghi dei Monti Pisani come ad Asciano, a Caprona, ad Avane, ec.: è riferito dal Savi al Trias e per 70 FRANCESCO STAGI la sua posizione stratigrafica, e per i suoi fossili che scarsa- mente vi si rinvengono, almeno determinabili. Questo calcare di colore nerastro è variegato di giallastro o di bianco, colorazioni dovute o ad un idrossido ferrico se gialle, ovvero a venuzze di puro carbonato calcare se bianche; ha grana finissima, perfetta- mente ceroide, ed acquista per il pulimento un bellissimo color nero, per cui può servire, e serve di fatto come materiale d’orna- mento: però presso di noi la industria di questa pietra è poco sviluppata, esistendo solamente la cava di Agnano. Questo cal- care che, come giù ho detto, si rinviene in più luoghi dei Monti Pisani, non da per tutto ha la medesima composizione chimica, poichè mentre è molto argilloso ad Avane, invece ad Asciano ed a Caprona non contiene neppur le tracce di argilla. Dalla dif- ferente composizione chimica del calcare grigio cupo senza selce avviene che mentre le varietà non argillose possono essere im- piegate comunemente anche in lavori decorativi esterni cioè esposti all’azione degli agenti esteriori, il calcare grigio cupo di Avane invece non potrebbe impunemente rimanere esposto all’in- giurie delle intemperie. Di questo calcare di Avane fece l’analisi il distinto Prof. De Luca ed ottenne i seguenti resultati. Acido carbone nat aa. Ss ONTO) Calce a cei ae 1090 Magnesio Sostanze argillose... - ...-.-- 29,90 Ossidi e solfuri di ferro .... 1,94 Acequaca 90 Materie bituminose. ...... 0,62 99, 15 per cui può riguardarsi come un calcare dolomitico nel quale uniformemente sia disseminata dell’argilla, onde potrebbe benis- simo fornire una buona calce idraulica. Sappiamo infatti essere i calcari argillosi atti alla fabbricazione della calce idraulica ove contengano almeno il 10 /° di argilla, imperciocchè se la propor- zione di questa non giunge alla cifra sopraindicata la calce che ne deriva si indurisce troppo lentamente; se invece la quantità dell’ argilla oltrepassa il 30 ;/° allora la calce viene a perdere col tempo la sua coesione. Ora il calcare di cui qui si tratta sa- RICERCHE CHIMICHE SUI CALCARI DEI MONTI PISANI Tal rebbe appunto adattatissimo per la preparazione di eccellente calce idraulica, imperocchè secondo Vicat i calcari che sommini- strano le migliori calci idrauliche son quelli che contengono circa 11 25 pl° di argilla. — L’analisi del De Luca concorda assai con l’analisi da me fatta dell’istesso calcare: solamente io vi ho ri- scontrato una proporzione, se vogliamo non indifferente, di acido fosforico: eccone i resultati. Acidor carbomico ppt, 31, 120 Calce 28, 020 Manera. 5, 290 Silicio A 14, 450 Na 11, 550 Ossido ferro e 0, 620 Ossido: feltoso e 1, 380 Neidoosforico eni i 0, 015 ACQUI e 2, 390 Sostanze bituminose e perdita 1, 665 100, 000 Ora valutando la magnesia come carbonato si ha che 8,29 di essa richiedono precisamente 9,12 di anidride carbonica per for- mare 17,41 di carbonato magnesiaco; rimangon quindi 22 di anidride carbonica che combinansi precisamente a 28 di calce per formare 50 di carbonato calcico; la quantità 0, 020 di calce che avanza è quasi esattamente quella che saturando 0, 015 d’acido fosforico forma il fosfato basico di calce Ca? Ph? 08: la composi- zione centesimale del fosfato basico è infatti rappresentata dai seguenti numeri: Ca0= 5484. Ph?0°= 45,16, che stanno fra loro come 0, 020 a 0, 16, ritrovati quasi esattamente dall’analisi. L’allumina e la silice poi sono in tali proporzioni, che valutan- dole combinate allo stato di silicato, e computando l’acqua come facente parte di questo, si giunge approssimativamente alla formula tipica dell’ argilla [A1?]|Si?07+ H?0O data dalle seguenti proporzioni centesimali Al°0*—39, 77. Si0?—46,33. H?0=13, 90, numeri che stanno fra di loro come 11, 55: 13, 45: 4, 27, che poco si discostano da quelli offerti dall'analisi, avendosi solamente un piccolo eccesso di silice, mentre l’acqua è in difetto. L’ eccesso 19 FRANCESCO STAGI della silice può spiegarsi anche senza ricorrere ad un errore d’analisi coll’ammettere che la silice si trovi combinata agli ossidi di ferro, ovvero più semplicemente ammettendo che tal quale rinvengasi nel calcare in esame: il difetto dell’acqua non. può recar meraviglia potendo essa essersi eliminata nel processo di metamorfismo del calcare. Concludendo abbiamo per questo calcare la composizione seguente. Carbonato calcico = Ca C 0*..... 50, 000 Carbonato magnesiaco—MgC0? . 17,410 Fosfato di calce — Ca*Ph*08 ... 0,035 Argilla — [Al?] Sit O7+ H°0. . .. 28,890 Ossidi di ferro; sost. bitum. e perdita 3, 670 100, 000 Le altre due varietà di calcare grigio cupo senza selce che ri- trovansi ad Asciano ed a Caprona sono calcari ordinari, nei quali come in quello di Avane la colorazione è dovuta per la massima parte a sostanze organiche bituminose, imperocchè questi calcari imbiancano per l’azione del fuoco: ma non perfettamente, giacchè la colorazione nera è dovuta anche alle piccole proporzioni di ossido di ferro: ecco i resultati delle analisi da me fatte dei due calcari di Asciano e Caprona: Caprona Asciano Anidride carbonica ......-. .. 43: 95000 400920 5 fosforica tea 0, 012 0, 009 Calce e 53, 200 51, 092 Magnet 1,428: 1, 040 Ossido ferroso 0, 162 0, 224 Dial ERIC ARI 0, 320 0, 300 Jdrogeno;solforatogiat. tracce tracce ACQUA sg a 0, 986 1, 930 Sostanze bituminose ...... 0, 509 0, 405 Perdita fs e 0, 033 3, 080 100,000 100, 000 RICERCHE CHIMICHE SUI CALCARI DEI MONTI PISANI To) discutendo queste analisi si trova che i calcari hanno la seguente composizione: Carbonabo)fcalcico Re 9950 92, 650 3 Magnesio 21998 2, 184 Bosfato:calcico aeree 04026 0, 020 Ossido di ferro e sost. bituminose 0, 991 0, 929 NCR 986 1, 930 900051097, 708 Marmo bianco ceroide o calcare salino. Questo marmo o calcare ceroide è abbondantissimo nei Monti Pisani: si addossa al calcare grigio cupo senza selce, ed è dal. Savi riferito al periodo infraliassico: la sua grana è comunemente ce- roide, a monte Penna però si avvicina molto a quella saccaroide: le colorazioni che presenta sono varie assai, di rado è candido perfettamente, più spesso è bianco con vene giallognole, azzur- rastre e rossicce: queste alle volte sono più dure della massa calcare che le include, alle volte invece sono più molli; la massa poi più di sovente presenta un colore più o meno uni- formemente celestognolo o gialliccio od altre più o meno decise sfumature. La materia colorante sia delle venature, sia della massa intera del calcare è dovuta o a sostanze bituminose ov- vero ad ossidi di ferro che si ritrovano variamente disseminati nel calcare medesimo. A questo calcare devonsi pur riferire le Lumachelle che trovansi a Monte Rotondo presso San Giuliano, come pure molti marmi varicolori che sì rinvengono nei Monti oltre Serchio, i quali potrebbero utilmente servire come mate- riale. architettonico: ora però vengono scavati quasi esclusi- vamente per ghiaiare le strade. — Il calcare bianco ceroide che trovasi nella giogana dei Monti Pisani compresi fra l’Arno ed il Serchio somministra da tempo antichissimo un buon ma- teriale da costruzione; esso infati per la sua grana omogenea sotto i colpi del martello si risolve in schegge e frammenti an- golosi, e lasciato per qualche tempo sommerso nell'acqua poco aumenta di peso, proprietà eccellenti per una pietra da fabbri- care. Ma più che per costruzione ha servito e serve tuttora come materiale decorativo imperocchè acquista per la pulitura * 74 FRANCESCO STAGI bellissimo aspetto. Di questo calcare esistono parecchie cave, scavandosi assai attivamente perchè oltre al servire come pietra ornamentale somministra ancora un’ eccellente calce viva (dolce) bianchissima: esso infatti riunisce in se le doti più essenziali per un calcare da calcina dolce, essendo pressochè completa- mente solubile negli acidi anche diluiti e perdendo circa la metà del suo peso per la calcinazione. Di tutte le varietà di questo calcare non so se altri abbia istituita analisi: a me per- tanto esso ha dato i seguenti resultati: Varietà bian- Varietà Varietà Varietà ca ceroide azzurrastra giallognola grigiastra (S. Giuliano) (S. Giuliano) (S. Giuliano) (Monte Penna) A B C D Anidride carbonica. 43, 95 45, 660 41,99 45, 81 (o fosforica . tracce 0,005 tracce 0, 01 i silicica .. — — tracce — — .. tracce Caleesr rene 54, 86 52, 900 51, 87 52, 80 Magnesiat 0. 0, 76 1,010 bo 2,14 Acqua 0, 59 1, 900 0, 99 0, 81 Sostanze bituminose — — 0, 041 —- — 0, 05 Ossido ferrico. ... — — LESSE 1,02 o. 100, 16 99, 516 97, 02 101, 62 questi resullati conducono quasi esattamente ad ammettere per ciascuna varietà dei calcari detti dal Savi salini la composi- zione qui sotto indicata: Varietà A. Carbonato icalcieo i 0.00 97,990 i MagnesiaGo i 1,590 Hosfato calo in tracce ACQUARI AE 0, 585 100, 165 Varietà B. Carbonato calcico......... 94,460 È Masnesiaco i. Ge 2,121 Rosfaboscalcieo esset n tracce ACQUa SEE E O SH ee 1, 900 Sostanze bituminose ........ 0, 041 RICERCHE CHIMICHE SUI CALCARI DEI MONT! PISANI 15 avvertasi che in questa analisi io ho ottenuto circa uno per cento in eccesso di anidride carbonica, certo non spiegabile in altro modo se non che ammettendo un lieve errore d'analisi, il quale però a me non è sembrato tale da dovere ripetere l’ analisi medesima. Varietà O. ©arbonato calle 999200 È masnesteo lo Rosfavo calcio e n tracce Ossido, ferro 020 Aa 000 i 97, 150 Varietà D. Carbonatolcalcico af o 917200 È maomestaco 0. 00 Hosfato calco e brace Me 0810) Sotgiu 0050 099, 56 Da queste analìsi può rilevarsi essere il calcare bianco ceroide dei monti pisani composto quasi esclusivamente di puro carbo- nato calcico, misto a poco carbonato di magnesia, con sostanze coloranti costituite o da materie bituminose come nelle varietà più scure, o da idrossido, o sesquiossido ferrico come nelle varietà di color giallastro o rossastro. Ed a questa sua purezza è forse dovuto il resistere che esso fa all’imperversare degli agenti atmo- sferici come ben lo dimostrano i monumenti della città nostra, i quali resistono anco all’azione dei venti marini, che tanto con- tribuiscono al deperimento degli edifizi. Lumachelle. Le lumachelle non son che marmi di struttura più o meno cristallina, suscettibili di bel pulimento: in queste sono evidenti i gusci di conchiglie marine perchè la struttura cristaliima e se non essa le tinte ne sono differenti dalla struttura e colore della massa calcare circostante. Queste pietre potrebbero avere molto pregio artistico per la loro bellezza, ma però attesa la giaci- lav 70 FRANCESCO STAGI tura irregolare hanno più importanza scientifica che industriale. Le Lumachelle presentano presso a poco la stessa composizione chimica dei marmi a cui si collegano, solamente vi si riscontra in maggior proporzione l'anidride fosforica, e di più tracce sensibili d'idrogeno solforato, il quale d’altronde rendesi palese anche all’ olfatto, imperocchè con la percussione l’odore carat- teristico del solfido idrico rendesi sensibilissimo e tanto più sen- sibile quanto più la lumachella è ricca di fossili: ecco pertanto i resultati di tre analisi fatte sopra diversi esemplari. Lumachella molto fossilifera, S. Giuliano. Anidride:carbomca i are 54, 13 5 fosfonica te: irene. 0, 25 Calcetto Reno one 42, 60 Magnesia gian AN SRI 0, 38 Acqua rai A O ni 1, 31 Sostanze bituminose . ...... 0, 44 SO da cui molto approssimativamente ricavasi la composizione seguente: Carbonator cale re 96, 00 i MASNESIACO 0, 79 Fosfato calcieo 0 n Aqua: Seni reale Sostanza bituminosa. ........ 0, 44 99, 16 Lumachella meno fossilifera, S. Giuliano. Anidride“carbonica ... ... rire esclusivo, come lo descrissero e figurarono vari autori. Notevolmente diversa apparisce, a prima giunta, la struttura degli Aptici imbricati, solcati o lamellosi che vogliansi dire. Gli strati cellulari di successivo accrescimento non sembrano distinti: le sezioni longitudinali e trasversali presentano un' insieme di ma- glie poligone, che quasi si direbbero irregolari per la forma e per la grandezza (fig.8). Ma che la sezione colga normalmente gli strati di successivo accrescimento, e viene allora a svelarsi l’ analogia che si era creduta difettare. Predomina bensì l’ allungamento delle cellule attestate in serie obliquamente curve, che terminano per essere normali alla superficie esterna e fortemente inclinate verso la interna, e quindi inversamente alla consueta collocazione relativa degli strati di accrescimento, ma questi si vedono chiara- mente indicati da linee, che hanno appunto quella collocazione, sembrano attraversare le serie delle cellule e provengono dal- 96 MENEGHINI E BORNEMANN l'allineamento delle loro testate (fig. 4'). L'ordine del successivo cambiamento di forma nelle cellule appartenenti al medesimo strato è diverso nelle differenti specie, ma diverso apparisce pure in ciascuna, e nell’esemplare medesimo, secondo che la se- zione colga il tessuto in tale o tal’ altra direzione. A costituire quindi le lamelle sporgenti della esterna superficie vedonsi con- correre, ora cellule allungate o tubulose, ed ora invece cellule poligone di varia forma e di varia grandezza, ma in nulla di notevole distinte dalle altre. Un grosso strato solido ed uniforme limita all’esterno esse cellule: si direbbe che la parete esterna di ciascuna conseguisse quel particolare ingrossamento, mentre. le altre pareti di esse cellule superficiali, al pari di quelle delle cel- lule interne, conservano l’abituale sottigliezza, e la parete este- riore ingrossata di ciascuna si fondesse con quelle parimenti ingrossate delle vicine. Un simile strato, ma molto più sottile, limita la superficie interna. Il primo ha il maggiore spessore verso il lato interno e va assottigliandosi verso la periferia esteriore; il secondo invece da sottilissimo ch'è all’interno va successiva- mente ingrossando. Il microscopio non rileva, conservata almeno dalla fossilizzazione, alcuna distinta struttura in essi due strati; vi sì vede soltanto una striatura obliqua, con obliquità inversa a quella delle cellule nello strato interno, parallela a quella delle lamelle nell’esterno, per ambedue quindi nel senso degli strati di successivo accrescimento. i Nelle varie specie di Aptici lamellosi (o forse anche nei varii esemplari della specie medesima) lo strato solido esteriore prende più o meno prevalentemente parte alla sporgenza obliqua delle lamelle, costituendo quasi un graduato passaggio alla condizione avvertita dal Glocker e dallo Zittel negli Aptici puntati, nei quali lo strato superficiale grossissimo costituisce prevalentemente colle sue ripiegature esse lamelle, con pieghe così oblique che la vetta di ciascuna raggiunge il dorso della successiva, includendo fra piega e piega un canale longitudinale, il quale rimane chiuso per l'aderenza delle pieghe stesse, interrotta solo, a distanze presso a poco regolari, da aperture tubulose, che si aprono all’esterno. Un'alterazione, che sembra dovuta a qualche circostanza della fossilizzazione o del giacimento, interessa più o meno profonda- mente esso strato superficiale; la parte così alterata apparisce SULLA STRUTTURA DEGLI APTICI 97 allora distinta ,e lascia, cadendo, nettamente separate e sporgenti le lamelle, costituite prevalentemente dalla parte più profonda e tuttavia inalterata dello strato medesimo. Lo studio comparativo dei particolari che presenta la strut- tura nei varii casi, potrà forse sommininistrare buoni caratteri anche a distinguere le varie specie di Aptici lisci, lamellosi e puntati; oltrechè è probabile che notevoli differenze sì riscontrino nella struttura degli Aptici papillosi ed in quella dei rugosi. A conseguire quel fine sospirato occorre lungo e faticoso la- voro, ma in esso ci proponiamo di persistere se ci confortino la vostra approvazione ed il vostro consiglio. Hip sigle CO piess È LO sura È js sile LZ, LO ati i 1 sio \k — Aptychus Meneghini, de Zign. — Sezione verticale radiale s’° una linea divergente da quella di armonia, a partire dall’umbone, ad un terzo della lunghezza, a circa un sesto della lar- ghezza, rappresentata in grandezza cinque volte mag- giore del vero. La figura è fedelmente copiata alla camera lucida, ma, per maggiore evidenza, sono tinte in oscuro le cavità delle cellule, che in realtà sono anzi le parti più trasparenti. Tuttociò vale pure per le altre figure. — Sezione verticale trasversa nella stessa regione. — Sezione orizzontale della parte profonda, in prossimità alla superficie interna. — Sezione obliqua della parte mediana dello spessore, nel senso di uno degli strati cellulari. — Sezione orizzontale in prossimità alla superficie este- riore. — Aptychus sublaevis, (d'Orb.) Stop. Sezione verticale radiale. — Aptychus profundus, (Voltz) Stop. Sezione verticale radiale, s' una linea divergente da quella d’armonia, ma obliqua alla direzione delle lamelle. — Aptychus punctatus, Voltz. — Sezione verticale radiale, obliqua alle lamelle. — Sezione verticale trasversale, normalle alle lamelle. sii SPRA LO SPHARIFER CORNUTUS. RI: (SPHAROSOMA CORVINA, LEYDIG.) ED UNA NUOVA SPECIE DEL GENERE PHILICHTHYS STEENST., FH. SCIEN&E RICH. INBORILIA! Del Dott. S. RICHIARDI Prof. di Zoologia ed Anatomia comparata nella R. Università di Pisa. Presentata nell’Adunanza del 5 luglio 1874. Spherifer cornutus, Rich. Spherosoma corvine, Leydig. (Avola dilEsfisso 6070) Nell'anno 1850, il Prof. Leydig, mentre attendeva in Cagliari alle sue ricerche sui canali mucipari dei Pesci, trovò per caso in quelli della testa di una Corvina nigra Cuv. un piccolo Cro- staceo parassita, che con ragione credette nuovo, e sul quale stabilì il suo genere Spherosoma chiamandolo, dall’ ospite su cui viveva, S. corvine: nel 1851 ne diede una descrizione piuttosto incompleta ('), lasciando così desiderare altre notizie intorno alla storia di questo elegante parassita. Dopo il Leydig nessun zoologo si occupò più di questo Cro- staceo, quindi le nozioni che si ebbero, intorno alla sua organiz- zazione, per venticinque anni, da che fu scoperto, fino ad oggi, (4) Franz Leydig. — Ueber ein neues parasitisches Krustenthier, in: Archiv fur Naturgeschichte, herausg. v. F. H. Troschel; jahrg. XVII (1851), Erster Bd., S. 259, Taf. III, fig. 2, und, 3. 100 5. RICHIARDI erano così incomplete che non se ne conobbe il sesso, nè il nu- mero, forma, e disposizione delle appendici articolate delle quali è fornita la testa, perciò non fu possibile stabilire le sue affi- nità, e collocarlo convenientemente nei quadri sistematici della classe dei Crostacei, ed anzi il v. Beneden credette dovesse es- sere ascritto alla famiglia delle Hrudinee presso il suo genere Histriobdella, ed era persuaso che lo studio dello sviluppo avrebbe confermato l’ esattezza della sua opinione e di tale ravvicina- mento (!). Sebbene io non abbia avuto l'opportunità di studiare le forme larvali dello Spherifer, e quindi non possa con tale mezzo di- mostrare al v. Beneden l'insussistenza della sua opinione, pure sono certo che le notizie che aggiungo alla storia di questo pa- rassita lo persuaderanno facilmente che non è un Anellide, ma un vero Crostaceo. Se molto incompleta era la conoscenza dell’ animale, anche la sua denominazione generica peccava d'irregolarità contro i principi generali della nomenclatura linneana, poichè, come no- tava il Troschel (?), il nome di Spherosoma proposto dal Leydig, era già stato impiegato dal Leach per un genere di Coleotteri, perciò non avrebbe più dovuto essere usato una seconda volta: probabilmente il Leydig istesso, se fosse tornato sull'argomento, avrebbe seguito il consiglio del Troschel e cambiato il nome, ma poichè ciò non avvenne, nel rifare più completa con mag- giori e migliori materiali la descrizione di questo Crostaceo, credo cosa buona abbandonare il nome di Spherosome, e proporre quello di Spherifer, che indica come il primo un carattere essenziale, la forma particolare di una parte dell'animale, e che io sappia finora non venne usato da altri: siccome poi il pasassita non vive esclusivamente sopra la Corvina nigra, sulla quale fu tro- vato la prima volta, così propongo pure il nuovo nome speci- fico di cornutus in sostituzione di quello adoprato dal Leydig. Presso di noi lo S. cornutus non abita solo i canali e seni mucipari della Corvina nigra, ma è pure assai comune in quelli della Sciena umbra Cuv., nei grandi individui della quale rag- (4) P.— j. v. Beneden = Les commensaux et les parasites dans le Regne animal: Paris 1875, pag. 74. (?) Troschel F. H. — Archiv fur Naturgeschichte, jahrg. XVII (1851), Erster Bd., S. 261. SV ST raid SOPRA LO SPHARIFER CORNUTUS ECC., ECC. 101 giunge dimensioni assal maggiori, potendo svilupparsi in cavità molto più ampie. Gli individui più grandi che ho trovato sulla C. nigra mi- suravano appena 0", 01, i più piccoli 0",007; nella S. «umbra in- vece i più grossi avevano la lunghezza di 0", 028, i più pic- Colon 009: La figura che il Leydig ha dato di questo Crostaceo non ne rappresenta esattamente le forme eleganti e regolarissime, quindi ho creduto bene pubblicarne due nuove eseguite sopra individui viventi, rappresentanti una (Tav. III, fig. 5.) il parassita a gran- dezza naturale, l’altra (fig. 6.) ingradito quattro volte (!). La testa ha un contorno circolare, convessa superiormente, la faccia inferiore incavata: sul fondo della cavità trovansi le appendici articolate che formano l'apparato boccale, al davanti di esse le due paia d’antenne. Fa seguito alla testa una seconda regione cilindrica, lunga circa la terza parte dell'animale intero, la quale, sottilissima in avanti, va insensibilmente ingrossando, e posteriormente s° in- nesta alla terza pressochè sferica negli individui vivi, ma che si deforma facilmente, ed anche si rompe per la sua grande delica- tezza quando si passano nell’ alcool, questa parte del corpo porta lateralmente due appendici cilindriche, leggermente piegate in- dietro nella loro lunghezza, e molto appuntate alle loro estremità. Gli altri cinque segmenti dell'addome hanno tutti una forma ovoide e sono molto meno sviluppati del primo; il secondo è alquanto più piccolo del terzo e non presenta alcuna particola- rità; il terzo è il segmento genitale, più grosso del secondo ma leggermente meno del successivo, sui lati della sua faccia dorsale trovansi due aperture; il quarto è il più grosso, il quinto ha le dimensioni del segmento genitale, ma è alquanto più allungato, il sesto od ultimo è il più piccolo di tutti. La regione caudale è formata da due prolungamenti cilin- drici, molto appuntati alla loro estremità e divergenti, che an- teriormente convergendo l’uno verso l’altro si uniscono in un corpo brevissimo mediante il quale aderiscono all’ultimo segmento (') Dopo che fu stampata la tavola, e quando questa nota era di già compi- lata, ho trovato nella testa di una grossa Sciena umbra del peso di 82 kilogram- mi, sette Spherifer quattro dei quali avevano la lunghezza di 0", 028, ed in una seconda, più piccola, due individui uno di 0,027, l’altro di 0%, 012. Sc. Nat. Vol. II, fasc. 2.9 7 102 S. RICHIARDI addominale, in mezzo a tale forcella sbocca all’esterno l’intestino per un’ apertura lineare. Il Leydig ha veduto solamente una parte delle appendici che si trovano sulla testa, difatti egli descr sse solo un paio di mandi- bole, ed un altro paio di pezzi biarticolati a margini dentellati. Realmente la testa è fornita di cinque paia di appendici ar- ticolate: le antenne del primo paio triarticolate, delicate, seti- gere (fig. 7, a.); le antenne del secondo paio biarticolate robuste e bifide alla loro estremità, e che allungandosi in avanti fra la base di quelle del primo paio, sporgono appena oltre il margine anteriore della testa (fig. 7, 6.); più indietro sul mezzo vi ha l'apertura boccale circondata da tre paia di appendici; un paio di palpi di di tre articoli (e), immediatamente dietro di essi i piedi-mascelle del primo paio di due articoli, il basilare cilin- drico allungato, ed il terminale laminare, col margine interno intaccato da finissime dentellature (4), quindi quelli del secondo paio essi pure di due articali, il primo grosso conico, ed il ter- minale lungo, sottile, cilindrico, appuntato, falciforme (c); queste sono le sole appendici articolate delle quali in questo periodo ‘della sua vita il parassita è ancora fornito, giacchè di organi ‘di locomozione non se ne incontra più traccia su nessuna parte del suo corpo. Il Leydig aveva di già veduto le due aperture che si trovano sulle regioni laterali della faccia dorsale. del terzo segmento addominale, ed anche sospettato che potessero essere le aper- ture genitali, io pure dopo avere esaminato parecchi individui ero persuaso dell’ esattezza della sua interpretazione, ma non mi era mai riescito di avere le prove del fatto, continuando per altro le ricerche onde assicurarmene, il giorno 8 agosto 1874 trovai, nei seni mucipari di una sSciena wnbra, due individui della lunghezza di 0%, 0115 i quali portavano due bei sacchet- tini ovoidi pieni di uova e pendenti dalle dette aperture per mezzo di due brevi condottini, perciò è ora accertato che la forma, che conosciamo di questa specie è quella del sesso femminile: in seguito ho trovato altri nove esemplari coi sacchi ovigeri, pevò non sì riesce a mantenerli aderenti al corpo del parassita, perchè appena si smuove dal suo nascondiglio, o quando si col- loca nell’alcool, se ne staccano sempre; trovai pure le uova disperse nei canali e seni, di modo che se essi vivono nei primi VITI, PA RS SOPRA LO SPRRIFER CORNUTUS ECC., ECC. 105 stadi del loro sviluppo liberi (lo che mi pare fuori di dubbio non avendo mai trovate forme larvali nei canali mucipari), le larve devono uscire dalle aperture che esistono sulle due branche della mandibola inferiore, in prossimità dalla loro sinfisi, oppure da quelle che trovansi all'apice del muso al davanti delle narici. Le uova hanno costantemente una forma ovoidale ed un colore giallognolo, io le ho sempre trovate nei primi stadi del loro svi- luppo, quando la membrana blastadermica è rappresentata solo da due ad otto grosse cellule nucleate molto trasparenti, ammuc- chiate in un punto della superficie della massa vitellina, quindi non posso dire nulla intorno alle prime forme larvali del parassita. Finora, non ostante le più persistenti ed accurate ricerche, non ho ancora avuto la fortuna di trovare un solo individuo del sesso maschile, quantunque abbia esaminato molte femmine coi sacchi ovigeri, od ancora aderenti all'apertura genitale, op- pure appena rotti e le uova, sebbene disperse per i canali e seni, pure poco avanzate nel loro sviluppo: probabilmente il maschio avvicina la femmina per un tempo assai breve, e quindi è dif- ficilissimo sorprenderlo nell’accoppiamento, ma mi si presenta abbastanza frequentemente l'occasione di studiare questo paras- sita, e spero di potere in seguito empiere le lacune che ancora rimangono nella sua storia. Il parassita si trova nei suoi nascondigli in tutte le epoche dell’anno tanto sulla S. wnbra, quanto sulla C. nigra, però non posso dire se si riproduca in tutte le stagioni, avendo, fino ad ora, trovato femmine coi sacchi ovigeri solo verso la metà del mese di giugno ed al principio di agosto, è certo per altro che esso provvede alla conservazione della specie assai prima di avere raggiunto il suo massimo sviluppo, giacchè individui che ave- vano raggiunto appena la lunghezza di undici millimetri e mezzo, portavano di già sacchi ovigeri come altri di ventotto, soltanto in questi le uova erano tre volte più numerose. Tutti i canali e seni mucipari della testa sono soggetti al- l'invasione di questo Crostaceo, però lo s'incontra raramente in quelli della mascella inferiore, d’ordinario sta nei preopercolari, ed in quelli delle ossa del cranio, la mucosa allora è infiammata, e sono vuoti o pressochè del tessuto gelatinoso che normalmente contengono, ed in essi non rimangono stazionari, ma, sebbene lentamente, progrediscono passando dall’uno all’altro, e soventi 104 S. RICHIARDI se ne trovano parecchi vuoti, cercando per altro dai preopercolari in alto sulla testa, si è sicuri di incontrarvi qualche individuo. Il corpo del parassita è inviluppato da un tegumento sot- tilissimo, e molto delicato, che sì rompe colla massima facilità, di modo che bisogna toccarlo con grandi riguardi, e talora quan- do il tubo digerente è molto disteso, appena collocato nell’alcool scoppia, sotto le contrazioni violenti determinate dall’ azione irritante del liquido. I movimenti dell'animale sono abbastanza vivaci, e sopra- tutto la regione cilindrica allungata si contrae con molta forza, piegandosi a destra ed a sinistra violentemente, così pure sì ritira verso il segmento sferico, come anche può stendersi quasi il doppio della sua lunghezza normale quando venga toccato nel suo nascondiglio; levato dal suo mezzo naturale, sebbene si col- lochi o nell'acqua di mare fresca, od anche nel liquido contenuto nei seni e canali, la sua vivacità diminuisce quasi immediata mente, e dopo un ora od un'ora e mezzo al più muore. Il Leydig aveva collocato questo Crostaceo nella famiglia delle Lernee, ma oggidi non vi può più essere conservato, Egli ne aveva una conoscenza troppo incompleta perchè potesse si- tuarlo convenientemente nei quadri sistematici della classe alla quale appartiene, ed io stesso, dopo averne fatto uno studio più dettagliato, sono ancora incerto intorno alle sue aftinità, ed ogni dubbio non potrà essere tolto che allorquando sarà cono- sciuta la forma del maschio: per ora dai caratteri che presenta la femmina, mi pare possa essere provvisoriamente coliocato nella tribù dei Chondracanthus a corpo anulato, per altro il maschio potrebbe presentare caratteri sufficienti per costituirne una fa- miglia distinta, oppure assai più probabilmente tali da farlo collocare in quella dei Philichthys coi quali ha pure molta ras- somiglianza ('). | (4) Io ho ritenuto i due Spherifer della S. umbra, e della C. nigra, come ap- partenenti ad una medesima specie, confrontandoli bene si possono però rilevare delle piccole differenze, così nel primo la regione cilindrica è relativamente un poco più lunga, sottile in avanti più grossa posteriormente, nel secondo è un poco più breve e press’ a poco egualmente grossa in tutta la sua lunghezza; così ancora in quello la terza regione è ailungata quasi ovoidale, in questo sempre regolarmente sferica; in quello della Sci@na i segmenti dell'addome sono un poco differenti gli uni dagli a!tri, in quello della Corvina più allungati e di forme perfettamente eguali; tali differenze per altro non mi sembrarono sufficienti per distinguerli in due specie, qualora in seguito si trovassero altri Spherifer, sopra altre specie di Pesci, si potrà dai loro caratteri rilevare se esse abbiano realmente un valore specifico. SOPRA LO SPHERIFER CORNUTUS ECC., ECC. 105 DI Philichthys sciaena, Rich. (Tav. III, fig. 1,2, 3,4.) Il Prof. J. Steenstrup nel 1861 trovò due animali di forme strane, nei seni frontali di un Xiphias gladius pescato nel mese di settembre nel Cattegat presso Kullen, il loro corpo molto delicato era diviso in undici segmenti dai quali si allungavano quindici pala di appendici di diverse dimensioni, più una impari semplice, terminale, all’ estremità posteriore, su tali parassiti stabilì il suo genere PWilichthys (!), per altro, essendo essi ancora, giovani, non potè decidere se dovessero essere ascritti alla classe dei Crostacei, oppure a quella degli Anellidi, sembra per altro che propendesse più per la prima; il Gerstaecker pure nella sua rivista dei lavori pubblicati nel 1862 intorno ai Crostacei, sebbene collochi un breve sunto della nota dello Steenstrup come appendice alla rassegna di quelli riguardanti i Copepodi, tuttavia pare, del modo col quale si è espresso, che Egli pure inclmasse a ritenere i Philichthys come Anellidi (?). Nel 1862 lo Steenstrup trovò di nuovo in un seno dell’ossòo frontale destro, sopra l'occhio, di un secondo Aplas giovane, un'altro Philichthys non ancora completamente sviluppato, e con esso un piccolo Crostaceo copepodiforme della lunghezza di 0,004, che sospettò potesse essere il maschio della specie, e così cambiò opinione ed ‘avvicinò 1 PWilichthys ai Crostacei (3). Il Bergsoe in un suo viaggio in Italia si è occupato dello studio di questo parassita e lo trovò comunissimo, sopra quin- dici teste di Aphias gladius ha raccolto quarantanove femmine e ventun maschi, e ne ha riscontrati persino sette individui sopra (1) J. Steenstrup — Phelichthys ciphie, en ny Snylter hos Swaerdfisken: Oversigt K. Danske Videnskabernes Selskabs Forhandlinger for Aaret 1861, p. 295- 305, pl. II (2) A. Gerstaecker — Bericht ueber die Wissenschaftlichen Leistungen im Gebiete der Entomologie wahrend des jahres 1862, in: Archiv fir Naturgeschichte herausg. von F. H. Troschel, jahrg. XXIX, zweiter Bd. S. 596. (*) J. Steenstrup — Nye Oplysninger om: Philichthys wiphi@, in: Oversigt Kgl. Danske Videnskabernes Selskabs Forhandlinger for Aaret 1862; p. 227-255. 106 S. RICHIARDI una sola testa; dallo studio accurato che egli ne potè fare, è risultato in modo assoluto che i PWilichthys sono veramente Crostacei appartenenti alla sezione dei Copepodi parassiti ('). L’Heller in una nota al quadro dei generi della famiglia dei Chondracanthus, pubblicato nella parte dei Crostacei del viaggio della Novara (?), dice che se realmente i Philichthys fossero Cro- stacei dovrebbero essere collocati nella famiglia predetta, e man- tenendo ancora nel 1865 il dubbio intorno alla natura loro, si vede che probabilmente non conosceva la seconda nota dello Steenstrup, e certo non era arrivata a sua conoscenza la mo- nografia del Bergsoe. Fino ad ora il genere Philichtlys era rappresentato dalla sola specie tipica vivente sulla Xphias gladius, ad essa deve ora ag- giungersene una seconda, la quale è molto frequente sulla Sciena umbra, e che dalla specie sulla quale vive chiamerò Ph. Sciene. Nel cercare delle Epibdelle sulla superficie del corpo di un grosso individuo di S. umbra, ho avvertito lungo la linea me- diana della pinna caudale, l’esistenza di piccoli noduli allungati, a superficie granulosa, che parevano formati da incrostazioni calcaree, dessi erano vuoti nell'interno, e la cavità occupata da animali delicatissimi e di colore biancastro, che facilmente ho potuto riconoscere per Copepodi parassiti, però essendo tutti gl’individui di sesso femminile, ed avendo subìto metamorfosi regressive, non mi riescì subito stabilire a quale genere potessero appartenere, solo più tardi, continuando a raccoglierne ogni qual- volta mi si presentava l'occasione, ho incontrato dei maschi fra i sacchi ovigeri di alcuni di essi, i quali di forme molto carat- teristiche, ed affatto simili a quelli dei Philichthys, non mi la- sciarono più alcun dubbio che la nuova specie di parassita non dovesse appartenere a questo genere. La femmina del Philichthys sciane differisce assai da quella del Ph. xiphie, di forme più semplici e più regolari, è dotata soltanto di tredici appendici, delle quali dodici pari, ed una impari; (4) V. Bergsoe — Philichthys ciphie Steenstp. — Monographisk fremstillet; Naturhistorisk Tidsskrift Udg. af Prof, j. G. Schioedte, III Raekke, III Binds; p. $87- 130, Tab. 13; Kiobenhavn 1864. — L'estratto col titolo: Philichthys vipie: Bidrag til Kundskab om Svaerdfiskens sliimrorsparasit, Kiobenhavn 1865. (*) Camil Heller — Reise der 6sterreishischen Fregatte Novara — Zoologischer Theil — Crustaceen, S. 229. SOPRA LO SPHWRIFER CORNUTUS ECC., ECC. 107 ‘il suo corpo è diviso in dieci segmenti: il primo è il cefalatorace, e dalla sua parte anteriore sporgono tre prolungamenti cilin- drici, inarticolati, appuntati all’ estremità, due pari laterali, ed uno impari mediano, (fig. 3. 7,0) essi colla loro fusione formano un piccolo corpo che è leggermente distinto dal resto del segmento da un solco, dietro a questo, sulla faccia inferiore, esiste un paio di antenne biarticolate setigere (0), le quali corrispondono a quelle del primo paio del maschio, e della maggior parte degli altri Copepodi parassiti: quelle del secondo paio, le quali gene- ralmente sotto forma di uncini, di pinzette, oppure grosse, ro- buste, spinose od inguiculate, servono a questi animali a fis- sarsi, aggrapparsi, ed anche a muoversi sulle diverse parti del corpo dei loro ospiti, mancano, e nelle metamorfosi regressive alle quali la femmina di questa specie è pure soggetta, sono scomparse in un cogli organi della locomozione: poco più indietro e sulla linea mediana, trovasi l'apertura boccale circondata da sottilissima laminetta appena sporgente, e lateralmente ad essa, a destra ed a sinistra, esistono tre paia di appendici articolate che corrispondono precisamente a quelle assai più sviluppate e più caratteristiche che formano l'apparato boccale del maschio; quelle del primo paio sono triarticolate sensibilmente più grosse delle altre, e corrispondono ai piedi-mascelle del primo paio (€); quelle del secondo biarticolate piccolissime a quelli del secondo (4); le ultime, pure costituite da due articoli, ai piedi del primo paio e non potendo, stante l'estrema loro piccolezza, servire alla lo- comozione, entrano esse pure a formare parte dell’ apparato boccale (€). Il secondo ed il terzo segmento sono perfettamente eguali; il quarto grossissimo sferico porta anteriormente sui lati il se- condo paio di appendici semplici, brevi, dirette in avanti, e più indietro le due del terzo paio bifide, i due rami cilindrici ap- puntati e lunghi quanto quelle pari della testa: il quinto ed il sesto segmento si rassomigliano perfettamente, ma dalla faccia dorsale di questo lateralmente alla regione mediana si prolungano le appendici del quarto paio semplici più brevi delle precedenti, ad esse rassomiglianti nella forma, e dirette obliquamente all’esterno ed indietro; il settimo è un poco più sottile dei due precedenti, ed è il segmento genitale, sui lati ha due aperture dalle quali escono i condottini dei sacchi ovigeri; l'ottavo, il nono ed il 108 S. RICHIARDI decimo rassomigliano al settimo, ma al margine posteriore di quest’ ultimo si attaccano le due appendici caudali, le cui estre- mità meno appuntate, di quelle delle altre, negli individui giovani, ed anche in quelli che sebbene portino di già i sacchetti ovigeri, pure non hanno ancora raggiunto le dimensioni massime alle quali possono arrivare, sono munite di tre piccole setole semplici che in seguito cadono. Tl quarto segmento, tanto più voluminoso di tutti gli altri, risulta dalla unione intima di due, ed il paio anteriore di ap- pendici appartiene al primo; quelle dell'altro paio bifide, al se- condo, di modo chè, anche nella femmina, primitivamente il corpo è diviso in undici segmenti, come nel maschio; inoltre questo segmento non è sempre di forma sferica, ma varia se- condo i periodi della vita del parassita, così negli individui molto giovani esso è allungato, fusiforme, e presenta ancora distinto . il solco di divisione dei due segmenti che più tardi si fondono in un solo, inoltre sebbene la forma sferica di questo segmento sia generale negli individui in un periodo della loro vita, non è definitiva, ma il tegumento essendo suscettibile di una grande distenzione, i due. terzi superiori della sfera, cioè le regioni ia- terali e la dorsale allargandosi enormemente formano una placca stellata che in avanti si estende sul terzo segmento, e poste- riormente sul quinto e sul sesto, le appendici anteriori sporgono a modo di raggi dal margine anteriore, quelle bifide del paio posteriore s'accorciano, allargandosi la base comune dei due rami onde partecipare alla formazione della placca. Il tubo digerente è semplice, retto, appena leggermente di- latato nell'interno del quarto segmento sferico, e sbocca al- l’ esterno per una apertura longitudinale sul mezzo dell’ultimo segmento, fra le due appendici caudali. I sacchi ovigeri sono sottili e lunghi, e stanno appesi alle aperture genitali del settimo segmento per mezzo di condottini brevissimi, hanno pareti finissime, ma abbastanza resistenti, la loro porzione anteriore si estende in avanti sotto le appendici del sesto segmento, e la posteriore sopra le caudali, fra le quali, convergendo, arrivano a contatto l’una dell’ altra, e coprono il nono ed il decimo, le uova piccolissime e molto numerose sono leggermente ovoidali ed ammassate irregolarmente. Questo parassita, difeso assai bene nelle cavità nelle quali SOPRA LO SPPERIFER CORNUTUS ECC., ECC. 109 vive, ha un tegumento delicatissimo, trasparente, che si rompe colla massima facilità, epperò bisogna toccarlo con grandi pre- cauzioni quando si leva dal suo nascondiglio. Questa specie di P7Zichthys è comunissima sulla Sciena um- bra, i due terzi dei grossi individui ne sono infestati, e sta co- stantemente nei così detti tubi mucipari delle scaglie di quella parte della linea laterale che si estende lungo la regione me- diana di tutta la pinna caudale, finora non l’ ho mai incontrato in altra parte del corpo, e gli individui penetrano in detti tubi quando ancora sono piccolissimi ed installativisi distendono la ca- vità grandemente di mano in mano che crescono, frequentemente due contigue vengono a comunicare l'una coll’altra ed allora in esse generalmente si incontrano tre, e talora quattro individui, uno dei quali sempre molto più grosso degli altri. Il maschio del Philichthys sciane è rassomigliantissimo a quello del PR. xiphie, ha come questo il corpo lungo, sottile, e diviso in undici segmenti regolarmente decrescenti dall’ avanti all'indietro (fig. 2).. Il cefalotorace superiormente è convesso, un poco concavo sulla faccia inferiore, il contorno anteriore circolare, il posteriore retto. Le antenne del primo paio sono lunghe, sottili, constano di quattro articoli, dei quali il primo breve, gli altri tre lunghi, esili, muniti di nove setole; quelle del secondo paio triarticolate, appena più lunghe di quelle del primo, sono robuste, il secondo articolo lungo più del doppio degli altri due, ed il terminale ma- nito di cinque grosse setole rigide unguiculiformi (fig. 4, a, d). L'apertura boccale è bene distinta e lateralmente ad essa trovansi i piedi-mascelle del primo paio, robusti, di tre articoli, il primo grosso, conico, il secondo breve ovoidale, il terzo lungo falcato molto acuto e rigido; quelli del secondo paio sono inseriti più indietro, e diretti dall’indietro all’avanti ed internamente, constano di due articoli, il primo breve cilindrico, il terminale lungo leggermente schiacciato, col margine esterno convesso, l'interno concavo munito di un grande numero di finissimi den- tini; dietro a questi trovansi gli arti del primo paio, biartico- lati, semplici, l'articolo terminale lungo curvo, insufficienti alla locomozione, sono diretti verso l'apertura della bocca, e diven- tano appendici sussidiarie dell'apparato boccale (€, d, e). 110 S. RICHIARDI Gli arti del secondo paio (f), bene sviluppati ed appropriati al nuoto sono biremi, setigeri, il remo esterno dotato di una spina breve ma grossa; quelli del terzo paio hanno l’istessa conformazione dei precedenti (9g), ma sono più robusti, con un numero minore di setole e maggiore di spine; quelli del quarto sono biarticolati e semplici, perfettamente eguali a quelli del primo paio, e pure come essi inetti alla locomozione (4). Dal margine laterale del terzo segmento si prolungano due appendici cilindriche e piegate ad uncino alla loro estremità: le due caudali sono bi-articolate e dotate di tre setole una inserita all'estremità del primo articolo, le altre due, un poco più lun- ghe, terminali. Il tubo digerente è semplicissimo con un diametro uniforme in tutta la sua lunghezza, e l'apertura anale trovasi sulla re- gione mediana dell’ ultimo articolo, del quale interrompe il mar- gine posteriore, fra le due appendici caudali. L' Heller colloca i Philichthys nella famiglia dei Chondra- canthus, per altro mi sembra che tale ravvicinamento non sia del tutto naturale: è vero che il corpo tanto degli uni che degli altri è generalmente munito di appendici inarticolate, e che per questo carattere vi sarebbe una certa affinità tra di loro, ma l’esistenza di prolungamenti ora cilindrici ora laminari, è molto comune nei Copepodi parassiti inferiori, quindi tale particolarità non ha una grande importanza. Nel ricercare le affinità di moltis- sime specie di questi Crostacei non si deve tenere conto solo delle forme di uno dei due sessi, ma di entrambi, ed in questo caso i maschi dei PYilichthys, che conservano pressochè tutti i carat- dei Copepodi liberi, e subiscono pochi cambiamenti in confronto di quelli dei Chondracanthus, danno alle specie una' tale incon- trastabile superiorità, da non poter essere collocate in un’ istessa famiglia con questi ultimi, ma da costituirne una propria, nella quale dovranno probabilmente prendere posto tutte le specie che vivono nei tubi e seni così detti mucipari dei Pesci. L’ Hesse ha descritto (') un Copepode parassita che vive nelle stesse condizioni del Philichthys sciene, cioè nei tubi mu- cipari delle scaglie del Labrus Donovani, e per il quale ha creato (') Hesse — Observations sur des Crustacés rares ou nouveaux des cotes de France (septieme article)-in: Annales des Sciences naturelles — zoologie — V serie, Tome V, (1866) p. 265. SOPRA LO SPHERIFER ECC., ECC. Je] il nuovo genere Leposphilus, proponendolo come stipite della, nuova famiglia dei Lerneosifonostomiani, io non ho potuto stu- diare il parassita perchè da nci non esiste la predetta specie di Labrus, e non l’ ho mai trovato su alcuno dei nostri Labroidi, ma stando alla sua descrizione credo di non essere lontano dal vero nel ritenere che il suo parassita non sia che una specie di Plulichthys, Egli ha descritto solo la femmina e fino ad ora non ha ancora veduto il maschio, se mal avesse la fortuna di tro- varlo ritengo che confermerà la mia opinione. TAVOLA III. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1. — Philichthys sciene femmina ingrandita, 18/,. nu 2 7 ; maschio ingrandito, 8/,. » 9. — Parte anteriore di una femmina ingrandita °/,. » 4. — Parte anteriore del maschio ingrandito onde mostrare la disposizione e forma delle diverse sue parti: a, antenne del primo paio; 6, antenne del secondo paio; €, piedi-mascelle del primo paio; d, piedi- mascelle del secondo paio; e, arti semplici del pri- mo paio; f, arti natatorit biremi del secondo, paio; g, arti natatorii biremi del terzo paio; %, arti sem- plici del quarto paio; 17/,. » D. — Spharifer cornutus femmina, grandezza naturale. 0. È È Hi ingrandita 4, . » 7. — Testa ingrandita onde mostrare la forma e dispo- sizione delle sue parti: @, antenne del primo paio; b, antenne del secondo paio; e, piedi-mascelle del secondo paio; d, piedi-mascelle del primo paio; e, Palpi. SU DI ALCUNI MINERALI TOSCANI BREVI NOTIZIE DAL PROF. A. D' ACHIARDI comunicate nelle adunanze del 14 maggio e 2 luglio 1876. Guadalcazarite di Levigliani. Nella miniera di Levigliani nell’Alta Versilia sopra Seravezza (Alpi Apuane) si cavava per lo passato Cinabro e Mercurio na- tivo, e si risale ben addietro nel tempo volendo ricercare le prime escavazioni ivi intraprese. Ma qui non è il caso di indagini sto- riche; io null'altro voglio annunziare chè il ritrovamento di una specie minerale dopochè quelle cave, abbandonate per iungo tempo, vennero in questi ultimi mesi riaperte da una società francese. In un’ escursione fatta a Levigliani coi miei scolari ai primi di questo stesso mese di maggio frugando attentamente fra il minerale scavato dalla cava detta di Riseccoli, m’avvenne d’os- servare una sostanza nera, lucentissima, d’ aspetto metallico e ben diversa dal Cinabro, cui va associata nelle venule quarzose, che s’intercalano agli schisti talcosi del luogo. L'associazione di questa sostanza al Cinabro mi fece sospet- tare che si trattasse di uno di quei pochi minerali idrargiriferi, che talora difatti lo sogliono accompagnare. — I saggi fattine al cannello ferruminatorio, la durezza, l'aspetto metallico, la lucentezza vivacissima come nel Cinabro, quasi adamantina, il colore nero ferro, quale di Antracite, stavano per ritenere questa MINERALI TOSCANI TS sostanza identica alla Guadalcazarite per la prima volta segna- lata da A. del Castillo della miniera di Guadalcazar nel Messico, e per la quale le analisi fattene da Petersen (J. f. pr. Ch. 6.80) e dal Rammelsberg (Handb. d. Miner. Chem. 1875, S. 79) dettero: Petersen Rammelsberg Ste ee EI See bre Us. 99 0.880 Inno 09 doge? 100, 00 La poca materia, non bastò a farne un'analisi quantitativa, di cui aveva pregato il sig. Vivarelli, assistente nel laboratorio di Chimica della nostra Università pisana; ma egli fattane con la maggior diligenza possibile l’analisi qualitativa vi scoprì, oltre al mercurio e al solfo abbondantissimi, assai larga copia di zinco ed evidentissima reazione di ferro. Nessuna traccia di selenio vi rinvenne, ma ciò non toglie che la sostanza non possa riferirsi alla Guadalcazarite, una volta che vediamo delle due analisi so- prallegate quella del Petersen offrircene più che 1 °/, e quella del Rammelsberg delle tracce soltanto. Si ha è vero maggior copia di ferro, che o non fu riscon- trato o solo in tracce nella Guadalcazarite messicana, ma senza un’ analisi quantitativa e senza un solo cristallo mi è impossi- bile decidere, se sia il caso di una nuova specie, cui potrebbe darsi il nome di Leviglianite, o piuttosto, come io propendo a credere di una varietà ferrifera di Guadalcazarite. Importante è questa associazione dei due solfuri di Zn e Hg, e forse ci può fare intravedere a qual sistema cristallino deb- bano appartenere le cristallizzazioni di questa sostanza qualora le si rinvengano. Cristallizza è vero il solfuro di zinco abitual- mente nel sistema monometrico, ma nella Wurtzite assume invece forme romboedriche, onde s'intende facilmente l’associazione in uno stesso minerale di questi due solfuri, che in condizioni opportune possono cristallizzare entrambi nello stesso sistema. Spero in breve di poter completare lo studio di questa spe- cie minerale da aggiungersi alle molte che si ritrovano nella Toscana; intanto mi è piaciuto darne questa breve notizia. 114 D' ACHIARDI Pirrotina del Bottino. In una seconda gita fatta in quest'anno alla miniera del Bottino sopra. Soa osservando i minerali raccolti dal sig. Blanchard nel suo laboratorio, m' accadde d’ osservare due belli ed isolati cristalli, che l’egregio quanto cortese direttore della miniera mi mostrò come cosa nuova e da non molto trovati in essa, e vi riconobbi immantinente la Pirrotina, di cui pur sapeva aver di recente e della stessa miniera avuto fra mano un qual- che esemplare l’amico mio G. Uzielli; e della quale io non era mai riusciuto a rinvenire ivi la più piccola traccia nelle molte escursioni e depredazioni fattevi. La bellezza e grandezza dei cristalli m’'apparvero singolari, poichè sapeva la Pirrotina non rinvenirsi per il solito cristal- lizzata e sapeva dal Prof. Meneghini, che gli aveva osservati, essere piccoli i cristalletti posseduti dal museo della Sapienza in Roma. Per ciò feci domanda al Blanchard di quei cristalli a fin di studiarli, ed egli, sempre gentilissimo, me ne offerse in dono il maggiore, scusandosi di non potermene dare altri, che prima possedeva e che pochi dì innanzi avevaxdonato al Prof. Cocchi. Il cristallo donatomi ha forma tabulare, per una larghezza. di 27 mm. avendo un’ altezza soltanto di circa 2 mm. Le facce tutte ne sono lucentissime, ma le fitte e sottili strie che le solcano rendono alquanto difficili le misure esatte degli angoli; ma pur tuttavia son riusciuto a misurarne col goniometro alla Wollaston alcuni con sufficente approssimazione. Misure esat- tissime sono impossibili, almeno sul cristallo da me posseduto, primieramente per le strie summenzionate, in secondo luogo per la grandezza del cristallo stesso, che mal si adatta al goniometro. La base, come si deduce anche dalle dimensioni soprallegate, è molto estesa e di gran lunga prevalente su tutte le altre facce, che fanno una scorniciatura al margine della sottile tavoletta. È minutamente striata a seconda Agli spigoli di combinazione con le facce piramidali, onde le strie procedono in sei direzioni e spesso disegnano delle figure esagonali. Talora queste strie sono più grosse e sembra che accennino a tante lamine decrescenti, quasichè il cristallo risultasse da parecchie di queste lamine cri- stalline successivamente minori ed accastellinate una sull’altra. A IR ESSI MINERALI ‘TOSCANI 115 Le facce del prisma solite a trovarsi nei cristalli descritti ed effigiati di questa specie qui mancano affatto; sonovi invece delle faccette oblique di romboedri diretti e inversi, con asso- ciazione costante degli uni agli altri e con eguale sviluppo di facce, onde l'apparenza di forme dodecaedriche, d'altronde ca- ratteristiche della specie, i cui cristalli presentano una completa simetria esagonale. Un incerto riflesso a c.* 10.° dal piano della base sembra ac- cennare a una piramide molto ottusa, che mi è stato impossi- bile determinare da quali romboedri formata. Indi seguono delle faccette un poco più sviluppate e più lucenti, ma pur sempre striate orizzontalmente, le quali fanno con la base un angolo che in parecchie misure trovai quasi sempre di 116°, 50’, angolo che corrisponde a quello della piramide o dodecaedro fondamen- tale, che dal Dufrenoy, Delafosse e altri della stessa scuola viene indicato col simbolo b '/, e che si risolve dunque nei due rom- boedri 511, 11I. A queste facce ne succedono altre più estese, molto meno e più finamente e nella stessa direzione striate e assai più lucenti, onde consentono le misure goniometriche. Per queste facce ho trovato che fanno un angolo con la base di circa 100°, direi anzi addirittura 99° ‘|, poichè a questa cifra conducono per la massima parte le misure prese. Si tratta quindi di una nuova piramide, di due romboedri, che non mi pare sieno da alcuno citati per questa specie, delle cui forme cristalline pur troppo poco si sa, regnando gran confusione su pei trattati circa agli angoli loro e ai simboli con cui esse vengono indicate. L’'an- solo di circa 99°, ‘|, che queste facce fanno con la base, con- duce ad ammettere per esse che incontrino l’asse di simetria a distanza tripla delle precedenti, onde le verrebbero indicate dalla scuola francese col simbolo b '/,, da quella di Naumann col sim- bolo 3P, considerandole come facce di piramidi. Infatti, ritenuto JlI : 511 116°, 31’, 15°, l'angolo calcolato sarebbe 99°, 27, 46”, valore che assai si avvicina a quelli dati dalle misure per credere che trattisi realmente di questa piramide esagonale, che si ri- solve nei due romboedri 1355 e 77 11. Il colore di questo e dell'altro cristallo da me veduto, che pur presenta le medesime forme, è il consueto giallo-bronzineo. Durezza circa 4. Sensibilissima è l’azione sull’ago calamitato. 116 D' ACHIARDI Non vi ha alcun dubbio che questi cristalli siano di Pirro- tina; si tratta dunque di una rarità mineralogica per la miniera del Bottino, così ricca di spec:e; e dissi rarità perchè si contano sulle dita i luoghi ove siensi rinvenuti belli cristalli di una so- stanza, che per il solito si presenta in masse informi; per ciò credei conveniente farne parola. Importante è poi considerare come nella stessa miniera il solfuro di ferro siasi costituito ora allo stato di Pirite, ora di Sperchise e ora finalmente di Pirrotina, tre specie che tutte si rinvengono al Bottino. — Lo studio della giacitura nelle sue singole parti potrebbe forse gettare un po’ di luce sulle cagioni che possono avere determinato questi tre stati differenti; ma io, cui fu dato soltanto di vedere due cristalli isolati già tolti dalla loro matrice, non posso fare altro che accennare l’importanza di questo studio. Meneghinite del Bottino. È noto come in questa miniera trovinsi varj solfoantimoniuri di piombo fra i quali la tanto ricercata Meneghenite e la Étero- morfite, quella in cristalletti per il solito aghiformi o bacillari, questa capillari. L'analisi fatte dal Bechi dei minerali del Bottino han posto in sodo l’esistenza di questa e altre specie dello stesso gruppo nella suddetta miniera; e siccome coi resultati diversi dell'analisi corrispondevano pure apparenze diverse nella gran- dezza dei cristalli, così si è finora durato senz’ altro ad ascrivere alla Eteromorfite considerata oggi dal Dana come varietà d’Jame- sonite, i cristalli capillari e minutamente aciculari di questa mi- niera, conosciuti dai minatori sotto al nome di Antimonio capil- lare. — Esaminando però questi esili cristalletti e nulla trovando in essi che si opponesse alla possibilità che potessero ascriversi invece alla Meneghenite; senza escludere il caso che forme consi- mili appartengano anche alla Eteromorfite, mi venne in mente ‘di far ripetere l’analisi per queste forme capillari, anche di re- cente trovate in assai larga copia nella miniera, con la speranza che il mio sospetto fosse secondato dall’ analisi. — Al mio de- siderio volenterosi accondiscesero gli egregi giovani Funaro e Martini, assistenti nel laboratorio di Chimica farmaceutica; e 117 son lieto di qui riprodurre i resultati dell’analisi da essi istituita del così detto Antimonio capillare di questa miniera, ponendo a confronto con questi resultati quelli prima ottenuti dal Bechi e MINERALI TOSCANI dal Rath sulla medesima specie, ma in cristalli bacilla#. - Bechi Rath Fun. e Mart. a. È Eli 99210 52::938 61, 47 60, 375 Cu 3, 540 3,411 0, 39 — — A e E e Het 0, 345 000,450 0, 28 2, 625 Shoe Ar 19, 500 SR 06097 16, 983 MEL intento, Cz 0, 82 — — 99, 904 100, 000 98, 25 99, 483 1 resultati del’analisi fatta da Martini e Funaro si ravvici- nano dunque più a quelli del Rath che del Bechi; da essi si dimostra l’esistenza di una quantità alquanto maggiore di ferro e mancanza assoluta di rame; ma ciò non implica differenza, specifica, si tratta sempre di Meneglinite, contenga più o meno od anche nulla di Cu, di Fe o di Zn. L'una o l’altra varietà pre- senta sempre lo stesso rapporto R' Sb? 5”, che è caratteristico di questa specie. | Hmatite micacea di Cassana presso Borghetto. Dal Prof. Capellini mi furono donati alcuni esemplari di un minerale, che a prima giunta avrebbe potuto prendersi per quella varietà di Gothite, che porta il nome di KRubin-glimmer, facendo ciò credere i cristalletti laminari, micacei, lucidi e rossi per trasparenza quasi come rubino. Questa trasparenza e meglio tralucidità accompagnata dalla colorazione rossa-rubino, vedesi benissimo al microscopio, ma al tempo stesso vi sì scorgono an- che delle forme che non lasciano alcun dubbio sulla vera na- tura di questo minerale, che non deve considerarsi come GòotXte, essendochè le osservazioni microscopiche ci mostrino chiaramente le cristallizzazioni dell’Ematite. Difatti vi si veggono con tutta Se. Nat. Vol. II, fasc. 2.0 8 118 D'ACHIARDI — MINERALI TOSCANI evidenza delle figure esagonali con alterno e diverso sviluppo dei sei lati, che risultano dagli spigoli di combinazione del rom- boedro con la base svilupatissima sempre, e non di rado a questi sei lati se ne aggiungono altri sei, che sono prodotti con ogni verosimiglianza dell’isosceloedro 811. Nessun dubbio che la forma cristallina non sia d’ Ematite; forma quale fu da me riscontrata identica, osservandoli al microscopio, negli Oligisti micacei del- l’Elba e di Traversella pur essi talvolta con la stessa apparenza di Rubin-glimmer, e quale in grande pur si vede in alcune lamine dell’ Ematite speculare del Vesuvio. L’ osservazione microscopica è poi convalidata dall'analisi chimica, che anche per questo minerale fu eseguita dai signori Martini e Funaro. Ossido ferrico Fe? 03. .... 95, 00 Silice= STO era 00 Nessuna traccia di manganese, nè di titanio: si tratta dun- que di un ossido di ferro purissimo, perchè la Silice proviene dalla matrice quarzosa, che accompagna il minerale metallico, che non se ne può mai sceverare completamente. Alla purezza del minerale devesi forse la sua tralucidità e il suo vivace colore, — quale per il solito non presenta l’ Ematite, abitualmente grigia e opaca. Chi sa che talune sorta di minerale messe nelle colle- zioni sotto il nome di Rubin-glimmer non vadano esse pure ri- portate a questa varietà d' Ematite? NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA I PLESSI VASCOLARI DEGLI UCCELLI NO TA Del Dott. S. RICHIARDI Prof. di Zoologia ed Anatomia comparata nella R. Università di Pisa. Presentata nell’adunanza del 9 Maggio 1875. (Tavola V.) Il numero delle specie di Uccelli nelle quali si sono trovate disposizioni plessiformi dei vasi sanguiferi è ancora assai limitato, quindi, le ricerche intorno a tali particolarità anatomiche, sono ben lontane dall'essere esaurite, e sovente, nello studiare il sistema vasale sanguifero in ispecie nelle quali non fu ancora sottoposto ad accurato esame, si riscontra qualche nuovo plesso, o sì costata in esse l’ esistenza di alcuno di quelli che già si conoscevano, in altre precedentemente indagate. Negli uccelli i plessi vascolari si trovano principalmente sulla testa e sugli arti e sono o puramente venosi, o costituiti da sole arterie, con disposizione unipolare, o bipolare. Non ostante gli studi del Bauer ('), Vrolik(?), Barkow (*), Hahn ($), (4) Bauer, Friedr. — Disquisitiones circa nonnullarum Avium systema arte- riosum: Dissertatio inaug. med.; Berolini 1825. (*) Vrolik, W. — Disquisitio anatomico-physiologica de peculiari arteriarum exiremitatum in nonnullis animulibus dispositione; Amstelodami 1826. (8) Barkow, Hans. Carl. Leop. — Anatomiseh-physiologische Untersu- chungen, vorziglich liber das Schlagadersystem der Vogel. in: Meckels Archiv fur Anatomie und Physiologie, jahrg. 1829, s. 205, und jahrg. 1830. (4) Hahn, L., G., E — Commentatio de Arteriis Anatis; Hannover®e 1830. 120 S. RICHIARDI Barth (1), Froeling (?), Alessandrini (9), Neugebauer (%), Schroeder v. d. Kolk e Vrolik (f), ed i miei (°), fino ad oggi non si conosceva in questi vertebrati l’esistenza di alcun plesso misto, cioè formato da un intreccio di vene e di arterie, fu bensì riguardato come tale il così detto organo incubatore, ma esso però non ne ha i veri caratteri, risultando piuttosto da una semplice ipertrofia locale, e temporanea dei vasi sanguiferi di quella parte del loro corpo, che sta a contatto delle uova durante l’ incubazione. Nella presente nota mi limiterò ad una semplice enumera- zione dei plessi vascolari arteriosi che furono descritti negli Uccelli, giacchè intendo trattarne in modo speciale, con mag- giori materiali, in una prossima occasione, lo scopo principale quindi di essa si è di fare conoscere il plesso venoso che circonda l’arteria omerale in diverse specie nelle quali non ne è ancora stata segnalata l’esistenza, e poscia descriverne uno nuovo misto, bipolare, che trovasi sulla faccia anteriore della tibia del Pele- canus onocrotalus Lmn., e P. crispus Bruch. Plessi arteriosi. I plessi arteriosi più comuni sono: I, Quello che trovasi sulla parte esterna della base dal cranio, ed è formato talvolta da un ramo della carotide comune, come nell’ anitra domestica, oppure da uno della carotide in- terna come nel Podiceps grisegena Bodd., od anche della facciale nel Pernis apivorus, Linn., i quali scomponendosi in piccole ar- (4) Barth, Adolph. — De retibus mirabilibus: Dissertatio inaug. med. Be- rolini 1837. (*) Froeling, Adolph., Godofr. — De retibus mirabilibus: Dissertatio inaug. med; Berolini 1842. (8) Alessandrini, Antonio. — Intorno ad una singolare disposizione del- l'arteria brachiale osservata nella Cicogna bianca, in: Nuovi Annali delle Scienze Naturali, anno IV, Tom. VII, pag. 257; Bologna 1842. (*) Neugebauer, L., A. — Systema venosum avium cum eo mammalium et in primis hominis collatum, in: Nova acta Academie C. L. C. Natura curiosorum, Vol. XXI, pars II; 1845; (°) Sehreder, j., L., C. v. d. Kolk et Vrolik, W. — Recherches sur les plexus vasculaires chez différents animaux, in: Annales des Sciences Naturelles — Zoologie — Quatrieme série, Tom. V, pag. 111; 1856. (5) Richiardi, S.— Studi sui plessi vascolari degli Uccelli, in: Atti della Società italiana delle Scienze Naturali, vol. II, pag. 147. SOPRA I PLESSI VASCOLARI DEGLI UCCELLI 121 . teriuzze somministrano i rami che vanno a distribuirsi ai mu- scoli vicini, ed alcuni si anastomizzano con quelli del plesso mascellare . II, Il plesso mascellare ascende dietro la branca della mascella inferiore e dell’arcata zigomatica, in diverse specie è molto semplice, ed è formato dall’arteria palatina la quale som- ministra appena quattro o cinque arteriuzze: così nel Botaurus stellaris, nell’ Edicnemus crepitans, e fra i rapaci nel Pernis api- vorus; ma soventi è molto sviluppato per es. nel Buteo vulgaris, Podiceps grisegena, e sopratutto nell’ Anser cinereus, nel quale, oltre l'arteria palatina, vi concorrono a formarlo una dirama- zione della carotide interna, ed una della mascellare interna, i suoi rami poi vanno a distribuirsi alle diverse porzioni del mu- scolo temporale, pterigoideo, e principalmente al massetere, ed alla mucosa nasale; nell’ Edicnemo invece alcune sue arteriuzze si inosculano con i rami ricorrenti della carotide interna, e gli altri si distribuiscono alla pelle della mandibola superiore e della fronte, ed ai muscoli dell’apparato boccale. INI, Un plesso che è sviluppatissimo nei Podiceps, ma che manca generalmente negli altri uccelli, ed esiste pure però af- fatto rudimentale nella Fulica atra, è quello dell'arteria facciale: desso si estende tra l’orecchio e l'occhio, ed i suoi rami, ri- comporendosi, formano un’ arteria che va a distribuirsi alla parte posteriore delle cavità nasali, ed una seconda, che unen- dosi ad un ramo della facciale, forma l’arteria sottocutanea della mascella inferiore. IV, Il plesso oftalmico è comunissimo ed è formato dal ramo esterno della carotide interna, il quale scorre lungo il margine esterno dell'orbita, scomponendosi in un bel plesso dal quale hanno origine l’arteria etmoidale, l’oftalmica, la lacrimale, la palpebrale inferiore nel Pernis apivorus, Milvus regalis, Cor- vus cornix, Columba livia, Ciconia alba, Fulica atra e nell’ Anas baschas ed anche la palpebrale superiore, la frontale ed un pic- colo ramo mascellare nel Botaurus stellaris. Nel Podiceps grise- gena, nel quale è bene sviluppato il plesso della facciale, l’oftal- mico è rudimentale, e l'arteria oftalmica è formata principal- mente dalla ricomposizione dei vasi del plesso facciale. V, Abbastanza frequente è pure il plesso del pettine, l’oftalmica giunta verso la regione mediana posteriore del globo oculare, all’esterno del nervo ottico, dà uno o pochi rami i quali 192 S. RICHIARDÎ scomponendosi formano un’ elegante plesso, e poscia nuovamente riunendosi costituiscono l' arteria che va a diramarsi nel pettine, quindi dirigendosi sul lato interno del bulbo oculare si scompone in un gran numero di arteriuzze alcune delle quali si distri- buiscono al muscolo retto interno ed obliquo ‘superiore, ed il maggior numero formano le arterie ciliari. VI, Sulla faccia anteriore della tibia in un gran numero di specie si trova, più o meno sviluppato, un plesso il quale ta- lora è formato dalla scomposizione della sola tibiale anteriore, altre volte da esso e dalla poplitea, ed in qualche caso vi par- tecipa pure la peronea, però non è mai molto complicato, ma d’ ordinario formato da tre a sette ed otto arteriuzze che si anastomizzano fra loro, per mezzo di ramoscelli trasversali, e le quali sulla parte inferiore della tibia si ricompongono per for- mare le malleolari interna ed esterna. Plessi Venosi, I plessi venosi negli uccelli sono pure molto comuni sopra- tutto sulla testa, i principali sono: I, Il plesso della vena palpebrale posteriore comune. II, Quello della cutanea facciale in corrispondenza della faccia esterna del massetere. III, L' oftalmo-temporale formato dalla vena omonima, dalla orbitale, e dal ramo temporale del seno petroso. IV, Il quadrato-pterigoideo formato dalla vena temporale e facciale cutanea. si V, Il Plesso del meato uditivo esterno formato dalle vene auriculari. VI, Il basilare e della vena faringea superiore sulla su- perficie posteriore-superiore della faringe. VII, 11 Plesso della vena cefalica posteriore. Ai suddetti plessi della testa devonsi aggiungere quelli che trovansi assai frequentemente sulla faccia anteriore e posteriore della trachea e che io descrissi nell’ Aquila crysetos. Ma sopratutto rimarchevole per la frequenza, per i rapporti, e per lo sviluppo, è il plesso che a modo di guaina circonda l'arteria omerale e l’ accompagna in tutta la sua lunghezza: lo Schroeder e Vrolik credettero di essere i primi a descriverlo ma come ho di già dimostrato un’ altra volta, 1’ Alessandrini | SOPRA I PLESSI VASCOLARI DEGLI UCCELLI i 123 ne aveva di già sei anni prima di loro, cioè nel 1842, segna- lata l’ esistenza su quattro specie di Trampolieri, quindi è do- vuto a lui il merito della scoperta di una disposizione vascolare tanto singolare che non ha riscontro nelle altre finora conosciute. Il plesso venoso che circonda l’ arteria omerale era stato fi- nora rinvenuto soltanto nelle seguenti specie: | Sarcorhamphus papa Linn. Sarcorhamphus griphus Linn. Halietus albicilla Linn. Accipiter nisus Linn. Otus vulgaris Flemm. Aquila clysetos Linn. Falco tinnunculus Linn. Circus cruginosus Linn. Strix flammea Linn. Otus brachyotus Gmel. Bubo maximus Sibbald. Gallus domesticus Briss. Tetrao tetrix Linn. Meleagris gallopavo Linn. Columba livia Briss. Tetrao urogallus Linn. - Ciconia alba Willugh. SCHREDER e VROLIK, 1348. \ Ricararpi, 1860. SCHREDER e VROLIK, Gallinacei 1848. Ricararpi, 1860. Ardea cinerea Linn. Ardea purpurea Linn. Egretta alba Linn. ArEssanpRINI, 1842. Trampolieri Suono ScHREDER e VROLIK, 1848. Ricziarni, 1860. Grus cinerea Bechst. Otis tarda Linn. Nycticorax europeus Linn. Phalacrocorax carbo Linn. Larus ridibundus Linn. Cygnus mansuetus Ray. Oidemia nigra Linn. Podiceps cristatus Linn. Sterna hirundo Linn. Hydrochelidon hybrida Pall. Anas boschas Linn. Mergus albellus Linn. | SCHR@DER © VROLIE, 1848. Palmipedi Ricuarpi, 1860. TT rim T—_ e —_T P€——T—r_- -Pr—°' — og ln ——_ t—_ > << 124 S. RICHIARDI To ero convinto che l’esistenza del plesso venoso il quale circonda l’omerale fosse un fatto assai più comune di quanto generalmente si crede, epperò, dopo i primi miei studi in pro- posito pubblicati nel 1860, non mi lasciai mai sfuggire alcuna occasione di assicurarmene, e l’ho trovato in sedici specie di Rapaci, otto di Trampolieri, sei di Palmipedi, sulle quali. non sì sapeva ancora che esistesse. Rapaci: Gyps fulvus Briss., Aquila nevia Briss., Aquila fa- sciata Vieill., Pandion halicetus Linn. Circatus gallicus Gmel., Buteo vulgaris Linn., Pernis apivorus Linn., Milvus regalis Briss., Falco communis Gmel., Falco subbuteo Linn., Falco eleonora Gené, Falco vespertinus Linn., Accipiter nisus Linn., Circus cyanaus Linn., Syrnium aluco Linn., Epialtes scops Linn. Trampolieri: Recurvirostra avocetta Linn., Himantopus candidus Linn., Egretta garzetta Linn., Ardea ralloides Scop., Ardetta mi- nuta Linn., Ciconia nigra Gesn., Platalea leucorodia Linn., Ple- gadis falcinellus Linn. Palmipedi: Pelecanus onocrotalus Linn., Pelecanus crispus Bruch, Larus leucopheus Licht., Larus melanocephalus Natt., Podiceps nigricollis Sundev., Podiceps minor Gmel. Il plesso venoso che circonda l'arteria omerale è sempre in tutte le suddette specie sviluppato sul medesimo tipo, ha gli stessi rapporti, e press a poco la stessa estensione, e l' unica differenza che in esso si può trovare sta nelle maglie della sua rete più o meno regolari, talvolta lasse, più spesso assai fitte, quindi non mi estenderò partitamente su tutte le piccole varia- zioni, ma descriverò solo quello dell’ Aquila fasciata Vieill., che è dei più semplici, e quelli del Pelecanus onocrotalus Linn., P. crispus Bruch, e Gyps fulvus Briss. che sono fra i più complicati. Nell Aquila fasciata le vene profonda radiale, e profonda ulnare, concomitanti le arterie omonime, in corrispondenza del- l’ articolazione omero-radio-cubitale, si addossano all’ arteria omerale, e scorrendo l’una a destra l’altra a sinistra di essa, vanno scomponendosi in piccole venuzze, le quali anastomizzan- dosi fra loro, e con tre o quattro provenienti dal muscolo bi- cipite, formano delle maglie ora larghe, ora strette, che abbrac- ciano l'arteria per i due terzi della sua superficie, lasciando | libero e scoperto solamente il terzo profondo, questa disposi- zione plessiforme irregolare arriva fino verso la metà dell’omero, dove generalmente il plesso si complica e diventa un poco più SOPRA I PLESSÌ VASCOLARI DEGLI UCCELLI 125 completo, circondando interamente l'arteria omerale con maglie meno larghe e più regolari, finalmente in alto, verso il cavo ascellare, tutti i ramoscelli venosi della rete si raccolgono in due altre vene che sboccano nell’ascellare: con tale disposizione si può dire che nell’ Aquila fasciata il plesso è incompleto, in confronto di quello molto più complicato di quasi tutte le altre specie, e rassomiglia molto a quello del Bubo maximus, che ho descritto altra volta. Il plesso che circonda 1’ arteria omerale comunica pure colla vena basilica a diverse altezze, per mezzo di cinque o sei piccole vene, di modo che il sangue che circola nella sua rete si raccoglie in parte in essa e quello che scorre nella porzione superiore è versato direttamente nell’ ascellare. Nel Gyps fulvus il plesso venoso dell’ omerale (fig. 1.) si esten- de anche sopra l’ascellare, fino alla succlavia, ed è formato da una rete a maglie tanto fitte che per nulla trasparisce l'arteria sottostante, da esso si staccano solo due vene che sboccano nella basilica, alla quale vengono pure ad unirsi altre due o tre piccole provenienti direttamente dal bipicite; inoltre in questa specie di rapace anche le arterie cutanea addominale, toracica esterna po- steriore, ed anteriore, sono pure circondate alla lore origine, e per breve tratto, da plessi venosi formati da una scomposizione di rami delle vene omonime. Nel Pelecanus onocrotalus e P. crispus il plesso che circonda l’omerale è pure, come sempre, formato principalmente dalle due vene profonde radiale ed ulnare, le quali, in corrispondenza dell’articolazione omero-radio-cubitale, si scompongono sulla sua superficie esterna in piccole venuzze, che anastomizzandosi @ brevissime distanze, formano una rete a maglie talmente strette che ne viene totalmente nascosta e compresa in una guaina venosa: a diverse altezze dalla rete del plesso partono da otto a dieci piccole vene le quali sboccano nella basilica, ed 1 vasel- lini della porzione superiore si riuniscono in due le quali sì gettano direttamente nell’ascellare. Dall’arteria omerale partono cinque o sei piccole arterie, che traforando la guaina vascolare del plesso, si distribuiscono nel bicipite, e da esso sortono altret- tante paia di piccole vene, che comprendendole nel mezzo vanno a concorrere alla formazione del plesso, qualcuna per altro di esse va sempre direttamente a sboccare nella basilica, senza comu- nicare coi vasi della sua rete, o tutt’ al più mandando in essa una piccola venuzza (fig. 2). 126 S. RICHIARDÎ Un plesso affatto rudimentale si trova pure in qualche specie di Psittaceo così nel Psittucus erythacus Linn. (fig. 3.); sopra la prima porzione delle arterie radiale e cubitale le vene omonime formano un breve plesso a maglie allungate, dal quale, sul terzo inferiore dell’ omerale, parte una vena che sbocca nella basilica, le diverse venuzze si uniscono in due principali che, scorrendo una per parte dell’ arteria, si tengono in rapporto per mezzo di esili ramoscelli che corrono sulla faccia superficiale e profonda di essa, senza formare per altro una distinta reticolazione, fino poco oltre la metà dell’omerale, dove si trovano solo due semplici vene che in alto sboccano nella basilica in prossimità dell’ascellare. Le diramazioni venose che formano questo plesso sono sempre sprovviste del tutto di valvole, come pure per buon tratto le vene affluenti, così che si può colla massima facilità spingere una ma- teria nel loro interno sia in direzione centripeta dalla radiale, dall’ulnare, o dalla basilica, sia in direzione centrifuga dalla ascellare. Plessi misti. Sulla faccia anteriore della tibia, del Pelecanus onocrotalus e P. crispus, esiste un bel plesso vascolare misto bipolare, formato da un complicato intreccio di piccole arterie e vene, le quali com- pongono un cordone fusiforme che si estende per quasi tutta la lunghezza della tibia (fig. 4, 1). La metà superiore di questo plesso è coperta dalla porzione esterna del muscolo tibiale anteriore, e dal peroneo lungo o supe- riore, verso la metà della tibia diviene superficiale ed interamente sottocutaneo, scorre lungo il margine interno del muscolo peroneo inferiore, ed esterno del tendine del tibiale anteriore, dal quale è coperto in parte verso l’ estremità inferiore della tibia, dove passando uniti sotto il legamento trasverso, scorrono al davanti dell’ articolazione tibio-tarso-metatarsea. Dall’ arteria poplitea parte l’arteria tibiale anteriore inferiore, ed un ramo, che passando attraverso al forame interosseo supe- riore, si distribuisce in parte al muscolo tibiale anteriore, ed al peroneo superiore, scendendo quindi forma l’ arteria tibiale ante- riore superiore, questa fra le porzioni superiori di questi due mu- scoli si scompone dicotomicamente in un gran numero di arte- SOPRA Î PLESSI VASCOLARI DEGLI UCCELLI 127 riuzze, le quali a poco a poco, verso la parte inferiore della tibia, vanno riunendosi in modo che, in corrispondenza del legamento trasverso, sono ridotte ad un piccolo numero, ed al disotto di esso formano poche arteriuzze che vanno a distribuirsi ai legamenti ‘dell’ articolazione tibio-tarso-metatarsea. Alle arteriuzze che formano il suddetto funicolo, si mescolano, ed intrecciano delle piccole vene in numero un poco maggiore, provenienti dalla scomposizione della vena tarso-metatarsea esterna. Sulla faccia anteriore della porzione superiore del tarso- metatarso si trova un piccolo funicolo vascolare formato dall’ar- teria tarso-metatarsea dorsale, e dalle vene tarso-metatarsea in- terna ed esterna, da queste si staccano dei brevi ramoscelli che anastomizzandosi frequentemente formano all’intorno dell'arteria una rete a maglie allungate ed irregolari, circondandola così di un plesso venoso. In corrispondenza della regione condiloidea la vena tarso-metatarsea interna se ne stacca, e dirigendosi verso la parte interna dell’articolazione, lungo il margine interno del tendine del tibiale anteriore, gira attorno ‘al malleolo interno, mantenendo una disposizione plessiforme, e va a sboccare nella vena tibiale posteriore. La vena tarso-metatarsea esterna, sempre plessiforme, cir- conda colla sua rete l’ arteria tibiale anteriore inferiore, e sale al davanti dell’articolazione, un poco all’esterno del tendine del ti- biale anteriore, ed anche in parte coperta da esso, scorrendo s0- pra il tendine dell’ estensore comune delle dita passa sotto il le- gamento trasverso, ed incomincia a scomporsi in molte venuzze, che alla loro volta suddividendosi, vanno intrecciandosi con molta regolarità ed eleganza alle piccole arterie provenienti dalla tibiale anteriore superiore che formano la parte arteriosa del plesso. Verso la metà della tibia dal plesso partono due piccole vene, che, accompagnandosi una a destra l’altra a sinistra all’ arteria, tibiale anteriore inferiore, passano con essa attraverso al forame interosseo inferiore, e scorrendo nel solco tibio-peroneo posteriore, ‘vanno a sboccare nella vena poplitea. In corrispondenza del terzo superiore della tibia le piccole vene del plesso vanno a poco a poco riunendosi, e finalmente, in prossimità del forame interosseo superiore, formano la vena tibiale anteriore superiore la quale, passando attraverso ad esso, va a sboccare nella poplitea: nella porzione superiore del plesso vengono pure a scomporsi una vena 125 S. RICHIARDI — SOPRA I PLESSI VASCOLARI DEGLI UCCELLI proveniente dal muscolo peroneo lungo o superiore, una nutritizia della tibia, due o tre piccole del muscolo estensore comune delle dita. L’arteria tibiale anteriore inferiore passa per il forame inte- rosseo inferiore sulla faccia anteriore della tibia, e dopo breve tratto dà una piccola arteria che, scomponendosi essa pure in pochi ramoscellini, concorre a formare la parte arteriosa della porzione inferiore del plesso, quindi continua il suo tragitto in basso, compresa per tre quarti della sua grossezza nel cordone vascolare del plesso, dal quale si staccano poche venuzze che in alto l’abbracciano interamente con una rete a maglie irregolari, lasse, ma in basso, per breve tratto, fittissime. Una disposizione plessiforme di vasi rappresentante questo plesso, cogli istessi rapporti e col concorso dei medesimi vasi sanguiferi, trovasi pure sulla faccia anteriore della tibia della Grus cinerea, nella quale per altro consta solo di tre o quattro piccole arterie, ed altrettante venuzze e quindi è tutt’ affatto rudimentale. TAVOLA V. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1. — Plesso venoso che circonda 1’ omerale del Gyps fulvus. a, vena ascellare: 5, arteria ascellare: c, tronco co- mune del nervo mediano e nervo cubitale: d, vena basilica: e, vene muscolari che concorrono alla for- mazione del plesso: f, vene di comunicazione del plesso colla basilica: g, Plesso che copre l’ arteria omerale: 4, arterie e vene cutanea addominale ec. ec.: i, muscolo bicipite. Fig. 2. — Plesso venoso dell’omerale del Pelecanus onocratalus: (indicazioni come nella figura precedente). Fig. 3. — Plesso rudimentale del Psittacus erythacus. Fig. 4. — Regione tibio-tarso-matatarsea della zampa sinistra del Pelecanus onocratalus. a, muscolo tibiale anteriore: b, estensore comune delle dita: c, capo interno del gastrocnemio: d, muscolo peroneo lungo o superiore: e, flessore profondo delle dita: f, flessore del secondo e terzo dito: g, tendine del peroneo superiore: 4, ten- dine del flessore del secondo e terzo dito: è, tendine del flessore profondo delle dita: n, tendine del tibiale anteriore: 0, nervo tibiale anteriore: p, legamento trasverso: 2, forame interosseo inferiore. 1, Plesso: 2, arteria tibiale anteriore inferiore: 3, Vena tibiale posteriore: 4, vena tarso-metatarsea esterna; 5, vena tarso-metatarsea interna: 6, Plesso venoso che cir- conda l’ arteria tarso-metatarsea dorsale: 7, arterie capsulari: 8, vene tibiali anteriori inferiori che ac- compagnano l’ arteria omonima. MOLLUSCHI CONTINENTALI FINO AD ORA NOTATI IN ITALIA NEI TERRENI PLIOGENICI, ED ORDINAMENTO DI QUESTI ULTIMI, CARLO DE STEFANI Chi volesse trovare un argomento, intorno al quale sì avesse il maggior numero di studii, per conseguenza la maggior pre- sunzione di chiare notizie, mentre poi regna intorno ad esso gran disparità di pareri, e si crede anzi oggidì tutto sia a rifarsi da capo, non avrebbe che a rivolgersi all'esame dei terreni pliocenici italiani. La ragione della confusione sorge appunto dal troppo numero degli scritti pubblicati, dalla elasticità delle idee, dalla stessa variabilità dei termini adoperati nella scienza, e da. ciò che talvolta alcuni geologi od italiani o forestieri, da fatti par- ziali esaminati quà o colà, troppo facilmente si sentono portati a generalizzazioni spesso non esatte. La cognizione della fauna de’ molluschi continentali del no- stro pliocene, della quale abbiamo oggidì soltanto notizie sboc- concellate, potrebbe schiarire un poco più l’ argomento, ed è perciò che mi sono accinto a dirne qualche cosa, cercando di recare utilità se non altro radunando gli sparsi frammenti, e coordi- nando fra di loro le varie denominazioni, in modo che si potesse meglio avere qualche termine di confronto relativo anche agli altri terreni coetanei d’ Europa. Ma penso che prima d’ogni altra cosa sia necessario fissare il più possibile l'estensione, ed il modo . di formazione dei terreni, i cui molluschi continentali mi sono proposto di esaminare, e studiare i diversi ordinamenti che per quelli sono stati proposti. DE STEFANI MOLLUSCHI CONTINENTALI 131 Il sollevamento che già innanzi l’ epoca eocenica aveva co- minciato ad ampliare la terraferma nella nostra regione prima invasa dal mare, continuando dopo l’epoca medesima, finì col- l’estendere le Alpi, e coll’innalzare quasi continua dall’un capo all’altro la giogaia principale dell'Apennino, cinto da ogni lato da ripiegamenti secondari, o più antichi o coevi, i quali forma- vano un fitto arcipelago, in mezzo ad un mare non molto pro- fondo. La forza sollevatrice, comunque si fosse, modellando i ter- reni secondo la diversa direzione che dessa aveva, formava dei ripetuti anticlinali e sinclinali, e subendo gli ostacoli, o preesi- stenti, o prodotti dalla sua azione medesima, rinchiudeva delle conche, le quali private di ogni comunicazione col mare circo- stante, e poste nel verso delle maggiori valli longitudinali, tra- versate da grossi fiumiciattoli, venivano riempite d’acqua dolce. Questa porgeva abitazione a numerose specie di molluschi e di altri animali acquatici, le cui spoglie sono oggidì racchiuse nei banchi dei sedimenti che riempirono i laghi montani, insieme con i resti degli animali e delle piante dimoranti sulla terra emersa, nelle pendici delle colline e dei monti circostanti. Di questi antichi laghi nel seno degli Apennini, riempiti du- rante l'epoca pliocenica, sono parecchi gli esempi fra noi, e bel- lissimi fra gli altri quelli del corso montano dell'Arno in Casentino, della Sieve in Mugello, della Magra, dei tre laghi del Serchio a. Nicciano, a Castelnuovo ed a Barga, come pure quelli di Leffe e di Gandino nelle Alpi, e probabilmente altri, forse in Val del Tanaro ed altrove, non conosciuti. È quanto mai istruttivo per lo studio della formazione dei monti, lo esaminare la disposizione degli strati intorno a quelle conche naturali; ed il fatto che nella massima parte dei casi questi pendono da ogni lato verso il fondo, mostra la formazione dei laghi essere esclusivamente dovuta ad una disposizione oro- grafica prodotta dai sollevamenti. Nelle valli, p. es. in quelle della Magra e del Serchio, e probabilmente converrebbe aggiun- gerne varie altre, nelle quali i laghi eran più d’ uno, questi, come agevolmente si comprende, erano disposti a scala, sì che le acque del fiume dipartendosi dal più elevato, scendevano via via agli altri, finchè traversatili tutti avevano foce nel mare. La frequenza delle isole in questo, la non grande profondità, 132 DE STEFANI il non ripido nè improvviso pendìo, ma la declive e dolce pen- denza delle nuove colline, favorivano la inclusione di stagni e la formazione di lagune, nelle quali, secondo le vicende dei tempi, imperversavano l’onde marine, o rimanevano acque più o meno salmastre, ovvero altre ne subentravano decisamente dolci. L’ al- ternare di questi diversi fatti, che porgevano ciascuno alla loro volta circostanze differenti di vita, viene attestata non solo dalla diversa natura litologica degli strati, chè ciò vorrebbe dir poco, ma dalla varietà delle faune, che subentrano l'una all'altra con caratteri spiccatamente diversi, talune per non comparire mai più, tali altre per ritornare, dopo breve tempo, e più e più volte. Uno degli esempi più notevoli di cotali alternanze, e dei quali sia fatta menzione più spesso, è quello dei dintorni di Siena, studiato dal Campani, dal Pareto, e meglio d’ogni altro dal Mor- tillet. Quivi il poggio di calcare infraliassico del Monte Maggio si avanza tanto verso i colli Cretacei superiori e serpentinosi del Chianti, da giungere quasi a toccarli, e da connettervisi anzi mediante grandiosi dirupi e grossi massi scombussolati dall’ an- tico mare. Oggidì quella linea lungo la quale si toccano le pen- dici del Monte Maggio e del Chianti, serve di spartiacque fra l’Arbia e l’Elsa: ne’ tempi pliocenici, vi rimaneva rinchiuso dalia parte dell’Arbia verso Siena, un golfo non largo e scoglioso, nel quale facilmente alternavano formazioni, o decisamente marine, o più o meno salmastre, o di acqua dolce. La spiegazione ordinaria di queste alternanze, nel caso pre- sente e negli altri simili, è riposta in una presunta alternativa di abbassamenti e di sollevamenti, sì che a terreno sollevato vien creduto si formassero dei sedimenti salmastrosi o palustri, a terreno abbassato dei sedimenti marini. Ma per ispiegare come p. es. dopo un sollevamento di qualche centimetro, e dopo la sedimentazione di uno strato palustre, alto qualche altro centi- metro, avesse avuto luogo un abbassamento tale da far posto a nuovi sedimenti marini, e poi un sollevamento ulteriore, con- verrebbe ammettere che gli abbassamenti avessero avuto luogo ad ogni volta in una misura eguale non solo al sollevamento precedente, ma per di più allo strato palustre sedimentato dopo di esso, e bisognerebbe concludere alla prevalenza, incessante nelle alternative, e finale, di un abbassamento; fatto poco na- turale e non corrispondente alla realtà. Invece e nel Senese, MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 195 ed in tutti i nostri terreni pliocenici, è stato prevalente il sollevamento, tanto che alla fine dell’epoca pliocenica, questo aveva fatti emergere i terreni; le prove poi di quelle alternanze che si dovrebbero trovare anche nei terreni circostanti più lon- tani dal lido delle colline, non esistono punto, e vediamo anzi come il fondo via via si riempisse e si sollevasse lentamente, talchè alle argille succedevano le sabbie, e ad una fauna di mare profondo, ne succedeva un’ altra di carattere litorale. La presenza di dune e di apparati litorali instabili che ser- vivano di diga alle paludi, deve invece essere considerata come cagione di quelle alternanze; ed infatti lo spessore ed il nu- mero dei sedimenti d’acqua dolce aumenta sempre più quanto più ci accostiamo al litorale, e tanto più diminuiscono lo spes- sore e la quantità delle ghiaie, quanto più ci avviamo verso la direzione dell’alto mare, sinchè a poco a poco spariscono affatto. Del resto non è il Senese l’unico luogo nel quale cotali fatti si verifichino, ma, sebbene in proporzioni minori, li troviamo pressochè lungo tutti i litorali pliocenici del nostro paese, e pressochè tutti debbono essere spiegati coi medesimi criterii coi quali li abbiamo spiegati nel Senese. I criterii per affermare la rispondenza di queste varie forma- zioni, in apparenza così diverse fra loro, li possiamo desumere dalla stratigrafia, nel caso delle alternanze dei sedimenti palustri. litorali coi sedimenti marini, e dalla paleontologia, allorchè tro- viamo le medesime specie d’acqua dolce, nei laghi e nelle pa- ludi, e le medesime specie terrestri strappate alla terraferma, nei varii sedimenti lacustri, palustri e marini. Or non è molto, lo Stoppani, credendo trovare prove evi- denti di passaggio e di permanenza dei ghiacci nei tempi nei quali si riempiva il lago alpestre di Leffe in Lombardia, ritenne questo di origine glaciale, e glaciale post-pliocenica, ritenne la fauna contenuta nei sedimenti di esso, della quale facevano parte l’Elephas meridionalis ed il Ehinoceros leptorhinus (!). Se veramente la fauna fosse stata post-pliocenica, sarebbe convenuto riguardar come appartenenti a quest’ epoca anche i terreni degli altri antichi laghi sopra nominati, contenenti la (!) A. Stoppani, Corso di Geologia, Milano 1873. Vol. IL, Cap. 29. Se. Nat. Vol. II, fasc. 2.° 9 134 DE STEFANI fauna medesima. Il Major che ben conosceva non potersi far ciò, perchè quegli animali erano e sono caratteristici del pliocene, dubitava però che dessi non sì riferissero tutti ad un medesimo orizzonte, e mentre considerava il Mastodon Arvernensis come appartenente al pliocene inferiore, riteneva pliocenici superiori gli altri mammiferi, che essendo specialmente profusi nei nostri sedimenti lacustri montani, avrebbero mostrato questi apparte- nenti di preferenza all’epoca pliocenica superiore. Il Ritimayer () dimostrò che tracce di epoca glaciale quali lo Stoppani aveva cre- duto osservare, non si trovano nei terreni di Leffe, e che la fauna di questi, non poteva non essere considerata pliocenica come le altre consimili; conveniva adunque restar alle idee di prima, e lasciar da parte l'ipotesi manifestata per un momento dallo Stoppani, ed accettata, se non erro, anche dal Gastaldi, e da altri. Il fatto si è però, che mentre prima, il Savi, ed altri, avevano inteso ritenere i nostri sedimenti lacustri come analoghi e contemporanei agli altri marini, dopo le deviazioni successive da questa idea, i geologi d'oggi, ed i paleontologi, per es., il Sandberger (?), ed il Fuchs, pur ammettendo come pliocenici i sedimenti lacustri, come quelli marini, lasciano questi nel pliocene interiore, e quelli quasi personificati nei terreni del così detto Val d’Arno superiore, pongono nel pliocene superiore. Il Major stesso, come ho detto, non era lontano da questa supposizione; egli però dopo nuovi studi e dopo nuove osservazioni, ha con- tribuito e contribuirà senza dubbio, a ritornare all'antica opi- nione, ed a confermare che i terreni lacustri rispondono ai nostri terreni marini tipici del pliocene (#), e che soltanto la diversità delle circostanze orografiche fece sì che gli uni aves- sero una apparenza ed una origine diversa dagli altri. Per af- fermare vie più la corrispondenza sopra enunciata dei terreni lacustri del pliocene, coi terreni marini, presenterò l’elenco di molti mammiferi caratteristici, i quali furono ritrovati e negli unì e negli altri sedimenti. (4) L. Rutimayer — Ueber Pliocen und Eisperiod aus beiden Seiten der Alpen, 1876. (?) F. Sandberger; — Die Land und Stsswasser Conchylien der Vorwelt. 1875. (*) H. GC. Major — Considerazioni sui mammiferi pliocenici e post-pliocenici della Toscana (Atti Soc. Tosc. Scienze nat. Vol. II, pag. 242, N.0 4). MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 135 Terreni lacustri Terreni marini Mastodon Borsoni Arno Asti M. Arvernensis Arno, Serchio Magra Asti, S. Miniato, Montopoli, Palaia Elephas meridionalis Arno, Leffe ASTI RWinoceros Etruscus Arno Asti, Siena E. lepthorhinus Leffe Asti, Piacentino Hippopotamus major Arno Asti Bos Etruscus Arno Asti, Siena Equus Stenonis Arno Montopoli Sus Strozeii Arno Empoli Lo stesso Mastodon Arvernensis che il Major credeva proprio degli strati inferiori del nostro pliocene, si trova sino nei più recenti di esso, come lo dimostrano alcuni denti raccolti recente- mente a Corniano nelle colline di S. Miniato, negli strati del san- sino sovrapposti agli altri strati pliocenici di colà. Per mostrare poi la coetaneità dei sedimenti palustri litorali agli altri lacustri montani e marini, servirebbe il fatto della loro inclusione, e della loro alternanza con questi ultimi, quale appunto si verifica e nel Senese ed altrove. Lo spaccato geologico descritto dal Mortillet ('), può dare una buona idea della massima parte di quei terreni palustri Senesi, salvo che la loro serie si potrebbe continuare dell’altro nella porzione superiore, come nella infe- riore. Infatti continuando a Sud dello spaccato, sempre lungo il torrente Malizia, al di sotto dell’argilla con molluschi salma- stri, che è la roccia più profonda menzionata dal Mortillet, sì trovano dei banchi alti complessivamente 4 o 5 metri, di sabbie gialle e di ghiaie provenienti dal Chianti, prive di conchiglie ben conservate, le quali riposano sopra una marna argillosa ricchissima di molluschi marini, senza dubbio pliocenici, di cui darò or ora l'elenco: a metà delle ghiaie menzionate, pochi passi sotto al Ponte, ho trovata e scavata io stesso una mandibola di Bos etruscus, specie di quelle plioceniche, insieme alla quale era qualche mal conservato Cardium edule L. Si può ben dedurre da ciò, anche indipendentemente da tutte le altre considerazioni, che la serie dei terreni descritta dal Mortillet nel taglio citato, (4) Mortillet — Coupe geologique de la Colline de Sienne (Att. Soc. It. di scienze nat.) Milano 1864. 136 DE STEFANI è pliocenica, di crei pliocene, che contiene la fauna mammalo- gica più sopra indicata. Tornando allo strato delle marne argillose che abbiamo ac- cennato or ora, esso forma quasi sempre il terreno più profondo delle valli nei dintorni di Siena. I molluschi fossili in esso conte- nuti e da me raccolti sono i seguenti, come si vede chiaramente pliocenici. Si potrebbero distinguere due piani secondarii, l’inferiore con Natica lineata, Lck., (N. propinqua Pecchioli) il superiore con Cytherea sulcataria Desh.; ma mi risparmierò di farlo quì, non riguardando ciò direttamente il soggetto principale del presente scritto. I varii luoghi li indicherò cogli abbreviativi seguenti, M-s {Malizia nelle sabbie), P-P (Porta Pispini, nelle ghiaia), D-P (Due Ponti sul Riluogo), P (Pescaia), M-9 (Malizia nelle ghiaie), M-a-v (Mulino a vapore, sulla Tressa), P-d-1 (Ponte di legno sulla Tressa), P-a-R (Ponte a Rosaio in Pescaia), Bz (Bozzone). Anomia ephippium, L., Porta Pispini, nelle ghiaie con Litodome, (Bozzone, Ponte di Legno sulla Tressa). Ostrea lamellosa, Brocchi, Malizia (nelle sabbie). Pecten varius, L; Mes. | PI 2... Broc, M-s, Pescaia. E:'pusto, Ii. Eb. P. oa Broc., M-s., Due Ponti sul Riluogo. Lythodomus lithofagus, L., (Avitensis Mayer,) Malizia (nelle ghiaie) P-P. Meleagrina phalaenacea, Lcek., Due Ponti. Pinna Brocchi, D'Orb., M-s. P. tetragona, Broc., Mulino a vapore. Nucula nucleus, L., P-P, M-s, D-P, Ponte a Rosalio in Pescaia. Lembulus pellus, L., D-P, P. Pectunculus glycimeris, L., (Insubricus, Broc.,) M-s, D-P, P, Ponte a Iosaio. Arca Noe, L., P-P, M-g. A. lactea, L., P-P. A. pectinata, Broc., P-P. Lucina orbicularis, Desh., D-P. MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 1a Loripes divaricatus, Phil., M-a-v. Cardium papillosum, Poli, P-P, M-s. C. echinatum, L., Ponte di legno, P. 0 nanstbroc. DRS? Cardita intermedia, Broc., P-P, M-s, D-P, Bozzone. C. calyculata. L., P-P. | Cypricardin coralliophoga, Gm., P-P. Venus excentrica, Ag., P-P, P. V. umbonaria, Lk., P-P, D-P. V. libellus, RK. V. E. Ponzi, M-g. V. gallina, L., M-s, P-P, D-P, P, P-d-1. V. ovata, Pen., M-s, D-P, P-a-R. V. plicata, Gm., M-s, D-P, P-a-R, ‘Cytherea sulcataria, Desh., M, P-P, Pescaia. C. Pedemontana, Ag., M-s, P-a-R. Capsa fragilis, L., P-P. Tellina planata, L., P-a-R, M-a-v. Arcopagia corbis, Serres, M-s. Venerupis conglobata, Broc., P-P. Petricola lithophaga, L., P-P. Psammobia Ferroensis, Chemn., P-a-R. Donax semistriata, Poli, P. Syndosmia solida, Cocconi, P. Corbula Deshayesti, P-P, M-s, D-P, P-a-R, Bz. C. revoluta, Broc., P-P. Jouannetia rugosa, Broc., P-P. J. semicaudata, Desm., P-P. Clavagella Brocchi, Lmk., P-P, Gastrochaena intermedia, Hoer., P-P. G. dubia, Pen., P-P. Saricava rugosa, L., P. P. Panopaca glycimeris, Born., P. Fissurella costaria, Bast., P-P. Calyptraea Chinensis, L., P-P, M-g, s. Trochus patulus, Broc., M-s, D-P, P-a-R. T. leucophaeus, Phil., D-P. Rissoina pusilla, Broc., M-g. Coecum trachea, Mtg., M-g. Turritella tornata, Broc., D-P. 138 DE STEFANI Vermetus intortus, Lck., P-P, M-g-s. V. triqueter, Biv., P-P. Scalaria tenuicostata, Mich., D-P. S. comitalis, De Stefani, sp. n., P, P-d-1, Ponte della Madonnina Rossa. Siliquaria anguina, L., M-g. Niso eburnea, Risso, Pescaia. Natica millepunctata, Lk., M-s. N. Josephinia, Risso, var., P-P, M-s, P-a-R. N. lineata Lck., (propinqua, Pecch. 5 D-P, oh Bog- gione, Pieve al Bozzone. Solarium simplex, Bronn, M-s, D-P. Xenophora infundibulum, Broc., D-P. Adeorbis Pecchiolianus, De Stefani sp. n., P-a-R. Cancellaria varicosa, Broc., P-P, P, D-P. C. Brocchii, Crosse, P, M-a-v. C. cancellata, Broc., P-P, M-s. Cerithium vulgatum, Brug., M-g, Tressa. C. Etruscum, Mayer, Mo, sperso. C. crenatum, Broc., (var. n.) M-s, P-P, P, P-d-1, P-a-R. C. spina, Partsch, D, Po C. perversum, L., P-P. Ranella marginata, Bronn, Pescaia. Purpura tessellata, Mgh., P-d-1, Bozzoncino. Cassîs texta, Bronn, P. Ficula intermedia, Sism., M-s, D-P. Strombus coronatus, Defr., M-g. Murex brevicanthos, Mich., M-g. M. Mayeri, Bell., P-P. Nassa mutabilis, L., (var. n.,) P, D-P. : N. Paulucciana, D'Ancona, P. N. angulata, Broc., M-g, P. N. musiva, Broc., (var. n.) P. N. gibbosula L., M-s P, D-P, P-a-R, P-d-l. N. neritea, L, P. N. semistriata, Broc., D-P, P-a-R. N. serraticosta, Bronn, P-P. Buccinum polygonum, Broc., M-s, Bozzone. Terebra Basteroti, Nyst, P-P, M-s, D-P, P, P-a-R, P-d-l. MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 159 T. fuscata, Broc., M-s, M-a-v. T. acuminata, Borson, P. T. pertusa, Broc., M-s, D-P. T. subcinerea, D'Orb., D-P. Pleurotoma exoleta, Costa, M-s, D-P, P-a-R, P, P-d-1. P. rustica, Broc., M-s Raphitoma sulcatula, I. D-P. R. vulpecula, Broc., P-a-R. Conus pyrula, Broc., M-s, D-P, P-a-R, P, Pressa. Mitra pyramidella, Broc., D-P. Ringicula buccinata, Ren., M-s, P-P, D-P, P-a-R, P. Actaeon tornatilis, L., M-s, D-P. Queste marne, con tutti i sedimenti sovrapposti, sono di formazione litorale; ma corrispondono nell'insieme ai varii strati argillosi fossiliferi di Monsindoli, Colletinaio, Ginestreto, Malame- renda, Renacci, Coroncina, ec. ricchi di una fauna oltre ogni dire abbondante e svariata, la quale è assolutamente diversa da quella litorale, e pur mostrando che altro non può essere se non pliocenica, fa vedere d’essere vissuta in seno ad acque marine profonde, e precisamente, pei luoghi che ho enumerati, in quella zona che oggidì si direbbe coralligena. Dall’apparenza de’ fossili taluno potrebbe dubitare, anzi lo afferma il Capellini, che quelle argille fossero d’epoca diversa, più antica, delle sabbie; ma invece lo studio stratigrafico, la di- sposizione altimetrica, e la ricostruzione orografica del fondo del mare di que’ tempi, dimostrano che desse sono più recenti delle Marne a Natica propinqua, dei fossili delle quali abbiamo dato sopra un elenco. Per rendere alquanto meno scompleti questi studii, do un elenco dei fossili che ho da me raccolti in quelle argille, e che sono una ben piccola parte di quelli che con nuove escursioni vi si potrebbero raccogliere. Indicherò i varii luoghi, nel seguente modo: Monsindoli (Mm), Malamerenda (M1), Coroncina (Cr), Colletinaio (C1), Prato (P). Ostrea cochlear, Poli, Monsindoli, Coroncina. Pecten cristatus, Bronn, Colletinaio, Cr. P. opercularis, L., Cr. Nucula Placentina, Lmek., Mn, CI, Cr. Lembulus commutatus, Phil., Cl, Prato. 140 DE STEFANI Yoldia mitida, Broc., Cr. Pectunculus glycimeris, L., (Insubricus Broc.), Mn. Arca diluvii, L. Malamerenda, Mn, Cr. Limopsis aurita, Broc., MI, Mn, CI, Cr. Lucina borealis, L, CI. Cardium hians, Broc., Cr. Chama gryphoides, L, Mn. Cardita rudista, Lek., Mn, CI, Cr. Venus ovata, Pen., (var. maior), Cr. Cytherea multilamella, Lek., Mn. OrudistEoli Ol Syndosmia alba, Wood, Cl. Corbula gibba, Ol, Cr, CI, P. Dentalium gadus, Phil., Mn, Cl, Cr. Di dentali 6: D. elephantinum, Gm., Mn, CI, Cr. Turritella subangulata, Broc., Ml, Mn. Vermetus intortus, Lek, MI, Mn. Scalaria foliacea, Sow., (eximia, Pecc.), Mn, CL S. lanceolata, Broc., Cr. S. scaberrima, Mich., Mn, P. S. torulosa, Broc., Mn. Mathilda quadricarinata, Broc., Mn, CI, Cr. Turbo fimbriatus, L., Mn, Cr. Eulima subulata, Don., Cr. Natica millepunctata, Lek., Mn, P. N. helicina, Broc., MI, Mn, CI, Cr, P. Solarium simplex, Bronn., P. S. millegranums, Lek., Mn, Cr. S. moniliferum, Bronn., Ml, Mn, Cr. Xenophora infundibulum, Broc., Mn. X. testigera, Bronn, Cr. Cancellaria lyrata, Broc., Mn, CI, Cr. C. calcarata, Broc., Mn, Cr. C. Bonelli, Bell., Mn, CI, Cr. C. mitraeformis, Broc., Mn, Cr. Cerithium vulgatum, Brug., Mn. C. perversum, (var.), Cr. Cassis texta, Bronn., Mn, Cr. MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 141 Cassidaria echinophora, Lck., Mn, Cr. Murex bracteatus, Broc., Mn. M. Constantiae, D'Anc., Mn, CI. M. spinicosta, Bronn, Mn, Cr. M. torularius, Lck., Mn. M. Swainsoni, Mich., Mn. Ranella marginata, Bronn., Mn, Cl. Triton affine, Desh., Mn, Cr. T. apenninicum, Sas., MI, Mn, CI, Cr. T. Doderleini, D'Anc., Mn. T. Grasi, Bell., Cr. Typhis horridus, Broc., Mn, Cr. T. phistulosus, Broc., Mn, CI, Cr. Fusus aduncus, Borson, Ml. F. rostratus, Ol., Mn, CI, Cr. F. longiroster, Broc., Mn, Cr. F. lamellosus, Borson, Cl. F. mitraeformis, Broc., Cr. Fasciolaria Coppiana, D'Anc., Mn. Nassa angulata, Broc., CI. N. serraticosta, Bronn, Mn, CI. N. turbinella, Broc., Cr. N. rhingens, Bell., CI. N. semistriata, Broc., Mn, C1, Cr, P. N. serrata, Ren., Mn, CI, Cr. N. costulata, Broc., MI, Mn, Cr. N. conglobata, Broc., Mn. Terebra Basteroti, Nyst, Mn. Pleurotoma Allionii, Bell., Ml, Mn, CI, Cr. P. dimdiata, Broc., Ml, Mn, CI, Cr. P. rotata, Broc., MI, Mn, CI. iiunricula Bro MM Cher P. cataphracta, Broc., Ml, Nn, Cr. P. ramosa, Broc., Mn. Faphitoma harpula, Broc., Mn, Cl. FR. hispidula, Broc., Mn, CI. E. obtusangula, Broc., Mn, CI. E. sigmoidea, Broc., Mn, Cl, Cr. L. quadrillum, Duj., CI 142 DE STEFANI Conus antediluvianus, Brug., Mn, C1, Cr. Chenopus pespelecani, L., Mn. Mitra cupressina, Mich., Mn, Cr. M. pyrannidella, Broc., Ml, Mn, Cr. M. scrobiculata, Broc., Mn, Cr. Columbella thiara, Bell., Ml, Mn, Cr. C. nassoides, Broc., Mn, Cl, Cr, P. Ringicula buccinata, Ren., (var. major) Mn, CI, Cr, P. Al di sotto delle marne litorali già descritte compariscono, appena però in un luogo o due e per tratti quasi direi imper- cettibili, delle argille pure litorali, formanti sedimenti marini di apparenza alquanto salmastrosa, con specie di molluschi, abbon- danti, ma non molto varie. Ecco la serie di quelli che ho tro- vato in Pescaia, presso il luogo detto la Buca. Pectunculus glycimeris, L., Cardium edule, L., Lucina leucoma, Turton, (miocenica) Mich., Solarium Senense, De Stefani sp. n., Rissoa Lachesis, Bast., Cerithium perversum, L., C. vulgatum, Brug., Murex truncatulus, Foresti., M. exacutus, Bell., ; Nassa Basteroti, Mich., N. bufo, Doderlein, N. musiva, Broc., N. Dujardini, Desh., Mitra ebenus, Lcek., Columbella curta, Bell. I fossili contenuti in questo strato più profondo dei dintorni di Siena, sono forse nel loro insieme i più antichi che finora sieno stati distintamente notati nei nostri terreni propriamente pliocenici, ed essendo essi in buona parte comuni coi terreni del Tortoniano, anzi taluni, conosciuti finora soltanto in questi ultimi, si potrebbe dedurre che segnino un primo passaggio dal pliocene al Tortoniano. Tutti questi strati della collina senese, checchè MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 143 sia stato detto in passato, sebbene turbati da frequenti benchè non importanti falde (failles), e sebbene soggetti quà e là a piegature di amplissimo raggio, si POSSOn0 dire quasi perfetta- mente orizzontali. Nella più parte dei luoghi, sotto le marne argillose a Na- tica propinqua, o sotto le argille inferiori, appariscono diretta- mente gli strati dell’alberese o della pietra forte cretacea, ov- vero quelli del calcare cavernoso infraliassico; ma avviandosi al Chianti, verso il Casino, verso Topina, e verso Monte Guidi, al di sotto degli strati corrispondenti a quelli con Buccinum Dujar- dini, compaiono dei banchi marnosi ed argillosi jben forniti di lignite. In questi banchi si trova una ricca fauna di mammiferi, studiata in parte dal Major ('), la cui scoperta e già ben cono- sciuta dagli scenziati. Ecco le specie che vi furono trovate e studiate fino ad oggi. Semnopithecus Monspessulanus, Gerv., Hipparion gracile, Kaup., Antilope Cordieri, De Crhistol, A. Massoni, Major, C. elsanus, Major, an dicranoceros Kaup, Myolagus elsanus, Major. Dallo studio di queste specie risulta, come fu dedotto già dal Major, ed accettato dal Ritimayer, dal Fuchs, e da altri, che il terreno del Casino risponde agli strati di Belvedere presso Vienna, di Pikermi, di Alcoy, di Mont Leberon, a quelli supe- riori di Eppelsheim, ec.; come nota il Major sembra che non tutti gli strati di questi luoghi sieno esattamente corrispondenti fra di loro, ma certo le loro epoche variano di poco, e rientrano in una medesima unità. Se quel terreno corrisponda o meno agli strati di Motpellier, lo diremo tra poco. Abbiamo riconosciuto che gli strati del Casino sono sotto- stanti a tutti gli strati tipici del pliocene marino, ed a taluni anche i quali cominciano a segnare un passaggio al Tortoniano; da ciò potremo concludere quali strati di altre regioni d’ Europa corrispondenti a quelli del Casino, sieno alla lor volta più an- (4) Major, Cons. sulla fauna ec. 144 DE STEFANI tichi del nostro pliocene marino, palustre e lacustre, e siano cioè miocenici. Infatti il vero pliocene, quale fu stabilito dal Lyell, col nome, pella prima volta, di pliocene antico, ha per rappresentanti ti- pici i nostri terreni marini subapennini ed il Crag d’ Inghilterra, e pliocenici sinora furono denominati esclusivamente i terreni corrispondenti ad essi. Gli strati fossiliferi ultimamente nomi- nati, e, come si è visto, più antichi, di Alcoy, di Pikermi, di Monte Lèberon, di Eppelsheim, e di Belvedere, ogni qualvolta furono studiati dal Gaudry, dal Gervais, e da altri, furono sinora appellati miocenici. Le idee dello Stoppani, del Gastaldi, e di parecchi altri, le confusioni e le discussioni sorte relativamente ai nostri terreni lacustri, alle faune plioceniche e postplioceniche, alle distinzioni da introdursi nel nostro pliocene, hanno tur- bato questi studii; ed il Fuchs ('), ed altri, pretendendo che. alla fauna di Belvedere, di Pikermi, del Casino e degli altri luoghi, rispondesse la fauna del nostro pliocene marino, hanno considerato i terreni di quei luoghi come pliocenici, ed hanno ritenuto dovesse ristudiarsi in Italia tutta la serie dei terreni di quest’ epoca. Ma questo nuovo ordinamento, e queste supposi- zioni, si fondano sopra un equivoco: i nostri terreni marini, ti- pici rappresentanti del pliocene, hanno la stessa fauna dei ter- reni pliocenici lacustri, e non hanno punto la fauna del Casino, di Pikermi, di Belvedere ec., la quale è più antica, e si trova in terreni sottostanti a tutta la serie di essi. Riconosciuto l'equivoco, bisogna senz’ altro tornare alle idee di prima, e ri- guardare questi ultimi terreni, come tuttii geologi ed i paleon- tologici antecedenti fecero, cioè come miocenici, e più propria- mente come miocenici superiori, ed escludere fra le altre cose, ciò che tutti i geologi viennesi tenderebbero ora ad affermare, che cioè gli strati di Belvedere presso Vienna, possano rispon- dere al nostro pliocene, idea pure partecipata dal nostro Capel- lini ©. Senza dubbio gli ordinamenti dei terreni, come tutti gli ordinamenti umani, sono più o meno artificiali; ma una volta stabiliti i termini loro, vi è qualche cosa di superiore all’ arti- (4) Th. Fuchs — Studien uber das Alter der Jungeren Terticirbildungen Grie- chenlands (Sitzb. d. K. Akad. der Wissensch. Bd. LXXIII), 1876. (?) G. Capellini — Sud terreni terziarii di una parte del versante settentrionale dell’ Apennino. 1876. MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 145 ficio primitivo, ed è la convenzione fatta: una volta che la con- venzione comune, ela legge del primo ordinatore, han determi- nato che i terreni non corrispondenti ai nostri pliocenici marini, debbano essere esclusi dal pliocene, bisogna rispettare questa convenzione ed applicare questa legge. La fauna dei molluschi marini, anco quando mancassero altri argomenti, è un buon criterio per giudicare della contempora- neità dei nostri terreni pliocenici; ora gli strati pliocenici, di Taranto, di Lentini, di Siena, di Castellarquato, di Piacenza, Bo- logna, di Gerace, di Messina, i calcari lenticolari di Parlascio, ed a Briozoi di Castrocaro sì bene studiati dal Manzoni e dal Fo- resti, di Lentini e di Taranto, che il Fuchs considera come tanti termini, per quanto pare, diversi fra loro, si corrispondono tutti più o meno; anzi taluni di quei terreni, che egli, seguendo geologi italiani, pone in un orizzonte inferiore, p. es. il calcare di Par- lascio, appartengono ad uno degli orizzonti superiori. Di queste roccie poi nessuna è più antica, nè contemporanea agli strati del Casino, come sembra credere il Fuchs. Delle specie de’ molluschi continentali del Casino, poche ne ho studiate, e nessuna ne pubblicherò, perchè non ne possiedo se non mal conservati esemplari. Eccetto un Dreissena che sembra in tutto la Sanensis, fossile anche negli strati pliocenici sovra- stanti, tutte le altre specie, fra cui è un’ altra Dreissena, una Vivipara, due Neritinae, di cui una simile alla N. Morelli, Bell. e Mich., una Melanopsis affine alla M. Bartolini, Cap., una Me- lanopsis sp. n., ed altre Melanopsis e Melaniae, sono affatto di- verse da quelie conosciute nei nostri terreni pliocenici; e da quel poco che ho potuto vedere mostrano molta anologia coi fossili degli strati superiori a Paludine della Slavonia, i quali appunto dal Neumayr sono considerati corrispondenti agli strati di Bel- vedere nel Viennese. La flora di Casino è stata studiata dal Peruzzi, e si mostra più antica di quella dei terreni pliocenici, vale a dire del così detto Val d'Arno superiore, della Val di Serchio, della Val di Magra, di Montaione, del Boggione presso Siena ec. Il Peruzzi ('), attenendosi alle idee che avevan fatto capolino, e parevan vere, che cioè anche il così detto terreno Oeninghiano fosse pliocenico, (4) G. Peruzzi — Descrizione di alcune filliti della lignite del Casino (N. Giorn. Bot. Vol. III, 1876. 146 DE STEFANI e che proprio pliocenica, come sosteneva il Major, fosse la fauna mammalogica del Casino, ha concluso che la flora di questo luogo segna un passaggio dal miocene al pliocene, e può riporsi nel pliocene inferiore. In realtà essa risponde a quella di una parte superiore dei così detti strati Oeninghiani, ritenuti dagli antichi autori miocenici, da taluni oggidì, come ho detto, per le sopra citate confusioni, o per desiderio di novità, voluti pliocenici. Simili agli strati del Casino, anche per posizione stratigra- fica, sono quelli non lontani di Topina, e di Monte Guidi donde provengono dei denti di Tapirus e di carnivoro, pure nel Chianti. Tanto al Casino come a Topina, non sono altri terreni sot- tostanti, se non cretacei, quindi manca un buon criterio per giudicare dei terreni miocenici più antichi. Nel rimanente della Toscana, sono varii dei giacimenti ligni- tiferi più noti del regno, nella stessa posizione stratigrafica delle ligniti del Casino. A Monterufoli, il sedimento lignitifero con Planorbis e con altri molluschi d’acqua dolce, apparisce al di sotto di argille scure, e di una panchina, che furono ritenute sempre per mioce- niche, ma che sono invece plioceniche di formazione litorale, siccome risulta da una serie di 49 fossili da me studiati e pub- blicati (!). Fra i principali si possono accennare i seguenti. Columbella corrugata, Bon., C. subulata, Bell., Nassa serraticosta, Bronn, Murex Spadae, Lib., Conus Mercati, Broc., C. ponderosus, Broc., Cylichna convoluta, Broc., Solarium simplex, Bronn, Lacuna Basterotina, Bronn, Turritella tornata, Broc., Vermetus intortus, L., Dentalium fossile, Gmel., Terebratula ampulla, Broc. (') C. De Stefani — Notizie sopra alcuni molluschi pliocenici del Poder Nuovo presso Monterufoli. — Pisa 1876. (Boll. Soc. Malac. It. Vol. II). MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 147 Anche a Berignone le ligniti appariscono sotto ad una are- naria che fu ritenuta miocenica, ma che è invece pliocenica. Tra i suoi fossili è il Pecten maximus, Lek. Secondo quello che dice il Capellini, la formazione gessosa della Castellina Marittima sottostà alle argille turchine della Val di Fine, certamente plioceniche, e depositate in una zona rispondente a quella coralligena dei mari nostri, nelle quali, tra i fossili più importanti, il Capellini cita i seguenti ('). Pecten flabelliformis, Broc., Pleurotoma Allioni, Bel., (P. brevirostrum, Sow.), P. monilis, Broc., P. dimidiata, Broc., P. turricula, Broc., Columbella thiara, Bell., Cancellaria lyrata, Broc., Triton Apenninicum, Sass. La zona gessosa della Castellina ha grande importanza, per- chè l'illustre geologo sopra nominato vi ha discoperti, nella porzione superiore, gli strati a Congerie, rispondenti agli stessi strati del Viennese, quindi alla zona degli strati di Eppelsheim, ed in parte alla zona Oeninghiana dei geologi Svizzeri. Lo stu- dio della flora, compiuto pure dal Capellini, ha condotto ad af- fermare la medesima analogia. L'insieme dei molluschi de’ vari nostri terreni a Congerie, benchè da poco discoperti, meriterebbe uno studio speciale, ed io, per non farlo scientemente incom- pleto, lo tralascio per ora, e mi limito ad accennare i fossili notativi dal Capellini alla Farsica. Congeria simplex, Barbot, Dreissenomya intermedia? Fuchs, Cardium catillus, Eich., C. pseudocatillus, Ab., C. Castellinense, Cap., C. Nova Rossicum, Barb., C. littorale, Eich., (4) G. Capellini — La formazione gessosa di Castellina Marittima. 148 DE STEFANI C. Fuchsi, Cap., C. Odessae, Barb., C. plicatum, Eich., C. Carnuntinum, Barb., C. papillosum, Poli. A Monte Bamboli, con poca varietà, si ripetono le circo- stanze della Castellina. Ivi la formazione lignitifera soggiace a sedimenti, in piccola parte argillosi, in specie alla superfice, ma per lo più formati da conglomerati di varia specie. Prima si ritenevano tutti questi terreni per miocenici, ma invece, al so- lito, dalle ligniti in sù, sono pliocenici. Il Lotti, dietro 1’ esame di alcuni fossili da me fatto, ha cominciato a riconoscere plioce- niche le argille ('); ma i conglomerati non sono di epoca diversa, come ho potuto persuadermi coll’esame dei fossili raccolti entro di essi, e depositati nei Regi Musei dell’ Università di Pisa, e dell’ Accademia dei Fisiocritici di Siena. Ecco l'elenco di alcuni di que’ fossili, che sono presso chè eguali, e nei conglomerati, e nelle argille: Anomia ephippium, L., Ostrea lamellosa, Broc., Pecten maximus, Lek., Cardium hians, Broc., C. tuberculatum, L., Panopaca glycimeris, Born., Strombus coronatus, Detr., Cerithium vulgatum, Brug., Turritella tornata, Broc., T. tricarinata, Broc. Sotto questa zona pliocenica appariscono degli strati alquanto gessosi, a Congeria, quindi gli strati lignitiferi. Negli strati a Congeria sono abbondantissime Bythiniae, Dreissenomyae, Cardit e Dreissenae, che il Capellini riferisce alla D. Deshayesti, Cap., od alla D. Basteroti, Desh., ma che a me paiono diverse. Sebbene molte di queste specie paiano differenti da quelle della Castel- (!) B. Lotti — Sui terreni miocenici lignitiferi del Massetano, (Bull. R. Com. Geol. It. 1876), pag. 3. i MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 149 lina, non vi ha dubbio però che si tratta di un terreno equiva- lente. Nelle ligniti sottostanti sono delle Plarordis, delle Melo- nopsis, delle Bythiniae, e la Melania Escheri, Merian, del tipo miocenico superiore e medio; insieme è stata trovata, una abbon- dante fauna di mammiferi, studiata già in parte dal Major ('). Ecco la serie di questi: Anthracotherium sp., Sus choeroides, Pomel, Amphicyon Laurillardi, Pomel, Lutra Campanii, Meneghini, Oreopithecus Bambolii, Gervais. Ii Major dall’ esame di queste specie e dalle loro analogie, ha riconosciuto essere i terreni di Monte Bamboli equivalenti presso a poco a quelli di Eppelsheim, quindi attribuibili quasi ad uno stesso piano geologico cogli strati un poco più recenti di Belvedere presso Vienna, e con quelli del Casino presso Siena. La flora fossile studiata dal Gaudin, conduce agli stessi risultati, ed è riferibile al piano Oeninghiano, ad un livello un poco più antico di quello della flora del Casino. Alla Marsiliana, non lungi dalla regione carbonifera di Mon- te Bamboli sì ripetono gli stessi fatti, e al disotto di conglome- rati e di rocce che debbono attribuirsi al pliocene, il Lotti (?) scoperse gli strati a Congeria, e fra le specie trovatevi, da lui mandate in parte al Museo di Pisa, credè notare le seguenti, Cardium nova Irossicum Barb., C. pictum Eichw., C. litorale Eichw. Nè le cose sono diverse a Monte Massi. Sotto alla panchina con Amphistegina robulina, D'Orb., ed alle argille turchine con Ostrea cochlear, Poli, Pecten cristatus, Bronn., e Cassidaria echi- nophora, Lck, appariscono al solito gli strati a Congerie, con fos- sili simili a quelli di Monte Bamboli, ed i sedimenti lignitiferi; le panchine e le argille superiori erano e sono ritenute, benchè senza fondamento, come mioceniche; ma sono invece plioceniche. (5) H. GC. Major — Causiderations sur la faune des vertebréès de Monte-Bamboli (Atti della Soc. It. di scienze naturali). (?) B. Lotti — Sud terr. miocenici ec. Se. Nat. Vol. Il, fase. 2.0 10 150 DE STEFANI La flora delle ligniti sottostanti di Monte Massi, per quel poco che si conosce è pur essa Oeninghiana. Anche i conglomerati ofiolitici della Valle della Sterza, che il Capellini, seguendo le tradizioni, ritiene appartenenti al mioce- ne medio, sono probabilmente pliocenici, come i conglomerati di Monte Bamboli e di altri luoghi che furono prima, pel loro aspetto litologico, attribuiti a quell'epoca stessa. Sotto a que’ conglomerati, nella Valle della Sterza, sono dei sedimenti lignitiferi, nei quali il Capellini cita le seguenti specie d’acqua dolce. Melanopsis Bartolinii, Cap. M. buccinoidea, Fer., M. acicularis, Fer., Neritina Grateloupana, Fer., Litorinella obtusa, Sand., Congeria Deshayesii, Cap., Pisidium priscum, Eichw. Nei dintorni di Sassoforte pure, sotto ai calcari ad Amph:- stegina e ad altre roccie plioceniche, si trovano strati argillosi a Congerie, con Memicardium ed altri fossili molto ben conservati. Tutti i sedimenti lacustri o palustri che abbiamo esaminato finora, mostrano uno strettissimo rapporto fra di loro; tutti sottostanno ai nostri terreni pliocenici marini; in molti sì pre- sentano gli strati a Congerie, con specie che forse sono iden- tiche nei varii* luoghi; in tutti la fauna e la flora si corri- spondono, fra loro, col piano Oeninghiano degli Svizzeri, colla fauna di mammiferi di Eppelsheim, di Belvedere, di Alcoy, di Pikermi, ec., e cogli strati a Congeria dei tedeschi. Si deve ri- tenere quindi che tutti appartengano ad un medesimo orizzonte, che non può essere altro, come riteneva da prima il Capel- lini pegli strati della Castellina, se non il Miocene superiore. Quest’ orizzonte non può essere pliocenico, perchè niuno degli strati mentovati, risponde a qualche parte de’ nostri terreni ma- ‘rini tipici del pliocene; e non essendo pliocenici essi, non pos- sono esser tali nemmeno gli strati corrispondenti dell'Austria, della Russia e d’altrove. Insieme cogli strati ultimamente da noi esaminati debbono essere posti gli strati gessosi o lignitiferi di Caniparola e di Pai de Di MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI Joi Sarzanello, del Gabbro, del Limone, e della Puzzolente, più o meno recenti uno relativamente all’altro, ma tutti appartenenti ad una medesima unità geologica di tempo. Nel resto d'Italia, corrispondono poi gli strati gessosi e gli strati solfiferi, sotto- stanti ai terreni marini pliocenici. Fra gli argomenti che il Fuchs (') adduce per ritenere gli strati gessosi come pliocenici, si è che nella Romagna, a setten- trione e ad occidente dell’Apennino, la formazione gessosa è in- teramente concordante col pliocene, fatto che si verifica pure in Toscana, mentre a lui sembra discordante coi terreni miocenici che le sottostanno. Il Capellini però dice non sembrargli sempre ammissibile quella discordanza supposta dal Fuchs. Sotto agli strati gessosi o lignitiferi che ho particolarmente enumerati, non è chiarito quali rocce si trovino in Toscana, se non alcune roccie della creta e dell’eocene che formano i monti adiacenti; talora è accennato qualche piccolo strato intermedio di conglomerato serpentinoso, il quale si può formare in qualun- que epoca, in questa regione nella quale serpentine cretacee ed eoceniche sono per gran tratto scoperte. I geologi toscani e quelli che si sono occupati di geologia toscana attribuiscono quà e là molte roccie al miocene, dietro le apparenze litologiche che hanno tratto in inganno anche taluni dei più sperimentati. Vera l'abitudine di escludere dal pliocene, e di considerare come mioceniche, tutte quelle rocce terziarie recenti le quali non fossero argille nè sabbie; quindi le Panchine pella massima. parte, i calcari ad Amphistegina altre volte ritenute Nummulites, i calcari compatti, i conglomerati ofiolitici, e le arenarie come quelle di Perolla, ritenute persino cretacee dal Pilla, poi dallo Spada mioceniche inferiori. Anche recentemente un illustre geologo tedesco, il Fuchs, prevenuto forse da ciò che egli era solito osservare nell’Austria, credè avere trovato presso di noi, in certi calcari, un terreno equivalente al calcare di Leitha, quindi miocenico medio. Questi calcari, come i conglomerati ofiolitici, e come le arenarie più o meno grossolane, sono sem- plici formazioni per lo più litorali sedimentate a ridosso di rocce serpentinose, o di rocce calcaree che potevano quindi (4) T. Fuchs — Jie Gliederung der Terticirbildungen am Nordabhéinge der Apen- nin von Ancona bis Bologna. 152 DE STEFANI formare delle panchine o dei frammenti, in qualunque tempo il mare avesse avuto le sue spiaggie a ridosso di loro. Io credo che questi terreni sieno puramente e semplicemente pliocenici; il cattivo stato di conservazione dei fossili in essi rinchiusi spiega come mai le determinazioni dei varii geologi che li hanno stu- diati, p. es. del Manzoni e del Capellini, sieno presentate come incerte, talora anche riguardo al genere, e spiega pure come possa essere accaduto che talune specie le quali erano plioce- niche, abbiano avuto dei nomi di specie mioceniche. I calcari ad Amphistegina del Parlascio e di S. Frediano, i cui fossili erano meglio conservati, pei primi, ad opera del Man- zoni, furono riconosciuti pliocenici. Le specie più notevoli con- tenute in essi sono le seguenti: . Pecten latissimus, Broc., PD. flabelliformis, Broc., (E Alesso Eh Neaera crispata, Scac., Vermetus intortus, L., Cipraea Brocchii, Desh.. I conglomerati calcarei ed ofiolitici di Monte Bamboli, ab- biamo già veduto sopra che sono pliocenici, come le arenarie di Berignone, le argille scure e la -panchina di Monte. Rufoli, le argille turchine ed il: calcare ad Amphistegina di Monte Massi e di Sassoforte. La panchina di San Damalzio, fu riconosciuta come pliocenica già da Paolo Savi ('), ed è tale, benchè altri l’attribuisca al miocene medio, ed al preteso calcare di Leitha; più che una panchina la si potrebbe dire un calcare marnoso ad Amphistegina, e vi si trovano le seguenti specie plioceniche. Oltre ai fossili di San Dalmazio che distinguerò con un D, enumererò quelli della Bulera (B), del Palazzo (P), e di S. Lo- renzo (L), luoghi tutti adiacenti, e ne’ quali si trova presso che ‘ la medesima roccia. Ostrea cochlear, Poli, L., P., D. Hinnites crispus, Br., D. Pectunculus glycimeris, L., P. (') P. Savi — Sud carboni fossili della Toscana. MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI Cardium edule, L., P. C. oblongum, Chemn., P, D. C. echinatum, L., D. Tellina planata, L., L. Capsa fragilis, La P. Isocardia cor, L., IL. Lutraria elliptica, Lck., P. Panopaea glycimeris, Born, P. Turbo rugosus, Li, L. Turritella vermicularis, Broc., L., D. Scalaria scaberrima, Mich., B. S. Trevelyana, Leach, D. Xenophora testigera, Bronn, L. X. infundibulum, Broc., L. Triton nodiferum, Lck., L. T. tortuosum, Sism., L. Strombus coronatus, Defr., L. Ficula geometra, Borson, L. FP. intermedia, Sism., L. Fusus longirostris, O1., L. F. lignarius, Defr., L. Purpura haemastoma, Lck., L. Doliwm denticulatum, Desh., P. Cassidaria echinophora, Lck., L. Nassa prysmatica, Broc., P. N. pupa, Broc., L. Halia helicoides, Broc., L. Voluta auris leporis, Broc., L. Cypraea elongata, Broc., L. Mitra scrobiculata, Broc., L. Terebratula ampulla, Broc., L., P. I sinuosa boe EB; Ma iCostag, Seggi: T. Pedemontana, Lck., P, minor PST: Terebratulina caput serpentis, L., D. Ehinconella bipartita, Broc., L., P., D., B. Argiope decollata, Chem., L., D. dI 154 DE STEFANI L’arenaria di Perolla, secondo i non molti fossili trovativi, è schiettamente pliocenica, anzichè miocenica; tra i fossili meno rari si possono citare l’Ostrea (Griphaea) cochlear, Poli, (Gryphaea columba, Pilla, Ostrea Pillae, Meneghini), e la Iehinconella bipur- tita, Brocchi. E pliocenica senz'altro è la panchina di Pomarance, coi fos- sili seguenti: Spondylus crassicosta, Br., Perna Soldanti, Desh., Pecten Jacobaeus, L., Pectunculus glycimeris, L., Tellina depressa, Gmel., Pecchiolia argentea, Mariti. Turritella vermicularis, Broc., T. marginalis, Broc., Cassis variabilis, Bell. et Mich., Terebratula ampulla, Broc., T. sinuosa, Broc., T. Pedemontana, Lck., T. Calabra, Seg., Rhinceonella bipartita, Broc.. Il Capellini pone nel piano del calcare di Leitha viennese, i conglomerati ofiolitici della Sterza, che fanno passaggio su- periormente ad un calcare marnoso e ad uno strato ad ostriche con Ostrea cochlear, Poli, e con Pecten latissimus, Broc.; sotto sono le ligniti che abbiamo già mentovate. Però la posizione geografica e stratigrafica se non altro, fan ritenere, il calcare come pliocenico; nè i fossili contraddicono a ciò, perchè 1° O. cochlear Poli, è specie anche vivente, ed il P. latissimus è co- mune nei nostri terreni pliocenici. Ad ogni modo, se quelle due specie si trovano nel calcare di Leitha viennese come nota il Capellini, si trovano pure nel nostro pliocene, ed è già di per sè più verosimile che rispondano a questo terreno anzichè ad altro che è ancora ben poco conosciuto in Morrone e che io dubito non vi esista. Nel calcare di Rosignano, ritenuto come principale rappre- MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 155 sentante del calcare di Leitha presso di noi ('), io non ho trovato alcuna specie, fra quelle meno bene conservate, e son le più, che non sì potesse riferire ad altra propria del pliocene toscano, sì che io lo ritengo fermamente come pliocenico, insieme agli altri calcari analoghi. Ecco l'elenco delle specie meglio conservate da me notate nel calcare di Rosignano ed esistenti in buon numero nelle col- lezioni del Museo di Pisa. Come si vede, questo elenco di specie tutte esistenti nel pliocene, in Toscana e fuori, conduce a risul- tati ben diversi da quelli dedotti dagli elenchi pubblicati fin qui. Pecten pusio, L., P. Audoini, Phul., P. maximus, Lck., Pinna. Brocchi, D' Orb., . Arca Turonica, Du]., A. pectinata, Broc., A. barbata, L., Cardium tuberculatum, L., C. oblongum, Chemn., C. echinatum, L., Tellina planata, L., Lutraria elliptica, Lck., Isocardia cor, L. Da tutto ciò si può concludere, che non si sa bene quali ter- reni miocenici sieno sottostanti ai terreni lignitiferi ed ai ter- reni a Congeria toscani, unici finora in Italia; ma ciò poco importa nel fissare la loro epoca, che è già riconosciuta, come sopra fu detto, quale miocenica superiore. Gli strati gessosi non compariscono in Italia da per tutto; è notevole però che dove essi sono, mancano del tutto, o quasi, i terreni marini, i quali invece sono bene sviluppati dove quelli mancano, osservazione fatta pure dal Capellini. Nel Modenese, a Monte Gibio ed altrove, sopra gli strati del Miocene medio, e sotto agli strati pliocenici, ne appariscono altri con fossili (4) Manzoni e Fuchs. — Relazione di un viaggio geologico in Italia ( Boll. R. Com. geol. 1874). 156 DE STEFANI decisamente Tortoniani; secondo lo Stòhr (!), fra il Tortoniano ed il pliocene, stanno alcuni strati con molluschi d’ acqua dolce o salmastra, fra i quali è la Melania semigranosa, Micht., la Mela- nopsis' Maroccana, Chem., var. Bonelli Sism., ed alcuni Hemicar- dium. Questi strati non marini corrisponderebbero, anche secondo lo Stohr, a quelli gessosi d’altrove. Però gli stessi molluschi fossili si trovano nel Tortonese e nell’ Imolese, alternanti a quanto pare coi terreni marini del miocene superiore, precisa- mente come gli strati salmastri e d’acqua dolce del Senese, di Fauglia ec., alternano cogli strati marini del pliocene. Rappresen- tanti di quella stessa fauna malacologica si trovano a St. Fer- reol presso Bollène in Francia con molte altre specie, in istrati che sono considerati dai geologi tedeschi e francesi come rap- presentanti decisi degli strati a Congerie tedeschi e russi. Che, eziandio nell’ Imolese, i gessi alternino, o per lo meno corrispon- dano cronologicamente a strati marini del miocene superiore, lo deduco dall’esame di un buon numero di fossili dei terreni più recenti di colà, che lo Scarabelli ha più volte inviati al Me- neghini, perchè fossero studiati. Or questi fossili hanno la più grande analogia con quelli già ben conosciuti del Tortoniano, e se qualche tipo finora noto soltanto come pliocenico, vi ap- parisce, esso ha però certi tratti ben distinti, che fanno ritenere il terreno entro cui è racchiuso più antico del pliocene, e somi- gliante forse allo strato che il Fuchs ed il Manzoni osservarono al piede occidentale del Monte Titano. Se quegli strati rispondono al piano di Belvedere del Viennese, come il Capellini (?) crede, e come sembra a me pure, perciò appunto non rispondono al plio- cene ma ne sono più antichi. Tornando alla nostra questione, la combinazione di tutti i fatti citati confermerebbe che i nostri strati gessosi, lignitiferi, ed a congerie del miocene superiore, sono corrispondenti a quelli marini, pure del miocene superiore o Tortoniano, e rappresentano un sedimento litorale e d’ estuario d’ una stessa epoca, come gli altri rappresentano un sedimento di mare libero. Da ciò deriverebbe ancora, che, se dal miocene in poi, pos- siamo rintracciare a varie riprese l’esistenza antica di paludi, (4) D'Ancona — Sulle Neritine fossili (Bullettino Malac. It., Vol. II.) (?) Gapellini.— Suz terr. terz. Memorie d. Ac. d. Scienze di Bologna. pag. 602, 18. MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 157 e di saline, e di specchi d’ acque salmastre, contenenti faune ana- loghe ed anche identiche a quelle dei mari salmastri contempo- ranei d’altrove, non possiamo però concludere che questi mari si estendessero pure in Italia; ma quelle eran formazioni puramente litorali, mentre poi al largo continuava il mare come era stato per lo innanzi, e come fu dappoi. Abbiamo già fatto notare come, per equivoco, il Fuchs po- nesse questi strati gessosi ed a congerie, nel pliocene; e come invece essi debbano rientrare nel miocene; il Capellini era di quest’ultima opinione, ma poi ha ritenuto ch’essi appartengano al così detto mio-pliocene, nome introdotto parmi dal Mayer, e propriamente a parte dei piano Messiniano di questo geologo svizzero. Reputo che la geologia guadagnerebbe un tanto a non curare talune distinzioni de’ piani, fatte a tavolino, e fondate forse sopra ciò che si verifica in un luogo, buone tutt’ al più per questo ma non per altri. Già assai è la distinzione fra pliocene e miocene, che i tedeschi, giudicando forse un poco troppo a fretta da ciò che vedono in casa loro, volentieri abo- lirebbero; meno logica è la distinzione di un nuovo piano mio- pliocenico, così denominato, perchè segna un epoca di passaggio, che in ciò non ha nulla di particolare, tutti i terreni servendo di passaggio da uno all’altro. Nè più giuste, nella massima parte de’ casi, sono le suddivisioni minori tirate fuori originariamente in un senso, o strettamente locale, o metafisico, poi dal loro stesso autore accomodate e storte alle circostanze nuove, e dagli altri adoperate in significati sempre più o meno diversi; sicchè non sono atte se non a recare confusioni tanto più spiacevoli, in quanto che l'errore che vi conduce non è obiettivo ma subiet- tivo ed evitabile. D'altronde, mentre le distinzioni di miocene e di pliocene possono essere adatte per tutti i luoghi, non lo sono punto quelle p. es. di Messiniano, di Sarmatiano, ec.; nè vi sarebbe in ogni caso ragione di preferir queste, ad altre da più antico tempo già fatte dai geologi belgi, od inglesi. Il pliocene è distinto dal Seguenza in tre piani ('), Siciliano che è postpliocene, quindi non ne parlo, Astiano e Zancleano. In: origine, il Seguenza reputava che appunto la serie Zan- cleana segnasse un passaggio dal miocene al pliocene, e meri- (4) G. Seguenza — Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell’ Italia meridionale (Boll. R. Com. geol. 1874, 75, 76). 158. DE STEFANI tasse un posto più o meno distinto dall’un terreno e dall’ altro; più tardi, co’ suoi importanti studii, egli ha scoperto che la predetta serie rappresentava puramente un insieme di terreni, per lo più del pliocene inferiore, sedimentati entro mari molto profondi, nella zona, così detta, degli abissi. Per tal modo lo Zancleano rispondeva al piano Piacentino di Pareto, fondato pei terreni argillosi del pliocene stesso, sedimentati in una zona che non era nè quella degli abissi del così detto Zancleano, ne-quella litorale dell’Astiano, ma per massima parte, secondo le denominazioni odierne, coralligena e delle laminarie. In so- stanza, poco sù poco giù, nei nostri terreni pliocenici, escluso quindi il postpliocene, non vi ha posto per molte distinzioni; ed alla fine dei conti, i piani Astiano, Piacentino e Zancleano, sono quasi sinonimi fra loro, e rispondono a diversa natura di sedimenti, in senso orizzontale, in ragione della profondità de’ ma- ri, più che in senso verticale, in ragione del tempo. Credo che lo potrebbe provare, fra le altre cose, anche il fatto che nei quadri del Seguenza, il quale d'altronde mi pare il miglior cono- scitore di questi terreni, sono posti nel piano pliocenico inferiore alcuni terreni che stanno stratigraficamente sopra ad altri posti invece nel piano superiore. Ad ogni modo, questo piano Zancleano è strettamente pliocenico, deduzione che è uno dei risultati im- portanti delle fatiche del Seguenza, confermata dal Fuchs; ed il termine di Zancleano, per chi lo adopera oggi, ha già un si- gnificato diverso da quello che aveva una volta. Non di meno, il Mayer, sulla presupposizione manifestata dal Seguenza, che nel Messinese que’ terreni fossero intermedi fra il miocene ed il pliocene, ha introdotto il nuovo piano Messiniano, che se il punto di partenza fosse vero, sarebbe stato sinonimo di Zan- cleano. Ma il fondamento non stava, ed il piano Messiniano sarebbe rimasto un equivalente di più di qualche parte del pliocene, od una parola priva di significato, se non lo si fosse anche esteso ad altri terreni un poco più antichi dello Zan- cleano, e precisamente ai nostri terreni gessosi; che prima eran sempre stati considerati come schiettamente miocenici. Ad ogni modo, quella distinzione del piano Messiniano, frutto di un equivoco, è rimasta monca, ed i termini fondamentali di essa sono mutati affatto da quello che eran prima; si è perciò che mi pare non la si possa accettare, in nome di quelli stessi prin- MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 159 cipii che resolano la sinonimia nelle scienze naturali, e se vuolsi, in tutto lo scibile umano. Del resto, nemmeno per altri argomenti, sarebbe a considerarsi come un progresso nella di- stinzione de’ terreni terziarii, l’ introduzione della zona Messi- niana; perchè questa non corrisponde ad alcun cambiamento essenziale nelle faune, nei climi, e nella geografia; perchè invece di un piano di passaggio dal miocene al pliocene, ne avremmo due, dal miocene al Messiniano, e dal Messiniano al pliocene, e perchè la confusione aumenta ammettendo tre zone invece delle solite due. Levata dal Messiniano la formazione Zancleana che è pura- mente pliocenica, rimangono i gessi, esclusi dal pliocene, quindi puramente miocenici. Il nostro Pareto, già prima del Mayer, aveva appellato Tortoniani gli strati del miocene superiore del Tortonese, e secondo quello che ho detto, a questi strati quasi certamente rispondono i nostri strati gessosi, attribuiti poi a piacere al Messiniano, all’ Oeninghiano, al Sarmatiano. J tipi del Tortoniano, se questo nome dobbiamo ammettere, li abbiamo a prendere presso di noi nel Tortonese, e non negli strati di Neudorf e di Potzleinsdorf del Viennese, come vedo fare, della qual cosa non capisco davvero la ragione e la con- venienza; se ci piace battezzare per Tortoniano tipico un altro terreno fuori del Tortonese, che è lontano da noi, e che po- trebbe anche non esserlo, non facciamo se non introdurre una confusione di più oltre quelle altre che già esistono; ma pur troppo, quasi sempre è la scienza anche positiva una questione di erudizione, ed uno studio, non già di ciò che fece la natura, ma di ciò che all'uomo piacque attribuirle; e come diceva un illustre Professore, ci si riduce a dover imparare in una metà di ogni anno, ciò che poi nell’altra metà si deve apprendere a disimparare. Ma continuiamo la nostra via, ed esaminiamo per ultimo chè sia a dirsi dell’esistenza di un piano Sarmatiano presso di noi. Il Capellini ripone nel piano Sarmatiano gli strati gessosi inferiori della Castellina; ma fa questo, parmi, per manifestare la sua opinione sulla contemporaneità relativa, più che per affer- mare una assoluta rispondenza. Egli accennò di poi avere trovate sotto gli strati gessosi del Gabbro le marne ad Evita del Sarmatiano inferiore; ma attendiamo una particolareggiata de- scrizione di questi fatti prima di trarne delle conclusioni. 160 DE STEFANI Il Fuchs (') che fu il primo a parlare di un piano Sarma- tiano in Italia, ha pubblicata la scoperta di marne con specie di molluschi, che egli dice interamente rispondenti a quelle del Viennese, al Plemmirio ed ai Cappuccini presso Siracusa. Non conosco i luoghi citati dal Fuchs; però la semplice scoperta de’ fossili analoghi, ed anche a primo aspetto identici, non mi sembra possa confermare senz'altro la rispondenza assoluta di que’ terreni a’ Sarmatiani nè la esistenza di un piano Sarma- tiano in Italia. i Non avrei detto ciò intorno all'osservazione del Fuchs, se non avessi avuto qualche argomento il quale potrebbe offrire ma- teria a discussione. L' Hòrnes cita nel piano Sarmatiano del Viennese, fra le altre, le seguenti specie, che in generale vi sono molto diffuse, e che per lo più sono colà esclusive, quindi caratteristiche, di questo piano. Buccinum duplicatum, Sow., Bb. Vernewili, D'Orb., Cerithium disiunetum, Sow., C. pictum, Bast., C. rubiginosum. Eichw., C. nodoso-plicatum, Hoernes, Trochus Podolicus, Dub., T. pictus, Eich., T. quadristriatus, T. papilla, Eich., Goniochilus inflatus, Andrz., G. angulatus, Eich., Paludina elongata, Eichw., Solen subfragilis Eich., Mactra Podolica, Eich., Ervilia Podolica, Eich., Donax lucida, Eich., Tapes gregaria, Partsch, Cardium plicatum, Eich., C. obsoletum, Eich., Modiola marginata, Eich., M. Wolhynica, Eich.. (1) Th. Fuchs — (Boll. R. Com, geol., e Verh. d. K. K. Ak. d. Wissensch 1874). MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 161 Or bene, si potrebbe affermare che la massima parte di queste specie, od almeno semplici varietà di esse, si trovano nello stesso pliocene in Italia, e per lo più nella parte inferiore di esso, e che molte altre si trovano nel vero miocene. Il Cerithium disjunctum, Sow., è assai affine al C. tricinctum, Brocchi, proprio di tutti i varii piani del pliocene, e specialmente al Potamides etruscum, Mayer, che si trova negli strati salmastri del Senese, nei più recenti come nei più antichi. Il Cerithium pictum, Bast., si trova nel miocene, a Sogliano e nel Tortonese; è poi in strettissima parentela col C. bicinetum, Brocchi, che i paleontologi Italiani spesso confondono col C. tur- binatum, Brocchi, proprio anche di strati meno antichi, e che secondo gli esemplari da me veduti, si trova negli strati salma- stri nel pliocene inferiore del Piacentino, e di Rometta presso Messina. Il Cerithium rubiginosum, Eichw., è equivalente al C. pupiforme, De Stefani sp. n., degli strati salmastri più antichi del pliocene, nel Senese, in Pescaia. Il Cerithium nodoso-plicatum, Hòrnes, si ritrova tale quale negli stessi strati salmastri inferiori del pliocene nel Senese in Pescaia, dove pure fù citato e descritto come uguale alla specie Viennese dallo stesso Hòrnes. Il Buccinum duplicatun, Sowerby, lho ritenuto rispondente al B. duplicatum, (non B. Pauluccianum, D'Ancona nec B. baccatum Foresti), che trovai presso S. Miniato al Tedesco in Val d'Elsa, e che preferisce gli strati alquanto salmastrosi del pliocene in- feriore col Cerithium tricintum, e col C. spina, Partsch, sebbene si trovi anche, però più svariato, in alcuni strati superiori. La Mactra Podolica, Eichwald, è esattamente rappresentata dalla M. Pecchiolii, Lawley, che in sì straordinaria quantità forma gli strati inferiori del pliocene nella Val d’Ensi e nella Val d’Evola in istrati più o meno salmastrosi, accompagnata dalla piccola varietà del Cardiwm edule, L., e dall’ Ophicardelus (Me- lampus) Serresi, Tourn., insieme con altre specie marine, come Pectuncoli ed Ostree. Essa, salvo le dimensioni minori, sembra identica alla figura 7 dell’ Hérnes. L'Ervilia Podolica, Eichwald, si trova parimente presso di noi, con forma quasi identica, corrispondendovi la Ervilia Italica, De Stefani, sp. n., che ha la conchiglia meno rugosa esterna- 162 DE STEFANI mente e meno solida, quasi trasparente, essendo pure meno so- lido il cardine. Essa si trova nelle marne salmastre del Senese, in Pescaia, al Boggione e nel Riluogo, negli strati medii ed in- feriori del pliocene di colà, alternanti e sovrapposti a strati de- cisamente marini, e fra gli altri alle marne argillose a Natica propinqua, ed a Cytherea sulcataria, de° cui fossili ho dato sopra un elenco. Come ho accennato, il Fuchs indica questa stessa specie presso Siracusa, ed il Capellini al Gabbro. La Rissoa inflata, Andrzieziowski, è citata dall’ Hérnes a Modena. Io non conosco questa specie ne’ nostri terreni, per cui non posso dirne nulla; nel Senese è molta affine, ed inter- media fra questa e la Rissoa lachesis, Basterot, una specie in- dicata con quest’ ultimo nome, degli strati argillosi alquanto salmastrosi, con Buccinum Dujardini, Desh., già notati nelle parti inferiori del pliocene, e negli strati a Fusciolaria Pecchiohi, Sem- per, (F. Raynevali, Mayer) ed a Pollia Mayeri, Bellardi, ec. de- scritti già dal Mortillet, dell’antica stazione di Siena. i Queste varie specie, nel Viennese, quasi tutte sono caratte- ristische del piano. Sarmatiano, e quelle tutte si trovano per lo più nei nostri terreni pliocenici inferiori, talune: solo in alcuni luoghi assai limitati; ma per questo non si può dire davvero nè che ivi si trovi il piano Sarmatiano, nè che i nostri terreni rispondano ai Sarmatiani. Certamente questi nel Viennese, sono più antichi, perchè sottostanti al piano ad Hipparion di Belve- dere, mentre quelli, costà da noi, sono sovrastanti al piano ad Hipparion del Casino. Nè che sien sovrastanti a questo piano, e veramente pliocenici è a dubitarne, perchè oltre a tutto l’in- sieme delle conchiglie marine che diremo Mediterranee, le quali insieme con le altre alternano e si trovano confuse, ricorderemo che gli strati a Cerithium nodoso plicatum Hòr., e ad Ervilia Po- dolica, Eich. (sic), del Senese, sono sovrastanti alle marne più volte accennate a Natica propinqua, ed alle sabbie con Bos etruscus, e che gli strati con Buccinum duplicatum, Sow., e con Mactra podolica, Eich. (sic), di S. Miniato, sono sovrastanti, ed i primi anzi contemporanei agli strati ghiaiosi lignitiferi del Ponte a Elsa, donde fu estratto un dente di %inoceros etru- scus, Falc. . Questa analogia di forma fra gli strati Sarmatiani Viennesi e quelli italiani pliocenici, ed in qualche luogo, per es. dove li ha MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI "To osservati il Fuchs, forse anche miocenici, si spiega, e per la non grande distanza dell’epoca geologica giacchè i nostri terreni plioce- nici sono pur tanti analoghi a quelli miocenici marini più antichi del Sarmatiano nel Viennese, e per l'analogia delle circostanze di vita, giacchè appunto le specie Sarmatiane da noi si tro- vano esclusivamente nei sedimenti salmastri presso i litorali, lù dove le acque palustri avevano una rassomiglianza maggiore ed un grado di salinità rispondente a quello del mare Sarmatiano. Intanto si ha diritto di concludere da ciò che si è visto che conviene aspettare dell'altro, ed esaminare meglio le cose, prima di affermare che in Italia esista un vero piano Sarmatiano, 0 che a questo piano corrisponda uno strato de’ nostri piuttosto che un altro. Taluni de’ nostri terreni certo rispondono a quelli Sarmatiani Viennesi; ma probabilmente essi sono Tortoniani, e non esiste da noi un vero piano Sarmatiano. Prendendo le mosse da ciò che è più noto, ho derivate queste varie conclusioni intorno ai nostri terreni neogenici; ora prendendo ad esame i molluschi continentali che ho studiati, ed il cui insieme era ignoto fin qui, guarderò di tornare sulle conclusioni già fatte, e di estenderle, applicandovi i nuovi ar- gomenti che dallo studio di quei molluschi si possono derivare. I molluschi continentali, e con questo denominativo intendo quelli terrestri e quelli d’acqua dolce, notati sinora nei nostri sedimenti pliocenici lacustri, sono i seguenti: Dreissena plebeja, Dabois — Sieve, Anodonta Bronni, D'Ancona — Arno, Unio atavus, Partsch — Arno, Magra, U. Etruscus, D'Ancona — Arno, Pisidium priscum, Bichwald — Arno, Acicula Lunensis, D'Ancona -—- Magra, Helix Italica, De Stefani — Serchio, Hyalna intermedia, D'Ancona — Magra, Neritina Bronni, D'Ancona — Arno, Serchio, Valvata Bronni, D'Ancona — Arno, V. Anconae, De Stefani — Arno, V. piscinalis, Muller — Sieve, Nematurella ovata, Bronn — Arno 164 DE STEFANI N. oblonga, Bronn — Arno, Bythinia tentaculata, Lin. — Sieve, B. Bronni, D'Ancona — Arno, Vivipara ampullacea, Bronn — Arno, Melania curvicosta, Deshayes — Serchio. I molluschi continentali trovati spersi nei sedimenti pliocenici marini, e nei sedimenti palustri con quelli alternanti, sono indi- cati nel seguente elenco: Dreissena Sanensis, Mayer — Siena, D. plebeja, Dubois — Fauglia, Pisidium aequale, Neumayr — Spoleto. Unio atavus, Partsch — Fauglia, Sphaerium minutissimum, De Stefani — Siena, S. donaciforme, De Stefani — Siena, Ditypodon Suesti, Mayer — Villavernia, Cyclostoma praecurrens, De Stefani — Siena, Hyalina hiulca, Jan — Castellarquato, H. lucida, Drap. — Siena, Helix Brocchi, Mayer — Castellarquato, H. Italica, De Stefani — Val di Nievole, Val d'Era, H. obvoluta, Muller — Castellarquato, Planorbis complanatus, Lin., — Massa marittima, Limneus pereger, Miller — Castellarquato, L. fragilis, Lin., — Massa marittima, Ophicardelus pyramidalis, Sowerby — Legoli, Asti, O. Serresii, Tournouér — S. Miniato, Vinci, Meleto, Monte Spertoli, Lucardo, Colline Pisane, Sicilia. Alexia myosotis, Draparnaud — Lucardo, Cassidula myotis, Brocchi — Bologna, Colline Pisane, C. Bellardiana, De Stefani — Asti, Neritina Mutinensis, D'Ancona — Castellarquato, N. Hoernesana, Semper — Siena, N. Mayeri, Semper — Siena, Fino, N. Sena, Cantraine — Siena, Monte Foscoli, N. Pantanellit, De Stefani — Spoleto, Valvata piscinalis, Mùller — Spoleto, Ammnicola Torbariana, Brasina — Spoleto, MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 165 Emmericia Umbra, De Stefani — Spoleto, Siena, Neumayria Majoris, De Stefani — Spoleto, Hydrobia procera, Mayer, — Siena, Bythinia tentaculata, Lin., — Siena, Spoleto, B. Meneghiniana, De Stefani — Massa marittima, Melanopsis praemorsa, Linn. — Siena, Massa maritti- ma, Spoleto, Orciano, M. nodosa, Pecchioli — Orciano, Melania curvicosta, Deshayes— Siena, Monte Pellegrino, M. costellata, Lamarck — Sala. La diversità della situazione, e le diverse circostanze della vita, spiegano la diversità che sì trova tra le specie abitatrici dei laghi e le altre; nondimeno l’analogia, anzi l’ uguaglianza di alcune specie, concorre alla sua volta a mostrare l’ analogia e la contemporaneità dei sedimenti lacustri e marini. Le specie comuni sono per ora le seguenti, Drezssena plebeja, Unio atavus, Valvata piscinalis, Bythinia tentaculata Melania curvicosta, ed Helix Italica. Le specie tuttora viventi, considerati insieme i varii luoghi, sono le seguenti, Planorbis complanatus, Limneus pereger, L. fra- gilis, Alexia myosotis, Hyalina hulca, H. lucida, Helix obvoluta, Valvata piscinalis, Bythinia tentaculata, Melanopsis praemorsa. Queste vivono tutte ancora in Italia, ad eccezione dell’ul- tima, la quale abita quasi tutta la regione litorale mediterranea, in Dalmazia, in Grecia, ed in Spagna. La Bythinia tentaculata, è pure un tipo molto esteso nello spazio e nel tempo, però la forma dei nostri terreni palustri anche più antichi, è spesso un poco diversa da quella, uguale alla comunemente vivente, che si trova con la Valvata piscinalis nei sedimenti lacustri del Mugello. Queste Melanopsis, la Bythinia, e la Valvata, sono tipi molto diffusi oggidì, come lo erano anche nei terreni pliocenici, giacchè si trovano fossili in parecchi luoghi. Se però soltanto le specie mentovate si possono considerare come uguali alle viventi, le altre sono per lo meno analoghe e simili a talune di queste, ed appartenenti quasi esclusiva- mente a tipi europei, benchè non sempre italiani. Soltanto le specie seguenti rispondono in modo deciso a ta- lune estranee all’ Europa: Sc. Nat. Vol. II, fasc. 2.9 11 166 DE STEFANI Ditypodon Suesù, Ophicardelus pyramidalis, Cassidula myotis, C. Bellardiana, Nematurella ovata, N. oblonga, Melania curvicosta, M. costellata, Neritina Pantanelli. E notevole questo predominio quasi esclusivo di forme Europee e Mediterranee, mentre tra i molluschi fossili terrestri o d’acqua dolce della Slavonia, dell'Austria, e di altri terreni più antichi dei nostri, si trovano tante e tante specie, i cui analoghi non campano oggidì se non al Giappone, nell’ Asia orientale, e nel- l'America settentrionale. Anche questo avvicinarsi della fauna malacologica continentale pliocenica alla fauna vivente, mostra la relativa giovinezza della prima. È a notarsi pure che se tra i Gasteropodi ve ne sono varil ancora viventi, nulla di simile vi ha pei Lamellibranchi, al contrario di ciò che avviene pei molluschi marini. Ma veniamo ora a cercare in quali altri terreni sì trovino dei fossili corrispondenti od eguali ai nostri, si chè quelli si pos- sano dire più o meno contemporanei a questi. Nel Crag mammalifero d’ Inghilterra troviamo come nei no- stri terreni di Monte Massi e di Castellarquato, e non come nei terreni più antichi, moltissime specie eguali a quelle tuttora viventi, insieme con pochissime altre di tipo per lo più Europeo, ma estinte. I geologi Inglesi considerano il Crag Mammalifero come la parte superiore del pliocene, rispondente ai terreni Ita- liani, ed il Prestwich (') lo suddivide in due piani, l’inferiore o sabbia di Chillesford, il superiore, o sabbia di Westleton; in quello è il Mastodon Arvernensis e V Elephas meridionalis, con talune specie di molluschi marini di carattere nordico, e rientra bene nel pliocene; infatti molti lo considerano come unito al Crag rosso. Nella sabbia di Westleton si trovano specie plioceniche come l’Elephas meridionalis, V Ursus Arvernensis, il RWinoceros etruscus, (4) I. Prestwieh — On the structure of the Crag beds of Suffolk and Norfolk (Quarterly Journ. of the Geol. Soc. 1871, Vol. X, N. 106, 107, 108). MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 167 l Hippopotamus major, insieme con altre caratteristiche del post- pliocene. Molti spiegano questa mescolanza, ritenendola prodotta dal trovarsi riuniti resti derivati da terreni preesistenti più o meno antichi; ma senza ricorrere a ciò, che non è punto provato, come lo è pel Crag rosso, si può dubitare che quel terreno, ma- nifestando già i caratteri dell’epoca successiva alla pliocenica, possa essere considerato come postpliocenico inferiore, e come analogo ai terreni nostri di Vallebiaia e del Monte Mario. Nel Crag corallifero, che è il più antico dei terreni neogenici dell’Imghilterra, non sono stati trovati, ch'io sappia, molluschi continentali; ma pei molluschi marini, ed anche pei mammiferi trovati nelle ghiaie inferiori di esso, e che sono il Mastodon ar- vernensis ed il Cervus dicranioceros, comune, se è tale, con Ep- pelsheim più antico, quel terreno è pliocenico, e non forse del più profondo. I Mammiferi trovativi, prescindendo da quelli certa- mente derivati dalla Creta. di Londra eocenica, ben riconoscibili, appartenevano secondo alcuni all’orizzonte di Eppelsheim; ma il Falconer, molto autorevole in queste materie, riconobbe l’ana- logia, anzi l’eguaglianza di alcuni, p. e. del Mastodon Arvernensis e del Rhinoceros megarhinus, con quelli dei nostri terreni pliocenici. Nel Crag rosso, le specie di molluschi terrestri o d’ acqua dolce tuttora viventi sono in minor numero, e con queste tro- viamo fra le altre l’Ophicardelus pyramidalis, specie pliocenica abbastanza diffusa, comune coi nostri terreni. L° analogia fon- data sopra quest’unica specie, è del resto pienamente confermata dall’eguaglianza della fauna mammalogica, e dal parallelismo, se non sempre dall’ identità delle variazioni dei molluschi e degli altri animali marini. Con altri due o tre molluschi conti- nentali fossili si trova anche l’Ophicardelus pyramidalis nel Crag del sistema Scaldisiano di Anversa, che insieme col Crag rosso e col Crag corallifero d’ Inghilterra, viene generalmente rico- nosciuto parallelo al pliocene marino Italiano. Questa corrispon- denza ammessa giù da molto tempo riceverà, credo, nuova e maggiore conferma dagli studii comparativi del Capellini sui ce- tacei che si trovano in ambedue i terreni, tra i quali potremo noverare il Balaenotus insignis, Van Beneden, del Crag grigio d’Anversa e degli strati del Poggiarone presso Siena, che appar- tiene ad una delle zone meno recenti del nostro vero pliocene. Il Crag di Carenton in Normandia, ed il Crag della Loira 168 DE STEFANI inferiore, in Francia ('), uguali al Crag Scaldisiano dei Belgi, sono quindi pur essi pliocenici, e soltanto la diversità di molte specie che non sono nel nostro pliocene, talune delle quali bensì le ri- troviamo nel postpliocene, deriva dalla diversità dei mari già ben distinti e confinati, che porgevano abitazione a specie set- tentrionali nella Francia nordica, nel Belgio, in Olanda, e nel- l Inghilterra, conservando specie meridionali nella Francia me- ridionale, ed in Italia. Notiamo intanto di volo, che lo Scaldi- siano Belga, riferito dal Mayer al piano Astiano, risulta corri- spondente in gran parte ai nostri strati meno recenti del piiocene posti dal Mayer medesimo nel Messiniano, sicchè si chiarisce una volta di più la necessità di lasciare queste delimitazioni incerte ed apportatrici di confusione. 3 Il sistema Diestiano ed il Bolderiano de’ Belgi, sottostanti allo Scaldisiano, vengono dai geologi di colà riferiti talora al nostro pliocene, tal’ altra ai nostri terreni di Superga (°), ma la presenza dei varii fossili p. e. dell’Ancillaria absoleta, Brocchi, e la loro sottoposizione stratigrafica a terreni equivalenti ai nostri pliocenici più antichi, mi conducono ad escluderli dall’ epoca pliocenica, ed a considerarli come analoghi ai Tortoniani del- l’Italia settentrionale, coi quali hanno tanta analogia. Se talune delle specie di quel terreno si trovano soltanto nel nostro plio- cene, ciò deriva dall’aspetto delle zone geologiche settentrionali, le quali, considerate appetto ai tempi odierni, appariscono sempre, per quello che si sa, più recenti delle zone contemporanee me- ridionali: in altri termini deriva dal modo di origine delle specie, che forse, almeno da una certa epoca geologica in poi, prodotte a settentrione, solo più tardi si estesero e si estendono verso il mezzogiorno. 1 In Francia, nei dintorni di Montpellier, troviamo delle sab- bie marine ricoperte da strati lignitiferi. La fauna mammalogica delle sabbie ed anche delle ligniti, secondo il Gervais, è composta di specie o decisamente plioceniche, o nuove e non conosciute altrove. Le notizie concordi sui sedimenti dei dintorni di Montpel- lier date dai geologi francesi hanno tutti i caratteri della ve- rità, e paion tali da meritare fiducia, e da escludere confusioni (1) Caillaud — Carte géologique du département de la Loire inferiore, 1861. (*) Von Koenen — Uvber die parallelisurung des Norddentschen, Englischen und Franzosischen, Oligocin (1867, Zeit. d. deut. Geol. Gesellsch). MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 169 e combinazioni casuali di fossili di varie epoche in uno stesso sedimento. Il Major però sembra dubitare che vi sieno confusi terreni di epoca diversa, e si fonda sulla presenza, oltre a fos- sili che egli ritiene veramente pliocenici, di specie più antiche, cioè dell’ Hpparion, dell'Hyaenarctos, e di altri generi (1). Ma lasciando ogni questione relativa ai generi dal momento che le specie sono diverse da quelle di altri terreni, per sostenere la sua opinione egli accenna in passaggio, che il C. qustralis, Serr., può essere uguale al C. dicranocerus, Kaup, di Eppelsheim, più antico del pliocene; per affermare poi la presenza dell’ Hpparion, ad onta dei dinieghi del Gervais che dice non averne mai tro- vate tracce, cita alcuni periodi di Marcel de Serres e del De Christol, che studiando que’ terreni videro dei frammenti che potrebbero essere di un Hipparion. Mi sembra però che prima di dubitare dell’esattezza di quegli studii e dell’epoca di quei terreni, occorra dimostrare la vera esistenza di questo Hipparion, e la reale uguaglianza del Cervus australis, col C. dicranocerus che a Montpellier viene indicato chiaramente negli strati lignitiferi superiori alle sabbie marine, e che io dubito forte perciò abbia ad essere una specie diversa dall'altra. Del resto, giova il ricor- dare che lo stesso C. dicranocerus è citato anche negli strati più recenti del Crag pliocenico d'inghilterra. Questo ho voluto dire, per affermare che fino ad ora negli strati di Montpellier si ha, il diritto di notare, per quanto riguarda la fauna mammalogica, una esatta analogia coi nostri terreni pliocenici. La stessa conclu- sione si può dedurre dalla natura dei molluschi continentali nelle marne lacustri, studiati dal Paladhilhe (?). Infatti vi troviamo l’Ophicardelus Serresi Tournouér, e molte altre specie proprie dei nostri terreni pliocenici. Anche le poche conchiglie marine raccolte nelle sabbie affermano l'analogia. In somma non mi pare si debba ritenere, nè con il Tournouér che le marne palustri di Montpellier sieno più antiche delle marne palustri di Siena descritte dal Mortillet, nè col Capellini, che rispondano agli strati di Belvedere. Sono pure plioceniche, quindi non contemporanee agli strati a Congeria ed agli strati a Dinotherium, come riteneva il T'our- (4) G. Maior — Consid. sui mamm. plioc. e postplioc. ec. (?) Paladhile — Etude sur les coquilles fossiles contenues dans les marnes plioce- nes lacustres des environs de Montpellier (Rev. se. nat. d. Montpellier 1873, t. IL p. 38). 170 DE STEFANI nouér, le marne a Potamides di presso Visan, e le marne sab- biose marine sottostanti. Come pure tali sono gli strati marini sottostanti agli strati a Potamides di Vaquiérese di Saint Amand, per solito ritenuti più antichi; ed è notevole che delle poche specie citate colà dal Tournouér, quattro quinti almeno, rispon- dono alle specie da me notate più sopra nelle marne sabbiose sottostanti agli strati a Potanvides della Collina di Siena. Ecco i fossili comuni. Lithodomus lithophagus, L., Cypricardia coralliophaga, Gmel., A. tetragona, Poli, È Cardium papillosum, Poli, Venus ovata, Penn., Vermetus intortus, Lck., hissoina decussata, Mtg., Cerythium vulgatum, Brug., C. spina, Partsch, C. scabrum, Olivi, Sono contemporanei eziandio ai nostri i fossili delle marne di Hauterive nella Dròme, studiati dal. Michaud, e credo che moltissimi di quelli di colà, verranno poi ritrovati anche in Italia, mano mano che si perfezioneranno le ricerche. Intanto potremmo citare fra le specie comuni le seguenti. Bythinia tentaculata, Planorbis complanatus, Melanopsis praemorsa, e probabilmente 11 Craspedopoma conoidale, Michaud, e 1° Helix ruderoides, Michaud, che per quanto mi pare rispondono a certe specie del Senese non ancora però ben certe a cagione dell’im- perfetta conservazione. - Analogie ancora maggiori le ritroviamo con gli strati a Po- tamides di Thèziers, 1 quali rassomigliano grandemente, ed hanno varie specie identiche, specialmente cogli strati a Lotanvides del Senese. Fra le specie osservatevi, infatti, vi hanno comuni coi nostri terreni pliocenici, la Dreissena sub Basteroti, Tournouèr, MOLLUSCHI CONTINENTALI PLIOCENICI 171 che è la D. Sanensis, Vl Ophicardelus Serresi, VO. pyramidalis e la Cassidula Bellardiana, il Buccinum Basteroti, di Tournouér, è poi sinonimo del nostro £. dufo, Doderlein, specie e marina e sal- mastra, che insieme colla D. sanensis, si trova in tutti gli strati del Senese. Non vi ha dubbio perciò che gli strati salmastri di Thèzier sieno pliocenici. Stando al Fuchs, se veramente sì tratta degli stessi fossili da lui indicati, non si potrebbero distinguere dagli strati di Thèziers e dai nostri, i sedimenti di Kalamaki in Morea, con Dreissena Sanensis (D. sub-Basteroti), e Cardium edule L., la quale specie nei terreni salmastri del nostro pliocene subentra esclu- sivamente ai Cardium svariatissimi dei terreni salmastri più antichi. Sulla formazione di Kalamaki sospendo però ogni giu- dizio, perchè se è veramente pliocenica, come la presenza della D. Sanensis, se proprio è tale, ci darebbe diritto d’affermare, essa dovrebbe essere più recente degli strati di Pikermi, e non più antica come la ritiene il Fuchs, il quale del resto non pare po- tesse ben esaminare la reciproca disposizione degli strati. Gli strati di Kos e di Rodi, contenenti fra le altre specie la vera Melania curvicosta, Desh., e la Neritina callosa, Desh., 0 si- mile od identica alla nostra N. Sera, debbono invece porsi de- cisamente coi pliocenici. L’eguaglianza dei nostri terreni pliocenici marini con quelli di alcune isole della Dalmazia, e di Biot presso Marsiglia, è dedotta dai molluschi marini, sicchè qui non v'ha luogo a parlarne, ma solo a prender nota del fatto. Altri terreni i quali mostrano coi nostri la maggiore ana- logia, dedotta dalla natura dei molluschi continentali, sono quelli d’acqua dolce di Miocic, di Sinj, e di Ribaric in Dalmazia. Sono comuni coi terreni della Dalmazia la Nematurella ovata (N. Dalmatina Neum.), e l’Ammnicola Torbariana. Sono poi quasi semplici varietà di specie che in quelli si trovano la Emmericia Umbra affine alla £. canaliculata Brusina, una Stalioa del Senese simile alla S. prototypica Brus., e la Neritina Sena eguale o si- mile alla N. callosa. La posizione stratigrafica dei terreni pliocenici della Dalma- zia è pure corrispondente a quella degl’ Italiani, poichè essi ri- posano sopra agli strati a Paludine, la cui parte superiore nella Slavonia viene considerata dal Neumayr equivalente al piano 172 DE STEFANI di Belvedere, quindi al piano nostro del Casino, che è più antico di tutti i terreni pliocenici Italiani. Questi strati pliocenici della Dalmazia, contengono una fauna ricca di Melanopsis e di altre specie, i cui tipi in parte sono oggidì conservati nella stessa regione, e se pare che non molte forme sieno analoghe a quelle plioceniche nostre, ciò deriva dall'essere già le faune malacologiche rispettive ben confinate e distinte; anche oggidì la differenza tra i molluschi Italiani e quelli Dalmatini, è pari, se non maggiore, a quella che esisteva nei tempi pliocenici. Invece colla fauna pliocenica nostra, si è visto avere maggiore analogia, come l’ ha anche oggidì, la fauna delle regioni più settentrionali d’ Europa. Si può aggiungere, come ultima osservazione, che taluni mol- luschi fossili nel nostro pliocene, e cioè l’ Unio atavus e la Dreis- sena plebeja, si trovano anche nei terreni miocenici più antichi del Viennese, dove pure si osservano dei tipi Europei, di prefe- renza ai tipi Americani ed Asiatici che appaiono nelle stesse regioni in istrati miocenici più recenti, per poi scomparire di nuovo. Probabilmente queste specie rimasero in Italia sin da quando vi era comunicazione più o meno facile fra il nostro paese e la grande vallata del Danubio. Divenuta più difficile questa cumunicazione, ed estesa. la barriera che separava quegli antichi mari dai nostri, e che rinchiudeva colà il così detto mare Sarmatiano, forse dall’Oriente, di verso l’Asia e di verso l'America, lungo i lidi di quel mare, emigravano specie continentali Asiatiche ed americane, le quali, pelle barriere opposte, si estendevano più difficilmente nella regione nostra, dove erano rimasti i molluschi aborigeni che potremo dire Mediterranei. Gli studii ulteriori chiariranno senza dubbio tale questione. Ecco finalmente nella seguente tabella l’ ordine dei nostri terreni pliocenici e miocenici superiori, e di quelli che più si- curamente vi corrispondono. ‘09. ‘e070p x -—nuniad sn)ap nodo ‘svub —15U1 sN]OUID) -Dg U09 OUBISIP [BOS VWOISIS OISIOE “TPOY 1p V]OST, [OP TUTIBUI 1921 oa ‘DUNLQUO] 0]00 UU ‘DIWAO D72LNIVW -2A7 UO9‘RIZEUITE(] BI[Ep stsdoun]azz UO0 99[OP enboe po IgBIIS ‘0919 -BIIPY.[[{®P_eJosI ouno “T@ Ip IUNIBUI 198135 CI0SIM 9 VrIoysug-033sSny ‘99 SNIOSNAVT SOLIIOULYIT ‘828UIUSIAAT UOP0?SD]T ‘spoprunifid enpapavo 24do 00 SITOFION IP oTepi[euwuei SBIY) [Op oTontazur equed ‘pueg pioJse[lgo 9 ‘0SS01 SI) ‘OI9FI[[e109 SRI) ‘99 RIIZUB])LY euoZ CITOp BAT ] g[]op a ‘etpuewi - ION EI[Ap SUI) 0 ‘VOUVIIMOY “IPO BUOZ ETTop ‘q0rg 1p QUIIBUI QUIV] ‘UBZI\A Ip QUIIUUI AIqqRe “00 ‘Wuvp =D))IT P]NPLsSDI “894.198 ‘Q sumprunifid snjopinvo -4d0 ‘ofng unurvong ‘818 -UIUDS' VUISSVIMT U09 *99 ‘putury quIBS 1p ‘SIOIZIUI, Ip ‘sosombei Ip s2prwv07 07 8 19819 1009 “524099 snpap.vor dog “avrdoonusoa PISO) “DUNN VI0Yd18 IT ‘828UIULIALY UOPOISDT UO9 SUITE erqqes 0 “I9I] -T2dquON] tp LIgSMOE] 2|1IS1y ‘00 XNoMUTXO] IP ‘OAII99 -GeH IP 1IgSUIC] 1}BIYS ‘98 ‘90 ‘I[ogma] QUO] Ip ‘0uBuUSISOY Ip ‘09 -UBIgUOgq Ip ‘OIZeWITe( ‘S Ip campued © ‘BQIIIT Ip QIBOTRI 08999IJ ‘00 ‘ouRIO “98090 Ip ‘IT[0gSE9 FU] ip ‘omzeugeg “S_ Tp ‘198 -LIQpaT, BI90Y Ip ‘BII9I]OA 1p ‘OI9SBLIEg IP 218]0919uUA[ QIgo[eo ‘90 ‘ouonSLtog 1p ‘eporag Ip eLIguaTY ‘09 RZ -199S UI[Op ‘ITOquIeg equo Ip 0 19U9S 0II1e,p a LOIFI[OTO 13 eIQUO][SUON) ‘0ZUVIg], IP @[]T31V po eIqqus ‘TIRITRO ‘gnIssoni ‘eogI8», ‘uSO[ogq, ‘ezuooRIg ‘09enbae[[ag seg ‘GUOTS “IUIUOT ID 19R1IS TULICWI 1YUIIS CIIOVIUSUI BIOUCI.H TOIUSOOI]A TUOI1T993 TO0p oAIPeIeduro) OIPEn®) ‘7500 AUINI Drum] ‘msuouanid s18dou -Dj9NT ‘Dunipanppog “I ‘80 -ofiu nmmpissng “824498 *0 ‘spprunifid snpapunor do ‘110201/) CH DLQU] WII -QUUITT “DUDIIDQHO] D)02%U up ‘sauiofrdnd unrpp99 “uninId-080pou sIPLUOT ‘ofnqrunuoang ‘00mIg va 47 ‘ampo uniping ‘snanIm ou ‘vla99)d *q ‘ssuoung vu 880247 U09 ‘99 “BITIARI -TV Ip ‘0OUBUSILATT TP ‘E]OI -edrugo 1p ‘orenbae[.ogseo Tp ‘o[oA9IN IP _IBA EITSP “ESTA. IRA VITOP ‘eUSOEA Tp ‘#ueis Ip ‘ogorodg Ip QI1qes 0 0s0UIeu a[[ISTY IScI3SVwI[ES 1IeIIC CIIeII *0I80970.1NI DIU -)977 “0lag9)d vuds8 stag ‘snanmo 07 -Q ‘unosrd unipis -t] ‘03000 Mpa invi -2N7 U09 ‘orortadns OUT .IT®p ‘ PAPTG eI[Op ‘omqo1og [ep ‘BISEN Ip ‘Ogo] Ip ‘OUIPUBO) Ip [RA TINO] 1921IS » Quadro dei terreni miocenici superiori Italia Francia Austro-Ungheria ra Spagna Belgio ; Strati marini del piano Tor- Strati marini Tortoniani Strati a Paludina della Dal- Strati di- Pikermi in Strati di Alcoy. Sistema Diestiano, 5 toniano; Strati salmastri e la- | del paese di Vizan; Strati | mazia e della Slavonia; Strati | Grecia, Strati a Congeria con Ancillaria obsole- Sl custri con Melania semigranosa | marini e lacustri di Cucu- | a Congeria; Strati di Belve- | della Valachia e della Rus- ta ec. Mich., Melanopsis Maroccana | ron, con Hipparion gra- | dere, di Eppelsheim, ec. sia. Chemn., ec.; Strati a Dreis- | cile, ec. sena della Castellina, di Sas- soforte, Monte Bamboli, Marsi- liana, Monte Massi, ec. Strati gessosi, solfiferi e saliferi della Toscana, delle Romagne, di Si- cilia, ec.; Ligniti di Casino, di Monte Rufoli, di Monte Massi, di Monte Bamboli, della Ster- - za, con Hipparion gracile, ec. | (Continua). -DRGLA ERUZIONE COTANEA PER 1 DELL DEL BONICE DROCISSIONARI ED ALTRE CONSIDERAZIONI RIGUARDANTI GL'INSETTI E LE PIANTE ORTICANTI NOTA DEL DOTT. ANTONIO FEROCI Presentata nell’Adunanza del 2 luglio 1876. Senza entrare a discutere del valore della etiologia nella Medicina, senza esagerarne la importanza nella investigazione dei morbi; nessuno potrà negare che infinito numero di volte, la diagnosi di una malattia sì compie allorquando si è potuta avere la conoscenza esatta delle influenze modificatrici che agi- scono sopra l'organismo. Allorquando siasi acquistata quella nozione, in tal modo allora è dato pure di penetrare nel mi- stero che avvolge l’indole dei processi morbosi, per opera della medesima sviluppatisi; come non infrequentemente il criterio della causa ci ammaestra per mettere in azione rimedi, i quali trionfalmente riescono, amministrati che sieno. Allorquando le tradizioni della Scuola di Coo erano maggior- mente tenute in onore, la prima interrogazione del Medico fa- cevasi colla formula: unde venis? Infatti la conoscenza dei luoghi di provenienza, racchiude una serie non limitata di circostanze, che valgono ad ammaestrare intorno alle cagioni disponenti ed occasionali dei morbi. E taluna volta quella sola nozione serve a portar piena luce in una diagnosi, quasi impossibile o diffi- cilissima senza la medesima. Così il miasma palustre proprio di certe località, dando luogo a malattie proteiformi, se ne inten- dono male gli effetti, allorquando il Medico ignora la prove- nienza dell’ammalato. Quindi è incontrastabile la utilità delle 176 A. FEROCI indagini etiologiche per il discoprimento delle prime cause; in- tendendo bene che non voglio minimamente parlare di quelle ricerche oziose delle Scuole metafisiche, e che furono cagione di ritardo al progresso delle scienze; rimanendo semplicemente nel campo della natura; intendendo cioè parlare delle cause che si hanno nei mezzi circondanti l’uomo, e che possono da lui essere investigate. La utilità di una tale ricerca si comprende bene spesso dal Medico pratico; il quale allorchè giunge a conoscere quale sia stata la vera origine di un male, vedesi grandemente abbreviato il cammino, e reso più facile il compito del suo ministero. Un avvenimento semplice per se, dava luogo a tali riflessioni; e di questo intendo adesso render conto. Trattandosi di una eruzione cutanea comparsa in più individui, a tempi diversi, identica nella forma: poteva dar questa origine a congetture stra- nissime e a cure non giustificabili; i quali errori si evitavano per la conoscenza della causa, singolare in se stessa. Sebbene conosciuta fino dai tempi di Dioscoride, nullameno amo ricordarla con questo breve scritto. Fra gli insetti nocivi all'agricoltura vi sono i Bombici ani- maletti notturni, dell'ordine dei Lepidotteri, della famiglia dei Nematoceri. Molte specie se ne conoscono, come il Bombis pro- cessionea, Pythiocampa, Chryscorihea, Caja, Antiqua, Vinula, Mori; che il Linneo pone nel genere Phalaena. È troppo noto quanta sorgente di ricchezza sia l’ultimo; producendo nel finale periodo della sua metamorfosi quei fili serici, che tessuti forniscono le vesti di cui si ammantano le Giunoni e le Veneri delle caste sociali bene affette alla fortuna. E mentre potremo dire che dai pori di questi insetti colano fila dorate, che arricchiscono chi li possiede; altri Bombici vi sono, i quali senza pietà distruggono giovani e vecchie piante, erbacee e d’alto fusto, giungendo per- fino a devastare intieri boschi, producendo colla loro devastazione lo squallore e la miseria. Non è fola di romanzo, ma verità questa non impugnabile; e per non fare numerose citazioni ri- corderò solo le devastazioni della Bombicite Monaca capace « distruggere intiere foreste. Degna di ricordo è la distruzione ope- rata nel 1858 nella foresta di Rothebud. Im quell’anno la far- falla monaca, comparve in così grande quantità, che si avanzava come una massa di nuvole spinta dal vento di Sud. Essa invase ERUZIONE CUTANEA PER I PELI DEL BOMBICE PROCESSIONARIA 177 Pim, Betulle, Faggi, Abeti. 1 bruchi, senza far distinzione fra conifere ed alberi frondosi, arrecarono tal danno che si estese in pochi mesi a 16,354 jugeri, rimanendo disseccata tanta quan- tità di legno che approssimativamente si valutò a 264,240 tese. A tanto potè giungere la potenza veramente formidabile del » viribus unitis , anche quando le unità sono soltanto debolissimi animali, perseveranti in uno scopo ! Mentre quel piccolo insetto fu capace di tanta distruzione, altro pure dello stesso ordine ebbe potere di scacciare dal Bo- sco di Boulogne i Parigini; che nella calda stagione andavano a respirare un'aria più pura, e rinfrescata dai venti in quella località. Nell'anno 1565 alcuni viali non poterono più percor- rersi per cagione di un'insetto che vi avea fatto il suo nido, e che volea regnar da despota fra quelle piante; senza esser mo- lestato nei suoi lavori da quella folla numerosa, solita a farvi ressa per vedere e per esser veduta. I Parigini, presi dalla ma- nia d’aller aux hois, col mezzo di 1200 operai e 300 cavalli, crearono questo parco degno di stare nelle narrazioni delle mille e una notte; con torrente e lago artificiale, con colline, con cascate di acqua, con montagne fittizie dove furono trasportate querci annose e cedri secolari. Quivi adunque nell’anno indicato la Bombice Processionaria, fu cagione che le belle dei Saloni della, Chausée d’Antin, le Lionesse del Quartiere Breda, le peccatrici di una Società equivoca; tutta questa gente insomma che ama i comodi della vita, i piaceri e che ne sa profittare, si vide sbarrato il cammino; e dovette rinunziare alle passeggiate, alle refezioni imbandite sotto le querci, e ai balli. La Bombicite Processionea non è rara a trovarsi nelle nostre foreste, ove predilige la Quercze. Il bruco proviene in Maggio e Giugno dalle uova depositate nell'estate precedente in numero di 250 a 300 e più, e ha ricevuto l’adiettivo di processionario per la singolare abitudine di questo animaletto. Esso vive in società, i suoi membri filano in comune, tele talvolta di non lieve esten- sione; mentre giunto a crescenza ciascheduno fila il suo proprio bozzolo. Allorquando abbandonano il nido comune per andare alla ricerca del pasto, si mettono in via uno dietro l’altro, avanzan- dosi a modo di regolare processione (ed è questa la ragione dell’adiettivo che le vien dato); incominciando la marcia prima uno, poi due, poi tre ec.; aumentando un bruco a ciascuna linea, 178 A. FEROCI fino alla larghezza eguale dell'entrata del nido, sempre esatta- mente di fronte, e senza il più piccolo disordine. Raggiunto il loro maggior accrescimento e mossi dalla necessità di cambiarsi in crisalide; questi bruchi non si separano, come per la maggior parte sogliono fare gli altri bruchi che vivono in Società, ma sì ritirano tutti nella borsa che li ha ricoverati per l’ addietro, e ognuno vi tesse il proprio bozzolo disponendosi in linee pa- rallele. Il bruco ha il dorso largo, di un colore nero turchino, che misura in lunghezza da 2 a 3 centimetri, con verrucchette rosso gialle, le quali portano i ciuffi dei peli, che veduti al mi- croscopio presentano una punta bianca ramificata. Esaminando lo spaccato di una borsa esso rassomiglia molto un alveare di Api. Essendo le spoglie di questo animale ricoperte di sottilis- simi peli, questi riempiono il tessuto e rivestono l'interno della borsa. I peli cadono a terra scossi dal vento e si mischiano alle erbe che pascolano gli animali; come svolazzano per l’aria per la stessa cagione, dando luogo tanto in un caso che nell’altro a molestie non lievi, sia per gli animali, come per 1 uomo. Il Brehm dice che tanto questo come quelli, ingoiando di tali peli possono averne infiammazione delle muccose; aggiungendo lo scrittore mentovato, che trascurati tali casi ne può resultare la morte, ed il bestiame bovino può essere. preso da frenesia ('). Interrogati da me i principali cultori della Veterinaria, mi hanno assicurato non essersi fra noi osservati giammai serj inconve- nienti per quella cagione. Dicono essersi verificata qualche irri- tazione alle palpebre o alle labbra e nulla più, repatandosi dif- ficile che possa tutto quel male accadere, essendo lo epitelio dei ruminanti bastantemente capace per proteggerli. Però non sa- pendo come oppormi alle osservazioni del naturalista Tedesco, per spiegare la contraddizione, io penso che possano farsi due supposizioni. La prima, meno probabile, che non siasi fatta ab- bastanza attenzione intorno alla cagione indicata; spiegandosi i fatti per altra circostanza. La seconda, e forse la più vera; che la presenza di quegl’insetti non sia stata fra noi nè tanto fre- quente, nè così numerosi i nidi, da poter davvero riuscire di troppo danno agli animali come si osservò altrove. Se gli effetti dannosi nei Ruminanti possono lasciare un qualche (') Brehm. — La vita degli Animali. — Torino 1874, p. 371. ERUZIONE CUTANEA PER I PELI DEL BOMBICE PROCESSIONARIA 179 dubbio, la stessa cosa non può dirsi intorno a quelli osservati nell'uomo. I Romani conobbero i Bruchi orticanti e li chiamarono Erucae, nè sfuggirono quelle proprietà a Dioscoride, che diede il nome d’ Evrwpa (') ai medesimi. Ma non è concesso tener pa- rola sopra un tale argomento, senza ricordare il Reaumur; il quale accuratamente studiò gli effetti che producono sull’ uomo i peli della Processionaria, ne indicò i rimedi, e spinse le sue in- dagini fino a ricercare l'utilità che potrebbe ritrarre la Medicina dalle sue virtù orticanti. Sia che i peli della Processionaria ven- cano in contatto dell’uomo, volendo esaminare i nidi, amando distruggerli, e maneggiandoli per qualunque altro scopo; o che il vento li porti sul tegumento di chi meno vi pensava, in qua- lunque modo sia la cosa; tosto che i medesimi toccano la pelle vi originano subito una eruzione a papule rosse rilevate, aggrup- pate o distanti fra loro, accompagnate ad intenso prurito e a cociore molestissimo, analoghe a quelle che si osservano nella co- mune Orticaria. La eruzione, il prurito e il dolore cocente possono avere una estensione varia, come diversa può essere la loro du- rata. Ordinariamente le papule che al mattino sono rilevate, rosse e dolenti, sì appianano sulla sera e la molestia diminuisce. Però accade che mitigato il male da una parte, sorge in altra regione, continuando per cinque o sei giorni. Il riprodursi della eruzione non deve considerarsi come una espulsione che l’ organismo opera dal suo interno, secondochè erroneamente qualcheduno potrebbe credere; ma il Reaumur osserva che ciò deve spiegarsi, coll’essersi alcuni peli veramente impiantati nel tegumento, e ad avere per tal modo prodotta la eruzione; altri poi essere rimasti sempli- cemente orizzontali, e che in seguito per i movimenti raddriz- zandosi, vengono ad operare lo stesso effetto dei primi. Opina ancora che gli stessi peli che possono aver bucato, abbando- nando la ferita fatta, invece di cadere a terra, vadano a ferire la pelle in altre regioni. I fanciulli e le donne per la maggiore delicatezza del tegu- mento, sono più facilmente e più intensamente molestati degli uomini adulti; e in quelli può dar luogo perfino a un vero e proprio stato febbrile. Allorquando i peli vengano in contatto delle congiuntive, possono risvegliarvi flussioni assai vive; e il Naturalista Francese ne riportò una che gli durò da 4 a 5 giorni, (4) Dioscoride. — Lib. 2, cap. 60 180 A. FEROCI In questo anno la Bombice Processsionaria si è presentata anco nel nostro Giardino Botanico, ponendo il suo nido sulle Querci Montane e sul Cerro. Il Professore, due piccole bambine del medesimo, quattro uomini incaricati dei lavori manuali, alcune Signore, e altri bambini che vi andavano a diporto, eb- bero un saluto dal nuovo ospite. In tutti si verificò la eruzione a papule rosse, grandi quanto una lenticchia, accompagnate da prurito intensissimo e con dolore cocente. Per il medesimo, spe- cialmente i bambini, ebbero notte inquieta, e pressocchè insonne, accompagnata a lievissima febbre. La durata della eruzione, come in altri casi fu di quattro o cinque giorni; verificandosi il ce- dere della medesima da una per sorgere in altra regione. Non fu consultato verun Medico, e il male terminò senza che venis- sero adoperati grandi mezzi terapeutici, ma soltanto si usarono lozioni con acqua fredda e nulla più. Riconosciuta la cagione di un ‘tale avvenimento, vennero distrutti i nidi, adoperandosi le maggiori precauzioni, largamente ricoprendoli prima con acqua per impedire lo svolazzamento dei peli. Pare che tali cautele ab- biano raggiunto lo scopo, in quanto che non si ebbero nuovi tormentati da quelle pelurie capaci di tanta molestia. Non è la sola Processionaria, i cui peli ritengano la pro- prietà di produrre una irritazione al tegumento. Fra i bruchi che in Europa sono capaci di dar luogo agli stessi inconvenienti se ne conoscono varj, fra i quali è ricordata più particolar- mente la Liparis auriflua; che trovasi nei Boschi, nascondendosi sulla pagina inferiore delle foglie dei Pioppi e dei Salci a pre- ferenza. Questo Bruco aveva nel 1820 invaso i piccoli boschi nelle vicinanze di Montpellier distruggendone tutto il fogliame. Le persone che si occupavano del taglio dei medesimi, che ne facevano 1 fastelli, come quelli che li trasportavano furono mo- lestati da una eruzione orticante, della quale non si compren- deva sul primo la cagione. In appresso si ebbero le più chiare prove della medesima; essendosi anzi osservato, che mentre le mani erano in tutti colpite dalla eruzione; si verificava la stessa sul collo di quegli opranti, che avevano l’incarico di por- tare i fasci; che caricati sul dorso, sì appoggiavano sulla nuca non protetta da un sacco, o da un'altro mezzo qualunque. Il Van Beneden ricorda ancora il Bombix Quercus come capace di produrre lo stesso male; e dice anzi di essere stato punto al- ERUZIONE CUTANEA PER I PELI DEL BOMBICE PROCESSIONARIA 181 l’indice dai peli del medesimo; e che per quella puntura ne ri- sultò un gonfiore e un irritazione persistentissima, i cui sintomi somigliavano in qualche modo a quelli del reumatismo got- toso ('). Se l’orticazione prodotta da alcuni animali non è troppo frequente, nè tanto conosciuta; è il contrario per l’altra che . devesi alla puntura ‘di alcune piante. Non è mio intendimento parlare dei prodotti numerosi che fornisce il regno vegetabile, e capaci di arrecare la morte in dosi infinitesimali. È ben noto che i veleni più micidiali ci vengono forniti dalle piante; alcune delle quali per il loro aspetto, per le ricche fronde, per i fiori di variopinti colori, pei frutti sotto ogni rapporto bellissimi a vedersi, possono ingannare gl’incauti che venissero a cibarsene. Alcune piante hanno sughi acri dotati di potenza caustica violen- tissima, per cui rompendoli e rimanendo le parti bagnate col .liquido che scola si hanno erisipele, e vere infiammazioni dolo- rose. Dicesi pure che il Khus Toxicodendron, il Taxus baccata Senza verun contatto, siano perfino capaci di dar luogo a pruriti e ad eruzioni alla pelle. Presso che in egual modo opererebbe l’Allamanda cathartica, che in alcuni produce inevitabilmente eresipele del volto. L’acredine del sugo delle Euforbdiacee è noto universalmente, servendosene anche il volgo per distruggere quelle produzioni che si conoscono col nome di porri o verru- che. Vi è una pianta, la Excoecaria Agalloca, la quale è così denominata perchè contiene un liquido di tanta acrimonia, che schizzando nell'occhio, dicesi sia capace di dar luogo a vivis- sime infiammazioni, e perfino tanto intense e profonde da pro- durre la cecità. Dioscoride avea fatta già la osservazione che coloro i quali la maneggiano fresca, possono provare dell’irri- tazione sulle parti che sono state toccate dalla medesima (?). Eguali irritazioni sì hanno pure maneggiando la Ruta. Ultima- mente leggevasi in un Giornale Medico che il signor Puel ve- lendo raccogliere dei campioni di Auta, la notte seguente ebbe un molesto prurito alle mani, che si cuoprirono di macchie rosse. Il giorno appresso comparvero delle vescichette ripiene di un liquido trasparente, di preferenza aggruppate negli spazj interdigitali, con striscie di un rosso particolare, offrendo una (') Van Beneden= Zoologie Medicale, p. 357, T. A = Paris 1859. (*) Dioscoride — Lib. 3, cap. 45. Sc. Nat. Vol. TI, fasc. 2.0 12 182 A. FEROCI qualche analogia coi solchi determinati dall’ Acarus Scabiei. La eruzione però andò crescendo nei giorni successivi, riunendosi i gruppi delle vescichette e convertendosi in larghe flictene, come se la mano fosse stata assoggettata ad una vescicazione incom- pleta per le cantaridi. L’eruzione continuò .per dodici giorni, disseccandosi alfine e cadendo la epidermide a squamme ('). Nessuno ignora gli effetti prodotti dalle’ Orticacee, e special- mente dalla Urtica urens o minor. Presso di noi tali piante non sono così micidiali che altrove; sostenendosi da alcuni Natura- listi, che l’Urtica crenulata del Bengala dia luogo ad eruzioni e dolori vivissimi, capaci di durare qualche settimana. Egualmente a Timor cresce un Ortica, chiamata nel linguaggio del paese Daoun Setan, che vorrebbe dire foglie del diavolo, e capace di produrre una puntura sì terribile da tener malati per un anno, e che avrebbe in alcuni portato perfino la morte. Queste piante producono la loro puntura con delle prominenze aghiformi, che si trovano alle foglie e ai rami; per la quale puntura s’inocula un liquido la cui penetrazione nel derma genera quei sintomi dolorosi. Ho voluto ricordare gli effetti che resultano per le punture delle orticacee con quelli degli insetti rammentati sopra; per- chè sembra certo che la cagione dei medesimi sia identica per gli uni come per gli altri. Mentre quelle piante colle loro sot- tilissime prominenze arrecano gonfiori, arrossamento della pelle, prurito; è provato (almeno per l’ Urtica urens ec.) che i sintomi dolorosi sorgono per opera del medesimo principio acre, il quale troverebbesi tanto nei pungiglioni di quelle piante, come nei peli del Bombice. La Chimica nelle sue accurate indagini ci avrebbe resi certi, che il principio acre il quale sì contiene nei medesimi è l'acido formico; riconosciuto come il primo termine degli acidi grassi monovalenti e monobasici, la cui formula sa- rebbe C*. H?". 0?; e che si sa tenere essa all'alcool metilico, come l’acido acetico sta all'alcool etilico. Non era sfuggito ad alcuni osservatori delle meraviglie della natura, che le formiche rimanendo sopra dei fiori a colore az- zurro, valevano a cambiarlo in rosso. Fu G. Wray che, per il primo nel 1670, distillando le formiche ne ottenne un’ acido (5) Bouchardat — Annuaîre, de Therapeutig. Anno 1862, p. 64. ERUZIONE CUTANEA PER I PELI DEL BOMBICE PROCESSIONARIA 183 impuro, e lo credette identico all’acido acetico; cosa che con- fermò anche lo Hiern trenta anni appresso, Occupandosi in se- guito il Margrauff di tali ricerche riuscì ad ottenere l’acido for- mico quasi puro, e lo distinse dall’acetico. Dopo lui varj altri Chimici tolsero ogni dubbio sopra di ciò: e come fu assicurato che l’acido formico trovasi nell’ insetto, dal quale prende il no- me; in pari modo venne distinto dagli altri, e con esattezza ve- niva ad esserne definita la sua composizione. In appresso per opera dei cultori della Scienza Chimica si fece noto come quel principio acre si trovava anche in altri insetti, in altre piante, e perfino nei liquidi che fanno parte di quelli sesregati dall'uomo. Così il signor Will nel 1847 rinve- nivalo in moiti insetti, e specialmente nei peli del Bombice Pro- cesstonea, Gorup Besanez ne assicurò la presenza non tanto nelle ortiche, come pure nelle foglie fresche del Pino e dell’ Abete, nelle spine dell’ ultimo, nel succhio del Semprevivo, nel frutto della Saponaria e del Tamarindo. Come accennava già, questo acido non sarebbe estraneo al nostro organismo, essendo stato alcuna volta rinvenuto nelle orine, nel siero che infiltrava dei tessuti, nel sangue dopo avere ingerito abbondante sostanza zuccherina; e quello che è certo e costante si è la sua presenza nel sudore, costituendo anzi la parte più abbondante delle ma- terie volatili del medesimo. Potrebbesi ora domandare come agisca quell’acido; se deter- mini cioè speciali reazioni mischiandosi coi liquidi che trova nelle parti dove s’introduce, ossivero dia luogo a quelli effetti per la sola azione caustica che ritiene. Sembra però che senza ricercare virtù specifiche, e decomposizioni ipotetiche, per la sola attività irritativa del liquido versato nelle trame del tessuto demoideo, possano intendersi gli effetti che si osservano ('). Allorquando comparisce un male, è naturale desiderio del- l’uomo cercare i modi per impedirne il ritorno; e combatterlo quando era stato impossibile evitarlo: lo stesso è avvenuto per le orticazioni prodotte dalle piante o dagli animali. Siccome per ragione di studio, o per altra causa può ad un Naturalista, o ad altre persone venire il bisogno di staccare questi nidi, così alcuni hanno pensato che facendo tale operazione con le (') Devo per amor del vero render noto, come vi siano Scienziati che riten- zono l’azione dei peli del bombice, semplicemente di ragione meccanica. 184 A. FEROCE mani generosamente unte con olio d’uliva, o con grasso Suino sì evitava lo inconveniente sopra accennato. Però la esperienza ha dimostrato il contrario; chè se la operazione si prolunga, e molto è il maneggiamento, non vale quella materia untuosa a impedire la introduzione dei peli nella pelle. Quindi occorrerà sempre usare una certa prudenza, nè maneggiare inutilmente per lungo tempo oggetti così pericolosi. Allorquando però sì do- vesse fare il taglio degli alberi, e che non interessi conservare 1 nidi, allora è un buon mezzo di gettarvi sopra dell’acqua per mezzo di apparecchi speciali; rendendosi difficile in cotal modo, e impedendosi sicuramente lo svolazzare degl’incomodi peli. Allorquando la puntura sia avvenuta e sieno nati gl’inco- venienti, varj mezzi sono stati consigliati. Nei casi più miti è stato raccomandato di fregare le parti con le foglie dell’ Apsum petroselinum o prezzemolo comune; le quali valgono a mitigare l’incomodo cociore della regione irritata. Siccome la cagione è identica, così i mezzi adoperati per la puntura dell’Ortica urens, potranno adoperarsi anche per quella dei peli del bruco ricor- dato. Quando la gente del popolo si è bucata con l’ortica, cerca di umettare la parte con saliva, e difatti questo mezzo mitiga la sofferenza; e se le punture non sono molte vale a guarire del tutto. In tal caso l'istinto spinge ad applicare un rimedio, che studiato non può che essere approvato dalla Scienza, e imitato. Con queste punture noi possiamo avere un semplice stato di Eritema iperemico, e nei casi più gravi si procede al- l’altra forma di Eritema essudativo. Limitandosi il male o a una semplice congestione nei vasi capillari, o succedendo dei tra- sudamenti sotto l'epidermide; formandosi per tal modo papule, vescichette, bolle. Se l’irritazione viene prodotta da un’ acido nulla di meglio che l'applicazione della saliva, la cui reazione . è decisamente per una prevalenza dei principj alcalinj; dive- nendo acida accidentalmente per l’uso di certi alimenti, o quando l'organismo si trova ammalato come nel caso di diabete e di catarro gastrico. Per questo il Bulliard raccomanda di fare delle lavande con acqua che contenga del Cloruro Sodico, o anche con semplice saponata. Nel primo momento non avendo altro sarà sempre un buon mezzo, ma quando le cose possano farsi comodamente, potranno le lozioni eseguirsi con soluzioni allun- gate di Soda o potassa; che potranno prolungarsi e ripetersi ERUZIONE CUTANEA PER I PELI DEL BOMBICE PROCESSIONARIA 185 quando occorra. Se poi la eruzione si estendesse di molto, allora invece di limitarsi alle lavande, potranno consigliarsi dei bagni tepidi alcalini che riescono utilissimi. Quando però l’eritema fosse intenso e cominciassero degli essudati converrebbe adoperare i bagni con colla, o con decotto di semola, per applicare poscia alle parti offese dei calaplasmi emollienti se la irritazione fosse moltissima. Nelle forme più miti può bastare il tenere umettate le località con Glicerina puris- sima, o con olio di mandorle dolci. Tali mezzi sono più che suf- ficienti per mitigare le sofferenze ed abbreviare il corso della malattia; la quale se per circostanze speciali presentasse delle serie complicazioni, converrebbe allora adoperare i mezzi che venissero dalle medesime reclamate. Nell’ordine morale come nel fisico verificasi il fatto che da un male possa ritrarsene talora un bene, verità espressa dalla sentenza popolare: , che ogni male non vien sempre per nuocere ,. È l'antico mito della lancia d'Achille che feriva e aveva virtù di sanare le ferite prodotte. I Medici vedendo la molta irritazione determinata sulla pelle dalle ortiche, stimarono servirsene a scopo terapeutico; come intesero adoperare i peli del Bruco nelli stessi casi nei quali venivano adoperati i vescicanti. Ogni qualvolta si è trovato il bisogno di risvegliare il calore cutaneo, di eccitare la sensibilità, ed il moto, oltre i mezzi interni, si sono adoperati utilmente tutti quegli esterni argomenti, coi quali si sperava raggiungere l’intento indicato. Percuotendo, stimolando e in qualunque modo ravvivando l’attività degli organi dei sensi, si ottengano azioni eccitatrici dei centri, che risvegliati dal torpore danno luogo ad’azioni reflesse; per cui ne nascono effetti utili sia col riatti- vare la calorificazione, sia col rendere più validi i moti cardia- co-vascolari, e le contrazioni muscolari tanto delle esterne quanto delle interne parti del corpo. Quando l'organismo è affranto dai vizj o dal tempo che avanza inesorabile, e che la bellezza non ha virtù di scaldare le frigide midolle; cosicchè come canta il Poeta: « Tutte le vie, tutti li modi tenta, «Ma quel pigro rozzon non però salta, « Indarno il fren gli scuote e lo tormenta «E non può far che tenga la testa alta. — ». Ariosto CANT. 8.° 156 A. FEROCI allorquando il desiderio vorrebbe e le forze si ribellano, come oggi si raccomanda la Idroterapia, ai tempi di Petronio e di Farentino si facevano battiture con mazzi di ortiche al dorso, alle natiche e alle parti anteriori; avendosi grande fiducia in queste irritazioni esterne, ritenute come un mezzo valido per vincere la impotenza maschile. Nella più remota antichità l’ir- ritazione della pelle; per mezzo delle ortiche era raccomandata assai. Celso la vanta contro la paralisi e il coma ('), lo che viene pure fatto da Areteo (?) e da Galeno. La orticazione si è messa in opera nell’ apoplessia; nell’ insensibilità degli organi, specialmente della pelle; nei reumatismi cronici, nelle febbri ti- foidee, e nelle eruttive per favorire la espulsione, o per farla ritornare allorquando era improvvisamente disparsa. ll Dottore Spiritus ha indicato questo mezzo per richiamare con successo alle Donne le loro regole, applicando la orticazione all’interno delle coscie e delle gambe. Allorquando comparve il Choléra Morbus, osservandosi il grande difetto della temperatura, e l’ab- battimento delle forze, si ebbe in pensiero di applicare questo mezzo per combattere l’algore e il collasso. Se ne fecero elogi da alcuni, ed il Dottore Marchand ne parlò favorevolmente da- vanti l'Accademia di Medicina (1852.); ma altri membri di quella associazione non ebbero parole per sostenere la opinione dei Marchand; dichiarando invece la sua inefficacia. Però è indubitato non doversi confondere l'utilità di un mezzo contro un morbo, dall’utilità che può ritrarsene contro alcuni sintomi del medesimo. Il Cholèra è malattia gravissima, pestilenziale e contro la quale mancano medicamenti di azione certa per debellarla. In tal caso non resta che una cura indirettta, e fra i mezzi che possano valere a compierla, non è dispregiabile quello del quale si parla. La identità del principio che agisce nell’ortica e nel Bom- bice Processionaria, conducevami a far parola della orticazione; perchè anche dei nidi dell'insetto si è voluto farne un mezzo applicabile, come avveniva per le piante orticanti. Dioscoride dice che nella Spagna si adoperavano questi Bruci, per fare senapismi (*). Il Reaumur tenne opinione, che potesse usarsi (!) De Re Med. Lib. 3, cap.27. (2) Cuv. Amt. Lib. 1, cap. 2. (*) Dioscoride — Nascitur et Sylvestris Eruca, marime in Iberia quae occiden- tem spectat ac ipsius Semine loci illius incolae pro Sinapi ututur. ERUZIONE CUTANEA PER I PELI DEL BOMBICE PROCESSIONARIA 187 utilmente in alcune circostanze, la proprietà orticante delle Processionarie; e il Van Beneden e Gervais osservano giusta- mente che una tale eccitazione limitandosi alle parti. esterne, non avrebbe gl’inconvenienti temuti dalla Cantaride. Il Trousseau non ha sdegnato di parlare dell’azione orticante della Proces- sionea. Egli dice che i nidi conservati in un vaso ben chiuso conservano le loro proprietà più energiche per oltre dieci anni. Racconta come il Dottore Calmeil, Medico al Manicomio di Cha- renton, teneva presso di se da più di 10 anni un nido di questi insetti; e non era padrone di aprirlo senza che in breve tempo tanto il Medico, come le altre persone le quali si trovavano nella stanza, non provassero in breve tempo la eruzione caratteristi- ca. Il Trousseau vedendo effetti così immediati e costanti osserva che i medesimi pongono sulle tracce delle indicazioni terapeuti- che, che si potranno ottenere dall'uso di questo mezzo. In ge- nerale egli crede che sia da adoperarsi utilmente in quei casi nei quali urge richiamare una eruzione cutanea sparita per de- litescenza; ed allorquando in una malattia le forze sono concen- trate all’interno, e che il sangue ha abbandonato la periferia ('). Così il dotto Clinico Francese, applaudiva alla osservazione fatta dai Signori Gervais e Van Beneden; perlochè ogniqualvolta l’azione della Cantaride sarebbe temibile per coesistenza di flogosi endo- cardiche, o della vescica orinaria, o per altre ragione, e che bisognasse stimolare la pelle, e ottenere una azione più attiva nel circolo periferico, o che occorresse risvegliare la sensibilità intorpidita; il mezzo del quale parliamo potrebbe soddisfare alla indicazione, senza cozzare in quelli inconvenienti che si avrebbero adoperando i vessicanti. La Medicina non è scienza che trovi in se stessa i materiali per costruire il suo grande edifizio. Essa invece li acquista da tutte le altre, che studiano a risolvere il grande problema della natura del Cosmos; nè vi ha notizia per quanto umile sia, la quale non possa riuscire di una utilità grande, e di un vero pro- gresso per lei. La Chimica, la Fisica, la Botanica, la sperimen- tazione Fisiologica sugli animali; fornirono i migliori elementi per spiegare le più ardue questioni appartenenti alla Medicina. Oggi la Scienza è in via di progresso veramente meraviglioso. (4) Trousseau. — Trait. de Therapeutique. T. 1.° Paris 1862, 7. ediz. p. 524. 155 A. PFEROCI Da ogni parte si fanno scoperte le quali svelano fatti che prima rimanevano avvolti in un velo misterioso e reputato quasi im- penetrabile. Ma nelle ricerche della natura non bisogna chiuder gli occhi, e lasciar libero il freno alla immaginazione, troppo spesso generatrice di fole e di chimere. Conviehe anzi operare in una via diversa; lentamente osservando, sperimentando, e pro- cedendo alle induzioni con calma e pacatezza. Anzichè volare colla fantasia alla ricerca delle cagioni prime, fa d’uopo con- tentarsi umilmente di osservare quello che accade davanti a noi esaminarlo accuratamente, studiarne i cambiamenti, cogliere i mutamenti nelle loro fasi, vederne i rapporti. e quindi formu- lare quelle induzioni che logicamente possano essere indotte. Tale è il cammino che deve seguire il Medico, sia che intenda inve- sticare i morbi rispetto alle loro cagioni, nei loro processi mor- bosi, o quanto ai mezzi che valgono a vincerli. Le investiga- zioni devono precedere le leggi, le quali fanno loro fondamento nell'analisi di ogni cambiamento che avviene nell'uomo e di quanto lo circonda nell'universo. Anche il Baglivi sentenzia: che la Medicina non devesi costringere nelle angustie della nostra mente, ma da questa richiamarla nel campo aperto della na- tura ('). Nè la meschinità della ricerca, nè la piccolezza dell’ob- bietto devono arrestare il cultore; perchè anche in tal modo può recarsi un utile vero e contribuire al progresso Scientifico. Nelle Scienze e nelle Arti una fatica a primo aspetto di nessuna, im- portanza, diviene in seguito sorgente di molta utilità. Non a tutti è concesso di fare scoperte luminose; non tutti hanno po- tenza, tempo e mezzi per spingere lo sguardo in vasti orizzonti, e in abissi aperti solo a pochi privilegiati; ma a tutti è concesso di lavorare nei limiti delle proprie forze, portandovi la perse- veranza e l’amore del vero. Quando ogni Medico, convinto di ciò producesse anche poco, potrebbe sempre operar qualche cosa di bene, poichè come sentenziò i. L. Petit: , le moindres cho- ses quand il s' agit de la vie des hommes tirent a conse- quence (?). (*) Baglivi Opere. p. 55. (©) IL. Petit. Malad. Chirurgie: 13. p. 112 INTORNO AL PERODERMA CYLINDRICUM DEIR ER E SOPRA DUE SPECIE NUOVE DEL GENERE PHILICHTHYS NOTA DEL DOTT. S. RICHIARDI PROF. DI ZOOLOGIA BD ANATOMIA COMPARATA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA (Presentata all’ adunanza del 14 novembre 1875) IL Del Peroderma Cylindricum Heller. (Tavola VI, fig. 1, 2, 3.). Il genere Peroderma è stato creato nel 1865 dall’ Heller, sopra un Crostaceo parassita da lui trovato profondamente infitto nelle masse dei muscoli laterali di una Sardina del Mediterraneo, e l’unica specie che oggidì ancora comprende è la tipica, il P. cylindricum. L’ Heller ha studiato un poco incompletamente questo sin- golare parassita, e ci ha dato una descrizione inesatta dei det- tagli di quella parte del suo corpo che corrisponde alla testa ed alla regione toracica, perciò richiamo oggi sopra di esso l’attenzione dei zoologi, e colla presente nota, aggiungendo alla sua storia alcune notizie interessanti e correggendone altre poco esatte, introduco per necessità qualche modificazione nella diagnosi del genere. La descrizione dataci dall’Heller della forma generale del corpo di questo Crostaceo è assai buona: come egli dice, il corpo è allungato, quasi cilindrico, leggermente tumido verso la metà, (4) Heller Camil— Reise der Fregatte Novara um die Erde: Zoologischei Theil,: zweiter Band, INI Abth. — Crustaceen - S. 250, Tafel XXV, Fig. 6, 6.° DEI Se. Nat. Vol. II, fasc, 2.0 13 190 S. RICIIARDI un pocc più sottile alle due estremità, la superficie liscia, l’estre- mità anteriore rotondeggiante, la posteriore un poco incavata su due faccie, e sul limite del terzo anteriore porta un prolunga- mento in direzione orizzontale, sulla faccia posteriore del quale trovansi prima le appendici articolate costituenti l'apparato boccale, quindi i piedi; in seguito, nella descrizione dettagliata di queste parti, egli non ha avuto la fortuna di essere in tutto esatto, così sebbene asserisca che le parti che formano l'apparato boccale sono simili a quelle delle Pernelle, pure ciò che ne dice non corrisponde, non solo a quanto sappiamo intorno a queste, ma neppure alla vera forma e disposizione delle parti delle quali è dotato il parassita che ha studiato, e si è proposto d’illustrare. Secondo l’ Heller l’apparato boccale consterebbe di breve tubo conico contenente nell'interno due mandibole curve, ed un paio di robusti piedi-mascelle, che d’ordinario stanno ripie- gati all’indentro, e sono formati da due articoli, il primo grosso, lungo, il secondo terminale ungulato ed armato di un piccolo dente: lateralmente al tubo boccale esisterebbero due appendici che egli crede doversi forse ritenere per antenne, e delle quali non ha potuto constatare l’esistenza di un secondo paio, essendo l’unico esemplare del parassita, del quale disponeva, sul contorno ed al disopra della proboscide un poco danneggiato, inoltre sa- rebbe fornito di quattro paia di piedi, dei quali il primo ed il quarto rudimentali, di forme semplici come monconi bi-articolati, il secondo ed il terzo invece bene sviluppati, natatorii, quello bireme, questo unireme. Questo stesso parassita fu pure ultimamente studiato dal Prof. Cornalia il quale, non conoscendo il lavoro dell’ Heller, lo credette tuttora sconosciuto ai zoologi, e però ne fece an- ch’ esso un genere nuovo che denominò Taphrobia, distinguen- dolo, dall’ ospite, col nome specifico di 7. pilchardi: ma esso pure non ha fatto uno studio completo della regione cefalica dell’ animale, quindi ne diede una descrizione incompleta, e non ha potuto stabilirne le affinità, e collocarlo in modo conveniente nella serie dei Sifonostomi ('). (4) Gornalia Emilio — Sulla Taphrobia pilchardi nuovo genere di Crostacei parassiti, negli Atti della Società italiana di Scienze Naturali, vol. XVIII, fase. II, Pas sd97o tav VI: INTORNO AL PERODERMA CYLINDRICUM E DUE NUOVE SP. DI PAlrIicatays 191 L’imperfetta conoscenza che ebbero di questo Crostaceo, tanto l’ Heller quanto il Cornalia, dipende da due circostanze, la prima dal non avere essi seguito con cura il parassita nel cuniculo nel quale sta infitto, e scandagliati bene tutti i suoi rapporti, la seconda di non averne avuto, il primo certo e forse anche il secondo, a loro disposizione che un’ unico individuo, sul quale, dovendone rispettare l'integrità, non hanno potuto fare tutte quelle ricerche che avrebbero desiderato, e che furono fa- cili a me che disponevo di un gran numero di esemplari, non è quindi a meravigliarsi se, in condizioni così poco favorevoli, essi conobbero incompletamente questo animale e caddero in qualche errore. Realmente, come disse l’ Heller, la conformazione e la dispo- sizione delle appendici articolate della regione cefalo-toracica è pressochè identica a quella delle Pennelle, ed io aggiungo anche -a quella delle Lerneoneme, e mi meraviglio come egli conoscendo tanto bene le une e le altre, nella interpretazione si sia lasciato ingannare probabilmente dalla parziale sopraposizione e sposta- mento delle medesime, lo che sebbene possa rendere difficile il distinguerne tutti i dettagli, non deve essere di grande imba- razzo a chi, come lui, ha pratica dei Copepodi parassiti. Prima di descrivere le appendici articolate delle quali è for- nito questo parassita, e che in parte almeno erano già note al- l’Heller, debbo far conoscere esattamente la forma singolaris- sima della porzione terminale di quella specie di collo cilindrico il quale s'inserisce ad angolo retto sul terzo anteriore del suo corpo, e che è formato dalla unione della testa e del torace. L'Heller dice che questo prolungamento ha la forma di un cono, il Cornalia invece che è un peduncolo terminato da un bottone, che porta nel centro un’ apertura tondeggiante, colla quale l’animale sta aderente alla branchia donde trae il suo nutrimento, ed in cui trovansi due piccole mascelle coniche; questa parte del corpo del Peroderma non ha nè l'una nè l’altra delle sopra indicate forme, dopo l’esame del primo individuo, che raccolsi alla Spezia nel mese di settembre 1873, e che per due anni fu l’unico che avessi studiato, io pure ero dell’ opinione dell’ Heller, siccome per altro anche il mio esemplare era in questa parte, come il suo, alquanto danneggiato, non ostante che avessi usato le più diligenti cure nel toglierlo dal cuniculo 192 S. RICHIARDI nel quale stava fra i muscoli dell'ospite, cure che mi dovevano garantire della buona riuscita dell'operazione, così sospettai che qualche porzione impegnata fra le apofisi trasverse delle vertebre, a ridosso delle quali l'avevo trovato, fosse rotta e rimasta impegnata fra esse; desiderando assicurarmi del fatto andavo continuamente cercando nelle corbe delle Sardine, che in tanta copia capitano nella primavera e nell'autunno sui mer- cati di Pisa e di Livorno, qualche individuo col parassita, ma mai ebbi la fortuna di trovarne, finalmente durante il mio sog- giorno in Palermo, nel mese di settembre dell’anno passato, nella pescheria di detta città, per due giorni di seguito, furono por- tate diverse corbe di Sardine, delle quali circa il 2%» era attac- cato dal parassita, ne scelsi una cinquantina di individui, e con tale materiale ho potuto facilmente scoprire la vera forma del- l'estremità di questo prolungamento cefalo-toracico. Quella specie di collo cilindrico (fig. 2, m.), che si stacca ad angolo retto dal terzo anteriore del corpo del parassita, alla sua estremità si dilata in una pallottola irregolarmente sferica, e da essa sporgono, in numero variabile nei diversi individui, dei rigonfiamenti piriformi (fig. 2, n,#.), ciascuno dei quali per una estremità comunica colla agli di quella, mentre l’ opposta si allunga gradatamente in un sottile tubo che, dividendosi ben presto dicotomicamente, dà origine ad un certo numero di tubi secondari (10-18), il cui diametro è pressochè eguale a quello del primitivo, e tutti terminano in due o più (2-9) digitazioni leggermente tumide alla loro estremità (fig. 2, 0,0,0.), formando così tanti pennellini che riuniti costituiscono un'elegante fiocco; come dissi il numero delle ampolle è variabile, così pure lo è il numero dei tubi che hanno origine da esse, ed il fiocco che ne risulta è più o meno ricco: nella figura seconda ho rappresen- tato l'insieme più complicato delle ampolle che mi è occorso di esaminare. i Questi tubi hanno pareti sottili ma robuste, di tessuto chi- tinico, come tutto il resto dei tegumenti del parassita, la loro cavità comunica per mezzo delle ampolle con quella generale del corpo dell'animale, e da questa il liquido nutritizio può penetrare e circolare nel loro interno, desse terminano a fondo cieco, e non hanno alcun rapporto diretto di continuità coll’ apparato digerente, non servono all’assorbimento dei materiali nutritizi, INTORNO AL PERODERMA CYLINDRICUM E DUE NUOVE SP. DI PHILICATHYS 193 e quindi non possono riguardarsi come analoghe a quelle delle quali sono dotati i i Rizocefali, ma DIabiosto in Dar a quelle delle Pennelle, Lernaeolophus, detPegestnattas—spirod Lernea hemiramphi, pi. opus, di molte specie di Brachielle ; dello Strabax monstruosus, colla differenza che in diverse specie dei detti generi i tubi ovigeni, quando sono molto sviluppati e di- stesi dalla grande quantità di uova che contengono, penetrano pure nell'interno di tali appendici, mentre nel Peroderma ciò non avviene mai a qualunque grado di distensione sieno arrivati gli organi sessuali. Fra le suddette ampolle trovansi le appendici articolate delle quali è dotato l’animale, e si succedono nel seguente ordine: le antenne del primo paio, quelle del secondo, il tubo boccale, i piedi-mascelle, e quindi le tre paia di piedi natatorii. L’Heller non ha veduto e quindi non ha descritto la vera forma di quasi tutte le appendici articolate, le quali rassomi- glfano moltissimo a quelle delle Pennelle e delle Lerneoneme. Le antenne del primo paio (Fig. 3, 6.) sono tri-articolate, seti- gere, e piuttosto lunghe, l’ Heller solo in modo dubitativo le considera come tali e le descrive quali semplici appendici allun- gate; quelle del secondo paio hanno la forma di due robuste pinzette e sporgono oltre le prime (Fig. 3, a.), constano di un grosso articolo basilare sul cui margine anteriore esterno si ar- ticola un secondo pezzo uncinato, robusto, molto appuntato al- l'estremità, il quale è mobile contro uno sprone, leggermente curvo nella sua langhezza, formato da un prolungamento della porzione anteriore interna del primo articolo. Al posto occupato da questo paio di antenne I° Heller ha figurato e descritto una proboscide con un paio di mandibole nell'interno: nel suo esemplare probabilmente erano spostati ed in parte sovrapposti gli articoli esterni mobili, unguiformi, e quindi fu ingannato da una disposizione irregolare che rendeva incerti ed intricati i contorni delle diverse parti di queste ap- pendici. AI di dietro delle due paia di antenne trovasi un breve tubo conico (Fig. 3, c.), che è un vero organo di suzione in cui stanno due appendici estremamente esili, e che sono probabilmente le mandibole, ma così piccole che si riesce difficilmente a distin- guerne la forma, anche con forti ingrandimenti, confondendosi i 194 S. RICHIARDI loro dettagli coi contorni di pezzi chitinici che formano l’armatura dell'apparato boccale: lateralmente ad esse esistono pure due altre appendici, anche meno sviluppate che sembrano constare di due articoli, le quali probabilmente sono i palpi. Immediata- mente al didietro della proboscide trovasi un paio di piedi-ma- scelle (Fig. 3, d.), diretti trasversalmente, formati da tre articoli il primo robusto, cilindrico, il secondo più lungo e più sottile, un poco schiacciato, sì articola sul primo, all’ estremità opposta l'angolo interno si allunga in una piccola spina curva, rigida, molto acuta, e sull’esterno si muove il terzo articolo unguiforme, duro, molto appuntato, formando così un paio di piccole pin- zette rassomiglianti a quelle delle antenne del secondo paio. Io ho fatto le più persistenti ed accurate ricerche onde tro- vare il primo paio di arti, che l’Heller descrive colla forma di semplici monconi bi-articolati, ma non mi riescì di trovarne alcuna traccia, e siccome egli cadde in errore intorno alla con- formazione di quasi tutti gli organi della locomozione di questo parassita, così temo che anche riguardo a questi non sia stato più fortunato, ed abbia scambiato qualcuna delle ampolle piri- formi, rotta all'origine del rispettivo tubo, per arti rudimentali. Realmente il Peroderma cylindricum è fornito di tre sole paia di organi della locomozione, delle quali gli arti del primo e del secondo paio sono bi-remi, quelli del terzo uniremi. Immediatamente al davanti dell'armatura mediana d’arti- colazione dei due arti del primo paio esiste una placca chitinica di forme molto regolari ed eleganti, la quale rassomiglia alla così detta forcella dei Caligus, Lepeophtheirus, Elytrophora, Sy- nestius, Parapetalus, Euryphorus, Hermilius, ec. ec. ma rovesciata, colle due branche maggiori rivolte in avanti (Fig. 3, e.), la quale consta di una porzione posteriore che ha la forma di mezzaluna rivolta colla concavità indietro, ed una parte anteriore di due spine lunghe, divergenti all'apice, convergenti alla base per la quale si uniscono in un corpo unico colla porzione posteriore, io non conosco affatto l'ufficio di questa placca chitinica. Gli arti del primo paio sono bene sviluppati, natatori, bi- remi (Fig. 3 f.) e perfettamente eguali a quelli descritti dal- l’Heller come secondo paio, constano di un primo articolo grosso, cilindrico, breve, che si articola internamente con un’ ar- matura formata da due placche impari mediane, leggermente INTORNO AL PERODERMA CYLINDRICUM E DUE NUOVE SP. DI PHILICHATAYS 195 piegate nella loro lunghezza ad angolo aperto diretto in avanti, ed altre due applicate una per parte al disopra dell’ estremo esterno delle due. impari precedenti, di forme irregolarmente quadrilatere, e che, onde non complicare la figura, ho tralasciato di rappresentare: all’ estremità esterna dell’articolo basilare si articolano le due palette, ciascuna di due pezzi, dei quali il primo dotato di due setole, il terminale di sei piuttosto lunghe. Gli arti del secondo paio sono essi pure bi-remi e pressochè eguali a quelli del primo, però il primo articolo e più grosso, conico del corrispondente degli arti precedenti ed inoltre l’ ar- matura mediana è formata da una sola lamina chitinica, col margine posteriore retto e l'anteriore leggermente incavato (Fig. 3, g.): l'’Heller ha descritto questi arti come uniremi, forse perchè nel suo esemplare una delle palette era ripiegata sull’altra, o più probabilmente sul primo articolo. Dietro la lamina me- diana d'’articolazione ne esistono due altre cilindriche, molto lunghe, curve, in direzione longitudinale fronteggiantesi per la loro concavità, che furono pure vedute e figurate dall’ Heller. . Immediatamente dietro all’ estremità posteriore dei suddetti due bastoncelli chitinici l’ Heller figura gli arti del quarto paio, colla forma di due monconi bi-articolati, ne esistono difatti due altri, quelli del terzo, ma ad una distanza piuttosto ragguarde- vole dai precedenti, e ben diversi da quelli descritti da lui, giac- chè dessi pure rassomigliano a quelli del primo e secondo paio, dai quali differiscono solo per essere più piccoli ed uniremi, e “constano di un primo articolo cilindrico meno sviluppato del corrispondente degli altri arti e dotato all'estremità esterna di un solo remo bi-articolato, e munito di sei setole brevi e sottili, ed internamente articolato ad un pezzo mediano largo e robusto (Fig. 3, 4.) Nè l’Heller, nè il Cornalia hanno veduto il maschio di questa specie e ciò non deve fare maraviglia, avendone essi avuto solo uno 0 due esemplari, ma neppure io ho avuto la fortuna di sco- prirlo, sebbene ne abbia esaminato circa un’ ottantina, quindi la storia di questo Crostaceo è ancora incompleta, e nelle mede- sime condizioni di quella delle Lerneoneme, delle quali se ne conoscono diverse specie, e se ne sono occupati parecchi zoologi dell’antico e del nuovo continente. 196 S. RICHIARDI Questo parassita sta profondamente infitto nelle masse dei muscoli laterali della Clupea pilchardus attraverso alle quali si scava un cuniculo che arriva fino a ridosso della colonna ver- tebrale, alla quale aderisce fortemente mediante le appendici tubulari cefaliche, che, passando fra gli spazi delle apofisi late- rali di parecchie vertebre, giungono fino a sollevare il peritoneo, così la bocca rostriforme raggiunge i reni dai quali probabil- mente ricava i materiali di nutrizione: non ho mai trovato alcun individuo che sì fosse inoltrato fino sulle arcate branchiali, quelli che si erano spinti più in avanti non avevano oltrepassato i lobi anteriori terminali delle masse renali sotto la base del era- nio: entra nel corpo dell’ ospite ora dal lato destro, ora dal sinistro, con grande costanza all’ altezza del terzo inferiore, e pressa poco ad eguale distanza dalle pinne pettorali e dalle ventrali, di rado più indietro in corrispondenza di queste ultime: sta nascosto quasi interamente nel suo cuniculo, dal quale sporge solo l'estremità dell’ addome cogli esili fili ovigeri, lunghi tre volte più del corpo del parassita e contenenti ciascuno una semplice serie di uova piatte in forma di dischi. Sebbene I Heller abbia conosciuto in modo assai incompleto quasi tutte le appendici articolate di questo Crostaceo, pure, collocandolo nella famiglia delle Lernee dopo i generi Pennella, Peniculus, e Lerneonema, gli ha assegnato il suo vero posto nel- l'ordine dei Sifonostomi. Dopo il mio ritorno da Palermo ho continuato ancora per un'anno intero a cercare, qui in Pisa, fra le Sardine, che in tanta copia furono portate sul mercato, individui attaccati da questo parassita, ma non ebbi mai la fortuna di trovarne pur uno, finalmente nel mese di ottobre prossimo passato ne ho raccolti venticinque, ciò non ostante ritengo che questo paras- sita non debba considerarsi comune presso di noi, mentre è assai frequente in Sicilia dove, oltre gli individui che ho trovato a Palermo, ne ho raccolti altri tre a Catania, e cinque a Messina. Dopo quanto ho esposto è evidente che la diagnosi del genere Peroderma, quale fu proposta dall’ Heller,-è inesatta ed incom- pleta e deve essere modificata nei seguenti termini: INTORNO AL PERODERMA CYLINDRICUM E DUE NUOVE SP. DI PuuIceTArs 197 Gen. Peroderma Heller. Characteribus emendatis: Corpus elongatum, versus partem anteriorem processu laterali instructum, collum efformans, ad apicem caput globosum tubulis ra- mosis copiose praditum, infra cum ore rostriformi et pedibus abdo- mmalibus. Pedes abdominales primi et secundi paris bene evoluti, biremes, terti paris uniremes, remis bi-articulatis ciliatis. Fila ovi- gera longissima attenuata. DI SOPRA DUE SPECIE NUOVE DI PIULIOHTHYS. ll genere Philichthys dello Steenstrup era sempre stato rappresentato dall’unica specie tipica P%. «iphie che vive nei seni frontali dello Xiphias gladius, con una nota precedente ne ho fatto conoscere una seconda, il P%. scene, che sta nei così detti canali mucosi delle squame della regione mediana della pinna caudale della Scena umbra: continuando le mie ricerche trovai. altre sette specie nuove di questo genere, di due presento oggi la descrizione e delle altre cinque la darò più tardi, quando avrò raccolto qualche notizia che ancora mi manca. Risultati così fortunati, che ho ottenuto con ricerche limitate a poche specie di Pesci, dimostrano che i Philichthys sono molto comuni, e sono sicuro che questa famiglia di Sifonostomi parassiti, la quale fu una delle ultime introdotte nella classe dei Crostacei, sarà in breve fra le più ricche di specie. Plnlichthys edwardsi Nob. (Tav. VI, Fig. 4.). Il corpo di questo parassita è diviso in tre regioni, la testa unita ad altri due segmenti forma la prima, la seconda risulta dalla fusione di due, la terza consta di sei bene distinti gli uni dagli altri. 198 S. RICHIARDI Dalla parte anteriore della prima si prolungano anterior- mente due appendici cilindriche divergenti all'apice le quali for- mano una mezzaluna, alla loro base, sulla faccia inferiore del corpo dell’animale, si trovano le due antenne del primo paio, tri-articolate, setigere, e fra le loro inserzioni sulla linea mediana sporge una terza appendice pure cilindrica, ma breve, tanto da non oltrepassare il margine anteriore del corpo formato dalla riunione delle due laterali. Immediatamente dietro ad essa trovasi 1’ apparato boccale sotto forma di un breve tubo piccolissimo, nell'interno del quale esistono due mandibole semplici, bi-articolate, ed all’esterno i piedi-mascelle, pure molto esili ed uncinati all'estremità, poco più lunghi della bocca rostriforme, ed applicati strettamente contro ad essa; non ho trovato traccia di altre ADDENCIE) arti- colate, nè di organi della locomozione. La seconda porzione è ovoide, piuttosto allungata, porta sul terzo anteriore due brevi appendici cilindriche inarticolate, di- rette trasversalmente, le quali appartengono al primo dei due segmenti che concorrono a formarla, e più indietro un’ altro paio più grosse e più lunghe, dirette obliquamente all’ indietro, che appartengono al secondo. La terza regione consta di sei segmenti bene distinti: il primo di questi è di forma ovoide, ed il più grosso di tutti, il seguente è breve ma, piuttosto largo, e porta lateralmente due appendici cilindriche molto appuntate, e lunghe quanto quelle del paio precedente, ma più sottili e dirette trasversalmente. Questo è il segmento genitale, e sulla faccia dorsale, lateralmente alla re- gione mediana, presenta due aperture per le quali escono le uova, ed al cui contorno aderiscono i brevi condottini per i quali sono sospesi al corpo dell'animale i sacchi ovigeri; gli altri quattro segmenti vanno gradatamente diminuendo di grossezza, ma hanno tutti l'istessa lunghezza: l’ultimo è molto piccolo e sul suo mar- sine posterior-inferiore, trovasi una fessura longitudinale, che è l'apertura anale, e lateralmente ad essa s° articolano le due appendici caudali cilindriche, inarticolate e sprovviste di setole. I sacchi ovigeri sono brevi, cilindrici, le uova sferiche disposte nel loro interno in quattro o cinque serie, bianche nei primi momenti del loro sviluppo, giallo scure più tardi, quando inco- mincia ad essere distinto l’ embrione. INTORNO AL PERODERMA CYLINDRICUM E DUE NUOVE SP. DI PHILICHTHYS 199 Finora conosco solo la femmina di questa specie, non ostante le più accurate ricerche non mi riescì ancora trovare il maschio. Questo elegante Crostaceo vive nei seni mucosi frontali del Serranus cabrilla, ed è comunissimo, il °/o degli individui di questa specie di pesci ne è infestato. Dedico questa specie all’illustre zoologo francese E. Milne Edwards tanto benemerito degli studi carcinologici. Philichthys steenstrupi, Nob. (davo eMbia/io). Il corpo di questa specie è pure diviso in tre regioni, come quello del P%. edwardsi; la prima di forma sferica porta ante- riormente due appendici cilindriche, divergenti, di diametro presso a poco uniforme in tutta la loro lunghezza, ed all’ apice divise in due lobi eguali simulanti due ventose. Sulla faccia inferiore di questa regione, alla base delle dette appendici, trovansi le antenne del primo paio, ‘tri-articolate, se- tigere, ed all’interno della loro inserzione, sulla linea mediana, nasce un terzo prolungamento cilindrico, che va asssottiglian- dosi verso l’apice, e che sporge fra le due appendici laterali oltre il margine concavo formato dalla riunione delle loro basi. Dietro all’appendice impari mediana trovasi la bocca rostri- forme, con un paio di mandibole ed uno di piedi-mascelle rudi- mentali, queste sono le sole appendici articolate delle quali è fornito il parassita, mancando affatto ogni traccia di organi della locomozione. La seconda regione è nettamente divisa dalla prima da un solco piuttosto profondo, e va gradatamente ingrossandosi dal- l’avanti all'indietro, fino all’ origine delle appendici del secondo paio, le quali sono cilindriche, di diametro eguale in tutta la loro lunghezza, ed ottuse alla estremità, il resto di questa re- gione è grosso cordiforme, e verso la parte posteriore dotato di quelle del terzo paio, rassomiglianti alle precedenti del secondo ma un poco più brevi. La terza regione consta di sei segmenti bene distinti gli uni dagli altri; il primo è di forma ovoide piuttosto allungata, il secondo breve, ma grosso, sì estende lateralmente in due appen- 200 S. RICHIARDI — INTORNO AL PERODERMA EC. dici lunghe quanto le precedenti, ma più sottili ed appuntate all'estremità: questo è il segmento genitale e sulla sua faccia dorsale, lateralmente alla linea mediana, trovansi le due piccole aperture per le quali escono le uova e si raccolgono nei sacchi ovigeri; i tre segmenti che seguono sono di forma e lunghezza eguali, l’ultimo invece è breve e sulla sua faccia inferiore esiste una piccola fessura longitudinale, che è l'apertura anale, e la- teralmente ad essa s’attaccano le due appendici caudali. I sacchi ovigeri molto lunghi, oltrepassano l'estremità po- steriore del corpo del parassita, e stanno sospesi alle aperture genitali per due brevissimi condottini, le uova sono sferiche e raccolte in quattro o cinque serie nel loro interno, di colore bianco quando sono ancora immature, diventano giallo rossastre più tardi, appena incominciano a delinearsi nel loro interno le forme degli embrioni. Anche di questa specie di Philichthys finora conosco solo la femmina la quale è abbastanza comune nei seni frontali del Mullus surmuletus, e del Mullus barbatus, più frequente. però nel primo che nel secondo. Dedico questa specie all’illustre zoologo Danese j. Steenstrup al quale siamo debitori delle prime osservazioni intorno alla specie stipite di questa famiglia di singolarissimi Crostacei parassiti. TAVOLA VI. | SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fic. 1. — Il Peroderma cylindricum coll’ elegante e. ricco fiocco dei tubi cefalici; ingr. 3/,- » 2. — La regione cefalica globosa (veduta dalla faccia posteriore) coi diverticoli od ampolle piriformi, ed uno dei fiocchi di tubi proveniente dalla scomposizione di un tubo primitivo: i, sezione trasversale del corpo del parassita: w, collo ci- lindrico: ,w, ampolle rappresentate coi tubi primitivi ‘troncati alla loro origine: 0,0,0, digitazioni tumide termi- è nali dei tubi secondari e terziari; ingr. 7/,. » 3. — Appendici articolate del parassita: 0, antenne del primo paio: a, antenne del secondo paio: c, bocca rostriforme: d, piedi- mascelle: e, placca chitinica: f, arti biremi del primo paio: g, arti biremi del secondo paio: 4, arti uniremi del terzo palo, morso » 4. — Philichthys edwardsi; ingr. 21). n D. — Philichthys steenstrupi; ingr. 3!],. ERRATA i CORRIGHNADI ‘Pagina 100, linea 3, possibile. | possibile. _» 29, pasassita | parassita. UM Ssingradite Ne sine ingrandito. — 17, articali articoli. © 8, blastadermica 0 3 blastodermica. — i 13, propendesse più per la prima —propendesse più per la se cefalatorace 0/0 È | cefalo-torace. N inguiculate | \ (i -— unguiculate, carat- dI caratteri. | DI RELAZIONE SULLO STATO DELLA SOCIETÀ DALLA SUA FONDAZIONE AL 19 NOVEMBRE 1876. LETTA DAL SEGRETARIO PROF. ANTONIO D’'ACHIARDI NELLA SEDUTA DEL Di 19 NOVEMBRE 1876. nica Signoti Già è volto a termine il terzo anno di vita per la nostra Società; e oggi che la si può dire non solo solidamente costituita, ma prospera e utile a tutti che professano e prediligono lo studio delle scienze naturali; oggi ne è parso fosse il momento più oppor- tuno per riandare insieme celermente il cammino percorso, per rendervi conto dello stato morale ed economico della Società. E se ciò non abbiam fatto fin ora, come in seguito converrà fare alla fine di ciascun anno, ne va appunto cercata la cagione nel- l'essere stata fin’ ora questa nostra Società nella sua fase d'in- fanzia specialmente rispetto alle relazioni con le Società sorelle d’Italia e di fuori, relazioni che formano uno dei principali scopi, che fino da principio ci eravamo proposti di raggiungere. Costituitasi nella primavera del 1874 per opera di privati cittadini, per il solo concorso di questi si mantiene tuttora. Gra- datamente ne è andato aumentando il numero dei soci, che oggi sono 93; e se pochi al paragone di molte società congeneri, non paiono più tali quando si guardi ad altre, specialmente di Ger- mania e di Svizzera, che pur godono antica e meritata reputa- zione. E noi siamo al principio dell’opra e ne conforta l’amore con cui accompagnate lo svolgersi di questa associazione, onde giova sperare in un migliore avvenire. Già 13 adunanze ordinarie ha tenuto la Società fino ad oggi, e la nota che qui vi trascrivo delle più importanti comunica- zioni ben prova che del lavoro si è fatto e che mal non si ap- ponevano i soci fondatori nel giudicare della pratica utilità di questa palestra di studj, cui dobbiamo rivolgere tutte le nostre cure per mantenerne alto il decoro. Se. Nat. Vol. II, fase. 2,° 14 206 F. STAGI. A. D'AcHIARDI. C. De Srerani. 2) A. D'AcgiarpI. ” C. De STEFANI. >) G. MENEGHINI. G. PERUZZI. G. MENEGHINI. C. De STEFANI. A. D’ ACHIARDI Chimica. Ricerche chimiche sui calcari dei Monti Pisani. Mineralogia. Sulla Natrolite (var. Savite) e Analcima di Pomaja. Sulla Cordierite nel Granito normale dell’ Elba e sulle correlazioni delle rocce granitiche con le trachitiche. bu di alcuni minerali della Toscana (Guadalca- zarite, Pirrotina ec.). Geologia. I terreni subapennini dei dintorni di S. Miniato al Tedesco. Natura geologica delle colline della Val di Nie- vole e delle valli di Lucca e di Bientina. Sulla Geologia del Bagno d’Acqui o di Casciana. Sulle Serpentine di S. Vivaldo e sulla conver- sione di una roccia argillosa in Serpentino. Considerazioni sulla Geologia dell’ Alta Valle di Serchio. Abbozzo di carta geologica delle Alpi Apuane. Considerazioni sui terreni lignitiferi del Poder Nuovo. Racconto di un’ escursione fatta sul Monte Pisano. Considerazioni sulle argille scagliose, sulla pietra- forte, sul macigno e sulle altre rocce apenniniche. Brevi parole sopra alcune escursioni in Tunisia, Corsica e varie parti della Toscana. Considerazioni sul pliocene toscano. Paleontologia. C. Forsrra Masor. Considerazioni sulla fauna dei Mammiferi plio- cenici e post-pliocenici della Toscana. RESOCONTO DELLA SOCIETÀ 207 R. Lawcey. Dei resti di pesci fossili del pliocene toscano. A. D’Acararpi. Coralli eocenici del Friuli. C. De SteFANI. Conchiglie terrestri fossili della terra rossa delle cave di pietra calcare di Agnano. G. MENEGHINI. Nuove specie di Phylloceras e di Lythoceras del Lias superiore d'’ Italia. I crinodi terziari. » R. Lawcer. Alcune osservazioni sul genere Sphaerodus, A gas. G. Manzoni. Le conchiglie morte ed i briozoi della spiaggia del Lido presso Venezia. G. PeruzzI. Descrizione di alcune filliti delle ligniti del Casino. G. MenecHmi. Sulle Orbitoliti. C. ForsvrH Mayor. Scimmie fossili dell’Italia. G. MENEGHINI. Sulle Nullipore. R. Lawcey. Su di alcuni resti di pesci fossili rinvenuti a Orciano e Volterra. C. DE STEFANI. Fossili del calcare ceroide liassico inferiore del Monte Pisano. A. D'Acgrarpi. Coralli giurassici del Friuli, del Vicentino, del Veronese e di Nizza. C. Forsyra Mayor. Cavalli fossili italiani. G. Borwnemanw. Sulla /Jaraea Monti, Megh. G. Meneenni e G. Bornemanx. Sulla struttura degli Aptici. Botanica. G. ARCANGELT. Sulla teoria algolichenica. Mori. Sulla irritabilità delle foglie dell’ A/dovrandia vesiculosa. G. GentiLuomo. —Considerazioni sull’Iaborandi. Mori. Osservazioni sulle Crassulacee. T. CarUEL, Considerazioni sopra alcune piante (Kwiphofia aloides, Sanchetia nobilis e Vasconcellosia hastata). Zoologia e Anatomia comparata. S. RICHIARDI. Sulle variazioni individuali delia £Lal/@noptera musculus. 208 BARALDI. S. RICHIARDI. ” » BARALDI. S. RICHIARDI. b2) BARALDI. A. D' ACHIARDI Stato particolare di una ninfa di Acaride (Hypo- dectes Carpophagae, Agas.). Crostacei parassiti di alcuni pesci. Sulle Sacculine. Crostacei parassiti del genere Lerneonema: Dell’osso malare o zigomatico. Pennatulidi del Mar Toscano. Plessi vascolari venosi degli Uccelli. Omologia fra gli organi accessorj della respi- razione dei pesci e gli organi accessor) del- l'udito nelle altre classi dei vertebrati. Sopra un crostaceo appartenente alle Lernee, parassita della comune Sardina. o Nuovo crostaceo parassita rinvenuto nel mare di Palermo. Sulla Bombix processionaria. S. RICHIARDI. N FEROCI. Di tutte queste comunicazioni. appartengono: 1 alla Chimica applicata alla Geologia; > alla Mineralogia; 11 alla Geologia; 18 alla Paleontologia; 5 alla Botanica; 12 alla Zoologia e Anatomia comparata. In tutte ben 50 comunicazioni e in tutti i rami delle Scienze Naturali, senza contarne altre minori, che pur vengono ricor- date nei processi verbali. Molti di questi lavori già videro la luce nei nostri atti o la vedranno fra breve; soltanto pochi furono pubblicati altrove 0 non consegnati per la stampa dai loro autori. Degli atti già avete ricevuto completo il 1.° volume diviso in tre parti, e avanti che l’anno finisca spero che riceverete: anche il fascicolo, che termina e completa il 2.° volume. Nè ciò vi paja poco quando pensiate che 24 tavole accompagnano le memorie ivi comprese ea quanto per esse occorra di spesa, tempo e lavoro. Del 3.° vo- lume si è posto mano alla prima parte e se la nostra volontà sia secondata dal vostro zelo nel comunicarci sollecitamente i manoscritti, giova sperare che non si chiuderà il nuovo anno senza che ne sia posto termine alla stampa. RESOCONTO DELLA SOCIETÀ 209 E basti degli Atti, che ormai è tempo di rendervi conto delle relazioni e dei cambi, che abbiamo stretto e praticato con Isti- tuti scientifici e Società alla nostra congeneri; lieto di potervi assicurare fino d'ora, che i voti che insieme facevamo di veder bene accolte in Italia e fuori le nostre pubblicazioni e d’ averne ricambio di sapienti volumi a sussidio dei nostri studj furono pienamente esauditi. Ben 100 di queste Società o Istituti corrisposero all’ uva accettando il cambio delle pubblicazioni e più che il numero ne lusinga la qualità loro e la fama che godono da lungo tempo, essendo fra i primi d’ Europa e d’oltre mare. A conferma di ciò basti gettare uno sguardo sulla nota che ve ne presento. Nota degli Islituli e Società che cambiano le loro pubblicazioni con le nostre, Impero Austriaco. Esewsra (Moravia) — Naturforschender Verein. Verhandlungen, BA. 12, 13, 1879-74. Gratz (Stiria) — Naturwissenschaftlicher Verein fur Steiermark. Mitthedun- gen 1ST4. Hermammstadt (Transilvania) — Siebenbirgischer Verein fur Naturwissen- schaften. Verhandiungen, Bd. 26, 1876. Pest (Ungheria) — Kòn. Ungarischen geologischen Anstalt. Mittheslungen. Bd. 4 Heft. 1-2. Wiem (Austria) — K. Akademie der Wissenschaften. Sizung-Bericht Bd. 71, Heft. 1-6. » Zoologische-botanische Gesellschaft. VerRhandlungen. Bd. 25, 1875. » K. K. geologische Reichsanstalt. Verhandlungen 1875. N. 1-18; 1876 1-12. » Id. Jahrbuch. Bd. 24. Heft. 1-4; Bd. 25. Heft. 1-9; Bd. 26. Heft. 1. A sia. Calcutta (Bengala) — Asiatie Society of Bengal. Proceedings. 1875 N. 1-10. » » Journal. N. ser. vol. 14, N. 195-204, 1875. Belgio. Bruxelles — Socicté entomologique de Belgique. Compte-rendu. Ser. 2, N. 21 )7 fa 27. 1570. 210 A. D' ACHIARDI Bruxelles — Académie royale des Sciences, des Lettres et des Beaux Arts. Bulletin Ser. 2. t. 38, 39, 40 4874-75. » Id. Annuaire. 1875 e 1876. Liège — Société géologique de Belgique. Annales vol. 1. 1874. Danimarca. Copenhague — Kongelige Danske Videnskabernes Selskab. Forhandlinger. 1874 COASTOTENAEIE Francia. Amiens — Société linnéenne du Nord de la France. Bulletin fase. 43-48. Bordeaux — Société de Sciences physignes et naturelles. Memoires Ser. 2. t. 1, p- 1-2. » Extraits des proces-verbaux des seances. 1875-76. Caém — Académie des Sciences (1). Cherbourg — Société des Sciences Naturelles. Lyon — Museum -d’ Histoire Naturelle — Archives. Namney — Société des Sciences. Bulletin. Ser. 2. vol. 1. fasc. 3. 1875. vol. 2. fase. 4. Paris — Société géologique de France. Bulletin. vol. 4. N. 1-5. 1876. Toulouse — Société d’ Histoire Naturelle. BuMetin. vol. 9. fase. 1-3, 1874-75; vol. 10. fasc. 2, 1875-76. Grermania. Augsburg — Naturhistoriscbes Verein. Bericht. Bd. 21-23. 1871-75. Bamberg (Baviera) — Naturforschende Gesellschaft. Bericht. 1874-74. Berlin (Prussia) — Kòniglich preussische Akademie der Wissenschaften. Monatsbe- richt. 1875. Heft. 1-12. 1876. Heft. 1-4. » Deutsche geologische Gesellschaft. Zeitschrift. » Botanischer Verein der Provinz Brandenburg. Verhandlungen Jahr. 1875 e Heft. 1-3 1876. Bonn (Prussia) — Naturhistorischer Verein der Preussischen Rheinlande und Westphalens. Verhadlungen. Bd. 2-3. 1874-75. Breslauw (Slesia) — Schlesische Gesellschaft fur Vaterlàndische Cultur. Jahresbe- richi. Jah. 1874-75. » Abhandlungen.. i Chemnitz (Sassonia) — Natarwissenschaftliche Ges:llschaft, Bericht Bd. 4-5. 1859-74. Danzig (Prussia) — Naturforschende Gesellschaft. Schriften. Bd. 3. Heft. 4. 1875. Darmstadt — Verein fur Erdkunde und Verwandte Wissenschaften und Mittel- rheinischer geolog. Verein. Notizblatt. Ser. 3. Heft. 14. Dresden (Sassonia) — K. Leopoldino — Carolinische deut. Akademie der Natur- forscher — Leopoldina — vol. 9-11. 1873-75. » Naturwissenschaftliche Gesellschaft — Isis. — Sttzungs Berichte 1875-1876. (!) Da questa ed altre Società fu accettato il cambio delle pubblicazioni, ma non essendoci queste anche giunte ne fu omessa la citazione. RESOCONTO DELLA SOCIETÀ ZI Frankfort a NM. — Senckenbergische Naturforschende Gesellschaft. Bericht. 1873-74, 1874-75. » Abhandlungen. Bd. 10. Heft. 1-4. 1876. Freyburg (Baden) — Berichte diber die Verhandlungen. Bd. 3. Heft. 3-4, Bd. 6. Heft. 1-4. 1870-1876. Géòrlitz (Slesia) — Naturforschende Gesellschaft. Abhandlungen BA. 15. 1875. Giuùttingem — Konigliche Gesellschaft der Wissenschaften. Nachrichten. 1875. HEalle (Sassonia) — Naturwissenschaftlicher Verein fur Sachsen und Thuringen. Hamburg — Naturwissenschaftlicher Verein. AbhanMungen. BA. 4. Heft. 1. 1873. Hannover — Naturhistorische Gesellschaft zu Hannover Jahresbericht 1873-74, 1874-75. Karlsruhe (Baden) — Naturwissenschaftlicher Verein.. Verhandlungen. BA. 7. HMénigsberg (Prussia) — Physikalisch-oeconomische Gesellschaft. Schriften. 1873. 1-2; 1874 1-2. 1875 1-2. Magdeburg (Prussia) — Naturwissenschaftlicher Verein JaRresdericht. 1875. » » id. Abhandlungen. Bd. 13. Metz — Société d’ Histoire Naturelle. Bulletin. 1874, vol. 14. 1875. Miîimehen (Baviera) — Konigl. bayerische Akademie der Wissenschaften. Abhand- lungen. Bd. 12. 1876. » Id. Sitzungs-Berichte 1874 1-3; 1875 122. Nurnberg (Baviera) — Naturhistorische Gesellschaft zu Nuùrnberg. Abhandlungen Bd 1-5 1852-1872. Passau » Naturhistorischer Verein. Bd. 10. Regensburg > Zoologisch-mineralogischer Verein. Correspondenz-blatt. vol. 1-12. 1870-75. » Abhandlungen Heft. 10. 1875. Stuttgard (Wurtemberg) — Wurtembergische naturwissenschaftliche Jahreshfte. Wiesbaden (Nassau) — Nassauischer Verein fur Naturkunde Jahrbicher. Jahrg. 17 e 48. 1873-74. Zwickaw (Sassonia) — Verein fur Naturkunde Jahresbericht 1871-74, 1875. Isole Britanniche, Dublim (Irlanda) — Royal geological Society of Ireland. Journal. vol. 1-3 1864-75; vol. 4. p. 1-2 1874-75. » Royal Irish Academy. Proceedings. Edinburgh (Scozia) — Edinburgh geological Society. Transactions. vol. 2. fasc. 3. 1874. Glasgow (Scozia) — Geological Society. Transactions. London (Inghilterra) — Royal Society of London. Proceedings vol. 29; vol. 24, N. 164-165. 1876. » Geological Society. Quartely Journal, vol. 32, N. 125-127. Manchester (Id.) — Geological Society. Transactions vol. 44. part. 1. 1875-76. Newcastle on Tyne ([d.) — North of England Institution of Mining Engineers. Transactions. vol. 24. 1874-75. Penzanee (Id.) — R. geological Society. Transactions vol. 9. » » » Annuals reports. 1875. Plymouth (Id.) — Institution and Devon and Cornwall Natural History Society. Transactions. vol. d. fase. 2, 1875. 212 A. D' ACHIARDI Italia. Bologna — Accademia delle Scienze. Memorie. Catania — Accademia gioenia di Scienze. Ser. 3. t. 10. 1875. Firenze — Rivista scientif. italiana diretta da Guelfo Cavanna e G. Papasogli vol. 1. 1875 Genova — Museo civico di Storia Naturale. Anna vol. 6-8 1874-76. MWiîilamo — Società italiana delle Scienze Naturali. Atti. vol. 18. fase. 3. » Reale Istituto lombardo di Scienze e Lettere, Rendiconti, vol. 8. fasc. 1-20 1875; vol. 9 fasc. 1-16 1876. Modena — Società dei Naturalisti. Annuario 1875. fasc. 1-4; 1876, fasc. 1-5. Napoli — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Rendiconti 1875. fasc. 1-12; 1876 fasc. 1-8. » id. Atti, vol. 6. 1875. » Regio Istituto d’incoraggiamento per le Scienze Naturali. Atti Ser. 2, TA(200/870: Padova — Società veneto-trentina di Scienze Naturali. Attî, vol. 1-4. an. 1872-75. Palermo — Accademia palermitana di Scienze, Lettere e Arti. Atti, N. ser. vol. 5, 1875. i Pisa — Società malacologica italiana. BuWettino, vol. 4. parti 1-2; vol. 2. parti 1-2. 1875-76. Roma — Comitato geologico d’Italia. Bulettino, 1875. fase. 3-12; 1876. fasc. 1-10. Siena — R. Accademia dei Fisiocritici. Att, ser. 3. vol. 1. fase. 6. 1875. » Rivista Scientifica; vol 6, fase. 2-6. 1875-76. Torimo — Regia Accademia delle Scienze. Atti; vol. 11. fasc. 1-3 1875. » id. Bollettino meteorologico, vol. 9. 1874, vol. 10, 1875. Venezia — R. Istituto veneto "di Scienze, Lettere e Arti. Atti, vol. 2. N. 1-9 1870-76. Luxembourg. Luxembourg — Institut royal grand-ducal de Luxembourg. Sect. des Sc. Na- tur. et Math. Publications, vol. 20. 1875. Norvegia. Christiania — Kongelige Norske Universital Christiania. Olanda. Harlem — Société hollandaise des Sciences; Notices historiques, pubblications ec. de la Societe. 1 vol. 1876. » Id. Archives. vol. 10. fasc. 4-5; vol. 11. fasc. 1-3. Russia. Moscou — Société des Naturalistes de Moscou. Bulletin 1874. N. 1-4; 1875. 1-4; 1876. 1. » Id. Nouveaua Memotres. vol. 13. fase. 4. 1874. RESOCONTO DELLA SOCIETÀ 2a Petersburg — Académie imp. des Sciences. Bulletin, vol. 20. 1-4; vol. 21. 1-5; vol: 22. 1-2. 1874-76. » Id. Memoitres, vol. 12. N. 1-5, 8, 10. 1875. » Id. Tableau géener, des publications. 1872. » Kais. russische mineralogische Gesellschaft Verhandlungen. ser. 2, Bd. 11. 1876. » Id. Mater. fur, Geol. Russ. Bd. 6. 1875. Stati Uniti dA merica. Boston — Boston Society of Natural History. Proceedings, vol. 17. (part. 1-4); vol. 18 (part. 1-2). 1874-76. » » Memoirs. vol. 2. part. 4. N. 1-4. » » Occasional papers. vol. 2. » American Academy of Arts and Sciences. Proceedings N. ser. vol. 2. 1875. Buffalo — Society of Natural Sciences. Bulletin, vol. 3. part. 1-2. New=-Haven — The American journal of Science and Arts by Sittiman and J. D. Dana. vol. 11, N. 61-66; vol. 12. N. 67-70, 1876. Saint Louis — Accademy of Sciences. Transactions. vol. 3. part. 1-2. 1878-75. Washingtom — United States geological Survey of the Territories. Catalogo delle pubblicazioni. ASTA. » Id. Annual Reports vol. 1-4. 1867-1872. » Id. Reports vol. 5-6. 1873-74. » Id. Miscellanecus publicactions ASTA. N. 3. D) Id. Geological maps 41. Of the Montana and Wyoming; 2. of the lower Geyser Basin; 3. of the Upper Geyser Basin; 4. of the sources of Snake River; 5. id. with its tributaries. Svezia, Stockholm — Konglica Svenska Vetenskaps Akademie — Bihang till Handlingar. Vol. Tredje, f. 1. 1875. Id. Ofversigt, 1875. » Id. Handlingar. vol. 12. 4873. A Svizzera. Basilea — Naturforschende Gesellschaft — Verhandlungen. Eerm — Naturforschende Gesellschaft. Mitthedungen N. 553 873. 1864 Jahrg. 1876. Chur — Naturforschende Gesellschaft Graubindens. Jahres-bericht, Bd. 1-9. 1866-75. Genève — Institut national genevois. Bulletin, vo.l 21. 1874-75. » Société de Physique et d’Histoire Naturelle de Genève. Memoires; vol. 24, part. 1. 1874-75. Lausanne — Société Vaudoise de Sciences Naturelles, Bulletin; vol. 14, N.° 75, 76. Neuchatel — Société des Sciences Naturelles. Bulletin. vol. 8, cahiers 1-3, 1868-70; vol. 9, cahiers 4-3, 1870-78. vol. 10. cah. 1 e 3. Manca il 2.0 St. Galles Naturwissenschaftliche Gesellschaft — Bericht. 1874-75. 1. vol. Zurieh — Naturforschende Gesellschaft — Neuve Denkscriften. 914 A. D' ACHIARDI Da questo specchio, che vi ho presentato, e dal registro giù tutto in ordine dello stato dei cambj voi potete vedere come noi abbiamo strette relazioni perfino nell’ Asia e come le sieno molteplici con gli Stati Uniti d'America, senza dirvi d’ Europa, donde e da ogni parte si affrettarono a darci segni di fraterna benevolenza. Voi vedete dinanzi a voi i volumi pervenutici dal giorno dell'ultima adunanza; osservate quali e quanti essi sono e dite se non siano per ricavarne grande benefizio i nostri stud] e se non giovi sperare alla Società lunghi ami di vita. Ma della vita ha in se gli elementi lavoro e danaro? Del primo non è a dubitare, che se fin ora non fece difetto, non verrà meno in seguito; del secondo non fu penuria fino ad ora ma se anche più ferva il lavoro, come dobbiamo augurarci, quel che oggi sopravanza potrebbe mancare domani. Ecco intanto in brevi parole e in poche cifre lo stato economico della Società nostra. Attivo 1874. Riscosse Da riscuotersi Tassa d’entratura a li- Retorditg9 Soci. lu 0020100 L. 52,90 0 Tassa annua a L. 20 id. » 1430, 00 SIZE, 0,0 L.1792, 50 L.1792,50 L. 282,50 L. 282,50 1874-75. Tassa d’entratura a li- resbidi i S0CL: 0. du 030300 Tr 5:00 Tassa annua a lire 20 di SGNSOCI I » 1380, 00 » 340,00 L.1410,00 L.1410,00 L. 345,00 L. 345,00 1875-76. Tassa d’entratura a li- i Teor SOCI 00 Tue 207000 Tassa annua a lire 20 IIS. Ai » 320, 00 » 1540, 00 Anticipazioni. . . . . .. » 5, 00 » — — Vendita degli Atti... » 100,00 » — — L. 450,00 L. 450,00 L.1560,00 L.1560, 00 L. 3652, 50 L. 2187, 50 RASCRASOt IM L. 3652, 50 Da riscuotere . ... » 2187, 50 Attivo totale... . L. 5840, 00 RESOCONTO DELLA SOCIETÀ 215 Passivo 1874. NICOTRA 0, L. 156, 00 Allotstampatore e » 350, 00 AEAISCONAtOrO I RA » 30,00 Posta, porti e altre spese ... ..... PINTO 00 L. 546,69 L. 546, 69 1874-75. AVO TM03229 AMOS PAIR » 205,00 A Adiseoma tore ER. » 90,00 Posta, porti e altre spese... ..... PUGNO L. 1015, 21 » 1015, 21 1875-76 AIOP n L. 323,00 ANORSTAMPILORCEE I io » 875,00 Al diSeOnAbore e E O » 45,00 STEREO A n » 18,00 Posta, porti e altre spese... .... » 187,55 L. 1448, 55 » 1448, 55 ; SOMMA Tellesspese RE L. 3010, 45 Se tutto dunque fosse stato riscosso avremmo per le cifre soprallegate, cioè: Entrato 9940000 Uscito eee 0105 Uni'avanzo fimieassa e ii 252955 che tante costituiscono l'eccedenza in attivo della nostra Società. Ma invece non vi sono ora che sole L. 642, 05 quali resultano appunto dallo Stato di cassa, cioè: Riscossene e 08092,50 Spesesat 3010; 45 Residuo dicassa rie ine 642-509 a cui converrebbe aggiungere i frutti, non calcolati, sulle somme in più tempi depositate nella Cassa di Risparmio. 216 A. D' ACHIARDI Restan dunque a riscuotere L. 2187, 50 nè così grande somma dee recar meraviglia e tanto meno sgomento quando si guardi che la risulta in massima parte dalle poste di quest’ ultimo anno, che solo da pochi giorni furono cominciate ad esigere. Ciò non pertanto non convien farci illusioni su quell’intera somma. Nel 1.° anno tre socj morirono recandosi nella tomba la posta loro; un socio non ha pagato che '/, posta e ‘|, tassa d’entratura in tre anni; 8 non pagarono mai, quantunque abbian durato a ri- cevere senza rifiuto e inviti e pubblicazioni. Il numero dei morosi sale nel secondo anno da 8 a 17, nè è a far parola di quelli di questo ultimo anno, giacchè come dissi la riscossione ne fu solo incominciata in questo stesso mese di novembre. Talune di queste poste arretrate dei due primi anni si ha la sicurezza di riscuotere; per altre convien pur troppo perdere ogni speranza. Per fortuna non saran molti costoro, che sembra vogliano gratuitamente fruire dei benefizi della Società, senza contribuirvi alle spese come ne avevano assunto impegno; ma quanti essi sieno vi proponiamo senz’ altro di cancellarne il nome. dal registro dei socj, se dopo avvertiti anche un’ ultima volta, non solvano il debito loro prima della fine dell’ anno corrente. Talune poste andranno dunque perdute, ma se ne cassino pure dall’attivo parecchie, più ancora di quelle che sì possono | supporre inesigibili, ne rimarranno pur sempre per altre li- re 1500, sulla cui esazione non cade dubbio. E aggiunte a queste le lire 642, 50, che restano in cassa coi relativi frutti ben appare evidente come la Società nostra possa contare sopra un avanzo sicuro di oltre lire 2000 per questi primi tre anni di vita. Ciò è molto non vi ha dubbio; ma convien guardare nell’ avvenire. Gli stretti rapporti con le altre società ne obbligano a forti spese di posta e di porti e di conti con i libraj spedizionieri, e queste spese andranno sempre aumentando. Si moltiplicano i volumi di atti, memorie, resoconti ec., che da ogni parte e ogni giorno ci arrivano in cambio e in dono; non vi ha luogo, nè posto ove riporli convenientemente e in modo da essere utili a chi voglia consultarli, converrà quindi provvedere anche a ciò; vi sono al- cuni lavori che richiedono tavole dispendiose; tutto richiede da- naro e tanto più ne occorrerà quanto più vorremo allargare la cerchia del nostro lavoro e delle nostre relazioni. In tutto si è fatto risparmio, e con ciò non ci siamo scalzata la via per l’av- RESOCONTO DELLA SOCIETÀ ZA, venire, ma per provvedere a questo conviene anche aumentare le nostre risorse, e certo niun modo ci è avviso sia migliore di quello di far di tutto che cresca il numero dei soc]. Intanto vi domandiamo che approviate il conto che per mio mezzo vi vien presentato a tutto l’anno accademico 1875-76 e con esso quei provvedimenti, che pur farà mestieri prendere verso i soc]j morosi. Nè altro mi resta a dirvi, stimando superfluo rivolgervi una preghiera di adoprarvi per l'incremento di questa nostra Società, convinti come siete al pari di noi del decoro che ne deriva al nostro paese e dei vantaggi che ne ricavano le scienze a noi predilette. FINE DEL FASCICOLO SECONDO E DEL SECONDO VOLUME Ride: DELLE MATERIE CONTENUTE NEL SEGONDO VOLUME Fascicolo 1.° A. D'AcHÒiarDI. — Sulla Cordierite nel Granito normale dell’ Elba e sulle correlazioni delle rocce granitiche con le trachitiche . G. BarALDI. — Dell’ osso malare o zigomatico . G. MenEGHINI. — I Crinoidi terziari . R. LAwLEv. — Alcune osservazioni sul i Sag i nera A. Manzoni. — Le Conchiglie morte e i briozoi della spiaggia del Lido presso Venezia È F. STAGI, — Ricerche chimiche sui vlensi dei Monti bi Fascicolo 2.° G. MeneGHINI. — Nota sulle Ammoniti del Lias superiore . G. MENEGHINI E BorNEMANN. — Nota sulla struttura degli Aptici. S. RicHIARDI. — Sopra lo Spherifer cornutus, Rich. (Spherosoma Corvine, Leydig.), ed una nuova specie del genere PWilichthys Steenst., Ph. Scienoe, Ric. A. Dren — Su di alcuni minerali n S. RicHIABDI. — Nuove osservazioni sopra i plessi agata degli Wecellla: arco, RA GC. De STEFANI. — Molli COLIN fino sd ora nolan. in Italia nei terreni pliocenici, ed ordinamento di questi ultimi . A. Feroci. — Della eruzione cutanea per i peli del Bombice Pro- cessionaria ed altre considerazioni riguardanti gl’insetti e le piante orticanti S. RicHIARDI. — Intorno al Prodi ma (Cindia dell Hol e sopra due specie nuove del genere Philichthys A. D’AcHiarDI. — Relazione sullo stato della Società a tuto i 19 Novembre 1876 . » » » » S. hichrards n ieri Lrt:GCozani, Pisa, Gristofanrlct CARA vi n IN) (a i I MR Si i ti) de Att. Soc. Tose.Sc Nat VoLILTav.IV. vel MIITIO9) 990000) GIO) i DA9 3T3III02000 A DS290III9019; TI GAIA) : 5/6) 35309 ) RL TREAB: dr Uect PO ENENREIÀ è CUI ICRAZITII ESCCIOCIECENNCCONAO ni di URTACI ul N Li il mE IS do seta SATA NI POS Spr vie) muta k SR Wta Sa 1 sat: iardr. chi SR V. x AVI) Sol I.T si Soc.llos. Sc Nat. Att i gra ra * ‘QI 1UVJOgSIUO PEER arene Qpr TIPICO q i A AMI ILTOA ION IG SOON At. Soc. Tosc Sc Nat VoL.Il TavVI PR Soc Tose. So. Nat Vol. Il TavVI Uristofani fit S.Richiardi si Li " 1° £ to) * È £ # ® « I te UG LEGGI iI alta Tit. Gozani Pisa. » VAT E, 3 9088 01316 CELL ___ùùÒùwà4Y]9Y‘ DINI