APIIZIEHIVRNIOI {Eri ay ROGO ORO RO CI ROC ANOCRIZIO) nali tea DONO SIA DERISO) QUO COCO DO PVETARIOA iter i Md n du wga ae E OOC NDOSOrOOO Medi una 9t e el io aa regine Rd L00100 PA A e UT gd i dt CENCI PERO) N ‘ardi LA FPTAT O MdA NATIA MAZIONE ANI IGIENE SION SITI RATE NI IA ROIO dr NE SA VARI POI STIRLING AIAR DIREI a DA ult usate CO NEEICICIIESCI ocean DOREDOOTRAOO mE ded pae era pre alal ra o elio, RIONI ORO NIEFIZANVILA] I, no IAN OCRA A ASULTCI DOCOOOOO Ped dead ed ubsta ta read MIICORRIIATE CIUENO ANTANI aurali IANTORISINONATO RETITARAA n Ù bi pa Sad dp DRD Tuedtaene 151 I tata POCHE, Mes LICATA Dot OT \ Horn) sr COMICI PMR su a -- ; nni pa ONE Ù GUSO rniinazione ns sf a DEA Dev) gRdserd de VI ENERIIOOI dI DE ng” N) Ve Rare Ù ID n al TINI al urd ORSONO "ya se Mista nie si a dr brprgra: Fasi Don vada DON nonno tai 0f) DICONO PRAIA nI # ara MILLS, med OO IMRE IRSA cigni, Lo) sa Kr tnt i Mgtsava Let targa Ha dior NE LOCI MIO e MRCENA IRACAIORI Ugo ORE NLE IGCFA AIR TOGODOOGO TORINO INA PA OTO) CRTOMRBUCI RIECURICICNI DACIOENANIOnO RAICICA CRUDE IONEICIRI "Que Vede BIEL CI OROTORONOONOTA dota PROGR $ E DENSE e ONRIDEISAO DE) AR) È DUCA Vi MAI) 2d: A TANTRA GAI MAT TA Lit Mero AA III AGI pri el enon da ANIA DI (i dgr DOC AR CRI OS) OTRIIUOO Ù ‘ se di ul Dr) LARA pai n MIORRCOT la 0 LARA RUI WERE v MERI CCM VIII ACRI) Minnie A gt ACLI AMA: da i 55 Mina atea Ai catia RROOCIIOTUIOI DO RERINBEAIN 4 SHARE AIAR NAOMI i AA SIONE VOOTARIOIRAO DISIAFSINUIO ur SFACATATI CO CIARZAA LITI SpA I a pata IMUORRIOOE Toro sate Livia ro REMI CODOROCEE NICO RUSCONI KA Ad AE 919 Ada MEI NUO AN ZIVERZOCA] MERO IRR) tirta bla Ù NA A LONGO ORIO MA) patata rate MATTI Td aria IROCOCOSOAOA BORTONE ARE: PISANI ME AR 4 NARUTO MORDOR OICR: SR ERESINA RARA HEAR II dhe (A FIORA TU CANA DGRTA o guai AA; TR Igt tante INCI, DI dr rage ir dere pala ev Dà, (19) tin tt Do peca o DO AROnIT Hun, EOICIRA dA Rn ui Ù 549,01 RAIN ANIA DES) Di; AVERI) si Vo DRD Bia Rie VENUBI N SIBA (Ate NI i DIEOCE) pa alate ide pag 00 ; PRECI J vi (0, si A n $ ICI Nt MR RARIOGROroA FUMANO idee ACAIORIOTI PR SMI IS Ate asi A, Horo A DODO ANOETA DALISE i Ve Di do FIN SALGO TIRSCIE a riso, ‘Mi OI «duet, di HI I sit Ri RON ROSEO n (poggi Ù VERRA FORNARI 4 RNA Un: on) n IO RICCI RIA UE PIRICIO A PICO ICICA PITON DOGCORDOST NONA Tutela Ri Ai BASTA PERCIO RRONOOTIO I \ EE DRACO DURC DICACORTA siga MINE MICILICI Manici Ts n Hr, EIA VETRI TONOTIE PSI A RISI È RAMON PAIA Da RIA ut AI ia SIUONIO (RO vietbiocio aio EA LIAISON to BIRIDION ARCANI VAICIONI "Aa dr UTO ArteA ae a: DA Ica) n Di te (INT Si 'grdco) Prot RTALILA deep iatieetoo n ISU AIA, tu to OR tico (A dedi Eretin "N 1%) AS; Dda RARI Non porri DCRSIONONO CUVINIAI IERCRIICRCICIUTRI MITI ORI IURIS IC RLCO E MI INIT) A Na IE METE PRON I data DORIA PICOTIOI Teese PORICRIECIOOE OCCORSO NOCI OO DIRCI E ERIITOI O CIONI III VER DORICO IE URI CIANI der Sa MOCCIA OE I + A) UNA a n Da) Di OLMI POVOREREO ‘È ct RAI, NARO pr i i A OLIIINAAI deri vira ARA (ai di LAOS ICIERCICRO 0 ILIUPLISIONAGIORI eri Ra HO) "i t) ur IRA ME gia baie PI ina II % Ra MTA RR (ATL n: ù Dr ty n FUAr to s 9 dae rata a RENO % PERINI Matarrese FS re x RATA Daci ì A, dn ; ASTA DAI DO este O) doh parata ci Lear a ca È MIEI a e et RRSRTE VERI magie VRICCI o Volede, TT IIAENIEIE RIAD IIAT Jarod VO dira ea re ROPCOVIOVONA Nu 'aindn si ita nta Mc et CIRCEO POSTER Ù CICORIA ada OVE Ried I dg a rareatu ar orar VETO MIDA n RARI Piani Ma tana n ina: vr dated ly e ARI RIOIGEXICCI DA LIETTA SIPUTION E PE AZURE MATOAMTO rsa Vedi bg alito l'area DES ri ASTORIA ROCCE TIULAIOOI IMRE I e CORE PACO DUO) INTORNO CIAOOO ERI tO ro ca Do WNDORIOGIONO PENTA PIICETIICI IIC CLICCO "" RAI I) SIETE Le w In sedie Materne: ded tara (6: "Lt re SOCIA si d MORI IAP Nei SUCRE Ut VIVA nr eso SONG taI VO rango Fo] DODICI Jp N Li i AVERI n Lote ENOrO _. Midi i fa Mera dat - cu put pssI pa "a gatte nata NIFAEDAII POESIA -- 0 rita areata DUET oca RIRIIREIZON apo SA feat DI DIRI ‘n a posa fatti AC uo NOI iene att tua: ma ion rimento cc. RAR _ — Rie Rei AA A at te PANNA PANINI IMAA SISIA4I ROSSO CSA IIIOCICA noce ORO NOOO teso x ieri tici; seno va IE Gase (e DI NULLO O A TMTA TE 070 SaR CRIMINE pa dd dada IONI ORO NITTO ere) VNULEIE RE e A Lt IT ROITITACI te OMCNCION IE NO E REC) REMI, ICOEONE DIGIUNO ‘AMI A ERINTRIT INCI RICROUCIOI TOLONE CON CALATI pi DUTRCNO) n TENERO MFN MICCA e N CIC IET O Ta Arene Tore et Mana ratgra rata ear A TIGRI MAP AD ASTRI RIG N ELICA IM CIC IMCITIOICIO 4 Dono ET TOCICO IRTICHTAO URCNCRUNORO ORTO A MERC ICONTECI CT DOOO NOE AnO VDR UIL NITRO stess TOCONCLLORA N alga magi i BENI ‘G1ata MIX MIIETESTICIOE KA03 CRIARI UCI 99 on MAGRI mino DENSA AZIO A rali III A CAI AT (o I Qoad' Manor di doo CAVIE MOCCIA ata TOPOOUDGNO Kite IRIAIUNAI DACNERI DOO ICINOCINI ZAC vi na ‘aeatgra a uu RATA VI CONT DERE ta ‘9 3 ui DO dI) i DICE SOVIRRERIAN TORTI LEICA RIDI, Ù e ep Ate DORICO DOOGOTETO RE hi page o ine PE NNEONE INLINE yz 0 SIN dg _ pui —-- DI Valle TN CRI ENNIO Hi, ni Mi orale MAbw ee ERRE " n tn tr DIAMOCI Mr IMAA DICO LUDTICI DIO RR, OGNI DI ea VITO ICAO ATA MISI NUR DSC IRINA sea O) "An Mori ERNIA atatgrviar Rs SE Mb Rote we orta evofe Gase lt saperi OCT RL, tx pa II, E Re io LOGS! «Sha ATTI DELLA —. SOCIETÀ TOSCANA D SCIENZE NATURALI REST ENEA NITHSON YA NERA PIRA CC 1909 ba, un ISS ev DI4:I Ae tidi PROF. UGO PANICHI === RICERCHE PRTROGRARICHE, CHIMICHE b GROLOGICHE SUL MONTE FERRATO (Toscana) (CON UNA TAVOLA). La bibliografia intorno al Monte Ferrato è assai ristretta. Senza par- lare del Targioni *), del BarpI 2), del BroccHI *), ricordo la memoria del Savi “ Sulle rocce ofiolitiche della Toscana , (Pisa 1839); in essa, chia- mando diallagica la serpentina delle cave di Monte Ferrato, l’autore in- x tende per diallagio ciò che effettivamente è enstatite (e bastite), come riconobbe in seguito il Cossa 4), il quale peraltro fece l’ipotesi (p. 151) che il pirosseno trimetrico fosse un prodotto d’alterazione del diallagio. Il CoccHÙi 5) parla brevemente della serpentina delle cave e del gabbro rosso che ritiene proveniente dall’alterazione degli scisti galestrini (p. 261). Sorvolo sul Bonner 6), che vede nel colore delle ftaniti l’azione del fuoco, giacchè al suo studio, superficialissimo, ha risposto il Capaccr ?). Nè mi fermo sulle conclusioni dello SteRRY-HunT 8), che crede arcaica la forma- zione del Monte Ferrato; a lui mossero giuste critiche il DE STEFANI °), il 1) TARGIONI-TozzETTI. Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Firenze, 1751. 2) G. DE BARDI. Osservazioni mineralogiche sopra alcuni luoghi adiacenti alla pianura di Prato. Ann. del Museo imp. Firenze 1810. 3) BroccHi. Catalogo rag. roccie ital. 1819. 4) A. Cossa. Sulla massa serpentinosa di Monte Ferrato (Prato). Boll. R. Co- mitato geol. Roma, 1881, p. 240. 9) I CoccHI. Deserggon des roches ignées et sedimentaires de la Toscane dans leur succession géologique. Bull. de la Soc. géol. de Fr. 1856, XIII p. 256. 6) T. G. Bonney. Notes on some Ligurian and Etruscan serpentines. The geol. Mag. 1879 e Boll. R. Com. geol. Roma, 1879. 7) C. CapaccI. La formazione ofiolitica del Monte Ferrato. Boll. R. Com. geol. Roma, 1881. 8) STERRY-Hunt. The geological history of Sonia Proceed. a. Trans. R. Soc. of Canada, I, 1883. °) C. De ana Sulle serpentine italiane. Atti del R. Ist. Veneto, II, 1884, 4 U. PANICHI TarameLLI *) ed altri. Il Corst ?), studiando alcuni cristalli di zircone trovati in una litoclase nell’eufotide di Monte Ferrato, dice che ivi il dial- lagio si è trasformato in orneblenda e il feldspato, perdendo calce, sì av- vicina molto alla composizione dell’albite; la roccia da eufotide si è cam- biata in una diorite a grossi elementi. Il Cossa (I. c.) ha esaminato chimicamente e petrograficamente alcuni campioni di serpentina, di eufotide e di diabase raccolti da CAPAGCI. Il Caracci (I. c.) è il solo che abbia fatto un esame dettagliato della formazione, ed il suo studio, almeno dal punto di vista geognostico, è assai accurato. Quanto alla sua interpetrazione dei rapporti esistenti fra le roccie che costituiscono il Monte Ferrato e le formazioni sedimentarie avvolgenti, mi permetterò fra poco alcune osservazioni. Il Lotti) dedica una pagina al Monte Ferrato (p. 133); dice che ad Ovest, presso la villa Drouskoy è facile verificare una parziale inversione di stratî; disegna an- che una sezione, da Monte Piccioli a Cerreto, della quale parlerò più oltre. Il TraBucco 4) riferisce la formazione del Monte Ferrato all’ eocene superiore (liguriano), mentre riferisce al medio (parisiano) la vicina' for- mazione dell’ Impruneta. In una mia nota del 1904 5), iniziavo lo studio petrografico e chimico delle roccie costituenti il Monte Ferrato, limitandomi allora ad alcune ri- cerche sulle serpentine. Riprendo ora l’ esame, anche dal punto di vista della tectonica, sia per completare quello studio, sia per traeciare l’attuale stato della questione geologica, ridotta ai puri elementi di osservazione. Uno studio geologico completo dovrà necessariamente esser collegato ed esteso alle altre formazioni analoghe del Flysch appenninico. Serpentina. — Nella mia nota già citata separai, per comodità di studio, la serpentina della regione nord, da quella della regione sud. Le cave sono quasi tutte nella regione nord. La serpentina delle cave pre- senta vari aspetti, ma, complessivamente, si può ritenere composta di crè- sotilo con chiara struttura a maglie (vedi 1.2 nota — Tav. fig. 1) e di da- 1) TARAMELLI. Della posizione stratigrafica delle roccie ofiolitiche nell’ Appen- nino. R. Acc. dei Lincei, 1884. 2) A. Corsi. Note di mineralogia italiana. Boll. R. Comit. geol. 1881. 3) B. LoTTtI. Rilevamento geologico eseguito in Toscana. Boll. R. Comit. geol. 1894. 4) G. TraBucco. Sulla posizione ed età delle argille galestrine e scagliose del Flysch e delle serpentine terziarie dell’ Appennino settentrionale. Firenze, 1896, p. 30. — I terreni della provincia di Firenze. Firenze, 1907, p. 26 e 28. 5) U. PANICHI. Le rocce verdi di Monte Ferrato in Toscana. R. Ace. delle Scienze. Torino, 1904, RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 5) stite; sulle maglie stanno allineati in abbondanza cristalletti di magnetite; manca l’olivina, mancano elementi pleocroici ed a colori vivaci d’inter- ferenza. Si hanno frequenti vene riempite da silicato principalmente di magnesio, talora amorfo, di un verde carico, con traccie di calcio, cosparso di minuti cubetti di pirite, più duro (1,5-3,5) della sfeafite normale, ma da non confondersi con nefrite (vedi pag. 7); talora bianco ((sepiolite 2) con fibre normali alle pareti, forse proveniente da crisotilo. Si hanno pure spaccature riempite da clorite (che fu analizzata dal Cossa)!), da tremolite, ecc. Ma la maggior parte della serpentina di Monte Ferrato è costituita da una roccia fragile, bruna, in cui la pasta è di crisotilo con avanzi di olwina; e al pirosseno trimetrico (bronzite parzialmente trasformata in bastite: v. 1.2 nota pag. 8-9) è intimamente unito il diallagio. La roccia può ancora definirsi una serpentina, ma con tendenza mela- nocratica rispetto a quella delle cave, della quale ha maggior peso specifico, ed è più ricca di ferro (in gran parte magnetite) e di manganese, come mostrano le analisi della 1.* nota. L'analisi chimica ha rivelato in questa roccia la presenza di calcio, ma forse in quantità minore di quella che po- teva prevedersi dopo l'esame microscopico; giacchè le sezioni mostrano che al pirosseno trimetrico è assai spesso associato un pirosseno coi ca- ratteri del diallagio. Come osservavo nella 1.* nota, le estinzioni di quest’ultimo presentano una grande variabilità; al tempo stesso gli ele- menti appaiono sempre ondulati o distorti, ed hanno contorno irregolare, modellato nella pasta serpentinosa. Nella 1.* nota supposi che questi caratteri dipendessero da deformazioni meccaniche, cui tutta la massa rocciosa è andata soggetta; ma ora non oserei insistere in questa ipotesi, giacchè l’aspetto di queste ondulazioni ed il modo di variare delle estin- ‘zioni presentano una certa uniformità e sono visibili in tutti gli elementi, ai quali anzi conferiscono una facies caratteristica; i cristalli sono poi assai freschi e senza rotture; quindi piuttosto che attribuire questa facies ad azioni meccaniche, parrebbe che debba attribuirsi ad altre cause, come, ad es., a speciali condizioni di genesi. La microstruttura della massa ser- pentinosa non è così regolare come quella della serpentina delle cave; talvolta anzi presenta come un’intricata rete di fibre esili e brevi, simile ad una struttura lamellare, che però non può attribuirsi ad antigorite. Alle Porticciole la serpentina ed i circostanti scisti galestrini si pre- 4) L. c.; p. 250, 6 U. PANICHI sentano violentemente sconvolti; infatti ivi appaiono promiscuamente e disordinatamente plaghe di serpentina e straterelli di ftaniti fortemente disturbati e serpeggianti in fitte pieghe. La roccia ha acquistato un colore bruno (specialmente visibile sulle superfici di frattura), in parte forse dovuto al fatto che essa è molto manganesifera (v. 1.8 nota pag. 10); ed è molto più tenace, cioè più resistente al martello, che la restante ser- pentina del Monte Ferrato. Complessivamente la regione sud differisce dalla regione nord special- mente per questo, che nella seconda abbondano i nuclei di serpentina più pura, che è quella delle cave; ma il tipo di roccia che predomina nella regione sud, trovasi pure al nord, cosicchè, chi volesse far corrispondere alle due regioni (che si vedono separate nella carta da una striscia di eu- fotide) due formazioni distinte, non troverebbe in queste conclusioni nessun appoggio. La serpentina del Monte Ferrato, come già dissi, e come risulta chiaramente dai suoi caratteri microscopici, si può ritenere una roccia originariamente peridotica; se vogliamo dunque ammettere che questa roccia costituisca, insieme coll’eufotide e col diabase, con cui si trova as- sociata, come dirò fra poco, una massa di natura eruttiva, è naturale di esaminare se e come essa sia stata sede di fenomeni postvulcanici. Riferendomi a quanto scrive il WEINSCHENK !) intorno al processo di serpentinizzazione, non posso intanto che constatare la perfetta corri- spondenza con quanto si può verificare nella serpentina del Monte Ferrato. Altri processi postvulcanici propriamente detti, come correnti ter- mali, ecc. sembra effettivamente che abbiano avuto luogo nella nostra re- gione; tale almeno è l’opinione più volte emessa da vari geologi e spe- cialmente dal CAPACcCI, il quale appunto esamina l’azione metamorfizzante di “ correnti idrotermali calcarifere, silicifere e ferrifere ,, sopra le ser- pentine, le diabasi e le roccie sedimentarie che circondano il Monte Ferrato. In particolare io vedrei come molto probabile che la serpentina delle Porticciole, debba i suoi caratteri, di cui ho parlato poco sopra, piuttosto ad un Zerseteungsprozess, che ad un Verwitterungsprozess, sia perchè gli agenti atmosferici difficilmente avrebbero agito in un modo così diverso sul poggio delle Porticciole che non sulla restante massa, sia perchè alle Porticciole la roccia è molto manganesifera (come già ho 1) E. WEINScHENK. Grundziige der Gesteinshunde. I, p. 152, 1906. RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 7 detto) e non è improbabile che questo manganese abbia origine secon- daria. La maggior tenacia sembra, a quanto dice il WEINSCHENK, che in certi casi possa risultare da azioni pneumatolitiche o pneumoidatogene, come, ad es., nel processo di sausurritizzazione di un gabbro !). Secondo il KALKoWSsKY poi, un serpentino può divenire più tenace per un processo di nefritizza- zione, di cui egli assicura aver osservato e studiato abbondanti esempi nella Liguria ?). Era dunque naturale che io, davanti al dubbio, esaminassi anzitutto se la tenace serpentina delle Porticciole contenesse plaghe più o meno profondamente nefritizzate. Orbene, io non ho trovato nè masse di nefrite, nè, al microscopio, plaghe actinolitiche dotate di quelle particolari strutture che descrive il KALKOWSKY 3), nè calcio nell’analisi chimica. Resta dunque escluso, almeno per quanto riguarda i campioni da me raccolti, il processo di nefritizza- zione di cui parla il KALKowSKy. Eufotide.— L’eufotide del Monte Ferrato fu più volte studiata macro- e microscopicamente ed in modo speciale da A. Cossa 4). Chimicamente fu analizzata da DRECHSLER *), che vi trovò troppo poca magnesia (1,08 9/0), come osservarono Rota e Cossa). Il Cossa si limitò a dosare la ma- gnesia, trovandone l°8,87 °|; cercò anche la potassa e non la trovò. I grossi cristalli di diallagio furono analizzati da KòHLER °) che vi trovò: SINIS ea eat 53. 200 Calcagno oa 19. 098 Magnesia ot e a 14. 909 OssidoMerroso RR 8. 671 Ossido manganoso . . . . . 0. 380 Aumar Aeree eta 2.470 FAC QUA IA RI 1.773 100. 501 1) Grundziige der Gesteinskunde. I, (1906) p. 151. ?) E. KaLKowsky. Geologie des Nephrites in Sùdlichen Ligurien. Zeitschr. d. Deutsch. geol. Ges. 1906. 3) L. c. p. 22 e seg. 4) Ricerche chimiche e microscopiche, ecc., pag. 153, Torino 1881. 5) TscHa. Min. Mitt. 1872, p. 79. 6) A. Cossa. L. c. pag. 154. ?) PoggeNDORFF's. Ann. XIII, pag. 101, 8 U. PANICHI e Cossa (1. c.) confermò questi risultati; solo egli vi trovò in più delle traccie di ossido cromico. | Ecco ora ciò che risulta dalle mie ricerche microscopiche e chi- miche. Quando l’alterazione della roccia non è troppo spinta, le sezioni mo- strano struttura gabbrica panallotriomorfa, ben visibile allorchè i cristalli di diallagio sono circa equidimensionali fra loro e cogli elementi feldspa- tici. Quando i cristalli di diallagio son troppo piccoli, sono anche, per so- lito, alteratissimi; quando son molto grandi (da 2 a 8 cm.) si mostrano spesso evidentemente idiomorfi. La massa in cui sono inclusi è principalmente biancastra, tendente al. ceruleo, al verde, al grigio; ma abbondano macchiette verdi; venule grigio-mare; plaghe bianco-farinose; vene più o meno grosse bianco-per- lacee, che il Corsi esaminò ‘) e riconobbe essere formate di prelnite. Ad un frammento plagioclasico di colore ceruleo deciso corrispose il peso specifico 2,72, che indicherebbe una composizione fra Ab, An, e Ab, An; se il feldspato fosse inalterato; però altri frammenti hanno fornito valori un po’ minori. Al microscopio il feldspato presenta ancora plaghe discretamente conservate, caratterizzate da strie di geminazione, e a contorno irregolare. Estinzione massima nella zona simmetrica = 37°. Da una sezione secondo (010) ho riscontrato che la direzione d’estin- zione, riferita a [010:001] dava un angolo di — 22° '/,, e quindi per il feldspato una composizione vicina ad Ab, An,. Ma in un’altra se- zione all’incirca secondo (010) trovai che la direzione d’estinzione coin- cideva assai bene con quella dello spigolo di riferimento. Quindi, sia queste determinazioni, sia quelle del peso specifico, sembrano dimostrare una certa variabilità del rapporto di miscela Ab, Ann; talvolta siamo in presenza di una vera labradorite, ma talvolta anche si sale fino ad un oligoclasio. A confermare questo risultato, l’analisi chimica eseguita sopra alcuni frammenti feldspatici di colore biancastro, ha dato: 4) A. Corsi. Su alcune prehniti della Toscana. Boll. del R. Comit. Geol., n. 1-2, 1878. RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 9 FIZIONE 2.19 STOzNE 58. 47 AI: 08. , 23.90 Fe? 08 1.32 Ca O 5.15 ME Orio ene a 1.80 Na? O (con traccie di K? O) 5. 56 98. 39 e questa corrisponde alla composizione di un oligoclasio vicino ad Ab, An,. Una determinazione di silice su quello stesso frammento che aveva il peso specifico di 2.72, mi dette il 55 %/,; un’altra determinazione in- vece, sopra un frammento verdastro, mi dette il 48,25 %o. È evidente adunque che la composizione della massa plagioclasica è assai variabile, e quindi anche l’analisi complessiva della roccia deve necessariamente presentare delle discrepanze da un saggio all’altro; inoltre, a seconda del campione scelto, i cristalli di diallagio sono dis- seminati nella massa in modo variabilissimo ed anche le loro dimen- sioni sono molto differenti da punto a punto. Tuttavia io ho fatto anche l’analisi chimica della roccia; e perchè l’analisi corrispondesse, almeno approssimativamente, alla composizione media, ho scelto vari campioni dei tipi più comuni, staccandoli dalla roccia in punti assai lontani fra loro; ho preso un pezzo da ciascuno, pas- sando poi tutto al mortaio d’ABicH e mescolando. Da una porzione del miscuglio ho ottenuto, col mortaio d’agata, una polvere bianco-cenerina, della quale ho adoperato circa 7 dgr. per la disgregazione coi carbonati alcalini ed altrettanti per la ricerca degli alcali !). Ecco il risultato: SIOE e le eo 49. 837 CAOS e E Ve alt 14. 054 MAO IERI a i 9. 838 Fe? 03 Mn O (traccie) POI ATO e o n IC 14. 828 TED SSR IIa SUM Dora aa 0. 912 FROST E 3. 608 K?0.. 0. 226 Na? 0 2.921 100. 890 1) In questa analisi ho teriuto come guida il DIrTRICH: Anleitung zur Ge- steinsanalyse. Leipzig, 1905. 10 U. PANICHI La tendenza che manifesta il plagioclasio a salire nella scala del- l’acidità, sembra essere in relazione con quella alterazione della roccia, che il Corsi scoprì (v. pag. 4), definendola una trasformazione di eu- fotide in diorite. To debbo alla gentilezza dell’ing. Corsi alcuni campioni di questa eufotide alterata di Monte Ferrato; e dal loro esame mi è risultato : 1.° Che il plagioclasio, divenuto biancastro sulle pareti della lito- clase, contiene SUOLI cà 65. 00 %o CLROTRRESIERA e eI 3.48 o; ha peso specifico = 2.67; da un cristalletto incluso nella massa, con chiara geminazione del periclino, è risultato, per l’angolo fra la traccia della se- zione rombica su (010) e lo spigolo [010 : 001], 5 = 3°, 42’. Complessiva- mente quindi si tratta di oligoclase acido. 2.° Il diallagio, qua e là ancora intatto, è in gran parte divenuto più compatto e più bruno; talora è nero, con sfaldatura secondo (110) (al goniometro esattamente 55,49’). Al microscopio ho trovato plaghe (giallo-rossiccio cuoio-chiaro) nettamente prive di pleocroismo; vi ho mi- surato estinzioni c : c ‘oscillanti intorno a 40°; altre plaghe, debolmente pleocroiche (intorno al giallo cuoio bruniccio), han fornito estinzioni ec: di 9-129; le une e le altre assai fresche e disseminate di magne- tite in grani spesso scheletriformi. La mancanza di pleocroismo e i forti valori di c:c da una parte; la sfaldatura di anfibolo, i deboli valori di c:c e il pleocroismo (sebbene debole) dall’altra, portano a ritenere che qui, come prodotti di alterazione del diallagio, si hanno iusieme augite e orneblenda, ma dalle sezioni non risulta evidente che questa sia dovuta a parziale uralitizzazione di quella; potrebbero anche derivare ambedue direttamente dal diallagio. i Nell’eufotide normale il processo di sausurritizzazione, più o meno evidente in tutte le sezioni, si mostra in alcune plaghe avanzatissimo. Non di rado al microscopio vi si vedono cristalli di zoîsite ben caratterizzati; invece non ho mai trovato thulite. In generale si può osservare nell’eu- fotide (come nella serpentina) di Monte Ferrato la deficienza di elementi sensibilmente pleocroici. I grossi cristalli di diallagio sono stati quasi ovunque rispettati dagli agenti di alterazione interni; vengono invece rapidamente alterati dagli RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. li agenti atmosferici. I cristalli minuti però appaiono spesso alteratissimi anche in regioni profonde, dando luogo a vari prodotti di trasformazione : prodotti cloritici e serpentinosi, ciuffetti di actinolite, talora smarag- dite, ecc. come osservò anche il Cossa (1. c. pag. 244). Mi resta ora da parlare di un altro minerale, che nell’eufotide del Monte Ferrato parmi assumere un'importanza speciale, della preQnite, rimandando poi, per ciò che si riferisce agli elementi secondari della roccia (olivina, magnetite, ilmenite, pirite, quarzo ecc.), a quanto ne scris- sero il Cossa ed altri. Già il Corsi ha fatto uno studio cristallografico e chimico della preknite, che al Monte Ferrato si rinviene in cristalletti Jalini, quasi incolori, nelle litoclasi della roccia, in modo, del resto, analogo a quanto si verifica in eufotidi di altre località. Da un’analisi quantitativa di questa prehnite egli ebbe: SOL e ea i Sa 42. 36 NON o E aaa a 24.14 Re RR Ra 1.10 CIO In RE 26. 87 Mani eee eni gt IA 0.30 NSOE LA ad traccie TE [EB (OI NRE COTE RISE ERI CINICO ie A 4.85 99. 62 Il Corsi osservò pure che al Monte Ferrato si vedono delle litoclasi riempite da un “ minerale compatto, a grana finissima come l’alabastro, colorato in rosso violaceo sporco, a volte incoloro, e che facilmente .a primo aspetto potrebbe prendersi per sausurrite compatta , !. Dalle sue ricerche poi concluse che questa sostanza era “prehnite compatta ,,. Ed io non posso che confermare le sue determinazioni di peso spe- cifico, di durezza, le prove al cannello, ecc. e perciò approvarne la conclusione. Al microscopio questa sostanza si presenta in aggregati fibrosi a fascio o a ventaglio, serrati insieme, estinguentisi radialmente e con co- lori d’interferenza assai vivi (vedi fig. 1; ingrand. 35). ‘Ora, nella stessa eufotide e precisamente alle Cave dell'Acqua ed in 1) L. c., pag. 18. PI 12 U. PANICHI prossimità di grosse vene di prehnite compatta io ho fatto le due seguenti osservazioni: 1.* Che, ove le vene divengono fitte e sottili, le piccole por- zioni di roccia racchiuse fra vena e vena sono profondamente alterate : il plagioclasio si è andato fessurando ed ha, in gran parte, assunto aspetto serpentinoso, e il diallagio è divenuto biancastro madreperlaceo perdendo tanto di coesione, che fra le dita si squama e si polverizza; 2.* che si trovano qua e là delle plaghe aventi la stessa macrostruttura della roccia normale, ma molto più resistenti al martello, nelle quali la massa biancastra non è feldspatica ed è invece prevalentemente prehnitica come ora mostrerò; il diallagio è alterato nel modo sopra- detto e talora anche di più, divenendo allora bianco e di aspetto quasi sericeo, che lo fa rassomigliare ad amianto. Che la massa prehnitica sia realmente tale, oltre ai caratteri fisici e microscopici da me verificati, mi sembra provarlo la seguente analisi quantitativa, la quale, sebbene non corrisponda troppo bene alla for- mula teorica della prehnite e differisca anche in parte dalla surriferita analisi del Corsi, pure è compresa nei limiti forniti da numerose analisi di prehnite (vedi Hinrze, Handb. II, pag. 485); inoltre l’analisi del Corsi fu eseguita su cristalli puri di geode; la mia analisi invece si rife- risce a quella massa già dal Corsi chiamata “prehnite compatta ,, e che, quantunque da me separata con cura dalla restante roccia, poteva tuttora contenere impurità; il che, ad es., può spiegare la presenza del magnesio in dose non trascurabile. HERRERA GIL 4.87 SIOE tao atta MINO aC 43. 09 AOL O AA 26.73 RIC ZI RN EI A (ERA 0. 89 CAROTA ARR ARENA 22.50 MEO On 2.73 NA ZO RE RR traccie 100. 81 Quanto poi alla sostanza che si trova associata con questa prehnite compatta (nei campioni cui corrisponde l’osservazione 2.*), essa deriva indubbiamente da diallagio, potendovisi tuttora osservare punti meno alterati, coi caratteri del diallagio. Data la variabilità nel grado di al- terazione, non ho creduto necessario farne l’analisi quantitativa; in una RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 13 analisi qualitativa vi ho trovato abbondantissima la silice, abbondanti allumina e calce, tracce discrete d’ossido ferrico e di magnesia. Con- frontando questo risultato coll’analisi del K6RLER (pag. 7) parmi di po- tere affermare, sebbene la mia analisi sia stata solo qualitativa, che il diallagio, alterandosi, si è arricchito di allumina ed ha perso quasi tutta la magnesia e l’ossido ferrico. Invece il plagioclasio dei campioni di cui all’osservazione 1.8, si trova in gran parte disfatto e trasformato in una sostanza serpentinosa; quindi esso ha seguito un procedimento inverso, giacchè ha perso allumina e si è arricchito di magnesia e di ferro. Esaminando i campioni ai quali si riferisce l’osservazione 2.2, e che presentano la stessa struttura dell’eufotide, due ipotesi anzitutto si presen- tano: o questa preknite, che vi troviamo in luogo del plagioclasio, deriva, per diretta trasformazione, da esso, oppure la preknite è un elemento impregnante, che a poco a poco ha alterato e scacciato il plagioclasio e gli si è andato sostituendo. L’esame microscopico non mi ha finora lasciato scoprire un fenomeno che sarebbe del più gran peso in favore della prima ipotesi, cioè il pla- gioclasio in via di trasformazione a preknite. Sembra invece logico am- mettere che l'alterazione dell’eufotide, descritta nell’osservazione 1.2, rappresenti uno stato intermedio fra la roccia normale e l’alterazione descritta nell’osservazione 2.2. E perciò la seconda ipotesi apparrebbe, per ora, come più probabile. Essa sarebbe anche più comoda per spiegare le variazioni di compo- sizione chimica subite dai due principali componenti dell’eufotide. Peraltro io mi astengo dal trarre una vera e propria conclusione, pro- ponendomi di tornare in seguito sull’argomento con nuove ricerche. Diabase. — La serpentina e l’eufotide sono le due roccie dominanti. Il diabase si vede in pochi blocchi uscenti dai detriti dell’eufotide sulla costa orientale del Monte Ferrato. Questa è una roccia molto compatta, assai ben rispettata dagli agenti atmosferici, con spiccato carattere mela- nocratico, ma che, polverizzata, presenta colore bianco-cenerino come la polvere d’eufotide. I cristalli di feldspato inclusi nella massa mesostatica son sempre assai piccoli, sicchè la roccia non ha, per solito, aspetto porfirico; ma sempre ha struttura nettamente ofitica (vedi fig. 2; ingrand. 35). La roccia è stata già esaminata dal Capacci e dal Cossa, ai quali rimando per altre notizie. Se poi comprendiamo nella descrizione anche la massa eruttiva di Cer- 14 ROS U. PANICHI reto (a N. E.) e tutte le piccole apparizioni analoghe circonvicine, la forma- zione diabasica acquista maggiore importanza, poichè la massa di Cerreto, all'infuori del Poggio del Ferratino, che è di serpentina, è tutta costituita dal così detto gabbro rosso; e questo in molti punti si vede essere un vero e proprio diabase, identico a quello del Monte Ferrato. Il CapaccI ha rilevato con cura la distribuzione superficiale delle varie formazioni costituenti e avvolgenti il Monte Ferrato; ed io, salvo qualche lieve modificazione, ho riscontrati esatti i limiti indicati nella carta geo- gnostica annessa alla sua memoria. Vediamo ora in quali relazioni di posizione stanno le due formazioni principali del Monte Ferrato, e cioè la serpentina e l’eufotide. Il CaPAccI dice (pag. 280) che il Monte Ferrato “ è composto essenzialmente di due masse di serpentina aventi intercalata una lente di eufotide. Queste tre lenti sono così disposte: quella superzore di serpentina corrisponde al Monte Mezzano ed al Monte Piccioli e si stende al Nord. Quella înZer- media di eufotide si vede salire col suo estremo lembo fino al Colle di Crocepiccina e di qui stendersi verso il Nord a destra ed a sinistra del monte. La massa ènferiore di serpentina è quella che forma il Monte del Chiesino ,. Le due lenti di serpentina corrispondono rispettivamente a quelle che io chiamai Regioni Nord e Sud. Che anche in origine esse fossero separate dalla lente di eufotide, l'A. lo dimostra supponendo che il Colle delle Croci (o Crocepiccina) fosse tutto occupato da eufotide, la cui scom- parsa avrebbe dato ‘origine al Colle; e l’eufotide sarebbe scomparsa per via della grande facilità (pag. 291) con cui essa si altera e cade in frantumi sotto gli agenti atmosferici. In modo analogo spiega la formazione del Colle detto “ I Colli ,, fra Monte Mezzano e Monte Piccioli. “Quivi non esiste una massa di eufotide che salga fino ad essa e si stenda a destra e a sinistra come nel caso prece- dente. Sulla pendice ovest vediamo la massa di eufotide risalire fin sopra ai Pianali, ad un punto molto vicino ai Colli, dimodochè non vi è niente di strano a supporre che in origine la detta massa arrivasse all’altezza dei Colli ed anche al di sopra, e che in ragione della sua facile e pronta alterazione fosse completamente asportata ,,. Ora osserviamo anzitutto, che, oltre alle selle delle Croci e dei Colli, si hanno anche altre depressioni (ad es. fra il Chiesino e le Porticciole), delle quali non si può spiegare la formazione per erosione di eufotide, data la lontananza da questa roccia, RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 15 Il Capacci spiega solo l'origine della depressione fra Poggio Secco e le Porticciole, detta i Pianali, (ove la massa serpentinosa si protende verso _Ovest per un tratto che l’A. chiama slabbratura) nel seguente modo (p.287): “ Siccome gli strati eocenici sotto Monte Piccioli sono diretti presso a poco K-0, mentre alle Porticciole hanno una direzione N-S, ne segue che essi devono presentare una faglia secondo il piano lungo ilquale si tagliano. Questa è la ragione che ha dato origine alla slabbratura o allungamento della massa serpentinosa appunto secondo il piano di detta faglia ....., « Forse che questa faglia sia la via per la quale si è fatta strada la pasta fangosa serpentinosa per distendersi sul fondo del mare eocenico? ,. Lasciando da parte quest’ultima ipotesi, che non ha sufficiente fonda- mento nei dati di osservazione, non si può a meno di rilevare la comples- sità delle spiegazioni surriferite. Ora l’esistenza di vari colli sulla massa serpentinosa del Monte Fer- rato si può spiegare in altro modo più semplice: anche prescindendo dalla possibilità che alla loro formazione possano avere contribuito i moti post-eocenici che sollevarono tutta la massa, non vi è dubbio che anche la serpentina, sebbene più resistente dell’eufotide, si è andata alterando superficialmente ed erodendo, fatto di cui sul Monte Ferrato si hanno prove evidentissime. Le due vicine punte di Monte Mezzano e Monte Pic- cioli ove la serpentina, come si rileva dall’analisi chimica e microscopica, e come sanno i lavoranti delle Cave, presenta gli stessi caratteri, sono separate da una depressione di pochi metri, ove la roccia è superfi- cialmente un po’ più alterata; ed è naturale: gli agenti atmosferici al- terano ed erodono maggiormente i punti di minor resistenza e le de- pressioni che allora si formano vi richiamano vie più le acque. E allora come la sella dei Colli, possono essersi formate per erosione tutte le altre; e, per tornare alla sella delle Croci, ove si trova l’eufotide, non è necessario supporre che ivi un tempo l’eufotide occupasse e riem- pisse tutta la depressione. Invece, osservando che alle Croci la striscia superficiale di eufotide è larga solo pochi metri, e che le due masse di serpentina altimetri- camente sovrastanti, del Chiesino a Sud e del Monte Mezzano a Nord sono state indubbiamente erose; osservando poi che la cima del Monte Mezzano costituisce evidentemente un cappello sul banco dell’eufotide, la quale ivi si stende verso Nord su ambedue i fianchi del monte; possiamo mettere in discussione anche l’altra ipotesi che alle Croci, un tempo, come oggi sul Monte Mezzano, la serpentina ricoprisse l’eufotide 16 U. PANICHI e le due regioni Nord e Sud fossero collegate fra loro (vedi il profilo n. 1, che va dal Chiesino a Monte Piccioli). Sicchè può anche accadere che l’eufotide, la quale si protende fino oltre il Camposanto di Figline, costituendovi il letto del torrente Bardena, e ricompare anche a Nord di Monte Piccioli verso la Casaccia, passi con continuità sotto alla serpen- tina della regione Nord; ma non si hanno poi dati per affermare che l’eufotide del Monte Ferrato sia ovunque sottostante alla serpentina, la quale del resto, potrebbe benissimo ricomparire sotto l’eufotide. Considerando ora complessivamente la massa costituente il Monte Ferrato, in relazione colle roccie sedimentarie circostanti, osserviamo subito che ad Est del Monte (fra il Camposanto di Figline e il paese), una splendida sezione mostra l’alberese in grandi banchi, che posa sulle ftaniti; un’altra sezione fra il Camposanto e la villa Benini, mostra le ftaniti che poggiano sulla serpentina. Ad Est del Camposanto, a circa 200 m. di distanza si vedono gli strati di ftanite sovrastanti al “ gabbro rosso ,, che spunta fuori dagli scisti galestrini. A Nord e ad Ovest, secondo il CaApaccI, (p. 15), “ non vi è nessun dubbio che gli strati eocenici penetrano sotto la massa serpentinosa, dimodochè appare evidente alla mente che la massa serpentinosa siasi adagiata su questi strati in concordanza di stratificazione ,. Io mi permetterò di osservare che anche in questo caso l’ipotesi dell’A. non è la sola deducibile dai dati di osservazione. Infatti dalla sezione E F, annessa alla memoria del CAPAccI, vediamo le formazioni succedersi in questo ordine: Alberese e galestri. Ftaniti. Serpentina. Ftaniti. Alberese e galestri. E la simmetria con cui le formazioni sono disposte intorno alla serpentina fa subito pensare alla possibilità che ad Est o ad Ovest la serie stratigrafica si presenti invertita. Dal canto mio osservo che le roccie sedimentarie che circondano il Monte Ferrato si presentano in tre gruppi distinti : 1.° Scisti marnosi ed argillosi (galestri), con frequenti intercalazioni di strati di calcari marnosi. Ul RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 17 2.° Ftaniti e diaspri (ordinariamente rossi). 3.0 Calcare alberese in banchi di notevole potenza. Ad Est, adunque, il 3.° gruppo è stratigraficamente superiore al 2.° e questo è superiore alla massa eruttiva. A Nord, la serpentina del Monte Piccioli è adagiata, sugli scisti del 1.° sruppo; non si hanno sezioni sul contatto; ma la costante pendenza a reggipoggio degli scisti e dei cal- cari intercalati e la sezione di scisti visibile dalla Fornace (a Nord di Fisline) e lungo il Rio della Selva sembrano dati sufficienti; ed anche.il CapAcci ed il LortI sono in ciò concordi. Però non escluderei anche la possibilità che gli scisti galestrini, che occupano anche il Colle fra Monte Piccioli e la Casaccia, ed i cui abbondanti detriti vengono facilmente asportati dalle acque, un tempo raggiungessero e magari sor- passassero la cima di Monte Piccioli, talchè la serpentina in origine po- tesse essere non sovrapposta agli scisti, ma parzialmente in essi com- presa, in modo analogo a ciò che appare in altri luoghi, come dirò. A N. O. la serie dei galestri con calcari qua e là sporgenti sussegue alla serpentina con tutta l’apparenza di servirle di base; ma il contatto resta sempre nascosto dai frammenti rocciosi staccati dalla compagine principale e solo si può arguire un andamento stratigrafico a reggipoggio dalla prevalente pendenza delle testate che sporgono lungo i pendii ricoperti da detriti di falda e dal fatto che dagli scisti a Nord, indubbia- mente inclinati contro il poggio, si passa a quelli di N. O. con continuità. Sotto alle Porticciole invece si hanno forti disturbi negli strati, sempre del 1.° gruppo, e fra i loro detriti compaiono qua e là spuntoni ser- pentinosi. Dopo le Porticciole si comincia a vedere la serpentina in contatto colle roccie del 2.° gruppo, cioè ftaniti in straterelli con inclinazione a reggipoggio, sormontate da un grosso banco di diaspro. E queste ftaniti continuano ininterrottamente, lungo il Rio di Fica- rello, fino a Galceti, e presso Galceti si vedono riposare sopra grossi banchi di alberese del 3.° gruppo. Mentre ad Est del Monte Ferrato la serie delle formazioni sedimentarie si eleva notevolmente sulla pianura, ad Ovest la serie corrispondente ri- mane ordinariamente ammantata dal terreno alluvionale. A Sud poi ri- mane completamente ricoperta. Ora, tornando ad Est, i banchi di alberese hanno qui pendenze pres- sochè costanti verso S. S. O.; cambiano poi, concordemente, pendenza sul Monte delle Coste (ad Est di Figline) formato tutto di alberese a strati piani ed inclinati ad O. N. 0, 18 U. PANICHI Dunque fra Figline e le Coste abbiamo una piega, ma non un rove- sciamento di strati e si deve ritenere che effettivamente la formazione calcarea presso Figline è superiore a quella delle ftaniti, la quale poi so- vrasta alla massa eruttiva. Non è possibile dir lo stesso per la serie ad Ovest del Monte Ferrato, poichè la formazione calcarea è quasi comple- tamente nascosta dall’alluvione. Qui però possiamo fare le osservazioni seguenti : 1.° Dal puro esame delle attuali pendenze risulta una serie di forma- zioni in ordine inverso alla precedente; 2.0 Questa inversione comincia ad osservarsi subito a Sud delle Por- ticciole, ove, come ho già detto, si hanno vistosissimi disturbi strati- grafici; 3.0 In nesssun punto appare che i banchi di ftanite penetrino molto addentro nel monte, e che cioè si prolunghino assai sotto la massa ser- pentinosa; anzi la maggior parte degli strati noi li vediamo sporgenti come una muraglia, che circondi la base del monte, ed il ruscello è in- ciso fra la muraglia e il monte. Dalla coesistenza di questi fatti parmi derivare, come cosa molto probabile, che le formazioni sedimentarie originariamente superiori alla massa eruttiva, nel successivo corrugamento di questa, abbian subìto un rovesciamento per tutto il fianco occidentale del Monte (vedi pro- filo n. 2). Passando ora a considerare la formazione di Cerreto, notiamo subito che qui i confini tra la formazione eruttiva e le circostanti sedimentarie sono quasi ovunque nascosti perchè coperti da detriti di falda o da ter- reno alluvionale. I poggi di Solano, del Quercione e di Serilli (o Croci di Cerreto) sono epidiabasici; il Monte Ferratino è serpentinoso. La mancanza di sezioni impedisce di stabilire la posizione relativa fra serpentina e diabase; ed io non so con quanta sicurezza CAPACCI e LortI affermino due cose perfettamente contrarie; infatti la sezione L M del Capacci mostra che il gabbro rosso !) del Quercione sta sotto alla ser- pentina del Ferratino (con intercalata una lente di eufotide) e la serpen- tina poi è inferiore agli scisti galestrini che si stendono fra il Ferratino e la Fornace. Invece la sezione del LotTI mostra che gli scisti stessi si spin- 1) Nella sezione invece di gabbro vi è scritto ftaniti; ma nel testo (p. 21) è detto che è gabbro RICERCHE PETROGRAFICHE, CHIMICHE E GEOLOGICHE, ECC. 19 gono sotto la serpentina e questa, a sua volta, sotto il diabase dei poggi del Quercione e di Serilli. Ciò prova, se non altro, la difficoltà di stabilire i rapporti di posizione fra queste formazioni. Io non ho elementi di osservazione che mi per- mettano di decidere fra le due opposte vedute del CAapAcci e del Lotti, circa i rapporti fra il diabase e la serpentina. Quanto alla posizione di questa rispetto agli scisti altimetricamente sottostanti, pur non avendo prove sicure, si può ritenere più probabile l’opinione del Lotti, sia per il grande sviluppo che hanno le roccie del 1.0 Sruppo alla base del monte, ad Est della Fornace, sia perchè presso la casa colonica del Ferratino si vede un poggio di scisti argillosi con stratificazione debolmente inclinata a N. E.; e se tale pendenza non è dovuta a dislocazioni puramente locali, potrà indicarci la reale giacitura degli scisti sotto alla massa eruttiva. Ad Est del poggio di Serilli si trovano calcari in banchi assai estesi, che formano il poggio di Alto Ciglio e che hanno inclinazioni oscillanti in- torno a O. N. O. come quelli delle Coste. Ma nel tratto che separa il poggio di Serilli da Alto Ciglio, la formazione calcarea è in gran parte nascosta e le testate sporgenti non presentano inclinazioni costanti; pare che qui arrivi un lembo degli scisti con calcari (1.° gruppo) che cingono a Nord e ad Ovest la massa diabasica e che si vedono, più a Nord, ripo- sare sull’arenaria. Il LortI nella sua sezione disegna questi calcari come sovrastanti alla massa eruttiva; ma la cosa è tutt'altro che evidente ; anzi a metà circa della via fra Alto Ciglio e Cerreto pare che debba accadere il contrario. Lo stesso spaccato del LottI attraversa (un po’ a Nord della Fornace) la valle che separa le due masse del Monte Ferrato e di Cerreto, presen- tando la sezione di un anticlinale eroso, sulle cui ali posano le serpen- tine di Monte Piccioli e del Ferratino. Effettivamente, presso, la Fornace la via del Cantagallo passa fra due masse di scisti argillosi.del 1.° gruppo, che probabilmente un tempo formavano un solo banco; ma la disposi- zione anticlinale di dette masse stratificate, dirette da N. N. O. a S. S. E., non sembra ripetersi oltre la loro breve comparsa in corrispondenza alla direzione dello spaccato del Lorti; inoltre tutta la zona che dal Ferra- tino scende a valle, compresa fra la Fornace, Solano e la Botte, e perciò attraversata dallo spaccato del LortI, è quasi totalmente occupata da masse eruttive, che sono riprodotte nella carta del CApAccI e mancano invece nella sezione del LoTtI. Dalle cose dette relativamente alla tectonica delle formazioni esami- 20 U. PANICHI nate, si può concludere che al Monte Ferrato le roccie del 3.° gruppo sono superiori a quelle del 2.° e a quelle del 1.°; quelle del 2.° sono superiori alle roccie eruttive e in contatto con esse; queste poi, talora appaiono so- vrastanti a quelle del 1.° (Monte Piccioli), talora invece immerse in ‘esse (Porticciole). Nella zona compresa fra la Fornace ed il Ferratino masse eruttive spuntano fuori dalle roccie del 1.° sruppo, analogamente a ciò: che si osserva alle Porticciole. La massa diabasica di Cerreto è pure in contatto con roccie del 1° gruppo; e pare assai probabile che la serpentina del Monte Ferratino si adagi sopra di esse. Complessivamente non mi sembra troppo arrischiato ammettere che le roccie del 1.° gruppo e le roccie eruttive siano contemporanee. Gabinetto di Mineralogia del R. Istituto di Studi Superiori. Firenze, settembre 1908. DOTT. EMPEDOCLE GOGGIO PROF. DI STORIA NATURALE NELL’ ISTITUTO TECNICO DI RIMINI STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (Sviluppo indipendente di due porzioni separate per mezzo di un taglio) —etre-si . PARTE IMI. !) — (NOTIZIE STORICHE. - RISULTATI) Notizie storiche. Gli esperimenti fatti dai diversi Autori sullo sviluppo indipendente dei due primi blastomeri isolati, o di pezzi di blastula o gastrula negli Anfibî sono molto numerosi; ma di essi non tratterò che incidentalmente, limitandomi a ricordare e discutere gli esperimenti del genere dei miei, e che, essendo stati fatti, come i miei, sopra larve già ben conformate e talora parecchio avanzate nello sviluppo, hanno dato risultati che meglio Si prestano ad essere confrontati con quelli da me ottenuti. Poichè non è mio intendimento di affrontare la discussione dei pro- blemi, che si connettono con tutti gli esperimenti sopraricordati. Mi ri- terrò pago se, limitandomi strettamente al campo esaminato, avrò potuto portare qualche piccolo contributo alle conoscenze sopra il meccanismo dello sviluppo di larve di Anfibî, negli stadî in che io le tenni sottocchio. Certo a qualche considerazione d’ordine più esteso sarò condotto; ma lascio ad altri di risalire alle questioni generali, che non possono es- sere discusse altrimenti che prendendo in considerazione gli esperimenti numerosissimi e svariatissimi fatti dai cultori di embriologia sperimen- tale non solo col metodo da me seguito, non solo nei pochi stadi da me considerati, e non solo nella classe degli Anfibî. Premesse queste dichiarazioni, che per me era doveroso di fare, ri- corderò gli esperimenti simili ai miei, fatti da altri Autori, che sono a mia conoscenza. i 4) V., per le parti I e II di questo lavoro: Atti Soc. Tosc. Sc. Nat., Mem., vol. XX e XXIII. Sc. Nat. Vol. XXV 2 22 E. GOGGIO Viene in prima linea VutPIan (39), il quale nel 1859 separò la coda dal resto del corpo in larve di rana (@. fuscaz) libere da 24 ore dei loro invogli. AI momento dell’ operazione la coda era appena trasparente, non lasciava distinguere alcuno degli organi profondi (nè asse verte- brale, nè masse muscolari), non mostrava alcun vaso nell’inviluppo cu- taneo e presentava l'epidermide coperta di ciglia vibratili e ricca di pigmento nerastro che contribuiva a rendere il segmento codale quasi completamente opaco: gli elementi cellulari, che si vedevano al disotto della pelle, erano riempiti di granulazioni vitelline. Due giorni dopo l'operazione la parte assile comincia ad essere riconoscibile; vi si distin- guono già confusamente le masse muscolari, separate da linee oblique e parallele. Nello stesso tempo la superficie del taglio si cicatrizza e fa una leggera bozza. Il quarto giorno si notano, oltre ad un maggiore differenziamento nelle varie parti, leggeri movimenti, in apparenza spon- tanei. Il sesto giorno si notano dei vasi, che si disegnano meglio e complicano le loro ramificazioni nell’ ottavo e nel nono giorno: in alcuni punti di essi si scorge sangue immobile. Le granulazioni vitelline sono scomparse in gran parte. Il segmento codale si è progressivamente accresciuto in lunghezza e larghezza. Verso il decimo giorno, qualche volta più tardi, esso muore. In questo momento esso è ugualmente svi- luppato, sotto tutti è riguardi, come la coda delle larve nate lo stesso giorno e non mutilate. La morte avviene perchè, in questo stadio di sviluppo, la circolazione sarebbe assolutamente indispensabile per to- gliere dai tessuti tutti i prodotti di disassimilazione, e per fornire loro materiali nutritizî. VuLPIAN ammette che questo sviluppo di code tagliate da larve di rana sì effettua senza alcun controllo del sistema nervoso centrale, “ chaque élément anatomique réalisant lui-méme une forme préfixée ,, ma, come nota Born (14), dal quale ho tolto le cose precedenti, nella coda ta- gliata è già contenuto l’abbozzo di una parte del sistema nervoso cen- trale. VuLPIAN crede, in ogni caso, che lo sviluppo si effettui regolarmente senza il controllo e l'influenza dell’ encefalo. VULPIAN (40) non ha alcun dubbio che lo sviluppo di code tagliate da larve appena sgusciate succeda con la stessa rapidità di quello di code non tagliate. Egli descrive anche, in corrispondenza della super- ficie del taglio, la quale si cicatrizza, una neoformazione, dovuta a “ vegetation des cellules ,, la quale aumenta ogni giorno: in questa parte neoformata VuLPIAN non ha trovato alcun asse. Gli esperimenti STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 23: condotti dal VuLeIAN in larve più giovani dettero cattivi risultati, perchè, in causa della piccola lunghezza dell’abbozzo della coda, 1’ Autore era costretto ad operare sull’addome,e perciò, dopo pochi giorni si aveva sfacelo dei monconi. Ma nota Born (14): “ es handelt sich bei Vulpian ’s Versuchen (nach der Laichzeit) um Larven von R. fusca coder R. arvalis: und bei diesen ist nach meinen Erfahrungen dieses negative Resultat unvermeidlich; nicht so bei Larven von R. esculenta ,. E anche nei miei esperimenti, condotti sopra larve di Bufo vulgaris, l’ essere il taglio. condotto nella regione addominale non'fu sempre causa di risultato negativo. Born (14) conferma completamente la sopravvivenza, l’accrescimento e la differenziazione dei tessuti in code tagliate. Sui processi di neo- formazione in queste fa le seguenti osservazioni. Pochi giorni dopo l’operazione, i lembi della natatoia ‘della coda tagliata cominciano a crescere oltre la superficie del taglio dell’asse ‘e: si uniscono innanzi allo stesso per dar luogo a un alto lembò semicir- colare. L'asse partecipa a questo processo, e dalla corda come pure dal midollo spinale crescono dei prolungamenti nel lembo di nuova forma- zione, mentre la muscolatura metamerica non mostra alcun accresci- mento e termina bruscamente alla superficie del taglio. I prolungamenti della corda e del midollo spinale raggiungono però, nei casi più favo- revoli, appena la metà della lunghezza del lembo neoformato. Questo risulta di tessuto muccoso embrionale tipico con cellule di pigmento sparse. In esso Born non ha potuto osservare abbozzi di vasi. Il pro- lungamento cavo del midollo spinale è più stretto dell’estremità vecchia dello stesso, e, se in questa estremità si era già formata (prima del taglio) della sostanza bianca, questa non entra nel pezzo di nuova for- mazione. Questo risulta soltanto dell’ epitelio del canale centrale e di uno strato lasso di cellule di sostanza grigia che si deposita attorno allo stesso. L’estremità della parte neoformata di midollo spinale è chiusa. La corda si comporta nella seguente maniera: l'involucro della vecchia corda termina, piegandosi un poco, alla superficie del taglio: dall'apertura terminale di esso esce un cordone di corda di neoforma- zione la di cui larghezza misura circa !/3 del diametro della vecchia corda. All'estremità di questa si trova un cumulo di granuli di vitello, mentre che gli stessi granuli sono spariti già da molto tempo dagli altri tessuti della coda tagliata. Il cordone di corda di neoformazione consisteva, in un caso, soltanto di cellule protoplasmatiche, che rap- 24 E. GOGGIO presentavano una continuazione dello strato cellulare periferico della vecchia corda. In un altro caso si vedevano chiaramente, nell’ interno, cellule vacuolizzate. Born non potè con sicurezza stabilire se alla pe- riferia si formava una guaina anista. Il pezzo di corda neoformato era sempre più lungo del corrispondente pezzo del midollo. Le fibre musco- lari della coda tagliata mostravano evidenti segni di degenerazione, come la comparsa di vacuole e di cumuletti di pigmento nell’ interno della sostanza striata. Born ottenne che tali code tagliate vivessero fino a 13 giorni dopo l'operazione. Esse non reagiscono a stimoli esterni, o perdono molto presto l’irritabilità che avevano in principio, mentre l’irritabilità riflessa pare ‘cresca al massimo grado se si lascia alla cod un pezzo di addome, oppure, ciò che è più importante, un pezzo del mì- dollo addominale. L’Autore deduce dalle sue osservazioni che non solo la provvista di tuorlo nell’estremità della coda tagliata di una larva di rana è suf- ficiente, come già aveva mostrato VurpIian, all’accrescimento successivo, al differenziamento del tessuti e ad una neoformazione nella regione del taglio, ma che a questa neoformazione prendono parte, oltre i lembi della natatoia, anche la corda e il midollo spinale. E continua mettendo in rilievo l’importanza del fatto che la coda delle larve di rana sia atta ad una neoproduzione rigenerativa non soltanto nella direzione cranio- codale, ma anche nella direzione contraria, e che questo accrescimento oltre la superficie artificiale del taglio avvenga senza afflusso di sangue e quindi senza trasporto di materiali. Gli esperimenti del Born furono fatti sopra larve non ancora sgusciate, della lunghezza di circa 6-8 mil- limetri. i Born afferma ancora che, come l’estremità della coda, si possono conservare anche parti anteriori e posteriori tagliate, e queste mostrano accrescimento vivace e differenziazioni di tessuti ed organi. In casi favo- revoli la pelle si chiude al di sopra delle cellule del tuorlo; in casi sfa- vorevoli questo non avviene, e si trova poi che Ve cellule entodermali del- l’epitelio intestinale, che sì trovano presso il taglio, passano direttamente nell’ epidermide ectodermale. L'Autore conservò questi pezzi al massimo per 14 giorni, in una so- luzione di sale da cucina al 0, 6 %, fino all’assorbimento completo della provvista di vitello. In ogni caso sì formò un rigonfiamento idropico della cavità addominale, molto più marcato nelle parti posteriorì che in quelle anteriori. Lo sviluppo degli organi e dei tessuti ha lo stesso decorso fino alla superficie del taglio come se non mancasse nulla di importante. RI STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 25 Il pezzo posteriore di una larva prossima a schiudersi, nel quale la superficie del taglio si era completamente ricoperta di pelle, e che undici giorni dopo l’operazione era stato posto, in istato di perfetta vita- lità, nel sublimato, mostrava i seguenti fatti. L’ estremità del midollo sì era chiusa e nella sua parete si trovavano frequenti mitosi. Al di là della sostanza grigia era cresciuto un prolungamento appuntito di so- ‘stanza bianca, che terminava in una calotta di fibre muscolari di evi- dente neoformazione, che contornavano l’estremità del midollo e della corda, e si estendevano fino alla sierosa della cavità addominale rigon- fiata. L’estremità della corda è piegata verso il ventre; contiene, secondo il solito, un resto di tuorlo, e non è circondata da guaina, cosicchè, a livello di essa, le cellule periferiche protoplasmatiche della corda si collegano direttamente con le cellule mesodermali, che le circondano. I dotti del rene cefalico terminano a fondo chiuso al moncherino della corda. L’'estremità dell’intestino, chiusa, si trova per un buon tratto al di dietro dei moncherini degli organi assiali. Era anche da notarsi, innanzi all’ ano, un epitelio entodermale ‘caratteristico per la presenza di granuli -di tuorlo e per una molteplice stratificazione, il quale sosti- tuiva per gran tratto l'epidermide. “ Ich vermuthe , dice Born “ dass “es sich hier um Folgezustànde eines unvollkommen geschlossenen “ Urmundes mit Dotterpfropf, komplicirt durch die wassersiichtige Auf- “ blahung der Bauchohle, handelt ,. Nelle parti anteriori di larve ope- rate con tagli condotti attraverso il tronco, nelle quali avvenne la chiusura della ferita, l’estremità dell’intestino è chiusa, e giace libera nella cavità addominale. Questa estremità si sviluppa fino al taglio in modo comple- tamente normale. I dotti del rene cefalico terminano all’indietro a cul di sacco e si mostrano «enormemente dilatati, come i canalicoli - della ghiandola. La natatoia dorsale cresce molto di frequente verso l’indietro in forma appuntita, e în questa punta cresce un sottile prolungamento, a forma di bastoncino, del moncherino della corda, il quale, come nelle code tagliate, viene formato da cellule non vacuolizzate, che sono in con- nessione con le cellule periferiche del moncherino della corda. In un caso il bastoncello della corda attraversava quasi tutta la lunghezza del neoformato prolungamento della natatoia dorsale. Il midollo spinale non partecipa mai a. questa neoformazione, ma termina, chiuso e appuntito, al di sopra del moncherino della corda, circondato dalla muscolatura. Anche nei casi in cui le larve furono operate in modo da tagliare (talora obliquamente) una parte più o meno grande della testa, si venne, 26. E. GOGGIO in casi favorevoli, ad una cicatrizzazione; le larve si possono far rima- nere în vita sin alla fine della terza settimana dopo l’operazione. Negli esemplari esaminati gli organi o le parti di organi si mostrarono svi- luppati fino alla superficie del taglio: si verificarono alcuni spostamenti. Anche le estremità delle teste tagliate si cicatrizzano non di rado e si vedono per parecchi giorni muoversi in causa del loro rivestimento vi- bratile. Notevoli sono alcuni esperimenti del Born relativi all’asporta- zione di striscie di pelle con poco vitello dalla parte ventrale dell’ad- dome di giovani larve (con gemma caudale molto corta) di Rana arvalis: le ferite di queste si cicatrizzarono meravigliosamente, e i pezzi aspor- tati, accartocciandosi prendevano forma di piccola salciccia, oppure ovoidale etc., si muovevano lentamente nella soluzione di sal da cucina in cui erano poste, si accrebbero, il tuorlo fu in diverse ricoperto da rivestimento epiteliale, e vissero fino a 6 giorni. Le stesse osservazioni furono fatte su larve di Rana esculenta: i pezzi piatti asportati dal- l'addome di queste sopportarono dopo 24 ore anche il trasporto in acqua pura. I’ esame microscopico di tre di questi pezzi di Rana esculenta mostrò che dall’ectoderma erano spariti i granuli di tuorlo; le cellule mesodermiche ne contenevano invece ancora, e le grosse cellule vitel- line entodermiche ne erano riempite completamente. L° Autore spiega lo sviluppo di questi pezzi nel seguente modo. La striscia di pelle stac- cata si incurva, subito dopo l'operazione, al di sopra della superficie del taglio. Allora lo strato di cellule vitelline staccate insieme ad essa (striscia) prende forma di cumulo e viene coperto più o meno comple- tamente dai margini dell’ectederma (nel quale si possono vedere facil- mente figure nucleari dopo tre giorni). Nel giorno seguente l’ ectoderma si rialza in forma di vescica sopra gli altri strati e soltanto nella parte dove esso ha coperto di fresco il cumulo di cellule vitelline, rimane con quest’ultimo più o meno in connessione. Questo rigonfiamento dell’ecto- derma succede principalmente per l assorbimento dell’acqua (ma non è esclusa una secrezione di liquido nell'interno) dall’ esterno. Allora vien meno la connessione col mesoderma che giace al di sotto: le cellule di questo prendono forma rotonda e si dispongono a mucchi, lassa- mente le une vicine alle altre; queste cellule mostrano specialmente numerose mitosi. Nell'ectoderma lo scambio di sostanze e la prolifera- zione delle cellule sono molto intensi; in esso la provvigione di granuli di tuorlo è già completamente esaurita dopo tre giorni: segue il me- o A STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 27 Soderma con resti di granuli vitellini, ma con numerose mitosi: in grado molto più lento avvengono tanto lo scambio di sostanze quanto la mol- tiplicazione delle cellule nell’entoderma: in queste non poterono essere osservate mitosi. Gli esperimenti del Born sono, senza dubbio, importantissimi e per questo meritavano un largo resoconto. Ho voluto dare a questo una lar- ghezza, che a taluno potrà forse parere eccessiva, perchè, essendo, alcuni di essi specialmente, molto simili ai miei, il lettore possa, senza disturbo, fare i necessarî confronti, anche nei particolari. Così il Born riassume e discute i risultati di essi. Le larve di molti Anfibî anuri mostrano, in una soluzione fisiolo- gica (anche in acqua), nello stadio nel quale la doccia midollare è chiusa da poco, la coda si manifesta appena e il capo comincia a con- formarsi, come pure in una serie di stadî seguenti, un notevole potere di rapida guarigione per ferite di taglio. Per le specie indigene questa proprietà è più spiccata in ana esculenta, Bombinator igneus e Pelo- bates fuscus, molto minore nei rospi, minima in ana fusca. Questo potere dipende essenzialmente da ciò che l’epidermide si spinge in brevissimo tempo da tutte le parti sopra la superficie ferita, cosicchè nel primo quarto d’ ora questa diminuisce della metà, e nel corso di un’ ora una lesione relativamente grossa può essere ricoperta da epitelio. Persino piccolissimi pezzetti piatti, tolti dalla parete del corpo, godono di questa proprietà. Sembra al Born che il margine dell’epitelio venga spinto im toto concentricamente al di sopra della superficie ferita, non avendo potuto rilevare dalle osservazioni fatte una migrazione attiva di singole cellule epiteliali. In conseguenza della rapida cicatrizzazione epiteliale di ferite liscie si possono mantenere în vita pezzi di larve fino all’ assorbimento completo del vitello contenuto nelle cellule, cioè, in condizioni favorevoli, fino alla fine della 3.2 settimana dopo Voperazione. Se la cicatrizzazione epiteliale non riescì completamente per una causa qualunque, comincia dopo al- cuni giorni uno sfacelo progressivo, a cominciare dalle superficî nude delle cellule vitelline, del sistema nervoso centrale, etc. Le parti stac- cate non Solo si mantengono in vita, ma continuano ancora il loro sviluppo e accrescimento, a spese del deutoplasma, spesso senza cuore, senza sangue e senza vasi sanguigni. Si possono mantenere in vita parti anteriori e posteriori di larve tagliate a metà, larve alle quali furono 28 i E. GOGGIO tagliate parti più o meno grandi della testa, e finalmente. anche parti singole della testa. Il grado di sviluppo, che viene raggiunto è messo ottimamente in evidenza dal fatto che nelle più vecchie si forma nel capo un cranio primordiale completo. Da ciò risulta chiaramente che lo sviluppo di ogni organo fino alla superficie del taglio, comunque. questo sia fatto, continua precisamente come nelle larve normali; nè la mancanea del cuore nè quella del cervello hanno una influenza sostanziale sull’accresci- mento e sui processi di differenziazione. “ Es spricht dies , dice Born “ fur ein hochgradiges Selbstdifferenzirungsvermogen der Theile unserer Larven im Sinne Roux’s; eine wesentliche Beeinflussung der Entwi- ckelung durch den Wegfall der normalen Nachbarschaft (Korrelation) ist nicht erweisbar; gewisse lokale Verschiebungen (Anniherung der Ohrblasen an einannder vor dem Gehirnstumpfe bei Abtragung des vorderen Kopfendes) sind wohl nicht als bedeutsam aufzufassen. Von unserem Ausgangsstadium. an geschieht die Entwickelung unserer Fro- schlarven also wesentlich nach den Principien der Mosaiktheorie ,. Gli organi tubuliformi si chiudono alla superficie del taglio. __ I processi rigenerativi sono abbastanza rari. “ Regenerirt wurde in unseren Fallen , afferma Born “ eigentlich nur die Riickentlosse und die in derselben enthaltenen, oder sich an dieselbe anschliessenden axialen Organe: Chorda und Medulla, und dies auch nur in geringer Ausdehnung und in gewissermassen rudimentirer, verkiimmerter Form ,,. Lascio da parte i numerosi esperimenti di concrescimento fatti dal Born, e vengo alle osservazioni fatte dallo ScHaPER nel 1898 (36). Questo Autore operò una larva di Rana esculenta di mm. 6 di lun- ghezza in modo da toglierle un segmento fronto-dorsale della testa. La larva, alla quale erano rimaste le branchie e le ventose, visse ancora sei giorni e mezzo e si sviluppò quasi normalmente, quantunque non possedesse nè encefalo, nè occhi, nè organi dell’olfatto e dell’ udito. Il midollo spinale degenerò manifestamente, quantunque i ganglî spinali fossero rimasti normali, e la larva reagì energicamente agli stimoli fino alla morte. Lo ScHAPER ritiene quindi che il sistema nervoso centrale non ha alcuna influenza sullo sviluppo dell’ organismo !), e questo svi- 4) Questa deduzione dello ScHAPAR è, come osservano GIARDINA (21) e altri, criticabile perchè l’atrofia del sistema nervoso centrale fu osservata alla fine dell’ esperimento e non durante la vita e lo sviluppo del moncone. — TORNIER (88) sostiene una corrispondenza sempre esistente tra i cambiamenti degli organi terminali e il sistema nervoso. STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 29 luppo si esplica nei primi periodi come nei protozoi coloniali. Anche in una larva di Hy/a viridis, privata, pressapoco nello stesso stadio della precedente, di un pezzo fronto-dorsale della testa in modo da lasciare in situ l’occhio sinistro, lo sviluppo si verificò normalmente, malgrado la mancanza dell’ encefalo. BrRNES (16) ha trovato che, se in girini molto giovani di Rana syl- vatica, palustrìîs 0 virescens, nello stadio in cui i rudimenti degli arti non sono ancora apparsi o iniziano appena il loro sviluppo e si manife- stano in sezione trasversale come un piccolo gruppo cellulare, si taglia via la regione nella quale si possono formare le estremità posteriori, queste vengono ugualmente formate. L’Autrice nel suo lavoro ricorda la seguente frase di KocHs (28) “ Meines Wissens exsistirt keine Angabe darilber, dass eine Extremitàt vollig normal in Form und: Grosse re- generirt wàre ,. i RAFFAELE (33) per mezzo di esperimenti fatti su embrioni e larve di Rana e di Discoglossus, dimostra che, decapitando le larve, i due mon- coni sopravvivono e continuano a svilupparsi, senza che però si manifesti, oltre alla cicatrizzazione della ferita, da parte dell’ ectoderma,-alcuna rigenerazione. Lo sviluppo continua come se i pezzi fossero ancora uniti. Nei monconi posteriori, cui è stata asportata tutta la testa, fin dietro all’intestino respiratorio, prima che sia formato l’abbozzo del cuore, non si manifesta la circolazione, ma i vasi si sviluppano e si sviluppano anche i globuli del sangue in molti punti. La mancata circolazione è causa di un idrope, principalmente accentuata nelle vie venose. Le vene cardinali e la vena codale si dilatano enormemente. I. GocGio (22) tagliò trasversalmente una larva di Bufo vulgaris di mm. 4 di lunghezza, in modo da asportare non solo il capo e tutto l'intestino respiratorio, ma ancora una piccola parte dietro a questo. Dall’ esame microscopico del moncone posteriore, che fu fissato 20 giorni dopo l’ operazione, risultò che le varie parti si erano notevolmente svi- luppate (lentamente l'apparato digerente), e che l’apparato circolatorio si era profondamente modificato, presentandosi notevoli rigonfiamenti nei vasi: DA. ammette anche e descrive una probabile regolazione nella circolazione. Conclude per l’indipendenza dello sviluppo delle singole parti. RuBIN (35) conferma per embrioni di Rana fusca lunghi mm. 4-5 i risultati ottenuti da ScHAPER sopra embrioni di Rana esculenta, nei quali il cervello tolto intieramente o in parte non si rigenerò. L’A. conclude, 30 E. GOGGIO fra l’altro: “ Die Entfernung des gesammten Gehirns sowie der Sinne- sorgane des Kopfes bei jungen Larven von Rana fusca beeintrachtigt in keiner Weise die Regeneration der amputirten Schwànze ,. GoLDSTEIN (23) conferma, dopo aver esaminato i preparati dello ScHA- PER, le osservazioni e le vedute di questo. HARRISON (25) tolse l’abbozzo del midollo spinale a larve giovanissime di Rana palustris, e rilevò che si sviluppano benissimo i muscoli; così pure si sviluppano normalmente le zampette posteriori, ma non pre- sentano nervi. L’esperimento di HARRISON fu rifatto da BRAUS (15) e da GIARDINA (21). RossI (34) separò la testa, compresa la regione branchiale, dal tronco, in larve di Rama esculenta della lunghezza di millimetri 4 e di milli- metri 5 o poco più. Le due porzioni nelle quali il corpo fu diviso con- tinuarono a vivere. L’A. nota che, operando in periodi più precoci, i risul- tati, che si ottengono, non sono troppo felici, poichè son poche le larve, che sopravvivonoÈ e così conchiude: “ la separazione della testa dal tronco “ permette agli organi, in essa contenuti, di continuare nel loro svi- “ luppo. Tutti progrediscono come nelle larve integre, ad eccezione della “ Ipofisi, la quale subisce un notevole rallentamento. Questo ritardo è, verisimilmente, in dipendenza del fatto che nell’ectoderma, molto più “ precocemente e rapidamente che negli altri tessuti ed organi, sì ma- nifestano i fenomeni della rigenerazione i quali compaiono pochi mo- menti dopo l’operazione. Questa maggiore e più rapida attività rige- nerativa consiste in ciò che nei primi istanti che seguono al taglio, l’ectoderma deve ricoprire la ferita con uno strato epiteliale indiffe- rente che, come sembra, sì origina per uno spostamento delle cellule “ ectodermiche che si trovano ai margini della ferita o in prossimità di “ essi. Più tardi compare la vera e propria rigenerazione, che si fa per “ divisione diretta e. indiretta, più per questa, degli elementi che cor- “ rispondono ai margini della ferita stessa che si è già ricoperta dello “ strato epiteliale indifferente suddetto ,,. LEVI (29) osservò che si ha rigenerazione regolare dell’ abbozzo geni- tale e frequentemente del canale di Wolff e del pronephros in larve di Bufo vulgaris lunghe 9-10 mm. alle quali l’abbozzo urogenitale venga trattato con un ago rovente. Ma, siccome fu impossibile all’A. di sapere se l’operazione distruggeva completamente l’ abbozzo genitale, egli non potè concludere per una differenziazione di cellule germinative da cel- lule somatiche, è STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 31 Kine (26), distrutta la regione del cervello * eyeforming , in em- brioni di Rana prima della chiusura della doccia midollare, non ottenne sviluppo dell’occhio nel luogo offeso. «GIARDINA (20), riferendosi a esperimenti proprî e di altri Autori, con- clude: “ Essi mostrano ancora una volta fino a qual punto lo sviluppo degli Anfibî sia uno sviluppo a mosaico: ogni regione dell’ embrione essendo destinata a formare una regione determinata della larva. Ma beninteso bisogna intendere questa espressione cum grano salis; non è che il materiale formativo della coda si trovi fin dal principio localiz- zato tutto in un determinato abbozzo, unico e delimitato: ma vi con- corrono vari abbozzi situati in varie parti del corpo dell'embrione: così che mentre il tubercolo codale dà la maggior parte dei muscoli, del midollo e della corda, l'epidermide proviene in massima parte da una speciale zona formativa; gli organi della linea laterale ed il nervo dalla regione del collo (RAFFAELE, HARRISON) ,. Inoltre il GIARDINA rileva che nello sviluppo degli Anuri non mancano numerose regolazioni : così; aspor- tato il tubercolo codale ad un embrione (di Discoglossus) di 3 ‘|;-4 mm., in questo, dopo qualche tempo, si ha una coda di forma normale, senza intervento però di rigenerazione, ma per lo sviluppo di un moncone do- vuto all’ingrossamento dei segmenti muscolari già formati, e all’ allun- gamento per accrescimento uniforme (non apicale) del midollo e della corda, e « per una diversa direzione dell’accrescimento di quello stesso materiale che normalmente avrebbe costituito la porzione dorsale e ven- trale della pinna ,. Ancora il GiarpINA dimostra che si può avere “ la regolazione di un difetto con un materiale che normalmente è destinato a tutt'altro scopo ,... e che “la regolazione è diretta allo scopo più urgente: tra due mali è scelto quello di gran lunga minore ,. Nelle regolazioni descritte dal GrarpINA non si ha mai intervento di processi rigenerativi. Im un altro lavoro (21) GIARDINA deduce, da esperimenti di tagli sopra embrioni e larve di Discoglossus, che “ si differenziano benissimo i vari or- gani, indipendentemente in ciascuno dei due pezzi, e il pezzo posteriore può presentare, dopo taluni giorni, e cioè dopo che si sono formati i mu- scoli e i nervi, contrazioni muscolari più o meno accentuate. I pezzi che, oltre la coda, vengono a contenere una piccola porzione della regione addominale, e spesso anche le: code isolate, sono capaci di eseguire, se stimolati, movimenti di traslazione notevolissimi......: le piccole code sembrano.... dei veri animali, si comportano come un tutto completo; 32 ; E. GOGGIO non solo hanno acquistato il potere di contrarre i proprìî muscoli, ma anche una vera coordinazione dei movimenti locomotori. I pezzi che comprendono solo una porzione della coda non possono più eseguire movimenti di traslazione veri e proprî, ma rispondono sempre agli sti- moli con contrazioni muscolari più o meno estese, spesso assai ‘lievi e talvolta invisibili senza l'ausilio di una lente !),. Anche nei movi- menti dei pezzi isolati prima dello stabilirsi delle funzioni nervose il GIARDINA dimostra l’avverarsi di regolazioni e dice: “Quei pezzi iso- lati, evidentemente si comportano come non sì sarebbero mai comportati se avessero continuato a vivere come parte dell’ intero; Za Zoro capacità di movimenti riflessi (e talvolta spontanei) coordinati è il resultato di di una regolazione , ?). STEINITZ (37) trova che, distrutte le vescicole ottiche in larve di Rana fusca lunghe circa 15 mm., l’occhio non si rigenera. L'A. esamina gli individui operati in quattro stadî, e cioè: 37-50-64-95 giorni dopo l’ope- razione. In un modello di cranio del 3.° stadio sî vede che la cosidetta orbita è notevolmente impicciolita, ciò che può considerarsi come sem- plice conseguenza meccanica della mancanza dell’ occhio. L'accorciamento della regione orbitale comincia nel 2.° stadio; fino a questo l’accresci- mento in lunghezza del cranio avviene per autodifferenziamento. I mu- scoli degli occhi crescono dopo l’operazione, ma non in grado nor- male. Negli stadî avanzati l’ osservazione istologica mostra in essi manifesti segni di degenerazione. Il nervo ottico sparisce. Ciò non ostante rimane membranoso un luogo della parete laterale del cranio corrispondente al Foramen opticum. Nell’ encefalo si notano riduzioni in qualche punto (es. Regio chiasmatica, etc.) specialmente negli stadî avanzati. Ad un periodo di autodifferenziamento, ne segue uno di diffe- renziamento subordinato. Levy (30), esperimentando sopra embrioni di riton tueniatus per mezzo di un capello con il quale operava strozzature, potè osservare fenomeni di autodifferenziamento in varî organi e un piccolo potere di regolazione del diencefalo. S 1) Così può forse spiegarsi un reperto negativo di Born sullo stesso sog- getto (GIARDINA). ?) In GraRDINA (21) il lettore potrà trovare importantissime notizie intorno ai movimenti di parti embrionali di Anuri isolate. Mi limito qui a ricordare, oltre a quelli citati, togliendoli appunto da GrarDbINA,i seguenti lavori; BABAK (1), WoLFF (42). STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 33 BANCHI (6) estirpò gli abbozzi del fegato e del pancreas in larve di Bufo vulgaris lunghe quasi 5 mm. *), cioè “ nello stadio corri- spondente ai più precoci stadî della differenziazione macroscopica degli abbozzi del fegato e del pancreas ,. La mortalità post-operatoria fu enorme, ma anche nelle larve sopravvissute solo sette od otto giorni, lo sviluppo degli organi continuò con normale rapidità. In quanto agli abbozzi estirpati, l’A. corclude che: a) L’ abbozzo del fegato non rigenera se estirpato in totalità. b) La porzione dell’abbozzo del fegato che costituisce in seguito le vie bilifere non è capace di provvedere alla rigenerazione della por- zione che forma la parte ghiandolare dell’organo (cellule epatiche). c) La porzione più cefalica dell’abbozzo non ha potere rigenerativo sufficiente per ricostituire l’abbozzo stesso quando nella estirpazione avvenuta essa rimane in sito, separata dalle sue connessioni primitive colla parete intestinale. d) Se l’abbozzo del pancreas è estirpato in totalità, non vi è post- generazione. dell'organo. La porzione dell’abbozzo, che rimane contenuta nella parete dell’ intestino o dell’abbozzo del coledoco, è dotata di capa- cità sufficiente per riformare con sollecitudine un abbozzo normale del pancreas. Lo stesso autore estirpò a larve giovanissime (con coda ancora allo stato di tubercolo) tutta quella massa di entoderma che sta ventral- mente al futuro intestino, dove si abbozza precocemente la formazione epatica. La mortalità fu grandissima nei primi 4 o 5 giorni, ma nei sog- . getti sopravvissuti, il progresso nello sviluppo degli organi fu rapido e notevole e poco rimase in ritardo rispetto ai controlli. In otto soggetti, sopravvissuti 7-10 giorni, mancava ogni traccia di abbozzo epatico: in uno solo, sopravvissuto 9 giorni, vi era un abbozzo coi caratteri dell’ab- bozzo epatico, molto ridotto però e non ancora trabecolato come era in istadî anche più precoci nei controlli. Da tutte le accennate ricerche sperimentali sulla post-generazione di abbozzi embrionali estirpati il BancHI deduce che <« in stadî pre- “ cocissimi della vita dell'embrione i singoli organi, sebbene rappre- “ sentati da abbozzi apparentemente costituiti di elementi indifferenti, “ o appena differenziati, tuttavia non solo hanno già in sè intiera l’at- 1) Desumo queste dimensioni dalle figure del lavoro del BancHI, tenuto conto dell’ ingrandimento indicato dall’ A. 34 E. GOGGIO “ titudine a sviluppare quell’organo determinato, ma questa attitudine è “ già specifica e non può essere assunta da nessun altro elemento o gruppo di elementi dell’embrione, per quanto in quello stadio stesso si trovino ad essere nell’ embrione elementi non ancora apparente- mente in altro senso differenziati, di origine identica a quella degli elementi dell’abbozzo in causa ,. MoRcaAN (32, pag. 251) ha trovato che quando ad un giovane embrione di anfibio si esporta la parte nella quale si forma il cuore, non se ne produce uno nuovo. In uno di tali casi egli ha osservato pulsazioni ritmiche in un vaso ad uno dei lati del collo nella regione della faringe. Lo stesso Autore (ibidem, pag. 257), dopo aver tagliato via nella metà dorsale della coda di un girino, presso alla base, un pezzo triangolare col vertice circa all’altezza della corda o dell’aorta, osservò rigenera- zione da ambo le superficî di sezione. Il rigenerato che si sviluppa dalla superficie di sezione prossimale dell’estremità distale della coda contiene corda, midollo, connettivo, cellule pigmentate e tessuto muscolare. Mac KnoweR (27) asportò il cuore a giovani larve di Rana. Queste sopravvissero all’operazione 14 giorni, ma divennero molto edematose. Fegato, pancreas e intestino si arrestarono nell’accrescimento e nel dif- ferenziamento; gravi disturbi si ebbero nel cervello e nella muscolatura. Il cuore non subì rigenerazione. L’aorta, le vene, i capillari si mostrarono molto allargati e irregolari: i corpuscoli del sangue poco numerosi. BeLL (11) trova che, togliendo ad una larva di Rana esculenta o È. fusca, lunga mm. 2,5-4, una metà laterale del cervello, è possibile che questa si rigeneri fino a raggiungere una grossezza quasi uguale a quella della parete normale. La rigenerazione appare più raramente in dire- zione antero-posteriore. L’ occhio può svilupparsi, anche se si estirpa completamente il suo abbozzo nello stadio di 3 mm. Se l’abbozzo na- sale è soltanto un inspessimento pigmentato dell’ ectoderma, rigenera facilmente quando lo si estirpi. “« “ « “« Si meraviglierà forse il lettore di non vedere qui ricordati gli espe- rimenti di innesto, i quali, a cominciare da BoRn (14), HARRISON (24) | per venire ai nostri GIARDINA (20), GEMELLI (18,19) BancHI (2,3,4,5) etc., furono fatti con grandissimo successo sopra larve di Anuri. Gli è che scopo delle mie ricerche in questo lavoro fu quello di vedere come si sviluppano pezzi embrionali e larvali di Anuri, isolati, quando essi non dispongano che delle proprie risorse. Ben comprendo che, come dice Born, gli esperimenti di innesto completano quelli di ampu- | i o . STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 35 tazione perchè molti pezzi, che, isolati, non si possono conservare a lungo, perchè incapaci di nutrirsi, vivono invece un tempo indetermi- nato e si sviluppano completamente, se, innestati sopra un’altra larva, ricevano da questa, per mezzo di anastomosi, il necessario nutrimento. E trascrivo qui volentieri le seguenti parole del Born (14, p. 203) a pro- posito degli innesti: “ Wahrend sich aus den Defeltversuchen nur, gewis- sermassen negativ, schliessen liess, dass — immer unser Ausgangstadium vorausgesetzt — nach Wegfall der normalen Nachbarschaft und Bezie- hung, die Theile unserer Larven sich doch bis zur Schnittfléiche so entwi- chelten, als wenn nichts fehlte, kommt hier das positive Ergebnis hineu, dass das Hinzutreten der heterogensten, neuen Nachbarschaften, ja die innigste, organische Verbindung mit denselben, keinen korrelativ indernden ° Einfluss auf die Entwickelung der zusammengefiigten Theile austibt ,. Ma siamo noi sicuri che un pezzo innestato, sia pure in sede ano- mala, sopra di una larva, si sviluppi come se fosse rimasto. isolato e, con un mezzo qualsiasi, nutrito? Possiamo noi escludere che il porta- innesto dia qualche altra cosa, oltre al nutrimento? Io credo di no: e la mia credenza è, se non erro, avvalorata da una osservazione del Prof. RAFFAELE, riportata da GIARDINA (21,p.308, nota). Il Prof. RAFFAELE ha trovato che in un pezzo innestato tutti i nervi tagliati in un primo tempo degenerano, ma in un secondo tempo la sostanza nervosa del nervo si ricostituisce per la penetrazione di esilissimi filamenti nervosi dei nervi dell’ altra parte. Anche GemELLI (18, 19), per ciò che riguarda lo sviluppo dei nervi degli arti pelvici di Bufo vulgaris innestati in sede anomala, sostiene che “ il nervo che si costituisce nell’abbozzo innestato è fornito dal sistema nervoso centrale e in nessuna maniera si può provare un’ori- gine indipendente di abbozzi separati dal centro , 1). Se noi vogliamo dunque vedere in qual modo un pezzo, privato delle ‘sue naturali connessioni, è capace di svilupparsi indipendentemente da qualunque aiuto vitale esterno (e questo, lo ripeto, è: scopo delle mie ricerche) non dobbiamo ricorrere agli esperimenti di innesto. E vengo ora ai risultati delle mie osservazioni. 1) Si vedano però a questo proposito i lavori di BANCHI (2,3,4,5, 5 bis) che sostiene una tesi opposta a quella del GEMELLI. 36 E. GOGGIO Risultati delle mie osservazioni. A.— Risultati dello studio esterno. a. — Durata in vita dei pezzi isolati. Ciò che, senza dubbio, più colpisce, a questo proposito, è il lun- ghissimo tempo (54 giorni) durante il quale, senza capo, si mantenne in vita la p. p. !) di Ea. Nè questo può considerarsi come un fatto ecce- zionale, poichè altri due dei p. p. delle larve operate nella 1.% serie di esperimenti vissero a lungo (Ca, 31 giorni; Da, 25 giorni), nè è da escludere che la loro vita si sarebbe prolungata di parecchio qualora non fossero state fissate. Quest’ ultima considorazione può anche farsi almeno per la p. p. di Fa (durata in vita 7 giorni). Delle p. a. appartenenti alle larve della 1.* serie di esperimenti non può certo ripetersi altrettanto, ma è sempre notevole, data l’esiguità della loro massa, la durata in vita di alcune (Ca, Da, quasi 8 giorni; Fa, 7 giorni), ed è sempre da osservare che queste al momento della fissazione erano ancora in buono stato, si muovevano, ed avevano ferita completamente chiusa. La prima serie di esperimenti dette, senza dubbio, risultati di gran lunga superiori alle altre: ma anche in queste non mancarono casì rimar- chevoli: così è da notare la durata in vita considerevole (data la pic- colezza dei pezzi) della p. v. di DO [7 giorni; v. di questo lavoro, P. I, la Tav. VII (I), fig. 17], della p. a. di Ed, [7 giorni, v. 1. c., Tav. VII (I), fig. 29], della p. p. di Cg[7 giorni, v. 1. c., Tav. VII (1), fig. 22] e di quella di My [quasi 12 giorni; v. 1. c., Tav. VIII (II), fig. 30]. Ciò mostra che per una relativamente lunga conservazione in vita di una parte staccata da una giovane larva di Bufo, anche in acqua co- mune, non è necessaria la presenza in essa di una notevole quantità di vitello. Non è però da escludere che le parti più grosse e più ricche di vitello abbiano un considerevole vantaggio di fronte a quelle pic- cole e povere di tuorlo, come è mostrato dalla durata in vita di tutte le p. p. (rispetto alle p. a.) nella 1.* serie di esperimenti, di quella, pure poste- riore, di Bg (7 giorni, in confronto di 3 per la p. a.), di quella ante- e 1) p. p.= parte o pezzo posteriore ; p. a. = parte o pezzo anteriore; p. v. — parte o pezzo ventrale; p. d.= parte o pezzo dorsale. STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. IIT) 37 riore di Cg (10 g., in confronto di 7 per le p. p.), da quella posteriore di B? (6 g., invece di 5 per la p. a.), di quella a. di Lm (7g.; la p. p. visse non più di 4 !/e g.). Per i tagli trasversali mediani possiamo notare come sopra 25 casi, in 15 le due parti, anteriore e posteriore, si comportarono ugualmente o quasi ugualmente, in 7 visse più a lungo la p. D., in 3 quella a. Si può quindi almeno conchiudere che la p. p., pur mancando dei princi- pali organi (encefalo, cuore) non si trova, se staccata dall’altra metà, in condizioni d’inferiorità rispetto a questa. Si potrebbe anzi quasi pensare il contrario. I tagli in direzione frontale furono così pochi che è inutile tentare di trarne deduzioni fondate: pure si può osservare che nei due, che furono fatti, le parti in cui le larve furono divise si comportarono ugualmente, anche essendo la parte ventrale molto minore di quella dorsale. B. — Movimenti dei pezzi isolati. I pezzi isolati non solo vivono, ma sono capaci di movimenti. Quelli comunque staccati da larve giovani (anche il capo di una larva di mm. 6, 5), possono procedere, talora anche immediatamente. dopo l’operazione e senza stimolo apparente, strisciando sul fondo del vaso in cui sono contenuti, per mezzo dei movimenti del loro rivesti- «mento vibratile, in direzione normale. Se sono molto piccoli, di solito ruotano su sè stessi o descrivono una piccola circonferenza: questo fatto può succedere anche per pezzi relativamente grossi; non credo però che sia da attribuirsi, almeno in generale, a dirturbi nel movimento delle ciglia vibratili, ma piuttosto al fatto che, per la posizione del taglio, il pezzo operato puo trovarsi, all’ ingrosso e per qualche tempo, nelle con- dizioni di una barca, che abbia i remi esclusivamente o in notevole prevalenza da un lato. Un pezzo isolato può muoversi nel modo anzidetto anche quando abbia perduto molto vitello, presenti ferita molto aperta e si trovi in condizioni bruttissime, tanto da sembrare prossimo a decomporsi. [Si veda p. es. la fig. 24, Tav. VII (I) della parte I di questo lavoro]. La metà posteriore di larva giovane, (p. es. di mm. 3, 5), isolata può, procedendo nello sviluppo, presentare contrazioni, talora forse spon- tanee, del corpo, che si ripiega su sè stesso. Sc. Nat. Vol. XXV x 3 38 E. GOGGIO Un pezzo provvisto di coda, proveniente da una larva di mm. 6, 5, decapitata, può nuotare, come fu osservato parecchi giorni dopo l’ope- razione, talora sollevandosi anche dal fondo della vaschetta, su cui nor- malmente giace, senza stimoli apparenti: 4 giorni dopo l’operazione fu osservato che uno di tali pezzi si muoveva rapidamente, in direzione normale, per mezzo di contrazioni della coda: in un altro, 25 giorni dopo l’operazione, si avevano leggerissimi sussulti ritmici e frequenti. Quanto alla durata del tempo nel quale i movimenti si manifestano, dirò che, a lungo andare, l’attitudine a muoversi diminuisce (in Ea, 36 giorni dopo l’operazione); e una larva decapitata, che prima nuotava. quasi normalmente e forse spontaneamente, si riduce a piegare la coda solo se urtata bruscamente, e in seguito (54 giorni dopo l'operazione, in Ea) non risponde che con un leggero tremolio della coda anche a ripetute e forti scosse. È a notare peraltro che in quest’ ultimo citato, come in ‘molti altri monconi, movimenti si ebbero fino al momento della fissazione. Spesso un pezzo mostrò di potersi muovere dal momento dell’ opera- zione sino alla fine dell’esperimento, anche se questo durò parecchi giorni. i Bisogna procedere molto cauti nell’interpretazione dei fatti suesposti, come pure di quelli simili, che si riferiscono agli esperimenti degli Autori citati nella parte storica, e in generale di tutti gli esperimenti di estir- pazione e di sezionamento. Ben ci avverte GIARDINA (21, p. 262) che non è un assioma il seguente presupposto: “ Se una data funzione si compie o sì ripristina, IN QUALCHE GRADO, dopo l'estirpazione o nell’ assenza di una data parte del sistema nervoso centrale, questa parte non ha nulla a che vedere col compimento di quella funzione nell’animale normale ,. Fsso è un’ipotesi, e prima di accettarla come vera “ occorrerebbe poter eliminare qualsiasi altra ipotesi ugualmente possibile: questa eli- minazione occorrerebbe farla caso per caso, non una volta tanto ,. Se in un pezzo di larva, che non contenga una parte del sistema nervoso centrale, si presentano dei movimenti riflessi coordinati e perfino dei rapidi movimenti di traslazione, si può senz'altro asserire che nelle larve normali quella data parte del sistema nervoso centrale non eser- citi alcuna azione su quei movimenti? Non potrebbero quei movimenti essere effetto di un’ autoregolazione? i GIARDINA dimostra, come ho detto, molto probabile questa autore- golazione. î To mi accontenterò di affermare quanto ho potuto osservare nei miei STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 39 esperimenti, cioè che indipendentemente da qualsiasi parte del sistema nervoso centrale può manifestarsi il movimento del rivestimento vibra- tile delle larve di Bufo [Vedi Db, p. v., P. I., pag, 193 (10), Tav. VII (I), figg. 16, 17] — e ciò del resto è naturale dal momento che esso si presenta nelle larve normali quando ancora non si sono stabilite con- nessioni mervose; — e che, indipendentemente dall’ encefalo, o almeno da gran parte di esso, possono presentarsi dei movimenti riflessi coor- dinati e perfino dei rapidi movimenti di traslazione. . — Sviluppo della forma esterna del corpo e modificazioni di essa per la chiusura della ferita. Se si stacca da una larva giovane un pezzo molto piccolo, o appiat- tito, come, p. es, nel caso della p. v. di Dò e di quella posteriore di Bg [v. P. I, Tav. VII (I), fig. 16, linea a punti e tratti, e fig. 20, linea tratteggiata], esso prende sovente ben presto forma globosa o cilindroide per l’incurvarsi dei bordi in corrispondenza della superficie di sezione (ibidem, fig. 17 e 22).1) Se il pezzo isolato è abbastanza grosso, allora, chiusasi o no la fe- rita, esso continua a svilupparsi nella sua forma esterna in modo normale (salve le restrizioni che or ora vedremo) per quanto si riferisce agli stadî attraversati, ma non alla velocità dello sviluppo e alla dimensione, che rimangono spesso in qualche modo inferiori. Si confrontino, ad esempio, le figg. 3 e 4, 5 e 14, 669, 12 e 14 della Tav. VII (I) annessa alla 1.* parte di questo lavoro. Im generale, e sempre quando la durata in vita del moncone oltre- passa un certo limite, il corpo si presenta più o meno rigonfiato [V. spe- cialmente le figg. 6, 8, 10, 13, 23, Tav. VII (I), e 11, 12, 16, 30, 34, Tav. VIII (II) della P.I.) i Questo rigonfiamento è dovuto alla formazione di idropi, già notati dal Born e dal Rarra&Le. Essi sono dovuti, come già hanno osservato i due citati Autori, ad assorbimento di acqua dall’esterno, non esclusa però una secrezione di liquido nell’ interno (Born), o alla mancata cir- colazione (RAFFAELE), senza che si possa convenientemente compiere una funzione escretrice. Naturalmente quanto più innanzi si procede nello sviluppo, tanto maggiore si rende il bisogno del normale compimento 1) V. anche gli esperimenti di Born citati a pag. 26. 40 E. GOGGIO delle funzioni di circolazione e di escrezione e quindi tanto maggiori si manifestano gli effetti della deficienza di esse, e l’idrope si fa più grosso: il tronco può assumere allora forma quasi sferica. La coda dei monconi di età relativamente avanzata si inarca spesso in modo da presentare la convessità dal lato dorsale [ v. P. I, figg. 10, 13, Tav. VII (1)]. A determinare questa piegatura della coda concorre forse il fatto che, rigonfiandosi specialmente, per la formazione dell’idrope, la parte ventrale del tronco, la pelle viene tesa e esercita, a sua volta, trazione in basso sul materiale della parte ventrale della coda, che viene così incurvata con la punta in giù. E ciò penso tanto più volontieri in quanto che GIARDINA (20) ha provato che “ esiste durante lo sviluppo uno slittamento antero-posteriore dell’ epidermide e del mesenchima sugli organi assili , e che “la maggior parte della pinna proviene da un materiale formativo che sta ad un livello immediatamente anteriore alla regione anale ,. Ma la causa principale ed indispensabile del piega- mento della coda non è certo quella accennata, ed io non voglio dare a questa molta importanza, perchè talora in monconi a tronco forte- mente idropico la coda si presenta diritta, mentre alle volte è incurvata in larve integre altrimenti normali. Non è infrequente nei pezzi isolati lo sviluppo di forme mostruose, oltremodo anormali, come quella dei pezzi rappresentati dalle figg. 33, 37 della Tav. VIII (II), annessa alla parte I di questo lavoro. Ciò non deve fare meraviglia: le cause di mostruosità, qualunque esse siano, che manifestano i loro effetti talora su larve integre [v., p. es., P. I, Tav. VII (1), figg. 19, 25], tanto più frequentemente e tanto più intensamente debbono manifestarli sopra i pezzi isolati, per le condizioni anormali in cui questi, senza dubbio, vengono a trovarsi in seguito all'operazione. In due delle tre teste isolate di larve di mm. 6, 5, che poterono essere studiate, si presenta posteriormente, in continuazione degli organi assili, una bozza ben pronunziata, a guisa di bastoncello. [v. P. L figg. 5 e 7, Tav. VII (I) ]. Del suo significato diremo a proposito dei risultati dello studio interno dei pezzi isolati. È qui il luogo di accennare ai fatti, osservabili dall’esterno, che si riferiscono alla chiusura della ferita, in quanto che questa chiusura deter-. mina sempre un cambiamento meno o più notevole nella forma del pezzo di larva isolato. Abbiamo già veduto che, se questo è piccolo, o, meglio ancora, se è piatto, il cambiamento è notevolissimo e conduce ad una forma glo- ds STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (e. III) 41 bosa (o cilindroide) del pezzo, poichè la chiusura della ferita è dovuta allora principalmente (in ispecie nel caso di pezzi piatti) ad un accar- tocciarsi del tegumento, i cui bordi liberi così vengono ad essere av- vicinati. Ma anche se il pezzo isolato è grosso, la sua forma viene modifi- cata in seguito ai fenomeni di chiusura della ferita. Poichè, in generale, il tegumento, estendendosi al di sopra del materiale corrispondente alla superficie di sezione, lo comprime, ne smussa gli angoli e così, a ferita chiusa, il moncone presenta, là dove è stato fatto il taglio, forma più o meno arrotondata, come si conviene a corpo che in piccolo spazio debba contenere quantità relativamente grande di materia. Durante questo processo la superficie di sezione assume forme come quelle che sono riprodotte da diverse figure della Tav. VIII (II), P. I. Alcune di esse, p. es. la 1, la 24, la 32, mostrano in modo chiaro la costrizione che i bordi liberi del tegumento esercitano sul meteriale sottostante, e ci pre- sentano speciale interesse per la interpretazioue del processo di chiusura della ferita, che sarà data fra breve, quando diremo dei risultati del- l'esame microscopico dei monconi. Riguardo ai risultati dell’ esame di questi, mentre furono in vita, possiamo dire che, a quanto sembra, nelle larve di Bufo vulgaris la su- perficie di sezione viene ricoperta dal tegumento in un tempo in gene- rale più lungo (talvolta diversi giorni) di quello che pare essere neces- sario per altre specie, p. es., per la Kana esculenta. Ciò dipende forse, oltre che da condizioni relative alle attività della specie, a condizioni puramente formali, perchè, essendo le giovani larve di Bufo vulgaris più tozze delle larve di altre specie, le superfici di sezione interessate in qualsiasi taglio, sono, a parità di direzione, più estese in quelle che in queste. B. — Risultati dello studio interno Per ragioni di ordine e di chiarezza mi occuperò di questi risultati partitamente per ciascun apparecchio o sistema, a cominciare da quello tegumentario, a proposito del quale potrò accennare ai principali fatti relativi alla chiusura della ferita, che risultarono dall’esame microsco- pico dei monconi. 42 E. GOGGIO a. — Apparecchio tegumentario 1). Il tegumento si presenta, nei pezzi isolati, in generale bene differen- ziato a partire dallo stadio in cui fu fatta l'operazione. Si può dire che i danni subiti da esso e dagli organi che ne dipendono (ventose adesive, fossette olfattive, cristallino, etc.) non sono relativamente molto grandi. : La ragione, almeno in parte, si può facilmente trovare in ciò che, prima di tutto, per la disposizione stessa del tegumento, la superficie di esso interessata nel taglio è sempre piccola e sottile, e, in secondo luogo, trovandosi questo apparecchio in contatto con l’ambiente, pos- sono i suoi elementi subire con questo degli scambî e quindi non es- sere relativamente molto danneggiati dai disturbi che, in seguito all’ iso- lamento, si hanno nel corpo del moncone. Quest'ultima considerazione è, naturalmente, da riferirsi, più che altro, agli stadî un poco avanzati. I fatti più importanti, che si riferiscono al tegumento delle parti isolate, appartengono al processo di chiusura delle ferite. Avvenuto il taglio, si manifestano, con ogni probabilità, due ben distinti fenomeni nella porzione di tegumento che limita la ferita; da un canto questo si distende (indipendentemente da processi di moltipli- cazione cellulare) comprimendo le parti sottostanti, che assumono, così ricoperte, forme come quelle già ricordate e messe in evidenza dalle fig. 1, 24, 32 della Tav. VIII (II), P. I, le quali difficilmente si avreb- bero se quella distensione e quella pressione non esistessero; da un altro canto le cellule della porzione stessa di tegumento proliferano, come mostrano le figure nucleari e il fatto che talora, in corrispondenza della cicatrice; il tegumento invece di essere più sottile che nel resto del corpo, come avverrebbe se si avesse semplice distensione delle parti già esistenti al momento del taglio, si presenta invece più grosso. Abbiamo quindi un processo di spostamento cellulare e un processo di proliferazione: quello però deve intendersi nel senso che, come dice Born (14, p. 171), “ der Rand des Epithels als Ganzes ilber die Wund- fliche vorgeschoben wird ,, e anche nel mio studio può dirsi che (I. c., p. 172) “ fiir ein aktives Vorwandern einzelner Epithelzellen sprechen die Bilder nicht. Vielleicht beruht diese Verschiebung auf einem Bestre- ben der Epidermiszellen sich abzuplatten ,. 1) Mi riferisco agli strati ectodermici, che, nei nostri stadî, sono di gran lunga predominanti nell’apparecchio tegumentario. STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 43 Invece FRAISSE (17), BarrurtA (7) !) sembrano credere piuttosto ad un’attiva migrazione delle cellule marginali. To vorrei far rilevare che, almeno in debole misura, e là dove è possibile, il distendersi in toto del tegumento sulle parti sottostanti è dovuto al fatto che queste, se molli, cedono facilmente alla pressione che su di essi viene esercitata da parte del tegumento, il quale così può avanzare: e infatti spesso nei tagli tondotti attraverso il tronco, in modo da interessare l’ ammasso vitellino intestinale, il punto della ferita ultimo a cicatrizzarsi non si trova nel centro della superficie di sezione, ma è spinto invece dorsalmente e si trova poco al disotto della corda: inoltre in questi casi talora si può osservare che nella regione dorsale, in corrispondenza della superficie di sezione degli organi assili, fra i quali la corda poco facilmente cede ad una debole pressione, il tegumento è grosso e sembra aver molto proliferato, mentre in quella ventrale, là dove la massa vitellina ha facilmente ceduto, il tegumento si è, più rapidamente e forse con piccola o nulla proliferazione, sempli- cemente disteso. E, se, in conseguenza di questo processo, gli organi assili non formano bozza molto notevole col loro estremo tagliato rico- perto dal tegumento, ciò può dipendere dalla piccola entità del pro- cesso medesimo, da fenomeni successivi alla chiusura della ferita (for- mazione di idropi nella parte ventrale, dislocamenti, etc.), etc. etc. La chiusura della ferita spetta di regola e in massima parte all’ ecto- derma, ma forse non può escludersì che tessuti mesodermici ed endodermici e le stesse cellule vitelline, i quali col tegumento non hanno nulla a che fare, possano qualche volta prender parte al processo di cicatrizzazione. Si vedano a questo proposito le osservazioni riportate alle pag. 36, 46, 48, 52 della P.II di questo lavoro. Quando una ferita viene completamente rimarginata, non si notano aperture nella porzione di tegumento che la ricopre: ne segue che, anche indipendentemente dal fatto, che metteremo a suo tempo in rilievo, della chiusura degli organi tubulari all'estremità interessata nel taglio, nessuna delle cavità contenute nel corpo del moncone può comunicare all’esterno tranne che per mezzo delle aperture naturali rimaste nel pezzo isolato. Ne seguono naturalmente negli stadî un poco avanzati, nei quali si rende necessario il buon compiersi di importanti funzioni, disturbi o assenze notevoli, che contribuiscono ad accelerare la morte. Le uniche eccezioni a quanto sopra è affermato sono date dal p. p. 1) Citati da Born. 44 E. GOGGIO della larva Ca, in cui l’intestino comunica anteriormente all’esterno per mezzo di un’apertura a livello della quale la sua parete si continua col tegu- mento; e dal p. a. della larva Mw, in cui il canale di WoLrr di sinistra ci mostra un fatto simile. Ma nel primo caso l’apertura di comunicazione è, come già dissi, forse naturale e riferibile ad una fenditura branchiale deformata e spostata: resterebbe quindi una sola eccezione, la quale potrebbe spiegarsi ammettendo un incontro casuale, seguito da fusione, fra i bordi del tegumento, che si spingeva, durante la cicatrizzazione, al di sopra della ferita, e l’abbozzo del canale di WoLFr di sinistra. Qualche apertura può presentarsi irregolarmente qua e là nel tegu- mento dei pezzi isolati, e per esse la cavità di idropi talora comunica con l’esterno, come è il caso del p. p. di Ba, il cui idrope risultò forse per questo fatto minore. È notevole il fatto che talora in corrispondenza di idropi il tegu- mento invece di essere più sottile che nel resto, in seguito a pressione esercitata dal liquido dell’idrope, sì presenta più grosso. È da notarsi ancora in generale la forte pigmentazione del tegu- mento dei pezzi isolati. ° B. — Apparecchio scheletrico. La corda dorsale è uno degli organi che, in generale, più normal- mente si sviluppano nei pezzi di larva isolati. Essa infatti si trova in condizioni favorevoli, per il conseguimento di un così bel risultato, sotto diversi punti di vista. Intanto la corda dorsale, per la sua origine precoce e diretta dal- l’endoderma, possiede un abbozzo molto ricco di materiale vitellino ed ha in sè la sostanza necessaria ad un notevole sviluppo. Inoltre, per la sua forma di sottile cilindro, è relativamente piccola la sezione di essa che viene interessata negli ordinarî tagli e quindi relativamente piccolo il danno susseguente all’atto operativo. La corda poi non è organo che richieda vascolarizzazione così ricca come la richiedono altri, e quindi, in modo relativo, poco soffre dai disturbi o dalle deficienze della funzione circolatoria, che sempre si hanno nei pezzi isolati. In- fine essa può di regola esercitare la sua funzione di sostegno anche nei monconi e quindi non le viene a mancare in questi lo stimolo fun- zionale per il suo sviluppo. In generale solo nei pezzi di larva isolati, che contengono una parte troppo piccola di corda, questa si sviluppa molto lentamente o in modo STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 45 altrimenti molto anormale, o anche si atrofizza: mancano in tal caso la 2? e la 4° delle condizioni sopra accennate. È questo, per es., il caso delle teste isolate nelle larve di mm. 6,5 della prima serie di esperimenti, e del p.p. di Mw [P. II, Tav. VII (1), figg. 5, 7, 12, e Tav. VIII (II), fig. 30]. L’estremo della corda troncato nel taglio può trovarsi immediata- mente al di sotto della porzione di tegumento, che ha ricoperto la fe- rita, e talora sembrare perfino incastrato in essa, ma rarissimamente la solleva in bozza: anzi nei casi più tipici in cui i monconi presentano, dalla parte che fu impegnata nel taglio, una notevole bozza nella di- rezione degli organi assili, come è quello della p.a. di Da [P. II, Tav. VII (I), fig. 14|, in essa la corda non penetra affatto. L’estremo troncato viene di regola rivestito da un grosso strato di con- nettivo denso, che può giacere immediatamente al di sotto della parete del corpo, o esserne separato da uno strato di cellule mesenchimatiche rade: spesso questo strato manca, e talora il primo è relativamente sottile. Nelle larve da me operate, a differenza di quelle del Born, non avvenne rigenerazione (0, se avvenne, fu del tutto trascurabile ) al- i l'estremo troncato della corda. Se si vede qualche volta questo solle- vare il tegumento in bozza, ciò non deve attribuirsi, secondo le mie vedute, al fatto che esso abbia rigenerato, allungandosi, qualche pezzo dopo l’operazione, ma al processo descritto a pag. 43. Se lo sviluppo della corda avviene, in generale, nei pezzi isolati quasi normalmente, non mancano però talora gravi disturbi nella parte prossima all’estremo troncato, la quale, qualche volta per un tratto re- lativamente esteso (fino a circa !/, di mm.), si mostra anormale (sot- tile, con parete grossa e trabecolato a maglie piccole, etc.). Talora lo sviluppo di tutta intera la corda, anche nei pezzi isolati di notevole dimensione, può subire gravi rallentamenti o altri disturbi, e può perfino non riscontrarsi più traccia del suo abbozzo già presente al momento del taglio: questo caso si ebbe nella metà anteriore isolata da un em- “brione con doccia midollare a labbra molto ravvicinate, ma non unite. Di solito nei monconi l’estremo troncato della corda sopravanza di poco quello del tubo nervoso; talora però lo raggiunge appena, e in qualche caso gli resta indietro. x. — Apparecchio digerente. Il tubo digerente e gli organi che derivano dall’ammasso vitellino intestinale di solito si sviluppano parecchio lentamente o in altro modo 46 E. GOGGIO anormale nelle larve operate. Inoltre essi presentano facilmente feno- meni di degenerazione. Una delle cause di questi fatti è forse da ricer- carsi nella notevole estensione della superficie che essi presentano al taglio. E infatti vediamo come spesso nelle parti lontane dalla super- ficie di sezione, lo sviluppo procede notevolmente rispetto a quelle che ad essa sono vicine. Notevole è la presenza di pigmento anormalmente abbondante nella parete dell’intestino o nella massa vitellina, di solito presso al lume in essa contenuto, nelle larve operate. Di questo fatto, in alcuni casi, sarei propenso a ricercare la causa in un principio di processi dege- nerativi. Ancora, nei pezzi che poterono procedere abbastanza nello sviluppo è da osservare che l'intestino e la cistifellea si dilatarono molto: ciò è forse dovuto al penetrare di liquido dall’esterno, in tutta la massa dell'organismo, o a circolazione ed escrezione imperfette. dò. — Apparecchio vascolare. Lo sviluppo di questo apparecchio procede abbastanza oltre nei pezzi isolati, ma subisce notevoli disturbi. La cosa è, del resto, spiegabilissima. I diversi vasi essendo collegati gli uni agli altri, e i diversi tratti di uno stesso vaso non potendo funzionare indipendentemente l’uno dall’altro, è chiaro che la separazione in parti isolate delle diverse sezioni dell’appa- recchio vascolare debba condurre a gravi irregolarità. Una circolazione molto attivà non può, di solito, aversi, sebbene, forse (almeno in parte) in seguito a pressioni maggiori delle ordinarie, si stabiliscano talora, fra i varì vasi, comunicazioni anormali. Nei pezzi da me isolati mai ebbi ad osservare fatti di regolazione dell’apparecchio vascolare simili a quelli descritti da I. GoceIo (22) e da Morgan (32), e da me ricordati nella parte storica. Ma non escludo che qualche processo regolatorio avvenga, e forse come tale può in parte essere considerato lo stabilirsi delle accennate comunicazioni anormali fra vaso e vaso. E, del resto, non può ammettersi che i diversi organi dei pezzi iso- lati abbiano potuto tanto e così a lungo come avvenne differenziarsi senza il concorso di una, sia pure anormale, circolazione, che dovette almeno provvedere alla distribuzione nelle diverse regioni del corpo del materiale nutritivo, localizzato, almeno in parte, in origine in punti determinati. | FOTO Nar En sd STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 47 Confermo le osservazioni di diversi degli Autori citati, che si rife- riscono alla anormale dilatazione dei vasi. Questa è dovuta, secondo me, alle stesse cause, già ricordate, che producono l’idrope. Rimando alla 2* parte di questo lavoro per le osservazioni riferentisi alle relazioni fra isole sanguigne e massa vitellina: debbo però dichia- rare che esse non mi hanno condotto ad idee precise intorno all’origine delle isole medesime; non posso quindi su questo punto venire ad alcuna conclusione, Alcune osservazioni sulla presenza di globuli sanguigni in vasi pro- babilmente isolati, condurrebbero a sostenere per i globuli medesimi un’ origine indipendente dalle isole sanguigne. Ma la cosa non è del tutto certa e quindi non voglio insistere su di essa. e. — Apparecchio respiratorio. Per ciò che si riferisce agli organi della respirazione aerea non ho potuto fare osservazioni degne di nota se non nelle larve della 1; serie di esperimenti. Ma, essendo stato condotto il taglio in esse proprio al- l'altezza dell’abbozzo pulmo-laringo-tracheale, questo subì grave danno dall'operazione, senza tuttavia arrestarsi completamente nello sviluppo. In quanto alle branchie, anche nei casi in cui la parte anteriore fu staccata per mezzo di un taglio condotto non troppo cranialmente, cioè ad un livello alquanto posteriore alla regione branchiale, esse procede- rono poco nello sviluppo: ciò potè forse in parte difendere dall’ imper- fetto sviluppo dell’apparecchio vascolare, che così strettamente è colle- sato con quello delle branchie; ma solo in parte, ripeto, anzi in piccola parte, poichè nello stadio raggiunto in complesso dai monconi isolati una vera e completa circolazione branchiale non poteva neanche in larve integre stabilirsi. E. — Apparecchio della mozione. Veggansi, a proposito di questo apparecchio, le notizie date nel pa- ragrafo, che si riferisce ai movimenti dei pezzi isolati. I segmenti muscolari debbono annoverarsi fra le parti, che meglio si sviluppano nelle larve operate. Solo nella regione prossima al taglio essi si presentano di solito notevolmente anormali, e ciò avviene per uu tratto piuttosto esteso. La ragione di questi fatti, cioè dello svi- 48 E. GOGGIO luppo quasi normale in un caso e anormale nell’altro, sta, almeno in parte, probabilmente in ciò che, nel primo può ben manifestarsi, anche indipendentemente dalle parti mancanti, lo stimolo funzionale — e la cosa è stata messa in rilievo nel paragrafo sopra citato —, mentre nel secondo, anche facendo astrazione dai disturbi che in generale si mani- festano in tutti gli organi vicini alla ferita, la mancanza di un conve- niente attacco per le fibre muscolari dal lato del taglio rende impos- sibile o imperfetta la funzione di esse. n. — Apparecchio nervoso e sensoriale. L’encefalo, il midollo spinale e le vescicole ottiche dei pezzi isolati procedono in generale molto oltre nello sviluppo, ma facilmente si al- terano e presentano segni di degenerazione. La sostanza grigia si pre- senta spesso pigmentata più del normale, e non è raro il caso che tutta la massa degli organi citati si presenti in via di disfacimento o di atrofia. Si direbbe che la sostanza formante il sistema nervoso centrale e le parti che insieme ad esso derivano da un unico abbozzo, mentre è capace di notevole differenziamento, difficilmente, dopo essersi differenziata, si adatti alle condizioni anormali in cui nei pezzi isolati necessariamente viene a trovarsi, e più facilmente di quella degli altri organi si alteri. Come in altri casi, anche in questo, torna, a mio avviso, opportuno mettere in rilievo l’importanza dello stimolo funzionale. Negli stadî in cui le larve dei miei esperimenti furono operate, il sistema nervoso non era ancora così pr@egredito nello sviluppo da potere normalmente fun- zionare e quindi nei pezzi isolati poteva continuare il suo sviluppo come nelle larve normali, cioè indipendentemente dallo stimolo funzionale; ma quando, raggiunto un avanzato grado di differenziamento, veniva a tro- varsi in condizioni tali che, insieme alle parti mancanti, avrebbe nor- malmente funzionato, doveva necessariamente risentire la mancanza di queste e la imperfezione dello stimolo della funzione, che, in condizioni ordinarie, normalmente si sarebbe compiuta. In quanto alle parti dell'apparecchio nervoso e sensoriale delle quali non ho fatto cenno in questo paragrafo, le mie osservazioni non mi hanno permesso di venire a risultati notevoli. è. — Apparecchio escretore. I canalicoli del rene cefalico e il canale di Wolff si sviluppano, nei pezzi isolati, normalmente fino ad un certo stadio; dopo in essi penetra STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 49 una notevole quantità di liquido, e si. presentano allora rigonfi e ampî, talora molto più del normale. Se i-canali di Wolff vengono interessati nel taglio, di regola, come tutti gli organi tubulari, si chiudono all’estremità troncata: sono però notevoli i due casi descritti alle pagine 41% e 49? della parte II di questo lavoro, i quali potrebbero far pensare ad una tendenza dei canali medesimi a sboccare, per adattamento alle condi- zioni anormali dei pezzi isolati, in punti diversi da quelli ordinari, cioè o in una regione dell’intestino anteriore alla cloaca, o alla superficie del corpo. Ma, come già fu messo in rilievo, i due casi non sono di inter- pretazione sicura. Considerazioni generali. Se ora noi prendiamo a considerare nel suo complesso lo sviluppo dei pezzi isolati nei miei esperimenti, possiamo dire che esso procedette in generale notevolmente oltre e che dimostrò un forte potere di auto- differenziamento delle diverse parti, ma non possiamo certo assumere come dato generale ciò che Born, come fu detto, afferma per i pezzi da lui isolati, che cioè, lo sviluppo degli organi e dei tessuti ha lo stesso decorso fino alla superficie del taglio, come se non mancasse nulla di importante. To mi sono formato il convincimento che in generale lo sviluppo degli organi in pezzi come quelli da me isolati fexda a svolgersi come nelle larve normali, ma subisca notevoli alterazioni, come quelle che nei precedenti paragrafi sono state messe in evidenza, per varie cause, che mi studierò ora di mettere in rilievo. i. Ogni pezzo isolato di larva ha, senza dubbio, in potenza una certa somma di attività vitali, fissa per ciascuno. Se esso non può ricevere, come nel nostro caso, nessun aiuto dall’ esterno, se esso non può disporre che delle proprie risorse, è chiaro che tutto quanto viene impiegato nella chiusura della ferita e nei processi che la accompagnano è a scapito dello sviluppo normale. Lo shock operativo, se per qualche lato può considerarsi senza ef- fetto dannoso per l’organismo, certo qualche danno non può fare a meno di produrre, e questo danno può dimostrarsi o con rallentamento o con altre alterazioni nello sviluppo. Ma una delle cause che più contribuiscono, secondo me, a produrre questi fatti, e che già, per qualche parte, è stata messa in rilievo, è la 50 E. GOGGIO mancanza, o la diminuzione, dello stimolo funzionale. Finchè una data parte non ha raggiunto quel grado di sviluppo nel quale, in circostanze normali, cioè se fosse unita alle parti mancanti, funzionerebbe normal- mente, si trova nei pezzi isolati, sotto il punto di vista dal quale ora consideriamo le cose, nelle stesse condizioni in cui si troverebbe nelle larve integre; ma, raggiuntolo, una grande diversità si stabilisce nei due casi, e la mancanza, che talora si ha, per alcuni organi, nei pezzi iso- lati, o la imperfezione, che negli stessi pezzi per molti organi è fre- quente, dello stimolo funzionale non può che riuscire a scapito dello sviluppo degli organi medesimi. L’esaurimento della provvista di vitello contenuta in ciascun pezzo è certamente causa di arresto o di alterazione nello sviluppo, e perfino di atrofia, degli organi già formati, ma non si può dire che sia condi- zione necessaria perchè quei fatti si producano. Infatti questi si mani- festano anche in pezzi ancora ricchi di materiale vitellino. E, d’altra parte, nei pezzi più notevoli e più a lungo vissuti, cioè in quelli della prima serie di esperimenti, non può dirsi che il grado di sviluppo raggiunto sia apparso inferiore a quello delle larve di con- fronto perchè l’esame fu fatto quando, esaurita la provvista di vitello, i monconi si erano da tempo arrestati nel differenziamento, mentre le larve di confronto erano progredite, perchè le parti posteriori di Fa, Ba, Da, Ca, Ea, che vissero ciascuna più a lungo della precedente, si mostrano tanto più differenziate quanto più lunga fu la loro vita; ep- pure tutte lo sono meno delle larve di confronto. Anche prima che sia esaurita la provvista di vitello di cui ciascun pezzo isolato può disporre, è naturale che nello sviluppo di esso si ma- nifestino alterazioni dovute al fatto che in generale una circolazione attiva non può stabilirsi, e quindi il materiale nutritizio non può normalmente essere distribuito alle diverse parti, che si sviluppano. SD Ora è chiaro che, se tutte le cause passate in rassegna hanno, come è logico supporre, qualche valore, per quanto grande sia il potere di autodifferenziazione degli organi — ed io ritengo, in base ai miei espe- rimenti e a quelli di parecchi degli Autori citati, che esso sia grandis- simo — dovrà lo sviluppo di questi subire notevoli alterazioni: queste infatti si presentarono, specialmente con fenomeni di rallentamento, nella maggior parte dei pezzi da me isolati. E, se qualcuno non rimase indietro nello sviluppo rispetto alle larve di confronto, può supporsi benissimo che ciò sia dovuto al fatto che esso appartenesse ad un in- 09 STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 51 dividuo, il quale, in condizioni di integrità, si sarebbe sviluppato più ra- pidamente delle larve medesime. Ma come si spiega allora il fatto che Autori, i quali, come, p. es., Born e Rossi, hanno condotto esperimenti simili ai miei, possono af- “fermare che lo sviluppo degli organi in pezzi isolati progredisce come nelle larve integre? Io penso che la differenza fra le mie conclusioni e quelle degli Autori medesimi possa, a secondo i casi, esser in parte dovuta a brevità di vita dei pezzi da loro isolati in confronto con quella di alcuni dei miei, a diversità di ambiente nel quale i monconi vissero (i miei furono sempre tenuti in acqua comune e mai in solu- zione fisiologica), a diversità di specie alla quale appartennero le larve sottoposte agli esperimenti.... E non è improbabile poi che quegli Spe- rimentatori nelle. loro conclusioni ‘abbiano considerato le cose da un punto di vista generale, lasciando da parte i dettagli, sui quali io ho voluto, di proposito, soffermarmi. Questa considerazione può completare la spiegazione di quella differenza. I fenomeni di rigenerazione furono nei miei esperimenti idiaussini e in ciò i miei risultati sono quasi completamente d’accordo con ‘quelli degli Autori (Born, etc.), che hanno operato larve pressapoco della stessa età di quelle mie, e in modo simile a quello da me seguito, che cioè hanno diviso le larve in due parti uguali o ambedue di relativamente con- siderevole grandezza. Altri Autori (Levi, BANCHI, BELL, etc.), come è stato riferito nella parte storica, hanno ottenuto, operando su larve di stadî anche simili ai miei, notevoli fenomeni di rigenerazione. Questa diffe- renza di risultato può spiegarsi o con diversità di tecnica, o. con-diver- Sità di specie sottoposte agli esperimenti, ma sopratutto, secondo me, con la considerazione che le parti tolte via da quegli Autori alle larve operate furono relativamente piccole, e quindi più facile ne fu la rige- nerazione, sia perchè piccole erano le porzioni da rigenerare, sia perchè il danno arrecato al soggetto in esperimento era relativamente scarso, sia ancora perchè più grande era la [PELNtO che doveva contribuire alla; rigenerazione. Nei pezzi da me iosa i i fenomeni esalani si ridussero a quelli strettamente necessari per la chiusura della ferita. Se si pensa ora che, in istadi giovanissimi, anche da metà del ma- teri ale embrionale può ottenersi, come è noto, un ‘embrione intero, può sorprendere la scarsità di fenomeni rigenerativi in istadî un poco più avanzati. Bisogna ammettere che in questi l’attività dei pezzi isolati sia 52 E. GOGGIO (almeno per la specie da me studiata) quasi tutta rivolta ai processi di sviluppo e di differenziamento degli organi che contengono, mentre attività supplementari, quali sono quelle richieste dalla rigenerazione, non possono essere fornite dall’esterno, poichè l’alimentazione, a diffe- renza di ciò che avviene in larve abbastanza sviluppate, non è possi- © bile. In istadì giovanissimi il materiale è da ritenersi indifferente. Scarsissimi furono i fenomeni di regolazione da me osservati e dei quali è fatto cenno in diversi punti di questo lavoro: tutti del resto, sono di dubbia interpretazione. Io concludo ripetendo il mio convincimento che nei pezzi da me isolati lo sviluppo abbia tendenza ad avvenire come se nulla mancasse e che forte sia il potere di autodifferenziazione delle singolo parti. Se nel fatto si osservano divergenze dallo sviluppo normale, queste sono, a mio avviso, dovute alle varie cause che, poco innanzi, mi sono studiato di mettere in luce. Quella tendenza e quel potere possono, in altri termini, manifestare i loro effetti per quel tanto che lo permettono le dette cause: tutto ciò, beninteso, avviene finchè non è consumata la provvista di vitello contenuta in ciascun pezzo isolato, o tutt’al più fino a poco dopo l'esaurimento di essa. In seguito lo sviluppo si ar- resta e sopraggiunge la morte. Riassunto dei resultati. Risulta dalle mie ricerche: I.— 1). I due pezzi in cui una larva di Bufo vulgaris, lunga mm. 3- 6 !|,, può essere divisa per mezzo di un taglio, possono continuare a vivere e a svilupparsi, in acqua comune, indipendentemente l’uno dal- l’altro, per un tempo talora assai lungo. Una larva di mm. 6,5, deca- pitata, può vivere più di 54 giorni. Per una relativamente lunga conservazione in vita di una parte iso- lata non è necessario che essa sia grande e che contenga una grande quantità di vitello. Peraltro i pezzi più grossi e più ricchi di tuorlo vivono in generale più a lungo. Nei tagli trasversali mediani i due pezzi si comportano pressochè nelle stesso modo rispetto alla durata in vita, sebbene quello posteriore manchi degli organi più importanti. 2). I pezzi isolati non solo vivono, ma sono capaci di movimenti. Un pezzo qualunque di larva, anche con ferita aperta e in tristi condi- zioni, provvisto di rivestimento vibratile, si sposta, per i moti di questo, SUDÎ SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 53 spesso in direzione normale. Un pezzo privo della testa può, quando sia stato isolato in un conveniente stadio di sviluppo, o quando, isolato, lo abbia raggiunto, presentare dei movimenti riflessi estesi, che possono nel primo caso !) essere coordinati, e perfino dei rapidi movimenti di traslazione. I movimenti anzidetti possono presentarsi, a intervalli, per tutta la durata di un esperimento, anche se molto lungo; ma, in gene- rale, dopo un certo tempo si affievoliscono, e possono sparire quasi del tutto. i IT movimenti del rivestimento vibratile possono presentarsi indipen- dentemente dalla presenza di qualsiasi parte del sistema nervoso cen- trale: eli altri indipendentemente dalla presenza dell’encefalo o almeno di gran parte di esso. 3). Un pezzo piccolo o piatto, isolato da una larva giovane, prende forma globosa per il ravvicinarsi dei bordi della ferita. Se il pezzo iso- lato è grosso, si sviluppa prendendo forme normali (salve alcune restri- zioni), ma con rapidità e con volume di solito minori del normale. In generale il corpo dei pezzi isolati è rigonfiato per idropi dovuti ad assorbimento di acqua dall'esterno e alla deficienza di escrezione e di | circolazione. La coda dei monconi di età relativamente avanzata si inarca spesso con la punta in giù: ciò è forse in qualche relazione (come è mostrato a pag. 40) con il rigonfiarsi del tronco. Forme mostruuse sono natural- mente più frequenti nei pezzi isolati che nelle larve integre. In corri- spondenza degli organi assili si presenta (raramente) una bozza alla superficie del corpo. Per il significato di essa vedasi a pag. 45. La chiusura della ferita nei pezzi isolati porta, in generale, ad un arrotondamento di tutta la superficie del corpo (se questo è piccolo o piatto), o della parte di esso che corrisponde alla superficie di sezione. Il tegumento, che si estende sulla ferita, comprime fortemente le parti sot- tostanti. La chiusura della ferita non si compie nei monconi di Lufo vul- garis tanto rapidamente quanto sembra avvenire in altre specie. II. — 1). Il rivestimento del corpo dei pezzi isolati, forse per la sotti- gliezza della superficie necessariamente interessata nel taglio, e per il contatto con l’ambiente, non mostra, in generale, di soffrire per l’isola- mento gravi danni. 1) Non escludo che lo possano essere anche nel secondo. Anzi GIARDINA (21) prova questa possibilità. Se. Nat. Vol. XXV 4 54 E. GOGGIO La chiusura delle ferite avviene, in generale, principalmente per una proliferazione e per una distensione (indipendente da quella) dei bordi del tegumento che limita la ferita: la distensione è forse dovuta in parte ad appiattimento cellulare, in parte a cedevolezza del materiale sotto- stante. Non è escluso che tessuti di qualunque natura (e perfino cellule vitel- line), prossimi alla ferita, possano prender parte ai processi di cicatriz- zazione. Quando una ferita viene completamente rimarginata non rimangono, di regola, aperture nella porzione di tegumento che la ricopre, neanche in corrispondenza degli organi tubulari. (V. innanzi per le eccezioni, forse apparenti). 2). La corda dorsale è uno degli organi che, in generale, più normal- mente si sviluppano nei pezzi di larva isolati. (V. innanzi per le probabili cause). Nei miei esperimenti, a differenza di quelli di Born, mai si ebbe rigenerazione all’ estremo troncato della corda. Questo viene, di solito, ri- vestito da un grosso strato di connettivo denso, e talora anche da uno strato di cellule mesenchimatiche rade. La parte prossima ad esso è, di solito, anormalmente sviluppata. L’estremo troncato della corda ordina- riamente sopravanza di poco quello del tubo nervoso. 3). Il tubo digerente e gli organi che derivano dalla massa vitellina | spesso si sviluppano anormalmente, talora degenerano, di solito sono in parte abbondantemente pigmentati, e in alcuni casi subiscono notevoli di- latazioni (V. innanzi per le probabili cause). 4). Lo sviluppo dell’apparecchio vascolare subisce nei pezzi isolati no- tevoli alterazioni dovute alla distruzione dei legami materiali e funzionali esistenti normalmente fra le diverse ‘parti dell'apparecchio medesimo. Una circolazione molto attiva non può di solito aversi. Piccole regolazioni forse si verificano. Si stabiliscono comunicazioni anormali fra vaso e vaso. Molti vasi si dilatano considerevolmente. 5). Le branchie procedono poco nello sviluppo, forse in parte per le alterazioni che si verificano nell’ apparecchio vascolare. 6). I segmenti muscolari, forse in relazione con il fatto che la loro funzione può compiersi anche nei pezzi isolati, si sviluppano quasi nor- malmente, tranne nella regione del taglio, dove lo stimolo funzionale si riduce o manca. 7). Il sistema nervoso centrale e le parti che embriologicamente sono ad esso collegate procedono molto innanzi nello sviluppo, ma poi (vero- STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. III) 55 similmente, a mio avviso — quando è raggiunto lo stadio nel quale in condizioni ordinarie normalmente funzionerebbero — per la deficienza o la imperfezione dello stimolo funzionale) presentano notevoli alterazioni. 8). L'apparecchio escretore si sviluppa normalmente fino ad un certo punto; poi i suoi canali si rigonfiano, spesso molto, per introduzione di liquido. Questo apparecchio presenta nel suo sviluppo qualche feno- meno che può forse interpretarsi come fatto di regolazione (V. innanzi). III. — 1). Nello sviluppo dei pezzi da me isolati si mostrano una forte tendenza dei singoli organi a svilupparsi normalmente, ed un forte potere di autodifferenziazione delle singole parti. Ma questa tendenza e questo potere si manifestano soltanto entro i limiti messi più sopra in evidenza, secondo me, per le seguenti cause: 1. I processi di chiu- sura della ferita richie.lono un'attività, che non può essere fornita dal- l’esterno, perchè è impossibile l'alimentazione, e deve quindi essere sottratta alla somma di attività destinate ai processi normali di svi- luppo; 2. Shock operativo, almeno in limiti ristretti; 3. Mancanza o di- minuzione dello stimolo funzionale; 4. Distribuzione anormale (negli stadî un po’ avanzati) del materiale nutritizio (vitello) contenuto in ciascun pezzo, dovuta ad irregolare circolazione. Le differenze fra le mie conclusioni e quelle di altri Autori possono spiegarsi in parte con diversità di risultati, dovuta a differenze nella tecnica, o nella specie messa in esperimento, o nella durata di questo, etc. etc., in parte col diverso modo secondo il quale quelli furono da essi e da me presi in considerazione. 2). I fenomeni di rigenerazione furono nei miei esperimenti ridotti a quelli strettamente necessari per la chiusura della ferita. I notevoli processi rigenerativi ottenuti da alcuni Autori sono forse, più che ad altro, dovuti alla relativa piccolezza dei pezzi asportati. (Per maggiori schiarimenti si veda innanzi). 3). Scarsissimi e incerti furono in ogni caso i processi di regolazione. Prima di chiudere questo lavoro è mio dovere di ringraziare pub- blicamente il prof. Raffaele, che me ne suggerì il tema, il prof. Ficalbi, il quale, nei tre anni che fui suo aiuto e dopo, mi fu sempre largo di incoraggiamento e di consiglio, e il prof. Giacomini, che mi ospitò nel suo Istituto, fornendomi parte del materiale necessario per le ultime ricerche bibliografiche. Rimini, 30 gennaio 1909, INDICE BIBLIOGRAFICO 1. BABÀK E. Ueber die Entwicklung der locomotorischen Coordinationstàitigkeit im Rickenmarke des Frosches. Pfliigers Arch., Bd. 93, 1902. 2. BancHI A. Sviluppo degli arti addominali del Bufo vulgaris innestati in sede anomala. Mon. Zool. ital., XV, n. 12, pag. 396-399, 1904. 3. Ip. Sviluppo degli arti addominali etc. (ce. s.). Arch. ital. di Anat. e Emb., v. 4, fasc. 4, pag. 671-693, 2 tav., 3 fig., 1905. 4. Ip. A proposito di una nota preventiva del dott. GemeLLI sullo sviluppo dei nervi degli arti pelvici di Bufo vulgaris innestati in sede anomala. Riv. Pat. nerv. e ment., v. 11, fasc. 10, p. 493-4, 1906. 5. Ip. Replica al Dr. GEMELLI a proposito della rigenerazione autogena dei nervi. Ibid., v. 12, fase. 4, p. 214, 1907. 5.bis. Ip. Nuove osservazioni sullo sviluppo déi nervi periferici indipendente mente dai centri nervosi. Mon. Zool. ital., XIX, n. 6, p. 143-152, 1 tav., 1908. 6. Ip. Sulla rigenerazione degli abbozzi del Fegato e del Pancreas. Ricerche sperimentali sul Bufo vulgaris. Arch. ital. di Anat. e di Embr., vol. 5, fasc. 4.9, pag. 507-532, tav. XXIX-XXXI, Firenze 1907. 7. BarrurTH D. Zur Regeneration der Gewebe. Mit 3 Taf. Archiv. f. mikr. Ana- tomie, Bd. 37, 1891. 8. Ip. Experimentelle Untersuchungen iber die Regeneration der Keimblitter bei den Amphibien. Ueber organbildende Keimbezirke und kiinstliche Mis- sbildungen des Amphibieneies. Mit 4 Taf. Anat. Hefte, Bd. III, H. 2. 9. Ip. Regeneration. In: Ergebnissen der Anatomie und Entwickelungeschichte von MERKEL und BoxnET, 1891-1906. 10. Ip. Die Erscheinungen der Regeneration bei Wirbelthierembryonen. In: Handb. Entw. Wirbelth. Hertwig. Jena, III, 3, p. 1-130, F.1-116. Jena, G. Fischer, 1904. 11, BeLL E. T. Some Experiments on the Development and Regeneration of the Eye and the Nasal Organ in Frog Embryos. Arch. fiir Entw-Mech. d. Org., 23 Bd., 3 H., pag. 457-478, tav. XIV-XX, 1997. 12. Ip. Experimental studies on the development of the eye and the nasal ca- vities in frog embryos. Anat. Anz., Bd. 29, 1906. 13. Experimentelle Untersuchungen iber die Entwicklung des Auges bei Fro- schembryonen. Archiv. f. mikr. Anat., Bd. 68, 1906. 14. Born G. Ueber Verwachsungsversuche mit Amphibienlarven. Archiv fiir Ent- wickelungsmechanik, IV Band, 3/, Heft. Leipzig 1897. 15. Braus H. Experimentelle Beitràge zur Frage nach der Entwicklung peri- pherer Nerven. Anat. Anz., Bd. XXVI, 1905. STUDI SPERIMENTALI SOPRA LARVE DI ANFIBI ANURI (P. JII) 7 16. Byrnps EsrHER PF. On the Regeneration of Limbs in Frogs after the Exstir- ITC 18. 19. 20. 23. 24. 28. 29. 30. pation of Limb Rudiments. Anat. Anz., XV, p. 104-107, 3 fig., 1898. FraIssm P. Die Regeneration von Geweben und Organen bei den Wirbelthie- ren, besonders Amphibien und Reptilien. Mit 3 Taf. Kassel und Berlin 1885. GemeLLI A. Ricerche sperimentali sullo sviluppo dei nervi degli arti pelvici di Bufo vulgaris innestati in sede anomala. Contributo allo studio della ri- generazione autogena dei nervi periferici. Nota prev. Rendic. Ist. Lomb. Sc. e lett., S. 2, vol. 39, fase. 15, p. 729-734, 1906. V. anche: Riv. Pat. nerv. e ment., vol. 11, fase. 7, 328-332, 1906. E ancora: Arch. ital. Biol., vol. 47, p. 89-91. V. inoltre: Atti Congr. Natur. Ital. Milano 1906, p. 580-4, Milano, Tip. Operai, 1907. Ip. Sulla rigenerazione autogena ete. Osservazioni sopra una comunicazione del dott. BancHI dal titolo: A proposito di una nota preventiva del dott. GE- MELLI. Riv. Pat. merv. e ment., anno 12, fasc. 4. Sep. Firenze, tip. Gali- leiana, 4 pag., 1907. 8 GIARDINA A. Ricerche sperimentali sui girini di Anuri. Rendiconto della quinta assemblea generale e del convegno dell’Unione Zool. it. in Portofer- raio (15:20 aprile 1905). Mon Zool. it., XVI, 1905. . Ip. I muscoli metamerici delle larve di Anuri e la teoria segmentale del Loeb. Arch. fir Entw-Mech. d. Organismen, XXIII Band, 2 Heft. 1907. 2. Goo I. Sullo sviluppo degli organi in una larva di Bufo vulgaris. An- nali R. Scuola Normale Sup. Univ. Pisa, v. IX, Pisa, 1902. GoLpsreIn Kurt. Kritische und. experimentelle Beitrige zur Frage nach dem Einfluss des Centralnervensystems auf die embryonale Entwicklung und die Regeneration. Arch. f. Entw.-Mech, Bd. XVIII, 1904. HarRrISON H. Gr. The Growth and Regeneration of the Tail of the Frog Larva. Arch. f. Entw.-Mech., Bd. VII, 1898. 5. Ip. An experimental study of the relation of the mervous system to the developing musculature in the embryo of the frog. American Journal of Anatomy, Vol. III, n.0 2, 1904. . KinG H. D. Experimental studies on the eye of the frog embryo. Archiv. f. Entw.-Mech., Bd. XIX, 1905. . Knower (Mc) H. E. Effects of early Removal of the Heart and Arrest of the Circulation on the Development of Frog Embryos. Anat. Record, n. 7, p. 161- 165, 1907. KocHs W. Versuche iiber die Regeneration von Organen bei Amphibien. Arch. Mikr. Anat., 49 Bd., p. 441-461, 3 fig., tav. 18, 1897. Levi G. Lesioni sperimentali sull’abbozzo urogenitale di larve di Anfibî e loro effetti sull'origine delle cellule sessuali. Arch. f. Entw. Mech. d. Org., 19 B., 3 H., pagg. 295-517, tav. XV, XVI, 3 fig. nel testo, 1905. Levy 0. Entwicklungsmechanische Studien am Embryo von Triton taeniatus. 1. Orientierungsversuche. 6 tav., 2 fig. Arch. Entw.-Mech. d. Organ., B. 20, H. 3, pag. 335-379. . Morgan TH. H. The Development of the Frog ’s Egg. New York, The Ma- cmillan Company 1897, Ed. tedesca: Leipzig, W., Engelmann, 1904, 58 E. GOGGIO 32. Morgan TH. H. e MoszgowskI M. Regeneration. Deutsche Ausgabe, muigleich zweite Auflage des Originals. Leipzig, Engelmann, 1907. 33. RAFFAELE F. Osservazioni ed esperimenti su embrioni e larve di anuri. Rend. 2.° Convegno Unione Zoologica. Monitore Zool. Ital., XII, 1901. 34. Rossi U. Ricerche sperimentali sullo sviluppo della ipofisi negli Anfibî anuri (Rana e.). Ann. Se Med. Univ. Perugia, ser. III, vol. IV, fasc. IV, 1904. (Estr. di pagg. 4, maggio 1905). 35. RuBin R. Versuche iiber die Beziehung des Nervensystems zur Regenera- tion bei Amphibien. Inaug.-Dissert., Rostock, 1903. V. anche: Arch. Entw.- Mech. d. Organ., 16 Bd., 1 H., p. 21-75, T. I., 8 fig., 1903. 36. ScHaPER A. Experimentelle Studien an Amphibienlarven. I. Arch. f. Entw.- Mech., Bd. VI, 1898. 37. StEINITZ E. Ueber den Einfluss der Elimination der embryonalen Augen- blasen auf die Entwicklung des Gesamtorganismus beim Frosche. Arch. f. Entw.-Mech. d. Org., 20 ,B., 4 H., pagg. 537-978, tav. XX, XXI, 22 fig. nel testo, 1906. 38. ToRNIER G. Ueber Hyperdactylie Regeneration und Vererbung. Archiv. Entw.- Mech., III, 469-476 e IV, 180-210. Vorl. Mitth. in Sitz. Ber. Ges. Nat. Fre- unde. Berlin. pag. 24-25, 1896. 39. Vurpian M. A. Lecons s. 1. physiologie generale et comparge d. système nerveux. Paris, 1866. 40. Ip. Note sur les phénomènes de développement qui se manifestent dans la queue de très-jeunes embryons de grenouille, après qu’ on l’a séparée du corps par une section transversale. Comptes rendus de l’ Acad. des sciences, Tome 48, pag. 807-811, Paris 1859 (Seduta del 18 aprile). VEL e ancora: Com- ptes rendus de la Soc. de biol. 1858, 1859, 1861. 41. WinTREBERT P. Sur le développement de la contractilitéà musculaire dans les myotomes encore dépourvus de liaison nerveuse réflexe. C. R. Soc. Biol., Tome 59. 42. WoLFrr G. Die physiologischen Grundlagen der Lehre von den Degenera- tionszeichen. Virchows Archiv, Bd. 164, 1902. ISTITUTO ANATOMICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DOTT. FRANCESCO PARDI AIUTO E PROF. INCARICAT(0 DI ANATOMIA TOPOGRAFICA Mm Per la storia e la migliore conoscenza dei clasmatociti di Ranvier ——___—_ (oa LIT 1000 pr sa) Parte storica. È noto come RanviER ?*?5 (1890, 1900), servendosi di un metodo speciale *, abbia descritto per primo col nome di clasmatociti **, nell’apo- nevrosi femorale di Rana esculenta e nel mesenterio di Molge cristata, alcuni elementi di notevoli dimensioni, rimarcabili per la colorazione intensa del loro citoplasma, muniti di prolungamenti moniliformi (alterna- tivamente assottigliati e rigonfi) che non si anastomizzano mai coi pro- lungamenti delle cellule vicine: tanto il corpo cellulare racchiudente il nucleo ovalare o reniforme quanto i prolungamenti sono ripieni di fini granulazioni rotonde, serrate le une contro le altre. RANvIER ?*?3 chiamò clasmatociti tali elementi perchè, giunti che siano al termine ultimo della loro evoluzione, si disgregano in frammenti che possono apparire liberi nel connettivo: questo processo di disgregamento (clasmatosi) fu ritenuto come un caratteristico processo di secrezione, nel quale però il nucleo e il citoplasma circostante rimangono intatti, sicchè la cellula può rico- minciare una nuova evoluzione ed essere, per questo, considerata come una glandula unicellulare merocrina. Estendendo le sue osservazioni ai Mammiferi, RANvIER 2??3, col me- todo già usato per gli Anfibi? credette ravvisare in alcune cellule fusi- * Tale metodo consiste nell’impiego, come fissativo, della soluzione di acido osmico 1 °/, per 2-3 minuti, lavaggio in acqua distillata, colorazione con vio- letto metile 5 B (1 parte della soluzione satura per 10 di acqua distillata). ** Da x\dopa, frammento, e bc, cellula. 60 F. PARDI formi o stellate del grande omento elementi morfologicamente e funzio- nalmente corrispondenti ai clasmatociti degli Anfibi Urodeli ed Anuri. I clasmatociti dei Mammiferi si distinguono bene, secondo RanvIER??:?3, dalle cellule connettive (fibroblasti) per diversi caratteri. Queste sono sottili, appiattite, ramificate, anastomizzate per i loro prolungamenti; i clasma- tociti invece hanno prolungamenti granulosi che non si anastomizzano mai e mostrano nettamente il fenomeno della clasmatosi. Anche i nuclei sono molto differenti nelle due specie di cellule: quelli delle cellule con- nettive sono piatti e regolarmente arrotondati o ellittici, quelli dei cla- smatociti sono allungati ed irregolari. Per Ranvier 2%? i clasmatociti sono leucociti divenuti stabili, i quali però sotto l’azione di un agente infiammatorio (iniezione di soluzione di Ag NO® nella cavità addominale) ritornano alla loro forma originaria e prendono parte così alla forma- zione di pus. Subito dopo i lavori di RANVIER ??:23, molti sono stati i ricercatori che hanno fatto oggetto dei loro studi gli elementi in parola, unendosi alcuni al modo di vedere di questo A., discostandosene altri. Di questo lungo e vivace dibattito dovevano evidentemente risentire l'influenza anche i moderni Trattati d’Istologia, nei quali invero gli elementi ormai noti come clasmatociti vengono presentati con poche e mal sicure co- gnizioni. Ma i recenti studi, quasi esclusivamente stranieri, giovandosi dei progressi della tecnica, hanno portato anche in questo campo molta luce, diradando le incertezze, stabilendo fatti ognora più precisi e sicuri. Divulgare anche tra noi questi studi, coordinarli tra loro, contribuire alla migliore conoscenza di una forma cellulare, dai diversi AA. varia- mente considerata nella sua origine, nella sua natura e nella sua fun- zione, ecco quanto io mi propongo in questo lavoro. Certo, uno dei materiali più adatti per lo studio dei clasmatociti di RANVIER ??:23 è rappresentato dalle membrane sierose (mesenterio degli Anfibi Urodeli ed Anuri, mesenterio e grande omento dei giovani Mam- miferi). La foraca propria di queste membrane costituisce, per la sua sottigliezza e per la facilità con la quale può venire esaminata in su- perficie, un ottimo materiale d’indagine, e, come è stata utilizzata per la risoluzione d’importanti problemi d’indole generale, come lo sviluppo del tessuto adiposo e la già controversa questione delle cellule vaso- formative di RANVIER, così lo è stata dei pari per la conoscenza delle PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 61 diverse forme cellulari. del connettivo, e fra queste anche dei cosidetti clasmatociti di RANVIER. Trascuro per il momento di parlare dei clasmatociti degli Anfibi, pei quali ogni controversia può dirsi ormai risoluta. Mi preme piuttosto fissare la mia attenzione su quelli dei Mammiferi, intorno ai quali in- vero, se molta luce si è fatta, pur si discute ancora. In altro mio lavoro #° ho accennato alle vicende subite, attraverso molti anni d’indagine e di studio, da questi elementi così caratteristici delle membrane sierose. Riserbando ad altro capitolo la esposizione delle mie personali ricerche, credo interessante riassumere prima in maniera precisa tali vicende, non tanto per l’interesse storico che esse possono avere, quanto e sopra tutto perchè dalla loro esatta conoscenza viene ad essere sufficientemente lumeggiata una questione molto dibattuta in questi ultimi anni, qual’è quella delle relazioni dei clasmatociti colle Mastzellen. Già in antico tempo RECKLINGHAUSEN ®5, KuHNE!! e CoHNHEIM 5 consta- tarono che le cellule del connettivo differiscono notevolmente tra loro per forma, volume e natura; REcKkLINGRAUSEN 25 nell’omento e nella pleura dei giovani conigli, KUANE !! e CornNHEIM 6 nel connettivo inter- muscolare e nella lingua della rana furono colpiti da una specie cellu- lare caratterizzata dal suo volume, dalla sua forma fusata o ramosa e dal protoplasma grossolanamente granuloso. Im seguito RANVIER 23 dichiarò esplicitamente nel suo lavoro del 1900 di avere, prima del 1890, confusi i suoi clasmatociti colle cellule con- nettive fisse, e non v'è dubbio, per chi ben consideri, che essi sono quegli stessi elementi rappresentati nella fig. 8 del suo lavoro ?! del 1874 col nome di cellule connettive dello stroma. FrangoIs 8 (1895), nei suoi studi sull’omento del coniglio, descrisse e raffisurò particolari elementi affusati od arborizzati, con prolunga- menti liberi alla terminazione, che io credo si debbano senz'altro iden- tificare coi clasmatociti descritti da RANVIER. FrangoIs 8 però li riferì al gruppo delle cellule connettive fisse (fibroblasti), attribuendo in via di probabilità a quelli perivascolari l’ufficio di formare tutte le tuniche vascolari all’infuori di quella endoteliale: alcuni di tali elementi si tra- sformerebbero in cellule muscolari liscie, altri conserverebbero il loro carattere connettivo, ed altri infine sarebbero destinati a diventare cel- lule adipose e a formare così i depositi di grasso che si osservano più tardi attorno ai vasi. 62 F. PARDI Anche MarcHanD 1! (1897, 1901) descrive nell’omento dei giovani conigli cellule oblunghe, fusiformi o ramificate, con nucleo pure oblungo, sovente reniforme, ricco di cromatina, e citoplasma delicatamente gra- nuloso presentante di solito piccoli vacuoli. Queste cellule, irregolarmente Sparse nell’omento, si addossano più specialmente ai giovani capillari sanguigni e contribuiscono alla formazione della guaina avventiziale. MAR- cHanp !?:!3 le identifica coi clasmatociti descritti da RanviER nel srande omento dei Mammiferi, e pensa che derivino (forse) da certe cellule che compaiono presto nel connettivo degli embrioni, cellule che SaxeR ha descritto come cellule migranti primarie (primiren Wanderzellen), e alle quali attribuisce al tempo stesso la funzione di presiedere nel periodo embrionale alla formazione dei globuli rossi e bianchi. Nell’omento dei Mammiferi (coniglio, cavia, topo, cane, uomo) JoLLx ®: 19 (1900, 1901), servendosi del metodo di RanvIER, ha veduto sparsi do- vunque, col citoplasma intensamente colorato, i clasmatociti descritti da questo A. Usando però i metodi di cui ci serviamo per la colora- zione delle Mastzellen (colorazione regressiva col violetto dahlia acidi- ficato d’EaRLICH, la tionina, il bleu policromo di UNNA ecc. dopo fissa- zione con liquido di FLemMING, sublimato, alcool) i clasmatociti mostrano invece un citoplasma poco colorito, il quale assume una tinta violetto- pallida quasi omogenea, ed è invisibile se la decolorazione è stata troppo spinta: solo il nucleo appare ben distinto. In questi stessi preparati, nelle parti vascolarizzate della membrana, si osservano ben distinte Ma- stzellen, grandi e numerose nel topo, più piccole nel cane, meno nume- rose nell’uomo, più rare ancora nella cavia, eccezionali nel coniglio. L'A. conclude che nei Mammiferi i clasmatociti e le Mastzellen sono due specie cellulari ben distinte; nei Batraciani invece i clasmatociti, pre- sentando le stesse reazioni istochimiche delle Mastzellen, debbono essere considerati come Mastzellen, che hanno assunto una forma speciale. Dai loro studi sull’omento di alcuni Mammiferi, più specialmente del coniglio, ScHREIBER e NEUMANN 5° (1901) sono venuti alla conclusione che gli elementi descritti da RAnvIER come clasmatociti dei Mammiferi altro non sono che comuni Mastzeller, le quali però non si colorano me- tacromaticamente nella comune razza di coniglio germanico, ciò che si verifica invece nel coniglio di razza franco-belga. Sotto il nome di macrofagi Dominici " (1902) descrive nell’ omento normale del coniglio delle cellule mononucleate, indipendenti, di forma e di aspetto diversi, destinate a compiere la funzione fagocitaria. Fra an a PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 63 le svariatissime forme colle quali si possono presentare, l'A. ne raffigura alcune che corrispondono perfettamente ai clasmatociti descritti da RANVIER. Secondo ReNAUT °° (1902) nell’omento del coniglio sono visibili par- ticolari elementi affusati, che egli denomina cellule interstiziali dell’epi- ploon. Esse, dimostrabili anche lontano dai vasi sanguigni, costituiscono nel loro insieme attorno ai capillari, alle arteriole e alle venule un ri- vestimento discontinuo, la couche rameuse périvasculaire, come egli lo ‘ chiama o perithelium di EseRTE. RENAUT °° così le descrive: “ Ces cel- lules ont, tout comme les érythrophiles, un protoplasma noueux semé de grains plus clairs qui fixe énergiquement l’éosine en rouge vif, mais sous une teinte qui ne ressemble plus du tout à celle de l’hémoglobine. On les voit gà et là, dans le plain de la membrane, comme si elles étaient en marche vers un point quelconque; car leur corps cellulaire est très allongé et droit, avec un noyau comparable à celui des cellules érythrophiles placé à mi-distance des extrémités. On dirait des fibres cellules. De fait, ces cellules vont se grouper autour des capillaires embryonnaires et former leur périthélium ,,. MaxIMmow 1415, (1902, 1903), al pari di MarcHAaNnD !%!3, ritenne per clasmatociti delle cellule, che nel tessuto sottocutaneo e nel grande omento del coniglio si presentano di forma allungata o ramificata: queste cellule sono provvedute di granuli, più grossi e più radi di quanto sembra resultare dalla descrizione di RanvIER. Esistono anche clasmatociti senza granuli; derivano tutti da cellule migranti mononucleate e sono quei medesimi elementi che in un lavoro consecutivo, del quale parleremo ampiamente fra poco, Maxrmow !° descrisse col nome di cellule migranti im riposo. ScawaARrz 38 (1905) nelle sue ricerce sul grande omento del coniglio descrive cellule fusiformi o arborizzate, con citoplasma ora provveduto di granuli ed ora no, spesso presentante dei piccoli vacuoli, e nucleo oblungo, ricco di cromatina. Tali cellule non si anastomizzano mai tra di loro e presentano sovente il fenomeno della clasmatosi: esse corrispondono completamente, secondo Scawarz 35, agli elementi designati da RANVIER come clasmatociti e ad alcune forme con le quali si presentano i macro- fagì descritti da Dominici". Per Scawarz ?5 tali elementi non sono altro che cellule migranti leucocitarie, le quali per adattamento funzionale hanno assunto la caratteristica forma affusata od arborizzata: esercitano un’azione fagocitaria, giacchè non di rado sono in essi dimostrabili in- 64 F. PARDI clusioni di corpi estranei, ed addossandosi ai giovani getti vasali del- l’omento contribuiscono alla costituzione delle guaine avventiziali. Secondo PappeNHEIM !3 (1905) le cellule oblunghe, fusiformi o ra- mificate, descritte da MarcHanp ‘>! rappresentano una specie cellulare ben distinta dai granulosi clasmatociti di RanviER. Egli denomina tali elementi cellule fisse non granulose dell’avventizia. Nel suo lavoro del 1906 Maximow !5 ha preso in più minuto esame i clasmatociti di RANvIER, pei quali propone, come più adatta, la denomi- nazione di cellule migranti in riposo (ruhende Wanderzellen). Questi ele- menti del connettivo fibrillare lasso, pur offrendo, del pari che le Ma- stzellen, alcune differenze di natura secondaria nelle diverse specie ani- mali, rispondono sempre da un punto di vista fondamentale ad un tipo ben determinato e fisso. Servendosi della colorazione a fresco col rosso- neutrale, Maximow !6 così le descrive nel consiglio. Più rade e più pic- cole dei fibroblasti, le cellule migranti in riposo si presentano sparse da per tutto, fra i fasci collageni e i fibroblasti, sotto forma di ele- menti generalmente fusiformi; spesso però si riscontrano esemplari più corti, appiattiti ed ovali. Ciò che le fa distinguere subito dai fibroblasti è la costituzione del loro citoplasma, il quale, oltre ad essere più oscuro e lucente ed a rifrangere più fortemente la luce, mostra una struttura granulosa o reticolare più manifesta, prendendo anche un più intenso diffuso colore rossiccio: il corpo cellulare appare più nettamente delimi- tato e da per tutto sul suo margine libero si osservano numerose irre- golari sporgenze a zig-zag. Anche il nucleo è del tutto diverso da quello dei fibroblasti: esso è sempre più piccolo, quasi sempre oblungo, di rado rotondo, e non presenta mai la regolare e netta forma ovale che carat- terizza il nucleo dei fibroblasti; la sua membrana, con grande evi- denza colorita in rosa, mostra generalmente delle piccole disuguaglianze e pieghettature. Col rosso-neutrale questi nuclei si coloriscono più in- tensamente e più prontamente di quelli dei fibroblasti, assumendo un leggero colore rosa: si vedono in essi numerose particelle di cromatina, ma non nucleoli, come nei pallidi nuclei ovali dei fibroblasti. Nel cito- plasma si osservano qualche volta dei vacuoli e talora anche piccole goccie lucenti, che hanno l’aspetto di grasso. Ciò che distingue però in modo speciale le cellule migranti in riposo è la presenza, nel citoplasma loro, di caratteristiche inclusioni granulari, le quali appaiono, nei pre- parati freschi col rosso-neutrale, come granuli lucenti rosso-giallicci rac- colti di preferenza ai due poli del nucleo; il numero di questi granuli PFR LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 65 è del resto soggetto a rimarchevoli oscillazioni, trovandosi non di rado anche cellule quasi completamente sprovviste di granulazioni. Tali granuli nulla hanno di comune coi granuli delle Masfzellen. Nei preparati fissati, le cellule migranti in riposo del coniglio si presentano con grande evi- denza specialmente nelle parti povere di vasi del connettivo lasso. Dopo fissazione in liquido di ZENKER e colorazione con bleu di metile secondo UNNA, e sopra tutto dopo trattamento con alcool e tionina, il loro cito- plasma appare di un turchino tanto pallido che non se ne possono definire i limiti così bene come nei preparati freschi: al contrario, dopo fissazione in liquido di ZENKER con aggiunta o senza di formolo e colorazione con ematossilina ferrica secondo M. HEIDENHEIN, esso è molto evidente ed assume una colorazione grigio-scura: qua e là si riscontrano vacuoli in numero variabile. La forma, come fu già detto, è oblunga, generalmente fusiforme, ed il contorno del corpo cellullare, ben distinto, appare gros- solanamente seghettato. Il nucleo oblungo, assai spesso reniforme, più piccolo di quello dei fibroblasti, è provveduto di una membrana lieve- mente pieghettata, e di parecchi corpicciuoli cromatinici assai grossolani, mai di nucleoli evidenti. I centrosomi, più grandi e manifesti che nei fibroblasti, giacciono generalmente nella insenatura del nucleo. I granuli del citoplasma sono visibili con tutti i metodi. Con questi caratteri, da me ampiamente riassunti, si presentano, nei Mammiferi, le cellule mi- granti in riposo di Maxrmow !6 corrispondenti, come dicemmo, ai cla- smatociti di RANVIER. In una recente pubblicazione ReNAUT 83 (1907) ha descritto nelle membrane connettive, ed in particolare nell’omento del coniglio, della cavia ecc., delle cellule che egli denomina cellules connectives rhagiocrines clasmatocytiformes. Questi elementi godono di una spiccata attività se- cretoria, consistente nella elaborazione, in seno al citoplasma, di granuli di secrezione racchiusi in vacuoli contenenti un liquido, che il rosso- neutrale, nel vivente, tinge con molta intensità. Le cellule in discorso, oltre la descritta funzione glandulare, esercitano anche quella fagoci- taria, comprovata da inclusioni di varia natura, racchiuse in alcune di queste cellule: costituiscono poi, secondo RenaUT 3?, il perithelium dei vasi sanguigni di piccolo calibro, e la guaina connettiva perivascolare o avventizia dei vasi delle due specie, arteriosi e venosi. Per quanto RewaUT non sia esplicito a questo riguardo, tutto induce a ritenere che le cellule connettive ragiocrine clasmatocitiformi altro non siano che le , sue primitive cellule interstiziali dell’epiploon. 66 F. PARDÎ La lettura accurata dei lavori surriferiti, 1’ esame delle figure an- nesse ad alcuni di tali lavori, le ricerche mie personali sul grande omento dei giovani Mammiferi, mi dimostrano che gli elementi descritti da RANVIER 2? nel 1890 col nome di clasmatociti hanno subito, attraverso lunghi anni d’indagine e di studio, una sorte assai contrastata. Per lungo tempo confusi coi fibroblasti, essi, a chi ben consideri, corrispon- dono alle primitive cellule connettive dello stroma di RANVIER 23, ai cla- smatociti di MarcganD !*!3 e di MaxImow 1415, ad alcune forme dei ma- crofagi di Dominici “, alle cellule interstiziali dell’ epiploon di ReNAUT 2°, alle cellule descritte da Scawarz 3* come una forma determinata di cellule migranti leucocitarie, alle cellule fisse non granulose dell’ avventizia di PAP- PENHEIM !3, alle cellule migranti in riposo di MAxIMow 1%, alle cellule con- nettive ragiocrine clasmatocitiformi di RenaUT 33. Con questi nomi diversi si è voluto indicare sempre, a mio avviso, un solo e medesimo elemento cellulare del connettivo. II. Ricerche personali e considerazioni generali. Fra le numerose ricerche che sono state compiute sui clasmatociti di RANVIER devono essere ricordate anche quelle eseguite o da me solo (1905) o in unione al mio Maestro Prof. G. Rowmrti (1906). Io non ho fatto cenno di esse nel capitolo precedente, perchè mi proponevo di parlarne a parte in questo secondo paragrafo. Con tali ricerche 1° 34, eseguite sul mesenterio degli Anfibi Urodeli (Molge cristata, Salamandrina perspicillata, Spelerpes fuscus) e sul grande omento dei giovani Mammiferi (Lepus cuniculus, Cavia cobaya, Canis familiaris, Felis domestica, Homo) si giungeva a stabilire: 1.9, che i cla- smatociti degli Anfibi Urodeli devono esser considerati come una modalità di Mastzellen, dalle quali non differiscono che per la forma ramificata, possedendone invece tutti i caratteri più importanti, segnatamente quello della identità nella reazione metacromatica delle granulazioni; 2.9, che gli elementi fusiformi o ramificati del grande omento dei Mammiferi, descritti da RANvIER sotto il nome di clasmatociti e da lui considerati come corrispondenti a quelli degli Anfibi Urodeli ed Anuri, sono da riguardarsi come elementi di natura diversa, perchè con metodi adatti non si riesce a porre in evidenza nel citoplasma loro le granulazioni * PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 67 metacromatiche così caratteristiche dei clasmatociti (Mastzellen) degli Anfibi; 3.° che i clasmatociti dei Mammiferi sono elementi da tenersi ben distinti dalle Masfzellen; 4. che essi devono considerarsi come una forma, modificata di primitive cellule migratrici mononucleate. Infine in un lavoro ? che è in corso di pubblicazione nell’Archivio di Anatomia e di Embriologia, io determino in maniera precisa i ca- ratteri coi quali si mostrano i clasmatociti di Ranvier ?* 28 (rispetti- vamente cellule migranti in riposo di MaxImow !5 nel grande omento dei Mammiferi, e dimostro come si sia potuto erroneamente attribuire ad essi il significato di cellule vaso-formative. Ora, è mio desiderio completare e chiarire nella presente monografia le cognizioni suesposte, rendendo noti in pari tempo i risultati di nuove indagini sui singolari elementi, che nei Trattati vanno ancora sotto il nome di clasmatociti. Ed in primo luogo mi occuperò degli Anfibi Urodeli. - Anfibi Urodeli. — Se noi sottoponiamo il mesenterio di Molge cri- stata al metodo ricordato di RaNvIER, ci riesce sommamente facile os- servare in questa delicata membrana bellissimi esemplari di clasmatociti, quali ci vennero descritti da RanvIER (fig. 1). Sono elementi di dimensioni notevoli, superiori talvolta a quelle dei cromoblasti: la loro lunghezza può raggiungere mm. 1. Dal corpo cellulare racchiudente il nucleo si partono in ogni senso dei prolungamenti moniliformi (alternativamente rigonfi ed assottigliati), i quali si dividono e si suddividono in vario modo senza giungere mai però a fondersi tra loro, e neppure coi prolunga- menti simili dei clasmatociti vicini. Il nucleo ovalare, spesso reniforme, è debolmente colorito in violetto-pallido, mentre lo scarso citoplasma che è attorno al nucleo ed i prolungamenti che da quello hanno ori- gine appaiono intensamente coloriti in violetto molto cupo, senza che nè in quello nè in questi siano visibili granuli distinti. Nei prolunga- menti le parti sottili sono spesso di una finezza estrema, ridotte a un delicatissimo filamento citoplasmatico; alcune ramificazioni secondarie possono apparire indipendenti nel tessuto (clasmatosi). Ma se invece di adoperare il metodo di RanvIER noi ricorriamo ad altri mezzi più adeguati di tecnica (fissazione in liquido di ZENKER od alcool, e colorazione regressiva con tionina, bleu policromo di UNNnA 0 lo stesso violetto di metile 5 B), allora (fig. 2) nel citoplasma dei cla- smatociti si osservano distintamente granuli rotondi, tutti sensibilmente 68 F. PARDÌ eguali, strettamente ammucchiati, i quali si colorano metacromatica- mente in rosso-violetto, cioè come le granulazioni delle Mastzellen *. Il nucleo si mostra intensamente colorito in violetto-cupo, tanto che sovente non si può dimostrare in esso traccia alcuna di struttura. Sottoponendo infine il mesenterio di Molge cristata alla colorazione a fresco col rosso-neutrale **, si osserva (fis. 3) che questo colore tinge rapidamente e distintamente in rosso-gialliccio i granuli dei clasmato- citi ed in rosa delicato il citoplasma intergranulare. Il nucleo appare pallidissimo, appena appena colorito in un rosa di estrema delicatezza. La colorazione col rosso-neutrale dei granuli dei clasmatociti, negli An- fibi, è stata già osservata da RenaUT ?°, ed io non faccio che con- fermarla. # Secondo ScHRETBER e NEUMANN ® le granulazioni dei clasmatociti vengono sciolte, almeno in gran parte, quando si adoperi l’acido osmico, ciò che non avviene quando si ricorra a fissativi come il liquido di ZENKER o l’alcool. ## È noto come il metodo della cosidetta colorazione vitale (col bleu di metilene, col rosso-neutrale o col brillant eresyl bleu con aggiunta o meno di Sudan III) sia stato caldamente raccomandato in questi ultimi anni per lo studio del sangue, sopra tutto da ArwoLp !-iin Germania e da CrsArIs-DEMEL 5 in Italia. Ad esso noi dobbiamo l’acquisto di alcune cognizioni preziose sulla struttura degli elementi morfologici del sangue, valga per tutte quella sulla sostanza cromatica degli eritrociti nucleati del sangue circolante e degli organi ematopoietici. Il metodo della colorazione vitale col rosso-neutrale è stato di recente assai usato, anche per lo studio degli elementi cellulari del connettivo, da RenAUT 27-33 e da MaxImow !, ai lavori dei quali io rimando per più precise nozioni. Solo voglio brevemente riferire in qual modo, del Tosi semplicissimo, ho proceduto per l’esame del mesenterio degli Anfibi e dell’omento dei Mammi- feri. La membrana fresca, appena estratta dall’animale, viene immersa in una soluzione satura di rosso-neutrale in soluzione fisiologica di cloruro di sodio. Dopo alcuni minuti vien tolta dal colore e convenientemente distesa sul porta- oggetti con l’aggiunta di una goccia della soluzione colorante; si cuopre col copri-oggetti e si procede immediatamente all'esame, il quale permette per un certo tempo, prima che compaiano i fenomeni di decomposizione, l’osservazione delle particolarità di struttura di cui è parola nel contesto del lavoro. D'altra parte per persuadersi della rapidità colla quale il rosso-neutrale tinge i granuli dei clasmatociti degli Anfibi, si distenda la membrana fresca sul porta-oggetti in una goccia di soluzione fisiologica di cloruro di sodio, si cuopra col copri-oggetti, e quindi si faccia passare col noto sistema della carta bibula una tenue corrente del colore. Così facendo si assiste alla colorazione dei granuli, la quale avviene con grande rapidità e facilità. La membrana prima incolora, appare ben presto, in capo a pochi secondi, disseminata in maniera elegante di caratteristici clasmatociti. PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEL CLASMATOCITI ECC. 69 Da queste ricerche io tragso, avvalorando le mie prime indagini, la conclusione alla quale son giunti pure Jonny ®!9, RenAUT 29, SCHREIBER e NeumAnN 35 e ScHwaRrz 35, e cioè che gli elementi descritti da RANVIER, negli Anfibi, col nome di clasmatociti altro non sono che comuni Mast- zellen. Delle Mastzellen infatti possiedono tutti i caratteri, primo quello della reazione istochimica dei granuli, i-quali, sotto l’azione dei colori basici di anilina, presentano il fenomeno della metacromasia, ed assu- mono in maniera sensibile il rosso-neutrale nella colorazione a fresco *. I clasmatociti degli Anfibi sono Mustzellen provvedute, specie in Molge cristata, di lunghi prolungamenti ramificati, e perciò meritano la desi- snazione di Mustzellen ramificate. Questo dà ragione delle espressioni «da me usate nei miei precedenti lavori, nei quali asserivo che i clasma- tociti degli Anfibi Urodeli devono essere considerati come una modalità di Mastzellen, dalle quali non differiscono che per la forma, la quale è di solito, nelle IMustzellen dei Mammiferi, sferica, ovale od affusata, e solo eccezionalmente ramificata. Ma, come giustamente osserva WesteHaL 39, la differenza di forma e di aspetto non ha che poco va- lore di fronte all’importanza che acquista la presenza di granulazioni dotate della stessa reazione istochimica. Nella conclusione da me espressa concordano ormai tutti gli AA., ed anche Maxrmow !5 nel suo lavoro del 1906 mostra seguire questi criteri, quando fa cenno degli studi condotti sotto la sua direzione, ma non ancora pubblicati, dal suo allievo LEBEDEFF. Mammiferi. — Con caratteri ben diversi si presentano i cosidetti clasmatociti di RANvIER nell’omento dei giovani Mammiferi da me stu- diati (coniglio, cavia, cane, gatto, uomo, ecc.). Prendendo come oggetto d’indagine il grande omento del coniglio, fissato rapidamente in acido osmico e colorito con violetto metile 5 B se- condo RANVIER 25, osserviamo (fig. 4) con grande facilità delle cellule fusiformi o leggermente arborizzate, le quali corrispondono in maniera perfetta alle cellule da RanvieR ?3 descritte e raffigurate come clasma- #* Come ci dimostrano le belle tavole del lavoro di MaxIimow ‘, anche nei Mammiferi i granuli delle MastzeWZen si tingono col rosso-neutrale o in rosso intenso o in rosso-gialliccio. Sc. Nat. Vol. XXV D) 7Ò f. PARDÎ tociti dei Mammiferi. Non v'è dubbio anche che questi elementi richia- mano subito alla mente, per la intensa colorazione del loro citoplasma e la pallidezza del nucleo, i clasmatociti-Mastzellen degli Anfibi trattati con lo stesso metodo. Tali cellule si distinguono nettamente dai fibro- blasti per diversi caratteri. I fibroblasti sono appiattiti, ramificati, ana- stomizzati per i loro prolungamenti, con nucleo regolarmente arrotondato od ovalare e citoplasma debolmente colorito. I clasmatociti invece man- tengono la più completa indipendenza tra loro, e spiccano con grande evidenza sul fondo della membrana per la intensa ed omogenea colora- zione violetto-cupa del loro citoplasma, il quale non lascia scorgere perciò traccia alcuna di granulazioni: il nucleo, molto pallido, è generalmente oblungo, spesso leggermente incavato in una delle sue faccie e sempre più piccolo di quello dei fibroblasti. Studiando la sierosa del coniglio con metodi di tecnica diversi, come fissazione in liquido di ZENKER od alcool e colorazione con tionina, bleu policromo di Unna e lo stesso violetto metile 5 B adoperato da RANVIER, servendoci in altre parole dei metodi in uso per la colorazione delle Ma- stzellen, le cellule affusate od arborizzate, che io continuerò per il mo- mento a chiamare clasmatociti, ci si presentano (fig. 5) con siffatti ca- ratteri che subito risalta ai nostri occhi come si sia di fronte ad ele- menti ben diversi dai clasmatociti-Mastzellen degli Anfibi. In ogni caso, è bene premetterlo subito, non si vede nel citoplasma delle cellule di cui ci occupiamo la più piccola traccia di granuli metacromatici. Il cito- plasma, spesso vacuolizzato, più raramente omogeneo, ha assunto una colorazione azzurro-violetta così pallida che non si possono sempre ben definire i suoi limiti, il nucleo invece si mostra ben distinto. Solo rara- mente nel corpo cellulare di alcuni elementi si osservano dei granuli pìù spesso rotondi, talora angolosi, di grandezza diversa, coloriti in violetto-cupo. Nei preparati sottoposti all’azione del liquido di ZENKER e alla colo- razione con ematossilina ed eosina (fig. 6), i clasmatociti del coniglio ri- spondendo sempre, ben s'intende, per forma, grandezza e comporta- mento dei prolungamenti ai caratteri già indicati, si presentano sempre con contorni netti provvisti qua e là di fini sporgenze, per le quali, oltre che per altre particolarità, si distinguono assai bene dai fibroblasti. Il citoplasma, finamente granuloso, tinto in viola più o meno chiaro, si pre- senta spesso attraversato da vacuoli di differente ampiezza, e mostra contenere sovente granuli variabili per forma, grandezza e distribuzione PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATGCITI ECC. 7Ì nel corpo cellulare: più spesso rotondi, talora del tutto irregolari, tali sranuli appaiono rossicci in gradazioni diverse. Il nucleo, generalmente oblungo, spesso reniforme, è più piccolo e più ricco in cromatina di quello dei flbroblasti, sicchè appare anche assai più intensamente colorito. Nei preparati eseguiti con liquido di ZenkeR od alcool ed ematos- silina ferrica secondo M. HEIpENEEIN (fig. 7, a), i clasmatociti del coniglio spiccano ancora per la nettezza dei loro contorni. Il citoplasma, di colore grigio con una lieve sfumatura violacea, presenta qua e là, in numero variabile nei diversi elementi, vacuoli chiari di differente grandezza, e talvolta contiene, irregolarmente dispersi nel corpo cellulare, radi gra- nuli neri. Il nucleo, oblungo o reniforme, risalta in maniera bellissima per la intensa colorazione scura che hanno assunto i numerosi e grossolani granuli di cromatina e la membrana, la quale appare distintamente in forma di una linea alquanto spessa. Infine, sottoponendo la sierosa del coniglio all’azione del rosso-neutrale nella colorazione a fresco (fig. 8), si ottengono preparati della massima evidenza. Gli elementi fusiformi od arborizzati, che abbiamo studiato sin ‘qui con diversi metodi di fissazione e di colorazione, si distinguono con grande facilità dai fibroblasti, oltre che per la indipendenza dei loro pro- lunsamenti e la netta delimitazione dei loro contorni, anche per diversi caratteri minuti sia del citoplasma che del nucleo. Il citoplasma, più gra- nuloso ed anche più intensamente colorito di quello dei fibroblasti, con- tiene, nella massima parte degli elementi, granuli rosso-scuri molto lucenti, variabili per numero, forma, grandezza e distribuzione; tali granuli spiccano con grande chiarezza sul fondo rossiccio del citoplasma. Il nucleo, diverso da quello dei fibroblasti per forma e grandezza, è anche più intensa- mente colorito, e contiene numerose masserelle di cromatina, mai nu- cleoli evidenti. Con questi caratteri si presentano i cosidetti clasmatociti del grande omento del coniglio. i Nella cavia si osservano a un di presso gli stessi fatti. Solo voglio notare come in questa specie animale i preparati all’ematossilina ferrica secondo M. HEIDENHEIN (fig. 7, d, c) dimostrino, con maggiore abbondanza e costanza che nel coniglio, l’esistenza, nel citoplasma dei clasmatociti, di granuli neri, di forma e grandezza diversa. Anche nel grande omento del cane neonato (fig. 11) si riscontrano numerosi elementi, i quali devono essere riferiti per i loro caratteri, in tutto simili a quelli che presentano i clasmatociti del coniglio, a questa 72 F. PARDI forma cellulare del connettivo. Anche nei clasmatociti del cane, specie nei preparati fissati, si osservano con grande chiarezza numerosi va- cuoli chiari, i quali possono essere tanto abbondanti e serrati gli uni contro gli altri da dare alla cellula intera un aspetto spongioso (fig. 12); spesso si vedono pure granuli colorabili diversamente coi differenti me- todi adoperati. Solo la forma di questi elementi differisce da quella dei clasmatociti del coniglio, nel quale, come vedemmo, predomina la forma affusata: nel cane questa è piuttosto rara, sono invece più numerose le forme rotondeggianti, ovali, e quelle ramose con brevi prolungamenti, leggermente rigonfi alla terminazione. Poco ho da aggiungere riguardo ai clasmatociti del grande omento dell’uomo (fig. 13), i quali nelle linee generali non differiscono da quelli delle altre specie animali. Anche nell’uomo, come nel coniglio, hanno il predominio gli elementi fusiformi, i quali mostrano frequentemente quel fenomeno di disgregamento che fu detto clasmatosi* da RANVIER 23. Terminerò questa descrizione aggiungendo che assai di frequente, in tutte le specie animali ricordate, si osservano forme di passaggio dalle piccole cellule ameboidi del connettivo ai clasmatociti, del pari che tal- volta si riscontrano cellule che sembrano occupare un posto intermedio fra i clasmatociti e i fibroblasti. Ma di ciò parla dettagliatamente MA- ximow 15, il quale riporta anche belle figure di queste forme intermedie. Stabiliti con sufficiente esattezza i caratteri coi quali nei Mammiferi si presentano all’osservazione questi peculiari elementi del connettivo, che RanvIER ?*? desisnò colla denominazione di clasmatociti, resta da vedere se ad essi convenga un posto ben determinato e distinto dalle altre forme cellulari nel quadro istologico del connettivo lasso, ed in quali relazioni essi stiano colle Mastzeller, giacchè alcuni AA. stabiliscono, come appare dal precedente riassunto bibliografico, una completa iden- tità fra queste e quelli. La questione dei rapporti tra i clasmatociti e le Mastzellen è stori- camente delle più complicate. Abbiamo veduto come essa possa dirsi # Il fenomeno della cZismatosi, chiaramente dimostrabile, come dicemmo, nei clasmatociti-Matzellen degli Anfibi Urodeli, non si osserva invero, tra i Mammiferi, che nei clasmatociti dell’uomo. La constatazione di un tal fatto nella specie umana, dove il materiale non offre sempre sufficienti garanzie di freschezza, fa sorgere ragionevolmente il dubbio che un tal processo di disgre- gamento possa essere l’espressione di un fatto cadaverico. PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 73 definitivamente risoluta per quel che riguarda gli Anfibi, nel senso della perfetta identità tra l’una e l’altra forma cellulare: i clasmatociti degli Anfibi altro non sono che Mastzellen ramificate. Le ricerche di JoLuy ® 19, di ScHREIBER e NEUMANN 5°, di Ren4uT ?9, di ParpI 1°, di Romrri e PARDI 84, di Scawarz 55, di Lepeperr e di Maximow !° lo hanno dimostrato. L’ac- cordo quindi è completo. Una tale unanimità di consensi non hanno per anco raggiunto i clasmatociti dei Mammiferi, sebbene la grande maggioranza degli AA. concordi nel ritenerli come elementi del tutto diversi dalle Mastzellen. Nella prima parte di questo lavoro ho già accennato alle opinioni che a questo proposito seguono i differenti AA. Senza ritornarvi sopra possiamo riassumere la questione nel modo seguente. Da una parte alcuni (JoLuy ® 1°, MarcHanp !, Maximow 14 16, ParpI ‘9, Romiti e PaRpI 34) parteggiano per una netta divisione fra clasmatociti e Mastzellen; dall'altra v'è chi segue il criterio, anche nei Mammiferi, della identità di queste con quelli (ScaREIBER e NEUMANN 59, SCHREIBER ®° 37). Un’opinione intermedia mostrano seguire ScHwarz®* e PaPPENHEIM!®:!8, ScHwarz}5 pensa che Rawvier abbia descritto come clasmatociti dei Mam- miferi due specie cellulari ben distinte, la prima delle quali è identica colle Mastzellen, e la seconda altro non è se non una forma determi- nata di cellule mononucleari conosciute come grandi fagociti o macrofagi. Quindi, secondo Scawarz 35, RanviER avrebbe commesso un doppio er- rore: dapprima non avrebbe riconosciuto, in alcuni degli animali studiati, le Mastzellen come tali, scambiandole con elementi di natura diversa (i clasmatociti), in secondo luogo avrebbe identificato con questi le cellule affusate od arborizzate che si riscontrano nel coniglio e che non sono Mastzellen. Evidentemente, a chi legga con attenzione il lavoro di Scawarz88 ap- parisce chiaro che Scawarz 55 fu indotto ad una tale ‘opinione dal fatto di non aver veduto nell’omento e nel mesenterio del topo bianco (dove le Mastzellen sono abbondanti) i clasmatociti di RanviER; egli così ha potuto credere che questo A. avesse descritto come clasmatociti delle comuni Mastzellen leggermente oblunghe o ramificate. Ciò che non ri- sponde alla verità, perchè RAnvIER* aveva giustamente osservato nel * « Des clasmatocytes .... se trouvent cependant,» dice RANVIER 3 «è coté des mastzellen, dans le grand épiploon du Rat ....\». 74 F. PARDI topo, l'una accanto all’altra, le due specie cellulari surriferite tenendo- vele distinte, e questo d’altra parte è stato chiaramente comprovato dalle ricerche posteriori di JoLLy ® 1° e di MaxImow !5. Risulta da ciò che gli elementi illustrati da Scawarz #5,- nel mesenterio e nell’omento del topo bianco, come Muastzellen sono veramente tali, ma risulta del pari che essi non corrispondono, come egli mostra di credere, a quelli descritti come. clasmatociti da Raxvier ?°, Jouy ® !° e Maximow 19 tanto nel grande omento del topo come in quello del coniglio e di altri animali. D'altra parte è certo che RanviER ??: 23, per essersi servito di un solo metodo, abbia in qualche modo errato, ma non nel senso in- dicato da Scawarz 3 per i Mammiferi: ha errato prima nel non aver riconosciuto le Mastzellen degli Anfibi, trasformandole in una specie cellulare nuova, i suoi clasmatociti; ha errato poi nell’avere voluto porre in uno stesso gruppo, ritenendoli della stessa natura, i clasma- tociti degli Anfibi, che sono Mastzellen, e i clasmatociti dei Mammiferi, che, come abbiamo veduto, nulla hanno di comune colle Mastzellen. PapPENHEIM !5 crede che tutti gli elementi granulosi descritti da Ran- VIER come clasmatociti altro non sono che Mastzellen, e che di fronte ad essi stanno altre cellule, i clasmatociti descritti da MARCcHAND, che PappenneIM !5 denomina cellule fisse non granulose dell’avventizia (fixe ungekornte Adventitiazellen). Ma, per quel che risulta dalla lettura del lavoro di MarcHanDp !8, da me chiaramente riassunto (pag. 62), è lo stesso MarcHAND !9 che sostiene in modo preciso l’ identità delle cellule oblunghe, fusiformi o ramificate, da lui descritte nell’omento dei gio- vani conigli, coi clasmatociti di RAnvIER, ed è sempre MarcHanD !3 che afferma che i granuli eventualmente visibili in essi non hanno alcun che di comune coi granuli delle Mastzellen. Viene dunque a cadere in gran parte, a mio avviso, l’opinione dua- listica sostenuta da Scawarz 38 e PAappenHEIM 15. Attesa l’incertezza che regna tuttora sulla genesi e sul significato delle Mastzellen, il criterio fondamentale, per non dire unico, sul quale ci .fondiamo per distinguere le Mastzellen dalle altre forme cellulari del connettivo è pur sempre la metacromasia delle loro granulazioni, e que- sta non mostrano mai i granuli dei clasmatociti dei Mammiferi. ‘ Incomprensibile è quindi che ScaRrEIBER e NEUMANN 55, i quali ammet- tono la completa identità dei clasmatociti colle Mastzeller, affermino di avere osservato, nel grande omento del coniglio di razza franco-belga, un gran numero di cellule, coi caratteri dei clasmatociti di RANvIER, presentare PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 75 il fenomeno della metacromasia, fenomeno questo invano cercato dagli AA. surriferiti nei clasmatociti del grande omento del coniglio di razza tedesca. Ciò lascia supporre che possano esistere Mastzellen senza me- tacromasia e Mastzellen con metacromasia. Per i primi elementi mon possiamo evidentemente pensare, attesa la mancanza del carattere fon- damentale, la metacromasia, che si possa trattare di Mastzellen. E per gli altri, dobbiamo notare che l’affermata esistenza di Mastzellen nel grande omento del coniglio contrasta singolarmente colle ricerche di tutti coloro, i quali, a cominciare da RanvIER ?3, hanno fatto oggetto dei loro studi, a questo riguardo, la sierosa di un tale animale. “ J'ai cherché vainement des mastzellen dans le grand épiploon du Lapin.... , afferma RanvieR °3. Solo JoLLy ? elementi; ma ScHawarz83 assicura di non aver mai veduto traccia di gra- nuli metacromatici, e MAx1mow!S, per non dire di altri, asserisce dopo esaurienti ricerche che le Mastzellen fanno in una tale membrana com- pletamente difetto. È noto d’altra parte come questi elementi del con- nettivo siano stati invano cercati anche in altri organi dello stesso ani- accenna all’esistenza eccezionale di tali male (Westezar 39, RaupnITZ 24), tanto che si era formata la convin- zione che nel coniglio le Mastzellern mancassero del tutto. Ciò che in realtà non è, dal momento che Maximow!”, usando l’alcool come fissativo e la tionina come colore, ha potuto descrivere, nel connettivo lasso della parete addominale di quel Mammifero, rare sì, ma tipiche Mastzellen. Quindi, a parte la prova diretta, nella quale concordano tutti all’infuori di ScaREIBER e NEUMANN ?°, sarebbe assai strano che elementi così rari in tutti gli altri organi di uno stesso animale fossero tanto numerosi nel grande omento, come pure affermano ScHREIBER e NEUMANN! Allo scopo di chiarire la questione e di farmi possibilmente un'idea deile ragioni che hanno indotto questi AA. ad affermare, nel grande omento del coniglio, la esistenza di tipiche Mastzellen, ho voluto sot- toporre la sierosa di questo animale al metodo adoperato da SCAREIBER e NEUMANN 55. Questo metodo consiste nello sciacquare la membrana fresca, appena tolta dall’animale, in soluzione fisiologica di cloruro di sodio, nel colorire con bleu policromo di UnnA (6-8 goccie della solu- zione concentrata di GrùBLER in un vetrino da orologio contenente clo- ruro di sodio al 0,75 %,), nello sciacquare di nuovo per 10' in cloruro di sodio e nell’esame del preparato in glicerina. Così facendo, dopo una breve permanenza nel colore, 5' all’incirca, si osservano (fig. 9) nume- rosi elementi affusati od arborizzati, in tutto rispondenti per forma, 76 F. PARDI grandezza, comportamento dei prolungamenti ecc. ai clasmatociti de- scritti e raffigurati nel lavoro di RanvIER ** alla tav. 7, fig. 7; tali ele- menti mostrano il nucleo debolmente colorito, ed il citoplasma prov- veduto di granuli violetto-scuro discretamente numerosi, mai però ab- bondantissimi e stipati fra loro. In ogni caso non sono mai riuscito ad osservare che i granuli mostrassero una ben distinta metacromasia rosso-violetta, quale si osserva nei granuli delle Mastzellen nella colo- razione col bleu policromo. Talora però, e questa è forse la ragione che ha spinto ScHREIBER e NEUMANN 3° a credere che si trattasse di Mastzellen, poteva vedersi nei granuli in parola un debole riflesso ros- siccio, ciò che del resto è stato verificato anche da MAxrmow !5 nei suoi preparati sottoposti all’azione dell'alcool e coloriti con tionina. Prolun- gando l’azione della sostanza colorante, i nuclei si tingono così inten- samente che quasi non lasciano scorgere traccia di struttura; i granuli assumono del pari una più accentuata colorazione violetto-cupa (fig. 10). Quindi io mi raffermo ognora di più nella convinzione espressa nei miei precedenti lavori, e cioè che i clasmatociti del grande omento dei Mammiferi non siano affatto Mastzellen. È a rafforzare questo concetto ha grande valore, per me, anche la dimostrazione, fornitaci da MAxI- mow 16, di caratteristiche Mastzellen nel connettivo lasso della parete addominale del coniglio: nella tav. XXXIV, fig. 5 e 6 del suo lavoro questo A. raffigura alcune Mastzellen, in cui la colorazione metacroma- tica rosso-violetta dei granuli è della massima evidenza. Fin tanto che ci è mancata, nel coniglio, la dimostrazione di tipiche Mastzellen, pote- vamo con non lieve sforzo spingere la nostra credulità fino a supporre che i clasmatociti del grande omento del coniglio rappresentassero un tipo modificato di Mastzellen, nelle quali per speciali cambiamenti di struttura non fosse dimostrabile coi colori basici di anilina la nota me- tacromasia dei granuli. Dal momento però che nel coniglio, secondo la dimostrazione di Max1mow !5, esistono, come negli altri Mammiferi, sia pure scarse, ma tipiche Mastzellen, presentanti cioè la caratteristica metacromasia, una tale supposizione viene completamente a cadere, giacchè non si comprenderebbe bene per quale ragione uno stesso ele- mento dovrebbe in una determinata parte dello stesso animale presen- tarsi coi suoi noti caratteri ed in un’altra con caratteri diversi. Altre ragioni, che io voglio semplicemente accennare, suffragano la tesi che sostengo. Ed in primo luogo la contemporanea esistenza, nel grande omento di alcuni animali, di clasmatociti e di Mastzellen. Valga PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. TT l’esempio del topo, dove, per le affermazioni di Ranvier #5, JoLLy ? e MaxImow !5, queste due forme cellulari esistono l’ una accanto all’altra. In secondo luogo non bisogna dimenticare che i granuli dei clasma- tociti, se appaiono con facilità nei preparati freschi (colorazione vitale. col rosso-neutrale o col bleu policromo di UNNA secondo SCHEREIBER e NEUMANN #°, non compariscono con altrettanta sicurezza nei preparati fissati, nei quali ci riesce talvolta assai difficile coi metodi più diversi dimostrare una traccia qualsiasi di granulazioni. Per contro nel cito- plasma dei clasmatociti, che hanno subito l’azione dei fissativi, si ri- scontra con grande facilità una caratteristica vacuolizzazione, la quale non appare ben distinta nei preparati freschi, vacuolizzazione che viene spiegata da MaxIimow !, almeno in parte, come un artefatto, e cioè come il resultato del discioglimento dei granuli. I caratteri surriferiti contrastano singolarmente con quelli delle MastzelZen, nelle quali sono sempre dimostrabili con facilità, tanto nei preparati freschi come in quelli fissati, numerosi granuli addensati, tutti sensibilmente uguali. Raggiunta, secondo il mio convincimento, la prova che i clasmato- citi dei Mammiferi siano elementi di natura diversa dalle Mustzellen, e che quindi si debba assegnare ad essi, nel quadro istologico del con- nettivo lasso, un posto determinato e distinto dalle altre forme cellulari, non voglio lasciare sotto silenzio le questioni che si riferiscono alla loro origine e alle loro probabili funzioni. Sarò breve, giacchè dal riferirne in modo esauriente mi esimono alcuni dei lavori ricordati (di Scawarz 88, RenAUT 32, Maxrmow !5, nei quali tali questioni sono ampiamente di- scusse. È fuori di dubbio che tra i clasmatociti e le piccole cellule migranti del tessuto connettivo somiglianti ai linfociti (einkernige Wanderzellen di Scawarz 5, cellules connectives rhagiocrines rondes et mobiles di Renaut 5, kleine amòboide Wanderzellen di MaxImow !5 esistono stretti rapporti genetici. Secondo l° opinione più verosimile, enunciata prima da RanvIER ?% 23, e sostenuta in questi ultimi anni specialmente da Scawarz 33, RenauT ®% e Maximow !5, i clasmatociti dei Mammiferi si svi- lupperebbero progressivamente dalle piccole cellule migranti ora ricordate, cellule mononucleari rotonde, le quali a loro volta, secondo le ricerche sul connettivo embrionale di MAxrmow !6, ripetono la loro origine dal ce- Spite delle cellule migranti primarie di SAxER (primiren Wanderzellen). Certo è che l’esistenza, anche nella tonaca propria del mesenterio e del grande omento, di tutte le forme di passaggio dalle piccole cellule 78 F. PARDI migranti ai clasmatociti, costituisce un argomento di non comune valore in sostegno di una tale opinione. E per quanto riguarda il significato funzionale dei clasmatociti, quello che in primo luogo ci colpisce è l’attività secretoria di cui que- sti elementi sono dotati. È vero che non tutti gli AA. concordano nel- l’ammettere una tale proprietà. ScHwarz #* infatti propende a credere che le granulazioni dei clasmatociti siano l’espressione di una funzione fagocitaria, ed è forse indotto a ciò dalla notevole variabilità nella gran- dezza, nella forma e nel comportamento dei granuli stessi di fronte alle sostanze coloranti, non che dal fatto che sovente si osservano cla- smatociti senza traccia alcuna di granulazioni. Senza escludere Ja fun- zione fagocitaria, della quale parlerò tra poco, è opportuno notare che ScHwarz 33 ha eseguito le sue osservazioni esclusivamente su preparati fissati, nei quali, come dicemmo, i granuli non appaiono mai con l’ab- bondanza, la costanza e la precisione dei caratteri che distinguono i preparati freschi, eseguiti colla colorazione vitale al rosso-neutrale o al bleu policromo di Unna. Sono più specialmente i metodi della colora- zione vitale che ci portano ad ammettere l’attività secretoria dei cla- smatociti, i quali potrebbero considerarsi, concordemente con quello che opinano alcuni per le Mastzellen, come glandule unicellulari del connettivo. Ad una tale attività, non esclusiva dei clasmatociti, giacchè è stata os- servata anche in altri elementi cellulari del connettivo (cellule cartila- ginee, cellule fisse della cornea), RewnauT #* ha dato il nome di attività ragiocrina. “ Ce mode , egli dice ‘ ‘ consiste dans l’élaboration de grains de ségrégation albuminoîdes au sein du cytoplasme cellulaire: chaque grain se nourrissant, s’accroissant et arrivant à maturité dans une va- cuole qui le circonscrit individuellement, et qui sélectionne et concentre, en elle et autour du grain, des matériaux diffusibles à travers le corps cellulaire et venus à portée de ce dernier. Un tel liquide vacuolaire extrait du milieu ambiant, sur le vivant, le rouge neutre, de facon d marquer chaque vacuole sous forme d’une sphérule intensément colorée. Si ensuite, par les méthodes cytologiques convenables, on arrive à voir les vacuoles criblant le corps cytoplasmique, et dans chaque vacuole son grain albuminoîde inclus, on acquiert la certitude qu’ on a bien affaire ici à une cellule qui sécrète, et non pas seulement à un corps cellulaire renfermant des enclaves, résultant, par exemple, d’actes de phagocytose antérieurs ,. D'altra parte talora si riscontrano nel citoplasma dei clasmatociti, PER LA STORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 79 sopra tutto del coniglio e del cane, inclusioni di corpi estranei, di na- tura diversa. Nella cellula rappresentata dalla fig. 14 sono chiaramente visibili, in un vacuolo del citoplasma, detriti granulari di un comune eritrocita; in altri elementi (fig. 15 e 16) possono osservarsi degli eri- trociti intatti, dei linfociti con nucleo picnotico ed anche dei leucociti a nucleo polimorfo. Evidentemente in questi casì noi ci troviamo di fronte ad alcune di quelle forme che METscHNIKoFF e Dominici ” hanno de- scritto col nome di grandi fagociti o macrofagi, corrispondenti in tutto ai cosidetti poliblasti di MAaxIimow !* 16, che in così gran numero si osservano nella infiammazione. Parlare di attività fagocitaria di un elemento significa in gran parte prendere in esame, di esso, un’altra proprietà, quella ameboide, colla prima intimamente connessa. Movimenti ameboidi spontanei nei clasma- tociti dei Mammiferi non sono stati mai riscontrati da RANvIER ?3, il quale, com’ è noto, considera questi elementi come cellule polimorfe ed immobili, derivate per successive trasformazioni dalle ordinarie cellule linfatiche che attraverso i vasi sanguigni migrano da per tutto nell’or- ganismo. Nel concetto dell’immobilità dei clasmatociti concordano pure MarcHAND 13, Jonny ®*!°, Dominici “ e Maximow !5, il quale propone per tali elementi, da lui considerati come stadi di riposo di cellule prima mobili, la denominazione di cellule migranti in riposo (ruhende Wan- derzellen). Un diverso modo di vedere a questo riguardo seguono Scawarz 35 e RevAUT 83. Il primo di questi AA. tende ad ammettere una limitata contrattilità del citoplasma dei clasmatociti, ed in questo trova la ragione per sostenere l’attività fagocitaria dei clasmatociti medesimi, la quale è da lui considerata come la causa della loro granulazione. E per RenAut #3 i clasmatociti altro non sono che una forma particolare di cellule connettive giovani, le quali, originate da cellule connettive ragiocrine rotonde e migranti, conservano indefinitamente nel connettivo, sebbene in maniera assai più limitata, la caratteristica mobilità pri- mitiva. Ì La presenza delle inclusioni di cui ho parlato, non frequentissime invero, m’induce ad ammettere che, se non tutti, alcuni almeno degli elementi che c’interessano godano di una certa mobilità nel connettivo, con la quale viene meglio a spiegarsi la particolare attività fagocitaria dei clasmatociti. Anche MaxImow !5 ammette che normalmente alcuni clasmatociti (le sue cellule migranti in riposo), specialmente nel tessuto adiposo e attorno ai vasi, possano riacquistare o semplicemente man- 80 F. PARDI tenere la primitiva mobilità, assumendo i caratteri coi quali si presen- tano (nella infiammazione) gli elementi da lui designati col nome di po- liblasti, i quali in parte non sarebbero che clasmatociti diventati mobili *. II. Conclusioni, A. — Per gli Anfibi. 1. Gli elementi descritti da Ranvier ** 3 negli Anfibi Urodeli ed Anuri col nome di clasmatociti altro non sono che comuni Mastzellen ramificate. La prova di ciò sta principalmente nella reazione metacro- matica dei loro granuli di fronte ai colori basici di anilina. 2. I clasmatociti-Mastzellen degli Anfibi presentano frequentemente il fenomeno della frammentazione dei loro prolungamenti (clasmatosi). 3. Per le ragioni di cui al n. 1 verrebbe a cadere per tali ele- 22, 23. a meno che non si volesse usare questa voce, giusta per il concetto che vi è insito della clasmatosi, in sostituzione o come sinonimo della voce Mast- zellen, riconosciuta da lungo tempo impropria **. menti la denominazione di clasmatociti proposta da RANVIER B.— Per i Mammiferi. 1. Gli elementi fusiformi o ramificati descritti da RanvIeR 5 nel grande omento dei Mammiferi col nome di clasmatociti sono stati per * A chiarire meglio questo concetto valgano le seguenti indicazioni. Se- condo Maximow ‘5 in ogni infiammazione, spontanea o sperimentale, i clasma- tociti del connettivo lasso ritornano rapidamente al loro stato originario ame- boide. Essi si arrotondano per una sorta di contrazione del citoplasma, assumono contorni anche più netti, riacquistando in pari tempo la mobilità. Si passa così dai clasmatociti ai polidblasti, in tutto corrispondenti ai macrofagi di MerscHNI- KorFr e di DomInIcI ?. Contemporaneamente però ed in breve tempo si presen- tano nel campo infiammato nuove cellale migranti (linfociti) emigrate dai vasi sanguigni; queste, ingrandendosi rapidamente, si trasformano in grandi cellule ameboidi mononucleari che si mescolano con quelle sviluppatesi dai clasmatociti, dalle quali però non possono essere distinte attesa l’identità dei loro caratteri. Di qui la denominazione di poZiblast per tutti questi elementi, attivi nel campo dell’ infiammazione. #* È noto come EaRLICH abbia ritenuto che le MastzeZZen (cellule ingras- santi?) fossero in relazione coll’aumentata nutrizione dell’organismo. Contro questo modo di vedere depongono, fra altre, le ricerche di BALLOWITZ, il quale ha dimostrato che nei Chirotteri esse si trovano all’incirca vello stesso numero e colla medesima struttura prima e dopo il letargo invernale. PER LA SORIA E LA MIGLIORE CONOSCENZA DEI CLASMATOCITI ECC. 81 lungo tempo confusi coi fibroblasti, e corrispondono alle primitive cellule connettive dello stroma di RANvIER ?!, diventate poi i clasmatociti dello stesso RanvieR ?% ?3, di MarcHanD 13 e Jonny ® 19, ad alcune forme dei macrofagi di Dowvici ”, alle cellule studiate e descritte da ScHwarz 35 come una forma determinata di cellule migranti leucocitarie, alle cellule fisse non granulose dell’avventizia di PAPPENBEI: 1° 18, alle cellule ènter- stiziali dell’epiploon o cellule connettive ragiocrine clasmatocitiformi di Re- NAUT 25 83, alle cellule migranti in riposo di Maximow !°. Con questi nomi diversi è stato indicato sempre uno stesso elemento. 2. I clasmatociti dei Mammiferi non corrispondono, come ha cre- duto RanviER 2% 23, ai clasmatociti degli Anfibi, che sono Mastzellen. 3. I clasmatociti dei Mammiferi sono elementi da tenersi ben di- stinti dalle Mastzellen. La prova di ciò sta nei seguenti fatti: a) i granuli dei clasmatociti non presentano mai, sia nei preparati a fresco come in quelli fissati, la caratteristica metacromasia dei gra- nuli delle Mastzellen ; b) i granuli delle Mastzellen, di solito molto numerosi, ammassati tra loro, tutti sensibilmente uguali, appaiono facilmente sia nei prepa- rati a fresco come in quelli fissati; i granuli dei clasmatociti, variabilissimi per numero, forma, grandezza e distribuzione nel corpo cellulare, se sono chiaramente e facilmente dimostrabili nei preparati eseguiti col metodo della colorazione vitale, non lo sono in genere altrettanto nei preparati sottoposti all’azione dei fissativi; c) in alcuni animali si osserva nel medesimo organo (ad es. grande omento del topo) la esistenza contemporanea delle due forme cellulari, clasmatociti e Mastzellen, l'una a fianco dell’altra. 4. I clasmatocità dei Mammiferi sono in stretto rapporto genetico colle piccole cellule migranti del connettivo somiglianti ai linfociti, dalle quali con ogni probabilità derivano per graduali trasformazioni. 5. I metodi della colorazione vitale più specialmente inducono ad ammettere una speciale attività secretoria nel citoplasma dei clasmato- citi (attività secretoria ragiocrina di ReNAUT 3% 33). 6. Nel citoplasma dei clasmatociti sono talora dimostrabili inclu- sioni di corpi estranei (eritrociti, leucociti), ciò che porta a riconoscere, in alcuni di questi elementi, anche una ‘certa mobilità nel connettivo. Questa può spiegarsi coll’ammettere che i clasmatociti, ritenuti dai più come immobili, possano in alcuni casi mantenere o riacquistare, sotto l’influenza di cause speciali, la primitiva attività ameboide. 82 F. PARDÎ 7. I clasmatociti dei Mammiferi solo eccezionalmente (uomo) pre- sentano il fenomeno della clasmatosi, sicchè dovrebbe, a parer mio, ab- bandonarsi per questi elementi la denominazione di Ranvier ?® 23. Am- messo come più attendibile il concetto della immobilità dei clasmatociti, potrebbe accettarsi per questi elementi il nome proposto da Max1mow !5, di cellule migranti în riposo. 20. BIBLIOGRAFIA . ArnoLD. Ueber Granulafirbung lebender und iiberlebender Leukocyten. Vir- chows Archiv, Bd. 157, 1899. . Ipem. Ueder Granulaftirbung lebender und iiberlebender Gewebe. Virchows Archiv, Bd. ‘159, 1900. . Ipem. Granulabilder an der lebenden Hornhaut. Anat. Anz., Bd. 18, 1900. . Ipem. Weitere Mitteilungen iiber vitale und supravitale Granulaftirbung. Anat. Anz., Bd. 24, 1903. . CasarIs-DeMEL. Sulla colorazione a fresco del sangue. Lavori e Riviste di Chimica e Microscopia Clinica, Vol. I, Fasc. II e III, 1908. . CoanuaEIMm. Veber das Verhalten der fixen Bindegewebeskòrperchen bei der Entzindung. Virchows Archiv, Bd. 45, 1869. . DomInICcI. Polynueléaires et macrophages. Archives de méd. exp. et d’anat. path., Ire Série, T. XIV, 1902. FRANgOIS. Pecherches sur le développement des vaisseaux et du sang dans le grand épiploon du Lapin. Archives de Biologie, T. XIII, Fasc. IV, 1895. . JoLuy. Clasmatocytes et Mastzellen. C. R. de la Soc. de Biologie, T. 52, 1900. . Ipem. Cellules plasmatiques, cellules d’ Ehrlich et clasmatocytes. C. R. de l’Assoc. des Anat., IIT® Session, 1901. . KUnNE. Untersuchungen iber das Protoplasma und die Contractilitàt. 1864. . MarcHAND. Bedeutung der grosshernigen Wanderzellen etc. Sitzungsbericht d. Ges. z. Befòrd. d. ges. Naturwissensch., Marburg, 1897. . Inpem. Ueber Clasmatocyten, Mastzellen u. Phagocyten des Netzes. Verhandl. d. deutsch. pathol. Gesellschaft, IV, 1901. . MaxIMmow. Experimentelle Untersuchungen dber die entziindliche Neubildung von Bindegewebe. Zieglers Beitrige, 5. Supplementheft, 1902. . Inax. Clasmatocyten und Mastzellen. Centr. f. allg. Path. u. path. Anat., Bd. 14, 1903. . IpeM. Ueber die Zellformen des lockeren Bindegewebes. Archiv. f. mikrosk. Anat. und Entwicklungsg., Bd. 67, 1906. . PAapPENHPIM. Eine Reihe von hurzen Notizen in den Folia himatologica, Bd. I, 1904. . Ipem. Eine Reihe von kurzen Notizen in den Folia himatologica, Bd. II, 1905. . PaRDI. Intorno alle cosidette cellule vaso- formative e alla origine intracellulare degli eritrociti. I. Ricerche sul grande omento dei Mammiferi. Internat. Monatsschrift f. Anat. u. Physiol., Bd. XXII, Heft ?/,, 1905. IpeM. Ancora sopra il significato delle cellule vaso-formative di Ranvier. Ax- chivio di Anat. e di Embriol., Vol. VIII, Fasc. 1.°, 1909. s4 F. PARDÎ 32. 38. 39. . RanvinRr. Du développement et de Vaccroissement des vaisseaue sanguins. Axr- chives de Physiologie, 1874. . IpeMm. Des clasmatocytes. C. R. des séances de l’Acad. de Sciences, T. CX, 1890. . Ipam. Des clasmatocytes. Archives d’Anat. mierose., T. III, Faces. II e II 1900. . RauDNITZ. Beitriige zur Kenntniss der im Bindegewebe vorkommenden Zellen. Archiv f. mikrosk. Anat. und Entwiklungsg., Bd. 22, 1883. 5. v. RECKLINGHAUSEN. Ueber Eiter-und Bindegewebskòrperchen. Virchows Ar- chiv, Bd. 28, 1863. . RenAUT. Sur la variation modelante des vaisseaue sanguins. La période des cellules vaso-formatives et des taches laiteuses primaires. C. R. de l’ Assoc. des Anat., IV® Session, 1902. . Inem. Sur une espèce nouvelle de cellules fixes du tissu conjonetif: les cel- lules connectives rhagiocrines. C. R. de la Soc. de Biologie, T. 56, 1904. . IpeM. Les cellules fixes de la queue du jeune Rat sont toutes des cellules connectives rhagiocrines. C. R. de la Soc. de Biologie, T. 56, 1904. . IpeM. Caractères distinctifs des Clasmatocytes vrais et des cellules connectives rhagiocrines. C. R. de la Soc. de Biologie, T. 57, 1904. . Ipem. Caractères histologiques et evolution des cellules connectives rhagiocrines. C. R. de l’Assoc. des Anat., VII Session, 1905. . RenAUT et DuBREIL. Les cellules connectives rhagiocrines possèdent un intense pouvoir phagocytaire. C. R. de la Soc. de Biologie, T. 60, 1906. IpeM. Les cellules connectives de la lignée rhagiocrine. Bibliogr. Anat. T. XV, 4° fasc., 1906. . RenAUT. Role general et fonetion périvasculaire des cellules connectives rha- giocrines clasmatocytiformes. C. R. de la Soc. de Biologie, T. 62, 1907. . Romiti e PARDI. Clasmatocytes et Mastzellen. XV Congrès International de Médecine, Section I ( Anatomie), Lisbonne 1906. . ScHREIBER und NEUMANN. Clasmatocyten, Mastzellen und primire Wander- zellen. Chemische und Medicinische Untersuchungen. Festschrift zur Feier des 60. Geburtstages von Max Jaffe. 1901. . SCHRRIBER. Veber einbequemes Object zum Studium der Mastzellen (Clas- matocyten). Miinchener mediz. Wochenschrift, 1902. . Inem. Bemerkungen zu Marimows Aufsatz ete. Centr. f. allg. Path. u. path. Anat., 1903. ScHwarz. Studien diber im grossen Netz des Kaninchens vorkommende Zel- Iformen. Virchows Archiv, Bd. 179, 1905. WestPHAL. Ueber Mastzellen. Inaug. Diss., Berlin 1880. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE .— Clasmatocita (Mastzelle) del mesenterio di Molge cristata. Metodo RanvIER (acido osmico 1°/,, violetto metile 5 B). Koristka, oc. 3, ob. 5. . — Clasmatocita (Muastzelle) del mesenterio di Molge cristata. Liquido di ZENKER, tionina. Kor., oc. 3, ob. 85. . — Clasmatocita (Mastzelle) del mesenterio di Molge cristata. Colorazione a fresco col rosso-neutrale. Kor., oc. 3, ob. 8*. 4. — Clasmatociti (cellule migranti in riposo di MaAxIMmow) del grande omento di Lepus cuniculus di 6 giorni. Metodo RaNVIER (acido osmico 19/, violetto metile 5 B). Kor., oc. 4, ob. 8*. 5. — Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Lepus cuni- AI culus di 6 giorni. Alcool assoluto, bleu policromo di UNNA. " Kor., oc. 4, ob. immers. omog. 19 .— Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Lepus cuni- culus. Liquido di ZENKER, ematossilina-eosina. Zeiss, oc. compens. 8, ob. apocr. 2 mm. apert. 1,30. .— Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento: a) di Lepus cuniculus; b, c) di Cavia cobaya. Liquido di ZENKER, ematossilina ferrica secondo M. HEIDENHEIN. Zeiss, oc. comp. 8, ob. apocr. 2 mm. apert. 1,30. 8. — Clasmatociti (cell, migr. in riposo) del grande omento di Lepus cuni- 10 Se culus di 6 giorni. Colorazione a fresco col rosso-neutrale. Kor., oc. 4, ob. 8*. .— Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Lepus cuni- culus di 45 giorni. Metodo di ScHREIBER e NEUMANN (colorazione a fresco per 5’ con bleu policromo di UNNA ed esame in glicerina). Kor., oc. 4, ob. 8%. .— Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Lepus cuniculus di 45 giorni. Metodo di ScHREIBER e NEUMANN (colorazione a fresco per 15' con bleu policromo di UNNA ed esame in glicerina). Kor., oc. 4, ob. 8#. . Nat. Vol. XXV 6 86 F. PARDÎ Fig. 11. — Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Canis fami- d » liaris neonato. Liquido di ZENKER, ematossilina - eosina. Zeiss, oc. comp. 8, ob. apocr. 2 mm. apert. 1,30. 12. — Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Canis fami- liaris neonato. Liquido di ZENKER, ematossilina - eosina. Zeiss, oc. comp. 8, ob. apocr. 2 mm. apert. 1,30. 13. — Clasmatociti (cell. migr. in riposo) del grande omento di Homo s. di 14 giorni. Acido osmico 1°/,, carmallume - eosina. Kor., oc. 3, ob. immers. omog. 15: 14. — Clasmatocita (macrofago) contenente, nel citoplasma, frammenti gra- nulari di eritrociti. Dal grande omento di Lepws curiculus neonato. Liquido di ZENKER, ematossilina - eosina. Kor., oc. 4, ob. 8#. 15. — Clasmatocita (macrofago) contenente, nel citoplasma, alcuni eritro- citi. Dal grande omento di Lepus cuniculus neonato. Liquido di ZENKER, ematossilina - eosina. Kor., oc. 4, ob. 8*. 16. — Clasmatociti (macrofagi) contenenti, nel citoplasma, eritrociti e leu- cociti. Dal grande omento di Canis familiaris neonato. Liquido di ZENKER, ematossilina - eosina. Zeiss, oc. comp. 4, ob. apocr. 2 mm. apert. 1,30. P. ALOISI IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA terios A compiere la monografia “ I minerali del marmo di Carrara ») pubblicata dal prof. G. D’AcHtARDI '), non mancava che lo studio del quarzo, minerale fra tutti più comune ed abbondante. Occupato presente- mente in altri lavori, il prof. D’AcHiarpI ha voluto incaricarmi di tale Studio; i risultati delle mie ricerche sono esposti nella presente nota. Bibliografia. Probabilmente fino da tempo molto antico, fimo da quando cioè si escavarono i marmi carraresi, fu conosciuta la presenza del quarzo nelle cavità dei marmi stessi; bisogna però venire alla fine del 1500 per trovare delle notizie nei manoscritti o nei libri. Così i primi a farne menzione sono il padre DeL Riccro ?) ed ULISse ALDOBRANDI 8): in tempi a noi più vicini troviamo rammentato il quarzo di Carrara dal TARGIONI 4), dallo SPALLANZANI °) e finalmente dal RePETtI °), il quale si trattiene a lungo specialmente sulle varie ipotesi che allora si facevano riguardo 1) Nota preventiva. Proc. Verb. Soc. Tosc. Sc. Nat. Adunanza 2 luglio 1899. Pisa, 1899. — Parte I. Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. XXI. Pisa, 1905. — Parte II. Mem. Soc. Tose. Sc. Nat. Vol. XXI. Pisa, 1905. — Aggiunte alle parti I e II. Proc. verb. Soc. Tose. Sc. Nat. Adunanza 11 marzo 1906. Pisa, 1906. — Parte III. Mem. Soc. Tos. Sc. Nat. Vol. XXII. Pisa, 1906. 2) Trattato delle pietre. 1597. 3) Museum metallicum. 1648. 4) Relazione di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Firenze, 1768-69. 5) Due lettere a Carlo Bonnet sul Golfo della Spezia e sull’ Alpe Apuana di Massa Carrara. Mem. Soc. dei Quaranta. Modena, 1784. 5) Cenni sopra l’ Alpe Apuana e î marmi di Carrara Firenze, 1820. 86 P. ALOISI all’origine del quarzo, e sul fenomeno del trovarsi “ ..... nelle marmoree cavernette a cristalli di Carrara... un liquore limpidissimo leggermente sapido e più o meno abbondante ,, fenomeno che dice di avere egli stesso osservato. Nel 1844, il Rose !) trovò nel quarzo di Carrara le forme: {211}, {101}, {100}, {722}, {221}, {334}, {8 8 13}, {412}, {412}, e fece notare come generalmente il romboedro fondamentale diretto sia più sviluppato di quello inverso, e come sieno frequenti tanto i cristalli destri quanto quelli sinistri. Il Des CLorzraux ?) nella sua classica opera sul quarzo, fece uno studio più esteso del minerale di Carrara, e vi trovò le forme seguenti: {TI}, {LOI}, ql I 10), {101 9}, 1918} {817} {716} (100316: 3322 AUT 351, {8.8 13}, Li i. {Il 11 19}. {412}, {412}, {16/8 Dì, NIDESNGI [916} LARIO 65 1 Di tutte le altre osservazioni che il Des CLorzeaux ha fatte sul nostro minerale parlerò caso per caso quando se ne presenterà l'occasione. Lo ScHaRFF #), a quanto ne scrive 1° Hinrze 4), illustrò alcune parti- colarità di concrescimento e riportò, oltre alle più comuni, le forme: {722}, {13 5.5], {88 I3Ì, |447]. Nella Mineralogia della Toscana, A. D'AcHIARDI 5), aggiunse come certe, alle forme già date dal Des CLoIzEAUX, {722} (già trovata però da Rose e ScHARFF), {29 10 10}, {833}, {557}, {22 di di. 14 27}, {26.10 13}, e, come;incerte, {522}, (UNI, 445,124 0 11 I 25 RO RI Fece osservare come, oltre al prisma, al romboedro pa diretto e a quello inverso sieno comuni a quasi tutti i cristalli {412} e {412} e come frequenti si presentino le {722}, {31 II II}, {833}, {17 17 25), {335}, {88 13}, {11 11 19}, {125 61. Riportò poi le combinazioni trovate e, dopo aver descritte le partico- larità presentate dalle principali forme, mise in rilevo, fra altro, un geminato con asse parallelo alla base e piano di unione normale ad essa, i frequenti casi di unione parallela per una faccia del prisma 0 per la base, e finalmente la geminazione ad angolo secondo (521). 1) Ueber das Krystallisations-System des Quarzes. Ak.d. Wiss. Berlin, 1844. ?) Mémoire sur la cristallisation et la structure intérieure du quartz. Mem. près. par divers sav. T. XV., Ace. d. Se. Paris, 1858. 3) N. Iahrb. 1868. 4) Handbuch der Minerologie. I. Bd., 9 Lief., pag. 1396. Leipzig, 1905. 5) Vol. I, pag. 86. Pisa, 1872. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA $9 Determinò anche il peso specifico, notando come esso risultasse su- periore (2,654) a quello trovato per altri quarzi scoloriti (2,62-2,64), ed attribuì tal fatto alla perfetta compattezza ed omogeneità di struttura del quarzo di Carrara. i In appendice poi al primo volume della sua opera !), avendo avuto e studiato nuovo materiale, aggiunse alle forme già dette il prisma {716}, un nuovo romboedro diretto facente col fondamentale angolo di 1° 20' circa, e stabilì come certa la forma{11I}riportata dapprima come incerta. Dette inoltre nuove combinazioni, portandone il numero a 44 e cioè: 3 di ceri- stalli senza facce di trapezoedro o di bipiramide trigona; 18 di cristalli destri; 23 di cristalli sinistri. Infine osservò come il prisma trigono si trovasse sugli spigoli verti- cali non corrispondenti a facce di trapezoedri o di bipiramide trigona, onde nei cristalli destri si avrebbe la forma sinistra e viceversa. ‘Il JERVIS?) cita il quarzo come trovantesi a circa 2 km. da Carrara nella cava di statuario di Crestola, notando come sul posto sia cono- sciuto sotto il nome di “ Diamante di Carrara ,. Osserva che si pre- senta in cristalli isolati, generalmente piccoli, con il prisma esagono breve e terminazioni piramidali, talora impiantati per un estremo dell’asse, tal’altra per altro punto ed in questo caso, terminati da ambe le parti dell’asse. Di alcuni esemplari di quarzo di Carrara scrisse il GrorE 3) notando anzitutto come, secondo Rose, il prisma {101} sia stato scoperto da Har- DINGER appunto in uno di tali esemplari, a modificare gli spigoli verticali privi delle facce di trapezoedro, e confermò che un cristallo portava il prisma in parola: fece osservare come tracce di tal prisma si ritrovas- sero anche negli altri spigoli del cristallo, che però era geminato. GRroTH osservò pure come i quarzi di Carrara, ritenuti semplici da RosE, spesso invece si mostrino geminati. Un nuovo prisma facente angolo di 56°%2' con: {2II}, di simbolo {25 II 14}, fu determinato da ScHeNK in un cristallo che WrISs pre- sentò ad una seduta della Deutsche Geologische Gesellschaft 4). 1) Op. cit. Vol. I, pag. 268. ?) I tesori sotterranei dell’ Italia. Vol. II, pag. 336. Torino, 1874. 3) Die Mineraliensammlung der Kaiser- Wilhelms-Universitiit Strassburg. Pag, 100. Strassburg, 1878. 4) Zeitschr. Bd. 31, pag. 800. Berlin, 1879. 90 7 P. ALOISI ZaccaeNa !) ricorda i quarzi di Carrara, dicendo come sieno frequenti nelle geodi del marmo di Piastra. Von KocEnkKo *), nelle ricerche sulla piroelettricità del quarzo in rap- porto al sistema cristallino, ha sperimentato non poche volte servendosi di cristalli di Carrara. Per primo cita un cristallo di questa località il quale oltre a {211}, {100}, {221}, ecc., porta il trapezoedro sinistro }421} in corrispondenza di tre spigoli verticali alterni, in alto, e di due degli stessi in basso, nonchè una piccola e lucente faccetta di {412}, in alto. Appunto in cor- rispondenza di tale faccetta il cristallo mostrava elettricità positiva (L'A. sperimentava con il metodo di Kunpr), contrariamente a ciò che avviene per gli altri quarzi. Per spiegare questa anomalia l'A. suppone che nel cristallo sinistro sia concresciuta una parte di cristallo destro, con la relativa faccia trapezoedrica, parte così piccola che la elettricità negativa da essa manifestata sia paralizzata da ogni lato dalla elettricità positiva preponderante, e tale supposizione è avvalorata dall’esame ot- tico di due sezioni normali all'asse tagliate nel cristallo stesso, che porta ad ammettere trattarsi di un geminato costituito da un cristallo destro e da piccola parte di uno sinistro. Ma le osservazioni più importanti l'A. dice di averle fatte su di una serie di cristalli di Carrara e di altre località, con le rare forme dei prismi trigonali, ditrigonali, ecc. Fra questi ne ricorda tre di Carrara che oltre ai romboedri ed al prisma esagono mostrano: Il primo facce di prisma trigono, su tre spigoli verticali alterni, non corrispondenti alle facce del trapezoedro sinistro presente nel cri- stallo; il secondo pure facce di prisma trigono a modificare, in tutto od in parte, quattro dei sei spigoli verticali ; il terzo facce di prisma trigono sui sei spigoli verticali: di queste facce però tre (due delle quali adiacenti) sono larghe e portano dei rilievi lenticolari, le altre invece sono strette. In quest’ultimo cristallo inoltre, sono presenti delle facce che 1A. incertamente riferisce a {916}, ed altre indeterminabili, analoghe a {14 5 IO}, {814}, {17 8 I6} di Des CLOIZEAUX. Questi cristalli, se considerati come semplici, contraddicono alla legge che i cristalli destri debbano avere trapezocdri destri diretti e sinistri 1) Una escursione mella regione marmifera del Carrarese. Boll. R. Com. Geol. d’Italia. Ser. II, Vol. II, n. 11 e 12. Roma, 1881. 2) Die Pyroclektricitéit des Quarzes in Bezug auf sein krystallographisches Sy- stem. GrotH’s Zeitschr. f. Kryst. u. Min. Vol. 9, Leipzig, 1884, IL QUARZO DEI MARI DI CARRARA 91 inversi e viceversa, giacchè prismi trigoni e ditrigonali e bipiramidi tri- gonali, come forme limiti di trapezoedri dovrebbero apparire solo in cor- rispondenza con essi. La loro presenza sugli spigoli verticali alterni si spiega invece supponendo che si tratti di geminati con la legge comune. Sembra però all’A. che l’ammettere la geminazione fra due individui presentanti forme diverse (trapezoedri e prismi) o forme analoghe, ma nettamente distinte per le loro proprietà fisiche, sia alquanto arbitrario. Vom RartH !) descrive un cristallo di quarzo di Carrara nel quale oltre a: {211}, {100}, {22T}, {554}, {111}, {412}, sono presenti {101}, {11 IO I}, {201}, {10.1 2}, {19 8 4}, {14 2 1}, {5 14 10}, {8 5 10}, {421}. La forma {421} è ritenuta nuova, e le {19 8 4} e {5 14 10} dovute a corrosione. Il prisma trigono modifica quegli spigoli verticali che corrispondono a {412} (la forma non è presente ed al suo posto si trovano le facce di {10 1 2} e {8 5 I0}), mentre gli altri mostrano le facce arrotondate di {11 IO I}. La sommità del notevole cristallo è smussata da una superficie piana leggermente arrotondata, che può essere riportata a {111}. Le facce del romboedro fondamentale diretto e di quello inverso hanno degli incavi triangolari, piccoli, il cui lato più lungo è rivolto all’angolo dove potrebbe trovarsi {412}. L’aspetto di questo esemplare è di cristallo COITOSO.: i Una breve comunicazione riguardante il quarzo di Carrara è stata fatta nel 1885 dal barone H. von FouLLoN ?), che si limita a notare come in una bella collezione di tali cristalli, in parte sciolti, in-parte in gruppi impiantati sul marmo, non abbia potuto riconoscere il prisma trigono os- servato da HarpineeR. Spesso insieme al quarzo lA. ha trovato la dolo- mite in romboedri che arrivano ad 1 cm. di spessore. Il MoLENGRAAFF ) nella prima parte del suo studio sul quarzo, nella quale si occupa delle figure di corrosione che con opportuni agenti pos- sono prodursi sui cristalli di quarzo, e di quelle che naturalmente vi si ritrovano, dice di aver usato fra gli altri, per le sue esperienze, dei cri- stalli di Carrara. Così nella terza serie di osservazioni, nell’attacco cioè con carbonato sodico in soluzione concentrata, ha adoprato cristalli di 1) Mineralogische Mittheilungen (N. PF). 22. Quarze aus Burke County, Nord Carolina. GrotH’s Zeitsch f. Kryst. u. Min. Vol. X, pag. 485. Leipzig, 1885. 2) Quarze aus Carrara. Verh d. k. k. geol. Reichsanst. 1885, n. 16-17, pag. 402. Wien, 1885. 3) Studien diber Quarz. 1. Ueber natiirliche und kiinstliche Aetzerscheinungen am Quarz. GrorA’s Zeitsch. f. Rryst. u. Min. Vol. XIV, pag. 173. Leipzig, 1888. 92, È P. ALOISI di tale località presentanti {211}, {100}, {221}, {412}, {412} ed altri della stessa combinazione per l’attacco con acido fluoridrico. Cita poi le figure di corrosione che si trovano naturalmente nei nostri quarzi, venendo infine alla conclusione che “ Molte delle fucce rare del quarzo, appar- tenenti a forme con simbolo complicato, e tutte quelle non corrispondenti all’enantiomorfia trapezocdrica del quarzo, non sono vere facce cristalline, ma per lo più facce di corrosione ,. Nella seconda parte del lavoro !), il MoLENGRAAFF, descrivendo più mi- nutamente le corrosioni subite in natura dai quarzi di varie località, si ferma a lungo su quelli di Carrara. Dopo aver descritto brevemente in quali condizioni di giacitura essi si trovino, dice di aver talora osservata la seguente successione: 1) Piccoli cristalli di dolomite di prima generazione. 2) Grossi cristalli di calcite con {100}, {201}, {211}. 3) Quarzo. 4) Grossi cristalli di dolomite, {100} selliforme, di seconda generazione. 5) Gesso e solfo. Come combinazione più frequente riporta: {2TI}, {100}, {221}, {412}, {412} = e la corrispondente sinistra. Inoltre nota la presenza dei prismi trigoni e ditrigonali, sia a modifica- re gli spigoli verticali alterni, e precisamente quelli che non corrispondono alle facce della bipiramide trigona, sia a modificarli tutti e sei. Osserva pure come si abbiano delle modificazioni di spigoli, le quali, in riguardo alla grandezza ed alla frequenza, mostrano di seguire in tutto e per tutto la serie che ha stabilita nella prima parte del lavoro, in riguardo alla maggiore o minore attaccabilità dei diversi spigoli. Passa quindi brevemente in rivista le forme che, secondo i vari autori, si presentano più o meno arrotondate, notando come le sue spe- ciali misure lo abbiano spesso condotto ad ammettere che le facce di tali forme non abbiano posizione costante e non sieno mai del tutto liscie. 1) Studien am Quarz. II. GrorHts Zeitsch. f. Kryst. u. Min. Vol. XVII, pag. 137. Leipzig, 1890. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 93 Le forme citate sono: a) {101} trovata da Des CLorzraux ed HAIDINGER. i716} » » ” » 1817} » » » ” {918} ° Segui: ù ma ritenuta incerta. {10 I 9} EI 5 {11 I 10} Pea È e v. RATH. 125 II 14} È » SCHENK d) {210} S » MOoLENGRAAFF {201} È s V. RATE. c) {1423} x 5 V. RATE. {421} Solva 9 d) {10 LI 2i » ” ” 8 D 10} » » b) L’A., per queste due forme, ha preso in esame il cristallo misurato dal v. RatH: al microscopio ha notato come sieno notevolmente arro- tondate, ed al goniometro ha avuto immagini multiple, onde gli è riu- Scito impossibile determinarne l’esatta posizione cristallografica. e) {514 trovata da Des CLoIzEAUX e v. RATH. s {145 10 10} I ; n » b)) » V. RatH aveva considerato la forma come dovuta a corrosione. L'A. misurando i cristalli che avevano servito alle ricerche di v. KoLENKO trovò pure le dette forme, sempre più o meno arrotondate, come aveva notato anche DES CLOIZEAUX. f) {916} trovata da DES CLOIZEAUX {961} » ” » » L’A. ha pure trovato forme analoghe, ma con valori angolari varia- bili, onde ritiene che per Carrara esse non abbiano una posizione ben fissa. 9) Forma basale, trovata da v. RATH. L’A. su vari cristalli ha riscontrato che essa non si trova mai nella posizione esatta 94 P. ALOISI Tutte queste forme, caratterizzate da poca costanza di posizione, ar- rotondamento e superficie appannata, l’A. le considera come dovute a corrosione. Con ricerche al microscopio ha potuto constatare come in tutti i cri- stalli di Carrara che sulle loro facce portano delle figure di corrosione, non manchino le facce arrotondate di tali forme, e che viceversa nei cristalli che hanno tali forme, sono presenti, quasi senza eccezione, i segni di subìte azioni corrodenti. Inoltre quanto più sono profonde e manifeste tali figure, tanto più estese ed evidenti si palesano le modificazioni sugli spigoli; anzi, talora il rapporto fra queste e le fisure di corrosione è anche più netto, come, ad esempio, quando avviene contemporaneamente la rifles- sione tra una di queste facce e la faccia interna di una figura di corrosione. Questo fatto era già stato notato dal v. RATH. Quindi l’A. passa ad un dettagliato esame di come le facce, special- mente delle forme prismatiche, abbiano potuto costituirsi per azione della corrosione, notando, in figure schematiche, i vari stadi di passaggio. Descrive poi quattro quarzi di Carrara che, a quanto dice, possono esser presi come tipo di cristalli naturalmente corrosi. Il primo è un cristallo di 3 cm. di altezza, completo, e costituito da alcuni subindividui di uguale rotazione insieme concresciuti, i quali, per avere in parte le loro facce a livello un poco diverso, danno origine a spi- goli di combinazione insoliti, spigoli che si mostrano tutti arrotondati. In questo cristallo ha determinato, oltre le solite forme, tre romboedri inversi {557}, {17 17 25), {8 8 13}, con facce striate orizzontalmente, onde ritiene sieno con ogni probabilità da considerarsi come facce tangen- ziali ad alterne ad indici più semplici. Il secondo è uno dei cristalli descritti e figurati da v. KoteNnKO 1). Il terzo, portante delle figure di corrosione molto nette, presenta delle facce di corrosione che modificano diversi spigoli. Cita VA. la {201}, la {210}, e una larga faccia che sembra occupare la posizione della base, ma che attentamente osservata si mostra costituita da tre faccette poco di- stinte una delle quali è riferibile alla base, le altre due a romboedri ottusi. Il quarto cristallo è quello descritto e disegnato da v. RarH. La figu- razione però essendo solo parziale e molto schematica, l'A. dà una nuova 1) Se non vi è errore di citazione, come non pare vi sia, data la corrispon- denza delle figure, il cristallo suddetto (Loc. cit. pag. 18 e tav. II fig. 10a) non è di Carrara ma di Strigau, o per lo meno v. KoLENKO lo descrive come pro- veniente da tale località. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 95 figura di tutto il cristallo, il più possibile fedele alla natura. Secondo 1°A. le coppie di facce determinate da v. RATH come di {11 IO I}, costituiscono un’unica superficie curva che, senza spigolo di combinazione, si fonde con l’altra ritenuta dal v. RatH di {5 1410}. La faccia di {101}, poco arro- tondata, ha press’a poco la posizione voluta. Come conclusione a questa parte della memoria, 1’ A. sostiene che gli agenti di corrosione sono stati i sali alcalini neutri i quali non man- cano mai nelle acque che circolano nel terreno. In una memoria pubblicata nel 1892, il BomBiccI !), dopo aver notato che in un cristallo semplice di quarzo non dovrebbero mai coesistere le facce di un trapezoedro destro e quelle di uno sinistro, descrive un cri- stallo di Carrara, ii quale ha due faccette di bipiramide trigona (412) e (421), una del romboedro diretto acutissimo {311}, e che mostra, sotto ad una stessa faccia di romboedro diretto le due (4712) e (421). Studiando una sezione fatta nel cristallo stesso ha osservato un contegno analogo a quello delle ametiste del Brasile. In altra memoria del medesimo anno *), lo stesso autore si occupa delle modificazioni degli spigoli verticali del quarzo di Carrara, per av- valorare la tesi sostenuta altrove sulla “ correlazione fra le superficie curve nei cristalli e gli assettamenti molecolari finali, perturbati dalle influenze fisico-meccaniche dell’ambiente ,,. L'A. incomincia col notare come le modificazioni in parola degli spi- goli verticali del quarzo, sieno state per lungo tempo ignorate o neglette poi da diversi autori conosciute ed ammesse. Egli è, da varie conside- razioni, tratto a negar loro la qualità di facce, trovandosi però in di- saccordo con il MoLENGRAAFF per ciò che riguarda la loro origine, che non può riferire esclusivamente a corrosione chimica operata da acque alcaline. Dopo ricerche comparative, l'A. viene alle conclusioni che riporto in succinto: 1.° Le modificazioni non si alternano che in alcuni cristalli. 2.° Esse sogliono far capo a faccette di bipiramide trigona. 1) Sulla coesistenza delle due inverse plagiedrie sopra una faccia di un cristallo di Quarzo di Carrara, e sulle spirali di Airy presentate da una sezione ottica dello stesso cristallo e di altri. Mem. R. Ace. delle Sc. dell’Ist. di Bologna. Serie V, Tomo II. Bologna 1892. ©) Sulle modificazioni degli spigoli verticali nei prismi esagoni di Quarzo di Car- rara, e su quelle che strutturalmente vi corrispondono sui cristalli di altre specie minerali. Loc. cit, 96 P. ALOISI x 3.° La presenza loro è indipendente dalle dimensioni dei cristalli. e dal portare essi facce trapezoedriche o no. 4.° I rilievi acuminati, lanceolari, ecc., sono rarissimi nella-collezione di quarzi di Carrara studiata ed in essi non fu riscontrata alcuna modi- ficazione degli spigoli polari. Quindi, dopo aver detto che quanto ha scritto in altra memoria per far prevalere la teoria delle perturbazioni molecolari, nella fase estrema di sviluppo, su quella delle esclusive corrosioni chimiche potrebbe ripetersi per i quarzi di Carrara, l'A. espone le considerazioni che in succinto riporto: 1.° Può negarsi il significato di facce alle modificazioni in parola degli spigoli verticali. 2.° Perchè un dissolvente avrebbe agito in modo diverso sopra cri- stalli della identica natura in tre località diverse? (Palombaia, Porretta, Carrara). Dopo di ciò 1’ A. descrive dei fenomeni analoghi che si riscontrano in altri minerali, e ritiene infine dimostrato che le modificazioni descritte: sieno dovute principalmente alle perturbazioni per parte dell’ ambiente del lavoro cristallogenico, e solo in via secondaria alla corrosione. Un cristallo di Carrara è citato dallo TscHERMAK !) nel suo lavoro sopra iquarzi curvati; si tratta di un individuo apparentemente semplice, destro, che si mostra distorto intorno all’asse di principal simmetria. Tale aspetto è spiegato con una geminazione secondo la terza legge 2) dello TScHERMAK stesso. Trattando dei marmi il GrampaoLI ) si occupa piuttosto estesamente del quarzo di Carrara ed in special modo di quello jalino (diamante o luccica dei cavatori). Dopo aver citati il DeL RIccro, lo SPALLANZANI, il RepETTI ed il D'ACHIARDI, dice che, rispetto al modo di presentarsi del quarzo, possono distinguersi tre diverse modalità e cioè: cristalli di gros- sezza variabile, da 1 a 7-8 cm. limpidi e trasparenti, che si ritrovano sempre in piccole geodi perfettamente chiuse da ogni parte, talora aggrup- pati in modo diverso, tal’altra isolati e quasi del tutto staccati dalla roccia; cristalli piccolissimi, fra loro in mille fogge compenetrati, perfet- tamente incastonati nella massa marmorea; cristalli che arrivano a qualche 1) Ueber gewundene Bergkrystalle. Denksch. d. Math. Naturw. Class. d. k. Ak. d. Wiss. Vol. LXI. pag. 393 Wien, 1894. ?) Piano di geminazione una faccia vicinale, di poco distante da {101}, 3) I marmi di Carrara. Pisa, 1897, IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 97 decimetro di lunghezza, torbidi, non completamente terminati, ricoperti da finissime figure di corrosione. Questi ultimi cristalli si trovano impiantati sulle facce arrossate da ossidi di ferro delle numerose diaclasi che attraversano la roccia. Tl quarzo si trova nelle masse di bianco-chiaro di Piastra, Fossa del- l'Angelo, Lorano, Ravaccione, ecc. Manca negli statuari, bardigli, ed in tutti gli altri marmi della lente superiore, in quelli cioè che fanno parte della zona scistosa, soprastante alla vera formazione marmifera. Recentemente lo SPEZIA !) nelle sue esperienze sulla solubilità del quarzo si è servito di cristalli di Carrara. Con una soluzione di silicato sodico al 0,83%, su due quarzi sottoposti all’azione di tale solvente a temperatura compresa fra 290° e 310°, quarzi che presentavano le facce dei romboedri perfettamente lisce, e quelle del prisma appena striate, dopo 24 ore ottenne aspetto corroso e facce di {101}, come già era stato ottenuto dal MoLExGRAAFF con soluzioni di carbonati alcalini. E segni di corrosione ottenne pure in un altro cristallo di quarzo di Carrara sot- toposto anche esso all’azione del silicato sodico sciolto nell'acqua, a tem- peratura di 338° circa ed a pressione di 150 atmosfere, dopo sei mesi di tempo. 2) Il GrampaoLi 8) in una recente nota fa una rassegna dei minerali dei marmi di Carrara, e riguardo al quarzo, dopo aver ripetuto press’a poco ciò che aveva detto nella memoria precedente, ricorda alcuni gruppi “ pa- ralleli a traiettoria elissoidale , nonchè un cristallo jalino della grossezza di un pugno trovato agli Scaloni sotto i Fantiscritti (vallata di Miseglia), cristallo che attualmente si trova nel Museo Mineralogico dell’ Università di Pisa. Nella voluminosissima bibliografia del quarzo, non ho potuto trovare altro che si riferisca a quello di Carrara; qualche cosa avrà potuto forse sfuggire alle mie ricerche, in parte appunto per la straordinaria abbon- danza del materiale consultato, in parte perchè spesso, non potendo avere le memorie originali, ho dovuto contentarmi di leggere delle recensioni più o meno sommarie. 1) Contribuzioni di geologia chimica. Solubilità del quarzo nelle soluzioni di Silicato sodico. Atti della R. Ace. delle Sc. di Torino, Vol. XXXV. Torino, 1900. 2) Contribuzioni dî geologia chimica. La pressione è chimicamente inattiva nella solubilità e ricostituzione del quarzo. Atti della R. Ace. delle Sc. di Torino, Vol. XL. Torino, 1905. 3) I minerali accessori dei marmi di Carrara. Carrara, 1905. 98 P. ALOISI Inoltre la maggior parte degli autori, a meno che si tratti di vere e proprie determinazioni cristallografiche, quando sperimentano sul quarzo, a differenza di ciò che fanno per gli altri minerali, non indicano quasi mai la località dalla quale proviene il materiale studiato. Abito cristallino. Le collezioni del Museo Mineralogico della Università di Pisa, pos- seggono un numero molto grande di cristalli di quarzo di Carrara, sia impiantati, sia sciolti, che provengono in parte dalla collezione della To- scana raccolta e studiata da A. D’ACcHIARDI, in parte dalla collezione ZAccaGNA di recente acquistata dal Museo, ed in parte finalmente da materiale comprato o raceolto sul posto, in questi ultimi dieci anni. Il maggior numero dei campioni non porta l'indicazione precisa della provenienza, tranne un certo numero di esemplari di marmo con vari minerali provenienti per lo più da Fossa dell’ Angelo. Da quanto però dice il Gramp4oLI nella succitata nota può affermarsi come, con ogni pro- babilità, la massima parte dei quarzi provenga, oltre che dalla ora detta località, dalle geodi del marmo bianco-chiaro di Piastra, Ravaccione, ecc. Le dimensioni dei cristalli variano entro limiti assai estesi, da pochi millimetri a diversi centimetri. Uno dei cristalli più grossi, che fa parte della collezione ZaccaGvnA, è quello al quale allude il GrampaotI, ed ha nella direzione dell’asse ternario, una lunghezza di circa cm. 9, ed in direzione normale a questa, una larghezza massima di! cm. 8 circa. Questo cristallo, trovato nella cava di bardiglio agli Scaloni nel 1889, è parzialmente rotto alla estremità, inferiore o d’impianto, tozzo, e ri- sulta costituito da numerosi individui uniti parallelamente fra di loro e compenetrati, individui tutti destri (le faccette del trapezoedro {412} sono 17, delle quali 14 superiori e 3 inferiori). La compenetrazione ed il parallelismo non sono completi nel senso stretto della parola, e, sia sulle facce dei romboedri che su quelle del prisma ‘si hanno dei leggeri di- slivelli. Dei romboedri, il più sviluppato è {100}; l’inverso {221} lo è assai meno. Oltre alle facce delle forme suddette, sono presenti quelle lucenti di |412{ e quelle di vari romboedri inversi acuti, indeterminabili. Il cristallo è di una limpidezza e di una trasparenza perfette. Tranne quello ora detto, che per le sue straordinarie dimensioni me- ritava un cenno a parte, ed altri due o tre di grossezza poco minore, ma molto meno belli, in generale i quarzi di Carrara non oltrepassano ÎL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 99 che raramente i cm. 2-3 nella direzione dell’asse di principal simme- tria, ed anzi, in generale, si tengono un poco al di sotto di tale misura. È da notarsi pure il fatto che fra i cristalli i quali oltrepassano ap- punto tal lunghezza, si trovano quelli che con maggior evidenza mo- Strano strie sul prisma e, in generale, facce scabre od appannate. Una distinzione fra cristalli semplici e non semplici, a mio parere, è quasi impossibile: non può dirsi che tutti i quarzi di Carrara sieno composti, sia per unione parallela sia per vera e propria geminazione, ma certo il maggior numero lo è e, nei casi dubbi, bisognerebbe ricor- rere a ricerche speciali per risolvere la questione. Ed in ragione appunto di questa frequentissima polisintesia dei cri- stalli, dalla quale quasi sempre derivano disturbi ed anormalità anche nell'aspetto esterno, disturbi però che in generale si osservano solo al goniometro, nonostante la limpidità dei singoli individui e l'apparente lucentezza delle facce, non molti sono quelli che si prestano a misure di una certa esattezza. L'abito dei cristalli, come è noto, è prismatico-bipiramidato; spesso però all'estremità di impianto le facce non hanno potuto formarsi. Il prisma non è quasi mai eccessivamente sviluppato, dei due rom- boedri {100} e {221}, il primo ha quasi costantemente le facce un poco più grani, senza però che esse acquistino uno sviluppo molto prepon- derante che in pochi casi. Raro è che {221} sia più sviluppato del rom- boedro diretto e nei casi infrequenti in cui ciò avviene il maggior svi- luppo si limita ad una o due facce. Altri tipi di abito come lo sfalloide, il tabulare, ecc., non mancano, ma sono assai rari. Per lo più è una delle facce di {100} che assume uno sviluppo maggiore di tutte le altre: talora tre facce alterne del prisma, per lo più quelle alle quali superiormente corrispondono le facce del romboedro diretto, sono molto più estese delle altre tre, avendosi quasi l’aspetto di un prisma trigono modificato da un’altro prisma trigono molto meno sviluppato. In pochissimi cristalli finalmente ho trovato due facce opposte del prisma e le quattro corrispondenti dei romboedri molto estese orizzontalmente rispetto a tutte le altre ridottissime, così da aversi un aspetto tabulare. Le forme che i cristalli presentano più comunemente sono, oltre a quelle ora rammentate, il trapezoedro |412} (e {421} nei cristalli sinistri) la bipiramide trigona {412} (e {421} c. s.), i romboedri acuti inversi e diretti. Fra i romboedri inversi è comunissimo {8 8 13} e fra i diretti, meno numerosi, il più frequente è {722}. 100 P. ALOISÌ Dopo queste forme vengono, per ordine di frequenza, i trapezoedri trisonali diretti (destri e sinistri della zona [221 : 211]) e finalmente, se sono da considerarsi come vere forme cristalline, i prismi trigoni e di- trigonali. Poco certi sono i trapezoedri, diretti od inversi, di zona diversa dalla suddetta, e molte delle forme date da Des CLOIZEAUX e v. RATH, io non le ho mai riscontrate, nei cristalli della nostra collezione. Passando questi in rivista ad uno ad uno, ne ho scelto un certo numero, circa 50, che presentano qualche forma interessante o rara, o che per lo stato delle facce loro si prestano alle determinazioni goniome- triche, e su di essi ho misurato gli angoli delle varie forme. Non credo utile riportare le combinazioni trovate per il fatto che, data la grande abbondanza dei romboedri, in special modo di quelli inversi, quasi ogni cristallo misurato ha una combinazione sua propria, e probabilmente quasi per ogni altro che avessi potuto misurare ne avrei trovata una nuova. Questo fatto del resto è provato dal grande numero di combinazioni riscontrate e riportate dal D’ACHIARDI. Non ho potuto notare che esista una differenza notevole, per il nu- mero, fra i cristalli destri e quelli sinistri. Non ho:trovato nessuna forma che possa dirsi nuova o quelle che come tali mi apparvero sono, per una ragione o per l’altra, molto dubbie. Per confronto mi sono sempre riferito alle forme ammesse dal Gorp- scaMIpt !) ed dall’ Hintze. ?) i I valori teorici sono calcolati partendo dalla costante di KuPFFER, 100:111=51°4710"(a:c=1:1,09997) adottata da Dana 3) ed HrxozE ‘). Forme osservate. Base. — Il v. RAaTR e quindi il MoLENGRAAFF hanno ritrovata questa forma che-però secondo il MoLENGRAAFF è da considerarsi come dovuta a corrosione. Come è noto, la esistenza del pinacoide basale nel quarzo è per lo meno molto dubbia, e, di recente, lo SPEZIA °) la nega addirittura. 1) Index der Krystallformen der Mineralien. Vol. III, fasc. 1. Berlin, 1888. ?) Handbuch der Mineralogie. Vol I, fasc. 8. Leipzig, 1904. 3) A System of Mineralogy. Pag. 183. New York, 1892. 4) Loc. cit. pag. 1266. 5) Sull’accrescimento del quarzo. Atti R. Acc. delle Se. di Torino, vol. XLIV. Torino, 1909. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA loi Prismi — Il prisma {211} è sempre presente e quasi sempre è per- corso da strie parallele all’intersezione delle facce del prisma stesso con quelle dei romboedri. Riguardo alle altre forme prismatiche, che modificano gli spigoli di quello ora detto, esse si ritrovano come già altri hanno osservato, con una relativa frequenza sui quarzi di Carrara. Il prisma trigono j101, ed il corrispondente sinistro, li ho trovati su vari cristalli, dei quali però pochi si prestavano a misure per lo stato delle loro facce. Un primo cristallo porta le tre facce della forma sinistra {110} sugli spigoli verticali che non corrispondono al trapezoedro trigonale (destro). Le facce sono lineari e danno valori oscillanti. Un secondo cristallo, che non ha facce di trapezoedro o di bipiramide trigona, ha cinque dei sei spigoli verticali (in corrispondenza del sesto il cristallo è rotto) modificati da delle esili faccette che pure approssi- mativamente potrebbero riportarsi a quelle di {101} e {110}. Il terzo cristallo ha le facce di {421} e {421}; sui tre spigoli verticali alternanti con quelli che corrispondono a tali facce, si hanno delle mo- dificazioni lineari relativamente assai lucide, le quali portano a valori angolari assai vicini a quelli di {101}. Per le tre misure infatti dell’an- golo di tale facce con quelle del prisma {2II}, ottenni: 29° 59"; 29° 42’; 29° 59/. Anche lo spigolo [100: 112], che in questo cristallo, per il poco svi- luppo di {221}, è assai esteso, si mostra modificato, senza però che possa stabilirsi la posizione del piano modificante. Del resto, più che di un piano, si tratta di una serie di piccole ed ineguali incisioni dello spigolo, che, per esser molto vicine tra di loro, danno a prima vista l'impressione di aver a che fare con una faccia. I tre spigoli verticali corrispondenti alle facce del trapezoedro sono pure leggermente modificati. Le facce del prisma trigono trovate nel quarto cristallo, sempre essendo lineari, modificano quei tre spigoli verticali che non corrispon- dono al trapezoedro destro |412} presente insieme, al solito, alla bipira- mide trigona. Le misure hanno dato angoli di: 29° 55/; 290 53': 29° 55/, col prisma {211}. Questo cristallo porta anche delle facce che, come ve- dremo in seguito, sono vicine alle 9 di Des CLorzrAux e è, di v. RATE. Sc. Nat. Vol. XXV 7 102 P. ALOISÌ In parecchi altri cristalli, gli spigoli verticali sono modificati, ma tali modificazioni non hanno più nulla che possa ravvicinarle a facce cristalline, presentandosi opache, irregolari, senza spigoli di combinazione netti, e ricoperte dai noti rilievi lenticolari (fig. 1). Per i prismi ditrigonali ecco ciò che ho potuto osservare: Fic. 1. In un cristallo con trapezoedro de- stro, due spigoli verticali, non corrispon- denti al detto trapezoedro, sono modificati ognuno da una coppia di faccette esilis- sime, ma mentre una di esse per ogni coppia fa angoli col prisma {211} corri- spondenti a quello di {981}: 2407"; 24919’: cale. 24°11/, le altre due fanno angoli più vicini a quello di }10 9 1} l'una: 24%45'; cale. 24947’, e di {11 IO I} l’altra: 26042"; cale 26020". Per uno dei due spigoli le faccette modificanti non si estendono per tutta la lunghezza dello spigolo modificato arrestandosi a circa 3 mm. dal suo estremo inferiore. Il prisma {981} (o il corrispondente destro) è stato dato dubbiosa- mente dal Des CLorzraux ! e non è ammesso dal GoLpscHMIDT, in- sieme a {11 10 I} (e corrispondente destro). Sopra un cristallo che non mostra facce di trapezoedro o di bipiramide trigona cinque almeno dei sei spigoli verticali sono modificati da delle facce sempre strettissime ed interrotte trasversalmente da delle intac- cature. Essendo impossibile orientare il cristallo, non posso dire quali fra le facce prismatiche appartengono a forma destra o sinistra: per como- dità di descrizione distinguo gli spigoli con numeri progressivi, e in- dico le forme come destre. 1) Loc. cit. pag. 91. ii QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 103 1. Angoli con {211}: 22936; 22%1'; cale. per {716} 22°27' 2. Angoli con {2Î1}: 23019 23931 cale. per {817} 23025: 3. Sembra mancare ogni modificazione. 4. Angoli con {211}: 23025”; 23%56; cale. per {8I7} 23025". L'angolo 23°56' è più vicino a quello calcolato per {918}. 5. Lo spigolo è modificato, ma le facce non sono determinabili. 6. Li »” » » » In corrispondenza alle facce delle forme prismatiche trigonali o di- trigonali si hanno quasi sempre anche delle modificazioni di altri spi- goli, sia di quello [100:112], come abbiamo già veduto, sia di quello [412 : 112] e corrispondenti. Tali modificazioni in generale non si pre- stano a misure angolari neppure approssimate, essendo costantemente Scabre (fig. 1). Per tutte queste forme, sia del prisma trigono, sia di quelli ditri- gonali, per le osservazioni fatte dal MoLENGRAAFF, che ho avanti ripor- tate, osservazioni che debbo completamente confermare, credo che sia da accettarsi la ipotesi emessa dal MoLENGRAAFF stesso, cioè che non possano nel nostro caso considerarsi come facce di vere e proprie forme cristalline, ma sibbene come dovute a corrosione. Di forme prismatiche trovate da altri e da me non osservate è da citarsi solo la {25 II I4} dello ScHENK. Romboedri diretti. — Oltre a quello fondamentale ne ho trovati 15, includendovene due nuovi incerti. I loro simboli sono: {62 I I}**, 8210 Rei r22t E 00 20000 IIS {li 4 4}, {833}, {13 5 5I, {522}, {177 7}*, {19 8 8j*, {944}*. Quelli segnati con un asterisco sarebbero, per quanto mi risulta, nuovi per la località, ed i due distinti con asterisco doppio nuovi per la specie. Le faccette dei vari romboedri diretti sono per lo più molto piccole, lineari, ma lucenti e, in generale, danno immagine buona o discreta. Quasi mai per un dato romboedro in un dato cristallo (lo stesso 104 P. ALOISI può ripetersi per gli inversi) possono misurarsi le incidenze delle sei faccette, e questo sia perchè i cristalli sono spesso terminati ad una sola estremità, sia perchè di frequente anche delle tre faccette dell’e- stremo terminato ne sono presenti due od una sola. Debbo notare quì, come i romboedri, sia diretti che inversi, ma più questi che non quelli, si presentino talora in modo analogo a quello descritto da BirLLows !), cioè come “ facciuzze assai strette e mal definite, che davano ognuna una immagine, ma in modo da formare tutte in- sieme delle serie quasi continue di immagini, da non poter scegliere nessuna in modo certo e definito per stabilire delle misure ,. Il BiLLows ritiene che tali facce sieno vicinali e cioè non altro che “ le facce stesse dei romboedri (100), (221) e del prisma (2IÎ) spostate dalla posizione più vicina alla vera per effetto di combinazione oscillatoria delle tre forme durante l’atto momentaneo di loro formazione nella, cristalloge- nesi ,. Nel nostro caso però le singole immagini sono per lo più netta- mente staccate e per ognuna può prendersi una misura esatta. I valori ottenuti quasi sempre si ripetono in vari cristalli e per lo più corrispon- dono bene a quelli calcolati per dei romboedri ammessi dai cristallografi, a simbolo in generale non molto complicato. i Senza escludere quindi che anche nel caso nostro possa in parte trat- tarsi di facce vicinali, dato che alcune di esse per la loro frequenza e per la costanza dei valori debbono ritenersi invece vere e proprie facce, e data la difficoltà di fare una distinzione netta fra queste ultime e quelle che invece con maggior probabilità sarebbero da riferirsi a facce vici- nali, ho creduto bene di riportarne i valori trovati, indicando a qual forma essi corrispondano. Angoli N. Limiti Medie Calcolati 100/062 FISONTE 1°16— 1099 1019 1091" pg Ezio St 24 2 37 sg ego n da 3 53 3 39 È (CO: 9327-24 3 93 45 93 81 5 aBgiRiE. 3 24 18-24 49 24 334/, 24 Ad . gui va 27 3-97 99 27 12), 27 5 > gi i Re. 97 32 97.55 1) Studio cristallografico sul quarzo di S. Marcello pistojese. Pag. 60. Riv. di Min. e Crist. Italiana. Vol. XXXI, Padova, 1904. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 105 Angoli N. Limiti Medie Calcolati 10:31101î 2° 9809198051" 980 36! 98,038! Mulan “i 29 5 99 16 DEL Mais3; Vibio 30 2-30 4 3030 30 4 so 30 43-30 57 30 50 30 44 ; OD MN 31 36-32 9 31 52, 31 48 cola NR 32 32—32 52 32 42 32 36 > 068. i pa 33 20 33 13 ; SLIGO La 34 21 34 45 Il romboedro {62 I I} è quello indicato da A.D'AcHIARDI in appen- dice alla Mineralogia della Toscana: oltre che sul cristallo sul quale lo aveva trovato detto autore, lho rinvenuto su altri quattro, Sul primo si presenta con le tre facce superiori (il cristallo è rotto all’estremità inferiore) una delle quali è stretta quasi lineare, mentre le altre due sono assai più estese raggiungendo la larghezza di quasi mm. 1,5. Le facce sono striate, cosa non abituale per i romboedri diretti, e le strie sono parallele allo spigolo [100 :211]; lo spigolo tra il rom- boedro in parola ed {100} non è una linea retta. Il cristallo che porta le facce di due trapezoedri destri è apparentemente semplice. Il secondo cristallo, pure rotto ad un estremo e che porta trapezoedri sinistri, è costituito dalla unione parallela di più individui ed inoltre è geminato secondo la legge comune (asse [111]) con un altro cristallo pure sinistro. Le facce del romboedro }62 I I} hanno lo stesso aspetto che nel cristallo precedente, ed una sola è misurabile. Il terzo cristallo, pure rotto, seminato con la legge comune e sinistro, presenta le facce di {62 I If su due facce consecutive di romboedro fondamentale: il fatto è facilmente spiegabile data la geminazione. Il quarto ed il quinto cristallo sono del tutto analoghi a quello ora descritto. Talvolta, specialmente nell’ultimo cristallo, una faccia del romboedro in discussione acquista uno sviluppo tanto grande che la corrispondente del romboedro fondamentale si riduce piccolissima. Per la complicazione del simbolo, per la striatura, insolita come è noto nei romboedri diretti, e per aver trovato, ad eccezione di un caso, il romboedro in parola su cristalli manifestamente geminati, nonostante la concordanza delle misure tra di loro e quella della loro media col va- lore teorico, ritengo che la forma non sia da accettarsi. 106 P. ALOISI La {53 16 16} corrisponde al romboedro inverso {1010 13}: le sue faccette le ho trovate su due cristalli, uno dei quali è probabilmente la unione parallela di due individui destri e l’altro, geminato, è precisa- mente il quarto di quelli che presentavano il romboedro {62 1 I}. Sopra ciascuno dei due cristalli, il romboedro {53 16 16} si presenta con una sola faccetta. Anche questa forma non la ritengo affatto sicura. Le forme che ho riportato con una sola misura e già note per il gia- cimento sono: {29 10 10}. È stata trovata per la prima volta da PHILIPS 1) e Des CLor- ZEAUX ©), che la riscontrò su due cristalli del Vallese, la ritenne molto incerta. Per Carrara è data da D’AcHIARDI con un angolo osservato diffe- rente di solo 1’ dal teorico 3). GoLpscamipt ed Hinrze non la ammet- tono, ed avendola io riscontrata una sola volta, con valore non troppo buono, non la ritengo sicura. Le forme date con una sola misura e non ancor note per i quarzi di Carrara sono: {32 I I}. Da tutti ammessa, ma il valore trovato si discosta di più di ‘/a grado dal teorico. Dubbia. {23 I I}. nes CLoizeAUX 4) la mette incerta, probabilmente uguale a {2611}; GoLpscamIDT ed Hinrze non la accettano. La mia misura si avvicina più al valore teorico di {23 I 1} che non a quello di {26 I I} dal quale dif- ferisce di 39‘; in ogni modo la forma rimane dubbia. {1144}. Forma ammessa e la cui misura si discosta di non molto (11°) dal valore teorico. {1988}. È forma ammessa da tutti. La ritengo dubbia perchè tro- vata su di un solo cristallo, con una sola faccia che dà immagine debole. {944}. Pure da tutti ammessa ed assai comune in altri giacimenti; la misura però si discosta assai dal valore teorico. Dubbia. I romboedri nuovi per le località trovati su più cristalli sono: {1777}. Data come probabile dal Des CLorzeAvX °) ed ammessa da GoLpscamIDT ed HINTZE. Per le altre forme sono da farsi le osservazioni seguenti: {31 II II}. E data come probabile, ma rara da Des CLoIzeaux °) e non 1) Elementary Introduction to Mineralogy. Pag. 3. London, 1823. 2) Loc. cit. pag. 12. 3) Loc. cit. pag. 88. 5) Loc. cit. pag. 13. 4) Loc. cit. pag. 10. 5) Loc. cit. pag. 12. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 107 è accettata da GoLoscaMiDT ed Hintze. Il valore trovato da D’ACHTARDI !) e la media dei miei, che si discostano solo di 1’ dal teorico, sembrano confermarne l’esistenza. {522}. Data come incerta da Des CLoIZEAUX ?) e trovata, pure incerta, per Carrara da D’ACcHIARDI 8), è ammessa da Gorpscamiprt ed Hintze. La media delle mie misure dista di soli 4'!/ dal valore teorico. Di romboedri diretti trovati per Carrara da altri e non da me, sono da citarsi {7 3 3} certo presente e trovato da Des CLoIzeAUX 4) e D’ACHIARDI °), e quello indeterminato, ottuso, descritto da MOLENGRAAFF ‘). Romboedri inversi. — Sono più frequenti e più numerosi dei diretti; oltre a {221} presente in tutti i cristalli, ho trovato i seguenti: {111}, {19 19,20}*, {10 10 II}*, {778}*, {556}*, {445}, {1010 13}*, {334}, {557}, iigeln25) 0223]; N07 LT, (818/13; (335), [11 19%, {447% {6/6.11}* fra i quali quelli segnati con asterisco sarebbero nuovi per la località. Il MoLENGRAAFF che, come abbiamo veduto avanti ha trovato in un quarzo di Carrara i romboedri inversi {557}, {17 17 25, {8 8 13}, li ritiene incerti e, perchè finemente striati in senso orizzontale, propende per con- siderarli come facce tangenziali. Senza ripetere quello che ho detto per i romboedri diretti, osserverò come la striatura orizzontale sia caratteristica e costante per i romboedri inversi del quarzo di Carrara, onde, se deve accettarsi il concetto del MoLENGRAAFF, il solo {221} è sicuramente deter- minabile. Del resto, nonostante tale striatura, le facce dei romboedri inversi, che spesso hanno dimensioni superiori a quelle dei diretti, danno in ge- nerale immagini discrete o buone addirittura. Gli angoli che ho misurato sono i seguenti: Angoli N. Limiti Medie Calcolati 291: dl 3 16° 43'—16°54 160481/, 16044" » :191920 4 17 54-18 21 18. 7/5 18 15 » : 101011 4 19 20-19 58 19 39 19 34 D_8 778 2 20 35—20 45 20 40 20 44 D_8 556 1 —_ 2920 22 14 DB 445 2 23 11-23 41 25 26 23 31 1) Loc. cit. pag. 88. 3) Loc. cit. pag. 87. 3) Loc. cit. pag. 87. ?) Loc. cit. pag. 13. 4) Loc, cit. pag. 15. 6) Loc. cit. pag. 159. 108 P. ALOISI Angoli N. Limiti Medie Calcolati 227 :101013 2 24047 9250 0° 24°53/1/, 24044 N30] 25 19-25 50 25 34/5 25 32 o 0 27 11 2 5 » 171795 6 28 21-28 50 28 354/, 28 38 3 293 8 99 0-29 35 29 171), 29 16 SIUSI, CIANO 30 13-30 49 30 31 30 44 » : 8813 20 31 22-32 11 31 461/, 31 48 » 3352 32 27-32 29 32 28 32 36 Semi 8 33 10-33 21 33 155 38, 43 » AN 4 33 56—34 36 34 16 34 7 IENA 61G LA 35 25—35 56 35 404/5 35 34 Il romboedro {556} è dato con una sola misura che differisce di 13' dal valore teorico. Tale romboedro è ammesso da tutti; sarebbe nuovo per Carrara, ma avendolo determinato su di un solo cristallo geminato, sul quale si presenta con una sola faccetta che dà immagine molto debole, non lo ritengo con certezza presente. Le altre forme nuove per il giacimento, erano già state date come si- cure dal Des CLorzeaux per altre località, e sono ammesse da GoLDscAMIDT ed HintzE; solo la {7 7 11} era stata data come prcbabile, ma non certa dal Des Crorze4Ux !) che l’aveva trovata su di un cristallo australiano. Riguardo alle forme già note per Carrara è a dirsi: {445} e {557} ritenute incerte da Des CLoIzEAUX 2) sono ora ammesse. {1111 19}, trovata da Des CLorzr4ux 3) su cristalli di Carrara e del Vallese, è data come poco sicura e rimpiazzante {447}; GoLpscHmIDT ed Hinrze non la accettano. Il valore dato da D’AcHIARDI si avvicina assai al teorico; le tre incidenze invece da me misurate e la loro media se ne. discostano di circa mezzo grado, ma ancor più si discostano dall’angolo teorico di {447}. Inoltre uno dei cristalli sui quali ho trovato il rom- boedro in parola, è manifestamente polisintetico: la forma rimane quindi incerta. Per le forme {557} ed {8 8.13}, ambedue molto frequenti, mentre i valori estremi riportati sono assai discosti fra di loro, la maggior parte delle incidenze sì avvicina moltissimo alle teoriche o coincide con esse. La 1) Loc. cit. pag. 30. 2), Loc. cit. pag. 27 e 29. 3) Loc. cit. pag. 31. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 109 {8.8 13} poi è, fra i romboedri inversi, quella che generalmente dà imma- gini migliori. I romboedri inversi trovati da altri autori a Carrara e. non riscontrati da me, sono, oltre a quello ottuso, indeterminato, osservato dal MoLEN- GRAAFF 1): {141427}, trovato da D’AcniarpI 2) su due cristalli, per uno dei quali però è riferito dubitativamente. Questa forma non è ammessa da GoLpscHamipt ed HintzE. i .. {554}, trovato da v. RATE 3). Bipiramidi trigonali.—La forma {412} (e corrispondente sinistra {421}), si presenta, come ha osservato D’ACHIARDI 4), su quasi tutti i cristalli, con facce generalmente piccole, ma lucentissime. Non ho potuto mai osservarvi striature. V. Rara °), sul solito cristallo di Carrara, ha trovato le facce della forma {201} che descrive come arrotondate e MoLENGRAAFF 5) su altri esemplari, pure di Carrara, la corrispondente forma destra {210}. Il Mo- LENGRAAFF però, come abbiamo veduto, considera le loro facce come do- vute a corrosione. Sui cristalli della nostra collezione non ho mai trovato tali forme. Trapezoedri trigonali. — Quelli che ho potuto determinare con una certa sicurezza son tutti diretti della zona [221 : 211]; i loro simboli sono: {412}, {125 6}, {1678}, {24 II 12}, ed i corrispondenti sinistri. Le facce di {412} sono quasi sempre relativamente assai grandi, qua- drilatere, ma con un lato (quello di combinazione con }j412}) ridottissimo, onde hanno aspetto triangolare. Quasi sempre piane e lucenti, le ho tro- vate ricurve in alcuni cristalli che mostrano evidentemente di esser costi- tuiti dall’unione parallela e compenetrazione di vari individui. In alcuni rari casi esse sono appannate. Le facce degli altri trapezoedri sono sempre ridotte a listerelle fra {412} e {2II}, ma in generale hanno viva lucentezza. La forma {167 8} e la corrispondente sinistra sono nuove, a quanto io so, per Carrara; così la {24 II 12}, mentre la sinistra era stata già tro- vata da D’ACHIARDI. 1) Loc. cit. pag. 159. 3) Loc. cit. pag. 486. 5) Loc. cit. pag. 487. 2) Loc. cit. pag. 87. 4) Loc, cit. pag. 90. 6) Loc. cit. pag. 159. 110 P. ALOISI Le misure mi hanno dato i seguenti risultati: Angoli N. Limiti Medie Calcolati 201: 412 17 11° 470-120 37 NOOO 2061 31256 10 322- 35 3 394/, 3 50 » 1678 5 240- 3 2 2 51 2 51 » 1241112 Bb) 1 9- 143 1 26 1 53 Il trapezoedro }16 7 8} l’ho trovato su di un cristallo destro con una sola faccetta, e {16 8 7} su tre sinistri e precisamente su due con una sola faccia e sull’altro con due. Queste forme non sono ammesse da GOLDSCHMIDT ed Hinrze. Probabilmente tutti e tre gli individui, sui quali le ho trovate, sono semplici, almeno come tali appaiono, specialmente i sinistri, sui quali la faccetta è brillantissima. Forse esse sono, è da ritenersi, come certe. La {24 II 12} e corrispondente sinistra invece, già ritenute dubbie dal Des CLorzeAUX 4!) sono probabilmente da non accettarsi. La forma {12 5 6}, 2) trovata già da Des CLoIzeAUX 3) e D’ ACHIARDI 4) a Carrara non è accettata da GoLpscHMIDT ed HINTZE. I limiti sopra riportati sono assai distanti, ma tutti gli altri angoli misurati sono in generale notevolmente vicini al teorico (3°26', 3°26', 3929, 3930, 3°44', 3045’, 3°%48', 3954); dei 10 valori riportati, 6 si riferiscono alla forma destra e gli altri alla sinistra. Credo che anche queste forme possano ritenersi certe. Oltre a tali forme, su due cristalli, uno destro e l’altro sinistro ho tro- vato una faccetta, facente col prisma angoli di 6°20' e 5°3' respettiva- mente, angoli che si avvicinano a quelli calcolati dal Des CLOIZEAUX 5) (5°47',5°21’) per i due simboli del trapezoedro è,, {26 IO 13} e {834}, col primo dei quali la forma è stata ammessa per Carrara da D°ACHIARDI 6). In ogni modo mi sembra che questa forma, con un simbolo o con l’altro, debba ritenersi incerta, almeno per la località. In un cristallo sinistro ho trovato una faccetta di trapezoedro diretto sinistro, oltre a quella di {421}, che fa con il romboedro fondamentale un 1) Loc. cit. pag. 43. ) HInTZE (Loc. cit. fasc. 9, pag. 1331) dà questa forma come trovata dal Des CLoIizeAUX soltanto sui quarzi della Siberia e del Vallese, mentre effettivamente l’A. l’ha rinvenuta anche in cristalli del Brasile, Delfinato e Carrara. 3) Loc. cit. pag. 44. 5) Loc, cit. pag. 126. 4) Loc, cit. pag. ST. 5) Loc. cit. pag. 87. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 1ll angolo di 31°57‘, assai vicino quindi ja quello (31°56’) che il Des CLor- ZEAUX !), ha calcolato per #,, {51 25 15} (la forma destra è dubbiosamente data per Carrara da D’AcHrARDI *). L'angolo però che tale faccetta fa con {421} si discosta dal teorico di quasi due gradi. Per avere dei valori che si avvicinino a quelli misurati bisognerebbe ricorrere ad un simbolo anche più complicato che naturalmente è da scartarsi senz'altro; del resto la faccetta è un poco ricurva (tutto il cristallo mostra striature e facce vici- nali) onde, anche per tal ragione non può darsi che un valore molto rela- tivo alle osservazioni. In un cristallo con facce del trapezoedro {412} e del prisma trigono {110} (v. pag. 17 crist. quarto), in corrispondenza di queste lo spigolo [100:121]e gli altri cinque corrispondenti, due superiori e tre inferiori, spigoli bene sviluppati essendo {221} assai ridotta, sono modificati da una faccetta lineare, ma assai lucente che dà però alla misurazione valori variabili. Ho potuto determinare quattro angoli fra tali facce e quelle del romboedro fondamentale ottenendo: 35021'; 35%36/; 369%4; 36058". Il primo di tali valori si avvicina al teorico di 0 {7 22 14} di Des CLOI- ZEAUX 3) che è di 35014, gli altri invece si approssimano più a quello (36° 31° 3.) di è, {1 3 2}, scoperto da v. RATE 4) in un quarzo di Alexander Co. Ad ogni modo, voglia la forma, che naturalmente ritengo incerta per la località, riferirsi alla prima 0, come sembrerebbe meglio, alla seconda delle avanti riportate, sarebbe il solo trapezoedro inverso che avrei tro- vato sui quarzi di Carrara. I trapezoedri trovati da altri autori per questo giacimento e da me non riscontrati sono i seguenti: {16 8 5], trovato da Des CLozeAUX °) sopra un piccolo cristallo che pre- sentava anche trapezoedri destri, e con valori che avrebbero corrisposto meglio al simbolo {632} e da D’AcHIARDI °) su due cristalli sinistri. {26 IO I3} (0 {26 13 10}), dato da D’ACHIARDI °), ma con angolo os- servato distante più di mezzo grado dal teorico. 1) Loc. cit. pag. 146. 2) Loc. cit. pag. 87. 3) Loc. cit. pag. 135. 4) Mineralogische Mittheilungen.(N.F). 19. Quarze aus Nord Carolina. Pag. 162. GrorH’s Zeitsch. f. Kryst. u. Min.; vol. X. Leipzig, 1885. 5) Loc. cit. pag. 42. 6) Loc. cit. pag. 87-89. 112 P. ALOISI {1012}, trovato da v. Rag !)., {198 4}, trovato da v. RATE 1). {142 I}, trovato da v. RarH.!). i {916} e {961}, trovati da Des CLOIZEAUX ?). {51 I5 25), dato dubbiosamente da D’ACHIARDI 8). {72 27 34}, dato pure come incerto da D’ACHIARDI °). {5 1410} (o {145 10}), che Des CLoIzeAUX 4) dice trovarsi con grande regolarità sui cristalli di Carrara. V. RatH !) ha trovato sul solito cristallo la forma destra. {8510}, trovato da v. RATE 1), < {421}, trovato da v. RAnH 1). {1 16 15} (e {16 1 I5}), trovata da Des CLorzraux 5) su vari cristalli di Carrara, ma, a quanto sembra, determinata in base al una sola misura, spesso opaca e, a quanto si rileva dalle figure dell'A. (fig. 37, tav. Il e fig. 71 tav. III), in corrispondenza con il prisma trigono. Con probabilità anche questa faccia è da considerarsi come dovuta a corrosione. {13 1 12}, trovato da Des CLorzeAUX °) sopra un solo cristallo di Car- rara, in corrispondenza al prisma ditrigonale {111 10}, tanto che, secondo l’A., appena da esso si distingue. Quantunque non sia citata dal MoLeN- GRAAFF fra le facce dovute a corrosione, per la sua corrispondenza: con il prisma è probabilmente da riferirsi ad esse. Quasi tutte queste forme, come abbiamo veduto, sono state considerate dal MoLENGRAAFF come dovute ad azione di acque contenenti carbonati alcalini, ed io non ho niente da obiettare alle sue conclusioni. In quanto alle forme {51 15 25} e {72 27 34}, il cristallo nel quale D’A- cHIARDI le ha ambedue rinvenute è un geminato con la legge comune, e le facce delle due forme sono curve, onde bene a ragione l'A. le ritenne dubbie. In conclusione mi sembra possa dirsi che il quarzo di Carrara si pre- senta con una grande semplicità di forme. I tipi che con certezza possono ritenersi stabiliti sono: Prisma esagonale. Romboedri diretti. Romboedri inversi. Bipiramide trigona. 1) Loc. cit. pag. 486-487. 2) Loc. cit. pag. 87-89. 5) Loc. cit. pag. 103. 2) Loc. cit. pag. 109. 4) Loc, cit. pag. 67. 6) Loc. cit. pag. 108. QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 113 Trapezoedri trigoni diretti della zona [221 : 211]. Credo utile di riportare in un elenco, che ho cercato di rendere il più completo possibile, tutte le numerose forme che i diversi autori hanno trovato nei quarzi di Carrara, dando per ognuna, quando ho potuto stabilirlo con sicurezza, il nome dell’autore che l’ha per prima rinve- nuta, i simboli di MILLER, BRavaISs, NAUMANN, e segnando con asterisco quelle che ho ritenute certamente presenti. E Simboli Simbol Simbol Autore di Miller di TBESVAIA di Nanni Rath alia ORNORONI OR O TI TOTO co R LO i Tao , Hdg; è: | + | CRE d.s. i 10 d 1.3 0 4 25 11 13 2) (0 13 - pe Sck |? È SETT) 25 14 11 13 112 0 ia È 11 O, o pel X î 4 mio © 7310 ds? È SARTO li 8.19 e Pl x Del Il 0 31 19 811 0 g ds? D; CAL 10 a spl xa crt 10 O @ I 17 10 0 1 d.s.? Dx Sa i Pi egg.) BASI AN i deb > era o op DX, 8 dcie' 13 5.80 1 Cso 1.00 TRONISTI R D’A.. Al. GOMETIRI 21 0 DI 20 SR AI sa Tr i © i 10 Mg li4 P. ALOISÌ Simbolo Simbolo Simbolo Autore di Miller di Bravais di Naumann AI 2311 9007 lr Rose ERO NO) 3 0 I 3 R AI. 53 16 TG 23 093 7 Ze Bo FEST AGO NIOI 4R D'A. 29 10 10 13 013 8 DE Dx Sg n i ua 8 DR AI SDEEZIANZI DAB ONORI 5 R D'A. 78.939 i, OSS 3 hi Sef 213.8. BO Gil 6 R D'A. 20028) TRONI TR AI ET SHORE ANI 8R AI 19 8 8 OO DA 9 R Dx RIC CATSURS 10 010 1 10 R AI Se 18 019 a 13 R TALE Od Ta RUS n 3 Rath. Ba ONSOSnO nio D'A. SRG 00202061 --2R AI # 19 19 20 013 13 6 lg AI * 10 10 17 Ro Lar AI SESTO O 9 809 2a AI 5 5 6 11 ii 4 — TR D'A. SNANIAIO ORSI — 3 R AI #10 10 13 02323 7 DER Rose SONS OT. T79 la D’A. SRO 0441 —4R Dx * 17.17.35 014 IT 3 DR Autore Rose D'A. Rath Rath IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA Simbolo di Miller (a 88 Luo) (©) i OI | II til Fal Fil 0 (©) i (©) © (©) (S) 6 Simbolo di Bravais DU (°Al] Simbolo di 115 Naumann d. 116 P. ALOISÌ Simbol E TLONTO a nino: ai ODE di già g916) ia 158 Dx. NRE, DIRO, 9 Gi) 15 510 2 EIA 51 15.35 ) 66 10 76 11 ) 76 38 D'A. 133, sh, a 1 7292 34 | 9 710611 10) 106 D'A. \ 99 & n = = 7 2214 ) SB] SE Al. oppure PS. | Wo ) “= Soa d. 1 8.3 253 2) DE ) — È d mi gr 4 Da 5 1410 |, SMISMIOIONI So x. i : Moi dine. deg Rath Hi _ È È 8 510 nei - s # | - DO Rath È I, Si D 4921 23 5 5 A dC pars) ES TERI 151631 2) e i de nz n D; | SG 13 119 121335 2 | e, (Hag.) Haidinger, (Dx.) Descloizeux, (Scf.) Scharff., (D’A.) A. D’Achiardi, (Sck.) Schenk, (Mgf.) Molengraaff. (Bo) Bombicci, (Al.) Aloisi, Il? dopo la gratfa che riunisce due corrispondenti forme, destra e sinistra, e che segue le lettere d., s,, (che appunto dopo il simbolo di Naumann voglion dire destro e sinistro) sta ad indicare che non è stato possibile stabilire se si trattasse dell’una, dell'altra o di ambedue le forme. Particolarità delle facce Dopo quanto è stato detto dai vari autori, specialmente da Des CLor ZEAUX, D'ACHRIARDI e MoLENGRAAFF, e da me nella descrizione delle sin- gole forme, poco rimane da notare. iL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 117 All’infuori delle apparenze dovute a corrosioni, della striatura delle facce, nonchè delle fisure a triangolo sia rettilineo, sia curvilineo, si 0s- servano spesso delle marezzature, specialmente sulle facce di {100}, e la divisione in fasce o piazze, già notata da D’AcHIARDI, !) delle strie sul prisma: ambedue tali apparenze si mostrano quasi sempre collegate a polisintesia dei cristalli, anzi spesso ne sono l’indizio più sicuro. Le figure a triangolo curvilineo (fig. 2) sopra ricordate sono molto frequenti sulle facce del romboedro diretto, senza che possa escludersi il caso di trovarle anche su quelle dell’inverso. Più che figure triango- lari sono però in generale dei rilievi a forma di piramide trigona schiac- ciatissima, che mostrano fini stria- «ture parallele al bordo esterno e quindi esse pure curve; l’ incontro -delle tre faccette (e forse appunto -non sono altro che facce vicinali) determina tre spigoli che, come ha osservato DES CLOIZEAUX, 2) quasi sempre si dirigono più o meno esat- tamente verso gli angoli piani della faccia romboedrica supposta triangolare. Assai rara invece è una specie di embriciatura sulle facce romboe- driche, embriciatura che nulla toglie al loro splendore (fig. 7). Tramoggie posso dire di non averne mai osservate; frequenti invece sono degli incavi, analoghi a quelli descritti dal BiLLows ) per il quarzo di S. Marcello, che hanno forma geometrica e sono dovuti, a quel che -sembra, a cristalli dello stesso minerale ivi impiantati, che poi per una ragione qualsiasi si sono distaccati. In alcuni casi si trovano anche delle impronte allungate e strette, probabilmente dovute ad un minerale che, come dirò tra breve, deve talora esser stato anche incluso nel quarzo. Fic. 2. Unione di cristalli Unione parallela. — È comunissima nei quarzi di Carrara e per lo più accompagnata da compenetrazione completa o quasi. 4) Loc. cit. pag. 90. 2) Loc. cit. pag. 21. 3) Loc. cit. pag. 63. Sc. Nat. Vol. XXV 8 118 ; d. ALOISI Anche nel caso appunto che la compenetrazione sia completa, è spesso facilmente riconoscibile, in special modo perchè quasi mai il parallelismo è perfetto dimodochè si osservano dei leggeri dislivelli: l’aberrazione dal parallelismo è quasi sempre piccolissima, tanto che più che di veri e propri dislivelli si ha l’apparenza di leggera curvatura. Aspetti analoghi si osservano anche quando la compenetrazione non sia perfettamente completA. Nel caso che essa sia parziale, per il disporsi in vario modo di due o più individui costituenti il gruppo cristallino, si hanno apparenze sva- riatissime, spesso simili e quelle effigiate da BinLows, 1) quantunque in generale l’abito dei cristalli di Carrara sia assai più regolare. Degno di nota, sempre quando non si abbia com- pleta compenetrazione, il ripetersi di una stessa fac- cetta del trapezoedro, lungo uno spigolo verticale od orizzontale, nonchè il sovrapporsi secondo l’asse di prin- cipal simmetria, di due o più cristalli di grossezza gra- datamente diminuente (fig. 3). Unione elicoidale. — Ho già accennato come TscHER- MAK abbia descritto un quarzo di Carrara distorto, il cui aspetto può spiegarsi con una geminazione secondo la terza legge di TscHERMAK stesso. Nella collezione del nostro museo esiste anche un magnifico gruppo di quarzi, trovato agli Scaloni, che sembra poter essere riportato alle unioni descritte ed interpetrate dallo TscHERMAK nella memonia avanti citata, e più precisamente a quelle che chiama « for- mazioni semichiuse » (Halbgeschlossene Bildungen) ?) (fig. 4). Il gruppo è costituito da numerosi individui di quarzo torbido, bian- castro, i quali hanno una coppia di facce prismatiche opposte, parzialmente fuse in due superfici curve. Anche superiormente le due facce romboedri- che corrispondenti sono in parte insieme riunite, in modo che i singoli cristalli non sono bene distinti. Le facce prismatiche sono striate orizzontaimente e le strie, ed i sistemi di strie son spesso interrotti; le romboedriche sono lucenti, ma- rezzate, e portano i rilievi a contorno curvilineo poc'anzi descritti. Ogni cristallo appare ruotato rispetto al precedente intorno ad un 1) Loc. cit. tav. I, II, INIL 2) Loc. cit pag. 7. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 119 asse secondario (Stammaxe di TscHERMAK) di un piccolo angolo verso sinistra, ma la rotazione è tanto piccola che non ho potuto determinarla. Si ha lo stesso aspetto che per i gruppi di quarzi a facce trapezoedriche sinistre, ma, fatto se non sbaglio non ancora notato, le facce trapezoe- driche mancano, ed è presente una sola faccettina di bipiramide trigona. La lunghezza del gruppo è di circa cm. 10, lo spessore, che si man- tiene press’a poco costante, leggermente maggiore di cm. 2, l'altezza è variabile, specialmente per il fatto che il gruppo era impiantato per tutta la sua lunghezza su di una super- ficie irregolare, all'ingrosso parallela ad una delle due che superiormente risultano dalla parziale fusione delle facce romboedriche. Indipendentemente da ciò si ha una diminuzione del- l’altezza, dalla parte che sembra prima formata verso la più recente, diminuzione che si manifesta in modo brusco a circa due terzi della lunghezza totale dall’ apparente origine del gruppo. Ivi infatti finiscono le due superfici costituite dalla fusione delle facce romboedriche, (2 e p Fic. 5. fig. 5) !) ed incominciano le due facce p' e 2‘, che a lor volta si interrom- pono per dar luogo alle z e p di un nuovo cristallo, e così di seguito. 1) La fig. 4 è presa da TscHERMAK, loc. cit., tav, IV fig. 21; le faccette x, come ho detto, nel nostro esemplare mancano. 120 ì P. ALOISI Al gruppo ora descritto sono uniti alcuni cristalli di quarzo in modo accidentale, nonchè, posteriormente, un piccolo gruppo simile al grande, ma costituito da pochi individui di dimensioni molto ridotte. Geminati con la legge comune. — I cristalli geminati con la legge co- mune o del Delfinato (asse [111]) sono molto frequenti e Des CLOIZEAUX !) e D’ACHIARDI ?) citano casi nei quali hanno riconosciuto 1’ emitropia in parola dal trovare, il primo le facce di {100} opposte (in senso verticale) e quelle del prisma trigono e di uno ditrigonale alternativamente sulla metà superiore ed inferiore degli spigoli verticali, l’ altro le faccette del trapezoedro su due vertici contigui. Quest'ultimo caso, per i cristalli da me esaminati, è molto più fre- quente del primo. In generale la compenetrazione è completa o quasi. Notevoli in special modo alcuni geminati a compenetrazione parziale, nei quali due (o più) individui sono fra loro sovrapposti e vanno dimi- nuendo di dimensioni, (fig. 6), analogamente a quello che abbiamo ve- duto accadere per alcuni gruppi di cristalli uniti parallelamente. Fic. 6. Fic. 7. 1( ( 19 ti a dl "CCC SC Assai interessante è anche un quarzo piuttosto grosso e terminato ad una sola estremità, con tre faccette di {412} due delle quali su vertici adia- centi, che mostra cinque delle sei facce romboedriche in parte embri- ciate, in parte opache, con questo che la embriciatura è prevalente sulla parte sinistra delle facce e sulla destra 1’ opacatura. Questa si estende parzialmente anche alle facce di trapezoedro (fig. 7). 1) Loc. cit. pag. 159. 2) Loc. cit. pag. 91. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 121 . Geminati con la legge del Brasile. — Le unioni secondo tale legge, per la quale può considerarsi piano di geminazione (101), sono rare: descrivo tre gemelli, ai quali, come tipo, possono riferirsi i pochissimi altri. 1. Cristallo terminato ad ambedue le estremità, ma ad una in parte rotto. Superiormente presenta le facce di {412} e di {412}; nella parte inferiore mostra una faccetta sinistra al posto che in un cristallo sinistro normale sarebbe occupato dalla (241) (fig. 8). 2. Cristallo analogo al precedente ma che mostra però nella parte superiore quattro facce di trapezoedro. È quindi anche geminato con la legge comune. = 3. La compenetrazione non è completa ed uno dei due individui è più sviluppato dell’altro; essi sono sovrapposti secondo l’asse verticale (fig. 9). L’individuo più grosso è destro, presenta quattro faccette tra- Fic. 8. pezoedriche e tre di bipiramide trigona dalla parte inferiore e due di trapezoedro corrispondenti a due di bipiramide dall'altra. È quindi un geminato secondo la legge comune e si mostra inoltre costituito dalla unione parallela di più individui (nella figura ciò è trascurato). L'altro è un individuo sinistro che all’estremo libero mostra le tre facce del trapezoedro e quelle delle bipiramide trigona. Per il fatto che uno dei due individui che costituiscono il gruppo è a sua volta un geminato ad asse [111], le facce trapezoedriche del 122 P. ALOISI cristallo sinistro «, si trovano rispetto a quelle segnate con x del cristallo destro, in posizione corrispondente alla geminazione con la legge del Brasile, mentre, si troverebbero in posizione concordante con la legge f del Lewis, ') rispetto a quelle indicate con x. Per questa legge infatti, come è noto, essendo uno dei due cristalli ruotato rispetto all’altro di 180° intorno a [111], in corrispondenza di ognuno di tre spigoli verticali alterni si trovano quattro faccette di trapezoedro, due destre (una su- periormente e l’altra inferiormente) e due sinistre (una alla parte infe- riore, l’altra alla superiore). 1 Lo stesso avrei potuto dire per il gemello n. 2 nel quale però uno dei due individui destri ha preponderante sviluppo rispetto all’altro, tanto che delle sei facce romboedriche superiori, tre sono molto più estese delle altre ed in corrispondenza alle prime stanno tre delle quattro facce trapezoedriche superiori. Rispetto a questo individuo quello sinistro è geminato con la legge del Brasile. In generale può notarsi come in questi quarzi di Carrara, costituiti dall'unione di uno o più cristalli destri con cristalli sinistri, i primi abbiano sempre uno sviluppo preponderante rispetto agli altri. Geminati con la legge del Giappone. D’AcniaRDI ?) dice come alcuni cristalli di Carrara sieno “ benissimo rappresentati dalle figure 187 del Dana e 29 (tav. 5) e 21 (tav. 228)) del Dufrenoy ,, figure appunto, che si riferiscono alla geminazione in parola. I cristalli che mostrano tale aspetto sono infatti numerosi assai, specialmente fra quelli acquistati in questi ultimi tempi. In generale però ritengo che piuttosto che con veri e propri gemelli, si abbia a che fare con pseudo-geminati, giacchè quasi sempre l’ angolo dei due assi si discosta assai dal valore di 95° 27°, e spesso pure non vi è coincidenza di posizione fra le facce prismatiche. In un solo caso (il cristallo è stato studiato da D’AcHIARDI e clas- sificato come gemello secondo la legge suddetta) si tratta probabilmente di un vero geminato, giacchè l'angolo delle strie sulle facce prismatiche si avvicina appunto a 96°; non può stabilirsi però se si tratti di unione secondo il piano (521), piuttosto che con asse [210], perchè mancano le facce del trapezoedro e della bipiramide trigona in ambedue gli individui, e le facce dei romboedri hanno uguale sviluppo. 1) A Treatise on Crystallography, pag 522. Cambridge, 1899. 2) Loc, cit. pag. 91, it QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 123 Imelusioni Talvolta si vedono nell'interno dei cristalli, delle minutissime bolli- cine; in alcuni rari casi sembra che una sostanza solida, cristallizzata, sia rimasta parzialmente inclusa nel quarzo. Si trovano infatti dei cri- stalli che mostrano nel loro interno delle fenditure, le quali hanno sempre comunicazione con l'esterno, o meglio che fenditure, degli incavi polie- drici molto sviluppati in una direzione. Probabilmente si tratta di vacui lasciati da una sostanza cristallizzata in prismi molto allungati, quasi aciculari, talora, ma raramente, anche appiattiti, sostanza però che al presente è scomparsa. Qualche volta detti vacui si mostrano in parte tappezzati da una sostanza giallastra, con aspetto terroso-limonitico, che forse deriva dall’ alterazione del minerale preesistente, sulla natura del quale non posso dir nulla di certo. Origine. Due fatti essenziali .si possono, al giorno d’oggi, considerare come posti fuor di dubbio riguardo all’ origine delle geodi del marmo di Car- rara e dei minerali che in esse si trovano, e cioè che “la formazione di tali geodi è dovuta ad azioni di acque, le quali filtrando attraverso le ‘fessure, che con assai grande facilità si producono nella massa marmorea, le hanno in varii punti per soluzione allargate, dando così poi agio alle sostanze in esse disciolte di lentamente depositarsi e cristallizzare , 1) ed in conseguenza di ciò, che i minerali delle geodi stesse sono certa- mente posteriori alla marmorizzazione del calcare. Nella collezione del nostro museo esistono alcuni campioni di marmo con geodi per le quali la comunicazione con fessure del marmo, fessure in alcuni casi posteriormente riempite, è evidentissima. Il MoLENGRAAFF, come ho già riportato, dice di aver potuto osservare anche la successione secondo la quale si sarebbero deposti i minerali delle geodi, successione per la quale il quarzo occuperebbe il terzo posto, venendo subito dopo dei piccoli cristalli di dolomite e dei grossi di cal- cite. Nei molti campioni di marmo con i vari minerali che ho potuto osservare, mai mi è sembrato di poter stabilire con certezza con quale 1) G. D’AcgiaRrDI. Loc. cit. I, pag. 3. 124 P. ALOISÎ ordine i minerali stessi si sieno formati. In ogni modo se qualche cosa può dubbiosamente affermarsi è la probabile anteriorità di deposizione del quarzo rispetto alla maggior parte degli altri minerali delle geodi, e forse anche alla calcite in grossi cristalli. Infatti, quando i due minerali vengono a contatto, è sempre, almeno così è sembrato a me, la calcite che si modella sul quarzo; le impronte che su questo si trovano, nel massimo numero dei casi sembrano, come abbiamo visto, lasciate da altri cristalli della stessa specie, meno alcune rare volte in cui sembrano doversi riferire al minerale indeterminato cristallizzato in prismi allungati; le inclusioni del quarzo sono da rife- rirsi a questo solo minerale. Del resto poi, una distinzione dei cristalli di dolomite come dovuti a due generazioni distinte è stata fatta, per quanto a me consta, solo dal MOoLENGRAAFF. Con questo beninteso, io non voglio escludere che la successione del MOLENGRAAFF, possa esser giusta, ma solo stabilire che è incerta. Volendo indagare in qual modo il quarzo si sia formato nelle geodi del marmo di Carrara, è necessario, credo, riferirsi a quanto sperimen- talmente è stato ottenuto dallo Sprzia.!) Egli ha mostrato che in un ambiente a pressione uniforme ed a temperatura variabile, decrescente cioè dall’alto al basso, il quarzo si discioglie sotto l’azione del silicato sodico nella parte dell'ambiente nella quale la temperatura è più ele- vata, formando un polisilicato, e la soluzione che ha acquistato così una densità maggiore, discende in basso, e trovando ivi minor temperatura, deposita l’eccesso di silice sotto forma di quarzo. In altre parole, il silicato sodico agisce come solvente sul quarzo a temperatura elevata, ed il polisilicato formatosi deposita l'eccesso di silice col diminuire della temperatura stessa. Altrove lo Spezia °) dice che se una soluzione di silicato sodico senza incontrar cause di decomposizione, scorresse con moto ascensionale in una frattura interessante rocce molto quarzifere, a profondità corrispondente alla temperatura di 300° scioglierebbe del quarzo, per deporlo più in alto, quando cioè la temperatura fosse diminuita. Si può forse intravedere che qualche cosa di analogo sia avvenuto nel nostro caso, e le acque contenenti il silicato alealino, avrebbero potuto 1) Contribuzioni sperimentali alla cristallogenesi del quarzo. Atti R. Acc. delle Sc. di Torino, vol. XLI. Torino, 1906. \ ?) Solubilità del quarzo ece., pag. 14. IL QUARZO DEI MARMI DI CARRARA 125 arricchirsi in silice a spese del quarzo che è elemento principale delle rocce scistose che stanno al di sotto dei grezzoni e dei marmi. Che la deposizione del quarzo sia stata lenta, come è stato osservato dallo SPEZIA, !) può dedursi da due fatti. Il minerale si trova nelle geodi, per le quali può escludersi la comunicazione diretta con fratture larghe, ove le acque sotterranee possono circolare relativamente veloci: esse si sono quindi trattenute a lungo nelle geodi stesse, ed il raffreddamento ha potuto esser lento. I)’altra parte, in generale, i quarzi di Carrara non presentano una grande differenza tra lo sviluppo del romboedro diretto e quello dell’inverso; il prisma non si mostra quasi mai eccessivamente esteso. Questi due caratteri, secondo lo SPEZIA?) accennano appunto ad un processo di lenta cristallizzazione. Laboratorio di Mineralogia della R. Università. Pisa, marzo 1909. 1) Contribuzioni sperimentali ecc., pag. 9. 2) Ivi. Sc. Nat. Vol. XXV 9 GIOTTO DAINELLI NOTA PRELIMINARE SOPRA I LAVELLIBRANCHTATI ROCKNIGI DEL FRIULI Da alcuni anni sto occupandomi della tettonica delle Prealpi Friulane, tra il Piave e l’Isonzo, e, contemporaneamente, preparo uno studio mo-. nografico di carattere più speciale, riguardante cioè i terreni eocenici, così diffusi e stratigraficamente interessanti e ricchi di fossili, di quella regione. Per quanto la parte del mio lavoro che va compiuta sui luoghi, ed anche la determinazione della abbondante fauna fossile eocenica, io possa oramai dire di aver condotto a buon punto, pure non mi nascondo la possibilità che ancora alcuni anni debban passare, prima che i resultati delle mie attuali ricerche vedano, nella loro completezza, la luce. Per questa ragione credo opportuno pubblicarli già in anticipo in alcune note preliminari, riserbandomi naturalmente di portare ogni giu- stificazione ed ogni più dettagliata illustrazione nello studio definitivo. Con questa prima nota dò intanto un elenco delle specie di Lamel- libranchiati eocenici del Friuli, la cui determinazione, — come di alcuni altri gruppi, meno importanti, di fossili, — è ultimata; ma non reputo utile far precedere, o seguire, questo semplice elenco da considerazioni d’indole più generale, le quali eventualmente potrebbero poi essere, se non contradette, infirmate da quanto potrà resultare dallo studio com- pleto di tutta quanta la fauna che ho preso in esame. Se si prescinda da alcune pubblicazioni, remote e recenti, nelle quali qualche Lamellibranchiato venne citato dai terreni eocenici del Friuli, sia pure determinato solo genericamente, — pubblicazioni delle quali a suo luogo terrò debito conto, se non altro per la importanza storica di alcune di esse, — gli autori, che già ebbero occasione di comunicare de- terminazioni di Lamellibranchi dei terreni che adesso ci.interessano, sono quelli che qui citerò brevemente. LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 127 Prima il TARAMELLI, nel suo studio sulla formazione eocenica del Friuli, studio che risale già agli anni immediatamente anteriori al 18704); poi il Pirona in una memoria monografica sulla provincia di Udine 2); terzo il MARINONI in due sue comunicazioni d’indole più speciale, perchè riguardanti pochi ben delimitati affioramenti dell’eocene friulano 3). Chiude questa prima serie ancora il TARAMELLI, con la spiegazione della sua carta geologica del Friuli 4). Ad una certa distanza da questi primi studiosi, il MARIANI pubblicò poi un più ricco elenco di Lamellibranchiati, in una sua memoria che aveva per oggetto la Creta e 1° Eocene del Friuli 5); però giustizia vuole che si avverta, come evidentemente questo autore debba aver conosciuto un manoscritto, lasciato inedito dal MARINONI e che aveva appunto per oggetto lo studio monografico dei fossili eocenici del Friuli. Di tale manoscritto ho avuto visione pur io, dovendo anzi ricono- scere che niuna determinazione, anche se sicuramente errata, del com- pianto geologo friulano, ha subìto poi modificazioni nell’elenco pubbli cato dal MARIANI. Finalmente assai di recente alcune specie di Lamellibranchiati citò, l’OpPENHEIM ‘), ed altre, in numero assai maggiore, il MARINELLI nel suo studio geologico sui dintorni di Tarcento °). * * Ecco pertanto l’elenco delle specie da me determinate: Ostrea gigantica SOLANDER, 12 esemplari e vari frammenti. » callifera LAMARCK, 11 es. e molti framm. 1) TARAMELLI (T.), Sulla formazione cocenica del Friuli, «Atti della Acc. di Udine », 1867-68, Udine, 1870, pag. 44. ?) Pirona (G. A.), La provincia di Udine sotto l'aspetto storico niturale, «Cronaca del R. Liceo Stellini », 1875-76, Udine, 1877, pag. 46. 3) MarINONI (C.), Di un lembo cocenico nelle fulde settentrionali del Monte Plaurîs, « Atti del R. Ist. Ven. », ser. 5, III, 1877, pag. 16, 40 e 45 dell’estr.; — Ulteriori osservazioni sull’eocene friulano, < Atti della Soc. Ital. di Se. Natur. », vol. 21, 1879, pag. 4 e 13 dell’estr. £, TARAMELLI (T.), Spiegazione della carta geologica del Friuli (Provincia di Udine), Pavia, 1881, pag. 102-105. 5) MARIANI (E.), Appunti sull’eocene e sulla creta nel Friuli orientale, « Ann. del R. Ist. Teen. di Udine», ser. 3, X, 1892, pag. 38-43. 6) OPPENHEIM (P.), Ueber altterticire Faunen der Usterreichischen-ungarischen Monarchie, « Beitr. zur Palaeont. und Geol Oesterr.- Ungarns und des Orients », Bd. XIII, Heft 2-4, 1901, pag. 184. 7) MariINnELLI (0.), Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli, «Pubbl. del R. Ist. di Studi Super. pratici e di perfezionamento in Firenze », Sez, di Sc. fis. e natur., 1902, pag. 57, 61-62, 67, 200-203. 128 G. DAINELLI »s orientalis MAYvER-EvMAR, 12 es. » Subhippopodium D’ARcHIAC, 1 es. i Ostrea sp. n., 4 es. — Conchiglia di mediocri dimensioni, nell’ insieme rotondeggiante, un po’ più espansa superiormente ai lati dell’umbone; presenta sottili gli strati conchigliari, i quali aderiscono tenacemente a corpi estranei per tutta quanta, o poco meno, la superficie esterna della valva, adattandosi alle anfrattuosità di tali corpi. L’umbone è poco pro- minente, ma se ne distingue la forma triangolare; triangolare è pure la superficie cardinale, striata trasversalmente, nella quale la fossetta liga- mentare è abbastanza larga, ma poco profonda. Ai lati dell’umbone, come ho accennato, la conchiglia si espande alquanto. Nella superficie interna si osserva una regione centrale ed una fascia marginale, limitata da un rilievo ottuso; la prima, di forma ovale poco allungata, è la sola depressa: la massima depressione, tuttavia piccola, trovandosi presso all’umbone; rotondeggiaute vi si nota la impressione muscolare, ben marcata, che è posta, posteriormente, un po’ al di sopra della metà del diametro umbono-ventrale. La fascia marginale non è depressa, salvo alcune ondulazioni della sua superficie, che credo debbano attribuirsi al modellamento della conchiglia sulle irregolarità del corpo al quale ade- risce; è larga sempre, più ai due lati dell’umbone in corrispondenza delle già notate espansioni; qui anzi vi si osservano, presso all’angolo formato dal bordo esterno ed il rilievo ottuso che limita la regione cen- trale, delle crenellature lineari, perpendicolari al rilievo stesso. Dimen- sioni: altezza, mm. 38; diametro antero-posteriore, mm. 44,5. Ostrea sp. n., 55 es. — Conchiglia di piccole dimensioni, irregolarmente ovale, cioè trasversa e più o meno espansa verso il lato infero-posteriore. La valva inferiore o sinistra, che è la più caratteristica delle due, ha in genere una superficie d’aderenza non molto grande, limitata alla parte superiore dell’umbone. Questo ha dimensioni piuttosto piccole, è .trian- golare, anteriore, ma non prominente nè rilevato. La ornamentazione consiste in coste radiali, le quali in nessun esemplare sorpassano il nu- mero di 10: esse hanno principio a circa metà distanza tra ]’apice della conchiglia ed il bordo infero-posteriore; prima non ve n'è traccia, dopo assumono subito o ben presto le proporzioni che poi mantengono insino al margine. Queste coste sono, relativamente alle dimensioni della conchiglia, assai grandi e robuste, ben rilevate, rotondeggianti, disgiunte da solchi profondi e pure a sezione curvilinea; hanno per lo più direzione un po’ obliqua in basso e all’indietro, spesso sono sdoppiate alla loro som- LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 129 mità, e spesso anche si biforeano nettamente nell’ ultima parte del loro decorso. In qualche esemplare appaiono intersecate da una fine striatura trasversa, indizio dell’accrescimento della conchiglia. L’interno della valva è concavo; non molto però, sì che ne deriva la non grande rigon- fiezza di essa. La impronta muscolare è piuttosto grande, rotonda o quasi, nettamente posteriore. L'area cardinale è piccola, stretta, triangolare; talvolta appare striata trasversalmente; la fossetta ligamentare, pure triangolare, è pochissimo profonda, talora si presenta solo come una si- nuosità della superficie, tal’ altra è meglio determinata da due lievi rialzi laterali. Nella superficie interna è ben distinguibile una specie di fascia marginale, sentitamente ondulata in corrispondenza delle coste esterne, le quali anche dentellano il margine estremo; tale fascia è limitata verso la parte mediana, concava, della valva, da una specie di rilievo assai ottuso. Dalle due parti dell’umbone invece, per la mancanza delle coste esterne, manca la dentellatura e la ondulazione marginale; la fascia si fa più stretta, ed appare crenellata trasversalmente, cioè in direzione per- pendicolare al bordo stesso. Dimensioni: altezza, mm. 17-21; diametro antero-posteriore mm. 19-24; rilevatezza, mm. 4-8. La valva destra o superiore presenta in genere dimensioni più piccole di quella opposta; la forma complessiva è simile, giacchè essa pure è per lo più trasversa, cioè espansa verso il lato infero-posteriore. Ha un piccolissimo umbone triangolare, sempre poco rilevato, qualche volta anzi appiattito o depresso; tutta la superficie esterna è adorna da una tipica scagliosità di accrescimento, del resto comune a molte altre specie di ostriche. L’interno è poco concavo; la impronta muscolare è rotonda, 0 quasi, piuttosto grande, posteriore. L’area cardinale è piccolissima, stretta, triangolare, solo in pochi esempi leggermente obliqua con la sua super- ficie rispetto al piano della valva stessa. Si nota anche qui una fascia marginale ondulata, in corrispondenza alle ondulazioni già osservate nella valva sinistra; il bordo però è quasi sempre diritto e non dentellato; ai due lati dell’umbone è crenellato trasversalmente: in modo, però, meno visibile, negli individui più vecchi. Dimensioni: altezza, mm. 10-19; diametro antero-posteriore, mm. 12-26; rilevatezza, mm. 3-7. Le maggiori analogie della presente specie sono con l’Ostrea cyathula LAMARCK e con lO. plicata SOLANDER. Ostrea sp. ù1., 20 es. — Conchiglia stretta, allungata dall’ umbone al bordo inferiore. La valva inferiore presenta, all’esterno, delle scagliosità concentriche; l’interno non è molto concavo; la cavità della valva s’insinua 130 G. DAINELLI però un poco sotto l’area cardinale. Questa è triangolare, allungata, un poco obliqua, ed è striata trasversalmenti ; vi si osserva una fossetta ligamentare centrale, abbastanza profonda, appiattita, e limitata da due rilievi ben sviluppati, i quali poi, alla lor volta, sono separati dal bordo per mezzo di un piccolo solco. L’umbone è grosso, robusto, allungato. L'impressione muscolare è posteriore, abbastanza grande, ovale o piut- tosto reniforme con la concavità verso l’umbone. Dimensioni: altezza, mm. 55; diametro antero- posteriore, mm. 35; rilevatezza, mm. 11. La valva superiore presenta una certa variabilità nella forma: .essa è, in vero, sempre molto sottile; però, da quasi completamente appiattita, può divenire per gradi, — e ne ho varî termini di passaggio, — concava nella sua superficie interna. All’esterno è coperta di scaglie concentriche irregolari. Nell’interno è liscia, ed ha una impressione muscolare poste- riore, piuttosto grande, reniforme, simile cioè in tutto a quella della valva opposta. La concavità della valva raramente, e solo per poco, s’ insinua sotto l’area cardinale; più spesso tra le due regioni della conchiglia “non vi è che una inflessione più o, meno marcata. L'area cardinale è subtriangolare, a base larga; è-piatta, striata trasversalmente, ed in alcuni esemplari meglio conservati presenta una inflessione convessa verso la.metà della sua superficie. I due bordi lateralmente all’umbone sono sempre adorni di una crenellatura assai marcata, che, dove è meglio visi- bile, prende proprio l’aspetto di una serie di piccoli tubercoli. Di più, di fianco all’umbone, presso alla base dell’area cardinale, il bordo stesso mostra una specie di piccola piega con rialzo, oltre la quale, cioè verso l’apice della conchiglia, la crenellatura invade in parte la superficie esterna della valva sotto forma di piccole coste perpendicolari al bordo stesso. Dimensioni: altezza, mm. 34-5£; diametro antero-posteriore, mm. 18-30; rilevatezza, mm. 6-12. Le maggiori analogie della presente specie sono con l’Ostrea spar- nacensis DEFRANCE. Ostrea sp. — Alcuni esemplari non determinabili specifieamente, ma certo non riferibili alle specie già riconosciute. Ostrea (Alectryonia) sp. n., 2 es. — Conchiglia di piccole dimensioni, rotondeggiante, appiattita, inequilatere, ma quasi completamente equi- valve. La valva inferiore ha l’umbone triangolare, poco sporgente e poco acuminato; sulla sua parte estrema si nota la superficie di adesione, che è piccola, ovale e squamosa. La ornamentazione consiste in coste radiali assai numerose, giacchè alla periferia se ne contano ben 18, ed assai LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 151 rilevate e grosse, in paragone con le dimensioni generali della conchiglia. isse però, tanto nel modo di distribuzione che nelle loro misure, non presentano una costante uniformità su tutta la superficie della valva. Infatti più che veramente raggianti dall’ umbone, divaricano, verso il bordo anteriore e verso quello opposto, da una linea, la quale dall’umbone giunge al margine inferiore, dividendo la valva in due regioni: quella anteriore assai stretta, quella posteriore molto più espansa. E siccome tanto nell’una che nell’altra è uguale il numero delle coste, così ne deriva che, di queste, quelle che si trovano nella prima sono più fitte ed hanno dimensioni minori, e quelle che si osservano nella seconda sono più rade ed assai più robuste. La valva superiore presenta presso a poco gli stessi caratteri: solo le coste sono meno sviluppate in generale, e meno differenziate tra il lato anteriore e quello posteriore della conchiglia. L’umbone è un po’ meno prominente di quello opposto, il quale così lo sopravanza di qualche milli- metro. Dimensioni: altezza, mm. 22; diametro antero-posteriore, mm. 21; rilevatezza di un esemplare completo, mm. 6. Analogie la presente specie mostra con l’Ostrea (Alectronya) altico- stata MAYER-EYMAR. i Ostrea (Gryphaea) Brongniarti BRONN, 1 es. R (Exogyra) eversa MELLEVILLE, 8 es. Anomia tenwistriata DESHAYES, 2 es. i sp. — Un esemplare di incerta determinazione specifica, ma non ravvicinabile alla specie precedente. Plicatula armata TaraseLti (n ltt.), 1 es. di valva sinistra. — Con- chiglia di dimensioni assai piccole, molto depressa; la forma è quasi rego- larmente ovale, solo un poco trasversa, essendo un po’ più espansa verso il lato infero-posteriore, ma in modo appena sensibile. La superficie esterna si può dire, in generale, liscia: nella sua parte marginale per- tanto si può riconoscere, anche senza l’aiuto della: lente, una sottile striatura concentrica. All’infuori di questa, gli unici ornamenti sono dati da due spine marginali, le quali si trovano sul bordo inferiore, dal quale Sporgono in continuazione della superficie della valva, anzichè emergerne con un angolo qualsiasi. Sopra l’umbone, in uno spazio rotondeggiante, sì osserva una curiosa crenellatura, formata da tanti piccoli dischetti in rilievo. In questo fossile, — che è maravigliosamente conservato, tanto più se si pensa alla sottigliezza, e quindi alla fragilità della sua conchi- glia, — è mantenuta anche la colorazione originaria: la parte superiore 132 G. DAINELLI e centrale della superficie esterna è gialla; quella marginale, che ho detto striata, è bruna, e tanto più quanto più ci si avvicini al bordo; le due spine hanno un bruno così carico, che si avvicina al nero. La superficie interna è regolarmente concava. Il cardine presenta al centro una piccola fossetta del lisamento, triangolare con la base dal lato della cavità della conchiglia; ai lati due sottili setti la separano da due fossette cardinali; di fianco ancora sono due denti, piccoli ma ben rilevati, un po’ allungati in basso verso l’esterno del cardine. L'impressione muscolare si trova circa alla metà del diametro umbono-ventrale; è però posteriore, ovale, diritta, ed abbastanza grande relativamente alle dimensioni della con- chiglia. La superficie nel resto è liscia; però presenta una ornamenta- zione, non frequente nelle forme di Plicatula: cioè delle coste radiali (in numero di 16), le quali non principiano però nè sotto 1’ umbone nè al centro della valva, ma ad una certa distanza da questo; cominciano debolissime, poi si fanno per gradi più rilevate, e terminano tronche, N d’un tratto, a poca distanza dal bordo. Il colore è uniformemente giallo. Dimensioni: altezza, mm. 8,5; diametro antero-posteriore, mm. 7; rile- vatezza, mm. 1, 5. Plicatula exilis TARAMELLI (în litt.), 11 es. di valva inferiore, intera- mente e tenacemente aderenti a individui di Assiline. — La conchiglia, di dimensioni assai piccole, è talmente sottile, che spesso lascia trasparire gli ornamenti ed i rilievi del suo supporto. La forma è rotondeggiante od ovale, equilatere; la profondità minima, essendo la valva molto ap- piattita. Il solo margine è un po’ rilevato ed ispessito. Il cardine è dato da due denti, ben marcati, allungati, fortemente divergenti in basso verso i due lati esterni della valva; tra mezzo la fossetta ligamentare è a forma di triangolo ed abbastanza profonda. Tutta la superficie è adorna di una sottile striatura radiale, la quale giunge sino al bordo, presso al quale anzi si fa più marcata. La impressione muscolare si trova un po’ sotto la metà del diametro umbono-ventrale, ma spostata verso il lato poste- riore; è ovale e non grande. Dimensioni: altezza, mm. 6-10; diametro antero-posteriore, mm. 6-10, 5. Ho paragonato la presente specie alla Plicatula squamula DESHAYES ed alla P. parvula GUMBEL. Spondylus radula LAMARCK, 6 es. 5 asperulus MUNSTER, 11 es. Ù, rarispina DESHAYES, 5 es. n bifrons MUNSTER?, 5 es. DI cfr. palensis ROUVAULI, 1 es. LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 133 Spondylus sp. n., 2 es. — Conchiglia nel suo insieme rotondeggiante, poco allungata e meno trasversa, sì che le valve si possono dire sube- quilaterali, mentre sono tra di loro ineguali. Il mio unico esemplare (al "quale ne ho unito un altro in peggiore stato di conservazione) è conser- vato nelle sue due valve, ma in modo imperfetto, tanto che solo la supe- riore è visibile quasi per intero ed assai bene nei suoi ornamenti, mentre della inferiore rimane solo una terza parte, e per di più coperta e na- scosta, quasi per la intera sua superficie, dalla roccia. La valva superiore appare depressa lungo tutto il margine, che è regolare, mentre è molto rilevata nell’umbone, il quale diviene così piuttosto grosso e robusto; esso non sembra però prominente. Caratteristici sono gli ornamenti: essi consistono in numerose piccole coste radiali, delle quali sull’ umbone se ne possono contare 8 nello spazio di 3 mm., mentre presso il margine inferiore, dove sono naturalmente più grandi e più distanziate, nello stesso spazio ne sono comprese da 4 a 5 al massimo. Prima di indicare con maggiore dettaglio i caratteri di queste coste, bisogna dire che esse sono tutte, indistintamente, assai fini e poco rilevate; sì che la ornamenta- zione generale della conchiglia appare a prima vista assai regolare. Meglio osservando, si può pertanto riconoscere, sopra l’umbone, una regolare alternanza di coste un poco maggiori, con altre un poco minori: le prime e le seconde perfettamente liscie; mentre tra esse, a occhio nudo, ma meglio con l’aiuto di una lente, si possono osservare delle sottili serie radiali di sranulazioni finissime. Via via che dall’umbone ci si avvicina al margine inferiore, gli ornamenti più piccoli ingrandiscono, e quelli più grandi tendono, in paragone, a impiccolire; tanto che al fine sparisce quella alternanza prima osservata, e tutte le coste appaiono ugualmente sviluppate. Questa uniformità è accresciuta dal fatto che anche le maggiori acquistano a poco per volta una granulosità, simile a quella delle sottili serie esistenti sopra l’umbone. Questi ornamenti sono qua e là attraversati da alcune tracce di accrescimento, sotto forma di scagliosità concentriche subobsolete. La valva inferiore, come ho detto, è poco visibile; essa pertanto appare più regolarmente rigonfia e più robusta di quella opposta. I suoi ornamenti consistono in leggere coste radiali, da alcune delle quali si levano robuste spine. Dimensioni: al- tezza, mm. 56; diametro antero-posteriore, mm. 51; rilevatezza massima della valva superiore, mm. 18. Le maggiori analogie della presente specie sono con lo Spondylus granulosus DESHAYES. 154 G. DAINELLI Spondylus sp. n., 1 es. — Posseggo soltanto un frammento di Spor- dylus, conservato nella parte posteriore ed inferiore di una valva sinistra, il quale, mentre non permette di riunirlo ad alcuna delle forme note, d’altra parte presenta così nettamente conservati i suoi ornamenti, da autorizzarci ad attribuirlo ad una forma nuova. La conchiglia intera do- veva avere dimensioni abbastanza grandi, ed essere relativamente ri- gonfia a giudicare dal frammento presente. Gli ornamenti consistono in coste radiali, piuttosto fitte, giacchè presso al bordo distano l’una dal- l’altra di circa mm. 1,8; esse sono sottili, ma ben nette e ben rilevate; il loro andamento si può dire diritto, ed una certa, leggerissima sinuosità è solo data dalla presenza di spine. Queste sono numerose, succedendosi ad intervalli che variano da mm. 1,5 a mm. 2; non sono quasi mai più larghe delle coste sulle quali si innestano; sono abbastanza prominenti, acute, e, viste di profilo, hanno forma di triangolo quasi perfettamente equilatero. Tra queste coste principali si notano, sul fondo dei solchi intercedenti, da due a tre costoline minori pechissimo rilevate; tutta la superficie infine presenta una assai fine striatura concentrica, interrotta ogni tanto da qualche rugosità più marcata. Ho paragonato la presente specie allo Spondylus asiaticus D'ARCHTAC. Spondylus sp., 4 es. non determinabili specificamente. Lima spathulata LAMARCK, 4 es. Ù postalensis De GREGORIO, 1 es. Pecten Tschihatscheffi D’ARCHIAC, 4 es. »s (Chlamys) Meneguzzoi BAvAN, 1 es. to * tripartitus DESHAYES, 25 es. D si cfr. Venctorum OPPENHEIM, 1 es. È i cfr. plebeius LAMARCK, 7 es. = ti sp. n., 2 es. -- Conchiglia di mediocri dimensioni, supponibilmente avente subuguali le due valve, le quali per lo meno pre- sentano uguale il contorno e la rigonfiezza, come pure il carattere sene- rale degli ornamenti principali. La forma è allungata trasversa, giacchè le valve sono espanse nel lato infero-posteriore; l’ umbone è triangolare, acuto, non prominente, piuttosto depresso. La ornamentazione consiste in 20 coste radiali a sezione rotondeggiante, grosse, ben rilevate, diritte, separate da solchi larghi presso a poco quanto esse stesse. Appaiono per lo più liscie, ma non manca su di esse, qua e là, specialmente verso il lato anteriore, qualche traccia di rilievi radiali filiformi e come squam- mosi. Tali coste, che dànno un notevole carattere di regolarità alla orna- LAMELLIBRANCHIATI LGOCENICI DEL FRIULI 135 mentazione della conchiglia, non ne occupano tutta quanta la superficie: sul lato anteriore sono seguìte da 5 altre, simili, ma di minori dimen- sioni, più irregolari e più fitte; sul lato posteriore da circa 10 finissime, appena rilevate, molto vicine tra di loro, come scagliose, e quindi assai differenti dalle precedentemente descritte. L’orecchietta anteriore è ben sviluppata, ed espansa nella sua parte superiore, mentre in basso, nel lato esterno, presenta come una rientranza; ha per lo meno 6 coste, sottili, ma ben nette, divergenti dall’umbone in avanti. L’orecchietta po- steriore è più piccola, ed a forma di triangolo isoscele; l’angolo esterno però ottuso; sembra sprovvista di coste come quelle della orecchietta opposta. Nella superficie interna le coste principali si manifestano con solchi radiali appena accennati verso la metà della distanza umbono-ven- trale, e poi sempre più marcati via via che ci si avvicina al bordo. Questo è dentellato. Dimensioni: altezza, mm. 30; diametro antero-posteriore, mm. 28,5; rilevatezza di una valva, mm. 5. La presente specie è del tipo del Pecten tripartitus DESHAYES. Pecten, sp., molti es. indeterminabili specificamente. Dimya intustriata D’ARcHIAC, 7 es. Vulsella deperdita LAMARGK, 2 es. E falcata MùnstER, 1 es. n Oppenheimi n. sp., 4 es. — Conchiglia dalla forma abbastanza regolare ma variabile, sempre però allungata. La superficie esterna è tutta quanta coperta da lamelle concentriche di accrescimento. Gli um- boni sono pochissimo prominenti, ma relativamente rilevati, segnando anzi il massimo di rigonfiezza della intera conchiglia, la quale nel com- plesso appare depressa; gli umboni stessi sono tra di loro divergenti, mostrando nella faccia interna una fossetta ligamentare triangolare al- lungata, cioè relativamente stretta. Dimensioni: altezza, mm. 33-38; lar- ghezza, mm. 23-28; rilevatezza, mm. 11-5. La presente specie corrisponde ad uno degli individui di Bayonne che il D’ARcHIAC aveva erroneamente determinati come VWulsella falcata MinsTER. % Mytilus (Arcomytilus) sp., 1 es. Modiolu (Brachydontes) elegans SowERBY, 3 es. Lithodomus cordatus LAMARCK, 5 es. E Deshayesi SowERBY, 2 es. Arca appendiculata SowERBY, 3 es. n Subminuata Durour, 1 es. » Cfr. biangula LamaRcK, 1 es. 136 G. DAINELLI Arca Sp., alcuni frammenti ed un nucleo non determinabili specifi- camente, ma con probabilità non appartenenti alle specie qui già rico- nosciute. Arca (Barbatia) cfr. barbatula LAMARCK, 1 es. E È; sp. n., 1 es. conservato nella valva destra. — Con- chiglia di non grandi dimensioni; la forma è regolare, aliungata nel senso antero-posteriore, mediocremente rigonfia, inequilatere; soltanto il bordo cardinale dietro l’umbone è per un certo tratto rettilineo, mentre tutti gli altri sono regolarmente curvilinei, a raggio assai ampio quello ven- trale, piuttosto stretto quelli anteriore e posteriore. -L’umbone è proso- giro, anteriore, situato col suo vertice più innanzi del quarto della lun- ghezza della conchiglia; è poco rigonfio, assai largo, e poco sporgente. Dal centro dell’umbone la rigonfiezza della conchiglia va diminuendo regolarmente in tutti i sensi verso il contorno, senza che si notino nè depressioni nè carene od altre irregolarità; sì che non è particolarmente distinta o limitata una regione anale. La ornamentazione consiste in coste radiali ben nette, abbastanza rilevate, a sezione curvilinea, sepa- rate da solchi che uguagliano presso a poco la larghezza delle coste stesse. Il numero totale di queste è di 25, e le loro dimensioni si può dire che si mantengano quasi invariate su tutta quanta la superficie conchigliare, tranne che nella regione anale, dove si osservano solo quattro coste, più depresse e più larghe (circa il doppio) delle altre. Tutte queste coste presso l’umbone, come pure i solchi interposti, appaiono intersecate da delle strie concentriche assai fini; le quali però, via via che ci si avvicina al bordo inferiore, si attenuano sempre più, fino a sparire, sulle coste, mentre rimangono nei solchi; le coste maggiori della regione anale ne sembrano sprovviste. L’area ligamentare è strettissima. Il bordo cardi- nale posteriore, rettilineo nel suo primo tratto dietro l’umbone, presenta una serie di 12 piccoli denti lineari ed obliqui; la serie anteriore non è visibile, ma in ogni modo deve essere brevissima e staccata, in corri- spondenza dell’umbone, dall’opposta. Il bordo interno, a contorno per- fettamente ovale, sembra» liscio. Dimensioni: altezza, mm. 10-5; dia- metro antero-posteriore, mm. 14, 5; rilevatezza, mm. 5. La presente specie mostra le maggiori analogie con l'Arca subbar- batula DUuFOUR. Arca (Anadara) granulosa DESHAYES, 1 es. Pectunculus pulvinatus LAMARCK, 2 es. S fi dispar DEFRANCE, 2 es. LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 137 Limopsis granuluta LAMARCK, 1 es. Nucula parisiensis DESHAYES, 1 es. » Bowerbankiiù SowERBY, 1 es. » Sp. alcuni nuclei non determinabili specificamente. Cardita fascicostata FRAUSCHER, 9 es. n sp. n., 1 es. — Conchiglia di non grandi dimensioni, molto obliqua, allungata trasversalmente, quadrangolare, e per questi suoi ca- ratteri molto inequilatere; essa è abbastanza rigonfia, e la linea di mas- sima rigonfiezza ne attraversa la superficie dall’apice dell’umbone al bordo infero-posteriore. L° umbone è completamente anteriore, prosogiro, un po’ involuto su sè stesso nella sua parte apicale, abbastanza rigonfio, prominente un po’ sul bordo anteriore. Questo, sotto l’umbone, presenta una piccola concavità, poi scende al basso quasi diritto; il bordo cardinale posteriore è molto allungato e rettilineo; quello inferiore, pure rettilineo e parallelo al suo opposto; quello posteriore infine è un po’ obliquo, dal- l’alto, in basso e all’indietro, dove si unisce all’inferiore con una curva a raggio non grande. La ornamentazione consiste in 17 coste radiali, le quali, per la forma generale della conchiglia, appaiono oblique; esse sono rotondeggianti, ben rilevate, disgiunte da solchi profondi, larghi presso a poco quanto esse stesse. Tali coste sono, su quasi tutta la superficie conchigliare, liscie; solo nel lato posteriore presentano delle lamelle tra- sverse, non molto rilevate, disposte tra loro a guisa di embrici. Dimen- sioni: altezza, mm. 14; diametro antero-posteriore, mm. 21; rilevatezza, mm. 7,5. Le maggiori analogie la presente specie mostra con la Cardita aspera LAMARCK. Cardita (Venericardia) planicosta LAMARCK, 1 es. $ DI imbricata LAMARCK, 7 es. si DI acuticostata LAMARCK, 2 es. 9 3 elegans LAMARCK, 1 es. ti È asperula DESHAYES, 3 es. ci x cfr. profunda DesHAvESs, vari framm. 5 È sp. n., 3es. — Conchiglia di grandi dimen- sioni, di forma quasi perfettamente orbicolare, non molto rigonfia ; essa è assai inequilatere, ma equivalve. L’umbone è triangolare, grosso, rilevato, molto anteriore, fortemente prosogiro, poco prominente; gli apici dei due umboni opposti vengono quasi ad aderire l’un l’altro. x Il bordo cardinale posteriore è solo leggermente incurvato (convesso), 138 G. DAINELLI tanto che, per la rigonfiezza della conchiglia presso l’umbone, esso appare addirittura rettilineo, mentre in realtà, come ho detto, non lo è; il bordo cardinale anteriore presenta sotto l’umbone una ben marcata concavità, la sola che interrompa il contorno del resto regolarmente rotondeggiante della conchiglia; giacchè i bordi anteriore, inferiore e posteriore si pre- sentano incurvati a raggio costante. Tutta quanta la superficie della con- chiglia è adorna di coste radiali; il loro andamento è marcatamente cur- vilineo; infatti dall’apice dell’umbone si dirigono da prima all’indietro, per poi irradiare, con ben sentita curya concava verso il lato anteriore, verso la periferia. Il loro numero è assai notevole, contandosene 30, tutte ben rilevate, a limiti netti, disgiunte da solchi abbastanza profondi. I loro caratteri di ornamentazione sono molto notevoli: sopra l’umbone, dove esse hanno naturalmente dimensioni minori, sono intere, a super- ficie superiore trasversalmente un poco convessa ed a limiti laterali ben netti; i solchi che le dividono si presentano appena un po’ convessi. Più oltre, allontanandosi dal vertice dell’umbone, mentre il fondo dei solchi diviene piano, si comincia ad osservare, su ogni costa, due sottili strie, poste sui suoi due lati, e che vi determinano un principio di triparti- zione ineguale. Via via che ci si avvicina al bordo, queste strie divengono più marcate, finchè la tripartizione, da esse determinata, si fa ben netta, marcata, evidente, mentre, nello stesso tempo, i solchi si restringono, relativamente alle accresciute dimensioni delle coste, e si fanno concavi nel loro fondo. La tripartizione, come già si mostra al principio, e così sì mantiene ineguale; cioè, la parte mediana è più larga, più grossa e più rilevata delle due laterali. Ma i caratteri della ornamentazione non Si limitano a questi, che ho fin qui descritti; tutta la superficie conchi- gliare presenta una striatura trasversa: finissima sopra l’umbone, dove non altera gli ornamenti radiali, e dove è riconoscibile solo con 1’ aiuto di una lente; sempre più marcata, invece, quanto più ci si avvicina al bordo della conchiglia. Sì che, divenendo allora una successione di veri e proprii piccoli solchi, determina sulle coste radiali tanti tubercoletti, più o meno rotondeggianti o trasversalmente allungati, secondo la minore o maggiore distanza tra l’uno e l’altro dei solchi trasversi stessi. Presso all'estremo bordo questi assumono tale importanza, da rendere quasi sca- gliosa la superficie della conchiglia. Internamente il bordo è inciso da dentellature, ben marcate, ma corte: in esse le infossature concave cor- rispondono al termine delle coste della superficie esterna. Dimensioni: altezza, mm. 72; diametro antero-posteriore, mm. 75; rilevatezza, mm. 41. LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 139 La presente specie mostra analogie con la Cardita multicostata La- MARCK, con la pectuncularis LAMARCK e con la C. Beaumonti D’ArcHIAC. Cardita (Venericardia) sp. n., 4 es. — Conchiglia di non grandi di- mensioni, poco rigonfia, di forma orbicolare, alquanto obliqua, inequila- tere. L’umbone è anteriore, prosogiro, quasi punto avvolto su sè stesso colla sua parte apicale. La ornamentazione è data da coste radiali non molto numerose (22), a andamento obliquo, ma quasi insensibilmente curvilineo, ben rilevate, rotondeggianti, disgiunte da solchi netti, pro- fondi, e larghi presso a poco quanto le coste stesse. Queste sopra l’um- bone sono intere e liscie; poi comincia a distinguervisi una specie di sranulazione, la quale cresce via via, avvicinandosi al margine della con- chiglia; tanto che ben presto assume l’aspetto di una fitta serie di tu- bercoletti ben rilevati e di forma quasi perfettamente rotondeggiante. Dimensioni: altezza, mm. 14; diametro antero-posteriore, mm. 13; rile- vatezza di una valva, mm. 5. Questa specie è del tipo della Cardita asperula DESHAYES. Cardita (Glans) sp. n., 6 es.-- Conchiglia ovata, trasversa, subqua- drangolare, piuttosto rigonfia, inequilatere, equivalve. L’umbone è trian- golare, decisamente anteriore, prosogiro, un poco involuto nella sua parte apicale, non molto prominente, rilevato. Il bordo cardinale posteriore è allungato, solo leggermente curvilineo; quello cardinale anteriore pre- senta una concavità sotto l’umbone. Il bordo inferiore, subparallelo a quello opposto, è a curva ampia; più stretta la presenta quello anteriore, mentre il posteriore appare come troncato. Tutta quanta la superficie è adorna da circa 32 coste radiali, ben rilevate, a limiti laterali netti, a sezione trasversa rotondeggiante, a decorso non molto incurvato, sepa- rate da solchi abbastanza profondi e poco più stretti delle coste stesse. Queste presentano poi come loro ornamentazione speciale delle specie di spine, piccole ed acute, ma abbastanza prominenti e piuttosto rade. Sol- tanto le 9 coste anteriori portano, invece di queste spine, dei tuberco- letti allungati in senso trasversale ed assai fitti tra di loro. Il cardine nella valva destra è dato da una fossetta cardinale, posta sotto l’umbone, triangolare, assai profonda; segue, verso il lato posteriore, un grosso e robusto dente cardinale, assai rilevato, triangolare, allungato all’indietro ed in basso. Poi viene ancora una fossetta posteriore, profonda, e molto allungata; oltre la quale si inalza un dente, posteriore, non molto pro- minente, ma assai lungo e stretto, subparallelo al bordo cardinale po- steriore. La valva sinistra presenta naturalmente un cardine inverso a 140 G. DAINELLI quello ora descritto: notevole è lo sviluppo, in lunghezza e rilevatezza, del dente posteriore. Dimensioni: altezza, mm. 25; diametro antero- posteriore, mm. 30; rilevatezza di una valva, mm. 14. Analogie la presente specie mostra con la Cardita densecostata Cossmany e con la oligocenica O. Camerata KoENEN. Cardita sp., vari es. non determinabili specificamente, alcuni dei quali però certo non spettanti alle specie già riconosciute. Crassatella plumbea CHEMNITZ, 16 es. È sulcata SOLANDER, 1 es. n gibbosula LAMARGK, 2 es. È sp., 2 es. non determinabili specificamente, uno dei quali appartiene certo a specie diversa dalle precedenti. Chama carcarensis ROVERETO, 1 es. 5 calcarata LAMARCK, 2 es. 1A fimbriata DEFRANCE, 2 es. p dissimilis BRONN, 3 es. ù tuzlana OPPENHEIM, 1 es. $ sp. n.,7 es. — Valva inferiore o sinistra: conchiglia di dimen- sioni abbastanza grandi, rilevata, di forma generale subovale perchè al- lungata dall’umbone al bordo inferiore. Il margine invece nel suo insieme, per quanto non visibile per intero, deve essere rotondeggiante, però assai espanso anteriormente all’umbone. Questo è grosso, rigonfio, anteriore, sporge molto al di fuori del bordo della conchiglia, è marcatamente pro- sogiro e si avvolge su sè stesso con la sua parte apicale. Gli ornamenti consistono in coste concentriche abbastanza numerose, che posso calco- lare, con buona approssimazione, a 24 dall’apice dell’umbone al bordo della valva; esse presentano assai attenuato, spesso nullo addirittura, il carattere di essere embricate, tanto comune nelle Chamae; appariscono invece, per lo più, come rilievi a sezione triangolare a larghissima base e con angolo assai ottuso. Ma la ornamentazione più caratteristica è data da delle coste radiali, le quali occupano tutta quanta la superficie valvare; esse a prima vista sembrano interrotte dalle coste concentriche, ma non lo sono in realtà, e quasi sempre si continuano negli spazi successivi in- tercedenti tra queste; non hanno grandi dimensioni, ed in cambio sono molto numerose: 3 in un millimetro sopra l’umbone, 3 ogni due milli- metri e mezzo presso il bordo inferiore; nel loro andamento radiale ap- paiono curvilinee, con la concavità rivolta verso il lato anteriore della conchiglia, e vengono così ad essere oblique rispetto alle coste concen- LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI idi triche, salvo che presso il bordo anteriore, dove, per l'andamento di queste ultime, quelle le incrociano perpendicolarmente; infine, non sono intere, ma solcate da tante incisioni concentriche rispetto all’umbone, le quali dànno loro l’aspetto, anzichè di coste, di serie radiali di piccolissimi rilievi allungati trasversalmente: questo carattere si attenua presso alla periferia, dove pertanto è ancora visibile. Dimensioni: altezza, mm. 45; diametro antero-posteriore, mm. 35; rilevatezza, mm. 22. Valva superiore o destra: conchiglia di dimensioni abbastanza grandi, non molto rilevata, di forma generale rotondeggiante, ma assai espansa anteriormente all’umbone. Questo è grosso, abbastanza rigonfio, ante- riore, non sporgente al di fuori del bordo della conchiglia, è marcata- mente prosogiro, ma, non staccandosi dalla superficie della valva, non ha modo di avvolgersi su sè stesso. Gli ornamenti consistono in coste concentriche, non molto numerose (circa 15 in tutto), piuttosto fitte sul- l’umbone (a intervalli di poco più di un millimetro), assai rade presso la periferia (distanti, agli apici, sin otto millimetri e mezzo); le prime sono poco rilevate, le seconde molto di più; non appaiono embricate, ma ugualmente inclinate ai due lati. Gli spazii che intercedono tra esse pre- sentano una fine striatura pure concentrica. La fossetta cardinale ante- riore, per quanto si può vedere, appare ben sviluppata. La superficie interna non è punteggiata da perforazioni. Dimensioni: altezza, mm. 36; diametro antero-posteriore, mm. 32; rilevatezza, mm. 18. Ho paragonato la presente specie con la Chama turgidula LAMARGK, la Ch. sulcata DesHAves e la Ch. substriata DESHAYES. Chama sp. n., 1 es. — Conchiglia nell’insieme rotondeggiante, un poco trasversa, cioè più sviluppata verso il margine infero-posteriore, assai rigonfia; del resto di piccole dimensioni. L’umbone è anteriore, prosogiro, poco prominente, nè sporge al di fuori del bordo della con- chiglia. Gli ornamenti consistono in coste concentriche, poco rilevate e solo leggermente embricate; presentano alquanto irregolare, cioè non liscio, il piccolo bordo libero, che si osserva in quelle più esterne; sono poi molto numerose, giacchè, escluse quelle della parte apicale dell’ umbone, le quali non sono visibili, se ne contano, fino al bordo inferiore, ben 21. Gli spazi che intercedono tra le coste concentriche sono interamente occupati da una fitta e netta granulazione, ben visibile ad occhio nudo, e che contribuisce a dare alla conchiglia una ornamentazione fine e gra- ziosa. Dimensioni: altezza, mm. 18; diametro antero-posteriore, mm. 19; rilevatezza di una valva, mm. 11,5. o Sc. Nat. Vol. XXV. 10 142 G. DAINELLI La presente specie è del tipo della Chama calcarata LAMAROK, per quanto assai diversa. Chama sp., 6 es. non determinabili specificamente. Lucina Astarte OPPENHEIM, 1 es. S supragigantea De GREGORIO, 1 es. La (Miltha) Escheri MAYER-EvmAR, 1 es. Ri sp., molti es. non determinabili specificamente, ma certo spet- tanti a due specie, diverse da quelle qui riconosciute. Corbis lamellosa LAMARCK, 6 es. e vari framm. » major BAYAN, 2 es. Cardiwn (Trachycardium) porulosum SOLANDER, 4 es. A ia cfr. gîgas DEFRANCE, 1 es. i (Plagiocardium) sp. n., 1 es. di valva destra. — Conchiglia di grandi dimensioni; Ja forma è convessa, assai rigonfia al centro, allun- gata nel senso umbono-ventrale, obliqua, inequilatere, espansa ed arro- tondata nel lato posteriore, che si unisce regolarmente a quello inferiore; l'anteriore invece, in confronto a quello opposto, appare più attenuato. L’umbone è triangolare, grosso, rigonfio, anteriore, appena prosogiro, e poco prominente. La massima rigonfiezza è posteriore rispetto alla linea mediana della conchiglia. Tutta quanta la superficie è adorna di coste radiali, caratteristiche nelle loro dimensioni e nei loro ornamenti secon- darî, variamente distribuiti. Sul lato anteriore si notano circa 17 coste, ben rilevate, disgiunte da solchi più larghi di esse stesse, e fornite di tubercoletti assai prominenti; tali coste sono le più marcate di tutta la superficie valvare; presso il bordo distano circa 2 mm. l’una dall'altra, mentre i loro tubercoli sono alla distanza di 1 mm. Sulla parte mediana della conchiglia seguono, in numero di circa 15, delle coste depresse, dalla superficie pianeggiante, provviste solo sporadicamente di piccoli tubercoletti, e separate da solchi piuttosto stretti; la loro distanza, sempre presso il bordo, è minore di 1 mm. Sul lato posteriore infine si hanno numerose coste, solo in parte visibili ma che si può supporre cer- tamente superiori a 30; esse presentano, attenuati nelle dimensioni, i caratteri di quelle anteriori, ma mostrano anche una caratteristica alter- nanza tra alcune più grandi ed altre più sottili. Caratteri del cardine non sono visibili. Dimensioni: altezza, mm. 60; diametro antero-posteriore, mm. 55; rilevatezza, mm. 22 La presente specie ha cina analogie con il Cardium Passyi De- sHAYES e con il C. sub-Passyi CossMann, LAMELLIBRANCHIATI EOCENICI DEL FRIULI 1143 Cardium sp., molti nuclei o frammenti non determinabili specifica- mente. Cyrena sirena BRONGNIART, 3 es. » (Corbicula) deperdita LAMARCK, 1 es. 7 3 tellinella FERUSSAC, 2 es. Cytherea (Callista) suberycinoides DESHAYES, 12 es. 5 . (Tivelina) deltoidea LAMARCK, 2 es. fa sp., alcuni esemplari non determinabili specificamente. Tellina sp., varî individui, pei quali non è possibile una ulteriore determinazione. Pholadomya? sp., 1 es. di incerto riconoscimento. Corbula (Azara) erarata DESHAYES, 2 es. È S gallica LAMARCK, 2 es. Clavagella cfr. Caillati DESHAYES, 3 es. Teredo Tournali LEYMERIE, 1 es. » Sp., varî frammenti non determinabili specificamente. Teredina personata LAMARCK, varî framm. A questo elenco aggiungerò poche parole: alcuni pochi frammenti e numerosi nuclei ho creduto utile di trascurare, giacchè troppo dubbia era fin la loro determinazione generica, e, in questo caso, mi pareva che con essi si potesse soltanto introdurre elementi incerti in una fauna d’al- tronde ricchissima in sè e bastevole per trarne conclusioni di carattere cronologico od anche più generale. D'altra parte, tra i Lamellibranchi già citati dagli autori che mi han preceduto, alcuni pochi non trovano riscontro nel mio presente elenco; essi sono una Haliotis sp. !), una Isocardia sp. *), la Cyprina striatissima ScHAUROTAH 3), e la Cordula trigonalis SoweRBY ‘). Il solo fossile determi- nato come Isocardìa sp. ho avuto presente, ma non mi son sentito auto- rizzato, essendo esso un modello interno, nè a confermare nè a modificare tale determinazione. Gli altri non ho ritrovati tra le collezioni che ho avuto 1) MARINONI, Di un lembo ecc., pag. 16. 2) TARAMELLI, Sulla formazione eocenica ecc., pag. 44; MARIANI, Appunti sull’Eocene ecc., pag. 42. i 3) MARINONI, Di un lembo ecc., pag. 42. 4) MARIANI, Appunti sull’Eocene ecc., pag. 42. d44 G. DAINELLI in esame. Giacchè il mio studio sull’ Eocene friulano si fonda, — non soltanto sulle abbondanti raccolte personali e su quelle del prof. OLInTO MARINELLI, le une e le altre appartenenti al Museo Geologico del R. Isti- tuto di studi superiori in Firenze, — ma anche su quelle vecchie del Ta- RAMELLI e del MARINONI, che il prof. MisanI, preside del R. Istituto Tecnico di Udine dove sono depositate, ha voluto porre a mia disposizione, — e infine sulle altre, importantissime, che sono proprietà particolare del raccoglitore stesso, prof. AcHiLLE TELLINI. In modo che tutto quanto, si può dire, il materiale paleontologico raccolto fin qui nei terreni eocenici del Friuli ha servito allo studio da me intrapreso. Conviene notare però anche come tutti i raccoglitori fossero specialisti in geologia, non solo, ma avessero particolarmente dedicate le loro ricerche alla geologia friulana. Chi abbia sin d’ora desiderio di confrontare il presente mio elenco con le determinazioni degli autori citati in principio di questa nota, si accorgerà facilmente di una non completa corrispondenza con le mie. Ed infatti molte ho dovuto modificare, talvolta anche nel genere. Ma altrove mi riserbo di dare, per ciascuna specie, la completa sinonimia per quanto riguarda il Friuli, ed ogni giustificazione ai cambiamenti proposti. Infine accennerò, — giacchè forse da alcuno mi può essere rimproverato, — che a bella posta ho omesso le provenienze delle singole specie, affinchè, aggruppando queste secondo le diverse località, non si volesse tentare una distinzione di varî livelli, ciò che pure, secondo quanto ho detto in principio, sarebbe per ora prematuro. Museo Geologico dell’Istituto di Studî Superiori in Firenze, giugno 1909. ai E. BARSALI STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA Juss.? (CON UNA TAVOLA). De JuUSssIEU ?) nelle Coniferae verae aggiunse per primo il gen. Arau- caria ai sette generi di conifere adottati da Linné; nel 1826 RicHArp 8) allorchè propose la prima divisione delle conifere nelle tre sezioni: Taxineae, Cupressineae, Abietineae incluse in quest’ultima il gen. Arau- carita ed il gen. Agathis, nome questo proposto da SALISBURY in sostituzione a Dammara di RumpHivs; Don 4) alle tre sezioni create da RicHARD ne aggiunse una quarta quella delle Araucarineae distaccando così dalle Abie- ‘fineae i generi: Araucaria, Agathis, e forse Cunninghamia; ENDLICHER 5) divise le Abietineae in tre sezioni scomponendo anche le Araucarineae di Don e proponendo la seconda sezione delle Araucarieae comprendente il solo sen. Araucaria e la terza sez. Cunnighamicae nella quale oltre al gen. Agathis si comprendevano i gen.: Cunninghamia, Arthrotaxis, Sequoia e Sciadopitys e LinpLey °) nel “ Vegetable Kingdom , nel sottordine Abieteae unisce agli altri generi anche le Araucaria ed Agathis. Più giustamente CARRIÈRE *) nel sottordine Araucarieae include solo i due generi suddetti mentre invece BentHAM ed Hoox€r 5), seguendo 4) Circostanze impreviste non mi hanno permesso prima d’ora di rendere pubblico questo lavoro già da qualche tempo incominciato; spero presto far se- guire a questa prima parte la seconda riguardante il gen. Agathis. Porgo in- tanto vive grazie ai Direttori e Proprietari di Musei e di Erbari che gentilmente mi fornirono il materiale utilissimo a questo studio ed in special modo ai Diret- tori degli Orti botanici di Calcutta, Melbourne, Brisbane, Sydney, Buitenzorg, ai prof. Heckel, Mac Owan che mi inviarono interessanti e ricchi saggi; ed infine ai prof. Arcangeli e Baccarini che misero a mia disposizione libri e col- lezioni ripeto qui i miei più sentiti ringraziamenti. 2) Genera Plantarum. Paris, 1789. 3) Commentatio botanica de Coniferis et Cycadeis. Stuttgart, 1826. 4) Description» of Two New Genera of the Natural Family of Plants called Conifere. Trans. Linn. Soc., XVIII, pag. 163, 1841. 5) Synopsîs Coniferarum. Sangalli, 1849. 6) The vegetable Kingdom. London, 1847. 7) Traité général des Conifères. Paris, 1869- 3) Genera Plantarum, III. London, 1880. 146 E. BARSALI in parte il concetto di Dow, costituiscono la tribù delle Araucarieae ma vi includono anche i gen. Cunninghamia e Sciadopitys; alcuni altri se- guendo questi ultimi hanno conservato questa classificazione, quali p. es.: BrISSsNER !), MastERS 2), VeITcH 3) e KaARSTEN 4) anzi quest’ultimo riu- nisce i due suddetti generi nella sottofamiglia delle Abietinee, mentre PARLATORE °) ed EicHLER 6) escludono dalla sottotribù delle Araucariee ogni altro genere e così pure BAILLON, rimanendo così costituita dei soli generi Araucaria ed Agathis. Se per alcuni caratteri tali piante possono essere ravvicinate alle Abietinee, per altri però ne sono assolutamente distinte e specialmente dai gen. Cunninghamia e Sciadopitys, e, facendo astrazione dai caratteri che possono essere forniti dall’apparato vegetativo, benchè non del tutto an- cora questi sieno da trascurarsi, quelli dell'apparato riproduttore, come di somma importanza, forniscono caratteri essenziali e sufficenti a rite- nere le -Araucariee come costituenti un gruppo definito e separato dalle altre Pinacee. Se, come caratteri differenziali, solo si prendono in con- siderazione il numero delle sacche polliniche e la concrescenza dell’o- vulo con il lepidio e non vorremmo tener distinte le Araucariee dalle Abietinee sarà necessario, non ritenere le Araucaria come sottotribù delle Abietine, ma dividere la fam. Pinacee nelle tre sezioni o sottofamiglie: Pinee, Abietinee ed Araucariee; ma essendo le due prime, per una somma di caratteri assai affini, sarà più conveniente fare delle Araucariee una famiglia distinta e prossima alle Pinacee, quella delle Araucariacee, com- prendente i soli generi Araucaria ed Agathis, e così in questo lavoro vengono considerate. Fam. Araucariaceae I. Gen Araucaria Juss. Jussieu nel 1789 usò per primo il nome generico Araucaria per una pianta descritta da Motrina sotto il nome di Pinus e da LAMARCK con quello di Dombeya in omaggio a Dom8eY che ricevè per primo da 1) Handbuch der Nadelholzkunde. Berlin, 1897. ?) Report of the Conifer Conference. Journ. R. Hort. Soc. XIV, 1892; 7d. Notes on the Genera of Taxaceae a. Coniferae. Journ. Linn. Soc. XXX, 1893. 3) Manuale dei Coniferi. Milano, 1882. 4) Vegetationsbilder. Jena, 1903. 5) De CANDOLLE. Prodromus, XVI. p. II. Paris, 1868. 6) EnGLER u. PRANTL. Die natiirlichen Pflanzenfamilien. Teil II, Bd. I, lief. 3, 4. Leipzig, 1887. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 147 Ruz e Pavon un esemplare essiccato dell’albero del Chili. Era questa adunque la prima Araucaria descritta cioè lA. èmbricata. SALISBURY !) dalla regolare disposizione dei rami e delle foglie pro- pose il nome di Eutassa per il Pino dell’ Isola Norfolk designando in- vece l’Araucaria di Jussieu col nome generico di Columbea; il nome Araucaria però fu mantenuta da Link 2), ma cambiò 1’ Eutassa di SALI- sBuRY in Eutacta, ed ENDLICHER (loc. cit.), usò pure i due termini Colym- bea ed Eutacta ma non per indicare generi o specie diverse, ma solo per dividere le Araucariee in due sezioni, da allora in poi tale distin- zione da vari fitografi è stata mantenuta e può giustamente mantenersi. Le Araucaria sono alberi maestosi ed imponenti per l’aspetto, sem- pre verdi, a tronco eretto ed assai elevato; 1 rami sono disposti rego- larmente in verticilli e le foglie per lo più coriacee, persistenti, di forma e grandezza varia, sono distribuite ad elica, fatta eccezione per due sole Specie nelle quali si presentano subdistiche. Sono piante dioiche (l'A. imbricata è stata rinvenuta anche monoica) con fiori maschili amentiformi, cilindrici od ovoidei; i femminili sono formati da squame numerose talora in parte sterili, disposte ad elica e riuniti in un cono sferico od ovoideo; ciascuna squama porta un ovolo solitario. Il seme presenta albume carnoso ed un embrione assile con 2-4 cotiledoni, ed è provvisto o no lateralmente di ali. Sono piante che presentano polimorfismo in sommo grado, l’aspetto dei rami e la forma delle foglie variano nella stessa specie a seconda del sesso e variano anche nella stessa pianta a secondo dell’età o se di rami fioriferi o sterili, è per questo grande polimorfismo che Bro- GNIART e (GRIS scrivevano “ ne peuvent étre déterminées d’une manière “ certaine que si l’on en possède des rameaux adultes munis de fleurs “ et de fruits , e fu pure per questo che CaArRIERe fu indotto a scri- vere, per l'A. Ruleì che nominò polymorpha, * est une sorte d’énigme “ qui semble jeté è la science pour embarrasser les savants ,; non è precisamente così per tutte le specie, per alcune dai soli rami adulti, dalla forma e disposizione delle foglie è possibile riconoscere la spe- cie, per altre invece v'è assoluta necessità dei fiori e dei frutti come p. es. per A. excelsa, A. Cookii, A. Balansae, ed in qualche caso può essere di valido aiuto la struttura anatomica della foglia stessa come si vedrà in seguito. 1) The Characters of Several Genera in the Natural Order Coniferae. Trans. Linn. Soc., VIII, pag. 308, 1807. ?) Abietinae Hort. Reg. Bot. Berolinensis cultae. Linnaea, XV, pag. 481, 1841. 148 * E. BARSALI Di tutte le specie di Araucaria è usato il tronco come buon legname da costruzione e di alcune la resina per usi svariati, sia economici, sia medicamentosi; i semi di alcune specie sono commestibili e vengono raccolti dagli indigeni a questo scopo. L’area occupata dalle specie di questo genere è relativamente assai ristretta: ad eccezione di due sole specie proprie del Sud America, le altre sono qua e là disperse in un area limitata fra te Isole Filippine, la Penisola Malese e la Nuova Zelanda, o meglio l'Australia, la Nuova Caledonia e la Nuova Guinea sono la patria del maggior numero delle specie conosciute. i L'America meridionale possiede l’A. brasiliana che riveste fino a circa 1000 m. le montagne del Sud Brasile, e l'A. imbricata che occupa per una lunghezza di circa 250 km. i declivi meridionali delle Ande. L'Australia S-E è la patria dell'A. Biqwillî ed A. Cunninghami che si rinviene anche sul M. Arfak nella Nuova Guinea, la sola che fino ad oggi si conosce più settentrionale; le altre specie cioè: A. Balansae, A. montana e A. Rulei sono tutte proprie ai colli della Nuova Caledonia; una specie è limitata all’ Isola Norfolk, l'A. excelsa ed un’altra, 1A. Cook, che oltre ad abitare la Nuova Caledonia australe si spinge nell’arcipe- lago di quest’Isola all'Isola dei Pini ed alle Nuove Ebridi; la terra Kaiser William possiede la sola A. Hursteinii che sembra trovarsi anche nella nuova Guinea. Certamente ristretta è invero l’area di distribuzione delle Araucaria e ciò induce a pensare se non siano queste resto di una antica vege- tazione piuttosto che tipi di comparsa recente; .i loro resti sono stati rinvenuti nelle flore terziarie dell’ Europa, dell’Asia, dell’America del Nord: le traccie fogliari dell’A. imbricata e la forma esterna del tronco suggeriscono un confronto coni Lepidodendron ed a seconda degli stadi di sviluppo anche con alcune specie di SigiNaria; la struttura delle Araucaria e delle Agathis è simile, come sono pure a comune alcuni vari caratteri, e la struttura di queste, confrontata con quella di specie estinte, indusse alcuni paleontologi quali PENHALLOW !) recentemente, a ravvicinarle alla Cordaites se non derivate da queste; tutti conoscono 1) The Anatomy of the North American Coniferales, together with certain Esotic Species from Japan and Australasia. Americ. Natur. Vol. 38, 1904. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 149 quanto la filogenesi delle Gimnosperme sia di difficile risoluzione, i mol- tissimi studi paleontologici e la ricca bibliografia ne fanno fede; SE- WARD e Forp hanno largamente trattato tale argomento. Gen. Araucaria!) Juss 2). Juss. Gen. pl. p. 413 (1789); Rica. Conif. p. 153 (1826); Ant. Die Conif. p. 99 (1840); Endl. Syn. Conif. p. 184 (1847); Carr. Tr. gen. Conif. p. 13 (1855); Gorp. The Pinet. p. 21 (1858); Henk. u. Hocxs. Syn. Nadelhòlx. p. 2 (1865); ParL. id DC. Prodr. XVI, p. 369 (1868); Brocn. et GR. in Arch. Mus. Par. VII, p. 205 (1871); Bentx. et Hoor. Gen. pl. III, p. 337 (1880); Ercuner in P/lanzenf. II, abt. I, p. 67 (1887); Brissner. Handb. der Nadelhòlx. p. 199 (1891); Barron. Hist. d. pl. XII, p. 14 (1894); Sewarp and Forp. The Araucaria in Trans. of R. Soc. London, Ser. B. T. 198. p. 305 (1906). Domdeya Law. Dict. II, p. 301 (1786); Columbea vel Colymbea et Eutassa Saniss. in Linn. Trans. VIII, p. 315 (1807); 40 tingia Don in Loud. Hort. Brit. (1830); Eutacta et Araucaria Link in Linnaea, p. 543 (1841). Flores dioici, raro monoici. Flores masculi terminales vel laterales in ramulis brevissimis, amentiformes, solitarti vel raro gemini, basi foltis ri- gidis ovatis vel ovato-lanceolatis, acuminatis, ornati. Stamina plurima, axi inserta, imbricata, dense spiraliter conferta in appendicula plus minusve longa et coriacea, producta; microsporangia linearia vel subeylindracea compressa, 10-20, per rimam longitudinalem dehiscentia. Flores feminei terminales, globosi vel ovoidei, squamae plurimae spiraliter dispositae, dense imbricatae, cuneatae, late alatae vel apterae, apice incrassatae, tran- sversim plus minusve carinatae, medio appendiculatae, appendicula lon- giuscula, acuminata, recurva. Strobili magni, subglobosi vel ovati e squamis incrassatis, lignosis, densissime imbricatis plerisque sterilibus, secundo anno maturascentes. Semina in tegumento lignoso concreta: embryo cylindraceo in azi, albumine carnoso; cotyledones binae vel quaternae, cylindraceae hypogeae vel epigeae. Arbores excelsae, sempervirentes, ramosissimae, coma rotundata, saepius 1) Araucaria, nomen ab Araucanis incolis Chilenis. î 2?) Le diagnosi di alcune specie, in special modo quelle di Brogniart e Gris sono solo modificate quando l'esemplare posseduto permetteva una più giusta interpetrazione. 150 E. BARSALI pyramidata. Folia coriacea, subplana, linearia vel squamiformia, muero- nata interdum pungentia, uniformia vel difformia. Species 11 America austr., Australiae continentalis et insularum, Novae Guineae, Novae Caledoniae et Norfolk, incolae. Clavis sectionum. A. Strobili squamae apterae — Germinatione hypogea — Folia subplana vel ovata vel ? oblongo-lanceolata, homomorpha . . . . Sect. I. Colymbea Endl. B. Strobili squamae alatae — Germinatione epi- gea — Folia subplana, ovato-lanceolata vel squamiformia, heteromorpha in cadem specie . Sect. II. Eutacta Endl. Secr. I. — Colymbea Endl. Flores dioici raro monoici. Strobili magni, squamae apterae medio in- flatae appendiculatae; ligula plus minusve tegumento lignoso connata. Folia basi dilatata vel attenuata, imbricata vel subdisticha. Clavis specierum. A. Folia imbricata, ovato-lanceolata, basi dilatata, mucro- nata. Squamae utrinque converae apicem versus ap- planatae: appendicula 2-3 cm. longa; ligula parum MANIFESA TAO IA SN I AR IRORI CHA B. Folia oblongo-lanceolata, acutata, basi angustata: a) Squamae cuneato-inflatae, vertice incrassato trasverse carinato, medio in processum rigidum 3-4 mm. longum productae; ligula squamiforme acuta. Folia URI A O 5 e e A, asian b) Squamae latae, vertice late incrassato spongioso, medio appendiculato; ligula spongiosa, ovato-obtusa, parte inferiore connata. Folia subdisticha, oblique inserta. A. BiAwilli. A. imbricata Pav. — Tav. IV [I], fig. 5. A. imbricata Pav. in Mem. Acad. Madrit. I, p. 199 (1797); Am. Hort. Kew. ed. II, V, p. 412 (1813); Lam. Pin. ed. II, p. 74 (1828); Loup. Hort. Brit., p. 2432 (1830); For. Pin. Wobur., p. 163 (1839); Amm. Conif. p. 107 (1840); Ling in Linnaea XV, p. 542 (1847); EnpL. Conif., p. 186 (1847); Gav. Hist, de Chile V, p. 415 (1849); Carr. Tr. gen. Conif. cd. I, p. 416 STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. i 151 (1855); Gorp. The Pinet., p. 24 (1858); Suppl. p. 14 (1862); Hencx. u. HocKk. p.4 (1865); Part. in DC. Prodr., p. 370 (1868); ErcnLer in En- gler u. Prantl, abt. 1, p. 69 (1887); Briss. Handb. Nadelhòlz., p. 197 (1891); Sewarp and Forp Trans. R. Soc. London. T. 198, p. 305 (1906). Pinus Araucana Movina, Chil., p. 182 (1786); Dombeya chilensis Lam. En- cycl. Method., p. 301 (1786); Columbea quadrifaria Sans. in Linn. Trans. VII. p. 315 (1807); Abies Araucana Porr. Suppl. V, p. 35 (1817); Araucaria. chilensis MirBeL in Mem. Mus. XXVIII, p. 49 (1825); A. Dombeyi Ricz. Conif. p. 86 (1826); Colymbea imbricata CARR. Conif. ed. II, p. 568 (1867). Tcones: Lam. loc. cit., ed. II, t. 45; ed. III, t. 56-57; Loup. loc. cit., t. 2286- 2293; ForB. loc. cit., t. 35, 36; Anm. loc. cit., t. 48-50; Ricz. Conif. t. 20; Flor. d. Serres XV, t. 1577-1580; Gard. Chr., p. 1324 (1872) et p. 593 (1890), NeGER in Forsr. naturwiss. Zeit. VI, p. 416 (1897); Verrca. Manuale dei Conif., p. 193-196 (1888); Sewarp a. Forp, loc. cit. passim. Arbor dioica vel raro monoica, 40-50 m. alta, trunco cylindrico erecto, cortice rimoso-suberoso, foliis diu persistentibus, imbricatis patentibus lineis spiralibus ornato, inferne denudato, coma conico-pyramidata. Ramis 4-8 exacte verticillatis, primum erecto-patentibus demum horì- zontalibus subpendulis apice sursum recurvis, dense foliosis; ramulis op- positis adscendentibus usque ad basim foliosis. Folia coriacea 3-5 cm. longa et 10-25 mm. lata, patentia, rigida, îm- bricata, sessilia, ovato-lanceolata, basì dilatata, pungenti-acuta, margine cartilagineo subdiaphano; acumine rigido, fusco: juniora leviter convexula intus concaviuscula demum fere plana; omnia stomatibus seriatis conspersa utrinque facie. Flores masculi amentiformes, subeylindracei, solitarii in ramulis axil- laribus, erectì vel subpendulis 8-15 cm. lati: longi et 3-4cm. stamina imbricata 7-10 mm.longa superne leviter incrassata dein gradatim longe acuminata; acumine reflero usque ad 13 mm. longo medio 2 mm. lato: microsporangia 12-16 angusto-linearia 5-7 mm. longa, inferiora parum breviora adpresso- patentia. Strobili erecti solitari vel gemini, juvenes ovoideo-acuti 7-8 cm. longi, 4-7 cm. lati, squamis appendiculatis, appendicula patente: adulti subglobosi 15-20 cm. “ in diametro ,, squamae castaneae, obovato-oblongae, inflatae, in utraque facie converae, abrupte acuminatae, imbricatae 6-7 cm. longae 1,5-2 cm. latae; ligula 1-1,5 cm. longa 0,5 cm.lata per totam longitudinem concreta, margine denticulato; squamae steriles cuneato-spathulatae, coria- ceae, margine eroso-fimbriato. 152 E. BARSALI Semina oblonga, juvenes apice parum acuminata, matura mutica; al- bumen exalbidum exiccatione subcorneum; embryo axilis, erectus; cotyledones binae interdum ternae vel quaternae. Vulgo: Chili Pine, Pehuen. Habitat in montibus Chili australis ubi silvas vastas a FExsiccata '): esempl. ex herb. Jaquin, PorrescHLAZ, SeLLOWw (Hfm.W.); Valpa- raiso, GaupIcHAUD 1839, DomBry 1837, n. 939; Bahia, M. Blanchet 1857 (H. DC.); Cordillera de Banesterra (Pehuenchorum) Mars 1854, V. LecHLER pl. Chilensas n. 1376 (H. B-B.); esemplari diversi coltivati in Orti bota- nici sì rinvengono frequentemente negli erbari. Questa pianta maestosa ed imponente d’aspetto fu introdotta in Eu- ropa circa il 1795 ed in Italia coltivata fino dal 1822; in grazia della sua resistenza e rusticità si è estesa la sua cultura sia in Orti botanici sia in Parchi e Giardini; la più adulta per età in Europa (secondo WeIrcH l. c. pag. 198) sarebbe una di quelle portate da Menzies nel 1795 e da Banxs donate al Giardino di Kew; degli esemplari di mag- giori dimensioni sono da ricordarsi quelli a Pennandre presso Brest. Gli orticultori ne hanno fatte alcune varietà che non differiscono dal tipo che per la variegatura delle foglie o per le dimensioni minori di queste o per la maggior distanza dei verticilli dei rami, varietà quindi che hanno un semplice valore orticolo; è specie ben definita ed anche dagli individui giovani e dalle sole foglie è assai facile riconoscerla. A. brasiliana Rica. — Tav. IV [I], fig. 3, 4. A. brasiliana Rica. in Dict. class. Hist. nat. I, p. 512 (1822); Rappr in Atti R. Accad. Georgof. I, p. 185 (1824); Lam. Pin. ed. II, p. 79 et ed. III, 1) Le collezioni che ho potuto esaminare si trovano citate con abbreviature e corrispondono come appresso: H. B. = Herbar. Boissier. H.B-B. = » Barbey-Boissier. HNBecae—_ o Beccari. leben =» Horti Bot. Berolinensis. Ri lto = 0 Centrale M. Florentini. HSCIMA— 605 Mus. Colonial de Marseille. H.D. =. UD Delessert. ELIO = De Candolle. IETRgIo = Lenormand. H. M. == » Martelli. 180 12; = Mus. Pisani. H.V. = » Vieillard. H.W. =D Webb. Mus. Florentini. Hfm.W. =K.K. Naturhist. Hofmuseum Wien. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 153 p. 100 (1824-1828); Loud. Hort. brit. IV, p. 2439 (1830); Fors. Pinet. Wob. p. 161 (1839); Anr. Conif. p. 111 (1840); Link in Linnaea XV, p. 543 (1841); Enpr. Sym. Conif. p.:185 (1847); Carr. Tr. gen. Conif. p. 415 (1855); Gorp. The Pinet. p. 23 (1858); ParL. in Bull. Soc. bot. de France, p. 84 (1861); Henck. et Hocus. NadeMòlx. p. 2 (1865); Mart. Fl. brasil. p. 426 (1852-1863); Parn. in DC. Prodr. XVI, p. 370 (1868). SewaArD a. Forp l. c. passim; Colymbea angustifolia Bert. Piante del Bra- Sile p. 7 (1820) et in Opusc. scient. Bologna 3, p. 411; ©. brasiliensis- Carr. 7. gen. Conif. ed. II (1867); Pinus dioica Vern. FI. fl. X, (1825); Araucaria Ridolfiana Savi fil. in Atti 3.* riunione sc. ital. in Firenze p. 458 et 783 (1841) et in Giorn. agrar. toscano, XVI, p. 214 (1841) et in Giorn. bot. ital. II, p. 52 (1846); RipoLri, Album di Ribbiani; A. Lin- dleyana Van Hourr Cat.; A. Saviana Part. in Bull. Soc. bot. de France, VIII, p. 89 (1861) et A. brasiliensis b. Saviana Part. in DC. Prodr. p. 371 (1868). Icones: Law. loc. cit. ed. IT, t. 46, 46 bis et ed. IIT, t. 58-60; Vunu. loc. cit. t. 55-56; For. loc. cit. t. 53-54; Anm. loc. cit. t. 51-53; MarmIus FI. bras. t. 110-112; Flor. des Serr. t. 2202 (1875); Gard. Chr. p. 775 (1888); Karsren u. Scuenck « Vegetationsbilder » t. 6 (1903); SewarD a. Forp loc. cit. p. 324, 359. Arbor dioica rarissime monoica, 30-40 m. alta, trunco denudato, cy- lindrico: cortice fusco-cinereo rimulis transversis insertione foliorum re- spondentibus fissurisque longitudinalibus latiusculis prominentibus, suberosis, ornato: coma conica obtusa, rotundata; in junioribus caule foliis refleris vestito, coma pyramidata. Ramis 5-8 verticillatis horizontalibus, denudatis, inferioribus subpen- dulis sursum adscendentibus: ramulis in apicem confertis, ramosis usque ad basim foliesis. Folia coriacea, patentia, caulina retrorsum imbricata; in ramulis oblique inserta, 3-5 cm. longa et 6-12 mm. lata, lanceolato-attenuata, mu- cronata, mucrone brevi, acuto, leviter supra concaviuscula subtus converula: costa laterali dorso vix prominente: utrinque stomatibus albis seriatis con- spersa, saepe, maximeque juniora, subtus glaucescentia. Flores masculi amentiformes cylindracei, obtusi, 10-18 cm. longi, 12- 25 mm. lati terminales in ramulis brevibus, solitariî vel geminati, erecti aut vix curvati: stamina crebre imbricata 8-10 mm. longa, apice incras- sato subrhomboideo, sursum curvato, obtuso acuminato, margine subintegro : microsporangia 10-12, parallela, linearia, 6-8 mm. longa. Strobili erecti; juvones 6-8 cm. longi et 4-5 cm. lati ovoideo-elliptici, 154 È. BARSALI virides, basi foliis rigidis involucrati, squamae cum appendicula valde reflecra; adulti magni, ovato-subglobosi 18-20 cm. longi et 10-15 cm. lati, castaneo-brunnei: squamae ovoideo-oblongae, inflatae, basì angustatae, apice incrassato rhomboideo, transverse carinato, medio appendiculato: appendi- cula 4-6 mm. longa, lineari lanceolata; basi reflera acuta: ligula în an- teriore facie vix distincta, cuneata superne breviter disjuncta. Squamae plurimae steriles, spathulatae, angulosae ob pressionem squamarum: fer- tilium. Semen ovoideo-oblongum, 2-3 cm. longum, albumen albidum, carnosum exsiccato subcorneum; embryo axilis, cylindrico, cotyledones binae. Vulgo: Pinheiro branco, Pinheiro brazilico vel Curi, Curi-y, Curi-tiva. Habitat: in Brasiliae montibus circa Rio Janeiro ubì primum Banks legit, provinciis Minas Geraes et S. Paulo et terris interjacentibus silvas vastas efformans. Exsiccata: esempl. cult. ex Jardin de Plantes; ex horto Bibbiani (sub. A. Ridolfiana), GAuDIcHAUD in Brasilia dedit Duranpo (H. P.); RappI in Bra- silia, ex horto Bibbiani, ex horto Pisano (sub A. Saviana) (H. C. F.); GaupiczaUD Rio Janeiro (H. Wb.); TrereMIN in Brasilia 1819 (HE. DC.); SeLLow in Brasilia et in prov. de Rio Janeiro (H. D.); CAsARETTO in hort. bot. Rio Janeiro n. 1468, Pont in Brasilia n. 3872; AurRraN, cult. Buenos Ajres 1902, BarBEy in horto Neapolitano 1901 (H. B-B.); exempl ex herb. Jacquin, PorrenscHLAZ, SeLLow n. 3155 (Hfm. W.); A. F. REGNELL prov. Minas Geraes in Brasilia 1855, n. 416 4/, (sub A. imbricata), esempl. ex herb. Braun, SeLLow, Kunra, Link, ex horto Neapolitano; GaupIcHAT Rio Janeiro 1841 (H. Ber.). B. gracilis Carr. — A. brasiliensis gracilis Carr. ed. I, p. 415; A. gracilis Horr. excl. A. elegans Horr., A. gracilis Van HourtE. Foliis confertissimis angustis 4-5 cm. longis 3-4 mm. latis, lineari’ lanceolatis, glaucescentibus. In Brasilia an cum typo? Exsiccata: culta in horto Florentino 1860, in horto Demidoff 1866; (H.C.F.) et exempl. RrepeL 1848 ad Rio Yan lect. (H. L.) forte ad hane varietatem adscribere possumus. Questa pianta fu introdotta in Europa circa il 1817, la sua rusti- cità e resistenza hanno fatto sì che la coltivazione si sia assai estesa specialmente negli Orti botanici in molti dei quali fiorisce e fruttifica STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 155 copiosamente. È specie ben caratterizzata e difficile a confondersi, anche se giovane, con altre. PARLATORE descrisse prima una A. Saviana coltivata nell’Orto Pisano successivamente, nel Prodromo di DC., la riportò come semplice varietà dell'A. brasiliana, ritengo, per gli esemplari che ho esaminati, non essere altro che la vera A. brasiliana, forse una forma di cultura, e che la indicazione della provenienza (Bolivia) debba ascriversi forse a dono o cambio di semi ricevuti da qualche coltiva- tore, se non anche nella Bolivia stessa coltivata, dalla specie non diffe- rendo che per la gracilità dei fillomi e per l’appendicula delle squame giovani, più fine e poco più lunga, sarebbe forse da riportarsi alla var. gracilis CARR. Spesso si rinvengono nei Musei botanici coni senza indicazione di provenienza come p. es. al Museo Boemico di Praga. La fig. 4 della Tav. IV [I] rappresenta una squama sterile. A. Bidwilli Hoor. — Tav. IV [I], fig. 6. A. Bidwilli Hoox. Lond. Journ. of Bot. II, p. 498, 503 (1843); Ant. Conif. p. 106 (1840-1847); Enpx. Sym. Conif. 187 (1847); Carr. Tr. gen. Conif. p. 418 (1855); Gorp. The Pinet. p. 22 (1858); Hun. Catal. Prod. of Queensland p. 15 (1862); Henk. u. Hocrs. p. 8 (1865); Parr. in DO. Prodr. XVI, p. 371 (1868); Benta. Fl. austr. VI, p. 243 (1873); SewARD and Forp The Araucarieae, passim (1906); Colymbea Bidwilli Carr. Tr. gen. Conif. ed. II, p. 601 (1867). Icones: Ant. loc. cit. t. 46-47; Hook. loc. cit., t. 18-19; Journ. Hort. Soc. V, p. 220; Sewarp and Forp, loc. cit., passim. Arbor ercelsa 40-50 m. alta, trunco cylindrico erecto, cortice squamoso suberoso, fusco; ramis inferioribus orbato; junior foliis patentibus acutis ornato, coma conico-pyramidata. Ramis 6-12 verticillatis, foliosis, inferne denudatis, adscendentibus, ramulis oppositis patentibus dense foliosis. . Folia lateraliter disposita, subdisticha, ovato-lanceolata, pungenti-acu- minata, în ramulis florigeris subîmbricata, glabra, 3-6 cm. longa, 5-8 mm. lata, sopra converula fusco-viridia, nitida; subtus concaviuscula viridia, costa non manifesta; suprema ovato-acuta, rigide acuminata, subcarinata, approximata, 5-10 mm. longa, 2-6 mm. lata; omnia utrinque stomatibus seriebus conspersa, oblique inserta, area basilari subrhombea. Elores masculi amentiformes 14-16 cm. longi et 12-15 mm. lati, ter- minales in ramulis brevissimis, foliis rigidis ovato-acuminatis, basi ornati: 156 E. BARSALI stamina imbricata, apice ovato acutiusculo, margine subdenticulato 4 mm. circiter longa: microsporangia 6 v. plures, lincaria 3 mm. cìrciter Tonga, inferiora parum breviora. Strobili, juvenes ovoidei, squamae în appendicem rigidam, acutam pa- rum reflecam, productae; adulti magni, subglobosi 25-30 cm. “ in diame- tro, subpenduli: squamae copiosae 4-5 ent. longae et 3-4 cm. lalae, laxe imbricatae, rugosae, vertice incrassato, nitido, rugoso în acumine valido, reflexo, attenuatae: ligula spongiosa, ovato-acuta 1 cm. circiter longa et me- dio 1 cm. circiter lata, tertio superiore libera. Semen obovatum 3-4 cm. longum et 2 cm. latum, albumen albidum; edule. Vulgo: Bunya-Bunya, Banza-tunza, Banya-tunya. Habitat în Novae Hollandiae orientalis in montibus Brisbane et circa sinum Moreton; Brisbane N. W. of Moreton bay (Binwini); between Cle- veland and Rockingham bays (W. Hun); Candemine, Dauson and Burnett rivers (Leichhardt). Exsiccata: esempl. cult. (H. P.; H. C. F); New South Wales, exped. de la Novara Dott. Scawarz (Hfm. W.); Ost-Australien leg. L. Drens: Reise im Auftr. der Humboldt-Stiftung, 3 mai 1902, n. 8224 (H. Ber.) spesso si rinvengono negli erbari e Musei rami o strobili provenienti da orti bo- tanici e spesso anche senza alcuna indicazione, così al Museo botanico dell’ Universita di Vienna ed a Praga al Museo Boemico. Questa specie fu scoperta nel 1843 da J. T. Bipwixt ed a questo da Hooker dedicata; fu introdotta in Europa circa il 1849 e la rapidità di accrescimento e la sua discreta resistenza hanno fatto sì che la col- tivazione si è assai diffusa nell’ Europa meridionale; è ben differenziata dalle altre specie, anche dai soli rami per la disposizione dei fillomi può facilmente esser determinata, le squame sono le più grandi che si conoscano in tutto il genere Araucaria, ed impossibile quindi anche per la forma esser confuse con quelle di specie prossime. Sect. II. — Eutacta Endl. Flores dioici, masculi terminales; strobili squamae late alatae, ap- pendiculatae : ligula sacpius triangulari, vix apice libera. Folia subdisticha, vel spiraliter disposita, ovata vel ovato-lanceolata, squamiformia vel com- presso-tetragona, plus minusve laxe imbricata, heteromorpha. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 157 Clavis specierum. A. Folia oblongo-lanceolata, subdisticha basi vix atte- nuata. Squamae alatae, obovato-cuneatae, vertice su- beroso appendiculato: ligula indistincta . . . . A. Hunsteinil. B. Folia ovata, ovato-lanceolata vel obtusa, squamiformia vel compresso-tetragona, arcuata: a. Folia ovata, ovato-lanceolata plusminusve carinata : I. Folia ovata, 3 cm. longa, subplana: Squamae obovato-cuneatae, vertice coriaceo, appendicula 1 cm. longa: ligula triangularò acuta . . . . A. Muelleri. II. Folia ovato-obtusa 10-14 cm. longa, debile prui- nosa. Squamae obovato-rotundatae, vertice coria- ceo, appendicula 9 mm. longa: ligula triangu- lari-acuta vix apice libera . . . . +... A. montana. III. Folîa ovato-lanceolata 1-2 cm. longa, arcuata, pruinosa juniora et vetustiora compresso-tetra- gona. Squamae cuneatae, appendicula lanceola- to-subulata 2 cm. longa: ligula triangulari, basi dll ee eee A Rule: b. Folia squamiformia vel subulata, sublinearia et com- presso-tetragona : I. Folia in ramulis juventute compresso-tetragona, in adultis squamiformia. 1. Foliu adulta squamiformia 5-6 mm. longa ova- to-rotundata. Squamae ovato-cuneatae: ligula triangulari vix apice libera. . . . . . A. Cookii. 2. Folia adultu ovato-lanceolata 4-5 mm. longa, arcuata. Squamae cuneato-subobovatae, mani- feste carinatae: ligula semilibera . . . .A. excelsa. II. Folia semper squamiformia vel compresso tetra- gona: 1. Folia omnia compresso tetragona, acuta paten- tia vel sensim arcuata. Squamae cuneatae late alatae, appendicula mucroniforme: ligula, triangularì vic apice libera . . . . . . A. Cunninghami. 2. Folia omnia squamiformia 2-3 mm. longa, ovato-triangularia, arcuata. Squamae obovato Sc. Nat. Vol. XXV 11 158 F. BARSALI . cuneatae, vertice nitido: ligula triangulari vix I e 00 on o Ac alenene, A. Hunsteini K. Scuuw. — Tav. IV [I], fig. S. A.Hunsteinti K. Scnum u. HoLs. in Wlor. Kuis. Willhelms Land p. 11 (1889) ; Scaux. u. Laurere, H. deutsch. Schutxgeb. Sidsee (1901). Icones: Warsure Monsunia, I, t. 10 f. B. Arbor magna. Folia sessilia 3-8 cm. longa 0.5-1.3 cm. lata, lineari-lanceolata vel ovato-lanceolata attenuato acuminata, pungenti-acuta, basi subangustata, plana, subcoriacea supra nitentia ecarinata, subtus opaca; lazius disposita, subdisticha, basi oblique inserta. Flores masculi amentiformes, cylindracei, longissimi, 20 cm. longi et 1 cm. lati, basi foltis parvis imbricatis, lanceolato-acutis, involucrati; stamina plurima, connettivo subulato vel lineari acuto, mucronato, margine minute serrulato, basi subdilatata, lateribus în appendiculam deorsum incurvatam desinente, filamento duplo longiore; microsporangia cèrciter 10 mm. li- nearia, minuta, squarrosa. Strobili depresso-globosi 6 cm. longi et 7-5 cm. in diametro, basi foltis lanceolato-acutis, 3-4 cm. longis involucrati; squamae obovato-cuneatae 3-3,5 cm. longae, 4-4,5 cm. latae, medio inflatae parte superiore converae sube- rosae în appendiculam rectam, planam, subulatam, acutam medio productae, lateraliter in alam fragilem fulvo-brunneam latam espanzae. Habitat in Kaiser Wilhelms Lands leg. HuNsTEIN. Exsiccata: Oberhalbe-Butaueng. Kaiser Wilhelms Land, leg. Hunsrem (H. Ber.). Specie raccolta da HunstEIN ed a questo da ScHuUMANN dedicata; le foglie sono assai simili a quelle dell'A. Bid:cili ed è per questo che ho creduto di tenerla prossima alla Sect. Colymbea, mentre le squame sono perfettamente quelle della ,Sect. Eutacta; e così i fiori maschili riuniti in amento assai piccolo e allungato si possono rassomigliare a quelli della A. Bidwilli benchè la prossima A. Muelleri: pure porti in- fiorescenze maschili molto allungate, ma di maggior diametro. KARNBACH sembra che abbia riscontrato questa specie, in begli esemplari, presso Memmeng nella Nuova Guinea, sarebbe la seconda specie che abita STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 159 questa terra. La figura della squama riportata nella tav. IV [I], fig. 8 è un poco differente da quella data da WarBURG ed è stata copiata da un esemplare gentilmente ricevuto dal Museo di Berlino. A. Muelleri Carr. — Tav. IV [I], fig. 12, 13. A. Muelleri Carr. Rev. Hort. p. 392 (1866) et 7. gen. Conif. ed. II p. 607 (1867) sub Eutacta; Brogn. et Gris in Bull. Soc. bot. France XVIII, p. 139 (1871); Id. in Ann. des Sc. nat. Ser. 5 XIII, p. 351 (1871); Id. in Nuov. Arch. Mus. Nat. Hist. VII p. (1871); A Rule var. grandifolia MueLu. mss. in herb. Mus. Paris. Icones: Carr. Rev. hort. p. 392 f. 3; Brocn. et Gris. ‘Nuov. Arch. VII, t. 16. Arbor magna 15-20 m. alta, trunco erecto. Ramis wverticillatis, pa- tentibus, ramulis dense foliosis, valde longis. Folia sessilia, ovata 3-4 cm. longa, 1.5-2 cm. lata, coriacea, imbricata, subplana, dorso plus minusve carinata, subtiliter striatula, apice obtusa, stomatibus multiseriatis undique conspersa. Flores masculi amentiformes, cylindrico conici, magni 20-25 cm. longi et 3-4 cm. lati, basi foliis bracteiformis concavis, arcuatis, dorso carinatis, inferioribus apice incrassato, obtusiusculo, incurvis, superioribus basi dila- tatis, apicem versus angustato-subulatis, involucrati; stamina imbricata, 7-8 mm. longa, 5 mm. circiter superne lata, ovato-acuta; apice obtuso, incrassato, medio carinato, margine subintegro; microsporangia circiter 20, inaequi- longa, pluriseriata, fere patentia, alia filamento contigui concava vel apice incurvo cucullata vel etiam uncinato reflexa. Strobili ovoideo-oblongi, 14 cm. longi, 8-9 cm. lati ; squamae obovato- cuneatae 3-4 cm. longae fere aequaliter latae, medio inflatae, basi an- gustatae; apice coriaceo, externe convero in appendicem rectam, planam, Subulato-acutam 10-12 mm. longam sensim productae; lateraliter in alam scariosam, fragilem, fulvam 1 cm. latam expansae; ligula' triangulari- acuta, apice tantum libera, margine subtiliter fimbriata. Semen oblongum, albumen albidum. Habitat in Nova Caledonia in apicem montium, BALANSA a N. E della Baia di Prony n. 188 leg.; PANCHER in monte Cougui 1871. Exsiccata: Nell’erbario del Mus. Col. di Marseille esiste un ramo di questa specie con la semplice indicazione « Nouvelle Caledonie» e due coni si trovano nel Museo di Firenze senza alcuna indicazione, 160 3 H. BARSALI Pianta maestosa che può rassomigliarsi all’A. èmbricata dalla quale però differisce oltre che per le squame, anche per le foglie assai più densamente imbricate, concave nella parte dorsale, con apice ottuso e meno rigide. Le fig. sono tolte dall’opera di Brogn. et GrRIs, loc. cit., debolmente modificate sull’esemplare di Firenze. A. montana Brogn. ot Gris. A. montana Broen. et Gris in Bull. Soc. bot. de France, XVIII p. 136 (1871); Id. in Ann. des Sc. nat. Ser. 5, XIII p. 358 (1871); Id. Nuov. Arch. Mus. Nat. Hist. VII p. 215 (1871). Icones: Brocn. et Gris. Nouv. Arch. t. 14, f. 1-3. Arbor excelsa 20-30 m. alta, trunco cylindrico erecto, suberoso. Ramis horizontalibus erecto-patentibus, verticillatis, ramulis distichis dense foliosis. Folia adulta imbricata, squamiformia 10-18 mm. longa, 6-8 mm. lata, ovato-obtusa, arcuata, apice interne reflexo, plus minusve carinata, medio costa dorsali vix prominente notata, basi obliqua subrhomboidali inserta, stomatibus multiseriatis conspersa; folia in apicibus ramulorum in squa- mis brevibus, ovatis, reducta, omnia plus minusve pruinosa. Flores masculi amentiformes 8-9 cm. longi et 8 cm. circiter lati, basi bracteis oblongo lanceolatis 1 |, cm. longis, 5 mm. latis involucrati, su- perioribus rotundato-dilatatis, versus apicem angustato-subulatis; stamina imbricata 6-7 mm. longa, connectivo 4-5 mm. lato in apice ovato-acuto, margine subtilissime fimbriato; microsporangia 12, triseriata, patentia subu- lata, interiora tantum concava apice paulum cucullata. Strobili ovoidei 10-12 cm. longi, 8 cm. lati în ramulis rigidis ar- cuatis 6-7 cm. longis, foliis squamiformibus subconformibus obtectis ; squa- mae obovato-rotundatae 2-8 cm. longae et circiter latae, medio inflatae, apice coriaceo, semi-rotundato, externe convero, nitido in appendiculam 9 mm. lorgam, rigidam, rectam, pungentem productae, lateraliter în alam scariosam, fulvam 5-6 mm. latam expansae; ligula triangulari, apice tantum libera, margine subtiliter fimbriata. Semen ? Habitat în Nova Caledonia in cacwmnine montis Mi altitud. 1000 m.; in montibus ferrugineis inter Couacua et Kanala altit. 900 m. leg. BA- LANSA n. 2512. Exsiccata: Nouvel. Caledonie, senza altra indicazione è un ramo sterile in herb. di Marseille (sub. A. Balarsae). STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 161 19 specie che si avvicina assai alla A. Cooki var. luxurians, ma anche la forma e la disposizione delle foglie abbastanza bene la carat- terizzano; la descrizione data da BRoGNIART e Gris è quasi simile alla surriportata. A. Rulei F. Mirrer. — Tav. IV [I], fig. 14, 15. A. Rulei F. Micrer pl. essic. Linpr. in Gard. Chron. n. 39 p. 868 (1861); Gorn. The Pinet. Suppl. p. 15 (1862); Henk u. Hocas Nadelholx. p. 7 (1865); Carr. Tr. g6n. Conif. Ed. II p. 605 (1867); Part. in DC. Prodr. XVI, p. 371 (1868); Brocn. et Gris. Bull. Soc. bot. de France XVIII: (1871); Id. Ann. des Sc. nat. Ser. 5, XIII p. 360 (1870-72); Id. Nouv. Arch. Mus. Nat. Hist. VII, (1871); Sewarp and Forp in Trans. R. Soc. 198 p. 328 (1906); Eutacta Rulei VerLor Rev. hort. p. 279 (1866) ; E. Rulei polymorpha Carr. in Rev. hort.-p. 350 et E. Rulei mycrophyMa loc. cit. 392 (1866); A. intermedia PancHER mss. et A. intermedia Viemu. Ann. des Se. nat. Ser. 4, XVI, p. 55 et A. subulata Viet. loc. cit. (1862). Icones: Carr. Rev. hort., loc. cit. ; 1’ Illust. hort. XXII t. 204; Brogn. et Gris Nouv. Arch. t. 15. Arbor 15-20 m. alta, trunco vetusto denudato, rimuloso subfusco, coma lata valde rotundata. Ramis regulariter verticillatis, distantibus, primum, per totam longitudinem foliosis in apicem sursum recurvis, dein paullatim denudatis, horinzontalibus. Folia coriacea sessilia, heteromorpha: caulina et in ramulis vetustio- ribus mucronato-pungentia, arcuata rigida 1.3-2 cm. longa et 2-3 mm. lata; in ramulis spiraliter disposita, dense imbricata 12-18 mm. longa et 7-10 mm. lata, adpresso incurva, ovato-lanceolata coriacea, intus concava, dorso costa saepius laterali, notata; stomatibus multiseriatis conspersa; in plantis jumioribus omnia arcuata, compresso-tetragona, pungenti. Flores masculi amentiformes, 10-15 cm. longi, 3-4 cm. lati, obtuso-oblongi, terminales in ramulis brevibus, basi bracteis triangulari lanceolatis, con- vexis carinatis, superioribus versus apicem angustato-subulatis, involucrati ; stamina imbricata, 7-9 mm. larga, £ mm. lata, apice late ianceolato-acu- minato, coriaceo, dorso plano, margine subtiliter denticulato, subpungente, nitido ; microsporangia 15, triseriata, 6-7 mm. longa, patenti-acuta, inte- riore filamento contigui, apice paulum cucullata. Strobili ovoiîdei, 7-10 cm. longi, 6-7 cm. lati, appendicibus coriaceis subulatis, nitidis adscendentibus coronati, in ramulis 5-6 cm. longis foliis 162 E. BARSALI imbricatis, incurvatis, triangulari-lanceolatis, nitidis, intus seriatim albo- puntulatis. Squamae ovoideo-cuneatae 3-3 *| cm. longae, medio inflatae superne coriaceae, transverse rotundato carinatae appendiculatae, appendi- cula 2 cm. longa, lanceolato-subulata, rigida; utrinque latera, in alam 4 mm. latam, scariosam, fulvam, fragilem ornatac: ligula triangulari mar- gine subtiliter fimbriata, vix apice libera. Semen ovoideo, album albidum, embryo cylindrico axilis. Vulgo: Pin condélabra. Habitat in Nova Caledonia prope Kanala in montibus ferrugineis (Pancher 1858; Vieill. n. 1876; Balansa n. 2513). Exsiccata: Nova Caledonia montag. ferrugin. PancHER 1867; in Nova Caledonia, Duncan (H. C. F.); New Caledonien F. MueLLer, 1863 (H. DC.), mon- tagne à 16 km. environ de Kanala, cote Est 1889, E. Hecxet (H. 0. M.); Neu Caledonie, Serpentin Berge der Baje Langier, A. Grunow (Afm. W.) (sub A. subulata Virinn.); Nova Caledonia, M. Baransa 1868-70, n. 2513 (H. Ber.); Kanala, 1861-67, VirinLaro n. 1276 (H. L.); montagnes feru- gineuses de Kanala, n. 1276 (H. V.) et n, 1278, 1279 sub. A. intermedia PancH. in herb. VieitLarRD ad hanc speciem pertinent. B. patens. — Ramuli erecto-patentes, 14-25 cm. longi, sudistichi. Folia obscure-viridia, patentia 10-14 mm. longa, 4-5 mm. lata, ovato-lanceolata, apice obtuso, nitida, stomatibus seriatis conspersa. Ad hanc varietatem refero exemplarem cultum in hort. bot. Sydney et exempl. coll. in montibus Novae Caled. PancHeR 1867 (H. C. El.). |. pendula. — A. Cookii pendula. Hort. Ramuli horizontales, distichi subpenduli, 20 cm. circiter longi, 1-5 cm. lati. Folia sessilia laxe imbri- cata 5-8 mm. longa, fere 2 mm. lata, subtrigona, vetusta subtetragona, arcuato-incurva, apice obtuso. Forsitan ad hanc varietatem pertinet A. subulata ViriLL. ex p. in vallis prope Kanala; et planta culta in hort. bot. Sydney. Questa specie, scoperta dal Duncan raccoglitore di J. Rune di Mel- bourne fu introdotta in Europa circa il 1862: è assai eterofilla; le foglie delle giovani piante possono rassomigliarsi a quelle delle A. excelsa, A. Cookiù e A. Cumninghami mentre nella pianta adulta ed anche nei giovani rami sono bene differenziate e ben distinte dalle altre specie prossime, così però quelle dei rami secondari più adulti passano gra- STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 163 datamente ad una forma subtetragona tornando a rassomigliare quelle delle giovani piante. È quindi assai difficile da rami di giovani piante poter sicuramente dedurre la specie almeno che della stessa non si posseggano fiori e coni. Le varietà che ho creduto di tenere distinte dal tipo, e che possiedo nella mia collezione, sono provenienti da cultura dell'Orto botanico di Sydney, ma prive di fiori; quindi potranno in se- guito essere riportate ad altra specie qualora si posseggano questi. A. Cookii R. Br. — Tav. IV [I], fig. 1,2. A. Cookii R. Brown ex Don in Linn. Trans. XVII, p. 164, (1841); Enpn. Syn. Conîf., p. 188 (1847); LinpLry in Journ. Hort. Soc., p. 267 (1851); Carr. 7. gen. Conif. ed. I, p. 421 (1855); Gorn. The Pinet., p. 27 (1858); VierLarD in Ann. Sc. nat. Ser. 4, XVI, p. 55 (1862); Hencx. et HocHs. Nadelholx., p. 12 (1865); Part. in DC. Prodr., XVI, p.373 (1868); Brocw. et Gris in Bull. Soc. bot. de France, XVIII, p. 131 (1871); Id. Ann. Se. nat. Ser. 5, XIII, p. 352 (1870-72); Id. Nouv. Arch. Mus. nat. Hist. VII, (1871); Sewarp a. Forp. The Araue. loc. cit., passim (1906); Cupressus columnaris Forst. Fl. insul. austr., p. 351 ex p. (1786) et Lauz. Pin. ed. II, p.81 (1828) excl. pl. Norfolk. ; Araucaria columnaris Hoox. in Bot. Mag. Ser. 3, VIII (1852); A. intermedia et A. subulata Viemnn. loc. cit. ex p.; Eutacta Cookii Carr. Tr. gen. Conif. ed II, p. 612 (var. ex p.) (1867). Icones: Lindley loc. cit., p. 268; LamB. loc. cit., t. 47 ex p. et ed. III, t. 54; Bot. Mag. loc. cit., t. 4635; Hoox. Journ. Bot. IV (1852); Broen. et Gris. Nouv. Arch. VII, t. 14; Flor. des Serres VII, t. 733, 734; Gard. Chr. p. 774-777 (1888) et p. 387 (1901); Sewarp a. Forp, loc. cit. passim. Arbor excelsa 50-60 m. alta, trunco erecto, foltis 10-25 mm. longis, . rigidis vestito; cortice brunneo, suberoso. Ramis sub-5 verticillatis, brevissimis, horizontalibus, ramulis brevibus distichis adscendentibus. Folia alterna, in arborum juventute subtetragona arcuato-acuminata, incurva, sessilia in apice obtusiuscula, 3 mm. longa vix 2 mm. lata. Ramuli strobiliflorì foliis ovato-triangularibus, apice in- curvis, basi dilatato-incrassata, ornati. Folia in ramulis, brevia squami- formia, ovato-rotundata vel ovato-acuta, intus concava dorso convexa, sub- carinata, nitida, utrinque stomatibus varie seriatis conspersa. Flores masculi terminales, conico-ovoidei 5-8 cm. longi, 1-1,5 cm. lati, basi foltis ovato-lanceolatis vel lanceolatis, imbricatis, involucrati ; stamina , dense imbricata in apice rubescentia, submembranacea ovata, subulata, 164 E. BARSALI margine scarioso fimbriato, 6-7 mm. longa basi 5 mm. lata: microspo= rangia 10, triseriata, plerique patentia, linearia, apice paulum cucullata. Strobili ovoideo-obtusi in ramulis brevibus, 10-15 cm. longi, 6-8 em. lati primum fuscovirides demum fuscescentes; squamae imbricatae, primum lanceolatae dein obovato-cuneatae, 2-3 cm. longae lataeque, medio inflatae parte superiore coriacea diaphana, semirotundata sensim în appendiculam 5-6 mm. longam lanceolatam, reflexam, productae lateraliter; in alam ful- vo-brunneam, fragilem scariosam exspansae; ligula triangulari-obtusa, mar- gine fimbriata, apice tantum libera. Semen ovoideo-oblongum, 1-1,5 cm. longum, basi attenuatum: albumen albidum; enbryo axilis, cotyledenes quaternae. Habitat in Nova Caledonia australi nec non in insula Pinorum. PancHER loco dicto “ Port boisé ,, Vieillard in oris sinu Io, n. 1279 (ex Parlatore); Balansa circa Kanala prope pagos n. 2509; circa pagum Nekou dictum n. 2509; ad rupinas insulae Lifu prope Chepenche n. 25098; prope ostium rivi Nera “ Roche-Percée ,, vocato (ex BROGN. et GRIS, l. c.). Exsiccata: Ile des Pins, ViriLLARD, n. 1279 (H. C. FI.); St. Louis presso Noumea, Perert 1908 (H. M.); dans les îlots environnant 1’ île des Pins au S. 0 de la Nouv. Caledonie, HrcxeL 1889 (H. C. M.); iles des Pins n. 54 (H. L.); ibid. 1860-67, n. 1278-1279 ex p. (H. V.); Neu Caledonien, F. MvrLLer 1863 (H. DC.); Nouvel. Caledon. (Ihio) A. Grunow 1889; M. Baransa 1868-1870, n. 2509 (H. Ber.) esempl. cult. in Madeira J. Borx- miLLeR (Hfm. W.); ed un cono intero senza alcuna indicazione di località si trova al Museo Boemico di Praga. B. luxurians Broen. et GRIS loc. cit. Folia majora 8-9 mm. lata ovato-rotundata, adpresso-imbricata. Flores masculi 12 cm. longi, arcuati, stamina quoque magjora. Habitat in Nova Caledonia prope Kanala cum typo et ad oris To ad rupes prope Bouremére (ex Broan. et GRIS, loc. cit.). Varietas valde affinis ad formam typicam et connexam saepe formis in- termediis. Il capitano J. Cook navigando con la Resolution nel settembre 1774 nell’Arcipelago della Nuova Caledonia rinvenne questa pianta che R. Brown dal suo scopritore la designò col nome di A. Cooktà. Sembra introdotta in Europa circa il 1851 solo a scopo orticolo STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 165: data la eleganza della sua forma nello stato giovane, per ornamento delle serre o degli appartamenti. È un albero che nel luogo nativo rag- | giunge grandi dimensioni, con rami brevi, eretti ed appressati al tronco tanto che fu rassomigliata a grandi colonne di basalto e Moore scri- vendo a LinpLèy la comparava ad un alto camino di fabbrica; a causa di tale portamento Forster la designò col nome di Cupressus columnaris confondendo però con questa il Pino dell’isola di Norfolk; Hooker dette la prima assai esatta descrizione della pianta e per primo notò il dimorfismo delle foglie, dimorfismo che nella pianta giovane la fa ritenere come intermedia fra l'A. excelsa e lA. Cumninghami, in questo periodo infatti le foglie sono compresso-tetragone quasi lineari, lucenti, più sottili che nella prima e assai più imbricate, più lunghe e più ri- curve e meno acute che nella seconda; nei rami fertili poi assumono una forma ovato-arrotondata e talora quasi ovato-ellittica con apice ot- tuso, densamente imbricate. Per tale variabilità riesce impossibile poter determinare la specie dal possedere solo rami sterili e specialmente se di pianta giovane e sarà quindi sempre necessario avere unitamente rami fertili con fiori maschili e con coni bene sviluppati. La cultura di questa pianta si è assai diffusa specialmente per l'eleganza del suo portamento giovanile, ed alcuni orti botanici posseggono esemplari che raggiungono dimensioni notevoli e fruttificano, così p. es. ho ricevuto bellissimi saggi in varie età di sviluppo «da Buitenzorg, Sydney, Cape- town e Palermo. La fig. 1 è tolta dall’opera di BroenIaRT et GRIS (loc. cit.), la 2 .da un cono di pianta coltivata nell’ Orto botanico di Palermo. A. excelsa Br. — Tav. IV [I], fig. 7. A. excelsa Brown in Aim. Hort. Kew. ed. II, V, p. 412 (1813); Lams. Pin. ed. II, p. 81 et ed. III, p. 112 (1824-1828); Fors. Pin. Wobur. p. 153 (1839); Loup. Hort. britt. 2440 (1830); Ant. Conif., p. 99 (1840); Ewpr. Syn. Conif., p. 187 (1847); Carr. Conif., p. 420 (1855); Gord. Pin., p. 29 (1858); Henx. u. Hocusr. Nadelholz., p. 11 (1865); ParL. in DC. Prodr., XVI, p. 373 (1868); SewaArD a. Forn, The Araucarieae, passim (1906). Oupressus columnaris Forst. Fl. austr., n. 35 ex p. (1786); Eutassa he- terophylla SanisB. in Linn. Trans. Soc., VIII, p. 316 (1807); Dombeya excelsa LamB. Pin. ed. I, p. 87 (1824); Altingia excelsa Loup. Hort. britt. 406 (1830); Colymbea excelsa Serena. Syst. cur. post., p. 315 (1821); Eutacta excelsa Ling in Linnaea XV, p. 544 ex p. (1841); CARR. Conif. ed. II, p. 610 (1867). 166 E. BARSALI Icones: LamB., loc. cit., ed. II, t. 47 et 48 ex p. et ed. III, t. 61 et 62 ex p.; Fors. loc. cit., t. 50, 51; Loup., loc. cit.. f. 2297-2302; Anr., loc. cit., t. 38-42; Flor. des Serres, XXII, t. 2304-2305; SieBoLp 77. japorica, t. 139 (1870); Gard. Chr. (1881); Sewarp a. Forp, passim. Arbor magna usque ad 60 m. alta, trunco erecto, ramis inferioribus orbato, cortex cinereo-brunneus in laminas fissus secedens; coma conico- pyramidata. Ramis sub-5 verticillatis horizontalibus, primum sursum curvulis de- mum subpendulis, ramuli in apice distichis ; vetustioribus nudis, solum api- cem versus foliosis. Folia numerosa, 8-15 mm. longa, 1-2 mm. lata, rigida, patula, car- tilaginea, subulato-tetragona, falcata, mucronata, mucrone parum pungente. Folia vetustiora subremotiora basi rhombea, parva erecto-patentia. Folia ramulorum fertiliumm imbricata 3-5 mm. longa, 2-3 mm. lata, apice in- curvo, omnia extus nitida, stomatibus seriebus conspersa. Flores masculi amentiformes solitarii, terminales 4-4 ‘la cm. longi, oblongo-cylindracei, obtusi: stamina apice acutiuscula, margine denticulato- ciliolata, subnitida: microsporangia 10-12, linearia, curviuscula cylindrica vel mutua pressione angulata. Strobili ovoidei 12-14 cm. longi, 6-8 em. lati, fuscescentes, terminales in ramulis, foliis ovato-lanceolatis, acuminatis ornati: squamae cuneato- obovatae, 3!/2-£ cm. longae, subcompressae, utrinque dorso convexae, lignosae in apice transverse carinatae, medio in appendiculam productae; appen- dicula lineari-lanceolata, acuminata, sursum recurva; lateraliter in alam scariosam, fragilem, fulvam, margine undulatam, ornatae; ligula parva, lignosa, triangulari-acutiuscula, semilibera. Semen ovoideo-oblongum, albumen albidum, spongiosum: cotyledones quaternae, foliaceae, in apice rotundatae. Vulgo: Pin de Norfolk, Norfolk Pine, Mostan bay Pine. Habitat in insula Norfolk nec non scopulis minoribus adjacentibus. Exsiccata: exempl. ex N. S. Wales 1863; Melbourne, 1865; hort. bot. Nea- pol., t. 1862 (H. O. F1.); Colymbea aurosa? (South Sea) Coox, 1745 (H. DC.); cult. in hort. bot. Sydney leg. Maccrax (H. D.); Norfolk leg. KueeL; ex hort. bot. Sydney exped. Novara leg. Schwarz (Hfm. W.); exempl. ex herb. Ling, Kunta, Orro et cult. in horto Berolin. (H. Ber.). È questa una pianta fra le più belle e rimarchevoli per l’altezza che raggiunge e per l'eleganza del portamento con rami regolarmente STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 167 verticillati ed orizzontali e da giovani completamente rivestiti da foglie di un bel verde lucente. Sembra introdotta in Inghilterra circa il 1793 da dove poi si è diffusa in tutte le serre di Europa e, non sopportando basse temperature, solo in alcune località dell’Europa meridionale può vivere in piena aria; così a Palermo se ne possono ammirare esemplari bellissimi e DaveaU l’indica coltivata anche a Malta. La facilità con la quale si moltiplica ha permesso agli orticultori di diffonderla come pianta ornamentale d’appartamento per la forma, eleganza e delicatezza della sua fronda facendo anche alcune varietà e per la glaucescenza delle foglie e per la maggiore o minore robustezza di queste. È pure questa specie assai eterofilla e da giovane assai difficilmente si distingue dalle due specie prossime; benchè la disposizione delle foglie nei rami secondari ci possa essere assai di aiuto, i rami adulti e fioriferi sono ben differenziati e caratteristici per le piccole foglie ovato-lanceolate, densamente imbricate, lucenti con apice ricurvo, ed i fiori maschili ed i coni ci danno i necessari e sicuri caratteri diagnostici per distinguerla dalle specie precedenti; anche per questa pianta adunque per una esatta determinazione occorrono rami sterili e rami fertili. A. Cunninghami Arr. — Tav. IV [I], fig. 9. A. Cunninghami Arr. msc. ex Swerer Hort. brit., p. 475 (1827); FoRrBES Pinet. Voburn. (1839); Lamp. Pin. 333 (1837); Loup. Hort. brit., IV, 2443 et Suppl. 2603 (1838); Ant. Corif. p. 102 (1840-1847); EnpL. Comif., p. 187 (1847); Kwicat Syr. Conif., p. 44, (1850); Carr. Conif., p. 419 (1855); Gorn. The Pinet., p. 27 (1858); HirL Produce. of Queesland, p. 16 (1862); Henx. u. Hocus. Nadelhòltx., p. 9 (1867); Parn. in DO. Prodr., XVI, p.372 (1868); Benta. PI. Austr., VI, p. 243 (1873); SewARD a. Forp. The Araucarieae, passim (1906); Altingia Cunninghami Don in Loup. Hort. brét., p. 408 (1830); Eutassa Cunninghami Spaca. Hits. Veg. phaner. XI, p. 362 (1842); Eutacta Cunninghami Link in Linnaea, XV, p. 545 (1841); Carr. Conif., ed. II, p. 608 (1867); A. Beccari WarB. in Monsunia I (1900). Icones: Fors. loc. cit., t. 52; Lam. loc. cit., t. 96; Loup. loc. cit., t. 2303- 2305 et suppl. ii 2545; Ant. loc. cit., t. 43 et 44, f. 1; SieBorp a. Forp. loc. cit., passim; Gard. Chr., p. 684 (1888); Gartenflora, p. 568 (1888). Arbor excelsa 40-50 m. alta, 3-£ m. în “ diametro , elegans; trunco erecto cylindrico usque ad 15-18 m. ramis orbato, cortice primum griseo- 168 E. BARSALI brunnea, glabra, cicatricibus insertione foliorum conspersa dein fusco-cinna- momea in laminas irregulariter direpta: cona pyramidali. Ramis exacte sub-6 verticillatis, basi incrassatis, inferioribus hori- zontalibus subpendulisve, superioribus patentibus, apice adscendentibus, foltis per annos virentibus tota longitudine ornatis; ramulis alternis distichis, copiosis dense foliis vestitis. i Folia ramulorum sterilium numerosissima 1,5-2 cm. longa, 1-2 mm. lata, parva, rigida falcata longitudinaliter compressa vix quadrangula, rectiuscula, mucronato-pungentia supra fusco-viridia, nitidula, secta trans- versim figuram subrhomboideam ostendunt ; folia ramulorum fertilium laxe imbricata, incurva, lanceolata, acute-mucronata, dorso carinata et minus compressa: omnia stomatibus multiseriatis conspersa. Flores masculi amentiformes, terminales în ramulis, cylindracei 2-3 em. longi et 0,5-0,7 cm. lati, acutiusculi, basi foliis brevibus acutis invo- lucrati; stamina imbricata in apice ovata, margine vix denticulato-fimbriato microsparangia 10, 4-6 mm. longa, linearia. Strobili 8-10 cm, longi 6-7 em. lati ovato-elliptici, terminales, basi foliis ovato-lanceolatis, rigidis ornati; squamae cuneatae basi angustatae 1-2 cm. longae, 1-5 mm. latae; utrinque convezae, vertice rhombeo-obcom- presso, transverse medio leviter carinato, appendiculato; appendicula mucro- niforme 3-5 mm. longa lineari-lanceolata reflexa ; utrinque latera in alam scariosam membranaccam fragilem, fulvam, productae: ligula parva, lon- gitudinaliter adnata apice libera, erecta mucronatula, margine ciliolato fimbriata. Embryo... Vulgo: Moreton Bay Pine Hort. Angl. Habitat in Australiae orientali in sinu Moreton ed ad fluvium prope Brisbane nec non in Nova Guinea in monte Arfak (Beccari). Exsiccata: Clarcace River in Nov. Holland. orientali; Eastern subtropical Au- stralia, leg. Moore; Rokhampton in Nov. Holland. ; Brisbane River in Nov. Holland. orient., 1856; et cult. in hort. Calcutten., Neapolit., Pisan. (H. C. F1.); Jard. bot. e virens de Saharampore 1845, leg. Leman (H., B-B); New Caledonia ex h. b. Sydney expedit. Novara; prope Brisbane river Au- traliae, leg. Amarta Dierricx (Hfm. W.); Ost-Australien, Queensland, n. 8235, leg. DreLs, Reise im Auftrag der Humboldt-Sift., n. 8224, 4 maj 1902; exempl. ex hort. bot. Calcutt. et Monacensis et ex herb. KuntH (H. Ber.); Nova Guinea in Mont. Arfak (900-1200 m.) leg. E. BEccarI (H. Brcc.). STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 169 B. longifolia ENDL. loc. cit. Part. in DC. Prodr. p. 373; Amm. loc. cit. t. 44 f. 2; CARR., loc. cit. p. 419 et ed. II p. 609. Holiis longioribus patentissimis, apice rigide pungenti-acuto. ". glauca ENDI. loc. cit.; PARI. loc. cit., et Araucaria glauca Hort. Ant. loc. cit. p. 105, t. 45; Carr. loc. cit. p. 419 et ed. II p. 609. Folia et ramuli ad formam typicam similia, ramuli juvenes et folia glauca patentissima, subfalcata, differunt. Il capitano Cook rinvenne questa pianta nella Nuova Olanda e sup- pose che fosse identica alla A. excelsa; fu introdotta circa il 1827. Le giovani piante infatti rassomigliano assai alle due specie precedente- mente descritte, ma osservando attentamente e per la disposizione delle foglie e per la forma loro ben si potrà distinguerla; i rami fioriferi, che hanno foglie poco dissimili da quelle dei rami sterili non possono con nessun’altra specie essere confusi data la mancanza di eterofillia così rimarchevole come nelle specie precedenti. Le varietà ricordate sono probabilmente forme orticole, la seconda in special modo per il fogliame glauco-argenteo è una delle migliori varietà per ornamento, anche la forma tipica è coltivata a tale scopo. È l’unica Araucaria più occidentale di questa sezione facendo parte anche del dominio della Flora malese. A. Balansae Brogn. et Gris. — Tav. IV [I], fig. 10, 11. A Balansae Broc. et Gris in Bull. Soc. bot. de France, XVIII, p. 130 (1871); Ann. d. Sc. nat. Ser. 5, XIII, p. 351 (1871); Nouv. Arch. Mus. Nat. Hist. VII, p. 206 (1871); Araucaria elegans Hort. ex p. Icones: Brown. et Gris. Nouv. Arch. t. 13; Illustr. hort. XXII (1875). Arbor excelsa 40 m. cèrciter alta, trunco erecto, in juventute foltis ornato. Ramis verticillatis subhorizontalibus, basi incrassatis; ramuli tenues distichis adscendentibus; ramis floriferis rigidis, brevibus 4-5 cm. longis, foltis squamiformibus, triangularibus, acutis, applicatis. Folia in ramulis imbricata squamiformia 4-5 mm. longa, 2 mm. circiter lata, arcuata vel arcuato-uncinata vel ovato-triangularia, dorso medio via carinata, nitida basi obliqua subrhomboidali inserta, stomatibus seriatis conspersa. Flores masculi amentiformes cylindrico-conici, paulum arcuati, 3-5 cm. longi 1-2 lati, basi foltis imbricatis ovato-lanceolatis et lanceolato- triangularibus involucrati ; stamina arcte imbricata 2-2'|2 mm. longa, apice - 170 i E. BARSALI triangulari acuto, crasso, nitido paulum arcuato: microsporangia 10, trise- riata, patentia breviter mucronatula interiore concava apice paulo cucullata. Strobili elliptico-globosi 10-12 cm. longi, 7-8 em. lati, foltis triangu- laribus-acutis, subplanis involucratis: squamae obovato-cuneatae, 3 cm. largae lataeque, medio incrassatae, apice nitido, coriaceo, transverse cari- nato in appendiculam 3 mm. longam, triangulari acutam, rectam dein incurvam productae, lateraliter in alam scariosam, fragilem fulvam 1 cm. latam expansae: ligula triangularis, margine subtiliter fimbriata, apice tantum libera. Semen.... Habitat in silvis Novae Caledoniae, altitud. 500 m. BALANSA n. 2511, « forets au Sud de la Table Unio. , Exsiccata: sp. rara in herb; Nova Caledonia, M.-BaLansa 1868-70 N. 2511 ex herb. Parisiense (H. Ber.). Nel Museo fiorentino esiste un esemplare di PANcHER 1868, (ex Nuova Caledonia), probabilmente riferibile a questa specie, nell’ herb. MARTELLI un esemplare raccolto da PeRETT nel 1908 nei dintorni di St. Louis presso Noumea che credo certamente appartenere a questa specie ; così quella coltivata sotto il nome di A. elegans Hog. nell’Orto bot. Bogos. e nell’Orto bot. di Sydney ritengo non esser altro che l'A. Balansae ed a questa specie potranno essere riferiti alcuni esemplari dell’herb. VIEILLARD sotto i n. 1278-1279 forse confusi con A. Cookiù ed A. ex- celsa. Le fig. sono tolte dall’opera di Broen. et Gris (loc. cit.). Struttura anatomica della foglia delle Araucaria. Fino dal 1874 BertRanD !) studiando comparativamente la struttura del caule e dei fillomi delle Conifere e delle Gnetacee, tentò di deli- mitare per mezzo dei caratteri anatomici dei gruppi, più o meno sicuri, di specie; nè tralasciò il genere Araucaria. Dopo quel tempo l’appli- cazione dei caratteri anatomici alla sistematica trovò largo stuolo di studiosi che ne fecero oggetto di interessantissime ricerche, basti a questo proposito ricordare PuRKYNE °), LAZARSKI *), ENGELMANN ‘), WETT- 1) Anatomie comparée des tiges et des feuilles chez les Gnetacées et les Coni- fères. Ann. d. Sc. natur. Botanique. Ser. V, vol. XX, 1874. 2) Veber die histologischen Unterschiede der Pinus species. Sitzber. d. k. bòhem. Gessell. der Wissench. in Prag, 1875. 3) Beitr. zur vergl. Anatom. d. Bliitter einiger Cupressineen. Zeitsch. d. allg. ésterr. Apotk. Vereins. Jahrg. XVIII, Wien 1880. i) Revision of the genus Pinus and description of P. Elliotii. Transact. of the Acad. of Science of St. Louis. Vol. IV, p. 161. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 171 STEIN 1), KrucK ?*), ecc., alcuni di questi limitarono il loro studio ad un solo genere altri ad alcune famiglie. Il gen. Araucaria oltrechè dal BrrTRAND fu in questo senso studiato anche da altri, quali: Van TrecHEM *), DaGuILLON 4) ed ultimamente BERNARD CH.°) e SewarD a. Forp. °). Per questo genere però non credo potersi applicare l’asserzione di PurKynE che dalla porzione di un nomofillo di Pinus asseriva poter riconoscere la specie, e ciò data la grande eterofillia di alcune, mentre forse solo per alcuna si potrà con tali caratteri derivarne la specie; scopo quindi del presente capitolo si è quello di passare in rassegna i caratteri offerti dal filloma di ciascuna delle specie sistematiche quali sono esposte nel capitolo precedente ed infine cercare di dedurre una giusta classificazione. Nel filloma normale delle specie del gen. Araucaria può nettamente distinguersi: un epidermide, una regione corticale o mesofillo ed una regione dei fasci con guaina e raggi midollari o meristelo. x L’epidermide è costituita di un solo strato di elementi spesso a forma subrettangolare od ovoidea-compressa, allungati nel senso del- l’asse longitudinale del filloma: l’ispessimento delle pareti raramente è esteso a tutti i lati, ma di preferenza è limitato alla parete esterna e poco sulle pareti laterali, è generalmente assai cuticolarizzato e qualche volta con cristalli inclusi. Gli stomi si presentano più o meno infossati, quindi al disotto del piano delle cellule epidermiche; mostrano una camera interna ben vi- sibile e talora la camera esterna occupata da sostanza granulare cerosa; 1) Verwertung des anat. Blattbanes fiir die system. Unterscheidung d. eniheim. Ceniferen. Sitz. d. k. k. Akad. d. Wiss-Wien 1887. — Ip. Ueber die Verwertung anatom. Merkmale z. Erkennung hybrider Pflanzen. Loc. cit. 2) Le conifere della Flora italiana. Studio di anatomia sistematica. Annuario d. R. Istituto bot. di Roma. Vol. VI, 1896. 3) Structure et affinités des Abies et des genres les plus voisins. Bull. Soc. bot. de France. Vol. 38, 1891. 4) Recherches morphologiques sur les feuilles des Conifères. Revue scienti- fique, vol. 46, p. 227, 1890. 5) Le bois centripète dans les feuilles des Conifères. Beihefte z. Bot. Centralb. Bd. XVII, heft. 2, 1904. 8) Loc. cit. 172 E. BARSALÎ possono trovarsi distribuiti uniformemente in ambedue le pagine, op- pure occupare la metà od il terzo della pagina inferiore, tali stomi furono oggetto di studio speciale dal HILpEBRAND (1860), dal STRAS- BURGER (1866-67) e da altri. AI disotto ed a contatto diretto con l'epidermide si trova la zona corticale costituita dapprima di un esoderma di uno a tre strati di cellule a parete assai ispessite e lignificate, sviluppate in senso longi- tudinale sì da ritenersi per vere fibre: tale esoderma non è continuo, ma interrotto in corrispondenza degli stomi, nè uniforme, ma qua e là con alcuni elementi di rinforzo e negli angoli sempre con maggior nu- mero di elementi. Il mesofillo è spesso nettamente eterogeneo, ben distinto cioè in un tessuto a palizzata e in uno spugnoso; il primo può essere limitato alla pagina superiore od alla inferiore oppure in corrispondenza di am- bedue, talora la distinzione fra palizzata e lasso non è ben netta es- sendo il primo costituito di elementi tondeggianti, poco allungati che si confondono col secondo ove però si notano più o meno ampie lacune e talvolta qua e là elementi sclerosi o idioblasti ramosi a parete più o meno lignificata e cosparsa di cristalli di ossalato calcico. Il fleoterma si presenta costituito da elementi ben differenziati dal parenchima circostante sia per la forma e grandezza delle cellule sia per lo spessore delle pareti sia anche perchè limita nettamente la re- gione meristelica dalla corticale. Il peridesma risulta di elementi pa- renchimatici, elementi fibrosi ed inoltre (come in molte Coniferali) di un tessuto tracheidale o xilema centripeto indicato dagli autori con nomi diversi e che fino dal KarstEN !) che pel primo lo notò, è stato oggetto fino a questi ultimi tempi (BERTRAND, loc. cit.) di accurati studi. TrHomas ?) notò nei Podocarpus un “ Mitteldiachim , un parenchima trasversale nel meristelo: il Moni *) lo indicò col nome di tessuto di trasfusione (Transfusiongewebe) e parecchi autori accettarono questa denominazione. Il BeRTRAND (loc. cit.) lo chiamò tessuto reticolato od areolato se- conda i casi, riserbando il nome di tessuto di trasfusione a determinati 1) Vegetationsorgane d. Palmen. Abh. d. k. Akad. d. Wiss. zu Berlin. Seance de 1847. 2) Zur vergl. Anat. d. Coniferen-Laubblétter. Pringsheim Jahrb. IV. Heft 1. Leipzig, 1864. 3) Morphologische Betrachtung der Bldtter von Sciadopytis. Bot. Zeitung. 871, STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 173 elementi parenchimatici di alcuni Podocarpus; il De BaRY !) rilevando le punteggiature areolate e l’ispessimento spiralato o reticolato nomina tali elementi “ Tracheidensiume , cordoni tracheidali e come aventi ufficio meccanico: DAGUILLON ?) come rileva Van TIeGHEM 3), ritiene questa parte come un semplice tessuto di sostegno, come una forma- zione sclerenchimatica lignificata mentre Van TrecHEM la considera “pont vasculaire fenestré , come parte extralegnosa e di origine peride- smica: WoRspELL *) i cui lavori su tale argomento possono ritenersi come i più importanti, conclude che il tessuto di trasfusione o trachei- dale è una vera espansione di xilema verso i lati, non altro, morfolo- gicamente, che una porzione di «fascio che nelle parti più elevate di un filloma può fare l’ufficio di questo e BERNARD (loc. cit.) per ultimo, accettando la conclusione di WoRrspELL, lo chiama “ bois centripète , considerandolo come porzione del fascio e ritenendo anche il suo maggior o minor sviluppo come carattere non trascurabile nella applicazione dei caratteri anatomici alla sistematica. E certamente tale carattere può unitamente agli altri essere di gran valore, quando però si stabilisca con precisione il luogo ove deb- bono condursi i tagli, giacchè avviene che quanto più ci avviciniamo verso la base di un filloma, tale tessuto può diminuire nel numero degli elementi o prendere un espansione laterale maggiore ed inversamente, portandoci verso l’apice, gli elementi sono più piccoli, a pareti più spesse, più avvicinati tra loro o formanti anche un arco completo al disopra del protoxilema, in generale le sezioni vengono condotte nella sezione mediana di un filloma, già stabilita da WetTSTEIN, ove si può ammet- tere che i vari elementi abbiano raggiunto il loro massimo sviluppo; così le sezioni descritte in questa nota corrispondono a questa regione ed anche quando si tratta di foglie squamiformi la sezione fu condotta 1) Vergleichende Anatomie der Vegetationsorgane der Phanerogamen u. Farne. Leipzig, 1877. 2) Sur le polymorphisme foliaire des Abiétinées. Compt. rend., vol. 108,188). Recherches sur les feuilles des Conifères. Rev. gén. de Bot., vol. II, p. 154. 1890. 3) Structure et affinités du Stachycarpus, genre nouveau de la famille des Conîfères. Bull. soc. bot. de France, vol. 38. 1891. — Structure et affinités du Cephalotarus. Idem. 4) On Transfusion-tissue, its origin and funetion in the leaves of Gymno- spermous Plants. Transac. Linn. Soc. V, 1897. — On the origin of Transfusion- Tissue în the leaves of Gymnospermous Plants. Journ. of the Linn. Soc., vol. XXXIII. 1897. Sc, Nat, Vol. XXV 12 174 E. BARSALI nella porzione libera al disopra della parte concrescente col ramo. In queste piante adunque il xilema centripeto è diversamente sviluppato, talora forma due accrescimenti laterali o due ali ai lati del protoxilema, talora è piegato ad arco verso la parte superiore del protoxilema, rara- mente forma un arco completo, ma sempre interrotto da alcune cellule parenchimatiche. I fasci (generalmente più di uno nella stessa foglia) sono costituiti normalmente da xilema e floema, il primo con minor numero di ele- menti, il secondo sempre assai più sviluppato e costituito come dimostrò STRASBURGER da vasi cribosi e cellule annesse ed inoltre con raggi mi- dollari e fibre sclerose, queste però possono anche mancare e variare anche per numero e per spessore delle pareti e per grandezza, I canali resiniferi sono, come si riscontra in molte Coniferali, ri- sultanti di una cavità limitata da una speciale guaina più o meno dif- ferenziata dal tessuto circostante: possono occupare nel mesofillo una posizione intermedia ai fasci, cioè in alternanza con questi od in pros- simità dell’esoderma in corrispondenza dei fasci stessi e talora anche addossati a questi, spesso anche spostati dalla loro vera posizione, forse per compressione delle diverse foglie nella prefogliazione; il numero di tali canali varia da specie a specie nè questo numero è costante tanto da potersi ritenere quale carattere diagnostico di grande sicurezza. A. imbricata. L’epidermide è costituita da un sol piano di cellule allungate nel senso dell’asse longitudinale della foglia; in sezione trasversa appari- scono subrettangolari con parete esterna fortemente ispessita e cu- tinizzata e poco le pareti radiali. Gli stomi sono distribuiti ugual- mente in ambedue le pagine qualche serie in più nella pagina inferiore ove se ne possono contare fino 84 serie; hanno un vestibolo imbuti- forme con cellule limiti debolmente lignificate. L’esoderma risulta di due strati di cellule a parete molto ispessita e lignificata, in corrispondenza dei margini sono aggiunti uno o due strati: questi elementi sono assai allungati in senso longitudinale ed in sezione trasversa presentano un contorno subpoligonale, tale esoderma non è continuo, ma interrotto in corrispondenza degli stomi. Il mesofillo è eterogeneo, risulta cioè di un tessuto a palizzata di- sposto verso ambedue le pagine, in un solo strato, e del lasso a cel- STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 175 lule tondeggianti ed irregolari che qua e là interpongono meati più o meno grandi; tanto nel palizzata che nel lasso, ma più nel primo, no- tansi gocciolette di grassi e granuli amilacei, nel lasso inoltre, sclereidi ramose irregolari con cristalli di ossalato calcico. I canali resifineri si trovano costantemente in alternanza con i fasci e nello stesso piano: hanno una guaina di cellule piccole, ovoidee a sottile parete. Il fleoterma assai bene si differenzia dal tessuto circostante per i suoi elementi ovoidali di grandezza varia e parete poco spessa; il xilema diversamente sviluppato, ma in generale di pochi elementi è rivolto normalmente verso la pagina superiore, il floema assai più sviluppato con raggi ben distinti è rafforzato verso la parte inferiore da un gruppo di 8-10 fibre tondeggianti di srandezza varia a parete fortemente ispes- sita e non lignificata: il xilema centripeto è assai bene sviluppato, talora sembra un arco completo ed è separato dal protoxilema da poche cel- lule parenchimatiche. A. brasiliana. L’epidermide di ambedue le pagine è costituita di cellule allungate secondo l’asse longitudinale della foglia; in sezione trasversa si presen- tano pressochè isodiametriche a parete esterna ispessita e debolmente cuticolarizzata. Gli stomi si notano in ambedue le pagine ma in numero minore nella superiore, BERTRAND ne indica 65 serie, ma per quanto ne abbia contati in moltissime foglie mai ne ho rinvenute (in media) più di 50 serie nella pagina inferiore e difficilmente raggiungono la cifra di 40 nella superiore, tali stomi presentano un piccolo e poco profondo vestibolo e cellule limiti lignificate. L’esoderma è di uno strato di fibre a lume piccolo e lignificate, solo qua e là si rinvengono alcuni gruppi di 2-3 elementi.addossati a questo strato che anche nei margini può essere raddoppiato. Il mesofillo mostrasi in corrispondenza della pagina superiore costi- tuito di un palizzata ben distinto, mentre verso la pag. inferiore di un pseudo-palizzata a cellule ovoideo-coniche che passano alla forma roton- deggiante del lasso ove notansi lacune assai ampie; in tutto il mesofillo si osservano granuli di dimensioni varie, di amido e goccie oleose e nel lasso le sclereidi ramose a parete lignificata e cosparsa di ossalato calcico. I canali resiniferi sono distribuiti nel lasso in alternanza con i fasci 176 E. BARSALI ed occupano circa la metà dello spazio che corre fra due fasci; ciascuno ha una doppia guaina, la più esterna di 8-10 cellule ovoidee a sottile parete ed internamente un anello di cellule più piccole e rotondeggianti. Il fleoterma ben distinto, segna in sezione trasversa un contorno pressochè circolare e nell'interno il xilema ed il floema sono quasi ugualmente sviluppati, quest’ultimo manca nella parte esterna di fibre; ed il xilema centripeto a forma di due ali a grandi elementi periferici areolati, sta ai lati del protoxilema e tende a curvarsi verso la pagina superiore. I fasci sono in numero vario, nelle foglie adulte in media sono 12, raramente, come riscontrò il BERTRAND, in numero di 15. A. Bidwilli. L’epidermide mostrasi in ambedue le pagine pressochè ad elementi uguali ed isodiametrici o subrettangolari in sezione, con parete esterna discretamente ispessita e cutinizzata. Gli stomi disposti in serie longitudinali possono essere circa in nu- mero di 90 serie nella pagina inferiore e 20-22 nella superiore e solo nel terzo inferiore vanno diminuendo verso l’apice della foglia; hanno vestibolo poco profondo e cellule limiti lignificate. L’esoderma di un solo strato ad elementi fibrosi assai ispessiti e lignificati è quasi continuo nella pagina superiore, interrotto spesso dagli stomi nella inferiore e di 1-3 strati nei due angoli. Il mesofillo eterogeneo si distingue in un palizzata verso la pagina superiore mentre verso la inferiore uno strato continuo di elementi ovoideo-rotondeggianti assai strettamente uniti fra loro dal quale si passa al lasso le cui cellule sono irrégolari interponenti lacune e con sclereidi ramose in numero assai limitato. I canali resiniferi sono immersi nel lasso ed in alternanza con i fasci; hanno cavità assai piccola ed una guaina di uno strato di ele- menti rotondeggianti. Il fleoterma presenta un contorno pressochè circolare ad elementi ovoidei, irregolari, a sottile parete che non molto si differenziano dal tessuto circostante. I fasci hanno xilema e floema quasi ugualmente svi- luppati sempre però il secondo più in abbondanza del primo e ben di- stinti sono ì raggi midollari, il fioema inoltre nella sua parte esterna è quasi del tutto circondato da 8-12 fibre diversamente ispessite, di grandezza pure diversa e lignificate; il xilema centripeto consta di vari elementi disposti ad arco all’esterno del protoxilema e separato da 3-4 cellule parenchimatiche. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 177 A. Hunsteinii. Questa specie che per la forma e disposizione delle foglie si avvi- cina assai alla precedente vi si approssima anche per l’interna struttura. L’epidermide di ambedue le pagine è costituita di elementi che in Sezione presentano una cavità subrettangolare assai ristretta e la pa- rete esterna discretamente spessita. Gli stomi sono distribuiti in serie longitudinali non continue in ambedue le pagine ma interrotte, e mentre della superiore ne occupano solo il terzo inferiore, della inferiore occu- pano tutta la superficie. L’esoderma è formato di elementi fibrosi a parete ingrossata e li- gnificata,in un solo strato, interrotto,come sempre, in corrispondenza delle aperture stomatiche. Il mesofillo è distinto in uno strato di cellule ovoi- dee, assai allungate, un vero palizzata in corrispondenza della pagina superiore mentre verso la pagina inferiore è costituito da brevi cellule ovoidee, di grandezza varia, che passano al lasso nel quale, sempre, si notano lacune e varie sclereidi ramose. I canali ben distinti per la caratteristica guaina sono immersi nel parenchima in alternanza con i fasci, talora però non nello steso piano ma piuttosto spostati verso la pagina superiore o più ravvicinati ai fasci; questi sono di grandezza varia, tutti presentano un fleoterma ben di- stinto ad elementi assai grandi e rotondeggianti, il ffoema ha nella sua parte esterna 3-10 cellule sclerose varie per grandezza e per spessore della parete, il xilema centripeto è costituito di pochi elementi ai lati del: protoxilema che s’incurvano verso la parte superiore. Si distingue dall'A. Bidwilli per la figura della sezione, per i fasci nei quali il xi- lema centripeto è minore, per la scarsità di elementi sclerosi. A. Muelleri. La forma e la grandezza di un filloma di questa specie ricordano quelle dell'A. è2mbricata, solo la minor robustezza, l’apice non acuminato pungente ma ottuso e la convessità ci danno i caratteri morfologi suf- ficienti per tenerla distinta. Gli elementi che costituiscono l’epidermide sono a parete esterna assai ispessita e cutinizzata e presentano una . cavità pressochè ovoidea. Gli stomi si:trovano al disotto del piano delle cellule epidermiche e quindi presentano un vestibolo assai profondo: sono disposti in serie longitudinali in ambedue le pagine, più abbondantemente però nella in- 178 E. BARSALI feriore ove possono raggiungere il numero di 70 serie. Le fibre che costituiscono l’esoderma presentano un contorno ovale o quasi rotondo ed una cavità piccolissima talora appena visibile, sono disposte in 2-4 strati rinforzati qua e là da altri elementi, come p. es. nei margini. Il mesofillo è costituito di due strati di cellule ovoidee strettamente unite fra loro, un pseudo-palizzata in corrispondenza di ambedue le pagine a contatto con l’esoderma ed al disotto il lasso ad elementi assai grandi nel quale notansi, come sempre, gocce di grassi, granuli amilacei e sclereidi ramose delle quali talora i rami giugono fino all’eso- derma. I canali resiniferi sono immersi nel lasso verso la pagina inferiore ed a contatto con i fasci, talora spostati tanto da sembrare in alternanza. Il fleoterma è costituito da cellule piccole a parete assai spessa e si distingue per la figura circolare che descrive, nell’interno il xilema è di rari elementi ben distinti e segna, al luogo di separazione dal floema, un debole arco; il floema è poco più ricco di elementi ed al disotto rafforzato da 3-5 cellule scelerose a cavità assai grande ed irre- golare. Il xilema centripeto forma un arco ben netto nella parte su- periore del protoxilema e da questo separato da alcune cellule paren- chimatiche. I fasci sono in buon numero, circa 15 o 16. A. montana. L’epidermide resulta di elementi a parete esterna assai spessa che in sezione appariscono a cavità subrettangolare, nella pagina inferiore tale cavità è assai più piccola e rotondeggiante. In ambedue le pagine sono distribuiti in serie gli stomi con aper- tura ovoideo-allungata quasi rettangolare e con vestibolo spesso ripieno da sostanza cerosa: tali serie nella pagina inferiore sono assai distanti fra loro ed al disopra della metà della foglia vanno man mano scom- parendo tanto che verso l’apice non se ne rinvengono che 1-2 serie. L’esoderma è di fibre fortemente ispessite e lignificate in un solo strato, eccettuato nei margini ove è rafforzato da un altro strato di detti elementi. ll mesofillo è poco differenziato; verso le due pagine ed a contatto diretto con l’esoderma si notano 1-2 strati a cellule subovoidi assai rav- vicinate fra loro, ricche di granuli amilacei e cloroplasti e verso l’interno elementi assai grandi con lacune e selereidi ramose che di preferenza si trovano verso il tessuto subesodermico. I canali resiniferi ben distinti per la caratteristica guaina di un solo strato, sono di grandezza varia e stanno a contatto dei fasci verso la pagina inferiore. STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 179 Il fleoterma risulta di cellule non molto grandi ed a sottile parete, il xilema poco sviluppato talora di 4-5 elementi legnosi ed il floema molto sviluppato è protetto nella parte inferiore da 4-7 cellule sclerose irregolari a parete molto spessa e debolmente lignificata. Tl xilema centripeto è ben differenziato in un arco continuo o ra- ramente separato, verso la metà, da 1-2 cellule parenchimatiche allun- gate nel senso del raggio e, portandoci verso l’apice della foglia, gli ele- menti che lo costituiscono sono in numero maggiore, più piccoli e più strettamente uniti fra loro. A. Rulei. La figura della sezione di una foglia della parte superiore dei rami presenta un aspetto subpiano, nelle foglie più adulte questa figura passa alla forma romboidale ad angoli ottusi, ma se variano morfologicamente all’esterno non è così diversa la loro interna struttura giacchè poco si differenziano e solo per il minore o maggior numero degli elementi che le costituiscono. L’epidermide è formata da cellule che in sezione pre- sentano una cavità subquadrata avvicinandosi alla forma ovoide con parete esterna assai ispessita e più o meno cunitizzata ed anche le pareti | radiali si mostrano ispessite verso l’ esterno. Gli stomi sono in serie longitudinali e mentre nella pagina superiore occupano tutta la superficie, della inferiore poche serie sono ridotte alla metà inferiore, questo vale però per le foglie nello stato adulto dei rami, ma in quelle delle parti più vecchie del ramo e che presentano un con- torno subromboidale, gli stomi oltre che nella parte corrispondente alla pagina superiore, si riscontrano anche nella parte convessa corrispondente alla pagina inferiore, ed in uno stato ancora più avanzato si rinvengono di- sposti uniformemente sulle due pagine; nella var. pendula che presenta un contorno romboidale, si trovano sui quattro lati pressochè in ugual numero. L’esoderma è sempre di 1-2 strati di elementi a parete assai ispes- sita, strettamente uniti fra loro ed interrotto in corrispondenza degli stomi. Il mesofillo è nettamente eterogeneo, e cioè consta di un tessuto a palizzata ben definito verso la pagina inferiore mentre verso la su- periore le cellule del primo strato assumono una forma ovoide-allungata, e del lasso a cellule assai grandi con sottile parete nel quale si rinven- gono sparse le sclereidi ramose ricche di ossalato calcico. I canali re- siniferi si trovano verso la pagina inferiore ed a contatto con i fasci eccetto il corrispondente al fascio mediano che trovasi spostato in basso 180 E. BARSALI cioè più verso il palizzata, ciò si riscontra in tutte le foglie in qualsiasi grado di sviluppo. i Il fleoterma è formato da cellule subrotonde e limita perfettamente il meristelo nel quale il floema è sempre poco più sviluppato del xilema e nella sua parte inferiore è circondato da 7-8 fibre a parete poco ispessita ed, ai lati del xilema, il tessuto centripeto a grandi elementi areolati, si accresce in un arco che verso .il mezzo è solo separato da 1-2 cellule parenchimatiche. I fasci sono in numero vario, nelle foglie adulte generalmente in numero di 3, ed in quelle dei rami giovani di 7 od 8. A. Cookii. Questa specie come già dissi è fra quelle così polimorfe per le quali anche la struttura anatomica della foglia poco ci può essere di ausilio: le sezioni furono eseguite su esemplari che senza dubbio alcuno appartengono a questa specie, certe forme che presentano una certa affinità con questa e con la seguente, morfologicamente sono ben distinte per la struttura. In tutte si nota un epidermide ad elementi subrettangolari od ovoidei con parete esterna assai ingrossata e cutinizzata. Gli stomi sono distri- buiti nelle due pagine, generalmente più scarsi e limitati nella metà più bassa della pag. inferiore, nelle foglie adulte del tipo e della var. luxurians, mentre nelle foglie giovani che presentano una figura sub- romboidea si rinvengono uniformemente in ogni lato, stanno quasi nel piano delle cellule epidermiche, con vestibolo appena visibile e spesso ripieno di sostanza cerosa, sostanza che talora si estende a tutta la superficie epidermica specialmente della pag. inferiore. L’esoderma è costituito di elementi variamente ispessiti in un solo strato e qua e là come nei margini con qualche elemento simile so- prannumerario. Il mesofillo è distinto in uno strato a palizzata verso la pagina in- feriore mentre in corrispondenza della superiore il primo strato è ad elementi ovoidi assai grandi talora ed anche allungati a rassomigliare un vero palizzata, in ambedue vi è abbondanza di corpi clorofilliani, amilacei e sostanze grasse; il lasso è a cellule grandi interponenti la- cune e cosparso abbondantemente di sclereidi ramificate in vario modo, tali sclereidi sono scarse nelle forme giovani del tipo. I canali resiniferi sono immersi nel lasso ed a contatto con i fasci verso la pagina inferiore, taluni però spesso si rinvengono spostati e quasi da essere ritenuti in alternanza e qualche volta anche verso la Y agina superiore, STUDIO SUL GEN. ARAUCARIA JUSS. 181 N Il fleoterma ben differenziato è costituito da cellule ovoidee o sub- rotonde a sottile parete: il floema ed il xilema sono pressochè ugual- mente sviluppati, quest’ultimo forma un debole arco al luogo di con- tatto col fioema: il xilema centripeto è molto sviluppato in un grande arco generalmente non continuo ma diviso per metà da 2-3 grandi cel- lule parenchimatiche, talora però gli elementi areolati sono così forte- mente ‘accresciuti che il poco parenchima interposto è così ridotto che Il tessuto centripeto sembra costituire un arco completo. I fasci sono in numero vario; nelle foglie dei giovani rami a figura romboidale se ne possono trovare da 1 a 3, nelle adulte dei rami fioriferi del tipo mai ne ho contati più di 9, mentre nella var. 7uzurians se ne possono contare fino a 12 e 13; forse fu questa la forma alla quale riferivasi il BERTRAND. A. excelsa. Anche in questa specie si ha manifesta eterofillia; le piante giovani portano foglie simili a quelle pure giovani della A. Cooki dalla quale però differiscono per la disposizione fillotassica, ed anche allo stato adulto talora assai si rassomigliano. L’epidermide della foglia è costituita: di un solo strato di cellule esternamente molto ispessite e cutinizzate meno sui lati, a cavità piccola subrotondo-compressa. In ambedue le pagine si trovano distribuiti gli stomi; nelle foglie di rami giovani e sterili sono in ugual numero su ogni lato, mentre in quelle di rami fertili sono in serie molto ravvicinate ed abbondanti in tutta la pagina superiore, e nella inferiore solo 3-4 serie giungono fino all’apice, la maggior parte si ar- restano verso la metà della lamina. Gli elementi che costituiscono l’esoderma presentano in sezione un contorno poligonale e parete fortemente ispessita e lignificata, sono in un solo strato qua e là con qualche elemento soprannumerario. Nel mesofillo non si distingue un vero palizzata ma in diretto con- tatto con l’esoderma si notano due strati di cellule ‘ovoidee che negli angoli superiore ed inferiore sono assai allungate; quindi il lasso ad ele- menti assai grandi e con sclereidi ramose a parete fortemente ingrossata. I canali resiniferi sono disposti in vario modo; se in foglie giovani se ne rinvengono sempre tre, uno per lato negli angoli laterali ed uno nell’angolo posteriore presso all’esoderma; se in foglie adulte si trovano al disotto dei fasci un po’ distanziati ed il mediano sempre verso la pagina inferiore e talora anche 2-3 verso la superiore, hanno una guaina ben distinta’ di due strati, l’esterno dei quali ha cellule più grandi e con parete più ingrossata. 182 E. BARSALI » Il feoterma segna, nella sezione trasversa, un contorno più o meno rotondeggiante ad elementi non molto grandi a parete sottile. I fasci sono in numero vario; se si considerano le foglie giovani si riscontra un solo fascio, in quelle più adulte ma di rami sterili si mantiene la stessa disposizione, ma in quelle adulte e di rami fertili si possono avere 4-5 fasci, tutti con xilema ben distinto e floema assai bene sviluppato, così pure il xilema centripeto può variare nel numero degli elementi nel primo o secondo stato, ma in generale è sempre abbondante e forma un arco quasi completo. A. Cunninghami. In questa specie non si ha spiccata eterofillia, sia le foglie di rami gio- vani sia quelle di adulti o di rami fioriferi sono pressochè uguali, possono variare nella grandezza, ma pochissimo nella forma; in questa la sezione si presenta sempre con figura romboidale con lati più o meno allungati e quindi con angoli più o meno grandi a seconda dell’età della foglia. Le cellule che costituiscono l’epidermide in sezione trasversa sono isodiametriche, esternamente non molto ispessite. Gli stomi sono pres- sochè uniformemente distribuiti in ogni lato e si trovano poco al disotto del piano delle cellule epidermiche. L’esoderma è di un solo strato di elementi molto ingrossati nella parete, ma poco lignificati. Il mesofillo si può distinguere in uno strato simile ad un palizzata in corrispondenza di ogni lato e quindi il tessuto lasso ad elementi assai grandi ed interponenti delle lacune; raramente si rinvengono sclereidi ramose. In corrispondenza dell’angolo superiore e dell’inferiore si trova co- stantemente un canale resinifero (raramente anche nei due angoli late- rali) circondato da una guaina di cellule piccole rotondeggianti. Il fleoterma presenta un contorno circolare di elementi pressochè rotondi e nell’interno le due parti del fascio non molto sviluppate, il floema poi è circondato nella parte inferiore da 7-8 cellule sclerose assai ispessite e poco lignificate; il xilema centripeto, di pochi elementi sta in due ali ai lati del protoxilema e da questo è separato. per un arco parenchimatico. A. Balansae. Avendo in esame esemplari pei quali la mancanza dei fiori non mi dava sicurezza per una certa determinazione, eseguii le sezioni in SLTUDIO*SUL GEN. ARAUCARIA JUSS, -183 foglie dell'esemplare autentico di Balansa, quello stesso sul quale Bro- GNIART et GRIs crearono questa specie. La figura della sezione presenta un contorno subrombeo a lati quasi uguali, e la pag. superiore si avvi- cina alla forma piana; l’epidermide si presenta a cellule sub-quadrate, in sezione, esternamente e nei lati ispessite e cuticolarizzate. In ciascuno dei lati sì rinvengono varie serie di. stomi, in egual nu- mero nella metà inferiore di ambedue le pagine e ‘diminuiscono assai andando verso l’apice nella pagina inferiore mantenendosi pressochè uguali nella superiore; sono assai piccoli e spesso con vestibolo (poco profondo) otturato da'sostaza cerosa. L’esoderma è in due strati ad elementi assai uniti fra loro ed'interrotti solo in corrispondenza degli stomi. Il mesofillo, a contatto con l’esoderma, è ad elementi ovoidi allun- gati, un pseudopalizzata e’ più internamente il lasso con piccole lacune e poche sclereidi a parete spessa e brevemente ramificate. I fasci sono disposti su’ dî uma linea verso la pagina superiore; il fleoterma non è ben differenziato: ed il floema ed il xilema sono costituiti da pochissimi ‘elementi mentre ‘è ben sviluppato il xilema centripeto che forma un arco completo. solo interrotto da 1-2 cellule parenchimatiche. I vasi resiniferi si trovano in corrispondenza dei fasci verso la pagina inferiore, il mediano, ossia il corrispondente alla nervatura principale, si trova più avvicinato ‘all’esoderma inferiore, due canali più piccoli si rinvengono uno per ciascuno degli angoli laterali. Da quanto è ò stato esposto circa la struttura del filloma normale delle Araucaria potremmo cercare di dedurre uno schema di classificazione delle diverse specie appartenenti a ‘questo genere: anche il BERTRAND tentò in una tavola sinottica di riunire le diverse specie a seconda dei caratteri presentati dalla struttura della foglia e più specialmente dal numero delle serie e distribuzione degli stomi e dal numero dei fasci; tali caratteri, però sono da ritenersi insufficienti variando essi nella stessa specie e nello stesso filloma a seconda. dell’ età, della posizione, e del luogo ove viene eseguita la sezione. Quindi ritenni come caratteri co- stanti la posizione dei canali resiniferi, la presenza di un vero tessuto a palizzata e l’assenza di fibre nel peridesma, il maggiore o minor sviluppo del xilema centripeto (tenendo sempre presente di condurre la sezione nella regione mediana) e la figura della sezione che in alcuni casi può essere di valido ausilio, quindi potranno raggrupparsi nel modo seguente: ser 154 E. BARSALI &« Tessuto a palizzata in corrispondenza di ambedue le Pagine ni e O AO ANITA] Senza fibre nel peridesma . . . . A. brasiliana Canali resiniferi Tessuto Esodegma di 1 strato. nello a palizzata Dn SIRO con stesso bea a ca ante xilema piano FR RTO CORRADI centripeto . . . A. Bidwilli dol fasci solo verso nel peridesma |) rsoderma di 1-2 strati. una pagina Fasci piccoli, xile- ma centripeto di 2-3 elementi . . . A. Hunsteini Stomi uniformemente in ambedue le pagine. . . A. Muelleri Foglie appiattite. Xilema O in ‘5 arco completo .. . . . . . A. montana é n | Esoderma di 1-3 ® do strati. Xilema È | centripeto in .® | Fasci i BS ; A Stomi Palizzata| duealilaterali A. Rulei @ ( in Foglie 5 numero i ben Esod di 1 a PR / subpiane 20 soderma di Ss, vario e | foruro strato. Xilema 8 una pagina romboidali centripeto in a arco quasi © completo . . A. Cookù Do. | È Palizzata indistinto o nullo A. excelsa Ò | \ Foglie romboidali. Fasci 3-5. . . . A. Balansae Un solo fascio LL... A Cunningham Pisa, R. Istituto Botanico, luglio 1909. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA .— Araucaria re ioni » . — Araucaria oe » 1 2 3 4 5. — Araucaria 6. — Araucaria T.— Araucaria 8. — Araucaria 9. — Araucaria 10-11. — Araucaria 12-13. — Araucaria 14-15. — Araucaria Cookii R. Br. Brogn. e GRIS. » » Da esemplare di Palermo. brasiliana. RicH. Squama fertile. | » » Squama sterile. imbricata Pav. Bidwilli. Hoox. excelsa BR. Hunsteinii K. ScHuM. Cunninghami Air. Balansae Brogn. et GRIS. Muelleri. CARR. Rulei. F. MiiLr. R. UGOLINI | TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO STUDI E RICERCHE DI GEOLOGIA AGRARIA PARTE I. È unanime il consenso che gli studi e le carte agrologiche formino il fondamento di ogni razionale coltura. Ma in Italia carte e studi consi- mili sono limitati a ben poche regioni. Le pubblicazioni del genere non presentano inoltre nè unità d’indirizzo, nè uniformità nei metodi di studio. Con l’intendimento di portare anche io un qualche contributo in questo ramo importantissimo della Geologia applicata, iniziai «fino dal 1902 una serie di ricerche geologiche e litologiche nei dintorni di Rosi- gnano Marittimo in provincia di Pisa e nei terreni situati più verso il mare dal fiume Fine a Castiglioncello. Terminato il lavoro di campagna, intrapresi quello di laboratorio sui campioni delle rocce e sui saggi dei terreni raccolti; ed i resultati ai quali io sono pervenuto ho esposto qui nel modo più sommario, nella fiducia che essi possano riuscire di qualche interesse a quanti hanno a cuore lo sviluppo agricolo del territorio rosignanese che dall’ agricoltura in particolar modo attende ogni suo maggior benessere. I. — Notizie bibliografiche. Innanzi di intraprendere la descrizione geognostico-agraria dei terreni di Rosignano non sarà inutile, io credo, che si ricordino gli Autori prin- cipali che ebbero prima di me occasione di parlare della loro costitu- zione geologica. Ho detto i principali, perchè se io dovessi accennare anche a coloro che ne parlarono solo incidentalmente, troppo lungo sa- rebbe, nè so poi quanto utile, il farlo. Principe della Geologia toscana resta sempre il Savi, come quegli che per il primo ebbe ad affrontarne i più importanti problemi; ed è a lui che si debbono i primi documenti relativi alla storia geologica dei Monti Livornesi, cui appartiene il territorio rosignanese. Î TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 187 Ne fanno fede i molti pregevolissimi scritti pubblicati sulla costitu- zione fisica della Toscana, e fra questi principalmente quello “ Sui ter- reni stratificati dipendenti o annessi alle masse serpentinose della To- scana ,, !) dove è trattata e discussa la ancora dibattuta questione del- l'origine della panchina; l’altro “* Sui vari sollevamenti ed abbassamenti che hanno dato alla Toscana la sua attuale configurazione ?) , e final- mente quello.sulle “ Rocce ofiolitiche della Toscana e masse metalliche in esse contenute 3) ,. É anzi in quest’ultima memoria che il Savi, ac- cennando alla distribuzione delle rocce ofiolitiche in Toscana, ed alla loro suddivisione nelle quattro serie più sotto ricordate, parla delle ca- ratteristiche di tutte le rocce che sotto quella denominazione egli com- pendia, quali la diabase, la porfirite diabasica, l’enfotide, la serpentina ed il gabbro rosso. Nella stessa memoria tratta anche dei terreni di Rosignano in particolare, e di questi riporta anzi un profilo geologico, fra Livorno ed il Malandrone, il quale, nonostante l’epoca in cui fu eseguito (1838), può dare anche oggidì una idea, sia pure approssima- tiva, della loro natura e tettonica. Un altro lavoro dove si fa menzione del suolo di Rosignano, però con speciale riguardo alle rocce ofiolitiche che ne formano la parte principale, è quello che lo stesso Savi ed il MENEGHINI insieme pubblicarono poco dopo col titolo: “ Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana ,. °) Molte e importanti considerazioni sulla geologia dei dintorni di Ro- signano si trovano anche nella “ Description des roches ignées et sédi- mentaires de la Toscane dans leur succession géoJogique , del CoccHI 5). È qui che egli vuole indicato con il nome di panchina antica il famoso calcare di Rosignano, riconosciuto da tutti ormai come miocenico; e ciò per distinguerlo dalla panchina propriamente detta che appartiene al- l'epoca quaternaria e che è tanto diffusamente rappresentata nella re- gione rosignanese. Ma un lavoro molto: pregevole perchè compendia in poco spazio i resultati delle molte ricerche geologiche da lui fatte in tutto il gruppo dei Monti Livornesi e nelle regioni limitrofe, è quello che il Savi pubblicò vari anni dopo dal titolo. “ Saggio sulla costituzione geologica della provincia di Pisa LOTO) 1) Savi. Nwovo giornale dei letterati. Pisa, 1837. 2) Savi. Ibidem. Pisa, 1837. 3) Savi. Ibidem. Pisa, 1838-39. 5) Savi e MENEGHINI. Firenze, 1851. 6) CoccHI. Bull. de la Societé géologique de France, Ser II, vol. XIII, pag. 226. Paris, 1860. 7) Savi. Pisa, 1863. 188 R. UGOLINI In questo lavoro, dove sono presi in esame anche i terreni di Rosi- gnano, è contenuto un abbozzo di carta geologica a colori, il primo per quanto io mi sappia. Detta carta, che è alla scala di 1:200000, ed indica assai chiaramente la distribuzione, la natura e l’età delle rocce che costituiscono l’intera provincia pisana, è sufficiente a dare un’idea sia pure approssimativa, della costituzione geologica di Rosignano e suoi dintorni, e dei vari tipi di terreni che a tale costituzione prendono parte. Senza entrare in particolari che potrebbero sembrare superflui, data la notorietà della memoria in parola, dirò soltanto che secondo l’ opi- nione del Savi, i terreni di Rosignano appartengono essenzialmente al- l’ere terziaria e quaternaria e più precisamente all’Eocene, al Miocene, al Pliocene, ed al Quaternario. L° Eocene è rappresentato dalle rocce ofiolitiche che, unitamente ai galestri ed ai calcari alberesi, ne formano il nucleo. Il Miocene è composto di calcari fetidi, di mattaioni e di conglomerati ofiolitici. Questo complesso di rocce si estende a nord di Rosignano, sopra una striscia che costeggiando dapprima e per un buon tratto la via Emilia sino oltre Colognole, si ripiega verso il mare, per scomparire quindi nei pressi di Limone sotto i terreni pliocenici. A questa formazione, alla quale si connettono, come avremo occa- sione di veder meglio in seguito, altri importanti tipi di roccie che, il SAVI passa sotto silenzio, succedono i terreni del Pliocene. A quest'epoca, secondo il Savi, vanno ascritte non solo le sabbie e le argille che co- stituiscono le colline fiancheggianti ad oriente i monti rosignanesi, ma anche quella formazione calcarea che il Savi stesso indicò col nome ge- nerico tuttora in uso di panchina, e che è oggi invece generalmente ascritta al periodo post-pliocenico. All'epoca recente, infine, sono ascritti dal Savi i materiali che per effetto delle alluvioni marine si raccolgono lungo il litorale, al sud di Castiglioncello, ed i depositi fluviali della Fine. È d’uopo però di convenire che gli studi più importanti e più completi che sieno stati fatti sino ad ora sulla geologia dei dintorni di Rosignano li dobbiamo al CapeLtINI. Questi li iniziò sino dal 1856, al- lorchè visitando le cave degli alabastri candidi di Castellina Marittima, poste lungo il torrente Marmolaio, ebbe il sospetto che le marne che ad essi ivi s'intercalano potessero essere fossilifere, contrariamente a quanto in proposito era stato già scritto e ripetuto da altri. Ed i fatti gli diedero ragione, come egli annunziava in una prima nota comparsa nel 1860 nel Nuovo Cimento e come ebbe occasione di dimostrare am- Î TERRENI DI ROSIGNANO É CASTIGLIONCELLO 159 piamente molti anni dopo con la sua pregevolissima memoria sulla “ For- mazione gessosa di Castellina Marittima ed i suoi fossili , !). Dopo la pubblicazione della suddetta memoria, avendo il CAPELLINI proseguito at- tivamente nello studio dei terreni terziari di altre località dei Monti Livornesi e della valle della Fine, e più specialmente di quelli dei din- torni di Rosignano, di Castelnuovo della Misericordia e del Gabbro, per- venne al rinvenimento di numerosi giacimenti fossiliferi che gli permisero di riconoscere la ‘costituzione geologica dei terreni stessi a tal segno, da riuscire ad identificarvi il piano di Leitha, il Sarmatiano ed il piano a Congerie. Tali importantissimi resultati, che egli volle illustrare in altre due memorie: l’una sul “ Calcare di Leitha il Sarmatiano e gli strati a Congerie dei monti di Livorno, di Castellina Marittima, di Miemo e di Montecatini , *), l’altra sugli “ Strati a Congerie e la formazione gessoso-solfifera nella provincia di Pisa e nei dintorni di Livorno, 3) furono ‘poi dal CAPELLINI stesso molto opportunamente riprodotti in una “ Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Marittima e di una parte del Volterrano., che egli pubblicò poco dopo (1881), e che, nono- stante la piccolezza della scala, è stata consultata sino ad ora e con profitto da quanti ebbero come me interesse di conoscere la costituzione geologica di quella importantissima regione. Gli studi pregevolissimi del CAPELLINI ebbero però anche il merito speciale di avere richiamato l’attenzione di valenti geologi stranieri sull'importanza dei terreni da lui particolar- mente passati in rassegna. Fu in conseguenza di tali scoperte che il FucHs visitò personalmente, e con la guida delle indicazioni fornitegli dal CAPELLINI stesso, i dintorni di Rosignano e di Castellina, per osser- varvi la formazione a Congerie e gli altri terreni concomitanti. Di questa visita, come di altre fatte in vari luoghi italiani geologicamente interes- santi, lo stesso FucHs pubblicava poi una breve relazione che trovasi riportata per intero nel bollettino del Comitato geologico italiano 4). Per rispondere poi all’appello che il Fuc#s in cotesta sua relazione aveva mosso ai geologi toscani in favore di un più accurato studio del calcare di Rosignano e dei suoi fossili, venne subito dopo l’aggiunta del 4) CAPELLINI. Mem. d. Accad. d. Sc. d. Ist. di Bologna, ser. III, vol. IV. Bologna, 1874. 2) CAPELLINI. Mem. d. R. Accad. dei Lincei, ser. III, vol. II. Roma, 1878. 3) CAPELLINI. /bidem, ser. III, vol. V. Roma, 1879. 4) FucHSs. Relazione di un viaggio geologico in Italia. Boll. Com. geol. ital., vol. V, pag. 226. Roma, 1874. Sc. Nat. Vol. XXV 13 190 h. UGOLINI MANZONI !) contenente un elenco dei fossili riconosciuti in quella roccia. Ed è in ragione delle molte conchiglie a tipo pliocenico ritrovatevi che egli ri- tenne il calcare in parola come appartenente alla parte più alta del Miocene. Altro appassionato cultore dei terreni di Rosignano e suoi dintorni, contemporaneamente del CapELLINI, fu il DE Bosnraskr. A lui infatti si deve una delle migliori raccolte che sieno state mai fatte dei pesci che in copia considerevole trovansi contenuti negli scisti tripolini ed in quelli marnosi soprastanti del gruppo dei Monti Livornesi. Ed è a deplorarsi che una sì preziosa collezione di materiale puramente italiano sia an- data a finire in Museo straniero, mentre avrebbe potuto figurare in qual- cuno dei nostri principali Musei. Dai resultati dello studio di questa ricchissima fauna, della quale il DE BosnIasKI ?) già aveva pubblicato un elenco, egli pervenne al rico- noscimento di due orizzonti a pesci, l’uno inferiore costituito dai tripoli, l’altro superiore, composto di scisti marnosi biancastri, che altri prima di lui avevano invece e per errore riuniti in uno solo. Seguendo poi quanto dal CaPELLINI era stato affermato sulla posizione stratigrafica dei tripoli, che, cioè, fossero sottoposti ai gessi e soprastanti alle molasse ofiolitiche cronologicamente equivalenti al calcare di Rosignano e già dal FucHs riferito alla parte più alta del Miocene, il De BosnrIasxi 8) fu portato, sebbene non senza qualche dubbio, a riferire i tripoli al Pliocene marino e le altre rocce sovrastanti al Pliocene lacustre. E fu solo dopo un accurato esame fatto lungo il Rio Sanguigna, presso il Gabbro, sulla ‘ posizione stratigrafica occupata dai tripoli in rapporto con le altre rocce concomitanti, che il De BosnIaski 4) potè finalmente stabilire che questo tipo di roccia trovasi realmente, non già al di sopra, come il CAPELLINI aveva detto, ma al disotto della formazione calcarea di Rosignano; donde la necessità di riportarli come difatti ei fece, all’epoca di questa, cioè al Tortoniano, anzichè al Pliocene, come aveva fatto in principio. 1) MANZONI. Aggiunte di notizie e considerazioni alla relazione di un viaggio geologico in Italia del dott. Fucns. Boll. Com. geol. ital., vol. V, pag. 233. Roma, 1874. ?) DE Bosnraski. Sui pesci degli scisti ittiolitici del Gabbro. Atti Soc. tosc. Se. Nat., Proc. Verb., vol. I, pag. 19. Pisa, 1878. 3) DE BosnIasKI. Sul carattere della ittiofauna fossile e della stratigrafia dei piani a Congerie, ecc. Atti Soc. tosc. Sc. Nat., Proc. Verb., vol. I, pag. 54. Pisa, 1878. 4) DE BOsNIASKI. Cenni sopra l'ordinamento cronologico degli strati terziari superiori nei Monti Livornesi, ecc. Atti Soc. tose. Sc. Nat., Proc. Verb., vol. I, pag. 116. Pisa, 1878. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 191l Tra coloro che con tanto interesse si occuparono della geologia della regione in parola deve essere annoverato anche il De STEFANI. Questi, in uno dei suoi più importanti studi di carattere paleontologico e geologico insieme !) pubblicato nel 1876, parlando dell'ormai famoso calcare di Rosignano ritenuto come già dicemmo da CAPELLINI, Fucas e MANZONI quale principale rappresentante del calcare di Leitha, credette doverlo più giustamente considerare come pliocenico, perchè tutti i fossili che egli vi potè riscontrare, per quanto generalmente mal conservati, benis- simo si addicevano anche a specie del Pliocene. Però il De SreranI ben presto si ricredette e lo riportò egli pure al Miocene non appena ne ebbe riconosciuta la posizione al disotto delle marne salmastre del Mio- cene superiore e vi potè riscontrare la presenza del Pecten aduncus EicHw. che-gli altri geologi vi avevano già ritrovato prima di lui. La formazione calcarea di Rosignano è pure ricordata in altro pre- gevolissimo lavoro dello stesso autore ?), dove questi, facendo una chiara esposizione del suo concetto sulla contemporaneità di certi depositi che per il fatto di essersi originati in condizioni batimetriche differenti erano stati creduti di età diversa dal maggior numero dei geologi, parla, e più volte, della formazione medesima, considerandola come ori- ginatasi durante il Miocene medio in quella zona batimetrica conosciuta sotto il nome di zona delle Laminarie. Altra memoria 8) di questo stesso geologo, nella quale è ancora fatto cenno dei terreni della regione rosignanese, è quella che tratta della pan- china, roccia che, come è noto, trovasi notevolmente diffusa nella regione suddetta. Di questa roccia, specie di calcare arenaceo, talora passante ad una forma di conglomerato, spesso anche riccamente fossilifera, è ri- portato un elenco dei fossili più importanti e più comuni. Le sue spe- ciali condizioni morfologiche e stratigrafiche sarebbero poi, secondo il DE STEFANI una prova evidente del sollevamento cui tutta, o quasi, la parte littoranea della regione in parola andò soggetta dopo la sua for- mazione. Sempre al De SterANI 4) devesi una nota sui terreni eocenici 1) DE STEFANI. Molluschi continentali fossili fino ad ora notati in Italia nei terreni pliocenici ed ordinamento di questi ultimi. Atti Soc. tosc. Sc. Nat., Mem., vol. II, pag. 155. Pisa, 1876. 2) DE STEFANI. Les ferrains tertiaires superieurs du bassin de la Mediterranee, pag. 215, 228 e 325. Liége, 1893. 3) Da SrEFANI. La panchina recente fra Livorno e Civitavecchia ed il suo sollevamento attuale. Atti Soc. tos. Se. nat., Proc. verb., vol. II, pag. 42. Pisa, 1880. 4) Dn STEFANI. Sui ferreni eocenici dei Monti Livornesi e della Castellina. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Proc. verb., vol. II, pag. 32. Pisa, 1880. 192 R. UGOLINI dei Monti Livornesi e della Castellina. Questa’ nota, però, interessa i terreni eocenici, non di Rosignano particolarmente, ma di tutto il gruppo dei: Monti Livornesi. Della geologia di Rosignano trovasi una breve relazione anche nella nota memoria del Sacco !) sulla porzione toscana dell'Appennino set- tentrionale. In questa l’Autore, passando in rivista tutti i terreni che di esso fanno parte dal Permo-Carbonifero al Quaternario, riporta alla Creta superiore le formazioni ofiolitiche dei Monti Livornesi, paragonan- dole a quelle della zona ofiolitica della riviera di Levante; riferisce poi al piano Parisiano dell’Eocene i calcescisti ed il macigno, che nel Gruppo livornese occupa uua discreta estensione, specialmente fra il Boccale ed il Romito; e finalmente, a proposito del calcare di Rosignano, dice di ritenerlo »iferibile al Messiniano inferiore, attribuendo la causa del ca- rattere marino che esso possiede alla vicinanza del mare. Fra coloro che si occuparono ultimamente della geologia dei Monti Livornesi è degno di essere ricordato l’ing. B. Lotti. Costui, per l’in- carico che ebbe, dall'Ufficio del R. Comitato geologico italiano di cui fa parte, di rilevare geologicamente questa regione, ha avuto l’ oppor- tunità di percorrere e studiare, come altri forse non ebbe mai, i ter- reni in questione. Questo rilevamento geologico, la cui grandissima im- portanza non ha bisogno di essere qui dimostrata, è stato solo da poco tempo pubblicato alla scala di 1:100000 ed in due tavolette separate, portanti respettivamente i numeri 111 e 112. Manca però, una descri- zione particolaresgiata a corredo del rilevamento suindicato; e sarebbe utile che il Lotti la pubblicasse al più presto. Termino questa breve rassegna geologica col ricordare un recente lavoro del TRENTANOVE ?) sui terreni di Popogna e Cafaggio nei Monti Livornesi, dove l’Autore, parlando particolarmente del calcare esistente in fondo alla valle del Rio Popogna, trova modo di confermare, mercè l’ausilio dei fossili rinvenutivi, quello che il C4PELLINI aveva detto tanti anni prima circa l’identità che questo calcare presenta con quello or- mai noto di Rosignano. Gli autori ricordati fino ad ora ebbero più specialmente di mira lo studio geologico della regione dei Monti Livornesi. Ma altri furono gli 1) Sacco. L’Appennino settentrionale, Parte 3.8. La Toscana. Boll. Soc. geol. it., vol. XIV, pag. 186. Roma, 1895. 2) TRENTANOVE. Il Miocene medio di Popogna e Cafaggio nei Monti Livor- nesi. Boll. Soc. geol. it., vol. XX, pag. 510. Roma, 1901. 9 I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 193 ‘studiosi che si interessarono particolarmente delle rocce, non tanto per l’importanza che queste hanno di per sè quanto per quella che viene loro conferita dai numerosi minerali metalliferi che le accompagnano. È primo fra questi il D’AcHIARDI !) che nella classica sua opera sui mine- rali della Toscana, ebbe occasione di trattare anche di quelli che si rin- vennero nelle rocce di Rosignano. Uno studio litologico molto interessante, sebbene pubblicato già da parecchi anni, è quello del BrRWERTEH ?) sulle rocce ofiolitiche affioranti nei dintorni di Rosignano e di Castellina Marittima. Questo studio ri- guarda le principali rocce verdi esistenti a Rosignano, come la serpen- tina, l’eufotide, la diabase e la porfirite diabasica e fu eseguito sopra campioni che il Fucgs aveva raccolto all’epoca del suo viaggio in Italia. Di Rosignano è stata descritta dal BusattI 8) anche un’altra roccia: la Iherzolite, che egli riconobbe in mezzo ad alcuni campioni raccolti dall'ing. Lorti. Termino col ricordare uno studio litologico del MaA- NASSE 4) sopra la sabbia verde-bruna di Castiglioncello, ed altre due note petrografiche da me pubblicate °) qualche anno fa sopra la ser- pentina e l’eufotide di quel medesimo luogo. II. — Cenni geografico-fisici. Col nome generico di Catena serpentinosa il SAvi designava sino dal 1838 5) quell'insieme di monti e colli della Toscana alla cui costituzione concorrono principalmente le serpentine. Dico principalmente perchè, come è noto, altre rocce verdi quasi sempre si connettono colle masse serpentinose qualunque ne sia la età geologica. Questa catena, che 1) D’AcHIARDI. La Mineralogia della Toscana. Pisa, 1872. ?) BERWERTH. Felsarten aus der Gegend von Rosignano und Castellina Ma- rittima sidlich von Pisa. Miner. Mittheil. gesamm. v. G. TscHERMAK, Jahrg. 1876, s. 229. Wien. 3) BusatTI. Sulla Iherzolite di Rocca Sillano e Rosignano (Monti Livornesi). Atti Soc. tosc. Sc. nat., Mem., vol. X. Pisa, 1887. 4) ManassE Di una sabbia ferro-cromo-titanifera dei dintorni di Castiglion- cello. Atti Soc. tos. Sc. nat., Proc. verb., vol. XII, pag. 153. Pisa, 1900. 5) UGoLINI. Studio chimico-microscopico della serpentina di Castiglioncello. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Mem., vol. XVIII, pag. 150. Pisa, 1902. — Inem. Dì una eufotide a saussurite dei dintorni di Castiglioncello. Boll. Soc. geol.it., vol. XXIV, pag. 71. Roma, 1905. 6) Savi. Delle rocce ofiolitiche della Toscana e delle masse metalliche in esse contenute. Pisa, 1838-39. se 194 R. UGOLINI occupa una estensione considerevole della regione suddetta, fu dallo stesso SAvi suddistinta in quattro gruppi o serie che sono ordinate so- pra una linea diretta pressochè da nord-ovest a sud-est. Ascriveva, come è noto, alla prima serie od wltrappenninica le masse serpentinose di Sasso di Castro, di Monte Beni e di Maltesca, collegantisi a loro volta a quelle del Modenese. Alla seconda o citrappenninica ascriveva poi quelle del Pontremolese, della Garfagnana, del Monte Ferrato presso Pistoia e la grandiosa massa dell’ Impruneta presso Firenze, non che quella dell’Alpe Catenaia in vicinanza di Arezzo. La terza serie, detta litorale perchè prevalentemente distribuita presso e lungo il litorale, comprendeva le masse serpentinose che dal Poggio Corbolone, ad oriente di Livorno, si continuano con poche interruzioni sino ai Monti del Cam- pigliese e del Massetano. Alla quarta ed ultima serie assegnava, infine, le rocce serpentinose e loro connesse dell’Elba e delle altre isole cir- costanti, donde il nome di serie insulare. I terreni che sono oggetto di questo mio lavoro appartengono alla serie litorale e più specialmente a quel gruppo di essa che è general- mente conosciuto sotto il nome di Monti Livornesi. “ Con questo nome , così dice il RePETTI !) “ si distingue una piccola giogaia di monti che corre lungo il littorale fra la foce dell’Ardenza e quella della Fine, mentre dalla parte del continente ha per confine il fiume Tora e la via Emilia di Scauro ossia la strada regia maremmana. Il gruppo dei Monti Livornesi trovasi circoscritto fra i 27° 59’ e 28° 7’ di longitudine e 43°23' e 43°35' di latitudine ,. Quanto alla denominazione essa proviene loro sicuramente dalla relativa vicinanza alla città di Livorno, abbenchè la maggiore loro estensione appartenga alla provincia di Pisa. Questi terreni occupano soltanto una piccola zona della parte più meridionale dell’anzidetta Catena. Tale zona, che è compresa fra 1° 57 18% 2°3'12” di longitudine ovest (meridiano di Roma: Monte Mario) ed i 43° 25/-43° 22’ 30" di latitudine nord, occupa un’area di circa 3470 et- tari, appartiene interamente alla provincia di Pisa ed al circondario di Rosignano Marittimo, ed ha per confini: a nord la massa principale dei Monti Livornesi, ad ovest il mare, ad est ed a sud la Fine e parte dei terreni che costeggiano la riva sinistra di questo fiume. L’orografia di questa zona è semplice, i monti che ne fanno parte essendo dotati di i) RePETTI. Dizionario geografico, fisico e storico della Toscana, vol. III, pag. 561. Firenze, 1839. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 195 ‘elevazione poco notevole, e dal punto di vista morfologico può consi- derarsi suddivisa in due zonule di cui una montuosa e collinosa ed un’altra quasi pianeggiante o leggermente inclinata verso il mare. La zonula montuosa, se pure questo nome ben si addice ad una re- . gione le cui prominenze maggiori non superano i 200 m. di altezza sul livello del mare, si estende di preferenza a settentrione ed a levante della zona principale. Le prominenze che occupano la parte settentrio- nale di questa zonula formano alcune piccole giogaie che fanno capo, in parte al Monte Pelato (m. 378), che non è compreso nei confini della regione studiata, ed è una delle vette più elevate dei Monti Livornesi, in parte al Poggio delle Serre (m. 310) che è situato a sud-est ed a poca distanza dal precedente; ed in parte al Poggio Ginepraia (m. 221), che si erge molto più a sud dei primi due. Queste giogaie si distaccano dalla linea del crinale con direzione verso sud e verso sud-ovest avendo una pendenza generalmente assai dolce. I fianchi di queste giogaie sono però molto ripidi e scoscesi in ragione delle vallecole strette e profonde che a guisa di gole solcano lo spazio interposto fra l’una e l’altra. Delle prominenze esistenti nella parte orientale della stessa zonula, meno al- cune che sono situate sulla destra della Fine, tutte le altre trovansi sulla sinistra di questo fiume. Le prime appartengono al versante orien- . tale del crinale più sopra ricordato, e scendono verso sud, est e nord- est con pendio assai ripido; ricordo fra queste il Poggio di Rosignano (m. 147), i Poggetti (m. 173), il Poggio di Rivignali (m. 190) e quello del Mulino a Vento (m. 199). Le seconde appartegono come già dicemmo al versarite di sinistra della Fine, sono dotate di altezza ancora mi- nore delle precedenti ed, eccezione fatta per il Poggio Berna (m. 60) che ne è in parte nettamente distaccato dalla ferrovia che lo attraversa, tutte le altre sono collegate direttamente alle colline plioceniche che dividono i Monti di Rosignano da quelli di Castellina Marittima. La sola zonula montuosa ora descritta, considerata nel suo insieme, misura un'estensione di 1370 ettari. Occupa quindi poco più di un terzo della intera regione in istudio. Tutto il resto è pianura, od almeno da considerarsi quasi come tale, data la pendenza leggerissima che, come già dissi, essa ha verso il mare. Questa seconda zonula quasi pianeg- giante è di forma triangolare ed ha la base situata in alto e diretta pressochè da ovest ad est e più precisamente dalla Punta di Casti- glioncello allo sbocco del Torrente Marmolaio. Degli altri due lati del triangolo uno è segnato dalla linea di spiaggia e l’altro dalla sponda destra della Fine. 196 R. UGOLINI Il litorale che limita dalla parte occidentale la regione rosignanese è specialmente degno di qualche parola. Esso si estende per una lun- ghezza di circa 5 km. e mezzo, a causa dello sviluppo della costa che, in special modo nei pressi di Castiglioncello, mostrasiinterrotta da insenature strette e profonde che la rendono fortemente frastagliata. Questa particolare conformazione che la costa stessa presenta e con- serva sino quasi a Livorno, e che è essenzialmente dovuta alle con- dizioni sue geologiche, cessa del tutto là dove .le accidentalità del terreno incominciano ad abbandonare il litorale per inoltrarsi più a dentro nel continente. Ciò si verifica poco sotto Castiglioncello dove le formazioni autigene, nel caso particolare nostro rappresentate dalle rocce ofiolitiche e dalle altre rocce concomitanti, lasciano il posto alle masse sabbiose ed argillose che l’alluviune fluviale e marina riuscì con l’andar del tempo a depositarvi. In relazione con la natura sabbiosa incoerente del litorale sono poi i tomboli e le dune che di tratto in tratto si osservano lungo la costa della regione in parola da Castiglion- cello in giù. A questo proposito giova di ricordare che in più punti della costa stessa le sabbie che formano cotesti tomboli e dune mostrano una evidente tendenza alla cementazione. Dirò anzi come in qualche località essi posseggano di già una certa consistenza ed un aspetto macrosco- pico che ricorda molto quello della ormai nota panchina quaternaria, fa- cendo quasi pensare ad una panchina tuttora in via di formazione. III. — Descrizione geologica dei terreni. La geologia dei terreni di Rosignano e di Castiglioncello è legata così intimamente a quella dell'intero sistema orografico dei Monti Livor- nesì, che nel trattare di quelli accade spesso di dovere parlare sia pure brevemente anche di questi. Può dirsi, infatti, che ad eccezione di poche, \le stesse rocce che concorrono alla costituzione di tutto il resto del sistema suddetto, si ritrovino tutte nel territorio rosignanese. Tali rocce sono più recenti dell’era mesozoica, come io ho potuto riscontrare nelle varie escursioni da me fatte nel territorio medesimo e come ben risulta anche dalla carta geologica dei Monti Livornesi (fogli 111 e 112) che il Comitato geologico italiano ha pubblicato recentemente sopra i rilievi dell’ing. LonTI. Questa carta, essendo stata riprodotta in una scala troppo piccola 1:100.000) non poteva servire in alcun modo ad uno studio agrologico I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 197 un poco dettagliato. Fui perciò costretto ad eseguire per, mio Conto un nuovo rilevamento geologico, sopra una scala al 1:525000. . La descrizione che io farò dei terreni studiati sarà rapida e succinta e riguarderà dapprima i più antichi e poi successivamente i più recenti. 1. Eocene superiore. l. — Diaspri e ftaniti, scisti galestrini e calcari alberesi. Le rocce di cui sto per parlare si adagiano direttamente su quelle ofiolitiche formanti il nucleo della regione rosignanese. Sono dunque le più antiche della serie sedimentaria esistente nella regione stessa, seb- bene presso Castiglioncello, poco sopra la nuova stazione ferroviaria, abbia notato l’esistenza di un piccolissimo affioramento di arenaria macigno del tutto simile a quella che costituisce il promontorio di Calafuria presso Livorno. Queste rocce sono oltremodo svariate per qualità ed aspetto litologico, ma prevalgono i seguenti tipi: diaspri e ftaniti, argille sci- stose galestrine policrome, calcari marnosi (alberesi). È tramezzo a questo complesso, talora anche potente, di rocce che compare, spesso anche in masse considerevoli, la formazione ofiolitica della quale sarà detto a suo tempo. Il primo tipo litologico, quello dei diaspri, si presenta in generale in istrati di poco spessore, situati quasi costantemente a contatto delle rocce ofiolitiche, specialmente diabasiche, che ricuoprono e rivestono a guisa di mantello. Hanno inoltre una piccolissima estensione costituendo essi soltanto pochi lembi sporadicamente disseminati qua e là a contatto con le rocce verdi. È certo, però, che la formazione diasprina, almeno nella zona in istudio, ha una diffusione molto minore di quella ofiolitica. L'una e l’altra sono poi a loro volta come racchiuse e circondate dalla serie scistoso-galestrina. È per questa ragione che accade talvolta di trovare i diaspri associati agli scisti argillosi che seguono ed accompa- gnano anche nelle loro piegature più forti. I diaspri, spesso manganesiferi, sono dotati di colore rosso-vinato più o meno intenso, talora passante al verdognolo, e di struttura e frattura molto simili a quelle di altre rocce silicee del genere conosciute sotto il nome di ffaniîti. I caratteri micro- Scopici dei diaspri di Rosignano su cui nessuna ricerca è stata fatta fino ad ora, sono poco o nulla diversi dai caratteri dei loro corrispondenti del Romito, già studiati, come è noto, dal PANTANELLI (*). (*) PANTANELLI, I diasprîì della Toscana e î loro fossili. Mem. R. Accad. di Lincei, ser. III, vol. VIII. Roma, 1880, 198 subangulata BR. » varicosa BR. » tricarinata.: BR. Solarium obtusum BRONN. Natica millepunctata Lux. » —helycina BR. Mitra piramidella BR. Lamellibranchi. Chlamys varia L. >» — Angelonii Mex. Aequipecten opercularis L. Pecten Jacoboeus LMK. Arca lactea L. Pectunculus glycimeris L. Cardita rufescens (2) Lmx. Cardium aculeatum L. DIO k. UGOLINI Cardium hians BR. - Ro Laevicardium oblongum CEmN. Cytherea multilamella Lmx. » chione L. Venus fasciata DA Costa. Lucina spinifera Mta. >» borealis L. Coralli. Caryophyltia sp. Foraminifere. Rotalia sp. Triloculina sp. Discorbina sp. 4. Quaternario antico e recente. Come ho già avuto occasione di accennare più volte, una delle for- mazioni più importanti del territorio rosignanese, segnatamente per l'estensione che essa vi occupa, è quella che, con vocabolo usato sino dai tempi del Savi (!), è conosciuta sotto il nome di panchina. Questa roccia, che costituisce gran parte di tutto il litorale toscano fra Livorno e Civitavecchia e.che è altresì comune e frequente lungo le coste non solo de!l’ Italia meridionale ma anche di varie altre regioni mediterranee, ha aspetto e struttura assai variabili. Di solito consiste di un calcare arenaceo, di origine puramente marina, come ne attesta la natura delle conchiglie fossili che spesso e in gran copia vi si trovano contenute. Ove, per altro, l’elemento allotigeno scarseggi o venga quasi del tutto a mancare, oppure aumentino nella grossezza i suoi componenti, accade spesso che dal tipo anzidetto si passi per gradi nel primo caso ad un calcare quasi puro che ricorda i calcari di origine chimica del tipo alo- (1) Savi. Sui terr. stratif. dip. o ann. alle masse serp. di Toscana. Nuov. giorn. d. Lett. Pisa, 1837. — Inem. Saggio s. cost. geol. d. prov. di Pisa, pag. 38. Pisa, 1863. — CoccHI. Descr. d. roch. ign. et sedim. de la Toscane. Boll. Soc. geol. de France. ser. II. vol. XIII. pag. 275 e 298. Paris, 1896. — De STEFANI La panchina recente fra Livorno e Civitavecchia ed il suo sollevamento attuale. Atti Soc. tosc. Sc. Nat., Proc. verb., vol. II, pag. 42. Pisa, 1880. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 213 calcare, e nel secondo ad un’arenaria grossolana o talora ad un vero e proprio conglomerato. Comunque sia, la natura speciale dei compo- nenti la parte allotigena di questa roccia, come quarzo, minerali silicati, frammenti di rocce silicate e calcare, dimostrano evidentemente che essi provennero dal disfacimento di rocce che ‘ancora si ritrovano nella regione circostante. La formazione in parola è sempre nettamente stra- tificata, in banchi poco numerosi e di spessore non molto considerevole per modo che la potenza ne è, qui almeno, assai limitata. Essa è in compenso piuttosto notevolmente sviluppata in superficie, come ebbi già occasione di osservare poco fa, e si può dire anzi che un buon terzo della zona da me geologicamente studiata è costituita di panchina. L'andamento dei suoi strati non è, però, molto variabile. Abitualmente essi si appog- giano alle rocce più antiche costituenti le colline interposte fra Casti- glioncello e Rosignano e fra il Malandrone ed il Botro dell’ Acquerta da dove discendono poi grado a grado verso il mare con una pendenza che è generalmente leggerissima ed in massima diretta ad ovest ed a sud-ovest. Notasi tuttavia in qualche località qualche cambiamento sensibile nella direzione della pendenza, come accade in tutto quel tratto di panchina che affiora lungo la sponda destra della Fine, dalle Fabbriche sino presso il Molino della Fine, dove gli strati pendono evidentissimamente verso sud-est con una inclinazione persino di 25°. Una tale inclinazione negli strati della panchina non è però molto frequente; ed io ho avuto occasione di riscontrarla soltanto in pochi altri luoghi della regione in istudio e par- ticolarmente nei tratti di questa formazione che sono altimetricamente più elevati. Se ne hanno esempi al Poggio della Ragnaia presso Castiglioncello, dove la panchina arriva quasi all’altezza di 100 m. ed al Poggio del Ma- landrone, dove essa. raggiunge un'altezza che, sebbene inferiore alla precedente di una trentina di metri, è sempre assai ragguardevole. Per quel che riguarda l’età di questa formazione mi limiterò ad osservare che essa, sebbene sia stata un tempo attribuita dal Savi e da altri al* Pliocene, è oggi universalmente riferita all’era quaternaria e più precisa- . mente al quaternario antico o Postpliocene, tanto per la concordanza con la quale altrove riposa sugli strati pliocenici, quanto per il numero di specie ancora viventi che essa annovera fra i suoi fossili. Ho già detto. poco fa che la panchina occupa una buona parte della superficie del terri- torio Rosignanese da me studiato; ma una estensione ancora maggiore essa potrebbe avere se come in qualche località ho riscontrato, non la ricopris- sero gli strati di un’altra formazione più recente. 214 R. UGOLINI Questi strati sono principalmenle costituiti di una sabbia sciolta, si- licea, con poco calcare e ricchissima di ossidi di ferro, donde il colore rosso intenso che essa possiede. Questa sabbia, che presso gli abitanti del luogo è conosciuta sotto il nome di scopino, sembra mancare di fossili. Due piccoli affioramenti di essa si trovano lungo il Botro Cotone, l’uno sulla sponda destra fra Casa Serra Grande ed il Giardinaccio, l’altro sulla sinistra presso Le Cerbonchie. Ma uno sviluppo veramente notevole essa lo ha soltanto al di là della Fine fra il Malandrone ed il Botro dell’Acquerta. Questa formazione, che là dove si presenta è sempre ad immediato con- tatto con la panchina e, per quel che è possibile vedere, in concordanza con essa, io credo che sia da ritenersi postpliocenica come quella. Appartengono al quaternario recente tutti i depositi fluviali della Fine e i depositi marini che vanno tutt'oggi accumulandosi lungo il litorale. A causa della costituzione argillosa delle ‘colline che formano la maggior parte del bacino idrografico della Fine, i depositi alluvionali di questo fiume sono prevalentemente di questa natura. Associati agli strati ar- gillosi si hanno nulladimeno anche alcuni sedimenti di ghiaie i cui ele- menti, calcarei in predominanza, ma in parte anche ofiolitici, provengono certamente dal disfacimento delle rocce eoceniche che costituiscono la porzione periferica del bacino anzidetto. In quanto ai depositi marini che si formano lungo la spiaggia del territorio rosignanese, essi risultano composti principalmente di sabbie, che in alcuni punti della spiaggia stessa, si accumulano anzi e si addossano per azione dei venti, a formare tomboli e dune dotate di poca elevazione. La spiaggia incoerente sab- biosa, giova dirlo, incomincia a manifestarsi soltanto a sud di Casti- glioncello e più precisamente dalla foce del Botro Grande in giù. Le sabbie in parola hanno composizione assai svariata risultando esse di frammenti silicei, silicati e calcarei misti a conchiglie di molluschi confusamente associate di loro. Sono generalmente sciolte; ma in qualche punto della Spiaggia, come già ho avuto occasione di osservare in altra parte di questo lavoro, esse mostrano un indurimento particolare, proveniente da un principio di cementazione calcarea, che conferisce loro l’aspetto di una roccia arenacea molto simile alla panchina, dalla quale può renderla riconoscibile soltanto la minore consistenza che essa possiede. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 215 IV. — Studio litologico. I. Rocce di Rosignano. 1. — Porfirite diabasica ad uralite. È di aspetto “non sempre fresco; generalmente presentasi in con- dizione di alterazione assai avanzata. Consiste di una massa microcri- stallina verde-cupa, talora minutissima, disseminata più o meno fitta- mente di cristalli porfirici di bianco feldispato, ai quali si aggiungono non di rado piccole macchie giallo-rossastre limonitiche. L'esame microscopico delle sezioni sottili eseguite su molti cam- pioni presi in più luoghi, rivela la struttura solita delle porfiriti dia- basiche. I cristalli del feldispato porfirico bene spesso sono corrosi dal magma che li circonda e talora anche compenetra, onde non lasciano vedere l’originario contorno poliedrico altro che incompletamente. Hanno dimensioni assai variabili; ordinariamente raggiungono alcuni millimetri di lunghezza e sol di rado superano il centimetro; in alcune sezioni si nota per questo minerale anche un certo grado di freschezza che ne rende meno difficile il riconoscimento dimostrando trattarsi di plagio- clasio. Ad ogni modo non mancano sezioni di questa roccia nelle quali il plagioclasio si rivela cosi profondamente alterato e decomposto che al posto di esso non rimangono altro che i prodotti della decomposi- zione come caolino in prevalenza, mica bianca e pochi granuli di epi- doto. Negli interclusi più freschi è assai evidente il carattere della ge- minazione con le tre leggi: albite, periclino, con lamellazione generalmente fittissima, e Karlsbad, talvolta anche insieme combinate. L’estinzione nella zona normale a (010) è assai variabile, tanto nei . geminati albitici, quanto nei geminati doppi albite-Karlsbad. Così, mentre in qualche sezione si hanno geminati albitici con valore massimo di estin- zione simmetrica di 14°-15 e geminati doppi coi valori seguenti: I II 18° 17° 15° 14° ciò che farebbe pensare ad un termine andesinico con circa 30-40 °% An.; nel maggior numero di esse invece l’angolo massimo di estinzione dei geminati albitici oscilla tra 20° e 21° ed i geminati doppi danno; 216 R. UGOLINI I II 33° 14° 30° 2,50 270 24°, Ne consegue che la specie plagioclasica di questa roccia è da riferirsi all’andesina-labradorite. La massa fondamentale risulta costituita di un aggregato microcristallino, non sempre troppo minuto, ma talvolta minu- tissimo, di minerali originari e secondari, i quali sono promiscuamente associati tra di loro. Sono: presenti cristalli assai freschi di plagioclasio, di forma stretta ed allungata, diretti in vario senso, geminati polisin- teticamente con le tre leggi e dotati di tutti i caratteri del plagioclasio porfirico. Oltre al feldispato è presente, e talora anche in copia notevole, dell’anfibolo secondario. Tuttavia come residuo del pirosseno originario notansi qua e là nella massa anfibolica, dei cristalli nei quali sono tuttora visibili molti dei caratteri propri dell’augite come la mancanza del pleo- croismo, la forte birefrazione e l'estinzione ad angolo grande dalle tracce della sfaldatura prismatica. Alcune aree piuttosto ampie ed a contorno poliedrico quasi regolare, interamente ripiene di anfibolo, esistenti nella massa fondamentale di qualche campione della roccia in parola fanno credere alla preesistenza anche di interclusi pirossenici dei quali le an- zidette aree anfiboliche non sarebbero che i residui. L’anfibolo è talora in sezioni basali, con reticolato di sfaldatura di- stintamente visibile, ma più comunemente nelle solite forme bacillari di colore verde-giallastro a verde-azzurrognolo pallido. Dal pleocroismo a = verde-giallastro chiaro 6 = verde-giallastro c = verde-ceruleo e dall’estinzione c:c= 17°, si desume trattarsi di un anfibolo molto prossimo alla specie uralite. Nella massa fondamentale della roccia stanno disseminati qua e là altri minerali accessori fra i quali ricordo la tita- nite in lamine cuspidali grandi, ben rilevate, pleocroiche, ma non sempre in tutte le sezioni rappresentata. PSA Come prodotti secondari dei minerali essenziali della roccia ricordo poi un feldispato limpidissimo neogenico, di specie però non bene de- I TERRENI DI ROSIGNANO È CASTIGLIONCELLO 217 terminabile; una mica bianca di aspetto muscovitico; questa e quello in copia assai scarsa; vi si osservano poi e in quantità molto maggiore oltre al caolino, ed all’epidoto già ricordati più sopra: clorite in plaghe pleocroiche anche assai estese e zoisite. Questa vi è in foggia di granuli o di cristalletti prismatici distribuiti variamente nella massa fondamen-, tale, ma più specialmente contenuti nel feldispato porfirico dal quale sono da ritenersi provenuti; essa si riconosce facilmente dal rilievo e dalla sa- grinatura caratteristica, dai colori bassi grigio-azzurri d’interferenza e dalla mancanza di pleocroismo. Altri minerali accessori sono l’ilmenite in sezioni ben di rado basali esagone, più spesso in masserelle irregolari di qualche grossezza, dai margini smangiati e dentellati ed in genere nelle forme già riprodotte dal REINIScH !); molti granuletti nero-azzurri di aspetto magnetitico, ed i soliti prodotti ematitici e limonitici così fre- quenti nelle rocce di questo tipo. I campioni di questa roccia forono rac- colti in parte nella stessa località donde provennero quelli già studiati dal BERWERTH ?) cioè lungo la rotabile che dal paese conduce alla stazione ferroviaria di Rosignano, ed in parte sulla cima dei Poggetti, lungo la strada a cipressi che conduce alla casa colonica omonima. 2. — Diabase uratilizzata. Roccia di colore verde-bruno con tendenza all’azzurro, compatta, te- nacissima allo stato di freschezza, a grana talora non troppo minuta, ma più comunemente minutissima. La sua struttura è manifestamente ofitica cioè, come ben si deduce dall’esame microscopico, risultante di un aggregato olocristallino di liste plagioclasiche allungate ed orientate in vario senso tra le quali si annida una massa verde di aspetto anfibolico che forma per così dire il fondo della roccia. Il plagioclasio si presenta con abito ordinariamente microlitico; tuttavia in alcune sezioni fu no- tato qualche cristallo di dimensioni un poco più grandi che pare accen- nino ad un principio di porfiricità. È sempre più o meno alterato: l’alterazione, però, non è mai così profonda da nascondere il carattere della poligeminazione. Questa avviene comunemente con legge dell’albite, . più di rado con quelle albite-periclino. Non mancano però esempi di geminati albite-Karlsbad, ancorchè, per lo stato di alterazione in cui si 1) ReIinIscH. Petrographisches Prakticum, vol. I, pag. 9, fig. 4. Berlin, 1907. 2) BERWERTH. Felsarten aus der Gegend von Rosignano und Castellina Marit- tima sudlich von Pisa. Miner. Mitth. v. G. Tscuermax. Jahrg. 1876, s. 229. Wien, 218 R. UGOLÌNI trovano, nessuno di essi si presti alla misura dell’angolo di estinzione. In qualche cristallo ho potuto riconoscere anche un principio di zonatura con mantello più acido della parte interna. Le misure dell’angolo di estinzione eseguite nella zona normale a (010) di alcuni geminati albitici meglio conservati mi hanno dato valori non superiori ai 17°, propri cioè di andesina; il confronto della rifra- zione di alcuni individui plagioclasici con quella del balsamo diede: a > > Il minerale verde, che è parte essenziale della roccia in esame, è un anfibolo, derivato certamente dalla decomposizione del pirosseno origi- nario, alcuni residui del quale ancora riconoscibili hanno tutti i carat- teri dell’augite. L'esistenza poi, nell’interno di qualche individuo anfibo- lico, di alcune particelle augitiche dimostra all'evidenza che l’alterazione avvenne centripetamente. L’anfibolo si presenta abitualmente in lami- nette, spesso prismatiche, più di rado basali, dai contorni frangiati, do- tate di un color verde pallido con pleocroismo: = giallo-verdastro pallido 6 = verde-pallido c = verde-ceruleo pallido e con c> b> a. In alcuni individui di questo minerale è ancora chiaramente conser- vata la geminazione secondo (100) dell’originaria augite; l’estinzione c:c di qualche lamina raggiunge valori massimi di 16°. Si ha dunque ragione di credere che l’anfibolo in parola sia di natura uralitica, ben- chè alcuni elementi molto fibrosi e quasi affatto privi di pleocroismo abbiano più aspetto actinolitico. Insieme all’uralite, o forse per ulteriore alterazione da questa, sì è | formata anche un poco di clorite facilmente riconoscibile dal colore verde- pallido, dall'assenza di pleocroismo e dalla birifrazione bassissima. Più abbondanti sono i derivati della decomposizione del feldispato. Tra questi è da ricordarsi, oltre il caolino, la zoisite. Questa vi si trova in plaghe di varia grandezza, con rilievo e sagrinatura caratteristici di questa specie, Î ‘'ERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 919 senza affatto pleocroismo e con birifrazione debolissima nei colori gri- gio-azzurri. Pure presente, sebbene molto scarso, è l’epidoto. Si accom- pagna al minerale precedente col quale ha comune l’origine dal feldi- spato e col quale potrebbe anche facilmente scambiarsi se non fossero la birifrazione molto più vivace e la leggera colorazione giallastra a far- celo riconoscere. Altri minerali accessori di questa roccia sono: ferro titanato, abbondantissimo ed anzi, per la copia, immediatamente seguente all’anfibolo, leucoxreno, ematite, limonite e rutilo: quest’ ultimo in cri- stalletti abitualmente aciculari quasi sempre inclusi nel plagioclasio. Eccetto poche e lievi differenze questa roccia somiglia assai a quella del Terriccio, già studiata dal D’AcHIARDI !). Essa è poi identica o quasi alla diabase del Romito, situato poco lungi da Castiglioncello, descritta dal CaseLLA *) e dal Manasse *). La sua composizione chimica, secondo l’analisi che il Manasse 4) stesso ne ha dato qualche anno dopo è la seguente: Perdita per arroventamento . . . . . . 3,05 SIOE AR I LOT PIO o O e atlacce TORA aiar tracce Fe O ie) SORA En 8, 32 MORRA REVO ica CMCFACCE NICOLE a RAI 1904 COR ea neo 67:66 MEO i ae 8001 RO O a edo La Li NILO Rete RR i an 4103 101, 83 1) D’AcHIARDI A. Diabase e diorite dei monti del Terriccio e di Riparbella. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Proc. verb., vol. IV, pag. 237. Pisa, 1885. 2) CasoLLa. Diabase uralitizzata od epidiorite del Romito. Giorn. di Minera- logia, vol. IV, pag. 137. Pavia, 1893. 3) ManassE. Op. cit., pag. 18. Pisa, 1898. 4) MAnAssE. Studio chimico-microscopico del gabbro rosso del Romito. Atti Soc. tos. Sc. nat., Proc. verb., vol. XII, pag. 165. Pisa, 1901. 220 R. UGCLINI I campioni furono raccolti in parte nelle località già indicate per la roccia precedentemente descritta ed in parte in vicinanza delle Fabbriche, presso la foce del Goraccio, in quel piccolo affioramento di rocce verdi che compare all’estremità sud-orientale del Poggio di Rosignano. 3. — Gabbro rosso. È un roccia dalla tinta rosso-bruna talora uniforme, tal’altra inter- rotta da macchie di color verdastro. È dotata di poca tenacità, di una struttura microgranulare afanitica molto simile a quella dei comuni dia- basi, sol di rado compatta, più spesso vacuolare ed anco. variolitica. Osservata sul posto mostrasi attraversata da fessure più o meno estese che, per l’apparente loro regolarità, ricordano un poco le linee di stratificazione. È forse per questa ragione, e per il fatto anche di trovarsi generalmente a contatto dei diaspri e delle ftaniti della forma- zione calcareo-scistosa soprastante, che la roccia in parola fu considerata dal SAvI !) come il prodotto di alterazione degli strati che costituiscono ed accompagnano la formazione del macigno, causata dalle rocce ofioli- tiche concomitanti; e successivamente da Savi e MENEGHINI ?) come una roccia. di origine sedimentaria simile alle rocce diasprine che 1’ accom- pagnano. Trattando questa roccia con acido cloridrico si ha effervescenza. L'esame microscopico delle sezioni sottili mostra ancora evidentis- sima quella struttura olocristallina ipidiomorfa che è propria delle rocce diabasiche. Tale struttura è poi maggiormente evidente in corrispon- denza di quelle plaghe giallo-verdastre ricordate più sopra ed accennanti ad un grado di alterazione meno inoltrata che in tutto il resto della roccia. Dei minerali originari il solo ancora discretamente riconoscibile è il fel- dispato. Vi si trova in forma di microliti idiomorfi di varia lunghezza diretti in ogni senso ma con tendenza assai spiccata verso la distribu- zione radiale. L'originaria limpidezza dei microliti è quasi del tutto scomparsa, mascherandoli normalmente alcuni abbondanti prodotti di seconda formazione come caolino, ossidi di ferro ed una particolare so- stanza giallo-verdastra di aspetto cloritico o viriditico che prevale nelle plaghe giallo-verdastre ricordate in principio. Ciò nondimeno in molti di essi è ancora evidentissimo il carattere della poligeminazione con legge dell’albite; e dove i prodotti secondari sono più scarsamente rappresen- 1) Savi. Dei vari sollevamenti ed abbassamenti che hanno dato alla Toscana la sua attuale configurazione. N. Giorn. d Lett., pag. 33. Pisa, 1837. ?) Savi e MENEGHINI. Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana, pag. 502. Firenze, 1850. i TERRENI DI ROSIGNANO È CASTIGLIONCELLO 921 tati e l’estinzione quasi simmetrica delle lamelle più facilmente visibile, furono possibili anche alcune misure dell’angolo di estinzione ai due lati di (010); i valori massimi trovati di 16°-18°, farebbero pensare ad un plagioclasio del tipo andesinico. Dell’altro minerale originario, l’augite, non ho riscontrato traccia alcuna nelle sezioni osservate. In sua vece stanno molta calcite e moltissimi di quei prodotti, in parte giallo-ver- dastri, di aspetto viriditico che, come già dicemmo poco fa, mascherano gli elementi feldispatici, ed in parte maggiore rosso-bruni che sono la causa prima della colorazione particolare di questo tipo di roccia. Di questi ultimi prodotti è l’ematite il componente principale; non mancano però nella roccia la limonite e neppure la magnetite, che si presenta quasi sempre in granuletti poco numerosi e generalmente anche assai minuti. La calcite, quasi altrettanto copiosa quanto l’ ematite, vi si trova così in vene, talora anche di qualche spessore, come in forma di piccole rilegature o di aggregati cristallini, e si lascia facilmente riconoscere non soltanto dalla sfaldatura (100) evidentissima in alcune sezioni di cristalli, ma anche dalla struttura polisintetica per geminazione secondo (110) e dalla forte birifrazione che presenta, donde i colori vivacis- simi perlaceo-iridescenti dell’interferenza. Im nessuna delle sezioni di questa roccia da me esaminate mi si è dato di riscontrare tracce di apatite; e questo minerale non fu potuto ritrovare neppure nel gabbro rosso del Romito descritto da MANASSE !) al quale quello di Rosignano somiglia notevolmente. Siccome però l’ana- lisi chimica del gabbro del Romito che qui mi piace di riportare Perdita per arroventamento. . . . . . . 4,65 SRO A i a DO PIONEER e ie OL Fe O Pet 0° | . 10,79 MEO TREE RR RR RE e SE tracce STO SEE e i Ea E e ui cid CORIO I AS o IO MO i it line sl AL69 RE OA oo LA 86 i; INACIO A E e eg A 5,16 100, 69 1) Manasse. Stud. chim. micr. d. gabbro rosso d. Romito. Op. cit., pag. 160. Pisa, 1901. 2292 kh. UcoLini rivelò la presenza di anidride fosforica, comprovando l’esistenza sia pure molto scarsa del predetto minerale, così parmi non sia da escludere, data la notevole somiglianza delle due rocce, anche nel gabbro di Rosi- gnano, possa trovarsi qualche piccola traccia di apatite nascosta forse dagli abbondanti prodotti ferriferi che esso contiene. Gli esemplari di questa roccia furono raccolti sulla cima dei Poggetti. 4. — Hufotide uratilizzata. Questa roccia presenta evidentissima anche ad occhio nudo la strut- tura tipica abituale nelle eufotidi a grossa grana. Negli esemplari più fre- schi veggonsi belle lamine di diallagio, conservanti ancora l’aspetto sub- metallico proprio di questo minerale, e cristalli grossi di feldispato bianco, talora tendente al roseo e talvolta spiccatamente dotato di questo colore. L’aspetto più comune della eufotide di Rosignano è però quello di roccia profondamente alterata, e lo stato molto avanzato di alterazione si ri- conosce facilmente anche ad occhio nudo dai caratteri del minerale verde, che non sono più quelli propri dell’originario diallagio, e dalla diminuita compattezza della roccia stessa, onde si rompe senza fatica con la per- cussione mostrando nelle superficie di separazione un rivestimento esilis- simo, quasi una velatura, di una sostanza bianco-grigiastra di natura calcitica, natura che è confermata dall’effervescenza che essa dà al trat- tamento cogli acidi. ì Il processo di metamorfismo cui la roccia andò soggetta è ancor meglio dimostrato dall'esame microscopico delle sezioni sottili. Questo ci rivela anzi che, mentre in alcune plaghe della formazione eufotidica è il feldispato quello dei minerali essenziali che ha maggiormente risen- tita l’azione del fenomeno, in altre invece esso ha resistito più del pi- rosseno. Nelle sezioni dove il feldispato, per la maggiore sua limpi- dezza, si lascia meglio studiare, esso si presenta in cristalli generalmente assai grandi e con tracce di poligeminazione spesso fittissima. La legge predominante è quella albitica; ma non mancano geminati con le leggi albite-periclino e qualche geminato albite-Karlsbad. Pei geminati albi- tici che si prestano ad una esatta determinazione dell’angolo di estin- zione simmetrica, i valori massimi trovati furono di 20°-22°. Per riguardo poi alla rifrazione alcuni confronti, non troppo facili, col balsamo hanno dato: a'>n >n î TERRENI DI ROSIGNANO È CASTIGLIONCELLO 223 Trattasi dunque di un termine labradoritico piuttosto acido. A con- ferma delle forti pressioni cui la roccia andò soggetta stanno le fre- quenti, spesso notevoli, contorsioni presentate da alcuni cristalli di questo minerale. La colorazione rosea, macroscopicamente visibile in alcune plaghe feldispatiche di questa roccia, farebbe credere alla presenza della thulite; questa però non mi è stata confermata dall’esame microscopico delle sezioni osservate. In quegli esemplari della roccia in parola nei quali il pirosseno, per la non troppo profonda alterazione, è ancora discretamente riconoscibile, questa ha interessato soltanto la periferia, e la parte centrale degli in- dividui pirossenici lascia ancora facilmente vedere alcuni dei caratteri propri del diallagio, quali la forte birifrazione, l’estinzione c: c ad an- golo di 40° e la striatura caratteristica secondo (100). Le stesse defor- mazioni meccaniche già riscontrate nel feldispato si ritrovano poi anche nel pirosseno, le cui lamine si presentano quasi sempre fortemente contorte e sfibrate. In non poche altre sezioni di questa eufotide, però, il piros- seno è in gran parte scomparso ed al suo posto veggonsi degli ammassi di fibre esilissime di varia lunghezza, con polarizzazione di aggregato, forte birifrazione, estinzione delle fibre ad angolo di 16°-17°, pleocroi- smo leggerissimo, nelle quali riesce facile di ravvisare una specie anfi- bolica molto prossima al tipo uralitico. Questi ammassi, pur presentando dei contorni sfrangiati, conservano ancora in gran parte la forma del pirosseno da essi sostituito. Solo eccezionalmente al posto di questo mi- nerale trovasene un altro, dotato di colori d’interferenza bassi, grigio- azzurri e di aspetto serpentinoso, il quale farebbe credere anche alla presenza di questa specie. Nella descrizione che il BerweRrtH !) ha dato di questa stessa roccia più di trenta anni fa è fatto accenno alla presenza di un minerale verde pleocroico riferibile all’orneblenda: io, però, debbo dire che non ho trovato nelle mie sezioni nulla che potesse avvicinarsi a questa specie. Altri minerali secondari presenti nella roccia in parola oltre a quelli già ricordati più sopra sono: il caolino abbondante, la calcite ed i soliti prodotti ferriferi rosso-giallastri. La roccia fu raccolta in parte sotto il Poggio di Rosignano, lungo la via rotabile che conduce alla stazione fer- roviaria ed in parte in cima ai Poggetti, presso la casa omonima. 1) BERWERTH. Op. cit. Wien, 1876. 224 R. UGOLINI 5. — Serpentina. La roccia si presenta sotto l’aspetto di una massa, ora verde-cupa, uniforme, con disseminati qua e là grossi cristalli e lamine lucenti di pirosseno; ora magliforme per numerose esilissime briglie bruno-nere irregolarmente anastomizzate, tra le quali è contenuta la massa serpen- tinosa verde-chiara. L'esame microscopico rivela, però, in tutte e due indifferentemente il solito reticolato fittissimo di magnetite con le maglie ripiene di serpentino. Naturalmente è questo il minerale predominante della roccia, e gli fa seguito per ordine decrescente di copia la magnetite, che si presenta in forma o di cristalli semplici o raggruppati, o di plaghe variamente contornate od, infine, di granuli numerosi e minutissimi di aspetto polverulento. Altro minerale degno di essere annoverato è il pirosseno, che già di- cemmo riconoscersi macroscopicamente nella varietà verde-cupa uniforme, dove è anzi quasi altrettanto abbondante quanto la magnetite. Esso si presenta abitualmente in sezioni di cristalli piuttosto grossi, dal contorno irregolare e con tracce di serpentinizzazione molto avanzata e di tra- sformazione bastitica. In alcuni di essi la serpentinizzazione appare lo- calizzata più specialmente alla periferia; nella maggior parte, però, il metamorfismo ha invaso completamente tutta quanta la massa pirosse- nica, che, in tal caso, mostra evidentissima la struttura a maglie propria del minerale nuovamente originatosi. Di pirosseno monoclino, talora esistente nelle rocce di questo tipo, manca ogni traccia nelle sezioni da me esaminate; onde, sebbene il BerweRTH !) accenni alla presenza nella roccia in parola del diallagio, io credo che egli abbia riferito a questa specie gli elementi bastitici menzionati più sopra. Altri minerali acces- sori di questa roccia sono, il ferro-titanato in copia anche discreta, la limonite e forse la cromite. Alcune venuzze di crisotile attraversano la massa serpentinosa. I campioni di questa roccia provengono tutti dai Poggetti. 2. Rocce di Castiglioncello. 1. — Eufotide uratilizzata. x Questa roccia è quella stessa che io gia descrissi qualche anno fa 4); credo perciò conveniente di richiamarne soltanto i caratteri principali, e di rimandare a quella descrizione per più minuti dettagli. i) BeERWERTH. Op. cit. Wien, 1876. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 225 È a grana grossa, a struttura olocristallina ipidiomorfa risultante dall’asgregazione di un feldispato e di un pirosseno, il primo più ab- bondante del secondo. Il feldispato è molto alterato e con tendenza spiccata alla saussuritizzazione, onde la particolare torbidezza dei suoi cristalli e la colorazione loro in grigio-rossastro ed in grigio-giallastro. Le tracce della poligeminazione, evidente soltanto in qualche individuo meno profondamente alterato, dimostrano chiaramente trattarsi di pla- gioclasio. Predominano i geminati con legge dell’ albite; tuttavia ne fu osservato qualcuno con le leggi albite-periclino e albite-Karlsbad. Nei pochi geminati albitici, estinguenti quasi simmetricamente, il valore dell'angolo di estinzione non superò mai i 25°-26°, indicando trattarsi di labradorite. Tra i prodotti di alterazione del plagioclasio prevale il caolino, ma non vi mancano epidoto o zoisite e silice con aspetto opalino. Meno copioso del feldispato è il pirosseno il quale è da riferirsi al diallagio. Vi si trova in lamine irregolari, dotate di un colore verdastro e più o meno fittamente attraversate dalla traccia della separabilità secondo (100). La birifrazione però ne è piuttosto debole per la ten- denza che esso ha a convertirsi in uralite ed in serpentino fibroso con aspetto di crisotile. Alcune venuzze di quest’ultimo minerale veggonsi talora anche in mezzo all’elemento feldispatico. Tra i derivati dal dial- lagio, oltre all’uralite ed al serpentino, sono da notarsi i soliti pro- dotti ferriferi, in copia però assai scarsa, qualche poco di clorite ed alcune particelle, non bene definibili, aventi aspetto talcoso. I campioni di questa roccia furono presi lungo la spiaggia di Ca- stiglioncello a nord della punta omonima. 2. — Serpentina. Anche di questa roccia io ho già dato alcuni anni fa una descrizione particolareggiata ?); onde mi limiterò a farne un cenno riassuntivo ri- mandando per maggiori notizie alla prima. Anche questa serpentina, come quella che affiora a Rosignano, è in parte di aspetto verde-cupo uniforme con grossi cristalli di bastite, ed in parte di aspetto magliforme. i) UGoLINI. Di una eufotide a saussurite dei dintorni di Castiglioncello. Boll. Soc. geol. it., vol. XXIV, pag. 73. Roma, 1905. 2) UGoLINI. Studio chimico-microscopico della serpentina di Castiglioncello. Atti Soc. tosc. Sc. nat., Mem., vol. XVIII, pag. 150. Pisa, 1902. 226 R. UGOLINI All’esame microscopico, oltre al serpentino che occupa l’interno del reticolato magnetitico, o lo attraversa sotto forma di crisotile in vene abbastanza numerose, si notano anche qui: la bastite in lamine grosse talvolta anche un centimetro, di colore verde chiarissimo, dotate di de- bole birifrazione, con estinzione a 0° rispetto alla traccia di sfaldatura (100); il ferro titanato in granuli dal contorno leucoxenico e la cromite; questa e quello rivelati anche dall’analisi chimica che dette i seguenti resultati: Perdita per arroventamento . . . . .. 11,74 SUORE e One a n ee O DT TLOZ I Se ia 0 de SAM TRACCE, Fe O Fe: 03 )° 9, 04 MEIER O EN O io II TI 1,71 CAO N I SIN an Sara 1 15 MEO IR EDO CREO IAN SVI RIE AO 0, 44 RONCATO E A I e eo 0, 40 101, 80 V.— Idrografia superficiale. Pel bacino della Fine e suoi affluenti manca che io ne sappia uno studio idrografico completo fatto sul genere di quelli che l’Ufficio della carta idrografica d’Italia ha pubblicato già per varie altre regioni; ne consegue da ciò che le notizie che io ho potuto raccogliere sopra questo argomento sono poche ed incomplete. Ciò non pertanto io spero che esse saranno non del tutto prive d’interesse se potranno dare una idea sia pur sommaria del modo con il quale le acque meteoriche vanno | distribuite nel bacino suddetto e particolarmente in quella parte di esso che rientra nei limiti della regione da me studiata. Si può dire fin d’ora che l’idrografia superficiale di questa regione sia intimamente collegata alle sue condizioni orografiche, e che per la natura poco permeabile del maggior numero delle rocce che ne fanno parte ben poca sia l’influenza che sulla ripartizione delle acque super- ficiali ha la costituzione geologica del suolo. Dette acque si scaricano I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 227 in grande predominanza nella Fine, che attraversa il territorio rosi- gnanese da nord-est a sud-ovest; e soltanto una piccola parte di esse si riversa direttamente nel mare mediante alcuni piccoli corsi di acqua che dalla Fine sono completamente distinti ed indipendenti. Sotto l’a- spetto idrografico, adunque, la regione che forma oggetto di questo studio va ripartita fra il bacino della Fine e quelli dei minori corsi d’acqua che ora ricorderò. Questi ultimi presi nell'insieme occupano una zona di forma trapezoidale che va dalla strada della Ragnaia sino alla Fine e dalla strada Rosignano-Castelnuovo della Misericordia sino al mare. Tutta questa zona determinata planimetricamente misura circa 1800 ettari; essa però non rientra interamente nella regione suddetta perchè non vi è compresa parte dell’alte valli del Botro Grande e del Botro Cro- cetta. Gli altri corsi d’acqua appartenenti alla zona in parola sono: il Botro della Ragnaia e il Botro Cotone col suo affluente denominato Botro Secco. " Il Botro della Ragnaia nasce dal poggetto omonimo a poca distanza dalla casa Solferino ed alla quota di circa m. 110. Scende con direzione nord-sud e sbocca in una caletta situata a nord-ovest della Villa Giulia, dopo un decorso di poco più che un chilometro sopra una pendenza media di circa il 10 0,,. Il suo alveo stretto e poco profondo passa in principio nella massa serpentinosa e successivamente, e per la maggior parte della sua lunghezza, nella panchina; soltanto presso la foce, e più precisamente presso la strada provinciale, esso abbandona questa seconda formazione per passare attraverso all’eufotide che costituisce buona parte della costa di Castiglioncello. i Procedendo da nord a sud dopo quello ora descritto e a poca di- stanza da esso s'incontra il Botro Grande. Questo nasce dal monte Pelato (m. 378) alla quota di m. 300 circa e dopo un decorso di circa 4 km, sopra una pendenza media del 7 °/ circa sbocca nel mare, in una piccola insenatura situata a sud-est della punta di Castiglioncello. È uno dei botri più importanti della zona, specialmente pel numero di affluenti che lo alimentano; ed il suo letto, stretto e profondo, passa per un primo e breve tratto sul contatto fra le rocce serpentinose e quelle scistoso-gale- strine dell’Eocene superiore, indi sulle serpentine e nell’ultima parte del suo decorso ancora sui galestri, sui calcari miocenici e sulla panchina. Il bacino idrografico del Botro Grande è di appena 370 ettari; la natura generalmente poco permeabile delle rocce che ne fanno parte è causa essenziale della siccità cui va soggetto in gran parte dell’ anno. 228 R. UGULINI | UO Altro corso d’acqua di questa zona è il Botro Crocetta. Esso nasce dal Poggio Le Serre (m. 310), presso la casa Tagliole, alla quota di 210 m. circa e sbocca nel mare alla Caletta, dopo un percorso di circa 4 km. sopra una pendenza media del 5°. I primi 3 km. di questo. botro sono attraverso terreno montuoso, e l’ultimo in terreno quasi pia- neggiante; prima di sboccare nel mare riceve il contributo di un piccolo affluente di destra, il Botro Jurco, che nasce esso pure dal Poggio Le. Serre, ma ad una quota inferiore (m. 200 circa), e gli scorre a fianco e quasi parallelamente per un tratto di circa 3 km. Dal punto di vista morfologico il letto del Botro in parola poco o nulla differisce da quello del precedente, essendo identiche in ambedue tanto la pendenza quanto la costituzione geologica e litologica del territorio attraversato, ed es- sendo comune all’uno ed all’altro la scarsità dell'acqua. Però l’estensione. del bacino idrografico del Botro Crocetta è un poco superiore a quella del Botro Grande occupando una superficie di oltre 400 ettari. Venendo ancora più verso sud, troviamo un altro corso di acqua, il più importante forse di quanti appartengono alla zona in esame, che è conosciuto sotto il nome di Botro Cotone. Questo botro ha un percorso di oltre 4 km. e nasce poco lungi dalla linea del crinale su cui passa la strada Rosignano-Castelnuovo della Misericordia. In esso immettono le loro acque due affluenti, dei quali, quello di destra, non ha alcuna denominazione, è di breve decorso (2 km. circa), con alveo stretto e profondo, e sbocca nel Botro Cotone presso la strada. Rosi- gnano-Castiglioncello: quello di sinistra è chiamato Botro Secco, ha una lunghezza maggiore del precedente (oltre 3 km. e mezzo), un alveo stretto e poco profondo e si unisce al Botro Cotone a poca distanza dal mare. Il nome che questo affluente possiede proviene dal fatto che le acque da esso convogliate durante le piogge si disperdono facilmente nel terreno attraversato prima di arrivare al punto di confluenza, e la ragione di tale disperdimento è sicuramente da attribuirsi alla struttura i speciale della roccia che il Botro Secco attraversa, e che nel tratto dove le acque si disperdono si presenta molto più intensamente fessurata che altrove. Il bacino idrografico del Botro Cotone, compresi gli affluenti, possiede una superficie complessiva di oltre 350 ettari. Di questi nun quarto appena risulta costituito da rocce verdi, segnatamente di tipo diabasico e da rocce scistose dell’ Eocene; tutto il resto è occupato in parte dalla formazione sabbioso-ocracea del Postpliocene, ma in predomi- nanza dal calcare arenaceo (panchina) pure post-pliocenico che le sta subito sotto. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 229 Il Cotone è uno dei pochi botri della regione in istudio in cui l’acqua Scorra, sia pure in poca quantità, perennemente. La ragione io credo di doverla attribuire al fatto che il fondo di questo botro è alquanto più basso del livello freatico; per modo che nei periodi di magra esso fa da drenaggio alle acque della falda freatica contenuta negli strati della pan- china attraverso la quale scorre per un buon tratto del suo decorso. Per quel che riguarda la portata del Botro Cotone debbo avvertire ‘che nen sono mai state fatte ricerche sistematiche con lo scopo di de- terminarla; così almeno risulta da informazioni assunte presso l’ufficio del Genio civile di Pisa. Alla pag. 182, n. 196 della memoria illustra- tiva: La Toscana !) è indicata è vero la portata di un certo Rio Cotone appartenente alla regione rosignanese; ma esso è un piccolo affluente del torrente Marmolaio, tributario di sinistra della Fine, e non è punto da confondersi con il Botro Cotone di cui si parla. Dovetti perciò ricorrere ad una misurazione diretta, ciò che io feci ai primi del decembre del 1908, determinando l’erogazione del botro in parola in condizioni di massima magra, ad una certa distanza dalla foce, in un punto dove le acque, per una accidentalità del fondo, si rac- colgono formando un salto di nn mezzo metro circa. La portata del Botro Cotone risultò ivi di un litro circa al minuto secondo. Un ultimo corso di acqua della zona in questione, che però non ha nome, è quello che nasce direttamente dal Poggio di Rosignano passando per un primo e breve tratto del suo corso in mezzo alle rocce ofiolitiche e per tutto il resto di esso attraverso agli strati della panchina che in- cide quasi perpendicolarmente alla loro direzione. Il decorso di questo botro è di circa 4 chilometri, e limitatissima è l’estensione del suo ba- cino idrografico. Le acque che cadono sulla porzione del territorio rosignanese da noi presa a studiare, ma al di fuori della zona che è stata fin qui de- scritta, vanno tutte a raccogliersi nella Fine per finire poi nel mare. Parlare di queste acque senza fare un cenno, sia pur brevissimo, anche di quelle che al fiume predetto pervengono per altri corsi di acqua, avrebbe reso, a mio credere, troppo incompleta questa rapida descri- zione d’idrografia superficiale; mi è sembrato perciò conveniente di ri- cordare tutti gli affluenti principali della Fine, soffermandomi un poco di più su quelli, il cui decorso appartenendo in tutto o in parte alla re- gione rosignanese, presentano più degli altri interesse. i) Carta idrografica d’Italia, vol. 18, La Toscana. Roma, 1893. 230 R. UGOLINI La Fine è l’unico corso di acqua veramente importante che passi attraverso la regione in parola. Ha la sua origine nei Monti di Santa Luce e più precisamente nel Poggio delle Palmorelle (m. 512), donde dirigendosi dapprima verso ovest fin sotto Orciano e poi ripiegando verso sud e verso sud-ovest, si avanza verso la foce, dopo avere accolto il tributo di molti suoi affluenti; tra questi sono da annoverarsi: il Torrente Sa- volano, il Botro dell’Acquabuona ed il Botro Goraccio pel versante di destra; ed il Torrente Lespa, il Torrente Marmolaio, il Botro del Gon- nellino ed il Botro del Ricavo, per il versante di sinistra. Essa scorre in letto sufficientemente ampio e non troppo profondo finchè passa in mezzo alle formazioni plioceniche, ma si restringe notevolmente e si approfonda nei pressi dell’Acquabuona e sotto il paese di Rosignano, ove si adden- tra, serpeggiando, attraverso le masse rocciose di diabase e di serpentina che formano il nucleo dei poggi rosignanesi. Il bacino idrografico di questo fiume occupa una estensione di circa 17.000 ettari, ma soltanto 1.900 circa di questi, vale a dire poco più della decima parte di cote- sta superficie rientrano nei limiti della zona studiata. L’alveo di que- sto fiume, sebbene non manchi mai di acqua, ne ha però sempre in copia assai scarsa, e solo durante le grandi pioggie se ne ricolma, ma quasi sempre per breve periodo. Può dirsi dunque che il regime della Fine sia per molti caratteri non troppo dissimile da quello che carat- terizza i grandi torrenti, ciò che è in perfetta armonia con la natura speciale dei terreni che ne costituiscono il bacino idrografico i quali, essendo in predominanza costituiti da rocce impermeabili, come si vedrà meglio fra breve a proposito della natura geologica dei bacini dei singoli affluenti di questo fiume, rendono difficile o rara la formazione di sor- genti capaci di renderne il regime più regolare e più uniforme la por- tata. In relazione con la ‘costituzione prevalentemente argillosa del bacino è poi la natura pure argillosa delle melme che la Fine convo- glia al mare durante i periodi di maggiore piovosità. Di fatti ben 9.000 ettari dell’intero bacino di questo fiume, vale a dire più della metà di esso, sono occupati in massima parte dalle argille turchine plioceniche, nel mentre che nel resto di cotesta superficie sono diffusa- mente rappresentati il Miocene superiore, che è quasi essenzialmente marnoso-argilloso; e l’Eocene superiore, che è in predominanza co- stituito dagli scisti argillosi galestrini. Della superficie totale del ba- cino della Fine, circa 4.000 ettari appartengono all’alto bacino idro- grafico di questo fiume. Il resto va ripartito fra i bacini dei singoli I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 231 affluenti di destra, per un’area di circa 6.000 ettari e quelli degli af- fluenti di sinistra che ne occupano un’altra di circa 7.000 ettari. Il decorso montano del fiume in parola va dal luogo di origine (quota appross. 512) alla fermata ferroviaria di Santa Luce (quota appross. 38): misura dunque una lunghezza di 20 km. circa sopra una pendenza me- dia del 2,5 °; la quale è più che sufficiente a spiegare il carattere torrentizio che la Fine presenta, valendogli il nome di riviera torren- ziale con cui ora !) si designano i corsi di acqua di questo tipo, piuttosto che quello dî fiume col quale impropriamente è chiamato. Il suo bacino idiografico montano, di cui più sopra fu indicata l’estensione, è di forma pressochè trapezoidale ed ha per confini, a nord il bacino della Tora, ad est quelli della Cascina e della Sterza (queste e quella appartenenti al bacino idrografico dell'Arno), a sud quello del suo affluente di sinistra Lespa, e ad ovest, quello del suo affluente di destra Savolano. Le rocce che affiorano in questo bacino sono quasi tutte di natura impermeabile; infatti, la porzione periferica che è anche la più elevata è costituita in parte dai calcari alberesi ma in predominanza dagli scisti argillosi del- l’ Focene, quella più bassa dalle argille del Pliocene. Solo presso il confine con il bacino della Lespa notasi qualche affioramento di rocce ofiolitiche che costituiscono il nucleo di Monte Vaso. È segnatamente per tali condizioni idro-litologiche che il regime torrenziale della Fine incomincia a rive- larsi sino dalla sua origine. I quattro affluenti del versante di sinistra del fiume in questione, che sono: il Torrente Lespa, il Torrente Marmo- laio, il Botro Gonnellina ed il Botro Ricavo, si susseguono dall'alto al basso nell’ordine stesso di successione col quale li abbiamo nominati. La Lespa nasce sotto le pendici di Monte Vaso (m. 635), alla quota di 550 m.. e sbocca nella Fine, presso la fermata ferroviaria di Santa Luce, alla quota di circa m. 36, dopo un decorso di quasi 15 km. in direzione est-ovest sopra una pendenza media del 3,5 °. Il suo bacino idrografico è di forma allungata e stretta e si estende sopra una su- perficie di circa 1000 ettari. Per ciò che riguarda poi la costituzione geologica del bacino stesso avverto che per i due terzi inferiori è costi- tuito dalle solite argille plioceniche e che solo nella sua parte più elevata predominano le rocce calcareo-scistose e ofiolitiche dell’ Eocene. Questo torrente, eccezione fatta per i quattro mesi della stagione piovosa durante 1) SURELL. Études sur les torrents des Hautes-Alpes. — FiccroLI. Boschi e torrenti, pag. 2. 1905. 232 R. UGOLINI i quali si verificano le maggiori portate, è in tutto il resto dell’anno assai povero di acque. Esso ha poi qualche importanza dal punto di vista del- l’industria agricola, perchè dà alimento a sei molini. Sotto questo ri- guardo la Lespa trovasi ricordata nella memoria già citata dell’ Ufficio idrografico italiano 1). Alla Lespa fa seguito il Torrente Marmolaio, di quella più importante non tanto per la estensione assai maggiore del suo bacino quanto perchè una parte, sebbene piccola, di questo rientra nei limiti della regione stu- diata. Anch’esso nasce dal Monte Vaso alla quota di 550 circa, e sbocca nella Fine sotto il poggio di Rosignano, in vicinanza delle Fabbriche, alla quota di circa 16, dopo un percorso di 20 km. in direzione pressochè da nord-est sud-ovest, sopra una pendenza media di poco più del 2,50 %- Il bacino del Marmolaio si estende fra la Fine ed il gruppo del Monte Vaso ed ha una superficie di circa 3000 ettari. Suo principale tribu- tario è il Torrente Pescera che nasce sotto Castellina Marittima ed è a sua volta alimentato dal Botro Pescerino e dal Botro Corbaia. I ter- reni che compongono il bacino del Marmolaio sono di natura assai sva- riata, essendovi rappresentate quasi tutte le rocce già ricordate altrove dall’ Eocene in poi; tutte però si assomigliano per il carattere d’im- permeabilità di cui sono dotate e che è la causa principale del regime irregolare, torrentizio, di questo corso di acqua. Le massime portate di questo torrente avvengono nei quattro mesi di maggiore piovosità; e dalle sue acque traggono energia di movimento numerosi molini, dei quali, però, soltanto il più prossimo alla foce appartiene alla regione studiata. Altro affluente di sinistra della Fine è il Botro del Gonnellino. Questo trae origine dalle pendici occidentali del Poggio Nocola (m. 589) a nord-ovest del Terriccio, alla quota di 300 circa e sbocca nella Fine, verso il Pipistrello, alla quota di m. 15, dopo avere ricevuto le acque dell’unico suo affluente, il Botro del Caricatoio. Ha un decorso di 9 km. con direzione est-ovest ed una pendenza media di poco superiore al 3%;- Il suo bacino è assai limitato, sopratutto molto meno sviluppato di quello del Torrente Marmolaio, e si estende sopra una superficie di ettari 900 appena. Ne fanno parte terreni del tutto simili a quelli che costituiscono il bacino del torrente testè descritto, e cioè: calcari albe- resi e scisti argillosi dell’ Eocene nella zona più elevata del bacino, ed 1) Op. cit., pag. 180 e 188. Roma, 1893. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTISLIONCELLO 233 in quella più bassa; le solite rocce ofiolitiche, le marne gessose mioceniche ed, infine, le argille plioceniche. Il passaggio quasi repentino che il bo- tro in parola fa dalle rocce ofiolitiche a quelle molto più erodibili del Miocene e del Pliocene, è chiaramente rivelato dalla diversa struttura dell’alveo che da diritto stretto e profondo finchè attraversa le rocce del primo tipo diviene più largo, e più divagante quando passa nelle marne e nelle argille che a quelle successivamente si addossano. Parmi poi per- fettamente inutile di dire che, per la natura quasi essenzialmente im- permeabile delle rocce che predominano nel suo bacino, anche questo botro è dotato di un regime molto irregolare ed è ordinariamente pove- rissimo di acqua. i Ultimo per ordine di successione ed anche per importanza è il Botro Ricavo. Questo nasce sotto le pendici occidentali del Terriccio alla quota di circa m. 125, e termina nella Fine alla quota di 9 m.; il suo decorso, diretto pressochè ovest-est, è di poco superiore a 4 km. di lunghezza; la sua pendenza media del 3 %, circa, e l'estensione del suo bacino appena di 700 ettari. Ha un solo piccolissimo affluente che è il Botro Zimbrone. Le rocce che ne costituiscono il bacino sono ar- gille plioceniche e calcari arenacei quaternari del tipo panchina. Questi terreni sono tagliati dall’alveo del botro in parola quasi normalmente alla direzione di stratificazione la quale è pressochè inclinata verso ovest sud-ovest. Degli affluenti di destra della Fine il principale è il Torrente Savo- lano. Questo nasce dal Monte Maggiore (m. 440) presso Colognole alla quota di m. 350, e dopo un percorso di circa 20 km., con direzione prima nord-ovest sud-est e poi nord sud, sbocca nella Fine, poco oltre la fermata ferroviaria di Santa Luce, alla quota di circa m. 25, avendo una pendenza media dell’ 1,5 °. Durante il tragitto esso riceve il tributo di vari torrenti e botri minori, tra i quali sono degni di par- ticolare menzione il Botro Motorno ed il Botro Sanguigna. Il bacino idrografico del Savolano è ampio, avendo una superficie di quasi 5000 ettari. Di questa superficie una buona metà è occupata dalle argille plioceniche. Queste si estendono di preferenza nella parte orientale del bacino stesso; in quella occidentale, invece, predominano il Miocene e l’Eocene coi tipi litologici già noti. Per la natura in gran parte im- permeabile di coteste rocce anche il regime del Savolano, come quello di quasi tutti gli altri tributari della Fine, ha carattere torrenziale. Le sue acque e quelle del suo principale affluente, il Botro Sanguigna, dànno alimento a numerosi molini. 234 R. UGOLINI I più importanti affluenti di destra della Fine, dopo il Savolano, sono: il Botro della Giunca, il Botro dell’Acquabuona ed il Botro Goraccio. Il Botro della Giunca nasce alla quota di m. 170, e dopo un decorso di circa 4 km. con una pendenza media del 3,5 °|, sbocca nella Fine alla quota pressochè di m. 27. Il suo bacino, sebbene piccolissimo avendo una superficie di 230 ettari appena, è assai variamente costituito; sonvi infatti rappresentate in piccole proporzioni tutte, o quasi tutte le rocce esistenti in altri bacini molto più estesamente sviluppati di questo. Al Botro della Giunca fa seguito il Botro dell’ Acquabuona. Il suo decorso, dal luogo di origine (m. 175) alla foce (m. 25), è di 5 km. circa in direzione ovest est, la pendenza media del 3 0/o, l’ estensione del bacino di 240 ettari, oltre un terzo dei quali rientra nei limiti della regione studiata. Predominano in questo bacino le rocce del Miocene superiore, che sono comunissime come già si è visto anche in quelli di altri affluenti della Fine; ma non mancano lembi di rocce anche più an- tiche, specialmente dell’Eocene, affioranti qua e là come diabasi e diaspri. Le acque del botro in parola, sebbene ordinariamente poco copiose, e scarsissime anzi nei periodi di massima magra, sono tuttavia in quantità sufficiente a fornire l’ energia necessaria al movimento di due molini situati presso la sua foce. L’ultimo affluente di destra della Fine di qualche importanza è il Botro Goraccio. Non si deve però dimenticare che fra questo e il Botro dell’Acquabuona trovansi sei altri botri più piccoli i quali nascono dal gruppo dei Poggetti di Rosignano a quote variabili dai 100 ai 160 m. e sboccano nella Fine a poca distanza l’uno dall’altro, a quote di circa 18-25 m. sul livello del mare. La lunghezza loro varia dai 500 m. ai 1200 m. circa e la pendenza che è fortissima dal 10 °|, al 15%. Per tali notevoli pendenze le acque che ne solcano gli alvei stretti e pro- fondi durante le abbondanti pioggie diventano impetuose ed irruenti compromettendo notevolmente la stabilità del terreno della regione at- traversata. Il danno che ad essa ne risulta è poi reso ancora più grave dal diboscamento che ivi regna sovrano. Il Botro Goraccio è il solo degli affluenti della Fine che sia contenuto per intero nella zona in istudio. Infatti tutti gli altri o vanno completamente al di fuori della zona stessa, come accade per la Lespa, il Savolano e la Giunca, 0 vi appartengono solo per una parte generalmente piccola, del loro decorso, come si verifica . per il Marmolaio, il Gonnellino, il Ricavo e l’Acquabona. Esso nasce dal gruppo dei Poggetti di Rosignano alla quota di circa m. 190 e sbocca I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO } 235 nella Fine in località detta Le Fabbriche alla quota di circa’ m. 15. Il suo decorso è breve, 2 km. appena, con direzione quasi nord sud, ma ripido, avendo una pendenza media del 9°. Non isto a' dire che, stante la notevole pendenza e la poca erodibilità delle rocce che esso attraversa, l’alveo di questo botro è stretto e profondo. Il suo ba- cino è di forma stretta ed allungata ed è dotato di una ben piccola superficie, avendo un’estensione di 80 ettari appena: Le rocce che ne fanno parte sono in predominanza serpentine, diabasi e porfiriti dia- basiche con masse di eufotide, le quali essendo poco o punto permea- bili, accrescono il carattere torrenziale di questo botro. Meno che nei periodi di piogge copiose, durante i quali l’acqua è abbondantemente contenuta nell'alveo del Goraccio, abitualmente è poverissimo di acqua. Però non è mai completamente all’asciutto; e la ragione di ciò va attri- buita unicamente alla presenza di due piccole sorgenti, l’una delle quali, quella situata più in a monte, e che alimenta il pubblico lavatoio, sgorga alla base del lembo calcareo su cui si adagia il paese di Rosignano e più precisamente lungo il contatto fra il calcare e le sottoposte rocce ofioli- tiche; l’altra, assai meno importante della prima, scaturisce dalla dia- base; ambedue riversano il contributo delle loro acque direttamente nel fondo del botro. I dati riprodotti nel seguente specchio hanno per iscopo di rendere più facile e rapido il raffronto tra i principali affluenti della Fine. UGOLINI R. 236 ‘6061 QIqUIADIP. ‘RISIATUA ITOP_09130]00.3 0MPISI ‘oItpenb ogmosead Jeu 198[dureguoo uou rioutmi 17uonppe 1]0p Intoeq 19p #AISSO]dwnoo o19TIEdNS e] equossIddeI (118990 OCTCT) Muongye tons tIGA 10p Iutoeq I0p GUI BITOP 00YBISOIPL OUIOEA [OP 018909 oIoHIodns E] GI} 0quegsise [IR9IO (CI IP #ZUeIOgIP BT — ‘GN eIogiedns e][op vumos 8] 9 (11e39O. 00021) + |€|Ss (1]1]174] —_ - 9‘ GE 0 < 006 < | * (ZI) apesowped od | * eu4 | 01 sis| 08 “di 0 ‘6 te GT < | 061 < | * * (66r"w) mossog | © * osozio) |6 Gli$|8 078 == 0 ‘E G GG | SLI « = » «teuoqgnbov | g ale=l=J 0 = = Gg i La * OLI < —_ * > * eoun) |) G|#|8 0008 8 9 GI FI SG « | 068 < | *(07p'w) o10188eN ‘N | © oueroaes | 9 == 00 I = o ‘g i 6 < SEI < | (GET) oO], || * * 04804 |S lr ie=|31006 = I 0 ‘8 6 GI. | 008 « | * (6g8gru) e[ooon od | | “cugpuuoo | iù id 17 0008 G T e‘ 06 DES 0SG « | * 0% * > *wepy |“ © OIgpuLIeN | g Di 126 D7 0001 I Li c'e SI 9g < | oc < | * * (pegrw)osen pr | © © edsot |g 2 || E 0007 L 3 GG 03 gg wi | ooc'u | (arg'wu)orioweg od |} * * ‘QUI |T A È È 118999 VIISIUIS| BIISOP %o 11790 ]I]9 9007 QuISTIO YadOV.A ISTON z P E v, UI Hp HY uI ai E È È *‘1301p1 iedouna BIpoul o8100919d IIOP gi AHNISIYO INA È 3 1 ue De] IsouI Ul 09egzI0d Sol PE, ezuopuoq ISE UNOIZYVNINONH(] E orogiodnsg 0IQUINN CZZITSUNT| ragvimssordde e30on® ® eI[op eqeIngq IRNEDRIKCHE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME Panichi U. — Ricerche petrografiche, chimiche e geologiche sul monte Ferrato (Toscana) (Tav. I) Goggio E. — Studi sperimentali sopra larve di anfibi anuri (Sviluppo indipendente di due porzioni separate per mezzo di uu taglio) Parte 3.3 . Pardi F. — Per la storia e la migliore conoscenza dei clasma- tocitù di RAanvIER (Tav. II, III) . Aloisi P. — Il quarzo deì marmi di Carrara . Dainelli G. — Nota preliminare sopra è lamellibranchiati eocenici del Friuli Barsali E. — Studio sul genere Araucaria Juss. (Tav. IV) Ugolini R. — I ferrenì di Rosignano e Castiglioncello (Studi e ricerche dì geologia agraria) Parte 1.8. . , . pag. 186 Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. XXV Tav. I, U. PANICHI, Ricerche petrografiche ecc. [Tav, 1]. M'°°Chiesino M'Mezzano M'® Piccioli LI i ! i i i i i i i i i i i i siria i ' I ETIAM n RTLA AAA Ù Feet ì RITORA i e : cai ni i MENO i Eufotide Profilo _N°1 M'Chiesino Rio di Ficarello Camposanto di Figline Profilo. N°2 PANICHI FOT, E DIS. ELIOT CALZOLARI & FERRARIO- MILANO VTENZE MTA NONTOMI FIEZIE IUIOCE LU Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. XXV Tav. Il. | F. PARDI, Clasmatociti di Ranvier (Tav. I). Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. XXV Tav. IIl. F. PARDI, Clasmatociti di Ranvier (Tav. ID. sat À È Rc is) DI A ì Ri toa n 4 ai x I A \ e \ 13. 19 10, II. Mem, Soc. Tosc. Sc, Nat. Vol, XXV, Tav, IV. E. BARSALI, Araucaria Juss. [Tav. I]. ELIUT CALZOLARI k FERRARIO-MILANO EENICDMECHE DELLE è MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE monte Ferrato (Toscana) (T4v.1) . . .... Goggio (Sviluppo indipendente di due porzioni separate per mez. uu'taglio)Rate RE A Pardi F. — Per la storia e la migliore conoscenza dei ci tociti di RANVIER (Tav. IL I) ..°. Aloisi P. — Il quarzo deì marmi di Carrara . del Friuli QUI Pale ANSIA CORRERE ERI REI RZZZO UrrIcIo DI PRESIDENZA PER GLI ANNI 1908-09, 190 Presidente . . — Prof. Giovanni Arcangeli. Orto botanico, R. Universit 4 ) È i De; Prof. Mario Canavari. Istituto geologico, idem. VERPA MESI) Prof. Guglielmo Romiti. Istituto anatomico, idem Segretario . . — Prof. Giovanni D’Achiardi. Istituto mineralogico, i Vice-segretario /— Dott. Piero Aloisi. Istituto mineralogico, idem. Cassiere . . . — Prof. Eugenio Ficalbi, Istituto zoologieo, idem. | SEDE DELLA SOcIETÀ — Museo di Storia Naturale in Pisa. Gli atti della Società (memorie e processi verbali delle sedut «per lo meno sei volte all’anno a intervalli non maggiori di 3 Ù tI RA (6) Po Ti sù DI 0A pn | _______.‘ DIE di : 9088 013