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FF. NISTRI 1915 ‘*\sonian Instj;,, x) 9° Uatgo JUN 72 1916 National Museu!" SOCIETÀ TOSCANA DI ATTI DELLA SCIENZE NATURALI RESIDENTE VON I VISA Vo <<< PISA STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCC, PF. NISTRI 1915 DOTT. GIULIO SABATINI Hloneo di necelli catturati ed osservati nelle isole Holie Dal novembre 1910 al dicembre 1912 nell’isola di Lipari, ove risie dlevo come insegnante di Scienze naturali nella Scuola Tecnica locale, mì diedi cura di preparare in pelle quasi tutte le specie di uccelli che io stesso, cacciatore appassionato, catturai e le altre poche. che potei altrimenti ottenere. $ Le mie ricerche furono rivolte quasi esclusivamente all’isola di Lipari, ma feci diverse escursioni nella prossima Vulcano e a Filicudi; e qualche uccello mi fu pure inviato dalle altre isole dell'Arcipelago Eolio. Raccolsi dagli isolani il maggior numero di notizie sull’epoca dei passi e sulle catture più importanti avvenute nel passato. Mi occupai principalmente delle specie sedentarie, che per quanto riguarda Lipari ho tutte studiate, eccetto la Civetta. Sulle specie di passo e accidentali invece i miei studi rimasero natu- ralmente incompleti, e ciò in causa del tempo relativamente limitato delle mie osservazioni e del modesto valore della collaborazione dei cacciatori dei luoghi, alla buona volontà e alla gentilezza dei quali debbo tuttavia notizie su diversi uccelli di passo. Le specie delle Isole Eolie sono certamente molte più di quelle da me notate; e, in particolare, molto più numerose sono certamente le specie degli uccelli marini e dei Rapaci. Quasi nessuno prima di me si è occupato dell’avifauna eolia; soltanto L. SPALLANZANI (Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell’Appen- nino, Pavia 1793) a proposito dell’isola di Lipari nota pochissime tra le specie di uccelli stazionari e di passo, e il DoDERLEIN ricorda inci- dentalmente le Eolie a proposito del Puffinus Kulhi. * >» >» Sarà opportuno che dia alcune notizie geografiche sulle Isole Eolie. Esse, situate a settentrione della Sicilia e facenti parte della provincia 4 G. SABATINI di Messina, sono in numero di otto e cioè: Lipari, Salina, Vulcano, Strom- boli, Filicudi, Alicudi, Panarea e Basiluzzo. Tutte queste isole sono alli- neate secondo tre direzioni irradianti da un centro e disposte come le bisettrici di un triangolo equilatero, il centro del quale sarebbe vera- mente compreso tra Lipari, Salina e Panarea, più prossimo alle due prime. Sopra una delle tre bisettrici, diretta all’Ovest, trovansi Salina, Fili- cudi e Alicudi, sopra un’altra diretta a Nord-Est trovansi Panarea e Stromboli, finalmente su quella diretta a Sud-Sud-Est si hanno Lipari e Vulcano. È noto che le Isole Eolie sono di natura vulcaniéa ed infatti sono costituite principalmente di lave labradoritiche, ma pure di basalti, an- desiti, trachiti e reoliti, ed in esse abbondano ancora i detriti vulcanici e cioè i tufi, i lapilli e le pomici. Scarsissima è l’argilla. Il terreno così costituito è profondamente permeabile all’acqua pio- vana e perciò le Isole Eolie sono povere o mancanti di acqua sorgiva, che spesso è termale. Le isole sono eminentemente montuose e pietrose, con ripidi pendii, con le coste scoscese e spesso tagliate verticalmente sul mare in orridi precipizi. In gran parte sono sterili, ma presentano spesso dei terrazzi e ripiani assai fertili. Non vi sono veri boschi, ma vasti tratti di terreno nelle parti più elevate di Lipari, Vulcano e Salina sono coperti da basse macchie di eriche e ginestre con qualche leccio e corbezzolo più o meno stentato. Il fico d’ India prospera rigogliosamente e in grande abbondanza dovunque. Nei terreni adatti vengono coltivati principalmente la vite e l’ulivo con le altre piante da frutta, ma non mancano numerosi campi seminati a graminacee e leguminose. Passiamo ora in breve rivista le singole isole, cominciando da Lipari la più vasta e popolata di tutte. Ha la superficie di Kmq. 37,63; rag- giunge con Monte Chirica l’altezza di m. 602. Presenta vari tratti pia- neggianti più o meno elevati, fertili e ben coltivati: Castellaro, Piano Conti, Quattro Pani, Piana Greca. Vi sono varie sorgenti termali e due di acqua fredda, tutte poco abbondanti e che si perdono rapidamente nel terreno, ma che possono servire a dissetare gli uccelli. Salina con la superficie di Kmq. 26,76 è formata da due alti monti conici uniti per la base, l’uno dei quali, la Fossa delle Felci, è alto m. 961. Presenta il piccolo stagno salato di Lingua, profondo al massimo 8 metri e nel quale si fermano alcuni uccelli acquatici. Alcune sue valli sono ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 5 coperte nelle parti più basse di folta vegetazione arborea. Presso Santa Marina, il paese principale, vi è una sorgente d’acqua potabile. Vulcano ha la superficie di Kmq. 21,22; verso Sud-Est la sua massa principale presenta un vasto piano centrale elevato da 360 a 400 metri con l’altura di Monte Aria alta m. 500. Filicudi ha la superficie di Kmq. 9,55; il suo monte più alto è la Fossa delle Felci (m. 733). Vi è una sola sorgente termale. Alicudi si estende per Kmq. 2,5 e si inalza fino a m. 666. È ripida ed arida quant’altra mai e senza acqua sorgiva. Panarea è un’isola assai piccola lunga m. 2500 e larga m. 1500 e con la superficie di Kmq. 2,50, ma alta fino a 420 metri. A quattro Km. dalla precedente sorge Basiluzzo, la più piccola di tutte le isole nominate, lunga m. 1200 e larga m. 500, ma che pure si inalza fino a 165 metri. Non vi abita stabilmente nessuno, ma è un poco coltivata dagli abitanti delle isole vicine. * * * Fatte queste premesse vengo a discorrere particolarmente delle specie di uccelli da me notati nelle Isole Eolie, specie che indico seguendo la nomenclatura adottata dall’ARRIGONI DEGLI OppI nel suo Manuale di orni- tologia italiana (Milano, Hoepli, 1904). 1. Circus macrurus. Albanella pallida. © adulta, marzo 1911, Lipari. Lungh. mm. 450, ala mm. 327, coda mm. 212, tarso mm. 69. Parti superiori brune con i margini delle penne fulvo-rossicci specie nelle piccole copritrici, parti inferiori fulve senza macchie. o adulto, 21 aprile 1911, Lipari. Lungh. mm. 464, ala mm. 334, coda mm. 214, tarso mm. 67. Parti superiori cenerino perlate chiare. Specie di passo primaverile e forse anche estiva. 2. Pernis apivorus. Falco pecchiaiolo. Sesso indeterminato, giovine, 18 settembre 1912, Vulcano. Lungh. mm. 534, ala mm. 385, coda mm. 240, tarso mm. 54. Iride bruna, colore generale bruno nerastro, coda con fasce bruno chiare poco distinte (tipo scuro). Specie di passo primaverile-autunnale. 3. Tinnunculus tinnunculus. Gheppio (in dialetto Franconceddo.) o adulto, 16 aprile 1912, Lipari, 6 G. SABATINI Lungh. mm. 345, ala mm. 243, coda mm. 165, tarso mm. 43, becco mm. 18. Colori normali. Dimensioni desunte da cinque individui: lungh. mm. 342-366, ala mm. 240-244, coda mm. 154-166, tarso mm. 40-43, becco mm. 18. Specie sedentaria e abbondante in ogni isola dell'Arcipelago Eolio. 4. Tinnunculus Naumanni. Falco grillaio. Q adulta, 30 aprile 1912, Lipari. Lungh. mm. 312, ala mm. 235, coda mm. 148, tarso mm. 33. Specie abbondante, di passo primaverile (2* quindicina di aprile). 5. Pisorhina scops. Assiolo. Sesso indeterminato, giovine, 2 luglio 19192, Lipari. Lungh. mm. 170, ala mm. 140, coda mm. 61, tarso mm. 25. Colori normali. Specie di passo primaverile ed estiva. abbondante. 6. Carine noctua. Civetta (in dialetto Cucco). Specie sedentaria, assai rara nei dintorni del paese di Lipari. Non ne ho catturata nessuna, ma soltanto poche volte l’ho sentita gridare. 7. Asio accipitrinus. Gufo di padule. Q giovine, 3 ottobre 1912, Vulcano. Lungh. mm. 380, ala mm. 300, coda mm. 144, tarso mm. 50. Colori normali. Specie rara e sulla quale non posso dare alcuna notizia positiva. 8. Iyna torquilla. Torcicollo (in dialetto Formicolaro). Sesso indeterminato, 15 settembre 1912, Lipari. Colori normali. Di passo regolare primaverile-autunnale; non so se qualche coppia nidifichi. 9. Cuculus canorus.:Cuculo (in dialetto Spruvieri). 2 adulta, 26 aprile 1912, Lipari. Lungh. mm. 335, ala mm. 210, coda mm. 168, tarso mm. 18. Fase epatica. Uccello di passo regolare nella seconda quindicina di aprile; abbon- dante. 10. Coracias garrulus. Ghiandaia marina. o. adulto, 22 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 335, ala mm. 194, coda mm. 128, tarso mm. 23. Colori normali. ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVANI NELLE ISOLE EOLIE ri Specie di passo primaverile, poco abbondante. 11. Merops apiaster. Gruccione (in dialetto Pizzaferro). Sesso indeterminato, aprile 1912, Lipari. Lungh. mm. 262, ala mm. 145, coda mm. 110, tarso mm. 12. Colori normali. Specie di passo primaverile e forse autunnale. 12. Upupa epops. Upupa (in dialetto Pipitone). Non ne ho raccolto nessun esemplare, benchè l’Upupa passi in una certa abbondanza nella seconda quindicina di aprile. 13. Caprimulgus europaeus. Succiacapre. o adulto, 26 aprile 1912, Lipari. Lungh. mm. 280, ala mm. 195, coda mm. 145, tarso mm. 16. Colori normali. Specie di passo primaverile, rara. 14. Apus melba. Rondone alpino. Sesso indeterminato, adulto, 3 maggio 1911, Lipari. Lungh. mm. 225, ala mm. 222, coda (timon. later.) mm. 88, tarso mm. 14. Colori normali. Di passo ed estivo; nidifica nella parte più elevata del paese di Lipari. 15. Apus apus. Rondone. Sesso indeterminato, adulto, 12 maggio 1912, Lipari. Lungh. mm. 182, ala mm. 172, coda (timon. later.) mm. 76, tarso mm. 10. Di passo primaverile ed estivo. 16. Chelidon urbica. Balestruccio. Sesso indeterminato, adulto, 10 aprile 1911, Lipari. Lungh. mm. 147, ala mm. 110, coda (timon. later.) mm. 61, tarso mm. 11. Colori normali. Di passo primaverile-autunnale ed estiva. 17. Hirundo rustica. Rondine. Non preparata. Colori normali. Di passo primaverile-autunnale, abbondante. 18. Cotile rupestris. Rondine montana. Sesso indeterminato, adulto, 18 gennaio 1911, Lipari. Lungh. mm. 137, ala mm. 126, coda mm. 54, tarso mm 11,5. Colore delle parti inferiori bruno chiaro; dimensioni piccole. Appare irregolarmente, ma frequentemente e con abbondanza nel- l'inverno e forse è parzialmente sedentaria. 8 G. SABATINI 19. Muscicapa grisola. Pigliamosche. o adulto, 14 maggio 1912, Lipari. Lungh. mm. 146, ala mm. 84, coda mm. 61, tarso mm. 15, becco mm. ll. Colori normali; piccole dimensioni (tranne tarso e coda), fatti notati in altri tre individui. Specie di passo primaverile-autunnale, abbondante; forse anche estiva. 20. Ficedula atricapilla. Balia nera. og adulto, 22 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 136, ala mm. 78, coda mm. 52, tarso mm. 18. Colori e dimensioni normali. Di passo primaverile e forse autunnale. 21. Lanius senator. Averla capirossa (in dialetto Testa rossa). o adulto, 14 maggio 1912, Lipari. Lungh. mm. 195, ala mm. 99, coda mm. 78, tarso mm. 25. Colori e dimensioni normali. Di passo regolare primaverile e forse autumnale. 22. Anorthura troglodytes. Scricciolo. Sesso indeterminato, adulto, 19 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 95, ala mm. 43, coda mm. 32, tarso mm. 17, becco mm. 12. Dimensioni ricavate da sette individui: lungh. mm. 95-105, ala mm. 43-48, coda mm. 32-34, tarso mm. 17, becco mm. 12. Colori normali, dimensioni per lo più regolari. Uccello sedentario ed abbondante nelle piccole macchie poste nelle parti più elevate dell’isola di Lipari. 23. Accentor modularis. Passera scopaiola. Sesso indeterminato, adulta, 19 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 145, ala mm. 64, coda mm. 56, tarso mm. 20. Colori normali. Specie invernale, relativamente abbondante. 24. Turdus musicus. Tordo (in dialetto Malvizza). Non preparato. Colori normali. Di passo autunnale-primaverile e invernale. I primi tordi arrivano verso il 20 di ottobre e gli ultimi partono nella seconda quindicina di aprile. 25. Merula merula. Merlo nero. Non preparato. Di passo autunnale-primaverile ed invernale, come il tordo, i ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 9 26. Monticola solitarius. Passera solitaria. o adulto, 23 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 240, ala mm. 126, coda mm. 85, tarso mm. 28, becco mm. 22. Dimensioni ricavate da 5 individui: lungh. mm. 226-245, ala mm. 122-128, coda mm. 85-90, tarso mm. 29-31, becco mm. 22-24. In questi esemplari misurati ho riscontrato piccola lunghezza totale ed ali assai sviluppate. Colori normali. Sedentario e relativamente abbondante in tutte le scogliere delle isole Eolie. 27. Sazicola oenante. Culbianco. o ad., 12 aprile 19192, Lipari. Lungh. mm. 155, ala mm. 95, coda mm. 56, tarso mm. 28. Colori normali. Di doppio passo primaverile autunnale, abbondante. 28. Pratincola rubetra. Stiaccino. Sg ad., 20 aprile 1912. Filicudi. Lungh. mm. 130, ala mm. 78, coda mm. 49, tarso mm. 22. Colori normali. Di doppio passo primaverile-autunnale. Abbondante in ogni isola del- l’Arcipelago Eolio. 29. Pratincola rubicola. Saltimpalo. o ad., 20 ottobre 1912, Lipari. Lungh. mm. 130, ala mm. 63, coda mm. 47, tarso mm. 24. Dimen- sioni, tranne ala, superiori alle usuali, colori normali. Specie di passo autunnale, e invernale, scarso. 30. Ruticilla phoenicurus. Codirosso. O ad., 22 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 140, ala mm. 78, coda mm. 57, tarso mm. 21. Colori normali. Poco abbondante, di passo primaverile-autunnale. 31. Ruticilla titis. Codirosso spazzacamino. Q ad., 10 gennaio 1912, Lipari. Lungh. mm. 142, ala mm. 85, coda mm. 63, tarso mm. 23. Colori normali. Poco abbondante, invernale. 32. Erithacus rubecula. Pettirosso (in dial. Pettirrosso), O ad., 26 marzo 1912. Lipari, 10 G. SABATINI Lungh. mm. 139, ala mm. 70, coda mm. 57, tarso mm. 24. Dimen- sioni ridotte, colori normali. Invernale abbondante ovunque. 33. Aedon luscinia. Usignolo. Sesso indet., ad., 20 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 161, ala mm. 85, coda mm. 68, tarso mm. 26. Colori normali. Di passo primaverile, scarso. 34. Sylvia simplex. Beccafico. Sesso indet., ad., 19 maggio 1912. Lipari. Lungh. mm. 157, ala mm. 77, coda mm. 57, tarso mm. 21. Colori normali. Estivo e relativamente abbondante. 35. Sylvia sylvia. Sterpazzola. o ad., 22 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 152, ala mm. 72, coda mm. 65, tarso mm. 22. Colori normali. Poco abbondante, di passo primaverile. 36. Sylvia subalpina. Sterpazzolina (in dial. Uccedduzzo i fave). o ad., 21 marzo 1912, Lipari. : Lungh. mm. 129, ala mm, 62, coda mm. 55, tarso mm. 19 becco mm. 10. Dimensioni desunte da 16 individui: lungh. mm. 122-133, ala mm. 56-62, coda mm. 52-59, tarso mm. 19, becco mm. 9-11. Colori e dimensioni regolari. Sedentaria e abbondante ovunque. 37. Sylvia melanocephala. Occhiocotto. o ad., 22 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 141, ala mm. 60, coda mm. 63, tarso mm. 20, becco mm. 11. Colori normali. Dimensioni ricavate da sei individui: lungh. mm. 127-142, ala mm. 54-62, coda mm. 56-63, tarso mm. 19-21, becco mm. 11. Di regola, come si vede, le dimensioni sono più piccole che negli individui della Penisola. Sedentario, poco abbondante. 38. Melizophilus undatus. Magnanina. Sad., 22 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 130, ala mm. 50, coda mm. 61, tarso mm. 19, 6, becco mm. 9. Un poco ridotta è la lunghezza dell’ala. Sedentaria nelle parti più elevate e boscose dell’Isola; poco abbondante. ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 11 I colori sono normali, soltanto le timoniere esterne, in questo e in altri due individui, catturati pure nel mese di marzo, dalla parte esterna, sono bruno-chiare, invece che bianche. Il fatto è notevole in quanto che il Benorr (Ornitologia Siciliana, pag. 64) osserva che gli esemplari sici- liani di questa specie hanno la prima timoniera bianca dalla parte esterna. Dato lo scarso numero di esemplari da me esaminati non posso istituire una sottospecie con questa magnanina. 39. Philloscopus sibilator. Luì verde. o ad., 22 aprile 1912. Filicudi. Lungh. mm. 122, ala mm. 77, coda mm. 48, tarso mm. 17, 5. Colori normali. Uccello di passo primaverile, scarso. 40. Philloscopus rufus. Luì piccolo (in dial. Caca-sepali). Sesso indet., ad., 17 gennaio 1912. Vulcano. Lungh. mm. 113, ala mm. 52, coda mm. 45, tarso mm. 18. Colori normali. Invernale e abbondante. 41. Hypolais hypolais. Canàpino maggiore. Sesso indet., ad., 16 maggio 1912, Lipari. Lungh. mm. 136, ala mm. 80, coda mm. 52, tarso mm. 21. Colori normali. Specie di passo primaverile. 42. Acrocephalus arundinaceus. Cannareccione. o ad., 14 maggio 1912, Lipari. Lungh. mm. 200, ala mm. 100, coda mm. 80, tarso mm. 29. Colori normali. Di passo primaverile, raro. 43. Motacilla alba. Ballerina (in dial. Batticoda). Sesso indet., ad., 16 marzo 1912. Lipari. Lungh. mm. 182, ala mm. 80, coda mm. 85, tarso mm. 22. Colori normali. In questo ed in altri individui ho riscontrato delle dimensioni ridotte. Invernale, abbondante. 44. Motacilla melanope. Ballerina gialla. Sesso indet., non preparata, 28 febbraio 1911, Lipari. Colori normali. Invernale, poco abbondante. 45. Motacilla flava. Cutrettola gialla. Sesso indet., non preparata, 30 marzo 1911, Lipari. Colori normali. 12 G. SABATINI Di passo primaverile, relativamente abbondante. 46. Anthus pratensis. Pispola (in dial. Pispisa). g' ad., 16 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 160, ala mm. 81, coda mm. 63, tarso mm. 20,5, becco mm. ll. Invernale e di passo; abbondante. 47. Antkus campestris. Calandro. Sesso indet., 14 settembre 1912, Lipari. Lungh. mm. 175, ala mm. 94, coda mm. 75, tarso mm. 25. Colori normali. Di passo primaverile-autunnale, poco abbondante. 48. Alauda arvensis. Lodola. Sesso indet., 20 ottobre 1912, Lipari. Lungh. mm. 184, ala mm. 108, coda mm. 71, tarso mm. 25. Colori normali. Passa abbondantemente nella seconda quindicina di ottobre e verso i primi di marzo, ma è pure invernale e forse alcuni individui sono se- dentari. i 49. Lullula arborea. Tottavilla. Sesso indet., 10 sennaio 19192, Lipari. Lungh. mm. 149, ala mm. 91, coda mm. 49, tarso mm. 22, dito me- diano mm. 14, unghia del dito posteriore mm. 11, becco mm. 12. Colori normali; dimensioni notevolmente ridotte, come ho notato in altri due soggetti. Specie sedentaria, poco abbondante. 50. Calandrella brachydactyla Calandrella. Sesso indet., 11 aprile 1911, Lipari. Non preparata, colori normali. Di passo nell’aprile in branchi più o meno numerosi. 51. Melanocorypha calandra. Calandra. Non l’ho nè catturata, nè osservata altrimenti. Più cacciatori mi hanno affermato di conoscerla e di averla uccisa tra i branchi di lodole. Di passo primaverile. 52. Emberiza cirlus. Zigolo nero. g ad., 14 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 164, ala mm. 79, coda mm. 70, tarso mm. 19, becco mm. 10. Colori normali. Dimensioni desunte da sette individui: lungh. mm. 150-164, ala TREnE ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 13 mm. 73-79, coda mm. 68-72, tarso mm. 18-19, becco mm. 9, 5-10, 5. In generale lo zigolo nero presenta qui dimensioni minori di quelle che hanno gli individui della Penisola. Specie sedentaria, abbondante in tutte le isole Eolie. 53. Passer Italiae Passera. o ad., gennaio 1911, Lipari. Lungh. mm. 157, ala mm. 76 coda mm. 56, tarso mm. 20, becco mm. 13. Mancano totalmente le strie nere sui fianchi e il dorso è nero e ca- stagno più o meno chiaro. Dimensioni offerte da sei individui dei due sessi: lungh. mm. 148-157, ala mm. 74-77, coda mm. 54-56, tarso mm. 19-20, becco mm. 12-13. Se queste dimensioni si confrontano con quelle degli individui della Peni- sola nostra, si riscontra che l’ala e la coda qui sono più corte, mentre la lunghezza totale e quella del tarso per lo più sono maggiori. Sedentario e molto abbondante nei paesi e presso le abitazioni di campagna. È notevole che nell’isola di Lipari, come pure a Vulcano e molto probabilmente nelle altre Isole Eolie, vi sia il Passer Italiae (che si ritiene per la Sicilia localizzato nella cittadella di Messina) e non il P. hispaniensis. 54. Passer montanus. Passera mattugia. o ad., 14 marzo 1919, Lipari. Lungh. mm. 138, ala mm. 69, coda mm. 55, tarso mm. 18, becco mm. 10. Colori normali. Dimensioni ricavate da tre individui: Lungh. mm. 135-140, ala mm. 66-69, coda mm. 51-55, tarso mm. 17-18, becco mm. 10. Sedentario, ma poco abbondante: l’ho riscontrato nella sola località Castellaro, piccolo altipiano elevato circa 400 metri. 55. Petronia petronia. Passera lagia. dg ad., 20 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 164, ala mm. 95, coda mm. 52, tarso mm. 19, becco mm. 14. Colori normali. Dimensioni ricavate da 8 esemplari: lungh. mm. 150-164, ala mm. 89-97, coda mm. 48-54, tarso mm. 18-19, becco mm. 13-14. Le dimensioni variano specialmente tra gli individui di bran- chi viventi in parti assai lontane tra loro. Di regola mentre la lunghezza totale è considerevole, le altre parti sono ridotte. Sedentario in tutte le Isole Eolie ed in alcuni luoghi molto abbon- dante. l4 G. SABATINI 56. Fringilla coelebs. Fringuello. d ad., 8 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 160. ala mm. 86, coda mm. 65, tarso mm. 19. Colori normali. Invernale e abbondante. Forse è anche limitatamente sedentario. 57. Carduelis carduelis. Cardellino (in dialetto Cardiddo). & adulto, 22 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 126, ala mm. 74, coda mm. 48, tarso mm. 14, becco mad ILL, Dimensioni ricavate da otto individui; lungh. mm. 120-127, ala mm. 70-75, coda mm. 45-50, tarso mm. 13-15, becco mm. 10,5-11,5. Queste dimensioni sono spiccatamente minori di quelle dei cardellini della Penisola (lungh. mm. 140, ala mm. 80, coda mm. 50, tarso mm. 16, becco mm. 13); ma credo che esse si accordino con quelle dei cardellini siciliani. Infatti un cardellino ucciso da me il 30 marzo 1913, a Mistretta, in provincia di Messina, presentava le dimensioni: lungh. mm. 126, ala mm. 73, coda mm. 50, tarso mm. 13,5, becco mm. 11. Il piumaggio dei cardellini delle Eolie (e, da quanto ho osservato a Mistretta, credo anche di quelli siciliani) presenta delle importanti par- ticolarità: maschera rosso-cremisino di un tono molto cupo, sopraccoda bianco più o meno lavato di grigio, piccole macchie bianche negli apici delle remiganti ridotte di numero e in superficie. I cardellini siciliani si avvicinano certàmente per le loro piccole dimensioni e la maschera cre- misi acceso a quelli sardi; ma per mancanza di materiale di confronto non so fino a che punto questa rassomiglianza si spinga e se quindi essi possano essere raggruppati nella sottospecie Carduelis carduelis Tschusii (ARRIGONI DEGLI ODDI) oppure no. È È uccello sedentario e piuttosto abbondante in tutte le isole Eolie. 58. Serinus serinus. Verzellino. 9g adulto, 27 febbraio 1912, Lipari. Lungh. mm. 115, ala mm. 73, coda mm. 50, tarso mm. 15. Colori normali. Invernale, scarso. 59. Cannabina cannabina. Fanello. & adulto, 20 aprile 1912, Filicudi. Lungh. mm. 132, ala mm. 76, coda mm. 54, tarso mm. 16, becco mm. 9. Dimensioni presentate da quattro fanelli dei due sessi: lungh. mm. 131-135, ala mm. 73-78, coda mm. 53-54, tarso mm. 16-16,5, becco mm. 9. iii ELENCO DI UCCELLI CATTURATI RD OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 15 Colori normali, come, press’a poco, le dimensioni. Sedentario ed abbondante in ogni isola. 60. Ligurinus chlorîs. Verdone. Sesso indeterminato, adulto, 11 marzo 1911, Lipari. Non preparato. Invernale, raro. 61. Oriolus oriolus. Rigogolo (in dialetto Avio). g adulto, 2 maggio 1911, Lipari. Lungh. mm. 250, ala mm. 152, coda mm. 90, tarso mm. 22. Passa in grande abbondanza verso la fine di aprile o ai primi di maggio. 62. Corvus corax. Corvo imperiale. 9 ad., 11 gennaio 1911, Lipari. Lungh. mm. 660, ala mm. 456, coda mm. 258, tarso mm. 78, lun- shezza del becco mm. 69, altezza del becco mm. 29. © ad., 22 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 590, ala mm. 420, coda mm. 223, tarso mm. 62, lungh. del becco mm. 66, altezza del becco mm. 27. È il Corvo specie sedentaria ed abbondante. 63. Columbia livia. Piccione selvatico. dg’ ad., 17 febbraio 1912. Lipari. 5 Lungh. mm. 340, ala mm. 223, coda mm. 123, tarso mm. 29, becco mm. 20. Colori tipici del piccione selvatico. Sedentario; nidifica sulle scogliere marine più scoscese, abita in ogni isola e in una certa abbondanza, benchè cacciato attivamente. 64. Columba palumbus. Colombaccio (?). Non l’ho catturato, nè veduto, ma un vecchio cacciatore mi ha affer- mato che passa in branchi numerosi nelle parti nord-occidentali del- l’isola di Lipari alla fine di ottobre, fatto non improbabile. 65. Turtur turtur. Tortora. S' ad., 26 aprile 1912, Lipari. Lungh. mm. 295, ala mm. 177, coda mm. 110, tarso mm. 20. Colori normali. Di passo nella 2.* quindicina di aprile e nella seconda quindicina di settembre; abbondante nell’aprile. 66. Caccabis saxatilis. Coturnice. Estinta da 20 o 30 anni nell’isola di Lipari. Vive ancora a Salina. Non ne ho potuto avere nessun esemplare. 67. Coturnix coturnix. Quaglia (in dial. Quagghia). 16 &. SABATINI Non ne ho preparato, nè misurato nessun esemplare. Passa, alcuni giorni in grande abbondanza, dalla seconda quindicina di aprile fino alla seconda quindicina di maggio e nella seconda quin- dicina di settembre. Sembra che qualche coppia nidifichi nell'isola di Lipari; certamente pochi individui vi svernano, come ho potuto consta- tare io stesso. Costituisce una delle principali risorse cinegetiche delle Isole Eolie. 68. Vanellus vanellus. Pavoncella (in dial. Nive-nive). Q ad., gennaio 1911. Lipari. Lungh. mm. 340, ala mm. 223, coda mm. 110, tarso mm. 45, becco mm. 26. Di passo poco abbondante ed irregolare nei mesi di gennaio e feb- braio. B 69. Zringoides hypoleucus. Piro-piro piccolo. o ad., 7 aprile 1912, Lipari. Lungh. mm. 205, ala mm. 111, coda mm. 60, tarso mm. 24, becco mm. 25. Colori normali. Lungo le coste marine se ne trova qualche individuo nel mese di gennaio, ma più abbonda nel mese di aprile. 70. Scolopax rusticula. Beccaccia. (in dial. IJaddazza). Passa in certo numero nell'autunno inoltrato, specialmente nella se- conda quindicina di novembre. Non ho misurato nessun individuo. 71. Gallinago gallinago. Beccaccino. Sesso indet. ad., 18 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 280, ala mm. 129, coda mm. 62, tarso mm. 33. Specie di passo autunnale e primaverile (aprile), raro. 72. Gallinula chloropus. Gallinella d’acqua. Sesso indet. ad., 19 aprile 1911, Lipari. Lungh. mm. 320, ala mm. 170, coda mm. 75, tarso mm. 48. Rara e forse accidentale. 73. Grus grus. Gru. Non l’ho nè catturata, nè osservata da presso. Ma ne ho visto più volte passare dei branchi numerosi e diverse volte alcune gru sono state catturate a Lipari e nelle altre Isole Eolie. Di doppio passo regolare primaverile-autunnale. 74. Ardea purpurea. Airone rosso. o ad., 8 aprile 1912, isola di Panarea. RLENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 17 Lungh. mm. 950, ala mm. 380, coda mm. 129, tarso mm. 120, becco mm. 122. Di passo regolare nell’aprile e nell’ottobre. 75. Ardeola ralloides. Sgarza ciuffetto. Sesso indet., maggio 1911, Lipari. Lungh. mm. 450, ala mm. 172, coda mm. 80, tarso mm. 54, dito mediano con unghia mm. 56, becco mm. 59. Dimensioni molto ridotte. Di passo primaverile e forse autunnale, rara. 76. Ardetta minuta. Tarabusino. o ad., maggio 1911, Lipari. Lungh. mm. 355, ala mm. 145, coda mm. 50, tarso mm. 43, becco mm. 47. Di passo primaverile e autunnale, più comune della specie prece- dente. 71. Nycticorax nycticorax. Nitticora. Sesso indet., maggio 1911, Lipari. Lungh. mm. 575, ala mm, 280, coda mm. 110, tarso mm. 75, becco mm. 80. Colori normali. Di passo primaverile e forse autunnale, molto rara. 78. Anas boscas. Germano reale. Ne ho visto un solo individuo a Vulcano nel gennaio 1912, individuo che non potei catturare. Una cattura, che non potei controllare, per parte di altri avvenne nell’inverno del 1911. Specie rara, di passo invernale. 79. Larus argentatus cachinnans. Gabbiano reale (in dial. Ga- vazza). Sesso indet. ad., 2 maggio 1912, Lipari. Lungh. mm. 645, ala mm. 455, coda mm. 182, tarso mm. 72, becco mm. 58, dito mediano con unghia mm. 70. Colori normali. Ben distinta la macchia rosso-aranciato all’angolo della gonide. Le dimensioni sono superiori a quelle degli individui dell'Adriatico e dell’alto Tirreno e vicine a quelle dei gabbiani reali sardi, ai quali i soggetti liparesi si avvicinano moltissimo pure per la forma del becco. Il Gabbiano reale è presso che sedentario nell’ Isole Eolie, perchè vi risiede per tutto l’anno (nidificandovi) ad eccezione di parte di luglio e dei mesi di agosto, settembre ed ottobre, alla fine del quale comincia il ritorno. Abita in colonie numerose sulle scogliere marine inaccessibili, frequenti Sc. Nat. Vol. XXX. 2 18 G. SABATINI nelle Isole Eolie. Ho potuto constatare che pure nella notte vola e grida. È assai scaltro e perciò di cattura difficile. Nell'isola di Lipari una colonia numerosa di più centinaia di individui abita sui precipizi del Salvatore e su uno scoglio detto “A petra longa,, ergentesi dal mare per 60 metri, come torre colossale, davanti ad essi. Nidifica (ho trovato una volta un nido con tre uova) ai primi di maggio. Gli abitanti dei luoghi cercano di impadronirsi dei piccoli per cibar- sene, spesso arrischiando la vita e qualche volta perdendovela. 80. Puffinus Kulhi. Berta maggiore. Sesso indet., 20 maggio 1912, isola di Salina. Lungh. mm. 460, coda mm. 128, tarso mm. 54, dito mediano con unghia mm. 65, dito esterno con u. mm. 63, becco mm. 48. Non ho po- tuto determinare la lunghezza dell’ala, perchè al soggetto furono strap- pate le remiganti primarie prima che fosse a me donato. Parti superiori grigio brune. Secondo quanto afferma il DopERLEIN la Berta maggiore è frequente e numerosa nell’estate presso le Isole Eolie. Io non ho potuto consta- tarlo; ma, oltre che estiva, potrebbe anche essere sedentaria. 81. Podicipes fluviatilis. Tuffetto. Sesso indet., 31 ottobre 1912, Vulcano. Lungh. mm. 230, ala mm. 96, tarso mm. 34. Colori normali. Accidentale. 82. Fratercula arctica. Polcinella di mare (in dial. Samuzza- tore). Sesso indet., ad., 1 marzo 1912, Lipari. Lungh. mm. 310, ala mm. 145, coda mm. 41, tarso mm. 24. Colori normali. Le continue osservazioni degli studiosi di ornitologia hanno sempre più dimostrato che questa specie capita ogni anno nei nostri mari in maggiore o minore quantità, mentre un tempo essa si riteneva di com- parsa accidentale. Per quanto riguarda le Isole Eolie posso convalidare l'opinione attuale. Infatti gli abitanti di tali isole, che conoscono bene la specie in questione, mi hanno affermato che ogni anno le polcinelle capitano dal gennaio a tutto aprile nel loro mare, specie ad una certa distanza dalla terra (5-7 chilometri). Nell'anno 1912 poi ne ho potuto osservare direttamente l'abbondanza: il 3 marzo con altri cacciatori, in una imbarcazione, in poche ore uccisi 13 polcinelle, mentre ne avrò viste ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 19 per lo meno una cinquantina, raccolte in branchetti di 3 o 4. Per tutto lo stesso mese, ogni volta che mi recai in barca a qualche distanza dalla costa, ne trovai qualcuna. Riassunto. — Delle 82 specie ricordate 18 sono sicuramente seden- tarie (comprendendo tra esse anche il Gabbiano reale ed escludendo la Lodola) e cioè: Gheppio Passera Civetta Passera mattugia ericciolo Passera lagia Passera solitaria Cardellino Occhiocotto Fanello Sterpazzolina Corvo imperiale Magnanina Piccione selvatico Tottavilla — Coturnice Zigolo nero Gabbiano reale. Dodici specie sono invernali e cioè: Rondine montana Ballerina Passera scopaiola Ballerina gialla Saltimpalo Pispola Codirosso spazzacamino Fringuello Pettirosso Verzellino Luì piccolo Verdone. Sei specie sono estive, oltre che di passo e cicè: Assiolo Rondone > Beccafico. Rondone alpino Balestruccio Berta maggiore Sono di passo regolare (e tra queste, specialmente quelle presso le quali ho posto tra parentesi un punto interrogativo, alcune sono pro- babilmente estive) 38 specie e cioè: Albanella pallida (?) Merlo Rigogolo Falco pecchiaiolo Culbianco Tortora 20 G. SABATINI Falco grillaio Stiaccino Quaglia (?) Torcicollo (2) Codirosso Pavoncella Cuculo Usignolo Piro-piro piccolo Ghiandaia marina Sterpazzola Beccaccia Gruccione | Luì verde Beccaccino Upupa Canapino maggiore Gru Rondine (2) Cutrettola gialla Airone rosso Balia nera Calandro Tarabusino Piglia-mosche Lodola (?) Cermano Averla capirossa Calandrella Polcinella di mare Tordo Calandra. Infine sono di passo irregolare, accidentali o dubbie (?) otto specie e cioè: Gufo di padule Colombaccio (?) Nitticora Succiacapre Gallinella d’acqua Cannareccione Sgarza ciuffetto Tuffetto. Per quanto riguarda le dimensioni, alcune delle specie sedentarie, come già ho notato, presentano fatti rimarchevoli e alcune tra esse, spesso o sempre, hanno dimensioni minori dei soggetti della Penisola italiana, così: Occhiocotto, Tottavilla, Zigolo nero e Cardellino. Altre specie poi, mentre nello stesso confronto hanno dimensioni minori per alcune parti, le hanno maggiori per altre: così nella Passera solitaria si ha la lunghezza totale minore, mentre le ali sono assai sviluppate; nella Passera, con coda e ala minori, si hanno la lunghezza totale e il tarso maggiori; nella Passera lagia si ha spesso una notevole lunghezza con le altre parti di misura ridotta. La sola specie che presenta grandi di- mensioni è il Gabbiano reale. i Il fatto generale, che gli animali insulari presentano dimensioni mi- nori dei corrispondenti animali dei continenti prossimi, vale quindi anche per gli uccelli sedentari delle Eolie. Per il piumaggio ho notato differenze considerevoli soltanto nella Magnanina e nel Cardellino. Ma, mentre le differenze presentate da quest’ultimo molto probabilmente sono comuni a tutti i cardellini della Sicilia, le differenze della prima sono proprie della Magnanina liparese, che solamente per mancanza di numerosi esemplari non posso distinguere in una nuova sottospecie. ELENCO DI UCCELLI CATTURATI ED OSSERVATI NELLE ISOLE EOLIE 2A Certamente, come ho detto in principio, questo elenco è molto in- completo: molti Rapaci, Turdidi, Charadriidi, Rallidi, Ardeidi, Anatidi, Laridi ed altri uccelli pelagici sono sfuggiti alle mie ricerche durate troppo breve tempo. Ritengo però che intere famiglie, come i Picidi, i Paridi, i Sittidi e i Cinclidi manchino realmente del tutto nelle Eolie, Ad ogni modo stimo che valga la pena di pubblicare questo lavoretto, che ho seritto con cura e con amore, come con cura e con amore ne raccolsi il materiale sugli aspri colli, nei ridenti vigneti, sotto i folti oli- veti e sul mare or calmo ed ora agitato delle Isole Eolie, perchè esso potrà richiamare l’attenzione dei cultori di ornitologia sull’ Arcipelago Eolio fino ad oggi quasi dimenticato negli studi zoologici, e spero che altri voglia e possa continuare e completare il mio modesto lavoro. Infine porgo vivi ringraziamenti al sig. prof. E. FicanBI, che per la compilazione di questo scritto gentilmente ha messo a mia disposizione la biblioteca dell’Istituto di Zoologia e il ricco materiale ornitologico del Museo dell’ Università Pisana. Pisa, settembre 1913. ISTITUTO DI FISIOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DIRETTO DAL Pror. V. Apucco DOTT. G. BUGLIA Nulla Funzione atriale del enore di Bimys europea Nota I. Influenza dell’ ipo- ed ipertonicità del liquido sulla duplice funzione atriale del cuore isolato di Emys europea. lg II pe 0) Quantunque il fenomeno tanto bello e interessante della duplice fun-' zione ritmica e tonica, degli atri di £mys europea, scoperto da Fano, sia stato oggetto di successive ricerche, sia da parte dello Scopritore stesso (1), sia da parte di altri Studiosi (2), tuttavia alcuni particolari, sui quali ben poco o nulla si è insistito, meritano di essere ulteriormente approfonditi, giacchè la loro conoscenza può portare qualche utile contributo intorno alle cause che influiscono sulla manifestazione del fenomeno. Fenomeno che dopo le ultime ricerche, con le quali è stato messo in evidenza che le oscillazioni del tono avrebbero un sostrato costituito da cellule muscolari liscie, quindi da una struttura periferica distinta dalle fibre striate, acquista un significato ben diverso da quello che precedentemente gli si poteva attribuire. Così, mentre non venne particolarmente studiata l’ influenza, messa in evidenza dal Fano, degli stimoli meccanici applicati direttamente sul tessuto atriale, ch'io mi sappia non si cercò di conoscere l’influenza che ha, sulla contrazione ritmica e sulle oscillazioni del tono dell’atrio di Emys europea, il fattore fisico-chimico “ tonicità del liquido , dove si con- serva il preparato cardiaco, allorchè se ne vogliono studiare le manife- stazioni funzionali dopo averlo isolato dal' corpo dell’animale. Soltanto il Fano, studiando l’ azione di alcune sostanze sulla funzione atriale del cuore di Emys europea, accenna, incidentalmente, che il diverso effetto prodotto da alcune di esse, allorchè si usano in concentrazione differente, SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPEA. 23 non può essere attribuito alla diversa concentrazione dei liquidi adope- rati che può provocare azioni osmotiche particolari nelle cellule musco- lari. E ciò sia perchè, usando altre sostanze in soluzioni più concentrate o più diluite di quelle, l'Autore non ottenne effetti analoghi, sia anche perchè, per le varie sostanze, i risultati non furono mai proporzionali alla concentrazione delle singole soluzioni. Conviene però rilevare che i risultati di queste ricerche non esclu- dono in realtà una qualsiasi influenza del fattore fisico-chimico, rappre- sentato dalla liquido , , giacchè nel caso speciale di dette ricerche, nulla impedisce “K concentrazione molecolare e pressione osmotica del di ritenere che questo fattore fosse mascherato dal fattore chimico, rap- presentato dalla “ tossicità chimica della sostanza. ,, E a questo propo- sito debbo ricordare alcune mie ricerche, sulla tossicità comparata dei cationi sul muscolo (3), dalle quali è risultato bene evidente come nel valutare la tossicità generale, di una sostanza sciolta in un liquido, sopra qualsiasi protoplasma, non si possa prescindere dal considerare tanto il fattore fisico, quanto il fattore chimico della soluzione, e come spesso prevalga ora l’uno, ora l’altro. Dal che ne deriva, che l’influenza del fa- tore fisico, potrà essere rilevata bene soltanto nel caso in cui si tratta di soluzioni di una sostanza che presenta un grado minimo di “ tossicità chimica , mentre, viceversa, l’influenza del fattore chimico, potrà essere meglio messa in evidenza, quando la soluzione della sostanza presenta, per quanto è possibile, una concentrazione molecolare e pressione osmo- tica, eguale a quella dei tessuti sui quali si sperimenta. Ritenni perciò opportuno intraprendere alcuni esperimenti i quali mi permettessero di rilevare l’eventuale influenza dell’ ipo- ed ipertoricità del liquido sulla funzione atriale del cuore isolato di £mys europea. Con- temporaneamente ho iniziato altre ricerche sull’infuenza che hanno gli stimoli meccanici. Per il primo scopo mi servî di soluzioni di cloruro di sodio e di saccarosio, ossia soluzioni di un elettrolita e di un anaelettrolita, che, come è ben noto, a confronto delle altre sostanze, presentano il minor grado di “ tossicità chimica , sulle varie attività funzionali del proto- plasma vivente. Operavo nel modo seguente: messo allo scoperto il cuore dell'animale e allacciati i grossi vasi sanguigni al di sopra del bulbo aortico, li reci- devo e dopo aver fatto una seconda allacciattura in corrispondenza del setto atrio-ventricolare, asportavo il ventricolo. Fissavo poscia, serven- 24 G. BUGLIA domi dello stesso filo della seconda allacciatura, gli altri rimasti integri e ripieni di sangue, ad un uncino di vetro solidamente immobilizzato ad un sostegno, ed afferrato con una piccola pinzettina uno degli atri (sempre il destro) lo mettevo in relazione per mezzo di un filo, con una leva scrivente. Infine immergevo il preparato cardiaco, in un bicchiere contenente soluzione fisiologica. Il dispositivo sperimentale, nell’assieme, è presso a poco uguale a quello usato anche da altri in ricerche analoghe; ne differisce però in alcune particolarità quale ad esempio quella per la quale il liquido, in cui è immerso il preparato cardiaco, può essere sostituito senza difficoltà e rapidamente con altro liquido, giacchè è sufficiente a tale scopo ab- bassare e sostituire il bicchiere che lo contiene. In tal modo, il tempo, necessario al cambiamento, di un liquido, e durante il quale il preparato cardiaco rimane esposto all’aria, è ridotto ad un minèmum. Alla penna scrivente era applicato il peso di 1 gr. ed il rapporto fra lunghezza del braccio delle resistenza e lunghezza del braccio della potenza era tale, per cui l’accorciamento reale del preparato cardiaco, durante le contrazioni, veniva ingrandito di 3, 8 volte. Usai come “ soluzione fisiologica ,, (ossia approssimativamente iso- tonica ai tessuti dell'animale) una soluzione di cloruro di sodio al 0,7 9%, nella quale aggiunsi anche del cloruro di calcio, in proporzioni eguali a quelle che sono indicate per la preparazione del liquido di Ringer per animali a sangue freddo, giacchè mi parve che questa sostanza fosse utile alla funzionalità del preparato. Gli animali sui quali ho sperimentato furono in antecedenza tenuti a digiuno per varî giorni e in ambiente fresco. Erano del peso medio di 400 gr. e quasi tutte femmine contenenti uova prossime ad essere emesse. La temperatura, durante il corso degli esperimenti, variò da 18 ZIE In ogni esperimento, mentre il preparato cardiaco stava immerso in soluzione fisiologica (150 cc.), dopo aver atteso per un certo tempo, sino a che si fossero regolarizzate le oscillazioni del tono, prendevo dap- prima, su di un cilindro affumicato rotante, un tratto di tracciato nor- male. Continuando poi la registrazione grafica, sostituivo alla soluzione fisiologica, un egual volume di un’altra soluzione di cloruro di sodio (a cui era stato aggiunto il calcio) più o meno concentrata, ovvero, a seconda dei casi, soluzione fisiologica contenente una varia quantità di saccarosio. Osservate le modificazioni della funzione atriale, immergevo da ultimo e al SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPEA. 25 nuovamente il preparato nella primitiva soluzione fisiologica, consta- tando se il tracciato riacquistava le caratteristiche di quello normale. In questo modo sperimentai con acqua distillata, con soluzioni di cloruro di sodio al 0,2 — 0,3 — 1,5 —3 —4—6 %, e con soluzione di cloruro di sodio al 0,7 °, contenente per cento, gr. 4,1 e gr. 13,4 di saccarosio, in proporzioni tali cioè, da avere liquidi di concentrazione molecolare complessiva pressochè eguale a quella delle soluzioni di clo- ruro di sodio al 1,5 e al 3 %o. Dagli esperimenti fatti è risultata bene evidente la diversa influenza che hanno le soluzioni ipo- ed ipertoniche sulla funzione atriale del- l'Emys europea. Ecco sommariamente ciò che essi dimostrano. Soluzioni ipotoniche. L’effetto dell’acqua pura consiste principal- mente in un evidente aumento graduale del tono, accompagnato da una progressiva diminuzione dell’ampiezza tanto delle oscillazioni del tono, quanto delle contrazioni ritmiche. Prime a scomparire totalmente sono le oscillazioni del tono, in seguito le contrazioni ritmiche. Osservando in fatti la figura 1.° (tav. I) si vede che la distanza fra i punti più bassi della linea ideale che congiunge la base delle contrazioni ritmiche e la linea orizzontale che sta al di sotto, (sulla quale è segnato il tempo) va con- siderevolmente aumentando: da pochi mm., quando il preparato è im- merso in soluzione fisiologica, diventa, dopo 6' di immersione in acqua, di cm. 1,5 e di em. 2,5, dopo 18'. Parallelamente l’ampiezza delle con- trazioni ritmiche, che nei periodi di maggior rilasciamento durante l’im- mersione in soluzione fisiologica, oscilla fra 10 —12mm., dopo 6' di immersione in acqua, si riduce a 5 mm., e dopo 18, a 2 mm. Le oscil- lazioni del.tono sono del tutto scomparse dopo circa 25' e le contrazioni ritmiche dopo 40' sono diventate piccolissime e molto rade. Le soluzioni ipotoniche di cloruro di sodio agiscono in modo ana- logo a quello dell’acqua pura, ma meno accentuato, così che l’aumento generale del tono, e le modificazioni e la scomparsa della funzione ritmica e delle oscillazioni del tono avvengono più tardivamente. Dalla figura 2.° (tav. I [I]) che riproduce l’esperimento con cloruro di sodio al 0,3 °/o, si rileva di fatti che lievi oscillazioni del tono si hanno ancora dopo 50' dall’immersione del preparato in questa soluzione, e che l’al- tezza delle contrazioni ritmiche, dopo questo tempo è ancora quasi eguale a quella che si osserva dopo 20', ossia di circa 3 mm. L’immersione del preparato cardiaco in soluzione fisiologica, dopo che ha subito l’azione di soluzioni ipotoniche, fa ricomparire le contra- 26 G. BUGLIA zioni ritmiche e le oscillazioni del tono; prima quelle e poi queste. La funzione generale però del preparato cardiaco, difficilmente torna allo stato normale, e tanto più difficilmente, quanto maggiore era l’ipotoni- cità del liquido in cui il preparato cardiaco, in antecedenza era stato immerso. Così nel caso di immersione in acqua pura e poi in soluzione fisiologica (figura 1.", tav.I[I]) si osserva che soltanto le oscillazioni del tono riacquistano una frequenza ed un'ampiezza notevole, mentre le contra- zioni ritmiche non raggiungono un’altezza superiore ai 2 mm.; anzi dopo 40 5 ore dalla seconda immersione del preparato nel liquido fisiologico, quando le oscillazioni del tono persistono ancora bene evidenti, le con- trazioni ritmiche paiono quasi del tutto cessate. Soluzioni ipertoniche. — L’immersione in soluzione ipertonica di cloruro di sodio produce una graduale diminuzione del tono, con scom- parsa delle oscillazioni del tono, più o meno rapida a seconda dell’iperto- nicità del liquido, e all’inizio produce anche una transitoria, ma mani- festa rarefazione delle contrazioni ritmiche. Considerando l’ampiezza delle contrazioni ritmiche si osserva che rimane per un certo tempo quasi invariata se il liquido è leggermente ipertonico, diminuisce invece, rapi- damente sino anche a scomparire (come nel caso di una soluzione di sodio al 6 °/o), se il liquido è fortemente ipertonico. Queste modifica- zioni della funzione atriale per opera di soluzioni ipertoniche di cloruro di sodio, sono bene rilevabili osservando la 3.% e la 4. figura, che riprodu- cono rispettivamente l’esperimento con cloruro di sodio al 1,5 °/o e al 4 %o. Nella figura 3.4 (tav. I[I])le oscillazioni del tono scompaiono quasi comple- tamente soltanto dopo 30' circa dall’immersione del preparato nel liquido ipertonico, quando l’altezza delle contrazioni ritmiche non presenta ancora una notevole diminuzione, mentre nella 4.‘ figura (tav. II | II]) esse sono già del tutto cessate dopo 5'. In quest’ultima figura si osserva inoltre, che l’altezza delle contrazioni ritmiche, dopo 15' dall’immersione del prepa- rato nel liquido ipertonico, si riduce a 2 mm. ossia ad un settimo dell’al- tezza massima che presentavano all’inizio dell’esperimento. La successiva immersione del preparato cardiaco in soluzione fisio- logica, dopo che era rimasto in liquido ipertonico, rapidamente ripristina la funzione ritmica normale e in seguito anche fa riapparire le oscil- lazioni del tono. Queste però da principio si trovano più frequenti, ma più piccole che nello stato normale. Il tono generale aumenta e per un certo tempo si osservano complessivamente effetti analoghi a quelli che sì osservano allorchè il cuore viene immerso dalla soluzione fisiologica in una soluzione di cloruro di sodio leggermente ipotonica. SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPEA. 27 Per ciò che si riferisce al tono, risulta dunque evidente che le so- luzioni ipertoniche di cloruro di sodio hanno un effetto opposto a quello delle soluzioni ipotoniche, giacchè mentre quelle lo abbassano, queste lo innalzano. Questa azione antagonistica sul tono appare ancor più manifesta quando si fanno agire successivamente sullo stesso preparato cardiaco, le due soluzioni, ipo- ed ipertonica, come nell’esperimento riprodotto dalla figura 5.4 (tav. II [II]). In questo esperimento, il preparato cardiaco, dopo lungo funzionamento in soluzione fisiologica, quando le contrazioni ritmi- che s’erano ridotte piccolissime, le oscillazioni del tonv quasi cessate ed il tono si manteneva ad un livello molto basso, si immerse in acqua distillata e poi in soluzione di cloruro di sodio al 5 °. L’immersione in acqua distillata produsse un forte innalzamento del tono, la succes- siva immersione nella soluzione di cloruro di sodio, abbassò nuovamente il tono portandolo all’altezza iniziale. La funzione «dell’atrio di Emys europea, sottoposto all’azione di solu- zioni ipertoniche di saccarosio presenta variazioni pressochè eguali a quelle dovute al cloruro di sodio. Soltanto si osserva che sono meno ac- centuate. Così ad esempio nella figura 6. (tav. II [II]) la diminuzione del tono generale non è tanto evidente come quella che venne osservata con una soluzione di cloruro di sodio al 3 °/, sebbene la concentrazione mole- colare dei due liquidi in cui vennero immersi i preparati cardiaci, sia da con- siderarsi non molto diversa. Tuttavia che anche le soluzioni ipertoniche di saccarosio abbiano per effetto di abbassare il tono, si può mettere bene in evidenza facendole agire sopra un preparato cardiaco antece- dentemente sottoposto all’influenza di soluzione ipotonica. Difatti nella figura 7. (tav. II [II]) si osserva che immergendo il preparato cardiaco da una soluzione di cloruro di sodio al 0,5 °/|, in una soluzione fisiologica contenente saccarosio al 4°/,, il tono generale diminuisce notevolmente, mentre nello stesso tempo cessano del tutto le oscillazioni del tono. I risultati di queste ricerche dimostrano dunque che il fattore fisico- chimico, “ tonicità del liquido , in cui si conserva il preparato cardiaco di Emys europea isolato dall’animale, ha una grandissima influenza sulle manifestazioni funzionali dell’atrio. In generale si può ritenere che le soluzioni ipotoniche riescono pre- valentemente dannose alla funzione ritmica fondamentale, le soluzioni ipertoniche invece alla funzione tonica, sia considerata nell’assieme, sia sotto l’aspetto delle oscillazioni che normalmente essa presenta. Così 28 G. BUGLIA che, relativamente alla duplice funzione atriale del cuore di £mys europea si può in certo qual senso dire che le une agiscono antagonisticamente alle altre. E se consideriamo che nella parete atriale dell’Emys europea è affermata la presenza dielementi muscolari lisci assieme ad elementi mu- scolari striati, si potrebbe pensare, stando alla teoria sulla funzione del sar- coplasma (Bottazzi), che le soluzioni ipo- ed ipertoniche, in quanto au- mentano o diminuiscono la funzione tonica, esercitano principalmente la loro azione eccitante o deprimente, sugli elementi muscolari lisci, che sono ricchi di sostanza sarcoplasmatica. ERRATA-CORRIGE Dove è scritto Zmys europea leggi: Emys europaea. (1) G. INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE Faxno. Sulle oscillazioni del tono auricolare del cuore. — Lo Sperimentale LVII, 501-504, 1886. . Fano. Ueber die Tonusschwankungen der Atrien des Herzens von Emys europea. — Beitràge zur Physiologie, C. Ludwig gewidmet. -— Leip- zig, 287, 1887. — Centralbl. fur Physiol. I, 310, 1887. . FANO e S. ScroLLa. Azione di alcuni veleni sulle oscillazioni del tono auri- colare nel cuore dell'Emys europea. — Mantova 1887. — Centralbl. fur Physiol. I, 770, 1887. — Arch. ital. de Biol. IX, 61-72, 1888. . Fano e V. Fayod. Di alcuni rapporti fra le proprietà contrattili e le elet- triche degli atri cardiaci. — Mantova 1887. Centralbl. fur Physiol. I, (00, 1887. — Arch. ital. de Biol. IX, 143-164, 1888. . Fano (in collaborazione col Dott. F. Bapano). Sulle cause e sul significato delle oscillazioni del tono atriale nel cuore dell’Emys europea. — Ricer- che di fisiol. e sc. aff. dedicate al prof. Luciani nel XXV anno del suo insegnamento. — Soc. Ed. Libr. Milano, 15, 1900. — Arch. ital. de Biol. XXXIV, 301-340, 1900. . Fano. Sopra un « Contributo del Sig. ELtAS ROSENZWEIG alla conoscienza delle oscillazioni del tono atriale nell’ Emys europea ». — Archivio di Fisiol. I, 247-248, 1904. G. Fano. Su alcune variazioni elettriche del cuore che accompagnano la inibi- zione pneumogastrica. — Archivio di Fisiol. I. 249-262, 1904. G. Fano. — Appunti sintetici I. — Archivio di Fisiol XI, 203-209, 1913. G. Faxo e I. Spadolini. — Sul'elettrocardiogramma durante le oscillazioni del tono negli atri dell’Emys europea. — Archivio di Fisiol. XI, 467-476, 1913. (2) F. Bortazzi. The oscillations of the auricolar Tonus in the batrachian Heart with a theory on the fonction of Sarcoplasma in Muscular tissue. — Journ. of. Physiol. XXI, 1-21, 1897. — Arch. ital. de Biol. XXVI, 380-386, 1896. F. Borrazzi e O. F. F. Grinpaum. On plain Musele — Journa. of. Physiol. XXIV, 51-71, 1899. — Arch. ital. de Biol. XXXIII, 253-281, 1900. F. BortAzzi. Azione del vago e del simpatico sopra gli atri del cuore dell’'Emys europea. — Rivista di Sc. Biol. n. 1 e 2 vol. II. 78 1900. — Archiv. ital. de Biol. XXXIV, 17-35, 1900. F. Borrazzi. Ancora dell’azione del vago e del simpatico sugli atri del cuore dell'Emys europea. — Rivista di Sc. Biol. n. 11 e 12 Vol. II. 1900. Archiv. ital. de Biol. XXXVI, 277-299, 1901. F. Bortazzi. Ricerche sulla muscolatura cardiale dell’Emys europea. — ©) G. Zeitschr. f. Allg. Physiol. 6, 140-194, 1907. . RosenzwEIG. Beztrige zur kenntniss der Tonusschwankungen des Herzens von Emys europea. — Arch. fir (anat. u.) Physiol. Suppl. Bd. 192- 208, 1903. . MarsTRINI. Osservazioni sul cuore dell’'Emys europea e dei Batraci. Ann, Fac. medie. Univ. Perugia Vol. II. Fase. IV. 1912. BuGLIa. Tossicità comparata dei cationi sul muscolo. — Archivio di Fisiol. IV, 285-308, 1907. SPIEGAZIONI DELLE TAVOLE Le figure sono ridotte a ?/3. TAV. I [Il Fig. 1. — Immersione in acqua distillata. » 2. — Immersione in soluzione di cloruro di sodio al 0,3 °/. » 3. — Immersione in soluzione di cloruro di sodio al 1,5 %/y- TAV. Il [11]. » 4. — Immersione in soluzione di cloruro di sodio al 4%. » 5. — Immersione in acqua distillata e successivamente in soluzione di cloruro di sodio al 5 °/5* » 6. — Immersione in soluzione fisiologica contenente °/, gr. 13,4 di Sac- carosio. » TT. — Immersione in soluzione fisiologica contenente °/, gr. 4 di saccarosio, dopo immersione in soluzione ipotonica di cloruro di sodio. ISTITUTO DI FISIOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DIRETTO DAL Pror. V. Apucco DOTT. G. BUGLIA Nulla Funzione atriale del ewore di Emys europaca Nora II. Influenza degli stimoli meccanici sulla duplice funzione atriale del cuore isolato di Emys europaea (Tav. III-V, [L-1I]]). Sino dalle prime ricerche sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea, Fano !) ebbe occasione di osservare che anche gli stimoli mec- canici, come ad esempio la compressione del preparato cardiaco con pinze o con laccio in corrispondenza del solco atrio ventricolare, hanno una notevole influenza sulla funzione tonica. Parecchi anni dopo il Borrazzi ?) dimostrò che, fra gli stimoli meccanici, i così detti “stimoli tensivi , sono capaci di provocare vigorose contrazioni toniche dell’atrio di £mys europaca. Intorno all’influenza degli stimoli meccanici sulla funzione atriale del cuore di Ewmys europaea, non venne però, ch'io mi sappia, ulterior- mente rivolta speciale attenzione, così che nei particolari è rimasta ben poco nota. Ciò m’indusse, mentre stavo occupandomi di altre ricerche sul cuore di questo animale, a fare alcune osservazioni in proposito, sembrandomi questo studio atto a portare qualche luce sulla questione relativa ai sostrati materiali da cui dipendono le complesse esplicazioni motorie dell’atrio di £mys europaea. Applicai gli stimoli meccanici direttamente e temporaneamente sulle 1) G. Fano. Ueber die Tonusschwankungen der Atrien des Herzens von Emys europaea — Beitrige zur Physiologie, C. LupwIi& gewidmet. Leipzig, 287- 1887. 2) F. BortAazzi. Ricerche sulla musculatura cardiale dell’Emys europaea — Zeitschr f. allg. Physiol. 6, 140-194, 1907. 32 G. BUGLIA pareti dell’atrio d»stro del cuore di Emys europaea, isolato e preparato come per alcune mie precedenti ricerche !). Gli animali in antecedenza erano stati tenuti a digiuno per diversi giorni e conservati in ambiente fresco. Il loro peso in media oscillò dai 300 ai 500 gr. Anche il dispo- sitivo sperimentale, che è riprodotto dal seguente disegno schematico, fu quello stesso che usai nelle sopraricordate ricerche, alle quali quindi ri- mando per la descrizione. Feci le stimolazioni tenendo immerso il preparato cardiaco in soluzione fisiologica (NaCl 0,7 °) e alla temperatura dell’ambiente (18°-22° ©). I mezzi usati per produrre le stimolazioni furono diversi, così che 1) G. BugLia. Sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea. Nota I. Soc. Tosc. Sc. Nat. vol. XXX pag. 22-30, 1914. Arch. ital. de Biol. 1914 SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA. 33 essi’ possono raggrupparsi in diversi tipi che per brevità chiamerò: a) stimolo da pinzettamento, quando la stimolazione era prodotta pinzettando le pareti atriali; 0) stimolo da strisciamento, quando la stimolazione era prodotta strisciando sulle pareti atriali la punta arrotondata di un sottile bastoncino di vetro; e) stimolo da vellicamento, quando si stimolava la parete atriale toccandola ripetutamente con un pelo, (ad es. dell’este- siometro del V. FREY) 1). Queste diverse stimolazioni vennero fatte sia su preparati cardiaci, «he presentavano la funzione ritmica normale e spontanee oscillazioni del tono, sia su preparati, in cui le oscillazioni del tono erano inibite, sia in fine su preparati, in cui tanto la funzione ritmica fondamentale, quanto le oscillazioni del tono, erano quasi del tutto scomparse. Vennero inoltre applicate con varia frequenza per un tempo più o meno lungo ed anche alternativamente, su di uno stesso preparato cardiaco, allo scopo di conoscere la loro diversa efficacia. Per lo stimolo da pirzettamento, in alcune prove preliminari, feci uso di una comune pinzetta anatomica, le cui branche venivano compresse con le dita. Ben presto però ebbi a convincermi, dalla variabilità dei resultati, che il metodo era poco esatto, non soltanto perchè non permet- teva di regolare l’intensità dello stimolo, ma anche perchè la posizione stessa del preparato cardiaco, immerso ad una certa profondità nel li- quido del recipiente, rendeva malagevole applicare lo stimolo in un de- terminato punto della parete atriale; nè era sempre possibile prender nota con esattezza del momento in cui avveniva la stimolazione, della du- rata di questa e dell’intervallo fra due successive stimolazioni. Cercai al- lora di eliminare questi incovenienti, facendo costruire dal meccanico del laboratorio, una pinzetta “automatica, che meglio corrispose allo scopo. La figura qui annessa rappresenta il disegno schematico di questa pin- zetta. Le due branche A e .4', leggermente divaricate, sono di metallo nella parte superiore 5, nella parte inferiore d' invece, quella che viene immersa nella soluzione fisiologica assieme al preparato cardiaco, sono di ebanite: così è impedito il contatto del metallo col liquido ed è anche 1) Voglio qui semplicemente accennare che talvolta, nelle numerese espe- rienze che ho fatto, trovai preparati così sensibili agli stimoli meccanici, che il tumultuoso gorgogliare di un gas nel liquido, oppure la semplice agitazione di esso con un bastoncino, era sufficiente a suscitare una forte oscillazione tonica. Sc. Nat. Vol. XXX 3 34 © G. BUGLIA meno facile che si producano lesioni sul tessuto cardiaco, di quello che sarebbe se il pinzettamento avvenisse per mezzo di punte metalliche. Perchè poi lo stimolo sia limitato ad una piccola superfice delle pareti atriali, le due estremità « e @' (fra le quali viene a trovarsi il preparato cardiaco) presentano una leggera curvatura in avanti ed in dentro. L’av- vicinamento delle due branche della pinza, e quindi il contatto delle estremità, avviene per mezzo di un apparecchietto 5, comunemente chia- mato “automatico per otturatore di macchina fotografica,, il quale me- diante un prolungamento metallico c, è fissato ad una delle branche (4) della pinza. Allorchè si esercita una pressione sul bottone @ dell’“auto- matico,, l’altro bottone d', che si trova all’estremità opposta, viene ad urtare e premere sulla branca A' della pinza e la spinge verso l’altra SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA. 35 branca A: così il preparato cardiaco si trova compresso fra le due estre- mità della pinza. Cessata la pressione sul bottone d dell’“automatico,, le due branche della pinza nuovamente si allontanano e cessa la stimola- zione del preparato cardiaco. Il grado di pressione, trasmesso alla branca della pinza, è sempre eguale, se si spinge il bottone d dell’automatico sino al suo punto d’arresto (9). L'inizio e la fine della stimolazione vengono automaticamente regi- strati nel modo seguente: nella parte metallica delle branche della pinza sono applicati due serrafili di ottone e, e, i quali sporgono fra le branche stesse e vengono fra di loro a contatto quando le estremità della pinza si avvicinano per la pressione che si esercita sul bottone d dell’ “ auto- matico,. Questi due serrafili nell’attraversare le branche metalliche della pinza, sono da esse isolati per mezzo di un manicotto di ebanite (f, f). L’uno poi è in connessione diretta con un polo di una pila, l’altro con un segnale Desprez il quale a sua volta è connesso all’altro polo della pila. Si ha così un circuito, sul quale si trovano intercalati la pinza e il Desprez. Quando i due serrafili vengono a contatto, per la pressione esercitata sul bottone d dell’ “automatico ,. e quando successivamente, per il ces- sare della pressione, si allontanano, si comprende facilmente come venga aperto e chiuso il circuito. Questa apertura e chiusura del circuito è segnata, sul cilindro affumicato, dalla penna del Desprez, l’estremità della quale deve, naturalmente, essere situata sulla stessa verticale dell’e- stremità della penna che, riproduce i movimenti del preparato cardiaco. La pinza rella parte superiore è connessa con un bastoncino metal- liceo € che si fissa ad un sostegno. La connessione fra il bastoncino e la pinza è snodabile, e ciò permette di spostare con facilità la pinza stessa, in vario senso. Per l’uso si dispone la pinza in posizione quasi verticale, come si vede nella prima figura riportata, in modo che fra l'estremità inferiore delle branche venga a trovarsi l’atrio del prepa- rato cardiaco: innalzando poi il recipiente sottostante, pinza e preparato cardiaco sono immersi nella soluzione fisiologica. Nelle varie prove da me fatte con la pinza “automatica, descritta, l’intensità dello stimolo, che producevo sulla parete atriale, era costante, giacchè avevo l’aAvertenza di esercitare ogni volta sul bottone “dell’au- tomatico ,, una pressione sufficiente a spingerlo sino al punto d’arresto. Volendo dare un’idea dell’intensità dello stimolo che potevo produrre con la pinza descritta, debbo dire che era assai lieve, se si considera che, provando a pinzettare la punta della lingua, non si aveva la benchè 36 G. BUGLIA minima sensazione dolorosa, ma soltanto una debolissima sensazione tat- tile. Essa venne poi anche valutata con approssimazione, osservando lo spostamento dell’acqua contenuta in un manometrino in connessione con un cappuccetto di gomma (avente la capacità di 2 cc. e le pareti di 1 mm. di spessore), quando questo cappuccetto veniva compresso fra le branche della pinza: lo spostamento era di circa 1 mm. L'intensità massima dello stimolo di pinzettamento, prodotto con la pinza “automatica, da me usata, era dunque molto piccola e certamente più piccola di quella che si può ottenere, facendo una mediocre pressione con le dita sulle branche di una comune pinzetta anatomica. Durante le prove sulla fun- zione atriale del cuore di £mys europaea, ebbi infatti aleune volte occa- sione di osservare che mentre il pinzettamento “automatico , sulla pa- rete atriale, non produceva alcun effetto o un effetto assai piccolo, il pinzettamento “non automatico, sulla stessa parete atriale; per quanto fatto con la massima delicatezza, produceva un effetto rilevante. Voler stabilire un confronto fra l'intensità dello stimolo da pinzet- tamento e quella degli altri stimoli da strisciamento e da vellicamento, riescirebbe difficile ed anche inesatto, soprattutto perchè in questi due ultimi casi non si poterono completamente evitare quegli inconvenienti, ai quali più sopra ho accennato, che per lo stimolo da pinzettamento fu- rono eliminabili coll’uso della pinza “automatica, . Tuttavia, giudicando dagli effetti che i diversi stimoli produssero durante i miei esperimenti sulla funzione atriale del cuore di #mys europaca, si può arguire che l’in- tensità dello stimolo da strisciamento e da vellicamento, fu minore di quella dello stimolo da pinzettamento, poichè in alcuni casi, in cui questo stimolo produsse un effetto considerevole, le altre due specie di stimoli, e più specialmente quello da wvellicamento, non esercitarono alcuna influenza visibile. Conviene però sempre tener presente che il grado di sensibilità del preparato cardiaco, sul quale agirono gli stimoli, poteva variare, e non soltanto da preparato a preparato, ma anche nello stesso preparato a seconda del momento in cui agiva lo stimolo: in generale osservai che la sensibilità delle pareti atriali del cuore isolato di Emys europaca, agli stimoli meccanici, era molto maggiore dopo che il preparato cardiaco, stando immerso nella soluzione fisiologica, aveva funzionato per un certo tempo. Dei molti esperimenti da me fatti, mi limito a riferirne soltanto qualcuno, sufficente a dimostrare con evidenza la notevole influenza che gli stimoli meccanici hanno sulla funzione atriale del cuore di Emys ew- ti 4 t È SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA. © 37 ropaea. La registrazione grafica corrispondente a ciascun esperimento, è riportata nella grandezza originale, sulle tavole che si trovano alla fine della nota; in essa sono riprodotti gli accorciamenti reali del preparato cardiaco, durante le contrazioni, ingranditi 3, $ volte. I Esperimento (9. 6. 914). Il preparato cardiaco, immerso in so- luzione fisiologica per 40' circa, presenta spontaneamente ampie e re- golari contrazioni ritmiche senza alcun accenno a variazioni del tono. Dopo 40' si stimola la parete atriale pinzettandola successivamente con la pinza “ automatica ,. La fig. 1 (Tav. IMI [I]) riproduce l’effetto di queste stimolazioni, che furono di varia durata come si vede dalla linea dell’ascisse, sulla quale è segnato l’inizio e la fine della stimolazione. Alla prima brevissima stimolazione, di 1", segue un’ampia oscilla- zione del tono, durante la quale le contrazioni ritmiche subiscono le va- riazioni, che normalmente si osservano quando le oscillazioni del tono avvengono spontaneamente. Si nota soltanto che al momento dello sti- molo l’altezza di una contrazione ritmica è leggermente diminuita. Com- pletata la oscillazione del tono, il preparato cardiaco presenta nuovamente la funzione ritmica fondamentale, come prima della stimolazione, conser- vandola invariata sino alla successiva stimolazione. Sebbene l’intervallo di tempo fra la stimolazione e l’inizio dell'aumento del tono, ossia il tempo latente, non si possa in queste mie ricerche calcolare con esat- tezza, tuttavia credo di non fare un grosso errore, ritenendolo tra i 5 e gli 8 secondi; la durata della completa oscillazione del tono corrisponde a 2' e 25"; la linea, che idealmente unisce l’estremo inferiore delle con- trazioni ritmiche, presenta un innalzamento massimo di 25 mm. e la linea, che unisce l’estremo superiore, un innalzamento di 9 mm. La seconda stimolazione che durò 30" e venne fatta dopo 4' e 33" dalla prima, produce anch’essa una rilevante variazione della funzione tonica, accompagnata però, per tutto il tempo della stimolazione, da una diminuzione dell’altezza delle contrazioni ritmiche. La variazione della funzione tonica, differisce, in questa seconda stimolazione, da quella precedente per il fatto che si prolunga per un tempo maggiore (3°) e che, durante l’innalzamento massimo, presenta un piccolo abbassamento, per cui il tracciato assume un aspetto biapicale, come nel caso di una incompleta fusione di due oscillazioni toniche semplici. È poi degno di nota che l’innalzamento del tono si inizia prima che sia cessato lo sti- molo e che il tempo latente è quasi eguale a quello del caso precedente, nonostante la grande differenza della durata dello stimolo. 38 G. BUGLIA Le variazioni, che si osservano in seguito alla terza stimolazione, la quale durò un tempo assai maggiore (2' e 40"), sono in gran parte analoghe a quelle della seconda. Tuttavia esistono differenze, le quali essenzial- mente consistono in un innalzamento del tono minore ma più persistente e con più numerose piccole oscillazioni. Le contrazioni ritmiche subi- scono un abbassamento non piccolo, sebbene l’oscillazione tonica sia stata meno pronunziata. Da queste prove risulta dunque evidente che la durata della stimo- lazione influisce sull’altezza delle variazioni toniche, ma soprattutto ‘sulla loro durata, nel senso che questa, entro certi limiti, è tanto maggiore, quanto maggiore è stata la durata della stimolazione. Il preparato cardiaco lasciato in riposo per circa 15' dopo le stimo- lazioni dette, presentò oscillazioni spontanee del tono, le quali però ben presto cessarono, quando la soluzione fisiologica venne sostituita con una soluzione di cloruro di sodio leggermente ipertonica (Na CI 2%). In queste, condizioni si ripeterono le stimolazioni, cercando di conoscere l’effetto prodotto non dalla durata, ma dal numero e dalla frequenza delle sti- molazioni. La fig. 2 (Tav. III [I]) riproduce l’effetto di due brevi stimolazioni da pinzettamento, fatte sulla parete atriale a piccola distanza di tempo l’una dall’altra, e dopo 1 ora e 20' dall’inizio dell’esperimento. Da essa si vede che l'innalzamento del tono in seguito agli stimoli è fortissimo e rapido, e che il tracciato risulta costituito di due curve, l’una sovrap- posta all’altra. La durata complessiva della variazione tonica è di 4 e 20". La fig. 3 (Tav. III [I]) riproduce un effetto analogo, ottenuto con tre stimolazioni portate sulle pareti atriali dopo 1 ora e 45' dall'inizio del- l'esperimento e dopo che il preparato cardiaco, tolto dalla soluzione di cloruro di sodio, fu lasciato per un certo tempo esposto all’aria. Da ultimo la fig. 4 (Tav. III [I]), ottenuta dopo 3 ore e 30' dal- l’inizio dell'esperimento, dimostra l’influenza delle stimolazioni da pèirn- zettamento, fatte durante l’innalzamento del tono prodotto da stimola- zioni antecedenti. Risulta da essa evidente che ad ogni stimolazione corrisponde un nuovo aumento del tono, così che nell’ assieme si ha l’aspetto di un’ampia oscillazione tonica, formata da tante oscillazioni toniche semplici più piccole, e della durata complessiva di 6°. Questi ultimi risultati tenderebbero a dimostrare l’esistenza di una certa relazione fra il numero delle stimolazioni meccaniche e il numero delle oscillazioni toniche atriali, che ad essi susseguono. A ‘questo riguardo SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA. 39 debbo però aggiungere che, se ciò si verifica di frequente, mi accadde tuttavia, in altre esperienze, di imbattermi in alcuni casi, in cui l’ec- citabilità del preparato era così grande, che bastava una sola e breve stimolazione meccanica per dar luogo ad un innalzamento notevole del tono con numerose oscillazioni, e, viceversa, in altri casi, di piccola ecci- tabilità del preparato, in cui più stimolazioni producevano una sola e lieve oscillazione del tono. La figura 5 (Tav. III [I]) rappresenta appunto uno di quei casi in cui un’unica e breve stimolazione da. pinzettamento del- l’atrio, produce un effetto analogo a quello che generalmente si osserva dopo ripetute stimolazioni. II Esperimento (11. 6. 914). In questa esperienza, prima di im- mergere il preparato cardiaco nella soluzione fisiologica, quando ancora non erano apparse oscillazioni spontanee del tono, si provò a stimolare l’atrio pinzettandolo e si vide che tanto gli stimoli isolati quanto gli stimoli ripetuti non davano luogo a sensibili variazioni della tonicità, ma che producevano soltanto un momentaneo arresto della funzione ritmica fondamentale. In seguito, dopo l'immersione in soluzione fisiolo- gica, quando incominciarono ad apparire rade e lievi oscillazioni spon- tanee del tono, a 45' dall’inizio dell'esperimento, si ripeterono le stimo- lazioni ed allora si osservò che ciascuna di esse provocava un aumento della funzione tonica (fig. 6 Tav. III [I]) come nel caso del primo esperimento. A differenza però di questo, l'aumento del tono fu costan- temente più piccolo e il tempo di latenza più lungo, il che sta a di- mostrare che l’eccitabilità del preparato cardiaco di questo secondo espe- rimento era minore di quella dell’esperimento antecedente. III Esperimento (14. 6. 914). Del terzo esperimento sono riportati soltanto due periodi: il primo che dimostra come le stimolazioni da pinzettamento sulla parete atriale sono efficaci anche quando agiscono durante le oscillazioni toniche spontanee (fig. 7 Tav. III [I]); il secondo che dimostra come il preparato cardiaco, sotto l’azione dell’adrenalina (sostanza che abolisce le oscillazioni toniche spontanee dell’atrio di £mys europaca) non presenta variazioni della funzione tonica, neppure se sti- molato meccanicamente fig. 8 (Tav. III [I]). IV Esperimento (23. 6. 914). Le stimolazioni vennero fatte stri- sciando con un sottile bastoncino di vetro (stimolo da strisciamento) sulle pareti atriali immerse in soluzione fisiologica. All’inizio dell'esperimento, le stimolazioni, che nel tracciato sono indicate da una freccia, hanno un effetto lievissimo sia sulla funzione ritmica, sia sulla funzione tonica, / 40 G. BUGLIA È soltanto dopo 20' circa, (fig. 9 Tav. IV [II] ) che incominciano a pro- vocare ampie e regolari oscillazioni toniche, analoghe a quelle, che si ottennero nel primo esperimento con lo stimolo da pinzettamento. Il tempo di latenza di queste oscillazioni toniche, dato il modo della stimolazione, si calcola ancora meno bene che nei casi precedenti; basandomi però sull’alterazione del tracciato prodotta dal toccamento del preparato, mi pare che si approssimi a quella del primo esperimento. L’ innalzamento massimo della linea, che idealmente unisce l’estremità inferiore delle contrazioni ritmiche, è di 18-20 mm., quello della linea, che unisce l’e- stremità superiore, di 10-13 mm la durata., in media è di circa 2. Come s’è visto per lo stimolo da pinzettamento, così in questo, da strisciamento, l’effetto di due stimolazioni successive, delle quali la se- conda colpisce il preparato durante l’aumento del tono prodotto dalla prima, consiste in una incompleta sovrapposizione di diverse oscillazioni toniche per cui il tracciato presenta varie cuspidi e assume una forma irregolare quale quella delle figure 10 e 11 (Tav. IV [II]) che furono ottenute 50' e 70' dopo l’inizio dell'esperimento. V Esperimento (25. 6. 914). Il preparato cardiaco, che servì in questo esperimento, durate i primi 45' d’immersione in soluzione fisiologica, non presentò alcuna spontanea variazione della funzione tonica. In se- guito, sotto l’azione degli stimoli da strisciamento, manifestò una sensi- bilità assai minore di quella del preparato che servì per l’esperimento precedente. Tuttavia permise anch’esso di mettere bene in evidenza l’influenza, che lo stimolo meccanico da strisciamento ha sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaca. Le fig. 12 e 13 (Tav. IV [II] ) fanno vedere come, stimolando la parete atriale (le stimolazioni sono indicate dalle frecce), ad intervalli regolari di tempo (di 5' in 5' e di 3 in 3'), si può ottenere un tracciato, in cui le oscillazioni del tono rego- larmente si susseguono l’una all’altra come se non fossero provocate da stimoli, ma si manifestassero spontaneamente. VI Esperimento (27. 6. 914). Le fig. 14, 15 e 16 della (Tav. V [II]) riproducono tre differenti periodi di questo esperimento in cui, la sti- molazione della parete atriale venne fatta col pelo di un estesiometro (stimolo da vellicamento). Nel primo periodo, che corrisponde all’inizio dell’esperimento, (fig. 14) sì osserva che ripetute stimolazioni, indicate nel tracciato da un punto, non producono alcuna variazione della funzione tonica; la linea ideale, che congiunge l’ estremità inferiore delle contrazioni ritmiche, rimane dee iti né SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA. 41 pressochè parallela all’ascissa. Anche la funzione ritmica non subisce notevoli modificazioni all’infuori di un momentaneo arresto. Nel secondo periodo (fig. 15), che corrisponde a circa 20' dopo l’ini- zio dell'esperimento, si vede invece che le stimolazioni producono oscil- lazioni del tono, non molto ampie, ma però con andamento regolare. Il tempo di latenza in media è di circa la 10", durata di 1' e 30". Nel terzo periodo infine (fig. 16), corrispondente a 50' circa dall’ ini- zio dell’ esperimento, vien messo in evidenza che anche lo stimolo da vellicamento, come già s'è visto per altre specie di stimoli meccanici, può dar luogo a variazioni irregolari della funzione tonica, rappresentate dal sovrapporsi di varie oscillazioni semplici: !). VII Esperimento (30. 6. 914). Il risultato di questo esperimento di- mostra che gli stimoli da vellicamento, in alcuni casi, quando ancora non producono alcun effetto sulla funzione tonica, possono produrre un arresto completo della funzione ritmica, arresto che dura anche per un tempo relativamente lungo, ad esempio 3' e 30", come si osserva nella fig. 17 (Tav. V [III] ). A questo arresto della funzione ritmica (che ebbi occasione di osservare qualche volta anche nelle prove di stimolazione con la pin- zetta non “ automatica ,), segue un periodo “ compensatorio ,, più o meno lungo, in cui le contrazioni ritmiche, che spontaneamente si manifestano di nuovo, sono aumentate in altezza. VIII Esperimento (25. 5. 914). In questo esperimento le stimolazioni, da vellicamento e da pinzettamento, vennero fatte sopra le pareti atriali di un preparato cardiaco, che in antecedenza era stato sottoposto all’azione dell’amilmercaptano, e quando le oscillazioni spontanee del tono erano cessate e la funzione ritmica quasi completamente abolita. L’effetto di questi stimoli meccanici risulta evidente dalla fig. 18 (Tav. V [III] ). Tanto dopo gli stimoli da vellicamento, quanto dopo quelli da pinzettamento il tono aumenta fortemente e il tracciato è rappresentato da ampie curve, che si susseguono regolarmente ad ogni stimolo, e nelle quali la grafica delle contrazioni ritmiche è quasi impercettibile. Ogni curva presenta un'altezza e un’ampiezza molto maggiori di quelle che generalmente si osservano nelle oscillazioni del tono (spontanee o provocate da analogli stimoli meccanici) di un preparato cardiaco, in 1) Si potrebbe forse anche, tanto in questa come in alcune altre delle figure riportate, dire che lo stimolo produsse una curva di 3.0 ordine, su cui sono iscritte due curve di 2.° ordine, secondo la distinzione fatta dal Fano (1. c.). 42 G. BUGLIA cui la funzione ritmica fondamentale non si manifesti depressa. Ciò dimostra che l’amilmercaptano, e i mercaptani in genere come è risultato da altre prove, che saranno oggetto d’un’altra nota, esercitano un'azione eccitante sulla funzione tonica atriale, a differenza di altre sostanze che come l’adrenalina, la deprimono, Conclusioni, I risultati degli esperimenti, che ho riferito, mettono bene in chiaro l’effetto che hanno gli stimoli meccanici sulla duplice funzione atriale del cuore isolato di Emys europaea, quando sono applicati direttamente e temporaneamente sulle pareti dell’atrio. Quest’ effetto si osserva sia su preparati cardiaci, che presentano la funzione ritmica normale e spon- tanee oscillazioni del tono, sia su preparati, in cui le oscillazioni del tono sono state inibite, sia infine su preparati, in cui tanto la funzione ritmica fondamentale, quanto la funzione tonica spontanea sono quasi del tutto scomparse. Le variazioni prodotte sulla funzione ritmica fondamentale dagli sti- moli meccanici usati, in questi miei esperimenti e che per brevità ho indicato coi nomi di stimolo da pinzettamento, strisciamento e vellicamento, risultano, relativamente a quelle prodotte sulla funzione tonica, assai più lievi e incostanti. Esse consistono, nella maggioranza dei casi, in una rarefazione e in una leggera diminuzione dell’altezza delle contrazioni ri- tmiche: qualche volta soltanto si osserva, invece di una semplice rare- fazione, un vero arresto, che dura un tempo più o meno lungo ed è se- guito da un aumento dell’altezza delle contrazioni ritmiche spontanea- mente riapparse (periodo compensatorio). Molto più considerevole e costante risulta, invece, la variazione, che gli stessi stimoli meccanici producono sulla funzione tonica atriale. Questa variazione essenzialmente consiste in un aumento temporaneo del tono. L’innalzamento del tono, provocato dagli stimoli meccanici, come chiaramente appare dai tracciati corrispondenti ai singoli esperimenti, presenta notevoli differenze, a seconda non soltanto dell’intensità della stimolazione, il che risulta dal diverso effetto prodotto dalle varie spe- cie di stimoli, ma anche a seconda della frequenza delle stimolazioni, del numero, e della durata. Ad una stimolazione di breve durata, ad esempio, quasi costantemente corrisponde una variazione tonica, che pre- senta tutti i caratteri delle oscillazioni toniche semplici; e se la stimo- STE SULLA FUNZIONE ATRIALE DE& CUORE DI EMYS EUROPAEA. 43 lazione viene ripetuta dopo un certo tempo, quando la variazione tonica si è completamente risolta, si provoca una nuova variazione, così che, continuando, si riesce ad ottenere artificialmente una serie di oscilla- zioni del tono quale può manifestarsi spontaneamente in un preparato cardiaco, che, in analoghe condizioni di funzionamento, non è però sotto- posta all’azione degli stimoli. A più stimolazioni fatte a brevi intervalli, o a stimolazioni uniche, ma di lunga durata, il preparato cardiaco ri- sponde invece con due o più oscillazioni toniche nettamente distinte l'una dall’altra, ovvero, e ciò è più frequente, con un unico ma forte innalzamento del tono, in cui però si osservano varie piccole ondulazioni, che fanno pensare ad una sovrapposizione più o meno completa di varie oscillazioni toniche semplici. Da ciò si vede dunque che gli effetti pro- dotti dagli stimoli meccanici sulla funzione tonica atriale, assai più rile- vanti di quelli prodotti sulla funzione ritmica, variano col variare delle condizioni di stimolazione. Indipendentemente però dalle particolari condizioni di stimolazione, alcuni risultati degli esperimenti che ho fatto, «dimostrano che su questi effetti degli stimoli meccanici possono influire altre cause, le quali ser- vono a spiegare perchè ad un determinato stimolo non sempre corri- sponde un determinato effetto. Fra queste cause principalmente si deve considerare la eccitabilità del preparato cardiaco, su cui gli stimoli agi- scono. Essa in alcuni casi può essere così grande che è sufficiente far gor- gogliare tumultuosamente un gas nel liquido, in cui è immerso il prepa- rato cardiaco, od anche semplicemente agitare il liquido con un baston- cino di vetro, per provocare oscillazioni del tono atriale; e può variare non soltanto da preparato a preparato, ma anche in uno stesso prepa- rato cardiaco, a seconda del tempo trascorso fra l'applicazione dello stimolo e l’inizio dell’esperimento. In generale l’optmum di eccitabilità delle pareti atriali agli stimoli meccanici si ha quando il preparato car- diaco ha funzionato per un certo tempo; all’inizio e verso la fine del suo funzionamento presenta una eccitabilità più piccola e qualche volta nulla. Inoltre, siccome la funzione tonica atriale può essere modificata dal- l’azione di alcune sostanze, così queste possono, indirettamente, influire sugli effetti, che un determinato stimolo produce sulla funzione tonica atriale. Dagli esperimenti che ho riportato risulta infatti, che alcune sostanze, come ad esempio l’adrenalina, in quanto deprimono 0 aboli- scono questa funzione, attenuano o impediscono gli effetti, che su di dd G. BUGLIA essa hanno gli stimoli meccanici; al contrario, alcune altre sostanze, come ad esempio i mercaptani, in quanto eccitano la funzione tonica, li esal- tano; e qualche volta così intensamente, che gli stimoli meccanici diven- tano capaci di produrre forti innalzamenti del tono, senza esercitare al- cuna influenza sulla funzione ritmica, anche quando le due funzioni, t0- nica e ritmica, del preparato cardiaco, sembrano quasi del tutto spente. In questi casì è allora resa bene evidente la completa indipendenza della funzione tonica dalla funzione ritmica fondamentale. Questa indipendenza funzionale troverebbe riscontro nelle due dif- ferenti strutture muscolari (striata e liscia) che, secondo le ultime ricer- che !), costituiscono la parete atriale del cuore di Emys europaea: per cui si può pensare che gli stimoli meccanici, esercitando, nell’atrio di Emys europaea, la loro influenza quasi esclusivamente sulla funzione to- nica, agiscano prevalentemente sulla struttura muscolare liscia, che in massimo grado presenta questa funzione. i) E. RosenzwEIG. Beitrige zur Kenntniss der Tonusschwankungen des Her- zens von Emys europaea. — Arch., fir (anat. u.) Physiol. Suppl. Bd. 192-208, 1903, F. BorTAzzI. l. e. G. Fano e I. SPaDOLINI. Sull’elettrocardiogramma durante le oscillazioni del tono negli atri dell’Emys europaea. Archivio di Fisiol. XI, 467-476, 1913. A EI RT Se ne PULP SPIEGAZIONI DELLE TAVOLE Tav. III [I]. Sull’ascissa sono segnate le stimolazioni da pinzettamento. Tav. IV [II]. Sull’ascissa è segnato il tempo ogni 10". Le freccie indicano le stimolazioni da strisciamento. Tav. V [III]. Le stimolazioni da vellicamento sono indicate dai punti, quelle da pinzetta- mento dalle frecce. ISTITUTO DI FISIOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DIRETTO DAL Pror. V. Apucco DOTT. G. BUGLIA Nulla Tunzione atriale del enore di Bmys europaea NoTAJIII. Influenza dei prodotti di scissione delle sostanze albuminose, sulla funzione atriale del cuore isolato di #mys europaea. (VAI SAVI [DESIN])E È noto che le oscillazioni del tono atriale, sia negli esperimenti sul cuore isolato di Emys ewropaea, sia in quelli sul cuore in situ (dove an- che, per la particolare disposizione sperimentale comunemente seguita, gli atri si trovano nell’ impossibilità di partecipare alla circolazione), si accentuano o compaiono soltanto dopo che il cuore ha funzionato per un certo tempo. Ciò fece pensare che la funzione tonica atriale possa dipendere da un’azione dei prodotti del catabolismo, i quali, durante il funzionamento, si accumulerebbero nel tessuto cardiaco. Fu il Fano 3) che per primo formulò questa ipotesi e che cercò di corroborarla per mezzo del risultato sperimentale. Egli potè costatare che, facendo agire sul cuore di Emys europaea 1° estratto muscolare, ottenuto da-cuori che incessantemente avevano continuato a funzionare fuori dell’organismo per molto tempo (alcuni giorni), si ha un notevole eccitamento della funzione tonica atriale, accompagnato da depressione della funzione fondamentale ?); 4) G. Fano. Sulle cause e sul significato delle oscillazioni del tono atriale nel cuore dell’ Emys europaea. Ricerche di fisiol. e sc. aff. dedicate al prof. Luciani nel XXV anno del suo insegnamento. Soc. Ed. Libr. Milano, 1900, e Arch. ‘ital. de Biol. XXXIV, 301-340, 1900. 2) G. Fano, l. c. pag. 24, fig. 15. Ì 3 % po } A 1 % È SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 47 mentre, di confronto, l’estratto, ottenuto da cuori freschi di animali non sottoposti all’indagine sperimentale, non produce alcun effetto apprez- zabile sulle due funzioni. Avendo poi trovato che l’estratto dei cuori affaticati presenta la reazione del biureto e, d’altra parte, che una so- luzione di peptone al 10 %,, fatta agire sul cuore di Emys europaea, pro- duce un forte innalzamento del tono, Fano fu condotto a pensare che, negli esperimenti da lui fatti coll’ estratto di cuori affaticati, l’azione stimolante sulla funzione tonica fosse dovuta al peptone. Il risultato di queste esperienze non permette però di affermare che il peptone, accumulatosi nel cuore mentre funziona fuori dell’organismo, sia da considerarsi esclusivamente un prodotto della funzione, ossia un vero catabolita; giacchè non può escludersi, anzi è probabile, come il Fano stesso osserva, che il peptone possa formarsi, almeno in parte, an- che per l’intervento di fenomeni putrefattivi che, nelle condizioni spe- rimentali seguite, possono avverarsi nel muscolo cardiaco. Tuttavia, indipendentemente da tale questione, il risultato speri- mentale ottenuto dal Fano, mettendo in evidenza che alcuni prodotti, provenienti dalla scissione della molecola albuminosa, possono eser- citare un’azione eccitante sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea, acquista notevole importanza per ciò che riguarda la conoscenza delle cause, da cui può dipendere questa funzione. Ed io, occupandomi di questo argomento, ho voluto estendere le ricerche del Fano e studiare l'influenza che hanno, sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea, alcune sostanze, che si può pensare presentino una certa analogia con quelle che si formano durante il, metabolismo del muscolo funzionante; ossia l'influenza dei prodotti, derivanti dai feno- meni di depolimerizzazione, che avvengono nei processi autolitici e di digestione pancreatica del tessuto muscolare. Per interpretare poi i risultati, ottenuti in queste esperienze, fui condotto a farne alcune altre per farmi un’idea personale dell’azione delle soluzioni di peptone del com- mercio, sulla funzione atriale cardiaca dell’Emys europaea. Feci le esperienze sul cuore isolato, seguendo le indicazioni che già dissi in precedenti ricerche !). 1) G. Bugia. Sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea. Nota I. Mem. Soc. Tosc. Soc. Nat. Vol. XXX, 1914, e Archives ital. de Biol. Tome LXII, 1914, p: 47-55. Nota II. Mem. Soc. Tose. Sc. Nat. Vol. XXX, 1914, e Archives ital. de Biol, Tome LXII, 1914, p. 63-77. 48 G. BUGLIA a) Influenza dei prodotti di autolisi muscolare sulla funzione atriale. del cuore di Emys europaea. Per ogni esperienza, 20-30 gr. di muscolo di Emys europaea, appena uccisa, venivano tritati in mortaio con pezzetti di quarzo e ridotti in poltiglia. Si aggiungevano 100-120 cc. di soluzione fisiologica e si con- servavano sotto toluolo in recipiente, che veniva lasciato alla tempera- tura dell’ambiente (18°-20° C.), ovvero messo in termostato a 38°39° C. Di tanto in tanto il liquido veniva agitato. Quando poi si voleva stu- diarne l’azione sul cuore, si evaporava a bagnomaria lo strato di toluolo, e se, durante questa operazione, si evaporava anche una parte di acqua, se ne aggiungeva tanta da riportare il liquido al volume iniziale. In ogni esperienza, prima di immergere il cuore nel liquido, contenente i prodotti dell’autolisi, si raccoglieva, per un certo tempo, sul cilindro af- fumicato rotante, il tracciato del cuore, immerso in soluzione fisiologica. Naturalmente, con alcune esperienze preliminari, mi assicurai che la fun- zione atriale non presenta alcuna differenza quando il cuore sta immerso in soluzione fisiologica o nell’estratto di muscolo fresco, sia prima sia dopo l’ebollizione. La durata dell’autolisi variò da un minimo di 24 ore ad un massimo di 38 giorni. Esperienza I (7. 8. 914). Autolisi a temp. ambiente. Durata dell’au- tolisi, 24 ore. Reazione del liquido dopo l’autolisi, neutra. Reazione del biureto, incerta. In questa esperienza, i prodotti di autolisi muscolare delle 24 ore non produssero apprezzabili variazioni sulla funzione tonica, diminuirono invece notevolmente l’altezza delle contrazioni ritmiche; tanto che, dopo 7, essa era ridotta a circa 5 di quella iniziale. La lavatura e l’immersione successiva del preparato cardiaco in so- luzione fisiologica fecero di nuovo aumentare gradatamente l’altezza delle contrazioni ritmiche, ma la funzione tonica rimase depressa. Esperienza II (7. 10. 914). Autolisi a temp. ambiente. Durata dell’autolisi, 2 giorni. Reazione del liquido dopo l’autolisi, neutra. Reazione del biureto, incerta. L'effetto ottenuto sulla funzione atriale col liquido, contenente i pro- dotti di autolisi delle 48 ore, fu identico a quello ottenuto nell’esperienza precedente, ossia dopo autolisi di 24 ore. Esperienza III (7. 15. 914), figura 1 Tav. VI [I]. Autolisi a temp. am- biente. stica ttt sti SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 49 Durata dell’ autolisi 13 giorni. Reazione del liquido dopo l’autolisi. neutra. Reazione del biureto, positiva. In questa esperienza il preparato cardiaco, già stando immerso nella soluzione fisiologica, aveva presentato evidenti le oscillazioni del tono atriale e un graduale aumento della funzione tonica generale: infatti mentre nel tracciato, all’inizio dell’ esperimento, la distanza fra la linea orizzontale e la linea basale delle oscillazioni ritmiche è di circa 14 mm., dopo 5', diventa di 32 mm. L’immersione del preparato cardiaco nel li- quido di autolisi, che nella figura corrisponde alla lettera a, produce mo- dificazioni funzionali in senso inverso; si osserva cioè una graduale dimi- nuzione della funzione tonica generale, seguita da rarefazione e scomparsa delle oscillazioni del tono: dopo 15' dall’immersione del preparato car- diaco nel liquido di autolisi, la distanza fra la linea orizzontale e la linea basale delle contrazioni ritmiche da 32 mm. scende a 12 mm. Esperienza IV (8. 2.914) figura 2.48 Tav. VI [I]. Autolisi a temp. am- biente. Durata dell’autolisi, 28 giorni. Reazione del liquido dopo l’autolisi, neutra. Reazione del biureto, positiva. Anche in questa esperienza, come nella precedente, si osservò con evidenza la scomparsa delle oscillazioni toniche atriali dopo che il pre- parato cardiaco venne immerso nel liquido, contenente i prodotti di autolisi (nella figura l’immersione corrisponde alla lettera @). L'azione deprimente sulla funzione ritmica, fu però poco evidente. Esperienza V (8. 10.914). Autolisi a temp. di 39° C. Durata dell’autolisi, 20 giorni. Reazione del liquido dopo l’ autolisi, leggermente alcalina. Reazione del biureto, positiva. Il tracciato, ottenuto in questa esperienza, presentò molta somiglianza con quello della I. Manifesta fu l’azione deprimente dei prodotti di au- tolisi sulla funzione ritmica; infatti l’altezza delle contrazioni ritmiche andò diminuendo sino a scomparire del tutto dopo circa 12' dall’im- mersione del cuore nel liquido di autolisi. Esperienza VI (8. 22. 914), figura 3.8 Tav. VI [I]. Autolisi a temp. di 39° C. Durata dell’autolisi, 38 giorni. Reazione del liquido dopo l’ autolisi, lesgermente alcalina. Reazione del biureto, negativa. Da questa esperienza risultò evidente l’ azione inibitrice dei prodotti di autolisi tanto sulla funzione tonica quanto sulla funzione ritmica atriale. Come si può osservare dal tracciato corrispondente, già dopo 5' dall’im- Sc. Nat. Vol. XXX. 4 50 G. BUGLIA mersione del cuore nel liquido di autolisi, avvenuta in corrispondenza della lettera «,la funzione tonica è del tutto scomparsa e l'altezza delle contrazioni ritmiche ridotta della metà circa. b) Influenza dei prodotti di digestione pancreatica del tessuto muscolare sulla funzione atriale del cuore dì Emys europacea. Queste esperienze furono fatte, seguendo le indicazioni che già ho ricordate per le esperienze coi prodotti di autolisi. A 15-20 gr. di pol- tiglia muscolare di Emys si univano 3-4 gr. di tessuto pancreatico dello stesso animale, e, dopo aggiunta di 100-120 cc. di soluzione fisiologica, si conservava il liquido, sotto toluolo, alla temperatura dell'ambiente o in termostato a 38-390 O. Esperienza VII (10. 2. 914), fig. 4.3 Tav. VI [I]. Digestione alla tempe- ratura ambiente. Durata della digestione 7 giorni. Reazione del liquido dopo digestione, neutra. Reazione del biureto, positiva. Il tracciato, corrispondente a questa esperienza, dimostra chiaramente l’azione depressiva del liquido di digestione, sulle contrazioni ritmiche. Questa azione depressiva scompare gradatamente, se al liquido di dige- stione si sostituisce la soluzione fisiologica. Esperienza VIII (16. 2. 914), figura 5.à Tav. VI [I]. Digestione a tem- peratura di 380 C. Durata della digestione, 2 giorni. Reazione del liquido dopo la dige- stione, neutra. Reazione del biureto, positiva. Î All’inizio di questa esperienza, durante l’ immersione del preparato cardiaco nella soluzione fisiologica, l’atrio presenta bene evidente la fun- zione tonica generale ed ampie e regolari oscillazioni del tono. Ma, non appena alla soluzione fisiologica si sostituisce il liquido di digestione (il che corrisponde nella figura alla lettera a), si vede il tono abbassarsi rapidamente e non si osserva più alcuna traccia delle oscillazioni toni- che: nel tempo stesso l’altezza delle contrazioni ritmiche subisce natu- ralmente, data la diminuzione del tono, un aumento, il quale diventa ancora più sensibile, allorchè al liquido di digestione si sostituisce nuo- vamente la soluzione fisiologica; il che dimostrerebbe che il liquido di digestione esercitava un’ azione deprimente anche sulla funzione ritmica. Esperienza IX (29. 2. 914). Digestione a temperatura di 38° C. Durata della digestione, 38 giorni. Reazione del liquido dopo la di- gestione, leggermente alcalina. Reazione del biureto, incerta. Anche il risultato, ottenuto in questa esperienza, confermò quello delle SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPARA bili esperienze antecedenti. Si vide, infatti, che il liquido, contenente i pro- dotti di digestione, aboliva completamente le oscillazioni del tono, le quali, sebbene piccole, erano tuttavia abbastanza visibili durante l’im- mersione del preparato cardiaco nella soluzione fisiologica; contempora- neamente si vide che il liquido di digestione diminuiva l’altezza delle contrazioni ritmiche. Dalle esperienze riportate risulta chiaramente, innanzi tutto, che tanto i prodotti di autolisi, quanto i prodotti di scissione pancreatica del tessuto muscolare, hanno costantemente un’azione dannosa sulla funzione ritmica fondamentale dell’atrio cardiaco dell’ Emys europaea. Infatti, in molte esperienze si è osservato che l’altezza delle contrazioni ritmiche diminuiva notevolmente, sino anche a scomparire quasi del tutto. Non appena però si sottoponeva il preparato cardiaco a ripetute lavature con soluzione fisiologica, la funzione aveva tendenza a ritornare allo stato normale. Un secondo fatto, poi, che risulta evidente dalle esperienze ri- portate, si è che i prodotti di autolisi e di digestione pancreatica eser- citano una notevole azione deprimente anche sulla funzione tonica atriale. Difatti, in quei casì, in cui il preparato cardiaco, durante l’immersione in soluzione fisiologica, presentava evidenti le oscillazioni del tono, s’è visto, che, dopo l'immersione nei liquidi, contenenti i prodotti di scis- sione, le oscillazioni del tono scomparivano e la funzione tonica generale rimaneva depressa. Come interpretare questi risultati? Se nessuna difficoltà può trovare la supposizione che l’azione dannosa sulla funzione ritmica fondamentale sia dovuta ad alcuni dei prodotti, che si vanno formando sin dall’inizio della scissione albuminosa, meno facile riesce la spiegazione dell’azione deprimente sulla funzione tonica atriale. Volendo infatti prestar fede ala reazione del biureto, come indizio della presenza di peptone, si deve ri- tenere che, già dopo i primissimi giorni di autolisi e di digestione pan- creatica, fra i prodotti di scissione si trovi peptone. E, ammettendo col Fano che questa sostanza abbia un’azione eccitante sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea, riesce difficile darci ragione non solo della mancanza di quest’azione eccitante, ma ancor più dell’azione deprimente che i prodotti di scissione autolitica e pancreatica manife- Stamente esercitano sulla funzione tonica atriale. Due ipotesi tuttavia mi parvero degne di esser prese in considerazione. Secondo l’una si poteva pensare che, contemporaneamente al peptone, si formassero altre sostanze di azione opposta e che ne mascherassero SRI 0 a CLI 52 G. BUGLIA l’azione. Secondo l’altra, invece, il peptone non avrebbe, in sè e per sè un’azione eccitante sulla funzione tonica atriale. Forse il Fano, espri- mendo la sua idea sull’azione del peptone, non intese, colla parola peptone, indicare quei prodotti della scissione albuminosa, che chimicamente si po- trebbero raggruppare sotto la denominazione di “ frazione peptonica , 1), ma piuttosto un’assieme di prodotti di scissione, quale è rappresentato dal “ peptone del commercio ,. In questo caso difficilmente si potrebbe escludere che l’azione attribuita dal Fano al peptone, dipenda, invece, da altre sostanze ad esso commiste. In appoggio di questa idea stavano'i risultati delle ricerche di Pick e Spiro ?), intorno all’azione anticoagu- lante del peptone. Queste ricerche dimostrarono che, per mezzo della pro- teolisi, si possono avere albumosi e peptori, che perdono la loro azione anticoagulante sul sangue, senza che i loro caratteri chimici siano alte- rati, quando sono purificati con alcool. Il che evidentemente dimostra che l’azione anticoagulante del così detto pepfone è dovuta ad altre so- stanze, che si trovano ad esso commiste. La differenza essenziale fra le due ipotesi suaccennate consisteva, dunque, nell’attribuire o no al peptone (frazione peptonica) un’azione ec- citante sulla funzione tonica atriale. Non essendo lecito a priorè dare la preferenza all’una piuttosto che all’altra ipotesi, fui condotto a fare qual- che esperienza col “ peptone del commercio ,, nella speranza di poter giungere, per questa via, a stabilire con maggior sicurezza quale vera- mente sia l’azione della “ frazione peptonica ,, sulla funzione atriale del cuore di Emys. c) Influenza del “ peptone Witte ,, *) sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea. Esperienza X (8. 17. 914), figura 6.* Tav. VII [II]. Gr. 10 di peptone Witte vengono sciolti in 100 ce. di soluzione fisiologica (Na CI 0,7 °/) a bagnomaria. Il tracciato, ottenuto in questa esperienza, dimostra molto chiara- mente la forte azione eccitante che la soluzione di peptone Watte al 10 %o 1) intendendo con ciò di indicare quelle sostanze, che rappresentano i primi prodotti della scissione albuminosa (albumosi, peptoni), riuniti dall’ ABDERHAL- DEN (Biochem. Handlex. Bd. IV, 1911)-in una stessa famiglia chimica, sotto la denominazione di « Peptone ». ?) E. P. Pick und K. Spiro. Ueber gerinnungshemmende Agentien im Or- ganismus hòherer Wirbelthiere. Zeitschr. f. Physiol. Chem. 31, 235-281, 1900. 3) Peptonum Siccum. — FrIEDR. WirTe, Rostock. net dali De N anicsii SULT,A FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS UEROPABA 53 ha sulla funzione tonica atriale. Non appena il preparato si passa dalla soluzione fisiologica nella soluzione di peptore (nella figura il passaggio è indicato dalla lettera a), si ha un forte e rapido innalzamento del tono, seguito da una serie di frequenti e marcate oscillazioni toniche. L’im- mersione successiva in soluzione fisiologica abbassa nuovamente il tono e diminuisce anche la frequenza delle oscillazioni toniche. Il tracciato presenta un’ evidente somiglianza con quello, ottenuto dal Fano, bagnando il cuore con una soluzione di peptone alla stessa concen- trazione (10 |) e facendo poi scomparire l’azione del peptone per mezzo della lavatura con soluzione isosmotica di cloruro di sodio 4). Esperienza XI (8.18. 914), figura 7. Tav. VII [II]. Soluzione di pep- tone Witte al 5 °/,. Anche da questa esperienza risulta evidente 1’ aumento della funzione tonica atriale, prodotto dalla soluzione di peptone. Seb- bene dopo l’immersione del preparato nella soluzione di peptone (indicata nella figura dalla lettera @) non si abbia, come nel caso precedente, una vera contrattura, tuttavia si osserva un graduale aumento della funzione tonica generale, mentre le oscillazioni del tono atriale diventano assai più manifeste di quello che non fossero da principio, quando cioè il pre- parato era immerso nella soluzione fisiologica. In questa esperienza si osserva, poi, che, dopo circa 25’ dall’immersione nella soluzione di peptore, il tono atriale va man mano abbassandosi, mentre le oscillazioni toniche si fanno più rade; dopo circa 35‘, l’altezza del tono è di poco maggiore a quella che era all’inizio dell’esperimento e le oscillazioni toniche sono quasi del tutto scomparse; nè in seguito accennano a ricomparire. Esperienza XII (8. 19. 914). Soluzione di peptone Witte al 5 %o. In questa esperienza non solo si osservò, come nella precedente, che l’eccitamento della funzione tonica, prodotto dalla soluzione di peptore, diminuisce e scompare dopo un certo tempo, ma si osservò anche che, se, in questo periodo di diminuzione della funzione tonica, si immerge il preparato cardiaco in soluzione fisiologica o in una soluzione di peptone al 10 °/o,, non si ottiene alcun effetto. Esperienza XIII (8. 21. 914). Soluzione di peptone Witte al 2 °o. Questa esperienza, dimostrò che anche una soluzione di peptone al 2 °/o (specialmente se fatta agire su di un cuore che ha già funzionato per qualche tempo) dapprima innalza il tono e aumenta la frequenza delle oscillazioni toniche, in seguito deprime la funzione tonica, 1) G. Fano, l. c. pag. 26, figura 16, 54 G. BUGLIA Dalle esperienze riferite risulta evidente che le soluzioni di peptone Witte hanno una forte azione eccitante sulla funzione tonica atriale del cuore di Ewmys europaea. Il tracciato, ottenuto con la soluzione al 10.%o presenta molta somiglianza con quello riportato dal Fano. Ma un fatto che non era stato rilevato, risulta anche evidente dalle mie esperienze, ed è che, cessata l’azione eccitante della tonicità, propria delle so- luzioni di peptone Witte, il preparato, o meglio il tracciato, non solo ritorna allo stato di tonicità che aveva prima, ma qualche volta passa al disotto, come se vi fosse una notevole azione deprimente sulla fun- zione tonica. Con ciò sono ben lontano dall’affermare che un'azione depri- mente esista, ma voglio dire piuttosto che il modo di comportarsi del tracciato non è tale da escluderla Sospettando che questa duplice azione potesse dipendere da varie so- stanze, cercai allora di studiare l’azione del peptone Witte, dopo averlo purificato con alcool, e quella delle sostanze che da esso vengono estrat- te per mezzo dell’alcool. In questo modo mi pareva sarei riuscito a co- noscere l’ effetto della frazione peptonica, la quale, come è noto presenta una piccolissima solubilità in alcool. Esperienza XIV (9. 4. 914), figura 8.8 Tav. VII [II]. Gr. 15 di peptone Witte vengono sottoposti all’estrazione alcoolica (alcool a 99°) per 48 ore in Soxlhet; e poi essiccati in stufa a 80° C. L'estratto alcoolico è evaporato a bagnomaria ed il residuo essiccato in stufa a 80° C. e pol- verizzato. La polvere del peptore, dopo trattamento con alcool, è di colore gri- giastro, inodora, poco solubile; la soluzione in liquido fisiologico è torbida e forma deposito, ha reazione leggermente alcalina e dà la rea- zione del biureto. La polvere, ottenuta dal residuo dell’ estratto alcoolico, è di colore giallastro, ha un odore sui generis, è facilmente solubile in liquido fi- siologico, anche a freddo. La sua soluzione è opalescente, non forma deposito, la reazione leggermente alcalina e dà anch’essa la reazione del biureto. La figura 8.* dimostra l’effetto prodotto dalla soluzione del peptone, che fu trattato con alcool (circa gr. 10 in 120 ce. di soluz. fisiol.) e l’ef- fetto, prodotto dalla soluzione del residuo dell’estratto alcoolico (circa gr. 1 in 120 cc. di soluz. fisiol.), sulla funzione atriale dello stesso pre- parato cardiaco. Da essa si vede chiaramente che, mentre il peptore pu- rificato con alcool non ha alcun effetto apprezzabile nè sulla funzione sie ie carie drain SULLA FUNZIONE ATRIA)\E DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 55 ritmica fondamentale, nè sulla funzione tonica atriale, il residuo dell’e- stratto alcoolico produce, invece, un’ evidente stimolazione della funzione tonica, che si manifesta con regolari e frequenti oscillazioni di essa. Esperienza XV (9. 14. 914), figura 9.* Tav. VII [II]. In questa espe- rienza, per la purificazione del peptone Witte con alcool, non si usò l’ap- parecchio Soxlhet ma la polvere di peptone Witte venne agitata ripetu- tamente in alcool bollente. L'estratto alcoolico, proveniente da sei estra- zioni così fatte, dopo 24 ore venne filtrato ed evaporato a bagnomaria. La polvere del peptone purificato e quella dell’estratto alcoolico pre-- sentavano gli stessi caratteri di quelle dell’esperienza precedente. Del- l'una e dell’ altra si fecero soluzioni egualmente concentrate (gr. 1%, cc. di soluz. fisiol.). Sullo stesso preparato cardiaco vennero fatte due prove: in una, feci agire dapprima la soluzione di peptone purificato, poscia quella del residuo alcoolico; nell’altra, fatta dopo lavatura con soluzione fisiologica, operai in senso inverso, ossia, prima feci agire la soluzione contenente il residuo alcoolico, poi quella contenente il pe- ptone purificato. Come si vede chiaramente dalla fisura 9.*, i risultati ottenuti con- cordano con quelli dell’esperienza precedente, poichè per due volte con- secutivamente il residuo alcoolico produsse un’azione eccitante sulla fun- zione tonica atriale. Essi inoltre mettono in evidenza che anche la so- luzione di peptone purificato, non è del tutto inefficace, ma esercita un’a- zione, opposta a quella del residuo alcoolico, ossia un’azione deprimente sulla funzione tonica. Mi sembra che questi risultati permettano di chiarire l’azione delle soluzioni di peptone Witte sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea, in quanto dimostrano che in esse sono contenute due o più sostanze, delle quali alcune, quelle insolubili in alcool, non esercitano alcun’azione, o tutto al più un’azione deprimente, ed altre, invece, quelle estraibili con alcool, esercitano un’ azione eccitante. Quali siano quelle appartenenti al primo gruppo e quali quelle del secondo, potrà essere stabilito da ulteriori ricerche di analisi chimica !. In base peraltro a ’ !) A questo proposito, secondo le ricerche del PoPIELSKI (Pfluger ’s Archiv, Bd. 128, p. 191-221, 1909) e del PoPIELSKI e PANEK (Pfluger ’s Archiv, Bd. 128, p. 222-225, 1909) il peptone del commercio conterrebbe una sostanza, che fu chia- mata dagli A. « Vasodilatina », la quale presenta, oltrechè un’azione vasodila- trice, anche un’ azione eccitante sulla muscolatura liscia. In seguito però BARGER e DaLe Journ. of Physiol. 41, 499-503, 1910-11) dimostrarono che questa sostanza 56 G. BUGLIA quanto è noto sulla solubilità in alcool dei diversi prodotti, provenienti dai processi disintegrativi delle sostanze albuminose, possiamo ritenere che il peptone (frazione peptonica) non si trovi fra quelle sostanze, che esercitano un’azione eccitante sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea. Ciò troverebbe corrispondenza nel risultato delle esperienze più sopra ricordate di Pick e Spiro sull’azione anticoagulante del peptone purifi- cato o no coll’alcool. Ritornando all’interpretazione dei risultati, ottenuti negli esperimenti coi prodotti di autolisi e di digestione pancreatica del tessuto muscolare, potremmo dunque spiegarci la mancanza di un’azione eccitante sulla fun- zione tonica atriale, nonostante la formazione di peptone, semplicemente col fatto che il peptone (frazione peptonica) non ha azione eccitante. Anzi potremmo pensare che al peptone stesso, sia dovuta, almeno in parte, l’azione depressiva, che i prodotti di scissione autolitica e pan- creatica, durante il periodo preso in considerazione in queste mie ri- cerche, paiono esercitare sulla funzione tonica atriale; senza con ciò e- scludere che quest’azione deprimente possa anche dipendere da prodotti di scissione più semplici, come ad esempio da alcune amine, che furono trovate nei liquidi di autolisi e di digestione !) e che esercitano una notevole azione deprimente sulla funzione tonica di determinate strutture muscolari lisce, fra cui quella della parete atriale del cuore di £mys europaea ?). Come conseguenza è da ritenere, che, se i prodotti di scissione, de- rivanti da un’azione bacterica, ed eventualmente anche dal metabolismo funzionale del muscolo, esercitano un’azione eccitante sulla funzione to- nica atriale del cuore di £mys ewropaea, quest’azione non può essere dovuta al peptone (frazione peptonica). contiene a sua volta l’amina f-iminazoliletilamina, che ha un’intensa azione ecci- tante sulla muscolatura liscia. Da ciò ne risulterebbe che l’azione eccitante del peptone del commercio, sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea dipende dalla f-iminazoliletilamina, in esso contenuta. Che infatti questa amina abbia un’azione eccitante sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys risulta da recenti ricerche di QuAGLIARIELLO (Zeitschr. f. Biol. 64, 263-284, 1914) e da alcune mie esperienze, che dovrò ricordare in una prossima nota. 1) Vedi E. ABDERHALDEN. Handlex. Bd. IV, 1911. 2) G. QUAGLIARIBLLO, l. e. "PPT OE nti atti SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Le figure sono ridotte a 2/5. La linea orizzontale che vi è al disotto di ogni tracciato car- diogratico serve a dimostrare più evidentemente le modificazioni del tono generale del pre- parato atriale. I tracciati furono raccolti sopra un cilindro, che faceva un giro in 30’, per cui 1 em. del tracciato corrisponde a 36”, Tav. VI [I]. Fig. 1 In a immersione del preparato cardiaco nel liquido di autolisi a temp. ambiente. Durata dell’autolisi, 13 giorni. » 2—Imn a immersione nel liquido di autolisi a temp. ambiente. Durata del- l’autolisi, 28 giorni, » 3—Ina immersione nel liquido di autolisi a temp. di 39° C. Durata del- l’autolisi, 38 giorni. » 4 In aimmersione nel liquido di digestione pancreatica a temp. ambiente. Durata della digestione, 7 giorni. » 5 In immersione nel liquido di digestione pancreatica a temp. di 39° C. Durata della digestione, 2 giorni. Tav. VII [II]. » 6—In a immersione nella soluzione di « peptone Witte » al 109/,. » T—-Ina immersione nella soluzione di « peptone Witte » al 5%. » 8—Ina immersione nella soluzione di « peptone Witte » purificato con alcool; in d immersione nella soluzione, contenente il residuo dell’estratto al- coolico del « peptone Witte ». » 9—-Ina Id. antecedente; in d » » i = n d' immersione nella soluzione d; ina » » a. ISTITUTO DI FISIOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DIRETTO DAL Pror, V. Apucco nn DOTT. G. BUGLIA Nulla Iunzione atriale del enore di Bmys europaea Nora IV. Influenza dei prodotti della putrefazione sulla funzione atriale del cuore isolato di Emys europaea. (Tav. VITEXI [I-IV]). In una nota precedente !) ho riferito i risultati di alcune esperienze, con le quali cercai di stabilire l’influenza che hanno, sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea, i prodotti di scissione autolitica e pancreatica del tessuto muscolare. Continuando questi miei studî, riguar- danti specialmente le manifestazioni toniche atriali, nell’intento di au- mentare le nostre cognizioni sulle cause che possono modificarle, ho fatto alcune esperienze intorno all’azione dell’estratto di muscoli ed organi, nei quali siano in atto processo putrefattivi. Riporto queste ultime esperienze dividendole in tre gruppi: nel primo, quelle che stabiliscono l’azione dell’estratto in putrefazione; nel secondo quelle tendenti a individuare i componenti normali dell’estratto, dai quali originano quelle sostanze che conferiscono l’azione all’estratto in putre- fazione; nel terzo gruppo, infine, quelle che tendono a chiarire il mec- canesimo di quest’azione. Sperimentai nel modo solito, sul cuore isolato, durante î mesi di luglio e agosto. 1) G. BuGLIA, Sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea. Nota III, (In questo stesso volume), SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 59 Im diversi recipienti mettevo 10 gr. circa di poltiglia, ottenuta dal tessuto muscolare o da organi di animali di recente uccisi, e 120-130 ce, di soluzione fisiologica (Na CI 0,7 %). Ogni recipiente, chiuso con tappo a smeriglio, era conservato alla temperatura dell'ambiente (21°-24°C.) e di frequente veniva agitato. Dopo un certo tempo (da un minimo di 12 ore ad un massimo di 7 giorni) il liquido, contenuto in un determinato recipiente, decantato e raccolto in un bicchiere, si sostituiva alla soluzione fisiologica, dove era immerso il preparato cardiaco, del quale si stavano registrando, sul ci- lindro affumicato, i movimenti trasmessi alla penna scrivente. Preparai la poltiglia dal tessuto muscolare (muscoli degli arti) di Emys europaea, dal tessuto muscolare striato e liscio (retractor penis) di bue, dal tessuto muscolare striato di cane, di rana ed in fine anche dal fegato di Emys. Im qualche esperienza usai la poltiglia ottenuta da muscoli lasciati în sit e raccolti dopo diverso tempo dalla morte del- l’animale. Esperienza I (Figura 1, Tav. VIII [I]). Il 30 giugno si uccide un’E- mys, sì raccolgono i muscoli degli arti, si riducono in poltiglia (tritandoli in mortaio con pezzetti di quarzo) e si conservano in recipiente chiuso mescolandoli a 120 ce. di soluzione fisiologica. Il giorno 7 luglio si de- canta il liquido, che sa fortemente di putrefatto ed ha reazione alcalina, e sì sostituisce alla soluzione fisiol., in cui sta immerso il preparato car- diaco funzionante. Il tracciato, che si ottiene, è riprodotto dalla fig. 1.8 Da esso si vede il notevole effetto, che ha il liquido in putrefazione sulla funzione atriale del cuore di £wys. Il tono atriale, in corrispondenza della let- tera a (che indica il passaggio del preparato cardiaco dalla soluz. fisiol. nel liquido in putrefazione), si innalza fortemente e tosto compaiono fre- quenti ed irregolari le oscillazioni del tono: dopo circa 5’, in d, la di- stanza fra la linea basale delle contrazioni ritmiche e la linea orizzontale segnata al di sotto del tracciato, è raddoppiata, ossia da cm., 1,4 è diventata di 3 cm. Contemporaneamente la linea apicale delle contra- zioni ritmiche, subisce anch’essa un innalzamento, per cui l’altezza delle contrazioni ritmiche appare notevolmente diminuita; infatti, mentre, du- rante l'immersione del preparato cardiaco nella soluzione fisiologica, era di 1,7 cm., si riduce a circa 5 mm. Lasciando immerso il preparato 60 G. BUGLIA cardiaco nel liquido in putrefazione, il tono continua leggermente ad aumentare e le contrazioni ritmiche si vanno facendo ancor più piccole, tanto che, dopo 20', hanno un’altezza di 1-2 mm. In questo momento l'innalzamento del tono raggiunge il valore massimo. In seguito, mentre si nota una spiccata rarefazione delle oscillazioni toniche ed un leggero aumento delle contrazioni ritmiche, il tono generale va lentamente e gradatamente diminuendo; tanto che, dopo 50’ (ore 18,30, seconda linea) dall’immersione del preparato nel liquido in putrefazione, la distanza fra la linea basale delle contrazioni ritmiche e la linea orizzontale è ap- pena maggiore di 5 di quella all’inizio dell’ esperimento. Nel tracciato x non è riportata l’ultima parte dell’esperienza, 1 ora circa dall’immer- sione del preparato nel liquido in putrefazione, in cui sono del tutto scomparse le oscillazioni del tono e la funzione ritmica fondamentale quasi del tutto cessata. Esperienza II (Figura 2 Tav. VIII [I)). Il 1.° luglio si mettono 10 gr. di poltiglia muscolare di £mys, in un recipiente, che contiene 130 ce. di soluz. fisiol. Il 3 luglio il liquido sa fortemente di putrefatto ed ha reazione alcalina. L’azione di questo liquido, in putrefazione da 2 giorni, fu analoga a quella ottenuta col liquido usato nell’esperienza precedente, ossia col liquido in putrefazione da 7 giorni. L'unica differenza rimarchevole sta nel fatto che l'innalzamento del tono atriale, dopo l'immersione del preparato cardiaco nel liquido in putrefazione (lettera a), avvenne un poco meno rapidamente. In questa esperienza poi si vide che la soluz. fisiol., sostituita al liquido in putrefazione, produsse diminuzione dell’al- tezza del tono e aumento dell’altezza delle contrazioni ritmiche, ripor- tando così la funzione atriale quasi alle condizioni normali. Esperienza III. Da principio il preparato cardiaco fu immerso in estratto muscolare di £mys, fresco, anzichè in soluz. fisiol.; siccome però aveva in antecedenza funzionato per un certo tempo esposto all’aria, tanto la funzione ritmica, quanto la funzione tonica si presentarono molto depresse. Tuttavia, anche in queste condizioni, l’estratto in pu- trefazione da 2 giorni, sostituito all’estratto fresco, produsse un forte aumento del tono e, come conseguenza, una diminuzione notevolissima dell’altezza delle contrazioni ritmiche. Esperienza IV (Figura 3., tav. VIII [I]). In questa esperienza si usa estratto muscolare di Emys in putrefazione da 24 ore. Il liquido sa legger- SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 6l mente di putrefatto ed ha una debole reazione alcalina; la sua azione sulla funzione atriale risulta evidente dal tracciato riprodotto nella 3.* figura. Im corrispondenza della lettera d, che indica il momento dell’immersione del preparato cardiaco nell’estratto in putrefazione, si osserva un gra- duale aumento della funzione tonica, accompagnato da una leggera di- minuzione dell’altezza delle contrazioni ritmiche. Al principio di questa esperienza, nei punto indicato dalla lettera @, il preparato cardiaco, prima di essere immerso nel liquido in putrefazione, venne dalla soluz. fisiol. passato in estratto muscolare fresco di Emys. Questo passaggio non diede luogo ad alcuna variazione nè della funzione tonica, nè della funzione ritmica. Esperienza V (Figura 4.8, Tav. VIII [I]). Il 6 luglio si uccide un’ Emys; il 7 luglio si raccolgono 5 gr. di muscolo dall’animale e se ne fa una poltiglia alla quale si aggiungono 120 cc. di soluz. fisiol. Come risulta dalla figura 4.?, dove l'immersione del preparato cardiaco in questo li- quido è indicata dalla lettera @, si ottennero effetti analoghi a quelli delle esperienze precedenti, nelle quali la putrefazione del tessuto mu- scolare non avvenne dr situ, ma lasciando a sè la poltiglia muscolare fresca mescolata con soluz. fisiol. Anche in questa esperienza si è os- servato che l’immersione del preparato cardiaco in soluz. fisiol. dimi- nuisce le variazioni della funzione atriale, prodotte dal liquido conte- tenente la poltiglia muscolare in putrefazione da 24 ore. Esperienza VI. Dopo 12 ore dall’uccisione di un’ Ewmys, si raccol- gono, dagli arti dell’animale, 8 gr. di muscoli e se ne fa una poltiglia, alla quale si aggiungono 120 cc. di soluz. fisiol. Il liquido non sa di putrefatto ed ha reazione neutra. Il risultato ottenuto dimostrò che, anche dopo il breve periodo di 12 ore dall’uccisione dell’animale, l’estratto di tessuto muscolare, è ca- pace di provocare un evidente eccitamento della funzione tonica atriale. L’azione è però assai più lenta che nei casi precedenti e si manifesta in prevalenza, anzichè con aumento generale del tono, con ampie oscil- lazioni toniche. Esperienza VII. 10 gr. di poltiglia muscolare di Emys si uniscono a 100 ce. di soluzione fisiologica. Dopo 7 giorni di putrefazione, si aggiunge frazionatamente il liquido ai 100 ce. di soluz. fisiol. in cui si trova immerso il preparato cardiaco funzionante. Da questa esperienza, e da altre, fatte in eguali condizioni, risultò che, facendo agire fraziona- tamente sul preparato cardiaco, il liquido in putrefazione, non si riesce 62 G. BUGLIA ad ottenere un rapido e forte innalzamento del tono, ma soltanto una lieve eccitazione, consistente in un’accentuazione delle oscillazioni del tono. Passato poi questo periodo (della durata di 25-30‘), si ha un ef- fetto opposto, ossia la funzione tonica quasi del tutto scompare, mentre le contrazioni ritmiche vanno gradatamente impicciolendo. Questa differente azione dell’estratto in putrefazione, quando è ag- giunto frazionatamente in piccole quantità, non riesce di facile inter- pretazione; vedremo però più innanzi quale possa essere la più probabile. Esperienza VII (Figura 5.2, Tav. VIII [I]). In questa esperienza si usò poltiglia di muscoli di rana (muscoli degli arti posteriori), dopo 30 ore dall’uccisione degli animali (15 gr. di poltiglia muscolare aggiunti a 120 ce. di soluz. fisiol.). Come risulta dalla figura 5%, anche l’estratto muscolare di rana, in putrefazione, produce un notevole eccitamento della funzione tonica atriale del cuore di £wmys, accompagnato dalla solita diminuzione del- l'altezza delle contrazioni ritmiche. Dopo 13‘ (in 6) dall’immersione del preparato cardiaco nell’estratto muscolare, la linea basale delle contra- zioni ritmiche si è innalzata di 1,5 cm. e l’altezza delle contrazioni ritmiche si è ridotta ad n° Queste variazioni scompaiono rapidamente, ‘ quasi del tutto, se al liquido in putrefazione si sostituisce soluz. fisiol. Esperienza IX (Fig. 6., Tav. VIMI [I]). Il fegato di un’ Emys vien ridotto a poltiglia e ad essa si aggiungono 100 cc. di soluz. fisiol. Due giorni dopo (15 luglio) il liquido, che presenta i caratteri della putre- fazione, si fa agire sul cuore di un’altra £wys. Anche con questo li- quido, contenente la poltiglia di fegato in putrefazione, si ottenne l’in- nalzamento del tono e di conseguenza una diminuzione della funzione ritmica fondamentale. Esperienza X. (Figura 7.2, Tav. VIII [I]). In questa esperienza si usò l’estratto di muscolo striato di bue, in putrefazione da 2 giorni. Il trac- ciato, corrispondente alla figura 7.2, dimostra che si ebbe un graduale aumento del tono, seguito anche dalla comparsa di qualche oscillazione tonica. Esperienza XI. 120 ce. di estratto muscolare, ottenuto sottoponendo alla pressa, muscolatura liscia di bue (muscolo retractor penis), e la- sciato putrefare per 6 giorni. Dopo questo tempo il liquido, che ha rea- zione alcalina, agisce fortemente sulla funzione tunica atriale, produ- cendo l’innalzamento del tono e le oscillazioni toniche. Però, dopo circa oi tici SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 68 5, mentre ancora il preparato cardiaco rimaneva immerso nell’estratto in putrefazione, si videro scomparire le variazioni della funzione tonica, e le contrazioni ritmiche, che, in seguito all’innalzamento del tono, si erano impicciolite, ritornare presso a poco come all’inizio dell’esperimento, quando cioè il preparato cardiaco stava immerso in soluz. fisiol. Esperienza XII (Figura 8.3, Tav. IX [II]). In questa esperienza, in cui si usò estratto muscolare di cane in putrefazione da 6 giorni, si ottenne un risultato analogo a quello dell’esperienza precedente, fatta coll’estratto di muscoli lisci di bue, ossia un forte innalzamento del tono che scom- parve però dopo breve tempo di permanenza del preparato cardiaco nel liquido in putrefazione: l’unica differenza sta nel fatto che, dopo la scomparsa della variazione tonica, le contrazioni ritmiche andarono impicciolendosi e dopo poco tempo cessarono quasi completamente. Esperienza XIII (Figura 9.8, Tav. IX [II]). L'effetto, ottenuto in que- Sta esperienza, in cui venne usato estratto muscolare di cane, in putrefa- zione da 3 giorni, fu molto più cospicuo dell’effetto, ottenuto nell’espe- rienza precedente. Non appena si immerge il preparato cardiaco nel liquido in putrefazione, il che è indicato nella figura della lettera d, si ha un rapido e fortissimo aumento del tono, le contrazioni ritmiche scompaiono totalmente e per un lunghissimo tempo (30°), non compreso nella figura, il tracciato è rappresentato soltanto da una sottile linea leggermente ondulata. Come si possa interpetrare questo risultato, differente da quello ot- tenuto nell’esperienza precedente, vedremo fra poco; sin d’ora, peraltro, è da escludere che sia dipendente dalla diversa concentrazione dell’e- stratto, poichè nelle due esperienze si usò una quantità di poltiglia muscolare pressochè eguale (10 gr.). Nè mi sembra sia da mettersi in relazione con la diversa durata della putrefazione degli estratti, giacchè, nelle esperienze con l’estratto muscolare di £wys, mentre qualche volta ebbi occasione di constatare un fatto analogo, qualche altra volta, invece, osservai che, entro certi limiti di tempo, quanto maggiore era stata la durata della putrefazione, tanto più intensa e più lunga appariva l’azione eccitante sulla funzione tonica. Dalle esperienze riferite risulta che l’estratto acquoso del tessuto muscolare e quello del fegato di £mys, ed anche l’estratto del tessuto muscolare di altri animali, durante l’iniziarsi e lo svolgersi dei processi putrefattivi, ha un’azione notevolissima sulla funzione atriale del cuore isolato di Emys europaea. Quest’azione essenzialmente consiste in un 64 6. BUGLIA innalzamento del tono, accompagnato, naturalmente, da diminuzione del- l’altezza delle contrazioni ritmiche. In seguito, quando il preparato car- diaco permane per un certo tempo nel liquido in putrefazione, il tono si abbassa notevolmente, e può anche raggiungere il livello normale, mentre l’altezza delle contrazioni ritmiche aumenta, senza però raggiun- gere quasi mai quella iniziale; prolungando poi ancora l’immersione del preparato cardiaco nel liquido in putrefazione, tanto la funzione tonica quanto la ritmica vanno gradatamente spegnendosi. Le modificazioni della funzione tonica atriale sono assai bene rile- vabili anche all’iniziarsi dei fenomeni putrefattivi; già dopo 12-24 ore, dalla preparazione dell’estratto, si osserva un’azione eccitante abbastanza forte. Se poi la putrefazione è prolungata per alcuni giorni, le modifica- zioni della funzione tonica appaiono assai più intense. L'intensità dell’a- zione non è però sempre proporzionale alla durata della putrefazione dell’estratto; in fatti in alcuni casi (Esp. XII e XIII), sperimentando con una uguale concentrazione di estratto muscolare e proveniente dalla stessa specie di animale, si ottenne un effetto maggiore dopo tre giorni di putrefazione che non dopo sei. Per interpretare questo fatto si può pensare che i microorganismi della putrefazione, o perchè agiscono sul- l’estratto muscolare in modo diverso a seconda di speciali condizioni che ora ci sfuggono, o perchè sono di qualità diversa, diano luogo nel tessuto muscolare alla formazione di prodotti differenti, i quali non hanno l’identica azione sulla funzione atriale; con ciò però non è da escludersi, sebbene sembri poco probabile, che il fatto possa essere semplicemente casuale, ossia possa dipendere dalla maggiore sensibilità di alcuni pre- parati cardiaci. L'intensità d’azione dell’estratto in putrefazione, è, inoltre, assai differente, quando lo si fa agire frazionatamente, aggiungendone cioè man mano piccole quantità alla soluzione fisiologica, dove funziona il preparato cardiaco (esp. VII). In tal caso si ottiene un effetto molto minore di quello che si otterrebbe con la stessa quantità di estratto aggiunta in una sol volta. Anche questa differente azione dell’estratto muscolare, a seconda del modo col quale si fa agire sul preparato car- diaco, non riesce facile ad essere interpretata. Ad ogni modo mi sembra che non sia il caso di pensare ad un fenomeno di abitudine all’azione tossica, ma piuttosto alla possibilità che alcune sostanze, contenute nel liquido in putrefazione, siano man mano alterate o distrutte dal cuore durante la sua attività funzionale. Più innanzi avrò occasione di ritornare 3 È i i 3 Dean e Air 9 ri iii SI dal SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAFA 65 su questo argomento e allora accennerò a ciò che mi sembra dia appoggio a codesta opinione. Le sopradette modificazioni della funzione atriale possono scomparire quasi del tutto, specialmente se non sono molto intense, lavando più volte il preparato cardiaco con soluzione fisiologica. Considerate poi nell’ as- sieme, esse presentano una grande rassomiglianza con quelle rilevate dal Fano 1) allorchè fece agire sul cuore isolato di £mys europaca l'estratto di cuori affaticati. S'aggiunga inoltre che, come l'estratto di cuori affa- ticati, così anche l’estratto muscolare in putrefazione non perde la sua azione dopo averlo portato alla temperatura di ebollizione. Tutto ciò rende più probabile la supposizione, fatta dal Fano stesso, che il risultato delle sue esperienze possa dipendere, oltre che dall’azione dei prodotti del me- tabolismo, accumulatisi nei cuori durante l’affaticamento, anche da quella di sostanze, dovute a processi putrefattivi iniziatisi nel tessuto cardiaco, che per diversi giorni ha funzionato fuori dell’organismo. Da ultimo poi mi basti accennare che le modificazioni, prodotte dal- l’estratto in putrefazione sulla funzione atriale, presentano anche una certa analugia con quelle prodotte dalle soluzioni di peptone del com- mercio (peptone Witte) °). II. Stabilita, con la serie di esperienze che ho riferito, 1’ azione del- l’estratto acquoso di muscoli e di organi in putrefazione, sulla funzione atriale del cuore di £mys europaea, ho voluto fare alcune esperienze allo scopo di individuare, per quanto mi fosse possibile, quei componenti normali dell’estratto, dai quali originano quelle sostanze, che conferiscono l’azione caratteristica all’estratto in putrefazione. Il quesito, come facilmente si comprende, si presenta molto com- plesso e di difficile soluzione, volendolo prendere in esame in ogni sua parte. Però io mi sono limitato a studiarlo -sotto due punti di vista generali soltanto. 1.° Ho cercato di stabilire se i microorganismi della 1) G. Fano Sulle cause e sul significato delle oscillazioni del tono atriale nel cuore dell’ Emys europaea. — Ricerche di fisiol. e sc. aff. dedicate al Prof. Luciani nel XXV anno del suo insegnamento. — Soc. Ed. Libr. Milano, 15 1900. — Archives ital. de Biol. XXXIV, 301-340, 1900. 2) G Bugia, l. c. ut Sc. Nat. Vol. XXX. 66 G. BUGLIA putrefazione, indipendentemente dalle sostanze albuminose contenute ne- gli estratti acquosi del tessuto muscolare, agiscano anche sulle così dette “ sostanze estrattive , del muscolo, in modo che anche da esse abbiano origine corpi aventi la proprietà di esercitare, sulla funzione atriale, un’azione analoga a quella dell’estratto muscolare è toto. 2.°) Ho cercato pure di stabilire se, anche dopo subita l’azione di un’alta temperatura (ebollizione), l’estratto muscolare, sotto l’azione dei microorganismi della putrefazione, acquisti la sua azione sulla funzione tonica atriale. Per il primo scopo ho studiato l’azione che hanno le sostanze estrai- bili coll’alcool dal tessuto muscolare fresco, dopo essere state sottopo- ste all’azione dei microorganismi della putrefazione. Per il secondo scopo, invece, ho ricercato se 1° estratto muscolare, portato e conservato per vario tempo alla temperatura di ebollizione prima di essere putrefatto, agisce, sulla funzione atriale, come un estratto in putrefazione che non sia stato in antecedenza bollito. Esperienza XIV. Il 10 agosto si uccidono due Emys e si raccol- gono 25 gr. di muscoli, che vengono ridotti a poltiglia. Dalla poltiglia si fanno successivamente tre estrazioni con alcool a 95° a freddo, usando 100 cc. di alcool per ogni estrazione. L'estratto alcoolico, raccolto entro un largo recipiente, si lascia evaporare alla temperatura dell’ambiente. Si ottiene come residuo un sottile strato di sostanza, che si raccoglie e si aggiunge a 120 ce. di soluz. fisiol. dove in parte si scioglie, in parte, invece, sotto forma di piccoli fiocchetti si porta alla superficie. Il liquido filtrato è limpido, di colore gialliccio. Lasciato alla temperatura dell’am- biente, dopo alcuni giorni si intorbida, sa leggermente di putrefazione ed ha una lieve reazione alcalina. Il 29 agosto si fa agire sul preparato cardiaco di Emys e si trova che, poco dopo l’immersione, compaiono oscillazioni del tono, le quali vanno man mano accentuandosi. Contemporaneamente il tono generale aumenta e l'altezza delle contrazioni ritmiche quindi, diminuisce. Infatti, dopo circa 50', dall’inizio dell’esperimento, la linea basale delle contrazioni ritmiche sì è innalzata di 3 cm., mentre l’altezza delle contrazioni ritmiche si è ridotta ad 1/6 circa. Continuando la permanenza del preparato cardiaco nel liquido in putrefazione, si osserva poi che, dopo i primi 50', il tono generale tende ad abbassarsi nuovamente e le contrazioni ritmiche ad aumentare in altezza. Dal risultato di questa esperienza si può concludere che i microor- { ganismi della putrefazione agiscono anche sulle “ sostanze estrattive , SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 67 del muscolo, dando luogo a prodotti, che hanno, sulla funzione atriale del cuore di £wmys, un’azione analoga a quella dell’estratto muscolare in toto. Esperienza XV (Figura 10.8, Tav. IX [II]). In questa esperienza e nelle successive, fatte con l’ estratto muscolare, bollito prima della putrefa- zione, gli estratti vennero preparati nel modo solito (5-10 gr. di pol- tiglia muscolare in 120 ce. di soluz. fisiol.) e subito portati alla tem- peratura di ebollizione. Dopo l’ebollizione, che durò un tempo diverso per le varie esperienze, erano ricondotti al volume iniziale coll’aggiunta di acqua e in recipienti chiusi erano lasciati putrefare alla temperatura dell'ambiente. Durata di ebollizione dell’estratto, 5'; tempo trascorso dall’ebollizione all'esperienza, 20 giorni. Il liquido sa di putrefatto ed ha reazione alcalina. Le variazioni, prodotte nella funzione tonica, sono eguali a quelle già osser- vate nelle esperienze con gli estratti in putrefazione senza essere stati in antecedenza bolliti. Non appena, cioè, il preparato cardiaco, dalla soluzione fisiol. si immerge nell’ estratto muscolare (nella figura l’ immersione è indicata dalla lettera @), si osserva un forte innalzamento del tono e la comparsa di oscillazioni toniche; nel tempo stesso l’altezza delle con- trazioni ritmiche si riduce notevolmente. Tanto la variazione del tono quanto quella delle contrazioni ritmiche permangono a lungo, però ad un certo momento (a metà circa del tracciato), hanno una lieve e transitoria tendenza a diminuire. Di questo fatto, non osservato nelle precedenti esperienze, non saprei per ora darmi ragione. Esperienza XVI. Durata di ebollizione dell’estratto, 5‘ tempo tra- scorso dall’ebollizione all'esperienza, 21 giorni. Il liquido sa di putrefatto ed ha reazione alcalina. Quest’esperienza venne fatta su di un preparato cardiaco che già aveva funzionato, stando immerso in soluz. fisiol., da più di 1/2 ora. L'effetto ottenuto fu analogo a quello dell’esperienza antecedente. Esperienza XVII (Figura 11.8, Tav. IX [II]). Durata di ebollizione dell’estratto, 10‘; tempo trascorso dall’ebollizione all’esperienza, 19 giorni. Il liquido sa di putrefatto ed ha reazione leggermente alcalina. Dopo l’immersione del preparato cardiaco nell’estratto in putrefa- zione, indicata nella figura dalla lettera @, si osserva che le oscillazioni del tono scompaiono e l’altezza delle contrazioni ritmiche diminuisce gradatamente. Passati però i primi 21' circa (in 2), il tono va man mano innalzandosi e ricompaiono le oscillazioni toniche mentre l’altezza delle contrazioni ritmiche si riduce a pochi mm. 68 G. BUGLIA In questa esperienza l’effetto eccitante sulla funzione tonica sì ma- nifesta molto tardivamente. Esperienza XVIII. Durata di ebollizione dell’estratto, 20'; tempo trascorso dall’ebollizione ali’esperienza, 13 giorni. Il liquido sa di pu- trefatto ed ha reazione leggermente alcalina. Il passaggio del preparato cardiaco dalla soluzione fisiologica, nel- l’estratto in putrefazione non produsse alcun eccitamento della funzione tonica, neppure dopo molto tempo; si osservò invece una graduale di- minuzione dell’altezza delle contrazioni ritmiche che, non essendo asso- ciata ad’ innalzamento del tono, sta ad indicare una reale depressione della funzione ritmica. Esperienza XIX. In questa esperienza dapprima si fece agire sul preparato cardiaco l’estratto muscolare in putrefazione da 25 giorni senza essere stato bollito; dopo, l’estratto muscolare, bollito per circa 20° e in putrefazione da 18 giorni. Nel primo caso si ottenne un’eviden- tissima eccitazione della funzione tonica, nel secondo caso, invece, si ebbe un rapido e forte abbassamento del tono con lieve aumento del- l’altezza delle contrazioni ritmiche. Esperienza XX (Figura 12.8, Tav. IX [II]). Durata di ebollizione dell’estratto, 30‘; tempo trascorso dall’ebollizione all'esperienza, 10 giorni. Il liquido sa di putrefatto ed ha reazione alcalina. Durante l'immersione nella soluzione fisiologica, il preparato cardiaco, presenta evidenti le oscillazioni del tono e tendenza ad un aumento generale del tono. 10° circa dopo l'immersione nell’estratto in putrefazione, avvenuta in corri- spondenza di a, le oscillazioni del tono scompaiono e la funzione tonica generale diminuisce. In questo momento in d, si immerge nell’estratto in putrefazione da 1 mese e che non era stato portato all’ebollizione. Subito si vede che il tono aumenta fortemente e le contrazioni ritmiche scompaiono quasi del tutto. Esperienza XXI. Durata di ebollizione dell’estratto, 30‘; tempo tra- scorso dall’ebollizione all’esperienza, 19 giorni. L’effetto ottenuto in questa esperienza fu analogo a quello dell’espe- rienza XVIII e cioè, l’immersione del preparato cardiaco nell’estratto in putrefazione non produsse alcuna variazione della funzione tonica; produsse, invece, un graduale impicciolimento ‘delle contrazioni ritmiche, ossia una depressione della funzione fondamentale. Esperienza XXIII. Il liquido, usato nell’esperienza precedente, e che aveva reazione fortemente alcalina, venne neutralizzato con acido clo- SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 69 ridrico, eppoi si fece agire nuovamente su di un altro preparato car- diaco. L'effetto ottenuto non fu diverso e ciò dimostra che la reazione alcalina del liquido non ha influenza apprezzabile sulle’ manifestazioni funzionali del preparato cardiaco. Esperienza XXIII. Durata di ebollizione dell’estratto, 30. Tempo trascorso dall’ebollizione all’esperienza, 25 giorni. Il liquido sa di pu- trefatto ed ha reazione alcalina. Anche in questa esperienza, l’estratto in putrefazione dopo essere stato bollito per 1/2 ora, non produsse alcun effetto apprezzabile sulla funzione tonica; sulla funzione ritmica invece, produsse una depressione notevole, che però andò diminuendo dopo lavatura del preparato car- diaco con soluz. fisiol. Esperienza XXIV (Figura 13.8, Tav. IX [II]). Durata di ebollizione dell’estratto, 1 ora; tempo trascorso dall’ebollizione all’ esperienza, 41 giorni. Il liquido sa di putrefatto ed ha reazione alcalina. Dal tracciato, corrispondente a questa esperienza, si rileva che il liquido in putrefazione rapidamente abolisce quasi del tutto le oscilla- zioni del tono, che sono in atto, diminuisce la funzione tonica generale e produce un rapido abbassamento dell’altezza delle contrazioni ritmi- che; queste dopo circa 15', (in 3) sono quasi completamente cessate. È quindi bene evidente la depressione tanto della funzione tonica quanto quella della funzione fondamentale. Queste esperienze dimostrano chiaramente che l’estratto muscolare, portato e conservato all’ebollizione per un tempo maggiore di 15‘, non acquista, dopo putrefazione, la proprietà di eccitare Ja funzione to- nica atriale; esercita invece un’azione deprimente, non soltanto sulla funzione ritmica fondamentale, ma anche sulla funzione tonica. Ciò fa supporre che l’estratto muscolare putrefatto, senza essere stato in an- tecedenza bollito, agisca sulla funzione tonica atriale in duplice modo, eccitando e deprimendo, e che questa sua duplice azione sia dovuta non ad una sola sostanza, ma a due o più sostanze diverse: le tempe- rature elevate impedirebbero la formazione della sostanza, che ha azione eccitante. In qual modo ciò avvenga è difficile dire, tuttavia tre sup- posizioni si affacciano alla mente prima di ogni altra: 1.8 Qualche com- ponente termolabile dell’estratto muscolare, che dai micro-organismi della | putrefazione sarebbe trasformato nei prodotti ad azione eccitante, viene alterato dalla temperatura. 2.* La temperatura altera o distrugge qualche altro componente dell’estratto muscolare (enzima ?), la cui presenza sa- 70 G. BUGLIA rebbe necessaria perchè i microorganismi operino quella trasformazione, per cui si formano gli agenti eccitanti. 3.2 La temperatura modifica qual- che altra condizione fisica o chimica, senza la quale quella trasforma- zione microbica non può verificarsi. La supposizione che possa trattarsi di enzimi può sembrare poco probabile, considerando che queste sostanze termolabili, in generale ven- gono distrutte già a temperature inferiori a quella di 100° C, e che, ad ogni modo, non è necessario sottoporle all’azione della temperatura di 100°C, per un tempo così lungo come quello che abbiamo visto essere necessario perchè l’estratto muscolare, dopo la putrefazione, non acquisti l’azione eccitante sulla funzione tonica atriale. Tuttavia, volendo dare affidamento ai risultati di alcune esperienze, che però meriterebbero di essere ripetute ed estese maggiormente, la supposizione che possa trat- tarsi di enzimi, acquista un certo valore. Se si aggiungono, infatti, al- l’estratto muscolare, subito dopo l’ebollizione prolungata per 1/2 ora, uno o due ce. di estratto glicerico dello stesso tessuto muscolare, ma non bollito, allora la putrefazione, vi fa sviluppare la proprietà di eccitare la funzione tonica come nell’estratto, che va in putrefazione senza essere stato in antecedenza bollito. È però necessario che l’aggiunta dell’ e- stratto glicerico venga fatta prima che si siano iniziati i processi pu- trefattivi, poichè, in caso contrario, rimane senza effetto. III. Essendo da escludere, per alcune mie precedenti ricerche !), che i primi e più complessi prodotti di scissione della molecola albuminosa (albumosi, peptone) esercitino un’azione eccitante sulla funzione tonica atriale del cuore di £mys, era logico pensare che l’azione eccitante dell’estratto muscolare in putrefazione dipendesse da altre sostanze di natura più semplice, in esso formatesi per un’ulteriore e più profonda scissione operata dai bacteri. E tanto più era logica cotesta idea, in quanto che, come abbiamo visto or ora, le sostanze eccitanti si produ- cono anche per azione batterica su prodotti relativamente semplici, cioè sulle sostanze “ estrattive ,. Cercai perciò di separare, dall’estratto muscolare putrefatto, queste sostanze più semplici e di studiarne l’azione. A tale scopo sperimentai 1) G. BUGLIA, Ll. c. ita SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE ISOLATO DI EMYS UROPAEA 1 col liquido di dialisi dell’estratto in putrefazione e, in seguito, colla so- stanza (o più esattamente col miscuglio di sostanze), che ottenevo, dal residuo del liquido di dialisi, per mezzo di estrazioni alcooliche od eteree. Esperienza XXV (Figura 14, Tav. X [III]). Gr. 12 di poltiglia musco- lare di Ewys più 100 cc. di acqua, posti entro un tubo di pergamena, si dializzano con H,O distillata, in presenza di toluolo. Contemporanea mente altri 12 gr. di poltiglia muscolare più 100 cc. di acqua, si dia- lizzano senza toluolo. Dopo due giorni di dialisi, nell’uno e nell’ altro caso, il Hquido esterno viene raccolto separatamente e concentrato a ba- gnomaria sino al volume di 100 ce. Il liquido provenieute dalla 1. dialisi, che chiameremo a, è limpido, gialliccio, ha odore dell’estratto muscolare fresco, reazione leggermente acida e non dà evidente la reazione del biureto; quello della 2. dialisi, che chiameremo bd, è invece leggermente opalescente, gialliccio, sa di orina in putrefazione, ha reazione leggermente acida e dà evidente la reazione del biureto. All’uno e all’altro si aggiungono gr. 0,7 di cloruro di sodio e si fanno agire successivamente sullo stesso preparato car- diaco. Il tracciato che si ottiene è riportato nella figura 14. Da esso chia- ramente si vede che il passaggio del preparato cardiaco dalla soluzione fisiologica nel liquido @, non dà luogo ad alcuna apprezzabile variazione sia della funzione tonica sia della funzione ritmica. L’ immersione, in- vece, nel liquido 6 produce un rapido e forte innalzamento del tono, durante il quale le contrazioni ritmiche diventano quasi impercettibili. Risultati, analoghi a quelli ora descritti, furono ottenuti in un’altra esperienza, nella quale si usarono i liquidi di dialisi del 3.° e 4.° giorno. Queste esperienze sulla dialisi della poltiglia muscolare in putrefa- zione permettono così di concludere che i prodotti dell’azione bacterica, i quali esercitano una notevole influenza sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea, sono sostanze dializzabili. Esperienza XXVI (Figura 15.8, Tav. X [III]). In questa esperienza e nelle successive ho studiato l’effetto della sosfanza, ottenuta, per mezzo di estrazioni alcooliche, dal residuo del liquido di dialisi della poltiglia muscolare in putrefazione, di Eys o di bue. Per ottenerla operavo nel seguente modo: raccoglievo il liquido di dialisi della poltiglia muscolare in putrefazione e lo evaporavo a bagnomaria sino a secchezza. Trattavo il residuo con alcool assoluto, concentravo l’estratto alcoolico a bassa temperatura e lo essicavo su cloruro di calcio, 72 G. BUGLIA La sostanza, tanto quella proveniente dalla poltiglia muscolare, in putrefazione, di Emys, quanto quella dalla poltiglia di bue, presenta questi caratteri: Colore bruno; odore sui generis, che ricorda l’odore di alcune specie di formaggio (cacio-cavallo), commisto ad odore non sgradevole di so- stanza aromatica; igroscopica, abbastanza solubile in acqua. La soluzione acquosa alcalinizzata e trattata col sale di rame, non dà la reazione del biureto. La soluzione in acido cloridrico o in idrato sodico è torbidiccia; quest’ultima riscaldata sviluppa vapori basici, che sono infiammabili. La sostanza, sciolta in acido cloridrico e trattata con nitrito sodico, dà luogo alla formazione di goccioline oleose, che aderiscono alle pareti interne del tubo da saggio, dove si fa la reazione. Queste goccioline oleose si formano egualmente, quando il nitrito sodico si aggiunge al distillato della sostanza, sciolta in soluzione alcalina. Anche i vapori provenienti dall’ebollizione del distillato, reso alcalino, presentano la proprietà di essere infiammabili. Gr. 0,5 della sostanza, ottenuta dalla poltiglia muscolare di £wmys, vengono aggiunti a 100 cc. di sol. fisiol. Im questo liquido si immerge il preparato cardiaco, dopo che ha funzionato per qualche tempo in soluz. fisiol. Il momento dell’immersione è indicato, nella figura che riproduce il tracciato di questa esperienza, dalla lettera «. L'effetto, che si ottiene, ‘consiste in un notevole e rapido innalzamento del tono, accompagnato da una diminuzione fortissima dell’altezza delle contrazioni ritmiche ; dopo 5' (in 6) queste sono appena percettibili. Trascorsi però 10' (in 0), il tono rapidamente si abbassa e in breve raggiunge un livello inferiore a quello; che si è osservato all’inizio dell’esperimento; cessano le oscil- lazioni del tono e la funzione ritmica ricompare, rimanendo, però, notevolmente depressa, anche dopo lavatura del preparato cardiaco, con soluz. fisiol. Il liquido, usato in questa esperienza, portato a temperatura pros- sima a quella d’ebollizione e rapidamente raffreddato, venne di nuovo fatto agire su di un'altro preparato cardiaco. (li effetti furono eguali a quelli ottenuti prima del riscaldamento. Esperienza XXVII (Figura 162, Tav. X [III]). In questa esperienza, come nella precedente, usai la sostanza, proveniente dal tessuto musco- larve di Ems, ma in concentrazione dieci volte, minore, ossia gr. 0,05 9/o ce. di soluz. fisiol. L'effetto prodotto sulla funzione atriale fu analogo, però dite ite riti rr rità «fi È di P, "i SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 73 meno intenso e più prolungato. Dopo l’immersione del preparato car- diaco nel liquido (indicata nel tracciato dalla lettera a), il tono aumenta e compaiono ampie oscillazioni toniche. L'altezza massima del tono vien raggiunta dopo 13' (in 9); a questo momento l’altezza delle contrazioni ritmiche è ridotta ad ‘/,. Passati i primi 20 minuti (in 8), incomincia l'abbassamento del tono, la scomparsa delle oscillazioni toniche e l’au- mento dell’altezza delle contrazioni ritmiche. Dopo 30' circa (ine) iltono e le contrazioni ritmiche hanno raggiunto pressochè l’altezza iniziale. Ripe- tute lavature con soluz. fisiol. e la permanenza del preparato cardiaco in questo liquido per circa 50', non sono sufficienti a rialzare la funzione tonica depressa. In altre esperienze, però, fatte con la stessa sostanza a diverse concentrazioni, potei osservare che le lavature del preparato cardiaco, con soluz., fisiol. possono diminuire ed anche far cessare le modificazioni funzionali, specialmente quando queste non duravano da molto tempo e non erano molto intense. In alcune di queste esperienze osservai anche che, se si aggiunge frazionatamente la sostanza alla soluz. fisiol., dove è immerso il preparato cardiaco, non si ottengono modificazioni molto notevoli della funzione atriale, tal quale come per l’estratto muscolare in toto, putrefatto. Esperienza XXVIII (Figura 17%, Tav. X [IT]]). Il preparato cardiaco, dopo averlo fatto funzionare per qualche tempo in soluz. fisiol., si im- merge in una soluzione al 0,02 %, della sostanza, proveniente dal tes- suto muscolare di bue. Il tracciato ottenuto dimostra che, poco dopo l'immersione, indicata dalla lettera «, il tono si innalza gradatamente e compaiono evidentissime le oscillazioni del tono. Prolungando l’immersione, l’aumento graduale del tono continua sino a raggiungere un massimo dopo circa 21'. A questo momento (in d) la linea basale delle contrazioni ritmiche si è innalzata di 2,5 cm. e l’al- tezza delle contrazioni ritmiche è ridotta a pochi mm. L’eccitamento della funzione tonica, accompagnato dalla diminuzione dell’altezza delle con- trazioni ritmiche, si osserva anche dopo 50' dall’immersione (2* linea, ore 18,24). A differenza, dunque, di quanto si è visto nelle esperienze precedenti, in cui si usò la sostanza, proveniente dal tessuto muscolare di Zn2ys, all'aumento del tono non segue la diminuzione, o per lo meno questa non compare se non dopo un tempo molto lungo. Questo risultato è para- gonabile a quello ottenuto in un’esperienza (XIII), fatta coll’estratto mu- T4 G. BUGLIA scolare in foto di cane. Anche in quella esperienza si notò che l’azione eccitante sulla funzione tonica fu molto più intensa e durò più a lungo di quella osservata in altre esperienze, fatte coll’estratto muscolare di un altro cane, o di animali di specie diversa. E come allora si interpetrò il fatto supponendo che, per opera dei microorganismi della putrefazione, si possano formare nell’estratto prodotti differenti e, quindi, di azione diversa, così anche in questo caso si potrebbe pensare ad una interpre- tazione analoga. E poichè l’effetto unicamente eccitante si ha solo colle concentrazioni minori, sì potrebbe supporre che la sostanza eccitante abbia un’azione più intensa di quella deprimente, per cui, a concentra- zione piccola, quest’ultima, trovandosi nel liquido in quantità al disotto della soglia, non manifesterebbe alcuna azione e, perciò, si avrebbero solo gli effetti della prima, mentre, coll’aumentare della concentrazione, si farebbero anche sentire quelli dell’altra. Esperienza XXIX (Figura 18.8 tav. XI [IV]). Dal residuo del liquido della dialisi, prolungata per 2 giorni, di 10 gr. di poltiglia muscolare in putrefazione, di £mys, si fanno estrazioni con alcool. Contemporanea- mente, dal residuo della dialisi di altri 10 gr. di poltiglia muscolare in pu- trefazione, si fanno estrazioni con etere. Tanto l’estratto alcoolico, quanto l'estratto etereo hanno reazione leggermente acida. Tirati a secchezza, il loro residuo è aggiunto a volumi eguali di soluz. fisiol. (120 cc.) Questi due liquidi si fanno agire, prima l’uno eppoi l’altro, sullo stesso pre- parato cardiaco. Dal tracciato ottenuto si vede che l’immersione nel li- quido, contenente il residuo dell’estratto etereo (indicato dalla lettera a), non produce apprezzabili variazioni della funzione atriale, mentre l’im- mersione nel liquido, contenente il residuo dell’estratto alcoolico (indicato dalla lettera 0), dà luogo ad aumento della funzione tonica, con dimi- nuzione dell’altezza delle contrazioni ritmiche: dopo poco le due funzioni ritornano al normale. Ciò dimostra che le sostanze, le quali agiscono sulla funzione atriale producendo un aumento della funzione tonica, sono solubili in alcool, insolubili o quasi in etere In un altro esperimento, im cui feci estrazioni eteree eppoi alcooliche dello stesso residuo del liquido di dialisi, ottenni risultati analoghi per ciò che si riferisce alle modificazioni della funzione tonica, però osservai anche che il residuo dell’estratto etereo produsse diminuzione dell’altezza delle contrazioni ritmiche, il che potrebbe far pensare ad un’azione deprimente sulla funzione fondamentale. iti ica SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 15 Confrontando i risultati, ottenuti in queste esperienze, con quelli delle esperienze coll’estratto muscolare in foto, riportati precedentemente, appare evidente l'analogia. Nell’un caso e nell’altro, in fatti, le modifi- cazioni della funzione atriale possono distinguersi in tre differenti periodi. Nel 1.° periodo si osserva un innalzamento del tono, accompagnato da diminuzione più o meno grande dell’altezza delle contrazioni ritmiche. Nel 2.° periodo il tono si abbassa, in modo più o meno rapido, tanto da arrivare, in alcuni casi, ad un livello inferiore a quello iniziale; con- temporaneamente le contrazioni ritmiche aumentano in altezza senza però raggiungere quasi mai quella che avevano all’inizio dell'esperimento. Nel 3.° periodo in fine, il tono e le contrazioni ritmiche vanno vrada- tamente spegnendosi. Alcune di queste variazioni atriali hanno un significato bene evidente. Così ad esempio quelle del 1.° periodo indubbiamente rappresentano un’azione eccitante sulla funzione tonica, accompagnata da un’apparente diminuzione della funzione ritmica dovuta al fatto meccanico dell’accor- ciamento del preparato; quelle del 3.° periodo indicano chiaramente, l’e- saurimento della funzione atriale. Le variazioni toniche invece del 2.° periodo possono essere interpretate in due differenti modi: o come na- turale conseguenza della fine dell’eccitamento precedente (il che sarebbe avvalorato dall’aumento delle contrazioni ritmiche), oppure come una reale azione deprimente sulla funzione tonica. Quest'ultima interpreta- zione condurrebbe alla conclusione che l’estratto muscolare in putrefa- zione o la sostanza da esso separata permezzo della dialisi e di estrazioni alcooliche, esercitano sulla funzione tonica atriale, una duplice azione, eccitante e deprimente. Invero, alcuni fatti, che emergono dalle esperienze riportate precedentemente, mi sembra, conferiscano maggiore probabilità a questa interpetrazione. Questi fatti si possono brevemente così rias- sumere: a) In alcuni casi si è osservato che nel 2.° periodo di azione dell’estratto in putrefazione o della sostanza da esso separata, il tono si abbassa ad un livello inferiore a quello iniziale. 8) Nelle esperienze con quantità varia della sostanza separata dal liquido di dialisi, è ri- sultato cha la durata dell’eccitamento del tono fu tanto minore quanto maggiore fu la quantità di sostanza adoperata. Infatti dal tracciato del- l’esperienza XXVI (tav. X [III], fig. 15°), nella quale si usò la sostanza nella concentrazione del 0,5°/, si rileva che la durata dell’eccitamento fu di circa 10‘; da quello dell’esperienza XXVII (tav. X [III], fig. 162), nella quale si usò la sostanza nella concentrazione del 0,05°/o, che la 76 G. BUGLIA durata dell’eccitamento fu di circa 20', e, infine, dal tracciato dell’espe- rienza XXVIII (tav. X [III], fis. 172), in cui si usò la sostanza nella concentrazione del 0,02%, si rileva che la durata dell’eccitamento fu assai più lunga che nei casi precedenti, in fatti, dopo un’ora e mezzo, il tono manteneva, ancora l’altezza massima raggiunta. Questo fatto, in apparenza strano, trova spiegazione nell’ipotesi che la sostanza sia co- stituita da componenti diversi, alcuni ad azione eccitante, altri ad azione deprimente; avendo però questi ultimi un’azione più debole di quella dei primi, affinchè la loro azione possa manifestarsi, è necessario che5 si trovino in concentrazione relativamente grande. c) Nelle esperienze fatte coll’estratto muscolare in putrefazione, dopo essere stato bollito per più di 15', si è ottenuta, un’evidente azione depressiva non soltanto sulla funzione ritmica atriale, ma anche sulla funzione tonica; ciò dimostre- rebbe, come accennai riferendo queste esperienze, che nel tessuto mu- scolare putrefatto, sono contenute sostanze eccitanti e sostanze depri- menti la funzione tonica, e che il calore impedisce la formazione delle prime, non quella delle seconde. L’analogia d’azione fra l’estratto muscolare in putrefazione e la so- stanza, da esso separata per mezzo della dialisi e di estrazioni alcooliche, appare poi evidente, oltre che dal confronto delle variazioni sulla fun- zione atriale, dal fatto che, tanto gli effetti prodotti dall’estratto quanto quelli prodotti dalla sostanza da esso separata, possono scomparire, spe- cialmente se non furono molto intensi, mercè ripetute e prolungate la- vature del preparato cardiaco, con soluzione fisiologica. Da ciò si deduce che l’azione dell’estratto muscolare in putrefazione è dovuta a sostanze dializzabili, solubili in alcool a freddo (poco o niente in etere); che non danno la reazione del biureto; che in soluzione alcalina sviluppano, a caldo, vapori basici infiammabili; che col nitrito sodico dànno luogo alla formazione di liquido oleoso. Queste sostanze sono ca- paci di esercitare un’azione fisiologica rilevante, anche in quantità re- lativamente piccola. A queste proprietà si deve inoltre aggiungere quella, per cui esse agiscono non solamente sulla funzione tonica atriale del preparato car- diaco di £wmys, ma anche sulla funzione tonica di altre strutture mu- scolari liscie; mentre sulla funzione delle strutture muscolari striate in genere, esercitano effetti relativamente piccoli. Ciò infatti mi è risultato chiaramente da numerose esperienze, delle quali riferisco soltanto qualcuna, FC IFOA TOA fasti SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 77 Esperienza XXX (Figura 19.8, Tav. XI !IV]). Preparato esofageo di pulcino (gr. 165), Nel tracciato ottenuto in questa esperienza, ogni cm. della linea orizzontale, che sta al di sotto, corrisponde a 50 minuti primi. Im corrispondenza della lettera d il preparato sta immerso in 150 ce. di liquido di Ringer alla temperatura di 26.° C.; in @ si aggiungono gr. 0,01 e in &' gr. 0,05 della sostanza, ottenuta dall’estratto alcoolico del liquido di dialisi della poltiglia muscolare di £wmys, in putrefazione; in d' si sostituisce il liquido con nuovo liquido di Ringer e in a', si ag- giungono gr. 0,03 della sostanza sopraddetta. È evidente l’effetto eccitante sulla funzione tonica del preparato eso- fageo, ad ogni aggiunta della sostanza, e specialmente alla prima. In corrispondenza di questa il preparato rimane accorciato per più di 10' senza presentare contrazioni ritmiche. Quando queste riappaiono, il tono si abbassa gradatamente, rimanendo però sempre molto più alto di quello che era all’inizio dell’esperienza, durante l'immersione del preparato in liquido di Ringer puro. Esperienza XXXI (Figura 20.8, Tav. XI [IV]). Intestino tenue (seg- mento di 3 cm.) di gatto immerso in 150 cc. di soluzione fisiologica 1) alla temperatura di 28.° C. La velocità del cilindro sul quale vengono registrati i movimenti del preparato, è eguale a quella dell’esperienza precedente. In corrispondenza della lettera @ si aggiungono gr. 0,005 della so- stanza, usata precedentemente; in a' gr. 0,02. Anche in questo caso si osserva, dopo la prima aggiunta della so- stanza, un forte accorciamento del preparato, che dura pochi minuti ; le contrazioni ritmiche diventano molto ampie e il tono generale au- menta gradatamente. Dopo però circa 2 ore e mezzo (in 6) il tono di nuovo si abbassa spontaneamente sino all’altezza iniziale, e non si rialza per l’aggiunta di nuova sostanza. In un’altra esperienza sull’intestino tenue di gatto, l’effetto prodotto dalle sostanze fu alquanto diverso poichè consistette soltanto in un forte aumento dell’altezza delle contrazioni ritmiche. Esperienza XXXII (Figura 21.8, Tav. XI [1V]). Muscolo retractor pe- nîs di cane. Il preparato immerso in liquido di Ringer (15.° ce.) a 28.9 C. non presenta contrazioni spontanee. Appena si aggiungono (in corrispon- 1) TieGERSTEDT, Physiologische Uebungen und Demonstrationen fiir Studie rende. Leipzig. 1913, p. 180. 18 G. BUGLIA denza della lettera @') gr. 0,02 della sostanza usata precedentemente, subisce un fortissimo accorciamento che aumenta lievemente dopo l’ag- giunta di un’altra eguale quantità di sostanza (in corrispondenza della lettera a"). Quest’accorciamento persiste per un tempo lunghissimo, anche dopo che si è abbassata la temperatura del liquido, (lettera 2) dove sta immerso il preparato, sino alla temperatura dell'ambiente (18° C.). In un’altra esperienza ottenni un effetto ancora più cospicuo, tanto che non mi fu possibile, per il grande innalzamento della penna, pren- dere il tracciato. Detta sostanza agisce anche sull’intestino di £mys e sul dilatatore della pupilla nella rana, producendo nel primo caso un accorciamento, nel secondo una notevole midriasi. Sui vasi arteriosi (bue e cane) pro- duce un accorciamento, però molto piccolo e che si manifesta con grande lentezza. Esperienza XXXIII (Figura 22.2, Tav. XI [IV]). Come dimostrazione che la sostanza, usata nelle esperienze ora riportate sulla funzione tonica di preparati a muscolatura liscia, non esercita un’influenza molto note- vole sulla funzione contrattile della muscolatura striata, riporto un’espe- rienza che ho fatto col ventricolo del cuore di £mys. Il dispositivo fu analogo a quello usato nelle esperienze coll’atrio. Dal tracciato ottenuto si vede che l’immersione del preparato cardiaco (in corrispondenza della lettera @) in soluzione fisiol., contenente la sostanza nelle proporzioni del 0,2°%, e, in seguito, (lettera a'), in soluzione fisiol., contenente la so- stanza nelle proporzioni del 0,4%, dà luogo, dopo la prima immersione, ad un lieve aumento nella frequenza delle contrazioni ritmiche (da 22 diventano 30 per ogni 3’) e, dopo la seconda immersione, ad una piccola diminuzione della loro altezza. In altre esperienze, con quantità varie di sostanza, le modificazioni sulla funzione del ventricolo non furono, però, identiche a quelle ora descritte, tuttavia anch’esse furono di in- tensità senza confronto minore di quelle, che si osservano per le strut- ture muscolari liscie. Se ora consideriamo che fra i prodotti più semplici, derivanti dai processi putrefattivi del tessuto muscolare o di altre sostanze albuminose, ve ne sono alcuni, che presentano proprietà chimiche e fisiologiche ana- loghe a quelle della sostanza, separata dall’estratto muscolare in putre- fazione per mezzo della dialisi e di estrazioni alcooliche, possiamo ritenere come molto probabile che l’azione dell’estratto muscolare in putrefazione, sulla funzione tonica atriale del cuore di £wys, sia dovuta appunto ad 4 i & SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 19 alcuni di questi prodotti, e più precisamente a quelli, che corrispondono al gruppo chimico delle amine. Che infatti alcune amine abbiano azione eccitante, oltre che sulla funzione tonica della muscolatura liscia in genere !), anche sulla funzione tonica atriale del cuore di Ewmys europaea, risulta evidente da una mia esperienza, che ho fatto colla B - iminazolietilamina. Dal tracciato, ot- tenuto in questa esperienza (XXXIV), e riprodotto nella figura 23.* della tavola IV, si vede che gr. 0,002 di ff - èminazoliletilamina, aggiunti (in corrispondenza della lettera @) a 170 cc. di soluz. fisiol., producono un graduale aumento del tono atriale e la formazione di ampie e re- golari oscillazioni toniche. E che alcune altre amine, le quali egualmente si formano nei pro- cessi putrefattivi, abbiano un’azione opposta, ossia esercitino un’azione deprimente sulla funzione tonica di molte strutture muscolari liscie, fra le quali quella che in parte costituisce la parete atriale del cuore di Emys europaea, è cosa anch’essa nota ?). Cosicchè, ammettendo che nel tessuto muscolare, durante la putrefazione, si formino contemporaneamente amine, di cui aleune dotate di azione eccitante sulla funzione tonica delle strutture muscolari liscie, altre di azione deprimente, possiamo spiegarci l’effetto eccitante e deprimente dell’estratto muscolare in putrefazione, o della sostanza da esso separata per mezzo della dialisi e dell’estrazione alcoolica, sulla funzione tonica atriale del cuore di £mys europaea. E ammettendo ancora che, per azione piuttosto di alcuni che di altri dei “microorganismi della putrefazione, o per speciali condizioni, in cui si trovano i microorganismi, sì formino in prevalenza amine ad azione ec- citante o deprimente, possiamo ‘spiegarci come in alcuni casi si possa osservare in prevalenza un effetto eccitante, in altri, un effetto depri- mente. Da alcune esperienze, che ho riportato, s'è visto, infatti, che l’e- 1) Fra le principali ricerche su questo argomento citerò quelle di H. H. DALE AND P. P. LaipLaw: The Physiological action of 8 - iminazolylethylamine. Tourn. of Physiol. XLI, 318-344, 1910-11; e quelle di G. BarGER. AnD H. H. DaLn: } - iminazolylethylamine a depressor constituent of intestinal mucosa. Tourn. of. Physiol. XLI, 499-503, 1910-11. 2?) G. BarGER AND H. H.DaLr. Chemical structure and sympathometie action of amines. Iourn. of. Physiol. XLI, 19-59, 1910-11. G. QuagLiarIELLO. Ueber die Wirkung des 8 - Imidoazolylithylamins und des p - Oxyphenylithylamins auf die glatten Muskeln. Zeitserh. f. Biol. LXIV, 263-284, 1914. 80 G. BUGLIA stratto muscolare di cane in putrefazione da tre giorni, produsse una azione eccitante sulla funzione atriale, molto più forte di quella prodotta dall’estratto muscolare di un altro animale della stessa specie, in putre- fazione da sei giorni. Inoltre, se ammettiamo che l’azione dell’estratto in putrefazione sia dovuta alle amine in esso contenute, acquista attendibilità l’ interpretazione che abbiamo dato al fatto che una determinata quantità di estratto in putrefazione, aggiunta frazionatamente alla soluzione fisiologica, in cui funziona il preparato cardiaco, ha un’azione molto meno intensa di quella che avrebbe, se fosse aggiunta in una sol volta. Infatti è stato dimo- strato per alcune amine che, durante l’attività funzionale cardiaca, ven gono alterate e distrutte 1). Considerando, in fine, che la scissione bacterica delle sostanze albu- minose, in genere, conduce rapidamente ai prodotti più semplici e, quindi, anche alla formazione di amine, e che l’estratto muscolare, preparato appena da 12—24 ore, ha già un effetto apprezzabile sulla funzione tonica atriale del cuore di £7mys europaea (il che starebbe ad indicare la presenza in esso di amine), non dovrebbe sembrare del tutto invero- simile l’ipotesi che la funzione tonica atriale di cuori, che per un tempo piuttosto lungo hanno funzionato fuori dell’organismo (e quindi soggetti all’azione batterica), possa essere influenzata dalla presenza di amine de- rivanti dall’azione di bacteri sul tessuto cardiaco stesso. Oscillazioni di concentrazione delle amine ad azione eccitante o deprimente, formatesi nei tessuti del preparato cardiaco funzionante, darebbero luogo a quel fenomeno osservato dal Fano ?), consistente in ciò, che, durante la fun- zione atriale a lungo protratta, si osservano periodi di eccitazione tonica (oscillazioni del tono), alternati a periodi più o meno lunghi, nei quali non si manifestano oscillazioni del tono. CONCLUSIONI. 1.° Gli estratti acquosi putrefatti, del tessuto muscolare e del fegato di Emys europaea esercitano un’azione rilevante sulla funzione atriale del cuore di questo animale. 1) A.J. Ewins and P. P. LamLaw. The fate of parahydroxyphenylethylamine in the organism. TIourn. of Physiol. XLI, 78-87, 1910-11. ?) G. Fano Il. c. aa de SULLA FUNZIONE ATRIALE DEL CUORE DI EMYS EUROPAEA 81 Quest’azione essenzialmente consiste, dapprima, in un forte eccita- mento della funzione tonica, accompagnata da un’apparente diminuzione della funzione ritmica, dovuta al fatto meccanico dell’accorciamento del preparato; in un secondo tempo, invece, l’azione consiste in una depres- sione della funzione tonica, a cui segue un aumento dell’altezza delle contrazioni ritmiche, dovuto alla diminuzione del tono. Da ultimo la funzione tonica e ritmica vanno gradatamente spegnendosi. Anche gli estratti muscolari putrefatti di altri animali, come ad esempio della rana, del bue, del cane, esercitano un’azione analoga a quella del tessuto muscolare e del fegato di Ewmys in putrefazione. Già dopo 12-24 ore dalla preparazione dell’estratto, quando ancora il tessuto muscolare non presenta, o presenta soltanto lievi manifesta- zioni esteriori della putrefazione, si può osservare un effetto notevole. Dopo due o tre siorni dall’inizio dei fenomeni putrefattivi, si ot- tiene un'azione massima, che però non è sempre egualmente intensa, neppure nel caso di estratti muscolari di animali della stessa specie. L'azione dell’estratto muscolare in putrefazione, quando specialmente non è molto intensa, diminuisce ed anche scompare in seguito a ripe- tute lavature del preparato cardiaco con soluzione fisiologica. Gli effetti dell’ estratto muscolare in putrefazione sulla funzione atriale del cuore di E£mys sono del tutto analoghi a quelli osservati dal Fano coll’estratto di cuori che, isolati dall'organismo, hanno funzionato per diverso tempo. 2.° Le così dette “ sostanze estrattive ,, del tessuto muscolare, sotto- posta all’azione bacterica agiscono nello stesso modo dell’estratto mu- scolare in toto. 3.° L’estratto del tessuto muscolare, bollito per più di 15', eppoi lasciato putrefare, non acquista più la proprietà di eccitare la funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea; acquista peraltro un’azione deprimente sia sulla funzione tonica, sia sulla funzione ritmica fonda- mentale. Ciò fa pensare che l’azione, sulla funzione tonica atriale, del- l’estratto muscolare in putrefazione, sia duplice, (eccitante e deprimente) e dipenda da due o più sostanze diverse, delle quali alcune, quelle ad azione eccitante, non si formerebbero più, quando si è fatto bollire l’e- stratto muscolare. 4.° Analogamente all’estratto muscolare in foto, agiscono, il liquido di dialisi dell’estratto muscolare e la sostanza che, per mezzo di estra- zioni alcooliche a freddo, si separa dal residuo del liquido di dialisi. So. Nat. Vol. XXX. (i 82 G. BUGLIA del biureto; alcalinizzata e riscaldata sviluppa vapori basici infiammabili; trattata con nitrito sodico dà luogo alla formazione di liquido oleoso. 5.° Questa sostanza agisce, oltre che sulla funzione atriale del cuore di Emys, anche sulla funzione di altre strutture muscolari liscie (eso- Questa sostanza, insolubile o quasi in etere, non dà la reazione fago di pulcino, intestino di gatto, muscolo retractor peris di cane, ecc...); essa però non esercita un’azione egualmente notevole sulla funzione della muscolatura striata (ventricolo del cuore di Emys). 6.0 Le sue proprietà generali, chimiche e fisiologiche sono analoghe a quelle di alcuni prodotti che facilmente si formano durante i fenomeni putrefattivi delle sostanze albuminose, ossia a quelle delle amine, delle quali, come è noto, alcune manifestano azione eccitante, altre azione deprimente, sulla funzione di molte strutture muscolari liscie ed anche sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea. Per cui è pro- babile che la duplice azione dell’estratto muscolare in putrefazione, sulla funzione tonica atriale del cuore di Emys europaea, dipenda dalla pre- senza in esso di amine, formatesi per opera bacterica, alcune ad azione eccitante, altre ad aziune deprimente. sima rrinra dee nà sele cd ditte le Acenta SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Le grafiche delle fig. 19, 20, 21 furono raccolte sopra un cilindro, che faceva un giro ogni 24 ore, per cuì 1 em. del tracciato equivale a 507. Quelle delle altre figure furono raccolte so0- pra un cilindro, che faceva un giro in 807, per cui 1 em. del tracciato corrisponde a 36°. Le figure sono ridotte » 2/3. Tavora VIII [Is Fig. 1. — Ina immersione del preparato cardiaco nell’estratto muscolare di Emys, in putrefazione da 7 giorni. » 2.— Ina. id. id. di Emys, in putrefazione da 2 giorni. » 3.— Ind id. id. di Emys in putrefazione da 24 ore; a id. id. fresco di Wmys. » 4. — na. id. id. di Emys ottenuto da muscoli raccolti dopo 24 ore dall’uc- cisione dell’animale. ‘» 5. — Ina immersione nell’estratto muscolare di rana, in putref, da 30 ore » 6.— Ina id, id. id. di fegato di 2mys » da 2 giorni, » T.—- Ina id. id. id. di m. striati di due » » 2 giorni. TavoLa IX [II]. » 8. Ina id. id. muscolare di cane » » . 6 giorni. SERIO = STnidi Idi. id. id. » » 3 giorni, » 10.— Ina id. id. muscolare di £mys bollito per 5' ein putref. da 20 giorni. » li. na id. id. » » » » » 10° » » 19 giorni. » 12.— Ina id. id. » » » » » 30 » » 10 giorni, b id. id. in putrefazione da 1 mese e non bollito. » 13.— Ina id. id. » » » » » 60 » » 41 giorni. Tavora X [III]. » 14 — Ina immersione nel liquido di dialisi dell’estratto muscolare di Emys (dialisi in presenza di toluolo); b id. id. » » di dialisi dell’estratto muscolare di Emys (dialisi senza toluolo). » 15. — Ina immersione in soluz. fisiol. contenente °/, gr. 0,5 di residuo del- l’estratto alcoolico del liquido di dialisi della poltiglia muscolare di Emys, in putrefazione. . 16. 18. 19. 20. 23. G. BUGLIA Ina id. (gr. 0,05 di sostanza %, ce. di soluz. fisiol.) In a immersione in soluz. fisiol. contenente °/, gr. 0,02, di residuo dell’estratto alcoolico del liquido di dialisi della poltiglia musco- lare di due, in putrefazione. Tavona XI [IV]. In a immersione in soluz. fisiol. contenente il residuo dell’ estratto etereo del liquido di dialisi della poltiglia muscolare Gi 2mys, in putrefazione ; b immersione in soluz. fisiol. contenente il residuo dell’ estratto alcoolico. . (grafica delle contrazioni dell'esofago di pulcino) Temp. 26° C. Ind immersione del preparato esofageo in liquido di Ringer (150 cc.) » a si aggiungono al liq. di Ringer gr. 0,01 della sostanza ottenuta dall’estratto alcoolico del liquido di dialisi della poltiglia musco- lare di #mys, in putrefazione ; » a' nuova aggiunta di gr. 0,05 della stessa sostanza; » D' si sostituisce il liquido con nuovo liquido di Ringer, puro ; » a" si aggiungono gr. 0,03 della stessa sostanza. (grafica delle contraz. di intestino tenue di gatto). Temp. 28° C. In a si aggiungono ai 150 cc. di soluzione fisiol., gr. 0,005 della so- stanza usata nell’esperienza precedente. » a' si aggiungono gr. 0,02 della stessa sostanza. (grafica delle contrazioni di muscolo retractor penis di cane). Temp. 28° C. In a' si aggiungono ai 150 cc. di liq. di Ringer, gr. 0,02 della so- stanza usata nell’esperienza precedente; » a" si aggiungono gr. 0,02 della stessa sostanza; b si abbassa la temperatura. (grafica delle contrazioni del ventricolo di Emys europaea). In a immersione del preparato cardiaco in soluz. fisiol. contenente °/o, gr. 0,2 della sostanza usata nelle esperienze precedenti; » a' aggiunta di gr. 0,4 della stessa sostanza. (grafica delle contraz. atriali del cuore isolato di Emys europaea). In a immersione del preparato cardiaco in soluz. fisiol. contenente 9/o, gr. 0,002 di 8 iminazoliletilamina. F. AZZINI FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO ae Generalità sul filone. Fra i filoni incassati negli scisti cristallini che si trovano sul pendio meridionale dei monti a nord della strada nazionale Edolo-Passo del- l’Aprìca, quello che s'incontra a 300 m. dopo Galleno è il più impor- tante per le sue maggiori dimensioni e meglio degli altri si presta ad uno studio litologico, perchè meno alterato. Esso affiora a fianco della strada nazionale e sulla strada stessa e si mostra diviso in due rami che probabilmente più in alto, data la loro direzione convergente, si riuniscono in uno solo; infatti, salendo per circa 100 m. il monte, sui fianchi di esso non affiorano più due filoni, ma uno solo. Il ramo a occidente è largo circa 24 m., e, mentre sugli scisti della parte sinistra, dai quali è separato da una fessura di circa 50 cm. riem- pita di materiale detritico proveniente dal declivio soprastante, non ha esercitato alcuna azione di contatto, ne ha esercitato una lieve su quelli dell’altro lato, ai quali è intimamente unito. Anzi una zona di questi scisti che si estende per circa 4 m. e che si trova ricoperta dalla roccia eruttiva per un espandimento di essa, mostra di aver subìto un’azione più energica, presentando, come dirò più a lungo in seguito, una struttura più compatta e la biotite, come minerale di nuova formazione. Questi ultimi scisti hanno una direzione N85°0 — S 85°E e una inclinazione di 40° verso Ovest. Il ramo a destra invece ha una potenza di 50 m. ed è, alla sua volta, suddiviso in basso in due rami che avvolgono completamente una piccola zona scistosa di circa 5 m. di larghezza, la quale non mostra sensibile metamorfismo, î 86 F. AZZINI Il filone è quasi verticale e diretto press’a pocc perpendicolarmente alla direzione degli scisti che lo racchiudono (N10°E). Questi risultano di strati sottili di granuli di quarzo, alternati con altri cloritico-micacei, i quali si modellano intorno a noduli di quarzo affumicato, a grana più o meno grossa. Sono alle volte assai contorti e, a seconda che il nu- mero e la potenza degli straterelli quarzosi e cloritici aumentano a spese degli uni e degli altri, la roccia assume l’aspetto di una vera quarzite o di una vera fillite. Se ne hanno però numerose varietà, tut- tavia sempre appartenenti alla categoria delle rocce nettamente cristal- line del SALOMON !) e simili ai micascisti: anzi, quando aumenti il con- tenuto della muscovite, e in conseguenza la lucentezza da essa determinata. nei piani di scistocità, si hanno rocce cui forse spetterebbe il nome di micascisti. Il filone in parola appartiene a quella categoria che gli studiosi della regione chiamano, per il colore, dei “ filoni scuri , ed è costituito da una roccia eruttiva granulare, più distintamente cristallina al centro che non ai lati. Un campione, forse dello stesso filone o di uno vicino, fu studiato dal Riva *): tuttavia poichè i risultati ai quali giunge sono in parte di- versi dai miei e poichè egli non si occupò dell’azione di metamorfismo della roccia eruttiva ‘sugli scisti di contatto, non credo inutile il pre- sente lavoro. Scisti clorito-quarzoso-micacei. Costituiscono tutta la formazione fillitica della sinistra dell’Ogliolo. Possono assumere facies diverse, ma generalmente presentano una massa clorito-micacea, di colore grigio-scuro-verdastro, con riflessi biancastri. Nella massa cloritica sono sparsi dei noduli di quarzo; alle volte invece questo minerale è esso pure disposto a strati, ora alternati a quelli di clorite, ora no, assai sottili, oppure dello spessore anche di un decimetro. Al microscopio si riconoscono, come componenti essenziali, quarzo, 1) W. SALoMoN. Geologische und petrographische Studien an Monte Aviolo in italienischen Antheil der Adam-llogruppe. Zeitsch. d. deut. geol. Ges. Berlin 1890. 2) Le rocce paleovulcaniche del gruppo dell'Adamello. Memorie del R. Ist. Lomb. di Sc. e Lett., (3), XVII-XVIII, fasc. VI, pag. 214-15, Milano, 1896, RI E Ea. Tee TASTO FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 87 mica bianca e clorite; fra quelli accessori: feldspato, magnetite, titanite, tormalina, apatite, rutilo, zircone. Il quarzo è in granuli rotondeggianti, assai piccoli (mm. 0,04) o in individui maggiori dai contorni irregolari e che, nelle sezioni perpen- dicolari alla scistosità, appaiono di dimensioni notevoli (lungh. mm. 1,8, largh. mm. 1,2). Mostra evidentissima l’estinzione ondulata e una strut- tura cataclastica, per la quale a luce naturale gli individui sembrano unici, mentre a nicol incrociati appariscono costituiti da tanti altri assai più minuti. È sparso irregolarmente nella massa cloritica e forma dei noduli contenenti venuzze di mica e clorite; assai torbido per inclusioni fluide, spesso include apatite, aciculi di rutilo, di tormalina, granuli di zircone minutissimi, sottili laminette di clorite. La mica bianca è quasi sempre sotto forma di sericite, ma non mancano lamelle assai estese di muscovite, sfrangiate alle due estremità. Ha sfaldatura bene evidente secondo (001), mancanza di rilievo, estin- zione parallela alla sfaldatura, grande angolo degli assi ottici, vivaci colori di interferenza. È spesso inclusa in altri minerali, feldspato e quarzo, e raramente presenta essa delle inclusioni, fra le quali, più fre- quenti, quelle di quarzo. Molto frequente è la clorite in laminette isolate che non superano mai Ja lunghezza di 0,1 mm. e che mostrano spesso il colore d’inter- ferenza azzurro, o talvolta anche marrone, anomalo, caratteristico. Ha un pleocroismo abbastanza sensibile che dal verde chiaro va al verde scuro. Più spesso però le lamelle accompagnano, anzi si confondono con le masse di muscovite e di sericite: in questo caso non mostrano la sfaldatura, nè i colori anomali e presentano un pleocroismo assai debole. Il feldspato è probabilmente tutto plagioclasio perchè certi gra- nuli, non geminati e più alterati degli altri, che potrebbero essere ri- feriti all’ortose, hanno carattere ottico positivo. Il plagioclasio si trova in lamine grandi, che possono raggiungere anche la lunghezza di 1 mm.; a contorni irregolari, dentellati, quasi come il quarzo, costituenti spesso dei noduli; poco limpide per altera- zioni e per numerose inclusioni, e con interposte, fra le une e le altre, delle venuzze di caolino polverulento; si mostra anche in individui più piccoli e regolari. In alcune lamine del primo tipo, a contatto favorevole col quarzo, bo determinato: CZIO IE 88 F. AZZINI Raramente si presenta geminato e perciò non ho potuto fare una determinazione certa dell’angolo di estinzione della zona simmetrica; dal solo carattere della rifrazione posso stabilire trattarsi di un termine acido, albite od oligoclasio. Il plagioclasio in lamine più piccole ha contorni rettilinei ed è sparso qua e là, ora in mezzo alla massa cloritico-micacea, ora tra i granuli di quarzo e talvolta anche tra le lamine del plagioclasio a maggiori di- mensioni. Sempre limpido, esso pure meno rifrangente del quarzo, si mostra quasi sempre geminato secondo la legge dell’ albite. Di pa- recchie sezioni della zona simmetrica ho determinato l’angolo di estin- zione e non ottenni mai un valore superiore ai 16°, per cui si tratta certo di albite, che credo di nuova formazione. La magnetite è abbondantissima, ora in granuli rotondi, piuttosto grossi, ora in listarelle o in sezioni quadrangolari, più spesso in gra- nuli piccolissimi, quasi polverulenti. In alcuni casi mostra un orlo gial- lastro, per un principio d’alterazione in limonite. La titanite è frequente, in masse piuttosto irregolari, spesso cu- neiformi, che talvolta mostrano la sfaldatura (110). Indice di rifrazione assai elevato, pleocroismo non troppo bene distinguibile, colori d’inter- ferenza molto alti. Si scorgono inclusi in essa dei granuletti opachi, probabilmente di ilmenite. Si trova spesso la tormalina in cristalletti minuti, colonnari, quasi incolori, sparsi con una relativa abbondanza in mezzo alla massa clo- ritica, e in individui più tozzi, terminati ad un’estremità da un romboe- dro, dall’altra rotti, molto rifrangenti, con pleocroismo assai evidente: = giallo marrone «= giallo pallido; con colori vivaci di polarizzazione. L’apatite è spesso in cristalli colonnari, con tracce di frattura tra- sversali e mostranti bassa birifrazione, allungamento negativo ed estin- zione a 0°, L’ilmenite è abbastanza frequente o inclusa nella titanite o fuori di essa; appare in granuli più o meno regolari, con orlo leucoxenico. In alcune sezioni non se ne trova traccia e in sua vece è abbondante la tita- nite da cui sembra esser sostituita. Il rutilo si trova in minuti aghetti, specialmente inclusi nel quarzo e attorno all'orlo leucoxenico del ferro titanato. È molto raro lo zircone, in forma di prismetti più o meno arro- tondati, rilevati, incolori, con birifrazione elevata. SÒ FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 89 Dei rari cubetti di pirite si riconoscono dalla lucentezza metallica gialla. L'analisi chimica mi ha dato il seguente risultato: EEN A 9:81 STO SA a N 62:80. RO er Sia 1,98 BROS e LAGce ATTORE RI IA A TR Fez 0,) RUOLI 7,10 CAO, pe ast10493 MEO 74 Re Reee e e i La 03:00) REGOLE Si ee n DIOR e racco 100,88 P. sp. 2,734 Calcolando l’analisi con il metodo dell’Osann, modificato dal Gru- benmann, si ottiene: S=73,32; A=38,89; C=1,15; F=8,99; M=0,00; T=7,61; K=2,11 G=563 e=15s {= 18,0 Seisti a contatto colla roccia eruttiva. Sono costituiti di straterelli sottilissimi a grana minuta, di colore grigio-verde, alternativamente più chiari, quarzosi, e più scuri, clorito- micacei. Sulla scistosità mostrano delle laminette di biotite la quale dà alla roccia un riflesso bronzino e si deve ritenere come originatasi per il contatto colla diabase. Minerali essenziali sono: quarzo, muscovite, biotite, clorite. Il quarzo è l’elemento più abbondante della roccia e presenta gli stessi caratteri del quarzo degli scisti precedentemente descritti. Anche qui ora costituisce dei noduli, ora invece è sparso insieme a poche la- mine di feldspato in mezzo alla massa micacea e cloritica. Alle volte si trova incluso, in minuti granuli, nelle lamine di mu- scovite e biotite o in quelle di feldspato, e alle volte invece è esso che include questi stessi minerali. Sempre però mostra abbondanti inclusioni fluide, 90 F. AZZINI La muscovite si trova per lo più finamente fibrillare, perciò si deve riferire a sericite. Con i consueti caratteri, non è raro vederla con- cresciuta con della biotite trasformata in clorite; avvolge dei granuli di quarzo, di zircone, delle sottili laminette di feldspato. La biotite si presenta, nelle sezioni parallele alla scistosità, in lamine secondo la base, lunghe mm. 1.5, quattro volte meno larghe, con an- golo degli assi ottici piccolissimo, non includenti nessun minerale. Nelle sezioni normali le lamine si mostrano assai irregolari e fra- stagliate, piegate sinuosamente e con estinzione ondulata; fenomeni certo dovuti a dinamometamorfismo. Non raramente la biotite si è trasformata in clorite e la trasforma- zione può essere più o meno avanzata; include sempre dei granuli di magnetite che sono disposti generalmente lungo le linee di sfaldatura e la quantità di essi aumenta con l’alterazione della biotite. Le lamine inalterate presentano una sfaldatura basale assai netta, rilievo poco notevole, pleocroismo energico: g.= giallo pallido; 8=y= rosso-marrone scuro; colori di interferenza vivacissimi, estinzione retta. Oltre alla magnetite citata esse includono spesso dei granuli di quarzo, di feldspato e di zircone con aureola policroica. Di clorite vi sono due varietà: quella derivata per alterazione dalla biotite e quella che si presenta, come al solito, in lamine distinte, prov- viste di pleocroismo, colore di polarizzazione azzurro anomalo, mai con- cresciute con qualche lamina di mica. Fra gli elementi accessori sono da ricordare feldspato, magnetite, apatite, zivcone e tormalina. 3 Il feldspato si trova come plagioclasio e forse anche come ortose, dovendo ripetere per questo minerale quello che ho già detto nella de- scrizione della roccia precedente. È vero che nelle sezioni parallele alla scistosità si scorgono spesso delle lamine senza geminazione: queste però mostrano una rifrangenza solo di poco inferiore a quella del quarzo, hanno carattere ottico positivo, quindi sembra non si debba trattare di ortose. Il plagioclasio, anche in questo campione, si presenta in due va- rietà; l’una in lamine dai contorni irregolari, dentellati, come il quarzo, e generalmente grandi, sempre torbida per inclusioni, ma specialmente per alterazione in muscovite; questa alterazione è incominciata dall’e- sterno delle lamine; raro è il caso però che essa interessi tutta una Min: e FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 91 lamina. L'altra varietà invece è in granuli che non sorpassano mai le di- mensioni di 0,4 mm., a contorni rettilinei, sempre limpidi, anche più del quarzo, generalmente geminati secondo la legge dell’albite. La misura dell’angolo di estinzione delle lamine della zona simme- trica non mi ha mai dato un valore superiore a 16°; il confronto poi della rifrazione con lamine di quarzo ad assi paralleli e incrociati diede, per tutte le varietà, come risultato: = ed ad er, Si tratta dunque di albite. Può includere laminette di muscovite, di clorite, aciculi di tormalina. È abbondantissima la magnetite, sia in granuli rotondeggianti 0 rettangolari, piuttosto grossi, sia in granuli piccoli, quasi polverulenti che danno alla sezione un aspetto di poca limpidezza. È alterata spesso in limonite perchè talora mostra per riflessione un orlo giallastro. L’apatite si trova in cristalli allungati, con frattura perpendicolare all’allungamento del cristallo, colori d’interferenza bassi. Lo zircone è in cristalli minuti, un po’ allungati e, ora terminati evidentemente da facce di piramidi, ora arrotondati. Come al solito ha notevole rilievo, potenza birifrattiva forte, La tormalina è rara. L'analisi chimica mi ha dato il seguente risultato: HROsgRi so sara SCORRETTO NOS Aia ou EROI E NUEFACGE ATO RE A 84 Fe, O, ma i en 4.57 Carte ei 1.20 MEO e) RI RO ei NOR e E 8 SOLE a VILtTA Cce 100.57 RESP E 2706 0 DE F. AZZINI Da essa si ricava: =76,03; A=5,41; C=1,40; F=6,99; M=0,00; T=3,36; K = 1,79 G= 80053 e=39003 {= 9. Altri campioni di scisti, che pure sono a immediato contatto con la roccia eruttiva, mostrano una facies affatto diversa e pure diversa, in parte, la costituzione mineralogica. Un campione, per es., è di un colore grigio-verdognolo, assai compatto e non mostra che debolmente il riflesso bronzino, dovuto alla biotite. i Microscopicamente si mostra costituito di una massa minutamente e fittamente granulare di quarzo e di feldspato, attraversata da dei sot- tili filoncini di muscovite e di sericite. Il feldspato (albite), in piccola quantità, si presenta in lamine mi- nute, dai contorni sfrangiati alle estremità, e cogli stessi caratteri del precedente. La biotite è molto scarsa. Alcune lamine presentano, specialmente agli orli, dei minuti aghetti di rutilo, variamente intrecciati: ciò sta- rebbe a indicare che si tratta di biotite titanifera. La titanite è molto abbondante, in masserelle irregolari, rara- mente cuneiformi. Quasi mai si estingue perfettamente per la grande dispersione degli assi dell’indicatrice. E molto rilevata e presenta una forte sagrinatura; è biassica ed ha birifrazione elevata con carattere po- sitivo ed angolo degli assi ottici assai piccolo. Si nota un leggero pleo- croismo essendo: o= quasi incoloro; 8= verdastro giallognolo; = giallastro. Accanto alla titanite si vede spesso un minerale incoloro, molto ri- levato, con colori bassi d’ interferenza, che si deve ritenere zoisite. Probabilmente si tratta della varietà 2 — zoisite come starebbero a pro- vare i colori d’interferenza anomali. In questo scisto è pure degna di nota la presenza dell’epidoto. Si mostra ora in cristalli allungati secondo l’asse Y, ora invece in sezioni esagone, perpendicolari allo stesso asse. I cristalli allungati, di forma più o meno nettamente rettangolare, presentano delle tracce di sfaldatura (001) parallele all’ allungamento, secondo le quali avviene l’estinzione. Le sezioni esagone mostrano pure delle tracce di sfaldatura (001), che per la forte rifrazione appaiono come solchi. Sia gli uni che le altre hanno rilievo notevole, pleocroismo insigni- ficante, che dal giallo pallido passa al giallo-verdastro bruno, colori d’interferenza vivacissimi, FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 93 La tormalina è abbondante, per lo più in cristalli allungati, ter- minati, come al solito, ad un’estremità da un romboedro, all’estremità opposta o dalla base o, più spesso, irregolarmente. Mostra sovente delle fessure trasversali, abbastanza regolari; ha birifrazione negativa, for- tissimo assorbimento essendo: © = bruno intenso; «= giallo-bruno ; sovente è inclusa nel quarzo, essa invece è povera di inclusioni; solo può contenere qualche sranulo di magnetite, squamettine di biotite, piccoli cristalli di zircone, granulini di quarzo. Notevole la grande scarsità degli ossidi di ferro; è presente invece qualche granulo, più o meno grosso, di ilmenite, trasformata agli orli in leucoxeno e in rutilo in piccolissimi aghetti, scuri per il loro forte rilievo. Lo zircone è scarso; in cristalli piccoli, preferibilmente inclusi nel quarzo e nella biotite. Diabase. È una roccia di colore grigio-verdastro, durissima e presenta, più o meno marcata, la tendenza a una struttura a strati, secondo i quali più facilmente si spacca. Nelle superfici di frattura si vedono non ra- ramente -dei piccoli cristalli di pirite. Vicino al contatto cogli scisti è costituita d’una pasta minuta, nella quale a mala pena colla lente si arriva a scorgere delle piccole lamine di feldspato; invece, quanto più è lontana dal contatto, assume sempre più un aspetto cristallino, così che in certi campioni si scorgono distin- tamente, anche ad occhio nudo, le laminette di plagioclasio, che hanno una disposizione raggiata, quelle di biotite, dai colori bronzei, i cristal- lini neri di anfibolo e pirosseno. In corrispondenza della massa più o meno visibilmente cristallina, le lamine di feldspato appaiono più o meno alterate in caolino, sericite e muscovite, i cristalli di augite in uralite e l’orneblenda assume un aspetto variabile. La roccia del centro del filone ha struttura ofitica. I suoi elementi principali sono il feldspato, l’augite e l’orneblenda. Il feldspato, plagioclasio, è di due tipi: un termine basico, molto vicino alla labradorite, ed uno assai più acido, molto limpido, forse neo- genico. Le liste, sia dell’una che dell’altra specie, possono essere riunite in gruppo raggiato, ovvero alternate le une alle altre; mostrano talora 94 i F. AZZINI di aver subìto azioni meccaniche, cioè sono piegate, rotte e con estin- zione ondulata. Inecludono dei minuti cristalli di apatite, delle lacinie di uralite, di mica bianca, di clorite e presentano non raramente un orlo più acido. Sono tutte geminate secondo la legge dell’albite: mo- strano alcune la doppia geminazione albite-Carlsbad e quella albite- periclino. Alcune, confrontate con il hbalsano, danno: ESD KE come massimo dell’estinzione simmetrica 30° — 35°. Inoltre da alcuni geminati doppi ebbi questo risultato : I Il 190 300 200 240 200 31° 170 GDO - 200 32° 190 28° Si tratta perciò di una labradorite circa Ab, — An,. Altre lamine invece limpidissime danno, confrontate con il balsamo, d=% |> come massimo dell’estinzione simmetrica 24°; si tratta evidentemente di un termine più acido, forse di nuova formazione. L’augite è per lo più inalterata, spesso concresciuta colla mica bio- tite e con l’orneblenda basaltica. Include granuli di feldspato, di magne- tite, lacinie di mica biotite, di clorite. Le sezioni perpendicolari a e mo- strano due sistemi di linee di sfaldatura ad angolo quasi retto secondo (110), quelle parallele a c mostrano un solo sistema. Alcuni cristalli presentano la geminazione secondo 1’ ortopinacoide (100), altri la, geminazione a croce, secondo (101) e altri ancora pre- sentano la struttura a orologio a polvere. Il rilievo e la rifrazione sono alti, il colore roseo assai pallido, il pleocroismo quasi nullo, la birifrazione positiva, l’ angolo di estinzione c: raggiunge il valore massimo di 49°. Caratteristico di questa augite è il piccolo angolo degli assi ottici, che ho determinato in più sezioni di media luminosità, cioè normali alla bisettrice acuta. Col metodo del MacrarD ho trovato: ZII= 90906, corrispondente a un valore di: DW= BI, se si prenda B= 1,704, mentre il valore di 2 V dovrebbe andare gene- ralmente da 50° a 60°. FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 95 L’orneblenda è assai abbondante in lamine spesso idiomorfe con {110} {O10}, talvolta invece a contorni irregolari; però nell’un caso e nell’altro più piccole dei cristalli di augite. Quelle perpendicolari a € presentano la sfaldatura parallela a (110), con angolo di 124°. Mostra i caratteri propri dell’ orneblenda basaltica, cioè rifrazione energica. bi- refrazione notevole e negativa, pleocroismo assai energico: a= giallo chiaro; 8 quasi uguale ad a; {= marrone intensissimo; angolo di estinzione c: che raggiunge il massimo valore di 15°. Qual- che sezione mostra l’orlo opacitico, costituito da cristallini di augite e da granuli di magnetite. Si trova, come ho detto, concresciuta spesso con l’augite da cui è separata mediante una linea netta. Non così invece quando è concresciuta con un anfibolo verde, di cui parlerò descrivendo la roccia vicina al contatto e nella quale esso si trova assai più abbon- dante. Talvolta in quest’anfibolo verde si scorgono numerose lamelle inter- poste di orneblenda basaltica che si estinguono simultaneamente e che quindi devono appartenere ad un medesimo individuo. La biotite è abbondante in lamine allungate, piegate, sfrangiate all’estremità. Mostra i soliti caratteri ottici e un pleocroismo forte, un po’ differente da quello riscontrato nella biotite degli scisti: a= giallo; 8="="rosso mattone scurissimo tendente al rosso-vino. Questa tinta rosso-vino viene acquistata gradualmente avvicinandosi al centro del filone; la biotite include frequentemente della magne- x tite e dell’ilmenite, è concresciuta o coll’anfibolo o col pirosseno ed è in tutto o in parte alterata in clorite; ha estinzione. ondulata. La clorite, leggermente verdolina, è ricca di granuli di magnetite derivati certamente dall’alterazione della biotite. La calcite è abbondante, interposta fra le liste di plagioclasio e le lamine di anfibolo verde. Distinta è la sua sfaldatura (100), negativa la birifrazione, quasi nullo il rilievo; non ha sagrinature, è priva affatto di inclusioni, spesso mostra la struttura polisintetica per la geminazione (100); ha vivacissimi colori di polarizzazione. La magnetite è molto abbondante in granuli più o meno grossi, interposti ovunque. Non è rara neppure l’ilmenite, sia nelle forme caratteristiche a graticola, sia in quelle a sporgenze lobose irregolari; alle volte alterata in leucoxeno. L’ apatite, in cristalletti prismatici, può essere interclusa nelle la- 96 FP. AZZINI mine di orneblenda basaltica, di plagioclasio, o compresa tra le liste di questo minerale. Si osservano anche dei cubi di pirite dai riflessi giallastri. L'analisi chimica mi ha dato il seguente risultato: BO catene E 0, 96 SHOSE Ei O A 08 Ti Oer UA ONORIO) PrO ERE MRNEACCE ALLO renti e 98 e 13,95 Cao ad 10958 ME e AI KO NOE Se SIOE RIA CCE 100,94 P. sp. 2, 966 Calcolando l’analisi con il metodo dell’Osann si ottiene: SE=0 oe A do Ra 097 300 = 8,005 2= 7,523 =0, 795 @= 23,503 @e=2,,505 {= IS, 80. La roccia vicina al contatto cogli scisti ha gli stessi componenti essen- ziali della roccia del centro. Il feldspato però non è determinabile per la sua alterazione, che si può estendere a tutta una lista oppure limitarsi a un punto mediano rispettando le estremità. Le sue lamine hanno una disposizione fibroso- raggiata e qualche volta sono addossate le une alle altre a guisa di ventaglio. L’augite è essa pure alterata e l’ alterazione è di due tipi: la prima, più o meno completa, dà origine ad uralite in fibrille, ricchis- sima di granuli polverulenti di magnetite con: a= giallo pallido; 8= verde; = verde intenso. L’altra alterazione conduce al formarsi di un anfibolo incoloro, senza alcuna traccia di struttura fibrillare. Gli individui si presentano in lamine a contorni netti, allungate o esagone, che raggiungono anche la lunghezza di mm. 1,5, costituite di tante laminette tutte orientate diversamente; non includono ossidi di ferro, spesso sono circondati da un orlo del- FILONE. DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 97 l’anfibolo precedente, hanno colori vivacissimi di polarizzazione. Si tratta di tremolite, L’orneblenda ha un aspetto abbastanza fresco e si presenta in lamine molto allungate. Non accompagna in nessun modo l’augite e in- clude spesso granuli di apatite, laminette di feldspato, mai ossidi di ferro. Ha netta sfaldatura parallela a ce, pleocroismo notevole: o= giallo-paglia; 8 = verde; = azzurro-verde. Vivaci colori di polarizzazione e un angolo di estinzione c: che può raggiungere il massimo valore di 24°. Manca l’orneblenda basaltica. - Conclusioni. Per avere una direzione perpendicolare a quella degli scisti incas- santi il filone, seguendo le idee del SaLomon !) deve ritenerersi non già un filone-strato ma o un filone di fessura o un filone libero, non sapendosi se la frattura che lo accoglie fosse preesistente alla intrusione del magma (che, sempre secondo il suddetto autore, sarebbe avvenuta sulla fine dell’era terziaria) o almeno predisposta a formarsi sotto la pressione di esso, oppure no. È fra i filoni di maggiore potenza del gruppo dell’A- damello. Gli scisti, appartenendo dal punto di vista geologico, al gruppo delle quarzo-filliti di StacHE, si dovrebbero ritenere scisti cristallini recenti, secondo la divisione che fa il SaLomon delle formazioni scistose cri- stalline dell’Adamello, e cioè cambriani o tutt’al più precambriani. La roccia eruttiva ha esercitato solo una lieve azione di contatto sugli scisti, infatti questi non mostrano i fiocchetti d’ilmenite provveduti d’un’orlatura biotitica, che vengono descritti dal SALomon o dal Riva per quelli vicini ad alcuni dicchi di diorite, e non presentano i minerali più caratteristici del metamorfismo di contatto, cioè cordierite, andalusite, sillimanite, chiastolite, ecc. Solo hanno assunto, come minerale di nuova formazione la biotite, e sono divenuti nella loro struttura assai più com- patti, due fenomeni che, per quanto lievi, si devono ritenere prodotti dal contatto della roccia eruttiva. Interposte fra questi scisti si trovano delle ‘rocce eminentemente 1) Die Adamellogruppe. I u. II Theil. ; Abh. d. k. k. geol. Reichsanst., XXI, Heft 1-2. Wien 1910. Sc, Nat. Vol. XXX / 98 F. AZZINI quarzose, vere e proprie quarziti: non ostante la loro vicinanza alla roccia eruttiva, non furono punto influenzate da questa, certo in seguito alla loro composizione chimica e mineralogica, così diversa dagli strati fillitici. Oltre queste modificazioni esomorfe, prodotte negli scisti dal con- tatto della roccia eruttiva, nella roccia eruttiva stessa si osservano delle modificazioni endomorfe date dalla diminuzione della grana cristallina e da una tendenza alla struttura spilitica, che si verifica specialmente nella diabase periferica, cioè più vicina agli scisti incassanti. Confrontando poi i risultati ottenuti nelle analisi chimiche con altri di rocce affini, ecco ciò che ho trovato. Fra le numerose analisi di scisti cristallini quelle che più si avvi- cinano all’analisi dello scisto Jontano dal contatto, sono quelle delle filliti sericitiche del tunnel del Sempione. 1) Di queste furono analizzati due campioni, di cui l’uno a 1120 m. sul mare l’altro a 600 m. I valori di @, c, f sono rispettivamente: IT \@=5,593 e=2,05=19,5, IN @a=9,03 e=3;03 =13,00, L'analisi chimica degli scisti sericitici della Val Camonica, citati dal Sacomon nel suo lavoro “ L'origine degli scisti sericitici in Val Camo- nica ,, Brescia 1908, ha dato invece dei risultati notevolmente diversi. Lo scisto di contatto corrisponderebbe per la sua composizione chimica ad uno gneiss albitico-sericitico ricco di allumina di Jonnaj, della Val de Bagne, di Wallis per il quale i valori di @, c, f sono: a==8,05 e=3,0; j=10,0. Ciò farebbe supporre che il contatto della roccia eruttiva abbia mo- dificato di un po’ la composizione chimica dello scisto incassante, mentre invece è noto che in genere per nulla chimicamente vengono modificati gli scisti cristallini dal contatto colle rocce eruttive, specialmente se basiche. Però è da notare che questa diversità nella composizione chimica dello scisto di contatto probabilmente dipende dal fatto che esso può appar- tenere a una facies diversa della zona scistosa. Per la diabase invece ho confrontato i risultati della mia analisi, con quelli di parecchie altre diabasi, date dall’Osann 2), e le diabasi che 4) GrUBENMANN. Die Kristallinen Schiefer, 176. Berlin1910. 2) Versuch einer chemische Classification der Eruptivgesteine. TscHERMAK'S. Mitth., XX, 397. Wien, 1901. FILONE DIABASICO NEGLI SCISTI DI EDOLO. 99 più si avvicinano alla mia, sono quelle del tipo di HaMleberg (Halleberg, Svezia; Rio de Janeiro, Brasile) che avrebbero per formola: s=1605 0= 2,5; e=23 j=10,05 e quelle del tipo di A/borar, cioè delle località di West Rock, Con., di Jersey City, N. J., di Wintergreenlake, Con., che avrebbero per formola: G= 50,95 v=1,63 0=3,5 /j=15,0. Veramente conterrebbero un po’ più di silice, perciò la diabase da me studiata sarebbe più basica, ma i valori di a, c, f in complesso si corrispondono. Nel tipo Sfempel della serie dei basalti orneblendici, l'Osann cita l’a- nalisi di una diabase orneblendica (Gràveneck presso Weilburg) della quale anche il valore di s corrisponde a quello della mia diabase. Infatti ha: s=48,03 2=2,03.e=®037=116,0, Se si considera che realmente la diabase da me studiata, contiene, nei campioni più freschi, l’orneblenda, non mi pare fuori di luogo di riav- vicinarla al basalte orneblendico di Graàveneck. L’analisi fatta dal Riva su un campione dello stesso filone da me studiato, o di uno vicino, dette i risultati: RO Mea 2,40 GORE A I98 NEO e RS OASIS? BOO na EURO CIO RG MAVSATERERZZ 6 GORI a Mo 29 Nat a AI 99,42 Da cui: s= 92,103 A=4,(69: 0=7,653 1=311 323 2=7,095 m=2 555 =0 80 @=3,05 4,53 = 19,0 Come si vede, i valori di @, c, f sono un po’ diversi dai miei. A prima vista, sembrerebbe che ciò fosse dovuto a un valore più basso di F,ma in realtà, osservando i valori dell’analisi e considerando che nel calcolo di @, c, f l'eccesso di allumina si satura con una quantità corrispoudente di (Fe, Mg) O, che si toglie appunto dal gruppo F, ci si convince che quella diversità dei valori di @, c, f, è dovuta proprio alla maggiore quantità di Al, O,, da 100 F. AZZINI Infatti mentre nell’analisi del Riva Al, 0;=19, 93, nella mia AlL,03= 14,98 e in quelle dell’Osann A10; oscilla fra un minimo di 14,5 e un massimo di 15,5. Per spiegare questa quantità maggiore di allumina trovata dal Riva, si possono fare due ipotesi: I. Il campione del Riva conteneva dei minerali colorati (pirosseni, anfiboli o mica biotite) molto alluminiferi ; II. Ovvero il suo campione era assai alterato per cui i feldspati, privati di alcali, si erano trasformati in caolino. To credo più probabile questa seconda ipotesi perchè nella descri- zione ch’egli fa della sua sezione, nota l’alterazione avanzata delle liste di plagioclasio e anche perchè non ricorda l’orneblenda basaltica, ed io ho già fatto osservare che l’orneblenda basaltica mentre è appunto ab- bondantissima nei campioni freschi, è assai scarsa e con caratteri meno marcati nei campioni alterati. Istituto di Mineralogia della R.® Università. Pisa, dicembre 1914. "7 E ESME ERNESTO MANASSE E e Nulla composizione ehimiea delle terre gialle è bolari DEL MONTE AMIATA Fra i prodotti minerali della Toscana più anticamente conosciuti sono certo da annoverarsi le terre gialle e bolari del Monte Amiata, indicate anche col nome collettivo di , Terre di Siena ,,, le quali, da gran tempo, trovano largo impiego nelle industrie tintorie per i loro vaghi e inal- terabili colori, gradualmente sfumanti dal giallo pallido al castagno bruno, se allo stato naturale, dal rosso chiaro molto vivace al rosso cupo, se calcinate. Come è ben noto tali prodotti trovansi racchiusi, in numerosi e modesti bacini lacustri, entro la massa trachitica, che, tutta circondata dalle rocce sedimentarie, in prevalenza eoceniche, forma la bella montagna amiatina; e, d’ordinario, hanno sede verso la periferia della formazione eruttiva, in depressioni, in concavità del terreno, ove più facilmente po- terono raccogliersi acque ferrugginose. Per l’età loro tutti i geologi sono concordi nel ritenerla recentissima; ed il LortI !) riferisce quei prodotti ad un antico periodo dell’epoca antropozoica, inbase anche al rinvenimento, di cui si occupò A. D’ACHIARDI ?) e che risale a molti anni or sono, alla cava delle Mazzarelle, sotto Castel del Piano, di utensili preistorici in piromaca, selce e diaspri nelle parti più profonde del giacimento, in bronzo o in rame nelle parti superiori. Sem- 1) B. LortI. Geologia della Toscana. Mem. deser. Carta Geol. d’Italia. Vol. XIII, pag. 482. Roma 1910. 2) A. D’ AcHrarpI. Sulla probabile esistenza di avanzi di antichissime in- dustrie umane nella così detta Verra gialla di Siena, Boll. R. Com. Geol. d’Italia. Vol, III, pag. 325. Firenze 1872, 102 E MANASSE bra accertato anzi che limitati depositi ocracei sì formino tuttora per opera di acque ricche di sali di ferro, che, come residui di quelle an- tiche più imponenti, con modesti stillicidi formano dei semplici acqui- trini in alcuni punti della montagna e in vicinanza delle stesse cave ora attive. Opinioni diverse furono emesse invece circa l'origine delle terre di Siena. Gli antichi geologi toscani, e in prima linea il Santi 1), il SAVI 2), il MENEGHINI *), le consideravano costituite da mescolanze di idrossido ferrico, dovuto a deposito chimico di acque ferrugginose, e di argilla finamente sospesa nelle acque stesse. Anche oggi 1 più non si discostano molto da questa idea, ritenendole originate da sorgenti termominerali ricche in principal modo di bicarbonato ferroso, che alla superficie si ‘ scomporrebbe, per un processo ossidante, dando luogo a precipitazione di idrato ferrico. Ma non mancano geologi, e fra questi ricordo il CLERICI 4) e il Lotti °), i quali, molto giustamente, vedono, concomitante a detta genesi chimica, un’origine biologica. Fu il GaspeRINI ‘) quegli che per il primo sostenne la genesi orga- nica per le terre di Siena. Egli attribuì, quasi in modo esclusivo, i depositi di idrossido ferrico all’azione di speciali micro-organismi fila- mentosi, viventi in acque tanto termali che fredde (Crerothria, Cladothrix, Chlamidothria, ecc.), dall'autore riferiti alla famiglia delle Beggiatoacee, e da altri a quella della C/l/amidobacteriacee. La funzione di tali micro-orga- nismi consisterebbe nel togliere il ferro alle acque per rivestirsi di esi- lissime guaine, di conchigliuole di idrossido ferrico, delle quali furono rinvenute spesso tracce al microscopio in diversi esemplari di terre co- lorate. E poichè le Beggiatoacee sarebbero capaci di sottrarre quello elemento anche ad acque contenenti quantità minime, non dosabili, di sali di ferro, il GasPERINI viene alla conclusione che per dar luogo alle for- 1) G. Santi. Viaggio al Monte Amiata, pag. 93. Pisa 1795. 2) P. Savi. Rapporto della pubblica esposizione în Firenze nel 1850, pag. 27. 3) G. MENEGHINI. Saggio della costituzione geologica della provincia di Grosseto, pag. 397-417. Firenze 1865. 4) E. CLERICI. Resoconto sommario delle escursioni fatte neì dintorni di Siena ed al Monte Amiata nel Settembre del 1903. Boll. Soc. Geol. Ital. Vol. XXII, pag. CXXIX. Roma 1903. 5) B. LoTTI. Op. cit. ©) G. GASPERINI. La fitogenesi delle terre rosse, gialle e bolari e la importanza delle Beggiatoacee per la circolazione e deposizione del ferro, Atti R. Acc, dei Georgofili. Ser. V, Vol. III, pag. 503, Firenze 1906, SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLE TERRE GIALLE E BOLARI Ecc. 103 mazioni ocracee del Monte Amiata non sarebbero occorse sorgenti termo- minerali riccamente ferrugginose. Però secondo un importante e recente studio del don PETRUCCI 1) non soltanto i micro-organismi filamentosi studiati dal GaspERINI sarebbero i generatori di quei materiali colorati; chè un’azione ben più importante, sebbene non esclusiva, la esplicherebbe una speciale batteriacea, il Ba- cillus ferrigenus, che, isolata dal BarcaGLI-PETRUCCI dai fanghi caldi della regione boracifera della Maremma toscana, fu da lui intimamente studiata. Dalle ricerche eseguite è risultato all’autore che si tratta di specie ter- mofila, sporigena, assai resistente agli agenti antisettici chimici e fisici, che vivrebbe ed agirebbe con maggiore intensità in presenza di substrati viventi di alghe verdi e di diatomacee; condizione questa che si aveva in sommo grado in quelle conche acquifere amiatine. Il BaciMlus ferrigenus agirebbe sui sali di ferro disciolti nelle acque come ossidante, precipitando l’idrossido ferrico, dopo averlo fatto passare probabilmente per una fase colloide. A conferma di questa ipotesi vedremo in seguito come tanto le terre gialle che le bolari debbansi considerare essenzialmente quali mescolanze di geloidrati di ferro, di silicio, di alluminio. Di tali prodotti non mancano analisi chimiche; sono dovute al Rowney?), al GrannettI *), all’Hurst*), al Bonomi pa MontE?). Riporto qui appresso i risultati centesimali ottenuti dal RownEeY sopra una va- rietà, di cui non ho trovato indicato nè il punto di colore, nè il luogo preciso di provenienza, dal GrannETTI sopra un polo di colore castagno della cava delle Mazzarelle, dall’ Horst su tre campioni non ben precisati di terre gialle, e dal Bonomi pa Monte infine su sei esemplari pure delle Mazzarelle, la cui colorazione variava gradualmente dal giallo chiaro al giallo cupo: 1) G. BarGaGLI-PeTRUCCI. Sul! origine biologico della « Terra di Siena » (Terre gialle e bolari del Monte Amiata). Mem. R. Ace. Lincei. Vol. X, Ser. 5.8 Roma 1914. 2) Vedasi A. D’AcararDpI. Mineralogia della Toscana. Vol. I, pag. 135. Pisa 1872. 3) C. GrannemtTI. Selle terre gialle e bolari del Monte Amiata. Siena 1873. 4) Vedasi P. Bonomi pa MontEr. Enciclopedia di Chimica. Vol. XIX, pag. 154. 1902-9053. 5) P. Bonomi DA MontE. Op. cit. E. MANASSE 104 T_10d oqueweamgedsia °/ 977 ‘LOT ‘96/0 IP tIguenb ero :09 9 2w109 QJuawRAISSO]duto9 19ep ocuos TII 9° II TW 209 2 089 (: ‘G 00°00T| 00*00I| 00100T| 00:00L| 00*00T| 00°00I| 69‘66 | #S'001| 0001 | 80'001| 7°66 [er:t] | [9s:t] [8s:] |[os1] [ossa] |[se:e]|Goet |@Gzw0o | Gero = = I E I) 9002.13 | a09e1g | — — |esoegl — IFPI G9°0 GLI 999819 Sa A IU na) 213 sù 2: Sas ni, — _ = __|90% S 0)»: RCORLINI 90 |0gT |90 |goI |evoem|oz:e = = een Vaie, Wei | 0g | Sé | te:g |8Ge |Gosg | (090 | GSO |sI9 | g90 SEAL 0) 96:89 | 00/69 | TE'T9 | GWT9 | GL:09 | GL:9G | 69:69 | go:c | 864 |8o:69 | Se9 |“ © © © 40294 09° |ST9 |168 |Gl6 |SG01 | 76 IG. LTG Vele | | 176 MOV Decio cosi isa aio (ci 8 Ae 0008 Oc CO e SRG Vus 80'91 | SG°GI | 19°6 |90'0I | S8'0T | €96 07°6 O0II | 006 |IF'II “egeuIquioo enboy O8°E |864 |geee |s07w |cew |geg 0%°GI | 968 GCT e d0E UIIPIULA TA A AT TIT II I TII II I IMeuuRL)| £Lousoy IST4euy | ISIMUy QJUON Cp IMOTOT ISITEUY gsm 1SHeuy —________....-sS5st tw*.--%7S]......-.-...''....,..eee e esc È — — _ —_ _————__mmmmmm—tm SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLE TERRE GIALLE E BOLARI Ecc. 105 Queste analisi, eseguite a solo scopo industriale e quindi su materiali assai impuri, non risultano comparabili fra di loro perchè, non soltanto dal lato quantitativo, ma anche qualitativamente assai dissimili, e perchè riferentisi a polveri saggiate in condizioni diverse di essiccamento. E nemmeno rendono chiaramente ragione delle differenti proprietà fisiche . delle terre gialle e bolari, e, in special modo, non ci dicono a che cosa debbano attribuirsi le varie colorazioni. E se il Bonomi pa Monte dalle sue analisi fu indotto ad ammettere che il punto di colore è in ragione diretta dall’ossido ferrico, che questo è totalmente combinato con l’acqua allo stato di limonite, che l’allumina, unita alla silice e all’acqua, è at- tribuibile a caolino (argilla), e che infine la calce si trova esclusivamente in forma di carbonato, tali conclusioni, come vedremo, non si accordano con quelle alle quali mi ha condotto il presente studio. Disponendo di un abbondante materiale in parte da me raccolto, in parte gentilmente donatomi *), ho eseguito nuove ricerche chimiche e alcune analisi quantitative sopra esemplari provenienti dalle cave delle Mazzarelle, della Sega e della Conserva, le sole attualmente coltivate. Il giacimento delle Mazzarelle, il più anticamente conosciuto, trovasi presso Castel del Piano, alla quota di circa 600 metri sul livello del mare, in un bacino assai profondo, a forma di conca. Quivi, al di sotto del terreno vegetale dovuto al disfacimento della trachite, si ha un primo Strato, di spessore variabile, di terra gialla pulverulenta; seguono ad esso dall’alto al basso: il così detto bolo di 3. qualità, formato da pezzi di colore giallo e giallo-bruniccio, di sovente listati e venati da sottili zone più seure; poi il bolo di 2.* qualità con tinta bruno-gialla, e ancor questo Spesso consistente di striscie e zone varicolori; e infine il bolo di 1.8 qualità, marrone cupo, omogeneo, lucente e più pesante degli altri, che viene in basso a contatto diretto con la trachite. In taluni punti però, fra il bolo di 1.? e la sottostante trachite, si incontrano accumulamenti di un bel giallo piuttosto chiaro e molto apprezzato in industria, il così detto giallo di fondo; e al di sotto di questo talora apparisce un limi- tato deposito di-farina fossile, assai pura. Frammiste alla terra gialla, o fra strato e strato di bolo, trovansi delle estese lamine, compatte, con- torte, bruno-giallognole, o rossigne, o bigiastre, ricoperte da una esile 1) Esprimo le mie più vive grazie agli egregi signori PARADISI, ROTELLINI e TORRACCA, proprietari rispettivamente delle cave della Conserva, delle Maz- zarelle e della Sega, per l'abbondante materiale donatomi. 106 E. MANASSE incrostazione di materiale ocraceo, chiamate sul posto “ ferro palustre o meronia ,,. Siffatte lamine, analizzate ed esaminate al microscopio, ri- sultarono formate essenzialmente da siderite microgranulare, della quale specie, per altro, hanno ben poco l'apparenza esterna. Altre lamine, più rare, di colore bruno-nero, lucenti, sono invece di limonite compatta, associata a residui di carbonato ferroso, da cui essa Jlimonite eviden- temente deriva. Meno frequentemente si rinvengono dei grossi frammenti di opale, un poco porosa, di colore giallo chiarissimo, perchè intimamente inquinata di terra gialla, la cui composizione chimica risultò la seguente: H°0 5.64 Sio? 80.57 Fe?0*? 13.85 CaO tracce 100.06 Della cava della Sega, presso il Lanificio di Arcidosso, ad un livello assai più elevato del giacimento precedente, ha già dato una sezione il LortI *); e da essa risulta che i depositi ocracei sono ricoperti, dal basso in alto, da piccoli ciottoli e da finissima sabbia di natura trachitica, da strati torbosi con strobili di abete e tronchi di abete e di faggio più o meno carbonizzati, da una formazione di grossi ciottoli trachitici. In questo giacimento si hanno, irregolarmente associate e mescolate, nume- rosissime varretà di terre ocracee e boli, che, perle infinite sfumature di tinte che presentano, resta difficile poter definire; ma prevalgono dei bellissimi gialli. Si hanno anche stratarelli prevalentemente costituiti, oltre che da idrossido ferrico e da silice, da carbonato ferroso, e delle lamine sporadi- che di vera e propria siderite, inquinate lievemente da carbonato di calcio e da argilla, e ricoperte da esili incrostazioni ocracee giallastre, sulle quali rilucono delle laminette bronzinee di iperstene, facilmente iden- tificabili al microscopio per la loro forte birifrazione e per il pleocroismo variabile dal giallo-verdognolo chiaro al giallo-rossastro bruno. Nel basso della cava, secondo quanto mi ha gentilmente riferito il proprietario, fino a pochi anni or sono, scaturiva una sorgente riccamente ferrugginosa, e forse anche ozonifera, già usata a scopo terabeutico dai paesani, con effetti molto benefici in ispecie contro l’anemia e la clorosi; ma per necessità di lavoro ne fu deviato lo scarico, 1) B. LomTI. Op. cit. ara ci mia dali siti ca SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLE TERRE GIALLE E BOLARI Ecc. 107 Ottimi prodotti vcracei si escavano pure presso Piancastagnaio, in località detta La Conserva, ad un’ altezza di circa 800 metri sul mare, e coltivata a castagneto. Il giacimento, già descritto dal DE CastRO 4), poggia al letto sulla trachite ed ha al tetto uno strato, dello spessore medio di quattro metri, di terreno vegetale a base di detriti sabbiosi di na- tura trachitica, impastati con argilla, e di materiali quasi torbacei contenenti resti di Pinus e di altri generi ancora. Il deposito di terre colorate non ha uguale spessore, e questo può sorpassare i tre metri. Vi si estraggono principalmente terre gialle, ma anche boli; e, come nota il De Castro, se d’ordinario le terre gialle stanno sopra al bolo, talora sì osservano alternanze delle due varietà ed un’irregolare successione di strati varicolori. Oltre i tre giacimenti ora ricordati altri, oggi impruduttivi, ne esistono ancora al Monte Amiata; così, per non citare che le località più note, alle Bagnore (Santa Fiora), vicino all’Acqua Passante sopra l’Abbadia San Salvadore, al Pino presso Arcidosso. E quasi dappertutto le terre gialle e bolari sono associate a materiali ciottolosi e sabbiosi di natura tra- chitica, a sostanze torbacee e ligniti xiloidi, a strati di farina fossile. I caratteri tutti dei materiali analizzati sono quelli tipici delle so- stanze colloidi. Tolti dalle cave ancora umidi, essi nei disseccarsi all’aria si fendono, si rompono in numerosi frammenti a frattura concoide. Im- mersì nell’acqua vi galleggiano più o meno a lungo, si spezzettano ancora di più fino a ridursi talora in polvere minuta, e lasciano sprigionare, in pari tempo, una grande quantità di aria, dapprima rumorosamente e con una certa veemenza, poi man mano sempre più lievemente, finchè caduto al fondo dei recipienti. Sono allappanti; facilmente solubili negli acidi con separazione cdi un residuo, scarso o abbondante, di silice gelatinosa bianca, 0 un poco bruniccia, od anche appena giallastra. I saggi qualitativi stabilirono che i costituenti dei campioni analizzati erano non soltanto l’acqua, l’ossido ferrico, l’ossido alluminico, la silice e la calce, a tutti comuni, ma anche l’anidride arsenica, talora in dosi assai elevate, e l’anidride fosforica, l’anidride solforica, l’ossido di man- ganese, la magnesia e le sostanze organiche in piccolissime quantità. In un solo caso (An. XII) fu constatata la presenza di anidride carbonica e, insieme, un considerevole tenore di ossido ferroso. Cimentati alla fiamma con calce, di cui fu preventivamente accertata 1) C. De CastRO. Le miniere di mercurio del Monte Amiata. Mem. descer. Carta Geol. d’Italia. Vol. XVI, pag. 48-52. Roma 1914. 108 E. MANASSE l’assoluta purezza, si ebbe per tutti i campioni, anche per quelli che con gli ordinari assaggi non diedero la minima traccia di sostanze carboniose, un tenuissimo sviluppo di ammoniaca, facilmente constatabile dall’ odore caratteristico e dalla reazione alcalina alle cartine di tornasole. Questo prova che nelle terre saggiate sono contenute piccolissime quantità di composti azotati, residui delle sostanze proteiche dei micro-organismi ferrigeni. Trattando un grammo di ciascuna polvere, a freddo, e in ambiente saturo di anidride carbonica, con acido solforico piuttosto concentrato, nel quale i diversi materiali si disciolsero facilmente (con separazione di silice gelatinosa, non sempre però purissima), e saggiando pure a freddo i liquidi ottenuti, e opportunamente diluiti con acqua, con soluzione de- ci-normale di permanganato potassico, di tale soluzione si decolorirono soltanto c.ic.i0.3—0. 4 per i N. II, III, IV, V, VIII, IX, X, XI, e cl ci 0.9, 1. 1, 1.2 per i N. I, VII, VI. Per il N. XII, ricchissimo in carbonato fer- roso, ne occorsero, in due prove, c.c. 40.8 e 41. 4, cioè in media c.i di. 41.1. Ne segue che, ad eccezione di quest’ultima varietà, per tutte le altre può dirsi che manchi l’ossido ferroso, le piccole quantità di per- manganato decoloratosi avendo servito, probabilmente in totalità, all’os- sidazione delle sostanze organiche. Con la stessa facilità avviene a freddo la soluzione in acido cioridrico concentrato, e i residui di silice gelatinosa che si ottengano sono sempre risultati del tutto esenti di arsenico. Questa solubilità del composto ar- senicale nell’acido cloridrico, e il fatto che, facendo bollire le polveri con soluzione assai concentrata di idrato potassico, nei liquidi risultanti fu constatata la presenza di arseniato alcalino, suggeriscono che l’arsenico deve trovarsi allo stato di arseniato di ferro. Esaminati al microscopio i diversi residui insolubili nell’acido clo- ridrico a caldo si mostrarono costituiti essenzialmente di particelle di opale incolora, perfettamente isotropa, od anche talora un po’ bruniccia per tenui pigmenti carboniosi, o giallo-aranciata come se si trattasse di una soluzione solida di idrossido ferrico nella silice idrata. Accompagnano accessoriamente la sostanza opalina delle laminette rettangolari di sa- nidino con a'<1.523 e y'=1.523, e dei granuli di plagioclasio, a evidente geminazione albitica, con @'< 1.546 e x = 1.546, e quindi molto più acido di quello labradoritico-bitownitico, che è il feldispato calcico-sodico SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLE TERRE GIALLE E BOLARI Ecc. 109 più diffuso nelle trachiti del Monte Amiata, !), e l’accompagnano ancora dei prismettini bipiramidati di zircone e delle minute masserelle di caolino terroso, opaco, e di colore bianco-latteo a luce riflessa. Ed ecco ora i risultati quantitativi avuti, facendo agire sulle polveri dei materiali, essiccati all’aria prima l’acido cloridrico concentrato per due giorni, e a freddo, onde impedire la volatilizzazione del tricloruro di arsenico, ritrattando poi con lo stesso acido cloridrico, ma a caldo, i re- sidui insolubili, e fondendo infine questi ultimi con carbonato sodico-po- tassico: 1) La mancanza nei residui esaminati di tale plagioclasio basico e quella di altre specie essenziali per le trachiti amiatine, come iperstene, biotite, ecc., tutte riccamente ferrifere, parmi debbano imputarsi alla loro attaccabilità, sia pure parziale, dall’acido cloridrico concentrato e caldo. nt ——r__ co eZ nt sparare SETT: RITIENE a Iii Too C3rL ILA N05 o — - E — - " 999EI | PSOImOqIEO ‘I50g sai QDOBII = O0IBII a CPPIAGI = CPPIAGI = = CPPIAGI = £0 S —_ FPPIAUI _ _ = 990VI]: —_ —_ _ _ _ — O SN PPPIAGI PPPIAGI PPPIAGI Q99V1I = Q99VIY _ EPAAGI EPPIAGI Q09VII PPPIAGI EPAIAGI (0Ji:70) 8T'0 LG 0 Q0IVII GIO. 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IS 108816 | ‘ose | dose | ‘oss || ose | sora | are | resi | lnoster | esser] %sr:et | er cr oligniosui onpisoy FL ‘66 6L ‘66 9 ‘66 78 ‘66 66.001 06000 | FE'000 || 06/000 | GE 001 | 7966 98 ‘66 CL '66 viguenb QUI QUUIUTUI QUITTLITI QUITTIOI ggguend | egguendb QUIITTOI QUILILUI QUILTIOI QUITOITI RIiguenb aqooord Q00V1I 008.9 Q0OVIL 9098.19 e]0091d a]0991d 99981) ODOVII d0IBIL 009v.19 90091d (e ‘910 ‘3508 _ EPPIAGI — = CPPIAGI QIIVII = | Q99EIY = = EPAIAGI — OSHN 960 860 “60 9Q99V1) TOI 9Q990VI1I 999841 || LIT 960 560 (580) 810 (0}0) €966 “ = = = = = = = Ti = (r 09 26/66 | 86/79 | €689 | 613, | E989 | gog | L9FL | 655 | 9679 | 69 | 1659 | 99:09 e0 294 - - EPPIAGI _ 620 30 299219 || 8G'0 LT :0 OL‘0 CPPICAGI EAPIAGI 0 UN 6G I TG 8L'T 990 EEK pr 901 660 790 660 96/0 160 0 eIV PECE 29 ‘06 688 90°8 708 16 ‘EG 66.7 FO ‘EL 09 TI V6 ‘GI 96 FI SO FI <0 IS 999641] A SI 6E ‘0 TE ‘6 GTO 96/0 TO ‘6 LIE TOI 990 640 (e 7 E ? sfera 105052 ESPERIMENTO VII. Coniglio è di Kg. 1.250: peso del sangue - : 3 È è so a 19:98 » » composto colesterico n 0-0142 composto colesterico %; z : Sea 007A1 dosaggio della cina col oa di Windaus , 0.009 colesterina % po MO EsperIMENTO VIII. Coniglio è di Kg. 1.280: peso del sangue . : 2 i ; È 5 129 » » Composto colesterico . , È SEO O,ElA composto colesterico i ION EsPERIMENTO IX. Coniglio è di Kg. 1.800: peso del sangue . ; 7 È 2 ; pi a dala » » composto colesterico n 0.0140 composto colesterico 3 ORIO dosaggio della colesterina col e di ida IROO,IMe colesterina °/, n 0.088 126 G. SOTTI E 0. TORRI ESPERIMENTO X. Lo stesso coniglio dell’esperimento IX dopo quindici giorni: peso del sangue i » » composto colesterico composto colesterico o È dosaggio della colesterina col cid di Windaus colesterina °/, ESPERIMENTO XI. Coniglio £ di Kg. 1.530: peso del sangue . » > Composto oo composto colesterico ° i dosaggio della RA col IAA di iii colesterina % EspERIMENTO XII. Coniglio è di Kg. 1.500: peso del sangue 7 s >» Composto colesterico composto colesterico °% dosaggio della colesterina col metodo di nnt colesterina %o Esperimento XIV. Coniglio è di Kg. 1.350: peso del sangue » » » composto colesterico composto colesterico o dosaggio della colesterina col metodo di We colesterina %o QU. 15.13 0.0144 0.094 0.0112 0.073 °. 14.30 0.0144 0.100 0.0092 0.064 3. 15-00 0.218 0.145 0.010 0.066 r. 14.38 0,0170 0.118 0.0092 0.064 qs . : RICERCHE SUL CONTENUTO GOLESTEARIN(00 DEL SANGUE cIRcoLANTE Ecc, 127 EsPERIMENTO XV. Lo stesso coniglio dell'esperimento XIV dopo quindicì giorni: peso del sangue } - : 3 o o Ar 1050 » » composto colesterico . E 6 Sg OG composto colesterico %o - ; ; è LN 0,113 dosaggio della colesterina col metodo di Windaus., 0.011 colesterina “>. E È 4 i o « a 071 Seconda Serie. EsPERIMENTO XVI. Coniglio di Kg. 1.620 splenectomizzato da otto giorni: peso del sangue 6 ; È 1 ; SME OST A » » Composto colesterico . , ; dg 02 composto colesterico °%o 5 ; ; P e pi OIL06 EspERIMENTO XVII. Lo stesso coniglio dell'esperimento XVI dopo quindici giorni: peso del sangue . : 3 ° 5 ; o e ZO sv» composto colesterico . ; i : SEM 0:0 242. composto colesterico % ; , È ; apra 0120 EspERIMENTO XVIII. Coniglio 4 di Kg. 1.430 splenectomizzato da otfo giorni: peso del sangue : ‘ ; 5 : . gr. 10.04 » >» Composto colesterico . : ; si gr OI composto colesterico 9 ; « , È sig LOI EspeRIMENTO XIX Lo stesso coniglio dell’esperimento XVIII dopo quindici giorni: peso del sangne È : ù 4 . So rA1(6580 sv» composto colesterico . È : 5 00247 composto colesterico % 5 ) : ; ; RIO SIG EspERIMENTO XX. Coniglio è di Kg. 1.690 splenectomizzato da quindici giorni: peso del sangue . E , a . È 5 ye IIS n» Composto colesterico . È : 3 050.092 composto colesterico °/o ; ; i È TAM0:0.63 13 G. SOTTI E O. TORRI Osservazione: L'animale dimagra progressivamente e muore dopo ventun giorni dalla splenectomia. L’autopsia non dimostra altro di no- tevole che un processo di enterite catarrale. EsPpERIMENTO XXI. Coniglio j di Kg. 1.800 splenectomizzato da quindici giorni: Lo Coniglio è di Kg. peso del sangue ; È È È 3 MUBOr. Coniglio è di Kg. peso del sangue . ; » » Composto colesterico composto colesterico È . ; 1 TIA dosaggio della colesterina col metodo di Windaus colesterina °/o EspeRIMENTO XXII. PILEZIA 0.011 0.097 0.007 0.062 stesso coniglio dell’esperimento XXI dopo vertun giorno: peso del sangue . 3 o È ; -IRRO NETTE composto colesterico » » b) composto colesterico % î : ; È dosaggio della colesterina col metodo di maine colesterina 9. : . . 3 : SAFZIO, EsPpERIMENTO XXIII. P » composto colesterico > composto colesterico °/o E : È : SRL: dosaggio della colesterina col metodo di Windaus colesterina °/o » » EsperIMENTO XXIV. D » composto colesterico composto colesterico %o A : ue dosaggio della colesterina col metodo di Windaus colesterina %o 1.620 splenectomizzato da trenta giorni: peso del sangue . ; 5 : ; . si SS 12.45 0.015 0.120 0.0075 0.060 1.700 splenectomizzato da ventun giorno: 20.56 0.0256 0.124 0.006 0.077 14.13 0.027 0.195 0.015 0.100 ue RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 129 EsperIiMENTO XXV. Coniglio 9 di Kg. 1.950 splenectomizzato da trenta giorni: peso del sangue : , : È - SMI 12380 5 » composto colesterico . ; 2 Sgvit 0.018 composto colesterico % E : E : cu OLII) EsPpEeRIMENTO XXVI. Lo stesso coniglio dell'esperimento XXV dopo cinquanta giorni: peso del sangue ; ; : È : cca 194 È » composto colesterico » 0.0248 composto colesterico %s; ; 5 è ° cu OO dosaggio della colesterina col metodo di Windaus , 0.018 colesterina %> . 5 ; È : : È A 0.105 EspeRIMENTO XXVII. Coniglio 5 di Kg. 1.850 splenectomizzato da trenta giorni: peso del sangue È ; x è : st ME, »s » composto colesterico OTO composto colesterico °o PRCRONI5I EsperRIMENTO XXVIII. Lo stesso coniglio dell'esperimento XXVII dopo cinquanta giorni: peso del sangue ì gr. 14.54 s » Composto colesterico SM 0:0235) composto colesterico o SINO SI611 EsperIMENTO XXIX, Coniglio 9 di Kg. 1.820 splenectomizzato da cinquanta giorni: peso del sangue s ; 3 ; ; cat Ja00 s » composto colesterico . è È 003077 composto colesterico % 5 4 i : Rei 004 EspeRIMENTO XXX. Lo stesso coniglio dell'esperimento XXIX dopo sessanta giorni: peso del sangue . x i ; È o ar ISYS0 n » composto colesterico . 5 A SCRERA0L0 277.6, composto colesterico % : E ; 02:00 Sc. Nat. Vol, XXX. 130 G. SOTTI E O. TORRI EspeRIMENTO XXXI. Coniglio è di Kg. 1.780 splenectomizzato da sessanta giorni: peso del sangue : ; ; : x or eI2220 » » Composto colesterico . è ? e 0:07 composto colesterico % 3 È 2 : Ae 0380 EsperRIMENTO XXXII. Lo stesso coniglio dell’esperimento XXXI dopo novanta giorni: peso del sangue ò i; o : o 91298101 » » composto colesterico . ; ; br 0099 composto colesterico % : . i ; sl 0139 EspERIMENTO XXXIII. Coniglio è di Kg. 2.000 splenectomizzato da sessanta giorni: peso del sangue : ; , ; 0 page ala n» Composto colesterico . , RE ARE NOOO composto colesterico 9° 5 ; : 5 2g ROSI EsperiMENTO XXXIV. Lo stesso coniglio dell’esperimento XXXIII dopo novanta giorni : peso del sangue 3 ; . 7 E da ZI05 » » Composto colesterico . : ; i OIODAIG composto colesterico %, . 5 : sine OSIO dosaggio della colesterina col metodo di ina. OLI colesterina %> . ; } : : 3 "DI NLOL0.68 EsPpERIMENTO XXXV. Coniglio è di Kg. 2.200 splenectomizzato da quarantacinque giorni: peso del sangue î 7 3 ; 5 OI A ; composto colesterico . È E OO composto colesterico o 7 . È o po 180 dosaggio della colesterina col metodo di a. pr 007 colesterina %o - 3 ; ; È ? pa OI RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 131 EspeRIMENTO XXXVI. Lo stesso coniglio dell'esperimento XXXV dopo novanta giorni: peso del sangue x ; : 5 : 3° 3a IL n» Composto colesterico . È : SENIO LOZ:6 composto colesterico % . 5 ; SE 01104 dosaggio della colesterina col metodo di Windaus. , 0.010 colesterina %, . È , " s og 070 EspeRIMENTO XXXVII. Coniglio di Kg. 1.780 splenectomizzato da quarantacinque giorni: peso del sangue : ) 7 : si a Ia f » Composto renti 5 3 È ROLO) composto colesterico 0/0 ; 1 ci ON dosaggio della colesterina col isiodo di wu a VOLE colesterina %, - s È È ) ; o MO EspERIMENTO XXXVIII. Lo stesso coniglio dell’esperimento XXXVII dopo sei mesi: peso del sangue 3 È : : 5 we 1498) > » composto OA : - - È 5 0.0154 composto colesterico °% : MAN (03103 dosaggio della CRIRRA col To di Windaus 5 0 0011 colesterina %o . ] ; ; 5 1 01079) EspeRIMENTO XXXIX. Coniglio 3 di Kg. 2.100 splenectomizzato da seè mesi: peso del sangue ì , - : È e LZ) 5 » composto colesterico . È 0 7 Ù) 0.022 composto colesterico °% ; è - tota 0128 dosaggio della colesterina col metodo di Windans . E O:0LA49 colesterina % . 7 5 ; ; : nigi HIS 132 G. SOTMI E O. TORRI Terza Serie. EsperiMmENTO XLIII. Coniglio è di Kg. 1.680: peso del sangue ; 3 } 5 è di ei 9224 » » Composto colesterico . : ? E 050)! composto colesterico 0/0 i i : : peo OSE dosaggio della colesterina col metodo di Windaus. , 0.663 colesterina %, . ; x i ; ; s Di AO: 070 EspeRIMENTO XLIV. Lo stesso coniglio dell’ esperimento precedente dopo otto siorni dalla splenectomia: peso del sangue È ; i ; E . gr. 16.96 » > composto colesterico . - È .- >» 0.0208 composto colesterico 0/0 i A ODI dosaggio della colesterina col Windaus . 1g 0 10100? colesterina 0%. ; , 3 5 a Bi COLO ESPERIMENTO XIV. Coniglio è di Kg. 1.850: peso del sangue ; . o e c o 25 , » composto colesterico . 3 cla fig 010128 composto colesterico % n» 0.109 EspeRIMENTO XLVI. Lo stesso coniglio della precedente esperienza: peso del sangue : : È : 5 . Sr. 9.360 5: ; Composto colesterico . ì ; SEO 00 composto colesterico % po 112 ESPERIMENTO XLVI. Lo stesso coniglio della precedente esperienza dopo otto giorni dalla splenectomia: peso del sangue È ; è ; ; . gr. 27.910 » > Composto colesterico n» 0.0387 composto colesterico 0/o i 5 AIESEo SIGNS 0 13.5 E È Li - RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE ECC. 133 EsperMmeNnTO XLVII. Coniglio è di Kg. 1.700: peso de) sangue = s » composto colesterico composto colesterico 9% EsperIMENTO XLIX. or. 11.19 s 0.0091 OG Lo stesso coniglio dell’esperimento precedente dopo quindici giorni dalla splenectomia, peso Kg. 1.700: peso del sangue ; » >» Composto colesterico composto colesterico 0/o EsperIMENTO L. Coniglio 9 di Kg. 1.800: Lo Lo peso del sangue 4 » > composto colesterico composto colesterico 0/o dosaggio della colesterina col Windaus colesterina 0/o EsPERIMENTO LI. stesso coniglio della precedente esperienza: peso del sangue e » » composto colesterico composto colesterico 0/0 È dosaggio della colesterina col i 3 colesterina %o EsperIMENTO LITI. stesso coniglio dell’ esperimento precedente dopo dalla splenectomia: peso del sangue 6 » » Composto colesterico composto colesterico o ; dosaggio della colesterina col Windaus colesterina 0/o gr. 9.142 go DON Se ILO) gr. 12.771 s 0.0096 si 0.075 s 0.007 , 0.055 Oro N/20, ns 0.0076 DOTE 5 0.0045 0.048 quindici SIOrNI . 16.323 Mii010252 NONO , 0.0089 n 0.054 (o) 154 G. SOTTI E O. TORRÌ EsperIMENTO LIII. Coniglio 9 di Kg. 1.520: peso del sangue - » >» composto colesterico composto colesterico o . dosaggio della colesterina col tac colesterina 0/o EsperiMmeNnTO LIV r. 10.00 0.0121 0.120 0.0061 0.060 Lo stesso coniglio dell’esperimento precedente dopo quindici giorni dalla splenectomia, peso Kg. 1.600: peso del sangue sv» Composto colesiezico composto colesterico 9% ° 9 È dosaggio della colesterina col Windaus colesterina o EspeRIMENTO LV Coniglio 3 di Kg. 1.650: peso del sangue 2 n ,s composto colesterico composto colesterico 0/o dosaggio della colesterina col Windaus colesterina %o EspeRIMENTO LVI Lo stesso coniglio del precedente esperimento dopo un nectomia: . peso del sangue ; do » composto colesterico composto colesterico 0/o dosaggio della colesterina col Windaus colesterina o gr. 178293 0.0834 0.482 0.0125 0.072 mese dalla sple- gr. 17.183 0.0908 0.528 0.0169 0.093 BICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 135 EspPERIMENTO LVII. Coniglio è di Kg. 1.700: peso del sangue : + » composto colesterico composto colesterico o EsperimEeNTO LVIII. Lo stesso coniglio dell’esperimento precedente dopo un nectomia, peso Kg. 1.850: peso del sangue : » » Composto colesterico composto colesterico °/o Esperimento LIX Coniglio è di Kg. 1.820: peso del sangue ; A , composto colesterico composto colesterico 0/ - A dosaggio della colesterina col Windaus colesterina 9° EspeRIMENTO LX Lo stesso coniglio del precedente esperimento dopo un nectomia, peso Kg. 1.850: peso del sangue : » » Composto colesterico composto colesterico % dosaggio della colesterina col Windaus colesterina %o EspERIMENTO LXI gr. 13.913 BENCOI0108 ROOT mese dalla sple- gr. 12.19 » 0.0164 O O: gr. 9.10 a OOO » 0.089 n» 0.004 » 0.043 mese dalla sple- or. 14.63 , 0.0274 _ CQleg 0.018 Mr0s198 Lo stesso coniglio dell’ esperimento LVII dopo quarantacinque giorni dalla splenectomia: peso del sangue : s» Composto colesterico composto colesterico %, er. 15.76 0: 0217 INA 0,137 156 G. SOTTI. E O TORRÌ EspeRIMENTO LXII. Coniglio è di Kg. 1.880: peso del sangue ; ; ) 5 o o Se 18217 » >» Composto colesterico : FERO0io composto colesterico %, . - : É È guar LC OLOST Esperimento LXIII. Lo stesso coniglio della precedente esperienza: peso del sangue ; 2 i î ao OT >» > composto DR . 7 . SI TAZ0:0086 composto colesterico %o EsperIMENTO LXIV. Lo stesso coniglio della precedente esperienza dopo quarantacinque giorni dalla splenectomia: peso del sangue ° È È 7 n gr 04025 » >» composto a 0: 0247 composto colesterico % 5 : : pie FOITO dosaggio della colesterina col metodo di indars, MRIOLONI colesterina % MOSTO Esperimento LXV. Coniglio è di Kg. 1.650: peso del sangue ; ; 3 i ae 1020 sn» Composto inesicnoo OO composto colesterico 9% « 5 E ; oi OIO7 EspEeRIMENTO LXVI. Lo stesso coniglio della precedente esperienza dopo quarantacinque giorni dalla splenectomia, peso Kg. 1.800: peso del sangue $ Ò ; 3 : IRIENI2586 » » composto colesterico i; 0 GOZIS composto colesterico %, + 5 ; ? AMOS >d RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE ECC. 137 EsperimeNTO LXVII. Lo stesso coniglio dell’esperimento L dopo cinquanta giorni dalla sple- nectomia: peso del sangue : E ; ; 3 . gr. 10.49 s > Composto colesterico . ò ; O 0122 composto colesterico ° i; PRA RONINIO dosaggio della colesterina: col metodo di Windaus. , 0.006 colesterina %, n 057 EsperimEeNTO LXVIII. Coniglio è di Kg. 2.220: peso del sangue . ; È È È 5 a 10075 sv» Composto colesterico . | ; oli U0I08 composto colesterico % cs 0107 EsperIMENTO LXIX. Lo stesso coniglio della precedente esperienza: peso del sangue 5 5 A E i DIM x» Composto colesterico . ; 3 ME 01094: composto colesterico °/o pi 01108 EspERIMENTO LXX. Lo stesso coniglio della precedente esperienza due mesi dopo la sple- nectomia, peso Kg. 2.250: peso del sangue _ : : 3 . ; e 12-90 3 » composto colesterico . È i , 0.0156 ” composto colesterico °/, pi 0124 EspERIMENTO LXXTI. Lo stesso coniglio della precedente esperienza dopo tre mesi dalla sple- nectomia: peso del sangue gr. 18.49 » >» Composto colesterico . ; : ; 0.0212 »” composto colesterico % . ; , A AI FOLLA 138 G. SOTTI E O. TORRI EsperIMENTO LXXII. È Lo stesso coniglio dell’ esperimento LIX dopo tre mesi dalla splene- Lo Lo ctomia, peso Kg. 2.300: peso del sangue . ; E 7 ; ; Or: » » composto colesterico . ; : A composto colesterico % i ; ; SER dosaggio della colesterina col metodo di Wiliaio ra colesterina “o. È 7 5 ; o RAR EspERIMENTO LXXIII, 16.309 0.0245 0.150 0.016 0.098 stesso coniglio dell’esperimento XXXXVIII dopo fre mesì dalla sple- nectomia: peso del sangue S 3 a ; È EDT » > Composto colesterico . È , SOAVE composto colesterico %, . ; ; RIT dosaggio della colesterina col metodo di wai RI colesterina %o . 5 5 i; 6 5 REA EsperRIMENTO LXXIV 12.28 0.0201 0.162 0.0187 0.152 stesso coniglio dell’esperimento LXV, peso Kg. 2.100, se? mesì dopo la splenectomia: peso del sangue : : : È È DAL DA È » composto colesterico . 3 i ME composto colesterico % i î , nta dosaggio della colesterina col Windaus È RENI colesterina 95. ; ; - 5 È SEL, EsperRIMENTO LXXV Coniglio è di Kg. 1.700: peso del sangue 1 . . : î FaEniaa di » composto colesterico . ; ; ANIA composto colesterico %o : : ; ; SS 17.38 0.036 0.207 0.018 0.103 11.27 0.0140 0.101 RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc, 139 EsperiMmEeNnTO LXXVI Lo stesso coniglio della precedente esperienza dopo sei mesì dalla sple- nectomia, peso Kg. 1.900: peso del sangue . 5 3 ; ; ca 1626 » » composto colesterico TOLONE composto colesterico % do LOI180 EsPERIMENTO XL Coniglio & di Kg. 1.800 splenectomizzato da quindici giorni: peso del sangne . , 3 5 i 5 5. Ei 100 n: » composto colesterico po OI composto colesterico È 3 z È ROS dosaggio della colesterina col metodo di Windaus , 0.0085 colesterina o n MIO EspERIMENTO XLI Lo stesso coniglio dall’esperimento XL dopo sei mesî, peso Kg. 2.380: peso del sangue z È È ì È NE CTRMO 65 * » composto colesterico RI 00113 composto colesterico % ; 3 SEN O 5I34 dosaggio della colesterina col metodo di Windaus , 0.010 colesterina %; ji 0108 EspERIMENTO XLII Lo stesso coniglio dell'esperimento XL dopo dodici mesì: peso del sangue . ; : ; c x O ESA(6258 DI » composto colesterico n» 0-0345 composto colesterico °%y 3 - È RR 012.08 dosaggio della colesterina col metodo di Windaus , 0.022 colesterina % . ; E P ; , SE 032 140 G. SOTTI E 0. TORRÌ Considerazioni conclusive. Non tenendo calcolo delle prime esperienze (circa una ventina fatte seguendo diversi procedimenti tecnici anche a scopo di controllo della bontà dei vari metodi) il numero complessivo delle determinazioni da noi eseguite con la tecnica sopra esposta è di 76, delle quali 31 su ani- mali normali e 45 su conigli splenectomizzati ad intervalli di tempo vari dalla splenectomia. Non teniamo calcolo delle prime esperienze sia perchè eseguite con tecniche diverse, sia perchè nelle prime indagini ci siamo serviti di co- spicue quantità di sangue al fine di eseguire contemporaneamente sullo Stesso materiale a scopo di controllo una doppia determinazione, e nel- l’intendimento di dare eventualmente la media delle due determinazioni, ove fossero esistite variazioni sensibili. Per la concordanza dei risultati ottenuti con la duplice determinazione, nelle esperienze succesive, a ri- sparmio di tempo e di materiale, abbiamo fatto una sola determinazione. Non sempre, come già si è detto, ci fu possibile di completare il nostro esame con la determinazione quantitativa della colesterina col me- todo di Winpaus, per le difficoltà incontrate anche alcuni mesi or sono ad ottenere sia pur piccole quantità di digitonina. In tutte le nostre esperienze abbiamo avuto cura, anche se ci fu possibile di applicare il dosaggio ponderale col Winpaus, di tener cal- colo e di pesare esattamente (dopo opportuno essiccamento in stufa a secco a conveniente temperatura) il composto colesterico che rimane nel BEKER dopo di avere eseguito l’utimo tempo dell’estrazione, cioè dopo di aver fatto evaporare l’etere di petrolio una volta completata la sa- ponificazione: composto colesterico che comprende oltre agli acidi grassi ed alla colesterina un lipoide a struttura chimica ancora nen ben definita. Per quanto dalla quantità di composto colesterico non si possa desu- mere la quantità di colesterina contenuta (come del resto vedremo in appresso) l’aver tenuto conto di questo dato ci ha permesso di fare delle constatazioni che non riteniamo prive di interesse. Il quesito da noi propostoci nell’eseguire queste ricerche era di de- terminare, alla stregua dell’esperimento, se fosse dimostrabile una va- riazione del composto colesterico e nel contenuto colestearinico del sangue circolante degli animali smilzati e se le eventuali variazioni avessero carattere transitorio o permanente, RICERCHE SUL CONPENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc, 141 L'importanza del quesito propostoci apparisce manifesta se si con- sideri che recenti studi tendono a dimostrare (CHAUFFARD, TORRI e SOTTI) un notevole aumento del contenuto colestearinico del sangue nella co- lelitiasi, aumento che si rileva non soltanto quando compare l’itterizia e nel periodo itterico, ma anche quando non esiste affatto ittero. Di più sono oramai a tutti note le belle ricerche, anche se in parte sempre oggetto di discussione, di AscHorr e della sua Scuola, che ten- dono a dimostrare sulla base di numerose indagini chimiche, istochimiche ed anatomopatologiche che nella produzione della colelitiasi ha una grande importanza una speciale diatesi colestearinica. “ So glaube (così si espri- meva AscHorr al Congresso Internazionale dei Patologici tenuto in Torino nell’Ottobre 1911) ich ietzt mit noch besserer Begriindung als friiher den Satz vertreten zi Konnen, die primdare Cholesterinsteinbildung oder Cholesteninkernbildung, welche in sovielen Fillen die Anelle eines spà- teren entziindlichen Gallensteinleidens wird, deruht ursprimglich auf einer Cholesterindiathese. E questo aumento della colesterina del sangue è in alcuni casi così cospicuo, che si può parlare di una vera e propria ipercolesterinemia tanto che se ne è desunto un criterio diagnostico di non dubbia importanza, nella diagnosi differenziale tra colecistite calcolosa cronica ed ulcera pi- lorica. L'interesse e l’importanza del quesito propostoci non è soltanto data dal fatto che la dimostrazione di una eventuale ipercolesterinemia tran- sitoria 0 permanente negli animali smilzati potrebbe spiegare la pato- genesi della colelitiasi sperimentale da noi ottenuta con la legatura del coledoco negli animali smilzati e suffragare la ipotesi da noi avan- zata nelle comunicazione fatta alla Società di Patologia, che in alcuni casi la colelitiasi possa avere per fattore patogenetico anzichè un nucleo bacterico, una insufficenza anatomica o funzionale della milza, ma anche perchè così verrebbe confermata sperimentalmente l'origine endogena della colesterina. È infatti questione sempre dibattuta quella della origine e del meta- bolismo della colesterina nell’organismo ritenendosi dai più che l’apporto alimentare sia insufficiente, pur essendo dimostrato [FRASER e GARDNER] l’aumento del contenuto colestearinico nel fegato con l’ingestione 0 con l'iniezione endoperitoneale di colestearina. D'altra parte le ricerche di ELris e GARDNER dimostrano che la quan- tità di colesterina nel fegato di conigli, il cui nutrimento ne sia privo, 142 G. SOTTI E O. TORRI x è costante come pure è costante il percento di colesterina epatica nel coniglio appena nato e nel coniglio adulto, e secondo questi autori in base alle esperienze comparative sul contenuto in colesterina dell’uovo e del pulcino al momento della sua uscita dal guscio non si potrebbe nell’organismo animale avere sintesi di colesterina. Secondo le ricerche di DEGANI i topi nutriti con alimento estratto e privato della colesterina non sono in grado di fare la sintesi della colesterina necessaria al loro sviluppo, nè utilizzano ai fini del loro me- tabolismo la colesterina che prima contenevano, nè la eliminano propor- zionalmente alla diminuzione delle altre sostanze: si potrebbe pertanto concludere, per quanto con le debite riserve, che il metabolismo della colesterina nell’organismo animale sia nullo, limitandosi I’ animale a tra- sformare la fitosterina ingerita con gli alimenti in colesterina vera. Di più, e questa è certamente una conclusione molto interessante, si ha una una piccola ma costante eliminazione di colesterina con le feci, coleste- rina indubbiamente di origine endogena. Origine endogena dimostrata del resto oltre che dalle esperienze di FraseR e GARDNER nel digiuno (aumento della colesterina nel fegato) ed attribuita-alla più attiva distruzione degli elementi cellulari, da nume- rosi dati fisiologici (aumento del contenuto colesterinico del sangue nella gravidanza (CHAÙFFARD e la sua Scuola) nei ripetuti puerperi — nei pe- riodi mestruali e nella menopausa (HeumaNN ed HERMANN) e fisiopato- logici (variazioni del contenuto colesterinico del sangue negli stati di de- nutrizione generale — nelle malattie infettive a decorso febbrile — nelle varie forme di ittero — nello xantellasma, nel diabete — dopo la castra- zione ecc. — variazioni del contenuto colesterinico nei tessuti in condi- zioni patologiche, come nel rene, in casi di nefrite interstiziale cronica e di amiloidosi (Winpaus), nei depositi ordinari di grasso dell’organismo in casi di cancro e diabete (WACKER), nelle macchie xantellasmatiche della pelle (CaaurrARD) nelle ghiandole surrenali in casi di nefrite e di diabete (CHAUFFARD e KAWAMURA), ecc. Ma se è oramai dimostrata l’origine endogena della colesterina in condizioni normali fisiologiche, fisiopatologiche e sperimentalmente pro- vocate, non è altrettanto chiaro se derivi come nel digiuno da un più attivo disfacimento degli elementi cellulari o da una vera e propria iper- genesi di colesterina specialmente collegata a particolari stati funzionali di ghiandole endocrine le quali, come è noto, sono ricche di lipoidi com- plessi ed in specie di quelli della colesterina. Lac RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 143 Ciò premesso risulta evidente l'interesse e l’importanza del problema propostoci: poichè da un lato investe la questione dell’ origine endo- gena della colesterina o perchè la splenectomia modifichi il quantitativo di colesterina dei vari organi, o perchè ne diminuisca l’ eliminazione o ne inibisca la distruzione, ovvero ne faciliti il passaggio nel sangue de- terminando in alcune circostanze una modificazione della crasi sanguigna in confronto del contenuto colestearinico, dall’altro lato concorre a di- mostrare la patogenesi della colelitiasi sperimentalmente ottenuta ed a confortare l'ipotesi da noi prospettata che anche all'infuori dell’ elemento bacterico possa in alcuni casi invocarsi quale causa della colelitiasi una insufficenza anatomica o funzionale della milza. La prima serie di esperimenti si riferisce, come già si è detto, a co- nigli normali di peso diverso, esaminati in diversi periodi di tempo, tenuti sempre con lo stesso regime e nelle identiche condizioni di am- biente. Gli esperimenti di questa serie sono 15 e di. questi il n.° 5, 10, 15 riguardano conigli nei quali precedentemente erasi saggiato il con- tenuto colesterico del sangue e ne è fatta menzione rispettivamente ai ni 4,9, 14. La seconda serie di esperimenti riguarda conigli di diverso peso, spleneetomizzati da vario tempo, egualmente tenuti con lo stesso regime e nelle stesse condizioni di ambiente. Anche in questa serie fu nostra cura di ripetere il dosaggio della colesterina a distanza di tempo varia dalla splenectomia sia per controllo del precedente esame sia per veri- ficare se la quantità di composto colesterico e di colesterina contenuta nel sangue circolante subisse variazioni dopo qualche tempo dalla splene- ctomia. Le determinazioni eseguite raggiungono complessivamente. il n.° di 21. Di queste la 17, 19, 22, 26, 28, 30, 32, 34, 36, 38, 41, 42 concernono gli stessi conigli nei quali precedentemente si era fatta un’altra determinazione e riferita ai n. 16, 18, 21, 25, 27, 29, 31, 33, 8), Suo do. Nella terza serie di ricerche ci siamo proposti di controllare in uno stesso animale, dopo di averne determinato il contenuto colestearinico del sangue, se a distanza di tempo varia dalla splenectomia si verificas- sero eventualmente delle variazioni del contenuto stesso. Questa serie comprende complessivamente 34 esperimenti, dei quali 12 riguardano il contenuto colestearinico dei conigli in esame prima della splenectomia, altri 4 e precisamente quelli segnati coi n. 46,51, 63, 69 concernono egualmente animali normali in cui erasi già precedentemente fatta la 144 G. SOTTI E O. TORRI determinazione e riferita ai rispettivi ni 45, 50, 62, 68. Anche per questo l’ esame fu ripetuto sia per verificare se il contenuto in cole- sterina si mantenesse costante, sia per controllo di quanto da altri fu sostenuto che possono aversi variazioni in rapporto al salasso. Determinato il contenuto colestearinico normale degli animali in espe- rimento ripetemmo l’ esame a distanza di otto, quindici, trenta, qua- rantacinque, cinquanta. sessanta, novanta e centottanta giorni dalla splenectomia. Volendo riassumere in forma conclusiva i risultati di questi nostri esperimenti ci sembra di potere affermare : I. La quantità di composto colesterico ricavata dal sangue circo- lante di conigli normali varia da animale ad animale entro limiti ab- bastanza sensibili, così che non è possibile determinare un valore co- stante cui potersi riferire. II. — Detta quantità oscilla da un minimo di 57 milligrammi per cento nell’ esperimento III ad un massimo di 145 mgr. dello esperimento XII III. — Non può dimostrarsi un rapporto tra le variazioni riscontrate e le differenze in peso degli animali presi in esame, devono quindi quelle considerarsi indipendenti da queste. La quantità minima infatti di composto colesterico fu trovato, nella prima serie, in un coniglio di quasi 2 kgr. di peso, peso notevolmente superiore alla media dei coni- gli adoperati negli altri esperimenti. IV. La quantità di colesterina ottenuta col metodo di Windaus varia da animale ad animale entro limiti abbastanza sensibili, così che è impossibile desumere un valore costante in riguardo al contenuto co- lestearinico del sangue normale, neppure riferibile al peso dell’ ani- male stesso. V.—- Detta quantità oscilla da un minimo di mgr. 33° ottenuto nell’ esperimento III ad un massimo di mgr. 88 °/, osservato nell’espe- rimento IX. VI. — Non esiste però un assoluto parallelismo tra la quantità di composto colesterico e la quantità di colesterina contenuta nel sangue: i singoli valori ricavati dimostrano che nei conigli normali le oscillazioni entro cui varia il contenuto in colesterina sono minori in confronto di quelle che riguardano il composto colesterico. VII. — La percentuale di composto colesterico negli animali smilzati varia da animale ad animale entro limiti abbastanza estesi, nè è possi- RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTRARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 145 bile di riferire le variazioni stesse alle variazioni individuali di peso degli animali in esperimento. VII. — Detta percentuale oscilla da un minimo di mer. 63% ottenuta nell’esperimento XX (in un coniglio splenectomizzato da quindici giorni ) ad un massimo di mgr. 204 % osservato in un coniglio operato da circa due mesi (esperimento XXIX). Per quanto si riferisce alla cifra otte- nuta nello esperimento XX devesi però notare che nel coniglio, venuto a morte pochi giorni dopo della eseguita determinazione, ebbesi a ri- scontrare un forte dimagrimento ed un processo di enterite catarrale. IX. — La quantità di composto colesterico che si ricava dal sangue degli animali smilzati è generalmente superiore a quella che si ricava nei controlli non smilzati. Date le differenze individuali la valutazione _ di questo fatto è resa possibile soltanto dal confronto delle medie. Infatti mentre la media percentuale di composto colesterico ricavato da quindici determinazioni sui controlli è di 97 mgr. °, quella risul- tante da ventidue determinazioni praticate su conigli smilzati è di 139 mgr. %o- X. — Non è dimostrabile un rapporto tra la percentuale di composto colesterico ritrovata negli animali smilzati ed il tempo decorso dalla splenectomia. A vero dire per dare una dimostrazione perentoria di questa affer- mazione sarebbero occorse, sempre in causa delle variazioni indivi- duali cui si è fatto cenno, ricerche seriali per desumerla dalle medie delle singole serie di animali smilzati da vario tempo, o sistematiche intese a saggiare nello stesso animale a distanza di tempo vario dalle splenectomia il contenuto di composto colesterico. Vogliamo quindi soltanto affermare che nelle ventidue determina- zioni della seconda serie di esperimenti non ci apparvero differenze sensibili che permettessero di mettere in luce una qualsiasi relazione tra 1 valori ottenuti ed il tempo decorso dalla splenectomia. Devesi altresì notare che nelle ventidue determinazioni della seconda serie alcune si riferiscono allo stesso animale esaminato ad intervalli di tempo diversi dalla splenectomia. Ebbene anche in queste osservazioni praticate ri- spettivamente a distanza di otto, quindici, ventuno, trenta, sessanta e novanta giorni dal precedente esame non abbiamo a riscontrare oscilla- zioni sensibili nella percentuale del composto colesterico. Anzi per la concordanza delle cifre si dovrebbe concludere, fatte le debite riserve per il numero delle osservazioni, che detta percentuale si mantiene costante nello stesso animale dopo la splenectomia. Sc. Nat. Vol. XXX. 10 # 146 G. SOTTI E 0. TORRI XI. — La quantità di colesterina, dosata col metodo di Winpaus, che si trova nel sangue circolante dei conigli smilzati della seconda serie di esperimenti varia da animale ad animale ed oscilla da un mi- nimo di mgr. 60 %, trovato nell’esperimento XXII in un coniglio splenectomizzato da ventun giorni, ad un massimo di mgr. 132 0g, 0S- servato nell’esperimento XLII in un coniglio splenectomizzato da do-_ dici mesi. Non è dimostrabile una differenza rapportabile al peso dell’ animale o al tempo decorso dalla splenectomia: la quantità media di colesterina contenuta, desunta dalla media di 14 determinazioni, col Winpaus dà per risultato 86 mgr. °/o nei conigli smilzati della seconda serie in confronto di 62 mgr. % trovati nei controlli normali della prima serie in una media di dieci esperimenti. XII. — Analogamente a quanto si è constatato con le precedenti esperienze, dopo la splenectomia aumenta la quantità di composto co- lesterico contenuto nel sangue circolante. XIII. — Come nel sangue normale si osservano notevoli variazioni individuali in riguardo al composto colesterico, così negli animali splenec- tomizzati si osservano variazioni anche maggiori. Negli animali splenecto- mizzati di questa serie, la quantità di composto colesterico estratto dal sangue oscilla da un minimo di milligrammi 114% dell’ esperimento 71 ad un massimo di 528 mgr. dell’ esperimento 56. In questo caso la splenectomia datava da un mese e la determinazione precedentemente eseguita aveva dato per risultato una percentuale di 80 mgr. di com- posto colesterico: l’aumento quindi fu di ben 448 mgr. %. Anche nel- l'esperimento 54 si verificò un notevole aumento, e precisamente di 362 mer. °, aumento tanto più notevole se si consideri che la splenecto- mia datava da appena quindici giorni. In altri casi invece l’aumento fu appena sensibile. XIV. — In rapporto al tempo decorso dalla splenectomia (per quanto a trarre conclusioni definitive rendansi necessarie ricerche seriali) alla stregua delle nostre esperienze non si osservano variazioni notevoli. In qualche caso si è notato un lieve aumento, in altri una diminuzione del contenuto colesterico, pur mantenendosi questo generalmente, anche dopo parecchi mesi, superiore a quello riscontrato prima dello smilzamento. XV.— Le determinazioni comparative eseguite a varia distanza di tempo (otto, quindici, trenta, sessanta giorni) sullo stesso animale prima della splenectomia dimostrano che la quantità di composto colesterico Mia A RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 147 contenuta nel sangue circolante non varia sensibilmente, mantenendosi presso a poco costante. Le nostre ricerche in proposito (vedi gli esp. 5, 10, 15, 46, 51, 63, 69) sono troppo scarse per poterne trarre delle conclusioni generali in rapporto alla influenza esercitata dal salasso: solo osserviamo che nelle esperienze di Boees, THomas, Monis e RogER, che sembrano contraddire alle nostre, la lisemia ottenuta nei conigli sa- rebbe conseguente a forti e ripetuti salassi. Parimenti le ricerche com- parative di MauRIAC starebbero a dimostrare che i salassi ripetuti ed abbondanti modificano notevolmente il contenuto colestearinico del sangue e dopo ripetuti salassi si verifica nell’ organismo una ipercolesterinemia, quindi la quantità di colesterina si abbassa rapidamente e si ha una vera e propria ipocolesterinemia, che si accompagna a disturbi gravi dello stato generale e ad un rapido dimagrimento. Se si interrom- pono i salassi si ha quindi una ipercolesterinemia persistente parecchi giorni. Pertanto dalle nostre determinazioni si potrebbe dedurre che data la quantità di sangue adoperata per l’ estrazione, il salasso non abbia portato modificazioni sensibili. XVI. — Date le differenze individuali nella composizione del sangue normale in riguardo al composto colesterico e le differenze che si ri- scontrano nei singoli animali in esperimento consecutivamente alla splenectomia le variazioni relative meglio si valutano dal confronto delle cifre medie anzichè da quello dei risultati degli esperimenti singoli. Così mentre dalla media di segici determinazioni di questa serie fatte prima dello smilzamento risulta che nel sangue si trovano mgr. 96 % di composto colesterico, dalla media di diciotto determinazioni fatte sugli stessi conigli dopo la splenectomia risulta un aumento circa del doppio essendosi trovati in questi mgr. 192 ° di composto colesterico. XVI. — In riguardo alla colesterina contenuta nel sangue circolante e dosata col metodo di Winpaus, negli animali splenectomizzati di que- sta serie abbiamo constatato un aumento, meglio apprezzabile dal con- fronto delle cifre medie anzichè da quello dei singoli esperimenti. Così mentre la quantità media di colesterina dosata col Winpaus sui conigli normali risulta di 55 mgr. %, la quantità trovata sugli stessi smilzati è di 90 mgr. %o- XVII. — Analogamente a quanto si verifica nei conigli normali non esiste uno stretto parallellismo tra il quantitativo di composto colesterico ed il quantitativo di colesterina ottenuto, cioè a dire non sempre questo e VET SANA SELENA PRE “a 148 G. SOTTI E 0. TORRI è in proporzione di quello. Questo fatto sta a significare che oltre alla colesterina aumentano in varia proporzione talvolta quei prodotti che si trovano combinati con la colesterina nel composto colesterico (acidi grassi, lipoide a struttura chimica non ben definita). Citiamo a conforto di questa nostra affermazione l’esperimento 56 nel quale si osservò un aumento di 448 mgr. %, di composto coleste- rico: ebbene la colesterina non aumentò proporzionalmente essendosi trovati col Winpaus mer. 93 % in confronto di 54 mgr. % con un au- mento quindi di 39 mgr. °o. Parimenti nello stesso esperimento 54 in cui si ebbe un aumento del composto colesterico di 362 mgr. %y la co- lesterina si mantenne presso a poco non modificata (72 mer. in con- fronto di 60 mgr. ° della precedente determinazione). Al contrario nello esperimento 73 in .cui ebbesi il massimo di colesterinemia (152 mgr. %) non sì verificò un corrispondente aumento del composto colesterico (162 mer. “ dopo tre mesi dalla splenectomia, in confronto di 134 mer. % ottenuti nella determinazione fatta dopo un mese e di 77 mgr. % ottenuti nella prima determinazione (vedi esp. 57). XIX. In rapporto al tempo decorso dalla splenectomia non si os- servano modificazioni sensibili circa ìl contenuto colesterico del sangue. La massima percentuale fu notata in un coniglio splenectomizzato da tre mesi; in altri splenectomizzati da egual tempo si ebbe una quan- tità pari o quasi alla media. Quindi si conclude per la colesterina analogamente a quanto fu concluso per il composto colesterico. XX. Le scarse variazioni che si notano nel composto colesterico e nella colesterina così negli animali normali come in quelli splenectomiz- zati, a varia distanza di tempo dalla splenectomia, indurrebbero a ritenere che la quantità di composto colesterico e di colesterina contenuta nel sangue circolante si mantenga costante. Questo fatto si rileva dal con- fronto delle cifre ottenute sia nelle esperienze n.° 5, 10, 15, 46, 51, 63, 69, già citate a proposito della conclusione n.° XV sia dalle abba- stanza numerose esperienze delle serie II. n.i 17, 19, 22. 26, 28, 30, 32, 34, 36, 38, 41, 42 (le quali tutte si riferiscono a conigli nei quali si era precedentemente saggiato il contenuto colestearinico). Dalle quali risulta che malgrado le differenze individuali non solo il contenuto co- lestearinico nello stesso animale normale non muta, ma che una volta modificato, come accade per esempio in seguito allo smilzamento, rimane inalterato anche a distanza di parecchi mesi. In altri termini il conte- nuto normale e le modificazioni del contenuto hanno carattere di sta- RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICQ DEL SANGUE CIRCOLANTE ECC. 149 bilità: fatto questo importante sia in riguardo al metabolismo della colesterina sia anche perchè concorde con quanto BacmeIstER ed Henes in alcune malattie (diabete-obesità-arterioclerosi-nefrite) hanno osservato : in queste malattie infatti nonostante l’aumentata eliminazione per mezzo della feci si ha una ipercolesterimemia marcata permanente. Questo fatto tornerebbe anche indirettamente a conferma di quanto Mayer e ScHAEFFER hanno osservato che nella stessa specie animale, nei vari tessuti esiste una certa costanza fisiologica di composizione in lipoi- di, diversa da organo ad organo ma caratteristica dell'organo consi- derato (indice lipocitico) come è caratteristico degli organi di un animale colesterina di una data specie il coefficiente lipocitico cioè il rapporto Toi grassi Negli animali normali gli indici ed i coefficienti acidi grassi sem- brano permanenti, e legati ai costituenti fondamentali del protoplasma cellulare, la loro costanza quindi deve essere in rapporto con le condi- dizioni generali dell’attività cellulare. Dalle ricerche di questi autori con- fermate ed ampliate da TERROINE e WEILL in un lavoro in collaborazione sugli indici lipocitici dei tessuti nell’inanizione e nell’alimentazione e quindi da TERROINE in tre successive memorie sulla esistenza di una co- stante lipocitica e sulle variazioni lipocolesterinemiche in seguito al di- giuno, all’alimentazione ed alla iperalimentazione, si verrebbe alla con- clusione senerale che la colesterina come gli acidi grassi ed il fosforo lipoidico essendo un elemento che nelle cellule non varia nè per il di- giuno assoluto, nè con l’alimentazione, nè con la iperalimentazione deve essere considerato come una costante cellulare, non come una riserva il cui valore possa oscillare entro limiti abbastanza ampi ma come un elemento della cellula permanente e stabile. XXI. — Quale corollario delle precedenti conclusioni si ricava che (pur non volendo con questo infirmare quanto altri autori [Kusumoto- Fraser e GARDNER-ELLIS e GARDNER ecc.] hanno cercato di dimostrare circa la possibilità che la colesterina introdotta nelle vie digerenti sia pure sotto forma di eteri grassi venga assorbita e passi nel sangue) anche sperimentalmente, con la splenectomia, è dimostrabile l’origine en- dogena della colesterina. 3 XXII — Se le nostre ricerche confermano la possibilità di una ori- gine endogena della colesterina non per questo mettono in chiaro il meccanismo della colesterinogenesi, che è invero molto complesso. Anzi- tutto dovremmo domandarci se l’aumento sia reale, per una ipergenesi vera e propria legata ad una funzione cellulare propria di tutte le cel- 150 G. SO®TI E O. TORRI lule viventi (LinossIER) o all’attività particolare di qualche organo, ovvero apparente perchè intervenga una qualche causa che faciliti il passaggio nel sangue della colesterina oppure perchè ne sia diminuita la distruzione. Ma anche così posta la questione non rimane semplificata, alla stregua delle conoscenze che noi abbiamo sulla colesterina e sulle sue variazioni (ipercolesterinemie-ipocolesterinemie) in rapporto all’ alimentazione, a stati fisiologici, fisiopatologici sperimentalmente provocati e patologici. Anche perchè non conosciamo affatto da quali sostanze l’organismo formi la colesterina, nè come si elimini ritenendosi che parte della colesterina arrivata nel tubo digerente venga in gran parte di nuovo riassorbita (BacmeISTER-GARDNER). Se si ammette che la eliminazione della coleste- rina con la bile sia piuttosto scarsa perchè in gran parte viene rias- sorbita, scarsissima d’altra parte essendo (fatta forse eccezione per quella che si verifica con la cute attraverso la desquamazione cutanea e la secrezione sebacea) l’eliminazione che avviene con la saliva, col sudore e con l’urina devesi ritenere non improbabile che nell’organismo ne av- venga in parte anche la distruzione, o per particolari attività cellulari o per speciali attività di organi analogamente a quanto avviene per la sua produzione. Ed un altro quesito si presenta immediatamente, al quale abbiamo già più sopra accennato: l’aumento della colesterina nel sangue è indice di un aumento. di questa sostanza in tutto l'organismo? Da quanto siamo venuti esponendo risulta evidente quanto il pro- blema della colesterinogenesi sia complesso ed oscuro e di conseguenza come sia difficile assegnare un significato e valutare al giusto la even- tuale importanza che assume la splenectomia in rapporto alla produzione o alla distruzione della colesterina; rimane pertanto aperto il campo alle più svariate ipotesi che cercheremo di brevemente riassumere nell’ in- tendimento di dimostrare almeno su quali basi il quesito deve essere impostato perchè sia possibile di tentare di risolverlo, ciò che è oggetto già da tempo di particolare studio da parte di uno di noi (Sorti). Ammessa l’origine endogena della colesterina, è questa sostanza di origine epatica? In principio di questo lavoro abbiamo accennato ad alcune ipotesi che si collegano a questo quesito, ipotesi giustificate oltre che dalle conoscenze di correlazioni fisiopatologiche tra milza e fegato dimostrate da oramai numerosi dati patologici, da ricerche sperimentali (CaAUFFARD, CASTAIGNE, BAGGIO, GRIMANI ecc.) che comprovano non solo l’esistenza di alterazioni del fegato di origine splenica ma anche la pos- RICERCHE SUL CONTENUTO COLESTEARINICO DEL SANGUE CIRCOLANTE Ecc. 151 sibilità di un diverso svolgimento di processi morbosi nel fegato in rap- porto con la splenectomia o con la legatura delle vene spleniche (Foà). E ci siamo domandati se la splenectomia agisca per modificazioni cir- .colatorie intraepatiche conseguenti all’abolizione del circolo splenico o per alterazioni strutturali delle cellule epatiche o perchè venga a mancare una particolare secrezione da parte della milza. Ammesso che la colesterina derivi dal fegato il quesito propostoci si medifica in questo senso: quale influenza esercita la milza o per me- glio dire la mancanza della milza sulla biligenesi in riguardo alla co- lesterina? Quesito oltremodo interessante perchè, come già si è detto, non è noto da quali sostanze l’organismo formi la colesterina ritenen- dosi impossibile (per quanto anche recentemente Reicher abbia soste- nuto che il tessuto epatico abbia una azione trasformatrice del grasso neutro in colesterina) per la sua costituzione e per la scarsa quantità di ossigeno contenuto nella sua molecola che derivi da una incompleta ossidazione dei grassi, mancando d’altra parte una prova sperimentale alla ipotesi che derivi da una ossidazione incompleta delle sostanze al- buminose (Miabhle) o dalla lecitina, prodotto di disassimilazione della so- stanza nervosa che si eliminerebbe attraverso il fegato (Flint). L'altra ipotesi che resta da vagliare e da discutere in sede oppor- tuna è se anche all’infuori del fegato si possa avere produzione di co- lesterina in qualche altro organo. Problema anche questo di non dubbio interesse perchè si riferisce alla possibilità di un’origine endocrina della colesterina. La questione è interessante non solo per la dimostrazione di eventuali correlazioni funzionali tra la milza e le ghiandole a secre- zione interna, ma perchè mentre alcuni autori (AscHorr-WACcKER e HuEcK BACMRISTER ecc.) ritengono che la corteccia surrenale contenga abbondanti eteri colesterinici ed altri lipoidi e ne regoli il metabolismo rappresentando in certo qual modo più che un centro di produzione e di elaborazione un centro di deposito ed eventualmente di riserva. altri invece (CHAUF- FARD ed in genere la Scuola francese — GricAUT-LAROCHE ecc.) anche per il comportamento in determinate condizioni fisiologiche e fisiopa- tologiche considerano al contrario la produzione della colesterina stret- tamente legata alla funzione delle surrenali, altri infine (Craccro) am- mettono che la corteccia surrenale sia sede di un attivo metabolismo lipoide elaborando lipoidi complessi prevalentemente fosfatidi a spese di eteri della colesterina e di glicerina apportati dalla circolazione. Infine l’altra ipotesi che rimane da investigare, e che per alcuni ri- 152 G. SOTTI E 0. TORRI x guardi è connessa con la precedente, è se la colesterina che troviamo in aumento negli animali smilzati possa provenire da processi disinte- grativi cellulari o dai vari depositi viscerali di origine esogena alimen- tare noto essendo, anche per quanto avviene in alcuni stati patologici (xantellasma - arterioclerosi - nefrite- diabete ecc.), che in alcuni tessuti ed organi (tessuto cutaneo - tessuto mucoso - arterioso - epatico - retina - bulbo oculare ecc.) si ha quasi una fissazione elettiva di colesterina. Nel primo caso l’ipotesi è giustificata dalla conoscenza che la quan- tità di colesterina contenuta nel sangue circolante (KLEMPERER ed UMBER) aumenta quando si abbia una maggior distruzione di elementi cellulari come pure aumenta la quantità di colesterina contenuta nella bile e nelle feci quando si abbia una più attiva eritrocitolisi (ROEMANN): ciò che conferma il fatto oramai acquisito che dai processi di disintegrazione fisio- logici e patologici degli elementî cellulari derivi buona parte della co- lesterina endogena. Bisognerebbe però provare in questo caso che alla splenectomia consegua una più intensa disintegrazione cellulare o una maggior distruzione di eritrociti ovvero una più attiva funzione da parte del fegato nella distruzione delle cellule. Nel secondo caso l’ipotesi risulterebbe confermata ove fosse dimo- strabile per via chimica ovvero istochimica una diminuzione’ del con- tenuto colesterico negli animali splenectomizzati in confronto dei normali negli organi e nei tessuti dove ordinariamente si ha una fissazione di colesterina: ed in questo secondo caso l’aumento della colesterina tro- vata nel sangue circolante avrebbe il significato o di una decolesteriniz- zazione dei tessuti nei quali è contenuta ovvero che i tessuti stessi non abbiano più la capacità di elaborare ed eventualmente di fissare la colesterina. XXIII. — Dalle nostre ricerche risultando accertato (qualunque ne sia l’origine e pur prescindendo da qualsiasi’ considerazione sul signi- ficato fisiopatologico) un aumento del composto colesterico e della co- lesterina circolante nel sangue degli animali smilzati, risulta altresì confermato che esiste un rapporto tra il contenuto. colesterico e la mancanza della milza. E concludiamo con questa affermazione anche se non concorda con quanto si dice in una recente nota comparsa in Pathologica sulla patogenesi della colelitiasi (Tori). Rimane da provare se ad un aumento del contenuto colesterico nel sangue corrisponda un aumento della colesterina contenuta nella bile: ma a prescindere dal fatto che numerose ricerche sperimentali e particolari l RARO pa DARINICO DEL SANGUE cIRCOLANTE CC. 153 co) estericobiliare ed ematico, questa ricerca fu già da parte nostra 0g- getto di studio nel corso di queste indagini e ci proponiamo di renderla BIBLIOGRAFIA Aoyama. — Ziegler’s Beitrige Bd 57, 1914. AscHorr. — Verhandl. d. deut. path. Gesell. 1905. Ip. — Miinch. med. Woch. Bd. 38, 1906. Ip. — Ziegler’s Beitriîge Bd. 47, 1910. Ip. — Atti del I.° Congresso Internaz. dei Patologici. Torino 1911 AscHorr u. BacmeisTER. — Die Colelithiasis. Jena 1909. BAcMEISTER. — Miinch. med. Woch., Bd. 38, 1907. Ip. — Mtiinch. med. Woch. Bd. 39, 1908. Ip. — Ziegler’s Beitrige. 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Ricordiamo tra le altre le conferme di OGaTA (2) e di NAEGELI, (3) di Sourp e PaGNIEZ, (4) !) e ricordiamo che Foà, (5) primo in Italia, accettò questa teoria, e successivamente anche CESARIS DE- MEL (6) la convalidò, valendosi non di sezioni, ma di strisci di midollo delle ossa, fissati e colorati col metodo di May-Griimwald — Giemsa. — Tutti questi A. A., ora nominati, nei loro studi, si occuparono esclusivamente dei 1) SourD e PAGNIEZ in una prima nota (Comp. R. de la Soc. de Biologie 1913 p. 580) studiando il potere coagulante e retraente dei succhi dei varii organi sul coagulo, in rapporto al loro contenuto in piastrine, trovando poche piastrine nel midollo, che però è dotato di forte potere retraente, ritengono questo sia le- gato alla presenza dei numerosi megacariociti, venendo così a dare un appog- gio indiretto alla teoria di Wright. Successivamente gli stessi A. A. (Comp. R. de la Soc. de Biologie 1910 p. 788) accettano senz'altro questa teoria e dicono di aver nei loro preparati di midollo, con un metodo proprio di colorazione, ottenute figure assolutamente simili a quelle date da Wright ed Ogata e dimostranti l’ attiva piastrinocinesi da parte dei megacariociti. (Mi sono diffuso su questa conferma non avendone io tenuto conto nella mia precedente nota (6) ). SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEI MAMMIFERI 157 megacariociti contenuti nel midollo delle ossa, solo OHELHAFEN, (7) che pur avvicinandosi alla teoria di Wright non la crede sufficientemente provata, li studiò anche nel sangue circolante in vari casi di leucemie mieloidi. Mi parve che a questo punto della questione fosse interessante di studiare anche il comportamento dei megacariociti che sappiamo esistere normalmente nel- la milza di molti animali, o comparire in svariate condizioni patologiche in quella di altri che normalmente non ne contengono. A chi abbia anche una mediocre coltura di ematologia è noto come il riccio presenti normalmente una grande quantità di megacariociti nella propria polpa splenica (MorEL e SouLIè, (8) PARDI (9) ecc.). Per ciò cominciai questa ricerca valendomi del riccio e resi noti i risultati di queste mie osservazioni (10) con le quali dimo- strai che anche da preparati ottenuti per striscio dalla polpa splenica fresca di riccio si possono ottenere, con la fissazione e successiva colorazione col metodo di May-Grimwald — Giemsa, delle immagini di megacariociti net- tamente dimostrative e nelle quali è evidente l’origine delle piastrine da una differenziazione periferica del protoplasma, a fini granulazioni azzuro- file, dei megacariociti stessi. Questo è un reperto che si poteva ragionevol- mente sospettare a priori, ma che parmi utile di aver dimostrato. Succes- sivamente ho ripetuto la stessa osservazione anche in milze di altri animali nelle quali parecchi A. A. dimostrarono la non rara presenza di megacario- citi, e cioè nel gatto, nel cane, nel coniglio, nella cavia ecc. (PARDI, (9) Foà, (11) VeRson (12) ecc.) ed ho cominciato a valermi del gatto, come quell’animale, che per presentare nel proprio sangue circolante le piastrine più numerose, più voluminose, più nettamente colorabili, mi faceva supporre anche una più intensa piastrinocinesi da parte dei megacariociti della milza. Nè male mi apposi perchè dai primi preparati allestiti, non solo per striscio, ma nelle sezioni dell’organo opportunamente fissato, mi accorsi che, special- mente negli animali giovani, ì megacariociti sono numerosi e voluminosi nella polpa splenica. Data poi la struttura anatomica della milza di gatto che più si avvici- na alla struttura anatomica della milza dell’uomo e dei comuni animali d’esperimento (cane, coniglio, cavia ece.) che non sia la milza del riccio, trovai che questo animale si presta più che il riccio, per queste ricerche, e a torto fu trascurato fino ad ora dagli ematologi. Nella milza di gatto però è difficile di poter ottenere, dai preparati per strisico, dei megacariociti ben isolati e differenziati nelle loro parti costituenti e perciò per il gatto preferii valermi delle sezioni di milza, opportunamente fissate. VERSON (12) nei suoi diligenti e veramente interessanti lavori sui megacariociti, afferma 158 A. CESARIS-DEMEL che non esiste un metodo specifico o di elezione al quale si debba ricorrere per studiare questi elementi, « dei quali (egli dice) si possono facilmente ottenere delle buone immagini con metodi diversi » 1). E le nitide figure che accompagnano la sua esposizione, sono desunte appunto da preparati allestiti con metodi diversi. Nelle mie presenti ricer- che però, ammesso lo stretto rapporto genetico tra piastrine e protopla- sma a granulazioni azzurrofile dei megacariociti, mi sono attenuto per allestire i miei preparati a preferenza a quei metodi, che sono proposti e si adoperano oggi per dimostrare le piastrine nei tessuti, metodi che si basano tutti sull’azione più o meno continuata di diluzioni più o meno concen- trate di Giemsa sopra sezioni di organi variamente fissati. Così facendo, anche nel protoplasma dei megacariociti si conservano e si differenziano le granulazioni azzurrofile che vi sono contenute, e lo stretto rapporto tra piastrine e megacariociti si dimostra ancora una volta non solo da criteri puramente morfologici, ma anche da criteri cromatici. Non faccio ora una ordinata esposizione dei vari metodi fondati sul principio sopra enunciato, e ricordo solo che i principali sono quelli consigliati da WRIGHT (13) ScHRIDDE, (14) OGata (2) GremsA (15) PAPPENHEIM (16) STERNBERG (17) Sour e PAGNIEZ (18) ecc, e che si possono agevolmente trovare nei più moderni trattati di tecnica. Nelle mie ricerche, mi sono specialmente attenuto ai metodi consiglia- ti da Giemsa, e da Ogata, ed ho trovato ottimo fissatore anche l’alcool me- tilico il quale permette una buona colorazione del protoplasma azzurro- filo delle piastrine e dei megacariociti senza bisogno di ricorrere ad alcun acido per la decolorazione. (Io le sezioni molto sottili di milze fissate in al- cool metilico le coloro per 15-17 ore in diluzione di Giemsa ottenuta met- tendo trenta goccie di Giemsa su cento di acqua distillata, disidratando ra- pidamente in acetone, poi xilolo, ed includendo in olio di cedro). Per mia esperienza anche nelle sezioni di milza fissate col metodo di Ogata (formolo 10% a 36.0 per 24 ore e successivamente 12 ore in Miller) e in quelle fis- sate col metodo di Giemsa (soluzione acquosa di sublimato saturo a caldo 2, alcool assoluto 1) si può ottenere la colorazione diretta del protoplasma a granulazioni azzurrofile, senza ricorrere ad alcun decolorante quando si 1) Egli adoperò il fissativo Zenker colorando successivamente col metodo di Mallory per il connettivo, e col metodo di Mann e colla miscela Ehrlich Biondi Haidenhain, coll’ emallume ed eosina ed il fissativo di Flemming, con successiva colorazione con ematossilina ferrica ecc. SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEI MAMMIFERI 159 sorvegli pazientemente la colorazione prelevando a vario tempo dall’immer- sione nelle soluzioni Giemsa a 30 goccie su 100 c.c. qualcuna delle sezioni che vi stanno colorando, ed esaminandole, dopo averle desidradate e mon- tate, al microscopio. L’evitare la decolorazione con acido, per quanto questo sia diluito per- mette una più lunga possibile conservazione dei preparati, chè un pos- sibile residuo di acido ne minaccia sempre una più rapida decolorazione. Per mia esperienza ho potuto anche persuadermi e che al di là di un certo limite della diluizione di Giemsa in acqua, non si ottengono più buoni preparati e la sostanza azzurrofila non compare più differenziata, come non è opportuno oltrepassare il numero di 40-50 goccie su 100, chè al- trimenti la colorazione delle sezioni si fa troppo intensa ed è difficile ot- tenere una buona differenziazione del protoplasma a granulazioni azzurofile. Con la pratica si può nel modo che ho detto sorvegliare la colorazione e la decolorazione tanto da ottenere con facilità dei buoni preparati dimo- strativi, chè nessuno dei metodi consigliati è di sicura, costante riuscita in ogni caso, quando si seguano serupolasamente le norme consigliate dagli A. A. Queste vanno dunque caso per caso opportunamente per quanto leg- germente modificate. i In queste mie ricerche sulle milze di gatto nei preparati per striscio, e più che tutto nei preparati allestiti con la tecnica ora ricordata, io ho potuto osservare dei fatti interessanti che in parte mi paiono nuovi, in parte erano certamente già noti, ma non forse esattamente interpretati, e che nel loro insieme vengono non solo a corroborare la ricordata teoria di Wright ma vengono a portare nuova luce sulla struttura e sulla funzione della milza. Esporrò ora progressivamente, ed illustrandoli con figure fedelmente disegnate, i fatti principali da me osservati, e li farò seguire da brevi con- siderazioni e da qualche ricordo bibliografico più strettamente necessario, riserbandomi di ritornare ancora presto su questo argomento con una più dettagliata ed ordinata esposizione, e con un corredo bibliografico il più possibilmente completo. 1.— Nella milza del gatto esistono normalmente dei megacariociti. Per quanto io non abbia fatta una lunga ricerca sistematica sulla propor- zione numerica dei megacariociti in questi animali in rapporto alla loro età, ho costantemente osservato che questi sono specialmente numerosi nelle prime età, per ridursi poi gradatamente, e progressivamente. Non ho fatte ricerche speciali per determinare le condizioni funzionali o patologiche che 160 A. CESARIS-DEMEL possono farli aumentare o diminuire !) per ora mi sono limitato a studiare le milze che, specialmente negli animali giovani, sono molto ricche (talora più che non sì osservi normalmente nel riccio) di questi elementi, per stu- diarli per se e in rapporto alle piastrine. Anch'io confermo che questi ele- menti, secondo la legge generale desunta da VeRrsoN (12) da osservazioni proprie e da quelle dei precedenti osservatori, hanno sempre stretti rapporti coi vasi venosi della milza. Questo rapporto però oggi non dobbiamo più come fa VeRrsoN (12), ritenerlo di significato « oscuro » ma dobbiamo ri- tenerlo necessariamente legato alla funzione piastrinocinetica che è propria dei megacariociti, i quali devono versare e versano anche quando sono ex- travascolari, nell’interno dei vasi il prodotto della loro funzione. Noi vedia- mo infatti numerosi megacariociti in tutta prossimità delle pareti venose e dei setti connettivali dei seni venosi della milza, ne vediamo mentre stan- no attraversando le pareti venose stesse (fig. 1-2-3-9) non solo di piccole ma anche di grosse vene, e di questo passaggio possiamo seguire le varie e suc- cessive fasi, dallo sporgere nel lume del vaso solo della estremità terminale clavata di un grosso pseudopodio emesso dal megacariocita (fig. 2), allo sporgere di lunghi pseudopodi riuniti quasi a pennello (fig. 3), all’incunearsi, con fenomeni vari di assottigliamento di tutto il megacariocita, colla sua massa protoplamatica, col suo nucleo nella parete del vaso prima di pene- trare totalmente nella sua cavità (fig. 4-6). Tutte le fasi dunque del pas- saggio dei megacariociti da extravascolari ad endovascolari sono nettamente visibili. A questo si aggiunga che, sia attorno al protoplasma del megacarioci- ta nella sua fase extravascolare, sia attorno ai grossi e corti o sottili o lunghi pseudopodi, sempre gli uni e gli altri con una estremità arrotondata a clava penetrati nel lume del vaso, si vedono differenziarsi dal proto- plasma a granuli azzurofili, delle piccole masse rotondeggianti a contorno ialino, con numerosi granuli azzurofili addensati alla parte centrale, asso- lutamente simili alle piastrine circolanti. Questa differenziazione con- tinua anche quando il megacariocita è penetrato nel lume nel vaso, tanto dal contorno dell’elemento quanto dai pseudopodi dai quali questo è mol- to spesso, e direi quasi sempre, fornito (fig. 4-5-6-7-8). Quando i pseudo- podi mancano in una sezione, si ritrovano poi nei preparati in serie, dipar- tirsi, più in alto o più in basso dal megacariocita stesso. I prolungamenti i) Noto per incidenza come nelle milze dei gatti avvelenati colla pirodina si nota un aumento forte nel numero dei megacariociti presenti nella milza. SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEI MAMMIFERI 161 pseudopodici poi talvolta, e questo avviene nei più grossi vasi venosi, sono molto lunghi tanto da attraversare quasi totalmente il campo di osserva- zione (fig. 11) (obb. ad. imm. 1.30 con oculare comp. 8) talaltra sono se- zionati trasversalmente ed appaiono come masse più o meno voluminose (sempre più di una piastrina normale) rotondeggianti, fimamente punteg- giate da granulazioni azzurofile e con differenziazione periferica di nuove piastrine (fig. 10). Nell’imsieme queste sezioni trasversali si potrebbero intrepretare come piastrine giganti in attiva piastrinocinesi (e corrispondono verosimilmente alle cellule piastriniche di Foà (11) ma l’esame delle sezioni in serie ci per- mette di determinarne esattamente il significato. Nel lume dei vasi venosi (dico per incidenza che anche a me non fu mai dato dimostrare megacariociti o loro prolungamenti nei vasi arteriosi) sì possono anche trovare frammenti di pseudopodi delle più disparate for- me, preferibilmente però cilindrici, (fig. 7-8-9-10) dai quali si vedono dif- ferenziarsi perifericamente delle piastrine, frammenti che nelle sezioni in serie si vedono ancora direttamente congiunti al proprio megacariocita. Queste varie immagini, passate rapidamente in rassegna, ci danno una nuova e netta conferma della funzione piastrinocinetica dei megacarioci- ti della milza e ci dimostrano nettamente come le piastrine, originate dai megacariociti vengano immesse direttamente nei vasi per passare poi nel circolo generale. Lo stesso fenomeno, nel midollo, si può più difficilmente dimostrare per quanto anche in esso sicuramente avvenga, perchè nel midollo gli pseu- dopodi immettono in capillari estremamente sottili, e mai in vasi venosi così cospicui come sono quelli della milza. Abbiamo così una prova che alla milza spetta, tra le altre sue molteplici ed oscure funzioni, anche quella di produrre delle nuove piastrine, ipotesi questa non nuova, ma già emessa come vedremo da molteplici A. A. (Foà, (11) DomrnicI (19) ) sospettata da altri (SourD e PaGNIEZ) (4) in base a considerazioni diverse, ma che mai credo sia stata così nettamente dimostrata. Come ho detto, era noto che la milza di gatto contenesse dei megaca- riociti, era anche noto che questi oltre che avere un rapporto costante colla parete dei vasi venosi splenici, potessero anche trovarsi nel loro in- terno, come si possono trovare anche nei vasi di altri organi. VERSON (12) infatti ricorda che KuBorN (20) Van DER-STRICHT (21) ne descrissero nei ca- pillari epatici, MuLLER (22) MicHAELIS, (23) ScawARZ (24) e HIDENNBURG So. Nat. Vol. XXX. 11 SS 162 A. CESARIS-DEMPL (25) nei capillari del fegato e della milza, ScHawARZ (26) anche nelle ghian- dole linfatiche e talora anche nel rene. Nel rene però, a differenza degli or- gani ora citati si trovano contenuti nei vasi arteriosi (glomeruli) e come CesarIs DeMEL (26) ha dimostrato, rappresentano una progressione per vasodilatazione dei capillari polmonari, degli analoghi elementi che vi erano prima contenuti. VERSON (12) stesso dà delle figure molto dimostra- tive nelle quali non solo si vedono megacariociti nell’interno dei vasi ve- nosì splenici od epatici, in un embrione di gatto, ma si scorge anche qual- che fase della loro penetrazione nel vaso stesso. To non credo però che alcuno abbia mai sostenuto che questa presenza di megacariociti nell’interno dei vasi della milza nel gatto, sia tanto fre- quente, e non solo nella vita embrionale, da poterne dimostrare parecchi esempi, non solo nella stessa sezione, ma anche in un solo campo di osser- vazione (obbiett. a secco 7 ocul. 3). Come dobbiamo noi intrepretare questo reperto? Gli A. A. precedenti lo interpretano come l’ esponente di un embolismo cellulare ed io ritengo siano venuti a questa convinzione anche per la suppo- sta rarità del fenomeno. Come si può ora ritenere siano veramente degli emboli cellulari e come tali, elementi destinati a progredire per pervenire direttamente in circolo, quando noi li vediamo così frequenti, così nume- rosi? La milza dovrebbe in questi casi produrre ininterrottamente dei megacariociti per supplire a quelli che continuamente ne vengono espor- tati. E l'esame della milza non consente di ammettere questa notevole neo- produzione di megacariociti giacchè solo eccezionalmente si notano in que- sti, attività cariocinetica nel nucleo o segni di divisione cellulare. Noi dob- biamo invece ritenere che i megacariociti che noi vediamo nei vasi e che a noi danno l’impressione di esservi liberi e liberamente circolanti, siano ancora per qualche loro propaggine pseudopodica aderenti alla parete del vaso, sicchè possano, una volta penetrati nel vaso, rimanervi per qual- che tempo indisturbati per esercitarvi la propria attività, per produrvi sem- pre nuove piastrine da versare in circolo e questa loro permanenza sareb- be facilitata dalla debole corrente sanguigna che nei seni e nei vasi venosi della milza sappiano esistere. Non si devono dunque questi elementi inter- pretare sempre come emboli ma come elementi per un certo tempo per- manenti nel lume del vaso. Per qualche urto traumatico, per un esaurimen- to della propria attività funzionale con impoverimento quindi della massa protoplasmatica, questi elementi possono al fine staccarsi e liberamente pro- gredire e veri emboli, pervenire nel piccolo circolo ed essere trattenuti sai SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEI MAMMIFERI 163 nei capillari polmonari. Una riprova di questo fatto l’abbiamo anche nella constatazione che nei gatti giovani a ricco contenuto megacariocitico nei vasi venosi della milza, non per questo sono più numerosi i megacariociti presenti nel polmone che non sia in animali o in gatti stessi adulti nei qua- li siano mancanti o scarsi i megacariociti nella polpa e quindi nei vasi ve- nosi splenici. . A proposito poi di questa dimostrata frequenza colla quale i megaca- riociti penetrano, possiamo dire fisiologicamente, nei vasi venosi della milza ericordando come in svariate condizioni anche nell’uomo e nei vari animali possono ricomparire od aumentare, io ritengo probabile che i nuclei di megacariociti che si trovano embolicamente incuneati nei vasi pol- monari abbiano ad avere, se non un’esclusiva, una prevalente origine sple- nica. Dobbiamo dunque dare oggi una maggiore estensione a quanto a- veva già cominciato a supporre Verson(12) là dove dice« Il numero conside- revole di queste cellule diapesanti mi induce da ultimo a credere che esse non soltanto dal midollo osseo, ma da tutti gli organi in cui i megacario- citi si formano e normalmente si trovano, possano penetrare in circolo ». Da tutti gli organi dunque, ma prevalentemente dalla milza e ripetiamo si tratta sempre in questi casi dell’ embolismo della sola massa nucleare privata del proprio protoplasma completamente esaurito dalla propria specifica funzione piastrinocinetica. Alcuni A. A. nello studio dei vari embolismi cellulari e non tenendo na- turalmente conto di questa frequente e tanto numerosa penetrazione di megacariociti nei vasi venosi della milza, hanno supposto che in gran par- te la loro produzione fosse da attribuirsi ad una causa meccanica trauma- tica. Pur riconoscendo a questo fattore una certa importanza (specialmen- te per le cellule del fegato e della placenta, per il tessuto adiposo ecc.) cre- do utile di ricordare come i gatti. da me esaminati li uccisi sia per dis- sanguamento, sia per un colpo violento al capo, con esportazione immediata della milza, ed in alcuni casi anche esportai la milza dall’animale vivente. La milza afferrata delicatamente per un suo estremo fu isolata dai suoi le- gamenti e dai suoi vasi senza subire alcun contatto e i pezzetti da fissare furono tagliati tenendo la milza così sospesa e fatti cadere direttamente nel liquido fissatore. Questo procedimento fa escludere l’ipotesi che la pe- netrazione dei megacariociti nei vasi venosi della milza sia da attribuire a traumatismi, e gli embolismi siano dunque accidentali. La costanza poi dei fatti osservati in animali diversi, venuti a morte con meccanismi diversi, e la netta dimostrazione dei vari periodi successivi della penetrazione dei me- 164 A. CESARIS-DEMEI, gacariociti nell’interno del vaso e della produzione delle piastrine, ci fa anche escludere si tratti di fenomeni accidentali, chè, sarebbe veramente strano sì potessero istituire così rapidamente all’atto della morte o all’atto di estrazione della milza dall’animale. Ho ricordato come Verson abbia date anche delle figure indicanti la presenza di megacariociti nei vasi della milza. Aggiungo che Verson dà anche una figura nella quale si vede la netta penetrazione di un grosso e lungo pseudopodio nell’interno del vaso, e dall’estremità dello pseudopodio si vedono staccarsi delle piccole masse incolori-indifferenziate (nè la differenziazione si poteva ottenere col me- todo di colorazione da lui adoperato). Penetrazione di pseudopodi, differenziazione di piastrine al tutto simi- le a quanto io sono venuto descrivendo, non interpretate nel loro giusto valore, per quanto diligentemente osservate e riprodotte, e questo per di- fetto dei metodi oggi conosciuti atti a differenziare le sranulazioni azzu- rofile, e per il non ancora sospettato rapporto tra megacariociti e piastrine. 2. — Dalle precedenti osservazioni risulta dunque che anche i megaca- riociti della milza (ed aleune mie fino ad ora scarse osservazioni mi fanno credere questo avvenga anche per i megacariociti del fegato embrionale) hanno la funzione piastrinocinetica già da tempo riconosciuta ai mega- cariociti del midollo delle ossa. Esaminando sezioni di milza dei gatti da me avvelenati con pirodina e nei quali avevo assistito alla intensa produzione di piastrine da parte del midollo, ho potuto convincermi che que- sta si avvera e si esalta anche nella milza, anzi per il gatto e per l’avvelena- mento da pirodina credo che si possa affermare la parte preponderante di questa produzione spetti appunto alla milza. Non solo si vedono nume- rosi megacariociti nel parenchima splenico aderenti ai setti dei seni ve- nosi, ma se ne vedono numerosissimi nell’interno nei vasi venosi circon- dati da abbondante protoplasma in attiva produzione di piastrine. Questa constatazione renderà certamente interessanti delle ricerche che si volessero istituire intese a studiare comparativamente nei gatti il comportamento della piastrinocinesi nel midollo sotto determinati stimoli (pirodina, salasso etc.) tanto in animali precedentemente smilzati come in animali integri e verosimilmente nei primi, data la mancanza della milza, la reazione pia- strinocinetica del midollo dovrebbe risultare maggiore. Nell’ osservare però preparati di milza di gatto, nelle sezioni allestite con i metodi già ricordati io ho osservato costantemente un reperto il quale mi fa ragio- A SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEI MAMMIFERI 165 nevolmente ritenere che non solamente dai megacariociti le piastrine de- rivino. Nei preparati infatti meglio riusciti nei quali le granulazioni azzuro- file delle piastrine già formate, di quelle in formazione, di quelle con- tenute nel protoplasma megacariocitico sono nette e distinte e specifica- mente colorate in rosso violetto, noi vediamo, che anche nella sostanza fondamentale del tessuto splenico quando se ne escludano gli elementi tutti che concorrono a formare i follicoli linfatici, compaiono nettamente differenziate nelle loro due parti ialina e granulosa delle masse assoluta- mente simili per forma volume e colorabilità alle piastrine, e vediamo ad un più attento esame che se alcune di queste formazioni costituiscono col loro addensamento dei veri e propri cumuli extracellulari, per la mas- sima parte si dimostrano contenute nella massa protoplasmatica degli ele- menti cellulari, nei quali è sempre insieme discernibile il nucleo. — Talora sono contenute in numero piuttosto scarso, e parte della massa protoplasmatica ne resta libera, talora in numero abbondante da dare l'aspetto di una completa differenziazione della massa protoplasmatica in piastrine. Prima ora di proseguire è necessario che ci arrestiamo per ricordare sommariamente quanto ci è noto fino ad ora relativamente alla consta- tata presenza delle piastrine nella polpa della milza ed al significato che a questo fatto fu attribuito. — Vedremo così che dalla prima con- statazione della presenza delle piastrine nella milza fatta da Foà e CAR- BONE (27) già nel 1889, si arriva per i successivi lavori di AscHorr (28), di Foà (11) ancora, di Dominici (19) Sourp e PaenIEz (4) di PAPPENHEIM(16) di BERNHARDT (29) ecc. alla rappresentazione di immagini al tutto simili al reperto che ho sopra ricordato, e sul quale torneremo. Come ho detto il primo cenno della presenza di piastrine nella milza le troviamo nel classico lavoro di Foà e di CARBONE (27) comparso nel 1889 dal titolo « Beitàge zur Histologie und Physiopathologie der Milz der Sàugethiere (poco dopo confermato da AscHorr (28)) e nel quale tanto più importante ed acuta è l'osservazione in quanto che nel 1889 la tecnica istologica non era come oggi progredita, nè si conoscevano i metodi di fissazione e di colora- zione delle piastrine nei tessuti, che oggi possediamo. Successivamente Foà (11) valendosi di nuovi metodi che si venivano consigliando e specialmente della colorazione colla miscela di Giemsa o di May Griumvald, o di pironina e verde di metile (Pappenheim) tornò sullo stesso argomento ed in un lavoro comparso nel 1906 « Contributo alla conoscenza degli elementi costitutivi 166 A. CESARIS-DEMEL della polpa splenica » denso di fatti e di idee, si trattenne con speciale ri- guardo sulla ricerca, sulla dimostrazione, e sulla valutazione della presenza delle piastrine nella polpa splenica. Per studiare questo elemento egli si at- tenne preferibilmente ai preparati di polpa splenica per striscio, fissandoli sia al calore (fiamma, stufa a 90°) sia in alcool assoluto e colorandoli successi- vamente con Giemsa più o meno diluito, giacchè egli dice delle piastrine «nei tagli non si ottengono mai preparati pienamente soddisfacenti ». In queste ricerche egli vide che nella polpa splenica sia normalmemte, sia in svariate condizioni patologiche, ed allora con sensibili variazioni di numero, si possono dimostrare sia piastrine isolate, sia cumuli di piastrine, le une e gli altri indipendenti dagli elementi cellulari della milza (e le sue figure nettamente lo dimostrano) e in più egli osservò « degli ammassi di proto- plasma colorato in azzurro con un cumulo centrale di fini granuli rosso violetti » tanto da assumere l’ aspetto di veri elementi cellulari ch’egli è in- clinato a chiamare « cellule piastriniche » perchè della cellula hanno il pro- toplasma e una sostanza nucleare. - Dal complesso poi delle numerose milze umane studiate e raccolte in svariate condizioni patologiche, delle milze di animali di specie diverse sperimentalmente in modo vario alterate, pur avendo anche personalmente constatato che negli animali smilzati le piastrine dopo oscillazioni di numero persistono nel sangue circolante, egli è inclinato a concludere che «vi sono argomenti che tenderebbero a far supporre che le piastrine fos- sero prodotte nella milza, forse derivanti da elementi più grossi che si fram- mentano poi in piccole piastrine le quali si trovano dapprima ad accumuli nella polpa splenica e poi isolate nel sangue circolante ». Avrebbero esse il significato di cellule sui generis ma indipendenti da ogni altro elemento cellulare conosciuto della polpa splenica e del sangue. «Nei casi in cui le piastrine persistono nel sangue, sebbene i soggetti « sieno stati da tempo smilzati, potrebbe la presenza delle piastrine essere «dovuta alla diretta loro moltiplicazione nel sangue circolante. A volte «infatti si trovano nel sangue delle piastrine in cui sembra dimostrabile un «processo diretto di scissione ». Conclusioni originali, che oggi per quanto io credo debbano essere lesgermente modificate, vengono ad assumere una n0- tevole importanza. i Ho detto modificate perchè mentre Foà parla nel suo lavoro della fre- quente presenza di megacariociti nella polpa splenica rilevabili nelle sezioni non parla mai degli stessi elementi nei preparati per striscio, e a noi po- trebbe oggi sorgere il dubbio che parte dei mucchi di piastrine e quei È i ; n SULLA PRESENZA B SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEI MAMMIFERI 167 grossi ammassi di protoplasma a granuli azzurofili da lui descritti, appunto nei preparati per striscio, non possano essere altro che frammenti della massa protoplasmatica (o di suoi prolungamenti pseudopodici) dei mega- cariociti ricordati, e così oggi si può ragionevolmente comprendere, dopo quanto ho dimostrato, come da questi frammenti in attiva piastrinocinesi si potesse vedere anche allora un’attiva produzione di piastrine. Foà ad ogni modo dunque, prima ancora che Wright formulasse la sua teoria, descrisse questo interessante fenomeno della produzione di piastrine nella milza da parte di masse protoplasmatiche megacariocitiche e solo per mancanza di mezzi istologici adatti non seppe valutarlo così completamente come possiamo fare noi oggi. Foà però nel suo lavoro non accenna alla presenza di piastrine conte- nute nel protoplasma degli elementi veri e propri della polpa splenica e ciò risulta chiaramente dal testo e dalle figure. Successivi A. A. affinati i metodi istologigi poterono constatare nettamente anche questo fatto. Così PAPPENHEIW, (16) perfezionando il metodo di colorazione delle piastrine nei tessuti trova che nelle sezioni di milza di cavia normale «la sostanza fonda- mentale della milza è costituita da un numero enorme di piastrine, di un co- lor rosso azzurro le quali o possono derivare da una filtrazione di questi e- lementi dal sangue, che poi nella milza sono trattenuti, o sono in rapporto ad una grande distruzione di globuli rossi dei quali rappresenterebbero un derivato » ed a questa ultima interpretazione esso dà la preferenza. Così concludendo egli esclude, e lo fa esplicitamente, l’attendibilità dell’ ipote- si di Foà che le piastrine si originino dalla milza, ed insieme anche quella di Wright che derivino dai megacariociti. Sour e PaGnIEZ (18) successivamente con un metodo anche proprio, per dimostrare le piastrine nei tessuti, dicono che constantemente nella mil- za normale di coniglio si mettono in evidenza numerose piastrine, non ne specificano la sede, ma dicono semplicemente di averle osservate all’infuori dei pollicoli linfatici. Lo stesso fatto confermano per la milza di coniglio, di cavia, di gatto e nell’uomo. Nei conigli infine trattati con siero antipiastrinico trovano numerose ammassi di piastrine a forma di zooglea ma non accennano mai a piastrine od ammassi di piastrine endocellulari e a megacariociti ed a piastrine ed a piastrine da queste originate. Im una successiva nota gli stessi A. A. riferiseono il potere retraente e coagulante sul coagulo, molto forte nel succo splenico, al grande numero di piastrine presenti nella milza, nella quale essi dicono « è molto dubbio si for- 168 A. CESARIS-DEMEL mino » essendo più probabile la milza sia un organo « nel quale le piastrine si perfezionano e si trasformano ». Il più recente autore che si occupò di questo argomento è il BeRr- NHARDT, (29) il quale correda il suo lavoro di nitide fisure che riproducono la disposizione caratteristica delle piastrine nei vari elementi del tessuto sple- — nico e quale io, come ho detto, ho potuto anche osservare nella milza di gatto normale e come vedremo anche nella milza di altri animali e del- l’uomo. Bernhardt in alcune ricerche sulle piastrine contenute negli organi in- terni, rivolse la sua attenzione in modo speciale alla milza in stato di tu- mefazione acuta, valendosi a preferenza di morti acute da scarlattina e di pochi altri casi.di morti da tifo, colera, diabete, cancro ete. In questi casi egli trova che è sempre dimostrabile nella milza un grande accumulo dapprima, successivamente una grande distruzione di piastrine, indipendente sempre questo fatto da un possibile concomitante accumulo con distruzione, di globuli rossi. Egli con ciò esclude assolutamente qualun- que rapporto tra globuli rossi e piastrine (PAPPENHEIN, (16) FERRATA (20) ecc. non avendo mai nei suoi preparati potuta dimostrare forma alcuna, delle varie fasi distruttive del globulo rosso che accennassero ad una tra- sformazione in piastrina. Questo accumulo si nota prevalentemente nelle cellule della polpa sple- nica, che da poche isolate forme possono contenerne 30-40, tanto da esserne completamemte ripiene, ma si può osservare anche nelle cellule endoteliali a disposizione sinciziale che delimitano i seni linfatici della milza ed indica, secondo questo A. un intensa fagocitosi, destinata alla digestione quindi, alla distruzione degli elementi piastrinici fagocitati. Su questa distruzione, la cui dimostrazione deve certamente avere una grande importanza per s0- stenere la sua tesi, egli dedica solo poche parole nè dalle stesse sue figure risulta molto chiara. Egli dice semplicemente che nel processo digestivo intracellulare la sostanza fondamentale azzurra della piastrina (l’ialomero) perde la propria tingibiltà e la massa dei granuli azzurofili (cromomero) sembra allora immersa in un vaculo, poii granuli si agglutinano, si sbric- ciolano, e ne restano solo pochissimi come forme libere. Lo stesso fatto di fagocitosi verso le piastrine egli vede avvenire nelle cellule stellate di Kup- fer del fegato, ed in certi grandi elementi mononucleati delle glandole linfatiche del mesenterio. Nella milza infine mai egli vide piastrine negli elementi dei pollicoli linfatici. Gli attribuisce dunque 1’ aumento delle piastrine nella polpa splenica " SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NELLA MILZA DEL MAMMIFERI 169 ad un fatto patologico, indice di un accumulo di elementi che vi devono essere distrutti (quantunque egli stesso dica di averne riscontrate anche nel- la milza di scimmie normali) ma non derivanti, come vorrebbe Pappenheim, dai globuli rossi. Insiste nel dire che se nella letteratura esistono molte ricerche sulle variazioni numeriche delle piastrine nei vari stati morbosi, non ve n’ha al- cuna che riguardi il loro destino; che nei trattati di istologia normale si hanno solo brevissimi cenni sulla loro presenza nella milza, e che nessuno si occupò del loro studio nel tumore infiammatorio acuto di questo organo, e con quest’ affermazione egli dimostra di non conoscere nell’ originale l'interessante lavoro di Foà, (11) sul quale ci siamo trattenuti. Un altro A. va anche ricordato in rapporto alla supposta origine delle piastrine dalla milza, e questi è Domrnici (19) che viene ora ultimo (quantun- que le sue osservazioni datino fino dal 1910) perchè a me pare egli riferi- sca quest’origine più che agli elementi splenici veri e propri, ad elementi della serie leucocitaria. Egli dunque ammette che nella milza esistano le cel- lule madri delle piastrine, cellule della serie leucocitaria che sarebbero molto vicine ai mononucleati chiari, ai piccoli magrofagi, cellule che emettono delle gemmazioni, che poi si staccano individuilizzandosi in piastrine. Au- mentando, in speciali condizioni, questi elementi aumenterebbero i loro de- rivati, le piastrine, le quali così si potrebbero ritenere come organiti, cioè elementi figurati privi di nuclei, derivati da cellule e rappresenterebbero porzioni di protoplasma erratico. Egli viene a queste conclusioni adoperando un fissatore proprio a base di formolo, di sublimato e di iodio, con una colorazione successiva mediante una miscela di eosina, orange, bleu di toluidina, conclusioni, che se sono prese per se stesse, senza la conoscenza precisa delle figure ch’egli dà a loro sostegno, e delle argomentazioni ch'egli svolge per desumerle, hanno oggi uno spiccato valore di priorità, non lo hanno più quando noi consideriamo il metodo da lui adoperato per la colorazione che non permette alcuna diffe- renziazione delle sranulazioni azzurofile e quando consideriamo la diversi- tà delle immagini ottenute in rapporto a quello già vedute da Foà e che pur corrispondono a quelle che successivi miglioramenti tecnici di fissazione e di colorazione permisero di dimostrare a Pappenheim, e Sourd e Pagniez, a Bernhardt ed ora anche a me. Riassumendo dunque, la presenza di piastrine nel tessuto splenico nor- male, prima delle mie presenti osservazioni, era nota; fu dimostrata da Foà e CARBONE, (27) poi confermata da altri molti fra i quali per brevità ho 170 A. CESARIS-DEMEL solo ricordato AscHOFF, (28) Foà (11) ancora, DomInICI (19) SourD e Pa- GNIEZ, (4) PAPPENHEIM, (16) BERNAHRDT (29) ed al loro aumento nella milza fu dato il significato preferibilmente di un fatto patologico specialmente nei casi di tumefazione acuta. Di questi A. A. Foà come ho detto emise l’ipotesi esse potessero derivare direttamente se non esclusivamente dalla milza, Pappenheim che esse derivino da un disfacimento di globuli rossi, Bernhardt (senza preoccuparsi del loro vero punto di origine) che vi si depo- sitino passivamente per esservi fagocitate e distrutte, Sourd e Pagniez, che vi si arrestino per compiere la loro maturità. Dominici anche parla di una origine delle piastrine nella milza ed abbiamo veduto quale valore dob- biamo dare alle sue conclusioni. Nessuno però dei precitati autori si preoe- cupò mai della presenza o meno di megacariociti nelle milze prese a studia- re in rapporto al loro contenuto in piastrine. L’origine-dunque delle piastrine dalla milza in rapporto o indipendentemente dai megacariociti è questione ancora controversa, incompletamente risoluta e degna dunque di tutta la nostra attenzione. To ho in addietro riferito come nelle milze di gatto da me esaminate, in- dipendentemente dalla piastrinocinesi megacariocitica ed alle piastrine or- mai libere che ne sono diretta ed evidente derivazione sono dimostrabili nella polpa splenica numerose piastrine endocellulari. Relativamente alla loro topografia io devo dire che trovo perfettamente esatta la descrizione che ne dà Bernahrdt; (ed a quella rimando il lettore) il quale dunque ha os- servato bene e secondo me ha più concluso male perchè riferisce questo gran numero sempre ad un significato patologico quando può invece essere anche semplicemente l’espressione di un fatto normale. Quando le piastrine endocellulari, talora molto numerose da occuparne tutta la massa proto- splamatica sono comprese nelle cellule della polpa, di queste si vedono ancora distintamente i contorni, quando invece sono contenute negli elementi endoteliali dei seni linfatici, che hanno disposizione sinciziale, le piastrine addensate nel loro protoplasma si alternano ai nuclei cellulari senza che si veda il limite di confine tra cellula e cellula e si ha nell’insieme l’aspetto di un sincizio ricchissimo di piastrine e di nuclei (fig. 12). Questa presenza di numerose piastrine differenziate nel protoplasma di svariati elementi cellulari della milza, è dimostrabile anche nei preparati ottenuti per striscio e colorati col May Gritmwald-Giemsa o anche col | Giemsa diluito semplicemente, previa fissazione in alcool metilico. In questi preparati però i contorni cellulari delle cellule spleniche è meno netto e più facili sono le cause di errore per sovra e sotto posizioni di piastrine E° i SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NULLA MILZA DEI MAMMIFERI 171 ad elementi cellulari che non ne contengono, che possono simulare la vera e propria differenziazione, nel protoplasma cellulare, di piastrine a granuli azzurofili e contorno ialino pallidamente colorato in azzurro. All’oechio esercitato però anche questi preparati servono e sono buon complemento agli altri che si ottengono dalle sezioni, e nei quali le imma- gini per l’integrità e la conservata topografia degli elementi sono più dimo- strative. Nell’esame poi dei preparati per striscio bisogna sempre pensare, ed è facile controllarlo in sezioni della stessa milza, alla possibile presenza di megacariociti, dai quali staccandosi dei lembi di protoplasma a granuli az- zurofili in attiva piastrinocinesi, si vengono a produrre delle formazioni, che altrimenti sarebbero di difficile interpretazione. L’imteressante reperto da me osservato nella milza di gatto, l’ho riscon- trato poi con opportune ricerche anche nella milza di varii animali (cane, coniglio, cavia, topo, ratto, cammello) e dell’uomo (e per questo mi valsi di una milza freschissima asportata dal chirurgo per ferita penetrante nella cavità addominale, con lesione della milza stessa, e che mi fu gentilmente favorita dalla Clinica Chirurgica alla quale ora rivolgo pubbliche grazie) sia in preparati per striscio, sia nelle sezioni. Io posso dunque ora asserire a conferma di quanto, come ho ricordato altri A. A. avevano osservato, che anche normalmente (ed indipendentemente dalla presenza o meno di megacariociti) nella milza dell’uomo e di molti animali (in tutte le specie da me esaminate) si trova la presenza di piastrine nel protoplasma di molti elementi cellulari, ed a questa presenza dobbiamo dare il significato di un fatto fisiologico anche quanto il numero sia molto elevato, chè il numero elevato non è sempre indice di un fatto patologico. Non dunque actumulo di piastrine per esservi fagocitate, perchè non esisteva in alcuna delle milze normali da me esaminate ragione di una spe- ciale distruzione di piastrine, non distruzione di piastrine dopo la supposta avvenuta fagocitosi, per la mancanza di qualunque alterazione morfologica o cromatica che potesse far sospettare lo svolgersi di un fatto degenera- tivo qualsiasi. Il reperto dunque ha un significato fisiologico. Ma quale? Si tratta di una semplice differenziazione che avviene arti- ficialmente nel protoplasma di questi elementi per l’artificio della fissazione e della colorazione alla quale li sottoponiamo, e che conduce all’ aspetto di piastrine differenziate? Sì tratta di un deposito che fisiologicamente avviene in questi elementi, 72 A. CESARIS-DEMEL di piastrine formate in altra sede dell’orsanismo e che son pronte a ritornare in circolo quando se ne presenti il bisoeno? O si tratta di una vera e propria attività piastrinocinetica propria di questi elementi e simile a quella ormai dimostrata nei megacariociti? O non si tratta, infine, di una particolare funzione fissatrice che determinati elementi delle milza potrebbero avere sopra i fermenti coagulanti versati in circolo dal metabolismo cellulare, fun- zione fissatrice ed elaboratrice insieme per regolare poi il potere coagu- lante del sangue ? La risposta non è semplice e non è facile e per quanto dalle molteplici osservazioni sulle quali ho riferito, e da altre sulle quali non ho riferito io mi sia già fatta una persuas'one personale a questo riguardo, credo ora prematuro di esporla. Mi basta, per ora, l’aver data la interpretazione di normalità ad un fatto ritenuto patologico e l’aver sospettato che all’infuori dei megacariocitila pia- strinocinesi possa essere esplicata anche da altri elementi, che, ed ulteriori studi lo potranno determinare, hanno stretti rapporti di parentela coi megacariociti stessi. Constatata la presenza di numerose piastrine nelle milze normali, ho anch'io allestiti preparati per striscio e su sezioni di pezzi fissati, sia di milze umane sia di milze di animali variamente alterate, ma anche su queste ricerche credo prematuro il concludere. Mi basti il ricordare come per queste ricerche le milze prese dal cadavere, anche parecchie ore dopo la morte (24 - 48, ore tranne casi eccezionali di pu- trefazione precoce) servono bene e la sostanza costituente le piastrine stesse dimostra così una grande restistenza ai processi autolitici, osservazione non nuova, che si può già desumere dalle ricerche di Foà ma che con- viene ripetere, perchè non sufficientemente nota. s CONCLUSIONI La proprietà piastrinocinetica dimostrabile nei megacariociti del midollo è altrettanto e più facilmente dimostrabile nei megacariociti della milza Negli animali che hanno molti megacariociti nella milza noi possiamo seguire tutte le varie e successive fasi per le quali il megacariocita manda le sue propaggini pseudopodiche e penetra anche direttamente nei vasi venosi della milza a compiervi la propria, ben evidente, funzione piastrinocinetica. I megacariociti una volta penetrati nei vasi venosi della milza vi sog- giornano per un certo tempo e vi esplicano la loro specifica funzione, sono quindi elementi stabili, normalmente contenuti nei vasi venosi della milza SULLA PRESENZA E SULLA GENESI DELLE PIASTRINE NE),LA MILZA DEI MAMMIFERI 175 e non devono essere interpretati come semplici, accidentali embolismi cel- lulari. Il rapporto quindi, (già constatato, ma non spiegato, dai precedenti A.A.) extra ed endovascolare dei megacariociti coi vasi venosi è strettamente legato alla loro specifica funzione piastrinocinetica. Solo quando il megacariocita ha esaurita la propria capacità funzionale, perde la massa protoplasmatica, a granulazioni azzurofile, e progredisce liberamente, seguendo la corrente sanguigna, per arrivare embolicamente ad incunearsi nei capillari polmonari. I cosidetti « emboli da megacariociti del polmone», negli animali che con- tengono molti megacariociti nella propria milza, sono prevalentemente di origine splenica, meno frequentemente quindi di origine m'dollare. Nella milza di tutti gli animali che hanno piastrine nel proprio sangue circolante si trovano fisiologicamente oltre alle piastrine libere, ed agli am- massi di piastrine, numerosi elementi (cellule della polpa splenica, endoteli dei seni linfatici) che presentano un’evidente differenziazione, talora par- ziale, talora totale del loro protoplasma, in ammassi a contorno debolmente azzurro, a contenuto finamente granuloso (granuli azzurofili) assolutamente simili alle piastrine. Questo reperto, ancora oscuro, fa tra le altre emettere l’ipotesi che le piastrine, oltrechè dai megacariociti possano nella milza ori- ginare anche da altri elementi. TAVORI CITANI . I.H. WrIiGHT.— Die Entstehung der Blupliittchen. Virch. Arch.Bd. 156. p. 55. . 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Le sezioni furono colorate in Giemsa, fortemente diluito e solo in pochi casi per la decolorazione fu adoperato acido acetico estremamente diluito. Disidratazione in acetone. Montaggio in olio di cedro. Fig.1. — Megacariocita extravascolare che ha già mandato due pseudopodi » » in attiva piastrinocinesi nell’ interno di un vaso venoso. 2. — Lo stesso fatto si osserva in questa figura nella quale lo pseudopodio distintamente claviforme è molto più voluminoso. In questa sezione, per non trovarsi nello stesso piano, non si scorge il megacariocita dal quale lo pseudopodio si origina. Nelle sezioni in serie però il megacariocita si trova in un piano molto prossimo. .— Penetrazione in una vena, di pseudopodi molto lunghi a forma di flagelli clavati, riuniti a fascetti, da megacariociti extravascolari. Collateralmente alle estremità clavate esistono piastrine neoformate. 4.— Megacariocita in attiva piastrinocinesi, appena penetrato nel lume di un vaso venoso, deformato per lo stiramento subito nel passaggio ed ancora aderente alla parete del vaso stesso. 5-6-7-8-9. — Varieimmagini di megacariociti, in attiva piastrinocinesi, pe- netrati nei vasi venosi. Gli ammassi allungati elaviformi, finamente granulosi, prossimi al nucleo, rappresentano sezioni trasversali od oblique di propaggini pseudopodiche del megacariocita, che in sezioni sopra o sottostanti si ritrovano poi ancora aderenti alla parete del vaso. 10. — Nessun nucleo di megacariocita è visibile in questa sezione. Le masse rotondeggianti o piriformi, finamente granulose, in attiva piastri- nocinesi che si scorgono nel vaso rappresentano la sezione trasversa di prolungamenti pseudopodici endovascolari di megacariociti e non devono essere interpretate come immagini di piastrine giganti. » 11. — Megacariocita endovascolare in attiva piastrinocinesi, i cui luoghi pseudopodi, sottili e granulosi, si trovano accidentalmente nello stesso piano di sezione per tutta la loro lunghezza. » 12. — Differenziazione di numerose piastrine nel protoplasma delle cellule spleniche, e nella massa sinciziale degli endoteli dei seni linfatici. A Ta BALDUINO PIETRO BOCCI Nopra alemni terreni agrari dell'alto bacino del Misa IN PROVINCIA DI ANCONA In questa breve nota sono esposti i risultati delle analisi fisico- chimiche eseguite sopra alcuni terreni agrari dell’alto bacino del Misa in provincia d’Ancona. Questi risultati sono soltanto una parte di uno studio geologico-agrario già da due anni intrapreso in quella regione. Esso però non potrà essere pubblicato per intero, finchè non sarò a conoscenza dei risultati definitivi di altre ricerche ed esperienze di carattere culturale intraprese nella stessa regione, e senza dei quali mi sarebbe impossibile addivenire a pratiche ed utili conclusioni. Ai risultati analitici premetto un cenno riassuntivo sul metodo di studio seguito, e poche notizie seografo-fisiche. La regione della quale fanno parte i terreni studiati, seguendo la divisione orografica che 1° Ugovini !) ha fatta dell'Appennino Centrale, appartiene all’Appennino Urbinate e si estende dai contrafforti dell’Ap- 1) UGoLINI R. Il bosco ed il pascolo nella montagna Uamerinese: « Ho diviso « l'Appennino Marchigiano in due grandi regioni appenniniche prendendo come « linea di confine. naturale quella tracciata da una parte del decorso del tor- rente Sentino, tributario del fiume Esino, dal suo affluente Marena e dal LI « passo di Fossato. La regione appenninica situata a settentrione di questa linea « comprendente i gruppi orografici del M. Paganuccio (m. 977), del M. Nerone « (m. 1526) e del M. Catria (1702), l’ho distinta con il nome di Appennino Urbinate, quella posta a mezzodi del confine suddetto e comprendente i gruppi orografici del M. Sanvicino (m. 1485), del M. Pennino (m. 1570) e della Si- « billa con il suo più alto vertice il M. Vettore (m. 2478). l’ho contrassegnata eol nome di Appennino Camerinese. » n x Se. Nat. Vol. XXX 178 B. P. BOCCI pennino stesso a metà circa della pianura bagnata dal Misa, ed è limi- tata al solo versante di sinistra del bacino idrografico di detto fiume. Essa è compresa fra i 430 36' 30" e i 43° 27’ 30" di latitudine nord e fra 0° 24’ 30" e 0° 35' di longitudine Est dal meridiano di Roma ed ha la superficie di circa 9100 ettari. Ho creduto bene di limitare il campo delle mie ricerche a questa zona perchè dell’intero bacino del Misa è essa la parte che offre un maggiore interesse così geologico come agrologico. I terreni presi in esame furono prelevati con ogni cura per non alterarne le condizioni fisiche e le ricerche furono complete, per i cam- pioni dei terreni più diffusamente rappresentati nella regione, parziali per gli altri. i Le complete comprendono l’analisi fisico-chimica, la determinazione calcimetrica e l’analisi chimica della terra fine residuale dell’analisi meccanica; nelle altre fu omessa l’analisi chimica. Con l’analisi fisico-chimica furono determinati: 1. l’umidità del terreno, dedotta dalla perdita di peso in seguito a riscaldamento in stufa a 110° fino a peso costante. 2. l’humus, dato dalla diminuzione di peso in seguito a calcinazione e ripristino dei carbonati per aggiunta di carbonato ammonico. 3. la costituzione fisica del terreno, data dall’analisi meccanica per vagliatura attraverso stacci di vario diametro. Per la determinazione calcimetrica nei diversi terreni, fu usato l’ap- parecchio di SCHEIBLER. Ricercai la costituzione fisica della terra fine sottoponendo i diversi campioni alla levigazione mediante l'apparecchio di APPIANI-VINASSA, mantenendo il carico a 20 cm. e le velocità indicate nel seguente prospetto : Velocità di levigazione Durata Diametro delle particelle 0,05 e oltre 1 ora da 0,005 0,1 33' 20" a 0,2 16! 40" sotto mm. 0,01 2 l' 40" da 0,01 a 0,05 T 0' 29" da 0,05 a 0,10 25 o' 8" da 0,10 a 0,20 Residuo, ciò che precipitava prima degli 8°. L'analisi chimica fu operata sulla terra fine dei campioni dei terreni più estesi e per essa si determinarono l’umidità, la perdita per arroventa- SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 179 mento, la silice e i silicati insolubili in HCI al 25 °|, ; il ferro e l’allumina, la calce, la magnesia e l’acido fosforico. Classificazione dei terreni e loro rappresentazione cartografica. Furono divisi i terreni dapprima: secondo l’origine, se in posto o di trasporto, in autoctoni e alloctoni, poi secondo il predominio di alcuni elementi piuttosto che di altri. A ciascheduno di quelli che presentavano caratteristiche proprie e che potevano considerarsi come tipi delle diverse suddivisioni operate, furono annesse due formole, una per il soprassuolo, l’altra per il sottosuolo, allo scopo di indicarne schematicamente la com- posizione fisica e chimica. Le formole hanno al numeratore i risultati dell’analisi fisico-chimica, al denominatore le quantità di calce e anidride fosforica trovate nel- ‘l’analisi chimica o della sola calce dedotta con il calcimetro, e inoltre i resultati della levigazione, considerando particelle sabbiformi, quelle pre- ‘cipitanti con velocità maggiori a 0,2, particelle argilliformi quelle pre- ‘cipitanti con velocità minori a 0,2: Le lettere A= acqua, H= humus e sostanze umiche, g= ghiaia e | ghiaino (sopra mm. 6) s= sabbia grossa e fine, gr. arg. le percentuali idigrumi argillosi, aggr. arg. quella degli aggregati argilliformi mantenuti ‘agglomerati dalla forza di coesione (tra mm. 6 e mm. 0, 6), t= terra ‘fine (sotto mm. 0, 6): gli esponenti di tali lettere indicano le singole ‘percentuali arrotondate. Le lettere Ca e P al denominatore danno coi loro esponenti le per- .centuali di calce e anidride fosforica: le tracce di questi componenti (sono indicate con tr; si. e ag. esprimono rispettivamente le percentuali ‘di particelle sabbiformi e di quelle argilliformi avute alla levigazione. Composizioni medie Sottosuolo 1. Silicei ei 2. Silico- calcarei Alloctoni Caratteristica Natura litologica dei terreni | del suolo Soprasuolo Scaglia A88H4 09 g53{16.5 1. Silicei cinerea RETTA NEGATO Cagsiosiane (Daniano ?) 5 ago . 4.11]72090 Sr ap 70427 2. Silico- Sabbie A*H°g'agg.arg.!t alluminosi | (Mio-pliocene)| | Ca®” si ag1!:8 3 j Marne A6H*> 90 gr. A iOSE el 3. Silico- i 1 7 gi83 agli (Miocene) Cart PT si agi allumino- i calcarei Argille Aeon are it \ (Pliocene) Cat sio: ao” È lo) 4. Silico- LIRA 3 ; cisti marnosi SARA calcarei - 5 da ca A°*H!:!9%agg.arg.?t° allumino- (A siano) Cal'* gi! ag? ‘E, magnesiaci I 8, sei z 5 i Masse AU1:F]6:9g186410.6 1 915 Gi90A 10 Ù calcarei (Miocene) Ca”? si''ag Sabbie AGOS ate 6. Silico- | \(Mio-pliocene)| . CaP*si® ag? calcarei Gessi A*H?914590}85 (Mio-pliocene) Calsittotagt5 | (Scaglia rosata|___A**H?3g?19stt! (Senoniano) Ca* TP! si ag!” Calcari A4HBoftg9{}? O te] : marnosi I I 7 OTT 7.Calcarei (Titoniano) Ca? si”: ag Scisti marnosi 4,7 TL 906834 A°'Hto%s°t so] a Fucoidi (Aptiano) Argille alluviali (Attuale) Ghiaie A°*H°‘9%ago.arg.*t «6 Ca sj ag A°5H°!9%er.arg."t°! (Callo per si ag” A*H°*9%gr. ar gue Caf si ag A?5H° Ossia -5 Ca? sj? ag! A#-4H°:5g80-8991{3 Ca? SE ARS ASH? OS Ca?5-3gj9? ag* ARR (Ciao gra ag! INS RE) alluviali (Attuale) Cai si® ag? A?*H? lg°s ott Ca! si ag 224 GSS pe Ca? 4 si ag SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 181 TERRENI AUTOCTONI 1. — Sîlicei. Terreni provenienti dal disfacimento della scaglia cinerea. Campione N. 16. Ubicazione. — Prelevato di fronte ad Arcevia, sopra il Molino Ventre- sca, alla quota di m. 600 circa, in terreno arativo, ciottoloso per frammenti di roccia calcareo-marnosa (scaglia), esposto ad est, avente un declivio del 30 ° circa. Soprasuolo. — Terra di color bruno scuro, umida, ricca di frammenti rocciosi contornata però da scarsa vegetazione boschiva per affioramento della roccia del sottosuolo costituito di scaglia cinerea. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica È . E P o/o 8, 76 Sostanze umiche . : i 7 5 ; 4,05 sopra mm. 6 È È , A 25, 30 Scheletro < mm. 6. — mm. 2 . ; È RA STI mm. 2.—mm. 0,6 ; : si 19, 50 Terra fine sotto mm. 0,6. 5 : i 10,50 Costituzione fisica della terra fine: Residuo ; i : 7 so Vo 9990 Velocità 25 , 5 s _ E MAIA TA, È 7 TO VAO ele LAST È 2 CA e SO SENT RORATI IE î TSI s 0,2 DR RTOROTE A 2, 15 A 0,1 : 5 3 È 5 ; TO DT L 0,05 e oltre . E ; i si 0, 98 Determinazione calcimetrica: CO? = 1, 60 0/o CaO = 1,97 oo 182 B. P. BOCCI Analisi chimica della terra fine: H?0O a 110° en 8,00 Perdita per arroventamento : ; a 9, 40 SiO? e silicati insolubili , ; i PAT 2.0) 203 sa eo (Rie eo e. OLO 200 rg Mor P?05 È ì por — 99, 05 Sottosuolo. — È costituito da terreno roccioso compatto di scaglia. Analisi chimica della roccia: H?O a 110° 5 ; ; È È o/o Oo c Perdita per arroventamento ; È si 0, 2 SiO?e silicati insolubili E 1, 60 | Fe?03+Fe0) AJ203 De . 5 0, 40 qui) de Pa ni MAR 0) dI \IPAOR 5 i ? 3 — 99, 34 Campione N. 20. Ubicazione. — Preso al di là di Caudino verso Palazzo, alla quota di circa m. 400, in terreno boschivo esposto a sud, derivante dal disfa- cimento della roccia costituente il sottosuolo e che è imminente (scaglia). Soprasuolo. — È una terra bruna umifera, umida, non molto tenace; fu estratta a circa 25 cm., presenta moltissimi frammenti della roccia da cui deriva, è poco ricca di calce e sabbiosa. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 183 Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica 5 5 - : 9/o 9,70 Sostanze umiche 5 7 3 î A BAOZ sopra mm. 6 PRO 125) Scheletro © mm. 6 — mm. 2. 5. 16505 mm.2 — mm. 0, 6 3 Ò 3 19, 00 Terra fine sotto i mm. 0, 6 . i AO Costituzione fisica della terra fine: Residuo o : gni 5 di YU 6502 Velocità 25. : 3 , , ; E 1r152 Me e i pc o RD i 00 » 0,2 . . . . CI » IL, 20 UEESLONI BERO, Riga 1,40 po 0,05 e oltre ; . } + 5 0, 70 Determinazione calcimetrica : CO? —= 2,38% CAO = 802% 2. — Silico-alluminosi. Terreni provenienti da sabbia argillosa. Campione N. 2. Ubicazione. — Estratto in contrada il Coppetto, a circa 100 metri a destra della casa colonica di proprietà Castellucci, alla quota di m. 165, in terreno arativo, esposto a sud, con lieve pendenza verso il fiume. Soprasuolo. — È una terra di color marrone, leggera, di apparenza sabbiosa, non ciottolosa, umida, povera di calce. 184 ( B. P. BOCCI Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica Era: : i 0/o 4,12 Sostanze umiche . y : b 3 da 2,00 | sopra mm. 6. 6 3 5 0, 00 Scheletro $ mm. 6. — mm. 2 È » 0,207 ag. arg Î mm.2.—mm. 0,6. 1 pi 200 ) Terra fine sotto mm. 0, 6. a 3 n Za Costituzione fisica della terra fine: Residuo , ; 5 È 3 9lo 40,80 Velocità 25 ; . a c . 5246 Ù TEA ESE ASTI ION } ; na EI È 9 Se e o OI ò 0,2 : 3 : i 3 , 4,25 SARNO I e 0) 5 0,05 e oltre 7 i 5 5 3,93 Determinazione calcimetrica CO? = 0,66 % Ca 0 = 0,85 %lo Analisi chimica della terra fine: HE a 1100 VR LO ERO Perdita per arroventamento. È 0 È 3, 20 Si 0? e silicati insolubili. . ; ; do 802 / Fe? 034 Fe 0 È AI: 03 : DA 6, 30 Solubile in HCI boll 1250 i eroe allerta, al 20h Î Mp0: ds sato A a 083 RIPON ° - serpe 100, 34 Sottosuolo. — Prelevato a circa 90 cm. dalla superficie del suolo; pre- senta un colore marrone scuro, è meno umido e più compatto del sopra- suolo ed è anch’esso povero di calce. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 185 Analisi fisico-chimica : Acqua a 110°. 5 5 5 ; 0/o 4, 00 Sostanze umiche . E } 5 5 È 0, 45 \ sopra mm. 6. , 6 pi VOIO Scheletro < mm. 6 — mm. 2 i, c A 38, 50 ) agg. Î mm.2—mm. 0,6. : 99,70 | arg. Terra fine sotto mm. 0,6. È : pi 21,05 Costituzione fisica della terra fine : Residuo ; , : È ; O 49,80 Velocità 25 6 ; 7 ; o IGO A 7 A 00 ) 2 0 ò 5 ; i 86 è QI EE e SON e e o) Ò È OUR RAT ENI 0 5 0,05 e oltre . 5 ; i si 3, 16 Determinazione calcimetrica : CO? == 0,69 lo Cao _ 0,89 Uh Analisi chimica della terra fine : CIO AO e e REC) Perdita per arroventamento E È > 5, 70 Si O? e silicati insolubili. 7 ; ns 80,40 Fe? 03 + Fe 0 ( Po? Li RR 80 Solubili in H CI i so È MERA 082 ollente, al 25 %o MRO i i i 1,01 PO a, Li 99, 63 3. — Silico-allumino-calcarei. Terreni provenienti da marne argillose. Campione N. 1. Ubicazione. — Il campione fu raccolto sulla collina di Ripalta a sud- est del paese, a circa 250 metri dalla colonia Camilloni di proprietà del 186 ; $ B. P.. BOCCI Comm. Carletti Giampieri, alla quota di m. 260, in terreno arativo espo- sto a sud-est, avente la pendenza di circa 1°8 %o. Soprasuolo. — Terra di color grigio marrone, alquanto argillosa, con- sistente, poco umida, povera di humus, contiene calce. Fu estratto a 18 cm. di profondità sotto al cappello vegetale. Analisi fisico-chimica ; Acqua 110° È o A ; ; ofo 6, 00 Sostanze umiche . 5 ; È 5 È N53 (| sopra mm. 6... - È 0, 00 Scheletro * mm. 6 — mm, 2 0 i » 30,15) grumi '‘ mm, 2—mm. 6,6. , 138,616 ari Terra fine sotto mm. 0,6. . 3 gi Gao Costituzione fisica della terra fine: Residuo : ; È È ; Ol, 30,46 Velocità 25 È . i 5 7 s 16,95 È 7 : ; ; 5 5 si 8,91 È 2 È ; 3 ; . s 16,84 n 0,2 7 ; . i i x 6, 32 # 0.1 5 ; 5 ; CAO 5, 50 5 0,05 e oltre. 3 E : È 5, 02 Determinazione calcimetrica : C°0 = 11,03 CaO = 14,05 Analisi chimica della terra fine : ì Ha J100 96 Pe O CAO Perdita per arroventamento. c ; o 13, 98 SiO? e silicati insolubili. ; È PORRESTCRTO Fe? 03° + Fe O ic * AR A AIO Solubili in. H.CI È; Da NICO E SI 10 ollente ai go lo | Mg 0 E : È FAME. ERRORE: ae : » tracce 99, 41 SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 187 Sottosuolo. — Fu raccolto sotto al precedente campione a circa 75 centimetri di profondità; è terra color grigio creta, compattissima con piccole macchie rossastre, argilloso-calcarea. Analisi fisico chimica: Acqua a 110°. 5 3 , È olo 5, 61 Sostanze umiche 5 0, 10 sopra mm. 6 ; 5 K 0, 00 Scheletro | mm. 6— mm. 2 n» 44,12 | grumi | mm. 2—mm. 0,6. » II DIGA a ro: Terra fine sotto mm. 0,6. , ; 2 ODI] Costituzione fisica della terra fine; Residuo i ; ; ; : Yo 9216 Velocità 25 ; 3 ; pi 1670 » 7 MRO O ATLOG 5 9 BR CITE RT 3 0,2 Seria 05) RIO n ana a 16 0 , 0,05 e oltre ; 6, 30 Determinazione calcimetrica: CO? = 10,34 % Ca: O ="137799/5 Analisi chimica della terra fine: EBIORO AOC ENO E MER Perdita per arroventamento : pe 918 Si 0? e silicati insolubili. È È 6062 Fe? 08-L Fe 0 ) Ri 2()3 \ a » ’ Solubili in 2 0 DRACO 300 bollente, al 25 °%/o Î Mg 0 ; 1,56 PIOE n itracce 100, 52 Campione N. 5. Ubicazione. — Prelevato lungo il culmine della collina situata fra i due torrenti, Acquaviva e delle Ripe, in località Padovano, a 180 metri 188 i B. P. BOCCI circa a nord della casa colonica nuova, alla quota di 215 metri in ter- reno arativo esposto a sud. Soprasuolo. — Presenta aspetto grigio chiaro, alquanto tenace, è com- patto, prelevato a 25 centimetri di profondità è una marna argillosa. Analisi fisico-chimica : Acqua a 110°. . ; ” ; o 5, 90 Sostanze umiche } ; ; - È, 1,25 sopra mm. 6. È à E 0, 00 Scheletro $ mm. 6— mm. 2 ; . » 28,91) grumi mm.2—mm. 0,6. c S 37,50 j arg. Terra fine sotto mm. 0,6. ; ò 3 33,59 Costituzione fisica della terra fine : Residuo 7 . ò , 0 . 0% 30,50 Velocità 25 ) , E ; E pd 00 a 7 E ONT NE OI P 2 A e N CU è E eno a Si a ao DI s DI AT) a 0,05 e oltre ; ) 7 si 4, 60 Determinazione calcimetrica: CO= &15% Cao = 10,37 % Sottosuolo. — È tenace, prelevato sotto al precedente alla profondità di circa 90 centimetri, presenta qualche macchia, è meno sciolto del suddescritto e un po’ più ricco di calce. Analisi fisico-chimica : Acqua igroscopica . ; s 5 olo 6, 00 Sostanze umiche . 4 6 5 : hi 0, 90 Sopra mm. 6. o . E 0, 00 Scheletro ‘ mm. 6 — mm. 2 ; 5 Ri 46, 78 | grumi | mm.2-mm. 0,6. ; ENO O RATT] arg. Terra fine sotto mm. 0,6. 7 3 DETTO) molto tenace, privo di ciottoli, con calce e poco umido. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 189 Analisi fisica della terra fine: Residuo È 5 5 Velocità 25 È TI na 2 A 0,2 o, 0,1 ” 0,05 e oltre Determinazione calcimetrica: CO? = 8,95%, Campione N. 7. 46, 60 14,27 14, 10 13, 04 4,70 3, 86 3,43 Ca 0 = 11,38% Ubicazione. — Prelevato a sud-ovest di Castelleone di Suasa in lo- calità Farneto, a circa 100 metri dalla casa colonica, in direzione del Colle di S. Martino, alla quota di m. 210, in terreno arativo avente pendenza a sud-est. Soprasuolo. — Si presenta di color grigio tendente al marrone, non Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica Sostanze umiche sopra mm. 6 Scheletro $ mm. 6 — mm. 2 mm. 2-—- mm. 0,6 Terra fine sotto i mm. 0,6 Costituzione fisica della terra fine: Residuo Velocità 25 » T 2 » » 0,2 ” 0,1 5 0,05 e oltre Determinazione calcimetrica: CO? = 5,57% olo » b)) 4,30 9, 15 0, 00 34,86 | agg. 36, 36 arg. 28, 78 Cao = 7,09%, 190 B. P. BOCCI Sottosuolo. — È una terra di color marrone, compatta, priva anch’essa di ciottoli, fu prelevata alla profondità di m. 1,05. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica ; È 3 ‘ olo 5, 00 Sostanze umiche 5 E î - 1 0, 66 i sopra mm. 6. 3 . 3 0, 00 Scheletro | mm. 6. — mm. 2 î i » 38,20) aggr. \ mm. 2. — mm. 0, 6 E alle 39, 01 Arg. Terra fine sotto i mm. 0, 6 È È ND 285 Costituzione fisica della terra fine: Residuo : 5 , : î “40,94 Velocità 25 : : ; E $ PS CORSO) COSTA OE ANI Soi ARCO) È 2 VITTO Saia SUL ì 0,2 A nl x 3,90 ON PESSINA SI AIAGA IERESEO E SL DO Ù 0,05 ed oltre . ; i 5 2) 3, 80 Determinazione calcimetrica: CO? = 6, 96% CaO = 8,85% Campione N. 8. Ubicazione. — Detto campione fu raccolto in località situata fra le due strade conducenti ai poderi le Ville e le case Federici, in terreno arativo, esposto a sud-ovest, avente pendenza rilevante, alla quota di circa m. 240. Soprasuolo. — È un terreno di color grigio, argilloso, piuttosto te- nace, povero di umidità ma con una discreta quantità di calce, assolu- tamente privo di ciottoli, prelevato a 20 centimetri. Analisi fisico-chimica: Acqua a 110°. ; , ; d Oo 4,90 Sostanze umiche . 3 5 È . 5 1,50 sopra mm. 6. : : 5 0, 00 Scheletro | mm. 6. — mm. 2 - È n 42,38 | grumi mm. 2. — mm. 0, 6 a 132864 Alla noa Terra fine sotto i mm. 0, 6 . È A 24,76 SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 191 Costituzione fisica della terra fine: Residuo È i i ; ; Ul DIL.GS Velocità 25 5 ; ; i : a IO Î 7 ORTA TANTE i 904 VETO Rae A 00 DIA (DIO I e 5, 48 SARO OLI IAT USAI RI 5, 30 s 0,05 ed oltre Chet i i: 4,87 Determinazione calcimetrica : CO? = 7,94% CaO = 10,11%; Sottosuolo. — Estratto a 95 cm. è duro, compatto, grigio a macchie più scure e tendenti al marrone. Si presenta di aspetto fisico differente dal soprastante terreno. Analisi fisico-chimica: Acqua a 110°. ; : ; 5 lo 5, 10 Sostanze umiche . 6 È ; ; n 0, 19 sopra mm. 6. ; : si 0, 00 Scheletro | mm. 6 — mm. 2 ; 2 % 42, 89 | grumi { mm. 2 mm. 0,60. 7 po S026 0 on Terra fine sotto mm. 0,6. E È i 0 20,88) Analisi fisica della terra fine: Residuo È 5 ; 5 ; O dra Velocità 25 , ; ; 1 , 5 11,09 AGRO Me REP e 950) TO) ti enna Si RE RIT0:2 MA IO RIE 3 5A MEO PMI TEL 2 DOSIETO A 0,05 e oltre . : : ; 5 6, 08 Determinazione calcimetrica : CO? = 7, 54% CaO = 9, 56% 192 B. P. BOCCI Campione N. 9. Ubicazione. — Prelevato in località Pennaro, proprietà Politi, in ter- reno arativo esposto a sud, presso la strada carrozzabile che conduce a Loretello, alla quota di circa m. 305, nella parte più alta del colle. Suolo. — Prelevato a circa 40 centimetri, di color grigio, è argilloso simile alla formazione argillosa che predomina in tutta la parte descritta. Analisi fisico-chimica. Acqua a 110°. : E : ; lo 5,80 Sostanze umiche . Ù 1, 60 sopra mm. 6. : , 5 0, 00 Scheletro mm. 6 — mm. 2 5 ; A 35,15 | grumi i | mm. 2 — mm. 0, 6 FOLTA OIZAT]I arg. Terra fine sotto i mm. 0, 6 ; ; pi 2436 Determinazione calcimetrica : CO? = To 36%o Cao i O, 36% Campione N. 13. Ubicazione. — Prelevato nella collina di Ripalta e precisamente nel versante sud-est di questa, tra S. Antonio e la Chiesuola della Madonna delle Spinelle, a mezza costa alla quota di m. 280 circa; ha apparenza buona, è sciolto. Suolo (campione unico) — Fu tolto a circa 40 cm. di color grigio giallastro ricco di calce. Analisi fisico-chimica: Acqua a 1109. È } ; : 0/o 4,90 Sostanze umiche . n 1,70 sopra mm. 6. È a 5 0, 00 Scheletro < mm. 6 — mm. 2 ; : 3 7 13,02ager | mm.2—mm.0,6.. 5 FIST) Marg: Terra fine sotto mm. 0,6. ; ; ri 49, 70 e > ir ale ni SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 193 Costituzione fisica della terra fine: Residuo 7 3 x î E Dio BY 40 Velocità 25 , 5 . 5 E 11004 D 7 i, o È , Si 18, 49 3 2 ; 3 ; È - È 16, 06 s 0,2 : È È , È È 5,21 > 0,1 tte ARA CI o 5, 06 È, 0;05 e oltre . ; 6, 14 Determinazione calcimetrica: CO? = 10.726 CaO = 13, 66% Campione N. 14. Ubicazione. — Prelevato a sud-est di Montale in contrada Montebello, in terreno arativo, a circa 50 metri dalla curva della strada comunale congiungente le due provinciali; quota m. 230 circa con declivio a mez- zogiorno. Soprasuolo. — È un terreno di buon impasto, di color grigio-gial- lastro: è rapportabile al n.° 13. Sottosuolo. — Fu raccolto a m. 1,50 di profondità dal livello arabile, presentasi di buon impasto, per giungervi si attraversano degli strati di vario spessore di conglomerati conchigliari compattissimi di origine marina; tali strati si alternano a volte con straterelli di sabbione; di qui si spiega la buona composizione del soprassuolo che è prevalente- mente argilloso-siliceo-calcareo. Analisi fisico-chimica: H?0 a 110° Ren ali 01 280 Sostanze umiche . Si n Il sopra mm. 6 1 9, 50) conglo- Scheletro * mm. 6 — mm, 2 5 5 » 26,15) merati. mm.2—mm. 0,6. o 5 OO Terra fine sotto i mm. 0, 6 È È RA AD A Determinazione calcimetrica: CO? = 10, 94%; CaO = 13, 92%; Sc. Nat. Vol, XXX 18 194 1 B. P. BOCOIÌ Campione N. 15. Ubicazione. — Prelevato nel territorio di Montale e precisamente nel Colle denominato Colpizzano, alla quota di circa m. 319, in terreno ara- tivo, al disopra della strada provinciale. Suolo. — Sotto ad uno strato di terreno arativo di uno spessore di 15 a 20 cm. di color grigio giallo, di consistenza media, simile al campione n.° 14, composizione che prevale nel territorio di Montale essen- do una sabbia molto argillosa, si osserva per uno spaccato della collina una caratteristica disposizione di strati orizzontali di vario spessore di argilla, sabbia, conglomerati conchigliari, alternantisi con perfetta ana- logia, sebbene di vario spessore, tendente a diminuire verso il culmine del colle. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica È A 5 5 fo 2,90 Sostanze umiche . 5 ; 3 ; ni 1,70 sopra mm. 6. c Ò 5 0, 00 Scheletro * mm. 6 — mm. 2 7 5 » 34, 54)congl. e \ mm. 2— mm. 0,6. ; » 34,10) grumi Terra fine sotto i mm. 0, 6 ” : JB Determinazione calcimetrica: CO? — 10,72% CaO = 13, 66 % Argille compatte. Campione N. 3. Ubicazione. — Estratto in contrada Campurano, sul versante orientale del colle, a 150 metri dalla casa colonica a destra della strada, in ter- reno arativo pendente verso il fiume. Soprasuolo. — Terra di color grigio-azzurro compatta, di aspetto eminentemente argilloso, poco umida, povera di humus, presa a circa 18 cm. di profondità. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica 5 3 ; s 0fo 5, 60 Sostanze umiche . È 5 5 } 5 0, 94 1 sopra mm. 6. 5 6 DI 0, 00 Scheletro mm. 6 — mm. 2 È 5 n) DITRRLS mm.2 — mm. 0,6 . 5 5 47,03 | Terra fine sotto mm. 6 ; ; 7 MO 518 Costituzione fisica della terra fine: Residuo È ; i : 5 O IE 60 Velocità 25 SORIA SESTRI AA Reg RM E 200) 30) RM) I Ed e SLOT IRENE OLO St ara o sO n0 SO, le e ei ce 10 Ù 0,05 e oltre . È 6,90 Determinazione calcimetrica: CO? = 6,96% CaO = 8,55%; 195 grumi argil. Sottosuolo. — Terra grigio azzurra, compattissima, appare appena estratta un leggerissimo odore come di bitume; presenta struttura la- mellare con zone circolari marroni, estratta a circa 90 cm. dal suolo su- erficiale, è anch’essa argillosa: lo) Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica i ; ; - olo Sostanze umiche . \ sopra mm. 6... o co Scheletro ‘ mm. 6 — mm. 2 : ; ù | main I ii 06 o A Terra fine sotto mm. 0,6. : : n 5, 10 0, 19 0, 00 21,48 36, 29 42,23 grumi argil. 196 B. P. BOCCÌ Costituzione fisica della terra fine: Residuo Velocità 25 n 7 2 È, 0,2 CARON A 0,05 e oltre . Determinazione calcimetrica: CO? — 6,36% 16, 20 13,05 21, 05 12, 02 23, 08 9,30 5, 30 CaO = 8,09 %o 4. — Silico-calcarei-allumino-magnesiaci. Terreni provenienti dal disfacimento di scisti marnosi. Campione N. 10, Ubicazione. — Prelevato in località Monte Cucco, presso il culmine del colle omonimo, a circa 100 metri dalla strada che conduce alle Moie; quota m. 355 circa in terreno arativo esposto a sud-ovest con forte pendenza. Soprasuolo. — Estratto a circa 20 cm. di profondità dalla superfice coltivata, è una terra marrone chiara, alquanto sciolta, contenente calce. Analisi fisico-chimica Acqua igroscopica Sostanze umiche . sopra mm. 6 Scheletro ) mm. 6 — mm. 2 | mm. 2 — mm. 0, 6 Terra fine sotto i mm. 0, 6 Costituzione fisica della terra fine: Residuo Velocità 25 SAT; 2 0,2 0,1 | A 0,05 e oltre . SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 197 Determinazione calcimetrica CO = GHO64h CaO = 11,36% Sottosuolo. — Ha l’apparenza di marna polverulenta, è grigio chiara, quasi bianca, renosa; è prelevato a circa 70 cm. di profondità dalla su- perficie coltivata; a oltre 1 metro e 20 ritorna la stratificazione argil- losa; è essenzialmente calcareo. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica 3 ‘ i 2 DI6 3, 65 Sostanze umiche . ; ; 5 È ; 0, 40 sopra mm. 6. 5 è n 9,29 Scheletro mm. 6 — mm. 2 5 . IZ 294 0) mm.2 — mm. 0, 6. Lap: È 35, 80 Terra fine sotto mm. 0, 6. È 6 MM 2155 Costituzione fisica della terra fine: Residuo 5 , È ò 5 Un. De 0 Velocità 25 7 2 7 È b AI 24,85 5 7 : . 4 , 3 % 15, 58 da 2 3 ; 3 4 . n 13, 40 5 0,2 ; È . 5 ò 5 1919) i 0,1 i EI) A È 4,30 3 0,05 e oltre ù . ; 5 4, 44 Determinazione calcimetrica: CO? — 19,05% CaO = 24, 25% Analisi chimica della terra fine: H?°O a 110° È ; 3 5 SRNERO ogni: 3 160 Perdita per arroventamento . 5 200) Si O?e silicati insolubili : 3 ) ZA ATO Fe?054+ Fe0 2 È 9,30 A1°03 j Solubili in HCl Ca0 5 È 3 24 bollente, al 25% | di ” ,,95 Mg0 5 : È 5 08 \ P?05 è È . tracce abbondanti 99, 48 198 DADA ©. B. P. BOOCI Campione N. 23. Ubicazione. — Estratto in terreno arativo esposto a nord-ovest, a circa 500 metri da S. Donnino, alla quota di m. 480 circa. ‘ Soprasuolo. — È una terra di color grigio-chiaro sciolta, poco umida, poco umifera, di aspetto argilloso, con ciottoli e ricca di calce; prelevata a circa 20 cm. Analisi fisico-chimica: Acqua a 110°. 5 ; : «0% 4,60 Sostanze umiche . 7 7 : ; 5) 0, 30 \ sopra mm. 6. . . ; Pi 8,20 Scheletro ‘ mm. 6—mm. 2... i n 87,50 Î mm.2_—-mm. 0,6. hi 3) SIT Terra fine sotto i mm. 0,6 . i A PT nL9O N02 Costituzione fisica della terra fine: Residuo i A : Li È 5 UR 19052 Velocità 25 1 ; ; B x » 16,90 n 7 ì : È i ; MANTO si 2 } ; 5 i ; s 12,56 A 0,2 " 6 , ; È 5 5, 74 5 0,1 3 : 5 5 5 5 4, 48 È 0,05 e oltre . : È B 5 4,26 Determinazione calcimetrica : CO?= 14,69 %o Ca0 = 18,69% Sottosuolo. — È una terra di color chiaro, pressochè sabbiforme, sciolta, molto ricca di calce, poco umida e. umifera con qualche ciottolo, prelevata a circa 80 cm. di profondità. Analisi fisico-chimica : Acqua a 110° ; 5 ; ì 3 O ONIGNNTO, Sostanze umiche . P 5 5 5 Pi 0, 10 | sopra mm. 6. : 3 TO 00 Scheletro f mm. 6 — mm. 2 dna 29, 50 | mm. 2—mm. 0,6 n 38, 28 Terra fine: sotto mm. 0,6, 3 DI DI 4 “i È i i î Ì MR LS SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 199 Costituzione fisica della terra fine: Residuo È È i i E ; © 89,00 Velocità 25 È î ; ; o 1a 19, 66 È 7 ì O PRI s 18,66 IRENE, RITA API O ra I EAT ia: DOME E NOE R ORSI N È 5, 10 ; 0,05 e oltre . : ; É 5 2,98 Determinazione calcimetrica: CO? = 21,69% Ca0=26,82 % Campione N. 18. Ubicazione. — Prelevato in località Fiorenzuola a destra della strada che conduce da S. Stefano a Caudino, in terreno arativo, di quota di circa m. 460 con esposizione a nord-ovest: Soprasuolo. — È costituito da una terra grigia, di struttura argillosa, estratto a 15 cm. al disotto dei 10 costituenti il cappello vegetativo. Analisi fisico-chimica Acqua a 110°. ; ; è O 4:30 Sostanze umiche . 5 : ; } > 2,00 sopra mm. 6. È + sj 10,05 Scheletro è mm. 6 — mm. 2 SO 0 ano mio dim O) 5 34,40 arg. Terra fine sotto mm. 0,6... è so. 28,11 Costituzione fisica della terra fine: Residuo ; E i î 0 i Uh 9,70 Velocità 25 } ; 3 ‘ 5 n 100 È 7 4 6 . 5 . ZOO È 2 IENE PRATI VISEa È DORIANA RE REN LUARLO È Oo ce Ra 3, 92 3! 0,05 e oltre. « : ; 3 DAI Determinazione calcimetrica: CO?—16,89% CaO=18,95% 200 B. P. BOCCI Sottosuolo. — È una terra piuttosto compatta, di color grigio tendente al rosso. Fu estratta a circa 90 cm. di profondità, molto ricca di calce. Analisi fisico-chimica: Acqua a 110°. b ! 3 7 0/o 4,80 Sostanze umiche . 7 . ; , > 1,40 Sopra mm. 6 n 20,745 Scheletro 2 mm. 6—mm. 2 » 40,30 | agg. mm. 2—mm. 0,6 s 22,00 \ arg. Terra fine sotto imm. 0,6 » 18,00 Costituzione fisica della terra fine: I Residuo 5 : 6 . 7 . Oo 42,74 | Velocità 25 È . : P ; »s 16,96 - 7 Ro si aa DI x D ; È - ; : 24 a 0,2 SR VE EI 4,10 A RETI E to 4, 44 » 0,05 e oltre. a, 5, 40 Determinazione calcimetrica: CO°=15,09% CaO=19,20% 5. — Silico-ferro-calcarei. Terreni provenienti dal disfacimento di marne bianche. Campione N. 11. Ubicazione. — Il campione fu preso in località Moie, a sud-est delle case che costituiscono la Borgatella; a circa 200 metri di distanza, in terreno arativo alla quota di m. 305. Soprasuolo. — Fu raccolto a circa 40 cm. dalla superficie del ter- reno. È una terra molto bruna, umifera, sufficientemente umida e sciolta, con piccoli frammenti della roccia che ne costituisce il sottosuolo. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA Analisi fisico-chimica: Acqua a 110° Sostanze umiche . sopra mm. 6 Scheletro < mm. 6—mm. 2. mm. 2—mm. 0,6 Terra fine sotto mm. 0,6 Costituzione fisica della terra fine: Residuo Velocità 25 s 7 È 2 n 0,2 " 0,1 n 0,05 e oltre. Determinazione calcimetrica: CO? = 7,62% Analisi chimica della terra fine: EE) a lo), 3 5 Perdita per arroventamento. SiO*e silicati insolubili Fe?0° + Fe 0 |) 208 Solubili in Hei \ AO i a boll Ù ollente, al 25% Mg0 P?05 Ca0= » 11, 60 11,00 56, 20 11, 40 9, 55 1,52 quantità minime 101, 27 01 Sottosuolo. -—" È costituito di una marna calcarea a strati inclinati e compatti, bianchi, non molto consistenti. 202 ATA PIRO : Bi P. BOCCI Analisi chimica della roccia: Bt0ra 110} 20 (RR a A Perdita per arroventamento . o ai 20: SiO°e silicati insolubili ; : : s 36,10 Fe?0* (0) e°0° 4 Fe i 5, 40 È: IRR A1°03 ” Solubili in HCl a n, | 020 «SIT SES 0 100) ollente, al 25% Mg0 È ; 1,81 P°0? , . tracce abbondanti 100, 11 6. — Silico-calcarei. Terreni provenienti da molasse e gessi. Campione N. 24. Ubicazione. — Fu tolto in località la Fornace, al disopra della strada che conduce a S. Stefano, in terreno boschivo esposto a sud-est, alla quota di m. 490 circa. ; Soprasuolo. — Terreno sciolto, sabbiforme di colore giallo scuro, poco umido, poco umifero, prelevato circa 10 cm. al disotto del cappello vegetale, sabbioso-calcareo ‘da molassa. Analisi fisico-chimica: Acqua a 110° ; ; ; 4 3 olo DITA Sostanze umiche . È ; 7 È È 1, 50 \ sopra mm. 6. 5 i 3 1,50 Scheletro * mm. 6— mm. 2 3 i s 19,30) agg. mm. 2—mm. 0,6. : n» 24,16) arg. Terra fine sotto mm. 0,6. i; : 504 Costituzione fisica della terra fine: Residuo i » 3 . 2 i o 63,40 Velocità 25 5 i : ; ; ZO 3 A 77 PT RASOI ù D) ME a I 9 Od ilo ar O IO n Qdc a e 7, 3; 0,05 e oltre. È ì E ; 1, 61 4 È È È i SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA Determinazione calcimetrica: CO° = 11,80% CaO= 15,02% Analisi chimica della terra fine: Acqua a 110° 5 Perdita per arroventamento SiO? e silicati insolubili / Fe? 08 + Fe O ) Solubili in HC1 | AIPO” d Ca bollente, al 25 %, | Mg 0 (PESOS 0/o » 2, 70 15, 03 62, 20 4,01 14,90 0, 67 tracce 99, 51 203 Sottosuolo. — E terreno puramente sabbioso, stratificato, prelevato a circa 70 cm. di profondità; si presenta in lenti di grossezza considere- vole. Analisi chimica della roccia : H?0 a 110° Perdita per arroventamento SiO?:e silicati insolubili Fe? 0° 4 Fe O Solubili in HC1 | AL 0° i Ca Q bollente, al 25°%,. | Me 0 te) PAL Campione N. 25. 21,30 ODI tracce 100, 08 Ubicazione. — Prelevato al disotto del Cimitero di Arcevia in pros- simità delle cave di gesso, come al campione del sottosuolo, alla quota di m. 355 circa, in terreno arativo esposto ad ovest. 204 B. P. BOCCI Soprasuolo. — Terra giallo-marrone sciolta, prelevata a 20 cm. pro: veniente dal disfacimento dei gessi. Analisi fisico-chimica : Acqua igroscopica 5 5 c : 0/o 8, 70 Sostanze umiche È : 3 " 5 2,00 sopra mm. 6. SEI a 14,00 Scheletro < mm. 6—mm. 2. } 7 SISI | mm. 2—mm. 0,6. è I; 33, 30 Terra fine sotto mm. 0,6. 5 ; gi Sh 50 Costituzione fisica della terra fine : Residuo F 5 3 : ; 5 o 48,45 Velocità 25 5 : i 5 ; o. 1692 5 7 PMT RE Re eioN6O a 2 N at 0) A x RS N A Si I s OR RS e ora DD DO È 0,05 e oltre , i 5 bi 2,16 Determinazione calcimetrica : CO 1320) Ca O = 15,05 % Analisi chimica della terra fine : Acqua. igroscopica : 7 n ; Oo 8, 70 Perdita per arroventamento DE she SESTETGI8 SiO? e silicati insolubili. ; è s 51,70 1 Fe® 0° 4 Fe Q io Solubili in H CI | AI* 08 (RR bollente, al 259/, | Ca 0 : 5 i e LA, 70 | Mg:0: 5 ; vi 1,50. 98, 08 Sottosuolo.— Formazione gessosa di color grigio scuro; compatta con stratificazioni intercalari di gesso cristallizzato. SOPRA ALCUNI DERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 205 T. — Calcarei. Terreni provenienti dal disfacimento di calcari. Campione N. 17. Ubicazione. — Prelevato anch’esso di fronte ad Arcevia, sulle pen- dici del Monte S. Angelo, sopra alla Madonna delle Grazie a circa 300 metri sopra la detta Chiesa, alla quota di m. 550, in terreno boschivo esposto ad est, scosceso. Soprasuolo. — Si presenta sciolto, di color bruno-rosso inframezzato di frammenti di roccia, (calcare-rosato), fu raccolto a 20 cm. di profon- dità, è il prodotto di disfacimento della roccia che ne costituisce il sot- tosuolo che è essenzialmente calcareo. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica ; o 5 7 UA 4,18 Sostanze umiche . ; È 5 : S 3,90 | sopra mm. 6. ; 5 ME 7E990, Scheletro ‘ mm. 6 — mm. 2 o ; Sp AZIOO mm. 2 —-mm. 0,6. . 3) 26, 33 Terra fine sotto mm. 0,6. ; : gi 15,04 Costituzione fisica della terra fine: Residuo ? è È . E } %o 42,85 Velocità 25 A ; 5 . 2 nie (20012 S 7 IRA SORTI: E e 1418 1 2 PISO at La n 13:20 hl DO SITI 3 È 4,51 Le OPTION AE ANA n ZO po 0,05 e oltre È 0 ; ; 2,02 Determinazione calcimetrica : CO? = 25,48%; Ca O = 33,77% 206 B. P. BOOCÌ Analisi chimica della terra fine: H?0 a 110° ; . 5 : E o/o 4,20 Perdita per arroventamento ; 32, 60 SiO? e silicati insolubili. . i é go Do Fe? 0° + Fe 0) Asta AI? 08 ) di 2 oe Solubili in HCI (OO) } È i s 34,00 bollente, al 25%, Mg 0 ; 0, 14 POME DIR n tracce 99, 65 Sottosuolo. — Costituito da calcare rosato: Analisi chimica della roccia: H?0:110% 5 OR RO O) Perdita per arroventamento s 42,20 SiO?e silicati insolubili * 5 È S 2,20 IO ae0 uantità minime Solubili in HC1 \ A10? ° bollente, al 259, ) CaO - BS li 53,70 Mg0 , £ quantità minime 98, 60 Campione N. 21. Ubicazione. — Prelevato sul monte della Croce a levante di Arcevia, in contrada le Pacche, dove da una profonda spaccatura del monte si notano le inclinazioni e la sovrapposizione di strati convessi di calcare simile al n.° seguente; si ha scarsa vegetazione boschiva e minimo pro- dotto di disfacimento; esposizione a sud-est, alla quota di m. 590 circa. Soprasuolo. — Costituito da terra nera sciolta, umifera, umida, simile al 22. Campione N. 22. Ubicazione. — Prelevato tra il monte della Croce e il monte della Guardia, in terreno esposto a sud-est, coltivato, alla quota di m. 610. micia - ss NI Ta. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA OI -Soprasuolo. — Costituito di un terreno grigio-verdastro, non molto tenace, poco umifero, poco umido, con qualche frammento di roccia, pre- levato dai 20 ai 40 cm. di profondità dal livello superficiale, è terra essenzialmente calcarea. Analisi fisico-chimica : Acqua igroscopica 3 E : .- olo 4,25 Sostanze umiche . DEE 5 } Do 2,90 sopra mm. 6. 5 - 5 41,17 Scheletro { mm. 6 mm. 2 di; È 3; 30, 50 mm. 2 mm. 0} 65°. - DI 17,05 Terra fine sotto mm. 0, 6. 7 È 90 Costituzione fisica della terra fine: Residuo E re È 4 ; O EZL.60 Velocità 25 ; ; : 2 Tei (OTT) gu RIT DAME Re i E e TO A 2 É i ie P so ll6,-60 : 0,2 2 È È 3 È 3; 5, 40 s 0,1 RR so n 3, 36 fo 0,05 e oltre . È : È ; 3, 87 Determinazione calcimetrica: CO? = 22, 37% CaO = 28, 02% Analisi chimica della terra fine: Ana, a il00 ì ; 5 { SIA 4,20 Perdita per arroventamento 5 - RMS AS80) SiO?e silicati insolubili 3 ; È 0 .9690 I Ra2M3 ni ) Fe°0?+Fe0 |) 3 2,91 AI?0? Solubili in HCI Ca0 ; : - AZI10) 950 È bollente, al 25%/o Î Mg0 " ; 7 Ù 0, 87 \ P20° . . . Do) RI 208 B. P. BOCCI Sottosuolo. — Costituito di calcare titoniano con colorazione verde e marrone. Analisi chimica della roccia: H*0sa 90 tO RO Perdita per arroventamento : QI SiO?e silicati insolubili 3 7 : 1378130 2(0)3. f Fe®0H-Fe0 )_ 1,70 Al°03 x ‘Solubili in HCI bollente, al 25% ceo x x ; n 31,40 M50 0 e e PR0% ue e o d 3 99, 15 Terreni provenienti dal disfacimento di scisti. Campione n. 19. Ubicazione. — Preso nei pressi di Caudino e precisamente a circa 100 metri ad ovest di S. Vittorino, alla quota di m. 320, in terreno scosceso esposto a nord-ovest in parte arativo e in parte boschivo. Soprasuolo. — È un terreno di color grigio marrone, piuttosto tenace, poco umido, molto ricco di calce, non presenta ciottoli. Analisi fisico-chimica: Acqua a 110° 3 È È . È 0/o 4,70 Sostanze umiche . È 1,05 sopra mm. 6. ; ; 5 0, 00 Scheletro | mm. 6 — mm. 2 ; î » 21,60 | mm.2 — mm. 0,6. c » 44,30 Terra fine sotto i mm. 0, 6. gi DE 00 Costituzione fisica della terra fine: Residuo ° È 5 i « . OZZERO Velocità 25 Re 0 n 7 , ; ‘ . . n 16,84 x; 2 È i 3 ì È n 122 È 0,2 1 . : 2 5 ni 5, 50 UGEgiOnI AA 3 0,05 e oltre . SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 209 Determinazione calcimetrica: CO? = 18,86%, (CE) = 24.00Yh Sottosuolo. — È di color grigio-chiaro a struttura lamellare facilmente sfaldabile, poco umido, poco umifero, apparentemente marnoso, estratto a circa m. 1, 20 di profondità, in terreno arativo privo di ciottoli. Analisi fisico-chimica : Acqua igroscopica : ; ; È 9/o 3, 40 Sostanze umiche . E ) . . 5; 0, 45 | sopra mm. 6. 5 , 30 N60 Scheletro $ mm. 6 — mm. 2 3 5 5; 42, 66 | uni N6na i 5 18,00 Terra fine sotto i mm. 0, 6 5 È 3 7,83 Costituzione fisica della terra fine: Residuo . i ; ; ì ; o 24,00 Velocità 25 ; ; , î pi la, 84 È 7 SAI LIA ES ap SIA] AR CO) MO SAT ASIA OI ai ARRE AED RD e d40:2 CRE de IO n 0,1 ; . : 5 0,05 e oltre . 5 ; i 5 IRR Determinazione calcimetrica: CO? = 20, 65%, Ca = 26,28%; TERRENI ALLOCTONI Terreni provenienti da argille alluvionali. 1.— Silicei. Campione N. 4. Ubicazione. — L’ esemplare fu raccolto in terreno alluvionale a circa 200 metri ad est della casa colonica di proprietà Borgogelli, alla quota di m. 135 circa, in terreno arativo, pianeggiante, situato alla confluenza del Fenella col torrente Acquaviva. Sc, Nat, Vol, XXX ld 210 B. P. BOCCI Soprasuolo. — Terra ghiaiosa di colore oscuro, molto sciolta, di uno spessore vario, sostenuta da uno strato di ghiaia alluvionale, fu estratto, a circa 20 cm. di profondità. Analisi fisico-chimica : Acqua a 110°. 5 E ; 5 9/o 7,00 Sostanze umiche . 7 : : ) 5 5, 40 sopra mm. 6. 6 } » 17,10) ciottol. Scheletro ‘ mm. 6— mm. 2 5 ; s 21, 70)calcarei ( mm. 2—mm. 0,6. . » 836,49 Terra fine sotto mm. 0,6. È ; È 24, 69 Costituzione fisica della terra fine: Residuo 5 È 5 i : ; %o - 56, 20 Velocità 25 5 : E 3 / pi 0 5 7 RA oa n 18768 A D FECERO LA RANA 8, 40 i, O e Gale ERE ge 9 DI È ORTA, I CN 5 2,20 È 0,05 ed oltre ; . ; 5 1,70 Determinazione calcimetrica : CO? = 0,79 %o Ca O = 1,01% Campione N. 6. Ubicazione. — Tale campione è stato prelevato a sud di Castelleone di Suasa, nei pressi della strada che da questo paese va a Barbara, a circa 200 metri a nord-ovest della colonia Pianetti, alla quota di m. 150, in terreno arativo vitato, pendente a sud. Soprasuolo. — Prelevato a 20 cm. di profondità, è una terra bruna, sciolta, umifera, umida, con qualche ciottoletto, non molto ricca di calce. Terreno sabbioso. Analisi fisico-chimica : Acqua a 110° 0/o 6, 60 Sostanze umiche i i i 5 n 5,90 sopra mm. 6. È È » 15,12 ciot. cal. Scheletro È mm. 6 — mm. 2 È 5 IMR2.6166 | mm.2—mm. 0,6. , i 30, 73 Terra fine sotto mm. 0,6. . î i i RUI SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA QI Costituzione fisica della terra fine: Residuo : i ; : = î Uh 96,24 Velocità .25 5 ; p ; , di Il7600 ” Ti aa RA OR 0O a 2 INS Leda e n: CMEUZSETO > 0,2 . , 3 ; 7 5 2, 48 P O NES IA p 2, 06 hi 0,05 e oltre. , È : È 1, 90 Determinazione calcimetrica: CO° = Br79 bo = 479% Sottosuolo. — Verra di color marrone scuro, piuttosto compatta, pre- levata a m. 1,05 di profondità dal livello superiore, è povera di calce ma ha aspetto argilliforme. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica ; 3 E % oo 5,60 Sostanze umiche . . 3 ; È n 1,40 \ sopra mm. 6. 7 ” 5 9, 68 Scheletro è mm. 6— mm. 2 5 . si 32,07 | grumi Î mm. 2—mm. 0,6. E 3 © 29,00 argill. Terra fine sotto mm. 0,6. ì È OLII Costituzione fisica della terra fine: Residuo È È È È E 3 o 52084 Velocità 25 6 ; 7 3 ; ME2.000) 3 7 Sie Ra e e e ONE) ò 2 PORRETTA Lai di 7,94 5 0,2 : ; 5 È ; n 2,45 x OICR MEER da NIDI È 0,05 e oltre. ia $ e Sur Determinazione calcimetrica: CO? = 2,77% Ca0= 3,01% 212 B. P. BOCCÌ 2. — Silico-calcarei. Ghiaie argillose alluvionali. Campione N. 12. Ubicazione. — Preso in contrada le Mariole, in terreno ricco di fram- menti rocciosi, arativo, alla quota di m. 245 circa, con leggera pen- denza a sud, a destra della strada che conduce alla colonia Guidi da cui dista m. 250. Soprasuolo. — Ha aspetto bruno scuro, è sciolto, presenta residui di roccia, è piuttosto rieco di calce. Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica , 5 3 % 0fo 5, 30 Sostanze umiche . : E ; ° 5 4,45 sopra mm. 6 0 È 5 10, 70 Scheletro mm.6 —mm. 2 O ; ge 100 mm. 2 — mm. 0,6 NO RRS2NA3 Terra fine sotto i mm. 0,6 . : È pu 9008 Costituzione fisica della terra fine: Residuo ; 3 : ; : ; olo 46,80 Velocità 25 . ; - ; 1 18,79 SA T 3 È ; È 5 90 A 9 Rete e n TO O à OE e MET 2, 98 5 QI N e RINO L: 0,05 e oltre. A 2, 62 Determinazione calcimetrica: GO 1053 CaO— 13,13% Sottosuolo. — Prelevato oltre 70 cm. dalla superficie; è di natura simile al soprasuolo, meno umido ma più ricco in calce, s’intercala fra questo e il soprasuolo un leggero strato di ghiaia alluvionale, è di natura sabbioso-calcarea. Lea fa SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 213 Analisi fisico-chimica: Acqua igroscopica ; ; 7 0/o 3,20 Sostanze umiche . E) 2,16 sopra mm. 6. È 6 5 3 29) Scheletro è mm. 6— mm. 2 a toniTo mm. 2—mm. 0,6. . ; 30, 40 Terra fine sotto mm. 0,6. 6 5 pi La Costituzione fisica della terra fine: Residuo 6 ; E ; 5 ; O 45,00 Velocità 25 ; . i: 5 . ni LU 20 È 7 E STEVIO ; 2 OS at Je 40 4 DO a aa 0406 i A SIRIA BIEL ; 0,05 e oltre. o ì i P 2,14 Determinazione calcimetrica: CO? = 17,66% Ca0 = 22,48%, CONCLUSIONE. Dai risultati analitici riportati più sopra si può pertanto concludere quanto segue : 1. —I terreni che sono stati indicati con la denominazione di si- lico-allumino-calcarei, e che provengono in parte dal disfacimento delle marne del Miocene e in parte delle argille del Pliocene, non manife- stano dappertutto la medesima costituzione fisica. Infatti il tenore in argilla e materie argilliformi riscontrato alla levigazione, risultò per terreni derivati dalle argille sensibilmente su- periore a quello dei terreni derivati dalle marne, donde la compattezza e tenacità che le caratterizza e che solo in parte può essere mitigata dalla discreta percentuale di calcare (15 %) che fu in essi riconosciuta. 214 B. P. BOOCI Tali terreni silico-allumino-calcarei possono essere considerati come i più importanti di tutta la regione studiata, non soltanto nei riguardi della loro notevole estensione, ma anche per rispetto al maggiore va- lore agrologico e culturale che essi hanno in confronto agli altri. 2. —I terreni indicati con le denominazioni di calcarei e di silicei, e che occupano gran parte della zona montuosa della regione studiata provengono da rocce eminentemente calcaree; e tali sono infatti: la scaglia rosata (Senoniano), gli scisti marnosi a fucoidi (Aptiano), i calcari marnosi (Titoniano), da cui derivano suoli con quasi il 45 °/ di calcare ed anche più; e calcarea è pure la scaglia cinerea (Daniano?), la quale invece dà origine a terreni in cui il calcare è appena, nella misura del 5%, mentre la silice sale sino all’ 80 %o. Ora, non v'è dubbio che una tale differenza di costituzione sia do- vuta alla maggiore decalcificazione che la scaglia cinerea ha subìto in confronto agli altri tipi litologici, per l’azione delle acque meteoriche sui carbonati impuri originanti carbonati alcalino-terrosi più solubili dei neutri. Questi terreni, che si diffondono nella parte montuosa e vengono secondi per estensione superficiale, sebbene di spessore limitato, es- sendo per le forti pendenze i prodotti del disfacimento in gran parte trasportati dalle acque, si prestano a vegetazione boschiva, male com- pensando un’ agricoltura sia pur limitata, con danno evidente delle basse e fertili vallate soggette ad un regime di acque anormale. 3. — I terreni che dicemmo silico-calcarei si originano dalla forma- zione gessoso solfifera, sono sciolti, con circa il 25% di calcare; al levigatore si manifestarono spiccatamente sabbiformi: non hanno grande estensione. 4. — I terreni che classificammo come silico-alluminosi ; silico - calcari- allumino-magnesiaci; silico-ferro-calcarei, provengono da deposizioni mio- ceniche e plioceniche, sono poco estesi, e le analisi date ne illustrano diffusamente le proprietà. 5. — I terreni alloctoni, distinti in silicei e silico-calcarei, si rive- lano all’analisi, sciolti, molto permeabili, poveri di argilla e con almeno il 60° di silice; sono quasi sempre poveri di calcare. Si prestano alla pronta utilizzazione della sostanza organica, essendo le ossidazioni favo- rite dall’abbondanza di aria circolante. Sono poco estesi, ciò che è do- vuto alla brevità e strettezza delle vallate; sono i prodotti dell’alluvione e spesso si trovano commisti a frammenti di roccia, specie verso l’alto corso pel fiume. SOPRA ALCUNI TERRENI AGRARI DELL'ALTO BACINO DEL MISA 215 Questi, i terreni tipo della regione e le loro caratteristiche breve- mente accennate; in altra parte del lavoro, corredata delle carte, ci diffonderemo in uno studio dettagliato e critico delle analisi esposte. Dall’ Istituto geologico (sezione Geologia agraria) dell’ Università di Pisa. P. ALOISI NOTE DI MINERALOGTA TOSCANA ITC (Tavola XIV) I. Cassiterite di Campiglia Marittima. Il minerale ferro-stannifero di Campiglia Marittima non contiene, altro che eccezionalmente, la cassiterite in cristalli distinti: che io sappia soltanto il BERGEAT !) accenna a minuti cristallini, per lo più geminati, allungati o addirittura aciculari, mostranti le forme |110}, prevalente, {111}, {101}, 1100} © }321{ incerta. Avendomi il maggiore prof. ALBERTO PELLOUX, inviato in esame un esem- plare della sua collezione, contenente cristallini di cassiterite notevolmente diversi da quelli sopra ricordati, pur provenendo dalla stessa località, credo utile darne una breve descrizione non senza aver prima espresso pubblica- mente i miei vivi rimoraziamenti al prof. PELLOUX. Il campione sopra ricordato, ed alcuni piccoli frammenti da esso staccati, son costituiti in grande prevalenza da cassiterite microcristallina, mista a cal- cite e limonite; i cristalli un poco maggiori, per quanto essi pure piccolissimi, sì trovano in venuzze 9, più spesso, in piccole cavità che hanno talvolta le pareti coperte di limonite. Meccanicamente, ed anche trattando alcuni frammenti con acido elo- ridrico diluito, sono riuscito ad isolare una diecina di cristallini, la di- mensione massima dei quali di rado raggiunge mm. 0,5, con faccettine assai lucide, talvolta trasparenti sugli spigoli ed allora colorati in marrone più o meno intenso; su di essi ho eseguito le misure goniometriche per la determi- nazione delle forme presenti, che sono m }110}, @ {100}, £ }210}, s {111}, e {101}, t {313} L'abito, xtav. XIV, fig. 1), è prismatico bipiramidato; lo sviluppo parallela- 1) Beitrdge cur Kenntniss der Erzlagerstatten von Campiglia Marittima (To- scana), insbesondere des Zinnsteinvorkommens dortselbst. N. Jahrb. f. Min. Geol. u. Pal. 1901, I, 135. Stuttgart, 1901. NOTE DI MINERALOGIA TOSCANA 217 mentea 2 non è molto forte, onde i cristallihanno aspetto piuttosto tozzo. Le facce di {110}, sempre presenti, ora sono piane e liscie, più spesso, in special modo quelle adiacenti di due individui geminati, si mostrano irregolarmente curve e striate. Il prisma {100} è esso pure quasi sempre presente, però le sue facce delle quali talora qualcuna manca, sono assai meno sviluppate di quelle del prisma di primo ordine: in qualche caso poi si notano alcune faccette del prisma ditetragonale }210}, ridottissime, lineari. Delle due bipiramidi {111} e {101}, talora è più sviluppata la prima, talaltra la seconda, e quest’ ultimo caso è il più frequente. Le facce di {111} sono piane assai ben riflettenti, quelle di;101} striate parallelamente allo spigolo di combinazione con {111} e tali strie appaiono tanto più nette e profonde, quanto maggiore è l’esten- sione delle facce {101}; questo fenomeno della striatura delle facce di {101} è ben noto e comune a molte cassiteriti. La bipiramide ditet:agonale {313} l'ho trovata su tre cristallini, sui quali peraltro si presenta solo con una parte delle sue facce, a smussare alcuni degli spigoli fra i due ottaedri. Quasi costantemente i cristalli sono fra di loro geminati secondo una faccia di {101}; talora l'unione avviene, (tav. XIV, fig. 2), in modo che due faccie di j100} una di cristallo fisso l’altra di quello ruotato, nella fisura (010) e (010), scompaiono completamente: del resto anche quando la compenetrazione non sia tanto spinta, data la forma tozza dei cristalli, le parti libere di tali due facce sono sempre piccole. Notevole interesse pre- senta un gruppetto seminato, giacchè esso può rappresentarci un caso che ritengo sia assai raro nella cassiterite. Ad un cristallo centrale, tozzo, ne è unito da una parte un altro, in posizione di geminato secondo la faccia (011), e dalla parte opposta un terzo, pure in posizione di geminato secondo (011). I tre individui hanno sviluppo ed abito alquanto diversi: quello centrale e l’altro asinistra (tav. XIV, fig. 3) sono tozzi e della combinazione }110|, 100}, {111{, }101} mentre in quello a destra sembrano mancare le facce {100} ed è presente una faccetta di 313}; inoltre esso è assai più allungato dei primi due secondo z, e meno esteso, viceversa, secondo x ed y. Nella fig. 3 ho riprodotto il gruppo quale esso si presenta, mentre la fig. 4 lo rappresenta completato, regolariz- zato, e nella supposizione che i due cristalli laterali appartengano ad uno stesso individuo, come nei gemelli di zircone di Henderson County rappre- sentati e descritti da HIDDEN e PRATT !). 1) Twinned cristals of zircon from North Carolina. Am. Jour. of. Sc. VI, 323. New Haven, 1898. 218 P. ALOISI Le misure che mi hanno servito per la determinazione delle forme sono le seguenti: Angoli N. Limiti Medie Calcolato !) T10:100. 4 4403745929 | 4495730" 450 110:210 2 18029/- 1189311 18030' 18026 210:210 1 = 53013! 5308! JI:11I = 6, 5705758940! 58°12'30" 58019 Jil:101 8 28044 - 29080" 2903! 2909/30" 111:313 4. 18040'-18°55' 1804615" 1803730" Le medie sono relativamente assai vicine ai valori calcolati, anche quando gli estremi si discostano notevolmente tra di loro; in complesso i resultati delle misure possono esser considerati come buoni, quando si pensi che la estrema minutezza delle facce rende le immagini in generale appena visibili, Per la seminazione mi hanno servito le misure seguenti: Angoli N. Limiti Media Calcolato LTL:I1I 2 38029! - 38030" 38029130" 38029 Nel gemello delle fig. 3-4, ho poi stabilito la uguaglianza di posizione fra l'individuo di destra e quello di sinistra misurando l’angolo fra due facce cor- rispondenti di }111}, una superiore e l’altra inferiore, ottenendo un valore di 92039 non molto discosto dal teorico 92° 5320". II. Geminato di calcite dell’ Elba. Il magnifico esemplare è stato donato al Museo mineralogico dell’Uni- versità pisana dal magg. PeLLoux: si tratta di un pezzo di calcite spatica all’incirca rettangolare di cm. 20X15, la cui superficie è tutta tappezzata da gruppi quadrigeminati di calcite. I cristalli che raggiungono 4°5 cm. secondo l’asse ternario, hanno facce piuttosto imperfette, sono giallognoli, semiopachi; la sola forma presente è il romboedro acuto f }111} i cui spigoli sono in qualche caso modificati per sfaldatura, da facce r {100}. 1) Secondo la costante di BECKE a:c=1:0,67232. Ueber die Krystallform des Zinnsteins. Tsch. Min. Mitth. 1877, 243. Wien, 1877. NOTH DÌ MINERALOGIA TOSCANA 219 La riunione di tre individui ad uno centrale è ben nota, anche per l’Elba, per la quale località essa è stata descritta e fisurata dal v. RATH '), fino dal 1867; avrei perciò ritenuto inutile parlarne, se, per lo sviluppo dei quattro romboedri, e per la compenetrazione loro, questi sruppi non avessero un a- spetto completamente diverso da quello effigiato dal mineralogista tedesco, sia per i cristalli elbani, sia per quelli di Hiittenberg ?). Per ambo i casi il v. RATH assume come piani di seminazione le facce di e }110}; osserva peraltro che il piano che biseca l’angolo rientrante di due facce di romboedro j111},il quale pure potrebbe essere considerato come piano di geminazione, coincide quasi con }5TI:. Dapprima anzi, il v. RATH aveva ritenuto appunto che si trattasse di una nuova legge di geminazione, tanto più che la differenza nell’angolo fra le facce {100} ottenute per sfaldatura in due individui geminati, è di poco più che un grado, fra l’una e l’altra legge e che nei cristalli misurati tali facce erano imperfette. Per un com- plesso di ragioni sulle quali non è il caso di trattenerci, il v. RATH ritenne dopo faccie di seminazione quelle di {110}: non so se la questione possa con- siderarsi come definitivamente risolta, ma ad ogni modo i cristalli donati dal PeLLOUX non consentono misure esatte. La fig. 6 rappresenta uno dei tanti gruppi esistenti nel campione che sono in generale molto regolari: l’individuo in posizione normale è meno svilup- pato di quelli seminati con esso i quali formano, in certo modo, una specie di scodella dalla quale sorge il cristallo centrale. Nella fis. 5 il eruppo è dise- gnato nel piano (111) dell’individuo centrale; quest’ultimo è rappresentato in modo che sporgono al di sopra delle facce dei tre romboedri geminati con esso, in piccola parte le tre facce inferiori, come in realtà spesso avviene nel campione. 5 A gruppi cristallini elhani simili a quello descritto dal v. RATA, accenna il GRILL *), ed essi, e probabilmente anche quello del v. RAaTH, provengono da Catenacci; l'esemplare del Museo di Pisa invece è indicato come proveniente da Rio Marina. Laboratorio di Mineralogia della R. Università di Pisa. Luglio 1915. 1) Mineralogische Mittheilungen. 20.b). Pogg. Ann. d. Ph. u. Ch, CXXXII, 536. Leipzig, 1867. ?) y. RatH. Sitzb. d. Niderrhein. Ges. in Verh. d. Naturh. Ver. d. preuss. Rhl. u. Westf. 40. 12. Bonn, 1883. 3) Osservazioni cristallografiche su la calcite dell’isola d’ Elba. Pubbl. del R. Ist. di studi sup. Firenze, 1912. E. FOSSA-MANCINI 2 IAS B GIURA VELKA MONTAGNA DELLA ROSSA L'espressione « Montagna della Rossa», che non si legge nelle carte, è comunemente usata nella media valle dell’Esino per indicare il sruppo mon- tuoso che si innalza alla sinistra del fiume fra la stazione di Serra S. Quirico e il ponte di Chiaradovo; il suo margine dirupato forma la parete settentrio- nale dell’angusta gola. Più precisamente gli abitanti di quei pressi chiamano Montagna della Rossa la regione di forma approssimativamente rettangolare, limitata a SE dal fiume Esino, a NE dal fosso e dalla brecciara della Serra, a NW dalla parte alta della brecciara stessa e dal ramo settentrionale del fosso della Folce, a SW dalramo meridionale del fosso della Folce e dal fosso di Ver- nino !); e chiamano Monte della Croce, Monte Murano e Monte Sassonele tre vette più alte (rispettivamente 882,856 e 825 metri sul livello del mare). Tutte queste località sono così indicate anche nella levata di campagna alla scala di 1:50.000 dell’I. G. M. (foglio 117, tavoletta Serra S. Quirico), ad eccezione del M. della Croce che è segnato come M. la Rossa. In carte meno recenti la corrispondenza coi nomi locali è meno perfetta. Le indicazioni della carta austriaca dell’Italia media alla scala di 1:86.400 sono poche e poco esatte: così, ad esempio, mentre per la montagna della Rossa non si ha alcuna denominazione, è dato il nome di M. Murano ad una insignificante elevazione, non compresa nella regione di cui qui si tratta, distante in linea retta un paio di chilometri dal vero M. Murano, e nota invece come M. T'arangole. La cartina geologica alla scala di 1:100.000 che accompagna la memoria ) di SCARABELLI « Sugli scavi eseguiti nella caverna detta di Frasassi » ») dal 1) Questo fosso è segnato, ma non nominato, nelle carte; nasce alla sella fra M. Sassone e M. San Pietro, discende verso SE, e sbocca nell’Esino dove questo si piega a gomito, un po’ a levante di Col Saluccio. ?) Atti della R. Accademia dei Lincei. Memorie della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, vol. V (1880). sat CAB LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 2921 punto di vista topografico non è che un impiccolimento, senza tratteggio, della carta austriaca; le indicazioni di località, più numerose, sono disgra- ziatamente anche meno corrette: Varabara è diventata Farabara; Muggiano, Maggiano: il monte di Frasassi ha ripreso il suo nome latino, Ginguno 1); Palombara, che è un gruppetto di case vicine ai fiume, presso il ponte della Rossa (più noto col nome di ponte di Chiaradovo), si è notevolmente spo- stata verso ponente; il ponte della Rossa si è tramutato in un monte che do- vrebbe sorgere alla destra del fiume, presso a poco dove sono le rovine di S. Maria (indicate con la sola quota, 370, nella levata di campagna dell’I. G. M.; si trovano quasi sopra la galleria); finalmente viene dato il nome di Sassare ad una particolare località che non ho saputo rintracciare. Se la carta fosse precisa, queste Sassare dovrebbero appartenere allo spe- rone occidentale di M. Murano, e allora la casa segnata potrebbe essere quella di proprietà della parrocchia della Serra, abitata dal colono Spadini (quota 817 nella levata di campagna dell’I. G. M.); considerazioni di ordine geolo- gico farebbero invece ritenere che la carta non fosse esatta, e che Scarabelli colla parola Sassare volesse indicare M. Sassone °). Queste ed altre inesattezze di toponomastica e di disegno fanno sì che, al- meno per quanto riguarda la montagna della Rossa, la cartina che accompa- gna la memoria, in sè stessa assai pregevole, di SCARABELLI, non rappresenti convenientemente la struttura geologica. Sperando di riuscire a fare opera più precisa, nell’estate 1913 avevo ini- ziato il rilevamento geologico di quella regione; ma l'abbondanza dei fossili raccolti e la necessità di lunghi e accurati studi paleontologici mi hanno di- stratto dal proposito primitivo, così che la carta geologica è ancora incom- pleta; in compenso sono venuto a conoscere certi fatti che dal punto di vista geologico mi sembrano di qualche interesse; essi sono oggetto della presente comunicazione. Ad essa farò seguire, se si verificheranno circostanze favorevoli alla conti- nuazione di questi miei studi, la pubblicazione della carta, e la descrizione, corredata di figure, dei più interessanti fra i fossili raccolti. !) Sembra provato, per opera principalmente dell’erudito monsignor ZONGHI, che il monte di Frasassi al tempo di Strabone si chiamasse Ginguno. 2) In diverse regioni dell’ Appennino centrale si dà il nome di sassara o brec- ciara, ad ogni canalone o principio di torrente dove si accumulino detriti di falda; la parola sassara equivale perciò a quella toscana ravaneto. Siccome di tali rava- neti nella Rossa se ne hanno molti, il significato della parola non giova ad indi- viduare la località. 222 E. FOSSA-MANCINI Nelle pagine che seguono dovrò talora fare menzione di località fossilifere o altrimenti interessanti; a scanso di confusioni userò sempre le espressioni locali, ma ogni volta che queste non corrisponderanno alle indicazioni della levata di campagna dell’I. G. M. (foglio 117, tavoletta Serra S. Quirico) lo avvertirò espressamente. Così chi voglia continuare e completare le mie ri- cerche, o controllare e — se occorre — correggerne i risultati, potrà servirsi con profitto tanto delle carte dell’ I. G. M. quanto delle informazioni dei campagnoli. La Montagna della Rossa, col suo prolungamento settentrionale, può es- sere considerata come un settore — uno spicchio, si direbbe — di uno de- gli ellissoidi che, allineati, costituiscono la più orientale onda orogenica dell'Appennino centrale. Si noti che l’espressione «ellissoide » nel nostro caso va intesa in una maniera particolare; la parola richiamerebbe l’ idea di un sistema di strati piegati secondo una stessa legge, le cui superfici in tratti sufficientemente piccoli, possano essere considerate come appartenenti a quadriche concen- triche, simili e similmente orientate. Ora il nucleo dell'Appennino centrale è formato da calcari massicci assai rigidi, che le forze orogeniche hanno spez- zato secondo sistemi di faglie orientate con notevole uniformità. Non si hanno quindi veri e propri ellissoidi come quelli che interessano solo la Creta o l’Eo- cene e che si osservano anche in regioni prossime; sono piuttosto grandi ta- vole o gradinate di calcare massiccio, ricoperte alla meglio da un mantello di terreni a strati relativamente sottili. Gli scorrimenti, le laminazioni, le lacerazioni che si notano frequentemente negli stati giuresi dell'Appennino marchigiano sono dovuti verosimilmente al fatto che il mantello roccioso non si è potuto adattare alle ansolosità presentate dal sistema di blocchi di calcare massiccio; a questa stessa causa, a mio parere, si deve attribuire la mancanza locale di certi terreni poco resistenti (calcari marnosi di Lias superiore, scisti con aptichi). Ho paragonato la Montagna della Rossa ad uno spicchio di ellissoide; infatti è incisa profondamente dalla valle dell’Esino che, benchè tortuosa, nel complesso è diretta secondo l’asse trasverso dell’ellissoide; ed è tagliata ad oriente da una faglia che non si discosta molto dalla direzione dell’ asse maggiore (NN W—- SS E) Im questa faglia la frattura è stata accompagnata o seeuita da un abbas- samento della zona situata a levante della linea dì faglia (o daun sollevamento di quella situata a ponente); abbassamento (o sollevamento) assai notevole, ee LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 223 in quanto allo sbocco orientale della sola il rigetto verticale supera certa- mente 800 metri; infatti nel letto del fiume, alla confluenza del fosso della Grotta si vedono gli scisti a fucoidi riposare in discordanza sulla porzione più profonda del calcare massiccio. Una seconda faglia, più importante, che non interessa il solo ellissoide cui appartiene la Rossa, corre rettilinea, parallela alla prima, più a levante, ad una distanza di poco più di un chilometro. Nella valle dell’Esino (verosimilmente segnata in origine da una frat- tura, ampliata dall’erosione), nella breve faglia di cui ho già fatto parola, e in un’altra diretta nello stesso modo sulla sinistra del fosso di Vernino, affiora il così detto calcare massiccio. Come è noto, in questo calcare, assai puro e compatto, non è sempre visibile una vera e propria strati- ficazione: ma l’alternarsi di zone più e meno resistenti all’erosione si ri- vela nelle superfici esposte da tempo alle azioni meteoriche con sporgenze e rientranze, talvolta assai apprezzabili, che permettono di determinare l’orien- tazione. La direzione del blocco centrale che costituisce la base della montagna della Rossa è approssimativamente W S W — E N E; la sua inclinazione, a NNE, è assai debole. Questo blocco forma colla sua testata (lo considero per semplicità, come un unico strato) la parete della gola; su di esso riposano in concordanza, benchè con lacune locali, i terreni più recenti, bene stratificati. A levante e a ponente del blocco centrale il calcare massiccio si è sprofon- dato e non affiora più; ma molto probabilmente ha conservato, o variato di poco, la sua direzione, ed ha invertito la pendenza. Gli strati più recenti sono disturbati in vario modo per scorrimento e laminazione, ma mostrano una certa regolarità nell’orientazione; cioè quelli che si trovano a levante pendono a E; quelli che si trovano a ponente pendono a S W. N blocco centrale poi è verosimilmente attraversato da un sistema di faglie, per lo più con piccolo rigetto, parallele alla direzione della valle della Rossa; la più settentrionale di queste faglie, che è anche la più importante, tronca il blocco subito dopo M. Sassone; i terreni più recenti, a N della faglia, pendono fortemente verso N E. Alla tettonica, così grossolanamente abbozzata nelle righe che precedono, corrisponde con la più grande evidenza la morfologia della regione. Come risulta anche dall’esame di una carta topografica a piccola scala (1:100.000, per esempio), a S e a S E del M. della Croce (M. la Rossa) si hanno 994 E. FOSSA-MANCINI le paretiripide, o a picco, talora anche strapiombanti, della gola; è là che viene a giorno il calcare massiccio, segato dalle acque ed eroso dagli agenti atmo- sferici; la ristrettezza delle vallecole che tagliano in direzione N—S o NW—SE questo scosceso fianco della montagna rivelano la durezza e la compattezza della roccia. A levante e a ponente cessa bruscamente questo aspetto selvaggio; sulle carte al tratteggio si sostituiscono le curve di livello; sono i terreni più recenti, in piccola parte giuresi, prevalentemente cretacei, che assumono l’aspetto gibboso, rotondeggiante, paragonato da SAcco allo scudo dorsale di una tar- taruga. . La parte centrale della montagna, da M. Sassone a M. della Croce (M. la Rossa), è ondulata e non presenta forte rilievo; là gli strati più recenti ripo- sano in concordanza sul calcare massiccio. Noto adesso, e vi ritornerò più oltre, che di tali strati, complessivamente di potenza assai limitata, non se ne vede affiorare che una piccola parte; e cioè i più bassi (strati con brachio- podi di Lias medio) ed i più alti (strati verdastri con ammoniti infratito- niane e titoniane, e calcare maiolica); i livelli intermedi non sono rappresen- tati che da frammenti disseminati nel terreno, che è quasi per intero coltivato. Immediatamente a N di M. Sassone la pendenza aumenta bruscamente in corrispondenza della faglia che permette al calcare massiccio di affiorare per breve estensione; poi si attenua; ancora più oltre si vedono i caratteri- stici dorsi di tartaruga dovuti ai calcari cretacei e alla scaglia. Ho già detto come importanti faglie e valli profonde, mettendo a nudo antichi terreni per tratti assai considerevoli rendano agevole lo studio delnu- cleo dell'Appennino piceno. Aggiungo che i campi che si trovano fra M. Sas- sone e M. Murano sono frequentemente visitati, per lo più nei giorni che seguono i lavori di aratro, da raccoglitori di fossili che credo ne facciano oggetto di commercio. Reca dunque meraviglia che la letteratura geologica sulla Montagna della Rossa sia estremamente povera; non conosco in proposito che la me- moria di SCARABELLI, precedentemente citata, che per giunta ne tratta in via accessoria, quasi incidentale. In essa l’autore riconosce la presenza nella valle dell’Esino, fra Albacina e Serra S. Quirico, dei seguenti terreni secondari: Scaglia, bigia o rossa (Creta superiore). Calcare rosato (Creta superiore, piano inferiore). LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 225 Scisti marnosi, talora con fucoidi (Creta media?). Calcare bianco, a strati regolari, con letti di selce (Neocomiano). Calcare marmoreo, a lastre, giallastro o verdognolo (Titoniano). Scisti con aptichi (Giura medio). Calcari rossastri 0 giallognoli con marne interposte (Lias superiore). Calcari stratificati, con macchie ferrugiuose (Lias medio). Calcari chiari o bianchi, a strati potentissimi o del tutto massicci, a strut- tura oolitica, o suberistallina, o brecciata (Lias inferiore). Le età indicate fra parentesi sono quelle che ScarAaBELLI attribuiva ai terreni enumerati; parecchi di essi erano risultati fossiliferi, e lo studio pa- leontologico era stato compiuto in gran parte da MENEGHINI. Credo che l’aver trascurato di esaminare più attentamente la zona colti- vata alle falde di M. Murano abbia fatto sì che ScARABELLI non si avvedesse della presenza del Dogger, che non riconoscesse nei detriti superficiali il calcare maiolica e la pietra còrniola, e che per conseguenza attribuisse agli affioramenti di calcare massiccio uno sviluppo esagerato. Indirettamente, coll’illustrare una regione vicina, forniva qualche altro dato CANAVARI nei suoi « Cenni preliminari alla memoria del prof. G. MENE- GHINI: Nuove ammoniti dell'Appennino centrale raccolte dal Rev. don A. MorICONI » 1). Im questi brevissimi cenni l’autore, basandosi su determinazioni di fos- sili, affermava l’esistenza nei monti prossimi alla Rocchetta d’Arcevia della serie seguente: Scaglia. Calcare rosato non fossilifero. Maiolica non fossilifera. Titoniano superiore. Titoniano inferiore. ? Zona del Peltoceras trasversarium. ? Zona dei Macrocephali. Zona della Posidonomya alpina. Zona della Ludwigia Murchisonae. Lias superiore. !) Negli Atti di questa Società; Memorie, vol. VI, fasc. 2.0 (1885). Se. Nat. Vol, XXX 15 226 E, FOSSA-MANCINI E concludeva: «.... nell’Appennino centrale molti piani del Giura superiore, non indicati «o non riconosciuti dagli osservatori, vi sono rappresentati, resi evidenti «non da. caratteri litologici, spesso uniformi, non da discontinuità di strati «grafia, frequentemente ingannevoli, ma da accurate e minuziose ricerche «paleontologiche ». Più recentemente MARINELLI, in una sua nota sulla Grotta di Vernino !), che si apre nel fianco SW della Montagna della Rossa, disse della natura geo- logica degli immediati contorni dell’apertura. In questo mio studio ho cercato di combinare le osservazioni stratigra- fiche coll’esame paleontologico. Negli affioramenti naturali non è dato osservare che i terreni più antichi ei più recenti; nelle cave di materiali da costruzione e decorativi non vengono alla luce che pochi strati; di parecchi altri, bene caratterizzati da particolarità litologiche e paleontologiche, non si conoscono che frammenti sparsi nel terreno coltivato. Se da M. Sassone ci dirigiamo a SE per poi discendere (cosa assai malage- vole e un po’ rischiosa) il braccio occidentale del fosso di San Fiorano ?), troviamo: Calcare marmoreo verdognolo con ammoniti titoniane. Lumachella giallo-verdognola con piccoli Lassoceras. Terreno coltivato. Calcare compatto, con ammoniti, limonitizzate, di Lias medio. Calcare giallo-bruno, un po’ marnoso, con ammoniti di Lias medio. Calcare grigio chiaro, bene stratificato, a frattura concoide, con brachio- podi e cefalopodi di Lias medio (pietra còrniola inferiore). Calcare massiccio. 1) «Una grotta nella valle dell’Esino » in « In alto », luglio 1902. 2) Non è nominato nelle carte; è quel fosso a foggia di Y,i cui due raminascono alle selle fra M. della Croce e M. Murano, e fra questo e il suo sperone meridionale (quota 821); a monte e a valle della confluenza il fosso ineide profondamente le balze meridionali della montagna; sbocca nell’Esino a N delle rovine di S. Maria. e Cc LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 2257 Risalendo il sentiero che dalla estremità N del paese di Serra S. Quirico conduce alla C. Spadini, osserviamo la serie seguente: Scaglia cinerea. 3 Caleari rosati o biancastri, con letti di selce. Scisti così detti a fucoidi, verdognoli e bianchi. Calcare maiolica. Calcare marmoreo grigio-verdognolo, con ammoniti titoniane. Nella cava di F. Lucherini (non nominata nella levata di campagna del- PI. G. M., ma indicata con tratteggio; si trova a N di M. Sassone, fra C. Mar- cellini e G. Gasperi), abbiamo: Calcare maiolica, in strati di 10-30 cm., per una potenza di circa 3 m. Due strati di cirea 15 cm. di calcare marmoreo giallo-verdognolo, con aptichi, atto alla lavorazione (pietra cornia gialla). Due strati più potenti (25 cm.) di un calcare marmoreo più verde, con aptichi, pure atto alla lavorazione (pietra cornia verde). Diversi straterelli (2-8 cm.) di calcare scistoso verde, non fossilifero, im- proprio alla lavorazione, con granuli di pirite, alternanti con straterelli di selce nera; potenza complessiva 30 cm.. Strati sottili, regolari, di color verde pomo, con molti aptichi, ricercati per uso decorativo: la parte inferiore della lastra è la migliore. Straterelli alternanti con selce bianca, impropri alla lavorazione. Strati verdi, lavorabili, con Lytoceras quadrisulcatum, Duvalia ensifera, Aptychus Beyrichi etc. Presso la cava di calcari rossi che si trova poco a NW della bocca della Grotta di Vernino, vediamo succedersi: Calcari scistosi verdognoli con aptichi. Uno strato giallastro arenaceo. Strati sottili, regolari, di colore rosso-mattone o ammandorlati, con pic- coli aptichi. Parecchi letti di selce policroma, con esili straterelli calcarei intercalati. Le altre cave che si trovano nella Montagna della Rossa interessano il 228 E. FOSSA-MANCINI calcare massiccio (cava Francolini di pietra da calce; cava del Pievano di pietra tenera, così detto «travertino » ) oppure la parte superiore del calcare maiolica (cava di pietra da costruzione presso il Tiro a Segno di Serra S. Quirico). Si potrebbe credere che i frammenti raccolti nel terreno agrario proven- gano dagli strati giacenti immediatamente sotto, o un poco a monte del punto dove si trovano; se così fosse sarebbe facile farsi un’idea dell’ordine con cui si succedono rocce di aspetto diverso. Nei campi della Rossa si trovano in- vece mescolati campioni di più tipi litologici, e non è facile dire quale predo- mini nelle diverse parti. Le cause dell’allontanamento di questi frammenti sono in gran parte in relazione coll’attività dell’uomo. Nei campi si trovano dei frammenti grandi (blocchi o lastre) e dei fram- menti piccoli; ordinariamente i blocchi vengono ammucchiati sul posto o nei pressi, in attesa di essere impiegati per uso edilizio; le lastre sono portate lontano e servono alla costruzione di muri.a secco per limitazione di proprietà o per recinto di greggie; i frammenti piccoli, estratti, trascinati, rotolati dal- l’aratro, sono portati sempre più a valle e mescolati a quelli provenienti da altri strati. Nel disfacimento di calcari assai marnosi avviene di frequente che delle ammoniti si isolimo più o meno completamente; allora per la loro forma glo- bosa o discoidale rotolano con maggior facilità che non i frammenti ango- losi, e vanno quindi più lontano. Capita pure qualche volta di trovare delle ammoniti isolate a grande di- stanza dallo strato chele conteneva; il trasporto è allora dovuto ai pecorai che non coll’arcadica verga, ma a forza di sassate riescono a mantenere unite le loro greggie e ad affrettarne il passo; le ammoniti non tanto grosse es- sendo, per la loro forma e il loro peso, proiettili convenientissimi sono rae- colte e scagliate a preferenza dei frammenti angolosi. Quando il tiro è ri- petuto più volte nella stessa direzione o in direzioni puco differenti, e nello stesso senso, l’ammonite compie un vero viaggio. Queste osservazioni mi hanno indotto a non tenere conto del punto in cui, nei terreni coltivati, sono raccolti campioni litologici e fossili; ho cercato piuttosto di procurarmi il maggior numero possibile di questi ultimi per pro- cedere alle « accurate e minuziose ricerche paleontologiche »; personalmente ho raccolto alcune centinaia di fossili; molti altri mi sono stati forniti dai coloni Bordo e Spadini, che coltivano i campi fra M. Murano e M. Sassone LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 229 e che in seguito a mio invito ne avevano fatto ricerca; in tutto ho potuto esa- minare oltre milleduecento ammoniti !), pochi helemnoidi, e un gasteropode. Tra questi fossili raccolti nei campi ho riscontrato la presenza di forme caratteristiche dei piani e delle zone seguenti: |Titonico superiore in calcari maiolica. Titonico superiore in calcari marmorei verdognoli. Titonico inferiore in calcari marmorei verdognoli. Titonico inferiore in caleari compatti bianco-verdognoli. zona dell’ Aspidoceras acanthicum in calcari compatti bianco-verdognoli. zona dell’Aspidoceras acanthicum in calcari meno compatti gialli o verdi. . . - . . - . » . . . . . . ? Oxfordiano inferiore in caleari bianchi ? Calloviano in calcari chiari seleiferi a frattura concoide. Bajociano in calcari chiari selciferi a frattura concoide. zona della Ludwigia Murchisonae in calcari marnosi brunastri. Aleniano inferiore in calcari bruno-rosei a frattura concoide (pietra còrniola superiore). Toarciano in calcari marnosi giallognoli. Toarciano in calcari compatti, con minerali di ferro. Domeriano in calcari un po’ marnosi, grigio-bruni. Domeriano in calcari chiari selciferi a frattura concoide (pietra còrniola inferiore). Combinando questo risultato con quello dell’esame degli affioramenti si vede che con molta probabilità nella Montagna della Rossa sono rappre- sentati tuttii piani del Lias e del Giura, ad eccezione forse del Batoniano. Alla lacuna superiore, comprendente parte dell’Oxfordiano e la zona del Pelto- ceras transversarium, corrispondono verosimilmente quegli strati scistosi, rossi e verdi, con aptichi, che affiorano presso la bocca della erotta di Ver- nino; la presenza di selce policroma alla loro base, il rinvenimento di un Orthacodus impressus, il colore verde degli strati superiori, sono indizi di età neogiuriassica. !) In prevalenza forme di Lias superiore; a dare un’idea della relativa abbon- danza di certi gruppi toarciani varranno Je cifre seguenti: Phylloceras solcati (gr. del Ph. Nilssoni), 197 esemplari; PhyMoceras lisci (er. del Ph. Capitanei), 181; Lytoceras, 73; Lillia, 52; Hammatoceras, 40; Ooelocerati- dae, 39; Polyplectus discoides, 22. 230 E. FOSSA-MANCINI A conforto e documento di quanto ho detto, faccio seguire l’elenco dei fossili raccolti da me, o dai contadini da me incaricati; per mancanza di tempo e per timore che non fossero stati raccolti precisamente nella regione dame studiata, non ho tenuto conto degli esemplari conservati da tempo nel mu- seo geologico di questa Università ed indicati come provenienti dai « Monti della Rossa». In questo elenco non ho creduto dover seguire l’uso comune e dividere il materiale in gruppi corrispondenti alle classiche partizioni dei tempi geo- logici. Mi è sembrato più naturale aggrupparli tenendo conto dei caratteri litologici, che garantiscono la isopia e, sino a un certo punto, la contempora- neità delle deposizioni, e che, per quanto poco appariscenti, ingannano di rado l’occhio esercitato. Ho distinto così i seguenti tipi principali: VIII Calcari bianchi superiori (maiolica). VII Calcari verdi. VI Scisti con aptichi. V Calcari bianchi inferiori. IV. Pietra còrniola superiore. ; III Calcari giallastri e bruni, con alternanze di strati più o meno marnosi. II Pietra còrniola; inferiore. I Calcare massiccio. Dei limiti cronologici dei singoli gruppi e sottogruppi dirò volta per volta, dono l’enumerazione dei fossili. I. CALCARE MASSICCIO. Calcare puro, compatto, spesso senza evidente stratificazione; è il più antico fra i terreni che affiorano nell’Appennino marchigiano. Nella Montagna della Rossa mostra una potenza di circa 700 metri. Se ne conoscono diverse va- rietà che descrivo brevemente in ordine corrispondente all’ altimetria ; a causa delle faglie è probabile che l’ordine cronologico sarebbe differente. 1. Calcare massiccio, subcristallino, di colore caffè e latte chiarissimo, molto tenace; fossili rari e spesso indeterminabili per essere il loro guscio sostituito da calcite cristallina. LTT * à LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA dal Natica £. (Presso il fiume Esino; e anche, alla destra del fiume, nel fosso della Grotta; altitudine 180 m. circa sul mare). i 2. Calcare massiccio, marmoreo, bruno chiarissimo, con zone fossilifere; queste zone, nonostante l’assoluta continuità litologica, sono per il loro con- tenuto assai nettamente limitate dalla restante roccia; risultano di una folla di piccoli gasteropodi globosi, ad ampia apertura, che non ho saputo isolare; l’esame di molte sezioni visibili nelle superfici di frattura può far ritenere si tratti di forme simili, se non altro per l'aspetto complessivo, a talune Neritopsis degli strati di S. Cassiano. (Cava Francolini, presso la strada pro- vinciale Clementina, a circa 225 m. s. m.). 3. Calcare massiccio marmoreo, di colore caffè e latte chiarissimo, 0 bianco-roseo, a frattura irregolare; piccole cavità tappezzate da cristallini di calcite sono la sola e dubbia traccia di fossili. (Parete della Grotta di Ver- nino; circa 575 m. s. m.). 4. Calcare massiccio bianco, molto tenero anche dopo prolungata espo- sizione all’aria, localmente indicato col nome di « travertino »; molto leggero (p. sp. 2,05 circa), è impiegato per uso edilizio e decorativo. Non risulta fossilifero. (Cava del Pievano, circa 700 m. s. m.). 5. Calcare massiccio, subcristallino, di colore bianco-roseo, tenace, a - frattura irregolare; abbastanza frequenti modelli di gasteropodi la cui con- chiglia non è stata sostituita da calcite; così il modello interno è generalmente contenuto nell’esterno senza essere saldato ad esso. Cirrus Î. Straparollus £. Pseudomelamia È. Oomia cfr. pseudotumida (De STEP.) (M. della Croce, fianco E, a circa 750 m.) 6. Calcare massiecio, a struttura finamente oolitica, bianco-roseo o bianco brunastro; non molto tenace. Rari modelli esterni. Cerithrmella È. Tomochedlus È. 232 E. FOSSA-MANCINI (Vetta di M. Sassone, 825 m). Armioceras ceratitoides (QUENSTEDT). (erratico presso la grotta di Vernino). Per la scarsezza e il cattivo stato di conservazione dei fossili, non si può dire nulla sull’età della porzione inferiore del calcare massiccio; si sa invece . che la parte più alta appartiene al Sinemuriano superiore. II. PIETRA CORNIOLA INFERIORE (BonaRELLI). Calcare selcioso stratificato, di colore grigio chiaro, compatto, tenace, durissimo, a frattura larga concoide, attraversato da qualche venerella spa- tica, talora con macchie ferruginose. I fossili, per lo più bene conservati grazie alla grana minutissima del calcare, sarebbero di agevole studio e di sicura determinazione; ma non è sempre facile isolarli. Le conchiglie fibrose dei brachiopodi hanno aspetto brillante, sericeo e, spesso, colore più intenso (verde-bruno) della roccia che le racchiude; resistono assai meglio agli agenti atmosferici. Le ammoniti, non rare, sono conservate in modello interno. Sarebbe stato istruttivo raccogliere separatamente le faune dei diversi strati; ma non ho potuto farlo, non avendo trovato affioramenti abbastanza potenti. Ho tratto parecchi brachiopodi da frammenti erratici raccolti fra 500 e 600 m. di altitudine nel canalone che costituisce la parte superiore del ramo orientale del fosso di S. Fiorano; altri fossili ho trovato nelle lastre accumulate a formare muri a secco; pochissimi in posto, e in due sole località: cioè alla destra del sentiero che sale ad E di M. Sassone, e nel fianco W del M. della Croce, in prossimità della vetta. Dall’esame dei fossili risulta che gli strati superiori sono più scuri (giallo- grigi o grigio-plumbei) e contengono granelli di minerale di ferro. Secondo ScARABELLI presso Palombara questi calcari avrebbero una po- tenza complessiva di circa 40 metri; credo che nella Montagna della Rossa siano assai lontani dal raggiungere tale cifra. Montlivaultia È. Rhynchonella pisordes ZirTEL. 5 Rhynchonella cfr. Praasi OPEL in ZimmeL. Terebratula ? mediterranea CANAVARI. Terebratula cerasulum ZirTEL. Pygope Aspasia (Mcr.) var. maior ZITTEL. #9 LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 233 Pygope Aspasia (McH.) var. minor ZirTEL. Pygope erbaensis (SUESS). Pecten eîr. subreticulatus STOLICZA. Phylloceras Emeryi BETTONI. Phylloceras cfr. Calais MENEGHINI. Rhacophyllites cfr. stella (SOWERBY). Rhacophyllites erimius (HAUER). Arnioceras ceratitoides (QUENSTEDT). Armioceras Î. Areticeras algovianum OPPEL. Arieticeras ruthenense REYNÈS. Arteticeras Lotti (GEMMELLARO). Arieticeras Geyeri (DEL CAMPANA). Puciniceras mirificum (FUCINI). Harpoceratoides lavinianus MENEGHINI. Harpoceratoides Bicicolae (BONARELLI). Harpoceratoides Boscensis (REYNÈS). Harpoceratoides Curionii (MENEGHINI). Harpoceratoides Bonarellùi (FUCINI). Grammoceras normannianum (D’ORBIGNY). Grammoceras celebratum (EUCINI). Grammoceras dilectum FuCcINI. Grammoceras Portisi FuCINI. Grammoceras cîr. eriguum FUCINI. Grammoceras Vaceki Haas. Atractites italicus (MICHELI). Abbiamo dunque, oltre rarissimi rappresentanti della parte più alta del Lias inferiore (Arnioceras, Rhacophyllites cfr. stella), un discreto numero di brachiopodi pliensbachiani (RAynchonella Pisoides, Terebratula cerasu- lum, Pygope Aspasia, Pygope erbaensis), e parecchie ammoniti domeriane (Phylloceras Emeryi, Arieticeras algovianum, Arieticeras ruthenense, Har- poceratoides lavimianus, Harpoceratoides boscensis, Grammoceras normannia- num, Grammoceras celebratum); fra queste in molti casi si può avvertire una differenza litologica: i modelli di Grammoceras Normannianum e di Arteti- 234 E. FOSSA-MANCINI ceras algovianum sono costituiti da un calcare più chiaro, a grana più minuta, più sonoro sotto il martello, di quello che forma i modelli di Harpoceratot- des lavimianus e Harpoceratoides boscensis, che verosimilmente appartengono ad una zona più alta. III. CALCARI GIALLO-BRUNI. Strati di mediocre potenza, alternativamente più e meno marnosi, di co- lore relativamente intenso: in generale non si vedono affiorare, ma se ne raccolgono frammenti nei campi coltivati; sono frequente le ammoniti iso- late, in modello interno, per lo più, almeno da un lato, discretamente conser- vato. Si deve alla presenza di questi calcari marnosi o meglio ai prodotti del loro disfacimento, se i campi presso M. Murano non sonò del tutto sterili, e se i loro coltivatori trovano nel raccolto un modesto compenso alla loro operosità. Particolarità faunistiche e litologiche permettono di distinguere le sei zone seguenti: 1. Calcare grigio brunastro, un po’ marnoso, a frattura irregolare; i mo- delli delle ammoniti sono più compatti della roccia che li avvolge, si isolano bene, e spesso si raccolgono, sciolti, nel terreno: Phylloceras Zetes (n’ORBIGNY). Phylloceras tenwistriatum MENEGHINI. Phyloceras frondosum (REYNÈS). Phylloceras Meneghinii GEMMELLARO. Phylloceras Capitanei (CATUILO). Fhacophylhites lariensis (MENEGHINI). Lytoceras cîr. catriense MENEGHINI. Lytoceras audax MENEGHINI. Paltopleuroceras pseudocostatum (HyAnT). Arieticeras micrasterias (MENEGHINI). Grammoceras serotinum (BETTONI). Grammoceras Isseli Fucini. Pseudolioceras ambiguum (EUCINI). Pseudohoceras Greeoi (FEUCINI). Pseudolioceras cfr. ballinense HAAS. Harpoceras exaratum (Youne & BrrD). Harpoceras falciferum (SowERBY). LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 235 Ad eccezione delle ultime due, ritenute caratteristiche della zona inferiore del piano toarciano, tutte queste forme sono domeriane. È degno di nota il fatto che le ammoniti enumerate fino ad ora sono tutte assai compresse, discoidali; e che le forme a spira rigonfia che altrove sogliono accompagnarle (Coeloceratidae, p. es.) mancano completamente. 2. Calcare compatto, macchiato di giallo o di rosso, bruno, con granelli di minerali di ferro e frequenti modelli interni di ammoniti in limonite pseudomorfica di pirite e siderite. Astarte £. Hildoceras bifrons (BRUGUIÈRE). Grammoceras cîr. eriguum FUCINI. Harpoceras È. 3. Calcare assai marnoso, giallognolo o giallo-bruno, con macchie ferru- ginose e granelli di limonite, spesso evidentemente pseudomorfica. Pleurotomaria Orsinti (MENEGHINI). Phyllocerus doderleinianum (CATULLO). Phylloceras selinoides Man. var. asulcata BONARELLI. Phylloceras ausonium MENEGRINI. Phylloceras Spadae MENEGHINI. Phylloceras Capitanei (CATULLO). Phylloceras Nilssoni (HEBERT). Phylloceras Beatricis BONARELLI. Lytoceras cornucopia (Youne & Birp). Lytoceras veliferum MENEGHINI. Lytoceras Dorcadis MENEGHINI. Hammatoceras cfr. allobrogense (DuMORTIER). Hammatoceras Victoriù BONARELLI. Hammatoceras Bonarelli ParIscH & VIALE. Hammatoceras clavatum Fossa. Hammatoceras controversum Fossa. Brodiceras Bayani (DUMORTIER). Brodiceras Gruneri (BRANCO). Phymatoceras Escheri (HAUER). 236 E. FOSSA-MANCINI Phymatoceras gr. tirolense (HAUER). Lillia comensis (v. BucH). Lillia comensis (v. Buck) var. multicostata Renz. Lillia comensis (v. Buca) var. evoluta ReNZ. Lillia erbaensis (HAUER). Lillia iserensis (OPPEL). Lillia? dilata MENEGHINI. Lullia? cfr. corata MENEGHINI. Lillia®? Chelussiî ParIScH & VIALE. Mercaticeras Mercati (HAUER). Mercaticeras Mercati (HAuER) var. hellenica RENZ. Mercaticeras involutum BUcKMAN. Mercaticeras umbilicatum Buckman. Poecilomorphus cycloides (d’ORBIGNY). Hildoceras bifrons (BRUGUIÈRE). Hildoceras semipolitum BUckman. Hildoceras Nausicae RENZ. Pseudogrammoceras Saemanni (DUMORTIER). Pseudogrammoceras Muelleri (DENKMANN). _ Pseudogrammoceras fallaciosum (BAYLE). Harpoceras eraratum (Youne & Birp). Lioceras subplanatum (OPPEL). Polyplectus discoides (ZIETEN). Collina brauniana (D’ORBIGNY). Collina mucronata (D’ORBIGNY). Collina Meneghini BoNARELLI. Collina Gemma BoNARELLI. Peronoceras subarmatum (Youne & Birp). Peronoceras fibulatum (SOWERBY). Peronoceras bollense (ZIETEN). Peronoceras raquinianum (D’ORBIGNY). Coeloceras crassum (PHILLIPS). voeloceras Desplacei (D’ORBIGNY). Dactylioceras Holandrei (D’ORBIGNY). Atractites È. Questa lista comprende la maggior parte delle ammoniti caratteristiche LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 237 del Toarciano. Il calcare marnoso gialloguolo corrisponde dunquealle così dette marne rosse ammonitifere che, per un fenomeno di eteropia comunissimo nell’appennino marchigiano, affiorano col loro aspetto tipico anche a pochi chilometri di distanza (M. S. Angelo presso Arcevia) !). 4. Calcare durissimo bruno-roseo, a frattura concoide; le ammoniti bene conservate sono rivestite da una patina rosso-ruggine. Phylloceras heterophyllum (SoWERBY). Phylloceras doderletmanum (CATULLO). PhyUoceras Spadae MENEGHINI. Lytoceras ophioneum (BENECKE). Lytoceras cîr. rugulosum VACEK. Paroniceras lenticulare (v. BUCH). Catulloceras aratum BUcKman. Dumorheria striatulo-costata (QUENSTEDT). Dumortieria Meneghini (ZIrTEL). Dumortieria Paronai FUCINI. Hammatoceras ctr. Lorteti (DUMORTIER). Hammatoceras porcarellense BONARELLI. Hammatoceras clavatum Fossa. Hammatoceras picenum Fossa. Lallia erbaensis (HAUER). Harpoceras È. Pseudolioceras compactile (SIMPSON). 1) Alcuni mesi fa il dott. P. B. Bocci mi mostrò molte piccole ammoniti da lui raccolte nelle marne rosse presso M. S. Angelo ; ricordo di avere osservato esemplari di Lillia comensis, Hildoceras bifrons, Hammatoceras f.; ricordo an- che un esemplare di Hildoceras Levisoni, forma che non he trovato nella Monta- gna della Rossa. Esempi anche più sorprendenti di tale eteropia sono i seguenti: presso Col Saluceio, appena un chilometro e mezzo a S di M. Murano ho trovato un modello di Harpoceras fulciferum in una marna compatta sereziata di verde e di violaceo; a SE della grotta di Vernino, presso la casa di Calzolari, ho raccolto un’ impronta di RhacophyUites lariensis formata da un calcare impuro grigio-azzurro; e alla destra dell’Esino, nello sperone N del M. Revellone, un’altra bella impronta di Harpoceratoides boscensis in un calcare apparentemente non stratificato, color caffè e latte, tenacissimo. 238 E. FOSSA-MANCINI Polyplectus discordes (ZIETEN). Lioceras cfr. opalinum (REINECKE). Daciyhoceras Î. In questo calcare, che, a giudicarne dalla rarità dei frammenti, ha potenza assai limitata, si trovano mescolate forme del Toarciano superiore (zona del Lytoceras jurense) e dell’Aleniano inferiore (zona della. Dumortieria Leve- squei), con prevalenza delle prime. 5. Calcari bruno-rosei, un po’ marnosi, ma duri, e a frattura concoide. Le superfici esposte agli agenti meteorici diventano di colore aranciato, o rosso ruggine; isolando le ammoniti (al solito, si tratta di modelli interni) si nota, sulle parti avvolte dalla roccia, la presenza di un velo verde che potrebbe essere interpretato come un residuo della conchiglia; i setti non hanno questo velo !). In certi punti la roccia si fa più marnosa, e assume un’ apparenza scagliosa che rammenta gli strati a Posidonomya Bronni. Pseudogrammoceras fallaciosum (BAYLE). Dumortieria radiosa (SEEBACH). ! Dumortieria Vernosae (ZITTEL). Dumortieria Meneghini (ZITTEL). Catulloceras Dumortieri (THIOLLIÈRE). Tmetoceras scissum (BENECKE). Sono queste forme dell’Aleniano inferiore ad eccezione della Dumortieria Vernosae che fu descritta da ZitTEL fra le ammoniti di Lias medio; 1° esemplare figurato da ZirtEL non era stato raccolto da lui, ma si trovava già nelle col- lezioni del nostro Museo geologico, ed era indicato come proveniente dalla Marconessa presso Cingoli: non so quali terreni affiorino alla Marconessa e per quali ragioni quel fossile sia stato ritenuto di Lias medio. Un altro esem- plare ne raccolse ZirtEL sul M. Catria, a fonte Vernosa, dove affiora il tipico Toarciano rosso e l’Aleniano non pare rappresentato. 1) È noto che nella conchiglia dei viventi Nautilus i setti risultano di sola sostanza madreperlacea, mentre la spira è composta di uno strato interno madre- perlaceo e di uno esterno per lo più colorato, porcellanaceo; inoltre, per un tratto, è ricoperta da uno strato nero granuloso. Secondo SANDBERGER questo fatto sa- rebbe stato osservato anche in alcuni tetrabranchiati fossili. LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 239 6. Calcari marnosi giallognoli, con qualche macchia ferruginosa, simili a quelli toarciani, benchè più compatti e tendenti talora al rossiccio. Phylloceras Spadae MENEGHINI. Tmetoceras scissum (BENECKE). Hammatoceras porcarellense BONARELLI. Hammatoceras speciosum JANENSCH. Lioceras opalinoides (Ca. MevER In VACEK). Pleydellia aalensis (ZIETEN). Ludwigia Murchisonae (SOWERBY). Ludwigella È. Canavarina digna BUCKMAN. Alcuni di questi fossili sono ritenuti caratteristici dell’Aleniano superiore (zona della Ludwigia Murchisonae), mentre altri sono forme persistenti toarciane (Phylloceras Spadae, Hammatoceras porcarellense). PIETRA CORNIOLA SUPERIORE (BoNARELLI). Calcari durissimi, di colore grigio perla, o bruno chiaro, o carnicino, a frattura larga concoide, in strati assai regolari, piuttosto sottili, attraver- sati da vene spatiche, contengono ammoniti, spesso assai grosse. Negli strati più antichi le superfici esposte agli agenti meteorici sono coperte di un velo terroso di color rosso-ruggine. Phylloceras gr. Nilsson (HEBERT). PhyUoceras cfr. Manfredi (OPpEL). PhyUloceras tatricum (PUSCR). Phylloceras ultramontanum ZirTEL. PhyUloceras cfr. chonomphalum VAcrK. Lytoceras rasile VACEK. Tmetoceras scissum (BENECKE). Hammaioceras porcarellense BONARELLI. Hammatoceras dolium BUCcKMAN. Hammatoceras gr. Steboldi (OPPEL). Hammatoceras planinsigne VACEK. Hammatoceras klimakomphalum (VACEK). Hammatoceras? gonionotum ( BENECKE). 240 È. FOSSA-MANCINI Witchellia Sutneri (BRANCO). Pontannesia curvata BUCKMAN. Oppelia subradiata (SoWERBY). Erycites fallax (BENECKE). Erycites ? intermedius HANTKEN in PRINZ. Stepheoceras longalvum (VACEK). Stepheoceras humphresianum (SOWERBY). Stepheoceras subcoronatum (OPPEL). Stepheoceras bayleanum (OPPEL). Stepheoceras vindobenense (GRIESBACH). Stepheoceras Daubenyi (GEMMELLARO). Emaleia Brocchi (SOWERBY). Emileia polyschides (WAAGEN). Emileia polymera (WAAGEN). Sphaeroceras bullatum (D’ORBIGNY). È Sphaeroceras globuliforme (GRMMELLARO). Aptychus punctatus VoLTz. La deposizione di questi calcari è avvenuta certamente in un tempo assai lungo, giacchè in essi si trovano forme caratteristiche dell’Aleniano superiore (Tmetoceras scissum) insieme a forme del Calloviano (Sphaeroceras bullatum); è singolare l’assenza di fossili batoniani, nonostante l’uniformità litologica. V. CALCARI BIANCHI INFERIORI. Calcari duri, tenaci, grigio-verdognoli nelle superfici esposte da tempo all’aria, bianchissimi nelle fratture fresche. Nel terreno coltivato si trovano, ma non frequentemente, dei frammenti di questa roccia, contenenti spesso piccole ammoniti. Quenstedticeras Lamberti (D’ORBIGNY). Perisphinctes polygyratus (REINECKE). Perisphinctes bernensis P. DE LoRIon. Perispmnctes Airoldi GEMMELLARO. Sono forme dell’Oxfordiano inferiore. LIAS E GIURA NELLA MONTAGNA DELLA ROSSA 241 SCISTI CON APTICHI. Marne scistose, impure, assai dure, in strati sottili e regolari; affiorano in pochi punti e a franapoggio; dove si mantengono senza fratture per qualche estensione vengono estratte ed impiegate come materiale decorativo. 1. Scisti assai marnosi, rossi per pigmento ematitico, con rare venature bianche; poco fossiliferi. Aptychus cîr. profundus H. v. MeyER. 2. Straterello giallastro, di apparenza arenacea. Orthacodus tmpressus (ZITTEL). 3. Scisti marnosi, di colore verde pomo: Aptychus lamellosus VoLtz. Aptychus depressus H. v. MEYER. Questi Aptichi non sono caratteristici di particolari piani e zone; di Ortha- codus impressus ne sono stati raccolti spesso nell’ Infratitonico, anche nel- l'Appennino centrale. VII. CALCARI VERDI. Calcari compatti, più o meno verdi, in strati regolari ma di varia potenza, con ammoniti, aptichi, e belemniti; le ammoniti di regola conservano il guscio. 1. Calcare giallo-verdastro, duro, a frattura irregolare, con venuzze spa- tiche e macchie ferruginose; in certi punti (presso la vetta di M. Sassone, lato N) si trasforma in una vera lumachella di piccoli Lissoceras. PhyUoceras cîr. Empedochis GEMMELLARO. Phylloceras isotypum BENECKE. Lytoceras montanum (OPPEL). Lissoceras Î. Perisphinetes ? planulifurca (QUENSTEDT). Perisphinetes plebeius NEUMAYR. Sc. Nat. Vol. XXX 16 249 4. FOSSA-MANCINI Perisphinctes acer NeUMAYR. Stmoceras volanense (OPPEL). Stmoceras admirandum ZirTEL. Stmoceras planicylum GEMMELLARO. Aspidoceras avellanum ZITTEL. Aspidoceras cyclotum (OPPEL). Waagenia Beckeri (NEUMAYR). Aptychus punctatus VoLtz. 2. Calcare compattissimo, bianco-verdognolo, con numerose ammoniti munite di guscio e, per lo più, assai bene conservate. Hemicidaris Zignoi COTTEAU. Phylloceras isotypum (BENECKE). Phylloceras isotypum (BEN.) var. appenninica CANAVARI. Lytoceras montanum (OPPEL). Oppelia folgariaca (OPPEL). Lissoceras elimatum (OPPEL). Perisphinetes colubrinus (REINECKE). Perisphincetes Taramellii MARIANI. Stmoceras strictum (CATULLO). Simoceras cîr. catrianum ZirTEL. Stmoceras lytogyrus ZiTTEL. Stmoceras Stenonis (GEMMELLARO). 8. Calcare marmoreo giallo-verdognolo, in strati più o meno sottili; alcuni di questi strati non sono fossiliferi, mentre altri sono veramente pieni di resti di cefalopodi; le ammoniti hanno per lo più il guscio sostituito da calcite spatica verde per un pigmento, forse di origine organica, minuta- mente ed uniformemente diffuso!). Alcuni strati si prestano eccellentemente alla lavorazione, ed acquistano un bel lustro; sono impiegati per decora- zione e per lapidi funerarie. Peso specifico assai elevato (2.71). 1) L’esame microscopico rivela che il colore verde è dovuto a scagliette di una sostanza che per le sue proprietà ottiche sì direbbe clorite, ma che resi- ste assai bene agli acidi; ritengo probabile si tratti di glauconite. dI dI vil IR) C) 4 DI i ; LIT n LIA ta (I ia NE SICURA] M | | I {IN ® I A i ci - LUO Li Li i, SOIA lio | \ (AKAI pEsE e E) Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat., Vol. XXX, Tav. VI. G. BUGLIA - Sulla funzione atriale, ecc. Nota III [Tav. I]. Figura ja (Esp. III). Figura 2° (Esp. IV). Figura 3* av 2 Ta: - ; | TRA: ranza ARAN MM co ==“ SR 12-46 prata Tu (a pla aleviut 2" | "pe fi - 20 1 I D ; | Ul Ulpay ili il wa Figura 5? (Esp. VIII). aragisg) Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat., Vol. XXX, Tav. VII. G. BUGLIA - Sulla funzione atriale, cce. Nota IM [Tav. II). Figura 6° (Esp. X). Figura 7° (Esp. XI). one 19.40 uil il il | | Îl | Ill I i i I | STINO Ri | Ill (III i ill! O {I Figura 8: IUINIR i t VULIIUTI WIAIITO VATFUSIRTIPITÀ (N I È i | MI Hi it ii SU Îll | i È i di (Esp. XIV). | SIINO TURI) o I UO Da Ve en "==> vw|> an === Figura 9* (Esp. XV). upper Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat., Vol. XXX, Tav. VIII, G. BUGLIA - Sulla funzione atriale, ecc. Nota IV [Tav. 1]. ’ Ù na /8 ETA 1% 39 i _ _—a NrTT— Figura 18 (Esp. I). Figura 28 (Esp. II). ill | | SH (AIUCARI( Si UH i | TTI | | | Al ai Il Figura 4° (Esp. V). Figura 54 (Esp. VIII). Figura 78 (Esp. X). Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat., Vol. XXX. Tav. IX. G. BUGLIA - Sulla funzione atriale, eee. Nota IV (Tav. Il]. te | TI ITTTIKKIKKTNTET Figura 10% (Esp. XV). Figura 11: (Esp. XVII). Figura 12% (Esp. XX). Figura 13? (Esp. XXIV). Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat.. Vol. XXX. Tav. X ) 7 Ù ] vi G. BUGLIA - Sulla funzione atriale. ecc. Nota IN [Tav. 101). oa 22,32 Figura 14* (Esp. XXV). Figura 15* (Esp. XXVI). oe 79.50 e DL Figura 16% (Esp. XXVII). 1° linea Figura 174 (Esp. XXVIII). | | Mem. Soc. Tse. Sc. Nat., Vol. XXX: Tav. XI, G. BUGLIA - Sulla funzione atriale, ecc. Nota IV [Tav. IV]. Figura 187 Ì (Esp. XXIX). Figura 21% (Esp. XXXII). Figura 22° (Esp. XXXIII). i. Figura 23% (Esp. XXXIV). m. Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol XXX Tav. XII. A. CESARIS DEMEL Sulla presenza e sulla genesi delle piastrine ecc. Di Ciolo dis: Istituto Micrografico Italiano - Firenze Vada daga atm È grate Na "i % K ® SD 1 x UCP È ee È PR nes ; ba ay 6 DES ) ad Sigla Mao 0 Ta ALI Sao ® —® Di Ciolo dis. Istituto Micrografico Italiano - Firenze Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol, XXX.Tav. XIV. P. ALOISI Voted MinerdogiaLoscanra INYDEEC4O DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME Sabatini G. — Elenco di uccelli catturati ed osservati nelle 5010: Ele EP COR SV AO Buglia G. — Sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea Notarde(TAv&sIcICIEH) — ore e Ae? Buglia G. — Sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea Nota Il(PavII-V[EIU)). << _sene Buglia G. — Sulla funzione atriale del cuore di Emys europaea Nota III: (Lav:VIEVE [L-H)) E RR Buglia G, — Sulla funzione atriale del cuore dì Emys europaea Nota IV (Tav VIIEXT GN) eresie Azzini F. — Filone diabasico negli scisti di Edolo . . . ., 85 Manasse E. - bolari del monte Amiata . . . ; RE STO Sotti G. e Torri 0. — Ricerche sul contenuto colestearinico del sangue circolante in rapporto alla splenectomia. . . , 120 Cesaris-Demel A. — Sulla presenza e sulla genesi delle piastrine nella milza dei mammiferi (Tav. XII-XIII [I-1T]). SISMI6 Bocci B. P. — Sopra alcuni terreni agrari dell’alto bacino del «Misa in provincia di Ancona. . . ip WTA] Aloisi P. — Note di Mineralogia Toscana (Tavola XIV). TRAI Fossa-Mancini E. — Lias e giura nella montagna della Rossa , 220 UFFICIO DI PRESIDENZA. Presidente . . — Prof. Giovanni Arcangeli. Orto botanico, R. Università di Pisa. Prof. Mario Canavari. Istituto geologico, idem. Vice-presidenti 5 2 leo FRESE Prof. Guglielmo Romiti. Istituto anatomico, idem. Segretario . . — Prof. Giovanni D’Achiardi. Istituto mineralogico, idem. Vice-segretario — Prof. Piero Aloisi. Istituto mineralogieo, idem. Cassiere . . . — Prof. Eugenio Ficalbi, Istituto zoologico, idem. SEDE DELLA SOCIETÀ — Museo di Storia Naturale in Pisa, Gli atti della Società (memorie e processi verbali delle sedute) si pubblicano per lo meno sei volte all'anno a intervalli non maggiori di 3 mesi, SUMCI SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES Liana 3 9088